ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Nuova Serie - Vol. XXI (XCV) - FASC. I CARLO MARCHESANI - GIORGIO SPERATI OSPEDALI GENOVESI NEL MEDIOEVO GENOVA - MCMLXXXI NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VIA ALBARO, 11 ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Nuova Serie - Vol. XXI (XCV) - FASC. I CARLO MARCHESANI - GIORGIO SPERATI OSPEDALI GENOVESI NEL MEDIOEVO GENOVA - MCMLXXXI NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VIA ALBARO, 11 I L’ OSPED ALIT À MEDIEVALE Gli AA. ringraziano il Dott. Aldo Agosto, il P. Alberto Boldorini, il Prof. Jean Cancellieri, la Dott. Vera Carievaro, il Dott. Siro Dodero, il P. Cassiano da Langasco, il Prof. Guido Farris, il Prof. Gian Giacomo Musso e la Dott. Rossana Urbani, per gli amichevoli suggerimenti e per le preziose segnalazioni di fonti documentarie e bibliografiche. Una particolare espressione di gratitudine va al Sig. Tullio Rattini per l’assistenza fornita, con assiduità e competenza, durante tutta la lunga e laboriosa ricerca d’archivio. Non si può prescindere, trattando della ospedalità medievale, dal considerare gli aspetti sociali, politici, economici e religiosi che più profondamente hanno influito, in quel periodo, su di essa. E’ necessario, infatti, inquadrare il movimento ospedaliero alla luce di quei profondi e radicali mutamenti che attraverso i secoli la società occidentale subì, dalla caduta del-1 impero alla nascita dei liberi comuni e all’avvento delle signorie. In questo lungo ciclo storico la Chiesa mantenne sempre un ruolo di protagonista e fu proprio da essa che gli ospedali medievali derivarono la loro origine e i loro ordinamenti. Non è possibile perciò dissociare la storia ospedaliera di questo periodo da quella della Chiesa stessa, per la loro stretta interdipendenza, ed è indispensabile, per comprendere appieno il significato della evoluzione dell’attività assistenziale, ricordare come la Chiesa entrò a far parte delle strutture socio-politiche europee, acquisendo progressivamente un potere sempre più consistente ', e come poi questo potere cominciò a decrescere nell’età comunale per la rinascita delle forze laiche, che sempre meno tolleravano l’ingerenza ecclesiastica anche in campo assistenziale. Volendo sintetizzare in modo schematico l’evoluzione della ospedalità medievale si può quindi ricordare che dopo un primo periodo, in cui l’assistenza ospedaliera venne gestita quasi esclusivamente dalle gerarchie ecclesiastiche2, ve ne fu un secondo, posteriore all’XI secolo, nel quale si manifestò una progressiva laicizzazione degli ospedali. Tale laicizzazione acquisì un’apprezzabile consistenza solo verso la metà del XIII secolo, come diretta conseguenza di quel vasto movimento penitenziale promosso dagli ordini mendicanti che, in quel tempo, coinvolse buona parte del laicato, riaccendendolo di nuovo fervore religioso e rendendolo disponibile per dare il suo contributo a ogni nuova opera di carità \ Questo cambiamento di indirizzo non sortì tuttavia che 1 G. Miccoli, La storia religiosa, in Storia d’Italia, ed. Einaudi, Torino 1974, vol. II, tomo I, p. 447 e sgg. 2 Non mancano tuttavia notizie di fondazioni laiche anche in epoca altomedievale, come dimostrano, ad esempio, le carte lucchesi del periodo longobardo (cfr. C. Troya, Codice diplomatico longobardo, Napoli 1852-55, tomo I, n. CCC, tomo II, nn. CCCI, CCCL, tomo III, nn. CCCLI, DXXXIV, tomo IV, n. DXXXV, tomo V, n. DCCXIX). 3 Non raramente il passaggio di istituti ospedalieri a patroni laici era determinato da pesanti situazioni economiche le quali rendevano insostenibile la gestione da parte di temporanei e parziali effetti positivi sugli sviluppi dell’assistenza pubblica, in quanto già da quel periodo cominciò a manifestarsi una certa involuzione, causata essenzialmente dal moltiplicarsi degli abusi amministrativi. Causa favorente di tali arbitrii fu la concessione in gestione di gran parte degli enti ospedalieri quali veri benefìci ecclesiastici, provvedimento che accese la cupidigia di rettori senza scrupoli che anteponevano i propri interessi a quelli delle comunità loro affidate. Per questo l’assistenza ospedaliera decadde inesorabilmente a livelli sempre più bassi, scatenando il malcontento generale. La crisi, iniziatasi nel XIII secolo ed estesa sia agli ospedali laici sia a quelli religiosi, divenne sempre più evidente nel secolo successivo e a nulla valsero i tentativi di riforma e di moralizzazione da parte delle autorità ecclesiastiche 4, finché, intorno alla metà del Quattrocento, l’avvento dei grandi ospedali rinascimentali, che inglobarono quasi tutti i vecchi istituti, segnò la fine della hospitalitas medievale. Di questa evoluzione, che si attuò nello spazio di quasi nove secoli, vanno posti in evidenza i caratteri peculiari e più significativi per poter inquadrare nei suoi vari aspetti il fenomeno ospedaliero nel medio evo, il che comporta ovviamente la trattazione di argomenti generali e non ristretti ai soli eventi locali. Sarebbe illogico, infatti, limitare la nostra esposizione alla sola cronaca genovese, prescindendo da un quadro generale di cui questa fa parte integrante, anche in considerazione del fatto che, purtroppo, la storia ospedaliera è ancor oggi un argomento non molto seguito da parte dei cultori di scienze storiche e pertanto approfondito solo in alcuni suoi aspetti settoriali. I FONDATORI In rapporto alla loro fondazione si possono schematicamente suddividere gli ospedali medievali in religiosi (hospitalia publica) e laici ( hospitalia privata o prophana). I primi, fondati direttamente dalle autorità ecclesiastiche (vescovi, abati, capitoli canonicali, ecc.), rispecchiarono abbastanza fedelmente le strutture organizzative che la Chiesa andava a mano a mano acquisendo e così, dopo gli ospedali diocesani, apparvero quelli monastici e, an- quegli enti religiosi che li avevano fondati (cfr. J. Imbert, L’Eglise et l’Etat face au problème hospitalier au XVI siècle, in « Etudes d’histoire du droit canonique », 1966, I, p. 579). 4 Cfr. la decretale di Clemente V e gli atti del concilio di Vienne, del 1311, in Mansi, t. XXV, ce. 367-470 e in CJC, lib. VII. cora più tardi, quelli annessi alle pievi rurali e quelli dipendenti da canoniche regolari5. I secondi furono invece realizzati da numerose categorie di fondatori laici, comprendenti autorità civili (re, principi, governi comunali), confraternite, corporazioni artigiane, terzi ordini, gruppi etnici particolari, oltre, naturalmente, ai semplici privati, che diedero vita, specialmente dal XIII secolo in poi a un gran numero di istituzioni ospedaliere. Una posizione particolare ebbero poi le fondazioni dipendenti dagli ordini ospedalieri, cavallereschi e non, le quali, pur non rientrando tra gli istituti ecclesiastici in senso stretto, furono sempre considerate a tutti gli effetti come veri loca religiosa6. Fondazioni religiose Ospedali vescovili - Già il concilio di Nicea, del 325, aveva stabilito per i vescovi l’obbligo di fornire assistenza ai bisognosi e di provvedere affinché ogni diocesi potesse contare su una sede idonea ad accogliere quanti, poveri, malati o viandanti, necessitassero di aiuto '. I vescovi ottemperarono a queste disposizioni, nei primi tempi, mettendo a disposizione la propria mensa e la propria casa e, nei secoli successivi, con la progressiva affermazione della religione cristiana, fondando ospizi che in genere erano situati nei pressi della cattedrale. Questi ospedali vescovili possono quindi a buon diritto essere considerati le prime realizzazioni ospedaliere della cristianità in occidente. L’erogazione dell’assistenza veniva attuata inizialmente dai vescovi stessi, coadiuvati dai diaconi, impiegando per questa attività caritativa i proventi delle decime, una parte delle quali, la cosiddetta quarta pauperum, era destinata, per disposizione conciliare, proprio a questo scopo 8. In tempi successivi questi istituti non vennero più gestiti in proprio, ma 5 Roma altomedievale ebbe una sua particolare organizzazione ospedaliera caratterizzata dalla presenza delle diaconie (A. Pazzini, La nascita dei primi ospedali, Roma 1956, p. 22, e L’ospedale nei secoli, Roma 1958, p. 37). 6 J. Imbert, Les hôpitaux en droit canonique, Parigi 1947, p. 212. 7 COD, p. 14 (can. LXX, dei cosiddetti «canoni arabici»); E. Nasalli Rocca, Il diritto ospedaliero nei suoi lineamenti storici, Milano 1956, p. 43. 8 P. G. Caron, L'evoluzione dalla quarta pauperum alla pia fundatio a scopo ospitaliero in alcuni testi della letteratura decretistica, in I EUR, p. 287. L’obbligo della hospitalitas e dell’assistenza ai poveri e ai malati non rappresentava per il vescovo un impegno di carità puramente formale ma aveva una vera e propria veste giuridica, in quanto regolato da precise norme e sanzioni (ihid.). iî'kim i .«puaLin multo >pc>5i> di estrazione laica Esempi di questo tipo i'»-»** ». on-fi: ri\ v luti nell .upuio del vescovo di Brescia \ in S. Ambrogio *. M j »> i'x-itìt icnodochi forviati dii vescovo Ratoldo a Verona 11 e, a nell'»ondale Ji S Loren/o, posto in Scurreria e, forse, in quello . • .} S Ylvestro iv jpp. nn 10ì 1214>. che potrebbe essere iden- > , i • m j ittvj tondit ione diocesana del tempo in cui ivi risiedeva la mie cpHcnpilc u. ()v.vii; r»V ■. Le pievi v.rte nel basso impero, lungo le grandi vie di trinerò. qtia-x sempre mu re>ti delle antiche mansiones e mutationes rora inc p« " vi.-', ,i •«> un proprio o&pedale Secondo il Nasolli Rocca M, : t i:t ! « pieve può ei-ere definita come « tempio, albergo, ospedale, schola » 1» - i ^ '!!»vàju>ne prevalentemente rurale, lontano dalle città, contribuì m rrxxlo lignificamo allo >v iluppodella ospedalità altomedievale. Al plebanus . . "j.vr spettava la direzione della pieve e a lui competeva pure la ■narim del rettore dell'ospedale 'V Dopo il Mille, come è noto, le pievi rurali fBtfjnaao !• kwo furinone unicamente alla sfera religiosa e gli ospedali ple-bani. in conae guerra di ciò, esaurirono il loro ciclo vitale: alcuni di essi «v'CHTiparvrr >. »! tri pi",irono sotto il controllo di ordini religiosi o di laici, Mjcvand.ni completamente dal clero plebano 16. le- > pievi genovesi, di intichissima fondazione, si trovavano sparse • varie distaine dalla i genere lungo le grandi vie di transito e pos- sedevano una caratteristica peculiare, quella cioè di non essere rimaste isolate, m di aver indotto intorno a esse la formazione di centri abitati, analoga- * \ MlIBlli, La origini degli ospedali bresciani, Brescia 1963, p. 123. A P La Cava Igiene e unità negli statuti di Milano del sec. XIV, Milano 1946, p V F » infili. L'assistenza nell’alto medioevo I xenodochi di origine romana, in • Atti R I*ì Ven Scicrve, Lettere, Arti *, 1933, XCII. p. 922. ° In un etto del 20 febbraio 1)34 (A.S.G., Notai, cart. 170, II, c. 135 v.) si ricada ancora il pi—» arcivescovile di S S ' ■ Uro, vi si legge infatti: ... actum lanue tn pidjtio drcbtepiscopdi de sancto Silvestro. ” L MaflO, Sur i établissement des hôpitaux et prieurés le long des voies ro-mmmet. in « Bull Soc. Archéol. de Nantes *, 1881, XVII, p. 1. M E. Nasalli Rocca, Pievi ed ospedali. in I NAZ, p. 493. » Ibid •* In alcuni casi gli ospedali si mantennero fino al XV secolo (Nasalli Rocca, Il diritto dt., p. 84). - 10 - mente a quanto altrove aveva prodotto il castello feudale '' Da esse derivarono numerosissimi ospedali distribuiti in tutto il territorio della regione, i più noti dei quali furono senza dubbio quelli di S. Martino d’Albaro. di S. Martino di Framura, di S. Giovanni Battista di Recco, di S. Croce di Moneglia, di S. Maria di Voltri18. Ospedali canonicali - Queste particolari fondazioni si moltiplicarono tra l’XI e il XII secolo, specie in Italia e in Francia, come diretta conseguenza della riforma gregoriana, che aveva cercato di ripristinare nel clero secolare quei principi di vita comunitaria, ormai da tempo desueti, ritenuti indispensabili per una efficace moralizzazione della Chiesa, travagliata in quegli anni da una profonda crisi per il nicolaismo e per la simonia sempre più dilaganti 19. Si cercò quindi di stabilire per i chierici, radunati nelle canoniche, una regola di tipo monastico, riprendendo gli antichi precetti di Crodegango di Metz, nel tentativo di riportare a una più ripida ortodossia la parte del clero che andava troppo facilmente cedendo ai richiami terreni20. Tra i principali compiti, imposti ai canonici dalla regola, era quello ospedaliero e per questo il movimento canonicale ebbe un così «rande influsso su tutta Pospedalità, almeno nel XII secolo. In certi casi le canoniche si fondavano già con compiti ospedalieri, altre volte invece le funzioni assistenziali venivano acquisite solo in tempi successivi21. Per quanto riguarda la denominazione va rilevato che gli ospedali canonicali spesso conservavano il titolo dedicatorio delle canoniche alle quali appartenevano 22, oppure potevano acquisirne uno nuovo, che poteva essere un nome tipico della tradizione ospedaliera, come S. Cristoforo, cui 17 A. Ferretto, I primordi e lo sviluppo del Cristianesimo in Liguria, in ASLi, XXXIX, p. 435. 18 Ibid., pp. 596, 529, 593, 527, 703. 19 Si deve soprattutto all’opera di uno dei capi della riforma, S. Pier Damiani, la promulgazione delle regole di vita in comune, durante i concili romani del 1059 (can. 3, Mansi, XIX, c. 898) e del 1063 (can. 4: .. ut religiosi clerici simul manducent et dormiant et omnia habeant in communi...: ibid., c. 967). A questo proposito, cfr. anche A. Fliche, La réforme grégorienne, Lovanio 1924-1925, t. II, p. 305. 20 P. Benoit, La vie des clercs, Parigi 1917, p. 84. 21 C. D. Fonseca, Canoniche e ospedali, in I EUR, p. 482. 22 Cfr. gli ospedali canonicali di S. Alessandro e di S. Bartolomeo di Brescia (A. Mariella cit., pp. 20, 122). - 11 - *cru\ an».* ijxnv Jcvi , ì!t *li e**pcvLi!t di porte o un toponimo derivato da vfucic » : vr u*ruc tu « ilo. .1 quello di S. Vincenzo, pct l’ospedale di > l-ofewu « queik» di S Croce, per l’ospedale di Castello. 1 i i*,t uttr j_*;v 'Oc Ji q-arsti istituti quando essi si trovavano nell’edi-t*. vie!L» canonica. p«.>tesa oxrre retta da un rappresentante del capi- u«* i i .. '.«rre .1 t! preposto o dall arciprete, quando invece l’ospizio si tro-uvi >n un* tccfc distaccati* il rettorato veniva usualmente affidato ad altri34. I! movimento canonicale, come è noto, non conseguì tuttavia i risultati »pcrari e ’ r-Wo^um.! ^pedaliere, ad e* so legate, ebbero quasi sempre una euttetvea limitata nel tempo9. OtprJjii momatki - IVr valutare l'importanza che assunsero nel me-x-\ ' !c urtr-rnMii o-ipedalierc legate ai monasteri si deve necessariamente toner proente il Monticato che questi ultimi assunsero in tal periodo nella \ ti od turale s< viale, politica e rei igieni d’Europa. Si può in fondo affer-ft&i.-e a S.a'o diruto che « tl cristianesimo dtomedievale fu un cristianesimo n> >ruiii i» v’ 'en<*> almeno che nel monastero esso trovò il suo punto di ri te-, • c’- -.' e : ! - .o nnxlcllo » ' l monasteri, tuttavia, non furono soltanto Mlfi vtì vita irtitr^ e culturale, ma anche centri di rilevante importanza economica e strategico basti pensare, ad esempio, agli immensi patri-mort t,' J; ri jcquisiti col tempo dalle grandi abbazie e al peso che ebbero nelle vicende storiche kx di eli istituti monastici di Nonantola, di Farfa, di Bobb»o, ■ It du c quelli di Clunv, di Reichenau, di S. Gallo, oltralpe. I i mon l'tica, che >i mantenne dal VII al XII secolo, fu anche dcrerm, vit i vcroMmdmente d ii fatto che per un lungo periodo le più alte t 'o!!.i Chtcvi. i suoi elementi più rappresentativi, provennero dai quadri del monacheSimo r II ni lo che i monasteri assunsero nei confronti del problema assistenziale fu determinato dal progressivo incremento delle ruh i-s-c- li liuto che a loro venivano rivolte dalle popolazioni del circondalo, in fase (fi continua espando v Infatti il monastero, sorto inizialmente D Fcraaca dt.. p 483. » Ibid 8 FVt ulteriori notixìc sogli ospedali canonicali rimandiamo ai capitoli relativi a S. Mari» enziale della farmacopea del tempo. Ia iv*->ìi>m;c delle granili abbazie era, œme è noto, affidata a una gerarchia vi; monaci ognuno Jet quali era incaricato di specifiche funzioni (abate, ,'r-xv se£rrjrt±i, nnjuus, ecc.), tra le quali rientravano anche i compiti . .. iU; \. ♦ era addetto in pruna istanza il portarius, che prov- ink-ca x riscuotere la decima spettante all’ospedale, accoglieva all’ingresso intermi, poveri e pellegrini e li indirizzava A\'bospttalarius pauperum o tM'hutpOéUtrms reùgtosorum, come testimonia un documento bobbiese del 1\ sei.'u' " nel quale e citato anche il custos infirmorum, addetto alla cura do «n—n ammalati. Tuttavia, la dizione più usata per indicare colui che ci rcv.'oi's.tbtle deH'a."i>tenza sanitaria del convento era quella di monacus mftmmtms *. Gli ospedali monastici, come abbiamo già detto, erano adibii nei primordi vlo all'assistenza dei monaci residenti, ma col passare * G. Pinco. Star» dei monacheSimo in Udii, Roma 1961, I, pp. 14-18; U. Ber-IrtM L " htt- m- dulie onimi d secolo XII, Bari 1928 p. 37. I j ' ' ì: ubiliva che vmnes su peri-ententes hospites tamquam Christus * p: n;*r c la recola 'o • rum furj ante omnia et super omnia adhibenda est V Usttm. Lu rei.Hj, truo, versione e commento, Montecassino 1947). B Già Cmwkio, od cenobio di Vi\ ari <. aveva raccomandato ai suoi monaci lo «r-iiii»» del’e pere di (..aleni'. Ippoerate, Celso, Dioscoride, ecc. (De institut, div. littera-runam, dp XXXI ). * P. Grossi, Le ébbeàe benedettine nell'alto medioevo italiano, Firenze 1957, ■ • ■ •••. Londra 1924, p. 86. *• Portérim hospites omnes suscipiat primum et nuntiet, decimas omnium rerum mrripmt. dt fadai natu constitutum tributi bospitdario pauperum. Hos pitalari religio-toemm ipu recipiunt eos qui in refectorio venire debent et ministrent ac ducant habentes dommm super se ubi dormient. Hospitalarius pauperum recipiat eos et ministret eis et necipitt » portario stipendium eorum ... (C. Cipolla, Codice diplomatico di S. Co-bmheno di Bobbio, Roma 1918, I. p. 141). I! mowus tnirmartus era a volte indicato coi termine di medicus e nelle grandi aNiarir aveva aOe sue dipendenze altri monaci e non raramente anche medici laici esterni (Grossi ch., p. 98). - 14 - del tempo aprirono le loro porte a tutti coloro che necessitavano di aiuto e questa prerogativa assistenziale non si limitò al solo ricovero dei poveri (hospitale pauperum), ma condusse anche all’allestimento di veri e propri ostelli ad uso degli abbienti (hospitale divitum)^. Anzi, col procedere del tempo, la funzione alberghiera divenne sempre più importante, a discapito dell assistenza ai bisognosi, e dalla metà dell’Xl secolo in poi vennero anche ben separate le funzioni del custos od hospitalarius, che si occupava degli ospiti ricchi, da quelle delì'elemosinarius, addetto ai poveri e ai pellegrini 37. Gli ospedali monastici erano ubicati generalmente nelle vicinanze della porta del convento e spesso in fabbricati indipendenti, per un concetto di utilità pratica, suggerito dalla necessità di potervi accedere senza intralciare la normale attività dei monaci e anche per una elementare norma igienica, atta a garantirne l’isolamento. L’architettura monastica, che aveva tratto la sua semplicità razionale dagli edifici rustici tardoromaru 38, ispirava le costruzioni conventuali a una severa praticità e a un rigoroso utilitarismo. Un esempio mirabile di ciò si può avere osservando la famosa planimetria di S. Gallo39, risalente al IX secolo, nella quale un complesso oltremodo ricco di edifici (cappella, refettorio, ospizio per i poveri, ostello per i paganti, scuola, ecc.) si dispone con perfetto equilibrio e con logica simmetria tra gli spasi aperti, adibiti a orti, frutteti e giardini. A volte l’ospedale era contenuto nel fabbricato principale del quale costituiva un’appendice, come era consuetudine nei monasteri d’oriente40, altre volte, specie tra l’Xl e il XII secolo, si realizzarono fondazioni ospedaliere in sedi staccate e, non raramente, ben lontane dalle mura del convento41. Anche questi ospe- 36 Cluny, ad esempio, possedeva nel XII secolo una foresteria monumentale, capace di 40 letti, per gli uomini, e di 30, per le donne (R. Galeazzi, Il contiibuto dell’or dine di S. Benedetto allo sviluppo della ospedalità, in I NAZ, p. 309). 37 M. Mollat, Les moines et les pauvres; in Atti della IV Settimana Internazionale di Studi, La Mendola, Milano 1968, pp. 193-195. 38 G. Fallani, G. Zander, Abbazie e conventi, Milano 1973, p. 12. 39 H. Reinhardt, Der St. Galler Klosterplan, San Gallo 1952. 40 Cfr., ad es. il complesso monastico di Turmanin (M. Salvadf., Evoluzione dei caratteri distributivi nell’architettura ospedaliera, in I EUR, p. 1116; cfr. anche la planimetria del complesso di Montecassino, in RIS, IV, tav. II). 41 Già nell’VIII secolo a Nonantola il fondatore, S. Anseimo, hospitalia atque xenodochia perplura construere curavit (F. Puccinotti, Storia della medicina, Firenze 1870, p. 230). - 15 - ±kii r uî » t -». .» sempre cumidcraii. dii punto di vista del diritto cano-BKtx, euax pine integrante «ici monasteroa. \ U-idAi i principali o^j'cddi di origine monastica furono cinque: jcì; vi» « ,ì?h» ii. ì ato dipendente dall abbazia di S. Benigno, quelli di > bcr.cvìc• di f assolo e d. V !>u-ta.io. pruneti dei monasteri omonimi, e fucili .; > >j.. c di S Tommaso, appartenenti alle Qsterciensi. La fon-vij q.^esti istituti os^Haialicrt tu verosimilmente contemporanea alla v..nu .j. s e vici monasteri di appartenenza, ma le notizie documentarie che .1 1,1.' er\r ute si nlcriscono soltanto a un periodo nel quale 1 autentica OHfcdalita mono» cica jwvj ormai esaurito il suo ciclo storico e il suo mo-’ a» »i»t esiziale tanto è vero che gii ospedali sopraindicati vennero Lui . . ges'ivHie a ospitalart laici o addirittura affittati a terzi e il monastero i volte on oc montenne neppure il patronato. Infatti, dal XII secolo in •, -, la Jevadenza dell ospedalità monastica fu inevitabile e si manifestò con-temporaneomeme al sorgere e al progredire di istituzioni legate sempre più j elementi laici. le quali trovavano la loro radice nelle mutate condizioni ■xv io-poh tic he Ospedali di nuo\ a fondazione cominciavano a diffondersi m tutta l uroça per opera di organizzazioni delle più disparate estrazioni, s.'i ite via mom u-.oni e compiti istituzionali assai diversi tra loro, come gli ,n.:.m cavallereschi, le confraternite religiose, le corporazioni di arti e mestieri. ecc., segnando così l’inizio di una nuova era nella quale per gli antichi v**pedali monastici non vi era più posto. Fondazioni dipendenti da ordini ospedalieri Ondimi ospedalieri cavdlereschi - Gli ordini ospedalieri cavallereschi sonao, come è nolo, in Gerusalemme, durante la prima crociata, con il duplice scopo di assistere i cristiani feriti o malati e di difenderli dagli attacchi dei saraceni Le funzioni di questi ordini sono riassunte efficacemente, pur se con ingenua immagine retorica di gusto ottocentesco, dal Cibrario, che afferma: «... questi pietosi spedalieri colla mano medesima che apprestavano le medicine agli infermi, stringevano la spada e pugnavano valoro-tamente antro ai musulmani. Chiamaronsi questi ordini religiosi e militari gli spedalieri di S Giovanni, i cavalieri del Tempio, i cavalieri Teutonici, ed i cavalieri di S Lazzaro*4’. A questi quattro ordini gerosolimitani va Imbfkt. Les hôpitaux cit.. pp. 209, 210. *’ L Cima*IO. Descrizione storica degfi ordini cavallereschi, Torino 1846,1, p. 28. - 16 - aggiunto quello del Santo Sepolcro, che sorse contemporaneamente ai pie detti nella città di Gerusalemme e che, come essi, si diffuse in tempi successivi in Europa. Gli ospedalieri di S. Giovanni, soprattutto in virtù della larga diffusione europea e del potere politico ed economico che il loro ordine venne ad acquisire nei secoli successivi alla fondazione, si trovarono col tempo a primeggiare sugli altri analoghi sodalizi gerosolimitani, destinati a un più precoce declino. Anzi, tra questi, l’ordine dei Templari e, parzialmente, l’ordine del Santo Sepolcro, vennero addirittura incorporati a quello di S. Giovanni, la cui vitalità si mantenne inalterata per secoli, lasciando una impronta durevole sia in campo militare sia in quello assistenziale, pur nel peregrinare dalia sede originaria a quelle successive di Rodi e di Malta. La presa di S. Giovanni d’Acri, ultimo baluardo cristiano, da parte dei musulmani nel 1291, costrinse gli ordini gerosolimitani a emigrare dalla Terra Santa e a spostare in occidente il centro delle loro attività, dove essi acquisirono ben presto una notevole infuenza politico-economica che li rese in breve tempo padroni di immense sostanze e proprietà fondiarie44. Anche nelle attività finanziarie questi ordini assunsero un ruolo di primo piano: i Templari, ad esempio, espletavano attività bancarie ad alto livello e proprio questa loro ricchezza fu verosimilmente la causa delle tragiche persecuzioni alle quali furono sottoposti agli inizi del XIV secolo da parte del re di Francia, Filippo il Bello. Non solo i Templari, ma anche gli altri ordini, sia pure in modo meno violento, chiusero il loro ciclo storico precocemente, con la sola eccezione dei Giovanniti che, contrariamente agli altri, andarono sempre aumentando il proprio prestigio e il proprio patrimonio. L’attività assistenziale svolta in Europa dagli ordini gerosolimitani e principalmente da quello di S. Giovanni condusse alla fondazione di innumerevoli ospedali distribuiti in tutte le principali città e particolarmente in quelle che rappresentavano centri di grande comunicazione terrestre o marittima. Gli ospedali facevano parte di un nucleo comprendente la chiesa egli ambienti destinati ai cavalieri e alle gerarchie minori, secondo una struttura di tipo monastico. Carattere tipico degli ospedai fondati da questi or- 44 R. Cuomo, Ordini cavallereschi antichi e moderni, Napoli 1894, p. 199. L’ordine teutonico, ad esempio, aveva il possesso quasi totale dell’Estpnia, della Livonia, della Curlandiaj della Samogizia, della Prussia, della Pomerania e della Nuova Marca e nella sola Prussia contava migliaia di villaggi, 55 città e 48 fortezze, con una rendita di 800.000 fiorini [ibid., p. 200). - 17 - 2 i u ct*ù largamente dut usi in Europa, fu il loro graduale passaggio, pur cuccio di origini Luche, al ruolo di istituzioni religiose, grazie ai vari pri-v.'v'ì;* vAi.viti Jj numerose bolle pontifìcie che li resero autonomi rispetto ili Autorità cpixo^ilc, almeno dal punto di vista amministrativo Agli ordini gerosolimitani se ne affiancarono presto altri che, senza i.r: ivuio origine in Terra Santa, ne ripeterono, almeno agli inizi, 1 ambi-v Alerua rtuaiare-jiMstenziale, come ad esempio quello di S. Giacomo della S \*ia. i cui cavalieri, oltre ai compiti ospedalieri, ebbero la funzione di proteggere i pellegrini diretti al santuario di Compostella in Galizia e q itilo di S Gucorno di Altopascio che, formatosi con un carattere misto, vhrrdalicrv-nulitarc, intorno alla metà del XII secolo nella località omonima. presso Lucca *, >t diffuse poi in Francia, con ospizi a Parigi (ove Filippo il Beilo 4V rebbe fondato una commenda nel 1286) e a Troyes48. A Genova, tra tutti questi ordini, ebbero una loro sede soltanto i Gio-wniti. nella commenda di Prè, e i Templari, in S. Fede, ma solo i primi svolsero una effettiva attività ospedaliera49. I canonici del Santo Sepolcro, j; quali subentrarono poi i cavalieri di S. Giovanni nella sede di Prè, non qjpartomero probabilmente all’ordine cavalleresco omonimo50. ispedJteri non militdri - Accanto a quelli cavallereschi anche altri »rdmi ospedalieri, privi di caratteri militari, dedicavano la loro attività j! s, i Il principale tra essi fu senza dubbio quello di S. Spirito, la eccezionale fortuna fu certamente agevolata dai numerosi privilegi con-OBÌ di 1 t venjo 11!. dbe comprendevano l’indipendenza dall autorità ve- « Nasali Rocca, II diritto cit., p. 76; C. Baduel, L’ordine di Malta nella assi-ttemzé ospedj! • Boll Ist Stor. It. Arte Sanitaria», 1934, p. 48; I. Pappalardo, Vi'xj sjn::.4-rij dell'ordine di Malta. Roma 1958. * Tra i numerosi ospizi fondati da questi cavalieri ve ne fu uno in S. Giacomo di BvtMresco. nell"Appennino ligure (D. Cambiaso, L’anno ecclesiastico e le feste dei santi tn Genova nei loro svolgimento storico, in ASLi, XLVIII, p. 196). r L BrsTFLLi. Gli ospitalieri di Altopascio in Italia e in Europa, in I EUR, P 151. D:zr ur: j storico degli ordini religiosi e militari, Torino 1792, p. 207. Per 'e -otizie relative alla presenza dei Templari in S. Fede di Genova, cfr. L. TacCHEua, I cjvdter: in Liguria, Genova 1977, p. 135 e sgg. Per quanto n^uarJa S. La.~aro, l’ospedale non dipese dall’ordine cavalleresco omonimo, fatta eccezione un limitato periodo, nella seconda metà del XV sec. (cfr. il capitolo relativo a S. Lazzaro). * Cfr. il capitolo relativo all’ospedale di S. Giovanni. - 18 - scovile, 1 esenzione dalle imposte sul clero, la possibilità per questi ospedalieri di essere accolti in ogni parrocchia per le questue e l’immunità dalle scomuniche scagliate contro i paesi nei quali essi risiedevano51. 11 papa chiamò Guido di Montpellier, fondatore dell'ordine in Provenza, a diri gere 1 ospedale di S. Spirito di Roma, il quale divenne così il centro propulsore di tutte le altre filiali che si andavano costituendo in ogni parte d’Europa. L assistenza nei vari ospedali di S. Spirito era assicurata da frati laici coadiuvati da un cappellano, in veste di ospitalario, cui competeva il ricovero dei malati, sia di quelli che si rivolgevano direttamente alle porte dell’istituto sia di quelli che spesso si trovavano abbandonali per i vari quartieri della città e che venivano diligentemente ricercati e curati52. Dopo quello di S. Spirito l’ordine ospedaliero che ebbe maggiore diffusione europea fu certamente quello di S. Antonio di Vienne, fondato nel 1093 da un gruppo di gentiluomini del Delfinato, per assistere i colpiti dal- 1 ergotismo, male che affliggeva particolarmente le regioni francesi e del nord Europa L’istituzione ebbe quindi in origine un carattere laico, ma divenne poi un ordine di canonici regolari, sotto la regola agostiniana, e le sue fondazioni ospedaliere si diffusero presto in tutta l’Europa continentale e insulare M. Tra gli ordini che dedicarono, nel basso medioevo, gran parte della loro attività a scopi assistenziali, fondando e gestendo numerosi ospedali, non vanno dimenticati i Crociferi, beneficati nel XII secolo da Alessandro III, rifugiatosi in monasteri dell’ordine per sfuggire alle persecuzioni 51 P. De Angelis, L’ospedale di S. Spirito in Saxia, Roma 1960, vol. I, pp. 205 206; Liber regulae S. Spiritus, a cura di A. F. La Cava, Milano 1947, p. 19 e sgg.; Na salli Rocca, Il diritto cit., p. 75. 52 Nasalli Rocca, Il diritto cit., p. 75. La ricerca degli ammalati per le strade cittadine non era rara per gli ospedalieri, troviamo infatti negli statuti dell'ospedale del Brolo di Milano, del 1158: Conversi ipsius hospitalis pauperes infirmos et pueros expositos ... per civitatem colligant eosque in ipsius hospitale reducant. .. e anche nelle regole di Altopascio è contenuto lo stesso invito (V. Ottazzi, Le principali fondazioni ospitaliere d’Italia nei loro statuti dal secolo XI fino al secolo XIV, in I EUR, p. 520). 53 V. Advielle, L’ordre de St. Antoine de Viennois, Parigi 1883, p. 12 e sgg.; H. Chaumarin, Le mal des ardents e le feu Saint Antoine, Vienne 1946; A. Pazzini, I santi nella storia della medicina, Roma 1947, p. 31. 54 I. Ruffino, Ricerche sulla diffusione dell'ordine ospedaliero di S Antonio di Vienne, in I EUR, p. 1087. Per altri dati bibliografici sull’ordine cfr. il capitolo relativo all’ospedale di S. Antonio. — 19 — ▼ del Barbarossa55. La casa madre era a Bologna, dove esisteva, in S. Maria di Morello, un convento con ospedale, e analoghe fondazioni si diffusero presto in tutta Italia, dove nel periodo di massimo splendore si poterono contare oltre 200 conventi, a ognuno dei quali era annesso un ospedale56. Anche in Francia, nei Paesi Bassi, in Boemia, in Inghilterra e particolarmente in Germania furono attivi i Crociferi, pur se indipendenti dall’ordine italiano, che fu poi soppresso da Alessandro VII nel XVII secolo57. Anche i Trinitari, ordine fondato intorno al 1200 da Giovanni di Matha e da S. Felice di Valois, ebbero compiti assistenzali e allestirono ospedali nei loro conventi di Francia58. Lordine però si dedicò prevalentemente al riscatto dei prigionieri e l’attività nosocomiale non ebbe lunga durata59. Numerosi altri ordini ospedalieri sorsero un po’ dovunque in Europa, come quelli dei Canonici di Roncisvalle, dei Canonici di Beauvais, dei Fratelli Ospedalieri di Burgos, dei Canonici di S. Giovanni Battista di Coventry, degli Ospedalieri di S. Leonardo di York, ecc.60, né mancarono gli ordini femminili dediti ad attività assistenziali negli ospedali, come le Canonichesse Ospedaliere di Francia, operanti nell’Hôtel Dieu di Parigi61, le Canonichesse di S. Giovanni gerosolimitano, le Suore di S. Maria della Scala, le Ospedaliere di S. Elisabetta62 e come le Beghine di Fiandra, che ebbero un largo seguito di adepte in tutto il nord europeo63. Quest’ultimo ordine sorse in Belgio e si propagò presto anche in Italia e in Francia, ma solo nei Paesi Bassi i conventi della congregazione assunsero quella struttura particolare di vere e pro- 55 Vita di Alessandro III (anno 1152), in RIS, t. Ili, pp. 448-450. 56 L. Cibrario, Descrizione storica degli ordini religiosi, Torino 1846, I, p. 176. 57 Imbert, Les hôpitaux cit. p. 216; S. Reicke, Bas deutsche Spital und sein Recht in Mittelalter, Stoccarda 1932, p. 225. 58 A Roma i Trinitari fondarono l’ospedale di S. Tommaso in Formis (A. Casarini, L’ospedale romano di S. Tommaso in Formis> in « Boll. Ist. Stor. Art. Sanitaria », 1934, p. 209). 59 P. Deslandres, L’ordre des trinitaires pour le rachat des captifs, Tolosa 1902. A Genova i Trinitari giunsero dalla Spagna, ma solo tardivamente (D. Cambiaso, L’anno ecclesiastico e le feste dei santi in Genova, ASLi, XLVIII, p. 62). 60 Pazzini, L’ospedale cit., pp. 114-116; Nasalli Rocca, Il diritto cit., p. 78. 61 Nasalli Rocca, Il diritto cit., p. 78. 62 P. Bon, Medicina e religione, Torino 1940, p. 26; Pazzini, L’ospedale cit., pp. 116-120. 63 Cibrario, Descrizione... ordini religiosi cit., I, pp. 330-333. - 20 - prie cittadelle, cinte da alte mura, entro le quali sorgevano i vari edifici di abitazione, le infermerie e la chiesa. Questi monumentali « béguinages », ancor oggi visibili a Gand e a Bruxelles, sono considerati da alcuni solo monasteri, più che veri ospedaliM, ma, d’altra parte, non si può negare l’attività assistenziale dell’ordine, ampiamente dimostrata dalla conduzione di due celebri ospedali, nel XV secolo, a Beaune e a Châlon-sur-Saône65. Tra gli ordini ospedalieri non cavallereschi solo i Crociferi e le Canonichesse di S. Giovanni ebbero rappresentanze a Genova, con una propria sede conventuale e con chiesa e ospedale, i primi sulla sponda destra del Bisagno e le seconde in S. Leonardo66. Pur essendovi in città ospedali intitolati a S. Antonio e a S. Spirito, questi non ebbero, in realtà, alcun rapporto con gli ordini omonimi, fatto questo non raro, specialmente per quanto riguarda S. Antonio, al cui nome spesso vennero dedicati nell’Italia settentrionale ospedali indipendenti dalPordine viennense. Gli Antoniani, che non riuscirono mai ad acquisire un proprio ospedale in Genova67, ne possedevano uno a Savona già nel 1213 ed ebbero altre case in Liguria dipendenti dalla precettoria di Lione68. Per quanto riguarda S. Spirito ricordiamo che il grande ospedale romano ebbe in realtà una filiale a Genova, ma soltanto nel XVI secolo69. Anche i Trinitari i quali, come abbiamo visto, si stabilirono a Genova nel XVI secolo, non esercitarono mai alcuna funzione ospe- 64 Imbert, Les hôpitaux cit., p. 150. 65 Questi ospedali, ebbero una notevole rinomanza, tanto da indurre anche nobili personaggi a ricoverarvisi. L’assistenza era molto curata e così la pulizia (le lenzuola erano quasi sempre di seta ed essenze odorose venivano sparse nei vari ambienti). I pazienti venivano ricoverati in camere singole, a due o tre letti, o in veri appartamenti. I bisognosi ricevevano ricovero, con vitto e assistenza gratuiti, mentre chi aveva possibilità economiche doveva pagare una adeguata retta, esempio precoce di un tipo di assistenza ospedaliera che avrebbe avuto il suo maggiore sviluppo solo molto tempo dopo (Imbf.rt, Les hôpitaux cit., p. 134; Y. Monceau, L’Hôtel Dieu de Beaune, Parigi 1927). 66 Cfr. i capitoli relativi agii ospedali di S. Giovanni e dei Crociferi. 67 Cfr. il capitolo relativo all’ospedale di S. Antonio. 68 E. Hildesheimer, Une possession de l’abbaye de Lérins: l’hôpital de Saint-An-toine de Gênes, in « Atti II Congr. Liguria-Provenza », Bordighera, Aix, Marsiglia 1961, p. 79; F. Noberasco, Gli ospedali savonesi, Bologna 1914, p. 17. 69 De Angelis cit., II, p. 150. L’ospedale di S. Spirito in Roma fu beneficato anche da cittadini genovesi che lo ricordarono nei loro testamenti, come ad esempio Donicella, vedova di Guglielmo Paraco, che il 31 luglio 1213 lasciò 5 soldi all’ospedale romano (A.S.G., Notai, cart. 7, inserto cc. 93-94) e Oberto Bruzzone da Fontana, che il 15 gennaio 1348 gli destinò 50 soldi (A.S.G., Notai, cart. 335, c. 28 r.). - 21 — daliera, come non ne ebbero le Beghine, peraltro presenti nella città in epoca medievale70. Fondazioni laiche Tra i fondatori laici di istituti ospedalieri vanno annoverati in primo luogo coloro ai quali appartenevano il potere e il compito di amministrare la cosa pubblica. Re, principi, signori feudali, autorità comunali dettero vita, fin dai tempi più antichi, a numerose fondazioni, sparse un po’ ovunque, nelle città e nelle campagne, affidate generalmente in gestione a ordini religiosi. Questi ospedali quindi, pur essendo considerati generalmente quali esempi di istituzione laica, divennero quasi sempre, col tempo, veri e propri loca religiosa, in conseguenza del loro passaggio al clero regolare. Fondazioni regie si ebbero fin dall’epoca longobarda e carolingia 71 e divennero particolarmente numerose in Francia nei secoli successivi72, mentre in Italia prevalsero ovviamente in un primo tempo gli istituti fondati dai grandi feudatari, come ad esempio gli ospedali di S. Andrea di Mantova e quello di S. Benedetto di Polirone, sorti ad opera della contessa Matilde sul finire dell’XI secolo73, e successivamente quelli realizzati dalle autorità comunali ,4. Tuttavia nel basso medioevo la maggior parte delle fondazioni ospe- ,0 Alcuni documenti della metà del XIV secolo ricordano donne che disposero nel loro testamento di essere sepolte nella chiesa di Castelletto in habitu beguinarum tertii ordinis fratrum minorum o tertii ordinis sancti Francisci (D. Cambiaso, S. Francesco e il Terz’Ordine in Genova e Liguria, Genova 1916, p. 55), il che dimostra che le Beghine genovesi appartenevano al terzo ordine fracescano (devote et honeste mulieres tertii hordinis sancti Francisci bechine noncupate le definisce un atto del 5 marzo 1478) (A.S.G., not. A. de Cairo, filza 33, dee. 62). Esse erano rette da una ministra (FNG, III, parte II, c. 92 v.) e risiedevano in un convento detto delle Povere di Castelletto, situato in Vallechiara tra due vicoli chiamati carrubeus beguinarum inferior e supernus (Cambiaso, S. Francesco cit., pp. 57-58). Secondo G. Castelli, Gli ospedali d’Italia, Milano 1942, p. 16, le Beghine espletarono funzioni assistenziali, ma solo al domicilio dei pazienti. 71 Fainelli cit., pp. 918-920. 72 Imbert, Les hôpitaux cit., p. 60; J. Guiart, Histoire de la médecine française Parigi 1947, p. 51. 73 U. Grimaldi, La contessa Matilde e la sua stirpe feudale, Firenze 1928, pp. 378, 380. 74 Pazzini, L’ospedale cit., p. 91. - 22 - daliere laiche fu realizzata da privati cittadini o da gruppi i quali ebbero tutti una caratteristica comune, quella cioè di essere stati mossi e ispirati dalla predicazione degli ordini mendicanti. Questi ordini, soprattutto i Francescani e i Domenicani, esercitarono, come è noto, una enorme influenza sul laicato e sulla vita religiosa delle masse, attraverso la loro intensa attività pastorale che indusse l’organizzazione di gruppi di penitenti in confraternite e in congregazioni pie75. La predicazione di questi religiosi produsse nei fedeli una spinta veemente verso una vita religiosa più aderente ai precetti evangelici76. Da ciò prese le mosse quel grande movimento penitenziale che caratterizzò nel XIII secolo la nascita di innumerevoli confraternite, congregazioni e terzi ordini, testimonianti la rinnovata professione di fede nei laici. Confraternite di penitenti esistevano anche in epoche anteriori77, ma indubbiamente l’opera capillare dei predicatori e, soprattutto di quelli francescani, ne accelerò e ne incrementò notevolmente la diffusione. Diretta conseguenza di questo nuovo fervore religioso fu il maggiore sviluppo della beneficenza, che trovava nelle confraternite e nelle congregazioni un mezzo più organico e razionale di ripartizione dei beni, in sostituzione della iniziativa individuale78.1 ricchi iniziarono a fare della beneficenza in larga misura79 e le fondazioni di ospedali e domus misericordiae si moltiplicarono. L’opera caritativa cominciò così ad assumere nel XIII secolo un carattere più specificatamente sociale e razionale e ciò in rapporto anche alle mutate condizioni di vita, conseguenti all’urbanesimo e allo sviluppo di nuove classi borghesi di artigiani, di imprenditori e di commercianti. In tempi precedenti il castello feudale o il monastero rappresentavano il baluardo, il rifugio e il centro assistenziale ed erano sufficienti alle necessità di una popolazione a espressione prevalentemente rurale. Nel Duecento la mutata situazione sociale rendeva ormai insufficienti tali presidi e ne imponeva dei nuovi. Per questo motivo in tale periodo si osservò il declino degli ospedali monastici, che ormai avevano quasi del tutto esaurito la loro 75 Miccoli cit., p. 793. 76 R. Hostie, Vie et mort des ordres religieux. Approches psycho-sociologiques, Parigi 1949, pp. 132-148. 77 Miccoli cit., p. 795. La confraternita di S. Appiano in Val d’Eisa fu fondata nell’XI secolo (Ottazzi cit., p. 508). 78 G. Meersseman, Dossier de l’ordre de la pénitence au XIIIe siècle, in « Spi cilegium friburgense », Friburgo 1961, p. 8. 7* Ibid., p. 11. — 23 — funzione assistenziale, detenuta in forma pressoché esclusiva per molti secoli, e, contemporaneamente, si manifestò il fiorire di nuove istituzioni ospedaliere, promosse grazie all’opera infaticabile degli ordini mendicanti. Questi espletavano tale funzione assistenziale non direttamente, ma in forma mediata, per mezzo delle confraternite o dei terzi ordini, superando in tal modo il divieto, imposto dalla propria regola, di amministrare somme di denaro80. In tutte queste associazioni pie, che raggruppavano non solo laici, ma anche terziari, frati o religiosi vincolati a chiese o monasteri, lo spirito di fraternità era il motore comune che spingeva ogni membro a prodigarsi in aiuto del prossimo. La confraternita di S. Appiano in Val d’Elsa, ad esempio, impegnava i suoi soci ad aver cura di tre poveri la settimana, la compagnia dei disciplinanti di Maddaloni, nel Napoletano, stabiliva l’obbligo del mutuo soccorso in caso di malattia, la compagnia dei Rachoman-dati a Ihesu Crocifisso, che nel XIII secolo si radunava presso l’ospedale di S. Maria della Scala di Siena, invitava i propri consociati a pregare per gli infermi e a distribuire le elemosine81, le compagnie del Bigallo e della Misericordia di Firenze e, nei pressi della città, quella della Madonna di Orsam-michele (in Firenze se ne contavano in tutto 88) avevano il compito di distribuire elemosine ai poveri e ai vari ospedali cittadini82. La confraternita più famosa fu però indubbiamente quella fondata nel 1260 da Ranieri Fasani, detta dei Flagellanti o Battuti, i cui affiliati percorsero in larghe schiere l’Italia centro-settentrionale, invitando le popolazioni alla penitenza e alla carità e promuovendo, grazie al notevole fervore suscitato, la fondazione «o Ibid. 81 Ottazzi cit., p. 508. 82 La compagnia della Misericordia di Firenze era sorta ad opera di un facchino, Luca Borsi che, tassando le bestemmie dei compagni, era riuscito ad acquistare sei zane per il trasporto dei malati (M. Pazzi, La organizzazione dei servizi sanitari d’urgenza nel medio evo, con particolari riguardi a Bologna, in « Atti e Mem. R. Dep. St. Patria per le provincie di Romagna», 1910, p. 27; C. Torricelli, La Misericordia di Firenze, Firenze 1940, p. 6). Altre compagnie di Misericordia sorsero in Siena, Livorno, Pisa e in altre città italiane. Per quanto riguarda Firenze va segnalato che, secondo L. Passerini (Storia degli stabilimenti di beneficenza e di istruzione elementare gratuiti della città di Firenze, Firenze 1853, p. 15) il Borsi non fu né facchino né il fondatore, ma solo un sostenitore della congregazione. - 24 - di numerosi ospedali w. Il movimento dei Battuti giunse alla sua rapida espansione grazie soprattutto al suo carattere politico-riformistico, cui ade-ìirono elementi di varia estrazione sociale, non esclusi gli accattoni, « i rovinati dalle guerre pubbliche e dalla violenza delle fazioni ed altri ancora peggiori » , che si mescolarono nella grande massa di queste compagnie, giungendo a turbare la Chiesa stessa e il potere costituito, che peraltro reagirono con fermezza a questa forma di contestazione. I Battuti diedero vita in tutta Italia a numerose iniziative di pubblica assistenza: a Forlì, ad esempio, furono attive diverse confraternite, distinte a seconda del colore dell abito, ognuna delle quali si dedicava a un particolare settore assistenziale e possedeva un proprio ospedale. I Battuti bianchi si occupavano dei trovatelli, i grigi dei pellegrini, i neri dei forestieri e dei condannati, i celestini delle donne sole, i rossi e i verdi dei feriti e dei malati in genere 85. Oltre agli ospedali gestiti da terzi ordini e confraternite vanno ricordati quelli retti da associazioni sorte tra gli abitanti di uno stesso quartiere, come ad esempio 1 ospedale di S. Simpliciano in Milano, fondato nel 1091 con la condizione, espressa nell’atto di fondazione, che l’istituto rimanesse sempre nelle mani degli abitanti di Porta Comacina 86. Numerosi furono anche, dal XII secolo in poi, gli ospedali gestiti dalle corporazioni artigiane, a dimostrazione della nuova impronta laica che progressivamente andava assumendo la pubblica assistenza. L’evoluzione politico-sociale manifestatasi nell età comunale aveva spinto infatti i cittadini, liberati dalla emarginazione subita ad opera dell’assolutismo feudale, a riunirsi in libere associazioni. A questo movimento di riconquistata autonomia da parte delle classi borghesi si deve in questo periodo il fiorire, accanto alle confratar-nite laiche, delle corporazioni di arti e mestieri, che riunivano, in tutte le città, gli appartenenti alla stessa attività professionale. Questi sodalizi si prefiggevano come scopo di salvaguardare il progresso della propria arte, 83 G. Sterninx, L’ospedale dei Battuti in Treviso, in I NAZ, pp. 716-728. Ranieri Fasani contribuì anche all’ampliamento dell’ospedale fondato intorno al 1200 dalla congregazione di S. Maria della Vita a Bologna (Pazzi cit., p. 29). 84 G. Volpe, Movimenti religiosi e sette ereticali nella società medievale italiana, Firenze 1926, pp. 117-118. 85 D. Soprani, Gli ospedali e l’assistenza igienico-sanitaria delle medievali congre gazioni dei Battuti di Torli, in «Atti del XIV Congr. Stor. della Medie.», 1954, II, p. 978. 86 Ottazzi cit., p. 508. — 25 — nonché di difendere i diritti e gli interessi dei propri consociati, fra i doveri statutari si trovava sempre l’obbligo dell’assistenza ai soci caduti in miseria o in malattia e va rilevato che queste disposizioni costituirono uno dei primi esempi di trasformazione dell’assistenza caritativa volontaria in assistenza di diritto, di un tipo che potrebbe già essere definito mutualistico. Le corporazioni provvedevano al ricovero dei propri assistiti in locali messi a disposizione dai soci abbienti o in ospedali fatti costruire appositamente (come in Firenze furono gli ospedali dei Tintori e quello degli Innocenti fondati dall’arte di Calimala), dimostrando sempre una particolare avvedutezza nella gestione degli istituti a loro affidati. A riprova dell’abilità e della oculatezza amministrativa dei membri delle corporazioni sta la concessione a questi benemeriti deH’amministrazione di non pochi ospedali, comunali o privati, come avvenne proprio a Firenze nel XIII e XIV secolo 87. Oltre al ricovero, gli appartenenti alle arti fruivano di altri benefici assistenziali, come sussidi in caso di malattia (pellicciai di Francia), medicine e medico gratuiti (Firenze), trasporto gratuito degli ammalati che si trovavano fuori della città (fabbri e beccai di Modena)88. Un tipo particolare di corporazione fu quella che si costituì tra connazionali delle più varie regioni d’Europa, per alleviare i disagi ai quali andavano incontro i forestieri obbligati a soggiornare in terra straniera. Infatti, il progresso degli scambi commerciali e l’incremento dei pellegrinaggi avevano spinto un numero sempre maggiore di individui ad affrontare viaggi anche assai lunghi. Per questo, nelle città che erano centro di intensa attività commerciale o meta di pellegrinaggi, si costituirono ben presto ospedali e asili per il ricovero degli stranieri. Già nel corso dell’VIII secolo erano iniziati quei grandi movimenti di pellegrinaggio che indussero considerevoli masse a recarsi verso centri particolarmente importanti per il culto cristiano. A Roma, soprattutto, si sentì la necessità di disporre di locali idonei per accogliere i pellegrini di varie nazionalità Qui il padre di Quintiliano, vescovo di Auxerre, fece costruire un asilo per i Bretoni90 87 Pazzini, L’ospedale cit., p. 95; A. Corsini, L'assistenza ospitaliera c le antiche corporazioni di Arti e Mestieri, in « Atti del V Congr. Naz. Med. Lavoro », Firenze 1922. 85 Cfr. P. Di Pietro, L'assistenza sanitaria nelle corporazioni medievali di Arti e Mestieri, in I EUR, p. 450; M. De Beaucorps, L'assistance publique, son origine, ses phases successive, Orléans 1875, p. 37. 89 Imbert, Les hôpitaux cit., p. 47. 90 M.G.H., SS, tomo XII, p. 395: Xenodochium Brittonum ... Romam constituit. I Bretoni ebbero propri ospizi anche in altre sedi, come l’ospedale di Vercelli e di S. - 26 - e altri ne furono costruiti dagli Scoti e da altre comunità91. Sorsero così le ben note scholae, deputate ad asilo per stranieri, la più famosa delle quali fu quella Saxonum, fondata da Ina, re dei Sassoni, nelPVIII secolo 92. Roma conservò a lungo il primato degli ospizi destinati agli stranieri, tanto che ancoia nel XVII secolo gli ospedali delle nazioni assommavano in città a ben 27 93. Oltre agli ospedali fondati da tutti questi vari sodalizi molti altri ne sorsero nel XIII secolo ad opera di singole persone, generalmente appartenenti a terzi ordini, il cui fattivo impegno è dimostrato dal rilevante fiorire in tutte le città italiane di quei piccoli istituti di ricovero, detti domus Dei o cade che caratterizzarono, dal punto di vista ospedaliero, tutta un’epoca. Le fondazioni del basso medioevo, sia cade sia ospedali di maggior mole, rispetto a quelle di epoca anteriore, si differenziarono per la maggiore autonomia nei confronti dell’autorità ecclesiastica e per il consistente incremento numerico, realizzatosi prevalentemente nel contesto del tessuto urbano. Infatti, in questo periodo acquistarono sempre maggiore importanza gli ospedali cittadini nei confronti di quelli rurali che un tempo avevano gestito 1 assistenza lungo le grandi vie di transito. Questa trasformazione assume un preciso significato, se la si interpreta quale diretta conseguenza dell’urbanesimo dell’età comunale che condusse al primo effettivo sviluppo delle città94. Genova non rimase estranea a tutti questi movimenti innovatori che avevano portato un nuovo modo di intendere la carità verso il prossimo. Numerose furono le istituzioni ospedaliere fondate da terziari, principalmente francescani, come quelle di S. Francesco, di S. Maria Maddalena, di Maria Britonum di Pavia (cfr. G. Donna D'Oldenico, Origini ed aspetti dell’assistenza ospedaliera in Piemonte, in I NAZ, p. 250). 91 D L. Goucauo Vocuvre dei Scottis dans l’Europe continentale, in « Rev. dliist. cccl. », IX, 1908, pp. 21)7 c 257-277. n De Angeus cit., vol. I, pp. 98, 123 125. C B Piazza, Opere pie di Roma descritte secondo lo stato presente, Roma 1679; A. Camzza, Gli arciospedali di Roma nella vita cittadina nella storia e nell'arte 19)3, p. 37; V At/ini, Ospedali per i Sardi in Roma nell’alto medio evo, Cagliari 1948. Tra questi ospedali va ricordato quello di S. Giovanni Battista dei Genovesi, fondato nella seconda meli del XV secolo (M. MOMBBLLt Castracane, La confraternita di S. Giovanni Battista dei Genovesi in Roma, Firenze 1971, p. 30). w Y. Renoua*», Le città italiane dal X al XIV secolo, Milano 1975, I, p. 177. - 27 - suor Verdina, di S. Cristoforo, ecc. 9\ Per quanto concerne le confraternite ricordiamo che i Battuti di Ranieri Fasani giunsero a Genova da Tortona, nel giorno di Natale del 1260, accolti inizialmente con indifferenza dai genovesi, ma poco dopo con una vera e propria esplosione di fervore religioso che si diffuse rapidamente in tutta la Liguria, estendendosi anche in Provenza %. Movimenti di Disciplinati e confraternite di varia ispirazione fiorirono in quel periodo in città e tra questi ricordiamo i Disciplinati di S. Antonio abate, i quali già nel 1232 avevano una propria cappella presso la chiesa di S. Domenico97, e i Saccati, confraternita di laici che, respinti dai Francescani, avevano fondato nel XIII secolo un proprio ordine, adottando vesti di sacco. Di costoro vi è memoria in un atto del 1270 9S, dove è citato frate Pietro, priore fratrum penitencie Christi qui vulgariter appellantur fratres de sachis. Forse i Saccati possono essere identificati con quella confraternita di laici detta dei Mondani, che in la città di Genova allo vestiti delti sachi e che a disciplina e batimenti e ad altre cose laudabili si puosero congregati in li soi horatori per honore della Passione del nostro Signore Messer le su Xpo 99. Tutte queste congregazioni avevano tra i principali compiti istituzionali quello di assistere gli infermi, ma non si hanno notizie circa la gestione di ospedali da parte loro in Genova. Verosimilmente essi espletavano una assistenza esclusivamente domiciliare oppure prestavano la loro opera in istituti retti da altri. Per quanto riguarda le corporazioni artigiane, a Genova solo i calzolai ebbero il possesso di un proprio ospedale l0°, mentre la compagnia dei Caravana fruiva di alcuni letti nell’ospedale della Maddalena 101. Anche le 95 Sull’impegno assistenziale dei terziari francescani in Liguria cfr. C. Carpaneto (da Langasco), Il movimento francescano della penitenza nel contesto socio-religioso medievale dell’area ligure in «Atti del III Convegno di Studi Francescani », Padova 1979, pp. 173-202. 96 FSI, Annali genovesi, IV (Annalisti ignoti), p. 39 e sgg. 97 Cambiaso, L’anno ecclesiastico dt., p. 106. 98 Cambiaso, S. Francesco dt., p. 82. 99 Poch, IV, parte IX, pp. 12-14; Cambiaso, S. Francesco dt., pp. 83-84. 100 Cfr. il capitolo relativo all’ospedale dei SS. Crispino e Crispiniano. 101 G. Costamagna, Gli statuti della compagnia dei Caravana del porto di Genova. in « Mem. Acc. Scienze di Torino », serie IV, n. 8, 1965, p. 11 e sgg. In questi statuti si stabiliva che la prima assistenza ai consoci ammalati venisse praticata a domicilio (ibid., - 28 - comunità straniere ebbero un proprio ospedale gestito dalla Consortia de li Foresteri e situato presso la chiesa dei PP. ServitiI02. Istituti ospedalieri laici, sorti ad opera di privati cittadini, furono a Genova quelli di S. Gerolamo, di S. Desiderio, del Carmine, di S. Lazzaro e quello dei Sacco, presso S. Benedetto, mentre l’unico esempio di fondazione dovuta all’impegno delle autorità civili fu quello dell’ospedale comunale dello Scalo, che si trovava presso la darsena delle galee. GLI ASPETTI GIURIDICI DELL’OSPEDALITA’ MEDIEVALE Gli aspetti giuridici dell’ospedalità medievale costituiscono un argomento ricco di interesse che esula dal ristretto campo specialistico legale, per estendersi profondamente a tutti gli aspetti della vita ospedaliera. Per questo motivo riteniamo non superfluo tracciare, pur brevemente, un quadro delle disposizioni legislative, sia civili sia canoniche, relative agli ospedali, poiché da esso possono essere ricavate notizie indispensabili per chiarire più compiutamente il significato di certi caratteri peculiari di questi istituti e per inquadrare meglio la loro evoluzione 10ì. Gli istituti ospedalieri ebbero, dal punto di vista giuridico, una duplice configurazione: secondo il diritto canonico, come istituzioni religiose caritative, c secondo il diritto statuale, come organismi assistenziali dipendenti o indipendenti dall’autorità civile. Ogni considerazione deve evidentemente iniziare dal momento in cui gli ospedali acquisirono una propria personalità giuridica, il che avvenne con le leggi del basso impero 104. Secondo il diritto romano non sarebbe stata ammissibile la fondazione di un ospedale per lascito testamentario, in quanto non poteva essere riconosciuta ad esso una personalità giuridica autonoma lfl5. Quando ai tempi di Costantino i cristiani ottennero il diritto di possedere chiese e luoghi di riu- p. 11). Inoltre, analogamente a quanto in uso presso le compagnie della Misericordia di Firenze, venivano multate le bestemmie, utilizzando il ricavalo per la comune utilità. Cfr. il capitolo relativo all’ospedale dei Foresti, loi pcr un maggiore approfondimento dei problemi giuridici relarivi agli ospedali rimandiamo alle fondamentali opere di Imbi rt (Lei hôpitaux cit.); di Nasalli Rocca (Il diritto cit.) e di L. LALLEMAND (Histoire de la charité, Parigi 1902-1910). 104 Imbert, Les hôpitaux cit., p. 24. '® P W. Dur F, Personality in Roman private Law, Cambridge 1938, pp. 185-198; B. EliacHEVITCH, La personalité juridique en droit romain, Parigi 1942, p. 340. nione, questi vennero considerati come appartenenti a Cristo e ai santi e successivamente poterono, invece, essere attribuiti direttamente alla Chiesa che aveva acquisito in quel momento una propria personalità individuale, pur essendo espressione di una comunità 106. Gli ospedali, quindi, in un primo tempo mancarono di una propria individualità indipendente, essendo compresi tra i beni della Chiesa, ma successivamente, già al tempo di Leone I, si resero autonomi grazie all’istituto della fondazione, la quale, derivando da un lascito testamentario o da una donazione, era espressione di un atto di volontà unilaterale da parte di un individuo (il fondatore) e dava origine a una istituzione, padrona di proprie sostanze e in grado di acquistare o di alienare e, quindi, dotata di personalità giuridica l0'. Pertanto da quel momento gli ospedali cessarono di far parte dei beni della Chiesa, divenendo essi stessi patrimoni indipendenti, creati da un atto di fondazione autonomo. L’indipendenza fu, ovviamente, solo relativa in quanto essi continuarono a essere considerati opere ecclesiastiche e come tali soggetti a precisi vincoli, ma anche beneficiari di tutti i privilegi relativi l08. Le leggi giustinianee conferirono una indiscussa autorità ai vescovi, che esercitavano il ruolo di controllori e di tutori sulla fondazione ospedaliera, tuttavia anche lo Stato assunse una importante partecipazione in questa opera di sorveglianza attraverso la figura del praeses provinciae, addetto in particolare ai controlli in materia patrimoniale l09. L’amministrazione degli istituti era affidata a un rettore [oikònomos), nominato dal fondatore o dai suoi eredi, oppure, in mancanza di disposizioni precise, dal vescovo, al quale l’amministratore eletto doveva rendere conto, indipendentemente dalla sua appartenenza o meno al cleroll#. I beni ospedalieri non potevano essere impiegati se non nell’interesse stesso della fondazione e in questo senso gli amministratori avevano facoltà di concludere contratti e di ricevere donazioni, ma non potevano alienare proprietà immobiliari, se non in casi di comprovata necessità e previa autorizzazione i°6 p w. Duff, The charitable foundations of Bizantium, Cambridge 1926, p. 26. 107 Imbert, Les hôpitaux cit., p. 26. 108 L’indipendenza degli ospedali venne riconosciuta dal codice giustinianeo (ibid p. 28; C. I, tit. Ili, 32, 34). Lo stesso codice stabiliva che i lasciti in favore dei po' ri fossero incamerati dagli ospedali (C.J.. I, tit. Ili, 49; S. De Renzi, Storia della medicina italiana, Napoli 1845, I, p. 348). 109 C. J., I, tit. Ili, 40, De officio rectoris provinciae. 110 C. J., I, tit. III, 45; Nov., VII, XII. episcopale m. L’autorità dei vescovi, in questa opera di controllo, e la loro facoltà di intervenire sui fondatori o sugli eredi, per indurli a rispettare gli impegni assunti, furono chiaramente rafforzate dalle disposizioni emanate dall’imperatore Zenone, nel V secolo, e dal suo successore Anastasio m. Norme speciali regolavano poi gli orfanotrofi ai quali era concessa una maggiore autonomia, infatti, i rettori di questi istituti erano considerati i tutori dei fanciulli loro affidati e potevano amministrare liberamente, senza essere tenuti a presentare i rendicontiIU. Ai rettori di brefotrofi, analogamente a quelli di altri ospedali, era tuttavia vietato disporre dei beni che avevano acquisito durante il periodo del loro rettorato “4. Oltre al Corpus luris luslinianeum, anche i cosiddetti « manuali legislativi bizantini » (YEcloga dell’imperatore Leone III Isaurico, il Prochèi-ron di Basilio I, l'Epanagogbé, ecc.) contengono norme riguardanti gli ospedali, ai quali vennero conservati e accresciuti i privilegi già stabiliti dai legislatori precedenti "5. Abbiamo voluto soffermarci sulle disposizioni di legge del basso impero perché questa legislazione si mantenne pressoché inalterata per tutto il medio evo e addirittura fino al concilio di Trento "6, inoltre va sottolineato che dal VI all’XI secolo il Corpus luris di Giustiniano regolamentò la materia ospedaliera nello stesso modo tanto in oriente quanto in occidente, come dimostra l'analogia ira le regole di fondazione e tra i criteri amministrativi di vari ospedali in Francia, in Italia e in Grecia"7. In effetti dal VI al X secolo ben poche furono le disposizioni legislative nei riguardi degli ospedali da parte delle nuove classi dirigenti di origine germanica. Le leggi m C. I, iit. Ili, 4; I, tit. H, 19; Nasalli Rocca, Il diritto cit., pp. 25, 26, 40. nî C J., I. lit. II, 15, 17; cfr. anche O. AuttGGI, Ospedali c vescovi, I EUR, p 38. 1,1 C. I, til. III, 32 .. .pupilorutn iunt quasi tutores, adolescentium veto quasi curatore s ■ cfr. De Renzi cit., I, pp. 347-348. 'M c. J, I, til. III, 49; Dr Rrxzi cit., I, p. 348. llS In particolare veniva anche stabilito che le piae domus, fino al VI secolo affidate «nche ai laici, sarebbero divenute di esclusiva pertinenza ecclesiastica z affidate al vescovo coadiuvalo dai retlori (L. Loria, Dispositioni legislative bizantine sugli ospedali, in 1, EUR, p. 706). Nasalli Rocca, Il diritto dt., p. 41. 117 Imbi *t. Lei hôpitaux cit., p. 44; G. POURNAROPULOS, A brief history of ospi tali w Grecie in ancunt ima and thè middle agei, in I EUR. pp. 1031-1041. - 31 - gotiche non ebbero alcun influsso in campo ospedaliero e stabilirono norme di interesse sanitario e sociale soltanto riguardo agli aborti provocati118 e agli esposti119; altrettanto si può dire per le leggi visigotiche- che disposero regole e sanzioni solo in riferimento alla professione medica l2°. Anche la legislazione longobarda sembrò dimenticare gli ospedali e si occupò soltanto, per evidenti motivi di profilassi, del problema dei lebbrosi U1. Non ci sentiamo tuttavia di condividere l’opinione secondo la quale in epoca longobarda le fondazioni ospedaliere sarebbero state rare e limitate solo a zone determinate, come la Lucchesia e il Veronese122, ma riteniamo verosimile che esse fossero in realtà abbastanza diffuse e che solo la mancanza di documenti in proposito impedisca oggi di valutarne il grado di sviluppo 123. In epoca franco-carolingia si osservò invece una certa ripresa legislativa anche sui problemi ospedalieri che tuttavia non apportò sostanziali innovazioni, in quanto le disposizioni contenute nei capitolari franchi si rifecero in gran parte agli schemi classici del Corpus lustinianeum 124. Carlo Magno riaffermò il dovere dell’ospitalità 125, ammonendo vescovi e abati a dirigere con scrupolo gli ospedali126 e ordinò di restaurare tutti gli istituti usurpati o distrutti prima del suo regno l27. Su analoghe posizioni si schierarono i suoi successori m, mantenendo inizialmente inalterata la predominanza dell’autorità 118 C. J., VI, tit. III. 119 C. J., IV, tit. IV. 120 C. XI, tit. I; cfr. anche De Renzi cit., II, pp. 49-52. 121 M.G.H., Leges, IV, Edictus Rotari, pp. 41, 42, 57, 74. 122 Nasalli Rocca, II diritto cit., p. 41. 123 In effetti la quasi totalità dei documenti di epoca longobarda è stata reperita a Lucca e fa riferimento a fondazioni ospedaliere locali (cfr. Troya cit., t. IV, parte IV, p. 660 e sgg.; Fainelli cit.; pp. 915-934. 124 Imbert, Les hôpitaux cit., p. 45. 125 Nemo neque dives neque pauper peregrinis hospitium denegare audeat... (M.G.H., Leges, I, « Karoli Magni Capitularia», Capitulare Aquisgranense, anno 802, P- 91). 126 Ibid., Capitulare ecclesiasticum e Capitulare monasticum, anno 789, pp. 53. 68, Capitulare francofurtense, p. 71, Capitulare ticinense, anno 801, p. 83. 127 De xenodochiis vero nobis pertinentibus qua bene ordinata sunt, in ipso per maneant, qua vero destructa, secundum qualitate temporum ad priore cultum cupimus ut ibi pauperes Domini rejiciantur... (ibid., « Karoli Magni Capitularia », Capitulare langobardico duplex, anno 802, p. 110). 128 Imbert, Les hôpitaux cit., p. 34; L. A. Muratori, Antiquitates italicae medii aevi, III, diss. 37. civile su quella religiosa 12, ma successivamente il potere imperiale, pur conservando un formale patrocinio, concesse alla Chiesa la più completa li rta i gestione in materia ospedaliera. Dall’XI secolo in poi le disposizioni concernenti 1 ospedalità furono emanate pressoché esclusivamente dalle autorità ecclesiastiche, le quali acquisirono in questo campo un vero e proprio monopolio che si sarebbe esaurito solo nel XV secolo. Tutte le principali tonti del diritto canonico trattarono l’argomento: il Liber Diurnus, contenente norme della curia romana dei secoli Vili e IX, le collezioni pre-grazianee e, nel XII secolo, il decretum Gratiani, che stabilì l’inizio del ius novum ecclesiae e, successivamente, la decretale di Gregorio IX riaffermarono, nei riguardi degli ospedali, le disposizioni già contenute nel codice giustinianeo, assegnando ai vescovi le più ampie facoltà di controllo sugli istituti ospedalieri IM. La fonte primaria, per quanto riguarda la legislazione ecclesiastica sugli ospedali è tuttavia rappresentata dalle deliberazioni dei vari concili. A partire dal concilio di Nicea, nel 325 131, che stabilì l’obbligo per i vescovi di predisporre nelle loro diocesi xenodochi atti a ricevere poveri, malati e pellegrini ,s*, numerosissimi atti conciliari influirono sulla vita ospedaliera, con varie disposizioni riguardanti gli aspetti della conduzione amministrativa, i rapporti con l’autorità ecclesiastica, i privilegi di cui potevano fruire questi istituti, le sanzioni da comminare a chi trasgrediva le regole, gli indirizzi assistenziali da seguire, ecc. I concili di epoca merovingia, da quello di Orléans, del 511, a quello di Châlons, del 647, ribadirono 1 obbligo per i vescovi di occuparsi dell’assistenza ai poveri, ai malati c ai lebbrosi e confermarono inoltre il divieto di alienare i beni ospedalieri considerati come parte integrante dei beni della Chiesa 133. Altre norme si aggiunsero nel corso dei secoli, concorrendo a delineare in modo sempre *** Ancora nel IX scroio i messi regi avevano il compito di controllare periodicamente gli istituti ospedalieri e di stimolare l'ospitalità nei riguardi di pauperes c hospites (M.G.H., Leges, I, Ludovici II imperatoris conventus ticinensis, anno 855, p. 432). 1,1 Per quanto riguarda i particolari delle disposizioni canoniche concernenti gli ospedali rimandiamo alle opere già citate di Imbert, Nasalli Rocca e Lallemand, dove tale materia è ampiamente trattata. u' COD, pp. 4, 5. Cfr. il canone 75 dei cosidetti « canoni arabici », allegati alle disposizioni del citato concilio. ,,} M.G H., SS, Script, rcrum meroving, I. 2; VI, 5; C. De Clerc. Concilia Galliae (A 511 * A 695), in «Corpus Christianorum, series latina», Tumhout 1963 e La lérislatton réltgieuse franque, Lovanio 1936,1, pp. 67, 96, 105. - 33 - 3 più preciso il profilo giuridico degli istituti ospedalieri, la cui normativa acquisì l’assetto definitivo (che si sarebbe mantenuto invariato fino al concilio di Trento) solo nel 1311, a seguito delle disposizioni emanate dal concilio di Vienne e dalle costituzioni clementine. Sarebbe evidentemente troppo lungo riportare le varie deliberazioni conciliari in materia, ma sinteticamente si può ricordare che dalle origini al nono secolo prevalsero le disposizioni di carattere economico e molto scarse furono invece quelle di natura istituzionale e normativa, in quanto 1’hospitalitas veniva gestita diretta-mente dal vescovo m. Nel periodo successivo, divenuta sempre più frequente la gestione degli istituti ospedalieri da parte di ospitatati nominati dai fondatori, ai vescovi passò la funzione di controllo e si resero necessarie norme atte a regolare la condotta amministrativa dei rettori e i loro rapporti con l’autorità ecclesiastica, oltre alle norme disciplinari, con lo scopo precipuo di evitare gli abusi che andavano facendosi sempre più frequenti. Dal punto di vista del diritto canonico gli ospedali furono distinti in hospitalia publica o loca religiosa e hospitalia privata o prophana o simplicia. La differenza tra le due categorie era data dall'appartenenza dei primi ai luoghi pii che, assieme ai loca sucra (chiese e mon;: teri), costituivano le varie entità rappresentative e personificate dalla Chiesa e come tali fruivano dei benefici e delle immunità proprie degli enti religiosi. A loro era concesso di avere campanile, cappella e cimitero propri e di officiarvi funzioni sacre ed essi godevano della protezione ecclesiastic i per mantenere in perpetuum la destinazione dell’istituto. Gli ospedali laici non erano soggetti all autorità episcopale, ma erano privi di tutti i benefici elargiti a quelli religiosi; per questo il loro numero fu sempre relativamente esiguo, almeno fino al XIII secolo. I fondatori laici ovviamente cercarono quasi sempre di far rientrare i loro istituti tra gli ospedali religiosi, richiedendo la necessaria licentia episcopi, dato che era il vescovo a decidere sui requisiti indispensabili per trasferire un ospedale da una categoria all'altra. In genere lautorizzazione era richiesta al momento della fondazione dcH'ospedale, ma non raramente ciò 134 Ancora nell'826 il canone di Eugenio II stabiliva che gli ospedali domano essere costituiti per solleàtudmem eptscoporur; (Corpus iuris clonici, derrct. Grcgoru IX, lib. III, tit. 36, c. 3). L’obbligo di assistenza, fatto ai vescovi, era esteso anche agli abati, ai plebani e ai capitoli. Il concilio di Aquilana, dcd'814, stabiliva infatti che quis que canonicorum abbas crigpl hospilolc uti p '^nni ; paupera rcclpianiur (Mansi, XIV, c. 150). - 34 - avveniva anche dopo molto tempo, per ottenere il permesse di poter erigere una cappella, installare una campana o annettere un cimitero I35. Come abbiamo già detto, la più completa regolamentazione della materia ospedaliera si ebbe nel 1311, dai concili di Ravenna e di Vienne e dalla decretale di Clemente V, Quia contingit. A Ravenna i padri conciliari, nella rubrica XXV l3é, avendo rilevato che spesso i beni ospedalieri erano usurpati e dilapidati da laici, stabilirono che solo i poveri potevano fruire di tali beni e che gli amministratori, da quel momento, avrebbero dovuto essere chierici, sine uxore, tonsurati e dediti a esclusivo servizio dei bisognosi, risiedendo in modo continuativo nel proprio istituto. I canoni del concilio di Vienne furono pubblicati integrandoli nella collezione delle Clementine 137, per cui non è agevole distinguere le decisioni conciliari dalle altre decretali pontificie, tuttavia dalla Quia contingit appare chiaro il pensiero dell’autorità ecclesiastica. Dopo aver constatato nel preambolo la cattiva amministrazione degli ospedali e la loro decadenza, dal punto di vista assistenziale, si invitavano i vescovi, per un più retto governo dei beni ospedalieri a beneficio dei bisognosi, a una scrupolosa sorveglianza e a stabilire adatte punizioni in caso di inadempienza alle regole. Inoltre si stabiliva che gli ospedali non dovevano più essere concessi in beneficio138 e si confermava loro il privilegio di avere cappella e cimitero, se ciò non era in contrasto con i diritti parrocchiali e si imponeva al rettore l’obbligo del giuramento, dell'inventario c del rendiconto annuale 1,9, esentando comunque da questi obblighi gli ordini cavallereschi (va ricordato, però, che proprio nel concilio di Vienne venne decretata la soppressione dell’ordine dei Templari) e quelli religiosi i quali erano tuttavia richiamati a seguire con scrupolo i propri statuti. 135 Jmbert, Les hôpitaux cit., p. 75. Mansi, XXV, c. 470. CJC, lib. VII; Mansi, XXV, cc. 367-462. ,M Erano esclusi casi particolari, come quelli in cui il magister era eletto dalla comunità o quando il fondatore avesse stabilito nell’atto costitutivo la sua volontà di concedere in beneficio l’istituto. IW Già i concili di Arles, del 1260 e del 1273, avevano rilevato che i beni degli ospedali erano impiegati a fini diversi da quelli istituzionali e avevano imposto ai vescovi di effettuare una stretta sorveglianza affinché i rettori seguissero le regole sulla vita in comune, sull’abito e sulla condotta morale e non trattenessero per sé più di quanto fosse necc-sario per il vitto e per il vestiario, obbligandoli anche a presentare l’inventario annuale (Mansi, XXIV, c. 148; XXV, c. 15; XXXVI, c. 156). - 35 - Dopo la riforma clementina del 1311 il diritto ospedaliero si mantenne pradcamente invariato fino al concilio tridentino e nuove disposizioni si ebbero soltanto in alcune bolle pontificie, particolarmente in quelle riguardanti le grandi concentrazioni ospedaliere della metà del XV secolo, che contenevano norme snidiate per raggiungere una linea di accordo con le autorità civili in materia assistenziale lw. LA GESTIONE DEGLI OSPEDALI E L’EROGAZIONE DELL’ASSISTENZA Gli edifici Gli ospedali medievali avevano strutture e dimensioni assai varie, dalle piccole cade sparse nella città e nei suburbi, ai grandi complessi, come il S. Spirito di Roma, l’Hôtel Dieu di Parigi o il St. Bartholomew di Londra Wl. Gli ospedali genovesi, pur non raggiungendo dimensioni imponenti, erano comunque in media abbastanza ampi e strutturati quasi sempre su due piani, secondo quanto ci è dato di apprendere dagli inventari relativi ad alcuni di essi l4\ Per lo più erano composti da due sale di degenza, dette infirmarle (una per i maschi, l’altra per le femmine), da una cucina, da due o tre piccole stanze e, a volte, da una sala per riunioni o refettorio IU. Per quanto riguarda la capienza, va detto che in cenere ben pochi ospedali avevano una recettività superiore alla dozzina di letti, anzi il numero di dodici era in genere considerato ottimale, anche perche esso assumeva un significato simbolico, a ricordo del numero degli apostoli Negli ospedali ap- 140 Nasalli Rocca, 11 diritto cit., p. 128. 141 G. Tollet, Les édifices hospitaliers et l’issistmut publique depuis les angines jusqu'à nos jours, Parigi 1892, pp. 32 33; E. CoyecqUE, L'Hôcl Dieu de Pans au moyen âge, Parigi 1889-1891; N. Mot», History of Sont Bartholomew hospital, Londra 1918; De Angeli s, L'ospedale cit., p. 205; E WiœeisheIMe*. Les édtfiret hospitaliers à travers les âges, in I EUR, p 814. 142 Cfr. i capitoli riguardami gli ospedali di S. Lrj-mo. di S Benedetto, di S. Ge ralamo, di S. Stefano, 143 Cfr. ad esempio la centinaia lirph («pelili gjriovcM di S Gerolamo. dei Foresti e di S. Stefano. 144 Imbeit, Les bóptlaux rii., p. 41. Va anche rilevato che. in rari casi, in epoca medievale esistevano ospedali dotati di una capienza considerevole, come quello di S. Spirito in Roma, provvisto di oltre 300 letti e nel quale venivano curati più di mille partenenti ai loca religiosa, o per fondazione o per giuspatronato, esisteva anche una cappella destinata alle pratiche del culto. Questa faceva usualmente parte dello stesso edificio ospedaliero 145, per consentire ai ricoverati di seguire agevolmente gli uffici religiosi, secondo la tradizione stabilitasi fin dall inizio della ospedalità cristiana l46. Negli ospedali di fondazione laica le pratiche del culto potevano essere attuate ugualmente, dato che molti di essi possedevano un altare, dove il curato, competente per territorio, poteva recarsi a officiare. Questi altari erano situati nelle corsie, in posizione tale che i degenti potessero seguire dai loro letti la funzione religiosa 14?. L arredamento degli ospedali non era quasi mai opulento, ma veniva limitato allo stretto necessario e comprendeva, oltre ai letti completi del loro corredo, armadi, cassapanche, tavoli, sedie, ecc. In alcuni casi particolari, peraltro assai rari, figuravano invece, nella dotazione ospedaliera, elementi tali da dare all’istituto una impronta lussuosa, come i drappi di seta dell ospedale di Beaune H£, le lenzuola ornate di preziosi ricami dell’Hôtel Dieu di Reims o le coperte di pelliccia dell’ospizio di Altopascio 15°. Nondimeno, pur senza raggiungere questi livelli fastosi, si può dire che mediamente il corredo degli ospedali era abbastanza buono e confortevole. Negli istituti genovesi non mancavano cossini de piuma, copertoria, carpitae, stra-pontae, culcitrae e ogni Ietto era sempre dotato di lenzuola di tela IS1. Anche il mobilio, nella sua scarna essenzialità medievale, era sufficiente per le esigenze dei ricoverati che potevano disporre di sedili di varia foggia e di- pazienti al giorno (A. Pazzini, Storia dell’insegnamento medico in Roma, Bologna 1935, p. 285), o come I’Hôpital de la Charité di Parigi, capace di 250 letti (Pazzini, La medicina nella storia, nell'arte e nel costume, Milano 1968, p. 459), o come l'Hôtel Dieu, sempre di Parigi, in cui il numero di posti letto superava le 500 unità (Coyecque cit., I, p. 87). 145 Cfr. per Genova, S. Lazzaro, S. Erasmo e S. Antonio. 144 Si veda, ad esempio, l’ospedale fondato da Pammachio, presso le foci del Tevere, in portu romano, dove gli ambienti destinati a decenza fiancheggiavano l’edificio basilicale (M. Salvadè, Evoluzione dei caratteri distributivi ndl'architettura ospedaliera, in I EUR. pp. 1116-1118). 147 Cfr. il capitolo telativo all'ospedale di S. Gerolamo. ,4* Monceau cit., p. 8. ,w C. Givelet, Toiles brodées de l’Hôtel Dieu de Reims, Reims 1883. Ottazzi cit., p. 519. 151 Cfr. gli inventari degli ospedali di S. Erasmo, di S. Benedetto, di S. Gerolamo, di S. Stefano, della Maddalena e di S. Desiderio. - 37 - mensione, di tavole per consumare i pasti e di cassapanche (banchalia) per riporre gli effetti personali152. Gli armadi (armaria, sospitalia) che si trovavano nelle corsie e nelle stanze erano invece probabilmente destinati a contenere la biancheria e il corredo della domus. Per quanto riguarda i letti va ricordato che questi erano a volte costituiti da semplici tralicci di corda (cfr. l’ospedale di S. Antonio), ma nella maggioranza dei casi erano ampi e comodi, spesso a colonne, completi del loro basamento in legno, di saccone, torcularia, tabula prò capite Tornando a considerare l’edificio ospedaliero va ancora rilevato che ad esso si trovavano annesse, abbastanza spesso, una o più domunculae le quali erano generalmente usate o come magazzino o come domicilio del rettore e della sua famiglia 1M e quasi sempre accanto all ospedale vi era un’area di terreno coltivata a orto o a frutteto, sufficiente a garantire una certa autonomia all’istituto b5. I maggiori ospedali di fondazione religiosa possedevano poi, oltre alla cappella, un piccolo campanile, in genere sopra-elevato sul tetto dell’edificio principale e un proprio cimitero In generale si può dire che gli istituti ospedalieri genovesi si presentavano con strutture architettoniche di estrema semplicità c, tutto sommato, abbastanza rozze 1 s, tranne in alcuni casi nei quali si manifestò una valida ricerca estetica, come testimoniano ad esempio le navate delle corsie di S. Giovanni e gli affreschi di Giovanni da Padova, che un tempo decoravano la facciata di S. Stefano di Ponticello. 152 Nell’ospedale di S. Giovanni di Prè -ono state reperite nicchie nei muri dclli corsia che avevano verosimilmente la funzione di armadi a muro ad uso dei ricoverati (M. Semino, Ospitale della Commenda di 5. Giovanni di Pri. in R Mauri in Ligurie, Genova 1978, p. 146). 153 cfr. ad esempio gli ospedali di S. Benedetto, di S. Gerolamo, di S. Stefano, di S. Antonio. 154 Cfr. al proposito gli ospedali dello Scilo e di S. Gerolamo 155 Cfr. l’ospedale di S. Stefano. 156 Cfr. l’ospedale di S. Erasmo. 157 Cfr., ad esempio, gli ospedali di S. Lazzaro e di S. Giovanni. 158 La semplicità delle linee architettoniche conferiva all'edificio una certa austc lità, a volte aggraziata dalla presenza di loggiati esterni dei quali abbiamo esempio nell’ospedale di Capo di Faro, raffigurato nella nota veduta di Genova dipinta dal Grassi (cfr., al proposito, E. Poleggi, Iconografia di Genova e delle riviere, Genova 1976, p. 110). -38- Il personale La direzione degli ospedali veniva affidata a un hospitderius, indicato a volte con i termini di rector, magister, minister, gubernator o praeceptor 159 e con lui collaboravano alia gestione dell’istituto fratres e conversi. La nomina del rettore competeva sempre, per gli ospedali religiosi, alle autorità ecclesiastiche: in genere era il vescovo stesso che provvedeva a ciò, ma, nel caso di ospedali monastici, la nomina poteva provenire direttamente dal- 1 abate e, per gli ospedali canonicali, dal capitolo. I capitoli canonicali avevano però minori libertà, rispetto alle prerogative proprie dei vescovi e degli abati, poiché possedevano soltanto la collazione dei beni di proprietà della canonica e quindi solo in caso di collazione libera potevano nominare direttamente l’ospitalario, altrimenti (collazione forzata) avevano soltanto il diritto di ratifica su scelte effettuate da chi deteneva il giuspatronato dell’ospedale lw. Esempi genovesi di questo tipo li troviamo in S. Lorenzo e in S. Maria di Castello, i cui capitoli canonicali affidavano direttamente la direzione dei propri istituti ospedalieri a persone qualificate, generalmente scelte tra religiosi. Per quanto riguarda gli ospedali monastici, ricordiamo ancora, a titolo di esempio, clic l’elezione dell’ospitalario di S. Tommaso competeva esclusivamente alla badessa e al capitolo del monastero omonimo. In genere negli istituti religiosi le comunità ospedaliere, costituite da frati o da suore, provvedevano a segnalare uno dei propri membri, ritenuto il più idoneo alla carica, e l’autorità ecclesiastica (vescovo, abate ecc.) concedeva la ratifica, secondo le disposizioni emanate da Alessandro III, sui benefici della Chiesa, disposizioni che avevano sostituito alla nomina diretta il diritto di presentazione'61. Anche il papa poteva, d’altra parte, procedere direttamente alla nomina del rettore di un istituto ospedaliero, poiché, come è noto, gli ospedali religiosi, come gli altri benefici ecclesiastici, erano sottoposti alla riserva: il pontefice poteva cioè accollarsi il beneficio e disporne a suo giudizio. Ciò indusse i vescovi a sottoporre al papa, per la 1W Nei documenti esaminati e riportati in appendice compaiono tutti i termini sopraindicati, inoltre, nel caso degli ospedali di S. Giovanni e di S.' Lazzaro, si ritrova anche usato il termine di comandator, verosimilmente legato a un beneficio a tipo di commenda. Imbert, Les hôpitaux cit.. pp. 210-212. 161 M. Pacaut, Alexandre IIIe Etudes sur la conception du pouvoir pontifical dans m pensée et dans son oeuvre, Parigi 1956. Sui canoni del III concilio ecumenico late-ranense cfr. anche COD, pp. 81-207. -39- ratifica, le nomine dei propri candidati, onde evitare contrasti con quelli eventualmente proposti dalla sede apostolica e questa consuetudine, iniziatasi nel XIII secolo, si diffuse particolarmente sul finire del XIV 16\ Negli ospedali laici la nomina dell’ospitalario era invece di esclusiva pertinenza del fondatore o dei suoi eredi, che conservavano in perpetuo il giuspatronato sulla istituzione. Tuttavia anche in questo caso era eccezionale una completa indipendenza dall’autorità ecclesiastica in quanto, d’abitudine, i patroni sceglievano il proprio candidato, ma sottoponevano la nomina alla approvazione episcopale 163. Una posizione particolare avevano poi gli ospedali dipendenti dagli ordini ospedalieri, soprattutto gerosolimitani, i quali venivano assimilati a tutti gli effetti ai loca religiosa e i cui rettori erano nominati direttamente dal Gran Maestro o, a volte, dal capitolo locale del loro ordine, rimanendo indipendenti dall’autorità episcopale IM. La carica di rettore poteva essere conferita a vita, come spesso si usava negli ospedali religiosi, oppure, più frequentemente, essa era concessa ad nutum, cioè era limitata nel tempo e quindi revocabile. Evidentemente anche gli incarichi a vita potevano essere interrotti per gravi motivi, concernenti la salute del rettore o una sua condotta morale e amministrativa riprovevoli 165. Negli ospedali religiosi l’ospitalario, appartenente in genere al clero secolare, svolgeva le funzioni sacre e fruiva dei profitti dcM’istituto. Tale privilegio fu ridimensionato dal concilio di Vienne del 1311. in quanto fino ad allora questi ospedali, essendo compresi tra i beni della Chiesa, erano stati conferiti in beneficio, il che portò spesso a notevoli abusi, a causa dei proventi rettorali i quali, pur variando a seconda dell importanza dell istituto, in certi casi potevano raggiungere livelli veramente considerevoli m. 162 Imbert, Les hôpitaux cit., p. 207. Esempi di nomini- da parte di pontefici negli ospedali genovesi si possono rilevare in S. Giovanni, alla cui direzione vennero nominali, nel 1405, Racello dell'Oro, da Martine V, e nel 1436 Battista F:eschi da Eugenio IV (cfr. il capitolo relativo a S. Giovanni). 163 Si veda, ad esempio, l'atto di fondazione dell e»pedale genovese di S. Desiderio e la nomina del rettore di quell’istituto ,M Cfr. il capitolo relativo all'ospedale di S. Giovanni. 165 Si vedano, ad esempio, le vicende di Gerardo de Fornati, rettore di S. Lazzero, tra il 1410 e il 1425. 166 In S. Lazzaro, ad esempio, nel 1417 il rettore Gerardo de Fornari percepiva un appannaggio di 100 fiorini d’oro annui e nel 1430 Bartolomeo di Iacopo richiese pel Il citato concilio di Vienne167, insieme a importanti riforme in materia ospedaliera, aveva stabilito anche precise norme riguardanti i requisiti e i compiti degli ospitalari 168. In particolare si affermava chc ogni ospedale da quel momento doveva essere affidato viris providis et boni testamenti e non più saecularibus clericis in beneficio conferatur 169. 1 rettori, anche se non appartenevano al clero, dovevano fare comunque professione religiosa, essere celibi 17°, tonsurati, aver compiuto i 25 anni e dovevano portare 1 abito prescritto ni, ad essi si richiedeva inoltre di prestare giuramento, di provvedere all’inventario e di presentare il rendiconto annuale m. I rettori ospedalieri avevano facoltà di amministrare il proprio istituto con una certa libertà per quanto concerneva la riscossione dei proventi, l’appalto delle questue, la locazione di immobili, ecc., ma non potevano alienare i beni dell’ospedale se non in casi di comprovata necessità e previa autorizzazione dei patroni e dell’autorità ecclesiastica. Naturalmente questa libertà amministrativa era più o meno limitata in rapporto al maggiore o minore controllo esercitato da chi deteneva il giuspatronato sull’istituto 17\ la stessa carica a Mariino V sessanta ducati d'oro (v. app. n. 313), ai quali andavano aggiunti naturalmente altri proventi, non sempre legali, sui beni dell’ospedale. 167 Mansi, XXV, pp. 367-462. IM Queste disposizioni sono contenute nella decretale Quia contingit, compresa nelle costituzioni clementine (CJC, liber VII). Al termine vins i canonisti attribuirono un significato estensivo, attribuendolo sia ai chierici sia ai laici di ambo i sessi (Imbert, Les hôpitaux cit., p. 247). Negli ospedali genovesi troviamo spesso donne chc ricoprivano la carica di ospitalaria e ciò anche in epoca posteriore al concilio di Vienne. 170 Si continuarono comunque a tollerare anche coppie di coniugi come per il passato (cfr. gli ospedali di S. Lorenzo e di S. Tommaso). 1,1 Già i concili di Parigi del 1212 e di Rouen, del 1214, avevano emanato disposizioni riguardanti l’abito degli ospitalari: De domibus leprosorum et hospitalibus infir- | morum et peregrinorum statuimus ut competens regula statuatur cuius substantia in tribus' articulis maxime continetur, scilicet ut proprium renuntient, conltncntiac votum emittant et praelato suo oboedentiam fidelem et devotam promittant et habitu religioso et non saeculari utantur (Mansi, XXII. cc. 814, 818; Ottazzi cit., p. 516). 172 Gran parte di queste disposizioni, con espliciti riferimenti alla decretale Quia contingit, vengono ricordate ncH’atto di fondazione dell’ospedale di S. Desiderio di Genova, al quale rimandiamo. ,7J A questo proposito si possono trarre interessanti considerazioni confrontando le competenze amministrative concesse agli ospitalari di S. Lorenzo e di S. Maria di Castello; rimandiamo perciò ai relativi capitoli. - 41 - Abbiamo già ricordato che il rettore di un ospedale veniva spesso scelto collegialmente tra coloro, fratres o sorores, che facevano parte della comunità di quello stesso istituto e dopo aver esaurito il suo mandato egli rientrava in genere alle sue primitive funzioni di subordinato, sostituito nell'incarico da un altro confratello l74. Alcuni rettori tuttavia non rimanevano legati alla comunità ospedaliera del loro istituto, ma si trasferivano ad amministrare altri ospedali, in genere sempre più importanti, intraprendendo in tal modo una vera e propria carriera, quali ospitalari di professione l7S. Il rettore era coadiuvato nelle sue mansioni amministrative e soprattutto assistenziali, da confratelli e consorelle u, che negli istituti di maggiore importanza costituivano comunità abbastanza numerose. Tra essi vi erano chierici, preti e, più spesso, conversi, oblati, dedicati, donati o redditi, che si legavano con voti parziali all’istituto Oltre a fratres e sorores prestavano la loro opera anche alcuni servi (detti servitores, serventes, fa-midi o meschini), naturalmente adibiti alle mansioni più umili1,8 c che, in alcuni casi, dopo un lungo e fedele servizio, potevano essere accolti e mantenuti nello stesso ospedale, come ospiti, per gli ultimi anni della loro vec- 174 Esempi di questo tipo non sono rari negli ospedali genovesi: si veda al proposito il rettorato di frate Pisano e di suor Giacomi na ncll ospcdale di S. Stefano t quello di frate Guglielmo da Voltaggio ncll’ospedale di S. Giovanni 173 Tipico è a questo riguardo latto col quale il capitolo di S. Lorenzo riconosceva i meriti del rettore Antonio di S. Lorenzo, la sua rettitudine e tu ma oculatezza amministrativa (v. app. n. 127!). Questo documento rappresenta un vero e proprio benservito che poteva essere utilizzato per un successivo incarico 176 Negli atti importanti i confratelli, riuniti more capitulari, coadiuvavano il rettore e davano la loro approvazione. Non pochi documenti ritardanti l’attività amministrativa degli ospedali di S. Giovanni, di S. Lazzaro, dei Crociferi, ecc. contengono le decisioni del rettore prese in presenzia et voluntate del capitolo dei propri confratelli (v. app. nn. 248, 250, 282, 292, 490, 500. 1322) 177 Conversi, oblati, dedicati, donati o icddiii avevano, in epoca medievale, una posizione giuridica particolare, in quanto facevano donazione della propria persona e della propria disponibilità patrimoniale in favore drll’istituto ospedaliero (cfr. Glossarium mediae et infimae latinitatis, a cura di C. Dir C,k\ f . Niort 18#6. VII t Tale impegno poteva avere un carattere temperane- , cem- nel ca. 178 Nell’ospedale di S. Tommaso un tal Giovanni da Valcurone era adibito al « servizio dell’acqua * (v. app. n. 363). - 42 - chiaia, come dimostra l’esempio di Domenichina Carpaneto nell’ospedale di S. Lorenzo (v. app. n. 1272). I servi godevano di un salario, mentre i confi atres erano titolari di una prebenda vitalizia, concessa a volte dall’ospedale, ma più spesso derivante dalle donazioni da essi stessi elargite all’atto dell’ingresso nell’istituto 179. L attività assistenziale nei confronti dei ricoverati veniva svolta da tutti gli appartenenti alla comunità ospedaliera, dal rettore all’ultimo dei serventi, naturalmente con mansioni diverse. I medici, inizialmente, salvo casi eccezionali, come Goffredo che fu rettore di S. Lazzaro nel XII secolo, non facevano parte del personale ospedaliero, ma venivano chiamati di volta in volta, secondo le necessità, e retribuiti per le loro singole prestazioni lw. Dal XIV secolo in poi essi entrarono, con i barbieri chirurghi, nel- 1 organico di alcuni ospedali, dai quali venivano regolarmente stipendiati181. A S. Giacomo di Altopascio, ad esempio, si poteva contare sull’opera di ben quattro medici e di due chirurghi e vi era assicurata anche l’assistenza ostetrica ls\ A Genova l’ospedale dello Scalo (v. app. n. 692), nel 1449, godeva delle prestazioni del medico Luca Borello, il quale aveva espletato la propria opera assistenziale gratuitamente fino ad allora. Gli amministratori dell’istituio, a quel punto, ritenendo ingiusto sfruttare ancora l’altruistica disponibilità di questo benemerito sanitario, rivolsero una supplica alle competenti autorità cittadine, al fine di ottenere per lui un’adeguata remunerazione (quattro lire annue). In questa petizione compaiono anche IW Si vedano, ad esempio, pii atti relativi all’actoglimento di Giacomina Manerio ndl'os pedale di S. Giovanni (». app. n. 586) e di Giovannina da Palodio nell’ospedale dei Crociferi (v. app. n. 1322). ,M E. Wickersiieimer, Medici c chirurghi negli ospedali del medio evo, in « Janus », XXXII, 1928, p. 2. 1,1 Questo avveniva già nel 1338 nell’ospedale di S. Spirito di Marsiglia (Imbert, Les hôpitaux cit., p. 138). A Bisanzio già nel XII secolo la situazione sanitaria di alcuni prandi complessi ospedalieri era di altissimo livello^ per quanto concerne il numero dei mcdici impiegati. NeU’ospedale deH’Onnipotente, fondato dall’imperatore Comneno nel 1136, su 50 letti di degenza, ripartiti in 5 sezioni, operavano almeno 7 medici per sezione. Su questo ospedale, che costituì un esempio mirabile, forse unico nella storia ospeda-lera, cfr. Pournaropoulos cit., p. 1038. Le regole dell’istituto furono pubblicate da A. Dmitrievskavo, Opisanie liturghiccskich' rukopisc)... (Descrizione sui manoscritti liturgici conservali nelle biblioteche deliOricnte ortodosso), Kiev 1895. I, parte prima pp. 656-702. IU M. G. Nardi, L'assistenza ospedaliera ai ricoverati nell’antico ospedale fondato dagli ospedalieri di S. ]acopo di Altopascio, in I NAZ, p. 492. - 43 - riferimenti ad altri istituti, a dimostrazione che in quel periodo, in Genova, era abbastanza usuale la presenza di medici stipendiati, al servizio degli ospedali. I RICOVERATI Gli ospedali medievali espletavano generalmente un’attività poliassistenziale, rivolta contemporaneamente ai malati, ai poveri, ai pellegrini, ai trovatelli e, più raramente, alle partorientiIK. In certi casi invece l’assistenza era indirizzata a un settore specifico, come si verificava negli ospedali di ponte o di passo, destinati prevalentemente all’alloggio dei pellegrini e dei viandanti o nei brefotrofi, dediti esclusivamente alla cura c alla educazione degli orfani, oppure negli istituti riservati solo a infermi affetti da una determinata forma morbosa, come i lebbrosi o i colpiti dallVgn/r saccr IW. A Genova gli ospedali svolsero pressoché totalmente un’attività poliassistenziale, a parte rare eccezioni quali il lebbrosario di S. Lazzaro e l’ospedale dei ciechi, detto dello Spirito Santo, anche se in realtà in alcuni istituti si assistevano prevalentemente determinate categorie, come ad esempio i pellegrini negli ospedali di Capo di Faro, di S. Tommaso, di S. Benedetto, di S. Cristoforo, di S. Desiderio e di S. Fruttuoso, c i trovatelli in quelli delle Vigne, di S. Francesco e di S. Lorenzo. Ma si trattava sempre, in questi casi, di una attività predominante che non escludeva affatto l’assistenza ad altri bisognosi. Oltre alle categorie predette M, va ricordato chc trovavano ricovero in ospedale anche persone sane le quali, nonostante il divieto promulgato dal concilio di Parigi del 1212, venivano accolte, come ospiti perpetui, ricevendo vitto e alloggio in cambio della cessione « in vita » dei loro beni, dei quali peraltro mantenevano l’usufrutto ,M. 183 Ibid-, p. 493; L. Lallem AND, Histnire da enfants abandonnes et délaissés. Parigi 1885, p. 115. 184 Alcuni ospedali fondati dapli Antoniani di Vienne erano destinati appunto al ricovero dei malati affetti da ergotismo (Ruffino cit., p. 1087). 185 Negli ospedali genovesi trovavano ricovero oltre agli orfani, vedove prive di assistenza famigliare e di mezzi di sussistenza, come testimoniano alami atti notarili dei secoli XIII e XIV (v. app. nn. 20, 85). 186 Segnaliamo, a questo proposito, come esempio, i ricoveri di Manico de Pomario e di Giovanna da Palodio nell'ospedale dei Crociferi (v, app. nn. 1289, 1322). L'Im beet (Les hôpitaux rit., p. 28) ricorda anche chc non raramente persone sane si ricoveravano addirittura nei lebbrosari. - 44 - In genere, come abbiamo già detto, quasi tutti gli ospedali accettavano le donne incinte, non venivano invece ricoverati i paralitici, i mutilati, gli storpi, i ciechi, cioè tutti coloro che erano affetti da infermità irrimediabili e venivano naturalmente scacciati i lebbrosi187. Per tutti questi il ricovero era possibile solo in istituti particolari che dedicavano per statuto la loro assistenza a una specifica categoria di questi infelici (v. ad esempio a Genova gli ospedali di S. Lazzaro e dello Spirito Santo). Anche gli stranieri, ammalandosi, trovavano difficoltà a ottenere un ricovero, da qui la necessità di particolari istituzioni ad essi destinate, come fu a Genova la « Consortia de li Forestieri ». Se per gli stranieri era arduo fruire di una adeguata assistenza ospedaliera, anche per i cittadini genovesi esistevano alcune limitazioni, soprattutto legate a fattori di competenza territoriale. Generalmente, infatti, gli infermi venivano ricoverati in ospedali che si trovavano entro i confini della loro parrocchia ed era raro che essi venissero accolti da un altro istituto; ciò diveniva possibile solo grazie a precise disposizioni contenute negli statuti di un determinato nosocomio, come fu per l’appunto il caso dell’ospedale dello Scalo di Genova, al quale affluirono malati da più parti della città. Naturalmente la recettività variava in ogni ospedale, a seconda delle condizioni economiche dell’istituto, soprattutto in rapporto alle possibilità di mantenere e sfamare un numero elevato di degenti e non tanto in rapporto alla capienza poiché, come è noto, in ognuno dei letti potevano essere poste più persone. Quando la situazione finanziaria era florida l’ospedale si riempiva, in caso contrario il numero dei degenti si riduceva e intere corsie venivano disattivate, come dimostrano al proposito gli inventari degli ospedali genovesi di S. Erasmo e di S. Gerolamo. Non abbiamo notizie significative circa la durata media della degenza e le modalità della dimissione dei malati, è noto soltanto che, per quanto riguarda i viandanti e i pellegrini, il ricovero era in genere limitato a 24 ore e non poteva comunque superare i tre giorni1M. Evidentemente tali termini non potevano essere estesi anche agli infermi, per i più poveri dei quali è presumibile che, allatto della dimissione, si provvedesse anche a concedere, nei limiti consentiti dal bilancio dell’istituto, cibo e denaro per affrontare più serenamente i primi giorni di convalescenza 189. 117 Va tenuto presente che nel medioevo era qualificala come lebbra qualsiasi forma morbosa mutilante o deturpante. 1M Cfr., ad esempio, gli ospedali di Capo di Faro e di S. Antonio. m Negli ospedali medievali islamici di El Mansur al Cairo e di El Adhudi a Bagdad i pazienti dimessi ricevevano cospicue somme di denaro (tino a 5 piastre d’oro) - 45 - Le cure All’atto della ricezione il ricoveralo veniva accolto dal rettore o dal cappellano e, negli ospedali monastici, dal portarius o dalYhospitalarius, i quali provvedevano subito alla sua confessione e alla comunione, secondo l’uso secolare, derivato dalle prime forme di ospedalità cristiana, che imponeva di anteporre la cura dell’anima a quella del corpo i y e il rifiuto a confessarsi e a comunicarsi poteva essere motivo di espulsione dall’ospedale. Prima di essere sistemato a letto il paziente depositava i propri abiti e i propri averi, che gli sarebbero stati restituiti allatto della dimissione o che, in caso di morte, sarebbero invece stati incamerati dall’ospedale 1,1. L’usanza medievale consentiva il ricovero di più pazienti in un solo letto (naturalmente mantenendo in corsie separate gli uomini dalle donne), riservando la sistemazione singola per gli infermi più gravi che andavano isolati I malati si coricavano in genere nudi tra le lenzuola, usando per alzarsi da Ietto vestaglie che gli ospedali, almeno i più ricchi, fornivano loro 1,3. 11 trattamento era sempre sufficientemente buono, ma in certi ospedali, particolarmente in quelli gestiti da ordini cavallereschi, esso era veramente di tenore elevato. La regola di Altopascio, ad esempio, prescriveva che il «signor infermo » fosse servito con ogni sollecitudine, ricoperto di panni adatti e, d'inverno, di buone pellicce e di copricapi di lana e posto in comodi letti che dovevano essere tenuti sempre scrupolosamente puliti, cambiando le lenzuola anche tutti i giorni ove occorresse 1M. Anche l’alimentazione era particolarmente abbondante e curata e consisteva in piatti di legumi, verdure, carne (almeno una volta al giorno) e frutta, somministrati in genere in due pasti chc venivano serviti alle ore 11 e alle 18 19\ utilizzando quanto più possibile i prodotti dell’orto e per consentire loro di reinserirsi nella vita sociale (C. G. CuMSTON. Ilulnr, nj Medicine, Londra 1926, p. 233; D. Guthrie, Stona della mcdicma, Milano 1%7, p 100» 190 Pazzini, L’ospedale cit., p. 77. 191 All’Hôtel Dieu di Parigi vi era un apposito locale, detto « la pouillerie », dove erano conservati gli abiti dei ricoverati e dove ogni tre settimane venivano posti in vendita quelli di coloro che erano deceduti nell'ospedale (Govccque cit., I. pp. 69-70). 192 Imbert, Les hôpitaux ài., pp. 133-134. 193 L. Le Grand, Statuts d'Hôtel Dieu et de léproserie, Parigi 1901. pp. 13. 14. 138, 160. 194 Ottazzi cit., p. 519. 195 Cfr. al proposito la lunga lista di menus minuziosamente esposta dal Lai i.kmand cit., III, PP- 206-213. - 46 - del frutteto dell’istituto e la carne degli animali da cortile, allevati dalla comunità ospedaliera. Le regole degli ordini stabilivano che il malato avesse diritto a quanto di meglio si potesse fornirgli e per questo non pochi ospitatili zelanti tendevano a rimpinzare i propri ricoverati, con effetti spesso contrari alle loro aspettative I96. Dal punto di vista igienico dobbiamo tener conto che in un’epoca in cui le autorità iniziavano appena ad occuparsi del problema, emanando bandi e opportune disposizioni legislative concernenti la sorveglianza degli alimenti, 10 smaltimento dei rifiuti, ecc.197, la pulizia personale era in verità assai poco curata. Le regole igieniche propagandate dai medici medievali si limitavano a prescrivere le abluzioni mattutine, con acqua fresca, al viso e alle mani, la pulizia dei denti con corteccia di alberi odorosi e i suffumigi, regole che solo i più solerti seguivano l98. Anche l’igiene domestica lasciava, come è noto, molto a desiderare: i letti, ad esempio, erano rappresentati in genere da semplici pagliericci privi di lenzuola e uno solo di essi era sufficiente ad accogliere tutta la famiglia ed eventuali ospiti di passaggio. Le coltri, come gli indumenti, erano di lana e venivano cambiate e pulite assai raramente, con conseguenze facilmente immaginabili. Negli ospedali invece la situazione era ben diversa: i letti erano confortevoli, dotati di lenzuola di tela, di sacconi, di coperte, di trapunte, di cuscini (spesso di piuma)199 ed erano tenuti 11 più possibile puliti e anche l’igiene personale era abbastanza curata. Il ricoverato, al suo ingresso, veniva in genere sottoposto al lavaggio della testa e dei piedi300, che, pur assumendo il carattere di un rito simbolico 201, Imbert, Les hôpitaux cit., p. 137. 177 Si vedano al proposito gli articoli di legge che le diverse città italiane seguirono, a partire dall’età comunale, e la costituzione, nel XV secolo, di cariche come i Magistrati di Sanità, per la sorveglianza igienico-sanitaria della collettività (Pazzini, La medicina cit., p. 440). Per Genova cfr. in M.H.P. le Leges genuenses del 1348 e P. Isnardi, La cagione dell'accattoneria in Genova e il modo di estirparla, Genova 1839, p. 7, sulla nascita del-l’Ufficio di Misericordia, voluta da Pileo de Marini. 1,8 Pazzini, La medicina cit., p. 439. 199 Cfr. gli inventari di S. Erasmo, di S. Gerolamo, ecc. M Postea ad lectum deportetur quod caput et pedes lavantur (art. 73 degli Statuti dell’ospedale di Troyes: Le Grand, Statuts cit., p. 113). 201 Cfr., sui significati simbolici della lavanda dei piedi e del capo, Imbert (Les hôpitaux cit., p. 136) il quale ricorda l’usanza del lavacro settimanale dei piedi (omni die sabbati summo mane debent lavari pedes infirmorum quando pulsatur ad missam matuti-nalem) aito chc aveva assunto un carattere rituale col nome di « mandato », dal passo del vangelo di S. Giovanni (XIII, 3, 5): mandatum do vobis. - 47 — costituiva tuttavia una misura igienica non irrilevante. Alcuni ospedali poi possedevano un bagno pubblico o privato, che poteva essere utilizzato a beneficio dei ricoverati sia a scopo terapeutico sia a scopo igienico 202 ed erano soprattutto gli ospedali monastici a seguire questo indirizzo, secondo i precetti stabiliti dal monacheSimo orientale 203. I bagni terapeutici caldi, preparatori o risolutivi, venivano effettuati impiegando in infusione piante medicinali, quali la camomilla, l’assenzio, il sambuco o le foglie di limone2tW. Le piante medicinali (i cosiddetti « semplici », che i monaci coltivavano con grande cura) costituirono infatti per secoli il principale presidio terapeutico della farmacopea medievale2lb, insieme alle droghe orientali e ad alcuni medicamenti di origine minerale e animale, con i quali spesso esse si associavano per dar vita a quei complicati composti come la teriaca o i vari antidoti, così diffusi nella medicina del tempo. Negli ospedali, ovviamente, non si eseguivano terapie particolari, ma si mettevano solo in opera le pratiche curative usuali e negli antichi inventari ospedalieri figurano spesso gli elenchi dei medicamenti impiegati nei vari istituti 206. I PROVENTI Gli istituti ospedalieri traevano i mezzi necessari all’espletamento della loro attività assistenziale da fonti diverse. Già alla loro nascita essi potevano contare su un patrimonio di una certa entità, fornito dalla dote che il fondatore destinava loro all’atto costitutivo. Queste dotazioni consistevano, ge- 202 Per altre notizie riguardanti i bagni di dipendenza ospedaliera rimandiamo ai capitoli relativi agli istituti di S. Stefano e di S. Gerolamo, unici ospedali possessori in Genova di un proprio balneum. 203 Cfr. le regole di S. Basilio, di S. Cassiano, ecc. Sull’uso dei bagni cfr. anche Bon cit., p. 23. ^ A. Benedicenti, Medici, malati, farmacisti, Milano 1947-1951, I, p. 371. 205 L’erbario di Dioscoride, che già Cassiodoro nel VI secolo aveva posto tra i testi essenziali di studio per i suoi monaci di Vivario, fu per tutto il medioevo una fonte insostituibile di insegnamenti farmacologici e ad essa si ispirarono innumerevoli opere (cfr., al proposito, G. Mercati, Notizie varie di antica letteratura medica e bibliografica, Studi e testi, 31, Roma 1917). Tra queste ricordiamo le opere del monaco genovese Simon Cordo (Simone Ianuense, Clavis sanationis, Venezia 1507; Silvaticus Matthaeus, Opus pandectarum medicinae, Novi Ligure 1512, in questa opera sono contenuti scritti del monaco genovese). 200 Imbert, Les hôpitaux cit., pp. 137-138; Lallemand cit., 111, p. 225; Le Grand, Statuts cit. p. 14. - 48 - neralmente, in proprietà immobiliari e in somme di denaro. Vediamo, ad esempio, che Lanfranco del Poggio, fondando l’ospedale di S. Desiderio di Genova lo provvide di una dote di 20 lire annue e che Giacomo Fieschi assegnò al proprio ospedale, intitolato a S. Gerolamo, alcune case e 50 luoghi delle Compere 207. La dote, pur consentendo all’ospedale di iniziare agevolmente la propria attività, non sarebbe stata certamente sufficiente a mantenere in seguito un bilancio attivo, per l’incremento delle spese derivante da aumentate richieste assistenziali. A queste era possibile far fronte grazie ai proventi acquisiti da lasciti testamentari e da donazioni inter vivos, il cui numero e la cui consistenza erano proporzionali alla importanza e alla popolarità raggiunte dall’ospedale. A Genova, tra i più beneficati, ricordiamo gli istituti di S. Giovanni, di S. Lazzaro, di S. Stefano, di S. Antonio e di S. Lorenzo i quali, in un certo senso, monopolizzarono la beneficenza cittadina. La consistenza dei lasciti era generalmente modesta e in media si aggirava intorno a cifre di cinque, dieci soldi, tuttavia esistevano, anche se sporadicamente, lasciti cospicui, che a volte superavano persino le cento lire (v. app. nn. 128, 429, 489, 1105). Oltre alle somme di denaro gli ospedali acquisivano anche proprietà immobiliari lasciate loro in eredità (v. app. nn. 496, 620, 969, 1293) e spesso oggetti d’uso, per lo più consistenti in lenzuola, coperte, cuscini o addirittura letti completi del corredo (lectos furnitos - v. app. nn. 584, 646, 812, 1269). Un’altra importante fonte di reddito per gli ospedali era rappresentata dalla raccolta delle elemosine. Queste venivano acquisite o attraverso le questue oppure con la spontanea oblazione dei fedeli. Le questue venivano in genere effettuate una o due volte l’anno20S, impiegando allo scopo frati dipendenti dall’ospedale stesso, oppure appaltando a terzi la riscossione delle elemosine. Quest’ultima consuetudine veniva attuata dagli istituti più ricchi che potevano contare su una larga rispondenza da parte dei devoti. Tipico a questo proposito è il caso degli ospedali genovesi di S. Lorenzo, di S. Lazzaro e di S. Antonio, i cui rettori davano abitualmente in appalto la riscossione delle elemosine, anche fuori dei confini cittadini (v. app. nn. 248, 818, 1273). Le elemosine venivano anche versate direttamente dai fedeli che si recavano in visita alla chiesa dell’ospedale, beneficiando così delle indulgenze che usualmente venivano accordate dalle autorità ecclesiastiche a tutti coloro che assumevano come meta di devozione deter- 207 Cfr. il capitolo relativo all’ospedale di S. Desiderio. 203 Imbert, Les hôpitaux cit., p. 294. — 49 — 4 minati luoghi pii20J. Le oblazioni spontanee venivano di solito raccolte in apposite cassette, poste nell’ospedale stesso 21°, nella chiesa, oppure situate in zone molto frequentate della città, generalmente ai crocevia2U. Il patrimonio degli ospedali medievali veniva ulteriormente incrementato dall’acquisizione di beni appartenenti a coloro che entravano a far parte, con funzioni diverse, della comunità ospedaliera. E’ noto infatti che spesso rettori benemeriti assumevano tale carica, facendo nello stesso tempo donazione completa, all’istituto ospedaliero che erano stati chiamati a dirigere, di se et sua bona mobilia et immobilia212, e inoltre, coloro che venivano accolti in veste di donati, oblati, redditi o dedicati dovevano necessariamente disporre di un vitalizio oppure cedere all’istituto parte dei propri beni, in misura sufficiente a garantire il loro mantenimento213. I proventi derivati dalle varie fonti, alle quali abbiamo dianzi accennato, venivano impiegati in modo da produrre una rendita sicura. Le proprietà immobiliari erano date in locazione e le somme di denaro investite in « luoghi », come confermano numerosi atti notarili e i cartolari delle Compere e delle colonne di S. Giorgio, che analizzeremo più oltre nella trattazione specifica dei singoli ospedali genovesi. Tra questi, dal punto di vista della consistenza patrimoniale, va posto innanzi a tutti l’ospedale di S. Giovanni, seguito da quelli di S. Stefano e di S. Lazzaro, ma va rilevato che per tutti gli istituti si verificò, dopo l’iniziale periodo di floridezza, una fase di decadeva economica iniziata nella seconda metà del XIV secolo e progredita in modo ineluttabile fino al periodo delle incorporazioni a Pammatone. I PRIVILEGI Gli ospedali religiosi medievali fruivano di particolari privilegi fiscali, quali l’esenzione dal pagamento delle imposte straordinarie, dei carichi vili 209 V., ad esempio, le indulgenze concesse ai fedeli che visitavano la chiesa di S. Antonio di Genova, elargendo elemosine per l’ospedale (Hildfsheimer cit., p. 71) e quelle concernenti l’ospedale gerosolimitano di S. Giovanni (v. app. n. 673). 210 L’ospedale del Ceppo, di Pistoia, si manteneva grazie alle elemosine che i cittadini ponevano in un tronco cavo, detto appunto «ceppo» (cfr. Ottazzi cit., p. 511). 211 L’ospedale di S. Antonio di Prè possedeva una di queste cassette nella parrocchia di S. Vincenzo (v. app. n. 825). 212 Cfr. gli ospedali di S. Stefano e di S. Lorenzo (v. app. nn. 1083, 1225). 213 Troviamo confermata questa usanza in atti che riguardano numerosi ospedali ge^ novesi (v. app. nn. 121, 528, 569, 1322). — 50 — (,munera sordida), di decime e di gabelle e inoltre i lasciti loro destinati sfuggivano alla quarta falcidia 214. La legislazione giustinianea aveva previsto per gli ospedali una immunità non completa, in quanto essi erano sottoposti ai carichi ordinari, come ad esempio la manutenzione di ponti e di strade, ma successivamente per certi istituti, soprattutto per le fondazioni monastiche e per quelle dipendenti da ordini cavallereschi, tale limitazione non venne più osservata215. Oltre alla immunità gli ospedali religiosi godevano della inalienabilità dei beni che garantiva il perpetuarsi nel tempo della istituzione e la possibilità di mantenerne inalterate le funzioni, sotto la costante protezione dell’autorità ecclesiastica m. Il diritto canonico, come abbiamo visto, assimilava gli ospedali di dipendenza ecclesiastica, come loca religiosa, alle chiese, assegnando loro uguali privilegi217. Per quanto concerne l’inalienabilità dei beni quindi questi ospedali sottostavano alle medesime regole stabilite per le chiese. Era pertanto possibile vendere beni di proprietà dell’istituto soltanto in caso di comprovata necessità e previa autorizzazione dell’autorità episcopale218. Come le chiese, inoltre, questi ospedali godevano anche del privilegio della restitutio in integrum, potevano cioè ricuperare i beni immobili alienati in via straordinaria219. 214 Imbert, Les hôpitaux cit., p. 293; cfr. al proposito gli ospedali genovesi di S. Giovanni, di S. Lazzaro e di S. Antonio 2b L’ordine giovannita, ad esempio, godeva della esenzione dal pagamento di decime, di gabelle o di pedaggi e non era tenuto a riparare muri, strade e ponti su richiesta delle autorità civili (J. Delaville - Le Roulx, Cartulaire général de l’ordre des Hospitaliers de Saint-Jean de Jérusalem, Parigi 1894. Questa opera contiene la trascri zione di tutte le bolle concernenti i vari privilegi concessi all’ordine). 216 Questa stabilità nel tempo degli ospedali religiosi rientrava nel concetto generale di immutabilità nel quale andavano considerati la Chiesa e i suoi beni, immutabilità chc viene ben sintetizzata dalla nota frase del grande decretalista Sinibaldo Fieschi: Ecclesia numquam moritur. 217 Le glosse dei canonisti sulle disposizioni contenute nella decretale clementina. Quia contingit, sono univoche al riguardo: Hospitalia parificentur ecclesiis et gaudeant privilegiis earum; hospitalia fundata ab episcopo, prout est hoc, gaudeant privilegio ecclesiarum; hospitale constructum sine auctoritate episcopi non dicitur locus pius nec religiosus nec gaudet privilegio piorum locorum (Imbert, Les hôpitaux cit., pp. 74-75). 218 II precettore dell’ospedale di S. Giovanni di Genova, Brasco Saivago per poter alienare beni immobili di proprietà dell’istituto dovette ottenere l’autorizzazione del pontefice (Tacchella cit., p. 72). 219 Imbert, Les hôpitaux cit., p. 78. Si veda anche ad esempio la causa intentata dal- Tra gli altri privilegi degli ospedali vanno ancora ricordati la prescrizione di 40 anni, ben superiore all’usuale, il diritto di asilo e il diritto di campana e di sepoltura 220. La presenza di cappella e di campana in un ospedale indicava che questo era di fondazione religiosa e pertanto godeva del diritto di poter officiare funzioni sacre e del pari poteva usufruire di una propria area cimiteriale. Non poche persone si recavano ad assistere alle funzioni religiose negli ospedali e facevano richiesta nei loro testamenti di essere sepolti in un cimitero ospedaliero, provocando, di conseguenza, conflitti di competenza con le chiese parrocchiali221. Infine va ricordato che gran parte degli ospedali fruiva anche del privilegium fori, cioè del diritto di essere giudicati da un tribunale ecclesiastico, piuttosto che da uno ordinario 222. Gli statuti La necessità di una disciplina e di un’adeguata regolamentazione impose agli ospedali più importanti la compilazione di statuti che garantissero uno svolgimento corretto e ordinato di tutta la loro vita amministrativa e assistenziale. Gli statuti ospedalieri, che si moltiplicarono dal XII al XIV secolo, furono quasi tutti ispirati a quelli giovanniti e alla regola agostiniana, che ne era alla base 223. La Régula beati Augustini 224 era seguita in quasi tutti gli ospedali, fornendo un canovaccio comune al quale si aggiungevano codi- l’ospedale di S. Maria di Castello contro il laniere Giovanni Ronco, per il recupero di alcuni soiaria (v. app. n. 950). 220 Imbert, Les hôpitaux cit., pp. 82-95; A. Bernard, La sépulture en droit canonique, Parigi 1933, p. 10; P. Timbal Duclaux de Martin, Le droit d'asile, Parigi 1939, p. 200. 221 Per quanto riguarda il diritto di campana, cfr. l’inventario dell’ospedale di S. Erasmo; per ciò che concerne le richieste di sepoltura, v. i numerosi testamenti rege-stati in appendice; circa i contrasti sui diritti parrocchiali rimandiamo alla disputa sorta tra i Mortariensi di S. Teodoro e la congregazione di S. Lazzaro. 222 Imbert, Les hôpitaux cit., p. 261 e sgg.; R. Genestal, Le privilegium fori, Parigi 1921. 223 Va tenuto presente che i Giovanniti originariamente avevano adottato la regola benedettina, passando solo successivamente a quella agostiniana (E. Nasalli Rocca, Origine ed evoluzione delle regole dell’ordine gerosolimitano, in I EUR, p. 901). 224 In realtà, come è noto, sant’Agostino non dettò alcuna regola, ma dal contenuto delle sue lettere (specie la CCXI, v. Migne cit., t. XXXIII, c. 360) si ricavò un insieme di precetti. - 52 - cilli e disposizioni particolari che variavano da caso a caso. Gli statuti ospedalieri contenevano prescrizioni e divieti riguardanti la vita in comune di rettori e confratres, nonché le modalità da seguire nella erogazione dell’assistenza, stabilendo al proposito le varie pene da comminare ai trasgressori. Non ci soffermeremo sui contenuti delle varie regole, ma ci limiteremo a segnalare che i più antichi statuti italiani conosciuti sono quelli dell’ospedale del Brolo di Milano dettati nel 1168 dall’arcivescovo Galdino 225. Per quanto riguarda Genova gli unici reperiti sono quelli di S. Lazzaro, mentre quelli della « Consortia dei forestieri » e quelli della « Compagnia dei Caravana » sono in realtà statuti di corporazioni e contengono solo alcuni articoli concernenti l’attività ospedaliera. Gli abusi Dal XIII secolo in poi andarono sempre più accentuandosi, tra il personale degli ospedali, quei fenomeni di malcostume amministrativo e di riprovevole condotta morale, che in tempi precedenti erano solo eventi eccezionali. Il rettore generoso e dedito al sollievo delle altrui sofferenze andava facendosi sempre più raro, sostituito da amministratori poco scrupolosi che sfruttavano i benefici ospedalieri a proprio esclusivo vantaggio. Questa tendenza a considerare la carica di ospitalario come fonte di lucro non fu attributo dei soli ospedali laici, ma si diffuse anche alle fondazioni religiose. Spesso i rettori non risiedevano nemmeno più nei loro ospedali, ma li amministravano attraverso procuratori che agivano in loro vece e con i quali dividevano i proventi 226. I rettori residenti, d’altro canto, avevano visto aumentare sempre più il loro potere in quanto erano spesso, come abbiamo già detto, nominati o confermati direttamente dal papa e ciò li rendeva, in un certo senso, inattaccabili anche dalla stessa autorità episcopale. Condizioni tutte che favorivano l’insorgere di abusi da parte di personaggi privi di scrupoli quali furono, ad esempio a Genova, Gerardo de Fornari e Melchiorre Fatinanti. La simonia tra gli ospitalari, specie nel XIV e XV secolo, era un peccato certo non eccezionale e gli abusi coinvolgevano anche, oltre 225 Nasalli Rocca, II diritto cit., p. 56. Sugli statuti in generale cfr. anche le citate opere di Imbert, di Le Grand e di Lallemand, nonché gli atti dei congressi di storia ospedaliera (I EUR e I NAZ). 226 Cfr. al proposito i capitoli relativi agli ospedali di S. Lazzaro e di S. Maria di Castello. — 53 — al rettore, alcuni confratelli i quali cercavano in tutti i modi di conservate le proprie prebende vitalizie e mantenevano, per l’allentamento della disciplina, rapporti certo non consoni al triplice voto di povertà, castità e obbedienza, che era alla base della loro regola "7. Domos hospitalitatis et pietatis in speluncas latronum et postribolo meretricium et sinagogas iudeorum convertunt, stigmatizzava il vescovo Jacques de Vitry (Historia occidentalis, cap. XIX) 228 forse con eccessivo pessimismo, ma indubbiamente il suo atteggiamento era giustificato da un malcostume abbastanza diffuso e tale da provocare la presa di posizione delle autorità ecclesiastiche. Già i concili di Arles, del 1260 e del 1273, avevano stabilito alcune norme atte a limitare per quanto possibile gli abusi da parte degli ospitalari ~9, ma la regolamentazione più rigorosa in proposito venne dal concilio di Vienne del 1311 e dalla citata decretale clementina, Quia contingit, che conteneva norme più restrittive, avendo rilevato la cattiva amministrazione di molti rettori che dilapidavano i beni dei propri ospedali, impegnandoli per usi diversi da quelli istituzionali 23°. Tuttavia gli abusi continuarono e si verificarono esempi clamorosi, come quello del rettore dei Trinitari di Meaux il quale non solo aveva ridotto le razioni dei ricoverati, ma li inviava a mendicare per la città231 o come quello di Nicolò Poggio, rettore di S. Lazzaro di Genova, che conviveva nell’istituto con la propria amante, dilapidando i beni della comunità dei lebbrosi (v. app. n. 320). Questa situazione provocò un generale scontento per il cattivo funzionamento degli istituti ospedalieri e da ogni parte vennero invocati provvedimenti per porre fine al malcostume dilagante. La crisi era ormai troppo profonda per essere sanata con semplici misure correttive e imponeva un radicale mutamento di rotta. Si giunse così intorno alla metà del XV secolo a quella svolta decisiva nella storia ospedaliera che segnò la fine della hospitalitas medievale, dando l’avvio a nuove forme assistenziali, gestite dai grandi complessi ospedalieri rinascimentali, precursori dell’ospedalità moderna. 227 Imbert, Les hôpitaux cit., pp. 220, 284. 228 Ottazzi cit., p. 516; Le Grand, Statuts cit., p. 4. 229 Si imponeva ai vescovi di esercitare una sorveglianza più scrupolosa affinché venissero seguite le norme relative alla vita in comune, all’abito e alla condotta morale (Mansi, XXIV, c. 148, XXV, cc. 15, 18, XXXVI, cc. 156, 158). 2ìo Ibid., XXV, cc. 367, 462; CJC, lib. VII. 231 Imbert, Les hôpitaux cit., p. 220. - 54 - LA FINE DELL’OSPEDALITA’ MEDIEVALE La nascita nel XV secolo dei nuovi grandi ospedali fu conseguente non solo alla reazione di fronte agli abusi amministrativi, ma trovò !e condizioni ideali per realizzarsi nella progressiva laicizzazione dell’assis Lenza pubblica e nello spostamento degli equilibri sociali, dal regime aristocratico e feudale a quello borghese e, in senso lato, democratico. Questa evoluzione portò inevitabilmente a sottrarre alla Chiesa il controllo degli istituti ospedalieri che per il passato, come abbiamo visto, erano stati pressoché totalmente sottoposti ad essa 232. Il potere civile riprese le sue antiche prerogative, provvedendo direttamente alla nomina degli amministratori, scelti tra i cittadini meritevoli, mentre all’autorità ecclesiastica rimase da quel momento solo il controllo sulla vita spirituale dei nosocomi. Questa importante riforma si attuò per mezzo della fusione dei molti ospedali sorti attraverso i secoli nelle varie città, costituendo organismi unitari che presero il nome di « Ospedali Maggiori » o di « Ospedali Grandi » 233. La fusione patrimoniale rese possibile lo svolgimento dell’attività assistenziale su più larga scala e con maggiore utilità per i cittadini. I grandi ospedali sorsero in tutte le principali città italiane, in genere nella prima metà del XV secolo 234, ma le concentrazioni e le fusioni degli antichi ospizi con le nuove istituzioni vennero attuate solo nella seconda metà del secolo, grazie alla emanazione di bolle pontificie destinate a ogni singola città 233. Per Genova, la bolla di Sisto IV, Pia quaelibet del 28 novembre 1471 236, stabilì le norme secondo le quali dovevano essere incorporati a Pammatone gli ospedali cittadini. Non tutti però furono assorbiti dall’Ospedal Grande in quanto rimasero esenti alcuni istituti retti da ordini religiosi od ospedalieri, come quelli di Capo di Faro, 232 La laicizzazione degli ospedali era iniziata già nel XIII secolo, ma solo nel XV secolo si affermò definitivamente. 233 Le autorità civili emanarono particolari decreti in favore di questi nuovi istituti. Ad esempio a Genova un decreto del governo cittadino del 16 febbraio 1431 faceva obbligo ai notai di chiedere ai testatori se intendessero o meno beneficare l’dspedale di Pammatone (A.S.G., Arch. Segr., Politicorum, mazzo 1, fase. 29). 234 Cfr. Pazzini, L’ospedale cit., p. 253 e sgg.; Nasalli Rocca, Il diritto cit., pp. 79-81. 235 C. Carpaneto da Langasco, L’intervento papale nelle concentrazioni ospitaliere del Rinascimento in Italia, in I NAZ, p. 130. 236 Cfr. riprod. e trascriz. in F. Saverio di San Lorenzo, I Cappuccini genovesi, Genova 1912-1950, IV, p. 140 e sgg. — 55 - di S. Giovanni, di S. Antonio e quelli di fondazione laica, come 1 ospedale dei Sacco, presso S. Benedetto. In alcuni casi l’incorporazione non avvenne di fatto immediatamente, ma fu concessa ancora una certa attività assistenziale indipendente, come ad esempio nell’ospedale del Carmine 237, mentre in altri casi l’attuazione del programma fu ritardata dalla ostinata resistenza degli amministratori di alcuni istituti e, talvolta, si dovette procedere con la forza (auxilio brachii secularis) all’allontanamento di rettori che non volevano rinunciare ai loro privilegi 238. Nella 11 aggioranza dei casi l’accordo venne però raggiunto pacificamente, con la rinuncia da parte dei protectores di Pammatone ad alcuni diritti e con la concessione di taluni privilegi ai patroni e ai rettori degli istituti incorporati 239. Dall’avvento degli ospedali maggiori e dalla riforma dell’assistenza pubblica, che con essa coincise, nacque in Italia la grande tradizione ospedaliera rinascimentale, fondata su principi assistenziali che si mantennero, variamente adattati, fino all’età moderna. Le nuove formule ospedaliere trovarono poi nelle disposizioni del concilio tridentino e nell’opera degli studiosi di diritto del XVI e del XVII secolo il proprio definitivo assetto normativo e giuridico. 237 Per quanto riguarda l’elenco degli ospedali incorporati a Pammatone, cfr. A. Anselmi, Gli ospedali genovesi, Genova 1890, pp. 266-267; G. Casalis, Dizionario geografico storico statistico degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, VII, Torino 1840, p. 585 e sgg. 238 Cfr. il capitolo relativo all’ospedale di S. Stefano. 239 Cfr. il capitolo relativo all’ospedale di S. Gerolamo. - 56 - * 11 GLI OSPEDALI DI GENOVA MEDIEVALE « Lego pro remedio animae meo,e omnibus hospitalibus a Capite Fari usque ad Bisamnem ...» è una frase che ricorre spesso nei testamenti genovesi del XII, XIII e XIV secolo, in occasione di lasciti destinati a tutti gli ospedali cittadini '. I confini che venivano stabiliti per consuetudine erano quindi a ponente il Capo di Faro e a levante il fiume Bisagno ed è perciò che abbiamo limitato la nostra trattazione sugli ospedali medievali di Genova e dei suoi sobborghi a questa area territoriale, contenendola cioè entro confini non scelti arbitrariamente, ma conformi alle indicazioni topografiche degli antichi documenti. Abbiamo pertanto escluso a priori sia i numerosi istituti ospedalieri sorti al di là del monte di Promontorio sia quelli situati oltre il Bisagno, con la sola eccezione di S. Fruttuoso, perché esso, pur trovandosi in realtà sulla riva sinistra del fiume, era ancora compreso, per antica consuetudine, tra gli ospedali cittadini, o meglio suburbani, come attestano in proposito non pochi atti notarili2. Per quanto riguarda invece i limiti cronologici, che ci siamo prefissi nella ricerca, dobbiamo segnalare che essi comprendono un arco di tempo che va dagli inizi del XII secolo alla seconda metà del XV. Anche in questo caso la scelta non è arbitraria, ma corrisponde a motivazioni ben precise. In effetti, pur essendo incontestabile che una certa attività ospedaliera fosse presente a Genova anche in tempi precedenti, non vi sono documenti che ne dimostrino l’esistenza prima del XII secolo. Inoltre abbiamo fatto coincidere la conclusione della nostra trattazione con la emanazione della nota bolla di Sisto IV, Pia quaelibet, del 28 novembre 1471, in quanto essa segnò la fine di quasi tutti i piccoli ospedali della città, disponendone ì’in-corporazione a Pammatone. A quest’ultimo ospedale non abbiamo in verità dedicato alcuna descrizione in quanto esso, pur se fondato intorno al 1420 \ deve essere considerato a tutti gli effetti ospedale rinascimentale, esempio ti- 1 V. app. nn. 2, 3, 5, 8. Sui lasciti cfr. G. L. Barni, Lasciti ad ospedali in testamenti genovesi dei secoli XII e XIII, in I NAZ, pp. 14-22. 2 V. app. nn. 1, 6. 7. 3 Su Pammatone esiste una esauriente monografia di padre Cassiano Carpa-neto da Langasco, Pammatone, cinque secoli di vita ospedaliera, Genova 1953, alla quale rimandiamo. - 59 - pico di quei grandi complessi che nella seconda metà del XV secolo si sostituirono ai più modesti hospitalia di epoca precedente, determinando inesorabilmente la fine dell’ospedalità medievale e aprendo la via a un nuovo modo, più moderno, di risolvere i problemi dell’assistenza. Pammatone rappresenta il simbolo di un mondo che evolve, lasciandosi alle spalle i vecchi schemi per assumerne dei nuovi, certamente più promettenti, anche se non ancora adeguati alle reali esigenze assistenziali del momento. ) Gli ospedali della Genova medievale furono assai numerosi (oltre trenta, tenendo conto di tutti gli istituti sorti nelle varie epoche) e questo loro pullulare potrebbe oggi stupire se non si tenesse ben presente la differente capienza e le diverse funzioni di questi istituti rispetto agli ospedali moderni. D’altra parte, in rapporto alla densità della popolazione, la concentrazione di ospedali a Genova non si discosta di molto da quella presente in altre città italiane nella stessa epoca4. Va ribadito ancora che il numero rilevante di istituti ospedalieri presenti in Genova nel basso medioevo deve essere inteso in senso globale in quanto non tutti furono attivi nello stesso periodo. Accanto a ospedali di antica fondazione se ne trovano altri che iniziarono la loro attività in epoca tarda e a volte quando alcuni dei vecchi istituti già erano scomparsi. La maggiore concentrazione di ospedali attivi si ebbe nel XIV secolo, quando si trovarono a coesistere quelli di più recente origine accanto a molte antiche fondazioni ancora vitali5. In alcuni documenti, che generalmente concernono le consuete riunioni di ospitalari, tenute in occasioni particolari, quali l’elezione di rappresentanti comuni per la riscossione di lasciti destinati ai loro istituti, si trovano elencati i nomi dei principali ospedali presenti in città nei diversi periodi (v. app. nn. 25, 26, 27, 29, 36, 37, 61, 98, 99, 100', 101). Va segnalato che, tuttavia, questi documenti riportano generalmente l’indicazione non della totalità, ma solo della maggior parte degli ospedali, in quanto non tutti compaiono nello stesso elenco, per cui è sempre necessario il confronto di diversi atti coevi per ottenere un indice sufficientemente completo. Tra gli ospedali più antichi, già presenti agli inizi del XII secolo, vanno annoverati quelli dipendenti dagli istituti 4 Cfr. ad esempio Milano (La Cava cit., pp. 54-58), Brescia (Mariella cit.), Verona (F. Bogatta, Storia degli ospedali e degli istituti di beneficenza in Verona, Verona 1862), Piacenza (E. Nasalli Rocca, L’ospedale di Piacenza, Piacenza 1834), Napoli (M. Mastrorilli, Gli ospedali di Napoli dal VI al secolo XX, Napoli 1906). In G. P. Frank, Trattato di polizia medica, Napoli 1779-1819, si trovano notizie riguardanti molti ospedali di città italiane. 5 In questo periodo coesistono più di 20 ospedali. - 60 - monastici di S. Stefano, di S. Benedetto, di S. Benigno, di S. Tommaso, di S. Spirito, l’ospedale di S. Lorenzo in Scurreria, quello del ponte sul Bisagno, quello canonicale di S. Maria di Castello e quello del Santo Sepolcro. A questi si aggiunsero poco dopo l’ospedale dei Crociferi6, quello di S. Giovanni, subentrato all’ospizio del Santo Sepolcro, il lebbrosario di S. Lazzaro. 1 ospedale di S. Antonio e quello comunale dello Scalo. Intorno alla metà del XIII secolo vi fu poi un cospicuo fiorire di fondazioni dovute in gran parte all’impegno di terziari appartenenti agli ordini mendicanti: in questo caso si trattava generalmente di ospizi di piccole dimensioni (le cosiddette cadè o domus dei) diffusi un po’ ovunque nella cerchia urbana e nei sobborghi (cfr. gli ospedali di suor Verdina, della Maddalena, delle Vigne, di S. Francesco e di S. Cristoforo). Tra gli istituti più tardi vanno infine ricordati alcuni ospedali sorti per iniziativa di privati cittadini, in genere appartenenti a famiglie patrizie, come l’ospedale dei Sacco, presso S. Benedetto, e quello di Leona Ghisolfi, al Carmine, entrambi risalenti alla metà del XIV secolo, e come l’ospedale di S. Gerolamo, a S. Donato, voluto da Giacomo Fieschi nel XV secolo, che può essere considerato l’ultima fondazione medievale in Genova. Tra i vari documenti che comprovano la presenza contemporanea di numerosi istituti cittadini vanno ricordate innanzitutto alcune carte del 1302 e del 1303 (v. app. nn. 25, 26, 27, 29) nelle quali sono citati insieme 13 ospedali 7, un atto dell’8 marzo 1311 (v. app. n. 36) dove ne sono elencati 118. un altro del 1322 dove ne figurano 15 & e infine il testamento del calzolaio Giovanni da Cremona, del 1348 (v. app. n. 61) dove sono contenuti legati a favore di ben 18 ospedali10. Dalla composizione degli elenchi contenuti in 6 Questo ospedale si sostituì nella funzione all’ospedale di ponte di Bisagno, il quale ultimo mantenne la propria attività non oltre il XIII sec. 7 Risultano in questi elenchi gli ospedali di Capo di Faro, di S. Lazzaro, di S. Tommaso, di S. Giovanni, di S. Antonio, di S. Cristoforo, della Maddalena, di suor Verdina, di S. Maria di Castello, di S. Lorenzo, di S. Stefano, dei Crociferi e di S. Pellegrino. 8 Figurano qui gli stessi ospedali di cui sopra, tranne quelli di S. Pellegrino e di Capo di Faro. 9 F. Alizeri, Guida artistica per la città di Genova, Genova 1846, pp. 688-689. Sono indicati gli ospedali di S. Lazzaro, di S. Cristoforo, di S. Giovanni, di S. Antonio, di S. M. Maddalena, di suor Verdina, degli Ermini, di S. Croce, di S. Giacomo di Mor-cento, di S. Stefano, della Marina, di S. Lorenzo, dei Crociferi, degli Eremitani e di S. Francesco. 10 Sono qui citati gli ospedali dei Crociferi, di S. Lorenzo, di S. Pellegrino, di S. Stefano, di S. Giacomo di Morcento, di Porta Soprana, di Castello, della Maddalena, di suor — 61 - questi documenti si ricava quindi che nella prima metà del XIV secolo erano attivi almeno venti istituti ospedalieri. Questa cifra viene confermata da un atto del 17 dicembre 1383 (v. app. n. 96), riguardante la riscossione della eredità di Benedetta Alterisio, la quale aveva lasciato la somma di 10 lire e 10 soldi, da ripartirsi tra gli ospedali a Capite Fari usque ad Cruciferos, a ognuno dei quali erano destinati 10 soldi, ciò indica con esattezza che il loro numero era, in quel periodo, di ventuno. Altri istituti ospedalieri figurano, insieme ad alcuni dei precedenti, in carte del 1400 e del 1401 (v. app. nn. 98, 99) come quelli di S. Desiderio, del Carmine e dei SS. Crispino e Cri-spiniano. In un atto del 1411 (v. app. n. 100), relativo alla nomina di rappresentanti comuni da parte di vari ospitalari cittadini, vengono poi riportati i nomi di 16 ospedali, rappresentati da 14 rettori o procuratori11. Questo documento riveste un particolare interesse poiché vi si afferma che i 14 ospitalari presenti (alcuni rappresentano più di un istituto) costituivano i due terzi di quelli allora in carica (Qui sunt due tercie partes hospitalariorum hospitalium civitatis et suburbiorum Ianue) per cui è dimostrato che anche in quell’anno erano contemporaneamente attivi 21 istituti ospedalieri. Per quanto riguarda la distribuzione topografica degli ospedali va in primo luogo effettuata una distinzione tra istituti urbani ed extraurbani, i quali ultimi furono in maggioranza in quasi tutti i periodi. Alcuni, sorti extra moenia, si trovarono in tempi successivi inglobati nelle nuove cinte murarie, come accadde ad esempio a S. Tommaso e a S. Stefano, ma in generale a Genova si verificò sempre una netta prevalenza di ospedali suburbani. Va rilevato che gli ospedali non erano distribuiti topograficamente in maniera omogenea, ma spesso si concentrarono in aree ben determinate. Una prima area può essere individuata nella zona del Castello dove, separati da brevi distanze, operarono gli ospedali di S. Gerolamo, di S. Desiderio, dei SS. Crispino e Crispiniano, di S. Silvestro e di S. Maria di Castello. Una seconda area può essere indicata nella zona circostante l’abbazia di S. Stefano dove si concentrarono gli ospedali di S. Pellegrino, della Misericordia, di S. Giacomo di Morcento, delle Repentite, di S. Stefano, di S. Lorenzo e di S. Spirito. Inoltre va segnalata quell’area compresa tra la Maddalena e ii Verdina, di S. Francesco, dei ciechi, di S. Antonio, di S. Giovanni, dello Scalo, di S. Tommaso, di S. Cristoforo, di S. Lazzaro e di Capo di Faro. 11 Vi figurano gli ospedali di S. Giovanni, di S. Lazzaro, di S. Antonio, di S. Stefano, di S. Benedetto, di S. Francesco, di S. Cristoforo, di Capo di Faro, delle Vigne, di S. Desiderio, di S. Pellegrino, di S. Maria di Castello, di S. Erasmo e della Maddalena. - 62 - Castelletto dove si raggrupparono le cade di S. Francesco, di suor Verdina e della Maddalena, nonché gli ospedali del Carmine e dello Spirito Santo. Infine va rilevato che lungo il litorale di ponente erano presenti, a breve distanza gli uni dagli altri, nel borgo di Prè, gli ospedali di S. Giovanni, di S. Antonio e dello Scalo e a Fassolo quelli di S. Tommaso, di S. Cristoforo e di S. Benedetto. Il raggruppamento di istituti ospedalieri in aree ben determinate può essere significativo di maggiori necessità assistenziali esistenti in quelle zone e ciò per lo più in rapporto a una più accentuata densità di popolazione e a particolari situazioni contingenti, quali ad esempio un costante ed elevato flusso di pellegrini e di viaggiatori, come si verificò appunto a Fassolo nel XIV secolo. Tratteremo ora, seguendo l’ordine topografico, dei 29 12 ospedali sui quali è stato possibile raccogliere notizie significative, facendo presente che in Genova medievale furono attivi, oltre questi, anche altri istituti ospedalieri, sui quali purtroppo nulla si conosce al di fuori del nome. Ricorderemo a questo proposito 1 'hospitale lacrimarum, che è citato, in un elenco di istituti incorporati a Pammatone nel 1472, da una trascrizione ottocentesca conservata nell’archivio di Pammatone 13, e l’ospedale di S. Silvestro, di cui abbiamo già parlato a proposito delle fondazioni vescovili, citato soltanto in un testamento del 10 agosto 1285 (v. app. n. 103). Anche su due ospedali ricordati dal Ferretto e cioè quello di suor Verdina presso S. Croce di Sar-zano e quello fondato dal calzolaio Mainaldo, presso Castelletto, mancano notizie 14. Ricordiamo inoltre che in una carta del 29 agosto 1233 (v. app. n. 102) compare un lascito in favore dell 'hospitale de duobus fratribus, il quale probabilmente può essere identificato in una delle cade, come quella di suor Verdina, di S. Francesco o della Maddalena, che spesso venivano ricordate, anziché con il loro titolo dedicatorio, col nome di chi le gestiva in quel periodo (frate Bertolino, frate Ratto, ecc.), per cui è possibile che uno di questi ospedali fosse stato retto per un certo tempo proprio da due frati, come si verificò ad esempio in S. Lorenzo, sul finire del XIII secolo. Un altro 12 In realtà sono 31 gli istituti ospedalieri trattati in quanto, come vedremo, al nome di S. Lorenzo corrispondono due ospedali e altrettanti a quello di S. Benedetto. 13 Anselmi cit., p. 267. 14 A. Ferretto, Ospedali e pellegrinaggi del medio evo, in « Il Cittadino », Genova 20 genn. 1928; cfr. su questi due ospedali i capitoli relativi a quelli di S. Francesco e di suor Verdina. - 63 - istituto non riconoscibile con certezza è l’ospedale di S. Croce del Faro, che troviamo citato in un testamento del 15 maggio 1258 (v. app. n. 108) e che probabilmente può essere identificato con quello di Capo di Faro, anche se questo titulus dedicationis non viene ricordato da altri documenti. Infine dobbiamo ancora segnalare la presenza di un hospitale Erminiorum, che si trova nominato in un documento ricordato dall’Alizeri15 e che probabilmente era gestito dai monaci Basiliani armeni, insediatisi a Genova agli inizi del XIV secolo. 1. L’ospedale di Capo di Faro Alla comunità benedettina che si stabilì in un proprio monastero, sul colle di Capo di Faro, nella prima metà del XII secolo ', è legata la fondazione di una Domus Misericordiae destinata all’assistenza dei viandanti e dei pellegrini. I monaci dipendevano dall’abbazia di Fruttuaria e al loro insediamento, fedeli alle proprie tradizioni, associarono al titolo originario della chiesa già esistente (S. Paolo) quello della loro casa madre, ossia S. Benigno2. Questo nome non dispiacque ai genovesi, i quali, forse per un senso di buon auspicio, finirono col preferirlo al più antico. Non sappiamo quando l’ospedale sia stato fondato, ma è verosimile supporre che esso avesse iniziato la propria attività assistenziale non molto tempo dopo l’arrivo dei Fruttuariensi, in considerazione del fatto che l’ospe-dalità rappresentava uno dei principali impegni caritativi delle comunità monastiche di ispirazione benedettina. L’ospedale non era compreso nel monastero, ma sorgeva a una certa distanza da esso, come comprova un atto di locazione, del 19 ottobre 1225 3, nel quale l’abate Oberto e i monaci con- 15 Alizeri, Guida cit., p. 688 e sgg. 1 G. Salvi, La badia di S. Benigno di Capo di Faro a Genova, in « Riv. Stor. Benedettina », 1914, IX, p. 118; S. Schiaffino,Annali ecclesiastici in Liguria, ms. del sec, XVIII, in BiB, II, c. 143; L. M„ p. 116, n. 19. 2 Arcbiepiscopus Syrus dedit monasterio sancti Benigni de Fructuaria ecclesiam sancti Benigni de Capite Faris, quae olim ecclesia sancti Pauli dicebatur (Iacobo de Varagine, Chronica de civitate ianuensi, in RIS, IX, c. 37). 3 Salvi cit., p. 236; v. app. n. 107. - 64 - cedevano, a un tal maestro Strurigaso, una cava di pietra, situata extra cultum a dicto monasterio ad mare et ab ospitale usque ad mare. Secondo quanto ci hanno tramandato gli annalisti genovesi4, l’ospedale si trovava a monte e a ponente della torre del faro, al di là della via pubblica, mentre, secondo il Salvi , esso era posto addirittura al di sopra del monastero, il che sembra per lo meno improbabile, in quanto negli Annali dello Stella6 si parla di una galleria scavata dai ghibellini tra l’ospedale e il faro, attraverso la strada che separava le due costruzioni. Evidentemente, qualora l’ospizio si fosse trovato a monte del monastero, tale galleria avrebbe avuto una lunghezza davvero fuori del comune. L’ubicazione sulla via pubblica, dove questa scavalcava il colle di Promontorio, costituiva per l’ospedale un fondamentale requisito in favore della sua funzione di ostello per viaggiatori, inoltre esso era situato in una posizione ambientale assai attraente. Chi lo raggiungeva, percorrendo da ponente la via romana, si trovava d’improvviso in vista della città e un panorama incantevole del golfo gli si apriva innanzi, panorama che il Giustiniani reputava essere, ai suoi tempi, uno dei tre più belli del mondo7. L’impulso a sostare era perciò quasi inevitabile, anche per chi avrebbe ancora avuto il tempo di raggiungere le porte della città, prima della chiusura serale. Per la sua collocazione topografica e per la sua destinazione, rivolta prevalentemente ad uso dei viandanti e dei pellegrini, quello del Capo di Faro può essere assimilato, in un certo senso, agli opedali di passo, che nel medioevo fiorirono su quasi tutti i valichi alpini e appenninici, formando una catena di indispensabili stazioni di tappa8. 4 Georgii et Iohannis Stellae, Annales Genuenses, in RIS, t. XVII parte II p. 85. 5 Salvi cit., p. 236. 6 Stella cit. 7 A. Giustiniani, Castigatissimi annali..., Genova 1537, lib. I, c. X v. 8 G. Schreiber, Miltelalterliche Alpenpàsse und ihre Hospitalkultur, in Mise. Giovanni G al b iati, Milano 1951, III, pp. 335-352. Questi istituti avevano caratteristiche più di ospizio e di rifugio che di vero ospedale, data la loro destinazione peculiare ad uso dei viaggiatori e la loro dislocazione in punti strategici, dove il transito presentava maggiori difficolta. Già in epoca altomedievale su alcuni passi alpini erano presenti questi particolari ospedali, come ad esempio quello del Brennero ricordato dalla cronaca di Thang-mars, biografo del vescovo di Hildesheim, a proposito del viaggio che quest’ultimo compì a Roma nel 1001. Gli ospedali di passo erano in genere fondazioni monastiche o fondazioni regie, affidate successivamente a ordini monastici, come l’ospedale carolingio del - 65 - 5 II titulus dedicationis dell’istituto era Sancta Maria de Misericordia9, ma esso venne in genere ricordato col nome di « ospedale del Faro » o « di Capo di Faro » 10, tuttavia, molto pochi sono i documenti che facciano esplicito riferimento a esso. Infatti, nella grande massa di atti testamentari consultati, rari sono quelli indirizzati direttamente all’ospedale del Faro, mentre abbiamo reperito, per la maggior parte, lasciti che riguardano globalmente tutti gli ospedali compresi tra Capo di Faro e il Bisagno, ovviamente incluso quindi anche quello presso il monastero di S. Benigno, oppure lasciti indirizzati agli infermi del Faro o di Capo di Faro. Questa ultima denominazione ci aveva indotto, in un primo tempo, ad attribuire tali legati all’ospedale monastico, però ci siamo resi conto, successivamente, che essi andavano ascritti a quello di S. Lazzaro, il quale, negli atti ufficiali più antichi, veniva indicato solo eccezionalmente col proprio titolo dedicatorio e quasi sempre era invece denominato domus infirmorum de Capite Fari, in quanto i lebbrosi ivi ricoverati erano generalmente detti infirmi de Faro o infirmi de Capite Fari, come avremo modo di vedere, trattando del loro istituto. D altronde, l’ospedale del Faro dedicò solo occasionalmente la propria attività assistenziale a favore dei malati, in quanto istituzionalmente destinato, come già detto, al ricovero dei pellegrini e al!assistenza dei poveri, tanto è vero che negli Annali dello Stella (cit. anno 1318), esso viene indicato col termine di hospitale pauperum ed anche in epoca tarda (v. app. nn. 115, 116) non mancano documenti, che attestano ancora questa sua attività in favore dei poveri viandanti. Abbiamo pertanto ritenuto logico attribuire tutti i documenti, nei quali era contenuta la locuzione pro infirmis de Faro o de Capite Fari, all’istituto di S. Lazzaro e assegnare all ospizio monastico solo quelli passo di Septimer, ricostruito agli inizi del XII secolo dal vescovo Wido di Coira, come quello del Moncenisio o come quello del Gran San Bernardo, fondato da Bernardo da Mentone sul finire dell’XI secolo e tenuto poi dalla congregazione da lui stesso creata (cfr. anche G. Sergi, Domus Montis Cerimi, lo sviluppo di un ente ospedaliero in una competizione di poteri, in «Boll. Stor. Bibl. Subalpino», 1972, LXX, p. 435). 9 Questo titolo, d’altra parte, è documentato solo in epoca più tarda (A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 7, c. 231 r., relativo all’anno 1346) per cui non è certo che esso corrisponda a quello originario di fondazione. 10 In un documento del 15 maggio 1258 (v. app. n. 108) viene indicato l’ospedale di S. Croce del Faro, ma non è dato di conoscere se questo corrisponda a un’altra denominazione dell’ospedale o addirittura ad altra istituzione esistente nella stessa zona. - 66 - esplicitamente indirizzati « all’ospedale » del Faro o del Capo di Faro 11. L istituto ospedaliero sorto presso il monastero di S. Benigno, per le sue dimensioni limitate e per la sua funzione di ostello, rientrava tra le numerose cade o domus misericordiae che in Genova e nei suburbi ebbero il merito, per un lungo lasso di tempo, di gestire, in maniera complementare agli istituti maggiori, le varie forme di assistenza necessarie alle esigenze della popolazione. Abbiamo definito cadè l’ospedale del Faro, soltanto in relazione alle sue caratteristiche strutturali e al tipo di attività che vi si svolgeva, non certo riferendoci alla sua fondazione, poiché da questo punto di vista esso fu, senza dubbio, un vero ospedale monastico e come tale va considerato, almeno per quanto riguarda la fase iniziale della sua vita, dato che in epoca tarda passò, come vedremo, ad amministratori laici. Per gran parte della sua esistenza l’ospedale mantenne stretti legami con l’abbazia di S. Benigno e ne condivise le sorti, tanto nel periodo di floridezza quanto in quello di decadenza. Infatti, dopo l’iniziale fase di splendore, durante la quale il monastero aveva acquisito una consistente fortuna patrimoniale, soprattutto fondiaria (comprendente varie possessioni in Genova, in Cornigliano, in Ri-varolo, in Fegino, in Borzoli e persino in Corsica l2), alla fine del XIII secolo si manifestò una fase di declino, come testimonia la progressiva diminuzione del numero dei monaci, i quali nei primi anni del XIV secolo erano ridotti a tre sole unità, abate compreso 13. L’ospedale, che nel 1302 era retto da frate Guglielmo, ricordato in un documento del 12 dicembre di quell’anno (v. app. n. 109) insieme ad altri ospitalari genovesi, pochi anni più tardi rischiò di terminare anzitempo la propria esistenza, a causa del momento di crisi attraversato dall’abbazia. Fu la provvida iniziativa di tre pie donne, Salvagina e Branda de Mari ed Elena Spinola, a impedire, nel 1309, la soppressione dell’istituto. In un documento del 17 marzo 1311 si trovano gli estremi del contratto stipulato precedentemente tra i monaci di S. Benigno e le suddette benefattrici: le parti contraenti pervenerunt et pervenisse confessi sunt ad integram solucionem ra- 11 A conforto di questa nostra interpretazione, ricordiamo che nel testamento di Simona Doria, del 26 gennaio 1212 (v. app. nn. 106, 145), compaiono insieme un lascito di 40 soldi destinato agli « infermi del Faro » e un altro di 5 soldi per « l’ospedale di Capo di Faro ». 12 Salvi cit., p. 226 e sgg. 13 Ibid., p. 340. — 67 - tionem et satisfationem seu omnimodam remissionem de omni eo et toto quod dicte partes inter sese facere habuissent occasione cuiusdam locationis et conductionis facte per dictum abbatem et monacos nunc in dicto monasterio residentes de quadam domo misericordiae dicti monasterii et conventus posita in capite faris eidem Brande stipulanti et recipienti nomine suo et nomine et vice predictarwn Salvagine et Ellene ut de ipsa locatione et conductione constat publico instrumento scripto manu mei Ansaldi de Campis notarii MCCCVIIII die Vili aprilis14. I monaci tennero dunque l’ospedale fino al 1309, dopodiché fatte le consegne, si sentirono finalmente sollevati dal gravoso compito. Con la nuova amministrazione la casa della misercordia tornò a rifiorire come nei tempi passati. I ricoverati ricevevano ora cure e vitto adeguati e fruivano persino della assistenza spirituale di un prete secolare che veniva a officiare nella cappellata presente all’interno dell’ospedale 15. A questo punto le sorti del convento sembrano disgiungersi da quelle della pia istituzione, ma in effetti, per varie ragioni, rimasero sempre tra loro alcuni legami. Elena Spinola, nello stesso anno in cui entrò a far parte della direzione dell’ospedale (1309), stipulò con i monaci un contratto a lunga scadenza, prendendo da essi in locazione una casa con terreno in Cornigliano, per 1 annuo canone di 13 lire16. Salvagina scelse la sua tomba nell’interno della chiesa di S. Benigno e del suo sarcofago, andato disperso con la soppressione del convento nel 1798, rimane lo schizzo eseguito dal Piaggio I7, con l’iscrizione IOHANNES ET SALVAGINA / DE MARI IUGALES ET HEREDUM SUORUMQUE / SALVAGIA OBIIT MCCCXXI DIE XIV MARTII. In seguito alla morte delle de Mari e della Spinola 1 ospedale passò sotto il giuspatronato della famiglia Gentile, che ne affidò 1 amministrazione a un rettore ecclesiastico il quale era tenuto a celebrarvi quotidianamente una messa, ad assistere i ricoverati e a provvedere alla raccolta delle elemosine, le quali fruttavano all’ospedale un reddito annuo di 12 fiorini . Il giuspatronato dei Gentile sull’ospedale del Faro si protrasse per oltre un secolo, ma le notizie riguardanti questo periodo non sono numerose in » Ibid., p. 344. Ibid, p. 345. is Ibid. 17 D. Piaggio, Epitapbia, sepulcra et inscriptiones cum stemmatibus marmorea et lapidea ... ms. sec. XIX, in BiB, VI, p. 252. 18 Schiaffino cit., II, p. 144; Poch, III, p. 65. - 68 - quanto le fonti d’archivio sono costituite pressoché esclusivamente dai cartolari delle Compere, ove figura per un certo periodo il deposito di 200 lire, che troviamo poi aumentato alla ragguardevole cifra di 1.087 lire nel 1428 l9. I proventi di questi « luoghi » venivano riscossi alternativamente dagli ospitalari e dagli stessi patroni. Sulla base dei cartolari delle Compere e di alcuni atti notarili, ci è possibile tracciare la successione cronologica, purtroppo incompleta, dei rettori che si avvicendarono nell’amministrazione dell’ospedale di S. Maria di Capo di Faro. 1302 - Frate Guglielmo. E’ l’ultimo rettore che diresse l’ospedale di Capo di Faro sotto il patronato del monastero di S. Benigno (v. app. n. 109). 1346 - Guglielmo. E’ qualificato ospitalario nel Cart. B delle Compere, in data 2 settembre 1346 20. E’ probabile, dato il lungo lasso di tempo che non si tratti del frate Guglielmo in carica nel 1302, ma piuttosto di un suo omonimo. 1354 - Giacomina. E’ qualificata hospitareria, nel Cart. B delle Compere, in data 26 febbraio 135421. 1355 - Frate Iacopo. Si trova indicato come ospitalario dell’ospedale di Capo di Faro nel testamento di Antonio da Cremona dell’11 febbraio 1355 (v. app. n. 113 a) e risulta ancora in carica il 5 aprile 1359 22. Fin dal 1353 egli aveva svolto per l’istituto funzioni di procuratore 23, funzioni che successivamente passarono a Giovanni Quarterio, citato in carte del 1358 e de 1361 24. 1361 - Franceschina. Essa è qualificata ospitalaria in alcune carte del Cartolare B delle Compere, nel periodo compreso tra il 2 dicembre 1361 e il 27 febbraio 1371 25. Essa è anche indicata, in questi documenti, come moglie di un tal Franceschino, ospitalario, il quale 19 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 520, c. 281 v. 20 Ibid., ng. 7, cart. B, c. 231 r. 21 Ibid., ng. 10, c. 247 r. 22 Ibid., ng. 11, c. 176 v.; ng. 372, c. 180 .v. 23 Ibid., ng. 10, c. 247 r. 24 Ibid., ng. 11, c. 176 v.\ ng. 372, c. 180 v. 25 Ibid., ng. 372, c. 180 f.; ng. 382, c. 159 v.\ ng. 384, c. 80 r. — 69 — forse potrebbe essere stato anch’egli alla guida dell’ospedale del Faro. 1381 - La riscossione dei proventi viene effettuata da membri della famiglia Gentile: in data 29 maggio 1381 da Carolina, e il 3 aprile dell’anno successivo da Violante 26, il che fa sorgere il sospetto che in tale periodo la carica di rettore fosse vacante e che l’amministrazione venisse, temporaneamente, tenuta dagli stessi patroni. 1382 - Antonia. Nel medesimo cartolare, in cui abbiamo visto figurare i nomi dei patroni dell’ospedale, alla data del 27 novembre 1382 e a quella del 27 febbraio dell’anno successivo, si trova indicato il nome di Antonia hospitareria27. 1391 - Nicola de Predono. Figura con la qualifica di ospitalario, alla data del 31 maggio 1391, e risulta ancora in carica il 10 maggio dell’anno seguente28. 1397 - Pietro Lombardo da Bobbio. E’ ricordato quale rettore dell’ospedale da ima carta del 25 agosto 1397 (v. app. n. 114) e lo si trova ancora indicato in tale veste in documenti del 1400 29, del 1406, del 1408 e del 1411*. 1422 - Nel Cart. B delle Compere figura il nome di Gerardo Gentile, patrono dell’ospedale, a proposito della riscossione dei proventi relativi agli anni 1422, 1426 (anno nel quale era procuratore Bertone da Lavagna) e 1428 31. 1435 - Antonio da Ruta. Figura in carica nell’anno 1435 32 e risulta ancora alla direzione dell’istituto negli anni 1444, 1446, 1447, 1454 e 1456 33. 1470 - Lanfranco da Savignone. Questo rettore si trova indicato nell’atto 26 Ibid., ng. 30, c. 188 r. 27 Ibid. 28 Ibid., ng. 40, c. 189 r.; ng. 417, c. 161 r.\ ng. 472 r., c. 180 r. 29 Ibid., ng. 446, c. 165 r.-, ng. 477, c. 167 r. (v. app. n. 115). 30 Ibid., ng. 508, c. 252v.\ (v. app. n. 116). 31 Ibid., ng. 516, c. 276 v.- ng. 520, c. 281 y. 32 Ibid., ng. 543, c. 224 r. j3 Ibid., ng. 541, c. 136 r. (vi si trova citato anche Cristoforo da Passano, come procuratore dell’istituto); ng. 531, c. 309 v.; ng. 544, cart. PS, c. 176 r.; ng. 120, c. 410 r. In questa carta Antonio è qualificate oltre che come ospitalario anche come calzolaio; S. Giorgio, Descrip. Locorum, ng. 7786, inserto. - 70 - di cessione dell’ospedale al monastero di S. Benigno, da parte della famiglia Gentile34. I monaci di S. Benigno, che nel 1460 erano entrati a far parte della congregazione benedettina di S. Giustina di Padova, unitamente a quelli di S. Giuliano di Albaro e di S. Gerolamo della Cervara33, nel 1470 tornarono in pieno possesso dell’ospedale, in occasione della morte del suo ultimo rettore, Lanfranco da Savignone36. Antonio e Bartolomeo Gentile cedettero, infatti, l’ospizio, stabilendo come condizione che esso sarebbe tornato di loro proprietà qualora in S. Benigno non fosse stata mantenuta l’osservanza della regola benedettina. I luoghi delle Compere di S. Giorgio 37, la casa, il bosco e tutte le altre proprietà, passavano al monastero in cambio dell’obbligo di officiare giornalmente nella cappella dell’ospedale e di provvedere all’acquisto della cera, dell’olio per le lampade e di quant’altro sarebbe occorso per l’efficienza della cappella stessa. I monaci erano tenuti inoltre a mantenere due custodi onesti che ricevessero alla sera i poveri e li licenziassero al mattino e che conservassero puliti i letti e ordinata la domus. I Benedettini di S. Benigno dovevano poi assicurare ai ricoveraci una refezione di pane e vino e dovevano mantenere accesa una lampada, per uso dei pellegrini, fino alle tre della notte38. La presa di possesso dell’ospedale avvenne il 22 febbraio 1470, e nell’occasione si provvide a inventariarne i beni che erano, in verità, assai miseri (tre straponte da letto, tre copertovi, tre paia di lenzuoli, tre cavezali lon-ghi, sei cosanelli, tre lettere seu sondrii). Si pensò in seguito a lavori di restauro, apportando modifiche e migliorie, come risulta da una nota di spese preventivate a tale proposito39. L’ultima donazione che i monaci ebbero da Lorenzo Gentile nel 1493, ossia la cessione completa dell’ospedale, approvata da papa Alessandro VI, 34 Salvi cit., X, p. 221. 35 A.S.G., ms. 846, c. 256 r. e sgg. 36 Salvi cit., X, p. 221. 37 Nel 1435 nel cart. PNB delle Compere era iscritto un deposito di lire 1.087, soldi Ile denari 7 (ng. 531, c. 309 r). 38 Salvi cit., X, p. 222. 39 Pro corbis quatuor de calzina cum sua arena, prò cannellis quinque de muro novo fiendo, prò cammino novo, pro necessaris certis cosis reparandis, pro asseribus lectorum. A questa nota se ne aggiunge un’altra di spese sostenute: imam letteram prò custode hospitalis, item alteram capsellam pro paramentis et tobaleis altaris (ibid., p. 222). - 71 - procurò loro una serie di controversie con l’ospedale maggiore di Pammatone. Infatti, gli amministratori di questo istituto, richiamandosi alla bolla di Sisto IV che decretava l’incorporazione ad esso di tutti gli ospedali minori di Genova, pretesero di acquisire i beni dell’ospedale del Faro. Dato però che il priore di S. Benigno faceva parte dei dodici protectores di Pammatone, fu possibile addivenire a un compromesso che portò alla cessione di una parte soltanto dei proventi di S. Maria di Capo di Faro40. L’ospedale mantenne quindi la sua piena indipendenza da Pammatone, al quale venne invece incorporato quello del ponte di Cornigliano, anch’esso di proprietà del monastero di S. Benigno, che venne ceduto in cambio di un terratico annuo di 20 scudi 41. 2. L’ospedale di San Lazzaro La fondazione della chiesa e del lebbrosario di San Lazzaro deve essere attribuita, oltre che all’opera illuminata dei Consoli della Repubblica e dell'arcivescovo Siro II, alla sensibilità e alla munificenza di un privato cittadino. Un documento del 1150 rivela che un certo Bonmartino chiese in quell’anno licenza di erigere un ospedale per il ricovero dei poveri lebbrosi e i consoli di Genova, Lanfranco Pevere, Ansaldo Mallone, Guglielmo Lusio e Rodoano, gli concessero a questo scopo la porzione di terreno, di proprietà del Comune, presso il promontorio del Faro, a ponte Dicolio 1 in jusum versus mare a ripa fossati usque ad aliam et usque ad lapidem illum in quo crucem designaverunt (v. app. n. 117). Il Comune si riservava soltanto la proprietà dello scalo quod in ripa remansit, e poneva come condizione vincolante la costruzione di una chiesa, da dedicare a S. Lazzaro, e di due strade che scendessero al mare da ambo i lati del torrente Clericolio. Solo dopo l’edifica- 40 Anselmi cit., p 270. 41 Salvi cit., X, p. 218. 1 Sul ponte di Dicolio o Clericolo è da precisare che F. Podestà (Il porto di Genova, Genova 1912, p. 71) lo indica anche col nome di pons Clericorum, facendolo deri vare dalla famiglia Clerico, mentre A. Aromando (Le più antiche pergamene della Biblioteca Berio di Genova, Genova 1975, p. 39) legge pontem Olicolum, in un atto del 1289 (v. app. n. 242). -72 - zione della chiesa, sarebbe stato concesso il permesso di annettervi quegli edifici che potevano essere utili per le necessità dell’istituzione. Veniva in questa occasione concesso a Bonmartino di fondare una congregazione dedicata all assistenza dei lebbrosi, della quale potevano far parte non più di cinquanta unità, tra sani e infermi, subordinata ordinatione domini archi-episcopi si ei visum fuerit. L’atto consolare attribuì infine a Bonmartino la qualifica di amministratore a vita (dum vixerit et potuerit habeat procurationem et dominium procurationis predictorum pauperum et ecclesie), assicurando poi, a lui e alla moglie, vitto e vestiario a spese della congregazione, nel caso di una sua permanente o temporanea inabilità. La fondazione del- 1 ospedale viene fatta risalire al 1153 da un documento del 15 marzo 1442 (v. app. n. 316), nel quale i lebbrosi di S. Lazzaro rivolgevano una petizione al Doge e al Consiglio degli Anziani: vi si legge, infatti, domus ipsius mansionis que videtur fondata usque M° CLIIl. In effetti, al 16 marzo 1153 risale un atto rogato dal notaio Giovanni2, che segna la fine della lunga vertenza tra i Mortariensi di S. Teodoro e i patroni di S. La2zaro, a proposito dei diritti parrocchiali, vertenza sulla quale avremo l’opportunità di tornare in seguito. E’ quindi evidente che, subito dopo il superamento della opposizione da parte dei Mortariensi alla costruzione di una chiesa sul territorio della loro parrocchia, si potè dare inizio ai lavori della nuova fondazione. La chiesa e la domus mansionis avevano una destinazione ben precisa: erano dedicate, infatti, ad honorem Dei et beati Lazari et pauperum infirmorum Capitis Fari, come si apprende dall’atto costitutivo del 1150, dianzi citato. Questa destinazione ai poveri infermi del Capo di Faro è ancora confermata in atti successivi3, dove è stabilito che la nuova costruzione sarebbe sorta utilitate infirmorum Capitis Fari. Il significato del termine infirmi corrisponde non tanto a quello di malati in genere, ma assume, in questo caso, un valore più restrittivo e preciso, ossia quello di leprosi, come giustamente sostiene il Portigliotti \ il quale, a riprova di ciò, riporta una frase abba- 2 II documento è trascritto integralmente nel ms. del Perasso (v. app. n. 118) e ad esso fanno anche esplicito riferimento due carte del 1289 e del 1290 relative alla vertenza tra la chiesa di S. Lazzaro e quella di S. Teodoro (v. app. nn. 242, 243), nelle quali si legge: visa quadam provisione occasione diete ecclesie Sancti Lazari construende inter dictum dominum archiepiscopum ianuensem et prepositum mortariensem scripta in publico instrumento scripto manu Iohannis notari M°C°LIII kalendis aprilis II. 3 A.S.G., ms. 845, c. 333. 4 G. Porticliotti, L’ospedale dei lebbrosi, in « Il Comune di Genova », n. 9, 1923, p. 1032. - 73 - stanza dimostrativa da un documento del 1146 (de kifrmis qui et leprosi, vulgo autem Lazarii nominantur). E’ questo un esempio paradigmatico sull’impiego di molti termini sinonimi usati in quell’epoca per definire i lebbrosi e quanto ad essi si riferiva. Infatti, nel medioevo, il termine leprosus era spesso sostituito da misellus, pauper, infirmus, lazarus, e il lebbrosario veniva detto domus leprosario, domus miselleriae e, successivamente, domus infirmorum 5. Il termine infirmi era, in effetti, il sinonimo più in uso nel Genovesato, per quanto ci è dato di apprendere dai documenti d archivio, nei quali, quasi costantemente, i lebbrosi di S. Lazzaro sono indicati come infirmi Sancti Lazari, infirmi de Faro, infirmi de Capite Fari, e solo eccezionalmente si può trovarli denominati leprosi6. Ricordiamo, a questo proposito, un atto testamentario, rogato da Giovanni Vegio il 9 settembre 1236, nel quale si trova un legato leprosis sive infirmis de Clavaro, che ci sembra dimostri chiaramente l’identico significato dei due termini (v. app. n. 199). Vi è poi un altro testamento, del 28 dicembre 1237, nel quale i comuni malati vengono indicati come e grò ti, per distinguerli dai lebbrosi di S. Lazzaro '. D’altra parte, l’uso popolare di chiamare i colpiti dalla lebbra col termine di malati si mantenne inalterato per secoli, e ancora nell’Ottocento i lebbrosi venivano indicati, a Genova, soltanto come « marotti »8. Ritor- 5 C. Sprengel, Storia prammatica della medicina, Firenze 1839, II, sez. 3a. In Francia i lebbrosari erano dedicati, oltre che a S. Lazzaro, alle SS. Marta e Maddalena, e più spesso a quest’ultima tanto che il termine « Magdalene » fu sinonimo di lebbrosario come pure i termini « maladière, maladrerie, léproserie, ladrerie » (cfr. L. A. Lo-bourt, Récherches sur l’origine des ladreries, maladreries et léproseries, Parigi 1854). A proposito del santo, va ricordato che in epoca altomedievale si determinò una certa coniu-sione tra Lazzaro lebbroso, che compare nella parabola del ricco epulone e il Lazzaro resuscitato, che la tradizione popolare vuole sbarcato in Provenza nel I secolo con le sorelle Marta e Maria Maddalena (Lessico ecclesiastico, Milano 1904, p. 62) e che divenne il protettore dei lebbrosi. 6 II termine « infirmi » aveva, naturalmente, un significato più estensivo, quando ci si riferiva agli altri ospedali. 7 V. app. n. 200 ... hospitale Sanci Iohannis pro lectis egrotorum ipsi hospitalis et hospitale sancti Lazari infimorum de Faro ... 8 Casalis, Dizionario cit., VII, p. 451. Tale abitudine può avere una sua giustifi- cazione psicologica, se si considera il terrore che la malattia provocava e il desiderio di adombrarne il nome, come analogamente nel secolo scorso veniva indicata la tisi col sinonimo eufemistico di « mal sottile » e oggi, per gli stessi motivi si preferisce non nominare il cancro, ricorrendo a locuzioni assai vaghe come « brutto male » ecc. - 74 - nando a quei documenti relativi alla fondazione di S. Lazzaro ove risultava chiaramente espressa la destinazione del futuro istituto, in favore degli « infermi del Capo di Faro », appare logico supporre, sulla base di quanto abbiamo detto, che esistesse già nella zona una comunità di lebbrosi. Anzi, è verosimile che ivi si raccogliessero tutti i « miselli » della città. Era infatti consuetudine che questi reietti, scacciati dalla società, tendessero a raggrupparsi in comunità, per l’innato istinto sociale e per ovvie motivazioni utilitaristiche, vivendo in rudimentali ripari, a breve distanza dai centri abitati, onde poter trarre i mezzi di sostentamento per la loro misera esistenza, grazie a iniziative individuali di carità dei passanti. Per questo motivo le comunità dei lebbrosi si insediavano abitualmente in vicinanza di strade di grande traffico 9. Questa situazione rimase immutata per tutto l’alto medioevo, finché una più valida organizzazione delle opere di carità permise la realizzazione di lebbrosari, ponendo fine a questa secolare negligenza della società. Dobbiamo al proposito sottolineare che l’istituto di S. Lazzaro di Genova fu verosimilmente uno dei primi di tale genere sorti in Italia, poiché assai rare sono le fondazioni che possono vantare un’origine così antica ,0. L’iniziativa di Bonmartino testimonia quindi un nuovo e più moderno modo di intendere la carità, non solo da parte del fondatore, ma anche da parte delle autorità civili ed ecclesiastiche. Tuttavia la realizzazione di questo progetto subì un certo ritardo, come abbiamo prima ricordato, a motivo della clausola che imponeva la costruzione della chiesa cui annettere l’ospedale. L’ostacolo venne dall’opposizione promossa dai canonici regolari della congregazione di Mortara, che amministravano la vicina parrocchia di S. Teodoro, entro i cui confini sarebbe dovuto sorgere l’istituto di S. Lazzaro. I Mortariensi temevano che la nuova chiesa avrebbe potuto distogliere alla loro una parte dei proventi derivanti dai diritti parrocchiali (matrimoni, battesimi, funerali, ecc.). Per questo motivo il priore di S. Teodoro, prete Bonifacio, rese edotto del fatto Oberto, preposto gene- 9 R. H. Major, Storia della medicina, Firenze 1959, I, p. 311. 10 S. De Renzi cit., II, sez. II, cap. IV, p. 196 e sgg. Va rilevato però che, secondo G. Castelli, Gli ospedali d’Italia, Milano 1942, p. 31, la fondazione del lebbrosario di Milano risalirebbe al 1138. In Francia si ebbero fondazioni di lebbrosari in epoca assai antica: vedi ad esempio quello fondato intorno alla metà del VI sec. presso il monasterium Gurtkonensim, ricordato da Gregorio di Tours (M.G.H., SS. rerum merovingicarum, t. I, parte II, Gregorii episcopi turonensis, Liber in gloria confessorum, p. 352 .e sgg.). - 75 - raie della congregazione il quale, offeso per non essere stato avvertito prima dell’inizio dei lavori, si appellò a papa Eugenio III, che a sua volta delegò l’arcidiacono della cattedrale e il preposto di S. Maria delle Vigne, entrambi accetti alle due parti in causa, per una pacifica composizione della controversia u. L’accordo fu finalmente raggiunto e i patti stipulati furono sottoscritti da Siro, arcivescovo di Genova, da Ugo, arcidiacono di S. Lorenzo 12, da Ottone, preposto di S. Maria delle Vigne, nonché da altri diaconi, in un atto rogato dal notaio Giovanni, in data 16 marzo 1153 (v. app. n. 118). La vertenza fu conclusa a determinate condizioni: da una parte i Mortariensi ritiravano la loro opposione a che iam dictam ecclesiam edïficart in predicto loco ad utilitatem predictorum infirmorum, mentre la controparte si impegnava a rinunciare ai diritti parrocchiali {nec intromittant se de primitiis quas ecclesia S. Theodori consuevit habere de parochianis suis de Faxolo, dò Prementono, et de Fronte, nec de oblationibus quas ipsi parochiani in eadem ecclesia S. Theodori solent offerre in sacris solemnibus, nec de visitationibus, vel de penitentiis ipsorum parochlanorum cum infirmi fuerint, nec de sepolturis illorum, nisi eorum qui in ultima voluntate disposuerint se sepeliendos apud ipsam ecclesiam, que construebatur in predicto loco) '3. Inoltre, fu stabilito che ogni anno la nuova chiesa di S. Lazzaro avrebbe fornito a quella dei Mortariensi il tributo di una libbra di cera, in occasione della festività di S. Teodoro. La diatriba tra la chiesa di S. Teodoro e quella di S. Lazzaro ebbe solo una temporanea risoluzione poiché in effetti si riaprì nuovamente oltre un secolo dopo. Da una pergamena, datata 9 dicembre 1289 (v. app. n. 242), si apprende che i Mortariensi lamentavano l’inosservanza degli articoli, a suo tempo concordati, da parte del rettore di S. Lazzaro, che aveva accettato oblazioni e addirittura fatto celebrare, nella sua chiesa, matrimoni tra parrocchiani di S. Teodoro. La sentenza dei giudici fu del tutto favorevole alla congregazione di Mortara e condannò la controparte alla restituzione dei proventi illegali, nonché al raddoppio del tributo annuo. Contro tale sentenza ricorse subito Guglielmo da Albaro, sindaco di S. Lazzaro, e il giu- » A.S.G., ms. 845, c. 329. 12 Ugo della Volta, il successore di Siro al seggio arcivescovile, 13 La richiesta di sepoltura presso S. Lazzaro venne espressa in alcuni testamenti come ad esempio quello di Enrico Piccamiglio del 27 marzo 1232 (v. app. n. 193). - 76 - dizio di appello (v. app. n. 243) annullò il raddoppio del censo a favore di S. Teodoro, pur confermando le altre deliberazioni prese. Superati gli ostacoli e le difficoltà iniziali, la congregazione di S. Lazzaro potè finalmente realizzare i propri fini istituzionali e si rese in breve tempo autosufficiente. I lebbrosi ricoverati nella domus mansionis, partecipavano attivamente alla vita amministrativa della comunità, gestendo insieme al rettore le sostanze dell’istituto ed esprimendo il loro parere in occasione di ogni iniziativa riguardante l’ospedale stesso. A dimostrazione di ciò, esistono vari atti di vendita o di locazione nei quali le decisioni del rettore appaiono prese per voluntate et consensu degli infermi dell’ospedale (cfr. app. nn. 248, 250, 284, 322). E’ questo un esempio di gestione comunitaria tra ricoverati e amministratori, che appare del tutto originale in confronto alla conduzione degli altri ospedali coevi. Naturalmente ciò è giustificato dalla degenza « a vita » dei lebbrosi nel proprio istituto, dal quale potevano allontanarsi solo in casi eccezionali14. Gli infermi si riunivano more capitulari per dibattere i vari problemi ed esprimere i propri giudizi e questo capitolo era costituito dalla totalità dei degenti, ma è probabile che in caso essi avessero raggiun- 14 Questa costante presenza nell’ospedale costituiva il presupposto alla loro partecipazione, che sarebbe stata ovviamente impossibile per degenti normali, i quali limitavano la propria permanenza in tempi brevi. Tuttavia la sola costante presenza in ospedale non era sufficiente a giustificare certi diritti e autonomie, ma era la natura stessa della malattia che induceva le autorità civili ed ecclesiastiche a concedere a questi miseri segregati alcuni benefici, per un umano senso di pietà. Da questo punto di vista, i lebbrosi rappresentavano un esempio tipico di quelle universitates, nate dopo il Mille nel periodo di rinascita delle autonomie individuali e collettive e di creazione di forze organizzate, tendenti a gestire in modo comunitario le più diverse attività. Basti pensare alla nascita dei liberi comuni e delle università, nelle quali docenti e discenti erano impegnati in una gestione comune oltre alle corporazioni artigiane, anch’esse fondate su analoghi principi di partecipazione collettiva. Il lebbrosario è quindi un esempio tipico di universitas ospedaliera, proprio perché secondo quanto sostiene il Nasalli Rocca (Il diritto cit., p. 5), in esso si manifestava una « commistione degli elementi dirigenti e dei malati stessi, di fratres e di infirmi su un terreno di parità che amministrano e rappresentano impersonandoli in sé stessi, con una gerarchia rigorosa, con concordia di voleri, gli interessi collettivi dell’ente astratto ». Questa interpretazione della vita comunitaria ci sembra però troppo ottimistica in quanto nella realtà, come avremo modo di vedere a proposito dell’opera di alcuni rettori e nel commento agli statuti, i lebbrosi avevano un potere decisionale assai più limitato e più formale che oggettivo, sottoposti come erano alla personalità e alla autorità del rettore. Questi era, infatti in grado, per le sue prerogative, di imporre, in ultima analisi, la propria volontà. - 77 - to un numero troppo elevato (l’intera comunità, come abbiamo visto, non poteva superare le cinquanta unità, tra sani e infermi) solo una parte di loro sarebbe stata eletta a rappresentarli. Dai documenti esaminati troviamo ad esempio che nel 1221 il capitolo era composto da quattordici lebbrosi, nel 1299 da dieci, nel 1395 da cinque, nel 1408 da sette, nel 1448 da cinque e nel 1457 da tredici15. Nel 1427 tuttavia, l’ospedale di S. Lazzaro sembra fosse sovraffollato: infatti, in un documento del 17 giugno di quell’anno (v. app. n. 309) si legge che una ingens turba leprosorum popolava l’istituto. Non sappiamo quale attendibilità abbia questa indicazione, in quanto il documento tratta della concessione di una parte dei pedaggi di Gavi all’ospedale di S. Lazzaro, che versava in precarie condizioni economiche. La necessità di ottenere un contributo potrebbe quindi aver indotto gli amministratori a modificare in eccesso la consistenza numerica dei ricoverati. I lebbrosi avevano poi tra gli altri diritti, quello di nominare il rettore del proprio istituto, diritto che non sempre venne rispettato, come vedremo a proposito di una controversia sorta intorno alla metà del XV secolo, su nomine di individui non graditi alla comunità degli infermi, e che si risolse nel 1450 con una bolla di Niccolò V, nella quale veniva riconfermato ai lebbrosi il jus eligendi (v. app. n. 323). 15 I nomi dei componenti del capitolo nei diversi periodi sono i seguenti: 1221 ; 28 agosto (v. app. n. 136), prete Giovanni Vegio, Donato (calzolaio), frate Martino Tebaldo, Giovanni Tagliaborse, Simone Otalini, Pietro da Sestri, Ottone da Isola, Vassallo da Molassana, Enrico de Porta, Gioacchino (tornitore), frate Salvo, Guglielmo Gambala-sia, Ansaldo da Sestri e Guglielmo Levio; 1299, 11 novembre (v. app. n. 248), Simone de Cravioli, Giacomo Campo, Venuto da Soziglia (macellaio), Giovanni da Cesino, Francesco da Roccatagliata, Lorenzo da Langasco, Giacomino da Sestri, Stefano da Rapallo, Oberto da Rapallo e Giovanni de Domoculta; 1395, 17 luglio (v. app. n. 287), Nicolò Imperiale, Giacomo Palazi, Teodorino da Pera, Giacomino da Isola, Pietrino da Mortara; 1408, 22 ottobre (v. app. n. 291), Nicolò Imperiale, Lorenzo da Bavari, Bartolomeo Sogio da Rapallo, Argenta da Ravecca, Giacomina da Bargagli, Andriola da Iso-verde, Petrina Sogio da Rapallo (quest’ultima non doveva trovarsi in buone condizioni di salute, dato che l’atto venne stilato in camera sua — ubi iacet infima Petrina de Sogio — nel reparto femminile dfell’ospedak — in residentia mulierum infirmarum et leprosarum). Nel 1448 il capitolo era composto da Giovanni Strata, Giovanni Cagnacino da Rapallo, Antoniotto Cairone, Giovanni da Torriglia detto Gattavaria e da Antonio da Tiro (v. app. n. 322) e nel 1457 il capitello in numero pieno et integro era formato da Giovanni Strata, Iacopo Savasco da Bargagli, Benedetto Ungaro, Pietro da Rapallo, Lorenzo Staiano, Stefano della Chiappa, Iacopo Taroccio. Giovanni da Moglia, Michele Macchiavello, Angelo da Fontanabuona, Gregorio Negro, Giovanni Savasco da Bargagli e Bertola Taroccio (v. app. n. 325). - 78 - L’ospedale di S. Lazzaro, come tutte le altre fondazioni analoghe, traeva i propri mezzi di sostentamento dalla beneficenza. Numerosi lasciti testamentari ci dimostrano la sensibilità dei genovesi nei riguardi di questa istituzione 16, alla quale destinarono, oltre a legati in denaro, anche numerose proprietà immobiliari. L’ospedale potè così ben presto crearsi un proprio patrimonio, sufficiente a soddisfare le esigenze della piccola comunità. Le possessioni di case e di terreni erano situate nelle località più diverse: oltre al fossato di S. Lazzaro (v. app. n. 284) e al Promontorio 17 se ne trovavano anche in Berenego (v. app. n. 151), in Polcevera (v. app. 288), in Rivotorbido (v. app. 279), in Albaro (v. app. n. 325), in villa S. Marziano (v. app. n. 193), ecc. Accanto alle donazioni, fonte eh proventi per l’ospedale era la raccolta delle elemosine, che doveva apportare una discreta quantità di denaro, dato che nel 1229 vennero addirittura incaricati due frati, Guido da Pontremoli e Ugo, in qualità di procuratori, per raccogliere le questue e recuperare i crediti (v. app. n. 248). La consistenza patrimoniale dell’istituto è dimostrata dai cartolari B delle Compere e delle Colonne di S. Giorgio, dove sono iscritti i depositi relativi alla chiesa e all’ospedale di S. Lazzaro. Va notato a questo proposito che nel periodo di tempo, compreso tra il 1353 18 e il 1456 19, vi fu un certo declino economico e le somme depositate decrebbero da 1.286 a 222 lire. In gran parte questa recessione può essere attribuita, come vedremo, alla cattiva amministrazione di alcuni rettori, nella prima metà del XV secolo. Riteniamo opportuno, a questo punto, far precedere la trattazione dei fatti più salienti che caratterizzano la gestione del lebbrosario di S. Lazzaro, dall’elenco cronologico dei rettori e procuratori. 1150 - Bonmartino. E’ il fondatore dell’isituto, e di lui abbiamo trattato nelle precedenti pagine. 1162 - Goffredo. Di professione medico, fu presente alla stesura dell’atto citato, del 1153, relativo alla composizione della vertenza con i canonici mortariensi di S. Teodoro. Egli successe verosimilmente 16 Cfr. i numerosi testamenti regestati in appendice. 17 Un atto del 29 novembre 1343 (FNG, III, parte II, c. 79 v.), nel descrivere i confini di S. Lazzaro a Capo di Faro, afferma che essi erano compresi in territorio Premontoni, loco tibi dicitur Pronte sive in costa Sancti Benigni. 18 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 10, cart, B, c. 221 r. 19 A.S.G., S. Giorgio, ng. 190, cart. B, c. 495 r. - 79 - al fondatore, alla morte di questi, come sembra far intendere un documento del 27 novembre 1162, nel quale egli provvedeva alla vendita di una terra dell’ospedale in Albaro, per ricavare denaro sufficiente a pagare i debiti della congregazione 20. Nell’atto di acquisto di un terreno, da Angelerio Camilla, il 16 maggio 1164 (v. app. n. 120 a), il medico Goffredo viene indicato come procurator infirmorum Capitis Faris, e il suo nome compare ancora nell’atto riguardante la donazione fatta da Pietro Ruso all’ospedale, il 5 gennaio 1165 (v. app. n. 121). In questo documento il medico Goffredo, Piero Quinzano e Gandolfo Corvo, a nome degli altri confratelli, in segno di gratitudine, dichiaravano di voler ricevere tra loro lo stesso Pietro Ruso, in fratrem et socium. Evidentemente i confratelli, menzionati nell’atto, erano gli stessi lebbrosi, e forse lebbroso era anche Pietro Ruso, mentre Goffredo doveva invece aver svolto prima le funzioni di medico della congregazione, per passare poi a dirigerla. 1219 - Petracio. E’ ricordato in un atto del 1219 relativo all’acquisto, per conto della domus di S. Lazzaro, di una terra in Gaiano, di proprietà del monastero di S. Maria in Latronorio (v. app. n. 159). Egli figura ancora come precettore di S. Lazzaro di Genova (v. app. n. 163) in un altro documento, del 28 agosto 1221, col quale egli rivendeva la stessa terra al monastero anzidetto. 1232 - Prete Ottobono. Compare come ministro della chiesa di S. Lazzaro di Capo di Faro, in un documento dell’8 marzo 1232 (v. app. n. 192). 1254 - Simone Agnello e Oberto Grosso. Si trovano indicati, nella veste di « massari degli infermi di S. Lazzaro », in un atto relativo alla donazione di una casa, contigua alla chiesa di S. Lazzaro, da parte di Ugo Navarro21. 1257 - Pietro de Girardo. E’ ricordato, con la qualifica di ministro e precet- 20 Portigliotti, L'ospedale dei lebbrosi cit., p. 1033: Iofredus, medicus, dispensator infirmorum, et ecclesie eorum minister humilis, et amicus servitorum eorum, pro utilitate ipsius ecclesie et solvendis eorum debitis que pro ipsis felicis memorie Bonus Martinus debuerat. 21 A.S.G., ms. 845, c. 329 v. - 80 - tore degli infermi di S. Lazzaro, in un documento del 3 marzo 1257 a. 1272 - Borgognone Balbi. Eletto precettore dal capitolo degli infermi, viene confermato nella carica, in data 8 novembre 1272, dall’autorità episcopale, dopo aver prestato giuramento allo stesso arcivescovo 23. 1276 - Lanfranco di San Tommaso. Il nome di questo precettore è ricordato in un documento del 13 gennaio 1276 (v. app. n. 232), concernente il recupero dell’eredità di Bonifacio Mattone. 1279 - Martino di Sant’Antonio. E’ indicato, quale precettore, in un documento dell’8 febbraio 1279 24, relativo alla riscossione dell’eredità di una certa Ianuina. 1299 - Gioacchino da Neirone. In un documento dell’ 11 novembre 1299, che riporta anche i nomi dell’intero capitolo dei lebbrosi, egli è qualificato col titolo di comandator preceptor et rector25. In un atto notarile, del 14 novembre dello stesso anno, egli viene indicato ancora quale precettore della « casa degli infermi » (v. app. n. 250). Gioacchino da Neirone figura ancora in carica nel 1302, come attestano due carte, del 4 maggio e del 17 luglio di quell’anno (v. app. nn. 251, 252), riguardanti il recupero di parte dell’eredità di Gregorio Lungui. 1302 - Frate Valente. Compare insieme con altri ospitalari genovesi, in carte del 12 dicembre 1302 e del 22 novembre 1303 (v. app. nn. 253, 254), nelle quali, tuttavia, egli non è indicato esplicitamente come precettore, ma soltanto come frater Valens hospitalis Sancti Lazari. Nel periodo compreso tra il 4 gennaio 1308 e P8 marzo 1311, l’ospedale era rappresentato, per procura, da frate Pasquale, ospitalario della cade di suor Verdina26. 1322 - Frate Simone da Recco. Rappresentava, forse in veste di procu- 22 V. app. n. 214. Pietro de Girardo si trova ancora in carica nel 1261, come dimostra un atto del 18 luglio di tale anno (v. app. n. 224). » A.S.G. ms. 845, c. 330 r. 24 V. app. n. 237. Egli risulta ancora in carica come precettore e ministro, nel 1287 (v. app. n. 241) e nel 1289 (A.S.G., ms. 845, c. 330 r.). 25 V. app. n. 248. Il termine comandator potrebbe suggerire l’esistenza in S. Lazzaro di un beneficio a tipo di commenda. 26 Un documento, dell’8 marzo 1311 (v. app. n. 259), contiene la notizia relativa alla data (4 gennaio 1308) di nomina. - 81 - ratore, l’ospedale di S. Lazzaro, in occasione della spartizione dell’eredità di Giovannino de Fornari27. 1353 - Frate Antonio da Portofino. Fu precettore della domus infirmorum di S. Lazzaro per un periodo abbastanza lungo, come attestano carte la cui datazione va dal 1353 al 1374 2S. Durante il rettorato del precettore Antonio, svolgeva le mansioni di procuratore dell istituto maestro Cristoforo da Portofino, come risulta da carte del 1358 29, del 1362 30 e del 136831. 1381 - Prete Nicolò da Giustenice d’Albengd. Il nome di prete Nicolò d’Al-benga figura nel cartolare B delle Compere dal 3 maggio 1381 al 4 marzo 1382 32, senza che, tuttavia, gli venga mai attribuita la qualifica di precettore o di ministro, mentre col nome di prete Nicolò da Giustenice d’Albenga figura quale precettore e commendatore della casa degli infermi di S. Lazzaro, in un atto del 6 giugno 1382 (v. app. 281). 1386 - Prete Nicolò da Santobono. E’ ricordato come precettore e ministro di S. Lazzaro in carte relative al periodo che va dal 1386 al 1400 33 e forse egli potrebbe essere identificato con il suo omonimo predecessore. Del Santobono avremo comunque modo di riparlare a proposito degli statuti della congregazione di S. Lazzaro. 1400 - Frate Bartolomeo da Sampierdarena. Successe al precedente rettore nel 1400 34> provenendo dal monastero vallombrosano di S. Bartolomeo del Fossato. Egli risulta ancora in carica negli anni 1406 e 1407, come attesta il cartolare B delle Compere 3S. 27 Alizeri, Guida cit., p. 688. 28 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 372, c. 181 r. (anno 1353); A.S.G., ms. 541, p. 849 (anno 1374). 29 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 10, c. 153 r. 30 Ibid., ng. 372, c. 181 r. 31 Ibid., ng. 382, c< 159 v. 32 Ibid., ng. 30, c. 166 r. 33 12 genn. 1386 (v. app. n. 282); 26 genn. 1386 (v. app. n. 283); 18 apr^ 1386 (A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 32, c. 151 r.); 3 giù. 1391 e 8 febb. 1392 (ibid., ng. 417, c. 162 v.; ng. 40, cc. 128, 165); 12 genn. 1393 (v. app. n. 284); 7 apr. 1394 (v. app. n. 285); 17 lug. e 29 die. 1395 (v. app. nn. 286, 287); 27 mar. 1396 (v. app. n. 289); 19 giù. 1400 (A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 446, c. 166 r)^ 34 A.S.G., ms. 845, c. 330 r. 35 AJ5.G., Comp. e Mutui, ng. 472, c. 181 r. — 82 — 1408 - Frate Antonio da Promontorio. Anch’egli, come il suo predecessore, proveniva dal monastero di S. Bartolomeo del Fossato e venne eletto dal capitolo dei lebbrosi, in data 22 ottobre 1408, a ricoprire la carica di precettore, resasi vacante per la morte di Bartolomeo da Sampierdarena, avvenuta appena tre giorni prima (v. app. n. 291). Durante il suo rettorato, e precisamente negli anni 1408-1409, svolgeva le funzioni di procuratore dell’ospedale frate Giovanni da Castelletto 36. 1410 - Prete Gerardo de Pomari da Parma. Fu eletto dal capitolo dei lebbrosi, dopo la destituzione del suo predecessore37. Il 15 maggio 1411 egli venne nominato, insieme con Ianuino Gatto dell’ospedale di S. Stefano, procuratore e rappresentante della maggioranza degli ospedali genovesi (v. n. 294), per la cura di comuni interessi. 1417 - Frate Bartolomeo da Udine. Venne chiamato a succedere al de For-nari, destituito dal suo incarico per la sua spregiudicatezza amministrativa 38. 1419 - Prete Gerardo de F ornari. Ottenuta, in via temporanea la revoca del provvedimento a suo carico, egli riuscì a mantenersi ancora per lungo tempo alla direzione di S. Lazzaro, grazie all’impiego di artifìci e cavilli giuridici (v. app. 297). A conferma della sua ricostituita autorità, riportiamo, dal cartolare B delle Compere, una annotazione del 19 novembre 1421, che afferma esplicitamente: Respondeant de proventis de cetero tam de locis presentibus quam futuris venerabili viro domino presbitero Guirardo de Parma preceptori domus et mansionis predicte vigore mandati domini archiepiscopi39 La riscossione dei proventi dei luoghi, tuttavia, non sempre era effettuata direttamente dal rettore, ma da procuratori, nominati a questo scopo. In questo periodo tale funzione veniva svolta da frate Barto- 36 Ibid., ng. 477, c. 168 r. 37 Suppliche, p. 20. In un documento del 28 febbraio 1410 (A.S.G., S. Giorgio, Descrip. Locorum, c. 44 r.) si trova indicato il nome di Gerardo da Parma, del Collegio degli infermi di S. Lazzaro, insieme con quello di Lazzaro Guano, cantiniere dello stesso ospedale. 38 Suppliche, p. 20. 39 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 508, c. 253 v. — 83 — lomeo nel 142240 e dallo speziale Guglielmo da Oneglia nel 1424, nel 1425 e nel 142641. 1426 - Prete Avenanzio da Finale. Fu nominato nel 1426, ma la sua posizione si regolarizzò dopo la morte del de Fornati, avvenuta nel 1429 (v. app. nn. 306, 311). Il suo nome compare ancora nel cartolare B delle Compere del sale, nell’anno 1430 42. In questo periodo figuravano, in veste di procuratori dell’ospedale, Francesco da Passano nel 1428 43 e il già citato Guglielmo da Oneglia nel 1434 44. 1435 - Bartolomeo di Iacopo. I rapporti di questo chierico con 1 ospedale di S. Lazzaro iniziarono assai presto. Appena ventitreenne, nel 1430, egli chiese a Martino V il rettorato della domus infirmorum, con relativo appannaggio di sessanta ducati doro (v. app. nn. 312 e 313). Non sappiamo quando tale carica gli venne conferita, in quanto il Perasso45 pone il clericus studens Bartolomeo quale successore di prete Avenanzio, basandosi su una carta del notaio Melchiorre da Diano, nel 1435, mentre da una supplica, indirizzata dai lebbrosi alle autorità cittadine (v. app. n. 320), appare quale successore dello stesso Avenanzio, prete Nicolò Poggio. Sembra, tuttavia certo che nel 1435 egli fosse realmente il rettore di S. Lazzaro, come attesta una nota del 9 giugno di quell’anno4é, che lo qualifica chiaramente come preceptor. Suo procuratore risulta, nella stessa carta, un certo Pietrobono. 1437 . Prete Nicolò Poggio. Il Perasso47 lo trovò citato in un atto del notaio Domenico Bargone, del 15 aprile 1437, quale precettore e ministro della chiesa e ospedale di S. Lazzaro nonché procuratore degli infermi. Egli è ricordato ancora con il titolo di precettore, in nu- « Ibid., ng. 508, c. 255 v. 4> Ibid., ng. 512, c. 379 r.; ng. 516, c. 277 v. « A.S.G., ms. 845, c. 330 r. 43 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 520, c. 282 v. 44 A.S.G., S. Giorgio, ng. 102, Colonne, B, c. 391 v. « A.S.G., ms. 845, c. 330 r. 46 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 531, PNB, c. 310 v. « A.S.G., ms. 845, c. 330 r. - 84 - merosi atti degli anni 1443 48, 144649, 1447 (v. app. n. 321), 1452 50 e 1456 5I. A questo proposito va rilevato che tale periodo fu alquanto burrascoso per la conduzione dell’ospedale, in quanto in quegli anni si successero, come vedremo in seguito, rettori la cui elezione avvenne in modo illegale, senza il preventivo consenso della comunità dei lebbrosi. 1445 - Leonardo de Franchi e Baldassarre Spinola. Essi figurano quali governatori e procuratori degli infermi, nominati dal Doge e dal Consiglio degli Anziani, in una carta del 18 settembre 1445 (v. app. n. 317). Più che precettori essi furono, in realtà, una sorta di commissari governativi inviati per tutelare gli interessi dei ricoverati. 1448 - Frate Leonardo Bagnar a. Appartenne all’ordine dei predicatori e fu precettore dell’ospedale, come attesta un atto del 26 agosto 1448 (v. app. n. 322), relativo alla permuta di un immobile di proprietà dell’istituto. Egli si trova ancora indicato, insieme con i suoi due predecessori, Bartolomeo di Iacopo e Nicolò Poggio, nella bolla pontificia del 3 novembre 1450 che restituiva ai lebbrosi di S. Lazzaro il jus eligendi (v. app. 323). 1455 - Prete Francesco da Castelletto. Il nome di questo rettore appare in un breve di papa Callisto III, del 1° maggio 1455, riguardante il permesso per la costruzione di alcune botteghe sul terreno dell’antico cimitero di S. Lazzaro (v. app. n. 324). Questo precettore entrò a far parte, nel 1459, dell’Ordine gerosolimitano di S. Lazzaro, come attesta l’atto di nomina, relativo (v. app. n. 326). L’atto in questione costituisce l’unica testimonianza di un rapporto tra la domus genovese di S. Lazzaro e l’ordine cavalleresco omonimo. Dal documento si apprende che, oltre al conferimento al precettore Francesco di Castelletto dell’abito regolare, gli fu riconfermata la direzione dell’ospedale (supradicto Francisco eius vita durante de dieta commendarla de novo providemus, damus, tradimus et etiam concedimus cum omnibus iuribus, actionibus, rationibus, fructibus, redditibus et obventionibus omnibus spectantibus et pertinentibus ad 48 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 540, PNB, c. 227 r. Ibid., ng. 543, c. 224 v 150 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 820, PS, c. 127 v. In questa occasione riscuoteva i proventi, in nome del rettore Nicolò Poggio, il procuratore Bartolomeo Salvarezza. 51 A.S.G., S. Giorgio, ng. 190, Colonne, B, c. 495 r. — 85 - a hospitale sive commendariam cum omnibus titulis et clausulis debitis et opportunis. ..) da parte del Gran Maestro Guglielmo Des-marez, il che fa presumere che in quel tempo l’ospedale appartenesse all’Ordine52. Certamente questa dipendenza non dovette essere di lunga durata in quanto i documenti anteriori al 1450 non fanno mai cenno all’ordine di S. Lazzaro anche in quelle occasioni (come la nomina di rettori o il loro licenziamento) nelle quali avrebbe dovuto essere indispensabile l’intervento, o quanto meno il placet degli eventuali patroni. D’altra parte, anche nella richiesta di incorporazione fatta nel 1573 dai protectores di Pammatone (A.SG., ms. 845, c. 343) non si fa alcun cenno a una dipendenza dell’ospedale di S. Lazzaro dall’ordine omonimo. Il fatto non va considerato eccezionale in quanto quello di Genova rientrava tra i molti lebbrosari dell’Italia settentrionale dedicati a S. Lazzaro, ma indipendenti dal-l’Ordine, che invece possedeva numerosi istituti nel sud della penisola 1466 - Prete Vincenzo Monteverde. Già luogotenente e cappellano della chiesa di S. Lazzaro, egli venne eletto precettore della domus dal capitolo dei lebbrosi nel 1466, con uno stipendio annuo di 60 lire Tra i vari rettori succedutisi al governo di S. Lazzaro, alcuni lasciarono, per motivi diversi, una ben determinata e duratura traccia nella storia di quella comunità. Innanzitutto va ricordato Nicolò da Santobono, il quale, nella lunga permanenza alla guida della domus dei lebbrosi, potè impegnarsi attivamente per disciplinare la vita ospedaliera in S. Lazzaro e a questo scopo provvide a stilare i nuovi statuti, sui quali avremo occasione di tornare in seguito. Egli ebbe inoltre una posizione certamente non irrilevante nella vita politica della diocesi genovese, negli anni tormentati delle lotte 52 G. M. Dellepiane, Documenti genovesi dell’ordine di S. Lazzaro, in « Liguria », 1980, 1-3, p. 20. 53 E. Nasalli Rocca, Studi intorno agli ospedali di S. Lazzaro, in « Atti e Mem. Acc. Stor. Arte Sanit. », VI, 1940, p. 39. Per quanto riguarda notizie in generale sull’ordine di S. Lazzaro, la cui importanza in campo assistenziale nel medioevo è stata oggi alquanto ridimensionata, rimandiamo all’ampia bibliografia riportata dall’lMBERT (Les hôpitaux cit., p. 190). 54 A.S.G., ms. 845, c. 330 v. I dati relativi alla nomina del precettore e agli emolumenti che gli si dovevano corrispondere il Perasso li ha desunti da un atto del 29 novembre 1466 del notaio A. de Cairo nel quale è anche contenuta la conferma della nomina ad opera del vicario arcivescovile in data 2 dicembre dello stesso anno. -86- scismatiche. A lui, nel 1386, venne affidato l’incarico di procedere all’investitura dell’arciprete della pieve di S. Maria di Voltri e in questa occasione l’arcivescovo gli raccomandò esplicitamente di non fornire auxilium, consilium vel favorem publice vel occulte all’antipapa Clemente VII (v. app. n. 283) il quale andava riscuotendo, fuori d’Italia, maggiori consensi del papa romano55. Vogliamo poi ricordare il frate vallombrosano Antonie da Promontorio, non tanto perché la sua figura e la sua opera siano state particolarmente significative, ma, piuttosto, perché il documento relativo alla sua elezione ci consente di formulare alcune considerazioni di ordine generale sulle modalità che regolavano la nomina dei rettori. L’atto in questione, infatti, d fornisce una ulteriore conferma che la carica di precettore veniva conferita a seguito di una regolare elezione da parte dei lebbrosi riuniti more capitulari (v. app. n. 291). Essi potevano, tuttavia, soltanto proporre il candidato, che successivamente doveva sottostare alla ratifica da parte della competente autorità ecclesiastica. A questo proposito, nel predetto documento, vediamo riportato l’atto di convalida della elezione di Antonio da Promontorio, da parte del vicario arcivescovile Giovanni da Godiliasco, administrator in spiritualibus et temporalibus ecclesie ianuensis (v. app. n. 292). Un altro rettore che ebbe notevole infuenza sulla vita della comunità di S. Lazzaro fu indubbiamente Gerardo de Fornari da Parma, il quale si trovò al centro di una serie di accesi contrasti protrattisi per diversi anni. Egli era stato chiamato a ricoprire la carica dagli stessi ricoverati, e aveva ottenuto l’approvazione dell’arcivescovo Pileo de Marini56, rivelando subito una forte personalità, tanto da imporsi, non solo ai propri amministrati, ma anche agli altri ospitalari genovesi, i quali, nel 1411, lo nominarono loro rappresentante e procuratore, unitamente al rettore dell’ospedale di S. Stefano (v. app. n. 294). Nello stesso anno egli rielaborò gli statuti della congregazione, che furono poi stilati il 24 ottobre dal notaio de Compagnono, e sottoscritti da Francesco Boriposo da Perugia, vicario arcivescovile (v. app. n. 294 a). E’ probabile che la rigorosa e autoritaria applicazione di queste regole e un indirizzo spregiudicato nella conduzione amministrativa dell’istituto avessero indotto notevoli risentimenti verso il nuovo rettore, al punto che gli infermi promossero contro di lui tutta una 55 A. Ferretto, Lo scisma a Genova negli anni 1404-1409, in « Giorn. Ligustico », XXI, 1896, p. 128. 56 Carteggio, p. 37. — 87 — serie di ricorsi alle autorità civili ed ecclesiastiche, sollecitandone l’allontanamento (v. app. nn. 298, 300, 308). La richiesta dei ricoverati venne accolta e nel 1417 egli fu esonerato dall’incarico e sostituito da frate Bartolomeo da Udine (v. app. 295), la cui nomina era sostenuta dal doge Tommaso Fregoso '7. Gerardo, da parte sua, si appellò al papa, chiedendo di essere mantenuto in carica almeno fino alla conclusione del giudizio58. Con la perdita del potere da parte del Fregoso, suo più autorevole oppositore, il deposto ospitalario tornò alla ribalta, recuperando la carica di precettore di S. Lazzaro, in ciò favorito dall’appoggio datogli dall’arcivescovo Pileo de Marini S9, e ottenendo così di conservare, non soltanto i benefici acquisiti in precedenza, ma di assicurarsene altri (v. app. nn. 301, 302, 303). Il ritorno in auge di Gerardo, divenuto ancor più ambizioso, e l’accrescimento delle sue pretese provocarono, come logica reazione, nuove contestazioni da parte della comunità dei lebbrosi, che si appellò nuovamente al papa, il quale, in data 24 ottobre 1424, decise la destituzione del rettore e stabilì una inchiesta sulla sua opera di ammnistratore della domus infirmorum 60, ma anche in questo caso il procedimento si arenò. Lo stesso Pileo passò a questo punto tra gli oppositori, probabilmente perché si accorse che la condotta del de Fornari oltrepassava ormai i limiti del lecito, dimostrando la sua insaziabilità. Leggiamo nella lettera inviata a Pileo, da Luca de Oliva, datata 24 novembre 1425, che il preceptor Sancti Lazari aveva ottenuto la prepositura della chiesa dei SS. Cosma e Damiano, verosimilmente contro la volontà dello stesso arcivescovo (v. app. n. 305). Gli infermi di S. Lazzaro, adducendo come motivo questo nuovo incarico, nell’ottobre del 1426 si appellarono nuovamente al papa affinché dichiarasse decaduto dal rettorato del loro ospedale prete Gerardo (v. app. n, 308). Contemporaneamente prese 57 Suppliche, p. 26; Carteggio, p. 37. 58 V. app. nn. 295 , 296, 297. Il de Fornari che in precedenti documenti (v. app. n. 294), veniva definito studens in jure canonico, si qualifica ora juris canonici peritus. 59 Carteggio, p. 37; la carica di rettore della precettoria di S. Lazzaro era ambita non soltanto per le possibilità che offriva a persone abili e spregiudicate nelTammini-starare un patrimonio considerevole, ma anche per l’appannaggio tutt’altro che trascurabile, che procurava. Nella prima metà del XV sec. il rettorato della domus infirmorum rendeva fino a 100 fiorini d’oro annui (v. app. nn. 295, 313). 60 V. app. n. 300. Le precedenti suppliche avevano avuto già un esito positivo, come si può dedurre dalla bolla del 13 marzo 1422, con la quale il papa delegava l’abate di S. Benigno a condurre l’inchiesta (v. app. n. 298). posizione anche il governo cittadino, che promosse un’inchiesta sull’operato del discusso rettore, affidandola a Goffredo Lomellini e a Giovanni Grillo, i quali furono anche incaricati di riformare gli statuti della comunità di S. Lazzaro (v. app. n. 307). In questa occasione vi fu un vero e proprio plebiscito contro il de Fornari. Troviamo, infatti, accomunati autorità e cittadini, oltre, naturalmente, ai lebbrosi, nella supplica al papa, con l’intento di interrompere gli abusi e di riportare la domus alle sue finalità istituzionali, che erano rivolte all’utilità dei ricoverati e non ad crassationem rectorum (v. app. nn. 307, 308). Nonostante la tempesta scatenata contro di lui, prete Gerardo trovò modo di resistere ancora, con vari artifici, alla rimozione dall’incarico, grazie anche ai suoi legami con la curia romana, mantenendo la propria posizione fino al 1429, anno della sua morte (v. app. n. 312). Il rettorato di Gerardo da Parma costituì un precedente di malcostume al quale fecero seguito gli atti di arbitrio di prete Nicolò Poggio 61, di Bartolomeo di Jacopo e di frate Leonardo Bagnara, i quali, in tempi diversi, ottennero la nomina a precettore di S. Lazzaro senza essere stati eletti in precedenza dalla comunità degli infermi, come sanciva l’uso, e come d’altra parte stabiliva lo stesso atto di fondazione della congregazione; per questi abusi, come scrive il Perasso, ricorsero li stessi leprosi nel detto anno 1450, al sommo pontefice Nicolò V, supplicandolo voler ripristinare il jus eligendi62. Il pontefice accolse la richiesta e il 3 novembre 1450 annullò ogni nomina avvenuta senza la regolare elezione da parte dei congregati di S. Lazzaro (v. app. n. 323). In questo periodo di forti contrasti tra gli infermi e i rettori del lebbrosario, assume un particolare significato la presenza di due governatori e procuratori, i quali erano stati nominati dalle autorità cittadine allo scopo di meglio tutelare gli interessi dei ricoverati. Troviamo, infatti, che Leonardo de Franchi e Baldassarre Spinola svolgevano questo incarico nel 1445 (v. app. n. 317) dopo aver fatto parte, tre anni prima, di una commissione di otto probiviri, istituita allo scopo di reperire i fondi necessari al restauro dell’istituto (v. app. n. 316). Verosimilmente costoro non sostituivano completamente il rettore nelle sue funzioni, ma ‘agivano 61 Nicolò Poggio venne accusato dagli infermi di S. Lazzaro, in una supplica da essi rivolta alle autorità cittadine, il 9 giugno 1447, di sperperare il denaro dell’ospedale e di tenere una condotta scandalosa, convivendo nell’istituto con la propria amante dalla quale aveva avuto due figli (v. app. n. 320). « A.S.G., ms. 845, c. 331 r. — 89 — piuttosto in veste di sindaci o supervisori. Nonostante la loro opera meritoria, tuttavia, le malversazioni non cessarono, tanto è vero che sotto il pontificato dello stesso Niccolò V, secondo quanto riferisce l’Alizeri, si verificò un altro abuso, ossia la vendita di alcuni stabili di proprietà della congregazione, fatto da un non meglio identificato precettore all’insaputa della comunità63. Venuto a conoscenza del fatto, il papa nominò gli abati di S. Benigno, di S. Michele della Porta e di S. Fruttuoso per compiere indagini, a seguito delle quali scomunicò l’indegno precettore e affidò l’opera di S. Lazzaro a prete Francesco da Castelletto64. Durante il rettorato di questo precettore, presumibilmente ai suoi inizi, l’istituzione di S. Lazzaro si trovava in una situazione finanziaria critica, cui non doveva essere stata estranea la precedente amministrazione, e per questo motivo e allo scopo di ottenere un incremento del reddito si pensò di trasferire le tombe dell’antico cimitero, poste presso la chiesa, per far costruire al loro posto alcune botteghe artigiane da affittare. Al fine di poter attuare il suo progetto il rettore di S. Lazzaro si rivolse al papa Callisto III, il quale il 1° maggio 1455, concesse l’autorizzazione di rimuovere i sepolcri e permise che ìbidem apotece artificiales erigentur ad annuam pensionem locande (v. app. n. 324). Francesco da Castelletto, nella sua opera di riorganizzazione economica della domus provvide anche ad effettuare permute di terreni e di proprietà immobiliari dell’istituto, con luoghi delle Compere di S. Giorgio (v. app. n. 325). Per quanto riguarda le norme che regolamentavano il ricovero dei lebbrosi in S. Lazzaro di Genova, è certo che in esso potevano accedere solo i cittadini nati in città o nelle tre podesterie65. Questa limitazione appare 63 Alizeri, Guida cit., p. 1216. Probabilmente si trattava di Leonardo Bagnara, tenendo conto che Niccolò V morì nel 1455. « Ibid. 65 Pur non avendo notizie documentarie è presumibile che, come d’uso, anche a Genova l’ingresso di un paziente nel lebbrosario fosse preceduto da una serie di accertamenti compiuta dall’autorità religiosa e civile, allo scopo di stabilire la diagnosi (cfr. la bibliografia riportata da Imbert, Les hôpitaux cit., pp. 158, 165, e da Nasalli Rocca, Il diritto cit., p. 65). La prassi usuale era la seguente: una commissione (in tempi remoti formata da soli ecclesiastici e successivamente laicizzata dalla partecipazione di un medico, di un chirurgo e di sette lebbrosi), basandosi su prove empiriche, condotte sull’orina e sul sangue, nonché su prove cliniche, quali il riscontro di zone di anestesia cutanea, il reperimento di atrofia muscolare dell’eminenza tenar e l’esame rino-scopico, formulava un giudizio inappellabile. Questo giudizio poteva essere espresso - 90 - chiaramente espressa in un documento del 18 settembre 1445 (v. app. n. 318), col quale i governatori e procuratori degli infermi di S. Lazzaro, Leonardo de Franchi e Baldassarre Spinola, rivolgevano una petizione alle autorità cittadine affinché provvedessero a ristabilire l’antica consuetudine di non ricoverare pazienti nati fuori della città di Genova e delle tre podesterie, soprattutto in considerazione del fatto che l’ospedale non era in grado di sopperire alle necessità di altri ricoverati. Un documento, del 3 maggio 1474 (v. app. n. 327), contiene una denuncia, rivolta al Doge e al Consiglio degli Anziani, dalla quale si rileva che in quell’epoca molti lebbrosi non erano genovesi e che quindi, secondo la regola (in testamento veteri expresse apparet prohibitum), dovevano essere allontanati. Inoltre, nella stessa petizione, si invitavano il vicario arcivescovile e l’Ufficio di Misericordia a provvedere acciocché fossero escluse le commistioni tra sani e ammalati nell’ospedale, per evitare possibili contagi. Vi è infine un altro documento, del 20 aprile 1518 66, che riguarda una supplica, il cui contesto ribadisce sostanzialmente gli stessi principi esposti precedentemente. I lebbrosi, unitamente al loro precettore, si rivolgevano, infatti, al « regio governatore » e al Consiglio degli Anziani del Comune di Genova, sostenendo che in statutis et capitulis dicti hospitalis contineatur quod in dicto hospitali recipiantur et admittantur illi et ille infirmi et infirme qui nati fuerint in civitate lanue et tribus potestatiis vel habitaverint in dicta civitate et trtbus potestatiis per annos quindecim ad minus, nec alii admittantur seu recipiantur in dicto hospitali. I ripetuti appelli, effettuati allo scopo di far rispettare la regola che limitava il ricovero nel lebbrosario, indicano chiaramente che tale disposizione veniva disattesa e che nell’ospedale dovevano essere spesso abusivamente accolti pazienti provenienti da altre località, come dimostra ancora una volta la frase che si legge nel decreto di nomina di Bergognone Balbi del 1272 67, nel quale si raccomanda al nuovo precettore di astenersi dalla frode e di osservare scrupolosamente gli statuti, specie per quanto riguarda il diritto di ricovero, che doveva essere negato a coloro che vivevano fuori dei confini stabiliti. secondo quattro formule: a) dichiarazione di sanità; b) consiglio di osservare particolari regole di vita, per non ammalarsi; c) invito ad entrare in un lebbrosario, entro un determinato periodo di tempo; d) ordine di isolamento immediato (Pazzini, La medicina cit,, p. 452). 66 A.S.G., Arch. Segr., ng. 1647, Politicorum, mazzo 1, fase. 48; Portigliotti L’ospedale dei lebbrosi cit., p. 1033. « A.S.G, ms. 845, c. 330 r. - 91 - E’ verosimile, tuttavia, che, a parte i casi di ricovero di persone non esattamente in regola con quanto richiesto dagli statuti della domus, vi fosse anche un’attività assistenziale a favore dei pazienti esterni che spesso bussavano alle porte dell’ospedale di S. Lazzaro in cerca di soccorso. Ciò sembra dimostrato da quanto si legge nell’atto testamentario di Gerardo da Pareto, del 4 maggio 1225, dove un lascito è destinato ad vestiendum lepro-sos qui veniunt lanua de diversia partibus ad elemosinavi petendam (v. app. n. 171), e dal contenuto di un altro atto datato 9 settembre 1236, nel quale Maria di Bonvassallo da Antiochia, oltre a lasciare all’ospedale di S. Lazzaro del Faro dieci lire in cibariis infirmorum et infirmarum et in lignis ex quibus se calefaciant infirmi et infirme, legava cinque lire da adibire a migliorie del refettorio dell’ospedale e alla carità verso infirmi extranei, i quali venendo a Genova avrebbero dovuto essere ospitati nell’istituto (v. app. n. 199). Da ciò appare evidente che l’attività assistenziale, da parte dell’ospedale, era rivolta, non solo ai ricoverati, ma in buona parte era anche indirizzata a pazienti esterni, provenienti dalle più diverse località65. L’affluenza dei lebbrosi in cerca di ricovero, alle porte di S. Lazzaro, è giustificata dal fatto che questo ospedale era senz’altro il più importante lebbrosario tra i vari esistenti nella regione69, ed era forse quello dove le condizioni di vita per i degenti erano più favorevoli. Notizie sul tipo di vita che si conduceva all’interno della domus di S. Lazzaro, si possono desumere dagli statud della congregazione. Attraverso l’insieme di norme, di divieti e di sanzioni, ci si può formare un quadro sufficientemente esauriente delle condizioni dei lebbrosi nei loro rapporti interpersonali e in quelli con l’ospedale e con la società. I primitivi statuti furono verosimilmente stilati dallo stesso Bonmartino o dai suoi primi successori, però di essi non rimane traccia. La successiva stesura risale al 1395, all’epoca del rettore Nicolò di Santobono, e una loro trascrizione fu repe- 68 A Genova non si hanno notizie circa il ricovero di persone sane, fatto che accadeva non infrequentemente in Francia, Belgio e Germania (Imbert, Les hôpitaux dt., p. 193), dove in certi lebbrosari ben amministrati, alcune persone chiedevano ed ottenevano il ricovero, incuranti dei rischi di contagio. Sappiamo invece che a Savona (No-berasco, Gli ospedali savonesi dt, p. 13), insieme ai lebbrosi si ricoveravano « poveri orfani ». 69 Oltre al dtato lebbrosario di Savona è nota l’esistenza di quello di Caperana (Ferretto, I primordi dt, p. 793), aggregato all’ospedale di S. Sisto di Carasco e di quello di Rapallo (L. Casotti, L’antico lebbrosario di Rapallo, in « Min. Medica », 61, 1954, p. 136 e sgg.). - 92 - rita dal Portigliotti, in un codice pergamenaceo cinquecentesco, conservato tra i documenti dell’archivio del Magistrato dei Poveri. Purtroppo, il manoscritto si è rivelato irreperibile e abbiamo dovuto basarci sulla parziale trascrizione dello stesso Portigliotti70. Una successiva rielaborazione dei capitoli dell’ospedale di S. Lazzaro avvenne, ad opera del rettore Gerardo da Parma, il 24 ottobre 1411 (v. app. n. 294 a). Nelle linee fondamentali i diversi statuti non dovevano differire sostanzialmente tra loro, mantenendo costante tutta una serie di prescrizioni e divieti, ma indubbiamente, in ogni periodo, secondo le necessità contingenti, si richiedevano modifiche, integrazioni o chiarimenti su determinati argomenti. Vediamo, infatti, confrontando i capitoli del 1395 e del 1411, come molti di essi siano rimasti assolutamente identici nelle due versioni, mentre alcuni compaiono solo in uno dei due testi, e altri ancora contengono varianti, specie per quanto concerne la valutazione delle pene. La stesura dei nuovi statuti del 1411, a non lunga distanza dai precedenti, fu probabilmente dettata da una situazione di emergenza, creatasi a causa di attriti sorti tra il dispotico precettore Gerardo e i ricoverati. Infatti, nel preambolo di queste regole è detto che esse erano state volute dal medesimo rettore, ad pacificandos infirmos super discordiis. Cercheremo ora di ricavare dalla lettura di queste disposizioni le notizie di maggior interesse e significato. In primo luogo va rilevato che, mentre gli statuti del 1411 sono scritti nel consueto latino notarile, quelli precedenti appaiono stilati in lingua volgare genovese, intercalata a saltuarie locuzioni latine, il che costituisce un indubbio motivo di interesse per la curiosità di certe espressioni in vernacolo d’epoca. Nell’analizzare le regole, si può rilevare come ve ne siano alcune che imponevano ai ricoverati la rigida osservanza dei doveri religiosi, comminando pene diverse per gli inadempienti. Particolari punizioni venivano inflitte ai blasfemi, come il mangiare in terra per un mese, o per tutti i venerdì di un anno, o come la privazione del pane bianco e, per i recidivi, erano previste addirittura pene detentive di 15 giorni di carcere. Negli statuti del 1411 si trova una curiosa valutazione circa la gravità delle bestemmie: vi si legge infatti che i blasfemi contro il nome del pontefice (qui è indicato il nome dell’antipapa Giovanni XXIII) erano condannati a 4 giorni di carcere e a pagare una multa di 10 soldi, mentre chi imprecava contro il nome di Dio e della Madonna riceveva una pena inferiore (3 giorni di carcere e 10 soldi di multa). Era ri- 70 G. Portigliotti, La lebbra a Genova, in « Racc. Ligure », 30 settembre 1934. - 93 - gorosamente proibita, ai ricoverati, l’uscita dalla domus (. . .anchora eh’alcun infermo no passe la muage fora della dieta Gexia e cassa de li Infermi, salvo sote lo portego contiguo a quella Gexia...), però, in particolari circostanze, era potestà del priore concedere brevi permessi di uscita, per altro motivati da inderogabili necessità. Assai scrupolose erano poi le disposizioni volte a impedire il contagio delle persone sane. Era assolutamente vietato baciare, abbracciare bambini71 e nessun sano poteva entrare nelle stanze dei ricoverati, i quali dovevano mangiare nel proprio piatto e bere nella propria ciotola e non potevano toccare gli oggetti destinati ad uscire dalle mura dell’ospedale, in particolare i generi alimentari (mastrugnar alcuna cossa mandà a vendi72, la qua se a da mangiar, salvo se quella cossa ave sa acatao). Parimenti, non potevano vendere o donare ai sani aliquas vestes sive indumenta vel linteamina et cetera similia, per ovvi motivi igienici. Era anche vietato comunicare con i ricoverati dell’altro sesso, e chi trasgrediva tali regole, secondo la gravità, riceveva sanzioni pecuniarie o pene detentive, che potevano arrivare in caso di rapporti carnali, a un anno di carcere, negli statuti del 1395, mentre nei successivi, la pena per l’adulterio o per il coytum inhonestum, era di 40 soldi e di un mese di carcere, che veniva aumentata a sei mesi di detenzione e a 60 soldi di ammenda, se il reato avesse apportato pubblico scandalo. Il furto era punito con una multa pari a sei volte il valore della refurtiva, oltre alla restituzione del maltolto (restituat rem furatam) e a pene detentive, rapportate alla gravità del reato, che, in particolari casi, poteva anche comportare l’espulsione dall’istituto (expellatur de domo in arbitrio preceptoris). Molto severe erano le pene comminate per lesioni personali. Negli statuti del 1395, l’ammenda era di venti soldi, per uno schiaffo, un pugno o un calcio, di quaranta, per un colpo di bastone, di sessanta per traumi da corpo contundente, da tre a dieci lire, in caso di ferita. Se le lesioni provocavano invalidità temporanea, vi era la reclusione, che poteva divenire perpetua, in caso di invalidità permanente di un arto. Più miti le pene per gli stessi reati, negli statuti successivi. Le percosse erano punite con una multa di cinque soldi, le ferite con dieci soldi e dieci giorni di carcere. 71 Braxar, abraxar alcum garsum o alcbuna garsona ni legna im brasso, sote pena di sodi sinque zenuini (negli statuti del 1411, la pena era ridotta a due soldi). 72 Probabilmente le cose mandate a vendere erano i prodotti dell’orto e del frutteto. - 94 - L’assassinio era invece punito con il carcere a vita e la confisca dei beni, incamerati poi dall’istituto. A questo proposito è necessario precisare che i lebbrosi potevano disporre dei propri beni, soltanto nel caso che questi fossero stati di loro proprietà prima dell’ingresso in S. Lazzaro, mentre i beni acquisiti successivamente non potevano essere oggetto di donazione o di testamento, ma venivano inglobati tra le proprietà comuni. Riguardo a questa comunione di beni, dobbiamo ricordare che il Portigliotti 73, sulla base dei primi statuti, la interpretò in senso estensivo, ritenendo che anche i beni già appartenuti al lebbroso, prima del suo ingresso nella domus, venissero incorporati tra quelli della comunità. La comunione dei beni deve invece essere riferita soltanto a quelli acquisiti dopo il ricovero nell’istituto, come dimostra chiaramente un capitolo degli statuti del 1411, dove è detto che l’infermo non avrebbe potuto fare donazione o testamento solo per quanto concerneva i beni acquisiti postquam fuerit et habitaverit et quamdiu manserit et habitaverit in mansione Sancti Lazari. Ciò viene anche confermato dal documento del 20 aprile 1518, già citato, dove è detto che gli infermi non potevano testare su beni acquisiti dopo il ricovero, se non in casi eccezionali e con espressa licenza del precettore. A questo proposito ricordiamo che in un atto del 1299 il rettore Gioacchino da Neirone, in presenza e con l’assenso dei rappresentanti dei lebbrosi, diede la sua approvazione alla nomina, in qualità di eredi, della moglie e dei figli del defunto ricoverato Simone da Starla (v. app. n. 250). La comunione dei beni riguardava perciò le donazioni, le elemosine e i lasciti che venivano fatti alla domus o ai singoli ricoverati, i quali dividevano fra loro tutto in parti uguali. L’unica differenza era legata all’età dei soggetti, ossia, da dodici a vent’anni ricevevano la metà, e sotto i dodici anni un terzo: (Anchora ch’al-cun garson o garsona recevuo infermo osea inferma in la mansion lo qual no habia passao la etae de doze agni debia avere una tersa parte de le elemosine elle atre obvention e no pu. E da agni doze firn in vinti meza parte, e passae li dicti vinti agni habia una parte corno am li atri). L’ingresso dei lebbrosi nell’ospedale era preceduto da un rituale caratteristico del quale non abbiamo trovato menzione nei documenti relativi 73 Portigliotti, L’ospedale dei lebbrosi cit., p. 1033. « Anchora ch’sascum de li dicti infermi et inferme predicte li quae aora som e per tempo seran, le que habiam recevuo alcunna o alcun bem, quelli bem comunamenti debbia metere in virtute de lo dicto messer lo comandao per caxom de dispensar e distribuir con bona fede in ti quelli infermi. E questo sote pena de la condannaxom cb’li vorà far lo comandao »i -95- al S. Lazzaro di Capo di Faro, ma che riteniamo dovesse svolgersi anche qui con quei caratteri comuni a tutti i lebbrosari della cristianità e che si sono tramandati attraverso i tempi74. L’isolamento dei lebbrosi era molto rigoroso e nelle rare loro uscite essi dovevano mantenersi a distanza dalle persone sane, alle quali potevano avvicinarsi a condizione di segnalare il loro arrivo e il loro stato col suono della caratteristica raganella di legno (cliquette) e di mantenersi sottovento. Non potevano dissetarsi alle fontane pubbliche, né entrare nelle taverne, sote pena de star imprexom da un dy fin a quinze; se in la dieta taverna elio averà zugao ali dae debia star imprexom da tre dy firn im meise a la volun-tae de lo dicto messe lo comandao. Il gioco dei dadi e gli altri giochi d’azzardo ( taxilos vel. . . alium ludum inhonestum ) erano proibiti anche tra le mura di S. Lazzaro, ed era vietato interessarsi a fazioni politiche, come è chiaramente espresso in uno dei capitoli statutari del 1411, dove si dice nec loqui de sectis videlicet loqui de Ghelfis nec de Ghibelinis nec de aliis partialiia-tibus quovis modo. Ciò dimostra una condizione di vita estremamente misera, priva anche di quelle piccole soddisfazioni che avrebbero potuto rendere meno pesanti e sgradevoli le vuote giornate in rigida clausura, come dimostra pure il capitolo relativo al divieto di vendita del vino e alla proibizione di bere o mangiare in compagnia di altre persone, oltre al divieto di farsi visita reciproca senza il permesso del precettore. Per quanto riguarda il problema matrimoniale, si rileva che gli statuti genovesi non si discostano sostanzialmente dalle consuetudini del tempo e dalle disposizioni del diritto canonico: il ricoverato non poteva contrarre matrimonio senza il consenso dell’autorità ecclesiastica (non présumât uxorem ducere vel desponsare... sine licentia domini archiepiscopi seu eius vicarii et qui con-trafecerit divortium patiatur et ultra expellatur de habitatione et mansione predicta). Il riferimento alla licenza arcivescovile indica che in casi parti- 74 II significato di queste cerimonie di iniziazione, se così si possono definire, era quello di indicare la separazione irreversibile del malato dal consorzio umano per il quale egli era considerato come morto. Per questo motivo, il lebbroso veniva spogliato dei suoi abiti, rivestito di un saio, e il suo capo veniva cosparso con terra di cimitero, per significare la sua morte al mondo e, dopo la benedizione e la consegna della raganella, della ciotola e dei guanti, che servivano a evitare qualsiasi contatto con le persone sane, veniva accompagnato alla sua cella, dopodiché le porte della domus venivano definitivamente chiuse. Egli non le avrebbe più oltrepassate, se non in rare e brevi occasioni. Sulla cerimonia della separatio, cfr. Imbert, Les hôpitaux cit., p. 170; Le Grand, Statuts cit., p. 182. - 96 — colari per i lebbrosi era possibile il matrimonio, ma in realtà sappiamo che l'autorità ecclesiastica solo eccezionalmente concesse simile dispensa75. La lettura di questi statuti fa risaltare l’importanza predominante del priore o precettore, il quale aveva il potere di comminare, a suo giudizio insindacabile, le pene da infliggere (condanaxom ch’li vorà far lo comandao ). Egli interveniva in tutte le attività amministrative, religiose e sanitarie della comunità e, pur se i ricoverati partecipavano, come abbiamo visto, alla conduzione della loro domus, nulla in fondo potevano decidere senza l’approvazione di questo personaggio. Appare qui evidente come le qualità morali e umane del precettore potevano incidere grandemente su tutta la vita dei ricoverati: se egli era un sant’uomo poteva alleviare notevolmente la loro condizione di reietti, in caso contrario avrebbe potuto tramutarsi per essi in un vero aguzzino. Certamente non fu un rettore mite Gerardo de Fornari, contro il quale ricorsero più volte, come abbiamo visto, i ricoverati di S. Lazzaro e la cui indole si manifesta anche negli statuti da lui riproposti: basti pensare al preambolo dove si legge che omnes infirmi et infirme ac conversi et converse et servitiales ipsius domus maneant sub doctrina domini precepto-ris ... et eius preceptis obediant. L’arida vita di emarginazione che si conduceva nel lebbrosario veniva raddolcita soltanto in rare occasioni e, tra queste, va ricordata la consuetudine introdotta dalle varie Compagnie di Misericordia della città, le quali si fecero promotrici di visite benefiche una o due volte l’anno nell’istituto, dove si recavano allo scopo di offrire ai lebbrosi un ricco pranzo, che allestivano nel refettorio, elargendo, a conclusione della cerimonia, doni e sostanziose oblazioni76. Tale consuetudine ebbe origine dalla istituzione, il 2 febbraio 1423, della Compagnia della Misericordia, nei cui statuti si stabiliva di offrire quattro pranzi all’anno « alli detti leprosi e poveri infermi », nella ricorrenza delle festività di S. Giorgio, di S. Bartolomeo, di S. Carlo e della Purificazione /5 II diritto canonico stabiliva l’indissolubilità del matrimonio anche nel caso in cui uno dei due sposi fosse lebbroso. In realtà le leggi ecclesiastiche, fino al XV secolo, avevano seguito le disposizioni date nel IV secolo da papa Siricio che consentivano la separazione, e solo durante il concilio lateranense del 1179, Alessandro III modificò tale uso vietando il divorzio, ma anche dopo di allora i giudici ecclesiastici cercarono sempre di realizzare ugualmente separazioni in questi casi impiegando i più vari artifici legali (Imbert, Les hôpitaux cit., p. 186 e sgg.; Nasalli Rocca, Il diritto cit., p. 65). 76 G. Banchero, Genova le due riviere, Genova 1846, p. 130. Al centro della tavola imbandita veniva posta una statuina lignea di S. Lazzaro. - 97 - di Maria77. Era una vera e propria gara di generosità che, col moltiplicarsi delle confraternite, finì col creare disordini e rivalità, che si accendevano particolarmente quando la cerimonia veniva programmata nello stesso giorno da più d’una di esse7S. Se da un lato i ricoverati potevano godere di queste benefiche attenzioni, la vita di quei lebbrosi, che si trovavano impossibilitati ad entrare nella comunità dell’ospedale di S. Lazzaro, era resa difficile dalla presenza di drastiche leggi, che limitavano la loro libertà. Il Consiglio degli Anziani, con una grida del 26 agosto 1495, proclamò che ai lebbrosi non ricoverati in ospedale venisse fatto assoluto divieto di mostrarsi in pubblico, anzi, essi sarebbero stati invitati a lasciare Genova nel breve termine di tre giorni, inoltre si proibì ai genovesi di introdurre nella città individui colpiti dal « male di S. Lazzaro », tanto per via di terra quanto per mare, raccomandando a ufficiali, soldati e cavalieri, al servizio del governo, che detta grida fosse scrupolosamente osservata79. Dal punto di vista strutturale, l’ospedale e la chiesa di S. Lazzaro costituivano un corpo unico, di due piani sovrapposti, a pianta quadrata, la cui 77 A.S.G.; ms. 845, c. 332 r. Anche in un documento del 15 marzo 1442 (v. app. n. 316) si fa menzione della beneficenza che le Compagnie dei Disciplinati indirizzavano alla casa di S. Lazzaro. 78 Banchero cit., p. 131. Il calendario di queste cerimonie fu poi regolato dal Magistrato dei Poveri nel 1663. 79 Ibid. La legislazione statuale, nei riguardi dei lebbrosi fu sempre assai rigida, sotto ogni governo e in ogni luogo, tanto più rigida quanto maggiore era il timore nei confronti della malattia. Già l’editto di Rotari del 643, disponeva l’isolamento dei lebbrosi (RIS, Leges Rotari, CLXXVI, CLXXX, CCXXX, CCCXXIII) e altrettanto stabilivano i Capitolari franchi (cfr. ad esempio le norme atte a regolamentare i matrimoni tra lebbrosi, di Pipino il Breve, nel 757, e di Carlo Magno, nel 789, in Fainelli cit., p. 915). I lebbrosi, in materia legale, erano considerati in molti paesi, specie nel nord Europa, come veri morti civili, con perdita di ogni diritto sulle loro proprietà e impossibilitati a testare, ad alienare beni, ecc., perdendo in tal modo la loro personalità giuridica (Imbert, Les hôpitaux cit., p. 182 e sgg.). In Italia, però, le disposizioni giuridiche erano in genere meno severe, tanto è vero che ai lebbrosi era concessa la possibilità di far parte della gestione amministrativa del proprio istituto (Nasalli Rocca, Il diritto cit., p. 65), possibilità che abbiamo visto realizzarsi anche nella domus genovese. Tuttavia, anche in Italia i governi stabilivano sempre l’allontanamento degli infirmi dai nuclei urbani (cfr. ad esempio le disposizioni contenute negli statuti trecenteschi di Ivrea e di Torino, riportate dal Portigliotti, L’ospedale dei lebbrosi cit., p. 1033) come era logico per una normale misura profilattica, ma non vi furono mai disposizioni persecutorie, come quelle emanate in Francia da Filippo il Bello, nel 1321, disposizioni che imponevano la più stretta clausura e che, peraltro, furono spesso disattese. - 98 - unità stilistica, ancora rilevabile all’epoca della sua demolizione, avvenuta per far posto alla ferrovia 80, conferma che aveva mantenuto nei secoli la forma originaria. La chiesa era posta al piano inferiore, interrato, ed era strutturata su tre navate, divise da colonne in pietra di Promontorio, secondo la descrizione del Banchero, mentre il piano superiore era riservato agli infermi, che vi avevano le loro celle, il refettorio e la sala delle riunioni. I ricoverati potevano scendere nella chiesa per assistere alle funzioni religiose, prendendo posto nel coro, al quale accedevano da una porta comunicante con la sacrestia. Col tempo, diminuito il numero dei lebbrosi, la chiesa fu trasferita al piano superiore, mentre quello sotterraneo fu adibito, prima per le sepolture e, negli ultimi tempi, addirittura a stalla. L’edifìcio, che nel XIV secolo venne ad essere unito alla porta di S. Lazzaro, subì evidentemente nella sua lunga esistenza necessari restauri. Una lapide, la cui descrizione è riportata dal Banchero 81, ricordava che il precettore Gerardo da Parma aveva provveduto nel 1412 alla riparazione delle volte, e trent’anni dopo, nel 1442, i ricoverati rivolgevano al Doge e al Consiglio degli Anziani una petizione, lamentando, cum lacrimis et suspiriis, le cattive condizioni dei muri e del tetto del loro ospedale, che addirittura li esponeva a subire le ingiurie del maltempo (v. app. n. 315). A seguito di tale richiesta, che per la sua attuazione comportava un impegno economico rilevante (la somma ritenuta necessaria per le riparazioni ammontava a ben 1.000 fiorini), le autorità cittadine ratificarono la nomina di una commissione formata da otto probiviri, affinché si occupasse del reperimento dei fondi attraverso elemosine e sottoscrizioni (v. app. n. 316). La domus mansionis di S. Lazzaro proseguì la sua vita indipendente anche dopo il periodo delle grandi concentrazioni, che condussero alla soppressione di quasi tutti i piccoli ospedali medievali della città. S. Lazzaro non fu mai incorporato a Pammatone, anche se una richiesta, in tal senso, venne in realtà espressa dai Protectores del Grande Ospedale, sulla base della bolla di Sisto IV, del 1471 32. L’amministrazione dell’ospedale, che nel 1518 venne affidata al Magistero di Misericordia, passò poi definitivamente, con decreto senatoriale del 25 maggio 1662, a quello dell’Albergo dei Poveri83. 80 Banchero cit., p. 32. 81 Ibid. 82 A.S.G., ms. 845, c. 343 r. e sgg. 83 Ibid. — 99 — 3. L’ospedale di San Cristoforo E’ questo un ospedale di fondazione laica che rientra in quel gruppo di istituti sorti intorno alla metà del XIII secolo, per iniziativa di terziari o di privati benemeriti, nell’ambito del movimento penitenziale e pauperistico promosso dalla predicazione degli Ordini Mendicanti. Il primo documento che fa menzione di questo istituto è un atto del notaio Guglielmo di San Giorgio, del 6 marzo 1266, nel quale è scritto: Ego Raimundus de Sancto Georgio fundator domus misericordie de Faxolo et Rufinus de Laude particeps ipsius domus ad honorem dei et Beate Marie virginis recipiunt in ministram sororem domus misericordie. . . dictam Si-monam de Sancto Georgio... que recipere debeat pauperes viatores peregrinos ... (v. app. n. 328). Da questa carta si rileva in primo luogo che la fondazione dell’ospedale era merito di Raimondo di San Giorgio e che essa non doveva risalire a molto tempo addietro, si apprende inoltre che Ruffino da Lodi aveva contribuito in qualche misura alla fondazione o alla gestione dell’istituto e infine, nel documento appare chiaramente espressa la destinazione dell’ospedale a favore dei pellegrini, dei viandanti e dei poveri. Questo è infatti, il compito affidato alla nuova ministra Simona di San Giorgio. Anche se è probabile che, come quasi tutti gli ospedali medievali, questo svolgesse una molteplice attività assistenziale, è indubbio che la sua mansione precipua fosse proprio quella di ospizio dedicato al ricovero dei pauperes viatores peregrinos. Questa funzione ci viene ancora confermata dal titulus dedicationis di San Cristoforo che l’ospedale assunse successivamente. San Cristoforo era, infatti, il protettore dei viandanti e al suo nome erano consacrati numerosi ospedali di ponte, in ricordo della ben nota leggenda agiografica1. E’ probabile, dato il titolo dedicatorio, che questa domus misericordiae fosse stata edificata presso uno dei rivi traversati dalla strada romana nella regione di Fassolo. Tuttavia, con certezza sappiamo soltanto che l’ospedale si trovava in tutta vicinanza del monastero di S. Benedetto, come attesta un documento del 1467 2, che lo indica 1 Tra questi ospedali ricordiamo, in Liguria, quelli della Pieve di Sori, di Pozza-rello di Rapallo, di Chiavari, di Gavi (Cambiaso, L’anno ecclesiastico cit., p. 197) e quello di S. Giacomo e S. Cristoforo in Alpe Terricia in Lunigiana (G. Pistarino, Le pievi della diocesi di Luni, Bordighera - La Spezia 1971, parte I, p. 113 n.). 2 A.S.G., S. Giorgio, ng. 4232. Secondo un atto del 1371, citato dal Podestà (Il Porto cit., p. 69), l’ospedale era contiguo alla loggia pubblica di Fassolo. - 100 - situato prope Sanctum Benedictum. L’ospizio di S. Cristoforo di Fassolo fu beneficato, come di consueto, da lasciti testamentari della più varia consistenza (cfr. gli atti relativi in app.). Tra i più antichi ricordiamo il testamento di Guisla da Valditaro, del 1267, nel quale l’ospedale, cui andava un lascito di cinque soldi, viene definito domus Dei de Raimundo (v. app. n. 329), dal nome del suo fondatore, e il legato della bagnina Fiore del 5 maggio 1275 3, consistente in un letto con tavola, treppiedi, saccone, due lenzuola, coperta e cuscino, cioè il completo che costituiva allora il lectum furnitum 4. Per quanto riguarda gli ospitalari che successero alla prima rettrice, Simona di San Giorgio, nella direzione dell’istituto, dobbiamo innanzitutto segnalare il nome di frate Giovanni da Recco, che è citato in documenti del 1302, 1303, 1307, 1311 e 1319 (v. app. n. 332, 333, 334, 335, 336, 338, 339, 341). Dopo il lungo periodo in cui il rettorato dell’ospedale fu mantenuto da Giovanni da Recco, troviamo in carica frate Leone da Taggia del quale tuttavia non si conoscono con certezza le funzioni, se egli fosse realmente l’ospitalario oppure un semplice procuratore, in quanto l’unico documento che ne ricorda il nome indica soltanto frater Leo de Tabia pro hospitale sancti Christophori de Faxolo 5. Certamente rettore fu invece frate Pietro, che nel testamento di Antonio da Cremona (v. app. n. 344) dell’ 11 febbraio 1355 è ricordato quale hospitalerius hospitalis sancti Christophori de Faxolo. Le successive notizie relative ai rettori e procuratori dell’ospedale si ricavano in massima parte dal cartolare B delle Compere e dai cartolari delle Colonne di S. Giorgio, dove l’istituto aveva depositi di modesta entità (inferiori alle 300 lire). Tra il luglio e l’agosto del 13616 si verificò un avvicendamento nell’amministrazione dell’istituto, tra frate Pietro, che risultava ancora quale ospitalario il 7 luglio, e Caterina, la quale figurava già in carica il 27 agosto dello stesso anno. Nel gennaio del 1362 successe, alla ospitalaria Caterina, frate Guglielmo7, il quale mantenne l’incarico fino al 1368 8. Dal 3 Ferretto, Ospedali e pellegrinaggi cit. 4 F. M. Accinelli (Dizionario ecclesiastico della Liguria, ms. del XVIII sec. in BiB) ricordava di aver visto nominato questo ospedale in un documeno del 1277 col nome di S. Cristoforo e in uno del 1303 con quello di domus Dei in contrata Faxoli. 5 Alizeri, Guida cit., p. 688. 6 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 372, c. 179 v. 7 Ibid. 8 Ibid., ng. 382, c. 159 r. — 101 — dicembre 1368 al settembre 1370 la riscossione dei proventi iscritti a nome dell’ospedale, nel predetto cartolare B delle Compere, risulta affidata alternativamente a Giovanna da Montechiaro e a Marietta Brignole, verosimilmente in qualità di procuratrici9, funzione che nel 1391 e nel 1392 venne svolta da Tommasino di S. Biagio 10. Nel 1395 fu eletta ospitalaria Giaco-mina da Pagana, come ci comprova un’annotazione in calce a una carta del predetto cartolare Tale annotazione, datata 23 dicembre 1395, indica infatti lacobina uxor quondam Lodovici de Pagana de Rapallo nunc ellecta hospitalaria sancti Cristophori de Faxollo. Essa risulta ancora in carica nel 1400 (v. app. n. 346), nel 1406 e nel 1408 12 e durante il suo rettorato svolsero funzioni di procuratori in favore dell’ospedale Antonio da Pontremoli (indicato come famulus dicti hospitalis) che sarebbe poi divenuto ospitalario di S. Lorenzo, Gaspare de Fornari, Ansaldo Grimaldi e Bartolomeo Saivago B. Ricordiamo che Gaspare de Fornari rappresentava non solo l’ospedale di S. Cristoforo, ma anche vari altri istituti ospedalieri, dei quali era stato nominato procuratore comune 14. La procura per la riscossione dei redditi dell’ospedale fu affidata, nel 1422 a Benedetta Iapascha e a Bertone da Lavagna I5, nel 1424 a Basilio Crivelli, a Giacomo da Teglia e allo stesso Bertone da Lavagna 16. Quest’ultimo era ospitalario dell’ospedale dello Scalo, ma svolgeva funzioni di procuratore anche per altri istituti ospedalieri e in particolare prestò la propria opera a favore dell’istituto di S. Cristoforo per un lungo periodo, infatti, egli compare nei cartolari delle Compere fino al 1428 I7. Altri ospitalieri e governatori dell’ospedale dello Scalo ebbero mansioni di procuratori di quello di Fassolo, come Michele Cana nel 1435 iÿ, « Ibid., ng. 382, c. 159 r.; ng. 384 c. 79 r. 10 Ibid., ng 417, c. 161 r. 11 Ibid., ng. 446, c. 165 r. 12 Ibid., ng. 472, c 180 r.% ng. 478, c. 51 r. « Ibid. 14 V. app. n. 346. L’uso di eleggere rappresentanti comuni era abbastanza consueto tra gli ospitalari, ad esempio Antonio da Pontremoli rappresentò l’ospedale in occasione della nomina di Gerardo de Fornari e di Ianuino Gatto, quali procuratori della maggiorarla degli ospitalari genovesi, nel maggio 1411 (v. app. n. 348). In tale documento egli era ricordato come nuntius hospitalis Sancti Christofori de Faxolo. 15 A.S.G ., Comp. e Mutui, ng. 508, c. 16 Ibid., ng- 512, c. 378 v. 17 Ibid., ng. 520, c. 281 v. 18 Ibid., ng. 531, Cart. PNB, c. 309 v. — 102 — Lorenzo Marenco nel 1447 19 ed altri20. Fra tutti i procuratori ricordati, è probabile che alcuni abbiano anche ricoperto la carica di ospitalari dell’istituto di S. Cristoforo, anche se tale loro qualifica non appare nei documenti esaminati. In tutto questo lungo periodo di tempo, infatti, soltanto in un caso si trova esplicitamente indicato l’attributo di ospitalario e precisamente nei confronti di Silvestro da Nervi che era alla direzione dell’ospedale nel 144721. In questa data, tuttavia, l’ospedale presumibilmente si trovava già in fase di declino, infatti, pur non figurando tra quelli incorporati a Pammatone, è probabile che esso avesse ormai, a quel tempo, esaurito i propri compiti istituzionali, seguendo il destino comune a tante altre fondazioni coeve22. A conferma di ciò, nella descrizione fatta dal Giustiniani non si fa cenno alcuno all’ospedale di S. Cristoforo, mentre vengono nominati quello di S. Lazzaro e quello di S. Benedetto23. 4. L’ospedale di S. Benedetto e l’ospedale dei Sacco Presso il monastero femminile cisterciense di S. Benedetto, nel sobborgo di Fassolo, sorsero due ospedali: l’uno, di fondazione laica, risalente alla seconda metà del XIV secolo, l’altro, più antico, di proprietà dello stesso monastero. Le monache cisterciensi si erano insediate nel sobborgo di Fassolo nella prima metà del XII secolo, erigendovi il proprio convento, che dedicarono a 19 Ibid., ng. 544, c. 227 r. Nello stesso anno riscuoteva i proventi per conto dell’ospedale anche Benedetta Iapascha (ng. 508, Cart. S, c. 104 r.) che aveva avuto tale compito, come abbiamo visto, fin dal 1422. Nel 1444 i proventi dell’ospedale venivano riscossi da Giacomo Bianco (ng. 541, c. 195 v). 20 Ibid., ng. 543, c. 223 v. In questa carta si indica che la riscossione dei proventi per l’anno 1446 era affidata ai governatori dell’ospedale dello Scalo, senza specificarne i nomi. 21 Ibid., ng. 544 c. 34 v. 22 Nelle colonne di S. Giorgio (A.S.G., S. Giorgio, ng. 232, Colonne, Cart. CPL), dell’anno 1467, figura ancora un credito di lire 23 e soldi 8 a favore dell’ospedale di S. Cristoforo prope Sanctum Benedictum derivato dal testamento che Manfredina Stella da Chiavari fece nel 1422. 23 Giustiniani cit., I, c. XI r. — 103 — S. Benedetto In un documento del 9 ottobre 1264 è ricordata la badessa Placentia de Placentia, del monastero di Sancta Maria de Gratia di Fassolo, insieme ad altre 21 monache, buona parte delle quali ricompare in un altro atto notarile, del 19 maggio 1282, accanto alla nuova badessa, suor Consolata 2, ma questa volta il monastero viene indicato col titolo Sancti Benedicti de Faxolo. Ciò può far sorgere il dubbio che a Fassolo i due monasteri di S. Maria della Grazia e di S. Benedetto non fossero in realtà che un solo istituto. E’ verosimile che questa comunità monastica abbia posseduto fin dalle origini un proprio ospedale, secondo una consuetudine pressoché costante nelle fondazioni di ispirazione benedettina. Di questo ospedale, tuttavia, non si hanno notizie documentarie riguardanti il periodo più antico, anche se PAlizeri riferisce di averne trovato menzione fin dal 1129 3. L’autore, però, in questo caso è caduto in un evidente errore cronologico, in quanto afferma di aver trovato, alla data sopraddetta, notizie concernenti l’ospedale eretto presso S. Benedetto dalla famiglia Sacco, che invece sappiamo risalire alla seconda metà del XIV secolo e del quale tratteremo diffusa-mente più avanti. Di questa incongruenza si possono dare due diverse interpretazioni: o l’Alizeri compì un banale errore di trascrizione della data, oppure, se egli trovò in realtà nominato un ospedale di S. Benedetto nel XII secolo, questo doveva necessariamene essere l’ospedale monastico. Purtroppo, come abbiamo detto, non si hanno cognizioni sulle origini di questo istituto e sulla sua attività in genere, mentre se ne hanno sul periodo che ne riflette la fase di decadenza. Lo troviamo, infatti, chiaramente indicato in un atto del 4 dicembre 1370 (v. app. n. 350). Con questo documento la badessa Caterina Grillo ed altre 15 monache del monastero concessero in locazione, per lo spazio di un anno e per la somma di cinque lire e alcuni soldi, a Obertino da Busalla, figlio di Pietro sarto, domum seu hospitium dicti monasterii et conventus positam seu positum extra portam Sancti F home suburbiis ìanue cui coheret antea strata publica retro strata publica ab uno latere terra monasterii et ab alio latere domus Anthonii de barberiis. Pur se non ci è consentito di formulare un giudizio attendibile sulla effettiva capienza dell’istituto, tuttavia l’inventario contenuto nel do- 1 II documento più antico risale al 1129 (A.S.G., ms. 841, c. 14 r. ; L.M., p. 131, n. 44). 2 A.S.G., ms. 841, c. 21 r. 3 Alizeri, Guida cit., p, 1263. - 104 - cumento sopraricordato ci fa ritenere che il numero dei letti fosse di circa una dozzina4. L’ubicazione dell’ospedale, presso la porta di S. Tommaso, tra due strade pubbliche, in tutta vicinanza della cinta muraria eretta nel XIV secolo, ci è confermata anche da una carta del 1534, riportata dal Perasso 5, nella quale si fa menzione quod prope et extra muros civitatis ianuensis est unum hospitale Sancti Benedicti nuncupatum seu una domus ad hospitalitatem deputata in qua peregrini recipi valent. Da questo documento si apprende inoltre che l’edifìcio ospedaliero era ancora esistente a quel tempo, pur se inattivo, e che stava per essere annesso, insieme al monastero omo nimo, alle proprietà di Andrea Doria, nel cui palazzo fu successivamente inglobato. L’atto di locazione del 1370, precedentemente descritto, può significare che ormai l’ospizio aveva esaurito la sua funzione, dato che in quegli anni, a breve distanza da esso, erano attivi altri due ospedali, e cioè quello di S. Cristoforo di Fassolo (cfr.) e quello fondato pochi anni prima da Giovanni Sacco. Tuttavia, dato che la locazione, tra l’altro limitata a un anno, comprendeva anche le suppellettili e il corredo sufficiente per la dotazione di almeno sei o sette letti, si può presumere, da parte del locatario Ober-tino, la prosecuzione dell’attività ospedaliera, che del resto ci pare venga confermata dal contenuto di due documenti di epoca posteriore. Nel primo, del 7 gennaio 1393, si ha notizia della morte di un tal frate Francesco, arcivescovo di Porto Torres6, avvenuta nell’ospedale di S. Benedetto, dove il religioso era ricoverato (v. app. n. 357); il secondo documento, del 1422, riguarda un lascito di novanta lire, da parte di una certa Manfredina da 4 L’inventario riporta quanto segue: ... strapontas XI, coppertorìa burdi Vili et unum pecium fodretum vermilìì, item sachones plenos palie quinque, item pluminaria decem, item lenteamina XXXIIII, item candelabra ferri III, item gradinum pro mensa unum, item incixoria Ugni Vili, item incisoria terre XII, item calderiam unam ... item scitulas ligni II, item quartam et mediam quartam pro mensurando, item cordam unam ad ponderandum fenum, item vegetes mense quinque, item discos pro comedere II, item trepedes IIII, item toalias pro mensa IIII, item manutergia II, item banchas pro cameris I1II, item anfulas IIII, item mensuras pro mensurando vino II, item iharam unam pro oleo, item labetes due pecie, item paelam unam ramii, item catenam unam ferri, item torchia XI, item banchales pro panni II, tales quales. 5 A.S.G., ms. 841, c. 14 r. 6 C. Eubel (Hierarchia Catholica Medii Aevi, Münster 1913, I, p. 503 e sgg.) riporta il nome dell’arcivescovo turritanense Francesco, senza precisare la durata del suo incarico, intorno al 1391. - 105 - Chiavari, a favore dell’ospedale di S. Benedetto1. Questi documenti ci sembrano dimostrare la continuità della funzione assistenziale di questo istituto, dato che essi fanno esplicita menzione al nome dell’ospedale, mentre in altri documenti coevi non si fa riferimento ad un titulus dedicationis specifico, bensì a una generica denominazione di domus hospitalis prope Sanctum Benedictum. Anche in altre carte compaiono le due denominazioni distinte: una di S. Benedetto di Fassolo8, l’altra di domus et hospitale prope Sanctum Benedictum9. Ci pare quindi sufficientemente dimostrata l’esistenza di due ospedali presso la chiesa di S. Benedetto oltre beninteso a quello di S. Cristoforo, duplicità che ha tratto in inganno non pochi studiosi (Alizeri, Accinelli, Perasso, Spotorno, ecc.), i quali hanno attribuito le poche notizie ricavate a un solo istituto, considerando come entità unica l’ospedale monastico e quello fondato in epoca posteriore da Giovanni Sacco. L’ospedale monastico di S. Benedetto ebbe una lunga vita attiva che si concluse con l’incorporazione a Pammatone, anche se di fatto questa, come per altri ospedali genovesi, non si realizzò che molto tempo dopo la bolla di Sisto IV. Nelle Colonne di S. Giorgio i depositi a nome dell’ospedale di S. Benedetto figurano ancora nel XVII secolo, oltre un secolo dopo la cessazione di ogni attività da parte dell’istituto, il cui edificio, come abbiamo già detto, venne acquisito unitamente a quelli della chiesa e del monastero, tra le proprietà di Andrea Doria, dopo l’allontanamento delle Cisterciensi, avvenuto nel 1531. Il secondo dei due ospedali sorse, nella seconda metà del XIV secolo, a breve distanza da quello monastico. Questa opera integrò, nella funzione specifica dell’alloggio e del ristoro di viaggiatori, il vecchio ospizio di S. Benedetto. A questo proposito va tenuto presente che l’afflusso di viaggiatori e di mercanti che giungevano dalle vie del ponente e del nord era, dopo la metà del XIV secolo, in notevole progresso, dopo la stasi prodotta dalla pestilenza del 1348. A ciò va aggiunto un contemporaneo incremento di pellegrini che, oltre alle consuete mete devozionali, si indirizzavano, in quel tempo, con sempre maggiore fervore alla chiesa di S. Tommaso, per venerare le reliquie di Santa Limbania, il cui culto si era andato affermando progressivamente (cfr. l’ospedale di S. Tommaso). Da ciò la necessità di 7 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 508, cart. S, c. 104 v. 8 A.S.G., S. Giorgio, ng. 3036, Cart. Orig. delle Colonne, c. 379 v. (dotazione di 561 lire). 9 A.S.G., Comp. e Mutui, anno 1474, cc. nn. - 106 - poter disporre nell’area di Fassolo, fuori le mura, di ospizi sufficienti ad alloggiare un numero sempre crescente di viaggiatori. Così si giustifica, a nostro avviso, la presenza in una ristretta area territoriale di ben quattro ospedali, quali S. Tommaso, S. Cristoforo, quello monastico di S. Benedetto e quello laico del quale abbiamo iniziato a trattare. Quest’ultimo deve la sua fondazione all’opera di due benefattori genovesi, il banchiere Giovanni Sacco, che ne fu il primo rettore, e il patrizio Raffaele Spinola. Le vicende riguardanti la fondazione e i primi anni di vita di questo istituto possono essere seguite grazie alla trascrizione di numerosi documenti fatta dal Perasso nella sua opera (v. app. nn. 349, 351, 352, 353). I due fondatori avevano ottenuto, nel 1361, dalle monache di S. Benedetto, un terreno presso il monastero, per la somma di 750 lire. La vendita fu, in un primo tempo, effettuata sulla parola, senza la stesura di un regolare atto, che venne poi stilato ufficialmente dal notaio Panizaro, il 7 marzo 1372. Con questo documento la badessa Caterina Grillo e altre 17 monache del monastero cisterciense, davano atto a Giovanni Sacco dell’acquisto del terreno situato di fronte al convento, per la somma sopraricordata, terreno sul quale il Sacco aveva fatto edificare una domus ad hospitandum pauperes peregrinos. Le monache davano anche conto, in questo atto, della destinazione delle 750 lire ricavate dalla vendita, impiegate per acquistare una terra con vigne e alberi da frutta e per ricostruire tre case diroccate che vi si trovavano, ottenendo in tal modo un sensibile vantaggio economico, poiché il reddito del fondo era passato, con queste migliorie, da 15 a 60 lire annue. Il documento citato riporta anche altre notizie di grande interesse: in primo luogo, indica in Giovanni Sacco il primo governatore dell’ospedale, inoltre dà conferma della funzione dell’istituto come ospizio per poveri pellegrini e fornisce alcuni dati sulla sua situazione topografica e sulla sua struttura. Vi è, infatti, una clausola che stabilisce come l’edificio non possit reduci nisi ad hospitandum dictos peregrinos pauperes et non aliquid aliud e un riferimento al refettorio posto supra porticum, fa ritenere che l’ospizio, come la maggioranza degli ospedali medievali genovesi, fosse strutturato su due piani. Nel contratto suddetto sono anche contenute indicazioni sull’orientamento dell’edificio, che aveva una facciata rivolta verso il mare e l’altra verso il monastero. Nel governo dell’ospedale, al fondatore successe Giovanni Povero, non sappiamo con esattezza quando, ma certamente dopo il 1372, dato che a quell’epoca il Sacco era ancora in carica, come risulta dal documento descritto precedentemente. Giovanni Povero era, con tutta probabilità, una — 107 - sorta di intendente o di amministratore del Sacco e si era occupato fin dagli inizi della realizzazione dell’opera benefica, come appare chiaramente in un altro atto del Panizaro, datato 2 aprile 1366 (v. app. n. 349), nel quale lo stesso Giovanni Povero attesta di aver contribuito, come intermediario, alla nascita del nuovo ospedale, senza peraltro aver apportato contributi finanziari, ma soltanto prestando la propria opera. L’attestato conferma che l’onere finanziario dell’impresa venne sostenuto esclusivamente da Giovanni Sacco e da Raffaele Spinola, che pertanto risultavano pieno iure i soli fondatori e proprietari della domus hospitalitatis. Nel documento risulta anche che l’ospedale era provvisto di puteus et claustrum e che i fondatori l’avevano dotato di letti, masserizie, suppellettili, armisia et detensia, nonché delle possessioni immobiliari necessarie al suo mantenimento e all’attuazione delle sue finalità caritative. I due benemeriti cittadini fecero anche costruire, nella chiesa di S. Benedetto, una cappella, entro la quale venne murata una lapide che ne ricordava la fondazione 10. Il rettorato di Giovanni Povero si protrasse sino al 1382 e negli ultimi anni fu turbato da una vertenza sorta con gli eredi di Giovanni Sacco. 11 contrasto era sorto in quanto il rettore sosteneva che l’ospedale avrebbe dovuto fruire di un reddito annuo di 300 lire, sul capitale di ben 6.000 lire che il defunto fondatore aveva destinato a beneficio della domus hospitalitatis. Gli eredi sostenevano invece che tale somma era stata impiegata da Giovanni Sacco per la riedificazione di un importante edificio in Soziglia, che ormai si trovava in stato di evidente abbandono e di rovina (palatio dir-rupto posito lanue in contrata Suxilia infertus u). Per dirimere amichevolmente la vertenza vennero nominati, il 13 settembre 1381, Lucianus Ultra-marinus, utriusque iuris doctor e Oberto Spinola, in qualità di arbitri. Essi stabilirono di avallare in parte le ragioni degli eredi, invitandoli a pagare all’ospedale l’interesse annuo di 40 lire, anziché le 300 richieste. Inoltre stabilirono che gli eredi del Sacco dovessero pagare ai Certosini il fitto arretrato del palazzo di Soziglia, nel quale si trovavano apoteche et taberne, mentre con- l’inizio del nuovo anno il pagamento del canone sarebbe pas- 10 L’iscrizione della lapide, datata 25 gennaio 1364, era la seguente: HANC CAPELLAM CUM OMNIBUS OPPORTUNIS FIERI FECERUNT SUMPTIBUS PROPRIIS ILLI CIVES IANUE QUI ETIAM FECERUNT DOMUM PEREGRINORUM HUIC PROXIMAM (A.S.G., ms. 841, c. 15). 11 II palazzo era stato ottenuto in enfiteusi perpetua dai Certosini di S. Bartolomeo di Rivarolo, come indicato da un atto dello stesso Panizaro, rogato il 1° luglio 1372 (A.S.G., ms. 845, c. 220 r.). - 108 - sato invece a carico dell’ospedale (v. app. n. 352). Alla morte del rettore Giovarmi Povero, Bartolomeo Sacco, figlio ed erede del fondatore, a nome proprio e dei suoi due fratelli minori, rappresentati dalla madre, in qualità di tutrice, presentò come candidato alla carica vacante, il cittadino genovese Oddone Galazio, originario di S. Remo. L’atto di presentazione del 23 giugno 1382 (v. app. n. 353), riveste un particolare interesse poiché ci fornisce importanti ragguagli circa le caratteristiche, gli obblighi e i privilegi delle fondazioni laiche di quel tempo. Nel documento i Sacco si attribuiscono il diritto di revocare, ad libitum, il rettore oltre che di nominarlo, secondo quanto stabilito all’atto di fondazione dal loro padre Giovanni Sacco, il quale avocava tali prerogative a sé e ai propri eredi, secondo una consuetudine mantenutasi per secoli e avallata dal concilio di Vienne del 1311. Tuttavia, secondo le norme ribadite dallo stesso concilio, il fondatore o i suoi eredi avevano, nel caso di fondazioni laiche, soltanto il diritto di scegliere il candidato, che poteva essere investito ufficialmente solo dopo la ratifica dell’autorità episcopale. Nel citato documento, infatti, l’arcivescovo Lanfranco, presente alla stesura dell’atto, approva il candidato prescelto, concede la sua ratifica e il nuovo rettore può quindi pronunciare i giuramenti di rito sanciti dalla costituzione clementina. Oddone Galazio, che esercitava la professione di speziale, nella contrada di S. Andrea 12, dopo la sua elezione si adoperò per sviluppare le attività assistenziali dell’istituto. La sua opera consegui un risultato positivo, poiché un anno dopo la sua nomina egli provvide ad assumere nuovo personale per l’ospedale, fatto questo che testimonia un incremento di attività. Leggiamo, infatti, in una carta del 14 luglio 1383 (v. app. n. 355), che una certa Maddalena, de genere T'artarorum, un tempo serva di Alassina, moglie del calzolaio Giovanni Monleone, si impegnava a prestare la propria opera a favore dell’ospedale, fideliter et soliciter et bona fide et sine fraude per totum tempus vite. In cambio, il rettore assicurava ad essa decentem victum, vestitum et calciamentum ÿer totum tempus quod ipsa steterit et perseveraverit ad servitia dicti hospitalis... et etiam eam tenere sanam et infirmam in dicto hospitali. Di analogo contenuto è un altro documento (v. app. n. 354), nel quale l’impegno a vita di prestare la propria opera a favore dell’ospedale viene stipulato dal muratore Franceschino da Venezia, alle condizioni sopra ricordate e con l’impegno di una condotta mo- 12 V. app. n. 353: Actum lamie in contrata et parrochia Sancti Andree, iuxta apo tecam spedane dicti Odonis... — 109 - / raie irreprensibile all’interno dell’istituto. Nei due casi descritti i legami tra le parti contraenti non hanno nulla in comune con quelli che l’istituto manteneva con la categoria dei conversi, donati, oblati, ecc., ma sono di altro tipo. Evidentemente, si tratta qui dell’assunzione di personale di grado inferiore, di serventi, i quali assicuravano all’ospedale la propria opera in cambio dell’alloggio e del mantenimento. Il nome di Oddone Galazio compare ancora in una carta del 22 agosto dello stesso anno, a proposito della locazione di una terra boschiva, di proprietà dell’ospedale, situata nella podesteria di Voltri, terra che indubbiamente doveva avere una considerevole estensione, dato che il canone annuo richiesto all’affittuario, Giacomo Rosso, da villa Favaie, era di ben 15 lire (v. app. n. 356). A proposio dei documenti sopracitati, riguardanti l’amministrazione del rettore Galazio, va rilevato un particolare curioso relativo alla denominazione dell’ospedale. Infatti, pur trattandosi di documenti dello stesso cartolare, rogati in breve spazio di tempo, l’istituto viene qualificato indiffe-recentemente come hospitale positum extra menia burgi Sancti Thome civitatis ianuensis, oppure come domus misericordie seu hospitale de Faxolo de suburbiis Ianue, o più semplicemente hospitale de Fassolo 13. Dei rettori che seguirono neH’amministrazione dell’ospedale si hanno scarse notizie e queste sono limitate alla indicazione del nome di alcuni di essi. In un atto del 1411, accanto agli altri ospitalari genovesi, compare frater Gaspar Kicius gubernator hospitalitatis peregrinorum iuxta ecclesiam Sancti Benedicti de Faxolo et tamquam hospitalerius hospitalis tercii ordinis Sancti Francisci de lanua (v. app. n. 358). Nel 1434 Brunello Marvino riscuoteva i proventi sui depositi iscritti, a nome dell’ospedale, nelle colonne del Banco di S. Giorgio14, ma non è dato di sapere se egli svolgeva questa funzione in qualità di rettore o di semplice procuratore, mentre sicuramente erano rettori, nel 1449, Bartolomeo Mortara15, che troviamo ancora in carica nel 1456 lé, e Francesco de Franchi Luxardo, nel 1482 17. L’ospedale dei Sacco rappresenta .un esempio paradigmatico di quelle 13 V. app. nn. 350, 354, 355, 356. A questo proposito ricordiamo ancora che la denominazione di « ospedale di Fassolo » era attribuita, fino alla metà del XIV secolo, a quello di S. Cristoforo e passò poi a quello dei Sacco dopo la sua fondazione. 14 A.S.G., S. Giorgio, ng. 102, Colonne, Cart. B, c. 324 r. 15 A.S.G., ms. 845, c. 228 r. 16 A.S.G., S. Giorgio, ng. 190, Colonne, Cart. B, c. 423 r. Qui è detto Bartholomeo de Murtura gubernatore dicti hospitalis. 17 A.S.G., ms. 845, c. 232r. - 110 - fondazioni laiche, che nel basso medioevo si svilupparono cercando di mantenere sempre la propria autonomia e indipendenza nei confronti del potere civile e dell’autorità ecclesiastica. Tale autonomia venne sempre riaffermata dai patroni dell’istituto, tanto è vero che i Sacco, gelosi custodi della loro opera, promossero una causa contro i Protectores di Pammatone, allo scopo di riaffermale la completa indipendenza del loro ospedale dalla giurisdizione ecclesiastica 17. Tale indipendenza avrebbe sottratto la domus hospitalitatis dalla incorporazione all’Ospedal Grande, in base alle disposizioni contenute nella bolla di Sisto IV, che vincolava a tal fine solo le fondazioni religiose. D’altra parte, l’istituto doveva avere una consistenza patrimoniale non disprezzabile e tale comunque da garantire una comoda gestione. La domus hospitalis prope Sanctum Benedictum de Faxollo aveva a suo credito, infatti, nel 1434 1.140 lire, e nel 1467 ben 2.500, depositate presso il Banco di S. Giorgio18. Non sappiamo come si concluse la vertenza tra gli eredi di Giovanni Sacco e gli amministratori di Pammatone, né ci è stato possibile appurare notizie circa la fine di questa benefica istituzione. Tuttavia, presumiamo che la sua attività si sia mantenuta, almeno fino alla metà del XVI secolo, dal momento che il Giustiniani asserisce che al suo tempo era attivo, presso S. Benedetto, un ospedale per i pellegrini19. Questo non poteva evidentemente essere che quello dei Sacco, in quanto l’ospedale delle Cisterciensi, come abbiamo visto, in quel tempo aveva ormai cessato ogni attività. Prima di concludere la trattazione dei due ospedali di Fassolo, vogliamo accennare brevemente a un documento nel quale è ricordato un cospicuo lascito (5.250 lire) che il siciliano Ludovico da Monte Aperto, di Agrigento, aveva destinato in luoghi delle Compere di S. Giorgio, nel 1414, allo scopo di far erigere un nuovo ospedale in Genova, che avrebbe dovuto essere dedicato al nome di S. Benedetto e amministrato da quattro frati dell'Ordine omonimo20. In effetti, la pia istituzione non venne mai realizzata, poiché, a tutto il 1472, la somma legata a tale scopo non era stata ancora utilizzata, mentre gli interessi maturati venivano incamerati dall’Ufficio di Misericordia21. 18 A.S.G., S. Giorgio, ng. 102, Colonne, Cart. B, c. 324 r.; ibid., ng. 234, c. 428 r. Nel 1418, l’ospedale aveva un credito di 740 lire (ibid., ng. 40, c. 276 r.). 19 Giustiniani cit., I, c. XI r. 20 A.S.G., S. Giorgio, ng. 1305, Colonne, c. 124 r. 21 Ibid., ng. 1307, c. 112 r. — Ili — 5. L’ospedale di S. Tommaso La chiesa di S. Tommaso, che un tempo sorgeva sulla scogliera, a breve distanza dal fossato del S. Sepolcro, nel borgo che da essa prese nome, va senz’altro annoverata tra le più antiche di Genova '. Nel contiguo monastero, verosimilmente già in tempi assai remoti, si stabilirono le monache benedettine2. Queste ebbero sempre una notevole influenza sulla vita del borgo che andava formandosi, tanto che la stessa elezione del parroco (o cappellano, come era detto in antico) dipendeva in gran parte da esse3. La regola benedettina imponeva loro un impegno caritativo e assistenziale da indirizzare verso tutti i bisognosi e certamente la gestione di un ospedale poteva assolvere nella maniera più degna e più completa questo impegno. E’ verosimile che proprio per tale compito istituzionale dell’ordine benedettino la fondazione dell’ospedale di S. Tommaso non sia stata di molto posteriore all’insediamento della comunità monastica. Tuttavia, anche se è presumibile una sua origine molto antica, abbiamo potuto reperire notizie documentarie, relative a questo istituto ospedaliero, solo dal XIII secolo in poi. In realtà, una testimonianza sulla esistenza di questo istituto ci viene anche offerta dal testamento di un certo Beidie, risalente al 1182 4. In questo documento infatti si trova un legato di due soldi a favore di tutti gli ospedali compresi tra quello di S. Tommaso e quello di ponte del Bisagno (cuilibet hospitali a sancto Thoma usque ad pontem Donusdei). Pur se in questo caso non viene nominato direttamente, vi è ugualmente una implicita conferma dell’esistenza dell’ospedale. Infatti era uso comune nei testamenti cbe intendevano beneficare tutti gli ospedali, compresi in una determinata area cittadina, nominare soltanto il primo e l’ultimo di essi, posti ai due estremi, occidentale e orientale, di quell’area. Nel caso in questione, l’aver nominato S. Tommaso indica senza dubbio che ivi doveva trovarsi un isti- 1 Schiaffino cit., I, p. 207; L. De Simoni, La chiesa di S. Tommaso apostolo in Genova, Milano 1929, p. 10; Poch, III, p. 28; A.S.G., ms. 835, c. 22 r; D. Cevasco, Statistique de la ville de Gênes, Genova 1838, 1, p. 185. La tradizione fece risalire le sue origini addirittura all’epoca longobarda, ma i primi documenti che fanno riferimento alla chiesa stessa appartengono agli inizi del XII secolo. 2 A.S.G., ms. cit.; Accinelli, Liguria sacra cit., p. 854; De Simoni, La chiesa cit., p. 55; L.M., p. 146, n. 65. 3 La chiesa fu sede parrocchiale presumibilmente fin dalle origini della parrocchialità genovese (Ferretto, I primordi cit., p„ 637). 4 De Simoni, La chiesa cit., p, 63. - 112 - tuto ospedaliero, perché, in caso contrario, sarebbe stato nominato al suo posto quello di S. Giovanni, cioè il primo che seguiva procedendo verso levante; inoltre il documento indica al confine orientale il ponte Donusdei, dove sappiamo esisteva a quel tempo un ospedale (cfr. l’ospedale di S. Fruttuoso). E’ presumibile, data la mancanza di documenti in proposito, che l’ospedale di S. Tommaso fosse in origine di importanza assai modesta e destinato a una attività assistenziale in forma ridotta e occasionale. Dalla metà del XIII secolo in poi, invece, la situazione appare radicalmente diversa e le fonti documentarie ci testimoniano un’attività intensa e tale da porre l’istituto al livello dei più dotati ospedali cittadini. Vi sono ragioni ben precise che giustificano questo cambiamento, ragioni che vanno collegate alla profonda influenza prodotta dal culto di S. Limbania. Il nome della vergine cipriota, approdata a Genova e vissuta nella clausura del monastero di S. Tommaso, nella prima metà del XIII secolo, divenne sacro per i genovesi, i quali attribuirono alla santa, dopo la sua morte, innumerevoli eventi miracolosi. La chiesa del monastero, che ne custodiva i resti, divenne in breve, come è ben noto, meta di pellegrinaggi da parte di devoti provenienti da ogni parte. L’ospedale, in questa nuova situazione, acquisì la funzione di dare ricetto ai numerosi pellegrini giunti a portare il loro omaggio e le loro invocazioni alle sacre reliquie. A motivo quindi della grande popolarità acquisita dal culto della santa, l’ospedale pervenne a una fase di sviluppo mai avvicinata in passato e, a testimonianza di questo legame, assunse anche il nome di S. Limbania, che venne così a unirsi al titolo originario di S. Tommaso. A questo proposito, dobbiamo rilevare che nei documenti l’ospedale è indicato col nome della santa, da solo o associato a quello dell’apostolo, soltanto dalla fine del XIV secolo in poi e che un atto del 23 marzo 1396 (v. app. n. 376) indica l’ospedale come costructum sub vocabulo beati Thome et beate Limbanie, facendo presumere una ristrutturazione e un ampliamento del vecchio ospizio monastico, per far fronte alle crescenti necessità dei pellegrini. Probabilmente proprio in tale occasione si provvide alla modifica del titulus dedicationis, quasi a testimoniare la nascita di un nuovo istituto5. L’ospedale, che sorgeva a breve distanza dal monastero, iuxta portam 5 II Perasso, a questo proposito (ms. 835, c. 36 r.) sostenne che l’ospedale di S. Tommaso fu costruito proprio dopo la morte della santa. - 113 - 8 Sancti Tome6, fu amministrato, nella sua secolare esistenza, da laici o da religiosi, ma sempre sotto il patronato delle monache benedettine di S. Tommaso. Il primo rettore, del quale abbiamo reperito notizie, è frate Giordano, che viene ricordato in qualità di rappresentante dell’ospedale insieme con altri ospitalari, in un documento dell’8 febbraio 1276 (v. app. n. 360), riguardante l’eredità di Bonifacio Mattone. Questo rettore è ancora ricordato in un atto dell’anno successivo (v. app. n. 361), nel quale Pietrina, del fu Guglielmo Bellobruno, disponeva un legato di 10 soldi hospitali Sancti T home quo habitat frater Iordanus. L’opera assistenziale di questo ospitalario dovette lasciare una significativa impronta nella vita dell’istituto, a tal segno, che per un certo tempo (forse anche dopo la sua morte) questo venne identificato con la sua persona e conosciuto col nome di ospedale di frate Giordano, come ci attestano documenti del 1282 (v. app. n. 363) e del 1294 (v. app. n. 366). A frate Giordano successe frate Gerardo, che troviamo indicato in qualità di sindicus et hospitalerius Sancti Thome in carte del 1302 (v. app. nn. 368, 369, 370), riguardanti il recupero di lasciti a favore di alcuni ospedali cittadini. Nel 1303 l’amministrazione passò a suor Allegranza, come indica un documento del 12 novembre di quell’anno (v. app. n. 371) ed essa rimase in carica abbastanza a lungo, dato che atti dell’8 marzo 1311 (v. app. nn. 372, 373) la ricordano ancora nella veste di hospitalaria et ministra hospitalis Sancti Thome. Dopo il rettorato di suor Allegranza vi è un lungo periodo sul quale non abbiamo potuto reperire notizie circa l’amministrazione dell’istituto. Nel 1396 (v. app. n. 376) la badessa del monastero di S. Tommaso, Ermentissa Scota, insieme con la priora Leonetta Grillo ed altre tredici suore, decise di affidare la conduzione dell’ospedale, in quel tempo privo di ospitalario, a Pietro da Canavesio, abitante nella contrada di S. Lazzaro. Questi rimase per vario tempo alla guida dell’istituto e lo ritroviamo citato, con altri ospitalari genovesi, l’il dicembre 1400, a proposito della nomina di un procuratore idoneo a tutelare i comuni interessi7. Undici anni dopo egli partecipò ancora ad una analoga riunione, come attesta un documento del 15 maggio 1411 (v. app. n. 379), che lo indica ancora quale hospitalerius Sancti Thome de lanua. Il 7 gennaio 1437 la badessa e 6 Ibid., c. 26 v. 7 V. app. n. 377. Lo stesso ospitalario è citato in un documento successivo, del 25 gennaio 1401, del tutto simile al precedente, nel medesimo cartolare (v. app. n. 378). - 114 - le monache nominarono, a ricoprire la carica vacante di ospitalario, Giacomo Boichio e sua moglie Caterina Danovaro, con licentia petendi et requirendi questas et elemosinas pro dicta domo, con l’obbligo però di reparare seu facere reparari tectum ac muros eiusdem domus8. Dagli atti di nomina di questi ultimi ospitalari possiamo ricavare interessanti notizie sulla conduzione amministrativa dell’istituto. In primo luogo ci viene confermata la sua dipendenza dalle monache del monastero di S. Tommaso, che ne mantennero sempre il patronato. Vediamo, infatti, che era il loro capitolo ad eleggere il rettore e che costui doveva rendere ragione del proprio operato al capitolo stesso, secondo le note disposizioni del concilio di Vienne del 1311. La concessione in gestione a laici dimostra la trasformazione di questo, come degli altri ospedali monastici (cfr. gli ospedali di S. Stefano, di S. Benedetto, ecc.), ormai non più amministrati in proprio dal monastero, ma dati in locazione o gestiti indirettamente. Va inoltre rilevata la particolarità della gestione congiunta, affidata a coniugi che, insieme, provvedevano ad espletare la funzione di ospitalari, fatto questo non raro negli ospedali medievali, per i quali la direzione affidata a coppie di iugales offriva garanzie di migliori risultati dal punto di vista economico e assistenziale (cfr. l’ospedale di S. Lorenzo). Lo sviluppo che l’istituto ospedaliero di S. Tommaso ebbe dalla seconda metà del XIII secolo in poi rese necessario l’impiego, oltre ai rettori, di personale subalterno in numero adeguato alle crescenti esigenze. E’ presumibile che un certo numero di serventi venisse impiegato nell’istituto per espletare le più diverse funzioni, come si può arguire dall’atto citato del novembre 1282, nel quale si accenna all’assunzione, nell’ospedale di S. Tommaso, di un certo Giovanni da Valcurone, che avrebbe dovuto prestare la propria opera a favore degli infermi, dedicandosi in particolare al « servizio dell’acqua ». Il periodo di maggiore attività dell’ospedale non si protrasse verosimilmente oltre gli inizi del XV secolo, in conseguenza di quella crisi generale della ospedalità, che portò a radicali mutamenti di indirizzo in campo assistenziale. L’invito che le monache di S. Tommaso facevano nel 1437, all’atto della nomina dei nuovi rettori, ad effettuare riparazioni al tetto e ai muri dell’edificio ospedaliero, è un chiaro indice che questo si trovava in cattive condizioni. Ormai, in quel tempo, il grande ospedale di Pammatone aveva già iniziato quell’ascesa che determinò la fine della maggior parte 8 A.S.G., ms. 835, c. 36 r. - 115 - dei piccoli ospizi medievali della città. Anche l’ospedale di S. Tommaso concluse la sua secolare esistenza con l’incorporazione all’Ospedal Grande, avvenuta nel 1474, in ossequio alla nota bolla di Sisto IV9. 6. L’ospedale di S. Giovanni La fondazione dell’istituto di S. Giovanni di Prè rimane tradizionalmente legata alle vicende della chiesa del Santo Sepolcro, la quale come è noto, ebbe origini antichissime, risalenti, secondo alcuni \ addirittura al VII secolo. Dobbiamo però riconoscere che in realtà la prima cognizione storica sulla chiesa è quella che ci viene riferita dal Calcagnino 2, in rapporto alla traslazione delle ceneri di S. Giovanni Battista nel 1098. Le reliquie, portate a Genova da Oberto da Passano, vennero sbarcate presso lo scalo di Prè, in Capite Arenae, e la chiesa del Santo Sepolcro le custodì per brevissimo tempo, prima della definitiva collocazione in S. Lorenzo. Nella seconda metà del XII secolo questa chiesa passò alle dipendenze dell’ordine di S. Giovanni Gerosolimitano, i cui cavalieri, a seguito della riscossa saracena, avevano dovuto abbandonare la Terrasanta, rientrando in Occidente dove, nelle città che rappresentavano i principali centri di traffico terrestre e marittimo, fondarono le loro nuove sedi3. Per comprendere più compiutamente il significato e le funzioni che l’ospedale di S. Giovanni assunse a Genova in epoca medievale è necessario rifarsi alle origini, ai compiti istituzionali ed ai caratteri organizzativi del grande ordine omonimo, al quale si dovette per secoli la conduzione di questo, che fu uno dei principali istituti ospedalieri genovesi del tempo. L’ordine di S. Giovanni di Gerusalemme4 sorse verosimilmente, con 9 A.S.G., ms. 835, c. 26 v.-, Anselmi cit., p. 267. 1 A.S.G., ms. 836, c. 300 r. 2 A. Calcagnino, Historia del glorioso precursore di N. S. Giovanni Battista protettore della città di Genova, Genova 1697, p. 87. 3 G. C. Bascapè, L’Ordine di Malta e gli Ordini equestri nella storia e nel diritto, Milano 1940. 4 Per quanto concerne la storia dell’Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, la bibliografia è oltremodo ricca, ci limitiamo pertanto a segnalare le ben note opere di F. Giustiniani, G. Bosio, F. Mennenio, G. de Michieli, R. Cuomo, L. Cibrario, J. Delaville-le-Roulx, M. De Pierredon, G. C. Bascapè, I. Pappalardo. - 116 - funzioni esclusivamente ospedaliere, nella seconda metà dell’XI secolo, acquisendo i caratteri cavallereschi solo dopo il 1118, anno in cui i vari ordini gerosolimitani effettuarono una riforma dei loro statuti, assumendo un’impronta prevalentemente militare5. Questo nuovo indirizzo non fece però mai dimenticare ai Giovanniti il loro primitivo compito istituzionale ospedaliero, che venne scrupolosamente mantenuto attraverso i secoli. Tutta la complessa gerarchia dell’Ordine dedicava parte della propra attività ai malati e ai bisognosi: lo stesso Gran Maestro aveva, come è noto, la qualifica di « Custode dei poveri di Gesù Cristo » e tutti gli appartenenti al-l’Ordine, divisi nelle tre classi (cavalieri, sacerdoti e confrati), avevano precisi compiti assistenziali. I cavalieri, ai quali competevano la professione delle armi e le funzioni direttive, si dedicavano personalmente agli infermi e ai poveri, che chiamavano « nostri signori », spesso coadiuvati in questo compito da confratelli esperti nell’arte medica. I sacerdoti, ovviamente, si occupavano dell’assistenza spirituale e religiosa, mentre la classe dei « con-fratres », nella quale confluivano elementi di più modeste origini (donati, redditi o conversi), svolgeva le mansioni assistenziali più umili6. Fin dalle origini dell’ordine gerosolimitano era uso che il Gran Maestro affidasse ai cavalieri ospedalieri di un certo rango fondazioni di tipo monastico, alle quali era in genere annesso un ospedale, unitamente alle rendite da esse derivanti. Era appunto questa assegnazione che si definì, in epoca tarda, « Commenda »1. I Giovanniti ebbero a Genova una delle loro sedi più importanti, e la precettoria di Prè fu sempre considerata una delle più ragguardevoli, anche se sottoposta al Priorato di Lombardia. L’Ordine prese possesso dell’antica chiesa del Santo Sepolcro, subentrando, secondo quanto sostengono gli storici genovesi8, ai Canonici Regolari della congregazione omonima i quali, probabilmente, avevano già un loro ospedale in questa sede. 5 B. Kugler, Storia delle Crociate, Milano 1887, p. 116. 6 Cfr. il capitolo relativo al personale ospedaliero nella parte introduttiva. 7 V. Persoglio, S. Ugo e la Commenda di S. Giovanni di Prè, Genova 1877, p. 159. 8 Negli scritti di F. M. Accinelm (Liguria sacra cit.), di D. Montaldo (Sacra ligustica coeli sidera, Genova 1732, p. 158), di N. Perasso (ms. 836, c. 300 e sgg.), del Persoglio cit., p. 150, vi è concordanza di opinioni per quanto concerne la successione dei Giovanniti ai Canonici Regolari del Santo Sepolcro, ma vi sono invece pareri discordi per quanto riguarda le origini e soprattutto l’insediamento a Genova di questi ultimi. - 117- E’ fuori dubbio che l’avvento dei cavalieri gerosolimitani segnò una svolta significativa, non solo sulla denominazione, ma anche e soprattutto sulla conduzione della chiesa e dell’annesso ospedale. Tutto fa presumere che i cavalieri di S. Giovanni fossero subentrati ai Canonici del S. Sepolcro assai prima del 1180, data nella quale ebbero inizio, come vedremo, i lavori di costruzione della nuova chiesa. Il documento del 5 marzo 1156, col quale un certo Raimondo Pictenado legava per testamento venti soldi ospitali lerosolimitani, cinquanta soldi fraternitati templi, e chiedeva sepoltura ad ecclesiam Sancti Sepulcri (v. app. n. 381), può essere interpretato in senso affermativo circa la presenza dei Giovanniti a Genova già in quel tempo, per tutta una serie di considerazioni. Infatti il Pictenado doveva essere in qualche modo legato agli ordini gerosolimitani (forse per una sua permanenza in Terrasanta, o come crociato o come pellegrino), in quanto nel suo testamento, il legato fraternitati templi è indirizzato evidentemente all’ordine dei Templari, e quello hospitali lerosolimitani si riferisce non tanto all’ospedale ma piuttosto all’ordine giovannita, che è infatti spesso indicato, nei propri documenti ufficiali e nei sigilli, come hospitale Ierusalem 9. Si potrebbe però pensare che il testamento volesse beneficare non istituti locali, ma quelli di Terrasanta. Prescindendo dal fatto che, come giustamente osserva il Tacchella 10, in queso caso avrebbe dovuto essere presente la dizione de ultramare, è significativo rilevare che gli unici ordini gerosolimitani presenti a Genova in quel periodo erano proprio i Templari (S. Fede), i Canonici Regolari del S. Sepolcro e verosimilmente i Giovanniti. D’altra parte, la richiesta della sepoltura presso la chiesa del S. Sepolcro ci conferma che il Pictenado intendesse riferirsi solo a istituti locali, perché non è certo pensabile che volesse disporre la propria inumazione a Gerusalemme. I legati destinati ai Templari e ai Giovanniti, e non ai Canonici del S. Sepolcro (di essi è nominata soltanto la chiesa), potrebbe significare che a quel tempo questi ultimi avevano già lasciato la città, sostituiti nella loro sede dai Cavalieri di S. Giovanni. Con l’insediamento dei Giovanniti, la primitiva chiesa del S. Sepolcro mutò quindi il suo nome in quello di S. Giovanni, anche se va rilevato che per un certo periodo si mantenne un’ambivalenza tra le due denominazioni11 9 Nasalli Rocca, Il diritto cit., p. 72, cfr. anche il testamento di Guglielmo Savonese, del 5 settembre 1179 (v. app. n. 383). 10 Tacchella cit., p. 14 n. 11 E’ probabile che per lungo tempo il nome più antico continuasse a essere usato, come d’altra parte si riscontra a proposito di S. Benigno, di S. Tommaso, di S. Croce, ecc. - 118 - e ciò particolarmente nell’accezione popolare. A questo proposito ricordiamo come il Cafïaro faccia esplicito riferimento alla chiesa del S. Sepolcro, a proposito dell’acquisto di case, da parte del Comune nel 1162, allo scopo di utilizzare il terreno ricavato dalla loro demolizione, per costruirvi nuovi scali per le navi n. Anche nel testamento di Baldone Scarso, del 1160 (v. app. n. 382), e in quello di Giulia Guilienzone, del 1190 (v. app. n. 392), sono contenuti lasciti indirizzati all’ospedale del S. Sepolcro, che confermano come la denominazione si mantenne nel tempo. Se è vero, infatti, che nel 1160 l’ospedale poteva non avere ancora avuto la dedicazione a S. Giovanni, questa certamente era già acquisita nel 1190, dieci anni dopo la fondazione della nuova chiesa. Al 1180 risale infatti questa fondazione come ci ricorda la nota lapide murata all’interno del campanile di S. Giovanni, la quale ci indica anche il nome del precettore che realizzò l’opera 13. Un’altra lapide, un tempo contenuta nell’oratorio di S. Ugo, forniva poi altre preziose indicazioni: Guglielmo, oltre ad essere ricordato come templi fundator, a conferma dell’iscrizione precedente, veniva indicato anche con il termine di domus reparator u. Ciò sta evidentemente a significare che la chiesa fu costruita ex novo, mentre le strutture conventuali, già esistenti, vennero soltanto restaurate. In questo edificio riteniamo debba essere compreso l’antico ospedale, già appartenuto ai Canonici del S. Sepolcro. La lapide sopra ricordata ha importanza anche perché in essa il fondatore Guglielmo è qualificato come praeceptor, carica che, secondo l’opinione generale degli storici IS, egli fu il primo a ricoprire. In realtà, se da un lato va riconosciuto che le fonti documentarie non danno notizie di rettori antecedenti a Guglielmo, d’altra parte, considerando che i Giovanniti si insediarono a Genova verosimilmente assai prima del 1180, non è improbabile che altri rettori lo avessero preceduto. Il precettore Guglielmo viene ancora ricordato col titolo specifico di ospitalario, in un atto del 1182, riportato dal Muzio16, ed è questa la prima volta in cui il nuovo ospedale di S. Giovanni viene citato 12 F.S.I., Annali genovesi, I, p. 73. “ Pro QuO QUESO PATER Qui TRANSIs DIC + ACTORe Wilielmi DOmiNI DOMUs EXII Hic / + M. CLXXX TEMpoRE Vilielmi INCOATUM Est (cfr. Perso-glio cit., p. 441). Ibid. 15 Cfr. Persoglio, Perasso, Tacchella, opp. citt. 16 N. D. Muzio, Sancti Joannis Ordinis Hierosolimitani de Capite Arene, ms. del sec. XVIII, in BiB, cc. nn. - 119 - in un documento notarile. Dopo Guglielmo vari rettori si susseguirono alla direzione della precettoria e dell’ospedale di S. Giovanni17; di essi diamo qui di seguito l’elenco cronologico, limitando, ovviamente, allo stretto indispensabile tutte quelle notizie già acquisite attraverso precedenti pubblicazioni, alle quali rimandiamo per ulteriori particolari18. 1180 - Frate Guglielmo, il fondatore della chiesa. E’ il primo rettore del quale si hanno notizie. Secondo il Paciaudi, sarebbe morto nel 1186 19. 1191 - Frate Pietro. Ricordato in due atti del Cassinese (4 giugno e 15 settembre 1191), il secondo dei quali contiene anche il nome dei suoi confratelli, il prete Gandolfo e i frati Bonvassallo, Ugone (forse S. Ugo) e Bonifacio (v. app. nn. 399, 403). 1193 - Frate Guglielmo. Rimase in carica per un lungo tempo, come risulta da numerosi atti relativi al periodo che va dal 1193 al 1216 che lo ricordano come precettore della domus20. 1226 - Frate Marino. E’ citato come precettore, insieme a 12 frati e redditi dell’ospedale, in atto del 6 dicembre 1226 21, nel quale l’ospedale beneficia di una donazione di terre site in Livellato e in Chiavari. 1229 - Frate dongiovanni Scalia. E’ citato, nella veste di precettore in un 17 Va precisato che la nomina di precettore di S. Giovanni non sempre comprendeva anche quella di ministro dell’ospedale, poiché, a volte, le due funzioni erano espletate da persone diverse (cfr., ad esempio, l’atto del 6 giugno 1249, v. app. n. 522, nel quale frate Marino è indicato come precettore e frate Giacomo da Finale come ministro dell’ospedale). 18 Persoglio cit., p. 150 e sgg.; V. Peirano, Fra’ Guglielmo da Voltaggio, Genova 1879; Tacchella cit., p. 19 e sgg.; Muzio cit.; Perasso, ms. 836, cc. 300-310; Acci-Nelli, Liguria sacra cit. 19 Persoglio cit., p. 150. 20 1193 (Tacchella cit., p. 21); 1197 (v. app. n. 408, in cui compare, oltre al rettore anche frate Bernardo); 1198 (v. app. n. 409, dove figurano anche il prete Ansaldo e i frati Ugone, Giovanni Barbero, Guglielmo da Chiavari, Rubaldo e Ottone); 1203 (v. app. n. 419); 1207 (v. app. n. 429, in cui compaiono, insieme al precettore Guglielmo, i nomi dei confratres dell’ospedale, Guglielmo da Pozolo, prete Rubaldo, prete Ugone, Bongiovanni Scalia e Oberto Rosso); 1211 (v. app. n. 435); 1214 (Persoglio cit., p. 152, v. app. n. 446); 1216 (v. app. n. 451, dove si trova nominato anche un altro Guglielmo, converso dello stesso ospedale). 21 A.S.G., ms. 836, c. 303. — 120 — atto del 13 marzo 1229 22. Egli risulta ancora in carica il 18 marzo 1230 (v. app. n. 490). 1232 - Idrate Raimondo. E’ indicato quale ministro dell’ospedale, in una carta del 10 febbraio 1232 (v. app. n. 494), relativa alla vendita di una casa di proprietà dell’ospedale. In questo atto sono citati i nomi degli altri confratres, prete Marino, prete Giovanni, frate Andrea, frate Guglielmo (cantiniere), frate Pietro (ortolano), frate Giovanni, frate Silvestro, frate Giacomo (medico) e Guglielmo da Voltaggio, che esplicava le mansioni di procuratore. In due documenti, datati 7 marzo 1232 (v. app. nn. 495, 496), sono ricordati i nomi di Guglielmo da Pontecurone (frate dell’ospedale) e frate Ottone, qualificato come procuratore dell’istituto. 1232 - Frate Guglielmo da Voltaggio. Svolse, come abbiamo visto, le mansioni di procuratore dell’ospedale, per assumerne poi la direzione, secondo quanto ci conferma una ricevuta relativa al recupero di un lascito testamentario, del 9 marzo 1232 (v. app. n. 497), nella quale egli viene chiaramente indicato come ministro dell’ospedale. Va anche precisato che lo stesso Guglielmo da Voltaggio è indicato come precettore, in una carta del 28 dicembre 1232 (v. app. n. 493), dove egli figura come teste, insieme con i suoi confratelli, prete Raimondo, prete Amedeo e i frati Andrea, Pietro, Silvestro e Ansaldo. L’apparente sovrapposizione di incarichi, che si verifica nel 1232, è spiegabile, tenendo presente che, come abbiamo già detto, le funzioni di precettore della domus e di ministro dell’ospedale potevano, a volte, essere scisse e affidate a persone diverse (v. app. nn. 494, 522). 1232 - Frate dongiovanni Scalia. Il 16 luglio 1232 figura nuovamente come precettore, in occasione della nomina del canonico Guglielmo da Rivarolo quale sindaco dell’ospedale. Nell’atto compaiono, oltre al precettore, i rappresentanti del capitolo, prete Raimondo, prete Marino e i frati Andrea, Oberto a, Silvestro, Giovanni, Guglielmo da Voltaggio e Ansaldo (v. app. n. 500). 22 II precettore figura nel documento in veste di testimone, unitamente ad Andrea da Varazze, confrater dell’ospedale (v. app. n. 486), in atto del 19 dicembre dello stesso anno egli è indicato, quale commendatore dell’ospedale di S. Giovanni (v. app. 487). 23 In un documento del 1232, (Muzio cit.) si trova indicato frater Obertus ospìta-larius Sancti I oh annis de Capite Arene. Evidentemente, in questo caso, il termine ospitalario si riferisce alla semplice appartenenza alTOrdine e non a funzioni direttive. - 121 - 1233 - Frate Bernardo. Egli è citato in data 28 agosto 1233, in un atto di donazione all’ospedale, con la qualifica di precettore (v. app. n. 505). Va rilevato che il suo nome non è mai stato segnalato da altri AA. tra i rettori dell’istituto. 1239 - Frate Marino. La sua permanenza alla guida dell’istituto si prò-trasse per un lungo periodo: egli è infatti citato come rettore già il 30 marzo e l’8 agosto 1239 (v. app. nn. 512, 513) e appare ancora in documenti del 1245 24 e del 1247 25, nei quali compaiono i nomi dei frati Giovanni da Porto Maurizio, Giacomo da Finale, Giovanni Corso, Ugone da Recco e del cappellano dell’ospedale, prete Guglielmo Calice. Vi sono poi altri tre atti del 1249 (v. app. nn. 522, 524, 525), nei quali, oltre al precettore Marino, sono citati i nomi dei confratres: Giovanni da Laimelo (o Lumello), che è detto custos infirmorum, Vestito, Trincherò, Montesano (cantiniere), Bernardo Gabo, Enrico da Cogorno, Oberto Spanella, Giacomo da San Siro, Giovanni Guarnero, oltre ai già ricordati Giacomo da Finale e Giovanni Corso. Il 5 ottobre 1250 26, il precettore Marino è ricordato ancora, a proposito della vendita di una casa in borgo S. Stefano, e in questo documento sono riportati anche i nomi dei suoi confratelli, Giovanni da Lumello, Guglielmo Cebà, Pasquale da San Remo, Giovanni Granara, Giacomo da Castelletto, Gandolfo, Nicola Carnevale, Bernardo da Santa Sabina, Enrico da Cogorno, Guglielmo da San Leonardo e Bonincontro da Recco. 1252 - Prete Giovanni. Egli venne indicato come minister et preceptor mansionis et hospitalis Sancti lohannis de Capite Arene, in atti del 1252, 1253 e 1254, riportati dal Muzio 27. La trascrizione di questi documenti, riguardanti possedimenti dell’ospedale in varie località, quali Voltri, Savona e Albenga, ci fa conoscere anche i nomi di numerosi confratelli residenti nell’istituto in quel periodo: prete Guglielmo, frate Giovanni da Lumello, frate Giovanni de Porta, prete Enrico, frate Vestito, frate Giacomo, frate Fulcone de Negri, frate 24 A.S.G., ms. 836, c. 303. In questo atto del 29 agosto si ricorda che erano presenti nell’ospedale 12 persone tra frati e conversi. 25 Muzio cit., docc. dell’11 settembre e del 26 ottobre. 26 Peirano dt., p. 12. 27 Muzio cit. - 122 - Giovanni (cantiniere), frate Giacomo da Finale, frate Marcareo, frate Anseimo, prete Lanfranco e frate Oliviero de Zerba. In un atto del 19 ottobre 1257 (v. app. n. 536) è citato frater Johannes sin-dicus actor et procurator hospitalis et conventus Sancti Iohannis de Capite Arene e in un altro, del 20 aprile 1260 (v. app. n. 543), si trova nominato prete Giovanni da Valditaro, quale procuratore dell’ospedale. E’ verosimile che questi procuratori fossero semplicemente omonimi del rettore Giovanni, dato che li ritroveremo successivamente tra i confratres dell’istituto, nel 1268. 1268 - Frate Aimerico. E’ citato come precettore in un atto del notaio Angelino de Sigestro, del 22 giugno 1268 28, relativo a una permuta di terre in Voltri, atto in cui sono riportati anche i nomi di prete Armandino, prete Giovanni (forse l’ex rettore), prete Giovanni da Valditaro, prete Giovanni Crosa e i frati Simone, Giovanni de Porta, Giovanni Leonio, Oberto da Moncalione, Oberto Spanella e Pietro da Vercelli. Nel 1268, secondo il Perasso 2j, il rettore era invece Giovanni Pinelli, ma la notizia non viene suffragata da alcun documento, per cui si può ritenere che costui non fosse altro che un semplice procuratore (v. app. n. 577), come lo fu, ad esempio, Luchino Grimaldi, che rappresentava l’ospedale di Prè nell’acquisto di terre e case in Porto Maurizio, ricordato da una carta del 4 febbraio 1268 30, o come Giovanni da Pavia, il quale rappresentava l’ospedale di Prè, in qualità di sindaco, il 5 dicembre 1272 in occasione della trascrizione delle lettere apostoliche riguardanti le immunità e i privilegi dei Giovanniti (v. app. n. 561), o come frate Simone da Diano nominato procuratore il 16 ottobre 1273 (v. app. n. 562) e ricordato in questa medesima veste in un documento del 13 aprile 1275 (v. app. n. 564), relativo al recupero di un lascito, e in una sentenza del console di giustizia del 29 maggio dello stesso anno (v. app. n. 565). 1276 - Prete Manfredo. E’ citato quale precettore dell’ospedale di Prè, in documenti, del 9 gennaio (v. app. n. 567), del 21 gennaio (v. app. n. 569) e dell’8 aprile 1276 (v. app. n. 572). Durante il suo retto- 28 Muzio cit. 29 A.S.G., ms. 836, c. 303 v. 30 P. Accame, Notizie e documenti su Templari e Gerosolimitani in Liguria, Final-borgo 1902, p. 122. - 123 - rato figurano, come procuratori e sindaci dell’ospedale, i già ricordati Simone da Diano, nel 1276 (v. app. nn. 568, 570, 571, 572), frate Giovanni Pinelli (v. app. n. 577) nel 1277 e Pietro da Vercelli nel 1279 (v. app. n. 579)31. 1288 - Frate Guglielmo da Reve. Egli figura in due atti del 24 agosto 1288 32, nel primo dei quali, riguardante la vendita di una terra presso Recco, si trova indicato come « maestro » dell’ospedale del beato Giovanni da Gerusalemme di Genova. Nel secondo documento, che concerne la locazione di una casa con terreno, situati in Recco, egli viene invece indicato come precettore dell’ospedale. 1296 - Frate Bonifacio, marchese del Bosco. Era ricordato come preceptor dignus, in una lapide, un tempo murata nell’ospedale di S. Giovanni e trascritta dal Perasso33, la quale riportava la data della morte, avvenuta il 20 gennaio 1297. Non sappiamo quando egli fu eletto, ma è certo che era in carica nel dicembre 1296, poiché a quell’epoca aveva affidato a Bonifacio da Canelli (suo futuro successore) le mansioni di procuratore, come risulta da un documento del 3 febbraio 1297 (v. app. n. 591). In atto del 5 novembre 1295 (v. app. n. 588) è ricordato il nome di frate Marino, come residente nell’ospedale di S. Giovanni. 1297 - Frate Bonifacio da Canelli. Successe a Bonifacio del Bosco e risulta in carica in due atti di locazione del 3 febbraio 1297 (v. app. nn. 591, 592), nei quali è indicato come prior domus sive hospitalis. 1302 - Frate Pietro da Vicolongo. E’ indicato quale rettore di S. Giovanni di Prè, in un documento del 13 maggio 1302 34 che si riferisce alla convocazione, nella chiesa di S. Pietro d’Asti, di un capitolo generale, comprendente i rettori delle domus di Lombardia, Piemonte e Liguria, indetto da Guglielmo della Rocca, priore generale di Lombardia e della marca di Genova, mentre il 4 maggio dello stesso anno risulta procuratore frate Rolando (v. app. n. 598). Il 2 luglio figura in tale veste, Giovanni da Bargone (v. app. n. 599) e il 12 31 Dei frati residenti in S. Giovanni, in quel periodo, conosciamo il nome di Guglielmo da Roboreto (v. app. n. 579), Melo da Castello, Oberto e Guglielmo Alpicella (v. app. n. 572). 32 G. Cipollina, Regesti di Val Voicevera, Genova s. d., p. 70. 33 A.S.G., ms. 836, c. 303 v. 34 Muzio cit. - 124 — dicembre frate Ottolino da San Remo (v. app. n. 600), il quale esercitava ancora questa funzione nell’anno successivo (v. app. n. 601). Sia Rolando sia Ottolino saranno poi chiamati a ricoprire, come vedremo, la carica di precettore. 1303 - Frate Bonifacio da Voltaggio. Lo indicano a capo della precettoria di Prè il Muzio e il Persoglio35. 1304 - Frate Ottolino da San Remo. Il Perasso lo trova indicato come rettore, in un atto del 30 gennaio 1304, del notaio Guglielmo Osbergero36. Verrà nuovamente eletto precettore trent’anni dopo. 1305 - Frate Bartolomeo del Carretto. Si trova indicato in atti del 30 agosto e del 15 novembre 1305 (v. app. nn. 605, 606). In un documento dello stesso anno figura frate Ottolino, non più come rettore, ma come semplice frate dell’ospedale (v. app. n. 604). 1310 - Frate Francesco de Turricolo. Lo indicano come rettore nel 1310 il Persoglio, il Muzio e PAccinelli (citati). 1311 - Frate Corrado da Canelli. Il Persoglio37, riferisce di aver trovato l’indicazione di questo rettore in un atto del 1311, che riporta anche i nomi dei confratres Pietro da Voltri, Nicolò da Diano e Andrea da Varazze. Comunque, l’8 marzo dello stesso anno, l’ospedale era rappresentato da frate Pietro di S. Giovanni, in veste di procuratore (v. app. n. 610); il 28 luglio, sempre del 1311, un altro procuratore, Michele da Cuneo, figura in un atto di donazione (v. app. n. 612), dal quale si apprende che la precettoria era in quel periodo vacante e che il priore di Lombardia, Giacomo da Canelli, sovrintendeva alla gestione dell’ospedale. Egli, infatti, accettava la donazione di terre a Molassana, in nome dell’istituto (28 luglio), e a lui si rivolgeva il Gran Maestro di Rodi, Folco de Villaiet, il 6 novembre 1312 (v. app. n. 619), per far accettare Allegranza de Credenzi tra le consorelle di S. Giovanni. 1312 - Frate Pietro da Villarengo. Egli figura, in qualità di precettore dell’ospedale, in atto del 24 ottobre 1312 (v. app. n. 618) relativo alla riscossione di una eredità. Il Persoglio lo indica ancora in carica nel 1322. In quello stesso anno, tuttavia, l’ospedale era rappresen- -tato, in una riunione di rettori e di procuratori di ospedali che agi- 35 Persoglio cit., p. 153; Muzio cit. 36 A.S.G., ms. 836, c. 304 r. 37 Persoglio cit., p. 153. - 125 — vano per il recupero dell’eredità di Giovannino de Fornari, da Ottolino da San Remo38. 1313 (?) - Frate Ardito. Il nome di questo rettore figura in un atto, inserito nel manoscritto del Perasso (v. app. n. 620), riguardante la donazione di tre case, poste in S. Nazaro, all’ospedale di S. Giovanni. Nel documento suddetto sono anche citati i nomi di altri frati dell’ospedale e precisamente, Orerio, Simone, Ascherio de Maixo, Bertolino de Predio, Oberto Alpicella, Pietro da Vercelli, Giovanni de Viandra, Bruno de Ilice, Rolando Tasca, Bergonzo e Merlo. Per quanto riguarda la datazione, non è possibile ricavare alcun dato concreto, ma possiamo comunque segnalare che tra le molte postille coeve, apposte sul documento, una contiene l’indicazione: 21 novembre, indizione XI. Tra i diversi anni ai quali l’XI indizione può corrispondere, il 1313 sembra essere il più probabile, per i seguenti motivi. In primo luogo, il documento in questione è unito, nel ms. del Perasso, ad altra carta, datata chiaramente 1313, e inoltre, i nomi di alcuni fratres, citati nella carta in discussione, compaiono anche in altri documenti relativi a un periodo di tempo abbastanza ampio, compreso tra il 1268 ed il 1350. In particolare, ricordiamo Pietro da Vercelli, presente nell’istituto nel 1268 (Perasso cit. c. 303 v.) e nel 1279 (v. app. n. 579), Simone, nel 1268 (Perasso cit. c. 303 v.), Merlo da Castello e Oberto Alpicella, nel 1276 (v. app. n. 572), Giovanni de Viandra (o Biandrate), nel 1350 (Perasso cit. p. 154). Pertanto, una collocazione del documento verso una delle due date estreme, avrebbe inevitabilmente comportato una longevità non comune per qualcuno dei personaggi dianzi citati, mentre la datazione del 1313 appare la più equidistante tra i due limiti cronologici (1268-1350). 1324 - Frate Federico Malaspina. E’ ricordato dal citato Persoglio (p. 154), che lo annovera tra i precettori di S. Giovanni nel 1324. 1331 - Frate Ottolino da San Remo. Egli, secondo il Persoglio (cit. p. 154), era in carica nel 1331 e vi sarebbe rimasto fino al 1335, ma il Perasso afferma di averlo trovato ancora indicato nell’anno succès- 39 SIVO . 38 Alizeri, Guida cit., p. 688. 39 L’A. (ms. 836, c. 304 r.) ha rilevato il nome di frate Ottolino dal Cartolare B Mutuorum. - 126 - 1335 - Frate Rolando. 11 nome di questo precettore compare in un atto del 14 luglio 1335 40, con il quale lo stesso frate Rolando si sottomette con la chiesa e l’ospedale di Prè, all’autorità arcivescovile, al fine di rientrare in possesso di beni sottratti all’ospedale. Egli è forse identificabile con il precettore Rolandello che troviamo in carica l’anno successivo. 1336 - Frate Rolandello e frate Tommaso da Casanova. Il primo di que- sti rettori ci viene segnalato dalla citata opera delPAccinelli, mentre il Persoglio, nella successione cronologica da lui compilata (p. 154), ricorda Tommaso sotto l’anno 1336. 1345 - Frate Manuele de Buraldis. Si trova indicato, secondo il citato Perasso (c. 304 r.) in un atto di locazione rogato dal notaio Antonio Mainetto. 1348 - Frate Manuele Riva e frate Giovanni de Savagnano. Secondo il Perasso (cit. c. 304 r), il nome di frate Manuele è riportato dal cartolare B delle Compere del sale nel 1348; secondo il Persoglio (cit. p. 154) in quell’anno era invece precettore frate Giovanni. 1350 - Frate Giovanni da Brandate (o Biandrate). Egli ci viene indicato dal Persoglio (cit. p. 154) sotto l’anno 1350 e dal Muzio (cit.) sotto l’anno 1354. Nel cartolare B delle Compere, relativo all’anno 1353 41, risultano addetti alla riscossione dei proventi dei luoghi, Obertino Anfosso (17 giugno) e Pietro Caravello (29 ottobre), ma su di essi non si hanno altre indicazioni. 1356 - Frate Simone de Guideco. E’ anch’esso dal Persoglio (cit. p. 154) annoverato tra i precettori di S. Giovanni. Nel 1358 riscuotevano i proventi dei luoghi, per conto dell’ospedale, Giovanni Olivari e Giorgio Galazio42. Nel 1361 la stessa funzione veniva svolta da Ardizzone de Varucha e da Leonardo Savina43. 1365 - Frate Stefano da Laigueglia. Il Perasso (cit. c. 304 r.) ha desunto il nome di questo rettore da una pergamena del 23 aprile 1365. 1367 - Frate Anseimo da Laigueglia. Probabile congiunto del suo predecessore, era in carica quando Urbano V fu ospitato nella precettoria di Prè44. Questo rettore morì nel 1376, come risulta da un atto 40 A.S.G., ms. 836, c. 304 r. 41 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 11, Cart. B, c. 248 r. 42 Ibid.., ng. 10, Cart. B, c. 177 r. 43 Ibid., ng. 372, Cart. B, cc. 178 v., 184 r. 44 Tacchella cit., p. 57. - 127 — del 30 ottobre di quell’anno, dal quale si apprende anche il nome di altri sei frati presenti nella domus45. 1376 - Frate Antonio Grimaldi. Egli assume la direzione della domus di Prè prima della morte di frate Anseimo da Laigueglia, ma per pochi mesi. E’ infatti ricordato in un atto del 30 aprile 1376 a proposito della procura concessa a Pietro da Taggia, per la riscossione di crediti nel Sanremese46. 1376 - Frate Daniele del Carretto. Risulta in carica il 30 ottobre 1376, data della morte di Anseimo da Laigueglia, da un atto di locazione 46. 1390 - Frate Antonio Grimaldi. E’ di nuovo indicato come precettore di S. Giovanni in un documento del 15 settembre 1390 47, ma è verosimile che la sua nomina fosse avvenuta assai prima di detto anno48. Egli viene ancora ricordato in un documento del 10 gennaio 1393 49, ma non vi sono altre notizie sulla sua successiva attività per l’istituto e ciò è comprensibile dato che lasciò Genova per Cipro, dove morì nel 1402, durante l’assedio di Famagosta. Nell’ultimo periodo del suo rettorato, probabilmente già in sua assenza, l’ospedale veniva rappresentato da Antonio Salvarezza, in qualità di procuratore, come si apprende da due atti dell’11 dicembre 1400 e del 25 gennaio 1401 50. 1408 - Frate Corrado Spinola. Verosimilmente successe al Grimaldi già nel 1402, tuttavia il primo documento che gli attribuisce la qualifica di precettore risale al 23 ottobre 1408 51 e riguarda una lo- 45 A.S.G., ms. 836, c. 304 r. Negli anni 1386 (Comp. e Mutui, ng. 382, cc. 159 r., 161 v.) e nel 1371 (ibid., ng. 384, cc. 78 v., 81 r.) era procuratore Pietro da Castronovo. 46 A.S.G., ms. 836, c. 304 r. 47 Ibid., c. 326 (documento inserito). 48 Cfr. Tacchella cit., p. 59. « A.S.G., ms. 543, p. 325. 50 V. app. nn. 653,654. Il Salvarezza è ancora ricordato come procuratore di S. Giovanni nel Cart. B delle Compere negli anni 1400 (Comp. e Mutui, ng. 446, c. 164 v.) e 1406 (ibid., ng. 472, cc. 179 v., 181 r.). La stessa funzione di procuratore era stata svolta precedentemente, e per un lungo periodo di tempo, da Gregorio da Valditaro, come testimoniano le scritture contenute nel Cart. B delle Compere relative agli anni 1368 (ibid., ng. 382, c. 161 v.), 1370 e ’71 (ibid., ng. 384, cc. 78 v., 81 r.), nel 1380 e ’81 (ibid., ng. 30, c. 188 f.), nel 1391 (ibid., ng. 417, c. 160 v.) e nel 1392 (ibid., ng. 40, c. 189 r.). 51 Muzio cit. - 128 - cazione di terreni in Bargagli. In esso appaiono anche taluni fra-tres dell’ospedale, Antonio da Busalla52, Gaspare de Fornari da Albenga (eletto l’il dicembre 1400, quale procuratore di vari ospedali - v. app. n. 653), Gabriele da Rapallo e Carlo da Verona. Lo Spinola resse anch’egli la precettoria per un lungo periodo e lo troviamo ricordato nella sua funzione di precettore in atti del notaio de Compagnono, del 1411 e del 1415 (v. app. nn. 655, 657, 658), nel cartolare della descrizione dei luoghi, relativo all’anno 1414 53, in un atto del 1421, di Bartolomeo Gatto54, e infine in uno del 3 dicembre 1424 55. Morì, come è noto, nel luglio 1425. Durante il suo rettorato, le funzioni di procuratore venivano svolte da Antonio da Casale, che troviamo citato nel cartolare B delle Compere, negli anni 1422 e 1426 56. 1425 - Frate Racello de Oro. Nominato direttamente dal papa Martino V, il 31 luglio 1425 venne a lungo contestato dai genovesi finché, nel 1436, la cacciata dei milanesi da Genova lo privò del suo più importante appoggio politico e ne provocò la destituzione. Durante le sue numerose assenze da Genova, Racello si fece spesso sostituire da procuratori, quali Stefano de Landolfi, abate di S. Alberto di Butrio, nel Tortonese, e frate Adriano, cappellano dell’ordine 58. 1436 - Frate Battista Fieschi. Nominato da Eugenio IV, al posto dell’esautorato Racello59, nel 1438 ottenne anche la precettoria di 52 In un atto del notaio Bartolomeo Gatto (Tacchella cit., p. 61), si trova indicato anche frate Antonio Salvarezza da Busalla. 53 A.S.G., S. Giorgio, Descript. Locorum, ng. 7672, 16 ottobre e 20 novembre 54 Tacchella cit., p. 63. 55 A.S.G., ms. 836, c. 300 r. 56 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 508, c. 252 r; ibid., ng. 516. c. 276 r. 57 Su Racello cfr. Suppliche, p. 188, Carteggio, pp. 34 e 202 n. e app. nn. 659, 660, 661, 662, 663, 664, 665, 666, 667, 669, 671. 58 Muzio cit.; Tacchella cit., p. 68. Frate Adriano è forse identificabile con quell’Andriano Giovanni che provvedeva a riscuotere i proventi dei luoghi a nome dell’ospedale, negli anni 1428 (Comp. e Mutui, ng. 520, cc. 281 r., 282 v.) e nel 1435 (ibid.. ng. 531, PN. B. cc. 299 r., 309 r.). Nel 1434 le stesse funzioni venivano compiute da Giovanni da Perugia (S. Giorgio, ng. 102, Colonne, Cart. B, c. 384 v.). 59 A.S.G., ms. 836, c. 304 v. - 129 — 9 S. Clemente di Albenga60. Nel 1444 aveva funzioni di procuratore dell’ospedale di S. Giovanni, Francesco Lomellini61 e nel 1446 si trova invece indicato nel cartolare PS delle Compere62 frate Antonio Venturino, procuratore del Fieschi. Battista Fieschi rimase alla guida della precettoria di Prè per quasi venti anni, fino alla sua morte, avvenuta nel 1455 63. 1455 - Frate Niccolò Varentuccelli. Il nome di questo precettore, nipote di Niccolò V, è legato alla costruzione di una cappella ricavata dall’antica chiesa del S. Sepolcro (detta poi cappella di S. Ugo) nella quale, alla sua morte, avvenuta nel 1457, fu collocata la sua tomba M. 1458 - Frate Gaspare da Airasco, dei signori di Piossasco. Designato dalla curia romana quale successore del Parentuccelli6S, egli non venne accettato dalle alte gerarchie dell’Ordine che parteggiavano per frate Cristoforo da Lusignano. Quest’ultimo ricevette l’investitura dal Gran Maestro di Rodi, il 1° marzo 1458, e fu confermato nello stesso anno da Pio II66. Il contrasto tra i due candidati si risolse con la rinuncia di Gaspare, che cedette i propri diritti a Brasco Saivago. 1459 - Frate Brasco Saivago. La sua nomina, confermata da bolla papale del 26 agosto 1459, non divenne subito esecutiva, per l’aperto contrasto che Cristoforo da Lusignano, sostenuto dall’ordine gio-vannita aveva sollevato67. Tuttavia, i repetuti ricorsi di quest’ultimo non ottennero alcun risultato e Brasco Saivago fu definitiva- 60 Accame cit., p. 99. 61 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 541, cc. 195 v., 196 v. 62 Ibid., ng. 543, cc. 223 v., 224 v. Il Venturino già nel 1428 svolgeva le mansioni di procuratore dell’ospedale (ibid., 520, cc. 281 r., 282 v.). 63 Tacchella cit., p. 70. M Persoglio cit., p. 156; di questo precettore si ha menzione anche nelle carte di S. Giorgio (Descript. Locorum, ng. 7786, cc. nn., dell’anno 1456, alla data del 23 agosto; Colonne, ng. 190, Cart. B, c. 662, dello stesso anno). 65 A.S.G., ms. 836, c. 305 r. 66 Ibid. Gaspare da Airasco rimase in carica almeno fino al 14 aprile 1459, come testimonia la collazione dell’ospedale di S. Giovanni di Sestri da lui effettuata in quella data in favore di Gaspare Bregante (v. app. n. 674). « Ibid. - 130 - mente riconfermato nella sua carica nel 1467 da Paolo II68. Il suo rettorato fu uno dei più lunghi poiché si protrasse per quasi mezzo secolo e durante questo periodo il Saivago provvide a far eseguire importanti opere di ristrutturazione della Commenda e svolse una intensa attività diretta a salvaguardare la consistenza patrimoniale dell’istituto69. Dei vari rettori che si alternarono alla guida del grande ospedale gerosolimitano di Prè, alcuni lasciarono una traccia profonda non solo sulla vita dell’istituto e sui suoi indirizzi assistenziali, ma anche sulla vita dell’intera città, in importanti momenti della sua storia politica, militare e sociale. Basti pensare all’intensa attività diplomatica di Guglielmo da Voltaggio per conto della Repubblica, all’impegno militare di Antonio Grimaldi, caduto a Cipro, al comando delle galee genovesi, e alla saggezza amministrativa di Brasco Salvago, al quale si devono le sostanziali opere di restauro e di ristrutturazione dell’intero complesso architettonico della Commenda, che hanno permesso la conservazione dell’edifìcio fino ai giorni nostri70. Si può dire, in generale, che ogni rettore ha cercato di dare, e quasi sempre ha dato, un proprio fattivo contributo al progresso della fondazione gerosolimitana, secondo i propri mezzi e le proprie capacità, anche se, come sempre avviene, non sono mancati esempi negativi come quello di Racello del-l’Oro, dedicatosi più alla cura dei propri interessi che a quelli dell’istituto. E’ doveroso ricordare, infine, che tra i molti personaggi vissuti nella domus di Prè, uno in particolare emerse nettamente al di sopra degli altri e lasciò una impronta indelebile sulla vita religiosa dell’intera città. Intendiamo riferirci a S. Ugo Canefri, la cui vita fu interamente dedicata alle opere di misericordia. In realtà, forse, il santo non ricoprì mai la carica di precet- «8 Ibid. 69 Tacchella cit., p. 71 e sgg. 70 Va notato, a questo proposito, che l’ordine giovannita imponeva a tutti i precettori di eseguire, almeno ogni 5 anni, opere di restauro e di ampliamento degli edifici posti sotto la loro custodia (Persoglio cit., p. 352). Tra i vari rimaneggiamenti operati in S. Giovanni, quelli eseguiti sotto il rettorato di Brasco Saivago, ricordati dalla lapide esterna, datata 1508, furono senz’altro tra i più importanti. In questo caso si trattò di una vera e propria ristrutturazione dell’edificio, operata secondo gli schemi e il gusto rinascimentali. L’aggiunta del terzo piano, l’alleggerimento dei loggiati con più esili colonne e l’apertura di scale esterne costituivano gli aspetti più evidenti di tale ristrutturazione. - 131 — tore, ma la tradizione agiografica lo ha ormai inserito nella serie dei rettori, tra i quali, per la sua personalità, aveva ben diritto di figurare. Come abbiamo visto, gli ospedalieri di S. Giovanni espletavano la loro attività assistenziale, grazie all’impegno delle tre classi, sulle quali si articolava la loro struttura gerarchica71. Non va peraltro dimenticato che nell’ordine giovannita, accanto a cavalieri, sacerdoti e confratres, era presente anche una non trascurabile componente femminile. Le ospedaliere di S. Giovanni, infatti, dipendevano dall’ordine dei cavalieri, seguendone le regole e dedicandosi all’assistenza del reparto femminile dell’ospedale, già dai tempi della permanenza in Gerusalemme. Dopo la caduta della città santa, esse seguirono l’emigrazione dell’Ordine in Europa ed ebbero conventi e ospedali in Spagna, Francia e Italia72. A Genova, la loro presenza è documentata fino dal 1226. Vi è, infatti, un atto del notaio Salmone, del 15 novembre di quell’anno, nel quale è contenuta una curiosa ritrattazione ■da parte di una certa Giovanna Pevere che aveva fatto promessa di entrare nell’ordine gerosolimitano (v. app. n. 477). Nel documento la Pevere sostiene che la volontà di ritirarsi nell’ospedale di Prè si era manifestata in un momento di temporaneo sconforto a causa della recente morte del marito, ma che in realtà questo proposito era al di fuori della sua mente (extra mentem meam) e che era stata indotta ad esprimere tale intenzione non per propria libera scelta, maliciose et quasi violenter actracta fui). Questo c&so rappresenta tuttavia una eccezione in quanto di norma i propositi venivano mantenuti dalle numerose giovani che esprimevano il desiderio di entrare nell’istituto gerosolimitano. Fu specialmente nel XIII secolo che tale tipo di richiesta ebbe una diffusione considerevole, secondo quanto si può apprendere dai documenti reperiti, e ne fu oggetto, in particolare, proprio la precettoria di Prè. Nel 1233 una certa Orta chiedeva di essere ammessa a far parte dell’ordine di 71 Negli ospedali gerosolimitani prestava la propria opera naturalmente in sottordine anche una categoria di serventi (famuli o servitores) i quali espletavano le mansioni più umili. Memorie di tale categoria in S. Giovanni di Prè si trovano, ad esempio, in una carta del 10 febbraio 1232 (v. app. n. 494). 72 Nasalli Rocca, Il diritto cit., p. 72; L. Pullè, Ddle Crociate ad oggi, Milano 1905, p. 26. Secondo questo A., anche le monache di S. Giovanni si distinguevano in tre classi: dame del chiostro (sorores justitiae), suore spirituali (sorores officii) e suore converse. - 132 - S. Giovanni73 e la stessa richiesta era espressa in un documento di alcuni anni dopo da Alassina Lercari (v. app. n. 528). A questo scopo costei, avendo superato il 17° anno di età ed avendo quindi acquisito la facoltà di decidere di propria volontà, rinunciò ai diritti di successione sulla eredità paterna e materna a favore degli zii i quali, da parte loro, si impegnarono a corrisponderle un vitalizio di tre lire annue per il suo mantenimento. Le monache di S. Giovanni, come era consuetudine anche degli altri ordini religiosi, dovevano cedere all’istituto le proprie sostanze o comunque dovevano fruire di un vitalizio sufficiente a garantire il loro mantenimento. L’ospedale acquisiva direttamente i beni della neofita, oppure riceveva dai parenti di essa una dote o un reddito annuo, come abbiamo visto nel caso sopra ricordato e come dimostra anche un atto del 31 marzo 1254, riportato dal Muzio (cit.), col quale un certo Rubaldo Rosso cedeva a Giovanni, precettore dell’ospedale, un appezzamento di terra e un bosco nel territorio di Voltri, per il mantenimento della nipote Tubergina. Altri esempi di questo tipo ci vengono da atti della seconda metà del XIII secolo, come quello rogato dall’Amandolesio nel 1276 (v. app. n. 569), dove Si-mona, vedova di Bergognone Embriaco, esprimeva la volontà di entrare a far parte dell’ordine gerosolimitano, nell’ospedale di Prè, cedendo ad esso i propri beni, o come il testamento di Giovanni Manerio, del 1293 (v. app. n. 586), nel quale era disposto un vitalizio di 4 lire annue, destinato aila figlia Giacomina, reddita hospitalis Sancti lohannis lerosolimitani de Capite Arene. In questo caso il termine reddita ci dà conferma del tipo di rapporto esistente fra l’Ordine e le persone che volevano entrare a farne parte, dedicando loro stesse ed i propri beni all’istituto. Come per la componente maschile, nella quale abbiamo osservato emergere una rappresentanza nutrita di conversi, donati o redditi, anche per quella femminile era abbastanza frequente questa forma di rapporto con l’ospedale, regolato dalla pronuncia di voti parziali, non raramente solo temporanei e quindi reversibili. Se risultava abbastanza semplice entrare nell’istituto gerosolimitano, in qualità di converse, donate o reddite, disponendo della necessaria dote, ben più difficile si presentava l’iter per chi intendeva entrarvi come monaca. Erano, infatti, richiesti, oltre ovviamente alla pronuncia completa dei voti, 73 T. M. Olivieri, Genova sacra, ms. del 1784, in Bibl. dei PP. Cappuccini di Genova (SS. Annunziata di Portoria). - 133 - requisiti particolari, quali l’età, l’integrità delle condizioni fisiche, le adatte qualità morali e l’appartenenza a nobile casato. A questo proposito è interessante ricordare il contenuto di una bolla del Gran Maestro di Rodi, Folco de Villaret datata 6 novembre 1312 74. Il Gran Maestro segnalava a Giacomo da Canelli, priore di Lombardia, il nome di Allegranza, figlia del notaio Enrico de Credenzi, cancelliere del Comune di Genova, affinché venisse accolta in domo sororum nostrarum Ianue, secondo il « fervente desiderio » dello stesso Enrico. Qui si evidenzia la rigorosità della formula di accettazione, tanto è vero che, nonostante l’intervento del Gran Maestro e la posizione sociale del padre, la candidata doveva comunque dimostrarsi in possesso dei requisiti necessari stabiliti in nostro generali capitulo de Rodi ed essere sana .. . et integra membris suis. Le monache di S. Giovanni erano governate da una precettrice, con funzioni di badessa la quale, tuttavia, era in sottordine nei confronti del precettore gerosolimitano. Di queste precettaci si conoscono soltanto i nomi di Benedetta Saivago e di Franca Squarciafico, che furono in carica nel XV secolo75. Dal punto di vista assistenziale, le suore gerosolimitane si occupavano, come d’uso, delle inferme e delle pellegrine che chiedevano asilo alla domus. Un riferimento ai loro rapporti con i malati si può trovare nel te- ;4 La bolla è riportata in una trascrizione notarile del 1313 (v. app. n. 619). Il documento reca anche la descrizione del sigillo del Gran Maestro: ... cuius sigilli est ymago ab una parte cuiusdam fratris in habitu hospitalis genuflexi orantis ante crucem cum litteralis prope crucem 7-'nec et cuius sigilli circumscriptio talis est + frater ïul(cho) custos. Ab alia parte est ymago sepulcri Christ: cum cruce ad caput et cum cexenderio supra sepulcrum et cuius sigilli circumscriptio talis est + hospitalis Jerusalem. 75 II Perasso (ms. 836, c. 304 r.) assegna per queste due precettaci, rispettivamente, il 1336 per Franca Squarciafico e il 1417 per la Saivago. Di tali date, tuttavia, almeno la prima appare evidentemente errata in quanto nei cartolari delle Compere la Squarciafico è citata in carta del 1435 (A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 531, c. 299 r.) e la Saivago, in una analoga del 1456 (A.S.G., S. Giorgio, ng. 190, Colonne, c. 493 r.). In questo ultimo cartolare (c. 662) è contenuta anche una annotazione riguardante un deposito di 100 lire, iscritto a nome di suor Nicolosia, del fu Tommaso da Levanto, monaca di S. Giovanni gerosolimitano, i cui proventi venivano riscossi dall’allora precettore Nicolò Parentuccelli Ci sono noti anche i nomi di altre due suore dell’Ordine: Franceschina, ricordata nel testamento di Giovanna Cebà, del 5 aprile 1312 (v. app. n. 615), indicata come appartenente all’ospedale di S. Giovanni di Capo d’Arena, e Leonina da Bargagli, monaca del monastero di S. Giovanni del borgo di Prè, menzionata in atto del 14 ottobre 1353 (v. app. n. 645). - 134 - stamento di Giacomina della Volta, del 10 agosto 1285 (v. app. n. 584), nel quale era contenuto un legato di soldi 10 per le suore dell’ospedale di S. Giovanni, affinché esse provvedessero a distribuirli tra i pazienti dell’ospedale stesso. Questa attività assistenziale veniva inoltre svolta dalle monache in un loro proprio ospedale, accanto al monastero, che presumibilmente si trovava in vicinanza della chiesa di S. Leonardo, anch’essa appartenente all’ordine giovannita, come dimostra una bolla di Sisto IV, dell’11 marzo 1481 76, nella quale il papa concedeva al precettore Brasco Saivago facoltà di sconsacrare e di vendere ecclesiam sive capellam sive curam Sancti Leonardi et etiam monasterium et hospitale monialium Sancti lohannis Hiero-solimitani. A ulteriore conferma di ciò ricordiamo che nel citato manoscritto del P. Olivieri è descritta la presenza in S. Leonardo, già nel 1233, di monache ospedaliere le quali prestavano la loro opera « nell’ospedale delle donne inferme ». Il tipo di assistenza praticata dall’ordine di S. Giovanni nei propri ospedali fu sempre di alto livello e fu preso ad esempio da altre istituzioni e ordini ospedalieri coevi, i quali si ispiravano spesso agli statuti dei Giovanniti e alla regola agostiniana che ne era alla base77. Gli statuti dell’Ordine prevedevano, oltre alla cura degli infermi, alla carità ai poveri e al ricovero dei pellegrini, anche l’assistenza all’infanzia abbandonata, che veniva praticata in molti ospedali gerosolimitani, ma della quale, a Genova, non si hanno notizie, per cui è presumibile che nella domus di Prè non venisse addirittura attuata o lo fosse soltanto in minima parte78. Come abbiamo visto, tutta la gerarchia gerosolimitana prestava la propria opera, dal precettore all’ultimo dei serventi, in favore degli infermi e dei bisognosi, e le cure sanitarie venivano in genere gestite da confratres medici, come il frate Giacomo che è indicato con tale qualifica in un documento del 10 febbraio 1232 (v. app. n. 494), oppure da medici esterni se- 76 Tacchella cit., p. 72. 77 Imbert, Les hôpitaux cit., p. 267. 78 E’ possibile che questo tipo di attività sia iniziata solo in epoca tarda. In effetti nel cartolare M delle Colonne (A.S.G., S. Giorgio, ng. 3035, Cart. Orig. delle Colonne, p. 410), è ricordato, per l’anno 1568, un Quadernetum puerorum orphanorum ecclesie Sancti lohanni Baptiste. L’istituzione che si occupava dell’assistenza agli orfani, dedicata a S. Giovanni Battista, si trova segnalata anche nella relazione alla visita di mons. Bossio (Sinodi, diocesanae et provinciales, Genova 1833, p. 193), nella quale, però essa viene distinta dall’ospedale di S. Giovanni di Prè (ibid., p. 175). - 135 - condo le tradizioni dell’Ordine che fin dal XII secolo disponeva di un efficientissimo servizio sanitario nei propri istituti n. I ricoverati nell’ospedale di Prè godevano certamente di un trattamento superiore a quello che la media dei nosocomi cittadini era in grado di offrire loro. In primo luogo, le dimensioni delle corsie erano tali da consentire una degenza confortevole, esente da quei problemi di spazio che affliggevano la maggior parte degli altri istituti80. Inoltre, erano ben note la sollecitudine e la generosità dei Giovanniti, per quanto si riferiva all’alimentazione dei degenti, e la loro competenza in tema di presidi terapeutici. Veniva, infatti, concesso ai ricoverati quanto essi richiedevano come alimentazione, purché ciò non fosse dannoso alla loro salute 81 e gli stessi statuti dell’Ordine davano chiare disposizioni affinché i malati potessero fruire di tutti i medicamenti necessari82. L’ordine di S. Giovanni godeva di notevoli privilegi, dovuti in gran parte ai meriti da esso acquisiti presso la corte pontificia ed anche alla considerazione nella quale era tenuto presso i vari governi. In un atto del notaio Stefano Conradi da Lavagna, del 5 dicembre 1272 (v. app. n. 561) è contenuta la trascrizione di lettere apostoliche, che l’arcivescovo di Genova ordinava di redigere, su richiesta di frate Giovanni da Pavia, sindaco dell’ospedale di S. Giovanni di Genova e procuratore di Ingheramo, priore di Lombardia. Il documento contiene la conferma delle immunità e dei privilegi elargiti all’Ordine da papa Gregorio X, il quale a sua volta aveva ribadito quanto avevano già concesso i suoi predecessori83. Grazie a questi privilegi i Giovanniti erano sottoposti unicamente al loro Gran Maestro e al 79 Delaville Le Roulx cit., I, p. 425. 80 Cfr. Semino cit., pp. 143-179. Durante i lavori di restauro si sono poste in evi-den2a alcune nicchie, le quali, come giustamente fa osservare il Semino, si trovano proprio nel reparto ospedaliero, ad uso dei malati, i quali vi potevano riporre i propri indumenti. 81 Imbert, Les hôpitaux cit., p. 137. 82 Le Grand, Statuts cit., p. 14. 83 A proposito di questi privilegi, tutta una serie di bolle, dalle più antiche, come quella di Alessandro III, del 1170, o quella di Gregorio Vili, del 1187, fino alla bolla di Nicolò V, del 1447 (v. app. n. 673), mantiene, in sostanza, gli stessi contenuti, confermando quanto già era stato stabilito dalle prime stesure (cfr. in Delaville Le Roulx cit., i testi delle bolle riferentisi all’Ordine). — 136 — papa, ma del tutto indipendenti rispetto all’autorità episcopale M, erano esentati dal pagamento di decime, gabelle o pedaggi a re, principi o governi, inoltre non erano tenuti a riparare muri, strade o ponti, su richiesta delle autorità civili, ed avevano facoltà di edificare case, castelli, ville . . . per totum orbem, senza sottostare ad alcuna autorizzazione da parte di autorità civili o religiose85. Oltre ai vari benefici, il papa concedeva poi indulgenze a chiunque avesse visitato le chiese, gli oratori e gli altri luoghi pii dell’ordine e stabiliva ancora che chiunque avesse recato offesa a un gerosolimitano sarebbe incorso in una sententia male ditionis et excomunicationis ipso facto 85. Oltre ai privilegi elencati precedentemente va ancora rilevato che l’ordine godeva facoltà di poter esigere tutti i lasciti fatti in subsidium Terre Sancte (v. app. n. 611) e che gli ospedali dei Giovanniti godevano anche del diritto di asilo, come ci conferma una bolla di Innocenzo IV, del 1254 86. Riferendoci in particolare a Genova, va ancora ricordato che la domus di Prè era stata dichiarata esente dalla tassa imposta da Urbano VI alla città e alla diocesi87 e che il Comune, oltre a stabilire, come d’uso per gli istituti religiosi, un quantitativo di vino esente da tasse88, aveva concesso all’istituto gerosolimitano una parte dei proventi derivati dai pedaggi di Gavi (v. app. n. 668). Questi privilegi testimoniano sulla grande considerazione ottenuta dall’ordine giovannita, il quale ebbe una influenza notevole nella vita politica e sociale del medioevo, grazie soprattutto alla sua cospicua posizione economica che andò sempre più incrementandosi nel tempo, anche se non mancarono momenti di crisi, come ad esempio quello determinatosi tra la fine del XIV secolo e la metà del XV89. Anche a Genova la domus 84 A conferma di questa indipendenza dall’autorità episcopale, ricordiamo che il precettore Rolando, nel 1335, sottomise volontariamente se stesso, la chiesa e l’ospedale di S. Giovanni alla giurisdizione dell’arcivescovo, allo scopo di poter rientrare in possesso dei beni sottratti all’ospedale (A.SG., ms. 836, c. 325 r). 85 A.S.G., ms. 836, cc. 308 r, 310 r. 86 Imbert, Les hôpitaux cit., p. 83. Il diritto d’asilo non era un appannaggio esclusivo dei Gerosolimitani, ma era proprio di tutti gli istituti ospedalieri (Timbal Duclaux cit., pp. 200, 233, 300). 87 Cambiaso, L'anno ecclesiastico cit., p. 441. 88 A.S.G., ms. 836, c. 302 v. L’esenzione era pari a 67 mezzarole di vino per le monache e per i frati (tam moniales quam fratres) residenti in S. Giovanni (atto del not. Maistratio, del 13 die. 1383). 89 R. Valentini, Un capitolo generale degli ospitalieri di S. Giovanni, tenuto in Vaticano nel 1446, in « Arch. Stor. di Malta», 1936, II, p. 1. - 137 - gerosolimitana ebbe una consistenza patrimoniale assai rilevante e l’ospedale godette sempre di una prosperità tale da porsi nettamente al di sopra degli altri istituti caritativi coevi90. Le sue fonti di reddito erano molteplici e tra esse vanno considerati innanzitutto i lasciti testamentari, che rappresentarono sempre una entrata di valore considerevole. Anche se nella maggioranza dei casi si trattava singolarmente di cifre modeste, va tenuto presente il numero imponente di questi legati, che sorpassa di gran lunga quello raggiunto dalla maggior parte degli altri ospedali cittadini. Tra i lasciti ne emergono alcuni di rilevante consistenza che si pongono ben al di sopra della media, come ad esempio, nel noto testamento di Giordano Ri-cheri, del 17 ottobre 1198, il legato di 300 lire destinato all’acquisto di terre per l’ospedale (v. app. n. 410). Oltre ai lasciti testamentari e, ovviamente, alle questue, la maggior fonte di reddito proveniva dalle notevoli proprietà immobiliari che l’ospedale di S. Giovanni aveva acquisito col tempo in Genova e fuori dei confini. Sarebbe troppo lungo enumerare tutte le terre e gli edifici di proprietà dei Gerosolimitani che avevano possessioni nello stesso borgo di Prè (v. app. n. 657), in S. Fede (v. app. n. 500), in Fossatello (v. app. n. 494), in Carignano (v. app. n. 490), in Chiavica (v. app. n. 512), in S. Matteo (v. app. n. 523), in S. Donato (v. app. nn. 541, 592, 652), in Castelletto (v. app. n. 435), al Molo (v. app. n. 628), alla Ripa (v. app. n. 658) e fuori città in S. Nazaro (v. app. n. 591), a Molassana (v. app. n. 612), a Parodi (v. app. n. 525), a Berenego (v. app. n. 445), a Montaldo (v. app. n. 571), a Recco (v. app. n. 498), a Chiavari (v. app. n. 648), a Varese Ligure (v. app. n. 403) e a Voltaggio91. Il periodo di floridezza per l’ospedale non si protrasse comunque oltre il XIV secolo, analogamente agli altri istituti cittadini. Nel XV secolo, infatti, il numero dei frati residenti nella domus andò sempre più riducendosi, tanto è vero che nel 1408 ve n’erano soltanto quattro, oltre al ret- 90 Nei cartolari delle Compere e delle colonne di S. Giorgio si trovano iscritti, a nome dell’ospedale, depositi di consistenza rilevante e spesso anche superiori alle duemila lire. 91 Nella pieve di S. Maria di Voltaggio, l’ospedale di S. Biagio dipendeva da S. Giovanni di Prè (Ferretto, I primordi cit., p. 690). Per una più approfondita conoscenza delle proprietà della precettoria genovese rimandiamo alla citata opera del Tacchella. - 138 - tore92, nel 1415 i residenti erano due (v. app. n. 657) e nel 1439 il precettore Battista Fieschi era il solo presente nell’ospedale (v. app. n. 672), fatto questo che denuncia una indubbia fase involutiva, se rapportato alla nutrita collettività di fratres e di conversi nei secoli precedenti. A ulteriore conferma del momento di decadenza che attraversava la precettoria, sta la richiesta del rettore Brasco Saivago, al pontefice, di poter alienare numerose proprietà dell’istituto, divenute ormai un carico passivo93. Tra queste proprietà, che il papa Sisto IV concesse di poter sconsacrare e vendere, si trovavano compresi, come abbiamo già detto, la chiesa di S. Leonardo, il monastero delle monache di S. Giovanni e il loro ospedale, il quale aveva evidentemente ormai esaurito la propria funzione assistenziale. L’ospedale di S. Giovanni, la cui decadenza coincise con l’avvento di Pammatone, non fu tuttavia mai incorporato a quest’ultimo, ma si mantenne ancora attivo per secoli, pur se questa attività divenne sempre più ridotta e limitata solo al ricovero dei pellegrini. La relazione della visita pastorale di mons. Bossio, del 1582 94, conferma le precarie condizioni dell’ospizio, ridotto ormai a pochi letti malconci. Nonostante la decadenza esso mantenne però ancora un certo grado di attività per lungo tempo, come dimostrano alcuni cabrei del XVIII secolo reperiti dal Persoglio 95. 7. L’ospedale dello Scalo Non pochi ospedali genovesi avevano, come abbiamo più volte osservato, una doppia denominazione, ma nessuno di essi potè vantare una molteplicità di titoli come l’ospizio che venne eretto presso la darsena delle galee. Infatti, esso venne indicato, oltre che col nome più usato di « ospedale dello Scalo » (v. app. n. 689), con quello di Si. Maria dello Scalo (v. app. n. 700), di ospedale del Comune (v. app. nn. 682, 683) e infine di ospedale di S. Maria e S. Cristoforo dello Scalo1Va ancora rilevato che. 92 Muzio cit. 93 La richiesta fu fatta nel 1481 (Tacchella cit., p. 72). 94 Sinodi, diocesanae et provinciales cit., p. 175. 95 Persoglio cit., p. 374 e sgg. 1 A.S.G., S. Giorgio, ng. 102, Colonne, Cart. PNB, c. 398 r.; v. app. n. 692. - 139 - secondo alcuni, l’ospedale fu anche conosciuto col nome di S. Bernardo2, tuttavia, non abbiamo a questo riguardo notizie documentarie dirette, pur se in effetti un testamento del 1348 contiene un legato a favore dell’ospedale di S. Bernardo, senza peraltro fornire indicazioni circa la sua ubicazione (v. app. n. 678). Questo documento è l’unico tra quelli esaminati che faccia menzione di tale titulus dedicationis e inoltre nel cartolare in cui è contenuto si trovano altri lasciti destinati all’ospedale dello Scalo, rogati dallo stesso notaio, Iacopo de Laneri, pochi mesi dopo, ma in essi si ha sempre l’indicazione di ospedale del Comune (v. app. nn. 681, 682). Ciò può legittimamente far nascere il sospetto che l’ospedale di S. Bernardo fosse una entità diversa e del tutto indipendente da quello dello Scalo. Sempre a proposito di denominazioni multiple, dobbiamo ancora ricordare che l’Alizeri3 riporta la parziale trascrizione di un documento del 1322 nel quale si fa riferimento a un hospitale de marina rappresentato da frate Leone da Taggia. In questo ospedale si potrebbe ravvisare quello dello Scalo, in quanto non abbiamo mai trovato citato altrove un ospedale della marina. Va peraltro rilevato che una denominazione così generica potrebbe calzare non solo per l’ospedale dello Scalo, ma anche, ad esempio, per quello di S. Erasmo, la cui ubicazione, presso la spiaggia, lo rende altrettanto adatto ad acquisire tale titolo. Tuttavia, volendo sintetizzare, va tenuto presente che le denominazioni più usuali, reperibili nei documenti, Sono essenzialmente due, e cioè quella di hospitale Scarii, che è un attributo topografico, e quella di hospitale Comunis, che indica la dipendenza. Per quanto riguarda la collocazione topografica dell’istituto, la si può individuare, con sufficiente precisione, nel borgo di Prè, in tutta vicinanza della darsena delle galee, dove ancora oggi due vicoli e una piazzetta conservano il toponimo. I documenti indicano l’ospedale posto in burgo Prédis4, prope darsi-nam s, dalla quale era separato per il tracciato della via pubblica (v. app. n. 699). La conferma di questa ubicazione si ebbe durante i lavori di scavo per l’apertura di via Carlo Alberto (ora via Gramsci), allorché vennero alla luce i resti dell’antico ospedale e della chiesa cui era annesso. Questa era di piccole dimensioni, strutturata su arcate ogivali, con gli usuali conci bianchi e 2 C. Carpaneto da Langasco cit., p. 5; G. Caneva, L’ospedale della Darsena in Genova, in « Studi di storia ospedaliera», Firenze 1963, p. 11. 3 Alizeri, Guida cit., p. 688. 4 A.S.G., S. Giorgio, ng. 1309, Colonne, c. 84 v. 5 Ibid, ng. 102, Colonne, c. 397 r. — 140 - neri. Degli affreschi, che un tempo ne decoravano le pareti, soltanto uno era ancora parzialmente leggibile e raffigurava i santi Francesco e Antonio, nell’atto di predicare alla folla6. L indicazione di ospedale del Comune, che si trova più volte riportata nelle antiche carte, testimonierebbe la dipendenza di questo istituto dalla autorità civile. Questa dipendenza potrebbe originare o dalla diretta fondazione oppure da un giuspatronato acquisito soltanto successivamente. Non è possibile confermare l’una o l’altra ipotesi, in mancanza di documenti probanti, ma è verosimile che il Comune, essendo proprietario di quell’area suburbana, presso la futura darsena7, abbia provveduto ad adibire un edificio già esistente, o di nuova costruzione, come ospizio ad uso dei naviganti e del borgo marinaro che si andava estendendo, in conseguenza dello sviluppo considerevole dei traffici marittimi genovesi. L’ospedale dello Scalo, d’altronde, era situato nei confini parrocchiali della chiesa di S. Vittore che, come è noto, aveva giurisdizione religiosa sulla darsena e sulle galee attraccate8. Se questo ospedale ebbe fin dalle origini, che possiamo far risalire alla seconda metà del XII secolo9, la funzione di assistere la gente di mare, può essere a buon diritto ritenuto, insieme con quello di S. Erasmo, il primo in Italia, dato che il più antico ospedale destinato ai marinai di cui si abbia notizia, è quello che sorse a Venezia nel 1318 10. Il carattere di ospedale comunale non doveva, tuttavia, limitare l’attività assistenziale dell’istituto a una sola categoria di persone, ma verosimilmente ad esso potevano accedere anche persone estranee o comunque non in rapporti con le attività marinare. A questo proposito il Perasso afferma che quello dello Scalo era stimato ospedale pubblico poiché riguardo Valtri ammalati ogni parrocchia aveva un ospedale per gli suoi particolari u. Sem- 6 Casalts cit., p. 580. Purtroppo nulla si è potuto conservare di quelle antiche memorie. 7 L’acquisizione di case e terreni in quell’area avvenne già nel 1162, ad opera dei Consoli (cfr. Annali genovesi cit., I, p. 73). 8 Caneva cit., p. 10; Id., La spetiaria delle galee genovesi, in « Boll. Lig. », 1959, p. 82. 9 II Caneva (L’ospedale cit., p. 11) riferisce di aver trovato notizie dell’ospedale risalenti al 1191. 10 G. Pezzi, L’assistenza ospitaliera ai naviganti, in I NAZ, p. 548 e sgg. 11 A.S.G., ms. 836, c. 300. In questo caso l’A. usa il termine di ospedale pubblico evidentemente in luogo di ospedale comunale, in quanto è noto che per il diritto canonico gli hospitalia publica erano quelli di fondazione religiosa, in contrapposizione con gli hospitalia privata, di fondazione laica. - 141 - brerebbe quindi che la funzione dell’ospizio comunale fosse quella di accogliere qualsiasi cittadino bisognoso, indipendentemente dal rione di residenza, anche se, proprio per la sua ubicazione, è probabile che vi trovassero asilo prevalentemente i marinai e gli addetti alle attività portuali. Verosimilmente l’ospizio dello Scalo fu di fondazione laica, ma in tempi successivi la costruzione della chiesa attigua ne mutò il carattere originario, inserendolo tra i loca religiosa e quindi sottoponendolo totalmente all’autorità episcopale, da cui si rese di nuovo indipendente intorno alla metà del XV secolo per tornare, come vedremo, sotto la esclusiva giurisdizione del potere civile. La destinazione dell’ospedale era rivolta essenzialmente ai poveri e ai malati, come testimoniano numerosi documenti12, tra i quali uno in particolare ci fornisce numerose notizie di importanza rilevante. Si tratta di una supplica del 17 ottobre 1449 (v. app. n. 692), rivolta da frate Leone, rettore dell’ospedale dello Scalo, al Doge e al Consiglio degli Anziani, nella quale si segnala che all’ospedale dello Scalo affluivano poveri e malati in maggior numero che altrove {ad ipsum hospitale magis quam ad alia hospitalia civitatis Ianue confluunt pauperes debiles et infirmi). La supplica di frate Leone contiene inoltre precise indicazioni sull’attività ospedaliera e non limitate al solo istituto del Comune. La richiesta era infatti rivolta allo scopo di ottenere, dalle autorità cittadine, un compenso in favore di Luca Bor-rello, egregius artium et medicine doctor dominus magister, il quale prestava la propria opera di medico nell’ospedale. Il rettore lamentava che nell’ospizio da lui diretto non si era in grado di provvedere a una adeguata retribuzione per le visite quotidiane del medico ob paupertatem . . . quod propter maliciam temporis elimoxine consuete fere sopite sunt. Frate Leone faceva ancora presente che fino ad allora Luca Borrello aveva prestato la propria opera gratuitamente, misericordia et pietate motus, ma che tale rapporto non avrebbe potuto continuare indefinitamente. Pertanto egli faceva richiesta alle autorità che al predetto maestro Luca, al quale sarebbe spettato un compenso di quattro lire annue, fosse concesso una esenzione ab omnibus avariis et impositionibus comunis, come era in uso per medici di altri ospedali cittadini B. Appare qui dimostrata la costante presenza di sanitari nella maggioranza degli ospedali genovesi dell’epoca, sanitari che 12 Cfr. gli atti testamentari e altri atti pubblici regestati in appendice. 13 La richiesta venne approvata il 5 novembre 1449 dal Consiglio degli Anziani e dall’Uffìcio della Moneta, come attesta una postilla nel documento citato (v. app. n. 692). - 142 - usualmente espletavano la loro funzione, stipendiati dalle amministrazioni degli stessi ospedali14. Ritornando ai ricoverati va ancora segnalato che nell’istituto dello Scalo, oltre ai poveri e ai malati, una componente non trascurabile di assistiti era rappresentata dagli esposti. Non sappiamo se l’assistenza ai trovatelli fosse stata svolta dall’ospedale fin dalle sue origini, cosa del resto abbastanza plausibile, ma è certo che nel XV secolo questo tipo di attività caritativa vi ebbe una incidenza rilevante. Nel 1452, infatti, erano ricoverati plurimi infirmi et die diverse miserabiles persone inter quas sunt infantes utriusque sexsus numero viginti qui ibidem a pauco tempore citra expositi fuerunt (v. app. n. 700) e venti anni più tardi il numero era ulteriormente aumentato, poiché vi si trovavano pueri et puelle parvule circiter numero triginta (v. app. n. 703). Ancora in merito al tipo di assistenza praticata nell’ospedale dello Scalo ricordiamo che l’Accinelli sostenne che esso era destinato al ricovero degli schiavi15. Non siamo in grado di confermare questo asserto, in quanto l’unico documento che accenni a rapporti dell’ospedale con gli schiavi è rappresentato da una carta dell’11 luglio 1429 I6, nella quale gli eredi di Lorenzo Spo-torno, coltellinaio, concedevano all’istituto, per la somma di 80 lire e per un periodo di 12 anni, la proprietà di una schiava circassa, di nome Luna, la quale veniva garantita sanam et nitidam ab omnibus vitiis et magagnis occultis et manifestis. E’ possibile che l’Accinelli, piuttosto che agli schiavi, volesse riferirsi ai galeotti che, come è noto, fino alla metà del XV secolo erano di condizione libera e solo dopo vennero sostituiti da equipaggi di catena. 14 Oltre agli emolumenti ricavati dalla propria attività professionale, i medici godevano a Genova di particolari privilegi come l’esenzione dalla gabella censarie, dalla gabella defunctorum e da quelle sulla cavalcatura, sulla legna, sül grano ecc., privilegi questi che il Comune concesse alla categoria con un decreto del 1385 (L. Isnardi, Storia dell’Università di Genova, Genova 1864, I, p. 122 e sgg.). A questo proposito citiamo un documento del 31 ottobre 1403 (A.S.G-, Arch. Segr., ng. 501, Divers. Can-celi, doc. 56), nel quale il Consiglio degli Anziani, nell’accordare la cittadinanza al maestro Pietro da Tussignano dottore in medicina, gli concedeva, per meriti acquisiti nella città, per sè e per i suoi figli, con le rispettive famiglie, l’immunità da tutti i gravami imposti e da imporsi e altri privilegi per tutta la durata della sua vita. 15 Accinelli, Dizionario cit. (cfr. anche Anselmi cit., p. 266). 16 V. app. n. 687. Il documento non è citato nell’ampia trattazione del Gioffrè sugli schiavi a Genova (D. Gioffrè, Il mercato degli schiavi a Genova nel secolo XV, Genova 1971). - 143 - E’ invece certo che l’ospedale desse ricovero ad alcuni prigionieri di guerra ammalati e forse solo a quelli di rango elevato, come lascia presumere il ricovero di don Jaime d’Aragona, catturato nella battaglia di Ponza del 1435 e affidato alle cure di Antonio Castagnola hospitalerius hospitalis Scariil7. I documenti che abbiamo potuto reperire si riferiscono prevalentemente ai secoli XIV e XV, dandoci perciò ragguagli abbastanza esaurienti sulla vita amministrativa soltanto relativamente alla fase di decadenza dell’istituto, mentre del periodo precedente assai poco si conosce. Tra le carte più antiche vale la pena segnalare soltanto un atto del 3 agosto 1257 (v. app. n. 675), dove viene ricordato Guglielmo, prepositus ianuensis, rector ecclesie et hospitalis de o Scario, il quale nominava Venturino da Sestri procuratore e sindaco dell’ospedale, affinchè lo rappresentasse in una causa contro prete Giacomo, della chiesa di Carasco. Nel secolo XIV l’ospedale dovette godere di un periodo di relativa floridezza economica, grazie ai numerosi lasciti testamentari in suo favore, particolarmente concentrati nel 1348, all’epoca della grande pestilenza. Nel secolo successivo si manifestò inevitabilmente, come per gli altri ospedali più antichi della città, una fase di netta decadenza, motivata non tanto da una diminuzione del numero dei ricoveri, ma essenzialmente dalla significativa flessione degli introiti. Questa flessione era conseguente alla sensibile diminuzione dei lasciti, alla quale non era estraneo lo sviluppo del nuovo grande ospedale di Pammatone, Verso il quale andava indirizzandosi la beneficenza pubblica e privata. Abbiamo detto che non vi fu una regressione per quanto concerne il numero di assistiti, in quanto ciò appare dimostrato dal fatto che, ancora intorno alla metà del XV secolo, si cercò di ampliare le strutture dell’ospedale, evidentemente perchè lo spazio a disposizione era divenuto troppo esiguo per soddisfare tutte le richieste di assistenza. A questo proposito ricordiamo che, oltre ai poveri e agli infermi, nel 1452 erano presenti nell’istituto ben venti esposti (v. app. n. 700) e all’epoca dell’incorporazione a Pammatone (1472) addirittura trenta (v. app. n 703). La necessità di maggiore spazio ci viene dimostrata dalla proposta di ampliamento e di ristrutturazione dell’ospizio dello Scalo fatta nel 1435 dal medico Pietro Vernazza che, avendo soggiornato in Inghilterra, aveva riportato utili indicazioni dalla visita negli 17 A. Agosto, Gli elenchi originali dei prigionieri della battaglia di Ponza, in ASLi, LXXXVI, fase. II, pp. 408, 418. - 144 - ospedali di quella nazione 18. Infine, sempre a proposito di ampliamenti, va anche ricordata una petizione rivolta al doge Pietro Campofregoso e al Consiglio degli Anziani, il 21 gennaio 1451, da parte dei governatori dell’ospedale, intesa ad ottenere l’assegnazione di una casupola contigua all’ospedale stesso. Di questa petizione si ha notizia nella delibera del Doge e degli Anziani, datata 16 marzo 1452, nella quale il Consiglio dava mandato al- 1 Ufficio della Moneta di locare in livello perpetuo all’ospedale la domun-cola in questione, al prezzo che a detto Ufficio sarebbe parso più opportuno (v. app. n. 699). Ciò il Consiglio decideva, considerando che questo piccolo edificio, utilizzato dagli addetti alle darsene come deposito di legnami, era al momento ridotto a contenere soltanto pochi rottami e non portava alcuna utilità al pubblico erario. Dal documento si ricavano anche alcune indicazioni topografiche, e cioè che la casupola era contiguam et annexam all’edificio dell’ospedale, ma separata da quelli della darsena trans viam superiorem. La contiguità con l’ospedale fu sfruttata dai govenatori dello stesso, per sostenere che in antico i due edifici dovessero far parte di una unica amministrazione 19. Questa convinzione, espressa in forma dubitativa (videatur fuisse), sembra testimoniare che già a quel tempo erano irreperibili i documenti relativi alla fondazione ed al primo periodo di vita dell’istituto 20. La necessità di ampliare la capienza potrebbe far pensare ad un periodo di particolare floridezza dell’ospedale, ma, come abbiamo già detto, indica invece soltanto un incremento della richiesta di prestazioni assistenziali, al quale non faceva riscontro un adeguato apporto economico. Anzi, evidentemente i proventi dovevano essere ormai ridotti a ben poca cosa, portando a livello di crisi l’amministrazione dell’istituto. Tutto ciò appare chiaramente dalla lettura di un atto del 2 maggio 1452, riguardante la delibera del Doge e del Consiglio degli Anziani, in risposta ad una supplica di Cristoforo da Passano e Battista Presenda, governatori e protet- 18 Ferretto, Ospedali cit. 19... quod dictum hospitale cum ... ea domuncula ita connexa ac coniuncta esi ut antiquitus videatur fuisse unum eidem beneficium... 20 Non era rara la irreperibilità dei documenti riguardanti la fondazione di molti istituti ospitalieri, documenti che a volte venivano occultati ad arte, allo scopo di poter fruire di benefici che altrimenti sarebbero stati abrogati. Infatti in conseguenza alle disposizioni della decretale clementina (quia contingit), del 1311, gli ospedali potevano ancora essere concessi in beneficio soltanto se vi era stata esplicita disposizione, in tal senso, da parte del fondatore (cfr. Imbert, Les hôpitaux cit., p. 225). - 145 - 10 tori dell’ospedale (v. app. n. 700). Costoro rivolgevano una richiesta di aiuto, alle autorità civili, esponendo le condizioni di estrema indigenza nelle quali versava l’istituto. I numerosi poveri, malati e venti bambini raccolti come esposti, sarebbero inevitabilmente morti di fame (fame pereunt intolerabilem . .. egestatem supportant) a causa delle ristrettezze economiche (nam hospitale ipsum tenues adeo redditos habet) se i due governatori non avessero provveduto de eorum propriis pecuniis ad alleviarne i gravi disagi. Essi però non avrebbero potuto provvedere oltre e pertanto sollecitavano una adeguata sovvenzione, poiché, in caso contrario, la vita stessa dei ricoverati sarebbe stata in pericolo e nessuna opera assistenziale avrebbe più potuta essere sostenuta dall’istituto, in non levem iniuriam atque vili-pendium omnipotentis Dei glorioseque Virginis et beati Christoforis, nonché a disdoro di tutta la città. I due governatori, oltre alla sovvenzione, richiedevano poi una sollecita restituzione di sei letti, i quali, forniti di relativo corredo, erano stati requisiti due anni prima dall’Ufficio di Sanità, all’epoca dell’epidemia di peste, dato che la loro mancanza costringeva parte dei ricoverati a giacere supra paleas et in terram, miserabile visu. Le autorità cittadine non potevano, ovviamente, restare insensibili di fronte ad una situazione così drammatica: ordinarono l’immediata restituzione dei sei letti, ad evitanda contagionis pericula, e diedero mandato all’Ufficio della Moneta di scegliere tra le galee in disarmo del Comune, quella in condizioni peggiori e non più in grado di navigare, affinché dalla sua vendita l’ospedale potesse ricavare un utile per far fronte alle più impellenti netes-sità (v. app. n. 701). Questa disposizione venne probabilmente attuata con tempestività, in quanto proprio in quell’anno troviamo depositata nelle Colonne di S. Giorgio la cospicua somma di 1.592 lire a nome dell’ospedale 21, somma che evidentemente non poteva risalire a tempi lontani, date le precarie condizioni economiche chiaramente espresse nella supplica22. L’amministrazione dell’ospedale era, in questo periodo, da poco passata all’Ufficio di Misericordia, al quale era stata affidata dall’arcivescovo Giacomo Imperiale, con atto del 16 gennaio 1451 (v. app. n. 698). Le motivazioni che condussero a questo trapasso, dal potere ecclesiastico a quello civile, sono da ricercare nelle ripetute istanze che venivano rivolte alla Curia circa la negligente conduzione amministrativa dell’ospedale, come è chiaramente 21 A.S.G., S. Giorgio, ng. 174, Colonne, anno 1452, Cart. B, c. 35 v. 22 Nel Cart. B delle Compere i depositi iscritti a nome dell’ospedale dal 1361 al 1435, non superano mai le 368 lire. - 146 - espresso nell’atto suddetto. Tuttavia, dietro queste motivazioni, che rappresentano la giustificazione formale e, forse il pretesto per una trasformazione tanto rapida, ne esistono altre assai più valide, legate a quel processo di laicizzazione degli ospedali, che proprio in quegli anni andava concretizzandosi in tutta Italia e che avrebbe portato a una loro progressiva indi-pendenza dall’autorità episcopale. In questo atto di cessione veniva poi stabilito di corrispondere una indennità ai precettori in carica in quel momento, e cioè, a Michele Scarea, a Giuseppe Dernisio e a Lorenzo Marenco, il quale ultimo doveva avere amministrato l’ospedale per molti anni, poiché già nel 1435 figurava iscritto in tale veste nelle Colonne di S. Giorgio 23. Nell’atto di cessione venne inoltre stabilito il passaggio di tutti i beni mobili ed immobili dell’istituto agli ufficiali dell'Ufficio di Misericordia, ai quali veniva riconosciuto il diritto di eleggere i rettori. I primi eletti furono evidentemente Cristoforo da Passano24 e Battista Presenda, dato che la petizione, da essi rivolta al Doge, è, come abbiamo visto, posteriore di solo cinque giorni all’atto di cessione. Per quanto riguarda il nome degli amministratori che si trovarono alla guida dell’ospedale, oltre a quelli finora citati, possiamo ricordarne altri ricavati dai cartolari delle Compere e delle Colonne del Banco di S. Giorgio. Negli anni 1361 e 1362 l’ospizio dello Scalo era rappresentato da Catalina hospitalaria25 e dal 1368 al 1370 da Antonio da Ventimiglia, anche egli qualificato come ospitalario26. Nel 1391 e nel 1392 la riscossione dei 23 A.S.G., S. Giorgio, ng. 102, Colonne, Cart. B, cc. 395 v., 398. Michele Scarea (o Scana) è citato, quale governatore dell’ospedale, nel cartolare B delle Compere, relativo all’anno 1435 (A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 531, c. 310 r.). 24 Cristoforo da Passano mantenne la carica almeno fino al 1456, come testimoniano alcune carte del fondo di S. Giorgio (A.S.G., S. Giorgio, Descript, locorum, ng. 7786, anno 1472, inserto; ng. 190, Colonne, Cart. B, c. 492 v.). 25 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 372, c. 181 v. 26 Ibid., ng. 382, c. 160 r.; ng. 384, c. 80 r. Il termine hospitalario, col quale vengono indicati alcuni di coloro che provvedevano a ricuotere i proventi spettanti all’istituto, spesso corrisponde solo a un titolo generico e non è sufficiente a far individuare l’ospedale di appartenenza di questi personaggi, in mancanza di una indicazione più precisa, in quanto, come più volte abbiamo visto, ospitalari di altri ospedali svolgevano funzioni di procuratori per istituti da loro non amministrati. Nel caso dello Scalo vediamo, ad esempio, che nel 1370, oltre ad Antonio da Ventimiglia, riscuoteva i proventi Giovanna da Montechiaro {ibid., ng. 384, c. 80 r.), la quale nello stesso periodo espletava la medesima funzione per gli ospedali di suor Verdina e della Maddalena (cfr.). Nei cartolari delle Compere essa è indicata solo col termine di hospitalaria per cui è impossibile sapere a quale ospedale appartenesse in realtà. - 147 - proventi era affidata a Tommaso di San Biagio e ad Antonio de Rubaldo27, mentre negli anni 1400 e 1401 questo compito era svolto da Gerardo di San Biagio, qualificato come hospitalerio, e dai procuratori Gaspare de Fornari e Ansaldo Grimaldi28. Successivamente, nei periodo compreso tra il 1406 e il 1409, figura, nel cartolare B delle Compere, Lodisio Regina20, mentre dal 1422 al 1428 la carica di ospitalario dell’istituto dello Scalo, appartenne a Bertone da Lavagna, al quale si associò, in qualità di procuratore, Basilio Asinelli30. Caratteristica peculiare nelPamministrazione dell 'hospitale Scarti fu quella di non essere affidata, almeno negli ultimi tempi, a un solo rettore. Infatti, abbiamo notato, nei documenti precedentemente citati, la presenza contemporanea di due o tre gubernatores, e questo già prima che avvenisse la cessione all’Ufficio di Misericordia. Questa consuetudine si mantenne fino all’epoca della incorporazione a Pammatone, quando erano in carica Filippo Bonaneo (Bonavia secondo la trascrizione del Perasso), Giovanni Invrea e Giacomo Piacenza, ultimi gubernatores et protectores hospitalis Beate Marie de Scario31, L’incorporazione a Pammatone segnò la fine dell’antico istituto di Prè e l’atto relativo venne stilato dal notaio Pietro de Ripalta il 29 gennaio 1472 (v. app. n. 703). Dal documento risultano ricoverati ancora nell’ospedale ben trenta fanciulli, come tengono a precisare i governatori pro exoneratione eorum conscientiarum. Secondo alcuni32, l’incorporazione non avvenne di fatto immediatamente, ma una certa forma di assistenza venne ancora praticata, pur sotto la tutela di Pammatone. Tale asserto si basa essenzialmente sulla presenza di depositi iscritti nelle Colonne di S. Giorgio che ancora risultavano a nome dell’ospedale nel XVI secolo, tuttavia dobbiamo ricordare che questi erano in realtà depositi che l’Ospedal Grande trascurò di esigere per lungo tempo e non indicano affatto una continuazione 27 Ibid., ng. 417, c. 161 r. 28 Ibid., ng. 446, c. 165 v. 29 Ibid., ng. 472, c. 180 v.; ng. 477, c. 167 r. 30 Ibid., ng. 508, c. 253 r.- ng. 512, c. 379n; ng. 516, c. 277 r.\ ng., 520, c. 282 r. 31 Nel 1470 aveva la carica di «massaro» Francesco Celesia (ibid., ng. 1305, c. 128 r.). 32 Casalis cit., p. 580; Caneva, L’ospedale cit., p. 11. Il ritardo della incorporazione sembra confermato da un documento del 1476 (v. app. n. 705) nel quale è contenuto un lascito di 5 soldi in favore dell’ospedale di S. Maria dello Scalo di Genova. - 148 - di attività da parte dell istituto incorporato (cfr. al proposito il capitolo sull’ospedale di S. Francesco). Inoltre va rilevato che, in data 11 gennaio 1474, un altro documento, riportato dal Perasso33, ribadisce il diritto di Pamma-tone^a fruire dei proventi relativi ai luoghi iscritti nelle Colonne di S. Giorgio e in esso non si fa riferimento ad alcuna contestazione. A parte ciò, è difficile ritenere che l’ospedale dello Scalo abbia mantenuto un’attività assistenziale perché, proprio in quegli anni (v. app. n. 704) il Doge e il Consiglio degli Anziani, avendo avuto notizie del cattivo stato di conservazione delle vettovaglie immagazzinate dal Comune, proposero che queste venissero trasferite nell’ospedale dello Scalo, ritenuto luogo più idoneo allo scopo. Questa proposta ci indica chiaramente che ogni attività assistenziale era ormai esaurita e che l’ospedale concludeva la sua vita secolare in modo quanto mai patetico, passando al ruolo di semplice magazzino. 8. L’ospedale di Sant’Antonio di Prè Tra i santi taumaturghi, ai quali la tradizione popolare dedicò in epoca medievale una profonda venerazione, certamente S. Antonio abate occupa una posizione di rilievo. Egli fu eletto soprattutto a protettore degli « ardenti », colpiti da quella terribile tossicosi, Yignis sacer, che periodicamente, dall’XI secolo in poi, compiva vere stragi tra le popolazioni di tutta Europa 33 A.S.G., ms. 845,, cc.. 39 e 40. 34 Nelle Colonne di S. Giorgio si trovano iscritti depositi di entità diverse a nome dell ospedale che viene indicato con i nomi di: hospitale de Scario, Sancta Maria de Scario de lanua prope darsinam, Sancta Maria et Sanctus Cristophorus Je Scario de burgo Prédis (A.S.G., S. Giorgio, ng. 102, anno 1434). 1 L 'ignis sacer, chiamato poi «fuoco di S. Antonio», si estrinsecava in due forme sintomatologiche diverse: una, con manifestazioni neurologiche convulsive e con contratture muscolari, l’altra con fenomeni necrotico-gangrenosi, entrambe caratterizzate dagli intensi dolori urenti, dai quali derivò il nome della malattia. Questa forma morbosa fu poi identificata coll’ergotismo e attribuita alla presenza di alcaloidi tossici nella segale cornuta, che a volte poteva rientrare nella composizione delle farine alimentari (convulsio cereolis, convulsio ab ustilagine, cfr. A. Pazzini, La medicina nella storia cit., p. 444). La diffusione della malattia avvenne in periodi ciclici, in rapporto alle condizioni climatiche più o meno favorevoli allo sviluppo del micete che infettando la segale, la - 149 - Il culto del santo, il terrore per il « fuoco sacro » e lo spirito di carità, così vivo nel medioevo, furono all’origine della fondazione dell ordine degli Antoniani, istituito a Vienne sul finire del XII secolo, con intenti esclusivamente ospedalieri e nell’osservanza della regola agostiniana2. LOrdine ebbe presto notevole diffusione, particolarmente in Francia e in Italia, dove proliferarono chiese, oratori e ospedali dedicati al nome del santo. Tuttavia, molte fondazioni intitolate a Sant’Antonio non ebbero mai alcun rapporto con l’ordine omonimo, ma sorsero spontaneamente in conseguenza della enorme popolarità raggiunta dal culto antoniano. Così l’ospedale di Prè e le numerose chiese, oratori e ospedali presenti nel Genovesato, per quanto è dato sapere, nulla avevano in comune con l’ordine ospedaliero di Vienne, se non il titulus dedicationis \ L’ospedale di S. Antonio di Genova, annesso alla chiesa omonima, era situato nel borgo di Prè, e la sua origine può essere fatta risalire alla fine del XII secolo, poiché, pur essendo ignota la data esatta della fondazione, si conoscono i nomi dei due fondatori: Raimondo, che ricoprì la carica di canonico di S. Maria delle Vigne e di preposto di S. Maria di Castello, e suo zio materno, prete Guido, della chiesa di S. Sisto. Questa notizia si desume da una bolla di Innocenzo III, del 2 luglio 1199, che conferma il possesso della domus hospitalis4; inoltre, un testamento dell’8 giugno 1201 contiene un lascito all’ospedale « di prete Guido » (v. app. n. 707) e un dd-cumento, dell’8 aprile 1203 riporta in qualita di teste un certo Stefano de rendeva tossica. Descrizioni, a volte fantastiche, a volte rigorosamente precise del male, si trovano negli scritti degli antichi cronisti (cfr. M.G.H., SS, VI, p. 21, Annales lati-dienses - Chronica Sigeberti; anno 1089; A. Corradi, Annali delle epidemie occorso in Italia, I, Bologna 1865, p. 98). 2 L’Ordine antoniano, inizialmente laico, divenne nel XIII secolo, vero ordine religioso, ricevendo dall’autorità pontifìcia la conferma della propria regola e le disposizioni concernenti l’abito che era caratterizzato dalla croce comissa di panno turchino, portata sul lato sinistro del petto (cfr. I. Ruffino, Prime fondazioni antoniane in Italia, in Atti del XXXII Congr. Stor. Subalpino, Pinerolo 1964). 3 La presenza di queste istituzioni a Pegli, Mele, Sori, Portofino, S. Margherita, Rapallo, Sestri Levante, ecc., è ricordata dal Ferretto ( I primordi cit.), e dal Cambiaso (L’anno ecclesiastico cit.). 4 Hildesheimer cit., p. 69: Dilecto filio Raimundo canonico sancte Marie dt Vineis ianuensis... Domum hospitalis in burgo de Predio a G(uidone) presbytero ecclesie sancti Sixti ad hospites recipiendos tibi concessam et a venerabili fratre nostro Januensi episcopo confirmatam, sicut eam fuste possides et quiete auctoritate tibi apostolica confirmamus... - 150 - hospitali presbyteri Guidonis predicti (v. app. n. 709). Vi è poi un documento del 6 luglio 1212 che ci conferma i nomi dei due fondatori: con esso il canonico Raimondo faceva atto di donazione del giuspatronato sulla chiesa e ospedale di S. Antonio a favore della chiesa di S. Sisto e del monastero di S. Michele della Chiusa, rappresentati da tale maestro Giovanni che sottoscriveva 1 atto come procuratore5. La volontà del rettore Raimondo non fu però rispettata, poiché alla sua morte chiesa e ospedale vennero acquisite alla mensa arcivescovile6. Da questo momento si susseguirono per molti anni prolungate diatribe tra l’arcivescovo stesso e i monaci lerinensi. Le ragioni della disputa risalivano ad un accordo intercorso tra i suddetti monaci, che risiedevano nel convento di S. Onorato, da loro fondato in Castelletto, e i Frati Minori che avevano stabilito una loro comunità nei pressi di questo convento. Per meglio comprendere i motivi della controversia è necessario ricordare brevemente alcune notizie concernenti la presenza dei monaci di Lerino a Genova, presenza che può essere fatta risalire già al 1080, come si rileva da un atto nel quale un certo Corrado, figlio di Azzone, faceva donazione a questa comunità di una casa con terreno ubicata in platea sancti Laurentii1. Successivamente i Lerinensi aumentarono la loro consistenza patrimoniale grazie a ulteriori donazioni8 e le aumentate possibilità della congregazione lerinense consentirono la costruzione della chiesa di S. Onorato nell’area di Castelletto. In prossimità di questo edificio si erano stabiliti, intorno al 1230', i Francescani i quali, trovandosi in uno spazio esiguo, rivolsero i loro desideri al più capace edificio dei Lerinensi e, con l’appoggio dell’arcidiacono della cattedrale, Andrea Fieschi, fratello di Innocenzo IV, 5 A.S.G, ms. 839, c. 42 v. 6 Ibid. 7 Hildesheimer cit., p. 79. Nel periodo della maggiore espansione i possedimenti del monastero benedettino dell’isola di Lerino si estesero ben al di fuori dei confini della Provenza e, particolarmente, in varie zone della Liguria (cfr. H. Moris, L’abbaye de Lé-rins, histoire et monuments, Parigi 1909). Anzi, la presenza dei Lerinensi in area ligure è ancora anteriore, poiché esistono memorie che ivi li collocano già nella prima metà del X secolo: risale infatti al 943 una memoria dell’abbazia di S. Onorato di Patrania, presso Tortiglia, tenuta dai Lerinensi (v. Cambiaso, L’Anno ecclesiastico dt., p. 105). Essi diffusero il culto di S. Onorato vescovo di Arles, la cui festa era osservata a Genova, e per lungo tempo, tanto che ancora nel 1375, il 16 gennaio, che era appunto dedicato a questo santo, veniva considerato semifestivo. 8 Hildesheimer cit., p. 69. Un atto, che risale al 24 luglio 1141, tratta della donazione di un terreno situato in località Capre Sandalis, fuori del centro abitato. - 151 - inoltrarono richiesta di annettere chiesa e monastero di S. Onorato. I Lerinensi avrebbero ricevuto in cambio la chiesa e l’ospedale di S. Antonio. Lo scambio non avvenne che molto tempo dopo e a seguito di interminabili discussioni nelle quali dovettero intervenire in veste di arbitri, lo stesso papa Innocenzo IV e il suo successore Alessandro IV, il quale ultimo, con bolla del 1255 9, confermò la possessione dell’ospedale all’abate Aicardo dei Lerinensi e pose le basi per la composizione della controversia che si concluse definitivamente solo il 18 marzo 1259, allorché l’arcivescovo Gualtiero e i monaci lerinensi giunsero a un accordo, secondo il quale 1 arcivescovo cedeva ogni diritto sull’ospedale ai monaci che, da parte loro, si impegnavano a versare un tributo annuo di mezza libbra di incenso e a tenere sempre aperto l’ospedale per i bisogni dei malati e dei poveri10. Lo stesso Alessandro IV ratificò con una successiva bolla, del 13 maggio 1259, la possessione, determinando il definitivo insediamento dei Lerinensi nella chiesa e ospedale di Prè". I diritti concessi ai monaci vennero in seguito confermati dalle bolle di Niccolò III, del 20 aprile 1279, di Martino IV, del 24 aprile 1281, di Onorio IV, del 6 marzo 1287, di Bonifacio Vili, del 27 marzo 1303 I2. Queste bolle, oltre a ocnfermare i possessi temporali del priorato di S. Antonio, concedevano immunità e privilegi particolari all’ospedale, nonché le consuete indulgenze ai fedeli che visitavano la chiesa ed elargivano elemosine. Si conservano ancora lettere desìi arcivescovi di Genova, di Tortona, di Ventimiglia e di Acqui, del periodo compreso tra il 1233 e il 1238, relative alla concessione di indulgenze a tutti coloro che avessero beneficato l’ospedale B. Nel 1306 la chiesa di S. Antonio ricevette in donazione una cospicua somma, impiegata in luoghi delle Compere del sale, da parte di Gaspare Isola, Andriolo de Mari e altri, con la condizione che venisse impiegata affinché la comunità religiosa dell’ospedale, che in quel tempo era formata da soli sei monaci, venisse accresciuta da unum presbiterum de ordine nostro vel alium qui presbiter specialiter deputatus sit et erit ultra alios presbiteros 9 M.G.H. SS, t. XXXII, Salimbene, Chronica, p. 816. 10 H. Moris, E. Blanc, Cartulaire de l’abbaye de Lérins, Parigi 1905, II, CXXVII, pp. 203-205. 11 L. H. Labande, Bullaire de l'abbaye de Lérins, in « Annales de la Société des Lettres, Sciences et Arts des Alpes-Maritimes », XXIV (1922-23), p. 178. 12 Hildesheimer cit., p. 71. 13 Ibid. - 152 - sex qui in dicta domo esse consueverunt ad celebrandam missam infirmis dicte domus et hospitalis sancti Anthonii, condizione questa che ebbe l’approvazione dell’arcivescovo, in presenza dell’abate di Lerino (v. app. n. 776). Inoltre, il nuovo sacerdote doveva essere adibito ad amministrare i sacramenti agli infermi e a celebrare le messe su un altare dedicato a S. Massimo (che fu abate di Lerino), situato in modo che i degenti potessero facilmente seguire le funzioni. Una bolla promulgata da Bonifacio Vili aveva stabilito nel 1303, oltre il numero dei monaci, che al sacerdote, cui era conferito il titolo di priore, venisse assegnato il compito di sovrintendere alla chiesa e all’ospedale: il primo di questi nuovi priori fu Rostan de Corneto, che assunse la carica nel 1306 14. La serenità raggiunta dai Lerinensi, con la conclusione della vertenza per il possesso dell’ospedale nel 1259, venne turbata nei primi lustri del XIV secolo da una contestazione sollevata contro di loro dall’ordine antoniano di Vienne, il quale, avvalendosi dei privilegi ottenuti dalla Santa Sede, affermava essere suo unico ed esclusivo diritto questuare e ricevere lasciti o donazioni nel nome del santo taumaturgo e pertanto pretendeva di avocare a sé i proventi dell’ospedale di S. Antonio. La causa fu discussa in prima istanza nel palazzo apostolico di Avignone, e la sentenza fu del tutto favorevole ai Lerinensi, in quanto vennero loro riconosciuti i diritti acquisiti e giudicate perciò illegittime le richieste degli Antoniani; questi ultimi, però non si diedero per vinti e impugnarono la sentenza, appellandosi per un nuovo giudizio. La causa d’appello si concluse il 29 ottobre 1347, con la sentenza emessa da Oliviero de Cerzeto, decano di S. Ilario di Poitiers, chiamato a tale incarico da Clemente VI. Il giudizio questa volta fu nettamente favorevole all’ordine degli Antoniani, e i Lerinensi si appellarono a loro volta. Dopo una laboriosa selezione e una serie di incertezze, il nuovo papa, Innocenzo VI, designò finalmente il cardinale Guglielmo Bragose per definire la controversia, che si concluse con la vittoria definitiva dei Lerinensi15. Gli Antoniani, consci di aver perso ogni possibilità di assicurarsi i proventi dell’ospedale e della chiesa di Prè, allo scopo di limitare il danno economico, progettarono di erigere un loro istituto che consentisse l’insediamento del-l’Ordine a Genova, in aperta concorrenza con la fondazione lerinense. A 14 V. S. Barralis, Chronologia Sanctorum et aliorum virorum illustrium, ac abbatum Sacrae Insulae lerinensis, Lione 1613, p. 174. 15 Per maggiori ragguagli sulla controversia si rimanda al saggio di Hildesheimer cit. - 153 - questo scopo nominarono un tal Anthonius Rubeus macellarius in lanua sin-dicus actor et procurator domini abbatis monasterii et conventus sancti Antonii (v. app. n. 810), il quale presentò, nel 1362, a Giovanni Bonvino, priore della chiesa di S. Vittore di Prè, una esplicita richiesta da parte degli Antoniani di Vienne, che lui rappresentava, di poter costruire una cappella con ospedale, oratorio e cimitero, dedicati al nome di S. Antonio1, nella parrocchia di S. Vittore. Tale richiesta veniva motivata da una bolla di papa Innocenzo IV, datata 8 marzo 1252 che, in realtà, concedeva all’ordine Antoniano di Vienne il privilegio di annettere ai propri conventi e ospedali, cappelle, oratori e cimiteri16. Gli Antoniani, pur non avendo in città un proprio monastero, sostennero di avere il diritto di costruire una cappella, un oratorio, un cimitero, cum hospitale, nella parrocchia di S. Vittore che, come è noto, si trovava a breve distanza dalla sede dei Lerinensi. Il priore di S. Vittore, ovviamente contrario a tale richiesta, rese edotta di ciò la casa madre di Marsiglia, e i Lerinensi, dal canto loro, manifestarono chiaramente la propria rigida opposizione. Gli Antoniani portarono avanti la questione, inviando a Genova un loro fiduciario, Giuliano da Bove, il quale, secondo l’uso del tempo, nominò un procuratore, nella persona di Giacomo Fieschi, per la causa contro Giovanni Ponzio, priore di S. Antonio di Prè (v. app. n. 811). Probabilmente in un primo tempo gli Antoniani avevano potuto ottenere un parere favorevole sulla realizzazione del loro progetto, dal momento che già nel 1361 i lavori di costruzione dovevano essere iniziati, come lascia intendere un documento di quell’anno, nel quale Luchino Bra-celli legava florenos duo hospitali Sancti Antonii de burgo Prédis, quod nunc fit de novo et appellatur Sancti Antonii de Viana]\ il che, oltre a indicare chiaramente la destinazione del legato all’Ordine viennese segnala pure la presenza di una nuova costruzione (quod nunc fit de novo). Questo nuovo ospedale non venne mai portato a compimento, per la ferma opposizione dimostrata, come abbiamo visto, dai Lerinensi e dai monaci di S. Vittore. Il pontefice, Urbano V'8, espresse con fermezza la propria riprovazione 16 A.S.G, ms. 843, c. 435: Concedimus ut in huiusmodi hospitalibus vestris ictm constructis in quibus oratoria, capella et cimiteria... et in construendis... hospitalibus ... habere possitis... oratoria, capellas et cimiteria ad opus personarum degentium ... 17 L’atto è riportato dall’AuzERi, Guida cit., p. 230. 18 Hildesheimer cit., p. 75. Urbano V fu a suo tempo abate di S. Vittore di Marsiglia. - 154 - nei riguardi dell’ordine di S. Antonio, e con bolla del 18 aprile 1363 ordinò la demolizione di tutte le costruzioni iniziate, vietando agli Antoniani di intraprendere nuove iniziative a Genova e nei sobborghi e manifestando poi la sua approvazione e la sua benevolenza verso la chiesa di S. Antonio di Prè, ai quali soltanto era concesso di promuovere questue e ricever donazioni nel nome del santo taumaturgo, nell’ambito della diocesi di Genova 19. I Lerinensi ottennero in questo modo un completo successo ed una vera e propria esclusiva per quanto concerneva il nome di S. Antonio a Genova. L’esclusiva concessa da Urbano V venne confermata nel 1438 dalle autorità civili che riconfermarono il diritto di riscuotere elemosine e di promuovere questue nel nome del santo, per cui ogni offerta versata a tale titolo doveva necessariamente essere incamerata dall’ospedale di Prè 20. Le tormentate vicende che contraddistinsero gran parte dell’esistenza dell’ospedale di S. Antonio si conclusero quindi soltanto nella seconda metà del XIV secolo, dopo di che l’istituto conobbe un periodo di relativa tranquillità. Da quanto abbiamo finora esposto emerge chiaramente il carattere di focus religiosus che ebbe l’istituto fin dalle sue origini, sia per la sua annessione alla chiesa omonima sia perché fondato da ecclesiastici sia anche perché costantemente gestito dal clero, secolare agli inizi, monastico successivamente. La gestione da parte di religiosi risulta ben evidente in tutto l’elenco cronologico dei rettori che si susseguirono, nei secoli, alla direzione dell’ospedale, elenco che qui di seguito riportiamo. 1199 - Prete Guido. Fu verosimilmente il primo a reggere l’amministrazione dell’ospedale di S. Antonio, come sembra indicare la denominazione hospitalis Guidonis, usata, come abbiamo visto, nei primi anni di vita di questa istituzione. In un documento del 23 febbraio 1203 (v. app. n. 708), è ricordato un certo Elia, dominus hospitalis Sancti Antoni, il quale, verosimilmente, piuttosto che l’ospi-talario, doveva essere un semplice procuratore. 1212 - Maestro Raimondo. Era stato, come già detto, insieme allo zio, prete Guido, il fondatore dell’ospedale e ne resse l’amministrazione per un periodo abbastanza lungo, come attestano atti del 6 luglio 19 Moris, Blanc cit., pp. 213-214, CXXXVI. 20 V. app. n. 824: Ill.ris dominus et Magistri Domini Antiani Communis Ianue decreverunt quod nullus questuarius sub nomine S. Antonii possit questua facere in dominio ianuense et etiam in utraque riparia quam questuarii S. Antonii ianuensis. - 155 - 1212 (già citato) del 4 ottobre 1214 (v. app. n. 714) e del 9 ottobre 1225 (v. app. n. 718). 1229 - Pietro Bruno. Forse era quello stesso Pietro, nipote del rettore Raimondo, chierico nell’ospedale di S. Antonio, del quale si fa cenno nel documento dianzi citato del 9 ottobre 1225. Pietro Bruno è poi indicato quale suddiacono e ministro dell’ospedale in una carta del 122921. In un atto del 25 febbraio 1237, rogato dal notaio Pietro Musso (v. app. n. 728), si trova menzionato prete Enrico, cappellano del S. Sepolcro, converso dell’ospedale di S. Antonio di Genova. 1249 - Frète Guglielmo. Un documento del 10 ottobre 1249 (v. app. n. 733) ci indica che un certo Gualizo restituì all’amministratore dell’ospedale, prete Guglielmo, le masserizie, appartenenti all’istituto stesso, lasciategli a suo tempo in consegna dal rettore Pietro. 1264 - Frate Bermondo. E’ il primo dei rettori lerinensi dei quali abbiamo notizie. Egli viene ricordato a proposito dell’acquisto fatto a nome della chiesa e ospedale di Prè, di due case appartenenti alla mensa arcivescovile 22. 1276 - Frate Rubaldo. Lo si trova indicato in un atto del 1276, in qualità di ministro e rettore della chiesa e ospedale di ,S. Antonio (v. app. n. 747). In questo periodo, e fino al 1300, figura in vari atti il prete Vivaldo Grassino, quale sindaco e cappellano dell’ospedale e della chiesa (v. app. nn. 746, 751, 754, 765, 768). 1297 - Frate Guglielmo. Egli ricoprì verosimilmente la carica di rettore poiché in un atto dell’ll settembre 1297 diede il proprio consenso alla nomina del canonico Guigone da Briançon a procuratore dell’ospedale, nomina proposta da frate Durante di San Boneto, monaco di S. Antonio di Prè, e dal prete Ottone, « mansionario » della cattedrale (v. app. n. 764). 1300 - Frate Tarion. E’ qualificato come priore e rettore domus ecclesie et infirmorum Sancti Antonii de suburbiis ianuensis, in un documento del 6 aprile 1300 (v. app. n. 768), nel quale sono anche indicati i nomi dei monaci residenti e precisamente, frate Giovanni Grimaldi, frate Carlo de Toaldo, frate Pietro de Corneto di Provenza e prete Vivaldo Grassino, sindaco e procuratore. In tale do- 2> A.S.G, ms. 843, c. 428 r. 22 Hildesheimer cit, p. 71. - 156 - cumento, relativo all’assegnazione di un lascito testamentario, si conferma la dipendenza della domus di S. Antonio di Prè dal monastero di S. Onorato di Lerino. Tarion mantenne la carica fino al 1306, allorché si dimise, forse per ragioni di salute23. Durante il suo rettorato rappresentarono l’ospedale, in qualità di procuratori frate Valente, ospitalario di S. Lazzaro (v. app. n. 773), frate Pietro (v. app. n. 774) e frate Simone, quest’ultimo qualificato, oltre che come sindaco, anche come ospitalario di S. Antonio (v. app. n. 772), termine che, a nostro avviso, indica soltanto la sua appartenenza all’ospedale, ma non deve essere inteso come sinonimo di rettore, trattandosi, in questo caso, di ospedale retto da una gerarchia monastica. 1306 - Frate Rostan de Corneto. Successe al dimissionario Tarion e venne, secondo la prassi in uso, designato dall’abate di Lerino 24. Una carta del 24 ottobre 1312 lo ricorda ancora quale priore della chiesa e ospedale di S. Antonio di Genova (v. app. n. 786). Egli rimase alla guida dell’ospedale di Prè verosimilmente fino al 1314, poiché in tale anno (4 settembre) egli venne eletto abate di Lerino25. In questo periodo svolgeva mansioni di procuratore dell’ospedale, Oge-rio di S. Antonio (v. app. nn. 781, 782). 1318 - Frate Ugolino, detto Cardinale. E’ indicato, quale priore ecclesie et hospitalis Sancti Antonii, in un documento del 28 dicembre 1318 (v. app. n. 795), concernente un debito contratto per l’acquisto di case e terreni per conto dell’ospedale. In questo documento sono anche riportati i nomi dei frati Ordeacio, Carlo Toaldo, Giacomo Borserio, Filippo Gioceramo e Beltrame Turelli. Questo priore è ancora ricordato in un atto del 2 luglio 1324 (v. app. n. 798), riguardante una controversia sorta con l’ospedale di S. Giovanni di Prè a proposito dei diritti sulla eredità del defunto Giovanni Rosso da Recco, e in un documento del 1325 26, riguardante la sua convo- 23 Barralis cit., parte II, p. 171. L’A. dà qui notizia di una lapide del 1313, posta nella tomba di famiglia dei de Corneto, che indicava la sepoltura di Tarion. 24 La nomina di Rostan ebbe l’approvazione dell’arcivescovo di Genova soltanto dopo quattro anni, ossia nel 1310 (v. app. n. 780). 25 Barralis cit., p. 171. 26 A.S.G., ms. 843, c. 428 r. - 157 - cazione innanzi all’arcivescovo per una vertenza sorta con il canonico di Santa Giulia. Durante il rettorato di frate Ugolino, svolse le mansioni di procuratore, per conto dell’ospedale, frate Januino, come dimostra un atto del 1322, relativo alla spartizione dell’eredità di Giovannino de Fornari27. 1332 - Frate Guglielmo de Torretis. Si trova citato in un atto relativo a una sentenza arbitrale riguardante il monastero di S. Siro 2b. 1336 - Frate Strigliaporco. Il nome di questo priore è tratto dall’iscrizione, riportata dal Perasso29, di una lapide posta alPinterno dell’istituto, a ricordo della donazione di una casa in via Mascherona, da parte dei coniugi Saivago (cfr. nota 47). 1343 - Frate Beltrando Tircello. E’ ricordato in un atto di Bernardo Bra-celli, del 22 settembre 1343, e in altri atti del 1347, relativi alla vertenza contro gli Antoniani30. 1350 - Frate Guglielmo Silvano. E’ citato in un documento nel quale egli dà atto di aver ricevuto dalle mani del monaco lerinense, Bonifacio Troini, una lettera che richiede a Lerino la presenza del frate Simone Donati, per caose utili al Priorato31. 1352 - Frate Giovanti Ponzio. Il nome di questo priore, secondo l’affermazione del Perasso32, appare in un atto di Guglielmo Carfana del 20 novembre 1352, oltre che nell’iscrizione di due lapidi, del 1353, a ricordo della munificenza di un benefattore33. L’incarico di questo rettore si protrasse a lungo, e ne abbiamo testimonianze fino al 27 Alizeri dt., p. 688. 28 A.S.G., ms. 843, c. 428 r. 29 Ibid. 30 Ibid. Ibid. 32 Ibid., c. 428 v. 33 Ibid., a) MCCCLIII DIE PRIMA APRILIS. HOC OPUS FECIT FIERI JOHANNES BELTRAMIS DEVOTUS S. ANTONII CUM ADIUTORIO D. FRATRIS JOHANNIS PONTUS PRIORIS DICTE ECCLESIE, b) D. FRATER JOHANNES PRIOR HUIUS ECCLESIAE CUM SUIS MONACIS PROMISERUNT JOANNI BELTRAMI CELEBRARE OMNI DIE IN PERPETUUM MISSAM UNAM AD ALTARE MAGNUM SANCTI ANTONII PRO ANIMA SUA ET SUORUM. Secondo I’Alizeri (Guida cit., p. 228) queste lapidi erano poste sotto un bassorilievo, sugli stipiti della porta che introduceva al cortile della chiesa. - 158 - 1362 (v. app. n. 811). Di questo periodo conosciamo anche i nomi dei procuratori preposti alla riscossione dei proventi sui depositi, iscritti a nome dell’ospedale nel cartolare B delle Compere. Ricordiamo tra questi Guglielmo da Pontremoli, nel 1353 e nel 1358 Isetta da Montaggio nel 1361, Gregorio di Girardo e Antonio Roccatagliata nel 1362 3S, prete Oberto Carrega negli anni 1368-1371 36. 1474 - Frate Raimondo Alibert. E’ citato in un atto del 1374, conservato nell’Archivio delle Alpi Marittime e del quale ci dà notizia Hildes-heimer37. Negli anni 1391 e 1392, probabilmente ancora sotto il rettorato di frate Raimondo, svolgeva funzioni di procuratore frate Antonio da Rocchetta38. 1395 - Frate Luigi Ravascherio, dei conti di Lavagna. Si trova nominato in un atto di Oberto Foglietta s., del 3 settembre 1395 (v. app. n. 818) e nel cartolare B delle Compere, dall’anno 1400 al 1408 39. 1411 - Frate Vincenzo da Lavagna. In un documento del 5 maggio 1411 (v. app. n. 822) egli si trova indicato cori la qualifica di cappellano, luogotenente e priore della domus hospitalis di S. Antonio di Genova. 1413 - Rostan de Romulis. Il Barralis ci indica il nome di questo priore, in carica nel febbraio del 1413 {ad instantiam et petitionem domini Rostagni de Romulis, prioris dicti prioratus S. Antonii lanunesis, in quo tunc erat numerus Monachorum octo simul Lerinen-sium . . ,)40. 1427 - Frate Giorgio da Fisarengo. Egli risulta già in carica il 21 maggio 34 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 10, cc. 177, 247 v. 35 Ibid., ng. 372, c. 178 v. 36 lbid., ng. 382, c. 158; ng. 384, c. 78 r. 37 Hildesheimer cit., p. 75. 38 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 417, c. 160 r. 39 lbid., ng. 372, c. 178 v.- ng. 446, c. 164; ng. 472, c. 179; ng. 477, c. 166 r. 40 Barralis cit., p. 176. Il numero dei monaci non è stato sempre costante, poiché nel 1351 pare fosse ridotto a due sole unità, priore compreso, mentre nel 1353 era nuovamente risalito a sei, oltre al priore. Ma riguardo alla citazione del Barralis, essa è stata ritenuta erronea da Hildesheimer (cit. p. 75), in quanto il numero di ventotto monaci era sì presente in S. Antonio di Prè, ma un secolo prima e Rostan de Romulis altri non sarebbe che Rostan de Corneto, in carica proprio nel 1313. - 159 - 1427 (v. app. n. 823) mentre il Perasso41 lo indica citato nel cartolare B delle Compere, relativo all’anno 1433. 1446 - Frate Benedetto Negrone. Si trova nominato in un atto del 1446, a proposito della collazione della cappella di S. Antonio della Marina di Chiavari al prete di Framura, Pasquale de Grancellis 42. Il Negrone, che in vari documenti viene qualificato anche col titolo di abate, rimase in carica fino al 1482, anno della sua morte 43. La longevità di questo priore fu senza dubbio ben al di sopra della media dei suoi contemporanei, infatti, pur non essendo certa la data del suo insediamento nella carica, sappiamo che egli riscuoteva i proventi sui luoghi di proprietà dell’ospedale già nel 1422 e mantenne questo compito per un lunghissimo periodo44. Passando a esaminare i caratteri assistenziali dell’ospedale di S. Antonio di Prè, si può rilevare che esso era destinato a funzioni promiscue, sia per la cura degli infermi, come dimostrano numerosi testamenti a loro favore (v. app. nn. 732, 737, 738, 740, 748, 749, 750, 754, 763, 778, 787, 801, 802, 804, 805, 806, 807, 817), sia per l’assistenza ai poveri (v. app. nn. 760, 800) e, naturalmente, ai pellegrini, i quali ultimi rimasero gli unici beneficiari dell’istituto dopo l’avvento delle grandi concentrazioni ospedaliere. Sul finire del XV secolo l’ospedale dava ricetto in modo particolare ai sacerdoti di umili condizioni che, tuttavia, non potevano trattener- visi per più di tre giorni43. Per poter ottenere un tipo di assistenza molteplice occorrevano risorse economiche non indifferenti, che gli amministratori cercavano di trarre da fonti diverse. In primo luogo vanno considerati i lasciti testamentari che fornivano un notevole patrimonio, concretizzato nel possesso di immobili « A.S.G, ms. 843, c. 428 v. 42 Ibid., c. 429'. Dopo non molto lo stesso Negrone dispose l’incorporazione della suddetta cappella di Chiavari all’oratorio dei Disciplinati di quella città (C. Garibaldi, Della storia di Chiavari, Genova 1853, p. 179). 43 Hildesheimer cit., p. 77. 44 A.S.G, Comp. e Mutui, ng. 508, c. 252, del 1422; ng. 512, c. 378, del 1424; ng. 516, c. 276, del 1426; S. Giorgio, ng.102, Colonne, B, cc. 343, 391, del 1434: Comp. e Mutui, ng. 531, PN. B„ c. 309, del 1435; ng. 540, c. 226, del 1443; ng. 541, c. 195»., del 1444; S. Giorgio, ng. 190, Colonne, c. 490, del 1446. 45 A.S.G, ms. 843, c. 483 e sgg. La consuetudine che l’ospite non potesse trattenersi più di tre giorni risaliva alla Didachè dell’anno 100 d. C. (cfr. Nasalli Rocca, Il diritto cit, p. 31). - 160 - e di depositi fruttiferi46. Tra le proprietà immobiliari ricordiamo le due case acquistate, come abbiamo già visto, dal priore Bermondo e l’altra, di via Mascherona, donata dai coniugi Saivago47, inoltre la chiesa e l’ospedale di S. Antonio avevano terreni distribuiti essenzialmente nei suburbi, dallo stesso borgo di Prè (v. app. n. 779) alla podesteria della Valpolcevera (v. app. n. 819). Vi erano poi anche beni immobili che l’istituto aveva in comproprietà con altri e uno di questi era costituito da una casa sita presso il molo, appartenente all’ospedale di S. Erasmo e a quello di S. Antonio, in parti uguali, come si rileva da un inventario del 1474 relativo alla incorporazione a Pammatone di quell’ospedale (v. app. n. 826). Parte dei proventi derivava poi dalla organizzazione capillare delle questue, che l’ospedale monopolizzava nel nome di sant’Antonio e che frati, appositamente incaricati, raccoglievano in città e fuori le mura. Ciò risulta con chiara evidenza dal contenuto di un atto del 3 settembre 1395 (v. app. n. 818) con la quale il priore Luigi Ravascherio nominava procuratore Petruc-cio da Triponzio, col compito di raccogliere oblazioni, predicando i miracoli del santo, nei castelli e borghi di Torriglia, Valborbera, Valditaro, Val-trebbia, Recco, Rapallo, Chiavari, Sestri, Moneglia, Framura e negli episcopati di Luni e di Brugnato. L’appalto delle elemosine poteva ovviamente suscitare particolari tentazioni nell’animo dei questuanti meno scrupolosi. A questo proposito un documento del 19 maggio 1275 ci fornisce diverse notizie interessanti e 46 I cartolari delle Compere e quelli delle Colonne di S. Giorgio riportano le cifre relative ai depositi iscritti a nome della chiesa e dell’ospedale di S. Antonio (cfr. i cartolari B delle Comp. e Mutui, dal 1353 — ng. 10, c. 247 v. — in poi, e di S. Giorgio dal 1418, — ng. 40, c. 337 r. — in poi). La consistenza dei depositi varia, da poche decine di lire, fino alle 2.699 (Comp. e Mutui, ng. 10, c. 247 v.\ ng. 520, c. 281 r.). 47 II Perasso (ms. cit., c. 428 r.) riporta a questo proposito l’iscrizione di una lapide posta a suo tempo su una parete interna della chiesa: MCCCXXXVI DIE XV APRILIS D. FR. STRIGLIA PORCI PRIOR ECCLESIE PRIORATUS ET HOSPITALIS CUM EIUS CONVENTU ATTENDENTES DEVOTIONEM DOMINORUM NOBILIS VIRI CONDAM D. RUBEI DE SALVAGIS ET CONDAM UXORIS SUE DNE BEATRICIS ET DOMINORUM ELIANI ET TRIADANI FILIORUM Q. IN B. ANTONIUM ET PREFATOS PRIOREM ET MONACOS EIUSDEM ECCLESIE DEO ET IPSI ALMO CONFESSORI SERVIENTES HACTENUS HABUERUNT PROMISSERUNT DICERE ET CELEBRARE OMNI DIE MISSAS DUAS PRO ANIMABUS PREDIC-TORUM DOMINORUM A QUIBUS GRATIS RECEPERUNT UNAM DOMUM CUM SUIS JURIBUS SITUATAM IN CONTRATAM MASCHARANE QUE CONSTITIT LIBRAS DUECENTUMQUINQUAGINTA. - 161 - 11 curiose, sulle quali ci sembra utile soffermarci, poiché contribuiscono a illustrare ulteriormente i caratteri di quel tipo di abusi, che sul finire del XIII secolo dovevano essere assai frequenti, tanto da provocare come reazione le ben note disposizioni del concilio di Vienne del 1311. Apprendiamo dalla lettura di questo documento che il frate Corrado da Frexinaria faceva atto di ammenda per gli abusi commessi per plures annos nel compiere le questue a favore della chiesa, dell’ospedale e degli infermi di. S. Antonio48. Egli non confessava apertamente il suo peculato, ma sembrava seraficamente adattarsi a quanto si diceva di lui (quoi iicitur me aliqua habuisse ... et in me malo moio retinuisse nec ipsa consignare). Il frate, tuttavia, si sottoponeva, verosimilmente perché privo di altra via d’uscita, alla volontà ( voluntati et oriinacioni), del procuratore, Vivaldo Grassino, promettendo di restituire il maltolto ( prò menda et restitucione in pecunia numerata). Oltre alla questua vi erano poi altre forme che venivano adottate per il reperimento dei fondi necessari all’assistenza dei ricoverati. A questo proposito ci sembra di non trascurabile importanza segnalare come fosse a quel tempo diffusa l’usanza di collocare cassette per elemosine nei punti strategici della città e dei sobborghi, ognuna delle quali era dedicata a un particolare santo e raccoglieva le offerte che ad esso indirizzavano i devoti Un documento, riportato dal Perasso (v. app. n. 825), illustra in modo chiaro i caratteri di questo tipo di elemosina che sottostava a regole e ordinamenti molto precisi. Nel documento in questione, che risale al 18 novembre 1456, si fa riferimento al contratto con cui il priore Negrone ottenne il permesso, da un certo Antonio de Caregio, di poter collocare nell’angolo (ipsum locum 48 V. app. n. 745. Frate Corrado ricorda nel nome e anche nella scarsezza di scrupoli, quel frate Corradino che un atto del 28 dicembre 1270 (FNG, I, c. 22) ci mostra impegnato a giurare sui Vangeli di non giocare mai più a dadi (ludum taxillorum ... sub pena lib. V). 49 In genere queste cassette erano poste sugli angoli degli edifici affinché fossero maggiormente notate dai passanti, ubicazione che ci ricorda quella delle edicole sacre, ancora oggi osservabili in certi angoli di strade. Anzi, si può ragionevolmente ritenere che ad ogni cassetta da elemosine corrispondesse una edicola votiva. Abbastanza uniforme si pensa dovesse essere l’aspetto di questi oggetti, generalmente ferrei e variamente decorati con immagini legate alla vita del santo cui erano dedicati. Esse possedevano una fessura attraverso la quale si introducevano le offerte e, naturalmente, erano ben fissate al muro. Il piano di appoggio era, in genere, costituito da un cippo in pietra, più raramente in marmo, mentre la porzione di muro sovrastante era quasi sempre affrescata con la immagine del santo titolare, oppure, come abbiamo già accennato, poteva essere sovrastata da una edicola. - 162 - dicti anguli) dell’abitazione di quest’ultimo, sita nel borgo di S. Vincenzo, capsetam ferream unam cum cippo et maie state seu pictura ad imaginem S. Antonii. Questa cassetta sostituiva una già esistente presso l’abitazione del tintore Antonio Guano, andata distrutta a seguito del crollo del muro a cui era fissata. Oltre ai proventi derivanti dai lasciti testamentari e dalle elemosine, non va dimenticato che l’ospedale fruiva anche di particolari privilegi, per altro comuni ad altri istituti coevi, che rappresentavano, in un certo senso, una fonte indiretta di reddito. Tra questi privilegi ricordiamo, ad esempio, l’esenzione dalle gabelle sul vino come dimostra un atto del 1383, col quale si consentiva all’ospedale il consumo di 30 mezzarole di vino all’anno, esenti da tasse50. Un privilegio particolarmente interessante, dal punto di vista dei costumi dell’epoca, era rappresentato dalla curiosa consuetudine di lasciar liberi per la città alcuni maiali, i quali vivevano e ingrassavano a spese della comunità cittadina e venivano macellati e venduti nel giorno della festività di S. Antonio (17 gennaio), contribuendo così ad aumentare le entrate dell’ospedale51. Tale consuetudine risale molto indietro nel tempo e, anche se non è possibile precisarne le origini, sappiamo che questo privilegio era concesso all’ordine antoniano già nel XIV secolo52. Anche Dante, nel XXIX canto del Paradiso, accenna a questa usanza53, che indubbiamente era diffusa in molte parti d’Italia e, presumibilmente, era già presente in tempi remoti a Genova. Per evitare abusi, erano, ovviamente, necessarie precise regolamentazioni in materia, stabilite dalle autorità cittadine 54. Troviamo, 50 A.S.G, ms. 843, c. 428 r. 51 E’ noto che la famiglia Doria, per tradizione, riceveva in dono ad ogni Natale, dal priore di S. Antonio, uno di questi porcelli. 52 G. Portigliotti, L'ospedale degli Ardenti, in « Il Comune di Genova », 1924, fase. II, p. 151. 53... « di questo ingrassa il porco, sant’Antonio » (verso 124). 54 La possibilità di lasciare liberi per le vie cittadine i maiali era considerata diver samente a seconda delle località. Infatti, negli statuti di Milano, del XIV secolo, ciò era assolutamente proibito (v. Codex statutorum veterum, riportato da La Cava dt, p. 88, LXXVI), De pena permittentis ire porcum extra domum suam-. Si quis permiserit porcum vel porcam exire domum habitationis sue site in civitate Mediolani condemnetur pro quolibet porco vel porca in solidis viginti tertiolorum. Gli statuti di Lecco invece permettevano il pascolo dei porci durante l’inverno purché questi portassero al grugno l’anello di ferro, e ciò perché col loro grufolare non rovinassero il fondo delle strade in terra bat- — 163 — infatti, che nel 1382 il priore dell’ospedale di S. Antonio di Prè riportò due condanne pecuniarie, una di dieci lire (22 settembre) per aver permesso ire porchos et troyas per plures dies per civitatem lanue contra formam capituli, ed un’altra successiva (27 novembre) di due lire per le stesse ragioni (v. app. nn. 814, 815). Le disposizioni legislative, che vietavano la libera circolazione dei suini in città, sono contenute nelle Leges Genuenses del 1386 (v. app. n. 816). Queste disposizioni stabilivano quod aliqua persona corpus collegium vel universitas, cuiuscumque dignitatis gradus vel conditionis existât, ecclesiastica vel secularis, non audeat nec présumât, etiam si speciali privilegio fruatur, tenere in civitate lanue vel suburbiis, extra domum, porcum porcam troiam vel verrum parvum vel magnum cuiuscumque generis vel speciei porcorum sit, nec eos extra domum vel stabulum ire permictat, sub pena soldorum vigintiquinque pro quolibet. . . Cuius pene medietas sit accusatoris, et teneatur secretus, alia sit communis exigenda per ministros sive conservatores... Liceat tamen unicuique invenienti porcos predictos contra formam predictam extra domum, eos interficere vel in se retinere impune, luttavia, una particolare esenzione era concessa al priore della chiesa di S. Antonio di Prè, al quale era permesso habere et tenere, ac per civitatem lanue et suburbia ire dimittere, troias tres et verrum unum cum porcis viginti: qui porci viginti possint ire per dictam civitatem et suburbia existentes unius anni et ab inde infra. Postquam vero viginti porci excesissent eiatem unius anni, non possint nec debeant ire per civitatem et suburbia; intelligendo semper quod porci et troie sint signati signo scro-sore beati Antomi, et quod troie et verrus habeant anullum unum ferri ìntus labia superiores. Come abbiamo visto questo privilegio era peculiare dell’ordine Antoniano, ma i Lerinensi, a Genova, lo fecero proprio, considerando- lo un diritto acquisito, dal momento che ad essi solo competeva, in città, la gestione di ogni iniziativa operata nel nome del santo. Col tempo, la consuetudine dei porci vaganti comportò sensibili disagi per la popolazione, dato che il loro numero aumentò notevolmente, tanto è vero che nel 1404 il Consiglio degli Anziani richiamò il priore di S. Antonio affinché si adeguasse alle disposizioni preesistenti, che stabilivano il numero tuta (cfr. E. Anderloni, A. Lazzati, Statuti dei laghi di Como e di Lugano dei secoli XIII e XIV, Roma 1915, II; voi. Vili del Corpus statutorum italicorum, a cura di P. Selia). - 164 - dei suini limitato a tre scrofe, un verro e venti porcellini, tutti marcati col segno della gruccia e con l’anello di ferro sul labbro superiore Queste disposizioni furono però scarsamente osservate. Infatti, come riferisce l’Ac-cinelli, nella seconda metà del XV secolo, con i porci di S. Antonio circolavano molti altri, alla confusa, di pizzicaroli ed altri: era insopportabile il danno, il disturbo che ai cittadini cagionava siffatto disordine 56. Per questo, le autorità si videro costrette a porre un freno, e la caduta di un senatore, falciato da un gruppo di maiali in fuga, pare abbia costituito la classica goccia di troppo, determinando l’abrogazione del singolare privilegio, nonostante le proteste del priore che dai maiali ricavava un cespite di 172 lire annue 57. Per la cronaca, il capitombolo del senatore avvenne ai Quattro Canti di S. Francesco, alla presenza del Doge e del Senato al completo, ivi riuniti per una cerimonia. L’avvenimento provocò l’immediata reazione dei pubblici amministratori, che in una grida proclamarono: Il Serenìssimo Senato, considerato quanto sia indecente e di quanto pregiudicio il permettersi va-dino a girare per le vie li porchi, sarà lecito a chiunque di prenderli et ammazzarli. Fu in seguito stabilito di indennizzare l’ospedale con un contributo di 150 lire annue58. A dimostrazione del clima di particolare suggestione e superstizione, che circondava la figura di S. Antonio, riteniamo interessante segnalare che nella sagrestia della chiesa di Prè era conservata una cassa ricolma di macabri resti (mani e piedi segnati da ustioni)59. Tali resti venivano esposti nelle ricorrenze festive del santo, quale monito per i fedeli, ai quali veniva assicurato che era quanto rimaneva di certa gente spergiura e blasfema. Questo ci richiama alla mente che il nome di sant’Antonio venne abbastanza spesso sfruttato sempre facendo leva sulla ingenuità popolare. Gli Antoniani, ad esempio, per il solo fatto di appartenere a un tale ordine e di portare la Tau azzurra sul manto nero, si arrogava la capacità di guarire àaWignis 55 A.S.G, ms. 343, c. 416».; Portigliotti, L’ospedale degli Ardenti cit, p. 151; Hildesheimer dt, p. 76. 56 F. M. Accinelli, Compendio delle storie di Genova, ms. in BiB, anno 1751. 57 Portigliotti, L’ospedale degli Ardenti cit, p. 152. 58 Ibid. 59 A.S.G, ms. 843, cc. 483-484: Ex inventario rerum et bonorum pretiosorum ecclesie monasterii et conventus Sancti Antonii lanue Ordinis Sancti Benedicti, anno 1496, 1° novembre. - 165 — sacer, e altrettanto di poterlo a piacere provocare in chicchessia, ottenendo così, a titolo precauzionale o di scongiuro, laute offerte dai devoti . Oltre alla suddetta cassa, nella chiesa si conservava parte di un cranio che si riteneva fosse appartenuto al santo stesso. Questa reliquia era stata donata dall’imperatore di Bisanzio ai banchieri genovesi di Pera e trasportata poi a Genova nel 1461, prima dell’occupazione turca, unitamente a molti altri oggetti sacri di grande valore che vennero depositati presso il Banco di S. Giorgio61. Di ciò che rimaneva del patrimonio artistico della chiesa e dell’ospedale al momento della soppressione definitiva, nel 1891, una parte venne assorbita dall’amministrazione comunale, come il bassorilievo del XV secolo, assegnato poi alla Galleria di Palazzo Bianco, raffigurante sant’Antonio, riconoscibile dal bastone a T, nell’atto di benedire un fanciullo tra le braccia della madre, opera evidentemente votiva. Anche l’antichissima campana, risalente al 1192, fu compresa tra gli oggetti incamerati dalla civica amministrazione, che la collocò nella stessa Galleria62. Il reliquario fu invece assegnato alla confraternita di S. Giacomo alle Fucine che ne assunse la custodia nel proprio oratorio, detto di S. Antonio abate della Marina, nella zona di Sarzano, nel quale è conservato tuttora. Ritornando alla cronaca delle vicende storiche della fondazione lerinense, ricordiamo che questa, nella seconda metà del XV secolo, iniziò la fase di decadenza. Nel 1482, alla morte del rettore, Benedetto Negrone, chiesa e ospedale rimasero privi di monaci, fatto questo che diede il pretesto al cardinale Paolo Fregoso, arcivescovo di Genova, per tentarne l’incorporazione alla mensa arcivescovile ed in questa occasione, allo scopo di aumentare le rendite all’istituto, egli fece attribuire alla chiesa-ospedale di S. Antonio 63 parti di calleghe del Banco di S. Giorgio appartenenti al monastero di N. S. della Misericordia di Pera, ormai caduta in mano turca. Questo tra- 60 E. Chamber, Dizionario universale delle arti e delle scienze, Genova 1771, II, p. 399. 61 A.S.G., ms. 843, c. 483: L. Reau, Iconographie de l’art, chrétienne, I, t. Ili, Parigi 1958, p. 102. Altre reliquie si conservano ancora nella chiesa, e tra esse, un dito del santo, un dente di S. Apollonia, nonché una immagine della Vergine col Bambino e gli Apostoli, attribuito addirittura a S. Luca. 62 Secondo D. Cambiaso (Cremeno e la Voicevera, Genova 1907, p. 99 n.) la campana fu poi affidata alla chiesa di Cremeno. - 166 - passo di beni venne effettuato grazie all’appoggio di Giuliano della Rovere, il futuro papa Giulio II, allora legato apostolico63. La situazione economica, divenuta precaria, forse già al tempo della morte di Benedetto Negrone, dovette in seguito subire un ulteriore peggioramento, tanto che nel 1496, come si può rilevare dal già citato inventario, ben poco o nulla era rimasto nell’istituto per la sia pur modesta funzione ospedaliera che continuava ad esercitare, tanto che lo stesso rettore prò tempore era tenuto all’obbligo di provvedere personalmente alle suppellettili necessarie 64. La morte del cardinale Paolo Fregoso, avvenuta nel 1498, annullò definitivamente ogni progetto di annessione dell’ospedale, che mantenne la propria indipendenza (non era, infatti, compreso nell’elenco di quelli da incorporare a Pammatone), nonostante perdurasse lo stato di estrema indigenza in cui si trovava da oltre un decennio, finché, a seguito dei ricoveri per la pestilenza del 1501, il Magistrato di Sanità ordinò di ardere le suppellettili infette. A questo punto, la fine della pia istituzione pareva ormai inevitabile, ma per l’intervento della famiglia Pallavicini (particolarmente di Babilano) si ricostituì un patrimonio per l’ospedale pochi anni dopo. A riconoscimento della munificenza del Pallavicini, che fece una cospicua donazione all’istituto, il papa Leone X, con bolle del 22 luglio 1513 e del 15 giugno 1514, concedeva al benefattore e ai suoi discendenti il giuspatronato sull’ospedale65. Non possiamo concludere la trattazione di questo capitolo, senza far cenno ad alcuni caratteri strutturali del complesso architettonico che costituiva la sede monastica, ecclesiale e ospedaliera di S. Antonio, dato che di esso permangono tuttora vestigia riconoscibili, fatto abbastanza eccezionale per gli ospedali genovesi medievali. Probabilmente la chiesa primitiva, come sostiene l’Alizeri66, aveva una disposizione parallela al litorale, e solo successivi rifacimenti ne mutarono l’orientamento nel senso perpendicolare. Ad essa era annessa una torre campanaria, certamente già costruita ai tempi della fondazione dell’ospedale dato che la campana, alla quale abbiamo dianzi accennato, era stata fusa nel 1192. Addossati alla chiesa erano il monastero 63 A.S.G, ms. 843, c. 429 r. 64 A.S.G, ms. 843, c. 484 r. 65 Hildesheimer cit, p. 77. 66 Alizeri, Guida cit, p. 227 - 167 - e l’ospedale e al corpo di questi edifici fu successivamente annesso un ampio chiostro, nel cui spazio aperto veniva effettuata la tradizionale benedizione degli equini nel giorno di S. Antonio, usanza che si mantenne fino al secolo scorso. La capienza dell’ospedale ci viene indicata da un documento del 10 ottobre 1249, che riguarda la consegna fatta ad un certo Gualizo di una serie di masserizie dell’istituto, tra cui 18 letti di corda e 18 sacconi (v. app. n. 733)67. La presenza dei 18 letti indica quindi una recettività al di sopra della media usuale, che era, come è noto, di 12. Purtroppo, i ripetuti rifacimenti (il più importante dei quali fu quello di G. B. Grigo, nel XVIII secolo) e l’abbandono in cui vennero a trovarsi in seguito chiesa, monastero e ospedale, resero irriconoscibili le vestigia del passato. Importanti lavori di ristrutturazione del complesso di edifici furono anche compiuti nel XIV secolo. Nel periodo in cui si concludeva la lunga vertenza con gli Antoniani, infatti, il patrizio Valente Pinelli provvide ai lavori di restauro e di ampliamento della chiesa, come ci testimonia una lapide in pietra nera ancora oggi visibile in vico S. Antonio, sulla sinistra del portale gotico, anch’esso realizzato in quegli anni. La lapide, sormontata da tre pigne, emblema araldico dei Pinelli, contiene la seguente epigrafe: IN CHRISTI NOMINE - MCCCLXV DIE I SEPT. - HOC OPUS FECIT FIERI VALENTES PINELLUS FILIUS q.m. NICOLAI AD HONOREM DEI ET B. VIRGINIS MARIAE ET B. IOHANNIS EVANGELISTAE ET S. ANTONII. Oltre al portale e alla lapide del Pinelli, ricordiamo un’altra lapide, in pietra nera, che si trova in vico inferiore del Roso, rappresentante S. Antonio in piedi, col bastone a T e, alla sua destra, una figura inginocchiata, ool pugnale al fianco, che il Portigliotti attribuisce a un cavaliere e l’Alizeri indica come un priore con le insegne abbaziali6,3. Alla destra del gruppo figura uno scudo crociato e, sulla sinistra, uno stemma araldico abraso e non identificabile. Purtroppo solo queste poche testimonianze tangibili sono rimaste a ricordare l’aspetto monumentale di quello che fu uno dei più importanti istituti ospedalieri genovesi dell’età medievale. 67 ... culcitras septem, cossinos septem, linteamina sex decim, frasticaria viginti, copertoria duo parva, sacconos decem et octo, lectos cordarum decem et octo, lebetem unum, cuchalium unum, patellas duo, brandale unum, buthes tres, mastras duo, barile unum cum tergatum et unum banchale. 68 Alizeri, Guida cit., p. 228; Portigliotti, L’ospedale degli Ardenti cit., p. 152. - 168 - 9. L OSPEDALE DI S. FRANCESCO La presenza dei Frati Minori a Genova è documentata fin dal 1226 1 e il loro insediamento in città può essere fatto risalire a non molti anni prima . Loro sede primitiva fu un piccolo monastero, con annessa chiesuola, eretti nell’area di Castelletto, presso la chiesa di S. Onorato, a quel tempo di proprietà dei monaci lerinensi3. Divenuta ben presto troppo angusta questa sede, per le necessità sempre crescenti della comunità francescana, i Minori ottennero nel 1259 di installarsi nella chiesa e convento di S. Onorato, mentre i monaci di Lerino vennero trasferiti a S. Antonio di Prè. Questo scambio potè attuarsi solo dopo lunghe trattative e la sua realizzazione fu ostacolata da innumerevoli difficoltà4. Pressoché contemporaneamente al primo, fece la sua comparsa a Genova anche il secondo ordine francescano. Alla iniziativa delle Clarisse si deve, infatti, la costruzione della chiesa dedicata a S. Caterina vergine e martire5, che venne iniziata il 21 dicembre 1288 6 presso il monastero, sulla salita che ancora oggi conserva il nome della santa. Dal punto di vista assistenziale, va però rilevato che, pur essendo la cura degli infermi uno dei precetti fondamentali della regola francescana, i Minori e le Clarisse non gestirono mai in proprio istituti ospedalieri, come era invece uso in altri ordini monastici7. Cionondimeno i Francescani ebbero un notevole influsso sulla ospedalità medievale attraverso l’intensa attività del loro terzo ordine. In effetti, la regola non consentiva ai Frati Minori di disporre di beni materiali e di amministrare patrimoni, il che costi- 1 Ferretto, Liber magistri Salmonis, in ASLi, XXXVI, pp. 433, 458, 475. 2 L. Wadding, Apologeticus de praetenso monachatu Augustiniano sancti Francisci, Madrid 1625, p. 151; Cambiaso, L’anno ecclesiastico cit.; Ferretto, Ospedali cit. 3 Fra Benedetto da Carasco (La provincia francescana di Genova, Genova 1909, p. 9) ipotizza che la primitiva sede dei Minori fu presso la chiesa di S. Maria dello Scalo, accanto alla Darsena, ma l’affermazione ci appare scarsamente fondata. 4 Cfr., a questo proposito, il capitolo riguardante l’ospedale di S. Antonie. 5 Sancta Catharina de luculo o de Fonte Moroso, come viene indicato nelle antiche carte. 6 Cambiaso, L'anno ecclesiastico cit., p. 265. 7 II monastero di S. Francesco aveva, tuttavia, una propria infermeria destinata ad uro dei frati. Della infirmaria conventus Sancti Francisci de Ianua si ha notizia in una carta del 1428, contenuta nel cartolare delle Compere, dalla quale risulta che la suddetta isti- tuzione possedeva un deposito di ben 500 lire (A.S.G, Comp. e Mutui, ng. 520, c. 194 v.). - 169 - tuiva un ostacolo insormontabile alla fondazione e alla gestione diretta di un ospedale. I terziari, invece, essendo di condizione laica, non soggiacevano a questa limitazione ed ebbero pertanto la possibilità di dar vita a un cospicuo numero di istituzioni caritative, le quali, a volte, rimanevano sotto il controllo indiretto dell’Ordine, ma più spesso divenivano fondazioni del tutto autonome. Tra le molte cadè fondate e gestite a Genova da terziari francescani, una si trovava in tutta vicinanza della chiesa dei Minori ed era conosciuta col nome di ospedale di S. Francesco o dei Frati Minori. Di questo ospedale si hanno scarse notizie e rari sono i testamenti che contengono legati in suo favore. Tra questi ricordiamo il lascito di 10 soldi che Giaco-mina della Volta, nel 1285, destinò hospitali de cadeo fratrum minorum de lanua (v. app. n. 832), il testamento di Serra, moglie di Anseimo Burferio, contenente un legato di 5 lire hospitali fratrum minorum (v. app. n. 838), e infine le ultime volontà del calzolaio Giovanni da Cremona, che nel 1348 destinò un lascito di 10 soldi in favore dei poveri dell’ospedale che fu del defunto frate Bertolino (v. app. n. 855). Pur se in quest’ultimo documento non appaiono espressi chiaramente il titulus dedicationis, né il patronato dell’ospedale, è tuttavia possibile in questo caso identificare ugualmente l’istituto, grazie ad alcune indicazioni che lo stesso documento fornisce. L’ospedale è, infatti, qui localizzato in prossimità di quello della Maddalena e dell’altra cadè di Castelletto, nella quale è riconoscibile l’istituto di suor Verdina che era posto al termine della salita dei Frati Minori, presso la chiesa di S. Francesco, mentre l’ospedale della Maddalena era situato più in basso, all’inizio della stessa salita. L’ospedale di fra’ Bertolino doveva quindi necessariamente trovarsi presso la chiesa e a breve distanza da quello di suor Verdina. Vi sono al proposito testamenti che contengono lasciti destinati duabus domibus misericordie que sunt apud Castelletum (v. app. n. 829 a) e infirmis de duabus domibus misericordie de Sancto Francisco (v. app. n. 845), il che conferma la presenza di due sole cadè nei pressi della chiesa8 ed essendo chiaramente stabilita l’ubicazione dell’ospedale della Maddalena (cfr.), ai piedi della salita dei Frati Minori, è evidente che nelle due cadè sopra ricordate possono essere identificati soltanto gli ospedali di suor Verdina e di S. Francesco. Il frate Bertolino, cui accenna il testamento di Giovanni da 8 II testamento di Percivalle di Antiochia del 1276 (v. app. n. 828) contiene un lascito di 40 soldi infirmis domorum dei de Casteleto, de qualibet domo solidos viginti il che dà ancora un’ulteriore conferma della presema di due sole cadè presso la chiesa di S. Francesco. - 170 - Cremona, fu verosimilmente rettore dell’ospedale dei Minori e il suo nome, come non raramente accadeva nel caso di personaggi particolarmente popolari (cfr. frate Giordano a S. Tommaso e frate Ruffino a S. Maria di Castello), rimase legato per un certo tempo alla istituzione cui aveva dedicato la propria opera. Per quanto riguarda i nomi e l’attività degli altri ospitalari succedutisi nell amministrazione, ben poco si conosce, né è nota l’identità del fondatore, a meno che non si voglia ravvisarvi quel fra’ Mainaldo, terziario francescano, che il Ferretto indica appunto quale fondatore di un ospedale nell’area di Castelletto 9. Sappiamo invece con esattezza che nel 1322, tra i vari rettori nominati quali beneficiari dell’eredità di Giovannino de Fornari, viene citato lohanninus de Placentia pro hospitale Tercii Ordinis Sancti Francisci10. La assenza di una qualifica specifica ci fa pensare che Giovannino da Piacenza, piuttosto che l’ospitalario, fosse in realtà un semplice procuratore dell’istituto. Nel 1411 troviamo invece chiaramente indicata la funzione del frate Gaspare Riccio che in un documento del de Compagnono è qualificato hospi-talarius hospitalis tercii ordinis Sancti Francisci de lanua (v. app. n. 864). Il nome di hospitale Sancti Francisci de lanua figura anche nei cartolari delle Compere e del Banco di S. Giorgio, dove sono iscritti depositi ad esso intestati (depositi, tuttavia, consistenti in poche centinaia di lire). Da questi cartolari si possono anche ricavare i nomi di alcuni ospitalari e procuratori dell’istituto, come il calzolaio Luchino, che riscuoteva i proventi relativi al lascito di Manfredina Stella, nel 1423 ", e come Clara di Monte-negro, che è indicata come ospitalaria di S. Francesco in una carta del 1424 12, o come Giovanni Cavazio che svolgeva le mansioni di procuratore nel 1456 13, anno in cui risulta ospitalario Giacomino di Odino 14. La vita dell’ospedale si protrasse fino alla incorporazione a Pammatone, avvenuta a seguito della nota bolla di Sisto IV, nel 1472, e a quest’epoca esso, secondo l’Anselmi, era adibito al ricovero degli esposti15. Tuttavia, ancora nel 1546 esso si trova registrato nelle Colonne, con un proprio depo- 9 Ferretto, Ospedali cit. 10 Alizeri, Guida cit, p. 688. 11 A.S.G, Comp. e Mutui, ng. 508, Cart. S, c. 104 v. 12 Ibid., ng 512, c. 130 v. 13 A.S.G, S. Giorgio, ng. 190, Colonne, Cart. B, c. 494 v. 14 Ibid., ng. 7786, Descript. Locorum, inserto. 15 Anselmi cit, p. 267. - 171 - sito. Questo, però non significa che l’ospedale fosse ancora attivo, ma semplicemente che i « protettori » di Pammatone avevano trascurato di incamerare i depositi, come si apprende da un estratto del Cartolare originale delle Colonne I6. In questo documento si afferma che gli amministratori del maggior ospedale genovese, avevano per lungo tempo negligentato di acquisire i depositi relativi ad alcuni ospedali incorporati . 10. L’ospedale di suor Verdina - L’ospedale delle Vigne Il nome di suor Verdina, personaggio vissuto a Genova nel XIII secolo, è legato alla fondazione di alcune cadè destinate ai poveri e ai malati. La pia beneattrice, della cui vita quasi nulla si conosce, molto probabilmente appartenne al terzo ordine francescano, che in quel tempo, in ogni parte d’Italia, molto si adoperava per la realizzazione di opere di carità, secondo i precetti istituzionali dell’Ordine stesso. Uno degli ospedali di suor Verdina fu fondato intorno al 1260, nella zona di Castello, presso S. Croce, ed un altro nel carrubeo dei Frati Minori, che portava alla chiesa di S. Francesco di Castelletto ’. Quest’ultimo ospedale si trova nominato in alcuni atti notarili del XIII e del XIV secolo e nei cartolari delle Compere, relativi al XIV e al XV secolo. Il documento più antico è rappresentato del testamento di Guisla da Valditaro, del 1267 (v. app. n. 827), nel quale, tra i lasciti destinati a vari istituti ospedalieri genovesi, è contenuto un legato di cinque soldi per la domus dei de Verdina. Posteriore di alcuni anni è il testamento di Giuliana, moglie del fiorentino Giacomo Donati, la quale, l’il maggio 1283, lasciava in eredità venti soldi in favore della domus dei di Verdina, di Castelletto (v. app. n. 830). La fondazione dell’ospedale può essere fatta risalire intorno al 1260, contemporaneamente cioè, a quella dell’ospizio di Castello, cui abbiamo precedentemente accennato2 ed è probabile che la stessa fondatrice abbia diretto per molti anni la propria istituzione, secondo una consuetudine co- 16 A.S.G., S. Giorgio, ng. 3041, Cart. Qrig. delle Colonne, c. 416 v. 1 Ferretto, Ospedali, cit. 2 C. Marchesani, G. Sperati, Nella contrada dei Frati Minori, in Giullari, artisti, santi e poeti di Liguria, a cura di V. Belloni, Genova 1979, p. 27. - 172 - stantemente seguita, a parte rare eccezioni, da coloro che istituivano nuovi ospedali. A questo proposito un testamento del 1285 (v. app. n. 832) lascia presumere che ancora a quel tempo suor Verdina fosse alla direzione del proprio istituto. Infatti, in esso è contenuto un legato di dieci soldi, per 1 ospedale de cadeo de lanua, cui super est Verdina. Degli altri ospitalari, che successivamente si avvicendarono nell’amministrazione dell’ospizio, conosciamo assai poco. In una carta del 4 maggio 1302 (v. app. n. 836) è citato frate Baldovino hospitalerius cadei Verdine ed egli è ancora ricordato con tale qualifica in un altro atto, del 17 luglio dello stesso anno (v. app. n. 839), mentre pochi mesi dopo, e precisamente il 12 dicembre 1302, l’ospedale era rappresentato da frate Lorenzo (v. app. n. 840). Costui fu probabilmente non l’ospitalario, ma un procuratore, in quanto nel documento non viene indicata una sua precisa qualifica, ma soltanto che egli agiva nomine cadei sororis Verdine. Anche una carta del 22 novembre 1303 (v. app. n. 841), riporta il nome di frate Lorenzo, quale rappresentante della cadè, ma non ne indica le esatte funzioni. Più precisa è invece la qualificazione di frate Pasquale, cui era affidata nel 1311 la direzione dell’istituto, come si apprende da due atti dell’8 marzo di quell’anno, che lo indicano quale hospitalerius, minister sive inconomus hospitalis sive domus dei sororis Verdine (v. app. nn. 846, 847). Questo rettore dovette godere di un certo prestigio personale, dato che negli atti anzidetti, relativi alla riscossione di eredità, egli risulta rappresentante, oltre che del proprio, anche degli ospedali di S. Antonio, di S. Lorenzo, di S. Lazzaro e dei Crociferi. Egli è ricordato anche in un contratto del 27 marzo 1314, concernente la concessione in enfiteusi perpetua, al pellicciaio Opizzino da Chiavari, di una casa di proprietà dell’ospedale, sita in contrada Pozzarello (v. app. n. 851). In questo documento frate Pasquale (detto qui di Albaro) è indicato quale rettore e ospitalario hospitalis domus dei done Verdine. Va ancora rilevato, a proposito del documento di cui sopra, che la casa concessa in enfiteusi doveva trovarsi a breve distanza dall’ospedale, in quanto anche esso era situato in Pozzarello, come testimoniano numerose annotazioni relative all’istituto trascritte nel cartolare PN delle Compere, dal 1361 al 1408 3. Non sappiamo quanto durò il rettorato di frate Pasquale, ma è certo che nel 1322 l’ospedale era già pas- 3 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 372, c. 29 r.; ng. 384, c. 23 r.\ ng. 446, c. 44 r.; ng. 472, c. 42 r.; ng. 477, c. 40 r. La denominazione di Pozzarello si riferiva a una zona molto prossima alla chiesa di S. Francesco, così chiamata per la presenza di una sorgente (Giustiniani dt, I, c. XIII r). - 173 - sato in altre mani, poiché in quell’anno frate Bartolomeo de Calciarla prendeva parte, pro hospitale sororis Verdine, con altri ospitalari, alla spartizione della eredità di Giovannino de Fornari4. Non molti anni più tardi era probabilmente rettore frate Pietro Ratto, secondo quanto si arguisce dal testamento del calzolaio Giovanni da Cremona, del 22 febbraio 1348 (v. app. n. 855), dove figura un lascito di dieci soldi per gli infermi dell’ospedale in quo stat frater Petrus Ratus. E’ possibile individuare questo ospedale da alcune notizie contenute nel documento che ne permettono una collocazione topografica abbastanza precisa. E’ detto infatti che l’istituto si trovava in vicinanza, ma in posizione più elevata della cadè della Maddalena e di quella di frate Bertolino. Dato che conosciamo l’esatta ubicazione degli ospizi della Maddalena e di frate Bertolino (quest’ultimo identificabile con l’ospedale di S. Francesco) i quali si trovavano l’uno ai piedi della salita dei Frati Minori e l’altro, più in alto, nei pressi della chiesa francescana, possiamo ritenere che molto probabilmente la cadè di suor Verdina doveva sorgere alla cima della salita suddetta. I nomi di altri rettori e procuratori della domus Verdine possono essere ricavati dal già ricordato cartolare PN delle Compere, nel quale sono iscritti i depositi di proprietà dell’ospedale (depositi peraltro mai superiori alle 100 lire) e dove sono altresì nominati tutti coloro che erano incaricati della riscossione dei proventi3. Tra questi troviamo ricordati Giovanna da Montechiaro nel 1361-62 6 e, successivamente, ad essa vennero affiancati altri procuratori e precisamente, nel 1368, Lazzaro Gagliardo, ospitalario di S. Stefano7, e nel 1370-71, frate Antonio da Ven- 4 Alizeri, Guida cit., p. 688: ... Bartholomeus de Caldana pro hospitale sororis Verdine. 5 Le indicazioni fornite dal cartolare sono tuttavia al riguardo molto scarse ed è spesso difficile attribuire una esatta qualifica ai vari nomi annotati nelle carte. A volte questi nomi sono privi di qualsiasi riferimento alle effettive funzioni, altre volte sono accompagnati dal termine hospitalerius, ma anche in questi casi non è agevole stabilire a quale ospedale in realtà appartenessero. Abbiamo potuto rilevare più volte che alcuni ospitalari erano incaricati di rappresentare, oltre al proprio, anche altri istituti e nel caso particolare della cadè di suor Verdina abbiamo potuto constatare che non pochi di questi rappresentanti erano incaricati delle medesime funzioni negli ospedali della Maddalena, di S. Francesco, ecc. La presenza quindi della qualifica di ospitalario, attribuita a chi effettuava la riscossione dei proventi per conto di un ospedale non autorizza a escludere che questi appartenesse a un altro istituto ospedaliero. 6 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 372, c. 29 r. 7 lbid., ng. 382, c. 26 r. - 174 - timiglia8. Nel 1391 la riscossione dei proventi era affidata all’ospitalario Matteo , al quale successero, nel 1400, frate Giovanni da Napoli, che fu presumibilmente soltanto un procuratore dell’istituto, e nel 1401 l’ospitala-ria Antonia da Serravalle l0. Ad essi seguirono Antonio di Matteo e Pietro da Cuneo i quali, nel 1408, riscuotevano i proventi delle Compere, per conto dell ospedale u. Alcuni anni più tardi fu nominata a rappresentare l’istituto Chiara da Montenegro, che troviamo indicata con la qualifica di ospitalaria in carte relative al periodo compreso tra il 1422 e il 1428 12. Successivamente vi furono ancora due ospitaliere neH’amministrazione della domus Verdine, e cioè Limbania Borneto, ricordata in una carta del 1445 13, e Petrina Rozea, citata in carte del 1443, 1444 e 1447 14. Il cartolare delle Compere, dal quale abbiamo tratto i nomi degli ospitalari e dei procuratori prima ricordati, contiene anche l’indicazione della dipendenza della cade di suor Verdina dalla Chiesa parrocchiale di S. Maria delle Vigne. Il titolo di hospitale sororis Verdine è quasi costantemente completato con la locuzione Sancte Marie de Vineis, nelle numerose carte che contengono annotazioni riguardanti i depositi di proprietà dell’istituto, ed è presumibile che tale indicazione stia a significare, piuttosto che una espressione topografica, una vera e propria appartenenza dell’ospedale stesso alla chiesa, nei cui confini parrocchiali si trovava. D’altra parte è indubbio che la chiesa delle Vigne possedesse un proprio ospedale, come attestano alcuni documenti del XIV e XV secolo. Un atto del notaio Paxerino de Ma-iolo, del 14 luglio 1360 15, ricorda l’elezione, da parte del capitolo delle Vigne, di Franceschetta da Cortimiglia a ospitalaria dell’ospedale di S. Maria delle Vigne. Dello stesso istituto risultano rettori, nel 1377, Riccobono da Manarola (v. app. n. 859), nel 1397 Marco Gallo de Bestagno (v. app. n. 862) e nel 1411, un atto del de Compagnono ricorda Petrus de Cunio hospi-talarius hospitalis Sancte Marie de Vineis (v. app. n. 864). L’ospedale delle 8 Ibid., ng. 384, c. 23 r. 9 Ibid., ng. 417, c. 42 r 10 Ibid., ng. 446, c. 44 r. 11 Ibid., ng. 477, c. 40 r. 12 Ibid., ng. 508, c. 163 r.; ng. 512, c. 188 r.; ng. 516, c. 186 r.; ng. 520, c. 190 r 13 Ibid., ng. 531, c. 308 r. 14 Ibid., ng. 540, c. 225 v.; ng. 541, c. 195 r.; ng. 544, c. 226 r. 15 A.S.G, ms. 845, c. 1 v. Secondo G. B. Pescetto, Biografia medica ligure, Genova 1846, I, p. 31, lo stesso atto sarebbe invece datato 24 luglio 1367. - 175 - Vigne si trova anche indicato nei cartolari del Banco di S. Giorgio, negli anni 1439 16 e 1444 17. A questo punto si presentano due possibili interpretazioni, e cioè che l’ospedale di suor Verdina e quello delle Vigne fossero due istituzioni indipendenti, pur se legate tra loro da una comune matrice, oppure che essi non rappresentassero, in realtà, che un unico ente, al quale vennero attribuiti, fatto peraltro non raro, due nomi diversi. Quest’ultima ipotesi già sostenuta dal Ravara in passato 18, appare oggi la più verosimile, essenzialmente in virtù di due considerazioni che appaiono sufficientemente probanti. In primo luogo, nell’atto relativo alla nomina dell’ospitalaria Franceschetta da Cortimiglia, dianzi citato, l’ospedale di S. Maria delle Vigne viene localizzato in contrata Sancti Francisci, dove si trovava appunto quello di suor Verdina, inoltre quel Pietro da Cuneo che il documento citato del de Compagnono, del 1411, indica ospitalario di S. Maria delle Vigne, è lo stesso che abbiamo ricordato quale rappresentante della domus Verdine. nel 1408. Si può quindi ragionevolmente ritenere che l’ospedale di suor Verdina, alla morte della fondatrice, fosse passato alle dipendenze della chiesa parrocchiale delle Vigne, che ne avrebbe poi mantenuto il patronato per tutto il tempo restante. In questo modo si spiegherebbe la presenza della duplice denominazione. Tuttavia va rilevato che la parrocchia delle Vigne possedeva probabilmente un altro ospizio istituito presso la chiesa, ma destinato esclusivamente alla funzione di orfanotrofio. E’ questa una ipotesi che ci viene suggerita dalle indicazioni contenute in tre testamenti del 1268, 1301 e 1308 riguardanti lasciti a favore dei trovatelli di S. Maria delle Vigne 19. Tali documenti fanno supporre che i destinatari di questi lasciti, secondo una consuetudine largamente diffusa, fossero raccolti in un brefotrofio o in un ospedale20. E’ quindi probabile che alle Vigne esistesse, 16 A.S.G., S. Giorgio, ng. 7698, Descript. Locorum, del 27 maggio 1439. 17 lbid., ng. 8901, Nitidi Officii, c. 249 v. 18 G. Ravara, Sancta Maria in Vineis, Genova 1925, p. 45. 19 Ferretto, Ospedali cit.: Druda, vedova di Giovanni di Negro, lega soldi 2 per i trovatelli di S. Maria delle Vigne (20 settembre 1268); il notaio Oberto da Padova lega lire 2 a Giacomo delle Vigne, nutritore dei trovati (24 febbraio 1301); Simona, figlia del defunto Guglielmo Boccanegra, e moglie di Simone di Negro, lega lire 3 ai pueri noncu-pati trovai in ecclesia Sancte Marie de Vineis (v. app. n. 843). 20 II problema degli esposti era, in età medievale, di una gravità veramente rilevante, dato l’enorme numero di abbandoni e di infanticidi. La chiesa ed i governanti di fede cristiana tentarono invano, nel corso dei secoli, di porre un freno a questa triste consuetudine. Già Costantino il Grande aveva promulgato leggi atte a regolamentare la - 176 - già alla metà del XIII secolo, un ospizio per trovatelli. Non è possibile stabilire se questo istituto fosse l’ospedale delle Vigne, che abbiamo descritto piecedentemente, o se invece si trattasse di una fondazione a sé stante, dedicata esclusivamente al ricovero ed alla cura dell’infanzia abbandonata, ma riteniamo che quest’ultima ipotesi sia la più probabile, considerando che non sono stati reperiti accenni ai trovatelli nelle carte riguardanti l’antico ospizio di suor Verdina. 11. La cade della Maddalena L’Accinelli1 ricorda di aver trovato citato questo istituto solo in carte del 1218 e del 1267, ma in realtà ben più numerosi sono i documenti che ad esso fanno riferimento. Tra questi documenti, riportati in appendice, alcuni contengono preziose indicazioni sulla conduzione amministrativa del- 1 ospedale e sulla sua ubicazione. Nel testamento di Beltrame, lanaiolo di Rivitorbido, del 1293 (v. app. n. 834), si legge . .. hospitale quod dicitur seu appellatur domus dei de Castelleto seu Magdalene quod est Ianue in carruheo qui itur recta via ad ecclesiam sancti Francisci fratrum minorum. Anche il lascito di cinque soldi, che Giuseppina Cebà destinò il 5 aprile 1312 cadei beate Marie, va attribuito all’ospedale della Maddalena, in quanto tale cade, nel documento in questione, veniva localizzata sub ecclesiam fratrum minorum (v. app. n. 849). Si ha quindi la possibilità di individuare con sufficiente precisione l’ubicazione dell’ospedale, che era situato adozione degli esposti: chiunque li raccoglieva e li nutriva acquistava su di essi il diritto di farne, a suo insindacabile giudizio, o un figlio o un servo (L. A. Muratori, Della carità cristiana, Milano 1858, p. 371). Questa ultima condizione fu abolita da Giustiniano, ma in realtà venne assai poco osservata, specie in epoca longobarda e carolingia, tanto è vero che nel 787 prete Dateo fece erigere a Milano un brefotrofio, primo in Italia, per accogliere gli esposti e renderli liberi da ogni vincolo di schiavitù (La Cava cit, p. 35). Da quel momento le iniziative in favore di questa categoria di reietti si moltiplicarono un po’ ovunque e, accanto ad istituti che dedicavano esclusivamente la loro opera a questa causa, anche la maggior parte degli ospedali prestava assistenza ai trovatelli, accogliendoli facendoli nutrire da balie e mantenendoli fino all’età di sette anni. 1 Accinelli, Dizionario cit. — 177 - 12 nella via dei Frati Minori e in particolare nel punto dove questa iniziava a salire, come confermano in proposito gli Annali dello Stella 2. Per quanto concerne l’amministrazione dell’istituto, abbiamo notizie di vari rettori che ne assunsero la direzione, pur se limitate al XIV e XV secolo. Nel 1302 bospitalerius cadei Maddalene era frate Oberto (v. app. nn. 836, 839, 840), al quale subentrò l’anno successivo frate Guido (v. app. n. 841). L’11 luglio 1305 venne nominato ministro dell’ospedale frate Giacomo da Laigueglia, calzolaio (v. app. n. 842), al quale successe frater Iohanne Barberius de Statano, indicato quale rector et minister hospitalis in una carta del 12 luglio 1308 (v. app. n. 844). Quest’ultimo rimase verosimilmente in carica per un certo tempo, dato che in due atti dell’8 marzo 1311 (v. app. nn. 846, 847), nei quali sono citati i nomi di vari amministartori (inchonomi) di ospedali genovesi, figura frater Iohanne bospitalerius minister sive inchonomus hospitalis sive domus dei sancte Marie Magdalene. In un atto del 1322, relativo alla spartizione tra diversi istituti ospedalieri dell’eredità di Giovannino de Fornari, viene poi ricordata Bruneta uxor Gulielmi cappellarii pro hospitale de Magdalena3. La presenza della moglie del cappellaio Guglielmo, in veste di rappresentante dell’ospedale della Maddalena, suggerisce l’esistenza di uno stretto legame tra l’ospedale stesso e il terzo ordine degli Umiliati. Infatti, il suddetto Guglielmo era ministro di quella congregazione, come testimonia un atto del 3 giugno 1302 (frater Guillelmus cappellerius et frater Lanzonus de Papia ministri fratrum humiliatorum tercii ordinis in lanua) (v. app. n. 837). Questo documento, che riguarda l’accettazione nell’Ordine del barbiere Giacomo da Mirualdo, ci dà anche conferma dell’esistenza di un ospedale appartenente all’Ordine stesso, come indica la nota in calce all’atto (actum lanue in domo hospitalis cadei dictorum fratrum apud sanctum Franciscum). L’ospedale degli Umiliati risulta quindi ubicato proprio dove si trovava quello della Maddalena, fatto questo che ci ha indotto a identificarlo con esso. Una conferma a questa nostra convinzione viene dal Liber Bartholomei de Boniato, dal quale si apprende che nel 1324 fra-ter Guillielmus cappellarius dicti ordinis aveva la carica di minister domus 2 Stella cit., p. 320: ... via que ad ascensum incipit sublevari sub eadem Sancti Basilica ubi Hospitalis Magdalene incipit edificium. La via dei Frati Minori portava dalla contrada della Maddalena allo spiazzo antistante la chiesa di S. Francesco. 3 Alizeri, Guida cit., p. 688. - 178 - sancte Marie Magdalene4. Appare quindi dimostrato che il cappellaio Guglielmo assunse, dopo la moglie Brunetta 3, la direzione dell’ospedale della Maddalena, in rappresentanza della propria congregazione. La definitiva conferma sulla dipendenza della cadè dall’ordine degli Umiliati l’abbiamo potuto ottenere grazie al reperimento dell’atto già citato dell’ 11 luglio 1305, col quale il priore e i frati dell’ordine degli Umiliati nominarono il calzolaio Giacomo da Laigueglia ministro del loro ospedale, che era detto domus dei de Castelieto que appellatur hospitale Madalene que est in car-rubeo qui itur recta via ad ecclesiam sancti Francisci Fratrum minorum de Ianua6. L’ordine degli Umiliati, sorto come è noto7, negli ultimi anni del XII secolo, ebbe presto una notevole diffusione e, a Genova, nel 1228 era già da tempo attivo, tanto è vero che nel maggio di quell’anno frate Amico, preposto dell’Ordine, a nome proprio, degli otto frati residenti nel monastero cittadino e degli altri confratelli e consorelle commorantes in domi-bus propriis (terziari), chiedeva licenza all’abate di S. Siro di poter erigere un oratorio e un cimitero presso il proprio convento8. La richiesta di poter avere cappella e cimitero, che in quel tempo costituivano insieme all’ospedale gli elementi essenziali su cui si fondava la vita religiosa e assistenziale di un monastero, parrebbe indicare che gli Umiliati fossero allora già in possesso di un proprio istituto ospedaliero. E’ quindi presumibile che la fondazione dell’ospedale della Maddalena risalga agli inizi del XIII secolo e che l’istituto sia stato per tutta la sua esistenza sotto il patronato degli Umiliati. L’ospedale di S. Maria Maddalena nulla ebbe invece in comune con la chiesa omonima, se non il titulus dedicationis, che era peraltro tipico delle fondazioni realizzate dall’ordine degli Umiliati. Vi era infatti una specifica devozione verso le sante Marta e Maria Maddalena, da parte della 4 N. D. Muzio, La religione degli Umiliati, ms. del XVIII sec. in BiB, c. 94 r. 5 Forse egli aveva assunto la carica di ministro già da tempo e la moglie espletava soltanto la funzione di procuratrice, in sua sostituzione. 6 V. app. n. 842. In questo atto si può anche rilevare che veniva stabilito, per il nuovo rettore, l’impegno a dare, del proprio operato, un rendiconto quadrimestrale anziché il consueto rendiconto annuale. 7 Muzio, La religione cit; G. Tiraboschi, Vetera humiliatorum monumenta, Milano 1766. 8 Cambiaso, S. Francesco cit, p. 78. Al terzo ordine degli Umiliati aderirono in massima parte artigiani delle più varie attività. — 179 — congregazione in genere e in particolare da parte della sua sezione femminile, come testimoniano numerosi istituti dedicati alle due sante, sorti in varie città d’Italia su iniziativa dell’Ordine9. Ritornando alla esposizione della sequenza cronologica degli amministratori dell’ospedale, rileviamo che, dopo quelli già citati, il primo ospitalario di cui si ha notizia è frate Lorenzo da Veltri, il quale è qualificato rector et minister hospitalis domus dei Beate Marie Magdalene, in un atto del 24 marzo 1341 (v. app. n. 854) relativo alla riscossione di un lascito compreso nell’eredità di Bertolino Fieschi. Seguì poi Antonio da Cremona, il cui testamento, datato 11 febbraio 1355, contiene l’indicazione delle proprietà da lui acquisite per l’ospedale durante il suo rettorato 10. Queste consistevano in numerose case (confiteor. .. injrascripte domus posite in infra-scriptis locis sunt dicti hospitalis et nomine ipsius hospitallis acquisite fuerunt) delle quali tre situate in contrat a sancti Francisci, presso 1’ospedale, quattro in contrat a Pozarelli in carubeo de Peronatihus e due in borgo S. Stefano, videlicet una posita in carubeo recto qui appellatur Portatine et alia posita est in carubeo Torarii. Inoltre 1'ospitalario Antonio elencava i numerosi crediti (più di 300 lire) che l’istituto doveva riscuotere e confermava che dictum hospitale habet loca quatuor ed dimidium in comperis .. . videlicet in compera impignoratorum loca duo et in compera mutuorum veterum loca duo et dimidium. Sui rettori succeduti ad Antonio da Cremona non si hanno molte notizie, all’infuori dei nomi di alcuni di essi ricavabili in gran parte dai cartolari delle Compere dove sono registrati coloro i quali effettuavano operazioni per conto dell’istituto. Nel 1361 e nel 1362 la riscossione dei proventi spettanti aU’hospitale de la chade de Magdalena era affidata a Giovanna da 9 Cfr. Cambiaso, L’anno ecclesiastico cit., p. 203. Va altresì rilevato che gli Umiliati possedettero anche un ospedale in Sampierdarena, come attesta un documento del 1324 (Muzio, La religione cit., c. 94). 10 V. app. n. 858. Il documento riporta anche l’elenco delle proprietà acquisite da Antonio da Cremona col proprio denaro [de mea propria pecunia) delle quali nomina eredi frate Percivalle, calzolaio, rettore dell’ospedale di S. Croce, frate Giacomo, rettore dell’ospizio di Capo di Faro, frate Bernardo del Molo, frate Domenico Gavioli, rettore dell’ospedale del ponte sul Polcevera, frate Pietro, rettore dell’ospedale di S. Cristoforo di Fassolo e frate Riccobono di Filippo, rettore dell’ospedale di S. Maria di Bogliasco. - 180 - Montechiaro 11, la quale era presumibilmente una semplice procuratrice dell’ospedale. Ospitalario fu invece con certezza frate Raffaele (Raffo) da Bargagli, che diresse l’ospedale della Maddalena per un lungo periodo di tempo, come testimoniano carte del 1368 e 1369 12, del 1370 e 1371 13 e del 1386 (v. app. 861). Quest’ultimo documento riguarda la locazione, per l’annuo canone di 13 soldi che il rettore Raffaele fece a Ginevra Montaldo da Gavi, di una terra di proprietà dell’Ospedale sita in Porta Nuova, in contrada Mannegi, nel carrubeo dei Cepolla, terra che confinava con l’edifìcio dell’ospedale stesso. A frate Raffaele successero Leonardo da Bargagli, citato in carte del 1391 e 1392 e Giovanna da Bargagli (probabili parenti del vecchio rettore)14. Quest’ultima ospitalaria venne sostituita il 9 aprile 1401 da Giovanni Luxardo, come attesta l’atto di nomina nel quale l’arcivescovo Pileo dava l’incarico al neoeletto rettore di riscuotere i proventi spettanti all’ospedale e di incamerare a favore dell’istituto un mezzo « luogo » donato da Margherita, moglie dello stesso Luxardo b. Costei successe, nella carica, al marito, secondo quanto ci indica un documento del 1411 (v. app. n. 864), riguardante l’elezione di rappresentanti comuni da parte della maggioranza degli ospitalari genovesi, tra i quali è citata Margarita uxor Luxardi ospitalaria hospitalis sancte Marie Magdalene de lanua*6. Durante e dopo il rettorato dei Luxardo numerosi procuratori si alternarono nel compito di riscuotere i proventi sui depositi iscritti a nome dell’ospedale nei cartolari delle Compere. Tra essi non pochi avevano la rappresentanza anche di altri ospedali, oltre quello della Maddalena. Ricordiamo i nomi di Antonio di Matteo e di Antonio da Serravalle nel 1400 11, di Giovanni da Valditaro nel 1406 18, di Clara da Montenegro, ospitalaria di S. Francesco, nel 1422-23, 11 A.S.G, Comp. e Mutui, ng. 372, Cart. PN, c. 30 r. A Giovanna da Montechiaro era anche affidata la riscossione dei proventi per conto di altri istituti (cfr. ad esempio l’ospedale di suor Verdina). 12 Ibid., ng. 382, c. 26 v. 13 Ibid., ng. 384, c. 23 v. 14 Ibid., ng. 417, c. 42 v. 15 V. app. n. 863. Giovanni Luxardo è indicato quale rappresentante dell’ospedale in carte del 1408 e 1409 (A.S.G, Comp. e Mutui, ng. 477, c. 40 v.). 16 La stessa Margherita aveva l’incarico di riscuotere proventi di competenza dell’ospedale già nel 1406 (A.S.G, Comp. e Mutui, ng. 472, c. 42 v.). 17 Ibid., ng. 446, c. 44 v. 18 Ibid., ng. 472, c. 42 v. - 181 - nel 1424, nel 1426 e nel 1428 19, di Limbania da Borneto nel 1434, di Giacomo Spinola e di Bartolomeo di Luccoli nel 1435 20, di Petrina Rozea nel 1443, nel 1444, nel 1446 e nel 1447 21 e di Giovanni Cavacio nel 1456 22. Dai cartolari delle Compere, oltre ai nomi dei rettori e dei procuratori, si possono apprendere alcune notizie relative alla consistenza patrimoniale dell’istituto ospedaliero della Maddalena e alle sue funzioni assistenziali. La situazione economica può essere considerata senza dubbio abbastanza florida, in rapporto alla media di altri istituti coevi, tenendo presente l’entità dei depositi che, per l’ospedale di S. Maria Maddalena, erano superiori alle mille lire. Per quanto riguarda il tipo di assistenza praticata nell’istituto si può affermare che essa fu, come d’uso, di tipo polivalente, destinata cioè a polveri, malati, trovatelli, ecc.; le annotazioni dei cartolari delle Compere contengono infatti specifiche disposizioni che impongono l’utilizzazione di determinati proventi a favore degli infermi23 o dei trovatelli24. Sulla capienza e sulla dotazione di letti dell’ospedale della Maddalena alcune notizie possono essere ricavate dagli Statuti della Compagnia dei Caravana del XIV secolo25. In calce a questi statuti infatti è contenuto l’inventario riguardante sette letti che la Consortia de li lavoraoi de lo Carmo possedeva in lo hospital de Sancta Maria Madalena, dove era ospitalario frate Raffaele da Bargagli. I letti in questione il primo dei quali si trovava a pe de la porta de lospital, dovevano essere originariamente in numero inferiore in quanto si trova annotato che il sesto letto era stato aggiunto in lo tempo di Leonardo da Bargagi hospitalier e cioè intorno al 1391. Se la consorzia dei Caravana si era riservato il possesso di sette letti !9 Ibid., ng. 508, c. 163 r.; ng. 512, c. 188 v.; ng. 516, c. 186 r. 20 Ibid., ng. 531, c. 308 r. Limbania di Borneto è detta ospitalaria, ma nel testo non è precisato a quale ospedale essa appartenesse. 21 Ibid., ng. 541, c. 195 r; ng. 543, c. 223 r; ng. 544, c. 226 r. Anch’essa è detta ospitalaria ma non si sa se della Maddalena o delle Vigne in quanto riscuoteva i proventi anche per quest’ultimo ospedale. 22 A.S.G., S. Giorgio, ng. 190, Colonne, Cart. B, c. 492 r. 23 A.S.G, Comp. e Mutui, ng. 512, c. 188 r. Espressamente destinati a favore degli infermi sono anche alcuni lasciti testamentari (v. app. nn. 855, 857). 24 A.S.G, S. Giorgio, ng. 190, Colonne, Cart. B, c. 492 r.: Respondeatur de proventibus locorum duorum cum dimidium gubernatoribus dicti hospitalis i quali erano tenuti ad accipere unum trovathum masculum vel feminam. 25 G. Costamagna cit, p. 11 e sgg. - 182 - è presumibile che l’ospedale disponesse come minimo di altrettanti per i propri ricoverati, per cui è ragionevole ritenere che il numero iniziale fosse, secondo la consuetudine, di dodici e che in tempi successivi fosse stato ampliato fino ad almeno quattordici unità. La descrizione contenuta nel citato inventario, datato 1381, ci indica che tutti i letti erano del tipo a colonne (torcularia) e dotati ciascuno del necessario corredo (copertorium, straponta, cofanum, ecc.)26, corredo che appare abbastanza ricco se confrontato con altri inventari simili (cfr. i capitoli sugli ospedali dello Scalo, di S. Stefano, di S. Erasmo, di S. Gerolamo, di S. Desiderio e di S>. Benedetto). Sulle ultime fasi dell’attività dell’ospedale della Maddalena si hanno scarse notizie: esso risulta nell’elenco degli istituti incorporati a Pamma-tone27, ma non si hanno conferme di una sua nuova destinazione, a ricovero per le cosiddette « convertite », come sostengono alcuni2S, sappiamo comunque che nel 1474 la gestione era affidata aü’Ufficio di Misericordia 29. Non si può dire se a quel tempo l’attività assistenziale fosse già cessata nell’antico ospizio, ma certamente essa non vi si protrasse ancora per molto. 12. L’ospedale dello Spirito Santo Presso la chiesa di S. Maria Maddalena fu edificato l’ospedale dello Spirito Santo, da parte della Consorzia dei Ciechi che si erano radunati in corporazione fin dal XIII secolo, presso la chiesa di S. Ambrogio di Genova, emanando i propri statuti nel 1299 '. Tale consortia fu beneficata da lasciti testamentari, come quello del 29 marzo 1317 di Simona, figlia del 26 Dall’inventario contenuto negli statuti pubblicati dal Costamagna riportiamo, a titolo di esempio, l’elenco degli elementi che componevano il corredo tipo di un letto: torchio uno, coscino uno, strapointa una, cosereta una, banca una, covertor uno, sclavina una. 27 Anselmi cit., p. 266 e sgg. 28 Casalis cit., p. 581. 29 A.S.G., S. Giorgio, ng. 8901, Nitidi Officii, anni 1474-77, c. 263 r. 1 A. Ferretto, Il primo ospizio dei ciechi in Genova, in « Il Cittadino », 9 aprile 1918. — 183 — defunto Guglielmo Boccanegra, che legava una lira congregationi orbo-rum 2, e come il testamento del 22 febbraio 1348 di Giovanni da Cremona, che lasciava un letto del valore di quattro lire per gli infermi hospitalis avo-góllorum (v. app. n. 855). L’ospedale viene ricordato anche in un atto del 9 ottobre 1400 allorché, essendosi resa vacante la carica di rettore, venne nominato il cieco Giovanni d’Alessandria2. La confraternita dei ciechi ebbe lunga vita, tanto è vero che la Societas Spiritus Sancti Ceccorum Genue è ricordata nei cartolari delle Colonne di S. Giorgio del 1568 3, e che in un atto del notaio Antonio Roccatagliata, del 18 agosto 1586, si fa menzione della cessione di una cappella nella chiesa dei SS. Nazario e Celso, poi S. Maria delle Grazie, alla Societas cecorum civitatis lanue, da dedicare sub invocatione Spiritus Sancti4. 13. L’ospedale di Santa Maria del Carmine Il testamento di Virginia Lomellini, figlia del defunto Rizardo e moglie di Nicolò Doria, datato 24 luglio 1347 (v. app. n. 867), contiene un legato di venticinque lire a favore dell’ospedale di Leona Ghisolfi, ospedale la cui fondazione doveva risalire a non molto tempo addietro, date che il documento afferma esplicitamente che esso nuper constructum fuit in contrata de Carmine. L’esistenza di questo istituto ospedaliero non venne quasi mai ricordata dagli storici del passato ', e ciò è comprensibile data la carenza di documenti al riguardo. Noi abbiamo potuto reperire notizie sull’ospedale del Carmine soltanto in quattro atti notarili, nel cartolare B delle Compere e nelle Colonne del Banco di S. Giorgio. Il primo documento, in ordine di tempo, è quello testé citato che ci conferma la data approssimativa della fondazione, intorno al 1340, il carattere di istituzione laica e privata dell’ospizio, sotto il giuspatronato di una dama del cospicuo patriziato ge- 2 lbid. 3 A.S.G., S. Giorgio, ng. 3050, Cart. Orig. delle Colonne, Cart. PL. 4 A.S.G., ms. 839, c. 183 r. 1 Solo I’Anselmi (cit., p. 267), lo cita includendolo nell’elenco degli ospedali incorporati a Pammatone. - 184 - novese, ed inoltre la sua ubicazione nella contrada del Carmine. Una più precisa collocazione topografica di questo ospedale appare in una carta del 10 dicembre 1380 (v. app. n. 868), dove è detto che esso sorgeva extra portam Sancte Agnetis. Un altro atto notarile, datato 11 dicembre 1400 (v. app. n. 869), concernente la nomina di Gaspare de Fornari quale rappresentante comune di vari istituti cittadini, comprende anche, tra gli altri, 1 ospedale de Carmo, che viene qui indicato per la prima volta col suo titulus dedicationis completo e cioè quello di S. Maria del Carmine. Tuttavia, il documento che ci consente di ottener le notizie necessarie, per meglio inquadrare i caratteri istituzionali e gli aspetti assistenziali della domus mansionis de Carmo, è senz’altro l’atto rogato dal notaio Pietro da Ripalta il 4 maggio 1474 (v. app. n. 870), riguardante la controversia sorta tra gli amministratori dell’ospedale del Carmine ed i protectores di Pammatone, in relazione alla decisione presa da questi ultimi di incorporare al loro istituto 11 piccolo ospizio fondato da Leona de Ghisolfi. Le parti in causa erano rappresentate, per Pammatone da Giovanni Giustiniani, che agiva in veste di procuratore degli altri protectores (procura che lo stesso notaio asseriva di aver trascritto in data 25 gennaio 1472), affiancato nella sua azione dal notaio Emanuele Granello, rappresentante dell’autorità cittadina, mentre per la controparte era presente Isotta Centurione, moglie di Luca Pinelli. Costei è indicata come amministratrice domus seu mansionis deputate ad hospitandum peregrinos sitte in contrata Beate Marie de Carmo in parro-chia Sancte Agnetis. Arbitro della controversia era Bernardo de Franchi. decretorum doctor canonicus, nonché delegato apostolico. Il nocciolo della disputa è identificabile, come abbiamo detto, nella richiesta di incorporare l’ospedale del Carmine a Pammatone, espressa dai protectores, sulla base delle disposizioni della nota bolla di Sisto IV. Infatti, Giovanni Giustiniani, riferendosi appunto all’ospedale del Carmine, asserit et pretendit unitum esse auctoritate apostolica dicto hospitali de Vammatono vigore unionis generalis facte per dominos tunc delegatos apostolicos super unione omnium hospitalium ianuensium a sede apostolica specialiter deputatos eo quia in ea domo nulla vel modica observatur hospitalitas. A questa richiesta la rettrice Isotta si opponeva, ribadendo che nel suo ospedale si praticava invece una adeguata assistenza ospedaliera secondo le antiche consuetudini dell’istituto, e che inoltre esso non sarebbe potuto rientrare nel gruppo di quelli incorporati a Pammatone, in quanto dieta domus est prophana et non religiosa et sic non comprehenditur in dieta unione neque in litteris pre- - 185 — dictis eo quia in eis loquitur de hospitalibus tantum et non de domibus seu mansionibus sicut est ista domus. La composizione della vertenza venne ottenuta nei seguenti termini: l’ospitalaria del Carmine concedeva a Pammatone la proprietà di tutti i luoghi delle Compere di S. Giorgio, dei quali era possessore l’ospedale, ad eccezione di 14 di essi che manteneva pro hospitalitate servanda in dicta domo peregrinorum, con la clausola che, in caso di malgoverno o di deficienze assistenziali, da parte dell’Ospedal Grande, tali proprietà sarebbero dovute ritornare all’istituto del Carmine; i protettori di Pammatone, dal canto loro, si impegnavano a non molestare ulteriormente l’amministratrice Isotta e i suoi successori, nonché a lasciare al Carmine la proprietà di una domuncula contigua all’ospedale, oltre a tutti i beni mobili ad esso appartenenti. Inoltre concedevano a Isotta di vendere l’ospedale, trasferendolo in aliam domum et mansionem condecentem sive plures domos in strata publica, con tutti gli annessi beni mobili purché avesse continuato l’attività assistenziale. I protettori di Pammatone (due di essi allo scopo deputati), alla morte della sopraddetta Isotta, avrebbero potuto indicare i nomi degli eventuali suoi successori. I frutti dei già ricordati 14 luoghi, sarebbero stati impiegati nella assistenza ai pellegrini, ospiti dell’istituto, e il sovrappiù, nell’aumentare la consistenza patrimoniale dell’ospedale, con l’acquisto di nuovi luoghi o di altri beni, mobili o immobili, secondo il giudizio dei governatori dell’ospedale e dei « protettori » di Pammatone, i quali si riservavano in tal modo un certo controllo sull’amministrazione. Il trasferimento dell’ospedale poteva avvenire, però, senza fretta, in quanto nessuna pena sarebbe toccata a Isotta o ai suoi successori se ne avessero ritardato l’esecuzione. La destinazione dell’istituto ospedaliero del Carmine non era però limitata al solo ricovero dei pellegrini, come sembrano lasciare intendere i documenti sin qui analizzati, ma era estesa anche all’assistenza dei poveri e dei malati. Ciò appare chiaramente da alcune annotazioni del cartolare B delle Compere, nelle quali si fa riferimento alla domus empta per Leonam de Guisulfis pro hospitando pauperes et infirmos2. Dal predetto cartolare delle Compere si possono anche ricavare i nomi dei procuratori che provvedevano a riscuotere in nome dell’ospedale i proventi sulle somme depositate (somme mai superiori alle cento lire) nel periodo compreso tra la metà del XIV e la metà del XV secolo. Tra questi procuratori ricordiamo Matteo Ardimenti, nel 2 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 372, c. 136 r.\ ng. 508, c. 321 r. - 186 - 1362 3, Orietta Scota, nel 1391 e 1392 4, Franceschina Picheneta, nel 1422 e 1426 5, Gregorio Scipione Ardimenti, nel 1424 6, Leonardo Ardimenti, nel 1435 7, Francesco Ardimenti, nel 1443 8, Luca Ardimenti, nel 1444 9, Luca Pinelli, nel 1467 10. Colpisce in questo elenco il frequente ricorrere di personaggi appartenenti alla famiglia Ardimenti; in effetti questa famiglia dovette avere il patronato dell’ospedale, come sembra attestare una nota del 1456 H, che si riferisce alla domus pauperum prope monasterium Sancte Marie de Carmo gubernata per dominas de albergo de Ardimentis. Anche il nome di Luca Pinelli, che compare in questo elenco, riveste un interesse particolare, infatti, egli fu non solo il marito di Isotta Centurione, ultima precettrice della domus, ma anche il rappresentante di un’altra illustre famiglia che ebbe stretti rapporti con la domus de Carmo. A conferma del legame esistente tra questa famiglia e l’ospedale segnaliamo quanto riporta una carta del 146712, dove è citato 1 'hospitale Sancte Marie de Carmo, gubernatum per dominas de Pinellis. Il passaggio di gestione, di volta in volta, alle donne appartenenti ad alcune delle famiglie più in vista della città, dai Ghisolfì agli Ardimenti e ai Pinelli13, costituisce un elemento assai peculiare che distingue dagli altri questo ospedale che si avvicina in modo suggestivo alle fondazioni caritative realizzate, nell’Ottocento, dalle dame del patriziato. 3 lbid., ng. 372, c. 136 r. 4 lbid., ng. 417, c. 135 r. 5 lbid., ng. 508, c. 231; ng. 516, c. 254 r. 6 lbid., ng. 512, c. 356 r. I lbid., ng. 531, c. 288 r. 8 lbid., ng. 540, c. 212 r. 9 lbid., ng. 541, c. 182 r. 10 A.S.G., S. Giorgio, ng. 234, Colonne, cc. 121 v., 122 v. II lbid., ng. 190, c. 430 v. 12 lbid., ng. 234, cc. 121 v., 122 v 13 Sono ben noti i rapporti esistenti tra le famiglie Ardimenti e Pinelli che, prima del 1414 facevano parte di un unico « albergo ». - 187 - \ 14. L'ospedale di Sant’Erasmo Sant’Erasmo, il cui nome per corruzione popolare fu spesso mutato in S. Teramo o sant'Elmo1, è legato, come è ben noto, ad antiche tradizioni cultuali di impronta prettamente marinara, come dimostra la sua elezione, tra i santi ausiliatori, quale patrono della gente di mare. Genova non poteva esimersi dal dedicare a questo santo testimonianze tangibili della devozione di una città che alla vita di mare era profondamente legata e non poche furono, infatti, sulla costa le fondazioni intitolate al suo nome 2. Tra queste vi fu anche un ospedale che sorse, in accordo con la sua destinazione, nelle immediate vicinanze del porto, in quella contrada moduli, che rappresentava il cuore della vita marinara della città. L’ospedale di S. Erasmo, beneficato nel 1385 da un legato perpetuo di Venturino d’Ancona3, fu destinato all’assistenza della gente di mare, ma assai poco si conosce sulle sue vicende storiche e sugli amministratori che ne assunsero, di volta in volta, la direzione. Sappiamo che l’ospedale era rappresentato, nel 1385, da una certa Dagnana, vedova di maestro Amadio4 e nel periodo compreso tra il 1406 e il 1410 dal bottaio Giacomo da Pietra 1 Col nome di sant’Elmo veniva anche invocato il beato Pedro Gonzales, domenicano spagnolo vissuto nel XIII secolo, al quale i naviganti attribuivano una larga serie di prodigi. 2 Furono i marinai di Gaeta che, giunti a Genova intorno alla metà del XIII secolo, facendo dono di alarne reliquie alla chiesa dei SS. Nazario e Celso (ora S. Maria delle Grazie) presso il molo, introdussero nella marineria genovese il culto di S. Erasmo. I marinai di Voltri fondarono già nel 1247 un oratorio dedicato al santo e da questo edificio sorse in seguito la parrocchiale che conservò la medesima denominazione (cfr. Cambiaso, L’anno ecclesiastico cit, p. 167 e sgg.); altre chiese e altari dedicati a questo santo esistevano lungo le due riviere genovesi, specialmente nei secoli XIV e XV, periodo in cui si registrò il maggiore impulso del suo culto. Nel 1387 i Doria fondarono in Polcevera il priorato di S. Erasmo di Campi; l’agostiniano fra’ Gerolamo da Quarto eresse nel 1410-1413 un oratorio sulle alture di Genova (oratorium sancti Herasmi in cruceta ville de Casamavari super, de nostra licentia edificatum: Arch. Arciv, Manuali di S. Siro, II, p. VI; Cambiaso, L’anno ecclesiastico cit, p. 168), Anche le terziarie di S. Domenico dedicarono il proprio convento, nella zona di Sarzano: a S. Erasmo. I marinai di Sori fondarono un oratorio al loro protettore nel 1495. L’arte dei carpentieri aveva una cappella dedicata al santo nellk chiesa di S. Domenico, come attesta una lapide del 1441, ora conservata nella chiesa di S. Agostino. 3 Ferretto, Ospedali cit. 4 A.S.G, Comp. e Mutui, ng. 32, Cart. C, c. 34 r. - 188 - Gemona, coadiuvato da Nicola da Rapallo5. Nel 1411 l’istituto era diretto da Caterina, hospilalaria hospitalis sancti Herasmi de modulo (v. app. n. 871 ) e nel 1423 Antonio Cimone da Pontremoli aveva la qualifica di massario dicti hospitalis6. Successivamente troviamo nominati Iacopo e Simone Ma-zurro, dell’ordine degli Umiliati, ai quali era affidata, nel 1425, la riscossione dei proventi spettanti all’ospedale 7, mentre dieci anni dopo tale incarico era svolto da Battista Bailo, in nome del massaro di S„ Erasmo8. Altri procuratori dell’istituto furono, nel 1443 Giacomina Noce9, nel 1444 G. B. Grimaldi10, nel 1447 Angelina da Pareto11 e nel 1452 Ampelio de Scario 12. Come si vede, purtroppo, le scarse notizie reperite non ci forniscono alcun chiarimento circa l’attività assistenziale dell’istituto, ma ci consentono soltanto di conoscere i nomi di alcuni amministratori, a partire dalla fine del XIV secolo. Tali nomi sono stati desunti in gran parte dai cartolari delle Compere, dai quali si possono ricavare anche alcuni dati relativi alla consistenza dei depositi che l’ospedale di S. Erasmo possedeva, depositi che, almeno nel periodo compreso tra il 1385 e il 1452, non superarono mai la somma di 300 lire. Tuttavia vi è un altro documento che ci permette di conoscere meglio l’ospedale del molo: si tratta di un lungo atto notarile, rogato dal notaio Pietro Capello il 13 aprile 1474 (v. app. nn. 872, 873), relativo alla presa di possesso dell’ospedale da parte degli amministratori di Pammatone. In relazione alle disposizioni emanate dalla bolla di Sisto IV, i protectores di Pammatone, rappresentati da Giovanni Giustiniani, richiesero l’incorporazione dell’ospizio di S. Erasmo all’Ospedal Grande (v. app. n. 872). Per attuare questa presa di possesso, lo stesso Giovanni Giustiniani, accompagnato da Emanuele Granello e Defendino Bianco, procuratori del Comune di Genova, nonché dal suddetto notaio, incaricato della stesura dell’atto, e da alcuni testimoni, personaliter accesserunt et se trans- 5 lbid., ng. 471, c. 51 r; ng. 478, c. 52 r.; ng. 484 c. 29 r. 6 lbid., ng. 509, Cart. C, c. 48 r. 7 lbid., ng. 513, c. 45 v. 8 lbid., ng. 531, Cart. CPL, c. 38 r. 9 lbid., ng. 540, c. 32 r 10 lbid. 11 lbid., ng. 544, c. 34 12 lbid., ng. 820, c. 19 r. - 189 - tulerunt ad hospitalem Sancti Herasmi de Modulo. Dopo aver provveduto ad aprire la porta della cappella e Yhostium magnum dicti hospitalis, presero possesso dell’istituto, procedendo quindi all’inventario di quanto vi era contenuto. Dall’inventario risulta che l’edificio di S. Erasmo era strutturato su due piani e conteneva, in quello inferiore, la cappella e l’ospedale vero e proprio, oltre ad un’altra camera, in quello superiore solo una camera e una cucina. Inoltre, vi era in supratectum dicti hospitalis campanella una cum fune, il che ci conferma che l’istituto doveva rientrare, avendo cappella e campana, nel gruppo degli hospitalia religiosa. L’esame dell’inventario ci dimostra che a quel tempo l’istituto doveva essere ormai ridotto ai minimi termini, non avendo più di quattro letti utilizzabili, mentre, in passato, questi furono certamente ben più numerosi. In particolare, segnaliamo che nella cappella esistevano pochi arredi sacri, di modesto valore u, e ancora più spoglie apparivano la corsia e la camera inferiore, contenenti solo quattro letti a colonne di piccole dimensioni, provvisti di un corredo scarso e in cattive condizioni14. Al piano inferiore, pressoché sprovvisto di mobili, si trovavano accumulate varie masserizie (coperte, cuscini, lenzuola) in gran parte in buono stato 15. Dopo la stesura dell’inventario, il rappresentante di Pammatone, sempre accompagnato dal notaio e dai testimoni, si recò a prendere possesso di alcune case di proprietà dell’ospedale, situate a breve distanza da esso, nella 13 ... .iti capella dicti hospitalis Magestas una Beate Marie Virginis cum pluribus sanctis in ea depictis. Item crux una ligni tallis quallis. Item candelabrum unum talle qual-le ligni. Item tabuliate unum ligni existentem sub pedibus dicti altaris. Item imago una ligni Sancti Herasmi tallis quallis. Item Magestas una parva ligni. Item bancha una magna. Item banchale unum talle qualle, vacuum cuius clavatura fuit violenter appetta in presentia mei notarii et testium supradictorum in quo nihil erat. Item navicula una apensa. In volta existente subtus dictam capellam stanga una parva ligni tantum. 14 In bospitalle et camera cubiculari inferiori: Item torcularia quatuor parva tallia quallia. Item s traponte quatuor t ailes qualles parve. Item copertoria sex burdi tota lacerata parva. Item cossini quinque talles qualles parvi. Item pecia octo parva lintea minum laceratorum. 15 In camera superiori prope coquinam-, item cossini quinque plume parvi satis boni. Item alius cossinus talis qualis. Item cassonus unus in quo sunt cultre duo albe. Item linteamina decem et octo telle videlicet undecim tallia quallia, et residuum qua sunt septem satis bona. Item ciapa una panni biavi tallis qualis. Item clamis una sivp mantellum parvus totus laceratus panni miserabili. Item epitogia duo tota lacerata panni miserabili. Item alius cassonus in quo sunt copertoria quatuor parva burdi tallia quallia. Item auricularia novem plume tallia quallia. - 190 - contrada del Molo (v. app. n. 873). Di queste case, una era abitata da Giovanna, vedova di Giacomo da Gotusio e dal genero di costei, il fabbro Battista Berengerio. Un’altra, per metà appartenente al monastero di S. Antonio di Genova, era abitata dal remolarius Matteo da Vinollo, e una terza, era affittata a Caterina, vedova di Giovanni Marchisio. Il canone di locazione per ognuna delle case era di sette lire annue, e il rappresentante di Pammatone ottenne dai locatari la promessa di lasciare libere le abitazioni in qualunque momento, dietro semplice richiesta da parte dei protectores dell’Ospe-dal Grande. L’atto di incorporazione segnò evidentemente la fine di ogni attività assistenziale per l’ospizio di S. Erasmo, il cui edificio, secondo la consuetudine, venne forse destinato ad altro uso da parte degli amministratori di Pammatone. 15. L’ospedale di S. Maria di Castello L’antica Collegiata di S. Maria di Castello aveva anch’essa un proprio ospedale che, come ricorda il Vigna, in addietro si denominò di Santa Croce a vece che di Castello, e ciò per la ragione che era situato presso la chiesa già parrocchiale di quel nome La doppia denominazione di questo istituto ospitaliero indusse non pochi autori, tra i quali l’Accinelli, il Casalis e il Tacchella2, a considerare erroneamente l’ospedale di S. Croce e quello di Castello come due entità distinte. Il Muzio, invece, interpretando corretta-mente gli antichi documenti, segnalò che, annesso alla chiesa di S. Maria di Castello esisteva fin dai tempi della Collegiata un ospitale sotto nome di Santa Croce quale ospitale veniva retto e governato dal Capitolo di detta chiesa3. A conferma della duplice denominazione stanno numerosi atti notarili nei quali l’ospedale di S. Maria di Castello viene indicato prope Sanctam Crucem (v. app. n. 948), oppure prope ecclesiam Sancte Crucis (v. app. 1 A. Vigna, L’antica Collegiata di S. Maria di Castello in Genova, Genova 1859, p. 143. 2 Accinelli, Liguria Sacra cit., anno 1184; Casalis cit., p. 584; Tacchella cit., p. 52 n. 3 Muzio, Il sacro Ordine cit. — 191 - n. 950), o più semplicemente hospitale Sancte Crucis sive Sancte Marie de Castro (v. app. n. 920). La più antica memoria che si ha di questo istituto risale al testamento di Baldone Scarso, del 17 aprile 1160, nel quale si trovava un lascito di 10 soldi destinato all’ospedale di Castello (v. app. n. 874). Successivamente a questo, nei secoli XII, XIII e XIV4, numerosi atti testamentari contennero legati a favore dell’ospedale, legati la cui entità era generalmente limitata a cifre modeste, fatta eccezione per alcuni casi sporadici, come ad esempio quello del taverniere Giovanni Bochino, che nel 1348 lasciò all’ospedale la somma di cinque lire (v. app. n. 938). L’ospedale di S. Maria di Castello può essere assimilato a quelli di fondazione canonicale che, tra l’XI e il XII secolo, fiorirono un po’ ovunque in Italia e in Francia5 con la caratteristica comune di essere sottoposti a una amministrazione strettamente controllata dai vari capitoli collegiali, i quali, almeno fino alla metà del XIII secolo, provvedevano anche alla elezione dei rettori. I documenti relativi alle attività amministrative degli ospitalari dell’ospedale di Castello dimostrano, come vedremo, la dipendenza di questi ultimi dal capitolo della Collegiata omonima, cui competeva la nomina dell’ospitalario e il controllo sul suo operato. Dei primi rettori, succedutisi alla guida dell’ospedale, non abbiamo notizie6; i dati più antichi risalgono, infatti, alla seconda metà del XIII secolo, epoca di gran lunga posteriore a quella di fondazione, e quindi può essere tracciato un elenco cronologico degli ospitalari solo a partire da tale periodo. 1282 - Contessa, moglie di Baiardo. E’ indicata quale ministra hospitalis ecclesie Sancte Marie de Castello in un documento del 9 febbraio 4 Nel XV secolo si ritrovano ancora lasciti testamentari in favore dell’ospedale, alcuni dei quali compaiono nei cartolari delle Compere (cfr. ad esempio il lascito di 90 lire fatto da Manfredina Stella da Chiavari nel 1422: A.S.G., Compere e Mutui, ng. 508, Cart. S, c. 104 r). 5 E. Nasalli Rocca, Ospedali e canoniche regolari, in « Atti della settimana di studio » {La vita in comune del clero nei secoli XI e XII), Mendola, settembre 1959, II, pp. 16-25. 6 Nel testamento di Guisla di Castello, del 19 febbraio 1192, si trova citato, come teste, Vasallus de hospitali de Sancta Cruce (v. app. n. 877). Pur essendo indubbia l’appartenenza di costui all’ospedale, non è tuttavia possibile dimostrarne le effettive funzioni in mancanza di altre notizie al riguardo. - 192 - 1282 7. In questo documento il capitolo di Castello concedeva il permesso alla suddetta rettrice di allontanarsi dall’ospedale per la durata massima di due anni, con facoltà di farsi sostituire nell’incarico da aliquam dominam bonam et honestam. 1284 - Frate Ruffino. Verosimilmente Contessa non riprese le sue funzioni entro il termine stabilito, poiché, alla scadenza dei due anni, e precisamente il 13 febbraio 1284, veniva nominato frate Ruffino, come si apprende da un atto del 22 novembre 1303 (v. app. n. 922), relativo alla locazione di una casa di proprietà dell’ospedale, concessa a un tal Nicola Zerbino da Nervi, dallo stesso Ruffino. Questa carta contiene l’esplicito riferimento all’atto di nomina (de qua administratione mihi concessa a preposito et canonicis dicte ecclesie constat publico instrumento scripto manu Vivaldi de Spedia notari M CC L XXXIIII, die XIII februarii). Frate Ruffino figura anche, insieme ad altri ospitalari cittadini, in atti del 4 maggio 1302 (v. app. n. 920), del 17 luglio dello stesso anno (v. app. n. 921) e del 22 novembre 1303 (v. app. n. 922). Egli era ancora in carica il 14 agosto 1307, come dimostra una carta nella quale, tra i testi, compare frater Rufino de Novo, minister dicti hospitalis (v. app. n. 923). Lo stesso documento va ancora segnalato in quanto, oltre al nome del rettore, contiene indicazioni topografiche sull’ospedale di Castello, vi si legge, infatti in calce: Actum lanue, in hospitali Sancte Marie de Castello quod est iuxta ecclesia Sancte Crucis, in capite cursus de Sanano. Frate Ruffino, che mantenne a lungo la direzione della domus di Castello, lasciò indubbiamente un’impronta particolare nella vita stessa dell’ospedale, poiché questo istituto venne anche indicato col suo nome8. 1311 - Frate Guglielmo. Il suo nome figura in due atti rogati da Damiano da Camogli l’8 marzo 1311 (v. app. nn. 926, 927) nei quali, tuttavia, egli non viene indicato esplicitamente col termine di rettore, per cui è possibile che in realtà egli fosse soltanto il procuratore dell’istituto. 1322 - Bonanno, calzolaio. Nell’atto riguardante la spartizione dell’eredità 7 V. app. n. 911. Era quindi rettrice e non la rappresentante delle inferme, come sostiene il Vigna (cit, p. 145). 8 V. app. n. 923. Tra i testi dell’atto si trova indicato Ogerinus de Rapallo qui habitat in hospitali fratris Rufini. - 193 — 13 di Giovannino de Fornari9, si trova citato Bonanus calegarius de hospitale Sancte Crucis. Anche in questo caso, come nel precedente, il rappresentante dell’ospedale non appare chiaramente qualificato. 1346 - Giannotto de Garibaldo. Le stesse considerazioni, fatte per i due ultimi citati, possono essere ripetute per questo personaggio, il quale, dal 20 maggio 1346 al 28 febbraio dell’anno successivo, riscuoteva i proventi sui depositi iscritti a nome dell’ospedale, nel cartolare C delle Compere 10. 1347 - Giacomo Daltnazzo, da Moneglia. Un atto rogato da Giacomo da Laneri il 15 novembre 1347 (v. app. n. 932), riguarda la nomina, a ministro e rettore dell’ospedale, di Giacomo Dalmazzo, fatta dal preposto Giovanni degli Onesti, unitamente agli altri canonici della chiesa di S. Maria di Castello. 1348 - Frate Percivalle da Fonte. Eletto a meno di un anno di distanza dal suo predecessore, e precisamente il 2 settembre 1348 11, frate Percivalle, calzolaio, appartenente all’ordine degli Umiliati di S. Bernardo, assume la carica di... hospitalerium . . . procuratorem et nuntium ... ad tenendum, gubernandum, regendum et manutenendum hospitale Sancte Crucis de Sanano lanue diete ecclesie Sancte Marie de Castello immediate subiectum. Più fortunato del suo predecessore, frate Percivalle rimase a lungo in carica, e dieci anni più tardi lo ritroviamo citato in un documento, dove appare, in qualità di teste, come hospitalerius hospitalis Sancte Crucis et callegarius in lanua (v. app. n. 943). Egli figura ancora, in tale veste, nel cartolare C delle Compere relativamente alle riscossioni dei proventi competenti all’ospedale, operazione questa che effettuò fino al 16 settembre 1355 12. 1355 - Andrea da Finale. Si trova indicato nel suddetto cartolare, nelle operazioni successive a quelle compiute dal suo predecessore, e pre- 9 Alizeri, Guida cit, p. 689. 10 A.S.G, Comp. e Mutui, ng. 350, c. 51 v.: Hospitale Sancte Crucis, nomine pauperum et pro pauperibus ibidem degentibus ad usum ipsorum, Ib. CCCLXI, s. II, den. I. 11 Vigna cit, p. 187 e sgg. (doc. Vili); v. app. n. 941. La coincidenza della improvvisa sostituzione con la grande epidemia di peste, lascia ampio spazio all ipotesi che il Dalmazzo sia stato una delle numerose vittime di tale calamità. 12 A.S.G, Comp. e Mutui, ng. 362, Cart. C, cc. 51 v., 52 v. - 194 - òsamente il 4 dicembre 1355 e il 18 marzo dell’anno seguente 13. Poiché non sempre viene indicata la qualifica di coloro che effettuano le riscossioni per conto dell’istituto, così anche nei riguardi di Andrea da Finale, che qui appare senza alcuna indicazione, la collocazione tra i rettori dell’ospedale di Castello, può essere fatta solo in via ipotetica. 1360 - Antonio da Bargagli. E’ indicato come ospitalario nel cartolare C delle Compere, dal 12 maggio 1360 al 20 marzo dell’anno successivo 14. Egli è ancora citato, in tale veste, nel predetto cartolare, dal 3 giugno al 19 novembre 1367 15 e dal 20 maggio 1373 al 28 febbraio 1374 16. Frate Antonio figura ancora in carica in un documento del 29 maggio 1377 (v. app. n. 944), ove compare, in qualità di teste, con la qualifica di ospitalario dell’ospedale di S. Croce. 1384 - Frate Francesco, speziale. Il suo nome figura nei cartolari delle Compere, alla data del 13 maggio 1384 17, senza alcuna precisazione riguardante le sue funzioni nell’istituto. 1384 - Leonardo da Chiavari, filatore. Successe al precedente, dato che il suo nome si trova indicato alla data del 9 dicembre del 1384 18 ed egli figura ancora nello stesso cartolare C, dell’anno successivo ”, con la qualifica di ospitalario. Questi fu il rettore che mantenne per più lungo tempo la direzione dell’ospedale, lo ritroviamo, infatti, a rappresentare il proprio istituto in un documento dell’11 dicembre del 1400, insieme ai rettori di altri ospedali, allo scopo di procedere alla nomina di un comune procuratore (v. app. n. 946). Egli fu attivo sicuramente almeno fino al 15 dicembre 1406, come dimostrano operazioni amministrative compiute per conto dell’ospedale 20. 1408 - Giacomina da Cabella. Moglie di Leonardo da Chiavari, venne eletta 13 lbid. 14 lbid., ng. 371, cc. 21 v. -2&v. 15 lbid., ng. 379, c. 53 r. 16 lbid., ng. 388, c. 52 v. 17 lbid., ng. 31, Cart. C, c. 33 v. 18 lbid. 19 lbid., ng. 32, c. 33 v. 20 lbid., ng. 471, Cart. C, c. 49 v. (Hospitale Sancte Crucis de lanua)\ lbid., c. 50. (Hospitale Sancte Marie de Castro). — 195 - ospitalaria il 19 dicembre 1408, come si apprende da un atto del de Compagnono (v. app. n. 947), dove è detto che lacobina facta et electa bospitalaria hospitalis Sancte Marie de Castello lanuen-sium, prope ecclesiam Sancte Crucis de Ianua siti, se et sua dedicaverit et donaverit ut constat publico instrumento scripto et publicato manu Bartholomei Foliete notarii MCCCCVIII die XVIII1 decembris. Questa rettrice rimase al governo dell’ospedale per oltre sei anni e, nel 1411, prese parte ad una delle usuali riunioni che gli ospitalari genovesi tenevano allo scopo di meglio tutelare i propri interessi21. 1414 - Giovannina Negro da Neirone. Venne nominata in sostituzione della predetta Giacomina, da poco defunta, dai canonici di S. Maria di Castello, in veste di patroni dell’ospedale, i quali, attendentes dictum hospitale hospitalario vacare per mortem quondam lacobine filie quondam Ursati de Gabella et uxoris quondam Leonardi de Clavaro flatoris, dicti hospitalis ultime hospitalarie, erano consapevoli dei gravi detrimenta che questa carenza avrebbe provocato all’ospizio, per cui provvedevano sollecitamente alla sostituzione (v. app. n. 949). La nuova ospitalaria rimase in carica per vari anni e testimonianze del suo operato si hanno fino al 2 ottobre 1423 22. 1425 - Andrea da S. Olcese. Riscuoteva i proventi dei luoghi, spettanti all’ospedale, il 25 maggio 1425 23. 1428 - Prete Fabiano da Novi. Assolveva lo stesso incarico del precedente, il 2 luglio 1428 24. 1430 - Frate Antonio. Figura nel Cartolare C delle Compere, alla data del 23 ottobre 1430 2S. 21 V. app. n. 948. Giacomina da Cabella figura nei cartolari delle Compere per la prima volta alla data del 5 marzo 1409 (A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 478, c. 50 v.). E’ presumibile che i nomi segnati per le precedenti riscossioni effettuate nel 1408 (ibid (prete Gerolamo Pendola al 7 giugno, e Antonio di S. Silvestro al 4 settembre' fossero quelli di procuratori, verosimilmente nel periodo di vacanza del rettorato. 22 lbid., ng. 509, Cart. C, c. 46 v. In questa carta si attesta che l’ospitalaria riscuoteva i proventi su tre luoghi, 72 lire e 10 soldi, iscritti a nome dell’o9pedale, su mandato di prete Battolino da Piacenza, prepositi ecclesie Sancte M. Madalene de lamia massarii officii visitatorum hospitallium civitatis lanue. 23 lbid. 24 lbid., ng. 519, c. 21 v. 25 lbid., ng. 524, c. 39 v. - 196 — 1435 - Caterina da Rapallo. Compare anch’essa nel predetto cartolare, in data 15 luglio 1435 26. - Giacomo Emanuele. Fu ospitalario, secondo quanto indica una nota contenuta nel cartolare delle Compere27, ma non si conosce il periodo esatto nel quale svolse tale incarico, ci è noto soltanto che gli successe la moglie Domenghina. 1444 - Domenghina da Ceva. Figlia di Antonio Ruzzo e moglie del defunto Giacomo Emanuele, già ospitalario di S. Maria di Castello, essa successe al marito nella conduzione dell’ospedale. Si hanno notizie del suo rettorato nei cartolari delle Compere, dove il suo nome è citato negli anni 1444 28, 1447 29 e 1454 30. I dati precedentemente esposti, a proposito dell’elenco cronologico dei lettori e procuratori, confermano ampiamente la dipendenza dell’ospedale dalla Collegiata di S. Maria di Castello e gli stretti rapporti che il Capitolo di questa chiesa mantenne sempre con il proprio istituto ospedaliero, esempio tipico di fondazione canonicale. I rettori, nominati dal Capitolo di Castello, avevano tuttavia una certa libertà amministrativa sui beni dell’ospedale, tanto è vero che, con l’atto già citato, del 22 novembre 1303, frate Ruffino locava una casa di proprietà dell’istituto, senza dover ricorrere al benestare dei canonici. Ancora più chiaramente appare la relativa indipendenza del rettore in altri due atti, anch’essi già citati, nel primo dei quali, del 2 settembre 1348, si legge che l’ospitalario doveva provvedere a raccogliere i redditi, i legati e gli altri proventi e che era inoltre autorizzato ad locandum et dislocandum terras, domos et possessiones ipsius ospitalis, in piena libertà decisionale (plenum, liberum et generale mandatum). Nel secondo documento, relativo alla nomina di Giovannina Negro, dell’8 ottobre 1414, si conferma che, con la carica conferita, all’ospitalaria veniva concessa plenam potestatem et bailiam . . . gubernandi, gerendi, tractandi et administran- 26 Ibid., ng. 531, c. 37 r. Dalla stessa carta si rileva che, in data 7 novembre 1435, i proventi di competenza all’ospedale venivano riscossi da Clara da Montenegro, ospitalaria della domus di suor Verdina (cfr.), incarico questo che venne confermato anche in anni successivi, poiché la si trova ancora indicata, in tale veste, nel 1443 {ibid., ng. 540, C. PL, c. 31 v., al 13 luglio). 27 Ibid., ng. 120, c. 46 r, anno 1454. 28 Ibid., ng. 541, c. 29 v. 29 Ibid., ng. 544, c. 34 r. 30 Ibid., ng. 120, c. 46 r. - 197 — di, e che questa ampia libertà si riferiva a tutte quelle azioni amministrative que soliti sunt facere et exercere hospitalari dicti hospitalis predeces-sores ipsius lohannine e che comprendevano la riscossione dei lasciti, delle elemosine, delle donazioni, dei proventi dei « luoghi » e la possibilità di impegnare i redditi nel modo più utile per l’istituto, mentre era, ovviamente, esclusa la facoltà di alienare proprietà dell’ospedale. Sempre a proposito della relativa indipendenza dei rettori dell’ospizio di S. Croce, va ancora ricordato che anche la decisione di permettere alla rettrice Contessa, di allontanarsi per un periodo di due anni e, soprattutto, la concessione alla stessa di scegliersi una sostituta, purché bonam et honestam, dimostrano, da parte dei canonici di Castello, una certa liberalità, che non era usuale in quel tempo, poiché, in genere, i Capitoli esercitavano un rigido controllo sugli istituti ospedalieri da loro dipendenti, come potremo vedere, ad esempio, a proposito di S. Lorenzo. L’ospitalario veniva per lo più scelto dai canonici tra persone di provate qualità morali e civili, ma aveva un peso non indifferente, sulla valutazione, la consistenza economica del candidato e ciò, ovviamente, perché questi, appena entrato in carica, oltre a impegnarsi, come d’uso, sotto giuramento a provvedere ai bisogni dell’ospedalità con rettitudine e avvedutezza, doveva, per statuto, far donazione dei propri beni all’ospedale e questo, in periodi particolari di crisi, poteva significare il riassetto di un bilancio deficitario. Nell’atto di nomina di Giovannina Negro, più volte citato, la neorettrice per l’appunto donavit, cessit, traddidit et mandavit . . . dicto hospitali Beate Marie . . . omnia bona sua mobilia et immobilia undecumque consistentia sub quovis nomine noncupata et tam presentia quam futura. Dai beni donati, Giovannina escludeva una casa in Ravecca, prope murum vetus civitatis, le rendite di un luogo e mezzo delle Compere, oltre a mobili, vesti e masserizie, dei quali si riservava la proprietà dum vixerit. La cessione dei propri averi all’ospedale, da parte dell’ospitalario, era irrevocabile e totale, salvo che, come abbiamo visto nel caso precedente, nell’atto di nomina non fosse stata stabilita la esclusione di alcuni beni. Tuttavia, in alcuni casi, questi patti non venivano sempre rispettati e poteva accadere che qualche amministratore, in buona o malafede, procedesse alla vendita di qualcosa che ormai legalmente non era più di sua proprietà. Nell’atto già ricordato, del 18 aprile 1415, è contenuto un esempio di questo abuso. Infatti è qui descritta una controversia sorta tra i canonici di Castello e la già ricordata ospitalaria Giovannina, da una parte, e il laniere Giovanni da Ronco, dall’altra, a proposito della proprietà di tre soiaria di una casa — 198 — posta in contrata cursus Sarzani31. Le verande in questione erano appartenute a Leonardo da Chiavari, che le aveva cedute alla moglie, Giacomina da Cabella, la quale, dopo essere stata eletta alla direzione dell’ospedale di Castello, nonostante il giuramento di cedere ogni suo avere all’istituto e di non alienarlo mai, le vendette illecitamente al suddetto Giovanni da Ronco, per la somma di 90 lire. Per quanto riguarda le funzioni dell’ospedale di Castello ricordiamo che esse ebbero un carattere poliassistenziale indirizzato su almeno tre settori, infatti la destinazione dell’istituto, che il Ferretto reputava limitata all alloggio dei pellegrini32, è invece da ritenersi estesa anche al ricovero di malati e all’assistenza ai poveri, come chiaramente esprimono numerosi documenti nei quali si fa esplicito riferimento infirmis hospitalis Sancte Crucis (v. app. nn. 901, 903, 907, 934, 936, 940) o pauperibus ibidem commorantibus (v. app. n. 933). Questa attività caritativa si mantenne operante per quasi trecento anni, ma nel XV secolo entrò in una fase di involuzione in concomitanza con lo sviluppo di nuove forme di ospedalità, ma anche in conseguenza della crisi del movimento canonicale. Infatti il tentativo effettuato dalle autorità ecclesiastiche di disciplinare la vita del clero secolare, impegnandolo in questi organismi che presupponevano austere regole di tipo monastico, aveva avuto solo risultati temporanei. La disciplina nelle canoniche si allentò gradualmente sempre in maggior misura e non venne più osservato il principio basilare del movimento, espresso dalla vita in comune, e spesso i canonici si trovarono residenze ben lontane dal loro istituto, presso il quale raramente si radunavano. Anche la Collegiata di S. Maria di Castello non fu esente da questo lassismo crescente, basterà ricordare gli abusi amministrativi e lo scarso senso morale e religioso dell ultimo preposto, Melchiorre Fatinanti33 per rendersi conto della grave decadenza dell’istituzione che, inevitabilmente si ripercuoteva anche sull ospedale da 31 La contrada di Sarzano era sede di molti artigiani tessili, e questo lo si rileva anche dal documento citato, nel quale sono ricordati, come vicini del laniere Giovanni da Ronco, Domenico Pendola, Pasqualino Sauli, oltre al già ricordato Leonardo da Chiavari, tutti filatori. 32 Ferretto, Ospedali cit. 33 Vigna cit., p. 151 e sgg.; Suppliche, pp. 15, 16-18. Una gravissima accusa all indirizzo del Fatinanti, viene rivolta dall’arcivescovo Pileo de Marini, il quale in una nota del 23 agosto 1415 (A.S.G., S. Giorgio, Primi Cancellieri, busta 92, doc. 319), invitava gli Ufficiali di S. Giorgio a porre sotto sequestro gli averi del suddetto preposto, qualificandolo addirittura come « ladro e omicida ». — 199 — essa dipendente. Questo stato di cose, ormai irreversibile, portò, con la bolla di Eugenio IV, del 14 giugno 1441, alla soppressione della Collegiata stessa, i cui beni, e verosimilmente anche l’ospedale, passarono ai Domenicani34. Comunque, in quel tempo, l’avvento di Pammatone aveva già monopolizzato l’assistenza ospedaliera cittadina, portando all’inevitabile declino degli altri ospedali ed è presumibile che l’attività assistenziale nell’ospizio di Castello, fosse già da tempo cessata allorché nel 1472, si attuarono le incorporazioni all’Ospedal Grande35. 16. L’ospedale di San Gerolamo Si trova menzione di questo ospedale in un documento del 7 maggio 1465, rogato dal notaio Andrea de Cairo (v. app. n. 952), nel quale si parla di un hospitale situm lanue in contracta et prope balneum Sancti Donati per q. d. Jacobum de Caneto de Flisco et de bonis sibi a Deo collatis institutum et fundatum. Il documento tratta della nomina del nuovo rettore dell istituto, essendosi tale carica resa vacante (rectore seu gubernatore vacare). A questo scopo Battista da Testana, priore del monastero olivetano di S. Gerolamo di Quarto, nominava un certo Cristoforo da Valditaro alla direzione dell’ospedale, per consentire una continuità di assistenza in favore dei poveri (. . pauperum ad illum confluendum). Altre notizie su questa fondazione ospedaliera si possono ricavare dall atto di incorporazione a Pammatone e relative appendici, datati 29 gennaio 1472 (v. app. n. 953). Da questi documenti si ha conferma che l’ospedale era situato in contrata Sancti Donati e, più precisamente, positum iuxta dictam ecclesiam Sancte Tede, inoltre, in essi viene ribadito che la fondazione era opera di Giacomo Fieschi, il quale, dopo averlo dedicato sub vocabulo Sancti Jeronimi, aveva disposto di cederlo agli Olivetani di S. Gerolamo di Quarto, riservandosene, tuttavia, il patronato fino alla morte sua 34 Vigna dt, p. 228 e sgg. 35 L ospedale di Castello non risulta, infatti, nell’elenco degli istituti ospedalieri incorporati a Pammatone, né tra quelli esenti (Anselmi cit, p. 266 e sgg.; Casalis cit, p. 585). D altra parte, già nel 1456, la riscossione dei proventi sui depositi delle Compere non veniva più effettuata da alcun procuratore dell’istituto. — 200 — e della moglie Marietta, secondo quanto precedentemente stabilito in un atto rogato dal de Cairo il 7 maggo 1458 (v. app. n. 951). La donazione comprendeva, oltre all’ospedale, con il suo viridarium, anche quattro case, alcune casupole e un balneum, contigui all’ospedale stesso, ai quali andava aggiunta una dote di 50 luoghi (poi aumentati a 77) delle Compere di S. Giorgio. L’ospedale di S. Gerolamo ebbe, in realtà, una esistenza assai breve: fondato verosimilmente intorno alla metà del XV secolo, nel 1472 aveva già concluso il proprio ciclo vitale, in coincidenza con la sua incorporazione a Pammatone, attuatasi in questo caso senza quei violenti contrasti che caratterizzarono l’annessione di altri istituti ospedalieri (cfr. S. Stefano). Tuttavia non si deve credere con questo che i monaci olivetani, patroni dell’istituto, avessero ceduto passivamente alle richieste dei protectores dell’Ospe-dal Grande, anzi, come vedremo, essi riuscirono ad ottenere condizioni particolarmente favorevoli. Le trattative vennero condotte da un lato da Giovanni Giustiniani, Basilio Asinelli, Giacomo Doria, Bartolomeo e Ambrogio de Marini, quali procuratori di Pammatone, assistiti da Emanuele Granello e Defendino Bianco, sindaci e procuratori del Comune di Genova, e come controparte, per il monastero di S. Gerolamo di Quarto, dal priore Bartolomeo di Cambio da Firenze e dal cellerario frate Nicola da Monte-foro. La transazione avvenne nei seguenti termini: tutti i beni, mobili e immobili, dell’ospedale passavano a Pammatone, ad eccezione della metà dei 77 luoghi delle Compere di S. Giorgio, di due letti, completi del corredo, e degli arredi sacri dell’altare (calice, messale, paramenti e icona), posto nella infirmaria magna. Inoltre gli Olivetani ottennero ancora la ragguardevole somma di 500 lire, pagabile in tre rate semestrali, da utilizzare per la loro chiesa di Quarto, ed infine la garanzia che l’ospitalario in carica, Cristoforo da Valditaro, potesse mantenere gratuitamente per sé e per la propria moglie, l’abitazione in una delle case annesse all’ospedale. L’inventario, contenuto nell’atto di incorporazione, ci permette di conoscere la capienza dell’ospedale, nonché il numero e la disposizione dei locali che lo costituivano e il loro arredamento. L’istituto era strutturato su due piani: in quello superiore si trovavano la corsia principale (infirmaria magna), la sala delle riunioni (caminata), due camere 1 e una cucina; in quello 1 Alla seconda camera era attiguo un altro vano, verosimilmente usato come ripostiglio (in recamera contigua diete camere et primo scabellum unum ligni, item idria una prò olleo viridi pulcra, item pertiche due contingentes muro). — 201 — inferiore vi era una seconda corsia, situata sotto la caminata e la cucina. Inoltre, l’ospedale era dotato di un viridarium e di una cantina (canepa), dalla quale attraverso una porta di ferro, si accedeva al balneum. Per quanto riguarda la dotazione dei mobili, suppellettili e masserizie, presenti nell’istituto, dobbiamo, in primo luogo rilevare che l’inventario fa menzione di cinque letti a colonne (torcularia), esistenti in ognuna delle due corsie. A questo proposito, riteniamo che in realtà l’ospedale fosse dotato originariamente, secondo la consuetudine, di dodici letti, anziché dieci, e che i due letti mancanti fossero già stati asportati dagli Olivetani, al m» mento del sopralluogo, avendone essi conservato la proprietà, come stabiliva il già ricordato compromesso con i « protettori » di Pammatone. Le due corsie risultano attrezzate in modo disuguale, infatti, nella infirmarla magna erano presenti torcularia quinque cum banchis quindecim . . ■ unum ban-chale, item straponte quinque, item culcitre quinque piume parve, item cul-tres quinque albe de burdis longis quarum una fustanei alie vero bocassini, item linteamina sexdecem . . . de tellis, item cossini quinque de pluma, item sospitalia duo magna, item discum unum cum suis pedibus, item cathedre due . . ., item scabelum unum, item capsonum unum Vigni. . . due pertiche ligni. . . bancha una cum spalis ligni pro camino ignis, item banchete tres, item rexentale unum rami, item tella celestina coloris pro copriendo oculo veta. Nella corsia inferiore vi erano soltanto . . . torcularia quinque cum suis tabularis a capite, item banche quinque . . . item straponte due. Questa disparità di dotazione può essere indicativa o della inattività della corsia inferiore, oppure di un tempestivo smantellamento in occasione del previsto passaggio di proprietà. Notevolmente spoglia appariva la caminata 2, mentre le due camere si presentavano arredate nel modo più completo 3. Nella cucina, dotata di un forno a legna con sportello di ferro, si trovavano una madia, un armadio e uno sgabello, ma l’inventario non fa alcuna menzione degli utensili e delle stoviglie solitamente presenti in tale ambiente. Le considerazioni che possono essere ricavate dall'esame dei documenti 2 In caminata iuxta infirmariam et primo stagnonum rami pro aqua, item tabula una cum suis tripedibus, item tabularium unum ... scamnum ligni sine pedibus. 3 ... in quadam camera prima et primo sospitalia duo magna, item banche due, item tabulare unum pro capite lecti,, item sclavina una listata talis qualis. In camera secunda iuxta caminatam et primo boida una circa murum, item torcular unum cum duobus banchis et una sub bancha, item bancha una perforata pro infirmis, item quadam tabula circa murum... — 202 — relativi all’incorporazione dell’ospedale di S. Gerolamo a quello di Pammatone sono molteplici. In primo luogo colpisce la breve durata dell’attività di questo istituto, che si comprende nell’arco di circa un ventennio, costituendo un’evenienza del tutto singolare, in confronto alla secolare durata degli altri ospedali cittadini. Va poi rilevato, dal punto vista giuridico, il carattere di fondazione laica, che per l’origine patrizia del suo fondatore, è più assimilabile a quegli ospedali istituiti in città da alcuni rappresentanti delle classi più elevate (Carmine, S. Benedetto), piuttosto che a quelli, più numerosi, sorti a seguito dell’espansione dei terzi ordini, i cui patroni avevano quasi sempre origini assai più modeste e popolari4. Essendo di fondazione laica, l’ospedale era privo degli attributi tipici dei loca religiosa, ossia di cappella, campana e cimitero, tuttavia, come era usuale, aveva un altare nella infirmarla magna. Era infatti abbastanza diffusa la consuetudine di erigere altari nelle corsie, situati in posizione tale che i degenti potessero seguire dal loro letto le funzioni religiose e per ciò collocati generalmente su uno dei lati minori della corsia, dato che, come è noto, i letti erano sempre disposti lungo i due lati maggiori5. Dal punto di vista strutturale, dobbiamo rilevare che lo sviluppo dell’edificio, su due piani, era quasi una costante degli ospedali medievali genovesi e lo si nota, infatti, oltre che in questo di S. Gerolamo, anche in quelli di S. Stefano, di Capo di Faro, di S. Benedetto, di S. Erasmo, ecc. Anche la presenza di piccole case (domuncule), annesse all’edificio principale, era una caratteristica abbastanza diffusa, che ritroviamo, ad esempio, anche negli ospedali del Carmine, dello Scalo e di S. Erasmo. Queste domuncule potevano essere adibite o a magazzino o ad abitazione, ed infatti, nel caso dell’ospedale di S. Gerolamo, una di esse venne per l’appunto impiegata quale residenza del rettore e della sua famiglia. Il fatto che il rettore disponesse di una propria abitazione annessa all’ospedale fa evidentemente cadere la ipotesi riguardante l’impiego, come suo alloggio, della camera, al piano superiore, presso la caminata, che l’inventario indica dotata di un letto. Questa camera, se non era quindi adibita ad uso personale del rettore, doveva verosimilmente essere utilizzata per l’alloggio di persone di particolare riguardo oppure per l’isolamento dei malati più gravi. Passando ad esaminare i dati di inventario, concernenti l’arredamento - 1 l 4 Cfr. gli ospedali di suor Verdina, della Maddalena, ecc. 5 Imbert, Les hôpitaux cit., p. 141. Cfr. anche il capitolo sull’ospedale di S. Antonio. - 203 - dell’ospedale, rileviamo che la dotazione dei letti, di coperte, trapunte, lenzuola, cuscini, ecc., pur non essendo particolarmente doviziosa, era tuttavia-ampiamente sufficiente per le necessità dei degenti, almeno nella corsia principale. I letti, inoltre, erano forniti ognuno di una o più cassapanche nelle quali potevano trovare posto gli effetti personali dei ricoverati6. Come abbiamo visto, quindi, la struttura e la dotazione dell’ospedale di S. Gerolamo erano abbastanza comuni e non presentavano caratteri particolarmente singolari. Vi è, tuttavia, un aspetto che rende abbastanza peculiare questo istituto, al confronto degli altri coevi. Tale peculiarità è data dalla presenza di un balneum, annesso all’ospedale stesso ed al quale si accedeva attraverso una porta di ferro che si trovava nella cantina (porta una ferri pro ostio balnei). La presenza di un bagno annesso ad un ospedale, tuttavia, non era esclusiva per il solo S. Gerolamo, in quanto ciò si verificò anche in S. Stefano, ma, d’altra parte, rappresentava pur sempre un’evenienza abbastanza rara. L’uso dei bagni pubblici, in epoca medievale, era alquanto diffuso anche a Genova, tanto è vero che numerosi impianti per bal-tieationes sorsero, come è noto, un po’ ovunque in città, generalmente ad opera di patrizi o di ricchi borghesi7 e non raramente una contrada prendeva addirittura il nome dal bagno che vi si trovava, come ad esempio la contrata Raveche seu contrata balnei Sancti Donati8. E’ risaputo che i bagni pubblici iniziarono a divenire, nel tardo medio evo, quei centri di vita piacevole e licenziosa che ebbe poi il suo più ampio sviluppo in epoca rinascimentale9. I bagni, tuttavia, non ebbero soltanto una funzione ricreativa, ma assun- 6 In altri istituti ospitalieri gli indumenti dei ricoverati potevano essere collocati in armadi a muro, disposti presso i letti, come ad esempio in S. Giovanni di Prè (cfr.), mentre negli ospedali di maggiori dimensioni esistevano appositi locali adibiti a questo scopo. Nell’Hôtel Dieu di Parigi è noto che esisteva un’ampia sala detta « la pouillerie » dove venivano raccolti i vestiti ed altri oggetti personali degli infermi e dove ogni tre settimane si procedeva alla vendita di quelli appartenuti a coloro che erano deceduti nell’istituto (Imbert, Les hôpitaux cit.. p. 132). 7 Cfr. F. Podestà, Il colle di S. Andrea in Genova, in ASLi, XXXIII, p. 263 n. L’A, a questo proposito, riporta un nutrito elenco di bagni esistenti nelle varie zone cittadine. 8 Ibid., p. 262. Il bagno di S. Donato era per l’appunto quello che il Fieschi volle annettere al proprio ospedale. Secondo il Podestà (Il colle cit, p. 263 n.) questo bagno apparteneva ai Saivago, tuttavia, almeno nel XV secolo, la proprietà era certamente passata ai Fieschi. 9 Un esempio dell’ambiente e dei suoi frequentatori ci viene argutamente tratteggiato dal Machiavelli, nella scena d’apertura della Mandragola. - 204 - scio anche un preciso significato terapeutico che derivava le proprie origini dai canoni della medicina classica e di quella araba 10. Per questo motivo il balneum annesso ad un ospedale assunse un preciso significato di presidio terapeutico, piuttosto che di un utile servizio igienico. Infatti, è presumibile che esso più che per il semplice lavacro della testa e dei piedi, che molte regole ospedaliere stabilivano all’atto del ricovero n, venisse impiegato con prevalenti finalità di cura, secondo le antiche tradizioni che imponevano un preciso rituale per il bagno caldo e l’uso di erbe particolari, quali la camomilla, l’assenzio, il sambuco, ecc. per favorirne l’azione benefica. La custodia dei bagni, secondo l’antica tradizione, seguita anche negli istituti monastici di estrazione benedettina 12, era affidata al balneator, che ne curava anche la preparazione, dosando l’impiego delle erbe medicamentose, per cui è presumibile che in S. Gerolamo operasse uno di questi personaggi anche se non sono state reperite notizie al riguardo 13. 17. Ospedale dei Santi Crispino e Crispiniano Le corporazioni di arti e mestieri si costituirono in Genova nella prima metà del XIII secolo, ma in genere la loro fondazione fu quasi sempre posteriore alle analoghe istituzioni sorte in altre città d’Italia, forse per la minor espansione delle attività artigianali, in confronto al grande sviluppo di quelle commerciali tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo 10 I medici medievali, in un’epoca nella quale l’igiene del corpo non godeva certo di alta considerazione, si dilungavano insistentemente sulla opportunità dei bagni preparatori da usare prima di salassi e purghe, secondo i precetti di Ippocrate e di Galeno e sull’impiego di bagni risolutivi da praticare dopo l’impiego di certi farmaci, onde facilitare l’uscita, dai pori della pelle, degli « umori peccanti » (Benedicenti cit., I, p. 374). 11 Cfr. L. Le Grand, Statuts cit., p. 113. L’art. 73 degli statuti di Troyes raccomandava: postea ad lectum deportetur quod caput et pedes lavatur. 12 Grossi, Le abbazie cit., p. 98. 13 Scarse notizie si hanno sui balneatores genovesi; ricordiamo soltanto Fulco da Sori balneator e un tal Giacomo, balneator in balneum Guerciorum (A. Ferretto, Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante, in ASLi, XXXI, parte II, 1903, p. 352). 1 Cfr. Renouard cit., I, p. 278; F. Valsecchi, Comune e corporazione nel Medioevo italiano, Milano 1948, p. 21; P. F. Palumbo, Dalle corporazioni antiche alle arti — 205 - Pur se costituitesi tardivamente, a Genova le Arti ebbero, tuttavia, una considerevole diffusione, inquadrando sotto le loro insegne lavoratori impegnati nelle più diverse attività artigianali, quali i fabbri, i fornai, i drappieri, i beccai, i conducenti di bestie da soma, gli scudai, i mediatori, i lanaioli e tintori, i cappellai, i calzolai, ecc.2. Le corporazoni artigiane genovesi ebbero inoltre, dal punto di vista assistenziale, un’altra caratteristica peculiare e cioè la pressoché totale assenza (l’unica eccezione è rappresentata dai calzolai) di istituti ospedalieri da esse stesse fondati e diretti, il che rappresenta una evenienza abbastanza singolare, ove si consideri che altrove gli ospedali dipendenti dalle « Arti» erano tutt’altro che rari. Basti ricordare, ad esempio, che, a parte i ben noti istituti di questo tipo esistenti a Firenze e a Roma, anche una piccola città come Savona possedeva ben quattro ospedali dipendenti da corporazioni3. Ciò non significa, ovviamente, che a Genova i doveri assistenziali e di mutuo soccorso nei riguardi dei consociati non rientrassero tra i compiti istituzionali delle corporazioni artigiane, ma semplicemente che queste seguivano, in tema di ospedalità, un diverso orientamento. Infatti, si preferiva assicurare, per quanto possibile, l’assistenza domiciliare, ricorrendo al ricovero ospedaliero solo in casi di effettiva necessità, ed in questo caso si faceva ricorso ad uno dei numerosi istituti cittadini che potevano in ogni momento garantire un adeguato livello di assistenza 4. Forse, proprio per la possibilità di poter contare su un numero medioevali, in « Studi medioevali »>, Napoli 1949, p. 82; H. Pirenne, G. Cohen, H. Focillon La civilization occidentale au moyen age du XIe au milieut du XVe siecle, in Histoire du moyen âge, Parigi 1933, VIII, p. 14 e sgg.; P. S. Leicht, Corporazioni romane e arti medioevali, Torino 1937. 2 V. Vitale, Breviario della storia di Genova, Genova 1955, I, p. 74. Per quanto riguarda la formazione delle corporazioni di Arti e Mestieri a Genova, cfr. F. L. Man-nucci, Delle società genovesi d’arti e mestieri durante il sec. XIII, in « Gior. Stor. Lett. Lig. », VI, 1905, p. 241 e sgg. 3 Gli ospedali erano: quello di S. Cristoforo, fondato dagli untori e conciapelli, nella loro stessa contrada (via Untoria), la domus dei dell arte dei marinai e dei barcaioli, l’ospedale dei SS. Crispino e Crispiniano dei calzolai e quello dei filatori, in contrada Ponticelli (cfr. Nobirasco, cit., pp. 18-21). 4 Ad esempio la compagnia dei « Caravana » fruiva per i propri consociati di alcuni letti nell’ospedale della Maddalena (cfr. il relativo capitolo). L’attività assistenziale degli ospedali fondati dalle corporazioni artigiane non rimaneva comunque circoscritta alla propria categoria ma si estendeva verso tutti i bisognosi (cfr, ad esempio, 1 ospedale dei calzolai di Savona, che aveva cura particolarmente delle inferme, delle pellegrine e delle fanciulle povere - Noberasco cit, p. 20). - 206 - elevato di ospedali in città e nel suburbio, non fu avvertito a Genova il bisogno di nuove fondazioni destinate esclusivamente ad uso di particolari categorie5. L’unica eccezione a questo indirizzo assistenziale è rappresentata dall’ospedale che la corporazione dei calzolai fondò nella piazza di S. Agostino, vicino alla chiesa, dedicandolo ai santi protettori della propria arte6. Questo ospedale, di modeste dimensioni, fu dotato, nel 1347, di un oratorio pubblico 7, secondo una consuetudine abbastanza diffusa tra il patronato laico, che tendeva sempre a mantenere l’appoggio e la collaborazione dell’autorità ecclesiastica, essendo ancora, a quel tempo, soltanto apparente e formale, l’indipendenza degli hospitalia prophana dal potere della Chiesa. Sull’origine e sulle prime fasi di attività dell’ospedale dei SS. Crispino e Crispiniano purtroppo nulla si conosce, in quanto le prime notizie rimontano alla metà del XIV secolo, ma è presumibile che la sua fondazione risalga al secolo precedente, a quel periodo cioè (tra il 1250 e il 1280) nel quale si ebbe la massima fioritura di istituzioni caritative laiche. La successiva attività dell’ospedale è testimoniata soltanto da annotazioni comprese nei cartolari delle Compere e nelle colonne del Banco di S. Giorgio, da una carta del 15 luglio 1363 (v. app. n. 955) che ne ricorda la presenza, nonché da un atto notarile del 17 dicembre 1383 (v. app. n. 956), nel quale è contenuta una deliberazione dei rettori di vari ospedali genovesi, che nominavano loro rappresentante per la riscossione dell’eredità di Giuliano Alterisio, il rettore Arduino de Foo, ospitalario hospitalis calegariorum scilicet Sanctorum Crispini et Crispiniani. La carica di ospitalario fu in seguito attribuita a Margherita da Bargone, che la mantenne per alami anni, come testimoniano carte relative al 1406, 1408 e 1410 8. Alla rettrice Margherita successe, nel 1410, Michele Futiario, che si trova indicato alla data dell’ll agosto 5 Le stesse Casacce seguirono poi un analogo orientamento indirizzando la loro attività di mutuo soccorso verso una forma di assistenza prevalentemente domiciliare, e ricoverando i propri consociati, in caso di necessità, nei vari ospedali cittadini, senza dover ricorrere a propri istituti ospedalieri. 6 Anche l’arte dei correggiai sembra abbia posseduto un proprio ospedale nella parrocchia di S. Donato (Ferretto, Ospedali cit.). Tuttavia siamo portati a credere che questo istituto fosse proprio quello dedicato ai SS. Crispino e Crispiniano dato, infatti, che l’altro ospedale, di fondazione laica, presente nella zona, non aveva alcuna relazione con le corporazioni artigiane (cfr. S. Getolamo). 7 Giustiniani cit., I. c. XII v. 8 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 471, c. 51 v.\ ng. 478, c. 52 v.\ ng. 484, c. 29 v. - 207 - di quell’anno9, e, nel periodo compreso tra il 1423 e il. 1430, Nicolino Cavezza 10, il quale ebbe come suo procuratore Iacopo da Bargagli ". Nel 1435 riscuotevano i proventi spettanti all’ospedale, sui depositi iscritti nel cartolare C delle Compere, Giovanni d’Albaro, il quale era certamente solo un procuratore, poiché espletava la stessa funzione anche per altri istituti cittadini, e Benedetta Savaria che, probabilmente, era invece l’ospitalaria in carica in quel periodo '2. Negli anni successivi la direzione dell’ospedale passò verosimilmente ai consoli dell’arte dei calzolai, infatti, troviamo che la riscossione dei proventi era affidata, nel 1443, a Giovanni da Mongiardino 13 e nel 1447 allo stesso Giovanni e ad Antonio Moccagatta, consulibus artis calegariorum 14. Nel 1448, rettore dell’ospedale era Gerolamo da Savignone, il quale, in quell’anno, riscuoteva i proventi relativi al possesso di cinque luoghi, iscritti a nome dell’ospedale nelle colonne di S. Giorgio I5. Questo deposito è di gran lunga superiore a quelli riportati, per lo stesso istituto, dal cartolare C delle Compere, che non superarono mai, in tutta la prima metà del XV secolo, la somma di 100 lire. Nel 1473 l’ospedale aveva ancora al Banco di S. Giorgio un credito di 2.050 lire, ma in quell’anno esso risultava già incorporato a Pammatone16, anche se, forse, l’annessione di fatto non avvenne che molto tempo dopo 17. Probabilmente pur avendo ormai definitivamente conclusa la propria funzione assistenziale, l’ospizio continuò a rimanere, ancora per molto tempo, a disposizione della corporazione, che forse lo sfruttò come sede sociale e luogo di raduno. 9 lbid., ng. 484, c. 29 v. 10 lbid., ng. 509, c. 45 v.\ ng. 513, c. 42 v.\ ng. 519, c. 42 v. 11 lbid., ng. 524, c. 40 V. 12 lbid., ng. 531, Cart. CPL, c. 38 r. 13 lbid., ng. 540, c. 32 r. 14 lbid., ng. 544, c. 35 r. 15 AJS.G., S. Giorgio, ng. 3047, Cart. Orig. delle Colonne, c. 94 r. 16 A.S.G., S. Giorgio, ng. 265, Colonne, ng. 264, c. 40 v. 17 Casalis cit., pp. 582-585. - 208 - 18. L’ospedale di San Desiderio L ospedale di S. Desiderio sorse in epoca tarda, grazie alla generosità dell orafo Lanfranco del Poggio. Le notizie che abbiamo potuto acquisire intorno a questa istituzione ospedaliera, derivano in massima parte da una pergamena, proveniente dall’archivio di S. Andrea, datata 25 giugno 1370 e rogata dal notaio Antonio Foglietta '. Il documento ci offre molte preziose indicazioni sui caratteri istituzionali della fondazione e su alcuni aspetti normativi della sua conduzione amministrativa, nonché sulla sua precisa ubicazione. Apprendiamo, infatti, che l’ospedale sorgeva nella contrada di Voltaleone 2 ed esattamente si trovava in quadam domo posita lanue in contrat a Voltaleonis in parrochia Sancti Ambrosii cui coherent antea via, retro domus Henrici ludicis, ab uno latere Voltaleonis, ab alio latere domus Spre-ciose de Castagna. Per quanto riguarda la fondazione, rileviamo che l’atto originale era stato rogato dal notaio Felisio de Garibaldo, in data 27 novembre 1360 (v. app. n. 958), e di questo atto la pergamena citata riporta una trascrizione. Il fondatore, che viene qui nominato discretus vir Lanfrancus de Podio, con l’autorizzazione dell’arcivescovo Guidone (Guido Scetten), si impegnava prò remedio anime sue et parentum suorum et in remissione peccatorum suorum, a fondare l’ospedale, dedicandolo al nome Beati Dexi-derii, ed a provvederlo di una dote annua di 20 lire3, destinando come sede della fondazione una casa di sua proprietà. Lanfranco si impegnò inoltre, con l’arcivescovo, a fornire l’arredo sufficiente perché il nuovo ospedale potesse assolvere degnamente la sua funzione ed in particolare la dotò di sedici letti completi del necessario corredo 4. Come si vede, la dotazione dell’ospedale era abbastanza ricca rispetto alla media degli ospedali medievali ge- 1 La pergamena, indicata col n. 46, fa parte della raccolta Durazzo Pallavicini ed è stata pubblicata da V. De Angelis, L’atto di fondazione dell’ospedale genovese di S. Desiderio (1360), in «Boll. Ligust. Stor. e Cult. Reg. », XXVIII, 1976, pp. 19-26 (v. app. n. 959). 2 Podestà, Il colle cit, p. 48; .. .contrata Putei Curii sive Volte Leonis (doc. del 1532, riportato dalTA.). 3 Assignavit pro dote dicti hospitalis libras viginti ianuinorum quolibet anno per dictum Lanfranchum et heredes et successores suos in perpetuum solvendas rectori dicti hospitalis. 4 ... lectos sexdecim furnitos ydonee et competenter ut infra videlicet torcularia sexdecim item straponte decem et octo item copertoria de burdo decem et octo item cos-sinos de pluma decem et octo item carpitas decem et octo item paria vigintiquinque de linteaminibus item banchas quatitor item bancalia duo. — 209 - 14 novesi: il numero dei letti, che secondo la tradizione era usualmente di dodici, qui raggiungeva le sedici unità e il corredo di lenzuola, coperte, ecc. poteva essere considerato ben al di sopra della sufficienza e tale da garantire anche una degenza confortevole, come dimostrano i diciotto cuscini di piuma citati nell'inventario. Sono poi da rilevare, nel documento, alcune particolarità interessanti per quanto riguarda le norme giuridiche che regolamentavano la vita ospedaliera del tempo: si ritrovano, infatti, espliciti riferimenti alle disposizioni promulgate dal concilio di Vienne del 1311 e contenute nelle costituzioni clementine dello stesso anno5. Appare chiaro, dalla lettura della pergamena, come tali disposizioni venissero scrupolosamente seguite almeno in questo nuovo istituto. Infatti, ad esempio, per la nomina del rettore dell’ospedale di S. Desiderio ci si affidava esattamente a quanto prescritto nel suddetto concilio e cioè che il rettore stesso dovesse avere almeno 25 anni compiuti, che non avesse figli e che rispondesse in pieno alle qualità indispensabili stabilite a suo tempo dalle costituzioni clementine, ossia che egli fosse scelto tra viris providis et boni testamenti, che si impegnasse a servire con onestà l’istituto e a rendere conto ai patroni e al vescovo del suo operato6. Il fondatore Lanfranco riservava il diritto di nomina del ministro dell’ospedale per sé e per i suoi eredi, in qualità di patrono, secondo un uso che abbiamo visto apparire come regola universalmente seguita. Questa nomina, come è noto, necessitava, per divenire effettiva, dell’approvazione arcivescovile7 e in caso di divergenza di opinioni fra il patrono e l’arcivescovo, nei riguardi della scelta del candidato, si doveva ricorrere al giudizio di integerrimi cittadini, i quali avrebbero fornito le opportune referenze e testimoniato sulle qualità dell’individuo proposto. Era anche contemplato il caso in cui il fondatore stesso o uno dei suoi eredi vo- 5 Mansi cit., t. XXV, p. 267 e sgg. 6 ... et quod rector sit annorum vigintiquinque complectorum ad minus et quod non habeat aliquem filium et talis conditionis qualis describitur esse debere rectorôm hospitalium per concilium viennensem de religiosis domibus in capitulo quia contingit in Clementinis. Sulla decretale Quia contingit di Clemente V, cfr. Imbert, Les hôpitaux cit., p. 233 e sgg. 7 ... dominus archiepiscopus et dictus Lanfrancus... convenerunt quod dictum hospitale gubernatur per rectorem unum seu hospitalerium cuius ... presentatio spectet... ad ipsum Lanfrancum et heredes suos in perpetuum tamquam ad patronum et patronos ipsius hospitalis et que presentatio dicti rectoris... fiat prefacto domino archiepiscopo et eius successoribus... dominus archiepiscopus... teneatur ipsum presentatum confirmare si persona sit ydonea. - 210 - lesse assumere la carica di rettore ed anche in questa circostanza l’arcivescovo doveva valutarne l’idoneità; qualora più d’uno tra gli eredi avesse aspirato all’incarico, lo stesso arcivescovo avrebbe prescelto il più idoneo e se tale scelta non fosse stata accettata dai patroni, si sarebbe reso necessario il ricorso all’arbitrato di tre probiviri della parrocchia di S. Ambrogio. Qualora poi la carica di rettore fosse divenuta vacante, la nuova candidatura doveva essere posta entro il termine di due mesi dalla data in cui tale evento era stato reso pubblico. Infatti, si legge nell’atto che presentatio dicti rectoris fieri debeat infra menses duos proximos postquam vacatio ipsius hospitalis seu rectoris eiusdem publice nota fuerit in vicinia dicti hospitalis. II termine vicinia8, che sta a indicare le zone più prossime all’istituto, è precisato maggiormente in un paragrafo successivo che descrive i confini entro i quali tale termine doveva essere inteso, e cioè dalla Porta di S. Andrea fino alla chiesa di Si. Lorenzo e in tutta la parrocchia di S. Ambrogio. L’importanza della nomina del rettore, da parte del fondatore o dei suoi successori, era talmente sentita, pur se subordinata alla ratifica arcivescovile, da spingere i patroni ad assicurarsi ogni possibile garanzia per poter fruire in piena libertà del loro diritto. Il valore che veniva dato a questa prerogativa emerge chiaramente dalla ricerca puntigliosa e minuziosa di ogni possibile evento che potesse ostacolarne l’attuazione, come si può osservare in un curioso codicillo che stabilisce come il termine di due mesi, entro il quale doveva essere posta la candidatura, era valido soltanto nel caso in cui il patrono risiedesse, in quel periodo, nella città o a non più di venti miglia da essa. Nel caso in cui egli si trovasse più lontano, il limite veniva procrastinato a sei mesi, e ciò per dargli la possibilità di poter provvedere di persona alla nomina del candidato. Si stabiliva inoltre che per la vacatio di due mesi la custodia dell’ospedale e dei suoi beni competeva al patrono, mentre per quella di sei mesi custodia ipsius hospitalis et rerum et bonorum ipsius hospitalis spectet ad ipsum dominum archiepiscopum. Nel documento vengono anche ricordati i compiti e gli obbighi dei rettori che secondo quanto prescritto dal concilio viennense, dovevano reddere rationem al patrono e all’arcivescovo del loro operato amministrativo ogni anno, prestare giuramento e provvedere all’inventario dei beni dell’ospedale9. Il rettore di S. Desiderio doveva accogliere nell’istituto, poveri, 5 I. Heers, Urbanisme et structure sociale à Gênes au moyen-âge, in « Studi 'in onore di A. Fanfani », 1963,1, p. 385. 9 C.J.C., lib. VII; Mansi cit, tomo XXV, cc. 367-470. - 211 - pellegrini e infermi, mentre, per quanto riguardava i trovatelli, il patrono e l’arcivescovo lasciavano facoltà al rettore stesso di decidere se accoglierli o meno 10. Per i ricoverati e per il loro sostentamento sarebbero stati impiegati i proventi dell’istituto, ivi comprese le elemosine che ne costituivano una parte non secondaria, tanto è vero che nell’atto di fondazione si stabiliva che il rettore avesse diritto ad un « questore », espressamente incaricato di provvedere alle questue in favore dell’ospedale. Tra le varie clausole contenute nell’atto di fondazione dobbiamo ancora ricordarne una concernente l’impegno, preso dall’arcivescovo, di concedere l’indulgenza ai visitatori dell’ospedale ed un’altra relativa al tributo di una libbra di cera che l’ospitalario di S. Desiderio doveva annuatim in festo Sancti Laurentii de mense augusti dare et tradere in palatio archiepiscopali. Dieci anni dopo la fondazione, Lanfranco del Poggio, forse scoraggiato da un esito non completamente positivo della sua iniziativa decise di cedere il giuspatronato dell’ospedale alle monache di S. Andrea della Porta e alla loro badessa Caterina Pinelli11. Lanfranco si impegnò in questa occasione ad acquistare, nomine dicti monasterii, luoghi delle compere il cui frutto garantisse l’introito di 20 lire annue, stabilite all’atto di fondazione quale dote dell’ospedale. Inoltre Lanfranco cedette alle monache di S. Andrea due case contigue poste in contrada Sancte Crucis. Questo passaggio di patronato venne approvato e sottoscritto da Giovanni da Niella, vicario generale dell’arcivescovo Andrea della Torre, che consensum prestitit et suum et dicti domini archiepiscopi. Al di fuori dell’identità di alcuni rettori, poco sappiamo sulla successiva attività di questo ospedale, che peraltro fu certamente vitale per almeno un secolo, dato che se ne hanno notizie ancora nel 1474. Conosciamo il nome di Giovanna da Polcevera, che probabilmene ebbe la carica di ospitalaria dal 1387 12 al 1391 B, ma della quale non ci sono note le reali funzioni nell’amministrazione dell’ospedale. Nel 1400 dirigeva l’isti- 10 ... non tamen teneatur ipse rector dicti hospitalis nec abstringi possit per dictum archiepiscopum vel per dictum patronum vel aliquem alium ad recipiendum in dicto hospitali aliquem expositum seu travadelum sed hoc sit in libera voluntate ipsius rectoris ... 11 . .sperans dictus Lanfrancus patronus dicti hospitalis quod dictum hospitale per religiosas personas melius quam per ipsum et heredes suos potuerit verisimiliter gubernari. 12 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 407, c. 136 v. 13 Ibid., ng. 419, c. 139 r. - 212 - tuto Giovanni da Napoli, che si trova citato insieme con altri ospitalari in un atto di Oberto Foglietta di quell’anno (v. app. n. 960) e che ritroviamo anche nel cartolare SL delle Compere, negli anni 1401 e 1402 !4. A Giovanni da Napoli successe verosimilmente Antonio da Como, che figura nel 1410 nel predetto cartolare 15 e nel 1411 in un documento del de Compagnono (v. app. n. 962), ove è appunto indicato hospitalarius hospitalis Sancti Dexiderii de lanua. La carica di ospitalario, in S. Desiderio, fu ricoperta in seguito da Bertone da Lavagna, che troviamo ricordato in carte del 1425 16 e del 1428 l7, e da Iacopo Bertano, citato in una nota del 16 luglio 1444 18, mentre non siamo certi se Stefano Marvino e Michele Storace, i quali figurano senza qualifica nello stesso cartolare rispettivamente nel 1423 19 e nel ] 435 70, fossero i rettori dell’istituto o se ne fossero solo i procuratori. Analoga considerazione può essere fatta per prete Obertino, che riscuoteva i proventi dell’ospedale nel 1456 21 e per suor Giacomina Giudice, che agiva pro hospitale sancti Desiderii Putei Curii nel 1474 22. Per quanto riguarda le somme depositate e iscritte nei cartolari delle Compere, ricordiamo che nel 1446-47 esse ammontavano a 100 lire23, mentre nel 1454 i depositi a nome hospitalis sancti Desiderii de Volta avevano superato di poco le 300 lire24. L’indicazione hospitale sancti Desiderii Putei Curii, che abbiamo visto precisata in una carta del 1474, a proposito di suor Giacomina Giudice, ci conferma l’ubicazione dell’istituto presso il Pozzo del Curio dove, d’altra parte, esisteva nel 1434 un oratorio, dedicato anch’esso a S. Desiderio 25. E’ probabile che l’oratorio fosse annesso all’ospedale, dato che quest’ultimo 14 Ibid., ng. 451, c. 120 r.; per Fanno 1401 cfr. anche app. n. 961. 15 Ibid., ng. 484, c. 282 v. 16 Ibid., ng. 513, c. 266 v. 17 Ibid., ng. 519, c. 246 v. 18 Ibid., ng. 541, c. 93 v. 19 Ibid., ng. 509, c. 276 v. 20 Ibid., ng. 531, c. 125 r. 21 A.S.G, S. Giorgio, ng. 7786, Descrip. Locorum, inserto (il cartolare è relativo all’anno 1474). 22 A.S.G, S. Giorgio, ng. 8901, Nitidi Officii, anni 1474-77, c. 263 r. 23 A.S.G, Comp. e Mutui, ng. 543, c. 99 v.\ ng. 544, c. 100 r. La riscossione dei proventi era affidata in quel periodo ai governatori dell’ospedale dello Scalo. 24 A.S.G, Comp. e Mutui, ng. 120, cc. 48 r. e 180 r. 25 A. Calcagnino, Sacre palme genovesi, Genova 1655, p. 34. - 213 — viene chiaramente indicato, nell’atto di fondazione, come locus religiosus, con una qualifica cioè che gli concedeva il diritto di campana e quello di possedere cappella e cimitero. La condizione di locus religiosus, tuttavia, presupponeva anche l’ineluttabilità dell’incorporazione a Pammatone, secondo le disposizioni delle bolla di Sisto IV, e in effetti S. Desiderio compare nell’elenco degli ospedali incorporati26, per cui è da ritenere che intorno al 1474 si sia conclusa ogni sua attività assistenziale. 19. L’ospedale di Porta Soprana Verso la metà del XIII secolo un certo Sigembaldo, formaggiaio, fondò, nei pressi della Porta Soprana, un ospizio destinato al ricovero dei poveri della zona. Questo istituto fu beneficato da Giacoma, moglie di Nicolò Em-briaco, il 21 luglio 1269, col lascito di un letto completo di lenzuola, coperte e cuscini (lectum furnitum) e lo stesso fondatore Sigembaldo volle ancora ricordarlo, nel suo testamento del 9 settembre 1272, disponendo che l’ospedale stesso e ogni cosa ivi contenuta fossero, dopo la sua morte, sempre destinati ad esclusivo beneficio dei poveri '. La fondazione di questo ospizio, avvenuta intorno alla metà del XIII secolo, suggerisce che esso debba essere collocato tra le numerose cadè sorte in quegli anni, frutto, come sappiamo, di quell’intenso movimento penitenziale pauperistico, allora in piena espansione. La realizzazione pratica delle opere di misericordia, promosse dalla predicazione degli Ordini Mendicanti, era quasi sempre affidata, come già altre volte abbiamo ricordato2, all’impegno entusiasta dei terziari, per cui non è improbabile che il citato Sigembaldo appartenesse, per l’appunto, ad un terzo ordine. Del primo periodo di vita dell’ospedale troviamo ancora notizie nel testamento di Alassina, moglie del tessitore Giovanni Corezello, del 1° settembre 1280 (v. app. n. 963), che contiene un legato di sei denari hospitali Sancti Andree de Porta. In questo caso l’indicazione topografica, col rife- 26 Anselmi cit., p. 267. 1 Ferretto, Ospedali cit. 2 Cfr. gli ospedali di S. Francesco, di S. Cristoforo, di suor Verdina, della Maddalena. - 214 - rimento alla porta di. S. Andrea, è sufficiente a far individuare l’istituto ospedaliero. Vi sono poi due atti notarili, di circa quarant’anni più tardi, dai quali si possono ricavare altre indicazioni. Nel primo di essi, del 21 dicembre 1318, sono contenute le ultime volontà di Francesca Saivago (v. app. n. 964), la quale aveva destinato un legato di quattro lire e mezza hospitali fratrum Heremitarum quod est porte Sancti Andree Communis lanue. Nel secondo documento, del 1322, riguardante la spartizione dell’eredità di Giovannino de Fornari tra vari ospedali genovesi, si trova citato Borizonus de Nigro pro hospitali fratrum Heremitarum quod est porte Sancti Andree 3. L’interesse di questi due documenti risiede, oltre che nella conferma della ubicazione dell’ospedale, nei pressi della Porta Soprana, nella segnalazione che in quel periodo esso era ormai passato ad altre mani e precisamente ai frati eremitani di S. Agostino. E’ presumibile che lo stesso fondatore Sigembaldo avesse stabilito alla sua morte, il passaggio dell’ospizio a questa congregazione da poco tempo costituita e insediatasi nel vicino monastero di S. Agostino4, oppure che, in mancanza di precise indicazioni testamentarie e di eredi diretti del fondatore, l’arcivescovo, grazie ai più ampi poteri, concessigli dalle disposizioni del concilio di Vienne e delle costituzioni clementine, del 13115, avesse provveduto a trasferire direttamente il 3 Alizeri, Guida cit, p. 688. 4 La comunità di frati eremiti, originari della Toscana, raccoltasi nell’antico convento di S. Tecla, dipendente dalla pieve di S. Martino (Accinelli, Dizionario cit, p. 12), in ossequio alle disposizioni della nota bolla di Alessandro IV, del 1256, che intendeva riunire in un’unica congregazione, di regola agostiniana, le diverse comunità di frati che vivevano in eremi di campagna, con ordinamenti propri (A. De Romanis, L’ordine agostiniano, Firenze 1935), si trasferì entro le mura della città, assumendo il nome di PP. Eremitani di S. Agostino. Il trasferimento nel monastero di S. Agostino avvenne dopo il 1260, secondo l’Accinelli (ibid.), e in effetti troviamo ancora nel testamento di Giacoma Cavalangia, del 28 luglio 1257 (A.S.G, Notai, cart. 33, c. 15 v.), un legato di dieci soldi in favore Heremitorwn Sancte Tecle, e questo potrebbe significare che essi si trovassero ancora nel loro convento originario. Tuttavia, non va dimenticato che gli Eremitani mantennero il titolo dedicatorio di S. Tecla anche per la loro nuova sede, come dimostra un atto del 17 gennaio 1293 rogato in ecclesia Sancte Tecle de Sarzano, nel quale documento figura come teste un frate del detto ordine (A.S.G, Notai, cart. 117, c. 104 r.) e lo stesso titolo compare ancora in documenti del XV secolo, come si può rilevare dai cartolari delle Compere, ove troviamo citato il nome della chiesa, quale riferimento topografico, a proposito dei SS. Crispino e Crispiniano, che sorgeva nei suoi pressi (A.S.G, Comp. e Mutui, ng. 509, C, c. 48). 5 E. Nasalli Rocca, Il diritto cit, p. 124; Aureggi cit, p. 38. - 215 - giuspatronato agli Eremitani, e ciò in considerazione della stretta vicinanza del loro convento all’ospedale ed anche del fatto che la regula beati Augustini, da essi seguita, era quella cui sottostava la maggioranza degli istituti ospedalieri del tempo6. E’ presumibile che gli eremitani avessero affidato la gestione dell ospedale ai loro terziari, come era uso degli ordini mendicanti, tuttavia, va segnalato che non abbiamo potuto reperire notizie circa 1 attività in Genova del terzo ordine agostiniano. L’ospedale di Porta Soprana mantenne sempre il suo carattere di ospizio destinato prevalentemente al ricovero e all’assistenza dei poveri, secondo le disposizioni originarie del suo fondatore, ma e indubbio che esso abbia anche provveduto ad accogliere gli ammalati, come ci conferma il testamento del calzolaio Giovanni da Cremona, del 22 febbraio 1348 (v. app. n. 965), il quale aveva lasciato la somma di dieci soldi in favore degli infirmi dell’ospedale del Piano della Porta di S. Andrea. Forse questo tipo di assistenza non era attuato costantemente, ma era limitato soltanto a periodi di particolari necessità, come si verificava, ad esempio, in occasione di epidemie e di pestilenze e proprio il 1348, anno nel quale venne rogato il suddetto testamento, fu funestato da una terribile pestilenza. Dopo questa data non abbiamo potuto reperire altre notizie sull’ospedale, ma è presumibile che la sua attività non sia continuata ancora per molto, dato che questo fu il destino comune di altre istituzioni coeve, soprattutto di quelle numerose cadè diffuse nel tessuto urbano e nei suburbi che condensarono la loro evoluzione nel relativamente breve periodo compreso tra la metà del XIII secolo e la metà del secolo successivo. 20. L’ospedale dei « foresti » L’insediamento in Genova di nuclei di cittadini stranieri divenne fenomeno ben manifesto, come è noto, già all’epoca delle prime crociate e si incrementò sempre più col passare del tempo in rapporto diretto con l’espansione economica e commerciale della città, divenuta nel volgere degli anni il 6 L. Le Grand, Maisons-Dieu et léproseries du diocèse de Paris, Nogent-le-Rotrou 1887, p. 116. - 216 - transito obbligato tra i mercati del levante e quelli europei La presenza di elementi forestieri non fu limitata, tuttavia, a coloro che in qualche modo erano legati alle attività commerciali, ma si estese anche ad altre categorie. Accanto ai mercanti, infatti, si stabilirono in città, specie tra il XII e XIV secolo, numerosi artigiani delle più diverse provenienze, quali lapicidi provenzali, maestri vetrai fiorentini, tessitori tedeschi e fiamminghi, oltre ai ben noti magistri Antelami2. Infine, a tutti questi vanno aggiunti i soldati mercenari, che la repubblica assoldò in numero sempre maggiore nel XIV e XV secolo, e i non pochi fuorusciti, che nelle particolari condizioni di sviluppo economico della città e nella benevolenza dei governanti, trovavano i presupposti più favorevoli per la scelta di una sede d’esilio3. I nuovi ceppi etnici, venuti così a stabilirsi nella città, tendevano generalmente a raggrupparsi in aree urbane e suburbane ben delimitate, piccole isole dove gli abitanti erano tra loro legati, oltre che dall’idioma, spesso anche dalla comune attività: ecco quindi lanaioli, tessitori e soldati tedeschi raggruppati nel borgo di S. Stefano, i commercianti di grano laziali nella Raiba, i fiorentini presso la torre dei Vento, i lucchesi in borgo Incrociati, i pisani e i senesi presso la chiesa di S. Torpete4. II raccogliersi in gruppi determinati era segno però anche di una certa discriminazione nei riguardi degli stranieri, discriminazione che appariva evidente in particolari situazioni. Se ad esempio un forestiero, privo di mezzi si ammalava, non poteva usufruire del ricovero in uno dei numerosi ospedali della città, poiché, come ci ricorda il Perasso5, ninno lo voleva ricettare 1 G. G. Musso, Politica e cultura alla metà del Quattrocento, in « Miscellanea di Stor. Lig. in onore di G. Falco », Milano 1962, pp. 313-354; T. O. De Negri, Storia di Genova, Milano 1968, p. 258. 2 Vitale, Breviario cit, I, p. 70. 3 Franco Sacchetti, nelle sue «Novelle» (nov. LXXI), ricorda la presenza in Genova di Fiorentini confinoti da Firenze, di lucchesi che non poteano stare in Lucca nonché di alcuno sanese che non potea stare in Siena. 4 C. Da Langasco, La ’Consortia deli Forestèri’ a Genova, Genova 1957, p. 10, A. M. Boldorini, S. Croce di Sarzano e i mercanti lucchesi a Genova, in ASLi, ris. II, 2, 1962, p. 79 e sgg. I fiorentini pare avessero addirittura un proprio ospizio, retto da un hospes florentinorum (A. Ferretto, Codice diplomatico cit, parte I, 1901, p. 8) e aJ-trettanto i bolognesi, i quali fruivano di quello dei Crociferi (A. Ferretto, Il re dt Cipro nel 1633 al palazzo dei Malocello a Vernazza. La morte del doge Simon Boccanegra, in « S. Rocco di Vernazza », Genova 1927, p. 18). 5 A.S.G, ms. 842, c. 271 v. - 217 - onde era necessitato perire a mezzo della strada sprovvisto del necessario alimento si per l’anima che per il corpo. Per ovviare a questo stato di emarginazione e per permettere una adeguata assistenza anche ai più poveri foresti, si costituì in città una sorta di congregazione, dedicata a S. Maria della Misericordia, denominata Consortia de li foresteri e conosciuta anche sotto il nome di Compagnia delle quattro nazioni, a ricordo dei quattro nuclei etnici (milanese, romano, francese e tedesco), che parteciparono alla sua fondazione e ne condivisero l’amministrazione durante tutto il lungo periodo nel quale rimase attiva6. Uno degli scopi principali della Consortia fu, ovviamente, quello di possedere un proprio ospedale e di garantirsi i fondi necessari per assicurare una adeguata assistenza ai propri consociati. D’altra parte, l’ospedale per stranieri non era affatto una realizzazione originale, ma lo si trovava già in epoca altomedievale abbastanza comunemente nei grossi centri che erano sede di transito o meta di viandanti e pellegrini Nella sola Roma si contavano ben 27 ospedali « delle nazioni » ognuno ad uso di un determinato gruppo di stranieri, come i francesi, i sardi, i fiorentini, i genovesi8. Le notizie relative all’attività e all’organizzazione della Consortia che operò in Genova dal XIV al XVI secolo9, si ricavano, in massima parte dagli antichi staturi di questa associazione di mutua assistenza, e su di essi abbiamo basato essenzialmente la nostra trattazione 10. 6 Nel XVI secolo la Consortia prese anche il nome di S. Barbara (A. Bassi, La consortia dei foresteri di N. D. di Misericordia, Genova 1928, p. 16. 7 Vedasi, ad esempio, l’ospedale Sanctae Mariae Britonum di Pavia (Donna D’Ol-denico cit., p. 250), i numerosi ospizi fondati dagli Scoti in varie parti d’Europa (Gou-gaud cit., pp. 21-37, 257-277) e le cosiddette Scholae della Roma altomedievale fondate dai Sassoni, dai Bretoni, dai Franchi, ecc. (P. De Angelis cit., I, p. 123 e sgg.). 8 C. Fanucci, Trattato di tutte le opere pie dell’alma città di Roma, Roma 1601; V. Atzeni cit.; Canezza cit. 9 In realtà, la data esatta della cessazione di attività della Consortia è il 1608, come riporta I’Accinelli (Liguria sacra cit., II) il quale afferma che in qudl’anno fu aggregata alla confraternita del SS. Crocifisso (costituitasi da pochi anni) quella delle quattro nazioni foreste col titolo di S. Maria della Misercordia e di S. Barbara. 10 Gli statuti del 1393 furono descritti per la prima volta dal Desimoni (ASLi, vol. IV fase. Ili, 1868, p. CXL) che ne diede una illustrazione parziale e successivamente da G. Rossi (Miscellanea di St. It., in « Reg. Dep. St. Pat. » Torino, 1870, pp. 333-344) che ne pubblicò la parte iniziale sulla quale si basarono le successive descrizioni (G. Por- - 218 - Prima di affrontare, tuttavia, l’esame di questa fonte, dobbiamo soffermarci a considerare alcuni dati circa la nascita di questa Consortia e circa la sede dove i consociati si radunavano e dove essi potevano espletare le pratiche religiose, indispensabili alla vita di ogni confraternita. Innanzi tutto dobbiamo segnalare che non si conosce con esattezza la data di costituzione del sodalizio, anche se gli studiosi che si sono occupati dell’argomento 11 hanno pensato di ravvisarla nel 10 agosto 1393, data che si trova all’inizio degli antichi statuti e che compare anche in una lapide, un tempo murata nella chiesa dei PP. Serviti, dove, sotto il bassorilievo della Vergine di Misericordia, a braccia allargate, si legge: MCCCLXXXXIII die X Augusti. Questa capella e sepolture con li altri adornamenti sie della consortia de Madona de Misericordia de foresteri n. Tuttavia, un atto rogato dal notaio Angiolino de Sigestro, il 17 aprile 1336 y, contenente i termini di un accordo fra i quattro rappresentanti della confraternita di Misericordia e i PP. Serviti per la costruzione di un altare, ci indica chiaramente che le origini di questa associazione debbono essere fatte risalire perlomeno ai primi decenni del XIV secolo. Il documento riporta inoltre la prima segnalazione dei contatti tra la Consortia e i Serviti, contatti che si fecero, col tempo, sempre più stretti e che portarono ad una reciproca, fruttuosa collaborazione. L’incontro tra le due parti, laica e religiosa, non fu certo casuale e dettato solo da motivi topografici, per la presenza di entrambe nel borgo di S. Stefano, ma la coesistenza e la collaborazione che si attuarono tra loro doveva evidentemente fondarsi su presupposti utilitaristici ambivalenti. Si creò, infatti, tra le due istituzioni una sorta di simbiosi mutualistica, nel senso che ognuna delle parti traeva beneficio dall’apporto dell’altra. Ciò è comprensibile ri- TiGLiOTTi, L’ospedale dei foresti, in « Il Comune di Genova », IV, 1924, p. 610 e sgg.; G. Bono, M. Labò, N. S. dei Servi, Genova 1927) in quanto il documento originale sembrava irreperibile, finché Adolfo Bassi (cit.) ritrovò il manoscritto e ne pubblicò un ampio commento. Questo testo conteneva i primitivi statuti, successive postille e trascrizioni di documenti di varie epoche fino al 1608. Successivamente C. da Langasco (cit, p. 90 e sgg.) pubblicò integralmente gli statuti, contenuti in un altro manoscritto della fine del XV secolo (A.S.G, Jurisdictionalium et Ecclesiasticorum, 1/1334, doc. 18), nella prima parte del quale si trova la trascrizione degli antichi capitoli del 1393 e i codicilli di varie epoche posteriori, fino al 1485. 11 C. da Langasco, La consortia cit, p. 15; G. Portigliotti, L’ospedale dei « Foresti », in « Il Raccoglitore ligure », 25 ottobre 1933, p. 4. 12 C. da Langasco, La consortia cit, p. 16. A.S.G, ms. 852, c. 271 v. - 219 - cordando che i Serviti, giunti a Genova agli inizi del XIV secolo, dopo aver ottenuto di edificare una chiesa e un convento, si trovarono ben presto osteggiati dai Benedettini di S. Stefano, che non gradivano la presenza di quest’ordine questuante nel territorio della loro parrocchia, e dalla stessa Curia che ne stigmatizzava il comportamento poco ligio alle regole 14. Si può quindi, in un certo senso, considerare questo accordo come una collaborazione tra emarginati, e in virtù di questo legame i Serviti concessero alla « Consortia » una cappella nella loro chiesa ed inoltre si impegnarono a officiarvi durante le cerimonie religiose e sociali e in altre occasioni particolari ’5, dando così alla confraternita l’indispensabile supporto religioso che difficilmente avrebbe trovato altrove. Essi, d’altronde, trovarono nei foresti l’appoggio di una comunità numerosa, economicamente solida e dotata inoltre di un certo peso politico 16. L’altare e la cappella concessi alla Consortia vennero poi, nel XV 14 lbid., c. 269 r. e sgg. 15 Una lapide, datata 17 gennaio 1476, che si trovava in S. Maria dei Servi, riportata integralmente dal Bassi (cit., p. 13), conteneva la trascrizione dei patti intercorsi tra lohannes Dugao Bischainus, lohannes Capelerius, Dominichus de Caminascho et Simon de Pistoia priores Consortie forentium gloriosissime Virginis Marie... cum venerabilibus patri priori magistro Stepbano de Brigalio et aliis fratribus dicti monasterii. Secondo tali patti i Sen/iti si impegnavano a celebrare, in perpetuum et in secula secutorum, una messa quotidiana, messe per i defunti il primo e il secondo lunedì del mese oltre a una serie di messe cantate in occasione di particolari festività. I priori della Consortia per tutto ciò si impegnavano, a loro volta, a pagare 12 lire all’anno ed inoltre un fiorino per la festa della Purificazione di Maria, 10 soldi per quella di S. Barbara e 4 soldi per quella di S. Rocco. 16 Nella vita cittadina le comunità straniere ebbero spesso una certa influenza sia in reazione al loro emergere in determinate attività commerciali o artigianali e sia in conseguenza dei rapporti da essi mantenuti con la patria d’origine. Come esempio del primo caso bastera ricordare che uno dei consoli nominati per i tessitori doveva essere sempre necessariamente tedesco (A. Ferretto, La Nazione tedesca..., in « La Madonna dell? Guardia », Genova 1908), e per il secondo caso citeremo un episodio legato alla visita a Genova di Luigi XII. Il re, volle in quella occasione concedere benignamente agli scrofolosi genovesi il tocco taumaturgico della sua mano regale (secondo l’antica tradizione che, come è noto, riconosceva ai re francesi il magico potere di guarire la scrofola col solo toccamente) e per questa cerimonia medico-ieratica, come sede scelse proprio, tra le tante, la chiesa di S. Maria dei Servi (B. da Porto, La venuta di Luigi XII a Genova nel 1502, a cura di A. Neri, in ASLi, XIII p. 925). La scelta non fu certo casuale ma volle probabilmente rappresentare un atto di delicatezza verso la comunità francese di Genova, che in quella chiesa aveva la sua sede di culto. - 220 - secolo, dedicati a S. Barbara nella rinnovata chiesa dei Servi17. Indubbiamente, se il possedere altare, cappella e oratorio consentiva alla confraternita di fruire di quell’apparato sacrale che in tempi antichi era requisito indispensabile per ogni associazione caritativa o di mutua assistenza, tuttavia, era certamente il possesso di un ospedale la necessità più impellente per realizzare gli scopi istituzionali del sodalizio. Un istituto del genere avrebbe consentito, infatti, di poter ricoverare gli associati indigenti o coloro che erano privi di assistenza familiare, i quali spesso, come abbiamo detto, erano rifiutati dagli altri ospedali cittadini. La sede di questo ospizio fu verosimilmente in un edificio posto di fronte alla stessa chiesa dei Servi, edificio sul quale era murata una lapide con la seguente iscrizione: MCCCXXXXVI, die XXV maii. Questa casa sie de la Consorcia de li Foresteri de la Madona de Misericordia di Servi. L’iscrizione, una delle più antiche in volgare reperite nella nostra città, ha fatto pensare 18 che la casa in questione fosse la primitiva sede dell’ospedale, anche se in realtà la scritta non lo indica esplicitamente. Inoltre altre due lapidi, ima del 1568 e l’altra del 1736, indicanti opere di restauro 19, confermano ancora l’importanza dell’edificio, ma anche in esse non compare affatto il termine ospedale o altro equivalente. Tuttavia, essendo dimostrato che la casa predetta rappresentava la sede ufficiale della Consortia, come testimoniano, oltre alle lapidi già ricordate, anche i resoconti di importanti riunioni sociali ivi tenute20, si può ragionevolmente sostenere che vi fosse collocato anche l’ospedale, in quanto evidentemente non è pensabile che l’intero edificio venisse utilizzato soltanto come luogo di riunione, ma è più logico ritenere che a questo scopo ne 17 Secondo Cassiano da Langasco [La consortia cit, p. 98), la consacrazione dell’altare di S. Barbara avvenne il 14 settembre 1464, mentre per il Bassi (cit, p. 7) la data è 14 settembre 1414. La cappella di S. Barbara, alla quale sovrastava l’oratorio della Consortia, che si apriva sulla piazza laterale (A.S.G, ms. 842, c. 271), si arricchì col tempo di marmi preziosi, di vetri policromi e di affreschi decorativi (Alizeri, Guida cit, p. 251 e sgg.), oltre a conservare sempre la ben nota antica tavola di Barnaba da Modena. 18 C. da Langasco, La consortia cit, p. 18; Bassi cit, p. 10. 19 Portigliotti, L’ospedale dei Foresti cit, p. 611. 20 Nelle aggiunte successive agli statuti, relative al sec. XVI, si parla di importanti riunioni tenute nella casa di S. Barbara per contra la chiesa di S. Maria de Servi oppure in la casa ossia in la caminata de la consortia di S. Barbara posta in contrata di S. Maria de Servi (Bassi cit, pp. 19, 30). - 221 - venisse adibita solo una parte, mentre il resto poteva essere più profìcuamente impiegato per quelle necessità assistenziali alle quali la Consortia non poteva assolutamente rinunciare. In una supplica rivolta dai priori della Compagnia dei foresteria nel 1485, al doge Paolo Fregoso e al Consiglio degli Anziani21, si fa riferimento a doe cazete poste presso la ecclesia de li Servi a lato della tentoria de Rafaele de Sanguineto, case che erano state costruite con denaro della Compagnia stessa. Nel documento vengono anche citate doe altre cazete, le quale sono poste presso et per contra a la eclesia de li Servi, in la strata e vico mastro, appartenenti anch’esse all’associazione. I priori chiedevano che i quattro edifìci in questione nullo umquam tempore. . . se possino vendere, impegnare, alienare, ne removere dala dicta consortia et compagnia e che al massimo essi potessero essere affittati, ma per periodi non superiori a due anni e solo in particolari situazioni di necessità, quando cioè li compagni de dieta compagnia e consortia bixognaseno de alcuno sufragio per alcuno de dieta compagnia chi fosse malato o ferito e non havesse da sovemr in soa ne-cessitade. Si è voluto ravvisare22 in una delle case predette la sede dell’ospedale, ma non ci sentiamo di condividere tale opinionne, in quanto non si comprende perchè i priori avrebbero permesso di affittare anche lo stesso ospedale, quando, avendo a disposizione almeno altri tre edifici, l’introito da utilizzare per i casi di necessità sarebbe stato più che sufficiente. Passando a esaminare il contenuto degli statuti della Consortia dobbiamo in primo luogo rilevare che essi contengono precise norme che regolavano tutte le attività dell’associazione, dalle disposizioni relative ai diritti e doveri di ogni socio, ai compiti precipui di priori, consegieri, officiali e massari, incaricati di dirigere e amministrare il sodalizio. I vari capitoli rappresentano indubbiamente una succosa fonte di notizie tutte interessanti e curiose, ma qui dovremo necessariamente limitarci ad analizzarne solo alcuni, quelli cioè che hanno un rapporto diretto o indiretto con l’attività ospedaliera. I fondi necessari ai fini assistenziali provenivano, oltre che dalle quote associative, dai lasciti degli affiliati che erano invitati a testare in favore della 21 La supplica è trascritta nel ms. degli statuti della Consortia. 22 C. da Langasco, La consortia cit, p. 18. - 222 - Consortia, come stabiliva il sesto capitolo degli statuti23, tuttavia, questa disposizione non fu sempre scrupolosamente osservata, imperochè tante volte ascaze che li malati com pocha discretione veneno a stare in caza de la consortia e dam grande speiza a la consortia e lasano el suo a parenti o amixi o a chi li piaxe, donde segue grande damno e detrimento a li altri poveri de la consortia (cap. XX). Si era quindi creata una situazione di abuso, per cui i ricoveri prolungati dei soci spesso si risolvevano in un considerevole danno economico per l’associazione. Per ovviare a questa condizione di « impasse » si dovette ordinare che se alcun infermo de la consortia vorà star in caza dela consortia ch’elo sia recevuto benignamenti e sia misso in li leti dela consortia ma prima sia avizato dali officiali dela consortia che lo dicto infermo debia consignare tute le soe cosse in le mani deli officiali de la consortia a so ch’elo posse esse aiuvato deio suo proprio finche ge ne sera e quando el suo mancase alantora sia aiuvato de quello dela consortia (cap. XXI). In questo modo ci si garantiva che la beneficenza andasse realmente ai soci bisognosi e nello stesso tempo si eliminavano dal bilancio passività troppo gravose. La vita dell’ospizio dei foresti seguì parallelamente quella dell’associazione, nella buona e cattiva sorte, condividendo l’iniziale periodo di prosperità e poi il successivo declino, iniziato nel XVI secolo 24. Su questa involuzione, contrariamente alla maggioranza degli altri ospedali cittadini, non ebbe alcun peso l’avvento di Pammatone, in quanto quella dei foresti era una fondazione laica e privata e pertanto non soggetta alle disposizioni della bolla di Sisto IV. 23 Ancora ordenemo noi priori et consegieri che se alcuna persona, soè f orestero dela dicta consortia, morise sensa heredi o sensa fare testamento, tuto quello che elio a’, mobile o possessione et ogni altra cosa, sia tuto della predita consortia per l’anima soa, interi-dandose sempre le predicte cosse concesse sensa preiudicio deio tercio et heredi, li quali in quello caso siano integnuti pagare la spexa facta per le exequie e sepelire quello corpo; et se lo predito necessitozo chi avesse recevuo gratia da la consortia devegnisse in alcuna prospérité, che elio sia integnuo de restituì ogni premio che elio avesse recevuo dalla predicta consortia, e sia fato debitore sur uno libro, e a questa restitution li priori e ofi-ciali debiano essere soliciti. 24 Nel XVI secolo la Consortia era già entrata in un periodo di maggiori ristrettezze economiche, come testimoniano le modifiche apportate agli statuti in quel periodo, tutte improntate a una maggiore austerità e tendenti ad eliminare per quanto possibile ogni spesa giudicata non indispensabile (Bassi cit., p. 20 e sgg.). - 223 - 21. L’ospedale di Santo Stefano L’antica abbazia di S. Stefano ebbe tra le sue proprietà un ospedale, situato al di fuori dell’edifìcio monastico e a una certa distanza da esso. Questo istituto ospedaliero, oltre che col nome di S. Stefano, corrispondente al titulus dedicationis originale, fu conosciuto anche come « ospedale di Ponticello », toponimo derivato dalla zona, presso il Rivotorbido, dove esso sorgeva. Le prime notizie documentarie relative alla presenza dell’ospedale si riferiscono, come vedremo, al 1132 ed è verosimile che la sua fondazione debba essere fatta risalire a tempi non molto anteriori a questa data. Si può ragionevolmente ritenere, infatti, che la sua realizzazione fosse conseguente alle aumentate richieste di assistenza determinatesi con il progressivo incremento demografico del borgo di S. Stefano, che appunto agli inizi del XII secolo aveva assunto una consistenza rilevante D’altra parte è improbabile che l’istituto di Ponticello risalisse all’XI secolo, in quanto la fondazione di ospedali al di fuori delle mura conventuali, da parte di comunità monastiche benedettine, era allora evento del tutto eccezionale che diventò consuetudine solo dopo tale epoca2. Ricordando che i Benedettini si insediarono a S. Stefano nel X secolo e che il monastero era già attivo in quel tempo, rimane da stabilire se i monaci di S. Benedetto, o i loro predecessori eventuali, abbiamo svolto una attività assistenziale di tipo ospedaliero nel periodo antecedente la fondazione della domus di Ponticello. Innanzitutto va ricordato che l’abbazia risale forse ad epoca anteriore al 972, data che tradizionalmente, sulla base delle cronache dello Stella3, veniva attribuita alla sua fondazione. Vi sono, infatti, documenti, peraltro di autenticità dubbia, che ne attesterebbero l’attività già in anni precedenti4. Piuttosto che una costruzione ex novo si sarebbe quindi proceduto all’ampliamento e alla ricostruzione di un istituto già esistente e ciò nell’àmbito di quell’ampia ristrutturazione urbanistica, conseguente alla nuova politica economico-sociale 1 Cfr. sul borgo: M. Staglieno, Il borgo di S. Stefano ai tempi di Colombo, Genova 1881; A. Podestà, Il colle cit.; La Porta di S. Stefano la Braida e la regione degli Archi, Genova 1824; Heers cit. p. 401. 2 Grossi cit. 3 Stella cit., parte li, p. 23: Monasterium Sancti Stephani structum fuit dum Theodolphus erat ianuensis Episcopus. 4 L. T. Belgrano, Cartario genovese.., in ASLi, II, parte I, pp. 14, 15, 17; L. M, p. 144, n. 64. - 224 - nella quale il vescovo Teodolfo mantenne una posizione di primissimo piano5. Non si può pertanto escludere che la direzione del monastero, affidata nel X secolo ai Benedettini6, fosse stata mantenuta in epoca precedente da religiose7 ed è anche possibile che l’istituto abbia ospitato per un certo tempo una comunità mista, maschile e femminile, come non era del resto raro a quel tempo8. Comunque sia l’impronta fondamentale, dal punto di vista ospedaliero, venne data a S. Stefano esclusivamente dai Benedettini, ai quali era imposto dalla regola un costante impegno assistenziale. Per questo carattere peculiare dell’ordine benedettino si può ritenere, con una certa fondatezza, che i monaci abbiano iniziato fin dal loro arrivo l’opera a favore degli infermi e dei pellegrini. Verosimilmente fu il monastero la prima sede dell’ospedale, secondo la consuetudine di adibire locali ad uso di ricovero ospedaliero negli stessi edifici conventuali, consuetudine abbastanza diffusa e che abbiamo visto realizzarsi in molte analoghe istituzioni medievali, quali Montecassino, S. Gallo, Nonantola, ecc.9. Inoltre la stessa ubicazione, extra moenia dell’abbazia, costituiva un punto di riferimento e una tappa d’obbligo per quei viandanti, giunti da levante, in vicinanza della città, che dovevano cercarsi un riparo per attendere al mattino l’apertura della porta di S. Andrea. Il monastero quindi doveva costituire per costoro un sicuro rifugio ed è ovvio che i monaci, in ossequio alla propria regola 10, avrebbero di certo provveduto ad allestire un ricovero. Una delle funzioni fondamentali dell’ospedale medievale veniva così espletata, ma è verosimile che proprio per le loro caratteristiche di preparazione medica, i Benedettini esercitassero ampiamente anche la seconda funzione, ossia la cura degli infermi, secondo le indicazioni lasciate dallo stesso S. Benedetto il quale, nella regola 36 dell’Ordine, aveva stabilito che infirmorum cura ante omnia et super omnia adhibenda est. 5 De Negri cit., p. 201. 6 Per quanto riguarda i Benedettini a Genova, cfr. anche D. Cambiaso, L’anno ecclesiastico cit., p. 261; U. Formentini, Genova nel basso impero e nell'alto medio evo, in « Stor. di Genova dalle origini al tempo nostro », II, Milano 1941, p. Ili; M. LabÒ, San Siro, Genova 1943, p. 23; L. M., p. 144, n. 64. 7 Storia cronologica dell’abbazia e chiesa di S. Stefano, Genova 1776, p. 12. 8 G. Pistarino, Monasteri cittadini genovesi, in « Atti del XXXII Congr. Stor. Subalpino », Pinerolo 1964. 9 Cfr. Penco cit. 10 La regola 53 stabiliva che omnes supervenientes hospites tamquam Christus suscipiantur. - 225 - 15 Dando per scontato che i Benedettini, nel primo periodo del loro insediamento genovese, esercitassero l’attività ospedaliera entro le mura del loro convento, mettendosi al servizio dei viandanti e dei villici che abitavano la campagna, fuori della cinta urbana, è presumibile che col passare del tempo si rendesse necessario approntare nuovi presidi per le sempre più numerose richieste di assistenza da parte degli abitanti delle contrade cittadine limitrofe. Il borgo, che gravitava su S. Stefano, col volgere degli anni andava infatti sempre più incrementando la sua popolazione e con la costruzione della nuova cinta trecentesca venne inglobato nella città, insieme con l’abbazia, pur mantenendo ancora per un lunghissimo tempo la denominazione primitiva di borgo u. Trascorsa la primitiva fase rurale, col tempo si andò accumulando nel borgo una consistente ricchezza che evidentemente doveva poi riflettersi anche sulla chiesa di S. Stefano e sulle sue pie istituzioni e questo ci fornisce una ragione in più per spiegare la enorme quantità di donazioni che nei secoli venne ad accumularsi a beneficio dell’abbazia e dell’ospedale 12. Come abbiamo detto, l’incremento progressivo della popolazione provocò di certo un aumento delle richieste assistenziali e quindi verosimilmente l’antico ospedale monastico si rivelò insufficiente. Per questo motivo e anche, forse, per consentire ai monaci un maggiore isolamento tra le mura del loro convento, si decise di dare vita a un nuovo istituto ospedaliero che, pur essendo al di fuori del monastero, tuttavia, rimanesse sempre nel cuore del borgo. La prima notizia riguardante questo nuovo ospedale a Ponticello risale a un documento del 15 novembre 1132, nel quale si legge . . . insimul cum tota decima de Raveca per terminos a flumine Besagni usque ad mare et per viam que venit a Besagno, ante Sanctum Martinum et ante ospitale Sancti Stephani, usque ad portam civitatis (v. app. n. 967). E’ evidente che in questo caso, aver citato l’ospedale di S. Stefano come preciso punto di riferimento topografico, sta a indicare che esso era in posizione assolutamente indipendente, non certo a breve distanza dalla chiesa omonima. Probabilmente i Benedettini avevano acquistato da tempo edifici nel borgo e avevano 11 La popolazione del borgo era composita e costituita non solo da gente plebea (Giustiniani cit., I, c. XI v.), ma anche da borghesi benestanti, proprietari terrieri e, soprattutto, da artigiani tessili (lanaioli, tintori, ecc.). Accanto alle abitazioni modeste sorgevano quindi quelle più ambiziose e ricche, come ad esempio le case degli Alberighi, poste sul piano di Ponticello, lungo il Rivotorbido (Staglieno cit, p. 3). 12 Cfr. i numerosi atti testamentari i cui regesti sono riportati in appendice. — 226 — \ adibito uno di essi, nell’area di Ponticello, per uso ospedaliero. Il possesso dell ospedale da parte dell’abbazia di S. Stefano venne confermato da una bolla di Alessandro III, del 30 aprile 1181 (v. app. n. 971). Sia il monastero sia l’ospedale di Ponticello si trovavano lungo la via romana la quale, attraversato il Bisagno sul ponte dei 28 archi, costeggiava le falde dell’altura di Multedo, giungendo al Rivotorbido, presso la zona di Oriolo, alla base del colle di Carignano B. Presso Oriolo il torrentello dilatava le sue dimensioni nell’area pianeggiante, detta piano di Rivotorbido, dove era appunto la zona di Ponticello. Tutta questa vasta area territoriale era assai ricca di acque: oltre a quelle di superficie, infatti, dovevano trovarvisi ricche falde, come dimostra la presenza di numerosi pozzi14. Anche l’ospedale di Ponticello aveva il suo pozzo e, a questo proposito, abbiamo notizie che Pisano, conversus et minister hospitalis monasterii sancti Stephani, il 2 novembre 1198 chiese licenza all’abate per poter contrarre un debito di sei lire, estinguibile in due anni, prò proficuo et utilitate predicti hospitalis videlicet in facere puteum in orto quod est prope hospitale iam-dicturn (v. app. n. 986). Ciò non significa evidentemente che l’ospedale fosse stato privo di un pozzo proprio, fino a quel momento, ma piuttosto indica che le necessità idriche erano cresciute e che il vecchio pozzo non era più sufficiente, oppure che il nuovo doveva essere destinato alle irrigazioni agricole, data la sua dislocazione nell’orto presso l’ospedale. Oltre ai pozzi esisteva, presso il monastero di S. Stefano, anche un balneum che era detto de Ristorbio superius (v. app. n. 993) e che era stato donato al monastero stesso da Guglielmo Rataldo verso la fine del XII secolo 15. Il possesso di questo bagno, evidentemente destinato ad uso pubblico, doveva costituire fonte di notevole reddito, come dimostra il fatto che 13 Podestà, Il collie cit., p. 168 e sgg. 14 Tra questi pozzi alcuni avevano di certo dimensioni notevoli, ovviamente destinati ad uso pubblico, come quello citato in documenti del 1120 e 1161 (ibid.), che tro-vavasi in Oriolo, ubi dicitur puteus. Se il pozzo veniva indicato allora come toponimo, la sua importanza e le sue dimensioni devono essere ritenute certamente notevoli. E’ possibile che questo pozzo di Oriolo possa essere identificato, come sostiene il Grosso, con quello portato alla luce da lavori di scavo compiuti nel 1938, tra via Fieschi e via Rivotorbido (0. Grosso, L’antica maiolica genovese e il pozzo di Ponticello, in « Genova », 1939, n. 2, p. 1 e sgg.). 15 Questo bagno fu al centro di una lunga vicenda legale fra l’abbazia e gli eredi del Rataldo, vicenda della quale ci danno notizia atti del 1199, 1203 e 1304 (v. app. nn. 988, 993, 995). - 227 - la moglie del Rataldo, per rinunciare a ogni suo diritto sui proventi, chiese la notevole somma di 210 lire. Non sappiamo se il bagno di S. Stefano fu, o meno, collegato all’ospedale di Ponticello, anche se non è improbabile un legame tra l’una e l’altra fondazione, data l’appartenenza di entrambe all’abbazia e dato l’uso non infrequente di bagni terapeutici negli ospedali, specie in quelli monasticiI6. Della ospedalità genovese nel medioevo, S. Stefano fu una delle espressioni più importanti e più vive per tutta la sua storia conosciuta, che va dalla prima metà del XII secolo al 1474. L’ospedale, posto al centro di un borgo che, come abbiamo detto, andava inurbandosi in modo assai rapido e governato con oculatezza dai Benedettini, cui competeva la nomina dei rettori e la scelta dei procuratori, fu, fin dagli inizi, beneficato da un numero notevole di donazioni, fulcro dello sviluppo dell’istituto. L’edificio in cui si trovava doveva essere di dimensioni considerevoli, composto da numerosi ambienti disposti su due piani, con loggia frontale come ci testimonia l’atto di incorporazione a Pammatone che illustreremo in seguito. La pia istituzione, per la generosità di un cittadino, Antonio di Rossano, nel 1369 venne decorata nella facciata dall’affresco di uno tra i più autorevoli artisti attivi in Genova nel XIV secolo, ossia quel Giovanni da Padova, che risiedette nella città per vari anni nel rione di Portoria !'. Contemporaneo e probabile collaboratore di Giotto, dal quale assorbì tutta l’essenza spirituale del periodo assisiano, Giovanni da Padova improntava la sua opera pittorica ad un delicato cromatismo. L’affresco, che raffigurava la Madonna tra santi e scene della Passione, venne realizzato dal maestro nel pieno della sua maturità, il che ci porta a pensare che quest’opera avrebbe potuto essere inclusa tra i suoi capolavori. Purtroppo il pregevole dipinto andò distrutto pochi lustri più tardi, quando cioè nel 1398, durante una delle più accanite lotte di fazione, i Ghibellini si asserragliarono nell’ospedale e nelle case vicine, trasformando gli edifici in un baluardo di difesa contro i Guelfi, che ne provocarono la rovina, incendiandoliI8. Non sappiamo in quale misura rimanesse danneggiato il complesso ospedaliero, né quando e come fu riparato, tuttavia, nel 1411 l’ospedale doveva essere tornato alla sua piena attività in quanto vediamo citato il suo rettore, lanuinus Gatus patronus 16 Cfr. l’ospedale di S. Gerolamo. 17 F. Alizeri, Notizie dei professori di disegno in Liguria, Genova 1873, II, p. 414 e sgg. 18 Giustiniani cit., IV, c. CLXII v. - 228 - et gubernator, come uno dei più rappresentativi esponenti della ospedalità cittadina, nell’atto del notaio de Compagnono, del 15 maggio di quell’anno, atto nel quale si stabiliva un’intesa di collaborazione tra ospitalari per la tutela di comuni interessi (v. app. n. 1126). Dal punto di vista amministrativo, l’ospedale di Ponticello era diretto da rettori, in genere conversi, ai quali l’abate e il capitolo di S. Stefano concedevano in gestione l’istituto, riservandosene, però, il giuspatronato e quindi in pratica il controllo assoluto. Di questi rettori, succedutisi nei secoli alla guida dell’ospedale, riportiamo ora l’elenco cronologico, desunto per la massima parte dalle fonti d’archivio. 1173 - Guidotto da Bonomello. Un documento del 13 agosto 1173, riguardante una donazione di terre all’ospedale di S. Stefano, riporta, accanto al nome dell’abate Arnaldo, quello di Guidotto da Bonomello il quale, per la formula usata nella stesura dell’atto (per voluntate domini Arnaldi abati ed omnium confratrum suorum et per voluntate Guidoti de Bonomello), può, a buon diritto, essere ritenuto l'ospitalario (v. app. n. 969). 1191 - Frate Damiano. Il suo nome appare in due documenti del 1191 (v. app. nn. 979, 980), nei quali sono indicati anche i nomi dei confratelli Pietro, Giovanni Sardo e Giacomo. Un atto di vendita di terre in Arenzano, dell’anno successivo (v. app. n. 983), fa esplicito riferimento alla sua carica (. .. cum fratre Damiano, magistro hospitalis Sancti Stephani. ..) ed anche qui è confermata la presenza nell’istituto di un certo numero di confratres (Giovanni Sardo, Pugno da Sezario, Giacomo e Rolando), indicati come conversi eiusdem hospitalis. 1198 - Frate Pisano. E’ indicato in un atto del 2 novembre 1198, come conversus et minister (v. app. n. 986) e come ospitalario in un atto del 1203 (v. app. n. 991). 1213 - Guglielmo Cravasecia. Il 20 giugno 1213, in atti riguardanti vendite di terre 19, egli è indicato come ministro dell’ospedale in cui erano presenti anche il priore Giovanni, i preti Guido e Ambrogio e i frati Benedetto e Pisano (quest’ultimo era verosimilmente il precedente rettore, che, esaurito il suo mandato, era tornato, secondo l’uso, nella comunità ospedaliera come semplice gregario). 19 Poch, IV, p. 2. - 229 - Il Cravasecia risulta ancora in carica il 21 ottobre 1216 (v. app. n. 1017). 1222 - Oberto Parasacco. Costui risulta ministro dell’ospedale in atti del 20 aprile e del 17 settembre 1222 (v. app. nn. 1022, 1024), nei quali sono citati anche i nomi dei conversi, Stefano Canef e Bon-giovanni e delle converse Mabilia, Adalasia e Simona, nonché di Giordano procuratore dell’istituto. 1222 - Frate Gerardo. In un atto di locazione di terre, del 2 novembre 1222 (v. app. n. 1025), egli appare succeduto nell’incarico ad Oberto Parasacco tornato tra i conversi); compare poi, qualificato sempre come ministro, in documenti successivi, del 13 dicembre dello stesso anno (v. app. nn. 1026, 1027). 1226 - Frate Enrico. Costui è ricordato quale rettore da una carta del 15 novembre 1226 (v. app. n. 1036), riguardante una locazione di terre in Bisagno. 1248 - Simona. L’Accinelli ricava questo nome da un atto del 1248, nel quale essa è indicata come ministra dell’ospedale20. 1269 - Aloisia. Essa, in qualità di ministra dell’ospedale di S. Stefano, il 13 aprile 1269, concesse in locazione una casa posta fuori Porta S. Andrea (v. app. n. 1062). 1288 - Frate Pietro. La notizia che costui ricopriva la carica di ospitalario si rileva da un documento del 13 agosto 1288, relativo ad una locazione di terre in Morcento effettuata allo stesso rettore da parte del monastero di S. Stefano (v. app. n. 1076). 1295 - Martino Rosso. Un atto del 26 marzo 1295 (v. app. n. 1080), qualifica costui come gubernator hospitalis Sancti Stephani. 1299 - Enrico Vivaldi. Nel 1299 egli successe a Martino Rosso, come dimostra la donazione che Archenda, vedova di quest’ultimo, fece al nuovo rettore dell’ospedale di tutti i beni propri e del defunto marito (v. app. n. 1083). Un atto di locazione di una casa, in borgo S. Stefano, del 26 novembre di quello stesso anno, indica ancora Enrico Vivaldi quale rettore dell’ospedale (v. app. n. 1084). 1302 - Frate Giovanni. Frater lohanne hospitalerius seu sindicus seu procurator rappresentò l’ospedale di S. Stefano in una riunione di ospitalari tenuta il 4 maggio 1302, per la divisione dell’eredità di Gregorio Lungui (v. app. n. 1085). 20 Accinelli, Dizionario cit, p. 636. - 230 - 1303 - Suor Giacomina. Non è certo se essa fu in realtà l’ospitalaria oppure semplice procuratrice dell’ospedale in quanto il documento che la riguarda, del 22 novembre 1303 (v. app. n. 1086), non fornisce alcun chiarimento in proposito, ma indica semplicemente che essa rappresentava il proprio istituto ad una riunione di ospitalari. Nel 1307 (v. app. n. 1087), suor Giacomina insieme con suor Agnese veniva qualificata come guardiana dell’ospedale. 1309 - Frate Amico. Il 24 ottobre 1309 il governo dell’ospedale era affidato a frater Amicus .. preceplor rector et gubernator, il quale, nell’accusare ricevuta di una donazione, conduceva le trattative in proprio e nomine sororum Agnetis et lacobine conversarum dicti hospitalis, uniche residenti nell’istituto (v. app. n. 1090). Frate Amico è ancora citato quale ministro in documenti dell’8 marzo 1311 (v. app. nn. 1091, 1092). 1315 - Frate Cartolino da Domoculta. In alcuni atti del 1315 (v. app. nn. 1098, 1100), figura frate Bertolino da Domoculta che viene indicato come ministro, procuratore e sindaco dell’ospedale di S. Stefano. Da uno di questi atti (v. app. n. 1098), riguardante una locazione, si apprende che la nomina a procuratore di questo ospitalario risaliva al 1310. Bartolinus textor partecipò, con altri ospitalari, nel 1322, alla spartizione dell’eredità di Giovannino de Fornari21, e l’ll maggio dell’anno successivo egli rappresentò, quale ministro, l’ospedale nell’atto di donazione dei beni di Caterina da Casamavari in favore dell’istituto (v. app. n. 1105). 1346 - Bartolino da Montebello. Due documenti, del 14 marzo 1346 e del 18 gennaio 1348, indicano come ministro e ospitalario Bartolino da Montebello22. L’omonimia con il precedente rettore potrebbe suggerire che i due nomi corrispondano in realtà, ad un’unica persona. 1355 - Antonio da Casella. Risulta indicato come converso e rettore dell’ospedale, dal 30 maggio 1355 al 26 marzo 1356 25. Anche negli anni precedenti egli riscuoteva i proventi dell’istituto, evidente- 21 Alizeri, Guida cit., p. 688, L’A. lo indica col nome di Bartolomeus textor. 22 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 350, c. 52 v.\ v. app. n. 1108. 23 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 352, SL, c. 101 r.\ ng. 355, c. 114 r. 24 lbid., ng. 359 C, c. 55 v.\ ng. 360 SL, c. 164 25 lbid., ng. 364, SL, c. 163 ng. 362, C, c. 51 r. - 231 - mente in qualità di procuratore26. In un testamento del 5 agosto 1355 si trova indicato frate Antonio Bonizi, notaio, ministro dell’ospedale di S. Stefano (v. app. n. 1115). Evidentemente i nomi di Antonio Bonizi e di Antonio da Casella corrispondono alla stessa persona27. 1358 - Frate Giovanni da San Silvestro. Da una pergamena del 4 giugno 1358 si rileva che l’abate del monastero di S. Stefano (cum hospitale ... ad presens non habeat rectorem seu hospitalerium) assegnò il rettorato dell’ospedale, in accomenda, a frate Giovannino da San Silvestro, ospitalario di S. Pellegrino (v. app. n. 1116). 1359 - Frate Oberto da Laigueglia. Il rettorato di Giovannino da San Sil- vestro ebbe un carattere transitorio, poiché già il 27 agosto 1359 vediamo insediato al suo posto frate Oberto da Laigueglia (v. app. n. 1117). Costui, di professione sarto, è ancora indicato in un altro documento dello stesso anno, quale procuratore, ministro, governatore e ospitalario dell’ospedale di S. Stefano 28 e nel cartolare C delle Compere egli è ricordato, quale ospitalario, ancora in data 19 dicembre 1360 e 2 marzo 1361 29. 1361 - Gagliardo Ferrando. La sua qualifica ci viene indicata da un atto dell’8 dicembre 1361 (v. app. n. 1119), nel quale Contessina da Busalla, moglie del suddetto rettore, dichiarava di accettare gli impegni derivanti dall’incarico del marito, riservandosi, tuttavia, la proprietà di alcuni beni, che non sarebbero stati quindi soggetti ad una eventuale acquisizione da parte dell’ospedale. Gagliardo Ferrando fu nominato alla direzione dell’istituto, succedendo a Oberto da Laigueglia, deceduto in quello stesso anno 1361, come dimostra un atto del 29 gennaio 1362 (v. app. n. 1120), relativo al recupero dell’eredità del defunto rettore. In questo atto è indicato che il testamento era stato rogato nel 1361, quando Oberto 26 Ibid., ng. 360, SL, c. 164 v. 27 A.S.G, Arch. Segr., ng. 513, doe. 373; nel saggio di L. Katuskina (Il libro dei contratti del notaio Antonio Bonizi da Verrucola Bosi, in ASLi, ns. Vili, fase. I, p. Ili e sgg.) non risulta l’attività genovese del Bonizi. 28 V. app. n. 1118. In questo documento, che tratta la concessione in enfiteusi perpetua di case e terreni di proprietà dell’ospedale, va rilevato che il contratto viene stipulato col consenso dell’abate Uberto, e ciò dimostra il giuspatronato mantenuto dall’abbazia nei confronti dell’istituto ospedaliero. 29 A.S.G, Comp. e Mutui, ng. 371, Cart. C, c. 27 r. - 232 - da Laigueglia era ancora ospitalario. Gagliardo Ferrando rimase al governo dell’ospedale per alcuni anni, come testimoniano documenti del 1363 (v. app. n. 1121), 1367 e 1368 ». 1373 - Frate Simone Negrino. In una carta del 9 febbraio 1374, in cui compare come teste, egli viene qualificato magister bospitalerius hospitalis Sancti Stephani Ianuensis (v. app. n. 1122). La sua carica ci viene anche confermata dal cartolare C delle Compere, relativo agli anni 1373, 1374 31, dal quale si apprende anche che in quegli stessi anni, oltre all’ospitalario Simone, erano deputati a riscuotere i proventi, sui luoghi iscritti a nome dell’ospedale, il fabbro Nicola di Domenico e Rossina, moglie di Pietro da Novara. 1376 - Frate Giovannino. Fra i testi di un atto, del 18 gennaio 1376, è citato frater lohanninus minister bospitalerius hospitalis Sancti Stephani (v. app. n. 1123). 1383 - Frate Simone Negrino. Ritornò alla direzione dell’ospedale, come dimostra un atto del 17 dicembre 1383, nel quale egli, insieme con altri rettori di ospedali genovesi, riscuoteva l’eredità di Giuliano Alterisio di Bisagno (v. app. n. 1125). Nel cartolare C delle Compere egli è ancora ricordato quale ospitalario negli anni 1384 e 1385 32. 1405 - Urso da Buonmercato. Una annotazione, datata 14 febbraio 1405, nel cartolare C delle Compere33 indica Urso da Buonmercato quale procuratore e governatore dell’ospedale. 1406 - Frate Benedetto. In data 23 marzo 1406 riscuoteva i proventi del deposito di lire 272 e soldi 10, per l’ospedale di S. Stefano, Benedictus bospitalerius dicti hospitalis34. 1408 - Urso da Buonmercato. Lo troviamo nuovamente indicato, nel periodo che va dal 1408 al 1410, nei cartolari delle Compere, dai quali 30 lbid., ng. 379, c. 53 r. 31 lbid., ng. 22, c. 28 v.\ ng. 388, c. 52; ng. 471 c. 49 v. 32 lbid., ng. 31, c. 29 v.; ng. 32, c. 33 r. 33 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 478, c. 50 v. (anno 1408). 34 lbid., ng. 471, c. 49 v. Il termine di ospitalario, in questo caso può essere interpretato sia come sinonimo di rettore (e quindi dovremmo ritenere che Benedetto abbia sostituito temporaneamente il rettore Urso, che ritroveremo in carica poco dopo) sia come termine indicativo di semplice appartenenza all’ospedale, fatto non raro negli ospedali monastici (cfr. S. Antonio), nel qual caso in frate Benedetto potrebbe essere ravvisato solo il procuratore dell’istituto. - 233 - si apprende anche che nello stesso periodo riscuoteva i proventi sui luoghi, depositati a nome dell’ospedale, Limbania, moglie dello stesso Urso35. 1411 - lontano Gatto. Ricopriva la carica di «patrono e governatore» dell’ospedale di S. Stefano, nel maggio del 1411, come si apprende da una carta del notaio de Compagnono (v. app. n. 1126), riguardante l’elezione, da parte degli ospitalari genovesi, di due rappresentanti che potessero curare gli interessi comuni. In questa occasione venne appunto eletto Ianuino Gatto, unitamente al precettore di S. Lazzaro, prete Gerardo da Parma. Sempre nel 1411, la funzione di procuratore dell’ospedale era svolta da Bartolomeo da Porto36. 1423 - Raffaele dell’Olivello. Rappresentava l’ospedale, forse in veste di procuratore, in occasione della riscossione della quota spettante all’ospedale, proveniente dal lascito di Manfredina Stella, di Chiavari 37. 1424 - Giovanna Noce. Come il precedente essa espletava probabilmente solo funzioni di procura, in quanto la troviamo citata, senza alcuna qualifica, nel cartolare C delle Compere, il 22 marzo 1424 38. 1426 - Luca da Perugia. Da una annotazione del 20 marzo 1426 39 si rileva che Nicola Costaguta riscuoteva la quota di interessi spettanti all’ospedale, de mandato Luce de Perusia hospitalerii dicti hospitalis. 1428 - Sergio Ansaldo. E’ ricordato, senza alcuna specificazione riguardante la qualifica, nel cartolare C delle Compere, nell’anno 1428 40. 1430 - Prete Leonardo de Pacano. Come il precedente, è indicato senza qualifiche, nello stesso cartolare, il 3 ottobre 1430 41. 1435 - Leone da Padova. In data 14 ottobre 1435 42, egli è ricordato come ospitalario dell’ospedale di S. Stefano. 1443 - Adamo Gambaro, figlio di Cristoforo. Fu governatore dell’ospedale, 35 Ibid., ng. 478, c. 50 p.; ng. 484, c. 27 v. 36 Ibid., ng. 484, c. 27 v. v Ibid., ng. 508, Cart. S, c. 104 v. (anno 1422). 38 Ibid., ng. 509, Cart. C, c. 46 r. 39 Ibid., ng. 513, c. 44 r. « Ibid., ng. 519, c. 41 r. “i Ibid., ng. 524, c. 40 r. « Ibid., ng. 531, Cart. C. PL, c. 36 v. - 234 - come risulta da carte del 2 agosto 1443 43, del 21 marzo 1447 44 e del 1° settembre 1448 45. 1452 - Dondo da Uscio. Diresse l’ospedale per alcuni anni e memorie del suo rettorato si hanno in un’annotazione del 26 giugno 1452, nel cartolare PS delle Compere45. 1469 - Paolo da Uscio. Successe al padre, Dondo, nella direzione dell’ospedale di Ponticello, come si apprende da alcuni atti di locazione di case e terreni, di proprietà dell’ospedale stesso, rogati negli anni 1469 e 1472 (v. app. nn. 1130, 1131, 1132, 1133). 1472 - Battistina. Moglie di Paolo da Uscio, resse l’ospedale, dopo la morte del marito, per alcuni mesi (v. app. nn. 1134, 1135). 1472 - Gaspare Pizzorno. Fu l’ultimo rettore dell’ospedale di S. Stefano. Di professione speziale47, assunse la carica nel luglio del 1472 (v. app. n. 1135) rimanendovi fino all’incorporazione dell’istituto a Pammatone (v. app. n. 1136), avvenuta nel 1474. Dall’elenco cronologico riportato si ricavano notizie riguardanti non solo i rettori, ma anche il personale che formava l’organico dell’istituto e va rilevato, a questo proposito, come la partecipazione femminile appaia abbastanza frequentemente nelle vicende storiche di questo ospedale. Non pochi documenti attestano questo particolare, nel XIII e nel XIV secolo, anche se è probabile che i primi esempi risalgano ad epoca ben antecedente, tenendo presente che nell’abbazia le monache erano insediate forse già dai primordi48. Tuttavia, come abbiamo detto, la carenza di fonti d’epoca non ci consente di confermare la presenza di monache a S. Stefano e una loro eventuale attività ospedaliera, anche se è probabile che esse si dedicassero ad attività assistenziali, rivolte in particolare alla cura di donne e di fanciulli. Nel XIII secolo si osservava invece una consistente presenza dell’elemento femminile nell’ospedale. In questo periodo, però, dobbiamo ricordare che non si tratta di monache vere e proprie, ma solo di converse, donate o red- 43 lbid., ng. 540, c. 31 v. « lbid., ng. 544, c. 34 r. 45 lbid., ng. 541, c. 29 v. (anno 1444). 46 lbid., ng. 820, c. 83 r. 47 Carpaneto da Langasco, Pammatone cit., p. 38. 48 Belgrano, Cartario cit., p. 15. In un documento del 969 è citata la badessa Serra, del monastero di S. Stefano. - 235 - dite, legate all’istituto da voti incompleti, come ci attestano alcuni atti notarili, quale, ad esempio, quello del 17 settembe 1222, del notaio Salmone (v. app. n. 1024), ove sono citate, tra i conversi, le sorores Mabilia, Adalasia et Simona, e il testamento di Adelasia, del 26 aprile 1225 (v. app. n. 1028), nel quale è un legato cuique conversarum hospitalis Sancti Stephani49. I compiti di queste benemerite dovevano essere analoghi a quelli degli altri conversi, ma ovviamente indirizzati, in modo specifico, verso mansioni più tipicamente femminili, come la cura della cucina, della biancheria e dei locali. Anche dal punto di vista assistenziale la loro attività doveva essere rivolta, naturalmente, verso le inferme, le donne bisognose e l’nfanzia abbandonata, per la quale ultima, l’ospedale ebbe sempre una particolare cura. E’ presumibile che vi fosse una sezione femminie indipendente, data anche la particolare capienza di questo, che tra gli ospedali medievali genovesi fu certamente uno dei più ampi. Le rappresentanti femminili non furono, però, adibite soltanto a mansioni secondarie e ad un ruolo in sottordine, ma, in alcuni momenti della storia del pio istituto, esse poterono raggiungere i vertici deH’amministrazione stessa. Ricordiamo, a questo proposito, le già citate Simona, ministra nel 1248, Aloisia, rettrice nel 1269, e Battistina, moglie del rettore Paolo da Uscio, che alla morte del marito, nel 1472, assunse per un certo tempo la direzione dell’istituto (ipsum hospitale rexit et gubernabit - v. app. n. 1135), sostituendo anche per alcuni mesi il successivo rettore, Gaspare Pizzorno. Costui, dopo la sua elezione, riconobbe che Battistina curam, gubernationem et administrationem bene et diligenter gérait et exercuit prout etiam gerit et exercet de presenti nomine et vice ac de voluntate eiusdem Gasparis... e che, inoltre, il governo dell’ospedale era costato a Battistina multos labores et expensas, per cui egli consentì che la vedova del suo predecessore ed i suoi figli rimanessero ad abitare nell’ospedale e lo coadiuvassero nella conduzione dello stesso (v. app. n. 1134). Nel 1303 la conversa Giacomina rappresentava l’ospedale di S. Stefano per la riscossione dell’eredità del defunto canonico Giovannino detto Cardinale (v. app. n. 1086), ma non sappiamo se svolgesse tale incarico in veste di semplice procuratrice o se in realtà avesse la direzione dell’istituto. Essa viene qualificata, insieme alla consorella Agnese, come «guardiana» dell’ospedale da un documento del 1307 (v. app. n. 1087) e tale termine può far inten- 49 All’abbazia di S. Stefano affluivano spesso donne che desideravano abbandonare la vita secolare e ritirarsi per il resto dei loro giorni nel monastero, al quale facevano dono delle proprie sostanze. Vediamo, ad esempio, la richiesta di Rosa da Gavi, vedova di Pietro d’Alba, del 2 gennaio 1277 (Bibl. Naz. di Parigi, Lat. 9256, doc. 74). - 236 - dere, per le due converse, un incarico di responsabilità, ma potrebbe anche significare che esse erano le sole residenti nell’istituto, come, d’altra parte, sembra confermare un documento del 24 ottobre 1309 (v. app. n. 1090). Le donne potevano quindi raggiungere i vertici dell’amministrazione ospedaliera, ma non va peraltro dimenticato che questi casi rappresentavano in S. Stefano un evento non molto frequente. Tra i compiti del personale femminile vi era, come è noto, quello di occuparsi degli esposti che affluivano alle porte della domus di Ponticello o a quelle del monastero, affidati alla carità benedettina. Abbiamo prima ricordato come l’ospedale di S. Stefano dedicasse particolare cura all’assistenza dell’infanzia abbandonata, opera meritoria alla quale si dedicavano anche altri istituti genovesi, come S. Lorenzo, S. Francesco, S. Maria delle Vigne, ecc. Ci comprova questa attività assistenziale un testamento del 18 gennaio 1348 col quale Ginevra, del fu Pietro Vernengo, lasciava un fiorino d’oro al primo nato nell’ospedale, e tre fiorini ad un certo Domenichino, trovatello dello stesso ospedale (v. app. n. 1108). Il legato a favore del primo nato, ci indica anche la presenza nell’istituto di partorienti che evidentemente appartenevano ad una categoria di sventurate, prive di ogni appoggio e spesso anche di un tetto. La cura degli esposti viene ancora confermata dal già citato atto del 31 dicembre 1473, nel quale si fa espresso riferimento alle cure pauperum et puerorum expositiciorum aliarumque miserabilium personarum in dicto hospitali degentium et ad illud confluentium (v. app. n. 1134). Sono qui riassunte le funzioni assistenziali dell’istituto, rivolte ai poveri, agli esposti ed alle persone miserabili bisognose di aiuto. Non è fatto invece esplicito riferimento agli infermi, ma alla loro cura l’ospedale di S. Stefano dedicò sempre gran parte della propria attività, come ci dimostrano documenti di varie epoche. Basti ricordare, a questo scopo, il lascito di 15 soldi, per linciolh infirmorum, nel testamento di Adalasia, del 26 settembre 1204 (v. app. n. 994), la vendita, da parte dell’ospedale, di un edificio, per la somma di 20 lire, necessaria all’acquisto di lenzuola per i malati (v. app. n. 1013), nonché i legati indirizzati agli infermi dell’ospedale contenuti nel testamento di Guglielmo de Mari, del 18 marzo 1248 (v. app. n. 1051), e in quello di Pasquale da San Siro, del 20 marzo 1309 (v. app. n. 1089). Numerosissimi lasciti testamentari, dal XII al XV secolo, ci testimoniano l’alta considerazione che i genovesi dimostrarono sempre per questo ospedale50. La grandissima maggioranza di tali lasciti si aggirava sulla cifra 50 Cfr. la lunga serie di legati a favore dell’ospedale, riportata in appendice, ove si trovano lasciti di varia natura, parte dei quali era costituita da proprietà immobiliari. - 237 - di cinque - dieci soldi, e ciò per un amplissimo arco di tempo, che va dal 1160 alla prima metà del XV secolo. Naturalmente vi erano lasciti sporadici di cifre notevolmente superiori, come ad esempio quello di 100 lire del noto testamento di Giordano Richerio, del 17 ottobre 1198 (v. app. n. 985) e quello di 120 lire di Caterina da Casamavari (v. app. n. 1105). Alcune donazioni si riferivano poi a oggetti di uso comune, principalmente attinenti al corredo dei letti, come si può osservare nel testamento di Berta Galla, del 23 agosto 1216 (v. app. n. 1015), dove oltre ad un lascito in denaro, ne figura uno consistente in un cuscino e una coperta e nella donazione inter vivos di Giovannetta Picheneta (v. app. n. 1027) di unam culcitram et unum così-num et unum saconum. Altri, come abbiamo detto, beneficavano l’ospedale con proprietà immobiliari come, ad esempio, Archenda, vedova del rettore Martino Rosso, che donò omnia sua bona mobilia et immobilia 51, e Fulcone Reflato e sua moglie Anna, che il 13 agosto 1173 cedettero tutti i loro beni in cambio della ospitalità e del mantenimento a vita nell’ospedale (v. app. n. 969). Quest’ultimo documento ci conferma il costume abbastanza diffuso in età medievale di fare donazioni dei propri beni ad un istituto ospedaliero, in cambio di una sorta di pensione che assicurasse protezione, alloggio e vitto, al fine di trascorrere una serena vecchiaia32. Questo tipo di contratto, che abbiamo visto attuarsi anche in altri ospedali genovesi, veniva stipulato in genere da coppie di coniugi maturi. I lasciti di case e terreni, a favore dell’ospedale, furono sempre assai numerosi, e l’istituto raggiunse fin dal XII secolo una considerevole floridezza economica, basata essenzialmente proprio su cospicue proprietà fondiarie e immobiliari in genere. Questa consistenza patrimoniale, che pone l’ospedale di S. Stefano ai primissimi posti tra gli istituti genovesi, ci viene testimoniata da numerosi atti relativi a compravendita di terreni e di stabili, oltre che dalle locazioni di queste proprietà. I beni immobiliari erano situati topograficamente per la maggior parte nello stesso borgo di S. Stefano, ma molti di essi si trovavano in località diverse, come la Valbisagno (v. app. n. 997), Rapallo (v. app. n. 1010), Staglieno (v. app. n. 969) o Arenzano (v. app. n. 983). Come abbiamo detto, nel borgo di S. Stefano e nelle sue immediate adiacenze le proprietà erano ancor più consistenti: vi erano edifici e terre in Morcento (v. app. n. 1076), in Rivotorbido (v. app. n. 979) e nel borgo 51 Poch cit., II, p. 24; v. app. n. 1083. 52 Imbert, Les hôpitaux cit, p. 281, - 238 - stesso vi erano case (v. app. nn. 1121, 1130) e terre (v. app. n. 1132), molte delle quali presso l’ospedale medesimo (v. app. n. 1133). Alcune case erano di proporzioni ragguardevoli e di valore rilevante, trattandosi di edifici a due piani con seminterrati adibiti a negozi (v. app. n. 1131). Riguardo ancora alla situazione patrimoniale dell’ospedale, dobbiamo segnalare che il cartolare C delle Compere e il cartolare B delle Colonne, riportano depositi di varia entità, da 100 fino ad oltre 1000 lire, iscritti a nome dell’istituto. L’ospedale divenne ben presto uno dei principali della città, e la sua capacita ricettiva fu, senza dubbio, tra le più elevate, tenendo conto della ampiezza dell’edificio, articolato su due piani (v. app. n. 1136), e delle sue disponibilità finanziarie. A titolo di esempio, vogliamo ricordare che il 10 marzo 1216 (v. app. n. 1013), si spesero ben 20 lire per l’acquisto di lenzuola, ad uso degli infermi. Questa cifra, considerevole a quel tempo, se si pensa che con 10 lire si acquistavano due buoni letti, completi di corredo, ci dimostra che la presenza di ricoverati nell’istituto doveva essere costantemente elevata e che probabilmente il numero dei letti era ben superiore alle dodici unità, che rappresentavano la media usuale degli ospedali del tempo. S. Stefano può essere considerato un ospedale monastico nel senso pieno del termine soltanto per quanto concerne i primordi della sua attività, e cioè allorché esso era probabilmente ancora ubicato entro le mura della abbazia, ed anche per quanto riguarda le origini della successiva fondazione di Ponticello. Questa però venne poi progressivamente ad acquisire una certa indipendenza dal monastero, costituendosi un proprio patrimonio, governato da rettori non appartenenti all’ordine benedettino. Indubbiamente questa indipendenza non fu mai completa ed i legami con l’abbazia rimasero sempre ben saldi, tanto è vero che da essa dipesero sempre le nomine dei rettori e dei procuratori (v. app. n. 1116). Ospedale quindi non più monastico, ma che potremmo definire di dipendenza monastica, come d’altronde divennero la maggioranza delle fondazioni soggette alle grandi abbazie, dal XIII secolo in poi53. Il patronato del monastero si mantenne, in pratica, per tutta la durata dell’esistenza dell’ospedale, fino all’epoca della sua incorporazione a Pammatone; si legge, infatti, in un documento del 1° febbraio 1469 : Paolus de Ussio filius Dondi bospitalerius et rector hospitalis pauperum Pon- 53 A Genova la stessa situazione si verificò in altri ospedali dipendenti da monasteri, come ad esempio Capo di Faro, S. Benedetto, ecc. - 239 - ticelli quod a monasterio Sancti Stephani ordinis Sancti Benedicti Ianue dependet (v. app. n. 1130). La bolla di Sisto IV determinò, come per molti altri istituti ospedalieri, anche la soppressione di S. Stefano, che con tutti i suoi beni, venne incorporato al nuovo grande ospedale di Pammatone. Tuttavia, le disposizioni di incorporazione non furono da tutti osservate sollecitamente, e Sisto IV dovette intervenire nuovamente, rivolgendo una diffida a coloro che non avevano seguito il suo precedente ordine. Il papa, il 1° marzo 1474 (v. app. n. 1136), invitò Bernardo de Franchi, canonico della cattedrale, a far rispettare quanto stabilito nella sua bolla e, nel caso se ne rendesse necessario, ad agire anche in modo drastico (si opus fuerit auxilio brachii secularis) nei confronti di coloro che vi si opponevano. Tra costoro stavano evidentemente i responsabili dell’ospedale di S. Stefano, i quali sembravano essere i più accaniti oppositori, dato che lo stesso papa indicava tra gli istituti da perseguire, precipue hospitale abbatie Sancti Stephani. Subito dopo, il 31 marzo, si procedette all’atto di incorporazione, redatto dal notaio de Cairo (v. app. n. 1136). Da questo documento si apprende che uno dei «protettori» di Pammatone, il patrizio Giovanni Giustiniani, nominato sindaco e procuratore, prese possesso dell’ospedale, cum omnibus et singulis fructibus redditibus et proventibus iuribus et pertinentiis suis omnibusque aliis bonis ad hospitale pertinentibus, allontanandone, sub excomunicationis pena, il rettore Pizzorno e Battistina, la vedova di Paolo da Uscio, abitanti nell’ospedale, insieme a tutti gli altri, tam clericos quam laicos dictum hospitale detinentes habitantes et occupantes. Costoro avevano cercato di resistere all’allontana-mento dall’ospedale, tanto che una lettera monitoria di alcuni giorni prima (18 marzo) non aveva avuto esito. Comunque, i protettori di Pammatone, dopo che il notaio ebbe letto le lettere apostoliche e monitorie, sotto il portico dell’ospedale stesso, violenter et potenti manu, fecero aprire la porta, prendendo così possesso dell’istituto. In quella circostanza il Pizzorno era assente e, dall’ospedale, vennero espulsi Battistina, che occupava una camera al piano superiore (camera habente scalas sub porticum) e frate Giovanni da Ceva, converso e terziario francescano, anch’egli abitante al piano superiore; al piano inferiore si trovava invece Ambrosina, moglie di Cazino Malieto di Provenza, nutrice degli esposti (pro nutriendis expositiciis in ipso hospitale retentis). Si procedette quindi all’inventario dei locali (cameras salam sive caminatam) e del loro contenuto, dopo aver provveduto a dimettere quasdam mulieres infirmas in quod lectulo iacentes. Il sopralluogo fu esteso anche alla volta, - 240 - dalla parte del carrubeo contiguo alle case di Costantino e Simone da Castronovo, usata dal detto fra’ Giovanni per tenervi « i saponi » ed al solarium, dove abitava Domenico de Oneto e anche di questi vani i protettori presero possesso. Dall’inventario risultano al piano inferiore, torcularia tria, straponta una, cossini duo, sclavine due, bancale unum vetus, aliud bancale tum: in alia camera bancheta una de quatuor pedibus. In parte superiori in quadam camera versus carrubeum rectum: torcular unum, copertorium unum parvum vetus, strapontinum unum vetus, oregerium unum tale quale, tabu-leta una prò mensa cum duobus tripodibus, banchete due veteres, banchale-tum unum tale quale prope lectum, armarium unum ligni. In alia camera versus alium carrubeum qua erat clausa: banchale unum intersiatum ... ex latebra sive rimula ostii visum, tantum. In coquìna stagnetum unum Ugni tale quale, scala una pro brachiis seu portatilis. In sala dicti hospitalis bancha una grossa talis qualis, et sponda unius torcularis ... Come si vede, la dotazione dell’ospedale, era ridotta ormai a pochi letti e a scarsi mobili e suppellettili, segno evidente della grave decadenza di questa istituzione, così fiorente nel passato. Con l’incorporazione a Pammatone si chiuse ormai definitivamente il capitolo relativo alla lunga attività dell’ospedale di S. Stefano, che rimase in uno stato di penoso abbandono. Dei vari locali, annota infatti l’Anselmi 5?, l’Ospedal Grande utilizzò una sola stanza, e non si sa bene per quale fun-zione. Rimase comunque ancora per un certo tempo nel linguaggio popolare l’indicazione toponimica di « ospedale », relativa ad alcuni edifici vicini alla vetusta costruzione, fino a quando non se ne decise la demolizione, al fine di dare maggiore spazio al mercato pubblico che già da tempo si era stabilito nella zona. I Padri del Comune, infatti, con decreto del 4 febbraio 1527, ordinarono la demolizione di tute quelle caze site nel ponticello del borgo di sancto Stephano vocate hospitale a fine di ruinar e destruere quelle e li instruere e fabricare una piada ampla e spatiosa ni non poca helesa de la presente cita et ni non poco comodo e del publico e de tuta la vicinansa di esso hospitale56. 54 II sapone, che già Plinio, come è noto, ricordava quale invenzione dei Galli, non era, nel medioevo, usato per l’igiene personale, anche se a Marsiglia, già nell’XI secolo, vi era una prospera industria saponifera, industria che poi fiorì a Venezia nel XV secolo e a Genova nel XVII (A. Pazzini, La medicina cit., p. 439 e sgg.). 55 Anselmi cit., p. 268. 56 Podestà, Il colle cit., p. 172. - 241 - 16 L’antico edificio ospedaliero, ubicato tra via Rivotorbido e via Porta degli Archi, secondo l’opinione dello Staglieno57, si sarebbe, tuttavia, mantenuto pressoché integro fino alla seconda metà del secolo scorso, conservando il suo « porticato grandioso a sesto acuto ed aspetto di edificio destinato ad uso pubblico ». 22. L’ospedale di San Pellegrino L’ospedale di S. Pellegrino trae il suo nome dal volgarizzamento della dedica originale ad Sanctos Peregrinos. La tradizione popolare idealizzò sensibilmente la figura dei santi pellegrini, Nazario e Celso, dedicando loro un culto profondamente sentito, che si mantenne vivo per secoli e del quale sono prove tangibili le numerose chiese sorte in loro nome a Genova e lungo le rivierel. Una di queste (in realtà, più che di una chiesa vera e propria, si trattava soltanto di un piccolo oratorio) fu costruita presso l’abbazia di S. Stefano e venne a trovarsi, all’epoca della costruzione della cinta muraria del XIV secolo, in tutta vicinanza della Porta dell’Arco, ed era ancora presente nel XVI secolo, quando il Giustiniani scriveva i suoi « Annali ». In essi si legge, infatti, a proposito del borgo di Bisagno: « Et nel principio del borgo,, dove si divide la via, è un piccolo oratorio nominato ad sanctos peregrinos, che fu il primo alogiamento di SS. Nazaro et Celso, quando assai presto doppo la passione del Salvatore vennero a predicare la fede in Christo alla Qttà di 57 Staglieno dt, p. 12. 1 Testimonianze di questa tradizione culturale sono riportate dagli annalisti e dai vari storici genovesi, da Iacopo da Varagine a Giorgio Stella, dal Giustiniani allo Schiaffino, al Giscardi, al Foglietta, ecc. Le chiese dedicate ad sanctos Peregrinos furono a Gtr nova più d’una: oltre alla principale, sorta in Albaro, ve ne era una presso il molo, ritenuta tra le più antiche della città, che col tempo mutò il nome in quello di S. Maria della Grazie, una terza, infine, venne costruita presso S. Stefano. Inoltre, una cappella dedicata a S. Pellegrino fu costruita nel 1224 da Giovanni da Promontorio, fuori della porta dell’Acquasola. Tale cappella venne demolita nel 1268 (Schiaffino, Annali eccl. cit, p. 427) e il De Simoni (Le chiese di Genova cit, vol. I, p. 251), la indica come la prima chiesa assegnata alle Domenicane, le quali, dopo gli ampliamenti compiuti nel 1268, ne mutarono il titolo dedicatorio in SS. Giacomo e Filippo. - 242 - Genoa »2. Il culto dei santi, come abbiamo già detto, si mantenne qui vivo per secoli, come ci conferma lo stesso Giustiniani, il quale sostiene che ai suoi tempi in quell’oratorio vi era ancora « una certa divozione ». Non abbiamo notizie relative alla gestione di questo istituto, ma è presumibile che esso fosse alle dipendenze di S. Stefano, data la vicinanza con quell’abbazia e anche in considerazione che essa aveva giurisdizione sulla chiesa dei SS. Nazaro e Celso di Albaro, già alla fine del del X secolo3. L’ospedale detto di S. Pellegrino, era verosimilmente annesso al predetto oratorio, dato che gli scarsi documenti che ne attestano l’esistenza lo indicano ubicato fuori le mura e presso la Porta dell’Arco. Oltre alla coincidenza topografica, va ancora considerato che oratorio e ospedale avevano lo stesso titolo dedicatorio ed erano entrambi, presumibilmente, dipendenti dall’abbazia di S. Stefano. Per questi motivi si può ragionevolmente sostenere la coesistenza dei due istituti in un unico complesso (chiesa-ospedale), tipico della tradizione ospedaliera medievale. La scarsezza delle fonti documentarie non ci permette, purtroppo, di avere notizie esaurienti sulla vita di questo ospizio, del quale, tuttavia, è possibile tratteggiare alcuni caratteri peculiari, sulla base dei pochi documenti reperiti. La prima notizia sull’ospedale la possiamo ricavare da un atto del notaio Ambrogio da Rapallo, datato 22 novembre 1303 (v. app. n. 1137), relativo al recupero di una eredità, nel quale, insieme con altri ospitalari, viene nominato frater Rollandus Sancti Peregrini. Altri documenti che ricordano l’ospedale risalgono al 1348, come il testamento di Franceschina da Passano, del 7 marzo (v. app. n. 1139), nel quale si trova un lascito di unam strapon-tam, unum copertorium, duo lenteamina et unum oregerium, per Ybospitale Sancti Peregrini extra portam Sancti Stephani, e il testamento di Giovanni da Cremona, del 22 febbraio (v. app. n. 1138), che contiene un legato di ben 20 lire infirmis hospitalis Sancti Peregrini. Quest’ultimo documento è l’unico che fornisca una indicazione relativa a malati ricoverati, e questo fatto suggerisce alcune considerazioni interpretative, e, infatti, da un lato, si potrebbe essere autorizzati a ritenere l’ospedale destinato non soltanto ad ospitare viandanti, ma adibito invece ad una più completa opera assistenziale, va, d’altro canto, tenuto presente che il testamento in oggetto era stato redatto nell’anno della grande epidemia di peste, in un momento, cioè, in cui il moltiplicarsi dei malati rendeva necessaria l’utilizzazione di ogni possibile sede 2 Giustiniani cit., I, c. XV r. 3 Belgrano, Cartario cit., II, parte II, p. 27, doc. XIV. - 243 - di ricovero, per cui la presenza di infermi in S. Pellegrino potrebbe essere stata soltanto temporanea. In una pergamena dell’abbazia di S. Stefano, datata 4 giugno 1358 (v. app., n. 1140), si trova indicato frate Giovannino da S. Silvestro, calzolaio, come ospitalario di S. Pellegrino. Il documento, relativo alla concessione in accomandita, allo stesso Giovannino, dell’ospedale di S. Stefano, a quel tempo vacante, contiene anche l’indicazione della dipendenza dell’ospedale di S. Pellegrino dalla stessa abbazia. Si legge, infatti, che l’incarico veniva affidato dai monaci fratri lohannino de Sancto Silvestro calegario hospita-lario similiter eorum hospitalis Sancti Peregrini de Bissamne e l’indicazione similiter eorum hospitalis ci sembra chiaramente esprimere l’appartenenza all’abbazia anche di questo ospedale. Dell’ospizio di S. Pellegrino abbiamo ancora notizie relative al XV secolo: il 25 gennaio 1401 (v. app. n. 1141) esso era rappresentato da Biatasia de Novis che, insieme con altri ospitalari genovesi, eleggeva quali procuratori comuni Leonardo da Chiavari, di S. Maria di Castello, Antonio da Bargone, dei SS. Crispino e Crispiniano, e Pietro Lombardo, di Capo di Faro. Infine nel documento rogato dal de Compagno-no, il 15 maggio 1411 (v. app. n. 1142), tra gli altri rettori e procuratori di ospedali cittadini, è citata Isabella de Tabia hospitalaria hospitalis Sancti Pelegrini extra muros lame. Il piccolo ospedale di S. Pellegrino concluse verosimilmente la propria attività assistenziale prima del periodo delle incorporazioni a Pammatone, infatti il suo nome non compare nell’elenco di quelli espropriati in conseguenza della bolla di Sisto IV (mentre vi compare quello di S. Stefano) 4, né, d’altra parte, abbiamo trovato alcun cenno di esso nei cartolari delle Colonne di S. Giorgio consultati, cartolari che conservano invece per tutto il XV e XVI secolo l’iscrizione di depositi a nome di numerosi ospedali, anche di quelli già incorporati a Pammatone. 23. L’ospedale di Misericordia Assai scarse sono le notizie riguardanti l’esistenza di questo ospedale e, in gran parte, esse derivano da quattro documenti della prima metà del XIV secolo. Il primo di questi, datato 26 gennaio 1314 (v. app. n. 1143), ci for- 4 Anselmi cit, p. 267. - 244 - nisce il nome del rettore che era in carica a quel tempo: frate Leone, che nel-1 atto appare in qualità di teste, è appunto indicato bospitalerius hospitalis de Misericordia. Lo stesso rettore viene ricordato, due anni più tardi, nel testamento di Giovanna, vedova di Lanfranco Celione, da Triora (v. app. n. 1144), la quale, oltre ad esprimere la volontà di essere sepolta presso la chiesa di S. Stefano, destinava la somma di 40 soldi a frate Leone, ministro dell ospedale di Misericordia. Anche nel testamento del laniere Gerardo da Valditaro, del 14 giugno 1320 (v. app. n. 1145), si trova un lascito di 20 soldi destinato alPospedale di Misericordia, che viene localizzato nelle vicinanze della chiesa di S. Stefano. Infine ricordiamo che Franceschina, figlia del fu Gerardo da Santo Stefano, il 21 maggio 1344 (v. app. n. 1146) destinò, in eredità, tutti i suoi beni mobili e immobili in favore dell’ospedale di Misericordia, situato presso l’arco di S. Stefano. Sembra quindi accertata la presenza di questo ospedale e la sua ubicazione nei pressi della Porta di S. Stefano, che venne eretta, come è noto, con la nuova cinta muraria iniziata nel 1320. Nei primi due testamenti (1316 e 1320), infatti, si parla di una generica localizzazione dell’ospedale presso la chiesa, in quanto la porta non esisteva ancora, mentre nel terzo documento, del 1344, vi è il chiaro riferimento all’Arco di S. Stefano '. L’ospedale, quindi, per la costruzione della nuova cinta venne a trovarsi in tutta vicinanza delle mura e, verosimilmente, al loro lato interno, perché in caso contrario, non sarebbe mancata l’usuale dizione di extra muros lanue in un documento ufficiale. Abbiamo prima usato una forma dubitativa, riferendoci alla presenza di questo istituto ospedaliero, in quanto si potrebbe anche presumere, data la sua ubicazione, che esso non fosse altro che l’ospedale di S. Pellegrino, ed in realtà, in un primo tempo, avevamo seguito questa ipotesi. La denominazione « di Misericordia », infatti, poteva agevolmente essere interpretata, più che come un vero titulus dedicationis, come l’equivalente del termine domus misericordiae al quale facevano ricorso frequentemente gli antichi notai. Più volte a questo proposito abbiamo visto impiegare il termine cadè o casa di misericordia nei confronti di piccoli ospedali, termine che diveniva poi specifico, grazie all’aggiunta del toponimo in sostituzione del titolo dedicatorio2. Tuttavia, la presenza di atti rogati nello stesso 1 Secondo R. Podestà ( La Porta cit., p. 7), la Porta o Arco di S. Stefano non deve essere confusa con la Porta degli Archi. 2 Cfr., ad esempio, gli ospedali della Maddalena, delle Vigne, di S. Francesco, ecc. - 245 - giorno, dallo stesso notaio, nei quali compare, in uno, l’ospedale di S. Pellegrino, sito presso la porta dell’Arco, e in un altro, quello di Misericordia, posto presso l’Arco di S. Stefano, suggerisce una distinta individualità per i due istituti3. Inoltre è noto che l’ospedale di S. Pellegrino si trovava fuori delle mura, mentre, come abbiamo visto, l’altro era verosimilmente collocato a breve distanza, ma all’interno della cinta. Dell’ospedale di Misericordia non abbiamo potuto reperire altre notizie, al di fuori degli atti notarili citati, si può solo presumere che esso facesse parte di quel gruppo numeroso di piccoli ospizi sorti nella seconda metà del XIII secolo, ad opera di benefattori, appartenenti in genere a terzi ordini. E’ anche ipotizzabile, data l’ubicazione, una sua dipendenza (come S. Pellegrino) dall’abbazia di S. Stefano L’istituto non dovette avere, comunque, vita molto lunga, dato che esso non compare nell’elenco di quelli incorporati a Pammatone, né di quelli esenti4 e neppure si trovano iscritti depositi a suo nome nei cartolari delle Compere o nelle Colonne del Banco di S. Giorgio, relativi al XIV e XV secolo. 24. L’ospedale di San Giacomo di Momento Nell’atto del 1322, più volte citato ', riguardante la divisione dell’eredità di Giovannino de Fornari, tra i vari ospedali genovesi, è ricordata Io-hanna Clavarina pro hospitale Sancti lacobi de Mulcento. Questo ospedale dovrebbe essere catalogato come dipendenza del monastero dei SS. Giacomo e Filippo, ubicato nel borgo di S. Stefano, nella zona dell’Acquasola limitrofa al Morcento2. Questo monastero fu occupato, come è noto, nel XIII secolo, dalle monache domenicane le quali, giunte a Genova da Parma, ottennero, col 3 II Podestà (La Porta cit, p. 7) riporta, a questo proposito, due atti del 1344. Va rilevato che l’A. confonde, in questo caso, l’ospedale di Misericordia con S. Maria di Misericordia di Pammatone, a quel tempo non ancora esistente. 4 Cfr. Anselmi cit, p. 267; Casalis cit, p. 585 e sgg. 1 Alizeri, Guida cit, p. 688. 2 Podestà, Il colle cit, p. 160. - 246 - patrocinio di Iacopo da Varagine, provinciale dei Domenicani e futuro arcivescovo di Genova, il possesso di quella piccola chiesuola dedicata a S. Pellegrino, fatta erigere nel 1224 da Giovanni da Promontorio, presso 1 Acquasola3. La loro presenza in questa sede sembra confermata da un lascito riguardante le domine de Aquasola, fatto nel marzo 1264 da Alda, del fu Ottone Adalardo, che volle beneficare molte congregazioni religiose femminili4. Il 16 settembre 1268 si pose la prima pietra del nuovo monastero e si iniziarono i lavori di ampliamento della piccola chiesa, che in tale occasione mutò il precedente titulus dedicationis, in quello dei due santi apostoli 5. L’ospedale era probabilmente annesso al monastero e gestito dalle stesse suore, anche in considerazione che l’unica rappresentante di esso, di cui abbiamo notizia, è, come abbiamo visto, una donna. Questa Giovanna chiavarese avrebbe potuto essere, se non monaca del convento stesso, una appartenente al terzo ordine di S. Domenico, la cui regola fu stabilita nel 1285 dal P. Generale Muzio de Zamora, ad imitazione di quella francescana 6. La presenza a Genova dei terziari domenicani è, d’altronde, dimostrata dal testamento di Franceschina Saivago, del 22 novembre 1335, rogato dal notaio G. da Camogli, atto nel quale la testatrice si professava de regula sororum Penitentie Sancti Dominici1. Sull’ospedale di S. Giacomo purtroppo le notizie sono pressoché nulle e, oltre a quanto già detto precedentemente, possiamo aggiungere soltanto che l’unico documento d’archivio che ne faccia menzione è, a quanto ci consta, il testamento del calzolaio Giovanni da Cremona, del 22 febbraio 1348 (v. app. n. 1147), nel quale è contenuto un legato di dieci soldi a favore dell’ospedale di Morcento. 3 Cfr. l’ospedale di S. Pellegrino. 4 FNG, II. c. 47 v. Fra gli altri conventi si trovano compresi quello delle suore di S. Agata de Capite Pontis, domine Sancti Columbani, domine Sancti Spiritus, domine seu Repentite de Faxolo (cfr. app. n. 1153). 5 Cambiaso, L’anno ecclesiastico cit, p. 148. Chiesa e monastero vennero anche indicati frequentemente con il complemento de Erchis, come si rileva dal Registrum talee del 1360 (ibid., p. 442), denominazione sulla cui origine si è molto discusso (cfr. Podestà, La Porta cit, p. 19), e che era comune anche ad altri istituti, come il monastero di S. Bartolomeo degli Armeni e come la chiesa di S. Teda in Albaro e la stessa pieve di S. Martino. 6 Cambiaso, S. Francesco cit, p. 81. 1 Ibid. - 247 - 25. L’ospedale delle Repentite, l’ospedale delle suore di Misericordia « Nella contrada di Morcento dove ora per anco esiste piccola chiesa communemente detta di San Defendente, fu nell’anno milletrecento quaranta sette, da Armanno de Guido et Eliana sua figlia, vedova d’Ansaldo Voltaggio, fabricata angusta chiesa, o sia Capella ad onore e sotto la invocazione dell’Annunciazione di Maria, contigua alla quale altresì nella loro casa formarono una specie di monastero, in cui ne’ suoi principii diedero ricetto a Donne e figlie, bramose d’abbandonare il mondo per l’inanzi da esse seguitato: fu questo il motivo che una tale adunanza fosse consecutivamente appellata le Repentite, o sia Convertite delle quali nell’anno 1350 era priora detta Eliana de Guido come ricavasi dalla colonna della chiesa e monastero delle Repentite di Morcento scritta nella Compera del Grano dell'anno suddetto 1350, e della fondazione suddetta ne consta da cartina che si conserva nell’archivio dell’abbazia di S. Stefano sottoscritta dal notaro Gio. de Saulo di Nicolò » Così ci riferisce il Perasso sulle origini della congregazione delle Repentite di Multedo o di Morcento, che senza dubbio fu la più importante, ma non l’unica istituzione di questo tipo. Infatti, sappiamo che già in precedenza esistevano le Repentite di Fassolo 2 e che il convento di S. Agata fu anche esso sede di una analoga comunità 3. Questo movimento affonda le sue radici in quel rinnovato fervore religioso laicale che interessò tutti gli strati sociali nel XIII secolo. Le Repentite, o convertite, di Multedo si formarono, in realtà, abbastanza tardivamente, rispetto alla maggioranza degli analoghi movimenti penitenziali, » A.S.G, ms. 842, c. 234. 2 Nel testamento di Giuliana moglie di Giacomo da Masone, del 22 novembre 1239 (v. app. n. 1151), è contenuto il lascito di un soldo alle Repentite di Fassolo. Anche il testamento di Pietro da Pavia, del 13 maggio 1245 (v. app. n. 1152), riporta un legato di 20 soldi in favore operi domus sororum repentitarum de Vaiolo, e il testamento di Alda, del fu Ottone, del 18 febbraio 1259 (v. app. n. 1153), benefica diverse congregazioni religiose, tra cui le domine seu repentite de Faxolo. 3 G. Venturini, Il tormento del fuoco e della pietra, Genova 1968, p. 11. A S. Agata esisteva un istituto che si dedicava alle peccatrici redente come testimoniano il testamento di Rubaldo Galeta, del 3 giugno 1210 (v. app. n. 1148) che destina 5 lire operi peccatricium, quello di Gerardo da Pareto, del 4 maggio 1225 (v. app. n. 1149), che ne destina 10 peccatricibus de Capite Fontis Bisamnis e quello di Guglielmo di Sant’Ambrogio, del 1237, con un legato di 4 soldi, redentis de capite pontis Bisamnis (v. app. n. 1150). - 248 - ciononostante ebbero un seguito ragguardevole, come ci sembra di rilevare dai lasciti effettuati in loro favore, alcuni dei quali di entità veramente notevole. In atto del 1347, del notaio Tommaso da Casanova, figura, tra varie donazioni ad istituti religiosi, un legato di dieci lire al monastero conversa-rum que dicuntur repentite; dello stesso notaio è un atto testamentario, del-1 anno successivo, atto con cui Benedetta Cebà legava la medesima somma a favore delle Repentite di Multedo (v. app. n, 1156), altre dieci lire lasciò per testamento, Giacomina da Cesino in auxilio construende ecclesie monasterii de Repentitis, come si ricava da un atto del medesimo anno e del medesimo notaio (v. app. n. 1154). Ricordiamo infine il testamento di Ai-ghineta, moglie di Luchino Fieschi, la quale destinò nel 1384 a S. Maria delle Repentite una cospicua somma (v. app. n. 1157), e il legato di novanta lire fatto al monastero nel 1422 da Manfredina Stella da Chiavari (v. app. n. 101). Circa l’attività assistenziale delle Repentite, non vi sono molte notizie, ma sappiamo con certezza che esse possedevano un ospedale, come ci conferma il lascito di una lira da parte di Angelina de carrubeo de Casanova, in favore hospitalis de Repentitis (v. app. n. 1155). Questo ospedale potrebbe essere identificato con quello che Caterina, vedova di Antonio Grimaldi volle beneficare il 16 maggio 1376 con una donazione di 200 lire in luoghi delle Compere da iscrivere super columna dominarum Misericordie de Mulcento deputanda ad hospitandum pauperes peregrinos4. e che fu ricordato nel 1422, col titolo di hospitalle dominarum Misericordie. da un legato di 180 lire del citato testamento di Manfredina Stella5. Tra le Repentite e le suore di Misericordia, infatti, vi furono certamente rapporti, non soltanto dovuti alla loro comune sede in Morcento, ma soprattutto alle loro comuni finalità assistenziali in favore delle peccatrici da redimere e delle giovani povere e randagie, alle quali provvedere un ricovero e un avvenire, per cui è presumibile che entrambe le congregazioni si servissero di un unico ospizio nel quale raccogliere queste sventurate. Ciò non fa escludere, tuttavia, la possibile esistenza di due istituti ospedalieri distinti, dei quali uno collocato nel convento delle Repentite e destinato alla rieducazione di donne dal passato dissoluto e l’altro, retto dalle suore 4 A.S.G, Comp. e Mutui, ng. 544, Cart. PS, c. 176, del 1447. 5 V. app. n. 101. Delle 1980 lire, che Manfredina Stella volle dividere tra gli istituti caritativi genovesi, alle suore di Misericordia toccò una quota doppia rispetto a quella fissa di 90 lire spettanti a tutte le altre istituzioni e che andava dispensata tra i poveri della città. - 249 - di Misericordia, adibito all’assistenza di giovani trovatelle. A questo proposito, ricordiamo che uno dei luoghi lasciati da Caterina Grimaldi, nel 1376, alle suore di Misericordia, fu trasferito due anni dopo al convento delle Repentine, il che conferma la relazione esistente tra le due congregazioni6. L’ospedale fu dunque, in questo caso, piuttosto un ospizio che un vero nosocomio, avendo riservato la propria attività assistenziale soltanto a una particolare categoria di persone e con finalità prevalentemente rieducative. Di questo istituto si hanno, purtroppo, scarse notizie e non è nota l’epoca nella quale esso cessò di esistere, tuttavia, è presumibile che un certo grado di attività vi si sia mantenuta per lungo tempo, infatti, ancora nel XVI secolo, le suore di Misericordia davano ricovero, in un edificio con giardino, situato presso l’oratorio dei Disciplinati di S. Stefano (S. Defendente), di proprietà dei monaci Olivetani di Quarto, a numerose fanciulle povere che qui venivano allevate ed educate7. A questo proposito ricordiamo ancora che le Repentite, il cui monastero si era posto alle dipendenze della abbazia di S. Stefano, avendo adottato la regola benedettina, mutarono in seguito il titulus dedicationis della loro istituzione, da S. Maria Annunziata in quello di S. Defendente, e ciò allorché acquisirono nel 1477 la piccola chiesa dedicata a quel santo, fino ad allora tenuta dai PP. Aposto-lini, detti fratres pauperae vitae de Mulcento de ordine et convento divi G bini, i quali si erano trasferiti in S. Rocco di Bachernia8. 26. L’ospedale di San Lorenzo E’ l’ospedale che dipendeva direttamente dal capitolo della chiesa metropolitana dalla quale aveva tratto il nome. In realtà, la chiesa di S. Lorenzo sembra abbia posseduto due ospedali: uno, di fondazione più antica, situato in Scurreria, di cui tratteremo più avanti, ed un secondo, il principale, sul quale si concentra il maggior numero di notizie documentarie. Quest’ultimo ospedale aveva una ubicazione alquanto discosta dalla cattedrale in quanto 6 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 417, Cart. PN, c. 20 r. Nell’anno 1435, nel cartolare S delle Compere (ibid., ng. 103), si trova indicata suor Susanna Pavero, monaca Repentita-rum con un credito personale di 55 lire. 7 Giustiniani cit., I, c. XVII r. 8 A.S.G., ms. 842, c. 234; Cevasco cit., p. 401; L.M., p. 131, n. 45. - 250 - esso sorgeva nei pressi della chiesa di S. Vincenzo, nell’omonimo borgo, fuori le mura, ed era per questo motivo conosciuto e citato anche sotto questo nome, come si può rilevare dalla lettura di alcuni documenti. Ad esempio, in un atto del notaio de Compagnono, del 13 dicembre 1415 (v. app. n. 1277), si fa riferimento all’ospedale Sancti Laurenti dicto de Sancto V'incentio e nell’atto di incorporazione a Pammatone, rogato dal notaio Pietro Capello il 27 ottobre 1473 (v. app. n. 1279), appare altrettanto chiaramente la doppia denominazione, l’ospedale è detto, infatti, Sancti Laurentii nuncupati Sancti Vincentii. Si può presumere che il nome di S. Vincenzo venisse impiegato nell'uso corrente solo in epoca tarda, tanto è vero che nei documenti più antichi la denominazione è solo quella di S. Lorenzo, mentre il doppio nome si ritrova in carte del XV secolo, e ciò probabilmente perché, col volgere del tempo, come si è verificato in altri casi consimili, il toponimo andava progressivamente a sovrapporsi e a sostituirsi alla denominazione originaria. Tale particolarità nel nostro caso dovrebbe essere posta in relazione con la crescita d’importanza della chiesa di S. Vincenzo, che era divenuta assai presto sede parrocchiale Verosimilmente l’ospedale, che alcuni documenti definiscono vicino alla chiesa di S. Vincenzo, non faceva parte di questo edificio ecclesiale ma, almeno in origine, era distaccato da esso, e ciò anche perché non ne era alle dirette dipendenze. Ogerio Pane, nella sua cronaca, all’anno 1214, riferiva di una scaramuccia che si accese tra alcuni nobili genovesi nei pressi del Bisagno e conclusasi col ferimento di uno di essi, presso l’angolo dell’ospedale di S. Lorenzo2. Questa indicazione sull’ospedale, inteso come preciso punto di riferimento topografico, ci suggerisce che esso doveva essere necessariamente collocato in un edificio indipendente. Inoltre un atto del 1302, rogato da Ambrogio da Rapallo, che tratta la vendita di una casa all’ospedale, sembra ancora confermare questa interpretazione (v. app. n. 1237). Infatti, la casa in questione è detta positam in parrochia Sancti Vicentii supra sotto seu terra palatii archiepiscopalis Ianuen-sis cui coheret ante carrubeum ab uno latere hospitale predictum sive domus in qua tenetur ipsum hospitale mediante muro commune ab alio domus sive 1 Banchero cit, p. 667. L’edificio della chiesa, originariamente ad unica navata, che era stato notevolmente rimaneggiato e ampliato nel secolo XVIII, venne poi adibito a caserma del Corpo Scientifico Militare. Attualmente è sede del Circolo Ufficiali del Presidio di Genova. 2 FSI, Annali genovesi, II, Ogerii Panis, p. 134. - 251 - edi fictum lohannis de Agio mediante muro commune, retro terram dicti hospitalis. Sembra quindi confermato che l’ospedale abbia avuto fin dalle origini e per gran parte della sua esistenza, una propria sede indipendente, mentre in epoca tarda è possibile che i successivi ampliamenti della vecchia chiesa abbiamo inglobato i resti dell’antico istituto ospitaliere, il quale, tuttavia, a quel tempo aveva già cessato presumibilmente ogni funzione assistenziale. Come tutti gli ospedali del tempo, anche S. Lorenzo necessitava, per sopravvivere, della munificenza dei fedeli e, ricercando nei cartolari notarili, esso appare come uno dei più beneficati dai lasciti testamentari rogati tra i secoli XII e XIV. Tra questi numerosissimi testamenti, che riportiamo in appendice, va segnalato quello di Baldone Scarso, del 17 gennaio 1160 (v. app. n. 1158), che rappresenta la prima notizia documentaria che faccia riferimento all’ospedale, e quello di Giordano Richeri che, con somme generosissime, beneficò i principali ospedali cittadini (v. app. n. 1168). In quest’ultimo documento, del 17 ottobre 1198, si legge che il testatore lasciava hospitali Sancti Laurentii libras .C. que tribuantur in emere terram eidem hospitali3. Le cento lire costituiscono un lascito davvero ragguardevole per quel tempo ed evento del tutto eccezionale, tenendo conto che la media dei legati si aggirava intorno ai cinque soldi. Di rilievo era anche il lascito di Aighineta Fieschi, moglie di Luchino, comitis Lavanie, che assegnava una rendita annua di tre lire all’ospedale (v. app. n. 1270). Naturalmente, come d’abitudine, insieme ai lasciti in denaro comparivano legati relativi ad oggetti di uso comune, come si osserva, ad esempio, nel testamento di Pietro da Bargone il quale lasciava all’ospedale la propria coperta (item lego hospitali Sancti Laurentii culcitram meam) (v. app. n. 1232), oppure in quello di Pietro Frasate da Ciligna che lasciava la metà del suo letto (v. app. n. 1256), o ancora in quello curioso di Caterina da Sarzano, che donava la veste del proprio padre (v. app. n. 1264). Del 1226 è il testamento di Giovanni Marsilio, nel quale si legge: solidos .XX. pro anima mea iudico quorum decimam operi Sancti Laurentii, residuum ipsi hospitali volo dari pro obsequiis sepolture mee (v. app. n. 1190). Da ciò va rilevato, come si osserva spesso negli atti testamentari dell’epoca, l’uso della decima che andava versata alla cattedrale, ed un altro uso abbastanza comune, e cioè quello di destinare alla 3 L’ospedale di S. Lorenzo fu tra quelli più doviziosi, infatti oltre alle possessioni immobiliari ebbe sempre depositi consistenti (spesso superiori alle 2.000 lire) iscritti nei cartolari delle Compere e delle Colonne del Banco di S. Giorgio. - 252 - propria sepoltura aree cimiteriali annesse ad ospedali, anziché quelle dipendenti dalle varie chiese. Per quanto riguarda l’amministrazione dell’ospedale, ricordiamo che essa era tenuta da un rettore eletto dal preposto e dal capitolo della cattedrale, dai quali dipendeva l’istituto. In un atto del Cassinese, datato 3 aprile 1191 (v. app. n. 1163), compare tra i testimoni un certo Widotus de hospitali Sancti Laurentii, che ritroviamo, sempre come teste, in altro atto dello stesso notaio e dello stesso anno (6 settembre - v. app. n. 1165). E’ difficile stabilire la qualifica di questo personaggio, che non rivestiva certo una carica amministrativa importante, dato che compare solo in qualità di testimone in atti nei quali era beneficiario l’ospedale, poiché in caso contrario egli sarebbe stato necessariamente citato come parte attiva e non come semplice teste. D’altronde, la qualifica de hospitali Sancti Laurentii ci indica che costui doveva in qualche modo appartenere all’istituto e si può ragionevolmente presumere che egli fosse o uno dei ricoverati oppure un servente o un converso addetto a mansioni di secondaria importanza. I dati ricavati dai cartolari notarili e da quelli delle Compere e delle Colonne di S. Giorgio ci forniscono i nomi di alcuni fra i rettori ed i procuratori, che si alternarono neH’amministrazione dell’ospedale di S. Lorenzo, e che qui riportiamo in sequenza cronologica. 1237 - Alda Capanna. Il primo nome che possiamo con certezza attribuire ad un rettore di questo ospedale è quello di una donna, Alda Capa-rina, che troviamo citata in un documento del 26 marzo 1237 senza che questo purtroppo ci fornisca indicazioni precise circa il periodo del suo rettorato (v. app. n. 1199). 1237 - Giacomina. Indicata come ministra et domina dell’ospedale nel documento sopra ricordato, che riguarda la controversia sorta tra costei e Drucia, moglie del fu Baiamonte da Sori, a proposito delle spese di mantenimento della figlia della precedente rettrice, Alda Capa-rina, verosimilmente ospitata nell’istituto. 1248 - Ermelina o Ermegina. Nominata ministra dell’ospedale nel 1248 (v. app. n. 1204) essa viene ancora indicata con questa qualifica in un atto di locazione del 3 luglio 1264 (v. app. n. 1214) e in un altro del 14 luglio 1264, relativo al recupero di una eredità (v. app. n. 1215). Essa risulta ancora in carica il 15 gennaio 1276 (v. app. n. 1217), il 13 gennaio 1273 (v. app. n. 1220) e l’8 febbraio 1276 (v. app. n. 1221). In questi ultimi due atti, relativi alla riscossione di - 253 - lasciti testamentari, essa è indicata, rispettivamente, come Erme-gitia de Dandara e come Ermegina de Palio. 1278 - Rolando, pellicciaio, e sua moglie Barcella. Essi fecero donazione dei propri beni per entrare come redditi nell’ospedale, la cui direzione venne loro affidata dal capitolo della cattedrale nel 1278 (v. app. n. 1225). 1295 - Rolando e Benedetto. Essi vennero nominati nel 1295 ospitalari e procuratori, dal preposto e dal capitolo della chiesa di S. Lorenzo, con un atto del notaio Stefano Conradi da Lavagna, citato in imo successivo dal notaio Ambrogio da Rapallo, del 14 dicembre 1302 (v. app. n. 1241). Nello stesso 1302 entrambi figurano alternativa-mente quali rappresentanti dell’ospedale, con la qualifica di ospitalari (v. app. nn. 1236, 1237, 1238, 1239, 1240). 1303 - Frate Oberto. Costui era cappellano della cattedrale e viene indicato come procuratore dell’ospedale di S. Lorenzo, in un atto del 22 novembre 1303 (v. app. n. 1242) concernente il recupero dell’eredità di Gregorio Lungui, balestriere, da parte di vari ospitalari cittadini. 1311 - Frate Pasquale. Agisce, in veste di procuratore dell’ospedale di S. Lorenzo, pur essendo ospitalario di quello di suor Verdina (v. app. nn. 1244, 1245). 1321 - Frate Gerardo Bianco. In documento del 6 marzo 1321 si trova indicato il nome di questo rettore che, unitamente all’ospitalario di S. Cristoforo di Chiavari, agiva per il recupero di oggetti lasciati in eredità da Iacopo da Cogorno (v. app. n. 1251). Inoltre nel 1322 tra i vari ospitalari cittadini, riuniti per la spartizione dell’eredità di Giovannino de Fornari4, compare ancora Guirardus Blancus, pro hospitale Sancti Laurentii. 1335 - Morando Tarigo da Chiavari. Il 23 giugno 1335 l’arcidiacono Goffredo Spinola e il capitolo della cattedrale nominarono costui rettore e ministro dell’ospedale, unitamente alla moglie Sibelina. Entrambi vennero investiti di un’ampia procura amministrativa per conto dell’istituto (v. app. n. 1252). Il Tarigo è ricordato ancora in carica nel 1340 5. 1351 - Frate Palamede da Coronata. Fu per lungo tempo alla guida del- 4 Alizeri, Guida cit, p. 688. 5 A.S.G, Comp. e Mutui, ng. 345, Cart. SL, c. 173 r. - 254 - 1 ospedale di S. Lorenzo come bospitalerius et rector. Lo troviamo, infatti, ricordato in carte del 1351, 1352, 1353 6, 1354 (v. app. n. 1260, 1355 7, 1357 8, fino al 31 gennaio 1363 (v. app. n. 1265), allorché egli nominò, quali procuratori per sé e per l’ospedale, Giacomo di S. Fede, Domenico Beltrame e Benedetto da Uscio. 1373 - frate Cosimo di Lazzaro. Fu probabilmente un semplice procuratore dell’ospedale, poiché riscuoteva i proventi dei luoghi delle Compere, non solo per l’ospedale di S. Lorenzo9, ma anche per altri istituti, come ad esempio, la chiesa di S. Maria dei Servi10. 1374 - Frate Nicola. Egli è indicato, quale ministro dell’ospedale di S. Lo- renzo, in una carta del 23 settembre 1374 (v. app. n. 1266) con la quale egli, insieme con Antonio da Portofino, precettore dell’ospedale di S. Lazzaro, riceveva dal capitolo della cattedrale un’ampio mandato amministrativo. 1375 - Nicolò Cichero. Figura, in qualità di rettore, in un documento del 25 gennaio 1375, frate Nicolao de Chicherio de Rapallo (v. app. n. 1267), che forse può essere identificato con quel frate Nicola che era in carica nell’anno precedente. 1384 - Antonio da San Lorenzo. Questo ospitalario si trova nominato in carte del 1384 e del 1385, relative alla riscossione dei proventi spettanti all’istituto ". Il 16 novembre 1386 Benedetto Adorno, preposto, e il capitolo di S. Lorenzo diedero atto al rettore Antonio da San Lorenzo della sua oculata conduzione amministrativa nei riguardi dell’ospedale (v. app. n. 1271). Il 18 febbraio dell’anno successivo (v. app. n. 1273) questo rettore concesse in appalto la riscossione delle questue a frate Francesco da Cerreto. Il rettore Antonio rimase in carica fino ad almeno il 1393 u. 1401 - Agnesina d’Albenga. E’ indicata, quale ospitalaria di S. Lorenzo, 6 lbid., ng. 352, c. 99 v.\ ng. 10, c. 202 r.\ ng. 355, c. 112 v. 1 lbid., ng. 364, c. 362 v. 8 V. app. n. 1262. Compare tra i testi di un atto del 26 agosto, frate Palamede, hospitarellius hospitallis Sancti Laurenti de lanrn. 9 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 22, c. 138 r. del 1375; ng. 407, c. 136 r. del 1387. “ lbid., ng. 32, c. 18 r. » lbid., ng. 31, c. 147 v- ng. 32, c. 148 v. 12 lbid., ng. 407, c. 136 r., del 1387; ng. 419, c. 139 r., del 1391; ng. 419, c. 139 r., del 1393. - 255 - in note relative alle operazioni effettuate per conto dell’ospedale, nel cartolare SL delle Compere, il 20 giugno 1401 e il 20 febbraio 1402 13. Nello stesso cartolare essa figura alla data del 25 giugno e del 9 dicembre 1410 e del 5 marzo 141114. Il 15 maggio 1411 l’ospedale era invece rappresentato da un suo procuratore, Antonio da Como, rettore dell’ospedale di S. Desiderio (v. app. n. 1275). Questa procura venne ancora mantenuta dallo stesso Antonio anche nell’anno successivo 15. 1421 - Frate Domenico Savioli. E’ qualificato come ospitalario di S. Lo- renzo in una nota datata 26 maggio 1421 del cartolare SL delle Compere I6, nella quale si confermava al suddetto frate Domenico la più ampia libertà di compiere operazioni finanziarie sui proventi dei depositi iscritti a nome dell’ospedale. 1422 - Raffaele da Perugia, speziale. Egli riscuoteva i proventi spettanti all’ospedale di S. Lorenzo dal lascito di Manfredina Stella da Chiavari 17. 1424 - Antonio da Pontremoli. Egli venne eletto presumibilmente nel 1424, poiché in una carta del 10 luglio di quell’anno 18 si fa riferimento ad Antonio de Pontremulo hospitalario nuper ellecto. Egli figura ancora in carte del 1425 e del 1428 ’lJ. 1434 - Antonio Viale da Bargagli. Egli curava gli interessi dell’ospedale negli anni 1434 1443 e 144421, ma viene indicato con la qualifica di ospitalario soltanto dal 1446 22 in poi. Lo si ritrova ancora in 13 Ibid., ng. 451, c. 1201. 14 Ibid., ng. 484, c. 282 r. 15 Ibid. ** Ibid., ng. 509, c. 276 r. 17 Ibid., ng. 508, Cart. S, c. 104 v. E’ molto probabile che Raffaele da Perugia svolgesse mansioni di semplice procuratore. 18 Ibid., ng. 519, c. 246 r. 19 Ibid., ng. 513, c. 266 r.; ng. 519, cit. 20 Ibid., S. Giorgio, ng. 102, Colonne, c. 395 r. 21 Ibid., Comp. e Mutui, Cart- CPL, c. 95 r.; ng. 540, Cart. PNB, c. 228 r. ; ng. 541, CPL, c. 93; ibid., PNB, c. 197 r. 22 Ibid., ng. 543, SL, c. 224 r. - 256 - annotazioni riguardanti operazioni finanziarie compiute per l’istituto, relative agli anni 1447, 1452 e 145423. 1454 - Prete Gerardo. Costui, insieme con Guglielmo da Piacenza, è nominato più volte nel cartolare L delle Compere24, però non viene fatto alcun cenno circa la sua qualifica, per cui si può ragionevolmente presumere trattarsi di operazioni effettuate in veste di procuratore. 1456 - Pietrina Viale. Essa fu probabilmente la moglie del rettore Antonio Viale, al quale successe nell’incarico. Nelle Colonne di S. Giorgio essa, infatti, è indicata come bospitalaria di S. Lorenzo nel 1456. In quello stesso anno svolgeva verosimilmente mansioni di procuratore Lazzaro d’Albaro, che si trova citato in una carta del 10 settembre 2Ó, nella quale è contenuta la sola indicazione che egli agiva prò hospitale Sancti Laurentii. Come abbiamo visto, a proposito della serie dei rettori, l’amministrazione veniva a volte affidata anche a mani femminili, e non poche furono le « ministre » dell’ospedale. Tra il personale femminile dell’istituto dovevano poi essere comprese anche converse o reddite, come quella Sibelina, sorella di prete Giovanni, che in cambio della donazione di dieci lire, nel 1267, venne accolta nell’ospedale dall’allora rettrice Ermelina de Palio (v. app. n. 1217). Quest’ultima è con tutta probabilità identificabile con quella Ermegina de Dandara, indicata quale ministra dell’ospedale di S. Lorenzo di Scurreria, da un documento del 1264, sul quale torneremo successivamente. Ricordiamo infine, tra il personale dedito a più umili mansioni, Domenichina Carpaneto, la quale doveva aver prestato la sua opera attiva nell’ospedale per molto tempo, al servizio dei ricoverati, e in considerazione delle sue benemerenze il preposto Benedetto Adorno e i canonici di S. Lorenzo stabilirono, nel 1386, che essa venisse ospitata e assistita, dum vixerit, nell’istituto che per tanti anni aveva servito con dedizione (v. app. n. 1272). Un atto rogato il 18 giugno 1278, da Baldovino de Predono, ci fornisce alcune notizie interessanti sui caratteri dell’amministrazione ospedaliera e sulle modalità con le quali venivano nominati in certi casi gli ospitalari (v. app. n. 1225). Questo documento tratta una cessione di beni27 a favore 23 lbid., ng. 544, c. 99 v.\ ng. 820, CPL, c. 19; ng. 120, MSL, cc. 180 r„ 412 v. 24 lbid., ng. 360, cc. 162 v., 163 r. 25 lbid., S. Giorgio, ng. 190, B, c. 491 r. 26 lbid., Descript. Locorum, anno 1472, inserto. 27 Tra questi beni vi era un edificio nel borgo di Prè. - 257 - 17 dell’ospedale da parte di Rolando, figlio di Lanfranco Cappelletto e di professione pellicciaio, e della di lui moglie Barcella, i quali intendevano ritirarsi nel detto ospedale per dedicare la loro vita al servizio degli infermi, in qualità di redditi (redditos hospitalis). I coniugi facevano cessione di omnes res et bona ipsorum mobilia et immobilia nelle mani del preposto Stefano e del capitolo della cattedrale promittentes dictis preposito et capitulo, recipientibus nomine hospitalis predicti, de cetero in perpetuum in dicto hospitali et infirmos ipsius hospitalis, qui nunc ibi sunt et qui in futuro ibi er(unt), servire et servicia ipsorum facere et continuam residendam in ipso hospitali de cetero in perpetuum facere et in ipso hospitali Deum servire. Il capitolo di S. Lorenzo accettava quanto stabilito, a patto che i coniugi non si comportassero in maniera scorretta (male et indecenter se haberent et gererent et inhoneste . . .) nel qual caso sarebbero stati espulsi28. 1 coniugi giurarono così di custodire i beni dell’ospedale con onestà ~9 e di spendere ad usum pauperum et ad utilitatem dicti hospitalis quanto avrebbero acquisito. Essi si impegnavano inoltre ad un rendiconto annuale che avrebbero presentato al preposto e al capitolo, a richiesta degli stessi. Da questo documento emergono due aspetti significativi: in primo luogo la concessione della nomina a ricoprire la carica di ospitalario a persone che, fatto non inusuale a quel tempo, facevano d’improvviso rinuncia dei propri beni per dedicarsi interamente al sollievo delle sofferenze umane. Ciò era indubbiamente giudicato assai favorevolmente dai responsabili di istituti ospitalieri per due evidenti motivi, e cioè, la possibilità di affidare la gestione dell’istituto a persone di specchiate virtù morali che garantissero una irreprensibile condotta e una onesta amministrazione e, non meno importante, la possibilità di incamerare, a beneficio dell’ospedale, le sostanze, spesso consistenti, di questi benemeriti, il che consentiva spesso di sanare di colpo un bilancio deficitario. In secondo luogo appare poi dal documento che l’amministrazione dell’ospedale di S. Lorenzo era strettamente controllata dal capitolo della cattedrale, il quale aveva facoltà di esaminare ad voluntatem la condotta amministrativa degli ospitalari, ai quali era consentito solo un modesto margine di autonomia. Questa rigidezza di controlli non fu in verità un criterio universalmente seguito, tanto è vero che, ad esempio, la gestione amministrativa dell’ospedale di S. Maria di Castello 28... expellere possint et penibus a redditione et receptione dicti hospitalis privare. 29... res et bona ipsius hospitalis presentia et futura bene et legaliter custodire et salvare et nullam fraudem seu furtum in eis committere. - 258 - era assai più autonoma. Ai rettori dell’ospedale di S. Lorenzo era tuttavia consentito concedere in appalto la riscossione di elemosine a favore dell’ospedale, come dimostrano un atto del 10 luglio 1302 (v. app. n. 1238), con il quale frate Rolando dava procura a Novarino da Novara per riscuotere ele-mosinas caritatis a nome dell’ospedale, e un altro, del 18 febbraio 1387 (v. app. n. 1273), con il quale un altro rettore, Antonio da San Lorenzo, dava in appalto le elemosine e i legati provenienti da qualunque parte, purché al di fuori della città di Genova e dei suoi sobborghi, a frate Francesco da Cerreto. Costui ricevette la concessione, col benestare del capitolo della Metropolitana, per un periodo di tre anni e con un compenso di sei fiorini d’oro annui. Vi è poi un altro documento, datato 16 novembre 1386, nel quale il preposto Benedetto Adorno e gli altri canonici del capitolo della cattedrale attestavano di aver avuto ampie dimostrazioni della oculata amministrazione tenuta dal suddetto rettore Antonio (v. app. n. 1272). Questi atti notarili ci confermano ulteriormente lo stretto controllo che veniva effettuato sulla amministrazione dell’ospedale da parte dei canonici di S. Lorenzo: osserviamo infatti che la libertà di condurre trattative di ordine economico, concessa all’ospitalario, era in realtà soltanto apparente e formale, in quanto la stesura degli atti stessi doveva essere sempre espletata con il beneplacito del capitolo e sotto la sua diretta sorveglianza. D’altronde, il riconoscimento dei meriti del rettore Antonio, quale oculato e onesto amministratore, è una ulteriore prova di come il controllo amministrativo sull’ospedale di S. Lorenzo venisse attuato in modo costante e capillare. Questo attestato, abbastanza peculiare, riveste probabilmente anche il significato di credenziale che Pospitalario in questione avrebbe potuto utilizzare qualora la sua attività si fosse svolta in seguito in altro istituto. Ci sembra opportuno, a questo proposito, sottolineare che la carica di rettore ospedaliero poteva rappresentare per taluni una occasione di vera e propria professionalità, in quanto si poteva osservare, non raramente, il passaggio da un istituto all’altro di ospitalari, i quali attuavano in questo modo una vera e propria carriera professionale, che iniziava in piccoli ospedali indirizzandosi gradualmente verso i più importanti. Quindi, accanto ai rettori fondatori e a quelli appartenenti alla congregazione patrona dell’istituto, poteva trovarsi anche l’ospitalario di mestiere. Un caso singolare che si verificò nella amministrazione dell’ospedale, sul finire del XIII secolo, è rappresentato dalla presenza contemporanea di due ospitalari (cfr. l’elenco dei rettori). Successivamente alla amministrazione condotta dai coniugi Rolando e Barcella, si ha, infatti, notizia di ima — 259 — altra duplice amministrazione, questa volta affidata, nel 1295, ai frati Rolando e Benedetto. In vari documenti essi appaiono citati a volte contemporaneamente (v. app. nn. 1237, 1241), a volte singolarmente (v. app. nn. 1236, 1238, 1239, 1240), ma sempre indicati col termine di hospitalari. Per spiegare il fatto, abbastanza inusuale nella ospedalità genoveseM, si può ipotizzare che il frate Rolando, citato quale ospitalario nei documenti sopra indicati, altri non fosse che lo stesso Rolando pellicciaio che aveva assunto, con la moglie Barcella, la direzione dell’istituto quasi venti anni prima. Avendo avuto una nomina vitalizia, è verosimile che alla morte della moglie e in considerazione della sua avanzata età, il capitolo abbia provveduto ad affiancargli un altro ospitalario che lo avrebbe sollevato dalle mansioni più gravose. Si nota, infatti, in una successione di atti rogati da Ambrogio da Rapallo nel 1302, che la presenza di Rolando si alterna con quella di Benedetto, salvo in casi particolari in cui essi compaiono insieme, come la locazione di un terreno di proprietà dell’ospedale sito a Nervi (v. app. n. 1241) e l’acquisto di una casa in parrochia Sancti Vincentii (v. app. n. 1237). La doppia amministrazione fu mantenuta anche successivamente, infatti, in data 23 giugno 1335 Goffredo Spinola, arcidiacono, e il capitolo di S. Lorenzo, nominarono Morando Tango da Chiavari e sua moglie Sibe-lina rettori e ministri dell’ospedale (v. app. n. 1252). Ai due coniugi venne concesso un ampio mandato, per trattare in nome dcU'istituto acquisti c vendite, nonché la procura, che consentiva loro di raccogliere i proventi delle elemosine e la facoltà di disporre per il ricovero degli infermi. Tuttavia, l’amministrazione diarchica dell'ospedale di S. Lorenzo può avere anche un’altra interpretazione, infatti, come già abbiamo accennato precedentemente, si ha notizia di un secondo ospedale ubicalo in Scurreria. Purtroppo di questo istituto non si hanno cognizioni precise, ma lo abbiamo trovato indicato chiaramente in un atto del notaio Palodino da Sesto, del 3 luglio 1264, nel quale Ermegina de Dandara, ministra dell'ospedale di S. Lorenzo, concedeva in locazione al pittore Pietrino domum unam dicti hospitalis que est ante ipsum hospitalem in carrubio scutariorum (v. app. n. 1214). Questo documento ci pare dimostri a sufficienza la presenza di un ospedale di S. Lorenzo vicino alla chiesa omonima, ma di esso, purtroppo, non abbiamo potuto reperire altre notizie. E' probabile che esso fosse la » Infatti, se non rara era la conduzione ospedaliera affidata a coppie di coniugi, eccezionale è invece trovare insediati contemporaneamente più ospitalari nella stessa sede, come, ad esempio, nel caso dei governatori dcH'ospedale dello Scalo (cfr.). - 260 - prima sede ospedaliera fondata dal capitolo della cattedrale e forse la sua origine potrebbe addirittura risalire ad una primitiva fondazione vescovile. In tèmpi successivi le nuove esigenze, create dall’inurbamento dei sobborghi, avranno certamente suggerito ai canonici la fondazione di un altro istituto, più rispondente alle necessità della popolazione. La presenza di due istituti ospedalieri, pur di una stessa matrice, giustificherebbe una duplice amministrazione da parte di due rettori diversi. Questo, ovviamente, solo in via ipotetica, dato che manca al riguardo una documentazione sufficiente e, in definitiva, un solo atto fa esplicito riferimento all’ospedale di Scurre-ria, mentre molti altri parlano genericamente dell’ospedale di S. Lorenzo senza alcuna precisazione topografica che permetta di individuare se essi si riferiscono a uno o all’altro dei due istituti. Per quanto riguarda il problema del tipo di assistenza che veniva praticata nell’ospedale in S. Vincenzo, va detto che in origine, e certamente fino al XIV secolo, essa era verosimilmente di quel tipo che potremmo definire misto e che era comune ad altre analoghe istituzioni coeve. E’ presumibile, infatti, che per la sua dislocazione extra moenia vi si alloggiassero i viandanti ed è certo che vi si svolgessero attività sanitarie con ricovero di infermi31, come del resto è altrettanto certo che esso era utilizzato per i poveri del borgo (v. app. n. 1254). A queste attività assistenziali va poi aggiunta quella che in seguito divenne la principale, e cioè la cura e l’educazione dei trovatelli o dei figli di povera gente. Riteniamo che questa opera caritativa venisse svolta solo tardivamente dall’istituto in quanto ne abbiamo trovato menzione in documenti della fine del XIV secolo e degli inizi del XV. Segnaliamo ad esempio che il 25 gennaio 1375 un certo Giacomo da Piacenza, terrazzano, trovandosi in grave miseria, affidò all’ospedale di S. Lorenzo il proprio figlio Domenichino di due anni (v. app. n. 1267), inoltre in un atto del 27 aprile 1408 si fa menzione di un certo Giovanni Alegrino da S. Eusebio, della podesteria del Bisagno, il quale accolse nella sua casa un fanciullo a nome Battistino, raccolto e allevato nell’ospedale, con l’intenzione di adottarlo, previo consenso del capitolo (v. app. n. 1274). Infine va ricordato un altro atto notarile, rogato nel 1415, nel quale ci si richiama ad un lascito testamentario di Bianca, figlia di Bartolomeo Bono e moglie di Giovanni Oliva da Rivarolo, la quale aveva destinato un luogo delle Compere di S. Giorgio, Jl A questo proposito si rimanda ai numerosi atti testamentari in cui si trovano lasciti indirizzati esplicitamente pro infirmis hospitali Sancti Laurentii e che sono riportati in appendice. — 261 — per costituire la dote della prima fanciulla educata nell ospedale di S. Lorenzo (v. app. nn. 1276, 1277). Sulla base di questo testamento, il preposto Benedetto Adorno ed il capitolo maioris ecclesie ianuensis tamquam patroni dicti hospitalis Sancti Laurentii, indicarono in una certa Ginevra, trovateli (inventicia), promessa sposa a Lionello da Famagosta, la prima fanciulla allevata ed educata nel detto ospedale (primam nubilem puellam hospitalis predicti). Indubbiamente, agli inizi del Quattrocento si verificò una evoluzione negli indirizzi assistenziali di questa opera pia, che si trasformò in un orfanotrofio, dedicando la sua attività esclusivamente alla cura e all’educazione dei fanciulli abbandonati, analogamente a quanto si era verificato precedentemente nel vicino ospedale di S. Spirito e in quelli delle Vigne e di S. Francesco (cfr.). Questa opera meritoria non ebbe però lunga durata, poiché nel 1473 l’ospedale venne incorporato a Pammatone, secondo quanto si apprende dall’atto del notaio Pietro Captilo, del 27 ottobre di quell anno (v. app. n. 1279). 27. L’ospedale di Santo Spirito Il nome di S. Spirito è legato indissolubilmente, nella storia ospedaliera, alla fondazione e alla vita dell’ordine omonimo che svolse una intensa opera assistenziale, dalla seconda metà del XII secolo in poi, attraverso i suoi numerosi ospedali diffusi in tutta Europa '. E’ indubbio che quello di S. Spirito fu uno degli ordini ospedalieri più attivi nel Medio Evo, e la figura del suo fondatore, Guido da Montpellier, rappresentò un esempio paradigmatico per tutti quei fundatores laici che nel XIII secolo, dando vita a innumerevoli opere di carità, contriburono ad una sostanziale evoluzione della ospedalità. Tuttavia, per quanto possa apparire strano, Genova non ebbe con questo Ordine che contatti marginali e molto tardivi. Infatti, il grande ospedale romano di S. Spirito, che aveva filiali sparse in tutta la penisola, ne ebbe una a Genova solo nel XVI secolo, come attesta il Compendium ac Repertorium Provisionum deü’istituto, dove è scritto Genuense crectio i Cfr. P. Brune, Histoire de l'ordre hospilalirr de Saint Eiprit, Parigi 1892; Ubet regulae S. Spiritus at. - 262 - et unio Hospitalis Sancti Spiritus in civitate Genuensi Archiospitali huic de Urbe anno MDXXVIIII die XIII februari2. Nondimeno, a Genova, anche in epoca medievale, esisteva un ospedale dedicato a S. Spirito, ma questo non ebbe mai alcun rapporto né con 1 ordine della doppia croce, né con l’arcispedale romano, dipendeva invece dal monastero omonimo, che sorgeva nella cosidetta « Isola di Murteto » 3, oggi individuabile nel sestiere di S. Vincenzo, dove in particolare, il vecchio edificio dell’istituto scolastico « Ugolino Vivaldi » conserva ancora alcune vestigia dell’antica sede monastica 4. Il monastero di S. Spirito, abitato da suore fin dal XII secolo come testimonia un lascito fatto il 12 agosto 1193 da Anna, vedova di Bartolomeo Carmandino, in favore delle monache sancti Spiritus de Bisanneo 5, appartenne alle Cisterciensi, ma non si conosce la data esatta del loro insediamento6. I documenti comprovano solo la presenza di quest’ordine in S. Spirito alla fine del XIV secolo7, ma è presumibile che tale presenza risalisse ad epoca ben anteriore. Una scrittura del 26 giugno 1236 8 fa riferimento a un debito di 40 lire contratto dal monastero con Giacoma, moglie del visconte Enrico. L’importanza di questo documento risiede nel fatto che in esso vengono nominati tutti i componenti della comunità monastica, rappresentati dal converso Cristiano, precettore e rettore, coadiuvato da altri quattro confratelli (due preti e due conversi), nonché dalla priora Marina e da ben trenta sue consorelle. Da ciò si ricava, in primo luogo, la composizione mista del monastero, evento peraltro assai comune in quell’epoca, e in secondo luogo, la netta preponderanza delle monache, il che ci dà motivo di supporre un’attività assistenziale rivolta, con tutta probabilità, alla cura dell’infanzia abbandonata e delle donne bisognose, come era costume delle 2 P. De Angelis cit, p. 150 e sgg. 3 Podestà, L» Porta cit, p. 5. * Carpaneto da Langasco, Pammatone cit, p. 5. 5 A.S.G, ms. 840, c. 59 r. Secondo I’Alizeri (Guida cit, p. 900), si avrebbero notizie della chiesa di S. Spirilo nel 1157, allorché Alda Buroni nel suo testamento, legava psalterium suum ecclesie de Bisamne quam fecit edificare Donus Dei; ma è più verosimile che il legato si riferisse alla chiesa che sorgeva presso il ponte del Bisagno, sulla sponda orientale (cfr. l’ospedale di S. Fruttuoso). 6 L. M, p. 343, n. 63. Alle Cistcrciensi subentrarono poi le Clarisse. 7 N. D. Muzio, Li monasteri di monache dell'Ordine Cisterciense in Genova e sua diocesi, ms. del XVIII sec, in BiB, cc. n.. * A.S.G, ms. 840, c. 59 r. - 263 - comunità religiose femminili di quel tempo. Per un altro motivo poi, a nostro avviso, va ricordato il suddetto documento, infatti in esso si legge che frater Christianus conversus preceptor et rector monasterii Sancti Spiritus de Bisanne et specialiter officii sui artis lanerie in dicto monasterio, si sarebbe impegnato a utilizzare il prestito ottenuto nel commercio della lana e a destinare il guadagno per tre quarti a benefìcio del monastero e per un quarto a beneficio della controparte, ossia della viscontessa Giacoma, a titolo di interesse. Il precettore di S. Spirito era quindi persona versata nelle attività commerciali e particolarmente esperto nell’arte della lana, tanto da ottenere prestiti per ampliare nel monastero questa attività artigianale tessile, che avrebbe consentito l’occupazione di una comunità tanto numerosa. Il fatto, del resto alquanto singolare, che un converso venpa qualificato preceptor et rector di un monastero femminile come quello di S. Spirito di Bisagno, ci fa pensare che, almeno alle origini, l’istituto avesse un indirizzo del tutto particolare, regolato da norme statutarie tali da distinguerlo dagli altri monasteri femminili coevi. La lavorazione ed il commercio della lana, che sembrerebbe costituire l’attività principale esercitata nell’istituto, farebbe assumere ad esso un carattere del tutto peculiare. Si potrebbe ipotizzare, a questo proposito, una sorta di istituto di riabilitazione per le donne dal passato poco edificante, analogo a quella opera pecca/ricium che si trovava presso il ponte di S. Agata (cfr. l’ospedale delle Repentite). Il converso Cristiano, oltre che del monastero, fu probabilmente rettore anche dell’ospedale, del quale, purtroppo, abbiamo ben poche notizie, derivate da scarsissimi atti testamentari che ne confermano comunque la esistenza, come ad esempio quello di Giovanni da Leivi \ del 1210, e quello di Giannotto da Fontana, che il 20 marzo 1348 (v. app. n. 69) lasciò a tutti gli ospedali compresi tra S. Lazzaro e S. Spirito di Bisagno, 20 lire in favore dei poveri e degli infermi ivi ricoverati. Un documento del 19 maggio 1400, del notaio Antonio Foglietta fv. app. n. 1281) è, tuttavia, maggiormente indicativo e ci dà alami ragguagli sulla ubicazione dell’istituto e sulla sua dipendenza dalle monache di S. Spirito. Si legge, infatti, che Venerabilis domina soror Margherita de Valentia abbatissa monasteri sancti Spiritus de Bisanne extra muros lanue ordinis ci- 9 V. app. n. 1280. In questo documento c contenuto anche un lascito al] ospedale di S. Spirito di Roma. - 264 - sterciensis in prescntia consensu et voluntate conventus dicti monasteri, concedeva in enfiteusi a un tal Deserino del Poggio e ai suoi eredi, per l’annuo canone di 23 lire, hospitium et domus dicti monasterii. Più avanti il documento precisa meglio il carattere di questi edifici, dei quali una casa, vulgariter appellata hospitium sita apud dictum monasterium in strata publica e altre tre contigue tra loro e dicto hospitio coniuntis et retro ipsum sitis apud singulis quarum adest unum viridarium et in una ipsarum est unus puteus. Si può pertanto rilevare che l’ospedale era di proprietà delle Cisterciensi e che non faceva parte dell’edificio monastico, ma si trovava verosimilmente di fronte ad esso, al di là della via pubblica, stretto tra altre case. La locazione dell’ospizio, non come singola entità, ma come facente parte di un lotto di edifici, può far sorgere il sospetto che Deserino del Poggio l’avesse acquisito non per fini assistenziali, ma per altro impiego; inoltre la definizione dell’ospedale, come di una casa vulgariter appellata hospitium, suggerisce che la sua attività era già cessata da tempo e che la sua funzione era rimasta solo nel ricordo popolare. D’altra parte è certo che la vita di questa istituzione non si protrasse molto a lungo poiché non ne troviamo traccia sia nei cartolari delle Compere del XIV secolo sia in quelli del Banco di S. Giorgio 10 ed essa non figura, tra l’altro, nemmeno tra gli ospedali incorporati a Pammatone elencati dall’Anselmi ". 10 Si trova solo citato l'ospedale di S. Spirito di Famagosta, posto sotto il patronato dei Camilla (A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 543, c. 159 r.). 11 AnSELMI cit., p. 267. Le monache di S. Spirito ebbero anche il patronato di un altro ospedale poco lontano da Genova e precisamente di quello di S. Giacomo sul monte delle Fasce di Pozzolo, presso Recco (A.S.G, ms. 840, c. 60 v.). Questo ospedale era stato costruito probabilmente nel 1208 c da un atto del notaio Giacomo Oliverio (Poch, V, p. 259) del 2 febbraio 1208, risulta infatti che ur. tal monaco Ugo si impegnava a costruire su un terreno del monte Pozzolo un ospedale e lo stesso Ugo è poi ricordato, nel 1214, come ministro del già attivo ospedale del monte di Pozzolo (A.S.G, Notai, Cart. 3, c. 36r.), Il I” febbraio 1286 (ibid., Can. 129, c. 219r.) la priora Isabella e le altre monache di S. Spirito locarono la metà di questo ospizio, con terra e casa, a Giacomo Valla. 28. L’ospedale di S. Maria dei Crociferi Gli Incrociati, detti anche Crociferi, per la croce di ferro (divenuta poi d’argento in epoca tarda) che portavano, erano, come è noto, gli appartenenti all’antico ordine religioso e ospedaliero, fondato, secondo la tradizione, addirittura da S. Cleto papa, ma che, più verosimilmente, può essere fatto risalire, in Italia, al periodo compreso tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo E’ comunque certo che l’Ordine era già fiorente sotto il pontificato di Alessandro III, tanto è vero che questo pontefice trovò rifugio dalle persecuzioni del Barbarossa in alcuni monasteri dei Crociferi' e nel 1169 concesse loro, in segno di riconoscenza, vari privilegii. L’Ordine, di regola agostiniana, ebbe una diffusione abbastanza rilevante, in Italia, nei secoli successivi, tanto da contare, nel periodo di maggiore splendore, oltre duecento monasteri, dislocati nelle cinque province, di Bologna (ove si trovava la casa madre, in S. Maria di Morello), di Venezia, di Milano, di Roma e di Napoli, ad ognuno dei quali era annesso un ospedale4. A Genova, i Crociferi possedettero una chiesa e un convento sulla sponda destra del Bisagno. Annota, a questo proposito, il Giscardi: ne’ suburbi di Genova, presso il fiume Bisagno vedesi la detta chiesa, quale benché dicasi dei santi diecimila Crocifissi, il suo titolo principale è di S. Maria. Abitavano quivi anticamente religiosi detti Cruciferi o Crucigeri, l’istituto dei quali era di tener ospedale appresso dei propri monasteri, et in quelli esercitarsi a prò di poveri infermi. La notizia più antica della presente chiesa, si ha dagli atti del notaio Guglielmo Cassinese, sotto l'anno 1191 e si nomina di S. Maria, e negli atti medesimi si parla delli suddetti Religiosi Crucigeri e del loro ospedale 5. Oltre al Giscardi, anche altri storici genovesi fanno riferimento al 1191, come la data più antica relativa all’ospedale dei Crociferi 1 Cibrario, Descrizione .. ordini religiosi cit., p. 175. 2 Vita di Alessandro 111, in RIS, t. Ili, pp. 448, 450. 3 Pazzini, L’ospedale dt,, p. 113. * Cibrario, Descrizione... ordini religiosi cit.. p. 176. Altri Ordini omonimi sorsero in Siria, nelle Fiandre, in Boemia e in Polonia, ma questi non ebbero mai alcun legame tra loro, né con quello italiano, e di essi solo quello boemo ebbe un indirizzo ospedaliero (cfr. Pazzim, L'ospedale, p. 112). 5 Giscardi, Origine e successi delle chiese, monasteri e luoghi pii di Genova, ms del sec. XVIII in BiB, p. 345. - 266 - di Bisagno . Tuttavia, in realtà, le prime notizie su questo ospedale risalgono ad almeno dodici anni prima di questa data. Vi è, infatti, un testamento del 5 settembre 1179, nel quale un certo Guglielmo da Savona legava dieci soldi hospitali Cruciatorum del Bisagno (v. app. n. 1283). Abbiamo detto almeno dodici anni prima, in quanto vi è un documento del 21 agosto 1176 (v. app. n. 1282), nel quale prete Bernardo, priore di S. Giovanni di Paverano, trattava una permuta di terre con «l’ospedale di Bisagno ». Questo ospedale, a nostro avviso, può essere identificato con quello dei Crociferi, in quanto la stessa ambivalenza nei riguardi della denominazione compare anche altre volte. Ad esempio in un documento del 1191 (v. app. n. 1294) viene indicato come priore dell’ospedale di Bisagno, frate Salvo, e costui è anche qualificato esplicitamente, in altri documenti dello stesso anno (v. app. n. 1289), priore di quello de Crociferi, il che ci sembra dimostri chiaramente l’uso alternativo dei due termini per definire la stessa istituzione. Per questo motivo riteniamo logico attribuire ai Crociferi il legato di cinque soldi che Simona Doria destinò il 26 gennaio 1212 « all’ospedale di Bisagno » (v. app. n. 1302). Ritornando alle prime testimonianze relative a questo istituto ospedaliero, ricordiamo ancora il lascito di due soldi in suo favore da parte di un tal Giovanni forhitor (v. app. n. 1284), lascito che risale al 1180 e quindi anche esso ben anteriore alla serie di atti rogati dal notaio Guglielmo Cassinese nel 1190 e 1191, relativi alla donazione fatta da Milo da Piazzalunga allo stesso nosocomio (v. app. nn. 1287/1291). Alcuni di questi atti, come abbiamo detto, sono stati considerati, dagli storici cittadini del passato, la prima fonte documentaria esistente sull’istituto. Il loro contenuto, oltre a fornirci preziose indicazioni su alcuni aspetti giuridici collegati al meccanismo delle donazioni, ci permette di conoscere i nomi del rettore di quel tempo (il già citato frate Salvo) e dei suoi confratelli, dandoci inoltre la possibilità di ricavare alcune annotazioni di costume sui personaggi coinvolti in questa lunga vicenda legale. Questa ebbe inizio con la decisione presa da Milo da Piazzalunga, nel dicembre del 1190, di donare se et sua specialiter locum de Bavali domo et hospitali Cructgerum de Bi san ni et donationem inter vivor facit fratri Salvo et fratti Alberico et fratti Viviano recipientibus nomine hospitalis. Questa donazione veniva fatta in presenza e col consenso di Matelda. moglie dello stesso Milo (v. app. 6 Montaldo, Sacra ligustica dt, p. 153; Podestà, La Porta dt, p. 17; Casalis dt, p. 583; Accinelli, Dizionario dt., G. Noris, Memorie del Borgo Incrociati, Genova 1879, p. 36. - 267 - n. 1287). Costei, in un documento successivo, rogato verosimilmente nello stesso giorno, riceveva la promessa, dai frati Salvo, Alberico e Viviano, di ricevere venti lire in due anni per tacitare ogni sua pretesa sui beni mobili e immobili, compreso il fondo di Bavari, che il marito aveva donato all’ospedale (v. app. n. 1288). Al 17 giugno 1191 risalgono altri tre atti dello stesso cartolare (v. app. nn. 1289, 1290, 1291), sempre relativi alla predetta donazione, nel primo dei quali, Mazuco de Pomario si impegnava a versare ai Crociferi, alla morte di Milo (del quale era verosimilmente esecutore testamentario), la somma di cinquantacinque soldi, per coprire le spese di sepoltura, mentre negli altri due sono contenute le garanzie che entrambe le parti si scambiavano reciprocamente. Vi sono infine altri due documenti, datati 12 settembre 1191 (v. app. nn. 1293, 1294), in uno dei quali venivano riconfermati i patti conclusi fra Milo e i Crociferi, e veniva sottoscritta, da parte di Mazuco la rinuncia, a favore dell’ospedale, ad una donazione fattagli dallo stesso Milo. In cambio, frate Salvo, a nome dell’istituto, prometteva a Mazuco il mantenimento a vita, sciogliendolo anche dall’impegno di versare i cinquantacinque soldi pattuiti per la sepoltura di Milo. In questo caso, Mazuco entrava a far parte dell’ospedale, in forma analoga ai « donati » o « redditi », anche se in realtà di questa categoria non aveva tutti i requisiti. Egli rientrava piuttosto tra quelle persone che contraevano con l’ospedale un rapporto di tipo pensionistico, ottenendone victum et vestitum, senza per altro contrarre in cambio alcun obbligo assistenziale o religioso. Nell'ultimo dei documenti citati, la moglie di Milo dichiarava di essere soddisfatta della somma che i Crociferi le avrebbero versato in cambio della sua rinuncia ad ogni azione legale relativa alla cessione dei beni del marito. Altre notizie sull’istituto retto dai Crociferi si possono ricavare da documenti che ricordano i vari rettori succedutisi, durante tre secoli, nell’ammi-nistrazione del complesso chiesa-ospedale e che qui riportiamo in sequenza cronologica. 1181 - Frate Salvo. E’ il primo dei rettori di cui si abbiano notizie: lo troviamo, infatti, citato più volte come priore dell’ospedale negli atti del Cassinese, relativi alla donazione di Milo da Piazzalunga, in uno dei quali (v. app. n. 1287) sono citati anche, come rappresentanti dell’ospedale, insieme con Salvo, i frati Alberico e Viviano. 1223 - Frate Ardizzone. E’ indicato come rettore dell’ospedale dei Crociferi, a proposito di una contToversia sorta con Raimondo, abate del monastero di S. Stefano, controversia che richiese l’intervento dei delegati apostolici il 10 maggio 1223. Questi condannarono l’ospedale - 268 - all annuo censo di un denaro a favore dell’abbazia benedettina ( v. app. n. 1307). 1248 - Prete Angelero. Figura in un atto del notaio Matteo de Predono, del 28 gennaio 1248 (v. app. n. 1322), dove è indicato quale priore della chiesa di S. Maria dei Crociferi di Bisagno e ministro dell’ospedale da essa dipendente. Questo documento riporta la decisione che prete Angelerio, insieme con i confratelli (prete Gaspare e i frati Giovanni, Andrea e Lanfranco), prese al fine di accogliere nell’ospedale Giovan-nina, figlia di Oberto de Palodio, alla quale si impegnava di garantire il mantenimento (promittentes ei dare victualia). 1286 - Frate Alberto. In un atto del 4 gennaio 1286 (v. app. n. 1342), egli è indicato come priore della chiesa e ospedale dei Crociferi, a proposito di una lite, nella quale interveniva in veste di paciere. 1303 - Frate Gerardo. In una riunione di ospitalari e procuratori di vari ospedali genovesi (v. app. n. 1347), per la riscossione dell’eredità del defunto canonico di S. Lorenzo, Giovannino, detto Cardinale, è nominato frater Guirardus Sancte Marie Incroxatorum. In un’analoga riunione, tenuta 1*8 marzo 1311 (v. app. nn. 1350,1351), l’ospedale era rappresentato, in veste di procuratore, da frate Pasquale, rettore della domus Dei di suor Verdina. 1322 - Frate Giovanni da Piacenza. Rappresentava l’ospedale dei Crociferi nella spartizione, tra vari istituti cittadini, dell’eredità di Giovannino de Fornari7. 1335 • Frale Antonio Viacava. Si trova registrato nel cartolare C delle Com- pere *, per la riscossione dei proventi sui luoghi iscritti a nome dell’ospedale di S. Maria dei Crociferi. 1336 - Frate Raimondo. Si trova indicato come prior ecclesie et hospitalis sancte Marie Bisannis ordinis Cruci ferorum (v. app. n. 1354), a proposito della riscossione di venti fiorini quale canone annuo della locazione di una casa di proprietà dell’ospedale. 1346 ■ Frale Angelo. E’ indicato quale priore hospitalis sancte Marie Cru-ciferorum in una nota del cartolare C delle Compere, datata 28 feb-fraio 1346’. 1354 - Frate Viviano da San Severino. Riscuoteva i proventi iscritti a nome 7 Alizeri, Guida dt, p. 689. 1 A.S.G, Comp. c Mutui, ng. 350, c. 52 r. ’ Ibid. - 269 - dell’ospedale, nel cartolare C delle Compere, il 23 giugno 1354 10, ma non è certo che egli fosse il priore, poiché viene indicato soltanto come appartenente all’ordine dei Crociferi. 1386 - Frate Giorgio da Monticello. E’ indicato come priore della chiesa e ospedale di S. Maria dei Crociferi, a proposito di un contratto di locazione (v. app. n. 1357). 1402 - Il Giustiniani11 afferma che, durante le lotte di fazione, nel 1402, il Boucicault fece impiccare un ghibellino, reo di aver introdotto con le armi un nuovo priore nel monastero dei Crociferi, dopo averne deposto il legittimo. 1411 - Frate Simone da Como. Una annotazione, datata 22 aprile 1411, del cartolare C delle Compere 12, indica Simone da Como quale rettore dell’ospedale e Arduino da Milano suo procuratore. 1427 - Frate Antonio da Casale. Nel citato cartolare delle Compere egli figura come priore della chiesa dei Crociferi, in una nota del 10 luglio 1427 e in un’altra del 9 giugno 1428. 1443 - Emanuele Bonvino. Non vi sono indicazioni precise circa la sua qua- lifica, per cui è presumibile che a lui fosse affidata la procura per compiere operazioni finanziarie a nome dell’istituto l4. 1444 - Antonio de Placono. Come il precedente fu, con ogni probabilità, soltanto un procuratore dell’ospedale,s. 1447 - Frate Giovanni Tarigo da Rapallo. Egli è citato nel cartolare C delle Compere, in data 9 luglio 1447 16. Secondo il Montaldo l7, negli atti del notaio Andrea de Cairo, del 1448, si trova indicato il Tarigo in qualità di rettore commendatorius della chiesa e ospedale di S. Maria di Bisagno. In un atto dello stesso de Cairo, del 1472 (v. app. n. 1358), si trova ancora indicato frate Tarigo, dell'ordine dei Crociferi, anche come rettore della chiesa di S. Pietro di Novella, in Rapallo, a proposito di una pensione annua di dodici fiorini d’oro, che «> lbid., ng. 359, c. 55 r. 11 Giustiniani cit., IV, c. CLXVI v. 12 A.S.G., Comp. e Mutui, ng. 484, c. 27 r. 13 lbid., ng. 509, c. 46; ng. 519, c. 41 r. 14 lbid., ng. 540, c. 31 v. 15 lbid , ng. 541, c. 29 v. 16 lbid., ng. 544, c. 34 r. 17 Montaldo cit., p. 153. - 270 - costui doveva percepire dai proventi del priorato della chiesa e ospedale della Beata Maria dei Crociferi di Bisagno. 1472 - Prete Antonio da Rapallo. All’epoca delle incorporazioni a Pammatone, egli si trovava in carica quale rector ecclesie Cruciferorum, come risulta da un decreto governativo che faceva riferimento alla esecuzione di un canale di scarico, sulla strada pubblica, che lo stesso rettore era tenuto a fare eseguire18. Dal precedente elenco cronologico possiamo ricavare alcune notizie circa il personale addetto all’ospedale. Innanzitutto, va rilevato che la comunità dei Crociferi, che si raccoglieva nell’istituto, probabilmente non fu mai molto numerosa. Vediamo, infatti, che il capitolo era rappresentato da non più di quattro o cinque persone, compreso il rettore, e ciò sia nel XII sia nel XIII secolo (v. app. nn. 1287, 1322). Non si deve dimenticare però che, oltre ai confratres, evidentemente tutti appartenenti all’ordine dei Crociferi, esisteva anche, come di consueto, un certo numero di persone, alcune delle quali legate all’istituto da voti parziali ed altre indipendenti da vincoli religiosi o assistenziali. Vi erano infatti, come d’uso, conversi, donati o redditi di entrambi i sessi che prestavano la propria opera a favore degli infermi, ma accanto ad essi si trovavano alcuni privilegiati che l’ospedale manteneva e alloggiava in cambio di benefici ricevuti, come ad esempio i già ricordati Mazuco di Pomario e Giovanna di Palodio (v. app. nn. 1293, 1322). Per quanto riguarda la destinazione dell’istituto, va riconosciuto che esso non fu adibito soltanto a ricovero di viaggiatori, come sosteneva il Ca-salis l9, ma anche all’assistenza dei malati, come dimostrano testamenti del XIII e XIV secolo, nei quali compaiono legati in favore dell’ospedale, espressamente destinati pro infirmis (v. app. nn. 1336, 1349, 1355). E’ presumibile chc nelle fasi iniziali della sua attività prevalesse la funzione di ostello, grazie alla posizione topograficaideale per alloggiare quei viandanti e pelle- 11 Noris cit, p. 55. 19 Casalis cit, p. 583. Secondo il Ferretto (Il re di Cipro cit,) nell’ospedale dei Crociferi si ricoveravano anche i bolognesi residenti a Genova. w L’ospedale di S. Maria dei Crociferi era, come abbiamo detto, situato sulla sponda destra del Bisagno, e rappresentava, con quello di S. Fruttuoso, posto sull’altra riva, il più orientale degli istituti ospitalieri dislocati nei suburbi di Genova. Come l’ospedale di Capo di Faro, a ponente, cosi quello dei Crociferi, a levante, era spesso considerato il confine, l'estremo limite, quando si volevano comprendere in blocco gli istituti cittadini. Numerosi sono, infatti, i lasciti testamentari effettuati con la formula a Capite Fan usque ad hospitalem Crudferorum (cfr. app. nn. 11, 31, 33, 43). - 271 - grini che, percorsa la via Aurelia e passato il Bisagno, attendevano di entrare in città. Successivamente, col progressivo popolarsi dei dintorni, l’ospedale assunse funzioni più complete, in risposta alle necessità degli abitanti della zona. L’area nella quale si erano stabiliti i Crociferi, inizialmente deserta, andò, infatti, inurbandosi abbastanza rapidamente attorno alla chiesa e all’ospedale, tanto che già agli inizi del XII secolo, come si apprende da alcuni documenti citati dal Noris:i, si trova l’indicazione di contrata Cruciferorum oppure in Bissatine in contrata si ve vicinia S. Maria de Incruciutts, loco ubi dicitur Insula e in questi casi il termine contrata può rappresentare il primo nucleo abitato di quello che sarà poi detto il « borgo dei Crociferi » 22. L’attività dell’ospedale si mantenne ancora nel XV secolo, ma indubbiamente in forma ridotta, per la brusca flessione delle entrate, che lasciti sporadici, anche se di una certa consistenza, come quello di Manfrcdina Stella da Chiavari, di 90 lire13, non bastarono certo a sollevare. La vita dell’istituto si concluse probabilmente prima del periodo delle incorporazioni, poiché esso non risulta nell’elenco degli ospedali annessi 3 Pammatone, né tra quelli esenti, in quanto appartenenti a ordini religiosi 29. L’ospedale di San Fruttuoso La chiesa di S. Fruttuoso (detta de via, in quanto si trovava lungo il percorso dell’Aurelia) aveva origini antichissime, ben anteriori al Mille, e dipendeva dalla pieve di S. Martino Era ubicata in aperta campagna, in 21 Noxis cit., p. 40. I documenti sono rispettivamente del 20 aprile 1210 e del 5 giugno 1211. 22 In un atto del 6 novembre 1586 del not. Antonio Foglietta (A.S.G., Notai, Cart. 468, I, c. 97 r.) è contenuta gii la denomina/ione di borgo dei Crociferi. a V. app. n. 101. Va rilevato che la situazione economica dell'ospedale, dal XIV secolo in poi, non dovette essere molto florida, secondo quanto lasciano arguire i depositi iscritti nel cartolare C delle Compere, dal 1)46 (A.S.G., Comp. t Mutui, ng. )50, c. 52 r.) al 1446 (ibid., ng. 543, c. 33 r), depositi di poche decine di lire c quindi nettamente inferiori alla media degli «pedali cittadini o, almeno, dei più importanti tra essi. Va ancora annotato che il lascito di Manfredina, già nd 1456. si era ridotto a 23 lire ( A S G , S. Giorgio, Colonne, ng. 232. Cart. CPL). 24 Anselmi rii., p. 267; Casali» cit., p. 585 e sgg. 1 A. Feksetto, 1 primordi cit., p. 525. - 272 - quell area ricca di vigneti e di orti, estesa in dolce declivio dal colle di S. Martino d Albaro fino a Bisagno, area che conserva ancora oggi gli antichi toponimi di lerralba e di S. Fruttuoso. La chiesa sorgeva, come abbiamo detto, lungo la via romana che, uscita dalle mura di Genova e attraversato il fiume, sul ponte dei 28 archi, si portava verso Albaro. In gran parte le terre sulle quali fu edificata la chiesa di S. Fruttuoso erano di proprietà benedettina 2, per cui è verosimile che gli stessi monaci ne fossero, se non i fondatori, almeno i successivi amministratori. Il nome di Sanctus Fructuosus de via appartenne anche ad un ospedale, che viene ricordato in numerosi documenti del XII e XIII secolo e che si trovava in prossimità del ponte summenzionato e della chiesa di S. Agata, dalla quale lo stesso ponte avrebbe tratto in seguito il nome \ L’ospedale di S. Fruttuoso, data la sua ubicazione, faceva parte evidentemente dei cosiddetti « ospedali di ponte », dei quali troviamo memoria in moltissimi documenti dell’età medievale e che nel Genovesato vediamo rappresentati, oltre che da questo, dall’ospedale di S. Pietro martire di Consigliano, sul Polcevera, da quello di S. Biagio di Rivarolo, sul rio Maltempo, da quello di Morigallo, ancora sul Polcevera, da quello di S. Giovanni (poi S. Giacomo) di Quarto, sul rio Penego, e da quello di Bogliasco Questo tipo di ospedale aveva precipuamente carattere di ospizio, analogamente ai cosiddetti ospedali di passo. Entrambe le istituzioni, infatti, rispondevano alla precisa necessità di alloggiare pellegrini e viaggiatori in un momento critico del loro itinerario, quale era il superamento di difficoltà naturali, come monti o fiumi. In realtà gli ospedali di ponte non erano soltanto ospizi od ostelli, ma possono a buon diritto essere considerati come veri e propri nosocomi, in quanto davano assistenza anche ai malati, come dimostrano in proposito vari atti testamentari, tra i quali citiamo, ad esempio, quello di Verdina, del fu J L'abbazia di S. Stefano, ancora nel XIV secolo, era proprietaria di terre ortive in quella rana (A.S.G, Arch. Segr., ng. 1511, doc 273 b.). 3 II nome di S. Agata venne attribuito al ponte in epoca più tarda, dopo che il monastero femminile omonimo, fondato sul finire del XII secolo (Muzio, Li monasteri cit, II, p. 55), ebbe acquisito una più larga notorietà. Noi abbiamo reperito riferimenti al ponte di S. Agata soltanto in documenti non anteriori al XIV sec. (v. app. nn. 41, 42, 49, 50). 4 Anselmi cit, p. 266; G. Caneva, L’antico ospedale di S. Giacomo in Genova Quarto, in « Genova », 1963, fase. 5, pp. 20-26; A.S.G, Comp. e Mutui, ng. 32 (anno 1385), Cart. C, c. 19 r.: Domus situala in Boliascbo prope pontem in qua receptantur pauperes transeuntes. - 273 - 18 Borromino di Sampierdarena, che il 16 aprile 1348 legava soldi 10 agli infermi dell’ospedale del ponte del Polcevera5. In generale questi ospedali facevano parte della cosiddetta opera pontis, che consisteva in una istituzione comprendente più attività, quali la costruzione e la manutenzione dei ponti e l’assistenza ai viandanti in transito, attività queste che erano sovvenzionate dalla riscossione dei pedaggi e dai lasciti. L’ospedale, quindi, entrava a far parte di un unico organismo, la cui gestione era a volte affidata a laici, spesso a ordini religiosi o cavallereschi, e, per i ponti di maggiore importanza, prossimi alle città, alle autorità comunali6. L 'opera pontis non era necessariamente legata alla presenza del ponte, ma a volte si realizzava anche in prossimità di guadi, ove potevano essere istituiti traghetti ad uso dei viaggiatori1. L’ospedale di S. Fruttuoso era il primo tra quelli genovesi che i viaggiatori, provenienti da levante incontravano approssimandosi alle mura cittadine. Molti documenti concernenti lasciti effettuati globalmente a tutti gli ospedali di Genova indicavano, infatti, come estremi del suburbio, gli ospedali di Capo di Faro e di S. Fruttuoso e la formula a Capite Fari usque ad Sanctum Fructuosum de via (v. app. nn. 1, 6), era abbastanza usuale, quando i vari istituti non venivano indicati singolarmente. La fondazione dell’ospedale di S. Fruttuoso risalirebbe agli anni intorno al 1180, secondo quanto afferma il Venturini8, che la attribuisce ad un certo Donadeo. Il Ferretto9, d’altra parte, sosteneva che in quegli anni, presso il ponte di S. Agata, fu fondato un ospedale per opera di un tal prete Berardo. 5 A.S.G, Notai, Cart. 335, c. 165 r. 6 Si è parlato (Cibrario, Descrizione... ordini religiosi cit., II, p. 280 e sgg.) di una congregazione di « Frères Pontifes », in Italia detti « Pontefici » o « Pontieri », che si dedicava alla costruzione e alla manutenzione dei ponti, nonché alla gestione degli ospedali annessi, collegando le origini di tale congregazione con la leggendaria fondazione del ponte di Avignone, da parte del pastorello Benazet, oppure identificandola con l’ordine dei Cavalieri di Altopascio (Nasalli Rocca, Il diritto cit, p. 77). Tuttavia, ci sembra più fondata la tesi proposta da Imbert (cit, p. 122), secondo la quale gli ospedali di ponte potevano essere affidati di volta in volta alla cura di singoli ordini o congregazioni, come appunto quello di Altopascio, in Francia, i Templari, per il ponte di Te-stana, presso Torino, i Vallombrosani, per il ponte sullo Stura (Cibrario, Descrizione... ordini religiosi cit, II, p. 335), ma senza che esistesse una specifica organizzazione destinata esclusivamente a questo scopo. 7 Imbert, Les hôpitaux cit, p. 123. 8 Venturini cit, p. 30. 9 A. Ferretto, Gli ospizi di carità nelle due riviere, in « Il Cittadino », 27 gennaio 1928. - 274 - L’esame dei documenti reperiti non ci ha permesso di trovare notizie concernenti la fondazione di questo istituto, pur ottenendo la conferma dell’esistenza di Donadeo e di prete Berardo, nonché del loro rapporto con il ponte del Bisagno, ma solo con esso. Infatti, non vi è una chiara connessione tra questi due personaggi e l’ospedale. Del prete Berardo (o Belardo) abbiamo trovato due sole citazioni, e precisamente nel testamento di Volpe, del 21 aprile 1192, dove si trova un lascito di dieci soldi ponti de presbitero Belardo (v. app. n. 1361) e nel testamento di Adalasia, figlia di Ansaldo Rataldo, del 26 settembre 1204, dove è contenuto un lascito di cinque soldi all’ospedale di S. Fruttuoso e dove è nominato un mulino che si trovava sub pontem presbiteri Berardi (v. app. n. 1363). E’ evidente qui l’esplicito riferimento al ponte, ma è anche palese la mancanza di qualsiasi connessione con l’ente ospitaliere. Il nome di Donadeo ricorre anch’esso in carte della metà del XII secolo: ad esempio nel testamento di Baldone Scarso, del 17 gennaio 1160, compare un lascito di cinque soldi all’ospedale del ponte di Polcevera ed uno uguale ponti Bisamnis Donidei (v. app. n. 1359). Inoltre vi è il testamento di un certo Beidie che lasciava, nel 1182, due soldi a tutti gli ospedali da S. Tommaso usque ad pontem DonusdeiI0, ed infine il legato di cinque soldi che il 14 febbraio 1190 Contessa, moglie di Gugliemo Vento, destinò hospitali capitis pontis Donidei (v. app. n. 1360) u. Anche in questi atti si può ravvisare il rapporto tra il personaggio e il ponte, ma non con l’ospedale, nonostante l’ultimo documento citato possa far pensare il contrario. A nostro avviso, infatti, il genitivo Donidei è qui legato alla parola ponte, perché qualora si fosse voluto far riferimento all’ospedale, sarebbe stata più logica la formula: hospitali Donidei capitis pontis n. I due personaggi sopra ricordati appaiono pertanto con certezza collegati solo al ponte sul Bisagno, tuttavia questo non ci sembra possa escludere a priori un loro legame con l’annesso istituto ospitaliero. Infatti, come abbiamo già detto, le opere pontis comprendevano quasi sempre, nel loro complesso di attività, la gestione di un ospedale. E’ quindi probabile che anche l'opera pontis di Bisagno fosse tale e che pertanto un lascito, genericamente indiriz- 10 De Simoni cit., p. 63. 11 Si ha notizia di un Donadeo che nel 1211 era preposto delT« ospedale di Bisagno » (v. app n. 1367), ma in questo caso non è possibile sapere se si tratta dell’ospedale di S. Fruttuoso o di quello dei Crociferi. 12 Analoghe considerazioni si possono fare in proposito del testamento di Filippo di Castello dell’8 giugno 1201 (v. app. n. 1362), nel quale è contenuto un legato di due soldi in favore hospitali capitis pontis Donusdei. — 275 - zato ad essa, comprendesse anche la frazióne ospedaliera, pur senza farne esplicita menzione. Donadeo e Berardo possono essere quindi considerati ragionevolmente, oltre che fondatori o amministratori del l'opera pontis, anche, per i motivi sopraddetti, fondatori o amministratori dell’ospedale dipendente dall’opera stessa. Rimane da stabilire come mai si trovino nomi diversi a rappresentare una unica istituzione e se essi non stiano invece ad indicarne più d’una. Il dualismo che compare a proposito della denominazione del ponte può avere molteplici spiegazioni: in primo luogo, il titolo più antico (Donadeo) potrebbe riferirsi effettivamente al fondatore dell’opera, mentre il prete Berardo ne sarebbe stato solo un successore, dato che, come si è visto a proposito di altre istituzioni coeve, la denominazione poteva spesso variare richiamandosi, oltre al titolo dedicatorio, al nome del fondatore o a quello di rettori dotati di particolari benemerenze (cfr. S. Tommaso e S. Maria di Castello). D’altra parte, i due nomi potrebbero essere attribuiti, uno al ponte inferiore, l’altro al ponte superiore del Bisagno. E’ noto, infatti, che oltre al ponte dei 28 archi ne esisteva un altro, anch’esso sede di uri opera pontis comprovata da lasciti specifici13. E’ tuttavia poco probabile che nel nostro caso ci si possa riferire a questo ponte, che aveva, come è noto, una importanza assai secondaria, rispetto a quello posto lungo la via romana e che era considerato pons Bisamnis per eccellenza. Possiamo quindi ragionevolmente sostenere che l’ospedale fosse uno solo, posto al capo orientale del ponte di S. Agata 14, e che esso fosse stato fondato verso la metà del XII secolo da Donadeo, al quale successe nella gestione il prete Berardo. L’ospedale, per un certo periodo della sua vita, prese poi il nome di S. Fruttuoso, probabilmente per la accresciuta importanza del toponimo, conseguente all’inurbamento della zona ed infine, assunse quello di S. Agata, tornando così ad identificarsi con quel ponte dal quale molto tempo prima aveva tratto la sua origine. Dato che gli scarsi documenti reperiti, relativi all’istituto, non risalgono 13 Nel testamento di Rubaldo Galeta vi è un lascito di tre lire operi pontis de Risanno superno e uno uguale operi pontis de Bisanno subtano (v. app. n. 1366) e nel testamento di Elena, vedova di Guglielmo Beco, è contenuto un legato di sei denari all’opera del pente inferiore del Bisagno (v. app. n. 1374). 14 A conferma della ubicazione, ricordiamo che in due atti del 1213 e del 1231, è contenuto un legato di dieci soldi hospitali Sancti Fructuosi de capite pontis (v. app. nn. 1370, 1375). - 276 - ad epoca posteriore alla metà del XIII secolo, è presumibile ceh esso abbia concluso abbastanza presto la propria vita attiva. A questo precoce declino non fu probabilmente estranea la presenza, sull’altra riva del Bisagno, dell’ospedale retto dai Crociferi, che proprio intorno alla metà del Duecento aveva raggiunto il suo pieno sviluppo. La funzione di ospizio destinato al ricovero di viandanti e di pellegrini in transito15 si trasferiva quindi dall’antica opera pontis all’istituto monastico, che l’avrebbe poi mantenuta ancora per lunghissimo tempo. I 15 Questa era verosimilmente l’unica funzione assistenziale svolta dall’ospedale di S. Fruttuoso, poiché nei lasciti testamentari, ad esso indirizzati, non vengono mai nominati, come era invece abituale in quelli destinati agli altri istituti ospedalieri coevi, né i poveri né i malati. — 277 — Ili APPENDICE L’appendice è costituita da 1388 regesti di documenti, in massima patte inediti, riguardanti, direttamente o indirettamente, gli ospedali genovesi nel periodo compreso tra i secoli XII e XV. I regesti, dal n. 1 al n. 101, relativi ad atti ognuno dei quali fa riferimento a più ospedali, comprendono in massima parte testamenti, con lasciti indirizzati genericamente a gruppi di istituti ospedalieri i nomi dei quali, spesso, non sono esplicitamente indicati e comprendono altresì documenti concernenti riunioni di ospitalari. In queste serie, accanto ad atti riguardanti esclusivamente un solo ospedale, ne figurano altri concernenti più istituti. I regesti relativi a questi ultimi documenti sono stati frazionati, per maggiore praticità di consultazione, riportando la relativa segnalazione sotto il titolo di ogni ospedale interessato. Tali regesti sono contraddistinti dalla presenza di un asterisco alla prima citazione e dal numero di riferimento alle successive ed essi sono formulati indicando sempre l’entità del lascito (si tratta anche qui quasi sempre di testamenti), ma tralasciando di indicare, per brevità, il nome del testatore ogni qualvolta esso figura già in regesti precedenti relativi allo stesso documento e tralasciando del pari la denominazione dell’ospedale beneficiario quando questa corrisponde al titulus dedicationis, riportato all’inizio di ogni serie. Ovviamente il nome dell’istituto viene invece indicato nei casi in cui esso si discosta, in tutto o iti parte, da tale titolo. Va infine precisato che, per quanto riguarda la sequenza cronologica dei regesti, è stato seguito lo « stile della natività », secondo l’uso medievale genovese. Gli ospedali di Genova 1 - Capo di Faro 9 - S. Antonio di Prè \~j . S. Stefano di Ponticello 2 - S. Lazzaro 10 - S. Maria del Carmine 18 - S. Maria di Castello 3 - S. Cristoforo 11 - S. Maria Maddalena J9 . S. Silvestro 4 - Ospedale dei Sacco 12 - S. Francesco 20 - S. Erasmo 5 - S. Benedetto 13 - Cadè di suor Verdina 21 - SS. Crispino e Crispiniano 6-- S. Tommaso 14 - Ospedale dei ciechi 22 - Ospedale di Porta Soprana 7 - S. Giovanni di Prè 15 - S. Lorenzo di Scurreria 23 - S. Pellegrino 8 - Ospedale dello Scalo 16 - Repentite 74 , Ospedale di Misericordia Da M. Cevasco, Statistique de la ville de Gênes, Genova 1838, vol. I (rielaborazione, eseguita da Marcello Parigi). S. Giacomo di Morcento S. Gerolamo S. Desiderio S. Lorenzo (S. Vincenzo) S. Spirito Ospedale dei Crociferi Ospedale dei Foresti S. Fruttuoso Da Capo di Faro al Bisagno 1. 1186, dicembre 17. Arnaldo da Narbona lega soldi 5 a ciascun ospedale, da Capo di Faro a S. Fruttuoso (FNG, I, c. 135 r.). 2. 1191, dicembre 30. Alberto da Fontana lega soldi 2 a tutti gli ospedali, da Capo di Faro al Bisagno, fatta eccezione per gli ospedali di S. Giovanni, di S. Stefano e degli infermi di Capo di Faro, ai quali destina particolari lasciti (Cassi-nese, doc. 1459). 3. 1191, maggio 14. Giovanna, moglie di Ottone di Castello e figlia di Ansaldo Fornari, lega soldi 10 a ciascun ospedale, da Capo di Faro al Bisagno, fatta eccezione per l’ospedale di S. Giovanni, cui destina un legato a parte (ibid., doc. 621). 4. 1197, aprile 9. Caffara di Manica lega soldi 5 a ciascun ospedale da Capo di Faro a S. Stefano (A.S.G, ms. 102, c. 61 r.). 5. 1201, giugno 15. Ogerio Baiamonte lega soldi 100, da ripartire tra gli ospedali esistenti da Capo di Faro al Bisagno (G. di Guiberto, doc. 193). 6. 1206, marzo 30. Simone Buferio lega soldi 8 a ciascun ospedale, da Capo di Faro a S. Fruttuoso (ibid., doc. 1790). 7. 1215, dicembre 3. Verdelia, figlia di Vassallo Tasca, lega soldi 5 a ciascur. ospedale, da quello di S. Antonio di Porta dei Vacca a quello di S. Fruttuosi di Bisagno (A.S.G, ms. 535, p. 634). 8. 1217, febbraio 16. Alda, del fu Raimondo da Sori, lega soldi 10 a ciascun ospedale, dal Bisagno a Capo di Faro (Vigne, p. 201). 9. 1225, febbraio 28. Giacoma, moglie di Giacomo da Ponzone, lega soldi 18 agli ospedali di Genova (A.S.G, Notai, Cart. 16, c. 22 v.). 10. 1225, novembre 16. Giulia, moglie di Anseimo d’Albaro, lega soldi 2 a ciascun ospedale, da quello dei Crociferi a quello di S. Lazzaro (ibid., c. 84 c.). 11. 1227, settembre 20. Oberto Bonizo, del fu Ansaldo, lega soldi 20 a ciascun ospedale di Genova, da quello dei Crociferi a quello di Capo di Faro (A.S.G.. Notai, Cart. 7, c. 261 r.). 12. 1233, dicembre 3. Contessina, moglie di Pasquale di S. Donato, lega soldi 20 a ciascun ospedale, da S. Lazzaro al ponte di S. Agata di Bisagno (A.S.G, Notai, Cart. 27, c. 213 r.). 13. 1258, settembre 30. Marino de Alquario, barbiere, lega soldi 40 agli infermi degli ospedali di Genova (A.S.G, Notai, Cart. 60, c. 319 v.). 14. 1271, aprile 21. Aighineta, figlia di Guido Spinola, lega soldi 5 a ciascun ospedale, da quello di S. Giovanni a quello dei Crociferi (A.S.G, Notai Ignoti, busta 2, fase. 6, fascetta 19, c. 2 r.). - 281 - 15. 1271, aprile 21. Raimondo, calzolaio, lega soldi 2 a ciascun ospedale, da quello di S. Giovanni a quello dei Crociferi (ibid., c. 2 v.). 16. 1282, aprile 4. Tutadonna, del fu Pietro da Camogli e moglie di Fulchino Fa-laca da Rapallo, lega lire 2, da ripartire tra tutti gli ospedali di Genova, e lire 15, da ripartire tra le inferme in procinto di sposarsi (ibid., busta 7, fase. 88, c. 7 r. bis). 17. 1286, marzo 11. Nicolosa, moglie di Nìcolino, macellaio di S. Stefano, lega soldi 9 a ciascun ospedale e domus Dei, da quello di S. Lazzaro a quello di S. Maria dei Crociferi di Bisagno (A.S.G, Notai, Cart. 94, c. 47 v.). 18. 1291, settembre 8. Benvenuta, del fu Oberto da Cadebotano di Moneglia, lega soldi 2 a ciascun ospedale, da quello dei Crociferi a quello di Fassolo (A.S.G, Notai, Cart. 132, c. 2 v.). 19. 1297, dicembre 30. Giacomo da Camarana, notaio, lega soldi 1 a ciascun ospedale di Genova e dei sobborghi (A.S.G, Notai Ignoti, busta 2, fase. 7, fascetta 22, c. 1 r.). 20. 1297, luglio 16. Giovanna, del fu Giorgio da Casaleggio, lega lire 20 agli orfani e alle vedove dimoranti negli ospedali e in altri pii luoghi (ibid., busta 8, fase. 1, ng. 93, c. 52 r.). 21. 1298, marzo 22. Franceschina, del fu Giovanni, marchese di Gavi, e moglie di Bonifacio Castagna, lega soldi 5 a ciascun ospedale, da quello di S. Lazzaro a quello di S. Maria dei Crociferi (ibid., c. 35 r.). 22. 1298, aprile 14. Benvenuta de Brugnali, abitante nella conestagia di S. Donato, lega soldi 5 a ciascun ospedale di Genova, da quello di S. Lazzaro a quello di S. Maria dei Crociferi (A.S.G, Notai Ignoti, busta 10, fase. 4, ng. 107, c. 128 r.). 23. 1299, novembre 11. Sibelina, vedova di Giovanni Lercari, lega soldi 4 a ciascun ospedale (agli ospedali di S. Antonio, di S. Giovanni e agli infermi di S. Lazzaro stabilisce un legato a parte) e cadè, da S. Lazzaro a S. Maria dei Crociferi (A.S.G, Notai, Cart. 140, c. 216 v.). 24. 1301 ... Piccamiglio Malocello dispone un legato per ciascun orfano e vedova ricoverati in ospedali, in monasteri e nelle chiese, per messe cantate (A.S.G.. Notai Ignoti, busta 8, fase. 1, ng. 93, c. 35 r, mutila). 25. 1302, maggio 4. Rettori e procuratori degli ospedali di S. Lazzaro, di S. Giovanni, di S. Cristoforo, di S. Tommaso, di S. Antonio, della cadè della Maddalena, della cadè di Suor Verdina, degli ospedali di S. Croce, di S. Lorenzo, di S. Stefano e di Capo di Faro nominano Tommasino de Arnoldi loro procuratore per procedere al recupero della eredità del defunto Gregorio Lungui, balestriere, il quale legò la somma di lire 20 da ripartire tra i suddetti ospedali (A.S.G, Notai, Cart. 98, c. 147 v.). 26. 1302, luglio 17. Rettori e procuratori degli ospedali di S. Lazzaro, di S. Lorenzo, di S. Croce, di S. Tommaso, di S. Cristoforo, della cadè di suor Verdina e del- - 282 - I l’altra cadè (della Maddalena) nominano Ugo di Taro loro procuratore per la riscossione della eredità del defunto Gregorio Lungui balestriere (ibid., c. 227 v.\ cfr. n. 25). 27. 1302, dicembre 12. Rettori e procuratori degli ospedali di S. Lorenzo, di S. Lazzaro, di Capo di Faro, di S. Cristoforo, di S. Tommaso, di S. Giovanni, di S. Antonio, di S. Croce, della cadè (della Maddalena) e della cadè di suor Verdina agiscono per il recupero della eredità di Guglielmo da Pontremoli, il quale legò soldi 5 a ciascuno dei suddetti ospedali {ibid., c. 338 r.). 28. 1303, giugno 20. Bruscarello Ghisolfi lega lire 100 da ripartire tra gli orfani, le vedove, i poveri e gli infermi degli ospedali e di altre mansioni (A.S.G., Notai Ignoti, busta 8, fase. 1, ng. 93, e. 127 v.). 29. 1303, novembre 22. Rettori e procuratori degli ospedali di S. Lazzaro, di Fassolo (S. Cristoforo), di S. Tommaso, di S. Giovanni, di S. Antonio, della Maddalena, di Suor Verdina, di S. Croce, di S. Maria degli Incrociati, di S. Stefano, di S. Pellegrino e di S. Lorenzo agiscono per il recupero della eredità del defunto Giovanni, detto Cardinale, canonico della Cattedrale, il quale legò la somma di lire 10 da ripartire tra i suddetti ospedali (A.S.G., Notai, Cart. 99, c. 252 r.). 30. 1304, novembre 17. Marino Brondo, lega da 1 a 5 soldi, secondo i! giudizio dell’esecutore testamentario, a ciascun ospedale di Genova, da S. Lazzaro al ponte di S. Agata (A.S.G., Notai, Cart. 67, c. 64 r.). 31. 1306, agosto 12. Giacomina de Vederero, vedova di Guidotto, lega soldi 1 a ciascun ospedale di Genova e dei sobborghi, dal Capo di Faro alla chiesa dei Crociferi (A.S.G., Notai Ignoti, busta 10, fase. 2, ng. 105, c. 65 r). 32. 1309, giugno 25. Manera, vedova Parentis Farenari, fabbro, lega soldi 2 e denari 6 a ciascun ospedale, da S. Lazzaro a S. Maria dei Crociferi di Bisagno (A.S.G., Notai, Cart. 134, c. 197 r.). 33. 1309, ottobre 13. Petra, moglie di Ottolino Cebà e figlia di Biagio Castagna, lega soldi 10 a ciascun ospedale o domus Dei ove sono ospitati i poveri, da quello dei Crociferi di Bisagno a quello di Capo di Faro (A.S.G., Notai, Cart. 136, c. 259 v.). 34. 1310, gennaio 11. Legato di soldi 20 agli ospedali di Genova, da S. Lazzaro al ponte di Bisagno (A.S.G., Notai Ignoti, busta 9, ng. 97, c. 57 r., mutila). 35. 1310, novembre 14. Barbano Vento lega soldi 1 a ogni infermo degente negli ospedali di Genova e dei sobborghi, ponendo come limite massimo la somma di lire 50 (A.S.G., Notai, Cart. 140, c. 45 v.). 36. 1311, marzo 8. Rettori e procuratori degli ospedali e domus Dei di S. Stefano, di S. Maria Maddalena, di Suor Verdina, di S. Antonio, di S. Tommaso, di S. Cristoforo, di S. Maria di Castello, di S. Lorenzo, dei Crociferi, di S. Lazzaro, si trovano riuniti per il recupero della eredità di Leona da Sori, che legò soldi 5 — 283 — a ciascun ospedale e domus Dei, da Capo di Faro al ponte di S. Agata; le singole quote verranno decurtate di denari 6 da devolvere a favore dell’opera del porto e del molo (A.S.G, Notai, Cart. 149, c. 40 v.). 37. 1311, marzo 8. Rettori e procuratori degli ospedali e domus Dei di S. Stefano, di S. Maria Maddalena, di Suor Verdina, di S. Antonio, di S. Tommaso, di S. Cristoforo, di S. Maria di Castello, di S. Lorenzo, dei Crociferi, di S. Lazzaro e di S. Giovanni, si trovano riuniti per il recupero della eredità di Guglielmo da Moneglia, che legò ai suddetti ospedali soldi 5 ciascuno; le singole quote verranno decurtate di denari 6, da devolvere a favore dell’opera del porto e del molo (ibid., c. 41 r.). 38. 1311, agosto 2. Giovanni Bellomo da Campi di Coronata lega soldi 1 a ciascun ospedale, da quello di S. Lazzaro a quello di S. Stefano (A.S.G, Notai Ignoti, busta 8, ng. 93, c. 208 r.). 39. 1312, febbraio 21. Franceschina, vedova di Giacomo Cibo, lega soldi 20 a ciascun ospedale di Genova, da S. Lazzaro al ponte di Bisagno (A.S.G, Notai, Cart. 67, c. 167 v.). 40. 1312, marzo 10. Giacomina, del fu Marino Archerio e vedova di Manuele Me-rello, lega soldi 20 a ciascun ospedale e cadè esistenti dal ponte di S. Pier d’Arena fino a S. Martino de Irchis (A.S.G, Notai, Cart. 216, c. 30 r.). 41. 1312, aprile 14. Baliano, panzanus, lega soldi 3 a ciascun ospedale di Genova, dal ponte di S. Agata di Bisagno a S. Lazzaro (A.S.G, Notai, Cart. 101, c. 3 v.). 42. 1312, giugno 30. Agnesina, moglie di Ugolino, lega soldi 5 agli ospedali compresi tra il ponte di S. Agata e l’ospedale di Fassolo (ibid., c. 19 r.). 43. 1312, ottobre 27. Giovannino, del fu mastro Ada, lega lire 10 a tutti gli ospedali di Genova, da quello della chiesa dei Crociferi a quello di Capo di Faro, fatta eccezione per quello di S. Lazzaro al quale destina un lascito particolare (A.S.G, Notai, Cart. 263, I, c. 45 v.). 44. 1312, ottobre 27. Caterina, moglie di Oberto, trombator, lega denari 12 per ciascuno degli ospedali di Genova compresi tra quello dei Crociferi e quello di Capo di Faro (ibid., c. 46 v.). 45. 1313, marzo 15. Petra, del fu Ottobono Boccanegra, lega lire 3 e soldi 10 a tutti gli ospedali compresi tra quello di Capo di Faro e quello dei Crociferi, a beneficio dei poveri e degli infermi ivi degenti (A.S.G, Notai, Cart. 211, c. 14 v.). 46. 1313, aprile 3. Falco Falaca lega soldi 5 a ciascun ospedale di Genova, da Capo di Faro al ponte di S. Agata, a favore degli infermi ivi degenti (A.S.G, Notai, Cart. 161, c. 53 r.). 47. 1313, ottobre 19. Fraconerio da Castiglione, ospitato in casa dei Gentile, lega lire 25 agli ospedali di Genova compresi tra quello di Capo di Faro e quello dei Crociferi e destina altre lire 25 ai poveri del borgo di S. Stefano, fuori della porta di S. Andrea (A.S.G, Notai, Cart. 14, c. 132 v). - 284 - 48. 1316, gennaio 16. Giovanni di Cola lega soldi 2 a ciascun ospedale compreso tra quello di Capo di Faro e quello di S. Maria dei Crociferi di Bisagno (A.S.G., Cart. 214, c. 22 r.). 49. 1318, gennaio 6. Angelina, moglie di Guglielmo da Vado, lega soldi 5 a ciascun ospedale compreso tra Capo di Faro e il ponte di S. Agata {ibid., c. 99 r.). 50. 1318, febbraio 10. Sibelina, del fu Giovanni Rosso, lega roldi 10 a ciascun * ospedale compreso tra Capo di Faro e il ponte di S. Agata (A.S.G., Notai, Cart. 213, c. 62 r.). 51. 1318, aprile 14. Stefania Doria, quondam Cacharellis e moglie di Raffaele Doria, lega soldi 5 a ciascun ospedale compreso tra la Lanterna della diocesi di Savona e il monte di Rapallo della diocesi di Genova (A.S.G., Notai, Cart. 214, c. 224 r. ). 52. 1318, dicembre 21. Francesca, figlia di Enrico Saivago, lega soldi 5 a ciascun ospedale esistente tra Capo di Faro e la chiesa dei Crociferi di Bisagno, ad eccezione degli ospedali di S. Croce, di porta S. Andrea e di S. Lazzaro, ai quali destina un lascito a parte (A.S.G., Notai, Cart. 214, c. 224 r.). 53. 1319, febbraio 2. Giovanni di Negro lega soldi 20 a ciascun ospedale compreso tra Capo di Faro e la chiesa dei Crociferi di Bisagno (ibid., c. 239 v.). 54. 1319, maggio 18. Rubaldo, calzolaio, lega lire 3 da ripartire tra i poveri assistiti negli ospedali esistenti tra Capo di Faro e S. Agata e altre lire 3 per gli infermi degenti negli stessi ospedali (A.S.G., Notai, Cart. 214, c. 325 r.). 55. 1320, gennaio 17. Filippa, moglie di Giovanni, laniere di S. Stefano, lega soldi 1 a ciascun ospedale compreso tra quello di S. Lazzaro e quello di S. Maria dei Crociferi di Bisagno (A.S.G., Notai, Cart. 13, I, c. 20 r.). 56. 1336, febbraio 19. Giacomina, del fu Guglielmo da Multedo, lega soldi 1 a ciascun ospedale e cadè compresi tra quello di S. Lazzaro e quello di S. Maria dei Crociferi (A.S.G., not. Damiano de Camulio, ng. 150, filza 3, doc. nn.). 57. 1347, luglio 24. Virginia Lomellini, del fu Rizardo e moglie di Nicolò Doria, lega soldi 20 a ciascun ospedale di Genova e dei sobborghi fino a Recco fatta eccezione per gli ospedali dello Scalo, di Leona Ghisolfi e di Bogliasco, ai quali destina lasciti a parte (A.S.G., Notai, Cart. 232, c. 241 v.). 58. 1348, gennaio 10. Ambrogio da Monleone, maestro d’ascia, lega soldi 34 da ripartire tra 17 ospedali, a favore degli infermi ivi degenti (A.S.G., Notai, Cart. 335, c. 20 v.). 59. 1348, gennaio 30. Pietro di Santiorio da Brusegna Valle Augusta lega soldi 1 agli infermi di tutti gli ospedali da quello di Capo di Faro a quello dei Crociferi (ibid., c. 67 v.). 60. 1348, febbraio 6. Stefano Villa lega soldi 25 agli infermi degli ospedali (ibid., c. 85 r.). — 285 — * 61. 1348, febbraio 22. Giovanni da Cremona, calzolaio, abitante in Genova, destina lasciti agli infermi degenti nei vari ospedali genovesi: dei Crociferi (s. 40), di S. Vincenzo (s. 40), di S. Pellegrino (s. 20), di S. Stefano (s. 40), de Morcento (s 10), del Piano di S. Andrea (s. 10), di S. Croce (s. 40), della Maddalena (s. 40), del defunto frate Bertolino, presso quello della Maddalena (s. 10), di frate Ratto, vicino al precedente (s. 10), dei Ciechi (un letto del valore di lire 4), di S. Antonio (s. 40), di S. Giovanni (s. 40), del Comune (s. 40), di S. Tommaso (s. 20), di S. Cristoforo (s. 20), di S. Lazzaro (s. 40), e di Capo di Faro (s. 40) (A.S.G., Notai, Cart. 216, c. Ili r.). 62. 1348, marzo 8. Caterina, vedova di Andriolo Rosso, lega lire 2 agli infermi degli ospedali di Genova, compresi tra la porta dei Vacca e la porta di S. Andrea (A.S.G., Notai, Cart. 233, c. 98 v.). 63. 1348, marzo 9. Isabella, moglie di Baliano Negrino, lega lire 15, per mille messe, e lire 3 da ripartire tra i poveri ricoverati negli ospedali esistenti dal ponte del Polcevera all’ospedale dei Crociferi (ibid., c. 74 v.). 64. 1348, marzo 11. Francesca, vedova di Stefano da Sestri Ponente, lega soldi 1 a ciascun ospedale compreso tra il ponte del Polcevera e quello di S. Agata (A.S.G., Notai, Cart. 287, c. 167 r.). 65. 1348, marzo 11. Maddalena, moglie di Pietro Rosso da Albaro, lega soldi 1 a cascun infermo degente negli ospedali esistenti tra Capo di Faro e i Crociferi di Bisagno (ibid., c. 167 v.). 66. 1348, marzo 19. Aldina, del fu Leonardo Grimaldi, lega soldi 5 a ciascun ospedale esistente tra Rivarolo e Chiavari (A.S.G., Notai, Cart. 233, c. 98 v.). 67. 1348, marzo 20. Pietro Frasate da Ciligna lega soldi 2 agli infermi di ciascun ospedale compreso tra il ponte del Polcevera e quello di S. Agata (A.S.G., Notai, Cart. 335, c. 103 r.). 68. 1348, marzo 20. Maddalena, del fu Ugolino Giudice e moglie di Tommaso Spinola, lega lire 25 ai poveri e agli infermi degli ospedali di Genova, da quello di Capo di Faro a quello degli Incrociati (A.S.G., Notai, Cart. 233, c. 104 r.). 69. 1348, marzo 20. Giannotto da Fontana lega lire 20 ai poveri e agli infermi degli ospedali di Genova, da S. Lazzaro a S. Spirito di Bisagno (ibid., c. 105 r.). 70. 1348, marzo 24. Marcellino da Paveto, taverniere in Genova, lega soldi 5 a ciascun ospedale, da quello di Capo di Faro a quello dei Crociferi di Bisagno (A.S.G., Notai, Cart. 288, c. 97 r.). 71. 1348, marzo 26. Giannetto da Finale, del fu Guglielmo da Sori, lega lire 20 ai poveri e agli infermi bisognosi degenti negli ospedali di Genova, da quello di S. Lazzaro a quello di S. Maria degli Incrociati (A.S.G., Notai, Cart. 233, c. 118 v.). 72. 1348, marzo 29. Salvagia, del fu Francesco Spinola, lega lire 100 da distribuire - 286 - « ai poveri e agli infermi degli ospedali di Genova e dei sobborghi, dall’ospedale del Polcevera al ponte di S. Agata (ibid., c. 123 r.). 73. 1348, marzo 30. Nicola Viale, del fu Giovanni, lega lire 16 da ripartire tra i poveri e gli infermi degli ospedali di Genova e dei sobborghi, da quello di Capo di Faro a quello degli Incrociati di Bisagno (ibid., c. 130 r.). 74. 1348, marzo 30. Sovrana, del fu Francesco dei marchesi di Gavi, lega lire 45 da distribuire ai poveri degli ospedali e dei monasteri di Genova (A.S.G., Notai, Cart. 335, c. 132 r.). 75. 1348, aprile 1. Salvagia, vedova di Luciano Guisi, lega soldi 5 a ciascun ospedale di Genova e dei sobborghi, da quello di Capo di Faro a quello degli Incrociati (A.S.G., Cart. 233, c. 131 v.). 76. 1348, aprile 1. Caterina, del fu Giovanni del Poggio, lega lire 10 agli infermi degenti negli ospedali di Genova (A.S.G., Notai, Cart. 335, c. 133 v.). 77. 1348, aprile 1. Caterina, del fu Adriano Maruffì, lega soldi 100 ai poveri degenti negli ospedali compresi tra quello di Capo di Faro e quello dei Crociferi (ibid., c. 135 r). 78. 1348, aprile 5. Guido da Montebello lega soldi 20 ai poveri degli ospedali che si trovano compresi tra quello di Capo di Faro e quello dei Crociferi di Bisagno (A.S.G., Notai, Cart. 288, c. 110 r). 79. 1348, aprile 7. Antonio da Carfìna, corazzaio in Ripa, lega soldi 2 a ciascun ospedale compreso tra quello di Capo di Faro e quello dei Crociferi (A.S.G., Notai, Cart. 335, c. 145 r.). 80. 1348, aprile 10. Angelina, del fu Gabriele de Casanova, lega lire 5 agli ospedali compresi tra Capo di Faro e Nervi (ibid., c. 154 r.). 81. 1348, aprile 13. Giacomina, del fu Bertuccio Oliva da Voltri, lega soldi 5 agli infermi ricoverati negli ospedali compresi tra quello di Capo di Faro e quello dei Crociferi (ibid., c. 162 v.). 82. 1348, aprile 15. Giovannina Razeto lega soldi 2 e denari 6 da distribuire tra i poveri di ciascun ospedale compreso tra quello di Capo di Faro e quello dei Crociferi (ibid., c. 126 v.). 83. 1348, aprile 19. Michele Bracelli lega soldi 3 a ciascun ospedale compreso tra quello di Capo di Faro e quello dei Crociferi di Bisagno (A.S.G., Notai, Cart. 288, c. 119 r.). 84. 1348, aprile 22. Pellegrina, moglie di Ambrogio da Monleone, lega soldi 40 ai poveri degli ospedali di Genova (A.S.G., Notai, Cart. 335, c. 173 r.). 85. 1348, aprile 23. Berto Sauli lega 150 fiorini d’oro da distribuire ai poveri, ai miserabili, agli infermi, agli orfani e alle vedove degli ospedali e alle povere ragazze maritande (A.S.G., Notai, Cart. 233, c. 162 v.). — 287 — 86. 1348, aprile 24. Agnesina, di Bartolomeo da Pereto, lega lire 10 agli infermi degli ospedali di Genova (A.S.G., Notai, Cart. 335, c. 174?".). 87. 1348, aprile 30. Rondanino Rondena lega lire 15 ai poveri e agli infermi degli ospedali di Genova e dei sobborghi (A.S.G., Notai, Cart. 233, c. 138 v.). 88. 1348, maggio 4. Aighineta, del fu Benvenuto da Molino, lega soldi 5 ai poveri di ciascun ospedale compreso tra quello di Capo di Faro e la chiesa di S. Maria degli Incrociati (ibid., c. 171 r.). 89. 1348, maggio 5. Simonino da Rapallo, maestro d’ascia, lega soldi 100 ai poveri degli ospedali di Genova compresi tra quello di Capo di Faro e quello dei Crociferi (A.S.G., Notai, Cart. 335, c. 185 r.). 90. 1348, giugno 7. Nicolino, figlio di Isembaldo, lega lire 5 da distribuire ai poveri degli ospedali di Genova compresi tra quello di Capo di Faro e quello dei Crociferi (A.S.G., Notai, Cart. 233, c. 211 v.). 91. 1348, luglio 24. Enrico da Recco lega soldi 6 e denari 3 a ciascun ospedale compreso tra quello di Capo di Faro e quello degli Incrociati (ibid., c. 282 v.). 92. 1348, agosto 11. Francescana, del fu Vivaldo Bartolomeo da Chiavari, lega soldi 5 a ciascun ospedale compreso tra quello di Capo di Faro e quello degli Incrociati, inoltre a due ospedali, scelti secondo il giudizio dei suoi fedecommissari, destina due letti completi del loro corredo (A.S.G., Notai, Cart. 347, I, c. 140 v.). 93. 1348, agosto 19. Lina, vedova di Antonio, conciatore, lega soldi 5 a ciascun ospedale esistente tra il Bisagno e il Polcevera (ibid., c. 154 r). 94. 1348, agosto 28. Ginevra, del fu Antonio de Marini, lega soldi 5 a ciascun ospedale dei borghi di Genova (ibid., c. 160 r). 95. 1354, maggio 14. Caterina di Polcevera lega soldi 10 a ciascun ospedale tra quello di Capo di Faro e quello dei Crociferi di Bisagno (A.S.G., Notai, Cart. 170, II, c. 160 v.). 96. 1383, dicembre 17. Arduino de Foo, ospitalario dell’ospedale dei SS. Crispino e Crispiniano, e frate Simone Negrino, dell’ospedale di S. Stefano, procuratori degli ospedali compresi tra quello di Capo di Faro e quello dei Crociferi, ricevono da Benedetta del fu Giuliano Alterisio di Bisagno la somma di lire 10 e soldi 10, ossia soldi 10 per ciascun ospedale, come da legato del suddetto Giuliano (A.S.G., Notai, Cart. 409, c. 369 v.). 97. 1397, agosto 25. Marco Gallo di Bestagno, ospitalario di S. Maria delle Vigne, a nome proprio e di Pietro Lombardo, ospitalario di S. Maria di Capo di Faro, procuratori degli ospedali di Genova e dei sobborghi, agisce per il recupero della eredità di Agnesina da Mirualdo, la quale legò lire 40 da ripartire tra i suddetti ospedali e quelli di S. Lorenzo, di S. Maria Maddalena, di S. Antonio, di S. Giovanni, di S. Lazzaro, di S. Michele (di Ventimiglia) e dello Scalo (A.S.G., Notai, Cart. 377, c. 93 r.). — 288 — 98. 1400, dicembre 11. Rettori e procuratori degli ospedali di S. Giovanni, di S. Croce, di S. Cristoforo, di Capo di Faro, di S. Tommaso, di S. Desiderio, di S. Lazzaro, dello Scalo, di S. Maria del Carmine e del ponte di Cornigliano eleggono loro comune procuratore frate Gaspare de Fornari d’Albenga, dell’ospedale di S. Giovanni di Genova (A.S.G., Notai, Cart. 469, II, c. 74 t>.). 99. 1401, gennaio 25. Rettori e procuratori degli ospedali di S. Giovanni, di S. Lim-bania, di S. Cristoforo, di S. Maria di Castello, di Capo di Faro, di S. Lorenzo, di S. Desiderio, di S. Pellegrino, dei SS. Crispino e Crispiniano, delle Vigne e di S. Michele di Ventimiglia, rappresentanti anche di altri ospedali genovesi, da Capo di Faro ai Crociferi, eleggono loro sindaci e procuiatori Leonardo da Chiavari, Antonio de Bargono e Pietro Lombardo (ibid., c. 122 v.). 100. 1411, maggio 15. Rettori e procuratori degli ospedali di S. Giovanni, di S. Lazzaro, di S. Antonio, di S. Stefano, di S. Benedetto, di S. Francesco, di S. Cristo-foro, di S. Tommaso, di Capo di Faro, di S. Maria delle Vigne, di S. Desiderio, di S. Lorenzo, di S. Pellegrino, di S. Maria di Castello, di S. Maria Maddalena, i quali costituiscono i due terzi dell’intero collegio degli ospitalari di Genova, eleggono loro comuni rappresentanti prete Gerardo da Parma e Ianuino Gatto (A.S.G., not. S. F. de Compagnono, filza 1, doc. CXX). 101. 1422 ... Lascito di lire 1.980 fatto da Manfredina, del fu Baldovino Stella da Chiavari, indirizzato a vari istituti, tra i quali gli ospedali di S. Cristoforo, di S. Benedetto, di Capo di Faro, di S. Lazzaro, dello Scalo, di S. Lorenzo, di S. Croce, di S. Stefano, dei Crociferi e la congregazione dei ciechi beneficati ciascuno con la somma di lire 90, nonché le suore della Misericordia, alle quali vanno lire 180 (A.S.G., S. Giorgio, Comp. e Mutui, ng. 508, Cart. S, c. 104 r.). Ospedali minori 102. 1233, agosto 29. Adelasia, moglie di Guglielmo Vegio, lega soldi 10 all’ospedale dei due frati (A.S.G., Notai Ignoti, busta 1, doc. XXX, atto 334). 103. 1285, agosto 10. Giacomina, del fu Rosso della Volta e moglie di Simone Camilla, lega soldi 10 agli infermi dell’ospedale di S. Silvestro di Genova (A.S.G., Notai Ignoti, busta 9, ng. 96). Ospedale di Capo di Faro 104. 1205, maggio 12. Adalasia, del fu Giovanni Pepe, lega soldi 5 all’ospedale (G. de Guiberto, doc. 1161). 105.* 1206, aprile 21. Portella, moglie di Oliviero di Bisagno, lega denari 12 all’ospedale (ibid., doc. 1937). — 289 — 19 106.* 1212, gennaio 26. Simona Doria lega soldi 5 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart, 7, c. 36 v.). 107. 1225, ottobre 19. Oberto, abate del monastero di S. Benigno consenzienti gli altri confratelli, concede al maestro Strurigaso la licenza per lo sfruttamento della cava di pietra, presso l’ospedale dello stesso monastero (Lanfranco, doc. 1628). 108.* 1258, maggio 15. Sibilia, vedova di Marchisio, lega denari 18 agli infermi di S. Croce del Faro (A.S.G., Notai Ignoti, busta 8, fase. 2, ng. 56, c. 5 r.). 108a. 1302, maggio 4. Frate Guglielmo, rettore dell’ospedale (cfr. n. 25). 109. 1302, dicembre 12. Idem c. s. (cfr. n. 27). 110. 1308, febbraio 5. Simona, moglie di Simone di Negro, lega soldi 10 all’ospedale (A.S.G., Notai Ignoti, busta 8, fase. 1, ng. 93, c. 207 r.). 111. 1313, aprile 3. Legato di lire 4 per un letto (cfr. n. 46). 112.“ 1318, febbraio 27. Andriolo da Moneglia, magnano, lega soldi 5 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 140, c. 205 r.). 113. 1348, febbraio 22. Legato di soldi 40 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 61). 113a. 1355, febbraio 11. Antonio da Cremona nomina suo esecutore testamentario frate Iacopo, ospitalario dell’ospedale di Capo di Faro (A.S.G., Notai, Cart. 335,1, c. 90 v.). 114. 1397, agosto 25. Frate Guglielmo, rettore dell’ospedale di S. Maria di Capo di Faro (cfr. n. 97). 115. 1400, dicembre 11. Pietro Lombardo, ospitalario dell’ospedale (cfr. n. 98). 116. 1411, maggio 15. Idem c. s. (cfr. n. 100). Ospedale di S. Lazzaro 117. 1150... I consoli genovesi, Lanfranco Pevere, Rodoano, Guglielmo Lusio e Ansaldo Mallone, concedono a Bonmartino una terra di proprietà del Comune, presso Capo di Faro, allo scopo di potervi erigere una chiesa e un ospedale dedicati a S. Lazzaro (H.P.M., XVIII, doc. CLXXI). 118. 1153, marzo 16. Composizione della controversia sorta tra la congregazione di S. Lazzaro e i Mortariensi di S. Teodoro circa i diritti parrocchiali (A.S.G., ms. 845, c. 333 r.). 119.* 1160, gennaio 17. Baldone Scarso lega soldi 20 agli infermi di Capo di Faro (G. Scriba, doc. 605). - 290 - 120. 1161, agosto 20. Pietro Clerico lega soldi 10 agli infermi di Capo di Faro (ibid., doc. 881). 120a. 1164, maggio 16. Il medico Goffredo è nominato procuratore degli infermi di Capo di Faro (notizia in doc. del 5 gennaio 1165, cfr. n. 121). 121. 1165, gennaio 5. Pietro Ruso fa donazione delle sue proprietà in Albaro alla chiesa di S. Lazzaro, rappresentata dal medico Goffredo, da Pietro da Quinzano e da Gandolfo Corvo, ottenendo in cambio di entrare a far parte della congregazione di S. Lazzaro (A.S.G., ms. 845, c. 334 r.). 122* 1190, febbraio 5. Giovanna, moglie di Ugone Papazella, lega soldi 5 agli infermi del Faro (0. Scriba de Mercato, doc. 104). 123.* 1190, febbraio 14. Contessa, moglie di Guglielmo Vento, lega lire 3 agli infermi del Faro (ibid., doc. 140). 124.* 1190, agosto 4. Bordella, del fu Ardizzone, lega soldi 30 agli infermi di Capo di Faro (ibid., doc. 586). 125.* 1191, dicembre 30. Alberto da Fontana lega soldi 5 agli infermi di Capo di Faro (Cassinese, doc. 1459). 126.* 1192, gennaio 30. Pietro della Croce lega soldi 20 all’ospedale (ibid., doc. 1545). 127.* 1197, aprile 5. Marchesio di Caffaro lega soldi 33 agli infermi del Faro (A.S.G., ms. 102, c. 56 v.). 128.* 1198, ottobre 17. Giordano Richeri lega lire 300, per l’acquisto di terre, agli infermi di Capo di Faro (Bonvillano, doc. 148). 129.* 1198, dicembre 10. Rainerio di Quinto lega soldi 5 agli infermi di Capo di Faro (ibid., doc. 215). 130.* 1201, giugno 8. Filippo di Castello lega soldi 20 agli infermi del Faro (A.S.G., Notai, Cart. 4, c. 87 r.). 131.* 1203, gennaio 26. Guglielmo da Murta lega soldi 2 agli infermi del Faro (Lanfranco, doc. 75). 132.* 1203, maggio 3. Druda, moglie di Amico Torgio, lega soldi 10 agli infermi del Faro (ibid., doc. 292). 133 * 1203, luglio 28. Oberto da Campi lega lire 5 agli infermi del Faro (ibid., doc 437). 134.* 1204, settembre 26. Adalasia, figlia di Ansaldo Rataldo, lega soldi 5 agli infermi di Capo di Faro (A.S.G., Arch. Segr., ng. 1509, Abbazia di S. Stefano, doc. 155). 135* 1206, marzo 16. Ugo da Santo Stefano lega soldi 10 agli infermi di Capo di Faro (G. de Guiberto, doc. 1669). 136. 1206, marzo 30. Lascito di soldi 20 agli infermi di Capo di Faro (cfr. n. 6). - 291 — 137.* 1206, aprile 7. Ottone, arcidiacono di Genova, lega lire 3 agli infermi di Capo di Faro, per messe cantate (G. de Giliberto, doc. 1884). 138.* 1206, aprile 15. Baldovino, coltellinaio, e sua moglie Margherita, legano soldi 10 agli infermi di Capo di Faro (ibid., doc. 1912). 139.* 1206, aprile 24. Oberto da Monte lega soldi 2 agli infermi di Capo di Faro (ibid., doc. 1962). 140.* 1210, marzo 10. Giovanni da Leivi lega soldi 5 agli infermi del Faro (A.S.G., Cart. 56, c. 101 r.). 141.* 1210, giugno 3. Rubaldo Galeta lega soldi 10 agli infermi del Faro (A.S.G., ms. 535, p. 605). 142.* 1210, agosto 9. Petronio Basteri lega soldi 2 agli infermi del Faro (A.S.G., Notai, Cart. 56, c. 110 v.). 143. 1210, settembre 11. Ogerio Gattilusio si riconosce debitore di lire 3 nei confronti di Lanfranco, procuratore della chiesa di S. Lazzaro (Lanfranco, doc. 705). 144.* 1210, dicembre 12. Alba Baiula Giacoma lega soldi 2 all’ospedale degli infermi del Faro (A.S.G., Notai Ignoti, busta I, doc. XIII, atto 132). 145. 1212, gennaio 26. Simona Doria lega soldi 40 agli infermi del Faro e aggiunge lire 11 ... tempio et infirmis de Fari quas mihi ordinavit archiepiscopus... (cfr. n. 106). 146.* 1212, maggio 11. Adalasia Cagnola lega soldi 20 agli infermi del Faro (A.S.G., Notai, Cart. 7, c. 50 v.). 147.* 1212, giugno 19. Guglielmo, del fu Giovanni da Bogliasco, lega soldi 5 agli infermi del Faro (ibid., c. 55 v.). 148.* 1212, luglio 17. Alda, di Giuliano da Cabella, lega soldi 2 agli infermi del Faro (ibid., c. 60 v.). 149.* 1213, aprile 18. Sofia, vedova di Giovanni Baldovino da Castello, lega soldi 20 all’ospedale (ibid., c. 100 r.). 150.* 1214 ... Altadonna lega denari 12 agli infermi del Faro (A.S.G., Notai, Cart. 4, c. 2 r.). 151. 1214, gennaio 11. Rodoano de Mari vende a Rubaldo de Tolaria una terra in Berenego loco Felciti, confinante da un lato con un terreno di proprietà dell’ospedale di S. Giovanni e da un altro lato con un terreno di proprietà dell’ospedale di S. Lazzaro (A.S.G., Notai Ignoti, busta 1, doc. XVI, atto 17). 152.* 1216, maggio 26. Richelda, di Guglielmo Deserino, lega soldi 10 agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai, Cart. 3, II, c. 12 v.). - 292 - 153. 1216, giugno 17. Adelasia Musso lega soldi 10 agli infermi del Faro (Lanfranco, doc. 980). 154.* 1216, agosto 23. Berta Gallo lega soldi 5 agli infermi del Faro (ibid., doc. 1079). 155* 1216, settembre 4. Rustico dalla Costa lega denari 12 agli infermi del Faro (ibid., doc. 1086). 156.* 1216, ottobre 1. Aidela Negrino lega soldi 10 agli infermi del Faro (ibid., doc. 1224). 157. 1217, febbraio 16. Alda, del fu Raimondo da Sori, lega lire 5 all’ospedale (Vigne, doc. 89). 158.* 1218, dicembre 27. Anna, moglie del ferraro Giovanni, lega soldi 3 agli infermi del Faro (A.S.G., Notai Ignoti, busta 1, doc. XIX, atto 12). 158. 1219, aprile 9. Alda, badessa del convento di S. Maria di Latronorio, accusa ricevuta di lire 130 da Petracio rettore di S. Lazzaro, per la vendita di una terra in Gaiano (A.S.G., ms. 845, c. 334 v.). 160.* 1220, settembre 21. Enrico Detesalve lega soldi 10 agli infermi del Faro (A.S.G., Notai, Cart. 56, c. 137 v.). 161. 1221, gennaio 22. Pietro Doria, del fu Giacomo, dichiara di aver ricevuto da Petracio, ministro della casa degli infermi di S. Lazzaro, lire 6 e mezza, pari alla metà del debito di Baldovino Greco, del fu Rubaldo Turpefigura, dichiarandosi soddisfatto (ibid,. c. 147 r.). 162. 1221, marzo 11. Un maestro antelamo lega soldi 20 agli infermi di Capo di Faro (ibid., c. 152 r.). 163.* 1221, agosto 28. Petracio ministro della congregazione di S. Lazzaro, vende per lire 130, alla badessa di S. Maria di Latronorio, una terra in Gaiano (A.S.G., ms. 845, c. 335 r.). 164* 1221, ottobre 10. Guido Guarnerio da Milano, nipote del defunto giudice Guar-nerio, lega lire 1 agli infermi del Faro (A.S.G., Notai, Cart. 7, c. 215 r.). 165.* 1222, febbraio 13. Sibilia, vedova di Pandolfo Casario, lega soldi 4 agli infermi del Faro (Salmone, doc. XCIV). 166. 1222, marzo 2. Baldovino, del fu Rubaldo Turpefigura, cede alcuni diritti all’ospedale (ibid., doc. CXXI). 167.* 1222, aprile 8. Maria, vedova di Isembaldo da Fontanegli, lega soldi 2 agli infermi del Faro (ibid., doc. CLXXIV). 168.* 1222, aprile 24. Oberto da Grocolo lega denari 12 agli infermi del Faro (ibid., doc. CCXVI). 169.* 1222, aprile 26. Giardina, moglie di Occello da San Lorenzo, lega soldi 10 agli infermi del Faro (ibid., doc. CCXXI). - 293 — 170. 1225, febbraio 28. Legato di soldi 5 agli infermi del Faro (cfr. n. 9). 171.* 1225, maggio 4. Gerardo da Pareto lega lire 30, per vestire e nutrire i lebbrosi che vengono a Genova da parti diverse e un altro lascito di lire 10 destina ai lebbrosi di Chiavari (A.S.G., Notai, Cart. 16, c. 57 r.). 172.* 1225, maggio 26. Richelda figlia di Guglielmo Crispino lega soldi 10 agli infermi del Faro (Lanfranco, doc. 1410). 173.* 1225, luglio 1. Greca lega soldi 10 agli infermi del Faro (ibid., doc. 1432). 174.* 1225, luglio 23. Aidela, moglie di Ugo de presbitero Aiegro, lega soldi 2 agli infermi del Faro (ibid., doc. 1450). 175.* 1225, settembre 15. Stefania, vedova di Guglielmo Mustarolo, lega denari 12 agli infermi del Faro (ibid., doc. 1528). 176.* 1225, novembre 9. Gisla da Rapallo lega soldi 3 agli infermi del Faro (ibid., doc. 1674). 177.* 1226, giugno 17. Mabilia da Rapallo lega soldi 5 agli infermi di Capo di Faro (Salmone, doc. MIX). 178* 1226, luglio 1. Mabilia, moglie di Purpurerio, lega soldi 3 agli infermi di Capo di Faro (ibid., doc. ML). 179.* 1226, luglio 1. Cavarunco, del fu Millo, lega soldi 5 agli infermi di Capo di Faro (ibid., doc. MLI). 180.* 1226, agosto 4. Giovanna, moglie del ferrato Guglielmo, lega soldi 2 agli infermi di Capo di Faro (ibid., doc. MCXCVII). 181 * 1226, settembre 21. Sibona, moglie di Giovanni da Mondanice, lega denari 6 agli infermi del Faro (A.S.G., Notai, Cart. 16, c. 94 r.). 182.* 1227, marzo 14. Giovanna, moglie del calzolaio Grillo, lega denari 12 all’ospe dale (ibid., c. 39r.). 183.* 1227, dicembre 7. Giovanna, del fu Michele Dondidio, lega lire 9 al collegio degli infermi di S. Lazzaro del Faro, per l’acquisto di terre (A.S.G., Notai, Cart. 7, c. 271 r). 184.* 1228, ottobre 14. Elena, vedova di Gugliemo Beco, lega denari 6 all’ospedale degli infermi del Faro (A.S.G., Notai, Cart. 16, c. 67 r.). 185* 1228, ottobre 17. Matilde, vedova del calafato Oberto, lega soldi 2 agli infermi del Faro (ibid., c. 66 v.). 186.* 1228, novembre 6. Agnese, moglie di Enrico da Porta, lega soldi 3 agli infermi di Capo di Faro (Vigne, doc. 108). 187* 1229, dicembre 28. Giacomo Oliva lega soldi 3 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 16, c. 29 v.). - 294 - 188.* 1230, gennaio 29. Volpe, del fu Baldizzone da Bogliasco e moglie di Rainerio de Lagneto, lega soldi 10 agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai, Cart. 18, II, c. 115 r). 189.* 1231, febbraio 16. Alda, vedova di Giberto da Neirone, lega soldi 5 all’ospedale (A.S.G., Notai Ignoti, busta 1, doc. XXIV, atto 107). 190.* 1231, maggio 25. Roglero da Bruscata lega soldi 2 agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai, Cart. 18, II, c. 115 r). 191.* 1232, dicembre 28. Detesalve da Piazzalunga lega lire 3 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 19, c. 1 r.). 192. 1232, marzo 8. Ottobono, ministro della chiesa di S. Lazzaro di Capo di Faro, a nome della chiesa e degli infermi, riceve da Bartolomeo Cassina i 20 soldi che a detta chiesa legò Contessa, defunta moglie del suddetto Bartolomeo (ibid.., c. 15 r.). 193. 1232, maggio 23. Enrico Piccamiglio chiede sepoltura presso la chiesa di S. Lazzaro, alla quale lega per tale ufficio lire 15 e assegna inoltre alla stessa chiesa e agli infermi del Faro due parti della terra che possiede in Villa San Marziano (ibid., c. 33 r.). 194.* 1232, dicembre 16. Contessa, moglie di Oberto Baldi da Sampierdarena, lega denari 12 agli infermi del Faro (ibid., c. 52 r.). 195.* 1233 ... Legato di soldi 20 agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai Ignoti, busta 1, doc. XXX, atto 194, mutilo). 196.* 1233, maggio 18. Ada, figlia di Ugo Guano, lega soldi 10 all’ospedale (ibid., atto 208). 197. 1233, agosto 29. Legato di soldi 40 (cfr. n. 102). 198* 1235, novembre 22. Giovanna, moglie del tintore Giacomo, lega soldi 1 agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai, Cart. 18, II, c. 360 v.). 199 * 1236, settembre 9. Maria, figlia di Bonvassallo d’Antiochia, lega lire 10, in cibarie e in legna, per gli infermi di S. Lazzaro del Faro e lire 5 per le migliorie da apportare al refettorio dell’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 20, I, c. 12 r.) 200. 1237, dicembre 28. Verde Spinola di San Donato lega la metà dei suoi beni all’ospedale di S. Lazzaro degli infermi del Faro (ibid., c. 23 r.). 201.* 1237, gennaio 13. Guglielmo di Sant’Ambrogio lega soldi 5 agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai, Cart. 24, c. 52 v.). 202.* 1237, febbraio 3. Stefano, mercante, lega soldi 10 (ibid., c. 59 r.). 203. 1237, aprile 20. Flavio d’Arenzano lega soldi 2 agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai, Cart. 18, II, c. 178 r.). - 295 - 204.* 1237, aprile 25. Giacoma, del fu Ingone Sacco, lega soldi 5 (A.S.G., Notai, Cart. 24, c. 11 r.). 205.* 1239, novembre 22. Giuliana moglie di Giacomo da Masone, lega soldi 1 agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai, Cart. 18, II, c. 370 v.). 206. 1239, dicembre 2. Oberto Elano chiede a Guglielmo, tutore di Giovannina, sua nipote ed erede di Verde Doria, defunta moglie dello stesso Oberto, di provvedere a quanto la detta Verde dispose per testamnto e cioè di versare la somma di soldi 3 all’ospedale (ibid., c. 373 v.). 207.* 1241, aprile 4. Baldizone da Verdun lega lire 5 agli infermi del Faro (A.S.G., Notai, Cart. 135, c. 243 v.). 208.* 1241, maggio 1. Giovanni Gelino lega lire 3 agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai Ignoti, busta 2, fase. 1, fascetta 2). 209.* 1244, luglio 5. Alda, moglie del barbiere Arnaldo, lega denari 12 agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai, Cart. 18, II, c. 304 v.). 210.* 1248, marzo 18. Gli infermi di S. Lazzaro ricevono lire 2, secondo le disposizioni testamentarie di Guglielmo de Mari (A.S.G., ms. 536, p. 435). 211 * 1250, dicembre 13. Flora, vedova di Simone Lercaro, lega soldi 5, pro vestibus, agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai, Cart. 27, c. 38 v.). 212. 1251, maggio 26. Oberto, abate di Piacenza, lega lire 10 agli infermi di S. Lazzaro di Genova (ibid., c. 125 v.). 213.* 1251, agosto 8. Oliviero Butadanelli lega lire 3, pro vestibus, agli infermi di S. Lazzaro (ibid., c. 213 r.). 214. 1257, marzo 3. Pietro de Girardo figura quale ministro e precettore degli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai, Cart. 60, c. 68 r.). 215.* 1257, luglio 18. Oberto da Vinci lega soldi 10 agli infermi dell’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 33, c. 10 r.). 216.* 1257, luglio 27. Portella lega lire 3 agli infermi di S. Lazzaro, prò pasto (ibid., c. \Av.). 217.* 1257, luglio 28. Giacoma Cavalangia lega lire 5 agli infermi dell’ospedale (ibid., c. 15 r.). 218* 1258, gennaio 28. Vivaldo Bergonzi d’Albaro lega soldi 40 agli infermi di S. Lazzaro e altri 2 per le necessità degli stessi infermi (A.S.G., Notai, Csrt. 60, c. 204 v.). 219* 1258, marzo 23. Sibelina, del fu Pietro Gambaliuola, lega soldi 10 agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai Ignoti, busta 4, fase. 2, ng. 56, c. 4 r.). 220. 1258, maggio 15. Legato di soldi 5 agli infermi di S. Lazzaro (cfr. n. 108). - 296 - 221.* 1259, febbraio 18. Alda vedova di Ottone, lega soldi 10 all’ospedale (A.S.G.. Notai, Cart. 69, c. 122 r.). 222.* 1261, giugno 25. Giovanna, del fu Giovanni de Quetio de Resta, lega soldi 5 agli infermi di S. Lazzaro (ibid., c. 24 v.). 223.* 1261, giugno 28. Alessandrino, del fu Pietro Longo da Portovenere, lascia in eredità un letto, completo del corredo, all’ospedale dei lebbrosi di S. Lazzaro di Genova e chiede che venga celebrata annualmente una messa in suffragio della sua anima; in testamento successivo, del 2 gennaio 1262, il legato rimane invariato (G. di Giona, docc. 282, 333). 224. 1261, luglio 18. Pietro de Girardo, precettore e ministro della casa degli infermi di S. Lazzaro di Capo di Faro, rilascia quietanza a Ugeto Pedebonis, che agisce a nome di Cassio, taverniere, e di Sibilia, vedova di Ottobello de Gige, per la somma di lire 3, che il defunto Ottobello legò all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 69, c. 31 v.). 225.* 1262, settembre 20. Bonaventurosa vedova di Stefano patari patarini, lega soldi 5 all’ospedale (G. di Giona, docc. 369, 370). 226.* 1264, febbraio 17. Guglielmo di Quinto, causidico, lega soldi 10 agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai, Cart. 69, c. 50 v.). 227.* 1264, novembre 30. Bernardo dal Pozzo di Nervi lega soldi 1 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 36, c. ÌAv.). 228* 1267 ... Guisla da Valditaro lega soldi 5 agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai, Cart. 122, c. 66 v.). 229. 1270, febbraio... Giovannina vedova di Ferrato di Castello, lega soldi 10 agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai Ignoti, busta 2, fase. 13, c. 30 v.). 230. 1271, aprile 21. Legato di soldi 10 agli infermi di S. Lazzaro (cfr. n. 14). 231. 1271, aprile 21. Raimondo, calzolaio, lega soldi 5 agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai Ignoti, busta 2, fase. 6, fascetta 19, c. 2 v.). 232. 1276, gennaio 13. Lanfranco di San Tommaso, precettore degli infermi e della casa di S. Lazzaro, unitamente al precettore dell’ospedale di S. Giovanni e al sindaco dell’Ospedale di S. Antonio, riceve da Bonavita da Monleone la parte spettante al proprio istituto dei 32 soldi che il defunto Bonifacio Mattone legò ai suddetti ospedali (A.S.G., Notai, Cart. 56, c. 227 v.). 233.* 1276, novembre 2. Percivalle d’Antiochia, del fu Lanfranchino, lega soldi 50 in victualibus agli infermi di S. Lazzaro di Genova (BSLi, ms. 328, doc. 13). 234.* 1277, maggio 12. Corrado Marzucco lega soldi 20 agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai, Cart. 86, c. 18 r.). 235.* 1277, giugno 3. Romanera del fu Bartolomeo de Corvario, lega soldi 3 agli infermi dell’ospedale (ibid., c. 61 v.). — 297 — 236* 1277, luglio 4. Adalasia, moglie di Ingone Galceta, lega soldi 50, per messe cantate, all’ospedale di S. Lazzaro e altri 50 a favore degli infermi dello stesso ospedale (ibid., c. 98 V.). 237. 1279, febbraio 8. Martino di Sant’Antonio, precettore di S. Lazzaro, unitamente ad altri rettori e procuratori di ospedali genovesi, agisce per il recupero della eredità di Ianuina, della fu Caterina, la quale dispose per testamento un legato di soldi 10 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 130, c. 52 v.). 238.* 1280, settembre 1. Alassina, moglie di Giovanni Corezello, tessitore, lega soldi 2 all’ospedale (A.S.G., Notai Ignoti, busta 9, ng. 96, c. CXXXVIII r.). 239.* 1284, febbraio 20. Baldovino da Varazze lega iperperi 10 agli infermi di S. Lazzaro di Genova (A.S.G., Notai Ignoti, busta 4, fase. 4, ng. 58, atto rogato nella città di Pera). 240. 1285, agosto 10. Lascito di un letto, di un saccone, di una trapuntetta, di una carpita e di due lenzuola (cfr. n. 103). 241. 1287, febbraio 18. Martino d Sant’Antonio risulta precettore e ministro della mansione degli infermi di S. Lazzaro (FNG, II, c. 158 v.). 242. 1289, dicembre 9. L’amministratore apostolico della diocesi genovese, a proposito della vertenza sorta tra la chiesa di S. Teodoro e quella di S. Lazzaro, stabilisce che i diritti parrocchiali spettano soltanto alla prima delle due e condanna la seconda al pagamento annuo di un tributo doppio a S. Teodoro (BiB, Mss. Rari, Perg. I, doc. 23). 243. 1290, settembre 7. Causa di appello promossa dalla congregazione di S. Lazzaro contro la chiesa di S. Teodoro, nella quale viene confermata la sentenza precedente (cfr. n. 242), riducendo tuttavia alla metà il tributo annuo (ibid., doc. 24). 244.* 1291, settembre 8. Benvenuta, del fu Oberto da Cadebotano, lega soldi 5 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 132, c. 2 v.). 245.* 1293, agosto 30. Beltrame, laniere d Rivotorbido, lega soldi 20 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 130, c. 125 r). 246.* 1296, aprile... Boninsegna, del fu Arnaldo da Cogoleto, lega soldi 16 agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai, Cart. 133, c. 277 r.). 247.* 1297, gennaio 2. Enrico Mallone lega soldi 10 agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai, Cart. 118, c. 57 v.). 248. 1299, novembre 11. Il precettore e rettore dell’ospedale dei lebbrosi di S. Lazzaro, Gioacchino da Neirone, col consenso dell’intero capitolo dei lebbrosi, nomina in qualità di sindaci, procuratori, curatori e difensori, frate Guido da Pontremoli e frate Ugo, ai quali viene dato mandato per raccogliere elemosine e ricuperare lasciti a favore del detto ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 119, c. 41 r.). 249. 1299, novembre 11. Legato di soldi 10 agli infermi di S. Lazzaro (cfr. n. 23). - 298 - \ V 250. 1299, novembre 14. Gioacchino da Neirone, precettore della mansione o casa degli infermi di S. Lazzaro in presenza e per volontà degli infermi, rende noto che il defunto Simone da Sturla ha nominato suoi eredi la moglie Mabilia e i figli Giacomina e Ottolino (A.S.G., Notai, Cart. 67, c. 229 r.). 251. 1302, maggio 4. Gioacchino da Neirone figura quale precettore e sindaco dell’ospedale (cfr. n. 25). 252. 1302, luglio 17. Idem c. s. (cfr. n. 26). 253. 1302, dicembre 12. Frate Valente rappresenta l’ospedale (cfr. n. 27). 254. 1303, novembre 22. Idem c. s. (cfr. n. 29). 255. 1304, novembre 17. Legato di soldi 10 (cfr. n. 30). 256. 1308, febbraio 5. Legato di soldi 10 alla casa degli infermi di S. Lazzaro (cfr. n. 110). 257.* 1309, marzo 20. Pasquale di San Siro lega soldi 40 agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai, Cart. 136, c. 241 r.). 258. 1309, ottobre 13. Petra, moglie di Ottolino Cebà, lega lire 6 agli infermi di S. Lazzaro (ibid., c. 259' v.). 259. 1311, marzo 8. Frate Pasquale, della domus Dei di suor Verdina, agisce per conto della domus di S. Lazzaro (cfr. n. 36). 260. 1311, marzo 8. Idem c. s. (cfr. n. 37). 261.* 1312, aprile 5. Giovannina, vedova di Toeschino Cebà, lega soldi 5 agli infermi della mansione di S. Lazzaro del Faro (A.S.G., Notai, Cart. 135, c. 243 v.). 262. 1312, ottobre 27. Legato di lire 20 agli infermi della mansione di S. Lazzaro (cfr. n. 43). 263. 1313, marzo 15. Petra, del fu Ottobono Boccanegra, lega soldi 10 agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai, Cart. 211, c. 14 v.). 264.* 1313, aprile 19. Marinera, moglie di Corrado d’Asti, lega soldi 5 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 134, c. 238 r.). 265.* 1316, ottobre 13. Benedetto Gualco lega soldi 10 all’ospedale (A.S.G., Notai Ignoti, busta 5, ng. 64, fascetta 65). 266. 1318, febbraio 27. Legato di soldi 5 all’ospedale e mansione di S. Lazzaro (cfr. n. 112). 267.* 1318, marzo 8. Giacomina, vedova di Tobia de Bruno di Soziglia, lega soldi 5 agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai, Cart. 140, c. 211 v.). 268. 1318, dicembre 21. Legato di lire 4 e soldi 10 (cfr. n. 52). — 299 — 269. 1320, settembre 2. Corrado da San Donato, calzolaio, lega soldi 5 all’ospedale e chiesa di S. Lazzaro (A.S.G., Notai, Cart. 213, c. 253 v.). 270.* 1348, gennaio 2. Prete Giovanni de Ferrari da Carasco lega soldi 10 agli infermi di S. Lazzaro dei sobborghi di Genova (A.S.G., Notai, Cart. 233, c. 1 v.). 271. 1348, gennaio 10. Legato di soldi 5 agli infermi di S. Lazzaro di Genova (cfr. n. 58). 272. 1348, gennaio 12. Aimoneto, tessitore di Sala, lega soldi 2 agli infermi del Capo di Faro (A.S.G., Notai, Cart. 335, c. 23 r.). 273. 1348, gennaio 15. Oberto Bruzzone da Fontana, cuoco, lascia in eredità una trapunta e un lenzuolo agli infermi di S. Lazzaro (ibid., c. 28 r.). 274. 1348, gennaio 19. Isabella, del fu Oberto Vileta, lascia in eredità un paio di lenzuola vecchie agli infermi dell’ospedale (ibid., c. 42 r.). 275. 1348, febbraio 22. Legato di soldi 40 agli infermi dell’ospedale (cfr. n 61). 276* 1348, aprile 16. Verdina del fu Borromino di San Pier d’Arena lega soldi 10 agli infermi di Capo di Faro (A.S.G., Notai, Cart. 335, c. 165 r.). 277.* 1348, aprile 17. Ambrogio da Monleone, maestro d’ascia, lega soldi 5 agli infermi di S. Lazzaro (ibid., c. 168 v.). 278.* 1354, maggio 14. Caterina di Polcevera lascia in eredità due lenzuola agli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Notai, Cart. 170, II, c. 160 v.). 279. 1361. settembre 5. Vendita di una casa posta in contrada Rivotorbido, sul suolo di proprietà della chiesa di S. Lazzaro (A.S.G., ms. 541, p. 927). 280. 1374, settembre 23. Antonio da Portofino, precettore dell’ospedale di S. Lazzaro, e frate Nicola, ministro dell’ospedale di S. Lorenzo, ricevono mandato di amministrazione dal capitolo della cattedrale (ibid., p. 849). 281. 1382, giugno 6. Prete Nicolò da Giustenice di Albenga, precettore e commendatore della chiesa e ospedale di S. Lazzaro, promette di non muovere lite nei confronti di Nicolò da Promontorio (A.S.G., Notai, Cart. 413, II, c. 137 r.). 282. 1386, gennaio 12. Nicolò di Santobono, precettore e ministro della chiesa, casa e mansione degli infermi di S. Lazzaro, col consenso degli infermi loca a Oberto Meli, un prato già condotto da Pietro da Novara e sito nel fossato di S. Lazzaro, per un periodo di anni 9 e per la somma di lire 5, per il primo anno, e di lire 6 per ciascuno dei rimanenti anni (A.S.G., Notai, Cart. 446, c. 63 >'.). 283. 1386, gennaio 26. A seguito della morte di frate Antonio Granello, arciprete della pieve di S. Maria di Voltri, viene nominato a succedergli il prete Nicolò Cerreto d’Alba; l’arcivescovo di Genova incarica il prete Nicolò di Santobono, precettore di S. Lazzaro, di procedere alla investituta (A.S.G., Notai, Cart. 446, II, c. 62 r). — 300 — 284. 1393, gennaio 12. Prete Nicolò di Santobono, precettore e ministro della chiesa, ospedale e mansione di S. Lazzaro, col consenso degli infermi, loca a Bartolomeo da Ronco, del fu Lorenzo, una terra vineata e alberata, con casa, sita nel fossato di S. Lazzaro, località Airolo, per un canone annuo di lire 3 e soldi 14 (ibid., c. 25 v.). 285. 1394, aprile 7. Il vicario della curia arcivescovile emette una ordinanza rivolta ai visitatori del capitolo, affinché non arrechino molestia al prete Nicolò di Santobono, precettore dell’ospedale di S. Lazzaro (A.S.G., S. Giorgio, Primi Cancellieri, busta 92, doc. 217). 286. 1395, dicembre 29. Raffaele da Chiavari, notaio, figlio emancipato di Simone da Chiavari, acquista da prete Nicolò di Santobono, precettore dell’ospedale e mansione di S. Lazzaro di Chiappella, dei sobborghi di Genova, e dagli infermi del detto ospedale, una casa posta in Genova, nel borgo di S. Stefano, per la somma di lire 50 (A.S.G., Notai, Cart. 420, c. 4 r.). 287. 1395, luglio 17. Prete Nicolò di Santobono, precettore di S. Lazzaro, in presenza degli infermi Nicolò Imperiale, Giacomo de Solario, Teodorino da Pera, Giacomino da Isola e Pietrino da Mortara, nomina procuratore Agostino da Rapallo, del fu Domenico, per il recupero dei beni lasciati in eredità del defunto Pastino da Rapallo (ibid., c. 213 r.). 288. 1396, marzo 25. Antonio Carrano lega la quarta parte di una terra vineata, situata in villa Mansonega, nella podesteria di Polcevera, alla mansione degli infermi di S. Lazzaro (A.S.G., Nota, Cart. 446, II, c. 117 v.). 289. 1396, marzo 27. Domenico da Mongiardino, del fu Guglielmo, nomina suoi procuratori prete Nicolò da Santobono, rettore e ministro della chiesa, casa e mansione di S. Lazzaro, e Giovanni de Campi, abitante nella contrada di S. Tommaso (ibid., c. 121 r.}. 289a. 1397, agosto 25. L’ospedale fruisce di una quota della eredità di Agnesina da Mirualdo (cfr. n. 97). 290. 1400, dicembre 11. Rettori e procuratori di vari ospedali, riuniti per eleggere un comune procuratore, agiscono anche a nome dell’ospedale di S. Lazzaro (cfr. n. 98). 291. 1408, ottobre 22. Viene resa nota la vacanza della precettoria di S. Lazzaro, per la morte di frate Bartolomeo da Sampierdarena e i lebbrosi, convocati in capitolo, propongono l’elezione del frate vallombrosano Antonio da Promontorio, sottoponendo la nomina alla ratifica del vicario arcivescovile Giovanni da Godiasco (A.S.G., not. S. F. de Compagnono, filza 1, doc. CXXIII). 292. 1408, novembre 14. Giovanni da Godiasco, vicario arcivescovile, ratifica la nomina di frate Antonio da Promontorio a rettore di S. Lazzaro, secondo la volontà dei ricoverati, rappresentati da Giovanni Negrino, loro sindaco e procuratore (ibid.). — 301 - I , ' i i i J 293. 1410, febbraio 28. Il collegio degli infermi di S. Lazzaro è rappresentato da prete Gerardo da Parma e dal cantiniere dello stesso istituto Lazzaro Guano (A.S.G., S. Giorgio, ng. 7671, Descript. Locorum, c. 189 nn.). 294. 1411, maggio 15. Prete Gerardo da Parma, precettore dell’ospedale (cfr. n. 100), 294a. 1411, ottobre 24. Statuti della congregazione di S. Lazzaro, rielaborati dal rettore Gerardo de Fornari e approvati da Francesco Boriposo da Perugia, vicario arcivescovile (A.S.G., Notai Ignoti, filza 3/256, not. S. F. de Compagnono, anni 1409-1411, doc. CLVIIII). i 295. 1419, gennaio 10. Prete Gerardo de Fornari si appella al papa per riottenere il rettorato di S. Lazzaro, a suo giudizio occupato illegalmente da Bartolomeo da Udine (Suppliche, doc. 38). I 296. 1419, aprile 10. Prete Gerardo de Fornari si rivolge al papa per sollecitare una risposta alla sua precedente petizione (ibid., doc. 58; cfr. n. 295). 297. 1419, giugno 21. Prete Gerardo si rivolge al papa, dichiarandosi ingiustamente diffamato di cattiva amministrazione e di aver dilapidato i beni dell’ospedale e quindi indebitamente privato e rimosso dalla carica di priore e rettore dell’istituto (ibid., doc. 68). j 298. 1422, marzo 13. A seguito di una supplica dei lebbrosi, relativa alla cattiva amministrazione di prete Gerardo, papa Martino V delega l’abate di S. Benigne a condurre una inchiesta al riguardo (A.S.G., ms. 845, c. 338 r.). 299. 1424, gennaio 19. Supplica di Gerardo affinché durante la sua assenza venga degnamente sostituito alla direzione dell’ospedale (Suppliche, doc. 174). 300. 1424, ottobre 24. Supplica dei genovesi i quali segnalano al papa la cattiva amministrazione del de Fornari e rinnovano la richiesta della sua destituzione (ibid., doc. 188). 301. 1425, settembre 3. Prete Gerardo chiede la prepositura della chiesa dei SS. Cosma e Damiano (ibid., doc. 213). 302. 1425, settembre 9. Prete Gerardo de Fornari, preposto della chiesa dei SS. Cosma e Damiano, nonché rettore e precettore della chiesa e mansione degli infermi di S. Lazzaro, si rivolge al papa per ottenere la indipendenza dall’autorità dell’arcivescovo Pileo de Marini, dal quale si ritiene ingiustamente perseguitato (ibid., doc. 214). 303. 1425, settembre 10. Papa Martino V viene sollecitato a esprimersi favorevolmente circa la conservazione del canonicato e relativa prebenda nella diocesi parmense da parte di Gerardo de Fornari (ibid., doc. 215). 304. 1425, ottobre 5. Viene richiesto l’invio delle lettere apostoliche riguardanti la decisione del pontefice sulla controversia sorta fra Gerardo de Fornari e l’arcivescovo Pileo de Marini (ibid., doc. 216). - 302 - 305. 1425, novembre 24. Lettera di Luca de Oliva a Pileo de Marini, nella quale è contenuta la notizia che il rettore di S. Lazzaro, Gerardo de Fornari, aveva ricevuto la prepositura della chiesa dei SS. Cosma e Damiano (Carteggio. doc. 133). 306. 1426, ottobre 6. Prete Avenanzio, rettore della chiesa parrocchiale di S. Marcellino, in considerazione della vacanza del rettorato di S. Lazzaro a seguito deH’allontanamento di prete Gerardo, ne chiede la collazione (Suppliche, doc. 230). 307. 1426, ottobre 6. Supplica dei lebbrosi affinché il papa conceda l’approvazione dei nuovi statuti della comunità di S. Lazzaro di Genova (ibid., doc. 232). 308. 1426, novembre 22. Supplica dei lebbrosi, che chiedono la definitiva destituzione di prete Gerardo, il quale continua illegalmente a esercitare le funzioni di rettore di S. Lazzaro (ibid., doc. 235). 309. 1427, giugno 17. In considerazione che l’ospedale di S. Lazzaro è popolato da un gran numero di lebbrosi e versa in una precaria situazione economica, viene concesso ad esso di rientrare nel gruppo di quegli istituti genovesi ai quali viene ceduta la quarta parte del pedaggio di Gavi ( A.S.G., Arch. Segr., Litterarum, reg. n. 1779, c. 21). 310. 1428, aprile 23. Prete Gerardo rivolge una supplica al papa affinché gli venga assegnato un canonicato in S. Lorenzo (Suppliche, doc. 270). 311. 1428, ottobre 1. Viene richiesto l’intervento del pontefice affinché confermi la nomina di prete Avenanzio al rettorato di S. Lazzaro (ibid., doc. 288). 312. 1430, gennaio 9. Bartolomeo di Iacopo, chierico genovese, essendo vacante la precettoria di S. Lazzaro per la morte di Gerardo da Parma, ne chiede la collazione (ibid., doc. 335). 313. 1430, maggio 4. Bartolomeo di Iacopo rinnova la richiesta di essere nominato rettore, con lo stipendio annuo di 60 ducati (ibid., doc. 349). 314. 14 .., agosto 20. I Fieschi di Savignone chiedono l’intervento dell’arcivescovo Pileo de Marini presso il precettore di S. Lazzaro, affinché faccia ricoverare un lebbroso di nome Giriforte (Carteggio, doc. 173). 315. 1442 ... I lebbrosi rivolgono una petizione al Doge e al Consiglio degli Anziani perché la loro domus mansionis, ormai diroccata, necessita di adeguate ripara-zoni ai muri e al tetto, per le quali occorrono mille fiorini (A.S.G., Arch. Segr., ng. 1647, Politicorum, busta 1, doc. 48). 316. 1442, marzo 15. Il Doge e il Consiglio degi Anziani, allo scopo di provvedere alle riparazioni della casa per gli infermi di S. Lazzaro, eleggono, con l’incarico di procedere alla raccolta di fondi, Leonardo de Franchi Bulgaro, Baldassarre Spinola di Luccoli, Costantino Cicala, Antonio da Zoagli, Domenico Spinola, Pietro da Montenero, Cristoforo da Borzoli e Giovanni Carrega (ibid.). — 303 - 317. 1445 ... Leonardo de Franchi e Baldassarre Spinola, governatori e procuratori degl’infermi di S. Lazzaro, si rivolgono al Doge e al Consiglio degli Anziani affinché non vengano più ammessi nell’istituto, come avvenuto in passato, pei antiche consuetudini, individui non nati in Genova e nelle tre podesterie (A.S.G., Arch. Segr., ng. 3035, Diversorum filze, doc. 98). 318. 1445, settembre 18. Il Doge e il Consiglio degli Anziani ordinano al podestà di Genova di assumere informazioni sugli infermi che chiedono ricovero in S. Lazzaro tenendo conto che dovranno essere accettati solo i nativi di Genova e delle tre podesterie [ibid.). 319. 1446, agosto 11. Il Doge e il Consiglio degli Anziani decretano che per la costruzione di una casa, presso la fontana pubblica e la casa olearia, da destinarsi agli infermi di S. Lazzaro, sia nominata una commissione di Padri del Comune, affinché tale edificio non rechi pregiudizio a terzi (A.S.G., Arch. Segr., ng. 1647, Politicorum, busta 1, fase. 48). 320. 1447, giugno 9. Gli infermi di S. Lazzaro rivolgono una supplica al Doge e al Consiglio degli Anziani, lamentando che il successore di prete Avenanzio, il prete Nicolò Poggio, precettore della domus e mansione di S. Lazzaro, sperpera il denaro dell’ospedale e convive con una donna, dalla quale ebbe due figli (A.S.G., Arch. Segr., ng. 3036, Diversorum filze, doc. 148). 321. 1447, giugno 13. Simonetta, del fu Antonio Calvo, inferma di S. Lazzaro, col consenso di prete Nicolò Poggio, precettore dell’ospedale, nomina suo procuratore Domenico Doria, del fu Pietro, su consiglio di Bartolomeo e Biagio Calvo, suoi fratelli (A.S.G., ms. 545, p. 869). 322. 1448, agosto 26. Frate Leonardo Bagnara dell’ordine dei Predicatori, precettore della domus hospitalis di S. Lazzaro, in presenza e col consenso degli infermi, cede al macellaio Antonio da Villanova una casa sita in contrada Prerio, per un luogo e un quarto delle Compere di S. Giorgio (A.S.G., not. Branca Bagnara, filza 9, doc. CLVII). 323. 1450, novembre 3. Bolla di Nicolò V, indirizzata ai lebbrosi di S. Lazzaro di Genova, che stabilisce la illegittimità della nomina dei rettori, Nicolò Poggio, Bartolomeo di Iacopo e Leonardo Bagnara, ripristinando il ius eligendi a favore dei ricoverati del lebbrosario (A.S.G., ms. 845, c. 342 r.). 324. 1455, maggio 1. Il rettore di S. Lazzaro, Francesco di Castelletto, ottiene da papa Callisto III il permesso di rimuovere gli antichi sepolcri dell’istituto e costruire al loro posto botteghe artigiane (ibid., c. 340 r.). 325. 1457, maggio 19. Il precettore di S. Lazzaro, Francesco di Castelletto, in accordo con i lebbrosi riuniti in capitolo, provvede a permutare terre e case in S. Luca d’Albaro con 8 luoghi delle Compere di S. Giorgio (A.S.G., ms. 844, c. 284 r.). 326. 1459... Il rettore Francesco di Castelletto, entra a far parte dell’ordine gerosolimitano di S. Lazzaro (A.S.G., ms. 845, c. 339 r.). - 304 - ■ 1474, maggio 3. I ricoverati di S. Lazzaro segnalano alle autorità che in Genova vi sono molti lebbrosi non genovesi i quali, secondo le regole, andrebbero allontanati e chiedono che nell’ospedale siano applicate migliori norme igieniche; il Doge e il Consiglio degli Anziani affidano l’incarico di provvedere in merito al vicario della sede arcivescovile e all’Ufficio di Misericordia (A.S.G., Arch. Segr., ng. 593, Diversorum reg., c. 116 r.). . Ospedale di San Cristoforo i 328. 1266, marzo 6. Raimondo di San Giorgio, fondatore della domus misericordie di Fassolo, e Ruffino da Lodi, partecipante alla medesima fondazione, nominano suor Simona di San Giorgio ministra della detta domus (A.S.G., Notai, Cart. 70, c. 187 v.).. 329. 1267 ... Legato di soldi 5 alla domus Dei di Raimondo (cfr. n. 228). 330. 1293, agosto 30. Legato di soldi 10 all’ospedale di Fassolo (cfr. n. 245). 331. 1297, gennaio 2. Legato di soldi 5 all’ospedale di Fassolo (cfr. n. 247). 332. 1302, maggio 4. Frate Giovanni rappresenta l’ospedale (cfr. n. 25). 333. 1302, luglio 17. Idem c. s. (cfr. n. 26). 334. 1302, dicembre 12. Idem c. s. (cfr. n. 27). 335. 1303, novembre 22. Idem c. s. (cfr. n. 29). 336. 1307, agosto 2. Frate Giovanni, ministro dell’ospedale, è presente in qualità di teste (A.S.G., Notai, Cart. 138, c. 240 v.). 337. 1308, febbraio 5. Legato di soldi 5 all’ospedale di Fassolo (cfr. n. 110X 338. 1311, marzo 8. Frate Giovanni rappresenta l’ospedale (cfr. n. 36). 339. 1311, marzo 8. Idem c. s. (cfr. n. 37). 340. 1312, aprile 5. Legato di soldi 5 all’ospedale di Fassolo (cfr. n. 261). 341. 1319, aprile 18. Frate Giovanni da Recco, ospitalario di Fassolo, è presente in qualità di teste (A.S.G., Notai, Cart. 213, c. 207 v.). 342. 1348, febbraio 22. Legato di sodi 20 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 61). 343. 1354, maggio 14. Lascito di un lenzuolo (cfr. n. 278). 344. 1355, febbraio 11. Frate Pietro, ospitalario di S. Cristoforo di Fassolo è nominato esecutore testamentario (cfr. n. 113a). 345. 1380, dicembre 10. Il Doge e il Consiglio degli Anziani dispongono per il - 305 — ?o pagamento dei proventi relativi ai luoghi intestati all’ospedale (A.S.G., Arch. Segr., ng. 496, Diversorum reg., c. 183 r.). 346. 1400, dicembre 11. Giacomina da Rapallo rappresenta l’ospedale (cfr. n. 98). 347. 1401, gennaio 25. Antonio da Pontremoli rappresenta l’ospedale (cfr. n. 99). 348. 1411, maggio 15. Idem c. s. (cfr. n. 100). Ospedali di S. Benedetto 349. 1366, aprile 2. Giovanni Povero attesta che l’ospedale dei pellegrini fu costruito e dotato di case e terreni da Giovanni Sacco e da Raffaele Spinola (A.S.G., ms. 845, c. 226 r.). 350. 1370, dicembre 4. Caterina Grillo, badessa del monastero di S. Benedetto di Fassolo, col consenso di altre 15 consorelle concede in locazione per un anno e per la somma di lire 5, a Obertino da Busalla, l’ospedale, di proprietà del detto monastero, posto presso la porta di S. Tommaso (A.S.G., Notai, Cart. 217, c. 145 r.). 351. 1372, marzo 7. Caterina Grillo, badessa del monastero di S. Benedetto di Fassolo, accusa ricevuta di lire 750, da Giovanni Sacco, per la vendita di un terreno posto presso lo stesso monastero e utilizzato per la costruzione di un ospedale ad uso dei poveri pellegrini (A.S.G., ms. 845, cc. 220 r. - 221 v.). 352. 1381, settembre 13. Arbitrato sulla controversia sorta fra Giovanni Povero, rettore dell’ospedale presso S. Benedetto di Fassolo, e gli eredi di Giovanni Sacco, patroni dello stesso istituto, a proposito della destinazione di parte dell’eredità di Giovanni Sacco (ibid., cc. 224 v. - 225 v.). 353. 1382, giugno 23. Gli eredi di Giovanni Sacco propongono la candidatura di Oddone Galazio alla carica di rettore dell’ospedale presso S. Benedetto di Fassolo e l’arcivescovo di Genova ne conferma la nomina (ibid., c. 221 v.). 354. 1383, luglio 9. Franceschino da Venezia, muratore, promette a Oddone Gala-zio, ospitalario dell’ospedale posto fuori le mura del borgo di S. Tommaso, presso il monastero di S. Benedetto, di prestare la propria opera, vita durante, nell’ospedale suddetto (A.S.G., Notai, Cart. 376, c. 224 v.). 355. 1383, luglio 14. Maddalena, di origine tartara, già serva di Alassina Monleone, promette a Oddone Galazio, ospitalario della domus di Fassolo, presso il monastero di S. Benedetto, di prestare la propria opera, vita durante, nell’ospedale (ibid., c. 229 r). 356. 1383, agosto 22. Oddone Galazio, ministro e governatore dell’ospedale di Fassolo affitta a Giacomo Rosso da Voltri, per 19 anni, una terra boschiva posta nella podesteria di Voltri, per il canone annuo di lire 15 (ibid., c. 247 v.). - 306 - 357. 1393, gennaio 7. I frati dell’ordine degli Umiliati di Genova provvedono a ritirare gli effetti personali di frate Francesco arcivescovo di Porto Torres, morto nell’ospedale di S. Benedetto di Fassolo (A.S.G., Notai, Cart. 446, c. 24 r.). 258. 1411, maggio 15. Frate Gaspare Riccio, governatore dell’ospedale presso la chiesa di S. Benedetto di Fassolo e ospitalario dell’ospedale del terzo ordine di S. Francesco di Genova (cfr. n. 100). 359. 1414, gennaio 4. Ludovico da Montaperto di Agrigento lega la somma di lire 5.250 in luoghi delle Compere di S. Giorgio per la costruzione di un nuovo ospedale dedicato a S. Benedetto, da affidare a quattro frati benedettini (notizia in doc. del 1470, cfr. n. 359a). 359a. 1470... Gli eredi di Ludovico da Montaperto di Agrigento nominano esecutore testamentario l’Ufficio di Misericordia; riscuote i proventi del lascito (cfr. n. 359) l’ufficiale Luca Gentile (A.S.G., S. Giorgio, ng. 1305, Comp. e Mutui, c. 124 r.). Ospedale di San Tommaso 360. 1276, febbraio 8. Frate Giordano, a nome dell’ospedale, riscuote soldi 5, come da legato del defunto Bonifacio Mattone di S. Matteo (A.S.G., Cart. 56, c. 232 v.). 361 * 1277, maggio 11. Petrina, del fu Guglielmo Bellobruno, lega soldi 10 all’ospedale ove abita frate Giordano (A.S.G., Notai, Cart. 86, c. 15 r.). 362. 1277, luglio 4. Legato di soldi 10 (cfr. n. 236). 363. 1282, novembre 6. Giovanni da Valcurone viene assunto da frate Giordano nell’ospedale per servire gli infermi e, a questo proposito, gli viene affidato il « servizio dell’acqua » (A.S.G., Notai Ignoti, busta 7, fase. 88, c. 31 r.). 364. 1284, febbraio 20. Legato di lire 2 alla domus Dei di S. Tommaso (cfr. n. 239L 365. 1293, agosto 30. Legato di soldi 10 (cfr. n. 245). 366.* 1294, aprile 1. Enrico da Pontecurone, pellicciaio, lega soldi 1 e denari 6 all’ospedale di frate Giordano (A.S.G., Notai, Cart. 121, c. 187 v.). 367. 1297, gennaio 2. Legato di soldi 5 (cfr. n. 247). 268. 1302, maggio 4. Frate Gerardo è presente in qualità di sindaco e ospitalario di S. Tommaso (cfr. n. 25). 369. 1302, luglio 17. Idem c. s. (cfr. n. 26). 370. 1302, dicembre 12. Idem c. s. (cfr. n. 27). — 307 — 371. 1303, novembre 22. Suor Allegranza è presente in qualità di ospitalaria di S. Tommaso (cfr. n. 29). 372. 1311, marzo 8. Idem c. s. (cfr. n. 36). 373. 1311, marzo 8. Idem c. s. (cfr. n. 37). 374. 1312, aprile 5. Legato di soldi 5 (cfr. n. 261). 375. 1348, febbraio 22. Legato di soldi 20 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 61). 376. 1396, marzo 23. Ermentissa Scota, badessa del monastero di S. Tommaso, consenzienti altre 14 consorelle, assegna a Pietro da Canavesio la carica di rettore dell’ospedale, intitolato ai beati Tommaso e Limbania, di proprietà del detto monastero (A.S.G., Notai, Cart. 446, c. 116 v.). 377. 1400, dicembre 11. Pietro da Canavesio rappresenta l’ospedale (cfr. n. 98). 378. 1401, gennaio 25. Idem c. s. (cfr. n. 99). 379. 1411, maggio 15. Idem c. s. (cfr. n. 100). Ospedale di San Giovanni 380. ..., 13 ottobre (sec. XII). Bernardo Rufo lega lire 5 agli infermi dell’ospedale e chiede che sua moglie possa dimorare, vita durante, nell’istituto (A.S.G., Notai Ignoti, busta 1, doc. IX, atto 35). 381. 1156, marzo 5. Raimondo Pictenado lega soldi 20 all’ospedale gerosolimitano e soldi 50 fraternitati templi (G. Scriba, doc. 47). 382. 1160, gennaio 17. Legato di una candela e di soldi 10 pro pannis, all’ospedale del Santo Sepolcro (cfr. n. 119). 383.* 1179, settembre 5. Guglielmo savonese lega soldi 20 all’ordine gerosolimitano (A.S.G., ms. 102, c. 13 r.). 384. 1186, ottobre 9. Anseimo Porcello lega soldi 10 all’ospedale (O. Scriba de Mercato, doc. 112). 385.* 1186, novembre 18. Gaiolo lega soldi 10 all’ospedale {ibid., doc. 271). 386. 1190, gennaio 25. Oberto, calegarius de Clavica, lascia in eredità il proprio letto all’ospedale (ibid., doc. 50). 387. 1190, gennaio 26. Giulia di Bellocchio lega soldi 10 all’ospedale (ibid., doc. 52). 388* 1190, gennaio 28. Adalasia, del fu Rubaldo Cabuto, lega soldi 10 all’ospedale (ibid., doc. 57). 389. 1190, febbraio 5. Legato di soldi 5 (cfr. n. 122). - 308 - 390. 1190, febbraio 14. Legato di lire 3 (cfr. n. 123). 391. 1190, febbraio 22. Druda, madre del cintraco Baldovino, lega denari 12 all’ospedale (0. Scriba de Mercato, doc. 169). 392. 1190, marzo 21. Giulia, vedova di Guilienzone da Montoggio, lascia in eredità all’ospedale un saccone,, una coltre, un cuscino dei migliori, due lenzuola e una coperta {ibid., doc. 299). 394.* 1190, marzo 28. Milo di Piazzalunga lega soldi 10 all’ospedale {ibid., doc. 300). 395. 1190, agosto 4. Lascito di un letto e relativo corredo (cfr. n. 124). 396. 1191, dicembre 30. Legato di soldi 10 (cfr. n. 125). 397.* 1191, marzo 21. Guglielmo Gallo lega soldi 20 all’ospedale (Cassinese, doc. 334). 398. 1191, maggio 14. Legato di soldi 20, pro lecto (cfr. n. 3). 399. 1191, giugno 4. Adalasia moglie di Rubaldo de Palma, rinuncia a favore di Pietro, amministratore dell’ospedale, a ogni suo diritto di successione sui beni paterni e del fratello Baldovino Sacco, per la somma di lire 23 {Cassinese, doc. 682). 400.* 1191, luglio 15. Mabilia, che abitava con Opizzone pellicciaio, lega all’ospedale di S. Giovanni, ove chiede sepoltura, soldi 30 per le messe, soldi 10 ai frati dell’ospedale medesimo e soldi 40 per le spese di sepoltura {ibid., doc. 836). 401. 1191, luglio 24. Sansa, del fu Guglielmo Longo, lega soldi 20 all’ospedale (ibid., doc. 851). 402.* 1191, settembre 6. Vassallo de Bardi lega soldi 10 all’ospedale (ibid., doc. 944) 403. 1191, settembre 15. Una terra in Varese, lasciata da Guassino all’ospedale, viene concessa in locazione, per anni 20 e per l’annuo canone di soldi 3, a Guido de Statione e a sua moglie Bordella, da frate Pietro, ministro, su consiglio dei confratelli Gandolfo, Bonvassallo, Ugo e Bonifacio (ibid., doc. 1003). 404. 1192, gennaio 30. Legato di soldi 20 (cfr. n. 126). 405. 1192, aprile 2. Donato Schenardo lega soldi 10 all’ospedale (Cassinese, doc. 1838) 406.* 1192, aprile 21. Volpe lega soldi 10 all’ospedale (ibid., doc. 1884). 407. 1197, aprile 5. Marchesio di Caffaro lega soldi 20 e il proprio letto all’ospedale (cfr. n. 127). 408. 1197, ottobre 30. Atto nel quale si fa riferimento a un debito che Guglielmo, maestro dell’ospedale, ha verso Alda, del fu Arnoldo, savonese (A.S.G., ms. 836, c. 303 r.). - 309 - 409. 1198, settembre 30. Il medico Giovanni d’Inghilterra lascia in deposito lire 37 a Guglielmo, commendatario dell’ospedale in quanto dovrà recarsi in pellegrinag. sio a S. Tommaso di Canterbury (Bonvillano, doc. 55). 410. 1198, ottobre 17. Legato di lire 300, per acquisto di terre (cfr. n. 128). 411. 1198, dicembre 10. Legato di soldi 15 (cfr. n. 129). 412. 1201, giugno 8. Legato di soldi 2 (cfr. n. 130). 413. 1202, gennaio 2. Guglielmo Croseto, lascia in eredità il proprio letto, con coltre, cuscino e coperte, all'ospedale (A.S.G., ms. 102, c. 215 r.). 414. 1203. gennaio 17. Auda, vedova di Riccio di Ruzo lega soldi 5 all’ospedale (Lan-franco, doc. 54). 415. 1203, gennaio 26. Legato di soldi 3 (cfr. n. 131). 416. 1203, aprile 10. Arenzia di Pesce chiede di essere sepolta presso l’ospedale (Lanfranco, doc. 225) 417. 1203, maggio 3. Legato di soldi 10 (cfr. n. 132). 418. 1203, luglio 28. Legato di soldi 10 (cfr. n. 133). 419. 1203, agosto 29. Nicola Molfino e suo fratello Ugo si riconoscono debitori di lire 4 nei confronti di frate Guglielmo, procuratore dell’ospedale (Lanfranco, doc. 488). 420. 1204, settembre 26. Legato di soldi 25 in lenzuola per gli infermi dell’ospedak e di soldi 10 per l’amministrazione dello stesso (cfr. n. 134). 421. 1205, maggio 12. Legato di soldi 10 (cfr. n. 104). 422. 1206, marzo 30. Legato di soldi 20 (cfr. n. 6). 423. 1206, aprile 7. Legato di lire 3, per la refezione degli infermi e di due lenzuola per l’ospedale (cfr. n. 137). 424. 1206, aprile 15. Verde, moglie di Giorberto, lega soldi 5 all’ospedale (G. de Giliberto, doc. 1910). 425. 1206, aprile 15. Legato di soldi 16 al consortio di S. Giovanni (cfr. n. 138). 426. 1206, aprile 18. Testamento di Marco Tuba, cappellaio, che chiede sepoltura presso l’ospedale (G. de Guiberto, doc. 1915). 427. 1206, aprile 21. Legato di denari 12 (cfr. n. 105). 428. 1206, aprile 24. Legato di soldi 5 (cfr. n. 139). 429. 1207, agosto 20. Vivaldo Lavagio dona all’ospedale, del quale è ministro e precettore frate Guglielmo, la somma di lire 200, chiedendo sepoltura nel cimitero - 310 - del detto ospedale o di altro ospedale gerosolimitano, nel caso dovesse morire lontano da Genova (A.SG., Notai, Cart. 4, c. 184 v.). 430. 1209, dicembre 20. Viviano da Borgo San Dalmazzo lega soldi 5 all’ospedale (A.S.G., Notai Ignoti, busta 1, doc. XIII). 431. 1210, marzo 10. Legato di soldi 5 (cfr. n. 140). 432. 1210, giugno 3. Legato di lire 15 (cfr. n. 141). 433. 1210, agosto 9. Legato di soldi 2 (cfr. n. 142). 434. 1210, dicembre 12. Lascito di due trapunte, di una coperta e di due lenzuola (cfr. n. 144). 435. 1211, ottobre... Marino Dalmazzo e sua moglie Sofia vendono a frate Guglielmo, ministro dell’ospedale, un appezzamento di terra, con piante di olivo e di fichi, sito in Castelletto e confinante con altra terra di proprietà dell’ospedale (G. de Guiberto, doc. 2091). 436. 1212, gennaio 26. Simona Doria lega soldi 40 e il proprio letto all’ospedale, verso cui si riconosce inoltre debitrice della somma di lire 11 (cfr n. 106). 437. 1212, maggio 11. Legato di soldi 20 (cfr. n. 146). 438. 1212, giugno 19. Legato di soldi 5 (cfr. n. 147). 439. 1212, luglio 17. Legato di soldi 1 (cfr. n. 148). 440. 1213, aprile 18. Legato di soldi 20 (cfr. n. 149). 441.* 1213, giugno 26. Rubaldo Carr .. .grassa lega soldi 3 all’ospedale (A.S.G., ms. 535, p. 627). 442* 1213, luglio 30. Donicella, vedova di Guglielmo Paraco, lega soldi 10 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 7, inserto cc. 93-94). 443. 1213, novembre 5. Giacomo, del fu Nuvolone da Pomario, chiede sepoltura presso l’ospedale di S. Giovanni di Capo d’Arena al quale lega lire 4 e destina inoltre soldi 3 a Pietro de Provinciali, servitore degli infermi di detto ospedale (A.S.G., Notai Ignoti, busta 1, doc. XIV, atto 11). 444. 1214... Legato di soldi 3 (cfr. n. 150). 445. 1214, gennaio 11. Rodoano de Mari vende, a Rubaldo de Tolaria, una terra in Berenego loco Felciti e confina da un lato con terreni di proprietà dell’ospedale (A.S.G., Notai Ignoti, busta 1, doc. XVI, atto 17). 446. 1214, luglio 19. Frate Guglielmo, ministro dell’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 4, c. 52 r.). 447. 1216, agosto 23. Lascito di soldi 5, di una coltre e di un cuscino (cfr. n. 154). - 311 - 448. 1216, settembre 4. Rustico dalla Costa chiede sepoltura presso l’ospedale e destina, per tale ufficio, la somma di lire 3 (cfr. n. 155). 449. 1216, settembre 30. Allegranza, moglie di Pietro Lavorabene, lascia in eredità tre lenzuola, affinché siano vendute per acquistare tela per l’ospedale (Lanfranco, doc. 1222). 450. 1216, ottobre 1. Legato di soldi 10 (cfr. n. 156). 451. 1216, dicembre 8. Guglielmo, ministro e procuratore, rilascia a Enrico Baraterio quietanza di lire 10, dovute all’ospedale per legato del defunto Oberto Baraterio; tra i testi dell’atto si trova indicato frate Guglielmo, converso dell’ospedale (Lanfranco, doc. 1308). 452. 1216, dicembre 21. Montanaria, moglie di Martino de Mari, drappiere, chiede di essere sepolta presso l’ospedale {ibid., doc. 1319). 453. 1217, febbraio 16. Legato di soldi 40 (cfr. n. 8). 454. 1218, dicembre 27. Legato di soldi 2 (cfr. n. 158). 455.* 1220, febbraio 3. Aldisia, moglie di Giovanni Mulo, lega soldi 3 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 7, c. 254 r.). 456. 1220, settembre 21, Legato di soldi 10 (cfr. n. 160). 457. 1221, marzo 11. Legato di soldi 20 (cfr. n. 162). 458. 1221, ottobre 10. Legato di lire 1 (cfr. n. 164). 459. 1222, febbraio 13. Legato di soldi 4 (cfr. n. 165). 460. 1222, aprile 8. Legato di soldi 3 (cfr. n. 167). 461. 1222, aprile 24. Legato di denari 12 (cfr. n. 168). 462. 1222, aprile 26. Legato di soldi 10 (cfr. n. 169). 463. 1225, dicembre 30. Govanni Marsilio chiede sepoltura presso l’ospedale {Lanfranco, doc. 1733). 464. 1225, febbraio 28. Giacoma, moglie di Giacomo da Ponzone, chiede di essere sepolta in S. Giovanni di « Capo di Faro » (cfr. n. 9). 465. 1225, maggio 4. Legato di lire 5 (cfr. n. 171). 466. 1225, maggio 12. Guglielmo da Vignolo chiede sepoltura presso l’ospedale {Lanfranco, doc. n. 1380). 467. 1225, luglio 1. Legato di soldi 10 (cfr. n. 173). 468. 1225, luglio 23. Legato di soldi 3 (cfr. n. 174). 469. 1225, settembre 15. Legato di denari 12 (cfr. n. 175). 470. 1225 novembre 9. Legato di soldi 2 (cfr. n. 176). - 312 - 471.* 1226... Giovanni Marsilio, cancelliere, lega soldi 20 all’ospedale (G. Scriba, P. 294, n. 15). 472. 1226, giugno 17. Legato di soldi 5 (cfr. n. 177). 473. 1226, luglio 1. Legato di soldi 2 (cfr. n. 178). 474. 1226, luglio 1. Legato di soldi 20 (cfr. n. 179). 475. 1226, agosto 4. Legato di soldi 40 alla chiesa di S. Giovanni « dell’ospedale » (cfr. n. 180). 476. 1226, settembre 21. Legato di soldi 2 (cfr. n. 181). 477. 1226, novembre 15. Giovanna Pevere dichiara che non era in piena libertà di mente quando promise di abbracciare la religione dei cavalieri gerosolimitani e di dedicarsi all’ospedale di S. Giovanni. (Salmone, doc. 1486). 478. 1227, marzo 14. Legato di soldi 2 (cfr. n. 182). 479. 1227, giugno 30. Tesaurus, moglie di Oberto de Mari, lega lire 3 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 7, c. 282 r.). 480. 1227, settembre 20. Legato di lire 12 (cfr. n. 11). 481. 1227, dicembre 7. Legato di lire 5, per un letto, e soldi 40, per un pasto, agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 183). 482. 1228, ottobre 14. Legato di denari 6 (cfr. n. 184). 483. 1228, ottobre 17. Legato di soldi 5 (cfr. n. 185). 484. 1228, novembre 6. Legato di soldi 3 (cfr. n. 186). 485. 1229, dicembre 28. Lascito di soldi 5 e di una terra in Corsio,. località Prato (cfr. n. 187). 486. 1229, marzo 13. Tra i testi di un atto figurano frate Bongiovanni Scalia, precettore dell’ospedale, e il suo confratello Andrea da Varazze (A.S.G., Notai, Cart. 16, c. 29 v.). 487. 1229, dicembre 19. Atto in cui Bongiovanni Scalia da Savona figura quale commendatore dell’ospedale (A.S.G., ms, 535, p. 855). 488. 1230, gennaio 29. Legato di soldi 10 (cfr. n. 188). 489. 1230, febbraio 11. Giulia moglie di Pietrobono da Croce lega lire 100 all’ospedale di S. Giovanni presso il quale desidera essere sepolta (FNG, I, c. 92 v.). 490. 1230, marzo 18. Bongiovanni Scalia, ministro dell’ospedale, consenzienti gli altri confratelli, vende a Guglielmo Leccavella una terra in Carignano per la somma di lire 40 (A.S.G., Notai Ignoti, busta 1, doc. XXXI, atto 20). 491. 1231, febbraio 16. Legato di soldi 5 (cfr. n. 189). - 313 - 492. 1232, dicembre 28. Legato di lire 20 (cfr. n. 191). 493. 1232, dicembre 28. Frate Guglielmo da Voltaggio precettore, prete Rainaldo, prete Amadeo e i frati Andrea, Pietro, Silvestro e Ansaldo, ospitalari di S. Giovanni, sono presenti in qualità di testi (A.S.G., Notai, Cart. 19, c. 2 r.). 494. 1232, febbraio 10. Frate Guglielmo da Voltaggio, dell’ospedale di S. Giovanni, unitamente al ministro prete Raimondo e in presenza dei confratelli e dei servitori, vende a Rubaldo Anivino una casa posta in Fossatello e sette appezzamenti di terra, di varia misura, circostanti la detta casa, per una somma complessiva di lire 346, soldi 3 e denari 4 [ibid., c. 5 v.). 495. 1232, marzo 7. Guglielmo da Pontecurone, frate dell’ospedale, è presente in qualità di teste (ibid., c. 14 r.). 496. 1232, marzo 7. Caracena, del fu Arnaldo, dona all’ospedale, rappresentato da frate Ottone, due edifici posti su un terreno di proprietà della chiesa di S. Tommaso e tutto quanto è in essi contenuto (ibid., c. 15 r.). 497. 1232, matio 9. Frate Guglielmo da Voltaggio, a nome dell’ospedale di cui è ministro, accusa ricevuta di soldi 20 da Bartolomeo Cassina, come da legato della defunta moglie del suddetto Bartolomeo (ibid.). 498. 1232, marzo 16. Richelda, del fu Ogerio Picollo da Recco, lascia in eredità una terra posta in Recco, località Muegi, e chiede di essere sepolta presso l’ospedale (ibid., c. 18 v.). 499. 1232, luglio 16. Giovanni Roca da Finale vende al precettore Bongiovanni Scalia, un edificio sito sul terreno di proprietà dell’ospedale, per la somma di lire 4 (ibid., c. 45 r.). 500. 1232, luglio 16. Il precettore Bongiovanni Scalia, col consenso dei confratelli, nomina sindaco dell’ospedale il canonico Guglielmo da Rivarolo, in occasione di una divisione di beni tra cui la sesta parte di una casa in S. Fede (ibid., c. 45 r.). 501. 1232, agosto 21. Frate Giacomo Albesano, dell’ospedale di S. Giovanni di Genova, è incaricato di consegnare a Bartolomeo de Plecania, canonico genovese, le lettere apostoliche nelle quali si diffida un frate dell’ospedale di S. Giovanni, in Lombardia, dal continuare a esercitare l’attività di usuraio (ibid., c. 47 r.). 502. 1232, dicembre 16. Legato di denari 12 (cfr. n. 194). 503. 1233 ... Legato di soldi 20 (cfr. n. 195). 504. 1233, maggio 18. Legato di soldi 10 (cfr. n. 196). 505. 1233, agosto 28. Il precettore, Frate Bernardo, riceve a nome dell’ospedale la donazione di un terreno da Rubaldo Gallo da San Pier d’Arena (A.S.G., Notai, Cart. 19, c. 67 v.). 506. 1233, agosto 29. Legato di soldi 40 (cfr. n. 102). - 314 - 507. 1235, novembre 22. Legato di soldi 1 (cfr. n. 198). 508. 1236, settembre 9. Legato di lire 5 (cfr. n. 199). 509. 1237, gennaio 13. Legato di soldi 5 (cfr. n. 201). 510. 1237, febbraio 3. Legato di soldi 10 (cfr. n. 202). 511. 1237, aprile 25. Legato di soldi 5 (cfr. n. 204). 512. 1239, marzo 30. Frate Marino, precettore e ministro dell’ospedale, e Giacomo, padre di Adelasia, in controversia per la donazione di tre case poste in Chiavica e del loro usufrutto, si sottopongono all’arbitrato di Ugo Magiscola (A.S.G., Notai Ignoti, busta 1, doc. XXXV, atto 35). 513. 1239, agosto 8. Filippo Visdomini, podestà genovese, concede all’ospedale di S. Giovanni, del quale è sindaco frate Martino, la licenza di costruire un mulino in insula de Bagnacavallo, presso Gavi (H.P.M., VI, col. 982, doc. DCCL). 514. 1239, novembre 22. Legato di soldi 1 (cfr. n. 205). 515. 1241, aprile 4. Legato di lire 5 (cfr. n. 207). 516. 1241, maggio 1. Legato di lire 3, per vivande, agli infermi degenti nell’ospedale (cfr. n. 208). 517. 1241, settembre 27. Giacomo, pellicciaio del Brolio, lega soldi 20 all’ospedale (A.S.G., Notai Ignoti, busta 1, doc. XXXV, atto 146). 518. 1242, ottobre 19. Rinaldo, tornitore, lega soldi 5 e chiede sepoltura presso l’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 18, II, c. 325 r.). 519. 1244, luglio 1. Contessa de Porta, vedova di Rubaldo da Camogli, lascia una coltre e due lenzuola all’ospedale {ibid., c. 304 v.). 520. 1244, luglio 5. Legato di denari 12 (cfr. n. 209). 521. 1248, marzo 18. Gli infermi dell’ospedale ricevono lire 2 provenienti da un legato (cfr. n. 210). 522. 1249, giugno 6. Il precettore frate Marino e il ministro dell’ospedale, frate Giacomo da Finale, unitamente ai confratelli Giovanni Corrado, Oberto Spanelli e Vestito locano una bottega ai lucchesi Silacio e Giacomo (A.S.G., Notai, Cart. 18, II, c. 328 v.). 523. 1249, giugno 10. Il precettore frate Marino loca una bottega di proprietà dell’ospedale, situata presso la chiesa di S. Matteo (FNG, III, c. 12 v.). 524. 1249 giugno 18. Doneta, del fu Alberto Lasagna, degente nell’ospedale di S. Giovanni, chiede sepoltura presso la chiesa di detto ospedale (ibid., c. 330 v.). 525. 1249, agosto 6. Frate Marino, ministro e precettore dell’ospedale, unitamente ad altri 11 confratelli, loca a Oberto della Croce un castagneto, sito nel territorio - 315 - di Parodi, per un periodo di dieci anni e per l’annuo canone di tre staie di castagne secche da consegnare per la festa di S. Andrea (A.S.G., Notai, Cart. 18, II, c. 344 v.). 526. 1250, dicembre 13. Legato di soldi 5, pro vestibus, agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 211). 527. 1251, gennaio 2. Bonadonna, vedova di Pietro, pellicciaio in Castelletto, chiede di essere sepolta presso l’ospedale (A.S.G., Notai Ignoti, busta 3, fase. 32). 528. 1251, agosto 1. Alassina, del fu Rosso Lercari, avendo superato il 17° anno di età stabilisce di entrare nella religione gerosolimitana, facendo donazione dei beni mobili e immobili ereditati dal padre a favore degli zii paterni i quali si impegnano a corrisponderle un vitalizio di lire 3 annue (A.S.G., Notai, Cart. 27, c. 208 r.). 529. 1251, agosto 8. Legato di lire 5, in lenzuola, agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 213). 530. 1252, marzo 27. Testamento di Enrico da San Cipriano, che lega denari 12 alla chiesa e ospedale di S. Giovanni (Novi, II, p. 196). 531. 1255, marzo 1. Vivaldo da Neirone, lega soldi 5 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 21, c. 25 r.). 532. 1257, gennaio 26. Adelasia, del fu Guglielmo da Bargagli, lega soldi 10 per messe cantate e chiede sepoltura nel cimitero dell’ospedale (A.S.G., Notai Ignoti, busta 2, fase. 5, ng. 10). 533. 1257, luglio 18. Legato di soldi 10 (cfr. n. 215). 534. 1257, luglio 27. Legato di soldi 10 (cfr. n. 216). 535. 1257, luglio 28. Legato di lire 5 (cfr. n. 217). 536. 1257, ottobre 19. Frate Giovanni, sindaco e procuratore dell’ospedale, è presente in qualità di teste (A.S.G., Notai, Cart. 60, c. 178 v.). 537. 1258, gennaio 28. Legato di soldi 42, per gli infermi dell’ospedale (cfr. n. 218). 538. 1258, marzo 23. Legato di soldi 10 (cfr. n. 219). 539. 1258, maggio 15. Legato di soldi 5 (cfr. n. 108). 540. 1259, febbraio 18. Legato di soldi 10 (cfr. n. 221). 541. 1259, febbraio 18. Notizia di una casa nei pressi della chiesa di S Donato, appartenente all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 69, c. 122 v.). 542.* 1259, agosto 20. Alasia, vedova di Rinaldo Matalasco, lega soldi 10 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 34, c. 180 r.). 543. 1260, aprile 20. Prete Giovanni da Valditaro, sindaco dell’ospedale, dichiara - 316 - di aver ricevuto da Bendo da Portovenere la somma di soldi 40, a saldo di un debito (G. di Giona, doc. CXXXVII). 544. 1260, giugno 6. Giovanna, moglie di Machione, del fu Salerno, lega soldi 10 all’ospedale (ibid., doc. CCVIII). 545. 1260, giugno 13. Maria, vedova di Pagano da Carasia, lega soldi 10, per una pietanza, agli infermi dell’ospedale (ibid., doc. CCCLXXVIII). 546. 1261, dicembre 29. Simona, del fu Bonfigliolo de Roso da Portovenere, lega denari 12 all’ospedale (ibid., doc. CCCLXXVIII). 547. 1261, giugno 25. Legato di soldi 5 (cfr. n. 222). 548. 1262, giugno 28. Alessandrino lascia in eredità un letto e relativo corredo all’ospedale, chiedendo che venga celebrata una messa all’anno in suffragio della propria anima (cfr. n. 223). 549. 1262, aprile 27. Alberto de Maizana lega soldi 10 all’ospedale (A.S.G., Notai Ignoti, busta 3, fase. 29, c. 43 v.). 550. 1262, agosto 2. Gogo, del fu Giacomo de Marino, lascia in eredità ai poveri e agli infermi dell’ospedale, un cuscino e due lenzuola (G. di Giona, doc. CCCXL). 551. 1262, settembre 20. Legato di soldi 5 (cfr. n. 225). 552. 1262, settembre 22. Aldobrandino, del fu Vivaxino de Stadomelio, lascia soldi 5 all’ospedale degli infermi di S. Giovanni (ibid., doc. CCCLXVIII). 553. 1264, febbraio 17. Legato di soldi 10 (cfr. n. 226). 554. 1264, novembre 30. Legato di soldi 1 (cfr. n. 227). 555. 1267 ... Legato di soldi 5 (cfr. n. 228). 556. 1270, febbraio... Legato di soldi 10 (cfr. n. 229). 557. 1271, gennaio 14. Nicolò dell’Arco di Rapallo lega soldi 20 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 58, c. 128 r.). 558* 1271, gennaio 15. Adalasia, moglie di Giovanni Nepitella lega soldi 2 all’ospedale (A.S.G., Notai Ignoti, busta 2, fase. 6, fascetta 19, c. 6 r.). 559. 1271, aprile 21. Legato di soldi 5 (cfr. n. 15). 560. 1271 aprile 21. Legato di soldi 10 (cfr. n. 14). 561. 1272, dicembre 5. Trascrizione di una lettera apostolica ordinata dall’arcivescovo di Genova e richiesta da frate Giovanni da Pavia, sindaco dell’ospedale nonché procuratore di Ingheramo, priore di Lombardia, circa la conferma dei privilegi e delle immunità che Gregorio X concesse all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 110, c. 8 v.). 562. 1275, ottobre 16. La procura per l’ospedale viene affidata a frate Simone da Diano (notizia in doc. del 13 aprile 1275, cfr. n. 564). - 317 - 563. 1275, marzo 23. Guglielmo, del fu Pietro di Castello e sua moglie Audeta, del fu Ansaldo Buferio, donano all’ospedale una terra con casa in Camogli, nel quartiere Fabbriche (A.S.G., Notai, Cart. Ili, c. 112 v.). 564. 1275, aprile 13. Frate Simone da Diano, sindaco e procuratore dell’ospedale, agisce per il recupero di un lascito (A.S.G., Notai Ignoti, busta 9, fase. 4, c. 13 r.), 565. 1275, maggio 29. Bernardo da Pozzobonello, console di giustizia, condanna Ma-scardo di San Matteo, curatore dei beni del defunto Giovanni Baiamonte, a pagare all’ospedale le 18 lire lasciate in eredità dal suddetto Giovanni (A.S.G, Notai, Cart. ili, c. 42 r.). 566. 1276 ... Simona, vedova di Bergognone Embriaco, revoca il mandato di procura, affidato a Oberto Trilogna, per la riscossione di lire 20 dal precettore e dai frati dell’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 56, c. 221 v.). 567. 1276, gennaio 9. E’ presente, in qualità di teste, frate Manfredo, precettore dell’ospedale (FNG, III, c. 133 v.). 568. 1276, gennaio 13. Frate Simone, sindaco e procuratore dell’ospedale, riceve la quota di un legato spettante al proprio istituto (cfr. nn. 232, 746). 569. 1276, gennaio 21. Simona, vedova di Bergognone Embriaco, decide di vestire l’abito ospedaliero della religione gerosolimitana e di porsi sotto l’obbedienza di frate Manfredo, precettore dell’ospedale, cedendo i propri beni (A.S.G., Notai, Cart. 56, c. 22 r). 570. 1276, gennaio 24. Frate Simone, sindaco e procuratore dell’ospedale di S. Giovanni, e Lanfranco di San Tommaso, precettore di S. Lazzaro, accusano ricevuta da Bonavita da Monleone di soldi 32, lascito del defunto Bonifacio Mattone (ibid. c. 227 v.). 571. 1276, febbraio 21. Manfredo Gualia da Montaldo dichiara a frate Simone da Diano, sindaco dell’ospedale, di non avere alcun diritto di proprietà sulla terra situata in Montaldo, località Serra, che Guarneri, del fu Giacomo di Fossato da Pratolongo, donò all’ospedale (ibid., c. 245 r.). 572. 1276, aprile 8. Il precettore, frate Manfredo, in presenza e col consenso dei confratelli, Merlo di Castello, Oberto e Guglielmo Alpicella e di Simone da Diano, sindaco dell’ospedale, approva la donazione di una domuncula, fatta da Poliannina, moglie di Guglielmo Alpicella, tintore (A.S.G., ms. 537, p. 2598). 573. 1276, novembre 2. Legato di soldi 60, da distribuirsi tra gli infermi e le inferme dell’ospedale (cit. n. 233). 574. 1277, maggio 11. Legato di soldi 10 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 361). 575. 1277, maggio 12. Legato di soldi 30 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 234). 576. 1277, giugno 3. Legato di soldi 15 agli infermi dell’ospedale al quale vanno una trapunta, due lenzuola, una coperta e un cuscino (cfr. n. 235). - 318 - 577. 1277, giugno 21. Frate Giovanni Pinelli, sindaco dell’ospedale riscuote un credito di soldi 37 (A.S.G., Notai, Cart. 86, c. 82 v.). 578. 1277, luglio 4. Legato all’ospedale di lire 5 per messe cantate e di lire 5 per gli infermi (cfr. n. 236). 579. 1279, febbraio 8. Pietro da Vercelli, sindaco dell’ospedale, riceve soldi 10 provenienti da un legato (cfr. n. 237). 580. 1280, setembre 1. Legato di soldi 2 (cfr. n. 238). 581. 1284, febbraio 20. Legato di iperperi 5 (cfr. n. 239). 582.* 1285, marzo 29. Giovanni Gualco d’Arenzano, lega soldi 5 all’ospedale (A.S.G., Notai Ignoti, busta 5, ng. 65, fascetta 65). 583. 1285, giugno 19. Oberto da Sruppa, barbiere di Porta S. Andrea, chiede di essere sepolto nella chiesa di S. Giovanni, dove si trova l’ospedale degli infermi e lega lire 10 per i suoi funerali e lire 2 ai frati dell’istituto (A.S.G., Notai, Cart. 130, c. 22 v.). 584. 1285, agosto 10. Legato di soldi 10 alle suore dell’ospedale perché li distribuiscano agli infermi ivi ricoverati, ai quali vanno inoltre un letto, un saccone, una trapuntata, una carpita e due lenzuola (cfr. n. 103). 585. 1291, settembre 8. Legato di soldi 5 (cfr. n. 244). 586. 1293 ... Giovanni Manerio lascia un vitalizio di lire 4 annue alla propria figlia Giacomina, reddita dell’ospedale (A.S.G., Notai Ignoti, busta 7, doc. 87, atto 30). 587. 1294, aprile 1. Legato di soldi 5 (cfr. n. 366). 588. 1295, novembre 5. E’ presente, in qualità di teste, frate Marino dell’ospedale di S. Giovanni (A.S.G., ms. 535, p. 797). 589. 1296, aprile ... Legato di soldi 16 (cfr. n. 246). 590. 1297, gennaio 2. Legato di soldi 10 (cfr. n. 247). 591. 1297, febbraio 3. Il precettore Bonifacio da Canelli, concede in locazione a Ugo Passalacqua, calafato, tre case site in S. Nazaro, per l’annuo canone di lire 9 (A.S.G., Notai, Cart. 118, c. 58 r.). 592. 1297, febbraio 3. Il precettore frate Bonifacio da Canelli, concede in locazione una casa sita in contrada S. Donato, al maestro di scuola Giovanni da Bargone, per la somma di lire 13 (ibid., c. 58 v.). 593. 1297, luglio 16. Legato di soldi 5 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 20). 594. 1298, aprile 14. Benvenuta de Brugnali, abitante nella conestagia di S. Donato, lega soldi 10 all’ospedale (A.S.G., Notai Ignoti, busta 10, fase. 4, n. 107, e. 128 r.). -'319 - 595. 1299, novembre 11. Legato di soldi 10 agli infermi di S. Giovanni (cfr. n. 23). 596.* 1300, settembre 6. Simona di Sant’Agnese del fu Forte, maestro antelamo, lascia due lenzuola all'ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 12, II, c. 35 v.). 597.* 1301, agosto 16. Martino, del fu Damiano Bracelli, lega soldi 20 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 134, c. 75 r.). 598. 1302, maggio 4. Frate Rolando, sindaco dell’ospedale (cfr. n. 25). 599. 1302, luglio 2. Frate Giovanni de Bargono, sindaco e reddito, dichiara di aver ricevuto da Verdina, vedova di Franceschino Mallone, quanto gli era dovuto per l’affitto di una terra di proprietà dell’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 98, c. 230 v.). 600. 1302, dicembre 12. Frate Ottolino rappresenta l’ospedale (cfr. n. 27). 601. 1303, agosto 30. Il capitolo della chiesa di S. Lorenzo loca in perpetuo all’ospedale, rappresentato da frate Ottolino da San Remo, una terra sita in Genova, retro predotium, per il canone annuo di soldi 12 per tavola (A.S.G., Notai, Cart. 99, c. 203 v.). 602. 1303, novembre 22. Frate Ottolino rappresenta l’ospedale (cfr. n. 29). 603. 1304, novembre 17. Legato di soldi 10 (cfr. n. 30). 604. 1305, agosto 16. Ianuina, figlia di Donato, tornitore di Ripa, nomina suo procuratore frate Ottolino da San Remo, dell’ospedale di S. Giovanni (A.S.G., Notai Ignoti, busta 2, fase. 3, ng. 6). 605. 1305, agosto 30. Frate Martino di Santo Stefano, frate della domus gerosolimitana, riceve da Bertolino de Cavreto, precettore dell’ospedale la somma di 3.000 fiorini (ibid.). 606. 1305, novembre 15. Gabriele Calvo cede a frate Bertolino del Carretto, precettore dell’ospedale, una casa posta nella contrada della Porta dei Vacca e contigua al muro di cinta della città, al prezzo di lire 930 (ibid.). 607. 1306, agosto 28. Sorleone di Castello lega lire 2 agli infermi dell’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 134, c. 109 v.). 608. 1308, febbraio 5. Legato di soldi 10 (cfr. n. 110). 609* 1311, dicembre 26. Delafè Bracelli acimator, del fu Paganino, lega soldi 60, per un letto, all’ospedale (A.S.G., Notai Ignoti, busta 4, fase. 3. ng. 57, c. 7 r). 610. 1311, marzo 8. Frate Pietro rappresenta l’ospedale (cfr. n. 37). 611. 1311, luglio 28. Frate Iacopo da Canelli, priore di Lombardia dell’ordine di S. Giovanni gerosolimitano, ottiene speciali privilegi pontifìci, quali il riscuotere ogni lascito fatto in subsidium Terre Sancte (A.S.G., ms. 540, p. 165). - 320 - 612. 613. 614* 615. 616* 617. 618. 619. 620. 621. 622. 623. 624. 625* 626. 627 * 1311, luglio 28. Giovannina Pelle, vedova di Giovanni Begino e sorella ed erede di Ianuino Pelle, fa donazione di terre con case, in Molassana, al procuratore di frate Iacopo da Canelli, frate Michele da Cuneo, che riceve a nome dell ospedale di S. Giovanni di Genova (A.S.G., Notai, Cart. 149, c. 131 r.). 1311, agosto 2. Giovanni Bellomo da Campi di Coronata lega soldi 10 all’ospedale (A.S.G., Notai Ignoti, busta 8, fase. 1, ng. 93, c. 208 r.). 1312, marzo 12. Guglielmo Otello di Castelletto lega soldi 20 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 67, c. 169 r). 1312, aprile 5. Legato di soldi 5 all’ospedale e un altro a suor Francescana ivi residente (cfr. n. 261). 1312, giugno 17. Caterina, del fu Giovanni da Monte, lega soldi 3 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 211, c. 31 v.). 1312, settembre 17. Riccobono da Savignone dispone un lascito di lire 35 a favore di Clarissa e di lire 50 a favore di Giacomino detto Caregia, figli naturali del proprio figlio Lanfranco; gli esecutori testamentari, nel caso non dovessero attenersi correttamente a tali disposizioni, verseranno il doppio dei suddetti legati all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 67, c. 186 v.). 1312, ottobre 24. Il precettore frate Pietro da Villarengo riceve, a nome dell’ospedale, lire 45 dai figli ed eredi del defunto Gaspare Marcone (A.S.G., Notai, Cart. 263,1, c. 46 v.). 1312, novembre 6. Bolla del Gran Maestro di Rodi, Folco de Villaret, nella quale viene segnalato a Iacopo da Canelli, priore di Lombardia, il nome di Allegrarla de Credenzi, affinchè essa possa essere accolta nell’ordine giovannita, se ritenuta idonea (A.S.G., ms. 836, c. 324 r). 1313(?)... Castellina, vedova di Lanfranco Cicala, fa donazione di tre case, site in S. Nazaro all’ospedale di S. Giovanni, rappresentato dal precettore frate Ardito e da altri 11 confratelli (ibid., c. 323 r.). 1313, aprile 19. Legato di soldi 5 (cfr. n. 264). 1316, ottobre 13. Legato di soldi 10 (cfr. n. 265). 1316, novembre 29. Maiardo, della pieve di S. Siro, lega soldi 13 all’ospedale della chiesa di S. Giovanni (A.S.G., Notai, Cart. 214, c. 2 r.). 1318, febbraio 27. Legato di soldi 5 (cfr. n. 112). 1318, marzo 4. Giacomo Rosso, macellaio al molo, lega soldi 10 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 140, c. 234 v.). 1318, marzo 8. Legato di soldi 10 (cfr. n. 267). 1318, ottobre 4. Simonina, moglie di Guglielmo, orafo, lega soldi 5 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 214, c. 155 v.). - 321 - 628. 1319, aprile 17. Giovanni da Sant’Albano fornaio, in qualità di procuratore dei frati dell’ospedale, loca a Rolandino da Vozenca, coltellinaio, una casa sita nella contrada del molo, per l’annuo canone di lire 6 e soldi 10, con l’impegno da parte del locatario di mantenerla in buono stato (A.S.G., Notai, Cart. 213, c. 169 v.). 629.* 1320, giugno 14. Gerardo da Valditaro, laniere, lega soldi 20 all’ospedale (,ibid., c. 207 c.). 630. 1320, settembre 2. Corrado di San Donato, calzolaio, lega soldi 5 all’ospedale (ibid., c. 253 v.). 631. 1324, giugno 19. Sibelina, vedova di Enrico Vigna, lascia in eredità una coltre, due cuscini, un lenzuolo e una coperta, tutti del proprio letto, all ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 214, c. 334 r). 632. 1330, maggio 4. Nicolino Cardinale, iurisperito, stabilisce in lire 1.250 il valore di una terra, con mulino e palatio discoperto siti in Valbisagno, nel territorio di Corsio, concessi in enfiteusi, per una metà al precettore di S. Giovanni e per l’altra metà al monastero di S. Benigno (A.S.G., ms. 540, p. 245). 633. 1341, giugno 4. Giovanni d’Abbazia de Plania lascia in eredità un letto, del valore di lire 5, agli infermi dell’ospedale (A.S.G., Notai Ignoti, busta IX, fase. 1, c. 4 r.). 634.* 1341, settembre 11. Oddone Sfoglia lega soldi 10 all’ospedale (ibid., fase. 1, c. 5 r.). 635. 1348, gennaio 2. Legato di soldi 10 agli infermi e ai poveri « degli ospedali » di S. Giovanni gerosolimitano di Capo d’Arena (cfr. n. 270). 636. 1348, gennaio 10. Legato di soldi 5 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 58). 637. 1348, gennaio 21. Pietro Res de Probles de Vacaricia lascia in eredità una coperta de burdo all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 233, c. 45 v.). 638. 1348, febbraio 22. Legato di soldi 40 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 61). 639.* 1348, marzo 7. Guglielmo di Sala lega soldi 10 agli infermi dell’ospedale e soldi 18 alla confraternita di S. Giovanni (A.S.G., Notai, Cart. 287, c. 151 r.). 640. 1348, marzo 20. Lascito di metà di un letto all’ospedale di S. Giovanni e di metà a quello di S. Lorenzo (cfr. n. 67). 641. 1348, marzo 27. Violante, del fu mastro Gabriele Caravello, lega soldi 40 agli infermi dell’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 335, c. 125 r.). 642. 1348, aprile 7. Giovanni Cressino, taverniere, dichiarandosi debitore di lire 35 nei confronti di sua sorella Antonietta, le cede i diritti che gode dalla chiesa e ospedale di S. Giovanni di Prè (ibid., c. 146 v.). 643. 1348, aprile 30. Pietro Polleto di Entraves, misuratore di grano, lega soldi 40 agli infermi dell’ospedale (ibid., c. 181 r.). — 322 — 644. 1348, giugno 8. Ginevra, moglie di Ugolino Ghisolfi, lega lire 5 per l’acquisto di un letto da destinare alle suore dell’ospedale (A.S.G., Cart. 233, c. 192 v.). 645. 1353, ottobre 14. Atto nel quale si trova nominata Leonina, figlia di Giovanni da Bargagli, monaca del monastero di S. Giovanni di Prè (A.S.G., ms. 541, p. 964). 646." 1355, aprile 9. Teodora, del fu Vasaiino da Rollandello di Bisagno, lascia in eredità un letto, fornito di trapunta, di un paio di lenzuola, di un carpita, di un cuscino di piume e di una grossa coltre, all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 216, c. 164 r). 647. 1380, dicembre 10. Il Doge e il Consiglio degli Anziani dànno il benestare ai consoli e agli scrivani delle Compere del Comune, sia del Capitolo sia di S. Paolo, per corrispondere al ministro dell’ospedale, la quota dei proventi dei luoghi intestati all’ospedale, esigibile nel mese di novembre (cfr. n. 345). 648." 1384, agosto 21. Aighineta, moglie di Luchino Fieschi lascia in eredità ad Andrea Fieschi una terra con casa posta fuori le mura di Chiavari, in località Rupi-naro, sotto la condizione di versare in perpetuo l’annuo canone di lire 3 all’ospedale (A.S.G., ms. 543, p. 327). 649. 1393, gennaio 10. E’ presente, in qualità di teste, frate Antonio Grimaldi, precettore dell’ospedale (ibid,., p. 325). 650.* 1395, febbraio 1. Corradina, del fu Argone Doria e vedova di Raffaele Doria, lega lire 5 ai poveri dell’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 446, c. 64 r.). 650a. 1397, agosto 25. L’ospedale fruisce di una quota della eredità di Agnesina da Mirualdo (cfr. n. 97). 651. 1399, febbraio 22. Margherita, figlia di Gabriele Squarciafico, lascia in eredità un letto fornito all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 320, c. 216 r.). 652. 1400, novembre 17. Atto in cui si trova citato un edificio di proprietà della chiesa di S. Giovanni di Prè situato nella contrada di S. Donato, in carrubeo Amigdale (FNG, II, c. 217 r.). 652. 1400, dicembre 11. Frate Antonio Salvarezza rappresenta l’ospedale (cfr. n. 98). 654. 1401, gennaio 25. Idem c. s. (cfr. n. 99). 655. 1411, maggio 15. Frate Corrado Spinola rappresenta l’ospedale (cfr. n. 100). 656. 1414, febbraio 7. E’ trascritto il testo della bolla di papa Giovanni XXIII, datata Cremona, 8 gennaio, nella quale viene attribuito a Oberto Bartolomeo Salvarezza, nonostante la giovane età (13 anni), il beneficio delle precettorie di S. Siro di Diano, di S. Giovanni di Porto Maurizio e di S. Biagio di Voltaggio, dipendenti da S. Giovanni di Prè, le quali precettorie, con un reddito valutato in 40 fiorini annui, risultano vacanti dalla morte di Antonio Salvarezza (A.S.G., not. S. F. de Compagnono, fiza 1, doc. nn.). - 323 - 6.57. 1415 ... Corrado Spinola, perpetuus preceptor dell’ospedale, in presenza dei confratelli Gabriele da Napoli e Antonino da Casale, loca a Manfredo Spinola di Luccoli, priore di S. Gerolamo della Cervara, una casa sita nel borgo di Prè, sulla strada romana, per l’annuo canone di lire 3 e con l’impegno, da parte del locatario, di mantenere in buono stato l’edificio e di provvedere alle necessarie riparazioni (ibid., doc. LXXXVI). 658. 1415, maggio 22. Il precettore Corrado Spinola, in considerazione di restauri effettuati, concede al formaggiaio Inopio Cavalorto, per la durata di anni 29, la riduzione, da 30 a 8 lire, del canone annuo di affitto di un edificio, posto sub ' ripa formaiaiorum in contrata illorum de Dentutis, che l’ospedale ha in comproprietà con quello di S. Lazzaro (ibid., doc. CVII). 659. 1425, luglio 31. Martino V concede a Racello dell’Oro la precettoria di S. Giovanni di Prè, resasi vacante per la morte di Corrado Spinola, con ogni diritto e pertinenza, compresa la rendita di 60 fiorini (Suppliche, doc. 209). 660. 1425, novembre 18. Luca de Oliva dà notizia a Pileo de Marini, del conferimento da parte del pontefice, motu proprio, della precettoria di S. Giovanni di Prè a Racello dell’Oro la cui candidatura è sostenuta dal duca di Milano (Gatteggio, doc. 132). 661. 1425, novembre 30. Racello dell’Oro dichiara a Pileo de Marini, di aver accettato la precettoria di S. Giovanni e chiede che l’arcivescovo sospenda la sua opposizione nei suoi confronti (ibid., doc. 135). 662. 1426, gennaio 30. Luca de Oliva dichiara a Pileo de Marini di ritenere che Racello dell’Oro sia ormai pronto a una soluzione di compromesso sulla vertenza riguardante S. Giovanni di Prè (ibid., doc. 145). 663. 1426, marzo 4. Il precettore Racello dell’Oro, richiede al pontefice la concessione di particolari privilegi (Suppliche, doc. 220). 664. 1426, aprile 4. Luca de Oliva dichiara insufficiente la procura avuta e richiede a Pileo de Marini ulteriori istruzioni per concludere con Racello dell Oro la vertenza sulla precettoria di S. Giovanni (Carteggio, doc. 155). 665. 1426, aprile 11. Samuele de Marini scrive a Pileo, confermando la disponibilità di Racello dell’Oro a sottostare all’autorità arcivescovile (ibid., doc. 156). 666. 1426, aprile 30. Luca de Oliva e Samuele de Marini riferiscono a Pileo sulla prosecuzione della causa per S. Giovanni di Prè (ibid., doc. 158). 667. 1426, maggio 2. Racello dell’Oro si dichiara denigrato da una lettera inviata al papa da parte del Consiglio degli Anziani secondo la quale la precettoria di Prè sarebbe spettata di diritto ad altri (ibid., doc. 159). 668. 1427, giugno 17. L’ospedale, unitamente ad altri istituti genovesi, riceve in concessione la quarta parte del pedaggio di Gavi (cfr. n. 309). — 324 — 669. 1427, giugno 30. Viene richiesta al papa Martino V la conferma della concessione a Racello dell’Oro della precettoria di S. Giovanni di Prè (Suppliche, doc. 253). 670. 1428, ottobre 11. Gaspare Vignolo da Chiavari rivolge una supplica a Martino V per poter conservare i benefici, da tempo acquisti dai suoi avi, su alcune proprietà appartenenti alla chiesa sine cura di S. Giacomo di Chiavari e che egli dichiara assolutamente indipendenti dalla precettoria di S. Giovanni di Prè (ibid., doc. 290). 671. 1430, marzo 25. Racello dell’Oro richiede l’autorizzazione al pontefice di vendere alcune proprietà dell’ospedale e di poter acquistare col ricavato altri beni più redditizi (ibid., doc. 347). 672. 1439, novembre 28. Il precettore Giovanni Battista Fieschi, soldato gerosolimitano, unico residente nell’ospedale, concede in locazione una casa sita nella contrada di S. Fede, presso la Porta dei Vacca (Poch, VII, p. 92). 673. 1447 ... Trascrizione della bolla di Nicolò V che conferma i privilegi e le immunità concessi ai Giovanniti dai suoi predecessori e in particolare dalla bolla di Gregorio VIII del 9 maggio 1187 (A.S.G., ms. 836, c. 308 r.). 674. 1459, aprile 14. Gaspare da Airasca dei signori di Piossasco procede alla collazione dell’ospedale di S. Giovanni di Sestri Ponente in favore di Gaspare Bregante (ibid., c. 314 r.). Ospedale dello Scalo 675. 1257, agosto 3. Guglielmo, preposto di Genova e rettore della chiesa e ospedale dello Scalo, nomina sindaco e procuratore dell’ospedale suddetto Venturino da Sestri, affinché lo rappresenti nella vertenza contro prete Giacomo della chiesa di Carasco (A.S.G., Notai, Cart. 33, c. 19 v.). 676. 1318, marzo 8. Legato di soldi 5 all’ospedale del Comune di Genova (cfr. n. 267). 677. 1347, luglio 24. Legato di lire 25 all’ospedale del Comune dello Scalo (cfr. n. 57). 678. 1348, gennaio 21. Pietro Res de Probles lascia in eredità un epitogium, dei suoi migliori, all’ospedale di S. Bernardo (cfr. n. 637). 679. 1348, febbraio 22. Legato di soldi 40 agli infermi dell’ospedale del Comune (cfr. n. 61). 680. 1348, febbraio 26. Francescone da Pavia, dispone il lascito di un letto per gli infermi dell’ospedale del Comune (A.S.G., Notai, Cart. 216, c. 156 r.). 681 * 1348, marzo 22. Giovanni Bochino, taverniere, lega lire 10 agli infermi dell’ospedale del Comune, sito in Prè (A.S.G., Notai, Cart. 335, inserto cc. 108-109). 682. 1348, aprile 17. Legato di soldi 2 agli infermi dell’ospedale del Comune (cfr. n. 277). - 325 - 683. 1348, giugno 1. Prete Tommasino, ministro della chiesa di S. Marcellino di Genova, lascia in eredità un paio di lenzuola all’ospedale del Comune dello Scalo (A.S.G., Notai, Cart. 233, c. 202 r.). 684.'“' 1348, agosto 20. Nicolosia, del fu Nicolò da Carasco, lega lire 2 e soldi 10 agli infermi degenti nell’ospedale dello Scalo del Comune di Genova (A.S.G., Notai, Cart. 347, I, c. 156 r.). 685. 1397, agosto 25. I rettori Marco Gallo da Bestagno e Pietro Lombardo rappresentando l’ospedale dello Scalo (cfr. n. 97). 686. 1400, dicembre 11. Rettori di vari ospedali agiscono anche a nome del governatore dell’ospedale dello Scalo per eleggere un comune procuratore (cfr. n. 98). 687. 1429, luglio 11. I curatori testamentari dei figli e degli eredi del defunto Lorenzo Spotorno, coltellinaio, concedono in affitto all’ospedale dello Scalo, rappresentato da Bertone di Lavagna, coltellinaio, una schiava circassa, di nome Luna, provienente dalla eredità del suddetto Lorenzo, per 12 anni e per la somma complessiva di lire 80 (A.S.G., Notai, Cart. 340, II, c. 172 r.). 688. 1445, novembre 5. Si richiede che venga restituita al’ospedale la somma di de naro, presa dal Comune di Genova e depositata nelle Compere di S. Giorgio, a benefìcio di luoghi pii e di ospedali (A.S.G., Arch. Segr., ng. 3035, Diversorum filze, doc. 20). 689. 1447, aprile 28. Pietro Monaco lega soldi 10 all’ospedale (A.S.G., not. Branca Bagnara, filza 9, doc. 82). 690. 1447, giugno 12. Nicolò Spinola lega lire 2 all’ospedale (ibid , doc. 127). 691 * 1448, ottobre 4. Tobia, del fu Bartolomeo Doria, lega lire 10 all’ospedale (ibid., doc. 186). 692. 1449, ottobre 17. Frate Leone, rettore dell’ospedale dei SS. Maria e Cristoforo dello Scalo, rivolge una supplica al Doge e al Consiglio degli Anziani affinché concedano al maestro Luca Borrello, medico, esenzioni fiscali e un compenso di lire 4 annue (A.S.G., Arch. Segr., ng. 3037, Diversorum filze, doc. 191). 693. 1450, aprile 9. Vittoria del fu Angelo Musso, lega soldi 5 all’ospedale (A.S.G., not. Branca Bagnara, filza 8, doc. 79). 694. 1450, aprile 20. Clara, del fu Giovanni da Varzi e moglie di Antonio Castagnola da Cabella, lega lire 1 all’ospedale (ibid., doc. 95). 695.* 1450, giugno 23. Maria da Cipro, schiava affrancata, lega lire 5 all’ospedale (ibid., 170). 696. 1450, giugno 30. Antonio Doria lega lire 5 all’ospedale (ibid., doc. 172). 697. 1450, settembre 26. Avendus di Negro lega soldi 10 all’ospedale (ibid., doc. 61). — 326 — 1451, gennaio 16. L’arcivescovo Giacomo Imperiale concede l’amministrazione dell’ospedale all’Ufficio di Misercordia (A.S.G., ms. 845, c. 39 r.). 699. 1451, gennaio 21. Il doge Pietro Campofregoso e il Consiglio degli Anziani, in risposta a una petizione dei governatori dell’ospedale riguardante l’utilizzazione di una casupola contigua all’istituto, danno mandato all’Ufficio della Moneta di affittare in perpetuo all’ospedale tale edificio, di proprietà del Comune, al prezzo ritenuto più opportuno dal detto Ufficio (A.S.G., Arch. Segr., ng. 3040, Diversorum filze, doc. 20). 700. 1452, maggio 2. Cristoforo da Passano e Battista Presenda, governatori e procuratori dell’ospedale di S. Maria dello Scalo, rivolgono istanza al Doge e al Consiglio degli Anziani affinché intervengano in aiuto dell’ospedale che versa in precarie condizioni economiche [ibid.., doc. nn.). 701. 1452, maggio 2. In risposta alla petizione dei governatori dell’ospedale, il Doge e il Consiglio degli Anziani decidono di concedere all’istituto una adeguata sovvenzione, dando mandato in proposito all’Ufficio della Moneta (cfr. n. 700). 702. 1472, gennaio 18. Magherita, del fu Pietro da Lucca e moglie di Lazzarino da Vatuono da Sestri, lega soldi 5 all’ospedale di S. Maria dello Scalo (A.S.G., not. A. de Cairo, filza 27, doc. 24). 703. 1472, gennaio 18. Margherita del fu Pietro da Lucca e moglie di Lazzarino da Pammatone. (A.O.G., cod. 6, c. 16 r.). 704. 1473, aprile 18. Il Doge e il Consiglio degli Anziani, a conoscenza che i viveri del Comune sono conservati malamente, danno mandato a Meliaduce e Antonio Saivago e agli Ufficiali del Mare, di eseguire un controllo sullo stato dei viveri immagazzinati, proponendo che vengano depositati nell’ospedale dello Scalo (A.S.G., Arch. Segr., ng. 592, Diversorum reg., c. 20 v.). 7Ü5. 1476 ... Caterinetta, del fu Urbano Ronco, lega soldi 5 all’ospedale di S. Maria dello Scalo (A.S.G., not. T. Duracino, filza 19, doc. 275). 706. 1496, luglio 18. Un terratico dell’ospedale incamerato da Pammatone (A.S.G., ms. 545, p. 477). Ospedale di Sant’Antonio 707. 1201, giugno 8. Legato di soldi 2 all’ospedale di prete Guido (cfr. n. 130). 708. 1203, febbraio 23. E lias dominus hospitalis sancti Antonii viene citato a proposito di un debito di lire 40, che l’amministrazione dell’ospedale aveva contratto con un tal Barrera, il quale aveva ceduto il suo credito allo scrivano Giovanni di Donato (Lanfranco, doc. 126). 709. 1203, aprile 8. Guido, prete di S. Sisto, vende a Giovanni Ferrari Papacrusetos - 327 - metà di una casa posta sul terreno di Dondidio; tra i testi figura un certo Stefano, dell’ospedale del predetto Guido (ibid., doc. 221). 710. 1210, giugno 3. Legato di soldi 50 (cfr. n. 141). 711. 1212, gennaio 26. Legato di soldi 5 (cfr. n. 145). 712. 1213, giugno 26. Legato di soldi 5 (cfr. n. 441). 713. 1214 . . . Legato di denari 12 (cfr. n. 150). 714. 1214, ottobre 4. Magister R(aimundus), preposto della chiesa di S. Maria di Castello e ministro dell’ospedale e chiesa di S. Antonio (A.S.G., Notai, Cart. 4, c. 160 v.). 715. 1222, aprile 24. Legato di denari 12 (cfr. n. 168). 716. 1225, luglio 1. Legato di soldi 5 (cfr. n. 173). 717. 1225, luglio 23. Legato di soldi 2 (cfr. n. 174). 718. 1225, ottobre 9. Maestro Raimondo, canonico di S. Maria delle Vigne e ministro della cappella e ospedale di S. Antonio, nomina suo nipote Pietro, chierico della suddetta cappella, quale procuratore generale presso la curia romana, a proposito di una vertenza sorta contro Giovanni, arcidiacono genovese (Vigne, doc. 102). 719. 1226, agosto 4. Legato di denari 12 (cfr. n. 180). 720. 1227, dicembre 7. Legato di soldi 5 (cfr. n. 183). 721. 1230, gennaio 29. Legato di soldi 10 (cfr. n. 188). 722. 1232, dicembre 28. Legato di soldi 2 (cfr. n. 191). 723. 1233,... Legato di soldi 10 (cfr. n. 195). 724. 1235, novembre 22. Legato di soldi 1 (cfr. n. 198). 725. 1236, settembre 9. Legato di soldi 10 (cfr. n. 199). 726. 1237, gennaio 13. Legato di soldi 2 (cfr. n. 201). 727. 1237, febbraio 3. Legato di soldi 5 (cfr. n. 202). 728. 1237, febbraio 25. Prete Enrico, cappellano del S. Sepolcro de Arena, converso dell’ospedale (A.S.G., ms. 837, c. 29 r.). 729. 1239, novembre 22. Legato di soldi 1 (cfr. n. 205). 730. 1241, aprile 4. Legato di soldi 20 (cfr. n. 207). 731. 1241, maggio 1. Legato di soldi 5 (cfr. n. 208). 732. 1248, marzo 18. Gli infermi dell’ospedale ricevono soldi 10 (cfr. n. 210). — 328 — 733. 1249, ottobre 10. Prete Guglielmo, amministratore della chiesa e ospedale di S. Antonio, riceve da Gualizo tutte le masserizie e gli utensili che questi ebbe dal prete Pietro, ministro dell’ospedale suddetto (A.S.G., Notai, Cart. 18, II, c. 359 r.). 733a. 1249, ottobre 10. Prete Guglielmo, dell’ospedale di S. Antonio, confessa di dovere a Gualizo soldi 40, per spese e servizi resi al detto ospedale (ibid..). 734. 1250, dicembre 13. Legato di soldi 3 (cfr. n. 211). 735. 1257, luglio 27. Legato di soldi 10 (cfr. n. 216). 736. 1257, luglio 28. Legato di soldi 10 (cfr. n. 217). 737. 1258, marzo 23. Legato di soldi 5 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 219). 738. 1258, maggio 15. Legato di denari 18 agli infermi dell’o9pedale (cfr. n. 108). 739. 1259, febbraio 18. Legato di soldi 5 (cfr. n. 221). 740. 1259, agosto 20. Legato di soldi 5 agli infermi di S. Antonio (cfr. n. 542). 741. 1261, giugno 28. Legato di soldi 1 (cfr. n. 223). 742. 1267 ... Legato di soldi 5 (cfr. n. 228). 743. 1270, febbraio ... Legato di soldi 5 (cfr. n. 229). 744. 1271, gennaio 15. Legato di soldi 2 (cfr. n. 558). 745. 1275, maggio 19. Frate Corrado de Frexinaria, accusato di peculato, si sottopone alla volontà di Vivaldo Grassino, sindaco dell’ospedale, impegnandosi a restituire il maltolto e a non commettere in futuro altri abusi (A.S.G., Notai, Cart. 121, c. 68 v.). 746. 1276, gennaio 13. Vivaldo Grassino, del fu Pietro, in qualità di sindaco dell’ospedale, riceve la parte spettante al proprio istituto dell’eredità di Bonifacio Mattone (cfr. n. 232). 747. 1276, settembre 28. E’ presente, in qualità di teste frate Rubaldo, priore, ministro e rettore dell’ospedale (A.S.G., ms. 537, p. 2903). 748. 1276, novembre 2. Legato di soldi 50 agli infermi di S. Antonio (cfr. n. 233). 749. 1277, maggio 11. Legato di soldi 10 agli infermi deH’ospedale (cfr. n. 361). 750. 1277, maggio 12. Legato di soldi 20 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 234). 751. 1279, febbraio 8. Prete Vivaldo Grassino, cappellano e sindaco, riceve a nome dell’ospedale soldi 10 (cfr. n. 237). 752. 1280, settembre 1. Legato di denari 12 (cfr. n. 238). 753. 1282, aprile 4. Legato di soldi 20 per acquisto di lenzuola (cfr. n. 16). - 329 - 754. 1282, giugno 9. Prete Vivaldo Grassino, cappellano dell’ospedale, della chiesa e monastero di S. Antonio, riceve soldi 45, quale lascito del defunto Corrado Lanza a favore degli infermi dell’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 123, c. 24 r.). 755. 1284, febbraio 20. Legato di lire 10 all’amministrazione della chiesa di S. Antonio (cfr. n. 239). 756. 1285, marzo 29. Legato di soldi 5 (cfr. n. 582). 757. 1285, agosto 10. Legato di soldi 10 (cfr. n. 103). 758. 1291, settembre 8. Legato di soldi 5 (cfr. n. 244). 759. 1293, agosto 30. Legato di soldi 20 (cfr. n. 245). 760. 1294, aprile 1. Legato di soldi 5 ai poveri di S. Antonio (cfr. n. 366). 761. 1296, aprile . .. Legato di soldi 16 (cfr. n. 246). 762. 1297, gennaio 2. Legato di soldi 5 (cfr. n. 247). 763. 1297, luglio 16. Legato di soldi 10 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 20). 764. 1297, settembre 11. Frate Durante da San Boneto, monaco della chiesa e ospedale di S. Antonio e prete Ottone, procuratore, col consenso di frate Guglielmo, monaco, della stessa chiesa e ospedale, nominano loro procuratore il cano nico Guigone de Briançon (A.S.G., Notai, Cart. 110, c. 97 )'.). 765. 1298, maggio 4. Nicola, del fu Aimerico da Torba di Sestri, accusa ricevuta di lire 10 da prete Rolando di Pietro, canonico della pieve di Moneglia, a saldo della vendita di terre, fatta a suo tempo dallo stesso Nicola e da suo fratello Martino al prete Vivaldo Grassino, cappellano e sindaco della chiesa e ospedale e dei frati di S. Antonio (ibid., c. 36 v.). 766. 1299, novembre 11. Legato di lire 5, per l’acquisto di un letto completo (cfr. n. 23). 767.* ... (sec. XIII). Arnaldo da Bisagno lega soldi 5 all’ospedale (A.S.G., Notai Ignoti, busta 7, fase. 92, c. 3 v.). 768. 1300, aprile 6. Frate Ganselmo, abate del monastero di S. Onorato di Lerino, dal quale dipendono la chiesa e l’ospedale degli infermi di S. Antonio di Genova, col consenso del priore e dei monaci della domus genovese, di cui è sindaco e procuratore Vivaldo Grassino, dispone che i proventi di un luogo delle Compere del sale siano assegnati allo stesso ospedale (A.S.G., not. Damiano de Camulio, ng. 150, filza 3 doc. nn.). 769. 1300, settembre 6. Lascito di due lenzuola (cfr. n. 596). 770.* 1301, luglio 14. Lascito di 5 soldi da parte di Giorgio di Castello, legaballe, che abita in contrata stalliorum (A.S.G., Notai, Cart. 12, II, c. 59 r.). 771. 1301, agosto 16. Legato di lire 2 (cfr. n. 597). — 330 - 772. 1302, maggio 4. Frate Simone risulta sindaco e ospitalario di S. Antonio (cfr n. 25). 773. 1302, dicembre 12. Figura, in veste di procuratore dell’ospedale, frate Valente (cfr. nn. 27, 253). 774. 1303, novembre 22. L’ospedale è rappresentato da frate Pietro (cfr. n. 29). 775. 1304, novembre 17. Legato di soldi 10 (cfr. n. 30). 776. 1306 aprile 6. Approvazione dell’arcivescovo di Genova, in presenza dell’abate di S. Onorato di Lerino, di legati e donazioni, convertiti in depositi iscritti sulle gabelle del sale, fatti all’ospedale e subordinati a determinate condizioni (Hildesheimer cit., p. 80, doc. II), 777. 1308, febbraio 5. Legato di soldi 10 (cfr. n. 110). 778. 1309, marzo 20. Legato di soldi 40 agli infermi di S. Antonio di Genova (cfr. n. 257). 779. 1309, marzo 24. Pasquale Rebuffo da Camogli, a nome della sorella Margherita, si impegna a pagare all’ospedale la quota annua di soldi 15 per ogni tavola di una terra sita nel borgo di Prè (A.S.G., Notai, Cart. 136, c. 245 r.). 780. 1310, ottobre 26. Porchette, arcivescovo di Genova, dopo aver preso conoscenza delle lettere di presentazione dell’abate di S. Onorato di Lerino, nomina priore di S. Antonio Rostan de Corneto che gli presta giuramento di obbedienza (Hildesheimer cit., p. 84, doc. III). 781. 1311, marzo 8. Ogerio di Sant’Antonio rappresenta l’ospedale in qualità di sindaco e procuratore (cfr. n. 36). 782. 1311, marzo 8. Idem c. s. (cfr. n. 37). 783. 1312, marzo 12. Legato di soldi 20 (cfr. n. 614). 784. 1312 aprile 5. Legato di soldi 5 (cfr. n. 261). 785. 1312 giugno 17. Legate di soldi 3 (cfr. n. 616). 786. 1312 ottobre 24. Il priore frate Rostan riceve la somma di lire 45, proveniente da un legato a favore dell’ospedale (cfr. n. 618). 787. 1313 febbraio 1. Bertolino, del fu Andriolo, lascia in eredità soldi 20 e un barile di vino agli infermi dell’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 161, c. 36 v.). 788. 1313, aprile 19. Legato di soldi 5 (cfr. n. 264). 789. 1315, dicembre 31. Giovanna, vedova di Giacomo Casoni, della pieve di S. Siro, lega lire 10 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 214, c. 13 v.). 790. 1316, febbraio 4. Caracossa, del fu Carolonni da Premanico, lega soldi 5 all’ospedale (ibid., c. 29 r.). - 331 - 791. 1318, febbraio 27. Legato di soldi 5 (cfr. n. 112). 792. 1318, marzo 4. Legato di soldi 10 (cfr. n. 625). 793. 1318, marzo 8. Legato di soldi 5 (cfr. n. 267). 794. 1318, ottobre 4. Legato di soldi 5 (cfr. n. 627). 795. 1318, dicembre 23. Frate Ugolino, detto Cardinale, priore della chiesa e ospedale di S. Antonio, in presenza di altri cinque confratelli, si riconosce debitore verso Oberto Gattilusio, del fu Luchino, per la somma di lire 1.100, quale rimanenza delle 2.200 convenute per l’acquisto di case e terreni per conto dell’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 170, II, c. 163 r.). 796. 1320, giugno 14. Legato di soldi 20 (cfr. n. 629). 797. 1320, settembre 2. Legato di soldi 5 (cfr. n. 269). 798. 1324, luglio 2. Frate Ugolino, priore della chiesa e ospedale del beato Antonio, e frate Ottolino, sindaco e procuratore dell’ospedale di S. Giovanni di Capo d’Arena, in relazione a una loro controversia sulla eredità del defunto Giovanni Rosso da Faranerio di Recco, dichiarano che seguiranno l’arbitrato di Novello da Gavi e di Cavallino Onesti (A.S.G., Notai, Cart. 214, c. 349 v.). 799. 1341, settembre 11. Legato di soldi 10 (cfr. n. 634). 800. 1348, gennaio 2. Legato di soldi 10 ai poveri e agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 270). 801. 1348, gennaio 10. Legato di soldi 5 agli infermi dell’ospedae (cfr. n. 58). 802. 1348, gennaio 18. Gerardo Grasso de Grassi, della parrocchia di Sala, misuratore di grano, lascia in eredità una trapunta e un lenzuolo agli infermi dell’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 335, c. 35 v.). 803. 1348, gennaio 21. Pietro Res lascia in eredità una tunica de biavo all’ospedale di S. Antonio de Vianexio (cfr. n. 637). 804. 1348, febbraio 22. Legato di soldi 40 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 61). 805. 1348, marzo 18. Santina, del fu Antonio di Sarzano, lega soldi 40 agli infermi dell’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 335, c. 96 r.). 806. 1348, aprile 17. Legato di soldi 5 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 277). 807. 1348, agosto 20. Nicolosia da Carasco lega cantarla sex lignorum et metretam unam vini a favore degli infermi dell’ospedale cui va il migliore dei due grandi tappeti che le rimangono, destinato all’altare, ove dovrà essere anche collocato un cexenderium seu lampeiam furnitam (cfr. n. 684). 808. 1354, maggio 14. Lascito di un lenzuolo (cfr. n. 278). - 332 - 809. 1355, aprile 9. Teodora da Rollandello lascia in eredità un letto fornito di una trapunta, un paio di lenzuola, un tappeto, un cuscino di piume e una grossa coltre (cfr. n. 646). 810. 1362 ... Nomina a sindaco degli Antoniani del macellaio Antonio Rosso il quale presenta al priore di S. Vittore di Prè la richiesta di costruire nel distretto della parrocchia una chiesa con ospedale e cimitero da dedicare a S. Antonio (A.S.G.. ms. 843, c. 435 r.). 811. 1362, marzo 24. Giuliano da Bove, rappresentante degli Antoniani di Vienne, nomina procuratore Giacomo Fieschi nella causa contro Giovanni Ponzio, priore dell’ospedale di S. Antonio di Prè (ibid., c. 438 r.). 812. 1363, luglio 10. Lorenza, del fu Francesco de Vallario, lascia in eredità un letto del valore di lire 6 all’ospedale e convento di S. Antonio de Vianesio de lanua (A.S.G., Notai, Cart. 340, II, c. 81 v.). 813. 1380, dicembre 10. Il Doge e il Consiglio degli Anziani, dispongono per il pagamento dei proventi relativi ai luoghi delle compere del Comune e di S. Paolo intestati all’ospedale (cfr. n. 345). 814. 1382, settembre 22. I Conservatori della città condannano il priore dell’ospedale al pagamento di lire 10, per aver lasciato liberi in strada alcuni suini (A.S.G., Antico Comune, ng. 420, Condemnationum, c. 132 r.). 815. 1382, novembre 27. I Conservatori della città condannano il priore dell’ospedale al pagamento di lire 2 per aver lasciato in circolazione alcuni suini per le vie cittadine, in forma contraria alle disposizioni vigenti (ibid.). 816. 1386 ... Ordinanza relativa al divieto di lasciare suini liberi in città, fatta eccezione per l’ospedale di S. Antonio al quale è concesso tenere un verro, tre scrofe e venti porcelli (H.P.M., XVIII, doc. 115). 817. 1395, febbraio 1. Corradina Doria, lega lire 5 agli infermi che saranno degenti nell’ospedale al tempo della sua morte (cfr. n. 650). 818. 1395, settembre 3. Il priore frate Luigi Ravascheri, dei conti di Lavagna, nomina procuratore e nunzio speciale frate Petruccio da Triponzio, per raccogliere oblazioni ed elemosine, fino alla somma di lire 10, predicando i miracoli del beato Antonio, nei castelli e nei borghi di Torriglia, della Val Borbera, del Taro, della Trebbia, di Recco, di Rapallo, di Chiavari, di Sestri, di Moneglia, di Framura e negli episcopati di Brugnato e di Luni (A.S.G., Notai, Cart. 446, c. 76 v.). 819. 1396, marzo 25. Antonio Carano lascia in eredità all’ospedale una quarta parte di una sua terra vineata, situata in villa Mansonega, podesteria della Polcevera (ibid., c. 117 v.). 820. 1397, agosto 25. L’ospedale di S. Antonio fruisce di una quota della eredità di Agnesina da Mirualdo (cfr. n. 97). 821. 1411, febbraio 1. Guglielmo, figlio di Antonio da Borgo Fornari, nomina suo - 333 - procuratore Cristoforo Borbero affinché si occupi della eredità lasciata da suo fratello Giovanni, molto nell’ospedale di S. Antonio (A.S.G., not. S. F. de Compagnono, filza 1, doc. III). S72 1411, maggio 15. Prete Vincenzo da Lavagna risulta cappellano, luogotenente e priore della casa e ospedale di S. Antonio (cfr. n. 100). 823 1427, maggio 21. Nell’atto di incorporazione del monastero di S. Benigno a quello di S. Gerolamo della Cervara figura, in qualità di teste, frate Gregorio da Fisa-rengo, priore della chiesa e ospedale di S. Antonio (A.S.G., Arch. Segr., ng., 1533, Mon. S. Gerolamo della Cervara, doc. 2). S74 1438 . Le autorità civili genovesi confermano la concessione, fatta da Urbano V all’ospedale, del diritto di promuovere questue e raccogliere tutte le offerte fatte nel nome di S. Antonio (A.S.G., ms. 843, c. 440 v.). 825. 1456, novembre 18. Concessione fatta a Benedetto Negrone, priore dell ospedale. per la collocazione di una cassetta ferrea per elemosine nella contrada di S. Vincenzo (ibid., c. 440 r.). 826. 1474, aprile 13. Dall’inventario steso nell’atto di incorporazione dell’ospedale di S.' Erasmo viene indicata una casa di proprietà dell’ospedale di S. Antonio, la quale confina con alcuni immobili del suddetto ospedale di S. Erasmo (A.O.G, cod. 6, c. 27 v.). Cade di Castelletto (gli ospedali di suor Verdina, delle \ igne, della Maddalena, di S. Francesco e dei ciechi) 827. 1267 ... Legato di soldi 5 alla cadè di Verdina (cfr. n. 228). 828. 1276, novembre 2. Percivalle d’Antiochia, lega soldi 40 agli infermi delle domus Dei di Castelletto e cioè soldi 20 ciascuna (cfr. n. 233). 829. 1277, maggio 11. Petrina, del fu Guglielmo Bellobruno, lega infirmis cadei de castro soldi 10 per ciascuna cadè (cfr. n. 361). 829a. 1280, aprile 12. Giacomina, moglie di Nicoletto Mallone, lega alle due cadè. situate presso Castelletto lire 2 ciascuna (FNG, III, c. 92 v.). 830. 1283. maggio 11. Giuliana, moglie di Giacomo Donati da Firenze, lega soldi 20 alla domus Dei di Verdina di Castelletto (A.S.G., ms. 537, p. 2602). 831. 1284. febbraio 20. Legato di lire 2 a ciascuna delle domus Dei di Castelletto (cfr. n. 239). 832. 1285. agosto 8. Gacomina della Volta lega soldi 10 all’ospedale de cadeo cui superest Verdina e soldi 10 all’ospedale de cadeo dei Frati Minori (cfr. n. 103). 833. 1287, gennaio 23. Contessa da Voghera, vedova di Lanfranco Boccanegra, lega, - 334 - a ciascuna delle domus Dei di Castelletto, poste nella contrada dei frati Minori, soldi 5 (FNG, III, parte II, c. 43 r.). 834. 1293, agosto 30. Beltrame, laniere di Rivotorbido, lega soldi 10 all’ospedale de cadei, posto nel cambio che porta alla chiesa dei frati minori, e soldi 10 all’ospedale di suor Verdina (cfr. n. 245). 825. 1297, luglio 16. Giovanna di Casaleggio lega soldi 5 a ciascun ospedale cadei di Castelletto (cfr. n. 20). 836. 1302, maggio 4. Frate Baldovino ospitalario della cadè di Verdina, e frate Oberto, ospitalario della cadè della Maddalena rappresentano i propri istituti (cfr. n. 25). 837. 1302, giugno 3. I frati del T. O. degli Umiliati di Genova accettano tra loro frate Giacomo da Mirualdo, barbiere, che si impegna al versamento di lire 3 al convento degli Umiliati; l’atto viene rogato in domo hospitalis cadei dei detti frati, presso S. Francesco (A.S.G., Notai, Cart. 98, c. 184 r.). 838. 1302, giugno 8. Sara, moglie di Anseimo Burferio, lega lire 5 all’ospedale dei Frati Minori (A.S.G., ms. 541, p. 145). 839. 1302, luglio 17. Frate Baldovino ospitalario della cadè di Verdina e frate Oberto, ospitalario della cadè della Maddalena, rappresentano i propri istituti (cfr. n. 26). 840. 1302, dicembre 12. Frate Lorenzo, della cadè di suor Verdina, e frate Oberto, ospitalario dell’ospedale de cade, rappresentano i propri istituti (cfr. n. 27). 841. 1303, novembre 22. Frate Lorenzo della cadè di suor Verdina e frate Guido, ospitalario delia cadè della Maddalena, rappresentano i propri istituti (cfr. n. 29). 842. 1305, luglio 11. Il priore degli Umiliati nomina ministro dell’ospedale, detto domus Dei di Castelletto o della Maddalena, frate Giacomo, calzolaio di Lai-gueglia (A.S.G., Notai Ignoti, busta 2, fase. 3, ng. 6). 843. 1308, febbraio 5. Simona di Negro lega lire 3 ai pueri nuncupati trovai nella chiesa di S. Maria delle Vigne e soldi 5 hospitali cadei di Castelletto (cfr. n. 110). 844. 1308, luglio 12. Frate Giovanni Barberio da Staglieno, rettore e ministro dell’ospedale domus Dei di Castelletto o della Maddalena, riceve da Percivalle Garfagno, funaio, la somma di lire 5, che Giovannina, del fu Nicolò Sacheri, deve all’ospedale quale canone di affitto di una casa posta nei pressi dello stesso istituto (A.S.G., Notai, Cart. 136, c. 220 v.). 845. 1309, marzo 20. Legato di soldi 40 agli infermi delle due case di misericordia di S. Francesco (cfr. n. 257). 846. 1311, marzo 8. Atto in cui figurano frate Giovanni, dell’ospedale o domus De! di S. Maria Maddalena, e frate Pasquale, dell’ospedale o domus Dei di suoi Verdina (cfr. n. 36). 847. 1311, marzo 8. Idem c. s. (cfr. n. 37). - 335 - 848. 1312, marzo 12. Legato di soldi 20 all’ospedale della Maddalena di Genova (cfr. n. 614). 849. 1312, aprile 5. Legato di soldi 5 alla cadè della beata Maria che è posta sotto la chiesa dei Frati Minori (cfr. n. 261). 850. 1312, giugno 17. Legato di soldi 3 all’ospedale di S. Maria Maddalena (cfr. n. 616). 851. 1314, marzo 27. Frate Pasquale d’Albaro, rettore dell’ospedale domus Dei done Verdine, concede in enfiteusi perpetua a Opizzino da Chiavari, pellicciaio, una casa posta in contrada Pozzarello, con la condizione della penale di soldi 60 che lo stesso Opizzino o i suoi eredi verseranno all’amministrazione dell ospedale nel caso dovessero cedere a terzi i diritti enfiteutici acquisiti (A.S.G., Notai, Cart. 210, II, c. 35r.). 852. 1318, marzo 8. Legato di soldi 5 all’ospedale e di soldi 20 alla congregazione di S. Maria Maddalena e di S. Germano (cfr. n. 267). 853. 1320, giugno 14. Legato di soldi 20 all’ospedale cadè della Maddalena (cfr. n. 629). 854. 1341, marzo 24. Frate Lorenzo da Voltri, rettore e ministro dell’ospedale domus Dei della beata Maria Maddalena, e il rettore dell’ospedale di S. Stefano agiscono a nome dei propri istituti e degli altri ospedali di Genova, dei quali sono procuratori, per la riscossione della somma complessiva di lire 5 e soldi 2, provenienti dal lascito di Bertolino Fieschi (A.S.G., Notai Ignoti, busta IX, fase. 1, c. 1 v., mutila). 855 1348, febbraio 22. Giovanni da Cremona, lascia in eredità soldi 40 agli infermi dell’ospedale della Maddalena, soldi 10 ai poveri dell’ospedale che fu del defunto frate Bertolino e che si trova vicino all’ospedale della Maddalena, soldi 10 agli infermi dell’ospedale ove è frate Pietro Ratto e che si trova vicino all’ospedale di frate Bertolino e un letto, del valore di lire 4, per gli infermi dell’ospedale dei ciechi (cfr. n. 61). 856. 1348, marzo 9. Legato di soldi 20 alla domus Dei della Maddalena (cfr. n. 63). 857. 1348, aprile 16. Legato di soldi 5 agli infermi dell’ospedale di S. Maria Maddalena (cfr. n. 276). 858. 1355, febbraio 11. Disposizioni testamentarie di frate Antonio da Cremona, ospitalario di S. Maria Maddalena (cfr. n. 113a). 859. 1377, maggio 29. E’ presente, in qualità di teste, Riccobono da Manarola, ospitalario dell’ospedale delle Vigne (A.S.G., Notai, Cart. 143, II, c. 74 r.). 860. 1380, dicembre 10. Il Doge e il Consiglio degli Anziani dispongono per il pagamento dei proventi relativi ai luoghi intestati alla domus di suor Verdina e a quelli intestati all’ospedale della Maddalena (cfr. n. 345). 861. 1386, maggio 8. Frate Raffo da Bargagli, ospitalario e rettore dell’ospedale di - 336 - S. Maria Maddalena concede in enfiteusi perpetua a Ginevra del fu Antonio Montaldo da Gavi, una terra di proprietà del detto ospedale, sita in Genova, nella contrada Mannegi di Porta Nuova, nel carrubeo dei Cepolla, per l’annuo canone di soldi 13 (A.SG., Notai, Cart. 468, I, c. 54 r.). 862. 1397, agosto 25. Gli ospedali di S. Maria delle Vigne e di S. Maria Maddalena fruiscono di una quota della eredità di Agnesina da Mirualdo (cfr. n. 97). 863. 1401, aprile 9. Pileo, arcivescovo di Genova, in sostituzione di Giovannina da Bargagli, ospitalaria di S. Maria Maddalena, nomina Giovanni Luxardo, con 1 incarico di curare i proventi dell’ospedale e di incamerare mezzo luogo delle Compere di S. Paolo, donato da Margherita, moglie dello stesso Luxardo (A.S.G., Notai, Cart. 469, II, c. 137 r.). 864. 1411, maggio 15. Margherita, moglie di Giovanni Luxardo ospitalaria di S Maria Maddalena, Pietre da Cuneo, ospitalario di S. Maria delle Vigne, e frate Gaspare Riccio, ospitalario dell’ospedale del T. 0. di S. Francesco, rappresentano i propri istituti (cfr. n. 100). 865. 1448, ottobre 4. Legato di lire 10 all’ospedale di S. Francesco (cfr. n. 691). 866. 1450, giugno 23. Legato di lire 5 all’ospedale di S. Francesco (cfr. n. 695). Ospedale di Santa Maria del Carmine 867. 1347, luglio 24. Legato di lire 25 all’ospedale di Leona Ghisolfi, recentemente costruito nella contrada del Carmine (cfr. n. 57). 868. 1380, dicembre 10. Il Doge e il Consiglio degli Anziani dispongono per il pagamento dei proventi relativi ai luoghi intestati all’ospedale costruito fuori della poi ta di S. Agnese (cfr. n. 345). 869. 1400, dicembre 11. Tra vari ospedali rappresentati a proposito della elezione di un comune procuratore si trova indicato anche quello di S. iMaria del Carmine (cfr. n. 98). 870. 1474, maggio 4. Composizione della vertenza tra la rettrice Isotta Centurione e Giovanni Giustiniani, uno dei protettori di Pammatone, relativa alla incorporazione dell’ospedale del Carmine (A.O.G., cod. 6, cc. 29r.-31i>.). Ospedale di Sant’Erasmo 871. 1411, maggio 15. Caterina risulta ospitalaria di S. Erasmo del Molo (cfr. n. 100). 872. 1474, aprile 13. Atto relativo alla incorporazione a Pammatone dell’ospedale di S. Erasmo con l’inventario dei beni presenti nell’istituto (A.O.G., cod. 6, cc. 26 r. -27 r.). - 337 - 22 873. 1474, aprile 13. Presa di possesso, da parte dei rappresentanti di Pammatone, di tre case di proprietà dell’ospedale di S. Erasmo, delle quali una è in comproprietà in parti uguali con quello di S. Antonio di Prè {ibid., cc. 27 v. - 29 r.). Ospedale di Santa Maria di Castello 874. 1160, aprile 17. Legato di soldi 10 (cfr. n. 119). 875. 1190, febbraio 14. Legato di soldi 5 (cfr. n. 123). 876. 1192, gennaio 30. Legato di soldi 20 (cfr.. n. 126). 877. 1192, febbraio 19. E’ presente, in qualità di teste, Vassallo, dell’ospedale di S. Croce [Cassinese, doc. 1545). 878. ... (sec. XIII). Legato di soldi 5 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 767). 879. 1201, giugno 8. Legato di soldi 2 all’ospedale di Castello (cfr. n. 130). 880. 1204, settembre 26. Legato di soldi 4 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 134). 881. 1206, aprile 21. Legato di soldi 2 all’ospedale della chiòsa di S. Croce (cfr. n. 105). 882. 1212, gennaio 26. Legato di soldi 5 (cfr. n. 145). 883. 1213, giugno 26. Legato di soldi 3 all’ospedale di S. Croce di Castello (cfr. n. 441). 884. 1221, marzo 11. Legato di soldi 2 (cfr. n. 162). 885. 1225, aprile 26. Adalasia, del fu Ansaldo della Casa, lega soldi 10 a ciascuna delle converse dell’ospedale di Castello [Lanfranco, doc. 1331). 886. 1225, luglio 1. Legato di soldi 5 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 173). 887. 1227, dicembre 7. Legato di soldi 5 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 183). 888. 1228, ottobre 17. Legato di soldi 1 all’ospedale di S. Croce di Castello (cfr. n. 185). 889.* 1231, dicembre 12. Legato di soldi 5 all’ospedale di S. Croce (A.S.G., Notai Ignoti, busta 1, doc. XXIV, atto 10, mutilo). 890. 1233, agosto 29. Legato di soldi 10 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 102). 891. 1235, novembre 22. Legato di soldi 1 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 198). 892. 1236, settembre 9. Legato di soldi 10 all’ospedale di S. Croce di Castello (cfr. n. 199). 893. 1237, gennaio 13. Legato di soldi 1 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 201). — 338 - I 894. 1239, novembre 22. Legato di soldi 1 «H'ospedale di S. Croce (cfr. n. 205). 895. 1241, aprile 4. Legato di soldi 20 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 207). 896. 1241, maggio 1. Legato di soldi 5 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 208). 897. 1248, marzo 18. Gli infermi dell’ospedale di S. Croce di Sarzano ricevono soldi 10. provenienti dal legato di Guglielmo de Mari (cfr. n. 210). 898. 1250, dicembre 13. Legato di denari 12 all’ospedale di S. Croce di Sarzano (cfr. n. 211), 899. 1257, luglio 27. Legato di soldi 3 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 216). 900. 1257, luglio 28. Legato di soldi 5 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 217). 901. 1258, marzo 23. Legato di soldi 5 agli infermi dell’ospedale di S. Croce (cfr. n. 219). 902. 1259, febbraio 18. Legato di soldi 5 all’ospedale di S. Croce di Sarzano (cfr. n. 221). 903. 1259, agosto 20. Legato di soldi 5 agli infermi dell’ospedale di S. Croce (cfr. n. 542). 904. 1264, febbraio 17. Legato di soldi 5 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 226). 905. 1270, maggio 25. Giacoma, moglie di Pietro di Negro, lega lire 1 all’ospedale di S. Croce (FNG, II, c. 23 v). 906. 1271, gennaio 15. Legato di soldi 2 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 558). 907. 1277, maggio 11. Legato di soldi 10 agli infermi dell’ospedale di S. Croce di Sarzano (cfr. n. 361). 908. 1277, maggio 12. Legato di soldi 7 agli infermi di S. Croce di Sarzano (cfr. n. 234). 909. 1277, luglio 4. Legato di soldi 20 all’ospedale di S. Croce di Sarzano (cfr. n. 236). 910. 1280, settembre 1. Legato di denari 12 all’ospedale di S. Croce di Sarzano (cfr. n. 238). 911. 1282, febbraio 9. Ottone, preposto della chiesa di S. Maria di Castello e altri tre caonnici della detta chiesa, concedono a Contessa, vedova di Baiardo da Rapallo e ministra dell’ospedale, la licenza di allontanarsi per un periodo di due anni, purché sostituita da altra persona buona e onesta (A.S.G., Notai, Cart. 122, c. 139 r.). 912. 1284, febbraio 20. Legato di lire 2 (cfr. n. 239). 913. 1291, settembre 8. Legato di soldi 2 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 244). - 339 - i 914. 1293, agosto 30. Legato di soldi 10 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 245). 915. 1294, aprile 1. Legato di soldi 2 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 366). 916. 1296, aprile . .. Legato di soldi 16 all’ospedale di S. Croce di Castello (cfr. n. 246). 917. 1297, gennaio 2. Legato di soldi 5 (cfr. n. 247). 918. 1301, luglio 14. Legato di soldi 5 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 770). 919. 1301, agosto 16. Legato di soldi 20 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 597). 920. 1302, maggio 4. Frate Ruffino, ospitalario e sindaco dell’ospedale di S. Croce (cfr. n. 25). 921. 1302, luglio 17. Idem c. s. (cfr. n. 26). 921a. 1302, dicembre 12. Idem c. s. (cfr. n. 27). 922. 1303, novembre 22. Idem c. s. (cfr. n. 29). 923. 1307, agosto 14. Sono presenti, in qualità di testi, frate Ruffino da Novi, ministro dell’ospedale, Guglielmo da Trebiano e Ogerio da Rapallo che abita nel l’ospedale di frate Ruffino (A.S.G., Notai, Cart. 134, c. 100 r.). 924. 1308, febbraio 5. Legato di soldi 5 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 1101). 925. 1309, marzo 20. Legato di soldi 40 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 257). 926. 1311, marzo 8. Guglielmo rappresenta l’ospedale (cfr. n. 36). 927. 1311, marzo 8. Idem c. s. (cfr. n. 37) 928. 1318, febbraio 27. Legato di soldi 5 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 112). 929. 1318, marzo 8. Legato di soldi 5 all’ospedale di S. Croce di Castello (cfr. n. 267). 930. 1318, ottobre 4. Legato di soldi 5 all’ospedale di S. Croce di Sarzano (cfr. n. 627). 931. 1318, dicembre 21. Legato di lire 4 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 52). 932. 1347, novembre 15. Prete Govanni Onesti canonico e preposto della chiesa di S. Maria di Castello e altri tre canonici della stessa nominano Giacomo Dalmazzo da Moneglia quale ospitalario, ministro e rettore dell’ospedale che è presso la chiesa di S. Croce (A.S.G., Notai, Cart. 335, c. 8 v.). 933. 1348, gennaio 15. Legato di soldi 10 ai poveri dell’ospedale di S. Croce (cfr. n. 273). 934. 1348, gennaio 21. Lascito di una sciavana agli infermi dell’ospedale di S. Croce (cfr. n. 637). 935. 1348, gennaio 30. Lascito di una trapunta e di un cuscino all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 59). — 340 — i I ! 936. 1348, febbraio 22. Legato di soldi 40 agli infermi dell’ospedale di S. Croce (cfr. n. 61). 937. 1348, marzo 7. Legato di soldi 5 all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 639). 938. 1348, marzo 22. Legato di lire 5 agli infermi dell’ospedale di S. Croce (cfr. n. 681 ). 939. 1348, aprile 16. Legato di soldi 10 agli infermi dell’ospedale di S. Croce (cfr. n. 276). 940. 1348, aprile 30. Legato di soldi 10 agli infermi dell’ospedale di S. Croce (cfr. n. 643). i 941. 1348, settembre 2. Giovanni degli Onesti, preposto della chiesa di S. Maria di Castello e altri quattro canonici incaricano Percivalle da Fonte, dell’ordine degli Umiliati di S. Bernardo, a tenere il governo dell’ospedale di S. Croce appartenente alla detta chiesa (A.S.G., Notai, Cart. 234, c. 79 r). 942. 1355, febbraio 11. Frate Percivalle, ospitalario di S. Croce, è nominato esecutore testamentario di frate Antonio da Cremona (cfr. n. 113a). 943. 1358, marzo 28. Frate Percivalle, calzolaio, ospitalario di S. Croce, figura tra i testi di un atto (A.S.G., Notai, Cart. 340,1, c. 130 r.). 944. 1377, maggio 29. Antonio da Bargagli, ospitalario di S. Croce, è presente in qualità di teste (A.S.G., not. Cristoforo Revelino, ng. 413, II, doc. 74). 945. 1380, dicembre 10. Il Doge e il Consiglio degli Anziani dispongono per il pagamento dei proventi relativi ai luoghi delle Compere del Comune e di S. Paolo, intestati all’ospedale di S. Croce (cfr. n. 345). 946. 1400, dicembre 11. Frate Leonardo da Chiavari rappresenta l’ospedale di S. Croce (cfr. n. 98). 947. 1408, dicembre 19. Giacomina da Cabella è eletta ospitalaria di S. Maria di Castello (notizia in A.S.G., not. S. F. de Compagnono, filza 1, doc. CI). 948. 1411, maggio 15. Giacomina da Cabella, ospitalaria di S. Maria di Castello (cfr. n. 100). 949. 1414, ottobre 8. Domenico Fieschi, protonotaio della sede apostolica, e Francesco di Negro, ministro della chiesa di S. Marco, canonici della chiesa di S. Maria di Castello, in qualità di patroni dell’ospedale, nominano ospitalaria Gio-vannina, del fu Guglielmo Negro da Neirone (A.S.G., not. S. F. de Compagnono, j filza 1, doc. LXXII). 950. 1415, aprile 18. Controversia sorta fra il laniere Giacomo da Ronco e l’ospedale, rappresentato dall’ospitalaria Giovannina da Neirone e dai canonici della chiesa di S. Maria di Castello {ibid., doc. CI). - 341 - ì Ospedale di S. Gerolamo 951. 1458, maggio 7. Giacomo Fieschi fa atto di donazione dell’ospedale, da lui fondato e dedicato a S. Gerolamo, ai frati Olivetani di Quarto, riservando per sé e per la moglie Marietta il patronato dell’istituto (notizia in A.O.G., cod. 6, c. 10 r.). 952. 1465, maggio 7. Il priore del monastero di S. Gerolamo di Quarto nomina Cristoforo da Valditaro rettore dell’ospedale posto presso il bagno di S. Donato (A.S.G., ms. 846, c. 128 r.). 953. 1472, gennaio 29. Atto di incorporazione a Pammatone dell’ospedale di S. Gerolamo, costruito nella contrada di S. Donato, fatto in presenza di Cristoforo da Valditaro, già ospitalario del detto ospedale (A.O.G., cod. 6, cc. 8 r. -15 v.). 954. 1472, gennaio 29. I protettori di Pammatone concedono a Cristoforo da Valditaro e a sua moglie di mantenere, vita durante, l’alloggio gratuito in una delle case annesse all’ospedale di S. Gerolamo (ibid., cc. 15 v. -16 r.). Ospedale dei SS. Crispino e Crispiniano 955. 1363, luglio 15. L’ospedale risulta ubicato nella contrada Voltaleone (A.S.G., Notai, Cart. 355, II, c. 109 v.). 956. 1383, dicembre 17. Arduino de Foo, ospitalario dell’ospedale dei calzolai (cfr. n. 96). 957. 1401, gennaio 25. Antonio de Bargono rappresenta l’ospedale (cfr. n. 99). Ospedale di S. Desiderio 958. 1360, novembre 27. Lanfranco del Poggio, orafo, con l’approvazione dell’arcivescovo Guido fonda l’ospedale di S. Desiderio (notizia in De Angelis, L’atto di fondazione cit., p. 19). 959. 1370, giugno 25. Lanfranco del Poggio cede il giuspatronato dell’ospedale alle suore del convento di S. Andrea della Porta (ibid., pp. 19-26). 960. 1400, dicembre 11. Giovanni da Napoli rappresenta l’ospedale (cfr. n. 98). 961. 1401, gennaio 25. Idem c. s. (cfr. n. 99). 962. 1411, maggio 15. Antonio da Como risulta ospitalario di S. Desiderio (cfr. n. 100). - 342 - Ospedaie di Porta Soprana 963. 1280, settembre 1. Legato di denari 6 all’ospedale di S. Andrea della Porta (cfr. n. 238). 964. 1318, dicembre 21. Legato di lire 4 e soldi 10 all’ospedale di Porta S. Andrea del Comune di Genova, dei frati Eremiti (cfr. n. 52). 965. 1348, febbraio 22. Legato di soldi 10 agli infermi dell’ospedale del Piano di Porta S. Andrea (cfr. n. 61). Ospedale dei Foresti 966. 1393, agosto 10. Capitoli dello statuto della consorteria dei Forestieri (C. da Langasco, Statuto della « Consortia de li Foresteri » cit., pp. 90-100). Ospedale di Santo Stefano 967. 1132, novembre 15. In documento della Curia genovese viene nominato l’ospte-dale di S. Stefano (Privilegiorum, p. 26, doc. 11). 968. 1160, gennaio 17. Legato di soldi 10 (cfr. n. 119). 969. 1173, agosto 13. Fulcone Reflato e sua moglie Anna cedono all’ospedale i loro beni, compresa una terra in Pradello, presso Staglieno, ottenendo in cambio ospitalità, protezione e mantenimento, vita durante, e ciò viene stipulato per volontà dell’abate Arnaldo e dei suoi confratelli nonché per volontà di Guidotto da Bonomello (A.S.G., Arch. Segr., ng. 1509, Abbazia di S. Stefano, doc. 105). 970.* 1180 ... Giovanni, forbitor, lega denari 12 all’ospedale (A.S.G., Notai Ignoti, busta 1, doc. I, atto 11). 971. 1181, aprile 30. Bolla di Alessandro III, che conferma il possesso dell’ospedale all’abbazia di S. Stefano (A.S.G., Arch. Segr., ng. 1509, Abbazia di S. Stefano, doc. 110). 972. 1186, novembre 18. Legato di denari 12 (cfr. n. 385). 973. 1190, gennaio 28. Legato di soldi 10 (cfr. n. 388). 974. 1190, febbraio 5. Legato di soldi 5 (cfr. n. 122). 975. 1190, febbraio 14. Legato di soldi 10 (cfr. n. 123). 976. 1190, marzo 28. Legato di soldi 10 (cfr. n. 394). 977. 1191, dicembre 30. Legato di soldi 10 (cfr. n. 2). - 343 - 978. 1191, marzo 21. Legato di soldi 10 (cfr. n. 397). 979. 1191, aprile 18. Frate Damiano, a nome del’ospedale, acquista un appezzamento di terra in Risturbio da Ugolino Mallone (Cassinese, doc. 470). 980. 1191, aprile 18. Frate Damiano e i suoi confratelli, Pietro, Giovanni Sardo e Giacomo si impegnano a pagare a Ugolino Mallone, entro il prossimo Natale, la somma di lire 32, quale residuo del prezzo pattuito per la vendita della terra di cui al precedente atto (ibid., doc. 471). 981. 1191, luglio 15. Legato di soldi 5 (cfr. n. 400). 982. 1192, gennaio 30. Legato di soldi 10 (cfr. n. 126). 983. 1192, aprile 22. Atto di vendita di beni in Arenzano fatto dall’abate Guido e da frate Damiano, maestro dell’ospedale, unitamente ad altri quattro conversi, per pagare, con il ricavato, il debito contratto a suo tempo con Ugolino Mallone (Cassinese, doc. 1878, cfr. nn. 979, 980). 984. 1194, luglio 18. I fratelli Mallone, del fu Ottone Mallone, vendono all’ospedale un appezzamento di terra, posta nella contrada detta Prato, per la somma di lire 63 (A.S.G., Arch. Segr., ng. 1509, Abbazia di S. Stefano, doc. 119). 985. 1198, ottobre 17. Legato di lire 100 (cfr. n. 128). 986. 1198, novembre 2. Pisano, converso e ministro dell’ospedale, consenzienti l’abate Guido e i confratelli del monastero di S. Stefano, contrae un debito di lire 6. da estinguere in due anni, per costruire un pozzo nell’orto dell’ospedale (Bon-villano, doc. 163). 987. 1198, dicembre 10. Legato di soldi 15 (cfr. n. 129). 988. 1199, febbraio 27. Donicella, moglie di Guglielmo Rataldo, promette a Guido, abate del monastero di S. Stefano, di cedere tutti i diritti su un bagno già donato al monastero da suo marito, dopo che l’abate avrà provveduto al pagamento della somma di lire 210 (A.S.G., Arch. Segr., ng. 1509, Abbazia di S. Stefano, doc. 144). 989. ... (sec. XIII). Legato di soldi 5 (cfr. n. 767). 990. 1201, giugno 8. Legato di soldi 2 (cfr. n. 130). 991. 1203 ... Orsa, figlia di Ingone Orso Becune, conferma la vendita di beni fatta dai suoi genitori all’ospedale, di cui è rettore Pisano (A.S.G., Arch. Segr., ng. 1509, Abbazia di S. Stefano, doc. 152). 992. 1203, luglio 28. Legato di soldi 10 (cfr. n. 133). 993. 1203, agosto 17. L’abate Guido e i monaci del monastero di S. Stefano cedono in usufrutto a Guglielmo Rataldo il bagno e il terreno da lui stesso donati al monastero, per l’annuo canone di un bisanzio (A.S.G., Arch. Segr., ng. 1509, Abbazia di S. Stefano, doc. 153). 994. 1204, settembre 26. Legato di soldi 5 all’ospedale e di soldi 15, in Unciolis, per gli infermi ivi ricoverati (cfr. n. 134). 995. 1204, dicembre 2. Simone Buferio, arbitro per la diatriba sorta fra il monastero di S. Stefano e i coniugi Fulcone di Castello e Aimelina, figlia di Guglielmo Rataldo, circa le rendite del bagno e dell’orto, assegna i due terzi degli introiti al monastero e un terzo ad Aimelina, sua vita durante (A.S.G., Arch. Segr., ng. 1509, Abbazia di S. Stefano, doc. 158). 996. 1205, maggio 12. Legato di soldi 5 (cfr. n. 104). 997. 1205, ottobre 3. Nicoloso Doria e sua moglie Giacoma vendono all’abate di S. Stefano che rappresenta l’ospedale, una terra in Valbisagno località Braida, per la somma di lire 140 (A.S.G., Arch. Segr., ng. 1509, Abbazia di S. Stefano, doc 160). 998. 1206, marzo 16. Legato di soldi 20 (cfr. n. 135). 999. 1206, aprile 21. Legato di denari 12 (cfr. n. 105). 1000. 1206, maggio 29. Guglielmo de Cravaritia acquista dai coniugi Andrea Alberico e Castellana un appezzamento di terra della misura di 88 pertiche, al prezzo di lire 70, per donarlo all’ospedale (A.S.G., Arch. Segr., ng. 1509, Abbazìa di S. Stefano, doc. 162). 1001. 1209, dicembre 20. Lascito di una coltre (cfr. n. 430). 1002. 1210, marzo 10. Legato di soldi 2 (cfr. n. 140). 1003. 1210, giugno 3. Legato di lire 50 (cfr. n. 141). 1004. 1210, agosto 9. Legato di soldi 2 (cfr. n. 142). 1005. 1210, dicembre 12. Legato di soldi 1 (cfr. n. 144). 1006. 1212, gennaio 26. Legato di soldi 20 (cfr. n. 106). 1007. 1212, giugno 19. Legato di soldi 5 (cfr. n. 147). 1008. 1213, giugno 26. Legato di soldi 3 (cfr. n. 441). 1009. 1213, luglio 30. Legato di soldi 5 (cfr. n. 442). 1010. 1213, agosto 1. L’amministtazione dell’ospedale, rappresentato da frate Pisano, vende a Guglielmo Bozano due appezzamenti di terreno in Rapallo, località Bosco, per la somma di lire 10 (A.S.G., Notai, Cart. 56, c. 114 v.). 1011. 1213, novembre 16. Gugliemo de Boca, Enrico Marrado e sua moglie Giovanna si riconoscono debitori di lire 13 nei confronti dell’ospedale (A.S.G., Notai Ignoti, busta 1, doc. XIV, atto 12), 1012. 1214 ... Lascito di soldi 4 (cfr. n. 150). 1013. 1216, marzo 10. L’amministrazione dell’ospedale vende un edificio a Milo, for- - 345 - maggiaio, per la somma di lire 20, occorrenti per l’acquisto di lenzuola per gli infermi (A.S.G., Notai, Cart. 5, c. 211 v.). 1014. 1216, maggio 26. Legato di soldi 5 (cfr. n. 152). 1015. 1216, agosto 23. Legato di soldi 5, di un cuscino e di una coltre (cfr. n. 154). 1016. 1216, ottobre 1. Legato di soldi 5 (cfr. n. 156). 1017. 1216, ottobre 21. Nicoloso Lucchese dichiara di aver ricevuto da Guglielmo, ministro dell’ospedale, la somma di lire 10 e denari 7, relativi alla vendita di un appezzamento di terra (A.S.G., Arch. Segr., ng. 1509, Abbazia di S. Stefano, doc. 175). 1018. 1220, febbraio 3. Legato di soldi 3 (cfr. n. 455). 1019. 1221, marzo 11. Legato di soldi 5 (cfr. n. 162). 1020. 1221, ottobre 10. Legato di soldi 10 (cfr. n. 164). 1021. 1222, aprile 8. Legato di soldi 2 (cfr. n. 167). 1022. 1222, aprile 20. Ruggero da Fiaccone, tutore di Giovannetta, e Stefano Caneph, con la garanzia di Oberto Parasco, ministro dell’ospedale e di Giordano, procuratore dello stesso, promettono a Sibilia, vedova di Resonato, di non molestarla per le terre avute da suo marito (Salmone, doc. 204). 1023. 1222, aprile 24. Legato di denari 12 (cfr. n. 168). 1024. 1222, settembre 17. Divisione di beni posti in Valle Sambuci, in Pelagio plano, in Botazolis, in Carpaneis, in Delamelle, in Castellum de Campo de Delbatore, in Terrarossa, in Bedole e in li Novellei, tra Oberto Parasco, ministro dell ospedale, con i suoi confratelli, e Buggero da Fiaccone, che agisce in nome di Giovannetta, del fu Resonato (Salmone, doc. 511). 1025. 1222, novembre 2. Frate Gerardo, ministro dell’ospedale, loca per 5 anni a In-gone de Iarolio e ai suoi eredi un appezzamento di terra posta in Valbisagno, località Braida, per il canone annuo di soldi 40 (ibid., doc. 618). 1026. 1222, dicembre 13. Gerardo, ministro dell’ospedale, Oberto Parasco e Oberto Baraterio, suoi confratelli (ibid., doc. 684). 1027. 1222, dicembre 13. Giovannetta Picheneta fa donazione all’ospedale, rappresentato dal ministro Gerardo, di una parte dei suoi beni, pari al valore di lire 4, stabilendo inoltre che una coperta, un cuscino e un saccone, di sua proprietà, dovranno passare allo stesso istituto dopo la sua morte (ibid., doc. 685). 1028. 1225, aprile 26. Adelasia, del fu Ansaldo della Casa, lega soldi 10 a ciascuna delle converse dell’ospedale (Lanfranco, doc. 1331). 1029. 1225, maggio 4. Legato di soldi 40 (cfr. n. 171). 1030. 1225, maggio 26. Legato di soldi 5 (cfr. n. 172). - 346 - 1031. 1225, luglio 1. Legato di soldi 5 (cfr. n. 173). 1032. 1225, luglio 23. Legato di denari 2 (cfr. n. 174). 1033. 1226, giugno 17. Legate di soldi 5 (cfr. n. 177). 1034. 1226, agosto 4. Legato di denari 12 (cfr. n. 180). 1035. 1226, settembre 21. Legato di denari 6 (cfr. n. 181). 1036. 1226, novembre 15. Frate Enrico, ministro dell’ospedale, loca per 11 anni a Ingone de Glarolio un appezzamento di terra con casa in Bisagno (Salmone, doc. 1482). 1037. 1227, dicembre 7. Legato di soldi 10 (cfr. n. 183). 1038. 1230, gennaio 29. Legato di soldi 10 (cfr. n. 188). 1039. 1232, dicembre 28. Legato di soldi 2 (cfr. n. 191). 1040. 1233 ... Legato di soldi 10 (cfr. n. 195). 1041. 1233, agosto 29. Legato di soldi 20 (cfr. n. 102). 1042. 1235, novembre 22. Legato di soldi 1 (cfr. n. 198). 1043. 1236, settembre 9. Legato di soldi 10 (cfr. n. 199). 1044. 1237, gennaio 13. Legato di soldi 2 (cfr. n. 201). 1045. 1237, febbraio 3. Legato di soldi 5 (cfr. n. 202). 1046. 1237, aprile 25. Legato di soldi 5 (cfr. n. 204). 1047. 1239, novembre 22. Legato di soldi 1 (cfr. n. 205). 1048. 1241, aprile 4. Lascito imprecisato (cfr. n. 207). 1049. 1241, maggio 1. Legato di soldi 5 (cfr. n. 208). 1050. 1241, novembre 2. L’abate Raimondo, del monastero di S. Stefano, a nome dell’amministrazione dell’ospedale, loca a Giovanni da Montaggio una casa con terreno, per l’annuo canone di lire 7 (A.S.G., Notai Ignoti, busta 1, doc. XXXVI, atto 2). 1051. 1248, marzo 18. Gli infermi dell’ospedale ricevono soldi 10 provenienti da \in legato (cfr. n. 210). 1052. 1257, luglio 27. Legato di soldi 5 (cfr. n. 216). 1053. 1257, luglio 28. Legato di soldi 20 (cfr. n. 217). 1054. 1258, gennaio 28. Legato di soldi 2 (cfr. n. 218). 1055. 1258, marzo 23. Legato di soldi 5 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 219). - 347 - 1056. 1258, maggio 15. Legato di soldi 5 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 108). 1057. 1259, febbraio 18. Legato di soldi 5 (cfr. n. 221). 1058. 1259, aprile 2. Atto di locazione di una terra posta davanti all’ospedale, di proprietà del monastero di S. Stefano (Bibl. Naz. di Parigi, Lat. 9256, c. 167 r.). 1059. 1259, agosto 20. Legato di soldi 5 agli infermi di S. Stefano (cfr. n. 542). 1060. 1264, febbraio 17. Legato di soldi 10 (cfr. n. 226). 1061. 1267 ... Legato di soldi 5 (cfr. n. 228). 1062. 1269, aprile 13. Aloisia, ministra dell’ospedale, concede in locazione una casa posta fuori la Porta di S. Andrea e di proprietà dello stesso ospedale, a Cre-miasco Clapuzio, per il canone annuo di soldi 40 (A.S.G,, Notai Ignoti, busta 8, fase. 2, ng. 94). 1063. 1270, febbraio ... Legato di soldi 5 (cfr. n. 229). 1064. 1271, gennaio 15. Legato di soldi 2 (cfr. n. 558). 1065. 1276, novembre 2. Legato di soldi 2 agli infermi di S. Stefano (cfr. n. 233). 1066. 1277, maggio 11. Legato di soldi 10 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 361}. 1067. 1277, maggio 12. Legato di soldi 15 (cfr. n. 234). 1068. 1277, giugno 3. Legato di denari 12 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 235). 1069. 1277, luglio 4. Legato di soldi 20 (cfr. n. 236). 1070. 1280, agosto 13. Il monastero e l’ospedale di S. Stefano concedono in locazione, per 29 anni, a Giacomo, draperio, e ai suoi eredi, un appezzamento di terra, sita nel borgo di S. Stefano, per l’annuo canone di soldi 5 per tavola (Bibl. Naz. di Parigi, Lat. 9256, c. 74 r.). 1071. 1280, settembre 1. Legato di denari 12 (cfr. n. 238). 1072. 1284, febbraio 20. Legato di lire 2 (cfr. n. 239). 1073. 1284, ottobre 24. L’amministrazione dell’ospedale vende un edifìcio, di proprietà dell’istituto e del monastero di S. Stefano, a Giovannina, moglie di Ruffino, per la somma di lire 9 (A.S.G., Notai, Cart. 129, c. 38 r.). 1074. 1285, agosto 10. Legato di soldi 10 (cfr. n. 103). 1075* 1286, marzo 11. Nicolosa, moglie di Nicolino, macellaio di S. Stefano, lega soldi 2 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 94, c. 47 v.). 1076. 1288, agosto 13. L’amministrazione del monastero di S. Stefano loca a frate Pietro, ministro dell’ospedale, una terra posta nella contrada Morcento, nella quale l’ospedale stesso ha un edificio, per il canone annuo di foldi 4 (Bibl. Naz. di Parigi, Lat. 9256, c. 117 r.). - 348 - 1077. 1291, settembre 8. Legato di soldi 5 (cfr. n. 244). 1078. 1293, agosto 30. Legato di soldi 20 (cfr. n. 245). 1079. 1294, aprile 1. Legato di soldi 2 (cfr. n. 366). 1080. 1295, marzo 26. Martino Rosso, governatore dell’ospedale (FNG, li, c. 122 v.). 1081. 1296, aprile ... Legato di soldi 5 (cfr. n. 246). 1082. 1297, gennaio 2. Legato di soldi 5 (cfr. n. 247). 1083. 1299... Archenda vedova di Martino Rosso, già ministro e rettore, fa donazione all’ospedale, rappresentato da frate Enrico Vivaldo, di tutti i suoi beni e di quelli del defunto marito (Poch, II, p. 24). 1084. 1299, novembre 26. Enrico Vivaldo, rettore e amministratore dell’ospedale, loca per 5 anni e per l’annuo canone di lire 5 ai fratelli Lanfranco e Guglielmo de Clapa, tintori, una casa posta nel borgo di S. Stefano, di proprietà dell’ospedale (A.S.G., Arch. Segr., ng. 1510, Abbazia di S. Stefano, doc. 272). 1085. 1302, maggio 4. Frate Giovanni ospitalario, sindaco e procuratore dell’ospedale (cfr. n. 25). 1086. 1303, novembre 22. Suor Giacomina rappresenta l’ospedale (cfr. n. 29). 1087. 1307, agosto 24. Le suore Agnese e Giacomina, guardiane dell’ospedale, riscuotono lire 40 da Guglielmo da Rapallo, calafato, per l’affìtto di una casa, di proprietà dell’ospedale, per gli anni 1306 e 1307 (A.S.G., Notai, Cart. 138, c. 356 v.). 1088. 1308, febbraio 5. Legato di soldi 5 (cfr. n. 110). 1089. 1309, marzo 20. Legato di soldi 40 agli infermi di S. Stefano di Genova (cfr. n. 257). 1090. 1309, ottobre 24. Amico, precettore, rettore e governatore dell’ospedale, a nome proprio, di suor Agnese e di suor Giacomina, converse, dà atto a Rafletto Casana di aver ricevuto dal padre di costui, Vassallo, una pezza di panno rosso, da utilizzare per vesti (A.S.G., Notai, Cart. 136, c. 272 v.). 1091. 1311, marzo 8. Frate Amico ministro, ospitalario e amministratore dell’ospedale (cfr. n. 36). 1092. 1311, marzo 8. Idem c. s. (cfr. n. 37). 1093. 1312, gennaio 30. Frate Amico, ministro, sindaco e procuratore dell’ospedale, dichiara di aver ricevuto da Obertino da Chiavari lire 7 e soldi 10, quale ricavato della vendita di una casa di proprietà dell’ospedale, fatta a Enrico Clavarino de Relio (A.S.G., Notai, Car. 216, c. 9 v.). 1094. 1312, febbraio 11. Frate Amico, sindaco e procuratore dell’opedale, loca a Giovanni Musso di Sant’Antonio una bottega, di proprietà dell’ospedale, sita - 349 - in carrubeo novo, per un periodo di 20 anni e per l’annuo canone di soldi 24 [ibid., c. 27 v.). 1095. 1312, aprile 5. Legato di soldi 5 (cfr. n. 261). 1096. 1312, giugno 17. Legato di soldi 3 (cfr. n. 616). 1097. 1312, luglio 19. Frate Guglielmo abate e gli altri monaci del monastero di S. Stefano, eleggono un procuratore dell’ospedale (A.S.G., ms. 543, p. 906). 1098. 1315, maggio 8. Frate Bertolino risulta ministro dell’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 162, c. 5 r.). 1099. 1315, agosto 22. Frate Bertolino di Domoculta, ministro, sindaco e procuratore dell'ospedale, concede in locazione ad Aldina, vedova di Simone de Boiardo, un mulino, per la somma di lire 20, fino all’anno 1319 [ibid., c. 35 v.). 1100. 1315, agosto 12. Legato di soldi 2, fatto da Sibelina, vedova del laniere Giovanni Stegalino (ibid., c. 91 v.). 1101. 1318, febbraio 27. Legato di soldi 5 (cfr. n. 112). 1102. 1318, ottobre 4. Legato di soldi 5 (cfr. n. 627). 1103. 1320, giungo 14. Legato di soldi 20 (cfr. n. 629). 1104. 1321, ottobre 22. Benedetto, del fu Bainichi Ginate da Villa Regia di S. Stefano di Taggia, lega lire 35, delle quali 10 per l’acquisto di due letti, all’ospedale (A.S.G., Arch. Segr., ng. 1511, Abbazia di S. Stefano, doc. 301). 1105. 1323, maggio 11. Il console di giustizia, Ottolino da San Siro, incarica un perito del Comune di Genova di valutare i beni di Caterina da Casamavari, al fine di poter ricavare la somma di lire 120 da destinare all’ospedale di S. Stefano, rappresentato da frate Bertolino, ministro e sindaco, come da legato della stessa Caterina (A.S.G., Notai, Cart. 263, I, c. 78 v.). 1106. 1341, marzo 24. Il rettore frate Bertolino rappresenta il proprio e altri ospedali genovesi (cfr. n. 854). 1107. 1341, ottobre 19. Franceschina, vedova di Bonamino da Chiavari, nomina erede dei suoi beni mobili e immobili l’ospedale (A.S.G., Arch. Segr., ng. 1512, Abbazia di S. Stefano, doc. 355). 1108. 1348, gennaio 18. Ginevra, del fu Pietro Vernengo de Soco di Monegila, lega un fiorino d’oro al primo nato nell’ospedale e tre fiorini a Domenichino, trovatello dello stesso ospedale, di cui è ministro e ospitalario frate Bertolino da Montebello che viene nominato esecutore testamentario (A.S.G., Notai, Cart. 335, c. 39 v.). 1109. 1348, febbraio 22. Legato di soldi 40 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 61). 1110. 1348, aprile 16. Legato di soldi 5 (cfr. n. 276). - 350 - 1111. 1348, agosto 20. Lascito di duo cantarla Ugni all’ospedale (cfr. n. 684). 1112. 1353, febbraio 6. Simona, del fu Emanuele, campanaro, dona a sua figlia Fran-ceschina, moglie di Oberto Usodimare, tre case poste nel borgo di S. Stefano, per le quali dovrà essere versato un terratico di lire 10 annue all’ospedale del monastero di S. Stefano (A.S.G,, ms. 541, p. 903). 1113. 1353, novembre 1. Frate Domenico de Stampi risulta rettore e maestro dell’ospe-dale {ibid.}. 1114. 1354, aprile 15. Domenico de Scarpis da Milano risulta ospitalario dell’ospedale di S. Stefano (A.S.G., Notai, Cart. 288, c. 189 w.). 1115. 1355, agosto 5. Ponzio, oleario di Ponticello, nomina suo esecutore testamentario il notaio Antonio da Bonizo, ministro dell’ospedale (A.S.G., Arch. Segr., n. 1513, Abbazia di S. Stefano, doc. 373). 1116. 1358, giugno 4. Concessione fatta dall’abate e dal capitolo del monastero di S. Stefano a frate Giovannino di San Silvestro, ospitalario di S. Pellegrino, al quale viene affidato, in accomenda, l’ospedale di S. Stefano (ibid., doc. 377). 1117. 1359, agosto 27. Frate Oberto da Laigueglia, ospitalario di S. Stefano, e Bartolomeo da Ceva, macellaio, sottoscrivono un compromesso e si affidano all’arcivescovo di Genova e al giusperito Giovanni Doria, del monastero di S. Stefano, per le eventuali controversie (ibid., doc. 404). 1118. 1359, dicembre 8. Il sarto Oberto da Laigueglia, procuratore, ministro, governatore e ospitalario dell’ospedale di S. Stefano, consenziente Uberto, abate del monastero, concede in enfiteusi perpetua al tintore Michele Gravaigo una casa e un terreno dell’ospedale, posti nel borgo di S. Stefano, in carrubeo Ta-berne Viridis, per l’annuo canone di soldi 30 (A.S.G., Notai, Cart. 375, c. 58 v.). 1119. 1361, dicembre 8. Contessina, del fu Simone da Busalla e moglie di Gagliardo Ferrando, ospitalario e rettore dell’ospedale, dichiara di accettare tutte le condizioni derivanti dall’incarico del marito, salvaguardando però la proprietà di alcuni beni personali (A.S.G., Arch. Segr., ng. 1513, Abbazia di S. Stefano, doc. 403). 1120. 1362, gennaio 29. L’abate Guglielmo, del monastero di S. Stefano, agisce per il recupero della eredità del defunto Oberto da Laigueglia, già rettore dell’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 320, c. 147 r). 1121. 1363, febbraio 8. Gagliardo, rettore dell’ospedale, concede in locazione perpetua al tintore Giovanni Gravaigo e ai suoi eredi legittimi, una terra con casa posti nel borgo di S. Stefano, in carrubeo taberne virridis, per l’annuo canone di soldi 11 da versare alFamministrazione dell’ospedale nel giorno di Natale (A.S.G., Notai, Cart. 251, c. 108 y.; cfr. n. 1118). 1122. 1374, febbraio 9. Simone maestro ospitalario di S. Stefano (A.S.G., Notai, Cart. 340, II, c. 121 r.). - 351 - 1123. 1376, gennaio 18. Frate Giovannino, ministro ospitalario di S. Stefano (A.S.G., Notai, Cart. 347, I, c. 2 v.). 1124. 1380, dicembre 10. Il Doge e il Consiglio degli Anziani dispongono per il pagamento dei proventi dei luoghi delle Compere del Comune e di S. Paolo intestati all’ospedale (cfr. n. 345). 1125. 1383, dicembre 17. Frate Simone Negrino, ospitalario di S. Stefano (cfr. n. 96). 1126. 1411, maggio 15. Ianuino Gatto, patrono e governatore dell’ospedale (cfr. n. 100). 1127. 1450, giugno 23. Legato di lire 5 (cfr. n. 695). 1128. 1465, settembre 19. L’amministrazione dell’ospedale concede in locazione perpetua, a Francesco da Recco, il suolo sul quale è posta una casa, in borgo S. Stefano, carrubeo dei Campanari, per l’annuo canone di soldi 12 e di denari 6,5 (A.S.G., ms'. 546, p. 1385). 1129. 1469, gennaio 28. Domenico, Tommaso e Gerolamo d’Albaro, figli ed eredi del fu Battista, vendono a Damiano de Fereto due case poste nel borgo di S. Stefano, in conestaiaria Ponticelli, sulle quali è un terratico annuo di soldi 22 da versare aU’amministrazione dell’ospedale (A.S.G., not. O. Foglietta, anno 1469, doc. 70). 1130. 1469, febbraio 1. Paolo da Uscio, figlio di Dondo, ospitalario e rettore dell’ospedale dei poveri di Ponticello, che dipende dal monastero di S. Stefano concede in locazione perpetua, a Damiano de Fereto, del fu Filippo, due case contigue poste nel borgo di S. Stefano (A.S.G., ms. 546, p. 1635). 1131. 1472 ... Il rettore Paolo da Uscio conferma la locazione, per l’annuo canone di lire 2 e soldi 10, di una bottega situata nel seminterrato di un edificio di due piani, di proprietà dell’ospedale, ad Antonio da Vernazza e a Francesco d’Al-benga, i quali avevano provveduto, a loro spese, a effettuare lavori di restauro (A.S.G., not. A. de Cairo, filza 27, doc. 19). 1132. 1472 ... Paolo da Uscio, rettore dell’ospedale, concede in locazione perpetua ad Antonio da Vernazza, laniere, una terra con casa situata nel borgo di S. Stefano, presso il carrubeo di S. Cristoforo, per l’annuo terratico di soldi 5 e denari 6 (ibid., doc. 20). 1133. 1472 ... Il rettore Paolo da Uscio loca ad Antonio da Vernazza una bottega, situata nei pressi dell’ospedale (cfr. n. 1131), con contratto novennale, rinnovabile fino a 27 anni, per l’annuo canone di lire 2 e soldi 10, e una casa (cfr. n. 1132), posta nel carrubeo di S. Cristoforo, in enfiteusi perpetua, per il canone annuo di soldi 5 e denari 6 (ibid., doc. 22). 1134. 1473, dicembre 31. Il rettore Gaspare Pizzorno propone che, in considerazione delle spese sostenute per l’ospedale da Battistina, vedova di Paolo da Uscio, le vengano riconosciuti i redditi e i proventi relativi all’anno 1472 (ibid., doc. 8), 1135. 1473, marzo 11. Battistina, vedova di Paolo da Uscio, già rettore dell’ospedale, - 352 - chiede al nuovo rettore, Gaspare Pizzorno, per il sostentamento proprio e dei propri figli residenti nello stesso istituto, una pensione annua di lire 25 e per un periodo di nove anni (ibid., filza 28, doc. 87). 1136. 1474, marzo 31. Atto di incorporazione a Pammatone dell’ospedale, che contiene l’inventario e l’annullamento dell’atto di opposizione presentato dal rettore Gaspare Pizzorno (A.O.G., cod. 6, cc. 22 r. - 26 v.). Ospedale di San Pellegrino 1137. 1303, novembre 22. Frate Rolando procuratore dell’ospedale (cfr. n. 29). 1138. 1348, febbraio 22. Legato di soldi 20 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 61). 1139. 1348, marzo 7. Lascito di una trapunta, di un copertorio, di due lenzuola e di un oregerium, da parte di Franceschina da Passano, all’ospedale di S. Pellegrino, sito fuori Porta S. Stefano (A.S.G., Notai, Cart. 287, c. 155 r.). 1140. 1358, giugno 4. A frate Giovannino di San Silvestro, ospitalario di S. Pellegrino, viene affidato in commenda l’ospedale di S. Stefano, dall’abate e dal capitolo del monastero omonimo (cfr. n. 1116). 1141. 1401, gennaio 25. Biatasia da Novi ospitalaria di S. Pellegrino (cfr. n. 99). 1142. 1411, maggio 15. Isabella da Taggia ospitalaria di S. Pellegrino (cfr. n. 100), Ospedale di Misericordia 1143. 1314, gennaio 26. Frate Leone ospitalario dell’ospedale di Misericordia (A.S.G., Notai, Cart. 211, c. 57 r.). 1144. 1316, ottobre 9. Giovanna, del fu Troncherio de Roso e vedova di Lanfranco Celione da Triora, lega soldi 40 a frate Leone, ministro dell’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 162, c. 192 v.). 1145. 1320, giugno 14. Legato di soldi 20 all’ospedale di Misericordia, presso la chiesa di S. Stefano (cfr. n. 629). 1146. 1344, maggio 21. Testamento di Franceschina del fu Gerardo di S. Stefano, la quale nomina erede dei suoi beni mobili e immobili l’ospedale di Misericordia che è presso l’arco di S. Stefano di Genova (A.S.G., Arch. Segr., ng. 1512, Abbazia di S. Stefano, doc. 359). Ospedale di Morcento 1147. 1348, febbraio 22. Legato di soldi 10 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 61). — 353 — 23 Ospedale delle Repentite 1148. 1210, giugno 3. Legato di lire 5 operi peccatricium (cfr. n. 141). 1149. 1225, maggio 4. Legato di lire 10 peccatricibus de capite Pontis Bisamnis (cfr. n. 171). 1150. 1237, gennaio 13. Legato di soldi 4 redentis de capite pontis Bisamnis (cfr. n. 201). 1151. 1239, novembre 22. Legato di soldi 1 alle suore Repentite di Fassolo (cfr. n. 205). 1152. 1245, maggio 13. Pietro da Pavia lega soldi 20 all’opera della domus delle suore Repentite di Fassolo (FNG, II, c. 4 v.). 1153. 1259, febbraio 18. Legato di soldi 10 alle Repentite di Fassolo (cfr. n. 221). 1154. 1348, febbraio 9. Giacomina de Cesino lega lire 10 per la costruenda chiesa del monastero delle Repentite (FNG, III, parte II, c. 235 v.). 1155. 1348, aprile 10. Legato di lire 1 all’ospedale delle Repentite (cfr. n. 80). 1156. 1348, luglio 28. Benedetta Cebà lega lire 10 alle Repentite di Multedo (FNG, III, parte II, c. 121 r.). 1157. 1384, agosto 21. Legato di lire 400 alle varie istituzioni religiose di Genova, tra le quali quella di S. Maria delle Repentite (cfr. n. 648). Ospedale di S. Lorenzo 1158. 1160, gennaio 17. Legato di soldi 10, pro pannis (cfr. n. 119). 1159. 1179, settembre 5. Legato di soldi 5 (cfr. n. 383). 1160. 1180 ... Legato di soldi 2 (cfr. n. 970). 1161. 1186, novembre 18. Legato di denari 12 (cfr. n. 385). 1162. 1190, febbraio 14. Legato di soldi 2 (cfr. n. 123). 1163. 1191, aprile 3. Vidotus de hospitali sancti Laurentii (Cassinese, doc. 417). 1164. 1191, luglio 15. Legato di soldi 5 (cfr. n. 400). 1165. 1191, settembre 6. Vassallo de Bardi lega soldi 20 all’ospedale e tutti i suoi beni al fratello e alla sorella, tuttavia, se costoro non dovessero rispettare le sue volontà, la metà di tali beni verrà assegnata allo stesso ospedale; tra i testi dell’atto figura Widotus de hospitali sancti Laurentii (cfr. n. 402). 1166. 1192, gennaio 30. Legato di soldi 5 (cfr. n. 126). 1167. 1192, aprile 21. Legato di soldi 5 (cfr. n. 406). - 354 - 1168. 1198, ottobre 17. Legato di lire 100, per l’acquisto di terre (cfr. n. 128). 1169. • • • (sec. XIII). Legato di soldi 5 (cfr. n. 767). 1170. 1201, giugno 8. Legato di soldi 2 (cfr. n. 130). 1171. 1203, luglio 28. Legato di soldi 10 (cfr. n. 133). 1172. 1204, settembre 26. Legato di soldi 5 (cfr. n. 134). 1173. 1205, maggio 12. Legato di soldi 5 (cfr. n. 104). 1174. 1206, aprile 7. Legato di soldi 5 (cfr. n. 137). 1175. 1206, aprile 21. Legato di denari 12 (cfr. n. 105). 1176. 1210, marzo 10. Legato di soldi 5 (cfr. n. 140). 1177. 1210, giugno 3. Legato di lire 5 (cfr. n. 141). 1178. 1210, dicembre 12. Legato di soldi 2 (cfr. n. 144). 1179. 1212, gennaio 26. Legato di soldi 10 (cfr. n. 106). 1180. 1213, giugno 26. Legato di soldi 5 (cfr. n. 441). 1181. 1213, luglio 30. Legato di soldi 5 (cfr. n. 442). 1182. 1214 ... Legato di denari 12 (cfr. n. 150). 1183. 1216, maggio 26. Legato di soldi 5 (cfr. n. 152). 1184. 1221, marzo 11. Legato di soldi 2 (cfr. n. 162). 1185. 1221, ottobre 10. Legato di soldi 10 (cfr. n. 164). 1186. 1222, ottobre 15. Ansaldo detto Conte, lega soldi 5 all’ospedale (Salmone, doc. 584). 1187. 1225, maggio 4. Legato di soldi 40 (cfr. n. 171). 1188. 1225, maggio 26. Legato di soldi 5 (cfr. n. 172). 1189. 1225, luglio 1. Legato di soldi 5 (cfr. n. 173). 1190. 1226 ... Legato di soldi 18 (cfr. n. 471). 1191. 1227, dicembre 7. legato di soldi 5 (cfr. n. 183). 1192. 1230, gennaio 28. Legato di soldi 10 (cfr. n. 188). 1193. 1231, dicembre 12. Legato di soldi 5 (cfr. n. 889). 1194. 1232, dicembre 28. Legato di lire 1 (cfr. n. 191). 1195. 1233 ... Legato di soldi 10 (cfr. n. 195). - 355 - 1 1196. 1233, agosto 29. Legato di soldi 10 (cfr. n. 102). 1197. 1235, novembre 22. Legato di soldi 1 (cfr. n. 198). 1198. 1237, gennaio 13. Legato di soldi 2 (cfr. n. 201). 1199. 1237, marzo 26. Controversia tra Giacomina, ministra et domina dell ospedale e Druda, vedova di Baiamonte da Sori, per il pagamento annuo di soldi 20 per il nutrimento della figlia di Alda Caparina, già ministra dell’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 20,1, c. 41 v.). 1200. 1237, aprile 25. Legato di soldi 5 (cfr. n. 204). 1201. 1239, novembre 22. Legato di soldi 1 (cfr. n. 205). 1202. 1241, aprile 4. Legato di soldi 10 (cfr. n. 207). 1203. 1241, ottobre 27. Contessa, figlia di Ugc Bracelli, lega soldi 5 all’ospedale (A.S.G,, ms. 536, p. 397). 1204. 1248, gennaio 19. Con atto rogato dal notaio Pietro de Clavica viene nominata Ermelina ministra dell’ospedale (notizia in doc. dell’8 febbraio 1276; cfr. n. 1221). 1205. 1248, marzo 18. Gli infermi dell’ospedale ricevono soldi 10, come da legato di Guglielmo de Mari (cfr. n. 210). 1206. 1250, dicembre 13. Legato di soldi 2 (cfr. n. 211). 1207. 1257, luglio 27. Legato di soldi 5 (cfr. n. 216). 1208. 1257, luglio 28. Legato di soldi 10 (cfr. n. 217). 1209. 1258, marzo 23. Legato di soldi 5 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 219). 1210. 1258, maggio 15. Legato di denari 18 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 108). 1211. 1259, agosto 20. Legato di soldi 5 agli infermi di S. Lorenzo (cfr. n. 542). 1212. 1261, giugno 28. Legato di soldi 1 (cfr. n. 223). 1213. 1264, febbraio 17. Legato di soldi 5 (cfr. n. 226). 1214. 1264, luglio 3. Ermegina de Dandara, ministra dell’ospedale, concede in locazione a Pietrino, pittore, una casa di proprietà dell’istituto, situata ante ipsum hospitalem in cambio scutariorum (A.S.G., Notai, Cart. 21, II, c. 126 v.). 1215. 1264, luglio 14. Ermegina, ministra dell’ospedale, agisce per il recupero di un letto o della somma equivalente, di soldi 30, come da legato del defunto Ottobello (A.S.G., Notai, Cart. 36, c. 42 v.). 1216. 1267 ... Legato di soldi 5 (cfr. n. 228). 1217. 1267, gennaio 15. Sibelina, sorella di prete Giovanni, viene accolta nell’ospedale in cambio della donazione di lire 10 (A.S.G., Notai, Cart. 122, c. 96 v.). - 356 - 1218. 1270, febbraio... Legato di soldi 5 (cfr. n. 229). 1219. 1271, gennaio 15. Legato di soldi 2 (cfr. n. 558). 1220. 1273, gennaio 13. Ermelina, ministra dell’ospedale, agisce per il recupero di soldi 10, spettanti al proprio istituto, come da legato di Bonifacio Mattone (A.S.G., Notai, Cart. 56, c. 227 v.). 1221. 1276, febbraio 8. Ermelina, ministra dell’ospedale, riceve soldi 10, come da legato di Bonifacio Mattone (cfr. n. 360). 1222. 1276, novembre 2. Legato di soldi 20 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 233). 1223. 1277, maggio 11. Legato di soldi 10 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 361). 1224. 1277, luglio 4. Legato di soldi 20 (cfr. n. 236). 1225. 1278, giugno 18. Rolando pellicciaio e sua moglie Barcella fanno donazione dei propri beni all’ospedale, ottenendo in cambio di rimanere ivi ospitati vita durante, per dedicarsi all’assistenza dei ricoverati (Privilegiorum, p. 264, doc. 178). 1226. 1280, settembre 1. Legato di denari 12 (cfr. n. 238). 1227. 1282, gennaio 15. Frate Rolando rettore e ministro dell’ospedale (A.S.G., Notai. Cart. 123, c. 4 r.). 1228. 1282, aprile 4. Legato di soldi 1 (cfr. n. 16). 1229. 1284, febbraio 20. Legato di lire 2 (cfr. n. 239). 1230. 1293, agosto 30. Legato di soldi 10 (cfr. n. 245). 1231. 1294, aprile 1. Legato di soldi 5 agli infermi di S. Lorenzo (cfr. n. 366). 1232. 1294, settembre 1. Lascito di una coltre fatto da Pietro da Bargone (A.S.G., Notai, Cart. 135, c. 33 r.). 1233. 1295, luglio 23. Il preposto e il capitolo di S. Lorenzo nominano Rolando e Benedetto ospitalari e procuratori dell’ospedale (notizia in doc. del 14 dicembre 1302; cfr. n. 1241). 1234. 1297, gennaio 2. Legato di soldi 10 (cfr. n. 247). 1235. 1297, luglio 16. Legato di soldi 10 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 20). 1236. 1302, maggio 4. Frate Benedetto ospitalario e sindaco dell’ospedale (cfr. n. 25). 1237. 1302, maggio 17. Frate Rolando e frate Benedetto acquistano, a nome dell’ospedale, dai coniugi Marino d’Albaro, tagliatore, e Giardina de Granaria da Montoggio, una casa posta nella parrocchia di S. Vincenzo su terreno di proprietà della Curia Genovese presso l’ospedale, per la somma di lire 38 (A.S.G., Notai, Cart. 98, c. 162 v.). - 357 - 1238. 1302, luglio 10. L’ospitalario frate Rolando, dà procura a Novarino da Novara per la riscossione di elemosine a favore dell’istituto (ibid., c. 222 r.). 1239. 1302, luglio 17. Frate Rolando ospitalario dell’ospedale di S. Lorenzo (cfr. n. 26). 1240. 1302, dicembre 12. Frate Benedetto ospitalario dell’ospedale di S. Lorenzo (cfr. n. 27). 1241. 1302, dicembre 14. Frate Rolando e frate Benedetto, in qualità di ospitalari di S. Lorenzo, locano una terra sita a Nervi, località Poggio, a Oberto Grosso da Maximano di Nervi e a suo figlio per il canone annuo di lire 8 e di un agnello (A.S.G., Notai, Cart. 98, c. 334 r.). 1242. 1303, novembre 22. Prete Oberto, cappellano della chiesa di S. Lorenzo, procuratore dell’ospedale (cfr. n. 29). 1243. 1308, febbraio 5. Legato di soldi 5 (cfr. n. 110). 1244. 1311, marzo 8. Frate Pasquale, della cadè di suor Verdina, procuratore dell’ospedale (cfr. n. 36). 1245. 1311, marzo 8. Idem c. s. (cfr. n. 37). 1246. 1311, dicembre 23. Legato di soldi 60, per un letto (cfr. n. 609). 1247. 1312, aprile 5. Legato di soldi 5 (cfr. n. 261). 1248. 1318, febbraio 27. Legato di soldi 5 (cfr. n. 112). 1249. 1318, marzo 8. Legato di soldi 5 (cfr. n. 267). 1250. 1320, giugno 14. Legato di soldi 20 (cfr. n. 629). 1251. 1321, marzo 6. Frate Gerardo, rettore dell’ospedale di S. Lorenzo e frate Do menico, rettore dell’ospedale di S. Cristoforo di Chiavari, prendono possesso, a nome dei propri istituti, dei beni del defunto Giacomino da Cogorno (A.S.G., Notai, Cart. 262, c. 101 v.). 1252. 1335, giugno 23. Goffredo Spinola arcidiacono e il capitolo di S. Lorenzo nominano Morando Tarigo da Chiavari e sua moglie Sibelina rettori e ministri dell’ospedale, con ampio mandato di raccogliere elemosine e di ricevere gli infermi (A.S.G., Notai, Cart. 268, I, c. 33 v.). 1253. 1341, settembre 11. Legato di soldi 10 (cfr. n. 634). 1254. 1348, gennaio 2. Legato di soldi 10 ai poveri e agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 270). 1255. 1348, febbraio 22. Legato di soldi 40 ai poveri infermi dell’ospedale (cfr. n. 61). 1256. 1348, marzo 20. Lascito della metà di un letto (cfr. nn. 67, 640). - 358 - . 1257. 1348, marzo 22. Legato di lire 5 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 681). 1258. 1348, aprile 16. Legato di soldi 5 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 276). 1259. 1348, aprile 17. Legato di soldi 5 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 277). 1260. 1354, marzo 19. Palamede di Coronata, ospitalario, rettore e ministro, agisce a nome del proprio ospedale per il recupero di una eredità di soldi 10 (A.S.G., Notai, Cart. 216, c. 145 r), 1261. 1354, maggio 14. Lascito di un cuscino, di una coperta e di un lenzuolo (cfr. n. 278). 1262. 1357, agosto 26. Frate Palamede, ospitalario di S. Lorenzo (A.S.G., Notai, Cart. 340, II, c. 132 v). 1263. 1360, agosto 26. Palamede da Coronata, ministro e rettore dell’ospedale, riscuote la somma di lire 50, come da legato di Antonina, vedova del calzolaio Domenico (A.S.G., Notai, Cart. 255, c. 122 r). 1264. 1361, agosto 31. Caterina di Sarzano, moglie del calzolaio Ogerio da Camogli, lascia vestam de pater nostri heredem hospitalem sancti Laurentii (A.S.G., ms. 541, p. 926). 1265. 1363 gennaio 31. Palamede da Coronata, ministro e ospitalario. nomina Giacomo di Santa Fede, Domenico Beltrame, Benedetto da Uscio e Antonio di San Lorenzo procuratori dell’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 251, c. 99 v.). 1266. 1374, settembre 23. Il capitolo della cattedrale concede ampio mandato amministrativo a frate Nicola, ministro dell’ospedale, e ad Antonio da Portofino, precettore di S. Lazzaro (A.S.G., ms. 541, p. 849). 1267. 1375, gennaio 25. Giacomo da Piacenza, terrazzano, nella consapevolezza di trovarsi in magna paupertate et misseria, affida il proprio figlio Domenichino, di circa due anni di età, a frate Nicola da Cichero, rettore dell’ospedale, affinché possa allevarlo ed educarlo nell’istituto (A.S.G., Notai, Cart. 347, I, c. 14 r.). 1268. 1380, dicembre 10. Il Doge e il Consiglio degli Anziani dispongono per il pagamento dei proventi delle Compere del Comune e di S. Paolo intestati all’ospedale (cfr. n. 345). 1269. 1384, maggio 31. Govannina Cortimiglia, del fu Raimondo Ardito, lascia in eredità all’ospedale un letto fulcitum, una trapunta, una coperta, una sclavina, due paia di lenzuola, un cuscino e un torculare, oltre a un luogo delle Compere i cui proventi andranno a favore dei poveri dell’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 445, II, c. 143 r.). 1270. 1384, agosto 21. Legato perpetuo di una rendita annua di lire 3 (cfr. n. 648). 1271. 1386, novembre 16. Il capitolo della cattedrale riconosce la buona amministrazione tenuta per un anno da Antonio di S. Lorenzo, rettore dell’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 468, I, c. 105 r.). - 359 - 1272. 1386, novembre 16. Benedetto Adorno, preposto, e il capitolo della cattedrale decretano che Domenichina Carpaneto sia assistita e nutrita vita durante, nell’ospedale, in riconoscimento dei buoni servizi da lei prestati nell’istituto (ibid.) 1273. 1387, febbraio 18. Il rettore Antonio di S. Lorenzo loca e concede tutte le elemosine e legati fatti a favore dell’istituto, fuori della città di Genova e dei sobborghi, a frate Francesco de Cerreto da Ponte, del fu Colla, per il tempo di tre anni e per la somma di 6 fiorini d’oro annui, da pagarsi in rate semestrali (A.S.G., Notai, Cart. 446, c. 22 v.). 1273a. 1397, agosto 25. L’ospedale fruisce di una quota della eredità di Agnesina da Mirualdo (cfr. n. 97). 1274. 1408, aprile 27. Giovanni Alegrino da S. Eusebio della podesteria di Bisagno, accoglie ir. casa sua un fanciullo di nome Battistino, nato nell’ospedale, con la intenzione di adottarlo previo consenso del capitolo della cattedrale (A.S.G., not. S. F. de Compagnono, filza 1, doc. LXXVIII). 1275. 1411, maggio 15. Antonio da Como, dell’ospedale di S. Desiderio, procuratore dell’ospedale di S. Lorenzo (cfr. n. 100). 1276. 1415, marzo 8. Testamento di Bianca, figlia di Bartolomeo Bono e moglie di Giovanni Oliva da Rivarolo, la quale lega un luogo delle Compere per costituire la dote della prima fanciulla educata nell’ospedale di S. Vincenzo (notizia in doc. del 13 dicembre 1415; cfr. n. 1277). 1277. 1415, dicembre 13. Il capitolo di S. Lorenzo, sulla base delle disposizioni testamentarie di Bianca (cfr. n. 1276), assegna un luogo delle Compere a Ginevra, inventicia, promessa sposa a Lionello da Famagosta (A.S.G., not. S. F. de Com-gnono, filza 1, doc. CXXXXVII). 1278. 1450, giugno 23. Legato di lire 5 (cfr. n. 695). 1279. 1473, ottobre 27. Atto di incorporazione a Pammatone dell’ospedale di S. Lorenzo, detto di S. Vincenzo (A.O.G., cod. 6, cc. 17 v.-18 v.). Ospedale di Santo Spirito 1280. 1210, marzo 10. Legato di soldi 3 (cfr. n. 140). 1281. 1400, maggio 19. Suor Margherita da Valenza, badessa del monastero di S. Spirito di Bisagno, consenziente il capitolo dello stesso monastero, concede in enfiteusi hospitium et domus dicti monasterii e altre tre case, ad esso contigue, a Deserino de Poggio, del fu Lanfranco e ai suoi eredi, per l’annuo canone di lire 23 (A.S.G., Notai, Cart. 469, c. 46 v.). Ospedale dei Crociferi di Bisagno 1282. 1176, agosto 21. Frate Bernardo, priore di S. Giovanni di Paverano, si accorda - 360 - con 1 ospedale di Bisagno, su una permuta di 110 tavole di terra (A.S.G., Notai Ignoti, busta I, doc. Ili, atto 9, mutilo). 1283. 1179, settembre 5. Legato di soldi 10 (cfr. n, 383). 1284. 1180 ... Legato di denari 12 (cfr. n. 970). 1285. 1190, gennaio 28. Legato di soldi 5 (cfr. n. 388). 1286. 1190, febbraio 14. Legato di soldi 5 (cfr, n. 123). 1287. 1190, dicembre... All’ospedale, rappresentato dai frati Salvo, Alberico e Viviano, viene fatta una donazione da Milo da Piazzalunga, consenziente sua moglie Matelda (Cassinese, doc. 15). 1288. 1190, dicembre... I frati crocigeri dell’ospedale si impegnano a versare a Matelda, moglie di Milo da Piazzalunga, la somma annuale di lire 20, per due anni, a compenso della donazione fatta all’ospedale dal marito (ibid., doc. 16). 1189. 1191, giugno 17. Alla morte di Milo, Mazuco de Pomario si impegna a versare all’ospedale, rappresentato da frate Salvo, la somma di soldi 55, per le spese di sepoltura (ibid., doc. 741). 1290. 1191, giugno 17. Mazuco de Pomario e Milo da Piazzalunga danno ampie garanzie ai frati Salvo e Alberico in merito alla donazione fatta da Milo (ibid., doc. 742). 1291. 1191, giugno 17. I frati Salvo e Alberico, a nome dell’ospedale, assicurano che non muoveranno alcuna azione nei riguardi di Milo da Piazzalunga e di Mazuco de Pomario (ibid., doc. 743). 1292. 1191, luglio 15. Legato di soldi 5 (cfr. n. 400). 1293. 1191, settembre 12. Milo da Piazzalunga fa donazione dei suoi beni all’ospedale (Cassinese, doc. 986). 1294. 1191, settembre 12. Matelda, moglie di Milo, deve ricevere da frate Salvo, priore dell’ospedale di Bisagno, la somma di soldi ÌOO (ibid., doc. 989). 1295. 1192, gennaio 30. Legato di soldi 20 (cfr. n. 126). 1296. ... (sec. XIII). Legato di soldi 5 (cfr. n. 767). 1297. 1201, giugno 8. Legato di soldi 2 (cfr. n. 130). 1298. 1205, maggio 12. Legato di soldi 5 (cfr. n. 104). 1299. 1210, marzo 10. Legato di soldi 2 (cfr. n. 140). 1300. 1210, giugno 3. Gli infermi dell’ospedale ricevono soldi 10, come da legato di Guglielmo de Mari (A.S.G., ms. 536, p. 148). 1301. 1210, giugno 3. Legato di lire 5 (cfr. n. 141). - 361 - 1302. 1212, gennaio 26. Legato di soldi 5 (cfr. n. 106). 1303. 1212, maggio 11. Legato di soldi 10 a S. Maria dei Crociati (cfr. n. 146). 1304. 1213, giugno 26. Legato di soldi 3 (cfr. n. 441). 1305. 1213, luglio 30. Legato di soldi 5 (cfr. n. 442). 1306. 1214, luglio 7. Giacomo Ricadino da Firenze lega soldi 20 a S. Maria dei Crociati (A.S.G., Notai, Cart. 4, c. 53 r.). 1307. 1225, maggio 10. A seguito della vertenza sorta per un appezzamento di terra posta avanti l’ospedale, frate Ardizzone, rettore dell’istituto, in presenza del preposto Rubaldo e del canonico Simone, delegati apostolici, si riconosce debitore del censo annuo di un denaro nei confronti di frate Raimondo, abate del monastero di S. Stefano (A.S.G., Arch. Segr., ng. 1510, Abbazia di S. Stefano, doc. 242; cfr. Salmone, doc. 704). 1308. 1225, settembre 15. Legato di denari 12 (cfr. n. 175). 1309. 1226, settembre 21. Legato di denari 6 (cfr. n. 181). 1310. 1227, dicembre 7. Legato di soldi 5 (cfr. n. 183). 1311. 1228, ottobre 17. Legato di soldi 1 (cfr. n. 185). 1312. 1232, dicembre 28. Legato di lire 2 (cfr. n. 191). 1313. 1233, agosto 29. Legato di soldi 10 (cfr. n. 102). 1314. 1235, novembre 22. Legato di soldi 1 (cfr. n. 198). 1315. 1236, settembre 9. Legato di soldi 11 (cfr. n. 199). 1316. 1237, gennaio 13. Legato di soldi 3 (cfr. n. 201). 1317. 1237, febbraio 3. Legato di soldi 5 (cfr. n. 202). 1318. 1237, aprile 25. Legato di soldi 5 (cfr. n. 204). 1319. 1239, novembe 22. Legato di soldi 1 (cfr. n. 205). 1320. 1241, aprile 4. Legato di lire 1 (cfr. n. 207). 1321. 1241, maggio 1. Legato di soldi 10 (cfr. n. 208). 1322. 1248, gennaio 28. Prete Angelerio, priore della chiesa di S. Maria de Crociferi di Bisagno e ministro dell’ospedale di detta chiesa, consenzienti i confratelli, prete Gaspare, frate Giovanni, frate Lanfranco e frate Andrea, accoglie nell’ospedale Giovannina, figlia di Oberto de Palodio, promettendole il vitto (A.S.G., Notai, Cart. 31, I, c. 129 r). 1323. 1250, dicembre 13. Legato di denari 18 (cfr. n. 211). 1324. 1257, luglio 27. Legato di soldi 4 (cfr. n. 216). - 362 - 1325. 1257, luglio 28. Legato di soldi 20 (cfr. n. 217). 1326. 1258, marzo 23. Legato di soldi 5 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 219). 1327. 1258, maggio 15. Legato di denari 18 agli infermi di S. Croce di Bisagno (cfr. n. 108), 1328. 1259, febbraio 18. Legato di soldi 5 (cfr. n. 221). 1329. 1261, giugno 28. Legato di soldi 2 alla chiesa di S. Croce di Bisagno (cfr. n. 223). 1330. 1264, febbraio 17. Legato di soldi 5 (cfr. n. 226). 1331. 1264, novembre 30. Legato di soldi 1 (cfr. n. 227). 1332. 1267 ... Legato di soldi 5 (cfr. n. 228). 1333. 1270, febbraio ... Legato di soldi 5 (cfr. n. 229). 1334. 1271, gennaio 15. Legato di soldi 2 (cfr. n. 558). 1335. 1276, novembre 2. Legato di soldi 20 agli infermi dell’ospedale di S. Croce di Bisagno (cfr. n. 233). 1336. 1277, maggio 11. Legato di soldi 10 agli infermi dell’ospedale di S. Maria di Bisagno (cfr. n. 361). 1337. 1277, maggio 12. Legato di soldi 7 (cfr. n. 234). 1338. 1277, luglio 4. Legato di soldi 20 (cfr. n. 236). 1339. 1280, settembre 1. Legato di denari 12 (cfr. n. 238). 1340. 1284, febbraio 20. Legato di lire 2 (cfr. n. 239). 1341. 1285, agosto 10. Legato di soldi 10 alla chiesa di S. Maria di Crociferi (cfr. n. 103). 1342. 1286, gennaio 4. Frate Alberto, priore della chiesa e dell’ospedale, e Oberto Griffo riappacificano Gandolfo da Monleone e Pietro da Savona, tessitori, nella bottega dello speziale Lanfranco (A.S.G., Notai, Cart. 117, c. 3 v.). 1343. 1286, marzo 11. Legato di soldi 2 (cfr. n. 1075). 1344. 1293, agosto 3. Legato di soldi 10 (cfr. n. 245). 1345. 1296, aprile ... Legato di soldi 16 (cfr. n. 246). 1346. 1297, gennaio 2. Legato di soldi 5 (cfr. n. 247). 1347. 1303, novembre 22. Frate Gerardo, ospitalario di S. Maria degli Incrociati (cfr. n. 29). 1348. 1308, febbraio 5. Legato di soldi 5 (cfr. n. 110). 1349. 1309, marzo 20. Legato di soldi 40 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 257). - 363 - 1350. 1311, marzo 8. Frate Pasquale, della domus Dei di suor Verdina, procuratore dell’ospedale dei Crociferi (cfr. n. 36). 1351. 1311, marzo 8. Idem c. s. (cfr. n. 37). 1352. 1318, febbraio 27. Legato di soldi 5 (cfr. n. 112). 1353. 1318, marzo 8. Legato di soldi 10 (cfr. n. 267). 1354. 1336, febbraio 8. Frate Raimondo, priore della chiesa e ospedale, riceve da Leonardo Cattaneo, del fu Ballano, la somma di fiorini 20, quale canone annuo per l’affitto di una casa di proprietà dell’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 13, I, c. 178 r.). 1355. 1348, febbraio 22. Legato di soldi 40 agli infermi dell’ospedale (cfr. n. 61). 1356. 1348, giugno 7. Enrico Campofregoso lega soldi 10 all’ospedale (A.S.G., Notai, Cart. 233, c. 191 r.). 1357. 1386, marzo 29. Frate Giorgio da Monticello, priore di S. Maria di Bisagno, riceve da Emanuele Zaccaria, tutore di Giovanni, del fu Antonio Scoto, la somma di lire 19 e soldi 8, quale locazione di una casa di proprietà dell’ospedale, a saldo degli arretrati di due anni (A.S.G., Notai, Cart. 468, c. 41 r.). 1358. 1472 ... Frate Giovanni Tarigo, dell’ordine dei Crociferi e rettore della chiesa parrocchiale di S. Pietro di Noella di Rapallo, allo scopo di tutelare i diritti acquisiti sulla chiesa e ospedale della beata Maria di Bisagno, tra i quali un vitalizio annuo di 12 fiorini d’oro, nomina suo procuratore Antonio Ferro, chierico albenganese, residente nella curia romana (A.S.G., not. A. de Cairo, filza 27, doc. 32). Ospedale di San Fruttuoso 1359. 1160, gennaio 17. Legato di soldi 5 al ponte del Bisagno di Donadio (cfr. n. 119). 1360. 1190, febbraio 14. Legato di soldi 5 all’ospedale di Capo di Ponte di Donadio (cfr. n. 123). 1361. 1192, aprile 21. Legato di soldi 10 al ponte di prete Belardo (cfr. n. 406). 1362. 1201, giugno 8. Legato di soldi 2 all’ospedale di Capo di Ponte di Donadio (cfr. n. 130). 1363. 1204. settembre 26. Legato di soldi 5 (cfr. n. 134). 1364. 1205, maggio 12. Legato di soldi 3 (cfr. n. 104). 1365. 1206, aprile 21. Legato di soldi 1 (cfr. n. 105). 1366. 1210, giugno 3. Legato di lire 4 all’amministrazione del ponte di Bisagno superno e lire 3 a quella del ponte subiano (cfr. n. 141). - 364 - 1367. 1211, agosto 25. Prete Donadio, preposto dell’ospedale di Bisagno, prete Giovarmi, prelato della chiesa di S. Maria Maddalena e maestro Ugo, canonico genovese, sono delegati dalla sede apostolica per dirimere la controversia tra Capodivitello da Savignone e Rubaldo Malpassuto da Tortona relativa alla riscossione di un pedaggio in Tortona (A.S.G., Notai, Cart. 7, c. 292 r.; G. de Giliberto, doc. 2058). 1368. 1212, maggio 11. Legato di soldi 10 all’ospedale di Capo di Ponte di Bisagno (cfr. n. 146). 1369. 1213, aprile 18. Legato di soldi 10 all’ospedale di S. Fruttuoso di Capo di Ponte (cfr. n. 149). 1370. 1213, giugno 26. Legato di soldi 3 (cfr. n. 441). 1371. 1222, aprile 8. Legato di soldi 3 al ponte superiore di Bisagno (cfr. n. 167). 1372. 1225, luglio 1. Legato di soldi 5 (cfr. n. 173). 1373. 1227, dicembre 7. Legato di soldi 5 (cfr. n. 183). 1374. 1228, ottobre 14. Legato di denari 6 aU’amministrazione del ponte del Bisagno inferiore (cfr. n. 184). 1375. 1231, dicembre 12. Legato di soldi 10 (cfr. n. 889). 1376. 1233 ... Legato di soldi 10 (cfr. n. 195). 1377. 1237, aprile 25. Legato di soldi 5 all’ospedale di Capo di Ponte (cfr. n. 204). - 365 - ABBREVIAZIONI A.O.G. = Archivio degli Ospedali Civili di Genova. A.S.G. = Archìvio di Stato di Genova. ASLi = Atti della Società Ligure di Storia Patria di Genova. BiB = Biblioteca civica Berio di Genova. Bonvillano = Bonvillano (1198), a cura di J. E. Eierman, H. G. Krueger, R. L. Reynolds, in Notai liguri del secolo XII, vol. Ili, Genova 1939. BSLi = Biblioteca della Società Ligure di Storia Patria di Genova. BSSS = Biblioteca della Società Storica Subalpina. Carteggio = Carteggio di Pileo de Marini arcivescovo di Genova (1400-1429), a cura di D. Puncuh, ASLi, XI (n. s.), fase. I, 1971. Cassinese = Guglielmo Cassinese (1190-1192), a cura di M. W. Hall, H. G. Krueger, R. L.i Reynolds, in Notai liguri del secolo XII, vol. II, Genova 1938. COD = Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura di G. Alberigo, P. Joannou, C. Leonardi, P. Prodi, Friburgo-Roma 1962. C. J. = Corpus luris Civilis, a cura di T. Mommsen, P. Krueger, R. Schoell, Berlino 1884-1895. CJC = Corpus luris Canonici, a cura di E. Friedberg, Lipsia 1879-1881. FNG = G. B. Riciieri, Foliatium Notariorum Genuensium, ms. del sec. XVIII, in BiB. FSI = Ponti per la Storia d’Italia, a cura del R. Istituto Storico Italiano per il Medio Evo. G. di Giona = Il cartulario di Giovanni di Giona di Portovenere, a cura di G. Falco, G. Pistarino, BSSS, CLXXVII, Torino 1955. G. di Guiberto = Giovanni di Guiberto, a cura di M. W. Hall Cole, H. G. Krueger, R. G. Reinert, R. L. Reynolds, in Notai liguri del secolo XII, vol. V, Genova 1939-1940. H.P.M. = Historiae Patriae Monumenta, vol. XVIII, Leges Genuenses, Torino 1901; voli. VI, VII, Liber iurium Reipublicae Genuensis, Torino 1854-1857. Lanfranco = Lanfranco (1202-1226), a cura di H. G. Krueger, R. L. Reynolds,in Notai liguri del secolo XII e XIII, vol. VI, Genova 1951-1953. - 367 - L. M. = Liguria Monastica, in « Italia benedettina », vol. II, a cura del Centro Storico Benedettino Italiano, Cesena 1979. Mansi = G. D. Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, Firenze - Venezia 1759-1798. M.G.H. = Monumenta Germaniae Historica, a cura di G. H. Pertz, ecc. (SS = Scriptores-, L = Leges; D = Diplomata; E = Epistolae-, A = Antiquitates), Hannover - Berlino 1826, sgg. Migne = J. P. Migne, Patrologiae cursus completus - Series latina, Parigi 1844-1855. Moroni = G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro ai nostri giorni, Venezia 1840-1879. Novi = Documenti genovesi di Novi e Valle Scrivia, a cura di A. Ferretto, BSSS, LI-LII, Pinerolo 1909-1910. Perasso = N. Perasso, Chiese e opere pie di Genova, ms. del sec. XVIII, in A.S.G., nn. 835-846. Poch = B. Poch, Miscellanee di storie liguri, ms. del sec. XVIII, in BiB. I EUR = Atti del I Congr. europeo di storia ospitaliera, Bologna 1962. I NAZ = Atti del I Congr. Naz. Italiano di storia ospitaliera, Reggio Emilia 1663. Privilegiorum = Liber privilegiorum ecclesiae lanuensis, a cura di D. Pun-cuh, in « Fonti e Studi di Storia Ecclesiastica », Genova 1962. RIS = Rerum Italicarum Scriptores, n. e., Bologna 1900 e sgg. Salmone — Liber magistri Salmonis sacri palatii notarii, 1222-1226, a cura di A. Ferretto, ASLi, XXXVI, 1906. G. Scriba = Il cartolare di Giovanni Scriba, a cura di M. Chiaudano, M. Moresco, Torino 1935. O. Scriba de Mercato = Oberto Scriba de Mercato, 1186, a cura di M. Chiaudano, in Notai liguri del secolo XII, vol. IV, Genova 1940; Oberto Scriba de Mercato, 1190, a cura di M. Chiaudano, R. Marozzo Della Rocca, in Notai liguri del secolo XII, vol. I, Genova 1938. Suppliche = Suppliche di Martino V relative alla Liguria, I, Diocesi di Genova, a cura di B. Nogara, D. Puncuh, A. Roncallo, ASLi, XIII (n. s.), 1973. Vigne = G. Airaldi, Le carte di S: Maria delle Vigne, Genova 1969. INDICE I - L’Ospedalità Medievale........p. 5 I fondatori........8 Fondazioni religiose........» 9 Fondazioni dipendenti da ordini ospedalieri . . » 16 Fondazioni laiche.........» 22 Gli aspetti giuridici dell’ospedalità medievale.....» 29 La gestione degli ospedali e l’erogazione dell’assistenza . . . » 36 Gli edifici...........» 36 Il personale..........» 39 I ricoverati..........» 44 Le cure...........» 46 I proventi..................» 48 I privilegi...........» 50 Gli statuti..........» 52 Gli abusi...........» 53 La fine dell’ospedalità medievale........» 55 II - Gli Ospedali di Genova Medievale.....p. 57 1. L’ospedale di Capo di Faro........» 64 2. L’ospedale di S. Lazzaro........» 72 3. L’ospedale di S. Cristoforo.......» 100 4. L’ospedale di S. Benedetto e l’ospedale dei Sacco . . . » 103 5. L’ospedale di S. Tommaso........» 112 6. L’ospedale di S. Giovanni........» 116 7. L’ospedale dello Scalo.........» 139 — 369 — 8. L’ospedale di S. Antonio di Prè.......p. 149 9. L’ospedale di S. Francesco........» 169 10. L’ospedale di suor Verdina - L’ospedale delle Vigne . . » 172 11. La cadè della Maddalena.........» 177 12. L’ospedale dello Spirito Santo.......» 183 13. L’ospedale di S. Maria del Carmine......» 184 14. L’ospedale di S. Erasmo........» 188 15. L’ospedale di S. Maria di Castello......» 191 16. L’ospedale di S. Gerolamo........» 200 17. L’ospedale dei SS. Crispino e Crispiniano.....» 205 18. L’ospedale di S. Desiderio........» 209 19. L’ospedale di Porta Soprana.......» 214 20. L’ospedale dei « Foresti »........» 216 21. L’ospedale di S. Stefano........» 224 22. L’ospedale di S. Pellegrino........» 242 23. L’ospedale di Misericordia........» 244 24. L’ospedale di S. Giacomo di Morcento.....» 246 25. L’ospedale delle Repentite - L’ospedale delle suore di Misericordia ............» 248 26. L’ospedale di S. Lorenzo........» 250 27. L’ospedale di S. Spirito........» 262 28. L’ospedale di S. Maria dei Crociferi......» 266 29. L’ospedale di S. Fruttuoso .......» 272 III - Appendice...........p. 279 Da Capo di Faro al Bisagno.........» 281 Ospedali minori............» 289 Ospedale di Capo di Faro.........» 289 Ospedale di S. Lazzaro.........» 290 Ospedale di S. Cristoforo.........» 305 Ospedale di S. Benedetto.........» 306 Ospedale di S. Tommaso.........» 307 - 370 - Ospedale di S. Giovanni..........p- 308 Ospedale dello Scalo..........»325 Ospedale di S. Antonio...........» 327 Cadè di Casteletto (gli ospedali di suor Verdina, delle Vigne, della Maddalena, di S. Francesco e dei ciechi) .... » 334 Ospedale di S. Maria del Carmine.......» 337 Ospedale di S. Erasmo.........» 337 Ospedale di S. Maria di Castello.......» 338 Ospedale di S. Gerolamo.........» 342 Ospedale dei SS. Crispino e Crispiniano......» 342 Ospedale di S. Desiderio.........» 342 Ospedale di Porta Soprana.........» 343 Ospedale dei Foresti..........» 343 Ospedale di S. Stefano.........» 343 Ospedale di S. Pellegrino.........» 353 Ospedale di Misericordia.........» 353 Ospedale di Morcento..........» 353 Ospedale delle Repentite....... • » 354 Ospedale di S. Lorenzo.........» 354 Ospedale di S. Spirito.........» 360 Ospedale dei Crociferi di Bisagno.......» 360 Ospedale di S. Fruttuoso..... ...» 364 Abbreviazioni......... . » 367 €ìti Associala all'USPI fi Unione Stampa Periodica Italiana Direttore responsabile: Dino Puncuh, Presidente della Società Autorizzazione del Tribunale di Genova N. 610 in data 19 Luglio 1963 Tipolitografia Ferraris - Alessandria - 371 - t SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA FONDATA NF.L 1858 16145 Genova - Via Albaro, 11 C. c. postale 14744163 VOLUMI DISPONIBILI Prezzi valevoli per il 1981 -82 presso la Sede della Società Soci e Librerie: sconto 30°/0 ATTI I, 3 - A. Olivieri, Serie dei Consoli della Rep. di Genova (1860; pp. 470) . . . L. 20.000 I, 4 - Rendiconto dei lavori fatti dalla Società negli anni 1858-61 .....» 2.500 II, parte II, 1, 2 - L. T. Belgrano, Registro d. Curia Arciv., e Indice cronol. (1862; pp. 550)..............» 40.000 VII, I, 3; II, 2 - A. Vigna, Codice diplom. delle Colonie Tauro-Liguri... Due Voli. inseparabili.................» 60.000 XIII, 4 - A. Cerotti, Gabriele Saivago, patrizio genovese (1880; pp. 205) . . . . » 50.000 XVI, Appendice - Indice analitico voli. I-XVI (1885)........» 1.500 XX, 2 - A. Vigna, Farmacia, biblioteca e archivio di S. M. di Castello (1896; pp. 320) » 25.000 XXV, 2 - M. Rosi, Il Barro di P. Foglietta; A. Neri, Una poesia storica (1894; pp. 380).................» 40.000 XLII - F. L. Mannucci, Vita e opere di Agostino Mascardi (1908; pp. 538) . . » 40.000 XLV - F. Poggi, Lettere di Carlo Ottone (1913; pp. 296) .......» 20.000 XLVI, 1 - F. Poggi, Relazioni, Catalogo Mostra Colonie genov. (1918; pp. 254) . . » 20.000 XLVI, 2 - E. Marengo, Alfonso II del Carretto e la Rep. di Genova (1915; pp. 188) » 20.000 XLIX, 1 - F. Poggi, Necrologie (1919 e 1922; pp. 320)........» 20.000 L - F. Poggi, Lettere di Carlo Ottone... (1922; pp. 344).......» 40.000 LIV, 1 - L. Volpicella, La questione di Pietrasanta (1926; pp. 184) . . . . » 15.000 LIV, 3 - F. Poggi, Le guerre civili di Genova (1930; pp. 176)......» 20.000 LVI - E. Skrzinska, Iscriz. genov. in Crimea; E. Rossi, Lapidi genov. di Galata (1928; pp. 220 e molte tav.)............» 10.000 LVII - F. Poggi, La Società Ligure di St. P. dal 1917 al 1929 (1930; pp. 340) . . » 15.000 LVIII - P. Nurra, Memorie per la st. di Genova, di Gir. Serra (1930; pp. 246) . . » 10.000 LX, 1 - R. Piattoli, Lettere di Pietro Benintendi, mercante del ’300 (1932; pp. 176) » 10.000 LX, 2 - G. Pappaianni, Massa e il suo Archivio di Stato (1934; pp. 112) . . . » 20.000 LXI - Miscellanea storica (V. Vitale, G. Salvi, O. PXstine (1933; pp. 456) . . » 30.000 LXII - P. Nurra, La coalizione europea contro la Rep. di Genova (1933; pp. 296) » 30.000 LXIII - V. Vitale, Consoli e Diplomatici della Rep. di G. (1934; pp. 356) . . » 35.000 LXIV - Miscellanea storica (Scritti di C. Bruzzo, C. Jona, A. Canepa, R. Lopez. R. Di Tucci, E. Pandiani, V. Vitale, R. Ciasca (1935; pp. 640) ...» 30.000 LXV e LXVIII, 2 - V. Vitale, Docc. sul Castello di Bonifacio (1936 e 1940; pp. 416 + 40)................» 20.000 LXVI - G. Salvi, Galeotto del Carretto March, di Finale (1937; pp. 340) ...» 20.000 LXVII - Miscellanea storica (Scritti di O. Pàstine, C. Bruzzo, S. Rebaudi, A. Riggio) (1938; pp. 352).............» 20.000 LXVIII, 1 - D. Cambiaso, Sinodi genovesi antichi (1939; pp. 96).....» 10.000 LXIX - E. Dalleggio DAlessio, Le pietre sepolcrali dell Arab Giamì (1942; pp. 172 e molte illustrazioni)..............» 10.000 LXX - L. Tria, La schiavitù in Liguria (1947; pp. 272)........» 20.000 LXXI - Monografie (Scritti di V. Vitale, A. Riggio, R. Di Tucci, D. Cambiaso, P. Revelli) (1948; pp. 156).............» 8.000 LXXII, 1 - V. Vitale, Vita e commercio nei Notai genovesi (1949; pp. 104) . . . » 10.000 LXXII, 2 - G. Costamagna, Note tachigrafiche... (1950; pp. 24 e 2 taw.) ...» 2.000 LXXII, 3 - G. Oreste, Genova e A. Doria nel conflitto franco-asburgico (1950; pp. 72)..................» 8.000 LXXIII - 0. Pàstine, Genova e l’impero Ottomano (1952; pp. 188) . . . . » 8.000 LXXIV, 1 - V. Vitale, Testimonianze di A. Virgilio e R. S. Lopez; Bibliografia critica di T. 0. De Negri (1957; pp. 76).........» 3.000 LXXIV, 2 - Indice alfabetico per autori dei volumi I - LXXIV degli Atti (1970; pp. 20) » 1.000 NUOVA SERIE I - P. Lisciandrelli, Trattati e negoziazioni politiche della Repubblica di Genova: 958-1797, 1960 . L. 15.000 II, 1 - G. Pistarino, Libri e cultura nella Cattedrale di Genova tra Medioevo e Rinascimento, 1961............» 10.000 II, 2 - Miscellaneo (G. Pistarino, Questioni dì toponomastica: La Spezia - D. Puncuh, I più antichi statuti del Capitolo di San Lorenzo di Genova -A. M. Boldorini, Santa Croce di Sarzano e i mercanti lucchesi a Genova (secc. XIII-XIV) - G. Balbi, Uomini d’arme e di cultura nel Quattrocento genovese: Biagio Assereto - G. Oreste, Urta narrazione inedita della battaglia di Lepanto), 1962 ............» 15.000 III, 1 - Miscellaneo (Atti sociali - Albo sociale - G. Costamagna, La scomparsa della tachigrafia notarile nell’avvento della imbreviatura - G. Pezzi, Codici dei secoli XII-XTV nelle biblioteche genovesi - A. M. Boldortni, Guglielmo Boc-canegra, Carlo d’Angiò e i Conti di Ventimiglia, 1257-1262), 1963 . • • » 15.000 III, 2 - Miscellaneo (Atti sociali - L. Balestrerà Federico Ricci - F. Borlandi La formazione culturale del mercante genovese nel Medioevo - A. Zaccaro, I Balbi a Genova nel secolo XIII - G. Pezzi, Tre codici genovesi del secolo XIV - S. Mangtante, Un consiglio di guerra dei genovesi a Cipro nel 1383 -G.G. Musso, Per la storia del declino dell’impero genovese nel Levante nel secolo XV - D. Presotto, Aspetti dell’economìa ligure nell’età napoleonica: le manifatture tessili - N. Nada, L’esperienza genovese di Cesare Balbo; Lettere inedite a Santorre di Santarosa - Notiziario bibliografico), 1963 . . • » 15.000 IV, 1 - Mostra storica del notariato medievale ligure (G. Cencetti, Il notaio me- dievale italiano - F. Borlandi, La Mostra storica - Catalogo della Mostra a cura di G. Costamagna e D. Puncuh), 1964 .......» 25.000 IV, 2 - Miscellaneo (Atti sociali - Albo sociale - G. G. Musso, Note d’archivio sul Banco di San Giorgio - G. Felloni, Popolazione e case a Genova nel 1531-35 - E. Grendi, Un mestiere di città alle soglie dell’età industriale. Il facchinaggio genovese tra il 1815 e il 1850 - Congressi - Notiziario bibliografico - Necrologi), 1964 ..............» 15.000 V, 1 - Miscellaneo (D. Puncuh, Note di diplomatica giudiziaria savonese - G. Fiaschini, Le pergamene dell’Archivio comunale di Sarzana ■ P. Villa, Docu-menti sugli ebrei a Chio nel 1394 - E. A. Zachariadou, Ertogrul Bey il sovrano di Teologo (Efeso) - D. Presotto, Aspetti dell’economia ligure nell’età napoleonica: cartiere e concerie), 1965 ........» 15.000 V, 2 - Miscellaneo (Atti sociali - Albo sociale - D. Puncuh, Un codice borgognone del secolo XV: il « Curzio Rufo » della Biblioteca Universitaria di Genova -E. Grendt, Morfologia e dinamismo della vita associativa urbana: le confraternite a Genova fra i secoli XVI e XVII - D. Presotto, Genova 1656-57. Cronache di una pestilenza - Congressi - Indice dei periodici della biblioteca della Società Ligure di Storia Patria - Notiziario bibliografico) 1965 . . . » 15.000 VI - Albo sociale - D. Gioffrè, Il debito pubblico genovese. Inventario delle compere anteriori a San Giorgio o non consolidate nel Banco (secc. XIV-XIX) Notiziario bibliografico, 1966 ...........Esaurito VII, 1 - Miscellaneo (Albo sociale - In memoria di Ernesto Curotto - Ricordo ligure di Giorgio Falco - G. Pistarino, Ipotesi sui toponimi di Sarezzano - Sarzana -Sarzano - V. Slessarev, I cosiddetti orientali nella Genova del Medioevo - A. Ivaldi, La signoria dei Campofregoso a Sarzana (1421-1484) - D. Presotto, Aspetti dell’economia ligure nell’età napoleonica: i lavori pubblici), 1967 » 10.000 VII, 2 - Francesco Surdich, Genova e Venezia fra Tre e Quattrocento - Orlando Grosso - Notiziario bibliografico, 1968 ........» 10.000 VIII, 1 - Miscellaneo (Albo sociale - Per l’inaugurazione della nuova sede della Società Ligure di Storia Patria: Lettera del Sindaco di Genova; Elenco dei Presidenti e dei Segretari dall’anno di fondazione; Parole del Presidente; Parole dell’Assessore alle Belle Arti, dott. F. M. Boero - D. Puncuh, I centodieci anni della Società Ligure di Storia Patria - E. P., Note sul Palazzo Saluzzo Carrega in Albaro - R. Menduni, L’attività scientifica della Società Ligure di Storia Patria nel primo cinquantennio di vita (7*?58-1908) - G. Pesce, Contributo inedito al Corpus Nummorum della Zecca di Genova - L. Katuskina, Il libro dei contratti del notaio Antonio Bonizi da Verrucola Bosi (1417-1425) - Bruno Mino- letti - Rosetta Doria Bombrini), 1968 .........» 10.000 Vili, 2 - La ceramica ligure nella storia e nell’arte, 1968 .......Esaurito IX, 1 - Miscellaneo (Atti sociali - Albo Sociale - G. Petracco Sicardi, Note linguistiche sui documenti genovesi altomedioevali - D. Gioffré, Note sull’assicurazione e sugli assicuratori genovesi tra Medioevo ed Età Moderna - G. Forcheri, Il ritorno allo stato di polizia dopo la Costituzione del 1576 - D. Presotto, Da Genova alle Indie alla metà del Seicento. Un singolare contratto di arruolamento marittimo - A. Brocca, Il procedimento criminale ordinario a Genova nel XVIII secolo - G. Costamagna, Un progetto di riordinamento del-l'Archivio Segreto negli ultimi decenni di indipendenza della Repubblica. Una priorità genovese? - Giuliano Balestrieri - Arturo Dellepiane), 1969 IX, 2 - Miscellaneo (C. Trasselli, Genovesi in Sicilia - Secondo convegno del Centro Ligure per la storia della ceramica: Albisola 31 maggio-2 giugno 1969; G. Farris, Discorso inaugurale - G. Farris-V. A. Ferrarese, Contributo alla conoscenza della tipologia e della stilistica della maiolica ligure del XVI secolo -G. Pesce, I vasi da farmacia del secolo XVI nei reperti di scavo di Genova e Savona - L. Panelli, Piastrelle del secolo XVI di fabbricazione genovese - A. Cameirana, Contributo per una topografia delle antiche fornaci ceramiche savonesi - T. Mannoni, Gli scarti di fornace e la cava del XVI secolo in via S. Vincenzo a Genova. Dati geologici ed archeologici. Analisi di materiali -G. Farris-V. A. Ferrarese, Metodi di produzione della ceramica in Liguria nel XVI secolo - F. Aguzzi, Bacini architettonici a Pavia - Note d’archivio -Rassegna - Congressi - Notiziario bibliografico), 1969 ....... X, 1 - P. Massa, L'arte genovese della seta nella normativa del XV e del XVI secolo (1970; pp. 308) ................ X, 2 - Indici decennali della Nuova Serie, 1960-1970 (1970; pp. 268) .... XI, 1 - Carteggio di Pileo de Marini, arcivescovo di Genova (1400-1429), a cura di Dino Puncuh (1971; pp. 308)............ XI, 2 - Miscellaneo (T. 0. De Negri, Umanità di Alfredo Schiaffini « Genovese » - P. Massa, Alcune lettere mercantili toscane da colonie genovesi alla fine del '300 - P. Massa, Studi in memoria di R. L. Reynolds - Il premio internazionale Galileo Galilei a Charles Verlinden - Necrologio - Notiziario bibliografico), 1971................... XII, 1 - Miscellaneo (Albo sociale - D. Cambiaso, I vicari generali degli arcivescovi di Genova - M. C. Lamberti, Mercanti tedeschi a Genova nel XVII secolo: l’attività della compagnia Raynolt negli anni 1619-20 - R. Piattoli, Un documento lucchese concernente Lamba Doria - L. Alfonso, La fondazione della « Casa della Missione » di Fassolo in Genova - G. Pesce, Schede numismatiche Desimoni - G. Pesce, IV Congresso internazionale della ceramica. Albi-sola - L. Balestreri, Il XLVI Congresso nazionale dell’istituto per la storia del Risorgimento - F. B., A cinquantanni dalla Conferenza di Genova. Il Convegno italo-sovietico), 1972 ............. XII, 2 - Miscellaneo (M. Quaini, Per la storia del paesaggio agrario in Liguria - G. Forcheri, Aspetti della giustizia genovese alla fine del '500. La questione del braccio regio ■ G. Moore, La spedizione dei fratelli Vivaldi e nuovi documenti d’archivio - A. Agosto, Gli elenchi originari dei prigionieri della battaglia di Ponza - M. C. Lamberti, Mercanti tedeschi a Genova nel XVII secolo. Nota aggiuntiva - L. Alfonso, Aspetti della personalità del Card. Stefano Durazzo, arcivescovo di Genova (1635-1664) - G. Pesce, Schede numismatiche Desi-moni - Necrologi - Notiziario bibliografico), 1972 ....... XIII - Suppliche di Martino V relative alla Liguria. I. Diocesi di Genova, a cura di B. Nogara-D. Puncuh-A. Roncallo, 1973 ......... XIVXV - G. Caro, Genova e la supremazia sul Mediterraneo (1257-1311), 1974-1975 XVI - Fontes Ligurum et Liguriae antiquae, 1976 ......... XVII, 1 - V. Polonio, L’Amministrazione della res publica genovese fra Tre e Quattrocento. L’Archivio « Antico Comune », 1977 ....... XVII, 2 - Miscellaneo (Albo sociale - Atti sociali - Statuto della Società Ligure di Storia Patria - L. Santi Amantini, Sulla demografia di alcune città della IX regio (Liguria) - B.Z. Kedar, Chi era Andrea Franco? - Suppliche di Martino V relative alla Liguria, a cura di D Puncuh - A. Agosto, Due lettere inedite sugli eventi di Cembalo e di Sorcati in Crimea ne 1434 - A.R. Natale, Un recupero archivistico (1782-94) proveniente dalla cancelleria del conte Carlo di Firmian - I manoscritti della Società Ligure di Storia Patria, a cura di V. De Angelis - M.S. Jacopino Carbone, Gli inventari degli archivi degli enti pubblici - L. Saginati, L’Archivio storico del Comune di Genova: fondi archivistici e manoscritti - Necrologi - Notiziario bibliografico), 1977 ........ L. 10.000 » 15.000 » 15.000 » 10.000 » 15.000 » 10.000 » 10.000 » 20.000 » 15.000 » 25.000 Esaurito » 15.000 » 20.000 XVIII, 1 e 2 - M. Balard, La Romanie génoise, 1978 ....... XIX 1 - Miscellaneo (M. G. Angeli Bertinelli, Soldati lunensi nell’esercito romano -M. Giaccherò, Gli antichi Liguri accusati di uccidere i vecchi', urierrata testimonianza - E. Salomone Gaggero, I Liguri nei frammenti di Artemidoro di Efeso - C. Molina, Corti, curie e gastaldi nel dominio del vescovo di Luni - E. Grendi, Andrea Doria, uomo del Rinascimento - O. Baffico, Contributo allo studio dei costi di trasporto: i noli della seta dal Mezzogiorno a Genova nel secolo XVI -P. Massa, La liquidazione della « volta da seta » di Bartolomeo di San Michele: aspetti tecnici ed economici - G. B. Varnier, Sinodi diocesani bobbiesi del XVII secolo - L. Saginati, Aspetti di vita religiosa nelle campagne liguri-, le relazioni al^ magistrato delle chiese rurali - A. Agosto, La questione del Balilla alla luce di nuovi documenti - A. F. Ivaldi, Divagazioni sui Durazzo mecenati di « prestigio » -D. Puncuh, L’archivio Durazzo-Giustiniani di Genova - IV centenario dalla nascila di Fortunio Liceti - 2° Convengo internaz. di studi americanistici - Convegno « Vili centenario della urbanizzazione di Chiavari » - Necrologie - Notiziario bibliografico, 1979 .............. XIX, 2 - Documenti della Maona di Chio (secc. XIV-XVI), a cura di A. Rovere, 1979 XX, 1 - G. Lunardi, Le monete delle coione genovesi, 1980 (ristampa anastatica 1981) XX, 2 - Miscellaneo: Albo Sociale - Atti sociali - Libri e cultura nella civiltà occidentale (testi o sunti di un ciclo di 15 conferenze di F. Sisinni, G. Cavallo, A. Petrucci, G. Petti Balbi, G. Puccioni, Mirella Ferrari, A. Derolez, L. Marchini, D. Puncuh, J. Ruysschaert, G. Croll, R. Savelli, G. Tarditi, A. Hobson) - C. Di Fabio, Per la datazione della chiesa di S. Agostino della Cella a Sampierdarena - G. PETTr Balbi, Apprendisti e artigiani in Liguria nel 1257 - L. Magnani, Mostre di carattere storico aristico in Liguria: un biliancio degli ultimi anni - Necrologie, 1980 XXI, 1 - C. Marchesani-G. Sperati, Ospedali genovesi nel Medioevo, 1981 (in corso di stampa)................. XXI, 2 - Miscellaneo 1981 (di prossima pubblicazione) SERIE DEL RISORGIMENTO III - A. Codignola, I Fratelli Ruffini, Lettere alla Madre (vol. II, pp. CXXIX-333) IV - E. Guglielmino, Genova dal 1814 al 1849 (1940; pp. 272)..... V - N. Calvini, Il P. Martino Natali giansenista ligure (1950; pp. 180) . NOTAI LIGURI DEI SECOLI XII E XIII M. Moresco e G. P. Bognetti, Per l’edizione dei Notai liguri... (1938; pp. VIII-144) I j Chiaudano-Morozzo, Oberto Scriba de Mercato 1190 (1938; pp. XlI-324) II - Hall-Krueger-Reynolds, Guglielmo Cassinese (1938; pp. XX-436, 396) III - Eierman-Krueger-Reynolds, Bonvillano (1939; pp. XII-160) IV - Chiaudano, Oberto Scriba de Mercato 1186 (1940; pp. VIII-160) V - Hall-Krueger-Reinert-Reynolds, Giovanni di Guiberto (1939-1940; pp. XVI- -544, 624) Introduz. e primi 5 voli, non si vendono separatamente...... VI - Krueger-Reynolds, Lanfranco (1951-53; pp. XVI-404, 368, 104) . . . • VII - G. Pistarino, Le carte portoveneresi di Tealdo de Sigestro (1958; pp. 129) Vili - G. Costamagna, La triplice redazione dell’instrumentum genov. (1961; pp. 79) IX - D. Puncuh, Il cartulario del notaio Martino, Savona, 1203-1206 (1974; pp. 532) FUORI COLLEZIONE O. Grosso - G. Pessagno, Il Palazzo del Comune, 1933, pp. 156, 20 tavv. . A. Codignola, Mazzini alla ricerca di una fede ed il dramma dei Ruffini Scritti editi e inediti di G. Mameli a cura di A. G. Barrili, Genova 1902, pp. 527 V. Vitale, L’insurrezione genovese del 1746 nella recente storiografia (1946, Ist. per la storia di Genova, pp. 47)........... V. Vitale, I dispacci dei diplomatici genovesi a Parigi (1787-93), estratto da Miscellanea di storia italiana, LV, Torino, 1935, pp. 680 ....... C. Imperiale di Sant’Angelo, Genova e le sue relazioni con Federico II di Svevia, Venezia, 1923, pp. 211.............. » 65.000 » 25.000 » 30.000 » 25.000 » 20.000 » 25.000 L. 5.000 » 5.000 » 5.000 . 120.000 » 40.000 » 10.000 » 10.000 » 25.000 L. 25.000 » 2.000 » 2.500 » 2.000 15.000 » 5.000 Il presente listino annulla tutti i precedenti.