! ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Volume LIX VITO VITALE jt jt ONOFRIO SCASSI E LA VITA GENOVESE DEL SUO TEMPO (1768 - 1836) CON APPENDICE SU RAFFAELE SCASSI 0 E NO VA NELLA SEDE DTLLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA PALAZZO ROSSO MCMXXXI1 - 1 ri 1 • * ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Volume LIX VITO VITALE jt jt jt ONOFRIO SCASSI E LA VITA GENOVESE DEL SUO TEMPO ( 1 768 - 1 83 6) CON APPENDICE SU RAFFAELE SCASSI GENOVA NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA PALAZZO ROSSO MCMXXXII Proprietà Letteraria Riservata Scuola Tipografica « D. Bosco » - Genova-Sampierdarena AL MARCHESE ONOFRIO SAULI SCASSI DELLE PATRIE E FAMIGLIARI MEMORIE AMOROSO CULTORE —------ INDICE-SOMMARIO „•* jt Pag. Introduzione............................ 1 Capitolo 1. — Nella Repubblica Aristocratica.............. 5 Famiglia, nascita e primi studi di Onofrio Scassi — La dimora e gli studi di Edimburgo — Condizioni della repubblica al suo ritorno — La neutralità genovese tra la Francia e i collegati e sue difficoltà — Spiriti rinnovatori e divisioni trai nobili — Il processo del 1794 — O. Scassi dottore collegiato di medicina; sua missione sanitaria nella riviera di Ponente e i due discorsi per la nomina dei nuovi senatori nel 1794 e 95 — Insegnante universitario e presidente del Collegio dei Medici —L’ambiente dei medici e la farmacia di Felice Morando. Capitolo II. — La Repubblica Democratica e l'Istituto Nazionale...... 30 Rapporti fra Genova e la Francia nel 1796-97; atteggiamenti del governo genovese e del Bonaparte — Insofferenza dei novatori; le giornate del 21 e 22 maggio 1797 e conseguenze — La convenzione di Mombello e il passaggio alla repubblica democratica — Scassi capitano della guardia nazionale — Debolezza ed errori del nuovo governo e la controrivoluzione del settembre — I partiti e loro atteggiamenti — La nuova macchina costituzionale — La guerra col Piemonte — La torbida e precaria vita della repubblica Democratica e conseguenze anche nella vita scolastica — Gli studi di medicina e una protesta degli studenti in favore di 0. Scassi — I provedimenti in materia d’istruzione — L’Istituto Nazionale e il Piano di pubblica istruzione; programma di riforma scolastica — Azione accademica e tecnica dello Scassi — Le agitazioni e i pericoli della repubblica nel 1799 e le concezioni unitarie — I colpi di stato; la sospensione dei Consigli legislativi e la nomina dei Novemviri il 7 dicembre 1799. Capitolo III. — L'assedio del 1800: l'epidemia e la vaccinazione...... 86 La Commissione staordinaria di governo e i suoi rapporti coi Francesi — II Massena e l’assedio — La fame e le malattie — La commissione militare e la Deputazione di governo — Le sofferenze dell’assedio e le trattative col Massena - La resa — La reggenza imperiale e il governo cittadino provvisorio — Ritorno dei Francesi; il Dejean e la nuova Commissione — Difficoltà interne, finanziarie e di ordine pubblico — La Commissione di Sanità e l’epidemia, eredità dell’assedio: l’opera di O. Scassi — Il riordinamento e la nuova attività dell’istituto Nazionale — La Società medica di Emulazione — 0. Scassi introduttore della vaccinazione in Liguria e in Italia. — vi — Pag. Capitolo IV. — Verso l’annessione airimpero; Onofrio Scassi provveditore e senatore.......................... 122 L’apparente autonomia di Genova e le intenzioni del Primo Console — Propositi di stabile ordinamento della Repubblica Ligure — La nuova costituzione data dal Bona-parte; la nomina del doge e dei senatori; l’azione di Cristoforo Saliceti — La riforma universitaria e l’opera dello Scassi — Il nuovo ordinamento amministrativo; Onofrio Scassi provveditore del Centro; sua azione amministrativa e di polizia e relazioni con la Municipalità di Genova — Passa al Senato - L’amicizia e i rapporti con Saliceti — Sua opera come presidente della Società medica di Emulazione — La situazione politica della Repubblica Ligure di fronte alla Francia e all’Europa — Le ragioni e i modi dell’annessione di Genova all’impero francese e la parte avuta dallo Scassi nell’avvenimento. Capitolo V. — Durante l’impero Napoleonico.............. ]§g Le conseguenze dell’annessione — Il nuovo ordinamento amministrativo e il passaggio al nuovo regime — Il viaggio di Napoleone a Genova e le splendide accoglienze — Onofrio Scassi e la visita imperiale aH’Università — L’opera dell’arcitesoriere Lebrun il riordinamento universitario e la visita del Cuvier — O. Scassi decano — Altri provvedimenti per l’istruzione e la coltura — L’Accademia Imperiale — L’attività scientifica e accademica dello Scassi e suoi riconoscimenti — L'opera civile del governo imperiale e i suoi vantaggi — Cause di malcontento e di delusione — L’oppressivo accentramento e la pressione fiscale; il malessere economico — Il mutamento negli spiriti e l’aspirazione all’indipendenza — Antonio Maghella e Onofrio Scassi. Capitolo VI. — L’ultima Repubblica e il passaggio al Piemonte......206 La fine del governo francese e l’azione della Municipalità — Lord Bentinck e il ristabilimento della repubblica II carattere e l’opera del nuovo governo — La vana difesa della repubblica — L’annessione al Premonte e il malcontento contro l’Inghilterra - Le condizioni interne; divisioni degli animi e dei partiti e ritorno di simpatie e di speranze a Napoleone — Genova centro di cospirazioni e di sette — Il partito degli Indipendenti e la posizione dello Scassi — I primordi del governo piemontese; riordinamento generale e i rapporti con la popolazione — Azione del governo verso la nobiltà e la borghesia colta: esempio dello Scassi — L’Università negli anni 1814-1816. Appendice: Relazione Anonima sulle vicende di Genova dal 1797 e sulle sue condizioni nel 1815. ..................245 Capitolo VII. — La vita universitaria nell’età piemontese — Onofrio Scassi e la Deputazione agli studi....................247 La vita intellettuale genovese dopo l’annessione al Piemonte — L’Università e il gretto atteggiamento del Governo — L’opera della Deputazione agli studi — Gli avvenimenti del 1821 e ripercussioni sulla vita universitaria — L’occupazione militare dei locali eia chiusura dei corsi — La carriera universitaria dello Scassi; sue attribuzioni e sua opera come deputato all’insegnamento dal 1825 al 1836 e specialmente nel 1831, nella nuova occupazione militare — Ripresa della vita normale universitaria e le prime riforme di Carlo Alberto. — VII — Pag. Capitolo Vili. — /.a vita amministrativa — Onofrio Scassi sindaco e medico ispettore.......................... 281 Onofrio Scassi ottiene da Carlo Felice il titolo di Conte — Sua partecipazione alla vita amministrativa dopo la riforma del 1824 — Sua azione come decurione, provveditore e sindaco — Il rinnovamento edilizio e le difficoltà economiche — I rapporti tra amministrazione comunale e il governo centrale — La questione del teatro Carlo Felice — Il conflitto col Governatore per l’accantonamento delle truppe nel 1831 — Morte di Carlo Felice e successione di Carlo Alberto — Provvedimenti di sanità e opere pie — La questione dei cimiteri e costruzione del camposanto di Staglieno —Fine del sindacato dello Scassi e sua nomina a ragioniere — La Giunta degli Ospedali: Antonio Brignole Sale e Onofrio Scassi — Nomina a Ispettore e Vicepresidente della Giunta — Incarico di sostituire il Brignole nella sua assenza — Il colera del 1835 e questioni relative — Malattia, morte e necrologie di Onofrio Scassi — La famiglia si estingue col nipote, caduto a Montebello nel 1859 — Conclusione. Appendice: Raffaele Scassi e il porto di Kerc ............335 Scarse notizie di Raffaele Scassi — Sua azione politica e commerciale in Russia — Propositi e iniziative economiche e industriali — Rapporti col fratello — Progetti per lo sfruttamento del porto di Kerc e speranze di rinnovata espansione coloniale genovese in Oriente. Lettere di Raffaele Scassi.................... 348 Relazione di Raffaele Scassi sul porto di Kerc e il suo commercio .. 363 Aggiunte e correzioni...................... 366 Indice dei nomi .......................... 369 INTRODUZIONE jt jt Jt Chi studia la storia e le vicende di Genova nell età della repubblica democratica e del dominio francese e napoleonico rimane colpito dalla larga partecipazione che i medici, insieme con i commercianti, con qualche avvocato e con alcuni dei nobili, special-mente poveri o minori, hanno avuto nella vita politica della città e della regione. Dal chirurgo Bonomi, creatura e strumento del focoso Tilly che lo voleva coperto deH’immunità diplomatica, ad Andrea Repetto, capo riconosciuto delle sette e delle congreghe massoniche, dal Mongiardini, partecipe del governo provvisorio, membro di una quantità di consessi tecnici e politici, a Giacomo Mazzini, destinato a vedere e a non intendere, deluso dalla propria esperienza, la gloria del grandissimo figlio, i medici hanno avuto parte cospicua negli avvenimenti politici e anche nel rinnovamento scolastico e culturale di quel periodo così pieno di rapide trasformazioni. Erano, in realtà, i rappresentanti della nuova classe borghese, e specialmente della borghesia intellettuale, che si avanzava alla conquista del potere e di una maggiore considerazione; della borghesia che partiva dal negare e combattere i privilegi dell’antica aristocrazia 2 — dominante nella vecchia Repubblica per conchiudere spesso con l’innalzarsi alla conquista di una nuova nobiltà e di un titolo che le permettesse di collocarsi accanto alla vecchia che riacquistava, dopo la rivoluzione, la posizione sociale se non il potere politico. Tipico esempio del borghese di questo genere mi è parso il medico Onofrio Scassi, che, scienziato e professionista, politico e amministratore, ha momenti di grande notorietà e partecipazione attiva e quasi continua alla vita cittadina. Non figura di primo piano, s’intende, lo Scassi, neanche in rapporto alla storia locale, ma pur degno di esame e di studio per quello che fu e anche per quel che rappresentò, appunto per essere < uno dei molti » anziché una guida; ma le sue vicende, attraverso il tempestoso mutare delle forme e degli atteggiamenti politici dalla vecchia repubblica aristocratica sin quasi alle riforme carloalbertine, sono come lo specchio dei mutamenti e degli adattamenti di quella borghesia che, toltasi pel moto rivoluzionario da una posizione politicamente subordinata, mirava a conservare ed accrescere la condizione raggiunta attraverso i rapidi mutamenti tipici delle età molto mosse e agitate. Per questo carattere ho dato alle ricerche nelle biblioteche e negli archivi di Genova e di Torino una estensione forse maggiore di quel che la personalità dello Scassi propriamente non esigesse. Molti documenti ho avuto dal pronipote di lui, il marchese Onofrio Sauli Scassi, che mi è stato signorilmente cortese e al quale porgo i più vivi ringraziamenti; molti me ne hanno dati l’Archivio di Stato per il periodo della Repubblica Ligure, l’Archivio Municipale per il periodo posteriore al 1814, quello della Regia Università e il Museo del Risorgimento, oltre all’Archivio di Stato di Torino. Fonte preziosa sono i giornali, abbondanti per l’età rivoluzionaria; più importante di tutti la Gazzetta Nazionale della Liguria, poi Gazzetta di Genova, durata anche nell’età napoleonica e piemontese. Di mediocre utilità invece le biografie, brevi e scarne, dello Scassi e le poche notizie che gli si riferiscono nella Storia dell'Università di Genova, dell’Isnardi. 3 — Illustrando la figura dello scienziato e del cittadino ho mirato soprattutto alle condizioni generali politiche e alle istituzioni scolastiche e culturali del tempo; e se potrà sembrare che il protagonista talvolta si perda e si sommerga nell’ambiente, mi rallegrerò nel ricordo omerico : Ed a me il cor ridea, che sol d’un nome Tutta si fosse la mia frode ordita. Uno speciale e devoto ringraziamento mi è grato rivolgere alla Società Ligure di Storia Patria che ha voluto accogliere tra i suoi Atti la mia modesta fatica, alla quale ho aggiunto come Appendice le poche notizie trovate e alcuni documenti, derivati dall’Archivio Sauli, intorno alla caratteristica figura e all’attività politica ed economica esercitata in Russia e specialmente in Crimea da Raffaele Scassi, fratello minore di Onofrio, tipico rappresentante dell’intraprendente e avventuroso spirito ligure. \ ' CAPITOLO I. Nella Repubblica Aristocratica jt jt Della propria famiglia, originaria di Arenzano, parla Onofrio Scassi (l) nell’istanza rivolta nel 1830 al Re Carlo Felice per ottenere il titolo di Conte. Espone ivi: * Discendere egli da antica ed onorata famiglia nella quale tanto negli ascendenti paterni, quanto nei materni non si esercitarono mai altre professioni fuori che quelle insignite di laurea, cioè di leggi e di medicina, e queste professioni si esercitarono più per onore e per affezione allo studio che non per bisogno, essendo la famiglia provveduta di beni oltre al bisogno, non solamente in Genova, ma anche nella Lomellina, in Voghera ecc. Di questo comodo stato fanno fede il cadastro del borgo di Arenzano (Intendenza di Savona) sul quale sino dal 1604 è accollonata la famiglia Scassi con possessione successiva in linea retta nella medesima famiglia, e perfino la tradizione fra quegli abitanti rammenta che fu la stessa la precipua contribuente per l’edificazione delle due Chiese che in quel borgo sussistono da più di cinquecent’anni addietro nelle quali questa famiglia conserva il diritto patronale nelle due principali Cappelle ed i sepolcri gentilizi de’ suoi Antenati » (2). Infatti della famiglia è ricordo sin dal secolo XV quando si trovano suoi contratti enfiteutici con la Repubblica di Genova; e nel secolo XVII possedeva terre in Val d’Orba, nel così detto bosco di Ovada che si estendeva fino ad Arenzano, possessi che poi vendette alla famiglia Pesce (3). Inoltre (1) Il nome si trova nella duplice forma, Scasso e Scassi: più frequente da principio la prima, finché l’altra prevale interamente. (2) Archivio di Stato di Torino. Titoli di Nobiltà. Sala 14. Lettera S. (3) Debbo queste notizie alla cortesia dell’egregio avv. Ambrogio Pesce Maineri. — 6 - l’accenno all’esercizio tradizionale delle professioni di leggi e di medicina può far supporre appartenente alla stessa famiglia il medico Aurelio Scassi celebre al suo tempo e che pubblicò nel 1590 a Casale un trattato sui fanghi di Acqui e sul loro uso terapeutico (1). La professione medica era veramente tradizionale nella famiglia; medici furono Onofrio Scassi, avo del nostro, il suo primogenito Agostino e il primogenito di questo: sembra quasi un diritto di primogenitura. Agostino ebbe a fratelli Emilio, che appare padrino al battesimo del nipote, e Nicolò che fu Vicario nella chiesa di S. Pietro di Banchi. Nacque Onofrio Scassi il 2 settembre 1768 in Cogoleto, dove evidentemente il padre professava l’arte sua, da Agostino e da Francesca Agnese di Ambrogio, nativa aneh’essa di Cogoleto (2). Qui nacquero pure tre figlie: Battistina Maria il 15 gennaio 1771, Battistina Giovanna Maria il 10 febbraio 1773 e Giovanna Maria il 10 febbraio 1775 (3); un altro figlio, Raffaele, del quale mancano notizie finché non Io si trova in elevata condizione in Russia nacque nel 1785 a Rapallo (4), dove la famiglia si èra trasferita nel 1775 o 76: il 25 novembre di quest’anno infatti la Comunità di Rapallo confermava Agostino Scassi a medico condotto per un quadriennio e nell’agosto successivo la deliberazione era ratificata a Genova da Alessandro Giustiniano Deputato alla Provincia (5). Nulla è noto della prima giovinezza e dei primi studi del futuro medico: i suoi coetanei, affermerà poi una necrologia, lo ricordavano « come il miglior alunno del Seminario Arcivescovile ove attese ai primi studi (6) e come decoro dell’ Università ove sostenne con mirabile magistero la pubblica difesa di filosofia e di matematica, come profondo cultore di scienze (1) C. Chiaborelli, Documenti Acquetisi, in Rivista di Storia Arte e Archeologia della provincia di Alessandria, a. VI, fase. XVI, 1° ottobre -31 dicembre 1920, pag. 216. Il nome di Aurelio Scassi manca però alla Biografia medica di O. B. Pescetto. Fratello di questo Aurelio fu un don Dionigi, Protonotario Apostolico, che fondò nel 1603 un’opera pia chiamata col suo nome. (2) Liber Baptizatorum Ecclesice Parrochialis Cogoleti ab anno 1722: « Die VII 7bris (1768). Ego idem (Augustinus Poggi; Arch. baptizavi infantem natum die 2 d.1 mensis ex D. D. Augustino Scasso q. M. Onofrii et Francisca legitimis coniugibus, cui impositum est nomen Onofrius, Emilius, Maria. Patrini fuerunt d. Emiiius Scasso q. M. Onofrii ex P. [aroecia] S. Iacobi Genuae et D. Paula Ohigliotto uxor Iosephi ex P. Arenzani ». Dallo stesso Liber si rileva che la madre era appunto di Cogoleto. (3) Liber ecc., n. 61, 164 e 244. (4) Parrocchia dei Santi Gervasio e Protasio di Rapallo, Atti di nascita e battesimo, voi. X, a. 1785, n. 1402. Il battesimo ebbe luogo il 4 luglio, ma era nato il 26 febbraio. (5) Copie dei relativi decreti in Archivio Sauli. (6) Nel Catalogo dei fratelli della Congregazione eretta nel Seminario Arcivescovile di S. Lorenzo in Genova, conservato nell’Archivio del Seminario stesso, a pag. 186, sotto l'anno 1780, è infatti il nome di Scasso Onofrio di Agostino di Arenzano. mediche di cui conseguì la laurea nel quarto lustro di sua età » (1). Questa indicazione cronologica conduce intorno al 1788. È strano però che negli atti dell’Archivio di Stato non ho potuto trovare alcuna notizia in proposito (2): invece una notizia posteriore conferma che l’anno della sua laurea in medicina, o almeno deH’ascrizione tra i medici, fu appunto il 1788 (3). D’altra parte, per la giovane età del disserente e perchè non vi si trova alcuna traccia specifica di studio di medicina - è noto tuttavia che gli studi medici e filosofici erano comuni - non possono costituire la prova di laurea le tesi filosofiche e scientifiche sostenute in pubblica disputa il 4 agosto 1784 (4). Era, secondo il costume del tempo, una prova di virtuosità scolastica; ma il fatto che quelle tesi siano state pubblicate, anche se si voglia pensare a un po’ di baldanza giovanile e forse di orgoglio paterno, dimostra tuttavia che dovettero apparire degne di considerazione; e non ingiustamente se si pensa all’età del candidato. Esse rappresentano inoltre per noi un documento di notevole interesse, perchè sono la prima sua affermazione e preannunciano alcuni atteggiamenti dell’uomo, nel quale la coscienza di sè e il desiderio di primeggiare non sono mancati. L’opuscolo, dall’ epigrafe solenne e sonora (5), è dedicato a Giacomo Filippo Durazzo, in quell’ anno ascritto ai settemviri preposti all’ Università e da poco nominato procuratore per le stampe (6), patrizio veramente insigne, non solo perchè appartenente a una delle più illustri e doviziose famiglie, ma più per la dottrina e il mecenatismo e l’amore alle scienze, (1) Gazzetta di Genova a. XXXIX, n. 66, mercoledì 17 agosto 1836. (2) Nella filza Collegio dei dottori 1783-1797 non esiste traccia della laurea Scassi; soltanto nel 1794 si trova cenno di un Bartolomeo Scassi q. Onofrio di Albissola, lo stesso che nel 1796 è nominato tra gli Avvocati e Dottori fuori collegio nel Curioso soddisfatto, ossia Almanacco per l’anno bisestile 1796, pag. 74, e l’anno successivo è Vicario del Capitano di Levanto (Calendario di Genova sopra l’anno 1797, pag. 167) e giudice della giurisdizione di Mesco (Levanto) nel 1800 (Gazzetta Nazionale, 2 agosto 1800 pag. 42); giudice a Recco ove viveva con un fratello, Girolamo, nel 1804 (Arch. d: Stato, Rep. Ligure, Copialettere del Provveditore del Centro, n. 342, reg. 3, lettera 187; 30 settembre 1804). (3) L'Annuaire statistique du département de Gcnes, Gènes, Imprimerie de la Gazette, 1810, pag. 234, porta l’elenco dei medici, chirurghi e farmacisti con la data della loro ascrizione. Per Onofrio Scassi la data è 5 luglio 1788. (4) « Mercoledì 4 agosto dal signor Onofrio Scasso si è tenuta ìp detta Università una pubblica applaudita Disputa di filosofia dedicata aU’Ill.mo Signor Giacomo Filippo Durazzo». Avvisi, 7 agosto 1784, n. 32, pag. 249. (5) Nobilissimo viro - lacobo Philippo Duratio - Patricio Genuensi - Onuphrius Scasso- in Universitate-Philosophie auditor - Et se et theses suas-Facta cuilibet post tertium arguendi potestate - publice propugnandas - in perenne devoti animi obsequium - D. D. D. - Genue MDCCLXXXIV - Apud Felicem Repettum in Canneto - Facultate obtenta (in 4’, pp. 16). Non conosco altra copia che quella conservata nella Biblioteca della Società Ligure di Storia Patria, segnata A. 2-9-11. (6) Avvisi, 1784, pag. 97. — 8 — specialmente naturali, fondatore di un museo nel suo palazzo di Corni-gliano e di una biblioteca in Genova (1). Queste benemerenze ricorda il giovane Scassi nella lettera dedicatoria che precede le tesi e insieme ne rammenta gli studi e la coltura, i viaggi e le relazioni coi dotti più celebrati d’Europa, le molteplici cariche sostenute. Passa poi alle lodi morali, dalla modestia alla religiosità, e, richiamati i meriti degli antenati, finisce raccomandandosi alla sua benevolenza, sicuro che con essa « nihil ad plenam studiorum gloriam mihi desse arbitrabor ». Pomposa ed enfatica nella lode che rasenta l’adulazione, questa dedica ha una considerevole sonorità e rotondità di periodo e la frase latina vi è maneggiata con sicurezza e non senza efficacia. Seguono le tesi: sono 136 proposizioni di metafisica, di morale, di scienze fisiche e naturali. Affermazioni scheletriche, proposizioni assolute senza discussione, contenuta ciascuna in poche righe nelle quali, nel campo filosofico, si condannano le affermazioni e i principi di Cartesio, di Leib-nitz, di Wolf, di Hobbes, di Spinoza : il disserente appare seguace dello spiritualismo tradizionalista, ma non è possibile vedere con quali argomenti combatta le tesi negate, con quali sostenga i propri principi. A leggere queste tesi vengono in mente le parole del Mazzini quando diceva che all’Università gli avevano insegnato una metafisica derivata metà dal Locke e metà dalla sacrestia (2). Nel campo della fisica si occupa particolarmente della luce, anche qui in brevi paragrafi affermando o negando assiomaticamente alcuni principi: egli è evidentemente nella corrente newtoniana della luce prodotta dalle vibrazioni della materia. Anche nella botanica e nella zoologia procede per brevi affermazioni o negazioni, sempre riferendosi a dottrine di filosofi e scienziati celebri. Passando all’etica, nega che la legge morale derivi dalla necessità della convivenza sociale, dalle leggi civili, dall’utilità personale o dal piacere e ne riconosce l’origine nella volontà divina; infine combatte la formula hobbesiana dell’* homo homini lupus », affermando: « Socius hominis homo et adiutor, socialem a natura sortitur statum »; e nelle affermazioni: « primigenia ergo societas est aequatoria » e « primaeva rerum terrae communio non fuit proprietatis, sed facultatis aequalis agendi » mi par di vedere un riflesso delle teorie sociali egualitarie allora largamente agitate e diffuse. (1) Grillo, Abbozzo di un calendario storico della Liguria, Genova, Ferrando, 1846, p. 322 e necrologia in Gazzetta di Genova, novembre 1812. Notizie biografiche ne ha dato anche il Neri in Giornale Ligustico, 1881, pag. 3 segg. Era nato nel 1728 e fu padre della celebre naturalista Clelia Grimaldi Durazzo; cfr. A. Bertolani, Elogio di C. O. D. in Elogi di Liguri illustri di L. Grillo, Torino, 1846, III, p. 327. (2) Mazzini, Opere, Edizione nazionale, Letteratura, voi. Ili, pag. 222. - 9 - Nulla di eccezionale in conclusione, ma prova di cultura larga ed estesa per un giovane di quell’età, anche se dia un po’ l’impressione di disinvolta superficialità. Nessuna specifica notizia sugli studi di medicina. Certo, dopo la laurea si recò a perfezionarsi a Pavia, centro scolastico allora dei maggiori non solo d Italia ma d’Europa, molto riputato specialmente nelle scienze mediche, e al quale anche altri conterranei accorsero; basti ricordare Giacomo Mazzini che vi conseguì anzi il titolo dottorale (1). Frequentò a Pavia le lezioni del celebre Giovan Pietro Franch, grande igienista che può essere considerato il fondatore della medicina politica, e di Antonio Scarpa anatomico e chirurgo di grandissimo valore (2). Che andasse poi anche a Milano, come il Mazzini, non si può affermare; nell’accennato esposto del 1830 dice soltanto che « viaggiò in Italia » e poi nell’Inghilterra e nella Scozia, e la necrologia della Gazzetta afferma pure che frequentò « le Università di Pavia, d’Inghilterra e di Edimburgo ». Più esplicito il ministro dell’interno e delle finanze della Repubblica Ligure nel 1798, G. B. Rossi, il quale, in un curioso documento che avrò occasione di ricordare più oltre, dice « l’ho veduto io medesimo a Londra frequentante le lezioni di un celeberrimo Professore, successivamente ha passato alcuni anni aH’Università di Edimburgo, ove ha presieduto società scientifiche, ove ha riportato il premio sul problema proposto in quell’anno ed ove finalmente è stato iscritto alla Reale Società come dagli onorevoli attestati che porta seco » (3) Queste notizie sono evidentemente fornite dallo Scassi medesimo, o piuttosto derivate dal frontespizio dell’opera da lui pubblicata a Edimburgo (4), ma le ricerche fatte per compierle o controllarle non hanno avuto felice risultato. Il suo nome infatti non appare in alcuna delle liste uffciali a stampa degli affigliati al Royal College of Medicine, nè al Royal College of Sur-geons di Londra e di Edimburgo. Indagini accurate compiute ad Edimburgo (1) A. Neri, il Padre di Giuseppe Mazzini, Rivista Ligure, a. XXXVI, 1910, pag. 136 sgg. (2) Il nome dello Scassi non appare però nè dai registri dei laureati nè dal catalogo generale degli studenti conservati nell’Archivio della R. Università di Pavia, e si comprende, perchè, già laureato, doveva seguire le lezioni come uditore. Sul Franch, professore a Pavia dal 1786 al 1795 e a Vienna dal 1795 alla morte nel 1821, e sullo Scarpa, allievo di Morgagni e a sua volta maestro famoso, cfr. Memorie e documenti per la storia dell’Università di Pavia, Pavia, 1878, voi. I, p. 227 sgg. e Castiolioni, Storia della Medicina, Milano, Unitas, 1927, pagg. 615 sgg., 634. 655 sgg. (3) Archivio di Stato di Oenova, Sala 50, Qoverno provvisorio, Filza 148, Corrispondenza al Direttorio Esecutivo, lettera 11 ottobre 1798. (4) De foetu humano, Disertatio Anatomico-Physiologica, Auctore Onuphrio Scassi Genu e risi, Philosophie et Medicine Doctore, Regie Societatis Medice Edim. Membro, Societ. Chirurgo - Physice Hon. Soc. et Preside, Edimburgi, Typis Th. Ruddimanni, 1792, in 16u pp. VIl-l80. dal dott. Corrine, insigne storico della medicina scozzese, negli elenchi degli allievi delPAccademia dei Fisici e di quella dei Chirurghi non hanno dato migliori risultati, portando alla conclusione che lo Scassi non vi frequentò corsi regolari ; se mai il Comrie crede che possa aver frequentato qualche corso di medicina fuori deH’Università, ma per questi non esistono elenchi regolari degli iscritti. Certo è però che la Royal Medicai Society, un club di studenti, ufficialmente riconosciuto, il 26 novembre 1791 elesse a membro onorario il medico italiano e poiché questi non aveva ancora l’età di 25 anni, dopo la quale nessuno poteva più esservi iscritto come studente, ma soltanto per qualche merito particolare verso la Società, è possibile che frequentasse i corsi para-universitari presso il Royal College of Surgeons, o anche qualche corso universitario (1). E questo è tanto più probabile in quanto l'opera De foetu humano, che è la riprova più sicura dei suoi studi e della sua attività scientifica ad Edimburgo, vi fu pubblicata nel 1792, e l’introduzione, datata dal 1° gennaio di quell’anno, dedica il lavoro alla Società, appunto come dimostrazione di riconoscenza dell’esservi stato accolto. L’ascrizione poi e la presidenza della Società chirurgo-fisica, anche se soltanto onorarie, attestano come il giovane genovese fosse riuscito a farsi conoscere e apprezzare. Che l’opera allora pubblicata sia stata presentata a qualche concorso e premiata, secondo è detto nella dichiarazione del Rossi, non risulta da altra parte; piuttosto dall’introduzione stessa si rileva che la Società, forse per titolo di ammissione, gli aveva assegnato il tema «de efformatione decidue*, della formazione cioè di quella specie di essudato plastico che, secondo la dottrina di Hunter, allora prevalente, si verrebbe organizzando nella cavità uterina dopo l’arrivo dell’uovo. A questo argomento, in breve esaurito, egli dichiara di aggiungere altre osservazioni, distendendosi a parlare del feto, del suo sviluppo, delle sue parti. Non è certo il caso di trattenersi ora su questa materia e sul valore del lavoro anche in rapporto alla scienza del tempo, sia perchè occorrerebbe una specifica competenza, sia perchè la teoria hunteriana da lui seguita (2) è stata riconosciuta erronea e con essa erronea la nomenclatura relativa; e il nome di decidua nell’embriologia serve oggi a indicare la membrana dell’utero gravido destinata ad essere eliminata al momento del parto (3). (1) Debbo queste notizie al prof. Cesare Foligno del Magdalen College di Oxford, che fece le ricerche a Oxford e Londra e provocò le ricerche del dott. Comrie a Edimburgo. All’uno e all’altro esprimo la mia riconoscenza. (2) Così risulta non solo dal testo, pag. 39 sgg., ma da un foglietto riassuntivo, di scrittura indubbiamente sua, che si trova nella copia, certo a lui appartenuta, posseduta dalla Biblioteca della R. Università di Genova. (3) L. Testut, Anatomia Umana, trad. G. Sperino, Torino, U. T. E. T., 1922, voi. XII, pag. 53; E. Bumm, Ostetrìcia, trad. E. Merletti, Milano, Società Libraria Editrice, 1923, pag. 61. -li- sciato in un latino facile e fluido, lo studio, negli abbondanti riferimenti alle teorie e agli scritti di precedenti scienziati, mostra una coltura larga e sicura nella materia e doveva rispondere allora alle conclusioni più accertate della scienza, se medici illustri non gli lesinarono le lodi, a cominciare dal Monro, professore di anatomia appunto ad Edimburgo, che ebbe più volte a citarlo nelle s-ue lezioni, e da Antonio Scarpa, già professore a Pavia, col quale si ritrovò ad Edimburgo, dove lo Scarpa fu eletto membro onorario della Reale Società di Medicina il 7 aprile 1792 (1). L’opera fu anche lodata dal Giornale di Medicina stampato in Venezia per l’anno 1794-95 e in altri periodici, encomiata dal celebre prof. Tommasini nella prolusione sulla « Nuova Dottrina Medica » e nell’opera sull’infiammazione e sulla febbre continua, citata dal Franch, già maestro a Pavia, nelle sue opere di medicina pratica (2). Perchè lo Scassi andasse a compiere i propri studi nella Grambret-tagna piuttosto che altrove non è noto; potè indurlo la fama di quelle Università, l’esempio forse del suo maestro Scarpa, più probabilmente, mi pare, il consiglio del medico inglese Guglielmo Batt, stabilitosi dal 1773 a Genova, dove il Senato gli permise l’esercizio della professione e dove ebbe avversari feroci in altri sanitari gelosi della sua scienza e del suo valore professionale. Primo insegnante di chimica e botanica all’Università, dal 1779, in una cattedra mantenuta a spese dei Cambiaso (3), fu medico e professore celebre, filantropo insigne e amico dello Scassi e con lui più tardi sostenitore convinto e fervente della vaccinazione. Poiché il Batt, lasciato l’insegnamento e nominato professore emerito, nel 1788 ritornava per qualche tempo in patria, non è impossibile che egli conducesse o chiamasse a sè il giovane amico e discepolo (4). Il quale però non è molto probabile conducesse allora quella vita stentata e difficile di cui è rimasto il ricordo tradizionale nei suoi discendenti. Se mai, questa può essere stata una postuma leggenda creata con compiacenza dall’uomo che sapeva di essersi formato da sè e col proprio lavoro; ma le condizioni economiche della sua famiglia, come più volte ha tenuto a far rilevare ufficialmente, erano state sempre floride e nulla lascia credere che gli mancassero i mezzi (1) Così m’informa il dott. Comrie. (2) Queste notizie sono date in uno scritto a difesa degli studi e dei professori di medicina nell’Università di Genova contro le accuse di un dott. Oppenheim, appunto in una rivista di Edimburgo, difesa che ha tutta l’aria di essere scritta dallo Scassi, sebbene la copia che si conserva nell’Archivio del March. Sauli non sia di sua mano. (3) O. B. PESCETTO, Biografia medica ligure, Genova, Sordomuti, 1S46, pag. XXVII; Isnardi, Storia dell’Università di Genova, voi. Il, p. 17 sgg. (4) Sul Batt cfr. L. Levati, / Dogi di Genova dal 1771 al 1797 e Vita Genovese negli stessi anni, Genova, Tip. della Gioventù, 1916, pag. 463 sgg., 572 e la bibliografia ivi indicata. Un ampio articolo necrologico in Gazzetta di Genova, 1812, n. 13, pag. 49. — 12 - a una vita agiata e tranquilla. Piuttosto è certo che dai suoi studi e dalla dimora britannica trasse la conoscenza e la persuasione della bontà della cura vaccinica di cui si fece poi costantemente apostolo e che si tenne a vanto, di frequente ripetuto, d’aver introdotto a Genova e in Liguria. D altra parte non è improbabile che la dimora fuori di patria, in un ambiente più vasto e aperto che non fosse quello della torpida e arretrata aristocrazia genovese, abbia avuto influenza sulla formazione dello spirito dello Scassi e neH’orientarlo verso concezioni più libere e più nuove; ma poiché non sarà mai in prima linea nei momenti delle maggiori violenze giacobine e democratiche, mi pare di poter conchiudere che la dimora britannica rassodò in lui quel senso di moderazione e di opportunità che gli era innato e che lo guidò nell’età turbinosa e violenta in che gli accadde di vivere. Anche di lui si può dire quel che è stato detto assai bene del suo amico Corvetto, che ebbe tuttavia parte tanto maggiore nelle vicende politiche del tempo, che si sentiva cioè del terzo stato, al quale spettava prendere il suo turno nel governo della società; che non aveva un vero temperamento politico di quelli che hanno la passione della lotta, ma era un tecnico e uno scienziato; non aveva fibra di rivoluzionario e sentì il contrasto tra i metodi della rivoluzione, con cui la borghesia si faceva avanti, ed i principi di ordine, di legalità, di lasciar fare propri dell’essenza borghese; di quegli uomini seri e riflessivi che accettarono a testa fredda la rivoluzione e servirono lealmente i nuovi regimi cercando di evitare il disordine e di risparmiare dolori e danni ai loro compaesani (1). Tornava in patria mentre la vita della vecchia repubblica aristocratica si faceva sempre più difficile sotto l’azione delle idee e degli emissari francesi e mentre per diverse ragioni, per convizioni, per sentimenti, per interessi, tanti elementi anche dall’interno miravano alla sua trasformazione. La posizione stessa di Genova, le sue relazioni marittime, la vicinanza alla Francia, la facilità delle comunicazioni favorivano la diffusione delle notizie e la penetrazione delle nuove idee. « Non vi ha città che sia più presto a giorno degli importanti grandi avvenimenti che seguono quanto Genova - ha scritto un contemporaneo - ella è una delle principali piazze d’Europa, quasi tutti gli abitanti sono negozianti o banchieri; i successi felici delle loro speculazioni, l’arte di ben combinarle li guida ad essere (1) M. Ruini, Luigi Corvetto genovese, ministro e restauratore delle finaine di Francia (1756-1821), Bari, Laterza, 1929, pag. 10. — 13 — informati con celerità ed esattezza di tutto ciò che può in qualche maniera influire sul loro commercio; in tal modo sebbene il governo avesse proibito l’introduzione dei giornali stranieri, e sovra tutto dei francesi, non passava giorno in cui non sapessero li genovesi per mezzo di corrispondenze cogli esteri negozianti tutti gli avvenimenti, interessanti, dettagliati, delle più minute circostanze » (1). Si aggiungono a recare il desiderio di novità i Francesi che vengono a diffondere le massime bandite dalla Costituente, le congreghe massoniche che vanno assumendo sempre più atteggiamenti rivoluzionari e giacobini e nelle quali compaiono alcuni medici, come il De Albertis e Andrea Repetto, che ne è anzi il maggior personaggio, le predicazioni dei giansenisti e finalmente e sopra tutto l’opera occulta e palese dei rappresentanti ufficiali della Francia (2). Nel 1791 arriva a Genova il ministro francese De Sémonville, accolto e onorato non ostante il malcotento delle altre potenze per il riconoscimento del nuovo stato costituzionale di Francia da parte della repubblica; e viene col proposito di preparare il terreno e predisporlo a novità (3). Spiana la (1) Desodoards, Istoria filosofica ed imparziale della rivoluzione di Francia, di Venezia e di Genova, Delle Piane, 1798-1802, t. XV, pag. 19. Cfr. anche St. Poussielgue, Relation de la Revolution de Gènes, Genova, Caffarelli, 1797, pag. 4 sgg.; E. Vincens, Hi-stoire de la République de Gènes, Didot, 1842, voi. Ili, pag. 409 sgg.; G. Carbone, Compendio della storia ligure, Genova, 1837, voi. II, pag. 487 sgg.; P. Nurra, Genova du rante la Rivoluzione Francese, La Cospirazione antioligarcliica, Giorn. stor. e letter. della Liguria, 1927, pag. 333 sgg. (2) L. T. Belorano, Imbreviature di Giovanni Scriba, Genova, Sordomuti, pag. 122 sgg., 152, ecc.; G. Biqoni, La caduta della Repubblica di Genova nel 1797, in Giornale Ligustico di Archeologia e Storia, 1897, pag. 247 sgg.; Levati, I Dogi ecc., pag. 452 sgg. e passim.; F. Trucco, Gli ultimi giorni della Repubblica di Genova e la Comunità di Nove, Milano, 1910, pag. 117 sgg.; F. L. Mannucci, G. Mazzini e la prima fase del suo pensiero letterario, Milano, 1919, pag. 28; P. Nurra, Il Giansenismo ligure alla fine del secolo XVIII, in Giornale Storico e Letterario della Liguria, 1926, pag. 18 sgg. — Per questo interessante periodo di storia genovese esiste una cospicua bibliografia, di cui ha dato un quadro riassuntivo e sistematico il Ruini, nel volume sul Corvetto, pag. 350 sgg.; ma, a parte opere invecchiate o tendenziose, per quanto si abbiano buoni saggi monografici, è mancata sinora una esplorazione ordinata e compiuta degli archivi e delle biblioteche di Genovà e non possediamo una sintesi storica del periodo nei suoi caratteri essenziali. Un lavoro riassuntivo ed esauriente su tutto il periodo tra la fine della repubblica aristocratica e il governo piemontese o almeno sino all’annessione all’impero, manca; non manca il materiale a chi volesse affrontarlo con larghezza d’indagini. I quattro volumi del Colucci (Genova e la Rivoluzione francese, Roma, 1902) contenenti i dispacci dei rappresentanti liguri a Parigi dal 1794 al 1799 danno essi soli un materiale prezioso, e non sono che piccola parte della corrispondenza diplomatica di quegli anni conservata nell’Archivio, ove attendono pure d’essere esaminate e studiate le importantissime lettere dei Consoli e quelle che il Governo mandava ai suoi rappresentanti all’ estero. (3) Sui tentativi, falliti, di far uscire Genova dalla neutralità, v. ora Ambroise Jobert, La diplomatie frangaise à Gènes à la fin de 1792 in Revue historique, CLXIV, mai-juin 1930, pag. 79 sgg. — 14 - strada ai successori iniziando quel genere di guerra subdola e secreta che doveva essere continuato con qualche diversità di tono, a seconda dei diversi caratteri, dai suoi successori: il Naillac dalla breve apparizione, il Tilly, violento impetuoso e prepotente, più atto alla rivoluzione che alla diplomazia, il Villars aspro e petulante, il Faypoult abile e insinuante, mellifluo e volpino (1). Di fronte ai rappresentanti francesi quelli dei collegati pronti sempre a premere sul governo, a insistere, anche in forme poco riguardose, a chiedere repressioni, punizioni di Giacobini, l’allontanamento del Tilly: più insistente e indiscreto l’inglese Drake che, dopo la dichiarazione della neutralità genovese e dopo il celebre episodio della Modesta, fregata francese assalita e predata dalla flotta inglese nello stesso porto di Genova (2), si vide respinto cinque volte l’ultimatum per un mutamento di politica e nel novembre 1793 si trovò costretto ad imbarcarsi per Tolone, donde ordinò che una squadra inglese incrociasse dinanzi a Capo Mele per sequestrare i bastimenti diretti al porto di Genova. Ritornato nel ’94, continuò a mettere a dura prova la pazienza del governo, contribuendo ad accrescere le simpatie verso la Francia, per risentimento contro l’Inghilterra, e a rendere sempre più penosa la posizione di neutralità (3). Come al solito, il danno fu del più debole e la repubblica dovè pagare alla Francia per il doloroso incidente della Modesta un’indennità di quattro milioni, perchè accaduto nelle sue acque. La neutralità che era stata proclamata il 1° giugno 1792 poteva infatti, dati i rapporti di vicinanza e di commercio, essere considerata una tacita alleanza con la Francia, alleanza dovuta non solo e non tanto forse alla debolezza incerta e dubbiosa della vecchia repubblica, timorosa delle sue forze e restia a gettarsi in avventure, quanto al desiderio di non interrompere le larghe e costanti correnti di traffico e, più, all’avversione agl’imperiali, ravvivata dagli ancor freschi ricordi del 1746, dal permanente contrasto d’interes- (1) Gaggiero, Compendio delle Storie di Genova dal 1777 al 1797, Genova, 1851, pag. 77, 82, 86; C. VARESE, Storia della Repubblica di Genova, Genova, Oravier, 1838, t. Vili, pag. 233 sgg. — Una pittura interessante ma tendenziosa ed eccessiva di questi rappresentanti francesi è in (Gianfrancesco Bastide), Libere riflessioni sulla rivoluzione di Genova, tradotte dal francese con annotazioni e aggiunte del traduttore (Nicolò Delle Piane), Parigi (Genova) 1798, pag. 25 sgg., cfr. Biooni, pag. 269. (2) Gaggiero, pag. 90 sgg.; Varese, pag. 240 sgg.; Biooni, pag. 242 (3) Oltre Varese, Bigoni, Levati ecc. v. P. Nurra, La missione del Generale Bonapartea Genova nel 1794, nel voi. La Liguria nel Risorgimento, a cura del Comitato ligure della Società per la Storia del Risorgimento, Genova, 1925. Molto importante la corrispondenza diplomatica di Bartolomeo Boccardo rappresentante di Genova presso il governo francese, a datare dal febbraio 1794, in G. Colucci, La Repubblica di Genova e la rivoluzione francese, cit. Interessanti notizie sui rapporti di Genova col Drake sono nella collezione della Biblioteca Universitaria, Appunti e documenti storici, specialmente nei volumi segnati B. V. 5-7 e nel supplemento III, B. V. 22. — 15 — si e dal timore delle ambiziose aspirazioni piemontesi. Deliberazione cioè non dovuta a viltà, ma a matura riflessione e a calcolo della politica tradizionale e degl’interessi genovesi (1). L’essere neutrale per ragioni economiche e per avversione ai nemici tradizionali non significava accogliere le dottrine giacobine ed egualitarie, onde il Governo protestava contro la sola supposizione che ci fossero a Genova clubs giacobini o, come si diceva, patriottici (2). Ma la suggestione dell’esempio e delle idee francesi, specialmente nella parte del dominio più vicina alla Francia e all’esercito che combatteva contro gli Austro-Sardi, la suggestione degl’interessi di quanti da quelle agitazioni si sentivano spinti a desiderare un mutamento negli antichi ordinamenti, tenevano in continuo orgasmo. Era certo un nucleo chiuso che imperava, la nobiltà che si era assicurata tutti gli uffici e anche tutti i vantaggi materiali e i privilegi fiscali con un cieco egoismo che si prestava ai risentimenti e alle invidie dei nobili poveri e dei borghesi colti più che del popolo non desideroso e non preparato a mutamenti politici, tenacemente attaccato all’avita religione, neppure spinto a desiderare novità da troppo profondo disagio economico. Certo, il governo era logoro e invecchiato, ma non si sarebbe così presto trasformato per moto interno, anche se taluno riconosceva e forse esagerava quei mali, come avveniva nell’innocuo e declamatorio testamento dell’ex segretario della Serenissima, Gastaldi (3), senza la spinta dall’esterno; spinta che, se non era molto sentita dalle classi inferiori, indifferenti o sospettose o avverse, trovava pronta adesione e determinava un torbido agitarsi della parte malcontenta della nobiltà, dell’alta e media borghesia e della nuova classe intellettuale; fenomeno comune a tutta Italia del resto, ma qui per le ragioni accennate (1) Concetti questi ancora ribaditi, di fronte alle insistenze francesi, in una nota ferma e dignitosa del governo di Genova del 6 febbraio 1796; Colucci, II, 420. Da tutta la corrispondenza diplomatica pubblicata dal Colucci appare che la preoccupazione del Piemonte e delle sue aspirazioni al mare dirige la condotta del governo ligure. (2) « È incredibile quante false voci si spargano in questa città e vengano poi scritte in lettere particolari e in fogli pubblici da’ paesi esteri. Non solo si vuole che esistano in Genova li clubs patriotici, ma si asseriscono di più associati alli forestieri. Il fatto è che, come in ogni paese popolato vi sono oziosi nelle botteghe e nelle piazze che si uniscono di sentimento per l’una o per l’altra parte, ciò non può non accadere nel nostro: ma un tale alimento della conversazione non forma nè esterna partito in questo Paese occupato ». Avvisi, n. 6, 8 febbraio 1794, pag. 42. (3) O. Pessaono, Genova sotto la rivoluzione e l’impero. Bollettino Storico Bibliografico subalpino, Supp. Oenovese, I, p. 81. Sul Gastaldi v. A. Neri, Un corrispondente genovese di Voltaire, Giornale ligustico, XI, 1884, p. 442; Biooni, op. cit. pag. 247; P. Nurra, Genova durante la rivoluzione francese. La cospirazione antioligarchica, Giornale Stor. Letter.' della Liguria, 1927, pag. 333. - 16 - e perchè considerato dalla Francia, e specialmente col Tilly, come primo centro di propaganda rivoluzionaria, più accentuato che altrove. Il dissidio fondamentale però, nonostante il tono demagogico degli oppositori, e tolti i più violenti « genialisti francesi », è tra i due gruppi di nobili, quelli che vogliono conservate le antiche forme e immutati gli ordinamenti, quelli che aspirano a una riforma in senso più largo delle istituzioni, specialmente col dare maggiore autorità al Consiglio Grande, e si appoggiano alla borghesia e adottano il frasario giacobino, ma in fondo, come dichiara uno dei capi, Vincenzo Di Negro, pensano che il governo debba rimanere ai nobili, senza distinzione però tra ricchi e poveri. Da questi nobili poveri e malcontenti parte nel 1794 il primo tentativo di un’azione apertamente riformatrice, quando chiedono un mutamento nella costituzione, ricorrendo a una forma dì opposizione rumorosa, perchè così si fa all’Assemblea Nazionale di Francia (1). Alla testa del movimento sono col Di Negro e con Bernardo Ottone e Pietro Giustiniani, specialmente Gaspare Sauli (2) e Luca Gentile, autore di una violenta « Lettera di un membro del Gran Consiglio ai suoi Colleghi », che costrinse il governo oligarchico, accusato di incapacità e di ogni sorta di colpe, a scendere in campo con un manifesto polemico del 12 aprile, inteso a difendere la politica della neutralità, alla redazione del quale parteciparono giuristi come Luigi Corvetto e Luigi Carbonara che dovevano aver larga parte nel governo della repubblica democratica (3). Anche più autorevoli sono Giambattista Serra, stato a lungo in Francia, amicissimo del Tilly, entusiasta delle idee francesi sino a farsi chiamare « Serra le Jacobin », suo fratello Gian Carlo, capo riconosciuto del movimento e personaggio tra i più notevoli della storia di questi anni (4) (1) P. Nurra, Genova durante la rivoluzione francese. La cospirazione antioligar-chica, pag. 345. (2) A. Neri, Un giornalista della rivoluzione genovese del 1797, Illustrazione Italiana, a. XIV, n. 8-9, e Giornale Storico e Letterario della Liguria, voi. IV pag. 216; NURRA, La cospirazione ecc., pag. 350 sgg. (3) Nurra, Genova durante la rivoluz. francese. Un cospiratore: il patrizio Luca Gentile, Giornale stor. letter. della Liguria, 1928, pag. 124 sgg.; La cospirazione ecc., pag. 343; Avvisi, 1794, n. 10, 8 marzo. (4) Dei Serra, fratelli dello storico e politico Gerolamo, frequenti ricordi si trovano in tutti gli storici e gli atti del tempo e documenti nel Catalogo della mostra ligure del risorgimento di P. Nurra e A. Codignola, a cura del Comitato ligure della Società per la Storia del Risorgimento, Genova, 1927. Scarse le notizie della vita di Giambattista (Levati, p. 572 sgg., 601; Bigoni, La caduta della Rep. di Genova, pag. 24 sgg. e passim.) Più abbondanti per Gian Carlo nelle opere citate del Belorano, del Biooni, del NURRA; manca però una buona e compiuta biografia, perchè insufficienti quelle in Giornale degli studiosi 1869, n. 4.; Grillo, Appendice alle biografie di Liguri illustri, pag. 62 sgg.; Canale, Della vita e delle opere di Gian Carlo Serra, Genova, 1890. — 17 — e Agostino Pareto che si farà chiamare il Robespierre genovese (1). Il governo si oppone recisamente non tanto al proposito di riforme che poti ebbero apparire opportune a calmare le agitazioni, quanto alla procedura pioposta contraria alle consuetudini e alle norme legislative, immutate dal 1576. Vogliono infatti i novatori che le proposte di riforme costituzionali, anziché all approvazione dei Serenissimi Collegi (corrispondenti in certo modo a un Consiglio di Ministri) e poi al Maggiore e al Minor Consiglio, siano direttamente portate al Maggior Consiglio, dove contano più numerosi seguaci, trasformato in tal modo in Assemblea costituente (2). Ma la proposta rivoluzionaria potrebbe portare a lontane e impensate conseguenze e i Serenissimi Collegi nominano invece una commissione di dodici patrizi che, esaminate tutte le leggi, provveda. Il momento è veramente grave anche perchè le peggiorate condizioni economiche possono provocare malcontenti popolari. Dalla Riviera di Ponente vengono costanti rapporti di un’agitazione sempre più viva; e intanto ventimila Francesi stanno per entrare nel territorio ligure ad affrontare gli Austro-Sardi, e i capi della fazione estremista degli oppositori non aspettano di meglio per « levar di mezzo gli aristocratici ». Gaspare Sauli infatti e Filippo Doria non fanno mistero del proposito d’invitare i Francesi nel territorio della repubblica per abbattere l’aristocrazia. E allora i Serenissimi Collegi, nel marzo 1794, fanno procedere all’arresto di alcuni sospetti sotto l’accusa di complotto, tra gli altri il Di Negro, Bartolomeo Torre, il maggiore Menici, il causidico Domenico Rivarola, il medico Repetto, il chirurgo Bonomi; il 7 aprile sono arrestati anche Gian Carlo Serra, Gaspare Sauli e Filippo Doria (Luca Gentile e G. B. Serra riescono invece a fuggire) (3), tutti i capi cioè di coloro che, fanatici o illusi, ammiratori della repubblica francese, affermano che tutti i Genovesi abbracceranno con entusiasmo il nuovo regime e intanto per conto proprio hanno giurato di viver liberi o di morire (4). Appunto in quei giorni un corpo di spedizione francese, agli ordini di Massena, entra nel territorio della Repubblica e si impadronisce di Oneglia, mentre Robespierre il giovane da Nizza manda invano intimazioni e minaccia di marciare contro Genova per liberare gli arrestati. (1) Secondo un’informazione di polizia il Pareto sarebbe stato l’anima della rivoluzione genovese; ma l’informatore aveva presenti e subiva l’influenza degli avvenimenti del 1814: v. A. SEORE, Il primo anno del Ministero Vallesa, Bibl. di Storia Italiana recente voi. X, 1928, pag. 361. (2) Nurra, La missione ecc., p. 41; La cospirazione ecc., pag. 337 sgg. (3) Furono condannati in contumacia, il Serra a cinque e il Gentile a due anni di carcere, Arch. di Stato, Genova, Collegi Diversorum n. 386, 19 settembre 1794. (4) Oaooiero, pag. 106; Nurra, La cospirazione, pag. 349 sgg. Molti e importanti documenti su tutti questi fatti nella Raccolta Appunti e Documenti storici della Biblioteca Universitaria di Oenova, in parte usufruiti dal Nurra. 2 18 Non fa meraviglia che di questa situazione approfitti la pai te della nobiltà per simpatia o perchè possiede feudi imperiali favorevole ai coalizzati, allo scopo di indurre la Repubblica a mettersi contro la Francia e che il contegno del governo in tanto penoso contrasto debba apparire incerto e titubante ai Francesi, non ostante la sua ferma volontà di mantenere la neutralità ritenuta indispensabile alla salvezza dello Sfato. E ad accrescere le difficoltà sopraggiunge la missione di Napoleone Bonaparte, inviato a Genova a protestare contro una pretesa violazione di neutralità, perchè qualche centinaio di contadini piemontesi è riuscito ad attraversare una parte del territorio ligure per andar ad affrontare gli avamposti francesi, ma sopra tutto allo scopo di chiedere che sia messa in istato di difesa la costa da Mentone a Loano per assicurare le spalle dell’esercito francese da ogni tentativo dal mare nella sua azione verso il Piemonte. C’era anche l’incarico segreto di un’ inchiesta sull’ opera del Tilly, ma di ciò non pare che Bonaparte si occupasse troppo, tanto che fu questa una delle ragioni che lo fecero cadere in disgrazia dopo la fine di Robespierre. Del resto Tilly era già condannato per la sua condotta violenta e impolitica e per le spese pazze compiute senza vera utilità per il suo governo, cosicché non tardò ad essere sostituito dal più prudente e riservato Villars (1), anzi, mentre richiamato si avviava in Francia, fu arrestato a Vado da soldati francesi, per essere portato a Loano e di qui a Parigi (2). In questo momento, mentre il governo con le leggi sui nobili poveri, con la nomina della Commissione dei dodici, con provvedimenti atti a risanare il bilancio, con l’ordinare l’allontanamento di tutti i forestieri tenta di por riparo alla profonda crisi che minaccia lo Stato (3), ritorna in patria lo Scassi, o almeno se ne ritrovano notizie. Che sia tornato nel 1794 dice lui stesso nell’esposto a Carlo Felice nelle parole: « ed avendo rimpatriato nel 1794 ebbe dal Governo amplissimo Decreto»; e poiché l’incarico che qui è accennato gli fu affidato nel 1795, è evidente, per quanto la forma non (1) Nurra, La missione del generale Bonaparte, pag. 53 sgg., OAOOIERO, pag. 114. Sii questa missione è ora da vedere l’interessante relazione del Bonaparte nel volume dei suoi scritti inediti pubblicati da SiMONE Askenazy, Libreria Antiquaria Jerome Wilder, 1929. A Genova, diceva il generale, il governo aristocratico era per l’Austria, ma il popolo per la rivoluzione e per la Francia, anche per interesse del commercio. Anche sull'opera del Tilly e le sue esagerazioni sono da vedere i dispacci del Boccardo da Parigi in CoLUCCl, Genova c la rivoluzione francese, voi. I e II. (2) Archivio di Stato, Genova, Collegi Diversorum, 1794, n. 387, lettera da Savona, 16 ottobre. (3) Gaggiero, pag. 104-105. Molte notizie in proposito ha spigolato il Levati, ma molte altre, per quanto riguarda questi provvedimenti, specialmente in materia annonaria, possono ricavarsi dai Collegi Diversorum, filze 384-387, a. 1794. — 19 — sia diarissima, che la data del 1794 si riferisce appunto al rimpatrio. Certo è c le, appena tornato, accompagnato dalla fama dei successi scientifici scozzesi, u ascritto al Collegio dei medici, che si chiamava anche di filosofia, antica coi poi azione alla quale spettava di abilitare all’esercizio professionale e dava auree in filosofia e medicina; occorrevano, per esservi approvati e ammessi, i voti favorevoli di due terzi dei dottori (1). Ora la sua prima apparizione nella vita genovese dopo il ritorno in patria è appunto in veste di dottore collegiato, in doppia occasione, in missione sanitaria e in funzione politica. L’esercito francese era entrato nel territorio della Repubblica con le maggiori promesse di rispetto alle persone e alle cose; e per qualche tempo parve veramente che fosse fatto ogni sforzo per mantenere gl’impegni. Ma i danni anche involontari furono gravissimi, perchè stanco, mal vestito e mal nutrito, 1 esercito era tormentato da malattie e epidemie che si trasmisero alle popolazioni. Le prime notizie in proposito sono del 1795. Il 10 gennaio il Governatore di Finale comunica d’aver ricevuto la visita di quattro commissari dell’esercito francese, i quali, mancando di luoghi di ricovero per i loro malati, chiedono di impiantarvi un ospedale ambulante. Egli propone un luogo fuori dell’abitato e il Governo approva. Ma subito dopo lettere ufficiali e private comunicano il diffondersi della malattia anche tra i cittadini a Diano, a Ventimiglia, a Portomaurizio : a Diano anzi, per il pericolo delle sepolture nella chiesa parrocchiale, si propone la formazione di un camposanto (2). Spaventato dal diffondersi della malattia, il Magistrato di Sanità, del quale non risulta se lo Scassi fosse già entrato a far parte, dà istruzione a tutti i Governatori da Savona a Ventimiglia per le provvidenze del caso, poi manda il giovane medico con missione di fiducia (Consultore dello Stato con pieno potere, dirà lui stesso più tardi nella istanza a Carlo Felice, adoperando formule allora non in uso) a studiare il caso e provvedere ai rimedi. Un rappor to del Magistrato ai Collegi riferisce che egli era arrivato a Portomaurizio il 2 febbraio e aveva mandato una prima relazione: unica la causa, unico perciò il metodo di cura. Le condizioni generali però migliorano, perchè gli ammalati francesi si vanno trasportando a Nizza (3). 11 28 febbraio lo Scassi manda al Magistiato, che la comunica al Governo, un’ampia relazione tecnica (1) Isnardi, Storia cicli’Università di Genova, Genova, 1861, voi. 1, pag. 19, 96, 112. (2) Archivio di StatD di Genova, Collegi Diversorum, 1795, filza 388, lettere 10 e 15 gennaio. (3) Ibid., lettere 21 gennaio e 9 febbraio. Vincenzo Spinola governatore di San Renio scrive il 17 febbraio dei preparativi francesi per impiantare degli ospedali; non se ne istituiranno però a Portomaurizio. 20 sull’epidemia, esponendo i risultati del suo esame da Savona a Ventimiglia, descrivendo i sintomi della malattia, definita febbri putrido-biliose, indicando le indagini compiute anche con autopsie, il metodo di cura seguilo. Non si tratta a suo giudizio di malattie straordinarie, ma frequenti anzi negli ospedali, nelle carceri, in tutti i luoghi ove si trova raccolta molta genie poco pulita, mal vestita e mal nutrita: qui è stata notevole per le condizioni generali soltanto la larga diffusione. Centri d’infezione sono stati Oneglia, Loano e Vado, perchè « nei tre suddetti luoghi esiste già da più mesi un numero grandissimo di ammalati di questo genere, ed avendo molti di quelli dovuto soccombere hanno cagionato un maligno deposito nemico ai vicini »; che questi ammalati sono francesi evita studiosamente di dire, ma s’intende agevolmente. La relazione, controfirmata dai medici condotti di Portomaurizio, è accolta con lode dai Collegi (1). Ai quali il Magistrato di Sanità comunica poi ma in riassunto le ulteriori lettere del consultore e dice anche di averlo mandato per qualche tempo a Diano, dove erano morti due medici. La stessa comunicazione accenna al desiderio suo di essere richiamalo, poiché ormai la malattia è sul declinare e sono state date tutte le disposizioni per combatterla: se le autorità locali diranno di non averne più bisogno sarà richiamato (2). Difatti nelle lettere successive non si parla più di lui e del resto l’epidemia andava sparendo; che ne avesse poi « grandissimo decreto di approvazione e di lode » com’egli scrisse più tardi, è credibile, ma non ne ho trovato traccia. Questa missione scientifica è interposta tra due incarichi onorifici analoghi e conferitigli a un anno di distanza; e non è improbabile che la inconsueta rinnovazione ne fosse conseguenza. È noto che, secondo la costituzione del 1576, mentre il potere legislativo spettava al Minor Consiglio di duecento nobili forniti di congruo patrimonio e al Consiglio Grande costituito da quei duecento e da altri, quanti di anno in anno ne eleggevano i Trenta Probi Uomini, nobili anch’essi, il potere esecutivo era esercitato dai Serenissimi Collegi, presieduti dal Doge biennale e formati da venti nobili, dodici Senatori (o Governatori) e otto Procuratori (Camera) che duravano in carica due anni; gli ex Dogi erano invece Procuratori perpetui. Ogni semestre scadevano d’ufficio cinque tra Senatori e Procuratori e si estraevano a sorte da una lista precedentemente preparata, detta Seminario, i loro successori che entravano in carica al principio di gennaio e di luglio con una solenne funzione (3). La parte principale della cerimonia con- (1) Collegi Diversorum, 1795, filza 388. (2) Ibid., lettera 7 marzo. (3) Nurra, La Cospirazione antioligarchica, pag. 336; 0. Pastine, La repubblica di Genova e le Gazzette, Genova, 1923, pag. 5. — 21 — sisteva in un discorso che era pronunciato da un dottore collegiato, di legge o di medicina. Nel 1784, per esempio, l’orazione inaugurale fu pronunciata il 1 gennaio dal M.co Giuseppe Gatto giureconsulto collegiato e il 1 di Luglio dal M.co Cristoforo Costa, Dottore di medicina; nel luglio 1792 da Francesco Negrone Nossardi pure medico e analogamente negli anni successivi (1). Particolare importanza, come attestazione dello stato degli spiriti, ebbe il discorso pronunciato il 1° luglio 1793 dal medico Filippo Figari, accusato addirittura di giacobinismo e di aver voluto dimostrare che « ogni autorità viene dal popolo sovrano ». Buon per lui che il discorso era stato riveduto dai Revisori che nulla avevano trovato da correggere: tuttavia i Serenissimi Collegi ordinarono che d’ora innanzi si usasse maggior diligenza nel rivedere tutti i pubblici discorsi (2). E naturalmente maggior prudenza dovettero mostrare gli oratori. Il 16 giugno 1794 il Senato procedeva con le solite formalità all’estrazione dei nuovi Senatori. La sorte designava Pasquale Guarneri, Gian Bernardo Pallavicini, Gaetano Ciccopero, Stefano Pallavicino e Ippolito Durazzo; e, con estrazione suppletiva, il Guarneri morto e Stefano Pallavicino impedito erano sostituiti da Antonio Carrega e Giuseppe Emanuele Rovereto: il Carrega, il Ciccopero e il Durazzo assegnati ai Senatori, gli altri due al Procuratori; e il 1° luglio « in dignitate senatoria et procuratoria ineuntes iuraverunt iuxta solitum » (3). E Onofrio Scassi pronunciò il discorso inaugurale (4), presenti il Doge e i Collegi. Era Doge Giuseppe Maria Doria, uomo < divoto molto, tenacissimo dei propri titoli, poco intenditore dei tempi » dice il Gaggiero e che considerava il Tilly quasi nemico personale, se dobbiamo credere al Bastide; ma tenace, ostinato, orgoglioso di sè e del suo paese resistè anche risolutamente alle pretese del Drake (5). Non era però uomo da seguire innovazioni e si può credere non dovesse in tutto piacergli il discorso dello Scassi, che, sebbene con molta moderazione e molta abilità, tradiva tuttavia l’aria dei tempi nuovi e l’influenza di idee ormai largamente diffuse, pur facendo l’elogio della felice forma del governo genovese e conchiudendo la sua orazione con una esaltazione del Doge « Motore Avveduto » dei più saggi provvedimenti e seguace dal maestoso soglio delle gloriose orme degli avi (6). (1) Avvisi, 1784, pag. 2 e 194; 1792, pag. 209. (2) Levati, 1 Dogi di Genova dal 1771 al 1797, pag. 563, 64S. (3) Arch. di Stato, Manuali Decreti del Senato, 1794; Arch. Segreto n. gen. 1006. (4) Avvisi, 5 luglio 1794, pag. 210. (5) Oaooiero, p. 88, Bastide e note del traduttore, p. 36; Levati, p. 62 sgg. (6) Museo del Risorgimento di Genova, n. 1210. Autografo in 10 facciate di carta azzurrina. Achille Neri, nel darne notizia nel Catalogo del Museo del Risorgimento, voi. 1; Milano, Alfieri e Lacroix, 1915, pag. 387, ne nota appunto lo spirito dei nuovi tempi. — 22 - In uno stile un po’ faticoso e contorto, forse perchè non era sempre facile dire quel che aveva nell’animo, comincia con lo spiegare l’origine storica del governo aristocratico genovese. Ma è caratteristico che non parla mai esplicitamente di nobili, bensì di doviziosi: questi, non costretti a lavoro redditizio, ebbero « il premio immaginario delle Dignità niente gravanti sul popolo », gli altri rivolsero tutti gli sforzi all’utile pratico. Ma questi arricchendosi col lavoro possono preparare agli eredi nella vita agiata i mezzi di più raffinata educazione e opere di pubblico vantaggio, capaci di creare altri individui utili alla Società. Caratteristico è il fatto che a questo punto l’oratore affronta il problema della libertà, segno appunto dei tempi, cliè nelle età anteriori è molto improbabile si accennasse a questioni di tal genere. La libertà civile, che il pieno vigore delle leggi assicura, « consiste nel pieno diritto sopra se stesso e i suoi beni, ben lontano però dall’immaginarsi di poter godere nello stato di Società di quella Libertà che fu dai filosofi confusa coll’indipendenza, ossia libero arbitrio di far tutto sopra tutto », dove le espressioni assumono un valore che minaccia di non renderle chiare, e indipendenza significa qualche cosa come licenza o mancanza di ogni freno legale; ma dove il concetto dell’eguaglianza nella legge è esplicitamente affermato. Segue una battuta contro i teorici sfrenati che si lasciano trarre dalla « lusinghevole carriera della fantasia » per conchiudere che per essere liberi gli uomini devono essere tutti strettamente dipendenti dalla legge, quel principio appunto che sarà tanto bandito, se pure praticamente poco attuato, anche nella repubblica democratica ligure. A mantenere i rapporti fra i cittadini e l’ordinamento dello Stato è necessario che vi siano alcuni depositari della volontà del Comune, che in forza del potere loro delegato impongano l’osservanza della legge e ne proibiscano la trasgressione. Qui segue un curioso ragionamento, a giustificare l’organismo della repubblica genovese. Se i proprietari e i ricchi continuassero sempre nell’intento di accrescere con l’attività loro le proprie ricchezze ne verrebbe uno squilibrio troppo grande tra questi e il resto del popolo, poiché finirebbero per assorbire tutte le ricchezze togliendo agli altri la possibilità di arricchire se non addirittura di vivere: allora la Patria li vuole intenti ad altro e li chiama ad esercitare gratuitamente le funzioni di governo: giustificazione quindi del governo nelle mani di questi che sono chiamati Proprietari, non Nobili. Le disuguaglianze sono in natura: necessario perciò che degli uomini alcuni piuttosto che altri siano destinati agli Uffici pubblici. Chi è assorbito dal lavoro e dalle necessità prime della vita non potrebbe essere distratto dalle attività che provvedono ai suoi urgenti bisogni per essere chiamato a provvedere ai bisogni generali. Niuno però si disamini; ciascuno con l’abilità, il valore, la virtù, formandosi « un bastante sostegno indipendente, può arrivare agli uffici supremi ». Dunque, — 23 — fatta una critica blanda e un po’ generica ai principi di libertà, di eguaglianza, di sovranità popolare, posto a base il principio che l’esercizio del governo spetta ai più ricchi, ne deriva la conseguenza che chi si innalza possa conseguire il potere. C’è insieme il riconoscimento dello stato di fatto del governo genovese e di un diritto, non facile a conseguire in quelle condizioni a cagione dell’ascrizione nobiliare, di carattere prettamente borghese. Esempi di antiche rivoluzioni accusano « la cupidigia e le passioni sfrenate di alcuni individui che dalle combinazioni distinti abusando dell’autorità fecero la loro distruzion totale ». Ma i nobili poveri non accusavano appunto di abusi così fatti i nobili ricchi? 11 consiglio, anche nella forma involuta, è abbastanza chiaro, se pur sia seguito dall'osservare che la vista togliendosi da quelle rovine si può consolare nello stato attuale della Repubblica, dove nulla di simile è da temere. Qui infatti l’alternarsi degli uffici permette a tutti di aspirare al potere e il popolo plaude a un così dolce governo, che veglia assiduamente all’amministrazione dello Stato e anche agli affari esterni. Questo accenno apre l’adito a ricordare il recente atteggiamento nei riguardi della comune tranquillità, cioè, si capisce, alla neutralità, e « la fermezza per cui le minacce sprezzando e le lusinghe, da forti Repubblicani sapeste esser fermi nel risultato delle Vostre saggie riflessioni ». Applaudono i cittadini tutti e specialmente i Volontari che « gareggiano nel proteggere coll’arme le vostre deliberazioni e sempre inviolabile faranno essere questo Serenissimo Governo, pronti colla vita ad esigerne la venerazione e a sostenerne l’Autorità». Con un saluto ai Senatori uscenti e ai nuovi eletti e con l’esaltazione del Doge si chiude il discorso, notevole perchè, riferendosi con sottintesi agli avvenimenti contemporanei e allo stato attuale degli animi e delle passioni politiche, mentre elogia il sistema di governo e lo difende dalle impazienze dei nobili poveri anche con l’accenno alle armi che il governo aveva provveduto a sua difesa (1), contiene accenni novatori in quelPasserita possibilità di tutti i cittadini ad innalzarsi al governo e nello stesso toccare problemi che erano allora costantemente discussi. Ne esce, o m’inganno, data anche la situazione ufficiale della quale bisogna pure tener conto, la figura di un novatore moderato, lodatore non so se per opportunità o per convinzione dell’ordine esistente, ma avverso ai mutamenti troppo profondi e radicali. E quest’impressione è confermata e accresciuta dal discorso che lo Scassi tenne, esempio insolito, per la seconda volta precisamente un anno dopo. Il primo di luglio 1795, entrando in carica Giuseppe Celesia, Antonio M. Maggiolo, Giovanni Torriglia, Stefano De Mari e G. B. Serra Malagamba, il valente medico, che frattanto si era reso noto e benemerito per l’importante (1) Su questi Volontari v. Gaogiero, pag. 85. — 24 - missione sanitaria nella Riviera di Ponente, pronunciò ancora il discorso inaugurale (1). Anche qui, pur nelle lodi ancor più aperte e accese all’ordine esistente, si sente l’uomo del tempo, nutrito di idee ormai entrate in pubblico dominio. Nella prima parte infatti gli accenni alla felicità primitiva degli uomini, nell’assoluta libertà ed eguaglianza, corrotte poi per gli abusi dei prepotenti, e alla concezione dell’origine contrattuale dello Stato, sono di schietta derivazione da Rosseau e dalla filosofia del secolo XVIII : ritornano gli accenni e le reminiscenze che lo Scassi giovanissimo adombrava nelle tesi del 1784. Lo sforzo di conciliare idee ormai largamente diffuse con la situazione politica genovese è evidente nel discorso. Stabilita la necessità di un governo per riparare ai mali derivati dal corrompersi dello stato di felicità naturale e primitiva, « gl’incaricati a governare furono gratificati non colla semplice distinzione, ma cogli agi, coi tributi e talvolta col dispotico possesso d’un illimitato arbitrio, che diede poi origine a tante luttuose conseguenze». A Genova invece non con questi mezzi ma col » Premio imaginario delle dignità niente gravanti sul popolo » i doviziosi tutti che hanno conseguito la legale distinzione sono destinati ad occuparsi del Governo. Parole ripetute quasi letteralmente dall’altro discorso, che è poi in più parti parafrasato. Qui però è maggiore e più esplicita la lode del presente, dei benefici effetti della forma politica della Repubblica, specialmente dall’età della riforma costituzionale, dacché i maggiori « dimenticata l’antica avidità di conquiste e ingrandimento, dell’unito lido contenti ci diedero i mezzi di assistere quietamente ai propri vantaggi ». Deprecate le sanguinose rivoluzioni, che fecero la rovina dei paesi più felici e tante vittime immolarono al capriccio delle fazioni, torna al vantaggio di un governo ove lo splendido fasto è a spese di chi esercita il potere e nel quale a tutti è possibile arrivare alle maggiori dignità. Accenna all’opera e alle funzioni dei Serenissimi Collegi, ai provvedimenti in vario campo, special-mente per la sicurezza nazionale e in materia annonaria, per rimediare agli scarsi raccolti e agli accresciuti bisogni dei vicini, alle opere di assistenza e di carità. La chiusa è un’invocazione alla generosa Patria e agli antenati che hanno procurato tanto saggi ordinamenti e quelle leggi « alle quali ognun di noi tacitamente ha prestato il suo assenso, sottoscritto e rassegnato la sua volontà », alla religione infine che tutela e conserva lo Sfato. Troppo ottimistica esaltazione dopo le premesse iniziali e di un governo contro il quale da ogni parte si lanciavano accuse d’insufficienza e di incapacità funzionale, ma discorso d’occasione, riveduto dai censori sospet- (1) Avvisi di Genova, 4 luglio 1795, pag. 209. L’autografo del discorso è conservato nell’Archivio Sauli. — 25 — tosi e arcigni dopo il caso Figari, di un tono apologetico evidentemente eccessivo e forzato, nel quale tuttavia è studiosamente evitato ogni aperto accenno alle contingenze presenti e alle preoccupazioni di uno Stato che mentre era così lodato si sentiva vacillare sotto i colpi interni ed esterni. 11 secondo discorso era stato anche più encomiastico del primo, forse perchè nel 95 la vita politica era un po’ più calma che non fosse stata nell’agitato 94 e fors’anche perchè l’incarico sanitario nella Riviera e la duplice funzione inaugurale avevano avvicinato maggiormente l’oratore al Governo col quale non intendeva certo guastarsi da quell’uomo misurato e prudente che è sempre apparso. Le sue notizie da questo momento e per qualche tempo sono scarse, così sotto il rispetto scientifico e professionale come, e più, per l’atteggiamento politico. Nell’esposto citato dice che al ritorno dalla missione in Riviera fu nominato professore di fisiologia all’Università; la notizia è forse ancora precoce e neppure è esatto che succedesse nel 1795 a Nicolò Covercelli nell’insegnamento della medicina teorica, come dice l’Isnardi (1), perchè nel 1796, ultimo aggregato e meno anziano tra i dottori di Collegio di Filosofia e di Medicina (2), non appare tra i Professori che insegnano ancora nell’ospedale di Pammatone, ma come coadiutore del Covercelli, professore di medicina teorica (3); tuttavia l’assunzione alla cattedra effettiva dovè avvenire poco dopo, perchè nel 97 appare come insegnante regolare e, ciò che è più singolare, data appunto quella scarsa anzianità, nello stesso anno, a quanto risulta da notizie posteriori, ha dovuto essere Presidente del Collegio dei Medici. Quanto al suo atteggiamento politico in quel periodo non sono possibili che supposizioni. Ciò solo si può affermare che, in ogni caso, non ha richiamato sopra di sè l’attenzione; non è stato certo rumoroso e violento come il Repetto, il Figari, il De Albertis, come il Bonomi, come lo speziale Morando. Il Figari aveva destato scandalo con quel suo discorso ritenuto giacobino, il Repetto era considerato capo delle congreghe massoniche e strumento di Tilly, e a lui è sempre associato il nome del De Albertis (4); (1) Storia dell’Università di Genova, voi. Il, p. 132. (2) II Curioso soddisfatto, ossia Almanacco per Panno bisestile 1796, pag. 77; è l’ultimo nell’elenco in ordine di anzianità, e dato come abitante a S. Pancrazio al Carmine. (3) Calendario di Genova sopra l’anno 1796, pag. 79. (4) Nell’inchiesta sulla cospirazione antioligarchica del 1794, Michele Giustiniani depone di aver frequentemente sentito da loro * discorsi in lode della uguaglianza, della libertà ed indivisibilità della Repubblica francese e di lei immortalità. Anche giocando, se trovano Re dicono: fra poco si leveranno di mezzo questi tiranni ». Collez. di Appunti e documenti storici, Bibl. Univ., Voi. 10, c. 36-37; Belorano, p. 158. Si trovano insieme con gli altri giacobini anche in certe cene nel caffè di Banchi, denunciate con molto timore; ibid. Voi. 12, p. 1 sgg. Furono interrogati anch’essi a lungo, Voi. 11, c. 366, 376 sgg. — 26 - il chirurgo Pietro Bonomi era addirittura considerato come appartenente alla legazione francese e il Tilly pretendeva per lui il diritto di immunità diplomatica e di portare coccarda francese e protestava per il suo arresto avvenuto nel 94 chiedendone il rilascio (l). La risposta fu questa volta insolitamente energica. Sarebbe assurdo, scriveva il Segretario Ruzza a nome del Governo, escludere dalla sorveglianza dello Stato medici chirurghi e farmacisti « la gelosa professione dei quali esige ogni più rigorosa sovraintendenza ». Il Bonomi non era stipen diato dal governo francese e prestava l’opera propria a chi lo chiamava verso compenso, egualmente « il farmacista Morando, quale si trova pure provveduto di un’eguale patente, teneva e tiene tuttavia la Bottega in cui vende a chiunque si presenti li medicinali nella stessa guisa che gli ha venduti e li vende alli provvisionati dell’Armata francese e come praticano molti altri Professori ed Artisti genovesi che senza il benché menomo impedimento del Governo si rendono egualmente utili al Sig. Incaricato d’affari della sua nazione ». Se tutti questi facessero altrettanto non si potrebbero misurare le conseguenze. Non rivolga perciò il Tilly al Governo della Repubblica l’accusa ingiusta di perseguitare coloro che prestano l’opera propria ai Francesi repubblicani e non s’intrometta indebitamente nell’amministrazione della giustizia (2). Ma Tilly non è uomo da lasciare la partita; non solo ribatte le argomentazioni politiche e giuridiche, ma poiché frattanto è stato interrogato anche Felice Morando (3), insiste nelle sue richieste, accompagnandole con le solite minacce e la consueta spavalda e retorica rappresentazione dei malanni incombenti sugl’irriducibili aristocratici e conchiude con falsità declamatoria che « s’il était persuadé que Bonomi et Morando et deux ou trois autres eussent congu le detestable projet de dechirer le sein de leur Patrie il les denoncerait lui-mème par ce qu’ils sont au Service de la legation » (4). E naturalmente il Governo finisce per cedere, ma, appena richiamato il Tilly, riesce a ottenere l’annullamento di quelle patenti rilasciate dalla legazione di Francia a cittadini genovesi (5). (1) Belorano, pag. 152; Levati, pag. 452 sgg. 563, 603 ecc. Cfr. Giornale degli Studiosi, 1869, I, pag. 53. (2) Collez. Appunti e documenti storici ecc. Voi. 20, pag. 419-421; lettera 26 luglio 1794. (3) Ibid., Voi. 12, c. 43 sgg. (4) Ibid., Voi. 23, pag. 230 sgg., 232 v. (5) Dispaccio Boccardo ai Serenissimi Collegi, 15 giugno 1795, in COLUCCI, La Repubblica di Genova e la Rivoluzione francese, voi. Il, pag. 179 sgg, 189. Da tutta la corrispondenza del Boccardo però appare che il Villars succeduto al Tilly fu poco meno aspro e prepotente di lui, onde fu richiamato nel febbraio 96 e sostituito dal Faypoult, ibid. pag. 401 sgg-, 516. - 27 — In questi documenti è ricordato col Bonomi anche il famoso speziale Morando, notoriamente intermediario e confidente del Tilly, del quale sono piene le cronache del tempo (1). Vecchione irrequieto e immaginoso, torbido e faccendiere, era il santone della democrazia genovese, ma era sopra tutto, cosciente o no, lo strumento dell’incaricato francese e il suo uomo di fiducia. Vestiva di nero e portava, appunto per la protezione del Tilly, che gli aveva dato la funzione di chimico della repubblica francese, la coccarda tricolore. Abilissimo nello sfuggire alle indagini degli inquisitori, continuava anche dopo la tempesta della congiura antioligarchica a profondere denaro per conto del suo capo, cercando di creargli un seguito specialmente tra gli umili. Così, valendosi della sua veste di speziale e dei rapporti professionali e per le cure usate ad ammalati francesi, faceva agl’infermieri e ai servitori dell’ospedale elargizioni che riuscivano sospette al governo (2). La sua farmacia in via Luccoli, fra l’attuale Piazzetta Maggi e il Vico Casana, era notoriamente, fin dall’arrivo dell’ambasciatore francese Sémonville nel 1791, un centro di propaganda rivoluzionaria, nel quale si leggevano e commentavano i giornali francesi (3). «Tutto il mondo sa, diceva un biglietto di calice, che nella Spezieria di [segue uno spazio bianco, naturalmente Morando] vi sono ogni giorno congregati molti giacobini, li quali non fanno che cabale, discorsi seducenti, tumultuosi ed ingiuriosi al Governo. Si sa pure da tutti quali sono e fra’ nobili e fra’ non nobili i Rinnovatori e i Rivoluzionari del Paese e nessuno finora si castiga o si ammonisce almeno con efficacia *. Mormorano i buoni e il popolo freme esagerando la stessa debolezza del governo. E un altro: « La sede di questa gente ha il suo nido come a tutti deve essere cognito nella bottega di... dove si fissano le massime ed i progetti e poi si dividono ed ognuno di quelli scelerati vanno formando delle conventicole segrete » (4). « Era — afferma con opposta intonazione un giornale del 1798 — una specie di asilo, in cui sotto gli auspici della Repubblica Francese, si radunavano gli amici della democrazia: ivi non si parlava che del destino delle (1) Oaooiero, pag. 106; Belorano, pag. 125, 154.; Biooni, pag. 144 sgg.; Levati, pag. 452, 573, 605 e passim. Per la sua partecipazione agli avvenimenti del 1794, v. Botta, Storia d’Italia dal 1789 al 1814, lib. XI; Varese, Storia della Repubblica di Genova, Vili, pag. 281 sgg. ecc. (2) Arch. di Stato, Genova, Diversorum Collegi, 1794, n. 386. (3) Neri, // Padre di Giuseppe Mazzini, Rivista Ligure, XXXVIII, fase. 3, pag. 138; P. Nurra, Genova durante la rivoluzione francese, Giornale Storico e Letter. della Liguria, 1928, pag. 125. (4) Collezione di appunti storici e documenti, Ms. Biblioteca Universitaria di Genova, voi. 12, c. 50 e 55. Cfr. in Levati, IV, 574, un altro violento biglietto nel quale si accusa la spezieria Morando di essere fucina di macchinazioni e si inveisce contro l’inerzia del governo, e un tentativo di provvedimento in Trucco, pag. 163. — 28 - nazioni, non si trattava che dei diritti dell’uomo: non si pensava che a rompere le catene di quella dura servitù che ci degradò per tanti secoli: ed ivi si pregustava il piacere di veder tutta l’Europa risorta alla libertà» (1). « Qui si radunava dapprima — aggiunge una narrazione contemporanea (2) — un piccolo Club di persone di genio francese, quale non causò sospetto alcuno al Governo, ma ingrossato quindi all’eccesso rese inutili quelle cure e quelle provvidenze che avrebbero potuto giovare da principio » (3). Specialmente erano frequentatori assidui della farmacia molti medici e chirurghi che avevano studiato all’Università di Pavia (4). Questa notizia non può tuttavia riferirsi allo Scassi perchè risale al 1791, ma se vi si raccoglievano abitualmente i medici che avevano fatto i loro studi a Pavia, può ben essere che al ritorno anch’egli la frequentasse. Non vi aveva però il recapito professionale. Questo, determinato certo da ragioni di opportunità d’ubicazione per lui abitante al Carmine, era alla farmacia di Benedetto Mojon a S. Siro (5); e insieme ne sono indicati come frequentatori il Batt, il Canefri, Guglielmo Boschi, Giorgio Beley, Luigi De Ferrari. Invece avevano recapito presso il Morando, col Bonomi, col Repetto, G. B. De Albertis, il Mongiar-dini, il chirurgo G. B. Garibaldi e qualche altro, quelli cioè che appaiono più accesi nelle idee innovatrici e rivoluzionarie (6). L’indizio è tenue, ma può avere un suo valore; del resto se la farmacia Morando era un vero club politico, anche il Batt era stato accusato di giacobinismo nel 94 e lo Scassi gli era indubbiamente legato di amicizia e di devozione. Considerati questi indizi e tenuto conto specialmente che nella nuova repubblica democratica, per quanto almeno risulta dalle notizie note e dai documenti ufficiali, lo Scassi non ha mai avuto una parte attiva nella vita politica riservando la sua attività al campo professionale e scientifico, mi pare di poter conchiudere che, se si deve ammettere prima una sua simpatia per gl’intenti innovatori e poi una pronta adesione al nuovo ordine di cose, come avvenne di altri che ebbero più tardi parte cospicua e agli inizi non (1) Il Censore, 12 giugno 1798, n. 91, pag 258. (2) Storia filosofica ed imparziale della rivoluzione di Genova li 22 maggio 1797, ms. della Biblioteca Civica Berio di Genova, segnato D bis 6, 11, 33, pag. 16. Un'altra copia, o piuttosto una prima bozza di questa Storia, che, pur col titolo eguale, non ha rapporto con la narrazione del Desodoards, è nella Collezione di Appunti ecc. all'Universitaria, B, III, 9. (3) Altre farmacie indicate come ritrovo di novatori sono quelle di Di Negro alla Darsena, Odero a S. Lorenzo, Perelli in Vico dritto S. Andrea, Storia filosofica ecc., pag. 17 e Clavarino, Annali, voi. I, pag. 3. (4) Arch. di Stato, Genova, Secretorum, filza 98, biglietto di calice 17 maggio 1791. Cfr. Nurra, p. 125, n. 2. (5) Sul Mojon, nato nel 1732 nella Nuova Castiglia, prima assistente poi successore del Batt nella cattedra di chimica, v. Isnardi, Storia dell’Università di Genova, II, 65, 205 sgg. (6) Il curioso soddisfatto, Almanacco per il 1796, pag. 86. — 29 — compaiono, Giacomo Mazzini, ad esempio, e Bernardo Ruffini (1), è alquanto esagerata e dovuta ad atteggiamenti posteriori, specialmente dell età napoleonica, l’affermazione che si trova ripetuta nel 1814 che egli sia stato uno dei capi della rivoluzione democratica (2). Anche lui, come il suo amico Corvetto, tanto maggiore, non aveva un vero temperamento politico e tanto meno fibra di rivoluzionario; non era un entusiasta come i Serra o un esaltato come Luca Gentile o Gaspare Sauli, e nemmeno un mestatore tipo Morando; non era un teorico, ma, spirito positivo e cauto, eminentemente pratico, si sentiva di quel terzo stato che era destinato ad assumere la direzione del governo, tuttavia non disdegnava, finché c’erano, i rapporti coi Serenissimi Collegi. Attendeva ai suoi studi e alla sua professione; accettava, ma senza entusiasmo, i metodi e il linguaggio rivoluzionario, e, fatto sintomatico, entrava nella vita politica soltanto quando il fermento demagogico era placato e la nuova repubblica tentava di ricostituire nell’ordine e nella legalità la debole effimera esistenza sull esempio e nell’obbedienza della Francia consolare e del suo dominatore. (1) A. Neri, Il Padre di Giuseppe Mazzini, pag. 137 sgg.; A. Codignola, Il Padre dei Ruffini, Rassegna Storica del Risorgimento, a. IX, 1922, pag. 165 sgg. (2) Frizzi, Quadro caratteristico unito alla Relazione sul Ducato di Genova (1814) c. 46 «Fu uno dei capi della Rivoluzione di Genova», Museo del Risorgimento di Genova, da copia tratta dall’Archivio di Stato di Milano. CAPITOLO II. La Repubblica Democratica e l’istituto Nazionale j* j* j* La Francia aveva considerato la repubblica di Genova come una preziosa fornitrice da smungere abbondantemente, anche in considerazione della sua debolezza politica. Le era stata necessaria dapprima la neutralità, per i rapporti di vicinanza e per le arti dei suoi emissari diventata una sottomissione : non dipendeva che da lei e dai suoi eserciti protrarne o troncarne la vita precaria. Anche a Genova e a Venezia, benché antiche e aristocratiche, dovevano applicarsi le norme che il Direttorio indicava allo Scherer, assunto al comando dell esercito d’Italia nel 1795: « Jusqu’à présent le Directoir Exécutif a jugé nécéssaire de tenir caché l’objet magnifique qu’il s’etait proposé, et d éblouir les tètes italiennes par le fantóme de souveraineté et d’indipenden-ce nationale : cet appas seducteur, secondé par les hommes ambitieux et avides de ces pays la, a eu toute la réussite convenable à nos interéts... La Répu-blique fran^aise étant une, toutes les républiques italiennes enfantées et tole-rées uniquement à cause des circonstances, doivent disparoitre » (1). Non basta I occupazione di tanta parte della Riviera di Ponente ad aprire gli occhi. Il Governo genovese e il suo rappresentante a Parigi si illudono che la Francia non solo voglia conservare nella sua integrità la Repubblica, ma consentirle anche un ingrandimento a danno del Piemonte: le sempre maggiori richieste di più intima unione sono considerate come un mezzo per ottenere aiuti finanziari più vistosi (2). E mentre si cullano (1) Mutin’elli, Gli ultimi cinquant’anni della Repubblica Veneta, pag. 194. (2) Dispaccio Bartolomeo Boccardo, 2 gennaio 1796, in COLUCCl, La Repubblica di Genova e la Rivoluzione Francese, voi. II, pag. 355 sgg. Il Direttorio pensò persino a chiedere un prestito di 30 milioni, ridotti poi a cinque o sei, a Genova, che il Boccardo dimostrò impossibile, data la neutralità del suo Governo e le stesse difficoltà finanziarie, senza persuaderei! Direttorio, che della somma aveva assoluto bisogno; ibid. pag. 379,385 sgg., 447 sgg. - 31 — in queste speranze e si spaventano sopra tutto di una possibile pace tra Torino e Parigi con danno di Genova (1), il programma non muta col mutar del Generale; anzi, appunto per Genova, il Bonaparte dapprima manifesta al Direttorio il suo parere favorevole alla proposta di Faypoult di cacciare dal Governo le famiglie aristocratiche e richiamare invece gli esiliati, poi dà al rappresentante diplomatico l’esplicito incarico di « endormir le Sénat jusqu’au moment du reveil », finché, cioè, non sia venuto il momento del piano già maturato e sul quale insiste più volte: prima Venezia, poi Genova (2). A sua volta il Direttorio, se non approva le aperte minacce e le esose richieste del Generale, non nasconde la scarsa fiducia verso il Governo della Repubblica, nel quale sente, per opera di alcuni non ben definibili suoi partecipi, un’oscura avversione (3). Non bastano a salvare la pericolante repubblica dalle pretese e dalle minacce del generale vittorioso nè la chiusura del porto alle navi inglesi e l’allontanamento del rappresentante diplomatico delPAustria, nè la convenzione stipulata col Direttorio da Vincenzo Spinola (4), nè le accoglienze a Giuseppina Bonaparte al suo passaggio da Genova e la splendida festa nel palazzo di Piazza Fontane Marose, sede della Legazione francese, ove entrano soltanto francesi o amici con contrassegno speciale, e l’altra nel palazzo di Vincenzo Spinola sulle mura di Santa Chiara, alla quale interviene, accanto all’elemento ufficiale preoccupato e malcontento, tutto il gruppo dei novatori, lieto dell’occasione di affermare le sue simpatie rivoluzionarie e democratiche (5). (1) Colucci, II, 382 sgg., 405 sgg., ecc. (2) Sul principio della campagna importa al Generale soprattutto di assicurarsi l’assoluta neutralità di Genova e quando gli pare che essa divenga un covo di nemici, specialmente per opera del rappresentante imperiale Girola, manda una imperiosa e minacciosa lettera presentata dal Murat al Senato. Cfr. L. Volpicella, I Libri cerimoniali della Repubblica di Genova, Atti della Società Ligure di Storia Patria, voi. XLIX, fase. II, pag. 47. Le lettere del Bonaparte relative a Genova, già usufruite dal Bigoni e dal Trucco, sono ora raccolte in appendice al voi. Gènes sous Napoléon I.er di Jean Borel, Paris, 1929, pag. 171 sgg. Un indice - spoglio di quelle a lui dirette dai Serra, dal Faypoult, dal Lavallette e dai generali Duphot e Lannes, tratto dalla raccolta Panckoucke, è in Bigoni, pag. 299. (3) Dispaccio di B. Boccardo da Parigi, 10 maggio 1796, in Colucci, II, pag 538 sgg. e cfr. pag. 566. (4) Varese, p. 272 sgg.; Biooni, 261; Colucci, 11, 542 sgg., 559 sgg. Lo Spinola era stato mandato per risolvere, con la mediazione della Francia, le controversie tra Genova e il Regno di Sardegna, secondo che si era convenuto nel trattato di Cherasco; in realtà si trattava di chiarire i rapporti fra le due repubbliche e di negoziare un prestito alla Francia verso l’impegno di rispettare l’integrità del territorio ligure e di non permettere al Regno di Sardegna di arrivare a Oneglia e Loano; pag. 234 sgg., 263 sgg. (5) Avvisi, n. 49, 3 novembre 1796; Oaooiero, 130 sgg.; Trucco, pag. 95 sgg.; Levati, pag. 655 sgg.; G. Pessaono, Nel Centenario del Corso, Gazzetta di Genova, 1921. — Con Giuseppina era rientrato temporaneamente a Genova, senza che alcuno lo disturbasse, Gian — 32 - Le narrazioni di quella festa danno il nome soltanto degli intervenuti rivestiti di maggiori uffici o autorità; è impossibile perciò sapere se anche lo Scassi ci fosse. Tutto quel vassallaggio non ha però altro effetto che di ritardare di qualche mese la fine (1). Le condizioni così economiche come politiche della repubblica sono veramente precarie e le agitate discussioni per l’applicazione delle convenzioni stipulate dallo Spinola lo dimostrano chiaramente (2). Il tentativo di esplorare l’animo di Napoleone, fatto dal mercante Adamo Calvi per incarico di Giacomo Filippo Durazzo, per quanto accompagnato da largo impiego di denaro, non approda ad alcun risultato, non specialmente a far tacere le gazzette milanesi, che hanno a Genova un’eco profonda e destano vivissima agitazione, non ad ammansire Faypoult, neppure con l’esplicito suggerimento di « coltivare il soggetto che abita da Santa Caterina » (3). Del resto al Faypoult si è aggiunto il Saliceti in missione straordinaria, per ottenere un prestito e possibilmente la cessione di Gavi e della Bocchetta, soprattutto per tentar di minare e di assorbire la piccola repubblica. I due si aiutano e si sorvegliano a vicenda. Ma la repubblica con le studiate lentezze mette a dura prova la pazienza del Corso che non può smascherarsi e deve ricoprire di formule diplomatiche le sue esigenze, mentre la ricomparsa del Drake, piombato l’il marzo da Milano a minacciare l’occupazione militare se Genova cede alle richieste francesi, fa fallire per il momento il piano e costringe Saliceti ad accordarsi per il prestito col fedelissimo banchiere Emanuele Balbi (4). Tuttavia le fila dei complotti si stringono, il pericolo è di giorno in giorno maggiore, il governo è incapace di reagire, quasi convinto che nulla possa farsi se la politica dello € zitto », come si dice, e dell’arrendevolezza non riesce a salvare o almeno a protrarre l’esistenza. Non sono pericolosi i nova-tori spinti, pochi anche se rumorosi, bensì, dietro ad essi, i francesi onnipotenti, sostenuti dal loro governo, che ha bisogno di Genova, ma nè la teme nè la stima. « Li Francesi ci credono in Genova piccoli subdoli e ricchi — dice un interessante biglietto di calice —. Quanto al Governo è persuaso il Direttorio di Francia Carlo Serra, esule dal 94; ma che la festa presso il Faypoult fosse proprio una riunione di cospiratori contro la Repubblica, come il Trucco crede, non mi sembra dimostrato. (1) L. SciOUT, La République franqaise et la République de Gènes, Revue des questions historiques, Janv. 1889, pag. 62. (2) Collez. di Appunti storici e documenti, Bibl. Univ., voi. 24, c. 16 s gg. (3) Trucco, pag. 131 sgg. (4) Gagoiero, pag. 132; Bouvier, Le Directoire, Bonaparte in Italie, 1796, Paris, 1889, pag. 136 sgg. ; G. Bigoni, Il Saliceti a Genova nel 1796, Oiornale storico e letterario della Liguria, 1900, pag. 338 sgg. Sull’opera del Saliceti a Savona e i suoi rapporti anche con ufficiali genovesi, v. Levati, IV, pagg. 413, 588, 630. — 33 — che pochi soli siano quelli che resistono a che la Liguria non arrivi a farsi non solamente alleata, ma una provincia francese » (1). 11 Senato ha un bel manifestare al Ministro di Francia « la somma inquietudine del Governo per certe notizie di segrete pratiche contro Io Stato e quanto di utilità può aggiongersi alle misure atte a preservarlo se dalla parte sua verranno smentiti coloro che abusano del suo nome e danno a credere di esserne protetti mentre non sono degni di esserlo e la fiducia che il governo ripone nella rettitudine del suo spirito e nel carattere del Ministro di una Repubblica amica generosa e leale » (2). Ormai rivolgersi al Faypoult in nome di quei principi è un’ingenuità. « Il lusingarsi è inutile, il credere la Città tranquilla un sogno, una falsità » dice uno dei soliti biglietti di calice. « 11 complotto, la congiura è per manifestarsi, il governo è allora distrutto e tale cambiamento non può accadere senza sangue e crudeli rapine » (3). Altro che far pratiche per essere ammessi al futuro trattato di pace, dopo i preliminari di Leoben, come proponeva il Minor Consiglio e sosteneva Girolamo Serra, o affidare al Bonaparte, come arbitro, il giudizio sulle questioni col Regno di Sardegna, come consigliava Vincenzo Spinola! (4). L’idolo dei fratelli Serra si appresta a dare il colpo di grazia alla repubblica aristocratica, e il 15 maggio 97 scrive al Faypoult che la caduta dell’aristocrazia di Venezia trascina con sè quella di Genova, » mais il faut pour cela encore quinze jours pour que les affaires de Venise soient bien complètement terminées » (5). E invece i patrioti genovesi troppo zelanti e solleciti affrettano il movimento e gli guastano il piano; ed egli se ne adirerà, pur traendo profitto dagli avvenimenti. 11 23 maggio un genovese che si mostra molto informato scrive da Milano avvertendo di imminenti pericoli. Una spedizione vi si prepara contro Genova: sono nella trama molti disperati genovesi capitanati dai due fratelli Serra, dal Sauli, dal Biagini: le riunioni si tengono in casa Serra e vi partecipano anche elementi militari (6). Non sa l’informatore, e ancora non conoscono i cospiratori di Milano, gli avvenimenti del 21 e 22 maggio. Sarebbe qui troppo lungo e inopportuno rifare la narrazione di quelle due giornate decisive nella storia della città e della repubblica, nelle quali sboccano in urto aperto e furioso gli elementi che da tanto tempo si trovano di fronte in atteggiamento minaccioso e ostile. Il racconto è stato ripetuto con sempre nuovi particolari, ma con sostanziale uniformità, (1) Colucci, III, 307. (2) Collezione di Appunti storici e documenti, voi. 23, c. 216. Cfr. Colucci, III, 329. (3) Collezione voi. 22, c. 72 e voi. 23 c. 222. (4) Trucco, 139 sgg.; Colucci, III, 344. I Dispacci Spinola di questo tempo sono molto interessanti e meriterebbero un esame particolare. Vi si afferma più volte esplicitamente che ormai la sorte d’Italia e di Genova è nelle mani del Bonaparte, pag. 346, 353 ecc. (5) Lettera in Borel, pag. 182; Biooni, 274. (6) Collezione di Appunti storici e documenti, voi. 12, c. 74. 3 34 - dal Botta al Varese, dal Gaggiero al Clavarino, dal Bigoni al Trucco e ad altri numerosi italiani e francesi (1). Insofferenti d’indugio, i novatori, colto un futile pretesto, determinano il tumulto il 21 maggio: sono alla loro testa Felice Morando, cui già gl’inquisitori avevano chiuso la bottega come covo di rivoltosi, il napoletano Vitaliani, già arrestato e tosto rimesso in libertà con molte scuse perchè protetto daU’immunità diplomatica come appartenente al seguito del Faypoult, e Filippo Doria, nobile acceso di idee giacobine, che appare il capo e la guida del movimento. Manipoli di energumeni con la coccarda tricolore corrono la città, vuotano le carceri, puntano un cannone sul palazzo ducale, non conchiudono nulla, tranne la nomina di una commissione sotto Banchi, col vecchio Morando alla testa. E’ o si finge ammalato il vecchione, ma la parte assunta gli dà obblighi a cui non è possibile sottrarsi, e vien condotto trionfalmente, ma a forza, a capitanare la rivoluzione che ha preparato. E mentre il Senato invoca Faypoult come mediatore ed egli si schermisce e fa mezze promesse, poiché ben altro occorre per il desiderato e atteso intervento del Bonaparte, il popolo devoto al Governo, odiatore dei giacobini nemici della rivoluzione, eccitato probabilmente da alcuni degli stessi Senatori, specialmente dagli Inquisitori più odiati e vilipesi, fa il giuoco dell’astuto volpone francese (2). Turbe compatte di facchini e carbonai, aiutati da contadini di Bisagno e di Polcevera, con al cappello o al berretto una immagine che dovrebbe renderli invulnerabili, compiono la controrivoluzione; si impadroniscono dell’Arsenale armandosi, commettono violenze e stragi. Filippo Doria è ucciso; la casa del Morando saccheggiata e il vecchio spaziale costretto a riparare alla legazione di Francia, alcuni francesi uccisi, altri fatti prigionieri: Faypoult stesso, reduce da un colloquio col Senato, è minacciato e deve rifugiarsi nel Palazzo, ove protesta vivamente e chiede una scorta. Bonaparte alle prime notizie si mostra indispettito contro il partito dei patrioti « qui s’est extrèmement mal conduit et qui a, par ses sottises et son imprudence, donné gain de cause aux aristocrates ». Tanto più malcontento perchè, se i patrioti fossero rimasti tranquilli ancora quindici giorni, l’aristocrazia sarebbe stata perduta e sarebbe morta da sè. Ma due giorni (1) La narrazione degli avvenimenti, specialmente della prima azione dei novatori, vista da Parigi e disapprovata per i suoi eccessi anche da quel governo, nei dispacci di Vincenzo Spinola, COLUCCI, III, 354 sgg. Sull’opera generale dei novatori, v. 0. ANSALDO, Novatori liguri 1798-99 in Rivista Ligure di Scienze Lettere ed Arti, Genova, 1914. (2) Trucco, pag. 203 sgg.; Biooni, pag. 301. Il Pessaono (Genova sotto la Rivoluzione e l’impero, pag. 85) dichiara di aver trovato nelle carte finanziarie dell'Archivio di Stato la prova del doppio giuoco del Governo nelle due controrivoluzioni di maggio e settembre; ma il suo lavoro è rimasto incompiuto. — 35 — dopo cambia tono e nella celebre lettera del 27 maggio manda un vero ultimatum: liberare i prigionieri, disarmare il popolo, rientrare nella pace. Bisogna non avere più alcuna preoccupazione dalla parte di Genova, scrive al Diiettorio (l). La lettera ultimatum è letta al Senato il 29 maggio dall’aiutante del Bonaparte, Lavallette, e accompagnata dalle insistenze di Faypoult, che la commenta e la compie con la richiesta dell’arresto degli Inquisitori di Stato Francesco Maria Spinola e Francesco Grimaldi e di Nicolò Cattaneo, particolarmente compromesso; e intanto tiene ostentatamente pronte le carrozze coi bagagli e minaccia di andarsene qualora le domande non siano accolte. Il Senato, com’è naturale in quelle condizioni, cede su tutti i punti: come ultimo tentativo manda a Parigi in missione straordinaria, a giustificazione e spiegazione degli avvenimenti, Stefano Rivarola, e al Bonaparte Cesare Doria e Gerolamo Durazzo col negoziante Adamo Calvi (2). Ma ormai è inutile: la vecchia repubblica aristocratica è finita. Il 2 giugno partiva per Mombello, ove Bonaparte teneva quasi corte regale, una seconda Deputazione formata da Michelangelo Cambiaso, Girolamo Serra e Luigi Carbonara (3), accolta con la consueta rude imperiosità e costretta, in base agli ordini ricevuti, a preparare uno schema di nuovo ordinamento dello Stato (4). Intanto a Genova, accanto al vecchio governo, funzionava una nuova commissione straordinaria di dieci membri, costituita il giorno 22 in pieno tumulto, con lo scopo di tutelare l'ordine pubblico e come « organo felice della primiera intelligenza e concordia fra il Serenissimo Governo e i suoi cittadini ». Dovevano comporla un Senatore, quattro « soggetti del Governo e quattro dell ordine non ascritto *. In realtà gli insorti ne nominarono cinque: l’abate Cuneo, il farmacista Morando e i medici Mongiardini, Figari e Vaccarezza (5). Caratteristica questa larga partecipazione dei medici al movimento, e (1) Le lettere riprodotte in Borel, pag. 183-187. (2) Colucci, III, 366 sgg., 379. sgg., Biooni, pag. 277, sgg. Particolarmente ostica la richiesta dei tre arresti; come riferiva lo stesso Lavallette, molti nobili facevano aperto assegnamento sui contadini e i carbonai e ricordando i fatti del 46 andavano dicendo a voce alta « ci batteremo » perchè il popolo li sentisse. (3) Sul Cambiaso v. [Gianfrancesco Bastide] Consideratioris libres sur la Revolution de Gènes, Levati, / Dògi, /V, pag. 55 sgg.; sul Carbonara, che ebbe larga vita politica e sopra tutto alte cariche giudiziarie, Giornale Ligustico, 1870, n. 14; dell’uno e dell’altro 1 elogio nei Liguri illustri del Grillo ; sul Serra, il maggior personaggio genovese del tempo, esiste un’ampia bibliografia, dall’opera giovanile dei Belgrano, al Grillo, al Levati, alla Palazzi; ma manca ancora una larga e compiuta biografia. (4) TRUCCO, pag. 423. La precedente commissione (Durazzo, Doria e Calvi) nominata il 27 maggio, nulla aveva conchiuso perchè la sua missione era sorpassata dagli eventi. (5) Clavarino, I, pag. U; Trucco, pag. 188 sgg.; Gaooiero, pag. 141, 157 sgg; Biooni, pag. 286. I nobili erano Girolamo Serra, Gian Luca Durazzo, Gerolamo Durazzo, G. B. Serra di Domenico e Gerolamo Balbi. — 36 nelle loro cospirazioni presso il Morando prima, nell’intervento poi all azione innovatrice è da vedere l’effetto del malcontento di questa parte della borghesia colta, che si riteneva meno considerata di quanto meritasse e che probabilmente partecipava all’avversione diffusa per la classe deg i avvocati e dei notai (l). Era la nomina di quella commissione il primo accenno al mutamento di governo e l’attuazione dell’espediente già suggerito dal Calvi di chiamar a partecipare al potere i rappresentanti delle arti e della classe borghese. E vero però che nelle torbide vicende di quei giorni e nel sopraggiunto intervento francese quella commissione ebbe breve vita e azione limitata e il Morando dopo il 22 non si mosse dal palazzo della legazione (2), anzi tra i passaporti chiesti dal Faypoult per sè e i suoi quando minacciò la partenza ci son quelli di Felice Morando e di tre persone della sua famiglia, e la sera del 1 giugno partirono tutti insieme per Milano, donde tornarono, accolti da gratuli feste, con una scorta di 150 cavalieri, soltanto il 13 giugno (3). Nella giunta prov-visoria nominata ai primi di giugno entrava il solo Mongiardini, probabilmente perchè il più moderato e non compromesso nelle torbide giornate. Assegnato al Comitato di polizia, aveva poi una parte cospicua nel governo provvisorio (4), dal quale, non ostante le insistenze di Faypoult, il Bonaparte, accettando il savio consiglio dei delegati, escludeva coloro che avevano attivamente partecipato ai moti del maggio (5). Stabilita infatti per la Convenzione di Mombello del 5 e 6 giugno la trasformazione della repubblica e fissate le norme generali della costituzione che doveva reggerla, si era appunto formato, d’accordo tra i plenipotenziari e il generale, il governo provvisorio che doveva entrare in carica il 14 giugno, composto di quattordici borghesi e di otto nobili favorevoli al nuovo ordine di cose, tutti uomini prudenti e lontani da voglie estreme, come scriveva Bonaparte al Direttorio (6). Per questo appunto Morando e i più accesi, (1) La Storia filosofica ed imparziale della Rivoluzione ecc. (Ms. Civ. Bibi. Berio, D bis, 6, 11, 33, pag. 4) pone tra le cause del malcontento generale l’alterigia dei Dottori i Legge e dei Notai « Gonfi questi dalla confidenza che godevano presso de’ Nobili stimavano, egualmente che questi, quasi tanti schiavi coloro d’una classe inferiore ». (2) Storia filosofica ecc., pag. 44; TRUCCO, pag. 289. (3) Diario, in Collezione ecc., voi. 20, c. 327. (4) Forse per la sua moderazione, certo anche per motivi personali che sfuggono, fu poi violentemente attaccato con astiosa insistenza da Sebastiano Biagini nel Censore, fino dal primo numero dell’ll nov. 97. (5) Trucco, pag. 438. Tipico è il caso di Marco Federici sul quale v. Biooni, pag. 292 sgg. e A. Neri in Giornale storico della Lunigiana, 1918 pag. 131 sgg. (6) Biooni, pag. 291. Il Minor Consiglio approvò il 9 giugno la convenzione, ponendo fine così alla propria esistenza, con 80 voti su 87; Trucco, pag. 443. Assai vivace la narrazione del diario anonimo, che è piuttosto una serie di appunti disordinati, rappresentante — 37 — come Figari e Bonomi, non vi avevano parte. Avvenuto il mutamento, era evidente l’intento del Bonaparte e anche di coloro che avevano assunto ora la direzione del moto — come i commercianti che avevano patrocinato l’istituzione di una guardia nazionale e nominato apposta dal 4 giugno una commissione di cinque (1) — di conservare il potere agli elementi più moderati. E a rendere meno aspro il trapasso, alla testa del nuovo governo l’arbitro della situazione voleva conservato il doge, « quella pasta molle del Brignole, burbanzoso ma cedevole, che andò alla prima seduta del Provvisorio, anziché in robone, in robetta; e gli parve che fosse tutto e la vita di Genova potesse continuare » (2). La grande processione del 14 giugno, l’erezione dell’albero della libertà (3), l’abbattimento delle statue di Andrea e Gian Andrea Doria, condannato col notissimo aspro rimbrotto dal Bonaparte (4), l’abbruciamento del Libro d’oro e della portantina dogale, e l’altra festa del 14 luglio in onore della Francia (5), accompagnata dalla liberazione degli schiavi barbareschi, aprivano l’era della repubblica democratica; e il Governo provvisorio doveva consumare una parte cospicua del suo tempo in ascoltare i fiumi della nuova retorica prolissa, stucchevole, convenzionale, delle infinite deputazioni che venivano da comuni, da enti, da associazioni a fare atto di civismo e i più fieri giuramenti democratici e repubblicani. Alla processione del 14 giugno hanno preso parte i professori universitari e non è mancata la loro commissione al Governo Provvisorio, come non è mancata — e fu anzi delle prime, e si comprende — quella dei medici (6). Ma notizie individuali i consiglieri in atto di tornare a casa frettolosi senza ferraiolino, mentre la gente cerca di scrutare sui loro volti le decisioni. Collez. Appunti e documenti ecc., voi. 20, c. 308. (1) Erano: Emanuele Balbi, Emanuele Gnecco, Emanuele Scorza, Vincenzo Piccardo e G. B. Rossi tutti destinati ad aver parte notevole negli avvenimenti successivi. Veramente il governo morente si dava l’aria di nominar lui la Giunta commerciale (Biooni, pag. 296, 326); in realtà non faceva che ratificare un provvedimento degli interessati. (2) Ruini, Corvetto, pag. 21; Biooni, pag. 279 sgg. Sul Brignole, v. Levati, IV, pag. 31 sgg., 76 sgg. — Alla fine del giugno, avendo Gaetano Marrè dapprima fatto osservare alla Municipalità e poi addirittura scritto al Brignole che il titolo di Doge richiamava ai tempi sorpassati, egli vi rinunciò chiamandosi soltanto Presidente; in realtà prese scarsa parte ai lavori, Registro Sessioni Gov. Provv., p. 108 e passim. (3) A. Neri, Gli alberi della libertà a Genova nel 1797, Giornale Ligustico, 1S76, pag. 391. Più ornato di fiori era fra tutti, naturalmente, quello accanto alla spezieria Morando (Collezione Appunti ecc., voi. 20, c. 316 v.). (4) Biooni, pag. 293; A. Neri, La statua e una medaglia di A. Doria, Giornale Ligustico, 1887, pag. 22. (5) Colucci: III, 60 sgg. Era una prova della nuova servitù francese. Pochi giorni dopo, in un discorso solenne a Parigi il Boccardo smentiva l’accusa che Bonaparte e Faypoult fossero stati promotori dell’insurrezione genovese e inveiva contro il governo sin allora servito, pag. 63. (6) Isnardi, Storia dell’Università di Genova, II, 99. 38 - mancano, nè si può dire come e in quanta parte i singoli professori partecipassero al mutamento. Per lo Scassi la prima e forse unica notizia del tempo estranea a materia scolastica è data dalla sua partecipazione alla guardia nazionale, nella prima forma di Legione Ligure Volontaria. Già progettata dai primi di giugno, era stata questa una delle più urgenti cure del nuovo governo e si veniva organizzando nel luglio, divisa per compagnie e battaglioni assegnati ai diversi quartieri della città. Il 23 luglio era compiuto l’ordinamento del quartiere di Prè, e alla decimaquarta compagnia era nominato capitano Onofrio Scassi e gli era assegnato come tenente Nicolò Serra (1). Chi sia il Serra non è facile dire, ma se si tratta, come l’essere del quartiere di Prè fa sup-pore, di quel « signor Serra di Prè » che, secondo i rapporti sui tumulti del 21 maggio, capeggiava i dimostranti gridando « abbasso quelle parrucche, uccidete questi tiranni ed oppressori!'» lo Scassi aveva accanto un bel tipo di demagogo violento; ma è più probabile che quel « signor Serra » (2) turbolento fosse piuttosto l’Antonio, che il 22 giugno diresse la cerimonia in S Ambrogio, con la quale, tra epigrafi retoricamente sonore e frementi, si onoravano i caduti della rivoluzione (3). Dell’azione del giovane medico come appartenente alla legione volontaria non restano però che indirette tracce in due biglietti a due cittadini, perchè si trovino alle ore 5 del giorno primo di agosto nel chiostro della Nunciata per procedere all’elezione dei bassi ufficiali (4). Questa partecipazione alla milizia volontaria è sufficiente prova della pronta adesione al nuovo ordine di cose, anche se non possa dimostrare ch’egli ne era stato uno dei promotori; ma mancano ulteriori prove di un’attività in questo senso, e certo il suo nome non compare, come quello di Giacomo Mazzini che vi è citato a titolo d’onore, nell’azione delle truppe volontarie contro gl’insorti e i * vivamaria • dei primi di settembre (5). Del resto, quelle compagnie erano scarse, indisciplinate, sempre in agitazione, e nel perpetuo mutare degli ordinamenti di quel periodo fortunoso la guardia nazionale fu soggetta a trasformazioni e (1) Registro delle Sessioni del Governo Provvisorio della Repubblica di Genova dal giorno della sua installazione, Stamperia Nazionale, pag. 40; Clavarino, I, pag. 97. (2) Trucco, pag. 170 sgg. Il Trucco (pag. 182,i suppone si tratti di Gian Carlo Serra, ma questi il 21 era ancora a Milano, e poi sarebbe stato individuato, in quelle relazioni così osservanti delle forme e dei titoli, come Magnifico, e non soltanto come « il sig. Serra »; d'altra parte le violenze impetuose di quell’energumeno contrastano con lo spirito signorile e aristocratico di Gian Carlo e dei fratelli. (3) Diario in Collezione di Appunti storici e documenti, voi. 20, pag. 334. (4) I due biglietti firmati «Scasso capitano» sono conservati l’uno al Museo del Risorgimento, l’altro nell’archivio Sauli. (5) Neri, Il padre di G. Mazzini, pag. 138. 39 - lifonne frequenti (1). Non è arbitrario supporre che Onofrio Scassi, alieno pei indole dai movimenti tumultuari e dalle violente agitazioni, cogliesse I occasione delle dispense accordate in quelle riforme ai professori univer-sitaii e ai membri dell’istituto Nazionale per esimersi dal farne ulteriormente parte. Ed è anche notevole che egli non appartenga alla Municipalità costituita il 26 giugno, a cui partecipano il Bonomi, l’abate Cuneo ed altri accesi pati ioti, e che il suo nome non compaia mai in questo periodo nelle frequenti attribuzioni di uffici e di incarichi, accanto a quelli del Mongiardini, membro del Governo Provvisorio e spesso segretario o vice presidente, dei medici De Albertis e Figari, dell’avv. Gaetano Marrè e dell’abate Paolo Sconnio, che furono suoi colleghi aM’Università e all’istituto (2). Intanto il Governo provvisorio aveva cominciato la sua aspra fatica, resa più ardua dalle smodate speranze popolari, fomentate dai più accesi demagoghi e da quel sistema, che pareva della più vera e autentica democrazia, dell’alternare continuamente i capi onde ogni settimana si cambiavano vice-presidente e segretario, e la Commissione di governo era perpetuamente occupata in elezioni di ogni tipo e per ogni sorta di ufficio. Infiniti appetiti si dovevano accontentare: per molti la rivoluzione doveva significare riduzione delle pigioni e abbuono dei debiti, specialmente verso gli ex nobili (3). Il ribasso nel costo del pane e dell’olio era un desiderio comune ai controrivoluzionari e ai democratici (4) e il Governo provvisorio appena insediato doveva prendere provvedimenti in proposito, per calmar l’agitazione (5). E c’erano anche molti altri appetiti: « È tempo — scriveva un anonimo, subito dopo le giornate di maggio — di gittare lo sguardo su dei buoni cittadini, su dei cittadini fedeli, forniti di giusta dottrina e profondi nel sapere, prima che gl intriganti facciano loro la scelta, e servirsi dei medesimi occupandoli (1) Gazzetta Nazionale, n. 19, 20 ottobre 1797, pag. 151; Il Difensore della Libertà n. 13 3 agosto 1797, pag. 13. (2) In certi appunti manoscritti sullo Scassi conservati nel Museo del Risorgimento (n. 1210 del Catalogo) è detto che fu segretario del Governo Provvisorio. Segretari non elettivi, che erano a turno, ma tecnici o amministrativi furono Ettore Figari e Felice Gianelli già appartenenti alla precedente amministrazione, e uno dei quattro vicesegretari fu uno Scasso, Giovanni, che appare prima e poi come cancelliere in diversi uffici e del quale non è possibile determinare la precisa parentela con Onofrio (Clavarino, I, pag. 427; Sessioni del Governo Provv., p. 103. Altre notizie di lui più oltre, cap. III). Che fosse parente è attestato dal fatto che nelle lettere di Raffaele Scassi sono fatti sempre i saluti a lui tra gli altri parenti, v. Appendice. (3) Collezione ecc.; voi. 20, c. 333. (4) Fin dal 26 maggio un difensore del vecchio governo domanda che cosa si sia fatto « per consolare ed animare questo caro popolo, che sarà la gloria dell’Italia qualunque sia la sorte futura ... Pane piccolo, olio caro, vino caro: fin d’oggi si faccia un ribasso. Cosa non avressimo , fatto il giorno 22! Giorno 22, non se lo scordino questo giorno 22». Ibid., voi. 23, c. 256. (5) Registro delle Sessioni de! Governo Provvisorio, pag. 25. — 40 - al ben pubblico, e con questi levare le tante zucche o affamati che al presente governano seduti ai vari Tribunali ». È un moderato che pai la e dichiara di odiare egualmente l’oligarchia e la troppa libertà; è probabilmente un mercante che raccomanda la protezione del commercio dal quale dipende la floridezza cittadina (1). 11 mutamento di governo è occasione propizia perchè tutti si buttino avanti, i faccendieri, gli ambiziosi, gli affamati, i sedicenti rivoluzionari : e sono recriminazioni e lagni senza fine; da ogni parte i buoni patrioti, o quelli che si pretendono tali, sorgono a lamentare che si diano uffici agli ex nobili, ai preti, ai convertiti dell'ultima ora, ai neofiti, come si dice (2), e non solo agl’indifferenti ma agli aperti nemici. E il Provvisorio, costituito in buona parte di elementi novatori ma moderati, è tuttavia trascinato sempre più dalle correnti più accese, di fronte anche al sordo malcontento della umile popolazione devota in fondo all’antica nobiltà, attaccata specialmente alla religione che teme minacciata, irritata e offesa dalla prepotenza dei Francesi e dei loro seguaci. Gli errori si accumulano: quell’aver condannato i nobili al pagamento dei quattro milioni per la vecchia questione della Modesta (il primo posto è tenuto nella lista da Giacomo Filippo Durazzo con la cospicua somma di centomila lire) (3), la Missione patriottica voluta con assai scarsa opportunità da Gian Carlo Serra, per la quale i preti patrioti, giansenisti i più, andavano predicando la concordanza del Vangelo con i principi democratici (e furono tra i predicatori Eustachio Degola e i maggiori giansenisti (4) e quello strano tipo di Pier Gaetano Api, violento scrittore di un giornaletto maligno e veramente pettegolo intitolato i « Pettegolezzi *) (5), (1) Bigoni, pag. 282. (2) Registro Sessioni Governo Provvisorio, pag. 23. (3) Clavarino, I, 130 sgg., 158. (4) Clavarino, I, 86 sgg.; Annali politico-ecclesiastici, 1797, pag. 43 sgg. Sul Degola e gli altri giansenisti liguri, oltre le opere del De Gubernatis (Eustachio Degola e il clero costituzionale ecc., Firenze, 1882) e del Parisi (/ riflessi del giansenismo nella letteratura italiana, Catania, 1919, voi. I) è da vedere l’importante studio di P. Nurra, Il giansenismo ligure alla fine del secolo XV///, in Giornale storico e letterario della Liguria, I92f:, fase. 1 ed ora l’ampio capitolo a lui dedicato da G. Salvadori, Enriclietta Manzoni Blondel e il Natale del'33, Milano, 1929, sul quale però v. F Ruffini, nella Critica di B. Croce, 20 maggio 1930, pag. 229 Sgg. e dello stesso Ruffini, La vita religiosa di Alessandro Manioni, Bari, Laterza, 1930, voi. I, pag. 211 sgg. Cfr. anche N. Rodolicc, La vita e i tempi di Scipione de’ Ricci, Firenze, 1920, pag. 170; A. C. Iemolo. Il Giansenismo in Italia prima della rivoluzione, Bari, 1928, pag. 401 sgg.; M. Batiistini, G. M. Lampredi a Genova nel 1789 in Giornale storico letterario della Liguria N. S. IV, 1928, pag. 234 sgg., 0. Salvemini, Ricerche e documenti sulla giovinezza di G. Mazzini, in Studi Storici, XX, 1911, pag. 32 sgg. (5) Nel giornaletto / pettegolezzi, 1797, ci sono molte caratteristiche notizie intorno a questo maldicente attaccabrighe, autore, tra l'altro, di un Progetto di riforma esteriore della Chiesa Ligure, stampato nel 1798; Levati, IV, 450,743. — 41 — l’arresto degli ex nobili ritenuti pericolosi, gli eccessi verbali dei più violenti repubblicani e le declamazioni della stampa, sorta, come si diceva, a illuminare e guidare i buoni rivoluzionari, determinano uno stato di spirito che, alla pubblicazione della costituzione, copia fedele o pedestre adattamento della francese e non ritenuta sufficiente tutela della religione (1), ai primi di settembre esplode nel moto controrivoluzionario, sedato nel sangue, dopo non averlo saputo prevenire, dalle armi del generale francese Duphot (2). Un’analisi acuta e serena di questi avvenimenti era fatta nel 1803, in ben diversa condizione politica e psicologica, da una commissione incaricata di preparare un progetto di amnistia per tutti i reati politici o considerati tali nel corso della rivoluzione. « Quanto è dolce e avventuroso il ricordare le innovazioni politiche del 1797 per le salutari riforme alle quali hanno dato luogo, altrettanto è grave e lamentevole il ripensare che i nostri concittadini, uniti da tanto tempo in concordia e in fraternità, sono ritornati in quest’epoca alle antiche gare e dissidi che hanno minacciato di precipitare un’altra volta la Repubblica in quell’abisso di inquietudini e di sciagure che hanno afflitto e disonorato i nostri avi per più di tre secoli avanti la memorabile unione del 1528. La nostra rivoluzione del 14 giugno, comunque sia cominciata sotto i migliori auspici e si potesse riguardare come indispensabile in quelle circostanze, e desiderata forse dalla maggiorità dei Cittadini, pure non ha potuto sul momento offerire alla Nazione sconvolta una nuova forma raccomandabile di Governo che potesse vincere tutte le abitudini, riunire tutte le idee e appagare i desideri e gli interessi di ogni ordine di persone. La disunione degli animi, la divergenza delle opinioni, la formazione de’ partiti sono i primi effetti naturali di queste grandi novità quando non sono operate e condotte a fine dal medesimo Governo dominante e protette da una forza efficace e irresistibile. L’abolizione (1) Non rispondeva neppure agli intendimenti del Bonaparte, che voleva per le repubbliche italiane una costituzione « analojiue aux moeurs des habitants, aux circostances et peut-ètre mème aux vrais principes». Biooni, pag. 274. (2) Anche il moto controrivoluzionario dei « vivainaria » è ampiamente narrato da tutti gli storici più volte ricordati. Oli emissari francesi reprimono ferocemente la rivolta armata, perchè pericolosa anche per l’esempio, ma lasciano sfogare all’interno gli odi antinobiliari, finché non tocchino i loro interessi. Il Faypoult, per esempio, ordina l’immediata scarcerazione di Gian Luca Durazzo, arrestato per gli avvenimenti del 5 e 0 ottobre, perchè quell’arresto «disturba in questo momento tutte le operazioni di finanza dell’Armata d’Italia ed arresta tutte le di lui risorse ». Occorre che il Durazzo soddisfi i suoi impegni e « riacquisti nel commercio quella confidenza che gli è assolutamente necessaria ». Il Governo Provvisorio emana subito un apposito decreto, il 13 settembre, e lo pubblica con un manifesto, v. L. Valle, Catalogo delle Pubblicazioni relative al Risorgimento Italiano della Biblioteca Brignole Sak De Ferrari, 1925, pag. 46 e Giornale degli Amici del Popolo, n. 52, 18 settembre 1797, pag. 193. Un’ampia relazione degli avvenimenti di settembre è fatta dal Ministro Boccardo al Governo Francese; Colucci, III, 132-137. - 42 - istantanea di un regime stabilito da secoli, il subingresso interino di una Potestà precaria, senza considerazione e senza mezzi, uno stato di cose provvisorio e incerto che sembrava dipendere ancora dalla fortuna di una grande Repubblica protettrice e dal successo delle sue armi, erano circostanze troppo favorevoli ai malcontenti e agli agitatori perchè le nuove autorità non dovessero essere a tutta ragione inquiete e sospettose e stare in guardia contro i faziosi e i cospiratori ». Si è fatto certamente gran torto, si aggiunge, considerando gl’individui dell’antica aristocrazia indistintamente come nemici dichiarati del nuovo sistema e sempre pronti a nuocere e a cospirare, e ai sacerdoti costantemente sospettati e inquisiti. La causa principale dei disordini è stata nella debolezza del governo necessariamente, appunto perchè debole, sospettoso e tenuto a conservarsi con ogni mezzo; responsabili coloro che, con discorsi calunniosi e oblique suggestioni, hanno aizzato le popolazioni in nome della religione contro il nuovo governo; causa occasionale un parroco forsennato in Albaro. « La controrivoluzione de’ 4 e 5 settembre è un avvenimento strano e funesto, senza premeditazione e senza autore, che ha insanguinato il terzo mese del nostro periodo rivoluzionario e ha dimostrato troppo luttuosamente quanto sia necessario di ben conoscere una nazione prima di pretendere di istituirla e governarla. Il nuovo progetto di costituzione male interpretato e male ricevuto e non combinato veramente con quella circospezione che sarebbe stata necessaria, scritti ardenti e allarmanti, improvvidamente lasciati diffondere, missionari religiosi non accolti come nunzi di verità e scelti inoltre tra i più caldi e non fra i più reputati e prudenti, e un silenzio affettato e significante e un malincuore de’ parrochi, le voci che si volesse alterare la Religione sono state le cause » (1). A trattare con gl’insorti e a garantire il rispetto per la religione, punto fondamentale del malcontento popolare e contadino, era stato destinato l'abile e duttile Corvetto, prima con l’arcivescovo, col medico Vaccarezza e i commercianti Tino e Balbi (2), poi con Girolamo Durazzo, il futuro doge, molto amato dai Poiceveraschi; a riferirne al Bonaparte e a riceverne gli ordini di moderazione e di cessazione dai provvedimenti eccezionali e dalle commissioni militari (3), col Corvetto stesso, Francesco Maria Ruzza, che, (1) Archivio di Stato, Genova, Sala 50, Repubblica Ligure, filza 370, n. 74: Rapporto del Magistrato di Legislazione e Giustizia di concerto col Senatore Deputato di Polizia, 1803. (2) Arch. di Stato, Genova, Governo Provvisorio, Registro delle sessioni. I, II, n. 13, c. 69 v. (3) Lettera del Bonaparte al Doge, 6 ottobre, in Borel, pag. 190. Contrasta con questa la lettera, che non si trova nella corrispondenza imperiale, ma che il Difensore della libertà (16 settembre 1797, pag. 112) riporta come data a Passeriano il 14 fruttidoro, 10 settembre, violenta e a tinte demagogiche, forse effetto del risentimento momentaneo. Che sia apocrifa non par possibile ammettere. t — 43 — dopo essere stato segretario del vecchio governo e aver avuto parte in tutti i maneggi politici degli ultimi anni, era ora quasi il direttore della politica estera del governo nuovo (1). Ed essi, con Luigi Carbonara, il giurista ch’era stato a Mombello, e con l’ex doge Michelangelo Cambiaso dirigevano ora il pai tifo più importante, quello che si disse francese ma che rappresentava in quel momento il senso della realistica opportunità e dell’adattamento alla situazione. I Serra, pur nella loro ammirazione per Napoleone — abbagliati dalla gloiia di lui li ha detti il Botta — costituiscono un partito intermedio tra la vecchia nobiltà e i nuovi seguaci di Francia; sopra tutto un partito che mira all indipendenza locale anche se con nuove istituzioni politiche. Serra " il giacobino » aveva ben scritto in una lettera al fratello Giancarlo fin dal 94: « No, mio amico, non aspettare rigenerazione del tuo paese dalla mano dei Francesi » e si era rafforzato in questa convinzione, che non concordava con le idee dei suoi amici, dopo i colloqui a Nizza con Robespierre juniore. Per quanto entusiasta di Napoleone, gli aveva scritto lettere piene di saggi avvertimenti sulla necessità di non toccare la religione e il clero, cui la popolazione ligure era devotissima, e riboccanti di caratteristici sentimenti d’italianità; e fin dal 24 giugno aveva detto, affermando che non si sarebbero costituite società popolari a Genova: « Esse non ci potrebbero essere utilissime che in un caso: quando avessimo bisogno di vincere i pregiudizi di campanile per riunirci al resto dell 'Italia libera, supposizione ancor lontana, ma che il vostro genio potrebbe accelerare » (2). Più tenacemente avvinto alle tradizioni e alle istituzioni locali Girolamo che non si fidava di Faypoult e pregava Bonaparte perchè lo richiamasse all’esercizio delle sue funzioni (3). Giancarlo, il nuovo duca d’Orléans, come l’avevano chiamato, era sospettato di ambizione e di inframmettenza e finiva con l’essere apertamente accusato dai fanatici di com- (1) Varese, pag. 329 sgg.; Biooni, 264 sgg.; 291 sgg. Del Ruzza che rappresenta in certo modo la continuità della politica estera del vecchio e del nuovo governo, il Serra dice che era « timido alla guisa de’ moderni Giuristi » e « allettato dalla vana lusinga di primeggiare in un Governo popolare ». Girolamo Serra, Memorie per la Storia di Genova dagli ultimi anni del secolo XVHI alla fine dell’anno 1814 pubblicate a cura di Pietro Nurra, Atti della Società Ligure di Storia Patria, voi. LVIII, pag. 85. Avverto qui che di queste Memorie, pubblicate mentre sto rivedendo le bozze, non ho potuto valermi per quanto riguarda la fine della repubblica aristocratica alla quale recano contributo di interessanti notizie. (2) G. B. Serra al fratello Gian Carlo, da San Remo, 28 marzo 1794 e a Gaspare Sauli, da Nizza, senza data, Collezione ecc., voi. 12. c. 69; cfr. Nurra e Codignola, Catalogo della mostra ligure del Risorgimento, Genova, 1927, pag. 122. (3) Interessanti anche psicologicamente per il contrasto tra questo tenace attaccamento alla vecchia repubblica autonoma e la suggestione del fascino napoleonico le Meritorie del Serra, dalle quali traspira una costante e irosa avversione, fatta di disistima e di risentimento, per il Faypoult. — 44 - plicità nei moti di settembre, e tra drammatiche vicende persino arrestato su denuncia di un vecchio prete maniaco, sobillato da un medico Trucco. Stette in carcere dal 23 dicembre 1797 al 13 gennaio successivo: uscitone, partì da Genova per non tornarvi più (1). Da questo momento anche Giambattista, che aveva partecipato largamente a preparare la costituzione, si apparta, finché nel settembre 98, coi fratelli Girolamo, Francesco e Gian Pietro e con altri ex nobili, divenuti sospetti, è chiamato a Milano, donde torneranno soltanto durante il consolato (2); cosicché a Genova rimase solo l’ultimo fratello, Vincenzo, che non ebbe vita politica e fu più tardi Rettore delPUniversità. Restava a contendere il campo ai demagoghi più spinti il partito di Corvetto, Carbonara e Ruzza, che voleva ritemprare col vigore della borghesia l’invecchiata macchina governativa e che riteneva utile blandire i Francesi, ormai colla forza delle armi dominatori, e impedire per questa via le prepotenze e i danni che coi dispetti e la resistenza sarebbero stati anche maggiori. Perciò questo partito si atteggiava tutto a francese democratico e repubblicano, esagerando nelle espressioni verbali il proprio sentimento ma sperando anche di dominare il movimento. Ma nè riusciva ad assicurare interamente i francesi (3), nè a frenare Pagitazioue della minoranza rumorosa che, tra alberi della libertà e feste patriottiche, si lacerava in delazioni e vendette e gare ambiziose. Le proclamate libertà degeneravano nelle esagerazioni delle formule vane e della retorica repubblicana, romaneggiante e a base di Bruti e di Cincinnati; degeneravano nelle violenze e negli eccessi dei forsennati, tanto più rumorosi quanto più radicale e improvvisa la conversione. Sulla fine di novembre Faypoult annunciava la sua prossima partenza, avvenuta poi nel febbraio, ed era un sollievo per tutti; piccolo conforto alla delusione che Genova non fosse neppur nominata nella pace con l'Austria e al timore di essere abbandonati alle ambizioni del Piemonte (4). Ma ormai il legato (1) O. Serra, Memorie, pag. Ili; Biooni, pag. 296 sgg.; Sessioni del Governo Provvisorio, pag. 341 sgg. Interessanti lettere con esplicite accuse nella Miscellanea a stampa della Biblioteca Universitaria di Genova, segnata B. VII, 43, e importanti notizie nel Diario (Collezione ecc., voi. 20, pag. 352 sgg.); Gazzetta Nazionale Genovese, 1797, pag. 224, 233 sgg.; 1798, p. 256 sgg.; Il Censore, n. 19, 20, 26: dicembre 97 - gennaio 98, pag. 72, 77, 102. In quella furia di sospetti e di accuse non era risparmiato neppure Agostino Pareto (Gazzetta, n. 23 e 24; 18 e 25 novembre 1797); Il Censore, n. 2, 14 novembre 1797, pag. 5. Sul Pareto v. Serra, Memorie, pag. 96. (2) Il Censore, n. 126, 1 settembre 1798, pag. 298; Clavarino, IV, 45; BlOONl, pag. 312. (3) Sciout, op. cit, pag. 133; Biooni, pag. 310. Tutta la corrispondenza del Boccardo (Colucci, III) lo prova. (4) Unico compenso all’arrendevolezza della Repubblica era stata la cessione dei Feudi imperiali della Scrivia consentita dal Bonaparte a Mombello su richiesta del Serra che naturalmente insiste più volte con legittima compiacenza su questo successo; Memorie, pag. 97 sgg., e 110. •I — 45 — francese aveva compiuto l’opera sua: si accommiatava, andando a Roma, con uno dei soliti roboanti discorsi, cui rispondeva il Corvetto, adattandosi a un’oratoria ben lontana dal suo carattere: « A voi sembrerà di sentire il Genio francese parlare sul Campidoglio di libertà e di virtù con l’ombra dei Bruti e dei Cincinnati » (1). Alla fine del mese fu pubblicata la costituzione, modificata secondo le intese o gli ordini del Bonaparte a Ruzza e Corvetto: un consiglio di Giuniori di 60 membri, uno di Seniori di 30, un Direttorio di 5. Il popolo « tranquillo nelle sue parocchie accettò la costituzione » ; il 2 dicembre ebbe luogo il plebiscito: prima votarono i membri del governo provvisorio, poi gli altri, e tutti favorevolmente; « solo a S. Tommaso uno passò a sinistra, non si seppe se per ripugnanza o per mancanza d’intelletto » (2)- 1 comizi elettorali furono invece agitati, non ostante la significativa tutela delle armi francesi; ed è curioso che in due sezioni abbiano dovuto essere esclusi, per agitazioni e violenze, due medici, Lardito e Vaccarezza (3). Di doppio grado le elezioni: un solo giornale porta l’elenco degli elettori di secondo grado, ai quali spetta di eleggere i rappresentanti: il numero 7 del comizio secondo, nel Quartiere della Libertà, parrocchia di S. Agnese, nella Chiesa Abbaziale di S. Bernardo, è appunto Onofrio Scassi (4). Dal nuovo governo sono esclusi tutti coloro che hanno fatto parte del Provvisorio, eccettuato Corvetto, che è anzi alla testa del Direttorio, nel quale entrano Agostino Maglione, Giorgio Ambrogio Molfino, Paolo Costa e Nicolò Littardi, tutti del corpo legislativo; uomini che il Serra definisce amatori dell’ordine pubblico e del ben generale ma di piccolo cuore e dominati da duplice timore: l’uno che, mutata la fortuna delle armi in Italia, torni al governo la depressa Aristocrazia, l’altro, di tutti i giorni e di tutte le ore, della propria sicurezza personale minacciata dalla moltitudine agitata dai Nobili vendicativi o dai Popolari avidi e ambiziosi (5). Accanto a loro sono come ministri Domenico Assereto (per la polizia), G. B. Rossi (interno e finanze, o (1) Gazzetta Nazionale, n. 37, 20 febbraio 1798; v. Franchetti, Storia (fItalia dal 1789 al 1799, pag. 611, n. 23. (2) Diario, in Collezione ecc., voi. 20, c. 349 v.; Storia filosofica e imparziale della Rivoluzione, ms. cit. pag. 125. Il ministro a Parigi Bartolomeo Boccardo si affretta a darne notizia al Governo e al Bonaparte ripromettendosene i più lieti risultati; Colucci, III, 181 sgg. (3) Diario, c. 354 v. (4) Il Genio repubblicano, n. 1, 3 gennaio 1798, pag. 2. È la riproduzione del manifesto pubblicato dalla Municipalità, di cui una copia è nella miscellanea segnata D bis, 5, 4, 31 della Bibl. Berio. Vi compaiono i più noti cittadini: Corvetto, G. B. Rossi, Agostino Maglione, Bernardo Ruffini e così via, e tra i medici, Giuseppe Podestà, Tomaso Repetto, Leopoldo Olivieri, Gius. Pizzorni, Costa, Pratolongo, Vaccarezza, ecc. (5) 0. Serra, Memorie, pag. 112. - 46 - miserie com’egli diceva), Fr. Maria Ruzza (esteri e giustizia) e Marco Federici (guerra e marina). Il Direttorio s’insedia il 14 gennaio 1798: costituiti ormai i due Consigli, comincia a funzionare la nuova macchina costituzionale. Ma l’abilità accomodante del Corvetto ha qui le sue prove più aspre e difficili. « Sensibile di nervi — dice il Serra — tenero di cuore, di nobile e dolce aspetto, di commovente e grata eloquenza, d’incorrotti costumi e religiosi, dava il suo voto nel Direttorio Ligure e scriveva i suoi proclami con quel ribrezzo istesso che tira il remo un galeotto; ma non aveva petto di bronzo contro a una turba minacciosa sotto le sue finestre o ad un paffuto Patriotta nel suo gabinetto; i suoi colleghi l’assomigliavano in questo » (1). Perciò essi vivono in una perpetua ansia agitata, costretti spesso a provvedimenti che in cuor loro disapprovano ma timorosi del peggio, se si mettono da parte, nello sferrarsi delle discussioni, nel contrasto presto evidente fra Giuniori e Seniori, nelle violente polemiche di stampa in cui tutti tuonano contro l’anarchia e si accusano a vicenda e la rinfocolano, nelle prepotenze demagogiche che strappano anche le dimissioni del ministro Assereto, colpevole di aver condannato certe violenze a teatro, sostituito da Nepomuceno Rossi, sbalzato da commesso di negozio a ministro (2). Meno male che i duemila francesi di guarnigione assicurano la tranquillità pubblica e impediscono che le dispute sulla vera religione e le violente campagne della stampa, in gran parte giansenista, e le continue invettive contro i sacerdoti sospetti, i falsi democratici o i disfattisti e gli aristocratici provochino reazioni come quelle del settembre. « È un po’ caro — commenta dolorosamente la Gazzetta, prendendosela contro i violenti che sognano sempre morte, sangue, terrore ma per la salute della patria .... e poi meglio questo che vedersi minacciate ad ogni momento proprietà e vita da frequenti tumulti popolari, suscitati e diretti dai nemici del buon ordine, della pubblica quiete e della salute della Patria » (3). E il ministro Ruzza, scrive a Luigi Lupi a Parigi sconsolatamente: t Qui si vive sempre fra i timori e fralli dubbii. La subordinazione è ancora un nome senza sostanza. Mi pare ogni giorno più impossibile di poter sussistere in questo stato »; e l’avvenire minaccia di essere anche peggiore (4). Le contribuzioni crescono, le pretese finanziarie francesi non hanno limiti, si deve ricorrere a una odiosa lassa sulle porte e finestre, che determina un vivissimo risentimento nelle Riviere; la situazione fiscale è quasi disperata, nè le riesce di grande aiuto la creazione e la vendita (1) G. Serra, Memorie, pag. 112-113. (2) Clavarino, II, pag. 47 sgg., // Genio repubblicano, 31 marzo 1798, n. 26, pag' 106; Gazzetta Nazionale n. 42, 31 marzo, pag. 348-9. (3) Gazzetta Nazionale di Genova, 6 gennaio 1798, n. 30, a. I, pag. 252. (4) Colucci, voi. Ili, pag. 471. — 47 — dei beni nazionali derivati dalle confische dei beni dei nobili, delle chiese e dei conventi (1); la vita amministrativa e giudiziaria è inceppata dal sistema delle elezioni ai diversi uffici col conseguente scatenarsi di ambizioni e di appetiti, che provoca, per timore del peggio, continui rinvìi dei comizi elettorali (2); la situazione politica nell’assoluta immaturità e impreparazione a forme di governo così nuove e imposte dal di fuori è affatto precaria, cosicché la Gazzetta riconosce esplicitamente che la sorte della Repubblica è « visibilmente legata alla sorte della Repubblica francese e dipende in gran parte il nostro destino dalle disposizioni di quella possente alleata » (3). Parole analoghe ripete più volte Giuseppe Bertuccioni, inviato dalla Repubblica Ligure al Direttorio. I suoi dispacci molto importanti mostrano, anche vista da Parigi, tutta la precarietà del nuovo Stato e insistono specialmente sulla necessità della pace, della legalità e dell’ordine interno. Una sola evenienza indurrebbe la Francia a unire Genova ad altro paese, togliendole l’indipendenza. « Questo è il caso che in Genova si formassero delle fazioni, allora non sarebbe da contar molto sull’indipendenza» E Io stesso dice Luigi Lupi, sostituito al Bertuccioni nell’aprile 98 col preciso incarico di ottenere una netta assicurazione dell’uIteriore indipendenza della Repubblica, di evitare la temuta annessione alla Cisalpina (4) e qualunque ingrandimento del Piemonte sulla Liguria, di conseguire anzi, curiosa e cieca illusione, un ingrandimento territoriale. « La Liguria, seconda la geografica e naturale sua posizione, deve comprendere tutto il tratto che dal fiume Tanaro si stende fino al mare » (5). (1) Provvedimenti in questo senso sono continui nella Raccolta di Leggi e Atti del Corpo legislativo. La canonica della chiesa del Carmine è assegnata come luogo di riunione dei cittadini della parrocchia di S. Agnese, perchè questa chiesa è troppo piccola; il Convento del Carmine è dato per ospedale alle truppe francesi; il convento di S. Domenico come locale per il Direttorio: II, 29, 98, 119 ecc. (2) Raccolta di Leggi e Atti del Corpo legislativo, I, 255, 281. (3) Gazzetta, n. 4, a. II, 7 luglio 1798, pag. 26. (4) Questo era del resto anche il desiderio del Direttorio Francese. Nelle istruzioni all’incaricato di affari Belleville nel 1798 c’era il consiglio di impedire che la Repubblica Ligure e la Cisalpina contraessero troppo stretta unione in modo da desiderare di riunirsi sotto uno stesso governo. Notes et correspondence du Baron Redon de Belleville consul à Livour-ne et à Gènes par H. Du Chanoy, Paris, Librairie Techener, 1892, voi. II, pag. 7 doc. CCI. (5) Colucci, III, 412, 446 sgg., 463, 475. Il Lupi però proponeva misure severe contro i nobili emigrati: « Una buona legge contro l’emigrazione sarebbe, secondo me, la migliore e la più giusta misura contro questi esseri vagabondi, che non avendo alcun principio di patriottismo, non meritano di avere alcuna patria che li difenda e li protegga. Questa misura sarebbe doppiamente vantaggiosa, impugnando da una parte la Cassa Nazionale e rendendo vani dall’altra gl’intrighi dei predetti individui, i quali dichiarati una volta emigrati, saranno espulsi da tutti i paesi liberi, e sospetti agli stessi governi diplomatici, presso i quali dovranno mendicare un asilo* (Lettera 18 agosto 1798, Colucci, III, 364). È probabile che lin queste parole sia anche indicato Gian Carlo Serra col quale il Bertuccioni, predecessore del Lupi, era stato accusato di tramare per l’unione di Genova alla Cisalpina. Se stiamo all’ex — 48 - Alleata si chiama la Francia e la Gazzetta si compiace di ripeterlo, ma il termine è veramente troppo eufemistico, quando, per le trame del generale Brune a Milano e del Sotin, successore del Faypoult a Genova, innestando le nuove passioni sui vecchi odi tradizionali, si spinge la Repubblica Ligure contro il Re di Piemonte (1), e, appena torna utile alla Francia, le si impone di sospendere le ostilità. Questa disgraziata spedizione, cominciata tra giubilo clamoroso con la pomposa dichiarazione di conio giacobino che la Repubblica è amica di tutti i popoli e non soffre violenze dai re, svoltasi fra effimeri successi esaltati con ridicola esagerazione e terminata con indecorose vicende militari e con incomposti ladronecci soldateschi (2), ha ripercussioni infinite nelle ricerche delle responsabilità e determina rinnovate accuse di tradimenti e d’incapacità e inchieste ufficiali e polemiche giornalistiche feroci (3). In seguito alle recriminazioni e alle proteste dei rappresentanti della Riviera di Ponente è decisa la nomina di una commissione per giudicare dei delitti commessi da ufficiali e da truppe liguri in occasione di questa guerra sciagurata; ma questa vittoria degli elementi moderati determina il furioso risentimento dei più accesi, anche direttamente compromessi, e le agitate vicende della commissione hanno un’importanza decisiva sullo svolgersi degli avvenimenti (4). frate poeta e giornalista Luigi Serra, che contro di lui inveisce così nella Lanterna Magica come nei Novemviri, il Lupi era stato la causa della disgrazia del Gian Carlo; e avverso ni nobili lo dice anche Gian Carlo Di Negro nella Autobiografia poetica: * Era Lupi scaltrito ed intrigante - Acerrimo nemico in verità - A chi il titolo avea di nobiltà». Di Gian Carlo Serra si temeva l’influenza sul governo francese e l’alleanza con la marchesa Anna Brignole Sale, v. C. Cantù, Corrispondenze dei diplomatici della Repubblica e del Regno d Italia, Milano, 1884, pag. 22 e 231. (1) Secondo il Clavarino (II, 85) causa occasionale dei dissapori e delle lamentele diplomatiche che condussero alla guerra col Piemonte fu la rappresentazione, ritenuta offensiva dal re di Sardegna, della commedia Furbo per Jurbo di Francesco Serra, uno dei fratelli ili Girolamo e Gian Carlo, giovane di varia e vasta coltura: cfr. Giornale degli Studiosi, 1870, I, pag. 395. , (2) Raccolta di Leggi ed Atti del Corpo legislativo, Genova, 1798, voi. I, pag' sgg., 272. Interessanti particolari nei giornali, specialmente: Gazzetta Nazionale, n. J2 sgg., Genio Repubblicano, n. 46 sgg.; Il Flagello, n. 6 sgg.; Lo Scrutatore, pag. 39, 57, 72 ecc. G. Pessagno, Un episodio della Repubblica Ligure democratica, La presa di Serravallr, tu zetta di Genova, n. 10, 31 ottobre 1917. Colucci, La Repubblica di Genova eia Rivoluzione francese, voi. III, pag. 150 sgg.; Botta, I. XV; Varese, VII, pag. 340 sgg.; Franchetti, Storia d’Italia dal 1789 al 1799, pag. 478 sgg. (3) Terribili le sferzate e le invettive del Flagello diretto dall'ex olivetano Luigi Serra, contro il Censore del Biagini e lo Scrutatore del Marrè: il Biagini, specialmente, è attaccato direttamente con aspra violenza per il suo demagogismo sfrenato e utilitario. Una concreta accusa d’indelicatezza al Biagini provocò l’arresto momentaneo del Serra e la fine del gif,r naie, durato poco più di tre mesi, v. Flagello, n. 16,18 agosto 98, pag. 135, e Scrutatore, n. 15. 18 agosto, pag. 156 e n. 17, 25 agosto, pag. 171. (4) Raccolta di Leggi e Atti del Corpo Legislativo, 1798, voi. Il, pag. 5 sgg., 30 sgg. La Commissione cessa di funzionare alla fine di agosto, ibid. pag. 93. - 49 — Le lotte politiche diventano sempre più astiose e il Sotin soffia nel fuoco : per questo il governo francese lo richiama, tra la commozione e il rincrescimento dei più accesi democratici, che con una lettera del Circolo Costituzionale 10 salutano amico dei patrioti, difensore della libertà, fulminatore del fanatismo prudente : meno male, aggiungono, che il nuovo incaricato d’affari, Belleville, sarà il nostro amico e il flagello degli aristocratici, troppo presto gongolanti per la partenza del Sotin (1). E difatti il Belleville, dopo alcuni tentativi di pacificazione, veri o apparenti, si reca a Milano dal Brune e ne ritorna con l’ordine delle imposte dimissioni ad alcuni dei rappresentanti considerati più pericolosi, quelli specialmente che hanno proposto la commissione d’inchiesta sui recenti fatti della Riviera di Ponente e che ne fanno parte. Sospeso 11 Flagello che li ha sempre sostenuti, si dimettono così uomini di valore, che avranno poi importanti uffici, come Laberio e Ardizzoni (2), il medico De Albertis, al quale il Censore era stato sempre ostilissimo, forse per ragioni personali; la Commissione d’inchiesta è sciolta, e, fatto significativo, tre fratelli Serra, Gaspare Sauli, Giacomo Brignole e Stefano Rivarola sono chiamati a Milano (3): sono quelli che potrebbero far propria l’affermazione del focoso Luigi Serra, che, sebbene « decisamente di genio francese, non poteva però dimenticarsi d’esser nato italiano » (4). Il Direttorio di Francia per mezzo di Talleyrand si rallegra col Belleville del risultato raggiunto: « Le Directoire a appris avec satisfaction l’issue paisible-qu’ont eue les dissensions des premières autoritès de la Ligurie. La démission donnée par les person-nes qui entravaient la marche de la constitution et des lois, ne peut qu’òter aux malveillants et aux niécontents leur point d’appui et permettre au gou- (1) Colucci, III, 522; Scrutatore, 179S, pag. 43, 60. Al Sotin Felice Morando scrive una curiosa lettera di rincrescimento e di ringraziamento e lo prega di raccomandarlo al successore, Censore, n. 98, 28 giugno 98, pag. 286. Il Direttorio aveva dato al Sotin istruzioni di evitare disordini e mantenere la tranquillità; ma le informazioni diplomatiche sulla capacità e l’energia del governo genovese da parte sua e del successore sono affatto sfavorevoli, Colucci, III, 431, 434. (2) Ambrogio Laberio fu insigne avvocato, v. Giornale degli Studiosi, 1869, pag. 284-5; Spotorno, Storia letteraria della Liguria, V. 123-24; Il Censore, pag. 255, 298. Anche più notevole Nicola Ardizzoni o Ardissone, che esercitò rilevante influenza sulla vita politica e intellettuale genovese, v. necrologia in Gazzetta di Genova 5 novembre 1832, n. 88, e biografia in Giornale degli Studiosi 1869, pag. 286-288; seconda appendice agli Elogi dei Liguri Illustri, pag. 138; Codionola, La Giovinezza di G. Mazzini, pag. 116, 133, 202. (3) Arch. di Stato, Oov. Provvisorio, n. 142, 31 agosto e 5 settembre 1798; Il Censore, n. 84. 26 maggio, pag. 232, n. 126, l" settembre, pag. 298; Lo Scrutatore, agosto-settembre, pag. 118, 146, 163, 187-197; Colucci, III, 563 sgg. (4) // Flagello della maldicenza e della calunnia, n. 5, 2 giugno 1798, pag. 46. Sulla interessante figura del Serra, necrologia in Gazzetta di Genova, 1813, pag. 363; Elogio di Nicolò Ardizzoni, Genova, 1814; Biìlqrano, Imbreviature, passim.; Biooni, La caduta ecc., pag. 256 e passim., ma molte notizie sarebbero da ricavare dai giornali del tempo. 4 — 50 - vernement ligurien de s’occuper avec plus de fruit de la restauration de ses finances et de la prosperité publique » (l). A lor volta i giacobini genovesi si vantano d’aver avuto il loro fruttidoro, come l’anno prima la Francia con l’arresto dei realisti (2). In questo ambiente i più violenti prendono la mano alle intenzioni moderate dei capi, accusati spesso di soverchia fiacchezza e debolezza, e i partiti e gl’individui si lacerano con rabbia furiosa nell illusione di sentirsi liberi, e sugli eccitamenti francesi si crea un Circolo Costituzionale, centro di propaganda patriottica a tipo nettamente giacobino (3), e, mentre sono frequenti e ufficiali le lamentele per le tristi condizioni della morale e della sicurezza pubblica (4), si moltiplicano le leggi contro i sospetti e gli allarmisti (5) e, su petizione di cittadini che si offrono di provvedere alle spese, si eleva agli onori di monumento nazionale, dedicandola con un’epigrafe alla Rigenerazione ligure e donandola al benemerito cittadino, la famosa farmacia dell’ « immortale » Morando, paragonato iperbolicamente a Guglielmo Teli (6). Parole non sono state risparmiate per onorare quel non molto eroico preparatore di rivoluzione, « la benemerenza del quale, si diceva, avrebbe meritato non un’iscrizione, ma un tempio dedicato alla Libertà e alla Legge » (7); e (1) Notes et correspondence du Baron Redon de Belleville ecc., voi. Il, pag. 47, doc. CCXXXII. (2) Scrutatore, pag. 156.. (3) Il Censore, n. 43, 20 febbraio 1798, pag. 170; Gazzetta Nazionale, n. 42, 31 marzo, pag. 349. Si radunava, diceva, a scopo di educazione popolare nella chiesa di S. Girolamo presso l’Università. Pubblicava un giornale intitolato appunto Circolo Costituzionale di Genova, di cui alla Biblioteca Universitaria si conserva un volume dal 22 febbraio al 23 aprile 1798. V. anche Mannucci, Il Circolo Costituzionale, in Giornale Storico Letterario della Liguria, 1926, fase. II. (4) ♦ È pressoché generale la depravazione dei costumi. Continui sono gl insulti che fanno i figliuoli ai padri. L’insubordinazione delle mogli al marito e de’ claustrali ai superiori è assai frequente » lamenta il Comitato di Polizia. E il Consiglio dei Giuniori rimette il reclamo alla Commissione perchè ne faccia un rapporto! Gazzetta Nazionale, n. 19, 20 ottobre 1798, pag. 149 e cfr. pag. 151, 175 ecc. (5) Raccolta delle leggi ed atti del Corpo Legislativo della Repubblica Ligure, Genova, 1798, voi. I, pag. 135, 178; II, 147, 172, ecc. (6) L’iscrizione e le deliberazioni dei consigli sono in DESODOARDS, Storia filosofica ed imparziale ecc., XV, 95 sgg.; Raccolta delle leggi ed atti ecc. voi. I, pag. 156; cfr. Gazzetta Nazionale n. 52, 9 giugno 98, pag. 426; Il Censore, 18 novembre 1797, pag. 12; 18 giugno 1798, n. 91, pag. 258. L’attuazione non fu però molto facile e provocò lunghe trattative e pratiche per l’opposizione della proprietaria del locale, espropriato per utilità pubblica, Miscellanea di fogli diversi, segnata 2 C. v bis n. 50, nella Biblioteca Universitaria di Oenova. (7) Il Genio Repubblicano, n. 47, 13 giugno 1798, pag. 189. Dopo i moti del settembre 97, il Morando — di sua iniziativa o strumento di mire altrui? — si era fatto ancora vivo offrendo al governo alcuni « pensieri » come dovuto tributo alla patria. Consistevano nella proposta del disarmo generale, del cambio di tutti i parroci nei distretti insorti, nel togliere le campane a tutti i luoghi insorti e negli altri riservare il suono a chiamare i cittadini alle adunanze, nel richiamare entro quindici giorni gli ex nobili, nel proibire a tutti i preti di essere agenti di ex nobili o di cittadini. Il « progetto difesa » come lo chiamava, redatto in — 51 — all esaltazione dovè contribuire come relatore del progetto anche l’Ardizzoni, clic puie non era violento demagogo e che neanche questa volta accontentò gli energumeni del Censore. * * * È naturale che un’esaltazione così diffusa in tutti gli ordini si estendesse anche nel mondo scolastico e che persino le agitazioni delle scolaresche e le questioni personali e di metodo tra gl’insegnanti si rivestissero dei pretesti e del frasario dei tempi nuovi. Un episodio tipico riguarda appunto lo Scassi, ed è singolare per questo che si tratta di una protesta di scolari avvalorata da un atto notarile. In quale momento l’episodio debba precisamente porsi non risulta: certo nel primo anno della nuova repubblica, tra il giugno 97 e il giugno 98; ma i termini possono ancora restringersi. Poiché la questione ha dovuto essere clamorosa, mi pare non possa porsi avanti al novembre 97, quando la Gazzetta notava che « molti dei professori dell’Università hanno già ben meritato della patria e sono cari alla nazione non solo per i loro lumi quanto per il loro coraggioso attaccamento alla Democrazia e Libertà» (1), ma è certo anteriore all’aprile 1798, quando nella questione, o piuttosto a mitigarne le conseguenze, interveniva il Governo. Veramente le scuole di medicina avevano sempre dato da fare e sembra che i risultati non fossero, almeno nel passato, conformi all’aspettazione dei cittadini e dello Stato. Fondate nell’Ospedale di Pammatone nel secolo XVII (2), nel 1771, su proposta dei Dodici Protettori dell’Ospedale, il Senato pensò a regolarle meglio, « al fine di provvedere di ottimi medici la città e lo Stato » rendendo più severi gli studi che dovevano durare almeno quattro anni, più rigorosi gli esami ormai ridotti a una pura formalità, e dando maggiore autorità e decoro ai Lettori, accordando loro il titolo di Magnifici (3). Ma sebbene nel 1773 la sorveglianza su tutte le scuole universitarie, e quindi anche su quelle di medicina, fosse tolta ai Gesuiti, le cose pare non andassero troppo bene, se nel 1793 si stabilivano ancora nuove norme per conseguire la laurea in medicina (4). Il diritto di conferire il titolo dottorale spettava al Collegio medico che ne era geloso e ostacolava coloro che, come bella calligrafia, e firmato con firma autografa stentata e tremante (il Morando aveva 76 anni) è stato messo agli atti senza provvedimenti. Arch. di Stato di Genova, Governo Provvisorio, filza n. 29. (1) Gazzetta Nazionale, n. 21, 4 nov. 1797, pag. 176. (2) Isnardi, Storia delPUniversità, 1, pag. 229. (3) Levati, I Dogi ecc., 1771-1797, pag. 106. (4) Avvisi, a. 1793, pag. 100 sgg., 105 sgg. - 52 - il Batt, venivano di fuori e ottenevano dal Senato la validità del loro diploma (1). Avvenuto il rivolgimento politico, il Collegio dei medici, che è stato dei primi a mandare la sua brava commissione al governo provvisorio per far atto di adesione alla repubblica e alla democrazia e scambiare « l’abbraccio fraterno», coglie l’occasione per chiedere si ristabilisca I 01 dine nel grande ospedale di Pammatone, in sostanza perchè gli sia confermato il diritto di conferire la iaurea dottorale. Ma il Governo, dopo aver dato buone promesse, risponde che il Collegio dei Medici è rimasto provvisoriamente in vigore, a termini della costituzione, soltanto riguardo ai suoi particolari interessi, non per quanto si riferisce al privilegio di far Medici, « giacché tutti i giusprivativi e privilegi sono affatto incompatibili coll’attuale nostro Governo Democratico ». Ne viene un conflitto, specialmente col ministro dell’interno e delle finanze G. B. Rossi, e il Direttorio Esecutivo ne riferisce al Consiglio dei Giuniori che, al solito, rimedia nominando una commissione. « Fanno ri dere la società — commenta la Gazzetta del 27 ottobre 1798 — gli estremi moti irregolari di questa estinta corporazione, e ricordano i famosi versi del Ricciardetto: « 11 pover’uom, che non se n’era accorto — andava combattendo ed era morto » (2). In questa contesa non entra lo Scassi, perchè è dell 11 ottobre una lettera del Ministro Rossi al Direttorio Esecutivo, nella quale si parla di lui molto favorevolmente, proponendolo per l’istituto Nazionale, e lo si dice già Presidente dell’ex Collegio de’ Medici; ma deve aver lasciato la carica da ben pochi giorni, e forse appunto per queste questioni e in considerazione dei buoni rapporti col Rossi, se ancora il 27 settembre firma, come presidente appunto, la dichiarazione di idoneità all’esercizio della medicina di un Vincenzo Bonelli (3). Comunque, ne ha fatto di strada in due anni, lui che nel 96 era l’ultimo iscritto nel Collegio dei medici. Carattere aspro ed esigente, decisamente avverso alle teorie browniane, Nicolò Olivari, che fin dal 1789 aveva proposto l’istituzione di una scuola clinica a modo di quelle delle altre università italiane e straniere e l’aveva per primo coperta, molto si doleva della eccessiva facilità degli studi e della corrività nell'accordare i titoli dottorali e ne proponeva anche al governo i rimedi (4). Questa sua severità, congiunta all’aspro carattere, duro e fermo, incapace di duttilità e di arrendevolezze, gli procurarono certo l’avversione (1) Levati, pag. 463 sgg. Nel 1794 un Gaetano Regalbuto laureato in Sicilia chiede al Senato, citando il precedente del Batt, il riconoscimento del suo titolo, Arch. di Stato, Genova, Collegi Diversorum, n. 387, 15 dicembre 1794. (2) Gazzetta Nazionale, n. 17, 6 ottobre 1798, pag. 132; n. 20, 27 ottobre, pag. 162, ISNARDI, li, 99. (3) Arch. di Stato, Genova, Governo Provvisorio, Sala 50, n. 98, Decreti Commissione di Governo, lettera 27 settembre 1798. (4) ISNARDI, II, 133. — 53 - degli studenti, ai quali lo Scassi, più giovane e recente di studi e vicino di sentimenti, ma sopra tutto insinuante e cortese di modi, doveva apparire preferibile ed essere più gradito. Cosicché gli studenti si indussero, semplicemente, a chiedere la rimozione di un maestro — il linguaggio di moda non poteva mancare — dovuto soltanto alla « capricciosa elezione dei defunti oligarchi » e, saputo che si accusava lo Scassi di averli sobillati, dichiaravano con atto notarile che soltanto la cura della loro utilità li aveva spinti (1), e rivolgevano all’Olivari una pubblica lettera che merita d’essere integralmente riferita (2): « Cittadino, * Ci viene supposto, che siasi sparsa voce da voi, o altri simili a voi, che delle nostre petizioni presentate al Comitato dello Spedale, affinchè siate ammosso dalla carica, che finora occupaste, sia stato il motore il Medico Scassi Professore di Medicina Teorica, nostro maestro. In atti del Pubblico Notaro Pietro Assereto in Banchi abbiamo attestato, che il motore unico delle nostre dimande fu il giusto desiderio del proprio vantaggio, che ci abilita a ricorrere a chi presiede, ed invigila a questo oggetto per essere provveduti d’un maestro, che non ne abbia il nome solo, costituito dalla capricciosa elezione dei defunti oligarchi, che si lasciavano sedurre dalle raccomandazioni, ma ne abbia le qualità personali, i requisiti necessari, il merito intrinseco. « Il nostro Scassi fu assai sorpreso il giorno stesso della nostra petizione del chiazzo, e dello strepito, che cagionarono al suo arrivo nell’Ospedale gli evviva, e le replicate battute di mano, che volevano significargli i nostri applausi, il gradimento, la riconoscenza, che dobbiamo alle sue fatiche nell’istru-irci con somma chiarezza, eloquenza ed erudizione nelle sue instituzioni, e fu informato dell’occorso terminata la sua lezione; quale interesse credete potesse indurlo a questi intrighi, indegni d’un uomo onesto? Forse una qualche gelosia in riputazione? Risponda per noi la pubblica opinione. Per occupare forse la vostra Cattedra? Esso è assai contento della sua piazza, nè vi ha mai aspirato. Assicuratevi, siate tranquillo, che non avrete mai l’onore di averlo per rivale. Si dice pure, che il nostro spirito sia stato indisposto contro di voi per aver succhiato dalla Teorica dei principi contrari al vostro sistema. Su questo punto è necessario far sapere al pubblico, che il nostro maestro Scassi (1) Nelle filze del Notaio Pietro Assereto conservate nell’Archivio Notarile di Genova non mi è riuscito di trovare la dichiarazione degli studenti. (2) Foglio a stampa in Archivio Sauli: Lettera dei Studenti di Medicina al Medico Olivari, Genova, nella Stamperia Francese e Italiana degli Amici della Libertà, Vico della Maddalena, n. 500, Anno primo della Repubblica Ligure. — 54 - ha adottato per testo, e base delle sue lezioni un libro intitolato: Conspectus Medicinae Theorìcae Auctore Jacobo Gregory, del di cui merito basterà dire, che fu Professore di Medicina Teorica, e adesso lo è di pratica nell’Università celebre di Edimburgo, primaria scuola, per confessione di tutti, di Medicina in Europa, ove fu suo scolaro il nostro Professore Scassi; questo stesso serve di testo per le lezioni di Medicina Teorica neH’Università di Oxford, di Gottinga, in Londra, in Pavia ed in altre Università. Nelle sue lezioni il nostro Maestro suole comunicarci le sue riflessioni sul testo medesimo, ci espone le diverse opinioni antiche, e moderne, ci indica le più vicine alla verità, e qualche volta, è vero, ricorre nella spiegazione dei Fenomeni alla Teorica Brauniana; ma esso non è stato mai seguace per disegno di alcun sistema, e ci ha sempre fatto conoscere i pericoli, che si corrono nell’abbracciare ciecamente una dottrina, e ci ha incoraggiti costantemente a riflettere sui precetti del Professore, a ponderarli con maturità, a non giurare mai servilmente in Verba Magistri, e ad attenerci a quei principi, che ci additerà la ragione e l’esperienza. « Premesso questo, che può disingannare chiunque si lascia sorprendere da qualche parziale informazione, sapete voi, per quale ragione non vi amiamo, e non vi stimiamo? Perchè le vostre lezioni sono poco chiare, poco istruttive, e poco conformi ai buoni principi; e di questa verità sapete da che ne siamo convinti? dall’infelice successo dell’applicazione de’vostri insegnamenti su gli ammalati. Consultate le Storie della Clinica, che esistono nel vostro archivio, ma eziandio nelle vostre mani, leggete i pronunciati vostri Diagnostici, i vostri giudizj sulle Malattie, e vedrete in qual guisa sono stati realizzati nelle sezioni dei Cadaveri coll’inspezione dei Visceri. Interrogate tutti i Medici assistenti dello Spedale se possono persuadere gli Ammalati ad occupare i letti della Clinica, intimoriti dalla relazione degli avvenimenti. Parlino i stessi Infermieri, e finalmente si ascolti la voce pubblica, parli la Città, e dica quale è la vostra riputazione, e decida la facoltà Medica, se voi meritate la massima dignità nell’arte Medica. «Tutto questo, che siamo pronti a provare a qualunque Tribunale, speriamo, che basterà a farvi conoscere i nostri sentimenti; ma se mai nonostante questo aveste l’ardire di calunniare il nostro Maestro Scassi, siate certo, che noi abbiamo per lui tutto l’attaccamento possibile ispirato dal suo merito, e sappiate voi, e sappia chiunque vi sostiene, che la legge punisce severamente i calunniatori, le false imputazioni, e che nello stato di Libertà, d’Uguaglianza ogni Cittadino ha il diritto di essere rispettato, e di esigere soddisfazione qualora venisse offeso, e da questa legge, che si estende a tutti i Cittadini, non sono escluse le Autorità Costituite. «Gli Studenti sottoscritti nella Petizione*. — 55 — La lettura di questa protesta non toglie ogni dubbio sulla partecipazione dello Scassi alla sua composizione; certi dati sono forniti certamente da lui, non foss’altro che per purgarsi di un’ingiusta accusa. E la lettera non solo conferma che egli aveva fatto prima adesione al nuovo ordine di cose, ma contiene l’eco di dispute di carattere scientifico, allora vivissime nel campo medico. L’accenno alla teoria brauniana, fondata da John Brown e sostenuta in Italia particolarmente da Giovanni Rasori professore a Pavia, uomo di agitata vita scientifica e politica (1), porta appunto in mezzo a questioni che furono dibattute con aspra, passionata violenza. Sosteneva quella teoria, alla quale si attribuirono più vittime che alla rivoluzione francese, che la vita nella sua essenza non è uno stato normale e spontaneo, ma costretto e mantenuto da continui stimoli e che perciò la normale eccitabilità degli organi e l’esatta dosatura degli stimoli costituiscono lo stato di salute; la sua terapia consisteva quindi nel prescrivere dei sedativi negli stati di soverchia eccitazione e degli eccitanti negli stati di depressione (2). Gli attacchi del Brown a Ippocrate e alla sua scuola, che offendevano la mentalità dei medici del tempo, hanno avuto gran parte nel rendergli avversi i più dei sanitari e degli scienziati italiani, e nella scuola genovese l’Olivari gli fu irriducibilmente contrario, con una violenza resa più acre dal suo fiero carattere (3). Ma neanche si può dire che Io Scassi fosse un ammiratore di quella teoria, che non appare seguita nelle sue opere scientifiche, cosicché quel che gli studenti dicono ha l’aspetto di rispondere a verità, come risponde al suo carattere critico e guardingo; e l’accusa può effettivamente esser derivata da impulsività e dall’avversione cieca al sistema da parte delPOIivari, che non lo voleva degnare neppure di discussione. Comunque, questa questione veniva ad accrescere il disordine non lieve dell’ospedale di Pammatone e delle scuole di medicina, cosicché era necessario l’intervento del governo a ristabilire la calma e a far riprendere le lezioni interrotte. L’11 aprile 1798 il ministro dell’interno e delle finanze scriveva aH’Olivari, allo Scassi e anche al Pratolongo, lettore anatomico, invitandoli a riprendere i corsi (4). Le frequenti riforme posteriori negli studi medici e nel conferimento del titolo accademico e professionale dimostrano però che i malanni non erano scomparsi; l’istituto Nazionale specialmente dovè occuparsene, come si occupò dell’istruzione in genere, anche nei suoi stadi inferiori. (1) Frati, Ricordi di prigionia, memorie autobiografiche e frammenti poetici di Giovanni Rasori, Torino, Bocca, 1919. (2) L. CASTIOLIONI, Storia della Medicina, Milano, Unitas, 1927, pag. 599, 604 sgg. (3) Gazzetta di Genova, n. 2, 5 gennaio 1820, pag. 5: necrologia delPOIivari, morto il 2 gennaio. (4) Isnardi, II, 134. in verità, l’istruzione lasciava molto a desiderare; le poche scuole esistenti, messe su alla meglio dopo la partenza dei Gesuiti e affidate egualmente a ordini religiosi, funzionavano molto male; le lamentele erano generali, e un biglietto di calice, scritto con opportuno buon senso, chiedeva si badasse non a « formare dei filosofi speculatori, tanti geni sublimi per accrescere i fasti dell'Accademia, ma bensì cittadini più abili al loro paese, più istruiti dei doveri dell’uomo, più a portata di eseguire le regole della giustizia e dell’equità ». E parole più aspre scriveva il nobile riformatore Luca Gentile (1). S’intende che il movimento rivoluzionario doveva toccare anche questo campo e gli Scolopi, che ebbero gran parte nella rivoluzione come nel Circolo Costituzionale, furono pronti a dare un carattere democratico ed esaltato al loro insegnamento. Ma già il Bastide notava sensatamente che se era necessario dare un nuovo indirizzo all’istruzione e alPeducazione, pessimamente avviate, a suo giudizio, allora in Italia e a Genova in particolare, era indispensabile evitare il pericolo di affidare i giovani a spiriti esaltati e sembrava, presago, prevedere dall’educazione a base di nuove idee di libertà conseguenze non liete, almeno per lo spirito dominatore del suo paese: « Ajotons à ces considerations que l’orgueuil caractérise l’ésprit italien, parce qu’il se souvient de la noblesse de son origine; et que presque toujours, et naturel-lement, un étre fier, lorsqu’il rompt ses chaines devient semblable à un torrent qui renverse ses digues » (2). L’affermazione della necessità dell’istruzione diventò generale, e il bisogno di adattarla alle nuove istituzioni uno dei motivi più frequenti e ripetuti, e fu consacrato anche nell’articolo 305 della Costituzione. Aprì la serie dei provvedimenti la Municipalità di Genova, costituitasi nel luglio 1797, e nella quale entrarono molti dei più accesi che non avevano potuto entrare nei Consigli legislativi, i medici Figari e Repetto, l’avvocato Gaetano Marrè e l’abate Cuneo che ne fu vicepresidente e aprì la prima seduta con un pomposo discorso a base di Bruto e di odio agli aristocratici e ai tiranni (3). Cominciò essa dallo stabilire che i Bibliotecari delle pubbliche biblioteche dessero liberamente in lettura qualunque libro di materia religiosa, proti) Levati, IV, pag. 442 sgg. (2) Considerations libres sur la Revolution de Gènes, Paris (Oenova) 1798; pag. 41. (3) Registro Sessioni del Governo Provvisorio, pag. 98, 117, 120 ecc. Il Censore, n. 103, pag. 207, 10 luglio 1797. Il Cuneo, che il Serra (Memorie, pag. 65) chiama ripetitore affettato de’ più melati e ingannevoli giornali francesi », si era dato un gran da fare nelle giornate torbide del maggio e chiedeva poi compensi per il sangue versato, onde un tale gl' mandò in dono due sanguinacci, asserendo che il sangue in essi contenuto era sufficiente a risarcire quel che diceva versato da lui. Storia filosofica ed imparziale, ms. cit., pag. 162. - 57 - vocando vive proteste e risentimenti anche a Roma (l), poi nominò una commissione con l’incarico di preparare un metodo o piano di pubblica istruzione da adottarsi da tutta la repubblica o almeno da servir di norma alla futura costituzione (2). * Si parla insistentemente di un piano d’istruzione democratica in tutte le parti della Repubblica — scrive poco dopo la Gazzetta — le circostanze lo esigono imperiosamente. Senza istruzione non vi sarà mai nè Repubblica, nè democrazia » (3). Anche il Circolo Costituzionale proponeva l’istituzione di una « scuola di pubblica, di vera istruzione, la quale, pel sentiero della virtù, guidasse il Popolo Ligure alla verace cognizione dei suoi diritti e dei suoi doveri » (4) e in una delle prime adunanze una Pastoni, cisalpina, pronunciò dalla bigoncia un elegante discorso, molto applaudito, sopra un suo Piano di educazione per le cittadine (5), argomento molto urgente e trattato, se allo stesso Circolo una Paolina Bertolotti parlò ancora sulla necessità di dare migliore educazione alle donne, essa « che per la prima ne aveva bisogno » commenta malignamente l’annalista (6). Tuttavia non sembra che per il momento si sia fatto nulla: appariva più semplice lasciare il peso di ogni decisione ai futuri Consigli Legislativi. Infatti, costituito il Governo regolare, il Consiglio dei Giuniori il 13 febbraio nominava una commissione per un Piano di pubblica istruzione costituita dai rappresentanti Laberio, Lupi, Montesisto, Morchio, Vinzoni (7). Appartenevano all’ala più moderata, interpreti delle tendenze del Direttorio, i nuovi commissari, dei quali anzi Laberio e Morchio furono costretti a dimettersi nel settembre, il Lupi fu assunto al Direttorio nel 99, e l’assunzione del Morchio allo stesso ufficio nell’ottobre di quell’anno determinò violente campagne di stampa e vivaci proteste del Belleville (8). (1) Collez. Appunti e documenti, voi. 9, pag. 69. (2) Giornale degli Amici del Popolo, n. 12, 4 luglio 1797, n. 47. (3) Gazzetta Nazionale, 30 settembre 1797, pag. 141. (4) Circolo Costituzionale, 1798, Genova, Discorso proemiale, pag. 3. (5) Gazzetta Nazionale, n. 42, 31 marzo 1798, pag. 349; L’Epoca Ligure, Memorie degli anni 1797-99, voi. Il, pag. 121 sgg. Naturalmente dedicato a Faypoult, il Piano fu pubblicato ancora nel 1798 dalla stamperia Frugoni e Lobero e provocò gli scherni e le invettive di Luioi Serra il quale della Pastoni, dirà nella Lanterna Magica che * Cresciuta fra i disordini - Dettò precetti solidi - Per regolar dei Giovani - La prima pubertà ». (Bibl. Univ. Genova, Ms. G. v. 26, stanza 99). (6) Clavarino, II, pag. 52. (7) Gazzetta Nazionale, n. 36, 17 febbraio 1798, pag. 300. (8) Sul Laberio, v. pag. 49 nota 2. Sul Lupi, Giornale degli Studiosi, 1869, pag. 67; Il Censore, a. I, n. 2, 3 sgg.; continue notizie nei giornali e nelle raccolte di atti politici del tempo. Sul Montesisto, A. Bruno, Montesisto march. Carlo, Savona, 1891; Il Censore, 9 giugno 1798, n. 90, pag. 254. Sul Morchio, Spotorno, v; Il Censore, n. 126, pag. 298, e Monitore ligure 19 ottobre 1799, pag. 36, 46 sgg. — 58 - 11 Consiglio doveva avere un’idea molto vaga del problema da risolvere e delle sue difficoltà, poiché assegnava alla commissione quindici giorni di tempo per riferire, ed essa invece non aveva ancora compiuto il suo lavoro quando, nella seduta del primo di maggio, Giuseppe De Ainbrosis, quasi a prevenirla, presentava un suo progetto « sgombro da quello spirito di pedanteria, che può bensì bene spesso soffocare i talenti, ma non mai svilupparli ». Su proposta Queirolo fu deliberata la pubblicazione del discorso e del Piano De Ambrosis (1), ma non ne resta traccia. Quella discussione e la deliberazione del Consiglio spingevano però il Governo a mostrare che non si disinteressava della questione e la Commissione ad affrettare le proposte. Il 2 giugno G. B. Rossi proponeva che tutti i Maestri di Grammatica, Retto-rica, Logica e Metafisica che avessero scuola pubblica o privata, finché non fosse posto in attività per tutta la Repubblica un piano generale di pubblica istruzione, fossero tenuti in un giorno di ogni settimana a spiegare con chiarezza e precisione ai loro scolari almeno tre articoli della Costituzione: era una soddisfazione data ai più accesi (2). Due giorni dopo, Montesisto presentava a sua volta, a nome della Commissione, e preceduto, naturalmente, da « un eccellente, lungo e ragionato discorso », un piano generale, non solo per le scuole da stabilirsi in tutta la repubblica, ma per la fondazione di un Istituto Nazionale, previsto anch’esso da un articolo (il 312) della Costituzione; e, al solito, il Consiglio dei 60 ne deliberava la stampa e I aggiornamento (3). E per qualche tempo non se ne parla più, finché a rompere l’alto sonno nella testa dei legislatori, occupati in tante altre cose e nelle eterne beghe ecclesiastiche, interviene ancora De Ambrosis a richiamare « l’attenzione sulla necessità di attivare la pubblica istruzione, la quale è il primo bisogno di un Popolo Libero ». E ce n’è urgenza, rincalza a commento la Gazzetta, perchè: « Le scuole destinate a quest’oggetto conservano tuttavia un sistema barbaro e pedantesco, che invece d’illuminare i giovani ritarda i progressi dello spirito umano ed eternizza l’ignoranza. Perchè almeno non si organizzano le primarie scuole normali dirette ad istillare nei cuori dei giovani i principi della Democrazia e le massime di una sana morale? 0 perchè piuttosto non si eleggono i membri dell’istituto Nazionale e si rimette a questo di occuparsi del progetto dell’organizzazione delle scuole? » (4). (1) Il Censore, n. 75, 5 maggio 1798, pag 193. Dell’opera del De Ambrosis, attivissimo nei Consigli e nelle Commissioni, sono pieni i giornali del tempo e gli atti ufficiali. Fece parte dell’istituto Nazionale: è figura che meriterebbe d’essere illustrata. Il Queirolo è l’uccisore di Sebastiano Biagini, fucilato nel 99. Cfr. Gazzetta Nazionale, Il Censore, Il Monitore ligure, febbraio-marzo 1799 e A. CodiGnola, La Giovinola di G. Mazzini, pag. 116. (2) Arch. Stato di Genova, Governo Prov., Sala 50, n. 142. (3) Gazzetta Nazionale, n. 52, 9 giugno, p. 424; Il Censore, n. 90, 9 giugno, pag. 254. (4) Gazzetta Nazionale n. 12, 1“ settembre 1798, pag. 94. — 59 — Appare qui per la prima volta indicata la via che sarà effettivamente seguita. Ma è strano che frattanto, mentre si aspetta di discutere le proposte della Commissione, si approva una breve legge per le scuole repubblicane, limitata alle scuole primarie, nelle quali si devono insegnare la lettura, la scrittura, gli elementi di calcolo, i principi della morale e la costituzione: sono obbligatori anche gli esercizi militari (1). E nei giorni appunto nei quali si approva la nuova legge, è pubblicato anche un regolamento interinale per l’Università, limitato però a materia disciplinare, per opera del ministro O. B Rossi, al quale era stata affidata la sorveglianza suH’Università (2). Finalmente il 25 settembre si apre la discussione sull'istituto Nazionale. I punti più discussi riguardano il numero dei membri e gli onori e il cerimoniale loro riservato. La commissione ne ha proposto 40. Queirolo li vorrebbe ridotti a 20 e De Ambrosis a 18, perchè « il nostro Stato deve vivere più di arti e industrie e commercio che di scienze sublimi ». Rimane stabilito che saranno 36, divisi in due classi di tre sezioni, in ciascuna delle quali, accanto ai sei soci residenti, ci saranno sei associati. Quanto agli onori e al posto nelle cerimonie pubbliche, la motivazione di dar loro il primo posto dopo il Direttorio e i ministri è abbastanza curiosa: « La cassa è povera; diamo loro almeno del fumo, vadano dietro al Direttorio e ai Ministri ». Ma si fa osservare che il Tribunale di Cassazione rappresenta uno dei poteri dello Stato e deve avere la precedenza (3). Passata al Consiglio dei Seniori e affidata a una sua commissione il 26 settembre, la legge è approvata e promulgata il 5 ottobre (4). Veniva ora per il Governo un lavoro ben difficile, la scelta dei nuovi accademici, resa ardua, com’è naturale, dal numero degli aspiranti e dalle pressioni di ogni sorta: molti, commenta ironicamente un giornale, « si sentono capaci di fare la felicità della Nazione ». Perciò il Direttorio Esecutivo è in grave imbarazzo, anche perchè si sente ripetere di frequente l’invito alla cautela nella scelta, perchè * questi uomini, che devono supporsi i più illuminati, saranno, per così dire, il termometro del ligure sapere » (5). (1) L’Epoca ligure, miscellanea della Bibl. Universitaria, voi. Il, pag. 499; Raccolta delle Leggi ed Atti del Corpo Legislativo, voi. Il, n. 77, pag. 103. La legge è approvata dai Giuniori il 7 settembre, dai Seniori il 10 ed emanata dal Direttorio Esecutivo l’il. (2) Collezione dei proclami pubblicati dai ministri, Genova, Stamperia Franchelli, 1S01, n. 18, pag. 29; ISNARDl, II, pag. 103. (3) Gazzetta Nazionale, n. 16, 29 settembre, pag. 126. (4) Arch. di Stato, Ooverno Provvisorio, n. 142, 5 ottobre 1798; Raccolta delle Leggi ed Atti del Corpo Legislativo, voi. Il, n. 106, pag. 141; Gazzetta Nazionale n. 17, 6 ottobre, pag. 136. (5) H Censore, n. 149, 25 ottobre 1798, pag. 390 e n. 1 dell’anno II, 1° novembre 1798, pag. 2. — 60 - Tipica, come esempio di queste pressioni, è una lettera del ministro dell’interno G. B. Rossi al Direttorio Esecutivo, che si riferisce appunto a Onofrio Scassi; tipica perchè con una opportunità che appare veramente discutibile, data la sua condizione ufficiale, e con una sincerità priva di scrupoli, pone insieme la candidatura propria e quella dello Scassi, quasi con l’aria di far passare la meno degna sotto l'egida di quella del medico illustre, e dà anche interessanti notizie di sè, ma più del candidato maggiore: « Libertà R. L. Eguaglianza. « 11 Ministro dell’interiore al Direttorio Esecutivo. « Fra le attribuzioni accordate dalla Legge al Ministro dell'interiore trovo di dover esso invigilare all’Agricoltura, al Commercio, alle Arti, invenzioni, manifatture e alle Industrie in generale. « Voi, Cittadini Direttori, troppo parziali nel giudicare della mia insufficienza mi onoraste di chiamarmi a d" Ministero: sarà troppo ardire, ma appoggiato sempre alla medesima vostra bontà io vi avanzo la più trepida preghiera per essere da voi inscritto in altro de’ membri residenti dell’istituto Nazionale della prima classe, di quella cioè, che appunto corrisponde all’Agricoltura, al Commercio, alle Arti. So che mancano in me le cognizioni corrispondenti, ma so, che sento tuttavia una grande avidità di acquistarne e che il vostro favore raddoppierà i miei sforzi. « Se vi ho parlato finora di un Ricorrente di poco merito e bisognoso di grande indulgenza, vi presento però a grande compenso le istanze del cittadino Scasso, già Presidente dell’ex Collegio de’ Medici, stalo negli anni addietro laureato nella Medicina qui in Genova e che tuttavia dopo di essa Laurea ha continuato proffondi studi sotto del celebre medico Franch a Pavia, che l’ho veduto io medesimo a Londra frequentante le lezioni di un celeberrimo Professore, che successivamente ha passato alcuni anni all’Università di Edimburgo, ove ha presieduto società scientifiche, ove ha riportalo il premio sul problema proposto in quell’anno ed ove finalmente è stato inscritto alla Reale Società come dagli onorevoli attestati che porta seco. Attualmente il d. citt. Scasso occupa degnamente la Cattedra di Medicina teoretica allo Spedale e volontariamente vi ha introdotto lo studio di Boffanica nella cui scienza è pure celeberrimo, insomma quest’uomo può dirsi più che Letterato, e mettendo sulla bilancia questi due Petizionari, aggiungendo all’uno quello che cresce all’altro potreste cavarne un adeguato graziabile. — Mi è già stalo esibito il più ricco Orto Bottanico che si trovi nella Centrale, e non sono fuor — 61 — di lusinga di unirlo ad altro, e di poter gareggiare in questo genere colle primarie Università. « So che non abbisognate di sprone per sollecitarvi per promuovere le arti, le scienze e la pubblica istruzione, ma tuttavia nella qualità di buon cittadino io non cesserò mai di raccomandarvele perchè troppo importanti e troppo bisognose per noi ne sono le conseguenze. « Salute e rispetto. Rossi » Dalle Camere, li 11 ottobre 1798, Anno II (1). Commerciante, uomo del quale non rimane alcuna traccia di attività scientifica, (2) non si vede quali cospicui meriti indicassero il Rossi a membro di un’Accademia, anche se con nome mutato; e in verità sembra peccare del solito ottimismo di occasione l’iscrizione funeraria compostagli da un amico, dove, accennate le diverse cariche e gli onori avuti, compreso l’accademico, si aggiunge: « quae munera sine ambitu suscepta religiose abstinenter efficaciter gessit » (3). Certo fu uomo attivo e molto contribuì al mantenimento dell’ordine; ministro deH’interno e delle finanze, ebbe sulle spalle un carico veramente poderoso e pose neH’adempiere alla sua funzione la miglior volontà. Come membro della Giunta Commerciale nominata il 4 giugno 97 e poi del Governo Provvisorio e quindi come ministro, fece sempre opera di moderazione e di conciliazione, provocando naturalmente le ire delle parti estreme. Fu sempre moderato, è detto di lui in una lettera del giugno 98, « uno di quei pochi che impedirono il massacro dei sessanta nobili chiusi nel Palazzo per ostaggio il dì 4, 5 settembre e che il popolo fanatico voleva assolutamente massacrare prima d’andar a combattere i contadini sollevati dagli ex nobili e dai preti. Nonostante, in un rovescio, sarà uno dei primi a essere sacrificato » (4). L’amicizia con un tal uomo dimostra gli atteggiamenti e le simpatie anche dello Scassi. E il Direttorio, di fronte a quella richiesta e tenuto conto dei meriti di uno almeno dei concorrenti, non potè che accogliere l’istanza, includendo i due nomi nella lista dei 36 membri residenti dell’istituto, entrambi (1) Archivio di Stato di Genova, Sala 50, Governo Provvisorio, n. 184: Corrisponde ma diretta al Direttorio Esecutivo. (2) Il SERRA (Memorie, pag. 95) lo dice « il burbero negoziante Rossi, oracolo soverchiamente vantato della piazza di Genova in materia di commercio e di finanza ». (3) Gazzetta di Genova, n. 20, 12 ottobre 1805, pag. 154. (4) Biooni, pag. 314. — 62 - nella prima classe, il Rossi nella categoria Agricoltura, commercio e manifatture, Onofrio Scassi in quella dei Medici e chirurghi, dove ebbe a compagni Nicolò Covercelli, Giuseppe Guidetti, Giacomo Mazzini, Antonio Mongiardini e G. B. Pratolongo, non, ed è sintomatico, POlivari, non i più scalmanati democratici, il Bonomi, il Repetto, il D’Albertis, il Vaccarezza. Entravano invece tra gli associati Gio. Maria Cambiaso, Michelangelo Gian-neri, Luigi Marchelli, Giuseppe Mojon, Pietro Serravalle, alcuni dei quali, come Marchelli e Mojon, ebbero veramente fama e posto onorevole come filantropi e scienziati. Fu con loro per breve tempo anche il Morando (1) e il titolo della sua ascrizione, a parte i meriti politici, è indicato certo da quanto riferiva il medico Landò alla Società di emulazione nel 1803: * Sono parecchi anni che il solfato di magnesia, conosciuto in commercio sotto il nome di sai d’Inghilterra si ricava dal monte della Guardia mercè gli sforzi e l’irrequieto genio del fu cittadino Felice Morando » (2). Il Direttorio Esecutivo aveva provveduto alle nomine con decreto del 31 ottobre, stabilendo per il 4 novembre la solenne inaugurazione dell’istituto (3). Era troppo naturale che non tutti fossero contenti: gli aspiranti delusi dovevano considerare ingiusta la propria esclusione, ed è probabilmente espressione di uno di codesti malcontenti l’acido e ironico articolo del Censore nel quale si ammira la fecondità prodigiosa del Direttorio Esecutivo, che in un batter d’occhio ha creato tanti uomini illuminati e capaci d’illuminare tutta la repubblica (4): come l’altro del Monitore, subito dopo l’inaugurazione dell’istituto: «Tutti i singoli membri dell’istituto sono il fiore della probità, de' lumi e del Civismo di tutta la Liguria, perchè il Direttorio che gli ha eletti era obbligato dalla legge a sceglierli fra i più commendabili per queste prerogative. Gli Associati sono quelli fra tutti che hanno il primo accessit ^ questo sublime grado di perfezione. Costoro, se mai venissero in disputa per questi titoli con qualunque di quelli che presentemente vivono, hanno già una sentenza in loro favore passata in giudicato» (5). La seduta inaugurale ebbe luogo il 4 novembre nella ex chiesa della Purificazione assegnata come sede, presenti tre dei Direttori (essendo malati (1) Il 12 maggio 99 però il Ministro dell’interno, cioè lo stesso Rossi, partecipa «la necessità di scusare il Cittadino Morando dalla carica di membro associato, valetudinatio e di cittadinanza straniera ». Le dimissioni sono respinte, ma poi, senza altra discussione, gli si nomina un successore. Processi verbali deU’Istituto Nazionale, Bibi. Univer. ms. F. V. 21, c. 52 e 54. (2) Memorie della Società medica di Emulazione, tomo II, 2' quadrimestre, Genova 1803, pag. VI. (3) Gazzetta Nazionale, n. 21, 3 novembre 1798, pag. 168-9. (4) Il Censore, n. 2, a. Il, 3 novembre 1798, pag. 6. (5) Monitore ligure, n. 15, 7 novembre 1798, pag. 60. — 63 — gli altri due), i Ministri, tutti gli Accademici e, naturalmente, l’incaricato di Francia, Belleville. Proclamati dal Segretario Generale del Direttorio Esecutivo i membri residenti e associati, e udito il discorso del Ministro dell’interno, l’istituto fin dalla prima seduta procede alla nomina del Presidente e del Segretario di ciascuna classe eleggendo per la prima rispettivamente Mongiardini e De Ambrosis, per la seconda Corvetto e Sconnio; quindi designa una commissione incaricata di presentare per la prossima seduta un programma di regolamento interno (e sono eletti G. B. Rossi, Francesco Pezzi, Nicolò Mangini, Onofrio Scassi e Ambrogio Viale); finalmente, prestato da ogni membro il giuramento civico, delibera di comunicare ufficialmente al Corpo Legislativo la propria installazione e di rivolgere invito a tutti i cittadini liguri perchè gli comunichino lumi e proposte (1). Tutti i giornali descrissero la cerimonia e la laboriosa seduta con liete parole che assunsero un tono entusiastico nell’ufficiosa Gazzetta. Due cose, diceva, occorrono ai popoli liberi: Governo e Istruzione. 11 primo è organizzato dalla Costituzione, l’istituto darà la seconda. «Tocca or dunque all’istituto Nazionale di compiere l’opera grande e sublime della Ligure Rivoluzione. Noi vedremo partire dal suo seno come da un perenne centro di luce i vivi raggi brillanti del sapere e della ragione, che, diffondendosi per tutta la Repubblica, romperanno le tenebre che la mano crudele dell’aristocrazia, per sistema di scellerata politica, aveva condensate nel nostro cervello. Non è lontano quel giorno in cui il Popolo Ligure, penetrato della sua dignità, istruito dei suoi doveri, appassionato della libertà quanto della virtù, vedrà risorgere i bei secoli fortunati di Atene e Roma, e nel dolce sentimento della sua felicità estinguerà la triste memoria delle passate vicende » (2). Altri sono invece meno entusiasti; la lunga e disordinata discussione sin dalla prima seduta — aveva assunto e tenne la presidenza generale il Mongiardini, perchè Corvetto era ammalato — aveva lasciato, secondo il Censore, una sgradevole impressione (3); ma più spiacque quel rivolgersi ai (1) Processi verbali dell'Istituto Nazionale, ms. Bibl. Univ. di Genova, segnato F. V. 21, c. 1. Questo registro contiene gli abbozzi dei verbali per tutta la durata dell’istituto. Il vero verbale steso è nel Registro del Processo Verbale dell’istituto Nazionale dal 4 novembre 1798 al 15 marzo 1800, ma si arresta a questa data, nella Biblioteca Civica Berio, segnato D bis, 8, 5, 59. — Sulla fondazione e l’opera dell’istituto v. Clavarino, li, 128 sgg.; Isnardi II, 112 sgg., Gino Loria, in Gazzetta di Genova, n. 9, 30 settembre 1920; A. Lattes, nel cenno storico compreso nel voi. L’Università di Genova, Genova, 1923, pag. 24. (2) Gazzetta Nazionale, n. 22, a. II, 10 novembre 1798, pag. 171. A pag. 174 la cronaca della cerimonia « brillante e magnifica, ravvivata dalle sinfonie militari e cantici repubblicani, e incessanti applausi di una gran folla di popolo ». (3) Il Censore, n. 3, 6 novembre, pag. 10. — 64 - cittadini per averne lumi e consiglio. « Si dice che l’istituto voglia fare un proclama al Popolo perchè Io circondi dei suoi lumi; ma se è stato eletto per illuminare il Popolo! » commenta il Monitore, e, pubblicato il messaggio ai Cittadini, aggiunge: « Questo è un proclama bello e buono. L’Istituto non dimanda di essere circondato di lumi, ma in sostanza dimanda soccorso di lumi. È vero però che riserba a sè di diffonderli, come una girandola scaglia attorno le sue scintille» (1). Quel proclama, firmato dal Mongiardini e dallo Sconnio che ne fu certo l’autore (2), è veramente un’ampollosa e poco felice tirata, ornata dei consueti luoghi comuni della obbligatoria retorica democratica. « Il pensiero di presentare alla Patria intorno a tutti i grandi oggetti che la interessano le idee di tuffi i secoli e di tutti gli uomini di genio, è troppo sublime perchè possa l’istituto dimenticarsi de’ suoi fratelli, se nel silenzio della solitudine e nella calma felice di vita oscura coltivano le scienze e le arti. Nel nuov’ordine di cose non debbe alcun talento restarsi inoperoso, sconosciuto e inonorato. Lasciamo alla gelosa aristocrazia l’ingiusto piacere di avvilire col sorriso del disprezzo l’uomo grande, e di accarezzare soltanto l’adulatrice ignoranza » (3^. Neanche ai Corpi Legislativi l’Istituto ebbe molto calorosa accoglienza; la comunicazione del suo insediamento fu accolta freddamente al Consiglio dei Sessanta, che passò senz’altro all’Ordine del giorno (forse c’erano qui troppe aspirazioni fallite, commenta il Censore); migliore accoglienza ebbe dai Seniori, che risposero con un messaggio, facendo notare la degnazione, perchè il Consiglio non corrispondeva con altri che col Direttorio Esecutivo (4). Ma amici tiepidi o sinceri e aperti o coperti avversari, tutti aspettano l’opera maggiore che dall’istituto si attende e sulla quale si concentra la sua attività: il piano o progetto di pubblica istruzione. Impossibile seguire minutamente sui verbali e nelle impressioni giornalistiche questo lavoro nella sua fase preparatoria, piuttosto incerta e caotica. Basterà notare che in quest’opera Onofrio Scassi è sempre in prima linea: questo è veramente il suo campo di attività. Dopo aver preso parte alla redazione del regolamento interno presentato nella seconda seduta dal Viale (5), (1) Monitore Ligure, n. 17, 14 novembre, pag. 67-8; n. 18, 17 novembre, pag. 70. (2) Sullo Sconnio, v. Isnardi, II, 237, 343; Giornale degli Studiosi, 1,1869, n. 51, pag. 330. (3) Processi verbali, c. 3; Isnardi, II, 109-11. (4) Il Censore, n. 5, 10 nov. 1798, pag. 18; Gazzetta Nazionale, n. 22; 10 novembre pag. 176-177. (5) Ambrogio Viale eletto a Diano tra i giuniori (sulla sua azione politica, Lo Scrutatore, pag. 27, 35, 71 e Monitore, pag. 315) si dimise quando fu nominato all'istituto, meritandosi le rampogne del Censore, n. 10, 22 nov. 1798, pag. 37. La dimissione non fu accolta ed egli presentò una proposta di legge sull’ incompatibilità tra l'ufficio di rappresentante e quello di membro dell’istituto, Monitore, n. 37, 23 gennaio 1799, pag. 147. — 65 — fu subito nominato nella nuova commissione incaricata di compilare entro una settimana un piano generale d’istruzione: gli erano compagni il Rossi, il Pezzi, il Viale, il Carrega, il Menici (1). Una settimana per un progetto genetale d istruzione era veramente troppo breve termine: ma l’istituto aveva 1 obbligo di presentare le proprie proposte entro un mese ai Consigli (2); urgeva far presto. Il 14 novembre la commissione riferì e « fortunatamente non si è ristretta a leggere il solo scheletro di questo piano, come alcuni medici avevano domandato. Ha presentato invece un piano dettagliato, generalmente Iodato, meno nella parte relativa alle scuole delPUniversità che dalla commissione sono state affatto trascurate, per incaricare di questo lavoro le rispettive sezioni dell’istituto » (3). Nella seduta del 20 ciascuna delle sezioni presenta le proprie proposte per I Università: un’altra commissione ha l’incarico di coordinarle e di riferire il 29. Più che dallo schematico verbale, dalle notizie dei giornali si rileva che quelle due sedute sono state molto agitate. Sin dal 14 si era ampiamente discusso perchè non era stata compresa tra le materie di insegnamento la teologia; ma la battaglia s’impegnò il 25 sulle parole del programma: « nelle scuole primarie s’insegnano i primi elementi della morale cristiana s. Poiché la morale è una, afferma Luigi d’Isengard (4), la parola « cristiana » dev’essere tolla: ma alla votazione soltanto cinque o sei si alzano ad approvare e « sorprese il veder 1 immobilità di qualche giovane medico e di qualche giovane chirurgo, e iintaserò attoniti specialmente i loro amici i quali ne conoscono a fondo la maniera di pensare ». Che fosse anche lo Scassi tra quelli? Può essere; comunque egli aveva fatto parte della commissione proponente e fu poi relatore del progetto; I atteggiamento fanatico non era fatto certo per lui. La discussione continuò aspra e personale nella seduta del 29, perchè coloro che erano stati attaccati nell articolo del Monitore inveirono contro lo scrittore, anche lui appartenente all Istituto: chi fosse non potrei affermare (5). Finalmente, conchiuso il lavoro tra difficoltà non lievi e accuse anche violente di voler aumentare (1) Processo verbale, % nov., c. 2. (2) L art. XII della Legge organica sull’istituto stabiliva: « Sarà incumbenza speciale t primaria dell Istituto di presentare al Corpo Legislativo un piano dettagliato d’istruzione pubblica generale dentro un mese dalla sua installazione. In caso d’inadempimento del presente articolo I Istituto Nazionale resterà disciolto e sarà ricomposto dal Direttorio Esecutivo d’altri individui ». (3) // Censore, n. 7, 15 nov., pag. 26; Gazzetta Nazionale, n. 23, pag. 186. (4) Sul d Isengard geografo e naturalista, v. A. Issel, in Atti della VI riunione della Società per il progresso delle scienze, pag. 33 sgg., e A. Neri, Nottue e dccumenti per la biografia di Luigi tf Isengard seniore, in Giornale Storico della Lunigiana, IX, 1918, pajr. 80 163 e X, 1919, p. 13. (5) // Monitore Ligure, n. 21, 25 nov., pag. 83 e n. 22, 1" dicembre 1798, p. 88; Processi Verbali, c. 5 e 6. 5 - 66 - il numero dei professori universitari e liceali a scopi interessati (1), il pioget-to fu compiuto e approvato nella seduta stessa del 29, nella quale fu stabilito anche di stamparlo, premettendovi il discorso dell’oratore che lo avrebbe presentato al Corpo Legislativo. E l’oratore fu appunto lo Scassi, che andava assumendo nei lavori un posto preminente ; nominato ispettore di sala il 5, era lo stesso giorno chiamato a far parte di una commissione incaricata di proporre, dopo un solo mese dalla sua istituzione, le riforme da introdursi nell’istituto, e pochi giorni dopo in un’altra (con Migone, Pezzi, Sconnio, Celesia, e Cantore) col mandato « di proporre il modo di formare un giornale o raccolta delle operazioni dell’istituto Nazionale » (2). E fu ancora lo Scassi che, quando Luigi Corvetto, oppresso dalle molteplici occupazioni, dichiarò di presentare le dimissioni da presidente della sua sezione, sorse a proporre che non fossero accettate e l’istituto non si privasse di un’opera esercitata con tanta dignità, mentre altri, il De Benedetti, parlando in senso contrario « ha mostrato una somma acrimonia di parola, una somma debolezza di spirito, una somma albagia di mente » (3). Nella stessa seduta riferì sulPesame deferitogli di una memoria trasmessa dal Consiglio dei 60 intorno all’opportunità di abbruciare le ossa bovine negli Ospedali per supplire alla mancanza di legna; e rispose in senso negativo (4). Ma la cosa più notevole in quel periodo era stata la presentazione al Consiglio dei Oiuniori del famoso piano o progetto scolastico, così frettolosamente imbastito e così animatamente discusso. Il 3 dicembre lo Scassi appunto, accompagnato dagli altri membri della commissione compilatrice, lo presentò con un discorso che qualche giornale riferì integralmente insieme con la risposta del Presidente dei 60 (5) e che fu pubblicato in testa al piano presentato (6). (1) Gazzetta Nazionale n. 24, pag. 191; n. 25, pag. 203; Il Censore, n. 11, 21 novembre, pag. 42; n. 12, 27 novembre, pag. 46.; Il Monitore Ligure, n. 19, 21 novembre, pag. 76. (2) Processi Verbali, 5 e 17 dicembre, c. 8, 8 v. e 11. (3) Il Censore, n. 42, 7 febbraio 1799, pag. 166. Di Pietro De Benedetti, abate, poeta, improvvisatore, professore di storia ecclesiastica, cenni biografici nel necrologio della Gazzetta, n. 29 del 1825. (4) Processi verbali (Bibi. Univ. F. V. 21) c. 12, c. 32; Registro Processi verbali (Berio, D bis, 8, 5, 59) c. 22. La comunicazione è riassunta nell'introduzione alle Memorie dell Istituto ligure, voi. 1, pag. 15; ma il segretario Sconnio cadde in equivoco riferendola al periodo dell’assedio del 1800. (5) Il Monitore Ligure, n. 25, 12 die. 1798, pag 99; Galletta Nazionale n. 26, p. 206. (6) Discorso del Cittadino Onofrio Scassi altro dei membri componenti la Deputatone delCIstituto Nazionale, pronunciato nell’atto di presentare al Corpo Legislativo il Piano di Pubblica Istruzione, in Genova, 1793, Stamperia della Libertà e dell’istituto Nazionale. Conosco la sola copia della Bibl. Universitaria, Miscellanea ligure. Il discorso è riassunto in Isnardi, II, 121, — 67 — discoi so ha, si capisce, un tono assai diverso da quelli pronunciati a Senato nel 1794 e 95: c’è il frasario obbligatorio, ma c’è anche un sincero intei esse e quasi un entusiasmo per l’istruzione e la sua efficacia civile; e esempio della spedizione napoleonica in Egitto, pur accompagnato dalle adulazioni convenzionali, non manca di opportunità. Accennato alla brevità del tempo concesso all'istituto e alla gravità e vastità della materia, afferma che, pur essendo molti gli esempi a cui i proponenti potevano ispirarsi, hanno creduto di dover presentare un progetto « più listretto e più omogeneo allo Stato di Liguria »; i legislatori po-tianno col loio senno apportarvi le modificazioni che riterranno necessarie' Una cosa desidera l’istituto: che le scuole si aprano presto. Soltanto l’istruzione potè restituire la libertà agli uomini oppressi ed essa sola può farne conoscere l’inestimabile valore. Risvegliato allora lo spirito Ligure dal profondo letargo in cui giaceva per antica abitudine ribelle alla persuasione, romperà il silenzio sopra i reconditi sentimenti, che finora, agitato ed interdetto, non osò d’esternare, e si slancierà animoso col puro freno delle Leggi al naturale istinto del Bene e della Verità, e avrà in orrore la contraddizione e il dispotismo. Portate dunque uno sguardo ammiratore sulla Grande Nazione, che nessuna sorpasserà mai anche salendo al più alto grado del Potere e della Virtù; Essa è la Madre, e dee essere l’esemplare di tutte le Repubbliche. Osservate con quanta energia in mezzo alParmi e ai vani sforzi de’ suoi nemici promuove l’industria; guardate i copiosi prodotti dell’agricoltura, l’immenso numero delle manifatture, che bastano non solo ai propri bisogni, al fasto, ma eziandio a trarre continuamente ricchezze dagli Esteri, e persino da’ suoi stessi rivali; era a lei riserbato il presentar all’Uiiiverso lo spettacolo sorprendente dell’Associazione delle Arti e delle Scienze allo strepito delle armate. Mirate nell’importante lontana spedizione all’Egitto fra Panni invincibili uniti i letterati della Francia ai suoi generali, e mentre questi portano agli schiavi il tricolore Vessillo di Libertà, quelli si occupano a raccogliere nuove cognizioni, a tirare dall’oscurità i monumenti interessanti, ad ingrandire il sapere umano. Se la guerra, che ne fu sempre il flagello, non ha diminuito l’ardore ed i felici successi dell’istruzione, quali saranno (seguite con l’immaginazione) i progressi Francesi quando riposeranno tranquilli all’ombra gradita degli allori e degli ulivi di pace?» Seguendo tali esempi, i legislatori vedranno « fertile il suolo ligure, instancabili le braccia industiiose, soddisfatta I indigenza, numerosi e vari gli onesti piaceri, che rendono la vita graziosa e dolce, messe per noi a contribuzione le regioni tutte del mondo, trasportate a’ nostri lidi le più lontane produzioni della Natura e dell’Arte ». Onorando i talenti, elevando gli umili e gli spiriti sdegnosi di umiliante servitù « potete sperare di far cadere in perpetuo oblio la — 68 - superstizione e la schiavitù e di vederle rimpiazzate per sempre dalla filosofia e dalla Repubblica ». Non c’è che dire: il frasario è imparato e ripetuto a dovere; ma bisogna convenire che dinanzi a quell’assemblea non se ne poteva usare altro. Segue al discorso il Piano, che ha oggi soltanto un valore di curiosità pur conte-nendo qualche idea geniale tra le molte cose strane e inattuabili. Le scuole, tutte gratuite, sono divise in tre ordini : scuole primarie, scuole giurisdizionali, scuole del Liceo. Le scuole primarie, istituite in ogni comune, comprendono tre classi con un unico maestro; perciò si assegna ad ogni classe una lezione al giorno, di un’ora e un quarto ciascuna. Che utilità potesse avere in iscuole di questo genere e di tanta estensione la spiegazione dei vocaboli della costituzione riesce difficile comprendere; ma era anche questo un obbedire alle opportunità del momento. Innovazione notevole l’istituzione di scuole femminili, parallele alle maschili, nelle quali dovevano anche insegnarsi quei lavori donneschi « che sono più in uso tra le buone Madri di Famiglia del Comune » e anche « le virtù necessarie al loro sesso ». Un’ora per settimana dev’essere riservata alla spiegazione dei diritti e doveri delFUomo e della Costituzione anche nelle scuole giurisdizionali, istituite cioè nelle circoscrizioni amministrative di questo nome e ad esse sottoposte. Nei quattro anni di queste scuole s insegnano successivamente le matematiche elementari, le scienze fisiche e naturali, la storia e geografia, l’arte di ragionare e l’eloquenza: soltanto i corsi di lingua latina e francese e di disegno sono comuni a due classi. Veramente curioso questo criterio d’insegnamenti successivi, perchè un anno di solo insegnamento di matematiche o di arte di ragionare, che voleva dire filosofia, anche se elementare, doveva essere un supplizio. Le brevi norme didattiche che accompagnano i programmi generici ci mostrano gl’intenti politici assegnati a queste scuole. Il professore di storia e di geografia deve, per esempio, descrivere i governi dei principali stati del mondo, rivelando I eccellenza de’ governi liberi e rappresentativi sopra tutti gli altri; far vedere che la popolazione prospera in proporzione della bontà e libertà de’ governi, parlare del lusso considerato ne’ suoi effetti buoni o cattivi assolutamente e relativamente. Inoltre deve fare un cenno di economia politica. Il professore di eloquenza mostra l’origine e l’analisi delle idee, « dà una breve storica notizia delle questioni insolubili o frivole che solevansi trattare nella cosi detta metafisica, facendo rimarcare a’ Giovani quanta perdita di tempo, quale abuso di parole, e per conseguenza il gran numero di idee false che si acquistavano allora ». Inoltre lo stesso professore deve ragionare « dell’indole, delle vicende e dei pregi della lingua italiana (e par di sentire in queste - 60 - parole la voce di Gaetano Marrè che parlerà poi di tale argomento appassionatamente all’istituto stesso) (1) e mostrare e far gustare esempi insigni di ogni genere letterario: in tutte le materie poi l’insegnamento deve esser fatto nella lingua italiana. Per il latino, norma principale è il lasciar da parte il « metodo scolastico e barbaro usato fin qui » e far leggere i passi p:ù celebri degli autori: come ci potessero arrivare giovinetti con due anni di studio è un po’ difficile vedere. Il disegno comprende anche la storia dell’arte, come la computisteria va unita alla matematica, e le scienze vanno dalla fisica e dalla chimica all’agricoltura e a « una succinta descrizione delle manifatture nazionali più vantaggiose ». Obbligatori in queste scuole, nei giorni festivi, gli esercizi militari. L’articolo più caratteristico, che dà indizio dei criteri di quella astratta democrazia, è il XXXII: « La polizia riguardante gli scolari, tanto delle scuole Primarie, quanto delle scuole Giurisdizionali, sarà affidata agli scolari medesimi. Essi eleggeranno i loro Giudici di Pace: ai quali dovranno essere presentate le accuse. Ai Maestri non è riserbata che la punizione delle mancanze provenienti dalle lezioni scolastiche; ed i Maestri saranno pure i Giudici di appello autorizzati a rivedere le sentenze e a riformarle ». Carini davvero quei bimbi delle Scuole Primarie che si governano da sè e si eleggono il Giudice di Pace! Come giuoco doveva essere divertente. Le scuole giurisdizionali hanno la funzione di scuole medie; il Liceo invece rappresenta PUniversità. Deve avere un Gabinetto di Storia Naturale, una serie di buone macchine, una galleria, un osservatorio, un teatro anatomico, un laboratorio chimico, un ospedale, un orto botanico, una conveniente biblioteca e i locali opportuni all’insegnamento delle varie scienze. Vi si insegnano Matematica e Fisica, Medicina, Scienze morali e politiche, Storia generale, Economia civile, Eloquenza e poesia, Lingue antiche, Belle arti. Le istruzioni che accompagnano l’indicazione schematica delle materie si sbrigano in breve delle scienze morali e storiche (il Professore di Filosofia Morale, premessa la teoria del diritto di natura, ne dedurrà i diversi doveri dell’Uomo e del Cittadino; la Storia generale sarà piuttosto una scuola di morale e di politica che una serie di fatti e di date cronologiche; il professore di Eloquenza e poesia esporrà i più bei pezzi della letteratura latina ed italiana, facendovi (1) V. il discorso nel voi. delle Memorie dell’istituto. Notizie sul Marré in Gazzetta di Genova, 1825, n. 34; Appendice agli Elogi di Liguri illustri di L. Grillo, pag. 1S6; Giornale degli Studiosi, 1869, I, pag. 339-342; A. Neri, Un giornalista della Rivoluzione Genovese, in Illustrazione Italiana, 1887, n. 9 e Genova e V. Alfieri, Giornale stor. e letter. della Liguria, 1903, pag. 216-221; G. Natali, Un traduttore genovese del Candido, Rivista ligure di scienze, lettere e arti; 1915, pag. 182; Isnardi, II, 158 sgg.; Codionola, La giovinezza di G. Mazzini, p. 14, 116, 122 ecc. È figura di letterato, politico e professore che meriterebbe uno studio speciale. - 70 sopra tutte quelle osservazioni che tendono a perfezionare il buon gusto e lo stile), invece si estendono molto sulle scienze fisiche e matematiche e special-mente sulla medicina. E questo si comprende non solo considerando che il Presidente e il relatore erano medici e che, secondo le informazioni giornalistiche, i medici erano anche i membri più invadenti dell’istituto, ma anche tenendo conto delle tendenze contemporanee dello spirito e della coltura e del bisogno da lungo tempo sentito di una radicale riforma nel sistema di preparazione dei sanitari. Perciò le istruzioni si indugiano anche sulle esercitazioni cliniche e sulle preparazioni anatomiche. La clinica medica però e la chirurgica, a cui è unita l’ostetrica, restano affidate a professori dipendenti dall’ospedale. L’insegnamento di Belle Arti sarà fatto nelPAccademia e comprenderà tre cattedre: Pittura e Scultura, Architettura civile e Incisione. Così in 57 articoli questo progetto presentava tutto un ordinamento scolastico, dalle prime nozioni alle scienze più elevate, e accennava anche alla navigazione, al commercio, all’industria, mentre una breve Appendice proponeva la fondazione di Teatri Nazionali, per i quali l’istituto avrebbe potuto provvedere gli spettacoli da rappresentare: frattanto era opportuno che gli attori, fra un atto e l’altro, cantassero strofe patriottiche, accompagnate dal coro del pubblico. Mescolanza di propositi seri e stravaganti, di idee attuabili e di inattuabili astrazioni, riproduce il fermento di quegli spiriti desiderosi del nuovo e traviati da aspirazioni smodate e da pratica incapacità. Il piano, commenta giustamente l’Isnardi, « svecchiava, e ce n’era bisogno, lo insegnamento e i suoi metodi; collo istituire in ogni comune le scuole elementari e in ogni capoluogo quelle di aritmetica, agricoltura, commercio, navigazione e disegno rendeva più utile ed accessibile la istruzione alle classi inferiori della papDlazione, alle quali di poco o niun prò’ riuscivano le scuole di latinità e di classica letteratura, apriva dovunque pubbliche scuole femminili che ovunque mancavano, affinchè le fanciulle non fossero condannate com’era costume ad una compiuta ignoranza, e vi apprendessero quanto era necessario e bastante ad una buona madre di famiglia; ampliava nella Università quegli studi che principalmente riguardano i bisogni materiali degli uomini e delle nazioni, e fra i rami dello insegnamento universitario poneva per la prima volta in Genova le mediche scienze ». E dopo aver deplorato che l’insegnamento della morale non fosse continuato nelle scuole giurisdizionali e l’esclusione dall’Università della teologia come delle cattedre di diritto civile antico e moderno, quasiché ogni diritto fosse compendialo e raccolto nel politico e nell’internazionale, e la riduzione a pochissima cosa della filosofia e delle lettere, conchiude: « Insomma l’istituto non ebbe in mira che gli studi tecnici e materiali ed ebbe in non cale quelli mentali e razionali, che sono pure sì nobili e necessari e forse senza avvedersene tentò in questa — li - guisa di attuare nel modo più pratico ed efficace, qual’è lo insegnamento, i principi di quel gretto materialismo invalso nel passato secolo e che fu dolorosa cagione di tanti errori, di tanti sconvolgimenti, di tanti infortunii » (1). Quale sia stata in tutto questo lavoro la parte specifica dello Scassi non è possibile determinare, anche perchè i verbali dell’istituto sono di una laconicità più che spartana: certo però egli ha dovuto avere parte notevole in quello che è il lato più pratico e più tecnicamente compiuto del progetto, nel riordinare cioè l’insegnamento della medicina. E non è improbabile che approvasse e accompagnasse il resto per amore di quel che più gli era a cuore. Ma la risposta del Presidente dei Giuniori, enfatica come il discorso di presentazione, e l’abbraccio fraterno all’oratore furono i soli risultati; il momento non era favorevole a progetti e discussioni calme e posate e gli animi e le passioni si accendevano sempre più. L’Istituto non ne era immune e questioni vivaci avevano luogo sull’asserita incompatibilità dei suoi membri all’appartenere a Consigli legislativi (2), persino sul distintivo da accordarsi agli accademici (3). Anche la proposta di cambiar di sede determina ironici commenti da parte del Censore che si mostra particolarmente accanito e che inveisce in modo speciale contro i medici: « la rivoluzione — dice una volta — non ha per anco corretto i medici da quello spirito di animosità e di litigio che li ha sempre dominati », e altrove inveisce contro le mire della classe sanitaria affermando che « certi esseri appassionati non preva-leranno mai ad abusare della loro carica per favorire i propri o altrui privati interessi » (4). E sembra tutto lieto quando può riferire con maligno compiacimento la notizia certo esagerata, almeno nella forma, che avendo Luigi Lupi, rappresentante della repubblica, consegnato all’istituto Nazionale di Francia il famoso piano d’istruzione genovese, « si sono destati tali scrosci di risa in quella letteraria assemblea, che il romanzo di Michele Cervantes non ne avrebbe potuto produrre altrettanto » (5). Anche il Monitore parla, ma in termini più misurati, della medesima lettera, e ne riferisce pure un’altra da Parigi, senza dire da chi provenga, nella quale, dopo una generica approvazione, sono espressi molti dubbi e fatte molte osservazioni particolari, specialmente che l’istituto, per la ristrettezza del (1) Isnardi, Storia dall'Università di Genova, II, 119 sgg. (2) Gazzetta Nazionale, n. 24, pag. 191 e n. 27, pag. 217; Monitore Ligure, n. 37, 23 gennaio 99, pag. 147. (3) Arch. di Stato di Genova, Governo Provvisorio, n. 142, Deliberazioni dei Seniori, 9 dicembre 1798; Raccolta delle Leggi e Atti ecc., n. 178, pag. 254; Gazzetta Nazionale, 1798, pag. 191, 219. (4) Il Censore, n. 23, 22 dicembre 1798, pag. 90; n. 24, pag. 94; n. 27, 3 gennaio 1799, pag. 106; n. 31, pag. 122; n. 34, pag. 134; n. 59, 19 marzo, pag. 234. (5) // Censore, n. 39, 31 gennaio 1799, pag. 154. — 72 - tempo, non abbia tenuto presenti « le discussioni fatte su tal materia nell’Assemblea Costituente e Legislativa di Francia e nella Convenzione e le memorie luminose dell’istituto di Parigi », per conchiudere con discutibile coerenza che non è stata tenuta presente l’indole del popolo cui il piano era destinato. Insomma, conchiude il giornale, « l’autor della lettera mi fa ricordare di Arlecchino, il quale, interrogato come stava, rispose: sto benissimo, salvo trenta o quaranta acciacchi che mi rovinano » (1)- Del resto quel piano non ebbe l’onore di una discussione nei Consigli Legislativi: era capitato troppo in mal punto, mentre le passioni si arroventavano sempre più e urgevano problemi politici di immediata soluzione, e la vita stessa della nuova repubblica era minacciata dalle violenze interne e dagli esterni pericoli. Forse anche non si volle di proposito portare il progetto in discussione, prevedendosi che non avrebbe avuto facile accoglienza, per non colpire troppo direttamente il nuovo corpo accademico che ne sarebbe stato screditato. Anch’esso, però, aveva l’impressione dell’insufficienza dell’opera propria, troppo frettolosa, ma riconosceva più tardi che i difetti dovevano essere « meno attribuiti alla brevità del tempo, che all’esaltazione degli spiriti, i quali esagerarono a se stessi i vantaggi d’un insegnamento esteso a tutte le classi d’ambo i sessi, non avvertendo forse abbastanza all’indole della Nazione, alla natura del suolo e ad altre circostanze che rendono sommamente difficile l’esecuzione del piano. Contuftociò —aggiungeva non senza qualche amarezza — meritava egli forse d’essere condannato all’oblio? ma è più facile il disprezzare che il correggere o delibar dalle altrui opere il bello e il buono » (2). Neanche i tentativi di modificazione ebbero fortuna: sospesa ogni deliberazione su una prima revisione del progetto, soltanto verso la fine dell’anno, respinta la proposta di rivolgersi ai Seniori perchè prendessero una determinazione, fu nominata una nuova commissione composta di De Benedetti, Novara e Celesia. Quali siano stati gli emendamenti da questa proposti, non appare dai verbali, che dicono soltanto aver essa riferito il 15 dicembre; cosicché, essendo frattanto avvenuto il mutamento di governo, non è esatta la notizia dell’lsnardi che il nuovo progetto sia stato presentato ai Sessanta, i quali o non ebbero agio di esaminarlo o non vollero dare un esplicito giudizio (3). Della nuova commissione non ha fatto parte lo Scassi, come nessun altro dei membri della precedente; ma l’attività di lui nell’istituto è continua e contrasta coll’assenteismo generale, notato e deplorato fin da principio (1) Monitore Ligure, n. 39, 30 gennaio 1799, pag. 154; n. 42, 9 febbraio, pag. 168. (2) Memorie dell’istituto ligure, Genova, 1806, voi. I, pag. 6. (3) Processi verbali, c. 51, 15 aprile; c. 58, 1" novembre; Registro Processo verbale, c. 31, 52, 53; Isnardi, II, 124. - 73 - nell Istituto stesso e nei giornali (1). È però attività tutta accademica, tecnica, scientifica, senza riferimenti politici: nelle numerose proposte e deliberazioni per canti e inni e iscrizioni nelle ricorrenze rivoluzionarie, per compilazioni di catechismi patriottici, fatiche particolari di De Benedetti, di Marrè, di Sconnio, degli altri della classe letteraria, il suo nome non compare. Entra invece in quasi tutte le commissioni, specialmente in quelle incaricate di esaminare i lavori presentati per la lettura nelle assemblee o per 1 inserzione negli atti; è presente a tutte le sedute, è nominato più volte ispettore di sala; il 1" di novembre per un voto non è eletto segretario della sua classe. Il 15 giugno 99 il figlio di un medico Rossini, recentemente defunto, offre in dono all Istituto l’erbario del padre, come allettamento al pioposto acquisto dei libri paterni, e lo Scassi, eletto a unanimità all’esame e alla valutazione di questi, riferisce ai primi di luglio, ma evidentemente non vuol assumere intera la responsabilità, cosicché su sua proposta gli si danno a compagni il Canefri e il Pratolongo per formare il catalogo dei libri e determinare il valore di questi e del gabinetto di fisica, egualmente offerto, e per trattare con l'offerente. Il 1° di novembre la commissione non ha ancora esaurito il suo compito ed è sollecitata a conchiudere (2). E poiché in quel giorno, rinnovandosi l’ufficio di presidenza — o burò, come si diceva elegantemente, e Gaetano Marrè aveva appena tenuto il suo discorso contro I abuso del francese e per la superiorità della lingua italiana! — il Pratolongo era stato nominato presidente, Canefri segretario e Scassi ispettore di sala, è evidente che con la loro approvazione, o forse per loro suggerimento, il Guidetti proponeva un messaggio al Direttorio Esecutivo sugl’inconvenienti della cattedra di Chirurgia e Anatomia all’Ospedale di Pammatone coperta da professori resi inabili dall’età; e del messaggio era incaricata appunto la sezione di medicina (3). Conseguenza di questo passo fu certamente la sostituzione di Pietro Bonomi a Domenico Lanzeff nella clinica chirurgica, avvenuta appunto in quell’anno. Infine, col Pratolongo e con Nicolò Olivari, lo Scassi era nominato esaminatore dei concorrenti all'esercizio della medicina, della chirurgia e della farmacia (4). Quanto alle questioni trattate e discusse dall’istituto, non è qui il caso di fermarsi particolarmente; basterà notare, per quelle specialmente di carattere pratico, che sono press’a poco le stesse delle quali già si era occupata (1) Processi verbali dal 15 aprile e Censore n. 11, a. Il, 24 nov. 1798, pag. 144. Difende sempre l’istituto dalle accuse del Censore e del Monitore la Gazzetta (n. 31, 12 gennaio 99, pag. 251; n. 34, 2 febbraio, pag. 277 ecc.) (2) Processi verbali, c. 49 v.; 55 v., 56-58; Registro verbali, c. 42-46, 52. (3) Processi verbali, c. 57 e v., 1° luglio; Registro, c. 43. (4) Isnardi, II, 132, 136, 145. — 74 - prima della rivoluzione la Società Patria delle arti e delle manifatture (l). Scarse, del resto, e di mediocre importanza le sedute del 99: l’attenzione era altrove e l’ansia per le condizioni politiche si faceva sempre maggiore. * * * La presentazione del progetto scolastico era capitata proprio in mal punto, nei giorni in cui più grave era il timore di una controrivoluzione aristocratica, provocata dalle vicende generali, dalla ripresa degli alleati europei, che la lontananza del Bonaparte favoriva, dalle speranze suscitate dalla marcia napoletana su Roma. Mentre duravano, interminabili, le trattative per una formale alleanza con la Francia (2), nel settembre del 98 si era fatta una delle tante leggi contro gli allarmisti e i nemici della tranquillità del popolo, per la quale doveva essere punito chi avesse affermato l’imminenza di insurrezioni popolari e di invasioni straniere nello stato, la prossima caduta del governo democratico, la perdita o l’indebolimento della religione per effetto delle norme costituzionali e legislative; e anche chi « calunniando il Governo Francese, nostro naturale amico, ardisse di supporgli l’idea di toglierci la preziosa libertà che abbiamo felicemente acquistata ». E doppia era la pena se il reato avveniva a mezzo della stampa (3). Intanto l’inviato straordinario a Parigi continuava a cullarsi nell’illusione di accordi che non fossero di soggezione alla Francia, anzi di ingrandimenti territoriali, specialmente dopo la nuova dichiarazione di guerra francese al Re di Sardegna. « Questo Governo ha della predilezione per noi, e delle viste di migliorare la nostra condizione, ingrandendo notabilmente il nostro territorio. .. Bisogna, Cittadino Ministro, che ce ne mostriamo degni, facendo cessare tutti i partiti, e riunendoci nel solo oggetto di difendere la patria, e di secondare con tutti i mezzi che sono a nostra disposizione i progetti e le operazioni della Francia per la salvezza comune, e la libertà dell’Italia in particolare » (4). È evidente che l’abilità di Talleyrand aveva facile giuoco con l’ingenuo ottimismo del Lupi, sconcertato un momento dalFimperiosa richiesta di mettere le forze liguri sotto il comando francese, ma ripreso subito di fronte alle larghe promesse illusorie dei governanti parigini, che gli facevano esclamare: (1) Avvisi di Genova, 1792, pag. 410; 1794, pag. 201, 288; Memorie dell’istituto ligure, voi. I, pag. 7 sgg.; Isnardi, II, 152 sgg. e i registri cit. dei Processi verbali. Sulla Società Patria, Belgrano, Imbreviature, pag. 169 sgg. (2) Colucci, III, passim. (3) Raccolta delle Leggi ed Atti del Corpo Legislativo, voi. II. n. 108, pag. 147. (4) Dispaccio Lupi, 8 dicembre 1798, in Colucci, III, 635. - 75 — « Adesso è veramente il tempo di concepire la speranza di portare sino al Po i limiti del ligure territorio » (1). Quale valore realmente avessero quelle speranze e le promesse francesi è detto con chiara impudenza dal Talleyrand all’incaricato Belleville. Per averne il maggiore aiuto occorreva far balenare la speranza che in caso di vittoria, « la République ligurienne pourra concevoir des éspérances favorables à l’accomplissement de quelques unes de ses vues ». E, aggiunge il volpone, uno dei mezzi che si possono adoperare, ma « vous sentez qu’il en faut user sobrement, et de manière à ne pas engager le Directoire et à ne point nous compromettre » (2). Intanto le cose si aggravavano ancora: i pericoli si facevano imminenti. Il Direttorio in frequenti messaggi riferiva ai Consigli che la sicurezza interna e l’esterna erano minacciate, e ai primi di dicembre una nuova e più grave legge di carattere temporaneo sanciva misure straordinarie contro gli allarmisti e i nemici della tranquillità, fossero laici o secolari, e ordinava maggiore sorveglianza delle coste, espulsione dei controrivoluzionari del 97 ritenuti pericolosi, revisione degli iscritti alla Guardia Nazionale; proibizione ai religiosi non appartenenti alla repubblica di predicare nelle chiese (3) A questo, commentava il Censore, siamo arrivati con la bontà e la dolcezza del Direttorio, che non ha voluto richiamare i nemici della patria che con le dolci e graziose maniere (4), parole che toccavano tutto il Direttorio, e il Corvetto in particolare. La legge eccezionale era deliberata proprio il giorno in cui lo Scassi presentava il progetto scolastico. Nei giorni successivi si procedeva ad arresti di nobili e di preti, compreso l’arcivescovo (5); il Direttorio dichiarava la patria in pericolo, proclamava lo stato d’assedio in tutta la repubblica, esclusa la città di Genova, invitava i cittadini, riformando la Guardia Nazionale, alla coscrizione volontaria, ma i risultati erano così modesti e sconfortanti da render necessario un caloroso, ma nei fatti poco efficace, discorso del Belle-ville al Circolo Costituzionale (6). Il quale « destinato ad essere l’asilo e il (1) Dispacci Lupi, tO e 16 dicembre 1798, in Colucci, III, 636, 639, 645 sgg. e così in gennaio 99; ibid. IV, p. 4 sgg. Nel febbraio 99 il Lupi chiedeva la parte del Piemonte sulla destra del Po, Parma e Piacenza col Pontremolese, Lucca, Massa e Carrara. « Vous étes bien affamés », esclamò ridendo Talleyrand; ibid., IV, pag. 31. (2) Notes et correspondence du Baron Redon de Belleville, voi. IL pag. 51, n. CCXXXV, 24 frimaio (14 dicembre). (3) Raccolta delle Leggi ed Atti del Corpo Legislativo, voi. Il, n. 172, pag. 241 e 244. (4) Il Censore, n. 15, 14 dicembre 98, pag. 58. (5) Ispiratore della politica avversa al clero è il Belleville che rappresenta sempre al suo governo il Direttorio ligure come composto di bigotti dominati dai monaci. Specialmente presi di mira sono i direttori Littardi, Molfino e Maglione: se le cose non mutano, proporrà al generale in capo di permettere loro di ritirarsi. SctoUT, La République francaise et la République de Gènes, pag. 168 sgg., 171. (6) Il Monitore Ligure, n. 2» sgg, 8-12 dicembre, pag. 94-106; Il Censore, n. 21, pag. 78. — In- centro della vera istruzione democratica, è moltissimo frequentato dagli ignoranti e dai dotti, dai poveri e dai mediocremente agiati cittadini; le scintille della verità più temute dal dispotismo saettano i cerebri più tenebrosi » (1). Un grande mutamento è avvenuto per effetto delle leggi severe del dicembre, dice il Monitore; ma più probabilmente per la mutata situazione generale: scomparso per il momento il pericolo da Roma, Napoli in procinto d’essere occupata dai Francesi e dai patrioti, accresciute le speranze di costituire un più vasto e solido stato. Ma in quelle condizioni, se il centro della vera istruzione è il Circolo Costituzionale, nè si può pensare a quel fantastico progetto d’istruzione, nè l’istituto attira a sè l’attenzione dei più violenti (2) e non sarà caso che tra gli oratori o i partecipi di questo più acceso nucleo di fanatici non si trovi mai Onofrio Scassi. Anzi, fuori della sua partecipazione ai lavori dell’istituto, non ci sono in quel terribile 99 notizie che lo riguardino. Non è come il Mongiardini o il Mazzini o Gaetano Marrè scrittore di giornali: attende alla sua vita scolastica e professionale, sembra evitare di mettersi in prima linea e pur si vorrebbe sapere che cosa egli pensasse, se fosse del parere della Gazzetta, per la quale l’Italia è una divisione geografica e non una nazione, onde i Liguri non sono legati da interessi ai Piemontesi, ai Lombardi, ai Toscani più che ai Francesi (3), o se piuttosto aderisse a quelle idee unitarie di Gaspare Sauli e di G. B. Serra che avevano a centro principale in quell’anno appunto la Liguria, anche per opera dei profughi, e a interpreti risoluti ed espliciti il Monitore Ligure e il Redattore (4). Spirito pratico e realistico, lontano dalle ideologie, non era tipo da precorrimenti generosi o da proteste idealistiche contro l’inevitabile; era uomo che accettava in modo composto e dignitoso, quanto le circostanze permettevano, la realtà immediata e vi prendeva quel che c’era di buono e di accettabile, senza infatuazioni teoriche e senza violenze verbali. Tanto più sembra appartarsi quanto più l’agitazione si accresce e le passioni si acuiscono, portando nel febbraio 99 all’uccisione di Sebastiano Biagini per opera di Domenico Queirolo, in seguito a diverbio politico cominciato al Consiglio (1) Il Monitore, n. 29, 26 dicembre 98, pag. 116. Molte e rumorose le parole, ma scarso il seguito del Circolo se dopo due soli mesi aveva sospeso il giornale omonimo che ne era l’organo e si stampò soltanto dal 22 febbraio al 24 aprile 1798. (2) Nel 99 la sola deliberazione in materia scolastica riguarda l’istituzione di un Collegio Nazionale per l’istruzione delia gioventù; ma per il momento non se ne fece nulla, sebbene il Monitore insistesse con parecchi articoli sulla sua necessità. Gazzetta Nazionale, 12 aprile, pag. 354; Monitore, giugno 99, n. 79 sgg. (3) Gazzetta Nazionale, n. 14, pag. 108, 15 sett. V. anche Franchetti, Storia d’Italia dal 1789 al 1799, pag. 551. (4) Vi accennano il Neri, Un giornalista ecc.; il MANNUCCI, La prima fase, il Codi-GNOLA, La Giovinezw di G. Mazzini-, il Franchetti nell’op. cit., ma sarebbe utile e interessante uno studio esauriente sull’atteggiamento e l’opera di questi giornali. - 77 dei Sessanta, continuato e degenerato in rissa nella farmacia Dodero a S. Lorenzo. « Cittadini, è morto il nostro Marat » annunciava il Censore di cui egli era l’anima; e queste parole bastano a farne comprendere il carattere e l’opera. Il Queirolo fu rapidamente processato e condannato a morte, « l’immortale Biagini » ebbe onori funebri trionfali. Ma l’episodio era — e si considerava a Parigi — sintomo di anarchia e di incapacità costituzionale (1). Intanto, mentre le finanze erano in condizioni sempre più disastrose, con un enorme disavanzo, e la pressione fiscale e la prepotenza dei rappresentanti francesi provocavano da parte dei giornali a tinta nazionale accese proteste e ironiche frecciate specialmente contro Faypoult, che passava da Genova ingloriosamente, reduce dal « sempre celebre suo commissariato d Italia » e dalle esose ruberie napoletane (2), i rovesci delle armi francesi e le vittorie degli alleati, che sembravano distruggere l’opera di Bonaparte e tutta la costruzione democratica e repubblicana, rinfocolavano le aspirazioni degli avversari e accrescevano i timori dei francesi e dei patrioti delle varie gradazioni. Ne veniva una febbrile attività, una moltitudine di provvedimenti spesso tumultuari e dettati dal timore; e in questo momento di crisi lo spirito più equilibrato, che con la calma prudenza e la dolcezza accomodante aveva guidato fin qua la barca in mezzo alla tempesta, era per opera del caso allontanato dal governo, per sorteggio. Persino il Censore se ne doleva: « le fatali disposizioni del Cielo hanno fatto uscire l’eloquentissimo Corvetto » (3); e se era una fortuna per lui che si allontanava nel momento più turbolento e lasciava il desiderio di sè, non era una fortuna per il governo, che si andava penosamente logorando. Anche ora continuava il dissidio tra Giuniori e Seniori: quelli sempre più accesi, questi più moderati e pronti all’opposizione, manifestatasi anche a proposito della proposta di una Commissione centrale di Sanità la quale, per le malattie che cominciavano a serpeggiare e che si dicevano importate dal mare, dovesse « munire le nostre coste contro gli snaturati nemici dell Umanità che tentano di cacciar la peste in Italia Occorse anche qui 1 intervento del Belleville per vincere l opposizione dei Seniori. La commissione risultò composta del medico Mongiardini e del chirurgo Olivieri, di G. B. Molini avvocato, del negoziante Filippo Morro e di Nicolò Parodi, capitano marittimo: solo più tardi al Mongiardini succedette nella commissione e nella presidenza Onofrio (1) Il Censore, n. 51, 28 febbraio 99, pag. 201 sgg., 324; Gazzetta Nazionale, n. 38, 2 marzo, pag. 308, sgg., 324; Clavarino, 11, 172 sgg.; Colucci, IV, 72. (2) Franchetti, pag. 532, 533, 549, 555 sgg.; // Monitore, n. 51, 19 marzo, pag. 202; n, 65, i« maggio, pag. 258. I dispacci del Lupi sono pieni di notizie sui reclami al Direttorio contro le vessazioni e le prepotenze del Belleville. Questi in realtà è a sua volta pressato dalle richieste dei generali e invoca inutilmente moderazione. ScioUT, pag. 171. (3) Il Censore, n. 72, 18 aprile 99, p. 286; Clavarino, li, 198; Ruini, Corvetto, 36. — 78 - Scassi (1). Le preoccupazioni per la situazione generale erano ogni giorno più gravi: il proclama del Direttorio per gl’imminenti comizi delle elezioni suppletive le lasciava trasparire evidenti, e nelle nobili parole con le quali si condannavano tutti gli eccessi e le ipocrisie e coloro che fingevano una fede che non avevano e coloro che facevano del patriottismo una speculazione (2) è probabilmente da vedere ancora la mano del Corvetto, l’ultima sua parola prima di lasciare il potere. Poi, il progresso delle armi austro-russe, il ritirarsi dei Francesi sempre più verso la Liguria, l’accorrere qua dei patrioti fuggenti dalla Cisalpina e dalle altre regioni invase, le insurrezioni popolari in tanta parte d’Italia determinano uno stato di sgomento e di parossismo che si traduce in provvedimenti tumultuari, dovuti al timore e all’incertezza dell’avvenire, mentre in tanto sfacelo si levano arditamente coraggiosi gli articoli del Monitore e anche più del Redattore italiano a denunciare nelle prepotenze e nelle ruberie dei commissari francesi una delle maggiori cause dell’odio popolare e delle disfatte repubblicane (3) e a chiedere, rimedio unico a tanti mali, salvezza sola possibile per la Francia e per 1 Italia, la costituzione della Repubblica Italiana una e indivisibile (4). È caratteristico che quanto più la situazione diventa grave e disperata tanto più questa concezione unitaria appare l’unica salvezza per la Francia e per 1 Italia. È la notissima concezione del Foscolo nella lettera allo Championnet; è l’invito ai patrioti italiani nell’indirizzo del Paribelli redatto appunto a Genova e qui firmato da profughi di tutte le regioni (5). Il Difensore della Libertà, prima, poi il Monitore Ligure e specialmente il Redattore sono stati a Genova i rappresentanti di questa idea, nella quale (1) Monitore ligure, n. 59, pag. 235; Gazzetta Nazionale, n. 44, 13 aprile, pag. 353 sgg. Clavarino, II, 190. (2) Gazzetta Nazionale, n. 46, 27 aprile, pag. 367. (3) Preziose confessioni faceva anche il Belleville al Direttorio francese: « Nous avions peu d amis en Italie; ceux qui l’étaient de nos principes n’ont pas eu toujours à se louer de nos administrations »; e parlando specialmente di Genova: «Les cinq-sixiémes de la population n aiment point le système républicain, et maudissent la revolution. Les cinq-sixièmes des gouvernants sont dans le méme cas; l’autre sixième offre peu d’hommes à talent », Sciout, pag. 169, 173. (4) H Redattore Italiano, n. 23 sgg., aprile-agosto 99, pag. 178-432. (5) B. Croce, Le Relazioni dei patrioti napoletani col Direttorio e col Consolato e l idea dell unità d’Italia, Napoli, Pierro, 1892, pag. 55 sgg.; A. D'Ancona, Unità e Federazione, in Ricordi e affetti, Milano, Treves, 1902, pag. 305 sgg.; Q. Sforza Contributo alla vita di Giovanni Fantoni, Labindo, cap. Vili, in Giornale Storico e letterario della Liguria, 1907; Franchetti, Storia d’Italia dal 1789 al '99, pag. 563 sgg.; S. Pivano, Albori costituzionali d Italia, Torino, 1913, pag. 25 sgg.; Pingaud, Bonaparte president de la République italienne, Paris, 1914, pag. 185 sgg.; F. L. Mannucci, G. Mazzini e la prima fase del suo pensiero letterario, Milano, 1919, pag. 30 sgg. ecc. — —— - 79 — l’avversione ai commissari francesi rapaci e prepotenti e il timore del ritorno al passato si fondono e si integrano nell’aspirazione a uno stato unitario. Non si può credere che questa fosse concezione del governo ufficiale; tuttavia Bartolomeo Boccardo, ambasciatore a Parigi e inviato al congresso di Rastadt, mandava di là un memoriale in cui, tentando di conciliare le ambizioni del governo ligure con le aspirazioni nazionali, proponeva la riunione di parte del Piemonte alla Liguria e la creazione di quattro repubbliche federate italiane come avviamento all’unità (1). Certo s’illudeva, come tutti quanti ; e non vedevano che il Direttorio non avrebbe mai ammessa una repubblica sola, capace di gareggiare in armi e commercio con la francese (2), come vagheggiava il Redattore italiano, che in un articolo del 14 agosto affermava sicura l’intenzione unitaria del Direttorio (3). Intanto però i numerosi articoli del giornale che esponevano la necessità della resistenza e della difesa contro la coalizione austro-russa dovevano piacere a Parigi; e il Lupi, tenacemente illuso e ottimista, ne prendeva argomento per scrivere al Ministro Ruzza, in lode delle misure difensive del governo: « Ho la compiacenza, cittadino Ministro, di assicurarvi che tutti a Parigi ci rendono giustizia; applaudiscono alla buona condotta sì di codesto governo che de’ liguri in generale e distinguono con onore la nostra nazione dalle altre, alle quali la Francia ha procurato la libertà. Se i tiranni sono un’altra volta umiliati e distrutti, se la causa della libertà sarà, come spero, alla fine, vittoriosa e trionfante, è impossibile che la Liguria, come sarà stata a parte dei pericoli e dei sacrifici, così non sia per essere della gloria e della prosperità della Repubblica Madre » (4). Ma la Repubblica Madre, importunata da quel perpetuo, anche se riconosciuto non ingiusto, lamentare le violenze e i soprusi e le ladrerie dei suoi emissari e dei suoi generali (5), manda a Genova un commissario dei pubblici fogli e per suo suggerimento, subito dopo la battaglia di Novi, il Redattore, accusato di essere il « toesin » della rivolta, come fomentatore di odio contro i Francesi è sospeso (6). È vero però che il governo di Parigi si affretta a far sapere al Lupi che il Direttorio genovese ha esagerato: non si (1) Arch. di Stato, Genova, Rep. Ligure, filza 184. (2) Franchetti, Della unità italiana nel 1799, Nuova Antologia, 1° aprile 1899, pag. 428. (3) Il Redattore italiano, 14 agosto 1799, n. 54, pag. 432. (4) Dispacci Lupi, 15 e 25 maggio 1799, in Colucci, IV, pag. 121, 142. (5) Lo stesso Belleville finisce col temere le conseguenze di quegli eccessi e chiede d’esser richiamato • afin de ne pas ètre temoin à Gènes des exécutions dont cette ville est menacée ». Sciout, pag. 176. (6; // Redattore, 5 giugno, n. 38, pag. 302; n. 52, 24 luglio, pag. 409; Colucci, IV, 243. Col 30 luglio, n. 115, cessa anche il Censore. Cfr. Monitore Ligure n. 90-91, 27-31 luglio, pag. 358, 365. I — 80 — voleva che il giornale fosse sospeso, ma solo richiamato a più moderato linguaggio (1): e il Direttorio è formalmente sconfessato dal Corpo Legislativo, il quale stabilisce il principio che nelle sue attribuzioni « non vi potrà mai essere compresa quella d’impedire direttamente o indirettamente in qualunque maniera anche ne’ casi più necessari a chichesia, di dire, pubblicare o far stampare i suoi pensieri, nè sottoporre ad alcuna censura li scritti prima della loro pubblicazione » (2), il principio cioè, della piena libertà di stampa, che provocherà, naturalmente e tra breve, la più assoluta restrizione. Ma intanto il 10 agosto il giornale riprende, sebbene con tono molto mutato, le pubblicazioni, per troncarle poi, in modo definitivo, in situazione radicalmente trasformata, nel gennaio 1800 (3). Con legge del 2 maggio sono dati al Direttorio esecutivo pieni poteri contro i nemici interni, dei quali si teme imminente una rivolta, e contro le esterne minacce, e ancora si proclama la patria in pericolo e si estende lo stato d’assedio a tutto il territorio, e l’il novembre anche alla città di Genova, e si arrestano ancora i nobili sospetti, Giacomo Filippo e Ippolito Durazzo tra gli altri, e poi Spinola, De Mari, Pallavicini e così via, e interviene anche il comandante del Presidio francese a raccomandare con un proclama ai parroci e al clero di mantener tranquille le popolazioni, al governo di procedere contro i perturbatori e i propalatori di notizie false (4). Il pericolo maggiore è nelle campagne sollevate dagli Austro-Russi, dice un interessante rapporto del Ministro di Polizia, Nepomuceno Rossi, non all’interno, dove lo spirito pubblico è « piuttosto moderato sulle idee delle invasioni nemiche ». Non è difficile, aggiunge, contenere i nemici interni nè occorrono nuove leggi: basta applicare rigorosamente quelle che ci sono (5); purché però, si aggiunge da tutte le parti, cessino le ruberie e le violenze dei soldati e degli ufficiali francesi, che sembrano fatte apposta per alienare le popolazioni: quel che è successo nella Riviera di Levante, da parte delle truppe provenienti dal regno di Napoli, Io prova. A parole, ne sono convinti anche a Parigi, dove si assicura il Boccardo che « la Francia, ben lungi di abbandonare la Liguria, è decisa anzi a liberar l’Italia tutta dai barbari che l’hanno invasa, ed a proclamare solennemente la libertà e l’indipendenza di questa bella parte d’Europa, indipendenza vera e compiuta, (1) Colucci, IV, 253. (2) Raccolta di Leggi e Atti del Corpo legislativo, voi. IV, pag. 53, 2 agosto 1799. (3) Redattore Italiano, n. 53, pag. 417, 10 agosto. L’ultimo numero è il 60, del 25 gennaio 1800, pag. 470. Il 10 agosto ricompare anche il Censore, v. Monitore Ligure n. ICO, 30 agosto 1799, pag. 400. (4) Raccolta delle Leggi ed Atti del Corpo Legislativo, voi. Ili, pag. 253; 296; IV, passim. Proclami al popolo 21 maggio (III, 295), 4 novembre (iV, 188). (5) Arch. di Stato, Genova, Filza n. 151, Atti del Governo Provvisorio, maggio 1799. — 81 — garantendola per sempre dall’abominevole sistema proconsolare, che in nome della libertà l’aveva finora tiranneggiata ed oppressa » (1). E vero che intanto non cessano i divertimenti, e i teatri coi terzetti e i quartetti fanno uno strano contrasto con la gravità della situazione; e uno spettacolo sono anche le elezioni fatte in quelle condizioni e le discussioni violente dei Consigli, mentre nel Direttorio Esecutivo le dimissioni sono continue e i membri si cambiano con una velocità vertiginosa, rendendo impossibile ogni efficace azione di governo (2). E poiché la piccola repubblica ancella deve seguire le orme della maggiore e dominatrice, come si è avuto un piccolo fruttidoro, così si ha una pallida imitazione del 30 pratile (18 giugno), allorché Sieyès e Barras avevano allontanato gli altri tre direttori. Appena rinnovati del terzo con le elezioni suppletive i consigli — nei quali con Paolo Sbarbaro giornalista e scrittore, appaiono in prima linea due personaggi per diverso rispetto notevoli, Gaetano Marrè e Antonio Maghella (3) — il dissidio tra i due poteri appare evidente e profondo. Nel Consiglio dei Sessanta si muovono aperte accuse contro i Direttori e si propone un’inchiesta: Agostino Maglione e Ambrogio Molfino si dimettono (4). Dopo la battaglia di Novi e l’accerchiamento quindi di Genova, il dissidio anche tra i Consigli si aggrava: i Giuniori vorrebbero portare il governo a Ventimiglia per non perdere il contatto con la Francia, i Seniori si oppongono; e nello stesso Consiglio dei Sessanta Maghella dichiara mostruosa la proposta di trasferire altrove il Direttorio, denuncia alcuni rappresentanti che si sono allontanati, propone che bastino quindici deputati a Genova per formare una commissione legislativa legale e chi vi si opponga sia dichiarato reo di lesa sovranità popolare. E intanto chiede che sia erogata una (1) Dispaccio B. Boccardo, 22 luglio 1799, in Colucci, IV, 211. Insiste su questo in altro interessante dispaccio del 6 agosto, ibid. pag. 228. Gran parte dell’azione diplomatica del Boccardo è però rivolta a lamentare le violenze delie truppe e le insopportabili esazioni, a chiedere aiuti per pagare le truppe francesi e permessi, di rado ottenuti, di esportare grano dalla Francia per mantenerle. (2) Gazzetta Nazionale, n. 47, 48 sgg., maggio 1799, pag. 374-387; Monitore, n. 66 sgg., pag. 262 sgg.; n. 84 sgg., pag. 393-415. In questo momento il Lupi, nominato Direttore, lascia l’ufficio diplomatico di Parigi, sostituito ancora da Bartolomeo Boccardo, Colucci, IV, 153 sgg. (3) Sullo Sbarbaro notizie si ricavano dai giornali e in particolare dal Censore che egli diresse dopo la morte del Biagini e che ne fa naturalmente gran lode: « unisce ai rari talenti e ad una delle migliori penne della Liguria, una virtù maschia, un’integrità senza pari, ed una costanza che Io distingue fra i veri zelanti del ben pubblico e dell’amor della Patria »; Il CensOre, n. 82, 14 maggio 99, pag. 327 e passim. Come del Marrè, manca uno studio compiuto sulla strana e complessa figura del Maghella, che ha più vasta importanza e sul quale non mancano particolari notizie: altre per il suo periodo genovese ne aggiungerò nel corso di questo studio. (4) Redattore, 3 luglio, n. 46, pag. 362.; // Censore, n. 104, 4 luglio; Monitore ligure, n. 84, 6 luglio, pag. 395; n. 86, 13 luglio, pag. 451. V. anche SciOUT, pag. 173. 6 82 — somma in aiuto dei patrioti liguri raccolti a Genova, facendo un quadro luttuoso dello stato delle popolazioni della regione (1). Il Direttorio, timoroso dei molti profughi venuti da ogni parte d’Italia, delibera frattanto di allontanare i forestieri ; ma il Marrè vuol sapere che cosa pensi di fare dei patrioti rifugiati, e quando al Direttorio entra il Morchio, pochi mesi prima costretto a dimettersi dai Sessanta, protesta violentemente (2). Il dissidio acuto viene ancora aggravato dalla revoca, proposta dal Maghella (3), della legge che proibiva il ricorso in Cassazione ai rei di delitti contro la rivoluzione (4). I nemici delle patria si sono levati la maschera — tuona il 28 novembre ai Giuniori Luigi Marchelli, medico anche lui — arrivano ai rappresentanti del popolo, nei primi Magistrati della Repubblica e nei rami più importanti del Ministero (5). Il disordine è arrivato al colmo: le richieste dei generali mettono alla disperazione il Governo e lo stesso Belleville; prestiti, requisizioni, forniture: è una oppressione insopportabile. Il Console francese dichiara intollerabile la propria situazione « auprès d’un gouverne-ment qui se dissout, d’un peuple mécontent et épuisé, d’autorités militaires qui froissent toutes les convenances qu’il faut pourtant faire respecter, des Francais et d’Italiens qui manquent de tout et que la République ne lui donne pas les moyens de secourir ». E il 13 brumaio afferma che se non gli si mandano aiuti e precise istruzioni abbandonerà Genova (6). (1) Gazzetta Nazionale, n. 11, 24 agosto, pag. 90, 92; 14 nov., pag. 183; Monitore, 11 sett., n. 103, pag. 511. (2) Monitore ligure, n. 6, 5 ottobre, pag. 22 e n. 9 pag. 36. Egualmente indignato il Belleville che aveva appunto provocato il precedente allontanamento del Morchio e che ora, approfittando della protesta di quindici deputati, capitanati dal Marrè, chiama uno scandalo il riapparire di chi era stato allontanato « par les fondateurs de la liberté en Ligurie»; Sciout, pag. 176. (3) Oli atteggiamenti del Maghella mostrano esatto quant’egli disse più tardi in una memoria defensionale, che cioè « Nel Consiglio de’ Sessanta tenne sempre apertamente il miglior partito resistendo per la moderazione a coloro che chiamavansi patrioti ». Archivio di Stato di Torino, Gabinetto di Polizia, Genova, cart. 4, anno 1835. (4) Questi provvedimenti relativi agli ex nobili e agli altri sospetti avevano uno scopo economico nel desiderio di realizzare mediante accordi quei vantaggi finanziari che non si riusciva a ricavare dalle vendite; Raccolta di Leggi e Atti del Corpo Legislativo, voi. Ili, 316; IV, pag. 218, 225, 233. La nuova Commissione di governo, appena istituita nel dicembre, dispose la confisca e la vendita all’incanto dei beni degli ex nobili che non si erano costituiti e non erano venuti ad accordi. L’ultimo nome, aggiunto il 15 novembre, è Gian Carlo Serra. Molti nobili vennero poi a transazione col governo verso pagamento; Collezione delle Leggi, Atti e Proclami della Commissione di Governo, 1799, pag. 18 seg., 628; Clavarino, Annali, III, 53. (5) Monitore Ligure n. 22, 30 novembre 99, pag. 88. Del Marchelli, chirurgo e fervente apostolo dell’inoculazione del vaccino, avrò occasione di parlare più oltre. Fu tra i più attivi e accesi dei Giuniori; nominato però a far parte della Commissione di Governo, il 7 dicembre, si dimise, ma le dimissioni non furono accettate; Monitore, 1799, pag. 64, 68, 177, 201 ecc.; Giornale degli Studiosi, 1869, I, pag. 7 e 13. (6) Sciout, pag. 176. 83 — Ma improvvisamente le situazione si trasforma; giungono notizie straordinarie: prima il ritorno di Napoleone dall’Egitto, poi il colpo di stato del 18 brumaio (1). E allora Genova ha anch’essa il suo piccolo brumaio, come aveva avuto un piccolo fruttidoro e un piccolo pratile. I generali e il rappresentante francese Belleville, nuovamente concordi, stanchi del disordine pericoloso peri loro interessi, intervengono. Il mutamento avvenuto in Francia porge occasione alla maniera forte anche a Genova. Poiché, di fronte alle vittorie degli alleati, gli avversari alzano il capo e le popolazioni resistono alle requisizioni e il Governo stesso non è sempre prono agli ordini dei generali, si afferma che la sicurezza delle truppe francesi è minacciata e si inventa o si aggrava una pretesa cospirazione contro i francesi. E mentre il generale Miollis forma una commissione militare e con rapida inchiesta procede ad arresti e a condanne, il Belleville costringe il governo a un’ulteriore trasformazione, per assicurarsi senza impedimenti e resistenze il pieno dominio della città nelle prossime azioni militari (2). Pur troppo, al solito, la incosciente agitazione e la furia delle fazioni avevano offerto il pretesto a così fatto ristabilimento dell'ordine e primo atto del nuovo governo sarà di ringraziare il comandante del presidio francese, Saint Cyr, del mantenimento dell’ordine (3). La seduta dei Sessanta del 6 dicembre si svolge tranquilla. Giuseppe Podestà — un altro medico! — vi parla delle condizioni economiche e delle enormi perdite dei « biglietti di cartolario », la rendita dello Stato; ma sotto la calma apparente si prepara il mutamento. Il giorno 7 il Belleville comunica l’istituzione del Consolato in Francia e la volontà del popolo francese di arrivare a una pace onorevole per sè e per i suoi alleati. Gli risponde il Ministro degli Esteri felicitando il Consolato; il popolo ligure non dubita che sarà conservata la sua libertà. Improvvisamente lo stesso giorno il Consiglio dei Sessanta, considerata la situazione della Repubblica, delibera: Non vi è più Direttorio; il Corpo legislativo crea interinalmente una Commissione di Governo investita del potere legislativo ed esecutivo, incaricata di preparare una costituzione che si avvicini a quella che sarà adottata in Francia (4). (1) Molto interessanti relazioni mandava in proposito da Parigi il Boccardo; Colucci, IV, 346 sgg. (2) J. E. Driault, Napolfon en Italie, Paris, Plon, 1916. Anche l’esposizione del Driault, come quella dello Sciout, è condotta sui dispacci del Belleville. Importanti per chi volesse fare una minuta indagine sulle vicende dell’agitato periodo le lettere del Belleville al Governo Provvisorio e al Direttorio Esecutivo in Archivio di Stato, Genova, Governo Provvisorio, Mazzi 1-5, N. G. 2495-2499. (3) Collezione delle Leggi, Atti, Decreti e Proclami della Commissione del Governo Ligure (voi. V della Raccolta di Leggi del Corpo Legislativo), Genova, 1799, pag. 4. (4) Raccolta delle Leggi e Atti ecc. del Corpo Legislativo, voi. IV, pag. 239 sgg. Bastò, dice Oirolamo Serra, che il più oscuro fra i Deputati del Corpo Legislativo stimolato dal Comandante delle truppe francesi in Liguria pronunziasse dalla ringhiera: Non esiste più il 84 — Il Corpo legislativo si aggiorna frattanto al 1° giugno venturo e provvede ai casi propri conservandosi le indennità e le garanzie costituzionali (1). Lo stesso giorno i Seniori frettolosamente approvano: il piano è stato evidentemente elaborato a dovere. E anche le nomine sono state preparate: sono designati a far parte della Commissione Luigi Corvetto, Giuseppe Cambiaso, Francesco Maria Ruzza, Giovanni Battista Tanlongo, Giuseppe Assereto di Rapallo, Antonio Bollo, Domenico Rivarola, Luigi Marchelli e Francesco Boselli di Savona, subito sostituito da Emanuele Montebruno; che, secondo quella mala lingua di Luigi Serra, fu l’organizzatore principale della trasformazione (2). « Così, commenta il Monitore, il Governo Ligure è affatto disorganizzato. Questa famosa operazione è stata preceduta dall’arresto di ben 56 individui: il 7 dicembre ha lo stesso scopo di salvare la Liguria come il 18 Brumale la Francia, sebbene in altra forma » (3). La nuova commissione « ha preso il giuramento nella forma medesima del francese, fra l’esultanza de’ patrioti e del popolo ». E più esplicitamente ma con altra intonazione quattro giorni dopo narra che la notte del 6 si sono fatti molti arresti di carattere politico, e il 7 la città è occupata militarmente quando si convocano nel pomeriggio i consigli: uno dei membri dei Seniori, ma non fa il nome del Montebruno, porta al Consiglio (evidentemente d’accordo col rappresentante francese e come un ordine) quel progetto di trasformazione che è votato subito anche dagli Anziani e comunicato al Direttorio che obbedisce senz’altro, e aggiunge: « La Liguria aveva un governo eguale a quello della Francia. Era ben naturale che dovesse anch’ essa risentirsi delle lacune di una costituzione difettosa, incapace a mantenere la divisione e l’equilibrio dei tre poteri: o bisognava lasciar perire la Repubblica in mezzo a un’ anarchia organizzata o rompere arditamente le barriere che impedivano di condurla a nuova vita. Queste verità erano sentite da tutta la maggioranza dei membri del Corpo Legislativo e non aspettava che le circostanze favorevoli per concorrere a quelle misure straordinarie che fossero state suggerite e conosciute capaci di salvare la Patria ». Così, conchiude Direttorio « perchè i Membri di esso si separassero contentissimi di uscire da un posto ove la loro coscienza era sempre in contrasto con le loro operazioni *; Memorie, pag. 113. (1) Molti dei rappresentanti rimasti inoperosi hanno poi uffici nelle varie giurisdizioni dalla Commissione; Collezione cit., pag. 90 sgg. (2) L. Serra, I Novemviri, dramma eroicomico, nel giornale Le Piccole Miserie, Genova, 1864, pag. 170 sgg. (3) Secondo i dispacci del Belleville gli arrestati, tra i rappresentanti e gli altri cittadini, furono un centinaio e quattordici mandati a morte per aver confessato la partecipazione a un complotto antifrancese; ma il Driault non riporta nomi, se pure sono nella relazione del Commissario francese. - 85 — il giornale, i lieti avvenimenti di Francia aprono le più rosee speranze anche alla Liguria e le promettono eguale felicità (1). Ed è naturale che anche più lieti siano a Parigi della chiusura dei Consigli, del governo ristretto sul quale più facile è la pressione in quel momento così grave, neH’estremo baluardo del dominio francese in Italia. « Cittadino, — scrive Talleyrand al Ministro Boccardo che gli ha comunicato quei mutamenti — Ho ricevuto la comunicazione che mi avete fatta dei cangiamenti che si son fatti nell’organizzazione politica della Liguria e non ho tardato a parteciparli ai Consoli. I mali che pesavano sulla vostra Patria, i disordini che derivavano necessariamente da una cattiva amministrazione e da un sistema di governo depravato nei suoi principii per la discordia e le ambizioni personali, erano pei Consoli oggetto di costante sollecitudine. Essi hanno appreso con un vero interesse che si era operata la riforma senza scosse, e che nuove intenzioni promettevano un migliore destino al vostro Paese. M’incaricano di esprimervi la loro soddisfazione sugli avvenimenti che sono il motivo delle vostre speranze, e di assicurarvi che saranno sempre disposti ad accogliere tutto ciò che crederanno esser fatto per migliorare la situazione della Liguria e la sorte de’ vostri concittadini. — Salute e fratellanza. — Ch. M. Talleyrand » (2). Così cessa la Repubblica democratica. Superato il parossismo demagogico, in una vita meno violenta, anche se ancora turbata e malsicura, dopo i disagi e le incertezze e le sofferenze del blocco, verrà anche per un uomo pratico e moderato come Onofrio Scassi il momento di prender parte diretta all’amministrazione e al governo del suo paese. (1) Il Monitore Ligure, n. 34, 7 dicembre, pag. 96; n. 25, 11 dicembre, pag. 97, 100. Gazzetta Nazionale, 7 dicembre, pag. 210. (2) // Monitore ligure, gennaio 1800, pag. 149. La lettera è conosciuta dal Clavarino (III, 94) ma riferita a periodo posteriore. L'originale francese è riprodotto in Notes et corrispondence du fìaron Redonde Belleville, pag. 80, n.CCLVIII. Il giornale ha creduto però di dover sostituire al saluto finale <■ Recevez etc. » l’obbligatoria formula democratica. jt CAPITOLO III. L’assedio del 1800: l’epidemia e la vaccinazione jt jt „•* La trasformazione costituzionale del 7 dicembre 1799 avrebbe dovuto segnare per Genova e la Liguria, come il 18 brumaio per la Francia, il principio di un governo ordinatore e pacificatore; ma se rappresentò la fine delle agitazioni demagogiche e una remora alle minacciose rivolte reazionarie, non potè dare maggiori frutti per la situazione in cui Genova era venuta a trovarsi nella guerra generale. Sconfitto Macdonald alla Trebbia, morto Joubert a Novi e vinto Championnet a Genola, mentre il centro e il mezzogiorno della penisola erano riconquistati alla reazione popolare, ai Francesi non rimaneva che Genova; e l’esercito che doveva difenderla contro un nemico numeroso e insuperbito per le recenti vittorie era in condizioni miserevoli, senza vesti, senza vettovaglie, privo di aiuti dalla Francia, decimato dalle malattie che gremivano gli ospedali, giunto talvolta, per le sofferenze atroci, a gesti di disperata stanchezza e di sconfortato abbattimento. Intanto torme di patrioti fuggenti dalle altre regioni e avanzi di truppe disfatte si accalcavano in Liguria e narravano gli orrori della reazione vittoriosa e accrescevano il timore degli eserciti austro-russi incalzanti per terra, delle flotte inglese e napoletana minaccianti dal mare. Nelle stesse campagne liguri, ove era stata così scarsa l’adesione al governo democratico, l’insurrezione scoppiava intorno agli avanzi dell’esercito francese. Era naturale che tutti i poteri passassero, non più nel modo subdolo e sornione di prima, ma apertamente e recisamente nelle mani dei rappresentanti, specialmente militari, della Francia. Eppure, per quanto le condizioni del momento lo potevano permettere, la Commissione provvisoria del Governo, investita eccezionalmente di poteri insieme legislativi ed esecutivi e incaricata di preparare la nuova costituzione, fece del suo meglio; apparve, in confronto ai precedenti, un governo saggio - 87 — e forte del quale disse bene persino quel brontolone dello Spinola nei suoi appunti sulla vita del Corvetto (1). Non la risparmiò invece il P. Luigi Serra, già direttore del Flagello, che ne lasciò una mordacissima satira nel dramma eroicomico / Novemviri, quasi continuazione della Lanterna magica in cui erano stati flagellati i membri del Direttorio e i più accesi patrioti, special-mente quelli del Circolo Costituzionale (2). È del resto il governo di coloro che hanno aderito con onesti e diritti intendimenti alle nuove idee e sentono di doverle difendere malgrado i disinganni e i dolori; pensano (come è stato scritto nel proclama di stato d’assedio) che « l’Italia nuova vive ormai nel popolo ligure » e sentono di doverle dare tutte le energie ad evitare il peggio, in ogni senso. La Commissione si costituisce col Ruzza a presidente e Luigi Marchelli a segretario, dividendosi in tre comitati: Assereto, Bollo e Cambiaso, polizia e giustizia; Montebruno, Tanlongo, e Marchelli, interno e finanze; Rivarola, Ruzza e Corvetto, guerra, marina e relazioni estere; e comincia subito col nominare, certo non del tutto spontaneamente, il Generale Marbot, nuovo comandante francese della Liguria, a capo anche delle truppe liguri. Provvede poi a riordinare gli uffici, ma s’incontra in molte dimissioni o « scuse », come si diceva, non dubbio indizio della scarsa simpatia della popolazione a quell’ordine di cose e alla protezione dominatrice francese (3). Fin dai primi momenti, mentre si procede ad arresti,a repressioni, a punizioni, alla costituzione di tribunali straordinari contro la montante ostilità tenuta a freno da quei resti di esercito francese (4), si cominciano i tentativi di approvvigionamento, si creanoorgani di contingentamento e di distribuzione, si forma un comitato di sussistenza, si escogitano nuovi provvedimenti finanziari, specialmente per ricavar denaro dai nobili, ma si stabilisce anche la vendita dei beni di garanzia se i banchieri (1) Ruini, Corvetto, pag. 38. (2) I Novemviri furono stampiti nel giornaletto « Le piccole miserie » , Genova, 1864, pag. 170 sgg. Della Lanterna mugica ha dato un saggio il Clavarino nel V degli Annali, pag. 49; v. Belgrano, Imbreviature, p. 222; un altro recentemente A. Codignola, Il Padre dei Ruffini in Rassegna Storica del Risorgimento, 1922, fase. II, pag. 171 sgg. La migliore copia manoscritta si conserva nella Bibl. Universitaria di Genova, segnata g. v. 26. (3) Collazione Leggi e Atti Commissione di Governo, Genova, 1799, pag. 28; Clavarino, Annali, III, pag. 52; Gazzetta Nazionale, 14 dicembre 1799, pag. 13. A ispettore generale degli uffici della commissione fu nominato il medico Sommariva, già segretario generale del Direttorio, e capo ufficio Giovanni Scasso, il cancelliere che si trova molte volte nominato in cariche di questo genere; Clavarino, IV, 105, 110. (4) Ancora il 27 dicembre sette controrivoluzionari furono mandati a morte, anche contro il parere del generale Marbot: era la conseguenza della cospirazione oligarchica capitanata da Pasquale Adorno. Ma di fronte all’onda di malcontento suscitata da questo fatto l'apposita commissione militare straordinaria che sedeva a S. Domenico si dimise e fu istituito un tribunale; Clavarino, Ili, 53; Monitore, gennaio 1800, pag. 127, 135, 148, 323, ecc. e i negozianti non accettino al valor nominale i biglietti del banco di San Giorgio (1). I provvedimenti si susseguono numerosi, incalzanti in materia di viveri, di finanze, di sicurezza pubblica, anche con una nuova legge sulla guardia nazionale, che riproduce quella del 17QS. Li situazione si fa sempre più difficile per l'avanzarsi dei nemici, per la difficoltà degli approvvigionamenti, per il diffondersi dell'insurrezione nella campagna, specialmente nella valle di Fontanabuona, cui fu dato il nome di Vandea della Liguria (2), mentre i difensori e qui la vicenda assume un aspetto realmente tragico — aggravano coi bisogni, con le prepotenze, con le pretese una condizione insostenibile. Gli abusi non cessano, l’obbligo di provvedere ai viveri per le truppe è ogni giorno più oneroso, la richiesta di denaro più imperiosa. I prestiti non sono restituiti; i commissari di guerra continuano nei vecchi metodi di violenza e di rapina; lo stesso Talleyrand dichiara che la situazione di Genova è deplorevole e a Parigi si teme che il governo ligure si dimetta « abreuvé de degout » togliendo l’ultima illusione d indipendenza al paese (3). È vero che questo non impedisce ai Genovesi di divertirsi ballando furiosamente: sembra che il ballo sia divenuto, dopo il denaro, l’idolo più favorito dei liguri, commenta sarcasticamente la Gazzetta (4). II 10 febbraio giunge ad assumere il comando e a riorganizzare i resti dell esercito incaricato di difendere una posizione di capitale importanza Andrea Massena e pone la sua sede e il quartier generale nel palazzo dell'ex nobile Ambrogio D Oria in piazza di S. Domenico, ora De Ferrari, già sede dell ultimo Direttorio: una lapide ricorda oggi la residenza dell’eroico generale. Il giorno dopo, Massena si reca a visitare nel palazzo ducale la Commissione di governo e tronca a mezzo (« signori, non abbiamo tempo da perdere ») un complimento di ben venuto (5). il tono è subito mutato nella difesa e nella vita cittadina: l’imperiosa volontà del comandante non ammette repliche nè indugi, i prov\edimenti si moltiplicano sotto le domande pressanti e gli ordini precisi. Il 14 ha luogo (1) Gazzzru .WjzùuuI^ gennaio-febbraio 1900: Clavarino, HI, » sgg.; Rim pag. 38; Calla un* dell* L'ggi Atti Dxreti t Proda-n- dtila Cmuussìm* iti direno Lirun, Genova, 1799, passim. (2) A. Chi a ha, Il gvunilt Marbot a Gtmmm ad 1300, Giornale Storico e Letterario della Liguria, 192$, pag. 140 segg. Alle fonti indicate dal Chiama è da aggiungere il ,Wonitort, che nei mesi di gennaio-marzo ha molte notizie sa quella che dice appunto la Vandea della Liguria e v. CMruone ecc. pag. 291 sgg, 651. (3) Dri ault, Nopoieo* r* Italie, Paris, 1906, pag. 116. (4) Gozsetta Menomale, 25 gennaio, pag. 263; Bciqbano, Imi renature, pag. 232. (5) Belo» ANO, pag. 225 segg.; Ruini, 39 sgg. Caratteristico è il giadirio del Srw», *fmrrv, pag. 116: « Che Massena spie>wae grand’arte e valore «dia difesa di Genova, non si può dire; mi si bene forza d'animo e indefessa vigilano ». - 89 - una consulta alla quale intervengono anche i membri dei corpi legislativi sospesi, alla richiesta di un prestito di altri due milioni — in tre anni se ne sono già sPes' 20 per servizio degli eserciti francesi — vengono opposte le difficoltà più evidenti; distrutto il commercio, inaridite le fonti della ricchezza, la città immiserita, logorata dalla fame e dalle febbri; fanciulli e donne muoiono nella folla che si stringe intorno alle zuppe d’erbe fatte distribuire dal governo. Conseguenza: il giorno dopo i più dei commissari, accusati dal generale di debolezza, chiedono la « scusa ». Le dimissioni del Ruzza, sebbene presentate tre volte, non sono accettate, ma gli altri (Marchelli, Montebruno, Giuseppe Cambiaso, G. B. Tanlongo) sono faticosamente sostituiti, e dopo molte rinunce, con elementi su cui il generale crede di poter contare; alcuni dei quindici membri a cui la commissione è portata, come Emanuele Balbi, Michelangelo Cambiaso, Domenico Straforello, Girolamo Durazzo, Pietro Paolo Celesia, saranno destinati ad avere molta parte negli anni napoleonici (1). Luigi Corvetto diviene ministro degli esteri e commissario generale presso il Comando; gli tocca così il compito di fiancheggiare la resistenza francese e proteggere, per quanto è possibile, nell’ora dell’assedio e della fame, il popolo di Genova. Non è il caso di ricordare qui le vicende del celebre assedio che ha avuto tante e tanto vive narrazioni (2), nè le atroci sofferenze della popolazione, nella quale i più erano malcontenti e avversi, ma una parte non affatto esigua faceva propria la causa dei francesi e vi sentiva la ragione del proprio rinnovamento. Sebbene il Massena abbia tolto sin dal 15 febbraio lo stato d'assedio, il rigore della sorveglianza della vita interna è ogni giorno maggiore e ne è indubbiamente conseguenza la cessazione del Monitore e del Redattore italiano (3), mentre unica voce rimane nella stampa l'ufficiosa Gazzetta Nazionale. In compenso, fra tante ansie, è pubblicato e divulgato il poemetto del Ceroni « il Pappagallo », nel quale sono passate in rassegna le dame (1) Collettame di Leggi t Atti deila CwtVw di Gorerms, pag. 2S4 - Drmlxt pag. II/; G*cmot, Le urge de Gènes, 1800, Paris. PVjb, 1908, pag. 151. D r.mhiy» e g Durino sono i primi nobili tonati al goreroo dopo il Prwrèoro; di loro dice fl Soau efee « » sabberò creduti i pn «tri . govenure i, tempi _ aato»; lunaria H considen i migliori detta Cowaiisaowe; Memorie pag 114 (2) V. U bibliografia m Bamxm, pag 224; Rum, p«g. 353; Chiama, pag. 140; Fiorini e Lemmi. Stona Politica d'Italia, Penodo napoleonico, 1799-151«, Mflaoo Vanirai, pag. 636. (D Momiton, 15 febbraio, pag. 75. Cessa col «. 52 dd 15 uno 1900. e T eterno nmero annanoa U pacificarim della . Vaadea «a è ripreso prt tanfi, dopo rassedk». n Redaitorr, meece, dopo agitate riceade e rane *wpe«*m. more i 25 mirro, m. 77 P»g- 570. E * momento, d ee, .. cii le bocche inatih som aft^UM-r i dbe lo fa Appone’ redatto da patrioti di altre prwiace. — 90 - più in vista della città (1); ma ben presto anche il canto si inaridisce e al combattimento dei forti dei Due Fratelli i poeti che partecipano alla difesa sono feriti: il Ceroni, il Gasparinetti, Ugo Foscolo; e vi è ucciso il Fantuzzi (2'. Le speranze suscitate dalla venuta del Massena e dai primi successi dileguano; e allo spettro della fame (3) si aggiunge, sempre più pauroso, quello delle malattie. Sin dal gennaio si erano sparse voci di una epidemia che si andava diffondendo: incaricati dalla Commissione di Sanità di accertarne la consistenza, Mongiardini e Olivieri cominciarono da un’indagine nell’ospedale di Pammatone, ove maggiore appariva la mortalità. Ne ebbero in risposta che nulla di epidemico vi si era notato e che il maggior numero delle morti era derivato dal freddo, dalla fame, dall’età, perchè si trattava di individui vecchi ed estremamente miserabili. Tuttavia i due incaricati vollero udire il parere anche dei più accreditati sanitari: Covercelli, Costa, Pratolongo, Onofrio Scassi ed altri; i quali unanimi risposero che si trattava di diffuse febbri putride, ma senza carattere epidemico; la mortalità maggiore del consueto — circa un decimo degl’infermi — era dovuta alle critiche circostanze del momento. Queste risposte accompagnate da abbondante apparato di dati scientifici non sembra però appagassero troppo la Commissione di Governo, tanto più che da Savona giungevano notizie molto preoccupanti, onde essa rinnovò alla Commissione di sanità la raccomandazione di prendere tutte le misure ritenute adatte a tener lontano il temuto flagello; anzi l’autorizzò a nominare un Consiglio d’ispezione per gli ospedali di Pammatone e degli Incurabili, incaricandolo di esaminarne lo stato economico e amministrativo, di rilevarne i difetti e gli abusi e di presentare entro 30 giorni un progetto di riforma. Furono chiamati a farne parte Luigi Marchelli, Leonardo Benza, Giuseppe Podestà, Antonio Mongiardini, tutti della Commissione di sanità, (1) Gazzetta Nazionale, 8 marzo, pag. 316. Il poemetto è edito con preziose note illustrative dal Belgrano, pag. 325 sgg., e v. A. Bassi, Armi e amori nella giovinezza di Ugo Foscolo, Genova, 1927, pag. 133 sgg. Sul Ceroni, v. G. Mazzoni, Un commilitone di U. Foscolo, Atti del R. Istituto Veneto di Lettere Scienze ed Arti, IV, serie VII. Su questi poeti in genere Nora Cozzolino, Poeti lirici e civili in Genova nei primi del ISOO, Giornale storico e letterario della Liguria, 1930, pag. 43 sgg.; G. Broche, Pagessur Gènes la Superbe, Paris-Génes, 1928, pag. 109 sgg. (2) Notizie e bibliografia in Fiorini e Lemmi, Belorano, Ruini, A. Bassi ecc. (3) La nomina di un Comitato di sussistenza, eletto il 24 gennaio e costituitosi faticosamente perchè i designati non volevano accettare l’oneroso ufficio, non procurò i viveri che non c’erano, ebbe il solo effetto di intralciare i provvedimenti con conflitti di attribuzioni e con le solite difficoltà delle pretese e delle opposizioni francesi. In seguito a suo rapporto, il 25 febbraio la Commissione di Governo dichiarava di non poter più mantenere gli eserciti francesi. Collezione Leggi ecc. pag. 214 sgg., 260; Gachot, pag. 154 sgg., 395. — Ol- ii mcc*'co Luigi Piedi, il chirurgo G. B. Garibaldi e il municipale Giuliano Aiena (1). In realta pare che gli ospedali fossero in condizioni molto disastiose, e il Thiébault parla addirittura dell’orrore che destavano (2); non dice però che a ridurli a quel modo non poco avevano contribuito i numerosissimi soldati francesi ricoverati e che alla loro presenza, come già nei 1794, era dovuto il diffondersi dell’epidemia. La nuova commissione si mise subito all’opera, mandando il Covercelli a Savona, donde egli potè trasmettere notizie abbastanza rassicuranti, e proponendo alcuni provvedimenti per riparare alle deficienze degli ospedali, a cominciare dalla legna di cui si sentiva gran bisogno (3). Ma occorreva anche in questo campo un’azione più energica e si ebbe subito alla venuta del Massena. Prorogati i poteri del Consiglio, il Mongiardini, come presidente della Commissione di sanità, fu incaricato di trovare locali fuori di città, adatti a farne ospedali pei francesi; gli ospedali cittadini dovevano fornire il materiale necessario ad allestirli. Ma per quanto egli fosse autorizzato a prendere tutti i provvedimenti necessari, trattando direttamente con gli agenti francesi e col comandante in capo, il trasporto dei malati procedeva lentamente per la difficoltà di trovare locali adatti e alla fine di marzo non era ancora eseguito, sebbene apparisse sempre più urgente sgombrare l’ospedale di Pammatone (4). E un altro problema si presentava urgente, quello d’impedire « l’uso detestabile di seppellire i cadaveri nelle Chiese » come diceva la Commissione di sanità, che riferiva anche le lamentele in proposito delle Comunità (5) e rilevava il pericolo dell'aprire frequentemente i sepolcri per dar sepoltura ai nuovi cadaveri. Incaricata di provvedere, discuteva e approvava un progetto Mongiardini per la costruzione di cimiteri fuori della città, trasmettendolo per l’esecuzione alla Commissione di Governo (6). Tentavano questi benemeriti di difendere per quanto potevano la salute (1) Cazz ila Nazionale, 18 gennaio 1800, n. 31 e supplemento; n. 32, 25 gennaio, pag. 261; Monitore, 24 gennaio, pag. 156; Il Redattore Italiano, n. 59, 21 gennaio, pag. 461 e 11. 60, 25 gennaio, pag. 466; Clavarino, III, 63; Collezione Leggi e Atti Commissione di Governo, pag. 215. (2) Thiébault, Giornale delle operazioni militari delP assedio e blocco di Genova, trad. da Celestino Massucco, (ìenova, Delle Piane, 1800, pag. 14. (3) Gazzetta, n. 33, 1° febbraio, pag. 266, 268; Collezione, pag. 176, 239. (4) Collezione Leggi e Atti Commissione di Governo, pag. 291, 374, 390 sgg., 651; Gazzetta Naz., marzo 1800, pag. 295, 320, 328, 337; Il Redattore Italiano, n. 65, 11 febbraio, pag. 497. Il Mongiardini si dimise il 30 marzo, ibid., pag. 415. (5) Collezione, pag. 234, 257. La prima a proporre che non si seppellissero i morti nelle chiese era stata la Comunità di Sampierdarena; Monitore Ligure, n. 98, 7 agosto 1799, pag. 372. (6) Gazzetta, 8 febbraio, pag. 278; 29 marzo, pag. 337; Redattore Italiano, n. 63, 4 febbraio, pag. 485. - 92 - pubblica, come altri nel governo di alleviare le sofferenze dei cittadini; ma le rovine intorno si accrescevano, le sofferenze divenivano atroci. Che in quelle condizioni sorgessero anche questioni di prestigio e scoppiassero litigi per l’insofferenza dei comandanti locali, come il Siri, alla piena sotto-missione agli ufficiali francesi (1), non è meraviglia, nè che piovessero da ogni parte lamentele per le spese inutili, come quella di compensare a dieci lire giornaliere i rappresentanti dei vecchi Consigli inoperosi, e di mantenere impiegati oziosi e ufficiali senza soldati o si susseguissero ininterrotte le dimissioni di gente stanca ed impotente di agire per la intrinseca difficoltà della situazione, per il necessario dispotico accentramento del Massena, insensibile nel disperato eroismo alle sofferenze della città agonizzante. Nell’aprile, ad accentrare maggiormente i poteri, la Commissione di governo nominava nel suo seno una deputazione militare presso il comandante in capo. Dapprima temporanea, fu poi prorogata e le furono attribuiti, specie di Comitato di Salute Pubblica, tutti i poteri politici, amministrativi e militari col solo obbligo di riferire alla Commissione di Governo che naturalmente approvava; in realtà essa aveva la funzione di eseguire gli ordini di Massena. Dimessisi il Ruzza e Girolamo Durazzo, che vi erano stati chiamati, dopo non lievi stenti fu costituita da Giuseppe Bollo, Emanuele Sommariva e Antonio Boccardo (2), mentre Corvetto rimaneva sempre accanto al generale nizzardo e con la sua abile duttilità riusciva a calmarlo e a strappargli concessioni insufficienti, ma che sembravano impossibili in quell’ora e da quell’uomo, ossessionato dall’idea della resistenza ad ogni costo, eccitato sotto il peso deH’immane responsabilità, pronto a vedere dovunque il tradimento e a infuriare contro i genovesi « questi greci da basso impero, questi egoisti », che meditavano di consegnarlo mani e piedi legato agli austriaci. 1 mesi di aprile e di maggio sono stati di sofferenze inaudite, mentre lotte furiose si combattevano sulla cerchia dei forti e nelle vallate. Più ancora che nelle descrizioni dei molti narratori, se ne ha l’impressione nei diari contemporanei e negli accenni giornalieri della pur ufficiosa e misurata e sorvegliata Gazzetta. « Requisizioni di ogni genere — riassume efficacemente il Ruini — dai metalli ai guanciali; tutti i genovesi validi mobilitati nella guardia nazionale a presidiare la città (3), mentre le altre truppe combattevano sui monti; imposizioni; prestiti forzosi riscossi in pochi giorni; (1) Gazzetta, marzo, pag. 311, 337 ecc. (2) Collezione Leggi e Atti Commissione di Governo, pag. 454 sgg., 475, 626. I provvedimenti di questa Deputazione sono nella raccolta Decreti della Deputazione di Governo sugli affari militari, Genova, Franchelli, 1800. (3) È questa la quarta legge sulla guardia nazionale, comprendente pochissime esclusioni di più elevati funzionari; Collezione ecc., n. 1203, pag. 433 sgg.; CLAVARINO, 111, 115* -, 93 - sovvenzioni ai poveri, cui erano obbligati i più ricchi. Genova dava l’ultimo danaro e non aveva pane; la carestia era come la pestilenza retaggio della resistenza disperata. Le sofferenze erano atroci; restava un po’ di zucchero e se ne vendeva ancora: zucchero rosa, viola, candito, nei cestellini eleganti, pei confortare gli affamati di pane; del pane che mancava ed era di crusca, di amido, di gesso, di assurde miscele; ed anche la carne mancava: gatti, sorci, pipistrelli, ogni cosa immonda che si potesse mangiare saliva ad alti prezzi, e nobili dame cercavano a drappelli, su pel Bisagno, cicoria ed erba, menti e dal porto urlavano selvaggiamente i prigionieri austriaci nelle barcacce, che morivano di fame » (1). Un anonimo diarista, fedele all’antico ordine di cose, sfogava il suo dolore e il risentimento lamentando che « la città di Genova attualmente geme sotto il nome di libertà nella più vergognosa schiavitù di tutti i vizi, di tutte le passioni le più sfrenate e di un’anarchia senza esempio, che non esistono più nè diritti nè proprietà, che la santa religione è calpestata, che gli altari e i loro veri ministri sono profanati e dispogliati dei loro arredi e benefizi e che finalmente una costituzione, sulla quale peraltro ha spiegato la sua volontà il popolo, è lesa e distrutta. Democrazia! Noi non agiamo che per un estero despota e suoi satelliti: uguaglianza non esiste che in spillare le sostanze dei privati e farne un mostruoso scialacquamento. Popolo sovrano! ma sulla bocca del cannone. O patria, o legge, o libertà tradita! » (2). A sua volta, ma con animo diverso, una dolorosa descrizione della situazione cittadina e del vario stato d’animo degli abitanti faceva la Gazzetta, sopra tutto lodando l’opera di coloro (ed è probabile si riferisse al Corvetto specialmente) i quali « non hanno cessato in nessun tempo di servire alla causa del popolo contro gli sforzi e gli attentati dei malvagi che l’hanno disonorata e quasi perduta; li vediamo ora questi benemeriti, maggiori delle disgrazie, calmire gli animi più inquieti e inaspriti, frenare i trasporti degl incauti e dei temerari, scuotere i vili, incoraggiare i pusillanimi, e, mentre gemono profondamente nel segreto del loro cuore sulle calamità che ci opprimono, gridare a tutti con fraterna e patriottica voce: Il destino pende indeciso sopra di noi, mostriamo nella nostra condotta e nella nostra attitudine che siamo degni di un felice avvenire » (3). (1) Ruini, Corvetto, pag. 42-43. Per quanto riguarda le condizioni della città, più che le operazioni militari, sono da vedere, oltre la Gazzetta, e le Collezioni di leggi e decreti, i diari pubblicati nel voi. XXIII degli Atti della Società Ligure di Storia Patria e nel voi. XXI del Giornale Ligustico; Bi.lorano, Imbrcviature, L’assedio e il blocco-, Petracchi, Istoria del blocco di Genova, Oenova, Porcile, 1800; Clavarino, Annali, III; Varese, Vili, 378 sgg. ecc. (2) Diario anonimo, in Atti Soc. Lig., XXIII, pag. 483 sgg. (3) Gazzetta Nazionale, n. 45, 26 aprile 1800, pag. 365-6. — 94 - Inutili esortazioni che non bastavano più a eccitare gli animi giunti a uno stato di vera disperazione. Falliti tutti i mezzi e gli espedienti per rifornire la città, inutili le promesse e le minacce contro i veri o supposti imboscatori di grano e di viveri, dimostratesi vane e pericolose le perquisizioni domiciliari, dovute sospendere per timore di reazione violenta, la Deputazione decide il 14 maggio di recarsi col Corvetto dal generale in capo per fargli nota ancora una volta « l’estremità a cui è ridotta la popolazione di Genova per l’imminente mancanza di pane e di farine d’ogni specie tanto per la Popolazione quanto per l’Armata francese ». Bisognava che sentisse ben grave la minaccia del popolo affamato e giunto all’estremo dei patimenti per osar di dire a quell’uomo « non poter più a longo rispondere della sofferenza del Popolo e della tranquillità pubblica rilevandone le conseguenze temibili e terribili al Governo, al Generale, al Popolo, all’Armata Francese », e per conchiudere che « per salvare il Popolo dall’eccidio, dalla fame, altra via non sembri più di rimanere che quella di aprire delle negoziazioni di Capitolazione prima di giungere alla fine della presente settimana ». Nelle trattative, aggiungeva, si doveva aver cura di garantire l’indipendenza e la neutralità della Repubblica, la sicurezza delle persone e della proprietà, la libertà di rimanere e di uscire agli amici della Libertà e dei Francesi, tanto Liguri quanto forestieri e qualunque fossero state le loro opinioni politiche. Il colloquio ebbe luogo la sera stessa del 14. Che debba essere stato tempestoso si rileva dalle parole del verbale, che cioè il Generale « interpellò con calore la Deputazione quali erano le di lei intenzioni nel tenerli tali discorsi, e se pensava di proporgli qualche cosa d’indegno della sua armata e di lui ». Sperava la Deputazione che le trattative potessero essere basate sulla futura neutralità di Genova e sull’interesse che l’Inghilterra doveva avere a che la Casa d’Austria, già padrona dell’Adriatico, non mettesse piede anche nel maggior porto del Tirreno. Dopo lunga discussione, il Massena sembrava indotto a entrare in trattative sulle basi proposte dalla Deputazione e il Corvetto era stato autorizzato ad abboccarsi col Console degli Stati Uniti, indicato come intermediario, quando tutte le pratiche furono interrotte dall’arrivo di due ufficiali francesi, latori di un messaggio del Primo Console che, informato della situazione di Genova, invitava il Massena a resistere almeno sino al 30 maggio (1). Così la sofferenza si prorogava di qualche giorno, ma col miraggio di fine non lontana. Tutto rimaneva precario in quelle condizioni, e naturalmente non era il caso di pensare nè a emanare una nuova costituzione (2), nè a procedere alla formazione di un governo regola- (1) Decreti della Deputazione di Governo sugli affari militari, Genova, 1800, pag. 47-51. (2) Nel voi. 24 della Collezione di Appunti storici e Documenti ci sono molti progetti di costituzione compilati dai membri della Commissione e da altri giuristi, uno anche del — 95 — le, e la Commissione provvisoria fu prorogata l’ultima volta il 31 maggio, pochissimi giorni prima della resa (1). La tenace difesa aveva infatti compiuto la funzione che il Bonaparte le aveva assegnata di concentrare intorno a Genova l’attenzione e le forze austriache sviandole dalla difesa delle Alpi. Il 30 maggio si credette che gli Austiiaci si fossero ritirati e Bonaparte si avvicinasse, e il Massena uscì dalla città fra gli applausi dei patrioti che felici si abbracciavano e baciavano scambievolmente. « Partecipano di quei calorosi baci molte cittadine che fra loro sono comprese » dice il diarista, e aggiunge che parecchi, i quali « per laddietio e nello stesso giorno d’ieri si avevano finalmente legati alla meglio i capelli dietro e li avevano anche incipriati, ora in questa mutazione di scena si strappano il bindello nero del codino e lo gettano nella pubblica strada e si vedono sgrafignarsi i capelli e nettarsi la testa dalla polvere e giidare e cantare trasportati; e questi stessi dove s’incontrano al passare del gran Massena saltano dinanzi a lui come gl’indiani in faccia al sole » (2). Ma questa gioia era precoce e la notizia erronea; ed è probabile che i frettolosi opportunisti tornassero per qualche giorno al codino. Impossibile l’ulteriore resistenza, la resa avvenne col celebre incontro alla Cappelletta presso il ponte di Cornigliano il 4 giugno; e la curiosa situazione per cui parve che fosse il vinto a dettare le condizioni fu dovuta non solo alla rispettosa ammirazione per queIl’eroica resistenza, ma al fatto che il generale Ott aveva già ricevuto ordine dal comandante supremo Melas di levare I assedio. Il trattato, che Massena dichiarava di voler sottoporre all approvazione del governo genovese, stabiliva, oltre le condizioni militari, che nessuno dovesse esser molestato per le opinioni politiche manifestate e chi voleva potesse liberamente uscire dalla città (3). Appena conosciuta la notizia della resa, scoppiarono violenti tumulti e la plebe, spinta dalla fame e desiderosa di vendicarsi degli speculatori, si gettò sui magazzini di commestibili che ancora rimanevano e se ne impadronì; e appena gli Austriaci introdussero i viveri in città il popolo volle sfamarsi con tanta avidità che si narra di ben 1700 persone morte d’indigestione! (4) Coivetto (pag. 105) che è piuttosto, come egli dichiara, un semplice adattamento della costituzione francese alla Repubblica Ligure. La Commissione esaminò e discusse i vari progetti, senza conchiudere. (1) Collezione di Leggi e Atti della Commissione di Governo, pag. 349; Gazzetta Nazionale, n. 50, 31 maggio, pag. 406. Costituivano allora la Commissione Michelangelo Cambiaso, Emanuele Gnecco, Girolamo Durazzo, Giuseppe Bollo, Francesco Maria Ruzza, Stefano Emanuele Sommariva, Antonio Boccardo, Domenico Rivarola e Giuliano Arena. (2) Diario cit., pag. 520. (3) Il testo della capitolazione in Collezione ecc. pag. 575 sgg. (4) Fiorini e Lemmi, pag. 469 sgg.; Ruini, pag. 44 sgg.; Clavarino, IV, 10 sgg.; Varese, Vili, 388. - 96 — Uscirono coi Francesi molti patrioti italiani, tra i quali il poeta Giovanni Fantoni (1), e dei genovesi l’abate Giovanni Cuneo e due dei commissari della Deputazione militare, Antonio Boccardo e Giuseppe Bollo, mentre tra applausi popolari e suono di campane a stormo entravano gli Austriaci accolti con gioia da quanti, fedelissimi all’antico regime, si illudevano di poter più facilmente con essi patteggiare il ritorno all’antica forma di governo (2). Ma con loro, contro l’articolo 10 della convenzione, entrarono anche gli insorti di Fontanabuona, comandati dal loro capo, il famoso marchese Luigi Domenico Assereto, passato da tempo dalla Francia all’Austria, avventuriero ignorante, intrigante e verboso, losco d’animo e d’aspetto (3). Le violenze che ne derivarono furono represse con molta severità dal generale San Giuliano lasciato dall’Ott a Genova. Intanto, mancando il governo regolare, il 4 giugno la Municipalità assunse la tutela della pubblica sicurezza. Presieduta dal mercante Paolo Viale, presenti Carlo Cambiaso, il medico Nicolò Parodi ed altri parecchi, delibeiò subito — fosse sentimento suo o timore — l’abolizione delle coccarde, il taglio di tutti gli alberi della libertà e la rimozione delle iscrizioni riguardanti il sistema democratico e invitò, provvedendo alle spese relative, a mandare presso il generale Hohenzollern i signori (scompare così il termine « cittadino ») Brancaleone Doria, Francesco Spinola, Giovanni Torriglia, Girolamo Durazzo, Pietro Paolo Celesia, Bernardo Pallavicino (4). Questi appunto, sostituendo Agostino Spinola al Durazzo e con l’aggiunta del borghese Luigi Lambruschini, uomini tutti, nota il Clavarino, degni per probità e capacità, costituirono il nuovo governo; e l’avervi chiamato anche taluni partecipi dei governi precedenti indicava una prudente moderazione e il desiderio di evitare eccessi repressivi (5). Ancora una volta si scioglieva la guardia nazionale e, annullati tutti i provvedimenti già presi in odio ai nobili, agli emi- (1) G. Sforza, Contributo alla vita di Giovanni Fantoni, Giornale storico e letter. della Liguria, 1908, pag. 185 e 190. Era stato addetto alla Deputazione militare per la quale aveva scritto lettere e proclami. (2) Clavarino, III, 105. (3) Fiorini e Lemmi, p. 627; Ruini, p. 40; Chiama, pag. 141. (4) Sono probabilmente conseguenza del colloquio di quella commissione con 1 Hohenzollern e provengono da lui le Istruzioni pel Commissario Civile di S. M. Imperiale in Genova e suo territorio, il co. S. Giulien generale maggiore, nelle quali si propone Io scioglimento della guardia civica, la nomina di una reggenza costituita da Brancaleone Doria, Francesco Spinola e Giovanni Torriglia, la nomina di altre commissioni di patrizi e cittadini pei 1 annona, gli alloggi ecc. (Collez■ Appunti Storici e Documenti, voi. 24, c. 142). Queste istruzioni non sembrano poi interamente seguite. (5) Gli Atti della Reggenza imperiale e del Governo cittadino provvisorio in Compilazione de’ proclami ed editti pubblicati da' Generali e dalla Reggenza Provvisoria, Genova, Franchelli, 1800 e v. anche Collezione di Appunti storici e Documenti della Bibl. Univ. di Genova, voi. 22, c. 93-96. — 97 — grati, ai controrivoluzionari, si riorganizzavano gli uffici nei quali, coi soliti funzionari d’ordine, che rappresentano la continuità burocratica (1), compaiono personaggi messi negli ultimi tempi da parte, come Girolamo Serra tra i Conservatori del mare, Giacomo Filippo Durazzo e Michelangelo Cambiaso Procuratori dell’Ospedale degl’ Incurabili, Stefano Rivarola al Dipartimento Annona e Sanità (2). Ma erano provvedimenti dei quali tutti, fin dal primo momento, avevano compreso la precarietà. Bonaparte da Milano marciava contro gli Austriaci; a Marengo non le sorti di Genova e della Liguria ma d’Italia e forse d’Europa si decidevano. Alla notizia di quella vittoria e della convenzione di Alessandria, la Reggenza provvisoria mandava al Bonaparte Michelangelo Cambiaso, Girolamo Serra e Giacomo Saettone (3) — i primi due almeno gli erano ben noti sin dal convegno di Mombello — con un memoriale di istruzioni per cui gli si doveva chiedere di tener presente la convenzione di Mombello, evitare aggravi e contribuzioni pericolose per la tranquillità cittadina, rispettare e mantenere la religione, rispettare le persone e le proprietà con particolare riguardo ai membri dell’ultimo governo provvisorio o a chi avesse parteggiato contro la Francia, non lasciare alcun intervallo tra l’uscita delle truppe austriache e l’ingresso in città delle francesi, provvedere a che nel governo e nei tribunali « sianvi persone savie capaci ed oneste e restino escluse persone di accanito partito e di pubblica confidenza », frenare infine gli abusi della stampa. Sebbene molti di questi desideri coincidessero coi propositi del Primo Console, è evidente che egli non poteva aver l’aria di accettare condizioni; ma i plenipotenziari spedivano sino dal 20 giugno un plico del Bonaparte, desideroso che le sue parole di pace e di vero interessamento per la Nazione genovese « giungano senza ritardo fra i suoi (sic) concittadini (4) ». (1) Con Carlo Lanzola e Gio. Felice Giannello, già segretari del governo sin dal tempo della repubblica aristocratica, è segretario della Reggenza Giovanni Scasso (Clavarino, IV, 19) e molti atti firmati da lui sono compresi nella Compilazione, pag. 11 sgg. e in una miscellanea a stampa della Bibl. Univ. di Genova segnata 2 B. Vili. 2. 8, contenente appunto provvedimenti della Reggenza. Continua poi in carica col governo successivo come Cancelliere della Commissione e, istituito il Senato, è Cancelliere dei Sindacatori (Gazzetta, 4 dicembre 1802, pag. 202). (2) Compilazione de’ Proclami ecc., pag. 26 sgg.; Clavarino, IV, pag. 10 sgg., 21. (3) Clavarino, IV, 35. Lo stesso Conte Hohenzollern aveva proposto l’invio della Deputazione del che il Serra gli dà molta lode; Memorie, pag. 116. (4) Collezione di Appunti storici e Documenti, voi. 24, c. 179, 182. Nella prima udienza il Primo Console aveva domandato alla Deputazione se avrebbe acconsentito volentieri all’unione di Genova con la Cisalpina; avuta risposta evasiva, non parlò più della cosa; Serra, Memorie, pag. 116-117, 7 — 98 — 11 24 giugno il principe Hohenzollern con gli austriaci lasciava la città, dopo essersi fatto pagare un milione di franchi dai più ricchi negozianti, mentre gl’inglesi spogliavano l’arsenale, rapivano i legni da guerra e rilasciavano per denaro i mercantili; il 25 vi entrava Suchet e rimetteva in funzione la Deputazione di Governo. In realtà sin dal 16 giugno il Massena dal suo quartier generale dì Finale aveva riconosciuto ricostituita la Deputazione nelle persone del Bollo e del Boccardo, che avevano seguito l’esercito francese nella Riviera di Ponente, autorizzandoli a scegliere il terzo membro, che essi designarono in Andrea Badarò di Laigueglia, già appartenente al Consiglio dei Sessanta (l). La Deputazione così ristabilita seguì l’esercito nella marcia verso Genova, considerandosi e considerata dal Massena come legittimo Governo; ed entrati i Francesi in città riprese le funzioni, sostituendosi alla breve reggenza. Questa Commissione, detta poi dei tre B, investita di tutti i poteri e riconosciuta da Massena e da Suchet, durò soltanto fino al ricomporsi della vecchia Commissione di Governo, della quale il solo Emanuele Gnecco era presente a Genova alla rioccupazione francese. Brevissima perciò la nuova esistenza e dovuta alle eccezionali condizioni del momento; ma, data la presenza dei generali francesi e il loro effettivo dominio, non si era costituita soltanto di propria autorità (2). La Commissione, assenti Ruzza, Cambiaso e Durazzo, riprese le proprie funzioni il 27 giugno in una situazione affatto precaria, perchè sin dal 26 il Dejean, nominato dal Primo Console ministro straordinario della Repubblica francese presso la Liguria, comunicava i nuovi ordini del Bonaparte sul Governo di Genova (3). 1 rinnovati reclami contro le prepotenze militari e contro la minaccia di nuove esazioni, dai quali trapela evidente il senso di amarezza per un trattamento ingeneroso e ingiusto verso chi tanto aveva sofferto per la Francia, mostrano che la Commissione non aveva esatto il senso della situazione e si illudeva nella speranza di una sovranità che non poteva essere se non nominale. D’altra parte i generali che avevano ristabilito quel governo provvisorio ignoravano le intenzioni del Primo Console, rese note dal Dejean (1) Decreti della Deputazione di Governo, pag. 71 sgg. Il 17 giugno la Deputazione, ancora costituita da Bollo e Boccardo, emanava un proclama ai popoli della Liguria, redatto da Giovanni Fantoni; G. Sforza in Giornale Ligustico, 1908, pag. 191. (2) Così invece mostra di credere il Ruini, pag. 47. Sciolta la Deputazione e cessata anche la Commissione di Governo, Bollo e Boccardo chiesero il risarcimento dei danni patiti durante l’occupazione austriaca; Raccolta di Proclami e Decreti della Commissione straord., Genova, 1800, pag. 309. (3) Arch. di Stato, Genova, Governo Provvisorio, Mazzo 8, N. Generale 2952 dell’Archivio Segreto; Decreti della Deputazione, pag. 88 sgg.; Collezione di Leggi e Atti della Com-miss. ecc., pag. 588 sgg. — 99 al suo giungere a Genova (1). Quando parve che i primi provvedimenti finanziali da questo enunciati dovessero significare nuovi sacrifizi per le foize esauste del paese distrutto, la Commissione espose con aperta vivacità le sue rimostranze, inducendo il ministro a più tranquillanti assicurazioni (2); e alloichè ebbe notizia della fine della propria esistenza chiuse i lavori con un appello ingenuo, ma non privo di dignità, all’indipendenza che era stata tante volte assicurata, sino agli ultimi provvedimenti che cominciavano con la forinola: « Volendo ristabilire la Nazione Ligure in tutti i suoi diritti ed assicurarle la sua indipendenza e la sua libertà... » Ed ecco che pei raggiungere questo intento non solo il Primo Console determinava la forma del nuovo governo provvisorio in una Commissione di sette membri, investita di tutti i poteri meno il giudiziario e il legislativo, e in una Consulta di trenta membri, presieduta dal Ministro francese ormai vero capo dello Stato, incaricata di fare le leggi urgenti e di preparare la costituzione, ma per mezzo del Ministro stesso nominava addirittura i sette del nuovo governo (3). Contro questo provvedimento la Commissione presieduta da Domenico Rivarola, col Badarò a segretario, eleva una moderata ma ferma protesta nella sua ultima seduta, il 1° luglio. Tutrice e responsabile di fronte al popolo dell’indipendenza della nazione, fa rilevare « che sarebbe stato desiderabile che questa elezione fosse potuta farsi dai Corpi Costituzionali della Repubblica; il che poteva aver luogo assai facilmente, anche Conservando i riguardi di cui la Nazione Ligure è per tanti titoli debitrice al Governo francese » (4). Ricerca di legalità inutile e forse ingenua in quei momenti e che serviva a far mettere da parte i suoi autori, e tuttavia segno di quel tenace senso di dignità e di autonomia che tanto spadroneggiare francese non era ancora arrivato a distruggere. Dejean, del resto, rispose che neanch’essa, la precedente commissione, derivava i suoi poteri dal popolo, e la cosa non ebbe seguito (5). (1) Della situazione caotica di quei primi giorni di ristabilita occupazione francese sono indizio le intralciate e confuse notizie della Gazzetta Nazionale, la quale riprese il 28 giugno le pubblicazioni sospese il 31 maggio. (2) Corrispondenza in Governo Provvisorio, Mazzo 8/2952; e v. Decreti della Deputazione di Governo, pag. 90 sgg. (3) Decreti ecc. pag. 89; Collezione delle Leggi e Atti della Commissione di Governo, pag. 604; Raccolta di Proclami e Decreti della Commissione straordinaria di Governo, Genova, 1803, pag. 3 sgg.; Gazzetta Nazionale, 28 giugno, pag. 4 sgg.; Clavarino, IV, 38 sgg. Il Ministro Francese è incaricato « di vegliare gl’interessi della Repubblica e fare che le somme provenienti dalle contribuzioni straordinarie o che le appartengono in qualunque altra maniera siano percepite dal tesoriere per essere impiegate ai bisogni dell’Armata ». (4) Collezione ecc. pag. 605; Gazzetta Nazionale, supplemento al n. 1 del 2S giugno. (5) Driault, Napoléon en Italie, pag. 118. — 100 - Alla nuova Commissione, presieduta da prima da G. B. Rossi (poi il presidente, secondo il solito sistema democratico, cambiò ogni quindici giorni) partecipavano Agostino Pareto, Girolamo Serra, Antonio Mongiardini, Luigi Carbonara, Luigi Lupi e Giuseppe Fravega, sostituito ad Agostino Maglione dimissionario, tre Nobili cioè e quattro popolari, uomini tutti reputati per senno e moderazione e tutti devoti alla Francia e al Bonaparte. Nominata il 30 giugno, fu insediata il 2 luglio (1) dal Dejean, che effettivamente la diresse, con un discorso nel quale accennava alla necessità di gettare un velo sopra il passato e di dimenticare disordini e dissensioni, di rinnegare i principii astratti e le pericolose teorie che erano servite a prolungare le crisi rivoluzionarie. 11 miglior patriota, diceva, è quello che obbedisce alle leggi e fa per la sua patria tutti i sacrifici che essa gl’impone; e ricordava che il Bonaparte, per la tenacia nelle sofferenze del blocco, aveva proclamato i Liguri gli alleati più fedeli dei Francesi. Confermati in carica tutti gli ufficiali e presi urgenti provvedimenti economici (2), la Commissione procedette alla distribuzione degli uffici (al Rossi le finanze, al Carbonara la giustizia, al Pareto interno e polizia, al Lupi relazioni estere, al Serra guerra e marina) ed emanò subito un proclama pacificatore, ma insieme — disperato mezzo fiscale — una tassa a carico degli insorti, degli austriacanti, dei nemici della repubblica, a risarcire i buoni cittadini dei danni sofferti per la contribuzione pagata all’Austria. Provvedimento tosto revocato dal Dejean, come contrario ai propositi del Primo Console, del quale, diceva, era ferma volontà impedire le reazioni, estinguere i partiti e restituire la confidenza e la tranquillità (3). E a lui il 7 luglio la Commissione si rivolse con una lettera nella quale, accanto ai ringraziamenti e alle assicurazioni di devozione, non mancava l’espressione di un timore che era in fondo a tutti gli animi, in quel sentirsi tanto dipendenti dalle sorti della Francia, il timore di perdere la vecchia autonomia, la libertà e l’indipendenza così care al cuore genovese. Lo si rileva dalla nota lettera di risposta, che fu subito riportata dalla Gazzetta (4), in cui ripetuta l’esortazione alla pace e alla concordia (« Che non vi siano nella Liguria nè Guelfi nè Ghibellini. Siate tutti buoni genovesi ») era esplicita l’assicurazione: « Non abbiate alcuna inquietudine sulla vostra libertà e sulla vostra indipendenza, e riponete tutta intera la (1) Raccolta degli Atti ecc., pag. 6, 13, 14; Belgrano, Della vita e delle opere di Girolamo Serra, pag. 29. Il Serra, reduce probabilmente dal l’ambasceria al Bonaparte, tornò da Milano il 5 luglio e prese subito possesso dell 'Ufficio; Gazzetta, n. 2, 5 luglio, pag. 12. (2) Archivio di Stato, Genova, Decreti della Commissione di Governo, n. 98. (3) Arch. di Stato, Governo Provvisorio, Mazzo 8 2952; Gazzetta Nazionale, 5 luglio 1800, pag. 10-12; Clavarino, IV, 45; Fiorini e Lemmi, pag. 495. (4) Gazzetta Nazionale, n. 7, 9 agosto 1800, pag. 50 e Raccolta di proclami della Commissione straordinaria, pag. 26; Correspondance de Napole'on l, Vi, 5011. lol - vostra fiducia nella protezione del Gran Popolo di cui io sono l’organo ». Sono parafrasi di questa lettera i propositi enunciati dal Governo di riportare alla testa dello Stato gli uomini del ’97, ma senza lotte o violen ze, di epurare le amministrazioni e « comporle di cittadini che riuniscano per quanto è possibile in grado sommo ed eguale, talenti, probità e patriottismo. Sua decisione è di comprimere i partiti già tanto funesti alla repubblica e confonderli tutti con la dolcezza e conciliazione, per formare una sola classe, una sola famiglia di cittadini. Colpirà chi attenti alla tranquillità pubblica » (1). Espressione tangibile di questi sentimenti fu l’amnistia concessa nell’agosto a quanti avevano parteggiato per gli Austriaci (2); esecutore sembrò farsene il nuovo ministro di Polizia, Antonio Maghella, che, nominato il 12 luglio, comunicò con proclama la sua assunzione all’ufficio, promettendo « difendere i cittadini da coloro che cercano nella licenza e nella disunione l’alimento dei loro vizi, o, nemici della comune esistenza, anelano a un disperato trionfo » (3). Ma tutti questi buoni propositi dovevano trovare fieri ostacoli nella realtà delle cose. Accanto al potere esecutivo, il Dejean organizzò anche e presiedette la Consulta Legislativa aperta il 9 luglio (4), alla quale appartennero — anche qui con molte dimissioni e sostituzioni — Luigi Corvetto, Benedetto Pareto, Gaspare Sauli, Emanuele Balbi, Cesare Solari, Nicolò Littardi, Michelangelo Cambiaso, Nicolò Sommariva, Giuseppe De Ambrosis, Girolamo Durazzo, G. B. Serra, tornato anche lui da Milano, Giacomo Mazzini (5) ed altri che si erano mostrati più equilibrati e di maggior valore nella repubblica democratica e che ora, spaventati dagli eccessi, volendo conciliare la libertà e l’ordine, erano convinti — il Corvetto in prima linea — occorresse restringere nella nuova costituzione i poteri del parlamento ad evitare le esagerazioni e le violenze del passato. Governo, dunque, questo che si (1) Gazzetta Nazionale, n. 4, 19 luglio, pag. 25. (2) Gazzetta, 9 agosto, pag. 52. (3) Gazzetta, 12 luglio, pag. 18; Collezione di proclami a stampa, Bibl. Univ. di Genova, n. 54, pag. 86. (4) Discorso di apertura del Dejean, di G. B. Rossi per il Governo, di Leonardo Benza per la Co nsulta, in Raccolta delle leggi emanate dalla Consulta legislativa, Genova, 1800, pag. 5 sgg. (5) Archivio di Stato, Genova, Governo Provvisorio, filza n. 261, Atti legislativi, Consulta di Governo, 1800; Gazzetta, luglio-agosto, pag. 18,26, 49, 52 ecc. Si dimettono Gian Maria D2 Albertis, Leonardo Rossi, Molini, Civagnaro ecc. Emanuele Balbi prima sostituisce Vincenzo Spinola, dimissionario, alla Consulta, poi è successivamente deputato presso Massena e rappresentante presso la Cisalpina (la sua corris pondcnza in Arch. di Stato, Lettere Ministri, Milano, Mazzi 25-26, n. gen.li 2321-2). Il Mazzini entrò nella Consulta nel secondo semestre 1801 al posto di Giacomo Straforello, come in luogo di Cesare Solari entrò Cottardo Solari, nominato poi istoriografo dalla Repubblica; Clavarino, IV, 86-7; Gazzetta, 17 ottobre, 1801, p. 14. — 102 — riattaccava al precedente, ma negandone e condannandone la demagogia turbolenta; e in questo tentativo di ricostituzione nell’ordine interpretava ed eseguiva la volontà del Primo Console e dei suoi rappresentanti e pur poteva illudersi di avere nell’amministrazione interna dello Stato una qualche autonomia. 1 suoi provvedimenti furono spesso equi e prudenti, per lo più in senso conservatore, così da meritar consensi anche dai risoluti avversari, lodatori irriducibili del passato, come il Clavarino. Dovette tener a freno i democratici che si illusero, non avendo compreso il mutamento avvenuto in Francia, dì rinnovare le forme giacobine; ridusse, sino a proibirla, l’erezione degli alberi di libertà, sedò risse, violenze, vendette private (1). Ma aveva dinanzi a sè un arduo compito, col paese sostanzialmente avverso a quella forma, anche se più temperata, di governo, oppresso dai malanni dell’assedio e dall’infierire dell’epidemia, affamato dal blocco navale inglese e dalla proibita esportazione delle granaglie dal Piemonte e dalla Cisalpina, irritato dall’oppressione fiscale e dalle prepotenze malaccorte dei generali francesi. Nel campo finanziario era una ricerca incessante ed affannosa di nuovi mezzi — aumento di gabelle e tasse, anche sui biglietti di teatro, vendita accelerata di boschi e campi e beni della Repubblica, la solita illusione dei beni nazionali — per i bisogni interni e per pagare le truppe di occupazione (2). Si era ancora lontani da un assetto stabile e pacifico e l’ordine pubblico ne soffriva. C’era evidentemente chi cercava far leva sull’aspirazione e il rimpianto dell’indipendenza, sul desiderio della pace e della ripresa economica. « Popolo Ligure — scriveva il Massena il 15 agosto — 1 consigli della ragione e della saviezza che conteneva la lettera del Primo Console della Repubblica Francese al vostro Governo non hanno dunque prodotto che un effetto passeggero, giacché mi si annunzia che lo spirito di partito fermenta in mezzo di voi, che questo vi divide e riaccende gli odi e dei sentimenti di vendetta che si devono abiurare per sempre? A che potrebbero tendere le pretensioni di alcuni uomini, e gli intrighi di alcuni altri, ai quali vi associereste? Il Primo Magistrato della Grande Nazione vi assicura che la vostra indipendenza e la vostra libertà sono sotto la protezione del Popolo Francese; quindi i vostri diritti politici sono garantiti; tocca a voi mantenere la vostra libertà civile e individuale e ad aspettare nella calma il risultato dei grandi avvenimenti dai quali è lecito sperare la pace » (3). Invano: i disordini non cessavano; ai primi di ottobre si ebbero nuovi torbidi con (1) G. Serra, Memorie, pag. 117, dove si parla naturalmente con molta lode dell’opera di questa Commissione. (2) Arch. di Stato, Genova, Governo Provvisorio, n. 260; Raccolta Atti Commissione di Governo-, Clavarino, IV, 44 sgg.; Varese, Vili, 291 sgg.; Ruini, pag. 47. (3) Raccolta di Proclami e Atti della Commissione ecc., pag. 41. — 103 — attacchi anche contro i tribunali, che provocarono lamenti di Talleyrand al Dejean e al Fravega rappresentante genovese a Parigi (1)- « È inutile il dissimularlo — lamentava la Gazzetta — le passioni non sono ancora spente, i partiti non sono estinti. Ogni giorno un nuovo accidente dà luogo a nuovi reclami, a nuove violenze: i buoni cittadini abbattuti, nei funzionari pusillanimità che ha paralizzato finora l’esecuzione delle leggi e l’amministrazione della giustizia. 1 funzionari devono essere penetrati della dignità, delle loro incumbenze, fieri di essere repubblicani, forti della confidenza del Governo Francese » (2). Ma spesso erano appunto i generali francesi causa del disordine, come quel Menard che il Bonaparte, non volendo Genova trattata come paese di conquista, sostituì col Dulanloy, che era a Tortona, ritenendolo più capace di conciliarsi l’affetto della città. Il popolo ligure, diceva il Primo Console, come quello che più ha sofferto e più forte ha il sentimento nazionale, deve essere governato da uomini di tatto; e mentre voleva non ci fossero più clubs, circolo costituzionale, partiti in contesa, ordinava di far uscire dalla città gli ufficiali di stato maggiore che si comportavano ancora come in pieno assedio con arrogante prepotenza (3). E un malanno sopra ogni altro terribile aveva lasciato in dolorosa eredità l’assedio nell’epidemia ancora violenta con una mortalità paurosa. Porvi riparo fu una delle cure principali della Commissione di Governo, ma specialmente della Commissione di Sanità, che, creata con legge 10 aprile 1799, era da essa rinnovata e accresciuta di poteri e nella quale, appunto in questo momento, entrava Onofrio Scassi, sostituendo il Mongiardini passato alla Commissione di Governo; e come aggiunti vi entravano il medico Stefano Carrega e il chirurgo Pietro Bonomi, che è da supporre avesse fatto sbollire frattanto le sue furie giacobine (4). * * * La nomina dello Scassi avvenuta subito dopo l’assunzione di G. B. Rossi alla presidenza della Commissione non può essere casuale; effetto certo dell’amicizia dei due uomini, è anche la riprova delle stima che il Rossi nutriva per il medico e lo scienziato venuto a trovarsi ora in una (1) Raccolta di Proclami e Atti della Commissione ecc. lettera 13 ottobre, pag. 83. (2) Gazzetta Nazionale, 6 settembre, pag. 82; 20 settembre, pag. 98; 4 ottobre, pag. 106. (3) Correspondence, VI, n. 5016, 5126; 24 settembre e 9 ottobre 1800; Borel, pag. 202. (4) Raccolta di Leggi e Decreti del Corpo Legislativo, voi. Ili, pag. 191; IV, pag. 108; Raccolta di Proclami e Atti della Commissione ecc., pag. 13; Gazzetta Nazionale, n. 3, 12 luglio 1800, pag. 18; Clavarino, IV, 46. \ — 104 posizione di responsabilità, nella quale la sua capacità tecnica e lo spirito attivo potevano affermarsi, nel campo che era suo, fuori delle violente agitazioni politiche. Appena entrato nella Commissione infatti lo Scassi ne divenne Presidente, dimostrazione significativa di fiducia in un momento di tanta gravità. Le notizie che lo riguardano tra la fine del 1799 e la metà dell’800 si riferiscono alla sua attività accademica nell’istituto ligure, ove il 15 novembre 99 era nominato a far parte della commissione incaricata di un progetto di regolamento interno e il 1’gennaio cessava dalla carica di ispettore di sala tenuta negli ultimi mesi; pochi giorni dopo partecipava alla discussione sull’eterna questione del modo di preparare ed esaminare gli aspiranti alla professione medica (1). Frattanto la Commissione di Governo, presieduta dal Marchelli, medico e membro associato dell’istituto, emanava una nuova legge organica di questo, per apportarvi le modificazioni richieste subito dopo la sua fondazione. Per la legge 24 gennaio 1800 l’istituto fu diviso in tre classi: Scienze matematiche e fisiche; Scienze morali e politiche; Letteratura e Belle Arti; ciascuna classe suddivisa in sezioni: in cinque la prima, in tre la seconda, in quattro la terza. La medicina, la chirurgia e la farmacia erano assegnate alla quarta sezione della prima classe. Ciascuna sezione doveva avere cinque membri : gli associati in numero eguale ai residenti. L’assegnazione degli attuali membri alle varie sezioni doveva esser fatta dall’istituto stesso, a seconda della loro competenza. Potevano essere accolti anche membri forestieri, non oltre il numero di dodici; e furono nominati infatti per la prima classe Alessandro Volta e l’abate Reggio astronomo a Brera; per la seconda, con naturale atto di adulazione, il ministro francese Dejean (2). Funzione importante attribuita all’istituto fu sopra tutto quella di proporre la terne per le cattedre universitarie, cosicché si ebbero in seguito frequenti designazioni e naturalmente sempre fra i membri dell’istituto stesso. La differenza principale tra questa legge e la precedente, per quanto riguarda l’ordinamento interno, stava nella cessazione delle lezioni pubbliche cui erano obbligate le singole classi, nel proposito di rendere di pubblica ragione le memorie giudicate meritevoli e specialmente di pubblicare periodicamente (1) Registro Processi verbali dell’istituto Naz. ms. Bibl. Berio, c. 52 e 58; Processi verbali, ms. Bibl. Univ. F. V. 21, c. 61, 62 v. (2) Collezione delle Leggi ed Atti della Commissione di governo, pag. 277 sgg.; Memorie deli Istituto Ligure, Genova, 1806, voi. I, pag. 92. L’elezione del Dejean avvenuta il 23 dicembre 1800 diede luogo a una questione costituzionale perchè il Ministro dell’interno, Boccardo, pretendeva fosse di competenza del Potere Esecutivo e quindi della Commissione Provvisoria non dell’istituto; Processi verbali, c. 83 sgg. - 105 — delle effemeridi contenenti la storia dei progressi nazionali nelle scienze, nelle lettere, nelle arti, nell’agricoltura. Veniva anche minutamente fissato l’abbigliamento di parata degli accademici, consistente in « un abito di panno nazionale bleu, colletto e paramani ricamati di seta bianca a ghirlande d’alloro, pantaloni dello stesso colore, gilè bianco con bottoni di metallo bianco, cappello rotondo con coccarda bianca e rossa, nel centro la statua di Pallade con gli emblemi che l’accompagnano » (1). Ma, a parte che questo riordinamento avveniva in un momento terribile di difficoltà e di preoccupazioni ben poco adatte al sereno lavoro scientifico, il frazionamento in tante classi e sezioni toglieva unità al lavoro e impediva un vivo contatto e scambio intellettuale tra i soci (2). La riforma fu comunicata all’istituto nella seduta del 1" febbraio con un discorso del Presidente Pratolongo, che lesse anche una lettera del Marchelli, al quale fu subito deliberata una mozione di lode; poi con lunghe e confuse votazioni si procedette alla ripartizione dei membri nelle varie sezioni. Naturalmente il Marchelli fu eletto tra i membri residenti nella sezione di medicina e con lui Covercelli, Giacomo Mazzini, Giuseppe Mojon e Scassi ; al Covercelli, morto poco dopo, fu sostituito il Bonomi ; il Mongiardini, il Pratolongo, il Guidetti come anatomici e naturalisti furono assegnati alla terza sezione (3). Nominata un’altra Commissione per compilare un regolamento interno, lo Scassi vi rappresentò ancora la sua sezione e col Canefri la classe scientifica; ma la relazione non era ancora presentata il 15 marzo- Altri argomenti urgevano, richiamando l’attenzione e l’opera sua di medico e di Presidente della Commissione di Sanità. Si lesse quel giorno una memoria di un medico Trucco (l’accusatore di Gian Carlo Serra?) sulle malattie correnti e nell’aprile si parlò a lungo sul modo di fare il pane con la crusca. Poi, naturalmente, le sedute furono interrotte (4) e non si ripresero che nel luglio quando il Marchelli propose di creare una Commissione costituita dalla quarta sezione della prima classe e dagli altri medici dell’istituto per Io studio dei mezzi adatti a impedire il dilagare dell’epidemia. La proposta fu approvata con l’intesa di avvertire anche gli assenti (5), tra i quali doveva essere lo Scassi, che in questa ripresa non appare più costante e attivo come prima ai lavori accademici perchè assorbito dalle nuove funzioni. (1) Gazzetta Nazionale, n. 33, 1" febbraio 1800; pag. 266. (2) Isnardi, Storia dell’Università di Genova, voi. II, pag. 140. (3) Registro Processi verbali, c. 65 sgg.; Processi Verbali, c. 64 sgg. (4) Registro Processi verbali, c. 69-70 (questo ms. si arresta al 15 marzo, c. 73); Processi verbali, c. 64-70. (5) Processi verbali, 1° luglio 1800, c. 70. — 106 — Poiché quello dell’epidemia era il problema più grave e più urgente — 1139 erano state le vittime in aprile, 1380 nel maggio, 2015 nel giugno e 560 dal 28 giugno al 4 luglio — la Commissione di Governo appena insediata il 4 luglio affidava alla Commissione centrale di Sanità pieni poteri in materia di polizia sanitaria, autorizzandola anche a imporre il trasporto dei morti nei cimiteri della Foce e degli Angeli, a ricorrere alle volontarie sovvenzioni dei cittadini per le spese necessarie: tra le prime cospicue contribuzioni sono ricordate quelle della Marchesa Anna Brignole, dei banchieri Emanuele Balbi e Vincenzo Piccardo, dei negozianti Mayer, Mossa, Cataldi, Fravega, i cittadini più facoltosi (1). Anche il Governo aveva nominato un Commissione di dodici membri per riferire sulla natura del male e suggerire i rimedi necessari. Dalla « memoria di uno dei professori suddetti » è ricavato un estratto pubblicato nella Gazzetta. Si tratta di un articolo di carattere tecnico, nel quale la malattia è qualificata come « Tifo delle carceri » molto contagioso; insieme, vi si dice, serpeggia anche il « Typho di Cullen » meno pericoloso. Di chi sia la memoria non dice il giornale; ma lo stile e il tipo dell’esposizione, confrontati con le opere dello Scassi e in modo particolare con la sua relazione sull’epidemia del 1794 mi fanno credere che si tratti di opera sua. E la supposizione è confermata dal fatto che egli fu appunto nominato il 9 luglio a far parte della Commissione di Sanità e che ne divenne subito presidente; come tale infatti quello stesso giorno emanò un ordine che, mentre rispondeva alle gravi necessità del momento, conteneva un provvedimento tante volte discusso e richiesto anche nell’istituto Nazionale. Premesso, con la rinnovata osservanza al frasario convenzionale, che « non vi è in Democrazia limitazione all’esercizio dell’industria delle arti o professioni, ma la legge invigila particolarmente sopra quelle che interessano la salute dei cittadini », la Commissione proibiva l’esercizio della medicina a chi non era regolarmente abilitato nelle forme di legge e ordinava ai farmacisti di non spedirne le ricette (2). La rigorosa applicazione di questa norma ebbe caratteristiche e strane conseguenze: uomini insigni e di riconosciuto valore, come Benedetto Mojon e Giacomo Mazzini, dovettero sostenere un esame davanti a sei medici presieduti dal Ministro deH’Interno, perchè laureati fuori di Genova. « Quanti altri medici esclusi come lui dal decreto della Commissione di Sanità non sono in caso di presentarsi come lui agli esami » commenta la Gazzetta a proposito del Mazzini. E un medico siciliano del quale non si fa il nome (forse lo stesso che si era appoggiato al prece- (1) Gazzetta Nazionale, 5 luglio, pag. 13; Clavarino, IV, 52. (2) Raccolta di Leggi Atti Decreti e Proclami pubblicati daI Senato e altre autorità costituite, Genova, 1803, pag. 202-204. - 107 — dente del Batt?) solleva un pandemonio perchè è stato riprovato all’esame; lo si chiama ciarlatano, gli si proibisce l’esercizio della professione e interviene anche il Dejean a vietargli l’uso della coccarda nazionale (1). Finita la revisione, la Commissione pubblicò l’elenco dei medici regolarmente esercitanti in Liguria; dopo l’epidemia erano 206 e ad alcuni sembravano troppi, non così alla Gazzetta (2). Nei giorni successivi la Commissione, sotto il fervido impulso dello Scassi, prende una serie di provvedimenti per la pulizia della città, delle case e degli ospedali, per la proibizione dei falò coi quali si crede di purificare l’aria, per il trasporto obbligatorio degli ammalati nel Lazzaretto della Foce-Le camere degli ammalati devono essere lavate con acqua bollente e con gli altri mezzi che la profilassi del tempo consiglia. I morti devono essere trasportati nei cimiteri indicati della Foce e degli Angeli; i parroci sono obbligati a far chiudere i sepolcri con calcina e invitati a consigliare l’ab-bruciamento dei cadaveri, anche contro le superstizioni. L’arcivescovo (o meglio, il cittadino arcivescovo) è invitato a dare disposizioni perchè, ad evitare assembramenti pericolosi, non si facciano funzioni straordinarie che provochino molto concorso di fedeli; il ministro di polizia a proibire i balli e le adunanze festive. Mentre i vari membri della Commissione hanno incarichi speciali, Onofrio Scassi dal centro dirige tutta la lotta contro l’epidemia con instancabile energia e con severità rigorosa (3). Un esempio se ne ha a proposito di alcuni medici dell’ospedale, i quali ricusano di recarsi a curare i malati trasportati al Lazzaretto. In seguito a relazione e ai lamenti della Commissione di Sanità, il Governo per mezzo del Ministro deH’Interno — è il Maghella — minaccia di sospenderli dalla professione e di rimuoverli dall’ospedale. Di fronte a un nuovo rifiuto, la Commissione indirizza al Governo un altro messaggio, « nel quale dipingendo coi più vivi colori la proterva (1) Altre questioni che hanno dato luogo a una infinità di ricorsi e controricorsi riguardano alcuni medici di Lunigiana. (2) Archivio di Stato, Genova, Governo Provvisorio, n. 98, Decreti Commissione di Governo'■ 18 agosto 1800, domanda di Giacomo Mazzini, 23 settembre di Benedetto Mojon per sostenere l’esame; ivi, 23 agosto e 3 ottobre le abilitazioni, e nella filza n. 271 le relazioni sugli esami. Gazzetta Nazionale 16 agosto, pag. 58; 23 agosto, pag. 69; 20 settembre, pag. 99; 18 ottobre, pag. 131. L’elenco ufficiale dei medici autorizzati è in Archivio di Stato, Governo Provvisorio, n. 261, 14 dicembre 1801. (3) Arch. di Stato, Governo Provvisorio, Mazzo 7, N. G. 2951 (documenti relativi special-mente alle relazioni con gli altri porti e in particolare con Marsiglia; importante una relazione del 19 luglio redatta da una commissione mista di medici francesi e liguri, presieduta dallo Scassi); Raccolta dei proclami e decreti della Commissione, pag. 15; Gazzetta Nazionale, n. 3, 12 luglio, pag. 19; n. 4, 19 luglio, pag. 26. Delle benemerenze acquistate durante l’epidemia, in cui ebbe la direzione medica e si prodigò nella cura dei malati e nelle visite agli ospedali, era ancora ricordo nel 1835. Archivio di Stato di Torino, Atti di polizia 1835, Genova, cartella 5: esposto del governatore Paulucci. — 108 - e scandalosa condotta di questi individui, lo invita a dare tutta la pubblicità al decreto che li sospende e ad assicurarne la pronta esecuzione e a far eseguire dal Comitato di pubbliche beneficenze il loro rimpiazzo all’ospedale » (1). Ogni settimana il Presidente della Commissione di Sanità comunica la statistica degli ammalati e dei decessi: da 1897 il 12 luglio gli ammalati scendono a 1600 il 18, a 1320 il 25 e a 1060 il 2 agosto; i morti, arrivati a 552 nella settimana dal 5 al 12 luglio, sono 412 dal 28 luglio al 2 agosto, 308 dal 9 al 15 e nelle successive 186, 168, 140; nel settembre scendono sotto il centinaio (2). L’epidemia è così sul declinare e quando alla fine di agosto, per quel sistema della rotazione delle cariche, Io Scassi è sostituito nella Presidenza dal Carrega, può essere soddisfatto dell’opera sua, che si è rivolta anche con molta e attenta cura ad impedire i contatti esterni, a ordinare quarantene ai naviganti sbarcati su tutte le coste della Liguria, a sorvegliare il rilascio delle patenti di libera pratica, ad assumere continue informazioni sulle condizioni sanitarie dell’intero territorio della Repubblica, a tutelate gli interessi della sanità anche di fronte alle pretese e agli abusi degli ufficiali francesi (3). Torna ad essere Presidente della Commissione nei mesi di febbraio e marzo 1801, ma allora, scomparsa l’epidemia, le cure sono rivolte alle pratiche di ordinaria amministrazione normalmente affidate a quell’ufficio, in particolare alla polizia sanitaria marittima e alla guardia del litorale (4). Ma continua a dare la sua opera alla Commissione anche in sott’ordine e si interessa e contribuisce alla fondazione di cucine economiche — fornelli alla Rumford, come si dicevano — caldeggiate anche dall’istituto per venire in soccorso dell’umile popolazione già tanto provata; e il suo nome compare costantemente nelle liste dei sottoscrittori (5). E intanto riprende l’attività nell’istituto e la rivolge poi particolarmente ad una cura che rimane costante e non ingiustificato vanto e orgoglio della sua vita: l’appassionata propaganda dell’innesto vaccinico. (1) Raccolta pag. 18; 21 luglio: sono Spiaggia, Ceppi, Molfino, Sasso, Rolando, Pun-ziglione; Gazzetta, 26 luglio, n. 5, pag. 36. Il 2 agosto, n. 44, nota che dei cinquanta ammalati del lazzaretto cinque soli sono morti, cosicché, aggiunge malignamente, è stata per loro una fortuna non essere curati da quei medici caparbi. (2) Gazzetta Nazionale, luglio-agosto, pag. 28, 36, 45, 58. A pag. 92 una statistica generale daH’apriie al dicembre. Conseguenza dell’epidemia fu l’istituzione di uno Stato Civile: dai dati dei nuovi registri si ricava che nel 1800 su 3022 nascite e 496 matrimoni ci sono state 12492 morti, mentre la media degli anni precedenti si aggirava su 3600-3800; Gazzetta, 31 gennaio 1801, pag. 249. Nel 1801 furono 3977, poco sopra la cifra normale (ibid., gennaio 1802, pag. 204), 3402 nel 1802; 2836 di fronte a 3575 nati nel 1803 (Gazzetta, 28 gennaio 1804, n. 32, pag. 263). (3) Archivio di Stato, Genova, Governo Provvisorio, filza 571: lettere luglio-agosto 1800. (4) Ibid., febbraio-marzo 1801. (5) Gazzetta Nazionale, 13 dicembre 1800, pag. 191 sgg.; 14 marzo 1801, pag. 298. — 109 — 1 lavori dell’istituto Nazionale, ripresi col luglio 1800, nel momento della maggiore intensità dell’epidemia, erano stati per alcuni mesi assai fiacchi, riducendosi in gran parte a commemorazioni di soci defunti e a deplorare le difficoltà finanziarie che non permettevano di pagare il personale di servizio (1). Maggiore attività si riprende verso la fine dell’anno, quando ormai l’epidemia si può considerare vinta se non affatto scomparsa. Al solito, gli argomenti relativi a materia medica e farmaceutica occupano un posto cospicuo nei lavori. Su petizione del Batt, che, di nazionalità straniera, non apparteneva all’istituto e che aveva denunciato gravi errori nel formulario farmaceutico presentato all’istituto per uso dell’ospedale di Pammatone, dal Comitato delle pubbliche beneficenze, fu costituita una Commissione per la revisione della farmacopea. Nominato a farne parte, lo Scassi nella seduta del 1° dicembre propose la questione se si dovesse soltanto verificare l’esistenza degli errori o procedere addirittura a nuova redazione, e la Commissione fu incaricala di redigere un nuovo formulario da servire a tutti i farmacisti dello Stato, ai quali fu infatti comunicato, mentre a togliere gli abusi da lungo tempo introdotti nella preparazione e nella vendita delle medicine era ordinata una generale ispezione a tutte le farmacie (2). L’opera più importante dell’istituto in questa ripresa della sua attività è la preparazione, su esplicita richiesta della Commissione di Governo (3), di un progetto per risolvere l’annosa e insoluta questione della preparazione dei sanitari, questione che la recente esperienza nell’epidemia e le misure della Commissione di Sanità avevano acuito. La Commissione, della quale lo Scassi faceva parte col Mongiardini, il Canefri e altri, presentò il 15 gennaio 1801 le sue proposte, che, lievemente modificate nella forma, furono subito trasmesse al Ministro dell’interno, perchè a sua voltale comunicasse alla Commissione di Governo. Si intendeva riparare risolutamente alla preparazione dei medici e dei chirurghi, modificando il sistema degli esami; la Consulta legislativa fece proprie le proposte trasformandole in legge approvata e pubblicata il 14 dicembre ma destinata ad aver valore per un anno, finché non si fosse fatta una riforma generale degli studi (4). (1) Processi verbali c. 70 s^g. Elogi funebri di Canefri, Migone ecc. Proposte di terne per le cattedre di Chimica, Fisica e Storia naturale. 11 1 ' ottobre (c. 73) si stabilisce che « il Custode sarà ringraziato », perchè non Io si può pagare. (2) Processi verbali, c. 86 e v.; Gazzetta Nazionale, 26 nov. e 1 dicembre, pag. 188, 200; 6 giugno 1801, pag. 393. (3) Archivio di Stato, Genova, Djcreti della Commissione di Governo, n. 98; 19 dicembre 1800. (4} Processi verbali, c. 85; Isnardi, Storia dell'Università di Genova, 11, 136 sgg. La legge è riportata integralmente nella Gazzetta Nazionale, n. 28, 19 dicembre 1901, e sgg. — 110 — Stabiliva questa legge un corpo di esaminatori per coloro che volessero esercitare la medicina la chirurgia e la farmacia, composto di pubblici lettori e di altri medici, chirurghi e farmacisti eletti sopra una duplice lista trasmessa dall’istituto Nazionale. Oli esami dovevano farsi appunto nella sala dell’istituto e chi non li avesse superati non poteva esercitare la professione. Precise norme stabilivano le materie da studiare in pubbliche scuole; sei anni doveva durare il tirocinio prima deH’esame: per tre anni teorico, per cinque, a cominciare dal secondo di studio, pratico; duplice era appunto l’esperimento, di teoria e di pratica. Il candidato poteva sostenere gli esami anche dopo quattro anni di studi, da attestarsi sempre con certificati di professori pubblici (1), ma il diploma di libero esercizio non si rilasciava che dopo due anni di ulteriore esercizio negli ospedali. Norme tutte che indicano il proposito di dare maggiore dignità e serietà di preparazione a una attività così elevata e delicata e attestano una vigile preoccupazione scientifica e professionale nei loro ordinatori. Promulgata la legge, la Commissione di Governo procedette alla scelta degli esaminatori designando, oltre al Protolongo, allo Scassi, all’Olivari, al De Ferrari che già esercitavano l’ufficio come professori di medicina e a Bonomi, Guidetti e Bertamini di chirurgia, anche il Mongiardini e il Mazzini come medici e i chirurghi Marchelli e Garibaldi, i farmacisti Giuseppe Mojon e Giuseppe Oderò. Alla Commissione fu assegnato come cancelliere Giacinto Giannelli Castiglione (2). Le cose però non andarono troppo bene neanche col nuovo sistema; le sedute del 15 e 16 marzo furono così agitate e discordi che la Commissione di Governo, su relazione del Presidente degli esaminatori, le annullò, ordinando un nuovo esame del candidato e disapprovando il contegno del « cittadino medico Guidetti » (3). Oltre che in questo campo della sua specifica competenza, Onofrio Scassi interveniva in tutte le discussioni e le questioni trattate dall’istituto ed era dei medici più attivi, presente a tutte le sedute, più volte ispettore, partecipe a tutte le commissioni. Così col Moltedo, il Carrega ed altri era incaricato di presentare un regolamento definitivo per le sedute dell’istituto (4); così per la sua riconosciuta competenza in materia scolastica gli era affidato, con altri quattro colleghi, (Carrega, Cantone, Giacometti, Rele) l’incarico di ispezionare le scuole di carità che si tenevano nei diversi sestieri da (1) Nella filza n. 98 dei Decreti della Commissione di Governo, Archivio di Stato, Genova, c’è in esecuzione a queste norme un gran numero di certificati dello Scassi e dell’Olivari, annessi a domande di candidati che chiedono di sostenere la prova. (2) Gazzetta Nazionale, n. 30, 2 gennaio 1802, pag. 233; Clavarino, IV, 91. (3) Archivio di Stato, Genova, Decreti Commissione di Governo, n. 98, 22 marzo 1802. (4) Processi verbali, c. 86 v., 1 dicembre 1800. — 111 sacerdoti volenterosi, per opera di quel grande filantropo che fu Lorenzo Garaventa (1), di indicarne le deficienze, facendo insieme un rapporto su tutta la materia scolastica, « poiché — diceva la deliberazione — la pubblica istruzione è sì abbandonata e deserta che siamo minacciati non si sa se di ricadere ben presto nell’antica barbarie o piuttosto di non uscirne mai ». I vantati propositi della repubblica democratica erano caduti con tanta altra retorica rivoluzionaria e le umili scuole di quei preti zelanti tentavano in qualche modo di sostituire quelle che avrebbero dovuto istituirsi col famoso piano del 98: vi si insegnava a leggere e a scrivere, un po’ di aritmetica e la morale cristiana. La Commissione riferì nel modo più lusinghiero sullo spirito di carità, sullo zelo e la capacità dei maestri, ma lamentò la ristrettezza, la cattiva disposizione e la scarsa salubrità dei locali: e un apposito comitato sorse per sua iniziativa a raccoglier fondi per provvedere ai bisogni dell’utile istituzione, alla quale nei diversi sestieri furono assegnati altri locali, per lo più in chiese soppresse (2). Non appare invece che lo Scassi avesse una parte direttiva — solo poco dopo fu rieletto alla carica di ispettore di sala — nel trasporto dell’istituto nel nuovo locale, finalmente ottenuto dal Governo, la chiesa di S. Girolamo attigua aH’Università (3); ma della prima attività nella nuova sede poche notizie rimangono, perchè nel registro di appunti sul processo verbale manca ogni notizia dal 1° febbraio 1801 al 1° luglio 1802 (4). È certo che in questo tempo l’istituto non è stato del tutto inoperoso, perchè il 15 aprile appunto lo Scassi vi fece una lettura sull’inoculazione del vaccino e il 4 gennaio 1802 il Ministro dell’interno vi insediò la Commissione esaminatrice dei medici chirurghi e farmacisti istituita dalla recente legge, e della quale anche lo Scassi faceva parte (5). Partecipò invece attivamente alla fondazione della Società medica di Emulazione, sorta per iniziativa specialmente di Guglielmo Batt. Era una nuova dimostrazione dell’attività dei medici genovesi e del fiorire dei loro studi. Se andavano assumendo tanta importanza e così larga partecipazione (1) Garaventa e i Garaventini, in Gazzetta di Genova, 31 maggio 1921, pag. 1 sgg.; Levati, / Dogi di Genova dal 1746 al 1771 e vita genovese di quegli anni, Genova, 1914, pag. 216. (2) Processi verbali, 1 dicembre, c. 87 v.; Gazzetta Nazionale, 6 dicembre, pag. 188; Isnardi, II, 149. (3) Archivio di Stato, di Genova, Governo Provvisorio, n. 98; Decreti Commissione di Governo, Decreto 28 novembre 1800 vi sono annesse piante del nuovo locale, firmate dagli ispettori, tra cui Mongiardini; Processi verbali, 10 dicembre 1800, c. 87 v.; Gazzetta Nazionale, 29 nov., pag. 178. (4) Processi verbali, c. 88, seduta 1 febbraio 1801; seguono poi fogli bianchi; a c. 92 il verbale della seduta 1 luglio 1802. (5) Gazzetta Nazionale, 18 aprile 1801, n. 44, pag. 338 e 9 gennaio 1802, n. 31, pag. 243. — 112 - nella vita pubblica, se ne mostravano degni. La Società era composta di ventiquattro membri residenti, ciascuno dei quali era obbligato a leggere ogni anno una memoria o dissertazione sopra un argomento relativo alle scienze mediche o fisiche, e di soci liberi e di corrispondenti che professassero una delle arti salutari, i quali potevano intervenire alle sedute, leggervi i loro lavori e prender parte a tutte le discussioni. Le memorie erano esaminate da una commissione di due membri nominata d’ufficio. La Società doveva rimanere aperta almeno due quadrimestri all’anno e tener seduta privata ogni 15 giorni e una seduta pubblica alla fine di ciascun quadrimestre: in questa si leggevano le memorie che in seduta privata ne fossero dichiarate, degne; e le meritevoli dovevano anche essere stampate (1). La Società si costituì nel luglio 1801 e subito il Mongiardini, che ne fu il primo presidente, ne dava comunicazione al Governo, trasmettendo insieme uno studio sopra il lolium tumulentum Limici, di che la Gazzetta si mostrava molto lieta; proprio in quei giorni infatti erano state pubblicamente distrutte nove ceste di pane e diciotto sacchi di farina, dannosa per il lolio che vi era mescolato, affermavano i medici (2). La prima riunione pubblica ebbe luogo il 25 novembre nell'Oratorio di S. Filippo: presiedeva il Mongiardini, che pronunciò un discorso di occasione proclamando i nomi dei soci, tutti cioè i più noti medici genovesi, e nell’adunanza stessa, oltre al presidente, il Batt, il Bonomi, Giuseppe e Benedetto Mojon fecero comunicazioni di carattere scientifico (3). Anche qui, al Mongiardini succedeva come presidente lo Scassi : il 16 gennaio dell’anno successivo egli trasmetteva al Presidente della Commissione di Governo un esemplare dei lavori pubblicati nel primo quadrimestre, augurandosi la protezione del Governo sulla Società (4), e il primo maggio presiedeva la nuova pubblica adunanza — tenuta questa volta, con grande con- (1) Isnardi, II, 160. (2) Gazzetta Nazionale, n. 5, 11 luglio 1801, pag. 35-36. (3) Gazzetta, n. 25, 28 novembre 1801, pag. 193. (4) «Al Presidente della Commissione straordinaria di Governo il Presidente della Società medica di Emulazione. Cittadino Presidente: La nostra Società medica di Emulazione mi ha incaricato di trasmettervi un esemplare dei suoi primi lavori pubblicati nello scorso quadrimestre che v’invita a gradire insieme coi vostri Colleghi. La stessa si lusinga che la Commissione straordinaria di Governo possa trovare in questa produzione una prova non equivoca che ha impiegato non inutilmente i primi mesi della sua esistenza. Lo zelo con cui la Commissione di Governo si è occupata col più felice successo del pubblico bene, ci autorizza a sperare che vorrà proteggere efficacemente questo nostro stabilimento sacro all’umanità. Cresceranno così anche p^r questo i di lei grandi diritti alla riconoscenza nazionale. Salute e rispetto. Scassi Presidente ». La Commissione per mezzo del Presidente Rossi rispose una lettera di cortesia; Gazzetta Nazionale n. 32, 16 gennaio 1802, pag. 249. RIFLESSIONI SULLA VACCINA, LETTE ALL’ISTITUTO NAZIONALE Dal Medico Onofrio SCASSI, PUBBLICO PROFESSORE DI MEDICINA Membro della Società Reale di Medicina , e di Chirurgia di Edimburgo , &c. K GENOVA, Stamperia della Gazzetta Nazionale. I 8 O l. — 113 corso di pubblico colto, nella sala dell’istituto Nazionale — riferendo sui lavori del quadrimestre. « Si udì fra le altre cose col maggior piacere la risposta che la detta Società ha dato alla Commissione centrale di Sanità, la quale aveva voluto interpellarla sulle voci che si erano sparse di una nuova epidemia di febbri nervose, voci che dalla Società sono state interamente smentite » (1). Ma i timori ricomparivano poco dopo e la Commissione centrale, cui una nuova legge subordinava tutte le autorità municipali e gli uffici in materia sanitaria, mandava Onofrio Scassi quale suo Commissario a Nervi, dove erano molto diffuse certe febbri intermittenti, perchè riferisse e prendesse gli opportuni provvedimenti. Il suo rapporto le dichiarava perniciose, importate da marinai tornati dalla Maremma, non epidemiche e non estese al resto della popolazione (2). Nello stesso anno la Società ottenne per gli uffici dello Scassi una sede propria e stabile nel locale già dei PP. delle Scuole Pie coll’attigua scuola di rettorica (3) ed egli vi lesse due memorie, l’una dal titolo: Storia di un ammalato con calcoli biliari, e l’altra: Dell’uso del muriato di barite nei mali scrofolosi (4); ma anche più importante è la lettura sulla vaccinazione, fatta il 15 aprile 1801 all'istituto, perchè tocca l’argomento a cui maggiormente si rivolse l’attenzione di lui in questi anni che appaiono i più ricchi di intensa attività professionale e scientifica. Dice l’Isnardi che Onofrio Scassi « non senza buone ragioni credeva di essere il primo che inoculasse la vaccina in Italia » e che pubblicò una piccola opera: Réflexion sur la methode de vacciner. L’opera, della quale una copia è alla Biblioteca Universitaria di Genova, è in italiano col titolo. Riflessioni sulla vaccina; porta la data del 1801 e contiene le sue considerazioni e le avvertenze necessarie per la vaccinazione, servite poi, come egli stesso dice, di norma a tutti i vaccinatori; ma quel vanto che spesso ripete, come nella memoria in difesa della facoltà genovese di medicina contro le accuse comparse in un giornale di Edimburgo (« il suo nome è notissimo per essere stato il primo vaccinatore in Italia come lo attestano tutti (1) Gazzetta Nazionale, n. 47, 1 maggio 1802, pag. 371. Fecero comunicazioni il Batt, il Mongiardini, G. Mojon, Silvani, Massa, Viviani. Sul Massa, chimico, uomo di vita fortunosa, v. Giornale Stor. Letter. della Liguria, 1903, pag. 353; sul Viviani la biografia del Pe-scetto (1879); Neri, in Giornale Ligustico, 1879, pag. 21 sgg.; e Rivista Ligure, 1911; Elogi dei Liguri illustri, III, 295; Atti Soc. Ligure di Storia Patria, XLVI, parte I, pag. LXXIX sgg.; Saggio bio-bibiografico degli Scienziati di Lunigiana, La Spezia, 1929, pag. 47. (2) Gazzetta Nazionale, n. 16, 2 ottobre 1802, pag. 128; n. 18, 16 ottobre, pag. 142. (3) Archivio di Stato, Genova, Decreti Commissione di Governo, n. 98; 25 giugno 1802, (4) Isnardi, Storia deli Università di Genova, II, 177-178. 8 gli scrittori sulla vaccinazione ») (1), lascia sulle prime perplessi, poiché riesce assai difficile determinare con esattezza la precedenza tra i medici italiani benemeriti dell’umanitaria applicazione. Ma le dimostrazioni che egli dà accrescono probabilità a quell’affermazione, mentre rendono indubitabile il suo merito di aver introdotto la vaccinazione in Liguria- Di fronte alle frequenti rovinose epidemie di vaiolo e talune gravissime ne aveva avute anche Genova nel secolo XVIII — si era venuta diffondendo la pratica della inoculazione del pus ricavato dalle pustole artificiali e dalla polvere delle croste. Ardente sostenitore di questa pratica fu Angelo Galli, morto nel 1798, uno dei più insigni medici del tempo, che pubblicò in proposito uno scritto a Parigi nel 1763, l’anno successivo a Bruxelles le « Riflessioni sui pregiudizi che si oppongono alla inoculazione » e « Nuove riflessioni sulla pratica dell’inoculazione » tradotte in inglese, in tedesco e in italiano nel 1767 (2). L’uso si diffondeva subito anche in Italia, come è attestato dalla celebre ode pariniana (3), ma trovava ostacoli e resistenze fortissime, anche ufficiali. Così in una grave epidemia a Genova nel 1779 il Magistrato di Sanità non solo impediva ai giovani colpiti l’accesso alle scuole e alle chiese ma proibiva sotto severissime pene l’inoculazione (4). Sopravveniva intanto la scoperta di Jenner, che inoculò il vaccino la prima volta a un bambino nel 1796, e subito il metodo si diffuse. Nel 1799 il medico svizzero Giovanni de Careno praticava le prime vaccinazioni a Vienna; in Italia Luigi Sacco è considerato il coraggioso e audace propugnatore della vaccinazione e uno dei maggiori e più ferventi apostoli dell’opera dello Jenner, e certo primo inoculatore del vaccino in Lombardia. Ma poiché sono del 1800 le sue Osservazioni sul vaccino pubblicate a Milano e del 1809 il Trattato sulla vaccinazione (5), è ingiusto il silenzio degli storici della medicina intorno all’opera dei medici genovesi e dello Scassi in particolare, che appunto nel 1800 scriveva le proprie Riflessioni, .stampate al principio dell’anno successivo. Cosicché, se non il primo in Italia, egli è certo dei primi, e, col suo amico e consigliere Batt, indubbiamente il primo in Liguria. E questo merito gli riconosceva qualche anno dopo il chiaro naturalista (1 ) Difesa di Onofrio Scassi contro l’articolo del Dottor Oppenheim: Colpo d’occhio sullo stato attuale della Medicina in Italia, riportato dal Giornale di Medicina e di Chirurgia di Edimburgo (aprile 1826) in Archivio Sauli. (2) L. Castiglioni, Storia della Medicina, Milano, Unitas, 1927, pag. 652 sgg. (3) Al Signor Dottore Giovanni Maria Binetti - dé Buttinoni - Che - Con felice successo - Eseguisce e promulga - L'innesto del vainolo - Canzone ■ di Giuseppe Parini, Milano, Oaleazzi, 1765. (4) Gaggiero, Compendio delle Storie di Genova dal /777 al 1797, Genova, 1851, pag. 14. (5) Castiglioni, pag. 653 sgg. — 115 genovese ioacchino Ponta, autore di un poemetto in sei canti in ottava urna su a vaccinia, nel quale faceva le lodi dei più zelanti fautori della vaccinazione a Genova; Batt, Mongiardini, Luigi De Ferrari, Marchelli, Bene- Tu primo, o Scassi, alle materne arene Dalla Senna recasti il dono e il lume Del Vaccino tesor, cui l’alta spene Della vita e del bello affidò il nume: A te per l’are di Liguria Imene Offra pingui olocausti oltra il costume, E t’applaudan dai circhi e dalle culle I nostri pargoletti e le fanciulle (1). « Il sig Onofrio Scassi di Genova — commenta lo stesso autore — fu il primo che reduce da Oxford e Parigi recasse in patria l’uso d’innestare il vaccino » (2). Qui c’è indubbiamente un equivoco, perchè al suo ritorno dalle isole britanniche il metodo Jenner non era ancora trovato, e di una dimora a Parigi in quel tempo non è notizia; tuttavia più tardi, come lo stesso Scassi racconta con compiacimento, per le benemerenze in questo campo il suo ritratto fu inciso in rame e pubblicato a Parigi, per ordine del governo, con quelli di Jenner e del francese La Rochefaucault (3). Sulla parte avuta nella diffusione del metodo di Jenner egli parla più volte con giustificato orgoglio, intervenendo a chiarire dubbi, a correggere errori, a diffondere il suo entusiasmo per la benefica scoperta. Ai primi dell’ottobre 1800 la Gazzetta pubblica una lettera sulla vaccina scritta da un medico ginevrino a un membro dell’istituto: i nomi non sono fatti, ma probabilmente si tratta dell’Odier e dello Scassi; un altro articolo sulla stessa materia ha il giornale una settimana dopo (4). A questo risponde lo Scassi con una lettera che rivendica l’opera propria e le benemerenze e giustifica con ragioni tecniche la preferenza pel sistema della vaccinazione in confronto dell’inoculazione del vaiolo (5). (1) II Trionfo della Vaccinia, Poema di Gioacchino Ponta genovese, Parma coi tipi Bodoniani, MDCCCX, canto VI, strofa LXXXI, pag. 265. È una bellfssima e rara edidone ne furono tirati 250 esemplari) della Bibl. Univ. di Genova segnata 4 R IV 53 (2) Nota 24, pag. 283. (3) Difesa cit. in Archivio Sauli. (4) Gazzetta Nazionale, n. 15, 4 ottobre 1800, pag. 115; n. 16, 11 ottobre pag 126 Un terzo articolo è nel n; 30 del 17 gennaio 1S01, pag. 234 e vi si parla anche di un opuscolo dell’Odier in vendita appunto nella stamperia della Gazzetta. (5) Gazzetta Nazionale, n. 19, 1 novembre 1800, pag. 147. — 116 - « Cittadino Estensore, « La vostra Gazzetta sempre interessante per gli articoli che liguar-dano le arti e le scienze ne ha inserito uno utilissimo sulla Vaccina. Questa bella scoperta, che tramanderà in caratteri d’oro alla posterità il nome del Dottor Jenner estende i suoi vantaggi anche alla Liguria, e potremo rendere in avvenire immuni in questa guisa i lineamenti de nostri bambini dalla deformità, che frequentemente era la conseguenza del vajuolo spontaneo. « Nel 1798 sul principio del mese di ottobre mi fu dato dal dottissimo mio amico, medico Batt, il trattato del Dott. Jenner sulla vaccina. Abbiamo allora desiderato con impazienza di averne ulteriori informazioni, e di poterci procurare qualche filo impregnato della materia della Vaccina per l’innesto; ma le interrotte comunicazioni pel difficile carteggio ce ne hanno privati Iongamente con grave rammarico. Finalmente in aprile p. p. da Ginevra ebbi il piacere di sentire, che il celebre Professore Odier andava facendo delle osservazioni, ed era riuscito a confermare colle proprie esperienze quanto ne aveva detto l’inventore. Lo stesso Professore mi ha graziosamente mandato delle file impregnate di questa materia, ed io ne ho inoculato per la prima una bambina di mesi 32, figlia del rispettabile negoziante Tollot (1) ed indi il figlio di tre anni dell’ex rappr. Marrè. Ne ho inoculato successivamente altri due, e in questa settimana altri sei; a tutti gl’inoculati farò indi l’innesto del vajuolo, e vi dirò in appresso il risultato. « L’inoculazione della vaccina dev’essere generalizzata come il sicuro preservativo del vajuolo, tanto nocivo alla popolazione. « Chiunque volesse avere del filo per questo innesto io ne ho molto, e gliene farò parte volentieri. Vi comunico un quadro di paragone fra il Vajuolo e la Vaccina d’uno de’ più rinomati medici, che ho conosciuto in Inghilterra. (1) Egli non dice qui, ma secondo il Ponta avrebbe sperimentato per la prima volta sulla signora Tollot l’inoculazione del vaccino in donne incinte. Il Trionfo della Vaccinia, pag. 81, nota 12. - 117 — Quadro comparativo del Vajuolo e della Vaccina fatto dal Dott. Thornton Vajuolo- Le pustole del Vajuolo contengono una materia spessa che attacca molto la lancietta. 2. II Vajuolo agisce fortemente sulla costituzione; d’onde risultano delle vive inquietudini sovente fondate. 3. Il Vajuolo è accompagnato ordinariamente da pustole purulente. 4. Se il Vajuolo è influente i lineamenti del volto s’ingrossano, la pelle si scava e gli occhi si chiudono, il malato soffre orribilmente, e la febbre secondaria l’uccide, o resta cieco o sfigurato per sempre. 5. — L’odore che esala dal Vajuo- lo è dispiacevole. 6- — Il Vajuolo è sommamente contagioso. 7. — Molti muoiono di Vajuolo. Vaccina, cousp-ox. 1. — Le pustole della Vaccina racchiudono una materia fluida, che attacca rapidamente la lancietta. 2. D’ordinario la Vaccina non agisce in alcun modo sulla costituzione, ove la sua influenza non è quasi sensibile. 3. Le bolle o pustole della Vaccina sono piene d’una materia benigna. 4. Nulla esiste di tutta questo nella Vaccina. Niuna febbre secondaria, nè cecità, nè alterazione nei lineamenti e nella pelle. 5. — Nessun odore esala la Vaccina. 6. — La Vaccina non è punto contagiosa. 7. Nessuno muore di Vaccina. OSSERVAZIONI « Esiste una così grande differenza fra il Vajuolo e la Vaccina, che un Essere ragionevole non può esitare nella scelta. Quelli, che hanno Lvuto la Vaccina, siano perfettamente sicuri che non avranno il Vajuolo; posso lor garantirlo dopo un’infinità di esempi. Ho inoculato a diverse riprese il Vajuolo a’ bambini che avevano avuto la Vaccina, gli ho fatti giocare e dormire con altri attaccati e coperti di Vajuolo confluente; gli ho fatto toccare le loro pustole ad una ad una, e replicate volte, senza che alcuno fra essi abbia preso il Vajuolo. Mi ha egualmente dimostrato un gran numero ben considerevole di prò- — 118 ve, che la Vaccina non è punto contagiosa. Ho inoculato molti bambini nel seno delle loro madri, le quali non avevano avuto il Vajuolo nè la Vaccina: hanno i bambini avuto la Vaccina inoculata e le madri nulla hanno sofferto. Ho sovente, per assicurarmi vieppiù del non essere contagiosa la Vaccina inoculato l’uno dopo l’altro dei bambini della stessa famiglia: e mai è stata delusa da questa operazione la confidenza mia e quella dei Genitori. Questo metodo ha tale carattere particolare di benignità, che in ogni modo l’evento ha sempre sorpassato le speranze. La Vaccina fa un’era negli annali della Medicina, e deve immortalizzare la memoria del Dottor Jenner a cui era riserbato il fare questa bella e salutare scoperta, e il propagarne i benefizi ». Come appare anche da questa lettera, il Batt per i suoi naturali rapporti con la patria d’origine introdusse primo a Genova la conoscenza della scoperta dell’Jenner e ne fu anche valido, entusiasta sostenitore. Sorride di piacer il dotto e grave Anglico Batt, al patrio don recato; E lo promulga e gliene vien soave Gloriosa dolcezza al cuor bennato dice il Ponta; egli scrisse infatti sulla materia numerosi opuscoli e sostenne dotte e aspre polemiche; e a lui sembra riservare il merito principale Luigi Marchelli, egualmente entusiasta del nuovo sistema ed egualmente lodato dal Ponta perchè alla calda idea Tutte aprendo le dotte ali inquiete Di rimedi a svelar fonti novelle Fin ti giovi del mal che ange le agnelle (1). Probabilmente qualche rivalità non mancava tra i medici e colleghi genovesi, pur entasiasti del metodo di lenner; ma le notizie ufficiali non lasciano dubbio sulla parte prevalente che lo Scassi ha avuto nelle prime esperienze. Fin dall'aprile del 1800 — data confermata più volte e che segna dunque il principio della vaccinazione a Genova — egli ha cominciato i suoi esperimenti; e quando la Commissione di Governo trasmise all’ospedale di Pammatone il pus vaccinico venuto da Parigi, un consiglio di medici incaricò appunto lui di fare le inoculazioni di prova ed egli cominciò dagli esposti dell’ospedale, vaccinati il 26 febbraio successivo (2). E poco dopo, il 15 aprile, continuando nella campagna intrapresa con entusiasmo di neofita, fa (1) II Trionfo della Vaccinia, pag. 266, Stanza 82 e 84; Gazzetta Nazionale, n. 4, 4 luglio 1S01, pag. 29; n. 5, 11 luglio, pag. 37; n. 8, 1 agosto, pag. 60. (2) Gazzetta Nazionale, n. 36, 28 febbraio 1801, pag. 282. 119 - una lettura all Istituto dimostrando le ragioni, schematicamente indicate nella lettera del novembre, per le quali la vaccinazione deve essere preferita al- I inoculazione del vaiuolo, indicando il modo di agire del pus, il decorso della malattia. Combatte poi con focosa argomentazione gli avversari del metodo propugnato, espone quanto si è fatto in proposito nelle maggiori nazioni; si scaglia contro la falsa prudenza e sostiene la necessità per i genitori di far vaccinare i figli per preservarli dall’orribile male; che se inconvenienti si sono verificati talvolta nella cura, è dipeso da imperfezioni di mezzi o da imperizia dei medici. E ripete la conscia affermazione: « Persuaso il nostro Autore di queste verità, osa recarsi a vanto d’avere il primo in Italia conosciuto e fatto l’innesto della vaccina e d’esserne stato uno de’ principali e più caldi sostenitori » (1). Troppo lungo sarebbe seguire le polemiche svoltesi su questa materia che evidentemente destava molto interesse tra i medici delle due avverse opinioni; ma è caratteristico che gli ostili alla vaccinazione prendono a bersaglio piuttosto il Batt che lo Scassi; sebbene certi esempi addotti, come quello del figlio del Marrè, cui egli aveva accennato nella lettera e che gli avversari dicono poi colpito dal vaiolo dopo l’innesto, si riferiscano precisamente a lui. Il più accanito fu un dottor G. P. che nell’Osservatore, giornale cominciato a stampare nell’agosto 1802, attaccava con molta virulenza il Batt, il quale gli rispondeva per le rime in una serie di opuscoli (2). Da una risposta del dott. Landò (3) si rileva che quelle iniziali rispondono al nome di Giovanni Pedemonte, più tardi professore di clinica chirurgica all Università (4). A queste polemiche lo Scassi non partecipa; si direbbe che guardi più lontano; ma quando vede all’estero ingiustamente valutata l’opera propria interviene a ristabilire la verità, senza modesti infingimenti e con la coscienza precisa del suo valore. Così la Gazzetta del 15 agosto 1801 (5) contiene una lettera non firmata, ma indubbiamente sua per il tono e per il contenuto, diretta « all’estensore della rivista Clef du Cabinet » il quale nel n. 1614, all’articolo « Italie », segnalando i progressi della vaccinazione in Liguria, ne attribuiva l’introduzione al francese Arnaud. No, dice la lettera, (1) Memorie dell Istituto Ligure, Genova, 1806, voi. I, pag. 19-20. La memoria non è integralmente riferita, ma riassunta dal segretario Paolo Sconnio; e v. Gazzetta, n. 43, 18 aprile, pag. 338. (2) L’Osservatore, agosto 1802, supplemento al n. 1; n. 6 e supplem. ecc. Era un giornale che si occupava prevalentemente di materia ecclesiastica, a tinta giansenista. (3) Nella Miscellanea di Atti a stampa segnata 2 B. Vili, 48 della Bibl. Univ. di Genova; e v. Gazzetta Naz., 22 agosto 1801, pag. 84 e 19 settembre, pag. 206. (4) Del Landò e del Pedemonte si conservano alcune opere di medicina nella Bibl. Univer. di Genova. (5) N. 10, pag. 76. 12Ó — fin dal 179S si conoscevano a Genova l’opera dello Jenner sulla vaccina e le relative esperienze e fin dall’aprile 1800 il prof. Scassi con i fili ricevuti da Ginevra dal dott. Odier aveva inoculato molti bambini, verificando quanto era stato affermato in Inghilterra e in altri paesi. 11 compendio inviato dall’Ar-naud è arrivato a Genova nel gennaio 1801 quando da tre anni vi si conoscevano le opere in esso analizzate. Risiedendo a Genova un Istituto Nazionale non era possibile che quelle opere vi fossero ignorate. D’altra parte le esperienze fatte su cinque bambini il 26 febbraio col pus venuto di Francia sono riuscite infruttuose, e questo dieci mesi dopo che si facevano prove ben riuscite col pus più fresco, alle quali avevano partecipato, oltre allo Scassi, Batt, Giraud, Marchelli, De Ferrari e parecchi altri. « Mi fa meraviglia che non vi sia pervenuto alcuno dei fogli pubblici delle principali città d’Italia che hanno riconosciuto nel professore Scassi, membro dell’istituto Nazionale, il merito di avere inoculato la vaccina per il primo non solo in Liguria ma in Italia. Troverete questo attestato nella interessantissima Memoria storica ragionata sopra l’innesto del Vajuolo vaccino pubblicata in Padova dal D. Fonzago, uomo abbastanza noto per la vasta erudizione e dottrina; nell’elegante operetta del celebre D. Careno, Medico di grande reputazione in Vienna, Sur la Vaccine, Vienne, Chez Albert Comesina, pag. 9 (1); nell’ottimo discorso del D. Medico Batt « Sulla Vaccina di Jenner, pag. 1. Queste opere potevano anche essere ignote; stranissima però l’ignoranza della memoria del D. Ranque, membro della Società medica di Parigi, « Theorie et pratique de l’Inoculation de la Vaccine » à Paris, chez Meguinon l’Ainè; leggetela di grazia e troverete marcato a pag. 62 che il professore Scassi ha un diritto alla nostra riconoscenza per aver egli introdotta questa grande scoperta. La memoria Arnaud fu trasmessa dal Governo all’istituto; fu incaricato di esaminarla l’intera sezione medica, non il solo Scassi; e vi si trovarono anche alcuni errori, che vengono rilevati. « Il D. Scassi — conchiude la lettera — ha pubblicato, è vero, una memoria che ha Ietto in una pubblica seduta all’istituto Nazionale; è impossibile che abbia tratto cosa alcuna dal manoscritto del cittadino Arnaud, poiché per la parte storica avrebbe sempre ricorso agli scrittori accreditati che gli erano noti tre anni prima, per la pratica non aveva che riferire le proprie osservazioni assai numerose che lo hanno assai istruito del corso ordinario e delle irregolarità e complicazioni della Vaccina; ma la memoria (1) Copia di questo opuscolo, proveniente dallo Scassi è posseduta dal march. Sauli: « il y a déjà un an passe — scriveva il Careno nel 1801 — que le Docteur Onofrio Scassi fit connoìtre et pratiquer à Gènes de la manière la plus avantageuse Pinoculation de la vaccine ». - 121 — del D. Scassi non contiene che le sue osservazioni fatte nel corso dei suoi innesti ed alcune cautele per il felice successo dei medesimi. Tutto ciò che vi ho detto non è una vana asserzione, ma è appoggiato al vero ed è autenticato da quanto vi ho indicato. Sono certo che non esiterete un momento a ritrattare quanto avete esposto al pubblico su questo proposito e che renderete il dovuto omaggio alla verità ». Ed ecco così giustamente rivendicato un reale primato e un merito indiscutibile del medico genovese, e riaffermata con orgogliosa franchezza una priorità anche sugli altri medici italiani che mi par difficile negare. CAPITOLO IV. Verso l’annessione all’impero Onofrio Scassi Provveditore e Senatore JK 11 Governo provvisorio istituito dopo Marengo continuava la sua precaria esistenza. L’attesa della pace tanto desiderata e tanto necessaria alla ripresa di una normale attività marittima e commerciale si faceva sempre più viva e più ansiosa, mentre in quell’alternarsi di speranze e di delusioni anche la vita interna era tranquilla soltanto in apparenza. Ancora, i sostenitori dell’antica repubblica da un Iato, i fanatici giacobini dall’altro soffiavano nel fuoco e la costante minaccia di agitazioni era ottimo pretesto al perdurare e al sempre maggior estendersi dell’autorità dei rappresentanti francesi e costituiva una grande forza per il Primo Console e per i suoi piani di piena signoria sulla Repubblica Ligure. « Sono ben tre mesi che a Genova non si sono avute nè rivoluzioni nè cambiamenti di governo! » scriveva in un articolo ironico dell’ottobre la Gazzetta e riponeva nella Francia e nel Primo Console ogni speranza di tranquillità interna e di pace esterna; ma pur trapelava dalle sue parole la profonda amarezza per il ritardo di quella pace che avrebbe permesso la normale ripresa della vita economica (1). Lo stato d’incertezza dava un’inquieta insoddisfazione che si manifestava anche nella difficoltà di costituire gli uffici elettivi — per la Municipalità, formata nel luglio 1800, continue sono state le dimissioni o « scuse », anche dopo i provvedimenti disciplinari e le multe imposte dalla Consulta legislativa (2) — nei molteplici provvedimenti per la guardia nazionale ristabilita e subito sospesa (3), nelle misure severe contro la stampa violenta, fomentatrice di malcontento e (1) Gazzetta Nazionale, 13 e 27 settembre 1800, pag. 89, 105; 11 ottobre, pag. 121; 25 ottobre, pag. 139. (2) Ibid., 19 e 26 luglio, pag. 24, 33; 2 agosto, pag. 43. (3) Ibid., 13 e 20 settembre, pag. 91,100; 10 gennaio 1801, pag. 224; Clavarino, IV, 37. - 123 — di disordine. La Commissione di Governo aveva infatti abolito, perchè violenta e demagogica, la gazzetta intitolata H Cincinnato e fu costretta ad abolire tre mesi dopo anche II contadino repubblicano che l’aveva sostituita (1). A ristabilire la quiete non era stato sufficiente, anche per le proteste dei più accesi, il saggio provvedimento pacificatore dovuto in buona parte al Corvetto, di restituire verso congruo compenso i beni confiscati ai nobili allontanatisi dallo Stato nel 1797 (2). Sopra tutto preoccupanti le condizioni economiche, causa di misure fiscali molto avversate (3), e più quelle della sicurezza pubblica, tanto gravi da richiedere continui provvedimenti legislativi (4), frequenti circolari alle Municipalità e finalmente un tribunale straordinario creato il 10 dicembre (5). Tristamente celebre rimase quel Giuseppe Musso, detto il Diavolo, che con l’aiuto del fratello Nicolò e la connivenza di molti facinorosi gettò il terrore con le grassazioni e gli omicidi nella vallata di Fontanabuona, e contro il quale furono fatte inutili spedizioni armate (6) e presi provvedimenti eccezionali, finché, inseguito da un corpo di truppe, riuscì nel 1802 a fuggire a Trieste, donde, arrrestato, fu ricondotto e fucilato a Genova nel 1804 (7). Non meno pericoloso un Giuseppe Podestà, soprannominato « il figlio del Vescovo », che con gli assassini e le rapine atterriva e dominava le valli di Sturla e di Borzanasca, e fu arrestato per intervento delle truppe francesi nel 1803 (8); e come questi molti altri banditi infestavano le montagne. (1) Raccolta di Proclami e Decreti della Commissione ecc., pag. 209; Gazzetta, 10 gennaio 1801, pag. 224; 4 aprile, pag. 320. (2) Raccolta di leggi emanate dalla Consulta: legge 8 agosto, 12 novembre, 30 dicembre 1800, pag. 32, 87, 107; Clavarino, IV, 70; Ruini, pag. 47. (3) Particolarmente ostica la tassa annonaria, contro la quale piovvero da ogni parte richieste di revisione, anche dai cittadini più cospicui, Serra, Pareto ed altri, e, ciò che è anche più curioso, di membri della Commissione di Governo, come G. B. Rossi; Raccolta di Proclami della Commissione, pag. 239. (4) Raccolta delle leggi della Consulta, voi. I, pag. 21, 95, 98; voi. II, pag. 63. (5) Collezione di Proclami, n. 63, pag. 96; Gazzetta, 13 dicembre, pag. 193. (6) Partecipò a queste spedizioni, catturando parecchi complici del brigante, e special-mente un altro pericoloso bandito detto il Tasso, un sottotenente Scasso, che appare con questo grado nell’organizzazione delle nuove truppe liguri nel 1801; Clavarino, IV, 6S; L'Osservatore, 11 dicembre 1802, pag. 142 e 18 dicembre, pag. 150. Era forse lo stesso Stefano Scasso che nell’agosto 1803, sottotenente nel battaglione n. 2, era cambiato di corpo. Arch. di Stato, Rep. Ligure, n. 391, 6 agosto 1803. (7) Clavarino, III, passim.; IV, 78 sgg., 87 sgg., 138; Collezione dì Proclami, n. 72, 27 luglio 1801. L’11 giugno la Commissione di Governo aveva proposto un provvedimento eccezionale promettendo l’impunità a chi lo avesse arrestato, ma la proposta non era stata accettata dalla Consulta che non aveva ritenuto opportuno ricorrere a una legge speciale. Arch. di Stato, Genova, Governo Provvisorio, Atti Commiss, di Governo, n. 261, atto 118, 1801. (8) Arch. di Stato, Rep. Ligure, n. 401, c. 24 v., 85 v. ecc. — 124 — Indubbiamente, le difficoltà maggiori derivavano da quella equivoca situazione nella quale la Repubblica Ligure, nominalmente sovrana, era sorvegliata e diretta interamente dai governanti francesi e per loro mezzo dal Primo Console. Caratteristico esempio fornisce il caso di Gian Carlo Serra. Giuseppe Fravega, mandato dopo Marengo come ministro plenipotenziario a Parigi, scriveva il 27 luglio 1800 alla Commissione di Governo che nella prima udienza il Primo Console gli aveva dichiarato nettamente « che voleva il cittadino Gio. Carlo Serra si portasse costì munito dei suoi ordini per combinar col governo i mezzi per riparar i disordini che disse esser a sua saputa esister a Genova. A ciò credetti mio dovere replicare che, qualunque fosse la mia opinione particolare sul conto del cittadino Gio. Carlo Serra, non poteva far a meno di dimostrargli che codesto soggetto era condannato all’esiglio e che quindi il detto cittadino non avrebbe potuto eseguire simije missione a fronte d’una legge dalla quale era percosso- A questa mia rimostranza il Primo Console rispose con una risata; e mi ordinò di dire positivamente al cittadino Gio. Carlo Serra di portarsi al più presto da lui, volendo conferir seco sullo stato degli affari, e non deponendo perciò l’idea della di lui missione costà » (1). È naturate che il governo genovese obbedisse: poco dopo il Serra era nominato plenipotenziario della Repubblica al congresso di Luneville e cominciava così la sua vita di diplomatico, che doveva chiudersi violentemente a Dresda, dopo la missione in Polonia, nel 1813. « La Liguria, commentava la Gazzetta, è in diritto di attendere i migliori successi dalla scelta di questo Cittadino, il quale unisce ai lumi politici, che lo distinguono, una forza e costanza di carattere poco comuni » (2). C’era anche dell’orgoglio in quella forza di carattere; ma è lecito dubitare che tutti fossero molto lieti a Genova della ricomparsa di colui che aveva suscitato tante lotte; non certo quei violenti, anarchisti, pescatori nel torbido, contro i quali la Gazzetta imprecava tanto frequentemente (3); non i conservatori, che rimpiangevano la repubblica oligarchica. Ma il Primo Console dichiarava di aver molto gradito la nomina di una persona « per cui aveva sempre la maggior stima e il più grande attaccamento » e il 17 dicembre 1800 lo riceveva in udienza con segni di onore (4). (1) Belgrano, Imbreviature, pag. 249. Il Serra dal 1798 risiedeva a Parigi, dove l’inviato diplomatico Lupi, lo aveva anche accusato di complottare d’accordo con Saliceti, madama Faypoult e, altri anche genovesi, per l’unione della Cisalpina alla Francia. Colucci, La Repubblica di Genova e la Rivoluzione francese, voi. Ili, pag. 456 sgg. 475, 487 sgg., 498. (2) Gazzetta Nazionale, 15 nov. 1800, pag. 163. (3) Gazzetta, 1801, gennaio-marzo, pag. 290, 307, 325, 387 ecc. (4) Gazzetta, 27 dicembre 1800, pag. 211. Nominato poi inviato straordinario della Repubblica Ligure a Parigi, il Serra rimase accanto al Fravega fino al novembre 1802 quando fu destinato a Madrid: ibid., 23 ottobre 1802, pag. 150 e 6 novembre, pag. 168; L’Osser- — 125 — L’autonomia del governo genovese era perciò apparente e di carattere più che altro amministrativo, e gli organi di governo, la Commissione, la Consulta, servivano soltanto, lo diceva Talleyrand, « à faire croire au peuple de Gènes qu’il disposerait librement de ses propres destinées» (1): ben ardua era la situazione di chi, come Agostino Pareto, incaricato della politica estera, voleva salvare quanto più fosse possibile la libertà e la dignità dello Stato. Il suo registro di corrispondenza col Dejean è un continuo e faticoso dibattito, una difesa tenace, ma praticamente inutile, di una posizione insostenibile. Le pretese militari, le richieste di alloggi per le truppe e di cure negli ospedali sono continue. È giusto, dice una volta il Pareto, che i militari ammalati abbiano i soccorsi necessari, s mais il s’agit de voir si les besoins qu’on suppose existent réellement; et quand-mème il existeraient s’il ne sont pas une consequence des dilapidations des agens des hopitaux et de la constante impunité qu’on leur accorde » (2). Ma tutte le opposizioni si spuntano di fronte alle tenaci insistenze appoggiate dalla forza, e le domande piovono continue, opprimenti, insaziabili, con un tono monotono, uniforme, esasperante, perchè si risolvono tutte in richieste di pagamenti. E su tutta la vita e l’attività della repubblica si esercita minuto, inesorabile il controllo di Dejean, che non ha per il paese governato nè stima nè compassione, pur comprendendo che l’abbondante avversione contro i Francesi e le frequenti agitazioni e il compresso malumore sono la conseguenza « de notre conduite administrative et financière et des dilapidations de tous les genres qui se sont commises et qui se commettent encore tous les jours ». Egli protesta contro i metodi di violenza militare, sino a chieder d’essere richiamato; ma se qualche funzionario o generale francese, come il Ménard, si dimostra amico dei « patrioti esclusivi » lo fa subito richiamare (3). Non è così un’alleanza, è un protettorato; e il governo francese a Genova si esercita di fatto, tanto che il Primo Console il 28 aprile 1801, stabilisce, come ha appena fatto del Piemonte, che la Liguria costituirà una divisione militare comandata da un generale che corrisponderà direttamente col ministro vatore politico, 2 ottobre e sgg., pag. 63, 88, 104; Clavarino, IV, 105. In segno di soddisfazione per l’opera sua, il Talleyrand gli donava da parte del Primo Console un anello, Arch. di Stato, Governo Provvisorio, n. 94, Verbali Magistrato supremo, c. 51, 28 dicembre 1802. La sua corrispondenza da Parigi in Lettere Ministri, Francia, Mazzi 94 e 95, con quella del Fravega; da Madrid, fino al maggio 1805, in Lettere Ministri, Spagna, Mazzo 78. (1) Driault, Napole'on en Italie, pag. 119. (2) Archivio di Stato, Genova, Rep. Ligure, n. 50, Registro della corrispondenza interna e francese, 28 gennaio 1801. Le lettere del Dejean in Governo Provvisorio, Mazzo 11, Num. Gen. 2955. (3) Driault, pag. 119-120. — 126 — della guerra. Dell’ordinamento civile non si parla, ma si comprende quale potesse essere la sua libertà di movimenti in quelle condizioni. È vero che, quasi a conforto e a esplicito compenso dei mancati pagamenti per il mantenimento delle truppe francesi, si dava soddisfazione al vecchio desiderio dell’ingrandimento territoriale (1). Ma l’annessione di Oneglia e Loano (cui più tardi si aggiunsero Serravalle e Carosio, anch’esse già possedute dal Re di Sardegna) non faceva che avvicinare più strettamente Genova alla Francia; tuttavia, rispondendo alle aspirazioni di espansione territoriale del governo, provocava un’entusiastica lettera del Pareto al Primo Console, nella quale era però insieme fermo ed aperto l’accenno alla rovina economica subita dal paese (2). Ampliare il territorio della repubblica, si, e con aspirazioni anche larghe sino alPAIessandrino, al Parmigiano, a Lucca, a Massa, a Carrara, e in questo senso agiva a Parigi il Fravega, riprendendo i piani e le illusioni del Lupi; ma esser compresi nella Cisalpina, no; vi era contrario specialmente quel partito medio che era adesso in prevalenza: quello che aveva avuto sempre per programma l’accordo e l’imitazione francese, ma insieme il tenace amore per 1 autonomia. Grande perciò la preoccupazione e il timore quando il Fravega e Gian Carlo Serra riferirono la domanda del Primo Console che si mandassero alcuni Deputati alla Consulta di Lione, richiesta che si riteneva preludere all annessione. La notizia diede luogo a un grande lavorio diplomatico; Girolamo Serra propose di rispondere negativamente e loda il Bonaparte dell arrendevolezza nell’accogliere le ragioni di Genova esposte in una ferma Nota dei rappresentanti a Parigi, ai quali il Talleyrand invece non permise neppure di aprir bocca. Non sapeva il Serra quel che doveva aver avuto ben maggiore importanza, cioè il parere nettamente contrario del Dejean che asseriva troppo pericoloso unire in un sol fascio sette milioni di teste solfuree e facilmente elettrizzabili (3). (1) Driault, 121. « Così — commenta il Serra che di quella politica era col Pareto il maggior artefice per la prima volta dopo secoli, tutto il litorale della Liguria tro-vossi senza un filo di separazione sotto le stesse leggi »; Memorie, pag. 119. v2) A. Pareto in nome del Presidente del Governo al Generale Bonaparte, 6 giugno 1801. « Citoyen Consul. La Ligurie vous a demandé des conseils. Vous les faites précéder par des bienfaits. La reconnaissance que ce premier bienfait inspire au Gouvernement, l’encourage à en ésperer d autres, propres à cicatriser les plaies profondes de la guerre. Les rochers steriles de 1 apre Ligurie ont pu suffir à ses habitants tant que l’or deposé par leurs ancètres chez l’étranger venait vivifier periodiquement leur industrie. Mais peu d’années ont anéanti le fruit des espar-gnes de deux siècles. Vous reparerez d’aussi grands malheurs ». Arch. di Stato, Genova, Rep. Ligure, n. 50, Corrispondenza interna e francese, reg. II. (3) Lettera Fravega da Parigi, 21 novembre 1801, Arch. di Stato, Lettere Ministri, Francia, Mazzo 94, N. G. 2270 e v. anche lettera G. B. Rossi a Francesco Cattaneo a Milano, Lettere Ministri, Milano, M. 27, N. G. 2323; G. Serra, Memorie, pag. 118 sgg.; Driault, pag, 119, 123; Fiorini e Lemmi, pag. 557-8. — 127 — Le aspirazioni all’ampliamento del territorio, strettamente connesse alle speranze di ripresa economica, facevano desiderare ardentemente la pace: la notizia dell’armistizio e poi della pace di Luneville era perciò salutata con vivissima gioia, tuttavia contristata dal continuare della guerra marittima con l’Inghilterra, la più dannosa agli interessi liguri (1). La pace conchiusa permetteva infatti di pensare all’ordinamento stabile della Repubblica Ligure e alla nuova costituzione. Si può dire divenisse questo il problema fondamentale e più urgente. La preoccupazione del futuro appariva evidente, preoccupazione per il modo di consultare gli elettori, « perchè ancora non si sapeva con qual mezzo legale e infallibile si sarebbe riusciti a interrogare e conoscere la vera volontà del Popolo nella scelta dei suoi magistrati, che dovevano essere uomini fermi e intelligenti, impassibili all’influenza, alla seduzione dell’intrigo e dei partiti »; preoccupazione per ia essenza stessa della costituzione. « Sta sepolta nel più profondo mistero scriveva la Gazzetta Nazionale — la sorte definitiva che si va preparando alla nostra Repubblica già riconosciuta libera e indipendente. Ma questa sorte sarà degna sicuramente della magnanimità e della giustizia del Governo Francese, sarà corrispondente ai sacrifici coi quali il popolo di Liguria ha dimostrato il suo attaccamento alla Francia e tanto contribuito alla salvezza e alla gloria delle armi francesi e alla condotta dell’assedio, cosicché il Primo Console lo ha proclamato il più fedele alleato della Grande Nazione » (2). Dichiarazione che non gli impediva di tirare volutamente le cose in lungo finché non si fosse fatta la pace con l’Inghilterra, che si interessava particolarmente di Genova (3). Infinite furono le discussioni sulla costituzione che si preparava, sui progetti che si dicevano fatti ma che nessuno conosceva; tutti avevano una loro infallibile opinione in proposito: « interrogate i leoni, vogliono una Costituzione per dominare; interrogate i lupi, vogliono una Costituzione per rubare; interrogate altre bestie, vogliono altre Costituzioni favorevoli alla loro bestialità; interrogatele tutte insieme, vi fanno venir matto e vi affogano » (4). Mentre Bonaparte indugiava e nessuno penetrava il fondo dei suoi propositi (è bene, egli diceva, che i Genovesi siano discordi e questo « dans les circostances ou se trouve Gènes est l’intérèt majeur » (5), e le circostanze (1) Raccolta di Proclami e Decreti della Commissione straordinaria di Governo, pag. 144, 175; Gazzetta Nazionale, 21 febbraio 1801, n. 35. (2) Gazzetta Nazionale, n. 36, 28 febbraio 1801, pag. 281; n. 39, 21 marzo, pag. 306. (3) Driault, pag. 121. (4) Gazzetta Nazionale, n. 38, 14 marzo, pag. 295. Altre discussioni ibid. 16 maggio, pag. 368. (5) Driault, pag. 122. — 128 — erano lo stabilirsi del dominio francese), i membri della Consulta lavoravano a preparare progetti costituzionali. Nell’aprile era nominata, e in parte ricomposta nel maggio, una Commissione (Corvetto, Cottardo Solari, sostituiti, per dimissioni, da Gerolamo Durazzo e Giovanni Quartara; Pietro Paolo Celesia, Giuseppe Cambiaso, Onorato Ferreri, Giuseppe Assereto, G. B. Roggeri) per preparare un progetto definitivo (1). Lavoro inutile perchè si trattava soltanto di fornire dati ed elementi locali a chi doveva effettivamente ordinare il nuovo governo: è naturale perciò che questo riuscisse molto analogo a quello che la Repubblica Italiana ebbe ai Comizi di Lione e che la nuova costituzione entrasse in vigore dopo la pace di Amiens. « Vediano diffondersi la bizzarra opinione che quando sarà fatta la pace generale allora solo avremo una Costituzione » scriveva la Gazzetta, interpretando il sentimento dell’autonomia locale che resisteva tenace; e in realtà la Costituzione, anche se compiuta nell’ottobre, entrò in funzione solo più tardi modificata e rielaborata dal Primo Console (2). Frattanto il 14 giugno si celebrava solennemente l’anniversario della ri-generazione, come si diceva, innocua festa ormai, dalla quale erano escluse le violenze demagogiche del passato, e consistente in un Tedeum, nella solenne processione delle autorità, nell’immancabile discorso (3), nel non meno immancabile pranzo di gala. Nel corteo i membri della Commissione centrale di Sanità e dell’istituto Nazionale ebbero posto tra la Municipalità e il Governo, e la sera, coi generali francesi, i diplomatici, i corpi militari e i membri del Governo e della Consulta, presero parte al pranzo: anche lo Scassi doveva dunque essere tra i personaggi maggiori dello Stato a quelle cerimonie, come sarà stato al Tedeum. Al quale invece ricusarono d’intervenire i membri della Consulta, perchè perl’art. 8 della Costituzione non vi erano tenuti nè collettivamente nè individualmente « e perchè, dicevano, in nessun luogo il Corpo legislativo assiste a funzioni con l’ese- (1) Archivio di Stato, Genova, Governo Provvisorio, Reg. n. 261: 25, 28 aprile, 5 maggio; Clavarino, IV, 69; Gazzetta, 25 aprile, pag. 346; 9 maggio, pag. 362. È notevole che nalle votazioni per formare la commissione Giacomo Mazzini è sempre candidato e non riesce per un voto. Molti abbozzi individuali di progetti in Collez. Appunti e Doc. Storici, voi. 24. Migliore fra tutti, scrive il Serra, quello del Solari che si distingueva « per una qualità comune a quasi tutti i suoi scritti sparsi di profonde vedute fra molti paradossi ». E aggiunge che la Commissione provvisoria dapprima favorì quel lavorio di progetti costituzionali ma, vedendo rinascere i partiti, finì col pregare l’arbitro di Francia e del continente di voler essere il legislatore e l’elettore della Liguria; Memorie, pag. 120. (2) Arch. di Stato, Genova, Governo Provv., n. 98, Decreti Commissione di Governo. Dopo parecchi mutamenti e sostituzioni, formavano allora la Commissione, con G. B. Rossi, Girolamo Serra, Abramo Filippo Losno e Agostino Pareto. (3) II discorso fu tenuto da G. B. Rossi, ancora Presidente; Raccolta di proclami della Commissione ecc., pag. 260. — 129 cutivo » (1). Non ebbero però difficoltà ad assistere al corteo e al pranzo; e mi pare che l’episodio dimostri non interamente spente le passioni demagogiche e i conflitti costituzionali. Gli ultimi mesi del 1801 ei primi del 1802 passarono nella duplice attesa della pace generale e marittima e della costituzione, per la quale la Consulta, la Commissione e il Dejean avevano compiuto i lavori fin dall’ottobre. Il 17 di quel mese Girolamo Serra, allora Presidente della Commissione di Governo, scriveva al Bonaparte chiedendogli di voler « fra le cure del vasto impero impiegare pochi minuti a prò’ di un popolo amico costante dei Francesi. Eleggete i suoi primi Magistrati e loro agevolate colla vostra scelta la via a Voi nota della prosperità delle Nazioni. Tale è il voto della Commissione di Governo e della Consulta legislativa, voto giustificato dal vostro nome e dall’esempio dei nostri padri » (2). Quanto questa offerta, alla quale la Consulta aveva dato il proprio assenso, fosse spontanea, dimostrano le parole del Dejean: « Je me felicite d’avoir pu contribuer à l’adoption d’une mesure qui contribuera plus que toute autre à donner de la force au gou-vernement ligurien et de la stabilité à la nouvelle constitution » (3). Ma da parte della Commissione Provvisoria, c’era in quell’offerta un sottinteso e un’ansiosa aspettazione: se il Primo Console accettava, l’indipendenza si poteva ritenere non minacciata; « un uomo troppo potente per voler fingere, non avrebbe dato mano ad un edifizio che avesse in cuore di atterrare ». Perciò la sua accettazione era stata salutata con gioia dai più tenaci sostenitori dell’autonomia, come il Serra e il Pareto; e come già a Mombello, sugli schemi fornitigli, il Bonaparte dettò la costituzione definitiva (4). Nel marzo il Dejean si recò a Parigi per fornirgli ulteriori informazioni e non tornò : nell’aprile il Primo Console destinava Cristoforo Saliceti a Genova per ordinarvi il nuovo governo e sorvegliarlo (5). Ma prima che egli venisse giungeva la notizia della pace di Amiens, conchiusa il 27 marzo con l’Inghilterra- Era un sospiro di sollievo; finalmente il mare era libero, finalmente il commercio poteva apertamente riprendersi; arrivava il grano e c’era il pane: inni di lode salivano naturalmente al vincitore e al restauratore della pace (6). In questo stato d’animo tanto (1) Arch. di Stato, Genova, Governo Provv., n. 261, 12 giugno 1801. (2) Compilazione dei decreti pubblicati dal Senato della Rep. Ligure, I, Genova, 1802, pag. 3, e Gazzetta Nazionale, 26 giugno 1802, pag. 9. (3) Driault, 122. (4) G. Serra, Memorie, pag. 120. (5) Il Serra chiama il Dejean uomo onesto incorruttibile e zelante; del Saliceti dice che era « uom pien di destrezza, conoscitore del bene e apprezzatore del merito, ma per impeto di carattere e per calcolo d’interesse inveterato Giacobino ». (6) Numerosi entusiastici gli articoli della Gazzetta in proposito nei mesi di aprile e maggio, 9 \ — 130 — più difficile riusciva pretendere un’autonomia di governo e sottrarsi al fascino e al volere del dominatore. Bisognava attendere da lui la costituzione e la richiesta designazione dei primi magistrati. Al principio di giugno si annunciava imminente una decisione; poco dopo arrivava infatti un corriere da Parigi recante la legge fondamentale e la lista di coloro che dovevano applicarla per primi (1). Sarebbe spettato ai tre collegi elettorali dei possidenti dei negozianti e dei dotti eleggere i 30 membri del Senato che proponevano le leggi alla Consulta dei 72 possidenti e sceglievano il Doge sopra una terna proposta dai collegi elettorali. Ma questi non erano costituiti e le elezioni dei Senatori e del Doge erano state deferite al Bonaparte. II 21 giugno arrivava Cristoforo Saliceti, l’altro còrso, l’interprete della volontà del Primo Console, mandato come ministro plenipotenziario a insediare il nuovo governo e a sorreggerne i primi passi. Notevoli le sue istruzioni indicanti l’indirizzo da dare all’opinione pubblica. 1 Liguri dovevano considerare come un beneficio il vantaggio che la nuova costituzione dava ai proprietari e agli uomini di coltura- II loro paese si era sempre rivolto alle idee commerciali; bisognava anche incoraggiare la coltivazione di un territorio in gran parte fertile e far sentire l’utilità delle scienze e la loro influenza sulla pubblica prosperità (2). E non è improbabile che a un tale atteggiamento sia dovuto il favore che al Bonaparte e al Saliceti dimostrarono molti uomini rappresentanti la coltura e le professioni liberali. La sera del 22 il Saliceti presentò le credenziali e subito fu comunicato il testo della Costituzione e la lista dei Senatori; a Doge era eletto Francesco Cattaneo, già inviato della Repubblica presso il Bonaparte e poi ministro a Milano; erano tra i Senatori il Corvetto, il Lupi, il Fravega, Antonio Maghella, G. B. Rossi, Girolamo Sena, Agostino Pareto, il Morchio, il Balbi, M. A. Cambiaso; i personaggi insomma più cospicui ma che non si erano compromessi con manifestazioni di faziosità e di violenza. 1129 giugno(3), cessate le funzioni della Commissione provvisoria, si insediava il nuovo governo con un discorso del Saliceti. « savio e luminoso discorso » diceva la Gazzetta. Il pacificatore del mondo, calmato il movimento generale che la rivoluzione francese aveva impresso all’Europa, ha potuto esaudire il voto della Liguria, portando all’antica costituzione i mutamenti reclamati dai saggi e dagli amici del loro paese c Spariscano per sempre — concludeva — e si perda fin la memoria delle misure arbitrarie estorte ordinariamente più che legittimate dalla violenza delle circostanze ». (1) Gazzetta Nazionale, 5 giugno, pag. 409; 19 giugno (anno VI) n. 1, pag. 2. (2) Driault, pag. 126. (3) Drlault. pag. 12b; Gazzetta, 1302, pag. 13 e 18. 0 CLAVARINO, IV, pag. 99-100, ha erroneamente la data 3 luglio. 4 - 131 — Risposero il Pareto per la cessata Commissione e Pietro Paolo Cele-sia decano del Senato (1). Poi cominciò la vita normale del nuovo organismo. Anche qui non mancarono le dimissioni: il Corvetto e Giuseppe Assereto tra i Senatori, sostituiti da Cottardo Solari e Ambrogio Molfino; lo stesso doge non accettò e non intervenne mai alle riunioni, cosicché la presidenza del governo fu tenuta sulle prime dal Senatore Morchio, Presidente del Magistrato Supremo, il burbero e parco Morchio, come lo chiama il Serra. II Senato infatti si divideva in cinque magistrature: Giustizia, Interno, Finanze, Guerra e Marina, Magistrato Supremo. Quest’ultimo era composto del Doge e dei Presidenti delle altre quattro magistrature, che avevano funzioni di A\inistri, e di quattro Senatori eletti dai collegi, ed era il vero potere centrale dello Stato (2). Sette sindacatori eletti dai collegi elettorali potevano colpire di censura non più di due membri del Senato, della Consulta Nazionale, dei Tribunali: curiosa mescolanza di antica censura e di nuova sovranità popolare. Macchinosa costituzione — la decima dopo la € definitiva » del ~ nella quale le funzioni parlamentari erano ridotte e il potere esecutivo aveva organi troppo frammentari e multipli; e non c’era a Genova un Bonaparte che imprimesse un indirizzo vigoroso e unitario, nè a soddisfare i ricordi e i rimpianti del passato e a conservare la tradizione era sufficiente quel mantenimento del nome del Doge a un funzionario di vaghe e indefinite attribuzioni (3). Tuttavia essa parve la più soddisfacente ai gelosi tutori dell’indipendenza e dell’autonomia (4); in realtà la conservazione dei nomi tradizionali doveva far credere all’Europa, che ci si volesse prestare, come nulla fosse mutato a Genova: c Ainsi l’Europe entière retrouvera la République de Gènes et s’accoutumera plus facilement à ces dénomi-nations » diceva il Primo Console al Talleyrand (5). In attesa che egli provvedesse alla nomina del nuovo Doge, secondo che gli era stato richiesto, il Senato si mise all’opera distribuendo le cariche, confermando tutte le autorità nelle loro funzioni, ricevendo infinite lettere di felicitazione, che piovevano da quelle stesse municipalità che nel 1797 (1) I discorsi integralmente riportati in Compilazione di’ Decreti pubblicati dal Senato, t I, pag. 11 sgg. (2) La Costituzione in Compilazione de? Dtcreti pubblicati dal Senato, t. I, pag. 4 sgg. AI Doge spettava Io stipendio di 50 mila lire, 9 mila ai Senatori del Magistrato Supremo, 6 mfla agli altri (Arch. di Stato, Rep. Ligure, reg. Ili A). (3) La Legge organica di governo sulla base della costituzione fu emanata alla fine dell’anno; Gazzetta Nazionale, n. 25, 4 dicembre 1332, pag. 197 sgg. e supplemento 7 dicembre, pag. 2S6 sgg. (4) G. Serra, Memorie, pag. 121. (5) Driault, pag. 121 — 132 — avevano mandato le rumorose delegazioni a fare i discorsi democratici e a scambiare l’abbraccio fraterno (1). 11 governo fu compiuto quando il Bonaparte designò a Doge Gerolamo Durazzo, che assunse l’ufficio il 10 agosto col solito scambio di discorsi col Morchio e anche col nuovo arcivescovo, il cardinale Spina, che aveva appena preso possesso della diocesi, vacante per la morte dell’arcivescovo Lercari. La lettera del Primo Console al Senato in occasione di quella nomina, ricordate le benemerenze della Repubblica Ligure, le sue sofferenze nell’assedio e anche i frequenti torbidi interni che ne hanno messo in pericolo la libertà, assicura la benevolenza e la riconoscenza della Francia, invita alla concordia, all’amore della costituzione, della religione, del gran popolo francese. « Que vos misérables galères soient remplacées par de bons vaisseaux de guerre qui protègent votre commerce dans le Lévant: ces contrées sont encore pleines du souvenir de vos ancètres », conchiude con un accenno che gli sta naturalmente molto a cuore, ma capace di profonda risonanza nell’animo dei Liguri (2). E un po’ per riconoscenza, un po’ per adulazione, il Senato faceva il 23 agosto la prima proposta dell’erezione di una statua al benefattore, da elevarsi con quella di Colombo: i due monumenti che hanno avuto poi tante peripezie (3). Sembrava ormai che spirasse un’aria nuova: maggiore calma, maggior ordine, grandi le speranze; c’era la pace e c’era la giustizia. Qualcuno lamentava che ritornassero le vecchie forme e si chiedeva se dunque la rivoluzione era stata inutile; no, rispondevano gli altri, non era stata inutile ma era una fortuna che fossero scomparsi gli eccessi e le esagerazioni (4). E di questa nuova tendenza era prova la deliberazione presa tra le prime dal nuovo governo di sospendere tutte le cause intentate e da intentarsi per danni e colpe contro la nazione, cui seguiva più tardi, tra il marzo e l’aprile 1S03, una generale amnistia (5). Certo, la fine del disordine rivoluzionario e delle persecuzioni giacobine è un grande vantaggio ed entra nei proposito del Bonaparte, che (t) Clavarino, IV, pag. 102 sgg.; Gazzetta, 5 luglio 1S02, pag. 19 sgg. (2) Gazzetta, 14 agosto 1302, n. 9, pag. 66-69; L'Osservatore, supL al n. 1, 14 agosto. La Lettera in Borel, pag. 203 e, tradotta, in Compilazione de’ Decreti ecc. pag. 27. (3) Compilazione de’ Decreti dd Senato, I, pag. 54; Collezione dei Proclami ed editti del Magistrato Supremo, voi. I, 1S02, pag. 18; Raccolta delle Leggi e Decreti del Senato, ecc., 1803, voi. I, pag. 176; Gazzetta Nazionale, 20 novembre 1S02, n. 23, pag. 1S3; 24 dicembre, n. 23, pag. 222; 20 agosto 1S03, pag. 26; 2 febbraio 1S05, pag. 40, e v. Bel-orano, La statua di Napoleone in Genova, Giornale Ligustico, ISSI, pag. 286 sgg. e Imbre-viature di G. Scriba, pag. 352. (4) Gazzetta Nazionale, 29 agosto 1302, pag. 83-34. (5) Arch. di Stato, Genova, Rep. Ligure, n. 370, Processi, leggi e decreti, dd Magistrato di Giustizia, n. 1 e 74; Clavarino, IV, 114; Gazzetta, 4 giugno* 1803, pag. 402. — 133 — continua a guardare a Genova con grande interesse. Scrivendo al Doge ii 29 ottobre fa voti che il Senato « ne doute jamais de l’interét que je prends au bonheur de tous les citoyens de la République et du désir que j’ai quìls vivent entre eux en paix et se livrent exclusivement au commerce et à tout ce qui peut accroitre leur aisance, sans se donner aucune inquiétude sur l’avenir, ni se laisser agiter par l’esprit de faction » (1), ed analoghe espressioni sono in una lettera che consegna al Fravega quando lascia Parigi per venir ad assumere l’ufficio di Senatore (2). Probabilmente egli accenna qui ai dissensi che già si manifestano tra il Senato che vorrebbe esercitare collegialmente tutto il potere esecutivo e il Magistrato Supremo che non intende di esserne un semplice strumento, interpretazione questa che è anche di Saliceti e Talleyrand, senza che si venga mai a una precisa delimitazione delle attribuzioni. D’altra parte l’indipendenza non è maggiore ora col Saliceti di quel che sia stata col Dejean: qualche tentativo di affermarla, come la nomina di ministri a Vienna e a Londra senza informarne prima il governo francese, e ì accettazione della proposta inglese di far innalzare la bandiera britannica alle navi genovesi, che apparirebbero così piuttosto sotto il protettorato deHInghilterra che della Francia, è subito sventato (3). Lo spirito di autonomia derivato dalla secolare indipendenza stenta a cedere e ha scatti e tentativi di indocile resistenza, ma dovrà finire co! sottomettersi; e i Senatori, i quali in un primo momento affe'mano illusi che. costituito i! governo definitivo, i: rappresentante francese non ha maggior diritto d’ingerirvisi di quel che abbiano gli austriaci o g’ ingles;. ben presto devono convincersi che le cose stanno assai diversamente. Anche a non tener conto dell’abile lavorio sotterraneo del Saliceti, tutta la sua corrispondenza col governo è un controllo continuo, un’alta e spesso pedantesca e petulante sorveglianza, una serie insistente, opprimente di richieste ir ogni materia e con ogni pretesto: i mezzi pecuniari e gli alloggi militari tengono \ pri~o posto <41 Si comprende che un uomo come Girolamo Serra, indispettito e offeso, pensasse a rinunciare a un ufficio che sentiva di non poter tenere con dignità (5)- Si dimise e l’anno dopo venne a toglierlo dalla dirrtcfle (1) Borel, pag. 305. ■2 CampOmiom de1 Decrai dà Sesau, *_ L 1302. pag. —. Qzzzeca Sazi: r-zle, 1 gzsh oo 1333. pag. 234; lettera 4 dicembre 1302. (3) Druixt, pag. 125-127. (4) Ardi, dì Scalo, Rtpab. Ligare, Venali dei Mzgisraz: Szsrem. n. 3SO-3S5: Detrai Magistrate Sipmu, Sire 415-419. (5) * L'aano prrao della nuora Cosàsnoce — egS scrire — fa utafoiie per esa »wt ■< liberti d» opiniom, fi secondo &ri per riarsaerare coloro die a piegrraj» ajJe crescala ndùess di Siicei e con «scadere dai Seaaso da ressera: 3 arzo cosarti: D saai&ao deffmdipeadeaza axóoaale »; Mimarie, pag. 121-122. — 134 — situazione il provvedimento proposto dal Saliceti che non il sorteggio come voleva la costituzione ma il voto designasse il terzo dei Senatori da sostituirsi. « Una lista a due colonne andava attorno e un mezzano sfacciato di Saliceti mostravaia a chi voleva ». Così nel giugno 1803 egli usciva dal Senato col Pareto, come lui sostenitore delPautonomia e della dignitosa indipendenza della Repubblica (1). Succedette al Magistrato di Guerra e Marina il Maghella più devoto e conciliante, forse il « mezzano sfacciato » di cui parla il Serra, certo strumento condiscendente di Saliceti finché anche lui, a Napoli almeno, diventerà nettamente antifrancese. Ma adattarsi ormai in quelle condizioni era necessario, e seguire per quanto era possibile gli intenti ordinatori e organizzatori del Bonaparte in vantaggio del paese. Il tentativo di Luigi Corvetto di salvare la vita del vecchio e glorioso Banco di S. Giorgio riuscì solo a ritardarne la morte, ma la sua rovina era dovuta a cause generali e a profonde trasformazioni (2). Più efficaci i provvedimenti e le iniziative in altri campi, dall’illuminazione pubblica e dai nuovi lavori, come la passeggiata dell’AcquasoIa, ai primi tentativi di ordinamento dello Stato civile; dall’educazione militare, se pur subita sulle prime a malincuore, per cui si mandavano anche truppe liguri in Toscana e nell’Italia meridionale, alle nuove coscrizioni di marinai, eccitati a rinnovare le gloriose gesta marinaresche dell’antica repubblica; dalla fondazione, per opera di Gian Carlo Di Negro e nella famosa villetta, della scuola di botanica, affidata a Domenico Viviani, alla creazione dell’istituto per i sordo-muti, per l’opera benefica e generosa del P. Ottavio Assarotti delle Scuole Pie (3). Il 1° luglio 1802 l’istituto Nazionale riprende le sedute interrotte da oltre un anno: il Presidente comunica di aver avuto assicurazione dal Ministro dell’interno a nome del Senato che si possono continuare i lavori (4). Ma la vita dell’istituto, sorto con le speranze e il fervore della repubblica democratica, è ormai molto misera; prima dell’annessione all’impero non ci sono più che due sedute pubbliche, il 15 luglio e il 2 dicembre 1804, e l’argomento più importante trattato è la proroga delle adunanze stabilite dalla nuova (1) G. Serra; Memorie pag. 122; Belgrano, Della vita di Girolamo Serra, pag. 300; Clavarino, IV, 110; Raccolta delle leggi del Senato, I, 342. È degno di nota però che per richiesta di Saliceti stesso, candidamente dichiarata dal Senato, sul principio del 1805 Girolamo Serra fu nominato Provveditore a Novi, carica che non accettò. Arch., filza 419, 5 gennaio 1805. {2) Ruini, Corvetto, pag. 49 sgg. (3) Gazzetta, 1801, pag. 90, 94 sgg.; Clavarino, IV; Fiorini-Lemmi, 559; e v. A. Issel, La villetta Di Negro, Genova, 1914; R. Drago, Cenni del R. Istituto dei Sordo-Muti in Genova, Genova, 1867, pag. 27 sgg.,; S. Monaci, Storia del R. Istituto dei Sordo-Muti in Genova, Genova, 1901, pag. 43 sgg. (4) Processi Verbali, ms. Bibl. Univer., F. V. 21, c. 92. - 135 — legge (1). Ancora nel 1802 si è introdotta infatti una terza riforma con la divisione in tre classi: scienze fisiche e matematiche, scienze morali e belle lettere (delle scienze politiche non si parla più), arti liberali e meccaniche. Ogni classe è composta di 24 membri, metà residenti nella centrale e metà associati, tutti cittadini dello Stato, oltre a tre esteri. Due terzi dei membri sono nominati dal Senato; per l’altro terzo l’istituto propone una lista tripla. Ogni anno devono tenersi almeno due sedute pubbliche, una terza in luglio per la distribuzione dei sette premi in medaglie ai lavori giudicati migliori: non più di tre possono essere assegnati ai membri dell’istituto (2). Il quale però nel nuovo ordinamento non appare aver dato prova di grande attività (3). Per quanto riguarda Onofrio Scassi, che vi appartiene, subito confermato, è assorbito da altre occupazioni: l’insegnamento universitario, la Commissione di Sanità, le nuove funzioni amministrative. Anche l’Università ha nuove cure: un decreto del 4 maggio 1801 ha ridotto gli stipendi dei professori; alcuni di questi, Prospero Semino, Gaetano Marrè, Francesco Molini, Ambrogio Multedo, chiedono sia loro ripristinato l’antico stipendio, da pagarsi sull’ex asse gesuitico. La richiesta non è accolta, ma dà luogo alla proposta di una riforma degli studi universitari con istituzione di nuove cattedre e soppressione delle inutili e con un piano finanziario generale (4). Ne deriva il nuovo regolamento 3 novembre 1803, che fa fare un gran passo all’istruzione universitaria, togliendola dai limiti troppo angusti della riforma del 1784, separa dall’Università le scuole di retorica, umanità e grammatica costituite in Ginnasio, riordina le singole facoltà e vi aggrega la medicina. I professori di medicina, prima dipendenti dai Protettori dell’ospedale di Pammatone, dai quali erano anche nominati, vengono definitivamente assegnati all’Università, a carico della quale, sul fondo dell’ex asse gesuitico, sono posti anche gli stipendi, per lo più di 500 lire, portate a un massimo di mille dopo molte difficoltà e per i più anziani. È tra questi Onofrio Scassi, con l’insegnamento delle istituzioni mediche; accanto a lui la nuova facoltà comprende G. B. Pratolongo per l’anatomia, Antonio Mongiardini per la materia medica, Nicola Olivari per la medicina (1) Processi Verbali, c. 93 e 94. (2) Arch. di Stato, Rep. Ligure, filza 370, n. 74; Isnardi, Storia deW Università di Genova, II, pag. 140. (3) Una seduta del 15 marzo 1803 con discorsi Mongiardini, Sconnio, Marrè è ricordata dalla Gazzetta, 16 aprile, n. 44, pag. 336. (4) Archivio di Stato, Genova, Rep. Ligure, n. 407: Decreti del Magistrato Supremo, n. 75, 4 settembre 1802; n. 394: Verbali Magistrato Supremo, c. 32 v., 2 ottobre. In seguito alle dimissioni, non accettate, del Direttore dell’Università, Galea, si propone anche una riforma del suo ufficio per determinarne con precisione le funzioni. Ibid., n. 394, c. 55, 22 gennaio 1803. 136 - pratica, Pietro Bonomi per la chirurgia, Domenico Viviani per la botanica e Luigi De Ferrari per la chimica (1). È veramente degno di nota il fatto che questo primo ingresso ufficiale della medicina nell’ordinamento universitario, in quella cioè che può dirsi la vera e organica istituzione dell 'Università genovese: avviene con lo Scassi e che egli vi ha subito il primo posto. In quel lavoro di ricostruzione dello Stato che il Senato si è assunto, subito dopo aver ordinato I amministrazione civile, si muta con l’organamento degli studi anche il corpo amministrativo e disciplinare dell’Università. Atteso con molto desiderio (2), il nuovo ordinamento ne affida il governo a una Deputazione composta del Presidente dell’interno, del Senatore deputato all’istruzione e del Piesidente della Commissione degli studi. E per le sue attitudini e I interessamento sempre dimostrato alle cose scolastiche, Presidente della Commissione degli studi e membro quindi deila Deputazione, con Agostino Maglione ministro dell’interno e col Senatore Marcello Daste, è appunto Onofrio Scassi (3). Al quale il 14 novembre spetta di inaugurare solennemente, pi esenti le autorità civili e religiose e dopo un breve discorso del Maglione e le comunicazioni dei nuovi regolamenti fatte dal segretario, il nuovo anno accademico e la nuova vita universitaria. Non sono passati dieci anni dai discorsi ai Senatori della vecchia Repubblica: il tono è indubbiamente molto mutato, come sono mutati i tempi, ai quali egli si uniforma con serena prudenza. E non è neppur più il tono del discorso al Consiglio dei Giuniori nel 98; c’è come un senso di sollievo nel dire che la Repubblica è finalmente consolidata; e I esaltazione del Primo Console è naturale e doverosa, non solo fa parte dei doveri formali, ma è effetto di una suggestione cui nessuno può sottrarsi; quella del Saliceti è rivolta al rappresentante del Bonaparte, ma anche all amico, perchè ottimi sono i loro rapporti ai quali non sono certo estranee le numerose cariche sostenute, sempre con coscienziosa attività, dallo Scassi in questi anni. (1) Arch. di Stato, Rep. Ligure, filza 60, c. 392, Programmi di un nuovo ordinamento dell’Università; Raccolta di Leggi, decreti, proclami emanati dal Senato, voi. I, pag. 73 sgg., Isnardi, Storia dell’Università di Genova, voi. II, pag. 165 sgg. (2) « Si aspetta a momenti la pubblicazione dei decreti relativi a questo centro di pubblica istruzione. Possiamo intanto asserire che i regolamenti adottati per gli studi e le scelte dei Professori corrisponderanno ai desideri e ai bisogni della nazione e meriteranno alla nostra Università un posto distinto fra le primarie d'Italia »; Gazzetta Nazionale, n. 21, 5 novembre 1803, pag. 167. (3) Gazzetta, n. 22, 12 novembre 1803, pag. 174; Clavarino, IV, 122-123. Formano con lo Scassi la Commissione Cirillo Capozzi di Teologia morale, Prospero Semino di Etica e Giusnaturale, G. B. Molini di Istituzioni civili e Gio. Felice Calieri di Fisica generale. - 137 - ope e Senatori. Ha veduto con trasporto di gioia la Liguria installato il suo governo costituzionale, ha accolto con venerazione entro il termine prescritto dalla Costituzione il prezioso lavoro delle leggi organiche, riceve oggi con riconoscenza un grande attestato del vostro paterno attaccamento alla nuova organizzazione dell'Università nazionale. Scriverà la Stona questo giorno fra i più memorabili delPEra Ligure: grazie vi rendono i cittadini tutti e in particolare gli amorosi genitori, che costretti finora a comprare con grave dispendio in lontani paesi ai propri figli la necessaria educazione, contenti esultano di vedere somministrati i mezzi onde farli istruire in seno alle loro famiglie. I Professori dell’Università nazionale riconoscenti alla considerazione e al lustro di cui li ha onorati il Governo, colle loro fatiche ed attività, coll’esatto adempimento dei loro doveri, de’ quali conoscono l’importanza, sapranno meritarne l’approvazione. In questo luogo sacro alla pubblica Istruzione imparerà il Cittadino a ben dire, a ben ragionare, a conoscere se stesso e le cose che lo circondano, ad apprendere i suoi diritti e i suoi doveri, a conservare e a ristabilire i suoi simili, a distinguere il Dogma dalla superstizione. Ecco finalmente stabilita immutabile la base della Repubblica. Vedrà ben tosto sorridente di esultazione la Patria i Cittadini non dal caso guidati, ma dal merito, e da queste scale far passo al Magistrato. E Voi, illustre Saliceti, caro ai Repubblicani e ai Dotti, Depositario delle generose intenzioni del Governo francese, dite al Primo Console che se il governo ligure gli ha innalzato un monumento di riconoscenza nel Palazzo Nazionale, un altro con pari ragione dei bronzi e dei marmi più durevole a lui ne vanno ad ergere i letterati della Liguria, in cui con caratteri indelebili sarà scritto Bonaparte Ristoratore della Repubblica e delle Scienze » (1 ). Tocca cosi allo Scassi di aprire la vita di quella che solo da questo momento può dirsi veramente l’Università per la riunione in un corpo unico di tutte le branche del sapere scientifico; e ad essa in varie cariche e funzioni, nei momenti lieti e nei tristi, tutta la sua esistenza sarà costantemente legata. Il nuovo governo aveva dato anche norme più stabili e severe per la scelta degl’insegnanti, abbandonando il sistema delle terne proposte dall’istituto, che aveva provocato incomposte gare ambiziose e liti di clientele partigiane e faziose, e sostituendolo con una forma di concorso. Gli aspiranti dovevano presentare la loro domanda alla Deputazione: la scelta doveva farsi per esame davanti a una commissione composta di membri dell’istituto; la nomina definitiva spettava al Magistrato dell’interno (2). A commissioni (1) Raccolta delle Leggi, dea di e proclami emanati dal Senato e altre Autorità costituite, voi. Il, 1803, pag. 88; Gazzetta Nazionale, n. 23, 19 novembre 1803, pag. 182. (2) Gazzetta, 1803, pag, 291, 314. Prima applicazione delle nuove norme si ebbe per la sostituzione di Paolo Sconnio che rinunciò alla cattedra di lettere umane. — 138 — giudicatrici e ad atti relativi ai concorsi universitari lo Scassi si vede partecipare più volte nella sua lunga vita accademica. Da una distribuzione delle materie e degli orari approvata dal Senato sappiamo che faceva le sue lezioni di fisiologia e di patologia nella seconda ora mattutina, cioè alle 9 '/2 (!)• E da supporre che abbia avuto qualche parte anche nel nuovo programma formulato dall’istituto Nazionale, su richiesta del Magistrato Supremo, intorno alla tormentata materia degli esami di Medicina, Chirurgia e Farmacia, rinnovato ora dopo il trasporto dei relativi studi all’Università (2). Certo a lui, come Presidente della Commissione degli studi, è dovuto il regolamento organico pubblicato proprio mentre Genova passava all’impero, col quale finalmente si davano stabili norme per il conseguimento delle lauree nelle diverse materie, stabilendo per la Medicina un corso di quattro anni e determinando la formalità degli esami sino all’imposizione del cappello dottorale. L’ultimo articolo di questo regolamento riprende la vecchia questione e ci si sente la solita mano e l’avversione ai medici non regolarmente abilitati. Coloro infatti che non hanno conseguito laurea o sono stati abilitati dopo spirata la legge emanata dalla Consulta legislativa il 14 dicembre 18D1 sono sospesi dall’esercizio della professione, finché non abbiano subito un esame teorico e pratico. E a lui come Presidente delPUriiversità il Magistrato Supremo affida l’incarico di applicare il regolamento (3). Minori tracce lascia in questo periodo la sua opera alla Commissione di Sanità: per quanto alcuni mandati di pagamento emessi dalla Commissione portino la sua firma (4), non appare che nei periodi intermittenti della sua presidenza si siano presi provvedimenti di speciale importanza e raramente si vede quale sia stata nella Commissione l’opera dei singoli membri. Accanto alle solite pratiche ordinarie, le questioni più gravi riguardano in questi anni la riaccesa epidemia vaiolosa, la minaccia della febbre gialla, il disordine delle farmacie, il problema delle sepolture, per cui, rinnovata la proibizione di seppellire nelle chiese, si acquistano degli orti alla Foce per farne un cimitero (5). (1) Raccolta di Leggi e Decreti del Senato, I, 193. (2) Arch. di Stato, Rep. Ligure, n. 392, Verbali Magistrato Supremo, 20 marzo; Gazzetta Nazionale, n. 43, 7 aprile 1804, pag. 544. (3) Raccolta di Leggi e Atti del Senato, 3 giugno 1805, voi. IV, pag. 127 sgg.; Gazzetta Nazionale, n. 23, 8 giugno 1805, pag. 190. Un esemplare di diploma di Laurea in Teologia rilasciato a un G. B. Lertora e firmato dallo Scassi e dal Rettore del Collegio dei Teologi Luigi Silvano, rappresentante l’arcivescovo cardinale Spina, in Archivio Sauli. (4) Arch. di Stato, Genova, Sala 43, n. 1718, Mandati Commiss. di Sanità, 1800-1810. (5) Raccolta di Leggi ed Atti del Senato, III, 137, 140, 143, 150 sgg.; Gazzetta, 1801, pag. 187; Arch. di Stato, Rap. Ligure, n. 394, c. 92 v.; filza 6L), 16 aprile, 20 maggio 1803. Raccolta Atti del Senato, I, 112, 201; Clavarino, IV, 130. - 139 - Nel luglio 1803, divenuto Provveditore, Io Scassi cessò di appartenere alla Commissione che tornò allora al numero originario di cinque membri (1 ), ma non cessò di occuparsene. In seguito a un suo rapporto, nel quale si manifestavano gli inconvenienti della presidenza a turno e si proponeva la nomina di un Ispettore generale di Sanità, come avevano fatto il Piemonte col Buniva e la Repubblica Italiana col Rasori (2), il Governo incaricava il Senatore Deputato alla Guerra e Marina di riorganizzare il Magistrato di Sanità (3). Fu stabililo che dovesse essere presieduto da un Senatore, e vi fu appunto destinato il Presidente del Magistrato di Guerra e Marina, Antonio Maghella che anche nel nuovo ufficio portò la sua multiforme, irrequieta attività (4). Da questo momento invece e per lungo tempo non è più cenno dello Scassi presso la Commissione, alla quale per parecchi anni non appartenne. * * * La sua attività era rivolta altrove e dopo la formazione del nuovo governo assunse anche forme che meno si attenderebbero. Provveduto all’ordinamento politico, il Senato si era occupato dell’ordinamento giudiziario e della circoscrizione amministrativa e le andò organizzando attraverso le solite difficoltà e le consuete molteplici rinuncie (5). Diviso il territorio della Repubblica in sei giurisdizioni: Centro, Lemme (Novi), Entella (Chiavari), Venere (Spezia), Ulivi (Finale), Colombo (Albenga, S. Remo), a ciascuna furono assegnati un provveditore, due vice provveditori e un segretario; e il Magistrato Supremo il 30 aprile nominò per il Centro rispettivamente Antonio Botto, già ministro della Guerra, Giacomo Mazzini, G. B. Repetto e Giuseppe Podestà, e per l’Entella Onofrio Scassi, Luigi d’Isengard, Giulio Torre e Bartolomeo Grondona (ò). Non pare però che lo Scassi si recasse a Chia- (1) Archivio di Stato, Repubblica Ligure, n. 391; Lettera 23 luglio 1803 di Leopoldo Olivieri, Presidente della Commissione. Nel novembre entrava a farne parte Filippo Figari (Gazzetta, 1803, pag. 200; Clavarino, IV, 119). (2) Arch. cit. n. 340, Lettere del Provveditore del Centro, reg. I, lettera 482, 23 agosto 1803, pag. 179. Su Michele Buniva, professore a Torino, v. Miscellanea della Bibl. Univ. di Genova, 4. B. B. V. 31. (3) Arch. di Stato, Sala 50, n. 401, c. 21 v., 23 agosto 1803. (4) Gazzetta Nazionale, 10 novembre 1804, n. 22, pag. 172 e pag. 185,193, 226; Arch. di Stato, Sala 43, filza 1718, nov. 1804; Sala 50, filza 571. Alla Commissione erano stati dati anche poteri giudiziari in materia sanitaria e igienica, ad impedire il diffondersi di epidemie minaccianti dalla Toscana e dalla Spagna; Arch. di Stato, Sala 50, filza 370, n. 102-106; Raccolta dì Leggi ed Atti del Senato, 1, 146, 198; Gazzetta, 1803, pag. 192, 214; 1804, pag. 152, 162, 169 ecc. (5) Gazzetta, 22 gennaio 1830, n. 32, pag. 259 sgg., Cancelliere del Tribunale di revisione del Centro fu nominato Giovanni Scasso. (6) Collezione dei Proclami ed editti del Magistrato Supremo, voi. I, 1802, pag. 99; Clavarino IV, 113; Gazzetta, n. 47, 7 maggio 1803, pag. 379. - 14Ò — vari: le occupazioni scolastiche e professionali non gli permettevano di assentarsi da Genova, cosicché, mentre dichiarava al ministro dell’interno — era allora Agostino Maglione — di accettare la nuova carica (1), è supponibile si desse da fare per non abbandonare la città, e si può credere lo assistessero del loro aiuto e del loro favore il Maghella, Deputato alla Polizia, e fors’anche lo stesso Saliceti. Infatti, quando alla fine di giugno il Maghella prese il posto di Girolamo Serra alla Presidenza del Magistrato di Guerra e Marina e Antonio Botto Io sostituì come Commissario di Polizia, lo Scassi subentrò nell’ufficio di Provveditore del Centro, mentre a Chiavari andava Giulio Torre, prima destinato viceprovveditore a Rapallo (2). Passava così lo Scassi, senza abbandonare la città e le altre sue normali occupazioni, ad un genere di attività affatto nuovo e che appare lontano dalle sue consuetudini di vita e di studio. Secondo la legge organica sul potere amministrativo, il Provveditore, assistito da una Giunta, era l’organo immediato del Governo, il capo della Giurisdizione, con funzioni che assommavano in certo modo le odierne attribuzioni del Prefetto e del Questore. Sorvegliava tutti i corpi amministrativi, che corrispondevano col Governo per suo mezzo, ed esercitava insieme le funzioni di polizia alle dipendenze del Commissario, che ne era ministro per tutta la repubblica. Risiedeva nel capoluogo e doveva avere, a carico della Giurisdizione, l’alloggio e uno stipendio di seimila lire, oltre a duemila lire di spese di ufficio e di rappresentanza (3). La prima installazione di tutti i Provveditori e i Viceprovveditori avvenne il 1° giugno: entrò in carica in quel giorno anche il Botto, il quale, riferendo al Magistrato Supremo che l’ufficio si era regolarmente costituito col segretario e con tre impiegati, denunciava subito lo scarso numero di questi e lo chiedeva aumentato (4). Dopo un mese al Botto, del quale le let- (1) Onofrio Scassi al Senatore Presidente dell’interno. Signor Presidente. Ho ricevuto col vostro messaggio del giorno 30 aprile la notizia di essere stato eletto Provveditore della Giurisdizione dell'Entella. Sento abbastanza il valore dell’attestato di considerazione di cui mi ha onorato il Governo con questa elezione, per dimenticare ogni mio particolare interesse, e risolvermi a tentare di meritarla coll’esatto adempimento delle mie incombenze. Degnatevi, Senatore Presidente, di significare al Governo che io pieno di riconoscenza accetto l’onorevole incarico e che ne attendo i pregiatissimi ordini. Salute e rispetto. Scassi. Genova, 3 maggio 1803, anno VI. Arch. di Stato, Rep. Ligure, Sala 50, filza 60. (2) L’Osservatore politico, n. 47, 2 luglio 1803, pag. 375; Gazzetta Nazionale, n. 3, 2 luglio, pag. 24; Clavarino, IV, 115. (3) Gazzetta Nazionale, 7 maggio 1803, pag. 379 sgg. (4) Gazzetta, n. 50, 2 giugno, pag. 401; Archivio di Stato, n. 340, Lettere del Provveditore del Centro, reg. I, lett. n. 1, 1 giugno. Il segretario era Giuseppe Podestà, medico an- - 141 - tere attestano un fervido interessamento e un’attiva operosità, succede Onofrio Scassi che ne dà subito partecipazione al Governo. « Al Doge e Senatori del Magistrato Supremo- 11 Provveditore del Centro. In questo momento ho dato principio all’esercizio delle funzioni proprie della carica a cui mi avete destinato. Impiegherò tutti i miei piccoli mezzi per meritare quella confidenza di cui il Governo si è degnato onorarmi. Genova, Dalla Residenza del Provveditore, 2 luglio 1803, Anno VI. Scassi » (1). Ecco così il medico e lo scienziato divenuto funzionario e capo di polizia; e nell’esercizio delle nuove attribuzioni egli portò un’attività continua, quasi invadente e tumultuosa, della quale fanno fede i due registri di lettere sue alle diverse autorità dello Stato, cui altre si aggiungono sparse in altre serie di atti, e i registri dei Verbali di ufficio (2): non era certo una sinecura quel suo incarico. Energico e zelante, deciso a esercitare seriamente le attribuzioni e a farsi obbedire, cortese nei modi (3), ma fermo e risoluto nel seguire e voler rispettate le leggi e le disposizioni del governo, si dedica al nuovo lavoro con attività coscienziosa e operosa, che non lo distoglie tuttavia dai doveri professionali e accademici. Seguirlo minutamente in un anno di amministrazione di polizia attraverso le molteplici pratiche, spesso uniformi, non è possibile e sarebbe inutile : basterà accennare al carattere generale della sua opera e ad alcuni episodi principali. La rigida e severa vigilanza e l’osservanza scrupolosa delle leggi provocano qualche volta conflitti, specialmente con le Municipalità, e lagni e risentimenti di queste, desiderose di piena autonomia e insofferenti di controllo. Ma se si duole che le Municipalità non funzionano e le assemblee vanno sempre deserte e i bilanci non si possono esaminare, perchè la Giunta amministrativa non si può convocare a causa delle troppo frequenti e numerose dimissioni dei suoi membri, è l’interesse dell’amministrazione che lui, che aveva dichiarato di accettare l’ufficio con lettera del 13 maggio (Ibid., filza 60) e che era destinato a succedere poi al Botto e allo Scassi. Traduttore del Mably, aveva avuto parte non trascurabile nel governo democratico e si era attirato anche lui le ire e i sarcasmi di Luigi Serra nella Lanterna Magica. (1) Arch. di Stato, n. 391, Verbali del Magistrato Supremo. (2) Arch. di Stato, Genova, Repubblica Ligure, n. 340, Registro I; Corrispondenza Provveditore del Centro, comprende, con quelle del Botto, 767 lettere dal 1° giugno al 20 ottobre 1803; il n. 341, Registro II, continua con la lettera 768 e arriva al n. 1518 il 30 giugno 1804; poi le lettere sono del successore. I Registri 333-334 contengono i Verbali degli Atti del Provveditore. Nelle filze 60 e 61 ci sono molte lettere con le decisioni e le risposte del Senato, e così nella filza 419, Decreti del Magistrato Supremo. Pagamenti allo Scassi, Provveditore e poi Senatore, in Reg. Ili A e 111 B. (3) Ancora molti anni più tardi Girolamo Serra si diceva « memore dei modi affabili e cortesi, con cui, essendo Provveditore della Centrale, Ella accoglieva i ricorrenti ». Lettera 22 luglio 1827 in Museo del Risorgimento di Genova, n. 1204. — 142 — che lo spinge a sollecitare provvedimenti (1). Se la Municipalità di Sestri Ponente non vuol riconoscere al duca Grimaldi il privilegio concessogli dallo stesso Saliceti di non esser tenuto ad alloggiare francesi e il Presidente si oppone con parole non misurate, delle quali il Ministro di Francia si lagna vivamente, lo Scassi nel sospendere per quindici giorni il dipendente riottoso è mosso da un severo senso di disciplina, oltre che dai rapporti di amicizia col Saliceti, non da insensibilità per i malanni delle popolazioni vessate, che cerca anzi di proteggere mitigando insistenze e pretese dei richiedenti. A sua volta il Senato comprende certo che quell’opposizione è determinata dall’insofferenza delle pressioni francesi, dal vedere la miseria dei cittadini che non possono procurarsi, forse con denaro sonante, commendatizie ed esenzioni, e revoca il provvedimento (2). Nell’informarlo dei reclami che gli pervengono contro di lui, il Magistrato Supremo spesso unisce, quasi ad addolcirli, espressioni lusinghiere sul suo zelo e sulla sua attività. « Non sono punto ambizioso di elogi — egli risponde una volta — e so di non meritarli, ma sono sommamente sensibile e severo sopra ogni piccola cosa che possa attaccare il mio dovere e la condotta ed ardisco con la mia solita franchezza asserire che sono inferiore a qualunque nei mezzi, non lo sono certamente ad alcuno nella volontà e nel carattere » (3). La volontà appare, se mai, impetuosa e intraprendente; si rivolge ad ogni campo deH’amministrazione, di tutto interessandosi, a tutto volendo provvedere: controllo amministrativo e opere pubbliche, assistenza igienica e polizia, sorveglianza carceraria e stato civile. Rileva inconvenienti e propone norme più sicure ed efficaci per l’utilità del servizio; quasi ogni giorno c’è un suo rapporto al Magistrato Supremo con osservazioni, proposte, quesiti sulle più varie materie (4). Rescinde il contratto con l’appaltatore della illuminazione, stabilendone un altro più preciso e più utile per il quale i fanali dovranno essere sempre accesi quando la luna non sarà tanto alta da illuminare discretamente la città (5), metodo abbastanza primitivo, ma allora (1) Filza 392, 27 marzo; 419, lettera 2 novembre 1803. (2) Reg. 340, lettere 186, 277, e 349: 2, 20, 31 luglio; Verbali del Magistrato Supremo, lettera Scassi 25 luglio; n. 419, Decreti Magistrato Supremo, deliberazione, 30 luglio. La Giunta, costituita di tutti i Presidenti delle Municipalità e presieduta dal Provveditore, comincia a riunirsi il 9 gennaio 1804 e si occupa di affari amministrativi e spese. Il Verbale dei suoi lavori è nel volume 336 dell’Arch. di Stato, Sala 50. (3) Reg. 341, lettera 944; 23 novembre 1803. (4) Fu tra i suoi dipendenti Giacomo Mazzini, viceprovveditore di Sestri, benemerito specialmente per opere pubbliche, che chiese e ottenne dopo molte insistenze le dimissioni (Reg. 341, n. 1511, 1553; Reg. n. 392, Verbali Magistrato Supremo, II, 25, 26 gennaio 1804; Gazzetta, 1804, pag. 263; Neri, Il padre di Giuseppe Mazzini, Rivista Ligure, 1910, pag. 243 sgg). (5) Reg. 340, lettera 343, 30 luglio. — 143 — di uso comune. Insiste più vòlte perchè gli sia aumentato il personale di ufficio per la formazione di quello che chiama il registro civico. Da oltre dodici anni, scrive al Senatore Presidente dell’ Interno, gli ex Collegi avevano stabilito una nuova numerazione delle case del cantone: crede che sia tempo di dar esecuzione al progetto, ma desidera sapere a quale dei Comitati municipali spetti quest’obbligo (1). La nuova numerazione dovrebbe servire a impiantare un vero registro anagrafico: poiché le frequenti indagini sui cittadini sono difficili per mancanza di dati « è mia intenzione intavolare un libro in cui siano scritti tutti gli abitanti coll’indicazione del Quartiere, Parrocchia, Strada, Casa, Numero ed Appartamento, in questo disposto e diretto colla maggiore semplicità in un istante ritrovare qualunque cittadino , si saprà immediatamente, benché avesse più volte cangiato abitazione, ove abbia il suo domicilio- Questa misura che ho veduto in uso in alcune delle più vaste capitali dell’Europa oltre i vantaggi che produrrebbe per la polizia, servirebbe infallibilmente a rinvenire i nazionali e i forestieri e giovar pur potrebbe moltissimo all’esigenze delle contribuzioni » (2). Ma appunto per il timore che dovesse servire a fini fiscali l’istituzione del registro di Stato Civile trovò opposizione nella Municipalità, come destò malcontento quando effettivamente fu ordinata a datare dal 1° gennaio 1806, nell’età napoleonica (3). Numerose indagini compie infatti il Provveditore su cittadini e forestieri per ordine del Governo e di propria iniziativa. Equanime e mite quando si tratta di amnistiati politici e di sospetti « come capi di diverso partito o troppo esagerati nelle loro opinioni », tanto da ottenere dal Governo, con speciale rapporto, la scarcerazione di molti detenuti in varie parti dello Stato (4), è molto severo in materia di onestà e di moralità e contro chi manca al proprio dovere. Fa sospendere e sostituire il giudice di pace di Montoggio; fa arrestare i mediatori disonesti e venditori di fumo (5); fa un rapporto contro il collegio gallo-ligure diretto da un prete Luck, nel quale i giovani ricevono cattiva educazione e crescono neH’immoralità e, nonostante l’intervento del Saliceti, ne ottiene la chiusura (ò): rimette alla Commissione criminale, coi complici, un (1) Filza n. 60, 8 agosto e n. 391, 16 settembre 1S03. A tergo manca ogni deliberazione; non si intende se si riferisca alla richiesta la sola parola jamais scrìtta in calligrafia chiara e insolita. (2) Reg. 341, lettera 1003, 1 dicembre 1803. (3) Gazzetta di Genova, 11 dicembre 1805, pag. 220. (4) Filza 391, Verbali del Magistrato Supremo: 14 e 18 luglio 1803. (5) Ibid., 10 agosto e 21 settembre. (6) N. 401, c. 8 sgg., agosto 1803. II Luck fu arrestato per debiti nel settembre. Nella filza n. 61 c’è tutto un pacco di pratiche intorno a questo collegio gallo-ligure; altri documenti nelle filze 271-277 e nel registro 410. — 144 — frate che con false testimonianze carpisce la dichiarazione di stato libero per ammogliarsi (1). I verbali degli Atti del Provveditorato sono pieni di richiami e ammonimenti; passano uomini, donne, minorenni, che il Provveditore chiama a sè e ammonisce per migliore contegno e talvolta fa arrestare; sorveglia i luoghi degli spettacoli e le sale da ballo, invigila sul buon costume. Ma i mezzi eccezionali non giovano ed egli scrive sgomento un dolente rapporto sulle condizioni della pubblica moralità, con una efficace pittura di costumi impudenti e sfrontati: padri, madri, mariti lamentano figli traviati, figlie sedotte, mogli dissolute; le bettole e le osterie cresciute in numero infinito e ricetto di malviventi, la delinquenza minorile divenuta preoccupante. 1 mezzi per rimediare sono insufficienti, ond’egli invoca provvedimenti radicali che possono venire soltanto dal Governo (2). Anche se ci sia qui un po’ di esagerazione per ottenere i mezzi richiesti, appare la sincera e accorata preoccupazione del funzionario e del cittadino- E il Magistrato Supremo, ricevuta la lettera, delibera di invocare provvedimenti legislativi dal Senato, ma non si vede che la cosa abbia avuto seguito (3). Altri provvedimenti in materia di sicurezza e di ordine pubblico riguardano l’uso delle maschere, prima proibite poi concesse con limitazioni nel carnevale del 1804, la consuetudine degli spari pericolosi e rumorosi nelle festività, la sorveglianza sui teatri, la sorveglianza sugli stranieri (4), l’emissione dei passaporti per i quali istituisce un regolare registro (5). Una legge dell’ll aprile 1804 affida al Provveditore anche le attribuzioni di Commissario per la classificazione della gente di mare, l’incarico cioè di preparare, per mezzo di appositi sindaci, gli elenchi dei marinai e delle loro attitudini, evidentemente per la coscrizione in servigio della Francia; incàrico penoso per la difficoltà di trovare chi voglia assumere le funzioni di Sindaco della gente di mare nei quattro cantoni della giurisdizione: Genova, Rivarolo, Sestri Ponente e Voltri (6). Fuori del campo di polizia, la sua competenza si esplica nella tutela delle popolazioni pressate dalle richieste di alloggi, di viveri, di masserizie da parte degli ufficiali francesi, nella difesa degli interessi dei marinai liguri reduci dalla spedizione di Egitto e non soddisfatti nei loro diritti e nelle com- (1) N. 392, 20 marzo. (2) Reg. 340, n. 351: 31 luglio 1803. (3) Reg. 401, c. 4, 1 agosto. (4) Raccolta delle Leggi e Atti ecc. del Senato, II, pag. 183, 188, 330; Gazzetta; n. 32, 21 gennaio 1804, pag. 254; 20 agosto 1803, n. 10, pag. 78. Dove occuparsi anche di questioni tra una cantante Plomer e l’impresario; Arch. n. 392, 31 gennaio, 2g giugno; n. 341, lettera 1519. (5) Archivio, Governo Provvisorio, Mazzo 12/2956. (6) Archivio, n. 337. È un piccolo registro tutto consacrato a questa materia. — 145 - petenze (1), nella formazione degli elenchi dei notai e mediatori autorizzati all’esercizio delle rispettive funzioni (2) e in quella delle liste dei possidenti, dei negozianti e dei dotti, che, secondo l’apposita legge organica emanata nel giugno 1803, dovevano costituire i tre collegi elettorali voluti dalla costituzione (3). Non mancano le solenni funzioni di rappresentanza: il 1° di settembre insedia il Tribunale di commercio con un discoro nel quale è l’eco delle generali preoccupazioni provocate dalla rottura della pace di Amiens alla vita e al commercio genovese, che la troppo breve sosta nella guerra non ha potuto risollevare. « Cittadini giudici. Il commercio ha formato in tutti i tempi la prosperità della Repubblica. I superbi edifizi, i grandiosi monumenti di lusso e di pietà che distinguono Genova sono l’opera dell’attività e dell’industria dei nostri Padri. Se ora sono alquanto più scarsi i frutti delle nostre fatiche, se vediamo scorrere meno abbondante l’aurea sorgente del commercio, questi sono gli effetti delle tristi vicende che rianimando la discordia fra due grandi potenze preponderanti, tengono in una crudele agitazione l’Europa. Ma è da sperarsi che da questa nuova lotta ne sortirà poi finalmente quel- (1) Raccolta, ecc., pag. 113; Gazzetta, n. 25, 3 dicembre 1803, pag. 198. La questione era già stata trattata diplomaticamente; dispaccio Boccardo da Parigi, 28 luglio 99, in CoLUC-Ci, La Repubblica di Genova e la Rivoluzione francese, voi. IV, pag. 216. (2) Raccolta cit., II, pag. 101; Arch. di Stato, Rep. Ligure, n. 341, 7 febbraio. A proposito di molti che abusivamente esercitano l’ufficio di mediatori con danno del commercio e inganno di ignari, scrive: « La libertà che mal s’intende da non pochi nell’attuale sistema, ha incoraggiato alcuni a credersi abili a qualunque professione e autorizzati ad esercitarla » ; N. 392, Verbali Magistrato Supremo, 7 febbraio 1803. (3) Gazzetta, 11 giugno 1803, n. 52, pag.418; Archivio, Reg.n. 341, lettere 2 gennaio, 17 febbraio, 29 aprile ecc. Nel Registro 334, 16 febbraio, c’è la lista dei dotti trasmessa al Magistrato Supremo. Sono molti dei nomi che si trovano più frequenti in questi anni: « Ansaldo G. B. municipale, Agrifoglio Benedetto avvocato, Alberti Francesco avv., Ardizzoni avv., Boccardo Bartolomeo avv. e ministro presso la Corte di Vienna; Bianchi Agostino dell’istituto, Brusco Giacomo Capo battaglione, Bertuccioni Giuseppe avv. e giudice, Bonomi cerusico, Crovetto Luigi avv., Crocco Giuseppe, Cantoni Gaetano architetto, Capurro Luigi avv. e giudice, Carbonara Luigi avv., Dellepiane Michele, Ferrari medico, Gallera Filippo dell’istituto, Garibaldi G. B. cerusico, Isola Gaetano maestro di musica, Lazotti Fr. Antonio avv., Laberio Ambrogio avv., Langueglia Nicolò del Tribunale di revisione e appello, Menici Agostino Capo battaglione, Musso Benedetto dell’istituto, Mongiardini Antonio medico, Marrè Gaetano avv., Montelli Giuseppe maestro di musica, Merano Pietro avv., Molini G. B. avv., Marchesi Francesco cerusico, Maricone medico., Mari Giacomo, Marengo medico, Nota G. B. avv., Olivari Nicolò medico, Punta Gioacchino, Pezzi Francesco Ufficiale del Genio, Pratolongo G. B. medico, Piaggio Domenico dell’istituto, Pizzorni medico, Queirolo Agostino avv., Ravaschio Francesco scultore, Ricci Gerolamo giudice del Tribunale speciale, Ruzza avv., Ricci medico, Stefanini Giacinto Ufficiale del Genio, Sigioli Quintiliano municipale, Seinenzi Ottavio avv. e Procuratore Nazionale, Tealdo Michele, Tanlongo G. B. avv., Traverso Nicolò scultore, Viviani Domenico botanico ». 10 — 146 - l’ordine, quella tranquillità permanente che è lo scopo dei voti comuni, e da cui lo spirito intraprendente de’ Liguri saprà ben trarre il compenso che è dovuto agli attuali loro sacrifizi. Ci consolino intanto le preziose espressioni, che ripeto volentieri, pronunziate all’installazione del Senato dall’illustre depositario delle generose intenzioni di Bonaparte che ci promette di sostenere gli sforzi, di incoraggiare lo zelo e di proteggere in ogni circostanza i destini della Liguria. Penetrato dall’importanza del commercio, il savio e benemerito legislatore gli assegnò una rappresentanza nella Repubblica. Voi, Cittadini Giudici, destinati a formare questa rispettabile rappresentanza, voi sentite tutta la dignità e tutto il peso del vostro ministero. Imparziali e rigidi difensori della legge, voi sosterrete con mano forte e impassibile la bilancia della giustizia. Voi saprete confondere e punire la mala fede, l’inganno, la frode: e la probità, l’onore, le proprietà otterranno da voi garanzia e protezione. Preceduti e accompagnati a questo Tribunale dalla pubblica estimazione, io son certo che giustificherete pienamente la confidenza e la scelta del Senato, ed io avrò sempre a ricordare con trasporto di compiacenza questo giorno solenne in cui ho avuto l’onorevole incarico di farvi sedere nel posto eminente ben meritato dalle vostre virtù e dai vostri talenti » (1). Pochi giorni dopo, analoga funzione si compie per l’insediamento della Municipalità. II Senato, procedendo nell’organamento dello Stato sulle basi della costituzione, compila il regolamento organico sulla Municipalità di Genova, approvato il 26 agosto ed emanato il 5 settembre. Sullo schema del Senato, la Municipalità è costituita di 30 membri divisi in cinque Comitati: degli Edili, dei Censori, dell’Annona, dei Pubblici Stabilimenti e delle Contribuzioni. L’elezione e la ripartizione per la prima volta sono fatte dal Senato stesso il 16 settembre (2). Il 22 con funzione solenne lo Scassi nella veste di Provveditore del Centro li immette in ufficio col rituale discorso di circostanza, nella sala dei già Padri del Comune, rallegrandosi con gli eletti ed esponendo le funzioni e gli obblighi della Municipalità e dei singoli Comitati, e conchiude: « 1 vostri lumi, o Cittadini, la probità e il civismo che vi distinguono vi hanno proposto e indicato al Senato, sempre giusto e avveduto. Egli vi ha nominati e prescelti, io ve ne presento le mie congratulazioni nel momento che ne faccio seguire l’installazione. Il Comune di Genova scrive in questo giorno a caratteri indelebili fra i grandi attestati dell’amore paterno del suo governo costituzionale l’elezione della sua Municipalità, e voi che la componete coll’adempimento delle vostre importanti funzioni continuate a meritare quella confidenza che il Senato ha manifestato per voi (1) Gazzetta Nazionale, n. 12, 3 settembre 1803, pag. 94. (2) Arch. di Stato, Repubbl. Ligure, filza 60, 26 agosto; Raccolta delle Leggi e Atti del Senato, I, pag. 21 e 35. — 147 — ed in tal guisa unirete alla già acquistata estimazione la riconoscenza de’ vostri cittadini ». Qli risponde con le consuete frasi occasionali, per l’assenza di Giuseppe Durazzo designato Presidente, il decano Nicolò Mari (1). Ma dopo le prime cerimonie i rapporti non sono affatto cordiali tra le due autorità, e i conflitti di attribuzioni mettono capo a un vero reclamo per abuso di poteri rivolto dalla Municipalità al Senato, al quale risponde con una lunga e focosa lettera di difesa Giuseppe Podestà, frattanto succeduto allo Scassi nell’ufficio. « La Municipalità, egli dice, ha destramente aspettato a portare il reclamo in quel momento in cui furono chiamati a cariche più sublimi e molto degnamente meritate quei due Provveditori dei quali io adesso, senza il nome reale, esercito le funzioni e dai quali emanarono le disposizioni ora controverse ». E, respinte con calore le singole accuse di spese arbitrariamente fatte e imposte alla Municipalità, conchiude che la causa del dissidio è da ricercare nella non precisa delimitazione fra le attribuzioni dei due poteri, ma ricorda che anche recenti decisioni del Senato miravano a far rimanere le Municipalità nei limiti delle funzioni loro attribuite. « La Municipalità di Genova è un corpo rispettabilissimo, ma appunto per questo deve essere contenuta in limiti ben ristretti e non dare un passo che non le sia tracciato dalla legge. È tanta e sì vicina la di lei influenza sulla popolazione che se non sarà sommamente sorvegliata, a forza di essere o comparire zelante e disinteressata, vorrà rivalizzare col Governo stesso » (2). Ma la Municipalità è più forte: dopo una serie di laboriose discussioni il Senato finisce con lo stabilire che non debba dipendere dal Provveditore del Centro ma direttamente dal Governo (3). Frattanto, con la fine di giugno, Onofrio Scassi aveva abbandonato l’ufficio di Provveditore. Il Senato avrebbe dovuto procedere al sorteggio del terzo; ma sorteggio non ci fu e Gerolamo Serra protestò perchè il Senato stesso, custode della legge, la violava: scrisse poi che « quel Senato illegale meritò il soprannome obbrobrioso del Parlamento di Cromwell » (4). La questione del modo di sostituire gli uscenti era stata trattata anche in Francia tra il Saliceti che avrebbe voluti eletti i nuovi Senatori dal Primo Console, Talleyrand che chiedeva se l’elezione dovesse farsi dai consigli non ancora compiuti perchè non era possibile fare la lista dei possidenti per mancanza del catasto, e Bonaparte che desiderava di lasciarla al Senato, come effettiva- (1) Gazzetta Nazionale, n. 15, 24 settembre 1803, pag. 118. Poco dopo Giacomo Mazzini insedia con analoga solennità la Comunità della Polcevera; ibid. n. 19, 22 ottobre, pag. 152. (2) Arch. di Stato, Rep. Ligure, n. 342, Reg. n. 3, Lettere del Provveditore, lettera n. 97, 9 agosto 1804. (3) Arch. di Stato, Reg. 393, Verbali del Magistrato Supremo, 19 febbraio e 11 mar. 1805. (4) G. Serra, Memorie, pag. 122. — 148 mente si fece. Del resto, dicono i documenti francesi e si può ben credere, Saliceti v’influì con la persuasione (1). La scelta cadde sui funzionari che avevano coperto nell’anno precedente i più alti uffici e tra essi i quattro Provveditori: Scassi, Torre, Littardi e Roggeri (2). Con lettera del 14 giugno il Presidente del Magistrato dell’interno comunica allo Scassi l’avvenuta nomina (3) e il 30 egli, lasciando la carica, si accomiata dal Commissario generale di Polizia, e già suo predecessore, ringraziandolo del costante favore, assicurando d’aver posto la maggiore buona volontà nell’esercizio delle funzioni e dicendosi lieto « se potessi lusingarmi di aver fedelmente tenuto dietro alle vostre orme, al tracciato da voi onorevole sentiero » (4). 11 1° luglio i nuovi Senatori furono insediati con discorso del Doge al quale il decano dei nuovi ascritti, Francesco Antonio Lazzotti, già Presidente del Tribunale Supremo, rispose lodando l’opera finora compiuta dal Senato, opera che sarebbe stata certo anche più benefica se le circostanze dei tempi non lo avessero impedito. « Così — conchiudeva con la solita obbligatoria adulazione — le renda più felici Dio ottimo massimo, e il grande Eroe, onor della Francia, ammirazione dell’universo e alleato possente della Liguria, di cui è qui degno Ministro l’incomparabile Saliceti ». Assegnati i Senatori ai singoli Magistrati, lo Scassi fu destinato all’interno, avendo a Presidente Agostino Maglione (5). Era arrivato così al culmine della vita politica e ne dimostrò poi sempre grande compiacimento. Anche nell’esposto a Carlo Felice per ottenere il titolo di conte, ricorda che « il 16 luglio 1804 fu innalzato alla dignità di Senatore (aveva allora il Senato di Genova la potestà legislativa ed elettiva) e ad un tempo fatto Presidente della Commissione per gli (1) J. E. Driault, Napoléon en Italie, pag. 330. (2) Raccolta Leggi e Atti del Senato, I, 342; Gazzetta Nazionale, n. 1, 16 giugno 1804, pag. 2; Clavarino, IV, 127. (3) * Il Senatore Presidente al Magistrato dell’interno al Cittadino Onofrio Scassi Provveditore nella giurisdizione del Centro. Cittadino. 11 Senato nella sua seduta del giorno di ieri è devenuto al rimpiazzo del terzo dei suoi membri che dovranno cessare con tutto il corrente mese. L’operazione importante fu ultimata e in essa foste Voi meritamente prescelto per uno dei nuovi candidati che dovranno entrare in carica il 1 del prossimo venturo luglio. Il Decreto di vostra elezione m’incarica di darvene partecipazione. Io l’adempio con piacere e nel tempo stesso invitovi ad assumere nell’indicato giorno il possesso della vostra nuova carica, per cui godo di anticiparvi intanto le sincere mie congratulazioni. Salute e fratellanza. Dall’ufficio delPInterno li 14 giugno 1804, anno Vili della Repubblica Ligure. A. Maglione » Arch. di Stato, Rep. Ligure, n. 334. (4) Reg. 341, lettera n. 1528, 30 giugno. (5) Raccolta delle Leggi, Atti, Decreti del Senato, t. Ili, pag. 3 sgg.; Gazzetta Nazionale, n. 4, 7 luglio 1804, pag. 27. - i 49 — studi » (1). A tanta distanza di tempo le indicazioni non erano precise: l’elezione al Senato era avvenuta il 13 giugno ed egli era Presidente della Commissione degli studi già dall’anno precedente. La sua azione personale nella nuova magistratura collegiale è difficilmente individuabile, anche perchè i verbali e le deliberazioni non mettono in rilievo l’opera dei singoli. Se qualche spiraglio si apre è per mostrare il suo interessamento a cose scolastiche, come quando, essendo incaricato il P. Semino di compiere il catalogo dei libri storici della biblioteca universitaria, egli propose che sia frattanto supplito nella cattedra dal P. Sconnio (2). Certo ha fatto parte con Carbonara, Cambiaso, Morchio e Roggeri, della commissione cui fu deferito di far proposte per l’organiz-zàzione definitiva del Governo sulle basi della costituzione — ciò che dimostra che il Governo si sentiva instabile ed era forse questo un primo passo dell’accorto Saliceti alla prossima unione alla Francia — o per le riforme che si ritenessero utili e indispensabili, quella commissione che si preoccupò specialmente della grave situazione economica e sperò ripararvi ristabilendo il banco di S. Giorgio. Il lavoro era compiuto alla fine di dicembre e mise capo appunto alla ricostituzione del glorioso istituto, posto sotto la presidenza di Luigi Corvetto (3). Ma il rimedio era insufficiente e ormai la situazione si avviava al suo sbocco fatale, l’annessione all’impero. Lo prova anche una interessante lettera scritta dal Saliceti, durante la sua gita a Parigi nel 1804, all’amico che certo gli aveva parlato delie difficoltà finanziarie in cui la Repubblica si dibatteva. L’accenno agli intrighi riesce oscuro: forse si riferisce alle aspirazioni di coloro che ancora da Parigi pensavano all’unione di Genova alla Repubblica Italiana o che, piuttosto, in odio alla Francia napoleonica, guardavano con desiderio all’Austria e all’Inghilterra. Chiaro invece il pronostico e il sottinteso: se il Senato non si dimostra capace di riparare alle difficoltà finanziarie, se anche la protezione imperiale si dimostrerà insufficiente per incapacità dei reggitori (e l’impossibilità dei ripari era nella stessa situazione generale) « il sera demontré que Gènes n’est pas en état de se gouverner ». Unico rimedio, allora, il diretto dominio francese. « Je vous remercie, mon cher Sénateur, de l’obligeante lettre que vous m’avez écritte le 4 de ce mois de Juillet. (1) Arch. di Stato di Torino, Titoli dì nobiltà, Sala 14, lettera S. (2) Bibliot. Univ. di Genova, Collezione Appunti storici e documenti, voi. 22, c. 128. (3) Raccolta di Leggi e Atti del Senato, 111, 215 sgg.; IV, 133 sgg.; Gazzetta, ottobre-dicembre 1804, pag. 152, 199, 224; 5 gennaio 1805, pag. 5 sgg.; Ruini, Corvetto, pag. 56 sgg.; Clavarino, IV, 145. — 150 — » Il m’est encore impossibile de déterminer le tems que je passerai à Paris, mais je prévois qu’il ne sera pas long. L’Empereur m’a paru désirer que je retourne promptement à Gènes. Il va partir pour faire une tournée sur les còtes. À son retour il m’a promis de s’occuper d’améliorer le commerce de Gènes, et sur le tableau que je lui en ai fait, j’ose me promettre qu’il appodera un remède aux maux qui vous écrasent. En attendant il faut que le Sénat s’occupe d’un système de finances. Tout ira bien si vous trouvez le moyen de balancer la recette et la dépense. » Le fil des intrigues est coupé pour toujours. Si vous ne faites pas le bien dans les circonstances actuelles, il sera démontré que Gènes n’est plus en état de se gouverner. J’ose me flatter que le bon esprit du Sénat et l’accord qui règne entre ses membres, démentirons toutes les calomnies des ennemis de votre gouvernement, qui sont reduits ici à la dernière impuissance. Agréez, mon cher Scassi, l’assurance de mon amitié — Saliceti » (1). Questa lettera, che è anche riprova dei cordiali rapporti fra i due uomini (2), fa maggiormente rimpiangere la perdita della loro corrispondenza e rimane sola traccia dell’attività politica dello Scassi in questo periodo nel quale la sua operosità sembra orientarsi un’altra volta prevalentemente verso il campo scientifico e accademico. Poco dopo la nomina a Senatore, nel luglio 1804 è eletto Presidente della Società medica di emulazione (3). Questa aveva continuato una sua intensa attività, anche durante il letargo dell’istituto, animata dall’entusiasmo dei suoi maggiori soci, il Batt, il Bonomi, il Landò, il Marchelli, il Mongiardini, il Mojon, il Viviani e dal giustificato orgoglio di essere la sola Società del genere in Italia. Quando il Senato aveva proibito ogni associazione segreta obbligando tutte le società a presentare, per essere riconosciute, i propri regolamenti e l’elenco dei soci (4), il Batt e il Bonomi, rispettivamente Presidente e Segretario, avevano presentato la necessaria istanza per poter continuare le adunanze, e il Supremo Magistrato aveva permesso il 31 marzo che continuasse s la suddetta Società medica di Emulazione, rendendo però responsabile per la medesima il Presidente e il Segretario .e commettendo ai suddetti Petizionari venga presentata copia del suddetto regolamento e della suddetta lista al predetto Senatore Presidente (1) Le ministre plénipotentiaire de Sa Majesté l’Empereur des Framjais près de la République ligurienne au Sénateur Scassi, Paris, le 26 messidor, an 12; Archivio Sauli. (2) Tali rapporti furono resi probabilmente più intimi dalle prestazioni professionali dello Scassi che, durante il periodo della dimora genovese del Saliceti, ebbe a curarlo di colica nefritica. Arch. di Stato di Torino, Gabinetto di Polizia, Genova, cari. 4,1835; notizia in un esposto del Maghella. (3) Gazzetta Nazionale, n. 7, 28 luglio, pag. 46, 51. (4) Ibid. n. 46, 26 marzo 1803, pag. 367. . — Ì5Ì — dell'interno per essere conservata nell’Archivio del Magistrato dell’interno »: e l’elenco a stampa dei soci è infatti annesso alla pratica (1). La Società potè continuare così nei suoi lavori e alla solenne adunanza annuale dell’agosto intervenne con le più alte cariche dello Stato anche lo Scassi, nella veste di Provveditore (2). Altre importanti sedute ebbero luogo nel 1804, sotto la presidenza del Mongiardini (3), finché alla fine di luglio, certo anche per la recente dignità conseguita, tornò alla presidenza lo Scassi. A lui del resto « come a uno dei nostri migliori professori di medicina, il quale saprà certo trarne partito per la pubblica istruzione e a vantaggio dell’umanità » Bartolomeo Boccardo ministro a Vienna aveva comunicato certi studi fatti in oriente dal medico pisano Eusebio Valli sulla possibilità di applicare il sistema della vaccinazione alla peste, evidente riconoscimento delle benemerenze dello Scassi nel campo della vaccinazione (4). Così quando Genova compie il passaggio all’impero, Onofrio Scassi accanto alla funzione politica di Senatore ricopre quelle più consone alle sue occupazioni e ai suoi studi di capo dell’Univer-sità e Presidente della Società Medica di Emulazione; e in questa veste presiede il 12 settembre 1805 la prima adunanza dopo l’annessione, vi proclama che le memorie lette saranno pubblicate sotto gli auspici dell’Arcitesoriere dell’impero, e, ricordate le grandi vicende recenti, conchiude con le più rosee speranze anche per l’attività accademica e scientifica del sodalizio. « Non ha cessato la Società Medica di Emulazione dalla sua attività. Le pubbliche sedute che ha tenuto in questi scorsi anni, in cui furono letti i risultati dei lavori dei membri che la compongono, sono testimoni veridici della di lei costanza. Alcuni non preveduti avvenimenti furono la sola cagione per cui non continuò periodicamente a comparire stampato il solito volume delle sue Memorie che furono sempre bene accolte dalle Società Letterarie ... Divenuta francese la Liguria, fatta parte integrante del Grande Impero, la Società Medica vedendosi avvicinata maggiormente ai dotti della Francia, dei quali alcuni contava già suoi corrispondenti, con maggior coraggio raddoppiò i (1) Arch. di Stato, Rep. Ligure, Filza 409, n. 296. I soci sono: Batt William, Bergallo Francesco, Bertamino Tomaso, Bertoloni Antonio, Bonomi Pietro, Cevasco Bartolomeo, Covercelli Marcello, De Ferrari Luigi, Landò Vincenzo, Maglio Biagio, Marchese Francesco, Massa Giuseppe, Mazzini Giacomo, Mele Andrea, Mojon Benedetto, Mojon Giuseppe, Mongiardini Antonio, Scassi Onofrio, Silvani Francesco, Viviani Domenico. Questo elenco è anche nel tomo II, I quadrimestre, delle Memorie della Società, Genova, 1803. (2) L’Osservatore politico, n. 53, 13 agosto 1803, pag. 423. Un’importante seduta era stata tenuta il 13 gennaio, in cui il Viviani aveva parlato dell’erroneità dei calcoli di mortalità tra il vaiuolo naturate e l’inoculato; Gazzetta, n. 31, 15 gennaio, pag. 251. Nel maggio si stabilisce anche un concorso a premi; n. 47, pag. 378. (3) Memorie della Società medica di emulazione, t. III, I e II quadrimestre, Genova, 1804; Gazzetta Nazionale, n. 5, 14 luglio 1804, pag. 36. (4) Gazzetta, n. 13, 10 settembre 1803, pag. 103. - 152 — suoi sforzi per meritare di essere annoverata fra le benemerite dell’Umanità. Se colma di zelo, la Società nostra ebbe senza alcun sostegno la sua origine, se priva di mezzi si fece conoscere e distinguere, quali non può promettersi avanzamenti protetta da un Sovrano benefico, che nei tempi più difficili in mezzo alle vicende e ai rumori delle guerre, dimostrò la massima parzialità per le Arti e per le Scienze e in ogni modo ne volle l’illustrazione e i progressi? Era riserbata la Società Medica a tempi assai più felici di quelli in cui ebbe i suoi natali » (1). In realtà il volume delle Memorie che contiene questo discorso è l’ultimo pubblicato dalla Società, nel 1809; anche quelle speranze sono andate deluse. * * * Qual parte abbia precisamente avuto Onofrio Scassi nel lavorio che portò all’annessione di Genova all’impero è difficile stabilire, almeno finché non siano rintracciate, se pure sarà mai possibile, le lettere che la tradizione famigliare fa scambiate tra lui, il Corvetto e il Saliceti, lettere finite poi a Parigi, ma si ignora presso chi e in quali mani o in quali depositi. Il medico e scienziato genovese era entrato nella vita pubblica amministrativa e politica mentre maturava come ineluttabile conseguenza delle condizioni generali quell’unione che era già un fatto reale prima di essere legalmente sanzionata. Gli anni infatti dal 1802 al 1805 sono stati di effettivo dominio francese anche se si conservava un’apparente autonomia che aveva tutti i danni dall’annessione senza averne i vantaggi. Gli storici posteriori che hanno deplorato con amare parole e profondo rincrescimento il fatto dell’annessione, il Clavarino, per esempio, il Varese, il Belgrano, lo stesso Botta, non hanno tenuto sufficientemente conto di quella che era la condizione di fatto e anche della suggestione del fascino napoleonico che i contemporanei dovevano ben subire e delle speranze che ne derivavano. Chi scorra gli atti e le notizie del tempo vede che quell’occupa-zione militare sospettosa e prepotente era una protezione soffocante e penosa che doveva sembrar preferibile trasformare nella diretta appartenenza alla Francia. Dacché specialmente, nella primavera del 1803, era avvenuta la rottura della pace di Amiens, la situazione di Genova si era nuovamente aggravata e le speranze di un rifiorire commerciale e marittimo erano dileguate. Le preoccupazioni, prima, per l’evento temuto, lo sgomento poi quando esso (1) Memorie della Società Medica di Emulazione di Genova, t. IV, I quadrimestre, G. Giossi, Stampatore della Società Medica di Emulazione, anno 1809, pag. Ili; Gazzetta, n. 14, 14 settembre 1805, pag. 118. — 153 — si tradusse in realtà appaiono evidenti anche sotto le parole di fiducia e nel- I eterno ricoiso al consueto parallelo: Roma-Cartagine (1). Dominata e sorvegliata dalla Francia, naturalmente la Repubblica fa arrestare tutti gl’inglesi presenti a Genova, compresi il viceconsole e lord Sliaftesbury con la sua famiglia, e chiude i porti alle navi e alle mercanzie britanniche (2): un’apposita commissione formata dal ministro degli Esteri, Lupi, da Emanuele Balbi e da un Montaldo deputato di mare, provvede a sorvegliare la navigazione, limitata agli amici, a impedire il rinnovato armamento in corsa, a tenersi in continuo contatto con la Commissione di Sanità, alla quale spetta appunto la sorveglianza costiera (3). Ma mentre la flotta francese non riesce a proteggere le navi amiche dalle insidie britanniche, la pirateria è aumentata dal desiderio di lucro, ma più dalla reale necessità di non interrompere del tutto il traffico indispensabile. Genovesi e liguri forniscono spesso clandestinamente viveri alle navi inglesi ed esercitano in loro favore lo spionaggio; così largamente si estendono la pirateria e il contrabbando da richiedere provvedimenti legislativi frequenti e poco efficaci (4). Bonaparte esprime nel settembre 1803 il desiderio che duemila marinai liguri siano arruolati nell’armata francese; nel febbraio successivo una lettera di Talleyrand a Saliceti chiede che i marinai siano quattromila, sicuri e fedeli, di almeno 20 anni e con cinque di navigazione, e arruolati in seguito a una regolare convenzione col Senato. Bisogna, dice il ministro, che il Senato tronchi le sue indecisioni. L’arruolamento sarà più facile se determinato da un atto del governo, al quale bisogna ricordare « que la Ligurie ne peut pas espérer de se tenir à l’écart dans une cause qui l’interesse elle mème directement ». L’Inghilterra non ha riconosciuto la Repubblica ligure e ha messo il blocco a Genova; questi atti ostili rendono necessaria una più stretta unione della Repubblica al suo maggiore alleato. « La France qui a costamment défendu le territoire et l’indépendence de cette république ne pourrait se croire obligée à continuer de diriger ses efforts vers ce but qu’autant que le Ligurie consentirait et s’engagerait par un traité à concourir (1) Gazzetta Nazionale, marzo-maggio e specialmente 25 giugno 1803, pag. 20. (2) Driault, Napoléon en Italie, p. 330-1 ; Fiorini-Lemmi, Periodo napoleonico, pag. 682. (3) Arch. di Stato, Genova, Decreti del Senato, n. 567, 25 maggio sgg.; Raccolta delle Leggi ed Atti del Senato, I, p. 6. L’« embargo » fu tolto soltanto il 6 aprile 1805. (4) Arch., Reg. n. 401, c. 16 v.; Raccolta Leggi ed Atti del Senato, 1, 99. Napoleone nel gennaio 1804 ordina l’arresto e la fucilazione di certi Papacini, Bruni e Cini, sospette spie inglesi a Genova, Corrispondence impér. n. 7462, Borel, pag. 207. In favore del Cini suddito austriaco interviene il ministro imperiale Barone Giusti ma inutilmente per l’opposizione di Saliceti, subita tuttavia con evidente ripugnanza e non senza resistenza dalla magistratura ligure. Arch. di Stato, Governo Provvisorio, Mazzo 1/2959. — 154 - à sa propre défense et au sueeès de la cause commune » (1) E se agli ammonimenti e alle larvate minacce si aggiunge la promessa di non far la pace con l’Inghilterra senza ottenere il riconoscimento della Repubblica Ligure, si comprende che non v’è possibilità di dubbio o di soluzione diversa. La convenzione è conchiusa il 24 febbraio e ratificata dal Primo Console il 21 marzo (2). 11 difficile però è persuadere i marinai; e il non lieve incarico viene affidato ai vescovi, che possono valersi del più vicino contatto e della maggiore influenza del clero sulla popolazione. Sull’esempio del cardinale Spina, tutti i vescovi della Repubblica fanno la loro brava pastorale, lasciando qualche volta trapelare un’assai limitata spontaneità nell’adesione. « Un ordine pressante del governo mi ingiunge di eccitarvi acciò vi prestiate alle misure che dure invero ma necessarie ma giuste egli è costretto d’adottare nelle attuali circostanze della Repubblica *, dice il vescovo di Noli, il celebre Benedetto Solari (3). La popolazione si piega, ma senza alcun entusiasmo e non manca qualche tentativo di ribellione, subito represso e smentito, come a Rapallo. Una nuova convenzione del 23 ottobre 1804 mette a servizio della Francia navi, cantieri, arsenali e soldati di terra e di mare. E la Repubblica stremata deve pagare (4). Non bastano infatti gli oneri antichi, che pur erano apparsi gravi e spesso insopportabili. L’alloggio ai soldati e ufficiali francesi costituisce un aggravio intollerabile; è stato anche per lo Scassi uno dei crucci più penosi e il suo successore dichiara di non poter sopportare da solo un peso tanto grave di lavoro e di responsabilità e invoca il ripristino dell’antica commissione militare (5). Le Municipalità resistono perchè le popolazioni sono in condizioni disperate e mancano di tutto e pur debbono provvedere stanze, letti, masserizie; da ogni lato piovono proteste di chi si vede invadere la casa o la villa, a cominciare dal console di Spagna; qualche volta le pretese eccessive e burbanzose degli ufficiali francesi determinano gravi incidenti anche con le (1) Driault, 332. (2) Archivio di Stato, Governo Provvisorio, Mazzo 1/2959. (3) Raccolta Leggi e Atti del Senato, I, 272 sgg., e specialmente p. 288. Sul Solari, una delle figure più note del giansenismo ligure, oltre le opere del Degubernatis e del Parisi già citate, sono da vedere il necrologio nella Gazzetta di Genova del 16 aprile 1814, pag. 125, il Moresco in Atti della IV riunione della Società per il progresso delle Scienze, pag. 659 sgg. e il Nurra in Giornale Stor. Letter. della Liguria, 1926, pag. 8 sgg. (4) Le due convenzioni avevano dato luogo secondo le consuetudini, a uno scambio di doni dei due Stati ai plenipotenziari; o meglio, una nota ufficiale, provocata dalla notizia dei giornali inglesi che al Saliceti erano state regalate duecentomila lire, chiariva che il consueto dono era stato deciso dal Senato al Saliceti, ma che per le sue reiterate riluttanze non era stato ancora fatto; Gazzetta, n. 17, 27 aprile 1805, pag. 136. (5) Arch. di Stato, Rep. Ligure, Reg. 340, Copialettere del Provveditore del Centro, lettera 186; 2 luglio 1803; id., n. 343, lettera 359, 19 maggio 1805. - 155 — maggiori autorità, come nel violento diverbio tra quei prepotenti e il Serra, Senatore Deputato alla Guerra e Marina, a cagione del palazzo Carrega, che, preso in affitto dall’inviato austriaco Barone Giusti, essi non volevano lasciar libero (1). Saliceti impera, come ormai è consuetudine del rappresentante francese, con ordini, richieste, pressioni di ogni sorta e per ogni motivo: i mezzi sono diversi da quelli di Tilly e di Faypoult, anche per la diversa situazione, ma eguale la petulanza e la prepotenza. Che ci sia qualche tentativo di reazione e di resistenza non fa meraviglia; non tutti sono conquistati e sottomessi, ma si tratta di innocue manifestazioni, come la distribuzione di mazzi di fiori finti dai colori giallo e nero nel Borgo Incrociati (2), finché, nel contado specialmente, di fronte all’imposizione del servizio militare la reazione si traduce nell’aggravato brigantaggio, che richiede severi provvedimenti legislativi (3). Talvolta l’opposizione assume un carattere diplomatico, come quando si sparge la voce che il Saliceti voglia far occupare da truppe francesi la Lanterna e i Moli e il Senatore Lupi, Deputato agli Esteri, formalmente smentisce; eppure l’occupazione del forte dello Sperone è già un fatto compiuto (4). L’accresciuta occupazione militare segue immediatamente al ritorno del Saliceti, andato incontro a Gioacchino Murat, nuovo comandante supremo dell’armata d’Italia. Splendide le accoglienze al cognato e alla sorella del Primo Console, entrata col marito in città: regate, teatri, pranzi, una gran festa nel palazzo del Doge, in via Balbi, un’altra magnifica nel palazzo del rappresentante francese (5). 11 Murat evidentemente porta nuovi ordini: infatti, cessate appena le feste, Saliceti chiede che si purghi la città dagli elementi pericolosi, massime disertori, e comunica la determinazione del Primo Console che i due reggimenti liguri, già aggregati all’armata francese, debbano essere pagati dal governo di Genova. É subito deliberato l’invio (1) Arch. di Stato, Rep. Ligure, n. 392, 10 febbraio 1804; n. 401, 17 e 31 agosto 1803; Governo Provvisorio, Mazzo 1/2959, 8 marzo 1804. (2) Arch. cit., n. 401, c. 16 v., 16 agosto 1803. Gli elementi avversi alla Francia si appoggiano naturalmente all’Austria e al nuovo ministro austriaco a Genova, il barone Giusti, primo rappresentante austriaco dopo 80 anni, che ostentatamente mostra di trattare la Repubblica come stato sovrano e di ignorare la sua dipendenza dalla Francia; Driault, pag. 331. (3) Raccolta Leggi e Atti del Senato, II, pag. 216, 269. (4) Arch., n. 401, 11 agosto, c. 12; 26 ottobre, c. 69. (5) Gazzetta Nazionale, n. 4-6, 9-23 luglio 1803, pag. 32,38-39, 46. Un’altra splendida festa aveva offerto il Saliceti nel marzo, rallegrata dalle improvvisazioni della Bandettini in italiano e del Gagliuffi in latino, naturalmente in lode del Bonaparte; ib. n. 38, 5 marzo, pag. 307. Altra in dicembre, ibid. n. 25, 3 dicembre, pag. 198. Anche quando nel 1804 sta per venire a Genova il Jourdan, nuovo comandante dell’esercito d’Italia, il Senato domanda a Saliceti quali dimostrazioni d’onore potrebbero essergli gradite. Arch. di Stato, n. 392, Verbali Magistrato Supremo, 19 aprile. - 156 — di un corriere straordinario per veder di evitare il nuovo peso: se sia effettivamente andato e se abbia ottenuto risultati non è dato sapere. Ma negli stessi giorni continuano le trattative intorno alle somme dovute dalla Francia per le truppe liguri arruolate, secondo gli accordi corsi a Parigi tra il Dejean e il rappresentante Ferreri. È veramente caratteristica l’insistenza del Saliceti per ottenere dal Senato riluttante una doppia convenzione: con l’una le 150 mila lire concordate nelle trattative di Parigi vengono ridotte a 115, e questa sola vien comunicata al Ferreri; l’altra, da rimanere segreta, porta l’obbligo di altre 35 mila da pagarsi a Murat o a chi per esso (1). La ragione di un tale duplice atto non si vede chiaramente; non ostante la dichiarazione del Saliceti che bastava la sua parola ad assicurare la religiosa osservanza della convenzione, il Senato doveva non essere troppo tranquillo e subodorare qualche cosa di losco nella faccenda. Del resto la venalità dei rappresentanti e dei diplomatici francesi è notoria, la vecchia e non smentita fama del Talleyrand in questa materia è confermata dalle lettere confidenziali con cui il Ferreri comunica il suggerimento avuto da persona amica e intrinseca del ministro degli Esteri « perchè si guadagni l’animo del detto Ministro francese, affine di impegnarlo a procurare alla Liguria presso il Primo Console ingrandimento di territorio e la pace co’ Barbareschi mediante però un proporzionato segno di gratitudine da praticarsi al detto Ministro cooperatore di detti insigni vantaggiB (2). Ma il Senato, o non credesse alla efficacia e all’utilità del mezzo proposto o temesse di affrontare nuove spese, accoglieva con molta freddezza e senza impegnarsi la proposta. E poi illudersi su un ipotetico ampliamento territoriale era assolutamente ingenuo dopo l’annessione del Piemonte alla Francia e dopo che Napoleone aveva fatto anche di Parma e Piacenza, non volute unire alla Repubblica Italiana, una provincia francese. Circondata da ogni parte da domini su cui non poteva certo estendersi e a ciascuno dei quali non avrebbe voluto unirsi, la situazione della Repubblica, chiusa per mare dal blocco inglese e dalle piraterie barbaresche e per terra dagli elevati dazi degli Stati vicini, che pur si dicevano amici e protettori, era in condizione veramente precaria, coi commerci arenati, le finanze stremate dai prestiti coatti, dalle imposizioni e contribuzioni di ogni sorta (3). Unica speranza il genio napoleonico, dal quale poteva venire, con la pace, la salvezza. Le grandi feste per solennizzare la creazione dell’impero (4), (1) Arch. di Stato, n. 401, Processo verbale segreto del Magistrato Supremo, c, 10-18; 5-17 agosto 1803. (2) Ibid., c. 29, 35 v.; 12 settembre, 8 ottobre ecc. (3) Clavarino, IV, 143 sgg.; Gazzetta, 1803-4. (4) Gazzetta Nazionale, n. 51, 2 giugno 1804, pag. 405. 157 anche se a comando di Saliceti, pur rappresentavano questa speranza, alla quale continuava ad associarsi, se non l’attesa di impossibile ingrandimento, la tenace illusione di conservare la vecchia indipendenza. Ma la proclamazione dell’impero significava la ripresa di una guerra più grande e più vasta. E subito si spandeva la voce, smentita dal « Monitore parigino », che l’imperatore volesse unire sotto il proprio governo tutte le Repubbliche italiane, il Regno di Etruria, gli Stati Pontifici, e per conseguenza Napoli e Sicilia: era l’unità che, come è noto, molti sperarono e augurarono da Napoleone. Ma il « Monitore » assicurava che le Repubbliche non avrebbero cessato d’esistere (1), illogica affermazione dopo la trasformazione imperiale e in quella necessità di accentramento che era insita nella lotta formidabile con l’Inghilterra. Anche a Genova il lavoro per la trasformazione, già avanzato nella Repubblica Italiana, cominciava a manifestarsi. Che cosa fosse andato a fare a Milano più volte, sotto il solito pretesto della gita di salute consigliata dai medici o « per oggetti riguardanti il suo dipartimento », Antonio Maghella, non è facile sapere (2); ma il viaggio del Saliceti a Parigi non era certo determinato soltanto dal desiderio di andar a rendere omaggio all’imperatore. Il suo ritorno era atteso con molte e illuse speranze « L’arrivo di questo degno Ministro, di questo benemerito amico della Liguria deve eccitare nell’animo di tutti i liguri la più viva soddisfazione. Noi ci aspettiamo i più grandi vantaggi dall’esercizio della sua missione. Organo delle benefiche intenzioni del suo sovrano, che pienamente conosce l’attuale nostra situazione, egli non tarderà certamente a farci sentire gli effetti della parziale benevolenza dell’imperatore Napoleone ». Ad incontrarlo andarono sino alla frontiera dello Stato i Senatori Roggeri, Deputato alle relazioni estere, e Scassi, con alcuni ufficiali- lin distaccamento di truppe fu inviato a Novi per la scorta; il forte di Gavi e le batterie dei moli resero gli onori; all’arrivo in città il 18 ottobre una guardia d’onore era posta al suo palazzo, i Senatori Morchio e Maglione andavano a ossequiarlo a nome del Governo e il Doge gli offriva un gran pranzo. Non era un agente diplomatico, era in sostanza un sovrano o almeno il rappresentante del sovrano che si onorava. E subito si mandava una deputazione a Parigi a fare omaggio all’Im- (1) Gazzetta Nazionale, 21 luglio 1804, pag. 42. (2) Ibid., n. 42, 31 marzo 1804, pag. 335; 9 febbraio 1805, pag. 47. In una lettera del 22 marzo 1812 il Maghella rivendica le sue benemerenze in proposito: «Qu’on se rappelle l’époque où le sort de Gènes dut changer, on verrà que j’ai coopéré à le fixer. On verrà plus, c’est à dire, qu’autant pour amour pour ma patrie que par inclination naturelle pour S. M. l’Empereur, j’avais su préparer d’avance les esprit à cet evenement »; H. Weil, Le rap-pel en France d’Antonio Maghella, Archivio Storico Napoletano, 1913, pag. 75. — 158 — peratore; e, mentre Saliceti dava una gran festa in occasione dell’incoronazione, la Gazzetta rimproverava i repubblicani intransigenti e coloro che erano fermi ancora nelle idee e nei sentimenti del periodo violento e giacobino perchè pretendevano « di parlarvi col linguaggio del 1797; come se l’esperienza, la riflessione e il tempo non ci avessero fatto rinvenire su molte delle cose esagerate e troppo ardite che si sono allora dette e predicate > (1). Le sorti della Repubblica erano così intimamente unite a quelle di Napoleone e deirimpero: persino il solo vantaggio economico in mezzo alle rovine e ai danni della guerra veniva da lui, che aveva ordinato la costruzione nei cantieri liguri di due vascelli e due fregate, perchè in tal modo « Nous y aurons l'avantage d'occuper les ouvriers de la Rivière de Gènes, qui doivent en avoir grand besoin, et d'avoir des constructions qui nous seront d’une grande utilité » (2). Grande entusiasmo destava infatti il varo della prima di quelle navi, la Pomona, avvenuto nel febbraio 1S05, e inni di lode salivano al Saliceti per gli altri lavori in corso dei quali gli si attribuiva il merito (3). Continue intanto le lamentele per le dogane che ostacolavano gli scambi interni e -finivano di distruggere il commercio già paralizzato dal mare, per la pirateria esercitata anche da cittadini liguri a servizio dei nemici, tanto da render necessaria un'apposita commissione giudiziaria, e per lo stato disastroso delle finanze con !a necessità di ricorrere ad eccezionali provvedimenti: prestiti coatti, tasse d'ogni sorta, l'alienazione dei beni pubblici all’asta, una commissione di liquidazione del debito pubblico (4). Il male derivava dalla guerra, ma solo Napoleone poteva dare la vittoria, mentre i lievi vantaggi venivano dalla Francia: il terreno non poteva esser meglio preparato e su questa preparazione agiva la suggestione deH’esempio. Nel marzo giungeva la notizia che l’imperatore aveva accolto l’offerta della corona del regno italico fattagli dall'apposita commissione andata a Parigi 15> e la si esaltava con parole assai strane, nel loro entusiasmo- per una repubblica che avesse voluto conservare la propria esistenza autonoma. « E certamente glorioso per quella nazione passare alla Dinastia monarchica ereditaria annoverando per primo tra i suoi Re un Eroe, cui forse non presentan 'uguaie i secoli di Alessandro e di Cario Magno e che formerà (1> Gzzzszzz NaàoKAk, n. 1S-2Q: 13-27 ottobre 1304. pag. 137 sgg-, 146, 153; n. 29, 29 dicembre, pag. 224. i2> CtHTzsxmdna?, n. 6993 (S agosto 1S03): Borel, pag. 206. (3) Gzzzstzz. n. 7, 16 febbraio 1S05. pag. 57. (4* RxlsLzi di Leggi e As dii Sestili, 23 sgg. 63 sgg_ S4: IV', 23, 30, 41 sg?, 102! sgg; (ìwtiH», n. 7-S, 16 e 23 febbraix 9 -irio. pag. 57. 66, $2; el 15, 13 aprile, pag. 119 ecc. (5) Sa questi «ttcbì'Beati cfr. FlOSUB-LDUU, fìtmdo •apoirùmica, pag. 761 sgg. e relativa btfaiiograra. — 159 — l’oggetto dell ammirazione e dell’invidia dei secoli avvenire ». Il Senato ligure a sua volta * ha accolto con trasporto questa memorabile occasione per manifestar a S. M. l’imperatore Napoleone i sentimenti dei quali è penetrato verso la sua augusta persona » e ha subito deciso di mandare a Milano, ove 1 Imperatore verrà per l’incoronazione, una commissione di dieci senatori, presieduta dal Doge, « per fargli conoscere la viva parte che prende la Nazione Ligure in un avvenimento che nel circondare di nuovo lustro la sua corona, annunzia il più felice avvenire ai popoli della bella Italia » (1). Due sono veramente le commissioni: l’una va ad ossequiare l’imperatore ad Alessandria, l’altra a Milano, dove assisterà all’incoronazione (2). Il Senato delibera anche le spese necessarie per queste deputazioni e per la visita imperiale che già si annuncia: 30 mila lire per la deputazione a Milano; per le spese del ricevimento si passa da 25 a 100 mila lire; complessivamente si apre un credito di 200 mila lire (3). Anche per gli alloggi a Novi delle deputazioni provvede il Senato (4): e per Novi appunto parte il 27 aprile la prima delegazione presieduta da G. B. Rossi e composta da Nicola Uttardi, Tomaso Langlad, Alberto Pavese, Giulio Torre e Gian Carlo Serra di Domenico. L’Imperatore arrivò ad Alessandria il 1° di maggio, il 2 ricevette Saliceti, il 3 la delegazione che gli rivolse per bocca del presidente Rossi l’invito di una visita a Genova: « Sire, Voi appagherete il voto della Liguria coll’onorare la sua capitale di vostra presenza e conoscerete in tutta la loro estensione i sentimenti che nutre la nazione per un Eroe in cui tutte ha riposte le speranze della sua felicità ». La risposta, senza pronunciarsi sull’invito, rinnovava l'espressione dell’interessamento imperiale per un popolo considerato per molteplici prove dei più devoti alla Francia, e il desiderio di poter ripristinare nell’antico splendore la Repubblica e il suo commercio e di contribuire a tutto ciò che potesse formarne e consolidarne la prosperità (5). Genova fu in quei giorni piena di francesi: vennero col Saliceti, e rorse non senza preciso scopo, il Direttore Generale delle Dogane, Collin, (1) Gazzetta, n. 14, 6 aprile, pag. 111. (2) E nominata anche una commissione di dame: Maria Negroni, Aijnetta Brignole, Giovannina Philippe. Teresa Doria. Cecchini Fravega, Ginlietta Do razzo. Bianchina La Flèche, Carlotta Gazza no. Pa ; lena Remedi, ma non per andare a Milano (Clavarino. IV, 151; Fiorini-Lemmi, pag. 6S2 . bensì per le accoglienze a Genova (Gazzetta n. 16, 20 aprile, pag. 129). '3 Archivio di Staio, Rep. L ^-e filze 73 e 94: reg. Ili A, c. 51 e 57; reg. 393, deliberazioni 9 e 14 aprile. 4) Ibid_ filza 419, 20 aprile. (5) Gazzetta Naziomale, n. 17, 27 aprile, pag. 135; n. 13, 4 maggio, pag. 143 e snp-piernento 6 maggio, pag. 152. - 160 - e ufficiali e generali: ci passò anche Girolamo, fratello di Napoleone (1). Intanto partivano i delegati ad assistere all’incoronazione, il Doge e.i dieci senatori: M. A. Cambiaso, Carbonara, Roggeri, Maghella, Fravega, Balbi, Maglione, Girolamo Cattaneo, Delarue e Scassi. Si unirono a loro Gio. Francesco Cattaneo, ministro plenipotenziario a Milano e Onorato Ferreri, venuto apposita da Parigi (2); naturalmente non mancava il Saliceti. In mezzo alle feste di Milano e prima che avvenisse la solenne incoronazione del 26 maggio, la deputazione genovese fu ricevuta con ostentati onori e con fastoso cerimoniale. Appena arrivata e onorata di una guardia speciale, ebbe la visita del Marescalchi, ministro degli Esteri del nuovo Regno, e del Maestro di cerimonie, che la condussero il 19, verso mezzogiorno, in pomposa carrozza a sei cavalli presso il Principe Eugenio, il quale a sua volta la introdusse e la presentò a Napoleone. Parlò il Doge esprimendo la gioia e il compiacimento per l'elevazione dell’ Imperatore al trono italico e la « dolce lusinga di veder quanto prima nella possibile restaurazione del nostro commercio realizzati gli effetti della parziale sua. benevolenza verso la Liguria ». Una complessa benevolenza, certo, rivolta prima di tutto al porto, che avrebbe potuto essere utile in diretto dominio, senza inciampi di apparenti indipendenze, e agli abili e sperimentati marinai dei quali aveva tanto bisogno. Per questo, Napoleone potè dire al Durazzo che i Liguri gli stavano nel fondo del cuore. Avrebbe certo potuto unirli al Regno italico, ma ostava non tanto la discontinuità territoriale quanto la sua volontà: l’unità italiana non è infatti che un postumo sogno di S. Elena. Parlò delle benemerenze della Liguria verso la Francia; disse che gli era nota l’attuale critica situazione, comune agli altri suoi alleati ed effetto delle circostanze di guerra, dichiarò che avrebbe impugnato la spada contro i barbareschi e quanti minacciavano il commercio, e, ringraziati il Doge e i Senatori, conchiudse : « Andrò fra poco in mezzo alla vostra Città; scenderò senza guardie e mi crederò abbastanza guardato in mezzo ai vostri concittadini ». La visita si chiuse con l’omaggio all’imperatrice e alla Principessa Elisa. « Il nostro Doge — conchiudeva con ingenua compiacenza la relazione della Gazzetta — riscuote generalmente dai Principi, dai Ministri e alti dignitari il titolo di Altezza Serenissima, e ai Senatori vien dato quello di Ambasciatori straordinari » (3). Onori*funebri erano, perchè, mentre Genova si apprestava « per ricevere nella maniera la più distinta e segnalare questi giorni colle più fe- (1) Ibid., e n. 19, 11 maggio, pag. 156. (2) Non Fravega (Driault, pag. 331; Fiorini-Lemmi, pag. 682) che fu pure a Milano, ma proveniente da Genova; egli da tempo aveva lasciato l’ufficio diplomatico ed era a Genova Presidente del Magistrato delle Finanze. (3) Gazzetta Nazionale, n. 21, 25 maggio, pag. 172. - 161 - stive dimostrazioni di esultanza, giorni fortunati che formeranno una delle più belle epoche della nostra istoria », Saliceti compiva col colpo magistrale l’opera propria e la volontà dell’imperatore. Mentre gli altri delegati attendevano a Milano la cerimonia dell’inc.oronazione, egli tornava improvvisamente a Genova coi più devoti, consapevoli certo e partecipi dei suoi propositi, il Maghella, il Roggeri, lo Scassi, raggiunti subito dal Fravega, e al Senato, presieduto dal vecchio Morchio e che già aveva deliberato valido qualunque numero per le proprie decisioni, attesa l’assenza di tanti suoi membri (1), lesse una proposta di legge per la riunione della Liguria alla Francia. Agostino Pareto soltanto diede voto contrario, raccontano gli storici, ma il Pareto era già uscito dal Senato col Serra. Il suo voto contrario fu dato nel plebiscito. Ma occorreva, per riguardi internazionali e coerentemente al carattere plebiscitario dell’impero che la decisione fosse convalidata dal voto popolare (2). Lo stesso giorno perciò una circolare del Provveditore ai diversi Comitati Municipali, ai Tribunali di vario grado, all’istituto Nazionale convocava quei corpi per le ore dodici del giorno successivo, 26, domenica, per procedere alla votazione. Analoga lettera era rivolta allo Scassi come Presidente degli studi: « In vigor di decreto del Magistrato Supremo devo invitar tutti i Professori dell’Università a dare per mezzo di sottoscrizione nel giorno di domani alle ore dodici il lor voto affermativo o negativo alla deliberazione che emanò in quest’oggi il Senato. Vengo perciò a pregarvi di ordinare per l’ora indicata la convocazione dei Professori suddetti ed invitarli ad apporre la loro sottoscrizione rispettivamente alla deliberazione suddetta di cui vi compiego copia autentica che vorrete ben presto ritornarmi colle sottoscrizioni affermative che in esse avranno fatto » (3). I voti negativi non si chiedevano e non ce n’era bisogno: i Professori votarono unanimi affermativamente. Le risposte di questi corpi furono trasmesse il 28 maggio al Magistrato Supremo, che frattanto ordinava la votazione a tutti i funzionari suoi dipendenti (4). I registri per la consultazione popolare posti il 26 furono ritirati il 29 (5) e spediti il 31 al Senatore Taddei deputato al Magistrato (1) Serra, Memorie, pag. 123. Gazzetta, n. 19, 11 maggio, pag. 156; Raccolta Leggi e Atti del Senato, IV, 88. Il 29 inaggio il Senato deferiva i suoi poteri al Magistrato Supremo e con ciò cessava praticamente di esistere, Ibid., IV, 126. (2) Raccolta di Leggi e Atti del Senato, IV, 121 sgg. (3) Archivio di Stato, Rep. Ligure, n. 343, Copialettere del Provveditore del Centro: lettere 375 e 376, 25 maggio. L’invito al clero fu fatto il 29; lettera n. 384. (4) Arch. cit., filza 419, decreto 28 maggio; Reg. n. 343, lettera n. 380. (5) Norme e luoghi di votazione in Raccolta di Leggi e Decreti del Senato, IV, 125. È noto che fu stabilito che i voti degli astenuti dovevano considerarsi favorevoli. U — 162 - degl’interni: « Dalla visura dei medesimi vi riuscirà facil cosa il riconoscere essere i sottoscritti affermativamente circa 4300 cittadini e soli 28 negativa-mente. La maggiorità dei primi, l’adesione di quasi tutte le autorità amministrative e giudiziarie e infine il voto unanime de’ Membri dell’istituto, de’ Professori dell’Università e de’ Deputati alle diverse Opere Pie di questa Città vi faran con piacere rilevare quanto sia piena la sanzione del Popolo alle savie determinazioni del Senato e congetturar quindi con quanto entusiasmo e quanta sincerità di cuore sarà da tutti proclamato ed accolto per nostro sovrano l’invincibile e grande Imperatore de’ Francesi ». Quanto a sè e ai suoi impiegati il Provveditore dichiara che il voto favorevole è dovuto al dovere che si sono sempre fatti di venerare ed eseguire le disposizioni superiori, alla compiacenza di essere stati interpellati, all’essere « intimamente persuasi che la nostra riunione all’impero Francese ci metterà a parte di quella felicità e di quella gloria che gli procurò l’immortale Bonaparte » (1). 11 1° di giugno la Gazzetta aveva una relazione ufficiosa degli avvenimenti e delle ragioni che li avevano determinati, ma che tradiva anche l’ingenua illusione, destinata a breve durata, d’imporre condizioni a Napoleone, quasiché quella dedizione non fosse stata spontanea soltanto per finzione giuridica. « Compiesi ai 14 del corrente giugno l’anno ottavo da che la Repubblica, cangiando forma di governo, si riprometteva de’ vantaggi incalcolabili pel presente e più felici destini per l’avvenire. Sì belle speranze sono andate di giorno in giorno dileguandosi a proporzione che la guerra ha preso piede e involto il continente e che l’Europa ha cangiato d’aspetto. E tal era in questi tempi la di lei situazione che i più intrepidi disperavano della possibilità di continuare sul piede attuale: quindi la voce sparsa già da qualche tempo, voce che si andava ogni giorno accreditando, che la Liguria sarebbe aggregata all’impero francese o al nuovo Regno Italiano. Il commercio dello Stato, prima e unica sorgente di sua prosperità, paralizzato al di fuori per la via di terra dal sistema delle dogane degli stati limitrofi, impedito per mare dai corsari inglesi e barbareschi, era ridotto alla meschina risorsa dell'interna consumazione: questa critica situazione della quale non era possibile di prevedere il termine, rendeva assai verosimile la congettura della nostra riunione ad uno dei grandi Stati a noi confinanti. A questo importante avvenimento si attaccavano le speranze del risorgimento delle (1) Arch. di Stato, Reg. n. 343, lettera 378, 25 maggio; 383 e 385, 29 maggio; 386 e 389, 31 maggio. Era ancora Provveditore Giuseppe Podestà grande amico di Saliceti che accompagnò poi a Napoli. — 163 - industrie e del commercio, della restaurazione delle finanze, e di una serie di altri vantaggi, da realizzarsi specialmente all’epoca desiderata, e forse non molto lontana, della pace generale. Il Senato, conoscitore dei bisogni della Repubblica e penetrato delle dolorose ciicostanze, nelle quali si è trovata più che mai inviluppata nella presente guerra, si è occupato, nella seduta di sabbato scorso, di questo gravissimo oggetto. Costituito in sessione permanente, ha manifestato mediante una deliberazione (che sarà pubblicata) il voto della riunione della Repubblica all Impero francese, sotto alcune condizioni, e principalmente sotto quella che sarà conservato il porto franco con tutti i suoi privilegi, garantito il debito pubblico e liquidato sulle stesse basi di quello dell’impero francese, che si avrà riguardo nello stabilimento delle contribuzioni alla sterilità del territorio e alle spese enormi della coltivazione, che la coscrizione sarà ristietta alla sola gente di mare; e che nel sistema delle dogane i diritti tanto sulla importazione che sulla esportazione saranno regolati sulla più grande utilità del commercio. Nel giorno successivo sono stati convocati tutti i corpi civili e militari, i corpi amministrativi, gli scientifici, le Collegiate, i Parrochi della Centrale, aperti i registri presso gl’ispettori dei rispettivi quartieri della Città, e spedite le convenienti istruzioni per una somigliante operazione negli altri punti dello Stato, onde ricevere il voto dei cittadini in un affare di tanto interesse. Per ciò che riguarda a Genova, tutte le autorità anzidette hanno sottoscritto a favore: anche ne’ registri dei quartieri quantunque siasi pubblicato che i non intervenienti saranno riguardati come affermativi, pure contansi già numerose sottoscrizioni, nè abbiamo inteso finora citare che otto in dieci individui che abbiano sottoscritto negativamente. Lo stesso accade nelle giurisdizioni vicine, e non si crede che sarà dissimile il voto delle più lontane, il cui risultato si attende a momenti. » Il voto nazionale sarà quindi presentato a S. M. l’imperatore e Re, che speriamo si degnerà accoglierlo favorevolmente e darci così la prova più luminosa e più grande della nota parziale sua benevolenza verso il Popolo della Liguria » (1). La parola più esatta la diceva forse Saliceti, il quale, riferendo al Talleyrand che l’unione era stata vista generalmente bene e senza l’ombra della più leggera commozione, commentava : « il y a beaucoup de résignation * (2). Fu incaricata di recare all’imperatore, che si trovava a Brescia, i risultati del plebiscito una nuova deputazione composta di alcuni membri della (1) Gazzetta Nazionale, n. 22, 1 giugno 1805, pag. 179-180. (2) Driault, pag. 333. — 164 - precedente: Balbi, Maghella, Roggeri, Onorato Ferreri; mancava però 1 organizzatore Saliceti e con lui Onofrio Scassi e Giuseppe Fravega, rimasti a Genova, e furono aggiunti il cardinale Spina e i nobili Gio. Maria Cambiaso, Antonio Brignole Sale e Camillo Doria. 11 Doge e gli altri Senatori rimasti a Milano, il 27 avevano chiesto di prender congedo dall’imperatore, per trovarsi a Genova al suo arrivo: prova evidente che ignoravano quel che a Genova avveniva; avutane notizia il 29, il Durazzo non potè che inchinarsi al fatto compiuto, e senza troppa sorpresa si associò a « un événement aussi heu-reux ». « Gente mia, come dobbiamo fare? » si dice esclamasse, scettico e bonario, a chi si lamentava; e poiché sembrava al Talleyrand che la presenza nella deputazione del Doge detronizzato avrebbe servito « à mettre dans une plus grande evidence l’assentiment unanime de la magistrature et du peuple génois au voeu qui vient d’étre émis », egli chiese di buona grazia la nuova udienza per annunciare la fine della propria funzione 0). In francese, naturalmente, il discorso: « Les changements survenus autour de nous rendaient notre existence isolée de plus malheureuses et commandent impe-rieusement notre réunion à cette France que vous couvrez de votre gioire. Les raisons sur lesquelles il (voto) est basé prouvent à l’Europe qu’il n’est pas l’effet d’une influence étrangère, mais le resultat necessaire de notre position actuelle. Veuillez nous accorder le bonheur d’ètre vos sujets. Votre Majesté n’en saurait avoir de plus dévoués, de plus fideles ». Ascese il trono e consegnò al Sovrano il decreto del Senato, redatto nei termini ch’erano stati suggeriti da Parigi al Saliceti sin dal 20 maggio (2), e il Segretario di Stato, Ettore Figari, depose ai piedi del trono i registri originali delle votazioni. Rispose Napoleone: Da dieci anni più volte aveva avuto occasione di entrare nelle cose di Genova, sperando di portarvi la pace e di far prosperare le idee liberali, che sole potevano dare al governo lo splendore dei tempi passati. Ma si era persuaso che da soli i Genovesi non potevano fare qualche cosa di degno dei padri, a cagione dei tempi mutati, della politica inglese di blocco, delle scorrerie dei pirati. « La posterité me saura gré de ce que j’ai voulu rendre libres les mers et obliger les barbaresque à ne point faire la guerre aux pavillons faibles, mais à vivre chez eux en agriculteurs et en hònnetes gens >. Poiché non si era potuto ottenere che l’Inghilterra mettesse il blocco ai soli porti belligeranti e la bandiera dei deboli era esposta agli assalti dei (1) Nella nomina della commissione avvenuta il 30 maggio il Magistrato Supremo non aveva incluso il Doge; ma su richiesta di Saliceti, con deliberazione successiva dello stesso giorno, stabilì che il Durazzo ne dovesse essere alla testa Arch. di Stato, Genova, Governo Provvisorio, Mazzo 1 2959. (2) Driault, p. 332. Il Decreto in Raccolta di Leggi e Atti del Senato, IV, 121. - 165 — pirati, tutti avevano compreso che sarebbe avvenuto quel che ora si compiva: un popolo commerciante privato dell’indipendenza marittima è costretto a unirsi a una bandiera più potente; perciò accoglieva l’offerta. Non accennava tuttavia ad alcun preciso impegno da parte sua, affermando soltanto che il commercio e la libertà dei mari gli stavano vivamente a cuore e che con affetto paterno avrebbe curato il benessere del paese. L’offerta con le firme dei cittadini costituiva il suo diritto al nuovo dominio. « En le faisant respecter, je ne ferai qu’exécuter la garantie de votre independence, que je vous ai promise » (1). La Repubblica di Genova aveva finito d’esistere: i reduci dall’amba-scieria potevano accingersi ai preparativi per il ricevimento del nuovo sovrano, che faceva ringraziare Saliceti del modo col quale aveva eseguito « la com-mission qui lui avait été donnée » (2). Aveva cessato d’esistere per la natura delle cose, come diceva Napoleone: per volontà del dominatore certamente, ma insieme per una situazione divenuta insostenibile in quella forma d’indipendenza equivoca e fittizia nell’insanabile debolezza. Con profondo rammarico, nel rimpianto di un passato che tramontava per sempre, ma con senso virile di adattamento alla realtà attuale e alle necessità ineluttabili, i più savi e prudenti promossero, o accettarono almeno, il mutamento inevitabile. Questa situazione è perspicuamente indicata dal biografo di Pietro Paolo Celesia, che pur scriveva durante l’impero e leggeva il suo elogio alPAccademia Imperiale. « Il profondo politico che nell’abbandono della Corsica aveva preveduta la decadenza della Repubblica scorgeva nelle mutabili circostanze d’Italia l’impossibilità di sostenerne l’indipendenza. Combattuto da questa idea egli non si riguardava nella carica di Senatore che come un amministratore provvisorio, il quale nulla può intraprendere, ma dee soltanto vegliare all interna tranquillità ed al miglior bene del Popolo, ed attendea in silenzio i decreti della Provvidenza, facendo voti affinchè la crisi politica, che prevedea inevitabile, non riuscisse perniciosa al suo paese. Avverati i pronostici, vide quest’avvenimenti con la calma del saggio che conosce le cagioni delle cose e depose le insegne della dignità senatoriale col contegno del buon cittadino che di ogni dispiacere e danno privato trova conforto nella speranza dell’utilità della patria » (3). (1) Gazzetta, n. 23, 8 giugno, pag. 187 sgg.; G. Martini, Storia d’Italia in continuazione a quella di C. Botta dal 1814 al 1834, voi. I, Torino, 1850, pag. 66. (2) Driault, pag. 333. Gli ultimi decreti del Senato sono stati il 7 giugno la deliberazione, su proposta Scassi e Torre, dopo una conferenza con Saliceti, di pagare a tutti i funzionari della Repubblica cessata un trimestre di onorari, e il giorno 8 di pubblicare il decreto di annessione. Arch. di Stato, Genova, Governo Provvisorio, Mazzo 1 2959. (3) Agostino Bianchi, Elogio storico di Pietro Paolo Celesia, Memorie dell’Aecademia imperiale, Genova, 1809, voi. II, pag. 138. — 166 — Partecipe dell’empio complotto tramato contro la libertà di Genova (1), uno di quei senatori che, corrotti, erano disposti a tradire la patria, secondo le irose parole del Clavarino (2), coinvolto nell’estremo avvilimento del Senato repubblicano che riconosceva inconciliabile con le recenti trasformazioni nel resto d’Italia la propria libertà (3), uno di quei fidi che miravano a far Genova ligia alla Francia di diritto com’era di fatto (4), sarebbe stato così anche Onofrio Scassi. Ebbene: i soli che non hanno avuto cariche, onorificenze, compensi, sono stati proprio coloro che hanno più direttamente coadiuvato Saliceti: Scassi, Fravega e Roggeri specialmente; forse non si sentiva il bisogno di accarezzarli come il Pareto, che aveva votato contro, come il Serra che si era tenuto lontano, e che pure accettarono cariche e onori. E non avrebbero potuto fare diversamente dinanzi al fatto compiuto e al fascino napoleonico. La soluzione avverata, e che Io Scassi aveva contribuito a preparare (5), era l’unica ormai, dacché era nello spirito dei tempi considerare Napoleone come fattore politico determinante di ogni situazione (6). I rimproveri postumi poterono esser facili ai posteri, estranei a quell’ambiente e non soggetti a quel fascino, in tutt’altra situazione storica e con nell’animo il rimpianto della vecchia repubblica: ma alla Genova del 1805, che viveva in quelle determinate condizioni e a cui era evidente l’aspirazione imperiale e la necessità di adattarvisi, doveva apparir preferibile cercare una migliore sistemazione dentro l’impero che farsi piegare da una forza crucciata e sdegnosa. « Stretta da una cintura doganale, separata da ogni retroterra, senza armi e mezzi per difendere i traffici marittimi, non poteva sperare da sola condizioni sufficienti di vitalità. Eran passati i tempi che, in un mondo disgregato, si era tagliato un ricco possesso di feudi e di terre oltremarine. Bisognava ora appartenere a una delle grandi costellazioni europee, non si poteva servirle tutte; l’indipendenza non esiste se non esiste lo forza » (7). E poiché unirsi al Regno Italico non era possibile (vi ostava la volontà sulla quale tutta (1) Botta, 1. XXII. (2) Annali, IV, 159. (3) Belgrano, Girolamo Serra, p. 34. (4) Varese, 1. Vili, pag. 402. (5) È confermato anche da un informatore anonimo che nel 1814, rifacendo in breve la storia delle recenti vicende della Liguria la dice « aggregata all’impero francese per li maneggi di Saliceti, del negoziante Emanuele Balbi, del medico Scassi, del negoziante Maglione ecc.». Archivio di Stato di Torino, Carte politiche diverse 1813-1856. Lettere anonime al Conte di Revel relative ai genovesi, 1814. (6) Molti del resto si illusero e applaudirono anche fuori di Genova: v. G. GuERZONl, Napoleone l e il suo Regno d’Italia, Nuova Antologia, 1877, pag. 712; A. Bertoldi, L’amicizia di P. Giordani con A. Cesari, Nuova Antologia, 1895, pag. 131-133. (7) Ruini, Luigi Corvetto, pag. 61. - 167 — la situazione era imperniata) dopo l’esperienza di un’instabile e disordinata repubblica, dopo i danni e le vergogne del semivassallaggio, dello smungi-mento economico, dell’asservimento reso più avvilente dalla stessa commedia dell’indipendenza, meglio entrare con pienezza di diritto nello Stato dominante con la prospettiva di un fermo e giusto governo. Le ragioni che Saliceti diceva e faceva affermare nel decreto del Senato non erano soltanto un pretesto del dominatore a mascherare il desiderio di preda; erano anche una verità dolorosa di fatto: il riconoscerlo era accettare, con la speranza, anche se illusoria, del meglio, una necessità ineluttabile e poteva anche essere una prova d’affetto e di devozione al paese. E Onofrio Scassi che, dopo aver data la sua opera a questo intento, si ritira in modesta oscurità, non è meno dignitoso di chi, dopo essersi opposto, si acconcia alla nuova situazione e a servire Napoleone. Un’altra osservazione convien fare. Anche meno conseguente di chi lamenta con naturale nostalgico rimpianto la fine della vecchia repubblica, è l’atteggiamento di chi, accettando con lieto animo ed esaltando l’impero, gli contrappone quasi in antitesi il successivo dominio piemontese, che ne è la necessaria e logica continuazione. Gretto forse e meschino, specie nei primordi, quel governo, ma inevitabile dopo l’impero. Lo comprendeva Vittorio Emanuele 1, che dall’esilio di Sardegna salutava con gioia l’annessione di Genova alla Francia; ne indicava con chiara visione le inevitabili conseguenze l’acuta mente di Giuseppe De Maistre. « Hoc erat in votis — scriveva il geniale diplomatico alla notizia dell’annessione. — C’est une des choses les plus favorables qui aient put arriver, et pour la cause générale et pour celle de S. M. en particulier » perchè, per l’auspicato momento di una caduta di Napoleone, « il est infiniment avantageux que toutes les souve-rainetés de l’Italie septentrionale soient détruites et nommément celle de Génes». E Vittorio Emanuele I, siccome era stato detto che il decreto dell’unione del Piemonte alla Francia aveva in certo modo già unito a questa il territorio e la città di Genova che del Piemonte è il porto naturale, ragionava: Se l’utilità dell’essere unita al Piemonte ha indotto Genova a chiedere l’annessione alla Francia, qualora quest’ultima unione venga a cessare, Genova dovrà sempre esser legata al Piemonte (1). Cosciente o no, la Francia napoleonica riprendeva per suo vantaggio, facendone un’arma per la monarchia sabauda, un’affermazione che già era stata fatta nel pieno degli entusiasmi democratici, quando il famoso « cittadino » Ranza, che poi invece sostenne l’annessione del Piemonte alla Francia, in un discorso al Circolo Costituzionale di Genova il 9 dicembre 1798, aveva detto che (1) Fiorini-Lemmi, Periodo napoleonico, pag. 827. ie nazioni ligure e piemontese erano fatte dalla natura per intendersi e che « l’inesauribile fertilità del Piemonte ha bisogno dei porti della Liguria per uno sfogo marittimo, e la sterilità dei monti liguri e la marittima industria dei suoi abitatori ha bisogno dell’ubertà del Piemonte per alimento dei propri individui e del proprio commercio » (1). E analoghe affermazioni faceva l’anno dopo un anonimo Manifesto dei Patrioti (liguri) al Popolo Piemontese (2). Isolate voci, che parevano allora esagerate e irrealizzabili, contrarie alle tradizioni e agl’interessi più radicati, cui Napoleone doveva dare la sanzione della sua autorità e del suo volere. É dunque Napoleone che- senza crederlo, ha preparato l’annessione genovese al regno di Sardegna, e, visto con gli occhi e i sentimenti odierni, questo fatto costituisce una reale sua benemerenza verso la formazione unitaria italiana. Ma se erano in posizione logica e naturale i Genovesi che nel 1814 tentarono la restaurazione della vecchia repubblica, non lo è, mi pare, lo storico posteriore che — a parte le innegabili differenze dei due regimi — ammetta il beneficio del passaggio all’impero per deplorare poi vivacemente quel governo piemontese che è stato appunto la precisa conseguenza di una premessa posta nel 1805 e subito confermata dalle assicurazioni e dagli impegni assunti dall’Inghilterra del Pitt, sin da quell’anno. (1) G. Roberti, Il cittadino Rama, ricerche documentate, Miscellanea di Storia Italiana, voi. XXIX, pag. 73-75 e 151. (2) Manifesto dei patrioti al Popolo Piemontese, (Torino) Genova, Stamperia della Libertà, in Canneto, 1799. Lo Sforza, Contributo alla vita di Giovanni Fantoni (Labindo) Giornale stor. e Ietter. della Liguria, 1907, pag. 169, ne dimostra autore un avvocato Domenico Ugazzi. jt j* CAPITOLO V. Durante P Impero Napoleonico jt j, t L’annessione di Genova ha, anche dal punto di vista della politica generale napoleonica, una straordinaria importanza. Essa integra l’incoronazione di Milano, compie, con Lucca e Parma, l’accerchiamento del Regno Italico, chiarisce il significato del nuovo Impero e minaccia così più direttamente l’Austria nel suo possesso di Venezia. Si spiegano perciò le forme adoperate da Napoleone per darne notizia all’imperatore d’Austria, al quale sin dal 1° giugno Talleyrand faceva conoscere l’unanime « desiderio » dei Genovesi e le tristi condizioni della città e manifestava ipotetici dubbi e incertezze in Napoleone, che si vedeva, pur troppo, costretto, contro ogni suo desiderio, ad assecondare tali voti per rimediare a quelle condizioni. Con maggiore sincerità, con lettera ch’egli stesso aveva redatta, faceva avvertire dal Senato genovese già esautorato il barone Giusti, rappresentante imperiale a Genova, dell’annessione probabile e voluta, con unanime desiderio, dal popolo. Ma come doveva suonare amara ai vecchi genovesi la giustificazione, esser Genova il porto del Piemonte, che veniva in certo modo a legittimare le aspirazioni sabaude, causa del secolare dissidio tra i due Stati vicini! Avvenuta l’unione, il barone Giusti doveva considerare finita la sua missione; e terminata effettivamente « non par la volonté du gouvernement ligurien, mais par la nature des choses 9 la dichiarava Napoleone allo Champagny il 14 giugno in una lettera aspra e violenta contro le proteste del rappresentante austriaco, nella quale, dopo aver detto che la riunione di Genova non pregiudicava gl’interessi tedeschi, che avendo sempre protetto l’indipendenza di Genova ne avrebbe protetto anche l’ultimo atto — che era poi la rinuncia all’indipendenza stessa — — 17Ò - commentava « si l’on veut des prétextes de guerre celui-là peut en servir cornine tant d’autres » (1). Infatti l’annessione di Genova è una delle cause essenziali della terza coalizione: Austria e Russia vi trovano il pretesto del nuovo intervento contro un governo che ogni giorno commette nuove usurpazioni e contro un sovrano che viola le sue promesse (Napoleone, istituendo il Regno d’Italia, aveva dichiarato che non avrebbe più aggiunto una sola provincia all’impero); e trasportando al sud il teatro della lotta l’Inghilterra si sente liberata dalla minaccia d’invasione. L’Imperatore si ripromette grandi vantaggi marittimi e militari dal diretto possesso dell’importantissimo porto, e s’impazientisce se altri non divide il suo ottimismo (2). Gli occorre perciò di organizzare prontamente l’amministrazione della marina, lo sfruttamento del porto e delle sue risorse, l’impiego dei marinai, la costruzione delle navi. Perciò ha già preparato il nuovo ordinamento amministrativo del paese annesso, primo passo a ogni ulteriore provvedimento. Due giorni dopo la cerimonia di Milano, è pubblicato il decreto organico della ex repubblica, divisa in tre dipartimenti, di Genova, di Montenotte (Savona) e degli Appennini (Chiavari), governati da un prefetto con due consigli; ogni dipartimento si divide in circondari con un sottoprefetto. I tre dipartimenti fanno parte, con quello di Marengo, della 28a divisione militare. Altre norme riguardano l’ordinamento giudiziario e l’economico, con l’istituzione del portofranco e l’abolizione delle dogane verso la Francia, da attuarsi entro l’anno (3). Ad applicare questi provvedimenti e a governare provvisoriamente è mandato a Genova con pieni poteri il ministro dell’Interno, Champagny, accompagnato da alcuni funzionari. È intenzione dell’imperatore che il nuovo regime cominci dal 20 pratile, cioè dal 9 giugno, e appunto tra il 9 e il 10 il ministro arriva a Genova (4); PII infatti il Provveditore del Centro, ancora in funzione, comunica ai viceprovveditori due decreti dello Champagny (5). Quel giorno stesso, allo spuntar del sole, è innalzata la bandiera francese sui forti e sui basti- (1) Driault, Napoléon en Italie, 334-336; Correspondance de Napoléott, X, 8889; Borel, Gènes sous Napole'on I, pag. 210. (2) Correspondance, n. 8837; Borel, pag. 30. (3) Clavarino, Annali, IV, 165 sgg.; Driault, 337; Fiorini e Lemmi, 683; Borel, 35 sgg.; Gazzetta di Genova, n. 1, 15 giugno, pag. 1 sgg. (4) La Gazzetta l’8 parla del ritorno del Doge e dei Senatori, non nomina ancora lo Champagny; n. 23, pag. 189. (5) Archivio di Stato, Genova, Sala 50, n. 343, Registro IV Lettere del Provveditore, lettera n. 420. — 171 — menti in inda (l): la vecchia gforiosa bandiera repubblicana che ha sventolato su tutti i mari si abbassa per non rialzarsi che per brevi momenti alla caduta dell impero e rendere più doloroso e più amaro il rimpianto. Raccolte a palazzo Pallavicini le autorità civili e militari, confermate in carica, e comunicati gli ordini sovrani, il Ministro prende possesso del nuovo dominio con un proclama nel quale, ripetuti i soliti argomenti suila necessità dell’annessione, fa balenare, conforto alla perduta indipendenza, il miraggio del commercio risorto, promette la sicurezza pubblica anche nelle campagne, assicura rispetto e protezione al culto e ai suoi ministri. Il proclama è pubblicato il 15 giugno dalla Gazzetta, la quale inizia ora una nuova serie e non si chiama più Gazzetta Nazionale della Liguria, titolo che potrebbe risvegliare ricordi regionali e nazionali, ma soltanto Gazzetta di Genova e acquista un netto carattere ufficioso prima, poi affatto ufficiale. Il tono deH’adulatorìa esaltazione di rito, non disgiunta tuttavia dalla maggiore e fallace speranza, la pace col rifiorire del commercio, è nella nuova epigrafe della testata del giornale: Que nos stériles monts, théatre de sa gioire Que ce port trop désert attendent des bienfaits! Et puisse l’olivier de notre territoire Devenir sur son front l’olivier de la paix! Le stesse speranze riappaiono negli articoli di quei giorni, come rifioriranno nell’oratoria d’occasione alla venuta deH’Imperatore. « Piena libertà di comunicazione con la Francia, bandiera esente dalle persecuzioni de’ barbareschi, consolidazione del debito pubblico sono i già accennati effetti immediati dell’aggregazione. Ma la sistemazione delle finanze, la restaurazione dell’istruzione pubblica e di tutti i pubblici stabilimenti, la protezione delle arti e delle scienze, la celerità neH’amministrazione della giustizia, il risorgimento della nostra marina, e la tanto necessaria e desiderata formazione di una strada carrozzabile lungo le riviere sono i preziosi effetti che si godranno » (2). Per il momento, lo Champagny attendeva a regolare il passaggio dal vecchio al nuovo governo e a preparare le accoglienze per la visita imperiale. Probabilmente voleva anche procedere a indagini sulla correttezza deH’amministrazione genovese negli ultimi tempi, ma Napoleone, approvando nel resto il suo operato, gli scriveva: « Je désire qu’en faisant des recherches (1) Gazzetta di Genova, n. 1, 15 giugno 1805, pag. 4; Clavarino, IV, 169. (2) Gazzetta di Genova, n. 2, 22 giugno, pag. 9. - 172 - et prenant des notes sur les dernières démarches illegales et irrégulières du gouvernement ligurien, vous évitiez d’aigrir ou de jeter l’odieux sur les homnes qui ont servi la cause de la France s (1). Si riferivano queste parole alle voci di distruzioni di depositi del Banco per le spese degl’inviati a Milano cui accenna, reputandole però false, il Clavarino? (2). Più che legittima la disapprovazione imperiale, poiché una tale indagine sarebbe stata ingrata e impolitica. Del resto, nelle deliberazioni del Senato non c’è traccia di quei provvedimenti. Neppure il decreto che stabiliva una tassa di due lire a quintale sulle esportazioni di grano dal Piemonte e dalla Francia per Genova ebbe l’approvazione delPImperatore, che propose altre misure per non danneggiare il commercio granario genovese e facilitare i rapporti di Genova con Torino e di Sarzana e Chiavari con gli Stati di Parma (3). Quest’ultima lettera allo Champagny è del 19 giugno; il 20 Napoleone scriveva alParcitesoriere Carlo Francesco Lebrun, più tardi duca di Piacenza, mandato a sostituirlo e a compiere i preparativi per il ricevimento e l’annessione (4). Genova fu piena in quei giorni non soltanto di truppe venute a rendere solenne l’ingresso imperiale, ma di personaggi e funzionari d’ogni grado: c’era la principessa Elisa col marito Felice Baciocchi ed era venuto pure Telleyrand ad ammirare il risultato dell’opera propria. Il Lebrun prese stanza nel palazzo Negrotto alla Nunciata, e tra le molte cure ebbe l’incarico preciso di provvedere all’alloggio degli ufficiali: « Ce qui a le plus vexé les villes d’Italie, ce sont les logements des officiers qui s’établissent dans les maisons dont ils ne sont jamais satisfaits » gli scriveva l’imperatore, indicando con quella sua mirabile percezione una delle maggiori cause di malcontento (5). Nei brevi giorni che precedettero la visita imperiale, il Lebrun attese a compiere l’opera cominciata dal predecessore. Questi aveva stabilito che fino a quando non fossero stati nominati i Prefetti, i Provveditori ne assumessero le funzioni, ma al Lebrun parve necessario che la carica fosse data a personaggi rappresentativi, e, lasciando ai Provveditori le funzioni di sottoprefetto, nominò Girolamo Durazzo, trasformato in tal modo da sovrano in (1) Correspondance, X, 8890; Borel, 211. (2) Annali, IV, 169. (3) Correspondance, X, 8904, 19 giugno; Borel, 212. (4) Fin dal 30 maggio lo aveva destinato a Genova « afin de pouvoir en preparer progressivement la réunion » annunciandogli che gli affidava questo compito perchè « l’ex-perience m’a appris que je ne puis me fier pour des affaires aussi importants qu’à une personne qui comme vous, ait la connaissance intime de mes affaires et un attachement aussi vrai pour ma personne »; Correspondance, X, 8811; G. Roberti, L'Arcitesoriere Lebrun a Genova, Giornale Ligustico, 1805, pag. 336 sgg. (5) Correspondance, X, 8918; Borel, 212. — 173 — funzionario imperiale, nel dipartimento di Genova, Luigi Carbonara in quello di Montenotte e Antonio Maghella degli Appennini. Chiamò a presiedere al Consiglio Generale del Dipartimento di Genova Luigi Corvetto e tra i membri Girolamo Cattaneo, Emanuele Balbi, Bartolomeo Boccardo, G. B. Rossi, Gaspare Sauli, Gio. Carlo Serra di Domenico, Girolamo Serra, Cottardo Solari, Vincenzo Spinola, molti cioè degli uomini che avevano avuto maggior parte nei governi precedenti. Michelangelo Cambiaso, già doge anche lui, fu nominato maire; i membri della Municipalità furono confermati provvisoriamente in carica a formare il Consiglio municipale; i posti vacanti furono coperti per lo più con ex senatori, come Tommaso Langlade, Francesco Piaggio e Onofrio Scassi (1). E allo Scassi, come capo dell’Università, spettò anche di ricevere il Lebrun e di presentargli i professori nella visita che vi fece il 29 giugno, informandolo delle condizioni economiche e scolastiche e avendone la promessa dell’appoggio e dell’interessamento imperiale (2). Ottimi propositi certo in quel principio di dominio, al quale va riportata anche un’altra importante istituzione, la Camera di Commercio, che, fondata con ordinanza del 17 giugno, o 23 pratile, dallo Champagny, tenne la sua prima seduta due giorni dopo nel Banco di S. Giorgio, sotto la presidenza dell’ex senatore Antonio Delarue (3). 11 30 giugno Napoleone arrivò a Genova accompagnato da Giuseppina e da un seguito brillante e pomposo. Aveva scritto il 20 che desiderava trovare i sindaci e i curati dei tre dipartimenti, ma il suo desiderio era stato prevenuto. Fin dal 16 una circolare aveva invitato tutte le municipalità a intervenire per rendergli omaggio (4). Splendide e festose le accoglienze descritte nelle relazioni ufficiali della Gazzetta e passate nella solenne prosa del Botta e, sul loro racconto, in infiniti altri narratori (5). Gli ospiti imperiali arrivarono alla porta della Lanterna (1) Gazzetta di Genova, n. 3, 29 giugno, pag. 17-19; Clavarino, IV, 171-173. (2) Gazzetta, pag. 17. (3) La Consulta dei Mercanti Genovesi, Rassegna Storica di Carlo Mioli, Genova, a cura della Camera di Commercio e Industria, 1928 - VI, pag. 47; Gazzetta, n. 2, pag. 10-11. (4) Archivio di Stato, Genova, Sala 50, Reg. 343, lettera n. 429. (5) Gazzetta di Genova, n. 4, 6 luglio 1805, pag. 25 sgg. e supplemento 10 giugno, n. 5, 13 luglio, p. 37 sgg.; Giornale Italiano, Milano, 1805, n. 58 sgg.; Botta, Storia d’Italia dal 1789 al 1814, Italia, 1834, I. XXII, pag. 469 sgg.; Driault, pag. 337-8; Fiorini e Lemmi, 687; Ruini, Luigi Corvetto, 62 sgg.; Clavarino, IV, 162 sgg.; Borel, 37 sgg. Nel Corriere di Genova dal 1" al 15 luglio 1905, centenario della dimora imperiale, Costantino Ricci pubblicò una serie di articoli aneddotici ricavati da notizie della Gazzetta, che sono stati poi riprodotti nella Revue Napoléonienne di A. Lumbroso, num. ottobre 1905 - marzo 1906, pag 44 sgg. Il centenario fu anche ricordato da G. Roberti, Il centenario di un viaggio trionfale, Nuova Antologia, 1905, fase. 5°, 16 settembre, pag. 214 sgg. — 174 — alle 10 del mattino: Michelangelo Cambiaso presentò le chiavi della Città, (che Napoleone tosto, benevolmente, restituì) con un discorso nel quale ricorreva l’appello alle virtù pacifiche dell’Imperatore. II cardinale Spina diede l’incenso nella chiesa di S. Teodoro; prima di giungere al palazzo Doria a Fassolo, ove erano stati preparati gli appartamenti, il Corvetto come presidente del Consiglio Generale del Dipartimento, fece a sua volta un discorso, in francese. Napoleone aveva liberato il buon popolo di Genova, lo aveva adottato come figlio, si trovava dunque tra figliuoli che dimenticava!! le passate calamità ed erano sudditi devotissimi, perchè rafforzavano i doveri più sacri con l’affezione più dolce. Dopo un breve riposo, l’imperatore ricevette in udienza l’Arcivescovo e i Vescovi, il Prefetto ex doge Durazzo, Bartolomeo Boccardo e il Corvetto, che parlò una seconda volta con accenni al portofranco, al Banco di S. Giorgio, al commercio, all’organizzazione giudiziaria, a tutto ciò che si attendeva dal nuovo dominatore. « Pardon, Sire, — si riprendeva — c’est l'amour de mon sol natal qui m’inspire. Sire, vous ètes plus grand que César; il vous appartieni de changer sa devise: « Venez, voyez et rendez-nous heureux ». Venni, vidi, felicitai » traducono il nuovo motto, col Botta e col Clavarino, gli storici italiani, e il Ruini commenta: « Non era neppure eloquenza di buon gusto. Di fronte all’inevitabile era sempre questione di atteggiamento e di tono, ed a noi, i nepoti, dispiace il tono del Corvetto ». Verissimo; pure bisogna riconoscere, e tutti dal Botta al Ruini lo ammettono, che il Corvetto, benviso a Napoleone e divenuto Consigliere di Stato, fu costante e utile assertore e difensore degl’interessi della sua patria presso di lui. « È mia intenzione — fu la risposta in italiano di rendere la condizione di Genova la migliore possibile. È questo il principale oggetto che qui mi ha condotto ». Nei giorni seguenti ebbero luogo magnifici spettacoli con luminarie, archi trionfali e celebrazioni d’ogni sorta. Mirabile specialmente la gran festa a mare la sera del due luglio. Sopra navi legate e fissate sulle loro ancore era stato eretto un tempio chiamato di Nettuno, o Pantheon marittimo: intorno quattro isolette natanti, adorne di palme, di cedri, di melograni, di zampilli d’acque limpidissime, di cupole dipinte, cui facevano corona innumerevoli gondole elegantemente ornate. L’Imperatore e l’imperatrice, assisi sul tempio, assistettero alle regate, che si protrassero sinché una fantastica illuminazione trasformò il porto, dando luogo a una scena incantata. La serata terminò con un sontuoso banchetto nel palazzo di Girolamo Durazzo. Le feste continuarono nei giorni successivi, nei quali però l’imperatore, mentre continuava a curare gli affari dell’impero, come mostra la corrispondenza datata da Genova, si occupava degl’interessi del paese annesso e prima — 175 — di tutto rivolgeva l’attenzione alle fortificazioni, al porto e ai cantieri, e visitava le navi ancorate, tra le altre la Pomona, comandata da suo fratello Girolamo. Ricevette trenta cittadini scelti a esporgli i bisogni della Liguria; visitò le principali istituzioni, accolto con grandi discorsi, mentre poeti di ogni sorta, e tutti di mediocre valore, intonavano inni e cantavano con le più ditirambiche lodi il conquistatore e il dominatore, lo sperato pacificatore. Solari, Massucco, Bertora, Delle Piane, Crocco, Ponta, Spinola, Gagliuffi, Gallesio in italiano e in latino hanno fatto a gara a celebrare l’eroe: alcuni erano professori delPUniversità, e parte dei loro canti, anonimi tuttavia, sono compresi in un opuscolo pubblicato daH’Università in suo onore e che si apre col discorso pronunciato da Onofrio Scassi come Presidente, in occasione della visita imperiale (1). Ancora una volta il tono oratorio è molto mutato, come le circostanze impongono; non il ragionamento un po’ forzato e contorto davanti al Senato aristocratico del 1794 e 95, non il frasario repubblicano del 1798, ma poche parole di devozione e di sottomissione, nelle quali l’ammirazione non rinuncia alla dignità e le speranze per l’Università e per la coltura appaiono non vana adulazione, ma conseguente coerenza in chi poteva rammentare con legittimo orgoglio d’aver salutato fin dal 1798 le benemerenze scientifiche della spedizione d’Egitto. « Sire, « Les Liguriens ont émis le voeu d’ètre réunis à la France, ce voeu etoit suggéré par leurs besoins et par l’envie de partager la gioire du vaste Empire, que vous avez fondé. Votre Majesté Impériale et Royale a daigné l’exaucer, et l’auguste protection, qu’Elle nous accorde, est le gàge le plus assuré de notre prospérité future. « Les hommes de lettres qui connoissent tout l’intérèt, que V. M. prend aux Sciences et aux Arts, éspèrent de ne pas ètre les derniers à éprouver les bons effets, qui vont résulter du changement politique de la Ligurie. Vous étiez, Sire, en Egypte: l’Europe retentissoit de vos exploits; mais le tumulte des camps, le fracas des armes, les cris de la Victoire ne vous occupoient pas tout entier. Des illustres savants étoient, par vos ordres, destinés à la recherche d’anciens monuments, de précieux débris échappés (1 ) All’Imperatore — de' Francesi - e Re d’Italia - Napoleone - L’Università di Genova onorata — dalla presenza di S. S. M. /. R., Genova, Stamperia dell’istituto, Piazza Nuova, 1805. Ne conosco due copie, una in Archivio Sauli l’altra alla Biblioteca Universitaria (Miscellanea Ligure, D. 8. 30). - 176 — aux ravages du tems et des barbares, à illustrer la littérature. J’annon^ois alors dans le sein de Plnstitut National et du Corps Législatif, que la France ne vous auroit pas seulement dù des trionphes, et des dépouilles des peuples vaincus. L’histoire en burinant les hauts faits, qui rendront à jamais célébre votre Regne, placera le nom de Napoleon lerau-dessus de celui d’Auguste. « Daignez, Sire, ranger parmi vos Universités celle de Gènes: qu’elle se rélève, et prospère sous la bienfaisance paternelle de V. M.: songez, qu’elle appartient à une des plus fidéles provinces de Votre Empire. « J’ai l’honneur de déposer à vos pieds mes hommages de respect et de dévouement, ainsi que ceux de tous les Professeurs. Scassi, Président de l’Université s. Ma perchè lo Scassi non fosse compreso tra i molti che ebbero riconoscimento dei loro meriti e dell’opera compiuta non appare: forse dispiacque il tono non abbastanza adulatorio. Certo, tra coloro che il 5 giugno, dopo il Te Deum in S. Lorenzo e il giuramento del Cardinale Arcivescovo e dei Vescovi, ebbero dalle mani del Sovrano cospicue onorificenze, della commissione senatoria che era stata a Milano soltanto Scassi, Fravega e Girolamo Cattaneo sono dimenticati, e il perchè non si comprende. Tra feste e visite, l’imperatore, che lasciò Genova la sera del 5, aveva proceduto con la consueta intensa attività, seguito con un’ammirazione non soltanto convenzionale e ufficiosa, a una generale sistemazione del nuovo regime, alla sostituzione di ordinamenti e di persone. Accanto, consigliere e informatore, costantemente Saliceti, ciò che rende anche più strana l’improvvisa oscurità dello Scassi. Partito Napoleone, il Lebrun continuò nel lavoro già avviato di trasformazione e di organizzazione, per lasciar poi ai Prefetti il lavoro ordinario della normale amministrazione. Il nuovo Prefetto di Genova, Bureau du Puzy, proveniente dal Dipartimento del Rodano, nominato durante la dimora imperiale arrivò il 14 agosto e insieme vennero il Nardon a Savona a il Rolland de Villarceaux a Chiavari. Frattanto si era preceduto alla nomina dei maggiori uffici, avendo cura di lasciarvi dei Liguri sotto la suprema direzione dei Prefetti e dei comandanti militari francesi. Così, mentre il Corvetto era elevato a Consigliere di Stato e abbandonava Genova, per ritornarvi solo a morire, (1) e Girolamo Durazzo e Michelangelo Cambiaso (1) «Non sarei degno della mia nuova patria se non amassi sempre meglio l’antica> egli disse partendo; Ruini, pag. 64. - 177 — erano nominati Senatori, Agostino Pareto diveniva maire di Genova e nelle prefetture, accanto ai funzionari francesi, erano posti Giuseppe Crocco, Giuseppe De Ambrosis, Giulio Torre, il Monticelli, già provati negli uffici pubblici. E lo stesso avviene per gli uffici giudiziari e fiscali, per gli aggiunti al Municipio e al Consiglio municipale (1), per i vari comitati, tra i quali è compreso anche un Comitato di vaccina, in cui, col Batt, col Mongiardini, col Pratolongo, entra, naturalmente, Io Scassi (2); e a nome del comitato egli presenta, un anno dopo, al Maire un rapporto sui progressi della vaccina a Pammatone e su gli ottimi risultati ottenuti, mediante l’innesto ai bambini, dai più esperti ed entusiasti vaccinatori, il Marchelli e l’Arata (3). Ritorna così al suo campo naturale di attività dove ha specifica competenza e la sua azione si svolge d’ora innanzi e per molto tempo sul terreno tecnico e dottrinale, nel Comitato di vaccinazione, nella Società di emulazione e neH’Università. A questa aveva anche rivolto l’attenzione l’imperatore, stabilendo, con decreto emanato il 4 luglio, che dovesse essere composta di sei scuole; Giurisprudenza, Medicina, Scienze filosofiche e matematiche, Lingue e letteratura, Scienze commerciali e Farmacia. 11 12 luglio, convocate nella gran sala del Palazzo Ducale tutte le Autorità, i corpi costituiti e la Camera di Commercio, il Lebrum lesse — o piuttosto fece leggere dal segretario Benoit, poiché era fortemente raffreddato — il testo del relativo decreto, preceduto da una relazione. A Genova, diceva, esisteva una moltitudine di istituzioni disperse che non presentavano un sistema organico d’insegnamento; ricca di zelo e di uomini di valore, l’Università languiva eclissata da istituzioni più grandiose, nelle quali erano concentrate sotto, in regime unico, tutte le parti dell’istruzione. I Professori non trovavano nel miserabile trattamento nè la risorsa del presente, nè la speranza delPavvenire. L’Università doveva abbracciare tutte le scienze; si doveva fondare un Liceo di seconda classe per l’istruzione preuniversitaria; la Biblioteca delle Missioni Urbane sarebbe divenuta pubblica biblioteca della città. Rinnovato e rinvigorito l’istituto Nazionale doveva assumere il nome di Accademia Ligure (4). (1) Gazzetta di Genova, agosto-settembre 1805; Clavarino, IV, 173 sgg.. Entrano tra i Consiglieri Domenico De Marini, Gaspare Sauli, Vincenzo Spinola, Antonio Mongiardini, Giacomo Mazzini e così via. Il Mazzini è nominato anche a far parte del comitato di annona, n. 15, 12 settembre, pag. 125; Nicolò Scasso è Ricevitore del Registro e degli Atti civili, n. 8, 3 agosto, pag. 63. (2) Gazzetta di Genova, n. 11,24 agosto, pag. 89. Non entra invece nella Commissione di Sanità, che il Lebrun conferma nella sua attuale composizione, ibid., n. 14, 14 settembre, pag. 118. (3) Gazzetta di Genova, n. 86, 25 ottobre 1806, pag. 341. (4) Gazzetta di Genova, n. 5, 13 luglio, pag. 37. 12 — 178 Secondo i principi dell’accentramento napoleonico, come tutte le istituzioni scolastiche e di coltura, anche l’Università e l’Accademia erano sottoposte nella nomina dei professori e dei membri nell’ordinamento e nella disciplina all’autorità imperiale, che si esplicava per mezzo del Ministro dell’interno. 11 Consiglio di amministrazione delFUniversità era composto del Prefetto, del Presidente della Corte d’Appello e di altri magistrati, del Rettore e di quattro cittadini. Il decreto fissava anche il numero delle cattedre — 4 per il diritto, 8 per la medicina — e gli stipendi (3 mila lire per il Rettore, 1200 per i Professori) con la clausola che in caso di assenza potesse essere detratto sino a un terzo per compensare il supplente. Un regolamento emanato dal’arcicancelliere il 9 novembre stabiliva le norme disciplinari: le lezioni universitarie duravano dal 13 novembre al 7 settembre; ogni professore doveva impartirne almeno 140: la lezione si considerava come perduta se aveva un ritardo di venti minuti e doveva essere sempre scritta (1). Con altro decreto degli stessi giorni il Lebrun procedeva alle nomine: prima, del Consiglio d’amministrazione, chiamandovi, coi membri di diritto, il Pareto come Maire, Pietro Paolo Celesia, Antonio Delarue, Presidente della Camera di Commercio e Ippolito Durazzo e designando a Rettore Nicolò Grillo Cattaneo, scrittore di versi e traduttore di Salmi (2); poi, dei professori. Per la medicina furono confermati il Pratolongo, il Mongiardini, il Viviani, l’Oli-vari e lo Scassi, che continuò nell’insegnamento delle istituzioni mediche e dell’igiene; per la chirurgia Guidetti, Bonomi e Bertamino; Benedetto Mojon e Landò supplenti (3). In sostanza, in questo primo momento, le innovazioni erano tutte disciplinari, esterne e fiscali: l’insegnamento, nei metodi e nelle persone, rimaneva quale era stato ordinato durante la Repubblica (4). Che poi l’Università fosse caduta in un marasma dal quale soltanto la trassero gli sforzi intelligenti del Lebrun è affermazione non corredata di prove, poiché non possono avere molto valore le sperticate lodi a carattere nettamente ufficioso della Gazzetta, che, per esaltare il Lebrun, decantava come merito suo l’ordine degli studi, la disciplinata e crescente frequenza degli alunni, l’intelligenza e l’attività dei professori, che erano appunto quelli di prima, e nei quali l’intelligenza almeno non sarà stata merito dell’arcicancelliere. Persino nelle numerose norme per impedire che esercitasse la medicina chi non aveva (1) Récueil des Lois et Dzcrets relatifs à tUùversité de Gènes, Gènes, 1806, pag. 1 sgg-, 6 sgg., 29; Isnardi-Celesia, Storia dell’Università di Genova, II, 196 sgg. (2) Biografia, in Elogi dei Liguri Illustri, voi. Ili, pag. 255. (3) Récueil ecc., pag. 10; Clavarino, IV, 187; Gazzetta, n. 22, 19 ottobre, pag. 165 e n. 27, 6 novembre, pag. 186. (4) Questo era già stato notato dal Banchero, Genova e le due Riviere, pag. 450. — 179 — fatto un regolare corso di studi universitari e per disciplinare l’esercizio professionale di coloro che erano stati colpiti dalla legge 3 giugno 1805 è continuo il ricorso agli ordinamenti anteriori (1)- Tuttavia non sempre i nuovi sistemi dovevano piacere, ed è probabilmente da ritenere effetto di una opposizione dei professori di medicina, fors anche dello stesso Scassi, che si era visto messo da parte con la trasformazione dell organismo universitario, il decreto 10 febbraio J806 col quale il Lebrun stabiliva che il Rettore potesse assistere quando gli piaceva agli esami della facoltà medica, partecipando a tutti i diritti degli esaminatori e con la facoltà di consegnare i diplomi ai candidati (2). Vengono in mente le bizze che si erano più volte deplorate agli esami di medicina, ma bisogna anche convenire che la presenza di quel traduttore dei salmi davidici doveva parere inopportuna e ingombrante agli esaminatori. Il 20 novembre l’Università fu solennemente aperta con un discorso del Rettore, che non volle lasciar l’occasione di dar prova delle sue virtù poetiche, e presentò insieme un sonetto deH’Arcitesoriere; un altro discorso tenne Ambrogio Laberio, che professava diritto romano comparato col diritto francese. Un motivo ricorreva comune tra le immancabili lodi e le esaltazioni: solo la pace manca a rendere più nobili le scienze; a ricondurla lavora il più grande degli eroi (3). È il motivo che ritorna dominante ed esprime timidamente, nella sola forma possibile, la maggior causa di malcontento e di delusione. Queste cerimonie mostrano anche la profonda trasformazione avvenuta in pochi anni. Quando alla fine del giugno 1805 tutte le autorità erano andate ufficialmente ad assistere alla Messa, la Gazzetta aveva commentato: « pare che sarà così in tutti i giorni festivi »; allo nuova apertura dell’anno scolastico, nel 1806, l’avv. Faustino Qagliuffi, professore di storia e letteratura italiana, pronunciò l’orazione inaugurale sul tema del vincolo che passa tra scienza e religione (4): anche questo entrava nel programma napoleonico. L’incoraggiamento agli studi è innegabile, e lo provano anche i premi in medaglie agli studenti di anatomia e di botanica, istituiti dall’imperatore su parere del Lebrun (5): ma l’Università risentiva del solito accentramento e doveva essere soltanto un’appendice di quella di Francia, sino ad esservi incorporata e assorbita. Nel 1807 si aveva la visita di un ispettore generale (1) Borel, Gènes sous Napoléon, pag. 71; Gazzetta di Genova, 16 aprile 1806; Récueil, pag. 39, 41, 59. (2) Recueil, pag. 42. (3) Gazzetta di Genova, n. 31, 20 nov., pag. 205-6. (4) Gazzetta n. 3, 29 giugno 1805, pag. 27; n. 91, 12 novembre 1806, pag. 361. (5) Borel,[pag. 72. — 180 - degli studi. Lefevre-Gineau, venuto per l’istituzione del Liceo e insieme per riferire su tutta l’istruzione (1), visita che preludeva a più radicali provvedimenti e alla dipendenza sempre più stretta dall’Università francese; perciò nel settembre 1808 Nicolò Grillo Cattaneo « anziché farsi strumento di Napoleone da traviare l’ingegno all’uso di Francia » si dimise (2). In questo momento, il 30 novembre, Onofrio Scassi scriveva ad Antonio Brignole Sale a Parigi perchè il Corvetto si interessasse di lui; dalla risposta del Corvetto si rilevano non soltanto i rapporti di stima e di amicizia dello scienziato genovese con quegli illustri concittadini, ma la sua richiesta che gli fosse resa giustizia; e quell’accenno del Corvetto alla possibilità che il Gran Maestro lo interpellasse, mi fa ritenere che egli aspirasse alla successione del Cattaneo, come a una doverosa reintegrazione. Parigi, 22 Xbre 1808. « Amico carissimo, « Il Sig. Antonio Brignole Sale mi ha rimesso la Car.ma v.tra del 30 p. p- Non ho potuto rispondervi fino a questo momento. Se conosceste il vortice in cui sono avvolto e l’immensità della corrispondenza da cui sono oppresso, compatireste un poco il vostro povero amico. Se il Gran Maestro mi interpellerà, come effettivamente mi ha fatto sperare, cosa potrei farvi di meno che rendervi la giustizia che vi è dovuta? E se non mi interpellerà, perchè non replicherei attivamente gli uffizi che ho già interposti presso di Lui e presso i! mio ottimo collega Mr. Foureroy, le di cui informazioni, comunque esca di carica, vi potranno sempre esser utili? Vi prego di credere che sarà una fortuna per me il potervi dar qualche prova degli antichi miei sentimenti per voi. « Gradite, ve ne prego, i felici auguri che mi sono più particolarmente inspirati dalla circostanza delle prossime feste e della ricorrenza dell’anno nuovo, e credetemi sempre v ro buon amico L. Corvetto (3) (1) Gazzetta di Genova, n. 62, 8 agosto 1807, pag. 259. (2) Elogi di Liguri Illustri, III, 255; Gazzetta di Genova, n. 71, 3 settembre 1808, pag. 291. (3) Autografo in Archivio Sauli. 181 — Se quella fu veramente l’aspirazione dello Scassi, rimase delusa; ma l’opera dell amico potè giovargli perchè poco dopo, appena presentatasi l’occasione, gli fosse dato un compenso. A Rettore infatti fu nominato Girolamo Serra, attratto anche lui, come il Pareto, per necessario adattamento, entro l’orbita dell Impero. Era atto politico mostrar dimenticata l’opposizione e affidare a questi maggiori cittadini le più alte cariche, affatto decorative poiché i poteri e l’amministrazione erano effettivamente accentrati tutti nel governo imperiale. Nel novembre 1809 il Serra fu associato alla Commissione composta dell’illustre naturalista Cuvier, del Coiffier, ispettore generale degli studi, di Prospero Balbo, Rettore dell’Accademia imperiale di Torino, e incaricata dal Gran Maestro deH’Università imperiale di compiere un’ispezione per preparare l’organizzazione definitiva deH’Università, cioè la sua aggregazione a quella di Parigi, con la perdita di ogni autonomia (1). La commissione assistè anche a lezioni e ad esami (2) e nell’accomiatarsi il Cuvier pronunciò un notevole discorso, abile e dignitoso, nel quale, dopo aver accennato all’ordine del Gran Maestro di visitare l’Università « parce qu’il savait que votre situation ne répondait ni à vos talents ni à vos services et qu’il désirait promptement connattre les moyens les plus surs de l’améliorer » affermò che aveva voluto partecipe il Rettore perchè l’indagine fosse più sicura, ed espresse la propria soddisfazione e la speranza di sorti sempre migliori nell’unificazione di tutti gli istituti scolastici e delle loro risorse, che era nei propositi dell’ Imperatore. « Création de ce mème génie, par qui nous avons vu renaìtre en quelques années ces prodiges que Rome n’exécuta qu’en plusieurs siècles, l’université imperiale a pour but de multiplier les forces de l’esprit en les faisant concourir à la mème fin, comme tant d’autres institutions politiques multiplient la force de l'Etat en les animant toutes d’une seule volonté ». Questa unità, aggiunge accorta-mente lo scienziato, non vuol significare sottomissione della scienza italiana alla francese. I Francesi non dimenticano che gl’italiani furono i loro maestri; le scuole donde uscirono il Tasso e Galileo saranno unite a quelle che hanno dato Pascal e Racine; i maestri avranno eguali lavori ed eguali ricompense; comunione di attività e di onori ci sarà anche tra gli alunni; le idee ristrette, i pregiudizi nazionali, ostacoli invincibili allo sviluppo della coltura, saranno banditi daH’insegnamento; sotto la guida di una religione santa e universale, non si guarderà che al benessere generale degli uomini. È insomma il pro- (1) Gazzetta di Genova, n. 90, 11 nov. 1809, pag. 462. (2) Il Cuvier si recò più volte a udire le lezioni dello Scassi dichiarandosene ammirato; Gazzetta di Genova, n. 66, 17 agosto 1836. - 182 - gramma dell’impero universale applicato anche alla scienza e alla coltura, lo spirito di umanità al servizio della costruzione politica napoleonica, sino a rinnegare « i pregiudizi nazionali »: quelli degli altri, s’intende. Un caloroso saluto al Rettore chiudeva l’abile e accorto discorso: il Serra rispose alcune parole convenzionali di ringraziamento e di saluto; accennò alle condizioni difficili dell’Università e all’aiuto che una mano paterna veniva a porgerle; ma che veramente il discorso udito soddisfacesse tutti i suoi voti, come diceva, è lecito dubitare (1). I provvedimenti definitivi si fecero attendere un anno : il 3 novembre 1810 il Serra convocava tutti i professori per comunicar loro gli ordini del Gran Maestro dell’Università imperiale, gli statuti deH’Accademia, come ora si chiamava, e le nomine alle diverse cattedre delle quattro facoltà di diritto, medicina, scienze e lettere, in cui era divisa. « M. le Recteur a prononcé un discours intéressant et analogue a cet événement » diceva la Gazzetta (2). 11 corpo professorale rimaneva immutato con qualche aggiunta, come Biamon-ti e Ardizzoni nella facoltà legale, e con accresciuto numero di supplenti. Con atto di giustizia, a Guglielmo Batt si dava il titolo di professore onorario e posto e decorazione come se fosse in attività di servizio: riconoscimento delle sue benemerenze verso l'Università e della costante opera di scienziato e di filantropo. Nella facoltà medica G. B. Pratolongo rimaneva alla cattedra di anatomia e fisiologia, il Viviani alla botanica, Luigi De Ferrari alla chimica, il Mongiardini alla materia medica e alla medicina legale, lo Scassi all igiene e alla patologia, l’Olivari alla clinica interna, il Bonomi alla chirurgia e ostetricia, Giuseppe Guidetti alla clinica esterna, Giuseppe Mojon alla chimica farmaceutica. Il Pratolongo era poi designato decano per tre anni, col Viviani a segretario (3). Pochi giorni dopo il Pratolongo moriva colpito da apoplessia e Onofrio Scassi era chiamato a succedergli, mentre a Benedetto Mojon era conferita la cattedra di anatomia e fisiologia (4). Lo Scassi riacquistava così la preminenza su tutti i suoi colleghi di facoltà (5): e in questa condizione lo trovò l’annessione al Piemonte. (i) I discorsi in Gazzetta di Genova, n. 95, 29 novembre 1809, pag. 381 sgg. Quello del Cuvier è integralmente riportato dal Borel, pag. 96 sgg. , . " ^erra ne' suo discorso nominò con lode i maggiori uomini che onoravano I Università, ma non fece il nome di Scassi: piccolo ripicco, forse, per le aspirazioni di lui alla carica di rettore? (3) Gazzetta, n. 88, 3 novembre 1810, pag. 347-8; n. 89, 10 novembre, pag. 351-52 (discorso Serra); Isnardi-Celesia, 11, pag. 231-2, con la data errata 1809. (4) Gazzetta, n. 92, 17 nov. 1810, pag. 366,19 gennaio 1811, p. 22. (5) < Le Recteur de I’Académie de Gènes, Officier de la Légion d’Honneur à Monsieur Scassi Professeur d’Higiéne et de Phathologie, Doyen de la Faculté de Médicine. Monsieur. J’ai l’honneur de vous adresser une ampliation de l’article de l’Arrété de S. E. le Grand Maitre de l’Université Impériale, par le quel vous avez été nommé Doyen de - 183 - Anche questa volta non si era trattato di una profonda riforma organica nella costituzione e negli insegnamenti della facoltà, ma piuttosto di una sistemazione e di un ampliamento di ciò che già esisteva, cosicché hanno il solito carattere della denigrazione del passato per l’esaltazione del presente le parole deH’Annuario statistico 1813: « Autrefois l’insegnament public confié aux membres de l’Academie de Gènes ne consistait qu’en quelques cours de latinité, une chaire de droit, une classe de philosophie, une de mathematique trascendentale et une école de théologie » (1); dove è affatto dimenticata la medicina, che rimase immutata nelle cattedre e nell’ordinamento avuto in gran parte per opera di Onofrio Scassi. L’opera organizzatrice napoleonica, oltre che all’Università, si volse anche alle altre scuole. Fin dal 1805 era stata stabilita l’istituzione di un Liceo di seconda classe, con annesso collegio, che assorbì i collegi preesistenti, come quello dei Soldatini, e le fondazioni Invrea, Soleri e Durazzo: dapprima gli fu assegnato come locale il monastero dello Spirito Santo, poi fu trasportato a Carignano e finalmente nel 1811 nel Monastero dei Minori Osservanti alla Nunziata, dove fu stabilmente ordinato e cominciò a funzionare regolarmente. Per aver parlato nel civico consiglio contro quel trasporto e quella destinazione del convento, Nicolò Grillo Cattaneo fu mandato in esilio in Francia (2). Notevole è anche il proposito, che non sembra aver avuto attuazione, di aggregare all’Università una scuola normale per la preparazione degli insegnanti. La scuola, gratuita, doveva avere la durata di due anni; trattenen-dovisi di più, gli allievi assumevano le funzioni di ripetitori e si impegnavano in ogni caso di rimanere almeno dieci anni nell’insegnamento (3). Uomo colto e poeta, il Lebrun, che, dopo la nomina dei Prefetti nei tre dipartimenti, era rimasto qualche mese in Liguria come comandante della 28’ Divisione, mostrò di volersi occupare non solo degli ordinamenti amministrativi ed economici, ma di tutto quanto si riferisse agli istituti di beneficenza e di coltura e anche alle memorie del passato (4). Così fa- la Faculté de Médicine en remplacement de M. Pratolongo, decedè. Agréez, Monsieur le Doyen, l’assurance de ma considération trés distinguée. Gènes, le 15 janvier 1811. Serra >. Unita a questa comunicazione è la copia del decreto del Gran Maestro De Fontanes, in data 13 novembre 1810; Archivio Sauli. (1) Annuaire statistique du département de Gènes pour l’an 1813, A Gènes, de I’impri-merie de la Gazzette, pag. 36. (2) Gazzetta di Genova, n. 99, 16 dicembre 1807, pag. 407; 31 luglio 1811, p. 247; 29 febbraio e 15 aprile 1812, pag. 68 e 124; Borel, 95; Elogi di Liguri Illustri, III, 256. (3) Gazzetta, n. 41, 23 maggio 1810, pag. 161. (4) Borel, pag. 74 sgg. Chiese nel febbraio 1806 di essere richiamato; Napoleone lo invitò a rimanere ancora qualche mese, partì infatti nel maggio, Ibid., pag. 74 e 218; Gazzetta 22 febbraio 1806, pag. 61; G. Roberti, L'Arcitesoriere Lebrum a Genova, Giornale ligustico, 1905, pag. 339. - 184 - vorì la scuola dei Sordo-Muti, fondata dal benemerito P. Assarotti delle Scuole Pie, protetta anche da Napoleone e servita di esempio alle altre del genere (1). Nominò poi una commissione (Agostino Pareto, Girolamo Serra, Pietro Paolo Celesia, Cottardo Solari, Agostino Maglione) incaricata di raccogliere nomi, statue, ritratti, ricordi di ogni sorta degli uomini illustri di Genova e di comporre iscrizioni sui fatti principali, da collocarsi nel palazzo già del Governo e nei luoghi più cospicui. Per sua cura dovevano essere restaurate le statue di Andrea Doria e del Maresciallo Richelieu, secondo l’ordine lasciato da Napoleone (2). Quale sia stata l’opera di questa commissione non risulta, ma era un po’ strano e amaro che si pensasse a onorare nei suoi maggiori eventi la morta repubblica proprio da chi ne aveva voluto la fine e che fossero chiamati a un tale lavoro uomini come il Serra e il Pareto, che all’annessione erano stati avversi. Tanto più poi che proprio in quei giorni il Lebrun ordinava che gli atti del cessato governo « qui concernent Padministration général et les intérèts politiques de la cidevant Republique Ligurienne, seront remis aux archives de PEmpire » (3), principio di quella spogliazione che dopo la visita di Salvestro De Sacy agli Archivi genovesi nel 1808 e nel 1812 e per ordine diretto di Napoleone (4) portò a Parigi il codice originario di Caffaro, i Libri lurium e una cospicua raccolta di documenti preziosi, soltanto in piccola parte restituiti dopo il 1814 (5). Ed è noto che, come i codici e i documenti, anche numerosi quadri presero la via di Parigi. La lettera del Prefetto che annunciava al Maire la decisione imperiale è un capolavoro di improntitudine offensiva. Comunicato che molte opere sono state ritenute degne di ornare il Museo Napoleone a Parigi e di esser collocate accanto ai capolavori dei più celebri maestri, il Prefetto avverte che la città avrà in cambio un ritratto di Sua Maestà Imperiale e Reale. « Je suis autorisé à lui annoncer cette haute faveur et c’est avec un plaisir tout (1) Borel, pag. 95 e Gazzetta di Genova, Giugno 1916, pag. 4; V. necrologio del P. Assarotti in Gazzetta, 1829, pag. 8 e 16, le storie già ricordate del Drago e del Monaci e G. B. Marchisio, Umili glorie genovesi: il P. G. B. Ottavio Assarotti, Genova, 1923. (2) Gazzetta di Genova, suppl. al n. 8, 7 agosto 1805, pag. 68. (3) Archivio di Stato, Genova, Elenchi delle carte trasportate a Parigi e ritorno loro, mazzo XVI, num. gen. 326. (41 De Sacv, Rapport sur les recherches faites dans les archives du Gouvernement et autres dépòts publics de Gènes, in Histoire et Mémoires de l’Institut Royal de France, classe d’Histoire et de Littérature ancienne, t. Ili, Paris, 1816, pag. 86; Correspondance de Napoléon, XVI, n. 13692; anche in Borel, pag. 221. (5) V. su questo la prefazione del Belorano agli Annali Genovesi, ediz. Istituto Stor. Ital., voi. I, Roma, 1890, pag. XLII sgg.; Vitale, Intorno ai Libri lurium, Gior. Stor. Letter. della Liguria, 1927, pag. 135 sgg. Sugli oggetti restituiti e tornati da Torino nel 1816, v. Gazzetta di Genova, aprile-giugno 1816, pag. 133,141, 189. — 185 — particulier, Mr le Maire, que je m’aquitte de cette agréable commission » (1). Burlone il Prefetto; ma chi riceveva così fatte comunicazioni doveva restare con la bocca amara. Lunga corrispondenza ci fu poi per un altro quadro, raffigurante la cessione della Liguria all’impero opera di Michele Rago, pittore genovese a Parigi, che doveva essere ritirato dallo Schiaffino della direzione generale della stampa e libreria, probabilmente il genero di Corvetto (2). Anche l’istituto Nazionale fu trasformato: già quell’attributo non andava più e doveva sparire. L’articolo 34 della legge 4 luglio sull’Università aveva provveduto appunto al mutamento del nome. La prima seduta di cui rimanga il verbale dopo la trasformazione politica ebbe luogo l’il dicembre 1805, presidente il Pareto. Ma ce ne dovette essere un’altra, nella quale si comunicò l’invito dell’Arcitesoriere a nominare una commissione per il nuovo regolamento dell’istituto, da chiamarsi, secondo la volontà imperiale, Accademia di Scienze, Lettere ed Arti. La commissione fu costituita dal Pareto, dal Mongiardini, dallo Sconnio, ai quali il Lebrun aggiunse Girolamo Serra e Cottardo Solari. Nella seduta del dicembre fu discusso il regolamento che divideva i 72 membri dell’Accademia in due classi, di scienze fisiche e matematiche, di letteratura e belle arti: i medici furono ascritti alla prima (3). L’11 dicembre fu anche nominata una commissione che doveva presentare entro quindici giorni sei temi da mettere a concorso- Alla seduta e alla discussione partecipò lo Scassi, che per un voto non entrò nella commissione (4). Nella stessa seduta si procedette alla elezione di tre nuovi accademici ai posti vacanti. Furono designati Girolamo Serra, che ormai vi apparteneva di fatto se non di diritto, Nicolò Grillo Cattaneo e il P. Giuseppe Solari, professore di lingua e letteratura latina e greca all’Università; e nella successiva adunanza del 21 dicembre fu comunicata l’approvazione del Lebrun (5\ A questa seguì ancora una riunione il 4 gennaio 1806, in cui furono discussi e votati i temi proposti. Con essa cessò la vita del vecchio Istituto, che non aveva mai potuto pubblicare le sue Memorie; per gli aiuti del Governo soltanto nel 1806 era stampato il primo volume con (1) Collezione di Appunti e Documenti storici, Mss. Bibl. Univ., voi. 21, c. 285. Cfr. Le spoglie della Liguria a Parigi nel secolo XIX, in Giornale degli Studiosi, 1869, n. 25; M. Labò, Depredazioni napoleoniche in Liguria, in Gazzetta di Genova, agosto 1921. (2) Archivio del Comune di Genova, Registro Corrispondenza 1814-15, febbraio 1814, n. 89, 92, 175 ecc. (3) Projet d’un Reglement pour UAccadèmie de Gènes à S. A. VArchitre'sorier de VEmpire, Gènes, 1806. (4) Processi Verbali dell’istituto Nazionale, Ms. Bibl. Univ. di Genova, F. V. 21, c. 95. (5) Ibid., c. 97; Gazzetta di Genova, n. 41, 24 dicembre 1805, pag. 245. — 186 un'ampia introduzione e con la storia dei lavori dovuta a Paolo Sconnio (1). Delle sedute deM’Accademia non rimane, almeno non mi è stato possibile trovare, il registro dei verbali e le notizie si ricavano soltanto dalla relazione premessa dallo Sconnio al secondo volume delle Memorie (2) e da frequenti accenni della Gazzetta. L’inaugurazione avvenne il 23 gennaio in forma solenne e ufficiale con l’intervento del Lebrun (3), e Cottardo Solari vi lesse l’orazione inaugurale sul tema che non basta esser dotti ma bisogna ancora esser savi. Ovvio argomento, ma che aveva una portata precisa nel motivo allora tanto comune degli eccessi dell’età rivoluzionaria e della necessità dell’ordine e della saggezza; contrapposto che, condannando il recente tumultuoso passato, giustificava ed esaltava il presente. E Cottardo Solari, deplorando gli errori e le esagerazioni rivoluzionarie, doveva pensare a se stesso e ricordare che, indulgendo alle teoriche del momento, anch’egli aveva scritto, e letto appunto all’istituto, un suo Catechismo del Cittadino (4). I lavori delPAccademia, per dichiarazione dello stesso segretario, non poterono essere nè continui nè organici, ma i due volumi di Memorie pubblicati nel 1809 e nel 1814 attestano una notevole attività e contengono studi di vario genere, che, se hanno allo stato attuale della scienza un valore puramente storico, non erano allora privi di importanza. Tali, per tacere delle scienze esatte e dei numerosi lavori di medicina, gli studi del Serra sulla patria di Colombo, sulle monete antiche di Genova, sulla tavola della Polcevera; del Marrè sulle tre Meropi; del Carrega su Tacito; le indagini del Pareto sul commercio e le colonie dei Genovesi, e altre non poche. Anche i cenni necrologici offrono interessanti notizie: l’elogio di Pietro Paolo Celesia fatto da Agostino Bianchi rivela una figura di diplomatico e di politico, amico dei maggiori filosofi, ambasciatore a Londra e a Madrid, consigliere sagace e inascoltato del governo aristocratico, che meriterebbe di essere richiamata dall’oblio (5)- (1) Memorie dell’istituto Ligure, Genova, Stamperia dell’istituto, 1806. La relazione Sconnio comprende le pag. 1-86. La Gazzetta dava l’annuncio di questa pubblicazione il 31 gennaio 1807 nel n. 9, pag. 33. Un discorso sui lavori dell’istituto Ligure aveva tenuto all’istituto stesso e pubblicato nel 1802 l’ab. Francesco Carrega. (2) Memorie dell’Accademia Imperiale, Genova, 1809, voi. II, pag. Ili sgg. (3) Gazzetta di Genova, 29 gennaio 1806, pag. 33. Il Lebrun visitò nuovamente l’Ac-cademia nel maggio; ibid., 3 maggio, pag. 141. (4) Memorie dell’istituto Ligure, voi. I, pag. 52 sgg. Nel 1801 il Solari era stato nominato dalla Commissione di governo istoriografo della Repubblica, con l’assegno di L. 1000, per continuare gli zinnali, specialmente della rivoluzione. Arch. di Stato, Sala 50, n. 98, Decreti della Commissione di Governo, 18 ottobre 1801. (5) Memorie deWAccademia, voi. II, pag. 138 sgg. Necrologio in Gazzetta di Genova, 1806, pag. 37; notizie in Grillo, Abbozzo di un calendario storico della Liguria, pag. 19 segg.; Atti della Società Ligure di Storia Patria, voi. XLVI, fase. I, pag. LXVIII segg. Molte lettere — 187 — La presidenza dell’Accademia si rinnovava annualmente e nel 1807 la classe di scienze elesse Onofrio Scassi, che ai lavori dell’associazione prendeva pai te continua e importante. Il 30 giugno egli presiedette nella sala di S. Filippo la solenne seduta annuale, presenti le autorità, molti dotti e la gioventù studiosa, e nel discorso introduttivo trattò dei vantaggi che le scienze arrecano in pace e in guerra, con frequenti allusioni alle vittorie impellali nella recente campagna di Germania. Dopo la relazione del segretario sulle memorie presentate per l’inserzione negli atti, il prof. Lavaggiorosso parlò dei prodotti fossili della Liguria e il P. Bernardo Laviosa lesse un capitolo suH’amor filiale (1). Nel 1808 la presidenza delle due classi fu tenuta rispettivamente dal dott. Serravalle e dall’ab. Carrega. L’anno successivo I Accademia partecipò largamente alla festa di S. Napoleone, assistendo al Tedeum nella chiesa di S. Girolamo e fornendo larga messe di composizioni e improvvisazioni poetiche alla celebrazione, così nel pranzo che il Rettore offrì ai professori e agli altri accademici, come all’adunanza solenne ove I ab. Sconnio tenne un discorso sui grandi cambiamenti avvenuti in Europa e sull’influenza chele istituzioni create dal genio napoleonico avevano sull’istruzione e sulla felicità del genere umano (2). L’adunanza ordinaria fu tenuta in quell’anno il 31 dicembre e dopo la relazione del segretario ab. Carrega, furono lette memorie del Pratolongo sul meccanismo dell’udito e di Girolamo Serra sulla disposizione dei rematori e dei remi nelle navi antiche e medioevali, oltre a uno squarcio di traduzione da Tacito del Marrè (3). Nel 1810 ebbe luogo almeno un’adunanza, il 6 giugno, nella quale lo Scassi lesse la relazione di un caso clinico « Storia di una paralisi curata con 1 ambra grigia » inserita poi integralmente nelle Memorie (4), e finalmente la seduta del 5 aprile 1812, dopo l’elogio del P. Laviosa, fu tutta occupata da comunicazioni di materia storica. Agostino Pareto vi lesse alcune considerazioni sulle ricchezze e il commercio degli antichi genovesi e un De Giorgi, Consigliere della corte imperiale, una dissertazione sul concorso prestato dai Genovesi all’edificazione di Alessandria (5). Una importante comunicazione in questi anni, della quale manca la inedite del Celesia a Ferdinando Galiani sono conservate alla Società Napoletana di Storia Patria, v. Archivio Storico Napoletano, XXXIII, 1908, pag. 187 e molte altre avari corrispondenti nel Museo del Risorgimento di Genova. (1) Gazzetta di Genova, 1 luglio, pag. 209. Sul Laviosa, nato a Palermo nel 1777 e morto a Genova nel 1810, un elegio di Cottardo Solari nel III voi. delle Memorie, Pag. V sgg. (2) Gazzetta, 2 marzo 1808, pag. 75; 16 agosto 1809, pag. 262. (3) Gazzetta di Genova, 3 gennaio 1810, pag. 1. (4) Memorie dell’Accademia, voi. Ili, pag. 254-260. (5) Gazzetta di Genova, 8 aprile 1812, pag. 114 e 122. — 188 — data precisa, ma che va posta tra il 1806 e il 1809, fece lo Scassi all’Accademia, ritornando sopra un argomento che gli era caro e sul quale si era anche trattenuto come Provveditore, la proposta cioè di un magistrato medico che curasse l’igiene, per la quale egli può essere considerato come un precursore degli odierni uffici d’igiene. La memoria, non integralmente riportata ma largamente riassunta nella prefazione dell’abate Sconnio, contrappone alla medicina curatrice, « che colla benda agli occhi muove incerta i suoi passi appoggiata sempre sul debole bastone delle congetture e si addottrina, come diceva Plinio, dalle morti stesse e dai pericolosi istru-menti », la preservatrice, ricca di tanti lumi e corredata di tante osservazioni. Gravi danni, egli pensa, deriva dalla mancanza di un Magistrato Medico « il quale armato della pubblica Autorità inteso sia principalmente a distruggere le cause che generar possono morbi epidemici ». Non basta, aggiunge pensando evidentemente al Magistrato di Sanità, che ci sia un magistrato il quale abbia cura di preservare la nazione dai mali contagiosi che possono venirle di fuori e che vigili sui commestibili; non basta, perchè i germi di malattie anche epidemiche non sempre sono importati dall’esterno: e ne adduce esempi storici numerosi e significativi. È necessario che si provveda a evitare le cause interne e il diffondersi delle malattie nei luoghi ove si raccoglie molta gente; è necessaria la vigilanza sugli alimenti e le bevande: occorrerebbe persino regolare in rapporto alla salute il moto, la quiete, le passioni. Ma qui, naturalmente, il magistrato medico vedrebbe inceppata la sua azione. Come prescrivere a ciascuno il moto proporzionato alla quiete e determinarne la quantità secondo l’età e la diversa costituzione ? Come regolare le passioni che si celano all’altrui sguardo e penetrazione e sono insofferenti di freno? Ma se la pubblica autorità, poiché l’uomo non vuol essere governato nè troppo nè troppo poco, non può estendersi su tutto quello che si richiede a conservare la sanità, nelle sue mani è la direzione delle cause esterne che contribuiscono ad alterarla. Diminuisca le veglie troppo prolungate, allontani le cause che tengono in penosa agitazione le popolazioni, regoli le cose in modo che i cittadini abbiano a provare piuttosto sensazioni grate che moleste. Tutti rimedi, come si vede, che peccano di ingenua generica astrattezza: ci si sente l’uomo formatosi al pensiero settecentesco. E anche a proposito di un argomento ancor più grave, « la popolazione, nerbo degli Stati e prima cura d’ogni savio governo », nel proporre l’intervento dello Stato nei matrimoni dal punto di vista dell’igiene, appare piuttosto continuatore delle dottrine ottimistiche e illuministiche del secolo XVIII anziché precursore dell’eugenetica moderna. « Non v’ha dubbio — riconosce — che la delicata incombenza di regolare i matrimoni e dirigerli al pieno — 189 - conseguimento del fine primario a cui mirano, incontrerebbe nella sua esecuzione non poche difficoltà. Qui principalmente eserciti il magistrato medico la sua vigilanza ». Ma come debba risolversi praticamente l’arduo problema non dice. Più concreto, naturalmente, sopra un altro di più facile soluzione e sul quale egli ha una preparazione specifica che è sempre suo vanto: la vaccinazione dei giovani. Come il contadino rivolge tutta la sua attenzione alle giovani piante, così il Magistrato invigili le nascenti generazioni curandone la fisica educazione, sopra tutto mirando a distruggere il germe della maligna infezione tanto fatale all’età puerile. « Una legge armata di sanzione sottometta i fanciulli alla vaccinazione e sforzi il pregiudizio ostinato ad aprire gli occhi alla luce viva della costante sperienza, ed a partecipare suo malgrado de’ vantaggi che l’umanità ritragge da una scoperta onde si onora l’Inghilterra, nonché il secol nostro » (1). E per questa parte egli doveva vedere, direttamente contribuendovi, soddisfatto il suo desiderio. Tornava così in questi anni, non distratto da altre cure (2), alla sua attività più tipica, scientifica e professionale; e il valore di scienziato e di professionista dotto e coscienzioso, come gli forniva cospicui redditi materiali, così gli procurava onori e distinzioni aH’Università, all’Accademia, alla Società di Emulazione, nel Comitato di vaccinazione. Presidente della Società di Emulazione nel 1805, ne apriva i lavori dell’ultimo quadrimestre, avvenuto il grande mutamento politico, col discorso nel quale riprendeva un argomento favorito, chiedendosi quali vantaggi la Società non avrebbe potuto ripromettersi dalla protezione di « un Sovrano benefico che nei tempi più difficili in mezzo alle vicende e ai rumori delle guerre dimostrò la massima parzialità per le arti e per le scienze e in ogni modo ne volle l’illustrazione e i progressi ». E negli Atti della Società inseriva la Memoria Dell’uso del Mudato di Barite nei mali scrofolosi, che è uno dei suoi più ampi lavori, pubblicato poi a parte (3). È noto che la Società sopravvisse sino al 1814, ma della sua attività non è più notizia, e il fascicolo delle Memorie contenente lo studio dello Scassi è l’ultimo pubblicato. Altre Accademie sorgevano frattanto e attiravano maggiormente l’attenzione interessando un più largo pubblico, come la Colonia Ligure dell’Ac-cademia italiana riunitasi la prima volta il 20 agosto 1810 nel Palazzo Brignole in Via Nuova, che assunse poi il nome di Società Italiana di Scienze Lettere (1) Memorie dell’Accademia, voi. II, pag. XII-XVI. (2) Appartenne però al Consiglio generale del Dipartimento, Commissione per le imposte che si riuniva soltanto una volta all’anno; Annaaire statistique du Dèpartiment de Gènes pour l’an 1813, pag. 80. (3) Memorie della Società Medica di Emulaziome, t. IV, Genova, 1809, pag. IV e pag. 1 sgg.; Dissertazione sull’uso dd Mudato di Barite, Genova, Giossi, 1809, in 8°, pp. 113: una copia si trova alla Civica Biblioteca' Berio. / / - 190 - e Arti e accolse, con Gian Carlo Di Negro, Gian Carlo Brignole, Giacomo Spinola, Felice Romani, che vi lesse odi sulla nascita e sulla statua di Napoleone, anche colte dame come Marina Centurione Spinola e la celebre Contessa Anna Brignole Sale, appunto allora nominata dama di palazzo deH’lmperatrice (1). Anche a questa Accademia, sebbene principalmente poetica, lo Scassi partecipò come socio onorario, ma non appare prendesse parte ai lavori (2). Inoltre in quegli anni la facoltà medico-chirurgica del Principato di Lucca e di Piombino lo designava a suo socio corrispondente, lusingandosi che « non mancherete di concorrere coi vostri lumi al di Lei maggior lustro e decoro, mettendola a parte di tutto ciò, che può avere un qualche rapporto coi progressi della Scienza Medico-Chirurgica, di cui voi siete uno dei principali ornamenti » (3). Maggiori onori gli venivano da Napoli per opera del suo amico Saliceti divenuto Ministro di Polizia di Gioacchino Murat. Nominato dapprima membro associato dell’istituto di Napoli, gli fu poi conferita l’onorificenza di cavaliere dell’Ordine delle Due Sicilie. Prima di pubblicare in volume lo scritto sul Muriato di Barite chiese di poterlo dedicare al Re di Napoli e mandò al Saliceti una bozza di lettera dedicatoria. Il Ministro rispose con questa lettera ufficiale: « Je vous renvoie, Monsieur, votre projet de Lettre Dedicatoire qui doit préceder votre ouvrage sur le Muriat de Barite. Vous pouvez le faire imprimer telle qu’elle se trouve, il a été inutile d’y faire aucun changement- Lorsque votre ouvrage sera imprimé vous m’en enverrez un exemplaire que je m’empresserai de présenter en votre nom à S. M. Je crois vous pouvoir assurer d’avance que le Roi, qui vous connait déjà sous des rapports avan-tageus lira votre dissertation avec interèt. En mon particulier je serai toujours charmé de pouvoir vous donner des preuves de mon estime et de mon attachement » (4). Poco dopo, ricevuto il libro per sè e per il Re, Saliceti torna a scrivere, ma questa volta in forma amichevole: « Naples, 18 aout 1809. J’ai re^u, mon cher Scassi, votre lettre et les (1) Gazzetta di Genova, 1810, pag. 265, 268, 290, 315. (2) Annuaire statistique du Départiment de Gènes pour l’an 1811, Gènes, Imprimerle de la Gazette, pag. 223; Annuario per il 1813, pag. 166. Qui, come in tutti gli Annuari di questi anni (di cui si conserva copia nella Biblioteca della Società Ligure di Storia Patria, B. 8. 3), sono indicate le altre cariche dello Scassi all’Accademia, all’Università, alla Società di Emulazione, al Comitato di vaccina. (3) Diploma in data 7 dicembre 1807, in Archivio Sauli. (4) Le Ministre de la Police générale à Monsieur le Medecin Scassi, 3 jullet 1809. La lettera con firma autografa di Saliceti porta in un canto la frase: Mariani salue l’ami Scassi. E un altro córso stato a Genova con Saliceti e divenuto funzionario del governo di Napoli, ) A; - 191 — livres qui y étaient joints : je me suis empressé de présenter au Roi ceux qui lui étaient destinés, et S. M. a daigné les agréer avec bienveillance. Je suis cliarmé d’avoir pu vous étre bon à quelque chose dans cette occasion, et je saisirai toujours avec plaisir, celles ou je vous pourrai vous obliger. Rece-vez avec cette assurance, mon cher Scassi, celle des sentiments que je vous ai voué. Saliceti » (i). Conseguenza di questa offerta fu la nomina dello Scassi a cavaliere dell’Ordine delle Due Sicilie, con decreto del Murat in data 20 novembre 1809, comunicato con lettera del 23 dal Gran Cancelliere delPOrdine. Nel decreto è detto appunto che l’onorificenza è conferita al « signor Scassi dell’ Università di Genova e membro associato all’istituto di Napoli » (2). Così lo scienziato cresceva in considerazione anche tra i suoi concittadini e aveva nelle varie cariche coperte il premio del suo lavoro e della sua attività. Gran parte della quale era sempre rivolta alla vaccinazione per cui aveva un interessamento che si potrebbe dire paterno. Il Comitato di vaccina nominato nel 1805 dal Lebrun e del quale egli fece parte col suo amico e maestro Batt e coi colleghi Mongiardini e Pratolongo, presentò nell’ottobre 1806 un primo rapporto al Maire sui progressi della vaccinazione a Pammatone: sessanta bambini erano stati vaccinati dai dottori Marchelli e Arata (3): soddisfacenti risultati se si tien conto degli ostacoli, delle inveterate abitudini e dei timori contro i quali bisognava combattere. Anche più ottimistica la relazione del 1807, la quale, dallo stile, appare pure di mano dello Scassi. Una grave recrudescenza dell’epidemia vaiolosa nell’estate 1807 con l’esperienza efficace dell’immunità dei vaccinati aveva diminuito le prevenzioni ed esercitato un’utile propaganda. Cosicché il Comitato annunciava con piacere che, diminuendo i pregiudizi, « il numero dei vaccinandi che si presenta va crescendo di giorno in giorno, e ciò che più interessa si è che questa preziosa pratica vada acquistando credito anche ne’ piccoli paesi e nelle comuni di campagna; infatti de’ 158 vaccinati in questo trimestre gran parte sono ragazzi di Arenzano, Voltri, Polcevera, portati nell’ospizio di vaccinazione dell’ospedale dai loro parenti per sottrarli al pericolo del vaiuolo che ha in quest’anno specialmente infierito in molti comuni. Il Comitato ha pure il piacere di annunciare che ai nostri vaccinatori sono state fatte (Fiorini-Lemmi, pag. 935), o piuttosto Mariano Mariani che si riscontra spesso negli atti della Repubblica Ligure ove ebbe anche uffici diplomatici e che poteva esser andato a Napoli come Maghella, Cuneo ed altri? (1) Le due lettere Saliceti in Archivio Sauli. (2) La lettera e la copia del decreto sono egualmente nell’Archivio Sauli. (3) Gazzetta di Genova, 25 ottobre 1806, pag. 341. Sul principio del 1805 la pratica dell’innesto vaccinico si lamentava quasi abbandonata; ibid. 26 gennaio, pag. 33. — 192 — molte ricerche di umore vaccino e che da esso ne è stato somministrato a molti professori della città e che ne hanno spedito nei vicini Dipartimenti di Mon-tenotte e degli Apennini e fino all’estero, così a Roma e a Firenze. Gli amici dell’umanità e del loro paese erano veramente disgustati nel vedere il poco profitto che si traeva da questa preziosa scoperta in una città che ha avuto il vantaggio e la gloria di essere la prima in Italia ad adottarlo ». E perchè non fosse dimenticato, una nota aggiungeva: « Fu il Dottor Scassi professore di medicina in questa Università ed altro de’ Presidenti della nostra Accademia delle Scienze che ha avuto l’onore di essere il primo a introdurre la vaccinazione in Genova, di dove si è diffusa in Italia » (1). La vecchia affermazione era così ribadita con piena sicurezza. Altre relazioni la Commissione presentò negli anni successivi — nel 1810 fu relatore Benedetto Mojon — mentre si cominciavano a compilare precisi dati statistici a cura del dott. Ceppi e la pratica della vaccinazione, favorita dalle autorità centrali e locali, e specialmente dal Prefetto Bourdon de Vatry, benemerito presidente del Comitato, si andava sempre più estendendo e si facevano persino esperimenti pubblici e ufficiali — in uno di questi nel 1813 il Mojon, dopo aver tenuto un discorso, si innestò lui stesso per la seconda volta — i medici si prestavano volenterosi alle gratuite inoculazioni all’ospedale e, coronando un desiderio espresso anche dallo Scassi, il Rettore dell’Università stabiliva nel 1810 che nessun allievo fosse ammesso ad alcuna scuola se non vaccinato (2). La vaccinazione trionfava: era il momento in cui il Ponta la cantava nel poema, dedicato anch’esso a Gioacchino Murat, nel quale lo Scassi era riconfermato come il primo vaccinatore italiano. Il pioniero poteva così esser contento dell’opera propria riconosciuta e apprezzata, e più dei risultati dell’applicazione di un principio nel quale aveva creduto con fede tenace. E ne ritraeva una cospicua dimostrazione d’onore. « La vaccina — scriveva la Gazzetta nel dicembre 1811 — ha assicurato il suo trionfo nel momento in cui l’augusto Capo dell’Impero francese commise alla sua felice influenza il primogenito dei Cesari, il Re di Roma: quest’epoca memorabile fu ritenuta adatta all’esecuzione di un progetto a lungo meditato, al quale S. M. Imperatrice e Regina ha dato la sua approvazione sottoscrivendo per prima. Il sig. Mansaldi, incisore di Parigi, si propone di pubblicare per il 1° marzo prossimo il ritratto di Ienner, inventore della vaccinazione, di La Rochefaucauld Liancourt, il primo che abbia fatto conoscere in Francia questa grande sco- (1) Gazzetta di Genova, 10 e 17 ottobre 1807, pag. 331, 338. (2) Borel, pag. 45; Gazzetta di Genova, 12 e 22 settembre 1810, pag. 287, 299; 18 maggio e 10 agosto 1811, pag. 166, 259; luglio-agosto 1813, pag. 211, 215, 239, 249, 283. — 193 pr! r ' "V S'g’’ C*°^- Scassi, S'à Senatore in Genova, cavaliere del-■ r "m a 62 6 ^Ue ^'Cl''e> ^ro^essore e decano della facoltà di medi-^Ir|^i3,., cca em'a imperiale di Genova, della Società Reale di Edimburgo, e SIU° Napoli, etc., il primo che ha praticato la vaccinazione in Ita-13 j n a*/ra vo^a questo primato era rivendicato esplicitamente e il ritratto el medico ligure fu effettivamente posto con quelli dei due benemeriti all Accademia delle Scienze a Parigi (2). * * * Le cure date alla vaccinazione, con gli altri provvedimenti in materia sanitaria le misure precauzionali contro minacce di peste, la costruzione del Lazzaretto alla Foce per quarantena delle navi con larga partecipazione dei cittadini più facoltosi, e tra essi Onofrio Scassi (3) — l’inaugurazione del Monte di Pietà, la fondazione di un ospizio per i mendicanti all’AIbergo dei Poveri (4) sono altrettante riprove di quel programma di civile e sociale progresso che non si potrebbe negare al governo napoleonico. Lo stato civile, il sistema metrico, i lavori pubblici, specialmente le strade delle Riviere e dei Giovi, e l’ampliamento del porto (5), le rinnovate costruzioni navali e il favore ai cantieri, per quanto mosso da interessi militari pur inteso anche a dar lavoro alle maestranze disoccupate, il catasto, sono benemerenze del regime napoleonico delle quali più tardi si è sentita I efficacia. Gli effetti della coscrizione obbligatoria sono, per tutta l’Italia, troppo noti per aver bisogno di illustrazione. Ma sul momento destarono (1) Gazzetta di Genova, 7 marzo 1809, pag. 80 e 27 ottobre 1810, pag. 342: 28 dicembre 1811, pag. 416. (2) In questi ultimi anni lo Scassi fu, e forse più di una volta, a Parigi. Vi era certo nel 1810 quando si prestò con altri a stornare l’ordine imperiale del servizio militare nel collegio di La Fleche per Marcello Durazzo, tutto dedito agli studi. E riuscì dove altri personaggi cospicui erano falliti ottenendo per il giovane la nomina a uditore al Consiglio di Stato. Oli amici, narra il Rebuffo, «non sapeano indagare come mai il solo Scassi fosse riuscito a dare quel colpo maestro, ignari che un dugento marenghini accompagnato da un rubbo di ottimo cioccolatte trovato avea un cortese mediatore che seppe ottenere giustizia alla ragione »; P. Rebuffo, Notizie intorno alla vita del marchese Marcello Durazzo fig-liuol d’Ippolito, Genova, 1863, pag. 25-26. (3) Gazzetta, aprile-maggio 1810, pag. 136 sgg., 145, 149,167; 15 febbraio 1812, pae 55-14 luglio 1813, pag. 223. b ’ (4) Gazzetta, 28 aprile 1810, pag. 136; Borel, pag. 104. (5) Una commissione di ingegneri riferisce nel 1806 sul porto di Genova, ritenuto non adatto alla marina militare e propone una serie di lavori per accrescerne l’efficienza mercantile (Gazzetta, 29 marzo 1806, pag. 101). È noto che era intendimento di Napoleone creare un gran porto militare alla Spezia, 13 — 194 una opposizione tenace (1), e tutto il sistema ebbe il torto di voler troppo rapidamente mutare, troppo meccanicamente unificare in un accentramento macchinoso e livellatore, che finì con l’essere soffocante. Lo riconosce anche il Borei che nel suo recente lavoro, in verità disordinato e inorganico, su Genova sotto Napoleone, ha intenti pienamente apologetici (2). Dall’esame della corrispondenza dei Prefetti egli rileva tutta una serie di lamenti di questi funzionari che si trovavano in situazione penosa tra gli ordini dall’alto e la resistenza passiva dal basso, con impiegati ignari dei metodi francesi e spesso della lingua. Anche se a lungo andare utili, quei metodi unificatori e accentratori, in un paese che era stato sempre composto di parti staccate e non aveva in realtà costituito mai un tutto solo e organico, dovevano trovare resistenze e opposizioni tenaci e irreducibili per quanto oscure e silenziose. Dannoso e pericoloso sopra tutto il sistema di imporre d’un colpo una così rapida e profonda trasformazione, quando « il eut fallu procèder graduellement et ne pas vouloir introduire toutes les réformes à la fois. On congoit que parmi les populations arriérées des campagnes sourtout, ce bouleversement complet n’était pas fait pour les apprivoiser ni les disposer en faveur du nouveau régime. Cela sans parler des nouvelles impositions dont le poids croissant devait inévitablement froisser le peuple plus que tout le reste » (3). E con le tasse, le leve continue e, massima delusione, la mancata ripresa della vita economica e marinara. Che i liguri gli stessero nel fondo del cuore Napoleone ha detto più volte, dal discorso ai Delegati che gli offrivano la signoria della Repubblica al ricevimento della deputazione del Collegio elettorale di Genova il 10 marzo 1811: « Mes peuples de Gènes connaissent la prédilection que j’ai eue pour eux dès le premier moment, où fai paru à la tète de mes armées en Italie. (La corrispondenza del 1796-97 dà a queste parole uno strano sapore). Ils peuvent aussi se vanter avec raison de m’avoir été costam-ment fidèles, et leur attachement n’a fait qu’acquérir une nouvelle chaleur toutes les fois que la fortune de mes armes a paru ètre incertaine. Ils fournissent aujourd’hui un grand nombre de matelots à mes.escadres et lorsque mes (1) Da un rapporto del Prefetto Bourdon de Vatry risulta che dal 1805 al 1809 le reclute del Dipartimento di Genova furono 4136: di queste, 415 disertarono prima di arrivare ai reggimenti. 11 Bourdon e il suo predecessore La Tourrette insistono cóncordi sull’avversione dei Genovesi per il servizio militare di terra: Fiorini-Lemmi, pag. 1000; Borel, pag. 100 sgg. (2) In realtà il Borei riprende e accentua concetti già espressi più volte dal PES-sagno, come nel breve studio già ricordato: Genova sotto la Rivoluzione e l'Impero, e nell articolo notoriamente suo — e lo dice anche il Borei — se pure non firmato Nel Centenario del Corso in Gazzetta di Genova, 30 aprile 1921. (3) Borel, pag. 54-55. - 195 - amiraux m ont rendu compte du zèle et du bon esprit qui les animaient, mon coeur en a été vivement ému » (1). Ecco il fatto essenziale: Genova gli era stata necessaria per ragioni militari e marittime; Genova era un punto di capitale importanza nella lotta navale con l’Inghilterra e perciò ne aveva avuto bisogno e naturalmente nell’interesse stesso dell’impero ne avrebbe voluto la floridezza (2). « Les moments — continuava nel discorso del 1811 — ne sont pas éloignés où je vous mettrai à méme de surpasser la gioire qu ont acquise vos pères sur toutes les cótes de la Méditerranée ». Quel momento invece non doveva venire e le speranze si allontanavano sempre più aggravando le delusioni e la stanchezza. La pace tanto attesa cedeva il posto a una guerra costante rovinosa, chiunque ne sia stato il responsabile, la cieca ambizione napoleonica, il freddo e invido egoismo inglese o più semplicemente e comodamente la fatalità storicopolitica del duello mortale. Fin dai giorni della dimora genovese, Napoleone si occupò dei forti e del porto di Genova e continuò costantemente a interessarsi delle costruzioni che vi si facevano e che si potevano ordinare, e insieme pensò di utilizzare il porto della Spezia (3). E se i primordi apparvero felici e la spedizione di Girolamo Bonaparte ad Algeri fu accolta con gioia e festeggiamenti per la liberazione dei prigionieri tolti ai Barbareschi (4), la ripresa della guerra con gl’inglesi diede un senso di delusione che non si riuscì a nascondere e provocò, per vecchie abitudini ma anche per la necessità economica dei rifornimenti, un’attiva ripresa di contrabbando e di spionaggio, che a sua volta determinò, in conseguenza del blocco, provvedimenti sempre più gravi e resi più penosi da farraginosi congegni burocratico-fiscali, accompagnati dal pesante bagaglio di ordinanze e di circolari in materia di tasse, di dazi, di imposte, di gravami vari e di divieti inverosimili, cui si aggiungeva la caparbia e inintelligente pedanteria di zelanti esecutori (5). Il movimento portuale si trovò arrestato, il porto ingombro di bastimenti senza carico vide salire i noli ad altezze sconosciute (1) Gazzetta di Genova, 30 marzo 1811, pag. 92; Borel, pag. 110. Benedetto Pareto fu in quell’occasione nominato Barone dell’impero, Gazzetta, pag. 122, 10 aprile. (2) E lasciamo le ragioni psicologiche della pretesa benevolenza, stiracchiate anche nella parola di un competente come Alberto Lumbroso (La Liguria e il Mediterraneo nella leggenda e nella storia del primo impero napoleonico, estratto dagli Atti della Società Ligustica di Scienze e Lettere di Genova, voi. VII, fase. IV, pag. 16). Il Lumbroso del resto mette assai bene in evidenza la funzione di Genova nel programma navale di Napoleone. (3) Borel, pag. 82 sgg. Tutte le lettere relative a questi argomenti sono date in appendice, pag. 215 sgg. (4) Correspondance, n. 8971; Gazzetta di Genova, 31 agosto e 8 settembre 1805; Borel pag. 79 sgg. (5) Correspondance, XII, 10489; XIII, II, 11336; Borel, pag. 218, 220; C. Mioli, La Consulta dei Mercanti Genovesi, pag. 55 sgg. - 196 - per quei tempi; il Portofranco fu impoverito di mercanzie e prima d ogni altra dei coloniali. Le promesse fatte in buona fede e con benevoli intendimenti dal Lebrun alla Camera di Commercio rimasero una via meravigliosa, lastricata di encomiabili concetti informatori, ma la desiderata ed opulenta floridezza del passato rimase senza ritorno (1). E l’invocazione all’imperatore per aiuti e facilitazioni in materia commerciale si ripeteva costante ad ogni occasione, dal suo passaggio per Casteggio ed Alessandria, ove gli si mandò una commissione sulla fine del 1807, al ricevimento del corpo elettorale nel 1811, come si ripetevano le promesse che la situazione generale impediva di attuare (2). Genova s’era data a Napoleone nella speranza della pace proficua ai commerci; il suo possesso aveva invece facilitato e affrettato la guerra con tutte le conseguenze che ne erano derivate, prima la coscrizione, avversatis-sima specialmente dai contadini e dai montanari. La delusione per le speranze svanite e per la vita economica stagnante trapela timida da molti indizi e più da quel ricorrere continuo alla speranza e alla invocazione alla pace, sempre più incerta e lontana, a cui tutte le maggiori solennità e celebrazioni offrono desiderata occasione. L’opera civile sotto l’impulso del genio napoleonico e il fervido interessamento dei suoi esecutori è vasta e animata dalle migliori intenzioni di elevazione e di utilità pubblica, ma rimane soffocata dall’opprimente sistema di rigido e pesante accentramento e dalle necessità militari, cui tutte le altre devono essere subordinate e sottoposte. Dopo il periodo dell’iniziale organizzazione e della definitiva legalizzata annessione col relativo decreto del Senato (3), nella stessa Gazzetta, unico organo di informazione, le notizie politiche e amministrative scompaiono quasi interamente; azioni militari, leve, tasse sono gli argomenti soli e costantemente ripetuti. La stessa testata del giornale, dopo ripetuti mutamenti, si arresta nel motto: Esto brevis, che è tutto un programma e un sistema. Morto nel marzo 1806 il Prefetto Bureaux de Pusy, che era stato abile e moderato e si era fatto realmente benvolere, anche se nelle ufficiose parole della Gazzetta ci possa essere qualche opportunistica esagerazione (4), gli succedette prima il De La Tourrette poi, nel 1809, il Bourdon de Vatry, uomo attivo ed energico che cominciò subito a far inserire nella Gazzetta — ma che la proposta gli fosse fatta spontaneamente da Antonio Pagano, il (1) Borel, pag. 74; Mioli, pag. 44, 50, 55. (2) Gazzetta di Genova, gennaio 1808; Borel, 87, 110. (3) Gazzetta, 16 ottobre 1805, pag. 161; 6 novembre, pag. 185. (4) Gazzetta, 22 marzo 1806, pag. 92; Borel, pag. 62 sgg. li medico Luigi De Ferrari che l’aveva curato fu accusato di trascuratezza e di imperizia; sorsero a difenderlo gli stessi amici del defunto. 191 — proprietario e redattore del giornale, è poco probabile — gli ordini emanati dalla prefettura in francese « considérant que cette gazette déjà accréditée ne peut que contribuer à former l’esprit public et à hàter les progrès de ceux qui s adonnent à l’étude de la Iangue fran^aise » (1). E da allora tutta la parte ufficiale del giornale fu redatta in francese, finché nel 1812 anche la parte non ufficiale divenne bilingue, su due colonne, perchè la lingua francese « non è oramai soltanto necessaria a formare una buona educazione, ma è diventata indispensabile per chiunque vuole aspirare a un impiego nelle amministrazioni civili e giudiziarie » (2). Del resto, in francese erano redatti da tempo tutti gli atti pubblici, persino i contratti matrimoniali, cosicché si ebbe l’assurdo che la gente dovesse firmare atti che non comprendeva; e occorse, a eliminarlo, l’intervento dello stesso Imperatore con l’ordine della libera scelta tra la redazione francese e l’italiana (3). Che cosa ne pensassero gli uomini che pur erano stati devoti alla Francia senza perdere la coscienza della propria nazionalità e l’amore della lingua nativa, che cosa ne pensasse Gaetano Marrè che aveva tanto scritto contro l’uso del francese e per la superiorità dell’italiano — ed ora, ironia della sorte, era divenuto professore di letteratura francese — non è dato sapere, perchè nessuna manifestazione non adulatrice o esaltatrice sarebbe stata permessa. Ma basterebbero questi eccessi e questa proibizione dell’uso della lingua nazionale a mettere in dubbio le eccessive parole che « le condizioni di Genova — chi le vede senza preconcetti — sotto l’impero furono le migliori che la città abbia avuto da molto tempo » (4). C’era, è vero, il senso dell’ordine e della giustizia, sconosciuto ai tempi della repubblica tempestosa; c’erano le opere pubbliche e l’organizzazione amministrativa (5); ma se questo è pur molto non è tutto nella vita dei popoli. Basterà ricordare la violenza in materia religiosa e la finzione cui si piegò tutta la chiesa ligure, col cardinale Spina alla testa, accettando l’obbedienza all’ Imperatore / (1) Gazzetta di Genova, 22 marzo 1807; Borel, pag. 101. (2) Gazzetta, 1 gennaio 1812, pag. 1. Nel 1811, non essendo permesso che un solo giornale per dipartimento con notizie politiche, era stato soppresso II Veloce; Ibid., 9 giugno 1811, pag. 211. (3) Correspondance, XIV, 12779; Borel, pag. 220. (4) Nel Centenario del Còrso, Gazzetta di Genova, 30 aprile 1921, pag. 4. (5) Molto importanti sono i rapporti statistici che i prefetti Tourrette e Bourdon mandavano al Principe Borghese a Torino, indicati da Fiorini-Lemmi (Periodo Napoleonico, pag. 1006, n. 10) e riportati dal Borel (pag. 100). Si ricava che il Dipartimento contava, nel 1806, 411395 abitanti, di cui 188183 appartenevano al circondario di Genova, che le contribuzioni dirette nel 1808 davano franchi 2.352.915,94, e la tassa sui diritti riuniti, la più grave fra le indirette, nel 1807 rendeva fr. 783.152,33. Nel 1810 la tassa fondiaria era 1.715.795,65 e la personale 1.847.986,01. Nel 1808 era fatto il primo censimento della popolazione del quale si conservano nell’Archivio Civico i registri. > — i 98 - e le norme gallicane e imponendole ai fedeli con un’adesione e una sotto-missione tanto più pronta e rumorosa quanto meno sentita e sincera (l). Neppure è pienamente esatto che « il commercio rifioriva per quanto le difficili condizioni dei mari lo permettevano, le arti erano incoraggiate nella loro pura espressione e nell’ applicazione dell’ industria ». Smentiscono quest’affermazione le stesse lettere dei prefetti e del Lebrun riferite appunto dal Borei, e la interessante statistica sulle industrie che egli ricorda e che fu richiesta alla Camera di Commercio per veder di rimediare alla crisi, e dalla Camera stessa preparata. E le indagini recenti del Mioli si concludono nelle parole: « Crisi in pieno, adunque, e così profonda che la Camera non esitava a lamentare con franchezza, per iscritto ed a viva voce dai suoi membri a costo di sembrare talvolta insistente ed audace »; e ne derivava la proibizione della pubblicazione di qualunque scritto o memoria da parte della Camera, perchè gli inconvenienti e i mali dovevano essere denunciati all’autorità e non alla pubblica opinione (2). L’attività della Camera venne così ad allentarsi ed esaurirsi negli ultimi anni napoleonici « per la ragione prima che il governo francese nulla lasciava fare che non fosse controllato, ostacolato ed oppresso, e per il motivo secondo che mancavano problemi economici elevati da studiare nello snervante ristagno generale di ogni forza produttiva » (3). E quel che nella Camera di Commercio avveniva in tutti gli altri corpi e le istituzioni, a cominciare dall’amministrazione municipale e non è certo senza motivo e senza significato il ritiro di Agostino Pareto dall’ufficio di Maire di Genova (4): i più tenaci assertori del carattere e dell’autonomia locale si mettevano da parte (5). (1) Gazzetta di Genova, febbraio-marzo 1811, pag. 59, 73, 76 ecc. (2) Borel, pag. 73 sgg. ; Ruini, Luigi Corvetto, pag. 78-79 ; Mioli, La Consulta dei Mercanti, pag. 60 sgg. (3) Mioli, pag. 72. Noto che il lavoro del Mioli è condotto sui verbali della Camera di Commercio. (4) Era stato confermato ancora nel maggio 1808 e gli erano dati come aggiunti Luca Solari, Stefano Pessagno, Giuseppe Profumo, Federico Spinola, Gaspare Sauli e. Giuseppe De Fornari; Gazzetta di Genova, 28 maggio, pag. 179. (5) Migliore in complesso la situazione di Savona, uscita dalla compressione economica in cui la teneva la gelosia politica della repubblica aristocratica e favorita nell’età napoleonica dall’opera del prefetto Chabrol (F. Noberasco, Un grande Prefetto napoleonico, Savona, 1924, ma v. G. Callavresi, Il Prefetto del Dipartimento di Montenotte, in Savona nella Storia e nel-l’Arte, Scritti offerti a P. Boselli, Genova, 1928, p. 363 sgg.) e poi, cosa veramente notevole, del genovese Antonio Brignole Sale che lo sostituì; v. F. Noberasco, Savona durante il dominio napoleonico, in Atti della Società Savonese di Storia patria, II, 1919, pag. 13-37; I. Scovazzi e F. noberasco, La Rivoluzione Democratica e l'impero napoleonico a Savona secondo una cronaca contemporanea in atti della Soc. Sav. di Storia Patria, XI, 1929, pp. 239, su cui Giornale Storico e Letterario della Liguria, 1929, pag. 270 sgg. 190 — Dopo un periodo di reggenza di Luca Solari (1), gli era sostituito Gian Carlo Serra di Domenico — appartenente e un ramo diverso da quello dei celebri fratelli — personaggio, diceva nel suo solito stile la Gazzetta, che la modestia non ha potuto sottrarre alla riconoscenza dei suoi concittadini « cornine elle n’a pù le soustraire aux regards pénétrants du chef de l’Em-pire » (2). La solenne cerimonia dell’insediamento ebbe luogo il 23 gennaio coi soliti discorsi; notevole quello del prefetto Bourdon per i propositi di riforme amministrative e di opere pubbliche, che conferma ancora una volta il carattere e gli intendimenti del governo- E una volta ancora la promessa che dalla pace continentale verrà la libertà dei mari: « Bientòt PAngleterre aura reconnu le droit des nations; bientòt elle aura abdiqué son injuste tyramnie. A celle epoque, la ville de Gènes retrouvera toute son antique splen-deur. Elle deviendra plus riche, plus opulente, plus brillante qu’elle ne le fut jamais ». Ma ormai, nelle numerose cause di opposizione e di malcontento economiche e morali, questi propositi e queste promesse non bastavano più. Tra le autorità governative e le comunali si andava determinando uno stato di tensione che minacciava aperti dissidi (3); le speranze suscitate e festeggiate all’annuncio delle paci succesive rimanevano deluse, e non possono avere soverchio valore dimostrativo dello spirito delle popolazioni le cerimonie pubbliche e le feste ufficiali nelle ricorrenze solenni e nelle eccezionali occasioni (4). Grandi feste con immancabile accompagnamento di canti e inni e poesie improvvisate ebbero luogo per l’arrivo del principe Camillo Borghese, il marito di Paolina Bonaparte, governatore generale dei dipartimenti di qua dalle Alpi, venuto per un giro d’ispezione, naturalmente con particolare (1) Su Luca Solari, giurisperito e professore di diritto all’Università, per lungo tempo nell’amministrazione municipale, v. Gazzetta di Genova, 19 e 26 febbraio 1820, pag. 57, 65; 1 marzo, pag. 69 e supplemento 4 marzo; A. CODIGNOLA, La Giovinezza di G. Mazzini, pag. 116 e 122; Segre, Il primo anno del Ministero Vallesa, Bibl. Storia Ital. recente, X, pag. 363. (2) Gazzetta, 24 gennaio 1810, pag. 25 sgg.; Borel, pag. 102 sgg. (3) Lo provano i registri di corrispondenza conservati nell’Archivio del Comune. Sul principio del 1814 la tensione era evidente, sino al punto che il maire si vedeva respinte le lettere con l’obbligo di rifarle; Registro Corrispondenza 1814-15, lettere gennaio-marzo 1814, specialmente n. 81, 184, 233 ecc. (4) E neanche, s’intende, le feste popolari e i ricevimenti nelle grandi case signorili dei Cambiaso, dei Pallavicini e così via; Borel, pag. 90; Gazzetta, 2 marzo 1808, pag. 75. Ricavarne, come fa il Borei, che, dunque, non tutti erano rovinati dall’arresto dei traffici, dal marasma economico e dalla rovina del Banco di S. Giorgio, è esagerato e semplicistico. C’erano, si capisce, ricchezze accumulate nelle grandi famiglie dei banchieri e dei commercianti; c’erano i redditi dei grandi possessori di terre. — 200 - riguardo alla marina e all’esercito. Giunto il 15 ottobre 1808 per la nuova strada da Acqui a Savona, si trattenne qualche giorno festeggiatissimo e ospitato da Girolamo Durazzo nella splendida dimora in via Balbi e ripartì poi per Chiavari, non senza aver udito, nel ricevimento della Camera di Commercio, esplicite lamentele per la rovina economica, quando il vice presidente dichiarava che la Camera « non si può dissimulare i mali che potrebbero oggi diminuire la gioia e l’impressione dei cittadini di trovarsi davanti a voi » (1). Ritornò il Borghese nel 1811 a insediare il Collegio elettorale che doveva designare due candidati al corpo legislativo e otto al consiglio dipartimentale (e fu Onofrio Scassi tra questi). Accolto con grandi feste nel palazzo del senatore Cambiaso, si trattenne dal 15 al 25 gennaio e non gli mancarono le solite cerimonie; non mancò sopra tutto l’inevitabile pioggia delle poesie d’occasione (2). Con particolare pompa per tutto il periodo dal 1805 al 1813 fu celebrata la festa di S. Napoleone, che cadeva il 15 agosto nella solennità dell Annunciata, e nella quale l’imperatore voleva ricordato anche il ristabilimento della religione cattolica col celebre Concordato: significato che alla festa limase anche dopo la rottura del Concordato e il profondo dissidio col Papa. Le feste furono particolarmente splendide nel 1807: in quell’occasione fu esposto nel palazzo di Agostino Pareto, ancora maire, il modello del monumento all Imperatore, che lo scultore Nicolò Traverso aveva preparato per ordine della Municipalità e per il quale Napoleone, ancora console, aveva dato il suo consenso, comunicato da Gian Carlo Serra, nel 1802. Il monumento però fu innalzato soltanto nel 1810 durante le feste per il matrimonio con Maria Luisa, feste che superarono le precedenti nello splendore e nella solennità. Luca Solari, maire aggiunto e in funzione provvisoria dopo la rinuncia del Pareto, tenne un iperbolico discorso, naturalmente in francese, a esaltazione del più grande degli imperatori « nel quale si incontrano e si accordano la vigilanza di Augusto, la dirittura di Traiano, la filosofia di Marco Aurelio, I ardimento di Alessandro, la fermezza di Ottone, poiché egli è più magnanimo di Carlo, più grande di tutti ». Frenesia adulatrice, nella quale è ben difficile distinguere quanto fosse dovuto alla retorica convenzionale e quanto al fascino delle straordinarie imprese napoleoniche. Ma il Solari non era buon profeta: i fatti hanno pienamente smentito le sue profezie. « Veuillez, ò Sire, - conchiudeva — ne pas dédaigner ce monument qui transmettra à la postérité la plus reculée un témoignage éternel de la reconnaissance de la ville qui vous (1) Gazzetta di Genova, ottobre 1808, pag. 341 sgg; Borel, pag. 99; Mioli, pag. 61. (2) Gazzetta di Genova, gennaio 1811, pag. 17, 21, 29. - 201 — la vote et de la bienveillance que vous avez eue à l’accepter ». Infatti, nel 1814 il monumento fu distrutto dal popolo insorto e non ne rimane alcuna tiaccia, con soddisfazione, a quanto si racconta, dell’artista che, insoddisfatto dell’opera propria, avrebbe esclamato: « Hanno fatto bene! (1) » E già un segno degli umori popolari si era avuto l’anno precedente, mentre cominciava la campagna di Germania, in una congiura « tendente a ribellare la città di Genova e ad operarvi un cambiamento nell’attuale governo », scoperta e punita da una speciale commissione militare con cinque condanne a morte di operai e piccoli borghesi (2). Le solennità del 1810 furono rinnovate con dimostrazioni di gioia e opere di carità e sopra tutto con una colluvie di versi esaltatori (e vi contribuirono, col celebre Gianni, Giuseppe Crocco, uno degli « estensori » della Gazzetta, Luigi Serra e anche Gaetano Marrè) per festeggiare la nascita del Re di Roma. Alla celebrazione ufficiale all’Università parteciparono tutti i professori e gli allievi; il discorso di circostanza fu tenuto dal Marrè, allora professore di letteratura francese (3). In occasione del matrimonio anche i collegi elettorali mandarono messaggi e felicitazioni. Sin dal 1806, mentre erano nominati senatori Girolamo Durazzo e Michelangelo Cambiaso, i due ex dogi, l’imperatore destinava a far parte del corpo legislativo per il dipartimento di Montenotte Paolo Colonna di Savona, Nicolò Littardi di Porto Maurizio e Agostino Maglione; per gli Appennini G. B. Solari di Chiavari e Fr. Aurelio Cornia; per Genova Antonio Maghella, Girolamo Serra, Ippolito Durazzo e Giuseppe Tealdi. Ma a parte che il corpo legislativo ebbe funzioni ben limitate, questi liguri, anche se concordi con gli altri italiani dell’impero, erano sempre dispersi e sommersi in un’assemblea cui la ferrea volontà e la prepotente azione napoleonica non lasciavano campo d’azione. Nel 1808 ebbero luogo le riunioni dei Collegi elettorali di dipartimento e di circondario per designare i rappresentanti al Senato, al Corpo legislativo e ai Consigli generali dipartimentali e circondariali (4). Furono designati a (1) Belgrano, San Napoleone in Imbreviature di Giovanni Scriba, pag. 341 sgg.; Borel, pag. 86 sgg. (2) Gazzetta di Genova, 17 marzo 1813, pag. 92. Quasi in contrapposto si celebrava poi con le cons ìete cerimonie e la consueta oratoria la vittoria di Lutzen e la festa del 15 ago-gosto; Borel, p. 118. (3) Gazzetta, marzo-giugno 1811, pag. 97-118, 183, 191. (4) In quest’occasione fu organizzata definitivamente l’amministrazione comunale col maire e i due aggiunti, tutti di nomina imperiale, e un Consiglio scelto dall’imperatore su una lista di cento nomi proposti, tra i cittadini maggiormente tassati, appunto dalle assemblee elettorali; R. Drago, Svolgimento storico della amministrazione comunale di Genova, Genova, tip. Sordomuti, 1885, pag. 90. - 202 - presiedere i Collegi di dipartimento Michelangelo Cambiaso a Genova, Luigi Corvetto a Savona, Stefano Rivarola a Chiavari, e per quelli di circondario, rispettivamente, Agostino Pareto, Michele Daste e Antonio Maghella. Per il Senato fu proposto il Saint Vaillier, per il Corpo legislativo a Genova Tealdi, Azuni, Dattili, Malaspina; nel dipartimento occidentale Littardi, Sansoni, Simoni, nell’orientale Rivarola e Maghella. Qui veramente, avendo avuto parità di voti, per ragione d’età era stato proposto Antonio Mongiardini, ma fu scelto Maghella più noto e ritenuto certo più devoto (1). Ma questo caratteristico enigmatico personaggio è esempio tipico del profondo mutamento che si viene svolgendo. Il Corpo Legislativo, ridotto da prima a discutere le leggi soltanto in comitato segreto, cessò di avere qualunque efficace funzione; e il Maghella passò a Torino in un ufficio finanziario, poi a Napoli con Giocchino Murat e Saliceti, per finire Ministro di Polizia e uno dei capi del movimento « italiano » di Napoli, onde fu richiamato irosamente da Napoleone in Francia come « prévenu d’intrigues contre la sureté de l’empire et d’intelligence avec les Anglais pour faire un mouvement de soi-disant patriotes en Italie ». In Francia stette sino alla caduta dellTmperatore, per tornare poi a Napoli dove ebbe parte cospicua nei tentativi murattiani del 1814 e del 15, tanto da essere rinchiuso, caduto Gioacchino, per qualche mese nei forti di Mantova e di Fenestrelle (2). Ebbene, esiste nell’Archivio Sauli, tra le carte Scassi, una curiosa lettera. La busta (à Monsieur Scassi, membre de l'Academie de Gènes, Société imperiai d’Edimburg et Société corréspondant de Naples, à Gènes) è scritta in un caratterino gotico rotondo che ha tutta l’aria di voler celare una ordinaria e normale calligrafia. Dentro, nessuna comunicazione e nessun indizio di provenienza, ma solo, su tre fitte facciate di carattere minuto, un discorso di Napoleone. Da un lato, in alto, un N. B. « Les premiers (sic) paroles de l’Emp.r n’ont pas été entendues, le corps entraint en foule ». È il famoso discorso con cui Napoleone, al ricevimento del 1" gennaio 1814, investì violentemente il Corpo Legislativo che, con un rapporto presentato dalla sua commissione il (1) Gazzetta di Genova, 1808, pag. 33, 45, 313, 340. 1 membri del Corpo legislativo furono rinnovati nel 1811; per Genova furono designati Benedetto Pareto e Pietro Serravalle, confermati dall'imperatore; Gazzetta, 26 gennaio 1811, pag. 29; 15 maggio, pag. 159. (2) Biographie nouvelle des Contemporains, Paris, 1823, t. XII, pag. 239; A. Neri, Appunti, intorno ad A. M. in Giornale Storico e Letter. della Liguria, IX (1908), pag. 432 sgg.; M. H. Weil, A. M. Docum. biogr. inediti (in Miscellanea di studi storici in onore di A. Manno, Torino, Bocca, 1912) pag. 350; e Le rappel en Franee d’A. M. in Archivio Stor. per le prov. napol., 1913, p. 73 sgg.; Driault, Napoléon en Italie, 1906, pag. 641; L. C. Bollea, A. M. nel Forte di Fenestrelle, in Risorgimento italiano, voi. XI-XII, fase. Ili, n. 18; Luzio, Mazzini carbonaro, Torino, 1920, pag. 316-17; A. Seore, Il primo anno ecc., pag. 112-113; D. Spadoni, La conversione italiana di Murat, Nuova Rivista Storica, 1930, pag. 237 sgg. — 203 - 28 dicembre, aveva deplorato il mancato accordo coi collegati a Francoforte, lamentato gli abusi deH’assolutismo e richiesto il ritorno alla costituzione. Il discorso, nel foglietto mandato allo Scassi, è quasi testualmente identico a quello pronunciato da Napoleone e riportato, tra altri, dallo Chateaubriand e in parte dal Thiers (1); ma è chiaro che il corrispondente, senza compromettersi, voleva mostrare a qual punto erano le cose in Francia, se l’imperatore, di fronte all’incalzare del nemico, era costretto a difendere con aperta asprezza la propria opera e la propria autorità dalle accuse e dagli assalti del Corpo Legislativo sin allora silenzioso e sottomesso. La minuta scrittura del documento non assomiglia ad alcuna di quelle dei corrispondenti dello Scassi, di cui rimangono lettere tra le sue carte, ma ha una strana somiglianza con la calligrafia del Maghella, quale almeno risulta dalle molte sue firme in atti conservati nell’Archivio di Stato genovese (2). Se l’indizio non è troppo tenue, Antonio Maghella, allora a Parigi, anche se non più appartenente al Corpo Legislativo, mandava allo Scassi per informazione quel discorso, con tutte le precauzioni per non farsi riconoscere; rna doveva pensare e sapere di trovare nell’amico uno spirito pronto a intendere e a partecipare alle sue ansie e alle sue aspettazioni. Così coloro che avevano avuto maggior parte nell’avvento napoleonico a Genova per la forza delle circostanze e il sorgere di nuove concezioni, maturate in parte per reazione allo stesso Governo francese, si trovavano a nutrire nuove speranze e nuove illusioni di indipendenza. « Dans toute l’Italie — notava col solito acume il Fouché a Napoleone sulla fine del 13 — le mot d’indépendance a acquis une vertu magique Sous cette bannière se rangent sans doute des intérèts divers, mais tout le monde, tous les peuples veulent un gouvernement locai. Chacun se plaint d’ètre obligé d’aller à Paris pour les reclamations de la moindre importance » (3). Ideale e aspirazione comune perciò l’indipendenza da chi « dopo aver dato all’Italia un popolo di soldati valorosi, di magistrati illustri, di impiegati zelanti, di cittadini innamorati della libertà, voleva ancora continuare a guidarli come bambini, costringendoli a ricevere da lui, capo dei francesi,- le norme più minute di amministrazione interna, a pagare tributi alla Francia, a prender parte a guerre all’Italia straniere, se non del tutto dannose. Biso- (1) Mémoires d’Outre-Tombe par le Vicomte de Chateaubriand, Bruxelles, Société Typographique Belge, MDCCCXL1X, t. Ili, pag. 325; Napoléon racontépar Chateaubriand, preface et notes par Maurice Dreyfous, Paris, Flamniarion, pag. 265 sgg.; A. Thiers, Histoire du Consulat et de l'Empire, Bruxelles, 1857, t. IV, pag. 349 sgg. e specialmente pag. 353-4. (2) Caratteristica firma indimenticabile, da raccomandare a un grafologo: piccola,' minuta, sempre obliqua, terminata da un tratto di penna che si ripiega in giù e si ingrossa con un segnaccio nero a coda di scoiattolo. (3) H. Weil, Le Prince Engine et Murat, Paris, Fontemoing, 1902, voi. Ili, 298. - 2Ó4 - gnava finirla una volta con questo vassallaggio umiliante » (1). « Napoleone armò e disgustò gli Italiani » dice con espressione sintetica e scultoria un memoriale redatto da un Alessandro Turri a nome dell’Unione Italiana nell’agosto 1811- Venute meno le speranze nella falsa libertà promessa dai Francesi, passato il governo napoleonico dalla primitiva apparente moderazione alla vera tirannia, essendo vano sperare negli altri Stati e specialmente nell’Austria, rimaneva soltanto la speranza e il partito dell’unione e della indipendenza italiana (2). Aspirazioni e speranze destinate a rapida scomparsa nelle vicende del 14 e del 15 e a convertirsi, nella nuova delusione, in un ritorno verso lo splendore napoleonico. Ardente e irrequieto, il Maghella tentò di attuarle tornando presso Murat a Napoli, dopo la caduta dell’imperatore. Coloro, che come lui, quelle aspirazioni nutrivano, e avevano contribuito con la propria opera ad abbattere un vecchio mondo, dovevano apparire agli spiriti timorosi e zelanti degli agenti e dei confidenti di polizia esseri pericolosi e perversi; ma le esagerazioni e gli errori dei gretti informatori aprono spiragli che ci permettono di conoscere più da vicino certi sentimenti e certi atteggiamenti politici. E comprendiamo che le miopi informazioni poliziesche al ministro Vallesa dessero nel 1815 di Onofrio Scassi (Scossi, dice il documento) questo quadro espressivo nel quale gli aggettivi hanno, si capisce, un valore esclusivamente politico: Medico. Cattivo. Pessimo. Napoleonista. Democratico già creatura di Saliceti ed ora corrispondente del celebre Antonio Maghella, consigliere di stato di Murat a Napoli, Ubero Muratore (3). E un altro informatore, confidente della polizia britannica e deU’austriaca, così lo rappresentava: « Scasso Onofrio. È riputato buon medico. Fu uno dei capi della rivoluzione di Genova. Nel governo democratico ha sostenuto più cariche e nel 1803 da Buonaparte fu nominato Senatore. È del numero degli Indipendenti (4). Che appartenesse ai Liberi Muratori non c’è alcuna prova; ma non è impossibile data la sua origine politica e l’intima amicizia col Maghella, che con le sette ebbe certo molti rapporti; ed è noto del resto che quasi tutti appartennero in quegli anni, e specialmente dopo il 1814, a qualche associazione segreta. Che partecipasse alle aspirazioni all’indipendenza, com’era (1) F. Lemmi, G. Muratele aspirazioni unitane del 1815, Archivio Storico Napoletano, XXVI, 1901, pag. 173. (2) E. Prasca, L’ammiraglio Giorgio De Geneys e i suoi tempi, Pinerolo, 1926, pag. 286 sgg. (3) Informazioni di Polizia sull’ambiente genovese, in A. Segre, Il primo anno del Ministero Vallesa, Biblioteca di Storia Italiana recente, voi. X, Torino, 1928, appendice III, pag. 363. (4) Frizzi, Quadro caratteristico dei principali individui dello Stato Ligure, Museo del Risorgimento di Genova, n. 3324 (Copia tratta dal R. Archivio di Stato di Milano) c. 46. — 205 — orinai di tanti altri della borghesia e della classe colta, passati attraverso le vicende dell’agitato ventennio, è naturale. Queste informazioni riguardano la sua azione passata; ma, ammaestrato e forse deluso da una lunga esperienza, non lo si troverà tra gli accesi partecipi ai movimenti rivoluzionari. Spirito misurato e pratico, accetterà la nuova situazione lealmente, cogliendo e svolgendo quanto in essa c’era di buono e di promettente, da buon tempista, senza opposizioni inutili ai fatti compiuti, dando ancora, nei campi suoi propri, il professionale, lo scolastico, il civile, opera efficace a vantaggio dei concittadini e dello Stato. __ CAPITOLO VI. L’ultima Repubblica e il passaggio al Piemonte jt j» Genova era stata tenuta, almeno ufficialmente, all’oscuro delle gravi vicende e dei rovesci militari degli ultimi tempi- Espressioni eufemistiche avevano mascherato, per quanto era stato possibile, il disastro della ritirata di Russia, nel 1813 non si era parlato che dei successi di Napoleone, benché poi la Gazzetta dovesse conchiudere che nelle due ultime campagne « sans avoir été abandonnés par la victoire nous avons été trahis par la fortune ». Tutto il dipartimento offriva, più o meno spontaneamente, e con maggiore entusiasmo Savona, un certo numero di cavalieri equipaggiati e spesati: Genova dava l’esempio allestendone 108. Le difficoltà della terribile situazione nei primi mesi del 14 imponevano ancora aumenti di tasse e maggiore severità nel reclutamento, mentre mancavano i mezzi per le necessità pubbliche e si ricostituiva e si riorganizzava la guardia nazionale (1). Quale fosse l’ansioso fermento che doveva agitare gli spiriti in quei frangenti e nel succedersi di straordinari avvenimenti non è dato sapere; tutto sembra normale e tranquillo, a stare alle scarne notizie della Gazzetta. Se mai, qualche segno del disagio e della sofferenza trapela dalla corrispondenza tra la Municipalità e il Prefetto, che si va facendo nei primi mesi (1) Gazzetta di Genova, febbraio-marzo 1814; Borel, Gènes sous Napoléon I, pag. 116 sgg.; Fiorini-Lemmi, Periodo napoleonico, pag. 1006. Fin dal 20 febbraio 1813 il Prefetto Bourdon scriveva: « II ne reste maintenant dans le département de conscrits propres au service que ceux necessaires au soutien de leurs mères veuves, ou de leurs pères plus que septuage-naires ou de soeurs et frères orphelins ». Ibid. — 207 — del 14 sempre più aspra e indica una evidente tensione di rapporti (1). Poi la situazione ha un riconoscimento ufficiale quando il 15 aprile il Prefetto di Genova scrive al Principe Borghese a Torino proponendo di sospendere la riunione dei Consigli municipali, che avrebbero dovuto convocarsi dal 1° al 15 maggio (2). Ormai l’agitazione è troppo evidente e minacciosa, determinata daH’incalzare delle notizie straordinarie: la Francia invasa, vani gli sforzi disperati di Napoleone, Parigi assediata, gli Austriaci avanzati nel Regno Italico, Murat unito ai collegati, gli anglosiculi risalenti le coste del Tirreno. Questi, giunti a Sarzana il 23 maggio e occupata Spezia il 26 (3), ricevuti altri rinforzi, si spingevano su Chiavari e Rapallo. Il generale Pegot, convinto dell’impossibilità di rimanere a Rapallo perchè sulla sinistra lo minacciavano gl’insorti di Fontanabuona, centro sempre della reazione antifrancese, si ritirò su Sori e Recco e di qui, assalito vigorosamente il 12 aprile, restrinse la difesa intorno a Genova, a Sturla e Albaro, facendo caposaldo della resistenza il Monte Fasce. Ferito, cedette il comando il giorno successivo al generale Piat, mentre sopraggiungeva ad assumere la direzione degl’inglesi lord William Bentinck, capo supremo delle forze inglesi nel Mediterraneo, deciso a compiere, occorrendo con la forza e valendosi della flotta comparsa dinanzi al porto, la conquista della città, punto politico ed economico di prim’ordine, chiave del Piemonte e della Lombardia (4). Il presidio francese, salito a seimila uomini, era comandato dal generale Fresia, che tentò far resistenza ai forti Richelieu e S. Tecla, ma, vista l’impossibilità di ulteriore difesa e di fronte anche all’atteggiamento ostile della popolazione minacciata dal conflitto e più dal bombardamento inglese, e sopraggiunte le notizie dell’abdicazione di Napoleone e della formazione di un governo provvisorio in Francia e dell’armistizio conchiuso tra il generale austriaco Bellegarde e il viceré Eugenio riguardante anche Genova, si indusse il 18 aprile a cedere la città al Bentinck. Questi aveva proclamato da Chiavari e da Nervi abolito il governo francese e molte delle più odiose misure fiscali (5) e si era messo in relazione coi malcontenti della capitale. Al suo (1) Archivio Comunale, Registro Corrispondenza 1814-15. (2) Borel, pag. 122. (3) Interessanti particolari sulla occupazione inglese in questa regione e sulle sue vicende in una relazione di Domenico De Monte, Capo anziano di Sarzana, e altri documenti in Collezione di Appunti e documenti storici della Bibl. Univ. di Genova, voi. 20, c. 407-415. (4) Botta, Storia d’Italia dal 1789 al 1815,1. XXVII, pag. 559 sgg. (ediz. Italia, 1837); M. Spinola, La restaurazione della Repubblica di Genova nel 1814, Genova, Sordomuti, 1863, pag. 15 sgg.; G. Martini, Storia della restaurazione della Repubblica di Genova l’anno 1814 e sua caduta e riunione al Piemonte Vanno 1815, Asti, 1858, pag. 25 sgg.; Fiorini-Lemmi, Periodo Napoleonico, pag. 1063; Serra; Memorie pag. 126 sgg. (5) Gazzetta di Genova, 20 aprile, pag. 130 sgg. — 208 - quartier generale in Albaro erano andati, con un ufficiale francese, Agostino Pareto ed Emanuale Balbi come parlamentari per le modalità dell’occupazione (1). Singolare e caratteristico contrasto offrono i due numeri successivi del 16 e 20 aprile della Gazzetta di Genova. Il primo è redatto in francese e nel solito tono ufficiale, il secondo trae quasi un gran respiro e lancia un grido di sollievo e di liberazione. Non, come dice il Borei, che la redazione sia « gagnée d’emblée au mouvement insurrectionnel », ma è avvenuto quel che Napoleone stesso aveva predetto parlando con la signora di Rémusat: il giorno della mia scomparsa il mondo tirerà un respiro e dirà auf ! » (2). Lieta della recuperata « libertà di parlare e di scrivere nella nostra lingua » la Gazzetta, che adotta ora nell’esergo il motto « In nova fert animus mutatas dicere formas-corpora », riferisce la cronaca degli avvenimenti, loda I opera compiuta dalla guardia nazionale e dalla Municipalità, come intermediaria per la resa e per la convenzione tra Inglesi e Francesi, e la ringrazia calorosamente: « Non solo siamo loro debitori della nostra sicurezza e quiete, ma siamo anche loro debitori di averci ripristinato nel nostro buon nome e dato gran prova in questa solenne occasione che tanti anni di miseria e di avvilimento non hanno spento l’antico amore della patria e che siamo ancora degni e capaci di formare una nazione rispettabile » (3). Naturali espressioni entusiastiche del momento agitato; certo è però che^ la Municipalità ebbe una parte notevole specialmente nel mantenimento dell ordine, e le numerosissime lettere di quei giorni dimostrano una febbrile attività. Anche la corrispondenza municipale dà il senso del mutamento improvviso che si ricava dalla Gazzetta. Tutto sembra normale fino al 16 aprile quando il Maire — dal 1812 è Vincenzo Spinola — manda al sottoprefetto il consueto notiziario statistico e la relazione trimestrale sulla vita della città (4). Il primo accenno al mutamento è in lettera del 18 al Barone Dal Pozzo, primo Presidente della Corte imperiale, in cui il Maire annuncia (1) Che i più accesi sostenitori dei francesi fossero d’accordo col prefetto Bourdon per saccheggiare la città mentre era battuta dagl’inglesi, come riferirono poi informazioni di polizia, non è credibile davvero; ma è veramente strano che gli accusati erano due medici, Giuseppe Garibaldi e Vincenzo Landò; Segre, Il primo anno del Ministro Vallesa, in Biblioteca di Storia italiana recente, voi. X, pag. 358-9, n. 122 e 143. (2) Ruini, Luigi Corvetto, pag. 79. (3) Gazzetta di Genova, n. 31, 20 aprile 1814, pag. 127 sgg. Altre notizie nei numeri-successivi sino al 7 maggio. Particolari sulle vicende dell’occupazione da parte degl’inglesi in Collezione di Appunti e documenti storici, Bibl. Univ. Genova, voi. 22, c. 134 sgg. V. anche Borel, pag. 133 sgg.; Martini, pag. 25 sgg.; Serra, pag. 129-130. (4) Arch. Comunale, Registro Corrispondenza 1814-15, n. 351, 16 aprile. - 209 — di aver fatto abbassare le armi che erano fuori della sala della grande udienza della Corte per evitare violenze da parte della folla e per non dover ricorrere all uso delle armi (1). È il momento nel quale il popolo si è levato contro gli antichi dominatori, ha abbattuto la statua di quel che era apparso l’idolo e minaccia eccessi e violenze (2). Il Maire si tiene in continuo contatto coi Commissari di Polizia, ai quali chiede un rapporto ogni quattro ore sulle condizioni della sicurezza pubblica; sostituisce di sua iniziativa il capo della polizia imperiale, e siccome lo Stato Maggiore non gli fornisce notizie precise sui risultati della conferenza fra i capi belligeranti per la resa militare della città, insiste presso il Barone Fresia sulla necessità « de tranquilliser tout le monde, lui apprenant l’issue heureux de la conférence » e gli chiede di sapergli dire qualche cosa « pour me mettre à mème de le repandre par la ville et tranquilliser les ésprits » (3). Il giorno successivo, con lettere in italiano, annuncia ai diversi uffici cittadini il mutamento avvenuto nel governo, mentre il 20 invita i Consiglieri a recarsi in corpo al quartier generale di lord Bentinck per ringraziarlo a nome della città (4). Per quale ragione, subito dopo questa visita, egli si dimetta col pretesto di una indisposizione che ha tutta l’aria di esser politica non si vede (5). I due fatti devono avere certo un rapporto; può essere che egli apparisse sospetto al Bentinck appunto perchè nominato dal governo francese, o che si allontanasse per non essere stato compreso nel governo o perchè non condividesse le idee dell’inglese sulla nuova costituzione dello Stato. Comunque, era sostituito dal primo aggiunto, Luca Solari; il secondo era Emanuele Balbi. E al Solari spettava di pubblicare il proclama col quale il Bentinck, malsicuro interprete del pensiero del proprio governo, stabiliva la forma provvisoria del governo genovese e « le basi su delle quali viene dalla mano potente di V. E. rialzato l’antico edifizio costituzionale » (6). Il 26 aprile infatti il Bentinck aveva emanato il proclama che istituiva il nuovo governo: « Considerando che il desiderio generale della Nazione (1) Ibid. n. 360 sgg., 18 aprile. (2) Martini, Storia della restaurazione ecc. pag. 26 sgg. (3) Arch. Comunale, Registro Corrispondenza 1814-15, n. 365, 18 aprile. (4) Ibid., n. 368 sgg., 19 aprile; n. 392, 20 aprile. (5) Ibid. n. 394, 21 aprile. « J’ai l’honneur de prevenir V. Ex. que depuis le moment que j’eus l’honneur aujourd’hui de lui presenter mes respects, l’état de ma santé deja delabrée ayant empirée j’ai du me retirer chsz moi pour me procurer le repos et les soins indispen-sables ». Lo sostituirà l’aggiunto Solari; una lettera del quale al Senatore Presidente del Governo provvisorio accenna alla « scusa accordata al sig. Vincenzo Spinola » (n. 487, 23 maggio). Dopo inutili insistenze, il nuovo governo aveva accettato infatti le dimissioni dello Spinola, ringraziandolo dei servigi prestati; Raccolta delle Leggi ed Atti pubblicati dal Governo Provvisorio della Serenissima Repubblica di Genova, Genova, 1814, pag. 7, 5 maggio. (6) Registro, n. 483, 28 aprile; Gazzetta di Genova, n. 33-34, 27-30 aprile. 14 210 — Genovese pare essere di ritornare a quell’antico Governo, sotto il quale godeva Libertà, Prosperità ed Indipendenza; e considerando altresì che questo desiderio sembra esser conforme ai principi riconosciuti dalle Alte Potenze alleate, di restituire a tutti i loro antichi diritti e privilegi s, egli dichiarava « ristabilita la costituzione dello stato genovese quale esisteva nel 1797 con le modificazioni che il voto generale, il pubblico bene e lo spirito dell’originale costituzione avrebbero richiesto » (1). In questa restaurazione il Bentinck interpretava l’opinione pubblica genovese, tutte o quasi le correnti della quale o per nostalgico rimpianto del passato o per dolorosa esperienza recente convergevano nel desiderio dell’indipendenza. Indipendenza dalla Francia, s’intende, e insieme dal Piemonte, perchè anche molti di coloro che in quel momento sognavano un’improvvisa unità italiana, pensavano all’annessione di Genova al solo Regno di Sardegna come qualche cosa di inammissibile, di oppressivo e innaturale. Erano in quest’ordine di idee anche il Corvetto e un gruppo di genovesi dimoranti a Parigi i quali, mentre si aprivano le trattative per l’assestamento europeo, facevano inserire nei giornali francesi un articolo sull’opportunità di ristabilire in Genova l’antico governo. « La sua indipendenza non sarebbe nella rigenerazione politica dell’Italia, che un elemento essenzialmente pacifico; non avrebbe ambizione, perchè non avrebbe nè la volontà nè l’interesse nè i mezzi di sostenerla. Il suo superbo portofranco, le sue riviere ospitali verrebbero riaperte con gran vantaggio reciproco dell’estera navigazione. Genova sarebbe una gran fiera di più nel Mediterraneo. Così fatto sistema non potrebbe variare in tempo di guerra. Posto nella felice impossibilità di prender parte alle discussioni politiche, questo piccolo Stato offrirebbe di nuovo uno di quei pacifici asili di cui le grandi Nazioni belligeranti sentono spessissime volte il bisogno. Tutto cambia natura, se questo Stato medesimo si accoppia a qualche potenza continentale d’Italia. I suoi porti sono capaci di grandi stabilimenti marittimi, la sua popolazione può somministrare una forza imponente, darà dunque luogo a nuovi progetti d’ingrandimento, stimolerà l’ambizione di qualche Principe giovine e coraggioso; meno felice in sè stesso, sarà più ostile alla tranquillità d’Europa » (2). (1) Raccolta delle Leggi ed Atti pubblicati dal Governo provvisorio della Serenissima Repubblica di Genova, t. I, pag. 3; Spinola, pag. 21 sgg; Serra, pag. 134. Dalle espressioni di questo proclama, il nuovo governo fu poi sarcasticamente chiamato dei pare e dei sembra. Il Serra, naturalmente molto benevolo al Bentinck, spiega e giustifica queste forme dubbiose coi riguardi dovuti al Governo inglese che egli temeva non favorevole (Memorie, pag. 142). Tanto più doveva apparire vano l’illudersi che quei provvedimenti dovessero essere ratificati. (2) G. Serra, Memorie, pag. 133. Questi argomenti furono poi ripresentati dal Brignole Sale al Congresso di Vienna, Poco dopo l’indipendenza di Genova in funzione dell’indipen- — 211 — Non contenti, il Corvetto e i suoi amici (1) vollero «rappresentare in una loro memoria il desiderio unanime della nazione ligure, quello cioè di ricuperare la perduta indipendenza, facendo ritorno alle antiche leggi del 1576 » (2). Se mai, su quest’ultimo punto non erano tutti concordi. I nobili avrebbero voluto riavere essi soli o essi prevalentemente il governo, mentre i borghesi non si adattavano a ritornare alla condizione anteriore al 1797. La memoria stesa dal Corvetto fu mandata a tutti i ministri delle quattro potenze alleate; e nessuno rispose. Ciò che conferma come il Bentinck non fosse affatto sicuro interprete del desiderio e dei propositi degli alleati. Lo stesso Gabinetto britannico disapprovava la sua condotta, e lord Castle-reagh da Parigi il 6 maggio gl’infliggeva un biasimo appunto per avere organizzato a Genova il governo provvisorio a carattere repubblicano (3). « Impulsivo e duro, di una mentalità inglese che è abituata a trattare gli altri popoli come coloniali, ma non sdegna i valori di libertà ed indi-pendenza, anche fuori confine, purché non contrastino con gl’interessi e i guadagni della Gran Brettagna, Lord Bentinck era personalmente persuaso di poter giocare un gran ruolo, suscitando gl’italiani a nuove formazioni contro l’influenza napoleonica ed anzi francese. Aveva perfino promessa l’unità italiana, in manifesti più chiari ancora di quelli con cui ogni arciduca o generale d’Austria, affacciandosi alle Alpi, aveva solennemente annunciato agli italiani il rispetto della loro nazionalità » (4). Ma questa sua politica non era conforme agl’intendimenti del Ministero inglese ed egli fu poi richiamato dal Mediterraneo nelPaprile 1815, perchè, come diceva di lui il cardinale Ruffo, era « un de ces fous aussi terribles qu’incurables qui s’occupent joUr et nuit de la liberté universelle denza d’Italia era sostenuta in uno scritto pubblicato anonimo a Parigi: Nota d’un Italiano agli alti Principi alleati sulla necessità di una Lega italiana per la pace d’Europa, opera di Benedetto Boselli di Savona, figlio del Francesco stato per poco dei Novemviri nel 1799; Ibid. pag. 163 sgg. (1) Erano Stefano Rivarola, Q. B. Serra, Carlo Doria, Giovan Luca Durazzo e Ferreri di Alassio, non dice il Serra se entrambi i fratelli Pietro e Onorato o uno di essi; suppongo si tratti di Onorato, già rappresentante della Repubblica a Parigi. Non volle invece neppur vedere la memoria « il Senator dell’impero, Carbonara, stato plenipotenziario a Montebello di famiglia nobile ma di professione avvocato » dice sprezzantemente il Serra. (2) Martini, La restaurazione della Rep. di Genova, pag. 45; Ruini, Luigi Corvetto, pag. 81. Le leggi del 1576 in Appendice alla Storia di Pietro Bizaro, edita nel 1579. Su queste e i fatti che le hanno determinate, a cui accennano largamente tutti gli storici di Genova, v. ora F. Poggi, Le guerre civili di Genova ecc., in Atti della Società Ligure di Storia patria, voi. L1V, fase. Ili, 1930, pag. 104 sgg. (3) Castlereagh, Correspondence, despatches, and others Papiers, X, 14, 45; Weil, Le Prince Eugène et Murat, IV, Paris, Fontemoing, 1902, pag. 577, n. 3; Spinola, La restaurazione ecc., pag. 131. (4) Ruini, Luigi Corvetto, pag. 80, — 212 des peuples » (1). Era naturale che un illuso, il quale non aveva capito i veri intendimenti dei governi e come certe idee ed espressioni servissero soltanto di strumento per abbattere Napoleone, dovesse essere sconfessato. Le norme da lui emanate rappresentavano un temperamento tra le aspirazioni del Serra, del Pareto, degli altri suoi consiglieri, sostenitori della vecchia autonomia e del governo aristocratico, e le concessioni che non potevano non esser fatte alla nobiltà ligure non cittadina e alla borghesia colta e ricca che aveva avuto il predominio nell’età napoleonica: necessario riconoscimento della profonda trasformazione avvenuta. 11 governo provvisorio, fornito di potere legislativo ed esecutivo, doveva essere costituito di 13 membri, formati in due collegi (Governatori o Senato e Procuratori o Camera, come nell’antica Repubblica) e destinati a rimanere in carica sino al 1° gennaio 1815, quando sarebbero stati compiuti nel numero che la nuova costituzione avrebbe determinato. Ci dovevano essere due consigli, minore e maggiore, due terzi dei membri dovevano essere nominati subito, il resto appena formate le liste dei cittadini eleggibili. L'illusione dell’integrale ristabilimento dell’antica repubblica era così pienamente giustificata. Il Bentinck comunicò con Io stesso proclama i nomi dei componenti il governo provvisorio: Girolamo Serra, Presidente, Andrea De Ferrari, Agostino Pareto, Ippolito Durazzo, Gian Carlo Brignole, Agostino Fieschi, Paolo Girolamo Pallavicino, Domenico De Albertis, Giovanni Quartara, Marcello Massone, Giuseppe Fravega, Luca Solari, Giuseppe Gandolfo. Ma parecchi si dimisero: il De Albertis, il Brignole, il Fravega, il Massone, il Gandolfo (2); a compimento del numero prestabilito furono poi eletti Francesco Antonio Dagnino, Carlo Pico, Giuseppe Negrotto, Domenico De Marini, Grimaldo Oldoini (3). Erano, con qualche ricco negoziante e qualche cospicuo avvocato, per lo più nobili, e taluno delle Riviere; è l’antico programma dei Serra, l’autonomia e la repubblica con più larga partecipazione di nuovi elementi alla direzione dello Stato, che tenta di attuarsi. In realtà la nuova repubblica era sotto la tutela e la protezione armata inglese come la precedente era stata sotto i Francesi. Il nuovo governo annunciò la sua costituzione con proclama del 28 aprile « Chi mai, si chiedeva, potrebbe dopo sì tristo esperimento della dominazione straniera non desiderare di vivere e morire in seno d’una libera patria? »; (1) M. H. Weil, Les dessous du Congre's de Vienne, Paris, 1918, t. Il, pag. 405, n. 2252. (2) Raccolta delle Leggi ed Atti del Governo Provvisorio, t. I, pag. 4; Gazzetta, n. 35, pag. 138. (3) Raccolta, t. I, pag. 150; t. II, pag. 75. Di tutti, a cominciare da sè stesso, dà un breve giudizio il Serra (Memorie, pag. 136 sgg.); più ampio e onorevole quello del Pareto; di sè dice che nessuno gli negava esperienza di governo in tempi difficili, fermezza d’animo e vivo amore di patria, doti che anche ora nessuno potrebbe contestargli. - 213 — faceva appello alla cooperazione dei cittadini, conchiudendo: « Potremo così sperare che a giorni di servitù e di travaglio succedano ormai, se la Provvidenza lo conceda, giorni di risorgimento e di prosperità » (1). Speranze anche queste destinate a una pronta delusione. Per conto suo, il governo provvisorio si metteva all’opera con grande attività ed entusiastico buon volere, cercando di ricostituire secondo le antiche tradizioni e i nuovi bisogni tutta l’amministrazione, dai provvedimenti economici più urgenti (legge sul portofranco, legge sul bollo, sulle gabelle del grano e del vino, sui sali e tabacchi, abolizione dell’odiata tassa sulle porte e finestre, ristabilimento del Seminario o giuoco del lotto) alla sicurezza colla ricostituzione della Guardia Nazionale, con la formazione di una nuova Guardia di polizia e con una quantità di misure occasionali, all’amministrazione della giustizia con la ricostituzione dei tribunali, con le riforme giuridiche. Notevole tra queste l’abolizione del Codice napoleonico e il ristabilimento delle leggi anteriori al 1797 e al 1805 per quanto riguarda gli atti delio stato civile restituiti ai parroci, la celebrazione del matrimonio, il divorzio, la comunione di beni fra i coniugi, le successioni intestate, il diritto di legittima (2). Una commissione nominata subito nell’aprile (Agostino Pareto presidente, Cosma Clavarino, Filippo Molfino) doveva esaminare la posizione dei condannati alle carceri e ai lavori forzati per reato di coscrizione; un’altra costituita nell’agosto, ancora col Pareto presidente e formata da Gian Carlo Brignole, Marcello Durazzo, Giuseppe Cavagnaro e Luigi Morro, era incaricata di studiare la possibile ricostruzione del Banco di S. Giorgio, deliberata infatti con legge del 2 dicembre (3). Nel settembre si era costituita una Deputazione agli studi con incarico di presentare un piano di studi, di amministrare le rendite e provvedere alle nomine necessarie (4). Per l’amministrazione municipale, uniformandosi anche a quanto il Bentinck aveva stabilito con proclama da Chiavari il 15 aprile (5), il governo aveva conservato dapprima tutte le norme vigenti e gli ordinamenti di carattere amministrativo e di polizia, mantenendo in carica i Maires col titolo di Capi Anziani e i Consigli Municipali con quello di Consiglio o Parlamento degli Anziani (6). Un regolamento speciale doveva essere redatto per (1) Raccolta delle Leggi ed Atti ecc., t. 1, pag. 5; Serra pag. 140. (2) Raccolta, I e II e Supplemento; Spinola e Martini, op. cit.; Gazzetta di Genova, passim; Serra pag. 145 sgg. (3) Raccolta, t. I, pag. 8, 15, 221 e II, pag. 86. (4) Raccolta, t. II, pag. 24; Supplemento, pag. 42. (5) Gazzetta di Genova, 20 aprile, pag. 139. (6) Gazzetta, 4 maggio 1814 n. 35, pag. 152 e n. 36, pag. 161; Raccolta, t. I, pag. 8 e 11; Drago, Svolgimento storico ecc., pag. 37. — 214 — l’amministrazione della capitale dello Stato e fu invitato il Solari a presentare le relative proposte. Il 16 giugno egli scriveva al Presidente del Governo inviando un piano che non è noto: può esserne conseguenza la ricostituzione del Magistrato dei Padri del Comune avvenuta nell’agosto nelle persone di Stefano Pessagno priore, Giuseppe Profumo, Emanuele Balbi, Marcello Durazzo di Giuseppe, Filippo Raggi, Stefano Rivarola, Gian Pietro Serra (1). Per quanto riguardala materia politica, ristabilita subito la bandiera della vecchia repubblica, il governo si accinse allo studio delle riforme da apportare alla costituzione del 1576 per adattarla alla necessità dei tempi (2). Si trattava di conciliare il vecchio diritto della nobiltà con le nuove conquiste della borghesia, col principio dell’eguaglianza uscito dalla rivoluzione. Ma lo spirito rimase sempre limitato e nettamente aristocratico, riducendosi ad aprire i ruoli alla nuova nobiltà del censo. Per 1’ eleggibilità ai Consigli, per l’esercizio cioè dei diritti politici, fu stabilita la compilazione di un nuovo libro di nobiltà: poteva esservi compreso chi fosse cittadino genovese — non della sola città, ma dello Stato — e possedesse 100 mila lire o un reddito di quattromila, esclusi gli appartenenti ad ordini cavallereschi con voti, ai religiosi e monastici, e, secondo una norma del 1576, anche chi non avesse cessato almeno da tre anni di esercitare un lavoro manuale (3). Stabiliti e approvati dal Bentinck questi principi, e nominato in ogni circoscrizione un incaricato a raccogliere le domande e a vagliare i diritti degli aspiranti — per Genova Stefano Rivarola e Luigi Morro — furono nominati trenta probiviri, dodici nobili genovesi, dieci nobili del territorio e otto tra proprietari, negozianti e avvocati, incaricati di designare tra gli aventi diritto i due terzi del Consiglio Minore e del Maggiore (rispettivamente di cento e duecento membri). Essi compilarono un duplice elenco alfabetico con unica numerazione complessiva; i primi sessantasette erano destinati (1) Registro Corrispondenza 1814-15, n. 4S7, 50S, 523, 572; Raccolta ecc. I, 223; SPINOLA, pag. 40; Drago, pag. 93-99. Accanto ai Padri del Comune c’erano i Magistrati dei Censori, di Polizia, dei Coadiutori camerali e dell’Abbondanza. Di quest’ultimo faceva parte Giacomo Mazzini. Tutti insieme costituivano il Consiglio Comunale: Reg. Corrispondenza, 27 dicembre 1314, n. 653; 9, 10 gennaio 1815, n. 11, 13. (2) Pareri e studi relativi alla costituzione che si and iva elaborando, in Collezione di Apppiuiti e Documenti storici, Mss. della Bibl. Univ. di Genova, voi. 22, c. 144 sgg. (3) Raccolta delle Leggi ed Atti, I, pag. 74,129. Questa costituzione, osserva Io Spinola, fu un errore; non bastava ai bisogni dei nuovi tempi, sarebbe stata sufficiente prima del 1797, non dopo il governo napoleonico e l’amministrazione francese; La restaurazione, pag. 2S sgg. Interessante la critica che alla costituzione fa il Serra (Memorie, pag. 151) che in sostanza l’avrebbe voluta più aristocratica e plutocratica. Zgli non ebbe parte nel prepararla o, dice, perchè non lo si volesse aggravare troppo di lavoro o perchè i popolari vedessero in lui il nobile e i nobili il plenipotenziario di Mombello < secondo un generale costume di biasimare sul lido i gettiti fatti in burrasca per campare dal naufragio». - 215 al Consiglio Minore, gli altri al Maggiore : il rimanente dei Consigli sarebbe stato nominato nel 1815, secondo il primo proclama del Bentinck. Questi elenchi furono pubblicati e resi esecutori con un suo nuovo proclama del mese di luglio: tra gli eletti è Onofrio Scassi, destinato al Consiglio Maggiore (1). Ma tutta quest’opera di riordinamento interno e costituzionale presupponeva l’esistenza indipendente della Repubblica. E questa era invece assolutamente precaria. Già fin dal 1805, subito dopo l’annessione all’impero, il Pitt aveva promesso Genova al Re di Sardegna (2); il Piemonte ingrandito si sarebbe difeso più facilmente e la costa ligure sarebbe stata meno esposta alle ambizioni francesi. Era naturale perciò che il Castlereagh, ora Primo Ministro, non fosse entusiasta dell’iniziativa del Bentinck, dalla quale derivava un pericoloso equivoco: di qui il suo biasimo all’impulsivo Lord fin dal 6 maggio e tutto il suo atteggiamento successivo, anche nei riguardi del Pareto. Genova ha fatto sforzi disperati per mantenere la propria autonomia, ma sopra tutto li fece quella nobiltà che aveva subito tante delusioni e diminuzioni e che ora, con qualche piccola e misurata immissione di nuovi elementi, era ritornata classe di governo e intendeva di ricostituire, sapientemente accomodandola, la repubblica aristocratica (3). Ma fin dal principio apparve che quegli sforzi erano vani, e si comprende con quale animo, come dinanzi a non lieto auspicio, i capi del governo e del municipio dovessero cominciare le loro funzioni, d’ordine del Comando militare inglese, proprio col prendere i provvedimenti necessari a ricevere e « complimentare » il re Vittorio Emanuele I, che dall’esilio di Sardegna sbarcava a Genova per ritornare nel suo Stato (4). « Il contegno e i modi famigliari usati da S. M. verso i genovesi — scriveva un informatore milanese — avvalorano sempre più l’opinione che questo paese possa essere aggregato al Piemonte, tanto più che il Re ha detto egli stesso che dalla Russia gli è stato promesso un ingrandimento per le vicende sofferte » (5). In quei giorni infatti si spargeva (1) Gazzetta di Genova, 18 giugno, n. 48, pag. 207 e 3 agosto, n. 62, pag. 264; Raccolta delle Leggi ed Atti, I, pag. 150 sgg. Lo Scassi è al n. 187, pag. 156. (2) Martini, La restaurazione, pag. 20. (3) Dimostra lo spirito di questo governo il rifiuto di accordare un impiego al notaio Chichizola, accusato autore della distruzione del Libro d’oro nel 1797; Collezione di Appunti e Documenti Storici, Bibl. Univers. di Genova, voi. 30, c. 30. (4) Arch. del Comune, Registro Corrispondenza 1814-15, 28 aprile -1 maggio, lettere n. 436, 447. Il Re alloggiò al palazzo di G. B. Carrega, il seguito in quello di Giuseppe Maria Cambiaso: fu ricevuto da una delegazione del Consiglio municipale, che mise a sua disposizione la berlina di Antonio Brignole Sale e il palco di Giovanni Spinola al teatro S. Agostino. Si trattenne alcuni giorni; visitò, facendo elargizioni, istituti di carità; Corrispondenza, 3-16 maggio; Lemmi, pag. 273. (5) F. Lemmi, La restaurazione ìustriaca a Milano nel 1814, Bologna, 1902, pag. 274. — 216 — la voce, per lettere e giornali venuti da Torino e da Parigi, che Genova sarebbe stata data al Piemonte (1). Prima cura del nuovo governo era perciò quella di mandare uno dei più autorevoli suoi rappresentanti, Agostino Pareto, a Parigi. Ma la sua opera attiva e appassionata non raggiunse l’intento: secondo il Serra, che pur gli era amicissimo e l’ammirava, gli fecero difetto alcune doti in quei frangenti necessarie. Narra egli infatti che Napoleone a Fontaine-bleau, domandandosi, in un colloquio con Fabio Pallavicini, quale sarebbe stata la sorte di Genova, soggiunse: « Se volete ricuperare la vostra indipendenza, compratevi Talleyrand ». Ora. commenta il Serra, « nel punto di vista in che Napoleone considerava quel caso, e in tutto quel di più che richiede prontezza e risoluzione. Agostino Pareto non era l’uomo da ciò. Aveva i necessari poteri, ma circospetto per indole e per riflessione, poco espansivo, poco assuefatto a mostrar lieta cera quando il cuor rode, era inoltre dotato di quelle fisonomie piene d'ingegno e di penetrazione, che non invitano a confidenza » (2). Quali che fossero state però le sue doti personali e diplomatiche, non sarebbe egualmente riuscito perchè l’impresa era disperata: e pur egli vi pose tutto l'impegno e la passione. Invano si sforzò di provare che L annessione di Genova alla Francia era stata opera della violenza e che la cacciata dei Francesi era stata provocata anche da’ contegno dei cittadini, per ricavare da questa loro partecipazione attiva un diritto a disporre della propria sorte (3); invano volle dimostrare che la ricostituzione della repubblica genovese rispondeva al principio della legittimità, mentre l'annessione a uno Stato di terraferma sarebbe stata per Genova, anche per ragion: economiche, rovinosa: invano invocò la ratifica dell operaio del Bentinck. Il Castlereagh. che lo ricevette il 12 maggio, gli rispose « che molto gii rincrescerebbe se quanto veniva di farsi in Genova fosse riguardato come una decisione oositiva della sorte di quel paese; non appartenere alia sola Inghilterra il deciderne, ma alia riunione di tutte le potenze. Do-lerg.i assai che col.'essersi fatto da Lord Bentinck più di quello che doveva, potesse tacciarsi per parte nostra di malafede i! suo governo e d'essere accusato per altra parte di voler dominare solo, quando per io contrario intendeva di nulla (11 .ìfeMJnf bBEKTOLL in Cs-szL'ss di Arzzzs ? DmiMi il(i stpria, voi. 30. nag. li. Ii a Serr v Measrzi, pag. 144. I na—erosi riferì nenti del Serri sono preziosi per la biografia co. .dea nei Parerò che ha arato tanta rane zelle vicende del sao tempo e sai c-a.e ~~.i~.ca caaianqae m or. .'grana. Affano irsafndesti scr.: la necrologia nella Gazatiti •ii (J/~: -. oei —amo 1 e brevi cenni negli EJttgz dì Liguri /.7 ?voi. III. pag. sgg. (3 La resa sarebbe avvenuta egualmente « mais il est h:Fiorarle ponr les gémè :r avoir en caelc/ae sorte coopere enx mèmes. et c avoir hantemei predarne lenr voeu da retewr a 'enr ar.cenne :ndependarsce et ì lenrs andenres loss étam eacore. ponr airts dire, soas les bayonneres des trancais >. - — 217 — operare se non di concerto coi suoi alleati ». E aggiunse, indicando ormai chiaramente la soluzione definitiva: « Ma voi starete ugualmente bene riuniti alla Sardegna » e non lo commossero le affermazioni del Pareto, che anzi sarebbe stata quella la maggiore rovina (1). Fu per 1 ambasciatore e per il suo governo una fiera delusione, alla quale non si rassegnarono. 11 Pareto continuò ad agire a Parigi, ma senza risultato, presso l’imperatore Francesco I, il Mettemich, il Nessel-rode e gli altri diplomatici e tentò anche la via di Londra, inutilmente (2); il governo genovese decise l’invio al Congresso di Vienna di Antonio Brignole Sale, bella inielligenza, forte di valide aderenze, perchè cognato del duca di Dalberg, uno dei plenipotenziari francesi al congresso- e anche delle cospicue ricchezze proprie e di quelle messe a sua disposizione dal governo (3). La scelta avvenne non senza contrasti e solo per compiacere al Bentinck che ne aveva fatto la designazione. Pareva a molti e, par di capire, anche al Serra, che il passato del Brignole Sale, devoto a Napoleone, non lo indicasse a difendere l'indipendenza genovese 14). Egli assolse invece il suo compito con abile accortezza e con appassionato fenore. Inutilmente : la situazione era già compromessa dalFarticoIo 2 dei trattato segreto stipulato dagli alleati a Parigi il 30 maggio, il quale, pur lasciando la decisione definitiva al congresso, stabiliva in linea di massima la cessione lt Lettere Pareto (copie* in BibL Gvica Berio di Genova. Ms. D bis 5-7-17: lettere 11 e 1. maggio, 2 sgg. e 7 sgg. Sono memoriali, ledere e relazioni scritte dal Pareto tararne la sua legazione, nsnfnirte già dallo 5 tjitt :-la e dal Marini, ma che potrebbero essere utilizzare per maggiori particolari. V. anche Serra, Memorie, pag. 153 sgg. Lettere. 17 maggio, c. 15 (conferenza col Menerai ri > e sgg. La corrispondenza. neùa quale si ripetono i consueti motivi abbraccia i mesi dai maggio ai luglio. Verso la mera d agosto Pareto torca a Genova congedandosi dai Tallerrand e incaricando 3 Cor. etto ti tarare gii affari genovesi: ibid. 14 agosto, c. 175. Cfr. anche X. Buschi, Storia nrìlr. diplo-■em europea ì* Italia, voL I, pag. 70-71, e Spinola e Martiki p»™ li MrWrraiA ebbe a ■erre in ana privati conversazione che i pochi genovesi residenti a Parigi erano antra ai-. anione al Piemonte, ma che egli sapeva cene come a Genova appena nno se dieci desierasse : antico governo 11 Serra, (pag. 155) ne riferirne le parole inveisce contro cfcf gli a reva narcosi rane informazion:. senza nominarlo: dali'insie—e del sno discorso ritengo si rierisse al Carbonara. 3' Sa onesta interessantissima fignra di politico e diplomatico, eli: tardi ambasciatore piemontese a Roma, a Firenze, i Parigi. Senatore e Collare delIWnnisziata. t. la tiri:grafia incitata da L Valle. Citalo*: dilli *~rIrritine; ririre il Risorgimelo tulliano della B&liiriC! BrigT&le Sili Di Fernri, a cara del Municipi: di Genova, 1/25. pag. 5. cai a ceve aggiungere l'aricoio di Fr. PckìGì nel Diz&zz-lz del Rlss’gimexi: diretto da VL Ras. IL 4-jeSc A. Manno, Iafjrmazitnl ri r:zrxi.\ Firenze. ISTS. rag. 14 sgge G. Faldfi ? / fruell HaffzrJ, Storia dilli Ql::i~: Ivi Isl, Torino. 1395. pag. 7*4 sggt e ora le Memorie dd Serra. Manca tuttavia nn baon lavoro esauriente. - G. Serra. Mescne, pag. 173 sgg. — 218 — di Genova a Vittorio Emanuele (1). Tuttavia, anche dopo averne avuto conoscenza, il Brignole sperò egualmente di vincere la partita adoperando tutti i mezzi a sua disposizione e giuocando sui dissensi tra le potenze (2). A nome del suo governo dichiarò che i Genovesi non erano animati da sentimento municipalistico, e che, per l’unificazione d’Italia, avrebbero volentieri rinunciato alla propria autonomia per essere uniti con uno Stato grande e forte, come, per esempio, il Regno Italico; ma poiché era noto che il Regno Italico non sarebbe stato conservato reclamavano il mantenimento dell’antica indipendenza (3). L’argomento può avere soltanto un valore dialettico e di opportunità, ma accenna alla concezione unitaria allora abbastanza diffusa e che aveva anche a Genova seguaci, sia pure in avversione al Piemonte. Al quale, aggiungeva il Brignole, l’unione forzata di Genova non sarebbe stata ragione di forza, ma di debolezza; però, avvertiva con una meravigliosa previsione dei destini futuri d’Italia e specialmente dell’opera del Cavour, il Piemonte avrebbe trovato nel possesso della Liguria un germe di ulteriori sviluppi, si sarebbe trovato nella necessità di ambire i paesi circostanti e di fare ogni sforzo per conquistarli, approfittando anche delle questioni fra le grandi potenze, e la Francia, nel timore della sempre maggiore espansione dell’Austria, avrebbe dovuto, aiutarlo (4). Egli intendeva così di preoccupare il governo austriaco; ma questo aveva allora altri e più immediati timori. Infatti il Brignole avvertiva il Senato che Metternich era preoccupato dei malcontenti di Genova, desiderosi di un Regno d’Italia (5); e in realtà, quando convocò il Comitato delle otto Potenze per deliberare sulla sorte della Liguria, il Ministro affermò, ad affrettarne la decisione, che in Genova « cominciava a formarsi un centro rivoluzionario, il quale teneva pratiche ed intelligenze segrete con tutti gli amatori dell’indipendenza italica e delle libere istituzioni » (6). È naturale che l’abile a accorto San Marzano, rappresentante sardo al Congresso, sapesse approfittare di questi timori (7). (1) D’Angeberg, Congre's de Vienne, I, pag. 171; H. Weil, Les dessous du Congre's de Vienne, I, pag. 147, n. ISO; Spinola, pag. 130 sgg.; Martini, pag. 21 sgg.; A. Segre, // primo anno del Ministero Vailesa, Bibl. di Storia Italiana recente; voi. X, pag. 57 sgg. (2) A. Manno, Informazioni sul ventuno, Firenze 1879, pag. 141 sgg. (3) Francia e Spagna favorirono, sebbene blandamente, le aspirazioni genovesi. Serra, pag. 175 sgg. Molte illusioni aveva dato un articolo della Gazzette de France sulla indi-pendenza dello Stato di Genova nel quale era dichiarato che l’autonomia della Liguria era non solamente un elemento positivo della rigenerazione politica d’Italia ma «la salvaguardia della tranquillità dell’Europa • : Gazzetta di Genova, n. 36, 7 maggio 1814. (4) S. di Santarosa, Delle speranze degli Italiani, Milano, 1920, pag. 46. (5) Weil, Les dessous etc., pag. 85, n. 103, lettela Brignole, 17 settembre 1814. (6) Spinola, La restaurazione, pag. 182. (7) Segre, Il primo anno ecc., pag. 28 sgg. — 219 - I precedenti generici accordi di Parigi, l’opposizione tenace del Castlereagh e del Metternich, l’azione attiva e instancabile del San Marzano resero vani gli sfoizi del rappresentante genovese e i mezzi cospicui impiegati a sostenerli (1). Ai primi di novembre la partita era perduta: nella seduta del 12 il Comitato delle Potenze deliberò l’annessione, affidando a una commissione di tre membri, rappresentanti la Francia, l’Inghilterra e l’Austria, di stabilirne le modalità (2). Non più rappresentante ufficiale ma come privato cittadino il Brignole tentò allora 1 ultima prova, la richiesta di una speciale costituzione per Genova, cercando dimostrare che il « sottoporre i Genovesi allo stesso regime di governo a cui erano assoggettati gli altri sudditi del Re di Sardegna, si doveva considerare come una ingiustizia intollerabile » (3). Fu facile al San Marzano dimostrare l’assurdità che due parti del medesimo Stato dovessero esser governate con ordinamenti diversi e d’altro lato Vitto’ i° E|Tlariuele avrebbe preferito rinunciare a Genova piuttosto che concedere una costituzione a tutto lo Stato, come il Brignole stesso suggeriva (4). Tuttavia, e nonostanti gli ordini in contrario da Torino, il San Marzano dovè piegarsi a concessioni formali e ammettere che le Potenze, preoc cupate della recisa opposizione e delle notizie sull’opinione pubblica genovese, decidessero le modalità dell’annessione sotto alcune condizioni. Le proposte dei tre plenipotenziari, accettate dalle altre potenze e dal Re di Sardegna, fissate nel protocollo del 12 dicembre, diventarono integralmente, tolte lievi varianti formali, le Regie Patenti 30 dicembre 1814, che stabilivano le condizioni dell’unione e le concessioni fatte a Genova. Sono « i privilegi che il nostro paterno cuore ci aveva suggeriti » come dice il preambolo, riferendosi certo al progetto già presentato al governo inglese (5), o (1) Valendosi delle diffidenze e degli attriti tra le Potenze, tentò di offrire anche il dominio di Genova a un principe austriaco, ai Borboni di Parma; chiunque, purché non fosse il Piemonte e Genova restasse autonoma: Spinola, pag. 210; Segre, pag. 59. n. 7. (2) D’Angeberg, 1, pag. 424-427; Weil, I, pag. 529, n. 774. Il Castlereagh voleva però si conservasse il segreto, per timore di movimenti popolari; Segre, pag. 151; Serra, pag. 176 sgg. (3) Spinola, pag. 210. Una copia di questo progetto di costituzione è al Museo del Risorgimento di Genova, n. 620. È di mano di Vincenzo Ricci e vi sono aggiunte le osservazioni del San Marzano. (4) Martini, pag. 220-21; Bianchi, Storia documentata della diplomazia, I, 95-98; D. Perrero, Gli ultimi reali di Casa Savoia del ramo primogenito e il Principe Carlo Alberto di Carignano, Torino, 1889, pag. 195-6. (5) Vittorio Emanuele aveva fatto rimettere al governo inglese un progetto di franchigie e di concessioni relative al commercio ai tribunali aH’amministrazione della Liguria dichiarandosi pronto a conformarvisi, progetto che servì effettivamente di base alla compilazione del testo definitivo. Quando il Castlereagh passò dalla Svizzera per andare a Vienna, il Re gli mandò l’ammiraglio De Geneys per persuaderlo all’annessione immediata anche perchè con quel progetto egli « avait escogité tous les moyens propres à concilier autant que possible — 220 - piuttosto le condizioni precisate e imposte dal Congresso (1) e divenute parte integrale del trattato di Vienna (2). Eccettuato il governo provvisorio, tutto rimaneva immutato a Genova sino all'ordinamento definitivo da provvedere con maturo consiglio e nel quale sarebbe garantito il debito pubblico, l’uguaglianza negli uffici con gli altri sudditi, un senato o corpo giudiziario, il portofranco, un tribunale di commercio, l’università coi diritti di quella di Torino e una amministrazione municipale, l’istituzione di un consiglio provinciale, cui sarebbe spettato di approvare le nuove spese (3). A sua volta il governo provvisorio, informato della definitiva decisione e delPimminente cessione della città al rappresentante del Re di Sardegna, dopo un’ultima inutile protesta diplomatica a Vienna, con proclama del 26 dicembre rassegnava le dimissioni, con la coscienza d’aver fatto il possibile per salvare l’indipendenza, raccomandando alle autorità municipali, amministrative e giudiziarie di continuare nelle loro funzioni e ai popoli di conservare la massima tranquillità (4). Anzi il Presidente incaricava il Capo Anziano di raccogliere in un consiglio comunale i rappresentanti dei vari corpi, delle commissioni amministrative di polizia e di opere pubbliche per provvedere al buon ordine ed alla normale vita cittadina (5). Anche il comandante militare inglese, ricevute le dimissioni del Governo e in attesa di ulteriori disposizioni del Re di Sardegna, aveva emanato in proposito un proclama e scritto al Municipio che « tutte le Magistrature nominate dal dans un nouvel ordres de choses ce qui pouvait flatter l’amour propre de la haute Noblesse avec les interèts des classes intermediaires et des negociants’. 11 Ministro rispose, al solito, che la decisione spettava alle Potenze; Prasca, L'Ammiraglio De Geneys, pag. 285 sgg. (1) D’Angeberg, 1, pag. 527, 536, 544 sgg.; Weil, pag. 634, n. 1081 e pag. 769, n. 1213; Martini, doc. XIV, pag. 313; Spinola, pag. 216 sgg. e doc. XXV, pag. 355 sgg.; doc. XXV11, pag. 341; Gazzetta di Genova, 7 gennaio 1815; Compilazione degli Editti e Patenti di S. M. il Re di Sardegna, t. 1, Genova, 1814, pag. 3. (2) Traités publics de la maison de Savoye, 1, 95-98; N. Bianchi, Storia documentata della diplomazia europea in Italia dall’anno 1814 all’anno 1861, Torino, 1865, voi. 1, cap. IV, pag. 83 sgg.. Concordi in questo con Vittorio Emanuele, i Liguri avrebbero voluto almeno che il nuovo regno si chiamasse di Liguria, ma il Congresso, col pretesto di non offendere le altre parti dello Stato, in realtà per l’opposizione dell’Austria che non ignorava il significato geografico del vecchio nome Liguria e ne temeva accresciute le aspirazioni piemontesi, si oppose; Bianchi, I, 90 sgg.; Segre, pag. 59. (3) 11 Brignole Sale dichiarava preferibili queste concessioni al Tesser consegnati senza condizioni in balia del governo sardo; Spinola, pag. 220; Clavarino, III, 49. Interessanti osservazioni del Brignole al Rapporto dei Plenipotenziari incaricati di redigere il progetto di cessione, progetto amichevolmente comunicatogli dal San Marzano, in Archivio di Stato di Torino, Carte politiche diverse 1815-1856, fase. 15. (4) Raccolta delle Leggi ed Atti pubblici del Governo provvisorio, II, pag. 75; Botta, 1. XXVII, pag. 565; Varese, 1. VIII. Drammatica la descrizione dell’ultima seduta del Governo Provvisorio nelle Memorie del Serra, pag. 188 sgg. (5) Drago, Svolgimento storico della amministrazione comunale di Genova, pag. 105-106. - 221 — cessato governo continuino le loro funzioni e che non succeda in esse alcuna innovazione », cosicché il Capo Anziano convocava il 27 dicembre il Consiglio Municipale, assunto momentaneamente a funzione di governo (1). 11 Consiglio continuò a occuparsi dell’amministrazione e dell’ordine pubblico, mentre con la pubblicazione delle Regie Patenti del 30 dicembre, col proclama del Commissario plenipotenziario Ignazio Thaon di Revel il 3 gennaio e la trasmissione a lui dei poteri da parte del comandante britannico il 7, si compiva il dsfinitivo passaggio di Genova al regno sardo (2). Questa volta l’era della repubblica si chiudeva senza possibilità di ritorno. Quale dovesse essere il sentimento della maggioranza della popolazione si comprende facilmente e ne era interprete Giorgio Gallesio, segretario del Brignole Sale, che da Vienna scriveva: « La Serenissime Republique de Gènes a enfili péri sous les coups meurtriers de l’ambition et de la ré-voltante injustice des Monarques copartageant l’Europe » (3). E poco più tardi un informatore della polizia austriaca diceva che i Genovesi « riconobbero questa cessione come il maggiore dei castighi che potessero aspettarsi dalli Sovrani alleati in espiazione dei loro falli politici commessi sul principio della Rivoluzione di Francia, vomitarono imprecazioni d’ogni genere contro di tutti indistintamente, ma particolarmente contro gl’inglesi, poiché pretendono che gli avessero assicurata l’indipendenza della repubblica » (4). Ma che si trattasse di una vendita nel senso letterale della parola, di una vendita cioè non intesa moralmente, ma a contanti effettivi egli non dice, come non lo dice il Gallesio che era stato a parte dei maneggi diplomatici e che scrisse una storia di quegli avvenimenti (5), come non dicono lo (1) Compilazione degli Editti e Patenti di S. M. il Re di Sardegna, t. I; pag. 1; Registro Corrispondenza 1814-15 n. 653, 654; Gazzetta di Genova, 28 dicembre, n. 104, pag. 421. (2) Martini, pag. 245 sgg.; Drago, Svolgimento storico, pag. 109-110; Contributo alla storia del Municipio di Genova, Genova, 1902, pag. 255 sgg.; Compilazione degli Editti ecc. pag. 2. (3) Weil, Les dessous du Congrés de Vienne, I, pag. 529, n. 674; 15 novembre. A sua volta il Castlereagh scriveva al Dalrymple « Dispiacque anche a me non meno che a tutti i Ministri di non poter conservare ai Genovesi un’esistenza a parte, desiderio che abbiamo ragione di credere che fra loro prevalesse, senza arrischiare d’introdurre mutamenti nel sistema adottato in Italia » ma riteneva d’aver provveduto alla sicurezza e alla prosperità del commercio; Gazzetta di Genova, 31 dicembre, n. 105, pag. 431. Il Portofranco era promesso infatti per volontà inglese. (4) Frizzi, Rapporto sopra l’attuale politica del Ducato di Genova (1816). Copia dal-l’Archivio di Stato di Milano, in Museo del Risorgimento di Genova, n. 3323. È riprodotta in Bornate, L'Insurrezione dì Genova nel marzo 1821, Bibl. di Storia Italiana recente, voi. XI, pag. 11 sgg. (5) Saggio storico della caduta della Repubblica di Genova e della sua riunione al Piemonte, Ms. in Biblioteca Civica Berio, — 222 — Spinola e il Martini, pur ferocemente ostili al Piemonte (1). Può darsi che lo si credesse allora, nella delusione e nel fiero risentimento contro gl'inglesi che nella breve occupazione erano costati moltissimo (2): ma il sostenerlo oggi, scomparsi — giova sperare - gli antagonismi municipali e regionali, contrasta con la più sicura documentazione storica (3). Certo, la tradizione della vendita è derivata dalla convenzione stipulata a Vienna, secondo il racconto del Serra, tra il 10 e il 17 dicembre per la quale il Regno di Sardegna avrebbe risarcito l’Inghilterra della cessione della parte che le spettava nelle artiglierie e munizioni prese a Genova (4). D’altra parte è troppo noto che l’Inghilterra aveva un preciso inte resse ad ingrandire il Piemonte per circondare di Stati forti la Francia; Io si sapeva bene a Genova e lo si ripeteva anche nel 1821 (5). Di più nel complesso giuoco delle Potenze la Russia non vedeva malvolentieri un baluardo piemontese a un’ulteriore espansione austriaca; ma sopra tutto ciascuna delle Potenze interessate, e l’Austria in primo luogo, temeva di Genova come centro di mene rivoluzionarie e probabile focolare di nuovi incendi politici. E estremamente difficile determinare quale fosse in realtà la situazione interna, quali le correnti di opinioni di quel periodo agitatissimo e tempestoso di assestamento che corre dalla prima abdicazione napoleonica alla plum- (1) Forse vi accenna il notaro Balestrieri, in uno sconclusionato periodo delle sue Memorie (Ms. della Bibl. Universitaria di Genova, G. II, 21): «Questa cessione dello Stato di Genova fatta a S. M. il Re di Sardegna e da esso comprata a caro prezzo per mezzo delli Ministri Castelreagh inglese e Meternich austriaco.... » Il rappresentante della reggenza milanese a Genova diceva che il Bentinck vi aveva istituito il nuovo governo « per poter meglio realizzare la preda di guerra »; F. Lemmi, La restaurazione del 1814 a Milano, Bologna, 1902, pag. 237. Alla pretesa vendita possono riferirsi anche i versi di Gian Carlo di Negro (,Epigrafia poetica, Genova, 1838, pag. 7): A che meravigliarci, o Genovesi; Se scaltramente vendono gl’inglesi? Forse non fu per nostra ria sventura La Liguria venduta con usura? Ma nulla dice in proposito Maria Mazzini che scrivendo al figlio il 12 gennaio 1836 accenna invece all’opinione diffusa che la cessione fosse stata soltanto temporanea e che l’Inghilterra avesse riserbato per sè, dopo qualche tempo, il possesso di Genova; Luzio, La madre di G. Mazzini, pag. 73. (2) Più di cinquanta milioni di lire, secondo un’affermazione da Venezia alla polizia di Vienna; F. Lemmi, La restaurazione a Milano nel 1814 nel Diario del Barone von Hiigel, Bibl. Stor. del Risorgimento, 1910, pag. 92. (3) Vitale, Genova, il Piemonte e l’Inghilterra nel 1814, in Gior. Stor. lett. della Liguria, 1930, pag. 233 sgg. e cfr. G. Pessagno, Vent’anni di storia genovese, in Gazzetta di Genova, 28 febbraio 1919 e Borel, pag. 138. (4) G. Serra, Memorie, pag. 187. (5) Catalogo del Museo del Risorgimento, compilato da A. Neri, voi. II, pag-361, n. 3051. — 223 — bea calma, scossa soltanto dai fremiti sotterranei delle sette, che succede alla relegazione di Sant’Elena e alla fine di Gioacchino Murat. Come nel resto d’Italia, l’aspirazione all’indipendenza era sentimento largamente diffuso; ma se nel 1813 questa aspirazione era stata nettamente antifrancese, trasformazioni e mutamenti notevoli si ebbero nei torbidi anni successivi. Comune aspirazione nella quale tutti, quasi, convengono nel territorio della vecchia repubblica, tolti sporadici dissenzienti e un più forte nucleo nella Riviera occidentale, l’indipendenza dal Piemonte : vecchie tradizioni e ricordi non sopiti contribuivano a rendere quasi unanime l’opinione pubblica su questo punto. Ma come le dissensioni erano vive all’interno sulla forma del reggimento, che i vecchi nobili avrebbero voluto ricostituito prettamente aristocratico, con quel costante richiamo alla costituzione del 1576, così sui rapporti con gli altri stati e sul valore da dare alla parola indipendenza, i pareri erano diversi e numerose le interpretazioni. 11 disordine e l’incertezza della situazione, le facili illusioni di chi aveva visto negli Inglesi degli instauratori di stati indipendenti e forse anche fautori di un unico regno autonomo, le delusioni recate dall’atteggiamento delle Potenze verso la Repubblica, il lavoro formidabile delle sette, le suggestioni murattiane sono tutti elementi che determinano un continuo variare di sentimenti e di partiti. E i diversi osservatori, per naturale ottimismo e per unilaterali informazioni, vedono quel che può far piacere ai loro governi. Quel di Milano parla di un gran desiderio di unirsi alla Lombardia « per certa simpatia che qui si ha generalmente verso il carattere lombardo, come per ragione di tanti rapporti di commercio ed altro, che esistono tra le due nazioni », e rammenta le promesse di un Giacomo Pavese che avrebbe dovuto raccogliere una sottoscrizione, la quale non ebbe poi luogo, appunto per chiedere quell’annessione (1). In realtà non aveva torto il Mettermeli di parlare al Congresso di Vienna e di temere aspirazioni verso un Regno d’Italia, alle quali accennava come ipotesi anche il Brignole Sale. L’informatore piemontese parlava invece di aspirazioni verso il Piemonte, specialmente fuori di Genova (2) e, caduta a Milano la reggenza e scomparsa perciò ogni possibilità di regno italico, l’informatore austriaco assicurava, ed era affermazione ardita, a tendenze verso l’Austria (3). In realtà c’era, come in tutta Italia, un gran lavorio di sette segrete (1) F. Lemmi, La restaarazioue austriaca a Milano, pag. 274 sgg. Partigiano dell'annessione a Milano fu anche Emanuele Balbi, che fece per ciò inutili viaggi; cfr. i documenti torinesi citati più oltre. (2) Segre, Il primo anno del Ministero Vallesa, pag. 60. (3) Frizzi, Rapporto ecc.; Bornate, op. cit., pag. 11 sgg. — 224 — e una vaga aspirazione all’indipendenza, con ogni probabilità senza precisione di programmi, e anche alla formazione di uno stato unico « a far della Italia uno stato unico e richiamarla alla qualità di Nazione * (0- E, fenomeno naturale, tutti i malcontenti si rivolgevano all’esule dell’Elba: le nuove delusioni lasciavano dimenticare le delusioni anteriori; e la realtà presente, l’opposizione delle Potenze all’indipendenza della repubblica e l’imminenza del non desiderato governo piemontese facevano pensare a qualche gran mutamento, che avrebbe potuto attuarsi per opera di Napoleone (2). Genova è stata certamente uno dei centri maggiori dei maneggi e dei rapporti con l’Elba (3), anche se la leggenda dei convegni di Genova e di Torino cui avrebbero partecipato Luigi Corvetto, Melchiorre Delfico, e altri disse anche Pellegrino Rossi e Ugo Foscolo, è sfatata per sempre. Nè quei convegni ci furono nè i promessi aiuti finanziari dei banchieri genovesi nè quel pomposo e retorico sogno di rinnovato impero romano italico (4): ci furono intrighi, offerte specialmente di militari, richiami di delusi (5). Di un complotto combinato con Napoleone, che avrebbe dovuto mettersi alla testa dei rivoluzionari per sostenere l’indipendenza d’Italia, sarebbe stato anima un avvocato Pellegrini di Genova, che si identifica con l’Angelo Pellegrini, così dipinto dagli emissari della polizia piemontese: « Avvocato. Giudice di pace. Cattivo. Napoleonista. Democratico. Emissario di Napoleone. Andò all’Elba e ritornò con denaro. Libero Muratore » (6). E Girolamo Serra, nel desiderio di ingra- (1) Rinieri, Corrispondenza inedita dei Cardinali Consalvi e Pacca nel tempo del Congresso di Vienna (1814-15), Torino, 1906, pag. 180; Segre, pag. 32-33. (2) Così fanno credere anche i numerosi accenni a Napoleone Re dei Lombardi nelle Memorie storiche minute ma disordinate e confuse di Gio. Domenico Sbertoli, ostilissimo anche lui ai Piemontesi; Bibl. Univers. Genova, Ms. B. V. 30. (3) Segre, pag. 48 sgg. (4) Ruini, Luigi Corvetto, pag. 84 sgg.; e La Congiura ecc., in Nuova Antologia, 1 Aprile 1930. (5) Interessanti informazioni dà in proposito, e specialmente sulle sette, un anonimo informatore del Revel, prima dell’annessione e quindi della sua nonima a governatore, Arch. di Stato di Torino, Carte politiche diverse, 1813-1856. II governo a sua volta sorvegliava con sospettosa attenzione la stampa, imbavagliata e innocua, temendo un duplice contegno nella Gazzetta e dubitando dei fratelli Pagano, già designati dagl’informatori come cattivi e liberi muratori. Quali gli articoli incriminati non si riesce a vedere, a meno che non si trattasse del trafiletto ricavato da un giornale di Londra: « Gli avvenimenti che passano in questo momento sotto i nostri occhi, sembrano più l’effetto di una illusione teatrale che una realtà. In genere si accusano gli atti del Congresso di aver inspirato a Napoleone l’idea della possibilità di sottrarsi alla sorte che se gli preparava»; Gazzetta di Genova, 8 aprile 1815, n. 28, pag. 110; Segre, Il primo anno ecc., pag. 291. In questo momento furono anche espulsi tutti i Francesi, nella sola Genova oltre 400; Ibid., pag. Ili; Compilazione degli Editti e Patenti, t. I, pag. 127. (6) Lemmi, La restaurazione, pag. 334 sgg., 442; Segre, Il primo anno del Ministero Vallesa, pag 361, n. 203. Il Frizzi, nel Quadro caratteristico conferma, aggiungendo che pre- - 225 — ziarsi a ogni costo le Potenze e conservare la sua repubblica, si affrettava a comunicare quanto era a notizia del governo provvisorio sulle mene con Napoleone (1). Il che non toglieva che nelle informazioni di polizia fosse designato anche lui con questo lusinghiero giudizio: « Cattivissimo. Napoleonista. Democratico. Libero Muratore. Intrigante in grado supremo ». In confronto, era trattato meglio il Pareto: « Cattivissimo. Rivoluzionario, intrigante ecc. ». Di una mirabile semplicità, del resto, quella statistica compilata dalla Polizia sarda, e anche « i canali » cui spesso si riferisce- I cittadini si dividono nettamente in due gruppi, i buoni e i cattivi: sono cattivi coloro che hanno avuto parte nei governi precedenti, o che sono stati comunque e in qualunque tempo favorevoli ai Francesi e a Napoleone; se mai, a seconda della gravità di questa colpa, suddivisi in cattivi, cattivissimi e pessimi. Buoni invece tutti coloro che non hanno partecipato alla vita pubblica o che sono stati avversi ai governi novatori, con particolare riguardo alle manifestazioni religiose, e che si sanno perciò o si presumono favorevoli al governo del Piemonte. Così Serra e Pareto, Maghella e Scassi, Maglione e Fravega, Emanuele Balbi e i Boccardo, Tanlongo e Giacomo Mazzini e tanti altri sono, con maggiore o minor numero di parole, accomunati nel medesimo giudizio. Pochi del Governo provvisorio si salvano, come Giovanni Quartara e Pallavicini in questo giudizio che trasporta, al solito, nel campo politico espressioni di valore morale. Tipico il caso di Agostino Fieschi definito « buonissimo, però un canale lo dà antipiemontese ». E un sintomo della concezione limitata e chiusa della restaurazione piemontese, gretta e meschina negli esecutori più ancora che nei capi politici. Tuttavia l’elenco che, prima ancora di venir in possesso di Genova, il governo piemontese si era procurato (e nel quale Onofrio Scassi è designato, come si è visto, e con sommaria ingiustizia, pessimo, napoleonista, democratico e libero muratore) ha una grande importanza perchè dimostra la cura che a Torino si poneva nell’aver minute notizie da Genova, e ci fa conoscere le informazioni che si possedevano sui personaggi più notevoli di Genova e di tutta la Liguria. Sono, a Genova, 691 nomi, 329 buoni e 362 cattivi mentre i 384 del resto dello Stato sono alternati, buoni e cattivi, e distinti solo per paese; ma è notevole che dei 46 nomi di Savona, considerata favorevolissima al Piemonte per avversione a Genova, solo 18 sono dati come buoni, cioè fautori sicuri del nuovo Governo (2). tendeva a una parentela con Napoleone e andò all’Elba per farla riconoscere, tornandone però deluso; « tuttavia è napoleonista e appartiene all’indipendenza ». (1) Lemmi, La restaurazione, pag. 438. (2) Seore, Il primo anno del Ministero Vallesa, pag. 63. 11 prezioso elenco, ivi, in appendice, pag. 343-379. - 226 — Meno semplicista invece il patrizio veneziano Pietro Dolce, che in-formava la polizia austriaca sulle numerose sette di Genova e vi indicava assai considerevoli i Concistoriali o Filadelfi, protetti da Luigi Carbonara e dallo stesso cardinale Spina (1); e il Frizzi segnalava al governo austriaco l’esistenza di diversi partiti: Aristocratico, Democratico, Bonapartista, Indipendente ed Austriaco. « L’Aristocratico è il partito più forte di tutti gli altri, poiché si estende non solamente nella città di Genova, ma benanche in tutto Io Stato e comprende tutta la Nobiltà, una gran parte della cittadinanza possidente, presso che tutto il basso popolo e i contadini del Ducato. II Democratico è ristretto nella classe dei negozianti, ili tutte le persone dipendenti dai medesimi e addette al commercio, nel Corpo dei Medici, Chirurghi, Farmacisti e Letterati e nella maggior parte delle persone del foro. II Bonapartista ed Indipendente: fanno parte di questi due partiti alternativamente (sic) la classe tutta degli Avvocati, Procuratori, Giudici, ex Giudici, Notai, Impiegati ed Ex impiegati e tutte le persone appartenenti alla Marina. II partito dell’indipendenza è inoltre più esteso di quello che si possa immaginare ed il numero dei Congregati, soltanto nella Liguria, si fa di già ascendere a 36 mila. La cosa diventa ogni giorno più seria e merita le più serie riflessioni e le più energiche disposizioni, onde impedire le fatali conseguenze, allorché il momento dello scoppio lo richiederà ». Poi passa ad esaminare i singoli partiti e le ragioni del malcontento contro il Piemonte. Gli Aristocratici vorrebbero ricostituire l’antica repubblica, ma sentono che i tempi sono mutati e poi la vecchia generazione, attaccata alle antiche istituzioni, scompare; non sarà difficile conquistare questa classe con l’ambizione, come si potranno accontentare i nobili poveri nella loro avidità e i negozianti restituendo l’importanza che avevano avuto nell’età francese, anche facendoli partecipare al governo da cui ora sono nuovamente esclusi, onde son furiosi contro i Piemontesi. « Medici, Legali, Letterati, Ex impiegati ed Impiegati. Tutte queste classi più o meno favoriscono la rivoluzione. Sono tutte mimiche del governo monarchico, ma ancor più dell’attuale dinastia. Non hanno una diretta influenza sul Popolo, tuttavia potrebbero sempre agitarlo- Quasi tutti gli attuali impiegati civili del ducato di Genova, eccettuandone i primari, son i medesimi che servirono il cessato governo. Tutti indistintamente sono napoleonisti. Sparlano con la massima imprudenza del Sovrano che servono, vantano pubblicamente la saviezza e le leggi del loro nume di S. Elena e criticano e detestano la condotta tanto esterna quanto interna di tutti gli altri sovrani, che qualificano per Tiranni. Siccome (1) A. Luzio, La Massoneria sotto il regno italico e la restaurazione austriaca, Arch. storico lombardo, XLIV, 1917, pag. 55 sgg.; Bornate, L’insurrezione di Genova, pag. 9, — 227 - convivono famigliarmente col Popolo, lo arringano sovente e con maliziose insinuazioni gl’inculcano sempre più questo odio innato verso il presente Governo e lo mantengono ognor disposto alla rivolta » (1). Veramente le ultime parole contrastano con quanto era detto prima sulla scarsa efficacia della classe intellettuale sul popolo; ma il rapporto nell’insieme è fatto abilmente, nel chiaro intendimento di accarezzare le aspirazioni austriache su un paese nel quale in realtà tutte le tradizioni erano avverse all’Austria. Ma più importa notare quell’accenno agli Indipendenti, a pochi mesi di distanza dal tentativo murattiano. Più che della setta degli Indipen-disti, sorta appunto nel 1814 ad Ancona (2), si tratta degli appartenenti a quel largo movimento che s’è manifestato negli ultimi anni e ha avuto una manifestazione nel memoriale del Turri (3) e al quale si riallacciano anche gli avvenimenti del 20 aprile 1814 a Milano. Sono, a Genova, coloro che dalle prove e dagli sconvolgimenti dell’agitato periodo hanno ricavato lo spirito d’indipendenza non tanto dagli altri stati vicini, più geloso e profondo nei repubblicani aristocratici, quanto dagli elementi stranieri. Sono appunto quegli intellettuali e borghesi che il movimento rivoluzionario ha elevato alla vita politica e alla coscienza della nazionalità: essi intendono l’indipendenza più che nel significato ristretto della vecchia aristocrazia con un sentimento nuovo per il quale, anche nella speranza di più agevole esercizio delle professioni liberali, non sono, tra il 14 e il 15, assolutamente avversi alPunione col Piemonte, come avviamento a un più grande stato, possibilmente repubblicano- Tutti coloro che la polizia sarda dà come pessimi e napoleonisti, dal Frizzi sono indicati appartenenti al partito dell’indipendenza; basta ricordare tra i medici, con Onofrio Scassi, il Mongiardini, Giacomo Mazzini, il Vaccarezza, il De Albertis, il Bonomi, Benedetto Mojon, Andrea Repetto, il capo delle società segrete (4). Ora, se si tien conto che per attestazione di Giuseppe Mazzini la sua famiglia considerò nel 1814 come « provvidenziale » l’unione della Liguria col Piemonte, come primo passo all’unità italiana (5), e si considerano le (1) Frizzi, Rapporto cit., copia in Museo del Risorgimento. È riprodotto in Bornate, L'insurrezione, ecc., pag. 9-11. (2) Weil, Les dessous du congrés de Vienne, 1, pag. 295, n. 383; Segre, pag. 33. (3) V. sopra, pag. 204. (4) Frizzi, Quadro caratteristico dei principali individui dello Stato Ligure (Copia dal R. Archivio di Stato di Milano) Museo del Risorgimento, Genova n. 3324, pag 45. Il Frizzi, insieme alle informazioni politiche, dà anche giudizi sul valore professionale, così chiama ottimo chirurgo il Bonomi, dice molto riputati il Mojon e lo Scassi, di « qualche riputazione » il Mongiardini, di « limitata riputazione » il Mazzini. (5) Mazzini, Scritti, S. E. L., VII, 173; e v. Luzio, La madre di Mazzini, Torino, 1919, pag. 227; F. L. MANNUCCi, G. Mazzini e la prima fase del suo pensiero letterario, Milano, 1919, pag. 35; A. Codignola, La Giovinezze? di G. Mazzini, Firenze, 1926, pag. 14. — 228 — informazioni poliziesche e i giudizi sugli appartenenti all’indipendenza e si accostano i loro nomi, si può conchiudere che Onofrio Scassi, amico del Maghella, che fu collaboratore di Murat e per mene indipendenti e unitarie incarcerato a Mantova e a Fenestrelle, dovè appartenere a quel partito nazionale che, sebbene a tendenze repubblicane, considerò, unico, come minor male l’annessione al Piemonte. Aspirazioni e speranze, occorre rilevare, ben presto seguite da nuova delusione per la grettezza sospettosa e meschina del governo piemontese, massime nei primordi e per opera degli esecutori, non adatta certo ad attenuare la tradizionale avversione genovese. E allora, mentre il liberalismo uscito dalla rivoluzione era condannato da ogni parte (1) e il malcontento si rifugiava nelle sette dalle aspirazioni indeterminate e confusamente rivoluzionarie e si veniva preparando una nuova generazione che con nuovi mezzi e nuovi intenti, capitanata dal giovane Mazzini, avrebbe affermato altri ideali, gli uomini della generazione passata si mettevano da parte o in un deluso scetticismo, come Giacomo Mazzini e Bernardo Ruffini, o, come Onofrio Scassi, nel soddisfatto riconoscimento della propria opera e del proprio valore tecnico e professionale. Accettava egli, secondo la necessità e conforme al suo carattere, senza inutili e impossibili reazioni, la realtà contingente, ma anche, come alcuni indizi attestano, senza rinnegare le sue idee e il suo passato (2). * * * Il governo di Torino non ignorava lo stato d’animo dei Genovesi e i suoi uomini più illuminati lo comprendevano. Carlo Emanuele Alfieri di Sostegno, ambasciatore sardo a Parigi, scriveva al De Maistre in Russia « Les Gènois ne seront pas touchés de leur sort et je les plains » e al San Marzano esprimeva la convinzione che non bisognasse urtare troppo l’opinione pubblica in un paese « qui n’avait pas d’ancien devoir à remplir envers nous et ou il foudra fermer par fois les yeux et se contenter de demonstrations apparents pour s’assurer d’en avoir des réelles avec le temps nécessaire pour s’habituer (1) Nel 1816 era pubblicato coi tipi del Pagano un opuscolo: Le idee liberali ultimo rifugio dei nemici della religione e del trono, volto a discreditare « quel governo liberale in favore del quale anche dopo i memorabili avvenimenti del 1814 si sono spiegati tanti e si entusiastici fautori », Gazzetta di Genova, 9 agosto 1816, pag. 64; Mannucci, pag. 36. (2) Sulle condizioni dello spirito pubblico dopo il 1815 e le sue superficiali manifestazioni; v. A. Pescio, / tempi del Signor Regina, Genova, 1901, pagg. 43 sgg.; A. Neri; // Signor Regina, Rivista ligure, 1910, pag. 197 sgg.; Martin Piaooio, Poesie con prefazione di L. A. Cervetto, Genova, 1914, pag. 178 sgg. Sul Mazzini e il Ruffini, A. Neri, Il padre di G. Mazzini cit., A. Cadanola, Il padre dei Raffini, Rassegna storica del Risorgimento, 1924, pag. 197 sgg.; A. Luzio, La madre di G. Mazzini, Torino, 1918, pag. 84 sgg.; I. Cremona Cozzolino, Maria Mazzini e il suo ultimo carteggio, Genova, 1927. — 229 — à un regime contre lequel l’interèt particulier doit indubitablement donner des préventions » (1). Erano, in fondo, ripetuti talvolta con le stesse parole, i consigli, ritenuti saggi nella sostanza ma accolti con apparente diffidenza e con geloso risentimento, che gli venivano dai ministri francesi e che egli si affrettava a comunicare al Vallesa (2). Perciò non lievi le preoccupazioni, e grande la soddisfazione del San Marzano nel poter affermare che il passaggio si era compiuto senza difficoltà, grazie alle misure adottate (3). In realtà le intenzioni del Re e dei ministri erano ottime, purché si accettasse benevolmente il fatto compiuto, per attirarsi la simpatia delle popolazioni e specialmente delle classi più elevate e più avverse (4); ma la grettezza delle idee e il sospettoso assolutismo da un lato, dall’altro la lentezza burocratica e il pesante ordinamento statale che si volle in tutto esteso alla Liguria contribuirono a ritardare i risultati che se ne speravano. Re e governo fidavano nelle informazioni che davano, salvo eccezioni non rilevanti, favorevole al Piemonte la Riviera di Ponente e Savona in primo luogo; e Vittorio Emanuele dalla sua dimora nel maggio del 14 aveva ricavato l’impressione di essere molto benvoluto dal popolo che lo aveva accolto festosamente. « Lord Benting compresse questi slanci, ben longi dal secondarli, non seguendo che l’impulso di pochi, e creò un governo detestato dalla nazione in vece di stabilirvi il mio che era desiderato da tutto il popolo » (5). Conquistare quei pochi e trattare paternamente la città diventa il suo programma. Già fin dal principio di ottobre, mentre gl’informatori compivano un minuto, attivo, interessantissimo servizio di indagini preliminari (6) e compilavano le serie dei buoni e dei cattivi, si procurava un elenco di coloro che (1) Weii, Les dessous du Congrés de Vienne, I, pag. 683, n. 1062; pag. 768, n. 1209; II, pag. 84-85. (2) Segre, Il primo anno del Ministero Vallesa, pag. 69, n. 3. (3) Weil, Les dessous ecc., II, pag. 235, n. 1686. (4) Un informatore ben addentro nell’ambiente genovese scriveva il 12 ottobre che la nobiltà era avversissima e avrebbe preferito qualunque altro governo al piemontese, indifferentissimo il popolo, timorosi i mercanti e i marinai di non essere protetti, specialmente che la nuova bandiera non dovesse essere rispettata dai barbareschi; sospettosi tutti che gl’impieghi e gli uffici fossero dati ai soli Piemontesi. Arch. di Stato di Torino, Carte politiche diverse, 1813-1856. Del resto è noto che il Mazzini ha scritto che i popolari di Genova erano solo apparentemente irreconciliabili coi Piemontesi; Dell’Unità Italiana, in Opere, Ediz. Nazionale, Politica, voi. Ili, pag. 30. (5) Il Re al Vallesa, fine dicembre 1814; Segre, Il primo anno, doc. XXIV, pag. 181, e v. pag. 60. (6) È assai notevole che molte informazioni anonime andavano al Revel, futuro e forse già designato governatore di Genova, alcune direttamente altre per mezzo di persone al suo servizio. Interessante una specie di riassunto storico delle recenti vicende genovesi, (Arch. di Stato, Torino, Carte politiche diverse 1813-1856) che riferisco in appendice a questo capitolo. — 230 — potevano essere assunti alle cariche di Corte e ai diversi uffici. È un terzo elenco con notizie sulla capacità, sull’ingegno, sulla religiosità, sull’atteggiamento politico e l’influenza tra il popolo dei maggiori cittadini, che merita di essere accostato e può servire di controllo agli altri due e li precede. È limitato però ad alcune classi, ai membri dell’ultimo governo repubblicano, ai capi militari e alla nobiltà dei proprietari di terra; quasi assolutamente esclusa la borghesia ricca e colta; di ciascuno si nota specialmente se è o si può supporre che sarà affezionato al governo reale, in modo da poterglisi affidare cariche pubbliche, e si propongono anche le onorificenze, a cominciare dal Collare delFAnnunciata a Ippolito Durazzo e a Paolo Girolamo Pallavicini (1). Ma è notevole che nel preparare i quadri della imminente amministrazione non si tenga troppo conto delle informazioni poliziesche; molti dei cattivi e dei pessimi furono invitati e adoperati. Il Re voleva impiegare a Genova quanti più genovesi fosse possibile, e poteva essere buona politica attirare gli avversari coi favori (2). Così si pensò prima di tutti al Corvetto, molto stimato e ritenuto acquisto prezioso, e a Girolamo Serra; si offrì una legazione ad Antonio Brignole Sale (3); si progettò una reggenza provvisoria nella quale sarebbero entrati molti del governo repubblicano, tra essi Ippolito Durazzo, Agostino Fieschi, Paolo Girolamo Pallavicini, Gio. Carlo Brignole, Giovanni Quartara, Giuseppe Gandolfo. La reggenza non ebbe poi luogo: il Brignole prese tempo a deliberare e solo più tardi accettò la legazione di Firenze (4) ma intanto mandò elenchi di persone raccomandabili per impieghi e uffici, e il Serra si allontanò da Genova prima dell’arrivo del Commissario regio per timore, se il popolo avesse commesso qualche atto imprudente, di esserne accusato ispiratore. Quanto al Corvetto, naturalizzato francese, non si mosse dalla nuova patria, dove ebbe una parte capitale nella sistemazione finanziaria della restaurazione. Tuttavia mandò anche lui il suo bravo elenco di persone da impiegare (5). (1) Archivio di stato, di Torino, Materie politiche in genere, Mazzo 9, Memorie per S. S. R. M. sullo Stato di Genova, Stato dei soggetti Genovesi che deggiono essere preferiti negli Onori, Cariche, Impieghi, ecc. (2) Il Re, scriveva il Ministro Vallesa ai San Marzano, « est disposé à user des plus grands égards pour les membres du Gouvernement ». E il San Marzano rispondeva, a proposito dei timori delle Potenze sulla situazione genovese: « Il faut sans doute beaucoup de pru-dence de douceur et de fermeté. J’ai bien assuré tout le monde ici qu’on pouvait étre tranquille sur la manière dont ces nouveaux Etats seront gouvernés »; Segre, doc. XIV, pag. 160; XIX, pag. 170. > • (3) Fin dal 1° ottobre il San Marzano aveva chiesto l’autorizzazione a offrirgli un ufficio in caso di annessione. Arch. di Stato di Torino, Carte politiche diverse 1813-1856. (4) Gazzetta di Genova, 9 dicembre 1815, n. 98, pag. 391. (5) Segre, pag. 61 sgg., 178, 182; Ruini, Luigi Corvetto, pag. 104 sgg. - 231 — Invece della reggenza, il 30 dicembre fu nominata una R. Delegazione, presieduta dal maggior generale Giorgio Andrea De Geneys (1), con I incaii-co di applicare nell’ordinamento della Liguria le deliberazioni del Congiesso di Vienna. Vi appartennero, con funzionari piemontesi, il Pallavicini, Domenico De Marini, Egidio Sansoni, Gaetano Olandini e Luigi Carbonara, che compilò un memoriale per accelerare l’opera (2). La costituzione della Delegazione incaricata di proporre « tutti quei provvedimenti che le parranno più atti a promuovere qualunque ramo di pubblica amministrazione » era annunciata col proclama del 3 gennaio, col quale il Re prendeva possesso del nuovo dominio: « Se l’antica vostra gloria e quanto avete in vari tempi operato pei la difesa e per l’onore dell’Italia sono tuttora presenti alla nostra mente, non possiamo a meno però di rammentarci nel tempo stesso le conseguenze necessarie della ristrettezza degli Stati e dell’opposizione degl’interessi fra due popoli destinati a stimarsi ed amarsi. Cotali effetti senza dubbio cesseranno sotto un medesimo Governo il quale, avvicinando gli animi, faccia sentire a tutti la sua benevolenza » (3). Con lo stesso proclama era annunciata la nomina a governatore del cav. Ignazio Thaon di Revel, conte di Pralungo, che il 7 gennaio assunse effettivamente i poteri cedutigli dal colonnello Jhon Dalrymple, comandante del presidio inglese, il quale, interprete delle idee del Bentinck e favorevole al governo repubblicano, tentò sulle prime d’intralciarne l’azione. Vista inutile la sua opposizione, si indusse ad andarsene portando via dalla città e dall’arsenale tutto quello che potè (4) mentre gli Inglesi erano insultati per le vie di Genova. L’indignazione dei cittadini aveva il principal fondamento nella delusione delle speranze fatte accarezzare dal Bentinck e, secondo un rapporto di polizia, era così viva e generale che fu necessario ricorrere alla forza per trovare operai che si prestassero a lavorare nel palazzo ducale per il ricevimento del governatore piemontese (5). Ma può anche essere che queste dimostrazioni avessero incitatrice quella parte (1) Sul De Geneys v. l’ampia monografia di E. Prasca, L’ammiraglio Giorgio De Geneys e i suoi tempi, Pinerolo, 1926. Per la sua opera come ammiraglio e fondatore della marina sarda v. anche gli studi di G. Gonni in Gazzetta di Genova, 31 luglio 1921 e special-mente del Com.te Guido Po nel Bollettino dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore, 1 maggio 1929, pag. 200 sgg. (2) Segre, pag. 63. (3) Compilazione degli Editti e Patenti di S. M. il Re dì Sardegna, t. I, Genova, 1S14, n. 4, pag. 11; Gazzetta di Genova, 7 gennaio 1815, n. 2, pag. 5 sgg. (4) Secondo la tradizione, persino le inferriate e i serrami delle finestre e pretese un lauto riscatto per lasciare almeno le catene che legavano i galeotti al bagno penale. Ma il Serra chiarisce che questo avvenne per opera delia commissione delle prede alla prima occupazione della città; Memorie, pag. 130. (5) F. Lemmi, La restaurazione austriaca a Milano nel Diario del barone von Hiigel, Biblioteca Storica del Risorgimento, 1910, pag. 92-93. — 232 - della nobiltà che, più delusa e privata del potere politico, rimase più a lungo irreducibile. Per parte sua il ReveI diede opera a costituire un nucleo di partigiani in mezzo alla borghesia e all’elemento popolare, commerciante e marinaro, e, a dar prova di fiducia nel popolo e nelle milizie, non volle fin dall’ingresso in città altra scorta che genovese, mentre con feste e pranzi, con onori e uffici curiali cercava di guadagnare l’aristocrazia (1). Gian Carlo Brignole e G. B. Carrega furono nominati gentiluomini di camera, Stefano Pessagno ebbe titolo di conte; furono elargite onorificenze: tra gli altri, Giovanni Quartara, Presidente della camera di Commercio, fu fatto Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro. Cominciò anche la richiesta di uffici e impieghi da parte di genovesi, e, come avviene, non mancò chi s’intromise per farne un’utile speculazione (2). Fiattanto per doverosa opportunità, il Consiglio del Comune, dopo aver prestato giuramento, I’11 gennaio deliberava di mandare al Re una deputazione presieduta dal Pessagno a presentare un indirizzo di fedeltà e di devozione e a esporre i bisogni più urgenti; insieme andarono i rappresentanti della Camera di Commercio e subito dopo il Cardinale Spina (3). Quei deputati ebbero a Torino liete accoglienze e dimostrazioni d’onore, titoli gentilizi e onorificenze, come appunto il Pessagno e il Quartara, e i rappresentanti del Comune furono nominati Decurioni onorari dal Consiglio Generale torinese, cortesia ricambiata alcuni mesi dopo a una deputazione che restituì la visita (4). « 1 membri della città, narra la Gazzetta a proposito del viaggio a Torino, erano vestiti in abito di velluto nero, antico abito di gala de genovesi: ciò assicura che detto abito, non esclusi gli altri, continuerà per essi ad essere abito di Corte (5) ». Così anche nelle piccole cose e nelle formalità si afferma la tendenza alla autonomia conservatrice. A sua volta il Re si recò a Genova il 6 febbraio, accompagnato dai ministri Vallesa e Vidua e da largo seguito (6). Entrato solennemente nel pomeriggio del 7, tra festose accoglienze, andò ad abitare nel palazzo Car- (1) Gazzetta di Genova, 25 gennaio 1815, pag 7; Segre, pag. 65. (2) Gazzetta, 28 gennaio; Segre, pag. 65 e 221. (3) Arch. del Comune, Registro Corrispondenza 1814-15; n. 11-13, 9 e 19 o-ennaio 1815; Mioli, La Consulta dei Mercanti, pag. 72. (4) Martini, La restaurazione ecc., pag. 63 sgg; Segre, pag 64; Drago, Svolgimento comunale di Genova, pag. 107 e 110, n. 1; Registro Corrispondenza lSlo-1816, Arch. Civico, n. 52, 23 agosto 1815; Gazzetta n. 7, 25 gennaio, pag. 25. (5) Gazzetta di Genova, 28 gennaio 1815, n. 28, pag. 29. (6) La presenza dell’Osmond rappresentante francese a Torino doveva smentire la voce che la Franca si fosse opposta all’unione e sfatare le speranze che alcuni ancora nutrivano da quella parte; Segre // primo anno ecc., pag 66; F. Lemmi, La restaurazione a Milano nel 1814 nel diario del barone von Hiigel, pag. 92. - 233 — rega. qui, per desiderio del Vailesa, comunicalo al Capo del Comune, erano convenuti i nobili per fargli onore. Il giorno seguente era costituita una commissione per dare « una marca di gioia » per l’avvenimento, mediante un conceito vocale e istrumentale in onore del Re (1). E una volta ancora, come nel 1797, come nel 1805, come nel 14, piovvero da ogni parte le deputazioni a fare atto di omaggio, ad affermare soddisfazione e attaccamento al nuovo soviano. Fu ricevuto anche il Corpo universitario, guidato da Nicolò Gì ilio Cattaneo, Presidente della Deputazione, il quale già 1’ 11 gennaio l’aveva presentato al Commissario Di Revel, esprimendo la riconoscenza al Re per la promessa protezione (2). Il Re era convinto di vincere le ritrosie locali e c’era in parte riuscito. Affermava il Frizzi nel suo rapporto che « avendo adottate delle maniere dolci e lusinghiere ed una certa popolarità, era pervenuto, bensì momentaneamente, a cattivarsi una specie di affetto fra il popolo, il quale, come ognun sa, è ognor leggero ed incostante- Quest’affetto però non risguarda che la sola persona del Re, ed in nessuna parte i Piemontesi e il loro Governo. Anche quest’affezione fu leggera e di brevissima durata » (3). MoKo più ottimista ma troppo precoce nelle sue previsioni, lo Spagnolini, Console Sardo a Livorno, che il 31 dicembre 1814 aveva scritto: « Li Genovesi son poco contenti per ora della sorte loro toccata; ma spero che in breve ne ringrazieranno il cielo: sul totale poi, il malcontento non è tale nè tanto quanto si temeva », e il 17 gennaio aggiungeva: « Con la maggior quiete si va organizzando il governo della Liguria e l’antico astio e dissapore che passava tra li Piemotesi e Liguri va a poco a poco estinguendosi affatto ed una mutua fratellanza va a riunire gli animi dei vecchi e dei nuovi sudditi (4) ». Causa di agitazione e di speranza da un lato negli elementi più avversi al nuovo dominio dall’altro nel partito indipendente e nazionale fu il fulmine improvviso, se non per tutti inatteso, della fuga di Napoleone dall’Elba con le conseguenze che ne derivarono, prima la spedizione murattiana verso I Italia centrale. Da principio, ignorandosi la meta del fuggiasco, si temè per (1) Registro Corrispondenza 1814-1815, n. 64, 65, 7 e 8 febbraio 1815; Segre, pagg. 66-67, Gazzetta, 8 febbraio, n. 11, pag. 41 sgg.; Bornate, L’insnrrezione di Genova nel marzo del 1821, pag. 7. (2) Si riferiva all’art. 14 delle Regie Patenti 10 dicembre, che stabilivano conservata l’Università coi privilegi di quella di Torino e posta sotto la protezione particolare del Re; Gazzetta di Genova, 11 gennaio 1815, n. 3, pag. 9 e 11 febbraio, n. 12, pag. 45. (3) Frizzi, Rapporto, cit.; Bornate, pag. 13. (4) F. Corridore, L'Italia in attesa dell’ultimatum del Congresso di Vienna, 1814-1815, Torino, Clausen, p. 31 e 35; F. L. Mannucci, G. Mazzini e la prima fase del suo pensiero letterario, Milano, 1819, pag. 42, nota 40. — 234 — i confini della Liguria, e il De Geneys fu mandato a Nizza a difendere le coste, mentre il Revel era richiamato anche lui per assumere il comando delle truppe agli sbocchi alpini e il Re non osava muoversi da Genova per timore che la sua partenza potesse essere interpretata come sfiducia verso la città e anche per impedire che i malcontenti vi avessero più libera azione. Non era illeggittimo infatti il sospetto di agitazioni fomentate da Napoleone e da Murat, al cui servizio si trovava il temuto Maghella. Ma quando, sbarcato Napoleone a Cannes, il pericolo per Genova apparve minore, il Re lasciò la città il 17 marzo, affidandone il governo al De Geneys, ritornato da Nizza (1). La presenza del sovrano era servita, tra l’altro, a liberare la città dalla presenza del Bentinck, che vi era ritornato e faceva molte osservazioni e lagnanze sul governo piemontese, non tutte ingiuste, secondo il Collegno addetto alla Segreteria di Stato e per alcuni mesi dimorante a Genova, donde inviava al Vallesa importanti e sagaci rapporti. Quella presenza, a giudizio del Re, era funesta alla tranquillità pubblica specialmente per l'ostinata insistenza con la quale il Bentinck richiedeva per Genova ordinamenti costituzionali. Finalmente fu indotto ad andarsene e fu scongiurato per il momento il pericolo che facesse di Genova un suo quartier generale. È vero che dopo breve assenza ritornò per desiderio dello stesso governatore e comandante militare Ignazio di Revel, e colse allora l’occasione per tentar di raggiungere di sorpresa il suo ideale di una costituzione per Genova ed eventualmente per il Piemonte. L’inviato britannico William Hill presentava a suo nome e in forma confidenziale al ministro Vallesa un memoriale in cui si esponevano progetti costituzionali che si dicevano di urgentissima applicazione. Il Vallesa protestò che tali domande contrastavano coi principi del governo piemontese e rappresentavano una sopraffazione ma quando dichiarò che avrebbe esposto le sue ragioni al ministero inglese, l’Hill si affrettò a sconfessare il proprio operato per timore di guai da parte del suo governo che non ne sapeva niente e verso assicurazione che nessuna comunicazione in proposito sarebbe stata fatta. Tuttavia il Vailesa informò confidenzialmente l’Agliè, inviato sardo a Londra, e fu questa certo una delle ragioni del richiamo del Bentinck dal Mediterraneo (2). Altro che patteggiamenti finanziari tra il Re sardo e il comandante inglese! Frattanto la presenza a Genova di Pio VII, fuggito dinanzi all’invasione murattiana, aveva contribuito, secondo i diplomatici piemontesi, a tener (1) Segre, pag. 67 sgg., 76; Prasca, pag. 193. Il 16 marzo il Priore dei Padri del Comune rivolge invito ai consiglieri perchè si rechino a ossequiare il Re alla partenza, Registro Corrispondenza 1815-16, n. 94. (2) Segre, pag. 85 sgg. - 235 — calma la città. Il Papa vi si trattenne quasi due mesi, fatto segno a grandi dimostiazioni di onore e di devozione (1), e vi ebbe anche colloqui politici col conteVidua, Ministro deH’Interno: della sua dimora genovese è ricordo nella lapide murata nel palazzo Negrotto in piazza della Nunciata, ove fu ospitato. Anche il Re tornò il 27 aprile e si incontrò col Pontefice ed ebbe colloqui coi funzionari, il Vidua e il Collegno, che di qui sorvegliavano le vicende del torbido momento e attendevano al faticoso lavoro di riordinale 1 amministrazione dello Stato e di cementare insieme la parte vecchia e la nuova (2). Cauto, lento, incerto il Vidua; più pronto, acuto, convinto che il peggio fosse il perpetuare una situazione provvisoria e indeterminata il Collegno, perciò in frequenti dissidi anche fra di loro (3). D’altra parte, se c erano opposizioni irriducibili (4), non mancava anche tra i genovesi chi offriva l’opera propria e i volenterosi servigi, come un avvocato Ferdinando Badano che presentava, dedicandole al Vallesa, certe « Brevi riflessioni sopra i mezzi più efficaci per procurare la prosperità della Liguria incorporata collo Stato di Sua Maestà il Re di Sardegna » (5). Intanto, lentamente, l’opera di sistemazione cominciava: il 27 febbraio 1815 un regio editto stabiliva l'ordinamento amministrativo del Ducato ripartito in tre intendenze, quella generale di Genova e quelle di Levante e Ponente a Spezia e a Savona, ciascuna con una vice intendenza (6). Tra l’aprile e il (1) Arrivato il 3 aprile, ripartì il 18 maggio; Gazzetta di Genova, 5 aprile, n. 27, pag. 101; 20 maggio, n. 40, pag. 159. La Gazzetta narra distesamente i festeggiamenti e gli onori fatti al Pontefice; il 10 aprile fu ammesso al bacio del piede tutto il Corpo insegnante deirUniversità, presentato dal capo della Commissione degli studi, il marchese Nicolò Grillo Cattaneo; ibid., n. 29, 12 aprile, pag. 113. Sul viaggio e la dimora di Pio VII a Genova v. I. Rinieri, Corrispondenza inedita dei card. Consalvi e Pacca ecc. pag. 446 sgg. (2) Segre, pag. 249, 281. Riparti da Genova per Savona il 9 maggio; Gazzetta n. 34 27 aprile, pag. 133 e n. 37, 10 maggio, pag. 147. (3) Segre, pag. 89 sgg.; 254, 258, 276. (4) Un ufficiale italiano al servizio degli inglesi, alla notizia della cessione di Genova esclamava: « Finalmente voi Genovesi siete sudditi del Re dei Bibbini. Io non so come possiate questo soffrire. Se mi volete per generale alla difesa della libertà italiana mi offro pronto » (Arch. di Stato di Torino, Carte politiche diverse, 1813-56. Informazioni al Revel). « Se volete essere tanti bibin e sudditi del Re piccinin, andate dal console delle marmotte » sbraitava ai patroni di barche genovesi Nicola Casanova, console del governo provvisorio a Genova (bibin = tacchini. Re Vittorio era piccolo di statura); e un Francesco Parodi reduce dell’esercito murattiano, andava gridando a Livorno di non voler essere piemontese e minacciava: « Appena giunto a Genova riporrò il mio uniforme per ripigliarlo a miglior tempo, non lontano >> Seore, pag. 8 e 336. Parecchi erano stati i genovesi e liguri nell’esercito del Murat, ibid., pag. 337, e Arch. di Stato di Torino, Materie politiche in genere, mazzo 9. Tra gli altri c’era quelI’Andrea Montebrnno che compare poi nei moti del 21; Bornate, pag. 59-60. (5) Arch. di Stato, Torino, Carte politiche diverse 1813-1856. (6) Raccolta dei Règi Editti, II, 115-117, Compilazione degli Editti, Patenti ecc., pag. 24, Gazzetta di Genova 1815, n. 39, pag. 159; Segre, pag. 276. \ — 236 — giugno era definito l’ordinamento giudiziario, che costituiva come suprema autorità giuridica a Genova e in tutta ia Liguria il Senato, con un Primo Presidente che fu Luigi Carbonara e dodici senatori (Ambrogio Molfino, Giuseppe Calvi, Nicolò Grattarola, Cosma Clavarino, G. B. Noce, G. B. An-tola, di prima classe, G. B. Perrando, Giuseppe Cambiaso, Silvestro Alvigini, Cottardo Solari, Giuseppe Buraggi, Michele Novara per la seconda, e Ettore Figari segretario). Venivano poi i Tribunali di seconda cognizione e i Consigli di Giustizia o Magistrati provinciali (1). 11 San Marzano aveva promesso a Vienna che sarebbero stati confermati i codici francesi nei tribunali civili e commerciali; in realtà con questi ordinamenti erano abrogati quelli di procedura civile, penale e d’istruzione criminale, solo conservandosi il civile e il commerciale. Il governo sardo procedeva così inflessibile sulla via di plasmare l’amministrazione genovese sul tipo della piemontese e di mantenere completamente uniforme la vita di tutte le parti, antiche e nuove, della monarchia (2). Egualmente avvenne neH’ordinamento dell’amministr?zione cittadina. L’articolo 13 delle Regie Patenti 30 dicembre 1814, riproducendo l’articolo 13 delle norme fissate dal Congresso, stabiliva la formazione di un Corpo di Città diviso in due classi, l’una di quaranta nobili, l’altra di venti cittadini benestanti o esercenti professioni liberali e di venti dei principali negozianti, da eleggersi tutti a vita, la prima volta dal Re e in seguito dal Corpo medesimo, salva l’approvazione reale. Ciascuna classe doveva essere presieduta da un Sindaco scelto nel Corpo stesso. Le adunanze del Corpo decurionale, cui spettava l’amministrazione, la polizia cittadina e la sorveglianza sulle opere pubbliche, dovevano avere l’assistenza di un Commissario del Re (3); in realtà l’amministrazione comunale fu costantemente diretta e controllata dal Primo Presidenté del Senato, direttamente o per mezzo di un rappresentante. Passarono alcuni mesi prima che il nuovo consesso potesse funzionare. Mentre si attendeva il regolamento per l’applicazione di quelle norme (1) Compilazione degli Editti e Patenti di S. M. il Re di Sardegna, Genova, 1815, t. I, pag. 73, 88, 190 sgg., 331 sgg.; Gazzetta di Genova, 13 maggio 1815, n. 38, pag. 151 e 3 giugno, n. 44 supplemento; Segre, pag. 66, 86, 286. Tra gli attuari o cancellieri del Senato c’era Domenico Scasso (Compilazione ecc. pag. 334 e II Ciabattino Poeta, Lunario per l'anno bisestile 1816, Genova, Bonando, pag. 64, in Bibl. Società Ligure di Storia Patria, B, 8, 3, 59). Giovanni Scasso era invece cancelliere del tribunale di seconda istanza, Compilazione, pag. 338. (2) A. Lattes, Il Regolamento sardo del 1815 per il Ducato di Genova in Miscellanea di Studi Storici in onore di Giov. Sforza, Lucca, Baroni, 1916, pag. 333 sgg.; Segre, op. cit., pag. 66 e 277. (3) Gazzetta di Genova, 7 gennaio 1815, n. 2. Oltre che dal Martini e dallo Spinola le Regie Patenti sono riprodotte dal Drago, Contributo alla storia del Municipio di Genova, Appendice, Allegato IV, pag. 266. — 237 — generali, rimase in funzione il vecchio consiglio, ma in uno stato di persistente disagio. Già, non ostante le forme convenzionali e l’invio della deputazione a Torino, la dimora del Re a Genova e le cerimonie e le feste ufficiali, la cittadinanza manifestava col contegno freddo e diffidente l’avversione al governo e i più si astenevano sdegnosi da ogni partecipazione alla vita pubblica. Il Capo Anziano aveva un gran da fare ad avvertire il Ministero dell’interno che il Magistrato del Padri del Comune era incompleto nel numero dei suoi membri, che le molte assenze per malattia o per dimissioni impedivano sempre di raggiungere il numero legale. Rimedio provvisorio poteva essere il riconoscere la validità delle deliberazioni con qualunque numero di presenti, ma sopra tutto occorreva dare la nuova sistemazione definitiva all’organismo municipale e determinarne precisamente le funzioni e gl’impegni (1). Finalmente il 31 luglio erano emanate le Regie Patenti col regolamento per l’amministrazione cittadina, modellata anch’essa sull’esempio di Torino, con due Sindaci, uno per classe, e due Consigli, il Generale composto di tutti gli ottanta Decurioni o membri del Corpo di Città, e convocato tre volte all’anno per la scelta dei Consiglieri e dei Sindaci da proporsi alla sanzione sovrana, per la nomina del Consiglio Particolare, la ripartizione degli uffici, l’esame dei bilanci, il controllo delle spese; il minore o Particolare della durata di un biennio, al quale spettava l’ordinaria amministrazione, composto dei Sindaci e dei Consiglieri eletti ai diversi uffici di provveditori, edili, ragionieri, archivisti, segretario ; in complesso ventidue persone (2). Come Gian Carlo Brignole, che il Collegno a gran fatica era riuscito a far nominare Ministro di Stato (3), aveva immesso Luigi Carbonara nella Presidenza del Senato, così, fatte dal Re le nomine in base a elenchi forniti dal Capo Anziano (4), il Carbonara procedeva l’8 di agosto all’insediamento del Corpo Decurionale. A destra del Commissario sedeva il Sindaco della prima classe, marchese Paolo Gerolamo Pallavicini; era assente l’avvo- (1) Registro Corrispondenza 1814-15, n. 92, 118, 136, 145, 166: marzo-luglio 1815; Rinuncie ad uffici, n. 539, 544, 559 ecc. (2) Compilazione degli Editti e Patenti di S. M. il Re di Sardegna, Genova, 1815, voi. I, pag. 190 sgg. Per l’esame particolare dell’ordinamento civico, R. Draqo, Contributo alla storia del Municipio di Genova, appendice II, pag. 191 sgg.; Vitale, Un documento sulPamministrazione comunale e lo spirito pubblico a Genova dopo il 1814 in La Liguria nel Risorgimento, a cura del Comitato Ligure della Società Nazionale per la Storia del Risorgimento, Genova, 1925, pag. 92 sgg. (3) Seore, Il primo anno ecc., pag. 293 sgg. (4) 11 Capo Anziano aveva trasmesso il 15 luglio al governatore « le note della nobiltà di questa Città unitamente a quelle delle famiglie distinte e dei più classici negozianti »; Registro Corrispondenza, 1814-15, n. 184, 15 luglio 1815. - 238 - cato Giuseppe Gandolfo, Sindaco della seconda (1). La scelta era caduta su individui giudicati ottimi dalle informazioni di polizia; ma l’informatore del Vallesa aveva detto del Gandolfo: « Buonissimo. Uomo di tutta probità, ma non accetta cariche; accettandole, sarebbe molto utile » (2), e il non accet-tarle dipendeva forse dall’essere « per l’indipendenza » come diceva di lui il compilatore dello « Stato dei soggetti » e come confermava il Frizzi (3). In realtà quella sua assenza era un indizio dello scarso entusiasmo, e, appunto, dell’assenteismo che, notato già subito dopo l’annessione, si accentua sempre più nell’avversione al nuovo governo e a quella persistenza nella distinzione tra le classi cittadine che è caratteristica del suo ordinamento. La condizione d’inferiorità dei possidenti e dei mercanti di fronte ai nobili e il malcontento di questi, discesi dal governo dello Stato a limitata e controllata funzione amministrativa nei soli riguardi cittadini, contribuiscono allo sdegnoso rifiuto o all’indifferente astensione dalle cariche e dagli uffici da parte dei più tenaci assertori dell’antico ordine di cose; nè le feste del Governatore o le blandizie del potere centrale riescono a vincerne l’ostilità (4). E anche chi accetta gli uffici vi fa spesso una pesante resistenza passiva e una difesa tenace degl’interessi cittadini contro i provvedimenti livellatori e fiscalmente gravosi del governo, che anche in materia economica ha finito col non osservare le norme fissate dal congresso di Vienna (5). Per quanto riguarda l’amministrazione municipale, le difficoltà della situazione per la frequente mancanza del numero legale nei consigli ed il (1) Arch.del Comune, Processo verbale deltinstallazione del Corpo di Città di Genova; filza: Corpo Decurionale 1815-49; Drago, Svolgimento storico, pag. 114; Contributo alla Storia ecc., pag. 197 sgg. (2) Segre, pag. 347, n. 121. (3) « Uomo di gran talento ed onesto, gode a giusto titolo della massima buona riputazione, ama l’antica Repubblica » dice il Frizzi, che però ne attribuisce erroneamente ai Bentinck la nomina a Sindaco. «Scusato»,il Gandolfo (Registro Corrispondenza 1815-16, n. 73, 15 settembre) fu sostituito dal negoziante Gerolamo Casanova, detto buono dai rapporti polizia, e democratico e appartenente all’indipendenza dal Frizzi. (4) Qualche volta la resistenza diventa aperta e decisa. Nel 1815, per la venuta della Regina e dei Decurioni torinesi, si pensa, tra l’altro, a una fiera, invitando i mercanti a occuparne le botteghe con le loro merci. Ma un Sambuceti ricusa risolutamente e il Sindaco, nel timore che l’esempio sia contagioso e provochi rimostranze dall’alto, invita il capo della polizia a farlo desistere dal suo proposito; Registro Corrispondenza 1815-16, 27 agosto, n. 57. Curiose erano state le domande del Capo Anziano al Ministro dell’interno sugli onori da rendere alla Regina alla sua venuta: « qui — diceva - non si conoscono gli usi e non ci sono precedenti »; Registro Corrispondenza 1814-15, n. 208, 30 luglio. Sulle feste in quella occasione, Compilazione Editti, I, 188; Gazzetta di Genova, n. 67 sgg., agosto-settembre, e Registro Corrispondenza 1815-16: agosto-settembre 1815. Nella fiera cinese al palazzo Doria « non potranno entrare le signore che portino il « mezzaro ». (5) Spinola, Storia della restaurazione della Rep. di Genova, pag. 222, - 239 — lento procedere degli affari diedero luogo a interminabili corrispondenze tra gli uffici di Genova e di Torino, finché un parere del Carbonara sugl’inconvenienti e i possibili rimedi e un memoriale presentato al Ministero dell Interno determinavano la riforma approvata con le Regie Patenti 21 settembre 1824, nella quale, senza toccare la legge fondamentale del 1814, era abolita la distinzione tra le due parti costituenti la seconda classe dei Decurioni, era prorogata la durata in ufficio così dei Sindaci come dei consiglieri eletti ai diversi uffici di edili, ragionieri, procuratori, per assicurare una maggiore continuità agli affari, erano eguagliati nei diritti e nella funzione i due Sindaci, era facilitato il raggiungimento del numero legale nelle riunioni e stabilito che gli abitualmente assenti si considerassero di-missionari (1). Questo ordinamento, durato poi per più di vent’anni, fino all’Editto 28 novembre 1847 che istituiva i Consigli Comunali e Provinciali elettivi, era in vigore quando Onofrio Scassi entrò neH’amministrazione, come Decurione prima poi come Procuratore e Sindaco, in momenti di radicale trasformazione edilizia e di profonde innovazioni in ogni ramo della vita cittadina. In questi primi anni dell’annessione, mentre non esiste vita politica autonoma e anche la vita amministrativa ristagna in un ambiente greve e plumbeo, agli uomini di scienza rimane il rifugio e il conforto dei loro studi e delle professioni. Così per lo Scassi restano notizie soltanto della sua attività accademica limitata alla funzione universitaria, perchè il governo, timoroso di tutto ciò che aveva avuto origine rivoluzionaria, aveva soppresso l’Accademia Ligure, trasformazione dell’Istituto Nazionale (2); e anche la Società medica di Emulazione cessò di esistere col 1814 (3). Più che di reale opposizione alla coltura, si trattava di avversione a usi e istituti sorti sull’imitazione esterna, inglese e francese, e perciò sospettati di vernice rivoluzionaria. In compenso però, nel desiderio di tornare all’antico, si ricostituivano i vecchi Collegi, e nel restaurato Collegio di Medicina e Chirurgia si trovano tutti i professori universitari, Scassi quindi in prima linea, e molti (1) Vitale, Un documento sull’amministrazione ecc., pag. 87 sgg.; Collezione degli Editti ecc. t. XIX, pag. 92 sgg.; Gazzetta di Genova, 10 novembre 1824, n. 90, pag. 397; Drago, Contributo alla storia del Municipio di Genova, pag. 132. Numerosi regolamenti interni e tariffe daziarie nella Miscellanea Patenti, Regolamenti, Tariffe riguardanti F amministrazione municipale dal 1815 al 48, nell’Archivio Civico. (2) Tentò inutilmente di farla rivivere più tardi Girolamo Serra. Bisogna arrivare al 1845 per ritrovare Società scientifiche a Genova; Belgrano, Della vita e delle opere del marchese Girolamo Serra, pag. 65-66; Pandiani, L’opera della Società di Storia Patria, in Atti, voi. XL!I, pag. 16 sgg.; Ad. Colombo, La tradizione di Balilla a Genova nel voi. Goffredo Mameli e i suoi tempi, Venezia, 1927, pag. 178 sgg. (3) Giornale degli studiosi, 1869, I, pag. 7. I nomi degli appartenenti alla Società nel 1814 corrispondono in gran parte a quelli del decennio precedente. — 240 - dei medici più eminenti già partecipi della Società, come Luigi Marchelli, Giuseppe Pizzorno, Giuseppe Antonio Garibaldi e Giacomo Mazzini (i). Ma se gli studiosi rimasero in tal modo isolati, perchè tutto ciò che era lavoro sociale e collettivo destava sospetti, i singoli individui di riconosciuto valore furono accarezzati per attrarli nell’orbita governativa. In un primo momento, secondo la solita concezione che presiedè alla restaurazione piemontese, si pensò alla nobiltà, e, oltre a Gian Carlo Brignole e G. B. Carrega, ebbero cariche onorifiche a Corte il principe G. B. Maria Centurione, i fratelli marchesi Gio. Antonio e Giacomo Filippo Raggi, il marchese Giuseppe Grimaldi, il conte Luigi Carbonara, il conte Agostino Fieschi, Domenico Del Carretto duca di Balestrino, Bendinelli Negrone, Ippolito Spinola (2), personaggi tutti favorevolmente dipinti nelle informazioni della polizia, tutti invece, secondo il Frizzi, tenaci nel rimpianto della vecchia repubblica e qualche volta passati con secondi fini al servizio del nuovo governo. Così di Giovanni Antonio Raggi, capo del Magistrato di Polizia, l’informatore austriaco scriveva: « E inimico dichiarato del presente Governo, quantunque dal medesimo decorato. Si adatta a servire in questo importantissimo posto senza emolumenti, affinchè rinunziando non venga affidato a qualche Piemontese. Vuole conservarsi fino che può il segreto del Governo... È partigiano sincerissimo dell’antica repubblica, e non è inimico dell’Austria. Lusingandolo della restaurazione della medesima potrebbe rendere dei servigi importantissimi » (3). Ma il Frizzi si illudeva e coloriva le cose secondo i propri desideri e quelli dei suoi padroni e sovventori: troppo era viva nei cuori genovesi la tradizione del 174ò perchè si potesse pensar a fare dell’antipatia al Piemonte una leva in favore dell’Austria. Nè il Raggi, che egli stesso rappresentava uomo d’onore e molto religioso senza bigottismo, nè gli altri con lui onorati, sia pure per opportunità, dal governo sardo si sarebbero indotti ad una forma di vero tradimento. Piuttosto, pur conservando nell’animo il rimpianto dalla vecchia repubblica, questi nobili si piegarono alla realtà presente, se qualche volta attratti anche da lusinghe di cariche e di onori, convinti e dell’inanità di una cieca resistenza e di essere più utili così al loro paese. L’ostinata opposizione che molti avrebbero voluto e taluni attuarono poteva avere il solo risultato (1) Isnardi-Celesia, Storia dell’Università di Genova, 11, 260-261; Gazzetta di Genova, 18 dicembre 1816, n. 101, pag. 395. Si ricostituiva anche il Collegio di Legge, annesso pure, come quello di Medicina, all’Università; ma qui il Governo si trovava di fronte a una serie di rifiuti anche scortesi; Codignola, La giovinezza di G. Mazzini, pag. 117. (2) Segre, pag. 303; Gazzetta di Genova, 6 maggio 1815, n. 36, pag. 143. (3) Frizzi, Quadro caratteristico cit.; Bornate, L'insurrezione di Genova nel marzo 1821, pag. 31, n. 1. — 241 — di irrigidire maggiormente nelle sue viete e sospettose concezioni il governo di Torino (1). Il quale, oltre alla nobiltà, cercava di attirarsi con distinzioni e onori i migliori elementi della borghesia colta e professionista. Lo Scassi offre a questo proposito un tipico esempio. Il medico celebre, che una polizia miope aveva dipinto a oscuri colori, attribuendogli a colpa un passato politico privo di violenze demagogiche ma rivolto sempre a una ordinata libertà, era assunto all’ufficio onorario di medico di Corte. Si può supporre che durante la dimora genovese il Re stesso o qualcuno della famiglia reale abbia potuto valersi della sua abilità professionale; comunque è certo che le nere informazioni di carattere politico non sono state tenute presenti affatto allorché gli fu conferito quell’onore che doveva servire a distinguerlo ancora tra i suoi colleghi. Diceva un R. biglietto in data 10 settembre 1815: « Le vantaggiose notizie che abbiamo della singolare dottrina e delle scelte cognizioni avvalorate dall’esperienza del medico Onofrio Scassi Professore nella R. Università di Genova, invitandoci a dargli un’onorevole testimonianza della nostra stima e del concetto che ci siamo formati della distinzione del di lui merito, Ci siamo di buon grado disposti a stabilirlo Medico onorario della Nostra Reale Casa nella medesima città. Epperò per le presenti di nostra certa scienza ed autorità regia, eleggiamo, costituiamo e deputiamo il predetto A\e-dico Onofrio Scassi per medico onorario della Nostra Reale Casa in Genova, con tutti gli onori, privilegi, prerogative e vantaggi che ne dipendono. Mandiamo a tutti li Nostri Ministri, Magistrati, Uffiziali ed a qualunque altro sia spediente di riconoscerlo e riputarlo nella qualità sopra espressa, ed al Consiglio della Nostra Casa di descriverlo in tale conformità sul bilancio, con farlo e lasciarlo godere delle cose predette, volendo che le presenti siano spedite senza pagamento di emolumento e diritto di sigillo. Che tale è la nostra mente » (2). Intanto si provvedeva anche a riordinare l’Università. Qui, è troppo noto, i gretti criteri della restaurazione ebbero applicazione più intransigente: i professori furono conservati, ma costretti a piegarsi alle nuove norme. Nei rapporti del Collegno al Vallesa non si parla dell’Università che per la (1) Irriducibile assertore dell’atteggiamento passivo e assenteista era anche, più tardi, il Martini che, nella Storia della restaurazione della Repubblica di Genova, inveisce contro Girolamo Serra che pur rimase lungamente da parte; pag. 256 sgg. e 268 sgg. (2) Archivio di Stato di Torino, Atti Ministero Interno, Genova, Cariche ed Editti, voi. unico, fol. 45. Analogo diploma per il chirurgo Leveroni, che era stato egualmente designato dalla polizia Pessimo, Libero Muratore, Napoleonista (Segre, pag. 360, n. 158). La lettera di comunicazione allo Scassi da parte del Gran Maestro della Casa Reale marchese Roddi, in data 28 settembre, in Archivio Sauli; la Gazzetta ne dava notizia il 4 ottobre, n. 97, pag. 316, e per il Leveroni il giorno 11, n. 81, pag. 323, 16 — 242 necessità di provvedere alla cattedra vacante di diritto canonico (1). A capo dello Studio era posto Gian Carlo Brignole, che passò poi come Reggente al Magistrato della Riforma, cioè alla direzione delle due Università del regno, e nel 1818 fu sostituito da Prospero Balbo (2). A presiedere l’Uni-versità genovese rimase Nicolò Grillo Cattaneo, che già aveva tenuto quell’ufficio per alcuni anni nell’età napoleonica e che il Bentinck aveva richiamato a riordinare la pubblica istruzione. Al Governo provvisorio risaliva appunto l’istituzione della Deputazione degli studi, composta di un Presidente e di quattro membri, alla quale erano sottoposti tutti gli istituti scolastici, eccettuati i religiosi. II governo piemontese conservò la Deputazione e alla sua testa rimase il Grillo Cattaneo fino al 1821 (3). Compilato il nuovo regolamento che stabiliva in latino tutti gli insegnamenti (meno quelli di eloquenza e di chimica) e imponeva ai professori l’obbligo di consegnare alla Biblioteca le lezioni manoscritte entro un anno dal compimento del corso (4), si procedette alla conferma degl’insegnanti in applicazione delle norme stabilite dal Congresso di Vienna. Qualche volta, come appunto per Io Scassi, si trattò di assunzione a una nuova cattedra. Egli passava infatti ora dalla patologia e dall’igiene all’anatomia e fisiologia e questo passaggio era probabilmente connesso con le vicende di Benedetto Mojon, il figlio deH’omonimo e professore di chimica, che, succeduto nella cattedra del Pratolongo, aveva pubblicato nel 1808 un Codice di leggi fisiologiche per il quale dal nuovo governo era stato accusato di ateismo. Andato a Torino a scolparsi presso il Vallesa, potè giustificarsi per l’appoggio dell’inviato russo, ma non riebbe allora la cattedra, passata allo Scassi evidentemente ritenuto più sicuro e conforme ai principi rigorosamente religiosi del governo. Alla cattedra di patologia e igiene, da lui prima coperta, fu elevato invece Luigi De Ferrari (5)- La nuova nomina era stata fatta con questo biglietto regio del 6 settembre 1816: « Quanto commendevoli sono le qualità del Dottore Onofrio (1) Segre, Il primo anno ecc., pag. 235. (2) Gazzetta di Genova, n. 26, 30 marzo 1816, pag. 101; Segre, pag. 236. Il Brignole assunse solennemente la carica il 29 di maggio; Gazzetta, n. 44, 1 giugno, pag. 173. (3) Gazzetta di Genova, n. 78, 28 settembre 1814, pag. 329; Compilazione degli Editti e Patenti, t. Il, Genova, 1816, pag. 3 sgg; Elogi di Liguri Illustri, III, 255; A. Lattes, L’Università di Genova e le sue vicende nel volume L’Università di Genova, 1923, pag. 30. (4) Gazzetta di Genova, n. 77, 25 settembre 1816, pag, 303; Isnardi-Celesia, Storia dell’Università di Genova, II, pag. 256, 259. L’Università doveva aprirsi il 14 novembre, il Collegio Reale, affidato ai P. Somaschi, il 15; Compilazione degli Editti ecc., t. IV, pag. 186. Nell’Archivio Sauli si conservano molti fascicoli manoscritti di lezioni di Onofrio Scassi, i quali non potrebbero avere oggi scientificamente che un valore storico. (5) Frizzi, Quadro caratteristico cit.; Isnardi-Celesia, Storia delWniversità, II, pag. 264; Gazzetta di Genova, n. 73, 11 settembre 1816, pag. 287. - 243 — Scassi, che abbiamo nominato per medico onorario della Nostra Reai Corte in Genova, altrettanto esimie sono le prove da lui costantemente date di esimio sapere ed esperienza nella scienza medica ond’è che Ci siamo di buon grado mossi a rendere maggiormente palese il di lui merito con presceglierlo per la cattedra di anatomia e fisiologia in quella nostra Università degli studi, persuasi di tutta la sua premura nel corrispondere pienamente alla nostra aspettativa » (1). In quei due anni, attraverso tanti mutamenti e tanta agitazione politica, l’Università aveva continuato la sua vita almeno apparentemente regolare. Normale era stato il corso delle lezioni, come notava con compiacimento alla chiusura dell’anno scolastico Gio. Luca Solari; e la cerimonia di apertura del nuovo anno era avvenuta con pompa solenne e preceduta dalla funzione religiosa il 15 novembre 1814: oratore ufficiale Nicolò Ardizzoni, con un discorso « in aurea latinità »; ma il tema « Necessità e utilità delle Scuole e delle grandi Accademie » era, per quanto riguardava le Accademie, destinato a pronta smentita (2). Neanche la pubblicazione recente del terzo volume delle Memorie, intesa a dimostrare l’attività permanente di quel corpo accademico e il suo diritto alla conservazione e al rispetto, era stata sufficiente a mantenerlo in vita. Nel 1815 l’inaugurazione era avvenuta con un discorso di pura scienza: Antonio Mongiardini vi aveva trattato dell’antica medicina genovese e dei medici genovesi celebri (3); ma l’anno successivo, compiuta ormai la definitiva sistemazione, fissati i regolamenti organici, lo spirito del nuovo tempo e del nuovo dominio appariva interamente dal tono della cerimonia e dalla sua descrizione ufficiale- L’inaugurazione si compì infatti con una dignità imponente non prima usata, ma fu preceduta e accompagnata da forme e cerimonie che dovettero sembrare ostiche e strane a chi poteva ricordare i tempi, i sentimenti, il frasario dell’età repubblicana e democratica. 1 professori vecchi e nuovi dovettero procedere alla professione di fede e al giuramento. Vestiti della nuova toga col berretto, preceduti dai bidelli, si recarono proces-sionalmente alla Chiesa, dove già si trovava la Deputazione, per la funzione propiziatoria. Passati poi nel salone, il segretario diede lettura dalla bigoncia dell’atto di professione di fede e quindi le Facoltà fecero a turno la professione in ginocchio, davanti a Mons. Giustiniani, Vicario Generale, e i singoli professori giurarono nelle mani del Marchese Grillo Cattaneo, Presidente della Deputazione. Chiuse la cerimonia, cui assistettero le autorità (1) Arch. di Stato di Torino, Atti Ministero dell'interno, Cariche, Luglio 1816 - dicembre 17, vol.C. 22,23, fol. 66. È riprodotto nel Registro /, in Arch. della R. Università di Genova, fol. 115. (2) Gazzetta di Genova, 6 agosto 1814, n. 63, pag. 267; 16 novembre, n. 92, pag. 383. (3) Gazzetta, 18 novembre 1815, n. 92, pag. 367. — 244 - e gli studenti in gran numero, il canonico Varennes della facoltà teologica, il quale con un discorso latino esaltò i meriti dell’Università genovese nel campo della religione e di ogni arte e scienza (1). Puntualmente, i professori ripresero subito le lezioni: Nicolò Olivari cominciava le sue di clinica medica il 15 con un discorso latino sulla vera base della medicina pratica; il 19 lo Scasai, confermato intanto nell’ufficio di Decano della Facoltà, apriva il nuovo corso di anatomia. « Ieri — scriveva il 20 la Gazzetta (2) — il eh. sig. Professore Onofrio Scassi, che dalla cattedra di istituzioni mediche e d’igiene è stato traslato a quella di anatomia, ha aperto il corso delle sue lezioni nella sala del teatro anatomico del grand’ospedale di Pammatone con una dotta prolusione latina, a cui oltre i numerosi alunni della facoltà medica e diversi professori, hanno assistito l’Ecc.mo Deputato a detto Ospedale e i membri dell’Ecc.ma Deputazione agli studi ». Rientrava nello stesso tempo, e dopo tanti anni, nella Commissione di Sanità, riordinata su nuove basi nel 1815 (3). Abolito il sistema di origine democratica della presidenza a turno — ultimo, nel 14, era stato il Mongiar-dini (4) — era nominato Presidente Paolo Gerolamo Pallavicini, che fu anche il primo Sindaco della sua classe, il quale diede un impulso nuovo e vigoroso alla Commissione, curando attivamente la pulizia delle strade e dei luoghi pubblici, eliminando molti inconvenienti e pericoli per l’igiene, raccogliendo in un corpo unico le leggi e i regolamenti in materia sanitaria, rinnovando la proibizione della sepoltura nelle chiese, accelerando e compiendo la fabbrica del lazzaretto alla Foce (5). In questo momento di rinnovata attività Onofrio Scassi rientra nella Commissione e per parecchi anni, finché non chiuderà la vita tornando aH’amministrazione cittadina, la sua opera solerte e fattiva di tecnico competente sarà rivolta in modo particolare al campo medico professionale e all’accademico scolastico che gli sono più particolarmente propri e graditi. (1) Gazzetta di Genova, 16 novembre, n. 92, pag. 359. (2) Gazzetta, 20 novembre, n. 93, pag. 363. (3) Arch. di Stato, Genova, Mandati Commissione Centrale di Sanità, sala 43, n. gen. 1718. (4) La Commissione nel 1814 aveva avuto un gran da fare per la questione della sepoltura nelle chiese. Esponeva in una circolare che « in molti luoghi per male inteso spirito di religione molti con fatti clamorosi e insultanti hanno riaperto chiese e oratori e sepolti i morti nelle chiese e dissotterrati da altri cimiteri per portarli nelle parrocchie». Ricordava ancora vigente la proibizione di seppellire nelle chiese urbane ; si potevano consentire eccezioni, ma sotto determinate norme, nelle chiese fuori delle vecchie mura : S. Francesco di Paola, Oregina, Madonnetta, S. Anna, S. Bartolomeo degli Armeni e Nostra Signora del Rifugio: Gazzetta di Genova, 30 aprile 1814, n. 34, pag. 148 e 9 luglio, n. 55, pag. 236. (5) Compilazione degli Editti e Patenti ecc., voi. I, pag. 114; Gazzetta di Genova, 22 febbraio 1815, n. 15, pag. 57; 8 giugno 1816, n. 46, pag. 181; 27 febbraio 1833, n. 17. mÌMimiWtt>iillllÌllii»*llt‘iillìllli»HUIininii.llli,iillllllii.(ll).iiIIÌÌllii.illt..iilÌlliii.ilii..iilli............................................................................................. iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiy Appendice al Capitolo VI. Relazione al Revel, anonima, 22 ottobre 1814 jt jt La Repubblica di Genova, caduta vittima delle funeste conseguenze della Rivoluzione di Francia sino dall’anno 1799 (sic), non ha più avuto un momento felice per potere tranquillamente proseguire il suo commercio unica risorsa dello Stato di Genova, senza del quale non puole esistere. È da notarsi che indipendentemente dalle cause generali, che hanno prodotto in una gran parte dell’Europa lo spirito di vertigine rivoluzionaria, in Genova questo spirito è stato preparato, fomentato e finalmente fatto scopiare da una fazione composta di Nobili, che mal soffrendo l’influenza che avevano i Nobili probi vecchi, hanno voluto tutto rovesciare per poter quindi acquistare una influenza popolare e dominar dispoticamente sotto l’imprestato nome di Libertà ed Eguaglianza. Questa fazione che ha tutto distrutto era composta dai fratelli Serra qm: Giacomo, de’ due fratelli Gaspare e Cristofaro Sauli e finalmente d’Agostino Pareto e vari altri nobili poveri subordinati però a’ tre suddetti nobili ricchi. Questa fazione ha avuto i suoi fautori, e dirò anche Sicari, nelle classi inferiori, e principalmente un Maghella di Varese ora Ministro e con-siliere di Murat, uomo perduto di riputazione, senza talenti e senza cognizioni, ma sfrontato e capace di tutto intraprendere. Li fratelli Boccardo gente odiata e principalmente per la loro ingratitudine verso l’antico Governo dal quale erano stati ampiamente beneficati. Un certo Bollo di Muneglia uomo fazioso e sanguinario, ultimamente come già dissi impiegato nella Regia imperiale dei Sali e Tabacchi. Li fratelli Lanata pure fazioni ed inquieti, li fratelli Belviso, il medico Trucco, il speziale Morando ora morto, l’Abate Cuneo attualmente bibliotecario a Napoli e molti altri dell’infima classe. — 246 - Passati finalmente tanti avvenimenti rivoluzionari, la Liguria fu aggregata all’impero francese per li maneggi di Saliceti, del negoziante Emanuele Balbi, del medico Scassi, del negoziante Maglione etc. ed ecco di nuovo Serra e Pareto che contribuirono a detta riunione luminosamente impiegati decorati della Legion d’Onore, come lo fu Balbi etc. Il sig. Pareto fatto maire di Genova ha sempre inquietata la popolazione con fare eseguire le leggi Municipali con un rigore inaudito ed in conseguenza molto mal veduto. Tutti gli altri suddetti furono sempre gli adulatori di Napoleone ed in conseguenza sempre cattivi e sempre vendicativi. Un governo qualunque a cui fusse ceduta la Liguria se volesse acquistarsi l’opinione di tutti i buoni e dirò ancora l’opinione generale, sarebbe d’allontanare questi su mentovati individui da qualunque ramo d’amministrazione, primo perchè odiati ed in secondo luogo perchè con la loro maniera d’amministrare farebbero detestare il nuovo Governo. Conviene confessare, per la verità, che l’antica classe di Nobili è ora mancante di persone illuminate, ma però ve ne sono ancora alcuni, che hanno qualche cognizione ed in rimpiazzo della mancanza delle cognizioni hanno una volontà decisa di fare il bene ed una sufficiente penetrazione per persuadersi che non è più tempo di pensare a prendere le redini del Governo nella loro classe, dimodoché servirebbero fedelmente. Li 13 individui che compongono l’attuale Governo Provvisorio quantunque siavene qualcheduno onesto, sono in massa generalmente odiati e disprezzati. Come già dissi in altra mia memoria, i Genovesi tutti si sottometterebbero volentieri a qualunque governo, purché potessero fare liberamente il loro commercio unica e sola risorsa per uno stato che non ha suolo da coltivare. Le passate peripezie, l’incertezza ancora di un’incerta politica, l’odio e il disprezzo che si è conciliato quest’ultimo attuale Governo Provvisorio hanno fatto sì, che la parte sana della Popolazione desidera un Governo estero, che presenti una sufficiente forza onde farsi rispettare all’estero ed una garanzia personale nell’interno di cui in oggi mancasi totalmente. Li 22 ottobre [1814] (1). (1) Archivio di Stato di Torino, Carte politiche diverse 1813-1856. Lettere anonime al Co. di Revel relative ai Genovesi e alle loro opinioni politiche. CAPITOLO VII. La vita universitaria nell’età Piemontese Onofrio Scassi e la Deputazione agli Studi t Negli anni immediamente succeduti all’annessione al Piemonte, la vita di Genova ha avuto un indubbio plumbeo ristagno, scosso soltanto dai sussulti e dal lavorio sotterraneo delle sette. Grave il disagio economico per la crisi generale e per una eccezionale carestia (1), e accresciuto dalla incomprensione dei bisogni specifici del commercio locale, dalle mantenute barriere doganali col Piemonte, dal tentativo di fare del ligure un popolo militare e agricoltore (2); lenta e impacciante la burocrazia con un’infinità di norme, di regolamenti, di editti, di biglietti regi; pure venivano sistemati e legalmente regolati gli usi commerciali e marittimi, che avevano subito tante variazioni attraverso gli agitati mutamenti politici e non era priva d’utilità l’opera della Camera e dei Tribunali di commercio (3). E mentre la vita amministrativa era inceppata dalla gelosa sorveglianza e dalla pesante tutela delle autorità statali, cui pur si opponeva, nei limiti del possibile, una tenace passiva resistenza a difesa dall’autonomia e degl’interessi locali, anche la vita intellettuale sembrava arrestata e accasciata, dopo la bella fioritura d’ingegni e la forte rinascita di studi, specialmente scientifici, dell’età anteriore, sotto il peso della libertà perduta e dell’orgoglio municipale piegato (4). La grettezza delle idee e dei sistemi del nuovo governo, mas- (1) A. Fossati, Origini e sviluppi della Carestia del 1816-1817 negli Stati Sardi di Terraferma, Torino, 1929 - VII, pag. 2 sgg., 85 sgg. (2) A. Seore, Manuale di Storia del Commercio, voi. II, pag. 271, 274 sgg. (3) C. Mioli, La Consulta dei Mercanti Genovesi, a cura della Camera di Commercio, 1928, pag. 75 sgg. (4) A. Codignola, La Giovinezza di G. Mazzini, Firenze, Vallechhi, 1926, pag. 113 sgg. - 248 — sime nel campo del pensiero, era ben lontana dal raggiungere quell’adattamento al nuovo ordine di cose che era negl’intendimenti dei reggitori di meno corta veduta. Tutte le formalità e le imposte cerimonie esteriori, le pratiche di devozione rigorosamente ordinate e sorvegliate, anche se ridotte spesso a pure formalità burocratiche, dovevano apparire ostiche alla generazione che aveva attivamente partecipato o si era venuta formando la coscienza civile e politica nell’età rivoluzionaria e nel periodo napoleonico. A modo suo, e purché si adattasse alle norme imposte, Vittorio Emanuele amava e mostrava d’onorare l’Università, e assai frequentemente, nelle annuali gite a Genova, si recava a visitarla e si faceva presentare i professori o almeno i priori dei collegi e i decani delle facoltà (1). Ma, anche se accarezzati e onorati, uomini come Onofrio Scassi, Antonio Mongiardini, Domenico Viviani nel campo delle scienze, come Paolo Sconnio e Giacomo Lari nelle lettere, come l’Ardizzoni, il Mangini il Solari, il Marrè nel diritto (2), potevano piegarsi alla realtà, adattarsi formalmente ai nuovi sistemi, non aderire intimamente alla rigida concezione reazionaria, non rinunciare al loro più geloso patrimonio spirituale. Già provati nel corso di vicende tempestose, stanchi e forse un po’ delusi, giunti a età posata e matura, non presero parte ai moti del 21 e all’incom posta insurrezione determinata da giovanile entusiasmo di studenti e da elementi militari o turbolenti faziosi, ma videro come un barlume di speranza, come una promessa di tempi nuovi e di più largo respiro nella breve parentesi costituzionale. Quando Raffaele Scassi, caratteristica figura di avventuroso intraprendente che compare improvviso in questo momento, scrive da Parigi nel 1819 al fratello Onofrio annunciandogli le riforme sulla libertà individuale e sulla stampa approvate dal Parlamento di Parigi e la promessa del Re di Spagna di giurare la costituzione del 12 e aggiunge: « La sola povera Liguria resta sotto il dispotismo » (3), interpreta il pensiero generale dei Liguri, ma è certo anche d’interpretare i sentimenti e l’animo del fratello Anche i rapporti che per opera di Raffaele si stabilirono col conte Mocenigo, venuto nel 1819 rappresentante diplomatico dello czar di Russia a Torino (4), poterono contribuire a mantenere l’antico democratico nel campo delle dottrine, almeno teoricamente, liberali. E noto infatti che in quegli anni, fino al Congresso di Verona, l’imperatore Alessandro perseguiva ancora vaghe aspirazioni al liberalismo (1) Gazzetta di Genova, n. 27, 2 aprile 1817, pag. 105; n. 40, 17 maggio, pag. 61; n. 30, 10 marzo 1819, pag. 77; n. 28, 7 aprile, pag. 109. Così Carlo Felice: n. 33, 24 aprile 1822, pag. 135 ecc. (2) Oltre le notizie già sparsamente date, v. Codignola, pag. 115-116. (3) Raffaele a Onofrio Scassi, da Parigi, 17 marzo 1819; Archivio Sauli, v. Appendice. (4) Presentò le credenziali PII luglio; Gazzetta di Genova, 21 luglio 1819, n. 58, pag. 245. - 249 — e che i suoi rappresentanti erano sospetti per questo alla Corte piemontese e il Mettermeli era convinto che creassero nei Carbonari illusioni di eventuale appoggio dello czar a qualunque movimento liberale (1). Certo, misurato e prudente, non era lo Scassi uomo di gesti impulsivi o apertamente ribelli, come Luca Solari (2) e Gaetano Marrè che alla chiusura ufficiale dell’anno scolastico, il 14 agosto 1818, per la seconda volta — come scriveva il marchese Grillo Cattaneo al ministro Brignole — « con ammirazione universale si sono ricusati di mettersi in piedi, a norma di quanto prescrive la civiltà, nell’atto del passaggio dell’Ecc.ma Deputazione che in corpo si portava alla Chiesa », del che si affrettava a dar notizia « temendo di malizia, d’insubordinazione e di cattivo esempio per l’avvenire » e aggiungendo che i professori, specialmente di legge, raramente intervenivano alle pubbliche funzioni (3). La natura stessa del suo insegnamento a base affatto scientifica gli permetteva di astenersi studiosamente da ogni atteggiamento politico e di rivolgere l’opera propria a scopi di pratica attività. Così, anche quando gli spettava di assumere vèste ufficiale, le parole di devozione e di ossequio non oltrepassavano i limiti delle doverose convenienze. 11 17 novembre del 1818, riaprendosi TUniversità con le solenni consuete e obbligate cerimonie della rinnovata professione di fede e del giuramento dei professori, egli pronunciò in latino l’orazione inaugurale, cogliendo l’occasione per tornare sopra un argomento che gli era caro e famigliare. « L’oratore — narra la Gazzetta — per argomento del suo discorso prese a dimostrare la necessità di un Magistrato che presieda a tutto ciò che appartiene alla conservazione della pubblica salute. La moltiplicilà degli oggetti che vi hanno un rapporto più o meno immediato, e ch’egli ha sviluppato mettendoli nella più chiara evidenza, non ci permette di seguitarlo nella sua dotta enumerazione. L’egregio Oratore ha dipinto con sì vivi colori quinci i difetti e i vizi e gli abusi che regnano principalmente nelle grandi città, relativamente alla pubblica salute, e quindi i provvedimenti salutari, le misure di precauzione, i regolamenti che sarebbe utile di stabilire per porvi riparo, da rendere gene- (1) V. Castaldo, La rivoluzione napoletana del 1820, Rassegna Storica del Risorgimento, Fascic. commemor. del 1820-21, pag. 46. Ai predecessori del Mocenigo, Mustoxidi e Conte di Capo d’Istria la polizia austriaca aveva anche intercettato ed esaminato la corrispondenza; Bornate, L’insurrezione di Genova nel marzo 1811, pag. 19.11 Frizzi, accennato all’intervento del Capo d’Istria a favore del Mojon per l’opera accusata di ateismo, aggiunge « fa d’uopo rimarcare l’influenza di quel Ministro del (sul) Gabinetto di Torino ». (2) Eppure il Solari era stato Sindaco nel 1817; Gazzetta di Genova, 4 gennaio 1817, n. 2, pag. 5. (3) Codignoi.a, pag. 122; Arch. Univ. Genova, Registro lettere segrete, n. 21. 11 Governo però ordinava « non farsi luogo a provvidenze ». - 250 — rale il desiderio ch’egli ha quindi esternato di veder adottarsi un sì benefico e savio istituto, e che i suoi voti pervengano al Trono per mezzo di S. E. il signor marchese Gio. Carlo Brignole, che le orme gloriose seguendo degl’illustri suoi antenati, intenti sempre al bene della Patria, ha tanto contribuito presso l’Augusto nostro Sovrano al decoro e al lustro di questa Regia Università » (1). Quale sia stata l’accoglienza del Brignole a questa invocazione non risulta; d’altra parte appunto allora Prospero Balbo lo sostituiva nella carica di Capo del Magistrato della Riforma o delle Università, ed egli rimase invece Segretario di Stato per le Finanze, e solo più tardi ritornò alla carica di Presidente capo degli studi, che tenne sino al 1829 (2). Ma l’accusa che gli è fatta di aver sopra tutti contribuito a introdurre metodi gretti e vessatori nel governo dell’Università e nei riguardi così degli studenti come dei professori, è almeno esagerata; più in alto risalivano quelle iniziative ed egli, spirito del resto nettamente conservatore e religioso e avverso alle innovazioni e alle eredità rivoluzionarie, era stato esecutore di ordini e interprete di un atteggiamento spirituale che era a Torino e nelle alte sfere molto radicato e diffuso- Anche più ingiusto è ritenere che la Deputazione fosse sempre umile esecutrice e zelante interprete degli ordini che il Governo le trasmetteva. Come in genere il corpo insegnante, così anche la Deputazione, sebbene con quel riguardo delle forme che la sua speciale situazione le imponeva, tenne spesso in questi anni un contegno fiero e dignitoso di fronte all’invadente corta e meschina politica scolastica del Governo. 11 Marchese Grillo Cattaneo, che già era stato aperto assertore dell’autonomia dell’Università genovese nell’età napoleonica, ne sosteneva nel 1819 la dignità e l’indipendenza in un carteggio polemico con Prospero Balbo, allora Ministro e Segretario di Stato per l’interno, quando fu sottratta a Genova e posta sotto Torino la « riforma di S. Remo » e di altre città del Ducato, quando cioè tutto ciò che riguardava l’istruzione in quei luoghi era tolto alla supremazia della Deputazione genovese, senza che questa fosse preventivamente consultata o almeno avvertita (3). Ne risultà che sotto il deferente ossequio delle forme, i rapporti erano delicati; che anche in questo campo si tentava, per quanto era possibile, di conservare le antiche posizioni; che se non un vero contrasto di opinioni politiche, l’orgoglio dell’antica indipendenza, la dignità dell’ufficio e una mentalità formatasi in tutt’altro ambiente rendevano insofferenti anche i più moderati e devoti di un sistema che era, prima ancora che (1) Gazzetta di Genova, 18 novembre 1818, n. 92, pag. 374. (2) Gazzetta, 3 settembre 1818, n. 71, pag. 389; Secre, Il primo anno del Ministero Vallesa, pag. 236; Isnardi-Celesia, li, pag. 310. (3) Codignola, pag. 119-121. - 251 — oppressivo, inintelligente. Importante considerazione questa, perchè da un lato si troverà mantenuto, quasi una tradizione, questo stato di spirito dalla Deputazione anche quando tra breve vi apparterrà Onofrio Scassi, e dall’altro perchè fu questo uno dei molteplici elementi di malcontento onde scaturirono i moti del 1821. Sui quali non è qui il caso di fermarsi, perchè essi hanno avuto nel Bornate, anche per quanto riguarda specificamente l’Università e massime gli studenti, un narratore diligente e sagace che li ha esposti nelle cause nello sviluppo nelle conseguenze (1), e perchè, d’altro lato, per le ragioni psicologiche e pratiche già accennate, Onofrio Scassi e gli altri professori universitari, gli uomini cioè della sua generazione e del suo passato, non vi hanno partecipato. E se taluno, come Emanuele Balbi, già sin dal 14 in rapporto coi liberali e cospiratori lombardi e nominato nel 1820 in una lettera del Confalonieri come persona da fidarsene in Genova, vi ebbe qualche parte, si trattava di gente già nota per il passato e le idee non ortodosse, segnata sfavorevolmente nelle informazioni di polizia, ma non in posizione e in carattere ufficiale (2). L’annuncio degli avvenimenti di Alessandria e di Torino e dell’accordata costituzione fu accolto a Genova con calma ma con grande soddisfazione, come preannuncio di più importanti mutamenti. La Camera di Commercio votava un indirizzo di plauso e di ringraziamento al Governatore De Geneys per l’ordine non turbato (3); il Consiglio, convocato il 19 marzo dai dueSindaci Girolamo Cattaneo e Matteo Molfino col consenso del Carbonara, Presidente del Senato, mandava anch’esso una commissione al Governatore e insieme votava un indirizzo al Reggente Carlo Alberto, nel quale si diceva che Genova « se per dovere fu obbediente ai Governi che succeduti si sono, d’ora in poi lo sarà anche per naturale inclinazione verso di quello che è in parte analogo alle di lei abitudini contratte da remoti secoli, ed a quel sistema, sotto del quale ha la nazione Genovese sempre per l’addietro goduto d’una costante felicità ». Sincere e coraggiose parole: « quegli uomini che avevano sempre guardato sospettosi la Casa di Savoia intuirono e misero in luce il punto su cui era possibile la conciliazione fra la tradizione repubblicana della Liguria e la monarchia Sabauda, l’abbandono dell’assolutismo e (1) Carlo Bornate, L'insurrezione di Genova nel marzo 1821, estr. dal voi. XI della Bibl. di Storia Italiana recente, Torino, 1923; e La partecipazione degli studenti genovesi ai moti del 1821 e la chiusura dell’Università nel volume Giovanni Ruffini e i suoi tempi, Genova, 1931. (2) G. Gallavresi, Carteggio del C. Federico Confalonieri, parte II, Sez. I, Milano, 1911, pag. 282; Bornate, L’insurrezione pag. 21 e 45. (3) Gazzetta di Genova, 21 marzo, n. 23, pag. 89. Dapprima Governatore per interim, il De Geneys aveva avuto la nomina definitiva di Governatore Generale del Ducato di Genova il 6 agosto 1820; Gazzetta di Genova, 9 agosto 1820; Prasca, pag. 244. r — 252 — l’adozione leale e sincera di una forma liberale di governo 4 (1)- Questo stato d’animo spiega la facile e generale e sincera adesione al nuovo regime che la sanzione ufficiale nel proclama del Governatore fece credere ormai sicuro e senza pericoli a chi non badava troppo sottilmente alle riserve e alle restrizioni del Reggente; come spiega il risentimento deluso appena la costituzione fu revocata e lo scoppio violento dell’indignazione popolare e studentesca, eccitata però anche da elementi militari e settari che già avevano preparato la rivolta, da insinceri mestatori, e dalle subite voci diffuse di tradimento, per denaro, del De Geneys e di imminente occupazione austriaca di Genova. Ma è caratteristico che in questo movimento non appaiono in azione a Genova personaggi di notevole rilievo. Agostino Pareto e Girolamo Serra erano stati chiamati a far parte della Giunta provvisoria costituita a Torino il 20 marzo. 11 Serra non accettò e non si mosse da Novi dove si trovava; e dovè essere sostituito con Giuseppe Fravega che la Commissione di Governo il 2S marzo invitava ad andare a Torino col Pareto (2): ma anche il Fravega si mise da parte perchè non se ne trova più cenno. Il Pareto deve con ogni probabilità identificarsi in colui che, secondo informazioni private, « tentò d’andare a Torino, ma dovè retrocedere ». Massimiliano Spinola fu il solo dei Genovesi che prese parte effettiva ai lavori della Giunta e ne fu anche vice presidente (3). Emanuele Balbi non si recò a Torino, trattenuto a Genova nella Commissione amministrativa nominata il 23 marzo dal De Geneys, per imposizione dei rivoltosi capitanati dal furiere Simondi, nella quale coi due Sindaci e col Balbi furono chiamati Girolamo Serra, Luigi Morro, Andrea Tollot, Carlo Baratta, Giacomo Chiappa e Giacomo Sciaccaluga (4). Dei professori universitari, dei professionisti che tanta parte avevano avuto nelle età precedenti, nessuno; se mai, il Marrè e Luca Solari si erano affaticati a impedire tumulti studenteschi alle prime notizie dei torbidi all’Università di Torino, e Nicolò Ardizzoni fece parte della Commissione mandata, ad agitazione sedata, al Re Vittorio Emanuele, che era riparato a Nizza dopo l’abdicazione (5). (1) Bornate, L’insurrezione, pag. 27. (2) Archivio Civico Registro Corrispondenza Commissione amministrativa di Governo 1821, n. 32. (3) A. Neri, Patrizi Genovesi nel libro nero della polizia austriaca in Gazzetta di Genova, 30 giugno 1920, pag. 8. (4) Gazzetta di Genova, 31 marzo, n. 26, pag. 102 sgg.; Bornate, L’insurrezione, pag. 44 sgg., 91. (5) Bornate, pag. 25, 74. Le Commissioni deliberate dal Consiglio Municipale furono tre, una formata del nuovo arcivescovo Luigi Lambruschini, di Luigi Carbonara e di Giovanni Quartara primo ragioniere, a Carlo Felice a Modena; l’altra a Vittorio Emanuele, nella quale, con l’Ardizzoni, erano Gian Carlo Serra e il march. Pasqua; la terza al Comandante austriaco per evitare l’occupazione della città, formata del Sindaco Girolamo Cattaneo, di Girolamo Serra e dell’avv. Giuseppe Perasso. Il 10 aprile il Serra, ancora a Novi, era invitato ad at- — 253 - . Del resto la Commissione amministrativa, costituita per forza e tenuta insieme dal timore del peggio, era debole e discorde e i capi del movimento non se ne fidavano troppo. Era costituita in gran parte da uomini che le informazioni poliziesche del 1815 avevano indicato « cattivi », ma se c’erano alcuni ardenti democratici come Andrea Tollot e fervidi costituzionali come il Balbi, altri destavano sospetti ed avevano forse intendimenti particolari. Così Girolamo Serra, del quale Gaetano Tubino, uno dei capi del movimento popolare, scriveva al colonnello Ansaldi, presidente della Giunta di Alessandria, « questo soggetto è da temere perchè ricusò di portarsi a Torino a far parte del Governo » (1). Egli aveva addotto allora la giustificazione d’esser suddito russo, e fu anche aggiunto che al primo momento di calma si recò a Torino dal conte Mocenigo rappresentante dello czar a giustificarsi per essere stato costretto dalla Guardia Nazionale ad accettare di far parte della Commissione. In realtà tutto questo nascondeva un tentativo di riprendere il favorito disegno, non mai dimesso, di approfittare dei nuovi sconvolgimenti per insistere presso le potenze alleate allo scopo di ottenere l’indipendenza di Genova, e pare che di questo dovesse anche occuparsi il Mocenigo, recandosi a Lubiana. Ma l’opera del Serra era contrastata, come inattuabile e inopportuna, dai suoi stessi colleghi; il Balbi, a cui ne scriveva, consegnò la lettera al De Geneys, e il ristabilito governo piemontese vegliava, e mentre lo riconosceva incapace di ricorrere a società segrete o ad altri oscuri mezzi per ottenere il suo intento, e dichiarava che certo non aveva avuto parte nel provocare o assecondare il moto del 21, riteneva però pericoloso quel tentativo di riaprire per via diplomatica la questione dell’indipendenza di Genova, e affermava che se il Serra effettivamente avesse assunto la naturalizzazione russa, il Ministro sardo avrebbe dovuto chiedere come condizione a Pietroburgo che egli trasportasse anche la sua residenza in Russia (2). Ora questo della supposta naturalizzazione russa era forse un espediente per evitare un peso non desiderato; era una voce che fu smentita dalla stessa polizia piemontese (3): cade quindi anche l’aggiunta che ad ottenerla egli fosse « aiutato da un agente segreto russo, il fratello del medico Scassi ». Che Raffaele Scassi potesse essere stato intermediario tra il suo concittadino e il rappresentante di Russia può essere, ma che egli fosse tendere gli altri due delegati, a meno che non avesse voluto venirsi a unire a loro in Genova; Registro Corrispondenza Commissione 1821, n. 168. (1) Bornate, L’insurrezione, pag. 95. (2) Virginia Palazzi, L'attività politica del marchese Gerolamo Serra, in Risorgimento italiano, X, 1917, pag. 143-4. (3) Archivio di Stato, Torino, Lettere Ministri, Russia, mazzo I, n. 10. — 254 — agente segreto non risulta in alcun modo, e questa affermazione poliziesca è il prodotto di quella mentalità tenebrosa e settaria che vedeva dappertutto agenti segreti e oscure macchinazioni. Era Raffaele Scassi un ardito e avventuroso ricercatore di attività commerciali, uno spirito intraprendente e irrequieto, un ligure audace che tornò con amore a una terra dove i padri avevano lasciato tracce profonde. Era salito in dignità e fama alla Corte Russa, e si trovò nel 1821 in Francia e fu anche a Torino per affari: gli scarsi accenni politici nelle lettere al fratello lo fanno vedere partecipe delle aspirazioni costituzionali e di quel liberalismo moderato, avverso ai più fieri eccessi della reazione, che ebbe in Francia il governo col Duca di Richelieu, del quale appare ammiratore e amico. S’intende che il tentativo del Serra rimase senza alcun principio di attuazione: troppo rapida era stata la rovina del moto costituzionale in Piemonte e della sua appendice genovese; ed egli si mise ancora da parte. 11 moto del 21, se rappresentò un primo accostamento tra Piemontesi e Liguri, uniti dalla comune aspirazione costituzionale, ed aprì la via ad altre speranze di azione concorde (1), ebbe per immediata conseguenza un’accresciuta sorveglianza sospettosa, l’abolizione degli affrettati provvedimenti del governo provvisorio, il procedimento giudiziario contro i colpevoli arrestati, l’allontanamento da Genova del De Geneys, considerato debole dal governo e colpevole di aver favorito l’esodo dei profughi piemontesi, ma accompagnato dalla riconoscenza genovese per l’equo e benevolo contegno che aveva evitato mali peggiori e specialmente l’occupazione austriaca (2). E conseguenza ne furono anche le misure rigorose riguardo all’Università, per la parte presa dagli studenti al movimento. In compenso delle benemerenze acquistate e tenuto conto che il servizio nella guardia nazionale impediva loro di applicarsi agli studi, gli studenti del-l’Università genovese ottennero dalla Giunta Provvisoria con decreto 2 aprile, comunicato il 6 dalla Commissione amministrativa alla Deputazione agli Studi, (1) II corpo decurionale si era però affrettato, tornata la calma e ristabilito nelle funzioni momentaneamente sospese, a inviare un messaggio a Carlo Felice, ricordando le benemerenze di Vittorio Emanuele nel traffico marittimo affrancato dai Barbareschi, nelle nuove strade aperte al commercio, nelle opere compiute ad abbellimento della città; Gazzetta di Genova, n. 41, 23 maggio 1921, pag. 161. E quando Carlo Felice visitò per la prima volta Genova nel 1822, il Sindaco Raggi insisteva sui sentimenti di lealtà e di omaggio della cittadinanza; Ibid., n. 33, 24 aprile 1823, pag. 132. (2) Bornate, L'insurrezione, pag. 81 sgg. Il De Geneys, chiesta e ottenuta dispensa dal suo ufficio, lasciò Genova il 9 giugno; Gazzetta di Genova, 9 giugno, n. 46, pag. 190; P. Boselli, Carlo Alberto e l’ammiraglio De Genevs nel 1821, Estr. dagli Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, 1892, pag. 22; E. Prasca, L’ammiraglio De Geneys, pag. 245 sgg. — 255 — di essere ammessi subito agli esami della fine dell’anno (1). Qualche cosa dovevano guadagnarci anch’essi. Ma ecco che appena fallito il moto costituzionale Ignazio Thaon di Revel, Luogotenente di Carlo Felice, ordinò l’annullamento degli esami e dei gradi ottenuti nell’Università di Torino dal 12 marzo e in quella di Genova dal 21 (2), e fin dal 18 aprile la Deputazione agli Studi Genovese incaricava i Deputati De Marini e Molini di preparare « un ragguaglio preciso della condotta individuale degli scolari del-l’Università, ciò per quei riguardi e misure che potevano occorrere alla nuova apertura delle scuole » (3). La Deputazione “■ mentre dovette rendere giustizia alla maggior parte dei studenti suddetti, e passare senza nota la rispettiva condotta, si trovò costretta nel tempo stesso a far sentire un giusto rigore a un certo numero di essi, e fra questi ultimi si credettero in dovere di escluderne venti dall’Università ». I colpiti presentarono ricorso, ma senza veder mutata la pena (4); di più un manifesto del Revel in data 7 settembre prorogova d’ordine del Re per il prossimo anno la chiusura delle Università, già ordinata dal Luogotenente il 19 aprile, permetteva gli esami soltanto per i giovani che non avessero partecipato ai disordini, annunciava per la prosecuzione degli studi ulteriori provvedimenti, che furono comunicati con manifesto del 19 dicembre. Le Università rimanevano chiuse, ma i professori che ne fossero autorizzati potevano continuare gli « studi privati » come si dissero: in questa condizione furono a Genova tutti i professori di medicina, autorizzati a proseguire i loro corsi nelle cliniche; naturalmente era compreso tra gli altri Onofrio Scassi (5). Ma i provvedimenti per gli studenti riguardavano solo una parte della vita universitaria: c’era un altro lato, e anche più delicato, nelle indagini che riguardava i professori. E qui la Deputazione si comportò in modo corretto e fiero in contrasto col gretto e poliziesco contegno del Governo. Il quale le chiese un circostanziato rapporto « sulle qualità morali dei sigg- Professori, sul loro modo di pensare, sui principii in materia di religione, sulla riputazione intorno alla capacità, sulla riputazione a riguardo delle abitudini (1) Arch. Civico, Registro Corrispondenza Commissione amministrativa di Governo 1821, n. 157; Bornate, La partecipazione degli studenti ecc. pag. 117. (2) Compilazione degli Editti e Patenti di S. M. il Re di Sardegna, voi- XII, Genova, 1821, pag. 163; Gazzetta di Genova, n. 40, 19 maggio 1821, pag. 158. (3) Q. Salvemini, Ricerche e documenti sulla giovinezza di G. Mazzini, estr. da « Studi Storici » del Crivellucci, voi. XX, pag. 55. (4) Bornate, L’insurrezione, pag. 81 ; La partecipazione ecc. pag 137 Sgg.; Gazzetta di Genova, 12 settembre 1821, n. 73, pag. 298. (5) Compilazione degli Editti e Patenti, t. XIII, pag. 45 e 141; Gazzetta di Genova, n. 93, 1 novembre, pag. 377, e n. 103, 26 dicembre, pag. 418; Isnardi-Celesia, Storia dell’Università di Genova, II, 276; Bornate, La partecipazione pag. 131 sgg. e rapporti sociali, sull'attività e zelo nelTadempònento de’ loro doveri, suBa condotta ne e ultime vicende politiche ». E il presidente rispondeva, il 17 setterubre 1S21, che la Depurazione pensai « trattandosi d: sì gelose informazioni, di non poter oltrepassare i limiti di quanto era significalo nel giornalieri rapporti del prefetto de e scuole, in quelle dolorose occorrenze ». e che d'altra parte * le riuscivano impossibili 'e altre ricerche sa a moralità, cioè condotta e —odo politico di pensare dei sigg. Professori. poiché non frequenta .ano "Università che per pochi momenti, e dii rapporti indicali non consta che abbiano tettato discorsi e tanto areno usare operazioni sospette ». Conchiudeva il Presidente che la Deputazione « credeva invece che dò dovesse 'ren sapersi dalle altre autorità alle quali viene dal Governo affidata la Polizia generile destinata ad invigilare apparto sal a condotta morale, sui prindpà discorsi, riputazioni abitudini e rappcm sociali di ciascun individuo *. In rama sostanza, la Deputazione ricusavi di adattarsi alle indagini e alle relazioni che le erano chieste, e alimi, con un senso di opportunità e al gerarchia assai d scurir ile. o_asi ino c sospettoso drsperro. il Governo si indusse a iacagare sulle opèmoni dei mentori della Deputazione stessa. rivoìgjer.Jasì a-esra volta li Primi o Decani delle Facoltà. Ma anche cuesri e.aserv le richieste ntenne fl Presidente della Depurazione. scrivendo al Ministro Segregarlo c Sraro e capo delle Università d. esser a conoscenza di caele mdtagìai- aggiungeva. rum senza una punta ci saroaszr-o. che la Deputazione, rez catana < cu ogni idea di far cuene-ia per tale farro, noe il eoe aceeaaario scaricamente a d eì caro a a quale tanto s stima onorata e disr rra * Nere ale epìsoc o e perchè Oaofrrò Scassi era ara a enei Decani che averrero dr-uro riferire e ne inferma-.ano invece la Deputtazsane e ter una r i generale cocsepara che aa euest -apponi si può ricalare, e cioè che la. r rara a rhrte "cache che si suo. fare della Ujàvasitàgenovese in c-egr anrc e della redamesca e poliziesca catturine defila. I eruamme. C-us Èrre-zta unicamente a a or-mere e costringere gii sumera m mr armc-> . es: me ; - : - a mtanar dag srad rimata che oa : s _a : ridire nel LrVgxsr cce.* -. c Q : .ama v_mr a: e è naturale che 1 mm fossero Jc-urre caricar non riscocde a precisa venti ea è m-ece zo-revolmerx esagerata Nm si mattava cena ci un regme tea e al ararti sereno rea Q a re. erare -a_lgerza. e e -'emesse e e perizioc. del 21 o a^ evaso travate ma se e mano ce tre “esse ~ ai spirre -g-aamerte e reauaraesca- —erre or—aSsSa e ~ear orare. non rum erano oel e stesse ree e te *odr -c », 1 ■ raso.jeicwx r-yar-v .vy?2r.. x. 5. OHBBSSCOw tua -’l- _N I ‘ ' . M ii • mare i '‘-■Lnreaela I 3 n.i^r-r ~sra. - 257 — Deputazione, mentre obbediva formalmente agli ordini che venivano dall’alto, non aggravava per conto proprio la situazione con volute grette e spi-golistre costrizioni di intelletto e di coscienza, con artificiosa creazione di difficoltà negli studi e negli esami, con rigide e severe punizioni capaci di rovinare l’avvenire scolastico dei giovani. Oli ordini di Torino erano anzi accolti ed eseguiti con una certa larghezza di idee dalla Deputazione, la quale, pur avendo poteri esclusivamente consultivi in questa materia, non propose mai, tolte, s’intende, le punizioni di carattere politico nella raffica seguita al 21, provvedimenti capaci di troncare la via degli studi ai giovani e di danneggiarli irreparabilmente. La dimostrazione che, in base ai documenti dell’Archivio universitario, ha dato in proposito il Codignola, è veramente persuasiva. « Anche i certificati di frequenza alle varie funzioni — egli conchiude — i certificati di confessione e di « professione di fede » erano ridotti a una formalità burocratica. Non abbiamo infatti rintracciato nel pur ricco archivio dell’Università di Genova, un solo accenno che comprovi che la via universitaria venisse preclusa ai giovani, perchè all’ultimo momento si vedesse negato dal parroco il certificato di frequenza alle funzioni; ma abbiamo invece la conferma del contrario nel caso del Mazzini, del Ruffini e del Campanella, che, pur colpevoli, e non lievemente, d’indisciplina scolastica, furono puniti con pene irrisorie che, per di più, non li danneggiarono affatto nel corso dei loro studi. E non si può dire che questi tre non fossero giovani d’ingegno assai vivo, e delle teste calde » (1). Affermazione e conclusione che assume un particolare interesse nei rapporti di Onofrio Scassi, quando si pensi che molti di quei documenti portano appunto la sua firma. Sopra un punto specialmente, due volte, nel 21 e nel 31 , la Deputazione si trovò in contrasto aperto e dignitoso, anche se inefficace, col Governo: quando si trattò di cedere i locali deU’Università per acquartierarvi le truppe di rinforzo. Subito dopo i moti del 21, ancora il 24 aprile, ai Sindaci che chiedevano i locali il Presidente scriveva: « La Deputazione non si ritiene autorizzata senza ordine superiore a cedere il locale per usi diversi da quelli cui è destinato, e poi si noti il pericolo di metter truppe dove ci sono macchine di fisica, archivi, cassa ecc. ». Ma l’opposizione è inutile; con ordini firmati dal Capo di Stato Maggiore il 27 e il 30 aprile si comunica che vi sarà alloggiato un battaglione, assicurando tuttavia che non saranno toccati i gabinetti scientifici nè la biblioteca e gli alloggi dei professori (2). (1) Codignola, pag. 80 sgg.; 125-127. (2) Archivio Civico, Spese militari, 1815-1849, Lettere del Presidente Deputazione degli Studi. Si fanno curiose questioni di precedenza e di puntiglio; con lettera 1° maggio il Presidente lamenta che le autorità militari trattino direttamente col prof. Viviani, che non ha 17 — 258 — Come queste promesse siano state mantenute dimostrano le lamentele posteriori per guasti recati dalle truppe; e quale fosse realmente l’animo e l’atteggiamento della Deputazione indica la lettera scritta il 31 agosto successivo dal marchese Grillo Cattaneo al Brignole per protestare « per i singolari modi co’ quali militarmente [la Deputazione] è stata svelta dalla sua sede in un colla sua segreteria, Cassa, Archivi, mandata errante nel suo fabbricato e rifugiata in un angolo della sua Biblioteca, costretta per giungervi a passare per mezzo la chiesa S. Carlo .... ■ e finalmente la costante continuazione in questo stato, che un imperioso bisogno del momento più non giustifica, fornisce alla Deputazione assai forti argomenti d’acerbe riflessioni » (1). Le scuole universitarie rimasero chiuse per tutto l’anno scolastico nel quale erano avvenuti i torbidi e nei due successivi. Gli studi privati di medicina, permessi nell’Ospedale di Pammatone, cominciarono soltanto il 4 febbraio 1822 (2), e durarono per tutto il tempo della chiusura dell’Università. Finalmente con biglietto del 7 ottobre 1823 il Re ordinò la « tanto sospirata riapertura dell’Università » come diceva la Gazzetta. La solenne cerimonia ebbe luogo il 5 novembre, mentre « il giubilo traspariva da tutti i volti al vedere finalmente ridonato al primitivo suo uso il tempio augusto di Minerva, il santuario delle lettere e delle scienze ». Al solito, dopo la funzione religiosa, i professori rinnovarono individualmente la professione di fede nelle mani dell’Arcivescovo e il giuramento dinanzi alla Deputazione; poi Nicolò Ardizzoni tenne il discorso inaugurale prendendo occasione dal recente R. Editto che inculcava ai giovani l’osservanza dei doveri religiosi, per dimostrare la necessità di unire l’ardore per gli studi delle lettere al culto della religione e della pietà (3). Il discorso era lodato per lo stile ciceroniano e per l’ampia erudizione sacra e profana, ma l’argomento ha tutta l’aria d’essere stato scelto per opportunistica convenienza, se pure non era imposto (4). L’anno successivo G. B. Leveroni, professore di clinica ostetrica, trattava invece di un argomento di grande importanza civile e demografica, ma senza speciale connessione con le condizioni politiche presenti; egli esaminava i mezzi offerti dalla sua scienza in aiuto al principio che « una numerosa e sana popolazione forma la vera ricchezza e la forza dello Stato » (5). veste ufficiale, anziché con la Deputazione. Per tutta la questione dell’occupazione militare nel 1821 v. ora Bornate, La partecipazione degli studenti genovesi cit. pag. 118 sgg. (1) Arch. Univ. Genova, Registro Lettere segrete, n. 28; Codignola, pag. 126. (2) Gazzetta di Genova, n. 8, 26 gennaio 1822, pag. 32. (3) Gazzetta di Genova, n. 82, 11 ottobre 1823, pag. 330 e n. 90, 8 novembre, pag. 362. (4) L’Ardizzoni si dimetteva poco dopo per una questione d’orario con la Deputazione; Isnardi-Celesia, Storia dell’Università di Genova, 11, 278-9. (5) Gazzetta di Genova, n. 93, 20 novembre 1824, pag. 410. — 259 Alla riapertura dell’Università la condizione accademica di Onofrio Scassi era ancora mutata. Già sulla fine del 1817, fosse effettiva stanchezza, che la florida età non giustificava, o insofferenza dei nuovi metodi o piuttosto mezzo per raggiungere altri uffici ambiti, aveva presentato la domanda di giubilazione, che la Deputazione aveva trasmesso con parere favorevole (1). Il 27 febbraio successivo la Deputazione tornava sulla pratica e, considerati i servigi da lui prestati come professore, come decano della Facoltà e capo della scuola medica cui competevano le attribuzioni del Protomedicato, « dar volendo ad un così benemerito professore un attestato della sua speciale soddisfazione » proponeva gli fosse accordato « l’onorevole ritiro dalle fatiche della cattedra da lui finora coperta, conservando però il titolo di Professore emerito, il godimento della metà dell’attuale suo stipendio e la partecipazione delle intere distribuzioni come Dottore di Collegio, e venendo eretto in questa Regia Università il Magistrato del Protomedicato, il sig. Prof. Scassi venga dalla clemenza del Sovrano prescelto alla presidenza del medesimo nel qual caso abbia luogo la rinuncia da lui fatta nell’annessa supplica all’emolu-mento di sua giubilazione » (2). Ma la domanda non è accolta, nè gli vien data la nuova carica, forse per evitare il cumulo con le altre e specialmente con quella di Decano della facoltà. In questa veste egli appare infatti ancora in quell’anno ed insieme nel Magistrato di sanità (3), e come professore tiene il citato discorso inaugurale per l’apertura del nuovo anno scolastico, e professore è ancora nel 1821, quando compare in un caratteristico documento tenace assertore dei diritti e dei privilegi derivanti appunto da quell’ufficio. È una sua istanza in cui espone che, citato davanti al Giudice ordinario del quartiere della Maddalena per ragione di una eredità dello zio Nicolò Scassi (4) si è creduto in (1) Archivio della R. Università di Genova, Atti della R. Deputazione agli studi, Reg. II, 1817-18; c. 2, 4 dicembre 1817. (2) Ibid., c. 51; 27 febbraio 1818. (3) Almanacco del Ducato di Genova per il 1818, Genova, Frugoni, pag. 29; L’Indovino, Lunario politico-filo so fico dilettevole per l’anno 1818, Genova, Scionico, pag. 89; qui è indicato anche il suo indirizzo: Strada Nuovissima, n. 871. (4) Nicolò Scasso nel 1808 era ricevitore generale del Registro (Amanach Imperiai de la 28me Division Militaire pour l’an 1808, Gènes, Chez Yves Gravier, pag. 149, in Bibliot. della Società Ligure Stor. Patria, B. 8, 57) e abitava nel Quartiere della Maddalena con la moglie e sei figlie (Arch. Civico, Museo del Risorgimento, Genova; Censimento 1808, Quartiere della Maddalena n. 8758). Ricco proprietario, nello stesso anno faceva largo acquisto di vini in Arenzano da Giuseppe Grimaldi (Collez. Appunti Storici e Documenti, Bibl. Univ. Genova, voi. XVIII, pag. 186) e nel 1812 apriva a Genova una fabbrica di tele (L’Almanacco delle donne brutte, Lunario perii 1812, pag. 75; ibid.; Gazzetta di Genova, n. 10, 1 febbraio 1812, pag. 40). Nel 1822 il suo nome figura ancora con quello di Giovanni Scasso, il notaio e cancelliere tante volte trovato (e anche Gazzetta n. 69, 29 agosto 1818, pag. 283) tra quelli dei creditori del Banco di S. Giorgio in liquidazione (Gazzetta, Supplemento al n. 32 — 260 - dovere di allegare l’incompetenza del Giudice, giacché i Professori universitari, a norma delle Regie Costituzioni deli’Università di Torino, devono essere giudicati da uno speciale Assessore delegato. E poiché il Giudice ha opposto che l’Assessore non è stato ancora nominato, egli si è appellato al Tribunale di seconda istanza e si rivolge alla Deputazione perchè tuteli i diritti del Professori, in modo che non siano lesi nei loro privilegi o sollecitando la nomina dell’Assessore o addirittura delegando un membro della Deputazione medesima a farne le veci (1). Quanto alla carica di Protomedico, l’evidente aspirazione dello Scassi questa volta era rimasta delusa. Quando la Deputazione lo aveva proposto nel 1818, si doveva sapere prossima l’istituzione a Genova di quell’ufficio che già funzionava a Torino; infatti con editto del 25 gennaio 1819 fu istituito il Protomedicato e ne furono determinate le mansioni. Composto di un capo, di due consiglieri ordinarii e di uno straordinario, a evitare ogni abuso nelle arti salutari, doveva sorvegliare tutto quanto avesse attinenza all’esercizio della medicina, della chirurgia, della farmacia e della veterinaria, facendo ogni anno un rapporto alla Deputazione degli studi, che l’avrebbe trasmesso al Ministero per l’Università (2). Furono designati a far parte della nuova magistratura tecnica quattro colleghi dello Scassi: Luigi De Ferrari come capo, Antonio Mongiardini, Domenico Viviani, Giuseppe Mojon consiglieri (3). Istituita però quasi contemporaneamente, con Regie Patenti 1" luglio 1819, una Giunta superiore del Vaccino per curare quanto riguardava la vaccinazione, era chiamato a farne parte (4). Ma se quella esclusione dal Protomedicato, alla quale aspirava perchè stanco delle fatiche dell’insegnamento, aveva potuto essere una delusione, lo compensavano subito dopo cospicui onori e vantaggi. Nel 1822 insisteva ancora perla giubilazione, rivolgendone domanda al Ministro deH’Interno, dal quale le Università dipendevano: insegnante da 29 del 20 aprile 1822). Il Cancelliere Giovanni, settantenne pensionato, nel 1827 abitava in via S. Donato con la moglie e il figlio Giambattista che serviva * nelle guardie del Corpo di S. M. »; Censimento 1808, Quartiere Molo, n. 1714 e Censimento 1827, ibid. n. 1835. (1) Arch. R. Università, Atti R. Deputazione, Reg. VI, 1821-23, fol. 23,18 giugno 1821. (2) Compilazione degli Editti e Patenti ecc., t. IX, pag. 388; Norme regolamentari, t. XVI, pag. 119 sgg. (1823) e XVIII, pag. 123 (1824). (3) Gazzetta di Genova, n. 18, 3 marzo 1819, pag. 69. Dimessosi più tardi il De Ferrari, gli succedeva nella Presidenza il Mongiardini; Arch. R. Università, Biglietti Regi, Reg. Ili, f. 97. (4) Compilazione Editti e Patenti, t. X, pag. 120; t. XI, pag. 7; Gazzetta di Genova, n. 68, 25 agosto 1819, pag. 283. La Giunta con cerimonie pubbliche, premiazioni ai benemeriti, insistenze presso le autorità comunali cerca di diffondere sempre più l’uso del vaccino. E notevole però che in un discorso del Mongiardini, mentre si dice che i più illuminati medici di Genova seguirono subito l’esempio di Jenner, non si fa alcun esplicito accenno allo Scassi, Gazzetta di Genova, Supplemento al n. 92, 16 novembre 1825, e v. n. 25, 11 agosto 1829. Carlo Alberto nominò ancora lo Scassi nellaGiunta rinnovata nel 1833; Gazzetta, n. 63,7 agosto. - 261 — anni e con la vista indebolita, chiedeva d’esser collocato a riposo. L’attività posteriore, varia ancora e intensa, fa credere che non proprio le ragioni fisiche lo inducessero a quella richiesta. L’istanza, trasmessa alla Deputazione, era affidata al Deputato aH’insegnamento e sulla sua relazione si affermava I opportunità « di dare un sostituto speciale allo Scassi; nel caso che venisse traslocato alla Clinica Medica e Nosologica » si proponevano a quel- I ufficio i medici Domenico Mangini e Vincenzo Picasso, entrambi Dottori del Collegio di Medicina (1). Era morto sul principio del 1820 Nicolò Olivari, da lunghi anni professore di clinica medica (2), quello stesso che in tempi ormai lontani si era trovato in contrasto con lo Scassi, il quale ora aspirava evidentemente al duplice intento di sostituirlo nella cattedra più importante della Facoltà e di avere l’aiuto di un assistente. Ed infatti, mentre ancora l’Università era chiusa, il Segretario di Stato agli affari interni comunicava: « S. M. con Regie Patenti del 16 novembre 22 si è degnato di promuovere il Professore Onofrio Scassi aH’importante cattedra di Clinica interna e Nosologia di codesta Regia Università, e per dargli contrassegno di soddisfazione pei singolari suoi meriti, e pel buono successo con cui egli particolarmente disimpegnossi mai sempre dalle funzioni cattedratiche, gli ha accordato un aumento di stipendio oltre quello maggiore di cui godono i Professori Clinici, assegnandogli cioè l’annuo stipendio di lire nuove 2500 per un riguardo alla di lui Persona, da non trarsi in conseguenza; il quale stipendio comincierà dal primo del corrente mese. La M. S. si è riservato di dar poi i suoi ordini in quanto alla proposta della nomina di un sostituto fatta da codesta Deputazione agli Studi » (3). Era dunque un trattamento speciale che non si voleva costituisse un precedente, ma quanto alla nomina di un sostituto la dilazione corrispondeva a un diplomatico rifiuto. Tuttavia, alla comunicazione fattagli dal Vice-presidente della Deputazione, egli insisteva nella richiesta, e la sua lettera era ancora trasmessa a Torino (4); ma non pare che la cosa avesse seguito. Al riaprirsi dell’Università nel novembre 1823 Onofrio Scassi era così al primo posto tra i suoi colleghi, sotto il rispetto gerarchico come Decano (1) Arch. R. Univ., Atti R. Deputazione agli Studi, Reg. VI, 1821-23- c 126 128 129: 22, 25, 28 ottobre 1822. (2) Gazzetta di Genova, n. 2, 5 gennaio 1820, pag. 6; Isnardi-Celesia, II, 265. Sempre attivo e insieme suscettibile e scontroso, ancora negli anni 1817-19 ci sono numerose sue comunicazioni alla Gazzetta su casi clinici, esperienze estere ed anche discussioni e polemiche: per es., Appendice alla Gazzetta del 23 gennaio 1819. (3) Arch. Univ., Atti Deputazione, voi. VI, p. 160, 23 novembre. Copia di questa lettera anche in Archivio Sauli; e v. Gazzetta di Genova, n. 95, 25 novembre 1822, pag. 377. (4) Atti Deputazione, VI, c. 241: 6 marzo 1833. della Facoltà, sotto il rispetto scientifico e tecnico perchè assegnato alla cattedra di maggiore importanza: e merita d’essere notato che per effetto del suo passaggio alla clinica Giacomo Mazzini saliva alla cattedra di anatomia e fisiologia e Girolamo Botto a quella di patologia ed igiene (1). Ma questo doveva essere più che altro un passo verso un’ascensione ulteriore. 11 nuovo insegnamento è durato poco e non ha lasciato ricordi notevoli: due anni scolastici non erano trascorsi che egli abbandonava l’insegnamento attivo, e lo sostituiva nella cattedra il Mongiardini (2), destinato sempre a precederlo o a seguirlo nelle cariche e negli uffici, ma ad avere una vita più uniforme, lontana, dopo la prima viva partecipazione alla Repubblica democratica, da ogni attività politica e cittadina. Con Regio biglietto 19 luglio 1S25 Onofrio Scassi era chiamato a far parte della Deputazione degli studi con parole che suonano di alta lode alia sua operosità didattica e accademica: « Ai Deputati agli studi di Genova. Fedeli e Amati Nostri. La profonda dottrina, l’indefesso zelo e l’assidua cura con cui il medico Onofrio Scassi ha riempito le importanti funzioni per trent’anni di professore nelle diverse cattedre di codesta Nostra Università, Ci hanno determinato a dargli un’onorevole testimonianza del Reale Nostro favore, ed a porlo in grado di rendere ognor più profittevole alla pubblica istruzione le distinte sue doti e l’acquistata esperienza, con nominarlo membro di cotesta Deputazione agli studi, persuasi Noi che continuando esso a spiegare eguale vigilanza, sarà per darci sempre nuove prove della sua divozione alla Nostra persona del suo costante impegno per meritarsi nell’esercizio del suo ufficio il particolare Nostro gradimento. Epperciò vi diciamo d’aver nominato, come pel presente nominiamo, il suddetto Medico Onofrio Scassi per Membro di cotesta Deputazione agli Studi, coll’annessovi stipendio di lire duemila di Genova, cioè di lire nove di Piemonte 1666. 13. 4; che mandiamo al tesoriere di cotesta Nostra Università di pagargli a quartieri maturati, cominciando dal giorno d’oggi, e continuando in avvenire durante la sua servitù ed il Nostro beneplacito. Nel parteciparvi queste Nostre determinazioni perchè ne curiate l’eseguimento, preghiamo il Signore che vi conservi. — Govone, addì 19 luglio 1S25. f to Carlo Felice — Roget de Cholez » (3). La nomina non doveva riuscire inattesa all’interessato e ai suoi amici e protettori: non senza ragione infatti il Segretario di Stato per l’interno, che (1) Arch. Univ., Biglietti. Regi, voi. Il, RI. 82, 27 dicembre 1S22; Isnardi-Celesia, II, 265. Così, poiché fin dal ISIS Giuseppe Antonio Garibaldi aveva sostituito il Bonomi nella clinica chirurgica, la facoltà medica era in gran parte rinnovata; Gazzetta di Genova, n. 26, 1 aprile, pag. 103 e n. 34, 29 aprile 1818, pag. 135. (2) Isnardi-Celesia, pag. 270-SO (3) Arch. Univ., Genova; Registro Generale dei Regi Biglietti, voi. II, 1822-27, fol. 161. Copia anche in Archivio Sauli. - 263 — aveva controfirmato l’ordine regio, si affrettava a darne notizia al Conte Mo-cenigo, Ministro plenipotenziario di Russia (1). Conseguenza, questo interessamento, dei rapporti che, per opera del fratello Raffaele, si erano stretti fra lo Scassi e il Mocenigo. Più volte, quasi a compenso degli aiuti finanziari che ne aveva avuto, Raffaele aveva assicurato il fratello di averlo raccomandato a personaggi anche molto elevati della Casa imperiale e del Governo di Russia. L ultima delle poche ma interessanti e curiose lettere che di lui si conservano tra le carte del fratello accenna con aria di grande soddisfazione all’aver ottenuto per lui la decorazione dell’ordine di S. Vladimiro (2). L’informazione era inesatta: effettivamente lo zar lo aveva nominato con decreto 4 dicembre 1822 cavaliere di terza classe dell’ordine di S. Anna (3), e il Mocenigo gliene dava comunicazione con lettera 7 aprile — 29 marzo stile russo — attribuendo l’onorificenza imperiale alle informazioni « du zèle que vous avez mis à seconder Mr. votre frère chargé d’organiser différens établis-sements dans les ports de la Mer Noire, ainsi que des avances pécuniaires que vous avez faites dans le mème but >. Naturalmente, aggiungeva, la decorazione non poteva essere portata che dopo ottenuto il consenso del governo sardo, e conchiudeva: « Je vous préviens également que ce ne sera que par une conduite constamment honorable et par un dévouement absolu au Gouvernement du Roi que vous iustifierez aux yeux de mon Auguste Souverain l’opinion avantageuse qu’il a daigné concevoir de Vous > (4). Così egli, che non avuto onorificenze cavalleresche da Napoleone nè dal nuovo governo piemontese, era insignito di una decorazione rara e straniera, e vi tenne sempre molto e desiderò anche di vederla accresciuta di grado. L’interessamento del diplomatico alla nomina nella Deputazione, attestato anche dalla sollecitudine con la quale il Ministro sardo lo informava, è riprova della continuazione dei rapporti che una lettera del 1831, l’unica salvata dalla dispersione di una corrispondenza non certo così sparuta, mostra affettuosamente cordiali. 11 Mocenigo da Venezia (5) si rallegra del titolo di Conte conferito dal Re Carlo Felice allo Scassi e delle insegne dell’ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro consegnategli da Carlo Alberto, ma espone le difficoltà e si impegna blandamente e con qualche riserva al tentativo di (1) Lettera 20 luglio 1825, in Archivo Sauli. (2) Lettera da Kertch in Crimea, 2 marzo 1823, Archivio Sauli. V. Appendice. 3) Il diploma in russo, in data 1 febbraio 1S23, e traduzione francese in Archivio Sauli. (4) Lettera da Torino in Arch. Sauli. La Gazzetta di Genova dava notìzia di questo onore fatto all’illustre concittadino il 12 aprile, n. 30, pag. 122. (5) Era stato richiamato dal suo governo nel 1827 e il 9 settembre aveva fatto la visita di commiato a Carlo Felice; Gazzetta di Genova, n. 74, 15 settembre 1827. - 264 - soddisfare il desiderio di una promozione nell’onorificenza russa (1); una prova anche questa che l’uomo era desideroso di primeggiare e di avere quegli onori e quelle distinzioni delle quali si sentiva meritevole. Lo stesso giorno in cui comunicava al Mocenigo l’avvenuta nomina, il Ministro dell’lntemo ne avvertiva la Deputazione, che prendeva atto della comunicazione nella seduta del 28 luglio (2) e nell’adunanza successiva, il 18 agosto, proponeva il dubbio se dovesse continuare nell’insegnamento. Merita d’esser riferita, anche a titolo d’esempio, la parte del verbale di quella seduta relativa alla questione proposta: « Letto il Regio Biglietto del 19 luglio p. p. nel quale S. Maestà si è degnata di nominare l’Ill.mo Sig. Professore Cav. Onofrio Scassi per Membro della Regia Deputazione agli Studi coll’annesso stipendio di L. 2000. Proposto chi sia in sentimento di ordinare la trascrizione dell’indicaio Rescritto nel Registro Generale dell’Università, omn. fav. Mox. Rilevato il dubbio se il detto lll.mo Sig. Cav. Deputato Scassi debba continuare ad essere professore di Clinica interna e di Patologia. Discorsa la pratica. Proposto chi sia in sentimento di autorizzare 1’lll.mo Sig. Presidente a rassegnare il dubbio anzidetto a S. E. il Ministro Capo e Presidente delle Regie Università, con scrivergli lettere a tenore dei discorsi fatti nel Circolo della Regia Deputazione: omn. fav. Si è però astenuto dal votare l’ULmo Sig. Deputato Cav. Scassi » (3). La risposta non si fece attendere: con dispaccio del 22 agosto si avvertiva che i due uffici erano incompatibili e perciò dal giorno della nomina a membro della Deputazione cessava l’ufficio d’insegnante; che quanto alla giubilazione, evidentemente di nuovo domandata, si sarebbe provveduto: intanto la Deputazione era invitata a designare i possibili successori nella cattedra di clinica medica ed essa ne deferiva l’incarico al Deputato all’insegnamento, cioè allo Scassi medesimo, che subito, per la sua competenza in materia, fu designato a quell’ufficio (4). (1) Il co. G. C. Mocenigo a Onofrio Scassi da Venezia, 10 novembre 1831; Arch. Sauli. (2) Arch. Univers. Genova, Atti R. Deputazione agli Studi, voi. VII, 1825-26, c. 28. (3) Ibid., c. 38; 18 agosto. (4) Ibid., c.42; 25 agosto. Poco dopo un R. Biglietto stabilisce che «abbia a conservare a titolo di assegnamento personale, cominciando dal primo del corrente mese, l’annua somma di lire settecento, in quanto che, per riguardo ai distinti suoi talenti, e lodevoli servizi, eragli stata fissata oltre lo stipendio fissato in pianta ai Professori clinici allorché con nostre patenti del 16 novembre 1822 fu nominato professore di Clinica medica e Nosologia nella Nostra Università di Genova ». Registro Generale Regi Biglietti, Voi. II, 1822-27, fol. 199, 20 gennaio 1826. Il provvedimento è preso perchè non sia danneggiato economicamente dalla nuova nomina; Atti Deputazione, voi. VII, pag. 133; 26 gennaio. - 265 — Ma pur abbandonato l’insegnamento attivo non cessò d’interessarsi degli studi medici e del buon nome della Facoltà della quale era stato per tanto tempo ornamento e decoro, e quando un dottor Oppenheim scrisse un Colpo d’occhio sullo stato della Medicina in Italia, di cui apparve un riassunto nel Giornale di Medicina e Chirurgia di Edimburgo dell’aprile 1826, rispose con una vivace difesa polemica dell’università e dei suoi insegnanti. « Lo studio d’anatomia vi è vergognosamente trascurato e nessuno dei Professori della stessa porta un nome conosciuto nel mondo » diceva l’Oppenheim. E il medico genovese, punto sul vivo nell’orgoglio suo e della Facoltà cui apparteneva, accusava il critico di ignoranza ed esponeva i titoli di merito e le pubblicazioni dei professori genovesi, e più distesamente le proprie opere e le proprie benemerenze, e difendeva con calorose parole l’insegnamento dell’anatomia e l’ordinamento dell’Ospedale di Pammatone. « Non poteva — conchiudeva — il dott. Oppenheim dare prova più luminosa che gli è affatto sconosciuta l’Università di Genova che asserendo essere la direzione di questo Stabilimento data ai Padri Gesuiti, che ne ricevono le rendite e favoriscono la Teologia alle spese della Medicina. Tutti sanno che il governo immediato dell’Università di Genova, come di quella di Torino, è affidato dall’Augusto nostro Sovrano ad un suo Ministro di Stato che la regge ed è il Presidente della R. Deputazione agli studi » (1). * * * Dal 1825, e finché visse, Onofrio Scassi appartenne alla Deputazione; e come delegato aH’insegnamento ebbe la sorveglianza didattica e disciplinare dell’Università, ufficio che richiedeva la costante presenza, così da rendere necessaria una regolare sostituzione quando doveva assentarsi, anche per breve tempo, da Genova (2). Naturalmente, la sua partecipazione non poteva mutare il carattere e l’opera generale della Deputazione costretta a seguire le norme dettate da Torino e ad attuare gli ordini che ne venivano; ma, cresciuto in ambiente intellettuale diverso, spirito mite e conciliante, desideroso di fama e di popolarità, nell’interpretare ed eseguire quelle norme e quegli ordini poteva portare una certa larghezza e tolleranza d’idee, sotto la rigida inevitabile osservanza delle forme più rigorose e scrupolose. Le condizioni generali della coltura e della vita intellettuale genovese — come del resto in tutto lo Stato — erano assai tristi in quella fiera e poco (1) Memoriale in Archivio Sauli. Forse fu preparato per qualche Rivista tecnica, ma non ne ho trovato cenno nei giornali genovesi. (2) Atti R. Deputazione, voi. VII, c. 202, 20 aprile 1826; voi. XV, c. 67, 26 marzo 1834. intelligente compressione: Bianca Milesi che, moglie di Giuseppe Mojon, abitava a Genova da due anni, ne faceva nel 1826 una feroce pittura: « La città è una cloaca ove si trovan pure degli uomini liberi, ma abbondano mille sozzure e trionfano i Gesuiti e si spengono ormai o si affievoliscono di molto le speranze pel futuro risorgimento della nostra patria » (1)- Ma se c’erano alPUniversità e nelle altre scuole professori fieramente reazionari, altri, pur non aprendo apertamente l’animo loro, specialmente col culto dell’antichità classica e con la celebrazione della libertà in quel mondo antico, accendevano senza parere e quasi senza volere a nuove speranze l’animo dei giovani (2), nei quali, naturale conseguenza dell’oppressione in cui si sentivano tenuti, maturavano i germi di reazione: basta pensare che appunto in quegli anni Giuseppe Mazzini e i suoi amici frequentavano l’Università. Del resto appunto allora, dopo la prima compressione, cominciava qualche segno di ripresa anche nel campo della coltura. Ferdinando Ricci, negoziante di libri, otteneva di aprire un gabinetto di lettura: i libri e i giornali erano esclusivamente letterari e scientifici, ma pur era un luogo pubblico di convegno e di coltura che si aggiungeva alle famose riunioni presso il marchese Di Negro e in qualche altra casa nobiliare (3). Il tentativo rudimentale del Ricci sarà poi ripreso da altri, e con maggiori risultati da Giuseppe Mazzini nel 1829 (4), mentre alle esistenti biblioteche Universitaria e Franzoniana veniva ad aggiungersi la Civica Biblioteca Berio, dal nome del raccoglitore e donatore (5). Nello stesso tempo aveva una vera importanza politica la libreria di Antonio Doria sorvegliata e perquisita più volte, ove si raccoglievano i desi- (1) A. Campani, Bianca Milesi Mojon, Rassegna Nazionale, aprile-giugno 1905, pag. 43. Sulla Milesi Mojon, F. Salata, Il Conte di Cavour rivelato alt Austria da una donna, Nuova Antologia, 1 giugno 1923, pag. 356 sgg. (2) Tali il p. Gerolamo Bertora, professore di eloquenza e Prefetto degli Studi, che ebbe a discepolo prediletto il giovane Mazzini, e il prof. Giacomo Lari di letterature classiche, il « Lanzi » del Lorenzo Benoni; Salvemini, Ricerche e documenti ecc., pag. 39, 44; Codignola, pag. 56, 63, 115, ecc. 11 Lari tenne il discorso inaugurale nel 1827, il Bertora nel 1828 e trattò delle lettere come fonte di gloria e di utilità per la patria; Gazzetta di Genova, n. 94,24 novembre 1827 e n. 93, 19 novembre 1828. (3) Gazzetta di Genova, 1823, pag. 21, 56, 219 ecc.; M. Pozzo, La Villetta di Negro, Genova, 1910. Sul Di Negro notizie biografiche nelle sue opere poetiche e v. G. B. Giuliani, Elogio per la solenne dedicazione del monumento a G. C. Di Negro, Genova, 1876; A. ISSEL, La villetta Di Negro, Genova, 1914. La doti Maddalena Astengo ha scritto un lavoro II Mecenatismo di Gio. Carlo di Negro, non ancora pubblicato. (4) Codignola, La giovinezza di Mazzini, pag. 150 sgg. (5) Gazzetta di Genova, n. 101-102, 18 e 22 dicembre 1824; G. Berlolotto, La Civica Biblioteca Beriana di Genova, Genova, 1894, pag. 8 sgg. - 267 — derosi di novità politiche, le « teste calde » tenute d’occhio dalla polizia (1). Nella stampa cittadina, alla Gazzetta ufficiosa e al Corriere Mercantile, che si occupava quasi esclusivamente di materia commerciale, si aggiungeva, sorto nel 1826, il « Giornale Ligustico », diretto dal P. G. B. Spotorno, erudito di valore ma acre e bilioso polemista, rigido propugnatore dell’ordine costituito, difensore strenuo del classicismo in letteratura e del regime reazionario in politica (2). In contrapposto, sul\'Indicatore genovese « foglio commerciale di avvisi, d’industria e di varietà », dal maggio 1828 Giuseppe Mazzini e i suoi amici cominciano quella lotta in nome del romanticismo che avrà per sbocco fatale la preparazione e poi la creazione della « Giovane Italia » (3). La descrizione che dell’ambiente universitario genovese ha dato Giovanni Ruffmi (4), se pur basata sopra un fondamento d’innegabile realtà, ha tuttavia colori troppo accentuati. Intanto la Deputazione, seguendo un contegno ormai tradizionale, si era opposta al proposito del Governo di restituire tutta l’istruzione, anche superiore, ai Gesuiti, riuscendo a farne abbandonare l’idea (5), e se aveva dovuto accogliere, quando l’Università era stata riaperta nel 1823, il ristabilimento delle Congregazioni e vegliare perchè i doveri che vi erano annessi, così ostici al Ruffini e ai suoi amici (6), fossero puntualmente eseguiti, denunciandone anche le eventuali infrazioni, non era stata poi nelle sanzioni così severa come per colorito contrasto e per naturale avversione ai non lieti ricordi, il romanziere racconta. Da un esame spassionato e documentario anche il signor Merlini, « l’eterno commissario di mese », che era poi il prof. G. B. Molini, del quale il Ruffini fa assai vivace pittura, esce a così dire riabilitato. Già anch’egli era stato indicato altra volta tra i professori che non frequentavano le funzioni religiose (7); non è probabile perciò che infierisse poi contro gli studenti che cercavano di esimersi dalla loro soverchia oppressione; ma sopra (1) A. Luzio, G. Mazzini carbonaro, Torino, 1920, pag. 44 sgg.; E. Passamonti, Un amico della fanciullezza di G. Mazzini, nel voi. Goffredo Mameli e i suoi tempi, Venezia, 1927, pag. 47 sgg.; Catalogo del Museo del Risorgimento di Genova, voi. 1,1915; voi. II, 1925. (2) Codignola, pag. 114 sgg. Per la biografia v. D. Muller, Biografie autografe ed inedite di illustri italiani viventi, Torino, 1853 e L. Grillo, Elogi di Liguri illustri, Torino, 1846, voi. Ili, pag. 308-388. (3) Codignola, pag. 103 sgg. e A. Neri, La soppressione dell’indicatore Genovese, in Biblioteca di Storia italiana recente, voi. Ili, 1910. (4) G. Ruffini, Loremo Benoni, trad. Rigutini, cap. XVI-XIX. Sul valore storico del romanzo v. Luzio, Mazzini carbonaro, pag. 42 sgg. (5) Arch. Univ., Atti R. Deputazione, voi. VII, c. 14, seduta 18 marzo 1825; Isnardi-Celesia, II, pag. 292; Lattes, L’Università e le sue vicende, pag. 32. (6) Lorenzo Benoni, pag. 209 sgg. (7) Arch. Univ. Registro Lettere segrete, n. 21; Codignola, pag. 123. — 268 — tutto è evidente che in molte occasioni di mancanze disciplinari del Ruffini stesso, di Federico Campanella e di altri si comportò con indulgente mitezza (1). Ma il Deputato all’insegnamento che il 31 maggio 1826 fa alla Deputazione un rapporto sul contegno degli studenti con speciale riguardo a Giovanni Ruffini, al Campanella e a Giuseppe Cattaneo e sopra tutto richiama l’attenzione sopra una lettera anonima di protesta contro l’obbligo di partecipare in corpo al Giubileo, non è il Molini, ma lo Scassi, subentrato in quella carica appena eletto a far parte della Deputazione. E di lui perciò si può ripetere quel che si attribuiva anche in questa occasione al Molini: la denuncia fatta per debito d’ufficio, dopo alcune indagini e una duplice perizia calligrafica, la seconda affidata al Deputato alla disciplina, che era ora appunto il Molini, fu lasciata cadere. Si era sospettato che la lettera anonima venisse dalla madre del Ruffini, e la supposizione non sembra infondata e mostra come la « madre santa » fosse solidale coi figli e coi loro amici nella ribellione a quei sistemi vessatori. Tuttavia, non solo della cosa non si parlò più, ma la Deputazione, dopo aver assistito alla partecipazione degli studenti alla funzione religiosa tanto temuta, esprimeva la sua piena soddisfazione per il loro contegno e incaricava il Prefetto e i Direttori delle Congregazioni « di partecipare ai medesimi signori studenti questo stesso sentimento, unitamente alla più costante sua disposizione di promuovere all’occasione ogni loro vantaggio » (2). Parole che emanavano naturalmente dal Deputato all’insegnamento e manifestavano i sentimenti benevoli di lui verso i giovani studenti. Incaricato per la sua funzione di quanto si riferisce alla parte didattica, per la sorveglianza disciplinare si alterna coi suoi colleghi, Stefano Rivarola, succeduto nella presidenza al Grillo Cattaneo dimessosi nel 1824, Domenico De Marini, Paolo Torriglia e G. B. Molini (3): e lo si trova deputato di mese, (1) Codignola, La giovinezza di G. Mazzini, pag. 80 sgg. Le informazioni di polizia nel 1815 avevano definito il Molini « Buono, Celebre avvocato», Segre,// primo anno tee., pag. 349, n. 198; e il Frizzi (Quadro caratteristico cit.) aveva detto di lui: « Ha del talento. Non ebbe impieghi in Democrazia. Napoleone lo nominò presidente della Corte Criminale, indi (Iran Prevot della Corte Prevostale in Alessandria. Dopo l’espulsione dei Francesi dall’Italia, riprese l’antica sua professione. È uno dei capi dell’indipendenza ». Professore di diritto e appartenente alla Deputazione dal 1815, morì nel 31: Gazzetta di Genova, 5 marzo 1831. (2) Codignola, pag. 85. Una relazione di quella cerimonia con le stesse espressioni di soddisfazione aveva la Gazzetta il 7 giugno 1826, n. 38, pag. 272. (3) Morto il Rivarola nel 1827, non fu più nominato un Presidente e il De Marini come più anziano (apparteneva alla Deputazione dal 1815, Gazzetta, 25 ottobre 1815, pag. 339) fu nominato Vice-presidente, con l’incarico di presiedere la Deputazione durante l'assenza del Presidente Capo, residente a Torino, che, dimessosi Gian Carlo Brignole nel 1829, fu Michele Gloria e dal 31 Luigi Provana di Collegno. Il De Marini aveva appartenuto nel 1814 al Governo provvisorio, che lo aveva fatto anche Governatore dei confini orientali, e — 269 — o piuttosto si sarebbe dovuto dire di bimestre, generalmente nei primi due mesi di ogni anno, ma qualche volta anche per quattro mesi consecutivi, come dal 17 novembre 1827 al 16 marzo 28; ed è di un suggestivo interesse vedere la sua firma e le sue decisioni su molti documenti scolastici di giovani divenuti celebri nella vita politica e nel martirologio nazionale. È lui che nel 1826 firma gli admittatur e i certificati scolastici di Giuseppe Mazzini, allora al quarto anno degli studi giuridici, e il 17 maggio 10 ammette al pubblico esame di licenza e ne controfirma le tesi e riferisce favorevolmente sulla domanda di risarcimento d’un mese di studi perduto per malattia (1). Ci poteva essere qui la benevolenza per il figlio del collega; ma la stessa benevolenza è usata anche con altri. Così il 1° agosto 1825 accoglie la domanda di ammissione agli esami del Magistero per indirizzarsi agli studi di Medicina di G. B. Castagnino, e successivamente portano la sua firma tutti gli atti più importanti della carriera scolastica di lui, le dichiarazioni di frequenza rilasciate dai professori, le domanande di ammissione all’esame annuale del primo anno il 29 luglio 26, a quello di baccellierato il 2 agosto 27, a quello privato di licenza in medicina 11 4 luglio 29 e all’esame pubblico quattro giorni dopo, oltre ai numerosi biglietti per la confessione e per aver partecipato alle congregazioni (2). Egualmente per Iacopo Ruffini (Giacomo nei documenti ufficiali). Gli accorda sul principio del 1826 1’admittatur per la Facoltà di Filosofia e la concessione di frequentare le scuole e il 29 luglio lo ammette agli esami di magistero per la medicina. Dietro suo parere favorevole gli sono convalidati i due primi anni di studio fatti come uditore e ciò in vista che « adempì tutti i doveri di pietà prescritti agli studenti »; e dopo la laurea gli è nelle informazioni di polizia del 1815 era detto « buonissimo », {Gazzetta, 30 aprile 1814, pag. 147, 148; 6 giugno 1832, n. 45; Segre, pag. 345, n. 76). Dimessosi nel 1832, fu sostituito da Marcello Durazzo. Al Torriglia, morto nel 1828, succedette Prospero Sertorio, e a lui Lorenzo Battista Biale professore di Istituzioni Canoniche e 0. Benedetto Pareto; al Molini, morto nel 1831, Tommaso Balbi. V. Archivio R. Università, Genova, Biglietti Regi, Reg. Ili, c. 33, 36, 112, 136, 139; Atti Deputazione Studi 1830-31, c. 127; Isnardi-Celesia, II, pag. 283 sgg., 310; Gazzetta, n. 24, 24 marzo 1824, pag. 99; n. 4, 12 gennaio 1828; n. 67, 22 agosto, n. 76, 23 ottobre, n. 88, 4 novembre 1829. (1) G. Salvemini, Ricerche e documenti sulla giovinezza di G. Mazzini, in Studi Storici, XX, 1911, pag. 79, 83, 88 e v. i documenti ivi citati. (2) Museo del Risorgimento, Genova, Documenti scolastici Castagnino, Doc. in deposito, cari. 6. Implicato nei processi del 33, il Castagnino si salvò per l’abile difesa, non perchè fosse delatore impunitario. E pretta leggenda infatti che per istigazione di Gian Carlo Brignole egli facesse rivelazioni che non hanno mai avuto luogo e che sarebbero state a lor volta causa della morte del Ruffini; A. Luzio, Carlo Alberto e Mazzini, Torino, 1923, pag. 130; Codionola, La giovinezza di G. Mazzini, pag. 122 sgg.; 216 sgg.; E. Passamonti, Nuova luce sui processi del 33 in Piemonte, Firenze, 1930, pag. 51 n. 2. — 270 — accordata la dispensa dalla pratica e l’ammissione all’esame per Vexerceat (1). Altra riprova, fornita proprio dal più grande e glorioso dei Ruffini, che la Deputazione fu tutt’altro che ostile agli studenti; e piace di vedere con atteggiamento di benevolenza e di aiuto l’azione dello Scassi associata ai momenti più importanti della vita scolastica del Mazzini e di chi doveva essere primo confessore e martire della dottrina del grande amico (2). Accostamento certo casuale e puramente esteriore e meccanico; poiché sarebbe arbitrario supporre che l’uomo grave e maturo, in condizione ufficiale e ormai provato dalla vita, partecipasse ai sogni e alle aspirazioni di quei giovani; ma pur un intimo legame invisibile e inavvertito c’era tra il suo passato e l’avvenire che essi rappresentavano; e non sarà un puro caso che più tardi, morto già il padre illustre, sia dalla sospettosa polizia indicato autore di scritti anonimi a tinta liberale e repubblicaneggiante, il « giovane conte Scassi », il figlio cioè dell’uomo che aveva avuto così elevata posizione sociale (3). Sarebbe impossibile, e del resto inutile, seguire l’opera minuta e giornaliera dello Scassi nella funzione di Deputato all’insegnamento sugli Atti della Deputazione; è tutta una serie di proposte, di quesiti, di relazioni su questioni spesso minute e personali, su casi individuali e particolari condizioni di studenti. Non mancano, s’intende, le questioni più elevate, o propriamente didattiche o di ordinamenti generali; più frequenti, e si comprende, per quanto riguarda la medicina (4). Era faccenda laboriosa tener dietro agli ordini e alla pioggia di regolamenti e disposizioni che veniva da Torino; e la Deputazione non doveva occuparsi delPUniversità soltanto, ma aveva la sorveglianza su tutta l’istru- (1) Arch. Univ., Genova, Biglietti Regi, voi. Ili, 1827-35, pag. 31 (14 dicembre 1827) e 91 (2 luglio 1830); A. Lazzari, La Giovinezza di Iacopo Ruffini, Rassegna storica del Risorgimento, 1920, pag. 642. (2) Decisione di Onofrio Scassi sulla domanda di ammissione agli Esami di Magistero in Medicina: Il Deputato di mese — Letto il ricorso dello studente Ruffini Giacomo di Bernardo col quale chiede di essere ammesso agli esami di Magistero per indi destinarsi allo studio di Medicina; Visti gli annessi admittatur comprovanti che il suddetto ha fatto il secondo anno di filosofia in questa R. Università; Visto pure altro certificato dal quale risulta che il suddetto sig. Ruffini ha fatto lo studio del primo anno di filosofia nel Seminario Arcivescovile di questa città; Vista la ricevuta del Tesoriere; Dichiara: Non aver in contrario che il suddetto sig. Ruffini venga ammesso agli esami di Magistero per medicina, iusta il disposto dell’art. 40 delle Regie Patenti del 13 luglio 1822 e la deliberazione della R. Deputazione agli Studi del 23 gennaio 1823. Genova, il 29 luglio 1826. Scassi. (Museo del Risorgimento, Documenti scolastici Ruffini, Doc. in Deposito. Cart. 2). (3) A. Colombo, La tradizione di Balilla a Genova nel 1846 nel voi. miscellaneo Goffredo Mameli e i suoi tempi, Venezia, 1927, pag. 164. (4) I provvedimenti e le decisioni della Deputazione nel decennio in cui vi appartenne lo Scassi sono compresi nei voi. V1I-XVII degli Atti, Arch. Univ. di Genova. - 271 - zione. Così un primo regolamento sin dal 1816 aveva stabilito che tutti i maestri dovessero avere una legale approvazione e incaricava la Deputazione di sorvegliare che non avvenissero abusi (1). Più tardi fu proibito l’insegnamento di qualunque genere, fatta eccezione per le lingue straniere, ai forestieri, e d’ordine del Governo la Deputazione rinnovava il divieto alle persone non patentate d’insegnare retorica e filosofia (2). Ma queste norme non erano interamente osservate, donde recriminazioni e richiami da Torino, insistenze della Deputazione e una laboriosa corrispondenza coi Decurioni deputati alle scuole e coi Sindaci, che si fa più intensa dopo il 1825, quando cioè Deputato all’insegnamento, e quindi precisamente incaricato di questa materia, è lo Scassi, che pone nel nuovo ufficio la stessa attività zelante di cui già aveva dato prova come provveditore (3). Più direttamente poi occorreva sorvegliare l’andamento degli studi universitari governati da un molto minuzioso regolamento, compilato nel 1822 durante la chiusura delle Università e applicato al loro riaprirsi nell’anno successivo, comprendente norme su tutta la vita e la disciplina scolastica, sugli orari e sugli esami. Con questo regolamento, mentre si sostituivano i Decani coi Priori delle Facoltà, da eleggersi annualmente dal Governo su terne proposte dalle Facoltà stesse, era istituito il Prefetto degli Studenti,ecclesiastico incaricato di sorvegliarli anche nelle loro abitazioni, specialmente nelle pensioni e locande, che non potevano accoglierli senza autorizzazione (4). E appunto nel costante timore che i giovani non sorvegliati dovessero prendere pericolosi atteggiamenti politici e religiosi era anche decisa in massima l’istituzione di un collegio presso l’Università per i giovani delle Riviere, quando ci fossero almeno venti domande; ma sebbene fosse subito nominato a rettore il sacerdote Bernardo Lanfranco la cosa non ebbe seguito pel momento, e il collegio si aprì per ordine preciso del Governo alla Deputazione, nel 1829 (5). La parte del regolamento relativa agli esami fu poi riformata nel 1826, nel 31 e nel 32 (6): (1) Compilazione Editti e Patenti, t. IV, pag. 333. Con deliberazione 4 marzo le scuole secondarie erano affidate ai Padri delle Scuole Pie, Arch. Civico, Consiglio particolare, 1815-31, fol. 37 e 77. (2) Gazzetta di Genova, n. 10, 3 febbraio 1827, pag. 4, e n. 76, 23 novembre 1829. (3) Arch. Univ., Atti Deputazione agli Studi, voi. IX-XI, passim; Arch. Civico, Consiglio particolare 1815-1831, pag. 263, 279, 294, 383, 387; Registro Corrispondenza 1825-27, A. 1825, n. 1074, 1075, 1109; A. 1826, n. 338, 402, 453, 473, 499, 500, 539 ecc. Queste corrispondenze attestano, anche da parte dei Decurioni, un vivo interessamento per tutto quanto riguarda le scuole elementari e secondarie e una vera benevolenza per gl’insegnanti. (4) Compitazione Editti e Patenti, t. XV, pag. 3 sgg., 23 luglio 1822; Gazzetta di Genova, Supplem. al n. 91, 12 novembre 1823. (5) Gazzetta di Genova, n. 77, 26 novembre e n. 96,1 dicembre 1827; n. 42, 24 maggio 1828; Lattes, L’Università e le sue vicende, pag. 32. (6) Compilazione, t. XXII, pag. 304, 13 giugno 1826; t. XXXI, pag. 65, 27 aprile 1831; t. XXXII, pag. 102, 11 marzo 1832. — 272 — nelle frequenti norme e disposizioni riguardanti lo studio della medicina neH’Università genovese è da vedere la partecipazione dello Scassi, sopra tutto dopo la sua nomina a Deputato. Fin dal 1817 si era voluto definire l’annosa questione delle abilitazioni professionali concesse dall’antica repubblica e dai governi successivi, per le quali tanti provvedimenti, e non sempre efficaci, erano stati presi nel passato. Si stabiliva allora che tutti i laureati dagli antichi Collegi e dalle autorità successive dovessero recarsi all’Università a ritirare i diplomi di conferma; gli sforniti di titoli dovevano giustificare la loro condizione, i laureati fuori di Genova dovevano presentare i documenti necessari alla Deputazione, che avrebbe deliberato accordando, se del caso, la conferma (l). Tutto il titolo IV del Regolamento 1822 riguardava la medicina e la chirurgia, le materie, i metodi d’insegnamento e gli orari; che ci fosse la mano dello Scassi non è probabile perchè il regolamento era stato fucinato a Torino. Ma poco dopo si sentiva già il bisogno di modificazioni, e l’opera di lui non è mancata certo nel nuovo regolamento, proposto dalla Deputazione all’Ufficio della Riforma, anche per avvicinare l’ordinamento genovese a quello di Torino. Approvato dalle autorità centrali, il nuovo regolamento in 37 articoli, che con norme più precise e ampie delle precedenti contemplava non solo il corso degli studi medici, ma anche l’esercizio dopo la laurea, entrò in vigore sulla fine del 1827 (2), seguito a breve distanza da un altro in 14 articoli, speciale per la Liguria (3). Ma neppur questo doveva esser l’ultimo per Io Scassi. Nella seduta del 26 marzo 1834 il Vice Presidente desiderava sapere se egli avesse preparato il progetto di un nuovo regolamento per la Facoltà medico-chirurgica, secondo le intenzioni regie, manifestate con dispaccio del 12 di quel mese. Lo Scassi lesse allora un rapporto dal quale trapelava il senso del quasi paterno attaccamento al precedente regolamento, opera sua, che, egli diceva, già approvato da Carlo Felice, « pare assai ben soddisfatto ai relativo insegnamento, quantunque siano in minor numero le cattedre della Facoltà che possiede la nostra Università e siano diversamente fra loro distribuite le materie e sarebbe opportuno prescrivere che anche l’insegnamento della chirurgia dovesse farsi in latino s (4). La Deputazione approvò il rapporto e lo trasmise al Presidente Capo. Tuttavia (1) Gazzetta di Genova, n. 28, 5 aprile 1817, pag. 109; n. 40, 17 maggio, pag. 161. (2) Arch. Univ., Biglietti Regi, Reg. Ili, 1827-1835; fol. 10 17, novembre 1827; è riprodotto in Norme per l’ordinamento economico delle Università di Genova e Torino, in t. XXXV, pag. 254: 9 marzo 1833; Compilazione Editti e Patenti, t. XXXIV, pag. 150 sgg. (3) Biglietti Regi, Reg. Ili, fol. 51: 21 ottobre 1828; Gazzetta di Genova, n. 89, 5 novembre 1828. (4) Arch. Univ., Atti Deputazione agli Studi, Reg. XVI, fol. 67: 26 marzo 1834. - 273 — poco dopo venne da Torino un nuovo regolamento generale che, senza però grandi mutamenti alle proposte genovesi e sempre più avvicinando l’ordinamento delle due università, in 56 articoli regolava tutta la materia degl’insegnamenti medico-chirurgico-farmaceutici, mentre un altro ordinava, ricostituendolo in 18 membri, il Collegio dei Dottori della Facoltà, cui spettava di conferire le lauree (1). La Deputazione, e per essa il Deputato all’insegnamento, doveva occuparsi anche di altre materie, disciplinari e d’ordine, come il lavoro di segreteria, la regolarità dei registri, sopra tutto la materia molto delicata e molto controllata da Torino degli eventuali passaggi di studenti dall’una all’altra Università: spettava appunto al Deputato all’insegnamento esaminare i motivi addotti (2) e a lui egualmente provvedere alla sostituzione di professori nelle assenze non sporadiche ma prolungate, specialmente se dovute a malattia, come nel caso di Giuseppe Guidetti che egli fu autorizzato a sostituire col Leveroni (3). Anche più grave e delicato l’incarico di provvedere alle cattedre vacanti dell’Università, come è mostrato da un interessante episodio del 1829. Morto improvvisamente l’il aprile di quell’anno il prof. Giacomo Lari di eloquenza latina e greca (4), era stato incaricato di supplirlo per il resto dell’anno scolastico il sacerdote dottore Agostino Cortese, il quale presentò poi, insieme con altri, la domanda per la cattedra stabile al Presidente Capo di Torino che rinviò la pratica alla Deputazione, e questa ne incaricò appunto, perchè inerente al suo ufficio, lo Scassi. « Egli — lasciamo raccontare Achille Neri — riferì il 20 agosto, che se tutti gli aspiranti erano ben meritevoli di coprire la cattedra d’eloquenza latina, « non ardirebbe dire se valevoli egualmente fossero ad insegnare la lingua greca »: d’altra parte ritiene sia utile dividere i due insegnamenti, considerando che sarebbe « più degna dell’Università una cattedra di eloquenza greca », anziché di lingua greca soltanto, tanto più essendovi già nelle scuole pubbliche della città chi ne insegna i primi rudimenti (5). Ora dunque propone di eleggere il profes- (1) Arch. Univ., Biglietti Regi, Reg. Ili, 1827-35; fol. 211 e 212; 5 e 6 agosto 1834. (2) Arch. Univ., Atti Deputazione, Reg. XV, 1830-31, fol. 243. (3) Ibid., fol. 239; 12 novembre 1830. (4) Anche il Lari, già democratico e fautore della rivoluzione, si era chiuso dopo il 1814 negli studi, pur lasciando trapelare talora le sue simpatie; v. su di lui F. L. Mannucci, Un maestro di G. Mazzini, Giacomo Lari, in Giornale Storico della Lunigiana, Spezia, voi. I, 1900, fase. Ili, pag. 36 e G. Mazzini e la prima fase del suo pensiero letterario, pag. 49; Dal Pin, L. Darnaso Pareto, in Giornale Storico e letterario della Liguria, 1924, fase. I; Codignola, La giovinezza di G. Mazzini, pag. 115. (5) L’insegnamento elementare della lingua greca era stato introdotto nelle scuole secondarie sulla fine del 1825 e affidato al Rev. Ambrogio Crovi; Arch. Civico, Corrispondenza 1825-27, n. 1109 e 1110,11 novembre, e n. 1161, 13 dicembre 1825. 18 — 274 — sore di eloquenza latina « riserbandosi ad altra occasione propizia per affidare la difficile istruzione dell’eloquenza greca ad un rinomato professore che venisse a presentarsi ». Nota infine che tra gli aspiranti è « il ben conosciuto Padre Spotorno; il quale a dire il vero ha una riputazione letteraria ben stabilita, e da nove e più anni insegna con lode e zelo la rettorica nelle scuole civiche, e ne è contemporaneamente il direttore »; se piacesse alla Deputazione di preferirlo, sarebbe necessario imporgli di rinunziare alla carica di direttore. In questo modo il relatore veniva accortamente a preoccupare il campo, ponendo innanzi il nome di colui che si aveva in animo di preferire; la stessa proposta di sdoppiare la materia sembra preordinata al fine medesimo, poiché lo Spotorno, pur conoscendo il greco, non si sentiva probabilmente in grado d’insegnarlo all’Università. A ciò non debbono essere stati estranei presso lo Scassi gli uffici privati del Capo delle Università, Gian Carlo Brignole, il quale era ben disposto a favorire lo Spotorno, siccome aveva fatto l’anno innanzi col promuovere la soppressione del-Ylndicatore genovese, periodico dei romantici liguri, stretti intorno a Giuseppe Mazzini, che fu combattuto aspramente dallo Spotorno nel suo Giornale Ligustico. 1 voti infatti della Deputazione universitaria non gli mancarono; gli ebbe tutti favorevoli, onde nell’adunanza del 21 agosto venne proposto al Capo delle Università, così che il 15 settembre furono emanate le lettere patenti » (1). Il valore innegabile di un uomo come lo Spotorno, del quale si possono consultare ancora con profitto la Storia letteraria della Liguria e il Giornaleligustico\ quasi tutto scritto da lui, aveva avuto certo parte non piccola nella proposta di Onofrio Scassi e nel fargli assecondare il desiderio del Brignole; ma quando si trattava di altre questioni ed era in forse la dignità e l’interesse degli studi, egli era ben lontano dal mostrarsi così arrendevole ai voleri delle autorità politiche e militari, avvezze a imporre senza controllo e opposizioni la propria volontà. L’esempio più significativo e più noto è dato dalla nuova occupazione militare dei locali universitari nel 1831, quando la Deputazione riprese e con maggiore energia, sebbene col medesimo esito negativo, l’atteggiamento del 1821. Preoccupato degli avvenimenti che commovevano tanta parte d’Europa e della minaccia rivoluzionaria che sembrava partire dalla nuova monarchia (1) A. Neri, Un concorso universitario nel 1829 in Rivista Ligure di Scienze, Lettere ed Arti, 1910, fase. I, pag. 22-23. Lo Spotorno, lasciando l’ufficio nelle scuole secondarie, chiese « un segno tangibile di gradimento » che fu sostituito con una semplice lettera di ringraziamento. Gli fu dato a successore il P. Paolo Rebuffo, che era anche suo collaboratore al Ligustico; Arch. Civico, Consiglio particolare, Reg. 1815-1831, pag. 383, 387: 18 novembre 1829. Sul Rebuffo, Giornale degli studiosi, I, pag. 225 e per certi incidenti disciplinari con gli alunni, Luzio, La madre di G. Mazzini, 1918, pag. 96. ~ 275 — costituzionale di Luigi Filippo in Francia, spaventato sopra tutto dalle catastrofiche rivelazioni di Raimondo Doria sulle cospirazioni Carbonare, donde derivò poi l’arresto del Mazzini e dei suoi amici (1), Carlo Felice, nel solito timore delle agglomerazioni di studenti, il 5 ottobre dispose la chiusura del-l’Università per l’anno scolastico 1830-3-1 (2). Avuta comunicazione dell’ordine, la Deputazione incaricò lo Scassi come Deputato all’insegnamento di riferire sui modi di esecuzione, senza che ne fosse impedito il seguito degli studi, poiché questo era conforme ai desideri del Re e al precedente degli anni tra il 21 e il 23. Sulla sua immediata relazione orale, la Deputazione stabilì che, mentre durava la chiusura dell’Università, la teologia si sarebbe studiata nei seminari, le leggi e le matematiche, la filosofia e l’eloquenza dagli studenti in casa propria, e così la medicina, quando non occorresse la clinica: per questa gli studi dovevano farsi negli ospedali dei rispettivi paesi. La Deputazione si riservava di indicare i luoghi opportuni per quegli studenti che abitavano in paesi sforniti di ospedali e stabiliva una serie di minute disposizioni sui doveri religiosi e sugli esami. Le norme, approvate dal Presidente Capo, furono pubblicate con manifesto che deferiva al Deputato all’insegnamento l’esame sui singoli casi che fossero presentati dagli studenti e specialmente sulle eventuali domande di recarsi a Torino o fuori dello Stato per la prosecuzione degli studi. Spettava così ancora allo Scassi la sorveglianza e la direzione di fatto della vita scolastica in u^i momento grave e difficile, e le disposizioni per l’applicazione delle norme generali emanate dalla Deputazione, particolari e minute specialmente per la medicina, tradiscono ancora la mano del competente. Negli ospedali i medici continueranno le lezioni, riprendendole al punto sospeso alPUniversità; a Genova saranno i professori stessi e si avverte appunto il Priore della Facoltà che le cliniche e le esercitazioni anatomiche continueranno all’ospedale di Pammatone (3). Un biglietto regio firmato dalla reggente Maria Cristina (Carlo Felice, ammalato, morì pochi giorni dopo) stabiliva il 4 aprile 31 che gli esami si dessero per quell’anno in iscritto e nei singoli paesi. L’esecuzione di quest’ordine era ancora affidata al Deputato all’insegnamento, incaricato di provvedere all’estrazione e alla assegnazione dei temi e di vegliare al regolare andamento degli esami fatti col nuovo sistema (4). (1) A. Luzio, Mazzini carbonaro, pag. 71 e passim. (2) Arch. Univ., Regi biglietti, Reg. Ili, 1827-35, fol. 105 sgg. (3) Arch. Univ., Atti Deputazione studi, Reg. XV, 1830-31, fol. 215, 220, 231, 239: 18 e 23 ottobre, 6 e 12 novembre 1830. Altre norme per la sorveglianza degli studenti anche nelle loro case; ibid., fol. 250 sgg., 261: 24 novembre e 3 dicembre. (4) Arch. Univ., Biglietti Regi, Reg. Ili, fol. Ili: 4 aprile; Atti Deputazione, XV, fol. 357,389 sgg., 400: 11 aprile, 1 e 8 giugno 1831. — 276 - Fin qui si trattava di eseguire un ordine dovuto a ragioni politiche e al quale nessuno poteva pensare di opporsi: non rimaneva che cercar di alleviare, per quanto era possibile, il male che ne veniva agli studi. Ma quando il Governatore, conte di Venanson, volle trasformare l’Università in una caserma, la Deputazione tentò con ogni mezzo di opporsi, con una resistenza dignitosa e tenace che è una delle più belle pagine della sua storia. E piace di vedere in quest’occasione e in quest’epoca al primo posto Onofrio Scassi. In realtà le deliberazioni della Deputazione sono sempre collettive e impersonali, ma l’affermazione del Celesia continuatore dell’lsnardi (l) — autorevole di per se stessa per il tempo nel quale egli scrisse e per i documenti usati — è confermata dalla speciale situazione in cui lo Scassi si trovava. Dal gennaio infatti egli era stato assunto alla carica di Sindaco di seconda classe, e come capo dall’amministrazione cittadina si trovò quindi in posizione particolarmente favorevole per le trattative del Municipio e dell’Università con l’autorità governativa e militare all'intento di trovare altri locali ed evitare alla scuola la iattura di un’occupazione soldatesca. II De Marini agiva come Presidente della Deputazione, lo Scassi, adoperandosi anche come Sindaco e suggerendo i rimedi, rappresentava l’unione degli elementi locali di contro alla testarda prepotenza de! governatore militare. Avuta la richiesta degli alloggi per le truppe di imminente arrivo in città, il De Marini scrisse il 27 marzo al Presidente Capo a Torino per stornare il pericolo dell’occupazione; cominciò così una lunga corrispondenza nella quale la Deputazione, sostenuta dal Municipio e blandamente anche dalFau-torità scolastica torinese, espose tutte le ragioni di opportunità didattiche e scientifiche, massime per quanto riguardava i locali delle collezioni e dei gabinetti (2), che sconsigliavano l’occupazione militare (3). Nello stesso tempo i Sindaci cercavano di evitare il danno anche al nuovo palazzo destinato all’Accademia di Belle Arti e alla Biblioteca: « Sarebbe veramente doloroso — dicevano — vederlo trasformato in caserma, nè possiamo supporre che ciò possa entrare nelle viste di un governo paterno promotore di tutti i buoni studi ». In caso disperato, quando altri locali non si trovassero, si poteva adoperare quello servito sin allora all’Accademia in Soziglia: e i Sindaci si impegnavano a trattare in proposito coi proprietari, (1) Isnardi-Celesia, Storia dell’Università di Genova, voi. II, pag. 310: « Invano i Deputati De Marini e Scassi fecero ogni loro pruova per smuoverlo (il Venanson) da tale determinazione ». (2) Questi istituti avevano avuto negli ultimi tempi notevole incremento; LatteS, L'Università e le sue vicende nel voi. L’Università di Genova, pag. 33. (3) Arch. Univ., Atti Deputazione, voi. XV, fol. 348, 13 aprile 1831; vi è riassunta tutta la questione, con l’indicazione delle lettere scambiate. - 277 — mentre indicavano locali religiosi non adoperati per il culto e proponevano di servirsi dell’Albergo dei Poveri (1). Lo Scassi si trovava così a combattere una molteplice battaglia, ma aveva di fronte l’irriducibile ostinazione del Ve-nanson, il quale rispondeva costante che egli aveva bisogno di locali; se non si voleva occupata l’Università — il Governo gli aveva dato l’ordine di adoperarla per ultima, quando altro modo non ci fosse — si trovassero edifici adatti per le truppe che pur doveva allogare. 11 14 aprile, dopo l’ampia esposizione fatta dal De Marini il giorno precedente e l’ordine ricevuto di mettere a disposizione le sale delPUniversità, la Deputazione « si rassegna alle disposizioni superiori », veramente caratteristica espressione di obbedienza per forza. La tipica deliberazione merita di essere riferita; il palazzo dell’Accademia cui si accenna è la vecchia sede di questa, secondo le proposte dei Sindaci. « L’anno del Signore milleottocentotrent’uno, giorno di giovedì 14 del mese di aprile alle ore cinque pomeridiane, nella sala delle solite adunanze della Ecc.ma Deputazione agli Studi, convocatasi la medesima assistita dal suo segretario, sono presenti gli 111.mi Sig. Cav. De Marini Domenico Consigliere di S. M. e V. Presidente, Marchese Paolo Girolamo Torriglia, Cav. dell’Ordine de’ SS. Maurizio e Lazzaro, Conte Onofrio Scassi, Cav. dell’Ordine di S. Anna di Russia e Sindaco di Città, Assente l’Ecc.mo Presidente Capo; Vista la corrispondenza d’uffizio che ha avuto luogo per parte della R. Deputazione con S. E. il Presidente Capo e con S. E. il Sig. Governatore relativamente all’occupazione del palazzo delPUniversità per gli alloggi militari; Visto che malgrado quanto è stato esposto dall’lll.mo Sig. Presidente nell’ultima sua lettera del 13 del corrente mese diretta a S. E. il Sig. Governatore, per provare che essendo intenzione sovrana che il palazzo delPUniversità non venisse occupato che per l’ultimo, con tuttociò il foglio della stessa S. E. del giorno d’oggi responsivo a suddetta lettera delFW.mo Sig. Presidente porta decisione che siano poste a disposizione del Sig. Commissario di Genova le sale dell’Università, che sono adattate all’alloggio delle truppe; Considerando che la Regia Deputazione non può entrare ad esaminare i motivi per cui S. E. il Sig. Governatore giudica non essere adattato all’alloggio militare il suggeritogli Palazzo dell’Accademia; (l) Arch. Civico, Corrispondenza 1830-33, 2 aprile 1831, n. 2696 e cfr. n. 2707, 2725, 2921 ecc. V. anche il capitolo seguente. — 278 - La Regia Deputazione si rassegna alle disposizioni superiori relative al locale dell’Università. 11 Sig. Architetto dell’Università Ippolito Cremona formerà il piano delle sale da concedersi per l’alloggio della Truppa prendendo per base la preservazione e separazione del terzo piano in cui risiede la Deputazione medesima, il Magistrato del Protomedicato, in cui esistono gli uffizi dell’una e dell’altro, gli Archivi e Biblioteca. L’Architetto prenderà inoltre le misure opportune per la preservazione ed esatta custodia dei Gabinetti. L’Ill.mo Sig Presidente Deputato al palazzo è autorizzato ad approvare il piano suddetto concertato come sopra. Omn. fav. De Marini Raffo, Segr. » (1). La deliberazione comunicata alle autorità governative deve aver fatto un certo effetto, perchè appena due giorni dopo il De Marini scriveva ufficialmente ai Sindaci che il Governatore della Divisione, nel desiderio di risparmiare al palazzo dell’università l’occupazione militare, si mostrava disposto ad adoperare in cambio il Reai Collegio dei P. Somaschi. Poiché la cosa appariva possibile, chiedeva che si prendessero gli opportuni provvedimenti (2). La faccenda evidentemente era combinata per mezzo dello Scassi appartenente ai due corpi, e non mancò il parere favorevole del Presidente Capo, nè l’appoggio del Presidente del Senato, rappresentante del Governo presso il Municipio (3); ma poiché il Governatore pose la condizione che tutte le spese per il trasporto delle truppe e per l’accomodamento dei locali dovessero essere a carico del Municipio ed era necessario il parere del Consiglio Generale, la cosa si trascinò in lungo e frattanto l’Università fu in parte occupata: tremila uomini vi trovarono alloggio (4). Tanto tenace insistenza, causa di malcontenti e recriminazioni, si aggiunse assai probabilmente alle disavventure dei rapporti col famigerato avventuriero e spione Raimondo Doria, magistralmente narrati dal Luzio, nel provocare la disgrazia e il richiamo del Venanson; ma se, non molto dopo, sedati anche i moti dell’Italia centrale, le truppe furono tolte dalPUniversità, questa rimase ancora chiusa in quegli anni dei primi tentativi e delle con- (1) Arch. Univ., Atti Deputazione studi, XV, fol. 355. (2) Arch. Civico, Spese militari, filza 1815-1849; 16 aprile 1831. (3) Arch. Univ., Atti Deputazione studi, Reg. XV, fol 365; 27 aprile. (4) Arch. Civico, Spese militari, filza 1815-1849; maggio 1931; Isnardi-Celesia, pag. 310. — 279 — giure mazziniane, di cui si cercherebbe invano qualche traccia nelle carte della Deputazione o nelle vicende dello Scassi. Che il vecchio Libero Muratore e Indipendente appartenesse alla Carboneria non si può certo affermare, ma non è impossibile; tanti erano gli affiliati anche dove meno si sarebbe creduto; e le vicende dell’arresto e del processo del Mazzini lo provano. Ma si può escludere in modo assoluto ogni rapporto con la Giovane Italia: l’età, la posizione ufficiale lo facevano ormai d’un altro mondo, di quello se mai che, rappresentato anche dalla vecchia Carboneria, era estraneo e spesso ostile alle nuove concezioni. Com' è naturale, il suo nome non compare affatto tra quelli dei compromessi o sospettati in quelle congiure, nè vien fatto durante i processi che tennero loro dietro (1). L’Università rimase chiusa anche per l’anno 1831-32, nel quale furono rinnovate le disposizioni per gli esami, e fu tassativamente proibito recarsi a studiare fuori del Regno (2), e chiusa fu egualmente nei tre successivi, nei quali però fu stabilito che lo studio della medicina e della chirurgia dovesse farsi esclusivamente a Genova; e si può credere che a questo provvedimento, dovuto alla necessità della pratica in adatti ospedali con sufficiente materiale di studio, non fosse estranea la competenza e l’insistenza di Onofrio Scassi (3). Il quale vide soddisfatti i voti suoi e dei suoi colleghi della Deputazione quando finalmente l’Università fu riaperta per tutte le facoltà, riordinate e arricchite di qualche insegnamento (4). Per quanto lenta e timida da principio, cominciava anche qui l’opera di rinnovamento e di riforma di Carlo Alberto. Ma Onofrio Scassi non era destinato a vederne i frutti. 1 verbali della Deputazione sulla fine del 35 e nel 36 lo danno quasi sempre assente: nella seduta del 22 settembre il (1) Così appare dagli studi del Neri (Patrizi Genovesi nel libro nero della polizia austriaca, in Gazzetta di Genova, 30 giugno 1920) e di Anna dal Pin {Patrizigenovesi nei processi del 33, nel voi. La Liguria nel Risorgimento)-, così risulta dall’esame delle carte dei processi compiuto dal prof. E. Passamonti {Nuova luce sui processi del 1833 in Piemonte, Firenze, 1931). (2) Arch. Univ., Atti Deputazione, Reg. XV, fol. 458; 7 novembre 1831; Biglietti Regi, Reg. Ili, fol. 117, 27 ottobre 1831; f. 130; 12 marzo e f. 140, 5 giugno 1832; Gazzetta di Genova, n. 92, 16 novembre 1831. (3) Biglietti Regi, Reg. Ili, fol. 145, 21 agosto 1832; fol. 179, 13 agosto 1833; fol. 210, 5 agosto 1834. (4) Biglietti Regi, Reg. Ili, fol. 242, 4 agosto 1835; Isnardi-Celesia, pag. 312; Lattes, pag. 35. Nel 33 si era riformato con criteri di una certa larghezza l’ordinamento delle Facoltà, specialmente nei riguardi delle nomine dei Presidi e Vice-presidi, e per le scuole inferiori era stato tolto l’obbligo della veste talare e l’esclusione dei laici; Biglietti Regi, fol. 154, 9 marzo; fol. 173, 13 agosto. - 280 - Vice-presidente, Marcello Durazzo, ne comunica la morte. Se ci siano state parole di elogio e di compianto non dice il verbale, che nell’arida insensibilità burocratica aggiunge a questo « numero » delFcrrdine del giorno: < Non occorre provvedimento » (1). Così la glaciale secchezza protocollare lasciava senza commento la scomparsa di un uomo che in tempi e momenti vari e agitatissimi, alla scuola universitaria, da lui più volte, specie nel campo della sua scienza, ordinata e diretta, aveva dato nelle più varie forme con fervido spirito il proprio operoso interessamento e l’illuminata attività. (1) Arch. Univ., Atti Deputazione studi, Reg. XVII, fol. 153; 22 settembre 1836. CAPITOLO Vili. La vita amministrativa Onofrio Scassi Sindaco e Medico Ispettore jt jt L’opera data da Onofrio Scassi negli ultimi anni della vita alla Deputazione degli Studi non rappresenta la sola sua forma di attività perchè anzi in quel momento egli ritornò alFamministrazione cittadina mentre continuava a prestare l’opera apprezzata nei consessi tecnici ai quali da tempo apparteneva, e chiudeva la laboriosa esistenza capo supremo del servizio sanitario, nella veste di Ispettore e Presidente della Giunta degli Ospedali. L’età avanzata però gli aveva fatto abbandonare l’attivo lavoro scientifico e anche la pratica professionale (1). Medico principe, ormai non esercitava la professione che in casi eccezionali in qualità di consultore o per particolari motivi di amicizia o di rapporti famigliari; così lo troviamo assistere nel 1829 più che come medico quale vero amico il marchese Cesare D’Azeglio, il padre di Massimo e di Roberto, dimorante a Genova ed ammalato d’idrope e di nervi (2). E la prestazione amichevole voleva in questi casi lasciata senza compenso (3). (1) « Cessò affatto da sette anni dall’esercizio della medicina e abbandonò la clientela » è detto in un documento del 1835; Arch. di Stato, Torino, Atti di polizia, 1835, Genova, cartella 5; e due anni prima il Brignole Sale scriveva che aveva « quasi abbandonato la sua professione restringendone l’esercizio pressoché esclusivamente alle funzioni di Medico consulente ». Cfr. lettera riportata più oltre. (2) Tononi, Il marchese Cesare D’Azeglio (biografia scritta dalla moglie Cristina Mo-rozzo) Rassegna Nazionale, 1 giugno 1884, pag. 709. (3) Così avvenne quando l’avv. Matteo Molfino volle ricompensarlo con un dono per l’assistenza a uno zio, nel 1830. A sua volta però egli inviava doni al figlio del Molfino per l’assistenza avuta da lui in una causa (Lettere in Collezione di autografi nella biblioteca Universitaria di Genova). Sul Molfino, valoroso avvocato, democratico acceso nel 1798, sindaco nel 1821, consultore giuridico del Corpo decurionale e decurione egli stesso, — 282 — Le floride condizioni economiche frutto di un attivo e proficuo lavoro, venuto ad accrescere una già agiata condizione famigliare (l), non eiano certo estranee a questa determinazione e a questo atteggiamento. Dalla vecchia abitazione al Carmine, ove lo si trova al principio della fortunata carriera, era passato ad abitare in Via Nuovissima (2) e quindi nel palazzo di sua proprietà al n. 46 di Via Nuova (3), ove dimorò sino all’ultimo e dove morì. E il 19 aprile 1816 aveva acquistato in Sampierdarena dal Principe Giulio Imperiale di S. Angelo quella villa, detta « La Bellezza s, che ancora porta il suo nome (4). Edificata da Vincenzo Imperiale intorno al 1560 su disegni forniti da Galeazzo Alessi, la villa, splendida un tempo per ornamenti artistici e per un giardino ritenuto dei più belli d’Italia, era ridotta in uno stato molto deplorevole per l’abbandono degli antichi proprietari e per essere stata anche adibita ad ospedale senza soverchia cura del suo valore artistico. Per riattarla lo Scassi affrontò ingenti spese, e, affidando a Carlo Barabino i lavori per la parte architettonica, a Michele Canzio per gli ornamenti e a Gaetano Centenaro per le plastiche, riuscì a restaurarla da cima a fondo meritandosi le lodi dei competenti e degli amatori onde potè far incidere sulla porta d’ingresso la giusta, verace iscrizione: « Onophrius Scassi dirutum refecit » (5). Altri importanti acquisti era venuto facendo in quegli anni; e ad interessi rilevanti e a pagamenti dovutigli anche dall’erario accenna una lettera di Antonio Brignole Sale, notevole specialmente per il tono amichevole e deferente, prova di quei sentimenti di stima cha il celebre marchese doveva attestargli anche più tardi volendolo collega e poi successore nella sorveglianza e nella direzione degli Ospedali. « Je vous sais gré, Monsieur et cher ami, studioso e membro della Deputazione di Storia Patria, v. Il Genio repubblicano, 1798, n. 20, pag. 86; Bornate, L'insurrezione di Genova nel marzo 1821, pag. 39; M. G. Canal E, Necrologia, 1859 (Bibl. Universitaria, Miscellanea Ligure, B. 2.7) e numerosi documenti negli Atti del Consiglio Generale 1825-27. (1) In Cogoleto, secondo l’affermazione del Casalis nel Dizionario storico, lo Scassi possedeva una cava di pietra calcare, probabilmente di eredità materna; e insieme al fratello Girolamo nel 1836 poco prima di morire vendeva alcune terre; Cfr. giornale Letimbro di Savona, 13 marzo 1931. (2) 1 registri del Censimento 1808 (Arch. Civico, Censimento 1808, Quartiere della Maddalena, n. 9450) lo danno abitante in Via Nuovissima n. 260, casa di proprietà dei fratelli Cambiaso; ancora in Via Nuovissima, n. 871, abitava nel 1818 (L’Indovino, Lunario politico filosofico dilettevole per l’anno 1818, Genova, Scionico, 1818, pag. 89). (3) Oggi Palazzo Cattaneo, al n. 8 in via Garibaldi. Abitante in Via Nuova lo dava il Censimento 1827 (Arch. Civico, Quartiere Maddalena, n. 9561). (4) Atto not. Sigimbosco, in Arch. Sauli. (5) F. Alizeri, Guida illustrata del Cittadino, II ediz., Genova 1875, pag. 649; A. Cappellini, Ville Genovesi del secolo XVI: Villa Scassi « La Bellezza », in Genova, Rivista Municipale, a. II, n. 4, aprile MCMXXXI-IX, pag. 257 sgg. La villa per sopraggiunte vicende fu poi venduta dagli eredi nel 1886 e dal 1926 è in possesso del Municipio di Genova. L’iscrizione vi è stata tolta. — 283 — de m’avoir demandé le leger service dont vous aviez besoin. Je vous ai de tout tems voué trop d’estime et j’ai trop appreciés les rapports que nous avons eus ensemble pour ne pas avoir le droit d’ésperer que vous me con-serveriez un souvenir bienveillant et que vous n’hésiteriez jamais à disposer de moi toutes les fois que vous me croiriez à mème de vous étre utile » (1). Pochi giorni dopo Girolamo Serra gli si rivolgeva con parole egualmente deferenti e affettuose presentandogli un capitano marittimo che doveva sbrigare una pratica alla Commissione di Sanità (2); e queste lettere attestano il conto in che era tenuto dai maggiori e più illustri cittadini. Questa ascensione sociale ed economica, in un uomo indubbiamente desideroso di primeggiare e in un ambiente nel quale la nobiltà riacquistava se non proprio il potere politico un posto preminente e una speciale considerazione, diede al professionista uscito dalla borghesia ed elevatosi nel rinnovamento suscitato dalla rivoluzione, l’aspirazione, naturale in quelle condizioni politiche e sociali, di coronare la propria vita col titolo nobiliare. Di qui l’istanza presentata al re Carlo Felice nel 1830 per ottenere il titolo di conte, nella quale, esposto il curricolo della vita, e degli uffici coperti, premessa la discendenza da famiglia antica e onorata, anche se non nobile, e provveduta di larga agiatezza, chiedeva gli fosse concesso « il titolo di Conte, col predicato di San Giorgio, nome col quale è chiamata la sua prin-cipal possessione posta nel Comune di Santa Giulietta, dove desidererebbe di fondare un maggiorasco a favore dell’unico suo figlio, lasciando liberi tutti gli altri stabili che altrove possiede ». La domanda diede luogo naturalmente ad un’indagine riuscita pienamente favorevole sia per la « civiltà » della famiglia così dello Scassi come della moglie sia per la condizione economica giudicata più che sufficiente a sostenere lo splendore del grado. « Ciò posto, conchiudeva la relazione del Procuratore Generale al Re, considerando che la M. V. si è mostrata inclinata a favorire simili domande, semprechè alla sufficienza delle sostanze si aggiunga la civiltà dei natali e dei parentadi, e che nel caso di cui si tratta, sarebbe anche degno di benigni riguardi il merito dei servigi renduti dal supplicante alla pubblica istruzione, è di parere potersi dalla M. V. concedere al ricorrente ed ai suoi figliuoli e discendenti maschi con ordine di primogenitura, il titolo e la dignità di Conte col predicato di San Giorgio ». E infatti il titolo nobiliare fu concesso con Regie Patenti 2 luglio 1830 che riassumevano i meriti dello Scassi, le sue pubblicazioni, le benemerenze scolastiche ed umanitarie nell’esercizio della professione (3). (1) Lettera 22 marzo 1827; Arch. Sauli. (2) Lettera 22 Luglio 1827; Museo del Risorgimento, Genova, n. 1204. (3) Archivio di Stato di Torino, Titoli di Nobiltà, Sala 14, lettera S. — 284 - Così il borghese elevatosi con la scienza e la professione si accostava ai vecchi nobili; ma questo non era ancora confondersi, per la diversità deU’origine; e quando poco dopo egli fu Sindaco rappresentò la classe donde usciva, dei professionisti e dei commercianti. L’accostamento si fece anche maggiore col figlio Agostino, natogli il 27 maggio 1815 dalla moglie Angela Saccomanno sposata il 26 gennaio 1812, il quale il 13 agosto 1834 sposò la marchesina Rosa Rivarola figlia di quello Stefano, morto nel ’27, che era stato dei cittadini maggiori e di più intensa vita politica e fratello del celebre cardinale Agostino. Un’affettuosa letizia paterna spira dalla lettera che il Conte scrive al suo uomo d’affari a Santa Giulietta informandolo del matrimonio avvenuto, delle feste, della superba illuminazione fatta in quell’occasione a Sampierdarena e incaricandolo di preparare l’alloggio per l’imminente arrivo degli sposi (1). Salito frattanto al vertice della vita cittadina vedeva soddisfatte tutte le aspirazioni e poteva misurare con orgoglio il cammino compiuto; e si può credere che attendesse con ansiosa commozione la nascita di un nipotino continuatore del nome della famiglia decorato della nuova arma gentilizia. Qui la sorte gli fu invece fieramente maligna: il bimbo nacque e portò il suo nome — il 13 agosto 1836, ma l’avo era morto da sei giorni. E il nome e il titolo erano destinati a finire con quel fanciullo nella più nobile maniera, sul campo di Montebello, il 20 maggio 1859 (2). * * * Nell’istanza a Carlo Felice per conseguire il titolo comitale Onofrio Scassi si era detto: « dottore e professore di Medicina e Decurione del-rill.ma Città di Genova ». Egli era rientrato infatti da qualche anno nella vita cittadina riprendendo in forme nuove, secondo le mutate situazioni, un’attività da tanto tempo intermessa. L’ordinamento amministrativo stabilito dalle Regie Patenti 30 dicembre 1814 e dal conseguente regolamento del 1815 aveva avuto una breve interruzione nel 21 quando la Giunta Provvisoria di Torino, abolito il Decurionato genovese, aveva creato un Consiglio Municipale di tre Sindaci e di ventisette Consiglieri (3). Contro questo provvedimento i due Sindaci in carica mossero una formale protesta dichiarando che non intendevano affatto opporsi (1) Lettera 9 agosto 1834; Bibl. Universitaria di Genova, Collezione di autografi. (2) Con R. Decreto 28 giugno 1906 fu concesso ai fratelli Ambrogio e Onofrio Sauli, nati dalla figlia di Agostino Scassi, di aggiungere al proprio anche il cognome materno. (3) Gazzetta di Genova, n. 27, 4 aprile 1821, pag. 100; Bornate, L'insurrezione di Genova nel Marzo 1821, pag. 58. - 285 — agli ordini delle nuove autorità politiche ma che erano tenuti a quell’atto, verso un provvedimento che ritenevano intempestivo, dal dovere di tutelare i diritti dei colleghi Decurioni. « La città di Genova, affermavano, non avrebbe dovuto nell’attuale interino stato di cose essere privata di un Corpo, il quale aveva formato parte sostanziale d’un trattato politico e d’una conseguente particolare e solenne concessione » (1). Importanti parole queste perchè indicano il costante atteggiamento che di fronte al governo di Torino Genova assume in tutte le occasioni trincerandosi dietro le difese rappresentate dalle decisioni del Congresso di Vienna, che il governo piemontese, qualunque fosse, non avrebbe potuto di sua iniziativa mutare. Posizione di tutela e di difesa dietro la quale riparano gli ultimi avanzi o piuttosto i tenaci ricordi dell’antica autonomia. Il precipitare degli eventi non permise che il nuovo corpo municipale entrasse in funzione e, ristabilita la calma, fu ripreso l’ordinamento anteriore. Ma era una vita stentata; i consigli non raggiungevano mai il numero legale nelle assai scarse riunioni — tre all’anno le ordinarie per il Consiglio Generale —; gli eletti alle varie cariche spesso « si scusavano »; la ristabilita distinzione delle classi era causa di gelosie e di malcontenti. Luigi Carbonara, l’insigne giurista che aveva attraversato non inutilmente, vivamente partecipandovi, tutta la vita politica dalla fine della repubblica aristocratica e che come Presidente del Senato doveva convocare e presiedere i Consigli e sorvegliare tutta l’amministrazione, e vi ebbe infatti parte principalissima, prospettò in una sua Memoria questi inconvenienti. Le sue osservazioni, commentate e discusse a Torino, determinarono la riforma ordinata con le Regie Patenti 21 settembre 1824. Aveva essa per iscopo di diminuire la distanza e gli attriti tra i partecipanti all’amministrazione cittadina, eguagliando nei diritti i Sindaci delle due classi, togliendo ogni distinzione tra gli elementi costitutivi della seconda classe, mentre la rigorosa sostituzione degli assenti per abitudine o per larvata opposizione e la proroga a tre anni della carica di Sindaco e a due di quella di ragioniere dovevano rendere più spedita e più efficace l’opera amministrativa (2). La proposta del Carbonara di ridurre il numero dei Decurioni non era stata approvata perchè contrastante con le norme fondamentali imposte dal Congresso di Vienna; ma neppure era stata accolta, forse perchè troppo ardita, l’altra contenuta nella relazione di M. S. Provana e attestante un’acuta e serena concezione della realtà presente e delle conseguenze del gran turbine sociale non invano passato, di togliere cioè qualunque distinzione (1) Arch. Civico, Registro corrispondenza 1820-21, n. 451, 455, 461 bis. (2) V. sopra, pag. 239. Nel 1827 anche l’ufficio di primo ragioniere fu portato a tre anni; Gazzetta, 28 febbraio 1827, n. 17. — 286 — tra i Decurioni. Rimasti divisi in due classi, si procedette soltanto a coprire i sei posti vacanti, secondo che l’ordine regio aveva stabilito. 11 Consiglio Generale fu convocato a questo scopo nella prima seduta ordinaria, il lo aprile 1S25, e procedette alla designazione dei membri di ciascuna classe; furono candidati per la seconda Onofrio Scassi, Luigi G B- Rapallo, Cesare Parodi, Gaetano Marrè, Nicolò Ardizzoni, Antonio Mongiardini e l’avvocato Giuseppe Bontà. È degna di nota e, per quanto mi pare, non casuale la coincidenza della candidatura Scassi al decurionato con la presenza di Antonio Brignole Sale al sindacato (1). Era probabilmente una nuova attestazione della stima e dell’amicizia dell’insigne patrizio per il suo illustre concittadino. Lo Scassi e l’avv. Parodi furono eletti a primo scrutinio avendo riportato entrambi 34 voti favorevoli e 20 contrari; seguivano Rapallo e Bontà, e un secondo scrutinio fra questi due diede la prevalenza al primo (2). 1 tre nomi, con quelli degli eletti della prima classe, dovevano essere sottoposti all’approvazione sovrana; ma prima occorreva accertarsi dell’accettazione degli eletti. Perciò i Sindaci, con lettera del 18, uniforme per i tre designati, comunicarono la nomina rallegrandosi « dell’acquisto di così degno Collega s, esprimendo il desiderio di « conoscere se V. S. lll.ma sia disposta ad accettare la carica meritamente conferitale » ed augurandosi che la risposta fosse conforme al voto del Consiglio Decurionale (3). E così fu, infatti, perchè i tre eletti compaiono da ora innanzi nel consiglio a cominciare dalla seduta del 13 maggio nella quale il loro giuramento costituì appunto il primo numero dell’ordine del giorno (4). Da questo momento — la nomina era vitalizia — Onofrio Scassi appartenne ai Decurioni e i verbali delle adunanze del Consiglio Generale lo danno costantemente presente confermando la scrupolosa cura sempre posta da lui in ogni ufficio e in ogni incombenza. Meno facile è vedere, per il carattere generico e sommario di quei verbali che raccolgono soltanto le decisioni, la parte presa nelle discussioni e l’influenza esercitata. Ma non scarse certamente, se subito, sin dalla prima comparsa nell’assemblea, il suo nome era posto in votazione per le specifiche cariche municipali che, previo sorteggio, si rinnovavano ogni anno per metà (5). L’arida forma schematica di questi (1) Gazzetta di Genova, 10 marzo 1824, n. 20, pag. 77; Arch. Civico, Registro Consiglio Generale 1815-1828, 16 dicembre 1824. Col Brignole Sale fu sindaco di seconda classe Luigi Morro, sul quale v. Gazzetta, 1839. Nel 1824 era stato Sindaco Stefano Rivarola, poi Presidente della Deputazione degli Studi. (2) Arch. Civico, Registro Consiglio Generale 1815-1828, pag. 285. (3) Arch. Civico, Registro corrispondenza 1825-27, 18 aprile 1825, n. 716. La comunicazione allo Scassi firmata dai Sindaci in Arch. Sauli. (4) Arch. Civico, Registro Consiglio Generale 1815-1828, pag. 298. (5) Registro corrispondenza, 1825-27, Lettera 16 dicembre 1825, n. 1164, a S. E. Luigi Carbonara sulle modalità delle nomine. - 287 — atti impedisce di penetrare in quella vita amministrativa, nelle lotte dei partiti e di persone o di tendenze che non dovevano mancare; lo si può arguire anche dal fatto che per tre anni ad ogni votazione lo Scassi è proposto ma non ottiene la maggioranza e il numero dei votanti dall’un lato e dall’altro lascia intravvedere la costituzione di due forti nuclei in contrasto, di forze quasi eguali, o fossero le due classi contrapposte (rilevarlo non è possibile perchè è dato il numero complessivo non il nome dei votanti) o gruppi di carattere personale o l’unione dei più anziani che si opponeva all’elezione di uno tra i più recenti o infine l’avversione dei più intransigenti verso coloro che si erano piegati per convinzione o per opportunità a servire il governo piemontese (1). Ma forse la spiegazione di quegli scarsi successi elettorali durati quanto il sindacato di Antonio Brignole Sale sta precisamente in questa carica e nei rapporti fra i due uomini. La fredda e compassata redazione dei verbali lascia trapelare talvolta una profonda diversità di vedute nelle questioni economiche, specialmente in riguardo ai mezzi finanziari occorrenti per le grandi opere edilizie in corso, tra il Brignole Sale ed altri, massime nobili, come Vincenzo Serra e Alessandro Pallavicini, amministratori più timidi o più conservatori di lui. E la sola elezione riuscita favorevole allo Scassi sembra confermare questa supposizione; si trattava infatti di nominare una commissione di sei incaricata di preparare un progetto di prestito per quelle opere pubbliche. È assai probabile che gli avversari ne lasciassero il peso ai sostenitori del Brignole o che questi riuscisse premendo a far nominare i suoi amici (2). Nell’agosto 1828 entrarono in carica i nuovi Sindaci Gian Benedetto Pareto e Giacomo Pizzorno; il 16 dicembre nelle elezioni del Consiglio Generale per coprire i posti vacanti di Provveditore, Onofrio Scassi riusciva eletto con 33 voti favorevoli e 21 contrari, e con lui G B. Penco egualmente della seconda classe, Pietro Vivaldi Pasqua, Tommaso Spinola e anche Gaspare Sauli della prima (3). Il novatore e il cospiratore del 1793 e 94, l’unitario degli anni succes- (1) Ecco i risultati di quelle elezioni: 1825, 13 maggio, rinnovazione edili voti favorevoli 29 contrari 31 23 dicembre, al Consiglio dei Ragionieri » » 25 » 34 1826, 3 gennaio, al Consiglio Particolare » » 22 » 32 29 dicembre Edili » » » 19 » 34 29 dicembre, Protettori dei pii stabilimenti » » 23 » 30 29 dicembre, Consiglio Particolare » > 20 » 29 1827, 23 agosto Edili » y 24 » 27 17 dicembre Ragionieri » » » 18 » 33 17 dicembre Consiglio Particolare » » 24 » 27 Arch. Civico, Registro Consiglio Generale, 1815-1828. (2) Registro Consiglio Generale, 1815-1828, 16 dicembre 1826, pag. 382. (3) Registro Consiglio Generale, 1828-1835, pag. 60, 22 dicembre 1828. — 288 — sivi, passato poi in seconda linea nella vita politica, riappare, non si saprebbe se rassegnato o deluso, nella ristretta vita amministrativa della sua città; forse accanto a lui era più soddisfatto il medico che aveva nutrito meno ardenti ideali nella giovinezza e lento e misurato era sempre salito nella vita. Della nuova nomina i Sindaci gli davano partecipazione con lettera del 29 dicembre invitandolo ad assumere col nuovo anno l’ufficio (1). In questo modo lo Scassi entrava anche nel Consiglio Particolare e, a cominciare dalla prima adunanza del 1829, fu assiduo e puntuale a tutte le sedute; ma i verbali, anche più scheletrici di quelli del Consiglio Generale e privi di qualunque indicazione di persone, nulla dicono della sua attività nelle questioni di minore importanza e di ordinaria amministrazione che al Consiglio spettavano (2). Accanto ai Sindaci che sorvegliavano e dirigevano tutta l’amministrazione, era quella dei Provveditori la magistratura più importante e più grave poiché le spettava la sorveglianza su tutta la parte economica particolarmente difficile in quei tempi, appunto per le enormi spese e peri complessi rapporti finanziari col governo a cagione delle opere pubbliche e di abbellimento e rinnovamento cittadino, assai numerose e importanti, cominciate sotto l’ardito impulso del Brignole Sale (3). Spettava ai Provveditori anche la sorveglianza annonaria con la cura dei problemi che sogliono esserle connessi. Così, considerati gli effetti dell’abolizione delle mete o calmieri sui viveri, sui combustibili, sui generi di consumo, avvenuta nel 1825, i Provveditori del 29 ne deliberarono il ripristino « per reprimere l'avidità dei venditori dei generi di prima necessità, perchè i prezzi siano corrispondenti al reale valore dei medesimi e ad un proporzionato lucro dei bottegai » (4). Le difficoltà e le preoccupazioni maggiori erano però sempre nel provvedere ai mezzi economici e sorvegliare le entrate e le spese, forti in questi anni di intensi lavori pubblici. É infatti questo un momento nel quale, accanto agli innegabili e profondi errori d’incomprensione psicologica, di rigida pesantezza burocratica, di grave pressione fiscale da parte del governo piemontese, c’è stato anche qualche notevole beneficio nel campo della (1) Registro Lettere 1828-29, n. 1239, 29 dicembre 1828. La comunicazione ufficiale firmata dai Sindaci in Arch. Sauli. (2) Arch. Civico, Registro Consiglio Particolare 1815-1831, c. 360 sgg. Delle sedici adunanze tenute complessivamente negli anni 1829-30 lo Scassi fu assente una volta sola, il 18 novembre 1829, quando si presero provvedimenti proprio in materia d’istruzione e di pubblici insegnamenti. (3) Il Sindacato del fiero marchese è perciò dei più importanti del tempo. Fu interrotto dal maggio al novembre del 1826 per la sua missione di rappresentante del Piemonte all’incoronazione dello zar Nicolò I; Gazzetta di Genova, n. 40 e 89, 20 maggio e 8 novembre 1826, (4) Gazzetta di Genova, n. 39, 16 aprile 1829. — 289 — vita commerciale e marinara e nella trasformazione edilizia della città. E non è privo di curiosità e di interesse vedere il nome di Onofrio Scassi congiunto anche a questa parte della vita cittadina. L’accresciuta potenza della marina sarda, alla quale la Camera di Commercio di Genova aveva contribuito con la costruzione della fregata Commercio di Genova, aveva favorito la libertà dei traffici marittimi. A sua volta il felice risultato della spedizione del 1825 contro il bey di Tripoli, alla quale tanti genovesi, primi Francesco Sivori, Giorgio Mameli e Paolo Della Cella avevano preso parte illustrandosi (1), si ripercuoteva con benefiche conseguenze sui rapporti tra il Piemonte e Genova che da quel prestigio navale, confermato dalle spedizioni del 1830 e 1833 sulle coste tunisine (2), ritraeva il più immediato vantaggio. E mentre cominciavano le prime notizie e le prime discussioni e i timidi accenni alla possibilità della navigazione a vapore e della costruzione di strade ferrate (3), si accrescevano le cure per le strade comuni e i valichi appenninici; e l’apertura del porto di Odessa al commercio, le iniziate relazioni con la Russia meridionale e il trattato conchiuso con la Sublime Porta nel 1825 sembravano riaprire le vecchie vie e alimentare liete speranze al commercio genovese in oriente (4). Allo stesso anno 1825, che fu pieno di movimento e vide anche numerose visite regali (5), risale il principio del rinnovamento edilizio che doveva comprendere la soluzione di due problemi. Da un lato l’accrescersi della popolazione richiedeva l’ampliamento della città verso i sobborghi e le alture, (1) Gazzetta di Genova, 26 ottobre 1825, n. 86 e 9 novembre, ri. 90; E. Prasca, L’Ammiraglio Giorgio De Geneys e i suoi tempi, Pinerolo, 1926, pag. 310 sgg.; Comandante Guido Po, L'ammiraglio De Geneys, Boliett. dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore, maggio 1929, pag. 212 sgg.; G. Gonni, Nel centenario della spedizione navale di Tripoli, Genova, F.lli Pagano, 1925; C. Mioli, La Consulta dei mercanti genovesi, pag. 86 sgg. (2) G. Gonni, La Regia Marina Sarda sulle coste di Barberia-, Boll. dell’Ufficio Storico, 1 aprile 1930, e Una squadra Sardo-Napoletana a Tunisi nel 1833, ibid., 1 ottobre 1930; P. Grandchamp, Les différends de 1832-33 entre la Régence de Tunis et les Royaumes de Sardaigne et des Deux Siciles, Tunis, Imprimerle J. Aloccio, 1931. (3) Fin dal 1826 alcuni banchieri e mercanti genovesi, primi in Italia, appoggiati dalla Camera di Commercio chiesero di costituirsi in Società per la costruzione di tronchi ferroviari; cfr. A. Codignola, Dagli albori della libertà al proclama di Moncalieri, Biblioteca di Storia Italiana Recente, voi. XIII, Torino, 1931, pag. 54. Altre proposte saranno fatte a Carlo Alberto nel 1832; F. Salata, Carlo Alberto inedito, Milano, Mondadori, 1931, pag. 139. (4) Gazzetta di Genova, 27 maggio 1820, pag. 173; 16 ott. 1822, pag. 227; 5 marzo 1825, n. 19; 4 maggio 1825, n. 36. Sulle iniziative e gli intendimenti di Raffaele Scassi per quelle relazioni commerciali v. Appendice. (5) Convennero, oltre al Re Carlo Felice, i reali di Napoli e l’imperatore d’Austria; Gazzetta, n. 45 sgg.; giugno-luglio 1825. In quell’occasione, se si deve credere al delatore Raimondo Doria, Giuseppe Mazzini e G. B. Castagnino giovanissimi avrebbero accarezzato il disegno di un attentato all’imperatore Francesco e al Metternich che lo accompagnava; Luzio, Mazzini carbonaro, Torino, Bocca, 1920, pag. 35. >9 290 dall’altro bisognava sistemare il centro con un edificio del quale il decoro cittadino sentiva la mancanza. 11 progetto di ampliamento su piani di Carlo Barabino fu approvato con editto del luglio 25 e con esenzione di tasse per 11 anni ai nuovi edifici (1) mentre si deliberava la creazione del nuovo teatro e delle vie di accesso al centro della città. Da parecchi anni Genova sentiva necessario al suo decoro un teatro che non fosse troppo inferiore a quelli delle maggiori città italiane; ma i tentativi fatti in proposito erano sempre falliti (2). Finalmente con Regie Patenti 21 dicembre 1824 Carlo Felice aveva nominato una commissione composta del governatore, dei due Sindaci Stefano Rivarola e Giovanni Quartara e di ventiquattro persone probe e facoltose perchè provvedesse nel più facile modo alla costruzione di un nuovo teatro che fosse per quanto si poteva di comoda ed elegante forma (3). 1 Sindaci proposero al Consiglio Generale che la costruzione sorgesse nella piazza San Domenico, a condizione che il teatro appartenesse alla città. Vinte le difficoltà di carattere religioso per il luogo assegnato, prima appartenente al convento di S. Domenico, per la sistemazione della piazza e la costruzione dell’edificio furono accolti i progetti di Carlo Barabino, resi esecutivi col piano finanziario e dichiarati di pubblica utilità con approvazione sovrana nell’agosto. Appaltati i lavori nel gennaio successivo, alla fine di marzo si poneva la prima pietra del teatro che fu poi inaugurato, presenti i Sovrani, il 7 aprile 1828 con l’opera Bianca e Ferdinando del Bellini, cui seguirono il Barbiere e YOtello del Rossini. Splendide feste accompagnarono il lieto avvenimento (4); il teatro fu intitolato al Re, il governatore Ettore D’Yenne su proposta dei Sindaci fu nominato Decurione onorario per le benemerenze acquistate con l’aver favorito il soddisfacimento dell’antico voto cittadino (5). Ma dopo le feste vennero le difficoltà, soprattutto di carattere econo- (1) Collezione di Editti ecc., Voi. XXII, pag. 68, 19 luglio 1825. L’anno dopo era creata a sorvegliare i lavori una commissione artistica edilizia; ibid, Voi. XXIII, pag. 169 e XXIV, pag. 3 sgg. (2) Banchero, Genova e le due Riviere, pag. 568. Numerosissime notizie sui teatri nel secolo XVIII nei quattro volumi sui Dogi genovesi dal 1699 al 1797 e la vita del tempo del P. Luigi Levati. (3) Gazzetta di Genova, n. 3, 8 gennaio 1825, pag. 11; M. Staglieno Sulle relazioni tra la direzione dei teatri, la città di Genova e gli assegnatari dei palchi al teatro Carlo Felice, Genova, 1881, pag. 6 e 21; G. B. Vallebona. Il Teatro Carlo Felice. Cronistoria di un secolo, 1828-1928, Genova, 1928, p. 2. (4) Gazzetta, 13 agosto e 15 ottobre 1825; 21 gennaio, 29 marzo 1926; 2 giugno 1927, marzo-maggio 1928. Le feste dell’inaugurazione sono descritte nei n. 29, 30, del 9 e 12 aprile 1828; cfr. Staglieno, pag. 9 sgg.; VALLEBONA, pag. 7 sgg. (5) Gazzetta, n. 60, 26 luglio 1828. L’Yenne era a Genova dal ’22; ibid. n. 89 6 novembre 1822, pag. 350. - 291 — mico; e a quelle che il teatro arrecava si aggiungeva il costo della nuova via che si era aperta e che doveva portare lo stesso nome del Re (1). La discussione per i relativi provvedimenti ha dovuto essere molto aspra a giudicare da quanto trapela dall’arido schematismo dei verbali; agitata e confusa anche per il conflitto subito delineatosi tra l’amministrazione cittadina e la Deputazione del teatro. La commissione finanziaria, della quale anche lo Scassi era stato chiamato a far parte, aveva proposto un progetto di prestito per lire nuove un milione e sessantaquattromila da estinguersi in venti anni. Il governo aveva approvato il progetto e a sua volta aveva erogato duecentomila lire per le spese della via Carlo Felice e centomila in due riprese per il teatro (2). Al principio del ’29 tutte le spese per il teatro erano saldate (3), ma rimanevano da un lato gli interessi del prestito, dall’altro le spese di esercizio per le quali l’annua dotazione derivata dalla somma pagata dai palchettisti appariva insufficiente e doveva essere continuamente accresciuta (4). È stato un onere gravissimo che ha pesato a lungo sul bilancio comunale ed ha provocato frequenti interventi governativi mentre urgevano necessità di altri lavori straordinari che determinavano, insieme a proposte di non sempre opportuna economia (5), un nuovo prestito di 160 mila lire vivamente combattuto dai Decurioni, i quali ritenevano assurdo che la città, proprietaria del teatro, non ne avesse l’esercizio e avversavano l’apposita Deputazione (6). Più che economica la questione era perciò di dignità cittadina e di autonomia amministrativa. In questo momento, mentre difficile e confusa è la situazione finanziaria e la città in periodo di fervido rinnovamento (7), il neo conte Scassi giunge alla più alta carica cittadina. (1 ) Gazzetta, n. 21, 15 marzo; n.98, 9 dicembre 1826. (2) Gazzetta, n. 17, 28 febbraio 1827; n. 100, 15 dicembre; Archivio Civico, Registro Consiglio Particolare, 1815-31, 19 luglio 1831. (3) Registro Consiglio Generale, 1828-35, c. 89, 24 aprile 1829. (4) La dote iniziale di lire 22.550 era già salita a 48.500 nel 1832; Vallebona, fi Teatro Carlo Felice, pag. 19. (5) Per economia, il Consiglio chiede al Re la diminuzione del sussidio dovuto all’Albergo dei Poveri, ma la richiesta è respinta; ibid. c. 77 e 121,26 marzo e 16 dicembre 1829. (6) Consiglio Generale 1828-35, c. 35, 16 agosto 1828; c. 117, 16 dicembre 1829 e 133, 13 gennaio 1830; Staglieno, Sulle relazioni, ecc., pag. 15. Fu specialmente per questo prestito che apparve grave il dissidio fra il Brignole Sale che lo aveva proposto e gli oppositori. (7) È del 1818 il rifacimento, dovuto a Carlo Barabino, del Palazzetto criminale destinato all’Archivio di Stato riordinato (Gazzetta, n. 27, 28 febbraio 1818, pag. 65; Compilazione degli editti e patenti ecc. t. V, pag. 245; t. VI, pag. 209; t. XXV, pag. 168); del 1823 l’apertura della nuova passeggiata delPAcquasola (Gazzetta, 24 maggio 1823, pag. 167; 18 ottobre pag. 335). 292 - Già nel dicembre del ’29, dimessosi per ragioni di salute l’avv. Piz-zorni, egli è nella terna proposta dal Consiglio Generale per la nomina a Sindaco della seconda classe nel resto del triennio. Ha però soltanto 12 voti contro 13 a Giovanni Quartara e 23 a Francesco Ricci. Diversamente dal solito, il Re non sceglie colui che ha riportato maggior numero di voti ma il banchiere Quartara (1). Trascorre un anno: anno sonnolento se si sta alle notizie ufficiose della Gazzetta e ai verbali dei consigli e nel quale ciò che sembra occupare di più sono le questioni finanziarie per le opere pubbliche e le dispute teatrali; ma è l’anno della rivoluzione parigina, del lavorio sotterraneo dei Carbonari, delle mene e delle delazioni di Raimondo Doria, dell’arresto del Mazzini e della morte di Jacopo Ruffini. Eppure di tutto questo si cercherebbe invano un cenno anche indiretto negli atti della vita amministrativa. Nell’agosto, morto il D’Yenne, viene ad assumere le funzioni di governatore il conte Trinchieri di Venanson che si lascia persuadere e abbindolare dal Doria, causa della sua rapida disgrazia e della breve permanenza a Genova (2): sotto il suo governo, appunto, Onofrio Scassi è eletto Sindaco. Ma anche nei tre anni dell’amministrazione di lui, comprendenti il periodo del moto nell’Italia Centrale, della prima diffusione della Giovane Italia, delle congiure e degli arresti del ’33, nessun riferimento di qualche rilievo alla vita politica e ai fremiti rivoluzionari, negli atti amministrativi. È la vita ufficiale che si svolge alla superficie e che sembra, almeno negli atti pubblici, ignorare le profonde correnti sotterranee e rivoluzionarie. In questa vita ufficiale lo Scassi appare ormai sempre in prima linea. Quando nel marzo 1830 i sovrani vengono da Nizza sul vascello Carlo Felice « il Magistrato di Sanità si rese sollecito di inviare il suo vice presidente cav. Onofrio Scassi, il quale, nell’ammettere gli augusti sovrani a libera pratica, ebbe l’onore di complimentarli sul prospero loro stato di salute » (3); e nel novembre dello stesso anno, in occasione dell’onomastico del Re ancora presente a Genova, assiste a tutte le cerimonie religiose e al ricevimento a (1) Consiglio generale 1828-35, c. 123, 16 dicembre 1829; c. 133, 13 gennaio 1830. Il Quartara già appartenente al corpo legislativo nell’età napoleonica e al governo provvisorio nel 1814, era designato dal Frizzi come seguace dell’indipendenza. Era stato presidente della Camera di Commercio, poi Sindaco nel 1820, nel breve periodo costituzionale del '21 e nel '24. Nel ’31 fu primo ragioniere; morì il 21 marzo 1844; dr. Necrologia di G. B. F. Raggio (Bibl. Soc. Lig. di St. Patr. Miscellanea B. 5.7. 62). (2) Gazzetta di Genova, n. 49 sgg., 19-30 giugi. ; airi > il 2 agosto (suppl. al n. 62, 4 agosto) e tenne un discorso al corpo decurionale (n. o3, ’ osto). Sulla sua opera politica nei rapporti col Doria e coi Carbonari, v. Luzio, Mazzini arbonaro. (3) Gazzetta di Genova, n. 23, 20 marzo 1830. — 29 3 - Corte e alla serata di gala al* nuovo teatro dove ai Sovrani e al Principe di Carignano, venuto appunto per l’occasione, « furono presentati rinfreschi dal signor Marchese Benedetto Pareto Sindaco di prima classe e dal Decurione Signor Conte Onofrio Scassi rappresentante il Sindaco di seconda classe cav. Quartara assente (l) ». Egli esercita dunque di fatto le funzioni cui sarà presto chiamato. Col 1830 appunto scade il triennio degli uffici: il 16 dicembre il Consiglio Generale proce^ alle terne da presentare al Governo per la designazione dei Sindaci; nella ima classe sono indicati Francesco Doria Lamba con 28 voti, Alessandro Pallavicino e Fabio Pallavicini con 13; nella seconda Onofrio Scassi ha 25 voti, 13 Francesco Massone, 12 Giovanni Quartara (2). Comunicato l’esito.al Conte Giacinto Borelli, Presidente del Senato e Regio Commissario presso il Corpo Decurionale, egli riferisce il 29 che il Re ha nominato i due designati col maggior numero di voti e fissa la cerimonia dell’insediamento dei nuovi Sindaci per il giorno 3 gennaio a un’ora pomeridiana; e il giorno 5 essi gli mandano il verbale dell’avvenuta cerimonia (3). Poi, previo accordo col Regio Commissario e con l’assistenza di lui, convocano il 25 gennaio il Consiglio Particolare e tre giorni dopo il Generale, in cui il Doria Lamba anche a nome dello Scassi ringrazia i Decurioni dell’onorifica designazione ed esprime il proposito e la speranza dei Sindaci di meritarsi la benevolenza dei colleghi (4). Non è stato davvero una sinecura quel triennio di sindacato. Se poteva essere una soddisfazione per lo Scassi, salendo al governo della città, vedere attuato con l’istituzione del registro civico quell’ordinamento anagrafico che tanti anni prima egli aveva richiesto invano (5), le difficoltà finanziarie da superare e la delicatezza dei rapporti con le autorità governative locali e centrali hanno messo a dura provala sua abilità, la sua prudenza e il suo tatto. Appena insediati, i Sindaci si trovano innanzi la difficoltà del nuovo prestito per il quale si è chiesta l’autorizzazione. Gli uffici competenti di Torino approvano il bilancio preventivo 1831 ma sospendono sul prestito ogni deliberazione; quindi insistenze, relazioni, lettere esplicative per ottenere la concessione indispensabile all’assestamento delle finanze. Finalmente il (1) Gazzetta di Genova, n. 89, 6 dicembre 1830. (2) Arch. Civico Consiglio Generale 1828-35, c. 185. (3) Archivio Civ., Registro Corrispondenza 1830-33; lettere n. 2522, 2540, 2548: 17-30 dicembre 1830, 5 gennaio 1831; Gazzetta di Genova, 31 dicembre 1830. (4) Archivio Civ., Registro Consiglio Generale 1828-35-, c. 200 segg.; 28 gennaio. (5) Collezione degli editti e patenti, voi. XXV, pag. 161; Gazzetta di Genova, 23 luglio 1827. Con le Regie Patenti del 24 era stata anche disposta la istituzione di un archivio per conservare le carte della città. A 294 - prestito di 300 mila lire è concesso (1). Ma subito si affacciano nuove difficoltà: si deve provvedere con le somme così ottenute ai più urgenti lavori in corso; se il Ministero delle Finanze comincia a chiedere, come accenna a fare, la restituzione a rate del prestito di 200 mila lire che il tesolo dello Stato ha fatto alla città sarà necessario rallentare il ritmo dei lavori. Altre lettere perciò al R. Commissario, al Governatore, ai Ministri a Torino e come conclusione la dilazione al pagamento della prima rata di L. 12.500 di quella restituzione (2). Lettere e trattative queste che confermano la costante e delicata tensione di rapporti fra le autorità locali e le centrali, coperta sempre e ammorbidita dall’ossequiosa cortesia delle forme; ma che provano insieme un’altra cosa: quando le questioni arrivano alla personale decisione del sovrano, specialmente dopo l’avvento di Carlo Alberto, la soluzione riesce favorevole a Genova; riprova anche questa della politica di attrazione e di accostamento alla città ancora sospettosa e riottosa seguita dal Re, talora anche contro le avversioni degli ambienti nobiliari e burocratici di Torino (3). Così accade anche a proposito di altri lavori urgenti resi necessari dal bisogno di ampliare la città e di trovar posto ali’accresciuta popolazione, favorendo insieme i rapporti coi sobborghi e coi centri abitati più vicini. Nel novembre 1831 i sindaci presentano ai ministri, allora a Genova col nuovo re Carlo Alberto, un memoriale a dimostrare la necessità di uno stabile ponte in muratura sul Bisagno per un più facile accesso alla strada regia verso la Toscana e per agevolare le comunicazioni coi paesi finitimi. I due ponti preesistenti sono crollati nella piena del fiume del 1822 e sostituiti da provvisori e pericolosi ponti in legno. La città ha già stanziato allo scopo 68 mila lire, il resto sarà dato dalle altre comunità interessate. Si chiede perciò l’approvazione del progetto e il permesso di cominciare i lavori. « Gli avvenimenti politici dell’anno scorso hanno impeditosi mettesse mano nel corrente 31 ad un lavoro di cui da gran tempo è riconosciuta la necessità. Le circostanze essendo ora divenute meno contrarie alle arti della pace, sembra che un tale lavoro possa iniziarsi nel 1832 ». Poiché sono stati invitati dal Re ad esporgli i bisogni della città, i Sindaci domandano che il Governo destini a un’opera tanto necessaria le 200 mila lire prestate nel 1827 e delle quali si dovrebbe nel prossimo anno cominciare la restituzione. La deliberazione relativa è presa nel Consiglio dei Ministri del 14 febbraio 1832 e Carlo Alberto ne parla nel suo Diario come (1) Archivio Civico, Registro Corrispondenza 1830-33; n. 2547, 2563, 2675 ecc.; 5, 15-26 gennaio 1831. (2) Archivio Civ., Registro Corrispondenza 1830-33; n. 2669 sgg., 10 marzo sgg.; n. 2735, 23 aprile 1831. (3) Codignola, Dagli albori della libertà ecc., pag. 104 e passim. - 295 - dell’argomento più importante di quella seduta. In realtà il Re dichiara di non essere stato sulle prime favorevole a cagione della spesa « mais la ville de Qènes me mit dans l’impossibilité de réfuser, ayant arrangé les choses de telles fa^ons que toutes les difficultés de tous les genres ont été éplanies, mème celles d’argent » (1) Lo stesso memoriale in cui si parla del ponte propone l’apertura di una strada carrozzabile, tale da permettere ai carri e ad ogni sorta di veicoli l’accesso al porto franco e alla dogana, in modo da lasciar libera l’unica attualmente praticabile e sempre ingombra anche con pericolo dei cittadini. Il memoriale accenna a precedenti progetti rimasti inattuati per eccessiva grandiosità e afferma che la soluzione più modesta e pratica sarebbe quella di mettere in comunicazione il porto franco con la porta di San Tommaso: è cioè il primo accenno a quella che sarà la via Carlo Alberto. Quanto ai mezzi finanziari propone di conservare il pedaggio della strada dei Giovi o di imporre un piccolo diritto sulle merci caricate direttamente sui carri al porto franco o in dogana (2). Effettivamente sin dal 22 Carlo Felice aveva nominato una commissione per la nuova via da costruire incaricandola di segnarne il tracciato. Ma neanche ora la questione è risoluta, nonostante l’interessamento del Re « J’ai ordonné aux Syndics (scrive nel suo Diario il 4 dicembre 1831, a Genova) de m’envoyer à Turin le pian et les devis de la route commerciale qu’on avait projeté pour que les chariots pussent aller jusqu’au port frane et à la place de Banchi; ce qui serait d’un avantage immense pour le commerce, ce qui diminuirait de grands frais, ainsi que le nombre de ports-faix beau-coup trop considérable dans une ville de guerre, et ce qui détruirait aussi l’encombrement des mulets. J’ai dit aux Syndics que je compte qu’on tra-vaille au plutòt à cette route » (3). Questi buoni propositi furono soppraffatti da altre urgenti necessità e la strada fu effettivamente deliberata e cominciata, appunto sulle direttive segnate dai due Sindaci di questo triennio, poco dopo la loro uscita di carica, nel 1835 (4). Altri lavori stavano egualmente e anche più a cuore al Re. « J’ai aussi ordonné — egli continua — au Génie militaire de m’envoyer à Turin les plans et les devis de la place d’armes et des deux Casermes qu’on construira dans tout l’espace compris entre PEglise de Carignan, la mer et le Bisagno: voulant, s’il est possible, faire commencer les travaux de ce hiver mème, pour (1) F. Salata, Carlo Alberto inedito, pag. 192. (2) Memoriale 18 novembre 1831 inserito nel Registro Corrispondenza 1830-33 fra le lettere 2974 e 2975. (3) F. Salata, Carlo Alberto inedito, pag. 58. (4) Compilazione degli Editti e Patenti ecc., Voi. XXXX, pag. 127 sgg., 4 agosto 1835. — 296 — fa>re travailler les malheureux E due mesi dopo: « D’après toutes les re-présentations de l’Amirauté, j’ai donné l’ordre de terminer le mòle du port de Gènes qui rendra ce mème port parfaitement sùr, mème pour les plus grands bastiments de guerre, tandis qu’il ne l’est nullement maintenant. Qa occasionnera une dépense de 180000 francs, dont 100 seront payés par la ville de Gènes et 80 par les finances » (1). Egli non accenna però alle difficoltà che hanno preceduto questa intesa e determinato una vasta e intralciata corrispondenza. Mentre il Comune insiste sui lavori proposti, il Governo vuole invece che la precedenza e quindi i maggiori mezzi finanziari siano dati a queste nuove opere del prolungamento del molo vecchio; invita anzi la città a versare le 180 mila lire necessarie. Ma i Sindaci resistono: impossibile affrontare spese così ingenti a meno di non essere contemporaneamente sgravati di altri obblighi verso il fisco o di sospendere qualunque altro lavoro in corso. Le lettere in proposito assumono anche talora un tono vivace di resistenza a eccessive pretese e di tenace difesa degli interessi della città specialmente quando le si chiede di pagare il suo contributo prima che la marina abbia dato il proprio. In sostanza il Governo vuole prima i lavori del molo, il Comune quelli del ponte sul Bisagno; quello teme che questo non paghi la sua quota; il Comune afferma di non poter sopportare tanti oneri se dovrà contemporaneamente restituire le rate annuali del prestito del 1827; il Governo alla fine transige nel senso che questa quota di restituzione sarà condonata per essere devoluta ai lavori del ponte e alle altre necessità cittadine purché il Comune versi il suo contributo di 100 mila lire per il molo: per questo si provvederà mediante un nuovo prestito di 90 mila lire con le Opere Pie che già ne hanno dato 450 mila (2). Ma qui interviene energicamente il Presidente delle Opere Pie, Antonio Brignole Sale, rivolgendosi con lettere e memoriali fieri ed energici al Re e al Ministro deH’lnterno. Si lagna che il provvedimento sia stato preso a sua insaputa, senza alcuna preventiva comunicazione, che la notizia sia stata data dal Presidente del Senato anziché dal Ministro dell’interno dal quale le Opere Pie dipendono. E poiché questi non ha neppur risposto alle sue rimostranze si rivolge direttamente a Carlo Alberto e gli espone che preteso prestito è effettivamente un togliere quella somma senza compenso a istituzioni non floride e in momenti gravissimi di crisi economica, dipinta a tinte molto fosche, quando per di più si profila la minaccia del colera II tono risentito del memoriale, appena temperato dalle forme di ossequio alla autorità sovrana, dà la misura del dissidio profondo pronto sempre a scop- (1) Salata, pag. 58 e 96. (2) Registro Corrispondenza 1830-33, n. 3027 (6 gennaio 1832) e sgg. specialmente 3041, 3115, 3147, 3225, 3227, 3275, 3289, 3304, (24 settembre) e n. 70 e 74 (marzo 1833). - 297 — piare tra Genova e il Governo piemontese e anche dell’autorità del Brignole che poteva permettersi espressioni tanto franche e recise. La questione, conchiude, tocca anche l’amministrazione cittadina ma egli non è Sindaco e non conviene perciò a lui considerarla sotto questo aspetto: espone tuttavia il suo convincimento che le spese del porto non debbano gravare sulla Città. Il Re naturalmente comunica il memoriale al ministro L’Escarène che ne rimane indispettito come risulta dalla lettera che il Brignole gli scrive il 10 maggio annunciando un altro memoriale in cui dimostrerà non solo che non è ammissibile il nuovo prestito, definito quasi una spogliazione e le condizioni del quale sarebbero ben diverse dal precedente di 450 mila lire nel 1827, ma che il Governo non ha il diritto come pretende di compensarsi delle spese fatte e delle rate inesatte di interessi togliendo alla città il reddito del dazio sul vino cedutole in compenso di crediti che la città vantava: che infine le spese del porto debbono essere interamente a carico del Governo stesso. Il memoriale è spedito con lettera del 30 maggio (1) e certo raggiunge l’intento perchè ancora due mesi dopo i Sindaci insistono nel dire che le 90 mila lire non possono essere pagate e sulla fine dell’anno si permette l’apertura di un nuovo prestito per i lavori in corso (2). 11 fatto che le lettere e il memoriale del fiero marchese si trovano tra le carte di Onofrio Scassi non è privo d’importanza: dimostra i rapporti amichevoli e l’azione concorde dei due cittadini. Evidentemente il Brignole comunicava questi documenti al Sindaco collaboratore e amico perchè se ne valesse per una comune linea di condotta (3). L’amministrazione tuttavia è costretta a caricarsi di debiti e del peso di cospicui interessi ma ha l’orgoglio di spendere per la città, per i suoi bisogni e il suo abbellimento, e una profonda compiacenza quasi di puntiglio (1) Memoriale 26 aprile, lettere 10 e 30 maggio, in copia in Archivio Sauli. (2) Registro Corrispondenza 1830-33; n. 2275, 24 luglio; Registro Consiglio Generale 1828-35; c. 373,379:17,22 dicembre 1832. Oltre che iel molo si parla anche della costruzione della caserma di S. Margherita. (3) L’atteggiamento del Brignole Sale è definito dal Mazzini « róle d’opposizione senza pericolo al governo » in una lettera nella quale dà un interessante giudizio sul marchese che i mazziniani speravano forse di attrarre nella loro orbita: « Ha tutte le qualità, meno una, che potrebbero farne un Fiesco — ma quell’una è il coraggio — cospireranno cent’anni e non faranno mai nulla — di più non sono nè possono essere con noi... sognano senz’ardire di forinolarla, la repubblichetta antica del patriziato — egli personalmente non ama nè può amare il re, nè il governo piemontese »; Scritti editi e inediti di Giuseppe Mazzini, Ediz. Nazionale, voi. X (Epistolario, voi. Ili) pag. 350, lettera 16 febbraio 1835 a L. A. Melegari. Carlo Alberto nel 1831 accenna con una certa insofferenza ad una questione tra negozianti e navigatori intorno al diritto differenziale nell’introduzione del grano nella quale il Brignole Sale si fa sostenitore e protettore dei negozianti, ma il Re dà ragione ai navigatori; Salata, Carlo Alberto inedito, pag. 56 sgg. — 298 — soddisfatto e di vittoria conseguita è in quel sottrarsi per quanto è possibile agli obblighi verso Torino; e calorose sono perciò le lettere al Re quando il suo intervento decisivo sospende ancora il pagamento del debito all’erario (1). Questa contesa finanziaria e l’atteggiamento di resistenza quasi caparbia hanno un notevole valore di indizio di tutta l’attitudine genovese verso il Piemonte (2), ma è anche caratteristico vedervi coinvolto in un periodo dei più gravi e significativi Onofrio Scassi. Anche in lui gli atteggiamenti esteriori di devozione e di ossequio coprono la gelosa tutela degli interessi e .della dignità cittadina di fronte alle pretese spesso eccessive del governo centrale. Ma la stessa resistenza e la stessa netta posizione di operosa autorità assume anche quando l’opposizione viene da altre parti. Quasi che le difficoltà finanziarie non bastassero, i Sindaci si sono trovati di fronte, specialmente nei primi tempi del loro ufficio, alla insoluta questione del teatro, aggravata dalle pretese govenative di evidente carattere di polizia politica e complicata da ripicchi e conflitti di poteri. Appena insediati, d’accordo col Conte Sorelli R. Commissario, convocano il Consiglio Particolare per comunicargli l’ordine del Ministero dell’interno, trasmesso dal Governatore Venanson, che si provveda tempestivamente a scegliere e notificare alle autorità l’ordine degli spettacoli per l’anno appena cominciato e per i successivi. Probabilmente la vecchia esperienza dello Scassi in questa materia, risalente al tempo del suo provveditorato, serve a indicare una via nuova: certo è che i Sindaci leggono un loro rapporto sulle necessità della prossima stagione e sui mezzi finanziari indispensabili prospettando l’opportunità di un appalto del teatro in luogo deH’amministrazione diretta (3). Il Con- (1) Registro Corrispondenza 1830-33, n. 3242, 5 luglio 1832. (2) Un curioso esempio non privo di valore si ha in una questione di scarsa entità: Pasquale Badino, già funzionario di dogana nella Repubblica democratica e uno dei capi dell’insurrezione del 21, condannato a 20 anni di reclusione, era impazzito in carcere e fu portato da Torino a Genova. 11 Ministero delPlnterno chiese la restituzione delle spese di spedalità: i Sindaci e i Ragionieri proposero nei Consigli la ratifica di una prima rata trimestrale di L. 112,50 già versata per ordine del Governatore, ma il Consiglio Particolare ricusò di approvare la spesa perchè i detenuti, anche se affetti da infermità mentale o corporale, dovevano essere a carico del Governo. 1 Sindaci chiesero perciò la restituzione della somma che il Ministero delPlnterno, visto il loro reciso atteggiamento e dopo alcune resistenze, si decise a rimborsare. Registro Consiglio particolare 1815-31, 25 giugno 1831 e Reg. 1831-36, c. 18: 14 aprile 1832; Registro Corrispondenza 1830-33 n. 2742,30 aprile; n. 2826, 27 giugno 1831; cfr. Vitale, Le spese di spedalità per Pasquale Badino, Giornale stor. e letter. della Liguria, 1931, pag. 46-47. Sull’opera del Badino nel 1821 v. Bornate, L’insurrezione di Genova nel marzo 1821, pag. 35-89. (3) Registro Consiglio Particolare 1815-1831, 25 gennaio 1831. - 299 — siglio Particolare, approvando in massima il progetto, richiede l’immediata convocazione del Generale, competente a decidere. La riunione avvenuta tre giorni dopo dà luogo ad una serie di discussioni e di proposte che si protraggono a lungo, anche per la nomina di speciali deputazioni incaricate di studiare e riferire. Poiché la R. Direzione ha domandato un sussidio straordinario di 25 mila lire e il Re ha disposto che la dotazione sia portata a 32 mila ritenute sufficienti, il Consiglio assegna subito per la prossima stagione di primavera il sussidio domandato, ma vuole modificata l’amministrazione: su questo appunto vertono le lunghe discussioni. Finalmente il 25 maggio, sul progetto formulato da una speciale deputazione, e quantunque Gaspare Sauli, che sembra ritornato ai vecchi atteggiamenti frondisti, legga un discorso di recisa opposizione, l’appalto è deciso (D. Ma non tutte le difficoltà sono vinte per l’acuirsi del dissidio tra l’amministrazione municipale e la direzione dei teatri composta di dieci membri compresi i Sindaci. Quando le sono comunicati gli ordini del Governatore e le prime deliberazioni prese dal Consiglio Generale il 28 gennaio, la Commissione unanime — eccettuati naturalmente i Sindaci — ricusa di aderire ad un ordine che ritiene lesivo dei propri diritti in quanto con le nuove norme viene affidata al Comune tutta l’amministrazione dei teatri e non soltanto l’economica. Questo è realmente il proposito dei Sindaci e lo Scassi è certo uomo disposto piuttosto ad accentrare nelle proprie mani i poteri che a rinunziarli. Il Governo però intende dapprima mantenere i due distinti organismi, ma la Direzione tiene fermo col pretesto che la sorveglianza tecnica dei teatri e la preventiva designazione degli spettacoli importano soverchia responsabilità; dichiara che non vuole e non può assumere le nuove attribuzioni. Poco male, commentano i Sindaci; i Decurioni divideranno con loro la sorveglianza e la direzione degli spettacoli (2). Di fronte a questi dissensi e alle riottose ostilità che sembrano riprendere in così lieve materia i toni delle contese e delle rivalità politiche di altri tempi, i Sindaci fanno ai Decurioni prima, al Governo poi, proposte equivalenti all’effettiva abolizione della Direzione dei teatri. Preparano un regolamento teatrale, nuove convenzioni coi palchettisti, progetti per le spese necessarie e per saldare il debito coll’antico possessore del teatro S. Agostino divenuto proprietà municipale, Marcello Durazzo, che pare non abbia piccola parte in quelle opposizioni. Comunicano al Governo le deliberazioni (1) Registro Consiglio Generale 1828-35; c. 200 sgg.; 28 gennaio sgg.; c. 244,25 maggio. Registro Corrispondenza 1830-33, n. 2580, 2582; 31 gennaio. (2) Registro Corrispondenza 1830-33, n. 2590, 3 febbraio n. 2637, 3 aprile, n. 2765, 14 maggio; Staglieno, Sulle relazioni tra la direzione dei teatri ecc., pag. 16 sgg. — 300 — prese dal Consiglio corredandole dei modelli di contratto con gli assegnatari dei palchi e di tutti i documenti giustificativi (1). In seguito a questa recisa azione, con Regie Patenti del 16 giugno viene stabilito che le attribuzioni prima spettanti all’autonoma Direzione dei teatri, sempre in dissidio col corpo decurionale, passino alla Civica Amministrazione la quale farà eleggere da! Consiglio Generale una Commissione, di cui il Consiglio stesso fisserà le funzioni. Sopra tutto si insiste sulla necessità della preventiva approvazione del repertorio di tutti i teatri. Il Regolamento formulato in proposito è approvato dai Sindaci il 17 dicembre 1831 e dal Consiglio Generale il 16 agosto successivo; ma appare subito difficile trovare tra i Decurioni chi voglia entrare nella Commissione incaricata anche della sorveglianza serale sugli spettacoli ed allora i Sindaci, impegnati dalle precedenti assicurazioni, avvertono che sarà compreso nella Commissione chi non avrà fatto esplicita dichiarazione in contrario o, se queste saranno soverchie, chi non appaia assolutamente impedito (2). Così risolvono o almeno attenuano una ormai antica questione della quale infatti negli anni successivi si parla assai meno anche perchè altri argomenti, e taluni molto gravi e dolorosi, attirano tutta l’opera e l’attenzione degli amministratori. Possono sembrare questioni minori la difesa del quinto su tutti gli spettacoli di qualunque genere e in qualunque luogo pubblico, che, esistente dall’età francese e non mai abolito, ora si vede minacciato con danno dell’erario comunale (3), o la cura per procurare l’incanalamento delle acque dei tetti a tutela dei passanti, come già avviene nella nuova via Carlo Felice (4), o la formulazione di un nuovo regolamento di polizia per le piazze e le strade (5), ma attestano sempre un’attività vigile e operosa- Più gravi preoccupazioni dà la vecchia questione dei caravana o facchini del (1) Registro Consiglio Generale 1828-85; c. 242, 25 maggio; Registro Corrispondenza 1830-33; n. 2790, 2791; 28 e 30 maggio. II pagamento definitivo al Durazzo in 115 mila lire fu poi fatto nel 1834; Registro Consiglio Generale, c. 485, 25 aprile 1834. (2) Staglieno, pag. 18; Vallebona, Il teatro Carlo Felice, pag. 18; Arch. Civ., Consiglio Generale 1828-35, c. 263 e 290, 16 agosto e 22 dicembre 1831; c. 352, 16 agosto 1832; Registro Corrispondenza 1830-33, n. 2841, 9 luglio e n. 2993, 3 dicembre 1831. Una copia del Regolamento p;r i teatri di Genova, Genova, Fratelli Pagano, 1831, con la data 17 dicembre 1831 e sottoscritta dai due Sindaci è alla Bibl. della Soc, Lig. di Storia Patria nella miscellanea B: 5, 9, 45. (3) Archivio di Stato di Torino, Opere Pie diverse, Genova, n. 102,24 luglio 1832 Arch. Civico, Registro Corrispondenza 1830-33, n. 55, 18 febbraio 1833. (4) Compilazione degli Editti e Patenti, t. XXXV, pag. 130, 5 febbraio 1833; Gazzetta n. 22, 16 marzo 1833. (5) Compilazione degli Editti e Patenti, t. XXXV, pag. 220, 8 giugno 1833; Gazzetta n. 49, 19 giugno 1833. 301 porto,corporazione chiusa nella quale molti vorrebbero entrare mentre ai Sindaci essa pare anche troppo numerosa (1); e causa di lavori e di crucci nella generale insoddisfazione è la frequente necessità di modificare le tariffe dei dazi (2). La prosecuzione delle opere pubbliche già deliberate, il pagamento di quelle compiute, la sistemazione di Piazza Fontane Marose (è di questo momento la costruzione della ringhiera verso la discesa a via Luccoli), la costruzione dell’acquedotto rappresentano oneri sempre nuovi, ai quali si provvede col contrarre altri prestiti gravando di sempre maggiori interessi il bilancio che nel preventivo del 1832 presenta un passivo di 100 mila lire (3). Ma quelle opere non si possono rimandare, la città si trasforma e si abbellisce e la Gazzetta si fa interprete della soddisfazione dei cittadini (4). Una soddisfazione che costa non lievi crucci ai Sindaci, tormentati — anche allora — dal problema delle case. Oli sventramenti e l’accresciuto numero degli abitanti hanno fatto salire i prezzi degli affitti e gli interessati si rivolgono al Governo perchè faccia ribassare i costi. Il Governo gira la domanda ai Sindaci che si dichiarano impotenti a trovare immediati provvedimenti. Se mai, bisognerà estendere la città con nuove costruzioni, accordando poi l’esenzione dalle imposte per quindici anni (5). I rimedi di tutti i tempi, come si vede. Quasi queste difficoltà non bastassero, i Sindaci devono lottare contro l’inerzia e l’assenteismo dei Decurioni. È sempre difficile raccogliere il numero legale nei consigli, cosicché si vanno facendo sempre più numerose da parte del R. Commissario le ratifiche, ammesse in via eccezionale dalle norme in vigore, a deliberazioni nulle per mancanza di numero. Si può supporre che questo accresciuto assenteismo sia in rapporto con le speciali condizioni politiche e sanitarie del momento, per il peso .dell’occupazione militare prima, per la minaccia del colera poi. (1) Arch. Civ., Registro Corrispondenza 1830-33, n. 3035, 11 gennaio, e numerose altre lettere; Compilazione Editti ecc., t. XXXIV, pag. 66, 20 maggio 1832; t. XXXVII, pag. 221, 1 aprile 1834 ecc. La questione preoccupava allora e poi anche Carlo Alberto il quale vedeva nel gran numero dei facchini e nella loro autonoma organizzazione un grave pericolo, specialmente in caso di torbidi; Salata, Carlo Alberto inedito, pag. 251, 335. (2) Registro Consiglio Generale 1828-35, c. 337, 22 maggio 1823; Registro Corrispondenza 1830-33, n. 3387, 31 dicembre 1832. (3) Arch. Civico, Consiglio Generale 1828-35, c. 214, 270, 279 e Consiglio Particolare 1815-31: aprile-giugno 31 (carte non numerate) e 1831-36, c. 9, 16, 18,65, 73, 84, 89; Registro Corrispondenza 1830-33, n. 2985, 3006, 3011 ecc. 11 18 febbraio 1833 si ringrazia il Ministero dell’interno dell’approvazione data al progetto per l'acquedotto. (4) Gazzetta di Genova, n. 34, 27 aprile 1831. Chiede però che i nuovi e ben lastricati marciapiedi siano liberati dalle tavole, dalle merci e dalle altre cose che spesso li ingombrano. (5) Registro Corrispondenza 1830-33,\ttteran. 1374, 2 maggio 1832 al R. Commissario. — 302 - E intanto, tra la notizia generica e sommaria dei fatti di Modena e di Bologna e del fermento in tutta l’Italia centrale e quella dell’arrivo delle truppe di rinforzo, la Gazzetta, forse d’ordine superiore, evidentemente all’intento di sviare l’attenzione dei lettori dalla materia pericolosa, ha le più ampie relazioni sullo splendido carnevale del 31: « Una serie di giornate bellissime scrive il 16 febbraio — una dolce temperatura di anticipata primavera, i balli pubblici e privati frequenti animatissimi; a teatro la musica dei Cappelletti e Montecchi perfettamente eseguita da ottimi virtuosi e da due prime donne oggetto entrambe d’incessanti e instancabili applausi, i veglioni del magnifico Ridotto sempre brillanti del fiore più scelto ed elegante della Società, quanti elementi più che bastanti a sedare e avvivare negli animi la gioia più pura e la più serena giocondità! » E segue con una lunga tirata sul desideratissimo ritorno alla scena della prima ballerina Besuzzi che un’indisposizione aveva a lungo sottratto aH’ammirazione degli spettatori (1). Pare d’essere ritornati alle forme settecentesche prerivoluzionarie, ma sotto quella finta e frivola giocondità si agitano fiere tempeste. Genova, guardata con timore e sospetto dal governo piemontese, tanto più dopo le scoperte Carbonare, era subito presidiata con truppe di rinforzo. E stata questa un’altra gravissima preoccupazione per i Sindaci e per lo Scassi in modo particolare perchè il rivestire contemporaneamente le due cariche di Deputato agli Studi e di Sindaco lo metteva nella necessità di tutelare ad un tempo dal minacciato pericolo gli edifici universitari e i cittadini. Al primo annuncio deH’imminente arrivo della truppa i Sindaci, ai quali il Consiglio Particolare aveva dato incarico delle pratiche necessarie col Governatore, gli scrissero offrendogli alcuni edifici religiosi non adibiti al culto. Ma si trattava di oratori e non vasti: non appare se l’offerta sia stata accolta. Certo è che i soldati furono alloggiati anche in conventi e l’Arcivescovo, sollecitato dai Sindaci, cercò, favorendo questa soluzione, di risparmiare pesi maggiori alla città (2.). Tuttavia il rimedio non era sufficiente e incombeva la minaccia dell’alloggio in case private: a sventarlo, i Sindaci si assunsero la responsabilità di spendere settemila lire per preparare settecento pagliericci da porsi in locali adatti, e indicavano tra questi l’Albergo dei Poveri, pur di salvare l’Università e il nuovo locale deH’Accademia (3). Invano, e col solo risultato di attirarsi insieme recriminazioni dai dirigenti dell’Ac-cademia e dell’Albergo dei Poveri. La cosa, rispondevano essi un po’ risen- (1) Gazzetta di Genova, n. 14, 16 febbraio 1831. (2 Arch. Civico, Consiglio Particolare, Registro 1815-31, 13 aprile 1831; Consiglio Generale 1828-35, c. 210, 18 aprile; Registro Corrispondenza 1830-33, n. 2707, 2725,2726: 9,19 e 20 aprile. (3) Registro Corrispondenza 1830-33, n. 2696, 2 aprile. - 303 — (iti a chi mostrava di non intendere la loro situazione, è di spettanza del Governo. La civica amministrazione deve provvedere l'alloggiamento allorché, mancando i locali governativi, le truppe dovrebbero accantonarsi nelle case private, fatto questo mai verificatosi sotto il dominio della Casa di Savoia e che i Sindaci non potrebbero in alcun modo permettere; perciò essi non avendo altri locali da proporre non possono neanche interporre i loro buoni uffici presso il Governatore perchè quelli non siano adoperati (1 ). Le truppe cominciarono a partire, a scaglioni, nell’autunno, e nella primavera successiva la guarnigione era ritornata allo stato normale: ma la restituzione dei pagliericci già promessa dal Venanson si fece attendere e furono necessarie molte richieste e molte insistenze (2). Al Borelli, che come R. Commissario aveva sostenuto in quei difficili frangenti l’interesse e il decoro della città, il Corpo Decurionale su proposta dei Sindaci deliberò di attestare la propria riconoscenza offrendogli la croce di diamanti dell’ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro del quale era stato recentemente insignito. Ma egli ricusò; i Sindaci si rivolsero allora al Re per mezzo del Ministero deH’Interno ma con esito egualmente negativo. La loro risposta rivela un dispetto appena velato dall’ossequio formale e nel tono e nello stile mi par di vedere la mano dello Scassi: « Veneriamo la sovrana decisione, ma ci permetta di non celare il ragionato nostro timore che V. S. 111.ma abbia presso l’autorità suprema avvalorato piuttosto la prima sua e ripetuta risoluzione che li sinceri cordialissimi nostri voti i quali non cesseranno di esistere benché per ora sopiti per Sovrano comando » (3). Era del resto anche questo un piccolo esempio di quella rigida amministrazione piemontese, gretta spesso e pedantesca e di ristretti orizzonti, ma di una formale correttezza scrupolosa e impeccabile. Il contegno tenuto daH’amministrazione comunale verso il Borelli, benemerito della difesa degli interessi e della dignità cittadina, fa supporre che il richiamo del Venanson sia stato invece salutato con giubilo. Egli aveva infatti suscitato un profondo risentimento con quella sua intransigenza insensibile nella questione degli alloggi militari mentre la fiducia eccessiva nelle rodomontesche vanterie di Raimondo Doria e la montatura poliziesca che ne era derivata avevano irritato il governo di Torino- (1) Registro Corrispondenza 1830-33, n. 2837, 7 luglio; 2921, 3 settembre 1831. (2) Registro Corrispondenza 1830-33, n. 2968,11 ottobre 1831; n. 3232, 28 giugno 1832. (3) Registro Corrispondenza 1830-33, n. 2799, 7 giugno 1831 e Registro Consiglio Generale 1828-35 c. 239 e 252, 17 maggio e 22 luglio. Su Giacinto Borelli chiamato nel dicembre 1847 a reggere il Ministero dell’interno e sulla sua azione politica, E. Crosa, Lo Statuto del 1848 e l’opera del Ministro Borelli in Nuova Antologia, 16 giugno 1915 e A. Codignola, Dagli albori della libertà ecc., pag. 360. — 304 Era naturale perciò che il suo successore, il cav. Luigi Bongiovanni di Castelborgo fosse accolto festosamente. Alla notizia della sua destinazione i Sindaci gli rivolsero a Torino il primo saluto deferente della città (1). Due giorni dopo il suo arrivo, il 19 ottobre, ricevette il Corpo Decurionale presentatogli dallo Scassi che gli rivolse il discorso d’occasione: « La destinazione di V. E. a Governatore Generale di Genova è stata ricevuta da questo Corpo Decurionale come un dono prezioso dell’Augusto Monarca che ha studiato profondamente e conosciuto l’indole e i diversi bisogni dei suoi popoli. Le qualità eminenti che distinguono V. E. e i sentimenti umani di affezione e di riconoscenza che eccitò il Vostro Governo in altre Provincie ci annunziarono le benefiche intenzioni della Sovrana benevolenza. 1 Genovesi ben governati e promossi faranno a gara nella fedeltà e nell’amore cogli altri sudditi di Sua Maestà e ricorderanno i nostri più tardi nepoti con ammirazione il regno felice di Carlo Alberto che ha fregiato il Regio Trono della gloria ereditata dagli Avi suoi e della gloria personale » (2). Il Governatore rispose con generiche parole parafrasando il discorso del Sindaco, nel quale però quell’accenno alla necessità del buon governo e della cura degli interessi cittadini non era senza significato. Ma il nuovo governatore si dimostrò di un rigorismo formalista da superare i predecessori, specialmente quando, appena entrato in carica, emanò nuove rigorose norme per la santificazione delle feste, arrivando a proibire, perchè il precetto festivo non fosse violato, la vendita del pesce e della neve nei giorni di festa. Neanche al tempo della Repubblica, fanno notare i Sindaci, quando si teneva fermo l’esatto adempimento delle pratiche religiose, si è arrivati a queste proibizioni: impedire la vendita del pesce rappresenta un danno troppo grave per una importante categoria di cittadini e quanto alla neve si tenga conto che non serve soltanto per tavola e per i caffè ma anche, e spesso con carattere di vera urgenza, per i medici. Propongono perciò che la vendita sia permessa sospendendola soltanto tra le 11 eie 12, nell’ora delle sacre funzioni (3). Che cosa sia stato deciso non risulta; ma non era certo quella grettezza d’idee e di metodi che poteva attenuare la scarsa simpatia genovese verso il Governo. Il Castelborgo, :per quanto di buone intenzioni, rappresentava ancora la vecchia burocrazia chiusa e arretrata, incapace di seguire, anche per l’età, l’evolversi dei tempi. Poco dopo fu collocato a riposo (4) e venne (1) Registro Corrispondenza I830-33\ n. 2941, 18 settembre 1831. (2) Gazzetta di Genova, n. 84, 19 ottobre 1831. (3) Registro Corrispondenza 1830-33, n. 2956, 22 ottobre 1831. (4) Secondo il Faldella, / fratelli Ruffini, Storia della Giovane Italia, Torino, 1895, pag. 141, il Castelborgo si trovava a disagio a Genova e si ritirò dopo le esecuzioni del — 305 — a sostituirlo il marchese Filippo Paulucci, vecchio militare, tipico esempio di funzionario testardo e retrogrado ma non privo d’intelligenza e di acume, destinato a rimanere lunghi anni a Genova e a vedervi le agitazioni del periodo delle riforme e delle costituzioni (1). Oltre al governatore, anche l’arcivescovo si mutava durante il Sindacato dello Scassi: il 1" settembre 1832 mons. Tadini, succeduto a Giuseppe Vincenzo Airenti morto l’anno precedente (2), prese possesso ufficialmente della diocesi, e ossequiato dal Corpo Decurionale, rispose « con parole di sacra unzione al discorso fattogli, in assenza del Sindaco di prima classe, dal Sindaco di seconda Conte e Cav. Onofrio Scassi nel quale gli esternava le felicitazioni e i sensi di devozione di tutto il popolo genovese » (3). Ma ben più importante era stato il mutamento del sovrano. Sul principio del 31 le condizioni di salute di Carlo Felice si fecero così gravi da richiedere l’assunzione della reggenza da parte della Regina. Subito furono celebrate cerimonie religiose frequenti, con partecipazione ufficiale dei vari corpi o addirittura promosse così dal Corpo Decurionale su proposta dei Sindaci, come dalla Deputazione degli Studi, nelle quali naturalmente il Sindaco e Deputato assumeva una parte direttiva (4). Il 30 aprile il Governatore comunicava ufficialmente la notizia della morte avvenuta il 27 ricordando ai Sindaci e ai capi degli uffici l’obbligo di vestire a lutto nel termine di tre giorni e di disporre perchè fosse sospeso sino a nuove disposizioni ogni pubblico divertimento e ogni ballo o teatro, anche privato (5). Solenni onoranze ebbero luogo nella cattedrale di S. Lorenzo per iniziativa del-l’Arcivescovo e con partecipazione ufficiale di tutte le autorità, mentre in occasione del trigesimo della morte il funerale solenne fu celebrato a cura del Corpo Decurionale e sotto la immediata direzione dei Sindaci: l’orazione pronunciata dal P. Brignardelli fu poi largamente diffusa anche fuori di 1833, stanco di fare il carnefice di contraggenio; ma non so quanto questa opinione sia fondata. Un foglio volante Cenni biografici sul cav. Lodovico Bongiovanni di Castelborgo fu pubblicata a Genova, Fratelli Pagano, il 30 aprile 1834 (Museo del Risorgimento, n. 3506). (1) Gazzetta di Genova, n. 59-61; 24-31 luglio 1833. Sull’opera del Paulucci, specialmente intorno al 1846-47, v. G. Gallo, L’opera di Giorgio Doria a Genova negli albori della libertà, Genova, 1927; A. Codignola, Goffredo Mameli, Voi. 1, Venezia 1927; e Dagli albori della libertà al proclama di Moncalieri, pag. 102, 106, 167 sgg.; A. Colombo, La tradizione di Balilla a Genova nel Voi. Goffredo Mameli e i suoi tempi, Venezia, 1927 ; E. Passamonti, Un amico della giovinezza di Giuseppe Mazzini, ibid. (2) Necrologio in Gazzetta di Genova, 1831, n. 72. (3) Gazzetta di Genova, n. 20, 1 settembre 1832. Una copia del discorso Scassi è nella Bibl. Brignole Sale. (4) Gazzetta di Genova, n. 20-24, 8-23 marzo 1831. (5) Gazzetta di Genova, n. 35, 30 aprile. Egualmente rigorose erano state le norme in occasione della morte di Vittorio Emanuele nel 1824 con curiose disposizioni sulla foggia degli abiti per gli uomini e per le donne; Gazzetta, supplem. n. 5, 17 gennaio 1824. 20 — 306 — Genova (1). Onoranze ufficiali queste, s’intende, alle quali non è detto che tutta la cittadinanza partecipasse con fervida adesione, alle quali anzi non mancarono indizi significativi di incuria e di opposizione, specialmente da parte della nobiltà avversa al Piemonte e alla Monarchia (2). Intanto sin dal 2 maggio i Sindaci scrivono al Ministero delllnterno per esprimere i sentimenti di fedeltà e sommissione della città al nuovo sovrano chiedendo un’udienza per una Deputazione incaricata di rendergli omaggio; e poiché si sparge la voce che il Re stia per venire a Genova subito, si chiede quali forme di onoranze sarebbero permesse e gradite (3). Carlo Alberto ringrazia degli omaggi e fa rispondere che riceverà la Deputazione alla sua venuta a Genova; tuttavia, cedendo alle insistenze, riceve il 10 giugno una commissione non di Decurioni ma di alti funzionari genovesi residenti a Torino, il marchese Raggi, Primo Segretario di finanza, e il conte De Fornari, Direttore generale del Debito Pubblico, accompagnati dal Sindaco Doria Lamba nella sua qualità di Gentiluomo di Camera (4). È probabile che questa soluzione non sia molto piaciuta al Sindaco della seconda classe, desideroso di non essere tenuto da meno: già dal 4 maggio, se non per ispirazione sua almeno per desiderio dei Decurioni della sua classe, è stato deliberato che, appartenendo in comune ai due Sindaci la rappresentanza del Corpo Decurionale, debbano comprendersi entrambi nella Commissione da nominare (5). Al suo ritorno il Doria Lamba porta la notizia delPimminente arrivo del Re che non vuole però si facciano spese; il Consiglio Generale, che ha deliberato la costruzione di un arco di trionfo a Sampierdarena, si vede costretto a invocare il permesso di non abbatterlo (1) Gazzetta, n. 36, 37, 43: 4, 11, 28 maggio 1831; Registro Corrispondenza 1830-33, n. 2783, 21 maggio. I Sindaci facevano poi una larga distribuzione dell’orazione del Brignar-delli che mandavano al Ministro, al concittadino card. Lambruschini, ai Sindaci di Torino e a molte altre autorità; Ibid., n. 2836 sgg., 2 luglio segg. (2) Il 4 maggio il Governatore Venanson scriveva al Ministro dell’interno che « la Sig.ra Eugenia Pallavicini nata Raggi, moglie del Marchese Ignazio, Teresa Doria, nata Durazzo moglie del marchese Giorgio, Teresina Durazzo nata Spinola moglie di Carlino e marchesa Giustiniani nata Schiaffino, moglie di Stefano, in seguito di accordo fra di esse convenuto, non solo non si sono limitate a non vestire a lutto, ma si presentano in pubblico e sopra tutto a teatro vestite con vesti in colore, con grave scandalo di ogni ceto di persone ». A. Luzio, Garibaldi, Cavour, Verdi-, Torino, 1924, pag. 249. La Schiaffino-Giustiniani è la famosa Anna amata dal Cavour; v. Luzio, ivi, 247 sgg.; F. Ruffini, La giovinezza di Cavour, Torino, 1912, Voi. I, pag. 101 sgg.; H. Nelson Gay, Cavour e l’incognita, Nuova Antologia, 1926, pag. 27 sgg., 289 sgg. (3) Arch. Civico, Registro Corrispondenza 1830-33, n. 2747 e 2755, 2 e 7 maggio. (4) Registro Consiglio Generale 1828-35 c. 235, 17 maggio; Gazzetta di Genova, n. 48, 15 giugno. (5) Registro Consiglio Generale 1828-35, c. 228, 4 maggio. — 307 — poiché la spesa è ormai fatta e l’opera compiuta (1). Il permesso è accordato: e un’unica deliberazione approva le spese per i funerali di Carlo Felice e per le feste a Carlo Alberto (2). Il Re è morto, viva il Re. Carlo Alberto giunge il 2 luglio accolto solennemente dai Sindaci con la presentazione delle chiavi fuori della Porta della Lanterna e manifesta il rincrescimento di non poter fare che una breve sosta; riparte infatti il giorno 8 salutato da corrispondente cerimoniale e dopo aver visitato gli edifici e le istituzioni più notevoli, tra esse l’Università, la Biblioteca Civica, l’Accademia delle Belle Arti (3). Conseguenza di questa visita è la concessione della croce di cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro a Onofrio Scassi che come Sindaco e Deputato agli studi gli è stato guida costante (4). Alle onorificenze estere viene così ad aggiungersi questa dello Stato sabaudo. Tornato con la Regina il 5 novembre, Carlo Alberto si trattiene questa volta più a lungo, assistendo a cerimonie e ricevimenti nei quali è costante la presenza dei Sindaci (5) che offrono al Re una festa, fanwo nominare una commissione di sei Decurioni, tre per classe, che li assista nei preparativi e ottengono dai Consigli l’approvazione delle spese relative (6). La festa al Carlo Felice riuscì splendidamente: la regina aprì il ballo col Sindaco Lamba Doria e i Sovrani nell’accomiatarsi espressero ai Sindaci organizzatori e dirigenti tutta la propria soddisfazione e partendo a metà dicembre rinnovarono loro le più vive espressioni di compiacimento per le prove di devozione e di affetto ricevute (7). Di questa prima dimora genovese, come di quella del ’32, abbiamo ora ricordi e testimonianze nel Diario dello stesso Carlo Alberto pubblicato dal Salata. Vi è ricordo di provvedimenti presi, di ordini dati, come quelli già riferiti sulle opere pubbliche, di feste e cerimonie; e non mancano giudizi sulla situazione generale e sulle persone. 11 Re annota con soddisfazione d’aver avuto a pranzo il marchese Serra, Girolamo cioè, l’ex presidente della Repubblica e commenta soddisfatto: « Aussi il n’y a-t-il maintenant plus de (1) Registro Corrispondenza 1830-35, n. 2824 e 2828,27 giugno 1831. (2) Registro Consiglio Particolare 1815-31,19 luglio 1831, rispettivamente L. 9.535,75 e L. 3.153,30. (3) Gazzetta di Genova, n. 54-55, 6 e 9 luglio. (4) Gazzetta di Genova, n. 64, 9 agosto. (5) Registro Corrispondenza 1830-35, n. 2964, 31 ottobre; Gazzetta, n. 90 sgg., 9 novembre sgg. (6) Registro Consiglio Particolare, 10 novembre 1831; Reg. Consiglio Generale, 20 novembre, c. 369. È notevole che a questa seduta del consiglio mancò al solito il numero legale e il R. Commissario consentì che le deliberazioni avessero egualmente valore. (7) Gazzetta n. 94, 23 novembre; n. 100, 14 dicembre. — 308 — difference entre les Génois et les Pièmontais, et le nombre de personnes qui sont adverses au Gouvernement, ne le sont que par suite de la fermentation européenne; et plus par désir de revenir ce qu’ils étaient. Le nombre mème de ces personnes adverses est-il moins nombreux que dans plusieurs villes de nos anciens Etats. Les anciens chefs influents de l’opposition, comme les Serra, Durazzo, Brignole, Pallavicini, sont tous venus chez moi et font tous les efforts pour prouver leur dévouement » (1). Ma c’era qui un po’ d’illusione dovuta forse alle apparenze esteriori e alle dimostrazioni dovute anche e in parte notevole ai Sindaci; c’era un giudizio ottimistico che traspare egualmente poco dopo da un altro accenno. « On a donné à Gènes sur le Grande Théàtre — scriveva nel febbraio 1832 — un bai héroique qui représente la découverte de l’Amerique par Christophe Colomb; où, par un anachronisme des plus bouffons, on a lui fait déployer la bannière Génoise, ce qui a excité par tous ces maìtres ignorants des applaudissements furibonds; mais il n’y eut aucune intention politique » (2). Chissà se veramente l’intenzione politica non c’era, almeno in qualcuno? Il recente episodio delle dame che non avevano voluto vestire a lutto dopo la morte di Carlo Felice era significativo e il Re stesso deve accorgersi che negli anni successivi c’è anzi un raffreddamento e che non pochi sono, almeno per un decennio ancora, i nobili « entétés », come egli li chiama, che non vogliono farsi vedere a Corte (3). Consuetudine conservata poi per tutto il regno, Carlo Alberto tornò a Genova nell’autunno di ogni anno tra il novembre e il dicembre, ma nel ’32 e nel ’33 le solennità e le cerimonie furono minori che non fossero state il primo anno (4); quella visita diventava un’abitudine e poi altre necessità urgevano e, nel ’33 specialmente, i recenti avvenimenti politici rendevano inopportune le esteriori cerimonie, mentre al ricordo delle severe punizioni si aggiungeva il recente accostamento aH’Austria, dovuto all’opportunità politica del momento e al timore di Luigi Filippo (5), nell’allontanare i Genovesi da Carlo Alberto e nel determinare quell’equivoco e quella incom- (1) F. Salata, Carlo Alberto inedito, pag. 52 sgg., 59. (2) Ibid., pag. 201. (3) A. Codignola, Dagli albori della libertà al proclama di Moncalieri, pag. 98. (4) Gazzetta di Genova, n. 89, 7 novembre e n. 98, 7 dicembre 1832; n. 90, 9 novembre e n. 99, 11 dicembre 1833. Nel 32 però ebbe luogo a Genova, dove in quel momento si trovava la Corte, il matrimonio di Maria Cristina con Ferdinando II di Borbone. Il corpo decurionale lo onorò dotando dodici zitelle. Ibid. n. 93, 21 novembre 1832. In quell’occasione Felice Romani scrisse una poesia della quale i Sindaci lo ringraziavano; Registro Corrispondenza 1830-33, n. 1350, 1 dicembre. (5) Cfr. su questo Fr. Lemmi, La politica estera di Carlo Alberto nei suoi primi anni di regno, Firenze, Le Monnier, 1928. - 309 — prensione che dovevano durare tanto a lungo, fino agli entusiasmi del dicembre 1847. Di questa situazione cercava di approfittare la Francia di Luigi Filippo, accrescendo i timori del Re e l’allontanamento degli animi più accesi da lui. II console francese barone Decazes aveva « fiduciato la nobiltà che un giorno Genova sarebbe unita alla Francia >. « LeConsuI de France à Génes — scriveva lo stesso Carlo Alberto nel 1832 — se vantait d’avoir re^u l’ordre de son gouvernement de faire insurger cette ville, à quoi il cherchait à par-venir par tous les moyens », ma dichiarava di aver tutto previsto contro qualunque tentativo francese (1). Ai convegni in casa del Console o alla Villetta Di Negro e ai pranzi che Decazes teneva in Albaro sollevando i sospetti della polizia, e nei quali si facevano brindisi alla costituzione e alla nuova restaurazione italiana, partecipavano il Di Negro, Luca Gentile, Emanuele Balbi, Francesco Peloso, Carlo Durazzo, Damaso Pareto, Giorgio Doria, Antonio Rovereto detto il Rosso, Nicolò Cambiaso, Massimiliano Spinola, il march. Balbi Pioverà e tanti altri, molti dei quali furono implicati nel processo del 1833 (2). Erano, con alcuni superstiti dell’età precedente, come Emanuele Balbi e Luca Gentile, coloro che dovevano trovarsi in prima linea, molti passando tra le file dei moderati riformatori, nelle agitazioni che precedettero il 1848, accostandosi allora anche al Carlo Alberto delle riforme, ma ora irriducibili nell’avversione al Piemonte. Eppure il Re lentamente dapprima poi con passo sempre più rapido e deciso andava attuando la trasformazione interna e amministrativa, lo svecchiamento degli ordinamenti civili ed economici che avrebbe permesso al Piemonte di compiere la sua funzione nel Risorgimento (3). Ma a quest’opera la generazione di Onofrio Scassi non doveva assistere: essa ne vide se mai i primi indizi soltanto. Appunto in quei due anni e nei successivi lo Scassi, anche con diretti contatti, ebbe campo di vedere l’interessamento del Re per i problemi maggiori della vita cittadina. La minaccia del colera che si andava diffondendo in Europa determinò fin dal 31 i primi provvedimenti: nel settembre fu stabilito di istituire quattro Giunte di Sanità, una delle quali a Genova, allo scopo (1) F. Salata, Carlo Alberto inedito, pag. 251, 384, 408. (2) Arch. di Stato di Torino, Gabinetto Particolare di Polizia, Genova, 1834, cart. 4, n. 662; E. Passamonti, Un amico della giovinezza di G. Mazzini, pag. 69. Su questi avvenimenti e sui processi del '33 è ora da vedere lo studio del Passamonti, Nuova luce sui processi del '33 in Piemonte, Firenze, Le Monnier, 1930. (3) A. SEGRE, Il tramonto di un regno e l’alba di un regno nuovo. La morte del re C. Felice e i primi anni di Carlo Alberto (1830-31) in Miscellanea di studi storici in onore di A. Manno, Torino, 1912, voi. I, pag. 477 sgg.; A. Luzio, Gli inizi del regno di Carlo Alberto, Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, anno 1922-1923. — 310 — di studiare i mezzi per prevenire il pericolo, primo la scrupolosa cura della pulizia. La Commissione fu poi costituita nell’ottobre 1832 e vi appartennero, col Governatore Presidente, il Brignole Sale vice presidente, i due Sindaci, i rappresentanti del Magistrato di Sanità, della Giunta degli Ospedali, del Protomedicato, dell’Università: march. Giacomo Spinola, Giuseppe Morro, Prof. Mongiardini, Prof. Garibaldi (1). Per eseguirne le deliberazioni e su proposta dei Sindaci — qui la competenza dello Scassi era specifica e sua quindi l’iniziativa dei provvedimenti — i Consigli stanziavano anche le prime somme necessarie e indicavano i locali da mettere a disposizione della Commissione (2). Il pericolo però era ancora lontano; soltanto nel 1835 il colera si estese negli Stati Sabaudi e fece le prime vittime a Genova al principio di agosto (3). Ma già la minaccia aveva provocato provvedimenti e conseguenze notevoli. Sin dal 1831 per migliorare le condizioni sanitarie della città si era costituita, intitolandola a Nostra Signora della Provvidenza, una associazione per l’assistenza e la cura a domicilio degli infermi poveri. Componevano il Consiglio di amministrazione il Vicario Capitolare Presidente, e poi Gian Carlo Brignole, Antonio Brignole Sale, Fabio Pallavicini, Onofrio Scassi, Antonio Carrega, Giovanni Quartara e G. B. Cattaneo: medici consulenti Covercelli, Garibaldi e Mazzini. 1 Soci sottoscrivevano una o più quote annuali di L. 20 e tra i sottoscrittori figurano sempre lo Scassi e suo figlio Agostino (4). Un’altra conseguenza di quel timore fu la trasformazione del Magistrato di Sanità avvenuta nel 1833 con l’intento di proteggere meglio le provenienze dal mare mentre l’altra commissione doveva provvedere a difendere il territorio dall’interno (5). Posto sotto la tutela deH’ammiraglio De Geneys e sotto la presidenza effettiva del Marchese Gerolamo Cattaneo, il Magistrato comprendeva, con gli ufficiali di porto ed altri elementi militari, il Mongiardini come protomedico e lo Scassi Sindaco e rappresentante i professori universitari (6); così attraverso le successive modificazioni dell’istituto egli (1) Compilazione Editti e Patenti, t. XXXII, pag. 34 sgg., 205 sgg.; Gazzetta di Genova, n. 77, 24 settembre; n. 83, 15 ottobre 1831; n. 33-34, 25 e 28 aprile 1832. (2) Registro Corrispondenza 1830-33, n. 3171, 28 aprile; Registro Consiglio Generale 1826-35, c. 319 e 329, 27 aprile e 18 maggio; Reg. Consiglio Particolare, 1831-36, c. 27, 9 maggio 1832. (3) Gazzetta di Genova, n. 62-64: 5, 12 agosto 1835. (4) Gazzetta di Genova, n. 97, 3 dicembre 2831; n. 28, appendice, 7 aprile 1832 e n. 31, 18 aprile; n. 46, 7 giugno 1833; n. 14, 18 febbraio 1835; n. 26, 35 marzo 1836. (5) Su Paolo Girolamo Pallavicini che era stato sin allora alla testa del Magistrato di Sanità, sulle sue esagerazioni per paura del colera e sulla sua avarizia gustosi accenni nei Diari di Carlo Alberto; Salata, Carlo Alberto inedito, pag. 56. (6) Gazzetta, n. 18, 29 marzo 1833. - 311 - apparteneva sino all’ultimo della vita a quel Magistrato nel quale era entrato giovanissimo. Ma I effetto principale della temuta epidemia è stato un altro: si può dire che Genova le deve il Cimitero Monumentale di Staglieno Il 24 febbraio 1832 è comunicato al Consiglio Generale un dispaccio della Segreteria di Stato per l’Interno sulle misure che il Governo vuole osservate per far cessare l’abuso di tumulare i cadaveri nelle Chiese o nei loro recinti e per sostituirvi invece i cimiteri. Per la specifica competenza in materia come medico e come appartenente alla Commissione di Sanità che si è tanto occupata della cosa, riferisce Onofrio Scassi con un rapporto verbale inteso a dimostrare « che i Cimiteri in questa città sono più che sufficienti alla tumulazione dei cadaveri provenienti dall’annuale mortalità e che sarebbe quasi impossibile rinvenire l’area adatta a stabilirne dei nuovi » e propone si risponda in questo senso e che i Sindaci e i Ragionieri siano autorizzati in caso di bisogno a provvedere alla conservazione e al miglioramento dei Cimiteri esistenti che si dovranno conservare anche per ragioni religiose di ossequio ai defunti (1). L’ultimo argomento, anche se rispondente a reale convinzione, è certo considerato come di gran peso dati i sentimenti del Re e del Governo piemontese; ma l’opposizione è derivata prima di tutto dal timore di nuove spese. La risposta al R. Commissario che ha trasmesso la lettera ministeriale ribadisce le ragioni esposte e tradisce nel linguaggio, nei dati tecnici, nella precisa indicazione dei precedenti storici la mano dello Scassi: « Benché non sia ancor dimostrato che dopo l’abolizione della sepoltura nelle Chiese la vita degli uomini sia diventata più sana e più lunga e possa credersi che la differenza non sia stata molto grande perchè non rimarcata dagli scrittori di statistica, pur essendo certo che la putrefazione sviluppata nel corpo umano tosto che cessa di essere animato distruggendone il tessuto organico dà luogo all’esalazione dei micidiali miasmi capaci di produrre le più funeste conseguenze, contaminando l’ambiente fluido che si respira, così è giusto che per la pubblica preservazione il Governo allontani ogni pericolo d’infezione ». Posta la premessa con le riserve scientifiche e di fatto, passa ad esporre quanto a Genova è stato fatto. Nel 1800, durante la terribile epidemia, con decreto 8 luglio la Commissione di Sanità, allora investita di tutti i poteri, proibì l’uso di sotterrare i cadaveri nelle chiese e formò tre cimiteri, alla (1) Arch. Civico, Consiglio Generale 1828-35, c. 301,2 febbraio 1832. V. anche Antonio Giuseppe Ravaschio, Memorie sul Camposanto della città di Genova aperto a Staglieno, Genova, Sordo-Muti, 1864, pag. 63 sgg. — 312 — Foce, sul colle degli Angeli e alla Cava. Nel 1803 si cominciò a permettere a qualche distinto signore di essere sepolto nelle chiese suburbane; nel 1805, occupata la Liguria dai Francesi, fu rinnovata la proibizione e i singoli quartieri della città furono assegnati ai vari cimiteri, divenuti quattro perchè, chiuso quello della Cava non ritenuto conveniente, ne furono aggiunti due: di Carbonara e di San Giacomo di Carignano. Nel 1814 per ragioni religiose e di sentimento fu rinnovato il permesso per qualche sepoltura in venti chiese suburbane, a turno e con autorizzazione del Magistrato di Sanità. Esposte le attuali condizioni dei cimiteri, la lettera conchiude col parere del Consiglio Generale che gli esistenti rispondono così ai bisogni come alle regole igieniche (1). Questa volta l’opinione dello Scassi non ha fortuna: un editto del 26 maggio 1832, rinnovata l’assoluta proibizione della sepoltura nelle chiese, dichiara necessaria l’esistenza di uno o più cimiteri fuori dell’abitato corrispondenti ai bisogni dei singoli luoghi e ne impone l’eventuale costruzione indicando le norme da seguire. Il Senato trasmette l’ordine illustrandolo, e l’arcivescovo, forse ad evitare opposizioni e il rinnovarsi degli eccessi del 1814, avvalora con la sua parola l’ordine regio, ricordando, a dimostrare che non è una diabolica novità rivoluzionaria, che già fin dal 1777 Vittorio Amedeo 111 aveva proibito la sepoltura nelle chiese (2). Comincia allora un difficile lavoro di ricerca del luogo adatto, tanto più faticoso in quanto compiuto evidentemente di mala voglia perchè la nuova disposizione urta abitudini inveterate e sopra tutto perchè è imposta dal di fuori. Il 1° febbraio 1833 Lorenzo Pareto, il figlio di Agostino, lo scienziato futuro ministro costituzionale di Carlo Alberto (3), fa al Consiglio Generale una esposizione delle difficoltà che si incontrano a trovare un luogo opportuno proponendo una petizione al Re per ottenere la continuazione della tumulazione presso le chiese suburbane, anche in sepolture da costruirsi apposta. Gli umori del Consiglio sono chiaramente indicati dal fatto che avendo egli proposto di indicare in via subordinata come località adatta il Ponte di S. Agata, chiedendo però per gli ospizi la conservazione dei cimiteri attuali (1) Arch. Civico, Registro Corrispondenza 1830-33-, lettera n. 3095, 3 marzo 1832. (2) Compilazione degli Editti e Regie Patenti, t. XXXIV, pag. 132 sgg., 26 maggio; pag. 138 sgg., 30 luglio; pag. 171, 7 settembre 1832; Gazzetta di Genova, n. 71, 5 settembre e n. 75, 19 settembre 1832. (3) P. Boselli, Lorenzo Pareto, in II Risorgimento Italiano di L. Carpi, Milano, 1888, voi. IV, pag. 448. Per la sua azione nel 1847-48 F. Ridella, La vita e i tempi di Cesare Gabella, Genova 1923 (Soc. Ligure Storia Patria, Serie del Risorgimento, voi. I) pag. 124 sgg.; A. Codignola, Goff redo Mameli, La vita e gli scritti, Venezia, 1927, Voi. I, pag. 171, 211, 226 ecc.; Dagli albori della libertà al proclama di Moncalieri (Bibl. di Storia Ital. recente, voi. Vili) Torino, 1931, pag. 98 sgg. e passim. - 313 della Foce e degli Angeli, la sua proposta è respinta in blocco, mentre la sola prima parte messa ai voti senza condizioni subordinate, ha quaranta voti favorevoli su cinquanta votanti (1). Le difficoltà indicate dal Pareto sono esposte nell’indirizzo dei Sindaci al Re. Il Corpo Decurionale ha fatto il possibile per obbedire all’ordine ricevuto ma, data la topografia della città, non si è riusciti a trovare un luogo adatto; bisognerebbe fare il cimitero in collina o fuori dei comune venendo a contese coi comuni vicini. Unica soluzione perciò che si stabiliscano tanti particolari cimiteri presso le chiese suburbane, ma fuori di esse, come si è fatto finora e in modo da non accumulare soverchiamente i cadaveri. Ma la petizione che si è cercato di appoggiare con lettere calorose al Ministro deH’lnterno L’Escarène e al R. Commissario ha ancora risposta negativa; il Re vuole che anche a Genova si osservino le norme stabilite per tutto il regno (2). Non rimane che piegarsi e cercare i luoghi opportuni: i Sindaci e i Ragionieri propongono una località a levante, presso il ponte di S. Agata sul Bisagno, e una a ponente tra la Chiesa di S. Francesco di Paola e la collina di Fassolo. Il Consiglio Generale respinge la prima proposta e accoglie a non grande maggioranza la seconda, ma il Governo non approva e allora il Consiglio continua nella sua tattica ostruzionistica chiedendo un anno di tempo per trovare il luogo adatto. Tuttavia sotto le pressioni governative si presentano altre proposte e nel dicembre del 33 appare indicata la località presso il torrente Veilino, che pur provoca proteste di interessati e sopra tutto l’opposizione del Comune di Staglieno (3). Altre proposte si fanno nell’anno seguente indicando e successivamente eliminando varie località. Ma l’attenzione sempre più si ferma, scartata anche l'idea di S. Benigno, sul proposito di un unico grande cimitero nella valle del Bisagno. Finalmente 1*11 settembre 1835 il Consiglio Generale delibera la costruzione, sui disegni di Carlo Barabino, di un grande camposanto presso la villa Vaccarezza nel comune di Staglieno fra il torrente Veilino e la strada carrozzabile lungo il Bisagno, conservando nello stesso tempo il cimitero della Foce per gli Ospedali, quello degli Angeli per il quartiere di S. Teodoro e per l’ospedale militare della Chiappella (4). (1) Registro Consiglio Generale 1823-35, c. 389; Ravaschio, pag. 68-69. (2) Registro Corrispondenza 1830-33, lettere n. 45, 46, 49: 6 e 9 febbraio. (3) Registro Corrispondenza 1830-33, lettera n. 138,8 maggio 1833 e n. 379,23 dicembre. (4) Registro Consiglio Generale 1828-35, c. 495, 29 agosto 1834, c. 527, 555, 561: 13 gennaio, 22 aprile, 8 maggio 1835: Registro Consiglio Generale 1835-36, c. 8 sgg., 8,17 agosto, 11 settembre 1835; cfr. Ravaschio, pag. 74-87. — 314 — Quando questa decisione è finalmente presa, Onofrio Scassi, pur continuando ad appartenere al Consiglio come Decurione e Ragioniere, e partecipando alla commissione che propone la soluzione accettata, non è più Sindaco da due anni; ma non è senza importanza vedere il suo nome congiunto al rinnovamento della città, ad opere compiute, ad opere iniziate o progettate, destinate ad accrescerne la bellezza, il decoro, lo sviluppo della vita civile e dei traffici. 11 16 dicembre 1833, scadendo il triennio dei Sindaci in carica, il Consiglio Generale designava le teme da proporre al Re; per la prima classe Antonio Brignole Sale, con voti 33, Vincenzo Serra con 25, Gian Carlo Brignole con 14; per la seconda Francesco Ricci, Francesco Massone e Cristoforo Schiaffino, rispettivamente con voti 24, 11 e 9. Certo perchè già destinato al più alto ufficio di ambasciatore a Parigi, invece del Brignole Sale Carlo Alberto nominò Vincenzo Serra e per la seconda classe il Ricci secondo la designazione del Consiglio (1). La lettera con la quale i Sindaci uscenti si accomiatavano dal R. Commissario, il Conte Borelli, conteneva, fra le naturali formule di ossequio e di cortesia, il cosciente compiacimento di un buon lavoro compiuto tra difficoltà e fatiche non poche, e anche un giusto riconoscimento: « Nel cessare dalla carica cui eravamo stati chiamati dal voto del corpo decurionale e dalla volontà sovrana, l’approvazione e la lode che V. E. si è compiaciuta di dare alla nostra condotta e alla nostra amministrazione è dolce compenso alle fatiche dello scorso triennio e alle contrarietà incontrate. Ma se Ella è conscia delle nostre premure pel buon andamento delle cose della Città nostra, noi lo siamo molto di più dell’interesse particolare che l’E. V. ha preso costantemente a tutto ciò che la riguardava e del valido appoggio che in ogni occasione Ella ci ha prestato per la difesa dei suoi diritti e dei suoi interessi > (2). 1 Sindaci parlano in comune, come collegiali sono sempre stati gli atti e le decisioni, ma seguendone il lavoro e l’attività si ha netta l’impressione che il peso delPamministrazione gravasse specialmente sulle spalle di uno solo e l’altro, più indolente o più indifferente, lasciasse l’iniziativa a quello che per carattere era più pronto e forse più desideroso di sobbarcarsi. Impressione questa confermata da un altro fatto. Dopo tanta attività era naturale che volessero anche mettersi un poco da parte; perciò il 21 dicembre, accingendosi il Consiglio Generale alla sosti- (1) Consiglio Generale 1828-35, c. 429 e 447, 16 e 27 dicembre; Registro Corrispondenza 1830-33, n. 404 e 411, 17 e 29 dicembre. (2) Lettera n. 411, 29 dicembre 1833. - 315 - tuzione dei membri uscenti dalle diverse magistrature municipali, lo Scassi, propose: « siccome si deve credere che i componenti di questo rispettabile Corpo siano dotati tutti di pari intelligenza e attitudine a ben amministrare, si dividano i pesi e non si aggiri l’assegnazione sopra una ventina di persone e quindi restando inoperosi i tre quarti del Corpo Decurionale fatta eccezione dell’intervento alle tre adunanze del Consiglio Generale ». Ma la sua precisa proposta che a chi usciva da un ufficio si desse la vacanza di un anno, raccolse solo 13 voti contro 23 dissenzienti; e tra i 23 se c’erano molti che volevano allontanato da sè il peso degli uffici, alcuni anche avranno pensato che il Comune non poteva privarsi dell’opera di un uomo attivo e zelante che aveva dato così eloquenti prove di capacità e di buon volere. Infatti, mentre furono accolte le « scuse * dell’altro Sindaco Francesco Maria Doria Lamba, che adduceva il motivo di dover attendere ai propri interessi dopo tanti anni di cure pubbliche, non valse allo Scassi la giustificazione dei doveri impostigli dagli altri uffici, la Deputazione degli studi, il Magistrato di Sanità. Il suo nome fu scrutinato per l’elezione dei Ragionieri e riuscì eletto con 20 voti favorevoli e 15 contrari con Paolo Sebastiano Odero e G.B. Chiodo, mentre Girolamo Cattaneo era designato al posto di primo ragioniere (1). In tal modo continuava ad appartenere agli elementi attivi dell’amministrazione comunale proprio in quella magistratura che aveva il carico diretto delle finanze preparando i bilanci e provvedendo a determinare le entrate e le spese. Le questioni finanziarie del biennio successivo, l’ultimo della sua vita, hanno avuto così ancora le sue cure e, per quanto non possa determinarsi più l’azione individuale, anche i nuovi prestiti (2), i provvedimenti definitivi per i cimiteri, l’inizio della nuova facciata della chiesa della Nunziata, i lavori di ampliamento dell’acquedotto, le misure di sanità, la costruzione di case popolari, il compimento della via Carlo Alberto hanno avuto il consiglio della sua competenza tecnica e della sua esperienza amministrativa (3). Con l’agosto 1835, quando a cagione del colera tutti i poteri furono raccolti in una speciale commissione, alla quale egli non appartenne (4), Onofrio Scassi cessò di far parte dell’amministrazione civica, non di dare l’opera sua alla vita cittadina. (1) Consiglio Generale 1828-35, c. 439: 21 dicembre 1833; Corrispondenza 1830-33, n. 409 bis: 23 dicembre, partecipazione ufficiale della nonima. (2) Veramente i ragionieri cominciarono col proporsi di ridurre il debito civico e rendere meno grave l’onere degli interessi, ma le urgenti necessità dei momento per i lavori pubblici e per le misure sanitarie li costrinsero a ricorrere ancora a quei mezzi. Consiglio Generale 1828-35, c. 255, 7 febbraio 1834; c. 495, 29 agosto; Registro 1835-36, c. 8,18 agosto. (3) Consiglio Generale 1828-35, c. 485, 513, 521, 527, 544, 552, 555, 561. (4) Consiglio Generale 1835-36, c. 4 e 8, 17 luglio e 18 agosto 1835. 316 * * * Mentre stava per abbandonare la carica di Sindaco, un altro campo si apriva all’operosità volenterosa e instancabile dello Scassi e tanto più gradita, e forse ricercata, in quanto rispondeva più prècisamente alle sue attitudini scientifiche e professionali. Entrato nella Giunta degli Ospedali, non tardava ad acquistare anche qui il primo posto. La Giunta, trasformazione della magistratura dei Protettori degli Ospedali nella repubblica aristocratica, era stata riordinata nel 1818, sotto la presidenza del marchese Carrega, benemerito di quella istituzione come riconosce anche il Frizzi nella singolare pittura del suo Quadro caratteristico. « È molto scarso di talento. Nell’antica repubblica fu Generale d’armi. Dopo la rivoluzione emigrò, e non rimpatriò che nel 1814. La sua passione prediletta sembrava quella di sopraintendere agli Ospedali. Difatti fu sempre l’unica di lui occupazione e n’ebbe continua-mente la direzione. Bisogna anche confessare ad onore della verità, che gli ammalati sotto la di lui sovraintendenza erano molto bene trattati, e godeva perciò della pubblica estimazione ed ammirazione. Alla venuta di S. M. dalla Sardegna, alloggiò in casa sua, gli ha tenuto un figlio al sacro fonte e lo ha decorato del Grand’Ordine dell’Annunziata. È divenuto cugino del Re. Questi onori lo fecero perdere quel poco di cervello che gli si attribuiva e divenne ambizioso e superbo a segno tale, che trascurava interamente gli ammalati a benefizio dei quali dedicava in passato quasi tutte le ore del giorno e parte di quelle della notte. Un simile cambiamento lo fece perdere tutta la stima de’ suoi Concittadini, ed ora è divenuto l’oggetto dell’esecrazione generale. Allorché si mostra in pubblico tutto decorato (ciò che fa ogni giorno repli-catamente) tutti si fermano per osservarlo e deriderlo, nessuno o ben pochi lo salutano, e qualcheduno si permette di dirle anche delle impertinenze. E l’unico nobile tra i genovesi del partito del Re di Sardegna. È un uomo di poco, niente influente, per conseguenza da trascurarsi affatto sotto ogni rapporto » (1). Lo scopo politico di queste informazioni e del quadretto un po’ caricaturale è troppo evidente, dati gl’intendimenti austrofili del Frizzi, e non riesce a distruggere l’affermazione iniziale delle benemerenze del gentiluomo genovese verso le opere pie e gli Ospedali in ispecie. Sotto di lui infatti nel 1818 fu riordinata la Giunta che ebbe a vicepresidente il marchese Dome- (1) Frizzi, Quadro Caratteristico cit., in Museo del Risorgimento di Genova. Gli informatori piemontesi io dicevano invece buonissimo (Segre, Il primo anno del Ministero Vailesa, pag. 344, n. 36) e di larga influenza (Stato dei soggetti ecc., Arch. di Stato di Torino, Materie politiche in genere, mazzo 9). - 317 — nico De Marini, già membro del governo provvisorio del 1814 entrato poi nella deputazione degli studi e giudicato molto favorevolmente dagli informatori piemontesi. La Giunta continuò con questa presidenza per parecchi anni, fino alla morte del Carrega avvenuta il 12 dicembre 1827. Nell’aprile del 1828 alla presidenza era destinato Antonio Brignole Sale e alla vice presidenza, essendosi dimesso anche il De Marini (1), il marchese Fabio Pallavicini (2). Secondo una nuova riforma dell’anno precedente la Giunta era costituita oltre che dal Presidente, dai due Sindaci e dal primo Ragioniere della città e da otto membri non decurioni. Perciò col 1831 vi entrava, in funzione appunto di Sindaco, Onofrio Scassi e qui la vecchia amicizia e la stima del Brignole Sale per lo scienziato e l’amministratore trovavano nuove ragioni di rafforzarsi ed estendersi nei più frequenti contatti e nel lavoro comune. È agevole pensare che la relazione sulle condizioni degli Ospedali inviata dalla Giunta al Ministero il 29 dicembre 1832, sebbene firmata da tutti i componenti, fosse opera specialmente dello Scassi, come il solo veramente fornito di competenza tecnica. E lo conferma la proposta avanzata dal Brignole dopoché I’8 giugno 1833 il Pallavicini chiese ed ottenne d’essere esonerato dalla funzione di vicepresidente (3). Con lettera riservata del 28 novembre il Brignole faceva notare che il servizio negli ospedali non procedeva come sarebbe stato necessario perchè la Giunta con tutta la buona volontà non aveva un’adeguata competenza tecnica. Egli proponeva perciò che a vice presidente fosse nominato un medico valoroso che potesse anche essere ispettore superiore degli ospedali. « Il medico Ispettore non dovrebbe essere pagato, ma parrebbe conveniente bensì ch’ei ricevesse un attestato della considerazione sovrana con venir nominato membro della Giunta. Questa onorevole distinzione oltre al dare vie maggior peso alla sua autorità (ciocché gioverebbe a tener meglio a freno gli ufficiali sanitari, sui quali sarebbe più facilmente chiamato a esercitare una vigilante ispezione) sarebbe opportuna ancora per l’amministrazione in genere la quale non può non trar vantaggio dai lumi di un professore di merito segnalato. Ciò si verifica principalmente nei casi, che ben frequentemente presentansi, di dar provvidenze direttamente relative al ser- (1) Poco dopo il De Marini chiedeva di essere dispensato anche della vicepresidenza della Deputazione degli studi ed era sostituito da Marcello Durazzo, Gazzetta di Genova, n. 45, 6 giugno 1832. (2) Archivio di Stato di Torino, Opere Pie, Genova, 1816-1840, n. 106. (3) Fabio Pallavicini fu, com’è noto, agente di Carlo Alberto in materia di prestiti e di altri affari economici a fondo politico e specialmente nei suoi tentativi per favorire un ritorno della duchessa di Berry sul trono di Francia; H. Prior, Documents inedits relatifs à Madame la Duchesse de Berry, Milano, 1906, pag. 28 sgg.; Salata, Carlo Alberto inedito pag. 64 e passim. — 318— vizio ed alla cura degli infermi, come ha dimostrato con la presenza nel seno della Giunta del Conte Scassi, il quale però con l’uscire dal Sindacato della città cesserà pure di essere membro della Giunta medesima » (1). L’accenno era fatto e l’intenzione era ben evidente, ma perchè non cadesse dubbio una seconda e più ampia lettera riservata dello stesso giorno designava esplicitamente lo Scassi al nuovo ufficio da istituire e ne indicava tutte le ragioni. Lettera che per i tipici accenni ricorrenti in tutti i documenti suoi a quelle che egli riteneva, giustamente del resto, le sue benemerenze, è stata senza dubbio concordata con lo Scassi se non da lui suggerita. 1 tempi sono mutati e i titoli di merito accresciuti: ma c’è una evidente parentela tra questa lettera e quella che Gian Battista Rossi scriveva nel 1798 al Direttorio per l’ascrizione dello Scassi all’istituto Nazionale, e l’esposto a Carlo Felice per ottenere il titolo comitale. Comunque, anche se ci sia sotto una qualche naturale ambizione dell’uomo desideroso di salire e conscio del proprio valore e della propria superiorità, è ben degno di nota che uno spirito così fine ed acuto come fu il Brignole Sale dimostrasse tanta fiducia al suo amico e proponesse per lui un ufficio eccezionale e non rinnovabile. Dopo di lui infatti la carica di ispettore medico avrebbe dovuto essere affidata al professore prò tempore di clinica interna alPUniversità. La lettera, notevole anche per le proposte relative alle funzioni da assegnarsi al medico-ispettore merita d’essere integralmente riferita. Ducato di Genova. Giunta speciale degli Spedali di Genova. Genova, 28 Novembre 1833. N. 78. Riservata. All’Ill.mo Sig. Primo Segretario degli Affari Interni. lll.mo Sig. Padrone Colendissimo, Supponendo che non sarà discaro a V. S. 111.ma ch’io mi permetta di confidenzialmente indicarle su chi a preferenza tra i nostri Medici penserei che cader dovesse la scelta di Sua Maestà per la carica di Medico Ispettore, della quale in altra mia di questo giorno propongo l’istituzione, mi farò ardito a sottometterle il nome del Sig. Dottore Conte Onofrio Scassi che so essere dalla S. V. 111.ma personalmente conosciuto e particolarmente stimato. (1) Questo e gli altri documenti relativi alla Giunta degli Spedali, quando non ne sia indicata altrimenti l’origine, sono tratti dalla busta n. 106 delPArch. di Stato di Torino, Opere Pie, Genova 1816-1840, — 319 — Non mi dilungherò qui a riferire la carriera medica del Dottore Scassi per esser egli giunto da lungo tempo a tal grado di celebrità e nel proprio paese e all’estero, e per aver di già ricevuto, in premio del suo merito, da vari Governi e soprattutto dall’attuale di Sua Maestà, tante onorevoli distinzioni, da farlo, a mio parere, senza ulteriore esame, giudicare degno della scelta di cui si tratta. Dirò soltanto che l’aver cominciato fino dalla prima gioventù, reduce appena dalle illustri Università di Londra e di Edimburgo ove fece i suoi studi, e l’aver seguitato per circa trent’anni a coprire con generale e costante applauso diverse cattedre della facoltà medica, l’essere quindi stato nominato a Membro della R. Deputazione di Studi e Deputato all’insegnamento, incarico che tuttora va esercitando, la qualità di Membro del Magistrato di Sanità, della quale è da moltissimi anni insignito, quella di Sindaco della Città di Genova, il titolo di Conte da Sua Maestà concedutogli, la decorazione dell’ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e quella di S.ta Anna di Russia che vennero a lui conferite, tutte queste circostanze mi sembrano opportunamente concorrere a meritargli di essere promosso eziandio alla dignità di Vice Presidente della Giunta oggidì vacante per la dimissione del Marchese Pallavicini. Le molte occupazioni e pubbliche e private del Conte Scassi mi avevano reso, a dir vero, per alcun tempo dubbioso sulle proposizioni che ho l’onore di sottoporre alla S. V. 111.ma, ma alla fine mi vi son risoluto sulla duplice considerazione chele sue incombenze andando tra breve a scemare per la cessazione della carica di Sindaco, e che avendo egli oggimai quasi abbandonato la sua professione restringendone l’esercizio pressoché esclusivamente alle funzioni di medico consulente, potrà rimanergli tempo bastante per accudire all’ispezione per quanto laboriosa del servizio sanitario di un vasto Spedale. D’altronde, avendo io a tal riguardo procurato di scandagliare il suo animo, a seguito dell’autorizzazione che V. S. si compiacque darmene verbalmente, l’ho trovato disposto ad assumere il summentovato incarico, nè debbo dopo di ciò dubitare che non vi si presterebbe con zelo ed assiduità. La dignità di Vice Presidente della Giunta mi sembra, come dissi, meritata dal Conte Scassi per la carriera illustre da lui percorsa, per i suoi passati e presenti serviggi e anche come un attestato della soddisfazione sovrana in occasione del suo uscire dalla carica di Sindaco del Corpo Decurionale. Quanto ai suoi successori però nella qualità di Medico Ispettore, parmi sufficiente, come accennai nell’altra mia lettera qui sopra citata, che siano semplicemente membri della Giunta, non essendo probabile che si riuniscano in essi altrettanti requisiti quanti nel prefato Sig. Conte Scassi. Io non domando però che, dopo di lui, la scelta del Membro ispettore sia — 320 — fatta dalla Giunta, ancorché spetti a questa, a tenore del Regolamento organico approvato da Sua Maestà il Re, l’elezione dei propri suoi Membri, non Decurioni, ad eccezione del Presidente e del Vice Presidente, e non Io domando perchè, facendosi tali elezioni da un Corpo alquanto numeroso, e non per votazione palese ma per via di scrutinio segreto, può talvolta accadere che predilezioni non bastantemente ponderate o altri personali riguardi governino la votazione e non risulti perciò preferito il merito vero. Ma proporrei che, dopo il Dottore Scassi, sia sempre de jure rivestito della carica di Medico ispettore e Membro della Giunta il professore universitario prò tempore di Clinica interna. Non propongo il Professore Mongiardini, attuai titolare di questa Carica e Capo del Provveditorato e perchè mi sembra meritevole di preferenza il Dottore Scassi, e per essere quegli di età avanzatissima e fisicamente incapace, a mio credere, di sostenere il peso che per la nomina di Medico ispettore gli verrebbe addossata. Del resto io spero che V. S. 111.ma si persuaderà facilmente che nel dare qui il nome di un soggetto per la carica di cui propongo la creazione, non venni a ciò spinto da alcun sentimento di favore o parzialità, ma sibbene dal desiderio di fare in modo che la carica anzidetta sia utilmente e con assiduità esercitata. Il mio scopo nel proporre a qualsiasi pubblico incarico fu e sarà sempre quello di dar l’uomo all’impiego anziché l’impiego all’uomo. Nella supposizione che Sua Maestà si degnasse, inerendo alle considerazioni sovra esposte, nominare con apposito e distinto Sovrano biglietto il Conte Scassi a Vice Presidente della Giunta e che Le piacesse altresì di approvare l’istituzioue della carica di Medico Ispettore degli Spedali di Genova, che ho preso la libertà di proporre, stimerei che la parte dispositiva di questo secondo ordine Regio potesse in sostanza prescrivere quanto segue: I. Che sia istituita negli Spedali di Genova la carica di Medico Ispettore del servizio sanitario; II. Che le attribuzioni di questa siano: 1) Vegliare a che gli altri Medici e Chirurghi al servizio delle Pie Opere adempiano esattamente ai doveri che sono loro imposti dai vigenti regolamenti ed agli altri ordini emanati o che emaneranno a loro riguardo dalla Giunta; 2) Presiedere ai Congressi mensuali sia dei Medici che dei Chirurghi, stabiliti recentemente dalla Giunta per la verificazione ed approvazione dei rapporti statistici e nosologici presentati dai Medici e Chirurghi assistenti; 3) Fare in principio di ogni anno alla Giunta una relazione sulla condotta tenuta nel precedente anno dagli Ufficiali giudiziari addetti al servizio degli Spedali riguardo aH’adempimento degli obblighi loro imposti dalle - 321 — rispettive loro istruzioni ed altri ordini della Giunta e dei Deputati, e segnatamente liguardo alla premura ed esattezza dimostrate nella compilazione dei quadri statistici, delle storie di malattie, e coll’intervenzione dei sum-mentovati mensuali congressi; aggiungendo il Medico Ispettore in tal relazione il proprio motivato parere sul risultato dei lavori medesimi sotto il rapporto amministrativo e sanitario. III. Che ravvisandosi dal Medico Ispettore l’opportunità di misure tendenti al bene del sanitario servizio, debba farne la dimanda al Presidente della Giunta, il quale sia autorizzato farle mettere in esecuzione o per mezzo di un suo ordine scritto quando il provvedimento da darsi non dia luogo ad alcuna straordinaria spesa, o previa comunicazione alla Giunta e l’approvazione di questa nel caso contrario. IV. Che il Medico Ispettore sia membro perpetuo della Giunta degli Spedali: che non riceva per l’esercizio di questa carica stipendio nè emolumento alcuno. V. Che la carica di Medico Ispettore sia conferita per questa prima volta al Dottore in Medicina Conte e Cavaliere Onofrio Scassi, Vice Presidente della Giunta, e dopo di lui al Professore prò tempore di Clinica interna della R. Università di Genova. Tale è il progetto che io prendo la libertà di sottometter alla saviezza di V. S. 111.ma. Se, come spero, ponderati i motivi di esso, Ella ne riconosca la convenienza, non dubito che vorrà favorire di rassegnarlo con quelle modificazioni o miglioramenti di cui per avventura lo giudicasse suscettibile, alla suprema approvazione di S. M. Ho l’onore di protestarmi coi sentimenti della più alta stima e riverente ossequio, di V. S. Ill.ma Dev.mo Obbl.mo Servitore A. Brignole Sale (autografa) Presidente della Giunta degli Spedali. Le proposte del Brignole Sale sono state integralmente accolte. Con biglietto del 31 dicembre Carlo Alberto scriveva alla Giunta speciale degli Spedali di Genova: « Magnifici Fedeli ed Amati Nostri: Volendo noi provvedere al posto vacante di vice presidente di cotesta Giunta Ci siamo determinati di chiamarvi il Conte e Cav. Onofrio Scassi persuasi come siamo che non cesserà di far prove della zelante sua carità e della molta sua dottrina a vantaggio dei Pii Istituti, commessi alle cure di essa Giunta. Vi diciamo pertanto di avere eletto, come pel presente eleggiamo a Vicepresidente 21 322 -% della Giunta speciale degli Spedali di Genova il predetto conte e cavaliere Onofrio Scassi » (1). Con altro brevetto dello stesso giorno era istituita presso gli Ospedali Civili di Genova un’ispezione superiore del servizio di sanità e ne era conferito l’incarico appunto allo Scassi (2). Si comprende perciò che appunto in quei giorni, terminando le funzioni sindacali, egli cercasse, se pur invano, di evitare nuovi incarichi nell’amministrazione comunale. Nessuna soluzione di continuità così per quanto riguarda le cure degli Ospedali nell’opera sua; e mentre col ’34 entra nelle nuove funzioni ispettive e di vicepresidente, il 30 dicembre ’33 partecipa alla seduta della Giunta per la solita relazione annuale, unico fra i rappresentanti del Comune perchè Francesco Maria Doria Lamba, il Sindaco di prima classe, e Giovanni Quartara, primo Ragioniere, sebbene avvertiti, dice il verbale, non sono intervenuti. L’annua relazione richiesta dalle disposizioni regolamentari in vigore dichiara che la visita di obbligo agli Ospedali di Pammatone e degli Incurabili è stata soddisfacente. Troppo ristretto Io spazio agli Incurabili e difficile perciò il trattamento dei malati, in modo speciale dei dementi, dei quali si propone la separazione dagli altri ammalati. Ma al desiderio qui espresso era già venuto incontro un altro ordine regio ancora del 21 dicembre col quale, in riferimento anche a trattative e pratiche anteriori e a un precedente ordine regio del giugno 1827, si commetteva alla Giunta di provvedere alla costruzione di un nuovo Manicomio fuori delle Porte dell’Arco nella pianura degli Orti di Arbara e ai primi di gennaio la Giunta deliberava l’appalto dei lavori (3). Così Io Scassi aveva una parte direttiva nel momento in cui si attuava quest’altro istituto cittadino. Al solito, poiché i mezzi di cui la Giunta disponeva non erano sufficienti, fu necessario ricorrere a un prestito per azioni di mille lire. La circolare firmata dal Presidente, dal Vicepresidente e da alcuni altri membri, dichiarava di non promettere busti e statue come in più ricche opere antiche — era evidente l’accenno allo Spedale di Pammatone e all’Albergo dei poveri — ma i nomi dei sottoscrittori sarebbero stati ricordati in una tavola di bronzo. (1) Arch. di Stato, Torino, Atti Ministero dell’interno, R. Biglietti, 21 aprile 1831; 15 febbraio 1836; Fol. 668. (2) Copia del brevetto in arch. Sauli. 11 dispositivo del decreto è la trascrizione letterale delle proposte del Brignole Sale. La notizia delle due nomine è data dalla Gazzetta di Genova nel n. 3 dell’8 gennaio 1834. (3) Gazzetta di Genova, n. 5; 15 gennaio 1834. Sulle benemerenze del Brignole Sale in rapporto agli ospedali e specialmente per la costruzione del nuovo manicomio cfr. G. PoR-tìgliotti, L’assistenza dei malati di mente a Genova in « Annali dell’Ospedale Psichiatrico della Provincia di Genova », Genova, Marsano, 1930 - Vili, pag. 13 sgg. dell’estratto. — 323 — L appello non fu lanciato invano: una prima serie di azioni era già esaurita nell ottobre, una seconda nel novembre e il Re nella sua annuale dimora a Genova visitava i lavori compiacendosene (1). Come lo Scassi abbia eseguito col consueto zelo operoso gli incarichi affidatigli è attestato dall’ampia relazione presentata il 23 gennaio 1835 alla Giunta e dal Brignole Sale inviata al Ministro L’Escarène « nella quale si rende un conto esatto e luminoso dello stato attuale del predetto servizio in tutte le sue pai ti, delle innovazioni in esso introdotte dalla presente amministrazione, delle cause ed effetti delle medesime ed infine dei miglioramenti ulteriori che si giudicherebbero necessari ed assicurare il pieno adeguamento della costante e principalissima mira della Giunta, la maggior possibile cura, cioè, dei poveri infermi ». Nella lettera che accompagna la relazione il Brignole Sale prega di non dar troppo peso alle parole di lode per lui che vi sono contenute, effetto della benevolenza e « fors’anche dell’armonia di vedute e unanimità di principi che d’ordinario esistono fra il dotto estensore della relazione e chi presiede al Corpo di cui Egli fa parte »; e aggiunge d’aver nominato una commissione per riformare i regolamenti e attuare le proposte dello Scassi. L’ampia relazione del quale è compresa in un fascicolo di 36 grandi fogli ed è troppo estesa e di contenuto troppo tecnico per essere integralmente riferita (2). Espone le novità introdotte neH’Amministrazione e anche nella formulazione delle diagnosi, nel trattamento dei malati; tra le innovazioni merita di essere ricordata l’istituzione delle tabelle indicative apposte ad ogni letto con tutte le notizie relative al malato e alla malattia. Insiste sulla necessaria separazione dei dementi dagli altri malati; fa proposte per la trasformazione del Lazzaretto, per la nomina e la distribuzione delle attribuzioni dei medici e per l’istituzione di un chirurgo capo. Svolge ampiamente la parte amministrativa ed economica conchiudendo con la speranza che il timore delle spese non tratterrà dal prendere i necessari provvedimenti; « sarebbe un insulto alla Divina Provvidenza ». Anch’egli accompagnò il rapporto con una lettera al Ministro esprimendo la speranza che esso avrebbe potuto « far conoscere la mia sollecitudine ed assiduità nell’esercizio delle funzioni di Ispettore superiore di Sanità e ricordare i lunghissimi servigi da me ren-duti alla pubblica preservazione nel Magistrato di Sanità e nell’Università alla pubblica istruzione ». Conchiudeva con la speranza dell’approvazione (1) Gazzetta di Genova, n. 81, 89, 98, 101: 8 ottobre, 5 novembre, 6-17 dicembre. (2) Si trova anch’essa nella citata busta 106 della categoria Opere Pie, Genova, dell’Arch. di Stato di Torino. — 324 — del Re e del Ministro: e questi infatti gli rispondeva il 9 febbraio d aver letto con molto piacere la relazione e d’averne riferito nella seduta del giorno 7 al Re « che si è dimostrato soddisfattissimo ed ha molto commendato la di lei sollecitudine ed assiduità nelle funzioni di Ispettore superiore di sanità » e gli faceva i rallegramenti per questo aggradimento sovrano. Ma egli non aveva ancora raggiunto il vertice della sua carriera al quale doveva succedere rapida la morte. Può essere che quelle lettere del ’35 intendessero preparare il terreno, secondo intese già avvenute tra i due insigni cittadini, l’uno dei quali era spesso fuori di città in missioni ufficiali e sapeva probabilmente del suo prossimo ritorno alle funzioni diplomatiche. Certo è che, nominato ambasciatore a Parigi, il Brignole Sale con lettere del 23 e 26 aprile 1836 espresse il desiderio di conservare durante 1 assenza la carica di Presidente della Giunta. Questa carica, diceva, è perpetua, quella di ambasciatore all’estero eventuale e incerta. Era evidentemente un pretesto per raggiungere un altro intento. Per consuetudine la carica di Presidente spettava a un vecchio nobile; la nobiltà dello Scassi era troppo recente; forse l’amico non osava proporlo apertamente. Allora, poiché mettergli accanto un altro presidente avrebbe potuto apparire prova di scarsa fiducia, il Brignole Sale dimostrava tanto desiderio di conservare il nome di Presidente appunto perchè lo Scassi rimanesse a presiedere di fatto. Il 3 maggio il Ministro fece la sua relazione al Re mostrando d’aver compreso benissimo la situazione. Era evidente infatti, egli diceva, che il marchese, quando non si fosse creduto di conservare a lui la presidenza, designava a suo successore lo Scassi « il quale sarebbe per avventura la sola persona capace di proseguire le utili innovazioni da lui intraprese nell’amministrazione dei Pii Istituti summenzionati ». La decisione del Re fu quella appunto che si desiderava: il posto di Presidente doveva rimanere vacante nell’assenza deH’ambasciatore e le funzioni esercitate dal vice presidente: in questo senso fu scritto a tutti e due il 6 maggio. 11 Brignole rispose ringraziando il 10, e lo Scassi inviava al Ministro il giorno successivo questa calorosa lettera di ringraziamento: « Genova, 11 maggio 1836 — Eccellenza. Ho ricevuto con somma riconoscenza il venerato dispaccio di Vostra Eccellenza che mi fa conoscere il Regio comandamento con cui Sua Maestà si è degnata determinare ch’io abbia a disimpegnare le funzioni di Presidente della Giunta amministrativa degli Spedali di questa città. Nell’obbedire a questo onorevole incarico affidatomi farò quanto mi sarà possibile per meritare in qualche modo la continuazione della sovrana benevolenza che formerà sempre l’oggetto primario dei miei desideri. Prego V. E. ad accettare l’omaggio della mia profonda stima e venerazione - 325 - con cui mi pregio raffermarmi di V. E. Umil.mo e Obbl.mo servitore Onofrio Scassi — Vice presidente della Giunta » (1). Le parole sottolineate sono autografe, ma con scrittura tremolante, stentata e senile, ben diversa dalla sicura e nitida grafia di un tempo. Se l’animo era sempre vivo e forse sempre un po’ ambizioso e desideroso di azione e di onori, le forze fisiche venivano meno e la fine anzi era prossima. Poiché la malattia che lo trasse al sepolcro durò qualche mese, si può dire che egli non abbia effettivamente esercitato l’ufficio appena raggiunto. Il Sindaco Vincenzo Serra nel comunicarne al Ministro dell’interno la morte con lettera 10 agosto 1836 (e il Governatore Paulucci la confermava il giorno successivo) aggiungeva che da lungo tempo la Giunta non si era raccolta perchè durante la lunga malattia lo Scassi mostrava contrarietà che si convocasse sotto la presidenza di altri. Doveva essergli infatti doloroso e amaro non poter esercitare la carica ambita della quale, del resto, e l’aveva dimostrato alla prova, era e si sentiva pienamente degno e capace. * * * Un’altra amarezza aveva avuto negli ultimi suoi anni il medico insigne che alla pubblica salute poteva senza iattanza affermare d’aver largamente contribuito con la scienza e con l’operosità professionale: l’accusa di diserzione dal posto del dovere e del pericolo. La minaccia del colera dilagante in tutta Europa si fa sempre più grave e vicina; nè i provvedimenti di polizia sanitaria stabiliti dal Governo o i mezzi suggeriti dai medici andati a studiare la malattia in Francia e in Inghilterra o le misure precauzionali delle autorità cittadine valgono ad arrestare il contagio (2). Nel luglio il malanno si avvicina: Nizza, Villafranca, Cuneo sono già infette. Genova resiste ancora. Ma al principio d’agosto conta le prime vittime: il giorno cinque si annunciano già tre morti (3) e il (1) Nella prima adunanza della Giunta da lui presieduta, propose poi un voto ufficiale di ringraziamento al Brigole Sale per le sue benemerenze e la collocazione d’un ritratto di lui nella sala delle riunioni; G. Portigliotti, op. cit., pag. 13, n. 21. (2) Proclama del governo sulla difesa sanitaria; Compilazione degli Editti e Patenti, t. XXXIX, pag. 73, 10 gennaio 1835; Arch. Civico, Consiglio Generale, Registro 1828-1835, c. 544, 6 febbraio 1835; Gazzetta di Genova, n. 59, 25 luglio. (3) Gazzetta di Genova, n. 62, 5 luglio. — 326 — morbo si diffonde rapidamente con terribile intensità. Le misure sanitarie per circoscrivere e limitare l’epidemia che non si è potuta evitare si susseguono rapide e incalzanti: vi contribuisce il Governo, vi contribuisce il Comune e concorrono anche i privati con sottoscrizioni e offerte anche cospicue per soccorrere i più urgenti bisogni — e piace di trovare tra gli offerenti alcune dame celebri per carità e patriottismo come Lilla Cambiaso e Anna Giustiniani — e i cittadini più insigni per nobiltà, per censo, per funzione sociale, non escluso lo Scassi (1). Anche il Re accorre a Genova nella dolorosa occasione, mentre ad accelerare i provvedimenti e semplificare le formalità amministrative fin dal 17 luglio il Consiglio Generale propone che i suoi poteri siano deferiti ad una Commissione straordinaria, formata dai Snidaci, dal primo Ragioniere, e dai due Priori degli Uffici dei Provveditori e degli Edili, o dei loro rappresentanti. Approvata dal R. Commissario, la Commissione funziona per tutto il tempo dell’epidemia, dal 17 agosto al 2 novembre- li 16 dicembre riprendendo le sedute del Consiglio Generale il Sindaco Vincenzo Serra riferì sull’opera della Commissione speciale, e un secondo e più ampio rapporto anche economico fece il 18 luglio successivo, mentre per incarico della Commissione stessa il medico Angelo Bo pubblicava una relazione tecnico scientifica (2). Facendo il doloroso bilancio, ai primi di ottobre si poteva annunciare che i casi erano stati 4174 e 2596 i decessi; particolarmente dolorose alcune perdite: l’architetto Carlo Barabino, Girolamo Calvi professore di ostetricia all’Università, Carlo Pagano uno dei redattori della Gazzetta, Luigi Marchelli, il medico che aveva avuto un tempo intensa vita politica ed era stato entusiasta apostolo della vaccinazione, l’avvocato Domenico Solari cugino del Mazzini, Luca Gentile tornato nell’ombra dopo i focosi atteggiamenti giovanili e altri molti notevoli per nobiltà di natali o per cospicue attività civili, professionali, economiche (3). Meritoria per abnegazione e spirito di sacrificio l’opera dei medici: accanto al Mongiardini che, capo del Protomedicato, ebbe per qualche tempo la direzione dei servizi passata poi a un dott. Griffa mandato in missione da Torino (4), è noto che nella lista dei benemeriti Giacomo Mazzini tiene uno dei primissimi (1) Compilazione Editti e Patenti, t. XXXX, pag. 136,10 agosto; Gazzetta di Genova, agosto-ottobre 1835. (2) Archivio Civico, Consiglio Generale, Registro 1835-36, c. 4, 8, 49, 72; Gazzetta di Genova, n. 103, 26 dicembre 1835. (3) Gazzetta di Genova, n. 73, 79: 12 settembre, 3 ottobre. Sul Solari, v. F. Sassi, Rapporti fra i Mazzini e i Solari, Giorn. stor. letter. della Liguria, 1929, p. 31 sgg. (4) Luzio, La madre di G. Mazzini, pag. 58; nel maggio del 1836 protomedico era Mangini; ibid. pag. 101. - 327 — posti (i). Alcuni che si erano anche recati a studiare la malattia all’estero, ebbero dal Consiglio un premio pecuniario (2). Non era mancato anche qualche richiamo ai negligenti ma nella fretta e nell’orgasmo del momento non senza errori e ingiustizie. Un manifesto del protomedicato in data 29 agosto ordinava a tutti i medici di dare il proprio nome alla Segreteria della città e il 2 settembre compariva nella Gazzetta un elenco di medici e chirurghi che, per non aver ottemperato all’invito, erano sospesi dal loro ufficio: vi erano compresi tra gli altri i professori dell’Università Gerolamo Botto e Bartolomeo Gherardi e il celebre Paolo Della Cella, il pioniere delle esplorazioni libiche, in quel momento neppure a Genova (3). In questo elenco Onofrio Scassi non è compreso: sarebbe stato troppo grave e clamoroso affronto, e poi i compilatori dell’elenco sapevano bene la ragione della sua assenza in quel momento. Eppure anch’egli aveva, come è naturale, i suoi nemici, e taluno (forse geloso della magnifica ascensione, forse memore ancora di essere stato da lui colpito in occasione di un’altra terribile epidemia e desideroso di un ingiusto contraccambio) lo accusò con denuncia anonima di aver abbandonato la città appunto per timore del colera. Secondo la consuetudine burocratica, la denuncia fu da Torino rimessa al Governatore Paulucci per informazioni e il velenoso anonimo otteneva soltanto l’effetto di far rinnovare al Governo centrale un quadro efficace e lusinghiero dell’opera e delle benemerenze del medico genovese pienamente giustificando e documentando le ragioni della sua assenza. Onofrio Scassi, diceva il Governatore « dopo di aver esercitata per 40 anni l’arte sanitaria e insegnato in diverse cattedre, cessò affatto da sette anni dall’esercizio della medicina e abbandonò la clientela. Continuò a sedere nel Magistrato di Sanità di cui era membro, ed anche qualche volta Presidente, fin dall’anno 1800. Nel blocco di Genova fu specialmente incaricato di tutto ciò che riguardava l’epidemia allora dominante e non potendo (1) Gazzetta, n. 80, 82: 7, 14 ottobre 1835; A. Neri, Il Padre di Giuseppe Mazzini, Rivista Ligure, XXXVII, 1910, pag. 136 sgg.; A. Luzio, La Madre di Giuseppe Mazzini, Torino, 1918, pag. 9 e 56 sgg.; Scrìtti di Giuseppe Mazzini, Epistolario, IV, 59. (2) Consiglio Generale, Reg. 1835-36, c. 49, 23 dicembre 1835. Anche Carlo Alberto nel suo Diario fa le lodi di un dott. Accame andato volontariamente a Parigi a studiarvi la malattia, fin dal 1832 mentre parla con sospetto di Benedetto Mojon per il quale credeva che il colera fosse un pretesto politico; F. Salata, Carlo Alberto inedito pag. 301. (3) Gazzetta, n. 70, 2 settembre. Sul Della Cella v. F. Rho, La vita e l’opera del dott. P. D. C., Città di Castello, 1912; L. Messedaolia, Per lo studio della patologia e dell’igiene della Libia italiana, le osservazioni di P. D. C. in Atti dell’Accademia di agricoltura ecc. di Verona, 1912; A. ISSEL, Un viaggiatore genovese nella Cirenaica durante il 1811, Rivista Ligure, 1912; A. Ghisleri, La Libia nella storia e nei viaggiatori, Torino, Paravia, 1927, pag. 108 sg. Nel 1832 Carlo Alberto Io aveva insignito dell’ordine di Savoia; Salata, Carlo Alberto inedito, pag. 186. più riceversi ammalati negli ospedali ne fece trasportare varie centinaia nel Lazzaretto della Foce ove li visitava mattina e sera. Ebbe un eguale incarico nel 1815 per consimile epidemia e si è prodigato ». Non è lui, sembra commentare il Paulucci, che può essere accusato di viltà davanti al pericolo; e, dopo aver enumerato le altre cariche attualmente coperte, continua « nello scorso aprile il signor Conte Scassi fu attaccato da una forte infiammazione d’occhi che nonostante la maggior cura continuò a tormentarlo fino al presente e sarebbe questa, siccome apparisce, la conseguenza di un lungo lavoro per l’estensione di un rapporto ragionato sullo stato degli Spedali di Genova, che venne dalla Giunta rassegnato al Re, il quale si degnò farne esprimere all’autore il suo gradimento. Nel principio del mese di agosto, cresciuta sommamente la malattia degli occhi, per consiglio dei medici e dei suoi amici, riconobbe egli la necessità di allontanarsi dall’aria salina e trasportarsi ad una sua campagna in Lombardia. S. E. il Signor ammiraglio barone De Geneys al quale comunicò questo suo desiderio come direttore supremo della sanità, lo sollecitò ad eseguire quanto eragli stato suggerito un eguale incoraggiamento a ciò ebbe pure da S. E. il primo Presidente del Senato; egli si trasferì in conseguenza verso la metà di agosto in Lombardia ove sofferse una gravissima malattia da cui benché appena convalescente, tornato in Genova ha già ivi ripreso l’esercizio delle sue funzioni. Queste ragioni espose già nel settembre alla R. Commissione Sanitaria e il prof. Griffa ff. di capo del Protomedicato, membro della commissione stessa, ebbe l’incarico di assicurarlo per lettera dei sentimenti di stima esternati verso di lui nell’adunanza del 17 settembre » (1). L’anonimo era servito; ma l’accusa aveva dovuto essere dolorosa al vecchio benemerito. Lo confortava certo la stima e la fiducia del Brignole Sale, il più elevato dei concittadini, e la designazione a surrogarlo ed esercitarne le funzioni in sua assenza. Ma ormai la fibbra era logorata e neppure potè esercitare effettivamente in tutta la pienezza la carica conseguita. Dopo il 30 aprile non compare più neanche al Consiglio Generale: quella lettera di ringraziamento al Ministro PII maggiosi può dire l’ultimo suo atto e nella stessa grafia tremolante e malsicura preannuncia la prossima fine. Quale precisamente la malattia « lunga e penosa » che lo trasse a morte non dicono i cenni necrologici. Nella notte dal 9 al 10 agosto del (1) II Governatore Paulucci al primo Segretario per l’interno, 20 Novembre 1835, Archivio di Stato, Torino; Atti di Polizia 1835, Genova, cartella 5. - 329 - 1836 chiuse, assistito dai conforti religiosi, la laboriosa e benefica esistenza (1). « Questa perdita — scriveva la Gazzetta — veramente sentono e lamentano la Patria cui egli giovò col senno, le Scienze delle quali fu dotto cultore e pregiato ornamento, e finalmente gli amici che sempre sovvenne di consiglio e di beneficienze » (2) Il cenno necrologico della Gazzetta è rimasto il più ampio e particolare ricordo che di lui sia stato fatto ed ha servito alle brevi biografie posteriori (3) cui si possono aggiungere le sparse notizie contenute nella Storia dell'Università dell’Isnardi continuata dal Celesia (4). Figura, lo Scassi, se non di primo piano degna tuttavia di rievocazione e di ricordo per la parte cospicua e rappresentativa di tutta una classe sociale avuta attraverso un tempestoso momento della storia genovese e italiana, dalla tarda e morente repubblica aristocratica, attraverso mutamenti politici e sociali profondi, sino agli albori delle riforme Carloalbertine. Scienziato, medico, professore, cittadino, ha dato la sua attività operosa, talvolta quasi invadente, alle funzioni più varie e alle istituzioni più cospicue. L’Università, le Magistrature mediche e sanitarie, l’Amministrazione cittadina gli debbono non lievi nè obliabili benefici e il suo nome è congiunto ad alcune opere pubbliche e benefiche che ancora rimangono e illustrano la città, ad altre che, compiuto il loro ciclo e la funzione, sono scomparse: taluna, come il Ponte Pila sul Bisagno, sta scomparendo sotto i nostri occhi. E se Giuseppe Mazzini, che guardava coi suoi occhi d’aquila ben altre mete, parlava di quei lavori sprezzantemente (5), nessuno potrebbe oggi negare il valore e l’importanza di quelle opere che segnano il faticoso sviluppo e la graduale elevazione della vita civile. (1) Copia dell’atto di morte, tratto dal libro dei defunti della parrocchia di S. Maria Maddalena, nel Museo del Risorgimento di Genova, carte Scassi. Fu sepolto nella Chiesa dei Cappuccini ove Io ricorda questa iscrizione fatta apporre dal figlio : a £ a Comes Onofrius Scassi — Famosus medicinae doctor — In genuensi athenaeo — Pa-thol. hinc din. professor — In ligure rep. censor et senator — In quinqueviris studiorum — Unus — Triplici aequestri ordine decorus — Urbani municipii decurio dictatorius — Nosocomiorum urbis — Propraeses — Diuturno morbo consumptus — Omnibus flebilis occidit — Flebilior — Unico filio qui patri amantissimo — Lapidem et titulum insolabilis — ponebat — Die mortis quarto idus augusti anni MDCCCXXXVI. (2) Gazzetta di Genova, n. 66, mercoledì 17 agosto 1836. (3) Abbozzo di un calendario storico della Liguria compilato da Luigi Grillo, Genova, tip. Ferrando, 1856, pag. 292, n. 245; cenni riprodotti in Giornale degli Studiosi, a. I, Voi. II, 6 novembre 1869, pag. 311. (4) Volume 11, pag. 177 sgg. Di qui derivano le scheletriche notizie in N. Giuliani, Albo letterario della Liguria, Genova, 1886, pag. 160 e Banchero, Genova e le due Riviere, pag. 488. Nulla di nuovo nell’articolo di A. Casacci a, Una gloria cogoletese in « Il Le-timbro » di Savona, 2 agosto 1929. (5) «Quanto ai vasti lavori nella città, me ne rido »; Scritti editi e inediti di Giuseppe Mazzini, Ediz. Nazionale, voi. XI (Epistolario, voi. III) pag. 352. — 330 - Gli ultimi anni della sua esistenza sono stati trascorsi tutti in veste ufficiale nell’aspetto amministrativo ed esteriore della vita cittadina, con benemerenze non disprezzabili anche se ormai lontane dall’azione politica diretta. Sono stati gli anni dei primi movimenti e sussulti del nuovo spirito italiano che cercava le vie del suo rinascere: quel che egli pensasse e sentisse in proposito, dinanzi agli avvenimenti del 1831, alle congiure e ai processi del ’33 e del ’34, all’azione incitatrice e rinnovatrice del suo grandissimo concittadino che a Genova appunto trovava i primi seguaci pronti ad attestare con l’esempio la santità e l’efficacia del martirio, non sappiamo. Egli viveva accanto a quella nobiltà che aveva dato la sua adesione e numerosi devoti alla Giovane Italia, collega e amico di Giacomo Mazzini e ben noto, come appare dalle lettere, a tutta la famiglia; viveva nella città ove soffrivano e speravano le madri sante, Maria Mazzini ed Eleonora Ruffini, ma nulla ci è dato sapere dei suoi rapporti con questo mondo rivoluzionario in atto o in potenza. Ormai, per l’esperienza vissuta, per le delusioni provate, per la posizione ufficiale assunta, pur rimanendo costante e tenace assertore, attraverso l’ossequio delle forme, dei diritti e degli interessi della sua città, non poteva essere amico e fautore di aspirazioni violentemente innovatrici o di movimenti rivoluzionari; tuttavia le idee accarezzate nella giovinezza e maturate con prudente equilibrio attraverso tanto mutar di vicende non erano scomparse daH’animo e certo anche dalle intime conversazioni e dalle famigliari confidenze. E un vincolo non soltanto di sangue ma di eredità ideale lega indissolubilmente l’uomo che aveva vissuto tutto un periodo di profonda rivoluzionaria trasformazione al figlio che la sospettosa polizia designava per i suoi atteggiamenti liberali come « una testa sventata » e al nipote che, uscito appena dall’Accademia militare, sottotenente nel Reggimento Novara cavalleria, e aiutante di campo del generale Casanova, rinunciava a tale ufficio, che temeva Io allontanasse dall’azione diretta, e alla testa dei suoi ca-valleggeri, buttatosi eroicamente all’assalto dei nemici, cadeva il 20 maggio 1859 a Montebello, meritando, alla memoria, la medaglia d’argento al valor militare. Agiva forse sul giovane, e a servizio d’una nuova causa, di carattere, questa volta, nazionale, il richiamo dell’epopea napoleonica che nelle sale della dimora dell’avo gli parlava dai ritratti, dai quadri, dalle stampe, dagli oggetti rievocanti quella straordinaria e quasi fantastica avventura. E se nelle sale del superbo palazzo, tutto pieno di ricordi dell’intensa vita operosa, dei personaggi avvicinati, degli onori conseguiti, il vecchio scienziato riguardò negli ultimi momenti il cammino percorso, dovè avere la coscienza di non aver mancato al suo compito. - 331 — La sua generazione vissuta tra rapidi mutamenti politici e profonde tiasformazioni e dolorosi adattamenti non ha avuto a Genova uomini di straordinaiio rilievo, e nessun nome di grande risonanza fuori della cerchia locale. Sola eccezione, sebbene la statura non sia stata di prim’ordine, Luigi Corvetto. Ma tra le figure di secondo piano Onofrio Scassi merita di essere più di ogni altra accostata al suo grande amico. Usciti tutti e due dalla borghesia colta e benestante ma senza particolari dovizie cominciano col servire onestamente il governo oligarchico pur sentendo 1 alito dei tempi nuovi e il bisogno di mutamenti radicali; uomini d’ordine e fondamentalmente moderati, accettano perchè interpreta il bisogno e le aspirazioni della loro classe il movimento rivoluzionario, pur rimanendo avversi alle violenze e agli eccessi. L’uno, portato dagli studi legali, dall’attività forense, dall uso della parola, assumerà un atteggiamento dirigente nella vita politica; I altro, più pratico e posato dedito a una forma di attività che meno espone alla vita pubblica, rimane in seconda linea; ma entrambi eccellono nei rispettivi campi onorando le scienze che sono loro proprie e acquistando benemerenze in patria, onori e riconoscimenti anche all’estero. Concordi sempre nell’azione, sentono, passata la furia demagogica, che Genova non può più vivere nel proprio isolamento politico ed economico tra il cozzo formidabile delle grandi forze in contesa, favoriscono e accettano l’unione all’impero come una necessità politica non come un’adulazione. Il giurista e finanziere, tanto più vivace e attivo, rappresenta in Francia al Consiglio di Stato quella burocrazia lavoratrice silenziosa sulla quale poggia tanta parte della gloria dell’impero; il medico e scienziato rimane in patria contribuendo con l’opera didattica e scientifica all’incremento della scienza, anch esso titolo d’onore dell’età napoleonica. Favorevoli nel 1814 all’indipendenza, hanno la sensazione dei tempi mutati e delle nuove esigenze storiche; e, se anche con qualche rimpianto del passato, accettano onestamente la presente realtà mettendo l’opera propria a servizio del nuovo Stato, l’uno in Francia assurgendo a ordinatore e restauratore delle finanze, l’altro, al solito in più modesta posizione, dando alla patria nel nuovo dominio sabaudo l’opera propria di maestro e di amministratore. Saliti entrambi dalla modesta origine al titolo nobiliare, riconoscimento di cospicue e reali benemerenze, sono testimonianza delle forze e delle fortune della nuova classe borghese; provano, con affermazione che ha un valore morale permanente, ciò che possa l’onesta e legittima aspirazione alle mete più elevate quando abbia a base l’operosità intelligente, la tenace volontà, il senso scrupoloso del dovere, la coscienza degli interessi superiori dei concittadini e della patria. jt jt APPENDICE RAFFAELE SCASSI E IL PORTO DI KERC jt j* La dispersione delle carte appartenute a Onofrio Scassi, delle quali la sola piccola parte salvata è amorosamente custodita dal marchese Onofrio Sauli Scassi, impedisce di avere particolari notizie della sua famiglia paterna e specialmente dei fratelli, Gerolamo vissuto dal 1777 al 1842, morto vedovo senza discendenza, e Raffaele nato nel 1785 e morto celibe, forse, secondo la tradizione famigliare, intorno al 1840. Poche lettere soltanto di questo si conservano, tali però da far vivamente rimpiangere la perdita delle altre molte certamente scritte all’illustre fratello perchè esse sono un piccolo spiraglio dal quale si intravvede una tipica personalità di uomo intraprendente e avventuroso che sembra rinnovare in sè lo spirito degli antichi viaggiatori e mercanti, desideroso di ricalcare le vie sulle quali i padri avevano lasciato orme incancellabili. Dopo la nascita avvenuta nel 1785 a Rapallo, ove il padre si era trasferito da Cogoleto (1), non ci sono più per gran tempo notizie di lui. Nulla si sa della giovinezza e degli studi. Se si possono trarre induzioni dalle sue ulteriori forme di attività è lecito arguire che dovette differire dal fratello nelle attitudini e nell’amore agli studi. Piace piuttosto immaginarlo sbrigliato e insofferente, desideroso più del moto e del nuovo che dello studio e dei libri. Durante il periodo della rivoluzione democratica e della Repubblica Ligure è naturale che non se ne trovi, per l’età giovanile, alcuna notizia; (1) << Angelus Raphael die 26 Februarii p. p. natus ex coniugibus Sp. Ang. Augustino Scasso qd. Sp. Onuphrii et ex d. Francisca Agnesia qd. Sp. Jo. Augustini et domi privatim de licentia baptizatus, hodie sacramentalia recepit assistentibus d. Raphaèle Torrile et d. M.a Hier«muxore d. Bartholomaei Crovario ». Atti di nascita e battesimo della Parrocchia dei SS. Qervasio e Protasio di Rapallo, Voi. X, 1785, n. 1402, 4 luglio. — 336 — più è strano che nel dominio napoleonico e specialmente nell’età successiva la Gazzetta, che accenna tante volte ai genovesi fuori di patria, non ne faccia mai il nome. Certo, egli ha dovuto uscirne assai presto se nel 1813, a 28 anni, aveva già una posizione considerevole in Russia e poco dopo poteva parlare di opere compiute che presupponevano un periodo di tempo considerevole e una non breve esperienza. Quando e per quali vicende sia andato a finire in Russia e vi sia divenuto consigliere imperiale, decorato nel 1818 dell’ordine di Vladimiro, è ignoto, come, si può dire,' tutto il resto della sua vita. La prima delle poche lettere conservate dirette al fratello, datata da Theodosia il 20 ottobre 1817, accenna a precedenti rimaste senza risposta e a comunicazioni marittime con Genova, ma sopra tutto dà notizie sue molto interessanti. Egli appare qui governatore della regione del Cuban nella parte della Ciscaucasia situata sul Mar Nero e confinante con la Circassia, e con una serena compiacenza, che appare sempre una delle sue caratteristiche più evidenti, descrive la visita fatta in sua compagnia dal Granduca Michele, fratello dello Czar, a quella regione, prima visita di un principe della famiglia imperiale a quei luoghi di cui egli è il primo governatore, e fino alle frontiere del suo governo. E non erano vanterie inconsistenti. Le poche notizie su questo avventuroso e intraprendente genovese, che negli atteggiamenti e nell’opera ha qualche cosa del viaggiatore mercante del rinascimento e deH’avventuriero settecentesco, lo mostrano appunto in veste di governatore di quella regione e di iniziatore di un nuovo porto e di nuove relazioni commerciali. La sua opera è strettamente connessa con l’espansione russa sul Mar Nero e ne appare a così dire una continuazione. È troppo noto che la politica di Caterina II spinse la Russia, nella costante ricerca dello sbocco ai mari caldi, verso il sud e che dopo il trattato di Jassy del 9 gennaio 1792, che chiudeva la guerra vittoriosa contro la Turchia, occupato tutto il paese tra il Bug e il Dniester, sorse artificialmente la città di Odessa all’intento di sfruttare la magnifica posizione e di farne lo sbocco dei prodotti dell’interno. La città e il porto furono creati in un anno e, se si deve credere alla relazione Ledere raccolta dal Malte-Brun, già nel 1796 accoglievano sessanta navi austriache, napoletane, russe e greche, e 552 navi vi entrarono nel 1803 (1). Appunto in quest’anno Alessandro I, il continuatore di Caterina nella (1) Leclerc, Notice sur Odessa, in Malte-Brun, Annales des Voyages, 1809, to. VI, pag. 201. - 337 — politica di favore verso Odessa e di espansione sul Mar Nero, nominò governatore della città il duca di Richelieu, Armando Emanuele Du Plessis, che, emigrato dalla Francia nel 1789, aveva combattuto agli ordini di Sou-warow contro i Turchi acquistandosi le simpatie di Caterina e di Alessandro (1). Rimasto governatore della città fino al 1814, egli le diede grande sviluppo e ne fece un emporio commerciale di prim’ordine, che anche dopo il suo ritorno in Francia ebbe un trattamento di favore a cominciare dal portofranco da parte di Alessandro I. 1 rapporti tra il nuovo sbocco e la Liguria sono attestati e dalle lettere dello Scassi e da frequenti notizie, nei giornali di Genova, di partenze e, di arrivi di navi da quel porto (2), come del resto dagli altri del Mar Nero e del Mar d’Azof: è notorio, ad esempio, che a Taganrog, presso l’antica Tana, Giuseppe Garibaldi fu ascritto da G. B. Cuneo alla Giovane Italia (3). In questo ambiente economico e nelFopera del Richelieu si inserisce l’azione di Raffaele Scassi secondo le sole notizie che, a mia conoscenza, ne parlano e servono di commento e di controllo alle lettere sue al fratello. Il cav. Gamba console francese a Tiflis narrava nel 1826 un suo viaggio compiuto tra il 1820 e il ’24 nelle regioni del Caucaso e, parlando del paese tra la Circassia e le coste del Mar Nero e dei rapporti fra i Russi e i Turchi, scriveva: « Les Turcs avaient autrefois quelques troupes dans cette place (Ghelintchik) (4): ils les ont retirées ; ainsi que de Soudjouk-Kalè afin de concentrer leurs forces à Anapa. C’est à Ghelintchik, qu’un M. de Scassi génois, plein d’intelligence et d’activité a formé son principal établis-sement. C’est à lui qu’est du l’idée primitive de civiliser par le commerce les Circassiens et successivement les autres peuples du Caucase. Ce projet présenté en 1813 à feu le due de Richelieu ne pouvait manquer d’ètre adopté avec enthousiasme par un homme qui, plein de courage et s’exposant au danger avec un véritable héro'fsme, n’était pas moins sensible à tous les (1) Sull’opera del Richelieu in Russia v. L. Pingaud, Le due de Richelieu en Russie, in « Correspondant » 1882, fase. II; A. Rambaud, Le due de Richelieu en Russie et en France, Revue des Deux Mondes, 1887, fase. VI; D’Audiffret-Pasquier, Le due de Richelieu, in « Correspondant» 1906-7. (2) Gazzetta di Genova, 27 maggio 1820, pag. 173; 16 ottobre 1822, pag, 327. Mancano notizie precise e statistiche sul movimento degli Stati italiani con Odessa fino alla formazione unitaria. Ma dovettero essere notevoli e determinare il costituirsi di una importante colonia se il console Giuseppe Martone vi trovava nel 1862 numerosi connazionali e una società italiana di beneficenza con un consiglio di cinque membri; Bollettino Consolare, 1862, Voi. II, pag. 63 sgg. e 1128 sgg. (3) Memorie di Garibaldi, Firenze, 1888, pag. 14. (4) È il Gelengik delle nostre carte, cfr. Grande Atlante Geografico De Agostini, carta 63. 22 — 338 — maux inséparables d’un état de guerre. Longtemps gouverneur général de la Russie méridionale, et en hostilité continuelle contre les montagnards, il avait reconnu parmi eux un amour déréglé de pillage, des sentiments assez élevés, et il avait jugé que leurs incursions continuelles tenaient moins à leur esprit guerrier, et à la facilité qu’ils avaient de se retirer dans les montagnes ina-cessibles et dont eux seuls connaissaient les passages, qu’à la misère exces-sive qu’ils éprouvaient depuis qu’on les avait reserrés dans leur territoire, et que, par défaut de commerce extérieur, ils ne trouvaient plus de débouché du produit de leur chasse et de leurs forèts. 11 appuya donc avec tout le crédit attaché à ses vertus éminentes et à la haute estime dont il était entouré, les projets de M. de Scassi et il n’eut pas de peine à les faire adopter à un souverain distingué par la philantropie. Lorsque M. le comte de Langeron succèda à M. le due de Richelieu, il continua a M. de Scassi la protection, que lui avait accordée son prédé-cesseur. 11 obtint l’autorisation de mettre à sa disposition un bàtiment de la couronne pour faire son commerce; on y joignit un don de cent mille pounds de sei. Il req:ut des décorations, un avancement rapide dans la carrière des officiers étrangers à laquelle il était attaché. 11 fut chargé de former à Pschad un établissement pour procurer des bois de construction aux chan-tiers de Nicolaiew et de Kerson, enfin on lui donna la commission de l’achat et de l’organisation des bàtiments qui devaient composer la flottille de Kertck, et transporter les approvisionements nécessaires à la portion de l’armée russe cantonnée dans l’ancienne Colchide » (1). Le cose però non andarono sempre bene. Ben presto gli Stabilimenti di Pschad furono perduti « Depuis que les établissements de M. Scassi ont été détruits à la suite d’un mécontentement qu’avait determiné l’enlèvement d’une jeune princesse par un de ses employés, il parait avoir renoncé à cette station pour concentrer ses relation à Ghelentchik. Sur toute cette còte, M. de Scassi avait pour Konac ou protecteur un prince, Mehmet-Nidor-Aglow, parent d’une princesse Circassienne, célèbre par sa beauté et son courage héro'ique, et qui est devenue l’épouse du général Bukholtz » (2). Nella prima delle lettere al fratello, Raffaele Scassi parla non soltanto i della visita del Granduca Michele alle regioni affidate alle sue cure ma di quei bastimenti che gli sono stati dati e dei quali è cenno nella narrazione, ed anche di sue personali speculazioni non sempre fortunate. Dalla Crimea, (1) Voyage dans la Russie meridionale et particulièrement dans les provinces situées au delà da Caucase fait depuis 1820 jusqu'à 1824 par le chevalier Gamba, consul du Roi à Tiflis. Avec quatre cartes géographiques, Paris, chez C. J. Trouvé imprimeur - libraire, Rue Notre-Dame des Victoires n. 16, 1826, pag. 61-62. (2) Voyage ecc., pag. 65. - 339 — ove ha residenza nella città di Teodosia, la Caffa centro un tempo del commercio genovese, il suo intento è di estendere le operazioni mercantili sulla costa di fronte, oltre lo stretto di Kerc. Ma questo intento è animato da sentimenti che gli danno un carattere e un interesse particolari. Non è solo il desiderio di allargare il dominio russo, non solo l’utile materiale che Io spinge, ma in lui rivive, e ne ispira l’azione, la tradizione genovese. Parlando di certi progetti di stabilimenti che vorrebbe fondati dai fratelli Garibaldi, esprime i voti favorevoli al buon esito delle pratiche « per appoggiare i miei affari d’interessi alla loro cura ed occuparmi del solo servizio; lo vorrei tanto e più che un genovese avendone aperta la strada, altri la calpesterebbero, e quantunque senza esistenza politica, potressimo far risorgere una delle antiche nostre colonie di Mar Nero. Senza concorrenza, colla maggior protezione e dei mezzi considerabili, non vi ha dubbio che prospererà e ci procurerà onore e vantaggio » (1). Egli intendeva cioè di riallacciare l’azione propria e dei concittadini che avevano fiducia nelle sue iniziative ai ricordi non solo vivi sempre nei liguri ma neppure spenti interamente in quell’antico teatro delle loro imprese ardite e proficue (2). Il viaggio in Europa che nel 1817 diceva di non poter compiere, come avrebbe desiderato, perchè attendeva la visita dell’imperatore, Raffaele 10 compì nel 1819. Il 17 marzo di quell’anno scriveva al fratello da Parigi una lettera d’affari, che non riesce ben chiara per mancanza delle precedenti, ma nella quale, con le proteste di non volergli essere di peso, è esplicito 11 malcontento per una mancata apertura di credito. Ma più è interessante nella lettera un accenno politico. « La prima legge sulla libertà individuale è passata alla Camera alla maggioranza di 12 voti; quella di modificazione sulla stampa dei giornali passerà pure. Il Re di Spagna ha dato un decreto del 7 corrente nel quale promette di giurare la costituzione dei Cortes del 1812: (1) Lettera 10 novembre 1817. (2) È noto che nomi locali e specialmente termini marinari di origine genovese, sebbene deformati nella pronuncia, si conservano ancora sulle coste di Crimea. Anzi il Gamba parla di ricordi anche tra i Circassi, ma non di scienza propria: « M.r Thaitbout assure que les Circassiens, se souviennent encore des Oénois qu’ils nomment genoves; ils disent qu’ils avaient des établissements chez eux et les considèrent leurs frères ». Op. cit. pag. 64. Le traccie ancora sopravviventi di un’antica colonia genovese nel Caucaso sono state studiate da U. Morichini e rese note in una conferenza alla Società Ligustica di Scienze e lettere, ma per quanto so, lo studio non è stato ancora pubblicato. Sull’opera e la colonizzazione genovese nel Mar Nero esiste un’abbondante bibliografia; basterà ricordare gli Atti della Soc. Lig. di Storia Patria, Voi. XLVI, fase. I, pag. XCV sgg. e Voi. LVI, e il recente importantissimo studio di G. J. Bratianu, Recherches sur le commerce Ge'nois dans la Mer Noire au XIIb siècle, Paris, Librairie Orientaliste Paul Geuthner, 1929. V. nell'introduzione altri cenni di sopravviventi ricordi genovesi. — 340 — ha convocato i Cortes, ed eccovi la penisola semi-Republique, semi-Mo-narchique. La sola povera Liguria resta sotto il dispotismo ». E un breve spiraglio, ma serve a far conoscere i sentimenti del genovese di fronte al governo Sardo ritenuto usurpatore e dispotico, del funzionario di Alessandro 1 ancora immerso nel suo vago liberalismo, del seguace del duca di Richelieu che aveva tentato nei due anni del suo ministero di attuare una restaurazione moderata, lontana dagli eccessi degli ultra reazionari. Qualche altro accenno politico è nelle lettere successive. Quella del 2 aprile sulle leggi intorno alla censura e alle elezioni ha il colorito di pura notizia di cronaca; l’accenno alle vicende spagnole e all’insurrezione di Cadice ha il non eccezionale commento: « Guai quando il Governo non gode della confidenza pubblica ». Più importante la lettera precedente, del 26 febbraio, appunto per gli accenni al Richelieu. Tornato a Parigi da Marsiglia, lo Scassi non solo vi trova il duca che credeva ne fosse lontano ma lo trova alla testa del governo dopo l’assassinio del duca di Berry. È naturale che l’ammirazione e l’affetto per l’uomo che conosce da tanto tempo e del quale gode la stima provochino parole di grande soddisfazione e che egli si lasci andare a riferire giudizi politici uditi, i giudizi, naturalmente, di coloro che circondano il nuovo ministro e rimproverano gli errori del predecessore. « M.r Decasses ha finito come aveva cominciato, senza poter essere utile a nessun partito ha avuto l’abilità di renderseli tutti contrari. Ciò lo caratterizza appieno: ha provato che sulla grande scena politica la mediocrità non può brillare. Un gran Ministro non riesce che allorquando ha solcato quel vasto oceano, e che ne ha una perfetta esperienza, col conoscere tutti gli elementi che influiscono e che, addotatone il piano, marcia con costanza al suo destino. M.r Decasses non aveva rotta fissa, senza carta e senza nessun compasso voleva navigare, ed avanzare sempre, con venti contrari ». Ma a questo punto l’uomo d’affari e il navigatore, che ha parlato del resto col linguaggio che gli è proprio, si riprende: * Non credete che perchè arrivato su questa tempestuosa spiaggia io cominci pure a politichizzare, no, carissimo Onofrio, vi dico ciò che ho sentito dai più consumati in questo genere ». Queste parole e tutto l’insieme della corrispondenza tolgono ogni attendibilità all’affermazione poliziesca che Girolamo Serra chiedesse la naturalizzazione russa « aiutato da un agente segreto russo, il fratello del medico Scassi » (1). Quale che possa essere stato l’interessamento dello Scassi per il suo insigne concittadino (2), nulla autorizza a considerarlo agente segreto, special- (1) V. Palazzi, L'attività politica del marchese Gerolamo Serra, in Risorgimento italiano, X, 1917, pag. 143. (2) I rapporti sono attestati anche dalla lettera del 21 maggio - 2 giugno in cui si accenna a sua corrispondenza col Serra. - 341 - mente se s’intende questa espressione in significato politico e poliziesco. Incaricato di trattare questioni mercantili ed economiche si, con ogni probabilità, ma non funzioni di altro genere. Il viaggio in occidente nel 1820 appare provocato e occupato interamente nella ricerca di mezzi finanziari per lo sviluppo delle sue imprese e nell’acquisto di navi. Tolti quei fugaci accenni, egli non parla al fratello che di sè e dei suoi affari; eppure il fratello sarà incaricato di sostituirlo dopo la sua partenza. Lo dice esplicitamente il ministro russo Nesselrode: e non può riferirsi che a questioni commerciali e a mezzi finanziari, sopra tutto quelli appunto per i quali Onofrio Scassi avrà dopo poco l’onorificenza dell’ordine di Sant’Anna. Anche informazioni dovette mandare Onofrio al fratello, ma sempre di carattere marittimo e finanziario, forse appunto per gli avviati commerci sul Mar Nero, come appare dalla lettera di Raffaele il 21 maggio-2 giugno 1820. Quando precisamente Raffaele sia arrivato a Parigi dalla Russia non risulta dalle lettere saltuarie: certo nei mesi in cui fu in occidente, oltre che a Marsiglia fu a Torino e a Genova; l’ultima lettera da Parigi il 19 aprile 1820 parla col solito entusiasmo, proprio dell’uomo irrequieto che moltiplica i propositi e le imprese, dei progetti di nuove industrie da impiantare nel suo governo per una grande fabbrica di carne salata e per la fabbrica e purificazione dell’olio di canapa, di papavero e di pesce e ne decanta le prospettive offrendo anche ad Onofrio, a costo di spogliarsene lui, qualche azione della Società che si è costituita con la partecipazione del Richelieu. C’era tra i fratelli evidentemente una rete di interessi e di affari che non si può ricostruire per la scarsità delle notizie; ma è probabile che il medico, grave e posato, considerasse un po’ fantastico e facilone l’ardito imprenditore e che, cauto e prudente negli affari, parco nelle spese e tenace risparmiatore, vedesse con qualche preoccupazione tutto quell’arruffio di iniziative e di tratte bancarie e di giri di capitali che risalta dalla curiosa corrispondenza e in cui, con banchieri francesi, hanno un posto cospicuo i De La Rue di origine ginevrina che da Napoleone a Cavour hanno avuto importanza grandissima nella vita economica e finanziaria genovese. La lettera da Pietroburgo il 12-13 maggio 1820, il giorno dopo l’arrivo, è un inno di trionfo: solo rammarico il pensiero di aver dato noia al fratello per le famose operazioni bancarie: ma le accoglienze del ministro Nesselrode e di quello delle finanze, la riconciliazione col Langeron, successore del Richelieu col quale dovevano esserci stati dissapori, l’approvazione dei suoi piani per il porto di Kerc lo riempiono di gioia. Riferisce in francese le parole del Nesselrode relative a Onofrio e poi la curiosa lettera cominciata in italiano continua ancora in francese, di che si scusa alla fine come effetto del caos degli affari che ha nella testa. — 342 — Lo stesso senso di soddisfazione vittoriosa informa !a lettera scritta all’arrivo a Odessa, al principio di febbraio 1821. Sgominati sono i nemici; e sembra accennare specialmente al Governatore che ora, vistolo appoggiato dali’alto gli si è fatto amico e ha l’umiliazione di dover ricorrere a lui per protezione (1) Ma se l’amor proprio è soddisfatto, che odissea di disgrazie! Un agente morto di apoplessia e le casse trovate vuote, mentre i libri danno un attivo di 19 rubli; in rovina gli affari di Circassia; perdite di carichi, naufragi, « infine una riunione di accidenti terribili per le mie tenue sostanze, mi ha messo a pian terreno in maniera tale, che senza l’imprestito dal Governo promessomi, mi troverei peggio di quel che era al principio delle mie intraprese». E allora, dopo essere passato per la Crimea e Kerc « onde dare un colpo d’occhio a quei miei disgraziati affari », eccolo in viaggio un’altra volta per Pietroburgo, utile viaggio che si conchiude con piena vittoria questa volta, e non soltanto morale. Finalmente ha ottenuto la sanzione imperiale all’apertura del porto di Kerc e un prestito di 200 mila rubli. Dopo tre anni di fatiche, di contrarietà, di opposizioni, lo scopo è raggiunto: il 5 maggio 1822, tornato a Odessa, lo Scassi annuncia al fratello la partenza per Kerc pgr aprire il nuovo porto di cui egli è il Governatore e nel quale sulle prime si accetteranno soltanto bastimenti nuovi da caricare. Prodotto principale di esportazione dalla costa di fronte il legname; egli stesso attende da questa esportazione i maggiori vantaggi e il Governo russo si è indotto a dargli la concessione e il prestito nella speranza di provvedersi del materiale per la costruzione della flotta del Mar Nero. Nell’accesa fantasia e nell’entusiasmo delle iniziative fioriscono le speranze: un memoriale, promesso sulla fine del 1821, deve essere stato mandato poco dopo e si trova tra le lettere. È una descrizione del porto e della regione. Situato sullo stretto tra il Mar Nero e il Mar d’Azof, il porto di Kerc offre i maggiori vantaggi e le più lusinghiere speranze. E un’altra volta il Genovese riappare col ricordo delle antiche inobliate tradizioni sotto le spoglie dell’ardito intraprendente. Di là devono passare tutti i grandi prodotti della Russia e dell’Asia; più di Odessa alimentata soltanto dai grani, più di Taganrog in posizione infelice, è destinato a esportare i prodotti del (1) C’è tra la corrispondenza di Raffaele a Onofrio una curiosa lettera senza data e senza firma, priva dell’indicazione del luogo di partenza e di quello di destinazione, sebbene indirizzata a Raffaele. Contiene, con molte ed esuberanti attestazioni di affetto per lui, tutta una serie di lamentele per ingiustizie subite, delusioni provate, sfiducia negli uomini e così via: lettera da pieno romanticismo. È uno che si è visto abbandonato dopo quattro anni di lavoro e che consiglia lo Scassi di non aver rapporti con l’ingrato. Forse un suo socio o comunque compartecipe di affari, che si lamenta del Langeron? Potrebbe indurlo a credere qualche oscuro accenno agli affari di Kerc. - 343 - retroterra russo e asiatico. « Tutto fa sperare di veder rinnovare quel gran Commercio che ha prodotto tante ricchezze ai Genovesi e di veder risorgere le loro relazioni coll’interno dell’Asia, col vantaggio però che son spariti i rischi e le difficoltà, che in allora presentavano i paesi dei diversi e barbari popoli che il commercio d’allora doveva attraversare... La Crimea istessa, quantunque ben diversa nei suoi rapporti attuali dall’epoca in cui fioriva il commercio dei Genovesi, offre un impiego sicuro e vantaggioso in stabilimenti agricoli. Non è dubbio che la posizione della Crimea non sia la più favorevole al commercio e che Kerc situato alla sua estremità non diventi il centro delle più grandi operazioni commerciali tra l’Europa e l’Asia ». E per attuare il piano grandioso egli ottiene l’esenzione dei dazi di entrata per i prodotti delle regioni caucasiche, la libera esportazione dalla Russia per quei paesi per dieci anni, e per Io stesso periodo la libera importazione nei paesi stessi del sale di cui mancano affatto e che costituisce l’articolo più ricercato e necessario a quei popoli. I quali, ancora barbari, per lungo tempo sfruttati dai Turchi e spinti da questi contro la Russia, sebbene continuino ad essere oggetto di timore per i naviganti del Mar Nero, « conservano però una rispettosa memoria dell’utilità di cui li son stati i Genovesi ed additano ancora le vestigia dei loro antichi stabilimenti. Sotto questo titolo un europeo fu accolto pochi anni sono, e dopo loro fu il primo che ebbe a lodarsi della loro ospitalità ». Non è probabile che in queste parole sia indicato il Gamba, sebbene anch’egli parli del ricordo dei genovesi in quei luoghi; egli compì il suo viaggio dal 1820 al ’24 e sbarcò, certo nel ritorno, a Kerc nel giugno 1824. Il memoriale di Raffaele Scassi è della fine del ’21 o al massimo del principio del ’22. Anche riferita al principio del viaggio stesso, l’espressione « pochi anni sono » non si accorda con queste date. È più probabile si alluda al Thaitbout del quale il Gamba riferisce il racconto- La relazione si chiude con l’esaltazione dell’importanza dei boschi della Circassia e persino con un accenno alla spedizione degli argonauti, al Toson d’oro come egli dice, e alla speranza della ricerca dell’oro. La narrazione del Gamba conferma e integra le parole dell’intraprendente genovese: « M. de Scassi est aujourd’hui protecteur du commerce de Kerch, l’ancienne Panticapée en Crimée, port qui, en dernier lieu a été ouvert aux bàtiments de l’Europe. On y trouve une quarantaine et une douane. Un ukase accorde aux étrangers qui veulent s’y fixer le terrain nécessaire à la construction de leurs maisons; et enfin par une faveur toute particulière, l’admi-nistration des salines placées près de cette ville, livre le sei, article de première nécessité sur toute cette còte au prix d’extraction, du moment qu’il est destiné à la consommation des Circassiens ou des Abages. J’y ai débarqué en juin — 344 — 1824. Les relations de commerce de cette ville avec I’Europe, avec Taganrog et avec la còte de Circassie, n’avaient encore qu’une très faible importance » (1). Ma si può credere che Raffaele Scassi, avvezzo alle difficoltà e a vincere con la tenacia e l’ardimento la fortuna, non si scoraggiasse. Egli aveva dimostrato nell’avvenire del porto una cieca fiducia e un fiero orgoglio lo animava di sentirsi erede e continuatore degli arditi mercanti della vecchia Repubblica: « Finalmente il Cielo sereno mi promette un bell’avvenire; tutto è sistemato solidamente, la prosperità immancabile di questo Porto tanto importante per il Commercio che si farà fra la Russia Asiatica ed Europea colle Nazioni del Mezzogiorno, va tramandare alla posterità il nome Scassi, e Genova si vanterà di avere un suo Cittadino sulle rive del Bosforo che fa risorgere il suo commercio, le sue antiche relazioni » (2)- La sua preoccupazione è piuttosto un’altra: le obbligazioni contratte, in parte per opera e con la malleveria del fratello, coi banchieri che gli hanno anticipato i capitali necessari alle imprese. Tutte le lettere ne sono piene, anche quando maggiore è la fiducia nell’avvenire e nel risultato delle iniziative; ed è un costante chiedere aiuto o dilazioni dei pagamenti e un costante rincrescimento delle noie arrecate. Queste parti delle lettere mostrano un curioso carattere di uomo che sembra insieme premuroso e affezionato, attivo e intraprendente, fantastico e vanitoso. Fin dalla prima lettera si rilevano alcuni tratti del carattere, quando dice di avergli mandato « una scatola di thè del più famoso, statomi regalato dall’ambasciatore di Persia » e più quando riferisce con naturale compiacenza le prove di simpatia avute dal Granduca Michele e quasi parlasse con altri chiama « Signore » il fratello annunciandogli la prossima visita del Granduca e con aria di protezione lo assicura di averlo raccomandato anche ai maggiori personaggi del seguito granducale. Ma, per carità, Onofrio lasci da parte la medicina e non ne parli « perchè in Russia non gode di gran credito, ossia di grandi riguardi (quantunque — aggiunge per conto proprio quasi ad attenuare questa crudezza -- li porto tutta la stima possibile) ma bensì dei Impieghi onorifichi di Senatore che avete occupato. Perdonatemi (si scusa) queste piccolezze, ma in questo secolo queste cose attirano più attenzione di tutto ». E un’altra raccomandazione gli fa, che ricorrerà poi anche altra volta. Ha parlato al Granduca del bel palazzo di Sampierdarena, esprime ora il desiderio che l’alto personaggio sia accolto come merita il fratello del primo sovrano del mondo. « Vi conosco per essere economo (1) Gamba, Op. cit. pag. 63. (2) Lettera 5 maggio 1822. - 345 — nelle vostre spese, e perciò molto ricco. In una simile occasione non dovete risparmiare, si tratta del nome Scassi — deve rimbombare dal Mar Ligustico fino al Caspio (1) ». Del viaggio del Granduca si parla anche nella lettera successiva; ma nessun ricordo rimane della venuta e della dimora o anche soltanto della visita alla villa di Onofrio Scassi. Certo, per opera del fratello, questi era in rapporto col rappresentante russo e a lui si rivolgevano personaggi elevati per informazioni anche sulle condizioni di Genova come stazione balneare. Molto importava a Raffaele che il fratello figurasse degnamente coi suoi amici altolocati; il nome Scassi doveva suonare alto e lontano: è un motivo ricorrente nelle lettere. Delle relazioni proprie e dell’amicizia con uomini di elevata condizione egli mostra talvolta un’ingenua compiacenza come quando riferisce le persone che ha visto a Marsiglia (2) o descrive la sua vita a Parigi; a colazione del Conte di Rochechouart, a pranzo dal duca di Richelieu, dal quale spesso torna anche la sera, il poveruomo non ha un istante libero e non può trattenersi col fratello: « Devo correre al Lussembourg sicché vi abbraccio ». « Ciò mi dà molta importanza, conchiude, e mi fa stimare per quel che non sono. Non vi potete immaginare l’accoglienza che ho avuta al mio arrivo ». Accanto a questa vanità un po’ semplice, naturale nell’uomo innalzatosi quasi dal nulla col lavoro, con l’attività, con l’intelligenza intraprendente e l’operosità instancabile intinta di spirito avventuroso, un costante ricordo della patria e delle persone della famiglia: i fratelli Girolamo e Bettina, la cognata, il nipotino; e sopra tutto l’assillo preoccupato del giudizio di Onofrio. Qualche frase qua e là lascia trasparire che questi, spirito pratico ed equilibrato di uomo senza esuberanze rumorose, dovesse avere un’opinione dubi-tosa e poco entusiastica dell’attività multiforme e piuttosto vulcanica del fratello e che sopra tutto temesse per i mezzi che pur aveva messo a sua disposizione e per la funzione di arbitro e garante presso finanzieri e banchieri. Il pensiero di apparire insolvente o malfido debitore cruccia costantemente l’intraprenditore audace che è distolto spesso dai suoi propositi di onesto pagatore dai colpi avversi della fortuna e dalle speculazioni fallite, ma che non vuol abusare affatto delle floride condizioni del fratello: « Vi (1) Nella lettera 1-12 febbraio 1821, nella quale si parla della possibilità della venuta a Genova dell’imperatore col seguito, si raccomanda: « Illuminate S. Angelo e la vostra casa in città senza riguardo ». (2) Il console sardo Pagano che è tra gli altri nominato è Francesco Nicola Pagano già console della Repubblica Ligure e poi rimasto tale col governo piemontese; Colucci, La Repubblica di Genova e la Rivoluzione francese, passim e Segre, Il primo anno del Ministero Vailesa, p. 63 nota, 67 ecc. — 346 — amo per voi non per le vostre ricchezze; se mai divento ricco non sarà mai alle spalle, o a detrimento di altrui ». Le assicurazioni e le promesse si rinnovano ad ogni lettera, con le preghiere di pazientare: « Se vi ho causato della pena spero che l’avvenire vi consolerà di altrettanta consolazione » scrive appena tornato in Russia e si duole delle spese che gli ha fatto fare; e quando è costretto a chiedere nuove proroghe afferma: « il mio posto, il mio decoro vi debbono essere garanti dell’esattezza colla quale adempierò alle mie obbligazioni... Impegnatevi caro Onofrio in questo affare e siate persuaso che d’ora in poi non avrete più a lagnarvi di me ». Ed è probabilmente un tacito rimprovero al fratello, tanto diverso da lui e che pure lo amava e lo aiutava, nelle parole con le quali gii annunciava il conferimento ottenutogli dell’onorificenza russa: « nessun interesse al mondo può far cancellare in me quei sentimenti di onore e di affezione che innati mi hanno servito di base e norma della mia carriera ed in tutte le mie azioni: ho sempre travagliato per innalzare il nome che porto, e non per avvilirlo. Se avessi avuto per mira le ricchezze le avrei, ma senza onori e ignoto ». Ha tutta l’aria di un grido di sentimento reale e di onestà profonda; e subito una battuta che riprende il lato più esteriore di quel carattere, la vanità un po’ semplice e un po’ grossolana: « Facci il Cielo che i miei voti sieno esauditi e che mi raggiungiate in altre distinzioni ». Peccato che in questo dialogo si oda una voce sola: sarebbe interessante sapere quel che dicesse il fratello, rivolto ad altre forme di attività, spirito più serio e profondo ma anche meno vivo e ardito. Non è improbabile che in fondo al suo animo, non meno desideroso di onori e di distinzioni, ci fosse una buona dose di scetticismo su quella fraterna attività febbrile e pericolosa e insieme la soddisfazione per le cariche e la posizione ufficiale che Raffaele aveva assunto e che riverberavano in patria e nella Russia lontana la lor luce anche su di lui. La lettera che partecipa l’onorificenza, datata da Kerc il 2 marzo 1823, è l’ultima del breve epistolario: le notizie del Gamba sono del 1824 e si possono portare fino al 1826, l’anno in cui la relazione del viaggio fu pubblicata. Poi più nulla. Ma è assai probabile che le speranze nutrite con tanto calore siano state illusioni presto sfiorite. La ripresa delle relazioni ostili tra Russia e Turchia e delle operazioni nel Caucaso sino alla pace di Adrianopoli nel 1829 e poi la politica di Nicolò I ostile agli stranieri e ai rapporti con l’Europa è da credere abbiano arrestato nel suo sviluppo l’iniziativa e il piano vagheggiato dal Genovese. Certo Kerc non ha soppiantato nell’importanza commerciale nè Odessa nè Taganrog. Ma Raffaele Scassi, bizzarro spirito tenace e fantastico, tumultuoso organizzatore di progetti commerciali e di iniziative industriali, creatore del - 347 — proposito di incivilire i popoli caucasici facendoli entrare nel ciclo della vita economica circostante, rinnovatore delle antiche tradizioni genovesi, pioniere della ripresa dei commerci italiani coi porti del Mar Nero e del Mare d’Azof meritava di essere ricordato, per quanto almeno gli scarsi dati permettono- Dopo il 1826 cessa di lui ogni notizia, ma il tentativo resta monito ed esempio e il suo nome merita di essere richiamato dall’ingiusto oblio. Esso infatti è rimasto quasi ignorato anche in patria. Solo nel 1835 Girolamo Serra vi accennava molto vagamente, parlando dei resti e dei ricordi genovesi in Crimea, con le parole: « Anche a’ dì nostri il consigliere Scassi trovò in quel paese per ragioni di patria le più dolci e liete accoglienze » (1), e due anni innanzi Giambattista Canobbio, citate e parafrasate le parole del Gamba, conchiudeva: « Egli è dolce ricordare le antiche nostre glorie, ma egli è più soddisfacente poter accennar anche ai tempi nostri quei pochi fra i nostri concittadini, che con animo grande, e con talenti straordinari ne conservano quella reputazione che per diversi secoli godemmo d’uomini avvezzi a tentare grandi imprese, e provano tutt’ora che il ligure ingegno ed ardire non è per anco spento » (2). (1) Girolamo Serra, Storia dell’antica Liguria e di Genova, t. IV, Capolago, Tip. Elvetica, 1835, pag. 77, nota 1. (2) Memorie ligustiche di Storia e belle arti di C° G‘ Ba (Canobbio Giovanni Battista) Genova, MDCCCXXXIII, lettera III, pag. 40-41. LETTERE DI RAFFAELE SCASSI (1) jt jt I. Theodosia, li 20 8bre 1817. Carissimo Fratello! Privo di vostri riscontri a tante mie dopo di quella speditavi col Cap. Bava che accompagnava una scatola di Thè del più famoso statomi regalato daH’Ambasciatore di Persia, la presente vi perverrà per mezzo di un bastimento appartenente a questi Sigg. Garibaldi qui nuovamente stabiliti. Arrivo di un lungo viaggio sulle mie frontiere del Cuban addove accompagnai sua Altezza Imperiale il Gran Duca Michele fratello deHMmpe-ratore. Questa è la prima volta che comparì in quella pericolosa frontiera un Principe della Famiglia Imperiale, e certo devo attribuirmi questo onore per la tranquillità che ci ho stabilito e la buona armonia che regna tra quei popoli barbari ed i nostri. Al suo arrivo sul Cuban riviera che fa frontiera colli Cosachi del Mar Nero, aveva riunito i primi Principi della Circassia, e li hò presentati e dopo di aver protestato a sua Altezza che persuasi dei vantaggi del Commercio che gli avevo introdutto, eran disposti a viver per sempre in buona relazione collo Augusto suo Fratello, gli hanno dato il spettacolo di un combattimento alla loro maniera: ed era veramente qualche cosa di superbo, tanto per la richezza dele loro armi, e vestiti, quanto per la sveltezza dei loro incomparabili cavalli. Parte di loro accompagnavano meco Sua Altezza fino al Bosforo, (ossia stretto) di lenikale. Il principe soddisfatto del loro procedere, del buon ordine, e tranquillità che regnava su quella frontiera, non v’ha molto teatro continuo di guerra, m’incaricò di regalarli varj annelli preziosi, e colmandomi di segni di benevolenza, e affabilità mi prese seco (1) Queste lettere e la Relazione che segue si conservano nell’Archivio Sauli. — 349 — per accompagnarlo in Crimea. Durante tutto questo viaggio si instruì di tutti i miei affari pubblichi, e privati, ed avendo saputo che voi Signore vi trovavate in Genova Sua Altezza mi promise di vedervi al suo arrivo costì che sarà al mese di marzo, poiché si propone di partire da Pietroburgo per l’Italia ai primi di Febbraio. L’avrei forse accompagnato io stesso, ma la necessità di trovarmi continuamente in quella frontiera, quei popoli non conoscendo che me, mi fa perdere l’occasione di rivedere la cara Patria in una sì bella congiuntura. Vi ho raccomandato anche a Sua Eccellenza il Tenente Generale Paskievicz, al Consigliere di Stato Glinka, al Generale Aleniti, che Io accompagnano. Ecco il momento in cui potete farvi onore, e distinguervi in tutto Genova, e farvi conoscere alla Corte di Russia, sarà allora facile di ottenere quando avrete dimostrato il vostro attaccamento. Dissi a S. A. che possedevate non lungi dalla Città un bel Palazzo. Desidererei che lo accoglieste come merita il Fratello del primo Sovrano del Mondo. Vi conosco per essere economo nelle vostre spese, e perciò molto ricco. In una simile occasione non dovete risparmiare si tratta del nome Scassi, deve rimbombare dal mar Ligustico fino al Caspio. Parlate poco di medicina, poiché in Russia non gode di gran credito, ossia di grandi riguardi (quantunque li porto tutta la stima possibile) ma bensì dei impieghi onorifichi di Senatore che avete occupato. Perdonatemi queste piccolezze, ma in questo secolo, tali cose attirano più attenzione di tutto. Il Governo avendomi permesso di avere dei Bastimenti per communicare colla Costa di Circassia, e per incoraggire gli altri a farvi il Commercio che ci protegge avevo comprato un Bastimento che mi costava 17.500 Ru-boli. In una tempesta terribile che sopravenne nella notte del 1° di questo mese, naufragò, avendo assicurato solamente 1 O/mille. Sicché colle spese che avevo fatto per armarlo, perdo più di 10/m. Ruboli; ed è la ragione per la quale mi trattengo di far qualche altra speculazione che mi progettavo per cotesta vostra Piazza. Una Goletta che ho fatta costrurre sulla Costa di Crimea, viene d’arrivare in questo momento: ho ottenuto per essa la bandiera privilegiata della Corona, un Ufficiale, ed i marinai gratis della Flotta Imperiale. L’ho nominata il Circasso. Ben presto comincerà i suoi viaggi. Non mi resta per ora, che desideroso di vostre care notizie, dirvi V che non cesserò di porgere al Cielo voti fervidi per la vostra conservazione e per quella della vostra cara Consorte e del caro Agostino. P. S. Abbracciatemi Bettina gli ho scritto per via di Gio. Batta Scasso. Vostro affezionato fratello Raffaele — 350 — II. Fratello Carissimo! Proffitto dell’occasione del Sig. Antonio Garibaldi che parte per costì fra pochi giorni; e che deve qui ben presto rittornare, per ripetervi le mie istanze riguardo all’arrivo in cotesta di Sua Altezza il Gran Duca Michele fratello dell’imperatore di Russia, acciochè vi presentiate, e fate il vostro possibile per accoglierlo a S. Pietro d’Arena, o altrove. Vi scrissi per due occasioni di Mare, e vi dicevo che mentre lo accompagnai sulle mie frontiere ed in Crimea gli parlai spesso di voi, e che S. A. mi promise di accogliervi con bontà; lo accompagnano i Generali Paskievicz, Aleniti e Glinka a quali pure siete raccomandato. Son persuaso della benevolenza e familiarità con cui mi ha trattato, che vi vedrà volonteri. Parto in questo momento per il Cuban, addove aspetterò l’arrivo dell’imperatore che avrà luogo nel mese di Aprile. Son da molto tempo privo di vostre notizie, cogliete l’occasione del rittorno del Sig. Garibaldi per procurarmi questo piacere. Questo amico si porta costì per combinare dei affari che riguardano il suo nuovo stabilimento in questa, e da quanto siamo convenuti per decidere un suo fratello per formarne un nuovo nei paesi i di cui affari mi sono affidati: lo desidererei volentieri per appoggiare i miei affari d’interesse alla loro cura, ed occuparmi del solo servigio, lo vorrei tanto e più che un Genovese avendone aperta la strada, altri la calpestarebbero e quantunque senza esistenza politica, potressimo far risorgere una delle antiche nostre colonie di Mar Negro: senza concorrenza, colla maggior prottezzione, e dei mezzi considerabili, non v’ha dubbio che prospererà, e ci procurerà onore, e vaniaggio. In attesa dei cari vostri riscontri, fate gradire i miei affettuosi saluti alla vostra Sig.a Consorte, abbracciatemi Agostino, e credetemi qual sempre. Vostro aff.mo fratello Raffaele de Scassi. Theodosia, li 10 Qbre 1817. - 351 — ‘ III. Parigi, lì 17 Marzo 1819. Carissimo fratello Onofrio! Sono con questa a prevenirvi che ho ricevuto dai Sigg- Thuvet 2500 franchi, e non 3000, come ve ne avevo prevenuto, poiché il credito non si estendeva che a soli 5 milla franchi, ciò che non mi basterà e per le com-prite dei libri, e varie altre cose che mi abbisognavano, come anche per mettermi nel neccessario per il miorittorno per Torino. Vedrò il Sig- Agher-man se non potrò arrangiarmi altrimenti. Mi dispiace al sommo, che mi abbiate impedito di far correre il mio credito dei 1500 zecchini, poiché senza causarvi dei disborsi non avrei motivo di far una multiplicità di conti, e rimborsi. So che ciò provviene dal vostro desiderio di provarmi la vostra affezione e di essermi anche di economia nelle spese, siccome le mie intenzioni non sono di esservi di aggravio, vi dirò francamente que cela me gene beaucoup, poiché senza di questo avrei profittato di un Corriere che partì ieri per S. Pietroburgo per spedire colà varie cose di lusso, e di moda, che mi avrebbero pagato le cattive spese di Parigi, e non l’ho fatto per tema di causarvi dell’imbarazzo al sborso di una maggior somma. La prima legge sulla libertà individuale è passata alla Camera alla maggiorità di 12 voci: quella di modificazione sulla stampa dei giornali, passerà pure: Il Re di Spagna ha dato un decreto del 7 corrente nel quale promette di giurare la constituzione dei Cortes del 1812, ha convocato i Cortes, ed eccovi la penisola semi Republique, semi Monarchique. La sola povera Liguria resta sotto il dispotismo. Mi occupo della spedizione dei miei effetti a Marsiglia ed alla fine della settimana ventura mi metterò in viaggio per Torino. Potete scrivermi a Lione posta restante, ed a Torino. Abbracciatemi Nino, e salutatemi affettuosamente Angelina, Bettina, Gerolamo e tutti di casa. Amatemi e credetemi V.ro aff.mo fr.llo Raffaele — 352 — IV. Marsiglia, lì 4 febb. 1820. Carissimo fratello! Sarete sorpreso nel vedermi per anche in questa, ma il desiderio, e la probabilità che credevo di molta convenienza nell’acquisto di un Bastimento ne è stata in parte la cagione: varie circostanze avendo svillupato dei dif-fetti in esso, e la necessità nella quale mi sarei trovato di restar quà ad as-, sistere alle riparazioni necessarie per maggior economia, mi hanno deciso di non farne nulla: Un altro che trovavasi all’incanto essendo montato a un prezzo troppo alto mi ha fatto perdere per anche tré giorni per attenderne il risultato, ed eccomi finalmente vicino a mettermi in viaggio, partirò frà poche ore, e sarò senz’altro ai 11 a Parigi. Non avendo potuto riuscire a far qualche cosa da produrmi qualche cattive spese, mi sono interessato con un Capitano mio antico amico in una partita di zuccheri raffinati, che a cagione del premio accordato dal Governo all’estrazione, riviene a un prezzo molto mediocre in confronto di quelli a cui si vendono a Odessa, ed in Crimea, poiché rivengono con tutte spese resi in quei porti da 29 a 30 Ruboii, e colà vendonsi, a Odessa (Porto franco) 42 a 45 secondo gli ultimi listini ed altrove diritti di Dogana pagati da 50 a 55. A tale effetto mi sono prevalso credito dei SS-ri De la Rue per la somma di franchi sei Mille. Ne ho avvisato cotesti SS." ed i miei amici di Pietroburgo. Questo Commandante della Divisione Militare, sig. Barone di Damas, il Prefetto Conte Villanuova, il Console sardo Pagano, e molti Negozianti de qual ho fatto conoscenza, mi hanno colmato di attenzioni, ed ho avuto 1 agio di visitare tutto quello che è suscettibile di qualche osservazione. Il primo è parente del Duca di Richelieu.', ed il Console m’incaricò di salutarvi distintamente. Desidererei che mi diceste qualche cosa della nota che vi acchiusi per varie bagattelle alla mia partenza, principalmente per il pacchetto del Ministro di Roma, e che aveste la bontà di far vedere alla Posta, e dalli Sig.ri Rossi, e Brignardelli se vi si trovano delle lettere al mio indirizzo. Mille baci al Nino e saluti a tutti di casa. Perdonate alla sincerità della mia penultima, ma quella parola di giri e raggiri non mi sorte di testa. Vi abbraccio di cuore- V.ro aff.mo fratello Raffaele. — 353 — V. Parigi, lì 26 febb. 1820. Carissimo fratello, Ricevetti al mio qui arrivo il vostro amorevolissimo foglio di 6 corrente che rinchiudeva due altre lettere di Torino e di Kerci. Il mio timore di non trovare più in questa città il Duca di Richelieu si cambiò nel piacere di sentirlo nominato l’istesso giorno del mio arrivo Presidente del Ministero coll’applauso di tutta la Francia, che vede nella sua nominazione la sicurezza pubblica che trovavasi minacciata dall’attentato orribile commesso nella persona Reale del Duca di Berrì: I stessi suoi nemici non osano rifiutarli le grandi qualità che lo adornano, la mia penna è troppo debole per dipingervi coi colori veri della sua grande riputazione tutto il bene che ne ho sentito dire da per tutto, è il vero trionfo della virtù. M r Decasses ha finito come aveva cominciato, senza poter essere utile a nessun partito ha avuto l’abilità di renderseli tutti contrari: Ciò lo caratterizza appieno: ha provato che sulla grande scena politica, la mediocrità non può brillare. Un gran Ministro non riesce che allorquando ha solcato quel vasto oceano, e che ne hà una perfetta esperienza, col conoscere tutti gli elementi che influiscano, e che, addotatone il piano, marcia con costanza al suo destino: M.r Decasses non aveva rotta fissa, senza carta e senza nessun compasso voleva navigare, ed avvanzare sempre, con venti contrarj. Non credete che perchè arrivato sù questa tempestuosa spiaggia io cominci pure a politichizzare, nò, carissimo Onofrio, vi dico ciò che hò sentito dai più consumati in questo genere. Mi sono presentato di già dal Sig. Agherman, dalli SS.i Thuvet che mi hanno accolto con molta gentilezza. Il primo si è informato della vostra salute, e di quella di Angelina, mi ha protestato della sua amicizia. L’istesso ha fatto S. E. il Duca, che m’impone pure di riverirvi. Vado dal Conte Rochechouart à collazione, poi dal Duca a pranzo, e qualche volta anche alla sera: ciò mi dà molta importanza, e mi fà stimare per quel che non sono, non vi potete immaginare l’accoglienza che ne hò ricevuto al mio arrivo. Devo correre al Lussembourg, sicché vi abbraccio. Addio. Mille baci a Nino, saluti affettuosi all’amabiliss.a Angelina a Bettina, Girolamo, Carolina e Nicolino. 23 — 354 - VI. Parigi, lì 2 Aprile 1820. Carissimo Onofrio! Il Principe Cartorinki è sempre in aspettativa di vostra risposta. Tanto lui quanto la Principessa, desiderarebbero che gli informaste dell’epoca alla quale potrebbero venire a Genova, cominciare la cura e prendere i bagni, ed in qual sito gli converebbe di allogiare per soffrir meno dei caldi, nelle vicinanze però di Genova e sulla Riva del Mare. Il Principe vi scriverà, ma vi prega intanto di darli le suddette nozioni posta corrente. Le lettere che ho ricevuto di Pietroburgo non parlano più di viaggio di S. M. I. per i Governi meridionali, sicché non avremo fretta per il nostro d’Italia ma dovete prendere le vostre misure riguardo al Principe. Credevo di poter essere costì subito dopo le feste, ma mi è stato impossibile di finire varie piccole commissioni, e di spedire il resto delle mie comprite, ciò che farò senz’altro del corso di questa settimana. II mio Segretario è partito per il suo Paese Natale per congedarsi da suoi parenti, e l’aspetto pure in questi giorni. Il Conte Corvetto m’incarica di salutarvi distintamente, è di debole salute e vive ritiratissimo. La legge sulla censura è passata l’31 à la majorìté de 27 voix, quella sull’elezione passerà pure alle prime sessioni. In Spagna vi sono dei imbrogli. A Cadice la Guarnigione hà commesso degli orrori. Guai quando il Governo non gode della confidenza publica. State tranquillo sulla scadenza delle cambiali, sarò a tempo a Genova per suplire. Abbracciatemi Nino, affettuosi saluti ad Angelina, Bettina, Gerolamo e Carolina e credetemi qual sempre V.o aff.mo fratello Raffaele - 355 — VII. Parigi, lì 19 Aprile 1820. Carissimo fratello, Al momento di partire prendendo congedo da S. E. M. Duca, mi venne proposto di dare il piano di un proggetto di cui avevo parlato in varie case sulla fabbricazione e purificazione dell’Oglio di Canapa, Papavero, Faggio, e di Pesce, stabilimento che non esiste per anche in Russia, addove la consumazione è maggiore che altrove, a motivo delle grandi quaresime che hanno i Russi, siccome di una fabbrica in grande di Carne salata, che la Francia e tutto il Mediterraneo tira dall’lrlanda, nel mentre che non v’è paese dove il bestiame sia in sì gran numero, e a sì buon prezzo a motivo dei grandi pascoli principalmente della Crimea, e del littorale, confinante a Kersì dei Cosacchi del Mar Nero. La fabrica del Sig. Saccomano osservata da noi li rende dei profitti immensi quantunque lui faccia venire l’oglio già fabbricato dalla Costa del Nord della Francia, e che non si occupa che della purificazione, ma Foglio dei suddetti legumi è portato ad una tale limpidezza e bontà che due terzi dei abitanti di questa Capitale, non mangiano che di quest’oglio, rivenendo alla metà del prezzo di quello di oliva. In Russia addove abbonda il faggio, ed i terreni essendo a vii prezzo per seminare XOeillet converebbe di molto di più, e se ne potrebbe esportare una grande quantità anche per la Francia e le sue fabbriche di sapone. Quanto alla carne salata, la Flotta Russa e Francese, Malta e tutto il Mediterraneo non potrebbe fornirsi altrove a miglior conto, di maniera che sono occupato a formare il prospetto e l’organizzazione di questi due stabilimenti, che saranno riuniti in un solo sotto la direzione di un éléve del Duca, che andrà a stabilirsi a Kerci. II capitale di questo stabilimento sarà composto di Cento Azioni di cinque milla Franchi; S. E. ne prenderà 10. Il Conte Rochechouart, suo Nipote, 2 altri suoi parenti 8, e le altre saranno presto occupate dai Capitalisti che non trovano migliore impiego. Agherman, Du-rand ed il Sig. Sacomano ne prenderanno essi pure, e se al mio costì arrivo desidererete averne una o due vi potrò cedere delle mie. Questo è il motivo del mio ritardo, e giacché si tratta dell’utilità del Paese che mi è confidato, non dovete affligervi, se mi vedete mancare alle mie promesse: l’apparenza della poca regolarità del mio procedere può nuocermi presso di Voi, ma son persuaso che quando ne conoscerete appieno la giustezza tutti i dubbj spariranno. — 356 — Essendomi consigliato col Sig. Agherman a motivo del mio rittardo per non esporvi a un disturbo considerevole, v’inchiudo la mia lettera primitiva di credito sulli SS.ri De la Rue, di Zecchini di Ollanda Mille Cinque Cento, a conto dei quali hò ricevuto 6 Milla Franchi a Marsiglia e per la quale mi riviene a poca differenza Mille Zecchini, che riceverete per pagare le due tratte che scaderanno ai 19 del venturo Maggio in caso che io non fossi per anco arrivato costì. Qui annessa troverete la ricevuta pure del saldo, ed una lettera per i SS.ri De la Rue. Per il resto, quantunque sia a una data molto posteriore, vi rimetterò a tempo dei fondi, e siate persuaso, caro Onofrio, che non voglio che vi mettiate in disborsi, e vi esponiate per mè; Vi amo per Voi e non per le vostre ricchezze, se mai divento ricco, non sarà mai alle spese, o a detrimento di altrui. Scrivetemi, e speditemi le lettere se ne avete fino ai 5 del mese venturo sarò qui. Vili. S.n Pietroburgo, lì 12-23 Maggio 1820. Carissimo Onofrio! Sono arrivato in questa jeri notte, cioè in sedici giorni da Parigi, non ho fatto che cambiar cavalli; i miei piedi e ginocchi erano come balloni gonfj dalla posizione in cui mi son trovato tanto tempo di continuo. Senza il disgusto dei dispiaceri, che forse vi hò causato a motivo delle tratte del Sig. Agherman, sarei l’uomo il più felice. Sono arrivato a tempo. Il Conte Nesselrode mi ha ricevuto a braccia aperte, e mi hà assicurato, che nulla avrebbe potuto farlo cambiare di opinione tanto lui quanto il Ministro delle Finanze suo Suocero relativamente agli affari di Kerci. Mi sono di già riconciliato col Conte Langeron. I nemici di Caffa sono abbattuti, ed il decreto dell’apertura del Porto di Kerci, dell’organizzazione della quarantena, e delle dogane sarà pubblicato nella settimana entrante esattamente secondo il mio primo proggetto, e ve ne spedirò una copia stampata. Le lettere del Duca di Richelieu hanno fatto un pronto effetto, le difficoltà che avevano fatto nascere per tentare di allontanare la quarantena da Kerci, e perciò qualunque siasi commercio sono state spianate in una nota di quattro righe. Il Conte Nesselrode, parlando di Voi, mi disse le seguenti precise parole: Nous serons très flattés de posséder un homme du ménte de M.r votre frère: On m’en a écrit beaucoup de bien; Vous ne devez pas étre — 357 — fache dètre vena ici, puisque M.r votre frère pourra remplir Le but de vos commissions aussi bien que vous l’auriez pu faire vous-méme ». Ensuite je me suis rendu chez M.r Livio pour vous faire parvenir des fonds. J’aurai voulu cela à l’instant mais il y a des formalités à remplir pour retirer cet argent, puisque comme je vous Pai dit c’est d’une somme qui m’a été prètée par le Gouvernement pour 10 années. Ici il n’y a point de change avec Gènes, mais Nous vous enverrons du Papier sur Paris, ou bien M.r Livio Vous ouvriront un crédit par M.r De la Rue chez M.r Agher-man lui-mème qui est très lié avec ses Premiers. Je ne puis pas Vous dire tout ce que j’ai souffert pendant mon voyage dans la crainte de voir renversés tous mes projets et de perdre votre affec-tion. Je suis tranquille sur le premier point, mais ne le suis pas sur le se-cond; il n’y a que votre lettre qui puisse me rendre la tranquillité. Je cours d’un Ministre à 1 autre; j’ai tant de choses à faire et tant de papiers à écrire que je ne sais pas où j’ai la tète. Embrassez-moi Nino, et croyez à la sincérité des sentiments d’atta-chement de votre affectionné frère Raphael J’ai commencé en Italien, je finis en francai, n’attribue pas cela à étourderie, mais au chaos des affaires que j’ai en tète. IX. 21 Maggio s. v. 2 Giugno s- n. Carissimo Onofrio, La presente ha per oggetto solamente di avvisarvi che due mie lettere vi sono state spedite per sbaglio dal mio segretario via della Posta, nel mentre che avevo ordinato che vi fossero trasmesse per mezzo dei SS.ri Fratelli Livio. Nell’ultima trovavasi inchiusa una lettera per il Sig. Gerolamo Serra, e temo che non succeda o qualche ritegno, o che non siano aperte. Vi prego dunque a tranquillizarmi sopra di ciò per la prima posta. Varie formalità e le feste ci hanno impedito di accompiere la promessa fattavi di rimesse, ma siate persuaso, che arrivaranno avanti alla scadenza delle ultime tratte del Sig. Agherman. Aspetto con impazienza, e per mia tranquillità di vostre notizie, e principalmente le vostre note sulle quarantene, Sull’Albergo dei Poveri, sulla Banca di S. Giorgio, e la lettera che vi indicavo — 358 — scriver.....la mia lettera di Parigi. Se vi ho causato della pena, spero che l’avvenire vi ricompenserà d’altretanta consolazione. Metto in uso tutto il mio sapere per piacervi, e ne vedrete l’effetto. Abbracciatemi Nino, Battina, la vostra degna Angelina, e tutti di casa. Credetemi a giammai 11 vostro più affezionato fratello Raffaele Vi raccomando i libri e sopratutto quel Manoscritto le carte e varie altre cose che ho lasciato nel canterino della comoda, come che il mio piccolo necessario, che pregovi di far mettere in una cassa ben sigillata pregando il Console di apporvi i sigilli per scanzare la quarantena. X. Odessa, lì 1-12 feb. 1821. Carissimo fratello Onofrio! 11 mio qui arrivo ha sciolto tutti i complotti, che da gelosi si erano fatti e preparavansi per anche contro di me per nuocere ai miei progetti. 11 Capo di tutti questi Lacci mi ha ricevuto con maggior affabilità che mai; e da quello che scrisse al Ministero son ora persuaso che riconosce la necessità e l’utilità dei miei servigi ai suoi Governi. Quei stessi che intrigavano in mia assenza, hanno l’umiliazione addesso di ricorrere a me nei loro bisogni di prottezzione. L’assenza mia da questi Paesi mi costa molto per i miei interessi, ma mi ha imparato a conoscere ogniuno. Assik è morto in Kerci di un colpo di apoplesia. Dai suoi libri si rillevavano 19/milla Ruboli in contanti, e nulla si è ritrovato. Tutti i affari di Circassia in confusione senza verun conto dei agenti che colà amministravano il mio stabilimento. Un impiegato fuggito in Asia con il prodotto di un carico sale ferro ed altro. Molfino arrivato colà dopo giorni della partenza della mia goletta, che disgraziatamente naufragò su quella costa con pieno carico sale: infine una riunione di accidenti terribili per le mie tenue sostanze, mi ha messo a pian terreno di maniera tale, che senza l’imprestito del Governo promessomi, mi troverei peggio di quel ch’ero al principio delle mie intraprese. Parto dopo domani per Pietroburgo passando per la Crimea e Kerci onde dare un colpo d’occhio a quei miei disgraziati affari. Siccome il Sovrano — 359 — ed il Ministero non sarà così presto di rittorno, non mi affretto di arrivare colà, perchè senza di loro nulla si può terminare, ma però contate sulle mie promesse. Appena colà giunto vi scriverò. Se gli affari di Napoli si arrangiassero potrebbe darsi che S. M. I. facesse un giro anche costì. Presentatevi in allora dal Conte Nesselrode, da Capo d'Istria, dal Principe Volkomki. Illuminate S. Angelo e la vostra casa in Città senza riguardo. XI. S. Pietroburgo, lì 5 9bre 1821. Carissimo Onofrio, La presente vi sarà rimessa dal Sig. Negri impiegato del Ministero Sardo dei affari Esteri amico preziosissimo che mi ha dimostrato il più grande attaccamento. Esso vi dirà quanta pazienza ebbi a soffrire per il buon esito dei miei progetti. Finalmemte ottenni la sanzione di Sua Maestà Imperiale per l’apertura del Porto di Kerci li 10 del mese passato, e con essa l’imprestito di 200/m Ruboli, che riceverò al mio arrivo in Odessa da quella Banca Imperiale. Le difficoltà, i ritardi, le opposizioni che rincontrai nel decorso che questi affari si trattavano al Ministero, son nulla in paragone del rammarico che mi ha cagionato il disborso che vi hò fatto fare e che le circostanze mi hanno impedito fin adesso di soddisfarvi. Se poteste essere al fatto di tutto, e conosceste appieno la mia maniera di pensare, i miei sentimenti, certo vi avrei almeno risparmiato l’inquietudine che ciò deve avervi cagionato. Siate persuaso che le sole circostanze si sono opposte e si oppongono a provarvi la sincerità del mio attaccamento, e che mai cesserà in me il desiderio di provando- li Decreto non è per anche stampato, lo avrò fra qualche giorni, e ve lo trasmetterò con una descrizione topografica di quei paesi e sopra tutto di Kerci (l’antica Panticapea). Partirò frà 15 o 20 giorni a Odessa, ma per più sicurezza indirizzatemi la prima vostra lettera per mezzo dei SS.ri Livio. Mille baci a Nino, i miei saluti alla v.ra Angelina, a Battina, a tutti di casa, nel mentre che non cesserò di essere V.ro aff.mo fratello Raffaele - 360 XII. Odessa, lì 5 Maggio 1822. Carissimo Onofrio, Finalmente eccomi oggi giunto in questa dopo tre anni di travaglio, e di pene per arrivare alla realizazione dei miei proggetti. La mia sola costanza mi ha salvato poiché senza di essa non avrei giammai potuto sostenere contro le contrarietà, le opposizioni, che incontrai nella trattativa di questo nuovo commercio. Tutto è finito e parto in questi giorni per Kerci col Governatore Generale per aprire il nuovo Porto di cui io sono il Governatore. Fino a che le nuove construzioni di quarantena e di Dogana sono terminate riceveremo soltanto i Bastimenti che verranno colà a caricare senza mercanzie di spurgo. Per la Posta ventura avrete una nota di dettaglio di tutte le Mercanzie di esportazione, e di quelle promesse di importazione, avrete pure quella di tutti i privileggi accordati a quel nuovo Porto. Se non risposi fin adesso alla lettera del Sig. Agherman come alle due vostre ne fu cagione l’incertezza dell’epoca alla quale mi si pagherebbe l’imprestito dei 200/milla Ruboli assegnatomi da S. M. I. Ora poi vi dirò che tal somma mi sarà sborsata tosto l’apertura del Porto, ma in due rate, cioè 100/milla Ruboli di subito, e 100/milIa cinque anni dopo, giacché tale imprestito mi vien fatto per facilitarmi il trasporto del legname di construzione che possedo nella costa opposta a Kerci della Circassia, che di già si trova alla riva del Mare. Neccessito per questo due o tre Bastimenti, che le circostanze attuali favoriscono molto l’acquisto, per essere a molto buon prezzo. Sento la necessità di adempiere la domanda del Sig. Agherman, il dovere 10 esige, e la vostra tranquillità, la mia stessa me lo impongono, ma desidererei che mi daste una nuova prova della vostra affezione, interessandovi appresso del amico Sig. Agherman per accordarmi un qualche tempo di dilazione dandogli delle cambiali, o rimettendoli annualmente colà dei grani, che sono superiori a tutte le qualità conosciute costì, e pagandoli discreti interessi. Caro Onofrio, se poteste far questo contribuireste di molto alla prosperità avvenire del mio stato finanziero, giacché se subito faccio pagamento di quanto devo non mi restano più mezzi sufficienti di trasportare il mio legname, che fà la mia principale sostanza, e mancherei di fedeltà alla promessa fatta al Governo per facilitare, e dar l’esempio di questo commercio tanto necessario ai nostri Cantieri, ed alle costruzioni della nuova Città. Il mio posto, 11 mio decoro vi devono essere garanti dell’esattezza colla quale adempirò - 361 - alle mie obbligazioni. Il Sig. Agherman vi è molto attacato e son persuaso che un riccone come lui non si ricuserà a queste condizioni, tanto più che avrà dei affari certamente in quella piazza. Secondo il suo desiderio gli assegnerò la miglior Piazza per fabbricati nel Porto, come pure un dei migliori terreni fuori della Città per giardino, e può essere persuaso che se vi fà un stabilimento avrò la cura principale dei suoi interessi, e coglierò volentieri l’occasione di dimostrargli la mia riconoscenza. In tal caso desiderarci che si affidasse in confidenza alla Casa di Gattorno per fissare il nostro conto corrente, l’epoca di tre o 4 termini di pagamento, ma che ciò sia in via secreto per mantenere il mio credito e il mio decoro. Impegnatevi, caro Onofrio in questo affare, e siate persuaso che d’ora in poi non avrete più a lagnarvi di me. Se sapeste quanto io soffrj moralmente di tutto ciò mi compatireste. Finalmente il Cielo sereno mi promette un beH'avvenire, tutto è sistemato solidamente, la prosperità immancabile di questo Porto tanto importante per il Commercio che si farà fra la Russia Asiatica e Europea colle Nazioni del Mezzogiorno và tramandare alla posterità il nome Scassi, e Genova si vanterà di avere un suo Cittadino sulle rive del Bosforo che fa risorgere il suo Commercio, le sue antiche relazioni. Aspetto con ansietà vostre care notizie, ma vi prego di diriggere le vostre lettere per mezzo della Casa Gattorno, che sono i mie soli confidenti. Spero che il Cielo adempirà i miei voti sia per la vostra conservazione in buona salute, come per provarvi un dì quanto sincero sia il mio attaccamento. Abbracciatemi Battina, Angelina e Nino e credetemi a giammai V.tro aff.mo fratello Raffaele Per il momento non posso far niente nè per Battina, nè per Gerolamo, mi fà d’uopo stabilirmi, organizzarmi con decoro, in un Paese nuovo, sicché bisogna che abbino pazienza. XIII. Kertch in Crimea, li 2 Marzo 1823. A quest’ora avrete di già una prova evidente della mia nobile maniera di pensare, e di procedere. La Grazia speciale che S. M. il Magnanimo mio Sovrano vi comparte colla insigne decorazione del Ordine di S. Vladimir, deve farvi riconoscere che verun interesse al mondo può far scancellare in me quei sentimenti di Onore, e di affezione che innati mi hanno servito di base e norma nella mia carriera ed in tutte le mie azioni: hò sempre travagliato per innalzare il Nome che porto, e non per avilirlo. Se avessi avuto per mira le richezze, le avrei, ma senza onori ed ignoto. S. E. il mio Capo mi fà sapere ciò dalla parte di S. M. I. come prova novella del suo gradimento per i miei servigj ed acciò lo sappj e la mia famiglia, ed i miei compatrioti. Qui annesso rimetto al Sig. Rimitez il mio sigillo che feci incidere allorquando S. M. I. mi conferì di sue proprie mani questa istessa Croce nel 1818. Ve ne servirete, e vi sarà di memoria. Faccj il Cielo che i miei voti siano esauditi, e che mi ragiungiate in altre distinzioni. Abbracciatemi tutti di casa, e credetemi inalterabilmente V.ro aff.mo fratello Raffaele jt RELAZIONE DI RAFFAELE SCASSI SUL PORTO DI KERC E IL SUO COMMERCIO L’apertura del Porto di Kerci stata decretata dal Comitato dei Ministri a S. Pietroburgo li 17 Agosto 1819, offre un vasto campo all'industria commerciale, ci promette una prosperità più celere, e più fondata di quella a cui è pervenuta Odessa in si poco tempo. La sua situazione sul Bosforo Cimmenco, che riunisce il Mar Negro con quello di Azov, sulla frontiera dell’Europa, dell’Asia, sul Canale che dicesi delli antichi Porta Scitica, cioè della Russia, da dove naturalmente devono distribuirsi tutti i ricchi prodotti di quella grande Nazione, tutto fà sperare di vedere rinascere quel gran Commercio che ha prodotto tante ricchezze ai Genovesi, e di vedere risorgere le loro relazioni coH’interno dell’Asia, col vantaggio però che son spariti i rischj, e le difficoltà, che in allora presentavano i Paesi dei diversi, e barbari popoli che il Commercio d’allora doveva attraversare, gli uni essendosi dispersi, altri facendo parte di quell'immenso Popolo, i restanti, rispettosi non oserebbero mettere ostacoli a qualunque siasi stabilimento o ai trasporti delle merci sotto la potente protezione della Russia. Se Odessa sostenuta dalla sola esportazione dei grani di Pologna, non suscettibile d’altro Commercio, perchè situata sulle frontiere della Bessarabia e della Pologna meridionale, lontana perciò dai prodotti della Russia, si è tanto inrichita, ed ha procurato tanta occupazione alle Piazze mercantili di tutta l’Europa, se Tangarok fà tante commissioni all’estero, situato nel fondo di un Mare burrascoso, di poco fondo, ingombrato da innumerevoli, e invisibili banchi di sabbia, paralizzato quasi la metà dell’anno dei Ghiaccj, che ne interrompono la Navigazione, motivo di tanti rischj e di tante spese, quali, e quanti non saranno gli affari, e le operazioni di Kerci, Porto sicuro, comodo, ed al quale approdar si puole in ogni stagione? La Costa della Circassia, dell 'Abasa, di Mingrelia sul Mar Nero, e Sinope istesso a poche ore di - 364 — Navigazione, presenta al Genio speculativo grandi risorse e speranze le meglio fondate. La Crimea istessa quantunque ben diversa nei suoi rapporti attuali dall’epoca in cui fioriva il Commercio dei Genovesi, offre anche un impiego sicuro, e vantaggioso in stabilimenti agricoli. A fianco dei Stieppi e dei Clima i più rigidi, dà tutte le produzioni dell’Italia Meridionale, e ne offre un smercio certo al Coltivatore colla vicinanza dei popoli che ne son privi, senza tema di concorrenza. Non v’è dubbio che la posizione della Crimea non sia la più favorevole al Commercio, e che Kerci situato alla sua estremità non diventi il centro delle più grandi operazioni commerciali trà l’Europa e l’Asia. Questa verità è fondata sulla esperienza, e sui calcoli di una Nazione che pochi secoli fà dava per anche legge, e serviva di norma al Mondo Commerciale. Si apra l’istoria, ed ivi si troverà Panticapea antico fondaco di tutto il Commercio che faceva l’Asia colPEuropa; esistono per anche a Kerci i ve-stiggj di quella immensa e ricca città, che però ha suoi fasti assieme col gran Mitridate. Questi Paesi sotto l’amministrazione di un Governo Paterno, son forse i soli in oggi, che riuniscono all’agio della vita, ed ad uno dolce clima, meno agravj e maggior sicurezza. Il Sovrano adorato di quelle contrade, sempre pronto a cogliere ogni occasione, in cui possi procurare dei vantaggi ai suoi popoli, e vieppiù far fiorire il loro Commercio, non vi è incoraggiamento che non usi per ottenerne e seguirne l’intento: Questi sono i motivi e i privilegi accordati a Odessa, a Taganrok ed in ultimo a Kerci, per il quale Sua Maestà Imperiale si è degnata estenderci molto al di là dei soprannominati Porti, coll’esimere l’entrata di tutti i prodotti delle Coste di Circassia, d'Abasa e di Mingrelia, come la sortita delle Merci stesse per quei Paesi franca da ogni diritto di Dogana, ed esente dalle proibizioni di Tariffa per il spazio di 10 anni. Oltre ciò accordò l’arbitrio alFAmministratore di quel Porto di far concedere il sale per l’importazione di quei paesi che ne sono affatto privi, gratis per il spazio pure di dieci anni. Oggetto di grande conseguenza per essere l’articolo il più importante di Commercio, e di cambio con quei Popoli. La Circassia, e VAbasa occupa la maggior parte del Caucaso verso il Mar Negro, ed i popoli che l’abitano nel stato per anche primitivo delle Società, sempre in guerra coi loro vicini, non conoscono altre relazioni che quelle che hanno formato modernamente colla Turchia; e queste son divenute più politiche, che Commerciali, poiché i Turchi non curandosi nè dei loro prodotti, nè dei loro legnami, non comprano che giovani schiavi dei due sessi, in parte per soddisfare al lusso dei loro seraglj, ma maggiormente per — 365 — mantenerli nella barbarie, e farsi un argine più forte col istigarli contro della Russia. Quei popoli così feroci contro ogni foresto che, per qualunque siasi combinazione, cascasse nelle loro mani, e che ispirano per anche tanto timore ai Naviganti del Mar Nero, conservano però una rispettosa memoria dell’utilità di cui li son stati i Genovesi, ed additano ancora le vestigia dei loro antichi stabilimenti. Sotto questo titolo un Europeo fù accolto pochi anni sono, e dopo loro fu il primo, che ebbe a lodarsi della loro ospitalità. I Boschi tanto antichi della Circassia possono fornire tutti i cantieri dell’Europa dei migliori legnami di construzione, e Kerci per la sua vicinanza con quelle Coste offre alla fabbricazione di Bastimenti delle facilità che non possono aversi altrove, poiché può ricevere tutti gli altri materiali dalla Russia di prima mano, nessuno escluso. Quai vantaggi non son da sperarsi dal Commercio di quei Paesi tut-t’affatto ignoti. Chi sà se l’esaltazione dei Greci non ci indica poi quelle miniere d’Oro, dalle quali le acque stogliendo delle particelle, hanno dato origine alla tanto decantata spedizione dei Argonauti per la Tosone di Oro, che non era altro che il getto delle pelli di agnello al fondo del fiume Fasi nella Colchide per raccoglierne le pagliette trasportate dall’acqua, ciò che si faceva per anche nel secolo passato, ma che hà cessato forse a cagione di qualche cambiamento di letto delle citate acque. AGGIUNTE E CORREZIONI jt jt jlt Pag. 25. Da una serie di petizioni presentate da Onofrio Scassi e da Nicolò Covercelli al Direttorio Esecutivo della Repubblica Ligure appare che il 16 agosto 1795 Covercelli ammalato di podagra domandò la giubilazione e lasciò senz’altro l’insegnamento, supplito dallo Scassi che ne era l’assistente. Il Comitato di Pubbliche beneficenze il 31 maggio 1799 su domanda Scassi, sciogliendo una questione rimasta insoluta quattro anni, accordò al Covercelli le dimissioni a datare dal 17 agosto 1795 e nominò lo Scassi dalla data medesima a sostituirlo. Ma egli, nel timore che il provvedimento di un semplice Comitato non avesse valore, chiese la ratifica della deliberazione al Direttorio. A sua volta il Covercelli ricorse contro quel provvedimento accusandolo tra l’altro di illegalità perchè retroattivo. Il ministro nel trasmettere le due petizioni si mostrava incerto sulla decisione da prendere, sopra tutto per la retroattività della nomina. Come la cosa sia stata decisa non risulta dai documenti, ma è da credere che il Direttorio abbia confermato il provvedimento poiché lo Scassi continuò nell’insegnamento. Comunque, risulta che egli in condizione di supplente e senza nomina ufficiale insegnò dal 1795 al 1799 la medicina teorica. Arch. di Stato di Genova; Repubblica Ligure, Sala 50, Registro Messaggi al Direttorio Esecutivo 1799-1802, voi. II; 11 agosto 1799, n. 227, e 13 novembre, n. 408. y Pag. 55 n. 1 e Pag. 139 — Sul Rasori, anche per la parte avuta nell’assedio di Genova, v. Achille Monti, Giovanni Rasori nella storia della scienza e dell’idea nazionale in Lezioni e Conferenze della R. Università di Pavia, Pavia, Istituto Pavese di Arti Grafiche, 1929-V1I. - 367 Pag. 66 riga 10 invece di Cantore leggere Cantone » 84 » 7 » » Antonio Bollo leggere Giuseppe Bollo »110 » penultima invece di Rele » Rell » 149 » 9 » » propose » propone » 161 Lo Scassi comunicò il risultato della votazione con la seguente lettera autografa: Il Senatore Presidente delI’Università al Provveditore nella giurisdizione del Centro. Genova, dalla Sala dell’Università 26 Maggio 1805 Provveditore degnissimo, In esecuzione del Decreto del Magistrato Supremo ho invitato tutti i Professori dell’Università a radunarsi sotto la mia Presidenza questa mattina. La radunanza ha avuto luogo alle ore dodici. Ho significato a tenore del vostro invito il motivo della convocazione a’ miei colleghi e ho loro fatto sentire i motivi che hanno determinato il Senato alla deliberazione presa nella seduta di ieri, ed ho invitato i medesimi e dare per mezzo di sotto-scrizione il loro voto affermativo o negativo alla deliberazione suddetta. Vi trasmetto il risultato ed ho il piacere di annunziarvi, che penetrati i Professori dei grandi vantaggi, che la nostra unione alla Francia può recare alla Liguria intera e alle Scienze e alle Arti, furono unanimi nel voto affermativo; ed avrò io così avuto la seconda volta l’occasione di votare in favore d’una deliberazione a cui ebbi l’onore di prendere parte in Senato. Ho il piacere di ripetervi la mia stima e considerazione. Scassi. (Arch. di Stato, Genova, Repubblica Ligure Sala 50, Filza 509). Pag. 197 n. 2 — Fu soppresso anche il Monitore della 28a Divisione militare dell’impero Francese, continuazione dell’antico Monitore ligure, durato dal 1805 al 1811. Una copia si conserva nella biblioteca della Società Ligure di Storia Patria. » 202 riga 3, invece di Michele Daste leggere Marcello Daste » 202 nota 2, aggiungere M. H. Weil, Joachim Murat Roi de Naples - Lader-nière année de Règne (Mai 1814-Mai 1815), Paris, Fontemoing, 1908-1910, passim e specialmente voi. V, pag. 526 sgg. 1 » 266 riga 1“ invece di Giuseppe Mojon leggere Benedetto Mojon. ■ , lllll.llllillllllllllilllllllllllllll.llllillllllllllillllillllllllllilllllllllllllll'lllllllllllllll.lIlKlillllllll.llllillllllllllillll.llllllllll,Illi,lllllllllhlllhllllllllll,Illi,111111111!,Illllllllllllll.llllllllll llllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllilllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllilllllllllllll INDICE DEI NOMI (Oltre a quello di Onofrio Scassi non sono indicati i nomi che ricorrono quasi ad ogni pagina : Genova, Liguria, Gazzetta di Genova, Francia, ecc.) jt .Ibasa, 803, 364. Accademia di Belle Arti, 276, 277, 302, 307. Accademia Imperiale Ligure di Arti e Scienze, v. Istituto Nazionale. Accademia Italiana di Scienze Lettere e Arti, Colonia Ligure, 189, 190. Accame, dottore, 397 n. 2. Acquasola, 134, 291 n. 7. Acqui, 5, 200. Adorno Pasquale, 87 n. 4. Agherman, banchiere, 351, 353, 355, 356, 357, 360, 361. Agliè, Cesare di S. Martino, conte di, 234. Agnese Agostino, 335 n. 1. Agnese Ambrogio, 6. Agnese Scassi Francesca, 6 n. 2, 335, n. 1. Agrifoglio Benedetto, 145 n. 3. Airenti Giuseppe Vincenzo, 305. Alessio, 211 n. 1. Albaro, 42, 207, 208. Albenga, 139. Albergo dei Poveri, 27ì, 291-5, 307, 322, 357. Alberti Francesco, 145 n. 3. Albissola, ? n. 2. Alenin, generale russo, 349, 350. Alessandria, 97, 126, 159, 187, 196, 251, 253, 268. Alessandro 1 di Bussia, 248, 336, 337, 340 Alessi Galeazzo, 282. Alfieri di Sostegno, Carlo Emanuele, 228. Algeri, 195. Alizeri Federico, 282 n. 5. Almanacco (L’) delle donne brutte, Lunario per il 1812, 259 n. i. Almanacco per il Ducato di Genova, 1818, 259 n. 3. Almanach Imperiai de la 28.me Divi-sion Militaire pour l’An 1808, 239 n. 4. Alvigini Silvestro, 236. America, 308. Amiens (Pace di), 128, 129, 145, 152. Anapa, 337. Ancona, 227. Angeli (località e cimitero), 106, 107, 312, 313. Annali Politico - Ecclesiastici, 40 n. 4. Annuaire Statistique du Départiment de Gènes, 1810, 7 n. 3; id 1813, 183 n. 1, 189 n. 2, 190 n. 2; 1811, 190 n. 2. Ansaldi Guglielmo, colonnello, 253. Ansaldo G. B., 145 n. 3. Ansaldo Giovanni, 34: n. 1. Antola G. B., 236. Api Pier Gaetano, 40 e n. 5. 24 — 370 — Appennini (Dipartimento degli), 170, 170, 192, 201. Arata, medico, 177, 191. Arbara località, 322. /Irco, porte dell’, 322. Ardizzoni Nicolò, 49 n. 2 e 4, 51, H5 n. 3, 182, 242, 248, 252 n. 5, 258 e n 4, 286. Arena Giuliano, 91, 95 n. 1. Arenzano, 5, 6 n. 6, 191, 259 11. 4. Arnaud, medico francese, 119, 120. Askenazy Simone, 18 n. 1. Assarotti Ottavio, 134, 184 n. 1. Assereto Domenico, 45, 46. Assereto Giuseppe, 84, 87, 128, 131. Assereto Luigi Domenico, generale, 96. Assereto Pietro, notaio, 53 n. 1. Astengo Maddalena, 266 n. 3. Austria, 18 n. 1, 31, 44, 88, 96, 149, 155 n. 2, 169, 170, 218, 219, 220 n. 2, 222, 223, 227, 240. 289 n. 5, 308. Avvisi di Genova, 7 n. 4, 15 n. 2, 21 n. 1 e 4:, 24 n. 1, 31 n. 5, 51 n. 4, 74 n. 1. Azoj (mare di), 337, 342, 346, 363. Azuni, 202. Baciocchi Felice, 172. Badano Ferdinando, 235. Badarò Andrea, 98, 99. Badino Pasquale, 298 n. 2. Balbi Emanuele, 32, 37 n. 1, 42, 89, 101 n. 5, 106, 130, 153, 160, 164, 166 n. 5, 208, 209, 213, 223 n. 1, 225. 246, 251, 252, 253, 309. Balbi Gerolamo, 35 n. 5. Balbi Pioverà Giacomo, 309. Balbo Prospero, 181, 242, 250. Balestrieri, notaio, 222 n. 1. Banchero Giuseppe, 178 n. 4, 290 n. 2, 329 n. 4. Banchi (piazza), 25 n.4, 34, 52, 295. Banco di S. Giorgio, 134, 149, 213, 259 n. 4, 357. Bandettini Carlotta, 155 n. 5. Barabino Carlo, 282, 290, 291 n. 7, 316, 326. Baratta Carlo, 252. Barbareschi, pirati, 156, 160, 164, 195, 254 n. 1. Barras Paolo Francesco, direttore in trancia, 8f. Bassi Adolfo, 90 n. 1 e 2. Bastide Gian Francesco, 14 n. 1, 21 n. 5, 35 n. 3, 56. Batt Gugliemo, 11 n. 4, 28, 52 n. 1, 107, 109, 111, 1F2, 113 n. 1, 114, 115, 116, 118, 119, 120, 150, 151 n. 1, 177, 182, 191. Bava, capitano marittimo, 348. Beley Giorgio, 28. Belgrano Luigi Tommaso, 13 n. 2, 16 n. 4, 25 n. 4, 26 n. 1, 27 n. 1, 35 n. 3, 49 n. 4, 74 n. 1, 87 n. 2, 88 n. 4 e 5, 89 n. 2, 90 n. 1 e 2, 93 n. 1, 100 n. 1, 124 n. 1, 133 n. 3, 134 n. 1, 152, 166 n. 3, 184 n. 5, 201 n. 11, 239 n. 2. Bellegarde, Antonio Dionigi Dubois de, 207. Belleville, Carlo Goffredo Redon de, 4i n. 4, 49, 50 n. 1, 57, 63, 75 n. 2 e 5, 77 n. 2, 78 n. 3, 79 n. 5, 82 n. 2, 83 n. 2, 84 n. 3, 85 n. 2. Bellini Vincenzo, 290. Belviso, fratelli, 245. Benoit, segretario di Lebrun, 177. Benoni Lorenzo, romanzo, 267 n. 4 e 6. Bentinck William, 207, 209, 210-13, 215. 216, 222 n. 1, 229, 231, 234, 242. Benza Leonardo, 90, 101 n. 4. Bergallo Francesco, 151 n. 1. Berry (duca di), 340, 353. Berrv (Maria Carolina duchessa di), 317 n. 3. Bertamini Tomaso, 110, 151 n. 1, 178. Bertolani A., 8 n. 1. Bertoloni Antonio, 151 ir. 1. Bertoldi Alfonso, 166 n. 7. Bertolotti Paolina, 57. Bertolotto Gerolamo, 266 n. 5. Bertora Gerolamo, 175, 266 n. 2. Bertuccioni Giuseppe, 47 n. 5, 145 n. 3. Bessarabia, 363. Besuzzi, ballerina, 302. Biagini Sebastiano, 33, 36 n. 4, 48 n. 3, - 371 — 58 d. 1, 76-7, 81 n. 2. Biale Lorenzo Battista, 268 n. 3. Biamonti, professore universitario, 182. Bianchi Agostino, 145 n. 3, 165 n. 3, 186. Bianchi Nicomede, 217 n. 2, 219 n. 1, 220 n. 1. Biblioteca Civica Berio, 266, 276, 307. Biblioteca Franzoniana, 266. Biblioteca Universitaria, 266. Bigoni Guido, 13 n. 2, 14 n. 2, 15 n. 3. 16 n. 4, 27 n. 1, 31 n. 2 e 4, 32 n. 5, 34 n. 2, 35 n. 2 e 5, 36 n. 6, 37 n. 2 e 3, 40 n. 1, 41 n. 1, 43 n. 1, 44 n. 2 e 3, 49 n. 4, 61 n. 4. Biographie Nouvelle des Contemporaincs, 202 n. 2. Bisogno (valle, fiume e ponte), 34, 294, 295, 296, 313, 329. Bizaro Pietro, 211 n. 2. Bo Angelo, 326. Boccardo Antonio, 92, 95 n. 1, 96, 98 n 1 e 2, 225, 245. Bocrardo Bartolomeo, 14 n. 3, 26 n. 5 30 n. 2, 37 n. 5, 41 n. 2, 44 n. 3, 45 n. 2, 79, 80, 81 n. 1 e 3, 83 n. l’ 84, 104 n. 2, 145 n. 3, 152, 173, 174^ 225, 245. Bocchetta, passo della, 32. Bollea L. C., 202 n. 2. Bollo Giuseppe, 84, 87, 9^, 95 n. 1, 96, 98 n. 1 e 2, 245, 367. Bologna, 302. Bonaparte Elisa, 160, 172. Bonaparte Gerolamo, 160, 175, 195. Bonaparte Giuseppina, 31 n. 5, 160, 173. Bonaparte Napoleone, 18 n. 1, 31 n. 1, 32, 36, 37 n. 5, 41 n. 1, 42 n. 3, 43, 44 n. 4, 45 n. 2, 74, 77, 83, 95, 97,’ 98, 100, 102, 103, 124, 125, 126-133, 136-7, 146, 147, 153, 155 n. 5, 156-60, 162, 164-7, 169, 170-5, 180, 184, 192, 193 n. 5, 194-7, 200, 202-4, 206-8, 212, 216, 217, 224 n. 2 e 6^ 225,233,234, 246, 263, 268 n. 1,341. Bonaparte Paolina, 199. Bonelli Vincenzo, 52. Bongiovanni di Castelborgo Luigi, 304 n. 4. Bonomi Pietro, 1, 17, 25, 26-28, 37, 39, 62, 73, 103, 105, 110, 112, 136, 145 n. 3, 150, 151 n. 1, 178, 182, 227 n. 5, 262 n. 1. Bontà Giuseppe, 286. Borei Jean, 31 n. 2, 32 n. 5, 35 n. 1, 42 n. 3, 103 n. 3, 132 n. 1, 133, 153 n. 4, 158 n. 4, 170 n. 1-3, 172 n. 1-5, 173 n. 5, 179 n. 1 e 5, 183 n. 2 e 4, 184 n. 1 e 4, 192 n. 2, 193 n. 4, 194 n. 2 e 3, 195 n. 1-5, 196 n. 1-4, 197, n. 1-5, 198 e n. 2, 199 n. 2 e 4, 201 n. 1-2, 206 n. 1, 207 n. 2, 208, 223 n. 3. Borelli Giacinto, 293, 298, 303 e n. 3, 311, 313, 314, 326, 328. Borghese Camillo, 197 n. 5, 199, 200, 207. Borgo Incrociati (Genova), 155. Bornate Carlo, 221 n. 4, 223 n. 3, 226 n. 1, 227 n. 1, 232 n. 1 e 3, 235 n. 4, ■240 n. 3, 249 n. 1, 251 n. 1 e 2, 252 n. 1-5, 253 n. 1, 254 n. 2, 255 n. 1 e 5, 281 n. 3, 298 n. 2. Borzo nasca, 123. Boschi Guglielmo, 28. Boselli Benedetto, 211 n. 1. Boselli Francesco, 84, 211 n. 1. Boselli Paolo, 198 n. 5, 254 n. 2, 312 n. 3. Bosforo, 344, 348, 361, 363. Botta Carlo, 27 n. 1, 34, 43, 48 n. 2, 152, 166 n. 1, 173 n. 5, 174, 207 n. 4. Botto Antonio, 139, 140 e n. 4, 141 n. 2. Botto Girolamo, 262, 327. Bourdon de Vatry, prefetto, 192, 194 n.l, 196, 197 n. 5, 199, 206 n. 1, 207, 208 n. 1. Bouvier, 32 n. 4. Bratianu G. J., 339 n. 2. Brescia, 163. Brignardelli, mercanti, 352. Brignardelli, padre, 305, 306 n. 1. Brignole, famiglia, 308. Brignole Giacomo, 49. Brignole Giacomo Maria, 37 e n. 2. — 372 — Brignole Gian Carlo, 190, '212, 213, 230, 232, 237, 210, 2-12 e n. 2, 249, 250, 256, 258, 268 n. 3, 269 n. 2, 274, 310. Brignole Sale Anna, 47 n. 5, 106, 159 n. 2, 190. Brignole Sale Antonio, 164, 180, 198 n. 5, 210 n. 2, 215 n. 4, 217, 221, 223, 230, 2S1 n. 1, 282, 286 n. 1, 287, 288 e n. 3, 289 n. 6, 296, 297 e n. 3, 310, 314, 317, 325, 328. Broche Gastone, 90 n. 1. Brown John, 55. Brune Guglielmo, generale, 48, 49. Bruni, spia inglese a Genova, 153 n. 4. Bruno A., 57 n. 8. Brusco Giacomo, 145 n. 3. Bruxelles, 144. Bug (fiume), 336. Bukholtz, generale, 338. Bumm E., 10 n. 3. Buniva Michele, 139 e n. 2. Buraggi Giuseppe, 236. Bureau de Puzy, prefetto di Genova, 176, 196. Cadice, 340, 354:. Cajja, 339, 356. Calendario di Genova sopra l’anno 1196, 25 n. 3. Calendario di Genova per il 1191, 7 n. 2. Calieri Gio. Felice, 136 n. 3. Calvi Adamo, 32, 35 e n. 4, 36. Calvi Girolamo, 326. Calvi Giuseppe, 236. Cambiaso Carlo, 96. Cambiaso Giovanni Maria, 62, 164. Cambiaso Giuseppe Maria, 84. 87, 89, 128, 149, 215, 236. Cambiaso Lilla, 326. Cambiaso Michelangelo. 35 e n. 3, 43, 89 e n. 1, 95 n. 1, 97, 98, 101, 130, 160, 173, 174, 176, 200, 201, 202. Cambiaso Nicolò, 309. Campanella Federico, 257, 268. Campani A., 266 n. 1. Canale Michele Giuseppe, 16 n. 4, 281 n.3. Canefri, medico, 28, 73, 105, 109 e n. 1. Cannes, 234. Canobbio G. B., 347 c n. 2. Cantone Gaetano, 66, 110, 145n.3,367. Cantù Cesare, 47 n. 5. Canzio Michele, 282. Capo d'Istria, conte di, 249 n. 1, 359. Capo Mele, 14. Capozzi Cirillo, 136 n. 3. Cappellini A., 282 n. 5. Cappuccini, (chiesa) 329 n. 1. Capurro Luigi, 145 n. 3. Carbonara Luigi, 16, 35 e n. 3, 43, 44, 100, 145 n. 3, 149, 160, 173, 211 n. 1, 217 n. 2, 226, 231, 236, 237, 239, 240, 251, 252 n. 5, 285, 286 n. 5. Carbonara, località e cimitero, 312. Carbonari, 249, 279, 292 n. 2. Carbone G., 13 n. 1. Careno (de) Giovanni, 114, 120 e n. 1. Carignano, (chiesa di), 295. Carlo Alberto, 251-2, 260 n. 4, 263, 279, 289 n. 3, 293, 294, 296, 297 e n. 3, 301 n. 1, 304, 306, 328. Carlo Alberto, via, 295, 315. Carlo Felice, 5, 18, 252 n. 5, 254 n.l, 255, 258, 261, 262, 263 e n. 5, 272, 275, 283, 284, 289 n. 5, 290, 291-5, 305, 307, 308. Carlo Felice, teatro, 290, 291, 298, 300, 307, 308. Carlo Felice, via, 300. Carmine, località e chiesa, 25 ». 2, 28, 47 n. 1, 282. Carosio, 126. Carrara, 75 n. 1, 126. Carrega Antonio, 21, 310. Carrega Giambattista, 215 n. 4, 232, 240, 316. Carrega Francesco, 65, 110, 186 e n. 1, 187. Carrega Stefano, 103, 108. Carrega, palazzo, 232. Cartorinki, principe, 354. Casaccia A., 329 n. 4. Casale, 6. Casalis, 282 n. 1. Casanova, generale, 330. - 373 — Casanova Girolamo, 238. Casanova Nicola, 235 n. 4. Casiagnino G. B., 269 e n. 2, 289 n. 5. Castaldo V-., 249 n. 1. Casliglioni Luigi, 9 n. 2, 55 n. 2, 114 n. 2 e 4. Casllereagh, ministro inglese, 211, 215, 216, 219 e n. 2 e 5, 221 n. 3, 222 n.l. Casteggio, 196. Caspio, 345, 349. Cataldi, negoziante, 106. Caterina II di Russia, 336, 337. Cattaneo Francesco, 126, 130, 131, 160. Cattaneo G. B., 310. Cattaneo Girolamo, 160, 173, 176, 251, 252 n. 5, 315. Cattaneo Giuseppe, 268. Cattaneo Nicolò, 35. Caucaso, 337, 338 n. 1, 339 n. 2, 346, 364. Cuua, 312. Cavagnaro, 101 n. 5, 213. Cavour Camillo, 306 n. 2, 341. Celesia Emanuele, (v. Isnardi) 178 n. 1, 183 n. 3, 240 n. 1, 242 n. 4-5, 250 n. 2, 255 n. 5, 259 n. 4, 261 n. 2, 262 n. 1 e 2, 267 n. 3, 269 n. 1, 276 e n. 1, 279 n. 4, 329. Celesia Giuseppe, 23. Celesia Pietro Paolo, 66, 72, 89, 96, 128, 131, 165, 178, 184, 186. Censore (il), 28 n. 1, 36 n. 4, 42 n. 1-2, 48 e n. 3, 49 e n. 2-3, 50 n. 3 e 6, 51, 56 n. 3, 57 n. 8, 58 n. 1-3, 59 n. 5, 62 e n. 4, 63 e n. 3, 64 n. 4 e 5, 65 n. 3, 66 n. 1 e 3, 69 n. 4 e 5, 71, 73 n. 1, 75 n. 4 e 6, 77 e n. 1-3, 79 n. 6, 80 n. 3, 81 e n. 3 e 4. Cenlenaro Gaetano, 282. Centro (Giurisdizione del) Genova e provveditore, 139, 140, 148, 161, 162, 170, 367. Centurione G. B. Maria, 240. Centurione Spinola Marina, 190. Ceppi, medico, 108 n. 1, 192. Ceroni Giuseppe Giulio, 89, 90. Cesari Antonio, 1GG n. 7. Cevasco Bartolomeo, 151 n. 1. Chabrol De Volvic, Gilberto Giuseppe, 198 n. 5. Champagny Giovanni Battista, 169, 170, 171, 172, 173. Championnet Giovanni Stefano, 78, 86. Chateaubriand, Francesco Augusto de, 203 e n. 1. Cherasco, 31. Chiaborelli G., 6 n. 1. Chiama Aroldo, 88 n. 2, 89 n. 2, 96 n. 3. Chiappa Giacomo, 252. Chiappella, ospedale, 313. Chiavari, 139, 140, 170, 172, 176, 200, 201, 202, 207, 213. Chichizola, notaio, 215 n. 3. Chiodo G. B., 315. Ciabattino (il) poeta, lunario per il 1816, 236 n. 1. Ciccopero Gaetano, 21. Cincinnato, (il), giornale, 123. Cimiteri di Genova, 311-313. Cini, spia inglese a Genova, 153 n. 4:. Circassia, 337, 342, 343, 344, 348, 349, 358, 360, 363, 364, 365. Circolo costituzionale (e giornale), 49, 50, e n. 2 e 3, 56, 57 e n. 4, 75, 76 n. 1, 87, 103, 167. Ciscaucasia, 336. □avarino Cosma, 28 n. 3, 34, 35 n. 5, 38 n.l, 39 n. 2, 40 n. 2-3, 44 n. 2, 48 n. 1, 57 n. 6, 63 n. 1, 77 n. 1 e 3, 78 n. 1, 82 n. 4, 85 n. 2, 87 n. 2-4, 88 n. 1, 91 n. 1, 92 n. 3, 93 n. 2, 95 n. 4, 96 e n. 2, 97 n. 1-3, 100 n. 3, 101 n. 5, 102 e n. 2, 103 n. 4, 106 n. 1, 122 n. 3, 123 n. 2-7, 128 n. 1, 130 n. 3, 132 n. 1 e 5, 134 n. 1 e 3, 136 n. 3, 138 n. 5, 139 n. 1, 140 n. 2, 148 n. 2, 149 n. 3, 152, 156 n. 3, 159, 166, 170 n. 3, 171 n. 1, 172, 173 n. 1 e 5, 174, 177 n. 1, 178 n. 3 212, 220 n. 3, 236. Clej du Cabinet, rivista francese, 119. Codignola Arturo, 14 n.4, 29 n. 1, 43 n. 2, 49 n. 2, 58 n. 1, 69 n. 1, 76 n. 3, 77 n. 2, 199 n. 1, 227 n. 5, 228 - 374 - n. 2, 240 n. 1, 247 n. 4, 248 n. 2, 240 n. 3, 250 n. 3, 257 n. 1, 258 n. 2, 266 n. 2 e 4,267 n. 2 e 3, 268 n. 1-2, 269 n. 2, 273 n. 4, 289 n. 3, 294 n. 3, 303 n. 3, 305 n. 1, 308 n. 3, 312 n. 3. Cogoleto, 6 e n. 2, 282 n. 1, 335. Coiflier, ispettore universitario, 181. Colchide, 338, 365. Collegio dei Medici, 19, 25, 51, 52. Collegno, Luigi Provana di, 234, 235, 237, 242. Collezione Appunti Storici e Documenti, Bibl. Universitaria, 14 n. 3, 17 n. 4, 25 n. 4, 26 n. 2-4, 27 n. 4, 28 n. 2, 31 n. 2, 32 n. 2-5, 36 n. 3 e 6, 37 n. 3, 38 n. 3, 39 n. 3 e 4, 43 n. 2, 44 n. 1, 45 n. 2, 57 n. 1, 94 n. 2, 96 n. 4 e 5, 97 n. 4, 128 n. 1, 149 n. 2, 185 n. 1, 207 n. 3, 208 n. 3, 214 n. 2, 215 n. 3, 259 n. 4. Collezione dei proclami pubblicati dai Ministri della Repubblica Ligure, 59 n. 2. Collezione dei proclami ed editti del Magistrato Supremo, 132 n. 3, 139 n. 6. Collezione delle leggi e decreti proclami - atti commissione di governo, 82 n. 4, 83 n. 3, 87 n. 3, 88 n. 1, 89 n. 1, 90 n. 3, 91 n. 1-5, 92 n. 2-3, 93 n. 1, 95 n. 1 e 3, 98 n. 3, 99 n. 3 e 4, 104 n. 2, 123 n. 5 e 7. Collin, direttore delle dogane francesi, 159. Colombo (giurisdizione di Albenga, San Remo), 139. Colombo Adolfo, 239 n. 2, 270 n. 3, 305 n. 1. Colombo Cristoforo, 308. Colonna Paolo, 201. Colucci Giuseppe, 13 n. 2, 14 n. 2, 15 n. 1, 18 n. 1, 26 n. 5, 30 n. 2, 31 n. 1-4, 33 n. 1-4, 34 n. 1, 35 n. 2, 37 n. 5, 41 n. 2, 44 n. 3, 45 n. 2, 46 n. 1, 47 n. 4-5, 48 n. 2, 49 n. 1-3, 71 n. 2 e 4, 75 n. 1, 77 n. 1, 79 n. 4 o 6, 80 n. 1, 81 n. 1 e 2, 83 n. 1, 124 n. 1, 145 n. 1, 345 n. 2. Comitato di vacci nazione, 177, 189, 191 n. 2. Commissione Amministrativa 1821, 252, 253. Commissione centrale di sanità, 77, 90, 91, 103-8, 109, 112, 113, 128, 138, 139 e n. 4, 177 n. 2, 244 e n. 4, 283, 211. Commissione degli studi all’Università lSOrj-1805, 136, 138, 149. Commissione provvisoria di governo 1799-1800, 86, 96, 98, 99. Commissione di governo ÌS00-ÌS02, 100, 104, 106, 109, 110, 112, 123 e n. 3 e 7, 125, 128 e n. 1 e 2, 129, 130. Commissione speciale per il colera, 326. Compilazione degli editti e patenti di S. M. il Be di Sardegna, 220 n. 1, 221 n. 1 e 2, 224 n. 5, 231 n. 3, 235 n. 6, 236 n. 1, 237 n. 2, 238 n. 4, 239 n. 1, 242 n. 2-3, 244 n. 5, 255 n. 2 e 5, 260 n. 2 e 4, 271 n. 1, 4, 6, 272 n. 2. Compilazione dei decreti pubblicati dal Senato della Repubblica Ligure, 129 n. 2, 131 n. 1 e 2, 132 n. 2-3, 133 n. 1. Compilazione dei proclami ed editti pubblicati dai Generali e dalla Reggenza provvisoria, 96 n. 5; 97 n. 1 e 2 Concistoriali, 226. Confalonieri Federico, 251. Consigli generale e particolare (ordinamento municipale di Genovva), 285. Consulta legislativa, 1800-1802, 101 e n. 1, 109, 122, 125, 128, 129. Contadino repubblicano (il), giornale, 123. Cornia Fr. Aurelio, 201. Cornigliano, 8, 95. Corso legislativo (Consigli, Giuniori, Seniori), 45-50, 56-58, 59 n. 1, 63-66, 71, 12, 76, 77, 80, 81, 82 n. 2 e 5, 83 e n. 4, 84, 85, 89, 92. Corridore Francesco, 233 n. 4. — 375 — Corriere, Mercantile, 267. Corriere di Genova, 173 n. 5. Cortese Agostino, 273. Corvetto Luigi, 16, 29, 42, 44, 45 c n. 4, 46, 63, G6, 75, 77, 78, 84, 87, 89, 92, 94 e n. 4, 95, 101, 123, 128, 130, 131, 134, 145 n. 3, 149, 152, 1G0, 173, 174, 176, 180, 202, 210, 211, 217 n. 2, 223, 230, 331, 354. Costa Giuseppe Cristoforo, 21. Costa Paolo, 45 e n. 4, 90. Covercelli Marcello, 151 n. 1, 310. Covercelli Nicolò, 25, 62, 90, 91, 105. 366. Cozzolino Nora, 90 n. 1. Cremona Cozzolino Italia, 228 n. 2. Cremona Ippolito, 278. Crimea, 3, 338, 339 n. 2, 342, 343. 352, 355, 358, 362, 364. Croce Benedetto, 78 n. 5. Crocco Giuseppe, 145 il. 3, 175, 177, 201. Crosa E., 303 n. 3. Crovario Bartolomeo, 335 n. 1. Crovario Geronima, 335 n. 1. Crovi Ambrogio, 273 n. 5. Cuban, 336, 348, 350. Cuneo, 325. Cuneo Giovanni, .35, 39, 56 e n. 3, 96, 190 n. 4, 245. Cuneo G. B., 337. Curioso soddisfatto (II) - Almanacco per il 1796, 7 n. 2, 25 n. 2, 28 n. 6. Cuvier Giovanni Leopoldo, 181, 182 n. 1. Dagnino Francesco Antonio, 212, Dalberg (Duca di), 217. Dal Pin Anna, 273 n. 4, 279 n. 1. Dal Pozzo, barone, Presidente della Corte Imperiale, 208. Dalrymple .llion, 221 n. 3, 231. Damas (barone di), 352. D’Ancona Alessandro, 78 n. 5. D’Angeberg, 218 n. 1, 219 n. 2, 220. Darsena, 28 n. 3. Daste Marcello, 136, 202, 367. Dattili, 202. D’Audiffret - Pasquier, 337 n. 1. D’Azeglio Cesare, 281 n. 2. D’Azeglio Massimo, 281. D’Azeglio Roberto, 281. Do Albertis Domenico, 112. De Albertis G. B., 13, 25, 28, 39, 49, 62, 227. De Albertis Gian Maria, 101 n. 5. De Ambrosis Giuseppe, 58 e n. 1, 59, 63, 101, 177. De Benedetti Pietro, 66 e n. 3, 72, 73. Decazes Francesco, console francese, 309. Decazes, ministro francese, 340, 353. Decreti deputazione di governo sugli affari militari, 91 n.2, 94 n. 1, 98 n. 1, 99 n. 2-3. Decurioni, 237, 239, 271 n. 3, 284. De Ferrari Andrea, 212. De Ferrari Luigi, medico, 28, 110, 115, 120, 136, 145 n. 3, 151 n. 1, 182, 196 n. 4, 242, 260. De Ferrari, conte, 306. De Fornari Giuseppe, 198 n. 2. De Geneys Giorgio Andrea, 231, 234, 251 e n. 3, 252, 253, 254 e n. 2, 289 n. 1, 328. De Giorgi, consigliere della Corte Imperiale, 187. De Gubernatis Angelo, 40 n. 4, 154 n. 2. Dejean Giovanni Francesco, 98, 99, 100, 101, 103, 104 e n. 2, 107, 125, 126, 129 e n. 5, 133, 156. De La Rue, banchieri, 341, 352, 356, 357. De La Rue Antonio, 160, 173, 178. De La Tourrette, prefetto napoleonico a Genova, 194 n. 1, 196, 197 n. 5. Del Carretto Domenico, Duca di Balestrino, 240. Delfico Melchiorre, 224. Della Cella Paolo, 289, 327 e n. 3. Dellepiane Michele, 145 n. 3, 173. De Maistre Giuseppe, 167, 228. De Mari, famiglia, 80. De Mari Stefano, 23. De Marini Domenico, 177 n. 1, 212, 231, 255, 268 e n. 3, 276 e n. 1, 277, 278, 317 e n. '1. De Monte Domenico, 207 n. 3. V — 376 — Deputazione degli studi (Università) 1802-1S05 e dal 1814 in poi, 136-138, 149, 213, 233, 242, 243, 244, 249-252, 254-280. Deputazione di governo 1S00, 92-95, 98-99. De Sacy Silvestro, 184 e n. 4. Desodoards Ànt. Fantino, 13 n. 1, 50 n. 6. Diano, 19, 20. Difensore (il) della libertà, 39 n. 1, 42 e n. 3, 78. Di Negro, farmacia, 28 n. 3. Di Negro Gian Carlo, 47 n. 5, 134, 190, 222 n. 1, 266 e n. 3, 309. Di Negro Vincenzo, 16, 17. Direttorio esecutivo 179S-99, 45-50, 52, 57-64, 73, 75 e n. 5, 77 n. 2, /8- 85, 87. D’Isengard Luigi, 65 e n. 4, 139. D’Yenne Ettore, 290 e n. 5, 292. Dniester, fiume, 336. Dodero, farmacia, 77. Dolce Pietro, 226. Doria Ambrogio, 88. Doria Andrea, (il Principe), 37, 184. Doria Antonio, 266. Doria Brancaleone, 96 e n. i. Doria Camillo, 164. Doria Carlo, 211 n. 1. Doria Cesare, 35 e n. 4. Doria Durazzo Teresa, 306 n. 2. Doria Filippo, 17, 34. Doria Gian Andrea, 37. Doria Giorgio, 306 n. 2, 309. Doria Giuseppe Maria, 21. Doria Lamba Francesco Alaria, 293-315, 322. Doria (palazzo, Fassolo), 174. Doria Raimondo, 275, 278, 289 n. 5, 292, 303. Doria Teresa, 159 n. 2. Drago R., 134 n. 3, 201 n. 4, 213 n. 6, 220 n. 4, 221 n. 2, 232 n. 4, 236 n. 3, 237 n. 2, 238 n. 1, 239 n. 1. Drake, 14 e n. 3, 21, 32. Dresda, 124. Dreyfous Maurice, 203 n. 1. Driault E., 83 n. 2, 84 n. 3, 88 n. 3, 89 n. 1, 99 n. 5, 125 n. 1 e 3, 126 n. 1 e 3, 127 n. 3 e 5, 129 n. 3, 130 n. 2-3, 131 n. 5, 133 n. 3, 148 n. 1, 153 n. 2, 154 n. 1, 155 n. 2, 160 n. 2, 163 n. 2, 164 n. 2, 165 n. 2, 170 n. 1 e 3, 173 n. 5, 202-n. 2. Ducale (Palazzo), 177. Du Chanoy H., 47 n. 4. Due Fratelli (forti di Genova), 90. Dulanloy, generale francese, 103. Duphot Leonardo, generale, 31 n. 2, 41. Du Plessis Armando Emanuele, duca di Richelieu, 184, 254, 337 e n. 1, 340, 345, 352, 353, 354, 356. Durand, 355. Durazzo Carlino, 306 n.2, 309. Durazzo Girolamo, 35 e n. 4 e 5, 42, 89 e n. 1, 92, 95 n. 1, 96, 98, 101, 128, 132, 155, 157, 159, 160, 164 e n. 1, 172, 174, 176, 200, 201. Durazzo, Famiglia, 308 Durazzo Giacomo Filippo, 7, 32, 80, 97. Durazzo Gian Luca, 35 n. 5, 41 n. 2, 211 n. 1. Durazzo Giulietta, 159 n. 2. Durazzo Grimaldi Clelia, 8 n. I Durazzo Giuseppe, 147. Durazzo (fondazione scolastica), 183. Durazzo Ippolito, 21, 80, 178, 201, 212, 230. Durazzo Marcello di Ippolito, 193 n. 2, 269, 280, 299, 300-1. Durazzo Marcello di Giuseppe, 213, 211 Durazzo Spinola Teresina, 306 n. 2. Edimburgo, 9, 10, 11 e n. 2, 54, 60, 114, 193, 319. Egitto, 67, 83, 144. Elba, 224 e n. 6, 233. Elogi dei liguri illustri, 49 n. 2, 69 n. 1, 113 n. 1, 178 n. 2, 180 n. 2, 183 n. 2, 216 n. 2, 249 n. 3, 267 n. 2. Entella (Giurisdizione dell’— Chiavari), 139, 140 n. 1. Epoca (V) Ligure, 57 n. 5, 59 n. 1. Etruria (Regno di), 157. Eugenio Beauharnais, Viceré Regno Italico, 160, 207. — 377 — Faldella Giovanni, 217 n. 3, 304 n. 4. Fantoni Giovanni, 96 e n. 1, 98 n. 1, 168 n. 2. Fantuzzi Giuseppe, 90. Fassolo, località, 174. Fasce, monte, 207. Fasi, fiume, 365. Faypoult Guglielmo Carlo, 14, 26 n. 5, 31 e n. 2 e 5, 33-36, 37 n. 5, 41 n. 2, 43 e n. 2, 44, 48, 57 n. 5, 77, 155. Faypoult, madama, 124 n. 1. Fenestrelle, 202, 228. Ferreri Onorato, 128, 156, 160, 164, 211 n. 1. Ferreri Pietro, 211 n. 1. Feudi Imperiali, 44 n. 5. Fieschi Agostino, 212, 225, 230, 240. Figari Ettore, 39 n. 2, 164, 236. Figari Filippo, 21, 25, 35, 37, 39, 56, 139. Filadelfì, 226. Finale, 19, 98 ,139. Fiorini Vittorio, 89 n. 2, 90 n. 2, 95 n. 4, 96 n. 3 , 100 n. 3, 126 n. 3, 134 n. 3, 96 n. 3, 100 n. 3, 126 n .3, 134 n. 3, 153 n. 2, 159 n. 4, 160 n. 2, 167 n. 1, 170 n. 3, 173 n. 5, 194 n. 2, 197 n. 5, 206 n. 1, 207 n. 4. Firenze, 192, 217 n. 3, 230. Flagello (il) della maldicenza e della calunnia, 48 n. 2-3, 49 n. 4. Foce, località, lazzaretto, cimitero, 106, 107, 193, 244, 312, 313, 328. Fontainebleau, 216. Fonlanabuona, 88, 89 n. 3, 96, 123, 207. Fontane Marose, piazza, 31, 301. Fonzago, medico, 120. Foscolo Ugo, 78, 90, 224. Fossati Antonio, 247 n. 1. Fouché Giuseppe, duca d’Otranto, 203. Francesco I, Imperatore d’Austria, 217, 289 n. 5. Franch Giovan Pietro, 9 e n. 2. Franchelti Augusto, 45 n. 1, 48 n. 2, 76 n. 3-4, 77 n. 2, 78 n. 5, 79 n. 2. Francoforte, 203. Frati L., 55 n. 1. n Fravega Giuseppe, 100, 103, 106, 124 e n. 4, 126, 130, 133, 160, 161, 164, 166, 176, 212, 225, 252. Fresia Maurizio Ignazio, 207, 209. Frizzi, 29 n. 2, 204 n. 4, 221 n. 4, 223 n. 3, 224 n. 6, 226, 227 n. 1 e 4, 233 e n. 3, 238 e n. 3, 240 e n. 3, 242 n. 5, 249 n. 1, 268 n. 1, 289 n. 1, 316 e n. 1. Gachot, 89 n. 1, 90 n. 3. Gaggiero, 14 n. 1-2, 17 n. 4, 18 n. 1 e 3, 21 n. 5, 23 n. 1, 27 n. 1, 31 n. 5, 32 n. 4, 34, 35 n. 5, 114 n. 4. Gagliuffì Faustino, 155 n. 5, 175, 179. Galea Filippo, 135 n. 4, 145 n. 3. Galiani Ferdinando, 186 n. 5. Gallavresi Giuseppe, 198 n. 5, 251 n. 2. Gallesio Giorgio, 175, 221. Galli Angelo, 114. Gallo Giovanna, 305 n. 1. Gamba, console francese a Tiflis, 337, 338 n. 1, 339 n. 1, 343, 344 n. 1, 346, 347. Gandolfo Giuseppe, 212, 230, 238 e n. 3. Garaventa Lorenzo, j&r'Mi Garibaldi Antonio, 350. Garibaldi, fratelli, mercanti e navigatori, 339, 348. Garibaldi G. B., chirurgo, 28, 91, 110, 145 n. 3. Garibaldi Giuseppe Antonio, medico, 208 n. 1, 240, 262 n. 1, 310. Garibaldi Giuseppe, 337 e n. 3 Gasparinetti Antonio, 90. Gastaldi, segretario, 15. Gatto Giuseppe, 21. Gattorno, casa commerciale, 361. Gavi, 32. Gazzette de France, 218 n. 2. Gazzano Carlotta, 159 n. 2. Genio repubblicano (il) 45 n. 4, 46 n. 2, 48 n. 2, 50 n. 7, 281 n. 3. Genola, 86. Genova (dipartimento di), 170, 173, 197 n. 5, 201-2. Gentile Luca, 16, 17 n. 3, 29, 56. 30') 326. — 378 — Germania, 187, 201. Gesuiti, 51, 56, 265, 266, 267. Ghelintchick (Gelengik), 337 e n. 4. Gherardi Bartolomeo, 327. Ghigliotto Paola, 6 n. 2. Ghisleri Arcangelo, 327 n. 3. Giacometti, dell’istituto, 110. Gianelli Castiglione Giacinto, 110. Gianelli Felice (o Gio Felice), 39 n. 2, 97 n. 1. Gianneri Michelangelo, medico, politico, membro dell’istituto, 62. Gianni Francesco, poeta, 201. Ginevra, 116 ,119. Giordani Pietro, 166 n. 7. Giornale degli amici del popolo, 41 n. 2, 57 n. 2. Giornale degli studiosi, 48 n. 1, 49 n. 2, 57 n. 8, 64 n. 2, 69 n. 1, 72 n. 5, 185 n. 1, 239 n. 3, 274 n. 1. Giornale Italiano, 173 n. 5. Giornale ligustico, 98 n. 1, 113 n. 1, 267, 274. Giornale storico e letterario della Liguria, 113 n. 1, 198 n. 5. Giovane Italia, 279, 292, 330, 337. Giovi, (strade dei), 193, 295. Giuliani G. B., 266 n. 3. Giuliani Nicolò, 329 n. 4. Giraud, medico, 120. Girola, 31 e n. 2. Giunta degli ospedali, 281, 310, 316', 325, 328. Giunta del vaccino, 259, 260 e n. 4. Giunta di sanità, 1831, 309. Giusti, barone, ambasciatore austriaco a Genova, 153 n. 4, 155 e n. 2, 169. Giustiniani, monsignore, vicario generale, 243. Giustiniani Michele, 25 n. 1. Giustiniani Pietro, 16. Giustiniani Schiaffino Anna, 306 n. 2, 326. Giustiniani Stefano, 306 n. 2. Giustiniano Alessandro, 6. Glinka, consigliere di stato russo, 349, 350. Gloria Michele, 268 n. 3. Gnecco Emanuele, 37 n. 1, 95 n. 1, 98. Gonni Giuseppe, 231 n. 1, 289 n. 1 e 2 Gottinga, 54. Governo provvisorio lidi, 36-45. Governo provvisorio 181U, 212-220, 246. Govone, 262. Grandchamp P., 289 n. 2. Grattarola Nicola, 236. Griffa, dottore, 326* 328. Grillo Cattaneo Nicolò, 178, 179, 180, 183, 185, 233, 235 n. 1, 242, 243, 249, 250, 256, 258, 268. Grillo Luigi, 8 n. 1, 16 n. 4, 35 n. 3, 69 n. 1, 186 n. 1, 267 n. 2, 329 n. 3. Grimaldi, duca, 142. Grimaldi Francesco, 35. Grimaldi Giuseppe, 240, 259 n. 4. Grondona Bartolomeo, 139. Guarneri Pasquale, 21. Guardia (monte della), 62. Guardia Nazionale, 75, 88, 92 n. 3, 96, 122, 213. Guerzoni Giuseppe, 166 n. 6. Guidetti Giuseppe, 62, 73, 105, 110, 178, 182, 273. Hill William, inviato britannico a Torino, 234. Hohenzollern, conte, generale austriaco, 1800, 96 e n. 4, 97 n. 3, 98. Hunter, 10. Jenikalé (stretto di), 348. Imperiale di S. Angelo Giulio, 282. Imperiale Vincenzo, 282. Incurabili, ospedale, 322. Indicatore genovese, 267, 274. Indipendenti e indipendentisti, partito, 226-227, 279. Indovino (U) - Lunario politico e filosofico dilettevole per l'anno 1818, 239 n. 3. Inghilterra, 9, 11, 94, 119, 127, 129, 149, 153, 154, 164, 168, 170, 189, 195, 199, 209, 222 e n. 1, 325. Invrea (fondazione scolastica), 183. Irlanda, 355. — 379 — Isnurdi Lorenzo, 2, 19 n. 1, 28 n. 5, 37 n. 5, 51 n. 2, 52 n. 4, 55 n. 4, 59 n. 2, 63 n. f, 64 n. 2 e 3, 69 n. 1, 70, 71 n. 1, 72 n. 3, 73 n. 4, 74 n. 1, 105 n. 2, 109 n. 4, 112 n. 1, 113 e n. 4, 135 n. 2, 178 n. 1, 182 n. 3, 240 n. n. 1, 242 n. 4-5, 250 n. 2, 252 n. 5, 259 n. 4, 261 n. 2, 262 n. 1 e 2, 267 ii. 5, 269 n. 1, 276 e n. 1, 279 n. 4, 329. Isola Gaetano, maestro di musica, 145 n. 3. Issel Arturo, 65 n. 4, 134 n. 3, 327 n. 3. Istituto Nazionale, dal 1806 Accademia Imperiale, 39, 52, 55, 58-73, 76 e n. 1, 104-6, 109-111, 113, 118, 119, 128, 134-5, 138, 177, 185-9, 239, 243, 318. Jassy, trattato di, 336. Jemolo C. A., 40 n. 4. Jenner, 114, 115, 116, 118, 120, 260 n. 4. Jobert Ambroise, 13 n. 3. Joubert Bartolomeo, 86. Jourdan Giovanni Battista, 155 n. 5. Kerc (Kertck), 335-365. Kerson, 338. Laberio Ambrogio, 49 n. 2, 57 n. 8, 145 n. 3, 179. Labò Mario, 185 n. 1. La Fiòche Bianchina, 159 n. 2. La Flèche, collegio di, 193 n. 2. Lambruschini Luigi, 96, 252 n. 5, 306 n. 1. Lanata, fratelli, 245. Landò Vincenzo, 62, 119 n. 1, 150, 151 n. 1, 178, 208 n. 1. Lanfranco Bernardo, 271. Langeron, conte di, 338, 341, 342 n. 1, 356. Langlad Tomaso, 159, 173. Langueglia Nicolò, giudice, 145 n. 3. Lannes Giovanni, 31 n. 2. Lanterna, Porta della, 307. Lanzeff Domenico, 73. Lari Giacomo, 248, 266 n. 2, 273 e n. A. Lardito, medico, 45. La Rochefaucault Liancourt, medico vaccinatore, 115, 192. Laltes Alessandro, 63 n. 1, 236 n. 2, 242 n. 3, 267 n. 5, 271 n. 5, 276 n. 2. Lavaggiorosso, professore, scienziato, 187. Lavallette Antonio Maria, 31 n. 2, 35 e n. 2. Laviosa Bernardo, 187 e n. 1. Lazzari A., 270 n. 1. Lazzotti Fr. Antonio, 145 n. 3, 148. I.ebrun Carlo Francesco, 172-3, 176, 177-9, 183 e n. 4, 184-6, 191, 196, 198. Ledere, 336 e n. 1. Léfévre-fiineau, ispettore degli studi universitari, 180. Lemmi Francesco, 89 n. 2, 90 n. 2, 95 n. 4, 96 n. 3, 100 n. 3, 126 n. 3, 134 n. 3, 153 n. 2, 159 n. 5, 160 n.2, 167 n. 1, 170 n. 3, 173 n. 5, 194 n. 1, 197 n. 5, 204 n. 1, 215 n. 4 e 5, 220 n. 1 e 2, 223 n. 1, 224 n. 6, 225 n 1, 231 n. 5, 232 n. 6, 308 n. 5. Lemmo (Giurisdizione di Novi), 139. Leoben, 33. Lercari, arcivescovo, 132. Lertora G. B., 138 n. 3. L’Escarène (conte, ministro di Carlo Alberto), 297, 306 n. 1 e 2, 313, 318, 323, 324, 325. Letimbro, giornale, 282 n. 1. Levati Luigi, 11 n. 3, 13 n. 2, 14 n. 3, 15 n. 3, 16 n. 4, 18 n. 3, 21 n. 2 e 5, 26 n. 1, 27 n. 1 e 4, 31 n. 5, 33 n. 4, 35 n. 3, 37 n. 2, 40 n. 5. 51 n. 3, 52 n. 1, 56 n. 1, 111 n. 1, 290 n. 2. Levanto, 7 n. 2. Leveroni G. B., chirurgo, 241 e n. 2, 258, 273. Liceo Imperiale, 177, 180, 183. Lione, 126, 128, 351. Littardi Nicolò, 45, 75 n. 5, 101, 148, 159, 201, 202. Livio, fratelli, 357, 359. — 380 - Loano, 18, 31 n. 4, 126. Lombardia, 114, 207, 223, 228. Lomellina, 5. Londra, 9, 10 n. 1, 54, 60, 133, 186, 217, 224 n. 5, 234, 319. Loria Gino, 63 n. 1. Losno Àbramo Filippo, 128 n. 2. Lubiana, 253. Lucca, 75 n. 1, 126, 169, 190. Luccoli, via, 27, 301. Luck, prete, direttore di un collegio, 143 e n. 6. Luigi Filippo, 275, 308, 309. Lumbroso Alberto, 173 n. 5, 195 n. 2. Luneville, 124, 127. Lunigiana, 107. Lupi Luigi, 46, 47 n. 5, 57 e n. 8, 71, 74, 75, 77 n. 2, 79, 81 n. 2, 100, 124 n. 1, 126, 130, 153, 155. Lutzen, 201 n. 2. Luzio Alessandro, 202 n. 2, 226 n. 1, 227 n. 5, 228 n. 2, 267 n. 1 e 4, 269 n. 2, 274 n. I, 275 n. 1, 278, 287 n. 5, 292 n. 3, 306 n. 2, 309 n. 3, 326 n. 4, 327 n. 1. Macdonald Giacomo Stefano, generale francese, 86. Maddalena, quartiere della, 259 e n. 4. Madonneita, chiesa, 244 n. 4. Madrid, 124 n. 4, 186. Maggi, piazzetta, 27. Maggiolo Anton Maria, 23. Maghella Antonio, 81 e n. 3, 82 e n. 3, 101, 107, 130, 134, 139, 140, 150 n. 2, 157 e n. 2, 160, 161, 164, 173, 190 n. 4, 201-4, 225, 228, 234, 245. Magistrato di sanità, 19, 114, 189, 259, 292, 310, 312. Magistrato supremo della Repubblica Ligure (v. Senato). Maglio Biagio, medico, 151 n. 1. Maglione Agostino, 45 n. 4, 75 n. 5, 81, 100, 136, 140, 148 e n. 3, 157, 160, 166 n. 5, 184, 201, 225, 246. Malaspina, 202. Malta, 355. Maltè-Brun, 336. Mameli Giorgio, 289. Mangini Domenico, 261, 326 n. 4. Mangini Nicolò, 63. Mangini Rolando, 248. Manno Antonio, 202 n. 2, 217 n. 3, 218 n. 2. Mannucci Francesco Luigi, 13 n. 2, 50 n. 2, 76 n. 4, 78 n. 5, 227 n. 5, 228 n. 1, 233 n. 4, 273 n. 4. Mansaldi, incisore di Parigi, 192. Mantova, 202, 228. Marbot Giovanni Antonio, generale francese, 87 e n. 4. Marchelli Luigi, medico, 62, 82 n. 2, 84, 87, 89, 90, 104, 105, 110, 115, 118, 120, 150, 177, 191, 240, 326. Marchese Francesco, medico, 145 n. 3, 151 n. 1. Maremma, 113. Marengo, medico, 145 n. 3. Marengo, 97, 122, 124, 170. Marescalchi, ministro regno italico, 160. Mari Giacomo, medico, 145 n. 3. Mari Nicolò, 147. Maria Cristina, moglie di Carlo Felice, 275. Maria Luisa, moglie di Napoleone, 192, 200. Mariani Mariano, 190 n. 4. Maricone, medico, 145 n. 3. Mar Nero, 336, 337, 339, 342, 346, 350, 355, 363, 364, 365. Marrè Gaetano, 37 n. 2, 39, 49 n. 3, 56, 69 e n. 1, 73, 76, 81 e n. 3, 82 e n. 2, 116, 119, 135 e n. 3, 145 e n. 3, 186, 187, 197, 201, 248, 249, 252, 286. Marsiglia, 107, n. 3, 340, 341, 345, 351, 352, 356. Martini Giuseppe, 165 n. 1, 207 n. 4, 208 n. 3, 209 n. 2, 210 n. 2, 213 n. 2, 215 n. 2, 217 n. 1-2, 218 n. 1, 219 n. 4, 220 n. 1, 221 n. 2, 222, 223 n. 4, 241 n. 1. Martone Giuseppe, 337 n. 2. Massa, 75 n. 1, 126. — 381 - Massa Giuseppe, medico, chimico, 113 n. 1, 151 n. 1. Massena Andrea, generale, 17, 87 e n. 5 89, 90, 91, 92, 94-5, 98, 101 n. 5, 102.’ Massone Francesco, 293, 314. Massone Marcello, 212. Massucco Celestino, 91 n. 2, 175. Mazzini Giacomo, 9, 29, 38, 62, 75, 101 e n. 5, 105, 106, 107 e n. 2,’110, 128 n. 1, 139, 142 n. 4, 147 n. l’ 151 n' 1. 177 n. 1, 214 n. 1, 225, 227 e n. 5, 228, 240, 262, 310, 326 330. Mazzini Giuseppe, 8 n. 2, 227 e n. 5, 228, 229 n. 4, 233 n. 4, 257, 266 é n. 2, 267, 269, 270, 275, 279, 289 n^5, 292, 297 n. 3, 326, 329 e n. 5, Mazzini Maria, 222 n. 1, 330. Mazzoni Guido, 90 n. 1. Mayer, negoziante, 106. Mehmet-Nidor-Aglow, 338. Melas, generale austriaco, 95. Mele Andrea, medico, 151 n. 1. Melegari L. A., 297 n. 3. Memorie della società medica di emulazione, 62 n. 2, 151 n. 1 e 3, 152 n 2 189 n. 3. Memorie dell’istituto Ligure, poi Accade-mia imperiale, 66 n. 4, 69 n. 1, 72 n- 2, 74 n. 1, 104 n. 2, 119 n. 1, 186 n. 1-5, 187 n. 4, 189 n. 1. Menard Giovanni Francesco, generale francese, 103, 125. Menici Agostino, 17, 65, 145 n. 3. Mentone, 18. Merano Pietro, avvocato, 145 n. 3. Messedaglia L., 327 n. 3 Metternich Clemente, principe di, 217 e n. 2, 218, 219, 222, 223, 289 n. 5. Michele, granduca, fratello di Alessandro 1, 336, 338, 344, 348, 350. Migone, medico, dell’istituto, 66, 109 n. 1. Milano, 9, 32, 33, 36, 38 n. 2, 44, 48, 49,' 97, 101, 114, 157, 159 n. 2, 160 e n. 2, 161, 164, 169, 172, 176, 223, e n. .1, 227. Milesi Mojon Bianca, 266. Mioli Carlo, 173 n. 3, 195 n. 5, 196 n. 1, 198 e n. 2-3, 232 n. 1, 247 n. 3, 289 n. 1. Miollis Sesto Alessandro, generale francese, 83. Mingrelia, 363, 364. Mocenigo Giovanni C., conte, ambasciatore russo, 248, 253, 263, 264 e n. 1. Modena, 252 n. 5, 302. Modesta, nave francese, 14, 40. Mojon Benedetto, 28 e n. 5, 106, 107 n. 2, 112, 115. Mojon Benedetto, figlio, 150, 151 n. 1, 178, 182, 192, 227 n. 5, 242, 249 n. 1, 266, 327 n. 2, 367. Mojon Giuseppe, medico, 62, 105, 110, 112, 113 n. 1, 150, 171 n. 1, 182, 260. Molfino, 358. Molfino Filippo, 213. Molfino Giorgio Ambrogio, 45, 75 n 5 81, 131, 236. Molfino Matteo, 251, 281 n. 3. Molfino, medico, 108 n. 1. Molini Francesco, professore, 135. Molini G. B., avvocato, 77, 101 n. 5, 136 n. 3, 145 n. 3, 255, 267, 268 e n. 1, Mombello (Montebello), 35, 36, 43, 44 n. 4, 97, 129, 211 n. 1, 214 n. 3. Monaci S., 134 n. 3. Moneglia, 245. Mongiardini Giovanni Antonio 35, 36 e n. 4, 39, 62, 63, 64, 76 77, 90, .^1 e n. 4, 100, 103, 105, 109, 110, ’lll n. 3, 112, 113 n. 1, 115, 135 e n. 3, 145 n. 3, 150, 151 e n. 1, 177 e n. 1, 178, 182, 185, 191, 202, 227 e n. 5,’ 243, 244, 248, 260 e n. 3 e 4 262 286, 310, 320, 326. Monitore Ligure, 57 n. 8, 58 n. 1, 62, 64 n- 1-5, 65 e n. 5, 66 n. 1 e 5, 71, 72 n. 1, 7ò n. 1, 75 n. 6, 76 e n. 1 e 2, 77 n. 2, 78 e n. 1, 79 e n. 6, 80 n. 3, 81 n. 2 e 4, 82 n. 1-5, 84, 85 n. 1-2, 87 n. 4, 88 n. 2, 89 n. 1 e 4, 91 n 1 e 5, 367. Monitore Parigino, 157. — 382 — Montaldo, deputato di mare, 153. Montebello, battaglia, 280, 330. Montebruno Andrea, 235 n. 4. Montebruno Emanuele, 84, 87, t>9. Montelli Giuseppe, 145 n. 3. Montenotte (Dipartimento di), 170, 173, 176, 192, 201. Montesisto Agostino, 57 e n. 8, 58. Monti Achille, 366. Monticelli, funzionario di prefettura, 177. Monzo, medico celebre, 11. Morando Felice, 25, 29, o4, 36, o7 n. 5, 49 n. 1, 50 e n. 7, 62 n. 1, 245. Morchio Giuseppe Maria, 57 e n. b, 82 n. 2, 130, 131, 132, 140, 157, 161. Moresco Mattia, 154 n. 3, Morichini Ugo, 339 n. 2. Morro Filippo, 77. Morro Giuseppe, 310. Morro Luigi, 213, 214, 252, 286 n. 1. Morsa, negoziante, 106. Mulier D., 267 n. 2. Multedo Ambrogio, matematico, membro dell'istituto, 110, 135. Municipalità di Genova, poi Consiglio Municipale e Magistrato dei Padri del Comune, Corpo Decurionale, 39, 45 n. 4, 56, 92, 122, 123, 128, 141, 143, 146-7, 177, 198-9, 201, 209, 213, 214, 221, 236, 237, 278, 285. Murat Gioacchino, 31 n. 2, 155, 156, 190, 191, 192, 202, 204, 207, 222, 228, 234, 245. Mutinelli, 30, n. 1. Musso Benedetto, membro dell'istituto Nazionale, 145 n. 3. Musso Giuseppe, detto il diavolo, celebre bandito, 123. Musso Nicolò, fratello di Giuseppe, bandito, 123. Mustoxidi, ambasciatore russo, 249 n. 1. Naillac, 14. Napoleone, v. Bonaparte. Napoleone II, il Re di Roma, 192, 201. Napoli (città e regno di) 76, 80, 134. 157, 161 n. 1, 190, 193, 202, 204, 245, 289 n. 5, 359. Nardon, prefetto di Savona, 176. Natali Giulio, 69 n. 1. Negri, impiegalo ministero sardo aliali esteri, 359. Ne-grone Bendinelli, 240. Negrone Nossardi Francesco, 21. Negroni Maria, 159 n. 2. Negrotto Giuseppe, 212. Negrotto (palazzo), 172, 235. Nelson Gay II., 306 n. 2. Neri Achille, 9 n. 1, 15 n. 3, 16 n. 2, 21 n. 6, 27 n. 3, 29 n. 1, 36 n. 5, 37 n. 3 e 4, 38 n. 5, 65 n. 4, 69 n. 1, 76 n. 113 n. 1, 142 n. 4, 202 n. 2, 222 n. 5, 228 n. 2, 252 n. 3, 267 n. 1 e 3, 273, 274 n. 1, 279 n. 1, 327 n. 1. Nervi, 207. Nesselrode, ministro russo, 277, 340, 356, 359. Nicolaiew, 338. Nicolò I, zar di Russia, 288 n. 3, 346. Nizza, 17, 19, 43, 234, 252, 292, 325. Noberasco Filippo, 198 n. 5. Noce G. B., 236. Noli, 154. Nostra Signora della Provvidenza, (Asso-ciaz.), 310. Nostra Signora del Rifugio, chiosa, 211 n. 4. Nota G. B., avvocato, 145 n. 3. Novara Michele, 72, 236. Novi, 79, 81, 86, 134 n. 1, 139, 157, 159, 252 e n. 5. Nunziala, piazza, chiesa, chiostro, monastero, 38, 183, 235, 315. Nuova (via) 282 e n. 2. Nuovissima (via), 282 e n. 2. Nurra Pietro, 13 n. 1 e 2, 14 n. 3, 15 n. 3, 16 n. 1-3, 17 n. 2 e 4, 18 n. 1, 20 n. 3, 27 n. 3, 28 n. 4, 40 n. 3, 47 n. 1 e 2, 154 n. 3. Oderò, farmacia, 28 n. 3. Oderò Giuseppe, medico, 110. Oderò Paolo Sebastiano, 315. - 383 - Odessa, 289, 336 e n. 1, 337 e ri. 2, 3-12, 346, 352, 358, 360, 363, 364. Odier, medico vaccinatore, 115 e n. 4, 116, 120. Olandini Gaetano, 231. Oldoini Grimaldo, 212. Olivari Nicolò, 52-5, 62, 73, 110 e n. 1, 135, 145 n. 3, 178, 182, 244, 261. Olivieri Leopoldo, 45 n. 4, 77, 90, 139. Oneglia, 17, 20, 31 n. 4, 126. Oppenheim, dottore, 11 n. 2, 114 n. 1, 265. Oregina, chiesa, 244 n. 4. Osmond, rappresentante francese a Torino, 239 n. 6. Osservatore (L’) politico, 119 n. 2, 123 n. 6, 124 n. 4, 132 n. 2, 140 n. 2, 151 n. 2. Ott, generale austriaco, 95, 96. Ottone Bernardo, 16. Ovada, 5. Oxford, 10 n. 1, 54, 115. Padova, 120. Pagano Antonio, direttore Gazzetta, 196. Pagano Carlo, 326. Pagano, fratelli, 224 n. 5, 228 n. 1. Pagano Francesco Nicola, console a Marsiglia, 345 n. 2, 352. Palazzi Virginia, 253 n. 2, 340 n. 1. Pallavicini Alessandro, 287, 293. Pallavicini Fabio, 216, 293, 310, 31, 319. Pallavicini, famiglia, 80, 199 n. 4, 308. Pallavicini Gian Bernardo, 21. Pallavicini Ignazio, 306 n. 2. Pallavicini Raggi Eugenia, 306 n. 2. Pallavicino Bernardo, 76. Pallavicino (palazzo), 171. Pallavicino Paolo Girolamo, 212, 225, 230, 237, 244, 310 n. 5. Pallavicino Stefano, 21. Pammatone, ospedale, 25, 51, 52, 55, 60 90, 91, 109, 118, 135, 177, 244, 265, 275, 322. Pandiani Emilio, 239 n. 2. Panticapea, 343, 359, 364. I’apacini, spia inglese a Genova, 153 n. 4. Pareto Agostino, 17 e n. 1, 44 n. 1, ÌOO, 125, 126 e n. 1 e 2, 128 n. 2, 129, 130, 131, 134, 160, 177, 178, 181, 184, 185, 186, 187, 197, 200, 202, 208, 212 e n. 3, 213, 216 e n. 2, 217, 225, 245, 246, 252, 312. Pareto Benedetto, 101, 195 n. 1, 202 n.l. Pareto Gian Benedetto, 268 n. 3. 287, 293. Pareto Lorenzo, 312, 313. Pareto Lorenzo Damaso, 273 n. 4, 309. Paribelli Cesare, 78. Parigi, 18 e n. 1, 30, 31, 34 n. 1, 35, 46, 47, 74, 79, 80, 85, 88, 103, 114, 115, 118, 120, 124 e n. 1 e 4,126, 129, 130, 152, 156, 157, 158, 164, 192, 193 e n. 2, 203, 207, 211, 216, 217 e n. 3, 228, 248, 324, 340, 341, 345, 351, 357. Parisi, 40 n. 4, 154 n. 2. Parma, 75 n. 1, 126, 156, 169, 172, 219 n. 1. Parodi Cesare, 286. Parodi Francesco, 235 n. 4. Parodi Nicolò, 77. Parodi Nicolò, medico, 96. Paskievicz, generale russo, 349, 350. Pasqua, marchese, 252 n. 5. Passamonti Eugenio, 267 n. 1, 269 n. 2, 279 n. 1, 305 n. 1, 309 n. 2. Pastine Onorato, 20 n. 3. Pastoni, cisalpina, 57 e n. 5. Paulucci Filippo, 305 e n. 1, 325, 327, 328. Pavese Alberto, 159. Pavese Giacomo, 223. Pavia, 9 e n. 2, 11, 54, 55, 60. Pedemonte Giovanni, 119 e n. 1. Pegot, generale francese, 207. Peloso Francesco, 309. Pellegrini Angelo, 224 n. 3. Penco G. B., 287. Perasso Giuseppe, 252 n. 5. Perelli, farmacia, 25 n. 3. Perrando G. B., 236. Perrero Domenico, 219 n. 4. Persia, 344, 348. — 384 — Pesce, famiglia, 5. Pesce Maineri Ambrogio, 5 n. 3. Pescetto G. B., 6 n. 1, 11 n. 3, 113 n. 1. Pescio Amedeo, 228 n. 2. Pessagno Giuseppe, 15 n. 3, 31 n. 5, 34 n. 2, 48 n. 2, 194 n. 2, 222 n. 3, 232. Pessagno Stefano, 198 n. 2, 214. Petraccbi, 93 n. 1. Pettegolezzi (I), giornale, 40 e n. 4. Pezzi Francesco, 63, 65, 66, 115 n. 3. Philippe Giovannina, 159 n. 2. Piacenza, 75 n. 1, 156, 172. Piaggio Francesco, 173. Piaggio Domenico, 145 n. 3. Piaggio Martin, 228 n. 2. Piat, generale francese, 207. Picasso Vincenzo, 261. Piccardo Vincenzo, 37 n. 1, 106. Pico Carlo, 212. Piedi Luigi, medico, 91. Piemonte, 18, 30, 44, 47, 48 e n. 1, /5 n. 1, 79, 102, 125, 139, 156, 167, 168, 169, 172, 182, 207, 210, 215, 216, 218, 219, 222. 223. 225, 226, 227, 228, 234, 240, 247. 254, 288 n. 3, 289, 298, 306. Pietroburgo, 253, 341, 342, 349, 351, 352, 356, 359, 363. Pila, Ponte, 329. Pingaud Alberto, 78 n. 5, 337. Pio VII, 234-5. Pitt Guglielmo, 168, 215. Pivano Silvio, 78 n. 5. Pizzorni Giuseppe, medico, 45 n. 4, 145 n. 4, 240. Pizzorno Giacomo, 287, 292. Plomer, cantante, 144 n. 4. Po, 75 e n. 1. Po Guido, 231 n. 1, 289 n. 1. Podestà Giuseppe, detto il figlio del Vescovo, bandito, 123. Podestà Giuseppe, medico, politico, 45 n. 4, 83, 90, 139, 140 n. 4, 147, 161 n. 1. Poggi Agostino, 6 n. 2. Poggi Francesco, 211 n. 2, 217 n. 3. Polcevera (valle e fiume) 34, 42, 141 n. 1, 186, 191. Polonia, 124, 363. Pomona, nave, 158, 175. Ponta Gioacchino, poeta, naturalista, 114, 115 n. 1, 118, 145 n. 3, 175, 192. Portigliotti G., 322 n. 3, 325 n. 1. Porto Maurizio, 19, 20, 201. Poussielgue Stefano, 13 n. 1. Pozzo M., 266 n. 3. Prasca Emilio, 204 n. 2, 219 n. 5 231 n. 1, 234 n. 1, 251 n. 3, 254 n. 2, 289 n. 1. Pratolongo G. B., medico, 45 n. 4, 55, 62, 73, 90, 105, 110, 135, 145 n. 3, 177, 178, 182, 187, 191, 242. Prè, quartiere di, 38. Prior H., 317 n. 3. Processi verbali dell’istituto Nazionale, 62 n. 1, 63 n. 1, 64 n. 3, 65 n. 1 e 5, 66 n. 2 e 4, 72 n. 3, 73 n. 1-3, 74 n. 1, 104 n. 1 e 2, 105 n. 3-5, 109 n. 1-4, 110 n. 4, 111 n. 2-4, 134 n. 4, 135 n. 5, 185 n. 4. Profumo Giuseppe, 198 n. 2, 214. Protomedicato, 259 ,260, 278, 310, 326-2H. Provana di Collegno Luigi, 268 n. 3. Provana M. S., 285. Pschad, 338. Punziglione, medico, 108 n. 1. Purificazione (Chiesa della), 62. Ouartara Giovanni, 128, 212, 225, 2rS0, 232, 252 n. 5, 290, 292 n. 1, 293, 310, 322. Queirolo Agostino, avvocato, 145 n. .3. Queirolo Domenico, 58 e n. 1, 59, 76-7. Raccolta delle leggi ed atli del corpo legislativo della Repubblica Ligure, 47 n. 1-2, 48 n. 2 e 4, 50 n. 5 e 6, 59 n. 1 e 3, 71 n. 3, 74 n. 3, 75 n. 3, 80 n. 2 e 4, 82 n. 4, 83 n. 3 e 4, 84 n. 1, 103 n. 4. Raccolta delle leggi emanate dalla Consulta legislativa, 101 n. 4, 12.3 n. 2 e 4. — 385 — Raccolta delle leggi e decreti emanati dal Senato della Repubblica ligure, 132 n. 3, 134 n. 1, 136 n. 1, 137 n. 1, 138 n. 1-5, 139 n. 4, 144- n. 4, 145 n. 1-2, 148 n. 2-5, 149 n. 3, 153 n. 3 e 4, 154 n. 3, 159 n. 4, 1G1 n. 1-4, 164 n. 2. Raccolta delle leggi ed atti pubblicati dal Governo Provvisorio della serenissima Repubblica di Genova, 1814, 209 n. 5, 210 n. 1, 212 n. 2 e 3, 213 n. 1-6, 214 n. le 3, 215 n. l,220 n. 4. Raccolta di proclami e decreti della Commissione straordinaria di governo, 1800, 99 n. 3, 100 n. 1 e 4, 102 n. 2 e 3, 103 n. 1 e 4, 107 n. 3, 108 n. 1, 123 n. 1 e 3, 127 n. 1, 128 n. 3. Raffo, segretario Deputazione Studi, 278. Raggi Giacomo Antonio, 306. Raggi Giacomo Filippo, 214, 240, 254. Raggio Giovanni Antonio, 240. Raggio G. B. F., 292 n. 1. Rago Michele, pittore, 185. Rambaud A., 337 n. 1. Ranque, medico, 120. Ranza Gio. Antonio, 167. Rapallo, 6, 84, 140, 150, 207, 335 e n. 1. Rapallo Luigi G. B., 286. Rasori Giovanni, 55, 139, 366. Rastadt (congresso di), 79. Ravaschio Antonio Giuseppe, 311 n. 1, 313 n. 4. Ravaschio Francesco, scultore, 145 n. 3. Rebuffo Pietro, 193 n. 2, 274 n. 1. Recco, 7 n. 2, 207. Récueil des lois et décrets relatijs a l’uni-versité de Gènes, 178 n. 1 e 3, 179 n. 1 e 2. Redattore (il) italiano, 76, 78 e n. 4, 79 n. 3 e 6, 80 n. 3, 81 n. 4, 89 n. 3, 91 n. 1-6. Regalbuto Gaetano, 52 n. 1. Reggio, astronomo di Brera, 104. Regina di Sardegna, Maria Teresa, 238 n. 4. Registro della sessione del Governo provvisorio, 38 n. 1, 39 n. 2 e 5, 40 n. 2, 44 n. 1, 56 n. 3. Registro del processo verbale dell’istituto Nazionale, G3 n. 1, 66 n. 4, 72 n. 3, 74 n. 2-3, 104 n. 1, 105 n. 3-5. Regno Italico, 158, 160, 169, 170, 207, 218, 223. Remedi Paoletta, 159 n. 2. Rell Pietro, 110, 367. Repetto Andrea, 13, 17, 25, 28, 56, 62, 227. Repetto G. B., 139. Repetto Tomaso, 45 n. 4. Repubblica Cisalpina, 47 e n. 4 e 5, 78, 97, 102, 124 n. 1, 126. Repubblica Italiana, 128, 139, 157. Revel Ignazio Thaon (Conte di), 166 n. 5, 221, 224 n. 5, 229 n. 6, 231, 232, 233, 234, 255. Revue Napoléonienne, 173 n. 5. Rho F.. 327 n. 3. Ricci Costantino, 173 n. 5. Ricci Ferdinando, 266. Ricci Francesco, 292, 314. Ricci Gerolamo, giudice, 145 n. 3. Ricci, medico, 145 n. 3. Ricci Vincenzo, 219 n. 3. Richelieu (forte), 207. Richelieu (duca di), v. Du Plessis. Ridella Franco, 312 n. 3. Rimitez, 362. Rinieri Ireneo P., 224 n. 1, 235 n. 1. Rivarola Agostino, 284. Rivarola Domenico, 17, 84, 87, 95 n. 1, 99. Rivarola Rosa, 284. Rivarola Stefano, 35, 49, 97, 202, 211 n. 1, 214, 268, 284, 286 n. 1, 290. Iìivarolo, 144. * Riviera di levante, 80, 158, 235, 271. Riviera di ponente, 17, 24, 25, 48, 98, 158, 229, 235, 271. Rivista Ligure, 113 n. 1. Rochechouart (conte di), 345, 353. Roberti Giuseppe, 168 n. 1, 172 n. 4, 173 n. 5, 183 n. 4. Robespierre Agostino, 17, 43. Roddi, marchese, 241 n. 2. — 386 — Rodolico Nicolò, 40 n. 4. Roget de Cholez, 262. Roggeri G. B., 12S, 148, 149, 157, 160, 161, 164, 166. Rolland de Villareeaux, prefetto di Chia-vari, 176. Roma, 45, 57, 74, 76, 192, 217 n. 3, 352. Romani Felice, 190. Rosi Michele, 217 n. 3. Rossi, mercanti, 352. Rossi G. B., 9, 10, 37 n. 1, 45 e n. 4, 52, 58, 59, 60-3, 65, 100, 101 n. 4, 103, 112 n. 4, 123 n. 3, 126 n. 4, 128 n. 2-3, 130, 159, 173, 318. Rossi Leonardo, 101 n. 5. Rossi Nepomuceno, 46, 80. Rossi Pellegrino, 224. Rossini Gioacchino, 290. Rossini, medico, 73. Rovereto Antonio, il Rosso, 309. Rovereto Giuseppe Emanuele, 21. Ruflini Curio Eleonora, 268, 330. Ruffini Bernardo, 29, 45 n. 4, .228, 270 n. 2. Ruflini Francesco, 40 n. 4, 306 n. 2. Ruffini Giovanni, 256, 267 e n. 4, 268. Ruffini Jacopo (o Giacomo), 257, 269 e n. 2, 270 e n. 1 e 2, 292. Ruffo Fabrizio, cardinale, 211. Ruini Meuccio, 12 n. 1, 13 n. 2, 37 n. 2, 77 n. 3, 87 n. 1, 89 n. 2, 90 n. 2, 93 n. 1, 95 n. 4, 96 n. 3, 98 n. 2, 102 n. 2, 123 n. 2, 134 n. 2, 149 n. 3, 166 n. 7. 173 n. 5, 174, 176 n. 1, 208 n. 2, 211 n. 4, 224 n. 4, 230 n. 5. Russia, 3, 6, 170, 206, 215, 222, 228, 248, 253, 289. 336-365. Ruzza Brancesco Maria, 26, 42, 43 n. 1, 44, 45. 46. 79. 84. 87, 89. 92. 95 n. 1, 98, 145 n. 3. Sacco Luigi, medico vaccinatore, 114. Saccomano, industriale, 355. Saettone Giacomo, 97. Saint-Cvr, generale francese, 83. Saint Yaillier, senatore napoleonico, 202. Salata Francesco, 226 n. 1, 289 n. 3, 295 n. 1 e 3, 296 n. 1, 297 n. 3, 301 n. 1, 307, 308 n. 1, 309 n. 1, 310 n. 5, 317 n. 3, 327 n. 2 e 3. Saliceti Cristoforo, 32 e n. 4, 124 n. 1, 129 e n. 5, 130, 133 e n. 5, 134 e n. 1, 137, 140, 142, 143, 146, 147, 148, 149, 150, 152, 153 e n. 4, 154 n. 2, 155 e il. 2 e 5, 156, 157-9,t 160-1, 162 il. 1, 163-4, 165 e n. 2, 166, 167, 176, 190 e n. 4, 191, 202, 246. Salvadori G., 40 n. 4. Salvemini Gaetano, 40 n. 4, 255 n. 3, 266 n. 2, 269 n. 1. Sambuceti, mercante, 238 n. 4. Sampierdarena, 282, 344, 350. San Bartolomeo degli Armeni, chiesa, 244 n. 4. San Bernardo, chiesa, 45. San Benigno, 313. San Carlo, chiesa, 258. San Domenico, convento e piazza, 47 n. 1, 87 n. 4, 88, 290. San Donato (via), 259 n. 4. San Filippo, oratorio e sala di, 112, 187. San Francesco di Paola, chiesa, 244 n. 4. San Giacomo di Carignano, 312. San Giorgio, località e tenuta, 283. San Girolamo, chiesa, 111, 187. San Giuliano, generale austriaco a Genova, 1800, 96. Sanità (v. Magistrato, Commissione). San Lorenzo, cattedrale, 176, 305. San Lorenzo, località, 28, 77. San Marzano, Filippo Asinari di, 218, 219, 220 n. 3 , 228, 229 , 230 n. 1 e 2, 236. San Pancrazio al Carmine, chiesa e località, 25 n. 2. San Pietro di Banchi, chiesa, 6. San Remo, 139, 250. San Siro, località, 28. Sansoni Egidio, 202, 231. Sanla Caterina, /ocalità, 32. Santa Chiara, mura di, 31. Santa Giulietta (comune), 283, 284. Sant’Agata (ponte), 312, 313. Sant'Agostino (teatro), 299. - 367 — Sant'Agnese, parrocchia, 45, 47 n. 1. Santa Margherita (caserma di), 297 ri. 2. Santa Maria Maddalena, parrocchia, 329 n. 1. Sant’Ambrogio, chiesa, 38 Sant’Angelo, località, 344, 359. Sant’Anna, chiesa, 244 n. 4. Santarosa Santorre, 218 n. 4. Santa Tecla (forte), 207. Sani’Elena, 160, 223, 226. San Teodoro (chiesa e quartiere), 174, 313. SS. Gervasio e Protasio (Parrocchia di Rapallo), 335 n. 1. San Tommaso, chiesa e porta, 45, 295. Sardegna, isola, 1G7, 316. Sardegna, regno, 31 n. 2 e 4, 33, 74, 126, 168, 210, 215. Sarzana, 207 e n. 3. Sassi Ferruccio, 326 n. 3. Sasso, medico, 108 n. 1. Sauli Cristoforo, 245. Sauli Gaspare, 16, 17, 29, 33, 43 n. 2, 49. 76, 101, 173, 177 n. 1, 198 n. 2, 245. 287, 299. Sauli Scassi Ambrogio, 284 n. 2. Sauli Scassi Onofrio, 2, 284 n.2, 335. Savoia (Casa di), 303. Savona, 5, 19, 20, 32 n. 4, 34, 90, 170, 176, 198 n. 5, 200, 201, 202, 206, 225, 229, 235, 282 n. 1. Sbarbaro Paolo, 81 e n. 3. Sbertoli Gio. Domenico, 28 n. 2 e 3, 36 n. 1 e 2, 216 n. 1, 224 n. 2. Scarpa Antonio, 9 e n. 2, 11. Scassi Agnese ìrancesca, 6 n. 2. Scassi Agostino, 6 e n. 2, 329 n. 1, 330. Scassi Agostino, iuniore, 270, 280, 310, 349-51, 354, 357, 359, 361. Scassi Aurelio, 6. Scassi Bartolomeo, 7 n. 2. Scassi Battistina Maria, 6. Scassi Battistina Giovanna Maria, 6, 345, 349, 353, 354, 358, 359, 361. Scassi Carolina, 353, 354. Scassi Dionigi, 6 n. 1. Scassi Domenico, 236 n. 1. Scassi Emilio. 6 n. 2. Scassi Giambattista, 259 n. 4, 349. Scassi Giovanni, 39 n. 2, 87 n. 3, 139 n. 5, 236 n. 1, 259 n. 4. Scassi Gerolamo, 7 n. 2, 282 n. 2, 335, 345, 354, 361. Scassi Nicolò, 66, 177 n. 1, 259 e n. 4, 353. Scassi Onofrio, avo, 6, 335 n. 1. Scassi Onofrio, iuniore, 284. 330. Scassi Raffaele, 3, 6, 39 n. 2, 248, 253, 254, 263, 289 n. 4, 335 n. 1. Scassi Saccomanno Angelina, 284, 349-51, 353-4, 358, 359, 361. Scasso Stefano, ufficiale, 123 n. 6. Schérer Bartolomeo, 30. Schiaffino Cristoforo, 185, 314. Sciaccaluga Giacomo, 252. Sciout Lodovico, 32 n. 1, 44 n. 3, 75 n. 5, 77 n. 2, 78 n. 3, 79 n. 5, 81 n. 4, 82 n. 2 e 6, 83 n. 2. Scolovi, padri, 56, 113. Sconnio Paolo, 39, 63, 64, 66 e n. 4, 73, 119 n. 1, 135 n. 3, 137 n. 2, 149, 185, 186, 187, 188, 249. Scorza Emanuele, 37 n. 1. Scova zzi Italo, 198 n. 5. Scrivia, fiume, 44 n. 5. Scrutatore (Lo), 48 n. 2-3, 49 n. 1-3, 50 n. 2, 64 n. 5. Segre Arturo, 17 n. 4, 199 n. 1, 202 n. 2, 204 n. 3, 208 n. 1, 218 n. 1 e f, 219 n. 1, 220 n. 2, 223 n. 2, 224 n. 1-6, 225 n. 2, 229 n. 2 e 4, 230 n. 2 e 5, 231 n. 2, 232 n. 6, 234 n. 1 e 2, 235 n. 2-6, 236 n. 1-2, 237 n. 3, 238 n. 2, 240 n. 2, 241 n. 2, 242 n. 1-2, 247 n. 2, 250 n. 2, 268 n. 1, 309 n. 3, 316 n. 1, 345 n. 2. Semenzi Ottavio, 145 n. 3. Seminario Arcivescovile, 6 e n. 6. Semino Prospero, 135, 136 n. 3, 149. Sémonville, Carlo Luigi de, 13, 28. Senato della Repubblica Ligure 1802-1S05, 130, 133, 136, 139, 148, 149, 153, 164. Senato, Magistratura suprema nell’età piemontese, 236. — 388 — Serra Antonio, 38. Serra Francesco, 44, 48 n. 1. Serra, fratelli, 29, 31 n. 2, 33, 43, 49, 212, 245, 308. Serra G. B. di Domenico, 35 n. 5. Serra Giambattista di Jacopo, 16 e n. 4, 17 e n. 3, 43 e n. 2, 44, 76, 101, 211 n. 1. Serra Gian Carlo di Domenico, 159, 173, 199, 252 n. 5. Serra Gian Carlo di Jacopo, 16 e n. 4, 171, 31 n. 5, 3S n. 2, 40, 43 e n. 2, 44, 47 e n. 5, 48 n. 1, 82 n. 3, 105, 124 n. 1 e 4, 126, 200. Serra Gian Pietro, 44, 214. Serra Girolamo, 43 e n. 1, 44 e n. 1, 45 n. 5, 46 e n. 1, 48 n. 1, 61 n. 2, 83 n. 4, 88 n. 5, 89 n. 1, 97 e n. 1, 100 e n. 1, 102 n. 1, 126 e n. 1, 128 n. 2, 129 e n. 1, 130, 133, 134 e n. 1, 140, 141 e n. 3, 147 e n. 4, 155, 161 e n. 1, 173, 181, 182 e n. 1, 184-187, 201, 207 n. 4, 208 n. 3, 210 n. 1, 212-14 e n. 1, 216 n. 2, 217 e n. 1, 219 e n. 1, 220 n. 4, 222 e n. 4, 224, 225, 230, 239 n. 2, 241 n. 1, 252 e n. 5, 253, 254, 283, 307, 340, 347, e n. 1, 357. Serra Luigi, 47 n. 5, 48 n. 3, 49 e n. 4, 57 n. 5, 84 e n. 2, 87 e n. 2, 140 n. 4, 201. Serra Malagamba G. B., 23. Serra Nicolò, 38. Serra Vincenzo, 44, 237, 314, 325, 326. Serravalle, 126. Serravalle Pietro, 62, 187, 202 n. 1. Sertorio Prospero, 268 n. 3. Sestri Ponente, 142 e n. 4, 144. Sforza Giovanni, 78 n. 5, 96 n. 1, 98 n. 1, 168 n. 2. 236 n 2. Shaftesbury, Lord inglese, 153. Sicilia, 52, 157. Sieyès Emanuele Giuseppe, 81. Sigioli Quintiliano, 145 n. 3. Silvani Francesco, 113 n. 1, 151 n. 1. Silvano Luigi, 138 n. 3. Simondi, furiere, 252. Simoni, 202. Sindaci di Città, 237, 238 e n. 4, 23*', 244, 271, 285-315. Sinope, 363. Siri Giacinto, 92 Sivori Francesco, 289. Società medica di emulazione, 111-113, 150-152, 189, 239. Società patria delle arti e manifatture, 74. Solari Benedetto, 154 e n. 2. Solari Cesare, 101 e n. 5. Solari Coltardo, 101 n. 5, 128 n. 1, 131, 173, 175, 184, 185, 186 e n. 4, 187 n. 1, 286. Solari Domenico, 326. Solari Giambattista, 201. Solari Giuseppe, 185. Solari Luca, 198 n. 2, 199 e n. 1, 200, 209 e n. 5, 212, 213, 243, 248, 249 e n. 2, 252. Soleri, fondazione scolastica, 183. Somaschi, Padri, 278. Sommariva Emanuele, 77 n. 3, 92, 95 n. 1. Sommariva Nicolò, 101. Sondjouk-Kalè, 337. Sotin Pietro Giovanni, 48, 49 e n. 1. Sori, 207. Souvarow, 337. Soziglia, 276. Spadoni Domenico, 202 n. 2. Spagna, 139, 339, 351, 354. Spagna, console di, 154, 218 n. 3. Spagnolini, console sardo a Livorno, 233. Sperone, forte, 155. Spezia, 139, 193 n. 5, 195, 207, 235. Spiaggia, medico, 108 n. 1. Spina Giuseppe, arcivescovo, cardinale, 138 n. 3, 153, 164, 174, 176, 197, 226, 232. Spinola Agostino, 46. Spinola, famiglia, 80. Spinola Federico, 198 n. 2. Spinola Francesco Maria, 35, 96 e n. 4. Spinola Giacomo, 175, 190, 310. Spinola Giovanni, 215 n. 4. Spinola Ippolito, 240. — 389 — Spinola Massimiliano, 87, 207 n. 4, '210 n. 1, 211 n. 3, 213 n. 2, 214 n. 3, 217 n. 1-2, 218 n. 1-6, 219 n. 1 e 3, 220 n. 1-3, 222, 236 n. 3, 238 n. 5, 252, 309. Spinola Tommaso, 237. Spinola Vincenzo, 19 n. 3, 31 e n. 4, 32, 33, 34 n. 1, 101 n. 5, 173, 177 n. 1, 208, 209 e n. 5. Spirito Santo, monastero, 183. Spotorno G. B., 49 n. 2, 57 n. 8, 267, 274 e n. 1. Staglieno (Comune e cimitero di) 311, 313. Slaglieno Marcello, 290 n. 3 e 4, 291 n. 6, 299 n. 2, 300 n. 2. Stato Pontificio, 157. Slefanini Giacinto, 145 n. 3. Straforello Domenico, 89. Straforello Giacomo, 101 n. 5. Sturla, 123, 207. Suchet Luigi Gabriele, 98. Svizzera, 219 n. 5. Taddei Nicolò, 161. Tadini Placido Maria, cardinale arcivescovo, 305. Taganrog, 337, 342, 344, 346, 363. Talleyrand Perigord, Carlo Maurizio, 49, 74, 75, 85, 88, 103, 124 n. 4, 125, 126, 131, 133, 147, 153, 156, 163, 164, 169, 172, 216, 217 n. 2. Tana, 337. Tanaro, fiume, 47. Tanlongo G. B., 84, 87, 89, 145 n. 3. 225. Tasso, bandito celebre, 123 n. 6. Tealdi Giuseppe, 201, 202. Tealdi Michele, 145 n. 3. Teodosio, 336, 339, 348, 350. Testut L. 10 n. 3. Thaitbout, 339 n. 2, 343. Thiebault, 91 e n. 2. Thiers Adolfo, 203 n. 1. Thuvet, 351, 353. Tijlis, 337, 338 n. 1. Tilly Giacomo, 14, 16, 18 e n. 1, 21, 25, 27, 155, Tino, mercante, 42. Tollot Andrea, 116, 252, 253. Tolone, 14. Tommasini, medico, 10. Tononi C., 281 n. 2. Torino, 31, 172, 202, 207, 216, 219, 220, 223, 225, 228, 232 e n. 6, 233, 237, 239, 241, 242, 248, 250, 251, 252, 253, 254, 257, 260, 261, 263 n. 4, 265, 268, 270-2, 275, 276, 284, 285, 293, 294, 295, 298, 303, 304, 306 e n. 1, 326, 327, 341, 351, 353. Torre Bartolomeo, 17. Torre Giulio, 139, 140, 148, 159, 165 n. 2, 177. Torriglia Giovanni, 23, 96 e n. 4. Torriglia Paolo Girolamo, 268 e n. 3, 277. Tonile Raffaele, 335 n. 1. Tortona, 103. Toscana, 139 n. 4, 294. Traverso Nicolò, scultore, 145 n. 3, 200. Trebbia, fiume, 86. Trieste, 123. Tripoli, 289 e n. 1. Trucco Francesco, 13 n. 2, 27 n. 4, 31 n. 5, 32 n. 3-5, 34 e n. 2, 35 n. 4-5, 36 n. 2-6, 38 n. 1. Trucco, medico, 44, 105. Tubino Gaetano, 253. Tunisi, 289 e n. 2. Turchia, 289, 336, 346, 364. Turri Alessandro, cospiratore, 204, 227. Ugazzi Domeninco, 168 n. 2. Ulivi, (Giurisdizione degli - Finale), 139. Università di Genova, 6, 7 e n. 2, 8, 11 n. 2, 25, 51, 59, 65, 69, 111, 119, 135-138, 175-7, 183, 189, 233 e n. 2, 235 n. 1. 240 n. 1, 241-44, 248-251, 254-280, 302, 307, 310, 318, 323. Vaccarezza, medico, 35, 42, 45 e n. 4, 62, 227. Vaccarezza, villa, 313. Vado, 18, 20. Val d’Orba, 5. — 390 — Valle Leopoldo, 41 n. 2, 217 n. 3. Vallebona G. B., 290 n. 3 e 4, 291 n. 4, 300 n. 2. Vallesa Alessandro, ministro piemontese, 204, 229, 230 n. 2, 232-5, 238, 241, 242. Valli Eusebio, medico pisano, 151. Varennes, canonico, professore, 244. Varese Carlo, 14 n. 2-3, 27 n. 1, 31 n. 4, 34, 43 n. 1, 48 n. 2, 93 n. 1, 95 n. 4, 102 n. 2. 152, 166 n. 4. Varese Ligure, 245. Veloce, (II) giornale, 197 n. 2. Veilino, torrente, 313. Venanson, conte Trincheri di, 276 e n. 1, 277, 278, 292, 298, 303, 306 n. 2. Venere, (giurisdizione di, Spezia), 139. Venezia, 30, 31, 33, 169, 222 n. 2, 263. Ventimiglia, 19, 20, 81. Verona, 248. Viale Ambrogio, 63, 64 n. 5, 65. Viale Paolo, 96. Vico Casana, 27. Vico Dritto S. Andrea, 28 n. 3. Vidua, di Conzano, Pio Girolamo, 232, 235. Vienna, 114, 120, 123, 151, 217, 219 n. 5, 220-222, 231, 236, 238, 242, 285. Villafranca, 325. Villanuova, conte di, 352. Villars, 14, 18, 26 n. 5. Vincens E., 13 n. 1. Vinzoni Antonio, 57. Vitale Vito, 184-85, 222 n. 3, 237 n. 2, 239 n. 1, 298 n. 2. Vitaliani, 34. Vittorio Amedeo II, 312. Vittorio Emanuele I, 167, 215 e n. 4, 217, 219 e n. 5, 220 n. 2, 229, 230 n. 2, 232-5, 248, 252 e n. 5, 254 n. 1, 305 n. 5. Vivaldi Pasqua Pietro, 287. Viviani Domenico, 113 n. 1, 134, 136, 145 n. 3, 150, 151 n. 1 e 2, 178, 182, 248, 257 n. 2, 260. Voghera, 5. Volkomki, principe, 359. Volpicella Luigi, 31 n. 2. Volta Alessandro, 104. Voltri, 144, 191. Weil Maurizio, 157 n. 2, 202 n. 2, 203 n. 3, 212 n. 1, 218 n. 1 e 5, 219 n. 2, 220 n. 1, 221 n. 3, 227 n. 1, 229 n. 1 e 3; 367.