ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA NUOVA SERIE VII (LXXXI) F ASC. II GENOVA - MCMLXVII NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA PALAZZO TURSI atti della società- ligure di storia patria FONDATA NEL 1858 _tt „vTYn Fase. II - Luglio-Dicembre 1967 Nuova serie . VII (LaAaIJ ______ COMITATO DIRETTIVO FRANCO BORLANDI - LUIGI BULFERETTI - GIORGIO COSTAMAGNA LUIGI MARCHINI - GIUSEPPE ORESTE • GEO PISTARINO DIRETTORE RESPONSABILE DINO PUNCUH Segretario della Società Direzione ed Amministrazione: VIA GARIBALDI, 9 - GENOVA Abbonamento annuo: Lire 5.000 (estero Lire 6.000) Un fascicolo separato Lire 3.000 Conto Corrente Postale n. 4-7362 intestato alla Società SOMMARIO Orlando Grosso......... Francesco Surdich, Genova e Venezia jra Tre e Quattrocento Notiziario biiliogTafico ........ pag. 189 » 205 » 329 ORLANDO GROSSO on la scomparsa di Orlando Grosso, avvenuta il 6 gennaio 1968 a nasso a, la Società Ligure di Storia Patria ha perduto uno dei suoi soci più i ustri, e Genova uno dei maggiori studiosi della sua storia e della sua arte che mai si siano avuti. voratore infaticabile, dotato di uno spirito straordinariamente mul- nenlssn u rOSS° nCl COrS° della SUa lunga esistenza (era nato a Genova i . . 3 saPuto come pochi altri mettere a profitto degli studi predi- 1 ogm sua er,ergia. Egli è stato un grande realizzatore, ma — ed è questo dell 'ari-' ■mp,°rta vastita dell’opera da lui esplicata in svariati campi menrn VU3 etteraria ed artistica in nessun caso ha significato un allenta- rifiniti ne^ -mpe8n° ^ella PreParazione o una rinuncia alla coscienziosa nnmtura dei particolari. volta 1 nome del Grosso va associata una diuturna intensissima opera nianze dell nemergere dal Passato di Genova il più possibile di testimo- ritoLtni r amiCa grrdeZ2a' E dÒ - Si badi - “» »■*■"«> ®na "a"'!'1 ^ ^ ticche di “'<>« « * <•«- toccare lette l' C°" q Cosa dl ben dl I’lu' di concreto, di visibile, da «le M Tt 7e;ìVCO" man°, E' ? GrOSS° dell'Uffici° - p0i - sua attività Ù °mUne. Cl PreS“ta allora ndk Pienezza della per rimerò Si Pr°‘raSSe' VÌgilc e fc“nda ^pre. P i un intero quarantennio. E stato, quello delle Belle Arti del Tm-mino re • n toboste s,retare attna.t grado portato a sempre maggiore efficienza sì Ac de„a vita cnbnraie cittadini ed il Grò ‘ 0nT' “ Patrimonio stOTÌ“ ed artistico di Genova ed il Grosso, quasi spinto da un’incontenibile ansio Ai • condotta in porto un’iniziativa, subito passav ’ “ appCna Il funzionario modello era tutt’uno in lui c v" ^ lmpegn° ad un’altra- uno m lu. con 1 uomo sensibile alle più ele- — 189 -- vate esigenze culturali e con l’artista dalle grandi qualità di pittore, e da siffatto felice connubio nasceva piena la possibilità di realizzazioni che con chiunque altro diverso da lui non sarebbero state neppure immaginabili. Era che il Grosso sapeva essere insieme appunto il funzionario metodico, dalla completa preparazione amministrativa, consacrata anche dalla brillante laurea in giurisprudenza da lui a suo tempo conseguita, e l’uomo, anzi l’artista, dalle pronte intuizioni e dalle geniali visioni. Indubbiamente la sua opera quale dirigente dell'Ufficio Belle Arti del Comune si trovò ad essere avvantaggiata per la ventura che egli ebbe di aver avuto per lungo tempo alla testa dell’Assessorato dal quale dipendeva uomini particolarmente sensibili ai problemi della cultura, da Gaetano Poggi a Mario Labò. Altri elementi positivi furono per lui rappresentati dal fatto di aver ereditato un’organizzazione dell’ufficio nelle sue linee essenziali già convenientemente predisposta da Angelo Boscassi, già direttore dell’Archivio Storico ed ispettore del Patrimonio artistico del Comune, e di essere stato coadiuvato da funzionari di salda preparazione e profondo impegno, quali, tra gli altri — in diversi tempi — Domingo Motta notissimo pittore e scenografo, Valentino Cavi, pubblicista e romanziere tra i più apprezzati, Tomaso Pastorino, inesauribile miniera di spunti ligustici, Mario G. Celle, cultore profondo delle letterature classiche, Giuliano Bale-stren, scrittore in vernacolo, oggi direttore della rivista Genova, e, infine Caterina Marcenaro, succeduta poi al Grosso nell’incarico di tanta 'responsabilità già da lui ricoperto. Palazzo Rosso, ove il Grosso aveva il suo ufficio, — secondo quanto annotava Adriano Grande in un articolo apparso nel 1930 su La Fiera Letteraria — era divenuto « un punto di riferimento della vita letteraria e artistica genovese. Quivi — si precisava in questo scritto — ha la sua sede il Sindacato degli Artisti: e, nell’ufficio del direttore delle Belle Arti, Orlando Grosso (pittore e scrittore e lontano nume tutelare degli artisti liguri) si dan convegno scrittori d’arte e scrittori vari, dal Delogu a Mario Bonzi, al narratore Valentino Gavi, al medico-editore Masini, allo storico Arturo Codignola, e chi più se ne ricorda più ne metta ». Coloro che vanno aggiunti all’elenco fornito dal Grande sono in venta più che molti, come risulta dai nomi che in una sua recente rievocazione sono stati fatti dal Gavi1, che, a lui presentato da Alessandro 1 Un'operosa esistenza al servizio di Genova. Ricordo di Orlando Grosso, in II Secolo XIX, 6 febbraio 1968. — 190 — Varaldo, fu accanto al Grosso collaboratore prezioso dal 1920 al 1942, fino a quando, cioè, fu chiamato a dirigere la rivista del Comune Genova. Il Gavi ricorda così Ugo Ojetti, Umberto Fracchia, gli architetti Ceschi sovrintendente ai monumenti e Piacentini, nonché lo scultore Dazzi, e a questi come quelli di persone per varie ragioni assai vicine al Grosso aggiunge ancora i nomi del « marchese Pessagno, storico eminente che aveva cura del medagliere, di Paolo De Gaufridy per l’arte moderna, di Giovanni Monleone che dirigeva La Gazzetta di Genova, di Giovanni Ansaldo, di Alfredo Rota, che diresse il Liceo Artistico, di Mario Maria Martini, che fu anche assessore alle Belle Arti, di Silvio Giovaninetti, dei pittori Maragliano, Discovolo, Cominetti, Dodero, Barabino, Craffonara, Verzetti, Bassano, Gargani, Gagliardo, Picollo, Santagata, Zandrino; degli antiquaii De Pasquali, Crosa, Rubinacci e altri », quali, ad esempio, Eugenio Garoni ed E. De Albertis, tra gli scultori, Dario Bardinero, Rubaldo Merello e Plinio Nomellini, tra i pittori, Stefano Rebaudi, tra i cultori di storia e d arte ligure, e Tito Rosina, tra i critici letterari. Se tutte queste personalità dell’arte e della cultura, in varia maniera e per diverse ragioni, gravitavano attorno all’ambiente creato dal Grosso a Palazzo Rosso, ciò non era soltanto per il prestigio di cui il Direttore del- 1 ufficio Belle Arti del Comune godeva, e per la simpatia che, nonostante certi suoi personalissimi e non sempre conciliabili punti di vista, sapeva ovunque suscitare, ma anche, e soprattutto, perchè in quell’ambiente appunto si svolgeva un’attività incessante e sempre ispirata a criteri di razionale concretezza. Una realizzazione succedeva all’altra, e la fisionomia culturale della città si andava facendo di volta in volta sempre più viva ed attraente. Considerando questi fatti, ben si può affermare che le spiccate tendenze accentratrici del Grosso 2 finirono, nonostante tutto, per costituire un elemento largamente positivo per lo sviluppo delle attività culturali della città. La considerazione, d’altro lato, della quale, come storico del- 1 arte non meno che come pittore, egli godeva anche in sede nazionale e nei più qualificati ambienti internazionali, fece sì che, per suo tramite, Genova stabilisse una fitta rete di rapporti con studiosi e artisti di ogni parte d Italia e di molti paesi esteri. Furono così tra questi Umberto Boccioni, uno tra i maggiori esponenti del futurismo, Pelizza da Volpedo, l’au- 2 Cfr. al proposito Giuseppe Piersantelli, L’organizzazione bibliotecaria del Comune di Genova, Firenze, 1966, p. 120. — 191 - tore del famoso quadro « Quarto Stato », e, accanto ad essi, i francesi E. Bernard, intimo di Van Gogh e Gauguin, A. Maire e V. Barbey, rappresentante tra i più qualificati dei « Fauves », nonché gli ungheresi del Gruppo Urne e il celebre ritrattista F. Laszlò. La rete dei contatti stabiliti con tutte queste personalità così altamente rappresentative nel campo della cultura e dell’arte, e con altre ancora di non minor rilievo che qui sarebbe troppo lungo tentare di enumerare, ebbe il risultato di assicurare per lungo volgere di anni all opera degli studiosi e degli artisti genovesi una risonanza altrimenti del tutto impensabile. La vastità dei risultati ottenuti in questa direzione ben si possono valutare se si tien conto di quella che ebbe ad essere l’imponente mole e, soprattutto la qualità del lavoro svolto dal Grosso per la difesa e la vaio rizzazione del patrimonio artistico genovese, di quello antico non meno che di quello moderno. La sua competenza in materia che ebbe am mirati riconoscimenti da parte di personalità di primissimo piano qua 1, tanto per esemplificare, Corrado Ricci e Aristide Sartorio fece S1 c e per lungo volgere di anni non vi sia praticamente stata pubblicazione en ciclopedica o collezione di guide artistiche — quelle del Touring u Italiano al pari di quelle dei più grandi organismi editoriali italiani o stra nieri — che non si sia valsa, per la parte relativa alle cose genovesi, e l’ineguagliabile collaborazione del Grosso. Oltre che ai suoi molti volumi — cui si accennerà in appresso il nome che egli si era fatto si affidava alla lunga serie di opere di siste mazione museografica o di restauro artistico per sua iniziativa realizzate in Genova. E’ infatti a lui dovuto il riordinamento, quando non a i rittura la creazione, di istituzioni che veramente rappresentano cardini a silari della vita culturale della città, quali i Musei del Risorgimento e de a Guerra 1915-1918, il Museo d’archeologia ligure e quello d’archeologia ed etnografia americana, la Collezione dei disegni, il Museo Brignole, i Museo di scultura e architettura ligure sistemato nell’antica chiesa di S. Agostino, nonché il Museo navale a Pegli e la Galleria d’arte Moderna a Nervi. Se a tutto questo si aggiunge che nel periodo in cui svolgeva tale attività per dar vita o per modernamente sistemare le anzidette istituzioni il Grosso aveva alle sue dipendenze anche le civiche biblioteche e il Liceo musicale Paganini, e stava promovendo l’istituzione del Liceo Artistico, si ha la visione esatta di quanto egli, saggiamente indirizzandola, accen- — 192 — trasse nelle sue mani della vita della città nel campo della cultura, considerata non settorialmente, ma nell’organica pienezza, invece, della sua unita. Certo come già si è accennato — egli si trovava ad essere fa-voiito dal fatto di poter fare assegnamento su tutta una schiera di collaboratori di primissimo ordine, taluno dei quali, per la sua figura di studioso o di artista, assai noto anche ben oltre la ristretta cerchia dell’ambiente genovese. Ai nomi che già si è ricordato in precedenza è perciò doveroso aggiungere quelli almeno di Luigi Augusto Cervetto, Santo Fi-ippo Bignone, Amedeo Pescio, Pietro Muttini e Undelio Levrero, tra i irigenti delle civiche biblioteche, e dei maestri G. B. Polleri, Pasquale Montani, Mario Pedemonte e Louis Cortese, tra i maggiori artefici dello svi uppo del Liceo musicale Paganini e dell’avvio alla sua trasformazione in conservatorio statale. ,.^a ne^ novero delle realizzazioni di Orlando Grosso nella sua veste i irettoie dell Ufficio Belle Arti del Comune sta dell’altro ancora: la preparazione di progetti, minuziosi ed originali al tempo medesimo, quali i, ad esempio, per un palazzo delle biblioteche, e per la sistemazione centri di studio dedicati a Colombo e a Paganini, e l’organizzazione di manifestazioni celebrative e di mostre di grande impegno e di altrettanto note\ ole risonanza. Quanto a queste ultime basti così ricordare, se pure i titolo puramente indicativo, il contributo da lui dato nel 1928 alla ostra dei Pittori Liguri dell’Ottocento allestita a Palazzo Rosso, nel 1940 alle rievocazioni del centenario di Paganini, e nel 1953 all’approntamento della grandiosa mostra storica del Porto di Genova. Un posto a sè, per l’imponenza e la perspicuità dei risultati conseguiti, merita infine l’incessante lavoro dal Grosso compiuto nel campo del restauro di non pochi degli edifici di maggior interesse storico e pregio artistico della città. In lui si deve riconoscere, di volta in volta, l’ispiratore e 1 artefice dell’oculato ripristino di chiese e palazzi dei tempi aurei dell antico Stato Genovese. E’ così, in buona parte, merito suo se sono stati restituiti alla loro originaria armonia di linee il Monumento Fieschi in S. Lorenzo (1923), la Torre degli Embriaci (1927), la facciata della chiesa di S. Maria di Castello (1927), la Casa di Andrea Doria (1930), la chiesa e il chiostro di S. Agostino (1934), la Torre del Popolo, il Palazzo del Comune, l’atrio e il portico di Palazzo Ducale (1930-1936), la facciata della chiesa di S. Lorenzo (1930-1934), le logge dipinte del Palazzo della Prefettura (1933), nonché la villa Scassi a Sampierdarena e la torre Gro-pallo a Nervi. — 193 — Con lo stesso animo e lo stesso impegno, con i quali si rivolse a tutta la lunga serie di opere che, sommariamente, si è venuti sin qui elencando, il Grosso si adoperò poi, durante l’ultimo grande conflitto mondiale, per proteggere dalle offese belliche il patrimonio storico-artistico delle gallerie e dei musei, dell’archivio storico del Comune, delle biblioteche civiche e del tesoro di San Lorenzo 3. Ed è stato questo veramente — per il Grosso al pari che per tutti i suoi collaboratori — un merito per il quale mai la gratitudine della città potrà venire meno. A questa opera così vasta di valorizzazione e difesa del patrimonio più ricco e vivo della tradizione culturale genovese è riflesso e complemento al tempo medesimo molta parte dell’opera del Grosso quale pubblicista, critico d’arte e narratore. I temi dei suoi scritti si incentrano tutti, praticamente, su cose della vita genovese, quella attuale non meno che quella dei lontani tempi andati. Ciò è da dirsi per i suoi scritti giornalistici, dai primissimi apparsi attorno al 1907 sul Correre di Genova, diretto da Luigi Becherucci, alle molte collaborazioni ospitate in seguito in talune delle più importanti riviste non soltanto locali, ma anche nazionali ed estere. Tra le prime vanno in particolare citate la Gazzetta di Genova, II Raccoglitore Ligure, il Bollettino Ligustico e Genova, e tra le seconde Dedalo, di Firenze, Emporium, di Bergamo, e Vagine d Arte, di Milano, mentre tra i periodici stranieri non si può mancare di fare riferimento a Lidel, di Berlino, Mouseion, di Parigi eYo conoczo, di Barcellona. Si tratta, nel complesso, di centinaia e centinaia di scritti, densi di interessanti infor mazioni e di perspicui spunti critici, un materiale che, nel suo insieme non meno che nelle sue parti, risulta di fondamentale valore per chiunque voglia addentrarsi in certe particolarità, più che della stessa storia, dello spirito genovese, di ieri e di oggi. Altrettanto degna di interesse è la serie dei volumi che il Grosso ebbe a redigere nel corso della sua lunga operosa esistenza. Oltre che Allombta della Lanterna di Genova, una sintesi efficacissima della storia e dell arte genovese, si devono ricordare — almeno tra le opere di maggior rilievo il Catalogo delle Gallerie dei Palazzi Bianco e Rosso, Portali e Palazzi di Genova, San Giorgio dei Genovesi, Gli affreschi dei palazzi genovesi, Storia dell’arte giapponese, La pittura giapponese, Decoratori genovesi, Genova nell’arte e nella storia, Genova e la Riviera ligure, Genova, Sci- 3 II difficile lavoro svolto in questa circostanza è stato ampiamente illustrato dallo stesso Grosso in una serie di articoli apparsi nel corso del 1964 sulla rivista Liguria. — 194 — toccate e Le carrozze a Genova. La Società Ligure di Storia Patria che — secondo quanto già si è accennato — annoverò il Grosso, per lungo volgere di anni e sino alla morte, tra i suoi soci più fedeli, lo ebbe, unitamente a Giuseppe Pessagno, autore di una delle più interessanti pubblicazioni da essa edite, II Palazzo del Comune di Genova, dato alle stampe nel 1933. Tutto questo complesso di opere — come è facile rilevare — è imperniato su argomenti genovesi: gli unici due volumi dedicati a temi di diversa natura, quelli illustrativi degli aspetti e delle vicende dell’arte giapponese, prendono essi stessi le mosse — e non sembri strano — dal- 1 ambiente della nostra città, in quanto nati dagli studi dal Grosso compiuti per procedere alla catalogazione e alla sistemazione museografica del ricchissimo materiale della collezione raccolta da Edoardo Chiossone e da questi poi donata al Comune di Genova. Un cenno a parte merita il volume dal titolo Sciroccate, che raccoglie racconti ed impressioni, gli uni e le altre — neppure da dire — interamente di ispirazione ligustica 4. E’ un libro, questo, che al Grosso è sempre stato particolarmente caro, come quello in cui egli sentiva di aver trasfuso il medesimo senso del colore, la stessa luminosità di scene e di sentimenti, che hanno impresso così personale caratteristica alla sua arte di pittore. Anche in questo campo, dal giorno della sua prima mostra, tenuta a Londra nel 1904, sino — si può affermare — alla vigilia della morte, il Grosso svolse infatti un’attività straordinariamente vasta, come è comprovato dall elevatissimo numero delle sue opere e della frequenza della sua partecipazione a grandi rassegne artistiche così in patria come all’estero 5. 4 Dell’interesse suscitato da questo libro sono significativa testimonianza le molte recensioni ad esso dedicate. Tra le molte si possono in particolare ricordare quelle di Giovanni Riva, Orlando Grosso e le sue sciroccate, nella rivista Liguria, Tullio Cicciarelli, Vita genovese principio di secolo. Sciroccate di Orlando Grosso, in II Lavoro Nuovo, 28 febbraio 1961, di Et. B., Libri genovesi. Sciroccate di Orlando Grosso, in Corriere Mercantile, 8 dicembre 1960. Come contributo ad un analisi complessiva dello spirito dell’opera del Grosso cfr. Giuliano Balestreri, Breviario di un grande amore per Genova, nella rivista Liguria, n. 8, agosto 1938. 5 Per un’elencazione delle maggiori mostre artistiche cui il Grosso ebbe a Partecipare nella sua veste di pittore cfr. l’articolo I Grandi Liguri. Orlando Grosso, cavaliere dello spirito, signore dell’ideale, nella rivista Pizzico, Genova-Firenze, n. 1, gennaio-febbraio 1968, pag. 3. Per una valutazione dell’opera pittorica del Grosso cfr., tra gli altri, Vitaliano Rocchiero, Orlando Grosso colorista europeo. Antolo- — 195 — « Pittore dalle meravigliose luci di Liguria » come di lui ha detto Umberto Vittorio Cavassa — Orlando Grosso il riflesso di esse ha portato in ogni sua opera, di qualsivoglia natura essa fosse. E’ stato questo, per lui, un fatto soprattutto di sensibilità e di sentimento, insieme istintivo e razionale. Veramente si sente che, ad esprimere il fondo della sua anima, e stata sempre, in ogni momento, la voce della genovesità, accolta come la più dolce suggestione materna e ripetuta con la forza del più deciso degli imperativi. Un nome, perciò, quello di Orlando Grosso, che da parte di chiunque sia sensibile ai valori dell’arte e della cultura, e dai Genovesi in particolare, va ricordato con non perituro senso di ammirazione e di gratitudine. Leonida Balestrert già pittorica dal 1900 ad oggi, Genova, 1964; Aurelio Bellocchio, Orlando Grosso, pittore, Genova, 1957; Giovanni Riva, Artisti liguri - Orlando Grosso, in Corriere del Pomeriggio, Genova, 11-12 febbraio 1948; Elio Balestreri, Sessant'anni di coerente attività di artista e di studioso - Pitture di Orlando Grosso in una mostra panoramica, in 11 Secolo XIX, 17 maggio 1964. — 196 — Il numero degli scritti di Orlando Grosso, specie di quelli su giornali e riviste, e eccezionalmente elevato. Qui si è pertanto dato notizia solo di quanto più direttamente si attiene all’ambiente ligure, e in maniera più significativa esprime la personalità dell’Autore. Nei riferimenti agli articoli pubblicati sulla rivista del Comune che dalla sua origine ad oggi ha mutato più volte intitolazione, si è adottato il criterio di un’indicazione uniforme, facendoli, cioè, figurare tutti indistintamente come apparsi su Genova. LIBRI, CATALOGHI, OPUSCOLI: Catalogo delle Gallerie di Palazzo Bianco e Rosso, Genova, per conto del Comune, 1909. (Una successiva edizione, per i tipi dell’Alfìeri e Lacroix, di Milano, apparve nel 1912). Gli affreschi nei palazzi di Genova, Municipio di Genova - Ufficio di Belle Arti, 1910. Portali e palazzi di Genova, Genova, per conto del Comune, 1913. Genova nella storia e nell’arte, Milano, Alfieri e Lacroix, 1914. Il San Giorgio dei Genovesi, Genova, Libreria Editrice Moderna, 1914. Genova ai delegati della Conferenza, albo offerto dal Comune in occasione della Conferenza Internazionale di Genova, 1922. I decoratori genovesi, Roma, Società Editrice d’Arte Illustrata. San Giorgio, Roma, Società Editrice d’Arte Illustrata. Sciroccate, Genova, Casa Editrice Nazionale. (Una successiva edizione apparve nel 1960 per i tipi della Casa Editrice « Liguria »). Storia dell’Arte giapponese, Bologna, Casa Editrice Apollo, 1925. La pittura giapponese, Roma, Società Editrice d’Arte Illustrata, 1926. Fiancesco Gandolfi, Roma, Società Editrice d’Arte Illustrata, 1927. Genova, Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche (nella Collezione di monografie illustrate dellTtalia artistica, diretta da Corrado Ricci), 1927. Catalogo della Galleria di Palazzo Rosso, della Pinacoteca di Palazzo Bianco e delle Collezioni di Palazzo Comunale, Genova, M. U. Masini, 1932. Il Museo Cbiossone di Genova, Roma, Libreria dello Stato, 1934. Le Casacce e la scultura lignea genovese del Seicento, Genova, 1939. All’ombra della Lanterna di Genova, Milano, Ed. L. Alfieri, 1946. (Una riedizione, con prefazione di Leonida Balestreri, è in corso presso le « Realizzazioni Grafiche Artigiane », di Genova). Genova e la Riviera Ligure, Roma, Libreria dello Stato (8° voi. della Collezione « Guida delle Città d’Italia »), 1951. Genoa and thè Riviera of Liguria, Roma, Libreria dello Stato, 1953. Palazzo S. Giorgio, Genova, per conto del Consorzio Autonomo del Porto, s.d. (ma 1953). Gênes et la Riviera Ligurienne, Roma, Libreria dello Stato, 1954. Le carrozze a Genova, Genova, Realizzazioni Grafiche Artigiane, 1967. OPERE IN COLLABORAZIONE: con Arturo Pettorelli, I disegni di Palazzo Bianco, Milano, Alfieri e Lacroix, 1910. — 199 — con Giuseppe Pessagno, Il Palazzo del Comune di Genova, Genova, Società Ligure di Storia Patria, 1933. con C. Marcenaro e M. Bonzi, Pittori genovesi del Seicento e Settecento Edizioni Luigi Alfieri, Milano, 1938. con G. Morazzoni, Antica maiolica ligure, Genova, 1939. con Paolo Revelli, Colombiana, Milano, 1952. PREFAZIONI: a Pina Cantamessa, Il museo Chiossone d’arte giapponese. Guida al visitatore. a Mostra di pittori liguri dell’800, Genova, 1938. a La Madonna nella vecchia Genova, Genova, 1953. a Vitaliano Rocchiero, Ottocento pittorico genovese, Genova 1957 SCRITTI IN MISCELLANEE: Alcuni documenti di Cavour riguardanti la spedizione dei Mille in La T ! nel Risorgimento Italiano, Genova, 1925. ’ gUrla Dante nell’arte ligure, in Dante e la Liguria. Studi e ricerche, Milano 1925 Savona nell arte, in Savona nella storia e nell’arte. Scritti offerti a Paolo R ' selli, Genova, 1928. 010 üo' 1953 1 Cantierl 1 carPen^leri- I decoratori navali, in II Porto di Genova, Genova, I piani per lo sviluppo del Porto dal secolo XV al secolo XIX in 11 di Genova, Genova, 1953. Forto ]953 U Por,° di Genova nei d‘Pinti e »elle in II Porto di Genova, Genova, ARTICOLI IN GIORNALI E RIVISTE: Per la nostra arte ligure, in Gazzetta di Genova, gennaio 1914. II Castelletto di Genova, in Gazzetta di Genova, febbraio 1914 L’abito femminile genovese nei primi anni del Cinquecento, in Gazzetta dì Genova, marzo-aprile 1914. La briglia, in Gazzetta di Genova, maggio 1914. La Marina al principio del secolo XVI, in Gazzetta di Genova, giugno 1914 ^ La nave genovese al principio del secolo XVI, in Gazzetta di Genova, luglio Le ville e i giardini genovesi al principio del secolo XVI, in Gazzetta di Gè-nova, agosto 1914. La camera da letto genovese nel principio del secolo XVI, in Gazzetta di Co nova, settembre-ottobre-novembre 1914. Armature ed armi, in Gazzetta di Genova, dicembre 1914. Angelo Banchero pittore, in Gazzetta di Genova, marzo 1915. La decorazione degli ambienti genovesi, in Gazzetta di Genova, ottobre-novembre-dicembre 1915. — 200 — Rassegna d’arte antica: II salone di Palazzo Serra, in Gazzetta di Genova, marzo 1916. I vasi ceramici della Gallia romana, in Gazzetta di Genova, aprile 1916. La scuola vecchia e la scuola nuova, in Gazzetta di Genova, luglio 1916. Barbara patrona degli Artiglieri, in Gazzetta di Genova, maggio 1917. I disegnatori liguri della guerra: Riccardo Lombardo, in Gazzetta di Genova, luglio-agosto 1918. Le milizie di Lord Byron, in Gazzetta di Genova, settembre 1918. La Serenissima nella città di San Giorgio, in Gazzetta di Genova, novembre 1918. L esposizione di Belle Arti a Palazzo Bianco, in Gazzetta di Genova, aprile 1919. II Santo del fuoco, in Gazzetta di Genova, giugno 1919. I devoti di San Pietro, in Gazzetta di Genova, luglio 1919. Un antico sigillo comunale, in Gazzetta di Genova, luglio 1919. II treno dei mariti, in Gazzetta di Genova, agosto 1919. Gli amanti di Diana, in Gazzetta di Genova, ottobre 1919. I! paese di bengodi, in Gazzetta di Genova, dicembre 1919. I modelli delle opere di Giulio Monteverde donati a Genova, in Gazzetta di Genova, gennaio 1920. La mostra personale del pittore Meineri e dello scultore Tamburini, in Gazzetta di Genova, gennaio 1920. L Hôtel de Ville et ses musées, in Gazzetta di Genova, giugno 1920. Belle Arti: Stefano Baghino, in Gazzetta di Genova, giugno 1920. Serenate e ribotte, in Gazzetta di Genova, luglio 1920. La valletta del riposo, in Gazzetta di Genova, ottobre 1920. II sonno di Minerva, in Gazzetta di Genova, dicembre 1920. La quadreria della casa Piola, in Gazzetta di Genova, aprile 1921. spiagge liguri: Sfuria, in Gazzetta di Genova, luglio 1921. Sciroccate, in Gazzetta di Genova, giugno 1921. La conca di smeraldo: Bonassola, in Gazzetta di Genova, settembre 1921. Museo lapidario Raspa, in Gazzetta di Genova, dicembre 1921. Un grande illustratore: Dionisio Raffet, in Gazzetta di Genova, gennaio 1922. Picca e brettio, in Gazzetta di Genova, marzo 1922. Il Museo d’arte giapponese Edoardo Cbiossone, in Rivista del Comune « Genova », settembre 1922. Le Grandi Figure nell’opera di Magnasco, in riv. Genova, IV/1923. Una « natura morta » di G. A. Ratti e una copia di Pierre Mignard da un quadro di B. Strozzi, in riv. Genova, VII/1923. Il ritratto di Jacopo da Voragine in un frammento della sua tomba, in riv. Genova, VIII/1923. La stampa dei « méseri », in riv. Genova, IX/1923. Le collezioni americane nel Museo di Palazzo Bianco, in riv. Genova, VI/ 1924. Genova nel passato. Un carosello del Seicento nella Via Aurea, in riv. Genova, XII/1924. — 201 — Documenti e ricordi colombiani conservati in Genova, in riv. Genova, IX/1925 Gallerie Municipali. Un polittico di Giovanni Canavesio acquistato dal Comune per la Galleria di Palazzo Bianco, in riv. Genova, IX/1925. Intorno alla Tomba di Margherita di Brabante a Palazzo Bianco, in riv Geno va, X/1925. Romantici e veristi nelle pitture genovesi (1846-1860), in riv. Genova, III/ 1926. } La Dominante, in riv. Genova, IV/1926. Il Congresso archeologico di Rodi, in riv. Genova, VI/1928. Il palazzo di Andrea Doria a San Matteo, in riv. Genova, X/1929. Il Civico Museo di archeologia ligure nella Villetta Di Negro, in riv Genova XII/1929. renova, Il Palazzo di Andrea Doria a San Matteo, in riv. Genova, 11/1930 Il Civico Museo Navale e la collezione navale Garelliàna, in riv Genova IV/1930. ' Kjenova' Un palazzo duecentesco a Borzoli adorno di pitture del secolo XIII in ri Genova, 1/1931. ’ V' La « Rosa » di S. Lorenzo, in riv. Genova, IX/1931. Il restauro della Torre di Palazzo, in riv. Genova, XII/1931. La torre di Palazzo, in riv. Genova, 11/1932. Il restauro della Chiesa di S. Agostino, in riv. Genova, IV/1932 IX/193? X/1932. ’ ' e Norme di edilizia cittadina sotto la Repubblica, in II Raccoglitore Ligure n. 7 20 novembre 1932. Il sarcofago di S. Maria delle Vigne rimesso in luce, in riv. Genova, XII/1932 La missione segreta della fregata « Des Geneys », in II Raccoglitore Ligure n. 1, 20 gennaio 1933. Il sarcofago delle Vigne, in riv. Genova, 11/1933. Un quadro di Gio. Stefano Verdura acquistato dal Comune, in riv Genova III/1933. Il giornale particolare dell’Ammiraglio Francesco Serra dal 1815 al 1830 in Il Raccoglitore Ligure, n. 3, 20 marzo 1933; n. 4, 20 aprile 1933; n. 5, 20 maggio 1933; n. 6, 20 giugno 1933; n. 11, 25 novembre 1933. Il completamento della facciata di S. Lorenzo, in riv. Genova, IV/1933 I frammenti dei sarcofagi romani della facciata di S. Lorenzo, in riv Genova VÏ/1933. Fasti della Marina ligure e sarda: L’Ammiraglio Luigi Serra, in riv Genova VII/1933 e IX/1933. La facciata di S. Lorenzo completata, in riv. Genova, X/1933. La facciata della cattedrale di S. Lorenzo, in 11 Raccoglitore Ligure, n. 10 20 ottobre 1933. II combattimento del « Renard » ed una lettera di Charles Baudin, in riv. Genova, XII/1933. Gli affreschi dei palazzi e delle chiese genovesi: Tre frescanti di soggetti storici nel Palazzo del Comune, in riv. Genova, 1/1934. Due lettere di Lorenzo Bartolini, in riv. Genova, III/1934. - 202 — Il restauro della facciata della chiesa di S. Matteo, in riv. Genova, IV/1934. La cabina dell’ufficiale delle navi del principio del secolo XIX, in riv. Genova, V/1934. Viaggi in America nel 1824, in II Raccoglitore Ligure, n. 7, 31 luglio 1934. La Cumpagnia de Bonassolla, in II Raccoglitore Ligure, n. 10, 31 ottobre 1934. Il ripristino della facciata orientale del Palazzo Ducale, in riv. Genova, II/ 1935. Le costruzioni del Palazzo Ducale anteriori e posteriori all’opera del Vannone, in riv. Genova, IV/1935. Simboli e allegorie negli affreschi di Palazzo Rosso, in II Raccoglitore Ligure, n. 10, 31 dicembre 1935. Un ritratto di Andrea Semino, in riv. Genova, 1/1937. Genova di ieri. Ricordo di Ponticello, in riv. Genova, 11/1937. La Genova del ’500 in un dipinto di Giovanni Massys, in riv. Genova. IV/ 1937. I fiori finti, in riv. Genova, VI/1937. La mostra postuma di Giovanni Ardy, in riv. Genova, VII/1937. Giulio Monteverde ( 1837-1917), in riv. Genova, XI/1937. La collezione d’arte moderna Luigi e Lazzaro G. B. Frugone, in riv. Genova, 11/1938. La Mostra di Pittori genovesi del ’600 e '700, in riv. Genova, VIII/1938. La mostra del « mésero » a Palazzo Ducale, in riv. Genova, XI/1938. I restauri di Porta Soprana e di Villa Scassi, in riv. Genova, 1/1939. Antica maiolica genovese e il Pozzo di Ponticello, in riv. Genova, 11/1939. Scultura e costumanze popolaresche nelle Casacce genovesi, in riv. Genova, VI/1939. Per la protezione dei tesori artistici genovesi, in riv. Genova, VII/1940. Angelo Balbi, in riv. Genova, XI-XII/1940. II quadro di Erminia fra i pastori e la pittura di Bernardo Strozzi, nel decennio 1620/30, in riv. Genova, 1/1942. Il Palazzo Ducale e le sue piazze, in riv. Genova, III/1942. La Porta dei Vacca, in riv. Genova, V/1942. La vita privata genovese nelle ville di Sestri Ponente, in riv. Genova, VI/1942. Domenico Parodi e la fontana del palazzo Podestà, in riv. Genova, VII/1942. H soggiorno di Cesare Wan Loo a Genova, in riv. Genova, VIII/1942. Le viti e di il vino delle Cinque Terre, in riv. Genova, X/1942. Le statue del Ponzanelli per l’altar maggiore della Chiesa di San Filippo Neri, in riv. Genova, XI/1942. Le carrozze a Genova, in riv. Genova, XII/1942. Problemi urbanistici-, il palazzo delle Torrette e le sue adiacenze, in riv. Genova, IV/1943. Resti dell’antica chiesa dei Santi Giacomo e Filippo, in riv. Genova, VII/1943. Artisti dell’Ottocento: Cesare Viazzi, in riv. Genova, VIII/1943. Palazzo Tursi, in riv. Genova, IX/1943. Il « Trionfo d’Amore » di Nicolò Barabino, in riv. Genova, XI/1943. — 203 — Figure del patriziato genovese : Anna Pieri Brignole Sale, in riv Genova 11/1944. Il patrimonio artistico e storico del Comune, in riv. Genova, XII/1945. Gli scavi archeologici in Liguria, in Gazzetta del Lunedì, 21 aprile 1947. Nappa, in Corriere del Popolo, Genova, 6 settembre 1949. Guglielmo Van Deynen a Genova, in Bollettino Ligustico, 1949, fase. IV. Barudda, in Bollettino Ligustico, 1950, fase. II. Il poema colombiano del Tavarone, in Bollettino Ligustico, 1950, fase. III. Cristoforo Colombo nell’arte, in riv. Genova, VIII/1950. Il soggiorno genovese di Corot, in Bollettino Ligustico, 1952, fase. II. Una nuova veduta di Genova del '600, in Bollettino Ligustico 1952 fase III/IV. Una scultura di Domenico Gaggini?, in Bollettino Ligustico, 1953, fase. I/II Memorie di Madame Louise, in Corriere del Popolo, 11 marzo 1953. Come si giunse alla Sagra dei Mille, in riv. Genova, VIII/1963. Le pietìe scolpite della nostra Cattedrale, in Liguria, agosto-settembre 1963 Contro la furia distruttiva della guerra. La conservazione del secolare patrimonio della civiltà genovese, in Liguria, marzo 1964; luglio-agosto 1964, settembre-ottobre 1964. Echi di vita genovese. Le trote, in Liguria, gennaio-febbraio 1966. Arte a Bonassola. Mostra di Antonio Discovolo e di artisti della provincia della Spezia, in Liguria, luglio-agosto 1966. Scultura navale genovese, in Liguria, settembre 1966. Valori artistici deil’Ottocento e del primo Novecento al Palazzo Comunale di Genova-Sampierdarena, in Liguria, maggio-giugno 1967. La scuola vecchia e la scuola nuova, in 360 gradi, Genova, gennaio 1968. - 204 — FRANCESCO SURDICH GENOVA E VENEZIA FRA TRE E QUATTROCENTO TI niente lavoro fa parte di un piano di studi patrocinato e finanziato dal C.N.R presso l’istituto di Paleografia e Storia Medievale deU’Università di Genova, sotto la direzione del prof. Geo Pistanno. Non mancano studi di notevole interesse sugli avvenimenti che videro la diretta partecipazione delle repubbliche di Genova e di Venezia nel quadro delle complesse vicende che caratterizzarono la vita politica italiana e mediterranea nel periodo a cavallo fra il XIV e il XV secolo. L importanza e la natura del ruolo sostenuto e svolto in quel contesto da queste due rilevanti protagoniste della vita economica e commerciale di quei secoli sono state, infatti, più volte precisate sia nell’ambito di studi di impostazione generale o di opere di sintesi, sia attraverso stimolanti contributi di carattere particolare. Da questo quadro vasto e vario possono emergere a volte e configurarsi, con diverso rilievo e con maggiore o minore precisione, anche indicazioni e profili critici su quelle che furono le reciproche e dirette relazioni fra queste due realtà politiche. In nessun caso, tuttavia, a meno che non si risalga nel tempo ad alcune opere appartenenti alla fine del secolo scorso e che presentano evidenti limiti di impostazione, come avremo occasione di rilevare, tale appassionante argomento è stato visto ed affrontato come tema centrale e predominante in una prospettiva globale e continua, in quanto gli interessi in questa direzione si sono quasi sempre esauriti in un ambito cronologico preciso e ristretto, oppure hanno suggerito considerazioni ed approfondimenti di natura troppo generale. Ci è sembrato, quindi, che anche il rilevante materiale esistente soprattutto negli Archivi di Stato di Genova e di Venezia, più volte raccolto, utilizzato e segnalato da altri studiosi andasse ulteriormente rivisto e rimeditato perchè si possano cogliere in esso quelle indicazioni, sfuggite o tralasciate da altri che si erano posti interessi di studio diversi, ma utili alla nostra particolare ricerca. Questo lavoro di verifica e revisione ci ha permesso, inoltre, di mettere in evidenza anche elementi del tutto originali, più o meno importanti, come avremo occasione di segnalare nel corso del nostro studio. Su questa base abbiamo, pertanto, cercato di ricostruire e precisare, attraverso un parallelo confronto con le posizioni già acquisite o prospet- — 207 — tate dalla storiografia sull’argomento, il problema dei rapporti fra le repubbliche di Genova e di Venezia fra i secoli XIV e XV, non più in maniera unilaterale e parziale, ma secondo un quadro il più possibile organico ed approfondito nei suoi diversi motivi rispetto a quanto, a nostro parere, fosse stato fatto finora. Per rispettare queste esigenze e soddisfare tali intenzioni abbiamo ritenuto opportuno dare al nostro lavoro un’impostazione che lo ponesse come riepilogo di tutti quegli elementi originali, o riproponibili sotto una diversa angolazione, capaci di stimolare e suggerire con le loro indicazioni una nuova problematica sull’argomento. Si spiega così anche il carattere talora eccessivamente cronachistico o dettagliato di alcune parti, determinato dalla necessità di offrire, attraverso la ricchezza dei particolari, il quadro preciso di quei fatti e di quegli avvenimenti a proposito dei quali solo un’analisi di questo genere ci poteva permettere di superare taluni tradizionali schemi interpretativi. Gli elementi di cui ci siamo valsi sono stati, come abbiamo detto, numerosi e di molteplice natura e provenienza, e per le indispensabili precisazioni a tale riguardo rimandiamo, nella massima parte, alle annotazioni e ai chiarimenti offerti nel corso del lavoro. Tuttavia il frequente e ripetuto ricorrere di determinate fonti o testi che, per la loro primaria importanza, in maggior misura hanno concorso allo sviluppo ed all approfondimento del tema, impongono un discorso preliminare sulla loro validità e consistenza, dal quale possa prendere senso il perche di talune interpretazioni e prospettive di giudizio. Nell’Archivio di Stato di Venezia ampio ed interessante materiale offrono, a questo proposito, i verbali delle sedute e delle deliberazioni prese dal Consiglio dei Pregadi (Consilium Rogatorum), raccolte nelle due serie dei Senato Misti e Senato Secreta \ nonché i documenti conte- 1 I documenti contenuti nella prima serie si riferirono prevalentemente a que 1LZJL . »,e demoni di particolare * portanza. rarrol.e che si riferiscono a problemi di natura Torti i rfocumo» * ' „„ahm nel Medi,errane» orion- poliuca ; rommcrcude, connessi con a ^ Mjtattima iu Sémi àt tale, sono compresi nell opera di r. »HI*,ET; * * Venise concernant la Ramarne, Parigi. 1958-WM- nuti nei libri Vili e, soprattutto, IX e X dei Commemoriali2, i cui regesti sono stati pubblicati dal Predelli3. All Archivio di Stato di Genova la sezione più ricca, per quanto ci riguarda, è quella dell’Archivio Segreto, dove, oltre i volumi dei Diversorum, un notevole e fondamentale interesse riveste il mazzo 11/2730 delle Materie politiche, che comprende, fra l’altro, due volumi cartacei di primaria importanza. Il primo, intitolato: Atti processuali della causa celebratasi dinanzi al Conte di Savoia, Amedeo Vili, arbitro fra Genova e Venezia, è un manoscritto di 136 carte4, che si riferisce al processo di mediazione fra le due repubbliche rivali, tenutosi a Chambéry fra il 31 marzo ed il 10 agosto 1408 alla presenza del Conte di Savoia. Si tratta di una copia coeva di cancelleria 5, segnalata per la prima volta dal Manfroni6 e parzialmente utilizzata solo da questo studioso. Di essa esistono, sempre nello stesso fondo d archivio, anche un indice ed un riassunto, ritrascritti su un fascicolo di 23 facciate complessive, appartenente ad epoca notevolmente posteriore 1. Il secondo volume cui abbiamo fatto riferimento consta di 88 fogli manoscritti contenenti le testimonianze raccolte, fra il 5 ed il 18 feb- I Cominemoriali costituiscono una serie di registri nei quali gli scrivani della -ance eria ducale inserivano tutti gli atti e i documenti e facevano quelle annotazioni che, nelle questioni politiche ed amministrative contemporanee e future, potevano fornire un appoggio ai diritti dello Stato, all’interno o all’estero, e a quelli dei singoli individui, in relazione con lo Stato e cogli stranieri (R. Predelli, I libri Commemoriali della Repubblica di Venezia (regesti), in Monumenti della Deputazione di Storia Patria per le Venezie, serie I, vol. I, Venezia, 1876, p. 8). 3 R. Predelli cit., vol. III. 4 Nel fare riferimento a questa fonte useremo sempre la formula A.S.G. (Archivio di Stato di Genova), Atti processuali, seguita dall’indicazione della carta del manoscritto. 5 P. Lisciandrelli, Trattati e negoziazioni politiche della Repubblica di Genova (958-2797) (regesti), in Atti della Società Ligure di Storia Patria, n.s., I, Genova, I960, p. 140. 6 C. Manfroni, Lo scontro di Modone, episodio della lotta veneto-genovese (1403), in Rivista Marittima, XXX, ott.-nov. 1897, p. 331. 7 A.S.G., Archivio segreto, Materie politiche, m. 11/2730, doc. 14. 8 Esso reca l’intestazione: Testes et atestationes testium productorum per dominum Prosperum de Uvada, legumdoctorem, et Conradum Mazurrum, notarium eJ — 209 — i'i U' pirseiv.it dcH'itllorii vicario del Boucicault, dai procuratori v x iW.t. poi essetv prodotte nella causa che in quel periodo si dibatteva i I iivn o, iilla presenza ili quattro arbitri, eletti dai comuni di v \ ,i o di Vene/.in, Mille controversie rimaste in sospeso fra le due vn-Ì'WuIv dopo l'ticcordo del 28 giugno 1406. Oltre al Manfroni, che • sv'^uUN v' la utilizzò come nel caso del precedente manoscritto, questa ';»«// pp. 181-182, nn. 8 e 9, e in C. Guasti cit., II, pp. 371-372. 11 A.S.G., Archivio segreto, Materie politiche, m. 10/2729, doc. 8, reg. in P. Lisciandrelli cit., p. 128, n. 657; A.S.F., Capitoli del Comune, XIV, cc. 4v. 5 v., reg. in C. Lupi cit., p. 184, n. 12 e in C. Guasti cit., II, PP- 372-373; L. Scarabelli, Paralipomeni di Storia Piemontese dall’anno 1285 al 1617, in Archi vio Storico Italiano, serie I, XIII, 1847, pp. 119-122; R. Predelli cit., VIIL nn. 96-97. I gioielli, però, non vennero ritirati dai mallevadori, ma furono restituiti immediatamente ai Veneziani in segno di fiducia {de pr e dictis domino duce et communi Venetiarum tanquam verissimis fratribus confidentes, et omnem liberali-tatem erga ipsos ostendentes: C. Guasti cit., II, p. 372): S. Ammirato, Istorie fiorentine, Firenze, 1647, I, pp. 754-755; C. Lupi cit., p. 13. 12 A.S.T., (Archivio di Stato di Torino) Venezia, Lettere principi. Andrea Contarmi, doge, ad Amedeo VI (15 novembre 1381), D. Chinazzo cit., p. 223; R- PRE' delli cit., VII, n. 103. — 222 — curare il mantenimento dell’ordine pubblico, sia di far accettare il forzato esilio agli abitanti13. Ma, con 1 aiuto della popolazione che, timorosa, a suo dire ,4, delle prevedibili rappresaglie e vendette di Genova nei confronti di coloro che avevano consegnato l’isola ai Veneziani, si era sollevata con l’appoggio della guarnigione, eleggendolo suo capo e governatore, col preciso impegno di garantirne la libertà, il Mudazzo si rivelò fermamente deciso a non obbedire all ordine di consegna dell’isola, per cui a nulla valsero le ripetute proteste (fino a che punto sincere o di occasione?!) di Pantaleone Barbo, rappresentante di Venezia15, e meno ancora le rimostranze del procuratore di Genova 16. Naturalmente, a giustificazione del suo operato, e soprattutto per evitare le eventuali sanzioni, nelle quali, a causa di un gesto del genere l7, così arbitrario e molto grave per le sue prevedibili ripercussioni, avrebbe potuto incorrere, il Mudazzo ritenne opportuno inviate due lettere, contenenti una personale ricostruzione degli avvenimenti. Una fu indirizzata al doge di Venezia 18 (in essa affermava di non aver voluto, col suo comportamento, agire come ribelle alla patria, ma di aver operato, costrettovi dalla necessità degli eventi, per la tutela e la conservazione del commercio veneto nel Levante, precisando di tenere il 13 A.S.V. (Archivio di Stato di Venezia), Senato Misti, XXXVII, cc. 32 v. -33/-., 14 novembre 1381, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., I, p. 150, n. 610. D. Chinazzo cit., p. 224; M. Sanudo, Vitae ducum Venetorum, in L. A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, XXII, col. 722; M. A. Sabellico cit. I p. 438; R. Predelli cit., VIII, n. 122. 15 II Barbo proveniva da un’ambasceria a Costantinopoli, presso l’imperatore Giovanni V, col quale, fra l’altro, aveva affrontato anche la questione di Tenedo (A.S.V., Senato Misti, XXXVII, c. 15 r., 15 ottobre 1381; cc. 20 v. - 21 r, 25 ottobre 1381). Il suo comportamento in tutta questa vicenda appare singolarmente equivoco e non sorprende affatto la notizia riportata da M. Sanudo cit., col. 723, che, alla conclusione del caso, egli venne ritenuto colpevole di favoreggiamento ed escluso, di conseguenza, dai pubblici uffici per un periodo di 10 anni (cfr. anche A. E. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, Venezia, 1824-1853, VI, pp. 97-98). 16 R Predelli cit., Vili, nn. 121 e 122. 17 Non mancarono anche contatti fra il Mudazzo ed i Turchi, come appare da alcuni documenti dell’Archivio di Ragusa, segnalati da B. KrekiC, Dubrovnik (Raguse) et le Levant au Moyen Age, Parigi, 1961, pp. 42-43 e 222-223. 18 R. Predelli cit., VIII, nn. 123 e 124. — 223 — castello a disposizione della Repubblica Veneta), l’altra 19 al conte di Savoia: invitava Amedeo VI a non cedere Tenedo ai Genovesi e a non smantellare quel castello, dichiarandosi, inoltre, pronto a governare 1 isola in nome del conte medesimo. L’atteggiamento della popolazione di Tenedo e la ribellione del Mu dazzo rischiarono di compromettere quasi subito il difficile equilibrio da poco raggiunto, mettendo a dura prova la volontà politica delle due con traenti e suscitando immediatamente nuovi motivi di difficoltà e perpes sità reciproche. Non mancarono, sia dall’una sia dall’altra parte, i glio e le pressioni di quelle fazioni che più si erano dimostrate inso 1 sfatte dell’esito della precedente guerra, perchè più si ritenevano e si sentivano colpite e danneggiate dalle disposizioni del trattato di pace. Più lineare, comunque, e più facilmente definibile, date le partico lari circostanze, appariva, in un simile frangente, la linea del governo genovese, che aveva buon gioco, riuscendo in questa maniera a so i-pressioni ed esigenze anche di natura diversa, a protestare e ad insistere, nel suo giusto diritto, per una rigorosa applicazione delle norme ri^ua danti la consegna dell’isola di Tenedo, e a promuovere e fa voi ire, sen per questo tradire eventuali intenzioni ben più ambiziose, le ìniziat più opportune al raggiungimento del suo scopo. ^ ^ Complessa e contradditoria20 si presentava, invece, nell ambito e Senato veneziano, la formulazione del preciso atteggiamento che la epu blica avrebbe dovuto seguire di fronte alla nuova situazione, soprattutt per l’esistenza, in seno ad un discreto numero di uomini politici, i u sottinteso compiacimento per un avvenimento che poteva, a loro parere, offrire l’opportunità di riscattare, almeno in parte, lo smacco e il disonore di quella che costoro reputavano una umiliante sconfitta politica. Questo preciso disegno, che non poteva esplicarsi palesemente in atti di dichia 19 R. Predelli cit., Vili, n. 125. 20 Anche i contrasti e le ripercussioni provocate in seno al governo veneziano dall’incidente di Tenedo si collocano nel quadro del dibattito politico, assai acceso in quel periodo, fra « oltranzisti » e « moderati », che porterà, negli anni immediatamente successivi, alla formulazione di quella nuova linea politica veneziana, della quale, in seguito, evidenzieremo le linee essenziali. Le premesse di questo futuro svolgimento, già fin d’ora rilevabili, sono colte, seppure attraverso uno schematismo eccessivamente rigido, da G Cracco, Società e stato nel Medioevo Veneziano, Firenze, 1967, pp. 441 e sgg. — 224 — rata ostilità, per le conseguenze negative facilmente intuibili che una posizione di tal genere avrebbe allora apportato alla Repubblica, ebbe ugualmente modo di attuarsi, sia pure parzialmente, attraverso una tattica diplomatica che si prefiggeva, come obiettivo momentaneamente raggiungibile, lo scopo di alimentare perlomeno l’equivoco, attraverso la politica delle promesse che si sapeva già che non sarebbero state mantenute, nella speranza di poter poi trarre vantaggi e motivi di speculazione dall’esaltazione e dall’audacia di un esiguo numero di irresponsabili. In un primo momento, anzi, questa linea di condotta sostanzialmente ambigua coincise con quella ufficiale, in quanto le immediate disposizioni della Repubblica Veneta al riguardo 21 offrono chiaramente l’apparenza di una politica equivoca e temporeggiatrice, in attesa di precise ed orientative prese di posizione e dei modi e tempi della reazione genovese: si comprende così 1 evidente contraddizione fra il tono apparentemente sostenuto e deciso di alcune deliberazioni e la loro attuazione pratica che ne tradiva, quasi sempre in maniera palese, lo spirito ed il significato, chiaro sintomo di una politica tesa, nell’apparente e formale rispetto della legalità, a maturare le condizioni per poter infrangere impunemente e senza pericolose conseguenze tale legalità 22. Rientra in questo quadro anche l’invio di Zaccaria Contarini a Torino e di Giovanni Gradenigo e Michele Morosini a Genova, in qualità di am- 21 Ci riferiamo alle istruzioni del 24 marzo e del 22 aprile 1382 (A.S.V., Senato Misti, XXXVII, cc. 63 v. - 64 r., cc. 73 r. - 74 r, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., I, pp. 151-152, nn. 617 e 621), dirette a Giovanni Miani, capitano del Golfo, e a Carlo Zeno, nuovo bailo di Negroponte, che insistono ancora su una posizione di comprensione nei confronti del Mudazzo e sulla possibilità di risolvere in maniera diplomatica e pacifica la controversia (ser Karolus Geno qui est practicus et usus cum moribus personarum dicte insule et scit linguam, iret primo ad inducendum dictum ser Zanachi ad intentionem nostram, cum illis bonis verbis que videbuntur dicto collegio . . .). Ed effettivamente, date le premesse, appare logica e scontata la conclusione fallimentare di questa spedizione: lo Zeno, lasciato il Miani con quattro galere a sorvegliare l’isola, tornò ben presto a Venezia, dove lo ritroviamo già il 7 luglio 1382 (A.S.V., Senato Misti, XXXVII, c. 92 r.). Cfr. anche A.S.V., Archivio di Ragusa (1419-1422), c. 44 v., 8 maggio 1382; R. Caresini cit., p. 59; D. Chinazzo cit., p. 225; J. Zeno cit., pp. 79-80; M. A. Sabellico cit., I, p. 438; B. Krekiô cit., p. 222. 22 Su questo momento della politica veneziana cfr. R. Cessi, Politica ed economia di Venezia nel Trecento, Roma, 1952, pp. 217-230. — 225 — basciatori della Repubblica Veneta23, per tranquillizzare la Repubblica Ligure ed il conte Amedeo VI sulla volontà di Venezia di attenersi scrupolosamente alle clausole della pace di Torino e sul suo impegno di prendere, pertanto, tutte le misure adatte a reprimere il tentativo del Mudazzo. Una simile iniziativa rispondeva allo scopo di ribadire, almeno a parole e nelle intenzioni, la propria buona fede ed estraneità a quell episodio e la ferma volontà di adoperarsi per ristabilire la pace ed eliminare ogni motivo di diffidenza ed ostilità. Analogamente il governo veneto si pre murò di informare delle sue decisioni anche gli altri stati che avevano partecipato alla guerra di Chioggia ed avevano firmato la pace dd Torino , preoccupati delle conseguenze che un eventuale riproporsi del conflitto avrebbe potuto arrecare al delicato equilibrio politico da poco faticosa mente raggiunto e per le ripercussioni negative causate sul commercio marittimo e sui traffici internazionali dalla prolungata assenza di Genova e Venezia. Il Doge ed il Consiglio degli Anziani di Genova, sia che fossero effettivamente convinti delle dichiarazioni dei Veneziani, sia che, com appare più probabile, ritenessero opportuno, in ogni caso, dimostrare fede, nell’esprimere il loro rincrescimento per l’episodio del Mudazzo, si dichiararono tuttavia soddisfatti25 delle intenzioni palesate dalla blica Veneta, considerata soprattutto la natura dei provvedimenti c essa si proponeva di attuare26. 23 A.S.V., Senato Misti, XXXVII, c. 57 r., 10 marzo 1382, c. 58 r., 17 marzo 1382, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., I, p. 151, nn. 615 e 616; A.S.T., Lettere principi, mazzo 1. Andrea Contarini, doge, ad Amedeo VI, 8 marzo (pergamena), pubblicata in A. Segrè, Delle relazioni tra Savoia e Venezia da Ameeo a Carlo II (1366-1553), in Memorie della Reale Accademia delle Scienze di serie II, XLIX, 1900, p. 8; R. Caresini cit., p. 59; D. Chinazzo cit., p- 225, Sanudo cit., col. 722. Ulteriori istruzioni vennero inviate, in un secondo tempo, agli ambasciatori che si erano recati a Genova: A.S.V, Senato Misti, XXXVII, c. 72 r„ 20 aprile 1382, cc. 75 v. -76 r., 2 maggio 1382, c. 77 r., 7 maggio 1382; reg. in F. Thiriet, Régcstcs cit.. I, pp. 152-153, nn. 620, 622 e 623. 24 A.S.F., Capitoli del Comune, XIV, c. 9v., reg. in C. Lupi cit., p- 184 e in C. Guasti cit., II, p. 376; R. Predelli cit., Vili, nn. 129 e 131. 25 R. Predelli cit., Vili, n. 130. 26 Una conferma di questa ostentata fiducia da parte di Genova, che era consigliata dalla necessità di vincolare ed impegnare la Repubblica Veneta, ci può essere offerta dall’episodio che vide protagonisti, durante il loro viaggio di ritorno, i sud- — 226 — Ma quando Genova dovette constatare come alle promesse non seguissero mai i fatti, la sua reazione 27 questa volta fu tale da sollecitare una revisione, da parte del Senato veneziano, della linea di condotta seguita fino a quel momento, e da risvegliare nelle persone più seriamente responsabili il senso dell’effettiva dimensione del problema: col passare del tempo si faceva sempre più strada la convinzione che non sarebbe stato, pur nella ipotesi più ottimistica, il semplice riacquisto di Tenedo a modificare a vantaggio della Repubblica Veneta l’equilibrio delle forze detti ambasciatori: catturati dai Marchesi del Carretto furono liberati da un esercito comandato da Isnardo Guarco, fratello del doge di Genova (cfr. G. Cappelletti, Storia della Repubblica di Venezia, Venezia, 1850, vol. V, p. 200; M. G. Canale, Della spedizione in Oriente di Amedeo VI di Savoia, Genova, 1887, p. 44). G. Bolognini, Le relazioni tra la Repubblica di Firenze e la Repubblica di Venezia nell’ultimo ventennio del sec. XIV, in Nuovo Archivio Veneto, IX, 1895, p 43, collega erroneamente questo episodio con l’ambasceria veneta mandata a Genova {v nota successiva) a reclamare i diritti dei Fiorentini, forzando l’esatta cronologia degli avvenimenti. 27 La risposta di Firenze che, alla richiesta di Genova di ottenere la consegna del denaro o dell’equivalente in preziosi depositati a suo tempo, come garanzia, dal ■comune di Venezia (A.S.F., Riformagioni, Atti pubblici, 20 maggio 1382, reg. in C. Lupi cit., p. 194. n. 15; Ibidem, Capitoli del Comune, XIV, cc. 9 v. - 13 v., reg. in C. Guasti cit., II, p. 377; L. Scarabelli cit., p. 120), replicò sostenendo che i Veneziani non erano tenuti a tale indennizzo, in quanto non volontariamente e direttamente responsabili dell’episodio di ribellione, provocò un decreto di rappresaglia da parte di Genova, con cui si ordinò il sequestro delle merci dei fiorentini che si fossero trovate a Genova o che in seguito vi sarebbero pervenute (A.S.G., Archivio segreto, Diversorum registri, 2/497, cc. 106-r. - 107 r.; L. A. Casati cit., pp. 330-333). Le successive proteste fiorentine a Venezia (ambasceria di Niccolò Rabatta e Filippo di Cionetto de’ Bastari: A.S.F., Capitoli del Comune, XIV, cc. 17 v. - 19 v., reg. in C. Guasti cit., II, p. 379; Ibidem, Riformagioni, Atti pubblici, 6 agosto 1382, reg. in C. Lupi cit., p. 184 n. 17; R. Predelli cit., Vili, n. 138) ottennero la solita risposta giustificativa di irresponsabilità da parte della Repubblica Veneta (A.S.F., Capitoli del Comune, XIV, cc 19 f. -22 r., reg. in C. Guasti, II, p. 379; Ibidem, Riformagioni, Atti pubblici, 9 agosto 1382, reg. in C. Lupi, p. 185, n. 18; R. Predelli cit., Vili, n. 140), che fece leva su tutte le possibili astuzie e sottigliezze diplomatiche per eludere le imbarazzanti e legittime pressioni del governo fiorentino, anche se si dichiarò poi disposta ad inviare a Genova propri ambasciatori per ottenere la restituzione delle merci e dei beni sequestrati. Questa vicenda avrà ancora un seguito, in quanto la Repubblica di Firenze, preoccupata dalla piega presa dagli avvenimenti, inviò a Genova una sua legazione per comporre la contesa (A.S.G., Archivio segreto, Diversorum registri, 2/497, — 227 — allora esistente sia nel bacino mediterraneo che in quello orientale. Si trattava, d’altronde, di un atteggiamento che, indipendentemente da questi ultimi motivi di natura contingente28 che ne accelerarono il processo di rielaborazione, già vari fattori, collegati ad una valutazione più ampia e più obiettiva del generale contesto politico ed economico, avevano con tribuito a maturare. La maggioranza degli esponenti più significativi della vita politica veneziana si era resa conto che ormai era necessario rompere definitiva mente e decisamente con un passato che poteva suggerire una politica i astuzia e di doppio gioco, per affrontare con chiarezza e lealtà la situa zione presente e rendersi conto delle necessità pure spiacevoli che ess^ comportava ed imponeva. Non poteva assolutamente essere 1 incidente Tenedo, collegato ad una situazione compromessa e vincolata da prec impegni che esigevano uno scrupoloso rispetto, l’occasione avorevo gettare le premesse di una futura politica estera all’altezza del prestigi delle mire di un tempo. Questo scopo andava, invece, necessariamente ricercato in ben c. 152 r.). Le trattative, lunghe e laboriose, si conclusero con una convenzi toscritta a Genova il 21 gennaio 1383 e ratificata a Firenze il 7 fe ra concernente il pagamento, da parte del Comune di Firenze, della somma i Archi-fiorini d’oro entro 18 mesi dal giorno di sottoscrizione di tale accordo ( • ■ •> ^ vio segreto, Diversorum registri, 2/497, c. 139 v.; Ibidem, Archivio segreto, politiche, m. 10/2729, doc. 12, 7 febbraio 1383, reg. in P. Lisciandoli "t-, • 129, n. 661; A.S.F., Riformagioni, Atti pubblici, 21 gennaio 1383; Ibidem, a ^ del Comune, XIV, cc. 22 r. -28 re 29 r. - 30 r, reg. in C. Lupi cit., p. n-C. Guasti cit., II, pp. 380-383; L. A. Casati cit., pp. 334, 334-335 e 336-364). ^ Su questi avvenimenti cfr., inoltre, L. Bruni Aretino, Historiarum ore tini populi libri XII, a cura di E. Santini e C. Di Pierro, in Rerum Italicarum Scriptores, n. ed., Bologna, 1927, vol. XIX, parte III, p. 236; Marchilne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, in Rerum Italicarum Scriptores, n. ed., Città di Castello, 1903-1955, vol. XXX, parte I, pp. 421-422; C. Lupi cit., pp. 13-14 e 181-185; G. Bolognini cit., pp. 40-46. Potrebbe anche non essere del tutto estranea a questo ripensamento 1 eie zione a doge (10 giugno 1382) di Michele Morosini, uno dei tre procuratori della signoria di Venezia alle trattative di Torino (H.P.M., IX, Liber iurium cit., II, co1-862) e, successivamente, (v. cap. I, nota 23) uno dei due ambasciatori inviati a Genova nel marzo del 1382 per rassicurare la repubblica rivale- è probabile che gli impegni presi personalmente dal Morosini in entrambe le circostanze, nonché la conoscenza precisa del quadro complessivo di queste vicende, possano aver sollecitato un suo deciso e pressante intervento per la risoluzione della questione. — 228 — direzione. Emergono così, sia pure lentamente e faticosamente, e si concretizzano alcune delle direttrici fondamentali della nuova linea politica veneziana che, maturata nel corso di quegli anni, si articolerà progressivamente fino ad acquistare una sua caratteristica precisa e definitiva nel corso del XV secolo. Due sono, a questo riguardo, gli elementi più indicativi e che, seppure apparentemente in alternativa, si completano e si integrano a vicenda, concorrendo alla fissazione del nuovo assetto politico. Il primo consiste nel graduale spostarsi del centro degli interessi marittimi e coloniali di Venezia dal Levante alla zona balcanica e del mare Egeo, dove i Veneziani si preoccuparono, in quegli anni, di garantirsi una larga e consistente base alla loro egemonia, operando una graduale trasformazione del sistema feudale delle isole e delPAcaia in un diretto dominio territoriale, e procedendo alla progressiva eliminazione di quelle piccole tirannie, esistenti fra l’Egeo e l’Adriatico, che impedivano il costituirsi di un’agguerrita e continua linea navale, quale indispensabile punto d’appoggio del dominio sulla zona costiera. La zona dell’estremo Oriente e dell’Asia Minore non lasciava, invece, possibilità di ulteriore espansione attiva per l’incertezza e l’ambiguità della politica bizantina e per lo sconvolgimento che nel tradizionale equilibrio politico aveva apportato la espansione terrestre e marittima dell’impero turco lungo le due rive del Mediterraneo Orientale. La seconda esigenza, connessa armonicamente con questi problemi, fu quella che spinse uno stato fino ad allora essenzialmente marittimo come Venezia, ma confinante con importanti principati di terraferma, a rimettere in discussione la propria posizione politico-territoriale nei confronti dell’equilibrio continentale, a salvaguardia e garanzia proprio del dominio marittimo e della sua potenza economica. La mutata funzione e l’accresciuto rilievo degli stati limitrofi risvegliarono giustamente le preoccupazioni per il pericolo non più ipotetico dell’isolamento del centro marittimo dal retroterra, con le conseguenze disastrose facilmente intuibili nel caso del verificarsi di una simile prospettiva. La politica di conquista della terraferma, che di una tale situazione diveniva, quindi, la logica conseguenza, non si presentava, perciò, secondo un’interpretazione largamente diffusa, come un abbandono della tradizionale teoria mercantilista di disinteresse continentale, ma diventava il necessario strumento per prolungare le vie di transito sopra il continente, indispensabile corollario della potenza economica veneziana. Si aprivano, così, nuove inte- — 229 — ressanti prospettive all’azione del governo veneziano che, nel volger di pochi anni, seppe, come vedremo, inserirsi efficacemente, grazie soprattutto all’abilità dlla sua diplomazia, nella delicata situazione dell’Italia centro-settentrionale, dimostrando l’estrema duttilità della sua linea politica, capace di flettersi ed adattarsi, con singolare tempismo ed intuito, alle più svariate occasioni e possibilità29. Per realizzare gli obiettivi suesposti bisognava, però, assicurare prima allo stato l’indispensabile tranquillità e coesione interna, attraverso una opera di risanamento politico ed economico, di cui esso aveva bisogno dopo le ultime travagliate vicende che ne avevano ulteriormente aggravato il deficit, sospingendolo sull’orlo di una paurosa e preoccupante crisi finanziaria 30. Sulla base di tali esigenze politiche e necessità economiche prende, quindi, una sua ben precisa fisionomia, pur attraverso i frequenti tentennamenti causati spesso dalla disparità e vastità dei problemi e delle situazioni, nonché dall’incorreggibile spirito frondista delle fazioni più intransigenti, quel tipo di politica ispirato ad una linea di relativa prudenza, che non significa rinuncia ai propri ideali e programmi, bensì costante impegno ed attenzione, non disgiunti da abili e tempestive iniziative diplomatiche, che impronterà in maniera caratteristica un lungo periodo della storia veneziana e che verrà fissando con precisione le linee dei suoi nuovi indirizzi nel tormentato ventennio compreso fra gli ultimi anni del secolo XIV ed i primi del XV. Il diverso atteggiamento, suggerito, come abbiamo appena visto, da una visione più obiettiva della realtà politica ed economica interna ed internazionale e da una valutazione più realistica del ruolo che entro un tale ambito le sarebbe stato possibile e producente sostenere, sollecita, da parte della Repubblica Veneta, come primo passo 29 Un quadro sintetico e persuasivo di questi orientamenti, al quale abbiamo fatto, in questa sede, preciso riferimento, ci è offerto da R. Cessi, Storia della Repubblica di Venezia, Milano-Messina, 1944-1946, I, pp. 346-347; Idem, Politica cit., p. 250. 30 Un preciso bilancio della situazione economica e finanziaria della Repubblica di Venezia nel periodo successivo alla pace di Torino si trova in G. Luzzatto, Storia economica di Venezia cit., pp. 146-152; mentre un interessante esame dei rapporti fra politica ed economia, sempre dello stesso periodo, e contenuto nell’opera di R. Cessi, Politica cit., pp. 196-248. - 230 — concreto verso la realizzazione di quelle premesse di tranquillità indispensabili per attuare il necessario risanamento economico e dare l’avvio ad una nuova politica di largo respiro, l’esigenza di risolvere, senza ulteriori indugi, ed in maniera decisa e convincente, tale da non lasciare adito a pericolosi strascichi, la questione di Tenedo. La natura dei provvedimenti presi nella circostanza, ma soprattutto la decisione e l’impegno con cui essi furono, poi, anche perseguiti e messi in atto, sono pienamente indicativi del nuovo stato di cose31. Nel mese di luglio 32 fu decretato, contro il capitano ribelle, un bando severo, che prevedeva la confisca di tutti i suoi beni ed una cospicua taglia, sulla sua persona (sembra, anche se non tutte le fonti concordano su tali cifre, che ammontasse a ben 20.000 perperi di Costantinopoli, corrispondenti, cioè, a 10.000 ducati veneziani, per chi lo avesse consegnato morto) 33. Poco tempo dopo, verso la metà di agosto, partì una flotta comandata da Giovanni Miani, le cui truppe obbedivano a Fantino Zorzi34. 31 Non ci sembra, quindi, di poter condividere pienamente, a questo riguardo, la linea interpretativa di R. Cessi, Politica cit., pp. 217-223, che anticipa questo momento di una fase, ponendolo già nell’ambito di quelle discussioni avvenute in seno al governo veneziano durante il mese di marzo, quando, però, come abbiamo sottolineato, prevalse una tattica ambigua e temporeggiatrice. E’ rimasto così falsato anche il significato delle rappresaglie genovesi nei confronti dei fiorentini e, in particolar modo, della conseguente presa di posizione del governo fiorentino nei riguardi di quello veneziano (Idem, pp. 223 e 245). 32 A.S.V., Senato Misti, XXXVII, cc. 93 - 96 r., 8-10 luglio 1382, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., I, p. 154, n. 629; R. Caresini cit., p. 60; A. Navagero, Historia Veneta, in L. A. Muratori, Rerum italicarum scriptores, XXIII, col. 1069; M. Sanudo cit., col. 744. 33 Contemporaneamente il Senato veneziano inviava ai rettori dei suoi possedimenti orientali l’ordine di proibire ai loro amministrati il commercio con l’isola di Cipro, minacciando, in tal caso, severe sanzioni (A.S.V., Senato Misti, XXXVII, c. 91 v., 3 luglio 1382, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., I, p. 154, n. 628): anche questo provvedimento, del quale venne mandata una copia al governo genovese, ci indica quale fosse il nuovo atteggiamento assunto da Venezia. 34 M. Sanudo cit., col. 744 e G. Cappelletti cit., V, p. 201, accennano ad una lettera del Senato veneziano, in data 19 agosto 1382, con la quale il Comune di Genova veniva informato della avvenuta partenza della suddetta spedizione e veniva sollecitato a fornire la necessaria collaborazione (cfr. A.S.V., Senato Misti, XXXVII, cc. 103 r. - 103 v., reg. in F. Thiriet, Régestes cit., I, p. 155, n. 632). — 231 — Esse iniziarono un lungo ed estenuante assedio del castello, ostinatamente difeso per ben sette mesi35. Il Mudazzo si arrese, infine, a patto d’aver salva la vita e resi i beni. Agli abitanti fu permesso di abbandonare l’isola e di stabilirsi a Candia o a Negroponte, dove fu loro assegnata una porzione di terreno uguale a quella che possedevano a Tenedo, mentre a chi preferiva trasferirsi a Costantinopoli venne risarcito in denaro il prezzo dei possedimenti abbandonati sull’isola 36. L’accordo definitivo fra le due Repubbliche venne stipulato a Genova fra Leonardo Dandolo e Pietro Emo, rappresentanti di Venezia, e Leonardo Montaldo, doge di Genova, e il suo Consiglio 37. Dopo lunghe trat tative38 si stabilì, il 13 agosto 1383, che la Signoria di Venezia avrebbe fatto demolire il castello entro sei mesi, come puntualmente avvenne a opera di Fantino Pisani, capitano del Golfo, che il 1° settembre aveva ri cevuto tale ordine dal suo governo39. * * * Le necessità contingenti avevano avuto il sopravvento, riuscendo reprimere la naturale e mai smentita tendenza ad un antagonismo senza limiti nelle relazioni politico-economiche delle due rivali. La situazione 35 I Veneziani ripresero Tenedo il 17 aprile 1383 (A.S.F., Riformagioni, A pubblici, 9 maggio 1383, reg. in C. Lupi cit., p. 185, n. 22: lettera di Antonio Venerio, doge di Venezia, alla Signoria di Firenze). L’isola, in attesa della sua C°*1S ® al conte di Savoia, venne affidata ad un capitano, Giovanni Miani, assistito da _ stellani, eletti per un periodo massimo di sei mesi (A.S.V., Senato Misti, XX c. 29 v., 16 maggio 1383, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., I, p. 157, n. 647). 36 G. e B. Gatari cit., p. 213; M. A. Sabellico cit., I, p. 439. 37 A.S.G., Archivio segreto, Materie politiche, m. 10/2729, reg. in P- LisciaN drelli cit., p. 130, n. 664; A.S.V., Senato Misti, XXXVIII, cc. 28 r. - 22, v., reg. m F. Thiriet, Régestes cit., I, p. 167, n. 644; R. Caresini cit., p. 62; A. Navagero cit., coll. 1069-1070; M. Sanudo cit., col. 750. V. le istruzioni inviate ai suoi ambasciatori da parte del Senato Veneto. A.S.V., Senato Misti, XXXVIII, cc. 42 v. -43 v. e 54 r. - 54 v., 4 giugno e 8 luglio 1383, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., I, pp. 158-159, nn. 652 e 657. 39 A.S.F., Riformagioni, Atti pubblici, 13 agosto 1383; Ibidem, Capitoli del Comune, XIV, cc. 42 r. -45 re 60 r. - 64 v., reg. in C. Lupi cit., p. 185, nn. 23 e 26 e in C. Guasti cit., II, pp. 387-388 e 393-394; A.S.G., Archivio segreto, Materie politiche. m. 10/2729, doc. 16, 17 giugno 1384, reg. in P. Lisciandrelli cit., p. 130, n. 665; R. Predelli cit., Vili, n. 323; G. e B. Gatari cit., p. 213. — 232 — interna di entrambe, al termine di un così logorante conflitto, che aveva lasciato in eredità uno strascico di penose conseguenze, sembrava poter garantire, a dispetto anche della effettiva volontà politica dei due governi, un periodo relativamente lungo di tolleranza reciproca e di simulata cordialità, almeno nelle manifestazioni e nelle intenzioni ufficiali. La Repubblica Veneta40 si trovò, all’indomani della guerra, severamente impegnata in una difficile opera di risanamento economico, alle prese con le conseguenze di uno sforzo finanziario che era stato senz’altro grandioso ed aveva prodotto uno sconvolgimento economico senza precedenti; ma poteva, per sua fortuna, valersi di un saldo controllo di governo sopra la vita cittadina, capace di garantire quella omogeneità e di mantenere quella disciplina politica indispensabili a superare una crisi di questo genere. La sua rivale41, invece, che era riuscita a sopportare con maggior disinvoltura l’onere finanziario della guerra, si trovava a dover affrontare le deleterie conseguenze di continue convulsioni interne, che mettevano ripetutamente a dura prova l’autorità dello Stato, sempre preso di mira dal prepotere di coalizioni asservite all’interesse dei singoli42. Una situazione del genere consigliava a Venezia, quale logico corrispettivo di una rigorosa parsimonia finanziaria, una politica di tranquillo ed attento raccoglimento secondo una linea di prudente pacifismo, che si collocava d’altronde molto opportunamente in un panorama internazionale così ricco di incertezze e di enigmi; mentre la torbida e tormentata situa- 40 Cfr. R. Cessi, Politica cit., pp. 220-248; G. Luzzatto cit., pp. 146-152. 41 Cfr. G. Serra, La stona dell'antica Liguria e di Genova, Torino, 1834, III, pp 3 e sgg.; V. Vitale, Breviario della Storia di Genova, Genova, 1955, I, pp. 144-148. 42 Questa costante della politica genovese, che si contrappone all’organica compattezza e solidità dell’ordinamento veneziano, rispecchia la funzione ed il ruolo sensibilmente diversi che ebbero, all’interno delle due Repubbliche, le varie componenti sociali e, di conseguenza, le strutture e gli organismi dei due Stati. Nel caso di Genova non è possibile parlare di stato modernamente inteso, perchè la Repubblica Ligure rimase sempre, per tradizione e per volontà dei singoli, un popolo di mercanti, preoccupati esclusivamente del proprio interesse, che quasi mai seppero o vollero elevarsi all’altezza di uomini di stato, come accadde a Venezia, rimanendo, invece, degli speculatori. A Genova, quindi, la preoccupazione degli affari rimase sempre l’elemento predominante nella concezione politica e si ripercosse sul carattere essenzialmente privato ed individualistico dell’ordinamento politico e sociale dello stato, costituito e sostenuto sulla base della coalizione degli interessi delle grandi imprese commerciali. — 233 — zione interna del governo genovese rendeva problematica anche per quella Repubblica qualsiasi velleità di ulteriore espansione coloniale o, perlomeno, di rafforzamento e consolidamento delle proprie posizioni. Appare tuttavia evidente che, qualora fossero venuti a mancare questi fattori, che sollecitavano una politica di momentanea rinuncia, forzata-mente limitata a problemi di ordine interno, ben difficilmente si sarebbe potuto evitare che l’antagonismo fra le due nazioni, costrette, da esigenze connesse con la loro stessa ragione d’essere, ad agire con fini diversi sopra la medesima area, riaffiorasse in tutta la sua complessità. Nulla avrebbe, infatti, mai potuto modificare una realtà irreversibile, per cui appare perfettamente inutile, a questo riguardo, accusare la responsabilità dell’una più che quella dell’altra (la ricerca di questa responsabilità mai era approdata a risultati persuasivi e convincenti, e mai li avrebbe potuto raggiungere): nessun accordo aveva mai favorito una soluzione definitiva, ma aveva sempre lasciato intatte ed insolute le premesse politiche e quelle economiche che stavano alla base del secolare conflitto. E non avrebbe potuto essere diversamente in quanto, di fronte alla continua espansione del-1 una e dell’altra Repubblica in Oriente, dove ambedue avevano dato vita a colossali organismi concorrenti, la graduale contrazione dei margini di profitto del mercato orientale sollecitava ciascuna di esse ad eliminare o ridurre la capacità attiva della concorrente e convertire a proprio vantaggio l’utile ancora disponibile. Era naturale, quindi, che ogni sintomo indicativo di un possibile capovolgimento delle rispettive posizioni di predominio economico e politico risvegliasse in entrambe le Repubbliche legittime preoccupazioni. Questo atteggiamento poteva essere al massimo accantonato e perlomeno dissimulato per ragioni altrettanto vitali, quali, ad esempio, quelle che consigliarono e suggerirono una tale reciproca condotta, per i motivi a cui abbiamo ora accennato, negli ultimi anni del secolo XIV, anche se, a riprova dell impossibilità di sopprimere radicalmente una situazione di fatto che solo la definitiva scomparsa dalla scena politica di una delle due rivali avrebbe potuto eliminare, non mancarono neppure in questo periodo situazioni e vicende indicative, pur nel loro carattere episodico e casuale, di un problema irrisolvibile, che circostanze mutate avrebbero riproposto, in tutte le sue dimensioni, ad una scadenza più o meno prossima. Trattandosi, però, di episodi molto spesso isolati fra di loro e senza un carattere di omogeneità, legati come sono, nella maggior parte dei casi, — 234 — a motivi contingenti e puramente occasionali43, difficilmente essi si possono utilizzare ed inquadrare in un panorama compatto e continuativo, pure se servono a ribadire la persistenza di quella posizione di fondo, nei rapporti fra le due Repubbliche, che abbiamo ripetutamente sottolineato. Da un quadro così nebuloso, incerto e dispersivo, allo stato attuale delle ricerche 44 si possono indicare solamente alcune linee orientative o sotto-lineare certi aspetti più appariscenti e significativi, che trovano conferma anche in tali vicende particolari e di secondaria importanza. 43 Cfr., a questo riguardo, A.S.G., Archivio segreto, Diversorum registri, 2/497, 29 dicembre 1383, c. 153 r.; A.S.V., Senato Misti, XXXIX, c. 17 v., 28 ottobre 1384; c 29 v., 20 dicembre 1384; c. 33 i>., 23 gennaio 1385, cc. 44 r. - 45 v., 15 febbraio 1385; XLI, c. 50 v., 23 dicembre 1389; cc. 50 v. - 51 r., 30 dicembre 1389; c. 57 v., 8 febbraio 1390; reg. in F. Thiriet, Régestes cit., I, p 166, nn. 683 e 686; p. 167, nn. 688 e 689; p. 184, nn. 763, 764 e 767; L. de Mas Latrie, Histoire de l'île de Chypre sous le Reigne des princes de la Maison de Lusignan, Parigi, 1852-1861, II, pp. 402-403; L. T. Belgrano, Studi e documenti sulla colonia genovese di Pera, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, XIII, 1879, pp. 144-145; Diplomatarium Veneto-Levantinum, vol. II, a cura di R. Predelli, in Monumenti storici pubblicati dalla R. Deputazione Veneta di Storia Patria, serie I, vol. IX, Venezia, 1899, pp. 209, 220, 221, 255. 44 Insufficienti e marginali sono i contributi capaci di cogliere almeno qualche motivo di una certa consistenza, tale da suggerire una impostazione più dettagliata e meno superficiale ed affrettata sulla esatta prospettiva nell’ambito della quale si collocarono i rapporti fra Genova e Venezia nel periodo conclusivo del sec. XIV: C. Desimoni, Spigolature genovesi in Oriente, in Giornale ligustico, XI, 1884, pp. 336-345; L. de Mas Latrie, Documents concernant divers pays de l’Orient Latin (1382-1413), in Bibliothèque de l’école de Chartes, LVIII, 1897, pp. 78-125; C. Manfroni, La battaglia di Gallipoli e la politica veneto-turca (1381-1420), in Ateneo Veneto, XXV, vol. II, 1902, pp. 3 e sgg.; N. Jorga, La politique vénitienne dans les eaux de la Mer Noire, in Académie roumaine, II, 1914, nn. 2-4, pp. 398 e sgg.; R. Cessi, Venezia e l’acquisto di Nauplia ed Argo, in Nuovo Archivio Veneto, n. s., XXX, 1915, pp. 147-153; M. Silberschmidt, Das orientalische Prohlem zur Zeit der Entstehung des tiirkischen Reiches nach venezianischen Quellen. Ein Beitrag zur Geschichte der Beziehungen Venedigs zu Byzanz, Ungam und Genua und zum Reiche von Kiptschack (1381-1400), Lipsia-Berlino, 1923 passim-, J. Heers, Il commercio nel Mediterraneo alla fine del sec. XIV e nei primi anni del XV, in Archivio storico italiano, CXIII, 1955, pp. 157-209; F. Thiriet, La Romanie vénitienne au Moyen Age. Le développement et l’exploitation du domaine colonial vénitien (XII-XV siècles), in Bibliothèque des Ecoles Françaises d’Athènes et de Rome, fase. 193, Parigi, 1959, pp. 353-372; nonché alcuni capitoli dell’opera di W. Miller, Essays on thè Latin Orient, Amsterdam, 1964,. passim. — 235 - La minaccia, inoltre, sempre più incombente, dei Turchi, parallela all inesorabile declino dellTmpero d’Oriente, inserendosi nella situazione politica che abbiamo delineato, contribuiva a renderla ancora più complessa, costringendo i governi di Genova e Venezia ad accettare scomode e non gradite alleanze, essendo essi obbligati a scegliere fra una politica anche di parziale collaborazione col governo ottomano43, a tutela dei propri interessi economici, da un lato, e l’imperativo morale, che non potevano trascurare, di concorrere alla resistenza cristiana contro l’invasione continentale da parte dei Turchi, dall’altro. Questa alternativa, che imponeva alle due Repubbliche una scelta non facile, sollecitava pertanto un comportamento sovente ambiguo, suggerito dalla necessità di non commettere passi falsi a vantaggio della rivale, o collaborando con essa in spedizioni che poi sarebbero tornate maggiormente a suo vantaggio, o correndo il rischio di aumentarne il prestigio e l’influenza per aver lasciato solamente sulle spalle della rivale determinate iniziative condotte a termine con esito favorevole 46. Così accadde che Genova rimase assente dalla prima coalizione occidentale contro il pericolo turco e Venezia assistette praticamente passiva al disastro di Nicopoli (25 settembre 1396), con un’armata sufficiente- 45 Cfr., a proposito della posizione genovese, C. Manfroni, Le relazioni fra Genova, l Impero Bizantino e i Turchi, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, XXVIII, fase. II, 1898, pp. 718 e sgg. 46 Al di là delle generiche ed ostentate adesioni di principio alla causa cristiana, ben diversi erano, invece, i reali obiettivi ed interessi dell’azione politica delle due Repubbliche nel Mediterraneo Orientale, anche se esse sapevano spesso servirsi di questo comodo paravento per volgere a proprio esclusivo vantaggio le svariate situazioni che si \enivano a determinare. Così, ad esempio, adducendo il valido pretesto di rendere più efficace la lotta contro la minaccia turca, il Senato veneziano aveva chiesto insistentemente alla Repubblica di Genova di poter fortificare l’isola di Tenedo, contrariamente alle disposizioni della pace di Torino (A.S.V., Secreta consilii rogatorum, registro E, cc. 138 v. - 139 r., 30 gennaio 1397, e c. 140 r, 8 febbraio 1397, reg. in F Thiriet, Régestes cit., I, p. 216, nn. 924 e 926; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, Venezia, 1854-1959, III, p. 49). L’indifferenza con cui il governo veneto accolse la controproposta genovese, la quale prospettava la possibilità di garantire ugualmente la salvaguardia della causa cristiana, che tanto sembrava stare a cuore pure a Venezia, proponendo di collocare l’isola di Tenedo sotto l’autorità ed il controllo pontificio, ci dimostra chiaramente il vero movente dell’iniziativa veneziana (A.S.V., Secreta consdu rogatorum, registro E, cc. 142 r. - 142 v., 9 marzo 1397, reg. in F. THiRiEr, Regestes cit., I, p. 217, n. 928). — 236 — mente agguerrita al comando di Tommaso Mocenigo, giungendo nel Mar Nero appena in tempo per raccogliere il fuggiasco re Sigismondo, mentre 1 esercito cristiano restava pressoché abbandonato al suo destino47. Nè più brillante e produttiva risultò, nel 1399, la spedizione condotta dal maresciallo Boucicault, con l’appoggio degli abitanti di Rodi, dei Veneziani e dei Genovesi, che si concluse con un intervento dimostrativo di limitata efficacia attorno a Costantinopoli, senza riuscire a modificare la situazione della capitale e dei coloni latini48. Lo svolgimento di ambedue gli episodi rivela il movente primo, cioè la gelosia e la diffidenza reciproche, che aveva improntato e caratterizzato il comportamento delle due Repubbliche in entrambe le circostanze; soprattutto nel secondo caso, in cui, dal loro sconcertante atteggiamento, risulta evidente come la spedizione comune rispondesse allo scopo di un reciproco controllo, teso ad impedire l’aumento di influenza a Costantinopoli di una a discapito dell’altra. 47 Cfr. J. Delaville Le Roulx cit., I, pp. 282-288, il quale afferma che il ruolo sostenuto dalla flotta comandata dal Mocenigo non corrispose alle speranze del mondo cristiano e che ben diverso sarebbe stato l’esito dello scontro se il governo veneziano non avesse, nel corso di quegli avvenimenti, mirato esclusivamente a proteggere, senza correre rischi, i suoi interessi commerciali; M. Silberschmidt cit., pp. 166-171; F. Thiriet, La Romanie cit., pp. 362-364, del quale però, non crediamo , si possano condividere alcune conclusioni, soprattutto quando parla di « front commun chrétien » (p. 363) e sopravvaluta l’effettivo ruolo sostenuto da Venezia in quella circostanza. 48 Cfr. J. Delaville Le Roulx cit., I, pp. 359-383; C. Manfroni, Lo scontro di Modone cit., pp. 75 e sgg.; Idem, La battaglia di Gallipoli cit., pp. 18-21; R. Lopez, Storia delle colonie genovesi nel Mediterraneo, Bologna, 1938, pp. 393-394; R. Cessi, Storia della cit., I, pp. 331-338. — 237 — 16 II LA SPEDIZIONE DEL BOUCICAULT IN ORIENTE E LO SCONTRO VENETO-GENOVESE DI MODONE La Repubblica di Genova, come abbiamo visto, si trovava in preda a furibonde lotte interne, che sembravano destinate a protrarsi, con le intuibili conseguenze, ancora per un lungo periodo di tempo. La vecchia nobiltà cercava, infatti, di ritornare per via indiretta al potere, mentre le classi inferiori dei commercianti e degli artieri si agitavano, innalzando ed abbattendo continuamente nuovi idoli. Questo fatto, oltre a risvegliare l’interesse di alcune potenze straniere, che vedevano in un tale stato di cose l’occasione propizia per impadronirsi di un territorio importante, soprattutto dal punto di vista economico, aveva suggerito anche ad alcuni uomini politici genovesi l’opportunità di offrire la signoria della città ad una personalità di prestigio, capace finalmente di imporre, con la sua autorità, l’ordine interno. Già durante il dogato di Nicolò Guarco (1378-1383), Nicola Fieschi, incaricato di accordi commerciali con Torino, aveva dato l’avvio a trat- '1 tative per consegnare il governo di Genova ad Amedeo VI di Savoia . Dopo la morte del Conte Verde la stessa offerta era stata ripetuta, negli anni successivi, da altre persone, ad Amedeo VII, ma la cosa non aveva avuto seguito 2. Si inquadra in un certo senso in tale ambito anche l’episodio che vide protagonista Luigi d’Orléans, conte d’Asti, il quale, appoggiandosi 1 A.S.T., Materie politiche, Negoziazioni con Genova, mazzo I, n. 2; L. Scara-belli cit., pp. 127-133; M. de Bouard cit., p. 160. L. Cibrario, Storia del Conte Rosso, in Operette e frammenti storici di Luigi Cibrario, Firenze, 1856, p. 83. — 238 — ai Fieschi ed ai Grimaldi, era riuscito, nel 1394, ad occupare Savona e a minacciare Genova 3. La suddetta vicenda si inserisce, d’altronde, ponendone le premesse, in quella linea di accresciuto interesse da parte francese per la situazione politica italiana, il cui inizio si può collocare nel corso di questi stessi anni e che otterrà uno dei suoi primi risultati concreti proprio con la sottomissione di Genova all’obbedienza di Carlo VI, ratificata il 25 ottobre 1396, durante l’ultimo dogato di Antoniotto Adorno5. Tuttavia anche nei primi anni della dominazione francese, per la debolezza e l’incapacità dei vari governatori, la situazione non migliorò eccessivamente e non mancarono, di tanto in tanto, da parte di alcune fazioni, tentativi di rivolta più o meno validi e riusciti: i mesi di luglio, agosto e settembre del 1398 furono caratterizzati da continui tumulti e aü’inizio del 1400 le agitazioni dei partiti rivali assunsero tali dimensioni che l’allora governatore ritenne opportuno fuggire e rifugiarsi a Savona6. 3 Cfr. F. Saraceno, Regesto dei principi di Casa d’Acaia (1295-1418), in Miscellanea di storia italiana, XX, 1882, pp. 192-193; A. de Circourt, Le due d’Or-léans, frère de Charles VI, ses entreprises en Italie, 1394-1396, in Revue des questions historiques, XLVI, 1889, pp. 81-168; G. Filippi, Nuovi documenti intorno alla dominazione del duca d’Orléans a Savona, in Giornale Ligustico, XVII, 1890 pp. 337-368; E. Jarry, La vie politique de Louis de France, duc d’Orléans (1372-1407), Parigi, 1889, pp. 134-163; E. Galli, Facino Cane e le guerre guelfo-ghibelline nell’Italia settentrionale (1360-1400), in Archivio Storico Lombardo, serie terza, XXIV, 1897, vol. Vili, pp. 27-42 e 253-254; N. Valeri, La vita di Facino Cane, Torino, 1940, pp. 55-69. 4 Cfr. P. Durrieu, Le royaume d’Adria. Episode de la politique française en Italie sous le règne de Charles VI (1393-1394), in Revue des questions historiques XXVIII, 1880, pp. 43-78; M. Faucon, La domination française dans le Milanais de 1387 à 1450. Le mariage de Louis d’Orléans et de Valentine Visconti, Parigi, 1882, estratto dagli Archives des missions scientifiques et littéraires, serie III, vol. VIII;' E. Jarry, La voie de fait et l’alliance franco-milanaise, in Bibliothèque de l’Ecole, des Chartes, LUI, 1892, pp. 213-253 e 505-570; G. Romano, Niccolò Spinelli da Giovanazzo, diplomatico del secolo XIV, Napoli, 1902. 5 Sulle tratttive che portarono alla sottomissione di Genova alla Francia cfr. E. Jarry, Les origines de la domination française a Gênes (1392-1402), Parigi, 1896 pp. 32-221; M. de Bouard cit., pp. 159-208. Per quanto riguarda Antoniotto Adorno non esiste tuttora su di lui una valida monografia per cui, a puro titolo orientativo, rimandiamo a P. L. M. Levati, Dogi perpetui di Genova, Genova, 1928, pp. 58-76. 6 In un breve periodo di tempo si succedettero, con diverse funzioni, Waleran de Luxembourg, conte di Saint Poi (30 dicembre 1396-20 novembre 1397), Francesco Fresnel, vescovo di Meaux, e Bourleux de Luxembourg (novembre 1397-luglio 1398) — 239 — Solo l’arrivo del Boucicault7, nell’ottobre 1401, permise, dopo un periodo di tempo così lungo e travagliato, il ritorno dell ordine, anche se ciò fu frutto di una imposizione intransigente ed autoritaria e non merito di meditata e convinta persuasione. Colard de Calleville (5 luglio 1398-12 gennaio 1400), che dovette addirittura fuggire precipitosamente da Genova. L’anarchia, anzi, divenne totale sotto a it Battista Boccanegra, eletto dai suoi concittadini col titolo di capitano tea e. ^ ^ 7 Jean Le Maingre, signore di Boucicault, maresciallo di Francia, p^ancja Tours nel 1366. Perse il padre all’età di due anni. Crebbe alla corte e re^ Carlo V (1364-1380), assieme al futuro re Carlo VI (1380-14221 Partecipo g simo (1376), al seguito di Luigi II, duca di Borbone, in qualità di P^SS (1377) spedizione in Normandia contro il Re di Navarra, e ad una successiva spe izi a contrQ contro l’inglese Conte di Buckingam. Combattè poi in Guienna e ne a ®ue j ^ i fiamminghi, che si erano ribellati al Conte di Fiandra (1382), va^-j°«jne Teuto-Francia. Si recò, in seguito, in Prussia a combattere nelle schiere de r jj,^ur0pa nico, nuovamente in Guienna (1385), in Spagna (1386-1387), ed, in ne, ne| Orientale (Costantinopoli, Grecia, Bulgaria, Ungheria) ed in Terra Santa. ^ frattempo, nominato maresciallo di Francia (1391). Prese parte alla edizione poli (1396), dove fu fatto prigioniero dai Turchi ed, in seguito, coman o aP inviata nel 1399 in soccorso dellTmperatore di Costantinopoli. Nel marzo scontro eletto governatore di Genova (per la spedizione in Oriente, conclusasi c°n ^urante j| navale di Modone, rimandiamo alle pagine successive del nostro lavoro . ^rmazjone suo governo provvide alla sistemazione del debito pubblico, favorendo ^ della compagnia che assunse il nome di Banco di S. Giorgio. Ospito a ^ 0tte-maggio 1405 al dicembre 1407, l’antipapa Benedetto XIII. Nel 1407 ri use ^ nere il Sarzanese da Galeazzo Maria Visconti. Nel luglio 1409 partì a appro- muovere verso Milano, di cui sperava impadronirsi, ma i fuorusciti genove. ^ fittarono della sua assenza per rientrare in Genova (3 settembre) c conseg ^ Teodoro II Paleologo, marchese di Monferrato, che riuscì ad impedire il rt0prancja Boucicault e a porre fine alla signoria francese su Genova. Rientrato in ^ all’inizio del 1411 fu governatore della Linguadoca dal 1413 al 1415. L anno ^ cessivo venne fatto prigioniero alla battaglia di Azincourt e trasportato in In? > dove morì nel 1421. Cfr. T. Godefroy cit., passim; A. Ceruti, L’Ogdoas di er to Alfieri, episodii di storia genovese nei primordi del secolo XV, in Atti dello octe Ligure di Storia Patria, XVII, 1885, pp. 253-320; Idem, Lettere di Carlo VI di Francia e della Repubblica di Genova, relative al maresciallo Bucicaldo, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, XVII, 1885, pp. 349-364 (l’editore afferma di averle tratte da un codice della Biblioteca Ambrosiana, del secolo XV, dal titolo: Formulant*’11 Ioannis Vicecomitis); J. Delaville Le Roulx cit., passim. Per la sua opera in favore del Banco di S. Giorgio cfr. H. Sieveking, Studio sulle finanze genovesi nel Medioevo e in particolare sulla Casa di S. Giorgio, trad. dal tedesco di O. Soardi, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, XXXV, parte II, 1906, pp. 11-19. AI periodo genovese della vita del Boucicault è dedicato un capitolo dell’opera di T. O. De Negri, Storia di Genova, Milano, 1968, pp. 504-542. — 240 — Temperamento energico ed ambizioso, insofferente di ogni atteggiamento o situazione che si rivelassero contrari ai suoi scopi ed ai suoi ideali, rappresentava effettivamente la persona più adatta in un simile frangente . Nella sua carica dimostro un’energia ed un vigore formidabili, riuscendo, in breve tempo, a vincere ogni resistenza in città e nella Riviera. Per merito suo, infatti, la Repubblica Genovese ritrovò, quasi per miracolo, quell’equilibrio interno che sembrava ormai irrimediabilmente compromesso, grazie ad una serie di provvedimenti che le assicurarono, in breve volgere di tempo, l’ordine e la pace fra le fazioni cittadine, un nuovo ordinamento legislativo idoneo a preservarla dal pericolo di un ripetersi della situazione che la aveva travagliata per molti anni, e, non meno importante elemento di tranquillità e sicurezza interna, per le sue favorevoli ripercussioni sulla realtà economica della Repubblica, il consolidamento del credito dello stato. Non bisogna mai dimenticare, tuttavia, a proposito del Boucicault, l’aspetto più connaturato alla sua personalità e che improntò, in misura sempre determinante e decisiva, ogni sua 8 Gli antichi storici genovesi sono ricchi di lodi e concordi al riguardo: cfr. A. Giustiniani, Castigatissimi annali della Eccelsa et Illustrissima Repubblica di Genova, Genova, 1537, c. 168 r.: « Conciosia che il Governatore fussi dotato di tutte quelle virtù che si ricercano in uno principe; era nell’operare molto pronto, alieno da giochi, et dalla conversazione delle donne, religioso, et osservantissimo delle cerimonie christiane, elemosinaro, dedito all’oratione, liberale, gratioso, magnanimo, intrepido, amator della giustizia, circonspetto ... »; A. Foglietta, Historiae Genuen-sium libri XII, Genova, 1585, c. 183 v.: Fuit enim Bocicardus omnibus virtutibus, quae in claro et celso viro esse possunt, vere admirabilis; ab omni flagitiorum gè* nere omnibusque libidinum illecebris, ac sacrarum cerimoniarum, divinique cultus diligentissima observator; cum magnam partem temporis sacris et precationibus daret. Condecorabant iustitiae studium, animi magnitudo, regia liberalitas, intrepidus ad terrores animus, celeritas in negotiis susceptis conficiendis, ingeniumque minime in consiliis rapidum, sed omnia circumspiciens. . . Non intaccano sostanzialmente questo tipo di affermazioni le critiche espresse sull’azione politica del Boucicault in una lettera inviata a Carlo VI da parte di quella fazione che ne favorì l’espulsione, sia per la loro scontata parzialità (larghi strati dell’opinione pubblica erano, invece, di tutt’altro parere: « ma el puovolo menudo mecha-nicho dixe voria per so vichario Buzicaldo franzescho, del qual i ave zià per so retor... », cfr. L. Dorez e G. Lefèvre - Pontalis cit., II, p. 24), sia anche perchè proprio da esse emergono quei lati della sua personalità che ne giustificarono la scelta, tenuto conto della circostanza nella quale essa avvenne (A.S.G., Archivio segreto, Materie politiche, m. 18B/2737B, doc. 8, 21 ottobre 1409; A. Ceruti, Lettere di cit., p. 361). — 241 — scelta politica, caratterizzando in maniera costante i suoi atteggiamenti e le sue azioni: vero animo di fiero cavaliere crociato egli aveva avuto e conservata come ideale supremo la lotta contro i Turchi e gli infedeli, sicché tutti gli atti della sua vita non possono essere fondatamente giudicati se non vengono visti entro questa particolare prospettiva. Anche la missione genovese avrebbe potuto inserirsi in tale perenne aspirazione, il governo di Genova non doveva essere fine a se stesso, ma strumento per fornirgli navi e mezzi per la vagheggiata impresa orientale e divenire così un momento del programma al quale era spinto dal suo cavalleresco spirito avventuroso e dalla viva ed austera fede che lo animava. Ciò, a tronde, non era possibile finché fosse durato il turbolento disordine in terno che, quindi, pure e soprattutto per tale motivo, egli combatte con ferma severità. Le aspirazioni del Boucicault, unite alla perplessità e diffidenza con le quali era stata accolta e giudicata, da parte della Repubblica Veneta, sottomissione di Genova alla Francia, di cui apparivano sempre più denti le mire di espansione territoriale in Italia, erano destinate a prire un nuovo periodo di ostilità fra Genova e Venezia, risollevando consueta trafila di problemi mai risolti, anche se il maturare, nel tempo, di nuove prospettive e nuovi orientamenti di indirizzo politi avrebbe consigliato ed imposto alla stessa una condotta più accorta e nua dinga e, entro certi limiti, la più conciliante possibile. D’altronde i problemi connessi con la dominazione genovese su lisola di Cipro9, dove Pallora re Giano II di Lusignano (1398 1432 aveva dimostrato a più riprese la sua insofferenza per tale egemonia, ri velandosi sempre più intenzionato e deciso a combatterne ed impedirne ogni tentativo di ulteriore penetrazione, nella fiducia di un intervento ddl^ Repubblica Veneta, da lui anche ripetutamente sollecitata l0, avevano g1J 9 L. de Mas Latrie, Histoire cit.; Idem, Commerce et expéditions militaires de la France et de Venise au Moyen Age, in Collection des Documents inédites sur l’histoire de France. Mélanges historiques, serie II, vol. Ili, Parigi, 1880; F. BuSTRON, Chronique de l’île de Chypre, ed. M. de Mas Latrie, estratto da Mélanges historiques, vol. V, Parigi, 1884; G. Heyd, Storia del commercio del Levante nel Medioevo, in Biblioteca dell’Economista, sez. V, vol. X, Torino, 1913, pp. 585 e sgg. e 974 e sgg.; G. Hill, Hystory of Cyprus, Cambridge, 1940-1948. 10 L. de Mas Latrie, Documents nouveaux servant de preuves à l'histoire de l’île Chypre, in Bibliothèque de l’Ecole de Chartes, XXXIV, 1873, pp. 361-365. — 242 — spinto, nel corso di quegli anni, ad uno stadio di estrema tensione i rapporti veneto-genovesi. Nell’isola in questione, infatti, la penetrazione genovese era stata continua e costante fin dai primi tentativi, iniziati attorno alla metà del secolo XIV, i quali avevano suscitato logicamente una immediata reazione da parte veneziana. La supremazia genovese si era andata tuttavia gradatamente affermando e consolidando, soprattutto a partire dal 1373 n, quando, in corrispondenza con gli impegni che la guerra allora in atto con Francesco da Carrara, signore di Padova, procurava a Venezia, un gruppo di armatori e di mercanti, costituenti la Maona di Cipro 12, s’era accollato le spese delle varie spedizioni. Invano Pietro II (1369-1382), alleandosi con Venezia al tempo della guerra di Chioggia13, aveva sperato di liberare l’isola da una dura soggezione: nuovamente sconfitto dovette lasciare come pesante eredità al suo successore, Giacomo I di Lusignano (1382-1398) l’umiliazione di riscattare la sua decennale prigionia con la definitiva cessione di Famagosta (13 febbraio 1392), completata con quella parziale di Cerines. La sfortunata conclusione della guerra e l’isolamento completo nel quale si venne a trovare di conseguenza la dinastia locale 14, consigliarono all’allora re Giacomo I un lungo periodo di tregua, che portò anche alla conclusione di un trattato con Carlo VI, re di Francia (7 gennaio 1398) 15. Fu sotto il suo successore Giano II, il quale all’inizio del 1402 violò deliberatamente tale trattato, ponendo l’assedio a Famagosta16, che la situazione precipitò nuovamente, suscitando notevoli ripercussioni sia a Ge- 11 L’anno successivo (21 ottobre 1374) i Genovesi riusciranno ad imporre a Pietro II un trattato assai oneroso, col quale egli verrà praticamente privato di ogni forma di autonomia. Cfr. il testo in H.P.M., IX, Liber iurium cit., II, coll. 806-815. 12 Prendevano tale nome le società finanziarie costituite con i capitali versati da diversi individui, che si ripartivano in maniera proporzionata gli udii. Esse corrispondevano, quindi, alle attuali Società per Azioni (cfr. L. de Mas Latrie, Histoire cit., II, pp. 366-370). 13 L. de Mas Latrie, Histoire cit., II, pp. 370-371. 14 Una precisa clausola della pace di Torino imponeva alla Repubblica di Venezia di mantenersi neutrale (A.S.V., Patti, VI, c. 6 v.) e, fino ad un certo punto, la Repubblica Veneta dimostrò di voler seguire questa linea (cfr. i documenti pubblicati in L. de Mas Latrie, Histoire cit., II, pp. 455 e 459-460). 15 L. de Mas Latrie, Histoire cit., II, pp. 438-439. 16 B. Fazio cit., p. 107. nova che a Venezia 17, soprattutto quando Antonio Grimaldi, il comandante della spedizione inviata dal Boucicault (agosto 1402) per sottomettere il re di Cipro, sequestrò, nel porto di Famagosta, alcune galere veneziane, facendone poi vendere il carico l8. I mercanti colpiti informarono immediatamente la loro Signoria 19. Nel frattempo Giano II, messo in gravi difficoltà dalla spedizione genovese, invece di negoziare con Genova e rinunciare al suo scopo, aveva inviato un ambasciatore a Venezia per sollecitare dei soccorsi. Questa richiesta mise in serio imbarazzo il Senato veneto, alimentando, ancora una volta, al suo interno le velleità e le speranze di coloro che malvolentieri si erano rassegnati al ruolo più prudente scelto ed attuato dalla Repub- 17 A Genova si diffuse la convinzione che Venezia inviasse segretamente dei soccorsi a Giano II, ma la risposta data dal Senato Veneto all’ambasciatore genovese Antonio da Multedo, inviato dal Boucicault per raccogliere informazioni e chiedere spiegazioni (A.S.V., Senato Misti, XLVI, c. 33 v., ed. in J. Delaville Le Roulx cit., II, pp. 96-98; G. M. Sathaz, Documents inédits relatifs à l’histoire de la Grèce au Moyen Âge, Parigi-Venezia, 1880-1888, II, n. 81), e gli ordini impartiti da Venezia ai capitani delle navi in partenza per l’Oriente, improntati ad un atteggiamento di benevolenza verso i Francesi e i Genovesi, sembrano smentire tale impressione (A.S.V., Senato Misti, XLVI, cc. 20 v., 21 r., 32 v., 43 v.). 18 Cfr. O. Foglietta cit., c. 184 r.; A. Giustiniani cit., c. 167 r; G. Stella cit., col. 1192. E’ diffìcile stabilire se si trattò di un’iniziativa personale del Grima l oppure se egli avesse obbedito a precisi ordini del suo governo e soprattutto e Boucicault. Un fatto del genere si era però verificato già altre due volte in precedenza, nel 1390 (L. de Mas Latrie, Histoire cit., II, pp. 402-403) e nel novembre del 1398, ad opera di Antonio Guarco, capitano di Famagosta (A.S.V., Senato Misti, XLIV, c. 70 r.). 19 A.S.V., Senato Secreta, I, cc. 81r.-82t>., 18 dicembre 1402. Le fonti diplo matiche sono stranamente mute su quello che fu allora l’atteggiamento di Venezia, di preciso ci risulta solo l’invio a Genova di un ambasciatore per chiedere spiega zioni (A.S.V., Senato Misti, XLVI, c. 48 v., reg. in F. Thiriet, Régestes cit., II» p. 31, n. 1075; G. M. Sathaz cit., II, n. 103). Per J. Delaville Le Roulx cit., I, p 413, esso fu provocante e la Repubblica Veneta cercò da quel momento di suscitare un conflitto armato. Il cronista veneziano Antonio Morosini, contemporaneo a questi avvenimenti, si mostra invece di tutt’altro avviso e rimprovera, nella sua cronaca, al suo governo, di aver agito con troppa moderazione in un momento in cui, a suo parere, solo un energico intervento avrebbe potuto impedire il ripetersi di queste rappresaglie commesse dalle navi genovesi (L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, pp. 99 e 111). Sulle preoccupazioni suscitate a Venezia da questo episodio cfr. anche A.S.V., Senato Secreta, I, c. 79 v., 21 novembre 1402, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., II, p. 32, n. 1081. — 244 — blica negli ultimi anni. Ma la maggioranza degli uomini politici veneziani non se la sentivano di rinunciare a quella politica di non intervento nelle vicende interne degli altri stati, che aveva dato spesso risultati eccellenti, per rischiare il prestigio della Repubblica in un’avventura assai problematica ed estremamente incerta. Essi suggerirono, pertanto, all’ambasciatore cipriota di andare a Milano, presso la duchessa Caterina Visconti, nonna del re Giano 20, per potere, col suo intervento, recarsi a Genova e chiarire al Consiglio degli Anziani che Giano II era stato obbligato a prendere le armi in seguito al comportamento di Antonio Guarco e che, di conseguenza, quella campagna era diretta esclusivamente contro le mire pericolose del capitano di Famagosta, non contro Genova e il re di Francia 21. Tuttavia Venezia rifiutò anche, nello stesso tempo, la promessa di neutralità richiestale dal Boucicault già fin dal mese di luglio del 1402 22, facendo, invece, armare quasi contemporaneamente 15 galere, con 1 evidente intenzione di intimidire il governatore di Genova B: gli ultimi mesi del 1402, come pure i primi del 1403, furono agitati anche da alcuni incidenti fra le due parti24. Il re di Cipro, dal canto suo, vedendo che Venezia, pur essendosi cautelata dietro un formale rifiuto diplomatico, sosteneva però nei fatti la sua causa, aveva ripreso, nel gennaio 1403, 1 assedio di Famagosta 25. 20 Caterina Visconti era sorella di Valentina Visconti, vedova di Pietro II, re di Cipro. 21 A.S.V., Senato Secreta, I, c. 80 v., 12 dicembre 1402, ed. in L. de Mas Latrie, Histoire cit., II, pp. 459-460, con la data errata del 1401; Ibidem, Senato Secreta, I, c. 83 v., 22 dicembre 1402, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., II, p. 33, n. 1086. 22 A.S.V., Senato Misti, XLVI, c. 33 v.; Ibidem, Senato Secreta, I, cc. 81 r. - 82 v. 23 A.S.V., Senato Misti, XLVI, c. 58 r 24 A.S.V., Senato Misti, XLVI, cc. 36 r„ 44 r., 48 v. Si inserisce a questo punto (gennaio 1403) pure un’offerta di mediazione avanzata da Francesco II da Carrara, signore di Padova (A.S.V., Senato Secreta, I, c. 82 r.; E. Pastorello, Il copialettere Marciano della cancelleria Carrarese (gennaio 1402 - gennaio 1403), in Monumenti storici pubblicati dalla R. Deputazione Veneta di Storia Patria, serie I, XIX, Venezia, 1915, p. 213). 25 O. Foglietta cit., c. 184 Venezia aveva allora inviato una piccola flotta nelle acque di Creta per sorvegliare gli avvenimenti e fornire, all occorrenza, il neces sario aiuto a Giano II. Le istruzioni date in questa occasione al capitano \eneziano Di fronte a queste circostanze il Boucicault si decise a trattare con Venezia ~6, essendosi reso conto come fosse necessario assicurarsi la neutralità della Repubblica Veneta nell eventualità, ormai molto probabile, di una campagna navale contro Cipro. Il governo veneziano, però, incoraggiato anche dall’atteggiamento sempre più minaccioso di Giano II e favorito, in questo caso, dalla giustezza delle sue richieste, assunse una posizione assai intransigente 27, cosicché fu possibile raggiungere un accordo soltanto il 5 maggio 2S. A quella data il governatore di Genova si trovava ormai da circa un mese nel Mediterraneo Orientale, a capo di una spedizione che era partita da Genova nei primi giorni di aprile29, con lo scopo ufficiale e palese di non lasciano dubbi al riguardo (A.S.V., Senato Misti, XLVI, c. 61 v., 26 gennaio 1403, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., II, p. 34, n. 1089) ed insistono sulla pericolosità dei movimenti della flotta genovese: motivi di perplessità e diffidenza che trovano conferma in una successiva risposta, fornita pochi giorni dopo, ad una richiesta dell ambasciatore di Manuele II, tendente a sollecitare un’intesa e a promuovere una collaborazione fra Genova e Venezia a proposito della difesa del Mediterraneo Orientale dal pericolo turco (A.S.V., Senato Secreta, I, c. 86 v., 31 gennaio 1403, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., II, p. 35, n. 1092; N. Jorga, Notes et extraits pour servir à l’histoire de croisades au XV siècle, Parigi-Bucarest, 1899-1915, I, p. 181). 26 J. Delaville Le Roulx cit., I, pp. 415420, dà un resoconto dettagliato e documentato di queste trattative (A.S.V., Senato Secreta, I, c. 84 v., 29 dicembre 1402; c. 87 r., 8 febbraio 1403; c. 90 r., 5 marzo 1403; c. 95 r., 4 aprile 1403; c. 97 r„ 9 aprile 1403), le quali si svolsero sulla base delle richieste formulate dall’ambasciatore veneziano, Zaccaria Trevisano, contenute nelle istruzioni impartitegli dal doge (A.S.V., Senato Secreta, I, c. 81 r., 18 dicembre 1402, ed. in I. Delaville Le Roulx cit., II, pp 99-110). ■' A complicare la situazione e ad aggravare i contrasti contribuì anche, ai primi di marzo, l’arrivo della notizia che una cocca veneziana, appartenente a Francesco Pampano, era stata catturata, il 25 novembre 1402, da Cosma Grmaldi e Antonio Gentili, capitani di due galee genovesi, i quali ne avevano sequestrato il carico (A.S.V., Senato Secreta, I, c. 90 r, 5 marzo 1403; R. Predelli cit., VIII, n. 253). 28 A.S.V., Senato Secreta, I, c. 101 r., reg. in F. Thiriet, Régestes cit., II, P 39, n. 1112. Per l’esecuzione solo parziale degli impegni presi con questo accordo, da parte dei Genovesi, cfr. A.S.V., Senato Secreta, I, c. 103 r., 25 agosto 1403, c 106 r., 21 settembre 1403, c. 106 r., 21 settembre 1403, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., II, pp. 4142, nn. 1126 e 1129. 29 L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 29. Secondo G. Stella cit., col 1197 il Boucicault partì il 4 aprile, secondo il Livre des faicts cit., II, cap. XI, parti il 3 aprile. — 246 — ristabilire l’ordine e ribadire la supremazia della Repubblica sull’isola di Cipro ma che, nelle segrete e reali intenzioni del suo promotore, come lo svolgimento successivo dei fatti fa ritenere, doveva offrire, invece, il pretesto e l’occasione per una campagna navale di proporzioni ben più vaste e rispondente, come vedremo, ad un piano politico più complesso. Ha così praticamente inizio un’altra fase di dichiarata ostilità fra Genova e Venezia, che, pur non raggiungendo i limiti di una rottura clamorosa, tale da sfociare in un nuovo periodo di aperta guerra (se si eccettua l’episodio di Modone), manterrà tuttavia, per qualche anno, i rapporti delle due Repubbliche in un’atmosfera di pericolosa tensione, caratterizzata da un’ininterrotta serie di reciproche rappresaglie e contraddistinta da ripetuti quanto inutili tentativi di giungere ad una composizione diplomatica dei motivi di contrasto. Questi avvenimenti si collocano in un periodo che presenta un quadro politico, sia nazionale che internazionale, estremamente complesso, a causa del continuo intrecciarsi e richiamarsi reciproco di molteplici situazioni, per cui diventa assai problematico ricostruire la prospettiva esatta dei singoli episodi e soprattutto individuare, a proposito degli orientamenti e delle posizioni delle varie parti in causa (nel nostro caso a proposito dell’articolarsi dei rapporti veneto-genovesi nelle sue motivazioni di fondo), gli elementi precisi che concorsero a favorire e a consigliare un determinato atteggiamento. Per quanto ci riguarda abbiamo cercato, pertanto, di abbandonare, o meglio ampliare, gli schemi tradizionali entro cui si collocava, in genere, la tematica dei rapporti veneto-genovesi, non sempre riproponibili nella consueta prospettiva, per tenere particolarmente conto delle esigenze aperte e dei condizionamenti imposti dall’equilibrio politico e territoriale degli Stati italiani, in riferimento soprattutto alla delicata situazione interna dello Stato visconteo 31 ed alla nuova linea politica veneziana di espan- 30 A.S.G., Atti processuali cit., c. 65 r. 31 Secondo una singolare proposta interpretativa di M. de Bouard cit., p. 288, la vera causa del lungo contrasto veneto-genovese scoppiato nel 1403 potrebbe ricercarsi forse proprio nei problemi di natura economica che lo sgretolamento dello Stato visconteo e, quindi, la sicurezza per il commercio nella valle Padana, in riferimento soprattutto al commercio con Milano, la Linguadoca e le Fiandre, avevano posto alla Signoria veneta. A conferma, anzi, di questa ipotesi lo studioso francese richiama l’attenzione su una testimonianza della Cronaca Morosina (L. Dorez e G. Lefèvre -Pontalis cit., I, pp. 25 e 302), concernente il passaggio dell’importazione del sale da parte dei Lombardi da Venezia a Genova, verificatasi proprio in quegli anni. — 247 — sione sulla terraferma. Questi fattori, infatti, contribuirono ad inserire in una dimensione particolare anche i problemi di sempre, connessi con gli avvenimenti che vedevano impegnate, nel medesimo periodo di tempo, le due Repubbliche nelle rispettive zone coloniali. Sull’uno e sull’altro aspetto giocarono, inoltre, un ruolo determinante le vicende dello Scisma d Occidente 32. La partenza del Boucicault produsse un singolare sgomento a Venezia 33, in quanto il numero delle navi della flotta genovese34 era effettivamente eccessivo per la sola sottomissione di Cipro, per cui veniva naturale il sospetto che il governatore francese meditasse qualche altro disegno. Questi timori e queste perplessità si riflettono sulle disposizioni sollecite e tempestive prese dal Senato veneto in tale frangente. Particolarmente indicative dello stato di tensione e di allarme che le notizie giunte da Genova avevano prodotto, fin dall’inizio del 1403, nell ambiente politico veneziano e delle valutazioni che esso ne aveva tratto, sono le 32 Cfr. A. Ferretto, Lo Scisma in Genova negli anni 1404-1409, in Giornale Ligustico, XXI, 1896, pp. 111-143; E. Piva, Venezia e lo Scisma durante il pontificato di Gregorio XII (1406-1409), in Nuovo Archivio Veneto, VII, 1897, vol. XI , parte I, pp. 135-158; N. Valois, La crise religieuse du XV siècle, Parigi, 190 , E. Delaruelle, E. R. Labande, P. Ourliac, L’Eglise au temps du Grand Schisme et de la crise conciliaire (1378-1449), Parigi, 1962-1964, in Histoire de l’Eglise depuis les origines jusqu’à nos jours, vol. XIV. 33 Cfr. J. Zeno cit., p. 99: Senatus ergo, repentina rei novitate permotus, initio ut haec accepit non potuit non commoveri... D’altronde l’incertezza sullo scopo e a destinazione della spedizione, diffusa nella stessa Genova (« dove si vadano non si sa » si trova scritto in una lettera inviata da Genova, il 24 marzo 1403, dalla compagnia mercantile di Atdingo Ricci, al fondaco di Valenza di Francesco Datini: cfr. R- PiAT toli, La spedizione del Maresciallo Boucicaut contro Cipro ed i suoi effetti dal car leggio dei mercanti fiorentini, in Giornale storico e letterario della Liguria, V, 1929, P 134) non poteva che alimentare i sospetti e le illazioni di qualsiasi genere. 34 I dati, a questo riguardo, sono incerti, soprattutto perchè il contingente iniziale fu incrementato a più riprese da rinforzi partiti successivamente da Genova o provenienti dai possedimenti orientali, e non è sempre possibile stabilire con esattezza a quale preciso momento si riferiscano le diverse fonti. G. Stella cit., col. 1197: Galeae novem fuerunt, inter quas praemissae tres Galeae pro Imperatore Graecorum armatae computatae sunt. Fuerunt et naves septem, unaque grandis galea grossa, unumque grossum navigium nuncupatum Uscherium (nave costruita appositamente per il trasporto dei cavalli); M. Sanudo cit., col. 789, parla di dodici galere. — 248 — istruzioni al capitano generale della flotta, Carlo Zeno 35, sia quelle inviategli dal Senato il 9 marzo36, sia, soprattutto, quelle del 4 aprile37, dove, all’invito, già impartitogli in precedenza, di sorvegliare attentamente i mari e le zone costiere e di concentrare sulle coste del mar Ionio, nei pressi di Modone e di Corfù, tutte le forze marittime della Repubblica che avrebbe potuto riunire, essendo nel frattempo pervenuta la notizia dell’avvenuta o imminente partenza di una flotta genovese per il Levante, era stato aggiunto l’ordine di controllarne le mosse, cercando però di evitare, nei limiti del possibile, la guerra. Analoga preoccupazione rivelano, per l’urgenza con cui furono inviati, e per le caldissime raccomandazioni di far presto e di non badare a spese da cui furono accompagnati, gli ordini che vennero impartiti contemporaneamente ai castellani ed ai provveditori delle colonie (Corfù, Creta, Negroponte, Modone)38. Anche la ratifica, da parte del Senato 39, del provvedimento preso da Tommaso Mocenigo, duca di Creta, che proibiva a tutti i mercanti veneziani di far scalo nel porto di Cipro (deliberazione spontanea che il Senato si era precedentemente rifiutato di prendere, nonostante le richieste insistenti del Boucicault), non lasciano dubbi sulla certezza, che si nutriva allora a Venezia, di un imminente pericolo di guerra con Genova, per cui in questo caso la Repubblica si premurava di preservare i suoi mercanti dalle probabili rappresaglie nemiche. Il Boucicault era partito, a nostro parere, da Genova deciso senz altro 33 Per la biografia di questo personaggio cfr. J. Zeno cit.; G. Almagia, s.v. Zeno Carlo, in Enciclopedia Italiana, vol. XXXV, p. 920. 36 A.S.V., Senato Secreta, I, cc. 91 r. - 92 v„ reg. in F. Thiriet, Ré gestes cit., II, p. 36, n. 1100. 37 A.S.V., Senato Secreta, I, cc. 94 r. - 95 r., ed. in J. Delaville Le Roulx cit., II, pp. 111-113, con la data errata del 4 agosto. 38 A.S.V., Senato Secreta, I, c. 90 v., deliberazioni del 5 marzo 1403, ed. in G. M. Sathaz cit., I, nn. 5 e 6. 39 A.S.V., Senato Misti, XLVI, c. 79 v., 29 aprile 1403, reg. in F. Thiriet. Régestes cit., II, p. 38, n. 1110; H. Noiret, Documents inédits pour servir a I histoire de la domination vénitienne en Crète de 1380 a 1485, in Bibliothèque des Ecoles Françaises d’Athènes et de Rome, fase. 61, Parigi, 1892, p. 144. La stessa proibizione, estesa anche alla Siria, fu ribadita, sotto pena di 2.000 ducati, da parte del Senato il 20 giugno 1403 (A.S.V., Senato Misti, XLVI, c. 92 r., reg. in F. Thiriet, Régestes cit., II, p. 40, n. 1121). — 249 — a compiere una significativa impresa militare contro gli infedeli40, ma senza un piano preciso e già prestabilito, sollecitato a ciò dalla sua indole di uomo d’armi e animato soprattutto dalla sua mai smentita vocazione di « cavaliere crociato »41. Non crediamo, pertanto, che rientrasse nei suoi primitivi disegni il deliberato proposito di danneggiare la Repubblica di Venezia, o, perlomeno, riteniamo che questo non fosse, in un primo tempo, lo scopo principale della sua spedizione, come arriva a sostenere il Manfroni 42, anche se, in seguito, il particolare svolgersi degli avvenimenti, provocato in gran parte dall’atteggiamento, assunto dalla Repubblica Veneta, d’altronde giustificabile nel quadro delle sue scelte politiche e nel- 1 ambito delle sue esigenze di tutela dei propri interessi economici, indusse il Boucicault ad imprese guerresche apertamente lesive degli interessi veneziani. Tuttavia, quali fossero a quell’epoca le reali intenzioni del governatore di Genova, Venezia le reputava ostili e pericolose nei suoi confronti (d altronde ognuna delle due Repubbliche aveva sempre reagito in questo 40 Gli stessi commentatori della Cronaca Morosina fanno d’altronde rilevare come anche il cronista veneto, attendibile interprete dell’opinione pubblica veneziana, ritenesse che questo fosse l’obiettivo del Boucicault all’inizio della spedizione (L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 35), anche se, in seguito (Idem, p- 45), il medesimo cronista sembra in parte contraddirsi. 41 Non bisogna dimenticare che proprio in quel periodo di tempo erano estre mamente tesi i rapporti fra Genova e l’impero mussulmano d’Egitto, in conseguenza dei ripetuti attacchi dei Genovesi di Famagosta diretti contro le coste Siriane e Pale stinesi, dopo il riflusso deH’invasione mongola del 1400-1401, che aveva devastato tutta quella zona dell’Asia Minore. 42 C. Manfroni, Lo scontro di Modone cit., passim. 43 Anche le fonti narrative sono indicative ed eloquenti a questo riguardo. Cfr. J. Zeno cit., pp. 99-100, passim: Venetiis primum de paranda Genuae classe rumores quidam suboscuri fuerant allati. Certiores dehinc nuncii litteraeque expediri reipsa classem liquidius significaverant. Senatus, ergo, repentina rei novitate permotus, initio ut haec accepit, non potuit non commoveri... Itaque, quum in dies magis de Bucicardi Genuensiumque motibus frequentiores increbescerent nuncii, parari expe-dirique ex navalibus venetas triremes, illicoque illas armis compleri iussum . . ■! Cro-nachetta veneziana cit., p. 303: « E’ da saver che zenovesi con messer Buzicardo . . • fexe armada de gallie et de coche e dè voxe de andar a Famagosta contro Re di Zipro e siando insidi cum la dita armada la Dogai Signoria dubiando i non avesse altre inten-zion per caxion le iera fuori le nostre nave e galie grosse ... si mandò gallie otto de Veniesia et cinque de Candia ...; L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, pp. 35 e 41. — 250 — modo, ogniqualvolta una di esse aveva minacciato l’influenza dell’altra nel Levante) e si preparava quindi a fronteggiare la situazione con l’indispensabile fermezza e decisione, nonché con la necessaria tempestività 44, anche se, nello stesso tempo, si preoccupava di evitare una rottura completa ed una nuova guerra, come, d’altra parte, cercherà di fare anche in seguito, nei limiti, naturalmente, imposti dalla salvaguardia dei propri interessi commerciali ed economici. Il primo incontro fra le due flotte avvenne lungo le coste della Morea, presso Modone45, dove, al suo arrivo, il Boucicault trovò l’armata veneta schierata ben in ordine, e fu improntato a quelle reciproche manifestazioni di cortesia4Ó, che erano consuete, nelle abitudini marinaresche dell’epoca, in simili circostanze47. Vi fu, tra i due comandanti, anche uno 44 La spedizione genovese si trovava ancora nel Tirreno quando il Senato decise di informare subito i Turchi dei presumibili progetti del Boucicault (A.S.V., Senato Misti, XLVI, c. 73 v., ambasciata inviata il 9 aprile a Solimano I). Questo comportamento, che si ripetè, come avremo occasione di vedere, anche in altre circostanze (ad Alessandria, a Tripoli di Siria, ecc.), viene deplorato da J. Delaville Le Roulx cit., I, pp. 437-438 (« Le sénat de Venise n’avait aucun scrupule à agir de la sorte . . . »), il quale dimostra, però, in questa maniera, di non voler comprendere le valide esigenze che potevano giustificare un simile atteggiamento da parte della Repubblica Veneta, cui premeva più salvaguardare i propri interessi che favorire una piuttosto ipotetica ed alquanto vaga intenzione del Boucicault di agire a vantaggio della cristianità, che poteva celare, invece, dietro le nobili apparenze, un ben diverso proposito. 45 Porto all’estremità sud-ovest della Morea, appartenente a Venezia dal 1204. 46 A.S.G., Testes et atestationes cit., deposizioni di Costantino Lercari (c. 13 r.), Antonio Spinola (c. 20 r.), Leonardo Sauli (c. 22 v.), Nicolò di Marco (c. 29 r.), Eliano Centurione (c. 46 >•.), Rambella Grimaldi (c. 53 r.), Luciano D’Oria (c. 56 v.), Mar-curdo Gentile (c 57 r.), Pietro Grimaldi (c. 52 v.), Bernardo de Canihaxio (c. 79 v.), Egidio de Gragnilis (c. 80 v.), Gilberto de la Fayette (c. 81 v.), Giacomo de Lani (c. 82 v.), Ugolino Lobar (c. 84 r.), Gottifredo da Belignano (c. 85 r.); Ibidem, Atti processuali cit., c. 51 r.: ...fuerunt, mutua vice, dictus illustris dominus gubernator et dominus Karolus, unus alteri et alter uni, magnas curialitates, honorandas et oblacio-nes, pluribus vicibus ostendentes, ad invicem, veram pacem et caram dileccionem; L Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 38. 47 Poiché si tratta di un atteggiamento reciproco formale e scontato non è possibile assegnare a questo fatto l’importanza datagli, ad esempio, dal Delaville, che vuol vedere in esso una chiara indicazione dei piani da lui attribuiti al Boucicault, come forzata, d’altra parte, appare pure l’interpretazione del Manfroni, che deduce semplicisticamente da questo episodio una conferma di quella posizione conciliante e di attesa da lui attribuita alla Repubblica Veneta. — 251 — scambio di oratori, su iniziativa dello Zeno, a cui il Boucicault propose, in risposta, l’invito a riunire le due squadre per compiere insieme qualche impresa contro i nemici della fede. E’ difficile stabilire a che cosa mirasse effettivamente il Boucicault con questa sua proposta e fino a che punto egli fosse sincero e veramente interessato a ciò, oppure se, certo del rifiuto dello Zeno, si stesse già precostituendo un alibi morale per le sue future imprese 48, cercando anche di sondare, nello stesso tempo, le reali intenzioni dell’ammiraglio veneto. Senza dubbio, l’aver trovato l’armata veneta in pieno assetto di guerra e l’essersi quindi reso conto della interpretazione, che la Repubblica Veneta aveva dato alla sua spedizione, dovettero sconcertare alquanto il Boucicault e produrre alcune reazioni tipiche in un carattere collerico ed impulsivo, propenso alle decisioni improvvise ed ai colpi di testa. La risposta diplomatica e cortese, ma inequivocabile e decisa dello Zeno, il quale addusse, come pretesto per non accogliere la richiesta del Boucicault senza respingerne il significato, una precisa disposizione della sua Repub blica, che vietava ai suoi capitani di assumere personalmente impegni non previsti dalle istruzioni loro impartite, dovette convincere, ancora di più, •i . * • 49 il governatore di Genova della validità delle sue supposizioni . Altre prove della diffidenza e del sospetto, che nutrivano nei suoi ri guardi i Veneziani, doveva ricevere il Boucicault anche nei giorni succès sivi, come, ad esempio, quando le due flotte furono raggiunte, nei pressi di Vasilipotamos (maggio 1403), dall’imperatore greco Manuele II Pa leologo (1391-1425) 50, che tornava dalla Francia e dall’Italia dove si era 48 E’ questa la tesi sostenuta da C. Manfroni, Lo scontro di Modone cit., PP- 90-91. 49 A.S.G., Testes et atestationes cit., deposizione di Costantino Lercari (c. 13 v.). non dabat capitaneis suis ita largas habenas, sicut moris erat îanuensium; J- Zeno cit., p. 104: ...Venetos imperatores, eorum quae ad demandatum bellum attineant, affatim instructos digredi ex urbe, eosque parere monitis oportere, nec punctim a prefixis terminis divertere arbitrio suo. Anche quando le due squadre navali approdarono a Nasso, pure ad Ugo Tarla-tani e Costantino Lercari, mandati dal Boucicault a ripetergli l’invito di compiere insieme « qualche bella impresa », lo Zeno rispose che avrebbe scritto al Senato e avrebbe dato una risposta definitiva quando sarebbero giunti all’isola di Rodi (A.S.G., Testes et atestationes cit., deposizione di Costantino Lercari, c. 16?".). 50 A.S.G., Testes et atestationes cit., deposizioni di Costantino Lercari (c. 14 v.) e Ugolino Lobar (c. 84 r.). — 252 — recato a sollecitare i soccorsi dei principi cristiani contro i Turchi: venuto a conoscenza della decisione del Boucicault di far scortare l’imperatore fino a Costantinopoli da quattro delle sue galere3’, anche lo Zeno, obbedendo alle disposizioni del suo governo, distaccò quattro galere dalla sua flotta, affinchè accompagnassero l’imperatore 52. Successivamente, sempre accompagnato dall’ammiraglio veneziano53, il Boucicault si diresse verso Rodi, dove arrivò ai primi di giugno del 1403, seguito a distanza di poche ore dai veneziani, che in seguito si ritrassero a Modone 54. In questo periodo, grazie soprattutto alla mediazione del gran maestro dell’Ordine degli Ospedalieri di Rodi, Filiberto di Naillac (1396-1421), Questa decisione fu presa dal governatore già al tempo del soggiorno a Genova dell’imperatore (22 gennaio-10 febbraio 1403) (cfr. G. Stella cit., col. 1186; A. Giustiniani cit., c. 168 r.; O. Foglietta cit., c. 184 v.), che, proveniente dalla Francia, era diretto verso il ducato di Milano, ma divenne esecutiva solo quando la legazione imperiale giunse nelle acque della Morea. 52 A.S.G., Antico comune, Massaria comunis Ianue, XXIX, cc. 21 r. e 86 r. ; A.S.V., Senato Misti, XLVI, c. 83 v.\ Ibidem, Senato Secreta, I, cc. 95 r. e 102 r.; Livre des faicts cit., II, cap. XIII; L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, PP 38-41; .T. Berger de Xivrey, Mémoire sur la vie et ouvrages de l’empereur grec Manuel Pa-leologue, in Mémoires de l’Académie des Inscriptions et Belles lettres, XIX, 1853, p. 94; M A. Andreeva, Zur Reise Manuels II Palaiologos nach Westerneuropa, in Byzantiniscbe Zeitschrift, XXXIV, 1934, pp. 37-48 e 351. Il comando delle galee veneziane fu affidato a Leonardo Mocenigo, mentre quelle genovesi vennero guidate da Jean de Châteaumorand. 53 Sconcertante e insostenibile è l’affermazione di J. Delaville Le Roulx cit., I, p. 426, il quale, trasportato dalla sua idea preconcetta che il Boucicault fosse esclusivamente animato dall’ideale di una crociata contro gli infedeli, arriva a sostenere, a questo proposito, sempre sulla scorta del Livre des faicts cit., II, cap. XIII, che « loin de concevoir de l’ombrage de cette conduite, le maréchal s’en réjouit, persuadé que les Venitiens l’accompagnaient dans l’intention de se joindre a lui contre les Musulmans ». Non si può nemmeno lontanamente suppore che un uomo esperto di vita militare come il Boucicault potesse, in assoluta buona fede, nutrire simili illusioni. 54 A.S.G., Testes et atestationes cit., deposizioni di Costantino Lercari (c. 15 r.), Eliano Centurione (c. 46 v.) e Leonardo Sauli (c. 22 v.); Livre des faicts cit., II, cap. XIII. Che pochi giorni dopo i Veneziani abbiano sicuramente lasciato Rodi è provato praticamente dal fatto che il 14 giugno la flotta veneziana si trovava d’innanzi all isola di Stamfalia, come risulta da una decisione presa dal Senato veneto in data 10 luglio 1403, nella quale è contenuta una risposta ad un dispaccio dello Zeno, scritto da Stamfalia il 14 giugno. — 253 — 17 che, coadiuvato da PErmite de la Faye, già partito da Genova alla volta dell’isola greca verso la fine di marzo, era riuscito a convincere Giano II dell’inutilità di ogni suo tentativo di scuotere il giogo genovese, fu possibile (7 luglio 1403, trattato di Nicosia) alle due parti raggiungere un accordo, sulla base di un trattato di pace particolarmente favorevole ai Genovesi55. Era stato così conseguito lo scopo apparente ed ufficiale della spedizione: era ora possibile al maresciallo dar libero sfogo alle sue vel leità ed ai suoi entusiasmi e proseguire la spedizione verso le mete che più gli stavano a cuore, non curando le prevedibili conseguenze che le sue imprese avrebbero suscitato. Gli avvenimenti si riflettono, naturalmente, in maniera evidente su e deliberazioni che il Senato veneto approvò il 10 luglio, appena tre dopo il trattato genovese-cipriota, e che ribadì in un ulteriore seduta e 20 luglio 56. Le decisioni tradiscono l’accrescersi delle preoccupazioni per il pericolo rappresentato dalla presenza dell’armata del Boucicault le coste dell’Asia Minore. Il Senato, oltre ad approvare la condotta e o Zeno e lodare il suo zelo per la salvaguardia degli interessi veneziani, risposta ad una relazione del suo operato inviata dall ammiraglio veneto da Stamfalia il 14 giugno, ordinava al suo capitano generale di avvisare i mercanti che possedevano fondachi lungo quelle coste, affinchè provve e^ sero a mettere in salvo i loro beni, ed ingiungeva al bailo di Nicosia spedire un grippo veloce 57 sulle coste della Siria per spargere la noti ^ del prossimo arrivo dei Genovesi. Tuttavia anche queste disposizioni chiudevano, ancora una volta, con la solita raccomandazione di manten la calma e la prudenza e di non offrire al maresciallo alcun pretesto p riaprire le ostilità58. 55 L. de Mas Latrie, Histoire cit., II, pp. 466-471, pubblica il test° c0 pleto di questo trattato. Cfr. anche J. Delaville Le Roulx, Les Hospita ter Rhodes jusqu’à la mort de Philibert de Naillac (1310-1421), Parigi, 1913, PP 294-296. 56 A.S.V., Senato Secreta, I, cc. 101 r e 102 v., reg. in F. Thiriet, Régestes cit., II, p. 40, n. 1122. 5? Questo legno fu catturato dalla galea di Rambella Grimaldi nei pressi di Beyruth e venne poi fatto rilasciare dal Boucicault (A.S.G., Testes et atestationes cit., deposizioni di Costantino Lercari (c. 16 r) e Rambella Grimaldi (c. 53 v.)\ Ibidem, Atti processuali cit., c. 66 r.; T. Godefroy cit., pp. 220-221). 58 A S.V., Senato Secreta, I, c. 101 r. : ...si se reperirent cum aliqua vel aliquibus galeis lanuensibus, caveant toto suo posse de intricando se cum eis et de — 254 — Pure le successive deliberazioni tradiscono la stessa preoccupazione per l’attività commerciale dalle parti di Alessandria e lungo le coste della Siria, insidiata dai Genovesi, per cui vengono presi ulteriori provvedimenti, che mirano soprattutto al potenziamento ed al sostentamento della flotta. Si bloccano, inoltre, momentaneamente, tutte le eventuali prossime partenze di galee per il Levante 59 : lo stesso ordine viene ribadito poco tempo dopo e ulteriormente prorogato, in attesa di avere nova clara de viis et progressibus armate lanuensium 60. Le testimonianze delle fonti e le ricostruzioni degli studiosi61 sulla successione cronologica e sui vari particolari delle imprese del Boucicault nei mesi di luglio e di agosto del 1403 sono piuttosto contradditorie, come pure contrastate appaiono le diverse interpretazioni suggerite da questi avvenimenti. Tuttavia, almeno nelle sue tappe più importanti, è possibile ricostruire l’itinerario per dedurre da esso, con una certa presunzione di attendibilità, le intenzioni del governatore di Genova ed offrire, quindi, i necessari punti di riferimento per il lungo contrasto diplomatico fra le due Repubbliche che seguirà a queste vicende e troverà in esse il suo punto di partenza 62. faciendo aliquid propter quod haberent causam id faciendi; imo istud fugere debeant quantum poterunt, ut talis intricatio non possit esse causa ducendi nos ad aliquam novitatem cum eis, quam, pro parte nostra, vitare intendimus toto posse. Nonostante la legittima preoccupazione che consigliò alla Repubblica Veneta di adottare le necessarie precauzioni difensive, il suo atteggiamento di fondo rimase, perlomeno fino agli avvenimenti del mese di agosto che avrebbero fatto precipitare la situazione (v. le pagine successive), ostinatamente improntato ad una posizione conciliante, che traspare da ogni decisione presa in questo periodo. Lo conferma anche un episodio alquanto significativo al riguardo: l’avvenuta restituzione, su richiesta del governo genovese, delle merci appartenenti ad una nave genovese, naufragata al largo della Canea, concessa nella speranza, formulata esplicitamente dal Senato Veneto, che la Repubblica rivale intendesse adeguare il suo atteggiamento a quello del governo veneziano (A.S.V., Senato Secreta, I, c. 103 r., 11 agosto 1403, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., II, p. 41, n. 1125). 59 A.S.V., Senato Misti, XLVI, c. 95 r., 11 agosto 1403. 60 A.S.V., Senato Misti, XLVI, c. 98 r, 25 agosto 1403. 61 Cfr. J. Delaville Le Roulx, La France cit., I, pp. 436-446; C. Manfroni, Lo scontro di Modone cit., pp. 91-99; L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, pp. 54-74; M. de Bouard cit., pp. 262 e sgg. 62 Per questi motivi, per l’interesse, cioè, e l’importanza che essa rivestirà nel prosieguo del nostro lavoro, abbiamo ritenuto necessario analizzare anche nei dettagli — 255 — Il suo primo obiettivo fu Scandeloro (o Candeloro) 6\ che il Boucicault, partito da Rodi64 verso la fine di giugno, dopo un assedio durato due settimane (29 giugno-12 luglio) riuscì a conquistare ed a saccheggiare65, dirigendosi, dopo una breve sosta a Cipro66, verso Alessandiia , questa fase della spedizione del Boucicault in Oriente, per derivarne un quadro gene rale sostanzialmente attendibile e permettere, inoltre, un’immediata verifica dei nostri giudizi al riguardo. 63 Località sulla costa della Caramania, provincia turca dell Anatolia meridio naie. Questa regione costituì, dall’inizio del sec. XIV fino alla seconda metà e sec. XV, un emirato selgiuchide indipendente, che comprendeva il territoiio de antica Licaonia, a Nord del Tauro. L’identificazione di questa località («El an e or secondo la Cronaca Morosina cit., I, p. 56, 1’« Escandelour » secondo il Livre faicts cit., II, cap. XV) ha sollevato numerosissime polemiche e discussioni. ite naimo come la più attendibile la proposta di L. de Mas Latrie, Des relations tiques et commerciales de l’Asie Mineure avec l'ile de Chypre sous le rcgnt e princes de la maison de Lusignan, in Bibliothèque de l’Ecole de Chartes, serie vol. I, 1844-1845, p. 315 e G. Heyd cit., p. 318, che la identificano con la moderna Alaia (la Coracesium di Strabone), situata presso Satalia. 1 1199 e 64 Non da Cipro o da Famagosta come sostengono G. Stella cit., co . la Cronaca Morosina cit., I, p. 55. 65 G. Stella cit., coll. 1199-1200 (expleto cum Rege negocio, ad quondam Haereticorum locum apud Syriam, Candrorium nomine, aggrediendi causa pe ^ xit); M. Sanudo cit., col. 790; Livres des faicts cit., II, cap. XV-XVIII, A. t*us ni ani cit., c. 168^.; O. Foglietta cit., c. 184 v. Solo la Cronaca Morosina cit., I, p. 58 (« ... honde i dity Sarainy exe gr ^ dissimo dano a la dita armada de Zenovexi, zioè ai omeny che se achostavaa ^ mure, per la qual cosa i fo chonstrety a retornar indriedo a le sue galie ») e • Sabellico, I, p. 445, il quale afferma addirittura che la flotta genovese fu ri otta ^ 21 a 11 unità (!!), parlano di esito sfavorevole al Boucicault. Ci sembra, a 6 modo, più probabile che tale impresa si fosse conclusa in maniera positiva Per^ Boucicault per il fatto che, contrariamente a quanto avverrà, come vedremo, ne successive occasioni, ben difficilmente l’allarme propagato dallo Zeno avrebbe potut già pervenire fino a quella località che, fra l’altro, non apparteneva politicamente a nessuno dei territori governati da coloro che lo Zeno si era premurato di mettere in guardia. 66 Informato, mentre si trovava ancora a Candeloro, del raggiunto accordo con Giano II (7 luglio 1403), al termine dell’assedio a tale fortezza il governatole i Genova si diresse verso d’isola di Cipro, dove rimase quattro giorni presso la corte del re locale, a Nicosia, per discutere sui termini dell’esecuzione delle clausole previste dal trattato di pace (Livre des faicts cit., II, cap. XVIII) 67 II Boucicault avrebbe dovuto ricongiungersi, se non fossero sopravvenuti questi impedimenti, con una parte della sua flotta che, distaccatasi al momento della — 256 — uno degli scopi centrali della spedizione: i venti contrari lo consigliarono, però, a desistere, almeno per il momento, da queste imprese, orientandolo verso altre mete. D altronde, se le circostanze avessero permesso ai Genovesi di sbarcare ad Alessandria, essi vi avrebbero trovato quattromila cavalieri pronti a respingerne l’attacco alla città, le cui fortificazioni erano state, nel frattempo, riparate e rafforzate, dopo le notizie che la Repubblica di Venezia aveva comunicato al Sultano d’EgittoM. Nonostante le pressioni e le insistenze dei capitani delle sue navi che, paghi della pace stipulata col re Giano II e dei vantaggi economici che essa aveva procurato ai membri della Maona, ritenevano inutile e pericoloso continuare la spedizione 69, il maresciallo volle proseguire da Famagosta alla volta di Tripoli in Siria70, dove, come già sarebbe avvenuto ad Alessandria, trovò la guarnigione della città, che era stata messa in allarme da informazioni fornitele da Venezia, schierata in assetto di guerra71. Natu- pnrtenza per Scandeloro, aveva già precedentemente provato a raggiungere Alessandria e che per cercare il vento favorevole era stata obbligata a variare il suo percorso fino a raggiungere all’altezza di Rodi. hii E Piloti cit., pp. 394-397 (questa, come pure le successive testimonianze del Piloti di cui ci serviremo, risultano particolarmente attendibili, in quanto egli, in quel periodo, commerciava fra Alessandria e il Cairo); P. Bizzarri, Senatus popu-lique Genuensis rerum domi forisque gestarum historiae atque annales, Anversa, 1579, p. 202. 69 A.S.G., Testes et atestationes cit., deposizioni di Eliano Centurione (c. 46 r.), Leonardo Sauli (c. 22 v.) e Rambella Grimaldi (c. 55 v.). Emerge, come sempre, il caratteristico contrasto, presente nello Stato genovese, fra l’autorità politica e gli interessi privati, spesso divergenti fra di loro, e che rende talora problematica l’interpretazione del significato di certe scelte politiche e di talune posizioni assunte dal governo genovese, per la necessità di tener presenti, nel loro intrecciarsi e vicendevole condizionarsi, queste due diverse componenti. Sarà proprio questo fattore, come vedremo negli anni successivi, a porre in uno stato di evidente imbarazzo e disagio la diplomazia veneziana nei confronti di quella genovese, che mscirà a giocare abilmente su questo equivoco, alimentando situazioni artificiose ed ambigue. 70 Nell’intervallo fra questa nuova impresa e la precedente, E. Piloti cit., p. 371, sostiene che il Boucicault tentò inutilmente di conquistare Satalia, venendone respinto con gravi danni. Questa testimonianza non trova per altro conferma. 71 T. Godefroy cit., p. 212: «... tout le port et le rivaige de Tripoli estoit couvert de Sarrasins, qui tous armez là l’attendoient à recevoir aux pointes des — 257 — Talmente, essendo venuta a mancare la sorpresa, il tentativo di sbarco si risolse in un insuccesso: il Boucicault fu respinto e venne costretto a riti rarsi nelle sue navi, abbandonando sul campo molti suoi compagni morti e feriti (7 agosto 1403) 72. Poco attendibile risulta la valutazione a^a stanza favorevole nei riguardi del Boucicault che il Livre des fuicts ci fornisce sui risultati di questo scontro e che contrasta notevolmente sia con la versione del Sanudo che con quella del Piloti74, pressoché con cordi nel parlare di sconfìtta della flotta franco-genovese: pur trattan osi di due fonti veneziane, il loro giudizio non può apparire sospetto, in quanto essi non potevano essersi influenzati a vicenda e, tanto meno, aver falsato la verità nella stessa maniera, perfino nella coincidenza alcuni particolari. Siamo così giunti all’episodio più clamoroso di queste scorriban e più o meno fortunate della flotta genovese, sia per la sua maggiore con.' stenza, sia, soprattutto, per le polemiche cui dette origine e per le nper cussioni che provocò nel quadro dei rapporti veneto-genovesi. 1 attacco Beyruth ed il saccheggio della città, avvenuto il 10 agosto, tre giorni op Io smacco di Tripoli. Il minimo intervallo di tempo dallo sfortunato ep lances... ils estoyent eu moult bel arroy de combatre, par grandes batail es et à pied ». j^A Banali, ancora una volta, sono la reazione ed il commento di J. Delavil Roulx, La France cit., I, pp. 437-438: « on ne saurait trop flétrir de parei cédés, dont la politique vénitienne était coutumière et qui révoltent la consc ^ publique », il quale non si accorge, o non vuole accorgersi, come le *nte^Z1°^nse_ Venezia non fossero quelle di tradire la causa cristiana, ma di attenuare tevo]j guenze di un colpo di mano che, in qulasiasi caso, le avrebbe procurato no danni. 72 Anche la testimonianza di due cronisti arabi, Hakrizi e Ahmed Aska â contemporanei a queste vicende, le cui affermazioni, desunte da due manoscritti c t nrFVRE- servati nella Biblioteca Nazionale di Parigi, sono riprese da L. Dorez e j Pontalis cit., I, p. 63, nota 4, sembrano ribadire l’attendibilità delle suddette a er mazioni. T F 73 Livre des faicts cit., p. 276. Pure in questa circostanza J. Delaville Roulx, La France cit., I, pp. 438-442, dimostra di prestare fede esclusivamente a a cronaca francese. 74 M. Sanudo cit., col. 800: il cronista veneto riporta la lettera inviata, in data 21 agosto 1403, dal bailo di Cipro Bernardo Morosini, incaricato dallo Zeno di riferire al Senato veneto gli avvenimenti d’Oriente, il quale narra i fatti secondo le testimonianze di persone presenti personalmente all’episodio. E. Piloti cit., p. 397. — 258 — ■sodio di Tripoli, la scelta non più casuale 75 del nuovo obiettivo, il comportamento del Boucicault nel corso di quest’ultimo evento, suggeriscono la conclusione che gli avvenimenti successivi al suo arrivo nel Levante (il comportamento e le risposte dello Zeno alle sue proposte, la preserva della flotta veneziana, ma soprattutto la constatazione che i suoi movimenti fossero controllati per anticiparne ed annullarne le iniziative) avevano gradatamente contribuito a maturare nell’animo del maresciallo la convinzione di una premeditata ostilità del governo veneziano nei suoi riguardi, che probabilmente dal suo punto di vista appariva dolosa ed eccessiva: era quindi naturale che, ad un certo punto, un temperamento poco calcolatore e tutt’altro che diplomatico come il suo, pungolato nell’orgoglio e cedendo ad uno di quegli impeti sconsiderati, piuttosto frequenti in lui, reagisse nella maniera più imprevedibile e difficilmente giustificabile. Sui particolari dell’assalto alla città e del saccheggio, nonché degli episodi a ciò connessi, le fonti veneziane 76 sono molto chiare, documentate e precise, e trovano spesso un’implicita conferma del loro sostanziale 75 E. Piloti cit., pp. 330, 358 e sgg., ripetutamente afferma, nella sua cronaca, che a Beyruth i Veneziani possedevano ricchissime case di commercio, vi importavano merci dall’Occidente e ne esportavano ogni anno rilevanti carichi di spezie: continuamente partivano da Venezia delle galee da carico, che prendevano proprio il nome di « galee di Barati » e che si recavano a commerciare in quell’emporio. In quella località si era raccolta, infatti, la maggioranza dei mercanti veneziani allontanatisi da Cipro e facevano concorrenza ai Genovesi, con l’attirare da quella parte le merci che prima si dirigevano a Famagosta J. Zeno cit., p. 102: Est in Aegyptio pelago Beriton. .. in eo quod triremes venetae singulis quot annis, efferendarum inde aromatum gratia accedere ad locum solent, magna vis eiuscemodi rerum, veneti hominis, mercaturae cause servabatur. Inerant que ex venetis senatoribus, atque ex omni populo, complures negociacioni eiusmodi dedicati. Bucicardus ergo, cui haec probe perspecta erant... 76 M. Sanudo cit., col. 800: «... corsero a’ nostri magazzeni, dai quali rubarono balle 200 di boccassini e colli 200 in 250 di spezie nostre, abbrugiando le case dei nostri fattori, le quali prima furono messe a saccomanno ... »; E. Piloti cit., p. 398; C.ronachetta veneziana cit., p. 304; L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., pp. 60-71. Una testimonianza non meglio precisata, e quindi non controllabile, contenuta negli Annales forolivienses, a cura di G. Mazzatinti, in Rerum Italicarum Scriptores, n. ed., Città di Castello, 1903, vol. XXII, parte II, p. 80, parla di uno scontro navale fra Genovesi da una parte e Veneziani e Catalani dall'altra, presso la stessa Beyruth e l’isola di Cipro, avvenuto proprio in questo periodo. — 259 — fondamento nelle stesse testimonianze del Livre des faicts77 e perfino nella ricostruzione del tutto personale degli avvenimenti che ci viene offerta dalle lettere di sfida inviate dal Boucicault allo Zeno e al doge l’anno successivo7S. Il governatore di Genova, pur giustificando il suo operato, non può, infatti, non ammettere i saccheggi e le ruberie cui i suoi uomini si abbandonarono dopo la presa della città. II Boucicault smentisce, invece, decisamente, in aperto contrasto con una testimonianza offertaci dal Sanudo e dal Morosini79, il fatto che si fossero presentati a lui alcuni commercianti veneziani per ottenere la restituzione dei loro beni e la riparazione dei danni subiti, ottenendo la risposta che egli depredava nelle terre dei suoi nemici, dove, quindi, tutto gli era concesso. Queste notizie, trasmesse dai mercanti di Beyruth a Bernardo Morosini e da lui allo Zeno, giunsero a Venezia il 19 settembre con la galea « Mo- - 80 lina », inviata in tutta fretta per informare il governo dell'avvenimento Ben diverse sono questa volta le reazioni dell’opinione pubblica veneziana e del Senato veneto, che, sorpreso e fortemente indignato per il comportamento del Boucicault, messa da parte ogni tattica opportunistica e conciliante, suggerita finora dalla necessità e dalla convenienza di conservale la pace, invia al suo capitano generale disposizioni energiche e decise . 77 Livre des faicts cit., p. 277. Cfr. anche A.S.G., Atti processuali cit., c. 66 i- 78 V. cap. IV, nota 13. 79 M Sanudo cit., col. 800. 80 M. Sanudo cit.. col. 790; Cronachetta Veneziana cit., p. 305. 81 Cfr. L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 70: « E’ vegnuda questa, a tuty parse una grandisima nuova, e spizialmente a chy (pur pluy la dita nuova tochava ei dano, e anchora a chy non tochava; per chaxon a tuty parse fose inprexa da nuy con Zenovexi, e quale al tuto eser aparechiada ». 82 A.S.V., Senato Secreta, I, cc. 107 r. - 108 v., 25 settembre 1403. Fra le altre cose viene ordinato al capitano generale dell’armata veneziana di observare et exequi mandata nostra contra Ianuenses, scilicet in capiendo et intromittendo galeas suas quas inveniet exeuntes a duabus galeis usque ad numerum quem videat, cum bona securitate galearum nostrarum sibi commissarum, posse capere et intromittere ■ ■ -, L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 75. Anche se queste istruzioni pervennero, poi, allo Zeno il giorno successivo allo scontro di Modone, non sono per questo meno significative ed importanti per noi per cogliere il mutamento della posizione veneziana e per verificare come, pur sostenendo, finché ciò le era possibile, una politica di salvaguardia e mantenimento dell’equilibrio politico allora esistente nel bacino mediterraneo, col favorire ed il ricer- — 260 — Lo Zeno dovrà cercare ancora una volta una soluzione pacifica, intervenendo presso il governatore di Genova affinchè vengano restituite le merci e le navi sottratte ai mercanti veneziani. In caso di risposta affermativa da parte del Boucicault dovrà astenersi da ogni rappresaglia; nell’altro caso dovrà invece raccogliere tutte le forze disponibili ed attendere l’occasione per assalire i Genovesi con buone probabilità di vittoria 83. Qualora, però, non fosse assolutamente certo dell’esito favorevole di uno scontro navale gli converrà aspettare i rinforzi da Creta o da Negroponte e dalle navi da commercio che si trovavano nella zona. Nello stesso tempo il Senato impartisce in tutta la Morea l’ordine di allestire armamenti straordinari, sollecita l’invio di rinforzi, in uomini e in navi, a tutti i feudatari sottomessi alla sua dominazione e pone in stato di allarme le fortezze del Peloponneso, in particolar modo Modone e CoroneM. Un elemento che balza subito in evidenza è che nel corso di queste deliberazioni il Senato veneto non nomina mai direttamente il Boucicault, nonostante fosse da tutti risaputo che gli avvenimenti accaduti nel Levante negli ultimi tempi dipendevano esclusivamente dalla volontà del governatore di Genova e non da ordini e disposizioni della Repubblica Genovese, la quale, anzi (almeno da quanto possiamo dedurre dalle resistenze opposte in più occasioni dai capitani genovesi che facevano parte della spedizione e dalla posizione di estraneità rispetto a tali fatti che, come vedremo, i rappresentanti di Genova rivendicheranno nel corso delle future trattative di pace), sembrava non giustificare e condividere la necessità e l’utilità di insistere nella direzione voluta dal maresciallo. Da ciò si deduce che Venezia riteneva opportuno riversare ufficialmente la responsabilità di questi episodi sulla Repubblica di Genova e sui Geno- care anche nei confronti dei tradizionali rivali genovesi un rapporto di reciproca tolleranza e rispetto, la Repubblica Veneta fosse tuttavia fermamente decisa a reagire con la necessaria fermezza e tempestività qualora le circostanze lo avessero richiesto. 83 A.S.V., Senato Secreta, I, cc. 107 r. -108 v.\ ...volumus quod dictus capi-taneus, senciendo se potenciore et forciore contra lanuenses et galeas suas, debet offendere, intromittere et capere realiter et personaliter galeas suas et omnia alia navigia armata et disarmata que fuerint pervenientes et pervenientia ad manus suas, et ipsos tractare et de ipsis facere tanquam de publicis inimicis nostre dominationis, habendo sempre bonam advertentiam et bonam considerationem quod, licet galet lanuenses forent in minori numero quam nostre, possent tamen esse multum bene ftir-nite et armate... 84 G. M. Sathaz cit., I, n. 7, 13 settembre 1403. — 261 — i vesi, per non rischiare di compromettere i rapporti col re di Francia, a nome del quale il Boucicault governava sulla Repubblica Ligure, e con cui conveniva alla Serenissima mantenere relazioni amichevoli. Nel frattempo il Boucicault, che, dopo alcune insignificanti scorribande dei dintorni di Beyruth, dall’esito piuttosto infelice, era rientrato a Famagosta il 21 agosto85, aveva riunito sopra alcune navi i feriti e gli invalidi per inviarli a Genova e, dopo aver dedicato il mese di settembre, trascorso a Rodi, a radunare le sue truppe e a preparare il ritorno, si era diretto verso Modone 86. A questo punto il Manfroni87, insistendo nella sua polemica demitizzazione della figura del Boucicault, volendo controbattere 1 affermazione del Delaville 88, il quale sostiene che l’armata franco-genovese aveva fatto vela alla volta di Modone senza nessun sospetto e credendo di andare in terra di amici89 (come è possibile ritenere che questa fosse la convinzione del Boucicault dopo l’episodio di Beyruth e come si può pensare che al maresciallo non fosse pervenuta nessuna notizia sulle reazioni del governo di Venezia!!) forza, a sua volta, l’interpretazione dei fatti nella 85 Secondo J. Delaville Le Roulx, La France cit., I, pp. 443-444, che ricostruisce tale itinerario sulla scorta soprattutto del Livre des faicts cit., II, cap. XX e XXIII, e di M. Sanudo cit., col. 801, il Boucicault raggiunse prima Sidone (12 agosto) per poi proseguire, in seguito ad un cambio di rotta, imposto dallo stato dei venti, verso Nord, ripassando davanti a tutte le località già attaccate in precedenza. L attacco a Sidone appare confermato anche dalla testimonianza dei cronisti orientali, già citati in precedenza, Makrizi e Ahmed Askâlami: cfr. L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 72, nota 1. 86 Sempre nello stesso periodo di tempo aveva inviato una galera ad avvertite le sue navi, che lo aspettavano presso il porto di Alessandria, di ritornare a Rodi (L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 72), ritenendo ormai impossibile 1 impresa progettata in precedenza. 87 C. Manfroni, Lo scontro di Modone cit., pp. 321 e sgg. 88 J. Delaville Le Roulx, La France cit., I, p. 450. 89 Le deposizioni dei capitani genovesi, quali il Lercari, il Grimaldi, il Sauli, ecc. (cfr. A.S.G., Testes et atestationes cit., cc. 17 r., Tir., 53 v.) che, riferendosi a Modone, usano espressioni quali tanquam in locum amicorum e sine aliquo suspecto, e sostengono che l’armata genovese rimase meravigliata quando vide comparire lo Zeno in assetto di combattimento, non si possono prendere alla lettera, e vanno logicamente inquadrate nell’ambito dell’occasione in cui furono pronunciate ed allo scopo cui tendevano, che era quello di provare e documentare la responsabilità esclusiva dello Zeno per lo scontro navale di Modone. — 262 — direzione opposta, fino al punto di giungere ad affermare che « più si studiano i documenti contemporanei e più si vede probabile l’intenzione del Boucicault di fare atto di spavalderia, bravando le minacce dei Veneziani e venendo, lui, saccheggiatore di Beyruth, a dar fondo nelle acque veneziane ». Noi riteniamo, invece, che dopo il saccheggio di Beyruth, sia reputando di aver appagato le proprie aspirazioni, sia in considerazione delle perdite che avevano indebolito notevolmente la consistenza della sua armata ed anche dello stato di stanchezza ed insofferenza che ormai doveva sicuramente regnare in seno ad essa, il Boucicault avesse, ormai, l’intenzione di rientrare a Genova. Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che il maresciallo congedò, in quei giorni, le due galee di Chio 90 e le altre navi di Pera e di Lesbo, che lo avevano accompagnato fino a quel momento (per un totale di 5 galee e 3 galeotte), e che il 5 ottobre, trovandosi all’altezza di capo S. Angelo, rifiutò decisamente il rinforzo di due cocche da trasporto, una delle quali comprendente 800 uomini, che 10 avevano raggiunto in quel luogo91. Ed anche l’obiezione del Manfroni 92, secondo cui il Boucicault sarebbe stato probabilmente costretto dagli stessi comandanti a rimandare a casa quelle unità, in contrasto con le sue vere intenzioni, rientra nell’insieme di quelle considerazioni, le quali rafforzarono il governatore di Genova nella sua convinzione che ormai non fosse consigliabile e producente insistere in un atteggiamento di ostilità e di sfida nei riguardi della Repubblica Veneta. Più difficile risulta per il Manfroni confermare la sua tesi di fronte al comportamento tutt’altro che spavaldo ed ostile che il Boucicault tenne una volta giunto a Modone, per cui egli è costretto a sostenere, secondo un’interpretazione piuttosto macchinosa e quanto mai improbabile93 che 11 Boucicault, del tutto all’oscuro della consistenza della flotta veneziana ancorata a Modone, ignorando che nel frattempo lo Zeno era riuscito a 90 Solo la Cronaca Morosina cit., I, p. 92, colloca tale fatto dopo la battaglia di Modone. 91 A.S.G., Atti processuali cit., c. 68 v.\ G. Stella cit., coll. 1203-1204; Livre des faicts cit., II, cap. XXXI. 92 C. Manfroni, Lo scontro di Modone cit., p. 322. 93 Cfr. C. Manfroni, Lo scontro di Modone cit., pp. 322-323, seguito in questa interpretazione da A. Battistella, La Repubblica di Venezia nei suoi undici secoli di Storia, Venezia, 1921, p. 296. — 263 — raccogliere undici galee sottili e aveva trattenuto due galee grosse w, destinate ad un viaggio verso la Tana 9S, si sia trovato improvvisamente nella necessità di modificare le primitive intenzioni per salpare prudentemente, il più presto possibile, alla volta di Genova, facendo credere, dopo essersi reso conto deU’inferiorità numerica della sua flotta, che questa fosse sempre stata la sua intenzione. Il Boucicault arrivò all’isola di Sapienza, proveniente da Rodi, attraverso capo S. Angelo e porto Quaglio, la sera del 6 ottobre 96, e vi ancorò la flotta, che era composta di 11 galee97. Ripartì il giorno successivo, diretto verso nord9S, seguito, questa volta, con intenzioni chiaramente ostili e bellicose ", dalla flotta veneziana, formata da 11 galee sottili e due grossi bastimenti 10°. Lo scontro era praticamente inevitabile101 ed 94 Le cosidette « galee sottili » erano navi destinate esclusivamente al combattimento, mentre le « galee grosse » erano utilizzabili sia per il commercio che per la guerra. 95 J. Zeno cit., p. 107; P. Bizzarri cit., p. 202; L. Dorez e G. Lefèvre - Pon-talis cit., I, p. 82. Secondo M. A. Sabellico cit., I, p. 446, esse giunsero proprio durante la battaglia di Modone, quando sembrava che le sorti stessero volgendo al peggio per i Veneziani e risultarono decisive per l’esito dello scontro. 96 M. Sanudo cit., coll. 790 e 802; G. Stella cit., col. 1200; E. Piloti cit., p. 398; L. Dorez e G. Lefèvre - Pontalis cit., I, p. 80. 97 G. Stella cit., col. 1200, e il Morosini (L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 78) specificano che alle nove galee con cui il maresciallo era partito da Genova si erano aggiunte, in questa circostanza, una galea dei Cavalieri di Rodi ed una di Chio. O. Foglietta cit., c. 184 v. e la Cronachetta Veneziana cit., p. 305, parlano, invece, di due galee del’Ordine di Rodi, e la cosa sembra più probabile, in quanto, secondo testimonianze attendibili, (v. cap. II, nota 31) il Boucicault aveva licenziato, pochi giorni prima, le due galere di Chio, assieme alle altre provenienti dai territori genovesi del Levante. 9S Restano piuttosto improbabili le supposte negoziazioni intercorse, secondo J Zeno cit., p. 106, fra il Boucicault e Carlo Zeno. 99 A.S.G., Testes et atestationes cit., deposizione di Costantino Lercari (c. 17 r.). ■ . . videbant totum exercitum Venetorum esse in armis et paratum ad bellum, palam et publice, cum lanceis in manibus et balistis, et cum haberent galee dictorum Venetorum catene tas suas, ut moris est ipsorum quando sunt in preliis. . .; Ibidem, Atti processuali cit., c. 69 r. 100 Cfr., in questa pagina, la nota 95, e, inoltre, A.S.G., Atti processuali cit., c. 69 v.; B. Fazio cit., p. 109; R. Predelli cit., IX, n. 275. Iul E’ praticamente impossibile, sulla base delle testimonianze contrastanti offerteci dalle fonti interessate a discolpare i Genovesi o i Veneziani stabilire da quale — 264 — il combattimento che seguì, protrattosi per circa quattro ore, fu assai violento ed accanito l02: si concluse con la vittoria dei veneziani, i quali si impadronirono di tre galee nemiche, facendo, fra l’altro, un buon numero di prigionieri 103 (fra costoro i più importanti furono Pietro e Cosma Grimaldi e Leonardo Sauli, i tre comandanti delle galee catturate, fra i genovesi, nonché Giovanni di Châteaumorand l04, Luigi di Normandia e numerosi altri cavalieri, fra i francesi). delle due flotte partì il segnale della battaglia, particolare questo che, d altronde, riveste ben poca importanza. 102 M. Sanudo cit., col. 709, parla di 600 annegati e morti fra i Genovesi e di 153 morti e feriti fra i Veneziani, mentre M.A. Sabellico cit., I, p. 446, afferma che vi furono 500 fra morti ed annegati fra i Genovesi e 143 fra i Veneziani. 103 La testimonianza più dettagliata ed attendibile, perlomeno nell esposizione dei fatti, anche se non nella loro valutazione (per un utile ed interessante confronto a tale riguardo v. la lettera di sfida del Boucicault allo Zeno: cap. IV, nota 13), della battaglia di Modone, ci viene offerta dalla relazione, scritta il 9 ottobre 1403, che il capitano generale della flotta veneziana, Carlo Zeno, inviò al Senato. Essa fu pubblicata dal Muratori (M. Sanudo cit., coll. 802-804: tale testo presenta, però, molti rimaneggiamenti ed alterazioni arbitrarie) e da G. Cappelletti cit., V, pp. 254-258, secondo un manoscritto più completo e corretto. Il testo di tale lettera si trova anche nella Cronaca Morosina cit., I, pp. 122-145, arricchito dalle utilissime annotazioni dei commentatori, e in G.B. Fanucci, Storia dei tre celebri popoli marittimi dell’Italia, Pisa, 1817-1822, IV, pp. 156-159. La traduzione della stessa dall’originale dialetto veneziano ci viene data da C. Manfroni, Lo scontro di Modone cit., pp. 324-328. Anche la Vita Caroli Zeni (J. Zeno cit., pp.106-110) si sofferma su questo scontro con ricchezza di particolari, ma il tutto risulta soverchiamente abbellito dall arte oratoria e dallo stile umanistico con cui l’autore volle adornare il suo racconto, nel quale, pertanto, numerosi elementi sono stati probabilmente esagerati od inventati (come, ad esempio, il discorso pronunciato dallo Zeno prima della battaglia). Cfr. pure il Livres des faicts cit., II, cap. XXIV, esageratamente fazioso fino al punto di non ammettere l’evidenza della vittoria veneziana, che trova invece conferma negli stessi storici genovesi: cfr. B. Fazio cit., pp. 110-111: ...verum ubi classes cohaesere, Genuenses .. . paulatim cedere coeperunt... cumque vim diutius ferre non possent... sese in fugam coniecerunt... 104 Tean de Chàtelus, signore di Châteaumorand, appartenente alla famiglia dei Chàtelus en Forez, nato verso il 1455 e morto verso il 1439, fu per lungo tempo il fedele e devoto luogotenente del Boucicault (cfr. A. M. Chazaud, Chronique du bon duc Loys de Bourbon, Parigi, 1876, pp. XII-XVI; L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 94, nota II). — 265 - Ili LA PACE DI VENEZIA (22 marzo 1404) Lo Zeno aveva rinunciato ad inseguire le rimanenti galee nemiche ed era rientrato a Modone il giorno successivo alla battaglia, dove, oltre ad informare con precisione la sua Repubblica dello svolgimento e dell’esito dello scontro e a fornire le giustificazioni della sua condotta si preoccupò di far medicare i feriti e far scaricare le tre galee catturate. Esse contenevano una notevole quantità di denaro, d’argento e di spezie (11 colli di pepe, 5 di garofalo, 6 di cannella). Il tutto fu affidato alla custodia del castellano e dei suoi consiglieri2. Il 9 novembre l’ammiraglio veneziano ricevette l’ordine del senato di rientrare in patria 3, dove giunse probabilmente il 24 novembre 4. Il Boucicault, invece, colpito nell’orgoglio e pur meditando una vendetta per l’affronto subito e l’umiliazione patita, e deciso, inoltre, a salvaguardare gli interessi francesi e genovesi, aveva ritenuto opportuno, per il momento, rientrare immediatamente a Genova. Ma quale fosse ormai il suo stato d’animo e quali le reazioni immediate che il recente episodio aveva suscitato in lui e che il tempo, come vedremo, avrebbe trasformato nella continua e personale ricerca di una rivincita, fino al punto di spingerlo ad intralciare notevolmente e per un lungo periodo i tentativi delle due Repubbliche di giungere ad un accordo, è dimostrato 1 V. cap. II, nota 103, relazione citata. 2 M. Sanudo cit., col. 804; L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 146. 3 A.S.V., Senato Secreta, I, c. 112 r. 4 L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 162. - 266 — dal suo comportamento a proposito delle navi veneziane che i Genovesi incontrarono durante il viaggio di ritorno. Quattro giorni dopo la battaglia di Modone (11 ottobre 1403) egli fece assalire e catturare, all’altezza della Sicilia, una grossa galera diretta a Modone 5 e una cocca veneziana, comandata da Nicolò Marcoffo, proveniente dalla Romania e dalla Tana, che aveva a bordo molti nobili e quasi un centinaio di schiavi, i quali furono condotti prigionieri a Genova6 assieme alle merci sequestrate (carichi di cera e di cuoio), il cui valore complessivo assommava a circa 15.000 ducati d’oro. Il 29 ottobre 7, dopo quasi sette mesi di assenza, il Boucicault arrivò a Genova 8, dove riunì il Consiglio degli Anziani per decidere Patteggia- 5 M. Sanudo cit., col. 791; G. Stella cit.; col. 1201; Cronachetta Veneziana cit., p. 306, Livre des faicts cit., II, cap. XXVII; L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, pp. 100 e 148-150; R. Piattoli cit., lettera del 24 ottobre 1403, p. 135. La galera diretta a Modone era carica di biscotto e di rame: il 7 novembre il Boucicault ordinò la vendita del carico di biscotto perchè non si guastasse: A.S.G., Archivio segreto, Diversorum registri, 6/501, c. 48 v. 6 Saranno restituiti solo quando i Veneziani avranno liberato i prigionieri francesi e genovesi. 7 G. Stella cit., col. 1201; R. Piattoli cit., lettera del 31 ottobre 1403. p. 136. Una conferma indiretta di questa data ci deriva dal fatto che il 30 ottobre il Boucicault faceva trascrivere sui registri della cancelleria genovese una serie di atti riguardanti la spedizione a Cipro, i cui originali erano stati spediti a Genova durante la sua assenza. 8 Sull’accoglienza riservatagli dalla popolazione, che potrebbe risultare indicativa di come l’opinione pubblica genovese avesse reagito agli ultimi avvenimenti, le fonti che ne parlano, di parte francese e di parte veneziana, offrono due testimonianze completamente opposte. Cfr. M. Sanudo cit., col. 798: « E ritornato in Genova, fu gran romore tra Genovesi, perchè i buoni Genovesi dicevano ch’egli gli avea tornati alla guerra co’ Veneziani contra Dio e la ragione e la promessa fatta loro»; L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 92: «...per lo zionzer de le qual fo fato in Zenova de gran lamenty e pianty, per chaxion che là elo nonde retorna de le do l’una, che de là se party, digo chonputando quely che romaxe prexi sovra le tre galie e quely che fo de morty »; T. Godefroy cit., p. 244: « Et ainsi arriva le Mareschal à Gennes, où il feut à si gran honneur et ioye receu de tous les plus grands, et generalement de tout peuple, que oncques Seigneur ne feut receu à plus grand feste ». E’ probabile che la reazione ufficiale della città, almeno nelle manifestazioni esterne più appariscenti e significative, sia stata nel senso indicato dal Godefroy, anche se fra molti doveva essere diffuso e radicato l’atteggiamento di sfiducia e di protesta su cui insistono il Sanudo e il Morosini. — 267 — mento da assumere nei riguardi della Repubblica di Venezia e le misure da adottare: nonostante le pressioni e le insistenze del governatore, prevalse l’opinione che fosse pericoloso ed inutile scatenare una nuova guerra. Si decise pertanto di chiedere ai Veneziani una giustificazione della loro condotta al fine di stabilire se lo scontro di Modone avesse avuto luogo per volontà del governo veneziano (in tal caso si imponeva una adeguata soddisfazione) oppure per volontà ed iniziativa personale di alcuni altri responsabili ed in particolare modo dello Zeno, di cui, in tal caso, si sollecitava la punizione. La Repubblica di Genova chiedeva, inoltre, la restituzione delle merci ed il rilascio dei prigionieri. Per far presenti queste richieste, ma soprattutto per accogliere informazioni più attendibili e sicure sulle intenzioni del Senato veneto, venne inviato a Venezia, nel mese di novembre, un ambasciatore 9, nella persona di Cattaneo Cigala l0. La Repubblica di Venezia si era preoccupata, frattanto, di prevenire innanzitutto qualsiasi reazione da parte del re di Francia, dal momento che le galee catturate portavano 1« sua insegna, e di giustificare nei suoi confronti il proprio comportamento. Il Senato aveva deciso ", infatti, di inviare a Carlo VI una lettera contenente un’ampia e dettagliata rassegna degli avvenimenti più importanti che avevano visto protagoniste le due Repubbliche nell ultimo anno. Tale lettera, formulata nella successiva seduta del 30 ottobreI2, venne fatta pervenire, tramite un corriere, ad un amba- 9 A.S.G., Antico comune, Massaria comunis Ianue, XXVIII, cc. 55 - 56 r.; Ibidem, Atti processuali cit., c. 52 r.\ A.S.V., Senato Secreta. I, c. 117/"., 30 novembre 1403; G. Stella cit., col. 1201; L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, pp. 114 e 164. 10 Cigala Cattaneo fece parte del Consiglio degli Anziani nel 1397 (A.S.G., Libri iurium, IX, c. 35 v. ). n A.S.V., Senato Misti, LXVI, c. 108 v„ 28 ottobre 1403, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., II. p. 42, n. 1133. Per gli stessi motivi si decise anche l’invio di una lettera di uguale tenore al Signore di Padova, al conte di Savoia, a re Ladislao di Napoli, alla duchessa di Milano, alia Repubblica di Firenze, al cardinale di Bologna, al papa, al patriarca di Aquileia, al marchese di Ferrara ed al signore di Mantova. Che le preoccupazioni maggiori fossero, però, determinate da una temuta reazione del governo francese lo dimostra il fatto che la decisione dell’invio delle suddette lettere di chiarimento ai diversi principi italiani non ottenne lo stesso consenso pressoché plebiscitario di voti. 12 A.S.V., Senato Misti, LXVI, c. Ili r., 30 ottobre 1403, ed. in J. Delaville Le Roulx, La France cit., II, pp. 123-126. Sebbene questa lettera si trovi riportata nei registri della cancelleria veneziana con l’annotazione a margine non scribatur è — 268 — sciatore, Pietro Gualfredini, che il 24 ottobre era già partito per comunicare le stesse notizie pure al duca di Borgogna. Naturalmente le vicende sono presentate in maniera tale che appaia evidente la responsabilità dei genovesi e, di conseguenza, giusta ed inevitabile la reazione veneziana. La lettera inizia riferendosi agli episodi del 1402 13, quando i Genovesi avevano fatto sequestrare i beni dei mercanti veneziani a Rodi e a Cipro, i Veneziani fanno ora notare come, nonostante la Repubblica di Genova non abbia poi provveduto all’indennizzo da lei garantito in base ad un preciso accordo 14, essi non abbiano, per questo, protestato e reagito come sarebbe stato loro diritto. Passando, poi, agli avvenimenti più recenti viene messo in evidenza il contrasto tra l’accoglienza amichevole e franca, che lo Zeno riservò al Boucicault al suo primo arrivo a Modone, e il comportamento di tutt’altro genere del governatore genovese nel periodo successivo e soprattutto a Beyruth. Si fa rilevare, infine, come fu il Boucicault a voler attaccare battaglia a Modone, avanzando in formazione di combattimento, nonostante i tentativi di conciliazione da parte dello Zeno, che fu costretto, invece, suo malgrado, ad accettare lo scontro . La conclusione fa riferimento al benevolo trattamento riservato dallo Zeno ai prigionieri, e non sorprende che questo fatto sia messo così in rilievo in una simile circostanza, in quanto un buon numero di costoro erano francesi e la loro sorte era causa di preoccupazione per la corte francese. stata, tuttavia, sicuramente spedita al re di Francia, come indirettamente lo conferma un affermazione contenuta in una delle successive deliberazioni del Senato, presa nel marzo 1407, nella quale si fa esplicito riferimento proprio ad essa (Ibidem. Senato Secreta, III, c. 58 t>.). 13 V. cap. II. 14 R. Predelli cit., IX, nn. 262 e 263. La visione palesemente parziale che questo documento ci offre a proposito degli episodi cui fa riferimento e che indica la preoccupazione esistente in seno al governo veneziano di coprire e limitare la propria parte di responsabilità per quanto concerne lo scontro di Modone, non sfugge, questa volta, nemmeno al Manfroni (C. Manfroni, Lo scontro di Modone cit., p. 330), tanto spesso, invece, disposto a leggere e ad interpretare nell’ambito di una prospettiva esageratamente filo-veneziana le testimonianze delle fonti. — 269 - 18 Molte di queste affermazioni sono riprese e ribadite anche nella risposta che il Senato veneto16 diede alle domande 17 dell’ambasciatore genovese, a proposito delle quali giustificò la sua condotta e la sua posizione, respingendo decisamente l’accusa che la guerra fosse; scoppiata per sua volontà, sostenendo invece che il governatore di Genova sapeva bene di chi fosse la colpa dell’accaduto, per cui non spettava ad essa punire il proprio capitano generale, il quale aveva fatto il suo dovere, mentre aveva il diritto di trattenere i prigionieri e le navi nemiche. Tuttavia la Repubblica Veneta, volendosi dimostrare sempre aderente ai suoi propositi pacifici non mai smentiti, si dichiarava disposta ad iniziare trattative, se, dal canto suo, il Boucicault avesse mutato atteggiamento, dichiarandosi disposto, in linea di principio, a pagare i danni inferti e manifestando una concreta buona disposizione per giungere ad un accordo . Ciononostante, in un primo tempo, la Repubblica di Venezia, diffidando ancora, e questa volta a ragione, del Boucicault, continuò a provvedere alla propria difesa attraverso una serie di misure precauzionali. Intanto, per non lasciarsi cogliere impreparato nel caso di una nuova guerra ed evitare, in questa eventualità, che, come al tempo della guerra di Chioggia, la flotta navale genovese potesse facilmente penetrare nell’Adriatico e minacciare così da vicino la sicurezza della Repubblica, il Senato veneto si era già preoccupato di informare degli ultimi avvenimenti alcuni centri dell’Adriatico di notevole importanza strategica, chiedendo, se si fosse dimostrato necessario, un appoggio da parte loro o 16 A.S.V., Senato Secreta, I, c. 119 r., 13 dicembre 1403, ed. in J. Delaville Le Roulx, La France cit., II, pp. 129-134; B. Fazio cit., pp. 119-122. 17 Cfr. A.S.V., Senato Secreta, I, c. 118 r., 6 e 11 dicembre 1403; G. Stella cit., col. 1201; B. Fazio cit., pp. 114-119. 18 A.S.V., Senato Secreta, I, c. 119 v.\ ... omni vice qua senciemus intentionem illustris domini gubernatoris et dicte magnifice comunitatis esse dispositam ad satisfaciendum danna nostris illata, restituendo nostros captos, nos erimus dispositi et parati ad restituendum et relaxandum sibi captos suos et ad faciendum de rebus iustis et honestis. II commento dei Morosini (L. Dorez e G. Lefèvre - Pontalis cit., I, p. 98) su questo atteggiamento del governo veneto è decisamente critico e negativo e rispecchia senz’altro la posizione di taluni ambienti politici veneziani. 19 Ad Ancona, ad esempio, Venezia chiese che non deberet dare de eis Ianue, in dicto casu guerre, nec galeis nec navigiis suis receptum, nec aliquem subsidium vel favorem (A.S.V., Senato Secreta, I, c. 112 f., 16 novembre 1403). Allo stesso modo si comportò nei riguardi della città di Ragusa e dei possedimenti di re Ladislao in Dalmazia: S. Ljubic cit., IV, pp. 26-30; 6, 20 e 29 novembre 1403. — 270 — perlomeno una posizione di neutralità. Parimenti aveva cercato di assicurarsi uno o due punti di riferimento nel mar Tirreno, soprattutto nei pressi di Pisa, inviando, a questo scopo, un suo agente presso la duchessa di Milano e presso i principi lombardi e toscani che potevano favorire tale disegno 20. Nello stesso tempo la Repubblica Veneta dava ordine di catturare tutte le navi genovesi, di fortificare le località costiere (in particolare lisola di Creta e l’arsenale di La Canea21) e di sorvegliare attentamente le zone circostanti, nonche di armare nuove galee; assoldava, inoltre, altre unità di fanteria per la custodia di Creta, Corfù, Negroponte e di molti altri luoghi, e poneva, infine, lo Zeno a custodia della laguna22. Solo a trattative già avviate, forse anche per facilitarne lo svolgimento, dimostrando concretamente al governo genovese la sua favorevole disposizione, Venezia allenterà in parte le sue preoccupazioni e, di conseguenza, anche le iniziative che si rendevano necessarie. Tali trattative erano iniziate verso la metà di dicembre: furono lente e talvolta anche dispersive, e si protrassero, pertanto, per più di quattro mesi23. I registri dei Senato Secreta, nell'Archivio di Stato di Venezia, contengono, a questo riguardo, un interessante materiale di studio 24, poiché ci offrono, attraverso i verbali delle decisioni che maturavano nel corso 20 A.S.V., Senato Secreta, I, c. 113 r., 14 novembre 1403: ...utile esset... habere in nostra libertate vel pro nostro reductu unum vel duos ex portubus et locis qui sunt in portibus Pisarum et illarum contratarum. 21 Grande porto sulla costa settentrionale dell’isola di Creta. 22 A.S.V., Senato Secreta, I, 112 r.-117 r., 2 e 22 novembre 1403; Ibidem, Senato Misti, XLVI, cc. 113 v. e 121 r., 18 novembre e 15 dicembre 1403; G. M. Sathaz cit., I, nn. 7-9; decreti del Senato veneto dei 29 novembre e dell'll dicembre 1403. 23 Su queste trattative si soffermano sia J. Delaville Le Roulx, La France cit., I, pp. 461-467, che L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, pp. 114-115. 24 A.S.V., Senato Secreta, I c. 119 r (13 dicembre 1403); c. 120 v. (15 dicembre 1403); c. 121 r. (18 dicembre 1403); c. 122 v. (22 dicembre 1403); c. 123 r. (27 dicembre 1403); c. 125 p. (29 dicembre 1403); c. 128 v. (29 gennaio 1404); c. 129 r. (31 gennaio 1404); c. 134 r. (23 febbraio 1404); c. 135 v. (27 febbraio 1404); c. 136 v. (8 marzo 1404); c. 137 v. (18 marzo 1404). Sull atteggiamento tenuto dalla Repubblica di Genova e, in particolar modo, sull’influenza esercitata dal Boucicault, cfr. anche A.S.G., Atti processuali cit., cc. 52 r. e 58 v. - 61 r. — 271 — delle sedute del Senato in riferimento alle richieste ed alle precisazioni dell’ambasciatore genovese, la possibilità di ricostruire, nel suo processo evolutivo e dialettico, il dibattito diplomatico delle due Repubbliche, volte alla faticosa ricerca di un difficile compromesso che avrebbe richiesto molto tempo per chiarire a pieno le numerose questioni controverse e comporle senza pericolo di creare ulteriori motivi di dissenso. Le discussioni si incentrarono, nel corso delle varie sedute, su cinque punti fondamentali, corrispondenti ad altrettante precise richieste formulate dalla Repubblica di Venezia 25, la quale insisteva per l’attuazione integrale degli accordi presi da Genova a proposito del risarcimento dei danni subiti dai mercanti veneziani a Rodi e a Cipro 26; lamentava e deplorava il saccheggio di Beyruth; richiedeva la restituzione delle navi e delle merci catturate dal Boucicault durante il ritorno della sua flotta a Genova, nonché il risarcimento di danni patiti nei pressi di Tripoli di Siria (danna cotonorum acceptorum in partibus Tripoli) e di quelli che avrebbero subito fino al raggiungimento di una tregua {danna que facta forent usque diem quo per ipsos provisum fuerit quod sui se abstineant a dannis). A questi punti il Cigala replicò 27 confermando, innanzitutto, la ferma intenzione della sua Repubblica di adempiere agli impegni presi per riparare ai danni ricevuti dai mercanti veneziani a Cipro e a Rodi, e manifestando il disappunto dei Genovesi per l’episodio di Beyruth, d’altronde, a loro parere, in gran parte giustificabile. A tale proposito il Cigala preciso, in seguito, che il suo governo intendeva accogliere le richieste di risarcì mento avanzate da Venezia, pur tenendo a far rilevare come i Genovesi non fossero stati i soli a partecipare a tale impresa, per cui era assurdo che fossero gli unici a subirne le conseguenze. L’ambasciatore genovese affermò, inoltre, che le galee catturate dal Boucicault durante il viaggio di ritorno si trovavano a Genova e, poiché non era intenzione del suo Comune, come aveva già ripetutamente ribadito, tener sequestrati tali beni, promise che esse sarebbero state restituite assieme al loro carico. Sul quarto punto sostenne, invece, di non essere in grado di rispondere, in quanto non aveva ricevuto nessuna informazione al riguardo ed era personalmente all’oscuro della questione. 25 A.S.V., Senato Secreta, I, cc. 120 v. -121 r. 26 R. Predelli cit., IX, nn. 262 e 263. 27 A.S.V., Senato Secreta, I, cc. 121 r. - 122 v„ 18 dicembre 1403. — 272 — Maggiori contrasti emersero a proposito dell’ultima richiesta formulata dalla Repubblica di Venezia. Mentre la Repubblica di Genova pretendeva che, nel caso esse si fossero accordate sulla base di una reciproca riparazione dei danni subiti nel corso delle recenti rappresaglie, dovessero rientrare in questo accordo anche le navi e le merci genovesi catturate a Modone, i Veneziani, sostenendo che non era intenzione dello Zeno giungere a quello scontro, al quale fu costretto dall’atteggiamento del Boucicault, pensavano di non essere tenuti ad alcuna riparazione dei danni inferti ai Genovesi ed alla restituzione delle galee loro catturate in quella circostanza, pur ribadendo ancora la loro volontà di appianare ogni altra divergenza 28. Un altro problema di non facile risoluzione per le posizioni di partenza fondamentalmente divergenti era quello della restituzione dei prigionieri, in quanto Venezia sosteneva (avendo intuito, come in effetti avremo occasione di rilevare, che l’insistere e non cedere su questo punto poteva rappresentare l’unico elemento capace di costringere il Boucicault a frenare e a mascherare la propria insofferenza, e a tollerare, senza porre eccessivi intralci, lo svolgimento delle trattative) la necessità che essa avvenisse ad accordo definitivo raggiunto29, per impegnare maggiormente le due rivali a perseguire con sincerità tale fine; mentre Genova, su probabile sollecitazione del Boucicault, che in tal caso avrebbe avuto la possibilità di agire nuovamente in piena libertà, insisteva per un loro immediato rilascio 30. Tuttavia alla fine di dicembre 11 la maggior parte dei problemi apparivano pressoché risolti o avviati a risoluzione e tutto lasciava prevedere 28 A.S.V., Senato Secreta, I, c. 122 v., 22 dicembre 1403: ...alia omnia danna que ubicumque data forent per partes, a casu galearum citra usque ad tempus sufferentiarum seu abstinentie ab offensis de quibus ad presens non habetur noticia, nos faciemus eis omnes suos captos libere relaxari et ita facient nostros; faciemus etiam dari et assignari eis tres galeas suas cum illis fulcimentis et coredis earum ac cum illis mercationibus que sunt et reperientur apud nostros rectores. 29 A.S.G., Atti processuali cit., c. 52 r. 30 A.S.V., Senato Secreta, I, c. 122 v.: ...ipse dixit quod videbatur sibi inhumanum et non racionabile in pace debere et velle tales captos retinere... 31 Per sbloccare le situazioni più delicate Venezia aveva suggerito (A.S.V., Senato Secreta. I, cc. 123 r. - 124 v., 27 dicembre 1403) una nuova soluzione del problema dei prigionieri, prospettando la possibilità che le garanzie da lei richieste, nel caso di un loro rilascio prima della conclusione delle trattative, potessero venire sod- — 273 — che entro poco tempo sarebbe stato possibile raggiungere un accordo definitivo sui varii punti. Ma una prospettiva del genere non poteva di certo essere condivisa dal Boucicault, che vedeva così praticamente sconfessata buona parte del suo operato e riconosciuti implicitamente 1 suoi torti: i rapporti fra le due Repubbliche sembravano avviarsi in una direzione ben diversa ed incompatibile con le esigenze e le sollecitazioni del suo orgoglio offeso e delle sue iniziative frustrate ed interrotte32. Su questo motivo che costituirà, soprattutto negli anni futuri, una nota caratterizzante del problema che stiamo affrontando, si deve innestare l’analisi della posizione tenuta nel corso di questa e delle successive vicende diplomatiche da parte del governo e degli uomini politici genovesi, il loro comportamento al riguardo offre l’impressione di una costante incertezza e ambiguità, determinate da una continua oscillazione fra un effettiva esigenza di pace, condivisa da molti, per ragioni soprattutto di natura economica e finanziariaB, ed una politica di rivendicazione e di prestigio, anche se sterile ed improduttiva, sostenuta dal Boucicault ed appoggiata dalle fazioni a lui legate per motivi di gratitudine o di interesse, tesa a provocare e a sfruttare le occasioni propizie. Non si spiegherebbe altrimenti perchè, in una situazione avviata alla normalità, la Repubblica di Genova e il suo governatore, abbiano deciso, disfatte col versamento di una rilevante cauzione; così come, per superare i contrasti che dividevano le due Repubbliche sulla cifra del risarcimento per i danni patiti dai veneziani a Beyruth, Venezia aveva proposto di ricorrere al Comune di Firenze come intermediario. Il Cigala aveva accolto positivamente le due proposte (Ibidem, Senato Secreta, I, cc. 125 v. - 126 r., 29 dicembre 1403), riservandosi, naturalmente, di sottoporle all’esame e all’approvazione del suo governo. 32 Buona parte degli atti del periodo di governo del Boucicault su Genova si inquadrano nella prospettiva di una linea politica personale e quasi anarchica, proiettata verso obiettivi talora anche contrastanti tra loro, e che si esplicò in decisioni ed iniziative in certi casi irrazionali e pericolose nel quadro del delicato equilibrio politico italiano di quegli anni (basti pensare al suo tentativo di impadronirsi del ducato di Milano, che gli costò l’espulsione da Genova), e neppure legate agli stessi interessi francesi. 33 II Morosini (L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 164) sostiene che in tale frangente i Genovesi furono pressoché costretti alla pace sia per le difficolta finanziarie nelle quali allora versavano, ma anche per l’impossibilità di trovare un alleato disposto a sopportare i pericoli ed il peso di una nuova guerra contro i Veneziani. — 274 — alla fine del gennaio 1404 34, di inviare a Venezia, accanto al Cigala, un nuovo ambasciatore 35, Domenico Imperiale 36, affinchè riproponesse praticamente gli stessi interrogativi e le medesime richieste avanzate due mesi prima dal suo collega, rispolverando casi già affrontati e risolti o perlomeno vicini ad una soluzione37. Difficilmente, però, un atteggiamento del genere poteva portare a risultati apprezzabili: il Senato veneto respinse38, come aveva già fatto a suo tempo nei confronti del Cigala, le lagnanze e le richieste del nuovo ambasciatore genovese, esprimendo il suo stupore e la sua meraviglia per le nuove difficoltà sollevate proprio quando, dalle trattative precedenti, sembrava ormai prossimo un accordo. Di fronte ad una risposta così ferma e decisa, la posizione che Genova avrebbe preteso di imporre si rivelava insostenibile e sterile, ed insistere momentaneamente su di essa sarebbe stato inutile e controproducente, oltre che pericoloso ed impopolare per chi continuava ad alimentarla. Ben più pressanti ed urgenti erano le esigenze dell’ambiente mercantile e finanziario genovese, che vedeva nell’instabilità della situazione politica un motivo di grave turbamento per la sicurezza del commercio e la regolarità dei traffici, da troppo tempo esposti al pericolo di rappresaglie e forzatamente limitati, perciò, nella loro consistenza. Tale situazione non consentiva alternative di sorta e si imponeva, ormai, anche alla stessa classe politica genovese, e soprattutto 34 A S.G., Archivio segreto, Diversorum registri, 6/501, c. 49 v., 28 gennaio 1404; R. Predelli cit., IX, n. 275; L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 166. 35 A.S.V., Senato Secreta, I, c. 129 r., 31 gennaio 1404. 36 Nobile ghibellino, dottore in legge. Ricoperse numerosi incarichi pubblici e fu spesso inviato in qualità di ambasciatore di Genova presso i governi stranieri. Fece parte deU’Uffìcio di Provvisione nel 1398 e del Consiglio degli Anziani nel 1405 e nel 1407 (quest’ultima volta in qualità di Priore). Cfr. A.S.G., Archivio segreto, Diversorum registri, 6/501, c. 141 v.\ L. Della Cella Famiglie di Genova antiche e moderne, manoscritto della Biblioteca Universitaria di Genova, C IX 19-21, 1782, II, p. 167; E. Jarry, Les origines cit., p. 572. 37 E’ indicativo il fatto che in corrispondenza di questo episodio i Veneziani avessero impartito nuove disposizioni per la salvaguardia del loro traffico marittimo e per prepararsi ad un eventuale nuovo conflitto, manifestando espressamente la loro preoccupazione per le intenzioni del governo genovese (A.S.V., Senato Secreta, I, cc. 130 r. - 131 r. e 132 r., 14 e 16 febbraio 1404, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., IT, p. 45, n. 1147). 38 A.S.G., Atti processuali cit., c. 52 v.; A.S.V., Senato Secreta. I, c. 134 r., 2.3 febbraio 1404. — 275 — al suo governatore, per poter innestare i risentimenti e le ambizioni su nuove basi più attuali e sostenibili, la necessità di accettare un accordo su quelle posizioni che si erano andate delineando nel corso di quattro mesi di trattative e che si concretarono nel trattato di pace stipulato a Venezia il 22 marzo 1404 39, nella cappella di S. Nicolò del Palazzo Ducale, alla presenza dei procuratori40 delle due Repubbliche41. Il testo dell’accordo prevedeva, nelle disposizioni fondamentali, 1 impegno del governo genovese di risarcire i danni patiti dai commercianti veneziani a Famagosta (1402) e a Beyruth (1403) (ad eccezione di una parte che sarebbe spettata al Gran Maestro di Rodi, che pure aveva partecipato a quest’ultima impresa), mentre il governo veneziano avrebbe dovuto restituire le navi genovesi catturate a Modone e liberare i prigionieri, dopo che Genova avesse adempiuto alle clausole precedenti, a condizione, però, che analogo trattamento fosse riservato anche ai mercanti veneziani prigionieri a Montpellier n. Le due Repubbliche si impegnavano, 39 A.S.G., Archivio segreto, Materie politiche, m. 11/2730, doc. 5, ed. in J. Delaville Le Roulx, La France cit., II, pp. 142-156; A.S.F., Riformagioni, Atti pubblici, 22 marzo 1404( il testo di questo trattato si trova depositato pure in tale archivio, perchè copie di esso vennero trasmesse ai principali stati italiani e stranieri); R. Pke-delli cit., IX, n. 276. 40 La Repubblica di Genova era rappresentata dai suoi due ambasciatori Cattaneo Cigala e Domenico Imperiale. La Repubblica di Venezia aveva designato Giovanni Barbarigo, Pietro Emo, Carlo Zeno, Albano Badoer e Ramberto Quirini. A.S.G., Archivio Segreto, Materie politiche, m. 11/2730, doc. 4, 18 marzo 1404, reg. in P. Lisciandrelli cit., p. 138, n. 723. 41 Pochi giorni prima era giunto a Venezia un ambasciatore del re di Francia, Heblin de Longavesnes, per chiedere la liberazione dei prigionieri francesi, con la pretesa di ottenere una risposta entro tre giorni. Il Senato, pur sorpreso e preoccupato per il carattere perentorio di tale richiesta, rispose che entro un periodo di tempo così limitato era impossibile riunire il Consiglio della Repubblica e deliberare su tale richiesta (A.S.V., Senato Secreta, I, c. 136 v., 8 marzo 1404, ed. in L. de Mas Latrie, Commerce cit., pp. 182-183; Livre des faicts cit., II, cap. XXIX). Non ci è stato possibile stabilire se, in seguito, dopo aver avuto il tempo sufficiente per discutere il problema e prendere le relative decisioni, il Senato veneto abbia fatto pervenire una risposta a Carlo VI. 42 Si trattava di un gruppo di commercianti veneziani che erano stati arrestati a Montpellier, alla fine dell’anno precedente, dal duca di Berry, in segno di rappresaglia per la cattura, avvenuta a Modone, di numerosi cavalieri francesi, da parte della flotta veneziana (A.S.V., Senato Secreta, I, cc. 125 r. - 126 r., 29 e 31 dicembre 1403). — 276 — infine, a risarcirsi i danni inferti vicendevolmente dalle reciproche rappresaglie avvenute fino alla pubblicazione del trattato. Apparentemente, quindi, sembrava che i problemi più delicati fossero risolti e che, di conseguenza, potesse aprirsi una nuova fase nei rapporti fra le due Repubbliche; in realtà non mancavano nelle clausole sopra elencate lati deboli e punti oscuri. L’articolo riguardante la restituzione dei prigionieri era, ad esempio, vincolato a tutta una serie di premesse che non ne garantivano affatto una sicura ed immediata attuazione e poteva perciò offrire facilmente, come in effetti accadrà, il pretesto per una sua interpretazione palesemente unilaterale e permettere, a chi ne avesse l’intenzione e l’interesse, di riaprire ancora una volta un nuovo periodo di ostilità. Anche il riferimento a terze persone, quali il Gran Maestro di Rodi, il duca di Berry, il re di Francia, sulle cui reali intenzioni e precisa volontà non era possibile fare pieno e completo affidamento, costituivano altrettanti elementi pericolosi di incertezza, nonché ulteriori occasioni per comode giustificazioni dietro le quali poter celare la realtà di una linea politica volutamente non rispettosa degli accordi e degli impegni presi. — 277 - IV LA PACE DI GENOVA (28 giugno 1406) Venezia, che nel corso delle precedenti trattative aveva sempre sostenuto un ruolo dinamico e si era adoperata in tutte le maniere per giungere ad un accordo, anche dopo la ratifica del trattato di pace si dimostrò la più sollecita a mantenere gli impegni presi e ad eseguirne puntualmente le clausole. D’altronde tale atteggiamento rispondeva a precise esigenze, determinate e richieste dalla nuova linea politica che la Repubblica Veneta aveva maturato nel corso degli ultimi anni del XIV secolo: lo scopo principale del governo veneziano non era più quello di ribadire o consolidare la propria supremazia nei confronti della rivale ligure, poiché gli interessi delle due Repubbliche non si ponevano, più, almeno dal punto di vista della nuova prospettiva politica veneziana, nell’ambito di quella perfetta coincidenza di obiettivi che era sempre stata la causa inevitabile della loro rivalità. Le nuove esigenze, connesse con una politica di espansione nella terraferma, che aveva avuto praticamente inizio in quegli anni (la guerra coi Carraresi ne sarebbe stato il primo momento di un certo rilievo) ', imponevano, invece, di liquidare, nel più breve tempo e con la maggiore chiarezza possibili, i motivi di tensione e di contrasto con Genova, i quali avrebbero rappresentato un impegno pericoloso e controproducente in coincidenza con obiettivi più urgenti. Ed i provvedimenti presi dal Senato veneziano nel corso dei due mesi successivi all’accordo del 22 marzo testimoniano la volontà di perseguire con coerenza e decisione questi 1 Cfr. G. e B. Gatari cit., pp. 513-575; I. Raulich, La caduta dei Carraresi, Padova, 1894. — 278 — risultati, in maniera tale, anche, da screditare le manovre del Boucicault e dimostrare così i veri motivi del suo atteggiamento. Infatti, oltre ad inviare subito a Genova un ambasciatore, Roberto Morosini 2, per facilitare l’attuazione degli impegni presi da entrambe le parti e comporre le difficoltà che in questa fase pratica sarebbero potute sorgere, prima che le situazioni contrastate, radicalizzandosi, divenissero di nuovo difficilmente risolvibili, Venezia informò con pari sollecitudine i suoi agenti, in particolar modo quelli del Levante e del Mediterraneo Orientale, del buon esito delle negoziazioni, e sospese, nello stesso tempo, le misure di sicurezza impartite in precedenza3. Sempre in riferimento all’esigenza di procedere nel minore tempo possibile alla completa attuazione delle clausole previste dal recente trattato, Venezia inviò, all’inizio di aprile, alcuni ambasciatori a Filiberto di Naillac, Gran Maestro dell’Ordine di Rodi, e al re di Cipro, per deplorare l’aiuto che costoro avevano fornito al Boucicault nel 1403, soprattutto in occasione del saccheggio di Beyruth, ed esigere, quindi, un’adeguata riparazione dei danni subiti dai mercanti veneziani. Mentre Filiberto di Naillac rispose affermando che egli non aveva inteso commettere alcun atto di ostilità nei riguardi di Venezia, rifiutando, pertanto, ogni risarcimento, Giano II riconobbe la sua parte di responsabilità e promise di 2 A.S.V., Senato Secreta, I, c. 138 p., 23 marzo 1404. Morosini Roberto venne inviato nel settembre del 1403, in qualità di ambasciatore, presso il marchese d’Este. Fu consigliere ducale nel 1407 e sindaco e provveditore Veneto in Albania nel 1408 (Ibidem, Senato Secreta, I, c. 105 r.; R. Predelli cit., X, nn. 58 e 75). 3 Proprio nella stessa giornata del 22 marzo viene rilasciato il permesso, prima negato, ad una nave, carica di biscotto, di proprietà di Andrea di Nicola, di partire alla volta di Modone (A.S.V., Senato Misti, XLVI, c. 129 r.). Il 24 marzo Giovanni Cornaro, Mosè e Marco Micheli sono inviati in Romania, in Armenia e a Cipro per notificare in quei territorii l’accordo fra Genova e Venezia (Ibidem, Senato Secreta, I c. 139 r., ed. in G. M. Sathaz cit., I, n. 9). Il 26 marzo il Senato veneto ordina ai rettori di Durazzo, Modone, Corfù, Negroponte e Corone, di ridurre gli armamenti straordinarii che aveva loro richiesto dopo il febbraio 1403 (Ibidem, Senato Misti, XLVI, c. 128 r„ ed G. M. Sathaz cit., II, n. 120). Il 22 maggio, infine, la Repubblica impone allo Zeno di disarmare le galee che erano state armate in misura superiore all’effettivo normale delle sue forze navali di stanza nell’Adriatico (Ibidem, Senato Misti, XLVI, c. 140 v., reg. in F. Thiriet, Régestes cit., II, p. 46, n. 1156). — 279 — versare un indennità ai mercanti veneziani danneggiati a Beyruth, accordandosi sulla cifra di 3.000 ducati4. Un ulteriore e quanto mai significativa riprova della volontà, che abbiamo rilevato e motivato, da parte di Venezia di eliminare ogni ostacolo al raggiungimento di normali rapporti con la Repubblica Genovese, ci viene offerta anche dal suo comportamento a proposito della delicata que-.stione del rilascio dei prigionieri, anche se, in questo caso, la fretta e la comprensione dimostrate dal governo veneto denunciano un grave errore di calcolo politico e si riveleranno, come avremo occasione di sottolineare, controproducenti, favorendo, per l’appunto, i piani del Boucicault. Bisogna però tener presente anche che su questo problema, e sul modo con cui la Repubblica Veneta ritenne opportuno affrontarlo e risolverlo, giocò un ruolo determinante un’altra serie di esigenze, quali, soprattutto, la necessità di non alterare e compromettere i rapporti col re di Francia 5, come pure la convinzione che agendo in questa maniera sarebbe stato possibile alla Repubblica ottenere il rilascio di quei suoi mercanti che si trovavano a Montpellier, prigionieri del duca di Berry. Già il 24 marzo 6, su richiesta del Cigala, venne rilasciato il signore di Châteaumorand, dietro un versamento cauzionale e il giuramento 7 di tornare a Venezia per costituirsi, nel caso che il Comune ed il governatore di Genova non avessero, in seguito, tenuto fede alle promesse fatte. Ma, dopo ripetute insistenze da parte dell’ambasciatore genovese, Venezia, 4 A.S.V., Senato Misti, XLVI, cc. 126 v„ 148 v. -149 r„ 157 v. -158 r., deliberazioni del 4 aprile, 29 agosto, 16 e 18 settembre 1404 (cfr. F. Thiriet, Régestes cit., II, p. 49; n. 1168). Successive disposizioni prese dal Senato veneto dimostrano che il problema, nei confionti di Fliberto di Naillac, era, a qualche anno di distanza, tutt’altro che pacificamente composto (A.S.V., Senato Misti, XLVIII, c. 20 r., 3 luglio 1408, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., II, p. 78, n. 1310). Su questo problema cfr. G. M. Sathaz cit., II, nn. 121 e 208; J. Delaville Le Roulx, La France cit., I, pp. 475-477; N. Jorga, Notes et extraits cit., I, pp. 142-143; f. Delaville Le Roulx, Les Hospitaliers cit., pp. 300-301; M. de Bouard cit., pp. 274-275. 5 Basta ricordare il tenore dell’ambasceria di Héblin de Longasvenes (v. cap. Ili, nota 41) e le esigenze che essa poneva al governo veneto. 6 A.S.V., Senato Secreta, I, c. 139 f. ; Ibidem, Senato Misti, XLVI, c. 128 r. 7 R. Pkedelli cit., IX, n. 278, 26 marzo 1404. — 280 — avendo prima fissato precise garanzie8 a tutela dei suoi interessi, accondiscese anche al rilascio degli altri prigionieri francesi, che avvenne attorno alla metà di maggio 9, mentre un’analoga disposizione rimise in libertà condizionata una gran parte dei prigionieri genovesi ,0. E, se in un primo tempo il Senato si limitò a lasciare liberi i prigionieri, coll'obbligo, però, che non uscissero dalla città, cedendo alle pressioni dellTmperiale, permise anche che si allontanassero da Venezia": da quel momento, tuttavia, come sarebbe stato logico prevedere, il Boucicault riprese nuovamente la sua azione di rottura e di disturbo, tesa a provocare continui incidenti. Anche il Comune di Genova, la settimana successiva all’accordo di Venezia, aveva annunciato a tutti i rettori, ufficiali, cittadini e sudditi genovesi il testo del trattato, intimando a coloro che ne fossero venuti a conoscenza di conformarsi a quelle deliberazioni e cessare di danneggiare sotto qualsiasi forma i Veneziani, che avrebbero dovuto essere trattati in modo amichevoleu. Contemporaneamente erano iniziate le trattative col Morosini per stabilire con precisione la natura dei danni subiti da entrambe le repubbliche e provvedere alla loro liquidazione. Ma bastò che i prigionieri fossero tornati a Genova perchè il Boucicault rivelasse le sue vere intenzioni che solo motivi di contingente necessità lo avevano costretto a mascherare, impedendogli di spingere i rapporti veneto-genovesi nell’unica direzione che avrebbe potuto permet- 8 La condizione principale posta da Venezia fu che questi prigionieri trovassero dei mallevadori. Essi li trovarono fra gli stessi cittadini veneziani: Francesco Foscarini e Francesco Martini garantirono, ad esempio, per diecimila ducati, in favore di Luigi Culant (ammiraglio di Francia durante il regno di Carlo VII, dopo Roberto di Braquemont, verso il 1422: L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 145, nota 6), Giovanni Evraux e di altri nobili francesi, mentre degli altri cittadini garantirono per 14.000 ducati, poi ridotti a 10.000, per i tre capitani genovesi Cassano Doria, Pietro e Cosma Grimaldi, nonché per i loro compagni Leonardo Sauli, Giovanni Lazzarini e Giacomo Gambarano. Vi fu, infine, chi si rese garante anche per i minori ufficiali, per i soldati semplici, per i valletti e pure per i servi (A.S.V., Senato Misti, XLVI, c. 128 v.\ R. Predelli cit., IX, nn. 279, 280 e 283). 9 A.S.V., Senato Misti, XLVI, c. 140 r., 16 maggio 1404. 10 A.S.V., Senato Misti, XLVI, cc. 132 r. e 135 v. 11 A.S.V., Senato Secreta, II, c. 9 v., 24 maggio 1404; R- Predelli cit., IX, n. 292. 12 R. Predelli cit., IX, n. 282, 31 marzo 1404. — 281 — tergli di ottenere una personale rivincita su quello che lui continuava a considerare un grave affronto ed un avvilente insuccesso. E sufficiente considerare il tono ed il senso delle lettere di sfida 13 che, non nella sua qualità di governatore di Genova, ma a titolo puramente personale, firmandole, per l’appunto, con il nome di Jean Le Main-gre, il maresciallo inviò il 6 giugno allo Zeno e al doge di Venezia, Michele Steno I4, per comprendere la psicologia di questo personaggio e rendersi conto del suo modo di considerare e valutare gli avvenimenti da cui deriva un atteggiamento pratico e operativo che può talvolta sorprendere e sconcertare se non si tengono presenti le diverse componenti del suo carattere, frutto di un’educazione e di un’esperienza umana piuttosto singolariI5. Egli iniziava affermando, innanzitutto, che avrebbe già risposto alle menzogne contenute nella lettera inviata dal doge di Venezia a Carlo VI, 13 G Stella cit., coll. 1203-1204; Livre des faicts cit., II, cap. XXXI, ed. in T. Delaville Le Roulx, La Trance cit., II, pp. 157-166, sulla scorta del manoscritto francese 11432 della Biblioteca Nazionale di Parigi; O. Foglietta cit., c. 185 r. e v. ; T Godefroy cit., pp. 251-266. Un accenno a queste lettere è contenuto anche in A.S.G., Atti processuali cit., c. 62 r. e v. 14 Nato attorno al 1331 fu il 63° doge di Venezia, eletto il 7 gennaio 1400, quale successore di Antonio Venier. Morì il 26 dicembre 1413 (M. Sanudo cit., coll. 784- 885; A. E. Cicogna cit., VI, pp. 67 e sgg.). 15 Crediamo che la parte della sua sfida riservata a precisarne i termini sia pienamente indicativa di un particolare aspetto della sua personalità che molti studiosi hanno spesso, a torto, trascurato o considerato solo marginalmente, applicando, di conseguenza, arbitrarii e parziali schemi di giudizio. Cfr. G. Stella cit., col. 1204: ... iit autem super premissis falsitatem vestram more strenuo notam faciam, que supradico, probaturum me offero per mee persone; et utriuslibet vestrum duellum, confidens divina ustitia, Gloriosaque Dei Genitrice, et Duce meo Beato Georgio. Offero me quoque quintum bellaturum cum altero vestrum sexto; vel me decimum cum utrolibet vestrum duodecimo...; ita tamen quod armigeri vestri sint omnes 1 eneti, meeque partis Galli et lanuenses... Verum quia mari potius, quam terra estis preliari sueti, offero me cum una Galea armata cum aiterà vestrum dimicaturum in alia armata Galea-, hoc tamen ordine, quod Galea vestra solum armata sit Venetis, et mea Francis et Ianuensibus... Non a caso lo storico olandese J. Huizinga, L’Autunno del Medio Evo, trad. it. di B. Jasink, Firenze, 1966, p. 82, lo definisce « uno dei più puri campioni del tardo ideale cavalleresco » e, nel capitolo quarto, intitolato « L’idea di cavalleria » (pp. 85-98), lo usa come uno dei punti di riferimento e di esemplificazione più significativi a tale riguardo. — 282 — re di Francia 16, se non avesse finora temuto di poter compromettere in questa maniera la sorte dei prigionieri francesi e genovesi n. Confutava poi le accuse che gli erano state mosse in quella circostanza, sostenendo di non aver mai voluto nuocere deliberatamente alla Repubblica Veneta, perchè ben diverso era lo scopo della sua spedizione !8: molte occasioni gli si erano presentate per danneggiare i Veneziani, delle quali avrebbe potuto approfittare se queste fossero state le sue intenzioni, mentre non lo fece neppure dopo che potè constatare, in più occasioni, il loro comportamento scorretto e sleale (essi informavano sempre i suoi nemici delle sue intenzioni) 19. Smentiva inoltre, come avevamo già visto, il fatto che alcuni mercanti veneziani gli avessero chiesto, a Beyruth, la restituzione delle merci loro sottratte, sostenendo che in tal caso le avrebbe immediatamente restituite. Concludeva rigettando sullo Zeno tutta la responsabilità dello scontro di Modone, dal quale affermava, per confutare la relazione fatta a suo tempo dalPammiraglio veneziano, di essere uscito vittorioso, nonostante l’inferiorità numerica della sua flotta20. Possiamo notare, quindi, come nella stessa persona coesistano l’accorto e diplomatico uomo di governo, capace di prospettare nel senso a lui favorevole le motivazioni della sua condotta e rigettare, spesso anche con notevole abilità e calcolato opportunismo, le accuse rivoltegli, accanto a quello che già in precedenza avevamo definito il « cavaliere crociato », legato ancora ai vecchi schemi dell’orgoglio e delle virtù guerresche, che gli fanno lanciare assurde ed anacronistiche sfide e lo sollecitano ed impegnano, su questo piano, in una politica di mera rivalsa personale. Naturalmente tali lettere rimasero senza risposta: il doge e lo Zeno 16 V. cap. Ili, note 11 e 12. 17 Troviamo confermato, quindi, nelle parole dello stesso Boucicault il principale motivo che impedì al governatore di Genova di assumere un atteggiamento palesemente ostile ed intransigente nel corso delle precedenti trattative. 18 G. Stella cit., col. 1203: .. .adeunte Barutum, ut partibus illis Crucis hostes offenderem. 19 A.S.G., Testes et atestationes cit., passim; Ibidem, Atti processuali cit., c. 51 r. 20 G. Stella cit., col. 1204: ... quia vos Carolus cum Galeis vestris multo studio vos separastis a nobis, nobisque firmis manentibus, quosque vestri exercitus visum perdimus, vos retraxistis Motonum-. quod perpetuo vobis est ad imbecillitatem et dedecus adscribendum. — 283 — dovettero trovarle senz’altro singolari e sconcertanti, per cui, o per prudenza, considerando le conseguenze cui l’accettare un tale tipo di polemica avrebbe potuto condurre, o per disprezzo, non attribuendo loro nessuna importanza, preferirono ignorarle. Questo silenzio dovette equivalere per il Boucicault ad una conferma indiretta della validità del suo atteggiamento e convincerlo ulteriormente che solo mantenendo una posizione intransigente e contraria a qualsiasi compromesso avrebbe potuto ottenere gli scopi che si era prefìsso. Oltre ad ostacolare in maniera evidente il proseguimento delle trattative già in corso per la liquidazione dei danni e a rifiutarsi di ricevere l’ambasciatore veneziano 21, egli dichiarò pubblicamente di non riconoscere l’accordo raggiunto fra le due Repubbliche e respinse l’invito a ratificarlo, rivendicando, a titolo personale, la completa estraneità agli impegni previsti da quel trattato 22. Questa singolare posizione, che il maresciallo non mancherà mai di sottolineare e ribadire in futuro in ripetute occasioni, e contro la quale Venezia reclamerà per lungo tempo, gli permetterà di agire in numerose circostanze secondo una politica apertamente lesiva degli interessi veneziani, anche con la complicità e l’appoggio del governo genovese, pur in apparenza ed ufficialmente estraneo alle decisioni più compromettenti ed agli episodi più delicati, che comportavano una responsabilità politica non indifferente. Confermano la validità di questa nostra affermazione la constatazione del duplice e solo apparentemente contradditorio atteggiamento nel modo di valutare l’operato del Boucicault da parte del governo genovese, quale appare particolarmente da un’attenta analisi delle testimonianze prodotte nel 1408 alla presenza di Amedeo Vili, che abbracciano un arco di tempo e di vicende abbastanza lungo ed articolato e sono proprio per questo quanto mai indicative e probanti23. Un approfondimento di questo genere, esteso a più momenti e a diversi tempi, permette, infatti, di porre in evidenza, nelle prese di posizione ufficiali del governo genovese, un alternarsi di giudizi negativi e positivi sull’operato del maresciallo. Queste divergenze, 21 A.S.G., Atti processuali cit., c. 62 v. 22 A.S.G., Atti processuali cit., cc. 59 r. - 62 r. 23 A.S.G., Atti processuali cit., cc. 50 f. -10 v., seduta del 30 giugno 1408. — 284 — però, non rispecchiano un reale contrasto di natura politica, ma si inquadrano in una prospettiva di evidente interesse e vantaggio reciproco sia per il governatore di Genova che per la Repubblica stessa, prospettiva determinata di volta in volta in relazione alle circostanze che potevano suggerire una posizione piuttosto che un’altra. Tutto ciò sarà la causa principale del continuo imbarazzo in cui verrà a trovarsi in numerose circostanze il governo veneto, impossibilitato ad esigere con decisione il rispetto delle clausole fissate negli accordi diplomatici, da parte di un interlocutore che poteva, invece, in base a questo equivoco, sottrarsi senza rischio alle proprie responsabilità e venir meno, impunemente, ai propri impegni. Fino a quando, infatti, la situazione rimarrà, dal punto di vista strettamente giuridico e formale, in questi termini, sarà molto facile per la Repubblica di Genova rigettare le responsabilità più gravi ed impegnative sul suo governatore, ponendo così in una scomoda posizione il governo veneziano che non avrebbe potuto usare e mantenere lo stesso tono di accusa nei confronti di un rappresentante ufficiale del re di Francia, senza correre il grave rischio di veder compromesse le relazioni amichevoli con quella nazione. Tanto è vero che sarà possibile alla Repubblica Veneta mutare in parte il proprio atteggiamento e renderlo più incisivo e concreto solo nel periodo in cui, come vedremo, le potrà permettere una maggiore libertà d’azione il prevalere, in seno alla corte francese, di una fazione preoccupata delle conseguenze negative che, in una prospettiva di allargamento dell’influenza francese in Italia, sarebbero potute derivare dalla politica personalistica ed imprevedibile del Boucicault, considerata come pericoloso elemento di rottura e disordine nel delicato equilibrio dell’Italia centro-settentrionale. Tuttavia, pur potendo contare sull’appoggio degli uomini politici genovesi più influenti, che si trovavano legati a lui da motivi di riconoscenza o di interesse, e dei quali fin dai primi anni del suo governo si era opportunamente circondato, il Boucicault si rendeva conto che una nuova guerra con Venezia non avrebbe trovato senz’altro il consenso della stragrande maggioranza della popolazione genovese, che aveva dato, a questo proposito, chiari segni di malumore ed insofferenza. Gli sarebbe pure mancato, in questo caso, l’appoggio finanziario di quei ceti mercantili e commercianti che reputavano inutile un’iniziativa dalla quale, date le premesse e le circostanze, non avrebbero potuto trarre alcun vantaggio e che non rispondeva neppure a concrete esigenze di tutela di particolari interessi minacciati o messi in pericolo. Una guerra del genere, inoltre, dichia- — 285 - 19 rata senza un plausibile pretesto, ben difficilmente avrebbe trovato schierati a fianco di Genova degli alleati disposti ad avallarne, col loro appoggio, la legittimità, mentre avrebbe fatto ricadere sul governo genovese l’intera responsabilità politica e morale delle sue conseguenze. L’insieme di queste esigenze, dalle quali era impossibile prescindere, spinse il governatore ad optare per quella tattica di disturbo che più sembrava adatta a soddisfarle, cercando così di individuare e sfruttare tutte quelle occasioni e quei mezzi che gli permettessero di danneggiare i Veneziani, senza rompere, però, ufficialmente la pace, e di alimentare, in questa maniera, un’atmosfera di tensione, minacciando continuamente la sicurezza dei traffici e dei commerci veneziani. Egli ordinò, pertanto, ad un privato cittadino genovese, Nicolò da Moneglia, di partire con la sua nave alla volta dell’Adriatico per catturare i bastimenti veneziani ed arrecare il maggior danno possibile alla Repubblica di Venezia, minacciandolo di morte nel caso in cui si fosse rifiutato, e munendolo di un salvacondotto affinchè nessuno potesse accusarlo di pirateria24. Inoltre fece arrestare ed imprigionare i mercanti veneziani Pietro Valle, Giacomo Sappa e Catarino Rosa, che si trovavano, rispettivamente, i primi due a Portovenere e l’altro ad Albenga, e che furono condotti, dopo il sequestro dei loro beni, nel carcere di Lerici ed in quello di Ventimiglia 25. Ma questi episodi, pur nel loro valore indicativo, non rappresentano che uno degli aspetti, in un certo senso più clamorosi ed appariscenti data l’impressione che sollevarono e la reazione che suscitarono, ma senz’altro meno interessanti, di un disegno politico ben più complesso e significativo. Esso fu perseguito con tenacia ed ostinazione dal Boucicault e i suoi elementi di continuità, che affiorano e si rivelano anche nelle 24 A.S.G., Archivio segreto, Materie politiche, m. 11/2730, 30 agosto 1404. ... committimus et mandamus quatenus omnino vadatis cum dicta navi continuo ad partes gulfi Venetiarum et quoscumque Venetos poteritis offendatis eorumque personas et bona pro viribus capiatis et procedatis ad ipsorum Venetorum quascumque vobis possibiles lesiones et damna, sicut nostre mentis esse satis et plenius vobis verbo commisimus, sub pena haberis et persone; Ibidem, Atti processuali cit., c. 8 v.; A.S.V., Senato Secreta, II, c. 64 r.; G. Stella cit., col. 1207. Per le principali rappresaglie attuate da Nicolò da Moneglia rimandiamo alla nota 81 di questo capitolo. 25 A.S.G., Atti processuali cit., cc. 36 r. e sgg. e 99 r. — 286 — più disparate circostanze, si possono riprendere e dedurre da un attento confronto fra le esigenze della politica francese in Italia, della quale il governatore di Genova rappresentava, tuttavia, un’interpretazione per molti lati personale, e la delicata situazione diplomatica delle forze politiche italiane in reciproco contrasto, soprattutto in un periodo critico e ricco di fermenti come questo: la morte di Gian Galeazzo Visconti (1402) ed i problemi connessi alla sua successione, indebolendo e frazionando lo stato visconteo, avevano risvegliato ed alimentato in diverse direzioni concrete prospettive di espansione territoriale, compromettendo, in tal modo, un tradizionale equilibrio di forze26. Questa realtà politica così incerta e confusa, aperta a molteplici possibilità di soluzione, poteva fornire al Boucicault ulteriori pretesti ed occasioni da sfruttare a proprio vantaggio e a danno degli interessi veneziani, come poteva suggerire a chi mirava aH’indebolimento della potenza veneziana l’opportunità di individuare un prezioso sostegno ed un valido punto di riferimento nelle aspirazioni del maresciallo. In tale ambito particolare ci interessa, quindi, chiarire soprattutto 1 importanza che sul problema veneto-genovese potè esercitare lo sviluppo dei rapporti fra le Repubbliche di Genova e Firenze, in relazione al tentativo di quest'ultima di assicurarsi uno sbocco sul Tirreno 27, nonché gli 26 Cfr. N. Valeri, L’eredità di Giangaleazzo Visconti, Torino, 1938; F. Cogna sso, Il ducalo Visconteo da Gian Galeazzo a Filippo Maria, in Storia di Milano, a cura della fondazione Treccani degli Alfieri, Milano, 1955, vol. VI, pp. 68 e sgg. 27 Su questo problema cfr. in particolare i seguenti contributi, ai quali rimandiamo fin d’ora per quelle indicazioni di carattere generale di cui faremo uso nelle pagine successive: G. Capponi, Monumenta historica de rebus Florentinorum, in L. A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, XVIII, col. 1127-1147; M. Palmieri, De captivitate Pisarum liber, a cura di G. Scaramella, in Rerum Italicarum Scriptores, n. ed., Città di Castello, 1904, vol. XIX, parte II, pp. 7 e sgg.; Cronica volgare di anonimo Fiorentino dall’anno 1385 al 1409 già attribuita a Piero di Giovanni Miner-betti, a cura di E. Bellondi, in Rerum Italicarum Scriptores, n. ed., Città di Castello, 1915-1917, vol. XXVII, parte II, pp. 331-333; S. Ammirato cit., pp. 911-915; G. Ser-CAMBi, Croniche, a cura di S. Bongi, Lucca, 1892, in Istituto storico italiano. Fonti per la storia d’Italia, voli. 19-21, III, pp. 76-112; F. T. Perrens, Histoire de Florence depuis ses origines jusqu’à la domination des Médicis, Parigi, 1877-1884, vol. VI, pp. 123-168; G. O. Corazzini, L’assedio di Pisa (1405-1406), Firenze, 1885; Ch. de la Roncière, La domination française à Pise (1404-1406), in Mélanges d’archéologie et d’histoire, XV, 1895, pp. 231-244; P. Vigo, Le Repubbliche di Genova e di Firenze per il possesso di Livorno, Livorno, 1915; R. Piattoli, Genova e — 287 — eventuali legami ed interferenze esistenti tra questa problematica politica e quella aperta dal contemporaneo conflitto veneto-carrarese 2S. Il governo fiorentino mirava particolarmente alla conquista di Pisa e la situazione pareva matura in tal senso all’inizio del 1404, quando esso ordinò ai commissarii del suo esercito di marciare sulla città (15 gennaio 1404). In questa circostanza fu proprio la preoccupazione del Boucicault pet le ripercussioni che sull’economia ed i traffici genovesi avrebbe prodotto questo allargamento territoriale di Firenze, unita al timore di Gabriele Maria Visconti, allora signore della città, a promuovere una soluzione chiaramente favorevole a Genova: il 15 aprile 1404 il Visconti cedette Livorno al re di Francia, prestando allo stesso giuramento di fedeltà per Pisa, mentre il Boucicault comunicò, pressoché contemporaneamente, ai Fiorentini che qualsiasi offesa al signore di Pisa sarebbe stata in futuro considerata come rivolta alla corona francese. Il successivo atteggiamento 2g del governatore di Genova dimostrò la volontà di perseguire con intransigenza tale obiettivo, imponendo alla Repubblica Fiorentina la necessità di individuare e volgere a proprio vantaggio quelle possibili alternative che la situazione politica del tempo avrebbe potuto favorire. E la coincidenza di diversi fattori, dei quali, come vedremo, la diplomazia fiorentina saprà utilmente approfittare con tempestività, spostando gli interessi del Boucicault in altra direzione, dimostrerà la validità di una Firenze al tramonto della libertà di Pisa, in Giornale storico e letterario della Liguria, n. s., VI, 1930, pp. 214 e sgg.; Idem, Il problema portuale di Firenze dall’ultima lotta con Gian Galeazzo Visconti alle prime trattative per l’acquisto di Pisa (1402-1405), in Rivista storica degli archivi toscani, II, 1930, PP- 161-170, M. de Bouard cit., pp. 314-320. 28 La Repubblica di Venezia, preoccupata delle dimensioni e della consistenza che stava acquistando in quegli anni il dominio carrarese (i possessi territoriali di Francesco Novello si erano estesi ormai fino a Verona, di cui si era fatto proclamare signore il 22 maggio 1404, a Vicenza e al Friuli) aveva dichiarato guerra alla Signoria di Padova il 23 giugno 1404. La resistenza fierissima opposta alle forze veneziane sia da parte di Verona che di Padova protrasse questo conflitto fino al 17 novembre 1405, quando Francesco Novello si consegnò al vincitore assieme al figlio (cfr. I. Raulich cit.). 29 Come risposta alle minacciose intenzioni dei mercanti fiorentini di interrompere i loro rapporti commerciali con Genova il Boucicault fece sequestrare una nave fiorentina carica di lana e di altre merci per un valore complessivo di 200.000 fiorini d’oro e proibì, nello stesso tempo, alle navi genovesi di far scalo nel porto di Talamone: cfr F. T. Perrens cit., VI, p. 131. — 288 — simile posizione e l’opportunità di quei tentativi, che pure, in un primo tempo, si erano risolti in un nulla di fatto. Effettivamente il Comune di Firenze si era mosso subito in questa direzione, mettendosi in rapporto col Boucicault e col governo genovese per indurli ad attaccare Venezia per mare, mentre la Repubblica Fiorentina, unita a Francesco da Carrara, l’avrebbe attaccata per terra, promettendo, in cambio dell’aiuto, un indennizzo, fissato, in un primo tempo, sulla base di 12.000 fiorini al mese, portato poi, per vincere le incertezze di Genova, alla somma di 20.000 3n. Che il Boucicault intendesse in questo periodo, come abbiamo appena visto, attuare una politica di contenimento delle mire espansionistiche del governo fiorentino, al punto di rifiutare un aiuto di tal genere per un problema che pure rappresentava, e rappresenterà ancora negli anni successivi, uno dei suoi obiettivi fondamentali e tenacemente perseguiti, è dimostrato chiaramente dal senso e dallo scopo di un’ambasceria genovese alla corte di Padova31, dove, nella seconda metà di luglio, in coincidenza, quindi, col rifiuto opposto alla proposta fiorentina nella stessa direzione, Antonio Fieschi venne inviato per sollecitare e concludere un accordo con la signoria carrarese, allora in lotta con la Repubblica Veneta per difendere il suo territorio dal tentativo di annessione della Serenissima. Il Fieschi, tuttavia, ottenne solamente l’autorizzazione a porre lo stendardo del signore di Padova sulla nave di Nicolò da Mone- 30 Nonostante le notizie rassicuranti che le giunsero da Genova a questo proposito la Repubblica di Venezia, rendendosi conto della pericolosità della sua posizione qualora una iniziativa del genere si fosse concretata, decise con estrema sollecitudine di inviare immediatamente un suo ambasciatore, Giovanni Zorzi, a Firenze, per conoscere le intenzioni di quel Comune, e, nel caso in cui le informazioni che erano trapelate corrispondessero alla verità, tentare di dissuadere i Fiorentini dall’attuare il loro piano, che costituiva una minaccia molto grave ed assai consistente alla sua sicurezza (A.S.V., Senato Secreta, II, cc. 27 r. e 31 v., 8 e 15 luglio 1404). La paura e le supposizioni del governo veneto potevano, d’altronde, trovare giustificazione e fondamento anche nell’ambasceria del genovese Antonio Fieschi presso i signori di Padova (v. nota successiva). 31 A.S.G., Archivio segreto, Diversorum registri, 6/501, c. 104 v., 14 luglio 1404; A.S.V., Senato Secreta, II, c. 27 v.; R. Predelli cit., IX, n. 295, 15 luglio 1404. Su taluni aspetti dei rapporti intercorsi anche negli anni precedenti fra il governo genovese e francese Novello cfr. E. Pastorello cit., pp. 25, 213 e 335. — 289 — glia 32. Poiché sulle trattative intercorse fra l’ambasciatore di Genova ed il signore di Padova non esistono, o non siamo riusciti a rintracciarle, testimonianze che ci possano indicare su quale base ed intorno a quali reciproche proposte esse si svolsero, rimane pressoché impossibile spiegarsi perchè, nonostante le circostanze in cui avvenne l’incontro e gli interessi politici di entrambe le parti chiaramente orientati in direzione di un alleanza antiveneziana, non venne raggiunto nessun risultato concreto a tale riguardo. Un’ipotesi da prendere in considerazione, anche se non verificabile, soprattutto in riferimento alla posizione assunta da Francesco Novello, è quella di un possibile nesso esistente fra questa iniziativa genovese e la precedente proposta del Comune di Firenze, senza dubbio favorevole e positiva per la signoria padovana, e che il governo ligure aveva, invece, rigettato per i motivi suesposti33. A questo punto, se non si vuole formulare l’ipotesi che il governo genovese dovette avvertire l’esigenza di giustificare, soprattutto dopo i suoi risultati pressoché negativi, tale missione esplorativa, e dare ad essa un’apparenza ben diversa dalle sue primitive intenzioni, si comprende difficilmente il significato dell’ordine, che il Fieschi ricevette dal suo governo, di proporre la mediazione della Repubblica di Genova nella controversia fra Venezia e Padova. Questa iniziativa spontanea ed improvvisa del governo ligure non poteva, però, non suscitare notevoli perplessità in seno alla Repubblica Veneta, soprattutto in corrispondenza agli avvenimenti precedenti, che avevano notevolmente preoccupato il Senato veneziano; e venne, infatti, accolta con diffidenza e respinta una prima volta, dal Senato veneziano, il 28 32 M. Sanudo cit., col. 813; L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p- l82- 33 Gli avvenimenti successivi dimostrano che, in realtà, fu poi il signore d' Padova a sollecitare ripetutamente l’intervento sia del re d’Ungheria, sia della Repubblica di Genova, come indicano alcuni documenti ritrascritti in A. Gloria, Monumenti della Università di Padova, Padova, 1888, vol. I, p. 55; vol. II. p- 436, e datati rispettivamente 19 gennaio, 5 febbraio e 25 aprile 1405: . . • magnificus et excelsus dominus dominus Franciscus de Cartaria, etc., constituit egregium legum doctorem dominum Bonifacium de Guarnerinis de Padua presentem suum procuratorem ad promittendum solemniter magnifici Communi Ianue, quod ipse magnificus dominus non faceret pacem treguam cum Venetis sine expressa licentia et voluntate communis Ianue predicti et insuper ad petendum mutuo ab ipso communi quascumque pecunie summas usque tamen ad summam viginti millium flore-norum. luglio 34, ed una seconda volta, il 2 settembre, dallo stesso doge35, presso il quale si era recato personalmente il Fieschi a rinnovare l’offerta di mediazione. Ma 1 atteggiamento del Boucicault e del governo genovese nei confronti del Comune di Firenze doveva ben presto mutare in maniera sostanziale 36, interessando anche la problematica dei rapporti veneto-genovesi. Il consolidarsi, all’interno della corte di Carlo VI, della posizione di egemonia del duca d’Orléans, conseguente alla morte del duca di Borgogna, Filippo 1 Ardito (20 aprile 1404), capo della fazione che si opponeva al riconoscimento dell’autorità del papa avignonese, stava per modificare in buona parte i modi d’intervento della politica francese in Italia, facendo convergere in un’unica prospettiva l’esigenza perseguita dall’Orleanese di estendervi e rafforzarvi l’influsso della Francia e quella dell’antipapa Benedetto XIII di modificare a proprio vantaggio la situazione allora esistente, con l’acquisire nuove adesioni alla propria causa. La nuova realtà politica comportava, pertanto, la necessità di modificare la posizione di Genova nei riguardi di Firenze in un momento nel quale avrebbero potuto risultare preziosi ed indispensabili l’amicizia e l’appoggio di tale governo, sia in riferimento alle lotte fra Angioini e Durazzeschi all’interno del regno di Napoli37, sia in rapporto all’importanza ed alla necessità, per Benedetto XIII, di allargare il suo influsso proprio sulle terre confinanti col dominio del papa romano. 34 A.S.V., Senato Secreta, II, c. 35 r. 35 A.S.V., Senato Secreta, II, c. 49 r. 36 Le premesse, a questo riguardo, erano state poste proprio alla fine di quello stesso mese di luglio che aveva visto fallire il tentativo di Firenze di collegarsi con Genova e Padova in una lega antiveneziana: le trattative diplomatiche aperte nel periodo immediatamente successivo con la stessa Genova e col re di Francia avevano portato (25 luglio 1404) alla conclusione di un accordo di tregua della durata di quattro anni (cfr. A.S.F., Capitoli del Comune, XI, cc. 248 v. - 250 r., reg. in C. Guasti cit., II, pp. 143-145, ed. in I. Masetti Bencini, Nuovi documenti sulla guerra e l’acquisto di Pisa, in Archivio Storico Italiano, serie V, vol. XVIII, 1896, pp. 218-224). 37 Cfr. A. Cutolo, Re Ladislao d’Angiò Durazzo, Milano, 1936. I ripetuti tentativi operati da Ladislao di far insorgere la costa tirrenica e di alimentare, dove ciò si fosse rivelato possibile, l’ostilità nei confronti dell’egemonia francese, dovevano preoccupare notevolmente il duca d’Orléans. — 291 — Ciò costrinse, di riflesso, il governo genovese a passare momentaneamente sopra i propri interessi38 e a promuovere ed iniziare quelle trattative39 che avrebbero portato all’accordo concernente la vendita di Pisa a Firenze, firmato a Livorno il 27 agosto 1405 40. L’accordo prevedeva, seppure in una forma alquanto vaga ed indefinita, anche l’impegno, da parte di Firenze, di intervenire a soccorso di Francesco da Carrara, allora in guerra contro Venezia, non appena la Repubblica Fiorentina fosse riuscita ad imporre saldamente il suo potere al territorio recentemente acquisito 41. 38 Lo stesso Boucicault si trovava, in quel periodo, praticamente impossibilitato a sostenere una linea politica autonoma, perchè la sua libertà d azione era fortemente limitata dalia contemporanea presenza a Genova di un commissione d’inchiesta sul suo atteggiamento, inviata dalla corte francese, (v. la nota 73 di questo capitolo) e dell’antipapa Benedetto XIII giunto nella città ligure il 16 maggio 1405. 39 Cfr. Cronica volgare di anonimo fiorentino cit., pp. 331-333; L. Dori--Z e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 206; F. T. Perrens cit., VI, pp. 138-143. 40 In cambio dell’acquisto di Pisa e del territorio appartenente ad essa (ad eccezione di Livorno e di Porto Pisano, che sarebbero passate a Genova, e di Sar-zana, che sarebbe rimasta a Gabriele Maria Visconti) il Comune di Firenze si impegnava a versare 200.000 fiorini, dei quali 80.000 sarebbero spettati al Visconti e 120.000 alla Repubblica di Genova. Cfr. A.S.F., Florentinorum acta et foedera, 6 settembre 1405; Ibidem, Riformagioni, Atti pubblici, 28 agosto 1405, ed. in L Masetti Bencini cit., pp. 228-239; A.S.P. (Archivio di Stato di Pisa), Protocolli in fogli volanti e quaderni, A 29, inserto 18 bis; L. Osio, Documenti diplomatici tratti dagli archivi milanesi, Milano, 1864, vol. I, parte II, pp. 393-397; Annali pisani di Paolo Trono, rifusi, arricchiti di molti fatti e seguitati fino allo anno 1839 da E. Valtancoli Montazio ed altri, seconda edizione, accresciuta delle memorie storiche di Pisa dal 1839 al 1862, scritte da Giovanni Sforza, Pisa, 1868, vol. II, pp. 219-220; G. Sercambi cit., Ili, pp. 98-99. 41 Ma tale possibilità non potè verificarsi, perchè ad appena una settimana di distanza (6 settembre 1405) dall’insediamento dei procuratori fiorentini in Pisa, avvenuto il 31 agosto, la popolazione si ribellò al nuovo dominio, iniziando una lunga ed eroica resistenza, sostenuta per più di un anno, fino al 9 ottobre 1406. Anzi l’eventualità prevista dagli accordi genovesi-fiorentini contribuì, in un certo senso, ad accelerare la conclusione del conflitto veneto-carrarese nella maniera meno gradita al Boucicault ed al suo governo, alimentando le speranze di Francesco Novello, che, venuto a conoscenza di queste trattative (cfr. la lettera del mercante genovese Ardingo Ricci al fondaco datiniano di Valenza, in R. Piattoli, Genova e Firenze cit., p. 221), nonostante la situazione militare piuttosto critica nella quale si trovava, aveva rigettato le proposte di cessione del proprio dominio avanzategli dalla Repubblica Veneta, riprendendo le ostilità. — 292 — E’ evidente che se il Boucicault avesse potuto, come nelle altre circostanze, imporre su questo punto la sua volontà, non si sarebbe accontentato di un impegno così generico e che, come i fatti dimostrarono, aveva, già in partenza, ben poche probabilità di essere soddisfatto con la necessaria urgenza e tempestività: ma le sue prospettive ed il suo modo di porsi e di agire nella realtà politica italiana del tempo non coincidevano sempre, come vedremo anche in seguito, con quelle perseguite allora dal duca d’Orléans, preoccupato soprattutto, per evitare il pericolo di un allargarsi e di un rafforzarsi dell’opposizione antifrancese in Italia, alimentata da Innocenzo VII e dal re di Napoli, di far precipitare lo stato dei rapporti allora esistente fra la Francia ed il governo veneto. * * * Un altro problema particolarmente delicato, quello riguardante la liberazione dei mercanti veneziani prigionieri a Montpellier42, si inseriva, contemporaneamente agli avvenimenti che abbiamo appena esaminato, nel quadro dei rapporti veneto-genovesi, in quanto, nonostante gli impegni assunti a tale riguardo dalla Repubblica di Genova al momento della pace di Venezia, la situazione appariva sempre bloccata e di diffìcile soluzione. L’origine del contrasto risaliva allo scontro di Modone, in conseguenza del quale il duca di Berry, governatore della Linguadoca 43, violando il salvacondotto generale, concesso dal re di Francia ai Veneziani che commerciavano nel suo regno, aveva imprigionato alcuni di loro a Montpellier, con un danno economico, per la Repubblica Veneta, che il Sanudo ed il Morosini44 valutano da 32.000 a 34.000 ducati d’oro veneziani. L’episodio rischiò di assumere un aspetto pericoloso quando, ad un certo punto, la Repubblica di Venezia ritenne di collegare la sorte dei Francesi suoi prigionieri con quella dei propri cittadini incarcerati a Mont- 42 V. cap. Ili, nota 42. 43 Jean, conte di Poitou, duca di Berry, secondo fratello di Carlo V, re di Francia (1364-1380), nato nel 1340, morto nel 1416, fu governatore della Linguadoca dal 1381 fino alla sua morte, con le interruzioni determinate dall’altemarsi delle fazioni allora dominanti in seno alla corte francese (L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 118, nota 2). 44 M Sanudo cit., col. 805; L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p 120. — 293 — pellier. E, seppure successivamente Venezia accondiscese, come abbiamo visto, a liberare i prigionieri francesi e genovesi, non per questo, nonostante le continue ed insistenti sollecitazioni45, riuscì ad ottenere un analogo trattamento per i suoi mercanti prigionieri a Montpellier. Ad un certo punto, allora, la Repubblica Veneta, visto anche che 1 intervento dello Châteumorand, il quale aveva garantito, al momento della scarcerazione, di interessarsi di questo problema, non aveva ottenuto alcun risultato positivo, ritenne opportuno compiere direttamente un ulteriore tentativo presso Carlo VI46. Il 12 agosto 47 il Senato decretò l’invio immediato al re di Francia di un ambasciatore straordinario, precisando che le spese di tale missione diplomatica sarebbero andate tutte a carico dei commercianti imprigionati a Montpellier. Ma dovevano passare alcuni mesi prima che qualcuno partisse. Poiché nessuno voleva assumersi tale incarico 48 il Senato, in una successiva seduta, tenuta il 4 settembre 49, decise di aumentare da 200 a 300 ducati 1 appannaggio mensile dell’ambasciatore, designando Fantino Dandolo . Tuttavia, in conseguenza di alcune gravi notizie provenienti V. la lettera di Ruggero Contarini al fratello Giovanni, in data 4 agosto 1404, ed. G. Dalla Santa, Uomini e fatti dell’ultimo Trecento e del primo Quattrocento, Venezia, 1916, p. 68. Sulle diverse designazioni, che precedettero la definitiva elezione dei due rappresentanti della Repubblica di Venezia, incaricati di adempiere a tale missione, cfr. P. M. Perret, Histoire des relations de la France avec Venise du XIII siècle à l’avènement de Charles VIII, Parigi, 1896, pp. 86-88. 4' A.S.V., Senato Secreta, II, c. 42 v., ed. L. de Mas Latrie, Commerce cit., pp. 183-184 E abbastanza sintomatico questo fatto, che può testimonare del grado di estrema incertezza ed ambiguità con le quali l’opinione pubblica veneziana guardava, in quel periodo, al tenore dei rapporti fra Venezia e la Francia, anche in seguito all atteggiamento piuttosto preoccupante assunto dal Boucicault. A.S.V., Senato Secreta, II, c. 491>.; L. de Mas Latrie, Commerce cit., p. 185. Dandolo Fantino (1379 circa - 1459), figlio di Leonardo, studiò a Bologna ed all Università di Padova, dove si laureò, in diritto civile, P8 agosto 1401. Sostenne numerose ambascerie per la Repubblica di Venezia (v. anche la nota 89 di questo capitolo). Fu più volte Consigliere ed Avvogadore del Comune. Podestà di Padova nel 1412 e nel 1418, di Verona nel 1414; primo rettore della città di Brescia nel 1427. Nel 1435 gli fu concessa in commenda la Badia di S. Stefano di Carrara, nella dio- — 294 — dalla Francia, venne rinviata la partenza dell’ambasceria, dalla quale, anzi, in un secondo tempo, il Dandolo venne addirittura dispensato. Quando poi, in ottobre, fu affrontato nuovamente il problema, prevalse la proposta di eleggere due ambasciatori, e, per non rischiare di perdere ulteriore tempo nella scelta delle persone adatte e disposte a recarsi in Francia, oltre ad elevare ulteriormente, fino alla somma di 400 ducati, la quota dell’appannaggio mensile, il Senato stabilì che, in caso di rifiuto non plausibile, l’eventuale persona designata sarebbe stata privata di qualsiasi carica pubblica per due anni e condannata ad una multa di 200 ducati. Ciononostante ci vollero ancora numerose sedute prima che si giungesse ad una scelta definitiva, in quanto Pietro Pisani e Pietro Emo51, eletti per primi il 23 ottobre52, si rifiutarono per motivi di salute, mentre Bartolomeo Donati preferì essere condannato alla pena prevista, pur di non allontanarsi da Venezia. Dopo ulteriori rinunce da parte di Roberto Morosini, che era da poco ritornato da Genova 53, Antonio Bragadino e Leonardo Zeno, la scelta definitiva 54 cadde finalmente, d’autorità, su Marco Dandolo e Francesco Contarini55. * * * Dopo le indispensabili precisazioni e gli inevitabili riferimenti alla situazione politica generale, che abbiamo svolto nelle pagine precedenti, anticipando, quindi, per l’esigenza di collocare e giustificare la nostra cesi di Padova. Nel 1445 fu eletto arcivescovo di Candia e nel 1447 venne trasferito al vescovato di Padova, dove mori il 17 febbraio 1459. Cfr. G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Venezia, 1823-1825, vol. VI, parte III, p. 791; E. A. Cicogna cit., II, pp. 9-10; A. Gloria cit., I, pp. 217-218. 51 Cfr. S. Rumor, Storia breve degli Emo, Vicenza, s. d., pp. 59-61. 52 A.S.V., Senato Secreta, II, c. 51 r. 53 V. la nota 61 di questo capitolo. 54 L. de Mas Latrie, Commerce cit., p. 186, deliberazioni del 28 e del 29 ottobre 1404. 55 Non sembra, però, che la presenza in Francia degli ambasciatori veneziani abbia favorito la soluzione che Venezia attendeva, malgrado 1 appoggio garantito loro dal duca d’Orléans. Occorrerà attendere fino al 1409 (29 gennaio) per ritrovare un accenno a queste trattative: in tale data è documentata la presenza a Venezia di un ambasciatore del duca di Berrv, giuntovi per fissare 1 indennità da risarcire ai Veneziani (A.S.V., Senato Misti, XLVII, c. 51 r.). Ma anche su questa ambasceria e sull’ulteriore sviluppo ed esito delle relative negoziazioni non sappiamo ugualmente di più. — 295 — analisi particolare nella più vasta prospettiva dove necessariamente si inquadra, taluni motivi sui quali avremo occasione di ritornare, riprendiamo ora la trama del nostro discorso dagli avvenimenti verificatisi nei mesi successivi alla pace di Venezia (22 marzo 1404): più precisamente da quegli episodi che lasciavano chiaramente intendere quale sarebbe stata la posizione del Boucicault nei confronti della Repubblica Veneta, come la lettera di sfida allo Zeno e al doge, o l’ordine di compiere rappresaglie impartito a Nicolò da Moneglia 56. Il governo veneto, a questo punto, anche se, in base a precisi motivi di convenienza, dettati dalle particolari esigenze della sua nuova linea politica, nutriva, come abbiamo visto, tutto l’interesse a facilitare una soluzione definitiva della controversia con Genova nel più breve tempo possibile, ed aveva, praticamente, conformato la sua azione politica e diplomatica, nel primo periodo dopo la pace di Venezia, a tale necessità, fu costretto, tuttavia, sulla base delle indicazioni che potè maturare in seguito agli episodi cui abbiamo accennato, ad operare una revisione di una simile linea di condotta, che si può cogliere in alcune decisioni adottate dal Senato veneziano a partire già dalla seconda metà di giugno. Furono rinnovati gli ordini di rappresaglia, che erano stati sospesi dopo la ratifica del trattato di pace, e vennero presi nuovi provvedimenti di difesa, col reclutamento di ulteriori truppe per rinforzare le guarnigioni di Corfu, Corone, Modone e Negroponte. Il 20 giugno 57 i rettori del-1 Istria ricevettero l’ordine di non lasciare partire, per misura precauzionale, le navi veneziane ancorate nei loro porti, mentre la settimana successiva il Senato veneto proibì a Pietro Contarini e a Fantino Pisani, padroni di due navi che dovevano lasciare Venezia dirette nel Levante pei motivi commerciali, di salpare fino all’8 luglio, in attesa di ulteriori chiarimenti sulle voci, per niente rassicuranti, giunte allora da Genova. Si comandò al capitano della flotta di stanza nell’Adriatico di inseguire ed attaccare il bastimento di Nicolò da Moneglia 59, per controbattere le sue rappresaglie. Come risposta all’arresto, avvenuto a Chio, di alcuni 56 V le note 13 e 24 di questo capitolo. 57 A.S.V., Senato Misti, XLVI, c. 141 r. 58 A.S.V., Senato Misti, XLVI, c. 141 v. 59 A.S.V., Senato Secreta, II, c. 64?-., 6 ottobre 1404. — 296 — Veneziani, la Repubblica Veneta fece imprigionare dei mercanti genovesi provenienti dalla Tana, a bordo di galee veneziane, e confiscare le loro mercanzie 60. Venne, infine, richiamato a Venezia il Morosini, la cui sicurezza personale sembrava minacciata dall’atteggiamento ostile, nei suoi riguardi, del Boucicault61. Avevamo, però, già visto come la nuova situazione maturata all’interno della corte francese, dove Luigi d’Orléans era andato rafforzando sempre di più la sua influenza e la propria supremazia, era destinata, col modificare una certa realtà politica italiana, ad imprimere un volto diverso anche all’atteggiamento di Venezia nei confronti della Repubblica di Genova e del Boucicault e a cambiare in parte la tattica da essa finora usata. I disegni del duca d’Orléans, che puntavano a porre le premesse per un allargarsi dell’influenza francese in Italia, avevano individuato nella Repubblica di Venezia uno dei fattori decisivi nello schieramento delle forze politiche italiane all’inizio del ’400 e nel quadro quanto mai instabile e precario del loro reciproco condizionarsi ed equilibrarsi: risultava, quindi, quanto mai necessario, a tale riguardo, eliminare anche quei pericoli di instabilità ed incertezza che erano spesso una diretta conseguenza della politica personalistica del Boucicault62. In seno alla Repubblica Veneta era, d’altra parte, opinione ormai largamente diffusa e radicata che l’unico ostacolo al ristabilimento di normali rapporti con la Repubblica di Genova fosse costituito dal Boucicault a. Solo condizioni che nascevano dall’esigenza di salvaguardare la stabilità delle relazioni veneto-francesi avevano finora impedito al governo lagunare di affrontare in maniera diretta ed eplicita il problema. Occorreva, invece, agire con piena libertà d’azione proprio nei confronti del governatore francese, per evitare il pericolo di rivolgere, come era sempre successo, con risultati limitati e provvisorii, le richieste o le accuse ad un governo genovese, il quale poteva e riusciva, per le ragioni 60 A.S.V., Senato Secreta, II, c. 75 r„ 11 dicembre 1404; Ibidem, Senato Misti, XLVI, c. 161 v., 20 dicembre 1404; G. M. Sathaz cit., I, n. 9. 61 A.S.V., Senato Misti, XLVI, c. 158 r, 26 settembre 1404: ... stabat ibi cum magno tedio domini gubernatoris et expresso periculo persone sui. 62 Su questi temi cfr. P. M. Perret cit., I, pp. 84 e sgg. 63 G. Dalla Santa cit., pp. 72-73. — 297 — che abbiamo chiarito in precedenza M, ad eludere gli impegni e le responsabilità che esse comportavano. La mutata prospettiva politica della corte francese poteva ora permettere alla Repubblica un’azione più efficace ed incisiva, sia premendo su Luigi d’Orléans per deplorare il comportamento del Boucicault e denunciarne gli abusi e le iniziative inopportune ed illegali (attaccare l’amministrazione del Boucicault, facendo notare al duca d’Orléans quanto essa fosse controproducente nei riguardi di un eventuale rafforzamento dell influenza francese in Italia, significava offrire al duca stesso l’impressione di assecondare in pieno i suoi propositi e favorire, nello stesso tempo, il suo desiderio di sostituire il maresciallo con qualcuno dei suoi seguaci, che ne condividesse pienamente la linea politica), sia alimentando con maggior decisione e senza incertezze le aspirazioni di coloro che nutrivano motivi personali di rancore e meditavano propositi di rivincita nei confronti del governatore di Genova. A questo proposito Venezia appoggiò in maniera ben più efficace e consistente di quanto avesse fatto in precedenza, e talora anche in forma ufficiale, le trame di esuli genovesi, vittime del temperamento dispotico ed autoritario del Boucicault, e desiderosi, perciò, di porre fine al suo dominio su Genova, quali, ad esempio, Antonio Guarco65 e Battista Luxardo 66. Quest’ultimo lo troviamo a Venezia nel luglio 1405, dove si era recato per proporre al governo di quella Repubblica l’appoggio e soprattutto 1 aiuto finanziario ad un suo piano progettato ai danni del Boucicault. Egli garantiva che avrebbe espulso il governatore da Genova, con 1 aiuto dei suoi amici e delle sue truppe comandate da Facino Cane, se avesse potuto disporre di 8.000 ducati, necessarii per preparare tale spedizione. Una persona di sua fiducia era disposta ad anticipare questa somma, a condizione che la Repubblica Veneta si impegnasse, prima, a 64 Cfr. la prima parte di questo capitolo. 65 Nominato governatore di Famagosta il 17 maggio 1398 era stato destituito da tale carica dal Boucicault. Ottenne un primo sussidio di 6.000 ducati da parte della Repubblica Veneta l’il dicembre 1404, seguito da un nuovo sussidio, di 2.000 ducati, assegnatogli il 24 dicembre (A.S.V., Senato Secreta, II, c. 82 r.). 66 Capitano del Popolo sotto l’effimera dittatura di Battista Boccanegra, espulso dal Boucicault al suo arrivo nella città ligure, si era rifugiato presso il marchese di Varese, da dove tramava contro Genova (O. Foglietta cit., c. 184 r.; P M. Perret cit., I, pp. 94-95). — 298 — rimborsare gli 8.000 ducati nel caso in cui l’iniziativa avesse raggiunto lo scopo. Il Luxardo assicurava, inoltre, che avrebbe fornito delle precise garanzie ed avrebbe anche restituito la somma ricevuta, qualora non fosse riuscito a mantenere il governo di Genova per un periodo superiore a tre mesi, a partire dal giorno dell’espulsione del Boucicault. Sosteneva, infine, di poter garantire fin da allora che, se fosse diventato governatore di Genova, avrebbe fatto versare alla Repubblica di Venezia la somma di 16.000 ducati, quale risarcimento dei danni subiti dai suoi mercanti a Beyruth, e si sarebbe adoperato per riparare a tutte le perdite successive, che essa aveva subito da parte dei Genovesi, fino alla completa attuazione delle clausole del trattato di Venezia 67. Ritornando all’interesse dimostrato dal duca d’Orléans di venire incontro alle esigenze della Repubblica Veneta, quale primo passo per eliminare i motivi di latente tensione che potevano, prima o poi, compromettere una situazione ancora relativamente normale, ma ricca di incertezze, vediamo che esso si concretizzò nell’invio a Venezia di un suo scudiero, Pierre di Sérigny68, incaricato di esprimere alla Signoria i sentimenti amichevoli, nei suoi riguardi, di Luigi d’Orléans e discutere nei dettagli i problemi più immediati e di urgente risoluzione, auspicando una comune volontà di superare positivamente le maggiori divergenze. Il governo veneto ribadì la sua soddisfazione per un’iniziativa di questo genere e garantì la propria completa disponibilità, incaricando, il 16 dicembre, il Sérigny di mandare un messaggero che confermasse al duca la riconoscenza della Repubblica Veneta, ostentata poi in maniera ancora più evidente quattro giorni dopo, allorché il Senato decise di inviare al principe francese un dono del valore di 1300 ducati69. 67 A.S.V., Senato Secreta, II, c. 130 r., 23 luglio 1405, ed. P.M. Perret cit., II, pp. 313-314. 68 G. Dalla Santa cit., pp. 70-71 ritiene che questo ambasciatore si possa identificare con Pietro degli Scrovegni, nobile padovano, uno dei quattro figli di Ugolino degli Scrovegni, podestà di Belluno e poi Capitano del Popolo a Firenze. Ma la sua congettura, oltre a non essere convalidata da nessuna testimonianza probante, non si accorda con i documenti che si riferiscono a questa ambasceria, se non fornendo un’interpretazione forzata del loro significato, come, in effetti, fa lo studioso veneziano. 69 A.S.V., Senato Secreta, II, c. 79 r. — 299 — Quando, dopo un mese circa di permanenza a Venezia, nel corso del quale le due parti ebbero modo di chiarire le rispettive esigenze ed individuare i problemi comuni da risolvere, il Sérigny ripartì per la Francia, il Senato gli consegnò una lettera da portare a Luigi d’Orléans 70: questo documento ci permette di constatare nome la Repubblica Veneta intendesse assumere un atteggiamento ben diverso nei confronti del Boucicault, contando sulle possibilità che gli interessi e le mire particolari del d’Or-léans per la situazione italiana le offrivano e le suggerivano. In quella lettera il Senato veneto faceva presente al duca francese che danno costituisse il mantenere quale governatore di Genova il Boucicault, come il maresciallo non vi rispettasse la costituzione, non osservasse la pace conclusa il 22 marzo 1404 e, soprattutto, come la sua presenza in Italia e la sua sconsiderata azione politica ponesse non solo continua-mente in pericolo l’amicizia reciproca fra Venezia e la Francia, ma creasse pure un pericoloso stato di tensione e di continua incertezza nel quadro di tutta la situazione politica italiana. Ad essa doveva seguire, qualche settimana dopo, una comunicazione del Senato ai suoi rappresentanti a Pa-ngi , per informarli che Pierre de Sérigny aveva promesso l’appoggio del duca d Orléans alla Repubblica Veneta, in particolar modo per risolvere la questione del rilascio dei mercanti veneziani prigionieri a Montpellier: a lui avrebbero dovuto rivolgersi in caso di complicazioni e difficoltà ; pure presso di lui avrebbero dovuto lamentarsi del Boucicault, facendo presenti al duca il tenore delle notizie che continuavano a giungere a Genova. Venezia aveva, quindi, saputo individuare ed assumere l’atteggiamento e la posizione più convenienti che le nuove circostanze richiedevano e non tardarono, pertanto, a verificarsi quelle conseguenze che essa aveva, in questa maniera, indirettamente sollecitato e favorito. A.S.V., Senato Secreta, II, c. 82 r., 3 gennaio 1405. A.S.V., Senato Secreta, II, c. 86 r., 28 gennaio 1405. Risulta, infatti, che pure alcuni Francesi subirono in quel tempo dei danni da parte dei Veneziani: secondo un’attestazione di parte veneta, che è l’unica da no; rintracciata, 1 importo di tali danni (... que damna, tamen, receperunt in sua culpa maxime et defectu: A.S.V., Senato Secreta, II, c. 86 r.. 18 gennaio 1405) non oltrepassava gli 8.000 ducati. Questo fatto veniva, naturalmente, a complicare un problema già contrastato e che si trascinava da lungo tempo senza trovare una soluzione. — 300 — Nel maggio 1405 il Consiglio del Re decise, appunto, l’invio a Genova di una commissione di inchiesta73, composta da Pietro Beaublè, vescovo d Uzès, Luigi di Montjoye, Eremita de la Faye e Nicola Le Dur74. Costoro, /o aver valutato le testimonianze ed i giudizi raccolti nei più disparati ambienti, resisi conto dell’impopolarità e dei conseguenti pericoli per la dominazione francese in Genova, derivanti dal comportamento del Boucicault, ritennero necessario imporre al maresciallo, sia pure in maniera accortamente larvata e formalmente rispettosa, di astenersi da ogni atto di ostilità nei riguardi dei Veneziani fino al 1° marzo 140675. Appena giunti a Genova, inoltre, i quattro commissarii francesi inviarono a Venezia Pierre de Sérigny, con l’incarico di proporre al Senato, da parte di Carlo VI, l’offerta di mediazione del duca d’Orléans nella controversia veneto-genovese: in questo caso, oltre a perseguire gli scopi che si era prefisso, il principe francese intendeva probabilmente approfittare dell occasione per aumentare anche il proprio prestigio, nel caso in cui, come sperava, fosse riuscito a comporre un contrasto che durava ormai da troppo tempo. Lo scudiero del duca arrivò a Venezia il 27 luglio ed il giorno stesso il Senato ritenne di accettare la proposta del re di Francia, sottolineando ancora una volta come il dissidio con Genova poteva condurre alla guerra e ad una pericolosa rottura non solo con la Repubblica Ligure, ma anche con la Francia, eventualità questa tutt’altro che improbabile e lontana, anche se deprecata, nel caso non si fossero individuati con tempestività i rimedi e le soluzioni più opportune 76. Ma il rappresentante di Carlo VI, richiamato con urgenza alla corte francese, come gli stessi membri della commissione d’inchiesta, dovette abbandonare precipitosamente l’Italia il 17 agosto77: la supremazia di Luigi d Orléans nel consiglio del Re stava per essere insidiata dal giovane 73 A.S.V., Senato Misti, XLVII, c. 8 r. 74 Cfr. le indicazioni biografiche relative a questi personaggi in J. Delaville Le Roulx, La France cit., I, p. 186. 75 A.S.G., Archivio segreto, Diversorum registri, 6/501, c. 195 v., 13 luglio 1405, ed. in J. Delaville Le Roulx, La France cit., II, pp. 167-168. 76 A.S.V., Senato Secreta, II, c. 131 r.; L. de Mas Latrie, Commerce cit., p. 188. 77 A.S.V., Senato Secreta, II, c. 138 r. — 301 — 20 duca di Borgogna, Giovanili Senza Paura, e stava aprendosi in Francia una crisi grave e drammatica. Tuttavia, anche se questo avvenimento improvviso ed imprevisto doveva rendere nuovamente attuali, soprattutto per la Repubblica Veneta, una serie di problemi di natura politica e diplomatica che sembravano ormai superati, e doveva segnare un passo indietro sulla strada della ricerca di un nuovo accordo fra le due rivali, tutto ciò non significa, d altronde, che la situazione si riproponesse, a questo punto, nella medesima prospettiva del periodo in cui, in conseguenza delle pericolose ed insistenti iniziative del Boucicault e delle analoghe reazioni che esse avevano suscitato da parte del governo veneziano, si era giunti praticamente ad una rottura degli stessi rapporti diplomatici. L’intervento del duca d’Orléans e la posizione decisa da lui assunta nei riguardi del Boucicault avevano, infatti, già favorito un allentamento della tensione reciproca e propiziato una serie di iniziative che erano riuscite a sbloccare e a modificare in parte la situazione precedente, ponendo le premesse affinchè alle due Repubbliche fosse possibile continuare ed insistere, sia pure attraverso inevitabili ripensamenti e prevedibili incertezze, nella direzione di un nuovo accordo. Il punto di partenza di questa nuova fase va individuato nella decisione presa, alla fine del gennaio 1405, dal Senato veneziano di inviare nuovamente a Genova un ambasciatore, Francesco Beaciani, a ribadire con fermezza ed intransigenza le posizioni del governo veneto, ma ad iniziare anche un dialogo possibilmente costruttivo, attraverso la ripresa delle negoziazioni ed il confronto delle rispettive esigenze. Secondo le istruzioni '8 ricevute al momento della partenza il Beaciani avrebbe dovuto esigere dal governo genovese precise spiegazioni e chiarimenti su tutte le rappresaglie, o iniziative dello stesso genere, commesse ai danni dei Veneziani nel periodo successivo alla pace di Venezia, senza accontentarsi delle solite vaghe risposte che il Consiglio degli Anziani aveva sempre fornito alla Repubblica Veneta, negando la propria responsabilità a proposito di tali avvenimenti ed adducendo la consueta giustificazione della propria ignoranza ed estraneità a decisioni ed iniziative che il Boucicault poteva prendere personalmente, grazie all’autonomia garantitagli da alcune 78 A.S.V., Senato Misti, LXVI, c. 163 v., reg. in F. Ti-iiriet. Régestes cit., II, p. 50, n. 1174; H. Noiret cit., pp. 155-160. — 302 — norme costituzionali79 e rafforzata, a questo proposito, dall’essersi egli rifiutato di ratificare ed accettare il trattato di pace del 22 marzo. Le risposte che il Consiglio degli Anziani ed i membri dell’Ufficio di Provvisione del Comune di Genova diedero alle richieste del Beaciani, nonché le controproposte che essi formularono a loro volta, costituiscono un interessante bilancio ed un utile panorama retrospettivo ad un anno dalla pace di Venezia: ci permettono di ricostruire un quadro preciso e dettagliato delle rispettive posizioni attorno a quei motivi che costituiranno il nucleo delle successive trattative, fino al raggiungimento di un nuovo accordo 80. Genova respinse, precisando che si era trattato di una iniziativa personale del Boucicault, la richiesta avanzata da Venezia affinchè le venissero restituite le navi e le merci catturate da Nicolò da Moneglia 81 ed affinchè costui venisse esemplarmente punito; smentì decisamente l’affermazione del Beaciani che nei carceri di Ventimiglia e di Lerici si trovassero imprigionati dei cittadini veneziani 82) proponendo che un agente veneziano si recasse nei suddetti carceri per sincerarsi di quanto essi dichiaravano; sostenne, infine, di ignorare sia la cattura di una nave veneziana carica di cenere, sequestrata dal rettore di Scio, sia la cattura delle merci e dei beni di proprietà veneziana contenuti in alcune navi di mercanti catalani, assalite dai Genovesi. La Repubblica Genovese si dichiarò, invece, pronta 79 A.S.G., Atti processuali cit., cc. 63 v. e 64 r. 80 A.S.G., Archivio segreto, Diversorum registri, 6/501, cc. 130 v. -134 v., 7 febbraio 1405. li documento si divide in due parti: Veneciarum (cc. 130 v. -132 r.), che contiene le risposte alle richieste del Beaciani, e Contra Venetos (cc. 132 v. -134 v.), che contiene le richieste formulate, a loro volta, dai Genovesi. 81 Si trattava di due navi appartenenti, rispettivamente, l’una a Basilio Tira-pelle, attaccata nel golfo di Corone il 10 ottobre 1404, mentre si dirigeva verso la Romania, con un carico del valore di 40.000 ducati d’oro (A.S.V., Senato Misti, XLVII, c. 173 v.; A.S.G., Atti processuali cit., cc. 79 v. e 110 y.; L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 178), l’altra a Giorgio Monganaro, presa mentre tornava dalla Tana, con un carico di sapone e di vino del valore di 10.000 ducati d’oro (A.S.G. Atti processuali cit., cc. 98 r. e 110 y.; M. Sanudo cit., col. 813; L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 180), nonché di un grippo di proprietà di Frangia Venerio, assalito quando da Candia stava dirigendosi alla volta di Cerigo (A.S.G., Atti processuali cit, cc. 98 v. e 111 r.; R. Predelli cit., X, n. 19). Per quanto riguarda la cattura della nave di Nicolò Rosso cfr. la nota 6 del cap. V. 82 V. la nota 25 di questo capitolo. — 303 — a restituire, qualora naturalmente fosse riuscita ad entrarne in possesso, sia una nave veneziana 83 carica dolio, catturata da Lionello Lercari, sia un’altra nave, catturata da Giovanni e Percivalle Spinola 84. Dal canto loro i rappresentanti di Genova chiedevano la restituzione delle merci sequestrate a numerosi cittadini genovesi, che commerciavano 85 ne! Levante e lungo le coste dell’Asia Minore, dai rettori di Negroponte , Candia86 e Modone87, nonché la liberazione di quei loro concittadini8 che, fidando nelle promesse e nella lealtà del veneziano Nicolò Fusco, erano saliti col loro carico su alcune navi da lui comandate ed erano, invece, stati imprigionati all’arrivo a Venezia e rilasciati senza i loro beni, dopo essere stati costretti a giurare che sarebbero tornati a Venezia nel caso in cui le due Repubbliche non avessero raggiunto un accordo. I problemi da risolvere, come si può constatare, erano numerosi e, 83 Apparteneva al veneziano Francesco Pessato, che si stava dirigendo da Siviglia verso Alessandri!, quando venne assalito dal pirata Nicolò Ximenes, al quale, a sua volta, la prese il suddetto Lercari (R. Predelli cit., X, n. 19) 84 Si dirigeva da Cartagine verso Venezia e fu condotta a Portovenere (A.S.G , Atti processuali cit., cc. 9 r., 99 v. e 114 v.; G. Stella cit., col. 1207; R- Predf.lli cit.. X, n. 19). La notizia appare anche in una lettera, datata 29 gennaio 1405, della compagnia mercantile di Ardingo Ricci al fondaco Datini di Valenza (R- Piattoli, La spedizione cit., pp. 137-138), dove si sostiene, però, che fu la nave veneziana ad assalire per prima quella genovese. Una disposizione emanata dal governo genovese la settimana successiva stabiliva, a proposito di questa nave, che fosse condotta a Genova e consegnata alla custodia di due cittadini da eleggersi a tale scopo: avrebbe dovuto essere riconsegnata a Venezia nel caso in cui le due Repubbliche avessero raggiunto un accordo (A.S.G., Archivio segreto, Diversorum registri, 6/501, c. 136 v., 13 febbraio 1405). *’ Si trattava di alcuni commercianti genovesi che si erano recati a Negroponte per sollecitare la restituzione delle merci e dei beni sottratti al loro concittadino Corrado D Oria da parte di alcuni pirati e che erano poi state recuperate dalle autorità di Negroponte. 86 II rettore di quest’isola aveva fatto imprigionare i mercanti genovesi di una nave comandata da Giovanni da Pontremoli, che era approdato sul suo territorio per caricarvi del vino. 87 II genovese Antoniotto Lercari, proveniente dalla Romania, era approdato all’isola di Sapienza, per sfuggire ad un’imminente tempesta, confidando nel rispetto della tregua allora esistente fra le due Repubbliche. 88 Odoardo Salvaigo, Bartolomeo de’ Franchi, Manfredi Marruffo, Filippo Lo-mellini, Filippo Centurione e Giovanni da Rapallo (v. nota 60 di questo capitolo). — 304 — nella maggioranza dei casi, alquanto controversi, per le posizioni di partenza sensibilmente divergenti. Tuttavia le due parti avevano rivelato l’intenzione di proseguire nelle trattative e la volontà di non creare ulteriori complicazioni con atteggiamenti assolutamente negativi ed intransigenti. Una riprova evidente dell’esigenza sentita da entrambe le Repubbliche di insistere in questa direzione la abbiamo nella decisione presa da parte veneziana di nominare un rappresentante permanente a Genova 89, per agevolare e rendere così più spedite le negoziazioni, cui si accompagnò, pressoché nello stesso periodo di tempo, un’iniziativa genovese analoga nello spirito e nelle intenzioni: venivano designati dal Consiglio degli Anziani tre commissarii incaricati di svolgere un’inchiesta, che avrebbe dovuto accertare il numero delle navi e la consistenza delle merci e dei beni di proprietà veneziana, catturati illegalmente da parte di cittadini genovesi ed ancora in loro possesso, per provvedere al loro recupero e restituzione 90. Tuttavia la continuazione dello stato di guerra, poiché le due Repubbliche non avevano ancora interrotto le rappresaglie, suscitando ogni giorno nuove ostilità, avrebbe prolungato all’infinito le reciproche querele ed avrebbe reso impossibile la pace, per cui il Senato veneto trasmise al suo ambasciatore ulteriori istruzioni91, dai termini assai concilianti, che resero possibile raggiungere un immediato accordo sulla sospensione momentanea delle rappresaglie 92. La maggior parte di queste decisioni furono prese quando il Bouci- S9 II Senato veneto si premunì questa volta dall’eventualità di un possibile rifiuto da parte di chi sarebbe stato designato, stabilendo, in questo caso, una considerevole ammenda. Venne eletto Pietro Emo, che accettò l’incarico (A.S.V., Senato Secreta, II, c. 102 r., 28 marzo 1405, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., II, p. 52, n. 1180). 90 L’8 aprile (A.S.G., Archivio segreto, Diversorum registri, 6/501, c. 149 r.) venivano eletti Stefano Cattaneo (l’attribuzione di tale incarico a Stefano Cattaneo si trova confermata anche in A.S.G., Antico comune, Apodisia magistrorum rationalium, CVI, c. 116».), Giacomo D’Oria e Benedetto Strata; il 16 aprile gli ultimi due venivano sostituiti da Battista Giustiniani e Antonio Vivaldi (Ibidem, Archivio segreto, Diversorum registri, 6/501, c. 150 r.). 91 A.S.V., Senato Secreta, II, c. Ili r., 12 maggio 1405, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., II, p. 52, n. 1183. 92 A.S.V., Senato Secreta, II, c. 116 r., 24 maggio 1405, ed. G. M. Sathaz cit., I, n 10. — 305 — cault era assente da Genova 93, molto probabilmente col deliberato proposito di ribadire la propria estraneità agli impegni che esse comportavano e che avrebbero pregiudicato e condizionato in misura troppo vincolante ogni sua futura possibilità di riprendere quell’azione di disturbo e provocazione che gli era momentaneamente impossibile proseguire senza rischiare, in questo caso, di venir addirittura destituito dalla sua carica di governatore di Genova dalla reazione popolare o per l’intervento della corte francese: varie circostanze, ma soprattutto la chiara posizione assunta dal duca d Orléans, che escludeva qualsiasi alternativa, lo costringevano e lo consigliavano anche questa volta ad accantonare le sue ambizioni ed a rinviarle ad un momento più opportuno. Pure gli avvenimenti, verificatisi pochi mesi dopo, come abbiamo visto, in seno alla corte francese, non modificarono sostanzialmente, perlomeno in un primo tempo, l’andamento delle trattative già avviate, poiché, per gli stessi motivi che abbiamo esposto, non poteva il Boucicault opporsi apertamente, senza legittimi pretesti, ad una situazione che procedeva ormai lungo i binari di esigenze condivise dalla stragrande maggioranza e che, per ora, era giocoforza, pure per lui, accettare. Cosicché vediamo che, anche dopo il ritorno precipitoso in Francia del Sérigny e dei quattro commissarii inviati a Genova, non per questo cessarono, da una parte e dall’altra, quelle iniziative che potevano dimostrare e significare in misura concreta la comune volontà di favorire il rag- - • 94 giungimento di un accordo. Se Pietro Emo riceveva nuove istruzioni , che lo invitavano ad accordare ai Genovesi, pur restando ferme le richieste del governo veneto, ogni facilitazione per quanto riguarda i tempi e i modi entro i quali essi avrebbero dovuto riparare i danni da loro causati, e contemporaneamente il Senato veneto negava al Gran Maestro di Rodi, 1 autorizzazione, da lui sollecitata, di fortificare Tenedo, poiché questo fatto sarebbe stato contrario allo spirito del trattato che regolava i rapporti con Genova 93, e rinnovava ai suoi agenti la proibizione di molestare 93 Partito per Nizza il 26 marzo 1405 egli ritornò a Genova il 15 maggio (A.S.G., Archivio segreto, Diversorum registri, 6/501, cc. 165 v. e 176 r.). 94 A.S.V., Senato Secreta, II, c. 138 r., 17 agosto 1405. 93 A.S.V., Senato Secreta, II, c. 151 v., 21 settembre 1405, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., II, p. 54, n. 1194. — 306 — il commercio genovese 96; il governo ligure, da parte sua, ordinava ai suoi ufficiali, incaricati di stabilire la natura e la consistenza dei danni subiti dai Veneziani97, di riunirsi con maggior frequenza ed adempiere il più presto possibile e con maggior sollecitudine al loro mandato 98. Nonostante queste premesse le trattative si sarebbero, però, protratte ancora per molti mesi, fino al giugno 1406 99: non solo perchè, per evitare, diversamente da quanto si era verificato la volta precedente, di lasciare troppi punti indefiniti, tutte le questioni furono affrontate e discusse nei minimi dettagli, tanto che su ogni nuovo elemento del dibattito i plenipotenziarii delle due Repubbliche consultarono, prima di prendere una decisione, il loro governo; ma anche perchè Venezia, liberata finalmente, alla fine del 1405, dal pericolo che la guerra con Padova comportava per la sua sicurezza e stabilità politica, sembrò, in seguito, insistere con maggiore fermezza su alcuni punti, a proposito dei quali, pressata da ben diverse esigenze, aveva in precedenza assunto una posizione ben più conciliante. Non bisogna dimenticare, inoltre, che più passava il tempo e più il Boucicault aveva la possibilità di reinserirsi con efficacia nel dialogo diplomatico allora in corso, rallentandone il ritmo con pretese ed argomentazioni inaccettabili da parte veneziana. Ed il punto più controverso e lungamente discusso fu proprio la richiesta formulata dal maresciallo francese, e sostenuta con ostinazione dai rappresentanti di Genova, di considerare qualsiasi accordo si fosse raggiunto come non impegnativo e vincolante per il Boucicault, dal punto di vista personale: Venezia, che aveva già dovuto sperimentare a sue spese 96 G. M. Sathaz cit., II, n. 132. 97 V. la nota 90 di questo capitolo. 98 A.S.G., Archivio segreto, Diversorum registri, 6/501, c. 168 v., 26 settembre 1405. 99 Possiamo ricostruire le linee del loro sviluppo attraverso le istruzioni, frequenti e dettagliate, inviate dal governo veneto prima a Pietro Emo, poi, dopo la morte di costui, avvenuta a Genova nel marzo 1406, dal nuovo ambasciatore Tommaso Mocenigo (A.S.V., Senato Secreta, III, c. 13 r.), eletto il 23 marzo (Ibidem, Senato Secreta, II, c. 174 v., 24 dicembre 1405; c. 187 v., 5 febbraio 1406; III, c. 17 r., 26 aprile 1406; c. 24 v., 2 giugno 1406; c. 25 r., 8 giugno 1406; c. 29 r., 24 giugno 1406). Per le deliberazioni del 24 dicembre 1405, del 26 aprile e 8 giugno 1406 cfr. i regesti in F. Thiriet, Régestes cit., II, pp. 55-58, nn. 1198, 1212 e 1218. — 307 — le conseguenze di una simile posizione, si oppose con vigore a tale proposta, anche se non riuscì, come vedremo, a far prevalere completamente le sue condizioni. Solo alla fine di giugno fu così possibile al Mocenigo ed ai procuratori del Comune di Genova 100 fissare ed approvare il testo definitivo del nuovo trattato di pace, articolato in ben 25 punti, i primi dei quali affrontavano i problemi, ancora insoluti, risalenti al periodo precedente l’accordo di Venezia, mentre nella seconda parte erano fissati gli impegni presi dalle due Repubbliche per comporre le nuove controversie, sorte dopo il 22 marzo 1404 101. Sulla maggioranza delle questioni era stata raggiunta una formula di compromesso e ne erano stati definiti i termini e i tempi precisi di attuazione: oltre a garantire il pagamento delle indennità previste dal trattato precedente e non ancora soddisfatte, il Comune di Genova assicurava il risarcimento dei danni subiti da alcune merci di proprietà veneziana depredate da certe navi appartenenti a mercanti Catalani, nonché il risarcimento dei danni subiti da Francesco Pessato, Antonio Coppo 102 e Nicola Cocco 103; mentre la Repubblica di Venezia si impegnava ad agire nello stesso senso nei riguardi dei commercianti genovesi danneggiati dai rettori di Candia, Modone e Negroponte, e di quelli che erano saliti sulle navi comandate da Nicola Fusco ed erano poi stati imprigionati al loro arrivo a Venezia 104. I rappresentanti delle due Repubbliche avevano, invece, ritenuto opportuno, in obbedienza allo spirito del trattato di Torino, di demandare al giudizio di quattro arbitri, eletti in numero di due da ciascuna delle 100 II 18 giugno erano stati eletti Giacomo da Campofregoso, Segurano di Negro, Battista di Giacomo, Antonio Cattaneo e Simone Cigala (A.S.G., Libri iurium, IX, c. 146r.; R. Predelli cit., X. n. 18). 101 A.S.G., Libri iurium, IX, cc. 147 v. -154 v., ed. in J. Delaville Le Roulx cit., II, pp. 170-199; R. Predelli cit., X, n. 19. 102 II bastimento comandato dal veneziano Antonio Coppo era stato catturato dai genovesi nelle acque di Iviza (A.S.V., Senato Misti, XLVI, c. 123 f - ; A. Giustiniani cit., c. 169 r.; R. Predelli cit., IX, n. 276). 103 La nave del veneziano Nicola Cocco era stata sequestrata dal capitano di Famagosta a Giovanni Rosso, viceconsole veneto nella stessa città (R. Predelli cit., X, n. 19). 104 Per le persone ed i fatti ora richiamati, v. le note 81-88 di questo capitolo. — 308 — parti, ed, in caso di mancato accordo fra costoro, ad un quinto arbitro gradito ad entrambe 105, la risoluzione dei problemi che necessitavano di un ulteriore approfondimento e di altre indagini, poiché, a tale proposito, le posizioni reciproche apparivano ancora notevolmente contrastanti ed inconciliabili. Si trattava dei punti riguardanti i danni arrecati dalle rappresaglie di Nicolò da Moneglia e quelli concernenti i cittadini veneziani prigionieri nelle carceri di Albenga (Catarino Rosa) e di Lerici (Pietro Valle e Giacomo Sappa). Tutt'altro che chiarita e definita appariva, infine, la posizione del Boucicault nei confronti di questo nuovo accordo. Se un articolo del trattato (art. 25) specificava che la Repubblica di Genova sarebbe stata tenuta alla riparazione di eventuali danni arrecati in futuro a Venezia per iniziativa del Boucicault, nella sua qualità di governatore, con l’aiuto di navi e sudditi genovesi, od anche stranieri agenti nel territorio di Genova, un atto speciale, accluso su richiesta dei procuratori genovesi, precisava che i rappresentanti delle due parti riconoscevano il governatore francese interamente estraneo alle trattative di pace ed agli obblighi da esse previsti106: 105 La Repubblica di Venezia aveva proposto, in un primo tempo (24 dicembre 1405), Siena, Lucca, Carlo Malatesta, il figlio di Pandolfo Malatesta, il Signore di Mantova ed Ottobuono III, ai quali aveva aggiunto, successivamente, il Comune di Firenze (5 febbraio 1406), su cui cadde la scelta definitiva (A.S.V., Senato Secreta, II, cc. 174 v. e 187 v.). Non deve sorprendere che, pur a così breve distanza dall’accordo stipulato fra Genova e Firenze, relativo alla cessione di Pisa, il quale prevedeva, fra le altre clausole, l’impegno da parte del Comune toscano di appoggiare Francesco Novello, in guerra contro la Serenissima (v. nota 41 di questo capitolo), la Repubblica Veneta abbia accettato tale designazione. Ma abbiamo già rilevato quali forze politiche, ed in vista di quali fini, avessero allora sollecitato quel tipo d’accordo, in contrasto con i più vitali interessi di Genova e con gli obiettivi perseguiti dal Boucicault, e come nella realtà gli avvenimenti successivi avessero orientato le primitive intenzioni in una ben diversa direzione. Cosicché, modificatasi in parte la situazione politica che aveva portato ad un tale stato di cose e venuti meno molti dei motivi che avevano suggerito un simile atteggiamento, il governatore di Genova, confortato dalla reazione dei commercianti genovesi rimasti gravemente danneggiati dalla possibilità, che Firenze si era riuscita a garantire, di servirsi del porto di Pisa, aveva ripreso, come già in precedenza, ad insidiare la sicurezza dei traffici fiorentini: in seguito ad un suo ordine era stato, ad esempio, sequestrato il carico di una nave appartenente a Francesco D Oria, proveniente dalle Fiandre e diretta a Pisa (R. Piattoli, Genova e Firenze cit., pp. 322-323). 106 A.S.G., Libri iurium, IX, c. 154 v.: ... nec fit in aliquo suo proprio et privato nomine obligatus ..R. Predelli cit., X, n. 20. — 309 — per poter conservare intatti i suoi diritti e garantirsi la libertà d’azione necessaria per riscattare le pretese ingiurie patite da parte dei Veneziani, il maresciallo, a ribadire la sua posizione, si allontanava, anzi, da Genova proprio nei giorni in cui veniva stipulato il trattato. Era soprattutto Venezia che, dopo aver insistito su alcune posizioni di principio ed aver ripetutamente ribadito, a tale riguardo, la propria intransigenza, sembrava essersi invece dovuta accontentare, su diversi punti, di ben poco: nonostante il comportamento tutt’altro che giustificabile e piuttosto imbarazzante del Boucicault e le difficoltà che il sostenere la sua posizione poteva di conseguenza comportare per i rappresentanti di Genova, questa Repubblica appariva, alla fine delle trattative, in una posizione relativamente migliore e più vantaggiosa che alla conclusione del precedente accordo. E’ difficile distinguere quanto di tutto ciò si possa attribuire più all’abilità dei diplomatici genovesi che al desiderio ed alla necessità di pace da parte di Venezia. Gli elementi di valutazione e di giudizio a questo proposito sono numerosi e complessi, in quanto devono tener presenti mille circostanze di natura molto diversa, al centro delle quali va posto soprattutto il ruolo e la posizione entro cui ciascuna delle due contendenti si trovava collocata nel quadro delle vicende diplomatiche e militari che agitavano, a quell’epoca, l’Italia settentrionale. Ma, al di là di queste considerazioni e di tali ipotesi necessariamente vaghe ed imprecise, un dato di fatto appariva, però, pressoché scontato e palese: se il trattato di Venezia (22 marzo 1404) denunciava già, come avevamo rilevato a suo tempo, nella stessa formulazione, evidenti elementi di instabilità, questo nuovo accordo, raggiunto ancora più faticosamente e quasi più per reciproco logorio che per un’effettiva convinzione, col suo presupporre alle negoziazioni appena concluse un’appendice tut-t altro che breve e di pacifica soluzione, per la natura dei punti rimasti in sospeso, avrebbe ancor più facilmente del precedente offerto l’opportunità ed i pretesti, a chi avesse voluto approfittarne, per riportare in un clima di diffidenza ed ostilità i rapporti fra le due Repubbliche. V LA MEDIAZIONE DI AMEDEO VIII DI SAVOIA Poteva aprirsi, a questo punto, nel quadro dei rapporti veneto-genovesi, una nuova fase, ma, come era accaduto già dopo l’accordo di Venezia (22 marzo 1404), al di là di alcune iniziative di portata marginale e di carattere contingente, dettate da esigenze di ordine pratico, non mutò nella sua sostanza l’atteggiamento di fondo delle due rivali, che, pur sotto forme diverse nel suo realizzarsi e porsi dal punto di vista concreto, si ripresenta, tuttavia, in maniera pressoché costante nelle sue linee fondamentali nel corso di tutti questi anni verso i quali si è indirizzata la nostra ricerca. Potremo constatare, infatti, come anche nel periodo che stiamo per esaminare i termini di questo annoso contrasto si ripropongano ancora entro gli schemi consueti, secondo quelle esigenze e motivazioni di natura politica ed economica che abbiamo individuato e sottolineato in precedenza. Anche se con l’accordo del giugno 1406 le due Repubbliche erano riuscite a raggiungere un’intesa, in termini chiari e precisi, a proposito della reciproca soddisfazione dei danni subiti, in misura pressoché uguale, da parte dei propri commercianti, nel corso delle rappresaglie favorite e protette dai rispettivi governi, questo fatto non poteva però spostare per niente i termini sostanziali del loro scontro: quelle convergenze erano solo parziali e facilitate da ragioni di reciproca convenienza, che avevano automaticamente posto, in questo caso, le due contendenti su un piano di parità e di reciproco interesse, ma, in realtà, tutto restava come prima per quanto riguarda i maggiori problemi di fondo. Perciò, soprattutto a proposito dell’atteggiamento della Repubblica Ligure, non si può parlare di contraddizione, tenendo presente 1 effettiva volontà dimostrata nell’esaurire, anche in breve tempo, alcuni degli impe- — 311 — gni definiti chiaramente dalla pace di Genova, con la quale sembrerebbe contrastare il tentativo, pressoché parallelo nel tempo, di sfruttare, invece, le situazioni non risolte, per risuscitare nuovamente un clima di disordine ed incertezza nell ambito dei rapporti con Venezia: non esiste, in realtà, contraddizione fra questi due aspetti, perchè essi si collocano e si giustificano su due piani assolutamente diversi. I Genovesi, in effetti, diramarono subito le disposizioni del trattato di pace con una lettera circolare rivolta a tutti i loro agenti e sudditi, sollecitando 1 immediata attuazione di alcuni degli impegni previsti. Essi ordinarono a Percivalle Grimaldi, podestà di Pera, di restituire la nave di Martino di Lorenzo, col suo carico (art. 11 della pace di Genova)1; a Giovanni de Mozentibus, capitano e podestà di Famagosta, di procedere, assieme al bailo veneziano di Cipro, alla stima della nave del veneziano Taddeo Benedetto, per provvedere poi al suo risarcimento (art. 7)", ed ingiunsero, infine, a tutti i loro funzionari presenti in Oriente di provvedere alla restituzione di quei beni che erano stati confiscati ai Veneziani 3. Intanto, il 2 luglio, a Genova, i procuratori delle due Repubbliche piocedevano alla reciproca compensazione prevista per i danni subiti da una parte dal veneziano Francesco Pessato e dall’altra dal genovese Corrado D Oria, che erano stati valutati nella stessa misura (art. 12)4. Nel mese di dicembre, poi, con ulteriori disposizioni, i Genovesi versarono all ambasciatore veneto, Giovanni Zorzi5, le indennità relative alle R. Predelli cit., X, n. 22. Questa nave, carica di cenere, era stata catturata dal savonese Pietro Natono, mentre stava dirigendosi verso la Romania (E. Piloti cit., I, p. 399). 2 R. Predelli cit., X, n. 21. Nel mese di agosto il problema era risolto, in quanto il Senato veneto inviò a quell’epoca nell’isola un ambasciatore, Andrea Zane, con 1 incarico di ritirare la somma stabilita dai rappresentanti locali delle due Repubbliche (A.S.V., Senato Misti, XLVII, c. 65 v.). 3 R. Predelli cit., X, nn. 23-25. 4 A.S.G., Libri iurium, IX, c. 155 r. 5 Ambasciatore della Repubblica Veneta a Firenze (v. nota 30 di questo capitolo) e a Rimini nel 1404; capitano di Creta nel 1405 (A.S.V., Senato Secreta, II, cc. 31 v. e 29 v.\ Ibidem, Senato Misti, XLVI, c. 16 v.). — 312 — navi di Nicolò Rosso (art. 2)6, Antonio Coppo (art. 4), Marco dalle Chio-vere 7; oltre alla somma che essi si erano impegnati a corrispondere per i danni arrecati ai commercianti veneziani durante il saccheggio di Beyruth, al tempo della spedizione del Boucicault (art. 9), per un totale di 11.057 fiorini, ai quali andava aggiunta la somma corrispondente al valore della nave catturata col relativo carico da Giovanni e Percivalle Spinola (art. 14)8. A Venezia la pace veniva, invece, promulgata ufficialmente il 25 luglio 9 ed il mese successivo (20 agosto) venivano restituite ai mercanti genovesi, arrestati nel dicembre 1404 al loro rientro dalla Crimea su navi veneziane, i beni e le merci che erano stati loro confiscati 10. Ma, prescindendo da queste iniziative, che rispondevano a necessità particolari e di carattere contingente, possiamo constatare come, nelle sue linee fondamentali, il rapporto fra le due Repubbliche si collochi an- 6 Due bastimenti genovesi, entrati nottetempo nel porto di Cadice, si erano impadroniti a tradimento di una cocca veneziana comandata da Nicolò Rosso, diretta verso Bruges, uccidendo alcuni marinai e ferendo o facendo prigionieri i rimanenti. Questa nave conteneva un carico di spezie e di zucchero del valore di 40.000 ducati d’oro, e di cotone del valore di 10.000 ducati d’oro. Cfr. A.S.G., Atti processuali cit., c. 52 v.\ Ibidem, Testes et atestationes cit., deposizioni di Nicolò da Moneglia (c. 25 r.), Giacomo Burnengo (c. 27 r.), Carlo De Marini (c. 27 v.), Anfreone Pinello (c. 28 r.), Francesco da Claritea (c. 58 v.), Nicolò da Rossano (c. 60 v.), Santino de Suchareto (c. 61 r.); A.S.V., Senato Misti, XLVI, c. 122 r., lettera del Senato veneto ad Angelo Venier, suo console a Siviglia, (31 gennaio 1404) e risposta del Senato veneto al console (10 aprile 1404: Ibidem, c. 127 r.); c. 123 r., lettera del Senato veneto al re di Castiglia e di Léon (29 gennaio 1404); L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, pp. 102 e 150. 7 La cattura di questa nave era avvenuta ad opera del genovese Paolo Lercari, nei pressi di Alessandria, nel periodo compreso fra lo scontro di Modone e la pace di Venezia. Cfr. A.S.G., Atti processuali cit., c. 53 r.\ Ibidem, Testes et atestationes cit., deposizioni di Benedetto Rico (c. 34 r.), Costantino Robello (c. 34 v.), Corrado del Fossato (c. 35 r.), Guglielmo Pero (c. 36 r.) e Paolo Lercari (c. 36 p.); A.S.V., Senato Misti, XLVII, c. 173 v.- M. Sanudo cit., col. 792; L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, pp. 102 e 156; R. Predelli cit., X, n. 19. 8 A.S.G., Atti processuali cit., c. 9 r.; Ibidem, Libri iurium, IX, cc. 156 r. -159 r., 12 e 24 dicembre 1406; Ibidem, Antico comune, Massaria comunis lamie, XXXI, c. 84 r.; Ibidem, Antico comune, Apodisiae magistrorum rationalium, CVI, c. 116 r. 9 R. Predelli cit., X. n. 27. Il 9 dello stesso mese era, frattanto, rientrato a Venezia Tommaso Mocenigo (L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 224). 10 A.S.V., Patti sciolti, serie I, busta 18, n. 354. — 313 — cora, pure in questo periodo, nella prospettiva di sempre: da una parte Venezia, decisa a risolvere un problema divenuto ormai marginale, o perlomeno di secondaria importanza, nel quadro delle sue nuove esigenze politiche, dall’altra, invece, la Repubblica di Genova, dove le aspirazioni del Boucicault si legavano a precisi interessi della classe politica ed economica dominante e riuscivano, pertanto, nonostante l’insofferenza dimostrata dalla maggioranza della popolazione per una contesa così logorante e controproducente, della quale ben pochi ormai potevano condividere la necessità e l’opportunità, ad imporre una linea intransigente e polemica nei confronti del governo veneto e della sua politica mirante ad un compromesso risolutivo. Se Venezia, infatti, aveva immediatamente provveduto, entro il termine di due mesi, fissato da entrambe le Repubbliche per permettere ai rispettivi arbitri di riunirsi a Firenze, a designare i suoi rappresentanti n, Genova, invece, per niente intenzionata a favorire un’iniziativa che avrebbe potuto concludere in maniera definitiva l’annosa controversia, P8 settembre, già al di là, quindi, dei limiti di tempo prefissi, chiedeva, per mezzo dei suoi agenti, sotto il pretesto di un’epidemia che regnava allora a Firenze12, una proroga fino al 1° novembre, e, malgrado le sollecitazioni e l’insistenza di Venezia e la considerevole ammenda prevista in questo casoI3, attendeva addirittura la fine dell’anno prima di eleggere i suoi rappresentantiI4. 11 Vennero eletti Fantino Dandolo (egli sostituì Andrea Contarini, figlio di Giovanni Contarini, designato in un primo momento, poiché si temeva che costui sarebbe parso sospetto ai Genovesi a causa dei danni che essi avevano arrecato a suo padre: A.S.V., Senato Secreta, III, c. 36 r.) e Bartolomeo Nani (Ibidem, Senato Secreta, III, cc. 36 v. - 37 r., 3 e 9 agosto 1406; L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 226), ai quali il 14 agosto fu aggiunto, in qualità di consigliere, Francesco Zaba-rella (A.S.V., Senato Secreta, III, c. 37 r). Essi giunsero a Firenze il 27 agosto. Dai documenti genovesi vediamo come lo Zabarella fu affiancato nel suo compito da Alberto da Pietrarossa (A.S.G., Testes et atestationes cit., cc. Ire 5 r.; Ibidem, Atti processuali cit., c. 26 v.). 12 Cfr. R. Piattoli, Genova e Tirenze cit., pp. 317-318. 13 A.S.V., Senato Secreta, III, cc. 39 v., 40 r. e 50 r; 11 e 15 settembre e 30 novembre 1406. 14 I documenti genovesi, che attestano l’avvenuta designazione dei componenti la legazione genovese, portano la data del 26 novembre (A.S.G., Antico comune, Massaria comunis Ianue, XXXI, c. 23 r.\ Ibidem, Antico comune, Apodisiae magi- - 314 - Questa lentezza nel procedere alla designazione dei suoi procuratori, vista alla luce del successivo atteggiamento che essi assunsero e sostennero nel corso del dibattito coi rappresentanti di Venezia, si giustifica con un’evidente necessità di prender tempo, per poter individuare una precisa linea di contestazione che rendesse possibile il riaprirsi anche di contrasti e polemiche ormai superati e definiti. E, quando nel gennaio 1407 iniziarono a Firenze le nuove trattative l3, i rappresentanti di Genova insistettero sulla necessità di dover rimettere tutto in discussione, partendo addirittura dal saccheggio di Beyruth e dall’episodio di Modone, sostenendo che proprio la natura delle difficoltà incontrate nel corso dei precedenti negoziati consigliava l’opportunità di risalire all’origine prima di ogni successiva contesa16, per definire con precisione le responsabilità delle singole parti. Essi chiedevano, perciò, la revisione anche di tutto quanto era stato implicitamente riconosciuto e giudicato, nonché risolto e superato nei trattati precedenti, e pretendevano, infine, di produrre, affinchè venissero valutate, nuove prove testi- strorum rationalium, CVI, c. 115 r). Genova designò come suoi arbitri Domenico Imperiale e Battista di Giacomo (legum doctores et commissarii missi Florendam pro agendis publicis ...), che vennero affiancati da Ingone Grimaldi e Prospero Robello da Ovada, inviati a Firenze in qualità di procuratori del Comune (A.S.G., Atti processuali cit., c. 26 r. ; Ibidem, Archivio segreto, Officium Balie, n. 719, cc. 9 v. e 18 v.\ Ibidem, Testes et atestationes cit., cc. 1 r., 5 r. e 6 v.). 15 Su questi avvenimenti esistono nell’Archivio di Stato di Genova [A.S.G., Archivio segreto, Diversorum registri (supplemento: frammenti di volumi Diversorum), n. 712B (anni 1398-1516)] anche alcuni fascicoli appartenenti ai registri dei Diverso-rum del 1406 e 1407, che si presentano, però, in un pessimo stato di conservazione: la loro lettura risulta estremamente difficile, quando non addirittura impossibile, per cui possono essere utilizzati solo per confermare eventuali dati e testimonianze già reperibili in altre fonti. Non ci è stato possibile, invece, ritrovare in nessuno degli archivi da noi consultati l’originale o la copia del verbale di questo processo di mediazione, che verrà poi portato e citato come prova, alla presenza di Amedeo Vili, sia da parte dei procuratori di Venezia (A.S.G., Atti processuali cit., c. 7 r.: ... copiam processus aditati Florencie, cor am arbitris electis, inter partes comunitatum Veneciarum et Ianuensium, incipiente « In Christi nomine, amen » et finiente « Padue », circa quinquaginta unum folia scripta in parte continente), che dei procuratori di Genova (Ibidem, Atti processuali cit., c. 9 r. : ...copiam processus agitati, coram arbitris Florencie, inter partes supradictas, signatum manibus Francisci Bevezano, scribe Veneciarum, notarii, Iohan-nis de Pineto, scribe Ianue, notarii, et Francisci Bondriti). 16 A.S.V., Senato Secreta, III, c. 52 r., 27 gennaio 1407. — 315 — moniali, su problemi estranei agli argomenti che si sarebbero dovuti discutere e giudicare, ma che, per loro, ne costituivano gli imprescindibili antecedenti. Gli arbitri veneziani si rifiutarono, però, com’era naturale, di accogliere i nuovi documenti e di accettare una discussione cui non erano tenuti l7: era questo un punto sul quale la Repubblica Veneta non poteva assolutamente cedere se voleva, come era nelle sue intenzioni e nel suo interesse, raggiungere un accordo completo e definitivo nel più breve tempo possibile. Anche la richiesta avanzata da parte dei procuratori di Genova, Ingone Grimaldi e Prospero Robello, i quali domandarono che i quattro arbitri scelti dalle due Repubbliche designassero una o più persone alla cui presenza uno o più notai avrebbero dovuto condurre l’interrogatorio di quei testi capaci di portare nuovi elementi relativi a questa causa, fu ugualmente respinta da parte dei due arbitri eletti da Venezia. Ciononostante Genova, col solo consenso dei suoi due arbitri, Domenico Imperiale e Battista di Giacomo, procedette unilateralmente alla nomina di Amico de Moscbossis de Rippatransonis, allora vicario del Boucicault, e dei notai che lo avrebbero coadiuvato, nelle persone di Giacomo da Ca-mogli e Giovanni Carrega 18. Ma le difficoltà frapposte e sollevate dalla Repubblica di Genova non si limitarono ai casi suesposti: i procuratori genovesi vollero pure mettere in discussione il punto di partenza del periodo di tre mesi necessario, secondo le disposizioni della pace di Torino, per poter designare il quinto arbitro, e vollero subordinare, inoltre, anche il ricorso a questa eventualità al diritto di poter produrre in quella circostanza gli stessi testimoni sulle medesime questioni già definite e superate, che gli arbitri veneziani si erano rifiutati di riprendere e riesaminare 19. Di fronte ad una situazione del genere il Comune di Firenze, che era stato prescelto come quinto arbitro, rifiutò 20 di assumersi l’impegno e la responsabilita di una mediazione che si presentava particolarmente 17 A.S.G., Testes et atestationes cit., c. 5 r.; Ibidem, Atti processuali cit., cc. 16 r. e 28 v. A.S.G., Testes et atestationes cit., cc. 5 r. - 6 v.; Ibidem, Atti processuali cit., cc. 9 D. 10 r.; 15 r. -16t>.; 26r.-29v. Cfr., inoltre, pp. la nota 8 dell’introduzione. A.S.V., Senato Secreta, III, cc. 55 r. e 58 r, 18 febbraio e 11 marzo 1407. A.S.G., Atti processuali cit., c. 4 v.: ...et ipsum magnifficum Comune Flo- rende, certis racionibus et causis allegatis et declaratis per ipsam magnifficam comu-nitatem Florende, recusaverit dictum iudicium acceptare, nolens de dictis causis seu differendis se intromittere. — 316 — ingrata e con ben poche probabilità di successo, cosicché i rappresentanti delle due ^Repubbliche finirono per separarsi21. La Repubblica Ligure, ed il Boucicault soprattutto, avevano ottenuto, pertanto, un primo risultato corrispondente ai loro intenti di alimentare le controversie e gli equivoci nelle relazioni fra Genova e Venezia. Solo un simile stato di cose poteva offrire loro pretesti per sostenere una politica di rivendicazione e di prestigio, senza dover correre, per questo, i rischi che avrebbe comportato assumere lo stesso atteggiamento e perseguire lo stesso fine in maniera evidente ed ostentata, attraverso una posizione di rottura aperta, difficilmente sostenibile a lungo e con pretesti validi e legittimi, sia nei confronti dell’opposizione interna e a causa delle interne difficoltà economiche, sia per la diffidenza e l’ostilità, che una azione così spregiudicata e chiaramente dettata da soli motivi di ambizione e di mera rivalsa, avrebbe attirato sul governatore francese, da parte anche degli altri stati italiani. Fu ancora una volta il governo veneto che, all’indomani stesso del fallimento delle trattative, preoccupato delle conseguenze che il degenerare della situazione avrebbe potuto produrre, ritenne opportuno inviare a Genova uno dei suoi due rappresentanti a Firenze, Bartolomeo Nani 22, con l’incarico di convincere la Repubblica di Genova a designare un nuovo arbitro La Repubblica di Venezia si opponeva solo alla designazione di un principe di sangue della corte francese, che sarebbe stato al tempo stesso giudice e parte in causa, ma non rifiutava, in via di principio, l’arbitrato, ad esempio, di Raymond de Lescure24, priore di Tolosa, amico 21 A.S.V., Senato Secreta, III, c. 60 r., 30 marzo 1407. 22 Nani Bartolomeo fece parte della commissione di dodici nobili incaricati di sorvegliare e dirigere i lavori al porto di S. Nicola (1408), e dell’ambasceria inviata a Pisa presso papa Alessandro V nel 1409 (A.S.V., Senato Misti, XLVIII, c. 28 v.; R. Predelli cit., X, n. 108). 23 A.S.V., Senato Secreta, III, cc. 61 r. e 62 v., 2 e 8 aprile 1407, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., II, p. 68, n. 1255; Ibidem, Senato Misti, XLVII, c. 110 v. 24 Raymond de Lescure venne nominato priore di Tolosa il 27 febbraio 1396. Fu successivamente inviato in Morea per amministrare i possedimenti dell’Ordine di S. Giovanni Gerosolimitano nel Peloponneso (1400). Il capitolo generale di Aix lo designò tesoriere dell’ordine nel 1410. Mori l’anno successivo a Macri, in Licia, nel corso di una spedizione contro i Turchi (J. Bosio, Dell’istoria della sacra religione et illustrissima militia di S. Giovanni Gierosolimitano, Napoli, 1695, vol. II, passim-, J. Delaville Lf Roulx, Les Hospitaliers cit., p. 278, nota 7). — 317 — 21 di entrambi i governi, che allora stava adempiendo a Genova ad una missione diplomatica della quale era stato incaricato dal re di Cipro25. La scelta definitiva (8 giugno 1407) cadde su Amedeo Vili, conte di Savoia2é, e non può non sorprendere, in parte, se si considera, al di là delle amichevoli relazioni esistenti fra la corte Sabauda e la Repubblica Veneta27, anche un’altra costante della politica di casa Savoia: l’enorme importanza che, dal punto di vista economico, Genova rappresentava per 10 stato piemontese, come suo naturale e praticamente unico sbocco verso 11 mare, per cui i principi Sabaudi avevano sempre sostenuto, a questo riguardo, una politica tesa all’indebolimento della Repubblica Ligure, quale indispensabile premessa ad una loro progressiva infiltrazione in quel territorio. Mancando, però, dei dati precisi e più esaurienti, poiché, oltre i documenti ufficiali, contenuti nell’Archivio di Stato di Genova e di Venezia, che nulla lasciano trapelare a questo proposito, non ci è stato possibile rintracciare qualche indicazione più illuminante al riguardo, la sola congettura che si possa avanzare è che a tale scelta le due Repubbliche siano arrivate probabilmente per via d’esclusione e che su essa possa avere influito in maniera decisiva il ricordo dell’analogo ricorso fatto ad Amedeo VI, al tempo della guerra di Chioggia. Tuttavia, se precisi impegni previsti dalle clausole della pace di Torino non potevano permettere alla Repubblica di Genova di eludere a lungo le sollecitazioni del governo veneto, quando queste, come in tale occasione, si richiamavano, in maniera per lo più quanto mai conciliante, a punti chiari e incontestabili, non per questo, però, una volta giunto, suo malgrado, alla inevitabile designazione del nuovo arbitro, il Boucicault abbandonò ogni velleità: doveva passare quasi un anno prima che i 25 Cfr. L. de Mas Latrie, Histoire cit., II, p. 494; L. Dorez e G. Lefèvre Pontalis cit., I, pp. 240-241. 26 A.S.G., Atti processuali cit., cc. 2 v. - 6 v.; Ibidem, Archivio segreto, Materie politiche, m. 11/2730, doc. 12, reg. in P. Lisciandrelli cit., p. 140, n. 732; A.S.V., Senato Secreta, III, c. 61 r.\ R. Predelli cit., X, nn. 48, 49 e 79 (allegato E). 27 Cfr. E. Musatti, Venezia e Casa Savoia, Padova, 1889; A. Segrè cit., passim. rappresentanti delle due Repubbliche venissero designati28 e si riunissero a Torino, alla presenza di Amedeo Vili29. Nel frattempo un avvenimento di eccezionale importanza, accaduto nel quadro delle lotte interne in seno alla corte francese, fra le due fazioni rivali degli Armagnacchi e dei Borgognoni, vale a dire l’uccisione di Luigi d’Orléans (23 novembre 1407) 30, portando al potere il duca di Borgogna, Giovanni Senza Paura, restituiva praticamente al Boucicault una maggiore libertà d’azione. Il governatore di Genova avrebbe potuto ora, perseguendo i suoi propositi, assecondare e favorire nello stesso tempo anche le ambizioni ed i disegni del duca di Borgogna, che, trovandosi in pieno contrasto con Venezia, per la rendita della corona ungherese31, vedeva con favore la politica attuata dal Boucicault. In effetti, quando alla fine di marzo del 1408 iniziarono le sedute del processo di mediazione 32, l’atteggiamento, che nel corso del lungo e 28 La Repubblica di Venezia designò (24 febbraio 1408) Paolo Zane, Barbone Morosini, Alberto Pietrarossa (che sostituì Francesco Zabarella, nominato in un primo tempo: A.S.V., Senato Misti, XLVII, c. 166 r., 4 febbraio 1408) e Giacomo Fabri (Ibidem, Senato Misti, XLVII, cc. 173 r. -175 r.), reg. in F. Thiriet, Régestes cit., II, p. 76, n. 1297; R. Predelli cit., X, n. 79, allegato F), quella di Genova elesse (14 marzo 1408) Bartolomeo Bosco e Domenico Imperiale (A.S.G., Archivio segreto, Diversorum registri, 1/502, cc. 12 v., 35 v., 38 r. - 40 r.). 29 La prima seduta del processo di mediazione si tenne il 31 marzo 1408 alla presenza dei soli procuratori di Venezia, poiché i rappresentanti di Genova arrivarono a Torino soltanto il 3 aprile (A.S.G., Atti processuali cit., cc. 2 r. e v.). 30 Cfr. E. Jarry, La vie politique cit., p. 355. 31 Su questo contrasto e sui suoi sviluppi cfr. J. Delaville Le Roulx, La France cit., I, pp. 327-334; P.M. Perret cit., I, p. 80; L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 14, nota 6. 32 Dopo l’arrivo degli ambasciatori veneti (31 marzo) e di quelli genovesi (3 aprile) e la ratifica della scelta di Amedeo Vili quale arbitro di questa controversia, i procuratori delle due Repubbliche presentarono nei giorni 4, 5 e 6 aprile i documenti e le testimonianze che avrebbero usato come prove durante il processo di mediazione. Le sedute successive, nel corso delle quali le due parti in causa ribadirono le rispettive posizioni di principio e le richieste che in base ad esse rivendicavano, si tennero il 26, 28 e 30 aprile, il 12, 14 e 16 maggio, il 19, 23 e 30 giugno, il 4, 13, 30 e 31 luglio, il 2 e F8 agosto, giorno nel quale Amedeo Vili emise il suo verdetto. Il giorno successivo i procuratori di Genova si appellarono, inutilmente però, contro la sentenza, mentre il 10, sempre gli stessi procuratori pretesero che fossero ritrascritte a verbale le dichiarazioni da loro fatte nel corso delle sedute del 16 luglio e del 2 agosto, dove essi avevano precisato i motivi per cui ritenevano arbitrario ed illegale il modo di procedere di Amedeo VIII (cfr. A.S.G., Atti processuali cit., passim). — 319 — contrastato dibattito assunsero i rappresentanti di Genova, si mantenne costantemente nei limiti di una linea intransigente. Essi miravano a provocare polemiche artificiose e a suscitare pericolose discussioni su questioni di principio, ad un livello, però, sostanzialmente astratto e puramente accademico, puntando soprattutto, per ottenere questo scopo, su pretestuosi cavilli di natura giuridica, dal valore esclusivamente formale , e cercando di spostare l’attenzione su motivi in gran parte estranei agli argomenti che si sarebbero dovuti discutere e giudicare. Cosicché la discussione si radicalizzò attorno alle divergenti posizioni di fondo sostenute e ribadite con intransigenza, dai rispettivi procuratori delle due Repubbliche, senza che l’intervento di Amedeo Vili riuscisse, in pratica, a modificare i termini del contrasto. I rappresentanti di Genova continuarono, infatti, ad insistere perchè fosse riaperto il dibattito anche sulla spedizione del Boucicault in Oriente, sostenendo di poter produrre nuove prove, valendosi delle testimonianze da loro raccolte nel corso degli interrogatorii svoltisi a Genova, alla sola presenza del luogotenente del governatore, nel febbraio del 1407: pretendevano che fossero esaminati e discussi quegli stessi documenti che la Repubblica di Genova avrebbe voluto produrre a Firenze l’anno precedente e che erano stati rifiutati dagli arbitri veneziani 34. Un’analoga decisione fu presa, però, anche da Amedeo VIII, il quale respinse, a sua volta, tali documenti, sia perchè li ritenne in gran parte estranei alla natura della causa, in quanto riguardavano principalmente questioni già risolte e definite dai trattati precedenti, sia perchè essi non potevano rivestire alcun valore giuridico e probatorio, non essendo stati redatti in forma solenne e colle debite garanzie 35. Anzi, senza tener 33 Non a caso la scelta di uno dei due procuratori della Repubblica di Genova era caduta questa volta su Bartolomeo Bosco, che godeva fama di insigne e valente giurista: fu, infatti, consigliere di giustizia di Filippo Maria Visconti nel periodo fra il 1421 e il 1436 (L. Della Cella cit., I, p. 109; Elogi di liguri illustri, Genova, 1846, I, pp. 157-165). 34 V. le note nn. 15-17 di questo capitolo. 35 A.S.G., Atti processuali cit., cc. 44 r. - 46 za: . . . cum non sint hec requisitorie auttentice et in formam solempnem confecte... per banc nostram interloqutorum sentenciam declaramus, pronunciamus et sentenciamus dictam publicacionem dictorum manualium, quaternorum et librorum clausorum et dictarum assertarum attestacionum in eisdem, ut asseritur, descriptarum, per nos non esse, ut premittitur, de iure faciendum, nec sic per consequens, posicionibus traditis per dictos sindicos Ianuensium, ad causam dictarum assertarum attestacionum, fore pro parte dictorum sindicorum Venetorum respondendum. — 320 — conto delle proteste dei Genovesi, che insistevano nel porre, come imprescindibile premessa alla continuazione del dibattito su un piano di correttezza e di validità, l’accettazione delle loro richieste, il Duca, deciso ad attenersi strettamente ed esclusivamente ai documenti ufficiali, vale a dire ai due trattati del 22 marzo 1404 e del 28 giugno 1406, giudicando il problema da loro sollevato non di sua pertinenza, ordinò il proseguimento della discussione solo per i punti che riguardano gli argomenti rimasti ancora in sospeso e sui quali soltanto era stato chiamato a fornire la sua interpretazione. La sentenza, ampia e particolareggiata, articolantesi in 11 punti fondamentali, emessa, infine, il 9 agosto, rispecchia e conferma il rispetto della linea di condotta che si era prefisso. Egli condannò i Genovesi a pagare i danni sofferti dai Veneziani, per opera o su iniziativa del Boucicault e dei suoi agenti (cioè i danni subiti da Nicolò Rosso, Marco dalla Chiovere, Frangia Venerio, Basilio Tirapelle, Giorgio Monganaro e Antonio Coppo), ad eccezione di taluni titoli (quelli riguardanti le pretese di compenso da parte di Venezia per i danni inferti a Catarino Rosa, Pietro Valle e Giacomo Sappa), per i quali, in mancanza di documenti autentici o testimonianze attendibili, che comprovassero con certezza il diritto dei danneggiati, respinse le richieste di indennizzo avanzate dalla Repubblica Veneta. Risolte, così, a favore di Venezia, le principali questioni controverse, condannò, inoltre, i Genovesi anche al pagamento della maggior parte delle spese processuali (art. 11)36. Tuttavia, già il giorno successivo, i rappresentanti della Repubblica di Genova presentarono una petizione d’appello 37, dove, in 10 punti, erano ribaditi i motivi della loro opposizione alla sentenza: il Duca non aveva adottato la sola procedura che gli avrebbe permesso di rendersi conto dell’effettiva responsabilità delle parti in causa negli episodi intorno ai quali era stato chiamato a giudicare. Essi si riferivano, naturalmente, alla mancata accettazione, da parte di Amedeo Vili, delle prove e delle testimonianze da loro presentate sul complesso degli avvenimenti che avevano caratterizzato i rapporti fra le due Repubbliche a partire dal 1403. Chie- 36 Per la sentenza emessa da Amedeo Vili cfr. A.S.G., Atti processuali cit., cc. 106 r. -117 r ; R. Predelli cit., X, n. 79. 37 A.S.G., Atti processuali cit., c. 126 r; R. Predelli cit., X, n. 81, allegati A e B. — 321 — devano, di conseguenza, l’annullamento del dispositivo finale emesso il giorno precedente, poiché chiaramente non conforme al diritto ed alla giustizia, riproponendo la necessità di una nuova discussione più ampia ed estesa a tutti quei punti su cui essi avevano ripetutamente insistito nel corso del processo appena concluso, minacciando, altrimenti, di ricorrere all’imperatore o, in caso di vacanza del trono, al papa ed alla Santa Sede. Anche se Amedeo Vili respinse senza esitazione tali richieste , ponendo fine alla vertenza, almeno da un punto di vista giuridico e formale, ben pochi passi avanti erano stati mossi, in sostanza, verso un avvicinamento delle posizioni delle due Repubbliche, rispetto al periodo precedente questo lungo dibattito. Il ruolo sostenuto da Genova nel corso della discussione e la stessa petizione d’appello, presentata subito dopo la sentenza arbitrale per contestarne ogni validità, dimostrano in maniera evidente che nulla era mutato nell’atteggiamento negativo e provocatorio del Boucicault nei confronti della Repubblica Veneta e lasciano prevedere come pure questa volta, nonostante il ricorso ad un mediatore cosi autorevole, gli impegni previsti dal dispositivo finale non sarebbero stati attuati, in quanto i Genovesi non si ritenevano affatto vincolati da una serie di clausole assolutamente arbitrarie dal loro punto di vista. A nulla valsero, infatti, le continue insistenze e sollecitazioni dell’ambasciatore veneto a Genova, Francesco Beaciani, il quale ripetutamente richiedette al Consiglio degli Anziani della città il rispetto degli impegni previsti dal recente trattato 39, poiché, a distanza di cinque mesi circa, la posizione del governo genovese era ancora la stessa, in quanto, proprio nei primi giorni di gennaio del 1409 40, Pallor luogotenente del Boucicault, Ingone Grimaldi, chiedeva ancora al Senato veneto l’annullamento della sentenza di Torino ed un riesame globale della questione, affidato a nuovi arbitri41. 38 A.S.G., Atti processuali cit., c. 130 r.: ...quia sunt frustatone et superflue appellationes de iure non sunt admittende. 39 A.S.V., Senato Secreta, III, c. 119 r., 11 ottobre 1408. 40 ASM., Senato Secreta, III, cc. 133 r. e 134 r., 3 e 8 gennaio 1409, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., II, p. 83, n. 1337; L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, P- 244. 41 Tuttavia, al di là di questa divergenza di fondo, pure nella definizione dei modi e dei tempi di attuazione dell’indennizzo, che Genova avrebbe dovuto corri- — 322 — Tali negoziazioni, iniziate a livello di sondaggio e proseguite con un carattere semiufficiale, si trascinarono fino al mese di aprile, senza che fosse possibile raggiungere un accordo, malgrado la volontà, riaffermata ufficialmente da Venezia, di accogliere le richieste genovesi nel caso in cui queste fossero state ritenute giuste, ragionevoli e dignitose n. L’ostinazione della Repubblica di Genova nel voler negare il fondamento giuridico della sentenza pronunciata dal conte di Savoia (in una comunicazione diretta al Senato veneto, in data 15 giugno 1409, il governo genovese manifestava nuovamente il proposito, già minacciato d’altronde nella petizione d’appello presentata il 10 agosto 1408, avversa all’arbitrato di Amedeo Vili, di portare la questione davanti al concilio riunito a Pisa 43), continuava, però, a cozzare contro il rifiuto deciso ed altrettanto intransigente della Repubblica Veneta, la quale, forte della sua ineccepibile posizione giuridica, sollecitava Genova ad attenersi alle delibere del principe Sabaudo, garantendo di dimostrarsi, nell’esecuzione pratica delle varie clausole, tanto ben disposta e conciliante, quanto si era sempre dimostrata inflessibile sulle questioni di principio sollevate e ripetutamente riproposte dai rappresentanti genovesi44. Una situazione del genere presentava praticamente poche vie d’uscita ed avrebbe, con tutta probabilità, portato col passare del tempo, ad acuire le tensioni ed i contrasti anche oltre l’ambito esclusivamente diplomatico, se un avvenimento di importanza decisiva, quale l’espulsione del Boucicault e la fine della dominazione francese a Genova (settembre 1409) 45, spondere a Venezia, quale risarcimento dei danni provocati dalle rappresaglie ordinate o protette e favorite dal Boucicault, le posizioni delle due parti restavano sensibilmente contrastanti: Genova si dichiarava eventualmente disposta a pagare 20.000 fiorini nello spazio di due anni, mentre Venezia esigeva 30.000 fiorini, pagabili in tre anni. 42 A.S.V., Senato Secreta, IV, cc. 9 r. -11 r., 12, 14, 16 e 18 aprile 1409. 43 V. la pagina precedente. 44 A.S.V., Senato Secreta, IV, 38 r., 9 luglio 1409. 45 Per i principali avvenimenti relativi a questo episodio cfr. B. Corto, Storia di Milano, Milano, 1855-1857, vol. II, pp. 502-504; G. Giulini, Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della città di Milano, Milano, 1857, vol. VI, p. 137; I. Ghiron, Della vita e delle militari imprese di Facino Cane, in Archivio Storico Lombardo, IV, 1877, pp. 580-581; L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, pp. 270-301; N. Valeri, Facino Cane cit., pp. 190-192; F. Cognasso, Il ducato visconteo cit., pp. 137-141. — 323 — non avesse improvvisamente modificato molte posizioni ed aperto nuove possibilità. Su questo episodio dovette giocare un ruolo determinante pure la Repubblica di Venezia, dove era sempre stata assai diffusa la convinzione che il maresciallo rappresentasse il maggiore, se non addirittura Punico ostacolo ad un ristabilimento di normali rapporti fra Genova e la Serenissima, anche se non è possibile, a tale proposito, individuare con precisione il ruolo esatto da essa sostenuto e la misura delPinfluenza da essa esercitata, in quanto ragioni di opportunità e di convenienza non potevano permetterle un’azione aperta 4é. Ma, effettivamente, quando il Boucicault tentò di impadronirsi di Milano, dove era stato chiamato, dal giovane duca Giovanni Maria Visconti, in soccorso contro le fazioni che desolavano il suo Stato (agosto 1409), Venezia contribuì a raccogliere ed organizzare un esercito ed una lega dei piccoli signori di Lombardia47, a soccorrere, successivamente, Facino Cane nella sua marcia verso Genova 4S, nonché a fornire, con tutta probabilità, denaro ed armi a Battista Luxardo che, parallelamente, fece scoppiare a Genova, nella notte fra il 2 e il 3 settembre, quella rivoluzione contro i Francesi, la quale riuscì ad abbattere il governo del maresciallo49, col favore della parte ghibellina. 46 Su queste ipotesi e sul probabile atteggiamento tenuto da Venezia in questa circostanza cfr. P.M. Perret cit., I, pp. 101-113. 47 La Cronaca Morosina precisa le misure prese ed adottate dal governo veneziano sia dopo l’arrivo della notizia che il Boucicault era già entrato a Piacenza (L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, pp. 270 e sgg., 22 agosto: « Fo prexo... de far una per C° d’inprestidy de impoxicion per soldar la dita zente, per defensione de tute le nostre tere e pasy de tuta Lombardia »), che a Pavia (Idem, P- 274, 29 agosto: «... e prexo de prexente fo de far lanze V° et pedony M, prima de meter a paso, holtra la zente avemo d’arme, a Verona anchora lanze CCC, e da lanze C apreso quela de Padoa, e lanze C° sul Polexene del Ferarexe; e questo per maior for-teza dy luogy nostry »). 48 Cfr. A. Battistella cit., p. 297. 49 II Boucicault, tuttavia, non si ritirò immediatamente in Francia (come, ad esempio, afferma, per errore, M. C. Canale, Nuova istoria della Repubblica di Genova, Firenze, 1858-1864, vol. IV, p. 164), ma, riparato in Piemonte presso Luigi di Savoia, principe di Acaia, uno dei componenti la lega filofrancese, aiutato da nuovi rinforzi provenientegli dalla Francia, continuò a combattere con alterna fortuna fino all’inizio del 1411, quando fra le due coalizioni ancora in contrasto vennero stabiliti prima una tregua e poi una pace (8 aprile 1411). Cfr. G. Stella cit., coll. 1226-1232; G. Della Chiesa, Cronaca di Saluzzo, in Historiae Patriae Monumenta, Scriptores, vol. Ili, — 324 — Però ancora il 9 settembre non dovevano essere giunte a Venezia notizie precise e rassicuranti sull’esito di questo tentativo50, in quanto, in tale data, il Senato veneto, sulla scorta di informazioni allarmistiche, che gli erano pervenute attorno ai movimenti della flotta genovese nel Levante, ordinò ai provveditori di Zara di inviare una galera a Modone, perchè si aggiungesse alla flotta del capitano del Golfo, incaricato di sorvegliare i Genovesi51. Quando, alcuni mesi dopo, normalizzatasi momentaneamente la situazione interna dello Stato genovese, con l’offerta del governo della Repubblica a Teodoro II Paleologo, marchese del Monferrato (1381-1418), Venezia ritornò a chiedere, sempre per mezzo del suo ambasciatore Francesco Beaciani, in che maniera ed entro quali limiti di tempo i Genovesi intendessero pagare le somme dovute52, la risposta del governo ligure, questa volta, non contestò nè la legittimità della sentenza arbitrale di Amedeo Vili, nè l’entità della somma53: non restava, quindi, che precisare i termini ed il tempo del pagamento. Questi due punti diedero luogo ad uno scambio di trattative che durarono fino al termine del 1410. La Repubblica di Venezia finì per l’accettare di ricevere 25.000 ducati d’oro Torino, 1868, coll. 1055-1066; A. M. Chazaud cit., pp. 302-309; I. Scovazzi - F. No-berasco cit., II, p. 205; F. Cognasso, Soggiorno del maresciallo Boucicault in Piemonte dopo la ribellione di Genova, in Mélanges d’archéologie et d’histoire, XXXIV, 1914, fase. III. 50 Secondo una testimonianza della Cronaca Morosina (L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, pp. 286-288) notizie precise su questi avvenimenti arrivarono a Venezia l’il settembre, portatevi, probabilmente, da Pandolfo Malatesta, signore di Brescia, appartenente alla lega ghibellina, avversa al Boucicault ed ai francesi, giunto nella citt-à lagunare per sollecitare nuovi rinforzi da parte di Venezia. 51 A.S.V., Senato Misti, XLVIII, c. 102 v., 9 settembre 1409, reg. in F. Thiriet, Kégestes cit., II, p. 87, n. 1360. 52 A.S.V., Senato Secreta, IV, c. 97/'., 6 marzo 1410, reg. in F. Thiriet, Kégestes cit., II, p. 90, n. 1367. 53 Genova propose, in un primo tempo, di versare da quindici a ventimila fiorini in tre o quattro anni, e poi mille ducati all’anno fino all’estinzione del debito, ma il governo veneto fece rilevare come non gli sarebbe stato possibile, a causa delle considerevoli spese sopportate per gli ambasciatori, accontentarsi di meno di 40.000 ducati entro i primi cinque anni e di 5.000 ducati all’anno nel periodo successivo (A.S.V., Senato Secreta, IV, cc. 120 v. e 134 r., 24 giugno e 9 settembre 1410, reg. in F. Thiriet, Régestes cit., II, pp. 91 e 94, nn. 1376 e 1391; R. Predelli cit.. X, n. 116). — 325 — in cinque anni, accontentandosi che il resto della somma le venisse poi corrisposto in misura di 2.000 ducati annui54. Raffaele Vivaldi fu allora accreditato dal Marchese di Monferrato per trattare, su queste basi, col Beaciani, designato55 a tale proposito dal governo veneto, la definizione diplomatica del raggiunto accordo, e, il 4 dicembre56, la Repubblica di Venezia richiamava il suo ambasciatore, la cui missione era terminata in seguito alla conclusione delle trattative con Genova. * * * Gli ultimi avvenimenti che abbiamo preso in considerazione indicano come, dopo l’espulsione del Boucicault, il dialogo fra le due Repubbliche riprese in un clima di recipoca maggiore disponibilità ed apertura, fu possibile, così, raggiungere un accordo dai termini meno vaghi ed imprecisi delle volte precedenti e, soprattutto, non viziato da quelle riserve di fondo che potevano offrire adito a equivoci o contestazioni. Ma tutto ciò non basta, a nostro parere, per giustificare la conclusione alla quale pervenne, di conseguenza, il Manfroni57, che, generalizzando al massimo, ritenne confermata e ribadita proprio da questi ultimi episodi la tesi, da lui proposta e sostenuta nel corso del suo articolo, per cui si dovrebbe individuare nel Boucicault l’unico responsabile della situazione che si era venuta a creare fra le Repubbliche di Genova e di Venezia. Il governatore francese non avrebbe potuto, come abbiamo fatto rilevare più volte in precedenza58, assumere ed imporre l’atteggiamento da lui mantenuto nel corso delle vicende che abbiamo esaminato, se avesse voluto obbedire esclusivamente alle proprie esigenze ed aspirazioni: la verita e che tali esigenze ed aspirazioni coincisero molto spesso con gli stessi interessi economici e finanziari del governo ligure, per cui da parte genovese furono, di volta in volta, accettati e mantenuti quegli impegni che rientravano in tale ambito. Naturalmente la mutata situazione generale, successiva all’espulsione 54 A.S.V., Senato Secreta, IV, c. 140 v., 27 ottobre 1410. 55 A.S.V., Patti sciolti, busta 19, serie 1, n. 368, 7 novembre 1410. 56 A.S.V., Senato Secreta, IV, c. 145 r.; L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis cit., I, p. 244. 57 C. Manfroni, Lo scontro di Modone cit., pp. 339-341. 58 Vedi soprattutto pp. — 326 — del Boucicault, portando al potere realtà politiche legate a nuovi interessi ed esigenze economiche, coincise anche con un atteggiamento diverso pure nei riguardi della Repubblica Veneta, ma, anche in questo caso, se estendiamo, sia pure sommariamente, la nostra analisi agli anni successivi, possiamo constatare come, in contrasto proprio con una precisa considerazione del Manfroni59, nemmeno questa volta (eppure il Boucicault non poteva più imporre la propria volontà!) la Repubblica di Genova si dimostrò sollecita nell’adempiere agli impegni assunti nei riguardi di Venezia60. Ci sembra, pertanto, che anche l’azione del Boucicault si fosse, in questo caso, inserita in uno schema tradizionale, modificandone forse e forzandone certi motivi consueti, ma senza alterare, nella loro essenza, una serie di rapporti che solo con la scomparsa, come forza autonoma e determinante, di una delle due Repubbliche e, soprattutto, col nuovo configurarsi della prospettiva politica italiana e mediterranea, si sarebbero riproposti in maniera sostanzialmente diversa. 59 C. Manfroni, Lo scontro di Modone cit., p. 339: « ... i Genovesi non pensarono più a sottrarsi al pagamento delle indennità cui erano stati condannati dal Duca di Savoia »: la realtà dei fatti (vedi, ad esempio, la nota successiva) smentirà questa affermazione così decisa e convinta dello storico veneziano, suggerita, come altre sue conclusioni forzate, dalla sua preconcetta posizione demolitrice e polemica nei confronti del Boucicault. 60 II 15 marzo 1417, infatti, i rappresentanti di Genova ed il procuratore di Venezia, Iacopo de’ Languschi, stabilirono che, non avendo il Comune di Genova adempiuto agli obblighi impostigli dalla convenzione del 1410, quest’ultimo si impegnava al pagamento delle varie somme determinate in quell’accordo, nei termini in esso stabiliti, a partire dal prossimo mese di agosto, attraverso il Banco di S. Giorgio, restando il Comune mallevadore del puntuale esborso delle singole rate (R. Predelli cit., X. nn. 220 e 221). Inoltre una notizia, non confermata, però, da nessun’altra fonte, offerta dalla Cronaca Morosina (L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis, cit., I, p. 314) ci informa, indicando pertanto che certi rapporti non si erano del tutto modificati nemmeno dopo l’espulsione del Boucicault, come due cocche Veneziane, provenienti dalle Fiandre, fossero giunte nel porto di Venezia il 18 aprile 1411 dopo avere evitato e respinto, nei pressi di Cadice, l’attacco di tre navi corsare genovesi. — 327 — - ■ • . - • V ■ - . . . ' ■ ■ . I_ _ I NOTIZIARIO BIBLIOGRAFICO SECC. VII-XIV G. Balbi, La schiavitù a Genova tra i secoli XII e XIII, in Mélanges offerts à René Crozet, Société d’Etudes Médiévales, Poitiers, 1966, pp. 1025-1029. L’esame dei cartulari notarili genovesi pubblicati dalla Deputazione di Storia Patria per la Liguria, relativi al periodo fra il 1186 ed il 1226, ha permesso di precisare alcuni aspetti concernenti la compravendita e la manumissione degli schiavi nel territorio genovese. (Francesco Surdich) I. Dujcev, Rapporti economici fra Bisanzio e gli Slavi, in Bullettino dell’istituto storico italiano per il Medio Evo e archìvio muratoriano, n. 76, Roma, 1964, pp. 1-30. Nella seconda parte dell’articolo, a proposito dei rapporti commerciali bizan-tino-russi, l’A. sottolinea il peso dell’influenza raggiunta nel secolo XIV dalla Repubblica di Genova, lungo le sponde del Mar Nero: essa riuscì ad imporre all’impe-ratore d’Oriente un patto, secondo il quale nessuna nave bizantina sarebbe potuta entrare nel Mare d’Azov senza il permesso del governo genovese. (Francesco Surdich) V, Fumagalli, Crisi del dominico e aumento del masserizio nei beni « infra valle » del monastero di S. Colombano di Bobbio dall’862 all’883, in Rivista di storia dell’agricoltura, VI, n. 4, dicembre 1966, pp. 352-359. L’A. precisa — sulla base delle adbreviationes bobbiesi dell’862 e dell’883 — le trasformazioni avvenute nel sistema di conduzione e sfruttamento delle terre più prossime al monastero di San Colombano. Nel corso dei vent’anni presi in considerazione, nei vari centri del bobbiese si rilevano fenomeni analoghi tra di loro. In generale è evidente un forte incremento della terra parcellata, con conseguente aumento del numero di agricoltori che conducono direttamente un fondo; i nuovi poderi sono ricavati a spese della parte dominica, soprattutto di quella incolta, che viene disboscata; i prodotti di tale parte diminuiscono, sia naturalmente per la riduzione del terreno, sia, con grande probabilità, per la diminuzione di mano d’opera servile — 331 — e delle prestazioni dei coloni; la terra già coltivata viene sottoposta a un trattamento più intensivo. La zona « infra valle », per la sua posizione stessa, è una delle più curate dal monastero, ed è centro produttore importantissimo, nell’insieme dei beni terrieri abbaziali: i mutamenti avvenuti su di essa presentano perciò un aspetto molto significativo nell’ambito bobbiese e in quello più vasto della coltivazione e bonifica di iniziativa monastica. (Valeria Polonio) S. Tramontana, Michele da Piazza e il potere baronale in Sicilio, Università degli Studi di Messina, Pubblicazioni della Facoltà di Magistero, 4, Messina-Firenze, 1963. Nel quadro della Sicilia trecentesca, ricostruita attraverso la cronaca contemporanea di Michele da Piazza, si accenna fugacemente in diverse parti alla presenza e agli interessi di Genova, soprattutto dal punto di vista economico. (Gabriella Airaldi) S. Tramontana, La Spagna catalana nel Mediterraneo e in Sicilia, in Nuova Rivista Storica, L, 1966 fascc. V-VI. In questo articolo, che promette nel titolo assai più di quanto mantenga nella trattazione, Genova è scarsamente rappresentata. Si accenna soltanto agli Annali Genovesi, là dove essi raccontano l’impresa di Pietro III in Sicilia; alla lotta in Genova per mantenere le relazioni con re Giacomo II di Catalogna-Aragona, a duello veneziano-genovese nel Mediterraneo ai tempi di re Pietro IV e alle origini del conflitto fra Catalani e Genovesi nel Mediterraneo; alla battaglia del Bosforo fra i Genovesi, da un lato, e i Catalani, dall’altro, nel 1353. (G. P.) SECC. XV-XVI M. Del Treppo, I mercanti catalani e l’espansione della Corona aragonese nel secolo XV, Università di Napoli, Seminario di Storia Medievale e Moderna, IV, Napoli, 1967/. In un’opera di vastissimo respiro, qual è questa del Del Treppo, i riferimenti ai rapporti economici e politici di Genova con i mercanti catalani e con la corona d’Aragona sono naturalmente frequenti e, di norma, esattamente inquadrati nel tessuto storico generale. C’è soltanto da rammaricarsi che il Del Treppo, il quale ha largamente esplorato gli archivi barcellonesi e non pochi archivi italiani (Firenze, Milano, Napoli, Palermo), non abbia compiuto nessun sopralluogo presso l’Archivio di Stato di Genova che, proprio per il tema da lui trattato e particolarmente per il secolo XV, gli avrebbe offerto ottimo materiale, sia nella serie dei Diversorum, sia nei fondi relativi al commercio e alla finanza. (G. P.) — 332 — A. M. Gaetti, San Francesco da Paola passò per Genova nel 1483 ?, in Bollettino ufficiale dell’Ordine dei Minimi, Vili, 1962, pp. 52-81, 135-146, 228-247. E tradiaione genovese e dell’Ordine dei Minimi che Francesco da Paola, in viaggio verso la Francia nel 1483, abbia fatto sosta a Genova, e abbia predetto il sorgere e il fiorire di un convento del suo Ordine, su uno dei colli retrostanti il porto. Il convento e la chiesa di Gesù-Maria — quest’ultima meglio nota adesso come santuario dei marinai — si riallaccerebbero quindi direttamente a! fondatore dei Minimi, per quanto concretamente siano stati fondati alcuni anni dopo la data ■del viaggio. Vengono presentate tutte le fonti prò e contro tale assunto. Sfilano contratti di compra-vendita, tradizioni dell’Ordine e familiari, cronisti, testimonianze in processi ecclesiastici: 1 A. conduce una minuta disamina dei vari elementi, per giungere a confermare il passaggio del Santo da Genova. (Valeria Polonio) E. Grendi, Un esempio di arcaismo politico: le conventicole nobiliari a Genova e le riforme del 1528, in Rivista storica italiana, LXXVII, 1966, pp. 948-968. Proponendosi di approfondire il « senso concreto e storico della vita sociale e politica genovese », il Grendi esamina, nel quadro della più generale problematica dei-arcaismo del sistema politico di Genova, quali furono le ripercussioni sulla struttura politica e sociale della città in seguito alla riforma costituzionale del 1528, con particolare riguardo al problema dell’equilibrio nella ripartizione delle cariche fra nobili e popolani. Il suo interesse punta in direzione di quelle società istituzionalizzate, con statuti propri e con una propria vita giuridica che assumevano, quindi, rorme di autogoverno in contrasto col nuovo principio di sovranità. Il materiale è tratto dagli atti notarili, dove erano riportate le assemblee e le deliberazioni di tali associazioni, e dai cartulari di S. Giorgio, dove venivano registrati i capitoli ad esse intestati. Lo studio è completato da due tavole riguardanti le società nobiliari genovesi prima del 1528 e la composizione familiare delle società aristocratiche in date ■diverse (1480-1515). (Francesco Surdich) Giangiacomo Musso, Per la storia degli Ebrei in Genova nella seconda metà -del Cinquecento. Le vicende genovesi di Joseph Hakohen, in Scritti in memoria di Leone Carpi, Gerusalemme, 1967, pp. 101-111. Precisa — alla luce di documenti inediti dell’Archivio di Stato di Genova — 1 atteggiamento del governo genovese nei riguardi degli Ebrei durante il secolo XVI. La Repubblica, anche in questo caso, conferma la sua tradizionale e accorta politica di empiricita: da un lato sono emessi bandi di espulsione contro gli Ebrei che vi-"vono nella città e nel dominio; dall’altro vengono prontamente concessi decreti di eccezione, quando l’attività e la personalità dei colpiti tornino utili e graditi alla popolazione (che spesso si fa mediatrice). Esempio tipico sono le vicende di cui è protagonista «mastro Joseph hebreo fixico » (il Joseph Hakohen autore dell’Emeq — 333 — '22 Habakà) nel 1550, tra Genova, Ovada e Voltaggio: tali vicende vengono precisate in nuovi particolari. Un gruppo di 8 documenti inediti illustra il lavoro. (Valeria Polonio) A. Tenenti, I Corsari in Mediterraneo all'inizio del ’500, in Rivista storica ita liana, LXXII, 1960, pp. 234-287. Nell’ambito di questo studio panoramico sull’attività dei corsari nel Mediter raneo durante i due primi decenni del ’500 vengono messe in evidenza anc e a consistenza e la natura della partecipazione della Repubblica di Genova ai tentativi di repressione di questo fenomeno. .... (Francesco Surdich) SECC. XVII-XVIII G. Caneva, Un registro di officina aromatario genovese del sec. XVII, nova, 1965, n. 6, pp. 8-13. Espone e presenta il contenuto di un manoscritto del XVII secolo, e ' ^ presso l’Archivio di Stato di Genova (numero di catalogo 687), intitolato ^ Oficine Arom.ie Bartolamei Botacii et Fratum Suorum, che riporta le partite re ad ogni cliente per il periodo compreso fra il 1640 e il 1644. L artico o c inoltre, sette riproduzioni fotografiche di altrettanti fogli del manoscritto sue (Francesco Surdich) C. Costantini, Un battello insommergibile ideato da Orazio Grassi, in Nu Rivista Storica, L, 1966, pp. 732-737. Sulla base di alcuni documenti tratti dall’Archivio di Stato di Genova, P ^ blicati in appendice, espone il progetto di un battello insommergibile presenta Orazio Grassi, rettore del Collegio dei Gesuiti di Savona, all esame ed al appro zione del Collegio della Repubblica di Genova. .... (Francesco Surdich) C. Costantini, Una grande azienda laniera genovese: la Mortola e Fantini (1688-1714), in Le compere di S. Giorgio, XIV, 1965, n. 8, pp. 598-601. Precisa l’importanza che, nell’ambito dell’economia industriale genovese della fine del secolo XVII, ebbe la « Mortola e Fantini », un’azienda laniera sorta ne 1668 e localizzata dapprima nella zona di Carignano e poi a Pegli. Essa costituì un momento di grande importanza nella storia industriale genovese, non solo per le dimensioni dell’azienda stessa e la larghezza dei mezzi finanziari impiegativi, ma soprattutto per l’influenza che potè esercitare nella definizione della politica economica — 334 — della Repubblica, come esemplificazione del tentativo (non del tutto riuscito) operato dalla parte più consapevole della classe imprenditoriale, per arrestare la tendenza alla progressiva estraneazione dell’industria genovese dalla concorrenza internazionale, attraverso un processo di rinnovamento tecnologico e la sperimentazione di nuove forme organizzative. (Francesco Surdich) G. Faina, Note sui bassi fuochi liguri nel XVII e XVIII secolo, in Miscellanea di Storia Ligure, IV, Università di Genova, Istituto di Paleografia e Storia me-c levale. Istituto di Storia Moderna e Contemporanea, Fonti e studi, X, Genova, 1966, PP. 195-223. Approfondito studio, condotto su documenti dell’Archivio di Stato di Genova, unzionamento e 1 attività delle ferriere che lavoravano al basso fuoco nel pe- o compreso fra il 1640 ed il 1807. Il Faina esamina i diversi aspetti collegati a q to problema, estendendo la sua analisi alla qualità e consistenza della produ-, al modulo tecnico usato nella lavorazione del ferro ecc., e sostenendola con P cisi e ricchi riferimenti di carattere tecnico e statistico. (Francesco Surdich) . , ^ J^ENZI’ ^na tals<* lettera del Cebà e il « Dizionario politico-filosofico » di d' ^*n°^a’ 'n Miscellanea di storia ligure, IV, Università di Genova, Istituto a eo^rafìa e Storia Medievale. Istituto di Storia Moderna e Contemporanea, Fonti e btudi, X, Genova, 1966, pp. 109-176. ^ U Fenzi dimostra come due lettere, da lui ritrovate nelTArchivio di Stato di nova, comprese nella stessa filza e scritte con Io stesso carattere ed inchiostro e identica carta, dirette entrambe ai Serenissimi Collegi della Repubblica, l’una etta in Consiglio il 27 dicembre 1625 e firmata da Ansaldo Cebà, archiviata sul rso dell ultimo foglio con la dicitura Lettera sotto nome del quondam m. Ansaldo à dica le Ambascerie, l’altra anonima, proveniente dal baluardo di Castelletto e etta al Senato il 30 ottobre, siano in realtà attribuibili ad Andrea Spinola di Francesco, delle cui opere esistono, nella Biblioteca Universitaria di Genova, diverse copie manoscritte finora inedite, fra le quali il Dizionaro politico-filosofico. Proprio in questo manoscritto è compreso, alle voci Ambasciatori della nostra Repubblica e Castelletto, il testo delle suddette lettere, la cui lezione, come appare anche dall’edizione pubblicata in appendice, che presenta in nota le diversità, differisce solo per qualche parola, per qualche legamento sintattico e per la mancanza delle righe finali delle lettere. Questa scoperta fornisce il pretesto per tracciare un interessante e documentato profilo della personalità dello Spinola, quale emerge soprattutto dai suoi scritti, che permettono anche di mettere in evidenza i legami di amicizia esistenti fra lo Spinola ed il Cebà, appartenenti entrambi all’Accademia degli Addormentati. Tale esame, condotto con precisione ed ampiezza di riferimenti storici e culturali, permette all’A. di giungere alla conclusione che l’elemento fondamentale e caratterizzante, suggerito dalla lettura di tutte le sue opere, appar un costante impegno ed un rigoroso senso di responsabilità civile, calate in una « concreta dimensione poli tica, in un continuo esercizio di libertà ». (Francesco Surdich) Tommaso Lfxcisotti, I monasteri cassinesi di Genova alla metà del 600, in Benedictina, XIV, 1967, n. 1, pp. 77-108. A metà del secolo XVII cinque monasteri genovesi fanno parte della con„ gazione Cassinese: Santa Caterina di Luccoli, San Nicolò del Boschetto, an gno di Capodifaro, San Gerolamo della Cervara, San Giuliano d Albaro. ssi n ^ presentano particolarmente ricchi di beni, e quindi possono accogliere un limitato di monaci: ma ciò non pregiudica regolarità e intensità di vita e Proprio per la parte che si riferisce a questi centri genovesi, • qui una relazione ufficiale della Congregazione (Status monasteriot um congreg ^ Casinensis anno 1650, appartenente all’archivio della Procura Generale a ^ Roma: l’indicazione esatta del manoscritto, non riportata in questo artlC dotta da altre opere dello stesso A.). Per ciascun monastero abbiamo una ^ indicazione relativa alle origini, la minuta descrizione degli edifìci e dei .Se^ok;ijarj nessi, l’elenco dei monaci e del personale, la descrizione delle proprietà ìrn^ spese con relativi redditi e in genere di tutte le risorse economiche, 1 evidenza e sostenute nell’anno in corso. . „ , (Valeria Polonio) D. Musto, Brevi note su fonti storiche catalane interessanti l Italia, in segna degli Archivi di Stato, XXIV, 1964, pp. 363-368. Fra i documenti delXArchivio de la Corona d’Aragona, appartenenti al fond dei Diversi, sono segnalate sette casse di documenti contenenti, fra le altre ^ 1 archivio della soppressa ambasciata spagnola a Genova (522 buste provenienti l’ambasciata di Genova, riferentisi agli anni 1712-1808; 70 buste provenienti a ambasciate di Genova e Torino, riferentisi agli anni 1652-1795): un totale di 25. documenti, che trattano problemi di vasto interesse, in particolar modo per lo stu io della politica estera dei Borboni nei riguardi degli stati italiani. Naturalmente nu merose sono le notizie relative alla politica interna ed estera della Repubblica di Genova: occupazioni militari, ribellione del Paoli in Corsica, vicende del Banco di S. Giorgio, ecc. L’A. precisa anche che l’invio del fondo suddetto fu accompagnato da un Inventario fatto da Antonio Lobero, dell’Archivio del Ministero di S. M. Cattolica in Genova, nel quale era indicato, in maniera assai sommaria, il contenuto delle buste. (Francesco Surdich) — 336 — F. Venturi, Genova a metà del Settecento, in Rivista storica italiana, LXXIX, 1967, pp. 732-795. In polemica con la storiografia locale che, in omaggio alla retorica celebrazione dell impresa del « Balilla », aveva sistematicamente mitizzato, entro schemi deformanti la realtà storica, la rivolta genovese del 1746 contro gli Austriaci, il Venturi ripropone un esame delle vicende genovesi fra il 1745 ed il 1748, secondo una prospettiva più attenta alle forze politiche e sociali protagoniste di quel periodo ed al ruolo da esse svolto e sostenuto nella circostanza. Rifiutando la tradizionale definizione di « improvviso incidente » o di « miracolo », dato al moto insurrezionale scoppiato nel dicembre del 1746, che rappresentò, invece, a suo parere, la « manifestazione del movimento popolare in preparazione da tempo », PAutore si sofferma proprio sulla precarietà dell’equilibrio sociale e politico del periodo immediatamente successivo, caratterizzato dalla contrapposizione, che si produsse, fra realtà popolare, espressa nel nuovo organo delPAssemblea generale, e l’atteggiamento del governo e del patriziato, perennemente altalenanti fra gli austriaci e gli insorti, nella speranza di trarre il maggior vantaggio possibile da tale posizione ambigua. In questa prospettiva si inserisce l’intervento francese, importante non solo dal punto di vista militare, poiché servì soprattutto a modificare sostanzialmente i termini della situazione interna, consolidando e rafforzando gradualmente i nobili al potere, mentre l’Assemblea popolare prese progressivamente forza e consistenza: dimostrazione anche questa, secondo il Venturi, del carattere immaturo di quei fermenti di rinnovamento sociale e politico pure potenzialmente presenti nel tentativo popolare. (Francesco Surdich) D. Zanetti, Le artiglierie genovesi all’inizio del sec. XVII, in Nuova Rivista Storica, L, 1966, pp. 643-664. L esame minuzioso e dettagliato di due inventari del 1613 e del 1616, rispettivamente delle artiglierie che si trovavano nei comuni del dominio di terraferma della Repubblica di Genova e di quelle sparse in varii punti della capitale, porta lo Zanetti alla conclusione che soprattutto nei territori della costa e dell’Appennino ligure, le località erano dotate di un armamento anacronistico ed approssimativo. La Repubblica di Genova, come dimostrano anche le voci dei bilanci di quegli anni, si poteva ormai considerare come una potenza militare di modesto rilievo, che cercava di impegnarsi nelle spese militari solo nei limiti del minimo indispensabile. L’articolo è completato da quattro tabelle contenenti l’elenco e la consistenza delle artiglierie situate nei comuni del dominio ligure e nella città di Genova, nonché la distinzione delle armi, il tipo, il peso ed il materiale di fabbricazione delle stesse. (Francesco Surdich) — 337 — SECC. XIX-XX L. Balestreri, Giuseppe Cesare Abba, in La Casana, IX, n. 4, ottobre-dicembre 1967, pp. 35-40. La campagna garibaldina per la liberazione delle terre soggette al governo borbonico non fu il solo momento fondamentale della vita dell’Abba, che visse ed operò, come uomo e come scrittore, soprattutto per offrire il suo contributo al miglioramento materiale e all elevazione morale delle masse. Proprio attraverso l’analisi della sua attività politica, letteraria e d’insegnante, FA. ne tratteggia una figura di primo piano, sensibile e modernamente aperta alle esigenze dei suoi tempi, rigorosamente morale. (Gabriella Airaldi) L. Basso, Un vecchio progetto per una linea ferroviaria Genova-Piacenza, in Le compere di S. Giorgio, XIV, n. 7, pp. 490-492. Espone e commenta il contenuto di un progetto presentato il 17 giugno 1865 dall’ingegnere Stefano Grillo e dall’avvocato Giambattista Rossi, intitolato: Relazione intorno ad un progetto di ferrovia tra il mare e il Po da Genova a Piacenza per le Valli del Bisogno e della Trebbia. (Francesco Surdich) G. B. Canepa (Marzo), Una repubblica a Torriglia, Novi Ligure. 1967, pp. 188. Questo volume è la riedizione, integrata con alcuni nuovi capitoli, di un libro apparso oltre dieci anni fa e andato presto esaurito per il favore incontrato tra il pubblico, al quale esso aveva saputo far risentire in tutta la sua pienezza l’atmosfera dei momenti più drammatici della lotta di resistenza in Liguria. Queste pagine, ricche anche di notevoli pregi letterari, rivestono un particolare valore documentario, in quanto stesi per la più parte sulla base di impressioni dirette dell’Autore o. quanto meno, di testimonianze raccolte dalla viva voce dei protagonisti. La veste di commissario politico della divisione partigiana Cichero che il Canepa ebbe a lungo a conservare fa sì che le sue rievocazioni siano dense di fatti e precise nei particolari così come poche altre potrebbero essere: ma a questo si aggiunge il calore umano che esse racchiudono presentando con il più schietto accento di verità quella che Ferruccio Parri, nella prefazione alla prima edizione del volume, ebbe a definire « la vita vera, quotidiana sui monti, senza truccature ». Da volumi come questo lo storico che voglia veramente immergersi nel clima del drammatico periodo che il nostro Paese ebbe a superare tra il 1943 e il 1945 troverà larga messe di ottimi spunti e precise indicazioni. (Leonida Balestreri) - 338 — G. Cattanei, Felice Orsini detenuto a Genova (settembre 1853), in Archivio Storico del Monferrato, I, 1960, fase. 1-2, pp. 82-106. Alla luce di documenti inediti, conservati nell’archivio privato di Domenico Buffa, vengono rivelati alcuni episodi della vita di Felice Orsini e in particolare la sua attività a Genova dove l’Orsini, per incarico del Mazzini, si occupava del Prestito Nazionale emesso dal Genovese. Dopo aver lamentato la mancanza di un lavoro esauriente sull’Orsini, l’A., sulla base di questi inediti, discute sui rapporti tra l’Orsini e il Mazzini, tra questi e 1 Intendente del Regno Sardo in Genova e sull’atteggiamento critico dell’Orsini nei confronti del Regno Sardo. Viene poi esaminata con particolare attenzione una ettera scritta dall’Orsini durante il suo soggiorno nelle carceri genovesi di Sant’An-rea. La pubblicazione di tredici documenti inediti completa l’interessante lavoro. (Giovanna Balbi) Arturo Codignola, La resistenza de « I combattenti di Assisi », Modena, 1965, pp. 220. Th’ questa la prima ricostruzione organica dell’azione svolta dall’Associazione aziona e Combattenti negli anni immediatamente successivi alla conclusione della prima guerra mondiale sino all’avvento del fascismo al potere e alla sua trasformatone in regime. La rievocazione non si limita peraltro a questa fase, ma si integra con ampi riferimenti al periodo della lotta clandestina, prima, e a quello, poi, della esistenza armata contro la dittatura mussoliniana, lumeggiando il contributo all’una a a^tra dato, sovente a duro prezzo di sangue, dagli elementi legati al movimento combattentistico. L interesse della pubblicazione sta non soltanto nel fatto che l’Autore, nella sua veste di storico tra i più apprezzati della nostra generazione, offre degli eventi eg i uomini una visione pacata ed esatta, ma nella possibilità anche che egli ha avuto di apportare dati di prima mano, di molte delle vicende narrate essendo stato testimone immediato e, talvolta, addirittura protagonista diretto. Il materiale documentario di cui il Codignola si avvale è assai ricco, e selezionato con molta accortezza, anche se talvolta dalla maniera con la quale esso è presentato traspare un evidente, anche se legittimo, intento di rivendicazione del valore delle posizioni assunte dagli uomini che più tenacemente tentarono di difendere 1 autonomia dell’Associazione Combattenti e di riaffermarne lo spirito risorgimentale e la ferma volontà democratica di fronte e contro ogni anacronistica velleità totalitaria. Per il lettore ligure il volume del Codignola assume un particolare interesse, in quanto in buona parte condotto attraverso lo spoglio del giornale I Combattenti (che nel suo periodo più battagliero ebbe a pubblicarsi in Genova), e l’illustrazione di fatti e il ricordo di uomini particolarmente legati all’ambiente della nostra regione, quali — tra i tanti — Rodolfo Savelli, Mario Zino, Giulio Bertonelli, Virgilio Caldani, Achille Malcovati, Gerolamo Morgavi, Renato Praga, Pietro Ricci, Tito Rosina, Raffaele Rossetti, Lio Rubini e Antonio Zolesio, nonché Cristoforo Astengo, Nicolò Cuneo, Antonio Giusti e Renato Vuillermin, gli ultimi quattro dei quali «roi e martiri della Resistenza. (Leonida Balestreri) — 339 — Carlo De Negri, Le costruzioni navali in Liguria nel 1830, in Quaderni della-Associazione ligure di archeologia e storia navale, n. 13, Genova, 1966. Utilizzando documenti conservati nell’Archivio di Stato di Torino delinea il quadro della situazione della marineria ligure limitatamente all’anno 1830, sottolineando la ripresa dei traffici dopo un periodo di stasi. Il lavoro è corredato da due tabelle che ci offrono preziose indicazioni sui cantieri liguri, sulle navi a vela ivi impostate o varate, sul loro numero, tipo e tonnellaggio. (Maddalena Cerisola} C. Ghisalberti, Le amministrazioni locali nel periodo napoleonico, in Rassegna storica del Risorgimento, XLVII, 1960, pp. 33-54. In riferimento alla Repubblica Ligure precisa come l’introduzione del sistema amministrativo francese avvenne ad opera delle autorità repubblicane locali,, cosicché, quando venne decisa l’annessione della Liguria alla Francia, dal punto di vista meramente amministrativo questo fatto non provocò nessun turbamento. (Francesco Surdich}' S. Jona, La persecuzione degli ebrei a Genova, in Genova, 1965, n. 4, pp. 54-67. Dopo un breve profilo della persecuzione degli ebrei a Genova, che raggiunse il suo momento più drammatico fra la fine del 1944 e l’inizio del 1945, ed alcune considerazioni sull’atteggiamento della popolazione e dell’opinione pubblica genovese, che manifestò nei confronti dei ricercati una tenace e concreta testimonianza di solidarietà, l’A. riporta un esauriente elenco degli ebrei residenti a Genova, arrestati e deportati, dei reduci dai campi di concentramento e dei partigiani ebrei genovesi. (Francesco Surdich) I. Londei, La lotta partigiana nella Val Trebbia attraverso la storia di una brigata, in II Movimento di Liberazione in Italia, n. 59, aprile-giugno 1960, fase. II pp. 42-60; n. 60, luglio-settembre 1960, fase. Ili, pp. 44-109. Un cittadino di Bobbio, il quale prese parte personalmente agli avvenimenti, racconta le vicende della settima Brigata alpina, che formò il nucleo del movimento di liberazione nella lotta partigiana della vai Trebbia. In appendice è pubblicata una lettera dell’avvocato Fausto Cossu, Comandante della prima divisione « Piacenza » del C.V.L., contenente alcune precisazioni nei riguardi di questo memoriale. (Francesco Surdich)' Bianca Montale, Il ’48 a Genova. I circoli politici tra mazziniani e moderati, in Rivista Storica Italiana, LXXIX, fase. I, 1967, pp. 195-205. Servendosi tra l’altro di documenti inediti, tratti in gran parte dalle carte Ricci e Balbi Pioverà, presso l’istituto Mazziniano di Genova, l’Autrice studia l’ambiente — 340 — dei circoli genovesi alla vigilia delle elezioni dei deputati per la I legislatura, nell’aprile del 1848. E’ messo in rilievo il diverso orientamento delle correnti moderate e democratiche nel proporre i diversi candidati. L’Autrice sottolinea come, dopo la momentanea affermazione delle correnti moderate, in pochi mesi, dal 1848 al 1849, le correnti democratiche abbiano profondamente modificato l’ambiente politico genovese. (Paola Villa) I moti genovesi del ’49. Testi e documenti dell’epoca. Introduzione di Leonida Balestreri. Genova, 1967, pp. 162. Questo volume, che raccoglie pubblicazioni e documenti di vario genere relativi all’insurrezione di Genova del marzo-aprile 1849 ormai pressoché introvabili, offre al lettore la possibilità di immergersi veramente nel clima drammatico delle giornate che seguirono la disfatta delle forze piemontesi a Novara. La parola è stata qui essenzialmente lasciata alle testimonianze coeve, come a quelle che, una volta sfrondate delle inevitabili asprezze polemiche, risultano in grado di offrire una visione più aderente alla realtà. Leonida Balestreri, come sempre rigoroso nella documentazione e attentamente controllato nelle valutazioni, ha premesso al volume una sua ampia introduzione rifacendosi a tutta una serie di documenti ufficiali, per la più parte sinora inediti, dai quali si possono trarre nuovi interessanti elementi per una migliore inquadratura storica della complessa vicenda. Il Balestreri insiste particolarmente su quanto può dare la misura del vigore dell’iniziativa popolare, che, almeno da un certo momento in poi, costituì il più consistente — e, forse, il solo — fattore propulsivo dell’insurrezione. Una sintetica analisi della situazione economico-sociale dell’ambiente genovese dell’epoca offre inoltre opportuni spunti per un ulteriore approfondimento del vero significato di questo drammatico episodio della nostra storia nazionale episodio che, secondo quanto viene giustamente affermato, non va visto isolatamente, come un qualcosa di abnorme, ma inquadrato invece nello sviluppo generale della vicenda risorgimentale, di cui in nessuna maniera rappresenta un’antitesi, ma anzi un momento tra i più genuinamente significativi. P. F. Palumbo, Cesare Imperiale di Sant’Angelo (1860-1942), in Storici e maestri, Roma, Le edizioni del lavoro, 1967, pp. 31-35. Ripubblica lo scritto già apparso nel Bullettino dell’istituto storico italiano per il medioevo e Archivio muratoriano, n. 58, 1944. Tracciando una succinta biografia dell’Autore, il Palumbo ne rievoca lo sviluppo culturale, elencando, nelle circostanze che vi diedero origine, le op>ere di edizione di fonti (secondo, terzo, quarto e quinto volume degli Annales januenses; Codice diplomatico della Repubblica di Genova) e di ampia divulgazione (Cajfaro e i suoi tempi; Genova e le sue relazioni con Federico II di Svevia; Jacopo d’Oria e i suoi Annali; Storia di una-ristocrazia italiana nel Duecento). (Gabriella Airaldi) — 341 - P. F. Palumbo, Giorgio Falco, in Studi Salentini, XXIV, dicembre 1966, e in Storia e maestri, Roma, Le edizioni del lavoro, 1967, pp. 139-155. raltroTTeTubblicI^ioanCi dTÌtoria^g^'Tu perTodo^d’'SCOmParS°’ rÌcorda"do- f» ve-- Oer. Pubblica in ap^L/un "e^^T^ Roma np T PreSentat° da Falco nel 1947 Facoltà di Lettere dell’Università dì medievale d^ quell’Ateneo06 ^ ^ * ***. sxzzrr- avere insegnato l'anno ptim, p„ incaric<> 8,. Petv'n re lo, cat‘eL dT' ^ o™„ medievale nella su, Faeoi,à torinese, primo nell, terna, avanti af più anZo Cognasso, che si sistemò al Maeistem p j, „ u> • , , P anziano spesso, un’inconciliabilità, non priva di conseguenze! ^r derlVata> come quanto diversa e più complessa. Nel concorso X «nedra^ LTITvI ? * pareggiato di Magistero del Piemonte in Torino, espletato il 5 novembre 1928 la terna vide al primo posto Cognasso, al secondo Cortese al terzo ,! erano stati dichiarati maturi nel concorso alla cattedra di Storia del R Istituto Su periore di Magistero di Messina, espletato il 26 aorile r t a ricoprire ,a cattedra per la ,atl ba^Ì i “ F iTT tenne nel 1929-30 l'inearieo di Stori, medievale e moderna pris,T 1 Ffcr Z ^maTT” "d 195°'31' 'S“”d°Si diVÌSa h S'°“ dalla Storia FacoîtT ° ' “Pnre 'a C”'“d'a di SKti* P“» 1« ™de Z (G. P.) E. Papa II « Sillabo >> nei primi giudizi della stampa liberale (dicembre 1864) in Rassegna Storica del Risorgimento, LI, 1964, pp. 505-544 1 i In queSt0 Panorama sulla Posinone assunta dalla stampa liberale nei confronti del « Sillabo » 1 A. c. presenta pure il giudizio espresso a tale riguardo sulle colonne di tre giornali genovesi: il Movimento, il Corriere Mercantile, il Campidoglio. (Francesco Surdich) VARIA G. Beniscelli, Pedemonte di Serra Ricco, in La Casana, IX, n. 4 ottobre-dicembre 1967, pp. 14-18. Dopo aver accennato alla fisionomia industriale e agraria del comprensorio di Serra Ricco, con Pedemonte, Orerò, San Cipriano, Serra, Villaregia, Mainetto e Castagna, si sofferma particolarmente sulle attrattive storiche, monumentali e paesistiche della zona, richiamando brevemente le vicende storiche e amministrative che hanno condotto all’odierna configurazione del comune. (Gabriella Airaldi) - 342 — G. Benvenuti, Storia della Repubblica di Pisa, Pisa, 1962. Dopo le tradizionali ed ormai superate opere del Tronci, del Fanucci, del Rondoni, appartenenti alla tradizione storiografica ottocentesca, il Benvenuti ci offre una narrazione modernamente intesa delle vicende della Repubblica di Pisa, concepita con scopi prevalentemente divulgativi, che non escludono, però, caratteristica costante di serietà e di scientificità, come appare dall’utilizzazione precisa e puntuale sia della preesistente storiografia sull’argomento, sia delle più note fonti narrative e documentarie. Preceduta da una prefazione di Gioacchino Volpe e completata con un’utile bibliografia generale, l’opera si articola in quattro momenti fondamentali, ai quali fa chiaramente riferimento il sottotitolo del lavoro: « Le quattro stagioni di una meravigliosa avventura ». La segnaliamo in questa sede, poiché largo spazio viene naturalmente dedicato al problema dei rapporti con Genova, soprattutto in riferimento al peiiodo più acuto della rivalità fra le due Repubbliche. (Francesco Surdich) G. Cracco, Società e Stato nel medioevo veneziano, Firenze, 1967. In quest opera di ambiziosi intenti economico-sociologici i riferimenti a Ge- sono abbastanza frequenti, ma del tutto occasionali, e in buona parte sono erivati dal volume del Vitale, Il comune del podestà. a une osservazioni paiono poco convincenti o scarsamente informate (ad esem-P o, asserita totale mancanza d’indagine sui cronisti genovesi, fatta eccezione per ü recente lavoro di G. Arnaldi). (G. P.) T. Ossian De Negri, Storia di Genova, Milano, 1968, pp. IX-846. Una nuova storia di Genova, dopo quelle ottocentesche del Canale, del Varese c del Vincens, e quella recente del Vitale (Breviario della storia di Genova. Lineamenti storici ed orientamenti bibliografici, Genova, 1955), ci viene ora offerta, in un edizione curata in maniera eccellente dal punto di vista tipografico, ad opera dell editore Martello: il volume si presenta arricchito da ben 99 illustrazioni e 18 tavole fuori testo, alle quali vanno aggiunte altre 100 illustrazioni inserite nel teste e collegate in maniera chiara e diretta con la parte narrativa alla quale si riferiscono. Il senso e l’impostazione generale del lavoro sono in parte chiariti e precisati dall A. nella premessa, dove trovano giustificazione sia il significato particolare di questo genere di opere, cioè storie locali affrontate in maniera ampia e particolareggiata, sia i criteri generali che hanno guidato il De Negri nello svolgimento del suo tema. Per ammissione dello stesso Autore, il naturale punto di riferimento è costituito dal testo di Vito Vitale, nei cui confronti l'opera si pone innanzitutto come complementare per quelle parti non svolte dal Vitale, quali il periodo precedente al sorgere del Comune genovese e quello successivo al Congresso di Vienna (1815), - 343 - mentre vuole esser un aggiornamento e talora anche una nuova proposta di interpretazione per quanto riguarda le vicende comprese fra i due periodi suddetti Soprattutto la parte riservata alle origini ed all’antichità è affrontata in maniera più vasta ed articolata ed appare per la prima volta in una sintesi organica e comprensiva dei diversi problemi affrontati e sollevati dalla storiografia precedente nei suoi diversi contributi particolari. La parte dedicata all’Ottocento genovese si esaurisce, invece, in un breve « corollario », in quanto, come precisa l’A. nell’introduzione, essa sarà oggetto di un ampio studio di G. Giaccherò sulla storia economica di Genova dalla Restaurazione ad oggi, di imminente pubblicazione. Attraverso un esposizione non di carattere annalistico e rigidamente cronologico, ma distribuita per periodi e situazioni politiche e legata ai maggiori problemi che di volta in volta si presentavano, condotta con un tono costantemente spigliato e disinvolto, il De Negri ha cercato di assicurare al suo lavoro quel carattere di storia divulgativa accessibile alla maggior parte dei lettori, che rappresentava l’intento primo di questa iniziativa editoriale. Non per questo ha rinunciato, però, ad una cornice culturale e di prospettiva scientifica che, nonostante qualche divagazione di gusto eccessivamente anedottico e colorito, mantiene il racconto ad un livello superiore a quello di una semplice esposizione. Data la vastità e problematicità dei temi toccati, non mancano logicamente talune sfasature ed alcune approssimazioni di giudizio e di sintesi, le quali tuttavia non possono intaccare il giudizio sostanzialmente positivo sul lavoro che va espresso considerando i fini e i limiti precisi e dichiarati propostisi dalI’Autore. Il volume è completato da un indice dei nomi propri e da una preziosa bibliografia, divisa per periodi ed argomenti, che aggiorna con cura e precisione gli « Orientamenti bibliografici » del Vitale, tenendo soprattutto conto degli studi promossi in questi ultimi anni dagli Atti della Società Ligure di Storia Patria e dagli Istituti di Storia Medievale e di Storia Moderna dell’Università di Genova. (Francesco Surdich) Anna Maria Ferrerò, Le scuole pie di Savona, Savona, 1967. Lo studio — che ha costituito materia per una tesi di laurea discussa presso la Facoltà di Magistero di Genova ed è stato pubblicato nel vol. I della nuova serie di « Atti e memorie della Società Savonese di Storia Patria » — illustra le vicende delle Scuole Pie dal 1622 al 1922. Dopo aver tratteggiato il periodo iniziale dell’attività delle Scuole, l’A. si sofferma ad illustrare i criteri e i metodi didattici in esse seguiti; passa quindi in rassegna le principali tappe della storia della Fondazione attraverso i secoli, dallo splendore del sec. XVIII, durante il quale il Collegio fu frequentato da convittori illustri e reso celebre da valorosi insegnanti, alla chiusura imposta nel 1793, in seguito all’avvento delle truppe francesi; dalla confisca dei beni decretata dal governo della Repubblica Ligure alla riapertura del Collegio nel 1819. Passando alle vicende successive, l’A. mette in risalto il contributo offerto dal Collegio alla causa del Risorgimento, ricorda alcune figure di religiosi che contribuirono in particolar modo alla formazione dei giovani allievi e conclude riaffermando le benemerenze delle Scuole Pie che tanto hanno contribuito, fra l’altro, allo sviluppo della scuola pubblica gratuita. (Aurelia Basili) — 344 — Liber Institutionum Cabellarum Veterum (communis Ianue), a cura di D. Gioffrè, Acta Italica, 12, Milano, 1967. A Genova le imposte indirette costituirono nel Tre e nel Quattrocento un tema fondamentale nella politica finanziaria del Comune. Proprietà prima dei nobili, poi del Comune, passarono infine nelle mani dei creditori dello Stato riuniti nelle Compere del Banco di San Giorgio; dandone in appalto la riscossione, il Comune poteva sempre riscuoterne anticipatamente i proventi, lasciando rischi ed oneri di riscossione agli appaltatori. Nell’ampio studio introduttivo, che precede l’edizione del Liber institutionum cabellarum veterum dell’Archivio di Stato di Genova, contenente le clausole generali e particolari e le tariffe di quasi tutte le gabelle genovesi dei secoli XIV e XV, FA. illustra appunto questo particolare aspetto della struttura economica genovese, sul quale mancavano contributi recenti. Tra gli indici, che concludono il volume, sono da segnalare in particolare il glossario, l’indice analitico dei nomi di persona, dei toponimi e delle istituzioni e, soprattutto, l’interessantissima parte dedicata alle magistrature genovesi. (Gabriella Airaldi) A. Lodolini, Il periodo del predominio italiano nel Mediterraneo Orientale, in Rivista Marittima, XCIII, luglio-agosto 1960, pp. 77-86. Usando come punto di riferimento alcune delle più importanti sintesi apparse sull argomento, FA. affronta i principali aspetti del predominio italiano nel Medi-terraneo orientale, attraverso un’analisi che si sofferma soprattutto sugli avvenimenti dei secoli XII e XIII, pur estendendosi anche ai secoli XIV e XV, e che tende naturalmente a mettere in evidenza il ruolo svolto in questo ambito particolarmente da Genova e da Venezia, in riferimento sia ai problemi di carattere economico e commerciale, sia ai fenomeni di natura politica e sociale. (Francesco Surdich) A. Manno, La marina sabauda dal Conte Rosso a Carlo Alberto ( 1388-1848), in Rivista Marittima, XCIX, luglio-agosto 1966, nn. 7-8, pp. 35-62. L articolo, completato da riproduzioni fotografiche e da 5 specchi riassuntivi, pone in evidenza pure il ruolo sostenuto da Genova nel quadro della politica marinara di casa Savoia, particolarmente nel periodo successivo al Congresso di Vienna. (Francesco Surdich) E. Mazzino - G. V. Castelnovi, Il santuario di Montegrazie ad Imperia, s.d., a cura della Cassa di Risparmio di Genova ed Imperia. Questo volume, fuori commercio, è stato realizzato in una veste tipografica eccezionale. Consta di una prima parte, opera del Mazzino, dedicata alle vicende storiche connesse col Santuario ed alla descrizione delle strutture architettoniche, analizzate nelle sue diverse componenti. Nella seconda parte il Castelnovi presenta e de- — 345 — scrive in maniera ampia e particolareggiata il polittico e gli affreschi che adornano interno della chiesa, fornendo anche numerose precisazioni sui pittori ai quali appartengono le opere esaminate. Il libro è completato da schizzi (fra questi il più importante e lo schema dell’esterno del Santuario, col complesso degli affreschi) fotografìe e ben 24 tavole a colori. (Francesco Surdich) G. M. Merloni, Gli Spinola ed il Feudo di Cassano dal 1313 al 1787 in Julia Dertona, maggio 1966, fase. 35-38. Sulla base di documenti tratti dagli Archivi di Stato di Genova, Milano e Tonno e, soprattutto, dall’Archivio Parrocchiale e dall’Archivio Comunale di Cassano A. ricostruisce a grandi linee la storia della signoria degli Spinola su Cassano, dal-mvestitura imperiale concessa a Opizzino Spinola di Luccoli il 1° luglio 1313 fino alla morte, senza discendenza maschile, del marchese Federico Alessandro, avvenuta il 4 agosto 1787, che pose fine a tale signoria. II lavoro e corredato da numerose riproduzioni fotografiche e da 12 tavole concernenti l’origine e la genealogia degli Spinola, Signori di Cassano tratte da N. Battilana, Genealogia delle famiglie nobili di Genova, Genova, 1825 arricchite e corrette, però, dal Merloni. (Francesco Surdich) Gregorio Penco, Cronotassi degli abbati di S. Maria di Finalpia in Bene-die t ina, XIV, 1967, n. 2, pp. 259-272. Pubblica la serie dei priori e abati del monastero di Santa Maria di Finalpia, sulla base delle Familiarum Tabulae, custodite presso il monastero di monte Oliveto Maggiore. L’elenco dei superiori copre — fatta eccezione per qualche minima lacuna tutto il periodo di vita della comunità, dalla fondazione, avvenuta nel 1476 per opera degli Olivetani, alla soppressione operata nella seconda metà del secolo XIX, alla ripresa avvenuta in questo secolo, per opera della Congregazione Subla-cense. Non manca, anno per anno, a fianco del nome dei superiori, l’indicazione del-I entità numerica dei monaci. Viene pubblicato anche il documento di fondazione del monastero, fino ad ora inedito e ignoto. (Valeria Polonio) M. G. Rutteri, S. Michele Arcangelo, parrocchia medioevale, in Genova 1965 n. 9, pp. 7-19. Storia delle vicende di questa chiesa dalle sue origini, che si perdono nella leggenda e potrebbero essere datate attorno al X secolo (il primo probabile riferimento preciso ascenderebbe, secondo la Rutteri, al 1143), fino alla sua demolizione, avvenuta nel 1850, con particolare riguardo alle sue strutture architettoniche. Corredano l’articolo numerose riproduzioni fotografiche. (Francesco Surdich) — 346 — G. Salvi, L’oratorio di S. Martino di Pegli, Genova, 1965. I documenti contenuti nelI’Archivio dell’Oratorio di S. Martino di Pegli (particolarmente i manoscritti intitolati: Fratelli Defunti, Ordeni e Statuti dell’Oratorio di Santo Martino in Pegli, Capitoli dell’Oratorio di S. Martino in Pegli) hanno permesso all A. di ricostruirne la storia, colta nei suoi momenti essenziali attraverso 1 evoluzione degli ordinamenti e delle forme di presenza della Confraternita nella vita di Pegli, a partire dalla fondazione dell’Oratorio, databile attorno alla seconda metà del ’200. (Francesco Surdich) D. Veneruso, L’archivio storico del Comune di Monterosso a mare, in Quaderni della Rassegna degli Archivi di Stato, n. 35, Roma, 1967. L A. ci presenta uno studio diviso in due parti fondamentali. Nella prima vengono esaminate la vita economica e l’organizzazione amministrativa (con riferimento all amministrazione locale, agli organi periferici ed agli organi centrali della Repubblica di Genova) della comunità di Monterosso dal sec. XVI alla fine del secolo XVIII. La seconda parte contiene una descrizione precisa e particolareggiata della consistenza dell’archivio comunale, con riferimento alle sue diverse sezioni. (Francesco Surdich) SCIENZE AUSILIARIE A. Agosto, Il bucio, in Quaderni della associazione ligure di archeologia e-storia navale, n. 19, Genova, 1966. L A. inquadra le caratteristiche generali del « bucio », mettendo in rilievo le sue varieta principali sulla base di citazioni storiche e documentarie. Dopo un’accurata analisi etimologica, si sofferma in particolare sull’esistenza di due tipi di « bucio », differenti per forma e per portata. Descrive inoltre ampiamente la struttura di questo tipo d’imbarcazione, mettendone in risalto, come caratteristica essenziale, la sua forma particolare. Tratta, infine, del Bucintoro, prototipo del bucio, e del burchiello, concludendo con alcune considerazioni sul valore economico dell’imbarcazione sulla base di documenti notarili liguri. (Flavia Perasso) Giovanni Busino, La sociologie de Vilfredo Pareto, Genève, 1967, pp. 170. L’ormai ponderosa serie di studi dedicati da Giovanni Busino all’illustrazione della vita e del pensiero di Vilfredo Pareto si è arricchita con questo nuovo volume di un contributo tra i più apprezzabili. Con la chiarezza espositiva e l’impegnato rigore scientifico, che costituiscono le costanti caratteristiche di ogni suo lavoro, l’A. si è addentrato in profondità nell’analisi delle postulazioni sociologiche del grande — 347 — pensatore, sviscerandole in ogni loro particolare e ponendo in evidenza — con il sussidio anche di una ricchissima bibliografia — gli elementi di esse di più acuta e a orazione e di più valida consistenza. Alcune parti del volume, anche se voluta-mente non portate alle ultime conclusioni, costituiscono quanto di più organico e meditato oggi esista per mettere in chiaro taluni aspetti tra i più discussi dell’opera e areto, quale, soprattutto, il rapporto intercorrente tra essa e l’ideologia fascista, rapporto che, nonostante tutto, è forse assai meno consistente di quanto, durante il ventennio, artatamente cercassero di sostenere gli uomini del regime mus-sohniano. (Leonida Balestreri) G. Caneva, La « Spetiaria » delle galee genovesi, in Quaderni della Associazione Ligure di Archeologia e Storia Navale, n. 11, Genova, 1960. Ricostiuisce la storia della « Spetiaria » sulla base di documenti dell’Archivio di tato i enova e degli Ospedali cittadini. Suddivide l’opera in tre capitoli. Nel primo esamina la funzione precipua della galea nei secoli XVI e XVII, mettendo in o i passaggio da nave da battaglia a nave di scorta di medicinali e dotata di perna e sanitario. Nel secondo esamina la struttura della galea, l’equipaggio e i docu-nii i oido. Nel terzo tratta della gerarchia sanitaria delle galee. n una ricca e interessante Appendice ci dà, infine, un’ampia visione della « Spellarla » negli Statuti delle galee, dei medici delle galee nei secoli XVII e XVIII, della mentazione, del ricovero degli ammalati e della sepoltura, sottolineando motivi di interesse anche al di fuori del tema specifico perseguito. (Flavia Perasso) Genova, testo di C. Ceschi, fotografie di L. von Matt, Genova, Si tratta di un opera singolare, che, nonostante l’apparenza, non vuole avere ito un fine estetico quanto un valore storico o, meglio, di richiamo verso i fattori umani che hanno portato a volere e a realizzare l’opera d’arte. Come l’A. del testo eva, il libro è « un invito a meditare sulla validità eterna di quei valori umani e un popolo... ha lasciato in retaggio agli uomini di oggi e di domani ». In effetti, delle parti in cui è articolata l’opera (Il Romanico; Dal Gotico al Rina-o, Il Barocco, La cattedrale; Il Sacro Volto) presenta un rapido inquadra-momento storico cercando di cogliere lo spirito del periodo — durante il quale sono state compiute le opere presentate. Le 167 illustrazioni costituiscono spesso una vera sopresa per l’originalità e la delle inquadrature; rivelano aspetti quanto mai insoliti, e sono un invito gti re con spirito più attento monumenti che, in certi casi, cadono sotto gli occhi ogni giorno. ^,LlVeSte editoriaIe del volume è molto ricca e curata. 19 illustrazioni sono a ori. ìante e spaccati di edifici arricchiscono l’insieme. (Valeria Polonio) — 348 — Carlo De Negri, II « cotre » dei Liguri, in Quaderni della Associazione ligure di Archeologia e Storia navale, n. 8, Genova, 1958; La Gondola dei Liguri, ibidem, n. 12, 1961; Il « bovo » dei Liguri, ibidem, n. 14, 1963; Le feluche dei Liguri, ibidem, n. 16, 1966; La «/regatta » dei Liguri, ibidem, n. 18, 1965; La bombarda dei Liguri, ibidem, n. 20, 1966. Si tratta di una rassegna di sei fra i più caratteristici ed interessanti tipi di imbarcazione usati dai Liguri dai più antichi tempi fino quasi — in alcuni casi — ai nostri giorni, condotta alla luce delle testimonianze di un’ampia documentazione. L A., oltre ad appurare — per quanto è possibile — le origini di tali imbarcazioni, fornisce precise notizie sul loro uso attraverso i tempi e sulla loro diffusione presso i vari centri della costa ligure. Ordinate ed essenziali sono le informazioni di carattere tecnico sulle strutture dei natanti stessi nella loro evoluzione attraverso i secoli, in relazione alla storia della marineria in generale e ligure in particolare, con illustrazione delle varianti a cui uno stesso tipo ha dato spesso origine. A corredo delle notizie di carattere tecnico-strutturale ad ogni studio è unita un’ampia serie di illustrazioni. (Maria Luisa Balletto) C. De Negri, Elementi di storia navale in Matteo Vinzoni. « L’atlante dei Domini » della Beriana, in Quaderni dell’associazione ligure di archeologia e storia navale, n. 17, Genova, 1965. Sono studiati come documenti per la storia della nave i disegni del Vinzoni contenuti nei due volumi dell’atlante « Il dominio della Serenissima Repubblica di Genova in terraferma », correntemente conosciuto come « Atlante dei Domini ». Precede un’introduzione in cui l’Autore cerca di stabilire quale potè essere l’effettivo contributo del Vinzoni a questo atlante, che fu presentato al governo della Repubblica di Genova il 2 agosto 1773, pochi giorni prima della morte del Vinzoni, più che ottuagenario. Il lavoro comprende 15 riproduzioni di disegni di navi tratti dall’atlante stesso. (Giovanna Balbi) C. De Negri, Elementi di storia navale in Matteo Vinzoni. « L’atlante della Sanità » della Beriana, in Quaderni dell’associazione ligure di archeologia e storia navale, n. 15, Genova, 1964. Vengono esaminati i disegni di navi contenuti nell’atlante di Matteo Vinzoni dal titolo « Pianta delle Due Riviere della Serenissima Repubblica di Genova divisa nei commissariati di Sanità », meglio conosciuto come « Atlante della Sanità ». L’A. mette quindi in luce un aspetto nuovo del Vinzoni quale fonte di documentazione per la storia della nave in Liguria ed esamina alcuni tipi di navi come la bombarda, il brigantino, la gondola ed altri tipi d’imbarcazione. Il lavoro è corredato da 19 riproduzioni di disegni dell’atlante stesso. (Giovanna Balbi) — 349 — C. De Negri, La vela a /archia, in Quaderni della Associazione Ligure di Archeologia e storia navale, n. 22, Genova, 1966. La più antica tra le varietà di vele auriche fu quella comunemente definita « a tarchia », che ebbe origine nel Mediterraneo. La fortuna di questo tipo di vela, che ebbe grandissima diffusione nei Paesi Bassi e fu usato anche in Liguria, è da ascriversi alla facilità di manovra, anche se alcuni inconvenienti ne limitarono l’uso alla navigazione interna e al cabotaggio. L’A. offre in proposito uno studio completo, esaminando le varie tesi sull’origine e l’uso della vela e trattando ampiamente del- 1 etimologia del termine « tarchia ». Il lavoro è corredato da cinque riproduzioni di cui 1 ultima, particolarmente interessante, presenta un esemplare della vela, oggi praticamente scomparsa da tutti i mari. (Gabriella Airaldi) Genova, Strada Nuova, Università degli studi di Genova - Istituto di Elementi di Architettura e Rilievo dei Monumenti, Genova, 1967, pp. 308. In questo volume, pubblicato col contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche e frutto della collaborazione dei professori, ordinari, incaricati, assistenti ordinari e volontari, nonché studenti della Facoltà di Architettura della nostra città, viene descritto e rappresentato il periodo aureo dell’arte architettonica genovese. Si tratta di un interessante ricerca di carattere storico, architettonico ed urbanistico sui palazzi dell attuale via Garibaldi, aperta col nome di via «Aurea» (poi «Maggiore » e, successivamente, « Nuova ») nel 1550 dall’architetto Bernardino Cantone. La pubblicazione, corredata da numerosi disegni, schizzi, rilievi, piante e fotografìe, consta di una presentazione dove vengono chiariti i motivi della ricerca, seguita da tre parti fondamentali, che affrontano rispettivamente gli aspetti storici, stilistici e tecnici di questo tema. Completa il lavoro un indice analitico dei ricercatori. (Francesco Surdich) Mimmo Guelfi, Filastrocche e arie genovesi, Genova, 1967. Questa raccolta, per il sentimento con il quale è stata concepita e il metodo meticoloso ed accurato in base a cui è stata realizzata, costituisce un contributo tra più degni ed apprezzabili alla conservazione di elementi tra i maggiormente significativi^ del folklore genovese, diversamente destinati ad andare irrimediabilmente perduti. Non soltanto l’Autore ha provveduto alla stesura esatta di oltre cinquanta lastrocche, ma, avvalendosi del concorso dei maestri Giulio Chierici e Mario Moretti, ha anche voluto presentare le musiche di numerose arie, onde esse risultino effettivamente in tutto e per tutto in quella che era la loro originaria forma e consistenza. Il Guelfi, con la sua paziente opera di ricerca e di ricostruzione, ha realizzato, insomma, un vero e proprio salvataggio di una parte tra le più caratteristiche del patrimonio folkloristico genovese evitandone, se non addirittura la completa dispersione, certo almeno ogni possibilità di snaturatrici alterazioni. (Leonida Balestreri) — 350 — Roberto S. Lopez, Prima del ritorno all’oro nell’Occidente duecentesco: I primi denari grossi d’argento, in Rivista Storica Italiana, LXXIX, fase. I, 1967, pp. 174-181. Dopo essersi richiamato ad un articolo sull’argomento, edito nella Rivista Storica Italiana del 1953, ed aver tracciato un breve resoconto sulla fortuna di tale articolo, 1 A. riprende in esame il problema del valore del grosso genovese, tenendo conto degli studi svolti in proposito da Giovanni Pesce (1963) sulla traccia di quelli del Gandolfi, del Desimoni e dell’Astengo. Infine conclude affermando la contemporanea esistenza di due valori: il « grosso genovese vecchio », forse della stessa lega di quello veneziano, e un altro, corrispondente a quello toscano. (Paola Villa) G. Pesce, Le coniazioni auree della Repubblica di Genova, in La Casana, 1964, n. 3, pp. 29-32. Presenta una breve rassegna delle monete d’oro coniate dalla Repubblica di Genova (genovini, ducati, scudi, doppie e zecchini) dalla loro prima probabile emissione, che viene collocata fra il 1133 ed il 1139, fino alla caduta della Repubblica democratica ligure (1805), quando si concluse l’attività della zecca di Genova per le monete d oro. Sono riprodotti 18 esemplari, appartenenti alle diverse epoche. (Francesco Surdich) G. Pesce, Nomi caratteristici di monete genovesi, in Im Casana, IX, n. 4, ottobre-dicembre 1967, pp. 26-29. Corredato da nove riproduzioni fotografiche e sei disegni, l’articolo presenta una rassegna delle monete genovesi che ebbero nell’uso corrente una denominazione caratteristica: il genovino, il quartaro, il minuto, la petachina o sesino, il crosazzo. >1 giannino, il ligurino, il giustino, il giorgino, la madonnina e la parpagliola. (Francesco Surdich) G. Pesce, I pesi monetali genovesi, in La Casana, 1965, n. 5, pp. 25-30. Precisa e dettagliata descrizione, accompagnata da numerose riproduzioni fotografiche, dei principali pesi monetali usati dai commercianti genovesi nel corso dei diversi secoli, che serve a mettere in rilievo l’importanza dell’argomento per una più completa conoscenza delle discipline economiche-fìnanziarie. (Francesco Surdich) — 351 — Giovanni Pesce, Lo scudo della « galera » coniato a Loano nel 1600, in Quaderni della Associazione ligure di archeologia e storia navale, n. 21, Genova, 1966. Premesse alcune considerazioni circa la scarsità di raffigurazioni a carattere marinaresco sulle monete liguri, prende in esame l’unico esemplare pervenutoci di questo genere. L Autore descrive con cura lo scudo d’argento, coniato nel 1600 a Loano, e dedicato a Giovanni Andrea I d’Oria ed esamina particolarmente la galera impressa sul rovescio dello scudo, studiandone la forma, la linea e curando l’interpretazione delle due varianti esistenti di tale moneta. (Maddalena Cerisola) Cesare G. Romana - Aidano Schmuckher, Il mito di Govi, Genova, 1967, pp. 164 con 36 tavv. e ili. Intende essere questo il primo lavoro d’insieme, criticamente impostato, dedicato a Gilberto Govi e alla sua opera di attore. Uscendo dal campo della pura agiografia si è infatti voluto, in queste pagine, abbozzare un ragionato profilo di colui che sino ad oggi è stato il maggiore interprete del teatro genovese. Le caratteristiche della sua dizione e le forme della sua recitazione e della sua scena sono state cosi analizzate in profondità e presentate del tutto sfrondate da ogni sovrastruttura su di esse costruita dalla facile emotività del pubblico, nonché, in taluni casi, da più o meno consapevoli prese di posizione di netto carattere campanilistico. La particolare strutturazione del volume aiuta il lettore a farsi un proprio meditato giudizio sulla figura di Govi come uomo non meno che come artista, non lasciando in ombra nessun lato della sua multiforme attività, quella svolta sul palcoscenico al pari di quella realizzata in campo cinematografico e di quella — purtroppo scarsa e non sempre appropriata — tradotta in atto nel settore discografico. Aggiungono interesse a questa ricostruzione della personalità artistica del Govi, completandola anche visivamente, numerose tavole che ci mostrano Fattore nelle sue interpretazioni più caratteristiche, e una sorta di antologia di testimonianze dovute in genere a figure del mondo teatrale o della critica giornalistica che — anche se talvolta scelte con criteri discutibili — valgono comunque nell’insieme, e in virtù della stessa contrastante varietà delle loro impostazioni, a portare elementi di indubbia validità ai fini di una più esatta presentazione nel complesso non meno che nei tratti particolari della fisionomia del Govi quale attore. (Leonida Balestreri) \ * . . . . ■ ■ V • ■ ■ - . • . * * - Geo Pistarino, Ipotesi sui toponimi di Sarezzano - Sarzana - Sarzano .... Pag- 31 Vsevolod Slessarev, I cosiddetti orientali nella Genova del » 39 Medioevo Anna Ivaldi, La signoria dei Camprofregoso a Sarzana » 87 (1421-1484) .......... Danilo Presotto, Aspetti dell’economia ligure nell’età napo¬ » 147 leonica: i lavori pubblici . Francesco Surdich, Genova e Venezia fra Tre e Quattro- » 205 cento I - La situazione politica ed economica delle due » 218 repubbliche dopo la guerra di Chioggia . II - La spedizione del Boucicault in Oriente e lo scon¬ » 238 tro Veneto-Genovese di Modone .... Ili - La pace di Venezia (22 marzo 1404) » 266 IV - La pace di Genova (28 giugno 1406) . » 278 V - La mediazione di Amedeo Vili di Savoia » 311 Albo sociale............pag 5 In memoria di Ernesto Curotto.......» 11 Ricordo ligure di Giorgio Falco.......» 15 Orlando Grosso...........» 189 Notiziario bibliografico.............» 329 Autorizzazione del Tribunale di Genova N. 610 in data 19 Luglio 1963 Tipografia Fekrari-Occella e C. - Alessandria