ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA NUOVA SERIE Vili (LXXXII) F ASC. II GENOVA - MCMLXVIII NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VIA ALBARO, li ATTI DELLA SOCIETÀ’ LIGURE DI STORIA PATRIA FONDATA NEL 1858 Nuova serie - Vili (LXXXII) Fase. II - Luglio-Dicembre 1968 COMITATO DIRETTIVO FRANCO BORLANDI - LUIGI BULFERETTI - GIORGIO COSTAMAGNA LUIGI MARCHINI - GIUSEPPE ORESTE - GEO PISTARINO DIRETTORE RESPONSABILE DINO PUNCUH Segretario della Società Direzione ed Amministrazione: VIA ALBARO, 11 - GENOVA Abbonamento annuo: Lire 5.000 (estero Lire 6.000) Un fascicolo separato Lire 3.000 Conto Corrente Postale n. 4-7362 intestato alla Società SOMMARIO La ceramica ligure nella storia e nell’arte........pag. 195 Discorso del Sindaco di Albisola.........» 197 Discorso del Presidente dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Albisola ...........» 199 Giovanni Pesce, La tradizione ceramica ligure............» 203 Tiziano Mannoni, La ceramica in Liguria dal secolo VI al XVI . » 213 Guido Farris, La maiolica ligure nei reperti di scavo nella collina di Castello............. » 235 Vittorio Mela, La datazione della ceramica con osservazioni al microscopio....... „.....» 247 Livio Panelli, Le piastrelle negli scavi della collina di Castello a Genova.............. » 253 iovanni Pesce, La maiolica ligure da farmacia negli scavi della collina di Castello...............» 259 Guido Farris, La maiolica conventuale di fabbricazione ligure nei depositi di scavo...............» 265 ■Valerio A. Ferrarese, Le nuove marche della maiolica ligure nei più recenti ritrovamenti ... ^ 273 Catalogo^deUa^Mostra retrospettiva della ceramica ligure, a 'cura di Gio- Agostino Virgilio .............. » 281 Congressi . ........... * ^27 Notiziario bibliografico ............. * Ili ............ » 335 LA CERAMICA LIGURE NELLA STORIA E NELL’ARTE CONVEGNO E MOSTRA DELLA TRADIZIONE CERAMICA LIGURE ALBISOLA, 29 GIUGNO-31 AGOSTO 1968 1 LA CERAMICA LIGURE NELLA STORIA E NELL’ARTE CONVEGNO E MOSTRA DELLA TRADIZIONE CERAMICA LIGURE AEBISOLA, 29 GIUGNO-31 AGOSTO 1968 L’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Albisola, al fine di mettere in risalto l’importanza artistica e storica delle manifatture ceramiche liguri del passato, ha organizzato, con la collaborazione di studiosi e collezionisti, un Convegno ed una Mostra retrospettiva della ceramica ligure. Il Convegno si è tenuto ad Albisola nei giorni 29 e 30 giugno 1968 nell’antica Villa Faraggiana; la Mostra, ospitata negli stessi locali, è rimasta aperta fino al 31 agosto 1968. Per gentile concessione degli organizzatori, la Società Ligure di Storia Patria è lieta di poter offrire ai propri soci, nel presente volume, gli Atti del Convegno ed il catalogo della Mostra, quale valido contributo alla migliore conoscenza di una attività artistica e storica della nostra regione. Discorso del Sindaco di Albisola Autorità, Gentili Signore e Signori, Lieto dell onore di ospitare nella mia città il primo Convegno sulla Tradizione Ceramica Ligure, mi è gradito porgere alle Autorità, ai Convegnisti, a tutti gli intervenuti il saluto ed il ringraziamento più cordiali e fervidi dell’Amministrazione Comunale di Albisola Marina. Un particolare grazie estendo, a nome di tutti, al Signor Sindaco ed all Amministrazione Comunale di Novara, che benignamente ci hanno consentito di allestire il Convegno e l’annessa mostra nella sontuosa e chiara cornice di Villa Faraggiana. Albisola vanta, e non solo in patria, una sua gloriosa tradizione in campo ceramico che risale nei secoli ed ha radicate origini nel lontano Medioevo, quando i monaci benedettini, che avevano il loro Monastero (del quale era giunto sino a noi lo storico campanile, andato purtroppo distrutto durante l’ultimo conflitto) nell’omonimo rione di San Benedetto, introdussero in Albisola la lavorazione delle terrecotte ed i primi rudimenti dell artigianato e dell’arte figulina. Attorno a questo nucleo primigenio sorsero via via forni artigiani che si andarono arricchendo di nomi famosi e gloriosi: dai Grosso ai Conrado, dai Salomoni ai Piccone, dai Seirullo ai Sciaccarama, dai Pescio o Pescetto ai Siccardi ed ai Levantino ed a molti altri che sarebbe lungo numerare, sino ai più moderni e noti. Oggi Albisola è divenuta centro artistico di primaria grandezza: meta e consacrazione di giovani e nuove generazioni, sosta di affermati artisti di fama ed estrazione internazionali che vi trovano l’humus congeniale per le loro creazioni più ardite ed importanti o nuovi sbocchi e linfa vitale per futuri impegnativi cimenti, nonché riposo e ricreazione spirituale e fisica. E’ precisa responsabilità degli Amministratori conservare gelosamente tale patrimonio, svolgere un’attività promozionale che garantisca respiro e dilazione a tale componente qualificata del nostro turismo e della nostra vitalità cittadina. — 197 — Non a caso si è voluto appaiare al Convegno una « mostra dell antica ceramica Ligure », che testimoni della validità di un glorioso artigianato affermatosi nei secoli, che sia garanzia luminosa di un’arte figulina in espansione e che ha attinto in questo nostro secolo, votato alle conquiste più ardite e spregiudicate, fulgidi traguardi impostati sulla scorta della più genuina e fervida tradizione, imperniati sulle più antiche e salde memorie. Perchè l’uomo è sì ricercatore di cose nuove — « o trovar nuovo mon o o affogare » — ed è tentato dalla perenne ansia dell ignoto, ma se non fonda tale divino afflato primigenio nel solco robusto e vivo dell esperienza e della tradizione, farà opera di vano costrutto, affogherà nel « mare ma gnum » dell’inconsistenza e della labilità. Edificherà sulla sabbia, seri vera sull’acqua. . . , , Anziché proiettare nel futuro i capolavori e le fatiche meritorie passato, facendo lievitare i messaggi del tempo, impostando le asi future scoperte, di spirituali conquiste alla ricerca continua e ansiosa divine speranze dell’anima e della intelligenza umana. Linfa perenne che si rinnova, fattore primo di civile progre ire pacifico sviluppo. Con tale spirito apriamo i lavori di questo primo Convegno, queste speranze inauguriamo la mostra delle antiche ceramiche ig Bene augurando alla degna iniziativa che troverà certo coronam : ^ e sempre nuovi e più interessanti sviluppi nel prossimo avvenire,^ ^ farà di Albisola un centro rinnovato ed innovatore di arte, di civi ta, pace e di umana fratellanza. Enrico Bonino — 198 — Discorso del Presidente dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Albisola Autorità, Artisti, Ceramisti, Signore e Signori, Si apre oggi il primo Convegno Internazionale sulla Tradizione Ceramica Ligure, e fra noi abbiamo personalità italiane e straniere. Lo stesso titolo del Congresso, lascia intendere la vastità dell’argomento, che interessa la ceramica dalla sua nascita fino ad oggi, senza porre limiti di luoghi nè di tempi poiché l’arte della Liguria, ha superato i confini generando altri centri e contrapponendoli ad altri stili, ad altre Scuole, in Italia ed all’Estero. Avremo la possibilità di fare raffronti, di alimentare discussioni, di proporre temi e dibattiti, e con questo avvicinare ad Albisola tutto il mondo dell’arte, che nella ceramica ha la sua forma di espressione, favorendo l’intervento di artisti, ceramisti, pittori, scultori e di critici. Oggi viene aperto il primo colloquio, che possiamo considerare una introduzione, una prefazione a molti capitoli della storia e della critica della ceramica, ed in futuro, ogni tema, ogni periodo costituirà argomento per i prossimi congressi, ai quali, ci auguriamo, vorranno partecipare personalità qualificate di tutto il mondo, con sempre maggiore interesse. E’ naturale che tutto questo si svolga ad Albisola, che è il centro di riunione, di ritrovo di artisti, poeti e scrittori, e che già dal XII secolo, con i Benedettini iniziò la lavorazione della creta, per arrivare agli aurei periodi del ’500 con i Seirullo, i Sciaccarama, i Salomone, i Conrado, ed alle meravigliose realizzazioni del Levantino e di molti altri fino ai giorni nostri. Testimonianze dell’arte Albisolese si trovano in tutto il mondo. I classici piatti, le anfore, le zuppiere, i vasi, sono sparsi un po’ in ogni parte e sono opere di grande valore molte volte conosciute e distinte più che dal nome dell’artista, dal marchio del fabbricante, o meglio dei forni, di quei meravigliosi forni che, « stivati » venivano accesi bruciando fascine — 199 — e legna e dei quali in Albisola si conserva qualche esemplare ancora in piena efficienza. L’evoluzione della tecnica ha fatto sorgere impianti moderni più razionali ma si è perduto quanto di più suggestivo si aveva una volta nel nostro centro, nel nostro paese dei vasai. Tuttavia la tecnica non è riuscita ad intaccare il valore artistico che con nuove idee, e con nuove armonie di volumi plastici e di colori è sempie alla base di ogni realizzazione ceramica albisolese. Eh sì, il paesaggio suggestivo, la scenografia delle lunghe file di vasi messi su tavole ad essiccare al sole, i ritmici colpi del piede sulla ruota del tornio, non si notano più, sono stati travolti, nell’era delle macc ine, si sono ritirati, si sono riparati, rinchiusi in nuovi edifici più luminosi, più puliti di un tempo, troppo belli, troppo razionali, per far sognare, per riposare lo spirito. E pure i vecchi antri, le vecchie fornaci, i vecchi fondi, non sono spariti, sono chiusi o sono diventati magazzini, o luoghi di ritrovo, ma sono ancora lì, testimoni di tempi passati e di ricordi dei vecchi albiso esi, che non hanno dimenticato i velieri che attraccati al molo di lso Marina scaricavano terra, da miscelare con la nostrana, e ripartivano ca richi di vasi e di pentole, non hanno dimenticato le lunghe file di pezz stesi al sole a seccare su tavole, che ingombravano le strade e le piazze ^ obbligando i turisti ad una particolare riguardosa attenzione, ed i >m a limitare i giochi per non rompere quelle forme, che con attento resse avevano visto nascere dalle mani degli artigiani. Sono ormai rari i muri in mattonato dove i pani di terra venivan^ attaccati per essiccare al sole, in attesa di essere nuovamente lavorati l’acqua entro grandi vasche. Era quasi impossibile venire ad Albisola e non sporcarsi di terra non trovare fra le mani dei bimbi un po’ di creta. Ma se questo non c’è più, se questo non si vede più, è tuttavia ri masto ad Albisola il senso, il gusto e l’arte della ceramica, ed è vero, e^ è giusto che qui vengano da tutte le parti del mondo gli artisti perchè qui trovano l’ambiente, l’aria, il luogo per le loro realizzazioni. Mi accorgo di lasciarmi trasportare da ricordi e perciò con la sPe ranza di riaprire le vecchie fornaci per ricreare quell’ambiente, quel colore caratteristico del nostro paese e con l’augurio di veder presto nascere una scuola per lo studio della ceramica e dell’arte ed un centro per la divulgazione culturale e la critica, auspico si apra oggi il Congresso e si pro- — 200 — ponga un programma, che senza limiti nè confini, rivendichi per Albisola il diritto di essere il centro italiano ed europeo dell’arte ceramica. prego perciò, dopo aver rivolto un ringraziamento al Comune di Novara che ci ospita in questa meravigliosa Villa, il Sindaco di Albisola Marina a dichiarare aperto il primo Congresso sulla Tradizione Ceramica Ligure. Nino Gaggero COMITATO D’ONORE On. SANDRO PERTINI, Presidente Camera dei Deputati On. CARLO RUSSO, Deputato al Parlamento On. GIUSEPPE AMASIO, Deputato al Parlamento On. FRANCO VARALDO, Senatore della Repubblica S.E. Dott. GIOVANNI MOSCATO, Prefetto di Savona S.E. Mons. G.B. PARODI, Vescovo di Savona Dott. LUIGI RIBALDONE, Presidente del Tribunale di Savona Dott. GIOVANNI TORRES, Procuratore della Repubblica di Savona Dott. SABBATINO DE STASIO, Questore della Provincia di Savona Ing. MARIO SICCARDI, Presidente della Provincia di Savona Dott. GIOVANNI BONO, Presidente E.P.T. di Savona Dott. LEOPOLDO FABRETTI, Presidente Camera di Commercio di Savona Rag. ENRICO BONINO, Sindaco di Albisola Marina Sig. G. DOMENICO MARENCO, Sindaco di Albisola superiore Prof. RINALDO CANNA, Sindaco di Novara Avv. BENEDETTO MARTINENGO, Sindaco di Savona Col. ANTONIO DAPAS, Comandante Distretto Militare di Savona Magg. FRANCESCO IZZO, Comandante Gruppo Guardia di Finanza di avo Ten. Col. ARMANDO LOSCO, Comandante Gruppo Carabinieri di Savona Col. TIBERIO TIBERI, Comandante Capitaneria di Porto di Savona Dott.ssa CATERINA MARCENARO, Direttore Ufficio Belle Arti - Genova Dott. EDOARDO MAZZINO, Soprintendente ai Monumenti della Liguria - ■ ■ Prof. GIAN VITTORIO CASTELNOVI - Soprintendente alle Gallerie della Li0ur Prof. VITTORIO FROVA, Soprintendente alle antichità della Liguria Prof. FRANCO BORLANDI, Presidente Società Ligure di Storia Patria Dott. FRANCO VEIRANA, Presidente Unione Industriale di Savona Sig. RENZO AIOLFI, Direttore Museo Civico di Savona , T pr:a Avv. FRANCESCO AGHINA, Presidente Cassa di Risparmio di Genova ed impei Dott. TITO BESIO, Presidente Cassa di Risparmio di Savona Dott. MARIO FRANZONI, Assessore P.I. e Belle Arti del Comune di Novara Aw. COSTANTINO BARILE, ceramologo Prof. TULLIO MAZZOTTI, ceramologo Prof. MANLIO TRUCCO, ceramologo COMITATO ORGANIZZATORE Dott. Arch. NINO GAGGERO, Presidente Azienda Auton. Sogg. e Turismo Albisola Dott. GIOVANNI PESCE Prof. GUIDO FARRIS Dott. TIZIANO MANNONI Prof. VITTORIO MELA Prof. LIVIO PANELLI Dott. ANTONIO PICCONE Dott. MICHELE TALICE Sig. LUIGI ALBEZZANO — 202 — GIOVANNI PESCE LA TRADIZIONE CERAMICA LIGURE Eccellenze, Signore, Signori, La Mostra della Ceramica che si inaugura oggi in questa magnifica sede della villa Faraggiana non è la prima del genere perchè negli anni scorsi altre si sono avvicendate nella villa Gavotti, nell’oratorio di Albisola Capo e prima ancora a Genova nel 1939 a palazzo reale. Il programma che ci siamo posti quest’anno nell’organizzare Mostra e Convegno sotto certi punti di vista non è nuovo perchè mira ancora una volta a mettere in rilievo l’importanza della ceramica ligure e la sede più appropriata è veramente questa di Albisola che deve essere considerata la capitale dell’arte ceramica della Liguria. L’idea di organizzare la Mostra e soprattutto di inserire nella mostra un convegno di ceramisti direi che è sorta da un felice incontro tra due vecchi amici: il dottor Antonio Giorgio Piccone ed il sottoscritto. Quando, ormai 35 anni or sono studiavamo insieme medicina, mai più ci saremmo immaginati di doverci incontrare a distanza di tanto tempo per cimentarci non più come allora sui testi di anatomia, ma sulle vecchie ceramiche per programmare questa mostra che oggi attende di essere inaugurata e non lascia trasparire tutti i disagi che si son dovuti superare per giungere alla sua realizzazione. Mostra che venne allestita con il concorso ed il contributo esclusivo di privati e della loro attività di ricercatori e di collezionisti. Dirò subito che i realizzatori appartengono in prevalenza alla schiera dei medici: tra essi infatti figurano i collezionisti che hanno esposto i prodotti dell’arte ceramica ligure: i medici che raccolgono ceramiche hanno nelle loro collezioni una cospicua rappresentanza di vasi da farmacia. C’è una certa naturale affinità tra medicina e farmacia e d’altra parte la produzione ceramica albisolese, savonese e genovese (vedremo infatti che questi sono stati i centri di produzione), hanno in prevalenza prodotto vasi da farmacia. Di questi vasi i ceramisti albisolesi hanno studiato forme nuove, - 205 - hanno introdotto innovazioni nella tecnica di cottura e di decorazione al fine di perfezionare l’arredamento artistico delle farmacie. Questa Mostra però si stacca nettamente dalle precedenti in quanto, oltre a considerare i prodotti integri dell’attività ceramica, così come sono pervenuti a noi, comprende pure una larga rappresentanza di materiale di scavo, di frammenti che sono stati estratti dalle zone di Genova e della Liguria ove è più intenso il lavoro di ricerca, ed anche in questa particolare attività tra i ricercatori, a fianco dei professionisti qualificati figurano ancora una volta i medici. Esiste in Genova una zona che è al centro della vecchia città; qui per millenni si sono avvicendate le culture e l’uomo vi ha lasciato traccia di stanziamento fin dall’epoca primitiva. Per sconvolgimenti bellici di tutte le epoche questa zona, che è detta centro storico, fu sempre teatro di distruzioni e di lotte con conseguenti fasi di riassestamento; i momenti dìù critici della storia di Genova trovano qui la loro testimonianza e nell’alternarsi delle distruzioni alle fasi di riattamento si è giunti ai tempi attuali. L’ultima e più grave distruzione è stata provocata dai ripetuti bombardamenti dovuti alla seconda guerra mondiale: per uno strano gioco del destino le bombe sono cadute su quello che era una volta il centro fortificato della città ma che da più di un secolo ormai era soltanto una pacifica vecchia sede di modeste abitazioni, di chiese monastiche e di scuole. Per i genovesi che conoscono la topografia della città ed hanno seguito gli studi classici, il ricordo del vecchio, caro liceo Doria non può essere cancellato dalle bombe! In questa sede sconvolta dalla guerra vennero condotti sondaggi su vasta superficie e col metodo stratigrafico si è percorsa a ritroso la storia di tutti gli stanziamenti che si sovrapposero gli uni agli altri. Iniziando dalla superficie e scendendo in profondità in alcuni punti si è arrivati al periodo protostorico e molto probabilmente se verranno proseguite le indagini, si arriverà alla preistoria, perchè è ormai assodato che in questa zona, per particolari situazioni strategiche e per le possibilità di difesa, lo stanziamento umano è stato precocissimo. La ceramica naturalmente è per noi del massimo interesse ed è presente in tutti gli strati, compresi quelli superficiali, che sono poi i più recenti ed in certi punti è reperibile in sacche di deposito. Più si scava e più se ne trova. Dalla abbondante consistenza e varietà dei reperti si arguisce che di norma, quando si rompeva un vaso, una tazza o un piatto, questi non venivano portati via, ma venivano interrati sul posto: ciò accadeva anche quando le rotture erano intenzionali, anche se dovute ad eventi — 206 — della storia. Questo fatto si è potuto accertare chiaramente ritrovando sacche di depositi ceramici con campioni di età diverse formati da quanto sul momento doveva essere distrutto ed occultato. Direi che uno degli sconvolgimenti più grossi in questa zona è avvenuto con l’arrivo delle truppe francesi a Genova all’epoca napoleonica (I Campagna d’Italia). All’instaurarsi della Repubblica democratica ligure, al giungere improvviso delle milizie rivoluzionarie francesi si provvide a far sparire ogni ricordo religioso ed in quella zona, in quel momento erano solo i ricordi religiosi e non più quelli delle opere di difesa, perchè c’erano soltanto dei monasteri e delle chiese. Tutta la ceramica che arredava queste comunità religiose ed i loro cronicari, (perchè abbiamo potuto accertare che vi erano locali destinati alla degenza dei religiosi avanzati in età o malati) venne fatta sparire e rotta intenzionalmente e seppellita in sacche. Questi depositi, rinvenuti durante gli scavi, restituiscono ora veri tesori che si possono ammirare solo in piccola parte rappresentati in alcune vetrine della mostra. Questi ritrovamenti ci hanno fornito notizie preziose, impensate e nuove, in quanto costituiscono elementi di collegamento e di allargamento sulle cognizioni che finora avevamo sull’arte ceramica nostrana, sui nomi dei fabbricanti o per lo meno sulle marche di queste ceramiche: si son trovati a decine nuovi contrassegni di fornaci liguri ed albisolesi, specie per la produzione del ’600 e del ’700 savonese, mentre nella ceramica del ’400 e del ’500 si possono rilevare dati che confermano l’esistenza di un’attiva produzione genovese. Anche per una parte di reperti databili al ’300 ed al ’400 è possibile dal materiale di scavo abbondantissimo trarre elementi di attribuzione per l’attività ceramica locale che indubbiamente ha fatto sue le tecniche di impasto in uso in altri paesi ed ha sviluppato, adattandole al gusto locale, forme e decorazioni. Nel corso del convegno verranno trattati in profondità i problemi riguardanti 1 inquadramento della ceramica medioevale e della sua tipologia. Si tratta naturalmente di una indagine che appare nella sua fase iniziale di studio. E’ comunque auspicabile che dalle discussioni che seguiranno emergano elementi proficui per la conoscenza di un problema che è soltanto agli inizi. La Mostra comunque, per l’interesse che può destare nel grosso pubblico, si congegna in una nutrita schiera di pezzi integri: vasi, piatti, tazze, soprammobili provenienti da collezioni private: e stata ordinata seguendo logicamente il criterio cronologico, allo scopo di poter dimostrare - 207 - l’evoluzione di quest’arte ceramica che in Liguria ha raggiunto il periodo di massimo splendore nel ’700 quando peraltro l’attività di altre officine ceramiche italiane era ormai esaurita o quanto meno notevolmente passata di moda. Proprio per questa ragione la maggior produzione albisolese che, ripeto, è quella dei vasi per medicamenti, consentì di fornire alle farmacie di tutt’Italia e probabilmente dell’estero, questi complessi veramente eccezionali di esemplari ceramici che hanno una inconfondibile impronta stilistica dovuta appunto agli artisti liguri. La forma più in uso di questi vasi è l’albarello che tutti conosciamo perchè in qualche farmacia lo troviamo ancora, quale nostalgica espressione dell’arredamento artistico del passato. L’albarello rappresenta la forma originale di vaso da farmacia in quanto riproduce le caratteristiche di un segmento di canna di bambù. I primi medicamenti della medicina araba e le prime spezie giunsero dall’oriente in Liguria confezionate appunto in contenitori di bambù. All’albarello, destinato ai medicamenti di consistenza pastosa, (unguenti e conserve), si sono aggiunti altri vasi le cui forme, già note per il passato, vennero successivamente adattate all’uso specifico. Si è aggiunto il boccale per le preparazioni oleose, si è aggiunto il pilloliere, mentre l’idria, magnifico vaso di grandi proporzioni, venne destinata alle acque medicamentose. Furono anche usate le fiasche di varia forma e di diverse proporzioni. E’ bene ricordare che dei vari tipi di vasi da farmacia soltanto I albarello è nato per l’uso specifico cui venne destinato: gli altri sono stati adattati in secondo tempo all’impiego farmaceutico: è il caso dell idria nota al mondo greco quale vaso da acqua, del boccale già in uso presso gli assiro-babilonesi, ma forse ignoto ai Romani, della brocca ecc. Come ho già accennato prima, rappresenta motivo di grande interesse per la Liguria l’aver modificato alcune forme di vasi, al punto di poterle considerare oggi elemento caratteristico della tipologia nostrana. L esempio ci è dato tra gli altri dalle fiaschette per medicamenti che talvolta completano con gran numero di esemplari il corredo di vasi per farmacia. Si ricordi a tale proposito la magnifica varietà di vasi a boccia ed a fiasca nella farmacia dell’ospedale di Pammatone. Un frammento di fiasca, estratto dagli scavi di S. Silvestro, in monocromia azzurra, è esposto nella Mostra. Se dal punto di vista tipologico Albisola ha potuto innovare caratteristiche sue proprie, dal punto di vista della decorazione il distacco dalla produzione generica di altri centri è ancor più palese: l’elemento decora- — 208 — tivo è di grande interesse perchè si distingue e si staglia dalla generica uniformità degli altri tipi e consente di stabilire una successione cronologica. Appena differenziato dalle altre tematiche in uso con il costante impiego della monocromia azzurra, il tipo di decorazione accenna con sicurezza a influssi orientali: nel primo ’500 abbiamo l’uso di elementi geometrici ampiamente sfruttati dall’artista che si preoccupa di ornare il vaso con tratti rettilinei o curvi variamente disposti. Successivamente viene introdotta la decorazione calligrafica individuabile in delicati svolazzi che legano timidi motivi vegetali a disposizione armonica e variata: tutta la superficie da decorare è ricoperta di foglioline con tralci a volute e pampini a spirale ed abbraccia genericamente la produzione del tardo ’500 e del primo ’600. Successivamente a questi motivi calligrafici si innestano contrassegni vegetali più consistenti in concomitanza delle prime rappresentazioni animali; cominciano ad apparire uccelli in volo o fermi e quadrupedi vari reperiti tra la selvaggina: caprioli, lepri, cerbiatti. Questo tipo impiegato per tutto il secolo XVII è peraltro caratteristico della ceramica dell’Egeo - Rodi, è largamente rappresentato in numerose ceramiche esposte nella Mostra, specie in albarelli ed in vasi panciuti a bocca larga. In prosieguo di tempo le raffigurazioni vegetali stilizzate lasciano il posto al paesaggio vero e proprio, animato da figure umane ed animali: compaiono gli alberi, compare la natura nella mirabile prospettiva del paesaggio ligure. A questo punto la fantasia spazia su vaste interpretazioni, sfrutta la produzione pittorica dell’epoca e talvolta ricorre agli stessi pittori che si improvvisano decoratori di ceramiche. Nei vasi e soprattutto nei piatti di questo periodo l’elemento mitologico si alterna con quello storico e religioso, oppure con rappresentazioni della vita di tutti i giorni con la visione di personaggi in movimento, in animata conversazione in un paesaggio prettamente ligure con case e castelli: care e vecchie costruzioni che stanno ahimè scomparendo, sopraffatte oggi dal cemento armato! Alla ricca e talvolta ampollosa decorazione di questo periodo che dalla seconda metà del ’600 si conclude nella seconda metà del ’700, segue un ritorno alla tematica più semplice. Quella che era prima la tendenza a ricoprire di decorazione tutta la superficie del prodotto ceramico viene modificata nella ricerca di zone di ampio respiro: ricompaiono le superfici libere sulle quali fanno spicco eleganti motivi paesaggistici con figure umane in raffigurazioni ridotte e talvolta contenute in medaglioncini. Interpretazioni che ricordano lo stile proprio di altri centri ceramici, attivi - 209 - /t in paesi lontani (Moustiers, Cina). Appartengono a questa categoria i pezzi nei quali riaffiora il tipo di decorazione a festoni geometrici ornamentali. Alcuni di essi, sfruttati per lungo tempo in Liguria ed in seguito emigrati all’estero, ritornano nei nostri centri modificati dalle influenze stilistiche straniere. Esistono dinastie di ceramisti chiamati all’estero per dare inizio alla industria della ceramica: è il caso delle officine di Névers che iniziano nella seconda metà del ’500 ad opera del Corradi e sono attive per più di un secolo con la caratteristica impronta dello stile di Albisola. I Corradi furono chiamati a Névers dai duchi di Mantova: fu precisamente Ludovico Gonzaga ad unire il suo feudo a quello della moglie ed a chiamare nel 1574 i Corradi a Névers perchè dessero avvio all’attività ceramica. I Corradi portarono a Névers la tradizione ceramica ligure inserendola a perfezione nel mecenatismo della corte di Mantova: per diverse generazioni la famiglia Corradi continuò a produrre ceramiche in quella sede. Inizialmente la produzione è pressocché identica a quella albisolese, ma in prosieguo di tempo acquisisce elementi artistici locali e subisce quin i una deviazione tematica, pur conservando inalterata la tecnica della deco razione specie nell’uso della monocromia azzurra. A questo proposito i visitatori della mostra noteranno che prevale negli oggetti esposti la colorazione blu attraverso una mirabile sequenza di sfumature che dall’azzurro pallido vanno al cobalto scuro: sono, se mi è consentita l’espressione, la risultante di una policromia blu. Molto probabilmente questo colore ci è pervenuto dall’oriente ed è diventato il colore obbligato della ceramica, forse perchè è il colore del nostro cielo e del nostro mare. Si tratta pertanto di una caratteristica evidente non solo per gli elementi decorativi, ma anche per la tinta sfumata della superficie di fondo. La monocromia azzurra non è tuttavia esclusiva per la decorazione usata in Liguria: direi che l’azzurro è il colore più sfruttato e contribuisce in gran parte a determinare le caratteristiche tipologiche. Non e comunque raro l’impiego sia pure sporadico della policromia che prevale nella ceramica dei primi tempi quando ancora l’industria locale non aveva nette caratteristiche, viene usata sporadicamente nelle epoche successive per ricomparire sulla fine del secolo XVIII quando peraltro si va alla ricerca di nuovi elementi di interesse per adeguarsi alle richieste del mercato. Non è facile distinguere, nella multiforme policromia dei secoli XIV e XV, la ceramica fabbricata in Liguria da quella di importazione, tanto — 210 — K più quando si sa che i primi artisti attivi nei nostri paesi provenivano da centri qualificati dell’Umbria e delle Marche. Purtroppo, salvo sporadiche notizie da tempo conosciute, non possediamo alcuna documentazione archivistica che possa ragguagliarci, attraverso atti e commissioni, sull’esistenza di una efficiente attività ceramica per tutto il periodo che precede in Genova la fabbricazione di ceramiche di caratteristica produzione locale. La classificazione tipologica dei reperti medioevali dovrà comunque tener conto dell’impiego della policromia, elemento che non facilita certamente l’indagine e la catalogazione. Tralascio di accennare qui alle caratteristiche della policromia che in modesta proporzione accompagna l’iter della più comune ceramica blu e rimando in proposito alle notizie rilevabili negli studi fatti sull’argomento. Mi preme piuttosto, a conclusione di questa rapida rassegna introduttiva sugli scopi della mostra e sui programmi che si prefigge il Convegno, accennare brevemente alla tendenza cui si uniformarono i ceramisti del periodo più tardo. Come ho sopra riferito la produzione della fine del ’700 e dei primi anni dell’800 ritorna con insistenza all’uso della decorazione policroma con l’introduzione di nuove tinte più vivaci copiate dalla produzione straniera. Valga l’esempio del Boselli la cui attività innovatrice è stata recentemente messa a punto dalle esaurienti ricerche di Pietro Torriti nel volume dedicato a questo artista. A questo punto molto mi resterebbe ancora da riferire e riterrei incomplete le notizie fin qui dette se non trattassi dell’attività ceramica ligure nel secolo XIX: argomento indispensabile, che concluderebbe la storia dell’attività retrospettiva di un’arte e di un’industria che è vanto ed onore della Liguria. Mi limiterò soltanto a prospettare l’importanza della produzione dell’800, dell’epoca cioè in cui si denota una diminuzione dell’attività, congiunta ad una profonda trasformazione delle tecniche, con la ricerca di metodi industriali. Argomento questo che potrebbe essere meglio inquadrato nella panoramica dell’attività moderna della ceramica albisolese. Indubbiamente quelle che sono le caratteristiche attuali della produzione risentono dell’eredità antica trasmessa dalla nobile tradizione plurisecolare. L’argomento sconfina però dai limiti nella programmazione della Mostra e del Convegno, intesa a sottolineare particolarmente l’importanza della ceramica ligure nella sua attività più antica. Il Comitato organizzatore ha pertanto ritenuto più conveniente differire ad un prossimo Convegno la trattazione di un argomento che si profila del massimo interesse. — 211 - r TIZIANO MANNONI LA CERAMICA IN LIGURIA DAL SECOLO VI AL SECOLO XVI Può sembrare impossibile o pretenzioso abbracciare in una sola comunicazione mille anni di storia della ceramica in Liguria. Coloro che si sono occupati di questo periodo sanno però quanto poco si conosca della sua produzione, e capiranno subito l’intendimento del presente lavoro, che è quello di tracciare uno schema di classificazione, anzi di proporre uno schema per la discussione. E’ stato scelto l’abbinamento a questa mostra di ceramica stilisticamente nota e di valore, nella speranza che gli studiosi convenuti ad Albisola contribuiscano con la loro critica e i loro pareri ad una vera classificazione del materiale medioevale. Prima di addentrarmi nella descrizione dei vari tipi medioevali di ceramica trovati in Liguria devo fare alcune premesse, importanti soprattutto per quanto riguarda il metodo impiegato per il loro studio. Innanzi tutto il materiale di cui parlo, che presumibilmente rientra nel periodo che va dal VI al XVI secolo d. C., pur essendo stato rinvenuto in Liguria, non è certamente tutto di fabbricazione ligure. Non pongo per ora il problema della sua provenienza, anche se per certi tipi è già stato risolto, per cui si parlerà di ceramica medioevale trovata in Liguria e poi si vedrà in un secondo tempo quella che è di fabbricazione ligure e quella che non lo è. Il materiale preso in considerazione proviene da scavi archeologici ed è abbondante; quello che è esposto nella mostra rappresenta una minima quantità di quello studiato. Da circa vent’anni la Soprintendenza alle Antichità con la cooperazione dell’istituto Internazionale di studi Liguri, ha sempre conservato negli scavi archeologici di età classica anche i manufatti di età più recente che sono stratigraficamente collocati nei magazzini, anche se fino ad oggi, tranne un primo tentativo per la ceramica di Albenga fatto dalla Grosso, una decina di anni fa, non è stato ancora pubblicato nulla. Siamo quindi in possesso di una grande quantità di nuove informazioni da aggiungere al primo lavoro di Orlando Grosso sulla ceramica proveniente dagli scavi di Ponticello in Genova. Inoltre da circa cinque anni, sia da parte della sezione di Genova dell’istituto di Studi Liguri, sia da parte del gruppo di ricerca capita- nato da Guido Farris, sono stati condotti scavi in zone documentate di età medioevale con lo scopo di rinvenire e studiare il materiale ceramico. Si è presto manifestata la necessità di allargare lo studio alla ceramica di età moderna, sia pregiata che comune, e soprattutto di effettuare una c as sificazione generale del materiale. A questo punto è sorto il prò ema riguardante il tipo di classificazione da adottare; dopo diversi tentativi che tenevano conto solo di alcuni caratteri salienti riscontrabili ne riale. ho trovato più funzionale l’adozione del metodo già in uso Per più antica. Ho diviso cioè i reperti in classi, comprendendo in ogni classe tutti quei frammenti ceramici che mostrano le stesse tecniche impasto, di coperta e di decorazione. Si veda a questo riguardo il signi in inglese al termine « ware ». In un secondo tempo ho cercato i lire a dei tipi più definiti attraverso il ripetersi delle forme e evo uzione dello stile decorativo, cosa che per qualche classe è già possi oggi, ma per alcune è ancora prematuro. Una volta fatti questi raggrup pamenti, ho pensato di stabilirne la provenienza, cioè 1 area i a zione, e sono nate così nuove difficoltà. Esse riguardano soprattu fronti con i materiali delle altre regioni, poiché usando il tipo i cazione adottato non è sufficiente una visione diretta dei camp , perchè certi aspetti della fabbricazione non si possono co0 iere P blicazioni, sia perchè la terminologia e la descrizione non sono un sia infine perchè certi particolari che per alcuni autori sono on sono da altri trascurati. Perciò è necessario andare di persona ciò che è stato raccolto nelle altre regioni. Questo lavoro è stato inizia e ha già dato buoni risultati; già si intravede la provenienza 1 cer riali e spero che questo incontro possa contribuire alla soluzione p blema. A questo proposito voglio fare una proposta in questa se e u ciale e cioè che tra gruppi che conducono le ricerche ne e vall<"_ ° e se è possibile anche oltre i confini nazionali, avvengano eg 1 se di campioni, non già di valore estetico, ma proprio di quei frammenti sono sufficienti per la determinazione di classe e per ricerche di tipo nologico e mineralogico che spesso contribuiscono a caratterizzare eter minate fabbriche. Questa che faccio è solo una proposta, ma spero eie possa essere accolta e si possano discutere in un secondo tempo le mo dalità. Altra questione difficile da superare è quella della cronologia fatta in base ai nostri scavi. La carta della Liguria che è esposta nella mostra — 216 — riporta unicamente gli scavi che hanno fornito ceramica medioevale e non e raccolte di superficie, anche se si tratta di raccolte fatte in zone documentate, ed anche se si sa che il materiale recuperato appartiene all’epoca che ci interessa. Detto materiale è stato comunque conservato e non è stato riportato sulla carta unicamente perchè la quantità delle raccolte di superfìcie è tale da distogliere l’attenzione dagli scavi più importanti. Venendo quindi agli scavi veri e propri, essi sono in molti casi stratigrafici, in altri casi no, in quanto la stratigrafia non esisteva e si è effettuata allora una datazione per associazione a manufatti noti, o soltanto per tipologia, utilizzando parallelismi con il materiale datato in altro modo. D’altra parte, la stessa stratigrafia, in un lasso di tempo lungo, se non possiede elementi intermedi di datazione assoluta, come monete o riferimenti ad opere murarie datate, ci fornisce come è noto soltanto una cronologia relativa, che riferita nel caso nostro ad un periodo di mille anni diventa un elemento insufficiente di datazione. Infatti, una volta trovata una stratigrafia di questo genere, l’evoluzione dei relativi tipi di ceramica riscontrati la si può pensare condensata quasi tutta negli ultimi secoli come nei primi; non vi sono motivi per dedurre che essa sia distribuita linearmente lungo 1 intero arco di tempo. Per tutti questi motivi ho potuto ricavare per la Liguria una cronologia relativa generale che credo abbastanza sicura ed è quella che propongo, mentre per la cronologia assoluta delle singole classi, tranne che per qualche caso che dettagliata-mente segnalerò, si può ancora dire ben poco. Perciò le datazioni che sono segnalate sul materiale esposto in certi casi sono sicure, in altri puramente indicative. Un altra premessa che devo fare riguarda la ceramica d’uso comune che non è stata presa in considerazione per ora, tranne per quel periodo nel quale essa costituisce l’unico elemento che attesti il perdurare dell’arte figulina. Naturalmente la ceramica comune esiste prima e continua dopo questo periodo mostrando una sua evoluzione, perciò negli scavi viene trattata come quella pregiata e come questa viene classificata; ciò nonostante ho preferito in un primo tempo affrontare il problema di quella pregiata per non ingrandire eccessivamente questo lavoro. Spero che in futuri convegni si potrà affrontare questo argomento. Un altro genere di ceramica che è stato completamente rimandato a future comunicazioni è quello di importazione dall’area mediterranea. — 217 — * Per esso posso solo dire che è spesso presente in molti dei suoi tipi appartenenti ai diversi periodi dell’arco di tempo preso in considerazione e provenienti da diversi paesi. Si sono trovate ceramiche bizantine, egizie, per siane, ispano-moresche e turche. Questo problema è interessante dal punto di vista dello studio del commercio antico e conferma una attività fonda-mentale dei liguri, ma merita una trattazione a parte. Quindi, anche se la ceramica di importazione dall’area mediterranea e spesso servita per a cronologia, trattandosi quasi sempre di materiale noto e datato dagli scavi fatti nelle località di produzione, non è stata esposta nella mostia. Dopo queste premesse passo senz’altro ad esporre la classificazio che viene proposta; essa viene esposta seguendo la successione crono o gica delle classi. Invetriate arcaiche Il primo problema che si presenta quando si considera la ceramica dei primi secoli medioevali è il seguente: la tradizione romana cont o cessa completamente? Da questo punto di vista sono state esposte mostra solo le invetriate verdi tardo-romane perchè sono le uniche c certi aspetti mostrano una continuità. • j il Si sono lasciati agli specialisti della ceramica romana i prò emi sigillate, che per molti autori continuano dopo la caduta e i p ' Non è stata esposta la ceramica comune di tipo industriale, con^ ^ e le olle a fianchi striati, che sono costituenti cronologicamente a a definiti dell’ultimo periodo della ceramica romana. La invetriata pio fera è già presente nei primi secoli dell’impero anche in Liguria com trove, ma solo nei secoli IV e V essa diviene di uso comune, no p valere, come si può vedere chiaramente ad Albenga e a Finale, su a g lata che va scomparendo. ... Il tipo predominante presenta forme piane imitanti quelle de a sigi lata chiara, coperte su entrambi i lati da una vetrina spessa, colorata in verde ramina. E’ sempre presente, qualunque sia il terreno che le ospita, una caratteristica iridescen2a dovuta a devetrificazione; si tratta pro a i mente di una proprietà intrinseca della « fritta » usata. Ad Albenga sem bra evidente che questo tipo di ceramica continua anche in quel perio o che in Liguria viene detto bizantino. A proposito di questo periodo devo chiarire che nella stessa Costantinopoli la ceramica è poco nota e che presenta però dei tipi invetriati verdi, da non confondere, come in qualche — 218 — K caso è avvenuto, con le produzioni smaltata e decorata che appartengono ad un periodo posteriore, quando cioè la roccaforte della « Maritima Italorum » non esisteva più. Io penso dunque che una continuità di ceramica romana costituita da vasi a fianchi striati e da invetriate verdi, si abbia fino all occupazione di Rotari; ciò non è per ora confermato da elementi di datazione assoluta, ma d’altra parte nelle serie stratigrafiche tra la ceramica tardo-romana e quella sicuramente altomedievale non si trovano altri tipi. Nello stesso periodo si conoscono altri due tipi di invetriata verde. Il primo è caratterizzato da una coperta sottile, bollosa o cavillata, di colore verde chiaro. Il secondo tipo presenta una vetrina piombifera colorata con sali di ferro, e continua una tecnica già in uso nell’alto impero. Il colore predominante è il verde oliva, assai più raro l’arancio; l’impasto è di terra depurata di colore grigio in corrispondenza della cottura riducente necessaria per ottenere il verde dai sali di ferro. Esistono sbavature giallastre localizzate a parti più esposte del vaso dovute al non perfetto controllo del forno, e quindi non intenzionali. Qualche scodella di questo tipo si trova ancora nel medioevo, ma non è per ora possibile stabilire se esiste o no una continuità. Certa è invece la presenza di invetriate verdi negli ultimi secoli del primo millennio. Esse si differenziano da quelle finora descritte per vari aspetti: la forma predominante, se non esclusiva, è il boccale; l’impasto è sempre grossolanamente dimagrato e lo spessore delle pareti è notevole; spesso è presente una decorazione incisa ad andamento ondulato o rettilineo. In alcuni frammenti di Albenga e della Commenda di Genova è stata notata una decorazione geometrica stampigliata di chiara influenza barbarica. Il colore della vetrina è spesso dovuto ai sali di ferro, che non sono però sfruttati per quella policromia che è tipica di certi boccali bizantini decorati in rilievo. Se si vuole trovare una parentela per i boccali liguri, essa va piuttosto cercata nella produzione laziale, già attribuita dal Boni, per il Foro Romano, aH’VIII secolo; datazione confermata da una recentissima pubblicazione della Scuola britannica in Roma. Ceramiche grezze Finora non è stata trovata in Liguria la ceramica barbarica tipica della pianura Padana e dei vari ducati longobardi dell’Italia centrale, quella cioè di tradizione dell’età del ferro, decorata a stralucido o con stampigli geo- — 219 — metrici. Ciò è particolarmente significativo se si considera che sono state condotte ricerche in giacimenti che interessano sicuramente il periodo longobardo della Liguria. Da questa constatazione si possono dedurre delle ipotesi, e cioè, che nel 643, data del loro ingresso in Liguria, i Longobardi non usavano più la ceramica di tipo barbarico, oppure che la loro occupazione della nostra regione non abbia influito sull’adozione di un nuovo tipo ceramico. In realtà a Luni e Albenga sono stati trovati alcuni boccali a collo alto, con pasta grossolanamente dimagrata, che imitano i tipi barbarici e che la loro giacitura permette di collocare nel periodo longobardo. Un quadro tipologicamente più esatto è stato ricostruito per il secolo X, ed esso rispecchia probabilmente una situazione evolutasi nel periodo franco. Detto quadro è costituito, fatta eccezione per qualche invetriata verde, da ceramiche prive di coperta, eseguite con impasti grossolani. Le forme sono le seguenti: olle a bordo svasato o prive di piede, eseguite al tornio, spesso mostranti le striature sui fianchi; rari boccali con ansa a nastro; piatti e tegami con pareti molto spesse, eseguiti spesso a mano 0 con l’aiuto di un piano mobile. Questo materiale tende a scomparire nel Genovesato nei secoli XI e XII, sostituito da ceramica comune più evoluta, mentre rimane in uso fino ai secoli XIII e XIV, a fianco di ceramica fine importata, in certe aree economicamente e politicamente isolate della Liguria di levante e della valle di Vara in particolare. E in questa zona che le forme a piatto presentano una continuità di produzione fino ai giorni nostri con la trasformazione dell’uso in quello di « testi » per la cottura delle focaccette. Con il metodo dei minerali, che è facilmente applicabile agli impasti grossolani, è stato possibile dimostrare che le ceramiche grezze altomedio-evali della Liguria venivano prodotte in posto, cioè in ogni singolo abitato, confermando così l’esistenza di una economia chiusa di tipo autarchico. Esiste in realtà qualche eccezione, come quella del monastero dell’isola del Tino che importava tegami dalla valle di Vara. Smaltate verdi Passato l’anno mille uno dei primi tipi di ceramica pregiata che compare in Liguria è costituito da scodelle smaltate in verde su entrambi 1 lati. Le fabbriche di questo materiale sono certamente diverse se si considerano le paste che possono essere rosse e tenaci o friabili di colore — 220 — Da 1 a 9: Ceramica grezza - Da 10 a 15: Invetriate arcaiche - Da 16 a 19: Graffita monocroma. (Grandezza 1/3 del naturale) chiaro; anche gli smalti variano dal colore turchese a quello smeraldo e possono essere ricoperti da vetrina trasparente oppure opachi. E’ evidente la loro parentela con certe scodelle inserite nei campanili di alcune regioni italiane e in genere con la produzione del Mediterraneo orientale, ma l’assenza costante di qualsiasi decorazione rende per ora difficile stabilirne la provenienza. Io penso che per questo tipo di ceramica andrebbero condotte ricerche nell’Italia meridionale che certamente ha avuto un ruolo importante nella trasmissione di tecniche e stili mediterranei. Ingubbiata chiara Elementi distintivi essenziali di questa classe sono: ingubbio di colore giallo chiaro e vetrina sottile, molto trasparente, sempre iridescente per devetrificazione. Queste coperte sono applicate solo all’interno di scodelle e piatti, che sono le forme predominanti, l’esterno dei quali, è compieta-mente nudo. Rara la presenza di boccali e di bicchieri con forma cilindrica o a calice. Molto rara è pure la decorazione che consiste in un piccolo cerchio con losanghe profondamente graffito al centro del cavetto, quasi come un marchio. In una scodella proveniente dall’area di S. Stefano di Genova è graffita una croce di tipo romanico. La pasta è di colore rosa e non molto depurata; è probabile l’esistenza di almeno due fabbriche. Lo stesso tipo di ingubbiata è stato trovato a Milano negli scavi del battistero di S. Tecla. Non conosco per ora altri confronti, anche se dalla descrizione fattane dagli autori inglesi, questa ceramica sembra molto simile a quella trovata a Costantinopoli e chiamata « canary ». La mancanza di un confronto diretto impedisce per ora una definizione in questo senso. La cronologia relativa ci indica in Liguria l’ingubbiata chiara anteriore alla maiolica arcaica e alla graffita arcaica. Una data di inizio per ora non si può stabilire. I caratteri paleografici di un graffito di proprietà sembrano indicare il secolo XII, mentre alcuni frammenti con vetrina molto spessa trovati a Ventimiglia sembrano anteriori al secolo XI. Maiolica arcaica La maiolica arcaica o smaltata bianca, come sarebbe più esatto denominarla, è caratterizzata da una coperta a base di smalto stannifero, e può essere priva di decorazione o decorata con colori sopra-smalto a base di ramina o manganese. Per quanto riguarda le forme e i motivi decorativi si — 222 — Da 1 a 7: Ingubbiata chiara - Da 8 a 10: Graffita policroma di tradizione arcaica - Da 11 a 23: Graffita arcaica. (Grandezza 1/3 del naturale) è utilizzata in Liguria la tipologia della fabbrica pisana pubblicata dalla Tongiorgi. Evito perciò di entrare in particolari descrittivi in quanto la nostra maiolica arcàica corrisponde anche nei minimi particolari a quella pisana. L’impasto, tranne in qualche raro caso, è di colore rosso vivo. E’ noto che esistono per questo tipo di ceramica alcuni problemi insoluti di tipo cronologico; esporrò perciò i risultati delle nostre ricerche da questo punto di vista. Elementi di datazione assoluta si hanno solo per la fase finale della smaltata bianca. Il più importante è fornito dal castello di Molassana che presenta strati di utilizzazione ben conservati e datati da monete genovesi attribuite dal Pesce agli anni 1436 e 1447 (Tommaso e Giano di Campofregoso). Questi strati contengono: maiolica arcaica, ispano-moresca, maiolica policroma toscana e ceramica invetriata di uso comune. Come si vede gli scavi di Molassana hanno anche confermato la presenza alla metà del secolo XV della maiolica italiana, e l’assenza di quella ligure. I castelli di Lagneto, Celasco e Castronovo in uso nel XIII secolo e abbandonati nel XIV, hanno fornito fondi di torre impraticabili nei quali i primi manufatti a contatto del suolo vergine sono costituiti da maiolica arcaica e ceramica grezza locale. Il significato dei riempimenti di questo tipo di torri è noto per i lavori eseguiti nel « limes » germanico e a Castelseprio. La cronologia dedotta dai castelli di levante andrebbe d’accordo con quella ricavabile dalla stratigrafia dell’ospedale di Albenga, qualora lo strato di distruzione che precede la comparsa della maiolica arcaica fosse attribuito alla distruzione operata dai Pisani nel 1165. Una tale interpretazione della stratigrafia di Albenga sarebbe a mio parere corretta anche in considerazione del materiale contenuto nello strato anteriore alla distruzione, che è costituito da invetriate arcaiche e ceramica grezza. Infine in Liguria sono state notate delle evoluzioni nelle forme e nelle decorazioni, che si possono così riassumere: a Sassello e ad Albenga compaiono prima le forme non decorate rispetto a quelle decorate. Ciò non accade nei castelli di levante; i boccali con piede svasato, corpo cilindrico e ansa a nastro sono più antichi di quelli a corpo tondeggiante, e ansa cilindrica; gli smalti molto sottili, quasi terrosi, completamente opachi associati a decorazioni assai curate con graticci in manganese, sono più antichi degli smalti lucidi per la presenza di piombo, associati a decorazioni schematizzate e degenerate. — 224 — Moki dati emersi dalla scoperta della fornace di Pisa contrastano pero con quelli ora esposti; sarà perciò necessario nel prossimo futuro dare a questi fatti delle spiegazioni. Ingubbiate colorate Si tratta di una classe poco definita e suscettibile di divisioni. Sono stati infatti in essa raggruppati diversi tipi cronologicamente sparsi, che hanno in comune un ingubbio chiaro coperto da vetrina colorata. I più antichi sono probabilmente alcuni bacini frammentari di colore verde o marrone provenienti dagli scavi del colle di Castello a Genova, che trovano riscontro in analoga suppellettile inserita nel campanile romanico di S. Giovanni di Prè, sempre a Genova. La vetrina è molto spessa e di colore intenso; talora mostra qualche cerchio nero dovuto a solcature praticate nell ingubbio che preludono alla decorazione graffita Contemporaneo alla maiolica arcaica è invece un tipo di tazza con vetrina gialla decorata con macchie e con una croce in ramina. Esso è tipico della riviera di ponente ed e seguito in tutta la Liguria, dopo il XV secolo, da tazze della stessa forma a tutto colore, verde o giallo. In tale periodo d’altra parte la tecnica di ingubbio e vetrina colorata si estende a molta ceramica di uso comune. Solo il pentolame conserva la semplice vetrina trasparente sull’impasto semi-grezzo. Graffita arcaica Delle ceramiche graffite è stato dato nella mostra un quadro tipologico completo, anche se diversi tipi passano i limiti cronologici del medioevo e sono coetanei della maiolica ligure. D’altra parte le radici della tecnica di decorazione « a graffio » sono profonde nel tempo se si tiene conto di quanto si è già detto per i bacini ingubbiati e soprattutto per la ingubbiata chiara. Proprio da quest’ultimo tipo io penso che derivi la graffita arcaica; direi dalle stesse fabbriche. Infatti i due tipi hanno in comune: la forma a scodella più o meno ampia; il genere di impasto e di foggiatura del piede; l’ingubbio e la vetrina sottile, quasi opaca e molto trasparente. Quella specie di marchio riscontrato sul fondo di alcuni esemplari di ingubbiata chiara, prelude ad uno dei motivi più usuali della graffita arcaica: due cerchi concentrici che racchiudono dei rombi formati da righe incrociate. Anche gli altri motivi del repertorio sono tutti geo- — 225 - metrici. Si distingue una decorazione del cavetto separata da quella della tesa. Il tratto del disegno è sempre sicuro e curato. Ulteriore elemento decorativo è costituito da tenui colori in ramina e ferraccia distribuiti sapientemente e alternativamente negli spazi geometrici del disegno. La cronologia è ancora una volta relativa. La graffita arcaica è certamente ante riore, o contemporanea della prima fase della maiolica arcaica, quin i segue in Liguria le vicende di datazione di quest’ultima. Tenuto conto però che essa segue alla ingubbiata chiara, io penso di collocarla ne secolo, non escludendo una datazione più antica. Io credo che si e a mettere la graffita arcaica in relazione a quel tipo di ceramica mo to fusa che è stata chiamata dagli autori inglesi « mediterranea ». Graffita policroma In realtà la policroma esisteva già, come si è detto, nella graffit arcaica, ma in essa non costituiva un elemento dominante. e a croma la ferraccia e la ramina sono più intense ed applicate con pur gusto cromatico, senza rispettare il disegno. Quest’ultimo si e evo verso forme vegetali e meandri ed è poco definito. Ulteriore e ej”ent^ distintivo tra i due tipi è la vetrina, che nella policroma è molto bri ant Principale forma è il boccale, che trova in tutti gli aspetti ora escrit ^ corrispondenti nei tipi padani più antichi. Non si trova infatti in '^ur la graffita a fondo ribassato che è così diffusa nella pianura Pa ana. ^ fianco dei boccali sono state esposte alcune scodelle, appartenenti a produzione meno fine, che subiscono ancora influenze decoratile a graffita arcaica, ma anche da quella monocroma con la quale prò a mente coesistevano. .... Io penso di poter attribuire la graffita policroma di entrambi i tip descritti, alla seconda metà del XIV secolo e alla prima del XV. Graffita monocroma Così denominata perchè la vetrina coprente è sempre colorata uni formemente in giallo, o marrone o verde. La decorazione, graffita « a punta », è molto semplice ed il motivo più ricorrente è costituito da una croce, dal centro della quale escono quattro raggi ondulati; il tutto eseguito a doppia riga e ricoprente l’intero cavetto. La tesa mostra spesso dei girali. Alcune varianti presentano raggere più ricche o costituite da lo- — 226 — sanghe; molto rare sono le raffigurazioni araldiche; assenti quelle umane o ammali. Si e notata una differenziazione notevole nella cura del disegno ma non è ancora stato stabilito se si tratta di una degenerazione con significato cronologico o di imitazioni coetanee. Bisogna tenere conto che la graffita monocroma è abbondante in Liguria e doveva costituire un manufatto corrente; a giudicare dagli impasti si deve ammettere l’esistenza di diverse fabbriche. La forma invece è abbastanza costante ed è quella di un’ampia scodella con tesa inclinata o piana; da fabbrica a fabbrica varia in genere la forma del piede. Non ho trovato sino ad ora confronti in altre regioni, perciò è molto avvalorata l’ipotesi di una produzione ligure. Non è ancora possibile stabilire la data di inizio di questa produzione, ma è certo che la graffita monocroma è contemporanea dell’ultima fase della maiolica arcaica, è perciò certamente in uso nel XV secolo e a giudicare dagli scavi del castello di Sassello, già nella fine del XIV. Graffita di tipo pavese Ho adottato la denominazione « tipo pavese » usata a Milano per indicare quelle ceramiche ingubbiate, siano esse graffite o no, ricoperte da una spessa vetrina di colore giallo macchiettato in marrone. Il materiale originale di Pavia non è purtroppo più rintracciabile e non mi è possibile quindi alcun confronto diretto. I tipi che si trovano in Liguria con vetrina del genere descritto sono'-caratterizzati da impasti chiari e ben depurati, e da una decora-zone graffita « a punta » molto sottile e curata. Esiste certamente una evoluzione stilistica lungo un periodo di tempo che va dal secolo XV al XVII. I tipi più antichi sono costituiti da boccali e da scodelle prive di piede con una sobria decorazione geometrica; quelli tardi da piccole tazze a pareti molto sottili con una decorazione geometrica all’esterno e raffigurazioni di santi all’interno. Graffita « a stecca » II materiale proveniente dagli scavi o dalle raccolte di superficie attribuibile ai secoli XV e XVI è ricco di ceramiche graffite « a stecca » ricoperte da una vetrina trasparente o monocroma di colore giallo o verde, raramente di entrambi i colori mescolati. Le decorazioni sono sempre — 227 — geometriche e consistono in virgole, « palmette » e « rondinelle » eseguite « a stecca », e raggruppate in fasce delimitate da girali « a punta ». L’impasto duro di colore rosso, le forme a tazza e bacino e i motivi decorativi corrispondono alle fabbriche pisane. Esistono delle imitazioni pai grossolane, graffite direttamente sull’impasto, prive cioè di ingubbio, che costituiscono probabilmente un prodotto molto economico di fabbricazione locale. Graffita tarda Nei secoli XVI e XVII sono abbondantemente diffusi piatti di produzione pisana. Essi sono caratterizzati da un impasto duro di colore rosso, ingubbio colore giallo chiaro, vetrina trasparente con poche macchie di fer raccia e ramina. La decorazione è graffita « a punta » sottile, e mostra un’evoluzione da disegni geometrici molto curati a motivi vegetali assai stilizzati. Marmorata Probabilmente alla stessa fabbrica pisana appartengono i piatti, le tazze e i bacini decorati con un ingubbio miscelato a ocre coloranti in modo da ottenere delle marezzature, e ricoperti da una vetrina traspa rente o macchiata con ramina. Questa tecnica, sia pure con minor ricerca tezza cromatica è stata in uso fino al secolo XIX. Concludendo si può osservare che la forte presenza di una produzione pisana in Liguria, documentata oltre che dagli scavi da scritti di archivio, è stata constatata in un periodo particolarmente fiorente della produzione di Savona e di Albisola. Ciò potrebbe sembrare un contrasto, ma io penso che la maiolica ligure, che a sua volta veniva largamente esportata, co stituiva un prodotto privilegiato per il suo valore artistico e per il costo intrinseco dei suoi costituenti (si pensi alla notevole quantità di smalto stanifero impiegata), tale da essere su un piano economico completamente diverso, e quindi non concorrenziale rispetto alle graffite importate. DISCUSSIONE tongiorgi soprattutto per ^°U ^annoni Per questa sua ampia introduzione, e ricerca sa quale accur^- ' « .,lavM,0; <** ha esperienza in questo campo di abbiamo a disposizione “ " VagHare e riordinare gli elementi che noi dioeva^tsrX0qS?0HnaKKCOra “ faSe ÌnÌ2Ìale’ Per quant0 riguarda la ceramica me-sono fondare unicf^nte su T T”? f'"6 k baSÌ deU° Studio'> basi <** si pos-che possono essere i centri ^ rlcerca: xl Prlmo> Io studio diretto di quelli mente dal materiale nrodnt^l produ21on<: « documentazione che proviene direnavamo avuto la fortuna dì n^l , 5™°' £è 11 C3S° ideale> noi ad esemPÌo ab-vecchie fornaci, gli scarti d ii st^dlare a Plsa, ln alcuni casi abbiamo trovate le ™ quadro completori ^ d hanno permesso di ricostruire in appaiono o possono apparire elementi^ * ri***- fornace- Così quelli che qui semplicemente per l’uso Hi % ? nsultano mvece elementi differenziati fornace nello stesso momento llZrTT^ VenÌVano usate da^a stessa tlca di una cronologia relativa o I’in°n ° ‘;te™rnnato da questa ricerca sistema-in zone diverse, che danno il quadro ^ i esperienze diverse degli scambi nodo. Quadro che visto in questa luci ce'amica in un determinato pe- coIto negli scassi che vengono effettuati TT" raccolto negli scavi, materiale rac-della città, dà un fondamento d£ ? f"6 ln cui divano dispersi i rifiuti nistt i quali hanno fmonT presentato una^t q^a ? che dall’opera dei collezio- quotidiana, quella realtà vera che invece rkfu e.n°n ha quel contatto con la vita mancano in tutto il materiale che noi trovkm “ questo materiale. Addirittura 1 Private> mancano intere categorie dtc ™ T** e che troviamo nelle colle-iderazione, non sono state raccolte non ht rn°n sono state Prese in con- Passionati e sono quindi state così ’ semolire fortuna sul mercato degli ap f aueS PW “e qu«to lavoro dal,a n°^a conoscenza Diù fm lede’ C quindi quest0 nascere d iP - 6 che deve ««ere fatto v lnePOnan2a Ìn quanto essano ad un certo ^ l0CalÌ che acquistano tanto Tare e 6 ?mmclano a Prendere contattTcon al ^ di avere la stessa stretta are e rendere anche utilizzabili i risultatirT 2°ne in modo da poter interore della Liguria sia giunta in questa faTe e ahKi Dkd che Attività degli studiosi circostanza denuncia una maturità di studi l ^ °nfne al convegno di oggi- que t possiamo incominciare sulli ’ ome risulta anche dal i ‘ q nelle sue ^ * -a -riazione di ceZ^Ì ti^fiS — 229 — Incominciamo questa discussione e io vorrei chiedere a tutti i presenti di intervenire; forse nel corso della discussione ad un certo momento sarà necessario un certo criterio in modo da poter concludere qualche argomento, evitare che la discussione si disperda in direzioni troppo diverse ma credo che questo sarà bene farlo quando sarà avviata la discussione. Chi desidera prendere la parola su questo argomento? BORLANDI Io sono meno di un competente e meno di un amatore, ma malgrado questo ho avuto la tentazione di ascoltare almeno questa parte del Convegno. E poiché ho passato l’infanzia trastullandomi con frammenti di ceramica, vorrei portare qui almeno l’insinuazione di un consiglio. La ceramica medioevale pavese è sconosciuta per il semplice fatto che ha rappresentato per decenni dal primo al secondo dopoguerra un materiale analogo a quello rappresentato dalle margheritine o dai rosolacci nei campi. Officine di produzione ceramica proprio in riva al Ticino e attive per secoli, hanno avuto il loro materiale di scarico rovesciato nella valle del Ticino, quando si sventravano le mura cinquecentesche che avevano preso il posto delle mura trecentesche della città. Ciò nel primo dopoguerra. Nel secondo dopoguerra si fece il resto, quindi tutti i bambini pavesi del primo e del secondo dopoguerra non hanno fatto altro che trovare sulla sponda del Ticino, a valle del ponte, frammenti anche cospicui di ceramiche. Io ne ho conservati soltanto due, raccolti in età tarda, cioè più consapevole, che peraltro avevano caratteristiche così abituali per l’occhio dei pavesi, da non rappresentare un eccessivo fascino: quei frammenti erano nè più ne meno uguali a quelle ceramiche che decorano la facciata della basilica romanica di San Michele. Detto questo con estremo disdoro e con assoluta amarezza, potrei suggerire qualcosa di utile a questi stimolanti amici genovesi che si sono messi in condizione di darci la sensazione delle occasioni perdute. Il materiale sarebbe stato prezioso proprio perchè si trattava, come accennava il presidente Tongiorgi, di materiale analogo a quello pisano, cioè di materiale facilmente localizzabile in quanto si trattava di discariche di officine di produzione. Questo materiale non è però del tutto perduto: potrei dare qualche indicazione anche di collezionisti privati e sono naturalmente a disposizione degli amici genovesi. Posso mettere a disposizione i due frammenti che ho conservato e che potrei anche descrivere da profano: uno dei due frammenti, evidentemente il più arcaico, a fondo avorio, a grafito non geometrico, ma ad andamento sinuoso; grafito che non ricorda, mi sembra, nè la croce, nè la raggiera, nè, direi, il fiore od il frutto; mentre il secondo tipo era fondo avorio, con qualche chiazza verde irregolare, od a grafito meno regolare del precedente, pasta più compatta e più pallida. A questi due tipi si aggiungevano, ma noi li schifavamo, quelli a vernice verde, in quanto erano meno allettevoli al gusto infantile. Qualora i nostri amici liguri che si occupano di queste ricerche, trovassero che il centro pavese ha qualche interesse, suggerirei di cercare di approfondire anche qualche altro elemento in merito alla ceramica che si è detta bizantina con tutte le riserve che il relatore ha giustamente avanzate. Non si dimentichi che Genova, molto più vicina a Pavia di Venezia, a compensazione della sua bilancia commerciale, riceveva dall’entroterra tutta una serie di prodotti. E non si dimentichi nemmeno che, tramite la via del Ticino e del Po, la capitale del regno longobardo — 230 - era in rapporti non sempre di amicizia ma frequentemente di scambio con la bizantina Ravenna. Fra il patrimonio medioevale pavese c’è una porta di bronzo asportata da avenna, c e una epigrafe greca (si faccia bene attenzione: il greco era la lingua della capitale dell esarcato, non la lingua della capitale del regno lombardo); infine cera, sino a quando la rivoluzione francese non pensò di demolirla, una statua in bronzo rappresentante un imperatore romano ricordata anche dal Petrarca, che si chiamava << il Reggisole ». Una piazza del Reggisole esisteva anche nella’ Napoli bizantina ed anche a Ravenna era una piazza dedicata ad Apollo, che reggeva il sole. Il Reggisole pavese veniva appunto dalla piazza di Ravenna 'dedicata ad Apollo. Se si trasportavano le statue, probabilmente si trasportavano anche piatti e tazze ed altre cose del genere. Suggerisco questa, che forse può essere soltanto una pedina indiziaria, senza grande fondamento di certezza e solo perche ho visto con quale passione si possa considerare l’ipotesi e quanto proficua possa essere l’ipotesi come ispiratrice di un lavoro serio. PESCE Tre brevi precisazioni: le prime due sull’esauriente argomento svolto dal dottor Marinoni con grande competenza: direi che qui usciamo dal dilettantismo e ci troviamo di fronte ad uno studio condotto con esauriente competenza. La terza precisazione mi è stata suggerita dall’intervento del prof. Borlandi. Riferendomi al dottor Mannoni, mi pare che l’esistenza di centri di fabbricazione di ceramica a Genova anteriori al '400 sia ormai confermata dalla documentazione archivistica. Già da tempo si hanno notizie di un’attività ceramica nel ’200. Piuttosto enigmatica la tipologia perchè la ceramica non ha ancora le caratteristiche proprie. D’altronde le ceramiche di uso comune che in abbondanza sono state trovate nel pozzo di Ponticello ed in quello di Pammatone, non si discostano dalla produzione generica delle stoviglie di importazione. Se si vuole riguardare la ceramica ligure per le sue caratteristiche intrinseche, allora occorre riportarsi alla fine del ’400 o verso il ‘’500: si vedranno allora le prime ceramiche di impronta pesarese-urbinate già adattate al tipo di fabbricazione ligure. Direi quindi che è indispensabile considerare queste ceramiche alla luce dei dati forniti dalle ricerche archivistiche. Meglio ancora se si avrà la fortuna di scavare depositi di fornaci; comunque per ora c’è la documentazione archivistica. Circa la datazione stratigrafica col contributo delle monete, i due esemplari di monete ricordati dal dott. Mannoni e da me esaminati ed assegnati alla monetazione di Giano e di Tommaso di Campofregoso, questi due esemplari permettono di assegnare una datazione precisa al reperto di scavo, soprattutto tenendo conto non tanto della tipologia, ma dello stato di conservazione. Queste piccole monete che si chiamano minuti e che costituivano la moneta spicciola genovese e che si smarrivano con facilità, dato anche il loro scarso potere d’acquisto, si contrappongono ai genovini d’oro, che in genere si trovano soltanto se erano stati volutamente occultati nel terreno. Il modo di dire « comperare al minuto » deriva da questa monetina genovese che costituiva la frazione infima, quella che era alla portata di tutti: venne coniata nel periodo dei dogi a vita e quindi dal 1339 al 1528. Ogni minuto porta le lettere iniziali del doge cui si riferisce: se l’esemplare ritrovato è in ottimo stato di conservazione, si può naturalmente risalire alla data di emissione. — 231 — Talvolta i dogi eletti stavano in carica per breve tempo, anche un giorno solo: li eleggevano e li decapitavano: però riuscivano a coniare monete, per cui c i a cuni dogi abbiamo notizia solo attraverso le loro monete. , .. Ciò premesso, desidero sottolineare che il secondo dei due minuti, que o i Tommaso di Campofregoso, è fior di conio, cioè coniato e perduto. Questa circo stanza permette una più precisa datazione dello strato in cui la moneta stata ro-vata anche perchè quest’esemplare possiede ancora la sottile argentatura c e con sentiva di dare l’aspetto più nobile al rame impiegato per coniaila. accoman erei pertanto di tener sempre in gran conto il ritrovamento di una moneta, ma anc e specialmente il suo stato di conservazione. . Al prof. Borlandi che si è mostrato cordialmente interessato agli stretti rapporti tra Genova e Pavia, voglio ricordare che la moneta corrente a enova prima dell’attività ufficiale della nostra zecca era quella pavese. Noi sui documenti d archivio anteriori alla comparsa della moneta genovese (1139) trpviaino^ citati 1 o bruneti pavesi: son denari d’argento, di tipo primitivo, di diffici e interpre az , che rappresentano per molti anni la moneta di scambio nelle contrattazioni. ,. di una moneta d’argento; per l’oro si ricorreva agli aurei arabi, a que 1 on ’ ai solidi di bisanzio ed anche agli aurei romani ancora in circolazioni.. et si usava il denaro pavese: ciò significa che si riconosceva il credito c ìe go moneta pavese che i Genovesi adottarono per i loro traffici commercia1. ttj Questo sistematico ricorso alla moneta pavese conferma af'cor P*u . rapporti economici tra Genova e Pavia ricordati dal prof. Borlandi. Aggiung che questi bruni o bruneti risulterebbero forse anche falsificati a eno\a’ . «• mente i Genovesi, non potendo disporne a sufficienza, provvi ero a per conto loro. TONGIORGI E’ stato toccato un argomento di estrema importanza ne tcn <. stare obbiettivamente gli studi della ceramica. Tutte le volte eie noi jk jg. mettere a confronto i dati provenienti dall’informazione archivistica co sunti da materiale raccolto negli scavi, ci accorgiamo che in ta uni rr:soon. evidentemente delle incertezze nella interpretazione. In altri termini l’imnor- denza è assolutamente perfetta quando l’attività di alcuni centr* ass^ j pjsa tanza di una produzione industriale: allora non vi è alcun u io. produce ceramiche a decine di migliaia, quando esporta ceramica n quando esporta ceramica anche a Genova, quando commercia per espor ramica in grandissima quantità, allora la documentazione archivistica corrisp fettamente a quello che è il ritrovamento archeologico. Pero in a tri casi « piamo che in certi periodi (e cito per esempio il periodo dal 1430 a , P j;mo. che riguarda Pisa, periodo nero per la storia pisana), i documenti tecnici strano che in questo periodo sono esistiti fabbricanti di ceramica e vasai. v’erano botteghe che erano attive anche se l’accuratezza di tutte le ricerc e e mole di materiale raccolto finora non valgono a documentare 1 attività i que artigiani pisani in un periodo in cui evidentemente la produzione aveva esc usiva mente un significato locale, era estremamente ridotta. Se ne deve dedurre che non si verificava allora alcuna esportazione anzi, » questo proposito, vorrei proprio riferirmi a questa crisi della storia pisana per sot tolineare il legame che si stabilisce in questo periodo tra Pisa e Savona e vorrei — 232 - corrèggete !a grafia di duc nomi come vengono normalmente trascritti dagli studiosi Lgun di due pisani; il Bartolomeo di Paolo (e non Paolo Bartolomeo) e Colo di Pietro (e non Collo di Pietro), che sono conosciuti a Pisa, che hanno pagato le loro imposte ai Fiorentini nel 1402, perchè in quell’anno avevano ancora bottega. Siamo nel periodo in cui si fa risentire gravemente la dominazione fiorentina: vengono imposte continuamente nuove tasse e questo provoca uno spopolamento di Pisa e l’emigrazione dei due Pisani Colo di Pietro e Bartolomeo di Paolo a Savona. D’altra parte questo non è altro che l’inizio di una continua emigrazione da Pisa verso questa nostra regione: il fatto si ripete nel 1465 e nel 1467. Questi due periodi citati sono estremamente interessanti: il primo periodo, quello del trasferimento dei ceramisti del ’400 significa un collegamento della fase ceramica a ramina-manganese della maiolica arcaica; l’altro significa invece un trasferimento della produzione « graffita » nella sua fase di inizio. Poi nel 1465 abbiamo Lorenzo Nico che si trasferisce a Savona con il figlio Giovanni per dare avvio ad una fabbrica presso la quale lavorano anche i figli Bartolomeo e Andrea. Da quanto ho detto emerge la necessità di valutare le notizie che ci provengono dai documenti liguri; in tal caso si nota come questi ceramisti pisani continuino ad essere chiamati i maestri pisani perchè ancora alla fine del ’400 e negli anni appena successivi si parla di Gabriello e Piero Onofri e di Gasparino Scotto e Benedetto Scotto ed altri che lavoravano alle dipendenze di maestri pisani a Savona. Questa gente che conserva la qualifica di maestro pisano e che certamente ha portato in Liguria l’esperienza ceramica pisana, evidentemente inserisce in un tipo di produzione locale le caratteristiche di produzione dei paesi di origine. Qui in Liguria i ceramisti di altri paesi acquistano nuove esperienze e si mettono a produrre quadrelli (così chiamano le piastrelle) che servono a fare pavimenti ed a rivestire muri. Questa attività rappresenta una caratteristica ligure che non ha certamente riscontro a Pisa. Quindi con le graffite si trasferisce in Liguria l’esperienza di un centro ceramico di altri paesi ed alla fine il nuovo tipo di produzione si trasforma ed acquisisce impronta locale sua propria. Questo non succede invece quando la ceramica è nettamente d’importazione: tra i tipi che abbiamo considerato prima è evidente che esiste una gran quantità di ceramica pisana relativa a periodi in cui si conosce una intensa attività delle fab briche pisane. Io personalmente rilevo con sorpresa un fatto che meriterebbe di essere approfondito, cioè: la mancanza in Liguria di tutta la produzione pisana dalla fine del ’400 alla prima metà del ’500; mentre quella tarda, sulla fine del ’500 e dei primi del ’600 è nuovamente ben rappresentata. Come mai non ho notato ad esempio alcun pezzo della produzione pisana riferibile alla ceramica più interessante, quella a fondo ribassato? Questo tipo manca completamente nell’area di Savona, eppure era una ceramica prodotta in grandissima) quantità, anche su un piano industriale: essa si trova importata anche in paesi lontani come il Marocco, l’Egitto ed anche Costantinopoli. Qui a quanto pare manca completamente, per cui bisognerà riferirsi ad un altro elemento importante che io credo dovrà essere tenuto presente a fianco delle testimonianze positive. Il fatto cioè di aver ritrovato in Liguria materiale che è sicuramente pisano e si è stabilito che Pisa inviava a noi la sua ceramica dalla fine del ’300 agli inizi del ’400; poi notiamo una pausa e la troviamo infine abbondante sulla fine del ’500; mi domando se questa interruzione non vada collegata a fattori di ordine storico e di carattere economico. GUIDO FARRIS LA MAIOLICA LIGURE NEI REPERTI DI SCAVO NELLA COLLINA DI CASTELLO Per il riferimento agli oggetti descritti nella presente comunicazione ed illustrati durante il convegno con proiezione di diapositive, cfr. il Catalogo della « Mostra retrospettiva della ceramica ligure » dove sono in parte riprodotti. Il dott. Mannoni ci ha illustrato in modo evidente i prodotti ceramici liguri che hanno preceduto la comparsa della maiolica vera e propria. Alla rassegna che ci ha fatto, così esatta dal punto di vista scientifico, tenteremo di allacciare in qualche modo l’esposizione di un insieme di dati sulla maiolica stessa quali abbiamo potuto ricavare anzitutto in occasione delle prospezioni fino ad oggi effettuate nella collina di Castello e quindi dall’esame del materiale raccolto durante tali scavi. Trattasi necessariamente di un bilancio preliminare che forse non ci consente ancora di esporre una cronologia della maiolica ligure, che forse ha ancora troppi vuoti e che forse pone più problemi di quanti non ne risolva, ma abbiamo voluto in questa comunicazione illustrare i reperti della maiolica della collina di Castello per due ragioni che riteniamo egualmente importanti: la prima è che troviamo doveroso presentare questo materiale di scavo, portandolo a conoscenza di tutti così come è stato ordinato; la seconda è che siamo convinti che determinate ipotesi interpretative formulabili su tali reperti debbano essere valutate dalla discussione di un convegno di esperti. Dopo la protomaiolica già presentata ed illustrata dal dott. Mannoni troviamo nella collina di Castello una quantità discretamente elevata di frammenti di maiolica policroma il cui genere di decorazione ed il dato stratigrafico ci indicano come cinquecentesca, ma il cui impasto, la coperta, il disegno ed il cromatismo ci suggeriscono di ascriverla agli oggetti di importazione. Per quanto la ceramica di importazione non costituisca oggetto di discussione per il tema che ci siamo proposti, vale la pena di accennare che molta ceramica di importazione come già detto dal dott. Mannoni si trova associata a quella più facilmente attribuibile ad attività di officine liguri tanto nei secoli precedenti al ’500 quanto nei seguenti. Nella prima diapositiva possiamo rilevare una certa prevalenza di maioliche di orgine toscana ma anche qualche frammento di pro- — 237 - venienza metaurense. Più verosimilmente attribuibili ad attività di officina ligure e probabilmente genovese, sono i frammenti di maiolica a genere di decorazione cosiddetto calligrafico. Tale genere che viene solitamente riportato ad influenza orientale ed attribuito all’esecuzione dei « da Pesaro », è imitato da una decorazione che gli studi di Rackham ci consentono di ascrivere al tipo più antico di produzione delle officine di Isnik (l’antica Nicea). Il pezzo 243 - 1876 del Victoria and Albert viene datato da Lane tra il 1540 ed il 1550. E’ molto verosimile che le imitazioni genovesi di questa decorazione debbano essere ascritte alla 2a metà del XVI secolo quando i da Pesaro operanti in Genova erano Gian Francesco, Marcello e Cristoforo (1557-1590), Bartolomeo (1600), ed il genero Giovan Antonio Cagnola. Nei frammenti da noi osservati la decorazione è più affrettata, meno accurata; il pregio della fattura decade, il gusto tende a diventare gros solano e ad allontanarsi dalla precisione stilistica del modello turco che sembra miniato. Non a caso ho adoperato questo aggettivo se per curiosità degli studiosi posso segnalare di aver osservato su peigamene turche del secolo successivo che i segni grafici iniziali erano fastosamente circondati da una decorazione miniata con gli stessi identici motivi dello stile Isnik che noi chiamiamo calligrafico. Due pilloliere decorate con questo motivo sono state ritrovate quasi intere nelle nostre prospezioni. Molto spesso vediamo indicata come decorazione calligrafica anche una decorazione diversa e ciò crea una certa confusione nel lettore. Dopo un certo numero di confronti ritengo che almeno per quanto riguarda il XVI secolo e forse una prima parte di quello successivo, sia valida anche per noi (in Liguria) la classificazione fatta dal Piccolpasso. Cominciamo dalle « Rabesche » che (dice il durantino) « più si usano a Vinegia et a Genova che in altro luogo e pagonsi di fattura al pittore un fiorino il cento / in Vinegia quattro lire che alte di prezzo ». Abbiamo potuto raccogliere frammenti che verosimilmente possono essere ascritti al modello delle rabesche del Piccolpasso, nonché a quello che, limitatamente alla bordura della tesa, egli indica come decorazione « a soprabianchi » e specifica essere di uso urbinate, ma soprattutto è interessante rilevare che troviamo frammenti decorati « alla porcellana » esattamente sovrapponibili al modello del durantino e che egli si sbriga dicendo che « questa è pittura generale e pagasi 2 lire il cento e anco 20 bolo-gnini ». Che cosa ci ha voluto dire il Piccolpasso con quel « generale »? — 238 — * Che si tratta forse di un tipo di decorazione eseguito un po’ in tutte le citta. Mi piace sottolineare la esatta corrispondenza di qualcuno di questi frammenti al modello del Piccolpasso anche perchè esiste un documento (cui fa riferimento il Morazzoni) secondo il quale il Senato genovese concedi, va nel 1628 il privilegio di « . . . fabbricare vasi di porcelletta o simili alla porcelletta ... ». In qualche altro frammento vediamo comparire però, associato talvolta alla rabesche, un nuovo tipo di decorazione a grosso fogliame. Se ci rifacciamo ancora una volta, e non sarà l’ultima, al Piccolpasso, vediamo che ci dà due esempi di decorazione che chiama a « foglie » e precisa che « queste si fanno a Vinegia et a Genova più che in tutti i luoghi e pagonsi il cento 3 lire ». Il fatto stesso che il Piccolpasso ci offra due esempi diversi di decorazione a foglie, ci lascia supporre che alcuni dei frammenti da noi presentati possano essere ascrivibili a tale genere. Se questa ipotesi potesse essere accettata si verrebbero a colmare e perplessità del Morazzoni che dice di non aver mai potuto osservare nelle raccolte genovesi quella che lui chiama « l’agitata esuberanza di questo grasso fogliame ». Ora ci sembra proprio che i frammenti da noi repertati corrispon-ano alle aspettative aggettivate dal Morazzoni e comunque dobbiamo sottolineare che 1 impasto ha tutte le caratteristiche per essere autoctono. Ma almeno per un frammento dei nostri ritrovamenti ci è consentita una ulteriore ipotesi sulla scorta del prezioso Piccolpasso. Nella decorazione « a Paesi » egli dice: « questi a Vinegia et a Genova e al presente a noi e pagonsi 6 lire il cento ». Erano evidentemente tra i più cari. Non sono riuscito a trovare, ma debbo precisare che non ho la presunzione di aver fatto una indagine bibliografica completa, una descrizione che soddi-s i canoni del durantino. Vale secondo noi anche in questo caso quanto già detto per la decorazione a foglie. Evidentemente i paesi come le og ie sono soggetti variabili e non si può pretendere che il Piccolpasso ematizzasse la sua classificazione al punto che il paese dovesse essere proprio quello da lui raffigurato nella tavola 31. E’ interessante qui rilevate come per questi generi di rigore meno schematico per es. di quello « a porce ana >> « a tirata » (che infatti corrispondono quasi perfettamente g 1 ^ confronto) egli usi sempre il plurale « foglie », « paesi ». Anche il genere decorativo che il Piccolpasso chiama Quartiere e dice q o e uso Urbinato » troviamo tuttavia a Genova ed è interessante come si tratti di una indicazione anche in questo caso del tutto — 239 — nuova. Segnaliamo che di recente il sig. Cameirana ha scoperto in Savona una notevole quantità di materiale con decorazione a quartiere in grossi depositi costituiti da scarti di cottura delle locali fornaci. I grossi boccali che abbiamo potuto ricomporre e che presentiamo si discostano di poco da quelli studiati dal Morazzoni, dal Grosso e dalla Botto e riteniamo di poter condividere l’unanime attribuzione a fattura genovese della seconda metà del XVI secolo. Se lo stile ed il genere decorativo lasciano presumere, come è già stato da altri studiosi rilevato, una influenza pesarese, nei nostri reperti rileviamo tuttavia che le figure femminili incorniciate a tondo sono particolarmente spiritose se non addirittura caricaturali. Si noti in particolare il grosso e lungo naso di uno di questi profili. Per il piatto che presentiamo, si può notare che corrisponde esattamente ad uno di quelli repertati dal Grosso nel pozzo di Ponticello ed ascritto da questo a « fabbrica genovese-pesarese, del primo quarto del XVI secolo ». E’ un genere di decorazione che doveva essere piuttosto comune se si tiene presente che frammenti di oggetti del tutto simili se ne trovano in quantità piuttosto rilevante, ma che il dato stratigrafico e, quando questo non è possibile, la associazione ad altre ceramiche o monete, ci suggerisce di proporre per il nostro reperto una datazione un poco successiva a quella del Grosso e cioè nel terzo quarto del XVI secolo. L altro frammento è della fine di tale secolo o del principio di quello successivo. Anche per i piattini e scodelline della successiva illustrazione, che si trovano in notevolissima quantità e che sono evidentemente di una decorazione piuttosto modesta ed affrettata (si noti tuttavia la rapidità e la sicurezza della pennellata di questi artigiani che riescono a rendere armonioso anche un oggetto che non ha pretese d’arte) dobbiamo proporre una revisione di data. Diciamo anzitutto che si tratta di un genere decorativo e di una forma esattamente sovrapponibile a quelli studiati dal Grosso e da lui attribuiti a fabbrica genovese-pesarese del primo quarto del XVI secolo. Gli oggetti illustrati da questa diapositiva provengono da una sacca in cui tutta la restante ceramica ed una moneta genovese da 5 soldi sono del XVIII secolo. Vi è da aggiungere però, come vedremo parlando della ceramica conventuale repertata nella collina di Castello, che questi piattini e queste scodelline, con la stessa forma e con lo stesso genere di decorazione, si riscontrano anche ed abbondantemente fino alla fine del XVIII secolo. Ci pare quindi interessante sottolineare la persistenza di un genere decorativo economico per un periodo che va dall’inizio del XVI secolo fino alla fine del XVIII secolo. — 240 — *c Con * * zione H'0 101210 XVII secolo assistiamo alla comparsa di una decora-iversa che si caratterizzerà gradatamente con genere che apparirà anche6 ln^uenzato da rnodelli estratti dalle botteghe dei pittori liguri , come in questi due coperchi, sopravviverà a lungo un certo orientaleggiante. spontan^'^1 P*ttura genovese assumono talvolta anche maggiore femmini]1*3 SU^a mai°^ca» come appare nella dinamicità di questa figura nello d 1 VISta ^ dorso e che ha la grazia e la vitalità che solo il pendeste fi ^ran<^e artista sanno infondere. Abbiamo voluto raggruppare & e Perchè ci danno un’idea della diversa possibilità espressiva zione delî 011 ^ £°®agg*ne grossolana di questo angelo e l’approssima- n^k;U' C,.a ^g^a femminile contrastano con quella di prima e con la nobiltà di quest* £ i -i • a ,. ngura maschile in toga e tocco. decoro " pUtt* c^e giocano con il cane che salta, ancora schemi di siva ne* aii.tappezzeria » su un piatto poligonale . . . una vivacità espres-mondo all lar°SCUr^ della monocromia azzurra che lascia intravvedere un biamo • ricerca di una vita spensierata, allietata da cose belle. Ed abdi dee ^UlUn «empio assolutamente tipico della evoluzione di quel genere a Vinegi^1006 & c^e’ come abbiamo detto, il Piccolpasso attribuisce Primo ' C et 3 ^enova- Ci si consenta di far rilevare due particolari: il '1 color delle forme vegetali ottenute circoscrivendo i contorni con P°nibile U C0^>a^to scuro e che secondo noi è un tipico esempio sovrap-Piccolpaj3 ^Ue^° illustrato nell’emilato destro della tavola 28 (fig. 96) del queiii deli°' ^ sec°ndo è che questi tulipani sono notevolmente simili a centesco f. SUccessiva tavola 29 del durantino in quella che l’A. cinque-ture ve ,larna decorazione a fiori dicendo « Veramente queste sono pit-q lane cose molto vaghe e si pagano 5 lire il cento ». anche a\ <^n^>la significativo l’aver illustrato questo pezzo che dimostra, ture -1 fuori delle notizie del Piccolpasso, le affinità tra le manifat- Veneziane ~ Per il f ^neWe genovesi. di frarn • .rarnrnento successivo vorremmo invece proporre una lettura locali lstlone tra influenze orientaleggianti e tradizioni pittoriche Petua npii COrne abbiamo già detto un ricorso a modelli orientali si perdilo Stilp. -ii pr . c « a tappezzeria » del reperto successivo. ^e! Labò larn° ora questa illustrazione ricavata da una pubblicazione ^ figure de^ Ceram*ca di Savona. Si tratta di un grande piatto in cui mano sirenC°tatlVe costituite da grandi esseri alati (Labò e Barile li chia- e> Morazzoni chimere', da angioletti, da conchiglie e da ma- — 241 — * scheroni sono ottenute a rilievo. L’attribuzione al XVII secolo è giustamente unanime così come l’analogia con le forme osservabili negli oggetti in argento sbalzato. I nostri frammenti sono purtroppo insufficienti ad una ìicostruzione ed abbiamo voluto integrare il reperto con la fotografia del piatto con servato al Museo di Milano per coloro che volessero partecipare a a discussione. Sulla maiolica non dipinta della Liguria sarà necessario che g i stu diosi soffermino in futuro la loro attenzione perchè gli smalti sono di una bellezza e di una nobiltà tale da consentirne il raffronto con i bianc li più classici di altre regioni italiane anche quando si tratti di oggetti i uso modesto come quelli illustrati in questa diapositiva (si tratta di reperti da una sacca del XVII secolo). Ma la vivacità e la grazia spontanea che i decoratori hanno saputo infondere con poche pennellate a raffigurazioni di scene come questa, caratterizzano in modo eccezionale la nostra maio lica. Entriamo nel XVIII secolo e la maiolica conserva questa ele§ant^ esuberanza, questa dovizia di ornati e di forme come ci è esemp i ca dall’azzurro campeggiare di queste foglie su fondo turchino e a e vo Iute attorcigliate delle anse. . Si affermano i nomi delle manifatture che rimarranno famose. ui è Andrea Levantino che firma una alzata decorata ad alberi ed albere ì^a casette in lontananza, a figura e steccato in primo piano. L insieme, ^ lascia molto bianco, costituisce un paesaggio unitario, armonioso e a lità consente al pittore l’uso di un linguaggio sintetico che, pur ri acen dosi a modeli di Ratti o di Magnasco (come afferma il Morazzoni), acqui sta tuttavia una sua individualità. II tratto a manganese ha la vivacità di uno schizzo eseguito su a^ bum ed è integrato assai bene da qualche sfumato lieve di ramina che e quasi inapparente. L’uso del manganese con la tecnica dello spugnato e un’altra novità del sec. XVIII. Le figurette, i cavalli, i piccoli paesaggi conservano nei cartigli questa spontaneità dello schizzo. In questa dia positiva vediamo piatti del Folco e di Luigi Levantino e per questo coperchio a spugnato proponiamo ancora l’attribuzione alla manifattura di Luigi Levantino. Difficile ci sembra la possibilità di una attribuzione per il successivo coperchio con la decorazione a ruderi. Si consideri infatti che questo genere decorativo fu usato nel XVIII secolo da quasi tutte le officine savonesi ed albisolesi su piatti, vasi, — 242 — ✓ teiere e chicchere, così pure come per due di questi piatti col fiore di cardo nel cavetto. Per l’altro frammento a fiori possiamo forse pensare a Giacomo Berti; così come per il successivo piatto a fiori non firmato e per il quale potrebbe anche essere ammissibile il nome di Agostino Berti, e ancora il cavetto di questa alzata con figura policroma di uccello ci rie iama ai Berti, mentre il successivo piatto policromo a decoro floreale non ci lascia dubbi perchè firmato nel fondello con G.B. come il piatto e a successiva illustrazione. La tazzina di fattura finissima e di decorazione molto elegante policroma a piccolissimi fiori non è firmata ma ci sembra avere caratteristiche da meritare eguale attribuzione. Q 1 u camaïeu jaune (tutti i frammenti da noi presentati sono anonimi) sarà bene far rilevare una certa affinità con maioliche di Mou-stiers dalle quali ci sembra derivato anche il genere di decorazione ed in particolare da quello a cosiddetti fiori di patata. Che poi si tratti veramente i ori di patata o di solinacee è stato contestato in quanto ad Held sem-rer*" e Piuttosto derivare dal « jasminum fruticans » e le patate non sare bero state conosciute in Provenza che sul finire del XVIII secolo. Anche per questi oggetti preferiamo evitare l’ipotesi di una attribuzione, poiché tale genere decorativo fu usato da un gran numero di maio-icari savonesi e albisolesi. Riproponiamo l’attribuzione ai Berti per i frammenti della successiva i ustrazione e facciamo rilevare una seconda volta su questi frammenti di tese un genere decorativo a trina che si rifà a modelli di Mou-stiers. Per lo stupendo piatto anonimo a decorazione floreale accuratissima^ (a grande fuoco si badi bene) suggeriamo seppure con qualche per- ii essità il nome di Agostino Berti. E per il frammento di « veilleuse » che oveva essere molto bella quello di Giacomo Berti. • ri successiva illustrazione ancora un piatto in cui è evidente la n uenza delle decorazioni usate nel XVIII secolo dalle manifatture di oustiers e nel quale la trina della tesa è costituita da ghirlande di frutti ori, nel cavetto un motivo floreale piuttosto convenzionalizzato. E’ marcato « lanterna ». Per dimostrare con maggiore evidenza i rapporti con la maiolica di oustiers ho voluto presentare i frammenti anonimi di questi piatti a r te j.Una ripr°duzione fotografica di un « plat de chasse » della mani- i Clerissy del principio del XVIII secolo. I nostri frammenti sono curamente più tardi; vi si notino: una minore finezza della trina che tesa, una rappresentazione del paesaggio che è nel cavetto del — 243 - tutto tipica per la tradizione pittorica nostrana. Sul grande piatto della illustrazione successiva, a monocromia turchina riteniamo opportuno fare alcune considerazioni: il Morazzoni ne pubblica uno esistente a Bruxelles (Musée du Cinquantenaire) del tutto simile (al punto che azzarderemmo l’ipotesi che siano stati eseguiti dalla stessa mano). Le differenze sono queste: orlo festonato nel piatto del Morazzoni; orlo continuo nel nostro; stemma comitale entro cartella nel cavetto di quello del Morazzoni; motivo floreale nel nostro. Il Morazzoni non accenna all’esistenza di marca mentre il nostro è marcato « lanterna ». Ma la parte più importante dei due piatti e cioè la decorazione che occupa tutta la grande tesa, l’ingiro e parte del cavetto è uguale nei più piccoli dettagli. Il Morazzoni presenta il piatto assieme ad altri attribuendoli tutti a « manifatture varie di Savona » e sostiene come datazione « fine del secolo XVII ». Riteniamo di avere qualche ragione per proporre di prolungare tale datazione di un intero secolo. Ci auguriamo qualche intervento definitorio su tale discordanza limitandoci per ora a far rilevare le caratteristiche generali della decorazione ed in particolare di quella del cavetto. La successiva illustrazione dimostra infatti nel cavetto della ciotola della fine del XVIII secolo una versione più semplificata di quel motivo floreale che forse ha sempre qualche riferimento con i fleurs de pomme de terre di Moustiers, così come è semplificata la trina dell’orlo anch’essa ormai ricordo lontano della influenza di Moustiers. Presentiamo quindi ancora altri esempi delle semplificazioni viste nella illustrazione precedente. Si noti che questa maiolica è rappresentata in alcune zone della collina di Castello in rilevante quantità ed è quasi sempre anonima. Arriviamo agli ultimi anni del XVIII secolo o forse anche ai primi del XIX quando troviamo ancora qualche tentativo di buona decorazione; ma che sembra aver perduto la esuberanza, la vitalità anche se il terzo fuoco tenta di proporre nuovi motivi come è in questa monocromia verde marcata « lanterna » oppure nelle terraglie inglesi decorate stupendamente dal Boselli di cui in collina di Castello abbiamo anche trovato maioliche non firmate che hanno una nota decorazione da lui usata: quella visibile anche sui frammenti di tazzine in terraglia. Vi ringrazio per avermi voluto ascoltare così pazientemente e per avermi dedicato più tempo di quanto ne meritasse il mio modesto contributo. Concludo augurandomi che molti vorranno intervenire aiutandoci a dissolvere gli infiniti dubbi che ci assediano. - 244 - DISCUSSIONE MANNONI Il problema degli impasti è un problema che dovrebbe essere approfondito, perche e chiaro che in tutta la maiolica sicuramente di fabbrica genovese, albisolese o savonese marcata o non marcata, l’impasto è costante, ed è dato da una terra fatta con marna molto calcarea, quindi molto farinosa, poco coerente, ricoperta da un potentissimo smalto, che è quello che tiene insieme il tutto; an2Ì viene da domandarsi, come nel caso di quella tazzina di cui parlava il prof. Farris, di pochi millimetri di spessore, come facessero ad ottenere il grezzo, prima di passare alla smaltatura. Ora il problema è interessante, ed andrebbe affrontato, perchè si dubita che altro materiale sia di produzione locale, perchè è di impasto rosso, fatto cioè con argille di fiume più ricche di ferro e povere di calcio. Il problema è di vedere se in Liguria c era la possibilità di fabbricare anche terra cotta di questo genere, con argilla di fiume e non con le marne. In questo caso, andrebbe risolto il problema deli ongine delle ceramiche a pasta rossa, come liguri. C’è da domandarsi come mai i fabbricanti di Savona ed Albisola continuavano ad usare la marna, così poco adatta da questo punto di vista, se c’era invece la possibilità di avere argille molto più resistenti, nella stessa Liguria. Può darsi benissimo che si usasse la marna per motivi di dilatazione tra impasto e smalto. Proprio Albisola dovrebbe indicare una soluzione a questo problema. — 245 — - VITTORIO MELA LA DATAZIONE DELLA CERAMICA CON OSSERVAZIONI AL MICROSCOPIO L argomento è generale nel senso che non è che abbia a che fare esclusivamente con la ceramica albisolese e savonese, ma si adatta alla ceramica in genere. Il problema della datazione della ceramica è sempre stato direi un problema molto difficile da risolversi in quanto questi prodotti per la loro natura non prendono la patina dell’antico: un oggetto di maiolica, qualunque esso sia, anche la semplice terracotta o la porcellana, o il gres, conserva per anni e per secoli — se conservato bene — le caratteristiche che aveva all’atto della fabbricazione. Infatti appare come un oggetto attuale, con nessuna differenza apparentemente visibile. Maneggiando casualmente le mie ceramiche e specialmente i vasi da farmacia della mia collezione, ho trovato una frattura casuale dello smalto: osservando questa al microscopio a forte ingrandimento ho intravveduto la possibilità di notare alcune differenze tra oggetti di vecchia produzione ed oggetti moderni. Il confronto fatto su frammenti di ceramica di epoche molto diverse mi ha fatto evidenziare qualche piccola differenza e mi ha indotto ad osservare più attentamente le modifiche ed a farne oggetto di studio. Uno studio limitato perchè è evidente che siamo soltanto degli appassionati collezionisti e non sappiamo dedicare troppo tempo a questo argomento. Ho notato che provocando artificialmente la frattura sulla vetrina di copertura, si possono osservare alcuni comportamenti diversi che interessano quella che si potrebbe chiamare l’anatomia dell’epidermide. La rottura viene praticata con la tecnica che andrò descrivendo: ciò che si osserva nel focolaio di rottura presenta caratteristiche che, a seconda dell’età del pezzo in esame,, sono differenti l’una dall’altra. Non ho la pretesa di aver scoperto nulla di particolare, comunque sottopongo ben volentieri i miei risultati alla critica di chi vuole occuparsi di questo argomento o magari bocciarlo. Con uno strumento a punta in acciaio si produce una soluzione di continuo sullo smalto, preferibilmente dove esiste già una traccia di vena- — 249 - tura e dove c’è una colorazione scura: non bianca perchè in tal caso il risultato è confuso e non si osserva con evidenza. Per procedere adopero un punteruolo in acciaio, molto acuminato, ma a punta terminale tondeggiante. Con questo strumento procuro una piccolissima frattura superficiale, con l’avvertenza di non strofinare il punto fratturato, perchè le briciole di smalto scheggiato non vengano rimosse: proprio dal modo in cui esse si dispongono al momento della percussione, dipende la possibilità di attribuire l’età dell’oggetto in esame. La differenza di comportamento si nota molto bene dalle diapositive che ho allestito. Sono riproduzioni fotografiche particolari, molto indaginose e costose perchè ho dovuto far allestire un apparecchio illuminante speciale per l’oggetto che è a quindici millimetri di distanza dal microscopio. E’ pure assai difficile illuminare convenientemente il fondo del focolaio di frattura se si tien conto che si deve sempre impiegare la sorgente luminosa tangenzialmente. Premetto che dai risultati da me ottenuti, oltre un certo tempo (cioè oltre il ’400) la risposta all’indagine microscopica è uniforme. Tutt’al più si può valutare, ma ciò è estraneo al metodo di cui vi parlo, il diverso spessore dello smalto che ricopre la maiolica. Secondo alcuni per esempio più si va indietro nel tempo e maggiore è lo spessore realizzato nello smalto. Comunque con l’impiego del metodo che illustro è anche possibile valutare lo spessore dello smalto, infatti la proprietà riflettente della vetrina consente di poter vedere con l’illuminazione tangenziale da me proposta, lo spessore della vetrina stessa. E’ questione di valutare l’andamento del raggio di luce riflessa che naturalmente varia con lo spessore: è un metodo assai semplice che è basato su un occhio molto esercitato. Col sistema che ho studiato io invece posso vedere sia il grado di profondità, che le caratteristiche di frattura: a seconda dell’epoca in cui è stato fabbricato il manufatto, si avrà un comportamento diverso. E veniamo ora alla descrizione del metodo: pratico, come ho detto, una piccola frattura sulla vernice nel punto stabilito ed osservo al microscopio a circa 120 ingrandimenti. Anche a 50-60 ingrandimenti posso ottenere una maggior profondità di fuoco. Se la frattura è stata fatta su una maiolica antica, ad esempio del ’400, all’osservazione col microscopio la soluzione di continuo appare pastosa: si nota chiaramente che la parte rotta si è polverizzata in tanti minuti frammentini che si sono depositati attorno al focolaio. Se ripetiamo l’esperimento su una maiolica di fabbricazione recente, ad esempio su un albarello realizzato 20-30 anni or sono, vedremo che la parte vetrosa colpita dalla punta non si polve- — 250 — rizza e quindi non compare al controllo microscopico. Questa diversità di comportamento deriverebbe secondo me da un diverso stadio di cristallizzazione della vetrina, dipendente dalla stagionatura. L’esperimento è stato da me condotto su ceramiche di epoche diverse, ma di accertato anno di fabbricazione, allo scopo di convalidare la persistenza del reperto. Ho proceduto sempre con lo stesso metodo, ottenendo il focolaio di frattura del diametro di poco meno di mezzo millimetro ed ho notato che, entro certi limiti, più la ceramica è vecchia e maggiore è la produzione di frammentini che si dispongono ad alone attorno al focolaio intenzionalmente prodotto. Non ho la pretesa di aver trovato un sistema perfetto per ottenere la datazione della ceramica: io stesso non so darmi ragione completa di quanto ho notato. Ritengo comunque interessante il metodo che propongo all’attenzione degli studiosi per gli eventuali perfezionamenti, allo 'scopo di renderlo più attendibile. Purtroppo ho eseguito una sola diapositiva per ogni esperimento: è opportuno disporre di una serie di fotografie per ogni rottura provocata, allo scopo di poter evidenziare il comportamento del trauma in diversi strati, ma soprattutto su quelli superficiali, onde poter valutare anche lo spessore della vernice di copertura. DISCUSSIONE PESCE Il metodo descritto dal prof. Mela, che da appassionato raccoglitore di maioliche scruta da anni le tracce del tempo sulle superfici dello smalto, merita a mio giudizio di essere approfondito e documentato. L’Oratore ha svolto le sue ricerche su due direttrici distinte: la prima tiene conto del grado di durezza dello smalto e del colore sottostante, la seconda sul grado di friabilità dello smalto stesso alla percussione. Durezza e friabilità si comporterebbero diversamente a seconda dell’epoca di fabbricazione della ceramica allo studio. C’è da chiedersi a mio avviso se la risposta diversa dipenda unicamente dalla età della maiolica o se non si debbano tener presenti altri fattori che al di fuori del tempo possono alterare chimicamente le vernici e gli smalti. Nel caso di ceramiche provenienti da scavo il contatto del terreno e l’eventuale presenza di sali non possono contribuire a modificare il modo di comportarsi? Circa la documentazione iconografica riterrei opportuno procedere all’allestimento di un certo numero di fotografie seriate per ciascun esperimento in modo da riprodurre con maggiori dettagli l’effetto del trauma provocato dalla punta di acciaio. Soltanto con questo accorgimento, oppure con la documentazione cinematografica, sarà, credo, possibile documentare con maggior attendibilità il reperto ottenuto. — 251 - MANNONI Il metodo descritto merita molta considerazione: occorrerebbe però poter controllare, dal punto di vista fisico-chimico, l’efficacia deH’esperimento e questo si potrebbe fare dal momento che, in teoria, se la vernice cristallina è recente, ha una frattura concoide; se è di antica data, per trasformazioni subite col tempo, si spappola. Bisognerebbe quindi cercare di stabilire quale è il limite di determinazione e costruire con prove sistematiche su diversi campioni, una tabella della devetrificazione. MELA Di fronte alle argomentazioni che sono state fatte debbo aggiungere che non ho assolutamente la pretesa di considerare decisivo il metodo che ho descritto. Ricordo ancora una volta che le mie ricerche sono incomplete anche per il motivo che non mi è stato ancora possibile perfezionarle. Ho voluto soltanto dimostrare che quando si provoca una piccola frattura sullo smalto che ricopre la maiolica, si possono osservare differenze di comportamento che, secondo la mia modesta esperienza, dipenderebbero dal diverso stato di stagionatura dell’esemplare in esame. LIVIO PANELLI LE PIASTRELLE NEGLI SCAVI DELLA COLLINA DI CASTELLO A GENOVA K Da qualche tempo, nella collina di Castello a Genova, sono in corso degli scavi archeologici durante i quali abbiamo occasionalmente rinvenuto alcune piastrelle, o laggioni, che ci hanno indotto a riprendere un argomento che, perchè minore rispetto alla ceramica, è sempre stato e forse un po’ a torto, poco sviscerato. Non ci proponiamo certo di tentare un’indagine tipologica delle piastrelle che sarebbe assurda in base alla scarsa entità dei reperti del nostro scavo; scopo di questa chiacchierata è solo quello di richiamare l’attenzione su oggetti di notevole pregio artistico ed estetico, troppo sovente non tenuti in sufficiente considerazione e soprattutto troppo sovente non difesi dalle manie di rinnovamento dei costruttori edili o troppo sovente abbandonati ad una notevole distruzione da parte del tempo e degli elementi naturali. L’uso delle piastrelle nel mondo è antichissimo come dimostrano i ritrovamenti delle torri della porta di Istar nel palazzo reale di Babilonia che erano ricoperte di mattonelle con figure di animali; così sono anche note le piastrelle a vernice verde e gialla, ad imitazione delle foglie di papiro, che rivestono le pareti delle gallerie che conducono alla camera mortuaria nella piramide costruita dall’architetto Imothep per il Faraone della terza Dinastia, Zoser, nel 3.000 a. C. In Liguria le piastrelle, di origine araba e portate dai mussulmani, giunsero dalla Spagna dove erano chiamate « azulejo »; questo termine deriva chiaramente dalla parola araba « al zuleja » il cui significato è piccola piastrella o mattonella. La parola araba « Lazurd, azul » deriva a sua volta dalla parola persiana « Lachuard »; risulta così abbastanza semplice individuare l’origine del termine ligure « laggioni » entrato perfettamente nel frasario corrente da essere ritrovato già negli atti notarili del ’400. Le prime piastrelle in Europa erano state portate dagli arabi che le avevano diffuse nella Spagna del Sud da loro occupata; quando dopo la - 255 - battaglia di Las Navas de Tolosa del 1212 i regni guerrieri cristiani riconquistarono nuovamente quasi tutta la Spagna del Sud la cui conquista definitiva fu completata ad opera di Ferdinando ed Isabella con la riconquista di Granada, ultima roccaforte mussulmana nel continente, si determinò l’incontro di due culture, ma i cristiani, meno evoluti, adottarono rapidamente gli usi e le tecniche della superiore civiltà araba. Così i mussulmani formarono la maggioranza della classe artigiana e lo stile arabo dominò incontrastato nel lavoro fatto da loro per i nuovi padroni cristiani. Fu così che il materiale principe per le costruzioni islamiche, il mattone, entrò a vele spiegate nell’architettura ed al suo seguito, il suo naturale corollario: la piastrella che venne diffusamente impiegata sia a ricoprire le superfici interne ed esterne dei muri, sia a ricoprire pavimenti od a rivestire soffitti, gradini, sedili, fontane. L’uso della piastrella si diffuse rapidamente dalla Spagna al resto d’Europa ed anche quindi, in Italia ed in Liguria dapprima come materiale importato e secondariamente come oggetto costruito sul posto. Fra i primi centri di produzione delle piastrelle nel Sud della Spagna troviamo Valencia ed altri centri minori della provincia (Manisses, Talavera ecc.) ed è dai libri delle imposte pagate sul materiale che usciva dalla città di Valencia diretto all’estero che veniamo a sapere che alcune piastrelle erano esportate a Genova, a mezzo di barche di padroni genovesi quali certi Antonio Grasella, Tommaso Carbonara ed altri nel 1441. Ma, contemporaneamente, a Genova, Savona ed Albisola era cominciata la produzione di laggioni probabilmente dapprima su modelli portati da marinai liguri dalla Spagna e poi via via in modo sempre più autonomo. Fra i primi fabbricanti va senz’altro ricordato Lorenzo Nico Pisano che da Savona dove già lavorava nel settembre 1465 chiedeva di impiantare una fabbrica a Genova; suo figlio a Savona riceveva alcuni anni dopo l’incarico da Paride Fieschi di fabbricare entro due mesi 40.000 laggioni. Le prime piastrelle liguri fabbricate alla fine del ’200 e nel ’300 erano lisce e monocrome ed il colore usato l’azzurro. Successivamente, al principio del ’400, entra nell’uso comune la mattonella a rilievo il cui disegno dell’ornato è costituito, secondo i canoni arabi, da intrecci geometrici che in un secondo tempo richiedono almeno quattro mattonelle per formare un disegno. Gli smalti usati in queste piastrelle sono prevalentemente di colore verde, azzurro, nero, ocra, giallo. Dopo la metà del ’400 nelle piastrelle, sempre a rilievo, compaiono motivi più fantasiosi e di ispirazione più orientale con fregi e stilizzazioni - 256 - V orea i che nella prima metà del ’500 vengono completamente sostituiti a stemmi araldici prevalentemente dipinti all’ossido di cobalto. A questo punto i laggioni, oltre a motivi di ispirazione spagnola (azulejos), ripetono a volte motivi faentini e pesaresi. I laggioni a rilievo erano dapprima del tipo a « cuerda seca »; questo tipo di lavorazione era giunto dall’Oriente in Andalusia dove i ceramisti l a encia avevano imparato a copiarlo, o imitarlo, e quindi avevano provveduto a diffonderlo in tutto il Sud dell’Europa. _ ^ tei mine « cuerda seca » deriva da uno dei particolari di tecnica impiegata nella fabbricazione delle piastrelle; infatti, per la loro costruzione, il ceramicaro doveva dapprima tracciare su carta il tema fonda-mentale decorativo che intendeva sviluppare sul pavimento o sul muro, quindi disegnare geometricamente su una piastrella delle linee rette il cui svi uppo poligonale avesse un suo ritmico equilibrio tanto da formare una composizione ben definita, non solo, ma far sì che queste linee, raggiunti i bordi della piastrella, potessero continuare unendosi con altri isegni fondamentalmente uguali di altre tre piastrelle vicine, formando una nuova composizione che avesse per centro il punto di unione delle quattro piastrelle. Questi disegni, il cui centro era nel punto di unione di quattro piastrelle, costituiranno il centro di simmetria di una immensa rete poligonale che rappresentava il motivo fondamentale della decorazione del pavimento. Le linee del disegno erano ottenute sulle piastrelle per mezzo di una cordicella ben tesa ed impregnata di grasso, che incideva profondi solchi nell argilla. Quindi, ricalcato il disegno sulle piastrelle, vi si passava sopra una miscela di olio di lino e si riempivano di vernice colorata con un ossido i poligoni risultanti dalle linee incise. Fatta subire alla piastrella la cottura, fra i poligoni colorati rimanevano dei solchi non colorati rappresentati dalla incisione praticata dalla corda bruciata nella cottura o successivamente rimossa. Questo particolare della « cuerda seca » è quello che ha dato il nome al procedimento tecnico di fabbricazione delle piastrelle; tecnica che però implicava una certa difficoltà nel fare disegni perfetti e, durante la cottura, consentiva facilmente una mescolanza dei colori dato che, sovente, il colore versato sui poligoni traboccava nei solchi. Successivamente veniva adottata la tecnica a « cuenca » (o incavo) che era perseguita con uno stampo, in genere di legno, che non solo semplificava ed accelerava il lavoro, ma lo rendeva anche molto più perfetto e preciso. Infatti con questa tecnica si confezionava dapprima uno stampo — 257 — V ove il disegno veniva inciso costituendo così una matrice con il disegno in altorilievo ed i solchi divisori in bassorilievo di modo che, pressata la matrice sull’argilla della piastrella, il disegno risultava infossato ed in vari poligoni separati tra loro da barriere sopraelevate che impedivano l’evasione del colore versato nel poligono. Dopo il primo quarto del ’500 il laggione a rilievo diventa più caro, sostituito dal laggione la cui decorazione viene dipinta su una superficie liscia; questa tecnica è molto più semplice, ma le piastrelle sono anche esteticamente molto meno belle. La decadenza del laggione si è successivamente delineata quando nell edilizia ha cominciato a prevalere il fasto ed il lusso ed i gradini e i pavimenti non sono più stati ricoperti di piastrelle, ma di marmi e quando alle pareti sono comparsi gli affreschi o le sete, gli arazzi ed i velluti. — 258 — GIOVANNI PESCE LA MAIOLICA LIGURE DA FARMACIA NEGLI SCAVI DELLA COLLINA DI CASTELLO La notevole prevalenza di vasellame da farmacia nella produzione ceramica ligure dei secoli XVI e XVII trova ancora una volta la sua conferma nei reperti di scavo in corso nella zona del centro storico di Genova. Dalle notizie emerse nelle precedenti comunicazioni relative a questa zona ricca di testimonianze del passato siamo oggi in grado di conoscere nei particolari l’attività dei nuclei monastici che vi avevano sede e di riflesso la loro funzione medico-religiosa assistenziale per i vecchi ed i malati. La storia degli stanziamenti ecclesiastici nel territorio compreso nella collina di Castello è ormai sufficientemente documentata: dai reperti di scavo poi, oltre alla conferma di notizie già emerse dalla documentazione archivistica, altri dati di notevole importanza si sono acquisiti circa la vita che si svolgeva in questi centri religiosi. Ogni comunità disponeva di una cospicua attrezzatura per il ricovero e l’assistenza dei malati. Il consistente materiale ceramico rinvenuto un po’ dappertutto fornisce esauriente documentazione su due principali attività che si riferiscono all’assistenza. Un primo gruppo di reperti comprende infatti quanto si riferisce alla suppellettile di corsia (sputacchiere, padelle, papagalli, tazze e zupppierine per l’alimentazione dei malati). La esistenza di numerosissimi oggetti di questo tipo conferma la disponibilità di un’attrezzatura completa. Interessanti e talora non comuni le forme e le decorazioni: la ceramica è per la maggior parte di fabbricazione ligure ed in alcuni casi, quantunque manchino i contrassegni delle fornaci o dei decoratori, è attribuibile per confronto all’attività dei Berti e dei Levantino. Non comuni le padelline per escreati in decorazione monocroma a fiorellini gialli. La ceramica bianca comprende piccoli recipienti per la somministrazione di liquidi (tazzine per brodo con cannoncino per la suzione) attribuibili alla produzione settecèntesca o degli inizi dell’800, nonché vasetti e tazzine per la somministrazione di piccole dosi di sostanza medicamentosa riservata ai ricoverati. — 261 — Il secondo gruppo riguarda la ceramica da farmacia che senz’altro è più abbondante e complessa. I frammenti più vecchi appartengono a vasi del secolo XVI: numerosi albarelli di forma classica, cilindrici, con decorazione monocroma blu a tralci con foglie stilizzate, sono frammisti a boccali ed a pillolieri. I vasi di quest’epoca per i caratteri tipologici, per la tecnica di cottura e di vetrina, nonché per il tipo di impasto, sembrerebbero importati da centri di produzione dell’Italia centrale, mancando assolutamente delle caratteristiche dello stile ligure. Rivestono notevole importanza perchè non comuni alcuni vasi panciuti a bocca larga, biansati, di notevoli dimensioni, a decorazione monocroma blu con elementi calligrafici arricchiti da motivi vegetali di tralci a volute (fine secolo XVI). I caratteri d insieme consentirebbero di attribuire questi vasi a fornaci operanti in Liguria: tuttavia il tipo della vernice e soprattutto l’estrema sottigliezza della vetrina fanno sorgere qualche dubbio in proposito. In effetti 1 impasto risulta notevolmente compatto, non friabile e giustifica pertanto a sufficienza la sottilissima vetrina di copertura. Degna di rilievo in questi recipienti la notevole varietà delle anse anguiformi con abbondanti volute a spirale nei punti di attacco al collo ed alla parte espansa del vaso. Sono pure non comuni i cartigli piuttosto complicati, terminanti a lunghe fiamme arricciate, che occupano gran parte del corpo; inoltre la scritta del medicamento è realizzata con caratteri gotici minuscoli, di solito in nero, 0 in marrone scuro. Tra i vasi di piccole dimensioni figurano i pillolieri — alcuni di essi ritrovati integri — a forma espansa, panciuta, a decorazione monocroma blu. Interessanti ed abbondanti i vasetti per unguenti, di forma cilindrica, ad orlo estroflesso. La ceramica da farmacia venne trovata negli scavi un po’ dappertutto mescolata a frammenti di ceramica d’altro uso. Come è stato riferito nel corso di precedenti comunicazioni la ceramica viene di solito trovata nel terreno frammista ad altri reperti: in tal caso la stratigrafia è di aiuto alla atazione e di riflesso la tipologia fittile facilita la datazione stessa. Ma non è raro il caso che nelle operazioni di scavo si rinvengano veri depositi ceramici in sacche intenzionalmente preparate. Questa ultima circostanza si presta a due supposizioni diverse: quando 1 materiale proveniente da una sacca è rappresentato da frammenti assegnabili ad epoche diverse, compresa la produzione fino a tutto il secolo , si può allora pensare che il contenuto sia stato riunito al momento i una probabile distruzione intesa a far sparire le tracce di una determinata — 262 — attività. Questa supposizione potrebbe essere giustificata ad esempio coi rivolgimenti accaduti all’arrivo delle truppe rivoluzionarie francesi nel 1798. sarebbe il caso della zona occupata dal Convento di S. Silvestro. Se invece il reperto cronologico delle sacche e dei depositi non contiene ceramiche recenti, ma si limita a materiale assegnabile alla produzione che va dal XIII al XVII secolo, in tal caso si può avanzare l’ipotesi che 1 interramento dei cocci conseguente alla distruzione del vasellame sia la logica conseguenza di una radicale operazione di bonifica sanitaria successiva alla comparsa di contagi e pestilenze. Attenendoci a tali supposizioni si può pensare che le sacche rinvenute nell’area di S. Silvestro risalgono agli eventi del 1798, mentre quelle di S. Maria di Castello deriverebbero dalla realizzazione di provvedimenti di profilassi conseguenti a gravi epidemie. Nell un caso e nell altro comunque l’interramento in situ sostituiva in passato le odierne operazioni di allontanamento e di smaltimento dei rifiuti. — 263 - guido farris LA MAIOLICA CONVENTUALE LIGURE NEI DEPOSITI DI SCAVO Quando abbiamo potuto iniziare un esame dei reperti provenienti dagli scavi eseguiti nella collina di Castello, ci siamo trovati di fronte ad una notevole quantità di ceramica appartenente agli ultimi secoli. Un numero abbastanza elevato di oggetti ceramici più o meno frammentari manifestava una particolare omogeneità; vogliamo dire che tali oggetti potevano essere considerati come appartenenti a comunità religiose e possedevano caratteristiche così peculiari da meritare uno studio particolareggiato. Abbiamo ritenuto di esporre in questa comunicazione gli elementi più salienti di questo studio preliminare nella presunzione che un certo numero dei nostri dati possano contribuire alla conoscenza di quella ceramica conventuale di cui vi sono numerosissimi esempi. Cominciamo ad esaminare il nostro materiale. Abbiamo voluto dare la precedenza ad una acquasantiera policroma in omaggio alla Galleria delle Quattro Stagioni che qui a Villa Farag-giana ospita la mostra della ceramica in quanto la parte centrale delle piastrelle settecentesche che pavimentano la Galleria mostra una decorazione a reticolo molto affine a quella che si osserva in questa acquasantiera anonima che riteniamo di poter ascrivere con facilità alla seconda metà del XVIII secolo. In frammenti di piatti del XVIII secolo troviamo lettere, sul fondello o nel cavetto, di sicuro significato conventuale data la associazione con la croce. Siamo propensi a considerare discutibili queste due ipotesi: 1) che si tratti delle iniziali della persona alla quale appartenevano gli oggetti, suggerendo che si tratti di proprietario investito di una carica nella gerarchia conventuale e facciamo rilevare come si tratti di tre lettere. Nel fondello la prima lettera, una D puntata, sta per Don e nel cavetto la prima lettera, una A, potrebbe stare per Abate-, 2) che si tratti delle iniziali di un ambiente religioso; potrebbero essere cioè le iniziali del convento, di una sacrestia, di una cappella, di un altare, ecc. - 267 - Escluderemo il significato di un motto religioso, di un frammento di preghiera e simili perchè, come vedremo più avanti, altri oggetti tenderebbero per analogia a confermare le due ipotesi da noi formulate. Ancora su frammenti di piatti si vedono decorazioni di appartenenza ad ordini religiosi. Si notano il monogramma della Vergine, gli stemmi francescani che la manica nera del braccio sinistro rivela appartenenti ai minori conventuali (se la manica fosse di color marrone si tratterrebbe invece di cappuccini}. Ora noi sappiamo che dal 1825 le monache francescane del convento di S. Leonardo che si trovava in Carignano, si installarono nel convento di S. Silvestro che era stato già delle domenicane (che venivano chiamate volgarmente di Pisa) e dalla manica nera di questi stemmi possiamo dedurre che si trattava di clarisse urbaniste (dipendenti appunto dai minori conventuali). E’ chiaro che questi frammenti (anche se piccoli) sono sicuramente anteriori al XIX secolo e conseguentemente sappiamo che le clarisse nell’andare ad occupare la nuova sede conventuale avevano portato con sè i loro corredi. Si noti ancora uno stemma verosimilmente ascrivibile all’ordine delle domenicane sormontato da una corona e con il fondello con le iniziali di proprietà. . . la prima è una S puntata che significa Suor. Da tutti questi reperti si ha un esempio di come pochi frammenti di ceramica possano dare un contributo di conferme alla conoscenza storica. La parola S. Leonardo interrompe la trina che decora la tesa di un piatto e conferma che si tratta proprio delle clarisse nella nuova sede e che gli oggetti del loro corredo erano del secolo precedente. Invece che sulla tesa, S. Leonardo si trova scritto nel cavetto di crespine anche se si tratta solo delle iniziali S.L. Il motivo floreale centrale e la trina della tesa sono, come già nei frammenti precedenti, evidentemente derivati dalla decorazione in uso nelle manifatture di Moustiers. L’appartenenza ad una comunità conventuale di numerose ciotole a decorazione modestissima, è così evidente che non ci sembra discutibile. La morfologia della croce presente nel cavetto ci suggerisce di ipotizzare una proprietà delle domenicane di Pisa piuttosto che delle clarisse e la scritta S.P. potrebbe essere interpretata come Sanctus Petrus. Abbiamo tuttavia notevoli perplessità per ambedue queste interpretazioni e ci auguriamo che dalla discussione ne possano scaturire di più attendibili. Le lettere scritte sulla tesa di un piattino non ci lasciano invece alcuna perplessità. Sono sicuramente le iniziali della proprietaria prece- - 268 - dente dalla S di Suor. Si tratta di quattro lettere e quindi oltre al nome di battesimo ed a quello del casato, vi è anche quello assunto pronunciando i voti. Lo stile decorativo è, per quanto volgarmente rappresentato, derivato ancora dalla ceramica di Moustiers. Il piatto è anonimo e non sapremmo indicare una attribuzione di officina. In altri frammenti si osservano altri esempi di nomi di proprietà sulla tesa. Taluni si leggono dall’interno altri dall’esterno del piatto. Per il piatto della successiva illustrazione del quale suggeriamo la provenienza da officina francese, la proprietà è graffita a cotto sul fondello. Questo uso è noto fin dall’antichità classica e non ci sembra particolarmente interessante. Ancora a cotto la proprietà può essere incisa sulla tesa come nell unico esempio di ceramica minore che presentiamo, segnalando tuttavia che ciò è stato da noi riscontrato costantemente sui vari quintali di piatti verniciati di questo tipo e che non abbiamo ancora avuto il tempo di esaminare. Aggiungiamo inoltre che anche tutto il vasellame da cucina è contrassegnato a cotto. Ancora a cotto ma con tecnica diversa puntiforme sono tracciate con un punteruolo le lettere sul fondello di una tazza di friaiolica. Ancora nella seconda metà del XVII secolo troviamo un genere di decorazione piuttosto semplice caratterizzata però da spontaneità popolare e da una certa armonia compositiva, ma l’elemento veramente nuovo e costituito dal fatto che queste ciotole e ciotoline sono quasi sempre con trassegnate sul fondello da lettere dipinte dal maiolicaro accompagnate tal volta da una croce ed alle quali siamo propensi ad attribuire il significato di appartenenza a singole suore od a particolari settori od attività della comunità conventuale. Ci è doveroso segnalare che su un frammento prove niente da scavi di Albisola ed in tutto simile a quelli da noi esposti, i Barile ha potuto osservare le lettere SM puntate che, come si vede, sono rappresentate da molti esemplari nei nostri reperti. Il Barile di fronte a un singolo reperto (tavola 14, fig. 69, pag. 102) lo pone tra le mare incerte, chiedendosi (mette il punto interrogativo) se non si tratti l’officina di Michele Sambarino. Anche nel XVIII secolo lo stesso genere decorativo delle ciotole si può ancora osservare; i frammenti che presentiamo ne sono un c P nario per dimostrare che lo stile non si discosta molto da que o ei s precedenti e per illustrare che le varietà non sono molto rilevanti ed anc e — 269 — in questo caso sul fondello si trovano con grande frequenza due, tre o quattro lettere dipinte dal decoratore. Ci sembra interessante aggiungere qualche considerazione marginale sul valore che vengono ad assumere queste lettere. Anzitutto risulta evidente che la singola suora od il convento chiedevano al maiolicaro un certo tipo di decorazione con determinate caratteristiche e, data l’importanza delle comunità conventuali nei secoli XVII e XVIII, tale fatto deve aver avuto una certa portata nella produzione ceramica. Possiamo azzardare che il pezzo illustrato dal Barile dimostri che le suore di S. Silvestro o quelle di S. Leonardo abbiano eseguito le loro ordinazioni ad Albisola? Senza negare in sè questo fatto, siamo più propensi ad ammettere che l’uso delle iniziali di proprietà sul fondello delle stoviglie appartenenti a membri di comunità conventuali fosse diffuso, che il tipo di maiolica usato fosse sempre piuttosto modesto e quindi standardizzato (come è dimostrato dalla dovizia dei reperti in collina di Castello) e che le lettere S.M. possano riferirsi ad altrettante Suor Maria. Ciò evidentemente non vuol essere che un insieme di ipotesi ed attende conferma o smentita da quanti vorranno portare il loro contributo su questo argomento fino ad oggi del tutto ignorato dagli studi sulle ceramiche. Anche su ciotole della seconda metà del XVIII secolo a decorazione policroma più elegante troviamo il fondello contrassegnato dalle iniziali della proprietaria (le tre lettere precedute da S,A' con un segno circonflesso di abbreviazione che non lascia dubbi sulla lettura Suor). Anche su oggetti di maggior valore artistico (si tratta di fondelli di piatti ed alzate decorati con la tecnica dello spugnato di manganese)- si può trovare che il decoratore, in questo caso della manifattura dei Folco, ha dipinto le iniziali del nome della proprietaria. Ed anche in questo caso la S precede le tre lettere e non abbiamo dubbi sulla lettura di Suor per la prima lettera. Questa nostra ricerca riteniamo dovrà essere integrata successivamente da notizie desunte da documenti conventuali e che ci possano informare sugli acquisti di materiale ceramico così come sui nomi delle appartenenti alle varie comunità in determinati secoli. - 270 — DISCUSSIONE RAFFO Prima di tutto desidero ringraziarvi per l’opportunità che mi avete offerto di presenziare a questo Convegno: io ero venuto con un po’ di pregiudizio e forse non ero inizialmente troppo favorevole; ma ora devo ripensare e dire che la presente non ^ e stata soltanto una esibizione di superficiale eleganza, come generalmente avviene in queste occasioni, ma un avvenimento veramente intellettuale e tecnico. Le discussioni seguite alle comunicazioni sono state eccellenti. Tra le comunicazioni quella del prof. Mela l’ho trovata interessante; però il prof. Mela sembra si sia già scoraggiato a seguito dell’intervento del dott. Mannoni. Vorrei che il prof. Mela tenesse presente che il suo contributo è molto importante e così pure le proposte del dott. Mannoni sono importanti. Bisognerebbe quindi lavorare insieme, lavorare su due binari: uno, valutando il comportamento della frattura da punzonatura; l’altro studiando la trasformazione chimica del vetro proposto dal dott. Mannoni. La relazione del prof. Farris sulle ceramiche conventuali è stata meravigliosa e vorrei veramente vedere se materiale congenere vien fuori anche da scavi fatti qui ad Albisola ed a Savona: credo che se noi cerchiamo forse troviamo esattamente i posti dove i forni esistevano: se scaveremo dove i forni esistevano, verranno alla luce gli scarti di lavorazione e troveremo senza dubbio frammenti già marcati provenienti da ceramiche che poi si son rotte o che forse non erano perfette. L aiuto proviene anche dallo studio dei tipi di decorazione che consentono di attribuire a fabbriche determinate pezzi che ora sono nei musei, e che sono genericamente chiamati ceramica ligure. La ceramica ligure è vasta, immensa e non essendo possibile sempre mettere un nome sotto un vaso particolare, questo perde un po’ di interesse. L’interesse aumenta se gli amatori, i collezionisti e gli studiosi dispongono degli elementi atti a risolvere veramente il mistero sulla provenienza reale della ceramica genericamente attribuita alla Liguria: quali sono i segni caratteristici che possono orientare lo studioso tra Genova, Savona ed Albisola? Gli scavi fatti in S. Maria di Castello sono interessantissimi; suggerirei di disporre di esperti di archeologia medioevale, sembra una cosa molto strana chiamarla così, ma bisogna anche avere una archeologia medioevale. In Italia siete stati molto generosi nel buttar via molti piccoli frammenti perchè avete sempre creduto di averne tanti: uno più uno meno non fa nessuna differenza; ma la differenza esiste. Valore commerciale, nessuno; ma valore storico e culturale, notevole. E questi piccoli frammenti che il prof. Farris ci ha fatto vedere e che il dott. Pesce ha incluso nella Mostra, sono, come avete visto, di una importanza enorme. Desidero infine prospettare la necessità che da questo Convegno si possa programmare l’istituzione di un centro della ceramica italiana: non mi sembra conveniente limitarsi alla ceramica ligure. Voi tutti che avete fatto questa mostra ed avete dato vita a questo Convegno, non sembrate soltanto degli amatori, ma veramente dei professionisti: avete fatto le vostre ricerche con una mente veramente allenata e quindi perchè restringere questa attività alla Liguria e ignorare le altre ceramiche italiane quando abbiamo visto quanto esse siano mescolate a quelle liguri?: non mi sembra conveniente porre dei limiti. Se osserviamo la Mostra notiamo molte ceramiche italiane che possiamo attribuire forse a Pisa, forse a Pavia od a Padova: ma siamo sicuri che provengono da questi centri? Il problema sta tutto nell’inte- — 271 - resse di formare un circolo della ceramica italiana dove esperti di ceramiche pisane, pavesi e padovane si riuniscano e discutano il problema. Abbiamo sentito dalla comunicazione del dott. Pesce che numerosi albarelli, il cui problema della provenienza non è risolto, sono frammisti a campioni di ceramica da farmacia sicuramente ligure. Per ora possiamo anche attribuirli ad Albisola, ma come possiamo affermare che sono veramente di Albisola? Abbiamo trovato qui ad Albisola frammenti di confronto? _ _ Passando alle ceramiche conventuali, anche queste ci danno modo di iniziare una ricerca in conventi e case religiose: in quelle sedi era abituale annotare tutto e quindi da qualche parte dobbiamo trovare documenti che potrebbero far luce su queste ceramiche: sicuramente sappiamo che in un convento ad un certo punto l’economo avrà dovuto pagare ad una certa fabbrica la somma, convenuta per la fornitura e quindi avremo una buona prova che questa fabbrica particolare esisteva in una particolare città: forse Genova, forse Savona, forse Albisola! Ad ogni modo credo che qui ad Albisola abbiate molto incoraggiamento perchè la tradizione ceramica è viva e feconda ed il signor Tullio Mazzotti di Albisola non solo è un appassionato, ma un artista della ceramica: sono certo che egli saprj non solo dare suggerimenti, ma anche controllarli e forse potrà anche iniziare scavi nelle località più sicure. Un’altra cosa che ad Albisola si dovrebbe fare, e questa mattina ne abbiamo con gioia appreso l’annuncio: una mostra permanente o un centro permanente che potrà forse avere sede in questa villa! Ora che Albisola ha iniziato, che ha messo la prima pietra, non dovrebbe tornare indietro, nè cercare altre sedi, perchè quando si comincia a girare da una città all’altra, il programma perde interesse e andare in città nuove diventa sempre più faticoso e meno producente. Voglio ringraziare tutti quanti e dire che il Convegno è stato veramente suggestivo e che ha prodotto in me la migliore impressione ai fini di un valido e sostanziale contributo allo studio dell’arte ceramica di Albisola. - 272 - VALERIO ABRAMO FERRARESE LE NUOVE MARCHE DELLA MAIOLICA LIGURE NEI PIÙ RECENTI RITROVAMENTI La notevole quantità di materiale ceramico più o meno frammentario repertato fino ad ora negli scavi eseguiti in Genova sulla collina di Castello, ci ha dato la opportunità di osservare numerose maioliche contrassegnate. Abbiamo ritenuto che questi contrassegni meritassero di essere illustrati come possibile contributo alla interpretazione delle cosiddette marche della maiolica ligure sulle quali tanto è stato discusso. E’ noto come i contrassegni siano costituiti da iscrizioni, da lettere, da nomi, da figure o da simboli, la cui finalità è quella di mantenere distinta la produzione di una certa officina, di affermare e di garantire, quindi nel settore concorrenziale, la propria superiorità. Questi contrassegni si possono osservare di solito sul fondello di vasi o di piatti, meno frequentemente sulla parte posteriore della tesa, talvolta nel contesto stesso della composizione decorativa. Questo uso deve essersi imposto quando la produzione aveva raggiunto un livello sufficiente a consentire una diffusione abbastanza notevole della maiolica e quando determinati « pezzi » avevano già cominciato a distinguersi per la forma o per la decorazione come provenienti da una officina ben definita e potevano quindi essere specificatamente richiesti. In Liguria la pratica di apporre marche sugli oggetti ceramici si osserva soprattutto nei secoli XVII e XVIII. Solo sporadicamente in maioliche liguri ascrivibili al XV od al XVI secolo compaiono iscrizioni spesso accompagnate da una datazione. L’uso delle marche diviene infatti assai comune in Liguria quando la produzione acquista una sua particolare fisionomia stilistica ed una conseguente fortuna commerciale. Una tipica prova di questo fatto la si può ricavare dallo studio di quei piatti e vasi del XVI secolo la cui decorazione risente assai notevolmente dei generi piccolpassiani « a rabeschi », « a quartieri », « alla porcellana » ed « a foglie » quasi sempre su fondo turchino intenso; frammenti di queste maioliche si trovano con grandissima frequenza negli scavi eseguiti - 275 - in Genova e Savona; la costituzione del loro impasto, ad alto contenuto marnoso calcareo, ed il ritrovamento di notevole numero di biscotti e di scarti di cottura negli scarichi di fornace (scoperti in Savona dal Sig. Ca-meirana) confermando la produzione ligure; abbiamo constatato che queste maioliche non portano mai una qualsiasi marca o contrassegno distintivo. Anche per le marche liguri conosciute da tempo, molte delle quali sono state oggetto di studio, non sempre è possibile il riferimento ad una officina ben precisata e molti tentativi di attribuzione in tal senso risultano talvolta quanto meno azzardati. E’ da premettere anzitutto che la marca indica, molto verosimilmente, con più frequenza, la produzione di una determinata fornace piuttosto che l’opera di un decoratore. Una prima difficoltà interpretativa è costituita dalla notevole differenza che spesso si rileva nella esecuzione delle marche. Infatti lo stesso contrassegno può risultare eseguito con molta accuratezza o con notevole grossolanità. Già da questa osservazione si può ipotizzare che in determinate officine le marche fossero eseguite talvolta da apprendisti. In coerenza con questa ipotesi ci sembra anche il fatto che esistono oggetti ceramici nei quali la nobiltà della decorazione contrasta con la grossolanità della marca. Un problema più importante è quello che si pone osservando oggetti ceramici contrassegnati da marche attribuibili con una certa sicurezza ad officine diverse ma decorati in modo così simile, per genere e per esecuzione, da lasciar supporre di essere stati dipinti dalla stessa persona. Non sempre questo fatto ci sembra spiegabile, tanta è la identità della decorazione, con l’esistenza di imitatori e difatti dobbiamo tener presente che qualche pittore prestò la sua opera, nello stesso tempo od in tempi diversi, per manifatture diverse, così come sappiamo che qualche decoratore cessò di lavorare alle dipendenze di una determinata officina, rilevandone una in proprio o impiantandone una nuova. Da queste considerazioni si rileva quali possano essere le difficoltà interpretative delle marche esaminate. Iniziamo l’esame da uno dei contrassegni più noti della maiolica ligure, quello costituito dalla figura della lanterna, di cui abbiamo potuto studiare alcune diecine di esempi. Abbiamo notato una grande varietà di esecuzione in questo contrassegno. La dimensione (altezza), va da poco meno di 2 centimetri ad oltre 10 centimetri e non sempre tale dimensione è proporzionata alla grandezza dell’oggetto marchiato; infatti l’altezza della lanterna su fondelli di diametro all’incirca eguale, può essere tale da - 276 - interessare diametralmente tutto il fondello od una sua piccola parte centrale. Per quanto riguarda la forma della lanterna osserviamo, sia stilizzazioni ottenute con pochi tratti, sia figure assai curate nei dettagli, così come tutte le possibilità intermedie. In tutti i casi è presente il vessillo (o meglio il rombo) appeso alla sua asta posta a sinistra o più frequentemente a destra della torre. Sul fondello di un piattino della fine del XVIII secolo, decorato a fiori al terzo fuoco, in monocromia verde, abbiamo osservato una lanterna piuttosto stilizzata ed abbiamo quindi una testimonianza dell’uso di questo contrassegno ancora in questo periodo. Molte delle ceramiche con la marca che abbiamo esaminato, appartengono ai secoli XVII e XVIII, ma riteniamo che tale oggetto sia il più recente di quelli repertati negli scavi della collina di Castello. Un esempio interessante di quanto abbiamo detto sulla discordanza di esecuzione tra la decorazione e la marca, ci è offerto da un vaso frammentario databile alla prima metà del XVIII secolo. La decorazione è dipinta con grande ricercatezza e la marca lanterna è invece costituita da una specie di svolazzo sintetico ma efficace, eseguito con noncuranza ma con maestria quasi a siglare con l’ultimo tocco il lavoro compiuto. Non è infrequente che le marche denotino rapidità e sicurezza esecutiva tanto da porre il quesito se si tratti davvero della reiterazione dell’apprendista o non forse dell’abilità del maestro. La marca lanterna è comunque una delle più note; mentre in passato si riteneva che fosse riferibile a maioliche di manifatture genovesi, la documentazione citata da vari studiosi ha chiarito che questo segno è stato utilizzato invece da maiolicari albisolesi e savonesi. E’ accertato che il Senato della Repubblica di Genova concesse nel 1641 alla fabbrica dei Grosso di Albisola, di marchiare le proprie maioliche col segno della lanterna. Sappiamo inoltre che nel 1698 i Chiodo di Savona associati ai Pei-rano, rilevano la manifattura dei Grosso acquistando il diritto di usare la marca lanterna alle maioliche di loro produzione. Come abbiamo già detto, in confronto alle altre marche, la lanterna è quella riprodotta nella maggior copia di oggetti in maiolica e possiamo quindi supporre che caratterizzasse le ceramiche liguri più richieste commercialmente. Il Morazzoni afferma che « la varietà delle immagini rappresentanti — 277 — la lanterna, va attribuita senza dubbio ai numerosi contraffattori deU’eccel-lente produzione dei Chiodo », e ricorda come alla testa dei contraffattori fosse un maiolicaro del valore dell’albisolese Corradi. Sappiamo tuttavia che l’attività della fabbrica dei Chiodo fu sempre notevole e come fosse necessario assai frequentemente soddisfare le richieste, avvalendosi dell’attività di manifatture minori, ma garantendosi che gli oggetti ceramici fossero sempre contrassegnati dalla marca della lanterna. Ora, non è possibile che con una attività così vivace e con l’intervento di un numero presumibilmente elevato di decoratori che non appartenevano neppure tutti alla stessa officina, la marca lanterna potesse essere rappresentata in modo uniforme. Ove si consideri che i contraffattori potessero tentare di garantirsi dalla rivalsa legale dei Chiodo, modificando quanto più possibile la marca della lanterna, si può capire quanto numerose potessero essere le sue varietà. Ciò è dimostrato anche dagli esemplari, da noi esaminati che si vanno ad aggiungere a tutti quelli già da altri segnalati, ma è da chiedere a questo punto quale sia veramente la marca lanterna attribuibile alla manifattura dei Chiodo. Riteniamo che questo quesito possa forse trovare qualche soluzione da uno studio portato sui generi decorativi, sugli impasti e su caratteristiche che possano consentire di prescindere nella attribuzione della marca posta dietro il piatto. La ricerca di documenti ci potrà forse informare più minutamente sulle attività, sui rapporti e sulle dipendenze della manifattura dei Chiodo. Uno dei contrassegni che compare più frequentemente nel materiale esaminato è quello dello stemma di Savona. Se ne conoscono moltissime varianti e nei nostri frammenti ne abbiamo riscontrato di molto allungati, di molto allargati, di associati a lettere. In un caso sormonta le lettere B ed A e corrisponde a quello già segnalato dal Barile che lo pone tra le marche non ancora attribuite e lo considera una imitazione della vera marca con lo stemma di Savona. Anche il Morazzoni riporta esempi di stemma di Savona sopra le lettere B ed A. In un altro caso del nostro materiale, le lettere sottostanti lo stemma sono A e C. Il Morazzoni riporta invece una marca lanterna sormontante le lettere A e C. Sulla scorta di questi dati analogici possiamo suggerire una ipotesi: sappiamo che i Chiodo affidavano parte della loro produzione a decoratori di altre manifatture che dovevano però mettere le loro iniziali sotto la marca lanterna e pos- - 278 - siamo forse supporre che si tratti dello stesso decoratore che ha firmato il fondello da noi osservato. Sempre nel nostro materiale, il contrassegno che raffigura un tocco sormontante le lettere M e C ci sembra plausibilmente attribuibile a Marco od a Maschio Corradi. La manifattura dei Corradi è inoltre rappresentata nei frammenti che abbiamo studiato, da un tocco sormontato da astro a 6 punte ed è disegnata sul fondello di un piatto decorato a figure con tale maestria che ci riesce assai difficile stabilire se si tratti di imitatore guidobo-niano o non di Bartolomeo Guidobono stesso. Anche per la manifattura dei Corradi abbiamo osservato numerose varianti della marca. Il tocco, il palo o palma (sottostante) e la stella (soprastante) possono essere tracciati con cura od abbozzati in modo così sintetico da trasformarsi in maniera pressoché irriconoscibile, infatti su frammenti di oggetti di evidente minor pregio, abbiamo potuto vedere che il tocco diviene uno svolazzo ad elissi molto allungato, la stella un rapido asterisco, ed il ramo di palma un tratto lineare. A proposito del contrassegno raffigurante il tocco, segnaliamo la comparsa fra i nostri frammenti, di un tipo per il quale non siamo riusciti a trovare alcun esempio confrontabile; si tratta di un tocco eseguito con estrema accuratezza, completo dei più piccoli dettagli, che sormonta la lettera T (in capitale maiuscola) posta alla sua sinistra; la frammentarietà del fondello non ci consente di conoscere la lettera che doveva essere a destra. L’elegante fattura della decorazione del piattino e la grande precisione nella esecuzione della marca, oltre che l’associazione con la lettera T, ci consentono di considerare inedita questa marca e non sappiamo per essa suggerire una attribuzione. Per quanto concerne comunque la manifattura dei Corradi e cioè riferendoci a quegli oggetti la cui marca è sicuramente attribuibile, rileviamo come un certo numero dei frammenti da noi esaminati dimostri che nel XVIII secolo tale manifattura usava motivi di decorazione palesemente riferibili a quelli usati da maiolicari di Moustiers. A questo proposito segnaliamo tuttavia che la produzione albisolese e savonese dovette risentire in modo notevole l’influenza dei generi decorativi in uso a Moustiers se anche altre importanti manifatture come quelle dei Levantino, dei Folco e dei Siccardi e valenti decoratori come Giacomo Berti ripresero ed imitarono tali generi decorativi. Nel materiale di cui abbiamo potuto disporre si riscontrano frammenti la cui attribuzione alle suddette officine è confermata dalle loro marche caratteristiche e sulle quali non riteniamo valga la pena di soffermarsi. — 279 — Il ritrovamento di due piattini che hanno potuto essere in buona parte ricostruiti, ci offre l’occasione per sottolineare come il contrassegno dei Salomone sia stato opposto sul loro fondello in maniera notevolmente stilizzata. L’astro solare è qui costituito da un ovale da cui si dipartono i raggi e, data la frequenza con la quale la marca dei Salomone ci si presenta in varianti stilizzate, pensiamo di proporre, in via di ipotesi, una possibile attribuzione a tale officina per il contrassegno cosiddetto della stella (costituito da 4 segmenti incrociati ad asterisco). Altre marche che valga la pena di segnalare sono ancora: una costituita da una specie di S a curve appena accennate che potrebbe essere riferita a Serafino Bartoli (vedasi quella illustrata dal Pesce); ma soprattutto quella costituita dalle lettere M.G.P. tracciate con molta cura, una di seguito all’altra in capitale elegante maiuscola su fondello di un graziosissimo piatto a crespina; poiché anche per questo contrassegno non siamo riusciti a trovare esempi confrontabili, vediamo quali sono gli elementi di analogia di cui possiamo disporre e le proposte ipotetiche che se ne possono dedurre; anzitutto si potrebbe pensare che si tratti delle iniziali di Paolo Gerolamo Marchiano, ottimo decoratore di maioliche operante dalla fine del ’600 alla prima metà del ’700 ricordato dal Morazzoni; inoltre le lettere MGP potrebbero stare per Marcenaro Giacomo e Gabriele Paimarino e la lettera G potrebbe indicare comunemente le iniziali del nome dei due. Si può confrontare sul Torriti la segnalazione dell’esistenza d’una marca costituita da un tocco attraversato da due palme incrociate, sotto le quali si trovano le lettere G a sinistra ed MP a destra. Nella marca segnalata dal Torriti la M e la P sono fuse in una sigla, mentre la G è separata perchè era essa probabilmente la iniziale in comune ai due nomi di battesimo. Vi è comunque da segnalare una certa tendenza abbastanza costante nelle marche attribuite al Marcenaro, a scrivere le lettere in capitale elegante maiuscola, ma tale tendenza è constatabile anche nel Marchiano. La crespina che ha costituito oggetto di nostra osservazione, anche se ricalca lo stile guidoboniano, sarebbe da attribuirsi alla seconda metà del secolo XVIII se l’ipotesi di attribuzione al Marcenaro-Palmarino sia attendibile. Per quanto concerne il ritrovamento, ricordiamo che tale piatto a crespina proviene da una sacca contenente materiali ceramici attribuibili alla seconda metà del secolo XVII ed alla prima metà del XVIII. - 280 — CATALOGO DELLA MOSTRA RETROSPETTIVA DELLA CERAMICA LIGURE a cura di GIOVANNI PESCE La Mostra retrospettiva della ceramica ligure che si tiene quest’anno ad Albisola, non è la prima del genere. Si riallaccia, a distanza di qualche anno, ad altre consimili che al pari di questa mirarono a porre in rilievo l’importanza di un’attività artistica singolare, che per secoli eccelse nella nostra Liguria. L’arte ceramica, sorta timidamente a Genova — per quanto finora ci risulta — forse già agli albori del Secolo XV, successivamente affermatasi con una multiforme varietà di prodotti di suggestiva fattura, emigrò in seguito a Savona, ove si inserì forse ad una preesistente e modesta industria locale. Agli inizi del Secolo XVI la maggior parte delle fornaci savonesi passò, presumibilmente a causa di eventi bellici nelle lotte contro Genova, nella vicina Albisola ove si affermò incontrastata e si adeguò progressivamente con uno stile del tutto particolare. Il Comitato ordinatore, nel procedere alla realizzazione della Mostra, si prefìsse lo scopo di evidenziare, con il concorso esclusivo di collezionisti privati e l’impiego di selezionato materiale di scavo, l’importanza della attività ceramica, documentandone l’evoluzione dall’epoca lontana degli inizi, fino al principio del Secolo XIX. Nelle prime vetrine della Mostra è sistemata, in rapida rassegna cronologica, la ceramica più antica ritrovata in Liguria. Questo materiale proviene principalmente dagli scavi della zona di S. Silvestro, sulla collina di Castello a Genova, nonché da vari castelli di località della Liguria. Per quanto riguarda la zona di S. Silvestro si tratta del più antico stanziamento di Genova: un’area che fu abitata dalle epoche più remote, a partire dalla protostoria; e si deve considerare sede del più antico nucleo cittadino. Tutte le epoche — le indagini stratigrafiche lo stanno dimostrando — hanno lasciato la loro indelebile impronta: numerosi eventi bellici, come è logico del resto, interessarono questa zona che porta tracce del periodo massaliota e greco, dimostra la presenza di rapporti con le popolazioni dell’Italia centrale, manifesta le testimonianze dell’epoca romana ed infine fornisce precisi riferimenti al periodo medioevale così intenso di vita e di lotte. Negli strati più superficiali del terreno si notano cospicue testimonianze dei periodi successivi, fino a giungere all’epoca moderna. — 283 — La stratigrafia del terreno scavato, rilevabile soprattutto ove non vennero operati rimaneggiamenti, consente di stabilire una precisa succe-sione cronologica, resa più facile dal ritrovamento sporadico di monete, prezioso elemento di datazione. Alle distruzioni dell’età barbarica, alle demolizioni provocate dai bombardamenti della flotta francese nel 1684, fece seguito lo sconvolgimento della zona per le bombe dell’ultimo conflitto mondiale: distruzioni a tappeto e su vasta zona. Gli scavi metodicamente eseguiti su questa area, ben lungi dall’essere conclusi, continuano a fornire prezioso materiale. Seguendo la distribuzione topografica dei reperti di scavo sorge la convinzione che ad un certo momento — presumibilmente alla venuta delle truppe francesi a Genova (1798) il territorio, popolato di conventi e di istituti religiosi, abbia subito gravi distruzioni. Lo fa supporre l’abbondante materiale ceramico di epoche diverse sepolto qua e là in sacche di riempimento ricoperte poi di terriccio. Non è infrequente rinvenire in questi depositi vasi e stoviglie anche di grande formato ricomponibili al completo. Frammisti ai cocci si rinvengono pure pezzi integri, specie se riferibili ad oggetti di dimensioni ridotte. Notevoli per numero e qualità le piastrelle ed i laggioni, talvolta riuniti insieme, oppure rimaneggiati in opere murarie. Si tratta dunque di materiale di grande importanza e di cospicuo interesse, che fornisce in abbondanza elementi di studio. La Mostra inizia e si conclude con parte selezionata del materiale proveniente da questi scavi. Quanto è esposto nelle prime vetrine sta a rappresentare la ceramica più antica e propone agli studiosi la possibilità di una ricerca e di una revisione per quanto concerne l’indagine sugli inizi dell’attività ceramica ligure. Il materiale esposto nelle ultime vetrine ragguaglia il visitatore con reperti inconsueti, su nuove marche e su tipi di decorazione e forme che si staccano dalla normalità, permettendo di allargare le cognizioni finora acquisite. Nelle vetrine che compongono la Mostra sono esposti gli oggetti che appartengono a collezioni private genovesi. Gli espositori hanno realizzato la Mostra portando i migliori pezzi delle loro collezioni ed hanno scelto il materiale proveniente dagli scavi che loro stessi stanno eseguendo con la tutela della competente Soprintendenza. Nell’allestimento della Mostra è prevalso, come più rispondente ai fini pratici, il criterio di valutare e seguire in successione cronologica l’elemento decorazione. — 284 - Non è possibile d’altro canto basarsi su reperti riguardanti altri fattori, quali ad esempio le marche e le firme, in quanto oltre a mancare esse nella produzione più vecchia, salvo eccezioni non consentono, quando vi siano, di stabilire la datazione. D’altro canto per la produzione ligure non è stato finora risolto il problema relativo alle marche ed alle attribuzioni conseguenti. Alcuni contrassegni furono in uso per centinaia di anni e le officine che li adottarono passarono più volte di proprietà senza che cambiamenti di sorta venissero operati nelle marche abitualmente in uso. Le iniziali che spesso si notano sulle ceramiche isolatamente, od affiancate a contrassegni, non possono attribuirsi a nomi di artisti decoratori perchè compaiono inalterate su prodotti dalle decorazioni più disparate come tipo e come fattura. Si ritiene pertanto di dover qui confermare quanto del resto è ormai opinione acquisita da molti studiosi: le marche, i contrassegni e le iniziali apposti sulla produzione ceramica ligure vanno interpretati prevalentemente quale indicazione di fornace o di officina ceramica e stanno soltanto raramente ad indicare i nomi degli artisti decoratori. In pochissimi casi, che possiamo considerare di eccezione, queste abbreviazioni per iniziali o queste firme vanno attribuite ad artisti singoli : le lettere G - B ad esempio riferibili a Giovanni Berti, sono da assegnarsi con sicurezza a quell’artista che peraltro non deroga mai dalle sue abitudini e manifesta chiaramente in ogni prodotto, con l’impiego di forme, colori e stile abituali, la propria personalità di artista. Altra eccezione l’abbiamo con Giacomo Boselli che di solito firma i suoi prodotti per esteso, specie quando li realizza esclusivamente come decoratore su stoviglie acquistate sul mercato. La sistemazione degli esemplari esposti nelle vetrine segue dunque l’evoluzione dell’elemento decorativo rispettando gli schemi che la maggior parte degli studiosi considera più attendibili. Si inizia con una prima fase a decorazione così detta geometrica in quanto in essa prevalgono tratti e scomparti risultanti dall’impiego di colore a pieno, alternato a linee sottili, ad andamento rettilineo. Pochi intrecci di rette intersecanti, rari elementi a rosone o stella. Tale decorazione risente indubbiamente dell’influenza della ceramica mediterranea orientale, oggetto in Liguria di esteso commercio a quei tempi. Epoca: inizio Secolo XVI. A questo primo tipo che è presente anche nelle vetrine con materiale di scavo in frammenti, si passa al successivo elemento di decorazione « calligrafica ». Si può considerare questa la prima vera manifestazione ad impronta nostrana raggiunta con l’affermarsi dell’arte ceramica ligure in — 285 - pieno Secolo XVI. L’elemento calligrafico principale è realizzato dall’impiego di una decorazione a volute a tratto sottile, a retine e formazioni arcuate variamente distribuite. Tale decorazione si arricchisce successivamente di elementi vegetali (pampini e foglioline). L’elemento caratteristico del terzo tipo di decorazione è rappresentato dal largo impiego di elementi vegetali con la successiva comparsa di raffigurazioni animali. I decoratori di questo periodo sfruttano la rappresentazione di agili animali saltellanti, stilizzati, ambientati su uno sfondo occupato da volute di tralci di fiori e rami con foglie, armonicamente distribuiti: raramente appaiono costruzioni a padiglione. Questa decorazione appare ispirata, specie per l’agile interpretazione di animali, ai temi in uso nella ceramica levantina (Rodi). Se la decorazione geometrica può assegnarsi al Secolo XVI, il tipo calligrafico si inserisce già alla fine di questo stesso secolo per attardarsi, con la comparsa di elementi animali e vegetali, fino alla prima metà del secolo XVII. Ricordiamo che tutta la produzione fin qui considerata è ottenuta con l’uso della monocromia blu su fondo bianco o lievemente tendente all’azzurrognolo. Molto rara la policromia. Il quarto tipo ornamentale è rappresentato dalla introduzione dell’elemento paesaggistico, con castelli, torri, abitazioni e comparsa di figure umane. Dalla seconda metà del Secolo XVII in poi l’inserimento di figure umane in paesaggi ricorda molto da vicino l’ambiente ligure e diventa l’elemento più sfruttato nella decorazione dei prodotti ceramici di Savona e di Albisola. Putti e cherubini, figure di santi e rappresentazioni religiose sono all’ordine del giorno. A questo punto i maestri decoratori abbandonano i temi convenzionali ed artificiosi per ricorrere a rappresentazioni realistiche. Molto in uso emblemi e riferimenti religiosi. Certa produzione richiesta da monasteri e da istituzioni religiose, nonché vasellame da farmacia ordinato da ospedali, porta chiari riferimenti in proposito: stemmi di ordini religiosi, richiami a conventi, iniziali di monaci si ritrovano con facilità nella ceramica sei-settecentesca e sono largamente rappresentati nelle vetrine con frammenti di scavo. Verso la fine del Secolo XVIII l’elemento decorativo subisce — adeguandosi ai tempi — ulteriori trasformazioni. Gli artisti non si preoccupano più di coprire con i loro sfondi a paesaggio tutta la superficie a disposizione. Le rappresentazioni lasciano ampi spazi in bianco, sì da ottenere un maggior risalto nella decorazione. Ricompare — specie nella produzione marcata dai Levantino — l’elemento calligrafico ornamentale e viene usata la decorazione a piccoli festoni, caratteristica della produzione di Moustier. Si ha la netta sensazione che la ceramica ligure — ed in particolare quella di Albisola — abbia introdotto nella decorazione motivi originali e — 286 — differenziati che, presi successivamente a prestito da centri di produzione straniera, sono ritornati all’origine e riproposti come veri ed originali temi decorativi. Nella decorazione a paesaggio animato da scene di guerrieri e da motivi della Storia sacra eccellono decoratori qualificati e figurano i migliori nomi di artisti liguri. Non è qui il caso di citarli separatamente perché universalmente conosciuti. Un cenno va fatto all’introduzione della policromia che costituisce una innovazione settecentesca, ma nello stesso tempo rappresenta una deroga dal tema obbligato e caratteristico della monocromia turchina. L’impiego del monocolore azzurro, con tutte le sue sfumature è pur sempre l’elemento di distinzione della ceramica ligure. E’ sufficiente ammirare la ricca collezione di vasi da farmacia dell’ospedale di San Martino di Genova, in buona parte opera di una sola officina ceramica e forse di un solo artista, il Valente, per gioire di fronte alla esuberante abbondanza di sfumature del blu in tutte le sue delicate interpretazioni. Nel Secolo XVIII eccelle la dinastia dei Levantino che affrontano la decorazione con nuove tematiche, riproponendo l’uso degli elementi ornamentali stilizzati in comunione con nuove tematiche di colore. E’ caratteristica la produzione in monocromia bruna di Luigi Levantino. Dalla seconda metà del Secolo XVIII ai primi decenni del XIX si impone Giacomo Boselli il savonese « francesizzato », l’artista innovatore che introduce ed impone in Liguria lo stile di Marsiglia e degli altri centri francesi. Commerciante abilissimo ed astuto ma anche artista di primo piano. La Mostra si chiude, nella sua rapida successione cronologica, con qualche esemplare del Boselli che si considera l’ultimo dei grandi artisti savonesi. L’attività ceramica di Albisola e di Savona non si esaurisce però con questo artista. Molte fornaci continuano a produrre per tutto il Secolo XIX e di esse alcune sono tuttora attive. Dato il carattere « retrospettivo » della Mostra, il Comitato ordinatore ha ritenuto conveniente chiudere la rassegna con il Boselli, rimandando ad una prossima « rassegna » la documentazione dell’attività più vicina ai nostri tempi. Giovanni Pesce - 287 - CONTRASSEGNI E MARCHE I - Chiodo o tromba: Fabbrica Chiodo in cui furono attivi numerosi membri di questa famiglia, nonché i Guidobono ed A. Levantino (Sec. XVIII). II - Tocco con inizali B • C e varie: contrassegno adottato dai Corradi attivi ad Albisola già nel 1598 e fino alla metà del ’700. Ili - Stemma crociato: Manifattura Croce. IV - Falco in volo, coronato, con iniziali: Manifattura Folco. V - Fortezza: marca di incerta attribuzione specie se priva di iniziali. VI - Globo crucigero con lettera G: Manifattura Giordano. VII - Fortezza o tocco con lettere A G: Antonio Guidobono. Vili - Aquila ad ali spiegate o tocco con lettere BG - NG: Bartolomeo o Nicolò Guidobono. IX - Lanterna: Grosso o Chiodo. X-XI-XII - Globo crucigero con iniziali A • L - L • L - B ■ L: Andrea, Luigi Levantino, Levantino e Bartoli. XIII - Tocco con palmizi ed eventuali iniziali: Marchiano. XIV - Pesci: Pescetto. XV - Tocco con iniziali S • R: Rubatto. XVI - Sole raggiato (anche di profilo): Salomone. XVII - Chiesa con campanile: Santuario. XVIII - Stemma di Savona con lettera S: Siccardi. XIX - Stemma di Savona: priva di precisa attribuzione se mancano le iniziali. XX - Stemma di Savona ed iniziali V - GV: Valente. XXI - Contrassegni ed iniziali di attribuzione sconosciuta od incerta. La produzione contrassegnata con questi marchi è attribuibile a fornaci liguri per i caratteri della decorazione, per il tipo delle paste e per la forma degli esemplari. A questi marchi, già noti al Morazzoni, al Pesce e più recentemente al Barile, si devono ora aggiungere quei numerosi altri su frammenti esposti nella vetrina e provenienti dagli scavi della zona di Castello di Genova. Appare per ora assai difficile procedere ad una classificazione specie per alcuni gruppi di iniziali che dovrebbero significare l’appartenenza delle ceramiche a comunità religiose. — 288 — * S - c b -c s\ i±i & lSj 4 ftw ^v lXJ * ^ \fc- A y^ifc-v <5 /AS <2®J <^>Ÿ 0 Ç'A>C • 0 Jb q7b-f. I %>■ — 289 — iü*l iffl sr 4- Q:V ^ XX, , i i 1 Ô ^ ^ + T c .XXII f - 291 - BIBLIOGRAFIA Ballardini G., Corpus della maiolica italiana. Roma, Libreria dello Stato, 1933. Barile C., Antiche ceramiche liguri. Maioliche di Albisola. Milano, Schei-willer, 1965. Bonini C. F., La fabbricazione dell’antica ceramica tenera in Liguria, Faenza, 1939. Botto I. M., Di alcuni fatti della maiolica ligure. Genova, 1958. Cappellini A., Il museo degli ospedali civili di Genova. Papini, 1939. Grosso O., La maiolica ligure. Genova. E.P.T., 1939. Grosso O., L’antica maiolica genovese ed il pozzo di Ponticello. Genova, 1939. Labò M., La ceramica di Savona. Dedalo, 1939. Liverani G., La maiolica italiana sino alla comparsa della porcellana europea. Milano. Electa, 1958. Loduca, Maioliche e ceramiche di Albisola. Milano, 1923. Morazzoni G., La maiolica antica ligure. Milano, Alfieri, 1951. Morazzoni G. e Grosso O., Catalogo della mostra dell’antica maiolica ligure dal Sec. XIV al XVIII. Genova, E.P.T., 1939. Noberasco F., La ceramica savonese. Savona, 1925. Pesce G., Maioliche ligure da farmacia. Milano, Alfieri, 1960. Piccolpasso C., I tre libri dell’arte del vasaio Pesaro, Nobili, 1879. Torriti P., Giacomo Boselli e la ceramica savonese del suo tempo. Genova, Italgraph, 1965. — Le antiche maioliche savonesi ed albisolesi: Mostra dell’antica maiolica savonese e della moderna ceramica di Albisola. Albisola, 1947. — Catalogo della mostra delle antiche maioliche italiane. Albisola, ed. Savona, 1951. — 292 — I numeri seguiti da asterico (*) rimandano alle illustrazioni. Vetrina A Tipologia della ceramica in Liguria dalle invetriate tardo romane all’inizio della maiolica. 1 - Piede di tazza con vetrina colorata a ramina. Età tardo romana. (Da Genova). 2 - Piede di scodella con debole vetrina piombo-ferrifera. Sec. V - VII. (Da Genova). 3 - Piede di scodella con densa vetrina piombo-ferrifera. Sec. IX-XI. (Da Genova). 4 - Parete di vaso grossolano decorato a stampo, ricoperto con vetrina verde. Età barbarica. (Da Genova). 5 - Fondo di scodella con ingobbio giallino e vetrina incolore. Sec. XI. (Da Genova). 6 - Bordo di piatto grezzo foggiato e rifinito a mano. Sec. XII. (Da S. Agata di Lagneto). 7 - Bordo di olletta a parete sottile, foggiata al tornio e non ricoperta. Sec. IX - X. (Da Pontinvrea). 8 - Bordo di catino con superficie levigata a mano. Sec. X. (Dal Tino). 9 - Fondo di scodella graffita con ingobbio giallino ricoperto da vetrina debolmente colorata. Sec. XI. (Da Genova). 293 — 10 - Frammento di scodella ingobbiata, ricoperta da sottile vetrina inco- lore. Impasto chiaro. Sec. XII. (Da Genova). 11 - Piede di tazza con sottile smalto turchese, ricoperto all’interno da vetrina incolore. Sec. XII. (Da Genova). 12 - Bordo di piattino con vetrina verde oliva. Impasto chiaro. Sec. X- XII. (Da Genova). 13 - Tesa di scodella graffita e colorata in vetrina. Impasto rosso. Sec. XIII - XIV. (Da Genova). 14 - Fondo di scodella graffita e colorata in vetrina. Impasto chiaro. Sec. XIII - XIV. (Da Genova). 15 - Frammento di scodella con smalto bianco all’interno, Sec. XIII. (Da Reggimonti). 16 - Frammento di piccola scodella con vetrina giallina. Impasto chiaro. Sec. XIII. (Da Genova). 17 - Fondo di bacino con decorazione vegetale su fondo abbassato, rico- perta da vetrina verde. Il retro è decorato a graffio sotto vetrina gialla (stile orientale). Sec. XIV. (Da Genova). 18 - Fondo di tazza con ingobbio giallino e decorazione a ramina nella vetrina. Sec. XIV. (Da Sassello). 19 - Fondo di tazza con smalto bianco all’interno. Decorazione a ramina manganese (forma n. 2 di Pisa). Sec. XIV - XV. (Da Sassello). 20 - Fondo di scodella graffita sotto vetrina gialla. Decorazione a croce con raggera. Sec. XIV. (Da Sassello). 21 - Fondo di piattino apodo a decorazione graffita sotto vetrina giallo- marrone. (Tipo pavese). Sec. XV. (Da Genova). 22 - Tesa di piatto graffito a punta sotto vetrina gialla. Sec. XV. (Da Genova). 23 - Bordo di tazza graffita a stecca su ingobbio molto sottile. Vetrina verde. Sec. XVI. (Da Genova). 24 - Fondo di scodella graffita a stecca sotto vetrina gialla. Sec. XVI. (Dal Bardellone). 25 - Successione stratigrafica della ceramica nella collina di S. Silvestro (Genova). — 294 — Vetrina B Ceramiche invetriate e smaltate arcaiche provenienti da scavo 1 - Invetriate verdi tardo romane e alto medioevali. 2 - Ceramiche locali senza copertura. Sec. IX-XIII. 3 - Ceramiche con ingobbio e vetrina giallina. Sec. XI-XIII. 4 - Maiolica arcaica. Sec. XIII - XV. 5 - Ceramiche ingobbiate. Sec. XIV - XV. Vetrina C Ceramiche graffite e marmorizzate provenienti da scavo 1 - Graffita arcaica. Sec. XIV. 2 - Graffita lucida con colori nella vetrina. Sec. XIV - XV. 3 - Scodelle graffite a punta con vetrina monocolore. Sec. XIV - XV. 4 - Graffita fine con vetrina giallo-marrone (Tipo pavese). Sec. XV. 5 - Graffita a stecca. (Tipo pisano). Sec. XVI. 6 - Graffita tarda. Sec. XVI - XVII. 7 - Marmorizzata. Sec. XVI - XVIII. — 295 — 1 PIATTO A TESA ONDULATA (2a metà Secolo XVI) Parte esterna del cavetto ondulata, parte centrale liscia. Decorazione: monocromia azzurra con profilato in manganese. Marca-. illeggibile sulla tesa del piatto (attribuibile alla prima famiglia Seirullo?) Genova, raccolta Panelli. cm. 35,5 2* FIASCA (Secolo XVI) Decorazione: in monocromia azzurra su fondo bianco a motivi floreali e calligrafici con orlatura a motivi geometrici. - Cartiglio centrale con ricche volute laterali. Leggenda: A ■ fenic.li contornata da fregi calligrafici. Priva di marca. Genova, raccolta Mela. cm. 23 3 * BOCCALE (Secolo XVII) Decorazione: a motivi floreali stilizzati in monocromia blu su fondo azzurro. Priva di marca (stile Guidobono). Genova, raccolta Bessone. cm. 15 4 - 5 * ALBARELLI (Secolo XVII) Decorazione: in monocromia azzurra con angeli e cherubini variamente disposti. - Cartiglio centrale con ampie volute e cartocci. - Rifinitura a tratto di penna con ritocco in nero. Leggenda: Vng • Digestivi Vng ■ De Altea Marca: Stemma di Savona. Genova, raccolta Pesce. cm. 21 6 SEDIA SOPRAMOBILE (Secolo XVII) Decorazione: monocromia blu a fregio ondulato e pennellata a pieno colore. Priva di marca. Genova, raccolta Pesce. cm. 10 7 PIATTINO CONCAVO (Secolo XVII) Decorazione: figura muliebre centrale vista di spalle, circondata da lievi motivi e tralci vegetali e ruderi in policromia gialla, bruna e verde. Marca: G • B Genova, raccolta Pesce. cm 16 8 * PIATTO CON FIGURE POLICROME (Secolo XVII) Decorazione: in policromia gialla azzurra e verde con tre figure muliebri al centro con paesaggio a ruderi, motivi vegetali e farfalla. Marca-, Tocco con freccia e stella. Genova, raccolta Pesce. cm. 30 - 298 - 9 -10 * PIATTI SAGOMATI (Secolo XVII) Deformati durante la cottura Decorazione: policroma in verde, giallo e bruno su fondo bianco con uccello su trespolo al centro ed alberi ai lati. Privi di marca ma attribuiti al Berti. Genova, raccolta Pesce. cm. 22 11 ZUPPIERINA CON ANSE AD ORECCHIE E COPERCHIO POMATO (Secolo XVII) Decorazione: in monocromia blu su fondo azzurrognolo: paesaggio con castello ed angelo con strumento musicale. Privo di marca. (Guidobono?). Genova, raccolta Pesce. cm. 11 12 * FRAMMENTO CENTRALE DI PIATTO (Prima metà Secolo XVII) Decorazione: in monocromia azzurra su fondo bianco: elegante disposizione di animali saltellanti in armonica disposizione di fiori e foglie. Marca: stella. Genova, raccolta Pesce. cm. 18 13 BOCCALE (Secolo XVII) Decorazione: in monocromia azzurra su fondo bianco con piccoli motivi floreali. - Cartiglio. Leggenda: Sir • di ■ due • Radice c • a ■ c ■ Senza marca. Genova, raccolta Pesce. cm. 19 — 299 — 14 VASO PANCIUTO A BOCCA LARGA (Secolo XVII) Decorazione: in monocromia turchina su fondo bianco-azzurrognolo. -Figure umane in paesaggio alberato. - Cartiglio. Leggenda : ELL • ROS • MES VE Marca: Lanterna. Genova, raccolta Pesce. cm. 24. 15 VASO A ROCCHETTO (Secolo XVII) Decorazione: in monocromia turchina su fondo bianco: motivi animali e vegetali. - Cartiglio nella parte cilindrica. Leggenda-, Empi • Radie • Alt • Marca: Stemma di Savona fiancheggiato dalle lettere B C. Genova, raccolta Pesce. cm. 19,5 16 VASO PANCIUTO E BIANSATO A BOCCA LARGA (Secolo XVII) Decorazione: in monocromia turchina su fondo bianco; motivi animali e vegetali di raffinata esecuzione. - Grande cartiglio centrale. - Le anse sono formate da protomi leonine. Leggenda: Confect ■ Alchermes Marca: Santuario. Genova, raccolta Pesce. cm. 25 17 VASO A ROCCHETTO (Secolo XVII) Decorazione: in monocromia turchina su fondo bianco. - Motivi animali e vegetali variamente disposti. - Cartiglio centrale. Leggenda: Sp • p ■ Ep • e • Cord • s Marca: pesce. cm. 15,5 Genova, raccolta Pesce. - 300 - 18* ALZATA IN MAIOLICA A TESA TRAFORATA (Seconda metà del Secolo XVII) Superficie a rilievo appena accennato, forse modellata su argento sbalzato. Decorazione: nel cavetto figura femminile seduta con sfondo di paesaggio. - Nella tesa cespugli ed alberi. - Monocromia turchina con tratteggio verde-grigio su fondo azzurrino. Privo di marca (ispirazione guidoboniana?). Genova, raccolta Farris. cm. 29 19 ALZATA IN MAIOLICA (Fine Secolo XVII) Decorazione: a figura mitologica centrale su sfondo di elementi vegetali e paesaggio. - Monocromia turchina su fondo azzurrino. Marca: Stemma di Savona sormontante la lettera S Genova, raccolta Farris. cm. 28 20 * SALIERA A BASE OTTAGONALE (Inizi Secolo XVII) Decorazione: maiolica in monocromia azzurra con profili bruno chiari calligrafici in manganese su fondo bianco. - Fiori, fogliame e uccelli. Priva di marca. Base cm. 21 X 17,5; altezza cm. 12. Genova, raccolta Farris. 21-22 * Decorazione: Leggende: Privi di marca, cm. 23 BOCCALI (Fine del Secolo XVII) a paesaggio con grandi angeli e ricco cartiglio in monocromia turchino-azzurro su fondo bianco. 1) Syr • D ■ Pomis 2) Syr • D Rossell • Genova, raccolta Farris. — 301 - 23 * VASO A ROCCHETTO (Fine Secolo XVII) Decorazione: monocromia turchina su fondo azzurro con elementi floreali, putto e castello. - Ricco cartiglio. Leggenda: Ung • p Vermi Magist ■ e Marca: Fiordaliso nel fondo, ripetuto alla confluenza del cartiglio. Genova, raccolta Farris. cm 20 24 BOCCALE (Secolo XVII) Decorazione: in monocromia turchina su fondo bianco. - Motivi animali e vegetali con padiglioni e palizzate. - Cartiglio ampio con fregi floreali nella porzione cilindrica. Leggenda: S ■ de • Mucillaginib ■ Marca: pesce. Genova, raccolta Pesce. cm. 23,5 25 VASO A ROCCHETTO (Prima metà Secolo XVII) Decorazione: in monocromia turchina su fondo bianco con animali variamente disposti su sfondo di fiori e foglie. - Ampio cartiglio centrale che occupa la parte cilindrica del vaso. Leggenda: Ung • Comitisse • Marca: Chiodo. Genova, raccolta Pesce. cm. 18 26 * BOCCALE (Secolo XVII) Decorazione: in monocromia blu su fondo bianco con motivi floreali ed uccelli. - Cartiglio centrale. Leggenda: Oli • Hipericom Privo di marca. Genova, raccolta Mela. cm. 17 - 302 - 27 BOCCALE (Secolo XVII) Decorazione-. in monocromia blu su fondo azzurro con motivi vegetali ed uccelli. - Cartiglio centrale. Leggenda: Syr • del Duca (fregi) Marca: Giglio. Genova, raccolta Mela. cm. 20 28 * BOCCALE (Secolo XVII) Decorazione: in monocromia turchina su fondo azzurro con delicati motivi floreali ed orlo con trine e festoni. - Cartiglio senza leggenda. Privo di marca cm. 19 29 * Genova, raccolta Mela. BOCCALE (Secolo XVII) Decorazione: in monocromia blu su fondo bianco con motivi animali e floreali armonicamente distribuiti. - Cartiglio centrale. Leggenda: Sir • D • Pomis • S.e Marca: Tocco con tre palme e G.M. Genova, raccolta Mela. cm. 22 30 * ALZATINA (Secolo XVII) Decorazione: in monocromia azzurra su fondo bianco: al centro il Redentore stante con stendardo, in atto di benedire; fregio a motivo calligrafico all’orlo. Genova, raccolta Baccaredda-Boy. cm. 24 31 PIATTO DA PARATA (Secolo XVII) Decorazione: in monocromia blu su fondo bianco-azzurrognolo. - Scena mitologica e motivi floreali stilizzati. Marca: Croce. Genova, raccolta Mela. cm. 50 — 303 — 32 * GRANDE PIATTO ANIMATO DA RILIEVO (Secolo XVII) Decorazione: trina floreale al bordo e tralcio floreale al centro in monocromia blu su fondo bianco. Marca: Stella. Genova, raccolta Mela. cm. 48 33 * CARAFFA CON MANICO ANIMATA DA RILIEVI (Secolo XVII) Decorazione: in monocromia turchina su fondo azzurrognolo con putti e motivi floreali. Marca: Stemma crociato. Genova, raccolta Mela. cm. 18,5 34 * BOTTIGLIA QUADRANGOLARE (Secolo XVII) Decorazione: in monocromia turchina su fondo azzurrognolo: putto in volo, figura umana in paesaggio alberato con castelli. Marca: V Genova, raccolta Mela. cm. 19 35 * ANFORETTA (Secolo XVII) Decorazione: anfora monoansata con opposto beccuccio a versatoio: piedino agile. - Monocromia turchina a fondo azzurrognolo: delicati motivi floreali con ruderi. Marca: Stemma di Savona. Genova, raccolta Mela. cm. 27,5 36* VASO A ROCCHETTO (Secolo XVII) Decorazione: in monocromia turchina su fondo azzurrognolo con motivi animali e vegetali e cartiglio. Leggenda: Ung • Apostol ■ Marca: pesce. Genova, raccolta Mela. cm. 18 — 304 — 37 * BOCCALE (Secolo XVII) Decorazione: in monocromia turchina su fondo bianco a motivi floreali stilizzati. Leggenda: SVLEP CAP • VEN • Privo di marca, cm. 19 Genova, raccolta Mela. 38 - 39 * COPPIA DI PILLOLIERI (Secolo XVII) Decorazione: motivi floreali in monocromia turchina su fondo bianco. Leggenda: Miny Privo di marca. (Il secondo esemplare è anche privo di leggenda). cm. 12,5 Genova, raccolta Mela. 40 * Decorazione: Leggenda: Marca: cm. 21 BOCCALE (Secolo XVII) in monocromia turchina su fondo bianco con motivi floreali e scoiattolo. Sir • d • obsentio Falco ad ali spiegate su stendardo nella decorazione. Genova, raccolta Mela. 41 * VASO PANCIUTO A BOCCA LARGA (Prima metà Secolo XVII) Decorazione: in monocromia blu intenso su fondo bianco: volute di fogliami in disposizione quasi calligrafica. - Elegante cartiglio. - La decorazione in corrispondenza dei due orli è ottenuta con tinta più chiara ed è a tratto meno deciso. Leggenda: Mirab Shibulor. Privo di marca. Genova, raccolta Mela. cm. 19 — 305 — 42 * VASO A ROCCHETTO (Secolo XVII ) Decorazione: in monocromia turchina su fondo bianco a motivi floreali e palmizi; cartiglio riquadrato, con soprastante stemma policromo con celata di profilo ed aquila. Leggenda: Theriac • Grossa Privo di marca (Folco?) Genova, raccolta Mela. cm. 19 43 VASO A ROCCHETTO (Seconda metà Secolo XVII) Decorazione: in monocromia turchina su fondo azzurrognolo con motivi floreali. - Cartiglio riquadrato con trina ondulata a pieno colore al bordo inferiore. Leggenda: Eli: Cassie • prò • Clist • Privo di marca. Genova, raccolta Mela. cm. 17,5 44 VASO A ROCCHETTO (Seconda metà Secolo XVII) Decorazione: in monocromia turchina su fondo azzurrognolo. - Semplici e delicati motivi floreali con cartiglio riquadrato con trina ondulata a pieno colore al bordo inferiore. Leggenda: Eli ■ de Escordio Privo di marca. Genova, raccolta Mela. cm. 19 45 * VASO A ROCCHETTO (Secolo XVII) Decorazione: monocromia azzurra su fondo bianco; elementi animali e vegetali riccamente trattati e disposti sulle superfici espanse; due padiglioni; ampio cartiglio. Leggenda: Ung. • Ritarg0 Co Suco Privo di marca. Genova, raccolta Mela. cm. 19 — 306 - 46 * Decorazione: Leggenda: Marca-. cm. 19 47 * Decorazione-, VASO A ROCCHETTO (Secolo XVII) monocromia blu su fondo bianco. - Elementi stilizzati di motivi ammali e floreali riccamente disposti. - Nella porzione mediana cartiglio. Adip • Wlpe • Chiodo. Genova, raccolta Mela. IDRIA (Secolo XVII) in monocromia turchina su fondo bianco-azzurrognolo. -Ricca decorazione con scene mitologiche. - Verso la base angioletti che reggono una protome leonina in rilievo con foro per erogazione acqua; due anse laterali con protomi equine e sottostanti protomi leonine in rilievo. - Cartiglio centrale. Leggenda: Marca: cm. 45 48* Aqua ■ Rosa non interpretabile Genova, raccolta Mela. VASO A ROCCHETTO (Secolo XVII) Decorazione: Monocromia blu scuro su fondo bianco. - Paesaggio con putti; esecuzione grossolana. - Cartiglio centrale. Leggenda: Ung • Galeni Marca: Fortezza. Genova, raccolta Mela. cm 17 49 * VASO A ROCCHETTO (Secolo XVII) Decorazione: con motivi floreali, animali e padiglione. - Cartiglio centrale con volute ai lati. Leggenda: Ung • Ecitiacom Privo di marca. cm. 18 Genova, raccolta Mela. — 307 — VASO A ROCCHETTO (Secolo XVII) Decorazione: in monocromia turchina su fondo bianco. Grande cartiglio centrale con ricche volute ai lati. - Decorazioni con motivi animali e vegetali. Leggenda: Ung ■ de Althea Maio Marca: Tocco con stella sovrapposta. Genova, raccolta Mela. cm. 20 51 * VASO A ROCCHETTO (1676) Decorazione: in monocromia azzurra su fondo bianco-celeste chiaro. Motivi animali e vegetali con ampio cartiglio centrale. Leggenda: Ung‘‘ /s Pro ^ Verus /\ Marca: Corona con le iniziali N • B e la data 1676. Genova, raccolta Mela. cm. 19 52* PILLOLIERA (Seconda metà Secolo XVII) Decorazione: in monocromia azzurro-grigiastro su fondo azzurrino. - Cartiglio centrale e fascia, tra due bordi a decorazione con elementi vegetali. Leggenda: Spe • Elescop’ • Marca: Tocco con stella sovrapposta. Genova, raccolta Mela. cm. 8 53 * MADONNA (Seconda metà Secolo XVIII) Decorazione: policromia a tinte lievi e bruno scuro. Priva di marca Genova, raccolta Bessone. cm. 24 54 COPPIA DI VASI A CALICE (Prima metà Secolo XIX) Imboccature espanse, rigonfiatura centrale, collo agile sul piede. Base quadrata in uno dei vasi; rilievi ornamentali con rosoni. Decorazione: in monocromia giallo bruna su fondo giallastro a grandi screziature. Privi di marca. Genova, raccolta Bessone. cm. 18 55 * PIATTO A TESA ONDULATA (Secolo XVIII) Decorazione: in monocromia gialla su fondo bianco: paesaggio con figura a punta di penna. Privo di marca. (Levantino?) Genova, raccolta Panelli. cm. 20,5 56 - 57 * DUE piatti in terraglia (Fine secolo XVIII) Decorazione: Stemma vescovile al centro in monocromia verde-grigiastro su fondo bianco. Marca: firma Jacques Boselli. Genova, raccolta Panelli. cm. 23 58-59 VASI PANCIUTI PER CONSERVE (Secolo XVIII) Decorazione: a semplici volute calligrafiche con catenella in corrispondenza dell’orlo, in monocromia bruna su fondo biancastro (arte minore). Privi di marca. Genova, raccolta Pesce. cm. 13,5 — 309 — 60 - 61 * VASI DA FIORI AD ALBARELLO A SAGOMA DI CANNA D’INDIA (Secolo XVIII) Decorazione: in policromia verde, azzurra e gialla con fregi a catenella a disposizione orizzontale e verticale. - Negli scomparti mazzetti di fiori. Privi di marca. Genova, raccolta Pesce. cm. 14 62* GRANDE BOCCALE (Secolo XVIII) Decorazione: in monocromia blu su fondo bianco. Marca: globo crucigero con le lettere L L cm. 38 Genova, raccolta Pesce. 63 PIATTO AD ALZATA (Secolo XVIII) Decorazione: in monocromia blu su fondo bianco. - Paesaggio con figura di cherubino al centro, contornata da ritocco brunastro. Marca: Tocco con stella ed asta. cm 21 Genova, raccolta Pesce. 64 * PIATTO CON RILIEVO CIRCOLARE PER TAZZA (Seconda metà Secolo XVIII) Decorazione: motivi arabescati in policromia blu-azzurro e fiori gialli su fondo bianco. Marca-. globo crucigero con sottostanti lettere L L e®* 22 Genova, raccolta Pesce. 65 * PIATTO ALZATINA (Secolo XVIII) Decorazione-, stemma con grifi e corona in monocromia azzurra su fondo bianco. Privo di marca. Genova, raccolta Pesce. T 66-67* Decorazione: Marca: cm. 23 PIATTI SAGOMATI (Secolo XVIII) in monocromia azzurra su fondo bianco-azzurrognolo. 1° piatto: Castello con paesaggio al centro e motivi floreali appena abbozzati. 2 piatto: Stemma centrale e motivi floreali appena abbozzati. Lanterna. Genova, raccolta Pesce. 68 * Decorazione: Marca: cm 29 PIATTO CON STEMMA (Secolo XVIII) in monocromia blu su fondo bianco: stemma centrale circondato da motivi floreali in scomparti con striscie verticali abbinate. - Decorazione più semplice al dorso. Campana. Genova, raccolta Pesce. 69 Decorazione : Privo di marca cm. 7 70-71 Decorazione: Marca: cm. 20 PORTA POLVERE DA SCRITTOIO (Secolo XVIII) in monocromia gialla su fondo bianco a mazzetti di fiori e foglie. - I fori per la polvere orlati in giallo. Genova, raccolta Pesce. BOCCALI (Secolo XVIII - prima metà) in monocromia blu su fondo bianco. - Fregi con motivi vegetali agli orli. - Padre Eterno e Cristo in trono di nuvole in corrispondenza dell’ansa. - Ampio cartiglio con volute che terminano presso il cannone con ricco fregio a rosone. Lanterna. Genova, raccolta Pesce. — 311 — 72* BOCCALE (Secolo XVIII) Decorazione: semplice in monocromia bruna con fregi a volute e lineari (ceramica minore). Genova, raccolta Pesce cm. 15 73* GRANDE ALZATA IN MAIOLICA (Prima metà Secolo XVIII) Decorazione: a « tappezzeria » con figura di veliero nel cavetto in monocromia turchina su fondo azzurrino. Marca: Stemma di Savona. Genova, raccolta Farris. cm. 34 74* VASO A ROCCHETTO (Prima metà Secolo XVIII) Decorazione: in monocromia blu-azzurra su fondo bianco con grandi frutti in paesaggio; cartiglio. Leggenda: Vng : AD • MEM : am Cósev : dam Privo di marca. . _ Genova, raccolta Farris. cm. 19 75* ACQUASANTIERA (Secolo XVIII) Decorazione: figura centrale in ovale a rilievo con fuga in Egitto, ampia cornice barocca a losanga con sottostante vaschetta; volute e fregi in rilievo. Policromia azzurra-rosa salmone. Genova, raccolta Bessone. cm. 25 X 18 76* BROCCHE (Secolo XVIII) Decorazione: tralci di rose e fiori con foglie in bicromia gialla e verde su fondo bianco (ceramica minore). Privi di Marca ma riferibili alla manifattura del Berti. Genova, raccolta Pesce cm. 18 — 312 — 77 - 78 * Decorazione: Leggenda: Marca-. cm 20 79 Decorazione : BOCCALI (Seconda metà Secolo XVIII) in monocromia blu su fondo bianco. - Motivi floreali ed arabeschi tipo Moustier. - Cartiglio centrale riquadrato. OL E BACC•LAUR SYR DE • POM • SIMP • Globo crugidero affiancato da L L Genova, raccolta Pesce. BOCCALE (Secolo XVIII) Leggenda: Privo di marca, cm. 20 policroma in giallo, verde e bruno, su fondo bianco gial-lino. - Motivi vegetali ed animali con ruderi. - Cartiglio a riquadro barocco. Syr • Pap • Err ■ Genova, raccolta Pesce. 80-81 ALBARELLI CILINDRICI CON PIEDINO (Secolo XVIII) Decorazione: monocromia blu su fondo bianco. - Grande cartiglio ovale formato da serto di due palme intrecciate. Manca la leggenda. Privi di marca. cm. 12,5 82-83 Decorazione: Leggenda Marca: cm. 10 Genova, raccolta Pesce. VASI A ROCCHETTO (Secolo XVIII) in monocromia turchina rifilata in tinta brunastra su fondo azzurrognolo. - Paesaggio con case e motivi vegetali. -Cartiglio centrale. dei due vasi: Ung ■ de ■ Arpet Pili de Gen ■ Lanterna. Genova, raccolta Pesce. — 313 — 84-85 PILLOLIERI CON COPERCHIO POMATO (Secolo XVIII) Decorazione: in monocromia blu su fondo azzurrognolo. - Motivi vegetali con cherubino; nel coperchio motivi vegetali con case. Privi di cartiglio e di leggenda. Marca: Fortezza. Genova, raccolta Pesce. cm. 10 86 * BOCCALE (Secolo XVIII) Decorazione: in monocromia blu su fondo bianco con delicati motivi floreali e ricco cartiglio. Leggenda: Ogl ■ di giglv bianchi Marca: Lanterna. Genova, raccolta Mela. cm. 19 87-88 * COPPIA DI VASI A ROCCHETTO (Secolo XVIII) Decorazione: fiori e foglie in policromia gialla e verde; cartiglio. Leggenda: V•q • no etichetta originale in carta incollata sul cartiglio con leg genda: Visco quercino Marca: G B Il secondo esemplare porta la leggenda: Zedoaria Genova, raccolta Mela. cm. 20 — 314 — 89* Decorazione: Leggenda: Marca: cm. 21 90 * Decorazione: Leggenda: Marca: cm. 13 91 Decorazione: Leggenda: Marca: cm. 18 92 Decorazione: Leggenda: Marca: cm. 13 VASO A ROCCHETTO (Secolo XVIII) in monocromia turchina su fondo azzurrino; motivi floreali con cherubino e paesaggio con castello. - Cartiglio riquadrato con trina ondulata a pieno colore al bordo inferiore. UNG ROS MALV Le lettere non sono dipinte, ma visibili per scalfittura ottenuta con punta metallica. Curioso esempio di scritta iniziata e non terminata su vaso rifinito con cartiglio muto. Stemma di Savona. Genova, raccolta Mela. VASO A ROCCHETTO (Secolo XVIII) in monocromia cobalto su fondo bianco. - Fiori e foglie raggruppati con delicata disposizione accompagnano il cartiglio centrale. Avorio preparto Lanterna. Genova, raccolta Mela. VASO A ROCCHETTO (Secolo XVIII) Vedi il numero precedente. CONS DI POMI Lanterna. Genova, raccolta Mela. VASO A ROCCHETTO (Secolo XVIII) Vedi i due numeri precedenti. STORACE LIQV Lanterna. Genova, raccolta Mela. - 315 - 93 * VASO PANCIUTO A BOCCA LARGA (Secolo XVIII) Decorazione: identica al vaso di cui al numero precedente. Leggenda: Mirabol : Citrini Marca-, Lanterna. Genova, raccolta Mela. cm. 23 94 - 95 * IDRIE (Fine sec. XVIII) - Due esemplari Decorazione: è formata essenzialmente da un ampio serto di palme e rari motivi vegetali in policromia gialla, verde ed azzurra su fondo bianco giallino. - Rosone leonino verso la base con foro per acqua; due anse laterali con protomi equine. Coperchio bombato e pomato. Leggenda delle due idrie: ACQ DI FUMARIA ACQ DI BORAGINE Prive di marca. cm. 39 Genova, raccolta Mela. 96* Decorazione: Marca: cm. 35 GRANDE PIATTO IN MAIOLICA (Prima metà Secolo XVIII) a scena mitologica a sfondo di paesaggio e case. - Monocromia turchina su fondo azzurrino. Tocco sovrastante le lettere B C Genova, raccolta Farris. — 316 — 97* BOCCALE (Secolo XVIII) Decorazione: Leggenda-. Marca-, cm. 21 in monocromia azzurra su fondo bianco. - Delicata e squisita ornamentazione a motivi animali e vegetali con padiglione. - Forma snella ed elegante; collo slanciato, ansa e cannone finemente decorati, bocca piuttosto larga. - Il cartiglio, realizzato con una esecuzione assai accurata, cade in corrispondenza dell’ansa. s • mysth • s Stella. Genova, raccolta Mela. 98* VASO CILINDRICO (Secolo XVIII) Decorazione-, in monocromia blu su fondo bianco a grossi tralci con fiori e bordi a fiorellini. Marca-. cm. 22,5 Lanterna. Genova, raccolta de Rosa. 99* ZUPPIERA LUIGI XIV (Metà secolo XVIII) Decorazione-, policroma su fondo bianco. Priva di marca. Genova, raccolta de Rosa. cm- 17 X 34 100-101* COPPIA DI BRUCIAPROFUMI O PORTAFIORI LUIGI XIV (Metà secolo XVIII) Decorazione-, policroma con rilievi a foglie di carciofo. Marca-, G ■ B Genova, raccolta de Rosa. cm. 28,5 — 317 — 102 * ALZATA (Secoli XVII - XVIII) Decorazione: in policromia bruna, verde, giallo, azzurro con stemma. Privo di marca. Genova, raccolta de Rosa. cm. 28. 103 PIATTO (Secolo XIX - prima metà) Decorazione: motivi vegetali a palmizio sulla tesa fregio calligrafico -Casa con alberi nel cavetto su fondo bianco giallognolo. Genova, raccolta Bessone. cm. 34 104 * PIATTO (Inizi Secolo XIX) Decorazione: in monocromia bruna su fondo giallastro. - Rilievi e fiorellini sulla tesa; fiori nel cavetto in cerchio con alberelli. Privo di marca. Genova, raccolta Bessone. cm. 36 PIATTO (Inizi Secolo XIX) arte popolare Decorazione: in monocromia bruna su fondo giallo; rilievi sulla tesa. -Al centro uccello in cerchio con trina nel cavetto. Privo di marca. Genova, raccolta Bessone. cm. 49 ZUPPIERA (Secolo XIX) arte popolare Decorazione: a leggero motivo calligrafico sull’orlo del coperchio e verso il piede in monocromia verde. Coperchio pomato; anse laterali. Genova, raccolta Bessone. cm. 23 — 318 — 107* Decorazione : Marca-. cm. 22 108* Decorazione : Marca-, cm. 23 109 *110 111-111 a Decorazione: Leggenda: ZUPPIERA AL TERZO FUOCO (Secolo XIX - prima metà) in policromia rosso-verde-giallo-azzurro in profilato. - Motivi floreali di stile settecentesco. firmato Jacques Boselli. Genova, raccolta Panelli. (In copertina). PIATTO CON ROSE (Inizi Secolo XIX) policroma su fondo bianco al terzo fuoco. - Tralcio di rose con foglie. Jacques Boselli. Genova, raccolta Pesce. VASI A ROCCHETTO CON PIEDE (Prima metà Secolo XIX) in monocromia azzurra su fondo bianco; piccoli tralci di fiori elegantemente disposti in corrispondenza del cartiglio che è privo di riga di contorno. Serie di quattro vasi uguali per forma, dimensioni e decorazione. EX : PAPAV • RHAEAD ■ EXTR ■ BACC • IUNIP ■ PVLV•CORT•AVRANT• BUTIR CERE • Privi di marca, cm. 14 Genova, raccolta Mela. 112 BOCCALE (Secolo XVI) Decorazione: Privo di marca cm. 21,5 in monocromia blu su fondo biancastro a sottili volute calligrafiche lineari arabescate. - Ansa bipartita con code sul corpo del vaso, decorata a pennellate in azzurrobluastro. Genova, raccolta Grego. 113 * BROCCA CON FORI NELLA DECORAZIONE DELLA PARTE SUPERIORE (Secolo XVIII) Decorazione: in policromia gialla, arancione, verde e blu su fondo bianco; corpo panciuto decorato a grossi tralci di fiori. Soprastante parte cilindrica con elementi forati a grossi fiori e cerchi alternati. Orlo tubulare con foro in corrispondenza del becco. Privo di marca, cm. 20 Genova, raccolta Villa Venzano. 114 ALZATINA (Secolo XVIII) Decorazione: Marca: cm. 18 in monocromia blu su fondo bianco; eleganti motivi ornamentali a piena tinta, alternati ad altri a fondo rigato e tralci di fiori; rosone centrale. Lanterna. Genova, raccolta Anfossi. 115 OLIERA (Secolo XVIII) Decorazione: Marca: cm. 15 in monocromia blu su fondo bianco a festoni ornamentali a disposizione alternata. Forma elegante con pozzetti per le bottiglie, braccio verticale anellato e cestelli porta-turaccioli. Globo crucigero e lettere LL Genova, raccolta Villa Venzano. — 320 — 116 ZUPPIERA PER PUERPERA (Secolo XVIII) Decorazione: policroma in verde, giallo e manganese. Fondo bianco con medaglioni riquadrati, con paesaggi a figure. Marca: Globo crucigero e lettere A L Genova, raccolta Bisagno. cm. 13 X 23 117* BOCCALE (Secolo XVII) Decorazione : Leggenda: Marca: cm 24 118* in monocromia blu su fondo bianco, con motivi vegetali ed animali in movimento. - Cartiglio con volute laterali. Syr • d Fumoterra • Sol • Tocco con stella. Genova, raccolta Mela. BOCCALE (Secolo XVI) Decorazione: in monocromia blu su fondo bianco ad elementi vegetali calligrafici e volute di tralci. - Ansa bipartita con code disposte a volute sul corpo del vaso. - Cartiglio con fregi laterali. Leggenda: Syr • rosat • Solutivo • Privo di marca. cm. 23 Genova, raccolta Mela. 119* Decorazione: Leggenda: Marca: cm. 20 VASO BIANSATO (Secolo XVII) in monocromia blu su fondo bianco a motivi animali e vegetali. - Bocca larga; due anse. Hyere • piere Lanterna. Genova, raccolta Mela. — 321 - 120 * VASO A ROCCHETTO (Secolo XVIII) Decorazione: in monocromia azzurra su fondo a motivi animali e vegetali con cartiglio centrale. Leggenda: Adipes ■ Viper • Privo di marca Genova, raccolta Mela. cm. 18 121 * BOCCALE (Secolo XVI) Decorazione: in monocromia blu su fondo bianco a motivi calligrafici con tralci e fiori stilizzati; cartiglio con volute laterali. Leggenda: O • Spice Privo di marca. Genova, raccolta Mela. cm. 22 *22 * BOCCALE (Secolo XVIII) Decorazione: in monocromia azzurra su fondo bianco con putti e tralci. Leggenda: Oli • Laur ■ Privo di marca. Genova, raccolta Mela. cm. 21 * Vetrina X CERAMICA CONVENTUALE (dei Secoli XVII e XVIII) 1. - Stemmi di ordini religiosi. 2. - Iniziali dei singoli proprietari. 3. - Denominazioni di conventi, abbreviate o scritte per intero. Genova, Scavi di S. Silvestro. * Vetrina Y VASELLAME DA FARMACIA ED OSPITALIERO (Secoli XVI - XVIII) Intero od in frammenti. Proviene da spezierie e cronicari conventuali. Genova, Scavi di S. Silvestro, Vetrina Z MAIOLICA LIGURE DI SCAVO (Secoli XV e XVI) Vetrina Z 1 MAIOLICA LIGURE DI SCAVO (Secolo XVII) — 323 — Vetrina Z 2 MAIOLICA LIGURE DI SCAVO (Secolo XVIII) Vetrina Z 3 MARCHE SU MAIOLICA LIGURE PROVENIENTE DA SCAVO (Secoli XVII-XVIII) DUE BOCCALI GENOVESI (Prima metà Secolo XVI) Decorazione: policroma con profilo muliebre di stile pesarese. Genova, Scavi di S. Silvestro. DUE PIATTINI (Secolo XVIII) Decorazione-, in monocromia azzurra su fondo bianco con figura umana e paesaggio. Marca: Sole stilizzato. Genova, Scavi di S. Silvestro. GRANDE PIATTO (Seconda metà Secolo XVIII) Decorazione: in monocromia blu su fondo bianco con ricca decorazione stilizzata sulla tesa e fiori nel cavetto. Marca: indecifrabile. Genova, Scavi di S. Silvestro. ALZATA (Secolo XVIII) Decorazione: policroma in verde e bruno con elegante disposizione di paesaggi e figura umana. Marca: globo crucigero con A L. Genova, Scavi di S. Silvestro. ACQUASANTIERA (Fine secolo XVIII) Decorazione: policroma in verde e giallo; al centro cuore trafitto in cornice sagomata ed ampio reticolo. Priva di marca. Genova, Scavi di S. Silvestro. PIATTO A TESA CRESPATA (Fine secolo XVIII) Decorazione-, policromia verde e gialla a punta di pennello su fondo bianco; decorazione a tralcio floreale. Privo di marca. Genova, Scavi di S. Silvestro. FRAMMENTI DI CIOTOLE (Fine Secolo XVIII) Decorazione: monocromia azzurra o grigia su fondo bianco con tralci floreali stilizzati e bordura semplificata. Privi di marca. Genova, Scavi di S. Silvestro. PIATTINO (Fine secolo XVIII) Decorazione-, monocromia blu su fondo bianco con tralcio floreale stilizzato nel cavetto; sulla tesa fregio assai semplificato. Leggenda: lettere S.F.M.G. di significato conventuale. Genova, Scavi di S. Silvestro. FRAMMENTI DI PIATTI CON STEMMI RELIGIOSI (Secolo XVIII) Genova, Scavi di S. Silvestro. PIATTINO FRAMMENTARIO (Fine secolo XVIII) Decorazione: delicata, policroma a fiorellini. Marca: conventuale. Genova, Scavi di S. Silvestro. - 325 - CIOTOLE FRAMMENTARIE (Secolo XVIII) Decorazione: orlo in monocromia azzurra o grigio-azzurra. Marca: conventuale con croce nel cavetto. Genova, Scavi di S. Silvestro. PIATTINI FRAMMENTARI (Secolo XVIII) Decorazione: di tipo tardivo in uso già nel Secolo XVI. - Monocromia azzurra o blu su fondo bianco o celestino. Genova, Scavi di S. Silvestro. SERIE DI MARCHI di proprietà conventuale nel rovescio dei piattini di cui alla figura pre cedente. DUE Decorazione Leggenda: Marca: — 326 — FRAMMENTI DI PIATTINI (Fine secolo XVIII) monocromia azzurra su fondo bianco; tralcio floreale nel cavetto e motivo stilizzato di bordura alla tesa. in uno dei frammenti nella tesa è presente la scritta. S. Leonardo. G B e astro con sottostante S Genova, Scavi di S. Silvestro. 47 94 99 100-101 Scelta di laggioni policromi (Secoli XV-XVI). Genova, Scavi di S. Silvestro (1967-68). 21-22 35 38 41 f 51 56-57 62 ▼ ST** 73 I : 77-78 I 90 L 19 120 121 Vetrina A - Tipologia della ceramica ligure. Vetrina X - Stemmi di ordini religiosi. & Vetrina X - Iniziali. Vetrina X - Iniziali varie. Vetrina Y - Pilloliere a decorazione calligrafica. Vetrina Z3 - Boccali Genovesi (Secolo XVI). Vetrina Z3 - Piattini in monocromia azzurra (Secolo XV111). Piatto con indicazione sulla tesa: S. Leonardo. Fondi di piatti con marche G.B. e Stella con S. ■ J Frammenti e piatti con varia decorazione (Secolo XVII). Genova, Scavi di S. Silvestro. Piattino in monocromia azzurra. Genova, Scavi di S. Silvestro. Piatto in monocromia azzurra su fondo bianco. Vaso biansato in monocromia azzurra. Genova, Scavi di S. Silvestro. AGOSTINO VIRGILIO Testimone tra i più attenti e penetranti e protagonista, insieme, di primo piano della vita della Genova degli anni che vanno dagli inizi del secolo attuale ad oggi, l’avv. Agostino Virgilio con la sua morte avvenuta a 86 anni di età il 12 ottobre 1968 ha segnato una sorta di definitivo trapasso tra due epoche. Lui vivente, la Genova dei tempi migliori, quelli che avevano visto la città protesa nel suo più vigoroso slancio ascensionale, non poteva dirsi ancora del tutto superata. Con i suoi ricordi Egli la ripresentava quale essa era, così nella pienezza delle attività che la contrassegnavano come nell’impegno, nelle mire e nei contrasti di coloro che più autorevolmente la rappresentavano. L’avv. Virgilio aveva infatti, ben lo si può dire, il gusto innato della narrazione, volta non oziosamente a rievocare e a precisare: con il suo eloquio, fluente e rigorosamente esatto sempre, Egli sapeva dar movimento e rilievo a uomini e a vicende della Superba non soltanto degli anni che aveva vissuto, ma anche dei lontani tempi dell’età medievale, in cui sapeva addentrarsi con piena sicurezza di conoscenza e con altrettanto sagace spirito di penetrazione interpretativa. Genova Egli l’aveva veramente nel sangue, tutta, e di essa ogni cosa, bella o brutta che fosse, sapeva dire le origini remote e la successione degli sviluppi e intravvederne sinanco le proiezioni nel futuro. Chi, come noi, ha avuto la ventura di potersi trattenere con Lui più di una volta nella accogliente quiete del suo studio e della sua eccezionalmente ricca biblioteca non può non ricordare con ammirata meraviglia il piacere della sua conversazione scintillante, la vastità della sua erudizione, la prontezza dei suoi riferimenti, l’acume delle sue interpretazioni, in una parola il senso della storia che in lui era vivo come in pochi altri è dato di trovare. Ma, affermando questo, non si è parlato di Agostino Virgilio se non in veste di cultore della storia genovese. Questo era un lato della sua per- — 327 — sonalità certamente più che notevole, ma non il solo, chè altrettanto Egli era noto come giurista e come dirigente di grandi complessi industriali o finanziari. Spirito poliedrico, in Lui andavano congiunte, in armonico insieme, doti molteplici, di diversa natura, ma tutte ugualmente al più alto livello. A quelle acquisite con lo studio profondo si accompagnavano quelle che gli derivavano dall’antica e chiara tradizione familiare e dalla frequentazione di quelli che, dal punto di vista intellettuale, erano gli ambienti più qualificati della città. Figlio di Jacopo, economista di vasta notorietà e figura dallo spirito alacre ed aperto come dimostrato anche dalla sua partecipazione nei reparti delle « guide » garibaldine alla campagna del 1866 nel Trentino, Agostino Virgilio si formò alla grande scuola del padre non meno che nell’amicale contatto con uomini preclari per pensiero ed azione, quali i mazziniani fratelli Carcassi, Ugo e Claudio, nello studio legale dei quali ebbe ad iniziare nel 1905 la professione di avvocato. Spiega tutto questo anche la posizione politica del Virgilio, che fu sempre quella di un liberale progressista, sensibile alle esigenze dei tempi nuovi, ma in ogni momento incrollabilmente fedele ai valori della libertà. Fu così che, costantemente operando in nome di questi principi, la sua partecipazione alla vita pubblica, specie nel periodo dal 1914 al 1920 durante il quale fu consigliere comunale di Genova, risultò degna e proficua quanto di più non si sarebbe potuto. Proiezione naturale di questa sua impostazione di vita quale uomo e cittadino fu l’atteggiamento da Lui assunto di fronte al fascismo trionfante, un atteggiamento di dignitoso e quasi altero distacco, non privo peraltro di momenti di decisa combattività, come quando, ad esempio, si trovò a difendere contro le manie irreggi-mentatrici del regime l’autonomia della Società di Letture e Conversazioni Scientifiche, che, già fondata dal padre suo, Egli doveva poi presiedere sino alla morte. Nell’esercizio della professione di avvocato non fu da meno: la sua eloquenza pacata e suadente e sempre in salda maniera ancorata ai fatti ben poteva essere citata ad esempio, così come certi suoi pareri, da maestro davvero, cui non mancarono ammirati consensi anche da parte dei più grandi luminari del diritto. Era che Egli aveva come pochi altri il dono di sapere andare rapido e sicuro al nocciolo delle cose, isolandone gli elementi essenziali e traendone senza incertezze ogni logica deduzione. Per queste sue eccezionali capacità di analisi e di sintesi al tempo medesimo Agostino Virgilio non poteva non apparire un collaboratore tra i più - 328 - preziosi anche ai maggiori tra i capitani d’industria o gli esponenti del- 1 alta finanza. Amico e consigliere, ad esempio, di Pio e Mario Perrone nel periodo turbinoso del primo grande conflitto mondiale, a Lui si dovette in gran parte la complessa operazione che portò all’acquisizione all’« Ansaldo » delle miniere di Cogne. Insediato in seguito in posti di altissima responsabilità in grossi complessi quali i Cantieri del Tirreno e Navali Riuniti, la Mira Lanza, l’Alta Italia e il Lloyd Italico, Agostino Virgilio nell’espletamento delle sue difficili mansioni di amministratore o di consulente (e questo è certo uno dei suoi meriti maggiori) non perse mai di vista gli interessi specifici di Genova e delle sue masse lavoratrici. Genova Egli l’aveva infatti nel cuore come uno tra i primissimi dei suoi pensieri. Il culto delle memorie cittadine, che — secondo quanto già si è accennato — era in Lui particolarmente vivo, costituisce il lato della sua personalità che in questa sede va indubbiamente posto in maggiore evidenza. La sua cultura in materia era profondissima e vivace, e moderno era lo spirito con il quale sapeva considerare le cose del passato. Il suo sguardo riusciva a spaziare lontano, figgendosi nei meandri della storia con la stessa sicurezza ed attenzione che, alpinista provetto, Egli impiegava nelle escursioni in alta montagna, in esse avendo sovente a compagni uomini, quali Leonida Bissolati, al pari di lui sensibili alle bellezze della natura e pensosi dell’avvenire dell’umanità. Nella sua biblioteca, raccolta con accorti criteri di organicità, si trovava tutto il meglio della copiosa bibliografia ligustica, e tutto questo Egli teneva vicino non come un pretenzioso assieme di ricche e rare pubblicazioni, ma come uno strumento continuo di consultazione, come un incitamento ad un ininterrotto pellegrinaggio d’amore attraverso le millenarie vicende della gente di Genova e di Liguria. Era nell’austero ambiente della sua biblioteca appunto che Agostino Virgilio si rivelava nella pienezza della sua personalità, quasi che da quei libri che dicevano delle glorie passate della Superba e dei suoi indomiti abitatori traesse rinnovata forza per meglio affrontare le asperità del presente e vedere le une e l’altro nella luce di un ragionato ottimismo. Era allora, in quella che era l’atmosfera a Lui più congeniale, che Egli si lasciava andare così sull’onda delle rievocazioni lontane come dei ricordi vicini, disvelando all’ascoltatore aspetti ignorati, o addirittura segreti, della Genova di ogni tempo. Se fosse stato dato di raccogliere tutte queste sue conversazioni, di fatto solo riservate a pochi amici tra i più cari, si avrebbe oggi una storia completa della nostra — 329 — città stesa in una chiave nuova, con intelligenza senza eguali, e, soprattutto, con impareggiabile senso di amore per gli uomini e le cose della terra di Liguria. Sono invece, purtroppo, più che poche le cose che relativamente alle vicende trascorse della nostra gente Egli ci ha lasciato. Sono tra queste le sommarie annotazioni cronistiche di due conversazioni da Lui tenute nel marzo 1950, per la Società Ligure di Storia Patria, per illustrare da un nuovo e più preciso angolo visuale la figura e l’opera di Boucicault, ingiustamente condannato dalla storiografia locale per la durezza con la quale ebbe ad opporsi alle allora dilaganti turbolenze nella vita cittadina. Di altrettanto interesse, anche se mantenute su un piano meno erudito, le annotazioni risultanti da un’altra conferenza, Spiragli e aperture nell’antica vita genovese, tenuta, questa, nel 1955 per i « Sabati Letterari » dell’Associa-zione Culturale Italiana. Ma, in realtà, si può affermare che spunti di interesse o sapore ligustico si trovino in buona parte dei non pochi discorsi che, in varie circostanze, Agostino Virgilio ebbe a tenere così in Genova come in altre località della sua regione. Il suo cuore era sempre rivolto in quella direzione, ispirato ed operante. Il legame peraltro più stretto e costruttivo con gli studi di storia ligure Agostino Virgilio lo ebbe attraverso la nostra Società. Di essa — come gli piaceva sottolineare con un senso quasi di orgoglio — Egli era il socio di maggiore anzianità, la sua iscrizione datando dal 1906. Ma qualche cosa ancora, di più concreto, vi è al proposito da ricordare, ed è il lungo periodo durante il quale, nel secondo dopoguerra, fu suo l’onere e 1 onore della presidenza della Società. Furono anni di raccoglimento e di preparazione, anni in cui, anche attraverso una rigorosa politica finanziaria, furono poste le premesse del rilancio del nostro vecchio sodalizio. Ciò tuttavia che più nobilmente qualifica l’opera di Agostino Virgilio in quegli anni è il fatto di essersi fermamente impegnato a che — in una edizione con tanta passione curata da T.O. De Negri — vedesse la luce nel 1955 il « Breviario della Storia di Genova » di Vito Vitale, la più agile e moderna sintesi delle vicende della nostra città sino alla sua annessione al Regno di Sardegna. Così soprattutto, legando in un unico palpito di commossa gratitudine, il suo nome a quello grande di Vito Vitale, la Società Ligure di Storia Patria ricorda oggi, e per sempre, la vita esemplare e l’opera fattiva di Agostino Virgilio. Leonida Balestreri — 330 — CONGRESSI % ! i 4- i Si è tenuto ad Alessandria, dal 6 al 10 ottobre 1968, il XXXIII Congresso Storico Subalpino, sul tema « Popolo e Stato in Italia nell’età di Federico Barbarossa. Alessandria e la Lega Lombarda ». Il Congresso -— che ha avuto l’alto patrocinio del Presidente della Repubblica — ha visto la partecipazione di alcuni dei maggiori studiosi italiani e stranieri. L argomento di base traeva lo spunto dall’ottavo centenario della fondazione di Alessandria, per allargarsi su più vasti argomenti, di portata generale. La prolusione del prof. Francesco Cognasso ha centrato il punto essenziale del sorgere della nuova città. Successivamente sono stati toccati molti argomenti, dai problemi urbanistici del tempo alle concezioni giuridiche che appoggiavano l’azione dell’imperatore e dei Comuni, dalle questioni ecclesiastiche ai rapporti internazionali. Hanno tenuto relazioni D. Gribaudi (L’agro alessandrino nella storia)-, G. Vigliano (Aspetti urbanistici degli insediamenti medievali di nuova formazione); A. Marongiu [La concezione imperiale di Federico Barbarossa)-, G. Tabacco (La costituzione del regno italico al tempo di Federico Barbarossa)-, C. R. Briihl, (La politica fiscale di Federico Barbarossa)-, P. Brezzi (Gli uomini che hanno creato la Lega Lombarda)-, K. Jordan (Enrico il Leone e la Lega Lombarda nella politica di Federico Barbarossa); O. Capitani (Alessandro III, lo Scisma e le diocesi dell’Italia Settentrionale)-, P. Classen (La politica di Manuele Conmeno fra Federico Barbarossa e le città italiane): G. Pi-starino (Alessandria nel mondo dei Comuni)-, M. Viora (Consuetudini e Statuti in Alessandria)-, G. Vismara (Istituti e concezioni della Lega Lombarda)-, R. Manselli (La grande feudalità italiana fra la Lega Lombarda e * Federico Barbarossa)-, C. G. Mor (Il trattato di Costanza e la vita comu- nale italiana)-, G. Fasoli (La politica di Federico Barbarossa dopo il trattato di Costanza)-, M. Fubini (Imperatore e Lega Lombarda nella letteratura romantica dell’Ottocento). Oltre a questi filoni di studio, bisogna rilevare che sono in particolare emersi, in una materia fino ad ora vista essenzialmente sotto un pro- i — 333 — ‘r i filo continentale, temi nuovi di apertura mediterranea. Il prof. Peter Clas-sen, dell’Università di Heidelberg, ha sottolineato l’incidenza e la portata determinante degli interessi bizantini nel gioco politico tra imperatore e Comuni. In tale ambito di nuove impostazioni si è distinto il contributo recato al Congresso dalla scuola medievistica genovese. Il tema della fondazione di Alessandria è stato sviluppato, secondo una visione originale del prof. Geo Pistarinoy come un momento dell’espansionismo genovese nell’Oltregiogo, e della più rapida ricerca di contatti con i mercati della Val Padana e dell’Europa continentale. In questa prospettiva — sia pure in ambiti diversi — si sono collocati i contributi di Francesco Surdich sulle relazioni diplomatiche tra Genova e Alessandria (I trattati del 1181 e del 1192 tra Genova e Alessandria); di Gabriella Airaldi sull’affacciarsi degli Alessandrini in Genova, nelle Riviere e sulle rotte commerciali mediterranee (Alessandrini sulle vie del mare)-, di Valeria Polonio sull’estensione e la fisionomia ecclesiastica della nuova diocesi alessandrina (La diocesi di Alessandria nella struttura ecclesiastica preesistente)-, di Giulio Fiaschini sui problemi posti, appunto, dall’erezione di tale vescovado (La fondazione vescovile in Alessandria e i contrasti con la diocesi di Acqui). Come è stato rilevato dal prof. Brezzi dell’Università di Roma nella seduta conclusiva, è emerso, come uno dei motivi fondamentali del Congresso, il peso determinante di Genova non solo sull’asse mediterraneo, ma anche, come riflesso di precisi interessi mercantili, in direzione transappenninica. Francesco Poggio - 334 - NOTIZIARIO BIBLIOGRAFICO PREISTORIA • STORIA AiNTICA Guy Barruol, Rigomagus et la vallée de Barcelonnette, in Atti del I Congresso storico Liguria-Provenza, Bordighera-Marsiglia, 1966, pp. 41-58. Sulla base di documenti già pubblicati e dopo gli studi e le ipotesi di vari studiosi, 0 Barruol spiega, con dovizia di particolari, come è giunto a localizzare con sicurezza Rigomagus e la vallis Rigomagensis nella valle di Barcelonnette. Esamina poi il problema del vescovato in quelle valli e descrive la civitas gallo-romana e il popolamento preromano di quei luogni. E’ annessa una cartina geografica che rappresenta i bacini della Durance e del Po secondo fonti antiche. (Maria Grazia Perfumo) G. Laguerre, Le Musée archéologique et l’épigraphie de Cimiez. in Atti del 1 Congresso Storico Liguria-Provenza, Bordighera-Marsiglia, 1966. pp. 29-36. L’articolo del Laguerre è una presentazione del Museo archeologico, fondato nel 1960 al centro del campo degli scavi di Cimiez. In esso sono radunati iscrizioni e oggetti anticlii, documenti raccolti da ogni parte, che forniscono un saggio di vita gallo-romana nei secoli I e, soprattutto, III d.C. L’A. traccia poi un quadro della storia amministrativa, sociale e religiosa di quella provincia romana, ricavato dallo studio delle iscrizioni (Maria Grazia Perfumo) Gabriella Martini, Nuove ricerche sul Castellato di Pieve San Lorenzo (alta valle. Aulella), in Giornale storico della Lunigiana e del territorio lucen'se. XVII, 1966, nn 1-4, pp. 5-23. L’articolo della Martini è, come avverte l’autrice stessa, il complemento di una sua precedente notizia sul castellaro di Pieve San Lorenzo. L’A. ci dà ampie notizie del metodo seguito durante il corso dei lavori e, dopo un attento esame del materiale archeologico raccolto (in maggior parte ceramiche locali e qualche traccia di ceramica d’importazioni), ritiene possibile collocare lo stanziamento del castellaro nel periodo della tarda età del ferro, tra il IV ed il II secolo a.C. — 337 — Prospetta, infine, l’ipotesi che, durante la colonizzazione romana, la vita e la organizzazione abbiano subito un’interruzione. Il lavoro è corredato dalle fotografie dei reperti archeologici, trovati nel castellaro. Segue un’appendice di Tiziano Mannoni: Ricerche sulle ceramiche del castellaro di Pieve San Lorenzo (pp. 15-23); I’A. esamina i metodi impiegati per la ricerca del materiale, la classificazione, i tipi di minerali e rocce riscontrati, i terreni, integrando con utili precisazioni il lavoro precedente. (Maddalena Cerisola) Daniele Mouchot, Les nécropoles de Cemenelum, in Atti del I Congresso Storico Liguria-Provenza, Bordighera-Marsiglia, 1966, pp. 23-28. L articolo del Mouchot dà numerose notizie sulle tombe recentemente trovate a Cimiez, le quali si vanno ad aggiungere alle Arene e alle Terme, finora gli unici monumenti conosciuti di quel luogo. Vengono presentate e descritte la necropoli di « la Galère », di Rimiez, di St. Pons, del Piol di Cimiez e le necropoli del Nord. L articolo è corredato da una carta delle necropoli, dove vengono anche indicati i limiti approssimativi dell 'oppidum preromano e dell’abitato romano. (Maria Grazia Perfumo) SECC. VII-XIV S. Andre ucci, Il Compitese e i suoi « domini » nel Medio Evo, in Giornole storico della Lunigiana e del territorio lucense, XVII, nn. 1-4, gennaio - dicembre 1966, pp. 39-43. Appoggiandosi a ricerche storiche e geologiche, descrive la fisionomia odierna del luogo e le vicende del corso del Serchio che hanno contribuito a formarlo, prendendo le mosse fin dall’era preistorica. Per quanto riguarda l’argomento fondamentale dell articolo si limita a pochi dati per lo più integralmente desunti da manoscritti seicenteschi, adducendo a motivo di ciò l’insufficienza delle notizie contenute negli stessi. (Flavia Perasso) S. Andreucci, Le valle della Pescia Minore e Villa Basilica, in tre antichissime pergamene, in Giornale storico della Lunigiana e del territorio lucente, XVII, nn. 1-4, gennaio-dicembre 1966, pp. 123-129. Sulla base di tre pergamene appartenenti all’epoca longobarda e franca, conservate nell’Archivio Arcivescovile di Lucca, traccia un quadro generale della situazione storica e delle condizioni economiche della Valleriana occidentale sotto la tramontante dominazione longobarda. Il lavoro è corredato dalla pubblicazione dei tre documenti inediti. (Flavia Perasso) - 338 — H. Antoniadis - Bibicou, Recherches sur les douanes à Byzance, Cahiers des Annales, n. 20, Parigi, 1963. Durante il corso del VI secolo, l’impero d’Oriente abbandonò le forme di derivazione romana, che ancora strutturavano le sue istituzioni doganali, per passare ad un sistema che si può definire propriamente « bizantino »: dalYOctava si passa alla dékatò, aumenta il numero delle circoscrizioni doganali e dei posti di dogana, e nuovi funzionari imperiali sostituiscono gli antichi octavari. L’amministrazione doganale, tuttavia, subisce ulteriori modifiche ancora all’inizio del X secolo, quando vi è un vero slancio economico, e nel 1204, con l’occupazione latina di Costantinopoli. L’Autrice fornisce innanzitutto un ampio quadro delle generali esigenze dello stato, puntualizzando il valore dei dazi stabiliti e soggetti al diretto controllo statale. Particolarmente interessante è la parte dedicata agli organismi esentati dal pagamento e alle merci non soggette a tassazione. Largo spazio è dedicato ai mercanti delle più diverse provenienze, tra i quali naturalmente spiccano, per le notevoli agevolazioni di cui godettero, i Veneziani e i Genovesi. Il lavoro, che è condotto su larghissima quantità di materiale bibliografico e documentario ed è arricchito da una serie di cartine e di tavole illustrative, si conclude con una parte dedicata agli esattori imperiali, addetti al controllo ed alla riscossione dei dazi e con un quadro delle circoscrizioni doganali che normalmente comprendevano le zone di frontiera, le città e i porti principali. (Gabriella Airaldi) S. Ayache - S. Robert, Orient-Occident. A la lumière d’un récent congrès d’histoire maritime, in Revue historique, CCXL, luglio-settembre 1968, pp. 57 88. Ampia e precisa relazione sul Congresso internazionale di storia marittima svoltosi a Beyruth dal 5 al 10 settembre 1966. Gran parte delle comunicazioni tenute in quella sede liguardavano temi relativi al traffico marittimo lungo le rotte medi-terranee, con particolare riferimento al ruolo svoltovi da Genova soprattutto in quelle di E. Baratier, R. H. Bautier, R S. Lopez, Les relations commerciales des Occidentaux avec les pays d’Orient au Moyen Age, e di M. M. Balard, Notes sur l’activité de quelques familles génoises en mer Noire à la fin du XIIIe siècle. (Francesco Surdich) Edouard Baratier, Les relations commerciales entre la Provence et la Ligurie au Bas Moyen Age, in Atti del I Congresso Storico Liguria-Provenza, Bordighera-Marsiglia, 1966, pp. 147-168. Presenta il risultato delle sue ricerche archivistiche sulle relazioni commerciali tra Liguria e Provenza, in particolare tra Genova e Marsiglia: dimostra la continuità dei rapporti tra i due paesi, esamina quali merci venivano trasportate e con quali mezzi, quali tipi di persone effettuavano quei commerci e a quale fine. Messe — 339 - in evidenza la presenza genovese a Marsiglia e la necessità dei Liguri di approvvigionarsi in Provenza, l’articolo termina con una sintesi conclusiva che chiarifica le caratteristiche principali di quelle relazioni. (Maria Grazia Perfumo) Francesco Cognasso, II Piemonte nell’età sveva, Torino, 1968, pp. 910. In quest opera, veramente encomiabile, — pubblicata in occasione del XXXIII Congresso storico subalpino, — nella quale si compendia una vita intera di studi, 1 ambito cronologico iniziale ed il campo d’interesse vanno assai oltre i limiti indicati dal titolo, sì che i riferimenti a Genova ed alla Liguria sono frequenti, dall’incursione dei Saraceni nella citta nel 934 e dalla fondazione della marca di Aleramo alla presenza degli Ardoinidi e degli Aleramici sulla Riviera ligure, alla divisione della marca della Liguria orientale. Per la prima età sveva particolare attenzione è rivolta ai rapporti tra il Barbarossa ed i Genovesi, ad Enrico Guercio marchese di Savona, alle diramazioni dei marchesi di Ponzone e del Bosco, alle vie commerciali tra il Po ed il mare, alle vicende della valle Scrivia ed intorno a Gavi ed a Parodi all’epoca di Enrico VI. Spazio notevole è riservato agl’interventi genovesi nell’Oltregiogo ed in Piemonte all epoca di Federico II: si tratta dei progressivi contrasti con Tortona, coi marchesi del Bosco e con Alessandria, i quali porteranno al famoso conflitto per Capriata e all alleanza sabaudo-genovese del 1225; delle sollevazioni nella Riviera di Ponente e della questione di Arquata negli anni Trenta; del grande incendio nella intera Liguria e intorno alla stessa Genova in seguito del passaggio genovese alla parte guelfa. Tutto ciò a prescindere, naturalmente, dai richiami d’obbligo nel quadro generale della politica italiana tra papato e Impero, feudi e comuni. Completano il volume una ricca bibliografia, un indice dei nomi propri di persona (manca 'nvece quello dei nomi di luogo, che pure sarebbe riuscito utilissimo), e sette tavole genealogiche relative agli Anscarici, agli Ardoinidi, agli Aleramici. agli Obertenghi, ai Savoia. Fuori testo: la riproduzione fotografica della pergamena contenente il decreto dell’elezione reale di Guido di Spoleto nell’889. (G. P.) Ch. E. Dufourcq, Les consulats catalans de Tunis et de Bugie au temps de Jacques le Conquérant, in Anuarto de Estudios medievales, III, 1966, pp. 470-479. La nota del Dufourcq costituisce un contributo specifico molto interessante per la storia dei consolati catalani di Bugia e di Tunisi, ricostruita attraverso una documentazione inedita abbastanza cospicua, di cui la più significativa è quella anteriore al 1250, quando ancora quei fondaci appaiono gestiti direttamente dal sovrano a! quale appartengono, che elegge personalmente i consoli e ne riscuote un usufrutto. Questo fatto indica con chiarezza la potenza della classe mercantile catalana e costituisce un elemento di notevole importanza nel quadro delle ricerche storiografiche sulla funzione ed il ruolo delle diverse forze politiche operanti nel periodo medievale nell ambito del mediterraneo occidentale. (Mirella Blason Berton) — 340 — G. E. Ferrari, Episodi e fonti di interesse veneziano dal quinquennio di Manuele Il Paleologo (1382-1387), in Bollettino dell'istituto di Storia della società e dello stato veneziano, IV, 1962, pp. 327-384. In questo lavoro, in cui vengono prese in esamf. varie tendenze storiografiche sul regno di Manuele II Paleologo e sulla contemporanea espansione coloniale di Venezia in Oriente, compaiono taluni accenni a Genova, alla lotta con la Serenissima per il possesso di Tenedo ed alle divergenze di carattere commerciale tra le due potenze concorrenti. (Giovanna Balbi) F. Giunta, L’importanza economica della Sardegna nel Medioevo. Con particolare riferimento all’agricoltura, in Tra il passato e l’avvenire. Saggi storici su1\-l’agricoltura sarda, Padova, 1965. L’articolo mette in evidenza il ruolo svolto dalla Sardegna nel Medio Evo, grazie alla particolare posizione dell’isola e al legame con l’Africa risalente al dominio vandalico nel Mediterraneo. L’A. nota come il risollevarsi dell’isola sia dovuto all’interesse di Genova e Pisa che ne stimolarono l’economia e la ripresa della vita cittadina; il dominio aragonese segnò invece una fase di regresso. (Silvana Fossati Raiteri) A. Greco Bergamaschi, Attività commerciali e privilegi fluviali padani del Monastero di S. Colombano di Bobbio, in Archivio Storico Lombardo, 1962, serie IX, vol. II, pp. 48-61. Lo stato di estrema decadenza a cui la rete stradale romana degradò nel corso dei secoli che seguirono al crollo delPImpero ed alle invasioni barbariche, nonché il pericolo sempre crescente del brigantaggio, favorito dal progressivo attenuarsi di ogni autorità centrale, contribuirono a rendere sempre più importanti le vie fluviali, che divennero elemento essenziale per la continuità dei commerci e dei traffici. I rapporti commerciali del monastero bobbiese, proiettati tendenzialmente verso la pianura padana, trovarono così il loro naturale sfogo nelFutilizzazione della linea fluviale padana: su alcuni dei fattori di natura giuridica ed economica collegati con questo problema si sofferma l’analisi dell’A., che utilizza le indicazioni fornite, a tale riguardo, dai documenti editi nel Codice Diplomatico del Monastero di San Colombano di Bobbio da Carlo Cipolla. (Francesco Surdich) Benjamin Z. Kedar, Noms de saints et mentalité populaire à Gênes au XIVe siècle, in Le Moyen Age, LXXIII (4e série, tome XXII), nn. 3-4, 1967, pp. 431-446. Sulla base di alcuni elenchi di nomi — dal secolo XII al XIV — relativi a magistrati genovesi e soprattutto a semplici cittadini, l’A. conduce un’indagine sul mutare del tipo di nome proprio a Genova. Dalla ricerca, svolta con metodo rigo- - 341 — resamente statistico, emerge, quale dato fondamentale, l’incremento dei nomi di santi, sempre più intenso nel corso del secolo XIV, soprattutto verso la fine. Il fenomeno non è isolato, perché si riscontra in tutto l’Occidente cristiano (per esempio, anche in Linguadoca e a Firenze): a Genova si rileva anche una certa varietà nei nomi prescelti. L’A. cerca una spiegazione al fenomeno in parte nell’emergere di classi nuove, di estrazione popolare o provenienti dal contado; in parte con il diffondersi sempre maggiore del culto dei santi e con l’aumento della pietà popolare in questo senso, in rapporto anche con l’epidemia di peste del 1348. (Valeria Polonio) Ninc Lamboglia, Le relazioni tra il monastero di Montmajour, Seborga e S. Ampelio di Bordighera, in Atti del I Congresso Storico Liguria-Provenza, Bordighera-Marsiglia, 1966, pp. 59-63. Presenta le ultime notizie sulla chiesa e sul culto di S. Ampelio di Bordighera, tratte da una carta di autenticazione di reliquie. Detto documento è particolarmente importante perché, essendo attribuito al secolo XI, è la testimonianza più antica sull’esistenza del monastero e porta un notevole contributo alla storia della chiesetta, che ancora nel XIII secolo era possedimento dell’Abbazia di Montmajour. (Maria Grazia Perfumo) P. Landucci Ruffo, L’epistolario di Antonio Ivani (1430-1482), in Rinascimento, serie II, vol. VI, 1966, pp. 141-208. L’epistolario di Antonio Ivani presenta tutte le caratteristiche tipiche del genere letterario più diffuso fra gli umanisti, con un particolare riferimento all’elemento politico, per cui esso diventa spesso una testimonianza diretta ed estrema-mente interessante, di uno dei momenti più complessi della nostra storia. Su queste considerazioni si fonda il lavoro della Ruffo che, ad una breve premessa nella quale precisa alcuni elementi della personalità dell’umanista sarzanese, fa seguire l’edizione di 18 lettere del suo epistolario, tratte da tre diversi codici, conservati nel-l’Archivio Comunale di Sarzana e nell’Osterreichische Nationalbibliothek di Vienna. (Francesco Surdich) R. S. Lopez, L’extrême frontière du commerce de l’Europe médiévale, in Moyen Age, 1963, pp. 479-490. Nei primi anni del sec. XIV, per molti paesi europei e per le regioni mediterranee dell’Asia e dell’Africa, il commercio internazionale aveva cessato di costituire un’avventura. Tuttavia un viaggio dall’Europa alla Cin?. richiedeva sempre particolari doti di resistenza, per la lunghezza del viaggio, le difficoltà naturali che si frapponevano, la poca sicurezza delle strade. Dopo aver tracciato un ampio quadro della - 342 - situazione economico-politica del periodo considerato, l’A. ricorda i nomi di alcuni viaggiatori veneziani e genovesi, che tentarono le vie delle Indie e si domanda quali speranze li spingessero tanto lontano. La risposta va cercata in motivi esclusiva-mente economici: il prezzo d’acquisto, estremamente favorevole, della seta cinese, e la ricerca dei mercati per l’esportazione di particolari prodotti (tessuti, telerie, cristallerie, congegni per orologi). (Aurelia Basili) C. Manca, Fonti e orientamenti per la storia economica della Sardegna aragonese, Padova, 1967. Questo lavoro presenta un repertorio di fonti scrupolosamente selezionate presso l’Archivio della Corona di Aragona (Sezione del Reai Patrimonio), che illustrano in tutti i suoi aspetti la vita economica sarda del secolo XIV, con particolare riguardo al lungo regno di Pietro il Cerimonioso (1336-1387). L’A. stesso è il primo a valorizzare il suo repertorio e ad indicarne la fecondità, sia dal punto di vista dei dati quantitativi che da quello dei problemi. Ne esce così, da una succosa introduzione che precede il catalogo, un quadro vivo e convincente se comparato alla coeva situazione europea: la dominazione aragonese, favorendo nell’isola l’immigrazione di cospicui gruppi iberici, interruppe il processo già avviato di simbiosi fra campagna e città (da riallacciarsi alla precedente influenza pisano-genovese), scavando una frattura tra il mondo contadino, compresso dalle strutture feudali, e quello cittadino, ugualmente mortificato fino al punto di sostenersi con il solo commercio di transito, da cui il fenomeno di decrescenza per tutto il secolo XIV, nonostante l’alta produzione di metalli preziosi, come l’argento destinato a rifornire la zecca regia. I fondi del Reai patrimonio dello splèndido archivio aragonese suppliscono inoltre alla povertà degli archivi sardi anche per numerosi altri settori: nelle centinaia di volumi in esso contenuti sono reperibili numerosissime indicazioni riguardanti le amministrazioni dei capi di Cagliari, Gallura e Logudoro, il camerlengo della zecca di Iglesias, l’amministrazione della giustizia civile e penale dei distretti di Cagliari, Sassari ed Alghero, il movimento delle dogane esterne ed interne, la produzione del sale, l’esportazione dei grani e via dicendo. (Mirella Blason Berton) E. Martino, Un ammiraglio genovese alla corte di Filippo il Bello, in Rivista marittima, XCIX, n. 10, ottobre 1966, pp. 47-54. Nel 1294 Filippo il Bello chiamò al comando della marina francese, in vista della ripresa delle ostilità con l’Inghilterra, il genovese Benedetto Zaccaria: i risultati della sua direzione furono poco proficui sul piano tattico, anche se egli ebbe il merito di aver dato agli equipaggi francesi sufficiente dimestichezza con l’arte della .guerra marittima. (Berenice Donadelli) — 343 — G. PiSTarino, La nascita di Alessandria fra Genova e il Barbarossa, Alessandria, 1968. Con una presentazione di Francesco Poggio, contiene il testo della relazione su « Alessandria nel mondo dei comuni », tenuta dall’A. nel XXXIII Congresso Storico Subalpino (Alessandria, 6-10 ottobre 1968). Limitandosi strettamente al tema congressuale « Popolo e Stato in Italia nell’età del Barbarossa - Alessandria e la Lega lombarda », la relazione si arresta alla morte di Federico I di Hohenstaufen, mentre la pubblicazione negli Atti congressuali giungerà sino alla conclusione della parabola della storia alessandrina nell’età di Federico II. Il tema centrale del saggio porta un contributo nuovo ed originale al discusso problema della fondazione di Alessandria, che l’A. vede come un momento del- 1 espansionismo genovese nell’Oltregiogo, nel momento in cui la crisi, determinata dall intervento ael Barbarossa in Italia, minaccia di sconvolgere il delicato sistema delle linee di traffico tra la Liguria e la Padania occidentale, costruito con tenacia e pazienza dal Comune genovese tra il 1121 e la metà del secolo. La pubblicazione è arricchita da tavole fuori testo, che riproducono vedute prospettiche della città di Alessandria, a partire dal disegno contenuto nel Codice parigino degli Annali di Caffaro. (Gabriella Airaldi) L.P. Raybaud, Le gouvernement et l’administration centrale de l’Empire byzantin sous les premiers Paléologues (1258-1354), Parigi, 1968. Dopo 1 occupazione latina, l’impero bizantino è diventato un piccolo stato, travagliato da tutte le difficoltà d’adattamento che questa trasformazione richiede. Nonostante sia scosso da continue crisi, nonostante rimangano solo le vestigia di quello che fu un grande Impero e il basileus sia ormai un modesto principe, egli rappresenta ancora l’eletto di Dio e i Bizantini continuano a vivere nell’illusione delle glorie passate. In realtà la monarchia non è mai stata e non sarà mai contestata dai Bizantini, che risolvono comunque i loro problemi politici in termini teologici: secondo le teorie dell’epoca, l’essenza del potere imperiale è e rimane definita dalla natura regale e divina dell’uomo scelto da Dio, che esercita il suo potere, sicuro che ogni sua manifestazione risponda alle reali necessità dei sudditi. A quest’immagine, immutabile nel tempo, non solo nelle fasi dell’elezione, eminentemente simboliche, ma anche nei criteri che sovrintendono alla scelta di un erede e nella « collaborazione » con la Chiesa e con gli organi consultivi, fa riscontro la realtà di uno stato vacillante. Analizzate le strutture imperiali in tutti i loro aspetti, l’A. passa, infatti, ad occuparsi dell’amministrazione centrale dello stato nel diramarsi dei suoi funzionari e dei suoi dignitari e nel tangibile funzionamento degli uffici pubblici. E qui appunto si rivela l’effettiva debolezza dell’impero, se ne conoscono in parte le cause di disorganizzazione profonda, (che nessun tentativo riuscirà più a sanare), insieme alla situazione catastrofica delle finanze, del commercio, della flotta e dell’esercito. Il lavoro del Raybaud, che è il primo studio di diritto pubblico che abbia per tema l’impero bizantino, riassume in sé pregi di rigore tecnico d’analisi e ampiezza — 344 — d informazione scientifica, per la conoscènza delle fonti, soprattutto di quelle bizantine, e per la conoscenza della tematica e delle soluzioni precedentemente raggiunte nei vari settori, e dimostra soprattutto una profonda capacità di sintesi nel continuo inserimento del lato tecnico nel discorso storico. (Gabriella Airaldi) Ch. Verlindenv Les Génois dans la marine portugaise avant 1385, in Studia Historica Gandensia, n. 41, Gand, 1966, pp. 24. Si tratta dell’edizione, nelle pubblicazioni della sezione di Storia della Facoltà di Filosofia e Lettere delPUniversità di Gand, di una comunicazione letta nel 1959 al Congreso Portugal Medioevo, nel quale riprende il tema dell’influenza genovese sullo sviluppo della marina portoghese al quale aveva già dedicato numerosi altri studi: 1 attenzione è rivolta in modo particolare a Manuele, Bartolomeo e Lanzarotto Pessagno e a Lanzarotto Malocello. (Francesco Surdich) SECC. XV-XVI Giangiacomo Musso, Nuovi documenti dell’Archivio di Stato di Genova sui Genovesi e il Levante nel secondo Quattrocento, in Rassegna degli Archivi di Stato, XXVII, nn. 2-3, maggio-dicembre 1967 (Gli archivi e la storiografia), pp. 443-494. Una profonda e sperimentata conoscenza dell’Archivio di Stato di Genova, in settori ben precisi, permette all’A. di segnalare una grande mole di materiale, o ignoto o non ancora sfruttato, relativo alla storia dei Genovesi e del Levante nel secolo XV, prima e dopo la caduta di Costantinopoli e anche dopo quella di Caffa. Gli stessi fondi della sezione Archivio Segreto, — fondi tra i più noti e usati — offrono ancora fonti nuove e utilissime. L’Archivio del Banco di San Giorgio, nonostante ciò che è già stato pubblicato dal Vigna, si manifesta ricchissimo e fondamentale per la vita delle colonie, nell’organizzazione interna e nei rapporti con la madrepatria. Il terzo grosso blocco preso in esame è rappresentato dai documenti notarili, conservati in cartulari e filze. Qui il materiale si fa immenso e unico per importanza. Circa 1500 unità archivistiche sono state esaminate, e offrono materiale determinante e insostituibile per la storia del Levante genovese: situazione interna, commerci, rotte, rapporti esterni, tenaci tentativi di sopravvivenza, in mezzo alla progressiva strozzatura operata dai Turchi, vengono documentati giorno per giorno. Le località per le quali si ha maggior quantità di documentazione sono Pera, Caffa, Chio, Focea, Alessandria. Il lavoro offre rigorose segnalazioni e citazioni del materiale archivistico indicato, permettendo l’orientamento nel vasto insieme di fonti, per la prima volta offerte all’attenzione degli studiosi. Due gustosi schizzi inediti illustrano l’articolo. (Valeria Polonio) - 345 - R. Pike, Enterprise and Adventure, thè Genoese un Scville and the Opening of tbe New World, Ithaca, New York, 1966, pp. 243. Non fu una coincidenza che sia stato un genovese Io scopritore dell’America..., afferma 1 A. nella prefazione del suo volume dedicato all’attività della colonia di mercanti genovesi dimorante in Siviglia agli inizi del XVI secolo ed all apporto degli stessi all esordio del Nuovo Mondo. Non un grosso volume, quale ci si sarebbe potuto aspettare da un titolo così impegnativo, ma una sintesi corredata da fìtte note e da un’ampia bibliografia. Divertente il primo capitolo, ricco di osservazioni di contemporanei sul carattere dei genovesi (alcune, per altro, di pubblico dominio), sulla naturalizzazione forzata ma conveniente, sul loro inserimento -— mediante matrimoni — nella nobiltà locale e, non poteva mancare, sul loro amore per il denaro « Wealth, above all, was the cornerstone of genoese life », ma si deve pure ammettere che Siviglia si arricchì di palazzi e di ville «... and cost was no obstacle ». Dopo un capitolo, il secondo, dedicato alla configurazione urbana ed alla società sivigliana del XVI secolo, 1 A. tratta del ruolo di protagonista sostenuto dalla coloni?, genovese nel commercio tra la Spagna ed i possedimenti d’oltreoceano, sia per l’importanza assunta a corte dai rappresentanti nella colonia stessa, sia per gli investimenti frequenti e cospicui nei \iaggi verso 1 America (particolarmente interessanti, a tal proposito, i prospetti tratti dal Archivo de Protocolos, pp. 51-55) non meno frequenti nè meno cospicui sembrano essere stati anche gli investimenti nel traffico di schiavi. L attività genovese sul mercato monetario della città andalusa è oggetto del quarto capitolo in cui l’A. fonde dati e notizie di prima mano o sparse in opere non sempre accessibili. C. Verlinden, V. Rau, M. Marrero, M. L. Fabrellas (per citare soltanto i più recenti) hanno dato un contributo prezioso alla conoscenza delle prime colonizzazioni al di là delle colonne d’Èrcole e R. Pike muove da questi contributi, dagli interessi dei Rivarola nelle Canarie, da quelli dei Centurione, Di Negro, Doria, Spinola, Cattaneo, Lomellini, ecc., nel commercio con Las Palmas, Tenerife e Madera per introdurre il capitolo destinato agli investimenti nei viaggi di esplorazione e di scoperta. Vicente Yanez Pinzon ottenne 12.000 maravedìs da Gian Francesco Grimaldi e Gaspare Centurione nel 1513, lo stesso Hernando Cortes ebbe stretti legami con i Lomellini ed i De Marini associati nel commercio degli schiavi e dello zucchero prodotto dalle fabbriche che Cortes aveva impiantato in Messico (cfr. pp. 65 e 103), nonché, ancora con Cortes, interessati alle miniere d’argento di Zacatecas; è inoltre nota la partecipazione nei viaggi di Sebastiano Caboto, pur sempre un concittadino anche se naturalizzato veneziano. Ma un altro contributo è messo in rilievo nell’ultimo capitolo: gli investimenti nell’industria dello zucchero impiantata nelle isole dei Caraibi. Dopo le fabbriche delle Canarie e di Madera, quelle dei Caraibi e del Brasile. La produzione ed il commercio dello zucchero erano già una tradizione: saranno di genovesi i più perfezionati in genios (funzionanti ad acqua) ed i trapiebes (mossi da muli) più produttivi. Ai genovesi infine il merito di aver intuito per primi l’importanza della scoperta e di aver saputo coglierne (malgrado la tratta degli schiavi) la vera ricchezza che loro forse cercavano già da tempo, da prima del 1453, e che li portò sulle vie dell’Atlantico. Per chiudere questa nota si riportano, liberamente tradotte, le parole che l’A. pone a conclusione del penul- — 346 — timo capitolo: « L Eldorado dei genovesi non era da cercarsi nelle giungle amazzoniche e sul Rio della Piata, ma nel sistematico sfruttamento delle terre dei Caraibi e nel commercio dei loro prodotti » (Giovanni Rebora) G. Pistarino, Scarincio, pirata ligure del Quattrocento, in Liguria, XXXV, n. 10, ottobre 1968. Sulla scorta di documenti inediti del registro Diversorum 75/570 dell’Archivio di Stato di Genova, illustra un episodio delle imprese di Battista Aicardi di Porto-maurizio, detto Scarincio, a danno di una nave moresca, a causa del quale il governo genovese, per timore delle rappresaglie del re di Tunisi, Abu-Omar-Othman, fu costretto nel 1461 a mettere il pirata al bando dai porti liguri. L’A. insiste sul- 1 utilità che una storia del corsarismo e della pirateria genovesi nel medioevo, ancora tutta da scrivere, avrebbe per la conoscenza della vita economica e mercantile, dell’apparato militare e dell’organizzazione marittima, dei rapporti diplomatici e delle azioni di forza della Repubblica di Genova nell’intero Mediterraneo. (Gabriella Airaldi) E. Poleggi, Il rinnovamento edilizio genovese e i « magistri Antelami » nel secolo XV, in Arte lombarda, XI, n. 2, 1966, pp. 53-64. L’articolo, preparato in occasione del convegno internazionale sui « magistri intelvesi » del 1966, studia il rinnovamento edilizio di Genova nel secolo XV attraverso i registri possessionum del 1463 e le filze Diversorum Communis Ianue, conservate all Archivio di Stato di Genova. Nell’ambito di questo rinnovamento, documentato da edifici tuttora conservati, che vengono riprodotti in fotografie, molto chiare, è messo in evidenza l’apporto dei magistri Antelami, che tuttavia in Genova vissero sempre da stranieri, tanto da ricorrere per le controversie al console dei lombardi. Due cartine illustrano il tessuto urbanistico medievale fino al 1463 e i nuovi edifici del secolo XV. In appendice l’A. pubblica tre documenti inediti, di cui interessante è l’elenco ufficiale dei magistri Antelami nel 1486. (Silvana Fossati Raiteri) M. Quaint, Il Mediterraneo tra geografia e storia nell’opera di Fernand Brau-del, in Rivista geografica italiana, 1968, LXXV, pp. 254-266. Fra le considerazioni suggerite dalla lettura della nuova edizione francese (F. Braudel, La Méditerranée et le monde méditerranéee à l’époque de "Philippe II, Parigi, 1966) deH’ormai classico lavoro del Braudel sulla civiltà mediterranea al tempo di Filippo II vi sono precisi riferimenti ai problemi che le scoperte geografiche posero all’economia genovese. (Francesco Surdich) — 347 — P. Tomaini, Attività pastorale di Filippo Satdi vescovo di Bruciato (1512-1528), Città di Castello, 1964, pp. 77. Dopo alcuni dati biografici sul genovese Filippo Sauli (1491-1531) esamina la sua attività pastorale per confutate soprattutto l’accusa che egli si occupò poco della sua diocesi. In realta il Sauli iniziò e favorì una vera e propria opera di riforma prima ancora del concilio di Trento, come è possibile dedurre da una relazione, conservata nell Archivio arcivescovile di Brugnato, relativa ad una visita pastorale compiuta nel 1518, che il Tomaini pubblica per intero. (Francesco Surdich) SECC. XVII-XVIII J. Allemand, Les relations commerciales entre Marseille et Gênes de 1660 à 1789, in Atti del I Congresso Storico Liguria-Provenza, Bordighera-Marsiglia, 1966, pp. 193-226. Esaminate dapprima le condizioni di Genova e Marsiglia e considerati gli ostacoli che potevano turbare le relazioni tra loro, quali epidemie, guerre e pirateria, descrive 1 evoluzione cronologica dei commerci, con precisione di cifre e di notizie circa il numero dei battelli che navigavano tra i due paesi e 1 entità dei traffici. E annessa una tavola che indica i valori delle mercanzie marsigliesi importate da Genova ed esportate verso Genova negli anni dal 1775 al 1780. (Maria Grazia Perfumo) L. Bales treri. Il Giornale degli Amici del Popolo, in Movimento Operaio e Socialista, X, n. 1, 1964, pp. 55-63. Messa in evidenza la difficoltà di una storia del giornalismo ligure, I A. fa una descrizione particolareggiata del Giornale degli Amici del Popolo. Pubblicato la prima volta nel giugno del 1797 e durato solo un anno, dapprima quotidiano poi bisettimanale, il periodico affrontò argomenti diversi (operazioni del Governo, cronaca locale, rapporti tra la Liguria e le altre regioni italiane, istruzione, amministrazione della giustizia), ma soprattutto è stato il primo che ha aperto un dialogo diretto col pubblico, pubblicandone le lettere. Uno dei maggiori redattori fu il Carizzi, il quale contribuì a dare una fisionomia ben definita a! Giornale che oggi viene considerato tra i periodici genovesi più importanti dell’epoca. (MTA) Charles Carrière, Notes sur les relations commerciales entre Gênes et Marseille au XVIIIe siècle, in Atti del I Congresso Storico Liguria-Provenza, Bordighera-Marsiglia, 1966, pp. 227-252 Il Carrière fa qualche riflessione sul rapporto presentato, nella stessa sede congressuale. dall’Allemand, basandosi soprattutto su quanto si riferisce a Genova e alla — 348 — Liguria. Egli si occupa del contratto conosciuto come ipoteca marittima, largamente usato dai capitani genovesi, considerandolo sia come assicurazione, sia come credito commerciale e sia come trasporto di fondi. Esamina poi quali case genovesi erano installate a Marsiglia e viceversa, e conclude dandone un accurato elenco. L’articolo è completato da un grafico che indica il movimento delle navi genovesi nel periodo 1789-99 e da due tavole che illustrano la partecipazione della Liguria all’armamento marsigliese nel XVIII secolo. (Maria Grazia Perfumo) M. Dolcino, Genova in crinolina, Genova, 1967, pp. 173. Garbata c gustosa rievocazione, articolata in nove capitoli, della Genova settecentesca, colta non tanto nei suoi personaggi più significativi od attraverso gli avvenimenti più importanti, ma rivissuta attraverso gli aspetti meno noti, come già altre volte aveva fatto l’A. in numerosi saggi dello stesso genere pubblicati su giornali e riviste. Seppure il tono della narrazione si mantenga sempre in un ambito discorsivo e sia rispondente ad un intento di carattere divulgativo il lavoro è il risultato della sicura e profonda conoscenza da parte dell’A. della bibliografia suU’argomento: egli ha saputo utilizzare in una sintesi briosa e vivace, che si raccomanda soprattutto per la sua linearità e la sua chiarezza, dati e notizie provenienti dalle fonti più disparate (gazzette, almanacchi, guide, leggi della Repubblica, memorialisti, epistolografi). Illustrano il lavoro numerose stampe e lo completano un indice bibliografico *4 un indice dei nomi e dei luoghi. (Francesco Surdich) L. Garibbo, La politica estera genovese dal 1792 al 1805, in Annali della Facoltà di Giurisprudenza, VI, fase. I. Università degli studi di Genova, Milano, 1967, pp. 201-228. Partendo da un giudizio sulle attuali tendenze della storiografia locale in merito al ruolo sostenuto da Genova nella vita polidca europea della seconda metà del ’700, con particolare riferimento agli avvenimenti dell’ultimo decennio, puntualizza alcuni motivi concernenti tale problematica. Un’attenzione particolare è rivolta alla reazione provocata, nell’ambito della tradizionale situazione interna genovese, dalle molteplici suggestioni esercitate dal diffondersi delle dottrine illuministiche, che posero un nuovo ordine di problemi di natura polidca ed economica alle diverse classi sociali: ai tentativi di riformismo illuministico che caratterizzava l’ambiente politico e culturale genovese nella seconda metà del secolo seguì, negli ultimi anni, una nuova fase di irrigidimento, di fronte ai problemi aperti dallo scoppio della Rivoluzione francese. Il lavoro si conclude con un breve esame delle memorie di Gerolamo Serra, che offrono un quadro generale della valutazione della situazione italiana ed europea di quel periodo data dagli oligarchi genovesi. (Graziella Ferrari) — 349 — E. Grendi, Confraternite e mestieri nella Genova settecentesca, in Miscellanea ài storia ligure, IV. Università di Genova, Istituto di Paleografia e Storia Medievale - Istituto di Storia Moderna e Contemporanea, Fonti e Studi, X, Genova, 1966, pp. 237-266. Con elementi desunti soprattutto da repertori archivistici e da manoscritti inediti, in questo saggio corredato da due tabelle ed un grafico, FA. cerca di chiarire il problema, finora praticamente ignorato dagli studiosi, delle confraternite di mestiere, nelle sue implicanze sociali e culturali, con particolare riferimento alla situazione politico-economica genovese del secolo XVIII. L’indagine si arresta al 1811, quando tali confraternite vennero soppresse entro l’area urbana di Genova (Francesco Surdich) M. G. Merello Altea, Carlo Targa giurista genovese del secolo XVII, in Collana degli Annali della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Genova, IX, Milano, 1967, pp. 209. Ha inteso cogliere e fissare attraverso lo studio dell’attività di Carlo Targa uno dei momenti decisivi del processo evolutivo attraverso il quale prese forma e forza autonoma il diritto marittimo mediterraneo, limitando le sue indagini in un preciso ambito cronologico e territoriale, cioè la Repubblica di Genova nel corso del XVII secolo, quando si concluse un’esperienza e se ne aprì un’altra nella prassi e nella dottrina marittimistica. In questa prospettiva vengono, pertanto, presentate la vita e le opere di Carlo Targa, che, nato a Genova attorno al 1614 da una famiglia di origine padovana, e laureatosi in utroque iure a Bologna nel 1636, ricoperse diversi incarichi pubblici nella sua città di origine, come risulta dai numerosi documenti tratti dall’Archivio di Stato di Genova. Le indicazioni fomite da questi documenti sono integrate con gli elementi offerti dall’analisi del trattato Ponderazioni sopra la contrattazione marittima e di un breve manuale di pratica processuale, il Discetarium Praxis Civilis, nei quali confluì l’esperienza maturata dal Targa nel corso della sua attività di giurista. A questo primo volume, contrassegnato dal sottotitolo « La vita e le opere », ne seguirà un altro (« Il diritto marittimo fra pratica e dottrina »), destinato a cogliere, attraverso un’analisi dei singoli istituti marittimi, la fase di passaggio dalla pratica consuetudinaria alla elaborazione dottrinale. Il lavoro è corredato da quattro tavole fuori testo, contenenti la riproduzione fotografica di documenti tratti dagli Archivi di Stato di Padova, di Bologna e di Genova. (Francesco Surdich) S. Rotta, Il viaggio in Italia di Gibbon, in Rivista Storica Italiana, 1962, PP- 324-355. Studia, attraverso il Diario del Gibbon, il metodo da questi seguito nella scelta delle località da visitare. Segnalata la meticolosa osservazione dello storico riguardo le arti figurative in genere ed i monumenti in particolare, FA. pone l’accento — 350 — sull’amore del Gibbon per l’Italia classica, oltre che per la cultura e la lingua italiana. L’articolo si conclude con l’esame dei paralleli fra i governi delle repubbliche italiane e svizzere (Genova-Berna, LuccaGinevra) e sull’opinione che il Gibbon riportò su alcune altre città italiane. (Mario Buongiorno) R. Tresse, Le commerce entre Gênes et Nice de 1792 à 1795, in Atti del I Congresso Storico Liguria-Provenza, Bordighera-Marsiglia, 1966, pp. 253-272. Ricordata la neutralità di Genova in quel particolare momento di guerra, considera quali commerci venivano effettuati, quali merci venivano acquistate a Genova per approvvigionare l’armata d’Italia (grano, lane, fieno, acquavite) e i modi di pagamento che venivano usati. Sono brevemente ricordati e precisati i pesi, le monete e le misure citati; una tavola indica i nomi dei capitani genovesi che avevano ottenuto lettere di marca presse il distretto di Nizza. (Maria Grazia Perfumo) Lorenzo Vivaldo, Un opuscolo inedito di Vincenzo Palmieri. Contributo alla storia del Giansenismo ligure, in Atti della Società Savonese di Storia Patria, XXXV, 1963, pp. 277-298. Comprende la trascrizione di un manoscritto di trentadue facciate, rinvenuto nella Biblioteca del Seminario di Savona e attribuito, da parte dell’A., al P. Vincenzo Palmieri, figura di rilievo del Giansenismo italiano. L’opuscolo comprendente la « Risposta del canonico Vincenzo Palmieri alle domande stategli fatte in occasione della rinuncia dell’arcivescovo Lercari per procedere alla elezione di un nuovo arcivescovo » oltre a far luce sull’ambiente di cui il Palmieri faceva parte, mette in evidenza alcune caratteristiche della sua personalità. (Graziella Ferrari) SECC. XIX-XX Gabriella Airaldi, Giorgio Falco (1888-1966), in Atti dell’Accademia Ligure di Scienze e Lettere, XXIV, 1968, pp. 409-415. Premettendo un accenno sulla propria esperienza personale di giovanissima allieva di fronte all’autorità del Maestro, l’A. traccia un profilo della biografia e dell’attività storiografica di Falco sia nella sua tematica generale, sia con particolare riguardo alla Liguria medievale e moderna, ponendo soprattutto l’accento sulla configurazione del Medio Evo in rapporto alla temperie politica e spirituale degli anni in cui videro la luce le opere maggiori del Maestro. In nota fornisce l’elenco bibliografico della produzione di Falco, ripartita per temi specifici. (Giulio Fiaschini) - 351 — L. Balestkeri, Un presidente camerale: Zaccaria Oberti, in Le compere di S. Giorgio, XIV, n. 2, febbraio 1965, pp. 102-106. Ritratto di Zaccaria Oberti, presidente della Camera di Commercio di Genova dal 1915, costretto a riparare in Francia nel 1926 per il suo antifascismo. Nel 1917 tu vice-presidente della missione commerciale italiana inviata in Russia. Fu anche uno dei fondatori della Società ginnastica Andrea Doria. (Berenice Donadelli) ... ^alestreri, I telefonici genovesi nella lotta di liberazione, in II movimento di liberazione in Italia, 1961, n. 63, fase. II, pp. 56-62. L opposizione che serpeggiava contro il fascismo e contro le forze tedesche, i personale telefonico della società T.E.T.I., si risolse nella formazione di un œmitato aziendale clandestino di liberazione e in qualche operazione di sabotaggio, deschi ^rattUtt° nC^ Proce^ere con lentezza nelle operazioni ordinate dai comandi te- (Maria Galizia) Af // Balestreri, Gli ultimi scritti giornalistici d; Giuseppe Cesare Abba, in Miscellanea di Storia del Risorgimento in onore di Arturo Codignola. Istituto per stona e Risorgimento Italiano, comitato di Genova. Documenti, saggi e ricerche, I, (jenova, 1967, pp. 41-89. Partendo da una lettera inedita del 3 marzo 1903, nella quale l’Abba manifesta p p^sito «di chiudersi nel silenzio» e notando come tale desiderio non potè werarsi ata h sua enorme fama, l’A. ricostruisce a grandi linee la storia dell’at- vita giornalistica dell eroe garibaldino, mettendone in particolare rilievo le tappe più importanti. Prende soprattutto in esame i tre ultimi articoli deU’Abba, pubblicati su « La ^ tampa », soffermandosi principalmente su quello in cui l’Abba rievoca i suoi studi ^ ani i e i suoi maestri per porre in luce la grande influenza che sulla formazione e sua personalità esercitarono gli insegnamenti del collegio di Carcare, retto dai P n co opi, e. in primo luogo, padre Atanasio Canata, a cui lo scrittore rimase sempre legato da forti vincoli affettivi. In appendice sono riportati i tre ultimi scritti dell’Abba, pubblicati su « La tampa », con 1 aggiunta di uno specchio riassuntivo di tutti i principali scritti giornalistici dello stesso. (Maria Galizia) Antonino Basile, Incitamenti a violenze contro i commercianti genovesi di jioia Tauro nel 1848, in Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, 1963- XXXII, fase. I-II, pp. 67-78. Mette in evidenza come, nel secolo scorso, la scarsa disponibilità di capitali dei proprietari di oliveti nella piana di Palmi o di Gioia Tauro provocasse gravi soprusi — 352 — da parte di commercianti forestieri, in gran parte genovesi, che concedevano prestiti in denaro, pretendendo, però, un tasso di interesse molto elevato. Quando scoppiò il moto liberale del 1848 si ebbero incitamenti a violenze contro i genovesi e ciò è illustrato da due documenti pubblicati in appendice all’articolo. (Laura Balletto) Pietro Berri, Arturo Ferretto (1867-1928), in Bollettino Ligustico XVITI, 1966, pp 149-152. Sintetico profilo biografico di colui che l’A. definisce « il più grande raccoglitore di documenti genovesi nell’inizio del secolo XX ». Sono citati i più significativi fra i suoi innumerevoli scritti di storia ligure. E’ messa in particolare rilievo la sua instancabile attività, a cui si univano rettitudine, disinteresse e un amore profondo per la terra natia. (Maria Luisa Balletto) M. Cassiani Ingoni, Lì resa di Genova, in II movimento di liberazione in Italia, 1966, n. 82, fase. I, pp. 76-83. Sono narrati con estrema precisione, in quanto i fatti sono stati rivisti e corretti dagli stessi protagonisti, gli avvenimenti che hanno portato alla resa dei Tedeschi a Genova. In particolare l’articolo mette in luce i contatti che si ebbero, a partire dai primi di marzo del 1945, fra il generale tedesco Meinhold, comandante delle forze armate della piazzaforte di Genova, e il Romanzi, membro accreditato del C.L.N., su richiesta dello stesso comandante tedesco, consapevole dell’imminente vittoria del movimento di resistenza genovese. E’ riportato integralmente il testo di una lettera inviata dal C.L.N. al generale Meinhold, con le condizioni di resa imposte ai Tedeschi e il testo della resa stessa. (Maria Galizia) Nello Cerisola, Storia delle industrie savonesi, Genova, Casa Editrice Liguria, 1965, pp. 510. Nelle cinquecento pagine di un grosso volume in quarto, Nello Cerisola ha raccolto una copiosa documentazione sulle attività industriali nel Savonese dagli inizi dell’Ottocento, ossia dai tempi del conte Chabrol de Volvic prefetto napoleonico, ai giorni nostri. Dopo un diffuso capitolo introduttivo, redatto con mano sicura, l’A. procede analiticamente per gruppi merceologici: maiolica e ceramica, stoviglie e terraglie, industrie dei laterizi, industria vetraria, industria tessile, costruzioni navali, metal- - 353 - lurgia e meccanica, chimica, e via dicendo. In ciascun gruppo l’A. colloca le singole aziende, ne ricerca le origini e ne delinea la storia sempre facendo precedere una nota illust,ativa che vuol essere il denominatore comune che lega e coordina le singole storie aziendali. Questo lavoro, che tanto interessa direttamente i Savonesi, rappresenta un contribute onesto e sostanzioso anche per chi alla storia economica e sociale guardi sulla prospettiva nazionale. Nell’area della provincia di Savona la maiolica e la ceramica furono innalzate a celebrare forme d’arte; la secolare vetreria di Altare con e esperienze, cooperativistiche ha interessato e interessa studiosi di molti paesi; e costruzioni de? bastimenti a vela, soprattutto di Varazze, furono determinanti per I & j- mar na sarda dopo il 1815; la siderurgia con Tardy e Benech, con • • * ^a' on“ c ^ ^va> s‘ Portò, proprio operando in quest’area, su posi- zioni d avanguardia; l’industrializzazione dell’alta valle Bormida con l’Acna, la Fer-'. a Italia, la Montecatini, ecc. fu fenomeno rilevantissimo, ed è tuttora in P 0 b'° S*mento, i,na consimile constatazione suggerisce Vado, la cui forza potaci. iniziative industriali è, da circa un secolo, in continuo accrescimento. ,, . ,SU ic‘ent' queste scorciate annotazioni per giungere alla conclusione che P. , ' nV° ac* un mondo di studiosi dell’economia italiana certamente non de-limitabile nell area savonese od anche ligure. Ceriso.a ha egregiamente lavorato per cercare notizie, scoprire fonti, chiarire e '' cn «.no ira\egna, La religiosità di Giuseppe Mazzini, in Miscellanea di Storia no,gì,nenia i„ onore di Arturo Codignola, Istituto per la storia del Risorgimen-92 103 lan°' COm'tat° Genova, Documenti, saggi e ricerche, I, Genova, 1967, PP- L esame attento e puntualizzato degli influssi giovanili e delle successive esperienze politiche del Mazzini consentono all’A. di delineare efficacemente l’evoluzione e credo etico-religioso del Mazzini, nella cui formazione, in opposizione all’opinione corrente, riconosce come determinante l’influsso, sia pure indiretto, del Le nouveau Christianisme del Saint-Simon. (Graziella Coialbu) — 354 — E. Costa, Cavour e la riforma delle corporazioni privilegiate del porto di Genova (La relazione di Domenico Buffa del 1855), ir. Miscellanea di storia del Risorgimento in onore di Arturo Codignola. Istituto per la storia del Risorgimento Italiano, comitato di Genova. Documenti, saggi e ricerche, I, Genova. 1967, pp. 107-164. Servendosi dei brani del memoriale inviato al Cavour dall’Associazione Marittima Ligure, iccenna ai privilegi dei calafati, dei maestri carpentieri, dei barcaioli e dei facchini, ai quali il Cavour, giunto alla presidenza del governo, rivolse la sua attenzione, incaricando l’intendente Generale di Genova, Domenico Buffa, di studiare a fondo il problema, per poter così impostare una definitiva riforma. L’A. esamina successivamente, nelle sue diverse parti, la relazione inviata a questo proposito al primo ministro, il 10 novembre 1855, da parte del Buffa. In appendice sono pubblicati: la relazione del Buffa al Cavour; i quesiti posti dal Buffa alla Camera di Commercio di Genova sugli inconvenienti provocati dall’abolizione delle arti privilegiate sui barcaioli e sulle compagnie dei facchini: la lettera del comandante del porto di Genova diretta al Buffa. (Maria Galizia) Emilio Costa, I fondi archivistici della Biblioteca Universitaria di Genova riguardanti il Risorgimento. I: Le carte di E. Celesta, in Rassegna Storica del Risorgimento, LII, fase. IV, ottobre-dicembre 1965, pp. 579-606. Sulla base di una serie di lettere conservate nella Biblioteca Universitaria di Genova sono ricostruite la vita di Emanuele Celesia, educatore, scrittore, studioso dell’antica Liguria e della storia dell’Università di Genova, promotore di associazioni culturali ed opere filantropiche, oltre che la sua attività politica e patriottica. Le lettere sono indirizzate al Celesia da illustri personaggi del suo tempo, da esponenti democratici e liberali liguri, operanti in Genova nel 1848 e 1849. Completano il saggio una breve rassegna dei corrispondenti, in ordine alfabetico, ed alcuni brani significativi di documenti inediti. (Graziella Ferrari) Emilio Costa, I fondi archivistici della Biblioteca Universitaria di Genova riguardanti il Risorgimento. II: Le carte di Giambattista Passano, in Rassegna Storica del Risorgimento, LUI, fase II, aprile-giugno 1966, pp. 319-329. Mette in evidenza l’importanza che le lettere conservate nella Biblioteca Universitaria di Genova, scritte da Giambattista Passano o a lui indirizzate, hanno per la biografia di questo letterato, bibliografo e bibliofilo dell’Ottocento. Tale carteggio permette anche di precisare alcuni interessanti motivi relativi alla cultura ottocentesca. (Graziella Ferrari) - 355 - E. Costa, I fondi archivistici della Biblioteca Universitaria di Genova riguardanti il Risorgimento. Ili: Le Lettere di Stefano Tiirr a Francesco Sciavo, in Rassegna storica del Risorgimento, LIV, 1967, pp. 76-88. Nella Biblioteca Universitaria di Genova si conservano centosette lettere autografe scritte tra il 1891 ea il 1908 dal generale Stefano Tiirr al colonnello Francesco Sciavo, che documentano la viva amicizia esistente fra questi due garibaldini e denotano un notevole reciproco interesse per i principali aspetti della vita politica europea ed italiana del tempo. L A. ha dato il regesto di 70 fra queste lettere, oltre all’edizione di una lettera scritta da Giulio Cesare Abba allo Sciavo, nella quale non solo viene sottolineata la misura umana dello Sciavo stesso, ma viene soprattutto ricordata l’intima amicizia esistente fra costui e il Türr. (Francesco Surdich) Emilio Costa, L opera del Circolo Italiano di Genova a favore di Venezia, in Rassegna Storica del Risorgimento, LII, fase. II, aprile-giugno 1965, pp. 195-212. Illustra 1 azione politica del Circolo Italiano di Genova, durante l’armistizio Salasco, e segue cronologicamente lo sviluppo organizzativo del Circolo nella ricerca di fondi per garantire soccorsi a Venezia, mediante i verbali delle adunanze del Circolo, i manifesti, le interpellanze al Parlamento ed altri documenti inediti. Viene messo in evidenza che 1 opera iniziata dal Circolo Italiano di Genova a favore di \ enezia intendeva alimentare il sentimento dell’unità e portare da un lato all’esaltazione dell eroismo di Venezia e dall’altro alla denigrazione dell’abulia subalpina. (Graziella Ferrari) Mario Dossena, Appunti per una biografia di Cristoforo Moia, in Miscellanea di Storia del Risorgimento in onore di Arturo Codignola. Istituto per la storia del Risorgimento Italiano, comitato di Genova. Documenti, saggi e ricerche, I, Genova, 1967, pp. 165-193. Sulla base della documentazione esistente presso l’Archivio di Stato di Torino, 1 Archivio di Domenico Buffa di Ovada e il Museo del Risorgimento di Genova, e dall esame delle notizie e delle indicazioni riportate da alcuni giornali dell’epoca (L Avvisatore Alessandrino, La Maga, Il Gagliaudo, Il Cattolico), ricostruisce le fasi salienti della vit.; e dell’attività politica di Cristoforo Moia, di cui è messa in risalto 1 infaticabile e tenace fede di patriota. (Graziella Coialbu) G. Felloni, Le retribuzioni dei lavoratori edili a Genova dal 1815 al 1890, in Archivio Economico dell’Unificazione Italiana, 1963, serie I, vol. XII fase 3 1963 pp. 1-28. Dopo aver illustrato le fonti e la natura dei dati, studia le condizioni di lavoro ed i salari. Un ampio corredo di 9 tabelle sulla distribuzione delle giornate lavorative dei vari salariati e su alcuni appalti completa l’articolo. (Mario Buongiorno) - 356 - G. Felloni, Un secolo di salari edilizi a Genova-, 1815-1913, in Movimento Operaio e Socialista, giugno-dicembre 1965, fase. 3-4, pp. 163-174. Prende in esame un periodo in cui la popolazione genovese si triplicò ed analizza i salari nominali e reali delle singole categorie di lavoratori. Segue una vasta serie di tabelle sui salari reali e sulle spese medie delle famiglie operaie per i principali alimenti. (Mario Buongiorno) Genova, PJvista del Comune, XLVIII, novembre 1968. Edizione speciale commemorativa del cinquantenario di Vittorio Veneto. Nel quadro delle manifestazioni celebrative del 50° anniversario di Vittorio Veneto, la Rivista del Comune « Genova », diretta da Giuliano Balestreri, ha predisposto la pubblicazione di un fascicolo speciale dedicato alla ricorrenza. Ne è uscito un fascicolo di oltre 150 pagine riccamente illustrato e reso in una forma tipografica assai accurata in cui classico e moderno si congiungono nella più armonica delle unità. Il fascicolo, al quale hanno dato la loro collaborazione personalità tra le più notevoli dell’ambiente combattentistico non meno che di quello culturale, intende dare una raffigurazione spassionata e priva di ogni retorica di quello che è stato il contributo offerto da Genova alla Nazione in armi durante la prima Guerra mondiale. Si è pertanto insistito sui fatti dei quali la gente di Liguria è stata nei diversi momenti la magnifica interprete, e si è dato largo spazio all’illustrazione delle figure più rappresentative dell’eroismo ligure, non dimenticando come presupposto di esso sia stato lo sforzo tenace delle maestranze della regione impegnata in un’affannosa gara con il tempo per dare ai combattenti le armi necessarie alla lotta. Parallelamente è posto in doverosa evidenza l’animo della popolazione, che, cosciente della drammaticità del momento e dell’incommensurabile valore della posta in gioco per l’avvenire della Patria, non ha mai deflettuto dalla linea della più impegnata resistenza civile. Attraverso le pagine del fascicolo risulta un quadro vivo della Genova e dei Genovesi nella guerra 1915-18, un quadro le cui tonalità non appaiono mai in nessun modo caricate. Si è cercato di fotografare la realtà quale essa era, facendo così opera non di vacua esaltazione patriottarda, ma di autentica storia. Questa edizione speciale della Rivista Genova è divisa in quattro sezioni, la prima delle quali destinata alla cronaca delle manifestazioni indette per la ricorrenza nella città o svoltesi altrove ad opera dei genovesi. Sono riportati i testi dei discorsi del Sindaco ing. Augusto Pedullà in Consiglio Comunale, di Umberto V. Cavassa al Teatro Margherita e di Pietro Ricci, Presidente dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra, al Sacrario di Redipuglia. La seconda parte costituisce la vera e propria rievocazione storica, riportando scritti di Leonida Balestreri (Garibaldini liguri in Francia), di Mario Zino (Caviglia e la battaglia della Bainsizza), di Arturo Codignola (Il Generale Cantore), di Ugo - 357 — Erede (Il Reggimento 48° Fanteria), di Virgilio Caldani (I Mutilati di guerra genovesi), di Giulio Giaccherò (L’economia genovese e la guerra 1915-18), di Bianca Montale (La resistenza civile a Genova durante il 1° conflitto mondiale), di Giuseppe Piersantelli (Il Papa della Pace Benedetto XV), di Piero Raimondi (La grande Guerra in alcune pagine di scrittori liguri), di Vitaliano Rocchiero (Il sacrificio e la fede dei Combattenti nelle raffigurazioni degli artisti liguri) e altri articoli vari. La terza parte è rappresentata da un’ampia rassegna di fotografie e di documenti dell epoca, scelti con opportuni criteri e presentati come la sequenza di un lunghissimo film. L’ultima parte infine è specificatamente dedicata ai Decorati e ai Caduti Genovesi. (Victor Balestreri) A. Gibelli, Genova operaia nella Resistenza. Istituto storico della Resistenza in Liguria, Firenze, 1968, pp. 371. Con una volontà di penetrare la realtà più autentica ed eloquente del fenomeno resistenziale, colto non nei suoi aspetti più appariscenti e decisamente più noti, come quelli di carattere più strettamente militare o quelli concernenti la posizione e l’influema delle componenti istituzionali-politiche, il lavoro di Gibelli si propone per 1 indubbia suggestione metodologica tesa a spostare il discorso sulla Resistenza verso quei filoni di ricerca dove la dimensione della rivolta antifascista ha un suo più preciso e concreto contenuto: l’emergere della consapevolezza degli obiettivi e delle esigenze di classe come punto di riferimento essenziale ed elemento stimolante dell impegno unitario garantito dal C.L.N., verificato in questo caso nella partecipazione alle lotte del 1943-1945 dei lavoratori di un grande centro industriale come Genova. In questa prospettiva l’A. ha saputo seguire, con indubbia passione, non disgiunta però da una rigorosa obiettività, le complesse vicende della Resistenza genovese, ripercorse con particolare riferimento al crescere e al definirsi dell’apporto operaio, sottolineando in questo senso le fasi dialettiche di questa vicenda, determinate nei diversi momenti dalla progressiva sovrapposizione delle scelte moderate su cui poggiava l’accordo politico del C.L.N., alle istanze più avanzate e radicali del movimento operaio: tutto ciò evitando ogni mitizzazione della spinta di classe, di cui anzi si preoccupa, quando è il caso, di rilevare le inevitabili debolezze e contraddizioni. L’indagine, condotta prevalentemente su materiale desunto dall’Archivio di Stato di Genova, oltre che su numerose altre fonti scritte ed orali attinte nelle più disparate sedi, si completa con una consistente appendice, contenente, fra l’altro, le biografie degli autori delle principali testimonianze, la riptoduzione di alcune tabelle con dati significativi da un punto di vista economico, testi di volantini, ordini, ecc., ed un elenco dei componenti i C.L.N. aziendali nel periodo cospirativo. (Francesco Surdich) — 358 — G. Grassano, L’attività giornalistica di Emanuele Celesia prima del 1848. La collaborazione all’Espero (1840-1845), in Miscellanea di Storia del Risorgimento in onore di Arturo Codignola. Istituto per la storia del Risorgimento Italiano, comitato ■di Genova. Documenti, saggi e ricerche, I, Genova, 1967, pp. 197-215. Notando che l’attività politica del Celesia ha il suo culmine negli anni 1847-49, delinea tutta la sua attività precedente, quando si formò il suo orientamento culturale e politico, al quale egli rimase sempre fedele. La sua collaborazione, tra il 1840 e il 1845, all’Espero, giornale per il quale, fino alla vigilia della sua soppressione, continuò a scrivere poesie, rievocazioni storiche, esaltazioni delle glorie d’Italia, rappresenta, infatti, per la stessa continuità dei temi, un esempio di coerente fermezza. (Maria Galizia) Nino Lamboglia, Girolamo Rossi (1831-1914), estratto dalla Rivista lngauna ■e Intemelia, n.s. XIX, 1964, nn. 1-4. Si tratta del discorso commemorativo pronunciato, in occasione del I Congresso Storico Liguria-Provenza, il 4 ottobre 1964, nel salone del Museo Archeologico nel palazzo del Comune, nel cinquantenario della morte di Girolamo Rossi, di cui viene messo in evidenza il grande interesse per gli studi storici e archeologici. Segue una particolareggiata e precisa bibliografia di tutte le opere di Girolamo Rossi in ordine cronologico. (Laura Balletto) S. C. Landucci, De Sanctis e Tommaseo. Lettere inedite, in Belfagor, XVII, 1962, pp. 69-87. Alcune lettere inedite del carteggio fra il Tommaseo e il De Sanctis, conservate nella Biblioteca nazionale centrale di Firenze, pubblicate dal Landucci, contengono interessanti notizie sulle vicissitudini subite da un sacerdote savonese, Luigi Bottaro, direttore del Ginnasio di Genova, che può essere considerato uno dei più significativi rappresentanti del cattolicesimo liberale. (Francesco Surdich) B. Montale, I carabinieri genovesi nell’impresa del 1860, in Studi garibaldini, Bergamo, 1962, n. 3, pp. 169-190. Fornisce un elenco di 438 carabinieri genovesi, che presero parte attiva alla liberazione del mezzogiorno, con indicazioni relative al luogo e data di nascita, età, professione, domicilio. Questi dati, pur presentando parziali lacune, sono assai indicativi e rappresentano un significativo contributo alla storia del volontarismo garibaldino. (Flavia Perasso) - 359 - B. Montale, Giacomo Balb; Pioverà e la guardia civica di Genova (marzo-settembre 1848), in Rassegna storica del Risorgimento, LIV, 1967, pp. 548-593. Approfondisce la posizione mantenuta nel corso dei tumultuosi avvenimenti che caratterizzarono la vita pubblica di Genova nel corso del 1848 da parte di Giacomo Balbi Pioverà, allora comandante delle Guardia Nazionale di Genova, tenendo conto delle circostanze eccezionali in cui dovette svolgersi la sua azione e degli ostacoli spesso insuperabili che egli si trovò ad affrontare. L’analisi svolta dall’A. trova un puntuale riscontro nei ^4 documenti allegati in appendice, in gran parte lettere del 31 ma“Sior* responsabili della vita politica genovese. (Francesco Surdich)1 ianca . ùntale, per un profilo del moderatismo genovese (1849-54), in Misce anea i tona del Risorgimento in onore di Arturo Codignola. Istituto per 1* T °pa 6 ^°rglment0 Italiano, comitato di Genova. Documenti, saggi e ricerche, i, Genova, 1967, pp. 217-274. Dopo aver precisato e chiarito come non si possa parlare di esistenza di un P;°Pn°, PattÌt° moc*erato a Genova per il periodo 1849-1854 e aver rilevato . J 1C° ta C ~ lncontra lo stesso tentativo di una definizione del termine « mo- 0>>,’. PCr ,L innumerevoli sfumature di opinione e di atteggiamento possibili amp.1 m|tl c^e dividono i moderati dalla reazione e dalla rivoluzione, nnlinV toaminare j caratteri più evidenti del moderatismo genovese, la provenienza 1 ei. SU01 3 Crenti e ëü atteggiamenti assunti di fronte ai problemi e agli avvenimenti salienti del periodo. dal ±rr°.SÌ 150116 COme ^ Punt0 di partenza di una più vasta indagine, anche luce l’i ° * V1 13 crono^°8^0> su' moderatismo genovese, volta a porre nella giusta portanza ei principi propugnati nell’ambito di tale collocazione politica. (Graziella Coialbu)1 11 pimento de• prezzi in Genova dal 1845 al 1905, in Giornale degli econo-* i e ima i di Economia, XXIV, n.s., sett.-ott. 1965, nn. 9-10, pp. 886-920. setf tT dÌ Un * grUPP° d‘ laVOr° * costituito da G- Vazza> N. De Petris, P. Ver-• ornaci e G. Marson, facente capo all’istituto di Economia dell’Università . m’ t3uesta monografia, la cui pubblicazione è stata curata da Achille Agnati, 'eme or^nar‘° del suddetto Istituto, si articola in una ricca bibliografia, in un • •P?. tl.C°’ ne^ ^ua^e> suddivisi per anni, sono riepilogati i principali aweni-. ,a.n^ ~ internazionali, in una serie di tabelle relative ai prezzi dei maggiori prodotti del settore agricolo, industriale e chimico, in atti grafici dei numeri indice e elle medie aritmetiche ponderate dei prezzi ed entelechiani proposti, e in una brevissima conclusione sulla ricerca. (Francesco Surdich)1 — 360 — V. Murialdi, Giornali e giornalisti del primo Novecento, in La Casarta, X, n 3, luglio-settembre 1968, pp. 21-26. L A. ci offre un quadro del giornalismo genovese del primo Novecento senza far nessun ricorso a documentazioni storiche, ma basandosi su ricordi personali e impressioni soggettive. Ricorda il « Caffaro », diretto da A. G. Barrili e, in seguito, dal Gustavino, in lotta con il « Secolo XIX », nato per iniziativa dell’industriale Bombrini; il « Cittadino », il « Corriere Mercantile », il « Corriere di Genova », il « Lavoro » e i collaboratori più illustri, tra i quali il giornalista Vassallo, Flavia Steno, Carlo Panseri, Amedeo Pescio, G. Canepa, direttore del « Lavoro », e Giulio Breschi. (Flavia Perasso) N. Nada, Le vicende politiche genovesi del marzo 1848 in alcune lettere à: Vincenzo Troya a Cesare Alfieri, in Miscellanea di Storia del Risorgimento in onore di Arturo Codignola, Istituto per la storia del Risorgimento Italiano, comitato di Genova. Documenti, saggi e ricerche, I, Genova, 1967, pp. 251-262. Preceduta da una breve introduzione, che accenna alla situazione genovese del marzo 1848, segue la trascrizione di sei lettere che rappresentano la breve corrispondenza fra il Troya, direttore delle civiche scuole elementari di Genova, e C. Alfieri, segretario di stato per la pubblica istruzione; corrispondenza interessante perchè chiarisce alcuni particolari sconosciuti della storia genovese di quel periodo. (Maria Galizia) Giuseppe Oreste, La mancata nomina di Ferrante Aporti ad arcivescovo di Genova, in Miscellanea di Storia del Risorgimento in onore di Arturo Codignola. Istituto per la stona del Risorgimento Italiano, comitato di Genova. Documenti, saggi e ricerche, I, Genova, 1967, pp. 263-279. Nel delicato momento di trapasso del Regno Sardo dal regime assolutista al regime costituzionale si inserisce il problema della elezione del nuovo arcivescovo di Genova, successore del cardinal Placido Tadini, deceduto il 22 novembre 1847. L’A. offre, insieme ad una interpretazione degli avvenimenti, un ampio e documentato quadro dello stato di confusione e di pericolosa tensione in cui, perso di vista il motivo religioso, degenerò la vicenda, allorché ragioni di opportunità politica, timori e prevenzioni convinsero Pio IX a ritardare dapprima e a negare infine la nomina al già designato Ferrante Aporti, benemerito nel campo dell’istruzione e di spiriti moderatamente liberali. Alcune lettere conservate presso il Museo del Risorgimento, due delle quali sono riportate in appendice, costituiscono la principale fonte del presente lavoro. (Graziella Coialbu) - 361 - G. Pansa, Guerra partigiatia tra Genova e il Po. La resistenza in provincia di Alessandria, prefazione di G. Quazza, Bari, 1967, pp. XVI-530. Questo nuovo volume della serie di studi a cura dell'istituto Nazionale per Ja storia del Movimento di Liberazione in Italia, frutto di un decennale lavoro di ricerca e di approfondimento da parte dell’A., rappresenta un interessante e documentato panorama delle lotte partigiane combattute nel territorio alessandrino, punto strategico cruciale dell intera guerra partigiana italiana. Utilizzando ampiamente a questo proposito le numerosissime fonti edite ed inedite (i documenti conservati negli archivi degli istituti della Resistenza di Milano, Torino e Genova, nonché archivi privati dei militanti antifascisti), le pubblicazioni clandestine, i memorialisti, ecc., il Pansa analizza con precisione sia gli aspetti propriamente politici del problema che quelli militari: dalla lotta armata e dalla guerriglia risale ai rapporti con la popolazione, alla struttura dell organizzazione politica antifascista ed ai suoi programmi, alla polemica esistente fra i diversi schieramenti. Egli ha cercato parallelamente di tenere presenti, per completare nella maniera più obiettiva il quadro degli avvenimenti, pure la documentazione e le testimonianze relative alle organizzazioni fasciste e tedesche, come finora in questo senso non era stato ancora fatto con uguale impegno. Completano 1 opera quattro tabelle indicative della composizione sociale e per età di quello che, in senso lato, può essere ritenuto il gruppo dirigente del movimento di Liberazione nella provincia di Alessandria, suddiviso in « quadri militari » e « quadri politici »; segue un indice dei nomi. La lettura del libro è facilitata anche da una carta geografica fuori testo raffigurante la dislocazione delle formazioni partigiane dell’Alessandrino nella fase finale della guerra di Liberazione. (Francesco Surdich) G. Pansa, Lo sviluppo primaverile delle formazioni nella zona del Tobbio e il rastrellamento del 6-11 aprile, in II movimento di liberazione in Italia. 1960, n. 60, fase. II, pp. 6-43. Rivolgendo il proprio interesse alla formazione e all’attività delle bande partigiane nel territorio del Tobbio durante i primi mesi del ’44, si sofferma in modo particolare sulla composizione e sulle vicende della Brigata Autonoma « Alessandria » e della Brigata Garibaldi « Liguria », e sullo spaventoso eccidio della « Benedicta », di cui, nel corso del massiccio rastrellamento compiuto dalle forze nazi-fasciste, caddero vittime gran parte de; giovani complementi in attesa di aggregarsi. L A. analizza inoltre i motivi psicologici e militari che resero possibile il massacro, giungendo alla conclusione che una maggiore valutazione delle effettive possibilità e delle reali intenzioni delle forze tedesche avrebbero potuto evitare o per lo meno ridurre a minor proporzioni il doloroso episodio. (Graziella Coialbu) — 362 — G. Pisi arino, Liguria e Lunigiana nel medioevo di Giorgio Falco, in Giornale storico della Lunigiana e del territorio lucense, n.s., XVII, 1966, pp. 179-188; id., Giorgio Falco, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, LXV, 1967, fasce. III-IV, luglio-dicembre, pp. 529-514; id., Giorgio Falco tra documenti e storia, in Nuova Rivista storica, LU, fascc. I-II, 1968, pp. 1-22; id., A proposito di ricordi su Giorgio Falco, in Critica storica, n. 2 del 31 marzo 1968, pp. 215-223. Quello fra i suoi allievi che gli fu più vicino, — prima come discepolo a Torino dal 1936 al 1938 e poi come assistente a Genova dal 1950-51 al 1953-54, — e che per più lungo tempo ne conobbe l’attività, ha ricordato Giorgio Falco in questa serie di lavori, che, ricostruendo l’opera scientifica e didattica del Maestro, offrono una ampia messe di notizie biografiche e puntualizzano, seguendone l’evoluzione costante, la struttura dei suoi interessi e la formazione del suo pensiero. Alla ricostruzione fedele degli anni torinesi, della cauta e approfondita formazione archivistica ed erudita di Falco, perfezionata nel tempo trascorso a Roma e nel corso della campagna di ricerca condotta nell’agro laziale, si alterna il ricordo, più fedele ed affettuoso, del suo periodo d’insegnamento a Genova, città alla quale Falco fu legato, per amor di studio, fin dagli anni della giovinezza e dove egli, sensibile e aperto sempre alle esigenze degli studi locali, lasciò una significativa impronta. C’è tutta la vita deH’uomo; vi sono, insieme, il travaglio dello studioso e la somma delle esperienze tristi e liete, che hanno inframmezzato, guidato e in parte condizionato la vigile sensibilità del Maestro: « Nel rapido mutare del panorama storiografico, dal momento erudito alla scuola economico-giuridica ed economico-sociale, all’idealismo e allo storicismo crociano, Falco venne scavandosi una propria strada, che acquisiva via via i risultati migliori del pensiero storico del momento, ma li trasfondeva e li superava, senza rinnegarli, in una personalità robusta e coerente ». Secondo il filo di queste esperienze, viene passata in rassegna tutta la produzione di Falco, storico del medioevo e dell’età moderna: del medievista, che si plasma sulla ricerca documentaria; che discute la validità del periodo storico in sede storiografica; che elabora lentamente, uno studio dopo l’altro, la sua personale concezione dell’età di mezzo, intesa dapprima come «storia dell’Europa occidentale cattolica », poi come « fondazione d’Europa su base cristiana e romana »; e del modernista, in subordine al pruno, che si forma soprattutto negli anni postbellici e nasce dal profondo impegno civile dell’uomo, che ben conosce il significato della libertà. Fiducioso nei valori costruttivi dello spirito, Falco estrinseca quest’altra serie di interessi nelle studio della tematica storica sette-ottocentesca e cioè sulla formazione della coscienza civile degli italiani e sul problema dell’unificazione nazionale, enucleati nell’indagine condotta nell’ambito del pensiero muratoriano e nei motivi di speranze e aspirazioni del Risorgimento italiano: una tematica fortemente permeata del significato profondo che aveva per lui Roma e, in più ampia accezione, l’Italia e l’Europa. Accanto allo storico ci sono sempre il paleografo e il diplomatista: c’è Falco che non solo costruisce ogni volta i suoi lavori sulle fonti, ma si pone e risolve problemi di pura indagine documentaria, sulla base di un continuo esercizio critico; Falco - 363 - che guarda a questa problematica come ad una di quelle che a maggior diritto rientrano « nel filone più vivo della storia della civiltà ». Per molti versi si colloca in questo suo particolare settore d’interessi 1 attività scientifica condotta su temi liguri: un’attività continua e costante fin dagli anni torinesi, che non s interruppe mai, perché non fu mai legata alle vicende della vita del Maestro e perché, per la varietà dei suoi aspetti, ne soddisfece in ogni caso Io spirito sottilmente critico. A tale ramo di studi è dedicato in particolare uno di questi lavori, che giunge a completare e ad ampliare la commemorazione di Falco, tenuta da Geo Pistarino alla Società Ligure di Storia Patria il 15 dicembre 1967, e che delinea la serie di problemi, suscitati nel Maestro dalla lettura dei documenti liguri, e la novità e la validità di taluni suoi temi di studio. Dalla somma di tutte queste notizie, che vanno dal dato biografico puro, alla irdagine stoiiografica vera e propria, alla finissima notazione psicologica e d’ambiente, emerge i quadro di una personalità acuta, dalla vastissima preparazione erudita e filologica, dalla pronta, versatile capacità ad affrontare il tema storico e culturale; paleografico e diplomatistico, con uguale onestà e con uguale impegno. Emerge soprattutto il metodo, del tutto originale, della storia che nasce « ogni volta come opera d arte. Ciò che non è materia di scuola, e può porsi solo come modello da riguardare, ideale da raggiungere ... ». (Gabriella Airaldi) R. Rainero, I socialisti genovesi e la spedizione di Tripoli, in Miscellanea di storia ligure, IV Università di Genova, Istituto di Paleografia e Storia Medievale - Istituto di Storia Moderna e Contemporanea, Fonti e Studi, X, Genova, 1966, pp. 437-480. Di fronte alle incertezze che divisero spesso, a livello nazionale, i diversi settori politici del partito socialista in merito alla possibile utilizzazione in chiave socialista del fatto coloniale, chiara e precisa fu la posizione di netto rifiuto sostenuta costantemente da parte dei socialisti genovesi e ribadita pure in occasione della progettata impresa tripolitana. (Francesco Surdich) Italo Scovazzt, Savona e la Sabazia nel Risorgimento italiano, in Atti della Società Savonese di Storia Patria, XXXII-XXXIII, 1960-1961, pp. 548. In questo grosso studio dello Scovazzi, appassionato studioso della storia savonese, è delineata la posizione assunta da Savona durante il periodo del Risorgimento italiano. L’A. si è impegnato a dare una visione delle vicende particolari savonesi, colte in tutti i loro aspetti, inquadrandole in quelle generali dell’Italia e dell’Europa. Una ricca documentazione è alla base dello studio. (Graziella Ferrari) — 364 — D. Veneruso, La Spezia e la sua popolazione nel 1848, in Giornale storico della Lunigiana e del territorio lucense, XVII, nn. 1-4, gennaio-dicembre 1966, pp. 53-59. Dopo aver inquadrato La Spezia nella situazione economica e politica della Restaurazione, documenta con accuratezza di dati reperti presso PArchivio Storico del Comune e tramite il confronto fra accenni contenuti in opere di più vasto respiro, la rapida evoluzione dell’economia da agricola ad urbana, mostrando in qual misura e per quali ragioni gli eventi del ’48 contribuirono a modificare la funzione della provincia in seno al nuovo stato, e con essa la mentalità e gli orientamenti dei vari ceti sociali. (Flavja perasso) VARIA H. Ahrweii.er, Byzance et la mer, « Bibliotèque Byzantine », Presses Universitaires de France. E’ un ampio e documentato studio della potenza navale bizantina dall’età di Giustiniano alla caduta dell’impero. Le vicende storiche, ampiamente trattate, sono accompagnate da una precisa esposizione delle magistrature, degli uffici e della organizzazione delle forze navali bizantine nei varii periodi, da un elenco delle principali basi navali e dei più attivi centri marittimi. In appendice sono riportati brani relativi alla consistenza e al reclutamento degli equipaggi, alle categorie e ai tipi di im-barcazion', ai cantieri e agli arsenali per le costruzioni navali. Ripetuti sono i riferimenti, in ciascuna di queste sedi, a problemi che riguardano direttamente interessanti aspetti della storia dell’impero coloniale genovese. (Aurelia Basili) Atti della Società Savonese di Storia Patria, XXXVII, 1965, pp. 266. Il volume, interamente dedicato alla memoria di Italo Scovazzi, comprende numerosi scritti di varia natura dello studioso di storia savonese, preceduti dalla commemorazione tenuta dal canonico Lorenzo Vivaldo al Casino di Lettura di Savona il 17 maggio 1964. Vengono ripubblicati lavori dello Scovazzi di data e di argomenti diversi, la cui reperibilità riesce alquanto difficile. Tra questi scritti si trova l’opera forse più originale dello Scovazzi e che dimostra l’affetto profondo nutrito dallo scrittore per la Liguria: Giano; saggio sullo spirito ligure. Oltre a questo tra gli studi ripubblicati nel volume si possono ricordare quelli scritti in commemorazione di Anton Giulio Parodi, Paolo Boselli e Silvio Volta. Interessanti per gli studiosi locali sono i saggi intorno alla leggenda di Colombo savonese, i rioni di Savona antica, la Società Savonese di Storia Patria, la Biblioteca civica di Savona e il Codice Dantesco Sansoni. Accanto agli studi storici figurano alcune traduzioni di liriche di G.W. Goethe, che rendono testimonianza dell’opera di traduttore dello Scovazzi. A conclusione del volume si trova la bibliografia completa degli scritti dello studioso scomparso. (Graziella Ferrari) - 365 - F. Barreca - A. Boscolo - F. Casula - E. Contu - L. Del Piano - C. Maxia -E. Putzulu - N. Sanna - C. Sole - G. Sorgia, Breve storia della Sardegna, Torino,. 1965. In questa serie di saggi, che prendono spunto da un gruppo di lezioni tenute da docenti e ricercatori alla sede RAI di Cagliari e che sono condotti alla luce delle più recenti scoperte, risultato di una vasta operazione di sondaggio compiuta sia in ambito archeologico, sia in campo storico-archivistico, viene offerta in sintesi la successione dei più interessanti capitoli della storia sarda dal periodo neolitico all’età contemporanea. Genova compare più volte nella storia del medioevo di quest’isola, alla quale legò per tanti versi la sua storia; e tra gli archivi italiani e stranieri citati per la ricchezza del materiale legato alle vicende sarde è ricordato appunto quello genovese, che ha offerto e può offrire una cospicua documentazione. Dall opera, coordinata e dovuta in parte al prof. Alberto Boscolo, emerge il \asto ed organico piano delle ricerche che sono attualmente in corso presso i centri di cultura e che vogliono giungere infine ad individuare il vero ruolo ricoperto dalla Sardegna nel quadro della civiltà mediterranea. Un ruolo che va rivelandosi sempre più importante via via che ci si addentra nel mistero di questa splendida isola. Il lavoro è completato da 27 illustrazioni, da una cronologia essenziale e da un orientamento bibliografico. (Gabriella Airaldi) G. Beniscelli, Cogoleto, in ha Casana, n. 1, gennaio-marzo 1968, pp. 20-25. Dopo aver accennato alla posizione geografica di Cogoleto si sofferma a considerarne 1 attività umana dal suo primo manifestarsi, con il lavoro delle cave di pietra e fornaci, all attività marinaresca e ai traffici mercantili, fino a quella artigiana-indu-striale, determinante per l’avvenire del paese. In un successivo profilo storico-economico industriale condotto dal medioevo ai giorni nostri pone in evidenza l’importanza assunta dalla città nell Ottocento, in seguito alla rivoluzione industriale. (Flavia Perasso) G. Beniscelli, Fontanigorda, in La Casana, X, n. 3, luglio-settembre 1968, PP 29-35. Illustra le attrattive paesaggistiche e i pittoreschi itinerari di Fontanigorda, comune montano della Val Trebbia, meta turistica tradizionale per i genovesi. Richiama brevemente le vicende storiche e le attività umane relative a quella zona, giungendo all’odierna configurazione del comune. (Flavia Perasso) — 366 — * G. B. Nicolò Besio, Evoluzione storico-topografica di Savona, Savona, 1963. Traccia una rapida storia della città dall’epoca barbarica ai giorni nostri, con particolare riguardo allo sviluppo urbanistico. Seguono un indice demografico, un quadrante iconografico e cartografico, una cronologia storico-topografica. Nella seconda parte una serie di tavole illustra la topografia di Savona nei vari secoli. Conclude l’opera una accurata bibliografia. _ . „ . . (Silvana Fossati Raiten) Paola Bocca, Ricerche storiche sulla Fraschetta, Alessandria, 1967, pp. 70. Dopo un breve excursus storico, che, risalendo ai primi scontri tra le popolazioni liguri e Roma, giunge fino ai nostri giorni, sottolinea gli interessi culturali propri della regione studiata. L’analisi è condotta attraverso la storia di monasteri, centri geografici e personalità di maggior rilievo oriunde della Fraschetta nei vari secoli. Una particolare attenzione è concessa agli anni della conquista napoleonica. (Mario Buongiorno) C. Bonfigli, Il Capitolo cattedrale in Santa Maria a La Spezia, La Spezia, 1964, pp. 18. Traccia una serie di cenni biografici relativi ai fautori del Capitolo cattedrale, riportando anche la traduzione di una parte della bolla di erezione del Capitolo stesso. Sottolinea successivamente lo sviluppo e l’importanza della chiesa spezzina, arricchita dai capitoli di Brugnato e di Sarzana e documenta nei vari secoli la funzione avuta dal Capitolo, a partire dal 1371 per giungere fino al 1962, con 1 intervento di Giovanni XXIII. ,T . r . ... (Luciana Ferrarmi) C. Bonfigli, Vescovi e Santi spezzini, La Spezia, 1964, pp. 64. « Frutto di ricerche meticolose », questo lavoro si riferisce ai vari santi e vescovi che ebbero natali nella provincia di La Spezia e che in essa sono tuttora venerati. Ogni nominativo è corredato di tutte le più importanti notizie biografiche e di una ben nutriti bibliografìa. Il lavoro risulta oltremodo utile in quanto confuta i giudizi generici ed inesatti di altri studiosi della stessa materia. Nelle ultime pagine troviamo, inoltre, un indice di tutti i vescovi spezzini, reso più prezioso dalle indispensabili precisazioni biografiche. (Ludana Ferrarmi) G. Brizzolara, L’origine delle due antiche strade liguri di Piacenza-Bobbio-Genova e Bobbio-Chiavari, in Le compere di S. Giorgio, XI n. 2, febbraio 1962, pp. 100-110. Vede nella necessità di Annibaie di ricevere approvvigionamenti dal mare, durante il periodo in cui svernò in Val Trebbia, l’origine della carovanica Chiavari- 367 Val Trebbia. I Liguri, poi, dato che le strade romane lasciavano privo di comunicazioni il quadrilatero appenninico di Genova-Piacenza-La Spezia-Parma, tracciarono le loro strade pedonali di montagna e le multattiere. Un risveglio economico e commerciale si ebbe in quei territori con la conversione dei Longobardi al cattolicesimo e con l’attività promossa dal monastero di S. Colombano di Bobbio. Nel periodo immediatamente pre-carolingio i monaci di Bobbio tracciarono le carovaniere Pwcenza-Bobbio-Genova e Piacenza-Bobbio-Chiavari, quest’utlima più importante perchè si snodava lungo i territori di proprietà del monastero in Val d’Aveto, \a e S tu ria, ecc. Tale via, a Ottone, si sovrapponeva all’antica Bobbio-Genova per ordalia e la Scoffern. La decadenza di queste arterie iniziò nel periodo napoleonico, costruzione dell Aurelia napoleonica, e successivamente con quella della ferrovia Roma-Genova. (Berenice Donadelli) C. M. Brunetti, Castelli liguri, Genova, 1967, pp. 112. A più di trentanni di distanza dalla prima edizione è stata ristampata, sotto g ! auspici dell Istituto Italiano dei Castelli, completata da 15 nuove illustrazioni tavoe a colori, 1 opera ormai classica del Brunetti, che fu un vero precursore nel campo degli studi sui castelli, non solo in Liguria. (Francesco Surdich) 1Q._ Iichelangelo Castaldo, Borghi e santuari delle Cinque Terre, La Spezia, 1965, pp. 80. * II la\oro del Castaldo sul culto mariano nella zona delle Cinque Terre è so in 5 parti, ricordata brevemente la storia di ogni borgo e indicate le opere arte che vi si possono ammirare, viene presentato il rispettivo santuario, con la toria e le sue caratteristiche. Il lavoro è illustrato da fotografie di ogni paese e i ogni santuario e viene completato da una bibliografia sul tema. (Maria Grazia Perfumo) P. M. Conti, Residui di culti milanesi ai margini della provincia metropolitica papale, in Rivista di storia e letteratura religiosa, I, 1966, pp. 48-68. Studia la struttura e l’organizzazione di due chiese rurali (le prime notizie attendibili che conosciamo su di esse risalgono alla prima metà del secolo XII), distrutte nel secolo scorso e situate in precedenza nella parte settentrionale del territorio comprendente il golfo di La Spezia: una costruita a Vivere e consacrata a S. Antonio e a S. Brizio; l’altra edificata sul Monte Albano e dedicata a S. Vittore martire e a S. Michele. (Francesco Surdich) — 368 - Gian M-\rino Delle Piane, Un antico casato di Albenga: i Peloso, in Rivista Araldica, LXVI, n. 3, marzo 1966, pp. 96-100. Dopo una breve introduzione, in cui accenna alle origini della casata, venuta in Liguria dalla Spagna e divisa nei due rami di Albenga e di Genova, l’A. traccia il quadro dell’espansione della famiglia oltre Appennino, illustrando i momenti più importanti dei più illustri appartenenti ad essa. Delinea infine, su documenti d’archivio, l’albero genealogico del ramo albenganese fino a Prospero Berengario Nicolò Peloso, nato il 24 gennaio 1843 col quale si estinse il ramo comitale di questa G. Doria, Uomini e terre in un borgo collinare dal XVI al XVIII secolo. Università degli studi di Genova - Istituto di Storia Economica, Milano, 1968, pp. XIII-435. Con una prospettiva di ricerca ampia e particolareggiata, che abbraccia tutti i possibili settori di indagine nell’ambito del tema prescelto, è ricostruita, colta nell’arco di tre secoli, la vita della comunità di Montaldeo, piccolo centro collinare dell’alto Monferrato, situato presso il confine dell’antica Repubblica di Genova, a sud-ovest di Novi e a nord-est di Ovada, quasi sulla direttrice delle più importanti vie di comunicazione fra Genova e la pianura padana. Ad eccezione di un estimo cinquecentesco dell’Archivio di Stato di Torino e degli atti di visite pastorali conservati presso l’Archivio della Curia Vescovile di Tortona, la documentazione utilizzata dal-l’A. per il suo lavoro è pressoché interamente tratta dall Archivio Doria, conservato presso l’istituto di Storia Economica dell’Università di Genova. Si tratta di un materiale molto interessante, in quanto per tutto il periodo preso in esame la famiglia Doria non solo fu proprietaria del castello e di buona parte delle terre di Montaldeo, ma esercitò su quel territorio, per investitura imperiale, una potestà feudale. Cosi, accanto ai documenti che si riferiscono ai conti, ai contratti ed ai registri riguardanti la gestione agraria della proprietà, è stato conservato anche tutto il fitto carteggio intercorso tra i feudatari e i fattori, il parroco, il podestà, i consoli della comunità. Il Doria ha saputo integrare in un discorso organico e compatto tutti questi diversi elementi, sottolineando sia gli aspetti tecnico-amministrativi del tema, sia quelli di carattere sociale e politico: dall’esame dei rapporti di produzione e della condizione umana dei lavoratori di quelle terre, verificati attraverso un esame minuzioso ed articolato delle fonti a sua disposizione, è giunto a tracciare un profilo della struttura sociale di quella comunità, individuando con precisione all interno di essa il ruolo e la funzione delle sue diverse componenti. Il testo è accompagnato da frequenti tabelle di carattere statistico e da fotografie di carte geografiche e mappe, ed è completato da una consistente appendice, contenente l’edizione di alcune fonti e numerosi quadri nei quali sono riportate, suddivise per anno, le indicazioni relative ai prezzi dei terreni, del bestiame, dei principali prodotti agricoli, di generi di abbigliamento, ai salari, ecc. All’inizio si trova un elenco delle monete, dei pesi e delle misure con i relativi coefficienti di ragguaglio. (Francesco Surdich) - 369 - A. Ferrerò, I domenicani a Savona. Notizie storiche sulla fondazione del convento di S. Domenico, in Memorie domenicane, III, 1962, pp. 197-210. Servendosi di indicazioni desunte dai contributi degli storici locali fornisce utili dati relativi alle tre sedi nelle quali risiedettero i domenicani a Savona: il primo convento di S. Domenico risalente al 1288, il secondo del 1544 ed il terzo, corrispondente a quello attuale, edificato al tempo di Pio V, grazie soprattutto al suo interessamento ed alla sua generosità. (Francesco Surdich) Leon Carlo Forti, Chiesanuova, in Bollettino ligustico, XVIII. 1966, nn. 1-2, pp. 27-40. Esamina, tra le frazioni dell’entroterra di Levanto, quella che più si distingue per una sua ben precisa fisionomia: Chiesanuova, sottolineando le vicende che subì a causa della guerra di Levanto contro Pisa e della peste che per due volte ne decimò la popolazione. Segue la storia della chiesa del paese: il restauro compiuto attorno al 1389, quando il borgo riprese la sua attività dopo lo spopolamento e l’abbandono da parte dei superstiti in seguito alla peste del 1348; il declassamento ad oratorio aggregato alla chiesa di Montale; la modificazione del 1656, dopo la seconda epidemia; il ritorno alla dignità di parrocchia e la ben più grave trasformazione del XIX secolo, quando la navata centrale fu ricoperta da una volta a botte, che nascose il tetto ed alterò le giuste proporzioni della chiesa. Il lavoro è completato da 18 fotografie e disegni, che illustrano la trasformazione del paese attraverso le varie epoche e la sua struttura attuale. (Maddalena Cerisola) Flora Ganfini Pastine, Rievocazione del passato, Chiavari, 1968, pp. 197. Si tratta di una raccolta di saggi (alcuni dei quali già pubblicati) divisa in due parti. Nella prima, che riguarda più strettamente la repubblica di Genova, l’A. esamina alcuni aspetti della vita ligure nel XVI e XVII secolo: la moda, i divertimenti, la cultura, la musica, la donna e la sua funzione nella società — in particolare parla della saggia moglie di C. Goldoni e della bella Antonietta Costa—, il problema della circolazione stradale e la reazione del popolo alla situazione politica dell’ultimo decennio del XVIII secolo. La seconda parte è dedicata ad uno studio particolare sugli avvenimenti della II guerra di Indipendenza, basato su testimonianze di giornali italiani e stranieri e su alcune lettere dei personaggi più in vista del tempo. A conclusione, l’A. traccia un breve schizzo di alcuni personaggi (N. Bixio, Elena Casati, le sorelle Marchisio, Adele Ristori, G. Verdi) i quali o con la musica o col teatro o con la viva partecipazione alla politica hanno contribuito alla diffusione degli ideali mazziniani. fM.T.A.) - 370 - M. Garev Varane (Storia-Arte-Folclore), Firenze, 1965, pp. 138. Si tratta di un insieme di scritti, pubblicati in origine in fascicoli separati, che danno un quadro storico, artistico e folcloristico della cittadina ligure. Il libro inizia con una raccolta di poesie dell’A. dedicate alla sua città; segue una breve storia, a carattere divulgativo, ma precisa, di Varazze. Gli ultimi capitoli illustrano monumenti e personaggi notevoli. Conclude l’opera un’appendice di documenti riguardanti luoghi o avvenimenti importanti. „ . _ . (Silvana Fossati Raiten) G. Guagnini, I Malaspina di Val di Staffora, Voghera, 1967, pp. 158. Mettendo a frutto le personali e minuziose ricerche condotte per lungo tempo soprattutto nei principali archivi pubblici e privati liguri e piemontesi ha voluto offrire una ricostruzione precisa e documentata di tutti i discendenti della famiglia dei Malaspina del ramo dello Spino Fiorito di Godiasco e Pozzol Groppo. A partire dal più remoto antenato Bonifacio II, detto il Bavaro, noto come conte di Lucca nell’813, il Guagnini ha cercato di chiarire con la maggior precisione possibile e con ricchezza di particolari il complesso problema dell’intrico genealogico di questa famiglia fino all’ultimo discendente dei due rami da lui presi in considerazione., cioè il marchese Faustino (morto nel 18821 per Godiasco e il marchese Alberto (morto nel 1889) per Pozzol Groppo. Lo studio è completato da un albero genealogico. (Francesco Surdich) J. Heers, Gênes, in Città, mercati, dottrine nell’economia europea dal IV al XVIII secolo. Saggi in memoria di Gino Luzzatto, Milano, 1964, pp. 85-104. In questa lezione tenuta il 21 maggio 1964 presso la Facoltà di economia del-l’Università di Roma, l’A. traccia a grandi linee la storia di Genova, che egli definisce città medievale e città di crociata perchè da essa partirono le spedizioni cristiane verso Oriente ed Occidente ed in seguito le spedizioni commerciali verso il Nord. Mette pure in risalto il fatto che, alla fine del Medio Evo, Genova fu tra le prime città ad indirizzare le proprie rotte commerciali verso la Fiandra attraverso Gibilterra e l’Atlantico; collega, quindi, a questa deviazione dei traffici anche la sostituzione dei vari tipi di imbarcazioni con la robusta « nave ». A Genova viene pure riconosciuto il merito di aver dato un grande contributo allo sviluppo finanziario dell’Europa. (Giovanna Balbi) R. S. Lopez, Market expansion: The Case of Genoa, in The journal of Economie History, XXIV, 1964, pp. 445-469. Traccia un quadro organico dello sviluppo economico e commerciale di Genova, il cui mercato è notevole già alla fine del XIII secolo e va estendendosi fino a tutto il XV, grazie alla mentalità aperta dei Genovesi pronti a trattare con ebrei, turchi, armeni. Il caso di Cristoforo Colombo, che si rivolge alla Spagna per il finanzia- - 371 - « mento della sua impresa non è dovuto alla decadenza di Genova, come affermano alcuni studiosi, ma al timore di una speculazione sbagliata, il che rientra perfettamente nella mentalità genovese. Studiando l’economia genovese mette in evidenza l’importanza dell’agricoltura, rammaricandosi che sia tuttora poco studiata. Si riportano anche due grafici, che illustrano lo sviluppo del commercio di Genova e Pera, che corre parallelo tra il XIV secolo e la prima metà del XV. (Silvana Fossati Raiteri) Giovanni Malaspina di Orezzoli, Avvicendamenti in feudi Malaspiniani di Val Trebbia, in Bollettino Ligustico, XVIII, 1966, pp. 117-120. Bre\e ed essenziale rassegna dei Malaspina avvicendatisi per successione ere- XV?VTneë Pr°PrÌetà dei feudi di ^miglia in Val Trebbia dal secolo XII ai secoli . V-Avl. E unito un albero genealogico della discendenza di Morello di Mulazzo. (Maria Luisa Balletto) Salvino Maloni, Nove anni di vita dell’istituto Tecnico Commerciale Statale « Angiolo e Luigi Sambuchi », di Fivizzano, Fivizzano, 1968, pp. 327. Dopo un rapido schizzo dell’ambiente fisico ed umano di Fivizzano, FA., a P ritento divulgativo, traccia la storia dei Liguri Apuani e Comani dalle origini o a a conquista romana e alle guerre goto-bizantine. L’opera, divisa in due parti, d'd CCOn ‘ a C^e tratta dell'istituto Tecnico di Fivizzano illustrandone metodi ' j* -C1/ 6 ^ corredata da un’ampia bibliografia e dall’edizione di testi • dei capitoli della dedizione di Fivizzano del 1477, statuti dei comuni di Gassano e Grappoli del 1496, cronaca anonima del 1859), da diverse tavole, fotografie, grafici e cartine (M.T.A.) G. Mazzoli, Storia di S. Stefano di Magra (compendio), Sarzana, 1962. Breve illustrazione delle vicende del borgo Lunigianese, dalle origini al primo ttocento, completata da cenni sulle famiglie e i personaggi più illustri, gli avvenimenti, i monumenti e le opere d’arte più notevoli. Lo studio è seguito da alcune note esplicative e bibliografiche. (Aurelia Basili) Stefania Merello Bonaria, La Confraternita « pacis et amoris » in San Lorenzo di Genova nei secoli XV e XVI, in Bollettino Ligustico, XVIII, 1966, nn. 1-2, pp. 4146. Sulla base di due documenti inediti, conservati all’archivio capitolare di San Lorenzo, traccia una breve storia della «Società Pacis et amoris», dal suo sorgere al termine della sua attività, completando questo breve profilo con la trascrizione Zjr? documenü>^e celano particolare interesse per lo studio dell’attività della società nei secoli XV e XVI. (Maddalena Cerisola) — 372 — G. Penco, S. Caterina di Genova in una descrizione settecentesca, in Bene-dictina, XV, 1968, pp. 146-152. Il monastero di S. Caterina de Luculo fu uno dei più importanti di Genova, soprattutto dopo il suo passaggio ai monaci benedettini della Congregazione Cassi-nese, avvenuto nel 1515. L’A. riporta larghi brani di una Cronaca compilata dal Padre Tommaso Olivieri da Genova nel 1764 — inedita e conservata presso l’archivio provinciale dei Padri Cappuccini — che offre, tra l’altro, abbondanti notizie di questo monastero: si hanno indicazioni storiche, dati precisi sulla chiesa del cenobio, particolari di vita religiosa. (Valeria Polonio) Y. Renouard, Italia e Francia nel commercio medievale (a cura di P. F. Palumbo), Roma, 1966. Lo studio segue le vicende delle relazioni commerciali franco-italiane dall’inizio del secolo XIV alla fine del XV ed interessa, quindi, in misura rilevante l’intero territorio ligure. Poiché non esiste tuttora uno studio completo dell’argomento, ma solo una esposizione frammentaria e una cospicua serie di monografìe, l’A. si propone di riunire, ordinandole, conoscenze disperse e di indicare i fili conduttori che si presentano allo stato attuale delle ricerche. Esamina anzitutto la situazione del commercio franco-italiano alla fine del ’300, quando perdono importanza le fiere della Champagne e il commercio tende a fissarsi in luoghi determinati (Bruges); illustra poi il genere di prodotti che veniva acquistato dalle singole nazioni (lana grezza contro spezie, materie coloranti, stoffe preziose). Seguono alcuni ritratti di uomini d’affari italiani e francesi e il quadro, non soltanto economico, ma sociale e culturale delle principali città italiane (compresa Genova) in relazione con la Francia. Chiude lo studio una presentazione delle principali vie di traffico, ricostruite attraverso itinerari del XIII e XIV secolo. (Aurelia Basili) G. Salvi, Pegli, Genova, 1966-1967, 2 voli. Un notevole interesse hanno sempre rivestito le ricerche storiche di carattere locale condotte con precisione e serietà per l’indubbio contributo che esse possono offrire ad indagini storiografiche d: più vasto respiro. Fra queste si segnala per la ricchezza dei dati e per la completezza ed organicità del contenuto la storia di Pegli di padre Salvi, suddivisa in due volumi, intitolati rispettivamente « Storia delle sue chiese » e « La sua vita civile ». L’A., che molti altri saggi aveva già offerto nell’ambito di questo tipo di ricerche, ha messo a frutto la sua sicura conoscenza di storia genovese, integrata dalle pazienti ricerche condotte negli archivi della Curia Arcivescovile di Genova, del-l’Oratorio e della Parrocchia di S. Martino di Pegli e nell’Archivio di Stato di Genova, per ricostruire un profilo esauriente e molto dettagliato della storia di questa delegazione, rivissuta nei suoi aspetti politici, economici e religiosi. - 373 - I due volumi sono, inoltre, arricchiti e completati da 48 tavole fuori testo. Il primo volume contiene pure, in appendice, l’edizione del documento che attesta la presa di possesso della Chiesa parrocchiale di S. Martino da parte dei monaci del Boschetto (4 ottobre 1530), nonché un elenco dei rettori benedettini e dei parroci della stessa chiesa. (Francesco Surdich) A. Schmuckher, Il gioco del lotto a Genova'. « O, e riaooo! », in La Casana, X, n. 2, aprile-giugno 1968, pp. 23-28. Sorto quasi certamente a Genova nel XVI secolo, il gioco del lotto avrebbe — 381 — V A r i' frontiera; si differenziavano soltanto nelle dimensioni (più ridotte in Liguria) e nel tempo (la romanizzazione ebbe luogo prima in Provenza). L’articolo presenta poi molte notizie su Ventimiglia, ricordando le difficoltà esistenti nelle ricerche per l’epoca preromana. (Maria Grazia Perfumo) N. Lamboclia, I musei della Liguria Occidentale, estratto da Musei e Gallerie d’Italia, 1967, n. 31, pp. 15. Sottolinea innanzitutto l’inconsistenza dei mezzi necessari per la sistemazione del materiale reperto e in via di reperimento in un territorio ricco invece di materiale che meriterebbe un’adeguata valorizzazione: ad eccezione di Savona il problema è stato finora risolto con sistemazioni dovute all’interessamento dei componenti l’istituto di Studi Liguri di Bordighera, come nel caso del complesso delle grotte di Toi-rano o della raccolta sistemata in palazzi, recentemente restaurati entro il tessuto urbanistico di Albenga (Francesco Surdich) Nino Lamboglia, Lo scavo e il restauro delle. Cattedrale di Albenga, in Bollettino ligustico, XVIII, 1966, nn. 1-2, pp. 3-22. L’articolo di Lamboglia parte dalla relazione presentata al Ministero della Pubblica Istruzione nel 1964, quando si decise di iniziare i lavori di restauro della Cattedrale. di Albenga, ed esamina lo svolgimento dei lavori stessi: anche dopo il consenso del Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti sorsero difficoltà per l’abbassamento del piano della pavimentazione della chiesa e furono pure commessi alcuni gravi errori nell’attuazione del programma previsto. Il lavoro che si conclude con una breve storia architettonica della Cattedrale, a partire dalla prima metà del IV secolo, con precisi riferimenti agli apporti dei periodi successivi fino alla conclusione dei suddetti restauri, è corredato da fotografie, che illustrano le varie fasi dei lavori e da piante della Cattedrale nelle varie epoche. . , (Maddalena Cerisola) B. Luchetti, Il Museo Tecnico Navale di La Spezia, in Rivista marittima, XCIX, nn. 7-8, luglio-agosto 1966, pp. 87-101. L’origine del Museo risale alla raccolta di cimeli della battaglia di S. Quintino, prima radunati nell’arsenale di Villafranca, sulla costiera nizzarda, e trasferiti a Genova dopo la caduta di Napoleone. Nel 1870 il Museo della Marina venne trasferito, con la ^ flotta, a La Spezia. L’A. nomina alcune delle più importanti raccolte del Museo stesso: modelli di navi (a remi, a vela, a vapore, navi colombiane, ecc.) e di apparati motori, armi portatili, subacquee, mezzi d’assalto, strumenti nautici, cimeli delle spedizioni polari, documenti (in gran parte distrutti durante la seconda guerra mondiale), medaglie e fotografie. (Berenice Donadelli) — 382 — * A. Marchi, L’industria della carta a Villa Basilica e le sue antiche « -filigrane », in Giornale storico della Lunigiana e del territorio lucense, XVII, nn. 1-4, gennaio-dicembre 1966, pp. 130-135. Utilizzando documenti conservati negli Archivi di Pistoia, Lucca e Genova ricostruisce a grandi linee la storia dell’industria cartaria nella valle della Pescia Minore, con una precisa e dettagliata descrizione e analisi delle filigrane contenute nell’Archivio Parrocchiale di Pescia e di Villa Basilica. Sono riprodotti 18 esemplari di filigrana appartenenti alle diveise epoche e, in calce all’articolo, compare una breve bibliografia. (Flavia Perasso) G. Montefinale, Guida turistica alle antiche chiese ed ai resti cenobitici di Porto Venere, Genova, 1968, pp. 56. Scritta per fini essenzialmente pratici e divulgativi questa guida presenta tuttavia una serie di informazioni assai utili che tengono conto degli studi e delle ricerche più recenti sui monumenti religiosi del territorio portovenerese, il tutto arricchito da quattro tavole fuori testo e da due disegni. (Francesco Surdich) Francisca Pallares, Gli scavi e il Museo di Ventimiglia come Centro Didattico Internazionale, in Atti del I Congresso Storico Liguria-Provenza, Bordighera-Marsiglia 1966, pp. 37-40. Riconosce a Ventimiglia una funzione didattica e scientifica nel campo degli studi archeologici, soprattutto per la nuova tecnica di scavo che viene usata, la quale permette di stabilire la cronologia e le relazioni tra i vari edifici. Auspica che il Museo didattico a carattere divulgativo e quello scientifico vengano uniti in una nuova migliore organizzazione come scuola permanente di scavo. (Maria Grazia Perfumo) G. Pesce, Le varianti al grosso del primo tipo per la zecca di Genova (dal 1172 a prima del 1252), in Rivista Italiana di Numismatica, XV, S. V, LXIX, 1967, pp. 131-138. L’A. propone ai cultori della numismatica medievale un nuovo criterio di classificazione per i grossi di Genova del primo tipo, da quattro e da sei denari (1172-1217). Richiama in particolare l’attenzione sui tipi calligrafici della leggenda, quale elemento di notevole importanza per una corretta classificazione delle numerose varianti. — 383 — Giulia Petracco Sicardi, Toponimi veleiati, IV - Veleia Augusto, in Bollettino Ligustico, XVIII, 1966, pp. 91-104. Partendo da un toponimo veleiate — Augusta o Austa — emerso da due documenti dei secoli IX e X, rinvenuti presso ['Archivio Capitolare di Piacenza, studia 1 uso e il significato del toponimo Augusta. Presi in esame tutti i toponimi di questo tipo attestati in età romana e seguitane l’evoluzione storica, giunge ad una interessante conclusione: il toponimo Augusta non indicava un’intera città, ma solo il centro abitato, o quartiere di città, di costruzione romana, in contrapposizione al centro abitato, o altro quartiere della stessa città, di carattere indigeno e preromano che conserva la denominazione originaria. Dal momento che Augusta diventava, quindi, sinonimo di Romana, ancora più facile era chiamare in tal modo una città sorta ex-novo dopo la conquista romana, secondo moduli urbanistici romani o italici, come nel caso di Veleia. (Maria Luisa Balletto) G. Petronilli, « Speza » nella carta Catalana del 1375, in Liguria. XXXV, n 1, ottobre 1968, pp. 19-20. Espone il lavoro di P. A. Conti, Spèza nella carta catalana del 1375, edito nel 1938, che presenta, per la grande quantità delle notizie raccolte, un notevole contributo circa il problema dell’origine del toponimo, intorno al quale sono germogliate varie supposizioni. Segnaliamo in proposito la nuova soluzione prospettata da G. Pi-starino (Polemiche su due toponimi: la Spezia e l’Aulla, in Annali di ricerche c studi di geografia, XVI, 1960, pp. 93-108 e Questioni di toponomastica: La Spezia, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, n.s. II (LXXVI) fase. II, 1962, pp. 7-15). I. A. afferma che il termine, nel suo significato generale e primitivo, deve collegarsi ad antiche condizioni orografiche del luogo, cioè a località situate in zone di rilievo montuoso, come dimostra l’esistenza di toponimi equivalenti non solo in Liguria ma in moltissime altre località dell Italia centro-settentrionale e talvolta del Meridione; e deve essersi diffuso solo in un secondo tempo nel fondovalle e ai corsi d’acqua. (Gabriella Airaldi) V. Rocchiero, Maestri della pittura ligure del secondo '800 e del primo '900, Genova, 1968, pp. 43 Ad una breve introduzione, nella quale cerca di cogliere i caratteri originali della pittura ligure fra l’Ottocento e il Novecento. l’A. fa seguire la biografia dei singoli autori presi in considerazione, completata da un minuzioso ed esauriente elenco delle loro opere, contenente il maggior numero possibile di dati: dalle misure del quadro, al luogo dove si trova conservato, all’indicazione dell’eventuale bibliografia. In appendice sono aggiunte 25 tavole fuori testo. (Francesco Surdich) — 384 — Giovanni Rossi, Le fibule del museo civico della Spezia (ex collezione Fabbricotti), in Giornale storico della Lunigiana e del territorio lucense, XVII, 1966, nn. 1-4. Accurata classificazione cronologica e tipologica delle 27 fibule in bronzo e delle 2 fibule in argento, conservate al Civico Museo Archeologico della Spezia e già facenti parte dell’ex collezione Fabbricotti II lavoro è felicemente completato dalle fotografie rappresentanti le 29 fibule. (Maddalena Cerisola) Maria Grazia Rutteri, Vincenzo Maio dal manierismo al barocco, in Bollettino Ligustico, XVIII, 1966, pp. 121-148. L’articolo rappresenta il risultato di una ricerca analitica e approfondita sul pittore fiammingo del Seicento, che ha avuto una notevole incidenza sulla scuola pittorica genovese tra manierismo e barocco. Con stile vivace e personalissimo l’A. illustra una ricchissima documentazione, con giudizi e valutazioni non solo sull’artista oggetto dello studio, ma su tutta la pittura genovese dell’epoca. Oltre ad una vasta bibliografia sono stati compilati pure un utilissimo catalogo delle opere esistenti di V. Maio, di quelle perdute e di quelle a lui attribuite, il tutto completato da una ricca serie di illustrazioni. (Maria Luisa Balletto) Valeria Sciarretta, Il Battistero di Albenga, Università degli studi di Bologna. Istituto di Antichità ravennati e bizantine. Collana di quaderni di antichità ravennati, cristiane e bizantine, n. 7, Ravenna, 1966, pp. 92. Condotto sull’esame architettonico di uno dei più celebri monumenti liguri, lo studio si compone di una parte descrittiva delle strutture esterne ed interne del Battistero, nella quale vengono analizzati particolarmente i vari elementi decorativi, puntualizzati nel loro valore storico, simbolico e artistico; in un secondo momento viene affrontato il problema delle modificazioni apportate, col passare del tempo, sulla costruzione originaria, e sono identificati, per quanto è possibile, i vari momenti in cui esse furono eseguite. Due problemi interessano particolarmente l’A., e sono infatti le questioni più dibattute dagli studiosi che si sono occupati del mo numento: la struttura della cupola e la forma pianimetrica del battistero, a pianta centrale del tipo « ottagono a nicchie ». In ambedue i casi, l’A. espone le varie conclusioni alle quali si è giunti, scegliendo quelle che, dall’analisi dei singoli elementi, sembrano le più giustificate. La soluzione dei problemi cronologici sull’origine del monumento, che viene collocato tra la metà del V e gli inizi del VI secolo, chiude questo interessante lavoro, che deve essere segnalato, con gli studi del Lamboglia, del De Angelis d’Ossat e del Verzone, per l’eccellente ricerca compiuta in campo artistico e per la larghissima informazione bibliografica. 26 illustrazioni completano lo studio. (Gabriella Airaldi) — 385 — Giovanna Terminiello Rotondi, Sugli affreschi di S. Agostino a S. Maria della Cella, in Bollettino Ligustico, XVIII, 1966, pp. 105-116. Dopo un breve accenno agii studiosi che si sono occupati in passato dei resti del ciclo di affreschi medievali della piccola chiesa di S. Agostino in Sampierdarena e alle ipotesi da essi avanzate circa il loro presunto autore e l’epoca di esecuzione, si passa all esame dei singoli riquadri, molti dei quali, per il cattivo stato di conservazione, nonostante il restauro, ci offrono figure appena individuabili. Un’indagine più approfondita è dedicata alla Cena di Befania, che, fra tutti, è l’affresco in migliori condizioni di conservazione: vi si possono trovare analogie con un’opera di simile argomento del toscano Manfredino d’Alberto, che dovrebbe risalire al 1292-1293, conservata nella Galleria di Palazzo Bianco, mentre interessanti sono le affinità con le figure create dall anonimo autore della Madonna di S. Martino, dipinta fra il 1260 e il 1270 e conservati- nel Museo Nazionale di Pisa. Poiché risulta indiscussa la dipendenza del Maestro di Sampierdarena almeno dal primo dei due artisti citati, e non viceversa, si conclude che la data di esecuzione del ciclo in esame deve porsi non prima del 1291. L’anonimo pittore, per i suoi legami con 1 arte pisana del tempo, potrebbe provenire dagli estremi lembi orientali della Liguria. Ad illustrazione del saggio è unita un’ampia serie di riproduzione fotografiche. (Maria Luisa Balletto) Cesari; Viazzi, 40 anni di teatro radiofonico genovese 1928-1967 Genova, 1968, pp. 168. Questa opera di Cesare Viazzi, giornalista e autore di saggi sulla letteratura dialettale genovese, si può senz’altro definire il primo studio organico sul radioteatro in dialetto che è il più moderno genere letterario creato dai commediografi genovesi. Il volume arricchito da una prefazione di Enrico Bassano e da un’intervista con Vito Elio Petrucci, nonché da riproduzioni di manoscritti, locandine radiofoniche, caricature, fotografie del tempo — ricostruisce la storia del teatro radiofonico genovese dalle origini ad oggi. Stabilitane, innanzitutto, al 1928, la data di nascita, il Viazzi cerca di individuare le linee di evoluzione approfondendo ed ampliando domande di particolare interesse come « E’ teatro il teatro radiofonico? » alla quale dedica un inte/o capitolo e una nutrita bibliografia per ulteriore ricerca. Attraverso le pagine del libro si delinea e si definisce non solo l’ambiente teatrale con i suoi rappresentanti ma anche un clima culturale, che, affondando le proprie radici in un antica tradizione, si esprime con l’indimenticabile poesia di un Edoardo Firpo, con la ligustica umanità di un Govi, con la brillante penna di un Cavassa. L opera diventa così un galleria di attori, poeti, giornalisti: dal popolarissimo Riccardo Pittaluga a Lorenzo Drava, a Giuseppe Marzari, da Sabatino Lopez a Costanzo Carbone, a Pasquale Senno, a Giuliano Balestreri. Il saggio si conclude con il congedo dell’Autoie: « Ho voluto proporre alla Vostra considerazione il primo esame organico — e altrimenti approfondibile — del più moderno genere letterario dialettale (e dialettale è qui usato... ciuale naturale aggettivo del suo sostantivo e non come in teatro, dove è troppo spesso ritenuto sinonimo Hi minore) ». (Victor Balestreri) — 386 — Per l’inaugurazione delia nuova sede della Società Ligure di Storia Patria...........pag. 11 Lettera del Sindaco di Genova.......» 13 Elenco dei Presidenti e dei Segretari della Società dall’anno di fondazione.........» 14 Parole del Presidente.........» 15 Parole dell’Assessore alle Belle Arti, dott. F. M. Boero . » 21 I centodieci anni della Società Ligure di Storia Patria (D. Puncuh).........» 27 Note sul Palazzo Saluzzo Carrega in Albaro (E. P.) . . » 47 Rita Menduni, L’attività scientifica della Società Ligure di Storia Patria nel primo cinquantennio di vita (1858-1908) » 51 Giovanni Pesce, Contributo inedito al Corpus Nummorum della Zecca di Genova........» 77 Lidia Katuskina, Il libro dei contratti del notaio Antonio Bonizi da Verrucola Bosi (1417-1425).....» 109 La ceramica ligure nella storia e nell’arte.....» 195 Discorso del Sindaco di Albisola......» 197 Discorso del Presidente dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Albisola......» 199 Giovanni Pesce, La tradizione ceramica ligure ...» 203 Tiziano Mannoni, La ceramica in Liguria dal secolo VI al XVI ..........» 213 Guido Farris, La maiolica ligure nei reperti di scavo nella collina di Castello........» 235 Vittorio Mela, La datazione della ceramica con osservazioni al microscopio.......pag. 247 Livio Panelli, Le piastrelle negli scavi della collina di Castello a Genova.........» 253 Giovanni Pesce, La maiolica ligure da farmacia negli scavi della collina di Castello.......» 259 Guido Farris, La maiolica conventuale di fabbricazione ligure nei depositi di scavo......» 265 Valerio A. Ferrarese, Le nuove marche della maiolica ligure nei più recenti ritrovamenti.....» 273 Catalogo della Mostra retrospettiva della ceramica ligure, a cura di Giovanni Pesce . . . ... » 281 Albo sociale............pag. 5 Bruno Minoletti...........» 177 Rosetta Doria Bombrini.........» 191 Agostino Virgilio...........» 327 Congressi.............» 331 Notiziario bibliografico.........» 335 Autorizzazione del Tribunale di Genova N. 610 in data 19 Luglio 1963 Tipografia Ferrari-Occella e C. • Alessandria