ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA NUOVA SERIE III (LXXVII) FASC. II GENOVA - MCMLXIII NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA PALAZZO TURSI Come, sulla base della più approfondita delle conoscenze, Egli sentisse il fascino della storia ligure dei secoli trascorsi, e ne apprezzasse, quale elemento di interesse anche attuale, i valori tradizionali che essa esprime, solo è in grado di dire chi ebbe il privilegio di potergli essere accanto, accolto nella selezionatissima cerchia dei Suoi amici più cari. Federico Ricci lo si comprende soprattutto se ci si riesce a rendere conto di questo senso della genovesità, radicato e profondo, essenza della Sua personalità e al tempo stesso — ci si permetta quasi la Sua religione. Sotto questo aspetto Egli ci appare non dissimile da quegli uomini, tenaci e volitivi, che, nel lungo volgere dei secoli passati, costruirono le fortune dell’antica Repubblica di San Giorgio dei periodi suoi di massimo fulgore. Di antica famiglia genovese Egli era del resto — nella nostra città essendo nato il 20 dicembre 1876 da Francesco e da Dina Berretta — sicché le virtù delle lontane generazioni liguri — non senza tuttavia i correlativi difetti che la nostra gente è la prima a riconoscersi si potevano dire in Lui veramente discese « per li rami ». C era nella Sua persona e nel Suo modo di agire un qualche cosa che insieme ricordava il calcolato ardire degli antichi mercanti nostri, la schietta irruenza — mai peraltro degradata da intemperanze di un Bixio, e lo studiato lungimirante programmare di un Ru-battino. Proprio per questo Egli resta — e resterà — come una delle figure più tipicamente quanto nobilmente rappresentative della Genova di questo secolo. E il Pantheon di Staglieno — a perenne testimonianza dell'ammirazione dei Suoi concittadini dovrà in un tempo non lontano raccoglierne devotamente le spoglie. Formatosi in un ambiente famigliare, tradizionalista per la fedeltà agli usi genovesi, ma modernamente aperto per la convinta sua adesione ad avanzati principi di democrazia repubblicana, Federico Ricci, se si era specializzato sino al dottorato universitario negli studi matematici, non aveva per questo trascurato di approfondirsi nei vari campi della cultura umanistica. I Suoi scritti e i Suoi discorsi con la loro strutturazione, più ancora che attraverso le molteplici citazioni di prima mano, attestano della Sua padronanza delle lingue classiche, non meno che della Sua vasta conoscenza della letteratura italiana. E chi ha avuto modo di essere con Lui in dimestichezza, condividendo il piacere di amicali con- — 206 — \eisan, non pUò non ricordare — con ammirazione, ma, forse, anche con un certo non ancora sopito stupore — quanto Egli fosse versato nella storia religiosa. Le Sue esigenze professionali — quale titolare della più impoi [ante azienda italiana di importazione di carboni — indirizza- d°ii° tUttaV*a *n Partic°lare l’interesse di Federico Ricci al campo t discipline economiche e finanziarie connesse ai problemi dei tra ci, delle quali fu, per almeno cinquantanni, uno dei cultori m8W°i ^lievo ed autorità, e non soltanto limitatamente all am-ienle italiano. La Sua « Rassegna Carboni », pubblicatasi trime-stialmente a cominciare dal 1916, ed interamente da Lui redatta, costituì pei la mole degli accuratissimi dati statistici in essa rac- e per i sintetici commenti — precisi e chiarificatori — che la i dati accompagnavano, uno dei testi documentari in materia, ai quali con maggior sicurezza si poteva far riferimento. Luigi inauc i . e ognuno sa quanto egli fosse difficile — ne era uno ei lettori più assidui. Ma, a proposito di questo interessante periodico, una cosa è da sottolineare, che pochi conoscono e che meglio di ogni altra foise vale a definire il carattere del suo direttore. Quanto la rivista fiuttava veniva interamente versato all’istituto dei Ciechi « Davide Chiossone », un’istituzione alla quale il senatore Ricci guardò sempre con particolare simpatia, come anche è dimostrato dal fatto di averla voluta ricordare nelle Sue disposizioni testamentarie, ad essa devolvendo un lascito di otto milioni. Così lo spirito di intraprendenza commerciale si apparentava in Federico Ricci, in armonico equilibrio, alla superiore capacità di rispondere alle esigenze più impegnative della cultura, e al- 1 aperto accoglimento degli imperativi di un operante solidarietà umana. Ma soprattutto questo grande figlio di Genova va forse visto nel riflesso del Suo inflessibile carattere e della Sua tenace volontà. Solo la forza del Suo animo gli permise di superare le difficoltà fisiche e psicologiche conseguenti ai non cancellabili strascichi di una grave malattia sofferta negli anni giovanili. Assiduo delle nostre spiaggie, fu solito, sino in età avanzatissima, a fare i bagni di mare in ogni stagione dell’anno, qualunque fosse lo stato del tempo ; e molti lo ricordano partecipante all'annuale cimento in- — 207 — vernale a San Giuliano, non poche volte in giornate proibitive che vedevano diradarsi al massimo anche le schiere dei più giovani. Federico Ricci rappresentava, anche in questo, un autentico trionfo di una eccezionale capacità di autodisciplina, portata sino ai limiti di un rigore che non sarebbe di troppo definire spartano. Per questo dire di Lui è ripetere di un esempio di forza morale e di lineare coerenza, per il quale non molti certamente risultano i termini di paragone. Nel volgere della Sua lunga esistenza Egli si comportò sempre in maniera che si potrebbe dire appositamente coniato per Lui il verso dantesco « non volse collo, nè piegò sua costa ». Tale Sua fedeltà ai propri principi, e tale forza di caratleie Egli ebbe ampiamente a dimostrare nel corso della Sua partecipazione alla vita pubblica attiva, in periodi tra i più difficili. La Sua politica — incentrata sempre, come su una premessa irrinunciabile, nel principio di libertà — era la politica di un costruttore, accorto ma altrettanto deciso. Lo studio approfondito e la capacità, sulla meditata base dei dati di fatto acquisiti, di saper guardare lontano nel futuro, nella stessa maniera con la quale costituirono il fondamento delle Sue fortune nel campo pio fessionale, rappresentarono altresì gli elementi essenziali dei Suoi successi come amministratore della cosa pubblica. Alla vita amministrativa cominciò a dedicarsi molto presto, ritenendo Egli un dovere al quale non sottrarsi il mettere a servizio della collettività le Sue capacità e la Sua preparazione. Guida al Suo agire era il senso della giustizia, sì vivo e prò fondo da sembrare qualche cosa di connaturato al più intimo del Suo essere. Certi Suoi atteggiamenti e certe Sue prese di posizione sono divenute proverbiali. Egli era infatti capace di pretendere —-è la parola — di essere sottoposto ad una tassazione maggiore di quella impostagli, dichiarando essere il Suo reddito superiore a quello accertato dai competenti uffici ; ma nella stessa maniera, in forza dei medesimi principi, stimava doveroso bollare con parole di fuoco la disorganicità, le incongruenze e i sistemi sovente vessatori sui quali si impernia il regime tributario italiano. Il concetto che Federico Ricci aveva delle cariche pubbliche era — si può dire — altrettanto personale: Egli non concepiva che dal rendere un servizio alla collettività potesse derivare un qual* — 208 — . a°°*0 d ordine materiale a favore di chi il servizio stesso a o a compiere: la ricompensa non poteva consistere se sulla b Una SOt^s^az^one ^ superiore ordine morale. E proprio il r'fi 7 ^ cIuest^ principi Egli ritenne Suo dovere — sempre — fogse 6 °&ni forma di compenso — diretta o indiretta che zione ^ incarichi affidatigli dalla Pubblica Amministra- colare ^ ^llan^° tIuesti avessero comportato un impegno parti-richiesto per il loro adempimento un lungo periodo di p Prima elezione di Federico Ricci a consigliere comunale Sua °Va aVVenne ne^ 1^10, e di non molto tempo appresso fu la biic• S*unzione alla carica di Assessore supplente ai Lavori Pub-rpur . C 16 *enne per circa un anno. L’aula consiliare di Palazzo tornò poi ad accoglierlo dopo il favorevole esito delle suc-ve c°nsultazioni del 1914 e del 1920, nella quale ultima si eh lstaccato di soli poco più che settecento voti dal capolista era risultato il senatore Paolo Emilio Bensa, il non dimenti- biande maestro del diritto. Sulla base dell’affermazione con-^ g ita non meno che in considerazione delle Sue già provate doti amministratore dinamico e moderno, il Consiglio Comunale, con arghissima maggioranza di suffragi, lo innalzava, il 27 novembre I990 11 6 ’ 1 na suprema magistratura cittadina. Nella pienezza allora della Sua maturità, arricchito di recenti esperienze fatte nel corso di una missione negli Stati Uniti affidatagli dal ministro Dallolio per risolvere fondamentali problemi relativi ai nostri approvvigionamenti, Federico Ricci si appalesò subito un sindaco degno della migliore tradizione amministrativa della città, quella tradizione che in Andrea Podestà già aveva avuto uno tra i suoi esponenti più rappresentativi. Ricci alla testa della Civica Amministrazione significò nel volgere di pochi anni il risanamento del bilancio comunale, e l’attuazione di un primo complesso di grandi opere pubbliche, nonché la progettazione, sulla base di una lucida organica visione delle necessità cittadine anche per il futuro, di altri non meno importanti ed impegnativi lavori. Si può affermare al proposito che buona parte di quelle che in Genova, negli anni del governo fascista, ebbero ad essere definite « opere del regime », non furono se — 209 — 14 non il completamento di piani con lungimirante preveggenza predi sposti dairamministrazione Ricci. Le realizzazioni di Federico Ricci quale Sindaco furono p bili non soltanto per quello che era il deciso indirizzo che g i peva dare ad ogni attività nella quale si cimentasse, ma anc p la larga base elettorale sulla quale la Sua amministrazione pogg 1 una base che oggi si qualificherebbe di « terza forza », essen o formata da liberali, democratici ed ex combattenti. In un tempo si aggiunse poi — autorevole appoggio alla Sua ope la voce di un quotidiano del mattino, da Lui appositament dato, affidandone la direzione ad un altro grande figlio di 1 on. Orazio Raimondo, avvocato principe ed oratore efficacia. La Giunta, che rifletteva le aspirazioni di quelle forze co Bg ntp ad avversare samente progressiste, ma altrettanto tenacemente proni ^ ogni tentativo di avventura estremistica, che avevano por ^ derico Ricci a Palazzo Tursi, era formata di elementi di j0po valore, fusi in un complesso omogeneo, tale mantenutosi anc ,... . • Federico Ricci, talune variazioni verificatesi nella sua compagine, r quale Sindaco, poteva fare affidamento sulla collaborazione ^ quali il prof. Angelo Scribanti, direttore della Scuo P^ d’ingegneria Navale, l’ing. Mario Preve, l’avv. Marce ^ iassilli, il prof. G. B. Ramoino, il dott. Stefano Cattaneo ^ ^ gli avvocati Fabio Dané, Gian Maria Solari, Virgilio Cai altri di non minore statura intellettuale e morale. Fu in questo periodo, tra il 1920 e il 1924, che la tras zione della città in maniera da adeguarla alle esigenze di un ° _ centro moderno venne avviata con ritmo celere. Sono m ^ questo periodo i piani e i lavori per le strade galleria da or r ^ alla Zecca, numerosi lotti di case popolari, il quartiere di Pitta, le arginature del Bisagno, e lo sviluppo edilizio della di Albaro, nonché la municipalizzazione dellAzienda del Gas. ^ ^ Il clima politico della città, assai meno teso che altrove an ^ in virtù, proprio, degli orientamenti e della fattiva opera Civica Amministrazione, permise che a Genova si potesse tran quillamente svolgere nel 1922 una conferenza internazionale per la definizione dei problemi lasciati aperti dopo la conclusione della prima guerra mondiale. mini riore rassini — 210 — rico Ri*31-6 Slnt,aco della citta> in questa storica circostanza Fede- ritoeli enne nominato senatore del Regno. Il laticlavio confe- • • . . Slgniflcò tuttavia per nulla un arretramento delle Sue posizioni in 11 rata con 1 ■ questione istituzionale — da lui conside- novegi _° spint0 tradizionalmente repubblicano dei vecchi Gè- sampnt 6’ tant0 menoì nei confronti del fascismo ormai deci-samente avviato all’integrale conquista del potere. solidaristic' Federico Ricci, ricco qual’era di elementi trovare 1 '* °^3ra Privazione mazziniana, non poteva infatti forme di ment* contatto, reale ed operante, con cristallizzate maniera nservazione politica, economica e sociale, in qualsiasi il senso d'SC ^°teSSero Presentare. Il suo contenuto moralistico, bilità di gIustizia che ne era alla base escludevano ogni possi-l’urto OInPromissione tra di esso e l’integralismo fascista. E ben re 10 ^ ^eder*co Ricci e il partito di Mussolini si delineò camicie inevitabile. Di fronte alla sopraffatrice violenza delle di quest 616 COn^ront* delle leggi e degli uomini che, in nome grande S' le^evano ^ Consorzio Autonomo del Porto, la voce del mune6- SÌ leVÒ C°SÌ’ Ü 4 ag0St0 1922, dal Palazz0 del Co' cjle j. corata ed ammonitrice, ben rendendo con un’incisiva frase, perba ^°ne ^amosa’ 1° stato d’animo dei cittadini della Su- 1 ^cisamente ostili ad ogni slittamento della vita del Paese " Senso antidemocratico. ment- ^enova soffre e non parteggia, nè si abbandona a risenti-citt' ° 3 SUSCett^^'ta proclamò Eg li in quella circostanza. « La lavo a»Slungeva ancora in quei drammatici momenti — vuole g ^ ln Quiete, senza ansia, senza incertezze, senza minacce ». j cP,e?ta per Federico Ricci — come privato cittadino non meno come pubblico amministratore — la sola posizione politica-mente logica e moralmente dignitosa da assumere di fronte alla Pericolosa situazione che andava maturando nel Paese, e da tale Posizione Egli, con l’intransigente rigore che gli era solito, rifiutò P°i sempre di discostarsi. Parteggiare per comando, per imposizione dall’alto, e non già per libera meditata scelta, non era da Lui, come non lo era dei Suoi concittadini educati nel clima della medesima tradizione di libertà. Fu perciò appieno coerente con i Suoi principi e con l’atteggiamento in conformità ad essi assunto 1 inflessibile opposizione — 211 — con la quale, nel 1924, Egli contrastò l’imperativa richiesta avanzatagli della concessione della cittadinanza onorai ia di Genova Capo del Governo. Il « no » pronunciato inizialmente, tale ri ^ sino in fondo, sino alle estreme conseguenze, le dimissioni, , dalla carica di Sindaco. Un gesto di coraggio e di fierezza c , traverso il suo primo cittadino e i quarantadue consiB ier^ ^ compatti ne seguirono l’esempio, onorò Genova tutta. Nessun città d’Italia fece altrettanto; ma nessun altra aveva alla un uomo come Lui, un altro della Sua medesima tempra. Nonostante la posizione assai difficile in cui la coerent rità della Sua condotta l’aveva portato, Federico Ricci non donò neppure allora il campo della lotta. Nell aula de^ anche se ormai pur esso completamente fascistizzato, la u risuonò replicate volte, pacata e serena, ma, quando occ ^ inesorabile nelle conclusioni, significanti inesorabile con una politica negatrice di libertà e impostata in campo eco sulla base di criteri troppo sovente in aperto contrasto con ^ cipì più elementari di una realmente costruttiva finanza pu ^ Sui discorsi del senatore Ricci i giornali, comandati ^ ^ chetta dalle autorità governative, facevano in genere un ^ ^ ^ quasi completo: contro di essi, materiati come erano di cifre, non era di fatto possibile alcuna forma di polemica cap a contestarne in maniera convincente la documentata validità. discorsi nel loro testo originale — pericolosi quali apparivano r uomini del regime — non potevano che circolare semiclandest ^ mente, e solo entro cerehie ristrette di amici fidati. Le reazioni i discorsi e gli atteggiamenti del sen. Ricci provocavano negli am bienti fascisti furono sempre assai aspre, e sovente realmente m nacciose. Il pericolo maggiore corso dall’ex Sindaco di Genova forse allorché, trattandosi di approvare in Senato per acclama zione la nomina di Vittorio Emanuele III e di Mussolini a mare scialli dell Impero, Egli, nonostante le invettive di non pochi dei presenti, continuò a rimanere seduto, in atteggiamento di distacco e di indifferenza. Furono quasi cinquanta i discorsi pronunciati da Federico Ricci alla Camera Alta durante il ventennio fascista, e furono al trettante battaglie. Lo attestano, pur con la loro fredda terminologia, i verbali delle sedute, annotando le frequenti interruzioni, con — 212 — CUI CSSl GTflii a * nenti del ^osamente martellati dagli stessi maggiori espo- De Vecchi d^vTr 3l1013’ ^ C°Stanz° Ciano a Cesare Maria lore Ricci h 3 ’smon- Accresceva la forza dei discorsi del sena- gorosa logica delP 7 ^ ineguagliabile documentazione, e la riessi erano uro ' ^ impostazione’11 tono tranquillo, con il quale nature di unciati, senza per questo tuttavia rinunciare a ve- _ come t l arcasmo gelido e pungente sino a rasentare talvolta della feroc^T n°“ dd.tUtto a torto ha detto — i limiti stessi auandn 1; 101 poi che ad essi venivano dati dall’Autore, mente chia^iT] 3 ftampe’ facevano resto, tanto coraggiosa- dittatura gravante'sul'ple^ rÌSUltaVan°’ 3 rÌnnovata sfìda alla fascisi noTelle To16"1110 ~ aImen°. "n° ^ 1943 ~ 11 regÌmC terreno le<* 1' • 1865 Cntl° 1 confini del territorio nazionale, sul eiosampni° ì- i^0’ Un avversai'i° altrettanto apertamente e corag-pericoloso in^mTT0 ^ FedenC° Ricci’ un avversario tanto più pendo E 1' T DOn 81 P°teVa contestame l’obbiettività, salente atf ] 1]C lei C°n ÌmpertUrbabÌle serenità, prendere onesta-i ffovprn. j-6 C°Se meritev°li di un qualche apprezzamento che Siffa".1 I'1 all0ia f0SSei° per avventl,ra riusciti a realizzare, difesa d lnearÇ coerenza, e la coraggiosa ininterrotta opera di ■ Principi democratici da Lui condotta anche quando il opposi10 Sem laVa 0rmai aver virtualmente soffocato ogni voce di razion I SU° piepoteie’ riaprirono a Federico Ricci, a libe-: . . . aese avyenuta, la via ai più delicati ed impegnativi GabinettoPpbblÌCÌ' ^ ^ C0SÌ’ 1945, ministro del Tesoro nel j a , ° ai11’ d primo che, a guerra conclusa, veramente fosse j f. . ' interpretare le aspirazioni di giustizia e di libertà degli °po tanti anni di oppressione e di lotta. La conferma poi .. Uno *,tl ' pochissimi membri dell antica Camera Alta — ’g 1 ebbe da parte della Costituente quale Senatore della Repub-’ si&nificò ìinnovato solenne riconoscimento del significato poetico e del valore morale dell'opera da Lui svolta in momenti tra 1 più cruciali della vita del Paese, a prezzo dei rischi più gravi. Come uomo di governo e come parlamentare, non meno che nella sua veste di presidente, per un certo periodo, dell’Ente distributore del carbone importato, Federico Ricci svolse tra il 1945 e il 1956 un’attività particolarmente intensa e assai proficua ai fini — 213 — della ripresa dell’economia nazionale. Ma la Sua Geno\a era pre sente al Suo pensiero in ogni momento, qualunque fosse 1 incarico che dovesse espletare e la circostanza nella quale dovesse^ g’ . Non si possono così, oggi, leggere senza commozione taluni tra Suoi discorsi al Senato della Repubblica, quali tra Bli a 1 ’ data più recente — quelli del 25 ottobre 1949 e del -0 apri il primo polemicamente intitolato « Genova non può restale^ ^ aeroporto », e l’altro rivendicante per la nostra citta a ^ ^ considerazione da parte degli organi governativi preposti a ^ dazione e all’attuazione dei piani relativi alle grandi op pubblica utilità. . • i j- Feerico Ricci Era per Genova soprattutto che il cuore di palpitava. La stessa collaborazione, diligente ed impegnata s p ry • i • p1 &\i non cesso che — pur nella modesta veste di Consigliere 1946 e il di dare all’amministrazione cittadina nel periodo tra il ^ 1956, sino al compimento, cioè, del suo ottantesimo anno ne è la prova, commovente e ammonitrice al tempo medes ^ Federico Ricci, un grande e devoto figlio di Genova, P ^ sione veramente — e non è retorica — delle più alte capa t ci ricordi. struttive della sua gente. Come tale, soprattutto, Lo - c]ezza storia dirà meglio domani, in più esatta prospettiva, la rra ' della Sua opera e il valore non perituro del Suo insegnarne dignità umana e di civile libertà. Leonida Balestre!» — 214 — I DISCORSI PARLAMENTARI DI FEDERICO RICCI ^ Sui bilanci delle Finanze e dell 'entrata per Vesercizio finanziario -5-26. . Senato del Regno, 5 giugno 1925. Le abitazioni popolari e i sussidi dello Stato. - Senato del Regno, 17 novembre 1926. Osservazioni circa l'istituzione del Podestà nei medi e grandi omuni. . Senato del Regno, 17 maggio 1927. Sul bilancio delle Finanze. - Senato del Regno, 8 giugno 1927. Il traffico marittimo, ferroviario e stradale. - Senato del Regno, 1 giugno 1928. Sul bilancio dell'Economia Nazionale. - Senato del Regno, 17 giugno 1929. Questioni relative al Porto di Genova. - Senato del Regno, 20 giugno 1929. La marina da carico - Il porto di Genova. - Senato del Regno, 22 maggio 1930. Disoccupazione, finanze, tributi. - Senato del Regno, 24 giugno 1930. Critiche al progetto di riforma dei tributi locali. - Senato del Regno, 26 giugno 1930. I bilanci delle società anonime. - Senato del Regno, 19 maggio 1931. Problemi economici del momento presente. - Senato del Regno, 20 maggio 1931. Errori di apprezzamento. - Senato del Regno, 10 e 17 dicembre 1931 (discorsi rispettivamente pronunciati in sede di discussione sulla Cassa di ammortamento e sul rendiconto consuntivo 1929-30). — 21S — Per un giusto trattamento del titolo nominativo. - Senato del Regno, 16 marzo 1932. Le società anonime. - Senato del Regno, 25 marzo 1933. Lavori contro la disoccupazione. - Senato del Regno, -8 marzo 1933. Osservazioni sul bilancio delle Ferrovie e sul movimento rittimo nel 1932-33. - Senato del Regno, 29 maggio 1933. Gli stipendi degli impiegati. - Senato del Regno, maee 1934. Gli accordi con l'Austria circa il porto di Trieste. - Sena Regno, 20 marzo 1935. Le opere pubbliche e la disoccupazione. - Senato del ReB marzo 1935. Sul contingentamento delle importazioni. - Senato del o 1° aprile 1935. Ferrovie di Stato e Marina mercantile. - Senato del Reeno, marzo 1936. Criteri di bilancio e trattamento fiscale della faniigHa-nato del Regno, 22 maggio 1936. Consuntivo 1934-35. - Senato del Regno, 19 dicembre 193 L'allineamento della lira. - Senato del Regno, 22 dicem 1936. Osservazioni sul disegno di legge concernente i sindaci società anonime. - Senato del Regno, 20 marzo 1937. La questione demografica e l'intervento dello Stato. - Sena del Regno, 13 maggio 1937. I commercianti importatori in regime di controllo stala sugli scambi con l'estero. - Senato del Regno, 17 maggio 1937. II traffico marittimo e il porto di Genova. - Senato del Re gno, 18 maggio 1937. Il bilancio preventivo 1937-38 e la svalutazione della lira■ Senato del Regno, 22 maggio 1937. — 216 — Necessità di economie. Osservazioni sul rendiconto del biondo 193o-,,6. - Senato del Regno, 16 dicembre 1937. Pronostici sull andamento del traffico. - Senato del Regno, 2 aprile 1938. Finanza forte. ■ Senato del Regno, 28 maggio 1938. Questioni edilizie. - Senato del Regno, 23 maggio 1939. Colmare il disavanzo. - Senato del Regno, 30 maggio 1939. fortezza e giustizia. - Senato del Regno, 15 maggio 1940. Provvedere in tempo. - Senato del Regno, 17 e 29 aprile 1941 (discorsi rispettivamente sui bilanci deU’Interno e delle Finanze, pronunciati in sede di discussione sui bilanci 1941-42). 2 raffici, prezzi, tributi. - Senato del Regno, 26 e 27 maggio e 3 giugno 1942 (discorsi pronunciati in sede di discussione dei bilanci, rispettivamente delle Comunicazioni, delle Corporazioni e delle Finanze). Osservazioni in materia di protezione antiaerea. - Commissione di Finanza del Senato, 17 dicembre 1942. Prevedere e provvedere. - Senato del Regno, 5, 6, 15 e 20 maggio 1943 (discorsi pronunciati in sede di discussione dei bilanci, ìispettivamente dell Interno, delle Comunicazioni, delle Corporazioni e delle Finanze). Dichiarazioni sulla situazione finanziaria e monetaria del Paese fatte il 28 novembre 1945 dal ministro del Tesoro sen. Federico Ricci ai rappresentanti della stampa italiana ed estera. Questioni concrete. - Consulta Nazionale, 18 gennaio e 23 febbraio 1946 (discorsi rispettivamente sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio e sulle dichiarazioni del Ministro del Tesoro). Osservazioni sul progetto di legge per la Costituente. - Consulta Nazionale, 9 marzo 1946. Per la stabilità del Tetraedro. - Senato della Repubblica. 26 giugno 1948. Chiaroscuri delVE.R.P. - Senato della Repubblica, 28 luglio 1948. — 217 — Unusquiusque faber fortunae suae. - Senato della Repubblica, 26 ottobre 1948. Il Piano Fanfani per la costruzione di case (Osservazioni a fondo perduto). - Senato della Repubblica. 16 dicembre 1948. Iustitia fundamentum reipublicae. (Osservazioni sulla legge sull imposta patrimoniale progressiva). - Senato della Repubblica, 6 aprile 1949. Osservazioni sul bilancio Tesoro e Finanza per l esercizio 1949-50. - Senato della Repubblica, 20 maggio 1949. J igilantibus, non dormientibus. - Senato della Repubblica, 24 giugno 1949. Genova non può restare senza aeroporto. - Senato della Repubblica, 25 ottobre 1949. La questione del trattamento degli statali. - Senato della Repubblica, 14 dicembre 1949. Sulla delega al Governo per la tariffa doganale. - Senato della Repubblica, 16 dicembre 1949. Fuge crudeles terras, fuge litus avarum. - Senato della Repubblica, 7 febbraio 1950. Il Triedro. - Senato della Repubblica, 24 febbraio 1950. L approvvigionamento del carbone. - Senato della Repubblica, 9 marzo 1950. Ferveat opus. - Senato della Repubblica, 20 aprile 1950 (discorso in sede di discussione del bilancio dei Lavori Pubblici). Il Ministero delVenergia. - Senato della Repubblica, 28 giugno 1950. Acta, non verba. - Senato della Repubblica, 18 luglio 1950. Onestà tributaria. - Senato della Repubblica, 26 luglio 1950. Aliquote e accertamenti. - Senato della Repubblica, 20 ottobre 1950 (discutendosi la legge sulla « riforma tributaria »). La fiera delle vanità. - Senato della Repubblica, 10 novembre 1950 (discutendosi il progetto di istituzione dell’Ordine cavalleresco al merito della Repubblica). — 218 — / briganti del Bracco. - Senato della Repubblica, 18 novembre 1950 (interrogazione presentata insieme con i senatori Barbareschi, Bo, Boggiano Pico, Cappa e Pontremoli, e svolta dal sen. Ricci). Accentramento o diffusione della ricchezza. - Senato della Repubblica, 22 dicembre 1950. Il carro avanti ai buoi. - Senato della Repubblica, 1° febbraio 1951. Hic sunt leones. - Senato della Repubblica, 22 febbraio 1951. Censimento, scorte e nostalgie corporative. - Senato della Repubblica, 8 marzo 1951. Lo sganciamento. - Senato della Repubblica, 2 e 14 marzo, e 13 aprile 1951. Il diedro ovvero prognosi riservata. - Senato della Repubblica, 30 maggio 1951. Un augurio al Ministro per il Commercio con Yestero. - Senato della Repubblica, 6 giugno 1951. Emigrare... ma non troppo. - Senato della Repubblica, 4 luglio 1951. Sono proprio i dettagli che contano. - Senato della Repubblica, 6 luglio 1951. Le ragioni di un astensione. - Senato della Repubblica, 4 agosto 1951. Il pubblico deve interessarsi delle cose comunali. - Senato della Repubblica, 26 settembre 1951. Immoralità del gioco ed illusioni economiche relative. - Senato della Repubblica, 25 ottobre 1951. Ma con dar volta suo dolore scherma. - Senato della Repubblica, 29 novembre 1951. Iperbole africanista. - Senato della Repubblica, 23 gennaio 1952. Un piano che non è piano. - Senato della Repubblica, 11 e 12 marzo 1952. — 219 — Dichiarazioni di voto. - Senato della Repubblica, 3 aprile 1952 (sul bilancio degli Affari Esteri), 4 aprile 1952 (sulla revisione del trattamento agli statali - discussione generale), 5 aprile 1952 (sulla revisione del trattamento agli statali - il trattamento ai ministri ecc.), 8 maggio 1952 (sulle modalità di versamento dei contributi unificati). Il bilancio. la lira e la bufera. - Senato della Repubblica, 10 giugno 1952. Una legge pullman. - Senato della Repubblica, 16 luglio 1952 (discutendosi il progetto di legge sullo sviluppo economico e incremento dell’occupazione ). Le bische, i rivoletti e i privilegi. - Senato della Repubblica, 14 ottobre 1952. Illusioni fisiocraticlie. - Senato della Repubblica, 28 ottobre 1952. Servire il Signore soccorrendo il prossuno. - Senato della Repubblica, 9 dicembre 1952. In difesa delVeconomia napoletana. - Senato della Repubblica, 26 febbraio 1953. La baleniera cisterna. - Senato della Repubblica, 4 marzo 1953. — 220 — FRANCO BORLANDI LA FORMAZIONE CULTURALE DEL MERCANTE GENOVESE NEL MEDIOEVO Con l'aggiunta di poche note indispensabili, si tratta della parte essenziale del discorso di inaugurazione dell’anno accademico 1962-63 letto nell’Aula Magna deirUniversità di Genova. Se si considera che Genova, nei secoli del suo massimo splendore, ebbe un suo altissimo posto non solo nelle arti del mare, ma nell introduzione e nella diffusione dei più raffinati procedimenti per la ripartizione dei rischi e dei profitti, per la tenuta impeccabile delle registrazioni contabili, per la condotta proficua di complicatissime operazioni di cambio ; se si tien conto del posto eminente occupato da Genova nella storia della banca, della cartografia, della moneta e delle assicurazioni marittime, vien fatto di chiedersi con quali mezzi, attraverso quali procedimenti si provvedeva alla formazione, alla preparazione culturale e morale di questa società urbana estremamente attiva, in cui l’attitudine agli affari e 1 impegno al lavoro erano persino anteposti a qualunque privilegio di nascita od a qualunque blasone. Sprovvista di una « Universitas » o « Studium generale » fino alla fine del secolo XV, Genova, nel Medioevo, doveva rimettersi a Pavia, a Pisa, a Padova ed a Bologna per la formazione dei suoi giudici e dei suoi medici, ma per la formazione dei suoi mercanti, tutti foggiati a sua esclusiva immagine e somiglianza, essa non potè che provvedere da sola, e con le sole sue forze. Di qui, la domanda che noi ci poniamo: per i secoli che precedettero — grosso modo — l’età di Colombo, quale tipo di istruzione veniva impartita al Januensis perché diventasse Mercator? Chi insegnava? Cosa si insegnava? Con quali criteri si insegnava? Si tratta, sostanzialmente, degli stessi quesiti che si son posti Henry Pirenne per la Fiandra ed Armando Sapori per Firenze x, anche se, nel caso nostro, le risposte saranno nettamente diverse. I materiali di fondo ci saranno forniti da un vecchio saggio di 1 H. Pirenne, L'instruction des marchands au Moyen-Age, in Annales d'Histoire Economique et Sociale, I. 1929 ; A. Safori, La cultura del mercante medievale italiano, in Rivista di Storia Economica, II, 1939, ed ora in Studi di Storia Economica (Secoli Xlll - XIV - XV), Firenze, 1955, I, p. 53. — 223 — Santino Caramella e da alcune ricerche erudite condotte, da vecchia data e con intento diverso, da Angelo Massa, da Giacomo Gorrini e da Robert Reynolds, in quella incomparabile sorgente di informazioni che è rappresentata dai cartolari notarili del nostro Archivio di Stato 2. Va detto subilo che per Genova non ci sono pervenuti documenti diretti od espliciti, come quei quadernetti di esercizi ad uso degli apprendisti mercanti di cui si è conservato qualche esemplare nell’archivio di un grande uomo di affari del Trecento Toscano, Francesco di Marco da Prato, e che nessun indizio ci fa ritenere che, in Genova, si redigessero — o almeno si trascrivessero — dei manuali di mercatura, sul tipo di quelli che correvano altrove (a Venezia e, specialmente, in Toscana), strumento essenziale per apprendisti ed operatori. In compenso, abbiamo qualche riferimento specifico ad insegnamenti impartiti con il preciso intento che a noi interessa. Nel 1288 un maestro di scuola si impegna ad insegnare ad un certo Si-monino « artem gramaticae ita ut sciat comode legere et scribere rationes suas », cioè a leggere a scrivere e a tenere i suoi conti (« rationes »); nel 1307 un altro maestro si impegna ad istruire Ruffeto Manuele e Manfredòlo, entrambi della famiglia dei Vento, insegnando ad essi di latino e grammatica quel tanto che bastasse per ciò che « pertinet ad mercatores » ; come in altri documenti di dieci anni dopo si incontrano impegni ad insegnare a scrivere e « lutinari secundum quod pertinet ad officium mercatoris » od a leggere, scrivere « et facere epistolas sive breves bene et sufficienter, ad modum mercatorum januensium » in un corso di studi previsto della durata di quattro anni. 2 S. Caramella, La cultura ligure nell’alto Medioevo, in II Comune di Genova, III, n. 7, luglio 1923; A. Massa, Documenti e notizie per la storia dell’istruzione in Genova, in Giornale Storico e Letterario della Liguria, VII, 1906; G. Gorrini, L’istruzione elementare in Genova e Liguria durante il Medioevo, in Giorn. Storico e Lett. cit., Vili e IX, 1931-32; R. Reynolds, Two Documents on Education in thirteenth Century Genoa, in Speculum, XII, 1937 ; a cui è da aggiungersi, per qualche dettaglio, P. Revelli, La cultura dei mercanti genovesi fi Cristoforo Colombo, in Alti della Academia Ligure di Scienze e Lettere, Vili, 1952; G. Falco, Una scuola privata di grammatica in Portovenere verso la metà del '200, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, XIV, 1909. — 224 — Bisogna riconoscere che non è molto, anche se in altri casi ci si accontenta magari di meno, come in un documento del 1253, i o\ c si tratta di insegnare la « gramatica communiter edocenda secutu uni mercatores Januae », mentre in altri casi si rivela un intento un po’ più preciso, come quando un maestro si impegna ad insegnare a due ragazzi tutto il necessario perché possano com-pren ere il contenuto di uno strumento e perché siano in grado di scrivere una lettera mercantile; o quando ancora (mi riferisco ad un documento del 1310) si chiede che il discepolo sia messo in t,iac o di leggere istrumenti e redigere brevi scritture fino a raggiungere un sufficiente livello di conoscenze, tale da consentirgli di essere utilizzato in qualità di scriba presso qualche bottega. Tutti questi casi che ho scrupolosamente elencato, non sono pero che rare eccezioni in seno ad una copiosa massa che si differenzia nettamente dai casi elencati, soprattutto per due motivi: I) Nella più assoluta maggioranza dei documenti a noi pervenuti non si indicava al maestro altro fine specifico all’infuori di quello di istruire il « discipulus » insegnandogli a leggere, ed eventualmente anche a scrivere, in latino, attraverso la lettura, prima del Salterio, poi della Grammatica di Elio Donato. II) Per tutto il Medioevo, anche nei tardi secoli XIV e XV, senza alcuna possibilità di dubbio, sia nelle scuole pubbliche, sia in quelle pi ivate, prevaleva in Genova l'insegnamento impartito da maestri ecclesiastici, secolari o regolari, su quello impartito da maestri laici. Su queste due constatazioni dovremo fermarci qualche istante. Cominciamo dalla prima. Verso la fine del Quattrocento, gli aitigiani lanaioli dell Acquasola stipendiavano un prete perché questi aprisse una scuola di grammatica (naturalmente latina) nel boigo di Santo Stefano, per i loro figlioli. Quasi duecentocinquanta anni prima, non un modesto artigiano, ma un importante banchiere, Corrado Calvo, assumeva per i suoi figli un maestro di grammatica. Nel primo caso ci si limitava a chiedere che l insegnamento si svolgesse bene, fedelmente e senza frode; nel secondo, lo scaltrito banchiere precisava anche i termini del programma, con il solito Salterio e 1 immancabile Donato. Ma a parte questo dettaglio, la sostanza era la stessa: ciò che i genovesi chiedevano alla scuola. — 225 — 15 nel Duecento come nel Quattrocento, fossero essi modesti artigiani od importanti banchieri, non era qualcosa di strettamente connesso con future ipotetiche attività professionali sulla terra o sul mare, ma era che i loro figlioli imparassero il latino, e che lo imparassero « bene, et fideliter et sine fraude », e che il maestro prescelto si prodigasse in questo suo compito (« et toto posse suo »). C e in quest’ultima condizione qualcosa che mi sembra indicare ciò che sostanzialmente si chiedeva alla scuola: non tanto una serie di nozioni, quanto il massimo impegno. Impegno da parte del Maestro, da valere anche come stimolo e come esempio per i discendi; e quindi, impegno per questi ultimi, iniziati alla vita, ai suoi agguati ed alle sue incognite, attraverso la lettura formativa di un Salterio, di cui certamente, almeno agli inizi, essi non possedevano nemmeno la lingua. Da tutto questo traspare che la scuola era intesa soprattutto come disciplina e che si attribuiva validità più al processo del l'apprendere che alle cose da apprendere ; più all’esercizio intenso delle facoltà della mente, che alle necessità della vita pratica, nelle sue prospettive immediate e più miopi. Contrariamente al mo-derno legislatore, questi liguri dei secoli d’oro, sembrano aver attribuito allo studio del latino una funzione essenziale nello sviluppo della memoria e nell’esercizio della ragione. Al latino, più che alla matematica ; tanto che agli innumerevoli « magistri grama-ticae » di cui abbiamo notizia come operanti in Genova dal XII al XV secolo, non fanno riscontro che pochissimi « magistri antme-ticae », insegnanti « abacum seu rationem », che, fatto singolare. erano, per altro, tutti quanti toscani. Dopo questo noviziato disciplinare, che si protraeva per alcuni anni, le menti dei giovani si consideravano preparate ad affrontare qualsiasi difficoltà e ad apprendere qualunque cosa possibile. Lo « scagno », il fondaco, la nave diventavano le loro nuove palestre e la loro formazione si completava nel contatto immediato con la pratica, con paesi e con uomini nuovi, arricchendosi ogni giorno, ed impegnando ogni giorno l’intelletto, la ragione e la memoria, le tre facoltà largamente esercitate nei pochi ma severi anni passati alle prese con il latino del Salterio e con la Grammatica di Donato. Si tratta del resto di un tipo di formazione che non è ignoto — 226 — nemmeno ai grandi esponenti della civiltà industriale del nostro («lupo. Rinuncio a varcare (oceano e mi limito ad un solo nome: Alfred Krupp, 1 uomo che da Essen, più di una volta, fece tremare I<< terra. « 1 aula universitaria ove io ho compiuto i miei studi è la fonderia ed il mio leggio è stata l’incudine ». Nella Genova medioevale il leggio era lo «scagno»; l'aula, il fondaco; l’aula magna, la nave. Trattando del genovese Andalò di Negro, Giovanni Boccaccio osservava: « aveva appreso colla vista ciò che noi abbiamo appreso coll’udito ». Ma passiamo al secondo punto. Che nei primi secoli del medio evo, almeno fino al Duecento, 1 istiuzi'one fosse esercitata in Genova esclusivamente da ecclesiastici nelle scuole della Cattedrale od in scuole parrocchiali o conventuali, rappresenta un fatto largamente documentato ma del tutto noimale, e comune a tutti gli altri centri dell’epoca. Meno comune, anzi, del tutto singolare, è invece la persistenza, e per di più. in posizione eminente, dell insegnamento da parte di religiosi anche dopo che, a partire dal Duecento, si assiste ad un cospicuo affermarsi ili maestri laici e di scuole laiche tanto in Genova, quanto in alili centri, maggiori o minori, dell entroterra e delle Riviere. A dispetto degli sforzi compiuti — in epoca di accesa polemica scolastica e religiosa — al fine di accertare il contrario, non si può non constatare che, malgrado le immunità ed i privilegi concessi ai maestri laici, il numero ed il prestigio di essi dovette sempre essere soverchiato da quelli dell antica e forte scuola ecclesiastica. f.\ itiamo pure di sopravalutare il fatto che la corporazione dei maestri di grammatica, già costituita nel secolo XIII, continuasse a convocarsi nel palazzo Arcivescovile o nella Chiesa di Sant Ambrogio, od in quella di San Lorenzo ; ma ancora in pieno secolo XV, per esservi accolli, occorreva superare un esame davanti ad una commissione in cui sedevano due frati, un francescano ed un domenicano. È vero che dai suoi tardi statuti risulta che. alla fine del Quattrocento, era inibito ad ogni chierico o sacerdote di impartire 1 istruzione a più di dieci scolari, ma non è detto che questa limitazione rappresentasse una vittoria della concorrente scuola laica su quella tradizionale e non piuttosto un tentativo della Chiesa di contenere entro limiti ragionevoli l’attività didat- _ 227 _ tica dello stesso clero, onde evitare che l'eccessivo impegno distraesse dall'esercizio di più specifici compiti sacerdotali. Una cosa tuttavia è certa: che nel 1486 esistevano ancora in Genova non meno di ventiquattro scuole ecclesiastiche mentre per gli inizi del secolo successivo, da un lungo elenco di maestri operanti in Genova, risultano ancora in maggioranza gli ecclesiastici nei confronti dei laici. Il fatto non è, per altro, sorprendente, se si considera che, da ciò che abbiamo osservato circa la natura degli insegnamenti impartiti, non risulta esistesse alcuna sostanziale differenziazione fra la materia trattata nelle une scuole e quella trattata nelle altre. Le scuole ecclesiastiche offrivano inoltre il vantaggio di una maggiore stabilità e di una più attendibile continuità, affidate coin erano allo stabile clero locale, mentre le altre erano gestite per lo più da immigrati dalle origini più diverse, spesso attratti verso altre contrade da più allettanti prospettive di lucro, e sempre soggetti ad eventuali mutamenti di situazioni, come quando, ai primi dei Quattrocento, si era vietato l’insegnamento in Genova, nei suburbi ed in tutto il distretto a tutti i maestri provenienti dalla Toscana, dal Regno di Napoli, dalla Sicilia, dalla Romagna e da qualsiasi parte del territorio papale. In qualunque altro ambiente mercantile, l’alfidare dei figli a preti od a frati perché ne curassero l’istruzione avrebbe potuto importare un grosso rischio: quello di farli perdere alla mercatura per farli guadagnare alla Chiesa. Significativo il caso di Abundus, ricordato da Pirenne. Morto nel 1228, Abundus era figlio di un mercante di tluy. Affidato nella sua infanzia ad un convento perché fosse reso capace di prendere nota delle operazioni commerciali e dei debiti di suo padre, attraverso le letture offertegli dal convento, aveva rinunciato agli affari e s’era fatto frate. Non forse dissimile, anche se non immediato, è il passaggio dalla scuola religiosa alla vita mistica del figlio di un altro mercante a noi ben più noto: Francesco d’Assisi. Ma a Genova, per tutti i secoli del medio evo, non sembra di assistere a drammatiche fratture fra la Chiesa ed il mondo che la circonda. Uscito spesso da scuole ecclesiastiche o conventuali, nell’esperienza del fondaco o della nave e nel contatto con i popoli più diversi, il mercante genovese rivela sovente le caratteristiche della sua formazione religiosa anche se lontana, fino ad essere in grado di sostenere dispute teologiche, come av- — 228 — viene a Ceuta nel 11,9 fra il mercante genovese Guglielmo Alfachino ed il dotto ebreo Moìse Abraym ; od a Palma di Maiorca, nel 1-76, fra altri dotti israeliti ed il mereanle genovese Ingeto Contardo. Da parte sua, sotto i campanili delle sue canoniche e dietro le* mura dei suoi conventi, la Chiesa genovese si rivela intensamente partecipe alla vita che pulsa nei « carrugi », nel porto e negli scali lontani. Essa estende i suoi domini in Sardegna ed in Corsica, pos-. iede Gibelletlo, la terza parte del porto di Laodicea, la terza parte ili Solino e di Tripoli, una strada in Antiocbia, una parte notevole dell isola di I ortosa, ha interessi giurisdizionali nell’Arcivescovato di Tiro. Il costitutore del palazzo di Guglielmo Boccanegra. oggi Palazzo San Giorgio, è del resto un monaco, cistercense, frate Oliverio dell’Abbazia di Sant’Andrea di Sestri Ponente, quello stesso che, per alcuni anni, a partire dal 1257, acquista rupi in Cari-gnano, ottiene terre in donazione a Carignano e in Albaro e le trasforma in cave di pietra; il tutto per alimentare Topera colossale di cui è « minister et operarius » cioè principale animatore: la costruzione del molo3. E, scomparso frate Oliverio, è ancora un monaco che assume la responsabilità della grande opera portuale: frate Filippo, anch’esso della abbazia di Sant’Andrea di Sestri. Le miniature che ci sono pervenute come opera di conventi o di chiese genovesi non adornano né messali né antifonari, ma sono lappresentate da carte nautiche: fra tutte famosa quella di Prete Giovanni da Carignano, rettore della Chiesa di San Marco al molo vecchio, che è dei primi del Trecento. Gli armatori genovesi che trasportano sulle loro navi i crociati di Luigi IX servendosi della prima carta nautica di cui si abbia notizia, sembrano dello stesso ceppo di questo prete Giovanni da Carignano, come Guglielmo Embriaco, che costruisce le macchine da guerra vittoriose all’assedio di Gerusalemme, sembra tagliato nella stessa pietra di quel frate Oliverio che, quasi due secoli dopo, sfascia la montagna per trasferirla nel molo. 3 Sul valore da attribuire al termine « operarius » ( = amministratore) v. : D. G. Salvi, L’« operarius » del porto e del molo di Genova. Architetto o amministratore?, Genova, s.d.. e V. Vitale, in Giornale Storico e Letterario della Liguria, 1935. — 229 — Ma non è tutto. A Genova, in pieno Quattrocento, ai primordi della stampa, è ancora un frate, questa volta carmelitano, Battista Cavallo, che costituisce una società per la produzione e per la vendita di libri a stampa; le controversie commerciali, anche di non lieve entità, son giudicate da magistrature a cui partecipano membri del Clero ; e si ha persino il caso di un Arcivescovo, Paolo Fre-goso, che assume il Dogato della Repubblica. Si comprende quindi perché, vivamente partecipe alla vita locale ed in essa profondamente impegnata, a Genova, la Chiesa, attraverso suoi membri secolari o regolari, possa avere eseicitato senza scosse un magistero che, altrove, le fu, di regola, vittoriosamente contestato da un più massiccio affermarsi della scuola laica. Ma può anche notarsi, di scorcio, come nello schema che emeige da quanto si è detto si inseriscono senza difficoltà il processo formativo della stessa personalità di Colombo, basata su pochi studi di fondo classico (legge correntemente il latino, ma lo scrive piuttosto scorrettamente) ; la religiosità di Colombo ; la brevità del suo tirocinio scolastico; la sua precoce ammissione alla scuola della realtà: prima nell’arte della lana e nel piccolo commercio presso l’azienda paterna; poi, a diciotto anni, sui vasti orizzonti del mare. Alcuni aspetti tipici che abbiamo individuato nella più profonda realtà genovese dell età medievale caralterizzeranno la vita della Repubblica anche nelle età successive. Uno di essi è rappresentato dall’eccezionale resistenza dell’uso della lingua latina negli atti ufficiali della Repubblica, i cui documenti contabili saranno redatti in latino fino ai primi del secolo XVII; i decreti fino alla metà dello stesso secolo; gli atti giudiziari fino alla fine del secolo XVIII. Circa la posizione eminente dell insegnamento affidato ad ecclesiastici, lo spirito e gli stimoli della Controriforma si trovarono qui ad operare in un terreno dissodato da secoli. Attaccata per ininterrotta tradizione a questo tipo di insegnamento, Genova opporrà _ per esempio — la più tenace resistenza alla soppressione della Compagnia di Gesù impegnata localmente in scuole di ogni ordine e grado ; anche in questa, che oggi è sede dell’Università dello Stato. Soppressa in Portogallo nel 1759, in Francia nel 1762, in Spagna nel 1767, a Malta e nelle Due Sicilie nel 1768. a Parma nel 1769, a Genova la Compagnia di Gesù non cesserà che nel 1773 e solo a seguito di un decreto papale. — 230 — ADELE ZACCARO I BALBI A GENOVA NEL SECOLO XIII I- - I Balbi rappresentano nel secolo XIII uno dei gruppi familiari più cospicui sia nel centro cittadino genovese, sia nelle due riviere e nell’entroterra ligure. Accanto a personaggi che occupano posti preminenti e rivestono cariche onorifiche, troviamo non pochi individui di umile estrazione e di professione artigiana. A uno dei rami maggiori, quello dei Balbi di Castello, sarebbe appartenuto, secondo qualche studioso, il famoso Giovanni Balbi o Giovanni da Genova, autore del Catholicon e di altri scritti minori \ sulle origini e sulla famiglia del quale non sappiamo, in lealtà, assolutamente nulla. Questa breve ricerca non pretende di chiaiire il complesso problema: vuole soltanto, attraverso un’indagine condotta per la massima parte su materiale notarile inedito, offrire un quadro, sia pure assai imperfetto, dei personaggi che, col nome di Balbi, vissero nella Genova dugentesca. Tra loro si riuscirà forse ad individuare, con uno studio specifico, i maggiori ed i parenti dello scrittore domenicano. Data appunto questa scarsezza di notizie, riteniamo che sia opportuno tracciare un quadro delle famiglie Balbi esistenti in Genova nel secolo tredicesimo, delle quali ci risulta notizia dai cartulari notarili dell’epoca. Notizie assai poco sicure e poco chiare ci offrono infatti sui Balbi alcuni studiosi che si sono interessati delle antiche famiglie genovesi2. 1 G. B. Semeria, Storia ecclesiastica di Genova e della Liguria, Torino, 1838. p. IV. 2 II Ganduccio (Familie, ms. del sec. XVIII in Archivio di Stato di Genova, n. 521, c. 1030) chiama i Balbi « nobili et antichi cittadini genovesi » ed afferma che trassero la loro origine da Seporina e da Venezia, da cui un primo gruppo giunse nel 1164, un secondo nel 1494. Possiamo accettare che i Balbi siano « antichi cittadini genovesi », ma molto discutibile è il principio di classificarli in generale come « nobili cittadini ». Forse il Ganduccio non pensava al gran numero di Balbi esistenti in Ge- — 233 — 2. - I quartieri dell’antica Genova in cui risiedevano famiglie Balbi erano la zona intorno all’antica chiesa di Santa Maria di Castello, il quartiere di Soziglia, quello di Fossatello; inoltre Sam-pierdarena. fi principale ramo era quello dei Balbi di Castello: nucleo familiare composto di parecchi membri, alcuni dei quali, come vedremo, parteciparono attivamente alla vita politica e militare della città. Folco di Castello ed Ansaldo Balbi di Castello, suo pronipote, furono senza dubbio i due più illustri e famosi appartenenti a questo gruppo dei Balbi. Entrambi si distinsero per imprese militari: il primo verso la fine del secolo XII; il secondo nel periodo veramente aureo della Repubblica genovese, quando, retta da una diarchia, la città resistette con tenacia al pericolo angioino e riuscì ad allontanarlo. Nel 1187, quando già si apprestavano i preparativi per la terza crociata, le contese con Pisa continuavano ancora ad impe- nova e nelle due riviere, dediti alle più varie attività, dalle più umili alle più elevate, ed appartenenti alle più svariate condizioni sociali ed economiche. Sotto il nome Balbi non si può comprendere soltanto quel nucleo familiare che, solo molto più tardi, ottenne il grado nobiliare, ma bisogna comprendere numerosissimi altri cittadini che avevano il medesimo cognome. Molto discutibili, anche, sono le affermazioni del Ganduccio, di N. M. Longhi (Alberi e documenti di famiglie, ms. del sec. XVIII in A.S.G., n. 476, c. 406) e di F. Federici (Scrutinio della nobiltà ligustica, ms. del sec. XVIII in Biblioteca della Congregazione delle Missioni Urbane di San Carlo in Genova. ora nella Biblioteca Franzoniana di Genova, n. 137, c. 128) circa la provenienza dei Balbi a Genova. I Balbi dovevano essere molto diffusi in tutta Italia fin dai tempi più antichi; se si esaminassero i cartulari notarili delle più svariate città italiane, il cognome Balbi si troverebbe molto facilmente. Su quali basi quindi affermare categoricamente che derivino tutti da Seporina e da Venezia? Probabilmente ogni nucleo familiare Balbi in Genova aveva una sua particolare storia che si differenziava dalle altre. Anche l'ipotesi di G. Banchero (Genova e le due Riviere, Genova, 1846, II, p. 23) che i Balbi « provenissero dalle terre lombarde dopo la invasione che fecero dell’Italia i Longobardi » è infondata ed inaccettabile. Ad una consueta tradizione romanista appartiene lo studio di A. Balbi (I Balbi, notizie genealogiche, Vicenza, 1881) il quale afferma: «fin da quei tempi lontani in cui le aquile romane per ogni dove spiegavano l’ale vittoriose era nota una gente che chiamavasi Balba o Balbina ». E1 noto come ormai ogni nobile casata cerchi di dimostrare la propria diretta discendenza dall antico ceppo romano, per cui queste affermazioni sono prive di ogni rigore logico e storico. — 234 — gnare le forze genovesi: il punto nevralgico era rappresentato dal castello di Bonifacio in Corsica. Fu proprio in quell’anno che la situazione si volse a favore dei Genovesi: Folco di Castello, inviato in Corsica, riuscì in breve a distruggere il castello dalle fonda-menta B. Nel 1188 Folco fu eletto console del Comune4. Dopo la pace stipulata con i Pisani (1188)d, partecipò alla terza crociata6 e partì per la Terrasanta1. Mentre era lontano da Genova, i figli Folchino e Guglielmo Balbi di Castello si opposero con la forza alla nomina di un unico potere centrale da parte dei consoli del Comune; assalirono il nuovo podestà, Managoldo Tetocio di Brescia, mentre stava per ricevere il governo della città dalle mani dei consoli e uccisero uno di questi8. Il podestà, non riuscendo a catturare gli assalitori che erano fuggiti, si vendicò distruggendo « domum utique preciosissimam quam Fulco de Castello habebat in castro » 9. 3 Annali Genovesi di Cafjaro e dei suoi continuatori, a cura di L. T. Bel-crano - C. Imperiale di Sant'Angelo, in Fonti per la storia d'Italia dell'istituto storico italiano per il Medio Evo, Roma. 1890-1929, II; a p. 25 si legge: « Verum nobilem virum et prohitissimum Fulconem de Castello cum galeis x super Pisanos miserunt; qui Pisanos valde persecutus fuit et castrum Bonifacii quod Pisani construxerant, civiliter fuit aggressus et vi in ore gladii castellum illud cepit et funditus destruxit ». 4 Annali Genovesi cit., II, p. 25: « Anno dominice nativitatis MCLXXXVin fuerunt in republica Genuensi consules vili pro comuni et vili pro iustitiis; pro comuni namque fuerunt Fulco de Castello, Nichola Embriacus, Ingo de Frexia... ». 5 Codice diplomatico della Repubblica di Genova, a cura di C. Imperiale di Sant’Angelo, in Fonti per la storia d’Italia dell’istituto storico italiano per il Medio Evo, Roma. 1936-42, III, p. 329. 6 Annali Genovesi cit., II. p. 33: «hoc siquidem anno (1188) multe naves cum militibus et peregrinis de portu Ianue exierunt. Transfetavit namque hoc anno Guido Spinula, consul communis, transfetaverunt etiam Nichola Embriacus, Fulco de Castello. Symon Aurie, Balduinus Guercius... ». 7 V. Vitale, Breviario della storia di Genova, Genova, 1955, I, p. 44: l'autore, parlando della terza crociata, afferma che Folco di Castello fu « l'intrepido eroe di questa spedizione ». 8 Annali Genovesi cit., II, p. 36; V. Vitale cit., I, p. 43. 9 Annali Genovesi cit., II, p. 37. Evidentemente il pericoloso gesto dei figli non danneggiò la carriera politica e militare del padre, il quale ancora per lunghi anni continuò ad occupare posti preminenti in Genova e ad essere sempre attivamente presente in ogni momento importante della vita della Repubblica. Infatti, terminata la crociata, Folco ritornò a Genova: nel 1205 fu eletto podestà10; nel 1215 fu nominato console del Comune11; nel 1217 fu mandato a Roma presso papa Onorio Iff per le trattative di pace con i Pisani, in vista della prossima crociata12. All’anno 1217 si arrestano le notizie su Folco di Castello. Come abbiamo visto, egli lasciò due figli: Guglielmo e Fol-chino. Eccettuata la notizia già riferita, relativa all’attentato del 1190, noi non sappiamo nulla di Folcbino. Si può pensare che, dopo la fuga da Genova, egli non sia più ritornato in patria, oppure che sia morto poco tempo dopo. Soltanto di Guglielmo riusciamo ad avere notizie ia. Risulta che firmò nel 1188 l’atto in cui i Genovesi giuravano di osservare fedelmente ogni condizione del trattato di pace che, per volontà e per mandato del papa Clemente III, verrà concluso con Pisa 14. La sua vita dovette trascorrere tranquilla ; non abbiamo notizia di qualche sua particolare e specifica attività. Aveva sposato una certa Giulia, vedova di « Porliono Pipere », la quale dal defunto marito aveva avuto due figli, Rubaldino e Guglielmino, e da Gu- 10 Annali Genovesi cit., II, p. 94; Iacopo da \aragine e la sua cronaca di Genova dalle origini al MCCXCV11, a cura di G. Monleo.ne, Roma, 1941, II, p. 367 : « anno quoque Domini mccv electus est in potestatem Ianue nobilis vir dominus Fulco de Castro, qui fuit primus et ultimus potestas qui de gremio civitatis eligeretur ». 11 Annali Genovesi ci;., II, p. 131: anno Mccxv fuerunt sex consules pro co. muni, videlicet Wiliclmus quondam Ugonis Embriaci, Fulcho de Castello, Bo-nifacius quondam Iaeobi de Volta... ». 12 Annali Cenovesi cit., II, p. 144: «In eadem quoque potestatia, mense novembris legati in galea missi fuerunt Romam, Fulcho de Castello videlicet, Obertus Spinula, et cum eis Ugo Cancellarius pro audienda sententia domini Pape de pace inter Ianuenses et Pisanos ». 13 Guglielmo è nominato come figlio di Folco di Castello in un atto dei 1206: A.S.G., Cartul. 6, atti del notaio Guglielmo Cassinese, c. 325 v. 14 Codice diplomatico cit., II, p. 329. — 236 — glielmo Balbi altri due figli, Opicino, che era già nato nell’anno 1201 15, ed Alberto 16. Fin da questi anni, cioè dagli inizi del secolo tredicesimo, i Balbi di Castello dovevano essere ricchi: possedevano terre e molto spesso concedevano prestiti e mutui. Nel 1190 erano proprietari di una terra situata in Struppa alla « costa Gritella » 17. Nel 1206 Guglielmo Balbi comprò numerose terre e diritti in varie località: Rapallo, Struppa, Carasco, Bargagli18. In molti atti è la moglie Giulia che concede mutui19 e contrae cambi20; essa compare tante volte nei documenti da sembrare molto più attiva del marito. Nell anno 1222 Guglielmo concedeva a certo Vassallo un terzo della decima che egli riscuoteva in Molassana 21 ; inoltre trasferì a Vassallo, figlio di Lanfranco «Lacteto» di Moconesi, il diritto di riscuotere la terza parte della decima che egli aveva in San Siro « Meliano » e nella villa di Aggio. Questa concessione nel 1225 venne riconfermata allo stesso Vassallo dal figlio di Guglielmo, Alberto 22. Guglielmo nell anno 1225 era già morto; la moglie Giulia invece vivrà fino all’anno 1237 23. lj II 16 agosto 1201 (A.S.G.. Cartul. 6 cit.. c. 175 r.) Giulia, in occasione dell approssimarsi di un parto faceva testamento; istituiva eredi i figli avuti dal primo marito ed il figlio Opicino avuto dal secondo marito. Quindi il primogenito Opicino nell anno 1201 era già nato: di lui in seguito non abbiamo più alcuna notizia. 10 L’esistenza di Alberto è affermata la prima volta nel testamento di Giulia dell anno 1237: A.S.G., Cartul. 20. atti del notaio Giovanni Vegio, e. 53 r. 17 M. Chiaudano - R. Morozzo della Rocca, Oberto Scriba de Mercato (1190), Genova. 1938. doc. 384. 18 A.S.G., Cartul. 6 cit., c. 325 v. 19 A.S.G., Cartul. 6 cit., c. 163 v.; M. W. Hall - Cole - H. G. Krueger -R. C. Reinert - R. L. Reynolds, Giovanni di Giliberto (1200-1211), Genova, 1939, docc. 267, 297. 20 M. W. Hall - Cole - H. G. Krueger - R. C. Reinert - R. L. Reynolds cit.. doc. 388 (15 agosto 1201). 21 A. Ferretto, Liber Magistri Salmonis sacri palatii notarii (1222-1226), in Alti della Società Ligure di Storia Patria. XXXVI, 1906, doc. CCCXIII. 22 II. C. Krueger - R. L. Reynolds, Lanfranco (1202-1226), Genova. 1952, doc. 1599. 23 A.S.G.. Cartul. 20 cit., c. 53 r. ; è l'atto di testamento di Giulia. Del figlio Alberto abbiamo poche notizie24: era sposato a certa Adalasia £5, dalla quale ebbe numerosi figli, una femmina e sette maschi26. Giulietta era l'unica femmina; gli altri si chiamavano Folchino, David, Nicoloso, Obertino, Bonifacio, Guglielmo, Ansaldino 27. Non è possibile stabilire con precisione l’anno di morte di Alberto Balbi, non essendoci pervenuto l’atto di testamento ; ma tale data si può far cadere fra il 1237 e il 1254 grazie ad un atto in cui è citato «Guglielmo del fu Alberto Balbi di Castello »28; essendo nato dopo il 1202 non ebbe vita lunga. Guglielmo, Oberto ed Ansaldo compaiono molto spesso negli atti notarili ; David una sola volta 29 ; mai gli altri quattro fratelli. Dei tre fratelli, Guglielmo, Oberto ed Ansaldo, quest’ultimo raggiunse fama maggiore, occupando un posto notevole nella storia di Genova. Egli emulò l’attività dell’avo Folco e nel campo militare e nel campo politico, in un periodo assai pericoloso per l'integrità di Genova: in Italia, com’è noto, si svolgeva allora la lotta tra Svevi ed Angioini, tra Manfredi e Carlo d’Angiò ao. Ansaldo Balbi compare nel 1269 tra i Genovesi che appoggiavano le richieste dei Curio, capi del partito ghibellino in Ven-timiglia 31. Da alti da noi ritrovati risulta essere stato in precedenza 24 A.S.G.. C.artul. 20 cit., c. 44 r. 25 A.S.G., Cartul. 20 cit., c. 134 r. 26 Questi dati li ricaviamo dal testamento di Giulia in cui vengono citati i nipoli, figli di Alberto, ed i loro nomi. 27 Cosi vengono chiamali nel testamento di Giulia con affettuosi diminutivi. 28 A. Ferretto. Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante (1265-1321), in Atti della Società Ligure di Storia Patria. XXXI. parte I. 1901, p. 112, n. 1. 29 A.S.G., Cartul. 72, atti del notaio Guglielmo di San Giorgio, e. 138 v. 30 V'. Vitale cit., I, p. 81 e sgg. 31 Annali Genovesi cit., IV, p. 138; G. Rossi, Storia ili Ventimiglia, One-glia, 1888. pp. 103-105. I Grimaldi ed i Fieschi volevano imporre a Ventimiglia come podestà Luchetto Grimaldi, contro il volere dei Curio, capi del partito locale ghibellino. Questi opposero che, essendo già Montone in potere di Guglielmo Vento, altro fautore di Carlo d'Anpiò, con la nomina del Grimaldi i confini occidentali della Repubblica sarebbero stali esposti a qualunque intervento armalo di Carlo da quella parte. Proposero quindi al podestà di Genova Roberto Putagio la — 238 — (1268) podestà di Ventimiglia32. Nell’anno 1273 Ansaldo Balbi mostrò le sue qualità di valoroso combattente, proprio quando Genova si trovò sola contro il guelfismo italiano. Col grado di « ca-pitaneorum comunis et populi Ianuensis vicarius », egli si oppose una prima volta il 5 febbraio 1273 al vicario di Carlo I d'Angiò, venuto in Lunigiana ad apportare strage e rovina30; una seconda volta nel dicembre dello stesso anno, espugnando con un forte esercito Ormea, Cusio, Pornassio, cbe appartenevano a Carlo d’An-giò Bl. Successivamente, nel 1274, fu eletto podestà di Pavia 35. Il 30 luglio dell’anno 1275 fu inviato dal podestà di Genova, Simone Bonoaldi, a Roma, come ambasciatore e nunzio, per trattare con piena facoltà, presso la Curia pontificia, della situazione insostenibile creatasi tra Genova e Carlo d’Angiò M. Per quello che riguarda la sua vita privata, sappiamo che era sposato a certa Agnesina"”: nomina rii uno dei loro, Simone Zaccaria. I ghibellini genovesi, allorché la proposta fu respinta, ricorsero alla forza: i Grimaldi furono cacciati, il podestà esonerato dall'ufficio e vennero nominati due capitani del comune e del popolo, tratti dalle famiglie ghibelline Doria e Spinola. 32 A.S.G., Cartul. 72 cit., cc. 16 r. e 19 r. 3:5 Annali Genovesi cit., IV, p. 153. 31 Annali Genovesi cit., IV, p. 165. Leggiamo : « Iam dicto eciam instants anno, mense decembris... Ansaldus Balbus qui Ianuam reddierat de partibus orientalibus quarum administraveiat vicariam... in occidentali Riperia vicarius fuit missus; qui. tempus non expectans estium, cum paralo festinavit exercitu ad terras de Ulmea et de Cuxe et de Pronasi que terre omnes pro rege Karolo tenebantur expugnans licet laboriose propter temporis yemalis duritiam; tamen sub comunis lanue dominio et iurisdicione redegit. Munitis autem locis ipsis per iam dictum vicharium ac ipsorum pro comuni lanue constituta custodia, idem vicha-rius gaudens Ianuam rediit et triumphans; electus enim in Papiensem potestatem iturus erat in proximo ad ipsius regimen civitatis ». 35 Annali Genovesi cit., IV. p. 165; A. Ferretto cit.. parte II, p. 14, n. 1; V. Poggi, Series rectorum Rei publicae Genuensis, Torino, 1900, p. 263. 36 A. Ferretto cit., parte II, p. 24, doc. LVIII. — 37 A.S.G., Cartul. 70, atti del notaio Guglielmo di San Giorgio, c. 49 r. ; in questo atto leggiamo: «Ego Ansaldus Balbus de Castello facio, constituo et ordino te Agnexinam, uxorem meam presenterò, et Guillelmum Balbum, fratrem meum absentem, meos certos nuncios et procuratores ad exigendum, petendum, recipiendum omnia et singula debita mea ». L'atto risale all’anno 1264. — 239 — probabilmente ebbe un figlio chiamato Leonardo es. L’ultima notizia a lui riferentesi è dell’anno 1277 00. Non abbiamo ritrovato molte notizie su Oberto Balbi, fratello di Ansaldo. Sappiamo che aveva un feudo in Sardegna 40 e che nel 127/ era podestà di Portovenere 41. Nell'anno 1266 lina certa Lo-neta compare negli atti come sua moglie 12; mentre in un atto del 1282 troviamo scritto « Leonore uxor q. Oberti Balbi de Castro » 43. Si era dunque sposato due volte o forse, per la similitudine dei nomi, i notai sono incorsi in qualche errore di trascrizione? L’ultima notizia diretta riferentesi ad Oberto risale al 1270 41. Ci restano parecchi atti dai quali risulta che Guglielmo Balbi, fiatello di Oberto e di Ansaldo, concedeva prestiti e mutui45; era sposato a certa Giovanna 16, dalla quale ebbe diversi figli e precisamente: Giacomino, Giovannino47, Antonino, Gabriele e Samuele . Le ultime notizie su Guglielmo risalgono al 1274 49. A.S.G., Cartul. 75, atti del notaio Guglielmo di San Giorgio, parte II, c. 142 r. : « Leonardus Zaca, fìlius Ansaldi Balbi ». A.S.G., Cartul. 74, atti del notaio Guglielmo di San Giorgio, c. 20 r. A.S.G., Cartul. 14 cit., c. 106 r. Nell atto che risale al 25 aprile 1264 i tre fratelli, Oberto, Guglielmo, Ansaldo, costituiscono degli « arbitros et arbitra-tore_ » per tutelare i loro interessi reciproci e per difendersi dalle possibili cause che alni \olessero muover loro circa l'eredità paterna « et specialiter super feudo quod ego Obertus habeo in insula Sardinie ». A.S.G., Cartul. 7u, atti del notaio Gioachino Nepitella, c. 168 r. Ciò non risulta^in E. 1 andiani, Gli Statuti di Portovenere, Genova, 1901. 42 A.S.G., Cartul. 70 cit.. c. 139 v. A.S.G., Cartul. 80, atti del notaio Leonardo Negrino, c. 225 v. 44 A.S.G., Cartul. 72 cit., c. 110 r. 45 A.S.G., Cartul. 76 cit., c. 37 r. (1261); cartul. 72 cit., c. 16 r. (1268); cartul. 79. atti del notaio Leonardo Negrino, c. 67 v. (1274). A.S.G., Cartul. 80 cit., c. 58 r. (1281). Giov anni, figlio di Guglielmo, è citato come teste nell’atto a c. 92 v. del cartul. 75 cit. A.S.G., Cartul. 98, atti del notaio Ambrogio di Rapallo; alto del 1° novembre 1302 in cui compaiono « Iacobinus fìlius q. Guillelmi Balbi, Claritia eius uxor. et Iohanninus, Antoninus, Gabriel et Samuel eius fratres, filii dicti q. Guillelmi». Latto è stato redatto nella casa di Guglielmo in contrada di • an Donato. Siamo certi che questo Guglielmo apparteneva alla famiglia dei albi di Castello in quanto nel 1264 egli aveva comprato due case in San Donato, come appare dall’atto a c. 97 v. del cartul. 70 cit. A.S.G., Cartul. 79 cit., c. 67 v. In un atto del 1278 (A. Ferretto cit., parte II, p. _03) è citata una casa degli eredi di Guglielmo Balbi situata nella — 240 — 3- - Nel quartiere di Soziglia risiedeva un altro nucleo familiare dei Balbi. Non sono molte le notizie su questa famiglia che si possono ricavare dai cartulari notarili del secolo XII. Nell’atto del 1188 50, in cui cento cittadini genovesi firmarono le trattative di pace con Pisa, accanto a quel Guglielmo Balbi che, in precedenza, abbiamo identificato come appartenente alla famiglia di Castello, compare un Giovanni Balbi51. Questi era sposato a certa Mabilia M, dalla quale ebbe dei figli: una femmina chiamata Al-dana , e un maschio almeno, che fu ucciso in un tumulto nel 1204 «. Altri Balbi di Soziglia, che non riusciamo purtroppo a disporre secondo sicuri legami familiari, furono Ottone 55, Nicoloso 56, Beltrame 57, Oberto 58 e Pietro, che viene definito nipote di Giovanni Balbi 59. contrada di San Nazaro. Esiste anche un atto del 1280 (A.S.G., Cartul. 75 cit., II, c. 26 r.) in cui è citato un Guglielmo Balbi di San Donato: può trattarsi del nostro Guglielmo che avendo comprato case in San Donato poteva essere chiamato « de Sancto Donato ». Nel 1280, Guglielmo sarebbe stato ancora vivo. 50 Codice diplomatico della Repubblica di Genova cit., II, p. 329. ,jl Pensiamo di poter affermare che questo Giovanni sia di Soziglia in quanto abbiamo ritrovato alcuni atti, di questa stessa epoca circa, in cui compare un Giovanni Balbi in Soziglia : cfr. il doc. 27 in M. Chiaüdano - R. Morozzo della Rocca cit., che termina con la formula « Actum Ianue, in Soziglia in domo Iohannis Balbi ». 53 A.S.G., Cartul. 6 cit., c. 8 r. 53 A.S.G., Cartul. 6 cit., c. 60 v. 54 Ricaviamo questa notizia dagli Annali Genovesi cit., II, p. 93, in cui, sotto 1 anno 1204, viene riferito che, per errore, in una spedizione, fu ucciso il figlio di Giovanni Balbi di Soziglia. ma di questi non ci viene riferito il nome. 55 A. Ferretto cit., parte I. p. 98. n. 1 ; si trattava probabilmente di un commerciante, poiché nell'anno 1277 sappiamo che egli si recava alla fiera di San Giovanni di Troyes in Francia. 56 A.S.G., Cartul. 27, atti del notaio Bartolomeo dei Fornari, cc. 51 r., 102 r., 153 r. (gli atti sono tutti dell'anno 1250). 57 A.S.G., Cartul. 27 cit., cc. 41 r., 79 r. (1250); cartul. 28, atti del notaio Giovanni Vegio, cc. 164 r„ 195 v. (1254). 58 A.S.G., Cartul. 27 cit.. c. 12 r. (1250), cc. 75 r., 108 v., 109 r. (1251); cartul. 20, atti del notaio Giovanni Vegio, c. 102 v.; cartul. 30, atti del notaio Bartolomeo dei Fornari, cc. 32 r. e t>. (atti che si riferiscono a contratti di affitto della casa di Oberto in Soziglia: anno 1254), cc. 44 v., 73 t., 86 v., 87 r. 59 A.S.G., Cartul. 20 cit., parte II, c. 234 r. — 241 — 16 Anche Sampierdarena era sede di un’antica famiglia Balbi ; dei suoi componenti non riusciamo tuttavia a tracciare un albero genealogico. Gli atti ci indicano molto raramente i gradi di parentela e solo per intuizione potremmo dar loro dei legami familiari più concreti. Il più antico di questi Balbi fu Oberto60, padre di Borgognone 61, il quale nel 1272 era già morto62. Un altro Balbi di Sampierdarena fu Rolando63, che risulta figlio di Issembardo Balbi già defunto nel 1264 64. Fratelli di Issembardo furono Guglielmo ed Urbano 65. Fra i componenti della famiglia Balbi di Sampierdarena, compare un Giovanni Balbi, testimone in un atto del 1264 66. 60 A.S.G., Cartul. 6 cit., c. 82 r. (anno 1192); cartul. 27 cit., c. 31 v. (anno 1250); cartul. 28, atti del notaio Filippo di Sori, c. 67 v. (anno 1252). 61 A. Ferretto cit., parte I, doc. DCXCII; A.S.G., Cartul. 28, atti del notaio Filippo di Sori. c. 19 v. 62 Nell’atto sopra citato (A. Ferretto, doc. DCXCII) Borgognone risulta figlio del fu Oberto Balbi di Sampierdarena. 63 A.S.G., Cartul. 60, atti del notaio Angelino « de Sigestro », c. 157 v, (anno 1257). 61 A.S.G., Cartul. 78, atti del notaio Palodino « de Sexto », cc.13 v., 14 t., 27 v. 65 A.S.G., Cartul. 28, atti del notaio Giovanni Vegio, c. 186 r. 66 A.S.G., Cartul. 61, atti del notaio Angelino « de Sigestro », c. 166 v. (anno 1264). Probabilmente nel quartiere di Fossatello esistevano dei Balbi; ma abbiamo trovato un solo atto attestante la presenza dei Balbi in quest antica zona genovese: A.S.G., Cartul. 30 cit., c. 24 v. GIOVANNA PEZZI TRE CODICI GENOVESI DEL SECOLO XIV Nell'elenco dei manoscritti dei sec. XII-XIV esistenti a Genova (pubblicato in Atti della Società Ligure di Storia Patria, LXXVI, I, 1963, pp. 51-138) non erano riportati, perchè si trovavano fuori Genova per restaurazione, i seguenti codici della Biblioteca Universitaria. Ms. E I 20 Membr. ; sec. XIV ; mm. 97 X 80; cc. Ili + 127 + IV ; fase.: 2 quat. + 2 quint. + 1 quat. + 7 quint. + 1 duernio privo dell’ultima carta. Cartulazione fino a c. 126; inizia con c. 11, ripete la 46; rigatura a piombo; 11. 18 su una colonna. Scrittura gotica; iniziali rosse ed azzurre; intere righe rubricate all’inizio dei capitoli; parole di richiamo alla fine di ogni fascicolo. Legatura moderna in cuoio. Conservazione buona ; sbiadita per umidità ed usura la facciata della prima carta. Manca l’ultima carta (forse asportata in tempo posteriore). S. Bonaventura, Vita di S. Francesco 1. Inc. (c. 1 a): Incomenca el prologo de messer Bonaven\tura de l'ordine di frati minori in la viltà del beato Francesco fundatore de lo predicto ordine. E' aparita la gratia de Dio . . . Expl. (c. 126 b): ...sancto Michele nel j monte Gargano gli apparve san Francisco in la nocte in .. . (e sotto, di mano più tarda): il fine ( testo interrotto a poche righe dalla fine del penultimo capitolo). Ms. A IV 33 Membr.: sec. XIV; mm. 250 X 175; cc. 126 + 3 cc. cart. ed 1 membr. all’inizio e 2 cc. cart. alla fine, di guardia; fase.: 11 quint. (aumentato l’ultimo di 1 c.) + 1 duernio (privo di 1 c.) + 1 duer- 1 Non corrisponde alla traduzione de La legenda maior s. Franeisci di S. Bonaventura, fatta da Domenico Cavalca, e ai volgarizzamenti che si trovano in GW, 4662-63. — 247 — ilio + 1 quat.; parole di richiamo alla fine dei fascicoli. Cartula-zione antica a numeri arabi. Rigatura a piombo; 11. 41 fino a c. 60 ; 35 da c. 61 fino alla fine, su due colonne. Scrittura gotica di più mani; corsiva tarda, della fine del ’500 nella carta di guardia anteriore, a c. Ili b e nelle cc. 119 a-121 b. Rubricato il numero progressivo dei capitoli nel mezzo del margine superiore di ogni carta. Capilettera e titoli rubricati ; rari segni e parole marginali. Legatura restaurata recentemente con resti di quella antica ; conservazione buona. A e. 1 a di guardia indice di mano più tarda dell’intero volume. 1) Guillelmus, Vita s. Bernardi2. Ine. (c. 1 a) : Incipit prologus Vuillelmi abbatis in vita | s. Bernardi abbatis Clarevallis. | Scripturus vitam servi tui. . . Expi. (c. 50 a): ...Deus benedictus | in secula. Amen. | Explicit liber de vita et actu s. Bernardi Clarevallis abbatis. 2) Iheronimus, Sermo de assumptione B. M. VirginisJ. Inc. (c. 50 b): Sermo beati Iheronimi in assumptione Beate Ma\rie I irginis ad Paulam et Eustochium et | reliquas virgines cum eis degentes. | Cogitis me o Paula ... Expl. (c. 58 b); ... et vos appareatis | in gloria. Amen. 3) Id., Sermo ad Paulam 4. Inc. (c. 58 b); Scientes fratres dilectissimi. .. Expl. (c. 5 9 b) : ...gloria per infinita secula seculorum amen. 4) Sermo de genealogia B. M. Virginis5. Inc. (c. 59 b); Consanguinitas beate Marie fratrem Ihero\nimum; ut aliqui oppinantur (sic). Anna et Exmeria fuerunt sorores .. . Expl. (c. 60 a): ...maiorem Iacobum volucremque Iohannem. 2 Corrisponde alla Vita Prima di Guglielmo di St. Thierry, in PL, 185, coll. 225-267. 8 Cfr. PL, 30, coll. 122-142. 4 Corrisponde alla Epistola X, De assumptione B. M. Virginis, in PL, 30, coll. 143-145. 5 Attribuito senza alcun fondamento dal compilatore del ms. a s. Gerolamo. — 248 — 5) Vita s. Bede Teutonici 6. Inc. (c. 61 a): En Beda que dictat sibi cuncta | columba ministrat. Venerius curat scribens quod uterque figurat. (Seguono, in dodici linee e in scrittura di mano più tarda, cenni della vita del venerabile Beda anglicano), quindi: Incipit vita s. Bede presbiteri | confessoris et doctoris, cuius sacrum corpus et caput in presenti ecclesia honorifice requiescunt. ] Redemptor humani generis . . . Expl. (c. 65a): ...gloriose exhibuit. | Qui vivit et regnat per infinita secula seculorum amen. Explicit vita s. Bede presbiteri confessoris et doctoris. 6) Istius traslalio. Inc. (c. 65 a); Incipit traslalio corporis et \ capitis eiusdem s. Bede doctoris. Quoniam historio\graphus .. . Expl. (c. 65b): ...per omnia benedictus Deus | in secula seculorum. Amen. | Explicit 1230. 7) De miraculis s. Bede. Inc. (c. 67 a) : De miraculis quoque a beato Beda... Expl. (c. 67 a) : ... habere regressum. | Explicit. 8 a) S. Faustus, Vita s. Mauri abbatis1. Inc. (c. 67 a): Incipit prologus in vita s. Mauri abbatis. Faustus famulorum j Christi. .. Expl. (c. 78 b) : ...et dies | XIIII. Per omnia benedictus Deus in secula seculorum amen. 6 Nonostante quanto si afferma nel titolo, non si tratta di s. Beda venerabile presbitero, bensì di un s. Beda meno conosciuto, vissuto nel monastero presso il fiume Gabello, vicino ad Adria, ai tempi di Carlo Magno: cfr.: Acta sanctorum, aprile, I, Anversa, 1675, pp. 866-873. Ivi è citato il nostro codice da cui è trascritta la vita, la traslazione e i miracoli del Beda minore. 7 Corrisponde alla Vita s. Mauri abbatis Glannafolensis, di s. Fausto: Acta sanctorum, gennaio, I, pp. 1039-1050. — 249 — 8 b) Praefatio altera 8. Inc. (c. 78 b): Historiam eversionis... Expl. (c. 79 b); ...sumpta omnes expulit. 9) Vita s. Placidi monachi et martyris9. Inc. (c. 79 b): Incipit prologus in passione beatissimi martyris | Placidi, discipuli beatissimi patris nostri s. Benedicti et fratrum eius Victorini, Eutichii, | ac sororis Flavie virginis, Donati, Firmati dyaconi ac Fausti et aliorum XXX, edita a Gordiano, eiusdem martyris famulo in nova Roma Con\staniinopoli iussu Iustiniani magni imperatoris. | In claro et renitenti . . . Expl. (c. 111 a): ...per infinita secula seculorum amen. Explicit. 10) Traslatio maxille s. Benigni. (In scrittura cinquecentesca). Inc. (c. 111 b); Ihesu Maria 1568. | Maxilla s. Benigni presbiteri et martyris discipuli s. Policarpi, discipuli s. Iohannis evangeli-ste, | translata ad hoc monasterium s. Benigni de Ianua hoc modo . .. Expl. (c. 111 b): ...divus Thomas et divus Antonius a Nicea. 11) Passio s. Benigni martyris10. Inc. (c. 112a) : Ad laudem Dei omnipotentis et eius serenissimi archipropheta David regis. | Incipit prologus in passione s. | patris nostri Benigni martyris. | Post impletum redemptionis . • . Questo passo è, nel ms., senza titolo e di seguito alla Vita; è inoltre troncato al primo capoverso del cap. I : Acta sanctorum, gennaio, I, pp- 1052-1053. Alla fine del passo è aggiunta la formula di chiusa: Explicit vita sanctissimi et Deo dilectissimi Mauri abbatis. Amen. Comprende: Gordianus, Vita ss. Placidi et fratrum eius Eutychii, Victorini ac Flavie sororis etc.: cfr. Acta sanctorum, ottobre, Anversa, 1770, pp-114-138; Stephainus Aniciensis, Acta altera, ib., pp. 139-147. 10 Corrisponde alla Passio sexta s. Benigni: Acta sanctorum, novembre, I. Bruxelles, 1887, pp. 163-173. — 250 — Expl. (c. llü b); ...nunc et semper | per infinita secula seculorum amen. Da c. 119 a sono riportate, di mano secentesca, tre copie di bolle riguardanti le reliquie di santi del monastero di s. Benigno ll. Ms. A II 40 Membr.; sec. XIV; mm. 190 X 140; cc. IV + 64 + IV (cartacee le cc. di guardia all’inizio e alla fine); fase.: 3 sest. + 2 quat. + 1 sest.; parole di richiamo alla fine dei fascicoli; a c. 42 b non corrispondono con quelle d’inizio del fascicolo seguente (1 ultimo). Cartulazione a numeri arabi; rigatura e quadratura a punta; 11. variabili da 41 a 44 fino a e. 36; 11. 37-40 da c. 37 alla fine, su due colonne. Scrittura gotica corsiva di più mani ; capilettera ed intere righe rubricate ; rare note marginali in corsivo ; nei margini di c. 64 a’ b è trascritto in corsivo l’indice dell intero volume ; anche nella seconda c. di guardia dell inizio è trascritto, da mano più tarda, l’indice dell’opera. La legatura antica in cuoio è stata assestata su una più re* cente, pure in cuoio. Conservazione buona ; a c. 64 b timbro della Biblioteca Universitaria di Genova ; nel margine superiore di c. 1 a: de deo Petri di... (sbiadite e macchiate le altre parole). Libellus de exemplis naturalibus. Inc. (c. 1 a): Incipit prologus in libellus de exemplis naturalibus. Cum solus in cella sederem ... Expl. (c. 64 b) : ...in conventu feminarum... (interrotto; sotto: parola di richiamo per il fascicolo seguente che manca: sella). 11 Anche queste trascritte in Ada sonctorum. aprile, I, p. 8*3. — 251 — ■ ____ STEFANIA MANGIANTE UN CONSIGLIO DI GUERRA DEI GENOVESI A CIPRO NEL 1383 ■ ' . ' . . - _ Il 1° agosto 1383, nel palazzo reale di Famagosta, si trovano riuniti il capitano del mare ed i membri del consiglio, per discutere sui necessari provvedimenti militari contro un movimento ribellistico, scoppiato nell’isola tra la feudalità locale, in apparenza contro il sovrano, in realtà, come sembra, contro l’invadenza economica e politica dei Genovesi. Partecipano all’assemblea sessan-tasei persone, ciascuna delle quali si pronuncia sulle misure da adottare per reprimere i moti sediziosi: occupazione del castello di Paphos; costituzione d’una base di operazione ad Episkopi o a Pendaya o a Sigouri ; attacchi dal mare, tutt’intorno all’isola, da parte della flotta genovese; richiesta di rinforzi a Scio ed a Mitilene ; emanazione d’un bando reale che sancisca la confisca dei beni ai ribelli e prometta ricompensa a chi prenda posizione contro questi ultimi... Tre proposte appaiono notevoli, circa la condotta generale delle operazioni: quella (accolta da quasi tutti i convenuti) della richiesta di aiuto ai Turchi di Caraman, che dovrebbero essere invitati ad uno sbarco nell’isola con l’appoggio genovese ; quella dell’aumento dei contingenti militari attraverso la liberazione degli schiavi isolani; e infine, quella della minaccia di deportazione a Genova dello stesso re di Cipro, Giacomo di Lusignano. Quale sia stato il seguito della vicenda, non ci è noto, giacché l’episodio s’inserisce in un momento sinora poco indagato della storia cipriota 1. Riteniamo pertanto cosa utile, per chi voglia condurre successive ricerche, pubblicare integralmente il documento che ne ha serbalo notizia. Esso, già segnalato dal Bautier2, si 1 George Hill, A history of Cyprus, Cambridge, 1948, vol. II, p. 431 e sgg. La seduta di consiglio del 1° agosto fu preceduta da una tenutasi il 31 luglio e nella quale si discusse il problema dei rapporti coi Turchi. Il relativo verbale, purtroppo, non ci è pervenuto. 2 M. R. H. Bautier, Notes sur les sources de l'histoire économique médiévale dans les Archives Italiennes, in Mélangés d'archéologie et d histoire, Parigi, LX, 1948, pp. 185-186. — 255 — c. 148 a. trova a cc. 148 a - 151 a del cartulario del notaio Giovanni de Bardi (n. 381/3), che si conserva nell’Archivio di Stato di Genova. Per quanto ci risulta, il nostro documento è l’unico, a noi pervenuto nella storia medievale genovese, che ci tramandi il verbale d'un consiglio di guerra. Di qui la sua peculiarità come « pezzo » raro sia nell’ambito della storia militare, sia nel quadro della storia del notariato. Die prima augusti, in palacio regali Famagoste. Super posta, dacta et porrecta per serenissimum principem et dominum, dominum Iacobum de Lusignano, Dei gratia Iherusalem et Cipri regem, dominos capitaneum maris et civitatis Famagoste et consilium, infra-scripti tenoris, videlicet quod, in casu quo per prefactos procedi debeat in guerrezando et guerram faciendo inimicis et emù ìs presentis insule Cipri, infrascripti citati et requisiti sua porrigant consilia et avisationes et dicant et consulant quicquid eis melius, utilius et salubrius videatur ad dictam guerram faciendam. Primo, Percival Cibo consulit et dicit quod, procedendo et guerram facere debendo, de galeis fierent due partes, volvendo insulam, dannificando et guerrezando ac destruendo 3. Anthonius Centurionus consulit et dicit, in casu premisso, pre-sens civitas Famagoste bene muniatur et cum omnibus galeis vadatur Baffam 4 ad espugnationem castri Baffe et ibi facere caput; deinde destruatur insula, exceptis amicis domini regis et locorum ipsorum, et dicit quod non egrediatur ad partitum extra civitatem Famagoste. Anthonius de lo Levanto dicit ut Antonius Centurionus. Lanfrancus de Auria consulit et dicit, in casu premisso, quod tota gens armigera domini regis et Ianuensis armetur, ventis in Famagostam nostris quatuor galeis, et cum prefacta gente cum domino rege, venientibus inimicis iuxta civitatem Famagoste et viso posse accipere partitum, insultentur inimici. Item dicit quo mitantur due galee ad Caramanum 6 et ab ipso habeatur tota gens que sit sufficiens ad destructionem insule. Item dicit quod cum restantibus galeis et uno grosso navigio accedatur ad expugnationem Baffe, et ibi fiat receptaculum ut fit in Famagosta, quibus completis cum galeis vadatur ad destructionem insule. 3 Segue, depennato: Antonius Centurionus 4 Paphos. 5 Segue, depennato : dominus rex 6 Caraman. — 256 — , ,PaU,lus SPinulla consulit et dicit de transmisione in Turchiam ut Lanfrancus de Auria; et de Batta similiter ut dictus Lanfran-cus, et non ultra. Gandulfus de Fossato consulit et dicit quod habeantur equi et cum exercitu domini regis et communis Ianue et galearum acceda-tur ad Lpiscopiam 8, sed ante hec omnia transmitatur una galea in lurchia, qua mediante operetur haberi equos ducentos, et in lipiscopia firmetur campus. Andreas Marruffus dicit quod nullo modo accipiatur partitum per terram cum inimicis, sed mitantur due galee in Turchiam pro ia )em a gente ad destructionem inimicorum et locorum suorum, et cum restantibus galeis danificetur9 insula ad illa loca ad que aenius et cum maiori cautella fieri potest dannificando dictam insulam. Iohanes de Mari dicit quod ea, que heri fuerunt consulta pro c. 148 6 lurchia, fiant, et quod Turchi hic in Famagosta portum faciant, et cum galeis restantibus vadatur dannificando insulam ubi melius fieri poterit, et anime capiende per Turchos primo conducantur in Famagostam. Luchinus de Bonavei' dicit quod Turchi ponantur super insulam et breviter, et quod omnia quecumque lucranda per Turchos sint et esse debeant ipsorum Turchorum, cum quibus Turchis continue sint due galee, volentibus Turchis eas habere pro ipsorum scorta, et cum decem restantibus galeis volvatur insula : videlicet ab utraque parte dimidiam ipsarum mitendo ad destructionem insule, et ultra habeatur unum navigium super quo conducantur equi qui hic sunt. Sorleonus de Castro dicit ut dictus Luchinus de Bonavei. Luchas Gentilis dicit quod prestoletur et expectetur, antequam procedatur, per aliquos dies, quia multi sunt amici domini regis qui amiti possent, et in hoc dicit fieri debere ad voluntatem domini regis et eius dispositionem, et dicit cum toto exercitu accedere ad expugnationem castri Baffe. Non laudat factum Turchorum, quia nimis longhum sibi videtur. Carlotus Spinulla non laudat factum Turchorum et dicit quod ei videtur presentem potentiam domini regis et nostram sufficere ad destructionem insule, circum circha dannificando insulam, et ad portandos equos de Famagosta habeatur asiherium. Iacobus Grillus dicit quod quam deterius fieri potest est perdere tempus, et quod cum Turchis et aliis quibusvis gentibus procedatur ad destructionem insule et similiter cum galeis. Fredericus Salvaighus dicit quod non amitatur tempus et quod 7 Segue, depennato: dominus. 8 Episkopi. 9 danificetur: così nel manoscritto. — 257 — 17 c. 149 a. mitatur ambassiata Turchis et quod veniant Famagostam et hic salventur et portum faciant dannificando insulam, et quod cum exercitu domini regis et galearum accedatur et campus fiat in Pen-daia 10 vel ubi in insula alibi melius videretur, et de ipso |°e° procedatur ad destructionem insule, et quod scribatur de predictis Syum11 et Metelinum occasione procedendi. Egidius Centurionus dicit ut dictus Fredericus Salvaighus. Carlotus de Grimaldis dicit ut dictus Fredericus. Octobonus de Marinis dicit ut dictus Fredericus et ultra quod de potentia galearum fiant due partes, volvendo insulam ab utraque parte, et cum uno asiherio portentur equi, oinnia ad destructionem insule. Guillelmus de Loreto non laudat Turchorum factum, sed quod galee mitantur ad expugnationem locorum Soldani, et quod scribatur Syum et Metelinum occasione procedendi. Beninsea Draghus dicit quod mitatur in Turchiam pro gente Turchorum et de galeis fiant due partes, ab utraque parte insule mitendo unam partem et reliquam ab alia ad destructionem insule. Stephanus de Magnerri dicit quod significetur per insulam, ubi sit possibile, nomine domini regis, quod, si quis occiderit aliquem rebellem domini regis ex militibus Ciprianis, quod ille talis occidens habeat fedus rebellis sic occisi, et ultra cum tota potentia domini regis ponere campum ubi melius videbitur, et pro parte domini regis mitatur crida quod omnes sciavi sint franchi. Dominus Prianus de Nigro iurisperitus dicit quod per dominum regem citentur ipsius rebelles qui sunt in insula ; deinde P*°' nuncietur per ipsum dominum regem12 super inquisitione rebe-lionis; deinde dannificetur insula quibuscumque modis. Dominus Ianotus Squarçaficus dicit quod preconizatio fiat m quibuscumque locis pro parte domini regis, ubi fieri potest in insula, quod quicumque volens obedire domino regi accedere debeat ad ipsum ; contra inobidientes vero procedatur per modum inquisitionis cum privatione omnium bonorum: quo facto, contra inobedientes procedatur ut dixit dominus Prianus. Lodisius de Nigro dicit quod procedatur quibuscumque modis ad destructionem insule, et per dominum regem mitatur crida liberandi omnes se présentantes. Iacobus Pilavicinus dicit quod cum galeis et brachio Turchorum procedatur ad destructionem insule. Meliadus Pilavicinus dicit quod dominus rex mitere faciat cridam liberationis omnium sclavorum, et contra rebelles proce- 10 Pendayia. 11 Scio. 12 Segue, depennato : pro — 258 — atur usque ad ipsorum mortem, et procedatur ad destructionem insule ut melius videbitur domino regi et Ianuensibus. Babilanus Alpanus dicit quod per dominum regem mitatur crida et citentur circlia viginti quatuor ex maioribus in ipsa crida, et ipsis nolentibus se presentare, procedatur quibuscumque modis ad destructionem insule. Iacobus Begeuda dicit quod cum galeis vadatur circumquaque locorum insule, danifìcando 18 et destruendo ubi melius videbitur, et aproximantibus inimicis ad Famagostam tunc cum hominibus equestribus, hominibus gravorum et balistorum, cernea gentis armorum vadatur ad ipsorum inimicorum oppositum et offensam. Babilanus Cibo dicit et laudat provisionem de Turchis et bre- c. 149 b. viter, et dicit quod de galeis fiant tres partes, cum quibus per loca insula destruatur, dannificando insulam, et laudat ante prestolari et expectare 14 per tres aut quatuor dies quam sic celeriter currere. Ricardinus Marinus dicit ut dictus Babilanus. Augustus Iambonus dicit ut dictus Babilanus. Philippus de Auria dicit ut dictus Babilanus. Accelinus Scotus dicit quod, venientibus inimicis iuxta civitatem Famagoste lj, quod tunc cum domino rege et tota gente, que fieri potest, exeatur obviam ipsis, et in quantum non habeantur nisi verba, tunc destruantur inimici et loca insule, et cum una galea claudantur passi aliqui presentis capitis, qui claudi possunt, quia propterea 16 habebitur omne refrescamentum, quia de dicto capite non expectant nisi dominum regem 17. Dominus Seguranus de Rocha dicit quod deterius in re est tempus amitere, et laudat quod cum penono regio et cum domino rege et gente ponere campum in contractis de Pendea 18, et laudat factum Turchorum quia multum prodest in re, et laudat quod, si posset haberi locus Baffe, quod expugnato eo ante ibi campus predictus ante ibi firmetur quam alibi ; sed. ante omnia, crida regia mitatur liberationis sclavorum. Item quod, si quis occiderit ex rebelibus, habeat fedus rebellis. Item, primo et ante omnia, scribatur gratiose inimicis. Dominus Iacobus Bonaventura dicit, quam celerius fieri potest, procedatur et non stetur in verbis, et quod dominus rex 19 scribere 13 danificnndo : così nel manoscritto. 14 Segue, depennato: quam celeriter lj Famagoste : in sopralinea. 16 Segue, depennato: heib 17 Segue, depennato: et 18 Pendayia. 19 Segue, depennato : faci — 259 — c. 150 a. faciat militibus, quibus nolentibus obedire priventur ex ipsonim federibus. Laudat factum Turchorum; in facto campi’, ut dominus Seguranus, cum ea retentione de qua locutus est. Raffael Ususmare dicit ut dominus Seguranus. Gregorius de Negrono dicit non debere poni gentem nostram in fortunam nisi manifesto avantagio precedente. Bartholomeus de Lazaro dicit quod laudat factum Turchorum et laudat quod dominus rex cum suo penono exeat20 et mitatur per ipsum crida quod, si quis21 attulerit caput alicuius rebellis, quod bona mortui sint sua. Luchimis Cigalla dicit quod nullus fiat processus, sed cum retentiva quod dominus rex Ianuam deportetur. Thomas Castagna ut dictus Luchinus. Philippus Scotus dicit quod cum tota gente ad campum de Sivori22 insultetur, deinde cum galeis destruere totam insulam. Iulianus de Castro dicit quod rex Ianuam portetur , ipsi dacto termino brevi, et quod mitat cridam quod omnes veniant ad sui mandatum. Laudat factum Turchorum, et cum galeis destruatur insula. Damianus Squarçaficus dicit ut dictus Luchinus Cigalla cuin minori quantitate galearum, que fieri potest, et cum restantibus dannificetur insula. Iohanes de Camulio laudat factum Turchorum, et cum gentibus et uno navigio ire Baffam ad expugnandum. Galeotus Centurionus dicit quod cum gentibus et galeis destruatur insula, et laudat factum Turchorum. Lodisius Marchius dicit non debere accipere partitum nisi cum Turchis sed cum eis habeatur campus et deinde "l inimicos insultare. Elianus Calvus dicit de rege et aliis ut Iulianus de Castro. Leonardus Cigalla dicit ut dictus Iulianus de Castro et, habito loco Baffe ibique faciendo campum, dannificare insulam. Grimaldus de Grimaldis dicit dannificari insulam, et laudat factum Turchorum. Antonius de Vivaldis dicit de termino regio ut Iulianus de Castro, et2o de galeis fiant tres aut quatuor partes, cum quibus dannificetur insula. Elianus Bechigronus dicit ut dictus Antonius de Vivaldis. 20 Segue, depennato : infra 21 Segue, depennato: int 22 Sigouri. 23 Segue, depennato : et mit ipso 24 Segue, depennato : eo 25 et : in sopralinea. — 260 Marcus^6 Beorcius dicit et laudat factum Turchorum, et cum galeis destruatur insula. Lazarinus Campanare dicit quod cum Turchis et galeis destruatur insula, ipsas dividendo et partiendo per dimidiam circha insulam ipsam. Petrus de Fossato dicit et laudat fieri bonam guerram tam cum Turchis quam aliis gentibus, quia per breve spacium ; et cum gentibus domini regis, iurantibus sub sacramento communis, euntibus super galeis, destruatur insula. Iohanes Novellus dicit et laudat factum Turchorum, et quod ad custodiam Famagoste ponantur pro sufficentia Ianuenses, et reliqui ponantur in galeis et cum gente electa 27 domini regis, euntibus super navigiis et galeis, et in Pendea firmetur campus, et ibi mitatur crida regia cum magnis promisionibus et sub magnis penis. Item alia mitatur hic et in dicto campo, quod omnes forenses de ponente veniant libere ad mandatum regis; et equi, qui hic sunt, portentur super uno navigio. Percival Lercharius et laudat factum Turchorum, et de duabus galeis fiat asiherium, in quo portentur equi ad destructionem insule, et cum galeis a duabus partibus insule destruatur. Gandulfus de Turrilia laudat factum Turchorum ad Cara-manum, et dicit non facere campum, sed cum galeis destruatur insula. Antonius Dragus dicit quod mitantur septem galee ab una parte insule et septem ab alia et cum uno asiherio portentur equi, accipiendo primo in Pendeia. Laudat factum Turchorum ad Cara-manum. Raffael Iustinianus dicit quod cum 28 tota potentia galearum vadatur Pendeiam et navigiis, qui hic haberi possint, et cum rege 29 et suo penono descendatur in terram, hic remanente regina, et per eum mitantur cride tam liberandi sclavos et alios, qui sunt sub servitute, et cum magnis promisionibus; et laudat breviter factum Turchorum. Theramus Cigalla laudat factum Turchorum, et cum galeis 80 armatis et aliis hic armandis fiat una bona poncta in Pendeia, et de Turchis laudat factum ad destructionem insule. Morruel Adurnus dicit quod cum potentia galearum armatarum et hic armandarum fiat potentia, et in ipsis portentur stipen- 26 Segue, depennato : Beor 27 electa : in sopralinea. 28 cum : in sopralinea. 29 Segue, depennato: Hic 30 Segue, depennato : et :. 150 b. — 261 — c. 151 a. diarii domini regis habito sacramento a Ianuensibus, et mitantur ibi cride cum magnis promisionibus. Laudat factum Turchorum. Bartholomeus de Bargalio dicit quod cum toto exercitu galearum, gentis armorum accedatur ad unum locum insule, et mitantur ibi cride magnarum promisionum. Non laudat factum Tur-chorum. Laurus Carena dicit quod cum tota potentia galearum, navigiorum et gentis armorum accedatur Pendeiam et de ipso loco destruatur insula. Laudat factum Turchorum. Bartholomeus de Alegro dicit quod cum galeis et omni alia potentia conburantur biave et destruatur insula. De Turchis dicit supersedere 31. Nicolaus de Paverio, massarius et cetera, dicit et consulit ac laudat factum Turchorum et specialiter equestrium, itaque anime non essent Turchorum, faciendo Turchis provisionem ex bisanti'is decem pro singulo capitaneo ; et cum galeis destruatur insula. Antonius 32 Centurionus massarius, sciens se alias dixisse dictum suum, ut alias dixit. Antonius Senestrarius dicit quod cum nostris galeis et gente destruatur insula absque potentia Turchorum. 31 Segue, depennato: Gaspal Cochalosa patronus dicit 32 Segue, depennato: Cantellus ma — 262 — GIAN GIACOMO MUSSO PER LA STORIA DEL DECLINO DELL'IMPERO GENOVESE NEL LEVANTE NEL SECOLO XV !\el congedare questi sommarii preliminari a un vasto lavoro di ricognizione bibliografica e documentaria ohe è in via di compimento, l’autore ringrazia innanzi tutto il prof. Geo Pistarino per le sue intelligenti osservazioni ed esortazioni ; quindi la direzione e il personale dell'Archivio di Stato di Ge-nov a, della Biblioteca Universitaria e delle altre biblioteche della città, che con comprensione e amicizia Io hannò in tutti i modi agevolato. In particolare poi ringrazia il padre Enrico di Rovasenda O. P. I PER LA STORIA DEL PROBLEMA La storia degli studi sul declino dell’impero dei Genovesi nel Levante in tutto il corso del secolo XV presenta una bibliografia ricca e varia. Ricercarla ed esaminarla dovutamente costituisce la premessa, difficile, ma indispensabile, del lavoro che ci proponiamo. Infatti, accingendoci a raccogliere e a descrivere il materiale documentario, ancora inedito e sconosciuto, e comunque da utilizzarsi, su questo argomento, ai fini di una ricostruzione storica più nuova e più esauriente, noi non possiamo limitarci a richiami frammentari e sporadici su quello che a tutt’oggi è stato detto e prodotto, tanto più trattandosi di un campo in cui gli studi sono stati copiosi e spesso eccellenti, e che peraltro offre ancora alla ricerca di prima mano una documentazione, che è poco definire affascinante, mediante la quale si possono intravve-dere sviluppi sempre più nuovi delle nostre conoscenze e interpretazioni in materia. È quindi evidente la necessità, in sede preliminare, di una vera e propria considerazione, organica e articolata nella sua tematica e nella sua cronologia, di quanto finora è stato prodotto: il punto di partenza più opportuno dovrà ovviamente essere quello in cui l’argomento stesso ha cominciato a porsi come un problema per l’osservatore e il ricercatore, tenendo anche presente la eventualità di reperire ciò che potrebbe sfuggire in un primo momento. Dicendo questo ci riferiamo alla esigenza di una indagine supplementare, volta a ritrovare e utilizzare le tracce, in qualche modo ancora rinvenibili, del lavoro preparatorio compiuto dagli studiosi, soprattutto, è ovvio, da quelli degli ultimi due secoli, in particolare le loro corrispon- — 265 — (lenze, per fare così ancor più risultare la vitalità del nostro argomento quale problema di grande interesse per la scienza storica. Un analisi, come quella di cui stiamo parlando, può e deve essere innanzi tutto una ricerca di storia della storiografia. Come tale, essa dovrebbe prendere l'avvio dalla seconda metà del secolo XVIII, cioè da quando la storia dei Genovesi nelle terre e sui mari del vicino Oriente cominciò a essere oggetto di una vera e propria euristica e di un effettivo inquadramento e ragionamento storico. Tuttavia una storia degli studi, della quale in questa sede vogliamo dare una idea sommaria, proponendone uno schema di massima, deve essere collocata in una prospettiva più ampia. Infatti le vicende, che portarono alla fine del dominio coloniale dei Genovesi, furono già, a loro tempo, oggetto di riflessione da parte di contemporanei. Questo perchè fu subito avvertito il problema di una possibile sopravvivenza di questo dominio, dei limiti più o meno larghi di una sua durata, dei motivi determinanti della sua caduta e, finalmente, di quanto ancora poteva restarne come retaggio nei paesi che ne erano stati la sede. Si tratta dunque di partire dallo stesso secolo XV ; parlando di esso, ancor più che alla storiografia, converrà riferirsi ai resoconti dei viaggiatori che, per tutto il suo corso, percorsero in entrambi i sensi l’itinerario tra l’Occidente latino e l’Oriente bizantino e musulmano, dai Balcani al Caspio, dalle isole del Medi-terraneo sudorientale al Mar Rosso. Questo perchè la maggior parte dei cronisti e degli annalisti troppo spesso si ripetono con notizie di seconda mano e presentano fatti che si perdono nel complesso di quadri generici e sbiaditi oppure, anche, sono infirmati da preoccupazioni apologetiche. Tale è il caso degli annalisti genovesi e di coloro che scrivevano seguendo il mito dell’idea-forza di crociata, notoriamente in ripresa in quell’epoca e determinante nel concorrere alla creazione del corrispondente mito di una barbarie turchesca, di fronte alla quale l’Occidente cristiano si sentiva in dovere di inorridire ! I viaggiatori, invece, offrono spesso elementi di prima mano, osservazioni dirette e acute, fatte sotto l’impressione viva della immediatezza della situazione. Come tutti sanno, le relazioni di questi viaggiatori, sempre più ricche, dettagliate e interessanti — 266 — nelle loro descrizioni, si moltiplicano progressivamente per tutto il Quattrocento. Ora, assai più dei loro predecessori, i viaggiatori quattrocenteschi che, per intelligenza e acume, sentivano il bisogno di riferire organicamente quanto avevano visto e saputo e, di conseguenza, ragionarci sopra, non potevano, innanzi tutto, non fare i conti con le situazioni politico-civili, diplomatiche e militari che, in graduale e articolato sviluppo, via via diversifìcantesi nello svolgersi di' un secolo, erano quelle della fine di Bisanzio e, dopo la meteora dì Tamerlano, delle affermazioni della potenza espansionistica del Turco verso l’Europa, nella duplice direttiva dei Balcani e del Mediterraneo orientale. 11 solo menzionare queste cose vuol dire riferirsi a un quadro immenso, che si' pone per noi in una gigantesca prospettiva storica, nell’essere e nel divenire. Per i contemporanei doveva certo trattarsi di una impressionante attualità, che sconvolgeva e faceva meditare. Ê ovvio che a una osservazione acuta e interessata del fenomeno non poteva sfuggire, per la sua rilevanza, il dramma del dominio dei Genovesi, prossimo a cadere e tuttavia ancora vigoroso, tutt’altro che in agonia o in fase di liquidazione fallimentare. Il nostro esame comincerà dunque col mettere in rilievo le osservazioni più significative di quei viaggiatori, il cui lavoro di resocontisti cominciava allora a varcare i limiti di uno spirito puramente mercantesco, per aprirsi a grandi interessi geopolitici e storico-civili. La serie di questi scrittori si apre con uno Schildt-berger e un Gonzales de Clavijo; prosegue, maturando, con un Tafur e un Bertrandon de La Broquière, per arrivare sino a un Barbaro e a un Contarini. Questo osservare e riflettere sulle vicende che ci interessano, in una luce di viva attualità, è il motivo di maggior risalto che ci è dato rilevare nella pertinente letteratura quattrocentesca. Con tutto ciò, non dobbiamo sottovalutare che è proprio di questo periodo l’inizio del tentativo di impostare il nostro problema in una prospettiva storica. Ci riferiamo, in questo caso, all’opera di quegli storici che scrissero possedendo dirette informazioni, per conoscenza e per esperienza, quali, ad esempio, Benedetto Dei ed Enea Silvio. Volendo però considerare, con la maggiore completezza possibile, il modo di porsi all’attenzione e alla riflessione dei tempi — 267 — dell’estremo, ma energico, sforzo dei Genovesi nel Levante e della loro inevitabile caduta di fronte alla grande realtà turca, protagonista di una nuova storia, non possiamo evidentemente limitarci alle testimonianze del mondo latino. Prezioso è infatti anche quel che dicono alcuni cronisti bizantini, con rilievi pieni di interesse, che si ritrovano in passi del Ducas e del Calcondila. Così anche non si potrà prescindere da una ricognizione di quello che ci può offrire la storiografia ottomana, cominciando coi suoi padri, gli Asile Pasa e i Nesri, per proseguire fino all’età dei suoi grandi compilatori, quella che va da Hadgi Kalfa e Lufti Pasa fino a Sa d-al-Din. Qui bisognerà, com’è doveroso e ovvio, far tesoro, con gratitudine, di quella grande componente della moderna scienza storica che comincia colla monumentale opera del Barone von Hammer e arriva oggi alla formidabile attività di Franz Babinger. Al principio del Cinquecento, l’impero genovese, con la sola, nota, eccezione del baluardo di Chio, è ormai cosa che appartiene al passato. Tuttavia le relazioni dei viaggiatori della prima metà di quel secolo riportano vive impressioni della persistenza del ricordo dei Genovesi in quelle terre che erano state loro. La cosa è comprensibile se pensiamo, per esempio, che, oltre un quarto di secolo dopo la conquista turca, notai genovesi continuavano regolarmente a rogare in Pera (e di qualcuno di loro, come Teramo da Castellazzo, Domenico de Algario, Niccolò e Antonio ria Torriglia, possediamo ancora numerosi atti). È inoltre appena necessario ri-cordare che siamo nel periodo aureo dei viaggi dei Genovesi nell’O-riente, da Giorgio Interiano a Paoletto Centurione Cantelli. È quindi evidente che, nell’epoca in cui le raccolte di un Hakluyt e di un Ramusio fanno la fortuna europea delle relazioni di viaggio, alcune di esse, Roncinotto, Ramberti, Van Ghystele, ecc. .. ., costituiscano uno dei punti di sviluppo della storia del nostro problema. Dimensioni nuove ci si presentano poi nella seconda metà del secolo, nel complesso di un’ampia discussione pubblicistica e storiografica riguardante il tramonto della potenza dei Latini in Oriente e l’affermarsi del Turco, per cui si va alla ricerca delle cause di tutto ciò. Giunti a questo punto bisognerà, infatti, aver ben presente quanto è stato prodotto nell’epoca di un Foglietta, di uno^ — 268 — Etienne, di un Dolio, di un Busbecq, di un Chytreus, di un Camerarius e di un Carr « of thè Middle Tempie », mentre con il Lowen-klaw nasce la moderna storiografia di cose turchesche. Varietà molteplice di interessi e un nascente spirito di ricerca scientifica possono farci ricevere nuovi lumi dall’opera dei grandi viaggiatori del Seicento, quali il Broniowski, il Fiirer, lo Chardin, il Ihevenot; nè bisogna dimenticare che qualche pagina della storiografia di quel secolo dà pregnanti osservazioni al nostro riguardo, per esempio nell’opera di Robert Knolles. Nel secolo successivo l’interesse per la storia della colonizzazione dei Genovesi, ai suoi albori, nel suo apogeo e nel suo declino, passa sul piano di una vera e propria meditazione storiografica, pur continuando ad arricchirsi di preziosi elementi di cognizione e di giudizio, con l’opera sempre attuale di viaggiatori, che continua con sorprendente copiosità nelle relazioni del De Tott, del Bryan, del Vequesnel, del Boscovich ... Ma, come dicevamo, è l’affermarsi dell'argomento negli interessi della ricerca scientifica, che da questo momento comincia per noi ad assumere un particolare rilievo. Troviamo così che in collezioni di erudizione storica di portata generale, quali, ad esempio, quelle del Palili e del Capmany, appaiono documenti, originali e fino ad allora sconosciuti e inediti, direttamente riguardanti i Genovesi e 1 Oriente. Intanto, proprio attorno agli anni in cui la conquista lussa della Crimea riporta, per più motivi, l’attenzione su quei territori, la storia della dominazione coloniale genovese si eleva a una vera e propria dignità di studio scientifico coll’opera dell'abate Oderico. Essa costituisce il primo tentativo di una sistemazione organica di un materiale di prima mano con piena coscienza degli sviluppi del nostro problema: per questo si dovrà tenerne gran conto, sia per quanto ne è pubblicato sia per gli inediti, che meritano uno studio particolare. Siamo alla fine del Settecento: con 1 opera dell Oderico, eppoi anche del Formaleoni e del Semino, — quest ultima ancora in attesa di una edizione a stampa. — la storia delle colonie genovesi nel Tauro, sul Mar Nero e nelle isole del Mediterraneo orientale, è ormai un importante capitolo di storia della storiografia, tra gli studi medievali e quelli moderni. È un momento decisivo; studiosi di formazione diversa cercano con comune intento una documentazione originale, che faccia passare 1 argomento dalla pubblicistica — 269 — e dalla memorialistica alla scienza storica. Così pochi anni dopo gli archivi genovesi potevano essere oggetto della prima ricogni-zione sistematicamente organizzata per il ritrovamento di fonti sui rapporti tra Genova e l’Oriente: quella del De Sacy. Poste tali premesse, è ovvio che, nel periodo immediatamente successivo, si potessero finalmente avere opere ampie e organiche, volte ormai a ricostruire un mondo che appariva sempre più vario ed entusiasmante. Siamo così al lavoro degli storici genovesi della prima metà del secolo XIX, quali un Pagano, un Sauli e un Canale. Ma, anche al di là degli studi regionali, clic pure, in questo caso, sono così pregevoli, l'argomento entrava di diritto nella moderna cultura scientifica su di un piano europeo; in quella geografica e geostorica del Ritter, del Klaproth e del Lelewell, come in quella veramente e propriamente storiografica, dal Depping all'Elie de La Primaudaie. È l'avvio a lutto un fervore di ricerche e di studi, che prosegue in incessante sviluppo, proprio nel giro di anni in cui il barone von Hanimer, visitando il Genovesalo, sentiva l’esigenza di richiamare al proprio spirito il ricordo della grandezza dei Genovesi in quel vicino Oriente, la cui storia egli tanto amava! Né, nello stesso periodo, veniva meno l'interesse di grandi viaggiatori, che è appena necessario ricordare le relazioni dei Ross, De-midov, de Iiell ... Dalla metà del secolo in poi, gli archivi e le biblioteche genovesi cominciano a essere meta di dotli di tutta Europa, che vanno ricostruendo la grande vicenda dei latini nell'Oriente, dal De Mas Latrie allo Heyd e allo Ilopf. Si viene così creando una meravigliosa collaborazione tra studiosi genovesi e scienza storica europea, che rappresenta la fase più alta e più nobile di quanto la nostra città ha saputo dare agli studi. Non possiamo qui non pensare con quanta commozione di accenti avrà a parlarne il padre Vigna, nel pieno della sua grande e travagliata attività, e a come la esalterà lo Ileyd in una bellissima lettera scritta da Stoccarda il 7 agosto 1899, per ricordare il valore dell'opera del compianto De Simoni. Interesse di studiosi di levatura internazionale, attività indefessa di ricercatori locali, in esemplare comunità di intenti, riescono a conseguire, nel periodo culminante della cultura storiografica del secolo scorso, un duplice risultato. Da una parte le ricerche e le ricostruzioni storiche si susseguono copiose, dando luogo — 270 — a una vera e propria branca specifica degli studi ligustici ; dal- 1 altra, le magnifiche vicende dei Genovesi in partibus orientalibus e il dramma del loro tramonto, trovano la loro giusta posizione e i loro logici collegamenti nei grandiosi tentativi di generale ri-costruzione dei rapporti tra Oriente e Occidente alla fine del medioevo e al principio dell’età moderna. Siamo dunque a una pienezza di relazioni per cui, partendo dalla storia locale, si costituisce una componente essenziale del panorama e della genesi degli incontri e degli scontri di più civiltà: sarà questo il merito di una serie di generazioni di storici, che comincia coi Fallme-rayer e cogli Zinkeisen e si è venuta poi sempre più riccamente sviluppando, specie ad opera di bizantinisti e orientalisti tedeschi. In questo senso la storia dell’impero coloniale genovese ha rivelato implicanze di ogni genere con più civiltà, in maniera sempre più sorprendente. Pensiamo, per esempio,, che, con V. Langlois e coll’Alishan, si pensa finalmente anche ai rapporti coll’Armenia. Un capitolo importante è quello del contributo dato, nel corso di più di un secolo di attività, dal lavoro di studiosi russi. Il loro interesse per la grande avventura dei Genovesi dal Tauro al Caucaso, comincia per tempo, cioè da quando alcune di quelle terre divennero dominio russo; ne fanno fede la preziosa testimonianza del nostro Oderico e, un po’ più tardi, il decreto di Alessandro I, che stabilisce la riedificazione dell’antica Teodosia. In seguito il ricordo dell’epoca genovese di certe terre, ormai russe, compare sia nell’opera di qualche viaggiatore-geografo. — Koehne, Pallas, — sia nelle monumentali storie generali della immensa realtà territoriale e politica dell’impero russo, quali quelle del Karamzin e del Solovev. Ma lo sviluppo della scienza russa del secolo scorso, appoggiata a grandi istituzioni accademiche, conduceva ad affrontare il problema in sede specifica. Naturalmente, non era dato agli studiosi di quel paese di disporre di una documentazione cosi vasta (piale quella degli archivi genovesi. Viceversa era davanti ai loro occhi la viva realtà di palpitanti testimonianze monumentali, archeologiche, numismatiche e sfragistiche, come pure la possibilità di riesaminare e ricostruire il complesso di quella rete di vie di comunicazione che è tra le più interessanti di ogni tempo. La scienza russa faceva così largo posto agli studi sul Tauro dei Genovesi con la serie delle eccezionali monografie storico-geografiche di P. Bruun, mentre coll’opera del Murzakevic appariva la prima sintesi storica delle vicende di Caffa. Più specificamente rivolte a illustrare materiali di prima mano (in ispecie, è logico, archeologici e numismatici) furono invece i contributi di altri studiosi, quali un Jurgevic e un Arkaz. Con prontezza di iniziativa e spirito di collaborazione, da parte russa si offriva agli studiosi genovesi il portato delle proprie ricerche, ricevendo in cambio, colla solita solerzia e generosità dei nostri predecessori, numerose indicazioni di materiale documentario. Così, come con studiosi di ogni altra parte, — francesi come il De Mas Latrie e il Belin, tedeschi come lo Heyd e lo Hopf, greci come il Paspatis, — anche con i russi il Canale e, soprattutto, il Belgrano e il De Simoni non fecero attendere le proprie risposte. A questo punto si dovrà anche giudicare il lavoro di questi ultimi in questo settore. Attenti a ogni cosa del passato genovese che li colpisse, senza avere forse un tema che costituisse un problema di fondo, i due studiosi si diedero ripetutamente a ricercare e illustrare quanto potevano trovare anche in questo campo. Il risultato fu quello di approntare testi e indicazioni preziose per gli studi, da cui si possono tuttora ricavare elementi nuovi di interpretazione, come già seppero fare coloro che da tutta Europa ricorrevano a una fonte così munifica. Così, per opera del Belgrano e del De Simoni, anche in sede genovese si profila, sempre più matura, 1 istanza di dedicarsi a un lavoro di ampia raccolta documentaria originale, pienamente corrispondente alla esigenza di una erudizione europea dalla quale emerge, da questo punto di vista, il lavoro dei Miklosich e Müller, dei Safarik, degli Ilum-bert, dei Szilâdy, Szilâgyi, Thury e Karacson, dei Satlias, degli Amari e dei Predelli . .., nelle cui collezioni, non dimentichiamolo, sono ripetutamente presenti documenti o, almeno, elementi utili per la storia che ci interessa. Giunti a questo punto, dobbiamo fermarci un attimo a ricordare che, quando il nostro discorso passerà dallo stato di profilo sommario a quello di trattazione dettagliatamente critica e analitica, gli si imporrà un attenzione, reverente e commossa, verso il padie Amedeo Vigna O.P. La sua opera monumentale, che forniva un mezzo di lavoro elaboralo con intelligenza e sapienza, del tutto degno di quelli grandiosi, a cui ci siamo poc’anzi rife-riti, e cosa a tutti nota. Meno si sa del dramma umano, intellettuale e morale, che essa rappresentò per il grande uomo, e dei suoi progetti di lavoro. A lui guardava comunque da più parti la scienza di allora come a una guida indispensabile riconoscendo ampiamente i suoi meriti, come fece, per esempio, l’Accademia di Odessa, nominandolo socio, su probabile istanza del Murza-kevic, che accompagnò la spedizione del diploma con una squisita lettera. Tra i due secoli la grande tradizione europea di studi, ugualmente volta a editare fonli, a produrre monografie specifiche e a fare adeguato posto alle vicende del Quattrocento genovese in Oriente in sede di storia generale, trovò un degno continuatore nello Jorga, che fu forse, tra gli studiosi stranieri di ieri, colui che meglio conobbe, da questo punto di vista, gli archivi genovesi. Ormai la esigenza scientifica di tener sempre conto di questa ricchezza documentaria e della problematica che da essa può derivare, con aspetti sempre nuovi, è comunque una base indiscussa di lavoro. Una bibliografia ragionata e sistematica dell’argomento avrà naturalmente il compito di ragguagliare su tutto quello che può interessare di una letteratura storiografica già divenuta immensa. luttavia. anche facendo uno schizzo generale, non sarà inopportuno ricordare alcuni dati-base, proprio per fornire a una bibliografia, come quella sopra auspicata, qualche utile punto di aPP°gg<° e di riflessione, indicandone anche un poco le linee maestre. Proprio durante il primo conflitto mondiale, la « Società ligure di storia patria » andava elaborando il progetto di un codice diplomatico delle colonie genovesi, che avrebbe dovuto costituire un sistematico complemento al Vigna. Con l’appoggio del ministero delle colonie, se ne parlò piuttosto a lungo, come risulta daH'archivio epistolare della società stessa. Ma il progetto. forse per le difficoltà dei tempi, fu lasciato cadere; va peraltro detto che esso non fu mai corredato nemmeno di una programmazione organica. Da allora le edizioni di documenti non hanno più potuto segnare progressi così rilevanti, come quello del^ l’opera del Vigna, e sono state in sostanza limitate alle appendici di inediti a monografìe particolari. Di qui l’esigenza di ripren dere la via maestra dell’insegnamento del passato, stante la dispo nibilità, ancora imponente, di un materiale ignoto e inedito. Hanno, invece, avuto una certa e meritata fortuna le sintes’ espositive sulle vicende dell’impero coloniale dei Genovesi, d quella generale, sia topograficamente sia cronologicamente, e br’ lautissima, forse troppo, del Lopez, a quelle più recenti del Ma lowist su Caffa, dell’Argenti su Chio e dello Hill, che ha d cato ai domini genovesi nella Cipro dei Lusignano una cons’ revoie parte della sua storia dell’isola. Tra esse, per la ricchez della documentazione, quella dell’Argenti è certo la più *mP nente. Gli studi genovesi di carattere più generale hanno poi v ^ talvolta una certa attenzione verso il nostro problema, cosa ^ per esempio ha fatto recentemente lo Heers nel suo spaccato storia sociale ed economica del Quattrocento genovese. Né nuto meno l’interesse dei russi per la storia del Tauro genov , come dimostra l’opera antiquaria della infaticabile E. Skrzinsk e quella storica dello Zevakin e del Pencko. Molta gratitudine gli studiosi genovesi devono, tra i parec che qui si dovrebbero nominare, a Franz Babinger, il quale, che in campo di storia genovese, ci ha dato, via via, esempla trattazioni sulla presenza di Genova nell Oriente del Quattrocent , sia che ci parli di personaggi singolari e cospicui, sia che ci lustri la situazione storica o, come ha fatto superbamente per Pera, topografica di un dominio. L’opera del Babinger richiede, nel suo complesso, un approfondito esame e, nello stesso tempo, rappre^ senta una direttiva sicura per chi voglia collegare le vicende dei Genovesi al grande quadro storico, cui ci siamo ripetutamente riferiti. Finalmente è da ricordare ancora che gli ultimi decenni hanno anche avvertito l’utilità di un esame critico e sistematico — 274 — della storia del nostro problema: abbiamo così avuto gli ottimi contributi in materia del Vitale, in sede di trattazione generale, e del Lopez in maniera più specifica. Molto più recentemente il Pistanno ha, in modo preciso e sicuro, indicato gli aspetti salienti di quello che il problema stesso ancora presenta di più immediatamente interessante. È la storia analitica e critica di questo problema quella che ora ci aspetta: su di essa abbiamo voluto, in questa sede, fare soltanto un discorso sommario e preliminare. Sia esso, almeno, accolto come un impegno per il lavoro che lo seguirà. — 275 — II SCHEMA PREPARATORIO PER UN FUTURO LAVORO 1. - Fonti documentarie ancora inedite, riguardanti l’impero coloniale dei Genovesi nel Levante nel secolo XV e, in genere, tutta la storia della penetrazione di questi ultimi, quale che essa sia, in partibus orientalibus, abbondano nell’Archivio di Stato e nelle varie biblioteche genovesi ; nella stragrande maggioranza, è ovvio, esse si trovano nell’Archivio di Stato. Usando il termine « inedite », noi diciamo però una cosa generica e che, comunque, non rende sufficientemente il significato di quale sia lo stato della conoscenza che in materia si ha, e delle possibilità di utilizzazione che concretamente ci si presentano per una nuova ricostruzione storica dell’argomento propostoci. Questo perchè, pur trattandosi in ogni caso di cose inedite, una distinzione si impone subito dal punto di vista della conoscenza che di esse hanno avuto gli studi sino a noi. Infatti per un certo gruppo si può parlare di « inedito », ma non certo di « ignorato », in quanto alcune di quelle fonti alle quali noi ci riferiamo non sono, a tutt’oggi, mai state pubblicate e tuttavia furono ben note a studiosi del passato. Come esempio potremmo addurre quello di una parte dei due volumi del Liber provisionis officii Romanie, il Syndicamentorum liber factorum di Pera e, in genere, di tutto ciò che ancora resta da pubblicare delle più note serie di carteggi politico-diplomatici del nostro archivio, ossia Litterarum e Diversorum, tanto della Repubblica quanto del Banco di S. Giorgio. Finalmente possiamo dire che anche le serie degli atti di alcuni notai, quale, ad esempio, Oberto Foglietta jr., si trovano in questa condizione. Seguendo il suddetto punto di vista, consideriamo ora un secondo gruppo di documenti: cioè quelli che non possono essere del tutto definiti come ignoti e dei quali tuttavia ben poco finora si è saputo e si è utilizzato. Si tratta, per esempio e nella fatti- — 276 — specie, delle buste dei « primi cancellieri » del Banco di S. Giorgio, di alcuni testi singoli, quali il Manuale... expense... per... am-bassatores... in Ungaria et Jadra...; il Cartularium imposicionis... expensarum... pro... imperatore Romeorum...; i Famaguste sindi-camenli, ecc. ..., e inoltre degli atti di certi notai, che ebbero a logare per il Levante dei Genovesi. Non si può tacere a questo pioposito il caso di Antonio e Domenico Percipiano e Francesco Casanova. Infatti questi notai, particolarmente importanti (Antonio Percipiano fu scriba dell'Ufficio di Famagosta; Antonio Torri-glia, scriba in Calìa e Chio, ci ha lasciato una meravigliosa testimonianza, probabilmente unica del genere, della propria attività), sono sì nominati talvolta nelle rassegne di fonti che normalmente si premettono a una trattazione storica, ma in pratica la loro utilizzazione, diretta o indiretta, o anche la loro semplice escussione, risultano inesistenti. In altre parole ci troviamo, in questo caso, di fronte a documenti che, pur non essendo la loro esistenza assolutamente e formalmente ignorata, costituiscono in concreto una novità per il ricercatore e per lo storico. Abbiamo infine un terzo gruppo di documenti: quelli totalmente ignorati a tutt’oggi, non soltanto nella loro sostanza e importanza, ma altresì nella loro esistenza, perfino topica. Sono essi, ad esempio, quelli di una filza della cancelleria del Banco di S. Giorgio (registrata nelle ottocentesche pandette delTArchivio di Stato come se si trattasse di atti riguardanti la Corsica della metà del secolo XVI!); quelli delle serie Manuali e decreti del Senato dell’Archivio Segreto (notulari e appodisiarum), Officii monete, Marittimarum, Decretorum officii S. Georgii; nonché alcuni documenti tratti da una serie di buste non numerate dei Primi cancellieri di S. Giorgio 1 e da raccolte del fondo Manoscritti dell’Ar- 1 A suo tempo C. Desimoni notò a lapis in calce alla pandetta N. 33 l'esistenza di alcune buste non classificate di questa serie. Grazie alla liberalità del direttore dell Archivio, prof G. Costamagna, e alla collaborazione dell'usciere sig. Schiavi, abbiamo potuto rinvenirne quattordici. Ciò che contengono è soprattutto importante per la storia dei rapporti di Genova con gli Stati italiani e la relativa situazione per tutto il secolo XV — Milano, Savoia, Firenze, guerra di Pietrasanta — e con l’Occidente: Francia, Spagna, Inghilterra, Granata. Tunisi. Tuttavia vi si trovano anche alcuni documenti interessanti per la storia dei Genovesi neHOriente mediterraneo-europeo e nell'Asia anteriore. — 277 — cliivio di Stato, quali ad esempio i Libri Jurium ancora da pubblicare (ossia la maggioranza), i Pergamenacei di S. Giorgio ( ancora una volta inesauribile tesoro !), e i miscellanei (altrettanto inesauribili) della serie Affaires étrangères. Aggiungiamo qualche notaio come, per esempio, Lorenzo Calvi. 2. - La seconda distinzione indispensabile è quella che riguarda la portata e 1 importanza di questi documenti. Volendo raggiungere lo scopo, ambizioso, ma non impossibile dopo tanto lavoro, di avere un completo repertorio di quanto è ancora inedito e sconosciuto sulla storia del declino dell’impero dei Genovesi nel Levante, era naturalmente necessario prender conoscenza e far segnalazione di ciò che in materia è reperibile, senza fare scientemente alcuna omissione 2. Ovviamente non tutti i documenti, portati alla luce, hanno la stessa importanza o, meglio, non l’hanno per l’impostazione che il curatore intende dare al proprio lavoro, senza la quale il lavoro stesso si ridurrebbe a una banale elencazione. Questa impostazione è 2 Omissione cosciente, ma necessaria, è stata soltanto quella dei fondi contenenti esclusivamente dati finanziari-contabili. Tale tipo di documenti richiede, per essere adeguatamente trattato, una preparazione e una inclinazione che il curatore del presente lavoro non possiede. Per questi documenti, per esempio le varie Massarie e Compere, sarà quindi giocoforza limitarsi a indicazioni topiche e sommariamente descrittive, con la speranza che esperti di un tal genere di studi trattino adeguatamente siffatti argomenti. Altra limitazione necessaria è quella riguardante lo spoglio delle filze di atti notarili. È noto che in qualsiasi filza notarile, almeno sino a tutto il secolo XVI. e cioè fino a quando sussiste 1 importanza del notariato anche in una generale accezione politico-civile, per esempio colla presenza continua di notai alla cancelleria del governo, del Senato e del Banco di S. Giorgio, è possibile trovare atti di qualunque genere. Tuttavia è impensabile che un solo ricercatore possa compiere uno spoglio di tutte le filze notarili di un secolo, a meno che non dedichi soltanto ad esse tutta la propria attività. Un lavoro di tal genere dovrebbe semmai essere l'augurabile, per non dire indispensabile, scopo di un lavoro di gruppo. In questa sede la ricerca sugli atti notarili era dunque, a giudizio del curatore, eseguibile soltanto in un modo: spogliare unicamente, ma in maniera completa, gli atti di quei notai che sicuramente risultassero avere avuto motivo di rogare o per i territori posseduti, o comunque occupati, tutti o in parte, dai Genovesi nel Levante; o per Io meno per enti, magistrature e persone, in qualche modo legati a detti territori. — 278 — essenzialmente geopolitica, politico-militare, politico-civile e culturale. Va da sè dunque che, stando a essa, si impongono per importanza i documenti a carattere pubblico, sia pure nel senso più generale del termine, o comunque aventi in qualche maniera attinenza con problemi di governo della cosa pubblica e quindi della storia politica civile dei tempi e dei luoghi che ci interessano. Adduciamo qualche esempio di ciò a cui qui ci si riferisce. L esposto di un patrono di nave che abbia subito un atto di pirateria (o ancor più di guerra di corsa), la frequenza di vendite e affrancamenti di schiavi di origine orientale, il risarcimento di danni a persone, o gruppi di persone, « olim burgenses » di un qualche luogo delle colonie genovesi, come anche il considerevole numero di rapporti tra genovesi e persone e comunità delle parti, in cui i nostri si trovarono 3, sono di per sè fatti riguardanti vicende private, situazioni di singoli o di gruppi di singoli. Tuttavia, a parte la difficoltà di distinguere, nella storia dei Genovesi, il pubblico dal privato, — difficoltà che ha ovviamente tutte le sue implicanze storiche e storiologiche, — è indiscutibile che cose del genere di cui abbiamo fatto cenno, pur essendo di per sè private, offrono spesso elementi di interesse pubblico e, quindi, attinenti quella storia politico-civile, che costituisce il motivo centrale del nostro assunto. Sempre per restare ai casi puramente esemplificativi, che abbiamo addotto, parlare di pirateria vuol dire collegarsi a tutto il problema del controllo del mare e della sicurezza dei traffici tra Occidente e Oriente in un'epoca che da questo, come da tanti altri punti di vista, è quanto mai critica. Portare nuove luci, o anche semplicemente fornire nuove informazioni, su una tale situazione, può dunque voler dire anche offrire nuove possibilità di considerazioni sulle grandi realtà storiche che a un discorso su tutto ciò 3 Per esempio, gli Armeni e i Greci delle varie parli di cui dobbiamo occuparci, per non dire di coloro che, nella generale diaspora che in quei tempi si ebbe dall'Oriente all’Occidente, si trasferirono a Genova, come, ad esempio, un ramo della grande stirpe dei Notaras. famiglia già nota agli studi per l'opera di E. Legrand e che ebbe appunto, oltrecchè quella notissima di Venezia, anche un'appendice genovese, piuttosto considerevole, stando il fatto che arrivò a possedere loca in S. Giorgio. — 279 — possono essere collegate, siano esse in declino come quelle dell’impero bizantino o quello di Trebisonda, oppure in prepotente ascesa come quelle della sublime Porta o dell’Egitto, o, ancora, più prossime al tramonto che all’aurora e, ciò malgrado, vigorosamente in lizza per la propria sopravvivenza nel Levante, come è il caso di Genova, di Ragusa e dell’Ordine gerosolimitano. Così pure la rilevanza notevole di un fenomeno come quello della densa presenza di schiavi di origine orientale nella vita economica e sociale della Genova di allora, come anche delle sue ultime colonie, special-mente Chio, e così pure l’importanza di questo commercio per i Genovesi (cosa che già notava ai primi del XV secolo quell acuto osservatore che fu il cavaliere borgognone Bertrandon de La Brou-quière: è una storia questa sulla quale il lavoro, ancor vicino nel tempo, del Tria ha fornito una ottima documentazione4 e che tuttavia, come la nostra ricognizione dimostrerà, è ancora suscettibile di tanti ampliamenti5) che comprovano che i rapporti coll 0-riente europeo e mediterraneo restano di importanza determinante per la Genova di allora. Finalmente l’esistenza, ufficialmente riconosciuta, di un problema economico-sociale, che riguardava coloro che erano reduci dalla tragedia di Pera, di Metelino e di Caffa, soprattutto durante il dogato del cardinale Paolo Fregoso che abilmente lo collegò ai suoi ambiziosi piani di crociala, come dimostrano le frequenti pratiche di risarcimento dei sinistri subiti da privati, rivela quanta incidenza sul piano politico-civile possano avere avuto fatti di per sè riguardanti privati. Riferimenti e considerazioni di tal genere non dovranno quindi essere trascurati da chi si accinga a porre, almeno, alcune premesse per quella che potrà essere la storia «li un dominio politico e militare e di un impero economico, i quali, fino agli estremi delle proprie possibilità, in patria come oltremare, lottarono per non soccombere, e che solo cedettero di fronte allo ineluttabile di quella forza che, con il Babinger, chiameremo la grande paura del mondo alla svolta della storia! 4 Cfr. L. Tria, La schiavitù in Liguria, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, LXX, 1947. J Cfr. ora G. Pistarino, Tra liberi e schiave a Genova nel Quattrocento, in corso di pubblicazione in Anuario de estuilios medievales, Barcellona. 1964. — 280 — Il discorso, che, sia pure basato soltanto su riferimenti frammentari a puro titolo esemplificativo, abbiamo sin qui condotto, dovrebbe a nostro avviso mettere in evidenza, dal secondo punto di vista tra quelli che abbiamo finora enunciato, quali siano i documenti, tra tutti quelli che la nostra indagine ha potuto portare alla luce, che meritino una edizione integrale: quelli il cui contenuto e la cui portata abbiano in qualche modo un rilievo tale da recare al quadro geostorico propostoci una qualche novità di nozioni e di idee. Oltre a questo tipo di documenti, i più importanti per noi, la nostra ricerca ha rinvenuto una notevole quantità di atti di carattere strettamente privato: rogiti notarili riguardanti pratiche di vario genere (compravendite, procure, testamenti, liti e compromessi, fideiussioni, ecc.), pratiche finanziarie e fiscali, inventari di beni, rapporti di vario tipo tra commercianti singoli o società private, contratti varii. Qualcuno di essi può talvolta anche costituire una felice e interessante eccezione: portiamo, a questo proposito, un esempio solo e quanto mai significativo: abbiamo due rogiti del 7 giugno e 21 luglio 1467 in cui appare il veneziano Niccolò Barbaro che, per una questione di appalti di navi, dirette in Oriente, ha a che fare con VOfficium Gazarie 6. Ora è ovvio che un minimo di avvedutezza del ricercatore non può che far pensare a una ammissibile identificazione con il relatore dell’assedio di Costantinopoli, e, nel caso vi siano probabilità di sostenerla, a una necessaria edizione dell’atto, che, nel caso, riguarderebbe un personaggio assai importante. Tuttavia la stragrande maggioranza dei documenti, che, proprio per questo, intendiamo comprendere in questo gruppo, ha interesse esclusivamente privato, cioè riguarda i singoli, nei fatti come nelle cose e nei beni, senza che si possa in qualche modo collegare atti di un tal genere a un qualche momento e problema della storia politico-civile, diplomatica e militare di quel mondo, alla quale è giocoforza limitarci. È d’altra parte innegabile che anche fonti documentarie di questo tipo possono avere, e hanno, il loro interesse, soprattutto per studi di storia sociale, economico- 8 Cfr. Archivio di Stato di Genova, Archivio segreto, n, 739, Manuali e decreti, cc. 24-25 c 27. — 281 — finanziaria e anche (perchè non ricordare l’importanza di questa branca di studi, immeritatamente trascurata, con la sola eccezione del benemerito lavoro del compianto A. M. Scorza?) per eventuali, augurabilissime, ricerche genealogiche. Volendo dunque risolvere in maniera conveniente ed equilibrata il problema della utilizzazione di questo gruppo di documenti, la cosa migliore pare senz’altro quella di evitare una pubblicazione integrale, che richiederebbe un impiego di tempo e di fondi, parzialmente risparmiabili, e di fornire invece di essi una completa serie di regesti, nei quali compaiono tutti quegli elementi topografici, onomastici, genealogici e cronologici, che permettano al ricercatore interessato il pieno accertamento della utilità eventuale dell’atto per il suo studio e quindi il ricorso all’originale. 3. - Puntualizzato il diverso grado di conoscenza, che nella storia degli studi si è avuto degli inediti che ci interessano, e indicato il diverso modo nel quale a nostro avviso sarà utile presentarli. a seconda della importanza che essi hanno per la nostra impostazione, resta ora da dire secondo quale criterio dovrà disporsi la loro edizione, sia integrale sia in regesto, nel suo organico succedersi. Il problema è sostanzialmente di metodo, in quanto richiede una predisposizione tale da evitare squilibri, soprattutto da un punto di vista cronologico e topografico. Proprio per questo diremo che le due esigenze, che sostanzialmente noi dobbiamo in questa sede armonizzare, sono quelle di una distinzione puramente esterna, quale sarebbe appunto quella condotta con criteri esclusivamente cronologici e topografici, con una interna, cioè essenzialmente fondata sull’argomento dei singoli atti o dei gruppi di essi o dei lesti completi o comunque organici. L’organicità ed equilibrio, che ci proponiamo di raggiungere nella miglior maniera possibile, richiede dunque, a nostro avviso, una disposizione come la seguente. Partire anzitutto da un criterio di distinzione interna e sostanziale, ossia riferentesi al contenuto del testo, qualunque esso sia (atto isolato, gruppo di atti, testo completo). Già inizialmente distingueremo così due gruppi di documenti: una parte generale, comprendente gli atti che riguardano la generale politica di Ge- — 282 — nova nel Levante, i rapporti politici e diplomatici, sia sul piano suddetto sia su quello dei rapporti con singole realtà politiche, e 1 attività degli organi genovesi sullo stesso piano di contenuto generale e spesso anche generico; una parte specifica. A questo punto si dovrà, proprio .per la dinamica interna della nostra articolazione, collegarsi subito a un criterio necessariamente topografico, cioè di suddistinzione del materiale a seconda dei luoghi del dominio genovese che ne sono oggetto. All’interno di questa distinzione topografica dovrà quindi subentrarne una ulteriore, basata sull’oggetto degli atti in questione, a seconda del loro contenuto pubblico e privato. Nel primo caso bisognerà poi distinguere tra ciò che, rispettivamente, riguarda il governo e l’amministrazione, la difesa, le spese e i finanziamenti. Nel secondo si impone di precisare se il documento, quantunque sempre a carattere privatistico, presenti tuttavia un più ampio interesse per sue eventuali attinenze con maggiori problemi della cosa pubblica e quindi di storia politico-civile, oppure sia invece esclusivamente relativo agli interessi di privati. Ultima distinzione sarà quella cronologica; all interno di ogni singola ripartizione i documenti devono essere tanto inventariati quanto regestati e pubblicati secondo la loro successione nel tempo, sia essa certa o sia attendibilmente approssimativa. Quanto sopra non costituisce che una indicazione di massima: la sua portata e i suoi scopi possono comunque venire meglio chiariti dallo schema allegato. Prima di passare ad esso diciamo ancora soltanto, quale estrema avvertenza, che i criteri proposti non possono naturalmente essere osservati ad litteram per ogni voce o gruppo di voci, bensì devono essere elasticamente adattati alla fisionomia e alla concreta dimensione degli argomenti, sui quali intendiamo strutturare il nostro lavoro. — 283 — TITOLO PRIMO: PARTE GENERALE \ I: Politica generale. (Indicazioni di documenti riguardanti i rapporti pubblici e privati tra Genova e il Levante in genere. sia sul piano dei pubblici organi e istituzioni sia su quello dei rapporti coi e dei privati). II: Amministrazione generale. (Indicazioni di atli riguardanti gli uffici di generale competenza sul dominio del Levante). 1 a: Indicazioni di documenti elle, pur avendo determinate provenienze topiche, investono problemi di politica generale tra gli stali, cristiani e musulmani, deirUccidentc e dell'Oriente. 1 b: Spese di rappresentanze e loro eventuale incidenza nel complesso dei rapporti diplomatici (ambasciate, ecc.). 1 e: Rapporti di Genova con i principati dell Oriente cristiano. ] d: Rapporti di Genova Coll’Oriente musulmano, in guerra e in pace. 2: Indicazioni riguardanti la generale situazione della navigazione tra Genova e l'Oriente e le successive diramazioni di rapporti, con i problemi inerenti la situazione suddetta (armamenti, assicurazioni, provvigioni. pirateria e guerra di corsa, ecc.). 3: Atti governativi riguardanti il dominio dei Genovesi nel Levante in genere. I : Atti riguardanti colonie e consolati dei Genovesi nel Levante in genere. 5: Atti riguardanti colonie e consolati dei Genovesi nel Levante in genere, in ispecie per ciò che concerno i rapporti Ira i privali e la pubblica amministrazione, politica ed economica. 1 : Atti diversi dell 'Officium Gazarie, di carattere pre-valenlemcnlc generale e di interesse generalmente pubblico. 2: Pratiche diverse 643/7. Prospetti settimanali delle attività marittime, dipartimento di Genova, dal febbraio 1810 all’agosto 1810. _ 292 _ T futuro, si abbandonava sovente ad atti di insubordinazione che rallentavano il normale ritmo delle attività produttive 13. Per una conoscenza più approfondita dell’economia ligure nella età napoleonica non sembra sufficiente il ricorso ai materiali documentari conservati negli archivi locali. Di carattere per lo più frammentario, essi riflettono in prevalenza problemi di dettaglio e mal si prestano ad uno sfruttamento che tenda alla ricerca di generali tendenze. La pletorica corrispondenza conservata presso gli archivi di Genova o di Savona è per lo più quella scambiata fra i prefetti ed i comuni ; non quella intercorsa fra i prefetti e l’Ammi-nistrazione Centrale, per sua natura più propensa a considerare i fenomeni da un punto di vista meno limitato e meno legato a situazioni contingenti o particolari. La Statistica del dipartimento di Montenotte. pubblicata tardivamente nel 1824 dall’ex prefetto Chabrol, malgrado la sua reputazione, è troppo spesso evasiva, ed è pur sempre riferita ad uno solo dei tre dipartimenti in cui era stata divisa la Liguria napoleonica. Nell intento di cogliere taluni aspetti particolari, ho quindi effettuato qualche sondaggio presso gli Archivi Nazionali di Francia. Si tratta, per il momento, di risultati parziali e — direi — di settore ; ma forse essi potranno offrire lo spunto a ricerche di più ampio respiro. II. - SETA In Liguria, alla fine del secolo XVIII, l’industria della seta era ancora molto diffusa. Nel periodo napoleonico, ed in particolare dalla proclamazione del blocco continentale, essa denuncia però una gravissima crisi. Dall allevamento del baco da seta praticato in migliaia di abitazioni private, dove una o più stanze erano stagionalmente destinate a tale scopo, nel dipartimento di Genova, sino al 1811, si trae- 13 ANP. F 12, 1576. Note in prospetti trimestrali, dipartimento di Genova, .lai 1810 al 1813. — 293 — vano complessivamente più di 300.000 chilogrammi di bozzoli 14. Due anni dopo tale produzione era ridotta a 190.000 15. Nel dipartimento degli Appennini, facente capo a Chiavari, dagli oltre 20.000 chilogrammi prodotti nel 1810 16, si passava nei tre anni successivi, all’ancor più modesta produzione media di circa 17.000 chilogrammi, che era assorbita completamente dal mercato di Genova 17. Nel dipartimento di Montenotte (Savona), dai 502.000 chilogrammi del 1811 si passava nel 1813 a 395.660 18. Alla base di questa generale flessione troviamo diverse circostanze: la cessazione dell’esportazione di sete filate verso 1 Inghilterra, che, contraendo la domanda, aveva provocato un sensibile abbassamento dei prezzi e conseguentemente dei ricavi 19 ; il freddo eccezionale degli inverni 1812 e 1813 che aveva danneggiato gli alberi di gelso20; le malattie (morte bianca, morte nera, « muscar-dine »), che avevano decimato i raccolti21. 14 ANP, F 10, 496. Circolare del Ministro delle Manifatture e del Commercio, 26 luglio 1810; prospetti trimestrali dipartimento di Genova dal 1811 al 1813; relazione del Prefetto di Genova al Ministro dell'interno, 21 luglio 1811. 15 Ibidem, relazione del Prefetto di Genova al Ministro dell Interno, 2i agosto 1813. 16 Ibidem, lettera del Prefetto di Chiavar! al Ministro deH Interno. 13 luglio 1811; prospetti trimestrali, dipartimento degli Appennini dal 1811 al 1813. 17 Ibidem, prospetti trimestrali, dipartimento degli Appennini dal 1811 al 1813. 18 Ibidem, prospetti trimestrali, dipartimento di Montenotte dal 1810 al 1813; lettera del Prefetto del dipartimento di Montenotte al Ministro dell Interno, 27 agosto 1813. 19 Ibidem, lettera del Prefetto di Genova al Ministro dell Interno. 2. agosto 1813; lettera del Prefetto di Savona (dipartimento di Montenotte) al Ministro dell Interno, 27 agosto 1813; osservazioni nei prospetti trimestrali, dipartimenti di Genova, di Montenotte e degli Appennini dal 1811 al 1813. 20 Ibidem, note in prospetti trimestrali, dipartimenti di Genova e di Monte-notte dal 1812 al 1813. ai Ibidem, note in prospetti trimestrali, dipartimenti italiani c piemontesi dal 1811 al 1813; ANP, F 10, 494-495. Lettera del Prefetto di Genova al Ministro dell'interno, 2 settembre 1812; lettera del Prefetto di Cliiavari al Ministro Un esperimento promosso dal governo in quasi tutti i dipartimenti italiani nel 1812-1813 inteso a sostituire i bachi tradizionali con una specie di importazione cinese, che fornisse un prodotto di qualità più pregiata, si era convertito in un vero fallimento 22. Il nuovo bombice si era infatti rivelato come estremamente soggetto alle variazioni di temperatura, facilmente aggredibile da parassiti e difficilmente portato ad un completo sviluppo. Inoltre, nel giro di due sole generazioni, esso produceva seta sprovvista di lucentezza e di colore. Quando nell’Italia centrale (dipartimenti di Roma e del Trasimeno) la nuova coltura aveva dati buoni risultati, le maestranze non erano riuscite a filare il prodotto, perchè molto più sottile di quello tradizionale 23. Tra i vari distretti costituenti il dipartimento di Genova, quello di Voghera deteneva il primato nella produzione dei bozzoli, con una media annua di circa 130.000 chilogrammi, seguito dal distretto di Tortona con circa 60.000, da quello di Novi con 40.000, da quello di Genova con 35.000, ed in fine dal distretto di Bobbio, con una produzione media annua oscillante fra i 12 ed i 14.000 chilogrammi 24. La maggior parte dei bozzoli prodotti in questi distretti veniva trasportata, per la filatura, a Novi oppure a Genova25. A loro volta, mercanti e filatori di questa città si provvedevano di materia prima delle Manifatture e del Commercio, 9 settembre 1813; lettera del Prefetto d> Savona al Ministro dell’industria, 27 agosto 1813. Si tratta delle seguenti malattie: calcino (morte bianca), putrefazione della crisalide dovuta a brusche variazioni della temperatura (morte nera), flacidezza (« muscardine »). 22 ANP. F 10, 496. Lettera del Prefetto di Genova al Ministro dell Interno, 27 agosto 1813; lettera del Prefetto del dipartimento degli Appennini al Ministro dell’interno, 9 settembre 1813; lettera del Prefetto del dipartimento di Montenotte al Ministro ddl'Interno. 27 agosto 1813. 23 ANP, F 10, 494-495, 496. Prospetti trimestrali, dipartimenti di Roma e del Trasimeno dal 1811 al 1813. 24 ANP. F 10, 496. Prospetti trimestrali, dipartimento di Genova dal 1810 al 1813. 25 Ibidem, lettera del Prefetto di Genova al Ministro ddl'Interno, 27 agosto 1813. — 295 — anche al di fuori del dipartimento, acquistando bozzoli nei territori di Chiavari e di Savona 26. Da parte sua, la produzione di seta filata subiva, a sua volta, una notevole flessione. Dai 35.323 chilogrammi del 1811, si era scesi a 31.320 chilogrammi nell’anno seguente, per toccare i 20.468 nel 1813, anno di cattivo raccolto, in cui, per di più, i migliori bozzoli della Liguria e del Piemonte erano stati accaparrati da un gruppo di mercanti ebrei di Alessandria 27, riducendo all’inattività numerosi filatori di Genova. Facile attribuirne la colpa agli ebrei28: di fatto, erano entrate in gioco la proibizione di procurarsi sete gregge da altri dipartimenti dellTmpero 29 e la cessazione dei traffici con gli inglesi, che fino al 1806-1807 erano stati i più forti acquirenti di filati serici liguri da impiegare nella tessitura delle pregiate « gazes » 3,>- Pur nelle difficoltà del momento, la filatura continuava a dedicarsi alla produzione dei rinomati organzini31 a cui destinava dalla metà ad un terzo della seta trattata 32, inseguendo di volta in volta più o meno labili prospettive di mercato M, ed operando, di conseguenza, nella più grande incertezza. In relazione con queste limitate possibilità di assorbimento da parte delle manifatture locali, a partire dal 1812, malgrado gli anni di cattivo raccolto, la produzione di bozzoli si rileva in costanti eccedenze. « La plus mauvaise récolte de soie dans le Dépar- 26 Ibidem, lettera del Prefetto di Savona al Ministro dell Interno, ag°" sto 1813. 27 Ibidem, lettera del Prefetto di Genova al Ministro dell Interno, 27 ago sto 1813; note in prospetti trimestrali, dipartimento di Genova, II e III trimestre 1813. 28 Ibidem. 29 Ibidem, relazione del Prefetto di Genova al Ministro delle Manifatture e del Commercio, 20 agosto 1813. 30 Ibidem. 31 organzino: fili di seta greggia filati e torti separatamente, poi filati tutti p insieme. < 32 ANP, F 10, 196. Prospetti trimestrali, dipartimento di Genova, dal 1810 al 1813. 30 Ibidem, note in prospetti trimestrali, dipartimento di Genova, dal 1810 al 1813. — 296 — leinenl de Gênes produit beaucoup au de là des besoins de ses manufactures » scriveva nel 1813 il Prefetto di Genova al Ministro del Commercio34, e da Torino gli faceva eco il suo collega del dipartimento del Po dove, lo stesso anno, al momento del raccolto dei bozzoli (per altro inferiore da un terzo ad un quarto di quello della annata 1812), un buon terzo del raccolto precedente risultava ancora invenduto 35. Malgrado la diminuzione progressiva delle quantità prodotte, il rallentamento della domanda locale di prodotti serici aggiunto alla impossibilità di esportarli, provocava, a partire dal 1811, una sensibile flessione dei prezzi delle sete gregge e degli organzini, flessione cbe si ripercuoteva, a partire dall’anno seguente, anche sui prezzi dei bozzoli, come è evidente dalla tabella I. Tab. I SETA — DIPARTIMENTO DI GENOVA Prezzi (franchi e centesimi per kg.) dei bozzoli, della seta greggia e dell’organzino dal 1808 al 1813 Fonti: ANP. F 10, 494-495 Anno Bozzoli Seta greggia Organzino 1808 2,30 39,70 47,70 1809 2,30 40,60 48,60 1810 2.30 42,98 55,77 1811 3,25 42,60 50,70 1812 2,65 40,- 52,--- 1813 2,70 38,42 47,--- 34 Ibidem, relazione del Prefetto di Genova al Ministro delle Manifatture e del Commercio, 20 agosto 1813. 35 Ibidem, relazione del Prefetto del Dipartimento del Po al Ministro dell'interno, 7 ottobre 1813. Peraltro il fenomeno è uno strascico degli anni precedenti; infatti lo stesso Prefetto (generale Alessandro Lameth) nel 1811 scriveva: « ... il est malheureusement prouvé que la récolte des cocons de 1811, quoique au dessous de médiocre excède de beaucoup les besoins actuels des manufactures et des fabriques; les trois quarts du produit de 1810 sont au rebut et ont occasionné un dérangement dans le commerce» (ANP. F 10, 494-495. Relazione del Prefetto del dipartimento del Po al Ministro dell'interno, 18 luglio 1811). Tab. II 298 — Dei 1862 telai in funzione nel 1808, nel 1810 ben 648 risultavano inoperosi. Nel 1811 i telai inattivi erano 1094, nel 1813 erano 1436; solo 406 erano rimasti in attività136. La crisi sembra aver raggiunto il suo culmine nel febbraio del 1812, quando i telai adibiti alla tessitura delle sete erano ridotti a 199, mentre quelli inoperosi raggiungevano il massimo di 1593 37: dei 120 telai destinati in passato alla fabbricazione delle calze di seta, 70 venivano ora adibiti a quel poco cotone che era saltuariamente reperibile sxil mercato 38 (tab. II). Nei primi mesi' del 1814 quasi mille operai e più di 700 fanciulli erano costretti alla disoccupazione. Due terzi dei tessitori, privi di lavoro, versavano nell’estrema miseria; smontati i loro attrezzi ne impegnavano le parti, vendendo persino il piombo usato per tracciare i disegni ed inibendosi, di conseguenza, qualunque successiva ripresa del consueto lavoro 39 (tab. III). Interrotto il traffico con l’Algeria, la tessitura dei damaschi e delle altre stoffe « façonnés » come broccati e broccatelli, era quasi completamente scomparsa. Analogamente, perso il mercato del Portogallo, la fabbricazione dei rasi veniva abbandonata 40. Contro una produzione di più di 3.600.000 metri di nastri di seta ancora raggiunta nel 1810, tre anni dopo non si raggiungono che 603.000 metri, con una flessione dell’83,25 per cento; contro 50.000 paia di calze prodotte nel 1809, non se ne producevano nel 1813 che 14.000, per di più sovrabbondanti per il mercato locale 41. Venuta meno la richiesta straniera di tessuti serici di particolare qualità e pregio, ci si orientava sempre di più verso la produzione di tessuti poveri in quantità assai modeste assorbite dal solo mercato locale o, al massimo, dagli immediati dintorni. La produ- 36 ANP, F 12, 1576. Prospetti trimestrali, dipartimento di Genova, dal 1810 al 1813. 37 Ibidem. 38 Ibidem. Note in prospetti trimestrali, dipartimento di Genova, dal 1810 al 1813. 39 Ibidem. 40 Ibidem. 41 Ibidem, prospetti trimestrali, dipartimento di Genova, dal 1810 al 1813. — 299 — zione rii satin e di taffetà si ridusse ad alimentare quasi esclusivamente la esigua fabbricazione di ombrelli42. Anche l’antica e reputata produzione di velluti si era ridotta ad una pallida ombra, con soli 5 telai attivi in Genova, nel 1812-13 ; non più di una trentina nel circondario e meno di 150 nel distretto di Chiavari. Per di più, i mercanti genovesi, che ne erano gli abituali acquirenti, ritiravano la merce in maniera sempre più saltuaria e con difficoltà sempre crescenti43. Tab. IV SETA — DIPARTIMENTO DI GENOVA: GENERE E QUANTITÀ DELLA PRODUZIONE Anni 1810-1813 Fonti: ANP. F 12, 1576 Genere Unità 1810 1811 1812 1813 Velluti metri 23.600 14.800 26.640 18.324 Damaschi » 1.900 1.000 1.000 1.090 Satin » 9.000 4.500 7.200 6.200 Sarge » 18.000 13.000 15.000 15.500 Taffetà » 20.000 14.000 16.000 19.820 Nastri » 3.600.000 2.340.000 630.000 603.000 Calze paia 40.000 24.000 14.000 14.370 Un discorso a parte meritano, in argomento, le particolari condizioni del dipartimento di Montenotte, facente capo a Savona. In esso non si svolgeva attività tessile ed i bozzoli prodotti venivano per la maggior parte esportati in Piemonte; per una parte molto minore, finivano sul mercato di Genova M. Anche la filatura — quasi inesistente nel distretto di Porto Mau- 42 Ibidem. 43 Ibidem, note in prospetti trimestrali, dipartimento di Genova, dal 1811 al 1813; relazione del Prefetto di Genova al Ministro dellTntemo, 1 febbraio 1813. 44 Ibidem. — 301 — rizio 45 — rappresentava un’attività di rilievo più nei distretti piemontesi del dipartimento (Acqui e Ceva) che non in quello di Savona. Rispetto ai tempi passati, essa era notevolmente diminuita sia per la cessazione dei traffici con l’Inghilterra, sia per la mancanza di bozzoli determinata dalle distruzioni di gelsi durante le guerre recenti46. Il divieto dell’esportazione di bozzoli dal Piemonte aveva provocato la fioritura d’un gran numero di filande che, trasformando la materia prima in seta filata ed in organzino avevano procurato lavoro a migliaia di operai; ma con l’unione del Piemonte alla Francia un gran numero di queste filande era stato travolto. Nel 1810 non ne rimanevano che tre (che impiegavano 147 persone): una ad Acqui; due a Ceva; nessuna nel territorio ligure47. Anche le tre superstiti non lavoravano però più di sei mesi all anno, ed erano oberate dai debiti contratti presso negozianti di Torino, all interesse apparentemente modico del sei per cento, ma sostanzialmente aggravato dall’obbligo di consegnare al creditore tutta la merce a mano a mano prodotta 48. III. - COTONE 1. - Come è ovvio, tra le manifatture più colpite dal blocco continentale un posto particolare è occupato da quelle che utilizzavano il cotone come materia prima. Esaurite le limitate scorte, le filande ed i telai avevano ridotto la produzione o si erano arrestati completamente per mancanza di alimento. La rapidità e l’intensità della smobilitazione sono rese più evidenti dal moltiplicarsi delle ricerche per sostituire il cotone con altre fibre vegetali, per lo più inconsuete, e dal diffondersi di colture sperimentali tese ad acclimatare la stessa pianta del cotone. 45 ANP, F 10, 196. Lettera del Prefetto di Montenotte al Ministro dell'interno, 20 agosto 1811. 46 Chabrol de Volvic, Statistique de s provinces de Savone, de l'Oneille, d'Acqui, Parigi, 1824, II. p. 322 e spg. 47 Ibidem. 48 Ibidem. — 302 — Nel 1807 una intensa campagna propagandistica aveva tentato di diffonderne la coltivazione in tutto l’impero; i Prefetti dei dipartimenti erano stati invitati a concedere premi ai contadini che avessero ottenuto anche risultati parziali49. Nel 1808 si erano distribuite sementi insieme a consigli tecnici per la scelta dei terreni più adatti, ed a valanghe di opuscoli informativi sulla vita e le malattie del cotone, e sui risultati ottenuti od ottenibili dalla coltura di tale pianta 50. Nel 1809 si vagliavano i primi risultati e il 22 agosto dello stesso anno, a Napoleone che domandava al Bureau Consultatif se era ormai possibile sostituire il cotone americano con quello della Macedonia e dell’Italia, si rispondeva « le moment n’est pas encore venu, la culture e la récolte doivent être singulièrement améliorées » 51. Negli anni successivi veniva dato il massimo impulso a questi tentativi e, malgrado gli scarsi risultati, non si desisteva da essi che con la caduta dell’impero. Particolari speranze erano state riposte, al riguardo, nei dipartimenti italiani, « ressources précieuses » in quanto favoriti dal clima rispetto ai dipartimenti francesi52. Ma mentre nel Sud (Puglie, Calabria e Napoletano) si conseguiva qualche risultato apprezzabile, nei dipartimenti del Nord non si raccoglievano che clamorosi insuccessi. In Liguria le assegnazioni governative di sementi di cotone sono documentate a partire dal 1808. Al dipartimento genovese, a quello 49 ASG (Archivio di Stato di Genova), Prefettura Francese, pacco n. 248, fascicolo coltura del cotone. ANP, F 12, 1611. Fascicolo documenti sull’agricoltura (colture di cotone), dal 1805 al 1814. ANP, F 12, 2378. Fascicolo surrogati del cotone (invenzioni diverse), dal 1808 al 1832. 50 ANP, F 12, 2378. Fascicolo (surrogati del cotone) citato. ANP, F 10, 201. Memorie sulle colture di cotone, 1761-1826; rapporto sulla coltivazione di cotone in Toscana, 1808. 51 ANP, F 12, 2378. Relazione del Bureau Consultatif de la Chambre de Commerce de Rouen a Napoleone, 22 agosto 1809. 52 Ibidem, relazione della Chambre de Commerce de Rouen al Prefetto del dipartimento della Senna inferiore, 4 luglio 1809; stessa relazione al Ministro delle Manifatture e del Commercio, luglio 1809. — 303 — degli Appennini e a quello di Montenotte vennero inviati in quello anno sessanta chilogrammi di seme di cotone di Napoli, due chilogrammi di semi di Macedonia e quattro litri di semi di cotone americano. Probabilmente anche a Parigi ci si era resi conto delle difficoltà naturali che la nuova coltura avrebbe incontrato in queste zone inadatte ; infatti in altri dipartimenti si erano mandati semi di cotone in quantità notevolmente superiori (Roma 312 chilogrammi, Trasimeno 160 chilogrammi, ecc.)53. Diramate istruzioni di carattere tecnico (quando va raccolto il piodotto, come: deve essere impiegato, ecc. ecc.) insieme a numerose circolari ed a pubblicazioni relative ad analoghe colture realizzate nelle isole Baleari, a Malta ed in Grecia 5i, un manifesto diffuso in tutto il dipartimento di Genova aveva promesso un premio di un franco per ogni chilogrammo di cotone ottenuto. Si era promossa cosi una serie di esperimenti condotti in tutta la Liguria durante gli anni dal 1808 al 1812, i cui risultati furono del tutto negativi55, anche se fin dall’aprile 1808 da Genova, il direttore delle Dogane Imperiali scriveva all’Amministratore delle Dogane a Parigi che, nelle campagne di Cornigliano, Giacomo Filippo Du-razzo « coltiva il cotone come il grano e ne raccoglie una quantità sufficiente da occupare gli abitanti del paese che ne ricavano maglierie » 56. A parte una sicura esagerazione dello scrivente (che narra anche di un giardino ove Clelia Grimaldi faceva coltivare cotone e canna da zucchero), la lettera ci fa sapere che sino a quella data, in Liguria non erano stati applicati i suggerimenti governativi, ANP, F 10, 424. Prospetto distribuzione sementi di cotone nei dipartimenti italiani, dal 1808 al 1812. ANP. F 10, 201. Circolari del Ministro delI‘Interno a tutti i Prefetti dei dipartimenti, dal 1807 al 1808. ANP, F 10, 424-426. Corrispondenza con i Prefetti dei dipartimenti di Genova, di Montenotte e degli Appennini dal 1808 al 1813. ANP, F 10, 425-426. Relazione del Prefetto di Genova al Ministro del-1 Interno, 14 settembre 1813; relazione del Prefetto di Montenotte al Ministro dell Interno, 15 settembre 1813; relazione del Prefetto degli Appennini al Ministro dell Interno. 12 settembre 1813; anche relazioni dipartimentali del Piemonte, dell'Italia Centrale, 1813. ANP, F 12, 2378. Lettera di M. Breck a M. Magnieu, 9 aprile 1808. — 304 — mentre in altri dipartimenti (Toscana, Napoletano, Puglie, ecc.) già dal 1807 ampie distese di terreno erano state soggette a tale coltura 57. Quattro anni dopo, nell’aprile 1812, il Prefetto di Genova Bouidon de Vatry era costretto ad ammettere che i proprietari, dopo aver perduto per la quarta volta il frutto del loro lavoro e dei loro terreni (le piante nemmeno nascevano), non si decidevano a ritirare nuove sementi di cotone e che, costretti a farlo, subivano 1 imposizione con profonda pena e disgusto. Per ordine del governo una parte dei terreni del dipartimento (78 ettari) era stata destinata alle barbabietole (che rendevano poco o nulla); seminando ancora del cotone, i proprietari non avrebbero ricavato nemmeno quanto sarebbe stato sufficiente a pagare le imposte 5S. Parigi non replicava che inviando nuove sementi, e il 14 settembre 1813 il Prefetto era indotto a ripetere su per giù quanto aveva già scritto l’anno precedente segnalando che la quantità di semi giacenti era notevolmente aumentata poiché nessuno ne ritirava 59. Per tutta risposta, tre mesi dopo, gli venivano recapitati altri trenta chilogrammi di semi 60. Nel dipartimento di Montenotte le cose non erano andate meglio: clima troppo umido e natura del terreno avevano aumentato le difficoltà degli agricoltori. Dopo quattro anni di vani esperimenti, il Prefetto Chabrol, il 29 novembre 1812, era ancora più esplicito del suo collega di Genova, riferendo a Parigi che « la coltura del cotone non potrà mai diffondersi in queste campagne »61. 57 ANP. F 10. 201. Rapporti sulle colture di cotone nei dipartimenti italiani, dal 1807 al 1812. 58 ANP, F 10, 424. Relazione del Prefetto del dipartimento di Genova al Ministro deirinterno, 23 aprile 1812. 59 Ibidem, relazione del Prefetto del dipartimento di Genova al Ministro deirinterno, 14 settembre 1813. 60 Ibidem, comunicazione del Ministro dell’interno al Prefetto del dipartimento di Genova. 11 dicembre 1813. 61 Ibidem, relazione del Prefetto del dipartimento di Montenotte al Ministro dell lnterno. 29 novembre 1812. — 305 — 20 Da parte sua, il Prefetto degli Appennini, Maurice Duval, malgrado il raccolto irrisorio del 1811 62, aveva ostentato il più largo ottimismo, promettendo futuri successi. Nel settembre del 1813 era però costretto anche lui a riconoscere che « la grain n a pas pris du tout »63. Nei tre dipartimenti liguri, il pochissimo cotone ottenuto, di fibra corta e fragile, era assolutamente inadatto ed insufficente. Le industrie tessili locali restavano pertanto condizionate dalle sole importazioni. 2. - Filatura e tessitura del cotone non si incontravano in tutto il dipartimento degli Appennini, facente capo a Chiavari, dove, per lo più si utilizzavano altre fibre tessili sostitutive. Quel poco cotone di cui si riusciva a disporre era impiegato in una produzione di carattere familiare e di qualità decisamente mediocre: tale da impedirne lo smercio 64. Nel dipartimento di Montenotte si trasformava cotone nel solo distretto di Savona. La filatura era praticata a Celle ; la tessitura faceva invece capo esclusivamente a Savona e ai suoi immediati dintorni, dove nel 1809 si contavano ancora complessivamente circa 300 telai in opera, a domicilio 65. Prima che le difficoltà di rifornimento della materia prima provocassero un enorme rialzo del suo prezzo, ogni telaio in azione produceva circa 32 pezze all anno , si trattava dunque di una produzione annua di circa 9.600 pezze, per metà di tele a righe rosse od azzurre destinate all’abbigliamento; per l’altra metà, di tele di cotone miste a canapa, che serviva a 82 Ibidem, lettera del Prefetto del dipartimento degli Appennini al Ministro deirinterno, 5 maggio 1811 (da un terreno di 78 metri, ove si erano seminati ottanta grammi di semi di cotone, si raccolsero 150 grammi di cotone). 63 ANP, F 10, 425-426. Lettera del Prefetto del dipartimento degli Appen-nini al Ministro dell’interno, 12 settembre 1813. 64 ANP, F 12, 1576. Note in prospetti trimestrali, dipartimento degli Appennini, dal 1810 al 1813. 65 Chabrol de Volvic cit., pp. 326 e 327. 66 Ibidem: ogni pezza era lunga metri 30 c larga metri 0,37. — 306 — fabbricare le vele. Già nel 1809 i 300 telai avevano ridotto di una tnetà il loro possibile impiego, flettendosi la loro produzione media da 32 a 16 pezze all’anno87. Le manifatture di cotone nel dipartimento di Genova erano per lo più imprese di carattere artigiano con un complesso di dipendenti (filatori, tessitori e manovali) che variava dalle due persone nei casi più modesti (Vedova Caprile), alle 324, in quelle a carattere quasi industriale (Bagnasco & C.)68. Alcune di queste fabbriche avevano annessa una tintoria che tingeva grossolanamente una parte della produzione ; ma in quegli anni si preferì lasciare ad altre aziende questo settore di attività. Non mancavano inoltre alcune imprese di stampatura, il cui lavoro consisteva nel decorare il prodotto delle manifatture locali, oltre a tele importate dal Piemonte, dalla Francia e dalla Germania 89 (tab. V). A Nervi più di 3.000 telai sparsi per le case private, manovrati prevalentemente da donne assistite da fanciulli, producevano forti quantitativi di tele ordinarie e di fustagni che venivano raccolti da imprese di Genova, e da queste distribuiti localmente alla vendita. Circa il 75 per cento della produzione tessile del dipartimento di Genova era rappresentata da queste tele 70. In Genova, telai relativamente numerosi, ma sempre a domicilio, producevano forti quantitativi di calze e di tessuti a maglia, ma il prodotto delle manifatture era costituito prevalentemente da tele ordinarie a quadretti, da modesti quantitativi di percalli e nankine e da poche migliaia di grandi fazzoletti71. All’intero dipartimento di Genova, nel periodo compreso fra il 1810 ed il 1814, oltre che da telai isolati in opera presso singoli, la tessitura risulta esercitata da un numero oscillante di manifatture (cinque nel 1810, nove nel 1811, sei nel 1812)72. 67 Ibidem. 68 ANP, F 12. 1576. Prospetti trimestrali, dipartimento di Genova, dal 1810 al 1813. 69 Ibidem. 70 Ibidem. 71 Ibidem. 12 ANP, F 12, 1576. Prospetti trimestrali, dipartimento di Genova, dal 1810 al 1813. — 307 — COTONE — DIPARTIMENTO DI GENOVA: PRODUZIONE DELLE VARIE IMPRESE Tab. Anni 1810 - 1813 - O O 00 s © o »o 00 VO IO O 00 o o o O CM CO o o o »o LO o cs CN (“I CO o o o o co o co 00 oo CM O) w5 en - T3 O H « .5 03 t; O- S a 5) .2 O > CL ^ cd C o bD « £ 1—1 r—< -c T3 Si tratta di imprese in difficoltà, anche se non sfociano nel fallimento, come è provato da un succedersi di nuovi soci che subentrano o si uniscono al primo, provano per un certo periodo, e poi vengono sostituiti da altri elementi, forse apportatori di nuovi capitali, certo, di rinnovate illusioni. E il caso della ditta Honninger (70 telai, 98 dipendenti, una produzione di circa 100 pezze al mese). Nel gennaio 1810 si trova solo 1 Honninger; sei mesi dopo, al titolare si affianca un certo Canepa ; la coppia resiste per circa due anni, sinché nel secondo semestre 1813 l’impresa viene ceduta a certi fratelli Parodi. Sembra anche il caso delle diverse ditte Tessera & Ruspini, Campodonico, Tassara, Ferrando, che vediamo sparire nella seconda metà del 1812, sostituite dai nuovi nomi di Gambaro e di Ansaldo 73. Le imprese che scompaiono non lo fanno rumorosamente, ma la produzione diminuisce, il numero degli operai si dimezza, i nuovi soci si dileguano, dopo aver perduto, in tutto od in parte, il capitale impiegato 74 (tab. VI). Dall’andamento generale della produzione (vedi tab. VII) si rileva che tutte le fabbriche hanno un trend discendente sino al giugno 1812. Nei sei mesi successivi le pezze di tele « quadrillette », i fustagni, percalli e fazzoletti vengono quadruplicati, ma agli inizi del secondo trimestre del 1813 si verifica nella produzione una nuova paurosa flessione; maglie e calze spariscono completamente75. Solo le tele del tipo « nankin » dopo un incremento ingannatore nel secondo semestre del 1811, che è dovuto alla trasformazione degli impianti operata da una impresa (Bagnasco), subiscono la crisi nel 1812, per segnare una ripresa solo nell’anno seguente. Nelle manifatture genovesi il cotone è prevalentemente filato da filatori privati ; i telai sono azionati dall’operaio. Quando nei primi mesi del 1813 il prezzo del cotone « in lana » sale notevolmente, le imprese genovesi, forse sfiduciate dai risultati della campagna di Russia, indebolite dai disordini e dalle richieste delle maestranze, private di sbocchi, messe in difficoltà dalle avverse 73 Ibidem. '4 ANP. F 12. 1576. Note in prospetti trimestrali, dipartimento di Genova, dal 1810 al 1813 75 Ibidem. — 309 — condizioni meteorologiche che riducono le ore di lavoro e impediscono alle tele lavate e stampate di asciugare adeguatamente76, si avviano verso l’esaurimento completo. Già alla fine del 1812, l’unica impresa (Morosini) che aveva continuato ad affiancare l’attività tessile a quella tintoria tingendo tele « al rosso d’Adrianopoli », rinuncia a quest’ultima attività e si limita a produrre poche pezze di tela ordinaria 77 (tab. VII). Dal 1810 agli inizi del 1814 le maestranze impiegate vengono ridotte da 4.442 a 1.483; altri 2.058 telai diventano inoperosi78. Un caso tipico è costituito dalla manifattura Bagnasco & C., una società in accomandita che era l’unica impresa genovese in questo settore, che avesse carattere quasi industriale. Installata in un convento dei Battistini all’uopo espropriato dall’autorità pubblica, l’impresa sembrava promettere bene, tanto che i titolari avevano richiesto una proroga di 27 anni alla concessione triennale ottenuta nel 1809 79, proroga che venne concessa, previa una indagine esperita dal Prefetto per raccogliere elementi ed informazioni circa il potenziale dell’impresa. I dati segnalati al Ministro (6 luglio 1811) non coincidono con quelli riportati nei « rendiconti trimestrali », ma forniscono un'idea esatta della consistenza e delle prospettive di questa manifattura. Essa disponeva, a quel momento, di sessanta telai a navetta volante che producevano per settimana quaranta pezze di percalle 76 Ibidem. 77 Ibidem. 78 Ibidem (vedi tab. Vili). Tab. A - Cotone - Dipartimento di Genova: N° telai in funzione Anni 1810 - 1813 Fonti: F 12, 1576 Trimestre 1810 1811 1812 1813 I | 3.192 | 2.655 1.469 1.124 II | 3.160 | 2.330 1.469 1.134 III al settembre lì 12, cessano di 1.414 1.134 IV 1.124 1.134 N.B. - Dal 1811 funzionare aneli e una ottantina di telai applicati alla tessitura di « bonneterie ». 79 ANP, F 12, 1611. Lettera del Ministro dell'interno al Prefetto del dipartimento di Genova, 29 aprile 1811. — 311 — pa H < H H H W es o H H H en es H PM o es H O O o z c < > o z w o o H z w H es c PL, a z o H O u — 313 — di 25 metri ciascuna, quaranta pezze di nankinette di 5 metri, dodici pezze di tela quadrettata di 40 metri e sei dozzine di fazzoletti. La filatura era praticata a mezzo di dodici piccole Jan-nette da cinquanta fusi, la cui produzione era appena sufficiente ad alimentare la fabbrica, che consumava anche un po’ di cotone « grosso », filato a domicilio da personale femminile. Annessa alla fabbrica esisteva una modesta tintoria dove si tingeva una parte delle stoffe prodotte. Complessivamente il personale interno (comprendendo filatori interni, tessitori, tintori, meccanici ed apprendisti) ammontava ad oltre 220 unità. A proroga concessa — proseguiva il rapporto prefettizio — i telai sarebbero passati da sessanta a cento ed anche la filatura si sarebbe attrezzata con sedici mull-jennies da 240 fusi ciascuna sì da aumentare la produzione del filato, soddisfacendo così non solo le esigenze dei 100 telai, ma anche quelle di' altre fabbriche. Il capitale allora impiegato nell’esercizio della manifattura era di circa 300.000 franchi che sarebbero diventati 500.000 qualora si fossero ottenute le assicurazioni richieste circa una disponibilità dei locali prolungata nel tempo 80. Ottenuta — come si è visto — la proroga, anche in vista di un maggior assorbimento di manodopera promesso dai titolari, Ba-gnasco & C. avevano dato mano al rinnovo delle attrezzature e degli impianti. E’ interessante rilevare, da questo momento, le variazioni del rapporto fra prodotto ottenuto e personale impiegato in funzione della introduzione delle nuove macchine e del sopravvenire di un periodo di espansione seguito da un altro di crisi 81 (tal). IX). Nel 1810 con 68 operai si erano filati semestralmente circa 800 chilogrammi di cotone e si erano tessute in media 800 pezze di tela. L’anno successivo, mentre la produzione del filato aumenta solo lievemente, quella dei tessuti raddoppia. Il successo conseguito è dovuto esclusivamente all’aumento del numero dei telai ed allo aumento della manodopera. Alla fine del 1811 entrano in funzione 80 Ibidem, lettera del Prefetto del dipartimento di Genova al Ministro dell’interno, 6 luglio 1811. 81 ANP, F 12, 1576. Prospetti trimestrali, dipartimento di Genova, dal 1810 al 1813. — 314 — otto nuove mull-jennies e nel 1812 sale a sedici il numero delle nuove macchine filatrici. Si ottiene così un quantitativo doppio di cotone filato, mentre la produzione di tessuti aumenta di altre 200 pezze, ma la manodopera non specializzata viene diminuita sensibilmente. Nel primo semestre del 1813, con una drastica riduzione del personale che passa da 290 a 52 unità, ci si orienta sulla prevalente produzione di filati, che permette lo sfruttamento completo delle nuove macchine mull-jennies mosse ininterrottamente da una « pompa a fuoco » che sostituisce gli operai. Nel secondo semestre dell’anno, l’attività della manifattura è rivolta quasi esclusivamente alla filatura (5.460 chilogrammi contro i 700 prodotti nel 1810), mentre le tessitura è ridotta ad una produzione di sole 448 pezze. Gli operai impiegati, che erano 68 nel 1810, sono ora ridotti a 42. Nel settembre 1813 una laconica segnalazione del Prefetto avverte che la ditta Bagnasco & C. si dibatte in gravissime difficoltà sia per la mancanza di sbocchi, sia per l’alto costo del cotone, sia per « le dérangement » d’uno dei principali interessati: « Lavora pochissimo e si ignora quale sorte le riserbi il futuro » 82. 3. - Un cenno a parte merita la produzione dei merletti, attività dalla antica tradizione e che si svolgeva prevalentemente a Portofino, a Rapallo ed a Port Napoléon 83. 82 Ibidem, note in prospetti trimestrali, dipartimento di Genova, III e IV trimestre 1813. 83 ANP, F 12, 1570. Prospetti semestrali, dipartimento degli Appennini. 1810, 1811 e 1813. Tab. B - Pizzi - Dipartimento degli Appennini : telai, manodopera e produzione Anni 1810, 1811 e 1813 Fonti: ANP. F 12, 1570 Periodo N. N. N. telai attivi operai pezzi 1810 I sem. 4.050 4.050 6.036 II sem. 3.650 3.650 5.636 1811 I sem. 4.075 4.075 6.180 1813 I sem. 1.500 1.500 1.230 (*) (*) Dei 1.230 pizzi, 30 sono lavorati a tulle, 10 a piume d'oro, 80 a catena, 2701 a fiori, 840 « fantasia ». — 316 — Nel 1810 e nel 1811 circa 4.000 telai81 occupavano altrettante persone. Ogni sei mesi si producevano più di 6.000 pezzi 85. I finissimi pizzi (tulle, piume d’oro, a catena, a fiori ecc.) erano prevalentemente destinati ai mercati spagnoli e portoghesi che ne facevano largo consumo. Nel primo semestre 1813, soltanto 1.500 operai lavoravano ancora e la produzione complessiva si era ridotta a meno della quarta parte di quella del 1811, con un consumo di materia prima ridotta alla esigua quantità di 33 chilogrammise. Anche ad Albissola ( dipartimento di Montenotte) centinaia di donne, lavorando a domicilio, tessevano e ricamavano dei merletti, utilizzando però filo nero di seta invece che filo di cotone o di lino. La produzione, un tempo molto fiorente, ancora nel 1806 veniva valutata circa 30.000 franchi. Raccolta da mercanti, veniva esportata, come quella della riviera di levante, in Spagna ed in Portogallo, destinata ad arricchire vesti e « zendales »87. La carenza di smercio locale e le accresciute difficoltà di esportazione avevano però ridotto questa attività del sessanta per cento. Negli anni 1811-1812 dall’esportazione non si ricavavano più di 1.500 franchi88. IV. - LANA In Liguria, nel periodo considerato, anche le manifatture della lana, pur essendo tra le più importanti, non avevano ancora raggiunto un carattere industriale, ma conservavano piuttosto le pesanti caratteristiche di organizzazioni artigiane. Un inverno precoce, limitando la luce diurna, bastava a provocare una riduzione nella produ- 84 ANP, F 12, 1570. Prospetti trimestrali, dipartimento degli Appennini, ■dal 1810 al 1813. 85 Ibidem. 86 Ibidem. 87 Chabrol de Volvic cit.. p. 356. «Zendales»: scialli di tipo veneziano. 88 Ibidem. zione; un inverno rigido, impedendo il lavoro nei campi, faceva aumentare i quantitativi di lana filata 89. Il numero dei filatori ha sbalzi ed improvvise impennate, variando, nel giro di pochi mesi, da 429 a 749 per poi subito precipitare a 448, come avviene fra il 1810 ed il 1811. Gli sbalzi sono provocati dai lavori dell’agricoltura che assorbono la manodopera con intensità maggiore o minore. Nel terzo trimestre di ogni anno, la tessitura e le successive operazioni ausi-liarie, come 1 appretto, diventano frenetiche, in quanto, nella immi- Tab. X LANA — DIPARTIMENTO DI GENOVA: FILATURA E TESSITURA Anni 1810-1813 Fonti: ANP. F 12, 1576 Trimestre N. Quantità di N. N. dei filatoi filato prodotto telai pezze tessute in Kg. 1810 I j 21 54.720 76 1.745 H j III 1 20 36.480 76 1.545 IV J 23 57.456 80 1.823 1811 I j 11 ì 111 ( 21 38.304 80 1.619 IV j 1812 I 21 15.322 80 649 II 21 14.968 80 720 III 24 14.500 85 758 IV 23 14.200 83 614 1813 I 24 15.000 83 645 II 24 16.350 83 708 III 24 17.000 86 757 IV 32 24,300 140 906 88 ANP, F 12, 1576. Note in prospetti trimestrali, dipartimento di Genova, dal 1810 al 1813; ANP, F 12, 1570. Note in prospetti trimestrali, dipartimento degli Appennini, dal 1810 al 1813. — 318 — nenza della stagione invernale, si avvicina il periodo degli acquisti da parte dei mercanti all’ingrosso90. Se si considerano due date estreme, il 1810 ed il 1813, si è facili vittime di una vera illusione. Nel primo semestre 1810, circa 1.450 operai impiegati nelle manifatture del dipartimento, dislocate esclusivamente nei territori di Voltri e di Pegli, lavorando 55 tonnellate di lana, producono 1.745 pezze di panno. Nel 1813, 41 tonnellate di lana sono trasformate in 1.663 pezze da 1.445 operai. I telai aumentano da 76 a 113, le macchine filatrici da 21 a 28 91 (tab. X). Sembrerebbe che la crisi abbia sostanzialmente risparmiato queste manifatture, ma una dettagliata analisi degli anni intermedi rivela che, seppure in misura meno rilevante, anche il settore laniero subisce le negative influenze della situazione generale. La flessione che si nota per la seta e per il cotone trova pieno riscontro nel campo della lana (tab. XI). Tra il 1811 ed il 1812, i filatori, che primi avvertono la mancanza di lana greggia, da più di 700 sono ridotti a circa 350, il prodotto filato dalle 57 tonnellate passa a meno di 30. I quantitativi di tessuti ottenuti diminuiscono del 15 per cento, la mancanza di lane pregiate limita la produzione dei panni più fini e la richiesta sui mercati è indirizzata a prodotti più economici 92. Superato l’anno della crisi (1812), le manifatture, pur riprendendosi, producono prevalentemente panni ordinari; sino al giugno 1813 il numero dei filatori occupati rimarrà dimezzato; costante quello dei tessitori; in aumento le sole maestranze destinate al lavaggio delle lane ed all’appretto dei panni (tab. XII). Nel secondo semestre 1813 una provvidenziale ordinazione di 150 pezze destinate a forniture militari procura inaspettato lavoro a 600 filatori, 310 tessitori e 545 operai diversi93. Il notevole aumento del personale destinato al lavaggio delle lane ed a rifinire 90 Ibidem. 91 ANP. F 12, 1576. Prospetti trimestrali, dipartimento di Genova, dal 1810 al 1813. 92 Ibidem. 93 Ibidem. — 319 — LANA — DIPARTIMENTO DI GENOVA: GENERE E NUMERO DELLE PEZZE PRODOTTE X CO H co rH 03 G c < vC t- c- £ < £ c o H §J fS "S o t- in io co C^l O' o CO »o CO r- 'O -rf< CM IO r---1 © lO o o t--- r- V© l- r- C\ o IO vO IO IO CO CM VO CM o M M ^ O O o CM CO CM O rf CO w co CO CO CM o C\ CO O CO CN co o a ~ cj c £ c w IO VC CO Tf< rH »o o CM CO co t- CO c- t --- CM CM rH co cv cm co o o CM o © CM O O , > (Nelida Caffarcllo) Ernesto Cl rotto. Le caratteristiche fisiche e morali dei Liguri antichi secondo le fonti classiche, in Genova, 1961, nn. 5-6, pp. 6-9. Attraverso citazioni di Diodoro Siculo, Strabone, Catone, Virgilio, Livio, Marziale, passa in rassegna le inconfondibili caratteristiche della gente ligure, mettendone in risalto i tratti distintivi: lo spirito d'indipendenza, l’amore alla libertà, l’attaccamento alla terra, il rispetto per l’ospitalità. (Aurelia Basili) Ernesto Curotto, Elogio dell'imperatore ligure Pertinace e sua fine, in Genova, XLIII, gennaio 1963, pp. 14-17. LA. elogia le virtù civili e il saggio governo, anche se breve (ottantasette Oiorni), di P. Elvio Pertinace, figlio del liberto Elvio Successo, oriundo di «Alba Pompeia», 1 odierna Alba (oggi in provincia di Cuneo, allora ligure). \ ecchio generale di sessantasei anni, chiamato da Emilio Leto all’alta carica, la re__e con giustizia e fermezza tanto da venire in odio ai pretoriani che lo uccisero. (Nelicla Caffarello) Ernesto Curotto, Persio e la Liguria, in Genova, 1961, n. 12, pp. 22-26. Tratteggia la figura del poeta latino, rivelandone e mettendone in evidenza la personalità di uomo dignitoso ed amante della libertà ; accenna agli autori che hanno sostenuto la patria ligure di Persio, esaminando gli elementi della poesia di quest ultimo che fanno propendere per l’accettazione di tale ipotesi: la delicata sensibilità dell accenno alla spiaggia ligure, il « mio mare », l’invito al porto di Luni. (Aurelia Basili) Ernesto Curotto, il tribuno ligure C, Elio Staieno, competitore di Cicerone, in Genova, XXXIX, settembre 1962, pp. 15-17. Elio Staieno, nativo della Liguria, fu in giovane età in Roma, dove gli piacque considerarsi appartenente alla romana « gens Aelia ». Abbiamo notizie dell oratore ligure dagli scritti del suo più acerrimo avversario: Cicerone, che, pur denigrandolo in gran parte delle sue orazioni, nel Brutus lo pone tra i grandi oratori del suo tempo. (Nelida Caffarello) — 368 — c o T ^ v'i?1 (ì Formentini, Nuovi /rammenti di statue stele lunigianesi, in G.b.L., XII, 1961, pp. 17-22. Dà notizia di alcuni ritrovamenti di frammenti di scultura in pietra, effettuati in Lunigiana dal 1960 al 1962. Le circostanze poco chiare, in cui tali ritrovamenti avvennero, e le notizie contradditorie, che li accompagnarono, rendono diffìcile ogni discussione sull’esatta provenienza dei frammenti. I/A. si sofferma quindi sull esame dei pezzi: il primo è un tronco acefalo di una statua stele femminile, che fu a lungo usato come gradino in un'abitazione. Più difficile l’identificazione del secondo : una testa dal tipico profilo « a cappello di carabiniere » in cui, al posto del volto, spicca la data 1907 (data di erezione della fontana m cui il frammento fu murato). Anche più problematica l’identificazione del terzo pezzo, del quale 1 A. si limita a dare la riproduzione fotografica. (Aurelia Basili) Nino Lamboglia, La necropoli ligure di Chiavari - Prime interpretazioni e problemi, in Studi Genuensi, III, Bordighera-Genova, 1960-61, pp. 3-34. Mette in risalto 1 importanza del ritrovamento, che costituisce un documento probante della prima età del ferro, cioè dell’era di formazione del primitivo popolo ligure, e ci permette di aprire, in base al materiale di scavo, « un nuovo capitolo sulla storia dei Liguri ». La necropoli, scavata regolarmente secondo il sistema stratigrafico, apparve all A. in tutta la sua monumentalità. definita submegalitica, per le cassette ed i recinti funerari e per la lavorazione delle ardesie (tegulae), che permettono di formulare l’ipotesi che i Tigullii formassero quella tribù che, nell ambito dei Liguri, copriva i tetti di ardesia anziché di paglia o di legno. Se da una parte il ritrovamento conferma alcune intuizioni di Ubaldo Formentini. le 44 tombe di Chiavari dimostrano che l'estensione della civiltà villanoviana al litorale della Riviera presenta un particolare aspetto, definito dall A. « villanoviano ligure », con elementi che influenzeranno le posteriori culture liguri-padane e che costituiscono il prolungamento, lungo le coste tirreniche, della civiltà italica anteriore agli Etruschi. Il rito dell incinerazione permette all’A. di considerare la necropoli di Genova come la conclusione naturale della « etnogenesi » dei Liguri. Nel complesso delle tombe di una comunità a base familiare. — in cui più urne sembrano servire per i resti di un medesimo individuo, — spiccano quelle a recinto circolare o quadrangolare isolate, nelle quali sono state trovate le uniche armi in ferro. Il materiale di scavo e, soprattutto, la forma delle urne, di un impasto nero che sembra costituire 1 antenato diretto del bucchero etrusco, permettono all A. la datazione intorno al 700 a.C. L’articolo è corredato da trentaquattro fotografie. (Nelida Caffarello) Nino Lamboclu, Punti di vista sui Liguri orientali dopo le scoperte di Chiavari, in G.S.L., XII, 1961, pp 5-16. Sottolinea il particolare significato della scoperta della più antica necropoli dei Liguri finora conosciuta in una zona in cui la civiltà preromana è soprattutto — 369 — 24 rivelata attraverso Hue aspetti peculiari della vita primitiva: i «castellari» e le tombe a cassetta. Grazie alla scoperta di Chiavari, resta ora ben definita la facies autenticamente ligure della fascia territoriale che va dall Arno a Genova, dove il rito dell’incinerazione penetrò già fra il 1000 e l’800 a.C., cioè prima dell'avvento degli Etruschi. (Aurelia Basili) N. Lamboglia - L. Uzzecchiini, La necropoli paleocristiana di Santa Sabina a Genova, in Studi Genuensi, III, Bordighera-Genova, 1960/61, pp- 117-125. Gli Autori, dopo un accurata descrizione del materiale di scavo, avvenuto dal 12 settembre al 7 ottobre 1958, datano le tombe al VI secolo d.C., al tempo della dominazione bizantina in Liguria, salvo tre tombe in pietra di età più tarda, longobardo-franca. Rilevano 1 importanza del ritrovamento di frustuli di ceramica più antica, che risalgono ai primi tempi di vita di Genova repubblicana, sottolineando la possibilità che Genova, già in quell’epoca, fosse formata da un 'oppidum, sulla collina del Castello, e da altri nuclei minori, in riva al mare. Rammaricandosi della distruzione della chiesa di Santa Sabina. avvenuta nel 1942, affacciano lipotesi che il centro stesso di S. Vittore e di S. Sabina sia dovuto ad un nucleo di rifugiati milanesi dopo 1 invasione longobarda. (Ne,ida Caffarello) Guglielmo Lera, La necropoli di Val di Vaiano, in G.S.L., XIII, 1962, pp. 5-11. Dopo aver accennato alle difficoltà incontrate dagli studiosi in occasione del ritrovamento di reperti archeologici, a causa dell’avidità e dell ignoranza dei ritrovatori, ricorda che fu merito del compianto Luigi Pfanner 1 aver dato inizio al salvataggio e alla segnalazione sistematica delle nuove scoperte. L’A. traccia poi una breve storia dei più importanti ritrovamenti effettuati ; descrive le cassette trovate, come si presentavano all’atto della scoperta ; fa rilevare che il materiale rinvenuto presenta oggetti identici a quelli trovati in altre tombe della Val di Serchio, ma anche altri che aprono un capitolo finora inedito sullo studio della civiltà ligure nella zona. (Aurelia Basili) Paolino Mingazzini, Due tombe della necropoli preromana di Genova, Postilla (N. Lamboglia), in Studi Genuensi, III, Bordighera-Genova, 1960-61, pp. 34-54. Descrive il materiale di due tombe a pozzetto con lastrone di copertura, ritrovate, l’una nel 1956, l’altra nel 1960. La prima ci offre, sul lastrone di copertura, pochi frammenti di un cratere a campana attico a figure rosse del I\ sec. a.C.; la seconda, anch’essa sul lastrone di copertura, alcuni frammenti di cratere a calice attico, pure del IV sec. a.C., e nell’interno vari oggetti in bronzo, fra cui una notevole oinochoe con ansa verticale, terminante in alto — 370 — con una lesta di serpente barbato a quattro occhi ed in basso con una sirena. Il vaso presenta un problema: mentre il serpente e la sirena non possono da-tarsi oltre il VI sec. a.C., la forma del vaso appare solo nella ceramica campana a figure rosse del IV sec. a.C.: l’A. suppone allora che essa, in Etruria, nella tecnica in bronzo, fosse già in uso nel VI sec. a.C.; deduce inoltre, in base al ritrovamento di due simpula (uno con due anse a testa di mulo, l'altro con una sola ansa), che si tratti di una differenza per distinguere la destinazione nell'uso potorio (vino, acqua). La tomba andrebbe datata al penultimo decennio del VI sec. a.C., ed i bronzi sembrerebbero di fabbrica etrusca. L’A. spiega la notevole distanza di data rispetto al cratere, considerando quest'ultimo un reperto indipendente ed appartenente ad una tomba più tarda di un secolo e mezzo: conclusione alla quale risponde il Lamboglia con una postilla, proponendo di datare le tombe, in base alle testimonianze addotte, al secolo successivo. (Nelida Caffarello) Ermelinda Fognante. I vasi a solcature dell'età del bronzo nelle caverne di Finale, in Miscellanea storica ligure II, I.S.M.M., 1961. pp. 11-14. L'Autrice descrive il materiale di vecchi scavi nelle caverne della Pollerà e delle Arene Candide, oggi esposto al museo di Genova Pegli. La ceramica risulta databile all'età del bronzo in base alle conclusioni del Bernabò Brea e presenta caratteri simili a quella deH'Italia, del Portogallo, della Francia e delle zone costiere, suffragando 1 ipotesi che si sia diffusa tramite scambi commerciali. Il lavoro è accompagnato da una ricca documentazione fotografica. (Nelida Caffarello) Luciano Rebuffo, Le polene, in Genova. 1961, n. 5-6, pp. 10-13. L A., presentando una serie di rare fotografie di polene, edita da Edindu-stna. chiarisce che, qualunque sia la loro origine (decorativa, mitica, simbolica o convenzionale), esse raccolsero sempre, nella varia e spesso sfingea espressione delle figurazioni, fervore d’auspicio. Particolare importanza e rilievo sono dati alla parte riguardante le polene di navi liguri. (Aurelia Basili) Giovanni Rossi, Catalogo delle monete repubblicane rinvenute a Luni. in G.S.L., XII, 1961, pp. 47-66. Alla classificazione delle monete l’A. fa seguire alcune considerazioni statistiche relative al loro numero e alle famiglie cui le monete appartennero. Dalla constatazione che soltanto dal terzo periodo della classificazione fatta dal Sy-denham (periodo corrispondente agli anni 186-155 a.C.) si cominciano ad avere delle monete, viene confermato il fatto che la città di Luni (Luna romana) fu fondata ex novo nel 177 a.C. Dall’osservazione della quantità di monete relativa ad ogni periodo, l’A. giunge alla determinazione del periodo di maggiore floridità commerciale vissuto dalla città. (Aurelia Basili) — 371 — SECC. VII-XIV Girolamo Arnaldi, Uno sguardo agli Annali Genovesi, in appendice a Studi sui cronisti della marca trevigiana nell’età di Ezzelino da Romano, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Studi Storici, fase. 48-50, Roma, 1963, pp. 225-245. L A. affaccia una tesi notevole, che richiede un ulteriore approfondimento ed una più larga dimostrazione, sul problema della publica fides degli Annali genovesi, inquadrati nel concetto diplomatistico deirautenticità documentaria. A tale riguardo è diversa la posizione dei cronisti che si susseguirono nella stesura del racconto dei fatti dal 1100 al 1293. La cronaca, che Caffaro compilò di propria iniziativa per il periodo 1100-1152, ricevette il suggello di autenticità dal decreto dei consoli, i quali ordinarono che fosse copiata da un notaio del Comune e depositata nel pubblico archivio; invece le notizie relative agli anni 1154-1163 ebbero già ab origine « una veste esteriore formalmente intonata alla natura di una cronaca ufficiale », secondo che indicano i proemi e le relative notifìcationes, ripetuti anno per anno. Caffaro, quando ancora non prevedeva che i suoi Annuali avrebbero ricevuto il crisma della pubblicità statuale, ebbe certo bisogno dell'assistenza d’un notaio, al fine di assicurare autenticità alla propria opera. Fu questa la funzione di Macrobio, che si trovò a fianco di Caffaro o nella sua privata fatica di annotatore delle memorie cittadine o quando il medesimo, divenuto una specie di storiografo ufficiale del Comune, dovette escogitare un modulo che assicurasse quel carattere di documento pubblico ed autentico, che andava riconosciuto ai suoi Annali. Con i continuatori di Caffaro, almeno fino al 1264, trattandosi di scribi o cancellieri comunali, istituzionalmente abilitati a scrivere, la presunzione di autenticità risultò implicita nella stessa funzione pubblica degli annalisti. donde, poiché gli Annali nascono già autentici, un minor rigore di formule diplomatiche. In Uberto ed in Ogerio Pane, in cui ricompaiono, non sistematica-mente, le formule di notificazione, la conscriptio non è più preceduta da una iussio, giacché autore ed estensore del documento sono una medesima persona. Con Iacopo Doria, non cancelliere o scriba, ma semplice archivista, ci si riporta alla situazione di Caffaro per quanto riguarda la fides da attribuire al racconto. Di qui la necessità dell’approvazione da parte delle supreme magistrature cittadine, per quanto il dettato dell’ultima sezione degli Annali non presenti, per vari aspetti, quei tratti caratteristici che riflettono in Caffaro 1 a* naloga condizione di « incapacità di documentare ». (G. P.) Giovanna Balbi, Sul collegio notarile genovese del 1382, in Miscellanea di storia ligure in onore di Giorgio Falco, VI, Milano, 1962, pp. 281-298. Una breve introduzione, in cui l’Autrice espone alcune considerazioni relative alla professione di notaio in Genova, precede la pubblicazione di un lungo documento, di notevole interesse per la storia del notariato genovese. — 372 — I. atto contiene le disposizioni votate nel 1382 dal collegio notarile per regolare 1 ammissione al collegio stesso dei figli dei notai e per disciplinare la loro partecipazione alla vita pubblica. (Paola Toniolo) Leonida Balesi reri, Fattori di cultura e spiritualità nella vita delle antiche repubbliche marinare italiane, in Genova, 1962, n. 8, pp. 24-27. Sottolinea la necessità di rivalutare taluni aspetti dell’opera e delle funzioni della gente di mare, quali il collegamento di genti diverse, 1 incremento della comprensione fra i popoli. La lotta contro i Saraceni, ad esempio, non è altro se non la traduzione in termini di azione di profondi motivi ideali e religiosi; lo stesso può dirsi delle Crociate. . (Aurelia Basili) Bobiensia, in B.L., XIV, 1962, pp. 3-24. Sotto il titolo indicato sono raccolte notizie sul II Convegno di Studi Bobbiesi e sul Museo di San Colombano, più una breve appendice bibliografica. Teofilo Ossian De Negri, Il lì Convegno di Studi Bobbiesi, pp. 3-4. In attesa del volume degli Atti, Teofilo Ossian De Negri dà notizia del Convegno di Studi, tenuto a Bobbio il 2 settembre 1962, e delle relazioni presentate nel corso del medesimo. Emilio Nasalli Rocca, Un'alleanza Fieschi-Malaspina nel 1495, pp. 4-6. LA. pubblica, con breve introduzione, un documento inedito dell’Archivio di Stato di Genova, relativo a un'alleanza intercorsa nel 1495 tra i Malaspina di \al Trebbia e di Mulazzo e i Fieschi. Il Museo di San Colombano Teofilo Ossian De Negri, Origini ed ordinamenti, pp. 7-11. Illustra le origini e i criteri di organizzazione del museo. Giuliano Frabetti, Appunti per un catalogo, pp. 11-20. Elenca e descrive molti pezzi della raccolta, praticamente tutti. Sono allegate 18 fotografie, molte delle quali inedite, del loggiato del chiostro esterno di San Colombano e in particolare di alcuni dei più interessanti oggetti conservati nel museo. (Valeria Polonio) Alberto M. Boldorini, Per la biografia del trovatore Lanfranco Cigala, in Miscellanea di storia ligure in onore di Giorgio Falco, I.S.M.M., VI, Milano, 1962, pp. 173-198. Una larga consultazione di fonti inedite, prevalentemente notarili, del- 1 Archivio di Stato e dell’Archivio Capitolare di Genova, è alla base di questo profilo biografico del Cigala, dal 1235 al 1258, anno della sua morte. L’A. mette particolarmente in risalto l’attività politica e commerciale del poeta, e ad essa intreccia 1 esposizione della contemporanea azione dei suoi familiari, alcuni dei quali, di una certa importanza nel campo politico o ecclesiastico, vengono qui, per la prima volta, fatti conoscere. ,,, . „ ... (rada tomolo) — 373 — Alberto M. Boldorini, Ventimiglia nel Duecento’, il vescovo Azzo Visconti, in F.S.S.E., III, Genova, 1963, pp. 53-126. È il profilo biografico di un vescovo di Ventimiglia ancora poco noto, Azzo Visconti, vescovo dal 1250 al 1262. Nello studio, condotto sulla consultazione di numerose fonti inedite ventimigliesi e genovesi, FA. affronta dapprima la questione dell origine familiare di Azzo e conclude per la sua appartenenza alla famiglia dei Visconti di Milano e la sua parentela con Ottone, arcivescovo ambrosiano ; in seguito esamina i rapporti del vescovo ventimigliese col papa Innocenzo 1\, coll arcivescovo di Genova e col governo del Capitano del popolo Guglielmo Boccanegra, nella particolare situazione politica che si era venuta a creare a Ventimiglia con la sconfìtta militare conseguente alla moite di Federico II. Segue in appendice l’edizione di 16 documenti inediti. (M. Teresa Dellacasa) Antonia Borlandi, Il manuale di mercatura di Saminiato de Riccia I.S.M.M., IV, Genova, 1963, pp. 184. Al manipolo, estremamente esiguo, dei testi medievali di mercatura che finora sono stati dati alle stampe (la Pratica della mercatura di Francesco Bal-ducci Pegolotti, la Farifa, il Libro di gabelle di Giovanni di Bernardo da lizzano, il Libro di mercantantie di Giorgio di Lorenzo Chiarini) si aggiunge ora 1 edizione dell unico manuale del genere che ci sia pervenuto per Genova e che si colloca, per di più, nel « vuoto di circa un secolo » tra la Pratica del Pegolotti (1340) ed il Libro dell Uzzano (1442). Si tratta d’un «libro» redatto a Genova nel 1396 dal mercante fiorentino Saminiato di Guciozzo de Ricci, copiato a Firenze nel 1416 da Antonio di messer Francesco da Pescia, che vi ha introdotto proprie aggiunte personali, anche successive alla data della trascrizione vera e propria; conservatoci, nella copia di Antonio di messer Francesco da Pescia, dal codice Panciatichiano n. 71 della Biblioteca Nazionale di Firenze. Nell introduzione 1 Autrice inquadra il proprio testo sia nel rapporto con gli altri già noti, in particolare con il Libro dell’Uzzano, sia nel momento storico dell economia genovese e fiorentina, italiana ed internazionale; ricostruisce 1 ambiente familiare, le vicende personali e l’attività commerciale di Saminiato, il quale perse la vita nella congiura tramata dai fuorusciti fiorentini contro la Signoria nel 1400 ; analizza la struttura interna del mannaie nelle sue coinpo* nenti (le parti originali di Saminiato e le aggiunte di Antonio) e negli elementi che di qui sono passati alle opere dell’Uzzano e del Chiarini ; fornisce, con accento critico, la descrizione del codice, a cui fanno da sussidio due tavole fotografiche, che riproducono le cc. 1 r. e 14 v. del ms. L’edizione del testo, di lettura non facile nell originale, è annotata pagina per pagina, da un doppio apparato critico: 1 uno di carattere paleografico e testuale (comprende però anche, per i primi capitoli, le varianti offerte da un frammento dell’Archivio Da-tini, pubblicato dal Piattoli); l'altro di costante richiamo e confronto con la Pratica del Pegolotti, la Tarifa, il Libro dell’Uzzano, il Libro del Chiarini. Seguono quattro indici: dei nomi di luogo, delle merci, dei pesi e delle misure, delle monete. Maria Teresa Cagni, Gavi nel secolo XIII, in Rivista di storia, arte, archeologia per le Province di Alessandria e Asti, LXX, 1961, pp. 24-50. L’importanza di Gavi per il controllo del traffico commerciale che passava per la via Postumia permise a questo borgo di dnentare nel secolo XIII un valido centro della politica genovese. L’Autrice, basandosi in gran parte sugli atti, ancora inediti, di Tealdo « de Sigestro », rogali a Gavi e su quelli di Oberto di Langasco, ci dà un quadro del borgo negli anni immediatamente seguenti alla cessione di esso a Genova che, ben presto, forte soprattutto della protezione di Innocenzo IV, vi estese anche la giurisdizione religiosa a danno del vescovo di Tortona. L importanza che rivestiva Gavi per la politica genovese è chiaramente deducibile sia dalla munita fortezza, armata di tutto punto ed attrezzata a resistere ad eventuali assedi, sia dalle personalità genovesi che rivestirono la carica di castellani. Accanto ad esse esistevano altre magistrature minori con compiti amministrativi e giudiziari, quali i consoli e i due consigli, coadiuvate da scribi, estimatori etc. Pur essendo difficile poter fare precise valutazioni economiche, per la scarsezza della documentazione, in complesso si ha 1 impressione che l'agricoltura, sulla quale si basava l’economia dei villici, non rendesse tanto da consentire un tenore di vita un po’ più che modesto: le osservazioni ricavate dalle doti, dagli inventari e dagli oggetti di arredamento della casa confermerebbero tale ipotesi che escluderebbe una attiva partecipazione della popolazione locale, almeno nei suoi ceti inferiori, alla grande attività commerciale che si svolgeva sulle sue strade. /T,. „ , „ (Uino runeuh) Domenico Castagna, L origine del Comune di Genova, in Genova, 1962. n. 4, pp. 25-29. Ricorda come il Comune fosse già costituito a Genova prima del 1100; afferma inoltre che esso sorse in Genova per opera di un nucleo di finanzieri, che voleva fare della città una grande potenza commerciale, libera il più possibile dalle inframmettenze imperiali, marchionali e vescovili. L'A. precisa inoltre come l’associazione della «Compagna» non sia identificabile col Comune; tratteggia infine le principali caratteristiche che differenziarono il Comune di Genova dagli altri. Cesare Ciano, Il Porto di Leriei e la Lunigiana nel XIII secolo, in Economia e Storia, VII, 1960, pp. 671-696. Dopo uno sguardo all'economia della regione che circonda Leriei e Porto-venere, con un cenno alle Cinque Terre, l’A. espone le vicende del porto e del borgo di Leriei in contrapposizione alle vicende di Portovenere per tutto il periodo di tempo che va dalle prime vaghe notizie sull’esistenza di Leriei all’alternarsi delle dominazioni genovese e pisana durante le guerre tra le due repubbliche, fino alla definitiva conquista genovese del 1256. (Giovanni Rebora) Giorgio Costamagna, Note di diplomatica comunale. Il « Signum Comunis » e il « Signum Populi » a Genova nei secoli XII e XIII, in Miscellanea di Storia Ligure in onore di Giorgio Falco, VI, Milano, 1962, pp. 105-115. Riprendendo una materia già trattata in altra occasione (La convalidazione delle convenzioni tra comuni a Genova nel secolo XII, in Bullettino delTArchivio Paleografico Italiano, n.s., I, 1955, pp. 111-119), l’A. esamina il metodo di convalidazione usato a Genova per alcuni documenti comunali, in particolare per 1 apodixia, con la quale i giudici ordinavano il rifacimento di istrumenti notarili perduti. Due tipi di segni particolari si incontrano nei pochi documenti conservatici : il Signum Comunis, di chiara influenza tachigrafia, che risalirebbe alla metà del secolo XII, e il Signum Populi, costituito dalle quattro lettere PPLS intrecciate tra loro in guisa di abbreviazione, collegato sicuramente all’istituzione del Capitano del Popolo, e le cui prime notizie certe risalgono intorno al 1270. L'articolo s’inserisce autorevolmente negli studi della diplomatica comunale : è chiaro, infatti, che la scoperta di particolari sign'i comunali implica che la convalidazione non dipende esclusivamente dal notaio rogante, secondo la nota teoria del Torelli, ma dall’ufficio da cui il relativo documento è stato emanato. (Din0 puncuh) Giorgio Costamagna, La triplice redazione dell* « Instrumentum » genovese, Genova, 1961, pp. 79. Già apparso nel 1960 nei Quaderni della « Rassegna degli Archivi di Stato ». col titolo di Saggi di manuali e cartolari notarili genovesi (Secoli XIII e XIV). questo studio è stato ripubblicato nella collezione Notai liguri dei secoli XII e XIII di cui costituisce 1 VIII volume. Dopo un’ampia premessa sullo stato degli studi, che si rifà alle accese polemiche che impegnarono, nel primo ventennio del secolo XX, studiosi italiani e stranieri, l’A. affronta il problema della reda zione dell « instrumentum » genovese. La questione non era nuova : già posta dal Chiaudano e dal Bognetti, dal primo a proposito dell’edizione di Giovanni Scriba, dal secondo nell'introduzione alla collezione dei notai liguri, essa veniva ulteriormente sviluppata, con conclusioni di prima mano, dal Pistarino con le edizioni di Giovanni di Giona di Portovenere e di Tealdo « de Sigestro », nella seconda delle quali, anzi, si segnalava l’esistenza del manuale di notule di Corrado di Capriata, sul quale (e su altri dei secoli XIII e XIV) il Costamagna ha condotto la sua indagine. Era chiaro da tempo, con la scoperta di notule e foglietti sparsi (cfr. G. Pistarino, Le carte portoveneresi di Tealdo de Sigestro, Genova, 1958, p. 18, n. 1) che il notaio non redigeva latto direttamente sul cartulario, importava, tuttavia, chiarire i diversi passaggi osservati, il momento della presenza dei testimoni, il valore giuridico che potevano avere le notule o i manuali (si vedano per analogia le acute osservazioni del Cencetti a proposito di Bologna : La « rogatio » nelle carte bolognesi, in Atti e memorie della Deputazione di Storia Patria per le Provincie di Romagna, N.S., voi. VII, 1960), i problemi connessi alle « publicationes » e alla « lineatura ». Le conclusioni più interessanti dello studio riguardano il manuale che spesso, rilegato col cartulare e mu- — 376 — nito dell indicazione dei testimoni e della datazione, ha assunto pieno carattere di autenticità perdendo, perciò, il primitivo carattere di minuta. Meno sicure appaiono le osservazioni relative alla « lineatura », soprattutto perchè sembra accertato, dopo lo studio del Costamagna, che ogni notaio osservava norme proprie, non sempre riconducibili ad un uso comune. Una ricca appendice documentaria fornisce una buona esemplificazione dei sistemi usati a Genova nelle varie fasi della redazione degli atti notarili. (Dino puncuh) Vincenzo da Milano, Dante e la Lunigiana, in G.S.L., XII. 1961, pp. 205- 209. Testo del discorso pronunciato a Fosdinovo T8 ottobre 1961, in occasione dello scoprimento del busto di Dante Alighieri nel castello dei Malaspina. L A. osserva che i legami fra Dante e la terra di Lunigiana e i suoi signori sono di incerto avvio e di incerta datazione: certo è solamente il fatto che Dante venne in Lunigiana nel 1306, forse per svolgervi una missione di pace presso il Ve-scovo-conte di Luni. (Aurelia Basili) Domenico Gioffrè, Atti rogati in Chio nella seconda metà del XIV se-colo, in Bulletin de l Institut Belge de Rome, XXXIV, pp. 319-404. Vengono editi 90 documenti, rogati da notai genovesi nell isola di Chio nella seconda metà del Trecento e dispersi in cartulari notarili diversi. L importanza dei documenti in questione, già segnalata dal Bautier (Notes sur les sources de Vhistoire économique medievale dans les archives italiennes, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, LX, pp. 186), è ampiamente provata dalla breve introduzione; 1A. esamina particolarmente i problemi connessi alla vendita degli schiavi e dell allume che appare regolata e diretta dall isola. L edizione dei documenti è accurata ; si sarebbe desiderato, tuttavia, un indice dei nomi di persona e di luogo che consentisse una più agevole consultazione del mate* riale documentario : soprattutto perchè nell isola del Levante si muovevano esponenti delle più illustri famigile genovesi quali i Fieschi, i Cattaneo, i Lercari e i Giustiniani. (Dino puncuh) A. Goria, Le lotte intestine in Genova fra il 1305 e il 1309, in Miscellanea di storia ligure in onore di Giorgio Falco, I.S.M.M., VI, Milano. 1962, pp. 251-280. Sono analizzate le prime lotte in Genova fra guelfi e ghibellini. — culminate nella rivalità fra Opizzino Spinola e Bernabò Doria, — sulla base della narrazione del cronista Giorgio Stella e di molti documenti mercantili e notarili. Queste vicende cittadine si inseriscono nel più vasto giuoco di interessi fra Papato, Angioini e Aragonesi : la prima signoria indigena, instaurata da Opizzino, cadde per la scarsa maturità politica dei Genovesi, attaccati ad egoistici interessi familiari. (Giovanna Balbi) — 377 — Franco Guerello, L'erezione del vescovato di Noli in Miscellanea di storia ligure in onore di Giorgio Falco, VI, Milano, 1962, pp. 153-172. Si esaminano le vicende che portarono all'erezione del vescovato di Noli nel 1238, alla luce di documenti genovesi, savonesi, vaticani. L’A. dimostra che la creazione del piccolo vescovato fu voluta da Genova contro Savona, quando, dopo 1 aiuto dato alla causa papale, la Repubblica potè contare sulla riconoscenza di Gregorio IX e di Innocenzo IV. Al termine del saggio, l’A. pubblica due documenti reperiti all Archivio Valicano e all’Archivio di Stato di Genova. (Giovanna Balbi) _ rAI'fTINE P* Kyrris, John Cantacuzenus and thè Genoese 1321-1348, in Miscellanea storica ligure 111, I.S.M.M., VII, Milano, 1963, pp. 7-48. LA. tratta le relazioni intercorse tra Giovanni Cantacuzeno e i Genovesi, dai tempi della congiura del 1321 contro Andronico II al secondo anno d'impero del Cantacuzeno stesso, a fianco di Giovanni V, dopo la vittoria del 1347. Esse \ engono inquadrate, almeno per i primi anni, nelFinsieme delle relazioni economiche, militari, religiose, culturali — tra l’impero bizantino e l'Occi-deiite. L alterno atteggiamento del Cantacuzeno verso i Genovesi, atteggiamento dettato esclusivamente da ragioni politiche, è studiato in relazione ai maggiori problemi del momento, e cioè alle vicende del trono imperiale e alla lotta per la corona, alla resistenza contro i Turchi, soprattutto al possesso di Focea e dell’isola di Chio. (Valeria Polonio) IIilmar C. Kruecer, Genoese merchants, their associations and investments, Ud5 to 1230, in Studi in onore di A. Fanfani, Milano, 1962, I, pp. 413-426. La partecipazione popolare al finanziamento del commercio marittimo gè-novese ed il suo incremento dal 1155 al 1230 sono l’oggetto dello studio condotto dall A. sui cartolari notarili dell Archivio di Slato di Genova (dei quali dà anche un elenco per il periodo considerato ed una descrizione sommaria). L’A. mette in rilievo la graduale affermazione della « accomendatio » nei confronti della « societas » ( associazione di mercanti di professione con quote di partecipazione relativamente alte) mentre la « accomendatio » apriva le porte ad una larga partecipazione di non-mercanti. All’inizio del periodo considerato la « societas » appa riva nel 57 % dei contratti, ma già nel 1200 non raggiungeva che il 13 %, mentre la « accomendatio » saliva al 72 % per raggiungere il 91 % nel 1230. (Giovanni Rebora) Lettere di Innocenzo IV dai cartolari notarili genovesi, a cura di Franco Guerello, Miscellanea Historiae Pontificiae, XXIII, Roma, 1961, pp. XVI-163. L A. ha rintracciato 101 lettere di Innocenzo IV inserte nei cartulari notarili dell Archivio di Stato di Genova, contribuendo notevolmente allo studio dei grossi problemi aperti dalla pubblicazione dei registri Vaticani che, come è nolo, non contengono tutti i documenti spediti dalla Curia Romana. Il lavoro è prezioso per la storia della città di Genova e per lo studio della collazione dei benefici ecclesiastici al tempo del grande pontefice. L’A. si sofferma su questo aspetto dell’attività del Fieschi, illustrandone anche le modalità pratiche, attraverso i diversi momenti che presiedevano alla emanazione degli atti papali. Che se gli interessi del Guerello ci richiamano più frequentemente al diritto, non poche osservazioni di sostanza vi troverà anche il diplomatista : presentazione o traditio, deleghe e suddeleghe, intimatio, esecuzione e trascrizione notarile sono alcuni aspetti del lavoro che susciterà altri problemi. Ogni documento è preceduto dal regesto, munito di apparato bibliografico. Segue un indice degli incipit ed un indice dei nomi di persona e di luogo non così preciso come si vorrebbe. Per la pubblicazione di nuovi inediti e la messa a punto di varie questioni si tenga presente G. Pistarino, in Studi medievali, 3a serie, IV, 1963, fase. I. pp. 269-272, ed in Rivista storica italiana, LXXV, 1963, fase. IV'. (Dino Puncuh) Roberto S. Lopez, Familiari, procuratori e dipendenti di Benedetto Zaccaria, in Miscellanea di storia ligure in onore di Giorgio Falco, I.S.M.M., VI, Milano, 1962, pp. 209-250. Il Lopez considera due aspetti particolari del [ organizzazione amministrativa del genovese Benedetto Zaccaria, assurto nella seconda metà del sec. XIII ad una notevole potenza economica: l’ambiente familiare e i contratti mercantili. Alla luce di 36 documenti, che vengono qui pubblicati, l’A. osserva che lo Zaccaria, con un’astuta politica matrimoniale, si circondò di uomini abili e fidati e che la procura fu l’unico strumento giuridico da lui usato. Concludono il lavoro alcune curiosità relative ai dipendenti, agli impiegati e agli schiavi degli Zaccaria. (Giovanna Balbi) Ciro Manca. Considerazioni sopra una raccolta di documenti inediti relativi ai traffici commerciali tra la Liguria e la Sardegna nel XIII secolo, in Economia e Storia, IX. 1962. pp. 331-343. Rassegna di documenti pubblicati nel volume Documenti inediti sui traffici commerciali tra la Liguria e la Sardegna nel sec. Xlll curato da N. Calvini, E. PUTZULU e V. Zucchi con introduzione di A. Boscolo. Padova, 1957. L articolo contiene esempi di contratti e considerazioni relative ai rapporti commerciali tra i liguri ed i sardi nel XIII secolo. (Giovanni Rebora) Federigo Melis, La situazione della marina mercantile allinizio dell epoca enrichina: fattori tecnici ed economici di sviluppo, in Congresso Internacional de llistória dos Descobrimentos. Actas, vol. V, parte I. Lisbona, 1961, pp. 451-459. Da un larghissimo spoglio di lettere mercantili dell Archivio Datini di Prato per il periodo 1390-1410 1A. ricava notizie inedite sull'aumento del tonnellaggio e dell’equipaggio nelle navi da carico dell’Europa mediterranea ed — 379 — atlantica, tiulla loro maggiore resistenza ai fortunali. suH’accresciuta regolarità e brevità nei percorsi di viaggio, sull’incremento della velocità di navigazione, sulla differenziazione nelle tariffe di trasporto delle merci. Notevoli i riferimenti, esemplificativi, a Genova: dalla nave di Leonardo Spinola, che stazza 1250 tonnellate, alla « caracca » di Antonio Cattaneo, che esercita la pirateria con 600 armati a bordo, alla nave di Saiagro di Negro, che scorrazza per il Mediterraneo con il suo equipaggio di 500 persone, catturando 17 navi; dalla nave di Polo Italiano, della quale l’A. ha seguito le vicende tra i primi viaggi nel 1394 e il naufragio all'imbocco del porto di Bruges nel 1407, ad una nave savonese, di cui ha ricostruito l'attività per 17 anni. Giovanni Miccoli, La « crociata dei fanciulli » del 1212, in Studi medievali, 3a serie, II, 1961, pp. 407-443. LA. ripropone il tema delle vicende, della portata, del significalo del- 1 improvviso esodo di fanciulli e fanciulle, di uomini e donne, che tra il giugno ed il luglio del 1212, sotto la guida di Nicolò da Colonia, muovono dai paesi tedeschi verso il mare, nella convinzione di poterlo attraversare siccis pedibus per trasferirsi in lerrasanta ed entrare in Gerusalemme in modo incruento. Poveri ed inermi, seguono l’insegna del tau, che Nicolò porta in mano: alla quale il Miccoli dedica alcune pagine di spiegazione nel campo della simbologia biblica e medievale. La genesi del movimento s illumina attraverso il richiamo alla vicenda di Nicola da Trani nel secolo XI; si puntualizza concretamente nel quadro della generalis processio virorum et mulierum, indetta da Innocenzo III per il quarto giorno dell'ottava dopo Pentecoste (del 1212), nell’im-minenza di quella battaglia tra cristiani e saraceni di Spagna, che vide la vittoria di Alfonso di Castiglia a Las Navas di Tolosa. A Genova, dove la folla degli itineranti, valutata a circa 7.000 persone, si fermò il 25 ed il 26 agosto. 1 annalista Ogerio Pane ebbe davanti a sé il momento finale dell'episodio, a cui egli dedica un accenno pacato, per noi prezioso nel generale giudizio negativo dei cronisti e dell ambiente ecclesiastico dell’epoca. L articolo è corredato da nove riproduzioni, in tavole fuori lesto, di opere di varia fattura, in cui compare il segno del tau. Gino Montefinale, Lottavo centenario delle mura di Portovenere. in Genova, 1961, n. 1, pp. 13-19. Lïllimata nel 1161, per opera dei Consoli della Compagna, la cerchia delle mura di Portovenere, divenne totale ed esclusivo il dominio genovese sull impor-tante approdo della Marca Obertenga. L A. collega l’avvenimento alle citazioni che ne fa il Caffaro negli Annali, e alle vicende della storia di Genova che lo precedetlero e lo seguirono. (Aurelia Basili) — 380 — N. Mornacchi, La vita comune presso i Canonici Regolari Mortariensi in Genova, in La vita comune del clero nei secoli XI e XII, II. Milano. 1962, pp. 154-162. La Congregazione di Santa Croce di Mortara, nei secoli XII-XIV, annoverava tra le sue dipendenze, testimonianza della sua notevole vitalità religiosa in Genova, le chiese di San Teodoro di Fassolo, di San Giovanni Battista di Paverano, di Santa Maria del Priano, di San Nicola di Capodimonte, di Santa Maria del Prato, di Santa Maria del Monte, di Santa Maria di Granarolo. di San Giovanni Evangelista di Borbonoso e di Santa Maria di Cassinelle. Ad un breve profilo storico di ognuna di queste chiese, condotto anche sulla consultazione di fonti inedite, reperite in archivi e biblioteche genovesi, 1 A. fa seguire uno studio sulla costituzione gerarchica, numerica e sociale delle singole comunità, sull’organizzazione centralizzata dei Mortariensi e sulla loro varia attività, strettamente religiosa, scolastica ed anche economica. (A. M. Boldorini) Raimondo Morozzo Della Rocca, Notizie da Coffa, in Studi in onore di Amintore Fan/ani, III. Milano, 1962, pp. 265-295. L'A. pubblica alcuni documenti dell Archivio di Stato di Venezia (minute di dispacci degli ambasciatori veneziani in Caffa degli anni 1344-46) con un breve commento, dal quale appaiono, oltre ai tentativi da parte veneziana di riallacciare le relazioni politiche con Zanibech Imperatore dei Tartari di Ponente, alcune osservazioni e notizie sulla partecipazione dei Genovesi alle trattative nonché sui rapporti tra Genova e Venezia nel periodo in cui vennero condotte le trattative stesse. (Giovanni Rebora) Luigi Pfanner, La pieve a Elici, in G.S.L., XII, 1961, pp. 97-112. La chiesa, ricordata in alcuni documenti anteriori al 1000, è descritta nella sua attuale struttura e illustrata in ogni particolare architettonico. Numerose fotografie e una pianta della chiesa completano ed arricchiscono lo studio. Nella seconda parte, sono illustrati in modo particolareggiato i rinnovamenti architettonici e le alterazioni che la chiesa subì nel tempo, e ai quali si pose rimedio solo nel 1906, quando un Comitato locale promosse il restauro dell'edificio. (Aurelia Basili) Geo Pistariìmo, La crisi della pieve cittadina nei conflitti tra il clero ad Acqui, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XV, 1961, pp. 4-30. La zona della diocesi di Acqui conobbe, nel corso del medioevo, profonde infiltrazioni religiose, politiche ed economiche sia della feudalità sia degli organismi comunali liguri — di Genova e di Savona — che dalle angustie della fascia appenninica aspirarono ad aprirsi il passo verso la vai padana. Segnalia- — 381 — mo pertanto questo lavoro, incentrato su un toma tuttora ignoto alla storiografia acquese: quello della crisi determinata, tra il secolo XII ed il XIII, dalla nascita delle nuove parrocchie di fronte alle originarie strutture giuridico-religiose della plebs civitatis. Servendosi degli alti contenuti nei Monumenta aquensia del Moriondo, 1 A. segue le vicende dei conflitti che opposero i nuovi ai \ecchi organismi e che sono il sintomo di profondi mutamenti storici. La mancanza di documenti, ad un certo momento della vertenza, impedisce di cogliere con dati precisi la fine della vicenda: questa tuttavia si individua chiaramente in quello che è il suo sbocco obbligato, cioè l'affermazione dei nuovi organismi parrocchiali. (M. Teresa Dellacasa)1 Mnlastfnn ' rol^eJni cronologici nelViscrizione funebre d'Isnardo 1 Malaspma, ,n B.L., XIV, 1962, n. 3/4, rp. 161-162. La datazione dell'epitafio d'Isnardo I Malaspina, marchese di Cremolino, p o nell abbazia di Tiglieto, ha costituito un piccolo problema cronologico per 1 apparente incongruenza nell’indicazione del giorno (27 dicembre 1331, rMi** RCSta ^3nt* ^nnocentl)* Riallacciandosi ad uno spunto di R. Morozzo e a occa, 1 A. conferma le ragioni che, in base alle consuetudini medievali, iso 'ono a questione sulla data del 27 dicembre; ma chiarisce altresì, inda-\ ° s'sle™’ di computo in uso nel Trecento nella zona ligure-monferrina, che la data dell'anno deve riportarsi al 1330 . D .,.v ( Aurelia Basili) Tre latere sull’origine di Sarzana, in B.L.. XIII, 1961, pp. 169-174; ediz. separata in Quaderni ligustici, n. 113. Il problema delle « origini » di Sarzana si è riproposto, in forma polemica. in occasione delle celebrazioni per il Millenario della storia sarzanesc,. indette nell antica città per il 1963. Con attenta disamina delle fonti diplomatiche 1A. chiarisce che Sarzana, da una parte, il castrum Sarzane, dall altra, per quanto territorialmente contigui, rappresentarono per tutto il corso del medioevo due entità demiche e giuridiche distinte: per il secondo, antico centro feudale vescovile, la più antica notizia risale effettivamente al 963, in un di-p orna dell imperatore Ottone I; per la prima, burgus d'indubbia origine più recente, bisogna attendere sino al 1084, in un accenno di una carta privata. (M. Teresa Dellacasa> Valeria Polonio, Dalla diocesi all'archidiocesi di Genova, in Momenti di stona e arte religiosa in Liguria, F.S.S.E., III, Genova, 1963, pp. 5-51. Il lavoro esamina la separazione del vescovado genovese dalla sede metropolitana di Milano e l’istituzione dell’archidiocesi di Genova (20 marzo 1133). L’avvenimento non è visto soltanto sotto l’aspetto ecclesiastico, ma è inquadrato nel particolare momento storico e nelle vicende religiose e politiche con cui è connesso: l’esigenza riorganizzativa della Chiesa, ]0 scisma del 1130,. 1 espansione genovese nell'enlroterra, la lolla Ira Genova e Pisa per il predominio del Tirreno. L'articolo è corredato dalle fotografie degli originali di tre privilegi papali — relativi alla formazione della nuova sede metropolitana — consei vati nella Biblioteca Pubblica Statale Saltykov-Scedrin di Leningrado; le edizioni fino a ora esistenti dei tre documenti non tengono conto di tali originali, ma sono state condotte su copie. (Paola Toniolo) Valeria Polonio, Il monastero di San Colombano di Bobbio dalla fondazione all'epoca carolingia, F.S-S.E., II, Genova, 1962, pp. 133. Lo studio — oltre che sulla scarsa bibliografia esistente suirargomento — è basato essenzialmente sui non molti documenti bobbiesi superstiti (cfr. Codice Diplomatico del monastero di San Colombano di Bobbio, 3 voli., Roma, F.I.S.I., 1918). L’Autrice, dopo essersi soffermata sulla fondazione e sui suoi particolari aspetti religioso-politici, tratta la vita, le vicende e la funzione dell’abbazia di Bobbio nei periodi longobardo e carolingio. Il monastero è visto, oltre che dal punto di vista religioso, disciplinare e della struttura interna, anche nella larghissima attività e influenza che ebbe — quale elemento attivo nella storia contemporanea — nel campo politico, economico, sociale, organizzativo. Parte dello studio è destinata ai rapporti del monastero con i centri religiosi da esso dipendenti e al conflitto con l’autorità vescovile. Il libro interessa gli studi liguri in quanto la diocesi di Bobbio, sorta su gran parte degli originari possessi abbaziali, fa parte, dal 1133, dell’archidiocesi di Genova; e soprattutto perchè al monastero erano legate dipendenze situate sulla Riviera di Levante fin dai tempi longobardi, e in Genova stessa, almeno dal secolo IX. Il volume è corredato da due cartine illustrative del patrimonio fondiario ce-nobiale e delle vie di comunicazione, e da 12 fotografie di particolari del mosaico pavimentale del secolo XII, esistente nell’abbazia. (Alberto M. Boldorini) Dino Puncuh, Liber privilegiorum Ecclesiae Ianuensis, in F.S.S.E., I, Genova, 1961, pp. XXXII, 501, 4 tavv. L edizione di questo famoso manoscritto del Capitolo della Cattedrale genovese si inserisce nella scia degli studi di storia ecclesiastica genovese, avviati dal Belgrano, dal Ferretto, dal Cambiaso e da altri illustri studiosi. Si colma così la lacuna esistente nella documentazione della Chiesa genovese dopo le edizioni dei registri della Curia arcivescovile, curate dal Belgrano negli Atti della Società Ligure di Storia Patria (voli. II e XVIII). Il Liber si basa sul manoscritto ducentesco PA e sulla copia trecentesca dello stesso, detta PB. L’A. ha edito il PA dando le principali varianti del PB. I documenti si riferiscono in massima parte al secolo XIII, con la presenza di atti relativi ai secoli X, XI e XII. L’importanza del manoscritto balza evidente dalla lettura dei documenti contenutivi : documenti papali inediti o conosciuti solo attraverso i Regesti del Kehr, arbitrati, questioni giurisdizionali tra Capitolo e Arcivescovo, situazione pievana della città, erezione di nuove chiese, frammenti statu- — 383 — tari, lodi consolari. Attraverso la ricca documentazione si colgono la struttura della Chiesa genovese ed il suo sviluppo, si possono studiarne alcune questioni fondamentali, come il problema del trasporto della cattedrale da San Siro a San Lorenzo. 1 origine dei canonici, i rapporti tra potere laico ed ecclesiastico, etc. L'introduzione di carattere paleografico-diplomatico consente di avviare il discorso su importanti problemi di diplomatica, quali il rapporto tra la charta e i cartulari monastici ed ecclesiastici, e sul valore di alcune formule. I regesti, con ricco apparato bibliografico, e l indice dei nomi di persona e di luogo chiudono il volume. /74(T ^ t\ n (M. Teresa Dellacasa) Dino Puncuh, La vita savonese agli inizi del Duecento, in Miscellanea di storia ligure in onore di Giorgio Falco, I.S.M.M., VI, Milano, 1962, pp. 127-152. Partendo da quattro cartulari notarili degli ultimi anni del secolo XII e del primo ventennio del XIII, conservati, unitamente al Libro del podestà del 1250 (cfr. V. Pongiglione negli Atti della Società Savonese di Storia Patria, XXVIII, 1956), nell’Archivio di Stato di Savona, l’A. ha preso in esame la vita privata della città, colta soprattutto nel periodo della trasformazione economica dei primi anni del secolo XIII. Il profilo tende anche a superare i limiti imposti alla tradizione storiografica savonese dal grande conflitto politico tra Genova e Savona, mettendo in luce la grandezza e l'importanza della città indipendentemente dal conflitto con la rivale. Attraverso il quadro storico della città è possibile cogliere il senso del profondo rinnovamento che la vita marinara ha determinato nel suo seno negli anni decisivi per la formazione e la maturità del comune ligure. (M Teresa DeIlacasa) V. I. Rutenburg. Gli lizzano e Genova (da documenti dell'archivio di Leningrado), in Miscellanea storica ligure III, VII. Milano, 1963, pp. 49-56 (trad. di M. T. Dellacasa). L archivio della sezione di Leningrado dell’istituto di storia dell Accademia delle Scienze dell URSS contiene diverse migliaia di manoscritti che riguardano la storia d Italia ed alcune decine che riguardano quella di Genova. Tra questi ultimi ce ne sono alcuni, del periodo 1363-1386, che interessano le relazioni commerciali della compagnia fiorentina degli Uzzano con Genova. L A. ce ne dà la edizione inquadrandoli in un breve profilo storico. (Alberto M. Boldorini) Maria Luisa Scarin, Castelli medioevali della Lunigiana occidentale, in G.S.L., XIII. 1962, pp. 33-85. E una ricerca di tono erudito sulle origini, la storia e le caratteristiche strutturali dei singoli castelli, dei quali è data la localizzazione geografica: si cerca di ricostruire, sulla scorta di documenti, la data di costruzione e le principali vicende storiche. , . ,. n (Aurelia Basili) — 384 — Alessandra Sisto, Contribulo allo studio dell'agricoltura in Liguria ( 1180-1220), in Miscellanea di storia ligure in onore di Giorgio Falco, I.S.M.M., VI, Milano, 1962, pp. 117-125. LA. illustra le caratteristiche della struttura agricola nel territorio ligure, alla luce di tutti gli atti, relativi a questo argomento, reperiti nei cartulari notarili genovesi sinora editi. . (Giovanna Balbi) Cinzio Violante, Le concessioni pontificie alla Chiesa di Pisa riguardanti la Corsica alla fine del secolo XI, in Bullettino dell'istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, 75, Roma, 1963, pp. 43-56. E noto il lungo contrasto che divise Genova e Pisa per la Corsica : noti sono pure i documenti ecclesiastici relativi ai vescovadi della Corsica, dietro al quale problema si celavano gli interessi còrsi delle due città italiane. L’A. di questa nota esamina criticamente alcune lettere pontificie del periodo gregoriano, interessanti la giurisdizione spirituale e temporale sulla Corsica, che i pontefici romani rivendicavano, sulla base della donazione di Costantino, alla Sede Apostolica. Premesso che l’azione di recupero intrapresa da Gregorie VII, di natura spirituale e temporale, esercitata attraverso il vescovo di Pisa Landolfo, si inserisce in un quadro più ampio, toccante anche la Spagna e la Sardegna, l’A. accenna alle difficoltà politiche del tempo, che starebbero alla base della decisione di Gregorio VII di nominare suo vicario in Corsica il vescovo pisano, eletto canonicamente dopo una serie di presuli eletti irregolarmente. La buona prova fornita da Landolfo portò all’estensione ai suoi successori del privilegio papale che culminerà, nel 1091, con la cessione della Corsica alla Chiesa pisana, previo pagamento di un censo annuo che tendeva ad affermare l'alta sovranità pontificia sull'isola e, l'anno dopo, con l’elevazione della Chiesa pisana alla dignità arcivescovile con diritti metropolitici sulla Corsica. (Dino Puncuh) Adele Zaccaro, Il cartulario di Benelto da Fosdinovo, in G.S.L., XI-XII, 1960/61, pp. 141-167; 113-171. L’edizione del cartulario, uno dei più antichi manoscritti notarili rimasti ili Lunigiana, è preceduto da una introduzione di carattere storico-paleografico, corredata di numerose note e seguita dall’indice onomastico e toponomastico. I 109 atti che compongono il cartulario si riferiscono, nella quasi totalità, alla compravendita di terreni e ad obbligazioni per mutuo: solo due sono relativi a materie ecclesiastiche. Nel suo complesso, il cartulario di Benetto presenta elementi di vivo interesse, in quanto rappresenta l’unica testimonianza che ci dia un quadro esatto di una piccola società terriera, di regime ancora feudale. (Aurelia Basili) — 385 — 25 SECC. XV-XVI Giovanna Balbi, La compagnia della Misericordia di Genova nella storia della spiritualità laica, in Momenti di storia e arte religiosa in Liguria, F.S.S.E., III, Genova, 1963, pp. 145-190. È la storia della Compagnia della Misericordia, una delle prime confraternite laiche sorte in Genova a metà del Quattrocento, con lo scopo precipuo di assistere i condannati a morte. Vengono studiati il momento storico della fondazione, lo sviluppo attraverso i secoli e le innovazioni apportate all organizzazione interna della Compagnia, grazie allesame degli statuti inediti, conservati all Archivio di Stato e all’Arehivio arcivescovile di Genova. Al termine del lavoro, 1 Autrice pubblica il più antico statuto della confraternita. (M. Teresa Dellacasa) Giovanna Balbi, Giorgio Stella e gli Annales Genuenses, in Miscellanea storica ligure 11, I.S.M.M., V, Milano, 1961, pp. 123-216. Il lavoro porta un notevole contributo alla conoscenzia delle fonti storiografiche genovesi, esaminando in sede critica la genesi e la fortuna degli Annales Genuenses di Giorgio e Giovanni Stella (1298-1435), uniche testimonianze locali per le vicende del Trecento e del Quattrocento in Liguria. L’Autrice puntualizza la biografia del maggiore dei due fratelli, la sua formazione culturale, la sua attendibilità storica, attraverso lesame di atti ufficiali della cancelleria genovese e le testimonianze di altri cronisti italiani dell’epoca; esamina 1 unica edizione esistente degli Annales, nel tomo XVII dei Rerum Italicarum Scriptores e confuta, limitandola al 1405, l’opinione del Muratori, che fa procedere fino al 1409 la parte degli Annali dovuta a Giorgio; elenca ben 24 codici degli Annales, reperiti in biblioteche italiane e straniere, di fronte ai 4 di cui si servì il Muratori. Infine pubblica dieci documenti tratti dall’Archivio di Stato di Genova ed alcune tavole fotografiche. (Paola Toniolo) Ignazio Oreste Bicnardelli, Come sono visti Cristoforo Colombo e la sua opera in un recente lavoro storico sul Vespucci, in Genova, 1961, n. 1-pp. 20-29. Occupandosi in altra sede del libro di German Arciniegas, Amerigo Vespucci, l'A. si riservò di mettere a punto, su piano rigorosamente storico, gli excursus dell Arciniegas nella storia colombiana. Ora riprende 1 argomento, criticando la leggerezza e dimostrando l’inconsistenza di talune affermazioni dello storico colombiano. (Aurelia Basili) Ignazio Oreste Bicnardelli, Il « converso » Ximeno de Briviesca, in Genova, 1962, n. 9, pp. 16-22. Ricorda un episodio fra i meno noti della vita avventurosa del grande Genovese, ma rivelatore del suo temperamento e della sua istintiva avversione alla maldicenza. (Aurelia Basili) — 386 — Ignazio Okeste Bicnardelli, Cristo/oro Colombo, corsaro al servizio di nenato d Angiò, in Genova, 1963, n. 12, pp. 6-11. Nel capitolo IV de «Le historié» pseudoferdinandee («Gli esercizi uè’ quali si occupò l’Ammiraglio, avanti che venisse in Ispagna ») è narrata una pretesa avventura colombiana sulle coste tunisine, della quale il Colombo stesso avrebbe dato notizia in una lettera da Haiti nel gennaio 1495. L’A. dimostra 1 inattendibilità ciell’episodio, esaminando criticamente alcuni punti salienti della pretesa lettera. (Aurelia Basili) Ignazio Okeste Ricnardelli, Cristoforo Colombo e la Scuola cartografica genovese, in Genova, 1961, n. 11, pp. 10-21. A. E. Nordenskiold, nel « Periplus », pubblicato a Stoccolma nel 1897, ha definito 1 invenizone della carta nautica « opera unica », non solo nella storia della navigazione, ma in quella della civiltà, attribuendone il merito ai Catalani. Contro questo errore è già insorto il Magnaghi, dimostrando come invece si tratti di un autentico primato genovese. La questione, sempre attuale, è trattata dall A. che, facendo il punto storico sul confuso panorama delle leggende e delle fantasie, la ridimensiona nei termini c nelle prospettive. , . , (Aureha Basili) Ignazio Oreste Bicnardelli. Incertezze e contrasti intorno all origine e ai viaggi di Giovanni Caboto, in Genova, 1962, n. 1, pp. 11-23. LA., accennando alle rivendicazioni che Castiglione Chìavarese, Gaeta, Savona e \ enezia avanzano, in merito ai natali del Caboto, riconosce l’esistenza effettiva di una tradizione diffusa, dovuta al tramandarsi di una semplice notizia non documentata; ma afferma che tale asserzione non ha mai avuto il suffragio di qualche elemento probativo. Sottolinea quindi l’indubbio interesse che la questione riveste, augurandosi che essa venga affrontata con responsabilità critica. (Aurelia Basili) Ignazio Oreste Bicnardelli, Il navigatore Piri Reis, invece di Colombo, avrebbe scoperto il Nuovo Mondo, in Genova, 1961, n. 5-6, pp. 14-23. Confuta la pretesa scoperta del colonnello di Stato Maggiore Salvi Tumer. Direttore della Sezione Geografica dell esercito turco e professore nella Scuola superiore di Guerra di Ankara, secondo il quale il navigatore turco Piri Reis, e non Colombo, sarebbe approdato per primo nel Nuovo Mondo. (Aurelia Basili) Ignazio Oreste Bicnardelli, I resti mortali di Cristoforo Colombo, in Genova, 1961, n. 1. pp. 2-11. Mette a fuoco la complessa e delicata questione delle spoglie mortali di Colombo, ricordando come i pretesi resti siano stati trasportati nel 1796 alla — 387 — Habana e nel 1899 a Siviglia; solo successivamente avvenne a San Domingo il ritrovamento delle autentiche spoglie, parte delle quali furono in seguito portate a Genova, deve attualmente si conservano. (Aurelia Basili) Giov. Battista Boero, Il doge Gaspare Grimaldi Bracelli (note genealogiche), in Genova, XLIII, 1963, 10, pp. 40-41. Riassume i dati principali della famiglia cui appartenne Gaspare, doge nel biennio 1549-51. (Giuseppe Oreste) Leonardo Botta, La riforma tridentina nella diocesi di Savona, parte II: L'opera di riforma, in Atti della Società Savonese di Storia Patria, XXXV', 1963, pp. 5-262. Tratta l'attività svolta, nel secolo XVI, nella diocesi di Savona, per rendere operanti i decreti del Concilio di Trento. Delinea un quadro di vita ecclesiastica e cittadina in cui, da un lato, figurano disposizioni normative e disciplinari (fissate attraverso sinodi, visite pastorali, una visita apostolica); dall altro, compaiono fatti e vicende, come l’erezione della nuova cattedrale, l’azione del-1 Inquisizione, la condizione e le nuove iniziative del clero e del popolo. Sono pubblicati diversi documenti, custoditi nell’Archivio vescovile di Savona, relativi a sinodi diocesani della seconda metà del secolo XVI. (Valeria Polonio) C. Branchi. 1 navigatori genovesi sulle coste sudamericane del Pacifico nel secolo XVI, in Miscellanea storica ligure III, I.S.M.M., VII, Milano. 1963, pp. 145-164. Un breve cenno ai numerosi liguri o italiani che parteciparono, a vane riprese, insieme agli Spagnoli, alla conquista del Cile, precede un profilo biografico del genovese Gian Battista Pastene, Primo ammiraglio del Mare del sud, collaboratore di Francesco Pizarro e di Pietro di Valdivia. Il profilo, condollo con ampi particolari e nell’intento di rivendicare al Pastene i meriti di navigatore e di scopritore a lungo intenzionalmente dimenticati nella storia della conquista dell America meridionale, si riferisce in particolare al periodo 1534-1583. All’articolo sono unite la riproduzione di un ritratto di Gian Battista Pastene e una cartina che ricostruisce i suoi vari viaggi esplorativi lungo le coste del Pacifico dell’America meridionale. (Alberto M. Boldorini) La Carta de Colón anunciando el descuhrimiento del Nuevo mundo (15 febrero - 14 marzo 1493), a cura di Carlos Sanz, Madrid, 1961. pp. 24. Il Sanz, che ha una specifica competenza sull’argomento, già trattato m diverse pubblicazioni (ricordiamo in particolare la sua Bibliografia generai de la Carta de Colón, Madrid, 1958, pp. 305), ritorna brevemente, in omaggio al 450° anniversario della morte del navigatore, sul problema della famosa relazione del 15 febbraio 1493, con la quale Cristoforo Colombo comunicò e descrisse ai sovrani spagnoli il ritrovamento e le meraviglie delle Indie. La « Car- — 388 — ta », di cui ci dà notizia già il 22 marzo 1493 una pagina del Libro de Aclas ( opitulares di Cordova, vide la luce nello stesso anno, secondo il testo originale castigliano, in una edizione in folio della quale si conosce oggi un solo esemplare (presso la Lenox Library di New York), e in diverse edizioni sia di una versione latina sia della traduzione italiana di Giuliano Dati; nel 1497 in una versione tedesca. L A. riproduce, appunto, in facsimile l'edizione del testo castigliano, curata da Pedro Posa a Barcellona nel 1493 nei tipi della gotica libraria: la correda di una trascrizione paleografica in caratteri latini, con apparato di .ritica storica e testuale; di una fototipia della pagina del Libro de Actas sopra citato; di un cenno sulle vicende della scoperta e dei passaggi di proprietà delFedizione in folio; di una illustrazione dell’importanza storica della « Carta », che sconfina però dall analisi oggettiva all'assunto politico attuale, secondo cui il ricordo di Colombo « parece reavivar la fuente pura del derecho imperecedero que asiste a Espana, corno nación descubridora, madre y civiliza-dora de America y el deber indéclinable que tiene de figurar, corno parte principal, en las avanzadas de esta gran contienda moral que el mundo tiene enta biada por su unidad orgànica, politica y espiritual ». M. A. Cioranescu, Oeuvres de Christophe Colomb, Paris, 1961, pp. 530* Traduzione francese di una vasta scelta di scritti di Cristoforo Colombo, basata sulla Raccolta Colombiana di C. de Lollis, integrata da documenti di più recente scoperta, come la lettera ad Isabella di Castiglia pubblicata da A. M. Mateo nel 1942. Quasi un quarto dell'opera è costituito da fitte note interpretative che rappresentano una preziosa messa a punto delle più controverse questioni colombiane. L’autore di questa utile opera aveva già pubblicato, Tanno precedente, un volume dedicato alla dibattuta questione del vero autore delle Historié attribuite a Fernando Colombo (Primera biografia de Cristobai Colon. Fernando Colon y Bartolomé de Las Casas, Teneriffe, Aula de Cultura, 1960) In essa, accostandosi con nuovi argomenti alla nota tesi di Romulo D. CarbiaT egli sostiene che le Historié sarebbero una compilazione del Las Casas, su materiali usciti dalla penna di don Ferdinando. M. Mahin-Lot, Les plus belles pages de Christophe Colon, Parigi, 1961T pp. 155. Traduzione antologica che comprende anche qualche documento non incluso nell’opera di Cioranescu. „ . (*• «•) Domenico Giokfrè. Il commercio d'importazione genovese alla luce dei registri del dazio (1495-1537). in Studi in onore di Amintore Fanfani. V, Milano. 1962. pp. 113-242. Attraverso lo spoglio dei cartulari della dogana — i carati del mare — integrato dalle notizie tratte dall’Archivio notarile e da altre fonti dell’Archivio di Stato di Genova (Gabella granorum, Diversorum Communis Januae, Archivio del Banco di S. Giorgio), l'A. ci offre una raccolta di dati relativi al commercio di importazione genovese dal 1495 al 1537. La parte preponderante del com- (G. P.) — 389 — mercio dell’epoca era già volta ai traffici con il ponente e l’A. tratta dei legami commerciali di Genova con l’Inghilterra, le Fiandre, il Portogallo e la Spagna, passando quindi ad illustrare i diversi momenti del commercio con i detti paesi, momenti per i quali le fonti gli hanno offerto elementi di indagine. Qui la descrizione analitica dei traffici si suddivide nell esposizione dei dati raccolti secondo il porto di provenienza e secondo la natura della merce importata. Una simile analisi, anche se non può dare un idea esatta delle quantità (non sempre è possibile tradurre in termini quantitativi comparabili i dati offerti dai cartulari dei carati) offre comunque un quadro dettagliato dell’aspetto qualitativo del commercio, della specializzazione di alcuni porti e, sia pure attraverso dati che rappresentano dei « minimi », le quantità delle merci oggetto di più intensi scambi (lana, seta, soda, zucchero, ecc.) mettendo in rilievo l’importanza relativa di alcune di esse rispetto alle altre. Un lungo paragrafo è dedicato alle importazioni dalla Sicilia per le forti quantità di tonno, per i cereali e soprattutto perché dalla Sicilia arrivava la seta grezza che, per quantità e valore, costituiva una delle voci più importanti di tutto il commercio di importazione (da un terzo circa a più della metà dell’intero valore). Per quanto riguarda l’Africa del nord, il commercio è quasi tutto basato sull’importazione di pelli e cuoiami ed i traffici tra le regioni nordafricane e la Spagna, se pure effettuati da genovesi con navi genovesi, non sono documentati dalle fonti in esame. L’ultima parte del-1 articolo tratta del traffico col Levante, con particolare riferimento agli ancora cospicui arrivi da Alessandria e da Chio (tessili in primo luogo, seguiti a distanza dalle spezie, dai coloranti e da altri prodotti tipici dell’Oriente) ed al commercio degli schiavi. Alcuni grafici riassumono le serie di dati esposte nel testo ed aiutano il lettore in alcuni utili confronti. (Giovanni Rebora) Jacques Heers, Gênes au XVe siècle: activité économique et problèmes sociaux, Paris, S.E.V.P.E.N., 1961. L opera, di ben 741 pagine, colma una lacuna negli studi di storia geno* vese per il secolo XV. Frutto di ricerche condotte in archivi italiani e stranieri, ma soprattutto nell Archivio di Stato di Genova per i documenti riguardanti il ventennio 1447-1466, il libro dell Ileers è articolato in tre parti. Oggetto della prima è la descrizione dell ambiente naturale e del movimento della popolazione dopo la grande peste del 1348. Un particolare riferimento alla città ed al suo sviluppo urbano e demografico. « Ainsi peut-on affirmer qu’au milieu du XVe siècle, la population de l'agglomération génoise dépasse très largement 100.000 habitants ». (L’A. riprenderà l’argomento dello sviluppo urbano di Genova per il suo contributo agli « Studi in onore di A. Fanfani »). La parte centrale del volume, « La vie économique », è la più importante e quella che offre il maggior numero di notizie talvolta nuovissime; lavoro di minuziosa analisi, fornisce copiosissimi dati affrontando argomenti quali « le tecniche, le monete e la banca », « il ruolo del capitale nell’economia genovese » e « il commercio estero ». La tecnica era già quella di un paese «capitalista»: «...se l’industria genovese è organizzata come quella di altri centri dell’Occidente, Firenze o le città delle Fiandre, il ruolo del capitale o dell’uomo di affari sembra qui molto più — 390 — netto »... « ... quasi tutti gli artigiani vengono di fuori dominio o dalle campagne del circondario»; infine, il credilo è onnipresente, esso gioca un ruolo considerevole e sostiene tutta l’economia della città. L’A. conclude: « Sans aucun doute, 1 industrie génoise est alors en plein essor ». La seconda metà del XV secolo vede la caduta di Costantinopoli (con le note conseguenze per le colonie genovesi) ed il volgere dell attività marittima verso gli scali del Ponente. L A. studia la portata di questo spostamento, analizzando serie di prezzi, merci, linee di traffico, tentando di determinare 1 entità degli scambi, attraverso un grande numero di dati e di notizie su tutte le branche dell’attività e su tutti gli scali toccati dai genovesi. Importanti le osservazioni sul mutamento del tipo di nave, l’abbandono della galea per la « caracca ». Atta a trasporti di merci meno ricche e più ingombranti, questa grossa nave (da 500 a 1000 tonnellate) era più lenta della galea e non poteva trovare riparo in tutti i porti dell’epoca, dovendo rinunciare di conseguenza a numerosi scali tradizionali. La dovizia di particolari su questo argomento è rilevata dal Lopez nella sua brillante recensione critica apparsa nel fascicolo IV (anno LXXV) della Rivista Storica Italiana. L ultima parte de! libro, la terza, disegna un quadro della società genovese del Quattrocento. Ben 100 pagine di tabelle e di grafici completano il libro con elementi relativi a prezzi, cambi, tassi di assicurazione, movimento demografico ecc. (Giovanni Rebora) J. Heers, La vente des indulgences pour la Croisade, à Gênes et en Lunigiana, en 1456, in Miscellanea storica ligure III. I.S.M.M., VII, Milano, 1963, pp. 69-102. Con la pubblicazione degli atti superstiti della vendita della indulgentia Caffae, organizzata nel 1456 dalla Casa di San Giorgio per soccorrere la colonia minacciata dai Turchi, l'A. porla la prima parziale smentita alla diffusa opinione sul disinteresse dei Genovesi per l'Oriente cristiano in genere e le loro colonie del Mar Nero in specie, in seguito alla caduta di Costantinopoli. Si tratta degli elenchi delle merci, delle armi e delle somme di denaro raccolte alla Spezia, a Sarzana, Portovenere e altre località della Lunigiana, da Francesco da Ferrara, minore, e da Antonio Mamerio, collettori per il vescovado di Lucca, coi riporti del valore in genovini. Nell’introduzione l’A. accenna all'accoglienza che la stessa iniziativa della Casa di San Giorgio incontrò in Genova e conclude sostenendo il persistere dell’attaccamento dei Genovesi, della città e del distretto, al loro impero coloniale. (Alberto M. Boldorini) Ernst Gerhard Jacob, Quelques points controversés dans l'histoire des découvertes faites par Colomb, Magalhâes et Behaim, in Congresso interna-donai de história dos descobrimentos. Actas, vol. Ili, Lisbona, 1961, pp. 239-246. Ritorna sulla discussa questione della scoperta deH’America, anteriormente a Cristoforo Colombo, e dello stretto di Magellano, anteriormente a Ferdinando Magalhâes, per opera di Martin Behaim. Dimostra l'infondatezza del-l'una e dell’altra tesi. Circa la seconda, mette in evidenza il fatto che l'indica- — 391 — zione d un passaggio di sud-ovest, attraverso l’America meridionale, nel globo di Jean Schoener del 1520 rappresenta uno dei « passaggi desiderati » di cui è ricca la cartografia delle Terrae incognitae nei secoli XV e XVI e che talvolta coincidono con la realtà delle scoperte posteriori. /ç p\ Leo Magnino, Antonio da Noli e la collaborazione fra Genovesi e Portoghesi nelle grandi scoperte, in Atti della Società Savonese di Storia Patria, XXXV, 1963, pp. 263-276. L articolo illustra brevemente la partecipazione dei Genovesi alle scoperte marittime portoghesi, sulla scia di Antonio da Noli, e allo sfruttamento commerciale dei territori d’oltremare nel secolo XV. Lo studio è corredato da un elenco di termini nautici italiani di derivazione portoghese. (Valeria Polonio) Manuela Marrero, Los italianos en la fundación de Tenerife hispanico, in Studi in onore di Amintore F anfani, V, Milano, 1962, pp. 329-337. Rassegna dei più noti italiani che risiedevano in Tenerife agli inizi del XVI secolo o che vi avevano più o meno radicati interessi. Alcuni cenni relativi alle attività economiche da essi svolte completano l’articolo. Tra gli italiani ci» tati, sono in numero preponderante i genovesi. (Giovanni Rebora) Gino Montefinale, Don Juan Bautista Pastene, esploratore e colonizza> tore del Citile, in Genova, 1961, n. 9, pp. 2-10. Fra gli italiani che compresero l importanza delle nuove vie aperte da Colombo all espansione oltremare, il Pastene, facoltoso genovese del secolo XVI. abilissimo navigatore, occupò uno dei primi posti nell’albo d’oro della storia cilena. L articolo rievoca la figura e le vicende del colonizzatore, mettendone in risalto le eccezionali capacità. (Aure]ja Basili> F. Morales Padrón, Las relaciones entre Colon y Martin Alonso Pinzón, in Congresso internacional de história dos deseobrimentos. Actas, vol. Ili, Lisbona, 1961, pp. 433-442. Traccia un profilo della personalità di Martin Alonso Pinzón, grande navigatore ed audace corsaro, i cui rapporti personali con Cristoforo Colombo risultarono di notevole importanza per l'attuazione della spedizione alle Indie, sia durante i preparativi sia nel corso del viaggio. Si sofferma in particolare sui quattro momenti fondamentali di quest'ultimo per ciò che concerne l'attività del Pinzón di fronte a Colombo: il « motin », che FA. riconduce ad un semplice episodio di malcontento, verificatosi sulla sola nave ammiraglia e subito sedato dal fermo intervento di Martin Alonso; la decisione di quest’ultimo di conti- — 392 — nuare il viaggio, quando Colombo parve propenso ad invertire la rotta ; la priorità dello sbarco del Pinzón ad Espanola; i contrasti che separarono Martin Alonso da Colombo sulla via del ritorno. Infine ricorda l'opera dei « marinos de los viajes andaluces » nell’ampliamento delle scoperte colombiane. (G. P.) Rosann\ Mosca, Gli Statuti di Sarzanello, in G.S.L., XIII, 1962, pp. 101-171. Edizione integrale degli statuti del 1408. condotta sulla copia del XIX secolo, esistente nella Biblioteca del Senato. Gli statuti sono suddivisi in tre libri, il primo dei quali contiene norme di diritto pubblico, il secondo minute disposizioni di carattere penale, il terzo norme di diritto civile su vari argomenti. L’edizione è preceduta da una breve introduzione e corredata di numerose note esplicative. L’Autrice si è preoccupata di interpretare e chiarire taluni passi di oscuro significato e di colmare diverse lacune, avvalendosi del confronto con il testo degli statuti di Sarzana. f Aurelia Ris:l:l Gian Giacomo Musso, Per la storia degli Ebrei nella Repubblica di Genova tra il Quattrocento e il Cinquecento, in Miscellanea storica ligure III, I.S.M.M., VII, Milano, 1963, pp. 103-126. Alla luce di nuove scoperte archivistiche, 1 A. riesamina 1 atteggiamento tenuto dal governo genovese nei riguardi degli Ebrei profughi dalla Spagna, e perviene ad una conclusione opposta a quella degli studiosi che precedente-mente avevano esaminato lo stesso argomento, quali lo Staglieno e il Pandiani. Per il Musso la politica ebraica di Genova non fu affatto tollerante, ma persecutoria. L’A. ne vede le ragioni, da una parte, nella superstizione comune del tempo, dall’altra, nel flagello ricorrente della peste che, colpendo a brevi intervalli Genova, imponeva al governo della città particolari misure di sicurezza e di prevenzione del contagio, quale la proibizione di attraccare in porto per le navi che provenivano da determinate regioni. In appendice segue 1 edizione di otto documenti inediti. (Alberto M. Boldorini) Gian Giacomo Musso, Politica e cultura in Genova alla metà del Quattro-cento, in Miscellanea di storia ligure in onore di Giorgio Falco, I.S.M.M., VI, Milano, 1962, pp. 315-334. Nel saggio, diviso in due parti, — la realtà dei fatti e 1 illusione delle idee, — l’A. tratta l’intricata politica genovese della prima metà del sec. XV. sulla base di molto materiale genovese medito e di fonti orientali. Sostiene che « oggettive condizioni di natura geopolitica » segnarono il declino della potenza genovese in quest’epoca, nonostante continuasse in Oriente l’espansione economica di alcuni gruppi familiari : elemento caratteristico della vita genovese dell’epoca fu infatti lo spirito individualistico e familiare, tipico nei Campofre-goso, che rese la città soggetta a Milano e alla Francia. L’A. esamina, nella — 393 — seconda parle del saggio, l’interpretazione che diedero di questi avvenimenti gli storici, i letterati e i pubblicisti dellepoca e sostiene che l’evento più sentilo dal Barbaro, dal Bruni, dal Manetti e da altri fu la ribellione antiviscontea (Giovanna Balbi) Geo Pistarino, Bartolomeo Lupoto e l arie libraria a Genova nel Quattrocento, I.S.M.M., III, Genova, 1961, pp. LXX-301. Il libro dei conti del cartarius Bartolomeo Lupoto dal 1448 al 1456 è stato segnalato da J. Heers (Gênes au XVe siècle, Parigi, 1961, p. 685) tra le maggiori fonti manoscritte per la storia genovese del secolo XV. Si tratta effet-ti\amente di un « pezzo » di particolare valore, per la sua rarità, non soltanto nell ambito locale, ma anche nella storia dell’industria libraria nel momento in cui si opera il trapasso dalla produzione manoscritta alla produzione a stampa. L A. ci dà 1 edizione completa del Liber rationis, alla quale aggiunge 1 inventario delle consistenze dell'apotheca, compilato alla morte del Lupoto, nel 1487 (già edito, ma con diverse mende, da P. Accame nel 1912). L’introduzione si sofferma sulla vita e sull attività del Lupoto; sull’ingresso dell’arte della stampa a Genova; sul cospicuo fondo librario dell'officina del cartarius, quale ci è dato dall inventario redatto alla sua morte; sulla descrizione del ms. del Liber rationis. L apparato critico delle note in calce al volume presenta 1 identificazione di quasi tutte le opere segnalate dall’invcntario del 1487 (ed è impresa non da poco, se si tiene presente 1 estrema scorrettezza di quest’ultimo nelle indicazioni bibliografiche). Segue un indice dei nomi di luogo e di persona. Il volume è abbellito da dieci tavole fuori testo, con saggi dei manoscritti usati dall Autore e delle più antiche opere a stampa prodotte a Genova nel Quattrocento. (Dino Puncuh) Geo Pistarino, Discussioni su Lanzarotto Malocello al Congresso International de História dos Descobrimentos (Lisbona, 5-11 settembre 1960), in B.L., XIII, 1961. n. 1/2, pp. 13-76. Al Congresso internazionale, tenutosi a Lisbona nel settembre del 1960 per onorare il quattrocentenario della morte di Enrico il Navigatore, sono tor-nati alla luce il nome di Lanzarotto Malocello ed il problema del primo avvistamento delle Canarie, per merito degli interventi di Ch. Verlinden, Jacinto J. Nascimento Moura, Sergio da Silva Pinto, Elias Serra Rafols, Raymund Mauny. L A. rende conto con molta precisione, grazie anche alla partecipazione personale al Congresso, delle varie tesi che sono state affacciate. Dalle quali risultano ormai indiscutibili la nazionalità genovese del Malocello e la scoperta dell’isola di Lanzarote, nel gruppo delle Canarie, per merito suo, sotto bandiera del Portogallo. Rimane invece ancora sub iudice la questione della data della scoperta, per la quale si spazia tra il 1312 ed il 1339 (terminus ante quem). (M. Teresa Dellaeasa) — 394 — Geo Pi sta rino, I Portoghesi verso l\( Asia » del Prete Gianni, in Studi medievali, 3“ serie, li, 1961, pp. 75-137. Tra le deputazioni degli Stati cristiani che si recarono a prestare omaggio alla Santa Sede in seguilo all’elezione dTnnoeenzo Vili, si segnala quella portoghese, capeggiata da Vasco Femandes, per 1’oraUo de obedientia pronunciata, come di consueto, alla presenza del pontefice e del corpo cardinalizio. L 'oratio rappresenta una fonte storica di notevole valore, sia perchè in essa il Portogallo rende conto dell’opera svolta a favore della cristianità (in particolare con le esplorazioni africane) sia perché preannuncia i temi politici della condotta futura. Segnalata nel 1933 al Congresso internazionale di scienze storiche, tenuto a Varsavia, da E. Déprez, che credette di scorgere in essa un accenno alla scoperta del Capo di Buona Speranza anteriormente a Bartolomeo Diaz, ripubblicata in facsimile nel testo latino, con traduzione inglese e commento storico da Fr. M. Rogers, essa viene fatta oggetto di attenta analisi da parte di G. Pistarino, il quale, mentre rettifica alcune posizioni del Rogers, l’inquadra nel panorama storico dell'espansione portoghese lungo le coste africane alla ricerca del favoloso paese del Prete Gianni, e degli insorgenti contrasti con la Spagna, che si affaccia anch’essa alla ribalta delle imprese coloniali e che si prepara alla spedizione di Cristoforo Colombo. Il nome del quale già ricorre in queste pagine, sia per il noto suo viaggio al Castello della Mina, sia per le questioni tecniche relative al calcolo delle distanze nel periplo per le Indie dalla parte di oriente ed in quello dalla parte di occidente. (Paola Toniolo) G. Ricaldone - G. Colli, Controvita di Cristoforo Colombo, Torino, 1962, pp. 164. Gli Autori riprendono il lema dell’origine di Cristoforo Colombo dalla famiglia dei signori di Cuccaro Monferrato, cercando di ridare vita ad un argomento rimasto senza più sostenitori dopo gli studi di Vincenzo De Conti, nel 1846, e la pubblicazione della Dissertazione di Luigi Colombo, nel 1853. Il lavoro si fonda pressoché esclusivamente sui tanto famosi quanto discutibili documenti e memoriali prodotti da Baldassare Colombo di Cuccaro dinanzi al Tribunale Castigliano delle Indie nella causa per il possesso del Maggiorasco colombiano, — che comprendeva beni in Ispagna e nelle Americhe, — la cui discussione si trascinò dal 1579 al 1608, tra sotterfugi, esibizioni di atti falsi ed autentici colpi di scena. Indipendentemente dalla tesi sostenuta, è comunque notevole il fatto che gli Autori abbiano ritrovato e segnalato parte dell archivio dei Colombo di Cuccaro, con materiale relativo al loro intervento tra gli eredi collaterali, reali o presunti, dell’Ammiraglio, dopo la morte dell’ultimo discendente maschile del ramo iberico, don Diego Colombo, nel 1578. Il volume è corredato da numerose tavole fuori testo, con un ritratto di Cristoforo Colombo, facsimili di opere a stampa e di documenti, una riproduzione dello stemma dei conti Colombo di Cuccaro, e da diverse tavole genealogiche. (G. P.) — 395 — Domenico M. Saglietti, Michele de Cuneo, in Genova, 1961, n. 1, pp. 25-31. La figura del Savonese, compagno di viaggio di Colombo nella seconda spedizione alle Antille, è ricostruita attraverso le testimonianze e i dati forniti dai cronisti del tempo. L A. esamina inoltre l’attività pseudo letteraria del personaggio, avvertendo che essa, data la scarsa preparazione culturale dello scrittore, non manca di suscitare perplessità. , . r, ...x (Aurelia Basili) ... !)' ^ erunden, Antonio da Noli et la colonisation des Iles du Cap Vert, in Miscellaneo storica ligure III, I.S.M.M., VII, Milano, 1963, pp. 127-144, L A. si riallaccia ad un suo precedente lavoro sui numerosi navigatori, mercanti e coloni italiani che operarono al servizio di Enrico il Navigatore e prêcha quali furono le isole dellarcipelago del Capo Verde scoperte da Antonio da ISoli durante il suo primo viaggio di esplorazione compiuto nel periodo 1456-1460. Tratteggia 1 opera che Antonio da Noli svolse nello stesso arcipelago come colonizzatore, mercante e capitano, nelle alterne vicende politiche tra Spagna e Portogallo, le quali lo indussero, ad un certo momento e temporaneamente, a sottrarsi all obbedienza di Alfonso V per mettersi al servizio di Ferdinando di Castiglia. (Alberto M. Boldorini) l il C'!AKLES . Verlinden, Gli Italiani nell'economia delle Canarie all’inizio (letta colonizzazione spagnola, in Economia e Storia, VII, 1960, pp. 149-172. Attraverso 1 esame di alcuni articoli di studiosi spagnoli, LA. abbozza un quadro dell attività economica degli italiani alle Canarie nel primo decennio del 1500. Accanto a lombardi, veneti e toscani, la preponderanza dei genovesi è palese sia in qualità di residenti, sia in transito o quali trasportatori; essi hanno importanti aziende agricole (canna da zucchero), interessi finanziari e mercantili. Spesso legati ai genovesi di Siviglia, figurano i nomi di Matteo Vigna, Gaspare Spinola, Tommaso Giustiniano, Francesco e Cosma « Riberol », Giacomo Casana, Cristoforo Daponte e di altri, tutti intenti ai traffici più diversi, dallo zucchero (il più importante) agli schiavi. Tra i lavori utilizzati dall’A. fa particolare riferimento ai Genovesi quello della dottoressa Manuela Marrero : Los Genoveser en la colonizacion de Tenerife in Revista de historia, La Laguna, 1950. (Giovanni Rebora) Ch. Verlinden, Relations commerciales entre Gênes et le Portugal à l epoque des grandes découvertes, in Bulletin de l'institut historique belge de ome, XXXIII, 1961, pp. 163-277; D. Gioffrè, Documenti sulle relazioni fra Genova e il Portogallo dal 1493 al 1539, ibidem, pp. 179-316. Con paziente opera di spoglio tra gli atti notarili dell'Archivio di Stato di Genova, il Gioffrè ha raccolto 103 documenti relativi ai rapporti tra Genova ed il Portogallo nel periodo di maggiore espansione economica di quest’ultimo in seguito alle scoperte geografiche in Africa, in Asia ed in America. Nel saggio — 396 — introduttivo il Verlinden mette in luce il contributo che il materiale reca alla conoscenza della parte avuta da Genova nel commercio e nella nascente economia coloniale dei popoli iberici, rilevando che esso chiarisce la portata delle relazioni tra il Portogallo e Genova nella crisi tra il medioevo e l’età moderna; e propone allo studioso il tema, sinora poco noto, dell’importanza della navigazione commerciale portoghese nel Mediterraneo. Altri dati emergono: nomi di grandi imprenditori e di persone illustri, di capitani di nave e di uomini di legge e di penna; riferimenti ai contatti tra i Portoghesi e gli Spagnoli; chiarimenti sulle rotte di navigazione e sui generi delle merci di importazione ed esportazione. Louis-Andriì VlCNEtlAS, Etat présent des éludes sur Jean Cabot, in Congresso Internacional de li istòria dos Descobrimentos. Aetas, III, Lisbona, 1961, pp. 657-670. Dà notizia dei materiali documentari su Giovanni e Sebastiano Caboto, pubblicati dopo l’opera fondamentale di J. A. ^'illiamson (The voyage of tlie Cabols and thè discovery of Norili America. Londra, 1929). In particolare esamina. ripubblicandola in appendice, la lettera inviata dal mercante inglese John Day nel 1497 a Cristoforo Colombo, nella quale si contengono accenni notevoli circa il problema della scoperta dell’America settentrionale. SECC. XVII-XVIII Raffaele Ciasca. La Repubblica di Genova « Test a Coronata ». in Studi in onore di Amintore Fanfani, IV, Milano, 1962, pp 287-319. Alla luce delle proteste di indipendenza dei rappresentanti genovesi presso le corti estere e degli atti compiuti dal governo della Repubblica al fine di ottenere per Genova la dignità (ed il riconoscimento) di «Testa Coronata», 1A. nega l’asservimento totale dei genovesi agli interessi spagnoli e trae conclusioni volte ad affermare che la sovranità dellantica Repubblica era ancora una realtà politica durante c dopo il XVII secolo. (Giovanni Rebora) Fortunato Cirenei, Vicende dell'arte dei Chirurghi e dei barbieri genovesi alla fine del XVI secolo, in Genova, 1961. n. 12, pp. 39-45. Accenna a un codice membranaceo dei primi del 600, contenente documenti che permettono di ricostruire un momento importante della vita dell arte dei chirurghi e dei barbieri: la riforma dei capitoli. Riporta la trascrizione del verbale della riunione in cui furono decise le modifiche, del resoconto delle sedute e dell'elenco dei capitoli stessi. Accenna infine agli obblighi religiosi a cui i membri della comunità erano soggetti, al divieto di lavorare in giorni determinati, alle norme sindacali e previdenziali che regolavano la vita dell associazione. (Aurelia Basili) — 397 — Giorgio Del Guerra, Il carattere degli italiani in un'opera del sec. XVII ( L’examen rerum publicarum totius orbis del Conring), in Economia e Storia, Vili, 1961, pp. 241-254. L'A. riproduce alcuni passi de VExamen rerum publicarum totius orbis tradotti in italiano, nei quali Hermann Conring — giurista, economista e me- dico tedesco (1606-1681) — espone le sue impressioni sugli italiani. Degna di nota una pagina dedicata alla vivace descrizione del carattere dei genovesi ed un breve cenno sugli abitanti di Savona. ni (Giovanni Rebora) Fi.ora Ganfini Pastine, Scorci di vila femminile genovese nel XVI e XVII secolo, in Genova, 1961, n. 11. pp. 26-31. Descrive con ricchezza di particolari le usanze, le abitudini, il tipo di ab-bigliamento delle donne genovesi; esamina gli aspetti dell’educazione delle fanciulle nel '500 e nel ‘600, la condizione di vita nei diversi strati sociali e infine 1 opera svolta dalle donne in campo sociale, assistenziale, benefico. (Aurelia Basili) Salvatore Rotta. Idee (li riforma nella Genova settecentesca e la diffusione del pensiero di Montesquieu, in Movimento operaio e socialista, 1961. n. 3-4, pp. 205-281. Illustra i tentativi e i progetti di riforma della struttura dello Stato, strettamente connessi col problema del rinnovamento culturale, compiuti anteriormente alla diffusione in Liguria delle idee illuministiche, e accenna agli sforzi per svecchiare l’ambiente genovese, operati da un circolo di nobili genovesi illuminati. facenti capo al filosofo De Soria. Tratta inoltre gli articoli più importanti del piano di riforma del filosofo, rilevando come molte delle sue preoccupazioni siano assai vicine a quelle dello scrittore francese e come esse trovino formulazione e svolgimento compiuto nella sua opera (ad es. i problemi del pauperismo, della disoccupazione, dell'assistenza). Dopo aver accennato alla circolazione delle idee dell’Encyclopédie a Genova, FA. sottolinea come, dopo la rivoluzione democratica, il Montesquieu riappaia come maestro di costumi repubblicani, nella formulazione dei problemi di carattere educativo. Conclude ricordando alcuni utopici progetti di federazione, ispirati dalle teorie dell'autore francese, che ebbero diffusione e rinomanza a Genova. , , .. „ .... ( Aurelia Liasili) Loreivzo Vivaldo, Un opuscolo inedito di Vincenzo Palmieri . Contribulo alla storia del Giansenismo ligure, in Atti della Società Savonese di Storia Patria, XXXV, 1963, pp. 277-298. Viene pubblicato — e attribuito a Vincenzo Palmieri — un opuscolo manoscritto, custodito nella biblioteca del Seminario di Savona, relativo all'arcivescovo Giovanni Lercari e al suo allontanamento da Genova nel 1798. In base all’opuscolo stesso, Lorenzo Vivaldo lumeggia alcuni aspetti della personalità del PaImieri’ (Valeria Polonio) — 398 — SECC. XIX-XX Leomda Balestrerà Uomini e vicende della spedizione Pianciani nei ricordi inediti del garibaldino genovese Camillo Saccomanno, in Genova e l impresa dei Mille, Roma, 1961, II, pp. 513-535. Sulle iniziative indipendenti dei repubblicani mazziniani miranti allo Stato Pontificio si impose il realismo del programma di Garibaldi. Si ebbero veri e propri casi di coscienza, di cui un’interessante testimonianza è nelle pagine inedite di un comandante dei Carabinieri genovesi, il Saccomanno. Un quaderno di ricordi personali permette di risentire dall’interno la voce dei mazziniani militanti, profondamente delusi quando la spedizione Pianciani venne costretta dal governo piemontese a sbarcare in Sicilia, dove quelli che non disertarono, parteciparono alla battaglia di Milazzo. (Giuseppe Oreste) Luigia Laura Barberis, L'emigrazione politica a Genova dall'impresa di Sapri alla 11 guerra risorgimentale, in Genova e l'impresa dei Mille. Roma. 1961. II, pp. 293-319. Continua la raccolta di preziosi dati sull’emigrazione politica, già iniziata dal Poggi e da altri studiosi (fra cui l’Autrice stessa) per il periodo 1848-1857: misure poliziesche dopo i tentativi insurrezionali del '57, che posero in crisi i rapporti tra governo piemontese ed emigrati; sorveglianza sulle Consociazioni operaie; pressioni sulla stampa democratica e repubblicana; una certa diffidenza del Cavour verso i Liguri ( « l'emigrazione raccolta in Genova costituisce un vero pericolo », lettera del 5 febbraio 1858). Ma ben presto lo stesso Cavour seppe intelligentemente agire su questi ambienti nel corso del 58 e specialmente nel '59, in rivalità con la propaganda mazziniana, specialmente attiva nelle regioni orientali e di confine (Chiavari, La Spezia, Sarzana), mentre si definivano le difficili questioni degli arruolamenti di volontari. (Giuseppe Oreste) Gino Bianco. L'attività degli anarchici nel biennio rosso (1919-1920), in Movimento operaio e socialista, 1961. n. 2, pp. 123-156. L'articolo, corredato da ampie e numerose note, accenna agli avvenimenti di cui furono protagonisti gli anarchici nel tumultuoso biennio: le agitazioni della Spezia per il caro-vita, gli scioperi, le dimostrazioni, i comizi e la conseguente formazione di un comitato di agitazione, che invitò tutti i lavoratori ad una lotta a oltranza; ricorda inoltre il tentativo degli anarchici per promuovere un ammutinamento a bordo della corazzata «Duilio». (Aurelia Basili) Gino Bianco. L'avvento del fascismo a Sestri Ponente (1921-22), in Movimento operaio e socialista, 1962, n. 2, pp. 189-203. Nel primo dopoguerra, il proletariato di Sestri P. era all avanguardia del movimento operaio nel Gcnovesato, ma, a partire dal 1921, 1 apparizione del fascismo segnò l'inizio di un capovolgimento nei rapporti di forza. La resistenza — 399 — opposta dagli operai e le drammatiche vicende, che accompagnarono la penetrazione del fascismo a Sestri, offrono un modello esemplare di ciò che significò la irruzione in una « cittadella rossa » della violenza fascista. L’A. si sofferma sulla descrizione dei disordini e dei tumulti, che coincisero con una grave e persistente crisi economica e che culminarono nella conquista di Sestri da parte dei fascisti. (Aurelia Basili) Ferdinand Boyer. Journalistes, volontaires et armateurs français à Gênes en 1860, in Genova e l impresa elei Mille, Roma, 1961, II, pp. 537-550. Dal maggio al novembre 1860 Genova fu il quartier generale dei « soldati della libertà », e vi affluirono naturalmente anche scrittori e giornalisti, che talvolta, spinti dal 1 entusiasmo, si unirono ai combattenti. Il primo fu Alessandro Dumas, già celebre, al quale Garibaldi aveva promesso il manoscritto delle sue « Memorie ». Altri, arruolatisi, scrissero i loro ricordi : Ulric de Fouvielle, Charles Paya, Jean Pierre Lagarde, Maxime du Camp, Emile Maison, ed altri corrispondenti rimasti anonimi sulle colonne dei giornali francesi: notevole il fatto che non se ne parli nè dei dispacci del Talleyrand nè in quelli del console a Geno^. In questi appare invece trattata la questione dellimpiego di navi mercantili francesi per i rifornimenti ai garibaldini, visto con diffidenza dal governo francese. . (Giuseppe Oreste) Umberto V. Cavassa, Redattori de « Il Lavoro » nella lotta per la Resistenza dal 25 luglio all98 settembre 1943, in Genova, XLIII, 1963, 9, pp. 30-33. Integra, con ricordi personali, l’articolo di L. Balestreri pubblicato sul fase. 8 della medesima rivista (agosto 1963). (Giuseppe Oreste) vi n.^fflAT0 Chiarenza, I « volontari » civici di un secolo la, in Genova, XLIII, 1963, 10, pp. 44-46. Breve rievocazione dei modi in cui si svolgevano gli esami e le assunzioni di impiegati « volontari » negli uffici comunali di Genova, intorno al 1872. (Giuseppe Oreste) .... Marino Ciravegna, La partenza dei Mille e la partecipazione di Genova all impresa, in Genova e l'impresa dei Mille, Roma, 1961, II, pp.323-345. Dopo aver accennalo ai progetti mazziniani di uno sbarco insurrezionale nell Italia del Sud da affidare a Garibaldi, progetti che risalgono al ’44 e più volte riproposti, riesamina nei particolari il fermento dei genovesi più accesi, specialmente dopo il gennaio 1860 con la formazione della società « La Nazione » e con i contatti epistolari fra Rosalino Pilo, Crispi e Garibaldi del febbraio-marzo 1860. Si sofferma sulla discussa figura del Fauché, amministratore della società « Rubattino », i cui contatti con Bixio e Bertani per ottenere in qualche — 400 — modo i piroscafi « Piemonte » e « Lombardo », rivelerebbero non solo il disinteresse personale del Fauché stesso, ma soprattutto limportanza decisiva di questo per 1 impresa garibaldina. ,n. r. . ( Giuseppe Oreste) Arturo Codignola, Patrìzi e borghesi di Genova nel Risorgimento italiano, in Genova e l’impresa dei Mille, Roma, 1961, I, pp. 17-68. Apre la serie degli studi compresi nei due volumi intorno al tema « Genova e 1 impresa dei Mille », che raccolgono le relazioni e comunicazioni tenute al Convegno di Storia del Risorgimento a Genova nel maggio 1960. Traccia le linee essenziali di una storia « sociale » di Genova nel Risorgimento, special-mente nel periodo tra il 1797 e il 1848 : aristocrazia e ceti borghesi e mercantili, in collaborazione o in polemica nei dibattiti sui problemi politici, culturali e specialmente economici interessanti la regione ligure. Henri Contamine, Gênes vue par des Français (1814-1860), in Genova e l’impresa dei Mille, Roma, 1961, I, pp. 277-292. Il porto di Genova nel '59 fu il fulcro della collaborazione politico-militare tra Francia e Piemonte, e fu anche il nuovo centro d'irradiazione di viaggiatori francesi in Italia, i quali precedentemente erano stati soliti invece percorrere altre vie, che lasciavano fuori dei loro interessi la Liguria. L'A. ricorda alcuni scrittori e diplomatici del periodo anteriore al '48: l'ambasciatore D'Os-mond (1814), il console Charles Flury (1815-17), Elie Decazes (1830), Simond (1828), Valéry (post 1828) e il gen. Bourelly (1859), le cui testimonianze offrono un quadro interessante dell'ambiente genovese di quell’epoca. (Giuseppe Oreste) (Giuseppe Oreste) Claudio Costantini, Gli anarchici in Liguria durante la prima guerra mondiale, in Movimento operaio e socialista, 1961. n. 2, pp. 99-122. L’articolo, corredato da ampie notizie, accenna alla polemica sulla guerra, svoltasi sulle colonne del periodico anarchico 11 Libertario, e alla successiva iniziativa dello stesso giornale, volta alla convocazione di un congresso per un maggior coordinamento dell’azione anarchica contro la guerra. L'A. espone inoltre alcuni dei temi fondamentali trattati nel congresso ed esamina i rapporti degli anarchici con i sindacalisti e la loro azione di propaganda disfattista, svolta negli anni del conflitto. (Aurelia Basi]i) Claudio Costantini, I fatti di Sarzana nelle relazioni della polizia, in Movimento operaio e socialista, Vili. 1962, n. 1. pp. 61-100. Dopo aver sottolineato Topera di lenta e difficile penetrazione del fascismo a Sarzana, l’A. descrive i primi violenti scontri fra la popolazione e gli squadristi e le successive azioni punitive, passando poi ad una ampia e particolareggiata relazione dei fatti del luglio 1921. Segue una appendice di 17 pagine, contenente il testo dei principali documenti, cui si fa riferimento nel saggio. (Aurelia Basili) — 401 — 2fi Attilio Dfpoli, Bertani, Mazzini, Cavour ed i soccorsi a Garibaldi, in Genova e l'impresa dei Mille, Roma, 1961, li, pp. 359-494. Ampio studio analitico della organizzazione dei rifornimenti (uomini e materiali) per l'impresa garibaldina, con esame approfondito di un ricco materiale inedito. E’ messa in rilievo l’attività delle varie correnti che in Genova, con o senza l’appoggio del Cavour, erano in fermento già nei primi mesi del '60 e che poi. anche contrastandosi vicendevolmente, rappresentarono le retrovie dellimpresa per la raccolta dei mezzi e 1 arruolamento dei volontari (il gruppo intorno a Bertani ; quello del La Farina ; quello di Medici ; vari altri « Comitati per l'emigrazione »). In particolare è analizzato il comportamento del Bertani nei vari e vani tentativi di indurre Garibaldi ad accettare il piano d azione mazziniano per una invasione degli Stati Pontifici. L organizzazione dei rifornimenti viene attentamente seguita nel loro significalo politico, come espressione delle diverse prospettive con le quali 1 impresa di Garibaldi era vista. Ne risulta una ricostruzione assai viva e concreta, fatta con paziente e intelligente sfruttamento di numerose e importanti fonti edite ed inedite. (Giuseppe Oreste) Gioitelo Doria, Una grande proprietà e i contadini di Montaldeo nel secolo XIX, in Movimento operaio e socialista, 1963, nn. 1 e 2-3, pp. 33-64, 149-188. L A. propone di fornire alcuni elementi sulla situazione economica e sociale di un piccolo comune agricolo del Monferrato nel secolo XIX. Dopo aver accennato alla situazione preesistente alla Rivoluzione francese, contraddistinta dal rigore del sistema feudale, esamina le successive trasformazioni, avvenute nel piccolo centro nei periodi successivi : dal 1789 alla Restaurazione, quando appare e si afferma la figura deH’affittuario borghese; nel ventennio 1840-60, contraddistinto da un deciso miglioramento in campo economico-sociale, in seguito all aumento dei prezzi dell’uva e del vino ; nei periodi 1846-47 e 1857-60, caratterizzati rispettivamente da una degressione e da una netta ripresa. Si sofferma sulle condizioni economiche dei contadini, spesso aggravate dalla tragica situazione sanitaria, notando come il piccolo centro presenti un quadro ricco di movimento, una trama di contrasti di classe nel perpetuo scontro fra forze economiche e produttive. Entrambe le parti dell'articolo sono seguite da un'ampia appendice contenente: il Catasto napoleonico, l'elenco delle proprietà in Montaldeo divise per classi, il movimento della popolazione, le tabelle dei prezzi dei principali prodotti, ecc. ( Aurelia Basili) Mario Farina, Vita politica e amministrativa alla Spezia avanti la prima guerra mondiale, in Movimento operaio e socialista, 1961, n. 1, pp. 3-36. Dopo aver accennato allo sviluppo c alla rapida trasformazione della città in moderno centro industriale, e al successivo incremento demografico, l’A. passa ad esaminarne la vita amministrativa e politica negli anni 1909-1914. Mentre i primi tre anni vedono il rovesciamento della maggioranza politica e amministrativa e la sconfitta del partito liberale, con la conseguente affermazione della eoa- hzione che va sotto il nome di Unione dei Partiti Popolari, il successivo triennio vote <1 crisi del blocco popolare, la decisiva avanzata del movimento cattolico e lo svilupparsi di quello nazionalista. (Aurelia Basili) nìl’av^n? l/,nF;LI' Perlodic'\,e numeri unici anarchici pubblicati in Liguria fino alt avvento ilei fascismo, in Movimento operuio e socialista, 1963, n. 4. pp. 337-358. La bibliografia, avverte l’A. nella prefazione, fa parte di un più vasto lavoro in corso di preparazione, riguardante la stampa anarchica in lingua italiana pubblicala in Italia ed all’estero fino ad oggi. Si tratta di un elenco dei periodici, in ordine cronologico secondo le date della loro uscita. Di ogni giornale 1.ErR.° Scotti, La stampa satirico-umoristica dalla guerra di Crimea al-l unita italiana, in Genova e l'impresa dei Mille, Roma, 1961, I, pp. 251-276. Lo studioso di antropologia culturale e di psicologia sociale, scienze relativamente recenti, sa l'importanza di ciò che di satirico-umoristico produce una epoca storica, pur rendendosi conto che molto va perduto perché non affidato alla scrittura. Della ricca produzione umoristica risorgimentale l’A., con abbondante esemplificazione in gran parte poco conosciuta, ha preso in esame gli -critti e disegni a stampa, che tra il 1856 e il ’61 rappresentano un interessante e gustoso contrappunto alla pubblicistica più seriamente impegnata nei dibattiti e nelle polemiche politico-sociali. (Giuseppe Oreste) — 406 — VARIA Giovanni Battista Nicolò Besio, Evoluzione storico-topografica di Savona, Savona, 1963, pp. 194. In eccellente veste tipografica e col sussidio di numerose tavole fotografiche e topografiche, l'A. ricostruisce schematicamente la storia urbana di Savona dai primi reperti dell età antica al medioevo, all'età moderna, sino alla situazione attuale. Offre inoltre notevoli materiali d’informazione e di studio : un indice dello sviluppo demografico della città dal secolo XII in poi; una rassegna dell iconografia e della cartografia savonese rispettivamente dal secolo XV e dal secolo XVII al secolo XIX; un regesto cronologico delle vicende storico-topografiche della città dalle origini al Novecento; una serie di ricostruzioni storico-topografiche del centro abitato, accompagnate da pregevoli il lustrazioni ; un’ampia rassegna bibliografica, ripartita in Fonti, Manoscritti, Opere a stampa. Periodici. Il lavoro è stato condotto attraverso tutta una serie di ricerche in biblioteche ed archivi italiani e stranieri. „ Ignazio Oreste Bicnardelli, I Vichinghi e l'America, in Genova, 1962, n. 3, pp. 15-20. Fa alcune precisazioni in merito a certe confusioni nella storia delle scoperte geografiche, createsi oltre Oceano, per non scontentare nessuno, riguardo alla celebrazione del « Columbus Dav ». (Aurelia Basili) Giovanni Bronzino, Notitia doctorum sive catalogus doctorum qui in collegiis philosophiae et medicinae Bononiae laureati fuerunt ab anno 1480 usque ad annum 1800, Istituto per la storia dell’università di Bologna: Universitatis Bononiensis Monumenta, IV, Milano, 1962, pp. VIII-366. Come chiarisce l’A. nell'introduzione, il catalogo è ricavato da un ms. dell’Archivio di Stato di Bologna, le cui indicazioni sono state rivedute sui documenti originali e la cui edizione è corredata dal rinvio alle fonti. L’indice finale dei nomi di persona e di luogo consente di reperire con facilità quei liguri (genovesi, savonesi, sarzanesi, ecc.) che si laurearono in medicina o in arti presso l’Università di Bologna tra il 1480 ed il 1800. ._ D. Giusfj-pe Caneva, L antico ospedale di San Giacomo in Genova Quarto, in Genova, 1963, n. 5, pp. 20-26. Comprende la trascrizione e l’esame critico dei più antichi documenti relativi all'ospedale ed alle sue principali vicende. . . ,. „ .... (Aurelia Basili) — 407 — G. Caraci. Se... non ci fossero stali i Genovesi, Colombo non avrebbe scoperto nulla, in Genova, 1961, n. 10, pp. 2-9. Richiama a consapevole responsabilità scientifica coloro che, proprio in nome della scienza, azzardano, in materia di storia colombiana, ipotesi che non reggono alla più elementare critica. Bolla a fuoco certe sbalorditive conclusioni^ a cui si giunge con eccessiva facilità, e le interpretazioni e le illazioni, tanto spesso arbitrarie e spregiudicate, che troppo spesso si incontrano in questo campo. (Aurelia Basili) Giuseppe Caraci, Un bel tacer non fu mai scritto, in Genova, 1961, n. 4. pp. 31-38. Offre un decisivo apporto all’analisi critica del libro dell Arciniegas sul Vespucci, osservando come, nella semiromanzata vicenda descritta dall autore, le figure di Colombo e dello stesso Vespucci risultino estremamente deformate. (Aurelia Basili) Serafino Cavazza, Curtis Novarum, Tortona, 1962, pp. 293. Come dice lo stesso sottotitolo del libro, si tratta d’una raccolta di saggi e ricerche storiche, religiose, politiche, amministrative, economiche, sullo sviluppo comunale -di Novi Ligure dalle origini al secolo XIV. Il lavoro, alquanto disorganico e non esente da mende e da ipotesi arbitrarie, oscilla tra lindagine erudita e la monografia di tipo divulgativo, dilungandosi più d una volta in nozioni comuni e dati superflui. Ha tuttavia il merito di presentare al lettore una larga raccolta di materiale illustrativo sulla vita novese negli aspetti più vari, e riesce particolarmente utile per la specifica competenza dell A. nel campo della topografia e delle antichità locali. Il volume è corredato di diverse illustrazioni e di una tavola fuori testo, che riproduce una veduta di Novi nel Settecento. . r n \ Leopoldo Cimaschi, La prima campagna di scavo alla pieve di S. Venerio (La Spezia), in G.S.L., XII, 1961, pp. 23-46. In una premessa, l’A. chiarisce il preciso significato giuridico-canonico dei termini usati nei documenti per designare la chiesa di San Venerio, per stabilire se essa avesse fin dalle sue origini la natura giuridica di plebs con le conseguenti funzioni parrocchiali : risulta che tale titolo fu attribuito alla chiesa solo in un secondo tempo e che essa sorse invece come basilica cimiteriale. LA. passa quindi alla descrizione della campagna di scavo che ebbe luogo dal 1° al 10 agosto 1959, e si articolò in quattro fasi. Il risultato dei lavori portò alla scoperta che la chiesa romanica del 1085 era sorta a distanza di due o tre secoli sulle rovine di un complesso cimiteriale paleocristiano (IV), — 408 — sorto a sua volta sui ruderi di una villa romana, dei tempi di Cristo o poeo più antica. Poco più a sud, recenti scavi hanno messo in luce i resti di una necropoli pagana. A conclusione del lavoro, l’A. suggerisce alcune ipotesi relative all'identificazione del centro romano su cui sorgeva la pieve. (Aurelia Basili) Carlo Dapelo, Caffaro, in Genova, 1962, n. 2, pp. 8-13. Ricorda la vita e l'attività del cronista genovese, che definisce « il primo », non solo cronologicamente, ma anche per la novità e la ricchezza delle intuizioni storiche e l'interpretazione degli avvenimenti. ^ Aurelia Basili) T. 0. De Negri. Il mosaico pavimentale di Piazza Invrea e la topografia di Genova antica, in Studi Genuensi, III, Bordighera-Genova, 1960-61. pp. 55-98. L’A., in base al ritrovamento in piazza Invrea di un frammento di mosaico pavimentale a strisele bianche e nere, ritenuto in un primo momento dalla Soprintendenza ai Monumenti un reperto di nessuna importanza, dopo un lungo excursus sugli studiosi di toponomastica e storia genovese dall 800 al '900, cerca di delineare, su basi incerte e sul tessellato reperto, lo sviluppo urbano di Genova dal V sec. a.C. al XII sec. d.C. (G. P.) Manfredo Giuliani, Pontremoli (Profilo storico dell'urbanistica di un « oppidum » medioevale dell'Appennino Ligure-emiliano), in G.S.L., XII, 1961, pp. 67-95. In un'ampia panoramica storica, le vicende demo-urbanistiche della città sono seguite, dai primitivi assetti dei pagi ai giorni nostri, attraverso le successive trasformazioni subite. Dal primo nucleo (MVoppidum, costituito dalle case dei mercanti e degli artigiani, radunatisi attorno al castrum, si sviluppò in un secondo tempo un'associazione di tipo comunale, che provvide a fornire la città di una cinta muraria. Al sistema di fortificazioni si aggiunse successivamente la fortezza di Castruccio degli Antelminelli, signore della città. Una radicale trasformazione edilizia si compì nella prima metà del ’700 ad opera della nuova élite arricchitasi con i commerci e le industrie; ma. quando la nuova oligarchia commerciale, mutati i tempi, perdette la sua egemonia, i nuovi edifici subirono un’ulteriore e più utilitaria trasformazione. L’A. si domanda se non sia possibile rianimare l’economia e la demografia nella parte occidentale della valle, ridando vita alle vecchie comunicazioni col Genove-sato e col Piacentino, o se si renderà invece necessario uno spostamento della popolazione della parte vecchia alla parte nuova della città. (Aurelia Basili) — 409 — Jacques UeerS, Urbanisme el structure sociale à Gênes au Moyen-âge, in Studi in onore di Amintore Fan/ani, I, Milano, pp. 369-412. « Gênes est une ville médiévale... L’urbanisme génois, la maison citadine, le pian de la ville, son désordre curieux, porte comme un lointain reflet d’Orient, de Byzance médiévale ». Da queste affermazioni, l’A. muove per illustrare le tappe dell'espansione urbana di Genova nel medio evo: dallo stabilirsi in Genova. ancora bizantina, dei rifugiati milanesi che danno vita al « Burgus Sache-rius », incluso nella cinta delle mura carolingie, fino alla costruzione della cinta del 1155 elevata contro il Barbarossa, cinta che include non già una città che rispetta un piano simile a quello di altri comuni coevi, bensì un gruppo di agglomerati che sorgono intorno alle case di alcune tra le più potenti famiglie. La città si sviluppa così secondo un piano originale, che riflette «les caractères propres à la structure sociale de la ville ». L’A., servendosi di alcuni cartulari (dal 1412 al 1470 — 10 cartulari per 7 annate) della « Gabella possessionum », tenta anche una descrizione dei vari quartieri, con la ripartizione dei patrimoni ed il numero degli abitanti. In appendice, due tabelle intitolate rispettivamente: «Fortunes Foncières » e « Revenus Mobiliers » i cui dati sono anche rappresentati graficamente su due planimetrie della città opportunamente stilizzate; con lo stesso mezzo grafico sono rappresentate le divisioni per « Compagne e Conestagie », per « Alberghi nobili », nonché la densità delle case per ettaro. (Giovanni Rebora) D. Iacoby, The Jews in Chios under Genoese rule (1346-1566), in Zion. A quarterly for research in Jeivish history, n. s., XXVI, 1961, pp. 180-197. Dopo una breve premessa, che mostra come scarse siano le tracce della presenza degli Ebrei prima della conquista genovese e quanto difficile sia risolvere il problema della loro presenza al tempo della conquista, l’A. esamina le condizioni di vita della comunità ebraica nell'isola al tempo della « Maona ». Essa era concentrata nel quartiere ludaica (che non era un vero e proprio ghetto, essendo consentito agli Ebrei di abitare anche altrove), posto dentro il castrum donde molti Greci erano stati cacciati per far posto ai maonesi. Gli Ebrei chioti, i cui nomi tradirebbero origini greca, germanica, spagnola e italiana, diminuirono fortemente dopo la conquista turca. Poche discriminazioni legali (se non nella procedura di appello e in qualche materia fiscale) dividevano gli Ebrei dai Genovesi, che applicavano la loro legislazione in senso molto favorevole alla popolazione ebraica, opponendosi perfino all’istituzione della inquisizione. Questa situazione di favore, superiore in molti casi a quella dei Greci, consentì agli Ebrei di conquistare posizioni eminenti nella vita dell’isola, dove esercitavaon il commercio al minuto, il prestito di denaro e, in qualche caso, la medicina. Molto forti erano pure i legami con i correligionari di Rodi ( anche dopo l'occupazione turca), Costantinopoli cd Alessandria. Una ricca bibliografia fa da cornice allo studio, condotto con accuratezza, anche se molti problemi vengono elusi o rinviati. _ ( IJino Puncuh) — 410 — E. Leaudi, Novi Ligure, Alessandria, 1962, pp. 233. Dopo una breve premessa sulle vicende storiche di Novi anteriormente al secolo XVI, 1 A. segue lo sviluppo della città dal Cinquecento al Novecento, tenendo 1 occhio soprattutto al campo topografico, demografico ed economico, con ampio sussidio di dati statistici. In appendice traccia un quadro della popolazione delle parrocchie locali alla fine del Cinquecento ed alla fine del Settecento ; pubblica due lettere inedite del carmelitano G. C. Cocito, entrambe del maggio 1741, relative ai tentativi annessionistici del Re di Sardegna sul No-vese; dedica una particolare trattazione alle fiere di cambio, con riguardo ai secoli XVI e XVII. Il lavoro, condotto ampiamente su materiale d’archivio, si presenta in eccellente veste tipografica ed è corredato da numerose illustrazioni di varia specie, da tavole topografiche e geografiche, da grafici e da tabelle. (G. P.) Gì no Montefinale, Lunigiana storica, in Genova, 1962, n. 4. pp. 16-24. 1 ratta della Lunigiana, nell'estensione che le era stata conferita dalla storia; accenna ad un recente libro di Giovanni Petronilli e. in particolare, alle vicende di Limi e del grande navigatore Alessandro Malaspina. ultimo degli sco- Prit0ri 1ÌgUH' (Aurelia Basili) Maria Nicora, La nobiltà genovese dal 1528 al 1700, in Miscellanea storica ligure 11, Milano pp. 217-310. Attraverso l'analisi dei contrasti violenti tra le varie fazioni che dalla costituzione aristocratica del 1528 portarono alla nuova costituzione del 1576, e seguendo anno per anno le vicende della legge De nobilibus nunc quotannis creandis, che di questa costituzione fu la parte più nuova ed importante, l'Au-trice chiarisce le varie fasi dello sviluppo della nobiltà genovese, caratterizzato in un primo tempo dalla rivalità interna fra nobili vecchi e nuovi; quindi dai contrasti esterni con la ricca borghesia che chiedeva di partecipare al governo della repubblica : infine, via via che le più ricche famiglie borghesi venivano ascritte al Libro d'Oro. dal formarsi, all'interno dello stesso ordine nobiliare, di una oligarchia costituita da quelle famiglie che detenevano il massimo potere economico e che volevano conservare nelle proprie mani tutte le leve del potere politico. Parallelamente a tale sviluppo, l’Autrice segue la trasformazione del concetto stesso di nobiltà, intesa originariamente come attribuzione del cittadino per eccellenza, cioè della persona dotata di meriti e qualità particolari per guidare la repubblica, e diventata in seguito una carica alla quale si poteva giungere quasi esclusivamente con il versamento al pubblico erario di forti somme di denaro. Delinea il progressivo decadimento della classe nobiliare, implicito nella sua stessa costituzione, la quale, imponendo la trasmissione della nobiltà solamente in linea maschile e l'abbandono di ogni attività manuale da parte degli ascritti, provocava una notevole diminuzione numerica e l'impoverimento di molte famiglie. A questo proposito tenta anche di dare un'idea, purtroppo al- — 411 — quanto vaga, delle forze numeriche e delle condizioni economiche e sociali della nobiltà genovese, riferendo tutto quanto è stato possibile raccogliere sull'origine delle varie famiglie iscritte nel Libro d'Oro. (Paola Toniolo) Geo Pistarino, Corsica medievale: le terre di San Venerio, in Miscellanea di storia ligure in onore di Giorgio Falco, VI, Milano, 1962, pp. 19-115. Le carte del monastero di San Venerio del Tino, pubblicate in due volumi da Giorgio Falco nel 1920 e nel 1933 nella Biblioteca della Società Storica Subalpina dalle origini del monastero fino al 1300, sono ormai uno dei più importanti monumenti della storiografia sarzanese e ligure. Sulla base delle medesime fino al secolo XIII incluso, e de] materiale tuttora inedito per il periodo dal 1300 ai primi del Quattrocento (le carte relative alla Corsica fino al 1500 sono state però pubblicate dall’A. stesso nel 1944), G. Pistarino si occupa specificamente delle vicende delle « celle » isolane del convento di San Venerio, sotto il profilo politico, — nei conflitti tra Genova e Pisa, — economico, sociale e religioso. Tuttavia l'ampiezza del quadro conferisce al la-\oro il carattere di una vera e propria storia del monastero, individuata nei suoi momenti essenziali, i quali si inseriscono nelle tormentate vicende della umgiana dal secolo XI al XV, cioè dal periodo feudale degli Obertenghi c \esco\i di Luni, al conflitto pisano-genovese, alla definitiva affermazione i Genova. La monografia è completata da un'appendice dei più importanti documenti del Tr<-Quattrocento, relativi alle vicende del monastero. (Paola Toniolo) /• r7GE0 P,lTARIN0’ «Romania» genovese tra i Greci e i Turchi: l'isola di Cftto, in Rivista storica italiana, LXXIII, fase. I, pp. 69-84. LA. prende le mosse dalla pubblicazione dei tre volumi di F. Argenti sulla stona di Chio (The occupation of Chios by thè Genoese and their administration of thè island, 1346-1566, Cambridge, 1958) per condensare in un acuto profilo, con atteggiamenti nuovi e con rettifiche a giudizi ed a posizioni dell Argenti, le vicende dell isola e della vicina Focea dalle premesse du-gentesche del dominio degli Zaccaria sino al definitivo tramonto in mano turca ne secolo XVI. Al notevole contributo per la storia dell'espansione genovese nel Levante si aggiungono, come elemento positivo, le segnalazioni bibliografiche di opere scarsamente note alla storiografìa corrente. ^ (M. Teresa Dcllacasa) j >, (r’E° PlSTARIIS’0’ P'evi della diocesi di Luni, parte I, Collana storica della Liguria orientale, II, La Spezia, 1961, pp. 232. Le ricerche sulle pievi medievali rivelano sempre più una particolare importanza per la storia delle strutture religiose, demiche, sociali ed economiche dell Italia centro-settentrionale dal secolo Vili all'incirea (quando comincia la più antica documentazione) sino ai secoli XIII-XIV. L’A. pubblica o ripubblica — 412 — i documenti fondamentali per la storia delle pievi lunensi: tre privilegi papali, rispettivamente di Eugenio III del 1148, di Anastasio IV del 1154 e di Innocenzo III del 1203; la colletta per la crociata del 1276; le cosiddette decime « bonifaciane » del 1296-97, 1298-99, 1303; gli estimi della Chiesa di Luni-Sarzana del 1470-71. Nelle introduzioni ai diversi elementi documentari sono discussi i problemi relativi all’autenticità dei privilegi di Anastasio IV e di Innocenzo III ; all’identificazione degli istituti religiosi elencati dai documenti ; ai rapporti tra i cataloghi; alle strutture giuridico-religiose dell'episcopato lu-nense, alterato nella configurazione primitiva dagli smembramenti che diedero vita alla diocesi di Brugnato; all’autonomia del monastero di San Venerio del Tino; alle dipendenze genovesi in Portovencre. Pressocché completo 1 apparato bibliografico, che tiene conto (ed era indispensabile, trattandosi di produzione storiografica per molta parte locale) anche dei contributi minori, spesso difficilmente reperibili. Rimaniamo in attesa del secondo volume in cui la vicenda verrà prospettata sul piano storico dell’origine e dello sviluppo degli istituti, in una zona particolarmente complessa qual è la Lunigiana medievale. (Paola Toniolo) L. T.VCCHELLA, La media ed alla vai Borierà nella storia. Genova, 1961, pp. 198. In armonia con il presupposto che scopo delle sue ricerche è dare risalto alle situazioni politiche più che analizzare gli eterogenei elementi strutturali dei singoli feudi della vai Borbera. l'A. compie inizialmente un excursus nella storia generale della valle dai primi insediamenti dei Liguri a quelli dei Romani (rimarchevole la continuità tra castello ligure e pago romano e tra questo e la pieve medievale, particolarmente per il borgo di Albera), agli insediamenti monastici medievali (con particolare accenno all’abbazia di Vendersi), alla signoria dei vescovi-conti di Tortona, al predominio nella valle dei Malaspina e, successivamente, degli Spinola, alla formazione dei Feudi Imperiali e al loro progressivo decadimento fino alla soppressione ad opera di Napoleone. La seconda parte del volume è dedicata ad una minuziosa analisi delle vicende storiche delle nove signorie imperiali della vai Borbera. mentre la terza conclude brevemente il libro con le ultime vicende: l'annessione dei Feudi Imperiali, successivamente, alla Repubblica Ligure Democratica, alla Francia, al regno di Sardegna: gli episodi bellici della guerra partigiana. Un’appendice sulle parrocchie della media ed alta vai Borbera completa il quadro generale. Consistenti ed accurate le citazioni documentarie e bibliografiche. ^ Teresa Dellacasa) Lorenzo Tac.chei.la, Montessoro e Crocefieselii nella storia. Genova. 1962. pp. 109. L'A. delinea in forma erudita, con buon apparato bibliografico e larga utilizzazione di fonti inedite, le vicende di Montessoro dal secolo XIII al XVIII; del castello della Pietra per lo stesso periodo; del castello di Monte Reale nei — 413 — secoli XII e XIII; di Croccfieschi dalla fondazione del castello, nel secolo XI, al passaggio dei feudi imperiali della Liguria alla Repubblica democratica li-gure in base al trattato di Campoformio. Seguono, in appendice, notizie varie su Arezzo. Avosso, Nenno, Noceto, Vallenzona, Valbrevenna, Vobbia. Illustrano il volume sei tavole fuori testo con vedute di località storiche, riproduzioni di documenti d'archivio, facsimili di carte geografiche. SCIENZE AUSILIARIE pp. lSoCOMO BASCAPÈ’ S'gilli Sevali di Genova, in B.L., XIII, 1961, In una breve nota, densa di contenuto e di numerosi problemi, corredata . Dino Puncuh, Frammenti di codici danteschi liguri, in Miscellanea storica ligure II, I.S.M.M., VI, Milano. 1961, pp 111-122. Durante il riordinamento deU'Arehivio Capitolare di San Lorenzo di Genova, l’A. ha ritrovato, come copertina di un manoscritto cartaceo del Cinquecento. un frammento pergamenaceo della Divina Commedia, contenente il canto XVIII del Paradiso, unitamente a pochi versi del XVII e del XIX, Successivamente, su segnalazione del Direttore dell Archivio di Stato di Genova, ha rintracciato un altro frammento della stessa cantica, contenente versi dei canti XVII e XVIII. Il Puncuh dimostra che il primo frammento appartiene sicuramente alla numerosa famiglia detta dei « Danti del Cento ». e presenta una somiglianza straordinaria, nella tecnica della redazione, con il codice 1077 della Biblioteca Trivulziana e con gli Strozziani 150-151 della Biblioteca mediceo-laurenziana. Il frammento appartiene pertanto alla prima metà del Trecento; non si sa come sia giunto a Genova. Il secondo frammento, meno elegante del primo, pur ricollegandosi in genere alla stessa famiglia del precedente, appar tiene, secondo il Puncuh, alla fine del secolo XIV. se non ai primi anni del seguente; esso sarebbe di produzione locale, forse su copia di un Dante dei Cento. Anche di questo codice è ignota la storia. I due frammenti vengono comunque a inserirsi nella storia culturale della Liguria medievale in cui la tradizione dantesca era molto viva. (M Trresa De„acasa) S. Siro di Struppa, in B.L., XIV, 1962, pp. 83-114. Il titolo comune raccoglie una serie di articoli di argomento storico e artistico che traggono lo spunto, come precisa I introduzione di Teofilo Ossiai» De Negri, lai la conclusione dei restauri della chiesa. — 422 — Giacomo Raitano, Vicende e restauro della chiesa, pp. 84-104. Dopo un breve cenno alle origini della chiesa, l'A. illustra le vicende dei restauri. Ven-pono pubblicate 27 illustrazioni, piantine, disegni e fotografie, relativi alla