ATTI DKLLA SOCIETÀ LIGURE DI * -, i STORIA PATRIA GENOVA TIPOGRAFIA DELLA GIOVENTÙ 1906 ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XXXV GENOVA TIPOGRAFIA DELLA GIOVENTÙ 1905 ? Dott. Prof. Heinrich Sieveking STUDIO SULLE E IN PARTICOLARE SULLA CASA DI S. GIORGIO TRADUZIONE DAL TEDESCO DI ONORIO SOARDI RIVEDUTA DALL’AUTORE AL CARISSIMO AMICO AVV. EDOARDO ZABBAN IL TRADUTTORE POCHE PAROLE DEL TRADUTTORE Ogni elemento di vitalità, quando è abbondante, v tende a propagarsi. E questo un fatto che si avvera, oltreché negli individui, nelle nazioni. Prescindendo dallo scambio dei prodotti del suolo e delle officine, l’Italia esporta operose braccia umane, che vanno a coltivare campi e a costruire edifisi in altri paesi; VInghilterra esporta capitali ; la Germania esporta i p rodotti del suo vasto e molteplice lavoro intellettuale, e i suoi figli) che in questa forma di attività oggi primeggiano nel mondo, vanno a cercare anche fuori dei confini della patria la materia prima. Celebri, talune anche considerate classiche, sono parecchie tra le numerosissime opere di scrittori tedeschi intorno alle cose italiane antiche e moderne, antiche specialmente. Non si diradano mai le file di quegli studiosi, che si succedono infaticabili ricercatori su questa nostra terra produttrice non esausta di sempre rinascente civiltà. Cade spesso sotto al loro sguardo ciò che sfugge al nostro, non meno acuto, ma meno attento. Trovano non di rado da mietere, ma se non — X — altro sempre da spigolare, e molte volte sono il risultato della spigolatura, pingui e preziosi covoni. Cosiffatti lavoratori è troppo poco ammirarli: bisognerebbe saperli sempre imitare. Per lo meno non dobbiamo trascurare di conoscerli. Oggi che sono in fiore anche fra noi, gli studi d’economia politica e di scienza dell'amministrazione, mi sembra debba destare largo interesse in Italia la cognizione della poderosa e accurata opera del Dott. Enrico Sieveking sulla Casa di S. Giorgio e sulle finanze di Genova nel medioevo, sulla potenza economica cioè di una fra le più illustri e floride Repubbliche italiane del medioevo. Reputo perciò ottimo concetto quello della Società Ligure di Storia Patria di pubblicarne una traduzione. Come è noto, primo e permanente cardine della potenza politica di Genova fu la sua potenza economica. Ma il libro del Sieveking deve meritare l'attenzione non dei Genovesi e dei Liguri soltanto, bensì di tutti gVItaliani studiosi di cose patrie. Da un lato gli ordinamenti amministrativi e finanziari della città di S. Giorgio vi sono posti a raffronto con quelli delle pur gloriose Repubbliche di Venezia e di Firenze; dal-l'altro, per quel nesso stretto che v’è tra cose complesse ed affini, un quadro vasto e accurato che ritragga le istituzioni economiche d’uno dei più ragguardevoli tra gli antichi Stati italiani, è un pregevole e sostanziale elemento per la storia generale dell'Italia intera, da cui, come fa notare il chiaro Autore, vedonsi scaturire i germi di molte fra le odierne istituzioni di finanza pubblica e privata. Non v’è bisogno di prefazione speciale pei lettori italiani. Quella, qui tradotta, dettata dall'Autore stesso, indica con chiarezza l’indole e lo scopo del libro. Dalle pagine che la seguono, Fonti e Letteratura, il lettore potrà rilevare con quale e quanta sollecitudine e varietà di minute e coscienziose ricerche il materiale occorrente sia stato raccolto. Possa l’accoglienza che il pubblico sarà per fare al libro del dotto Tedesco, essergli invilo a nuovi lavori, e quanto a me sarò pago se, nella mia modesta parie di traduttore, sarò riuscito, se non ad abbellire, almeno a non guastare la sua bell’opera. Prima di chiudere queste poche parole sento il bisogno di fare menzione del mio compianto giovane a-mico Guido Levi, rapito appena quadrilustre all’amore dei suoi, all’affetto ed alla stima degli amici e di quanti da vicino lo conobbero. Versatissimo nelle discipline di politica finanziaria, che studiava con passione di adolescente e con severità di scienziato, i suoi illuminati consigli ed i suoi provvidi schiarimenti, mi furono spesso valido aiuto per interpretare con esattezza questo o quel passo del testo. Gliene rendo pubbliche grazie, ora più che mai rimpiangendo la sua immatura dipartita. Onorio Soardi. PREFAZIONE DELL’AUTORE la storia dell’ economia le fonti italiane hanno la massima importanza. Se noi, con Ranke, consideriamo il gruppo dei popoli romano-germanici come un tutto complesso, dobbiamo però riconoscere che, fra essi, gl’ Italiani, eredi delle antiche tradizioni, furono il primo centro da cui emanò la coltura moderna occidentale. Per dirla con Marx, fu il suolo italiano che vide per il primo il grandioso sviluppo del capitale. Ma la coltura italiana, che raggiunse la sua massima altezza nel così detto Rinascimento, non apparteneva a tutto il popolo d'Italia, ma bensì ad alcuni suoi territori, specialmente ai comuni costituiti a reggimento municipale. È vero che Roma non era solamente il centro spirituale, ma era eziandio un centro economico di primo ordine. Però la sua importanza non era basata su forze proprie. Come l’antica Roma era vissuta dei tributi dei popoli conquistati, così la Roma medioevale visse delle elemosine che i popoli occidentali le offrivano quale compenso per la superiore civiltà eh’ essa diffondeva fra loro ; le forze economiche proprie dell’ Italia medioevale appartenevano ai liberi comuni del nord, fra i quali Firenze, Venezia e Genova erano i più considerevoli. Firenze, sopra tutte, attirerà sempre l’attenzione dello studioso. Per le svariate condizioni della sua vita, poterono manifestarsi qui, prima che altrove, quelle personalità moderne, la cui opera nelle arti e nelle scienze, raggiunse il sommo della grandezza. I Fiorentini furono i primi banchieri della curia romana e di principi esteri, specialmente dei re inglesi. Essi parteciparono — in particolar modo e su larga scala dopo la caduta di Pisa — al commercio del Levante e le grandi industrie che fiorivano a Firenze per il commercio d’esportazione ne costituivano la forza principale. Le molteplici relazioni dei banchieri e negozianti fiorentini coll’estero, resero loro possibile di spaziare in più ampio orizzonte, intanto che l’attento esame delle condizioni necessarie alla produzione delle industrie locali, acuiva il loro spirito d’ osservazione. In nessun altro luogo nel medioevo la letteratura si occupò, come presso i Fiorentini sullo scorcio del 15-mo secolo, della profonda trattazione di questioni di economia politica; in nessun altro luogo, come a Firenze, vennero affrontati e praticamente risolti i problemi relativi alle tasse ed ai dazi. Mentre i catasti fiorentini del 15.m° secolo ci sono conservati, numerosi incendi (specialmente quelli del 1513 e 1577) distrussero i registri catastali veneziani, che pur ancora nel 1427 servirono di base a Firenze. A Venezia tutto era attribuito -allo Stato, e l’individuo poteva raggiungere i suoi scopi solamente in relazione con la organizzazione di esso, che lo rendeva tranquillo in casa e gli assicurava una posizione privilegiata all’estero. Sicura all’interno, Venezia potè esercitare una grandiosa azione politica al di fuori. Lo Stato veneziano conosceva esattamente i mezzi dei propri sudditi, ed i suoi atti di governo offrono i più interessanti dati per un’esposizione storica di politica commerciale. Mentre a Venezia tutto fa credere ad un piano prestabilito, il sistema discontinuo dei monti che circondano Genova, sembra rispecchiare il carattere dei suoi abitanti. Qui le incessanti lotte di partito indeboliscono le forze dello Stato, mentre accrescono 1’ energia individuale. A Genova, in generale, non si era molto addentro nel meccanismo economico, ma, per contro, coltivando le questioni d’indole tecnica, vennero fatti grandi passi in alcuni rami della navigazione e del commercio. Si tentò la navigazione intorno l’Africa, e lo scopritore del nuovo mondo fu un Genovese. La tenuta dei libri di commercio ed il cambio, 1’ assicurazione e la banca turono coltivati, prima che da altri, dai Genovesi. L’organizzazione dei creditori dello Stato, delle compere, delle maone, attrassero in special modo sopra Genova l’attenzione dello studioso. In esse si credette trovare la prima idea delle Società per azioni e si costruì un ascoso nesso fra il debito pubblico e la banca. Sembrò dunque degno dell’opera, lo spingere più addentro le indagini in queste compere che erano basate sui debiti dello Stato. Perciò in questo lavoro si dovettero porre in rilievo le finanze genovesi, e la parte che in esse ebbero i debiti dello Stato. Però, quantunque Genova primeggiasse, non potevasi, a questo riguardo, trascurare le condizioni delle altre città italiane, facendo — XVI — specialmente risaltare l’importanza che, in tutte, ebbero i prestiti forzosi. Mentre al nord la forma preferita del debito era la rendita, la maggior parte del debito pubblico degli Stati italiani era basata sui prestiti forzosi. Le imposte dirette, quando trattavasi di forti somme, erano riscosse sotto forma di prestito forzoso ad interesse. L’organizzazione dei creditori dello Stato, tanto per prestiti volontari, quanto, e molto più, per prestiti forzosi, fu creazione dei Genovesi. La più celebre di queste organizzazioni venne applicata alle Compere di S. Giorgio, consolidate nel 1407. La Casa di S. Giorgio esercitò , insieme coll’ amministrazione dei debiti, anche la banca, e ad essa fu data per un certo tempo una gran parte del territorio genovese e in particolare le colonie. La cerchia degli affari della Casa di S. Giorgio ricorda le organizzazioni dei creditori di Stato inglesi del 1694, la Banca d’Inghilterra e le Compagnie delle Indie o-rientali e del Pacifico. Gli affari bancari e 1’ amministrazione delle colonie erano imprese speciali ed accessorie delle Compere di S. Giorgio ; il resto dell’ organizzazione amministrativa rimonta alle compere del 14.» secolo. Il presente lavoro si divide quindi in due parti. La prima metà tratta delle finanze genovesi prima della fondazione di S. Giorgio. In un primo capitolo si dimostra come Genova si liberò dai vincoli feudali, dando sviluppo ad una finanza propria, nella quale i debiti rappresentavano subito una parte importante. Il secondo capitolo segna il peifezio-namento del sistema delle imposte e dei debiti dello Stato. Mentre il capitale, in cerca di collocamento, veniva offerto allo Stato a condizioni vantaggiose, una eccessiva espansione del credito, obbligò il governo ad — xvn — accordare ai creditori diritti di corporazione. 1 protectores capitali, istituiti nel 1323, rappresentano i creditori della compera salis del 1274, della mutua velerà consolidata nel 1303 e della compera pacis del 1332. Il terzo capitolo dimostra come le organizzazioni dei creditori dello Stato si mantennero e si affermarono, durante l’epoca della Genova ducale. Per ultimo verrà studiata la questione di vedere fino a qual punto le compere e le maone, le associazioni dei creditori dello Stato e degli appaltatori delle imposte, possano essere considerate come il germe delle società per azioni. La seconda parte di quest’opera tratterà della Casa di S. Giorgio. Il quarto capitolo descriverà la fondazione della Casa e il primo periodo del suo esercizio bancario dal 1407 al 1444; un quinto discuterà in particolare l’amministrazione coloniale della Casa dal 1447 al 1563 ed un ultimo capitolo comprenderà le sorti ulteriori della Casa e specialmente il secondo esercizio bancario dal 1675 al 1815. Le cifre citate nel corso della presente opera s’intendono calcolate, se non è altrimenti indicato, in lire genovesi o fiorini che stanno nel rapporto di 5:4 (1). All’atto di pubblicare questo lavoro sento il bisogno (i) Sul valore della lira genovese nei diversi secoli confronta Desi-moni, in L. T. Belgrano, della vita privata dei Genovesi, 1875, pagina 506 segg. ; pel confronto con altre monete medioevali , sono da consultarsi Pagnini, Della Decima, 1766, III e IV; Cibrario, Economia politica del medio evo, III, 247; Salvioni, Popolazione di Bologna, Atti e memorie della R. Deput. di St. patria, parte I, prov. di Romagna, 1S90 Pa». 591 Kruse, Kóln. Geldg. IVestd. Zeitsch. Ergànzungsheft IV; Schaube, chi Hai. Coursbericht, Z. f. Social und IVirtkschaftsgesch, V, 3, e specialmente pag. 29S e seguenti; A. Nagl, Die Goldwdhrung. und die handelsmàszige Geldrecluiung un Mittelalter. Wiener numisma-tiscbe Zeitschrift 26, pag. 41-258. Atti Società Lisin e Storia Patria. Voi. XXXV. 2 — XVIII — di ringraziare tutti quei signori che negli archivi di Venezia, Firenze, Genova e Torino mi furono di aiuto col consiglio e coll’opera. Per le ricerche e le indagini nei tesori degli archivi italiani, non occorre, come da noi, far domande e rivolgere petizioni a questa o quella autorità. In Italia si viene incontro al dotto in tutte le forme, offrendogli l’esame di cataloghi e simili. L’amabilità dei suoi abitanti non è il minor pregio di questo bel paese, che, splendidamente dotato dal sorriso della t natura, ha dietro di sè una storia cotanto gloriosa. FONTI E LETTERATURA Dalla natura delle fonti e dal modo con cui eseguimmo le nostre ricerche, risulta che il materiale per la storia antica genovese, non solamente è reso più accessibile e completo mediante copiose riproduzioni di stampa, ma è anche più profondamente trattato di quello dei periodi successivi. L. 1. Belgrano nel Cartario Genovese (Atti della Società Ligure di Storia Patria, II, 1) raccolse i documenti genovesi fino all’anno 1100 e pubblicò il Registrimi Curiae Archiepiscopalis Januensis del 1143 (Atti, II, 2). Coll’ anno 1099 vengono fondati gli annali ufficiali di Caffaro e suoi successori, che offrono fino all’anno 1294 una continuata esposizione della storia genovese cosi ricca e copiosa, quale nessun’ altra città d’Italia possiede per il medesimo periodo. (Mon. Germ., SS., volume XVIII, da confrontarsi ora anche coll’ edizione manuale di Belgrano, fonti per la Storia d'Italia, pubblicate dall’istituto storico italiano, Scrittori, Roma, 1890). I documenti del 12.o e 13.o secolo si trovano nei Monumenta Historiae Patriae , Torino , specialmente nei due Libri Turium reipublicae Genuensis (Voi. VII e IX, citato L. J. I e II). I Statuta consulatus Januensis anni 1143 si trovano nella medesima opera voi. II. Leges municipales col. 240 e seg. Il Breve della Compagna del 1157 non è ora più servibile secondo la ristampa di A. Olivieri (Serie dei consoli del Comune di Genova, — XX — Atti, 1, pag. 176 seg-g\), serve invece quello nuovamente pubblicato nel Giornale Ligustico 1896, pag' 65 scgg. De’ nuovi trattati sulla storia antica di Genova sono da citarsi: L. T. Belgrano, Illustrazione del Registro arcivescovile (Atti, II, 1) e C. Desimoni , Sulle Marche d’Italia [Atti XXVIII). Sulla posizione e sulla genealogia dei marchesi si confrontino anzitutto gli accurati lavoi i di H. Bresslau, Jahrbucher des deutschen Reichs uni-ter Conrad li, pag. 361 segg. Exkurs IV. per lei genealogia e la storia delle più importanti dinastie nell Italia centrale e settentrionale nell’ 11.0 secolo. Studiosi tedeschi si sono pure specialmente occupati delle origini della costituzione della città da Hegel (Ge-scliichte der Stddteverfassung in ltalien, II, Pa&- ^9 e 180) in avanti. Ancor oggi sono autorevoli i lavori Heyd ( Untersuchungen iiber die VerfassungsgéscJìichte Genuas bis sur Einfiìhrung des Podestats. Tubingen Zeitschrift f. die ges. Staatswissensch, 1854, pag- 3 e se guenti). Egli ritenne la Compagna come il germe c on scaturirono tutte le istituzioni che si svolsero nel co mune (pag. 33). Però non potè a meno di fare un con fronto fra la Compagna e la « Gilda » (pag. 34) Perc^ allora non erasi ancora trovata la distinzione netta « gilda » e comune. Il carattere della Compagna co organizzazione comunale, fu più profondamente ac tuato da G. Lastig (Entwickelungswege und Que ^ des Handelsrechtes, 1877). Nell’idea principale ere dover convenire con lui, malgrado le opinioni di ^ ■ (Genua und seine Marine ini Zeitalter der Kf ’euBZ & 1886) che, d’accordo con Cibrario (Stona della 011 chia di Savoia, I, 147), considera la Compagna come « gilda », come una associazione di negozianti con ritti pubblici, ovvero come un’organizzazione di caf listi (d’accordo con G. Doneaud, sulle origiftl de — XXI — mune e degli antichi partiti in Genova e nella Liguria, Genova, 1878). Dobbiamo però riconoscere che Heyck rettificò molte inesattezze di Lastig e accennò alla insufficienza delle prove addotte. Gli studiosi genovesi credettero che la costituzione della loro città avesse avuto origine già dai tempi romani; però da Desimoni (sul frammento di Breve genovese scoperto a Nizza, Atti, I, 131) in avanti, furono ammessi i risultati di Heyd. Ultimamente C. Imperiale di S. Angelo nel suo libro Caffaro ed i suoi tempi (Torino , 1894), trova il germe della Compagna nel consorzio delle famiglie dei visconti. Questa opinione è, secondo me , insostenibile, poiché i diritti d’imposta del viscontado non venivano percepiti dal Comune, ma bensì dai visconti. Perla storia della costituzione e dell’amministrazione di Genova nel 12.o e 13.o secolo devono prendersi in considerazione: Th. Blumenthal zur Verf. - und Verw. - Gesch. von Genua nel 12.o secolo. Dissertazione, Gottinga, 1872, e G. Caro Die Verfassung Genuas zur Zeit des Pode-stats, Strassburg, 1891. Del medesimo autore venne alla luce nel 1895 Genua und die Mcichte am Mittelmeer 1257-1311, voi. I. Quest’opera si occupa specialmente della storia esterna della repubblica; però anche i capitoli che trattano delle condizioni interne hanno straordinario valore, essendosi l’autore valso per questo periodo dei tesori deWAr-chivio notarile. Il volume secondo fu pubblicato nel 1899. Del materiale inedito venne utilizzato per il primo capitolo di quest’ opera specialmente il Liber Pedagio-rum (Genova, Arch. di Stato, Membran. I). Qui sono riportate le tariffe dei dazi di Gavi e Voltaggio e delle imposte dei visconti, come pure una serie di sentenze relative a queste imposte, in copie del 14.° secolo. I protocolli sulle imposte dei visconti del 1236, sembrano essere stati stesi in occasione della contestazione insorta fra gli esattori delle imposte dei visconti ed i negozianti di Montpellier (conf. A. Germain , histoire dii commerce de Montpellier, I, pag. 197). Una delle fonti più importanti per la storia economica di Genova ci è fornita dalle lmbreviature dei no- *» tari. Il più antico notularium di Giov. Scriba (1155-1164) che ci rimane, è pubblicato nei Moti. Hist., P. VI, Chartae II, col. 285-989. Per il 13.o secolo i documenti sono moltissimi. Quasi ogni affare con effetto legale di qualche importanza veniva stipulato dal notaio e da lui trascitto nel suo libro. L’ introitus instrumentorum di 2 den., che doveansi pagare per qualunque scritta d indole legale, fosse un documento d’affari, una petizione o una quietanza, fu venduto all’ incanto nel 126o pe1 469 lire, lo che supponeva in quest’anno un numero di 55.680 di tali documenti ; e nel 1291 venne raggiunta la somma di 680 lire. Il compratore contava dunque sopì a l’incasso di almeno 81.600 istromenti in quell’anno. Di questi atti, ce ne furono conservati in gran c°Pia’ però T uso di tale fonte è in qualche modo difficile. Il catalogo dell’ archivio contiene i nomi dei notari, di sposti in ordine alfabetico e cronologico. Se però ta luno, secondo questo catalogo, facesse troppo a fidanza sull’ esattezza dei singoli numeri, si troverebbe male, perchè sotto il nome d’un notaio, furono insieme riu niti atti e frammenti di atti di diversi notari e di i versi anni, senza alcun ordine nè regola. Cfr. Caro, Genua und die Màchte am Mittelmeer, II, Beilage > pag. 418 e U. Assereto , Genova e la Corsica 1358-78, seconda edizione, p. 28, nota 5. — XXIII — I uttavia vi sono dei mezzi a disposizione per trovare una via d'uscita in questo labirinto. Anzitutto gli estratti del Richerio. I numeri 533 e 534 dellArchivio di Stato contengono YJndex foliatii Richerii ordinato per alfabeto. Nelle rubriche principali vi sono i nomi delle famiglie nobili genovesi, quantunque vi si trovino pure nomi comuni come domus, litere, terra. Special-mente importanti sono : l’indice II a pag. 1025 e segg. ; la rubrica valor dove, p. es., a pag. 1055 e segg. sono indicati i prezzi dei loca diversarum comperarum e a pag. 1062 monete rationate cum monetis aliarum civitatum. II N. 534 pag. 1153 e segg. contiene un Index rerum notabilium, estratti di tutto quanto parve importante al Richerio anche relativamente alla finanza. Questo volume si chiude, pag. 1355 e segg. con un indice di comunicazioni concernenti le navi, sotto il titolo naves. Questo indice si riferisce al vero foliatium (N. 535 e segg.) colle indicazioni / (folium) e c (colonna). Col numero indicato nell 'Index si cerca foglio e colonna nel foliatium. In quest’ultimo è indicato il notaio presso il quale si può confrontare coll'originale il documento cercato. Devesi però avvertire che Richerio non ha registrato propriamente tutti i documenti dei notari, ed i-noltre che la ricerca nelle carte del notaro riesce alquanto difficile, per il fatto che Richerio non dà il numero della pagina dove trovasi, presso il rispettivo notaio, il documento da lui considerato. Un altro Foliatium Notariorum ab anno 1154-1600 è conservato nella Biblioteca Civica di Genova sotto la lettera D fino 2, 6, N. 1-6. Qualche cosa possiamo anche ricavare dal Federici Collectanea ad annum, Genova, Arch. di Stato, Ma-nuscr. N. 46; però quelli che più mi giovarono furono — XXIV — gli estratti compilati dal Prof. A. Wolf. Essi sono legati in un volume, conservato dalla Società Ligure di Storia patria nel Palazzo Bianco di Genova. Questo Codice Wolf contiene a sufficienza quanto si può ricavare dai notari riguardo alle finanze di Genova del 13.0 secolo. I singoli estratti sono ordinati in rubriche per materie : I. pedaggi e podestarie; II- compero e mutua; III. collette e gabelle; IV. varia. La chiusa è formata da una raccolta del materiale relativo al trattamento e al commercio degli schiavi in Genova fino alla fine della repubblica. Gli estratti non sono sempre completi ed esatti, peiò si può sempre confrontare 1’ originale nell'Archivio notarile , perchè ogni estratto è munito del nome del notaio e del numero della pagina. Questi estratti del Wolf mi fornirono specialmente il materiale per tutto quello eh’ ebbi a dire di nuovo sulle finanze del 13.° secolo- Per il 14.o secolo gli annali di Stella (Muratoli, SS. XVII) continuano l’opera di Caffaro. Inoltre pei la prima metà del 14.o secolo, la fonte più importante sono le Regulae Camper arum capitidi, Genova, Arch. di Stato, S. Giorgio, Membran. IV (5), di cui si servii ono anche Cuneo e Lobero. Qui si tratta d'una raccolta di leggi e decreti, probabilmente fatti ad uso dei Protec tores capituli. I primi capitoli, fog. 1-226, sembrano e seguiti dalla stessa mano, poco tempo dopo la pace fra Guelfi e Ghibellini (1332). Una copia meno completa di questa raccolta ci è data, Membr. II (3), sotto il titolo Regide compere salis e Membr. XI (12) Regularum> decretorum et vend. gabellarum erroneamente indicate coll’anno 1407. Consideriamo partitamele la raccolta delle Reg^e comperanim capituli. Manca nel testo il primo capitolo che Xlndex intitola : De conventione inita inter s. s. patrem d. Jo-hannem XXII summum pont. et d. Robertum d. g. regem Jeros. et Sicilie ex una parte et commune Janue ex altera. I fog. 9-20a trattano dell’istituzione d’una nuova autorità di finanza, cioè dei visitatores, senza indicazione di anno. Vi sono i Confortatores istituiti nel 1321 ed i Protectores istituiti nel 1322. Sembra dunque che questo capitolo sia stato redatto dopo il 1322. Ma siccome anche nei documenti relativi alla istituzione dei confortatores e protectores sono supposti i visitatores, e siccome nel 1321 vi erano già visitatores (1), cosi dobbiamo porre l’istituzione di questa carica come avvenuta ancora prima. Come si soleva a Genova, in questo codice sono riportati insieme capitoli di periodi diversi, che parzialmente si escludono a vicenda, senza ordine nè cronologico nè di materia. Così p. es. al fol. 20b segue un antico capitolo sopra un rendiconto ai duo de ratione (aboliti colla istituzione dei visitatores). Siccome troviamo qui specialmente menzionati i due uffici dei clavigeri e dei duo super munitionibus castrorum, così questo capitolo deve porsi prima del 1303. Seguono aggiunte di anni posteriori (fog. 30 additio facta 1326) ed estratti di altri decreti (fog. 38-44 relativi alla legge sulla istituzione dei protectores, confr. fog. 227-232). Le leggi riferite in questo codice riguardano in parte l’amministrazione del debito pubblico (fog. 88 de obser- (i) Genova, Arch. di Stato , Sala 43 , N. 1097. Diversorum capituli I342> scheda unita, Supplica d’un superstans ceche de 1320 in cui è fatta menzione di una « ratio facta per visitatores de anno 1 321 die prima oc-tobris ». vatwne officii assignationis mutuorum dei 1297) ed in parte l’esazione delle imposte (fog. 48-81 sui monopolio del sale). I fog. 110-165 si occupano specialmente dell’appalto delle imposte; fog. 123 Emendatores calegarum prò anno presenti, que habere debent locum in 1327; log. 134b Titulus clausularum generalium ordinatarum in omnibus et singulus venditionibus introituum et calegarum communis Janue. Frammezzo vi sono le liste dei banchieri che furono ammessi come garanti degli appaltatori, fog. 125-133,135b del 1329; 13ób-164 del 1330, log. 165b, 166 bancherii additi per emendatores clausularum 1334. Nei fog. 166b -168 del 1426 venne aggiunta più tardi da altra mano la legge relativa all’ abolizione de\Vofficium visitatorum. Della stessa mano come fog. 9-165 sono scritte nei log. 169-216 le disposizioni sul consolidamento della mutua vetera del 1303. Questo capitolo trovasi stampato in Cuneo pag. 258 e segg. Segue nei fog. 217-20 la legge relativa alla istituzione dei confortatores del 20 febbraio 1321; i fog. 220-226 contengono alcuni antichi capitoli; p. es. il fog. 226b ne ha uno del 1290, secondo il quale gl’interessi del debito pubblico non potevano essere pagati se non a contribuenti di tasse. I capitoli seguenti sono scritti d’altra mano, come i fog. 227-232 sono un trasunto dell’anno 1377, del capitolo dell’anno 1323 sopra l’istituzione dei protectores. Sotto il titolo di regulae comperanim capituli, che diede il nome a tutto il codice, si trovano nei fog. 233-253 le decisioni dei sapientes sul consolidamento del 1340-46. Ora viene una decisione d’una causa legale del 1352 fra lo Stato ed i suoi creditori sul monopolio del sale. — XXVII — In occasione di questa lite vengono comunicati in copia parecchi documenti, fra cui il più antico conservato in questo codice e che concerne il consolidamento della compera salis nel 1274. I fogli sono cuciti a fascicoli e si succedono nell’ordine seguente: fog. 253b fog. 254; poi fog. 271-274, consolidamento della compera salis del 1274, fog. 263-265 compera cardinalis del 1327, fog. 266-268, contratto del Doge Boccanegra coi comperisti del 31 marzo 1340, fog. 269, 70, poi fog. 255, contratto fra governo e comperisti del 31 marzo 1341 ; nei fogli 256-259 vi è la decisione del collegium judicum Janue sulla lite del sale del 24 febbraio 1352, in occasione della quale vennero prodotti tutti questi documenti anteriori. Nel fog. 259 segue un altro contratto fra governo e comperisti del 31 marzo 1340. La riunione in fascicoli risale forse al 14.° secolo, lo che diede luogo a grandi confusioni, poiché in tutti i documenti è fatta parola del sale. Così pure un notaro del 14.° o 15.° secolo nel documento del 1274, la cui seconda metà, così com’è legata, sembra la continuazione d’un documento in cui si parla continuamente del doge, corresse, alla fine, l’anno 1274 in 1374. Fin qui le regole Comperarum capituli, bensì senza l’indice, sono stampate Mon. Hist. palr. XVIII, Leges Genuenses, col. 37-242. Sul resto del contenuto delle Regulae meritano di essere particolarmente menzionati i fog. 275-293 tractatus compere nove pacis del 1332. Il fog*. 322b calcola la somma del capitale delle compere consolidate nel 1347. Dovranno essere consultate, con una certa riserva, le opere più antiche sulla storia genovese, e special-mente: Serra, Storia dell’ antica Liguria e di Genova, 1 orino, 1834 e Canale, Nuova storia della repubblica di Genova 1858 e segg. ; così pure le opere sopra S. Giorgio, che discuteremo nella seconda parte di questa opera e specialmente: Lobero, Memorie storiche della Banca di S. Giorgio, 1832 e Cuneo Memorie sopra V antico debito pubblico, 1842. Così p. es., la notizia d’ un consolidamento del debito pubblico genovese verso il 1250 o 1252 dataci dal Serra (IV, pagina 250) e Lobero (pag. 9) è tratta da una relazione del 1815 (Torino, Arch. di Stato, materie economiche, Banca di S. Giorgio). L’indicazione delle somme del debito in 28000 Luoghi, fa credere ad uno scambio col consolidamento del 1340. Come le regulae comperarum capituli per 'a Pr'ma metà del 14.° secolo, è ugualmente importante per i susseguenti 100 anni il liber magnus contractuum (S. Geoigi) 1350-1452. Genova, Arch. di Stato, Membr. N.° VII (8). Qui sono raccolti i documenti sopra il debito pubblico di questo periodo. I fog. 1-34 di questo codice corrispondono ad un altio codice, Membr. 7 (VI), Sancti Pauli, in cui sono descritte le incorporationes ordinationes et statuta facta occasione dictarum comperarum (S. Pauli), documenti sopra questo gruppo di debiti dall’anno 1350 a 1368. I fog. 41-78 contengono i documenti sulla compera nova S. Pauli. II liber contractuum, comprende inoltre una serie di documenti sulla maona di Cipro, per la massima pai te contratti coi re di Cipro. Questi trovansi un’altra volta in Membr. IX (10) instrumenta inter commune, officium S. Georgii et regem Cypri: IX (10) fog. 1-57 corrispondono a VII (8) fog. 250b -298, IX (10), fog. 58-168 corrispondono VII (8) fog. 405-438. Alcuni fra i documenti di Cipro sono pure conser- — XXTX — vati in una terza copia Vili (9) conventiones insnle Cypri. I fog. 1-21 deH’VTII (9) contengono inoltre gli anteriori privilegi del 1232, 1363, 1365 e 1374. Alcuni di questi documenti sono pubblicati da Mas-Latrie nella sua Histoire de Chypre. Questa storia, II, pag. 366, reca una. note sur la mahone de Chypre. Sulla costituzione delle imposte di Genova ducale ci informa la Memb. N. 78, Regule consulum calegarum. La parte principale di questo codice è scritta nel 1418 (confr. fog. 63), però i singoli capitoli nacquero in tempi di molto anteriori. Se qui ci sono date le clausule generales, la Membr. 22. XIX, venditio gabellarum veterum , contiene la tariffa delle singole gabelle. Questo codice fu redatto nel 1428, però le singole tariffe sono di molto anteriori. Alle tariffe originarie sono annesse additiones posteriori. La più antica di queste additiones risale al 1342. Gli statuti dei Conservatores del 1383 ci informano sulla polizia dei viveri in Genova. Sono conservati nella Bibl. deH’Univ., B, VI, 13, e sono ora stampati nei Mon. Hist. patr., XVIII, col. 389-456. Per gentilezza del sig. Comm. Poggi di Savona potei vedere i fogli di stampa di questo volume (1898) non ancora pubblicato. Vi sono pure stampati gli statuti genovesi del 1363 (Regule communis Janue, fog. 243 segg.) e quelli del 1403 (Volumen magnum capitido- 9 rum, fog. 457 seg.). Inoltre sono importanti gli statuti del 1413 di cui mi valsi sopra una copia dellArchivio civico N. 156. Gli statuti del 1375 (Arch. di Stato, Manus. 123) contengono solamente norme di procedura di diritto civile e penale. Insieme con gli statuti, gli atti notarili costituiscono pure in questo periodo una fonte importantissima. In particolare il Diversorum 104 contiene i giudizi del-1 'officium mercantie in materia commerciale. — XXX — Gli atti dell’amministrazione delle finanze dello Stato sono conservati sotto il titolo diversorum cancellarie (suppliche e simili con osservazioni delle autorità, per ordine cronologico) e diversorum regiminis (decreti e-lencati in fascicoli). Gli atti dell’amministrazione del debito furono intitolati diversorum capituli. Di massima importanza sono i libri dei conti, conservati in grande numero dal 1340 in poi. La sala 41, 1-43, contiene sotto il titolo massaria communis le esazioni ed i pagamenti del governo, registrati secondo le regole della scrittura doppia. Pur troppo non riuscii a trovare a Genova un vei o catasto. A questo riguardo l’archivio fiorentino offre più ricca messe, della quale solo in parte si valse Canestrini nell’ opera, La Scienza e l’arte di Stato, Fii enze, 1862. In Genova sono conservati solamente i registri dei contribuenti compilati secondo i catasti, in cui sono indicati gl’ importi da pagarsi da ciascuno. Al contrario i libri delle compere, cioè i libri dell’amministrazione del debito pubblico ci sono rimasti in grandissimo numero (Sale 42 e 43). Si tratta, in primo luogo, di elenchi dei creditori dello Stato, ordinati pei Compagne o quartieri. Accanto alla quota del debito è calcolato l’interesse. Sono pure notate delle cessioni. Questi libri dovevano essere rinnovati tutti gli anni. In secondo luogo, ogni compera aveva il suo libro di introitus et exitus. La Sala 42 N. 144 contiene 1 'introitus et exitus compere salis et pacis del 1342. Vengono prima calcolati i debita et recepta nei fog. 1-112; i fogli 113-120 contengono in particolare i conti col governo, i fog. 125-212 le solutiones; i fog. 213-250 le excusationes (compensazioni); nei fog. 301-310 è calcolato un gruppo speciale di debiti, le avaria del 1314 e nei fogli 313 e seg. i residua. — XXX T — C. Desimoni, per il primo, fece cenno dell’importanza della tenuta delle scritture in Genova, nel suo lavoro sopra Cristoforo Colombo ed il Banco di S. Giorgio. Atti, XIX, 3. U. Assereto, Genova e la Corsica, 1358-1378, 1900, seconda edizione, Bastia 1902, ha messo a profitto anche i dati dei libri della finanza. La Maona di Scio fu ampiamente trattata da Hopf nell’articolo Giustiniani, Ersch und Grubersche En-cyclopadie, I, 68, pag. 313 e segg-. Sventuratamente non mi fu dato di avere i documenti del 17.° e 18.° secolo altro che in copia: Genova, Archivio di Stato, Manoscritti, N. 216, Scritture di Scio e N. 259 conventioncs insule Chii. Alcuni singoli documenti furono da me trovati nei diversorum regiminis. Pure credo, malgrado questo scarso materiale, d’essere riuscito a correggere Hopf in qualche punto importante. La questione se le maone e le compere di Genova abbiano fornito la prima idea delle società per azioni, fu profondamente studiata da L. Goldschmidt , Univer-salgeschichte der Handclsrechte, pag. 296 e segg. e da K. Lehmann , die geschichtliche Entwickelung des Actienrechtes, Berlino, 1895. © & PARTE PRIMA LE FINANZE GENOVESI DAL XII AL XIV SECOLO Atti Società Lisine Storia Patria. Voi. XXXV. CAPITOLO I. GENOVA SOTTO IL DOMINIO ILLIMITATO DELLA NOBILTÀ FINO ALL’ ANNO 1257 Prime notizie di Genova. Dominio e diritti dei marchesi. Genova figura già nelle lotte fra Cartagine e Roma. Sotto il dominio dei Romani, il municipio di Genova acquistò grande importanza, poiché ad essa faceva capo la Via Posthumia per la Gallia Cisalpina. Quando i Longobardi invasero l’Italia, Genova si mantenne ancora a lungo sotto la dominazione di Bisanzio e solo nel 641 Rotari potè sottomettere al suo scettro la costa ligure. Allora furono abbattute le mura di Genova e la città decadde a livello d’un villaggio (1). Da allora in poi Genova partecipò alle sorti del regno della Corona Ferrea. Sotto Carlomagno essa ci si presenta come sede d’ una Contea. La Casa degli Obertenghi, che dominava in Genova fino dalla metà del io.0 secolo e possedeva altre contee come Milano, Tortona, Luni, ecc., prese il titolo (1) A. G. Barrili. Commemorazione del Prof. Comm. L. T. Belgrano, Alti XXVIII, pag. LX e seg., e note pag. LXXVIIII e segg. marchesale e conseguentemente la Contea di Genova venne designata col nome di Marca di Genova (i). I marchesi rappresentavano il re , come uomini d arme e come magistrati. Le loro entrate provenivano principalmente dai ricchi possessi fondiari che venivano loro accordati in ricompensa dei servigi da essi prestati, ed inoltre da competenze giudiziarie, da dazi di transito sulle strade maestre e dalle regalie dovute dalle città soggette (2). Mancano per Genova documenti sufficienti del tempo in cui i marchesi erano in possesso delle regalie ; ma alcuni documenti di Noli, dove la città acquistò le regalie solamente verso la metà del 12° secolo, lasciano campo a vedere in che cosa consistevano le regalie dei marchesi liguri. In quei documenti sono citati : mulini e forni ; il marchese ha un diritto sulle rive del mare (ripa) e sulla pesca. Egli è giudice e signore del mercato ; riscuote dazi d’ entrata in città e diritti di pesatura sulle vendite al mercato. Inoltre esige dagli abitanti il fodrum, imposta diretta pel mantenimento di lui e della sua famiglia (3). Mentre gli abitanti di Noli furono esenti dall’ obbligo del fodrum solo nell’anno 1188, i Genovesi rimasero liberi da qualunque imposizione di simil genere fino dal 1056 (4). Sullo scorcio dell’ii.° secolo già il Comune avea strappato dalla giurisdizione dei marchesi 1’ esercito , la giustizia , la finanza. Però fino alla metà del 13.0 secolo, troviamo traccia di diritti rimasti ai marchesi, derivanti dalla loro antica sovranità. La famiglia degli Obertenghi erasi divisa in 4 rami, che si denominarono, o con un cognome preso dal capo-stipite, (1) H. Bresslau. Jahrbiicher des deutschen Reichs unter Conrad II> volume I, pag. 425, 441-443. (2) Confr. sulle entrate dei feudi in generale: Perule, Sloria del diritto ital., I, pag. 324-390; Ricca-Salerno, Storia delle dottrine finanziarie in Italia. Palermo, 1896, pag. 9 segg. (3) B. Gandoglia, Docum. nolesi, Atti e memorie della Società storica savonese, II, 1891, specialmente pag. 38 e segg. Il 2 settembre 1196 Enrico VI conferma 1’ alienazione dei diritti marchesali al Comune di Noli. (4) L. J. I. col. 3. come i Malaspina e i Pelavicini, ovvero dal nome dei loro principali castelli come i marchesi d’ Este e di Massa-Parodi (i). Ancora nel 12° e 13.0 secolo, alcuni membri di queste famiglie in Genova ebbero a sostenere dei diritti di finanza. Nel 11S1 un marchese Guglielmo, della linea dei Parodi, cede a taluno la sua parte di dazio d’ entrata in città (2), e nel 1228 un marchese Andrea di Massa investe altri dei diritti marchesali in Genova (3). Un marchese Alberto del ramo dei Malaspina, cede i suoi diritti in porta, ripa, macello, foro nel alibi (4) e ancora nel 1256 un marchese Federico conferma la cessione d’un pedaggio d entrata in città di due den. per ogni soma (5). I marchesi di Malaspina possedevano inoltre dazi di transito , uno sulla strada di Levante a Recco (6) ed un’ altro a Torriglia sulla strada militare di Piacenza (7). I marchesi di Gavi, riguardo ai quali non è accertato se, come vorrebbe il Desimoni, fossero un ramo dei Pelavicini, imposero un dazio a Gavi sulla strada diretta al nord. (1) Desimoni, Atti, XXVIII, pag. in e segg. ; H. Bresslau , Iahr-biicher, I, pag. 423. (2) Genova, Arch. di S. Ms. 46: Federici, collect. I, ad annum n8r pagina 79b: a Ido Picio « prò se et heredibus suis » investendonelo « per ramum viride castanee quem manu gerit. ». Disgraziatamente non si può più trovare il notaio dal quale Federici attinse questa notizia. Confr. 1’ uso del bastone nell’ investitura feudale dei marchesi di Bosco. L. J. I , col. 729, anno 1224. (3) Desimoni, Atti, XXVIII, pag. 257, nota I. Atti, I, pag. 132. Appendice I. (4) Moti. Hist. pai., (Torino) Chart. II, fol. 990. (5) Not. Ghib. de Nervis, II, 128, Wolf, pag. 29. « Dominus Fredericus marchio de Malaspina recognoscens quod Wilielmus quondam Guercius habebat ex concessione quondam Conradi marchionis Malaspine et quondam Wilielmi marchionis jus percipiendi in pedagio ipsorum marchionum den. 2 in qualibet sauma ad portavi Janue vel alibi ubicunque vellent sine omni contradictione communis Janue et potestatis qui pro tempore fuerit et sine contradictione ipsorum marchionum ». (6) Desimoni, sul frammento di breve genovese, Alti, I, pag. 132; Caro, Genua und die Mixchte, I, pag. 87, nota 3. (7) Genova, Arch. notar., notari ignoti, m. 102, pag. 12, 1179. Nel 1164 l’imperatore Barbarossa conformò ai Malaspina le regalie e gli altri diritti posseduti dai loro antenati nella Marca di Genova (1). Un simile privilegio fu conferito al ramo estense nella persona di Obizzo d’Este (1184) (2). Però l’importanza di questi privilegi è minima, poiché già alla fine dell’ 11,° secolo il Comune di Genova affermava la sua sovranità sulle finanze della Città, diritto confermatogli dall’imperatore Federico; si vede però che i successori dei marchesi persistevano nel reclamare i loro antichi diritti. I visconti e le tasse da essi percepite. Anche il prodotto dei diritti di finanza che i marchesi seppero conservarsi fino al 1257, non affluiva più alle loro casse, ma tali rendite erano passate ai vicecomites. Ancora nel 12.0 secolo le più importanti regalie spettavano ai visconti e non al Comune. Possiamo ammettere che, prima che la Compagna avocasse a sè i diritti di sovranità sulla finanza al principio del 12.0 secolo, i visconti fossero in possesso delle regalie di Genova per cessione loro fatta dai marchesi. I visconti erano funzionari dei marchesi, ai quali prestavano giuramento di fedeltà (3). Abbiamo notizia di vicecomites che, al seguito dei marchesi, prendevano parte ai processi giudiziari (4) e curavano l’esazione delle imposte (5). Desi-moni e Belgrano credono probabile che i numerosi visconti del 12.0 secolo, discendessero tutti da una famiglia, che avrebbe avuto per capostipite il Vicecomes Ido (citato nel 952) (6), e che avrebbe continuato a tutelare i loro diritti finanziari in comune, come un possesso consorziale. ' (1) Winkelmann, Ada imperii,, I, pag. 262. (2) Heyck, pag. ii. (3) Appendice I. (4) Mon. histi pat., Chart. I, col. 527, 8. decem. 1039; A. Olivieri, Serie dei Consoli, Atti, I, pag. 322, febb. 1044. (5) L. J. I. col. 3. (6) Desimoni, Atti, I, pag. 113, 128 seg,, Belgrano, Atti, II, 1, Pa" gina 314 e tavole XIX , e segg. Lastig , pag. 46. In verità c’ è qualche La pretesa d’infeudazione dei diritti viscontili, passò di padre in figlio (i). I visconti erano quindi in possesso ereditario dei loro diritti, e più tardi, nel 1037, Conrado II imperatore, decretò pure 1’ ereditarietà dei feudi minori per l’Italia. In cambio delle concessioni testé citate , il vicecomes non doveva altro che il giuramento di fedeltà. Devesi dunque ammettere che i vicecomites ricevessero i diritti finanziari puramente per servigi resi. Nè si può dire che le imposte dovute ai visconti in Genova dipendessero da una cessione dei diritti marchesali verso compenso , come avvenne a Noli per parte del Comune, o come ebbe luogo per il dazio a Tor-riglia che , in massima parte , famiglie viscontili comprarono da marchesi bisognosi di danaro , quando già i dazi di Genova erano da lunga pezza in mano di famiglie di visconti (2). Dobbiamo ora esaminare in che cosa consistevano queste rendite dei visconti. I visconti percepivano un interesse sui banchi dei macellai eretti sul suolo pubblico, e quando nel 1152 il Comune fece trasportare altrove i banchi da macellaio , determinò che, ciò malgrado , l’interesse cui avevano diritto i visconti sopra 52 di essi banchi, non dovesse soffrire alcun pregiudizio (3). I visconti erano padroni del mercato. L’appoggio che essi accordavano ai frequentatori stranieri era da questi retribuito con tasse speciali. cosa nelle tavole del Belgrano che riposa sulla pura ipotesi. P. es., la parentela di Gandolfo vicecomes tav. 'XXI con Oberto vicecomes, tavola XX. Le famiglie viscontili assunsero nel 12.0 secolo nomi diversi, come Spinula, Embriaco, de Castro ecc., e solamente un ramo si chiamò Vicecomes. (1) Appendice I; pag. 5, note 4 e 5. (2) Genova civica, folìat. Notar., I, fol. 120. Opizo, marchese di Malaspina vende nel 1180 a Simon Ventus verso L. 230 quale perpetuum fendimi « 2 denari in quacunque soma in pedagio Turrigie et octenam castelli Turrigie ». — Infeudazioni di dazi ad Amburgo. Weissenborn, die ElbzOlle und ElbstapelplJitze ini Mittelalter, pag. 135. (3) L. J. I , col. 162; Cuneo, pag. 255. « Salvo jure marchionum adversus vicecomites ». La più antica tariffa di queste tasse ci è rimasta in articoli confermati poi nel 1128 (1). Secondo ogni probabilità esse hanno origine nell’ n.° secolo, essendo calcolate in denari pavesi, che a Genova furono sostituiti fino dal 1102 dai bruneti (2). Alcune tasse venivano anche percepite in natura. Così chi introduce spade deve darne in pagamento tre per ogni cento, e per i pesci sei per ogni cento. Chi vendeva un palio, una corazza, 0 un cavallo pagava 6 denari. C hi dal di là dei monti portava a Genova lana 0 canape pagava rispettivamente 6 e 4 denari per ogni soma. Chi arrivava per mare pagava una tassa per testa che aumentava colla distanza da Genova (3). Così chi dimorava da S. Martino fino a Luna pagava 1 denaro ; da Luna fino a Roma 6 denari; un Romano 18 denari; uno di Gaeta ib denari ; un Napoletano , un Amalfitano , un Salernitano 18 denari. Parimenti a ponente : chi veniva da Savona e Noli pagava solo 1 denaro; da Ventimiglia e Albenga 4 denari, un Nizzardo 3 denari. Invece chi veniva da Barcellona per ven dere uno schiavo saracino pagava 5 soldi. Troviamo poi ripetuti la maggior parte di questi articoli fra le tasse designate col titolo fedagium vicecomituvi, di vise in tre parti, cioè : introitus ripe, porte, &t vie eco un tatus (4). In questa tariffa vediamo che Genova, elevata nel 1 !33 al grado di arcivescovado, è ancora indicata come vescovado. Ciò malgrado è però possibile che la menzionata tariffa, la quale rimase in vigore fino al 15,0 secolo, sia di qualche poco posteriore al 1133, poiché sembra che in essa sia stato calco lato secondo i nuovi denari genovesi, più leggieri, che ven nero battuti dopo il 1139. (1) L. I, col. 32: « Breve recordationis..... de dacito quodde bent dare forici homines qui veniunt Januam pro mercato ». Nel 1236 questa tariffa era da lungo tempo fuor d’uso. Lib. pedag., fol. 41. (2) C. Gandolfi, Della moneta antica di Genova, I, p. 4r- (3) Similmente a Coblenz. Sommerlad, die Rheinzolle im Mittelalter, pag. 36. (4) Genova Arch. di Stato, Membr. I. Liber Pedagetto, f. 18 e segg. — 9 — Il numero degli articoli, in confronto colla tariffa del 1128, è in generale raddoppiato e più specificato. L’ introitus ripe prò vicecornitibus contiene le tasse per testa che erano dovute dai forestieri che si recavano a Genova per ragioni di commercio. Anche per questa, come per la tariffa confermata del 1128, la tassa aumentava colla distanza della patria del forestiere da Genova. Da questa tariffa rileviamo che il commercio genovese prima delle crociate , si fondava principalmente sui mercati lombardi, francesi (1) e degli Stati cristiani del bacino occidentale del Mediterraneo. Però anche i Genovesi, già nell’ ii.° secolo, intraprendevano viaggi per Alessandria e per la Palestina (2). Per gli abitanti di città vicine , come Savona , Noli , Al-benga, Nizza, Grassa e Luni, la tassa per testa valeva anche per il ritorno , mentre quelli di siti più lontani p. es. della Provenza, eccetto Narbonne , dovevano pagare un dazio sul peso (pro pondere) della merce asportata da Genova. I Toscani dell’ interno pagavano anche sul peso della merce importata. I Lombardi ed i Provenzali che volevano trasportare pelli di bue per mare, dovevano pagare, i primi 3 soldi, i secondi 5 soldi e 7 denari e mezzo per ogni centinaio. La seconda parte della tariffa, la ratio introitus vicecomi-tum prò porta et ripa contiene il dazio sul peso , pagato per some (saume), il cui contenuto si riconosceva daH’imballaggio. Fra queste some vennero formati gruppi, ove la misura del dazio era distinta secondo il valore. Così ogni soma di pepe, legno di brasile, incenso, indaco, zenzero, chermisi, lacca, cannella, mastice, coralli, panni fini, pali di seta, code di volpe, e tutte le spezierie, pagavano 18 denari. Le some di merci meno fine come allume, cera, datteri, zucchero, sciroppi, noci di galla, olio, rame, acciaio , corazze, aste, spade, elmi, lino, cotone, pelliccie di lepre e di coniglio, cuoio, tela di lana e lino — 13 denari e mezzo. (1) Limoges, lib. Ped. f. 6. (2) Heyd, Geschichte des Levantehandels, (ediz. francese), I pag. 124, anno 1063 e 1094. Merci più ordinarie come pelli crude d’ ogni specie, formaggio, carne di maiale, mandorle, noci, fichi, tonno, miele, lana, canape, pece, zolfo, piombo, ferro , vetro e corna — 6 denari e tre quarti. Un quarto gruppo, che però fino dal 1236 era fuor d uso, era formato da pelli greggie di minor valore, le quali pagavano solamente 4 denari. Per ogni animale da soma, asino o mulo, carico 0 no, dovevasi pagare all’uscita 2 denari ; tassa ridotta alla metà per quelli che avevano già pagato il diritto d’entrata (1). Questo dazio sulle merci veniva dunque pagato dai forestieri meno favoriti, specialmente all’esportazione. In terzo luogo i forestieri dovevano pagare 1 'introitus vi-ceconntatus per le vendite conchiuse a Genova. Sulle navi e sugli attrezzi veniva percepito la ventesima parte del valore. Poi troviamo ripetuti articoli della tariffa del 1128, come le 3 spade ed i 6 pesci per ogni cento. Segue la tassa di 6 denari per l’acquisto d’un asino, di soldi 10 e mezzo per uno schiavo saracino maschio 0 femmina, di soli 2 soldi e 3 denari per uno schiavo cristiano maschio 0 femmina, di 2 denari per un maiale vivo 0 morto e lo stesso per un sacco di lana. Però nel 1236 fu detto non esservi ricordo d una tassa percepita per schiavi cristiani (2). Oltre alle tre specie di tasse menzionate, i visconti potevano prendere una copa (un centesimo) di mina del grano importato dalla Lombardia e mezza copa su quello esportato per la Lombardia (3). Questa tassa non veniva percepita come dazio, ma bensì come imposta diretta, e si ritirava a Genova e territorio di 6 in 6 settimane (4); nel 14.0 secolo però la troviamo convertita in denaro e stabilita in 15 soldi per ogni (1) Lib. ped. fog. 27, 31, 36b. (2) Conf. Caro Genua und die Màchie, I, pag. 88, nota x. (3) L. J., col. 1284, anno 1259. (4) Wolf, Ms. Pedaggi, fog. 88, 1248. « Colligitur occasione vice-comitatus grani Lombardi in qualibet sexta septimana in Janua et districtu ». / — II — ioo mine (i). Il ricavo annuo fu venduto nel 1252 per 138 lire (2). Non possiamo stabilire il ricavo dell’ introitus ripe, porte e vicecomitatus per il medesimo anno, ma bensì il valore capitalizzato di queste tasse. Nel 12.0 secolo esse avevano perduto il carattere di diritto pubblico , e vennero considerate come una proprietà di diritto privato delle famiglie viscontili. Il diritto di appaltare questo dazio , andò frazionato col moltiplicarsi dei rami di tali famiglie ; le singole parti erano alienabili e negli atti notarili del 13.0 secolo sono conservate parecchie vendite di questi diritti parziali. Fu fatta però distinzione fra i veri visconti e quelle famiglie che , mediante acquisto : erano venute in possesso dei suddetti diritti par ziali. Così nel 1236 alla domanda qui sunt vicecovutes ? vennero prima nominate le famiglie (iprogenies) degli Spinola, de Insulis , Carmandino ecc., e poi seguono i nomi illorum qui partem habent similiter in introitibus predictis. Tali sono i Grimaldi, che non sono quindi di famiglia viscontile, Vivaldi ed altri (3). Il singolo calcolava la sua partecipazione al vice comitato, a tanti e tanti denari di lira di 20 soldi, di 12 denari del valore totale (4). Così p. es. una medaglia (mezzo den.) m ripa significa V,1S0 di questo cespite. Troviamo espresse queste partecipazioni colle più stravaganti frazioni. P. es. Jac. Picamilius e fratelli possiedono nel 1217 « tertiam de quattuor denariis minus quarta et duodena in vicecomitatu » (5). (i'' Lib. Ped., f. 142 b. « participes introitum■ vicecomitatum et peda-giorum ac sold. XV prò centenario minarum ». (2) Wolf, a. a. O. (3) Lib. Ped., fog. 28 e 31. (4) Not. Januin de Predono , 20 febr. 1270 « jus percipiendi den. 2 de qualibet libra hoc est centesimam vicesimam partem ». Joh. de Cor-sio, III, iSS, 11 sept. 1269 « den. 4 in pedagio Gavii videlicet jus percipiendi sexagesimam partem dicti pedagii ». Un’ altra forma di calcolo, che si trova p. es. nei documenti citati , alla pag. 5 , nota 5 , e pag. 7, nota 2, è quella secondo la misura del dazio , tanti e tanti denari « de qualibet soma ». Se dunque la misura nella tariffa era di iS denari, allora « 2 den. de qualibet soma » equivalgono ad un ottavo della tassa. (5) Wolf, Gabelle, pag. S6. — 12 — Dagli estratti del Wolf (i), togliamo i seguenti dati per il valore capitalizzato del dazio: Pedagium ripe: 1277 1 2/s den. = 40 L. l’intero = 5760 1 » = 25 » » = 6000 » Pedagium porte: 1257 agosto 2 V, den. 165 L., l’intero --- 15840 L 1 Va » = 88 » » --- 15840 » 1 » = 65 » » = 15600 » 1262 3 » --- 150 » » = 12000 » 1263 1 » --- 55 » » = 13000 » 1264 2 » 100 » » =--- 12000 » 1267 1 » --- 55 » » 1= 13000 » Pedagium Vicecomitatus: 1248 2 den. = 20 L. l’intero = 2400 L. 1262 7* + VM - = 45 sol. » = '920 » 1277 1 » — 5 L. » = 1200 * 1277 1 */8 » = 6 7, » » = 936 » Si vede che il « pedagium porte », il dazio sulle merci, doveva produrre maggiormente, mentre il « pedagium vice comitatus » ossia la tassa sulle vendite dava rendita minore. Queste cifre però, come dicemmo, non ci offrono un dato si curo sul reale importo dell’introito annuale. Nel 14-° secolo esso venne stimato 1000 lire l’anno (2). La tariffa era la me desima, il traffico non sarà stato minore nel 14.0 secolo, forse allora i visconti avranno incontrato maggiore difficolta nel l’esazione in confronto colle precedenti epoche. In ogni caso, come è accertato per il dazio di Voltaggi, nel calcolo del va lor.e capitale, si tenne conto d’una minor misura d’interesse. La partecipazione al dazio viscontile fu considerata come un sicuro impiego di capitale, ricercato p. es. anche dalle vedove (3); ma, per contra, era relativamente difficile ad ottenersi. (1) Wolf, Pedaggi, pag. 27-31, Gabelle, pag. 86-90. (2) L. Ped., fog. i34b. (3) Wolf, gabelle, pag. 86: 1248 sett.Jacoba, uxor q. Jacobi Alberici, — 13 — Oltre eli ciò nella stessa Genova le famiglie viscontili riscuotevano dazi di transito sulle strade maestre che conducevano all’ interno , come p. es. a Voltaggi sulla strada per Novi ed a Torriglia per Piacenza. Sulla rendita e sul valore del dazio a Voltaggi possiamo fare calcoli più esatti (i). Nel 1251 la rendita d’un anno fu venduta per 916 lire (2); nel 1222 il dazio capitalizzato è calcolato a L. 24000, nel 1282 L. 19200. Da ciò possiamo dedurre che la capitalizzazione venne fatta sulla base di circa 5 per cento. Vedemmo come nel 1180 un marchese di Malaspina vendette una parte del dazio di Torciglia ad un de Vento di famiglia viscontile. Oltre ai de Vento parteciparono anche altri a questo dazio e specialmente i Balbi, tanto che nel 1258 venne designato come « dazio dei Balbi ». Nel 1258 vengono nominati i seguenti compartecipanti : I Balbi.......con L. 200 I Venti.......» » 180 De Castro......» » 15° De Spinula......» » 100 Gli Ebriaci......» » 5° Merlanus de Mistro ...» »2 5 L- 705 (3)- Dobbiamo ritenere queste 705 lire come la rendita annua del dazio ? Crediamo di sì, stando ciò in armonia colla vendita fatta nel 1278 di 2/s den. in pedagio Torrigte per 40 lire essendo quindi stato stimato il totale L. 14400 (4). compera 2 den. in introitu vicecomitatus per 20 lire, pag. 88: nel 1257, Maria uxor q. Porchetti Strejaporchi, compera 1 iji den. vicecomitatus e 2 1/2 den. ripe. (1) Wolf, Pedaggi, pag. 7. (2) La partecipazione del Comune all’introito, venne stimata nel 1274 a L. 500 annue Cap. II. (3) Notaro Angelus de Sigestri, III, no. (4) Wolf, Pedaggi, pag. 21. 11 carattere di questo dazio a forma di tasso (i) e chiaramente espresso nel documento del 1268. Verso pagamento del dazio i mercanti forestieri acquistavano il salvacondotto. Anzi coloro i quali percepivano questo diritto si obbligavano di fronte ai negozianti di Milano, Cremona e Como , ad indennizzarli nel caso che fossero derubati (2). Tirano esonerati da tale obbligo solo nel caso che i marchesi di Malaspina a-vessero sbarrato la strada e ne avessero data comunicazione ai rispettivi consoli dei mercanti stranieri residenti in Genova. Tali imposte, che in origine non erano altro che il corre-spettivo della protezione legale e della libertà di commercio accordata dai visconti, assunsero col tempo il carattere puramente fiscale. Mentre il Comune s’impose come padrone del mercato , i visconti continuarono a percepire i loro piaggi come un diritto di proprietà privata (3). Il comune tende ad emanciparsi appoggiandosi all' arcivescovo. Diritti finanziari di quest' ultimo. Tutte le entrate di cui parlammo finora, sono di origine feudale ; vediamo ora come il Comune arrivò ad impossessarsi delle finanze. Rotari aveva ridotto Genova a livello d’un villaggio e ne aveva abbattuto le mura. Essa rimase senza difesa fino al io.° secolo, sempre esposta agli assalti dei Saracini che erano padroni del mare, finché poco a poco riacquisto il suo posto di città indipendente, e verso la metà del io.0 secolo fu nuo vamente cinta di mura (4). (1) Sulla differenza di tasse ed imposte : Ricca-Salerno, Scienza delle , finanze, Manuale, Barbera, seconda ed. p. 137. Sul carattere di tassa dei dazi medioevali. Rietschel, Markt u. Stadi, pag. 23. (2) « 111i qui fuerit captus vel impeditus, dabimus sive solvemus in pecunia numerata tantum quantum damnum juraverit ». (3) Evoluzione simile a Dortmund. Frensdorff, Dortmundcr Staiutcn, Hansische Geschichtsquellen, 3, pag. XXXI. (4) Belgrano, Illustrazione, Atti, II, i, pag. 417, nota 1. F. Podestà, II Colle di S. Andrea in Genova, Atti, XXXIII, p. 11. — i5 — Nel 958 i re Berengario e Adalberto concedono ai fedeli abitanti della civitas Januensis un importante privilegio (1). Esso riguarda i possessori di fondi e terreni in Genova e fuori, sia come proprietà assoluta, sia come livelli. Ivi è questione di agricoltura, vigne, prati, pascoli, boschi e selve, mulini e pesca. Tutto ciò dev’essere posseduto dei Genovesi secondo le loro consuetudini ; i passaggi di proprietà per eredità, o, fra viventi, mediante contratto scritto, avranno pieno effetto legale , rinunziando il re a qualunque tassa per simili atti. Se un impiegato od altri infrangessero questa disposizione , verrebbero puniti con un’ ammenda di 1000 libbre di oro , metà delle quali sarebbe devoluta al re , 1’ altra ai Genovesi. Nei 100 anni che seguirono, lo sviluppo del Comune fece grandi passi. Nel 1016 i Genovesi in concorso coi Pisani scacciarono dalla Sardegna i Saraceni che minacciavano di stabilirsi nell’ isola (2). A questa manifestazione di forza al di fuori, corrispondeva lo sviluppo interno. Genova formò entro i limiti della città (infra, civitatem), un diritto di consuetudine proprio, che i marchesi nel 1056 promisero di rispettare nelle sentenze da essi pronunziate (3). Però al nascente comune mancava ancora un organizzazione. Il suo crescente sviluppo, che trovavasi in conflitto colle autorità esistenti, specialmente coi marchesi, metteva il Comune nella necessità di trincerarsi dietro una durevole organizzazione, che gli fu offerta dalla Chiesa. Gl’ interessi del vescovo furono identificati con quelli del Comune , e quegli figurò all’ estero come rappresentante di questo (4). Così re Balduino di Gerusalemme conferì nel 1104 alla Chiesa di S. Lorenzo (5) i privilegi che i Genovesi si erano (1) L. J. I , col. 1 , confronta sopra simili diritti concessi a Savona, Bresslau, Jahrb, I, pag. 40S e 409. (2) Davidsohn, Geschichte voti Florenz, pag. 131. (3) Lastig, pag. 51, Heyck, pag. 10, nota 6. (4) Simile per Firenze, Davidsohn, pag. 334 e segg. (5) L. I, col 16. Lumbroso, Storia dei Genovesi avanti il MC, pagina 65 e segg. specialmente pag. 67. — i6 — meritati per l’aiuto da essi prestato alla conquista di Terra Santa. Il conflitto fra Pisa e Genova riguardo alla Corsica s’inasprì sul punto a quale delle due spettasse il diritto della consacrazione dei vescovi córsi (i). Il territorio di Genova è chiamato semplicemente episcopatus (2), solo più tardi archiepiscopatus, e ancora nel 12.0 secolo ove non si fosse riusciti a formare una compagna 0 un consolato , 1’ arcivescovo rappresentava il Comune in unione a due cittadini per ogni compagna 0 distretto della citta (3). Non si può quindi pensare ad una cessione della Marca al vescovo. I privilegi conferiti da Barbarossa ai marchesi degli Obertenghi, attestano il contrario. La posizione dei vescovi non era basata sopra privilegi, ma sopra fatti (4). Anche i diritti finanziari dell’arcivescovo si spiegano colla sua posizione di proprietario di fondi e quale capo spirituale. L’ arcivescovo possedeva parecchi feudi, p- es< a Nervl e S. Pier d’Arena, nei quali i suoi servi dovevano provvedere per suo conto fieno e castagne (5). Inoltre tanto in Genova quanto nelle riviere , gli competevano numerose rendite che ancora nel 12.0 secolo non erano più corrisposte in natura ma in denaro (6). Vanno specialmente ricordate le rendite dei mulini. (1) Nel X133 il dissidio ebbe termine stabilendo che Genova e Pisa ordinassero ciascuna 3 vescovi in Corsica; la Sardegna passò intei amente sotto la giurisdizione del vescovo di Pisa e perciò Genova venne elevat ad arcivescovado. Davidsohn, pag. 413. (2) L. pedag., fog. 20 « omnes homines exceptis de Episcopatu Janue dant vicecomitatum ». (3) Heyck, pag. 30. (4) H. v. VOLTELiNi, (Miti. d. Insiii. fur ósterv. Geschichtsforschung, Vili, pag. 497) contro Heyck. I visconti nel 12.0 secolo vengono an cora investiti dai marchesi. Essi dipendevano dall’ arcivescovo solo riguardo alla decima. Confr. Lastig, pag. 47; Desimoni, Atti, 1» Pa gina 133. (5) Belgrano, Registro, Atti II, 2, pag. 33. (6) Ivi, pag. 35, la tassa era: « prò porco......soldi III pro mutone......» II pro agno.......denari XII ». Erano pure numerose le decime che l’arcivescovo ritraeva dai frutti dei campi (x). Poi venne anche introdotta la decima del mare. Questa tassa doveva essere pagata sugli utili della navigazione. Ma non potendo essere calcolata sopra una base simile a quella dei frutti dei campi, cioè in natura , come le decime, venne invece percepita dai naviganti come tassa per testa , ovvero come tassa complessiva sulla nave che rimpatriava, sulla cui ripartizione veniva fatto un accordo fra gl’interessati della nave e del carico. La tassa aumentava a norma della lunghezza del viaggio, cioè a norma dei maggiori guadagni. Così p. es. i naviganti per la Corsica pagavano 7 soldi, per la Sardegna 9 , per la Sicilia 11 soldi e 3 denari. Una nave proveniente dagli Stati Saraceni sulla costa di Spagna (Almeira) e sulla costa africana (Bugea, Tunisi, Alessandria) o dal regno di Grecia, doveva pagare 22 V2 soldi. Se il carico consisteva in sale o grano, la tassa per testa veniva pagata in natura (2). A questa imposta erano soggetti tanto i forestieri quanto i Genovesi (3). La decima del mare non era percetta solamente a Genova, ma lungo tutta la costa ligure. Il collettore riceveva in compenso il decimo del ricavato (4). Nel 1241 il dazio di Genova fu concesso a Marino de Bulgaro e consorti come feudo ereditario (5). (1) Ivi, pag. 11 e segg., cap. XXI. (2) Belgrano, Registro, Atti, II, 2 pag. 9-11. « Si vero ex maiori parte fuerint honerate grano , unusquisque homo dare debet minam u-nam ». « Naves que de Sardiuea afferunt salem, III min. pro unoquoque homine ». (3) Cuneo, pag. 256, Doc. XIV, del 1175 : « decima maris.... de fori lanis hominibus qui navigabant cum nostris ». (4) Genua, civica, foliatium [Not. I, f. 31'* 6 decem. 1191 Rolando de Seiestri viene incaricato della percezione delle decime di mare arci-vescovili da Sestri fino a Portovenere « habeat pro se decimam partem collectionis ». (5) Belgrano, Registro, pag. 474. Si tratta non delle decime stesse ma del compenso per la riscossione: « decenum introitus quod ipsius (archiepiscopi) palacium habet in portu Januensi sive pro portu vid. decedi Ili Società Ligure Storia Patria. Voi. XXXV. 4 I nobili g'enovesi stavano a lato della Chiesa quali esattori delle decime, protettori e vassalli. Troviamo specialmente famiglie viscontili come vassalli del vescovo. Non mancarono litigi fra il vescovo ed i suoi dipendenti. I potenti vassalli consegnavano le decime alla Chiesa quando loro piaceva, preferendo tenerle tutte per sè. Però nel 1052 per intromissione dell’ imperatore si venne ad un accordo (1) in virtù del quale i collettori delle decime si obbligarono a consegnarle regolarmente al convento di S. Siro , che conteneva le tombe delle loro famiglie (2). Da allora in poi nobiltà e vescovo trovansi collegati contro i marchesi. Col principio delle crociate la nobiltà genovese, la cui ricchezza dipendeva principalmente dalla proprietà fondiaria, trovò sul mare una fonte ben più feconda (3) ; ma per acquistare influenza all’ estero dovette valersi dell’ appoggio diplomatico del vescovo. Questi, alla sua volta, favorì gli sforzi dei capi del Comune che tendevano ad emanciparsi, perche col loro appoggio egli potè liberarsi da qualunque influenza dei marchesi e diventare così il più potente personaggio di Genova. Organizzazione indipendente della borghesia nella Compagna. Nè la costituzione marchesale, nè 1’ aiuto prestato dal ve scovo, valsero a rendere completamente efficaci gli sforzi della borghesia genovese, nella sua lotta per acquistare la signoria del mare ; essa dovette per conseguenza procurare di formarsi una organizzazione propria indipendente, scopo che consegui num salis....... cuiuslibet alterius biave et denariorum ». Questo diritto sul dazio venne dall’arcivescovo riconosciuto solo per metà ai de Bulgaro l’altra metà rimase in contestazione. (1) Lastig, pag. 47 « prò amore domini imperatoris hoc faciamus »■ (2) « Ubi parentum suorum corpora requiescunt ». (3) Caffaro chiama « multi de melioribus Januensibus » quelli che nel 1097 presero la Croce. Liberatio Orientis, ed. Belg. pag. 102. fino dalla fine dell’ ii.° secolo colla istituzione della Compagna e dei suoi consoli (i). Varie sono le opinioni sulla natura di questa istituzione e perciò dobbiamo anzitutto esaminare la questione e domandarci : Che cosa era la compagna ? Intanto è importante notare che non tutti gli abitanti di Genova appartenevano alla compagna. Solamente chi aveva prestato giuramento alla compagna poteva calcolarvisi ascritto, ed era previsto anche il caso che alcuni , per entrarvi, dovevano essere chiamati dai consoli, mentre altri erano ritenuti assolutamente incapaci, e quindi esclusi dal formar parte di quel consorzio (2). La tendenza però della compagna era di aggregarsi tittti i Genovesi abili alle arvii. Chi non annuiva all’ invito dei consoli a far parte della compagna perdeva il diritto di protezione da essa accordato, era proscritto, fuori della legge, nè poteva partecipare ai vantaggi commerciali che erano riservati ai membri della compagna (3). Ad essa appartenevano prima di tutto i nobili possidenti, alla cui testa stavano le famiglie viscontili (4). Alla compagna non appartenevano quelli che non potevano portare le armi, cioè gli ecclesiastici ; essa comprendeva solamente i laici atti alle armi, cioè dai 16 ai 70 anni. Chi per prove testimoniali o per appariscente caducità, dimostrava d’avere varcato il 70.0 anno, veniva dispensato dal giuramento alla compagna (5). (1) Che i consoli fossero funzionari della compagna e nati con essa, fu luminosamente dimostrato da Heyck pag. 33 e segg. (2) Statuta cotis. 1143, pag. 243, cap. X. Hevd; Unters. iibcr die Ver-fassungsgeschichte Getiuas, pag. 29. (3) Stat, cotis., cap. XIII. (4) Desimoni, Atti, I , pag. 118. Non già che soltanto queste poche famiglie componessero la compagna, come ammette Imperiale, Caffaro, Pa&- 33> 3°5- Gl’introiti del consorzio dei visconti derivanti dalle regalie erano devoluti ad essi medesimi e non al Comune , come dice il suddetto autore pag. 63. Conf. Lib. ped., fog. 42, anno 1236 « qui introitus non est introitus communis nec ad commune spectans , sed singularum personarum ». (5) Wolf, Varia, anno 12S9 « Ab angeriis et avariis et a sacramento compagne ». La compagna era un’associazione giurata fra 1 (icnovesi atti alle armi e fu istituita a tempo limitato cioè a 3, 4 0 5 anni. Dall’anno 1099 in avanti venne rinnovata regolarmente ; ma CAFFARO c’ informa che prima della compagna del 1099 i Genovesi per un anno e mezzo non erano uniti da nessun consolato (1). Da ciò possiamo desumere che nella seconda metà dell’ ii.° secolo compagna e consolato tenevano uniti i Genovesi solamente in determinate occasioni. Quando fu che si presentò una di tali occasioni che diede luogo alla formazione d’una compagna? Gli annali di Caffaro cominciano colla proposizione-« Tempore stoli Cesarie paulo ante in civitate Januensium compagna trium annorum et sex consulum incepta fuit». I consoli stanno alla testa delle schiere e nel 1147» quando trattossi della spedizione contro i Saraceni sulla costa spagnuola, con tro Tortuosa e Almeira, la compagna fu rinnovata in forma solenne (2). Chi si rifiutasse di partire , sarebbe considerato dal governo, riguardo alle imposte, come estraneo alla com Pagna (3). Si vede chiaramente che lo scopo della compagna era 0 stolus, la guerra e specialmente la guerra navale. Rivolgi menti economici mutarono le basi della società genovese, ma il motivo che ad una costituzione fondata sul possesso fon diario, ne subentrò un’ altra, venne offerto dalle guerre, me diante le quali la nuova società, tutta dedita al commercio, potè consolidarsi ed espandersi. Ci mancano notizie sulla organizzazione degli eserciti gè novesi nell’ ii.° secolo, p. es. contro i Saraceni 1015 e I0^ e contro Pisa 1066 e 1078. Possiamo però supporre che 1 an tica organizzazione, con a capo i marchesi ed i visconti, fosse sostituita poco a poco da una nuova, più democratica, nella quale i membri stessi della compagna si sceglievano i Pr0Pn (1) Liberatio Orientis, ed. Belgrano, pag, ni. (2) Annali, pag. 36. « Januenses exercitum super saracenos Alniene jurare fecerunt et parlamentimi, in quo consules..... electi fuerunt ». (3) L- /-, I, col. 130. capi, ossia i consoli. Forse per un certo tempo le due organizzazioni sussistettero contemporaneamente , come fu a Pisa nella guerra contro Tamim nel 1088 , ove alla testa delle truppe trovavasi un visconte , il prode Ugo , valorosamente caduto, mentre sono in pari tempo menzionati i Consoli Pietro e Sismondo (1). Abbiamo dianzi accennato che fra i primi consoli, alcuni di essi appartenevano a famiglie viscontili. Costoro, che, appunto per questo, occupavano le prime cariche nell esercito, preferivano essere, come consoli, condottieri eletti dalla compagna, cioè dalla massa degli uomini d’armi. È degno di particolare menzione il fatto, che la compagna genovese accordava ai suoi membri speciali vantaggi commerciali. Gli stranieri erano esclusi dagli affari « que sint contraria nostris mercibus ». Perchè Genova fino dall ii.° secolo intraprese guerre dispendiose sul mare infido ? Perchè sacrificò le vite e le sostanze dei suoi figli e ia ricchezza dei boschi dei suoi monti ? Tutto ciò fece per contendere ai Sara-cini il dominio dei mari, e procurarsi possibilmente il monopolio del commercio in tutto il nord del bacino occidentale del Mediterraneo. Perciò i membri della compagna si obbligavano di non condurre a Genova nessuno che abitasse fra Genova e l’Arno a oriente e Genova e Caput Liberum a occidente per introdurre merci provenienti dai paesi Saraceni, impegnandosi pure di non trasportare le loro merci a Genova per la via di mare (2). Quegli stranieri erano messi al bando del commercio genovese , al punto che i membri della com- (1) Atti, IV, pag. CCXIX e segg. « Carmen in victoriam Pisanorum » specialmente strofe 21 e 42. Nel 10S5 il commune colloquium civitatis, 1’ organizzazione comunale venne riconosciuta mediante l’arcivescovo. Heyd, Geschichte des Levantehandels, I, pag. 133. Merita osservare che i funzionari di Genova all’estero vennero più tardi spesso nominati « consules e vicecomites » voci usate quasi come sinonimi. Lumbroso, pag. 50, nota 1. (2) Giornale Ligustico, 1S96 , pag. 6S. Erano eccettuati i Pisani, le loro merci e quelle che erano destinate al consumo della popolazione ligure. — 22 — pagna si obbligavano di non fare acquisti da loro all’ estero, quando il pagamento relativo doveva effettuarsi a Genova. Da questa proibizione erano esclusi panno, rame, piombo, ferro, corallo che non erano classificati fra le merci contraria nostris. Gli stranieri a Genova non potevano commerciare con stranieri se non che in oggetti relativi all’armamento ed approvvigionamento delle navi. Solo per questi affari i membri della compagna potevano offrirsi come mediatori. Un Genovese poteva fare acquisti da uno straniero, solamente per sè o per qualche altro consumatore del paese, senza scopo di traffico. Il concorso del capitale nel commercio di Genova era concesso, e per somma limitata, solo a quei forestieri benemeriti della città (i). Lo scopo di queste disposizioni era quello di rendere Genova 1’ emporio del commercio a nord del bacino del Mediterraneo occidentale e di fare usufruire solamente 1 Genovesi dei vantaggi di tale posizione. A questo scopo non potevasi riuscire altrimenti che mediante un’ organizzazione la quale imponesse dei sacrifici ai suoi membri. Ognuno di essi quindi s’impegnava di non fare quei dati affari cogli stranieri, e per evitare spiacevoli conflitti con potenze estere, il membro della compagna obbliga vasi di non armare navi da corsa senza il consenso dei consoli (2). Da tutte queste disposizioni si credette di poter dare alla compagna il carattere d’ un consorzio commerciale 0 di una associazione capitalistica (3). A me sembra però che quelle disposizioni possano anche intendersi come ordinamento di un comune, la cui parte vitale era il commercio e le cui legg1 (0 L- J-i I, col. 169, col. 311. Lastig. pag. 31. Sul diritto degli sha-nieri nelle città medioevali, cfr. Inama-Sternegg, Deutsche Wirtschajts-geschichte, III, 2, pag. 239, 269, nota 2. (2) Giornale ligustico, 1896, pag. 72. (3) Goldschmidt , Universalgeschichte des Handelsrechts, pag. 160, nota 54 ; al contrario Rezasco, Dizionario del linguaggio italiano storico e amministrativo, Firenze, 1881, pag. 232, definisce giustamente la compagna « il populo collegato in società politica ». miravano a conservare alla città il monopolio commerciale. Manca ogni prova che la compagna ad un dato momento fosse costituita da soli uomini di affari , mentre le enunciate disposizioni ce la presentano come una comunione di cittadini atti alle armi. La differenza sostanziale fra la « gilda » inglese e la compagna genovese risulta chiara dal raffronto dei passi dell’opera di LIeyck pag. 31. Il membro della gilda di Leicester giura di indurre altri ad entrare nella gilda « Si ico sasche nul home que marchande deins la frannchise ». Il Genovese deve annunziare ai consoli « Si scivero aliquem a XVI annis usque in LXX non esse de compagna ». La gilda comprende i negozianti, la compagna gli uomini atti alle armi. Vi furono compagne anche negli altri luog'hi della Liguria come Savona, Noli (1), S. Remo e Lavagna, e se queste compagne furono create sull’esempio di quella di Genova, dovevano essere anche rette dai medesimi principi. Consideriamo dunque più davvicino le due compagne di S. Remo e di Lavagna. Anche in queste non tutti i cittadini appartenevano alla compagna, e vi è pure previsto il caso del richiamo da parte dei consoli ai renitenti. Anche in queste 1’ età atta a portare le armi è il carattere che contraddistingue quegli che deve far parte del consorzio. Però lo scopo di questa compagna era molto più modesto di quello della compagna genovese. Poiché se questa tendeva ad avere la supremazia commerciale del nord del bacino occidentale del Mediterraneo , quelli di Lavagna, che si costituivano in compagna, non avevano altra vista che quella di regolare i loro rapporti con Genova (2). E mentre i consoli della compagna genovese osavano competere coll’ imperatore , quelli della compagna di S. Remo non avevano altro da fare che rappresentare i suoi membri presso 1’ arcivescovo ed esercitare una ben limitata polizia sul loro territorio (3). (1) Gandoglia, doc. nolesi, pag. 45. (2) L. J., I, col. 195, anno 1157. (3) Belgrano, illustrazione, Alti, II, i, pag. 476 e 494; Registro, Da quanto rileviamo dalle fonti che trattano della compagna , e dal confronto con altre compagne , vedesi chiaramente che quella genovese era un’organizzazione di cittadini atti alle armi (i), mentre nulla trovasi che possa far considerare la compagna come una « gilda » e nemmeno che, secondo l’opinione esposta da Heyck e Doneaud, essa fosse in origine una società commerciale privata con capitali. Nessuna delle accennate disposizioni del breve della compagna fa motto d’un esercizio commerciale della compagna stessa, ma soltanto regola l’esercizio del commercio dei suoi membri, li vero che si chiamavano compagne anche associazioni con capitali de stinati all’ esercizio del commercio, ma nel breve viene fatta differenza fra la communis compagna che era l’organizzazione comunale e la compagna de pecunia, azienda commerciale e sercitata da privati in comune (2). La compagna venne suddivisa in sotto-compagne, distinte secondo i vari distretti della città. Queste sotto-compagne non erano che sezioni della communis compagna, divise per gruppi di strade contigue (3) e formanti ciascheduna un distretto per l’amministrazione della giustizia e delle imposte. Le sotto-com pagne si suddividevano in due gruppi, uno dei quali, costi tuito da 4 sotto-gruppi, cioè « Castri, S. Laurentii, Macha Atti, II, 2, pag. 120 seg., anno 1143; L. /., I., col. 587. 14 I217’ « breve compagne iuratum ab hominibus Sancti Romuli, quod durat usque ad quinque annos ». L. JI, coi. 755, 6 maggio 1225. (1) Confronta anche L. ]., I, col. 289, anno 1174 dove viene imposl° ai marchési di Malaspina: « Detis communi Janue homines de pkbe Plecanie ad habendum libere ad compagnam et consulatum et castella niam et collectam atque hostem et cavalcatam ». (2) G. Lig., 1896, pag. 68. Sotto il nome di compagna, non solo in tendevasi il consorzio che stringeva fra loro gli uomini d’arme d un co mune, come Genova, Savona, Noli, ma eziandio la lega che questi co muni formavano fra loro; così nel 1198 Savona, Albenga, Portomaurizio e Noli si collegarono in una sola compagna. Nel breve della compagna d’ogni singola città venne assunto l’obbligo di mantenere ferma la compagna conchiusa con gli altri comuni. Gandoglta , Documenti Natesi, pagina 45. (3) Heyck, pag. 160. guane e Platee Longe », formava la città antica, la civitas in senso più ristretto . detta anche Castrum , Palawluvi (i), che giaceva di fronte alla città nuova, il burgum. Alla città nuova, che prima del 1158 non era ancora cinta di mura, appartenevano le compagne di Suxiglia, Porta, Burgum, alle quali nel 1134 venne aggiunta la compagna Porta Nova, come 4. deversus burguvi. Tutto il territorio della città di Genova da « Caput fari » fino al Bisagno, venne chiamato in senso più esteso civitas (2). Quanto ad una netta distinzione fra città vescovile e viscon-tile , come vorrebbe trovare il Lastig , non abbiamo alcuna prova, come dimostra chiaramente il Heyck (3). Episcopatus è il territorio dello Stato, la Marca ; civitas il recinto della città entro il quale si distinguono la città antica, castrum o civitas nel senso limitato (4), e il burgum. Da ciò risultano chiare le funzioni del cintracus il quale emanava gl’inviti a chi doveva far parte del parlamento, solo entro il recinto della città, la civitas e precisamente per burgum et per (1) La voce civitas viene usata regolarmente negli annali, per la citt.i antica, e nel 1155 Caffaro pone di fronte alle compagne versus burgum le compagne versus palazolum. Nel libro del debito stanno di fronte bui -gum e castrum, confronta Sala 42, « compera salis », I, I334-’ <( hoc est cartularium compere salis de quatuor oompagnis deversus castrum, et de quatuor compagnis deversus burgum ». La voce castrum per città antica viene specialmente usata nel breve della compagna, Giorn. Lig. , 1S96, pag. 65. « Ego per civitatem neque per castrum neque per burgum ne-que prò littore maris neque per portum non portabo arma », pag. 70. « Persona que habitet in ista civitate vel in Burgo vel in castro ». Civitas è qui l’idea principale, burgum e castrum le parti della città. (2) Cuneo, Doc. VII, pag. 244, anno 1142. « De guardia civitatis: guardia in castello, guardia in Calignano, guardia ad Manzascum, guardia ad turrem capitis fari ». (3) Heyck, pag. 14 e segg. (4) Civitas significa talvolta tutta la città, talvolta solo la parte vecchia di essa, prima circondata da mura. « Item civitas Astensis habet de mobile...... in civitate et burgis cohaerentibus civitati ». Fragmenta de gestes Astensium. Mon. Hist. patr., Scriptores III, col. 6S5. Similmente ad Aries si trovano come parti della città : civitas, mercatum, burgus vetus et novus. Kiener, Verfassungsgeschichte der Provence, pag. 169. castrum, mentre la notificazione e l’esecuzione di ordinanze o decreti si estendevano al di là di detto recinto, della civitas, cioè all’intero territorio, all’ episcopatus. Come non possiamo fare differenza sostanziale fra le compagne de versus castrum e de versus burgum, altrettanto non si può riconoscere distinzione fra le singole compagne, che erano soltanto sezioni distrettuali. Nel 12° secolo venne disposto che nel caso in cui non si fosse potuto formare una compagna communis, 1’ arcivescovo, coadiuvato da due cittadini d’ogni compagna distrettuale, sarebbe considerato come rappresentante del Comune. In caso di scioglimento della organizzazione comunale , i confini locali rimanevano inalterati. Da ciò non possiamo per altro dedurre che le compagne distrettuali esistessero prima della compagna communis e che per conseguenza questa sia nata da quelle (1). Dal fatto che fino al 12.0 secolo era previsto il caso dello scioglimento della compagna, senza farlo seguire dalla for mazione di una nuova, possiamo concludere che prima la compagna si scioglieva subito dopo il termine di una guerra, e che, senza nuove ostilità, non veniva ricostituita. Del pari non avranno da principio appartenuto alla compagna tutti 1 cittadini abili alle armi ; forse saranno rimasti indietro tutti 1 partigiani dei marchesi 0 quelli che volevano sottrarsi al ser vizio militare, senza che ancora ci potessero essere costretti. La compagna sarà stata in origine composta da quella parte della borghesia e aderenti, che animati da spirito intrapren dente, interessati nelle speculazioni commerciali, si attende vano speciali vantaggi da una fortunata guerra navale. In fatti nel 1097 quando il papa invitò i Genovesi alla crociata, vediamo come solo multi de melioribus Januensibus pren (1) L’opinione di Heyck, pag. 291 e segg., e di Doneaud pag* 7r> c^ie la communis compagna sia nata dalle singole compagne e che fossero so cietà organizzate con capitali, si basa sull’ appendice II del citato documento. Ma qui non è questione di afifari commerciali intrapresi, nè d’una compagna distrettuale, ma bensì d’ una imposta (collecta non collatio come lesse Doneaud), che era ripartita a guisa delle compagne, cioè per distretti. dessero le armi (i). Si fu soltanto nel iioo che la compagna diventò ima istituzione stabile, che veniva di poi regolarmente rinnovata. Essa comprendeva tutta la cittadinanza, si era identificata col Comune perciò pretendeva il diritto di chiamare sotto le armi, di citare in giudizio e la sovranità sulle finanze. Questa signoria non si limitò come i diritti del 1056 alla città, ma venne esteso dal Comune al distretto, da Gesta a Robo-retum , dal monte al mare , territorio che abbracciava quasi tutta l’antica contea. Tutti gli abitanti di questo territorio, che aveano prestato giuramento alla compagna, erano considerati cittadini genovesi (2). Genova estende la signoria sulla Liguria, si emancipa dai marchesi, lasciando invece sussistere i diritti dei visconti e deH'ardvescovo. Nel corso del 12° secolo Genova estese il suo dominio su tutta la Liguria da Monaco a Portovenere. Essa raggiunse questo scopo in parte colla forza delle armi e in parte colle arti della pace , imponendosi come arbitra nelle contese fra marchesi e Comune (3). Marchesi e conti furono costretti ad entrare nella compagna genovese (4), mentre coi Comuni vennero stipulate speciali conventiones (5) e i cittadini di questi comuni resi soggetti a Genova furono chiamati conventionati. (1) Caffaro, Liberatio orientis, ed. Belgrano, pag. 102, furono armate 12 galere, e 27 nel 1100. (2) Caro, Geima unter devi Podestà, pag. n e 12. (3) P. es. nella contesa fra Noli ed il marchese di Savona. Sentenza arbitrale del 2 febb. 1171, Gandoglia, Doc. Nolesi, pag. 11. Con ragione Caro, Costit., pag. 19, paragonò 1’ ampliamento del territorio genovese con quello d’ un territorio tedesco. Tendenze simili a Ulm, che compra, 1382, il contado dai conti Helfenstein , Dortmund che compra, 1343» metà del contado. (4) P. es. nel 1135 il marchese Alderamo, nel 1146 il conte di Venti-miglia, nel 1154 i marchesi Enrico, Ottone e Manfredo di Loreto. Caro, pag. 13-14. (5) Con Savona nel 1153, con Albenga nel 1179, con Diano nel H99> Caro , pag. 14 e 16. Confronta « de immunitatibus a magistratu divi 1 — 28 — Ai comuni assoggettati di ponente, ove trovavansi forti città, come Savona, furono concesse maggiori liberta. Più tardi Genova si limitò alla nomina del Podestà , o , come a Savona, a confermarlo. I comuni mantenevano un sistema indipendente d’imposte (i) e solo per eccezione nel 1222, Genova riscosse le entrate della ribelle Ventimiglia (2). Essa aveva imposto a tutti i Liguri 1’ obbligo d’ aiutarla contro i suoi nemici, cioè di fornirle rinforzi in caso di guerra, e di osservare le restrizioni commerciali decretate contro le popolazioni ostili (3). Tutti dovevano inoltre assoggettarsi al monopolio del sale e al diritto di scalo di Genova. Ogni nave ligure che dirige-vasi in alto mare doveva salpare da Genova. Ai non Genovesi rimaneva libera la navigazione costiera e quella a lungo corso durante l’inverno (4). Georgii concessis, Genua 1593 » dove è fatta menzione di precedenti convenzioni. (1) Le gabelle di Albenga dell’anno 1288 ci sono riferite da G. Rossi negli Statuti della Liguria, Atti della Soc. Lig. di Storia Patria, XIV, pag. 222, (libro III, cap. 91-102). Albenga si distingueva già fino da allora per industrie di lino, lana e seta. Ivi pag. 212 , I, 38-461 Pa»- 2I3> I, 52- — Ivi, Gabelle di Apricale del 1267 , pag. 208, N. 73- — Sulle imposte di Ventimiglia. Confronta Rossi, Storia della Città di Venti-miglia , pag. 180, nota 2. — A Portomaurizio sono nominate nel 1253 « gabella panis 22 L. 10 s., carnium 17 L. 10 s., porcorum vivorum 4 L. i s. » (Notaro Vataggio, 1, 39, Genova, Arch. di Stato). I'1 Albisola vengono imposti : « Pedagium, fodrum, pascamen boschi, pos tonatum, annona, successio habitatorum »; in Varazze: « lezia vel gom betum grani, pedagium grossum et minutum, ripa maris et terra, vinti num et godia lignorum que vendentur in Varagine ». La totalità delle entrate di Varazze fu nel 1284 venduta all’incanto per 150 lire. (Uoi-N pedaggi, pag. 2). Sopra Albizola confr. anche L. /., I, col. U75 > ann0 I253‘i Curia Pereti-, ivi col. 701, anno 1223. (2) Caro, pag. 156-7, nota 29. (3) Genova, Archivio di Stato, Manuscr, N. 101, Conventio Diam 21 sett. 1199, fog. 8: « guerram vivam contra omnes homines faciemus.... in ordinatione et mandato potestatis vel consulum communis Janue..., et specialiter contra Ventimilienses, nec mercatum eis dabimus nec dari faciemus nec consentiemus ». (4) Caro, pag. 14. Invece non pagavano alcun dazio a Genova le merci delle città limitrofe , cioè Levanto e Portovenere a oriente e Varazze, Noli, Diano, Portomaurizio e Taggia a occidente, quando queste merci venendo dall’ alto mare erano destinate per il consumo di questi paesi, o che partivano da essi dirette per 1 alto mare. In questo caso Genova si contentava che fosse riconosciuto il suo diritto di scalo e assoggettava al dazio solamente quelle merci che transitando per la Liguria , erano destinate per la Lombardia, per la Francia e viceversa (i). Oltre agli obblighi militari, i comuni della riviera di ponente, erano soggetti all’ imposta diretta. Del resto le disposizioni erano molteplici e variabili. Durante tutto il medio evo la riviera di ponente al di là di Voltri, fu soggetta al sistema d’imposte di Genova, solamente riguardo al monopolio del sale. A. nord e ad ovest Genova si contenne con minori riguardi. La sicurezza delle strade commerciali , specialmente quella per Chiavari a Lucca , e quella di Val Polcevera per la Lombardia, era questione vitale per il commercio di Genova. Essa poneva ogni cura per mantenere queste vie libere da tutte quelle tasse arbitrarie che non affluivano alle sue casse (2). In questo periodo non fu possibile al Comune di sopprimere i diritti finanziari che spettavano al marchese di Malaspina , mentre furono resi soggetti i conti di Lavagna (3) ed i marchesi di Gavi (4). Questi dovettero entrare nella compagna ; acquistarono beni in città , e da allora in poi formarono parte dell’ aristocrazia genovese. Nel 1121 Genova ebbe pure il castello di Voltaggi (5) e munì di fortezze la strada di Chiavari. I Liguri dimoranti da Chiavari fino a Portovenere furono considerati cittadini genovesi (6). (1) De immunitatibus a Magistratu divi Georgii concessis liber, Genova , 1593- (2) L. J, col. 206, anno 1159. (3) Ann. ed. Belg., pag. 15; L.J., I, col. 5S. (4) Mon. Geriti., SS. XXIII, col 119. (5) A?m. ed. Belgrano, pag. 17. (6) Caro, pag. 11, ■ — ÌO — i Solo le città di confine a levante, come Portovenere, rimasero in posizione più libera ed erano convcntionati, mentre gli altri territori ad oriente ed a settentrione rimasero interamente soggetti alle imposte genovesi. Dal 1022 in poi Genova ritraeva, oltre che il dazio di Voltaggi, anche la metà del- 1 introito del dazio di Gavi. Alle pretese dei marchesi, Genova oppose persino le armi, e sulla costa d’occidente ottenne importanti risultati finanziari solo col diritto del più forte, mentre le imposte devolute ai visconti non furono toccate neppure in città. Nessuna meraviglia! Poiché mentre i marchesi erano gli avversari giurati della compagna, i visconti vi stavano alla testa. Nel 1102 di 4 consoli, 3 erano di famiglie viscontili (1). Quando il Comune accordò franchigia d’imposte a stranieri, come agli a-bitanti di Narbonne e Montpellier, i diritti dei visconti rimasero impregiudicati (2) e quando nel 1127 pure Alessandria venne esonerata dai diritti dei visconti, ciò avvenne previo accordo con essi (3). I visconti poterono sempre riscuotere i loro dazi, finche non ne derivò danno al Comune il quale voleva sempre a-vere la sovranità sulla finanza (4). E ancorché il Comune lasciasse incassare ai visconti le tasse dei banchi di carne, come un diritto privato, pur tuttavia esso disponeva dei posti dove dovevano essere collocati. Altrettanto bonariamente si comportò la compagna riguardo ai diritti dell’ arcivescovo. Questi era al di fuori un influente rappresentante della potestà di Genova, nè mancò d’intromettersi utilmente anche in qualche caso di interne difficolta (5)-Perciò i Consoli anzitutto giuravano di proteggere la dignità dell arcivescovo (6), aiutandolo aella riscossione delle sue ren- (1) Olivieri, Serie, Atti I, pag. 231. (2) L. I, col. 295, 1174 : col. 761, anno 1225. (3) L. J., I, col. 782, anno 1227. (4) L. /., I, col. 32, anno 1128, « Non ut in aliquo noceat adversum commune huius civitatis ». (5) C. Imperiale, pag. 43. (6) Stat. Consulatus, cap, I, leg, munic. pag. 242. _ 3i — dite, e specialmente della decima del mare (i). Anzi l’obbligo dei Genovesi di pagare le decime fu introdotto nel breve della compagna (2). Però anche in questi casi i Consoli mantenevano ferma la loro sovranità sulla finanza. Essi si arrogarono il diritto di disporre del denaro che percepiva la Chiesa. Così p. es. nel 1174 essi ordinarono che un decimo dei legati lasciati a scopi pii e la metà delle decime spettanti ai canonici di S. Lorenzo, fossero destinati ai fondi per la costruzione di S. Lorenzo (3). Questa decisione non fu presa solamente in riguardo dell’importanza della Chiesa, ma eziandio nell’ interesse dello Stato, perchè sotto i portici di S. Lorenzo convocavasi la cittadinanza, ossia il parlamento. Finanze del comune, patrimonio, dazi, diritti di pesatura. Quantunque un numero importante di regalie fosse rimasto in possesso dei visconti come diritto privato, anche il Comune, usando del suo diritto di sovranità, potè costituirsi una finanza propria. Il Comune possedeva un patrimonio di fondi (4), fra i quali avevano speciale importanza quelli posti sulle rive del mare, sulle cui spiaggie si erigevano banchine e cantieri da costruzione. Il Comune aumentò poi i suoi possedimenti in quelle località mediante acquisti di terreni (5). Possedeva pure i mulini di Castelletto. Genova diventò anche proprietaria di parecchi castelli dai quali ritraeva le imposte che vi erano annesse (6), come peti) Cuneo, pag. 256, Doc. XIV, anno 1175; Atti, XVIII, pag. 435, Secondo registro della Curia arcivescovile, 1257. Un « consul de justitia civitatis » sentenzia il pagamento del drictus maris all’arcivescovo. (2) Atti II, 2, pag. 389, anno 1166. (3) L. J., I, col. 286. (4) L. I, col. 46, anno 1134, col. 47, col. 72, 1141. (5) -£• ./•> I> c°l- 215. « Pro novis scariis faciundis ». (6) P. es. da Voltaggi e da Andoria. Andoria venne acquistato nel 1252 contro Sooo lire dai marchesi di Clavexana. Genova ritraeva annual- daggi, dazi di transito, che vennero considerati di pertinenza del fondo a traverso il quale passava la strada (i). I dazi di Gavi e Voltaggi meritano speciale menzione. Molti dati inducono a ritenere che i marchesi di Gavi, non appartenessero alla stirpe degli Obertenghi, ma bensì a quella degli Aleramo dominante a Savona (2). Sul dazio di Voltaggi aveano parte i marchesi di Bosco, che certamente provenivano dagli Aleramo (3). Può darsi che la valle verso nord del fiume Lemme non appartenesse alla contea di Genova. Mentre l’invadente Comune doveva temere i marchesi sulla strada di Piacenza e nella valle della Scrivia, esso si assicuro dai più deboli marchesi di Gavi (4) una via verso nord. Le tariffe che ci rimasero ascendono al principio del tre dicesimo secolo (5). Secondo quelle tariffe, Genova doveva di videre il ricavato del dazio di Gavi coi marchesi di Gavi, e quello del dazio di Voltaggi con quibusdam nobilibus Janue. Questi nobiles sono gli stessi che possedevano le imposte vi scontili in Genova (6). Ciò non deve però far credere che mente L. 300 da questo comune. L’ esazione rimase agli Andoriesi, c ^ svilupparono un sistema proprio d’imposte. L.J., L c°l- ’ e& comp. cap., fog. 294 e segg. (1) Caro. Genua unter dem Podestà, pag. 155, nota 26. (2) H. Bresslau, Jahrbùcher, I, pag. 423. Effettivamente anche 1 m chesi Obertenghi di Massa aveano la loro parte sui dazi di Gavi poi nel 1223 venne fatta una convenzione di cessione di questa parte per 1 lire annue, Mon. Germ., Scriptores, XVIII, 154, L. J-, 11 • coL f ' " questo caso speciale è difficile stabilire se questa partecipazione derivas da una porzione d’eredità, 0 da acquisto posteriore. (3) Lib. ped., fog. 8. (4) Fu Napoleone che riordinò la strada per Novi a traverso la valle della Scrivia. (5) Guillelmus Spinula, che è citato nel lib. ped., fog- 5> era ne^ J2° . « consul de communi ». Olivieri, Serie, Atti I, pag. 4l8 ! ' marcheM Enrico e Ottone di Carreto, citati al fog. 14, sono i figli di Enric0 1 Guercius e compariscono nei documenti fino dal 1186 e 1188. Gandoglia, doc. no lesi, pag. 16 e 19. (6) Wolf, pedaggi, pag. 7. Lanfrancus de Volta vende */2, Ve e V7 den. di partecipazione al dazio di Voltaggi e « in pedagio porte septenam de tertia parte unius denaris minus quinta ». questi nobili , come visconti, fossero funzionari dei marchesi di Gavi ; ma è supponibile che essi in un momento in cui le finanze del Comune non erano ancora completamente organizzate, abbiano partecipato al prodotto dei dazi. Fu solo nel 1121 che il Comune estese la sua sovranità ultra tugum. I dazi di Gavi e Voltaggi erano probabilmente in origine puri dazi di transito che venivano incassati sui ponti del fiume Lemme. Però dalle tariffe chiara apparisce la tendenza di mettere questi dazi in armonia col sistema di tasse del Comune. Infatti i Genovesi dovevano pagare a Voltaggi la differenza, che in confronto dei forestieri, avevano pagato in meno a Genova per il diritto di introitus porte (i). Questi dazi diventarono poi dazi di confine. Perciò il dazio di Voltaggi veniva esatto anche quando le merci prendevano una via diversa da quella di Voltaggi sia per terra sia per mare (2). I Genovesi erano franchi di questa gravezza « prò parte communis », solo per i viaggi che , prendendo 1’ alto mare , erano destinati per al di là di Salo (punto di confine meridionale della costa orientale cristiana di Spagna) e per Maiorca, perchè in questo caso il « pedagium Vultabii » concorreva in un’ altra tassa cioè nel denarii maris (3). Gli abitanti delle località prossime a Voltaggi, come quelle del marchesato di Guascho, quelli di Alba, Spignum, Ponzo-num, Ovada, Vultabium stesso, Palodium, Gavium, Carpata e quelli de burgo Guillelmi Spimele, erano esenti da dazio per articoli di proprio consumo (4). Come quello di Voltaggi, anche il dazio di Gavi era dazio di confine, che veniva percepito non solamente a Gavi, ma (1) Lib. ped., fog. 5: « tantum plus quantum accipitur a foritanis hominibus pro porta vel ripa vicecomitum ». (2) Lib. ped., fog. 6 b. : « de saumis transmissis per aliam stratam quam per illam Vultabii, per mare vel per terram similiter debet colligi et accipi dictum pedagium ». (3) Lib. ped., fog. 8. (4) Ivi, fog. 4 e 5. Atti Società Ligule Storia Patria. Voi. XXXV. 5 1 — 34 — anche a Voltri (i) sulla strada di ponente. Oltre a queste due stazioni daziarie , ne vengono citate due in Genova stessa, cioè una a Porta dei Vacca verso ponente e un’altra al ponte che metteva al mare (2). Però , che i dazi di Gavi e di Voltaggi fossero dazi di confine, da pagarsi cioè tanto in entrata quanto in uscita, è un concetto che andò formandosi poco a poco nel 13.0 secolo. Le tariffe si prestavano a questa interpretazione e gli appaltatori del dazio vi persistevano; però nel 1237 il tribunale assolse dal pagamento del dazio alcuni negozianti di Montpellier, che avevano spedito merci per mare, perchè poterono dimostrare, sotto vincolo di giuramento, che la via del mare non era in fraìidem del dazio di Voltaggi (3). Sopra questi dazi dobbiamo ancora osservare in particolare quanto segue: A Voltaggi si prendevano 16 denari pavesi per ogni soma di 18 rubi che veniva spedita da Genova per la Lombardia o viceversa. Genovesi e stranieri erano egualmente obbligati al dazio, dal quale erano esenti soltanto sale e grano. Chi faceva il viaggio d’andata e ritorno pagava una volta soltanto. Questo privilegio del retornum non era goduto soltanto dal negoziante che andava a Genova e ritornava indietro colla stessa merce, ma ne era pure partecipe il suo socùts ed anche le merci acquistate all’incanto col ricavato delle merci vendute a Genova (4). (1) Wolf, Pedaggi, pag. 13, 1254: « pedagium Gavii, quod colligitur apud Vulturum ». (2) Fol. Not. (Civica), III, 2, fog. 28: « qui introitus colligitur ad pontum pedagii de mari, ad portam vaccharum et in burgo Gavii et Vulturis et in aliis locis ». (3) A. Germain, Hisloire du commerce de Montpellier, I, pag. 200; Caro, Genova unter dem Podestà, pag. 126, nota 27. (4) « Si socium dimiserit in Janua antequam vadat de archiepiscopatu Janue qui habebit partem secum in saumis vel torsellis intus delatis, potest excusare vel habere retornum sicut ipse habere poterit de saumis vel cargiis extra Januam transmittendis vel portandis que ad eos pertineant solummodo vel ad alios similiter socios participes in saumis vel torsellis seu cargiis intus et extra delatis..... ». « Potest ipse hospes vel a- — 35 — Il prodotto dei dazi di Voltaggi pagati dagli stranieri andava diviso fra il governo e gli eredi delle famiglie viscontili (i), mentre quello pagato dai Genovesi era tutto per il governo (2). In Gavi si tassava di 27 den. pavesi la soma di 18 rubi, convertiti poi nel 1353 in 16 */2 den. genovesi (3). Il valore capitalizzato del dazio viene dato dalle cifre seguenti : Luglio x 268 2 den. (4) 200 L. 1’ intero 24000 L. 28 I 269 4 » 400 » » 24000 » 12 77 1 » 80 » » 19200 » 12 » 1 » 65 » » 15600 » 00 4 » 320 » » 19200 » m ►H 1284 2 » (5) 120 » » 14400 » 00 1 7» » 9i Vs » » 14640 » M 1292 X » 68 » » 16320 » La parte del prodotto annuo spettante ai marchesi è calcolata pel 1231 a L. 312 (6); dunque in tutto circa L. 700. Nel 1274 la parte del dazio di Gavi di spettanza del governo, venne stimata L. 7 10 (7), mentre nel 1337 l’incanto dei pedaggi di Gavi e Voltaggi (sola parte del governo) raggiunse soltanto L. 650 (8). micus eius mittere saumas vel cargias ad ipsum emptas de pecunia ipsius hominis vel ex illa que precesserit de torsellis vel saumis suis in Januam delatis et transmissis eidem hospiti vel amico suo, et habere retornum ». Lib. ped., fog. 1. (1) « Quidam nobiles Janue ». V. sopra, pag. 32. (2) Il così detto « pontonum, quod accipitur pro ponderatura ». Lib. ped., fog. 8. (3) Genova, Arch. di Stato, Membr. XXI (28). Institutiones Venditionum gabelle gualdorum et introitus pedagii Vultabii et Gavii, fol. 18 b. (4) « Jus percipiendi 2 den. de qualibet libra, ubicunque dictum pedagium colligitur ». Wolf, pedaggi, pag. 17. (5) « In pedagio Gavii, quod colligitur et colligi consuevit Janue apud portam vaccarum et in ripa maris ». Ivi pag. 19. (6) Wolf, pedaggi, pag. 19. (7) Confr. cap. II, pag. 81. (8) Lib. ped., fog. 16. La divisione del dazio di Gavi fra Genova e i marchesi veniva fatta nel rapporto di 7:6. Inoltre il governo genovese defalcava 1 denaro per ogni soma a vantaggio delle sue stazioni daziarie , e solo quando i mulattieri prendevano una strada diversa da quella di Lortona, questo beneficio del comune non aveva luogo (1). A questi dazi se ne aggiunse un terzo nel 12x4, quello cioè di Portovenere che chiudeva il confine ad oriente (2). Ai dazi imposti dalla parte di terra (pedaticum), facevano riscontro le tasse che dovevano pagare quelli che venivano ed andavano per mare (ribaticum). Ogni Genovese doveva pagare una tassa per la manutenzione del porto , del molo e della lanterna, tassa che veniva riscossa contemporaneamente alla decima del mare (3). Nei dazi marittimi gli stranieri e-rano trattati più duramente dei Genovesi. Furono conchiusi trattati con città straniere a condizioni diverse, quantunque tutte basate sopra un unico principio di politica daziaria (4), in armonia colla politica commerciale che risulta dal breve della compagna e in certo modo in opposizione alle tendenze della tariffa viscontile. Le imposte viscontili ed i dazi di Gavi e Voltaggi erano puramente fiscali, mentre il sistema d’imposte del Comune nel 13.0 secolo, colle sue tariffe differenziali, venne fissato sopra motivi di politica commerciale. La tariffa viscontile aveva principalmente in mira gli tanti delle coste cristiane più vicine. Essa prevedeva per gh stranieri che venivano da colà, per la via di mare, solamente una tassa per testa, una specie di salvacondotto, mentre a tassa più onerosa, 1’ introitus porte, veniva esatta all uscita, (1) Ivi. fog-. 10 b. (2) Richerius , Index II, pag. 1184, 1214, « pedagium novum de Portu Veneris ». (3) Cuneo, pag. 241. Doc. IV, 1x33, L. /., I, col. 63, anno H39‘ « In ecclesia S. Laurentii consules laudantes affirmaverunt omnia litora maris de januensi episcopatu sint de ecclesia S. Laurentii et de molo et portu ad faciendum ac edificandum in predictis litoribus quicquid pre dicte ecclesie et molo et portu et communi necesse fuerit ». (4) Caro, pag. 82. nota 39. — 37 — quando, per mo’ di dire, essi si erano bene impinguati a Genova. 11 governo genovese del 12.0 secolo trattava tutto al contrario i forestieri che volevano introdurre merci dagli Stati saraceni o dall Oriente per essere rispedite altrove. Tali merci erano colpite da un dazio d’importazione a dirittura proibitivo; così p. es. i Veneziani dovevano pagare 20 per cento del valore della merce (1). L’importazione dal mare doveva rimanere per quanto possibile nelle mani dei Genovesi. Invece i forestieri erano favoriti per l’esportazione, ed in particolare gli abitanti della Liguria e della Provenza erano completamente esenti da dazio per oggetti di loro consumo. Genova doveva essere l’emporio per provvedere ai bisogni dei paesi circostanti. Venezia seguì una politica commerciale del tutto simile (2). Genovesi e Veneziani, che pur si acquistavano all’estero privilegi commerciali , o per via diplomatica, o colla forza delle armi, ponevano ogni sorta di ostacoli alla navigazione degli stranieri nei loro Stati. Il nord del bacino occidentale del Mediterraneo per Genova e il golfo Adriatico per Venezia dovevano essere per essi rispettivamente un mare clausum. A tale scopo s’informavano i decreti, le leggi, le ordinanze e la politica finanziaria delle due repubbliche, dietro cui stavano sempre a tutela le rispettive flotte. I da2i marittimi istituiti dal Comune di Genova nel 12.0 secolo, sono interessanti anche dal lato tecnico. I dazi di Gavi e Voltaggi colpivano all’ ingrosso qualunque soma che presentasse un certo peso. In altri dazi venne tentata una specificazione delle merci. Così nel pedagium porte i diversi gruppi vennero tassati in modo diverso. Similmente una tariffa del 1245 (3) distingue la bona soma, cioè pepe, spezierie, cera, (1) Caro, Verfassung , pag. 159 , nota 39. I Veneziani per l’importazione dalla parte di terra solo 2 J/2 °/0; nel 1251 l’imposta per importazione dalla parte di mare venne portata al 50 °/0, alla metà del valore della merce introdotta; gli Anconitani pagavano per l’importazione, 5 °/o per terra, 10 °/o Per mare- (2) S. Cognetti de Martiis, / due sistemi della politica commerciale, Torino, 1896, specialmente pag. CCXXIX. (3) Genova, Arch. di Stato. Not. Jan. da Predono , 192 confr. pagina 60, nota 2. - 38 - panni, che paga 2 soldi, dalla mìnus bona soma, cioè ferro, stagno, rame, lana, olio, pesci, che paga la metà cioè 12 denari. Il negoziante comune paga 3 soldi, mentre il cambiavalute ne paga 5 ; e così pure la tassa dell’ animale da soma (roncinus) è di 3 soldi, quella del cavallo da sella (destrarius) di 5 soldi. All’ incontro nei dazi marittimi, da queste specificazioni si passò ad una tassazione secondo il valore. Oltre alle imposte che gravavano il commercio, altre ve n’erano che colpivano il consumo. Furono assoggettati a dazio grano — che Genova importava sempre dalla Sicilia e dalla Provenza — vino ed olio. La tassa sul sale venne nel 1152 fissata come tassa di monopolio (1). Tanto nell’ importazione quanto nell’ esportazione , come pure nella vendita delle merci, venne istituita la pubblica pesatura. Misura e bilancia non erano più in mano dei visconti, il Comune ne aveva assunta 1’ amministrazione , come e provato da un decreto dei Consoli dell’anno n 33 (2)- Probabilmente tutte le merci introdotte in Genova, od al meno tutte quelle introdotte dagli stranieri, dovevano passare per la pesatura comunale, ove, oltre la tassa di pesatura, e sigevasi pure il dazio. Almeno nelle tariffe del H49 ® sPe cialmente notato che il miele importato dovesse pagare, an corchè non pesato (3). Nelle tasse di pesatura i Genovesi erano favoriti in con fronto degli stranieri (4). Quando la merce era pesata e daziata, veniva rilasciato un certificato di libero passaggio (5). Tanto nell’importazione (1) In Blumenthal, pag. 63 e segg., troviamo una enumerazione più completa delle gabelle del 12.0 secolo, quantunque vi si trovi qualche er rore come : i.° L 'introitus viarcharurn (pag. 63), non è un dazio di con fine, ma una competenza di stazatura, come risulta dalle tariffe posteriori, 2.0 Navis cooperta cum duobus coopertis citata nella tariffa del H49 > ® una nave a doppio ponte, e non tre navi viaggianti di conserva (pag- ^4Ì- 3.0 Pancogoti (pag. 68, nota 4) si chiamavano a Genova i fornai. (2) L. /., col. 44. (3) L. /., I, col. 143 « sive mensuretur sive non ». (4) Blumenthal, pag. 67. (5) Richekius, Index, II, pag. 1215, anno 1268 « Noverint universi - 39 — quanto nell’ esportazione delle merci doveva pagare il detentore o il vettore che poi face vasi rifondere dal ricevitore. Ci è rimasto un documento nel quale alcuni negozianti dell’ interno , specialmente di Asti, sporgono lagnanze contro una associazione di vettori, organizzata coi rispettivi consoli (consules mulionum) , perchè credevano che questa associazione calcolasse a proprio vantaggio una competenza maggiore di quella stabilita per la pesatura (i). Parecchie denominazioni di dazi e diritti di vendita, accennano a questo pagamento collettivo del dazio e della pesatura. Troviamo p. es. un introitus minae e quartinus de ripa (2) ; mina e quartino sono le misure di capacità secondo le quali venivano misurati grano, sale e vino (3). Abbiamo pure una tariffa del 1140 del cantarus e rubus per le merci che dovevano essere vendute a peso. La tassa era unica cioè di 4 denari il cantaras (4). Altrettanto esige-vasi per il cantarus di ferro ; ma questa tassa era specialmente distinta col nome di introitus ferri. \ I panni venivano misurati a canna (5). E noto che nel medio evo in ogni città eravi, per i panni, una misura fissata dall’autorità (6), e che i contratti venivano fatti secondo tale misura. Prima della vendita essi erano misurati e sulla misura applicavasi 1’introitus canne (7). quod Richus de Florentia emit Janue res infrascriptas et de ipsis drictum solvit communi Janue ». (1) Notaro Ghib. de Nervi , I, pag. 23 , 1246 « occasione ponderationis quam dicunt muliones se debere facere de faxis canabis et canaba-ciarum quas Januam per mare deferri facimus ». (2) Blumenthal, pag. 71. (3) P. Rocca, Pesi e misure antiche dì Genova, (1871), pag. 96. Una mina aveva 2 quartini o 96 gombete. La mina del 1264 equivaleva a 91,63 1., pag. 109. (4) Cuneo , pag. 10 , Rocca , pag. 109, il cantarus aveva 6 rubi da 25 libre, la libra pesava 318 gr. il cantarus 47,7 kg. (5) La canna aveva 10 palmi ed era eguale a 2,48 m. Rocca, pag. 58. (6) Troviamo spesso collezioni delle diverse misure dei panni. Per es. Genova , Arch. di Stato Membr. 22 (XIX), fog. 50 b , segg. Tariffe della gabella censaria. (7) Un quadro chiaro delle imposte del commercio di Colonia nel — 40 — Le tasse citate perdettero col tempo il carattere di competenze e diventarono imposte commerciali, ad eccezione della tassa di stazatura, ossia 1 'introitus marcharuw, che ancora nel 14.0 secolo era ritenuta competenza (1). Misure e pesi dovevano regolarsi secondo i campioni normali custoditi nella sa-cristia di S. Lorenzo (2). Al governo premeva che le merci venissero sul mercato in peso e misure determinati, non solamente nell interesse del compratore all’ atto della vendita, ma anche per proprio c0' modo, perchè essendo i dazi ed i pedaggi stabiliti secondo il peso, gl’importi relativi venivano più facilmente calcolati e pagati sopra quantità fisse (3). Però se da una parte il governo procurava di rendere ob bligatorio l’uso della pubblica pesatura (4) non voleva d altra parte limitare sul mercato la vendita delle merci introdotte, p. es. del grano (5). Il riconoscimento da parte deir Imperatore* Il Comune mettendo imposte per proprio conto, arrogando a se la sovranità del mercato, sui pesi, sulle misure, aveva usurpato le regalie che competevano al supremo potere dello Stato, cioè all’imperatore ed ai suoi funzionari. Nell epoca m cui i comuni italiani ricevevano il massimo incremento, gl nn peratori tedeschi solo da lontano lottavano contro le pretese del papa e poco si curavano direttamente degli affari d I 14.0 secolo ci è dato da R. Knipping, Ein mittelalterlicher Jahreshciushalt der Stadt Koln, pag. 155 e segg. (1) « Quodammodo merces seu premium laboris ponderatorum »• Ge nova, Arch. di Stato, Memb. 78, Reg. cons., cal. B, II, c. 16. (2) Rocca, pag, 7. (3) Confr. la « soma de rubis 18 » nelle tariffe di Gavi e Voltaggi* (4) Confr. per Varazze: « nemo debeat emere vel vendere granum vel aliam blavam nisi impleta et justa mensura curie, in qua habere de beant ipsi domini leziam vel gombetum in banno ad voluntatem ipsorum dominorum ». Wolf, pedaggi, 1894. (5) L. I, col. 143, anno 1149 « quocunque loco vendantur ». — 4i — talia. Solo Federico Barbarossa, sorretto dalla nuova casta dei ministeriali, potè far sentire la sua voce potente anche in Italia. Fino dalla sua prima spedizione di Roma del 1155 , egli trattò con Genova dei diritti imperiali sulla città (1). Genova non potè far valere che un privilegio di Corrado III riguardo alla Zecca (2), ma per le altre regalie alle pretese dell’ imperatore oppose quelle del comune. E fu allora che il governo genovese trovò opportuno, per difendersi da un eventuale attacco dell’ imperatore, di dar principio alla costruzione di una nuova mura intorno la città, che abbracciasse anche i 4 quartieri de versus burgum, fino allora indifesi (3). Allorquando l’imperatore scese per la seconda volta in Italia con grandi forze d’armi, fece annunziare dai dottori bolognesi, raccolti nel 1158 al congresso di Roncaglia, ciò che dovevasi intendere per quelle regalie , sulle quali egli sollevava le sue pretese , esigendo per di più, come signore del paese, un tributo annuo da ogni singola città. Anche Genova dovette pagare il tributo, non avendo trovato modo di sottrarsi alla pretesa del potente monarca. Essa si accordò con un pagamento unico di 1200 lire, rimettendo a futura decisione il giudizio sulle regalie. Genova era però ben lontana dal cedere alle pretese imperiali. Gl’ inviati genovesi dimostrarono molto accortamente che il benessere della loro città non derivava dalle fonti che davano motivo alle pretese delle potenze feudali; che al suo mantenimento non bastava quanto ritraevano dai fondi e terreni dello Stato , ma che dovevano invece procurarsi e guadagnarsi dal di fuori i mezzi di sussistenza ; che per questi motivi si ritenevano esonerati dall’obbligo del pagamento del-l’imposta, e solo tenuti al giuramento feudale di difendere la città , le coste e di combattere i barbari per mare ; che tale dovere era stato adempiuto tanto coscienziosamente, che il (1) Caffaro, ed. Belg., pag. 38 e 42. (2) L. /., I, col. 57. Dee. 1138. (3) Caffaro, pag. 41. mare da Barcellona a Roma era perfettamente sicuro e che ciascuno poteva vivere tranquillo sotto il suo tetto , opera, che anche lo stesso impero non avrebbe potuto compiere, nemmeno con il dispendio di ioooo marchi d’argento. Perciò Genova non si sentiva obbligata ad altri sacrifici (i). Tuttavia i Genovesi erano ben consci di quanto potesse valere il loro rifiuto e quindi davano mano giorno e notte ad ultimare la costruzione delle mura. Questa volta però l’imperatore s’accontentò del giuramento di fedeltà, e quantunque , dopo la distruzione di Milano, si trovasse all’ apice della grandezza, desistette per Genova da ulteriori pretese , sembrandogli più importante di assicurarsi la cooperazione della sua flotta per la conquista di Sicilia (2). Per trarre Genova in questa impresa, Barbarossa rilasciò ai Genovesi nel 1162 una lettera di franchigia, contenente lari nuncia alle regalie ed il riconoscimento di tutti i diritti che Genova si era appropriata nel 12.0 secolo (3). L imperatore accordò ai Genovesi autorità militare suprema su tutta la Liguria. Da Monaco a Portovenere gli uomini sog getti al servizio militare dovevano obbedire alla chiamata sotto le armi della città di Genova. Inoltre fu conferito ai Consoli del Comune il potere gin diziario in civitate et districtu. Infine l’imperatore rinunciò a mandare un podestà nominato da lui. Il fatto che l’imperatore in tal guisa confermo al Comune la sua sovranità sulle finanze, è del massimo interesse (4)- ^ Comune fu riconosciuto quale padrone del mercato ed i ne gozianti genovesi poterono contrattare a pesi e misure prò Prie (5). (1) Caffaro, Ann., ed. Belgrano, pag. 50. (2) Davidsohn, Geschichle von Florenz, pag. 480. (3) L. I, col. 207, fog. 9, giugno 1162. (4) « Preterea castra omnia, portus, regalia, possessiones, iura et res universas quas in citramarinis vel ultramarinis partibus tenent, habent vel possident ». (5) « Mercatores eorum ubique libere possint habere suum pondus et suam mensuram quibus inter se res mercesque suas recognoscant ». — 43 — Il governo genovese aveva il diritto di delegare la facoltà di mettere imposte. Ciò accadeva principalmente quando do-veasi esercitare rappresaglia in qualche paese, dove un Genovese era stato derubato. In questo caso il governo concedeva al danneggiato il diritto d’imporre un dazio sulle merci dei compatrioti di quegli che aveva recato il danno, il quale dazio durava fino al completo risarcimento del danno (i). Così nel 1245 fu concesso a Ugo Blancus di Lavagna, derubato a Parigi, il diritto di riscuotere un dazio sulle merci che entravano in Genova (di proprietà di Parigini 0 Francesi qualunque) fino all ammontare di 500 lire parigine e perciò il Lavagna rinunziò ad altre rappresaglie a Genova e Lavagna (2). Le spese straordinarie del comune coperte da imposte straordinarie. Le “ collecte terre et maris „♦ Le gabelle, le entrate ordinarie, il patrimonio e le imposte indirette che Genova riscuoteva in seguito alla usurpazione della sovranità finanziaria avvenuta nel 1099 e confermata poi dal Barbarossa nel 1162, erano sufficienti per far fronte alle spese correnti del Comune. Però il bilancio genovese era sempre in disavanzo a motivo delle guerre di cui sono pieni gli annali, contro i vicini, contro i Saraceni, e specialmente contro la rivale Pisa. Gl’ inviati in missioni diplomatiche dovevano avere molto denaro seco, perchè i Genovesi volevano appoggiare le loro ragioni col denaro sonante (3).. A Genova , come in tutte le altre repubbliche medioe-vali (4) , le spese straordinarie assorbivano la massima parte (1) R. Mas-Latrie , Dii droit de marque ou droit de représailles au moyen age , Paris. 1875. Caro, Verfassung, pag. 16:, nota 43. Del Vecchio e Casanova, -Le rappresaglie nei comuni medioevali, Bologna, 1894. (2) Not. Jan. de Predono, pag. 192. (3) Le spese della missione di Caffaro, che, nel x 121, doveva disporre la Curia in favore di Genova riguardo alla Corsica, ascesero, secondo Imperiale, Caffaro, pag. 389, a circa mezzo milione delle nostre lire. (4) Schònberg , Basels FinanzverhaUnisse, pag. 86 : « Spesso furono messe imposte straordinarie, e fatti prestiti quasi ogni anno ». — 44 — del bilancio. A coprire tali spese non erano aperte che due vie , cioè, o un riordinamento generale delle imposte, o far debiti. Genova le calcò entrambe. Consideriamo dapprima le imposte straordinarie. La cittadinanza fu costretta a sacrifici personali. Nel 1142 fu riorganizzato il servizio di guardia della civitas (1). Nel 1155 tutti dovettero prendere parte alla costruzione delle mura. Solo i capomastri ed i poveri erano pagati (2). Ciascheduno era obbligato al servizio militare, quantunque fosse ammessa la supplenza (3), e nel 13.0 secolo fu ammessa anche 1’ esenzione dal servizio , mediante pagamento di una somma in denaro (4). Quelli obbligati al servizio dovevano provvedersi per un certo tempo di viveri e solo nel caso di lunghe spedizioni il Comune pagava un soldo (5). Però nel 13.0 secolo troviamo 00 soldati arruolati (6) ; l’armamento poi delle navi da guerra assorbiva grosse somme. Per supplire a queste spese i membri della Compagna do vevano contribuire con vita e sostanze. L’ obbligo di contri buzioni suppletorie alle imposte (Collecta) non andava disgiunto da quello del servizio militare. La collccta era un im posta straordinaria che si divideva in collccta tette e matis. In origine la prima sarà stata riscossa per guerre terrestri, la seconda per guerre navali ; però più tardi queste collecte ven nere adoperate anche per altri scopi (7). (1) Cuneo, Doc., VII, pag. 244. (2) Annali, pag. 5r e 54 « cum egentes et magistri pretio laborarent ». (3) Volf , Varia, 1262: « confiteor me recepisse a te L. S s. 8 prò quibus ibo pro te in galeis communis, Janue Romaniam ». (4) Heyck, pag. 165. Richerius, Index N. 534, pag. I32t> ann0 I26^ ' « Sindicus communitatis Unelie solvit commune Janue L. 14 occasione duor. hominum de Lnelia qui non iverant in servitio communis Janue in viagio Romanie ». (5) Heyck, pag. 160, seg. Wolf, Varia, 1236, 13 luglio: « 15 s. recipere debeo a communi occasione exercitus et galearum Septe in quo fui prò communi in galea Bisannis ». (6) Caro, pag. 59. (7) Heyck, pag. 171. — 45 — Quando vediamo (p. es. nel 1222) che venne applicata la sovrimposta di 1 denaro per terravi e 1 per mare (1), dobbiamo concludere che le due collecte insieme colpivano tutte le sostanze dei Genovesi. La collecta terre si applicava a tutto quanto trovavasi sulla terra ferma e fosse minacciato da una guerra e quindi, in prima linea, tondi e case. Per questi enti esistevano catasti, il cartu- lanum posse, e quando avvenivano cangiamenti di proprietà per eredita o acquisto il nuovo proprietario si obbligava da allora in poi d’inscrivere il fondo in suo nome e di pagare le tasse ad • • / * esso inerenti (2). E possibile che talvolta venisse incassata solo questa collecta super immobile essendo pure prevista la collccta super mobile sotto il qual titolo dobbiamo intendere il capitale mobile sulla terra ferma, come attrezzi e bestiame degli agricoltori, attrezzi e utensili degli operai, depositi di merci non destinate a trasporto marittimo e che venivano tassate sul valore dichiarato dai negozianti sotto vincolo di giuramento (3). lutti i membri della Compagna della Liguria erano obbligati al pagamento della collecta terre, salvo qualche eccezione come per Savona, Albenga e Ventimiglia (4), e qualche eccezione come per i signori di Lagneto che dovevano pagare la collecta solamente sopra un capitale limitato (5). La collecta maris invece colpiva il capitale dei Genovesi impiegato in mare , navi e carichi esposti ai pericoli delle guerre navali (6). La collctta maris conservava ancora nel 1210 il carattere dell’ imposta prediale che si riscuoteva una volta 1’ anno (7). In quell’ epoca 2 denari furono acquistati all’ incanto per 6 anni per lire 12542, da cui deducesi che il capi- (1) Wolf, Coinpere pag. 29. (2) Wolf, Collette e gabelle, pag. 1, 22 marzo 1213 , 28 luglio 1227; pag. 3, 1 marzo 1261. (3) Ivi, pag. 2, 7 giugno 1348 (L. 310 genov. :) « Pro quibus Lanfran-cus Buca expendit in communi de mobili, donec mobile per homines Janue jurabitur in Janua ». (4) Caro, Genua vnter dem Podestà, pag. 60. (5) Caro, pag. 151, nota 9. (6) L’opinione di Caro, pag. 61, specialmente nota 19, pag. 152 e segg., è confermata dalle tariffe posteriori. (7) Annali, pag. 129. — 46 — tale tassato ascendeva a lire 250 .840. — Anche alla collccta maris dovevano contribuire tutti i membri della compagna della Liguria. Considerando la collccta maris in relazione colla collecta terre, troviamo di potervi scorgere il carattere di una generale imposta prediale, quantunque spesso se ne esigesse solo una parte e quantunque le quote della collecta maris e terre non fossero sempre eguali (1). Sembra anche che il capitale mobile impiegato in terra ferma, non fosse sempre colpito, poiché p. es. nel 1214 di fronte alla collecta maris, non troviamo che una collecta super immobile (2). Dall’ altra parte troviamo collette applicate ad una parte soltanto dei beni nazionali, come p. es. nel 1166 una colletta su merci di Genovesi che venivano asportate per via di terra (3). 1° questo caso la colletta, per la forma dell’ esazione era paragonabile ad un dazio. In certe occasioni vennero messe a contribuzione per la colletta, anche i beni ecclesiastici, che in via ordinaria erano esenti (4). Naturalmente le imposte affluivano più lentamente di quello che occorresse per supplire ai bisogni della guerra, motivo per cui fu necessario ricorrere ai debiti. La questione importante per il governo, era quella di sollevarsi dal debito contratto mediante un’ imposta diretta da applicarsi in tempo di pace. E tale fu il caso nel 1171, quando il governo col ricavato d’ una colletta, pagò i debiti contratti per la guerra di Sardegna (5). Simile fatto si verificò nel 1214. Le entrate del governo che erano state date in pegno, furono svincolate col ricavato di una colletta di 6 denari super ivimobile e d una colletta maris di 4 denari per 6 anni. L’ammontare complessivo di queste due collette fu stimato L. 38050 (6). (1) P. es. nel 1214: « 6 den. super immobile, 4 den. collecte maris »• (2) Annali, pag. 134. (3) M. H. P., Charl. I, col. 999. (4) Richerius, Index II , pag. 1219, anno 1239 : « Collecta imposita ecclesiis Janue pro facto cardinalis qui venuit Januam ». (5) Blumenthal, pag. 73. (6) Annali, pag. 134. Io non credo che la somma indicata, rappre- Il debito pubblico di Genova, debiti in sospeso, pegni, appalti. Oltre ai mezzi straordinari per l’assestamento delle imposte, Genova dovette ricorrere ai debiti. Vediamo ora a quali condizioni il governo gli assunse. Caffaro nel 1121 riuscì ad avere denaro a Roma a condizioni relativamente favorevoli. Banchieri romani gli fecero prestiti « cum labore de 4:5 » cioè al 25 % (1). Condizioni ben più onerose dovette accettare il Comune nel 1169 per un debito assunto a breve scadenza. Al i.° luglio 1169 i Consoli dichiarano d’avere ricevuto da negozianti lucchesi 80 lire in denaro e 40 libbre di zafferano a 8 sol. 4 den. (che fanno 16 L. 13 s. e 4 d. in denaro), obbligandosi per queste 96 L. 13 s. 4 d. di pagare alla metà di gennaio L. 145 — cioè circa il 100 % l’anno! (2) Specialmente nella spedizione del 1147 contro i Saracini di Spagna, Genova dovette contrarre grossi debiti, avendola però fatta pagare cara al nemico (3). In quell’occasione i Genovesi aveano preso a prestito dai Piacentini somme considerevoli, ed è interessante conoscere le condizioni alle quali ebbe luogo la restituzione nel 1155. Prima di tutto i Piacentini ridussero a L. 6000 la cifra del debito che era di L. 8600 — lo che dimostra il pingue guadagno che avevano già fatto. senti soltanto il ricavato dell’ incanto della collecta maris, come crede Heyck, pag. 172. L’annalista cita prima la deliberazione dei consoli sulla riscossione della collecta maris, poi quella sulla riscossione della_collecta super immobile e continua : « Et calega den. 4 per libram collecte maris ; fuit summa libr. 38050 ». Secondo me devesi dedurre da ciò , che questa somma deve comprendere il ricavato di tutte due le collette. Se noi, d’accordo con Caro, ammettiamo che la collecta maris sia la stessa imposta citata nel 1210, a cui Heych , pag. 174, si oppone, i denatii maris del 1214 dovevano aver reso circa L. 25084. Sicché delle L. 38050 ne rimangono 12966 per Ia collecta super immobile. (1) Imperiale, Caffaro, pag. 389. (2) Wolf, Varia. (3) C. Imperiale, pag. 332-64, nota 13, ha riunito tuiti i debiti nati dalla spedizione di Spagna. - 48 - Quella somma non venne però pagata ai Piacentini tutta in denaro, ma bensì, metà in denaro e metà in merci stimate da pubblici sensali (censarii). I Piacentini ricevettero in moneta (bisantii) L. 2315, in merci (legno brasile, cotone, incenso, indaco) L. 2310, e L. 875 s. 11 metà in denaro e metà in pepe, in tutto L. 5500 sol. 11. (1). Se Genova, in momenti di strettezze finanziarie, voleva prendere denaro a prestito per un tempo più lungo, doveva dare in pegno le sue fortezze (2) e le sue rendite, come fu il caso nel 1152 che per avere 50 lire impegnò per due anni il pedaggio di Rivarolo il cui reddito fu stimato 45 lire (3) l’anno ; sicché il governo pagò il 40 °/0 l’anno d’interesse. Questi pegni sono la vera caratteristica dei debiti a lunga scadenza in quest’ epoca. Di fronte a questi debiti garantiti, eranvi qualli in sospeso, per i quali il governo era impegnato solamente sul giuramento dei consoli. Nel 1149 un debito in sospeso di L. 1300, venne surrogato da un debito garantito sopra parecchie entrate del Comune (4). Il pegno si costituiva cedendo ai rispettivi creditori l’esazione di certe imposte (5). Il pegno doveva garantirli da qualunque perdita di capitale od interessi, ed il governo si teneva responsabile dei danni che potessero loro derivare, quando, in caso di guerra 0 turbolenze, venisse inceppato il libero godimento del pegno ricevuto. Però dopo scorso il termine del riscatto da 2 a 29 anni il debito del governo rimaneva estinto ed il pegno ritornava in suo possesso. Spesso venivano inserite nel contratto delle (1) Imperiale, pag. 340. (2) L. /., I, col. 147; nel 1x50 impegna il Castrum Flaconis per 107 lire per 29 anni. (3) Imperiale, pag. 352. (4) L.J., I, col. 139- (5) L. col. 145. Nel 1150 quando fu dato in pegno 1’ususfructus de banchis, venne concesso ai creditori faciant inde quidquid voluerint sine contradictione consulum communU Janue. Simile disposizione col. 141, nel 1149 per il pegno della zecca, e col. 159 nel 1152 per il pegno del monopolio del sale. — 49 — clausole in virtù delle quali il termine del pagamento poteva essere abbreviato. In tempo di pace il compito più importante del governo era quello di riscattare le rendite dello Stato date in pegno. Gli statuti del 1155 vietano perfino di istituire pegni per la durata maggiore d’un anno, quanto cioè durava il consolato (1), come proibivano di dare in pegno le fortezze, disposizioni però che non furono sempre osservate in tempi difficili. Tuttavia nel 1155 (2) si potè conseguire il riscatto delle rendite impegnate , e 1’ annalista nel 1214 ci da relazione di questo lieto avvenimento (3). Non si può quindi affermare che i debiti del 1149, e in generale i debiti del 12.0 secolo, sieno stati la base del debito permanente (4) di Genova (5). Il medesimo sistema di prendere denaro impegnando le entrate per una serie di anni, si trova anche spesso sotto altre forme a Pisa (6), a Venezia (7) e in Germania (8). In questi pegni troviamo un termine di confronto cogli (J) L. J., col. 183. (2) Imperiale, pag. 72. (3) Blumenthal. pag. 74. (4) Oltre al debito in sospeso ed a quello su garanzie si potrebbe distinguere il debito permanente, nel quale non era posto al governo un termine per la restituzione. Vengono chiamati di solito debiti in sospeso gl’impegni a breve termine, che vengono coperte colle entrate ordinarie. Il contrario sono i debiti garantiti, per il cui pagamento vengono assegnate speciali rendite. Ma un debito in sospeso può diventare permanente senza che venga garantito da speciali entrate; d’altra parte possono essere crediti garentiti tanto quelli che scadono in un tempo determinato, quanto quelli per i quali non è fissata una scadenza. Perciò i debiti di Genova del 12.0 secolo sono garantiti, perchè alla loro estinzione sono assegnate speciali entrate, ma non permanenti perchè rimangono estinti alla scadenza del pegno. (5) Wiszniowski pone perfino l’erezione della Casa dì S. Giorgio nell’anno 1149. (6) Davidsohn, Gcschiclitc von Florenz, pag. 6S5. (7) W. Lenel , Die Entstehung der Vorherrschaft Venedigs an der Adria, pag. 42-43. (S) Kostanecki, Der òffentliche Credit im Mittelalter, pag. 32 e 33. Verpfiindung des Liincbilrger Kalkberges. Atti Socicti Ligure Storia Patria. Voi. XXXV. — 50 — appalti delle imposte. Infatti la differenza principale fra queste due forme di debiti non è altro che la differenza della durata, cioè gli appalti si facevano per un anno, i pegni per un periodo più lungo. Un’ altra differenza si riscontra nel fatto che nei pegni lo Stato riceveva la somma convenuta su bito, mentre negli appalti veniva pagata per trimestri (i). La voce che troviamo nei documenti non fa una netta di stinzione fra pegno e appalto. In ambo i casi è usata la pa^ rola compera, cioè acquisto. Tanto gli appaltatori, quanto i creditori su pegno, sono chiamati competisti, < viptores troitus. Di solito , in ambo i casi, non tratta vasi di una persona, ma bensì d’ un consorzio di participes, e le parteci pazioni di ciascheduno chiamavansi loca. Nè possiamo indotti in errore se le stesse espressioni di competa e oci , oltreché essere adoperate per appalti e pegni, lo erano pu per altre due specie di affari di credito, cioè acquisto d ^ ^ dite e prestiti forzosi, dei quali si dirà in appresso, g come della parola scalino nei documenti tedeschi, ove ^ è ben definito se si tratti di scabini di corte o di scabi munali. Ciò malgrado è sempre possibile distinguere una dall’altra. - L’appalto delle imposte cominciò col 12° secolo, ^ al termine della repubblica rimase il sistema principale -riscossione delle tasse, mentre la forma adoperata pure ^ 12.0 secolo dei prestiti contro pegno andò più tardi u uso (2). Le altre due specie di compere, furono il germe debito permanente di Genova. (1) Wolf, Collette e gabelle, pag. 34, 4 marzo 1236. Gli 8 nobi ^ tono all’incanto e deliberano ad un appaltatore d’imposte il dazio carni a Ventimiglia per 60 L. « de quibus ad presens debet sol vere q tum et residuum de 4 in 4 mensibus ». (2) L’espressione di R. Ehrenberg, Zeitalter der Fugger, I. Pa»' 39 « L’origine principale dei monti dev’essere cercata nel sistema di appa delle imposte » mi sembra azzardata; gli affari da lui citati nell osserva zione 37, sono pegni e non appalti. Io crederei piuttosto che la prima origine dei monti siano i prestiti forzosi. Confronta Cohn, System der nanzwissenschaft, pag. 674; Fertile. Storia del diritto italiano, II > Pa gina 523, « prestiti sui cittadini »; Ricca Salerno, pag. 32 > non ^ stingue nettamente le singole forme di debito. Acquisto di rendita, la Maona di Ceuta, Prestiti forzosi* Il credito dello Stato genovese era aumentato nel ^.“secolo al punto che ai creditori di esso non occorreva più lasciare in mano l’esazione delle imposte assegnate loro in garanzia. Quando il governo avea bisogno di denaro , esso cedeva mediante asta pubblica, alcune entrate per un certo numero di anni. La somma che si richiedeva, veniva divisa in loca da ioo lire ciascheduno , che in generale venivano rilasciati sotto la pari. Però il comperista non acquistava la facoltà, come nel 12.0 secolo, di riscuotere le imposte da sè, ma aveva il diritto di ricevere dal governo le entrate relative alle gabelle cedutegli. Il governo teneva in mano l’amministrazione delle rendite dello Stato (1). Il governo poteva far riscuotere da impiegati propri le rendite assegnate ai comperisti. Così i consules maris incassavano le collette (2) ; i consules salis amministravano il monopolio del sale (3) ; ma il governo poteva anche dare le rendite assegnate in appalto. Per conseguenza fra appaltatori e creditori dello Stato vi è una distinzione giuridica. In realtà molte volte una medesima persona poteva trovarsi di fronte allo Stato contemporaneamente appaltatore e creditore. L’appaltatore pagava allo Stato la somma per la quale acquistava il diritto di riscuotere l’imposta, il cui introito non rimaneva nella cassa dello Stato, ma veniva assegnato ai creditori (impegnato in senso diverso da quello del 12.0 secolo) e doveva (1) L’espressione di Caro, (Genua untcr d. Podestà, pag. 63, nota 61) vale solo per il 13.0 secolo. Confronta con questa compera le rendite del sale di Liineburg ; Kostanecki, pag. 36; anche qui trovasi il passaggio dal pegno primitivo, cioè « dall’ obbligazione in natura, all’ obbligazione in denaro garantita » pag. 37 Si può ammettere di chiamare rendite queste compere genovesi , quando si consideri che 1’ ammontare di queste rendite oscillava secondo l’introito delle imposte assegnate. (2) Volf, Compere, pag. 29- (3) Id. Id. Id. 8. essere loro consegnato. Per le finanze dello Stato questa o-perazione di credito equivaleva ad un’ anticipazione delle entrate per un tempo determinato. Nel 1226, quando, a causa delle guerre di Alessandria, Tortona e Vercelli, il governo si trovò in gravi strettezze, venne imposto un denaro collc-cte viaris e un obulus collecte terre (1). L’importo di questa tassa affluiva lentamente, per cui il governo la mise all incanto per fame denaro contante. I consules maris erano incaricati della riscossione delle tasse e del rispettivo versamento ai creditori. Il monopolio del sale era specialmente adatto a procurare denaro al governo col mezzo delle compere. Il governo conservava nelle sue mani 1’ amministrazione del sale e poteva aumentare a suo piacimento il prezzo di vendita. Se aveva bisogno di denaro vendeva all’incanto ai comperisti 1 aumento sul prezzo normale del sale per un certo numero di anni. Se p. es. si vendevano all’incanto 12 o 4 denari per mina salis e il prezzo di vendita era di 5 soldi, i comperisti ricevevano 1/ o V,- dell’introito lordo del monopolio del sale (2). /5 ' lo Ai prestiti volontari sono pure da ascriversi le maone, la prima delle quali viene citata nell’anno 1235. Pur troppo mancano notizie particolareggiate sulla Maona di Ceuta, ma confrontandola colle posteriori maone di Scio e di Cipro possiamo determinarne la natura. La cassa dello Stato genovese era sovente vuota, quando si trattava di un’azione importante e promettente lucro. In questi casi il governo non si contentava di prendere denaro e di assicurare i creditori con assegni, ma rimetteva loro l’esecuzione dell’impresa per la quale avevano anticipato il capitale. Ai privati veniva imposto di mettere a disposizione del governo le loro navi, coi capitani (1) Wolf, Compere, pag. 29. (2) Caro, Verfassung, pag. 63, Genua und dìe Machte, pag. 94» nota 3. I juresperiti, che nel 1248 dichiararono non essere in contraddizione cogli statuti la vendita di 4 den. per ogni mina di sale per 14 anni, non avevano quindi torto. Lo statuto del 1214 si opponeva a pegni nella forma usata nel 12.0 secolo. Ma nel caso qui accennato l’amministrazione delle rendite rimaneva devoluta allo Stato. — 53 — e cogli equipaggi, per combattere al comando superiore d’un ammiraglio scelto dal governo. Le spese dovevano essere rimborsate cogl’ interessi del bottino. Nel 1234 per turbolenze avvenute a Ceuta, i Saraceni a-vevano distrutto delle sostanze appartenenti a Genovesi. Il Sultano si rifiutò di acconsentire a qualunque domanda di risarcimento avanzata dai Genovesi. Questi andarono con una poderosa flotta di più di 100 navi dinanzi a Ceuta e costrinsero quel Sultano ad un accordo per essi onorevole (1). Dobbiamo ritenere che oltre al risarcimento del danno, il Sultano abbia dovuto sopportare anche tutte le spese di guerra. Tutti quelli che avevano diritto di reclamo verso il Sultano, furono compresi nella maona. Per il pagamento degl’ interessi e del debito capitale , vennero introdotte in Ceuta apposite gabelle. I creditori erano registrati in elenchi speciali e potevano cedere ad altrui i loro crediti, che, per la natura della loro origine, variavano di molto l’uno dall’altro e non erano in cifre rotonde. Vediamo der esempio che nel 1236 un Johannes tornator cedette a Balduino de Vindercio un diritto di 58 bisant. che aveva sulla maona (2). E anche possibile che una parte delle spese di guerra in questa Maona di Ceuta, come avvenne più tardi per la Maona di Cipro, sia stata colmata da una colletta (3). Si avrebbe qui il caso che la colletta, cioè l’imposta diretta straordinaria sulla speranza d’ un esito felice della guerra, diventò un prestito forzoso, che doveva essere rimborsato col bottino. (1) Pertz , Annali, pag. 184. Il Sultano doveva pagare 400,000 dinar. M. Amari, Nuovi ricordi arabici sulla storia di Genova, Atti, V, Pag. 574- Canale, Nuova istoria della Repubblica di Genova, 1858 , foglio II, pag. 347, 348. Mas Latrie, Traitcs..... avec les Arabes de l'A- frique septentrionale, Paris, 1866, Introductum, pag. 82 , Documenti, pagina 115. (2) Richerius, Index II, pag. 1217. (3) Disgraziatamente 1’ annalista tace sulle spese della spedizione del 1235, mentre dà notizie più particolareggiate sulla spedizione nella quale i Genovesi avevano dato appoggio al Sultano contro dei Crociati. ■ — 54 — Possiamo immaginare che a quel tempo la torma di riscossione delle collette, non fosse del tutto perfetta. Coll’ aumento del patrimonio dei Genovesi, che si andava suddividendo in elementi di diversa natura, diventava sempre più difficile l’esazione delle imposte di fronte ai contribuenti. Nella imperfezione delle collecta, troviamo una nuova ragione dello sviluppo del prestito forzoso. Una ingiusta distribuzione delle imposte non può reggere a lungo, e quindi era necessario offrire ai contribuenti delle facilitazioni, dal momento che tanto a Genova, quanto negli altri Stati italiani retti a Comune, venivano rischieste grosse somme di denaro. Da ciò si venne alla riscossione delle imposte dirette come se si trattasse di un prestito forzoso. Può darsi che da principio sia stato convenuto un termine fìsso per la restituzione (i) , senza pagamento d’interessi; però nel 13.0 secolo mentre viene corrisposto un interesse ai creditori di prestiti forzosi, è raramente fatta menzione d’un termine per la restituzione. In questi prestiti forzosi troviamo tanto per Genova quanto per gli altri Stati italiani il germe del debito piLbblico permanente (2). Ancora nel 1200 la collecta venne incassata sotto forma (1) Reg. Comp. cap., fog. 180 (1303) « Quousque satisfactum fuerit capitale totum dictorum mutuorum fueritque solutum et satisfactum debentibus recipere quanta erunt mutua imposita eorum tempore quo promissum fuerit de solvendo vel personis quibus imposita fuit medalia denarii viaris ». (2) Pag. 50, Nota 2. La tradizione rannoda l’istituzione della Camera degli imprestiti a Venezia, ad un prestito forzoso del 1171. Ricca Salerno, pag. 33, Nota 1. Però le fonti più antiche tacciono: Lenel, pagina 41 , Nota 1. — Nel 1207 e 1224 furono imposti a Venezia prestiti forzosi, confr. cap. II, pag. 94, enumerazione dei prestiti forzosi del 14.0 secolo in Cecchetti , Archivio Veneto, 35 , pag. 80. — Le regole degli Ufficiali agli imprestili per l’assestamento, percezione e computo degl’interessi dei prestiti forzosi dal 1255 in poi, sono contenuti nel liber rubeus parvus, Venezia, Archivio di Stato. Sui prestiti forzosi di Firenze confronta Canestrini , La scienza e l’arte di Stato, pag. 65 e Cap. Ili, pag. 192. Sopra Siena confronta L. Bianchi, Archivio storico italiano, 3, Serie VII, 2 , 1868, pag. 75 e seguenti. Per i prestiti forzosi a Pisa vedi Morpurgo-Lupi, Atti dell’Accademia dei Lincei , seduta 18-4-1877, pag. 154 e seg. - 55 — di mutuo (i). Nel 1207 abbiamo notizie per Genova di un mutuum per cives ultra L. 10000 quantitatem. Un mutuum soldorum 20 per centum (lire, dunque 1 % del capitale) porta la data della guerra contro Ventimiglia nel 1221. Altrettanto avvenne nel 1224 (2). La forma dell’ esazione del mutuum era eguale a quella della collccta, cioè a tanti denari per ogni lira di capitale (3); e così pure i membri della compagna si obbligavano al pagamento dei mutui , come a quello delle collette ed al servizio militare (4). Le guerre di Genova contro Federico II, che catturò ai Genovesi i cardinali viaggianti per il Concilio Lateranense, si rispecchiano anche nella storia della finanza. Nell’ anno 1241 sono ricordati tre mutui di 10 soldi (l/2 %) > ne^ I242 fu fatto un mutuo di 30 soldi, che nel 1255 non era stato ancora restituito (5). Per la guerra di Pisa sono menzionati: Dell’anno 1251 un mutuo di 40 s. » 1252 » » 4° >:> » 1253 » » 60 » Le partecipazioni a questi mutui erano di diverse gran dezze e non in cifre rotonde e potevano essere cedute (6). Al pagamento degl’ interessi, che certamente erano limitati, ma sulla cui misura nulla sappiamo, erano assegnate speciali rendite. Per nascondere questi interessi dal divieto canonico sull’ usura , anche questi mutui forono chiamati com- (1) Appendice II. (2) Caro, Verfassung, pag. 154, Nota 21. (3) Non solamente la collecta terre, ma anche la collccta maris venne convertita in prestito forzoso; vedi pag. 54, Nota 1. (4) « Quod omnes expendant in collectis et mutuis equa lance ». M. H. P. XVIII, pag. 525. (5) Wolf, Compere. (6) Wolf , Collette , pag. 30 e segg. P. es. 21 febbraio 1851. « Ego Otto de Murta cedo tibi Guizardo de Mari jura mea contra commune Janue occasione L. 12 l/2, quas recipere debeo a communi Janue prò mutuo soldi 40 facto tempore domini Men. Turric. (Podestà del 1251). » pere. La cosa venne messa sotto la forma, come se i creditori per prestiti forzosi avessero comperato dallo Stato la rendita destinata al pagamento degl’ interessi, quantunque in questa forma di compera non avessero nè 1’ amministrazione delle glabelle loro assegnate a tale scopo, nè ad esse ne spettasse l’intero importo, ma soltanto un interesse limitato. Specialmente dal monopolio del sale, sembra che i creditori abbiano ottenuto assegni. P. es. il mutuum del 1241 venne nell’anno 1270 designato come compera salis facta tempore Guilelmi Surdi (Podestà del 1241); così pure nel 1263 piccoli importi di L. 8, di soldi 8 i/ì vengono menzionati dalle compere degli anni 1253, 1254 e 1255. In questi casi la voce compera sta in luogo di mutuum (1). Mediante assegni di entrate per il pagamento d’interessi e per estinzione del capitale il mutuum impositum diventò una compera. Importanza sodale del crescente debito dello Stato ; dominio della nobiltà guelfa, amministrazione delle finanze, conto dei 1237« I Genovesi avrebbero potuto restituire il debito contratto dallo Stato nei primi 50 anni del 13.0 secolo , come si può dedurre dall’ ammontare delle somme che essi poterono anticipare a re Luigi di Francia, quando intraprese la sua Crociata (2). A migliorare la finanza sarebbe bastato una solida e giusta ripartizione della imposta diretta ; ma sembra che allora i capitalisti avrebbero accolta di mal occhio la restituzione del debito, perchè gl’ interessi che ne ritraevano, costituivano per essi un buon impiego del loro capitale. Nella ripartizione del prestito forzoso tutti i cittadini dovevano contribuire in proporzione delle loro sostanze. Per al- (1) Wolf. Compere, pag. 205. (2) Canale, Storia civile ecc. dei Genovesi, (1844, seg.), Ili, pag, 203, 100.000 lire genovesi. Papa d’Amico, Titoli di credito, pag. 65, Nota 1. Schaube, Die [Vechselbriefe Ludwigs des Heiligen. — Conrads Jahrbii-cher, XXIII. — 57 — * * ' cum più poveri, che non potevano aspettare, era conveniente che delle persone più facoltose pagassero per loro verso mite compenso (i), o che i ricchi comperassero le loro piccole partecipazioni, che erano cedibili (2). Così alla fine anche tutti i vantaggi delle compere derivanti dai prestiti forzosi rimasero ai ricchi, mentre i danni, cioè il pagamento degl’interessi che venivano corrisposti col ricavato delle gabelle, le quali colpivano specialmente le sostanze alimentari, gravavano sulle spalle della classe più povera della popolazione, che cominciò a portare mal volentieri questo peso. A questo malessere sociale, conseguenza dell’ amministrazione delle finanze , aggiungasi che le famiglie nobili dominanti accaparravano i principali impieghi per i loro parenti. La politica economica dei capi della compagna nella prima meta del 12.° secolo che aveva reso i Genovesi partecipi del- 1 incremento ricevuto dal commercio cristiano derivante dalle crociate , andò a vantaggio di tutti. La politica economica delle famiglie nobili guelfe, che andarono 100 anni dopo al potere, pesava gravemente sulle classi inferiori. Esse trascuravano gl’ interessi dei ghibellini e quelle delle famiglie che, arricchitesi colle crociate, non facevano parte della nobiltà dominante. Anche alla testa dell’ amministrazione delle finanze troviamo uomini appartenenti alle famiglie dominanti guelfe. Nel 12.0 secolo le finanze furono amministrate dai consules pro communi, ai quali stavano a lato, fino dal 1122 , i clavigeri come impiegati subalterni (3). Le lotte fra famiglie per ottenere il consolato erano arrivate al punto che, dopo il 1190, più d’una volta venne affidato ad un podestà straniero il su- (1) Canestrini, pag. 65 e 66. (2) Questo assorbimento delle piccole quote da parte dei ricchi, si può vedere molto bene a Firenze. Confronta Archivio di Monte, I , il libro del debito scritto da Dino Casini da Calenzano sulla base delle provvigioni del 1343, e 46 per il Quartiere di S. Giovanni. Vedi specialmente foglio 1022 b , e segg. dove sono inscritte 280 partite, per la maggior parte di operai, passate a Michele e Matteo Litii de Guidàlottis. (3) Annali, ètì. Belg., pag. 18. - 58 — premo potere dello Stato. Dopo il 1217 fu regolarmente nominato un podestà in luogo dei consoli. Però i nobili non volevano rinunziare alla loro influenza personale neH’amministrazione delle finanze. E infatti vediamo non solamente soventi tentativi per ricostituire il Consolato, ma troviamo pure le funzioni del podestà limitate da un collegio di odo nobiles. Nel 1211 essi si occupano a provvedere il denaro necessario per l’allestimento della flotta. Nel 1218 è loro commessa 1' esazione del denaro pubblico , da loro trasmesso ai clavigeri. Dal 1220 in poi l’ufficio degli octo nobiles, che dovevano sorvegliare le entrate e le uscite, divenne permanente (1). Nell’amministrazione delle spese, a lato degli odo nobiles, stavano i Duo super munitione castrorum (2). Il patrimonio della città era amministrato dai duo superstantes fontanarum (3). I consules maris erano impiegati dello Stato che esigevano le collette, mentre dall’altra parte le versavano ai creditori dello Stato, quando erano loro assegnate. Questi consules maris oltre alle attribuzioni di finanza , esercitavano pure funzioni di polizia. Genova proteggeva soltanto le navi che avevano adempiuto alle prescrizioni normali di equipaggiamento e armamento e che avevano pagato il dazio marittimo. Quando queste norme erano osservate, le navi prima \ • di salpare erano spedite dai consules maris. E pure possibile che, come altri funzionari di finanza, i consules maris avessero potere giudiziario in materia d’imposta di loro competenza (4). (1) Caro, Genua unter dem Podestà, pag. 48. (2) Wolf, Pedaggi e podesterie, pag. 63, 14 luglio 1253. (3) Richerius , Index II, pag. 1242, ào. 1248; incassano L. 27, per appalto dei mulini sotto Castelletto. (4) Sopra un’altra attribuzione dei consules maris del 1206, confronta: Caro, pag. 162, nota 52. Schaube, Zeiisehrift fiir das Handelsrecht, 1886, XXXII, pag. 506, dimostra con ragione, contro Bensa, che i consules viaris non avevano potere giudiziario in materia commerciale. Però è incomprensibile come Schaube , pag. 514, neghi il nesso esistente fra i Consules tuaris e 1’officium gazarie. Quando nel 13.° secolo i Consules maris diventarono impiegati del debito pubblico, le loro attribuzioni non — 59 — I consules sahs amministravano il monopolio del sale (i). Quanto al modo ed alla forma colla quale questi organi dello Stato amministravano le finanze, possiamo farcene un’idea approssimativa da un conto conservatoci da Johannes Vegius (2). Tre grossolani errori di calcolo, contenuti in questo conto, dimostrano come allora si rendessero difficili le operazioni dell’addizione e della sottrazione. In essi sono indicate soltanto le somme da impiegarsi per le spese del Comune: Pro labore portus et ripe . . . L. 885, — In officiariis et custodia castrorum. » 1053, s. 17 Pro solvendis castellanis et officiariis ......... » 10731, » 6 L. 12670, s. 3 Consulibus maris pro solvendis mutuis communis.....» 10000, — Gabellatoribus Septe et castellarne Bonifacii secundum formam « teneamini » factam per potestatem precedentem.......» 5038, — L. 15038, (s. 16, d. 2) Per quanto disordinata sia la forma di questo conto, possiamo però dedurne la parte rilevante che il debito pubblico finanziarie passarono all 'officium gazarie. Confronta Schaube stesso , pagina 510 e 511. Schaube è in errore asserendo, pag. 513, che nel 14.0 secolo, il titolo di consules maris, quali funzionari di finanza, fosse andato fuor d’uso. Gli esattori dei denarii maris, mantennero questo titolo fino nel 14.0 secolo. Confronta Cap. 3, pag. 161-2. (1) Vedi sopra pag. 51, Note 2 e 3 e appendice 3. Del resto il titolo di console non era dato solamente ad impiegati dello Stato ; come p. e-sempio il Consttl canne che era 1’ esattore messo dagli appaltatori delle imposte. — Richerius , Index, pag. 1221, anno 1239: « Carbonus Ma-locellus, consul introitus canne, nomine participum dicti introitus ». (2) Appendice 3. Sulla riforma di Leonardo Fibonnaci a Pisa nel principio del 13 s., che facilitava l’addizione, cfr. P. Bariola, Storia delta ragioneria italiana, p. 54. — 6o — aveva allora nel bilancio dello Stato. Non possediamo alcun conto dei primi 50 anni ; sappiamo però che le guerre contro Federico II e Pisa, non migliorarono certamente le finanze genovesi. Genova non si poteva più liberare da questo peso. Potemmo seguire la sistemazione delle varie forme del debito pubblico, delle compere, in questo periodo e abbiamo potuto riconoscerne l’importanza sociale. Queste compere si risolsero sostanzialmente in un benefizio per i capitalisti ed in un aggravio per i contribuenti. Alle compere partecipavano in grande maggioranza quelle stesse famiglie che avevano in mano l’amministrazione delle finanze ed il governo in generale, cioè i Grimaldi, i bieschi ed i loro partigiani (1). Contro questo cattivo stato di cose si destò il malcontento del popolo. Il peso del debito pubblico che gravava sopra di esso, da una parte, e l’esclusività della nobiltà guelfa al potere, dell’altra, condussero alla rivoluzione. (1) Caro, Genua und die Machte, pag. 94 e 95, nota 3; simile a Venezia, Lenel, pag. 42, nota 2. Credo che Lenel p. 43, n. 3, abbia dato troppo peso alla frase ove nei documenti si dice che a Venezia sì prestò denaro allo Stato solamente per amor patrio. CAPITOLO II. DALLA PRIMA ISTITUZIONE DEL CAPITANEUS POPULI FINO ALL’ INALZAMENTO DEL DOGE POPOLARE I257-I339 L'elezione di Boccanegra a capitaneus populi. Sua politica finanziaria. Nella prima metà del 13.0 secolo in quasi tutte le più importanti città italiane, il popolo si sollevò contro le famiglie nobili dominanti (1). Al movimento scoppiato in Genova, diedero occasione certi abusi che s’imputavano al podestà del 1256, Filippo de la Turre (2). Al suo ritirarsi si sollevò un tumulto, nel quale Guglielmo Boccanegra, venne proclamato Capitaneus populi. Però anche il podestà eletto pel 1257, Albertus de Mala-volta, entrò in carica, per modo che il governo del capitano e de’ suoi anziani ebbe l’apparenza d’un governo temporaneo, accessorio, ma che non tardò a diventare più potente di quello del podestà. Cosi accadde che Alberto Malavolta, accomodatosi col comune, abbandonò la città, ed il Capitano cogli An- (1) Caro, Genua und die Machte, pag. 10, nota 1; a Pisa 1254, Firenze 1250, Bologna 1255. (2) Caro, pag. 9. — 6 2 — ziani nominarono in Raineri Rubeus di Lucca un podestà più adattato (i) per le questioni giuridiche. I Boccanegra non appartenevano ad una di quelle famiglie che più tardi costituirono la casta nobile (2); però Guglielmo era imparentato con nobili e nel 1251 e 1256 aveva seduto nel Consiglio (3). Aveva occupato una posizione cospicua nel mondo degli affari, ed i conti di Tolosa si erano valsi della sua casa bancaria, per pagare le loro truppe mercenarie (4). Nobiltà e popolo non formavano in quel tempo ancora due classi assolutamente distinte, ed anche Boccanegra evitava di organizzare il popolo in modo di escluderne le famiglie nobili. Anzi fra gli Antiani populi Janue, che costituivano il Consiglio del Capitano, troviamo anche membri della nobiltà (5). Però il governo di Boccanegra può essere paragonato ad una tirannide greca. In modo alquanto indipendente egli prende determinazioni tendenti a distruggere l’influenza fino allora esercitata dalle consorterie dei nobili, ed a curare il bene dello Stato, specialmente quello delle classi inferiori (6). II motivo principale che aveva prodotto la rivoluzione, era stato la cattiva posizione nella quale i governi precedenti a-vevano tratto le finanze. Sembra che il denaro fosse scarso ( 1) Caro, Genua und die Machte, I, pag. 7-15. (2) « D’origine umile ». U. Assereto, Genova e la Corsica, p. 47-L’elezione di Simon Boccanegra, 1339, dimostrava già che alla testa del governo, volevasi da allora innanzi uno del popolo, un doge. (3) Caro, luogo citato, pag. 12, nota 1 e 2. La nobiltà si riservò le cariche di Consoli e più tardi degli Octo nobiles. (4) Papa D’Amico. / titoli di credito, pag. 77, nota 2. Il documento è preso dai Manuscrils Courtois, Atti notarili genovesi dell’ epoca delle Crociate, i quali (ivi descritti pag. 65, nota 1) per rigiri finirono nella biblioteca nazionale di Parigi. * 5) G. Doneaud. Sulle origini del Comune, pag. 83, nota 31. In un documento del 10 aprile 1258 fra gli « Antiani populi Janue » sono nominati i « viri nobiles Zacaria de Castro e Aloysius Castanea » Confronta Caro, pag. 116. (6) Caro, pag. 86. « È impossibile non vedere come tutta l’attività del Boccanegra, tendesse ad un governo personale ». — 63 — nelle casse dello Stato , e quindi la prima misura presa dal Boccanegra fu quella di fare maggiori prestiti. Il carattere di questi prestiti è evidente. Erano prestiti forzosi all interesse dell’8 °/0 (i). Gl’interessi dovevano essere presi dall introito del monopolio del sale, dappoiché viene fatta menzione di compere salis. La somma totale del debito era diviso in loca, ossia partecipazioni da L. ioo cadauna. Questi loca però devono essere considerati soltanto una unità di misura sulla quale si basavano i calcoli. L’interesse veniva calcolato sul locus, ma trattandosi d un prestito forzoso è chiaro che taluni pagavano più, taluni meno di ioo lire. Chi aveva dato ioo lire, ne riceveva 8 d interesse annuo, chi aveva versato più o meno di L. ioo riceveva l’interesse prò rata. La parola locus, parte del capitale, sembra-essere stata presa dagli armatori. Loca si chiamavano le partecipazioni degli armatori ad una nave. Il numero e la grandezza di queste partecipazioni erano diversi caso per caso. Così nel 1192 e fatto cenno di « navis una locorum 80 ad rationevi L. 31 prò loco ». Nel 1230 si vendono 4 loca d’una nave di 40 loca per L. 200; il locus importa quindi 50 L. (2). Nel 1248 vengono venduti 2 loca dei 50 loca della nave Oliva per 90 L., ciò che fa L. 45 per loco (3). Nel 1254 si cita pure una nave (1) « Mutuum factum tempore Alberti de Malavolta soldi 20 prò cent. ». Wolf, Compere, pag. 8, « in comperis salis tempore Raynerii Rubei et Alberti de Malavolta factis per cives a communi Janue ». « In comperis salis emptis per cives Janue a communi Janue tempore Alberti Malevolte ». Ivi pag. 21. Genova, Arch. Not. XXXIII, Obertus Osbergenus p. 23, 8 aug. 1257: « Ego Minutius de Castro confiteor tibi, Mabilie de Cunizo, quod illas libras triginta, quas solvi in compera salis de libris octo per centenarium facta hoc anno tempore presentis potestatis et liber sei quas solvi in mutuo facto prò podisiis hoc anno, ipsas solvi de tua propria pecunia et non de mia, quamvis in..... podisiis tunc factis contineatur me eas solvisse ». Caro, I, p. 96, n. 1. Crede che i prestiti del 1257 non abbiano preso questa forma se non nel 1259. Mi pare che i documenti citati gli contraddicano e che specialmente il termine: « facta per civis, cunta per cives » mostra come dapprima si trattasse di debiti forzosi. (2) Richerius. Index II, pag. 1357. . (3) Ivi, pag. 1368. — 64 — di 40 loca, di cui 5 costano 100 lire, e quindi un locus 20 lire (1). La voce locus passò dagli armatori agli appaltatori delle imposte col significato di partecipazione alla somma totale del capitale appaltato (2). Anche in questo caso non è fatta menzione nè del numero delle parti, nè della grandezza delle singole partecipazioni. Solo nel 1213 troviamo un locus de pe- ( dagio Vultabii di 5 denari meno */ia, ossia "%8i0 della somma appaltata (3). Sembra invece che nelle compere della prima metà del 13.0 secolo, le quali avevano una certa analogia coi titoli di rendita, sia stato introdotto il locus da L. 100. Il governo cioè vendeva la facoltà d’incassare per un numero fisso di anni certi introiti da lui amministrati mettendo all’incanto a-zioni da L. 100 sulla somma d’acquisto. Questi loca furono fors’anco pagati sotto la pari o perdettero di valore nella circolazione. Nel 1222 un mezzo locus « quevi habeo in communi Janue de uno denario per terram et uno per mare » vale solamente 47 L. 5 s.; nel 1227 3 loca « in compera facta trium denariorum se. den. 2 de collecta maris et den. 1 de collecta terre » hanno il valore di sole 240 L., cioè 80 L. per locus (4). Mentre nei prestiti volontari il capitale veniva realmente (t) Pag. 1378. A Marsiglia era in uso la divisione in 16 parti. Gold-schmidt, Uttiversalgeschichle des Handelsrechts, pag. 340, nota 29; K. Lehmann , Die geschichtliche Entvicklung des Aktienrechts, pag. 5, nota 4. (2) Wolf, Gabelle, 1245, « prò loco sive parte, in compra introitus olei ». (3) Wolf, ped. pag. 7, « locus unus de pedagio Vultabii, quem ipse emit a communi Janne ». Questo bcus fu venduto per 7 anni e 10 mesi per 65 L., «locus unus introitus canne, qui est iji3 ipsius ». 1268. Wolf, gabelle, pag. 64, cita nel medesimo anno « octava pars introitus canne ». Per la partecipazione ai diritti di finanza viscontili , troviamo la voce capitulum: « Capitula duo feuda in porta ripa macellis et vicecomitatu et sunt den. 2 */3 pro quolibet introitu » (sopra ogni libra d’incasso). Inventario di Bonavasallus Filcinatarius, Wolf, gabelle, pag. 88. (4) Wolf, compere, pag. 29. - 65 - diviso in loca di 100 lire, nei prestiti forzosi, molto più estesi, il locO' era puramente una unità ideale. Il calcolo in loca da ioo lire, fu una vittoria del sistema decimale sul sistema precedente di tanti e tanti denari per libra (i : 240). La ripartizione dei prestiti forzosi nel 1257 fu un nuovo aggravio per le casse dello Stato, ma gli sforzi del Boccanegra riuscirono a stabilire sopra solide basi le finanze del Comune. Egli rivolse perciò la sua attenzione ad alcune gravezze che quantunque pagate dai contribuenti non erano percepite dallo Stato; volendo così interamente distruggere gli u timi avanzi di autorità feudale in materia di finanza. . ^1^1258 venne promulgata una legge che proibiva Tesatone di pedaggi devoluti ai marchesi di Malaspina, e non al omune (1). Solo Boccanegra riuscì a togliere del tutto i didi finanza che erano goduti dai marchesi, eccettuato il dei Balbi presso Torriglia. Anche i marchesi di Gavi conservarono una partecipazione al dazio di Gavi. Boccanegra procurò di procedere con altrettanta energia contro le entrate dei visconti, ma inutilmente; anzi nel 1259 ovette nuovamente riconoscere i loro diritti (2) che continuarono a rimanere intatti, non solo, ma protetti dal Comune. e 1290 fu accordato per le imposte viscontili, lo stesso privi egio del processo sommario che vigeva per le questioni imposte del governo (3). Nel 1297 venne introdotto un ar-ico o nello statuto della repubblica, in virtù del quale il podestà si obbligava, 14 giorni dopo la sua entrata in carica, di convocare i visconti e quelli che partecipavano alle loro entrate. In presenza delle autorità di finanza dello Stato , cioè ei clavigeri, venivano nominati quattro esattori che prestavano il giuramento officiale nelle mani dei Clavigeri stessi (4). (1) L. /. Col. 1268. « Marchiones Malaspine jus non habent faciendi colligi pedagia in Janua vel districtu ». Caro , Genua und. die Machte, Pag. 87. (2) Caro, Genua und die Màchie, pag. 88. (3) Lib. pedag. fol. 2ob. (4) Nella nomina degli esattori decideva non già la pluralità dei voti, ma bensì la grandezza delle partecipazioni. Mon. Hist., P. XVIII, col. 28. Atti Società Ligure Storia Patria, Voi. XXXV. 7 — 66 — Se lo zelo di Boccanegra non potè tener testa alla potenza dei visconti, fu invece più fortunato coll’Arcivescovo, il quale si trovò facilmente disposto a rinunziare, mediante un'annua rendita, ai suoi diritti sui dazi del porto (i). Lo scopo di questo attacco ai diritti finanziari dei visconti e dell’Arcivescovo era quello di affrancare tutte le fonti di imposte, per modo che tutto il prodotto di esse affluisse al Comune; però queste misure non toccavano direttamente le finanze della città. Vedemmo già in quale stato queste si trovassero e quali debiti vi gravassero sopra. Quello che più pesava sul Comune erano le condizioni dei creditori di rendita, ai quali erano assegnate imposte amministrate bensì dal Comune, ma di cui esso non percepiva nemmeno un quattrino, perchè doveansi passare tal quale ai creditori stesai. Il compito più urgente del governo, era quello di sollevarsi da un tal peso. Per raggiungere questo scopo rimaneva aperta la via delle imposte dirette; mezzo col quale il governo avea potuto nel 1171 accomodarsi coi suoi creditori, e ricuperare nel 1214 le entrate impegnate. Boccanegra indietreggiava dall’ idea d’un’ imposta diretta. Egli poteva temere che l’esazione della sgradita colletta, fosse per recar danno alla sua autorità. Egli basava il suo modo di agire, sull’idea da lui espressa, che una ripartizione delle imposte, tornerebbe specialmente pregiudizievole alle classi più povere (2). Però effettivamente una colletta giustamente ripartita, avrebbe colpito pure i ricchi, ai quali apparteneva anche il capitano, cioè il ricco banchiere Boccanegra. Nel 1257 il Boccanegra aveva già preferito le compere ed i prestiti forzosi consolidati, ad un’imposta diretta, assegnando speciali rendite per il pagamento degl’ interessi, e senza vincolare il governo ad un termine fìsso per la restituzione. Con decreto del 16 giugno 1259 il Boccanegra incorporò in que- (1) Caro, pag. 87. (2) L. J. I. Col. 1288 segg,, « mutua et collecta ad concivium et maxime pauperum gravitates ». — 67 — ste compere anche i creditori dipendenti da prestiti volontari (i). A questi era stato assegnato come rendita 1’ intero importo di certi introiti, ad estinzione di interessi e di capitale, ma in pari tempo il governo era obbligato, allo spirare del termine assegnato per la rendita, di saldare completamente il debito, tornando in possesso delle sue entrate. Ora invece il Boccanegra mise a paro i creditori di rendite, con quelli dipendenti da prestiti forzosi con un interesse fisso e col debito permanente. Nella sua ordinanza il Boccanegra si riferì agli statuti del 1214, che non permettevano la cessione delle rendite dello Stato per una durata maggiore d’un anno. Egli voleva che gli statuti stessi fossero pienamente rispettati. Vedemmo però che p. es. nel 1248 un pegno per parecchi anni, durante i quali il Comune conservò 1’ amministrazione delle rendite date a pegno, non fu considerato come contrario agli statuti (2). Dobbiamo riconoscere tuttavia che se Boccanegra ridusse i com-pensti ad un interesse fisso, senza accordare loro un indennizzo come fu fatto nel 1214, commise una violazione di diritto. Colle due compere salis del 1257 , Boccanegra aumentò notevolmente le compere consolidate che già esistevano. Egli ridusse inoltre i creditori di rendite alle medesime condizioni delle compere derivanti da prestiti forzosi e anche nelle guerre contro Venezia tenne sempre la via delle compere (3). Possiamo dire che il sistema delle compere, prestiti ad interesse fisso, senza termine per la restituzione, diventò sotto Boccanegra il sistema del Comune e fu la base del debito permanente di Genova. Boccanegra colle disposizioni del 1259 migliorò momenta- (1) Caro, Gcuna und die Machte, I, pag. 92 e seg. (2) Vedi sopra, pag. 52, nota 2. (3) Wolf, compere, pag. 35, 1259. « Mutuum bisanciorum ultramare datum communi Janue occasione guerre Venetorum et Pisarum, mutuum factum in Accone occasione guerre »; pag. 36, 1263, « mutuum factum per Wilelmum Buccanigram prò armamento galearum missarum in Ro-maniam per commune Janue in servitio imperatoris Romanie ». neamente le finanze dello Stato, al quale però lasciò un debito durevole e non indifferente, con tutti i disagi che un tale stato di cose trae seco politicamente e socialmente. Egli però teneva sempre in briglia i creditori dello Stato, perchè da una parte egli accordava solo un interesse fisso, e dall’altra conservava il diritto del riacquisto da parte del governo. Anche sotto Boccanegra ebbero luogo passaggi di proprietà (i), ma i creditori che volevano cedere le loro quote di credito, dovevano prima offrirle al governo. Soltanto quando questo non approfittava di tale diritto di privilegio, era loro libero di alienarle a piacere (2). Reazione della nobiltà nel 1262. La compera Maletolte, Consolidamento della compera salis nel 1274« Boccanegra soggiacque nel 1262 alla reazione dei nobili, i quali iniziarono una politica molto più favorevole per i creditori dello Stato. Sembra che allora sia stato abolito il diritto di prelazione da parte del governo, poiché da quell’anno si vedono aumentare le vendite di partecipazioni alle compere salis del 1257, senza che nei documenti di vendita sia fatta menzione di questo diritto di prelazione. Wolf, dagli atti notarili, raccolse un grande numero di questi contratti di vendita, nei quali è interessante osservare come la vendita del locus 0 del medius locus in cifra rotonda, fosse più frequente di quelli altrimenti spezzati. Dal 1263 al 1298 Wolf trovò 164 casi nei quali si tratta della vendita di un locus 0 medius locus, e solamente 21 casi di cifre non rotonde. Forse che, se ci fossero conservati i libri del debito, troveremmo, come a Firenze, più vendite di piccoli importi non rotondi, poiché negli atti notarili non sono comprese tutte le (1) Wolf, compere, pag. 35, 21 novem. 1259. (2) L. J. I, col. 1289. — 6g — vendite di loca salis. In ogni caso è degno di nota il fatto che anche per cifre non rotonde il calcolo viene fatto sulla base del locus. Così p. es., il 16 agosto 1272 è venduto un « locus mmus 1/25 » (j); locus indica l’unità principale di 100 lire, come la lira di 20 soldi era l’unità per i calcoli in generale. Così pure il 23 aprile 1282 si vende una somma di 2 loca, 3 L., 15 s., 10 d. (2). Dalle raccolte del Wolf si può formalmente stabilire il corso dei loca salis. In gennaio e marzo 1263 il locus vale no V2 ^re> da agosto in poi scende sotto la pari, nel 1268 vengono pagate 74 e 82 lire per locus, nel 1269 e 70 risalgono a 92 e 98 e nel 1274 ricadono a 62 e 64. La causa di questo ribasso deve essere cercata nelle difficoltà in cui tro-vavasi il governo per pagare gl’interessi. Per contentare i creditori dovevasi ricorrere a nuovi prestiti (3). Dopo gli assegni del 1274, i corsi risalgono. Nel 1276 stanno ad 88. L’esito felice delle guerre contro Pisa, contribuì al miglioramento dei corsi. Dopo il 1288 i loca salis vanno sopra pari, col prezzo di 104, nel 1298 troviamo 7 vendite a 108 e 3 sono menzionate nel 1293 a no (4). L indirizzo favorevole per i creditori dello Stato risulta più evidente nella reazione avvenuta nel 1262 riguardo alle condizioni della Compera Maletolte del 21 settembre 1263(5). Gl’ interessi di Genova nel Regno di Grecia, richiedevano forti spese, per sopperire alle quali, come al solito , si evitò la via delle imposte dirette, per seguire quella della compera (6). Dovevasi fare un prestito forzoso di 40 soldi per (1) Wolf, cornpere, pag. 11. (2) Wolf, pag. 16. (3) Appendice 4. (4) Confronta sulla oscillazione dei corsi in altre città italiane, Pertile, Storia del diritto italiano, II, pag. 526, Venezia 1291, « habito recursu ad cursum imprestitorum qui tunc erit ». (5) Belgrano, cinque documenti genovesi, atti XVII, pag. 229. (6) « Gravissimum videbatur imponere collectam intra civitatem quam extra per districtum Janue et visum fuit facilius dictam pecuniam a civibus haberi posse et pro minore difficultate, si mutuo ab eis ipsa pecunia acciperetur ». — 70 — centenarium (librarum = 2 %). Con tale prestito speravasi ritrarre L. 30000 ; per modo che il capitale sul quale si imponeva il prestito era calcolato a 1500000 lire (1). Per il pagamento degl’ interessi doveva servire un aumento di 2 den. sul dazio del grano. Tutto l’introito di questo aumento doveva essere passato ai prestatori. Con ciò erasi rinunziato alla politica del Boccanegra del-l’interesse fisso , ma questo prestito porta due altri segni caratteristici della forma che il Boccanegra aveva dato alle compere; esso è un prestito forzoso ad interesse, senza termine fer la restituzione o per l’estinzione. Può darsi che il pagamento d’un interesse fisso procurasse al governo maggiori difficoltà di quelle che potesse incontrare contentando i creditori colle rendite oscillanti d’ un dazio loro assegnato. Questo assegno sembra non aver prodotto interessi di qualche rilievo, poiché i loca compere male-tolte, stavano notevolmente al di sotto del corso delle compere salis. Secondo l’origine del debito trattandosi puramente d’un prestito forzoso, troviamo per esso vendite più frequenti d’importi non rotondi, dei quali Wolf ne nota 5, mentre fa cenno di due sole vendite di locus e medius locus. Il locus valeva nel 1276 L. 62, nel 1277 L. 70, mentre nelle medesime epoche il locus salis stava rispettivamente a 88 e 94 (2). Allora, per questa compera maletolte, i comperisti acquistarono influenza nell’amministrazione del debito. Il governo doveva incassare i dazi mediante appalti. Così pure il dividendo doveva essere ripartito ai partecipanti da un’ autorità dello Stato, cioè dai consules salis. Solo nel caso che non vi fossero consules salis, i comperisti avevano il diritto di provvedere da sè all’ incasso ed alla ripartizione. Perciò poco importava che il governo, non arrivando a raccogliere tutte le 30000 L„ volesse essere considerato pel (1) Quantunque queste cifre sieno inesatte, si vede che nel 13.“secolo la ricchezza dei Genovesi aumenta considerevolmente (cf. p. 62-63) ed è da osservarsi che in questo tempo la moneta non perde ancora tanto del suo valore. (2) Wolk, compere, pag. 36 e 40. — 7i — resto come partecipe alla compera , cioè creditore di sè medesimo. I creditori furono inscritti in cartolari nei quali ognuno di essi aveva la sua partita chiamata columna. Perciò anche il governo aveva la sua propria columna. In questi ordinamenti riscontriamo i primi passi d’una organizzazione del debito pubblico. II diritto d’incassare la sovraimposta sul dazio del grano fu conferito a Petrus de Nigro e Simon Tartarus, che erano i negotiorum gestores dei comperisti, in nome dei quali esigevano la sovraimposta (i). Il dominio reazionario dei nobili non durò a lungo. Le fa-miglie ghibelline , i Doria e gli Spinola, fecero lega col popolo , ed il 28 ottobre 1270, abbatterono il governo della nobiltà guelfa (2), Oberto Spinola ed Oberto Auria, signoreggiarono da allora in avanti quali Capitani. Sotto il loro governo, nel 1274, ebbe luogo un consolidamento delle compere salis 8 °/0 (3). La somma di debito di 317054 L. (4) doveva essere all’interesse dell 8 °/0; il pagamento degl’ interessi aveva creato delle difficoltà al governo ; per pagarli si dovette ricorrere a nuovi prestiti, per i quali furono assegnate ai creditori determinate entrate, come fu già il caso nel 1263 per la compera maletolte. I debiti dello stato presero il nome di compere salis, perche i relativi interessi erano in gran parte presi dalle entrate del sale, ed i Consules salis ne aveano l’amministrazione. (1) « nomine et vice omnium et singularum personarum que in dicto mutuo conferent seu scriptum reperietur in cartulario communis mutuasse seu solvisse in ipso mutuo prò se vel alia persona, quarum omnium negotia geritis. » (2) Caro, pag. 265. (3) Mon. Hist. P. XVII, col. 227-232. Si vede che si tratta di creditori di prestiti forzozi o di prestiti forzosamente consolidati ; perchè ai diritti dei creditori della compera salis sono opposti i diritti di coloro « qui mutuaverunt communi gratis et amore » , appendice IV. (4) In questa somma non sono compresi tutti i debiti di Genova; infatti */,4 dell’ introitus carnis et casei, era assegnato ad altri mutui. App. IV. Intanto nel 1274 vennero assegnate ai comperisti, oltre che quelle del sale, anche altre entrate, che dovevano produrre insieme L. 24375. Se le rendite assegnate non fossero bastate al pagamento degl’ interessi, il Comune avrebbe provveduto altrimenti ; invece se vi fosse stato un sopravvanzo esso rimaneva a van-taggio del Comune per essere assegnato ai Duo supra munitione castrorum et solutione servientium. I creditori vennero quindi messi nuovamente ad interesse fisso, in confronto però acquistarono influenza nell’ amministrazione del debito. A capo della compera stavano consoli e scritturali, che dovevano tenere in regola i cartolari. Questi consoli e scritturali furono nominati dai Capitani, ma in concorso del consiglio di 7 a 9 creditori, che possedessero almeno 10 loca. II pagamento degl’ interessi aveva luogo trimestralmente, ed il governo si obbligava a non frapporvi alcun ostacolo. Solamente le pretese dei ribelli non erano prese in considerazione. La confisca dei beni delle famiglie guelfe Grimaldi e Fieschi, potè farsi più facilmente sulle loro partecipazioni al debito pubblico, dalla cui somma totale suaccennata vennero cancellate L. 7725 (1). Il governo cancellò pure la loro parte della compera salis di L. 4638. Non si pensava ancora in quell’epoca ad impiegare queste somme come quota d’ammortamento accumulando gl’ interessi degl’ interessi. In tal guisa la somma sulla quale il governo doveva pagare gl’ interessi fu stabilita in L. 304691. Del resto però i Grimaldi ed i Fieschi vennero più tardi rimessi in potere delle loro partecipazioni al suddetto debito. (1) Caro, Genua und die Màchie, I, pag. 294, nota 4. Cangiamento della costituzione del 1270, Organizzazione delle classi* Nobiltà e popolo. Floridezza di Genova al volgere del 13.o secolo. Dobbiamo fermarci ancora un momento sui cangiamenti della costituzione avvenuta nel 1270, perchè essi servirono di norma per Genova fino all’anno 1528. Nel seno della compagna si separarono allora le classi. Alla nobiltà si oppose il popolo, la felix societas beatorum apostolorum Simonis et Jude. Non è però facile il determinare una distinzione netta fra queste due classi. Alla nobiltà appartenevano le famiglie che possedevano proprietà fondiarie in città e fuori e i discendenti dei visconti formavano una parte rilevante di essa. La proprietà fondiaria in citta sembra essere stata, oltre la partecipazione al governo, il criterio principale della nobiltà genovese. Almeno il progenitore dei Doria racconta d’aver comperato parecchie case in Genova e così pure i conti di Lavagna ed i marchesi di Gavi dovettero comperare palazzi in città. I palazzi dei nobili erano sparsi per tutta Genova. Molti erano muniti di torri fortificate. Tutti si distinguevano per ampie loggie e grandi cortili, che servivano da luogo di riunione della famiglia e de’ suoi partigiani (1). I nobili come armatori e banchieri prendevano parte attivissima alla vita degli affari di Genova. Erano alla testa della compagna (2), comandavano le flotte e sapevano come fare occupare dai loro membri le cariche dello Stato. Special- (1) Belgrano, Vita privata dei Genovesi, Capo VII, pag. 20. (2) Kegel, Geschichte der Stàdteverfassung von Italìen, II, pag. 180 segg., crede che da principio la classe nobile dedita alla guerra ed al commercio marittimo formasse a Genova, come a Pisa, il governo del Comune. Ma i « minores », che erano esclusi dalla compagna, non erano già, come credeva il Kegel, appartenenti alla classe povera, ma « minores 17 annis » incapaci di prendere le armi. U. Assereto, Genova e la Corsica, pag. 50, nota. In realtà nobili e popolari avevano le stesse o-rigini. — 74 — mente coll’occupazione del seggio di podestà, nelle riviere, essi si crearono un potente appoggie (i). Le famiglie nobili di Genova erano pari di condizione alle famiglie feudali del territorio esterno ed avevano un e-guale sistema di vita cavalleresca. Vedremo ora come , fino dal 13.0 secolo , le famiglie dei nobili, per evitare lo sparpagliamento dei loro membri dopo la morte del padre, si chiudessero in alberghi. Per essere superiori alle famiglie più forti, le più deboli si stringono in tali alberghi, senza neppur tener conto dei vincoli di sangue, assumendo così sempre più il carattere di una associazione belligera e d’interesse. Gli alberghi hanno essenzialmente il carattere di diritto pubblico. Si stringevano insieme per sostenere i loro diritti nella vita pubblica di fronte al popolo ed agli altri alberghi (2). Ogni membro dell’albergo aveva la sua propria sostanza, però anche 1’ albergo possedeva una cassa formata mediante contribuzioni destinata per scopi dell albergo medesimo e per soccorso ai suoi componenti. Gli alberghi possono formarsi statuti (3). La loro organizzazione è riconosciuta dallo Stato, il quale incassa il contingente d’imposte spettante ai nobili per alberghi (4) e pure per alberghi distribuisce le cariche (5). (1) Caro, Verfassung, pag. 65. (2) Confr. L. Cibrario, Storia di Chieri, I, pag. i47'T57- Qua,K'° ne* 1228 si formò la Societas S. Georgii (popolare), le famiglie nobili e spe cialmente i Balbi si costituirono in alberghi per tenervi testa. U. Assereto, Gli ultimi giorni della Repubblica di Genova etc., p. 9 seS»- ^re-,s0 a quest’ albergo, che è una estensione del vincolo agnatizio...... ne vediamo sorgere un’altra forma, che diremo convenzionale. (3) Genova, Arch. di Stato, Arch. segreto, N. 1341 > 2 genn- x4^4-Capitula et ordinamenta recordata per Luchanum et Ambrosium quibus data fuit cura de omnibus contingentibus ad honorem et utilitatem Al bergi de Marinis pro anno presente ». (4) Genova, Arch. di Stato, Sala 41, N. 518, anno 1371 > « manuale nobilium et popularium avarie ». (5) 22 settem. 1378, al principio della guerra con Venezia fu stabilito che due anziani (consiglio del doge) dovessero essere presi a turno dai quattro alberghi dei Doria, Spinola, Fieschi e Grimaldi. Torino, Arch. di Stalo. Raccolta Lagomarsini, S. Giorgio, I. — 75 — Fra la nobiltà genovese si distinguono principalmente 4 famiglie, i Grimaldi, i Fieschi, i Spinola ed i Doria. La loro forza , oltreché dal commercio , derivava anche dalle loro proprietà fondiare in Liguria, che possedevano da tempo remoto o acquistarono dal Comune quali feudi. Gli Spinola, progenie di visconti, avevano stanza al nord di Genova, presso Busalla. I Fieschi provenienti da Lavagna, ■vassalli dei marchesi , abitavano ab antico a oriente presso Chiavari e Varese. I Grimaldi probabilmente originari della Provenza, si stabilirono nel 1275 a Monaco, dove ancor oggi regnano come principi sovrani. Anche i Doria vengono probabilmente dalla Provenza. Oneglia sulla riviera di ponente fu il loro punto d’appoggio e ad oriente di Genova, a S. Fruttuoso, alle falde del Monte Fino, eravi la tomba di famiglia (1). Dai tempi di Federico II i due grandi partiti nei quali dividevasi 1’ Italia , penetrarono pure fra le nimicizie private dalla nobiltà genovese (2). I Grimaldi ed i Fieschi abbracciarono il partito dei Guelfi, i Doria e gli Spinola quello dei Ghibellini. I Doria per conservare il potere all’ aristocrazia, erano disposti a collegarsi coi Guelfi, mentre gli Spinola per tradizione stettero sempre col popolo (3). Alla nobiltà organizzata per alberghi stava di fronte il fio-fizilus che veniva citato e tassato per concstagi, per vie e per quartieri (4). Al popolo appartenevano per primi i mercatores cioè quei negozianti ed armatori che non erano ammessi al consolato ne alla carica degli Odo nobiles e non erano organizzati in (r) Senarega, relatione 1597, Genova, Arch. dì Stato, manoscritto, "7 e. 349, cap. 3. (2) Caro , Genua und die Machte, I, pag. 279, nota 1. (3) Doneaud, Origini del Comune, pag. 62. (4) A Strasburgo invece la nobiltà era ordinata nei quartieri sotto i « constofeln » ed invano tentava di avere dei diritti pei suoi « stubegesellen », quando le arti avevano la loro organizzazione a parte ed indipendente dai « constofeln » dei quartieri. Schmoller, Strassòurg zur Zeit der Zunft-kcimpfe, p. 15, 41, not. 1. — 76 — alberghi (i). Ci rimasero statuti del ceto mercantile, dell’anno 1432, in una copia dell’anno 1743, quantunque l’organizzazione debba risalire ad epoca molto più antica. Non deve far maraviglia che questi statuti s’ occupino prima di tutto dell’ organizzazione del commercio al minuto (2). Gli esercenti le industrie della lana, della seta, e dell’oreficeria (lanerii, seaterii, magistri battifolii) (3) si separarono dai mercatores in corpo-razioni indipendenti (4). Però già nel principio del trecento è fatta menzione di un console dell'aro ìanerionm (5). I mercatores stavano alla testa del popolo , ma i loro interessi economici erano presso a poco eguali a quelli dei nobili; la loro tendenza era politico-personale , per occupare le cariche invece dei nobili. II nerbo del popolo era formato dagli operai organizzati a guisa di corporazioni e che fino dalla metà del 14.0 secolo formano il terzo stato nettamente distinto dai mercatores (6). Negli stabilimenti industriali di sostanze alimentari ci sembra scorgere qualche cosa che accenni ad una organizzazione governativa (7), anteriore all’istituzione del Comune. La ca- (1) Sull’albergo dei Giustiniani, confr. sotto Cap. Ili; gli alberghi popolari furono riconosciuti soltanto nel 1528; fino allora, p. es. i Giustiniani, pagavano le imposte nel Carlularium Conestagiorum come p. es. nel 1467. Genova, Archivio di Stalo, Sala 41, N. 6x4. Assereto, Genova e la Corsica, pag. 49, n. 3, p. 126, n. 1, 1’ albergo popolare dei Franchi formato 1393. (2) V. Belor, Groszhandler und Kleinhàndler im deutschen Mittelalter, Conrads Jahrbiicher, LXXV. Sieveking, aus Venetianischen Handlungs-biichern. Schmoller, ]ahrbuch, 1902 Jan. S. 203. (3) Nel 1342 questi magistri battifolii si costituirono in corporazione, in opposizione all’altra dei laboratores battifolii. Genova, Arch. di St. A. Sala 53, A. 1096. Diversorum capituli, pag. 27. (4) Sieveking , Die genueser Seidenindustrie. Schmoller , Jahrbuch gennaio 1897, pag. T03, nota 2. (5) Foliat. Notar. (Civica) III, 2, f. 22; Federici. Arch. di Stato Manusc. n.» 46, pag. 189. Caro, II, p. 343' (6) Nel 1363 i posti di anziani e le altre cariche furono coperte per metà da mercatores, per 1’ altra metà da artifices. M. Storia P. XVIII, c. 237 e 321, Stella, anno 1383. Se la metà delle cariche era devoluta ai nobili, l’altra metà veniva divisa fra mercatores e artifices, cosi nel 1413. (7) Kentgen, Àmter und Ziinfte, S. 137. ..... 77 _ rica della polizia dei viveri e della sorveglianza delle corpo-razioni conservò il nome di ministri (i). Abbiamo già accennato alla dipendenza dei macellai dai visconti. I fornai delle valli, ancora nel 13.0 secolo, dovevano pagare una tassa speciale, la ministraria (2). Cosi i bisogni pubblici come l’interesse fiscale poterono indurre il governo a dare una specie di organizzazione alle arti. Doveva per esempio pagare al governo una tassa colui che voleva esercitare l’arte del magnano (3). Verso il pagamento della tassa sui prestiti con pegno, il governo chiudeva un occhio sulla proibizione dell’ usura (4). Gli affari della classe importante e numerosa dei marinai, i loro doveri, le loro mercedi, erano regolati accuratamente dal governo (5). In Genova fioriva principalmente la costruzione navale ; poi 1 industria del ferro, massime per la fabbricazione delle armi; poi venivano i sarti, i calzolai, i filatori di lana, i pellicciai e le industrie di lusso, come i tintori di porpora e gli orefici. Gli appartenenti a stabilimenti industriali si univano in libere associazioni , che avevano la forma di convenzioni private (6). (1) Detti anche cotiservatores secondo gli statuti del 1383. M. Hist. P. XVIII, Col. 389. (2) Nel 1252 è concesso a Guillermus de Bisanne verso 100 soldi : « facere panem per se et familiam suam ad vendendum in fenestra sua ». Wolf, gabelle. (3) 1277. «Ego Guiliermus minucterius de S. Nazaro emptor introitus minuctorum concedo tibi..... quod possis libere exercere officium minu- ctorum in domo tua , tu et uxor tua vel duo laboratores pro te et dicta uxore tua , si tibi et uxori tue inesset incommoditas vel infirmitas mi-nuctos vendere ad voluntatem tuam pretio libr. 3 ». Wolf. Gabelle. (4) « Introitus cassanorum », ivi. Confr. Firenze, Arch. SI., Provigioni, 41- f. (1), 13, 20 maggio 1353. I «feneratores» fiorentini non sono compresi nella matricola dell 'arte del Cambio del medesimo anno. Ivi, arte del cambio, n.° 14, pag. 17. (5) Impositio officii Gazarie. M. Hist. Patr. II. (Leges Municipales), col. 305 seg. (6) Caro, Genua und die Machie, I, pag. S2, nota 5 , pag. 83 nota 1 alla fine : « Consules artis cultelleriorum et cultellerii, quorum nomina enuntiantur , sibi ad invicem promittunt ». - 78 - Le associazioni operaie di Genova, mai raggiunsero un importanza simile a quella delle corporazioni di Firenze (i). Quelle non formavano come queste la base dell’ organizzazione politica. Alcuni tentativi isolati degli operai, per fare della loro organizzazione il nucleo della costituzione politica, andarono falliti. Il governo però riconobbe le corporazioni per quanto riguardava la parte economica, approvò i loro statuti, e se non ne poteva impedire la formazione, procurava di tenerle in propria mano e di guidarle (2). Il populus domiciliato per quartieri, in origine fors’ anco secondo il diritto censuale, livellimi, nel 13.0 secolo, mediante svincoli e riscatti, era riuscito a venire in possesso di beni e fondi in città (3). Colla crescente importanza economica, aumentava pure la sua partecipazione alla vita politica fino dal 1270. Alla testa del populus stava Y Abbas populi (4). L’organizzazione della popolazione genovese per classi, avvenuta nel 1270, diventò col tempo sempre più pronunziata. Diritti e oneri furono divisi secondo le classi medesime. Dal 1290 in avanti le cariche vennero divise per metà ai nobili, per l’altra metà al popolo (5). Secondo i catasti del 14.0 (1) Confr. Doren, Entwicklung und Organisaiion der florenlìner Zilnfte, ricerche di Schmoller, XV, 3. (2) Confr. gli statuti delPar? candeleriorum del 1369, (Genova, Civica), f. 6. Il governo accordò gli statuti : « cupientes tollere gabillas, uniones et ligas quas faciunt homines artiste seu artifices Janue pro eorum proprio commodo et ad damnum et lesionem totius reipublice »; e determina « quod si aliqua ars de cetero fecerit aliquos ordines qui essent contra bonum publicum nisi tantum contentos in presenti volumine, quod consules talis artis cadant in penam a libr. 10 usque in 20 ». Ai facchini, che avevano di mira i mercatores fu proibita l’associazione, sotto pena di castigo; statuto dei Conservatori. (3) Belgrano, Illustrazione, Atti, li, 1, pag. 283 e segg. Nel 1229 gli abitanti del Broglie presso S. Ambrosio, riscattano i diritti di possesso dell’Arcivescovo di Milano e diventano così proprietari di fondi, fra altri un tornator, un sartor, un calegarius, un barillarius e un botarius. (4) Caro, Genua und die Macthe, I, pag. 270. (5) Annali, pag. 334; « dicta societas nobilium habere debeat medietatem omnium officiorum et consiliariorum et predicta felix societas populi habeat medietatem ». Reg. com. cap. fog. 74b. — 79 — secolo, anche 1 imposta diretta fu ripartita fra nobiltà e popolo, e incassata per alberghi quanto alla prima e per cone-stagi quanto al secondo (i). Ancorché nel 1270 il populus avesse cominciato a prendere parte al governo, tuttavia dal 1270-1339 troviamo alla testa del governo ora capitani del paese, era podestà venuti dal di fuori, sempre però appartenenti alla nobiltà. I primi a guidare il carro dello Stato furono i capitani ghibellini Oberto Spinola e Oberto Auria. Sotto questo reggimento nella 2.a metà del 13.0 e nella i.a del 14.0 secolo, Genova attraversò un’epoca di massima floridezza al di fuori (2). Fu allora che riuscì il 6 agosto 1284, a sconfìggere decisivamente presso Meloria, la sua più pericolosa rivale, Pisa. Questa, nella pace del 1300, dovette fare completa rinunzia sulla tanto contrastata Corsica. Il commercio marittimo genovese per l’Inghilterra e le Fiandre, prese un’ importanza notevole (3). E vero che nel 1258 venne distrutta ad Accone la torre dei Genovesi; ma nel 1291 quasi tutta la Palestina andò perduta per gli Occidentali. Conveniva quindi cercare altra via per le ricchezze dell’Oriente. Nel 1291 due galere genovesi tentarono la navigazione intorno l’Africa, ma il tempo per correre questa via non era ancora venuto. In confronto dopo la caduta dell’ impero latino, Genova, protetta dagl’imperatori greci secondo il trattato di Ninfea del 1261 , acquistò una decisiva influenza a Costantinopoli. Fino dal 1267 i Genovesi avevano preso stanza a Pera e nel 1303 ebbero il privilegio di trasformare questa importante colonia sull’ altra riva del Corno d’Oro, in una città fortificata (4). (1) Genova, Arch. St. Sala 41, n. 515, 1359. Avaria Capitis, fa menzione del cartularium nobilium e del cartularium populi. (2) Caro, Genua und die Mdclite. pag. 5 e 6. (3) Alti, V, 3 documenti riguardanti le relazioni di Genova colle Fiandre; nel 1315 i Genovesi ottennero il privilegio in Briigge, pag. 520. Heyd, Geschichte des Levante handels, II. pag. 708. (4) Heyd, Geschichte des Levanlehandels, I, pag. 480, 499 segg. L. J. II, col. 435. Da questo punto Genova dominava sul passaggio al Mar Nero, nel quale Caffa in Crimea era la sua più importante colonia (i). Da questo punto i Genovesi dirigevano il trasporto delle merci dall’Oriente alla loro città. L’annalista cita con orgoglio alcune date dell’anno 1293, riguardo all’estensione del commercio genovese. Da 50 a 70 galere erano annualmente equipaggiate dalla metà di febbraio alla metà di novembre per i viaggi della Sardegna, della Sicilia, della Provenza e della Grecia. Altre navi portavano specialmente lana (inglese, per la via di Aigues-Mortes) al porto toscano Motronum (2). Il commercio doveva essere protetto dalle guerre navali. Possiamo farci un’idea delle potenza marittima dei Genovesi, dalle matricole del 1282 da cui risulta che potevano esser armate ben 120 galere (3). Nella guerra di Pisa furono allestite in tutto 627 galee. Le imposte e l'amministrazione delle finanze di Genova nella seconda metà del 13.° secolo. Il risorgimento di Genova fu accompagnato da un notevole aumento delle imposte. Per l’anno 1293 l’annalista ci dà L. 140000. — come totalità delle imposte, di cui 30000 riguardavano il monopolio del sale, e 49000 i denarii maris. Dagli assegni degli anni 1274 (4) e 1303 (5) e dagli estratti del Wolf, possiamo vedere con maggiore esattezza come componevansi queste cifre. Disgraziatamente non abbiamo altro che i numeri del 1274. In questo periodo vedesi posta la base del sistema tribu- (1) Heyd, luogo citato, II, pag. 158 segg. Nel 1287, prima menzione del commercio con Caffa; dal 1289 consoli genovesi a Caffa, Belgrano, Vita privata, pag. 530. (2) Jac. Aurie. Ann. M. G. SS., XVIII, pag. 354. (3) Heyck, pag. 165. (4) Append. 4. (5) Cuneo, pag. 265 e segg. tario genovese, sulla quale si eresse poi un’organizzazione perfetta. Prendiamo ora in esame le singole entrate del comune. I. Entrate derivanti dal patrimonio, dai fondi e dalle case di proprietà del Comune, specialmente da quelle situate vicino al porto, dai banchi di carne, che dal 1303 non fruttavano più ai visconti, ma bensì al Comune, dai molini di Castelletto (200 L.), dalle provviste d’acqua (introitus fontana-rum 1248) (1); inoltre entrate sui fondi del territorio, cioè di Voltri, Ovada, Frascarum (17 L.), Peretum (31 L.), Flaconum (10 L.) e Aroltaggio (184 L.). A ciò possiamo unire i piccoli pedaggi di origine feudale, di Rivarolo (7 L.), Arcula e Pan-narina. II. Entrate derivanti dal potere sovrano ; punizioni giudi-diziarie e confische, tasse delle corporazioni, specialmente dei fornai nelle valli : ministraria potestatie Bisannis 13 L. 10 s. » » Pulcifere 16 » » » Vulturis 21 » e quelle dei prestatori con pegno [pene usurariorum). Gli uffici notarili di Tunisi e Buzea, i diritti di stazatura e pesatura: introitus marcharum 325 L. pontoni ni » quaranteni 501 » (2) mulionum 64 » ballarum provincie *4 7** III. Imposte concernenti il commercio. Dicemmo già come i dazi di Gavi, Voltaggio Portovenere fossero stati trasformati in dazi di confine (3) ; il prodotto ne fu a un dipresso valutato nel 1274 a 710, 500 e 1010 L. rispettivamente. (1) Wolf, Gabelle, pag. 80 (2) È citato il Manuale sive cartularium del « ponderator communis in officio quaranteni ». Wolf, Gabelle, pag. 58. Sullo « scriba... cabelle sive introitus quaranteni », Caro, II, p. 420. (3) Confr. M. Storia, P. XVIII, pag. 597; « quacunque parte strata mutetur, pedagium Gavii et Vultabii salvum sit semper ». Atti Società Ligure Stona Patria. Voi. XXXV. 8 — 82 — Ai dazi corrispondevano per mare i denarii maris. La collccta maris era stata in origine una tassa straordinaria sui beni, che doveva colpire i beni nazionali esposti alla guerra navale. Coll’assegno della collecta viaris nel 1274, ai creditori dello Stato, quella sovratassa diventò una imposta stabile. Dalla forma con cui quella tassa veniva riscossa, ne conseguì che i denarii maris sempre più diventarono simili ad un dazio. Furono riscossi anche dai forestieri (1). Nel 1293, come tutte le altre imposte indirette, furono appaltate al miglior offerente. I consides maris, che ancora nel 1268 sono designati come impiegati dello Stato (2), nel 1303 non compaiono più fra i funzionari stipendiati da esso. Il titolo rimase, ma anziché significare impiegati dello Stato, che incassassero anche le collecta terre e pagassero spese pubbliche, esso non voleva dire altro che subalterni, collectores degli appaltatori della tassa. Un denaro maris (7240 del valore delle merci) diede: nel 1214 1585 L., 8 s, 4 d. » 1274 3000 » valore dell’importazione e dell’esportazione 720000 L. » 1361 7453 » (3)- Oltre i dazi ed i donarii maris da cui erano colpite le merci nell’esportazione e nella importazione, erano pure soggette, alla vendita, ad una tassa generale chiamata ripa. Nella voce ripa, possiamo notare diversi significati. Dapprima nella tariffa dei visconti essa dinotava la tassa personale, di protezione, pagata dai forestieri provenienti dalla parte di mare. (1) Lib. Ped,., fog. 58. Contratto con Firenze del 1329; ai Fiorentini fu imposto: « omnes alios introitus tolta et drictus communis Janue tam denarios maris, rippe, cambiorum quam alios quosque impositos solvant collectoribus ». (2) Wolf, Miscellanee. (3) La lira d’argento cadde del 1288-1370 da 56 gr. a 29, 180 gr. di fino; confronta le tabelle Desimonis in Belgrano, Della vita privata dei Genovesi, 2 Ediz., pag. 515. La somma data dagli annalisti f. 1293 — 1 den. per libra = 12250 L. sembra straordinariamente elevata. Muratori, SS. IX, col. 608, lesse « per ballam ». - 83 - Di poi venne così chiamata la tassa imposta ai forestieri che facevano delle vendite in Genova (i); finalmente questa voce rimase definitivamente stabilita per la tassa imposta su qualunque acquisto fatto in Genova anche fra Genovesi. Nel 13.0 secolo venne distinta la ripa grossa e la ripa vii-nuta, la prima, molto più produttiva, era applicata ai beni mobili, la seconda ai passaggi di proprietà di immobili, case, tei reni 6 corpi di nei vi (2). Per qualunque atto notarile, contratti, autenticazioni, i-stanze, pareri, competevano al governo 2 den. Questo diritto rese al governo nel 1265 L. 469. — e nel 1291 L. 680. — da cui deduciamo che nel primo dei detti anni furono stesi 55680 documenti e nel secondo 81600 (3). Oltre a queste imposte generali, altre ve n’ erano di speciali, come l’introitzos ferri per 1’ importazione del ferro (4), 1 introitus lini specialmente per le merci di lino introdotte dalla Lombardia (5), 1’introitus canali e canalaciorum per l’in-portazione del canape e della tela da vele, 1’introitus auri et argenti filati, lavori cioè d’oro e d’argento (6). Persino rose e mirti, che sembra fossero introdotte specialmente per usi di chiesa, dovevano pagare dazio (7). IV. 1 dazi di consumo furono detti a Genova, imposte su- (1) Blumenthal, pag. 64. (2) Membr. 22 (XIX), f. 118, dal valore della nave veniva dedotto */4 per l’armamento. La ripa minuta raggiunse nel 1257 L. 146. Wolf, Gabelle. (3) Ivi, pag. 70. (4) 4. den. pro quolibet cantarlo ferri et azarli. L’imposta produsse : a Genova 1266 L. 96, 1277 L. 131; — a Chiavari 1266 L. 46, 1277 L. 55, 1278 L. 70 Wolf, Gabelle. (5) « Den. 12 de qualibet torta lini » appaltato nel 1254 ad un dra-perius per 1403 L. Wolf, Gabelle, pag. 64. Da ciò deduciamo l’importazione di 28050 torte di lino. Secondo gli statuti del 1403 (M. St., P. XVIII, col. 556) la torla doveva pesare 52 libr. (6) « Introitus de curletis de quibus filatur canabum » appaltato nel 1274 ad un filatore per 17 L. Wolf, Gabelle, pag. 60; ivi pag. 62 « tolta canabaciorum et canoni auri filati ». (7) Append. 4, « introitus rose et murte ». - 84 - per vidimi et vestitum. Un dazio di consumo che doveva colpire i consumatori era 1 'introitus canne o la malatolta panno-rutti che importava i/li0 del prezzo sui panni e che il compratore doveva pagare, sia che comprasse per sè o per i suoi parenti, sia che volesse rivenderlo in Genova, nel qual caso poteva rivalersi sui suoi compratori (i). In maggiore quantità e di maggiore importanza erano i dazi sui viveri. Genova doveva importare il suo grano dal mare. Il governo dovea provvedere che sempre ve ne fosse abbastanza pel nutrimento della popolazione. In caso di carestia i bisogni della capitale andavano innanzi a quelli del territorio. Per concentrare in Genova il commercio dei viveri, il governo, nella convenzione coi marchesi di Finale, non solamente aveva stabilito il diritto di scalo, ma aveva anche limitato ai bisogni del distretto le quantità di merci commestibili che gli arrivavano per la via di Genova, cioè 3000 mine di grano e 7000 cant. di formaggio e carne sardi, per ogni anno. Era riservato al commercio della capitale di provvedere alla Lombardia. Però al tempo della carestia non potevasi asportare da Genova se non la metà di quello che era convenuto per il territorio di Finale (2). Il governo provvedeva grano anche per conto proprio. Nel 1227 vennero fatte grandi provviste all’estero per i cittadini che erano in campo contro la riviera di ponente (3). Questo però dev’ essere considerato come un provvedimento piuttosto militare che economico. In altri casi il governo si limitava ad assicurarsi l’importazione mediante privati, promettendo loro, come compratore sussidiario , un prezzo fisso per il grano importato. (1) Nel 1249 un appaltatore dell’ introitus canne cede ad un collector il diritto d’incassare: « denarios 2 pro qualibet libra de eo quod homines et persone habitantes a Bisanne usque Portum Veneris implicabunt in [anua vel districtu in pannis, telis, sive canavaciis, fustaneis, et bambacilis causa vendendi in Janua vel districtu vel ad eorum usum vel ipsius familie ». (2) Membr., 8 (VII), fog. 193, 27 maggio 1292. (3) Annali, pag. 162; « de diversis partibus et longinquis ad communis Janue precium et expensas ». Quando nel 1272 il mercato della Sicilia sembrava chiudersi per Genova, il governo provvide all’ importazione, promettendo ai negozianti che si fossero impegnati ad introdurre grano fino ad una data epoca, di comperare la loro merce con un guadagno di due soldi (prò mina prò lucroj (1). Al 28 gennaio 1276 un tale Manuel Zacharias, assunse l’impegno verso il governo di importare dal regno di Grecia entro il i.° luglio dell anno medesimo 10000 mine grani mercaniilis. Il governo s impegnò di pagargliene il prezzo di 22 sol. in maggio e 21 sol. in giugno per mina. Zacharias però aveva il diritto, se cosi gli fosse piaciuto, di vendere il grano per conto proprio, purché lo avesse fatto sul mercato della città (2). L’ultima disposizione tendeva evidentemente ad evitare la carestia del grano per mezzo dei negozianti intermedi. Questi affari sono interessanti anche dal lato tecnico. Il governo comperava a tempo, ma era in arbitrio del fornitore di consegnare o no la merce. Egli s’impegnava solamente di far venire il grano a Genova. Perciò il governo gli assicurava: i.° un prezzo determinato, al quale doveva in qualunque caso prendersi il grano; 2° la speranza d’un premio , cioè la differenza fra il prezzo del governo e quello eventualmente maggiore del mercato al momento dell’ esecuzione del contratto. I viveri erano soggetti a tasse che venivano calcolate non secondo il valore , ma bensì secondo il peso 0 la misura. Il grano ed il sale per contro erano franchi dai dazi generali di terra e di mare. L imposta del Comune genovese , colpiva prima di tutto il grano all’importazione. Nel 1256 è fatta menzione di una tolta di 6 den. sulla mina grani che rese 5316 L., da cui desumiamo un’importazione di 212640 mine (3). Questa imposta era pure riscossa nelle valli, Bisagno, Pulcevera e Voltri come pure nelle podesterie della riviera di Levante, Recco, Rapallo, (1) Caro, Genua und, die Machie, I, pag. 297, nota 2. (2) Wolf, Miscellanea. . (3) Wolf, Gabelle, pag. 6. —————- — - 86 — Chiavari e Sestri e si chiamava gombetum grani o maletolta grani; nel 1263 fu aumentata di 2 den. e nel 1303 era salita a 12 den. Il carattere di questa gabella come tassa di consumo fu stabilita nel 1272. Il medesimo grano doveva pagare una sol volta e precisamente al domicilio del consumatore (1). Il grano doveva pagare una seconda volta, come i legumi, se era portato alla vendita sul mercato. Questo introitus rai-barum grani, rese nel 1253 L. 220 e nel 1254 L. 257. La tassa veniva applicata una terza volta, quando il fornaio cuoceva il pane per venderlo. L 'introitus pancogolorum era nel 1253 di 12 den. per mina panis, dal 1269 in avanti si fa menzione di 2 soldi. Dai documenti notarili possiamo ricavare per il territorio esterno di Genova la seguente tabella, dalla quale, p. es., per Voltri, risulta l’accrescimento della quantità di pane cotto per la vendita: 1253 Pulcifera .... 113 L. 22ÓO mine panis 1248 Voltri..... 20 » 400 » » 1254 » ..... 32 » 64O » » 1291 » ..... 74 » 740 » » 1274 Recco..... 5i » 510 » » 1291 » ..... 85 » 850 » » 1253 Rapallo..... 38 » 760 » » 1254 Chiavari e Lavagna. 93 » 1860 » » 1291 Sestri..... 60 » 600 » » ( (2). Carne e formaggio erano misurati colla medesima unità di peso, il cantarus, ed erano quindi soggetti alla medesima imposta , cioè all’ introitus carni et casei. Il formaggio veniva dalla Lavagna, Pisa e Parma, e spedito in balle di circa 0,4 cantari. (1) Wolf, Gabelle, pag. 8. È riconosciuto che Ugolinus Pilosus, nativo di Genova ma naturalizzato Aragonese, non deve pagare la tassa : « cum in venditione dicti introitus contineatur quod recepti in burgenses alicuius civitatis non debeant solvere dictum introitum nisi in loco, quo recepti fuerint et nabitaverint cum eorum familia ». (2) Tutto secondo Wolf, Gabelle, - 8f - La gabella della carne e dei formaggio fu appaltata nel 1256 per L. 3825 per un anno. Il formaggio pagava pure i denarn maris calcolati sul valore anziché sul peso (1). Dal pesce il governo ritraeva 2 den. Il totale ricavo del- 1 imposta sul pesce ascese nel 1264 a L. 92, nel 1267 a L. 140, e nel 1274 a L. 150. Le spese di esazione, il salario dei ricevitori, ammontarono nel 1283 a 13 L. 11 s., cioè a circa 9 °/0 (2)-Però sarebbe ancora da calcolarsi il profitto dell’ appaltatore delle imposte che appaltando dal governo una tassa ne diventava il collcctor. Il vino pagava quando veniva introdotto e quando veniva venduto. Per desiderio dell 'Abbas populi, dei Conestabuli populi e dei consules artium, nel 1276 venne abolita la sovra-tassa di 12 den., sui normali 2 sol. per metreta (3). Solo nel 14.0 secolo il dazio sul vino venne nuovamente aumentato. L’olio veniva tassato per botte; 3 s. per barrilem. Abbiamo un documento del 1278, in virtù del quale gli appaltatori delle imposte s’impegnano verso alcuni negozianti di comperare loro tutto l’olio che introducessero, con 1 soldo di guadagno (4). La tendenza al monopolio è qui evidente, ed ancor più in certe città della riviera di ponente che avevano un sistema tributario proprio. Nel 1236, p. es., a Ventimiglia, venne messa all’incanto per 60 L., come monopolio , la tassa sulle carni (5). Quelli che portavano a Ventimiglia bestiame da macello, erano sotto la protezione del Comune, nessuno però, senza il consenso dell’appaltatore dell’ imposta, poteva uccidere il bestiame per venderlo. Solo potevansi vendere le ossa e le teste dei maiali (1) Wolf, Gabelle, pag 40. Nel 1282 un consul maris in capitulo fa fede d’aver ricevuto L. 8, s. 6, d. 8 « pro expedimento casei de Sardinea in Januam ad rat. den. 4 de libra ». L’altra tassa era 3 s. 10 d. per cantarus. Cf. Caro, II, p. 420. (2) Wolf, Gabelle, pag. 34. (3) Caro, Genua unde die Macthe, pag. 273, nota 2. (4) Wolf, Gabelle, pag. 46. (5) Notaro Paladius de Sesto, I, 3. che si uccidevano in casa, e perchè non si potesse eludere il monopolio a danno dei macellatori e degli appaltatori, era proibito d’introdurre carne macellata dal di fuori e nemmeno era permesso a 2 o 3 persone di comperarsi un animale per dividerselo. Se però un maiale od una vacca erano assaliti da un lupo, il proprietario poteva venderli liberamente. Del 1276 a Porto Maurizio venne appaltato per 4 lire un monopolio per la vendita dei fiori. L’appaltatore doveva comperare tutti i mirti che arrivavano in città. Perciò a Porto Maurizio e nel distretto nessuno poteva comperare 0 vendere mirti senza che non fosse stata pagata la gabella (1). Solo nel caso in cui 1’ appaltatore non potesse soddisfare ai bisogni del consumo, ciascuno poteva procurarsi i fiori direttamente. Il monopolio di cui abbiamo dato qui alcuni esempi e di cui vedemmo lo sviluppo, ebbe la sua piena espressione nel-l’imposta del sale che nel 1152 venne concessa a privati, ma che all’epoca di cui discorriamo era rientrata nelle mani dello Stato. Il monopolio del sale di Genova si estese a tutta la Liguria. Era una delle più ricche fonti delle finanze dello Stato, che nel 1293 rese circa 30000 L. ossia il 21 3/7 % di tutte le entrate prese insieme (2). Intanto che nel 13.0 secolo le gabelle vennero perfezionate e ne venne aumentato il prodotto, ebbe luogo anche una riforma nelle imposte dirette. Sembra che nel 1270 sieno stati riveduti i catasti (3). Di speciale importanza era la questione dei beni (1) Genova, Arch. St. Notar. Barth. de Fonte Moros. (Portomau-rizio) pag. 75; « Nemo audeat vel presumat emere vel vendere in Porto-mauricio vel districtu murtam vel ebreacam nec estrahere de portu vel deferri vel estrahi facere per se vel interpositam personam nisi solummodo de gabella ». (2) Confr. sopra i vari monopoli nella economia finanziaria del regno di Sicilia sotto Federico II. H. Wilda, per la legislazione siciliana, imposte, amministrazione delle finanze, Diss. Halle, 1889, pag. 23 segg. Le parole dogana, tariffa , fondaco , gabella, accennano al califfato arabo come esempio dell’economia finanziaria degl’ Italiani. (3) Leggi di Bucicaldo, 1403, col. 525, 1270 preso come anno normale. — 8g — ecclesiastici (i). Nel 1289 l’immunità fu limitata ad alcune fondazioni ecclesiastiche e ad un certo capitale imponibile e venne determinato che da allora in poi il passaggio di proprietà alla manomorta non dovesse trarre seco l’esenzione della imposta (2), Chi non contribuiva alle imposte dirette, perdeva i suoi diritti verso il Comune, nè gli venivano pagati interessi se era possessore di titoli di compere (3). Il continuo, crescente differenziarsi delle sostanze genovesi portò la conseguenza che l’imposta generale ebbe d’uopo di più precise determinazioni. Una sostanza che ognuno porta con sè, è la propria attività personale. Perciò venne per lo più incassato un terzo dell’imposta, come imposta personale da tutti i membri della compagna dell’età da 17 a 70 anni (4). Gli altri due terzi furono ripartiti come tassa sulle sostanze. Le sovvenzioni erano dovute tanto dai beni mobili quanto dagl’immobili. In fatto però non furono colpiti giustamente che gli immobili ed i titoli del debito pubblico; ma nel corso del 14.0 secolo questa imposta diventò un peso reale (5). Non sempre però l’obbligo che a tutti incombeva del pagamento delle imposte era rispettato. Così, p. es., la potente famiglia dei Fieschi sosteneva di esserne immune (6); a qualche altra singola persona veniva accordato 1’ esonero a titolo di ricompensa. La stima della sostanza mobile ebbe luogo in modo notoriamente imperfetto e parziale. I Genovesi sostenevano che (1) Sull’importanza di questa immunità confronta Gottlob , Dìe pdp-stlichen Kreuzzugssteuern. Nuove tasse su beni della Chiesa, non potevano essere imposte se non col consenso del clero. (2) Reg. Comp. Cap. fog. 22ób. (3) M. Hist. P. XVIII, col. 584; « de pagis non faciendis illis qui non sint de dispendio » 1289. (4) Leggi di Bucicaldo, col. 528. Disposizioni normali per una collecta. La divisione delle tasse per testa e sulle sostanze fu introdotta nel 1293. Heyck, pag. 175. (5) « Ita quod semper illud onus sequatur ipsas possessiones ad quamcunque personam collegium corpus vel universitatem quocunque modo vel titulo pervenerint ». L. d. Bucicaldo, pag. 525. (6) Genua, Arch. di Stato. Diversorum, S. Georgii, 1450. per le loro sostanze, continuamente esposte ai pericoli del mare, era impossibile un esatto estimo, come potevasi fare in altre parti d’Italia (i). Effettivamente il capitale dei Genovesi esposto ai pericoli del mare era colpito dai denarii maris ; ma avendo questa tassa assunto poco a poco il carattere d’un dazio fìsso, essa diventò una imposta indiretta, della quale il negoziante potea rivalersi sul suo acquirente. Qui ci cade a proposito di fare menzione della tassa di successione, il decenum legatorum, che non colpiva la sostanza ab intestato, ma bensì quella che veniva trasmessa per ultima volontà del testatore, e specialmente quando andava a benefìcio di ecclesiastici o istituzioni pie (2). Erano libere da tassa le spese di sepoltura e così pure le somme da pagarsi a parenti fino al terzo grado ed a domestici. Per ogni testamento e per ogni codicillo, il notaio doveva far menzione del decenum, sotto pena di pagarne l’importo a titolo di ammenda. Nella seconda metà del 13.0 secolo, l’amministrazione delle finanze ricevette una radicale riforma, lo che è reso noto dal brano del cartularium magnum dei Clavigeri Communis che abbiamo in istampa nel L. /., I, col. 1462, e segg. un rendiconto dell’acquisto di terreni di Guido de Vezano del 1278. Da questo vediamo già un grande progresso in confronto col conto del 1237. Non possiamo effettivamente giudicare da questo frammento come fossero a quest’epoca tenuti i libri del Comune, se cioè per ogni partita stessero di fronte il dare e l’avere, se di queste partite ne venissero estratti i saldi e se già a quell’epoca fosse stata introdotta la scrittura doppia, quantunque tutto ciò a me sembri probabile. In ogni modo ogni affare ha il suo proprio conto, la sua ratio. In questo conto è notato da una parte il prezzo d’acquisto che dev’essere pagato a Guido de Vezano, dall’altra parte (o sotto questo dare) sono notati i singoli pagamenti, mediante i quali fu estinto il debito; con esatta indicazione della somma, della data, della persona che paga e che riscuote e della forma del pagamento. (1) Regule, Gab. Adurni, 1363, col. 348. (2) Vedi sopra Capit. I, pag. 31. R. c. comp., pag. 118. — gì — Potremmo far coincidere il miglior assetto delle finanze colla istituzione dei duo super rationibus, detti anche inquisitores rationum communis, che sono nominati per la prima volta nel 1263 (1). Nel 1270 era cessata la carica degli octo nobiles. Probabilmente data da quest’anno un capitolo che fu trascritto fra le « regule comperanm capituli » (2), secondo il quale i clavigeri, i duo super munitione castroruvi, i consules maris ed i consules salis dovevano dar conto del loro operato ai duo super rationibus. Questi dovevano rispondere dinanzi al Consilium ge?ierale} al quale dovevano fare mensilmente una relazione sulla posizione delle finanze. Però se da una parte si migliorava il sistema tributario e 1’ amministrazione delle finanze , dall’ altra le guerre di Pisa portarono un aumento dei debiti. Venne creato un apposito dicastero per il debito pubblico. Ai consules maris vennero tolti i pagamenti che eseguivano ai creditori dello Stato, per i quali troviamo invece nel 1278 accanto ai clavigeri Obertus Baionus Spinula e Guilelmus Pezagnus, qui presunt super assignationibus mutuorum (3). In particolare possiamo far menzione dei seguenti debiti. All’anno 1266 rimonta un mutuo di 40 soldi per libram ed uno eguale all’anno 1268. Nel 1282 , al tempo della guerra di Pisa troviamo una compera di 40000 L., nel 1285 una compera di 40,000 L., (1) Wolf, Miscellanea. Un dicastero simile, la « camera illorum qui suiti super rationibus » eravi pure a Venezia. Un’ordinanza del 6 maggio 1260 dispose che essa dovesse tenere un libro nel quale fossero registrati tutti i debiti e tutte le rendite del Comune. Gl’ impiegati dovevano incassare il loro stipendio soltanto col mezzo dei camerarii communis. Il 5 luglio 1271 fu ordinata la resa dei conti agl’impiegati. Dopo usciti di carica vi erano 15 giorni per quelli della città e 20 per quelli di fuori, per rendere conto ai super rationibus. Scorsi questi termini cadevano nella multa di 10 lire. Se- entro due mesi non avessero ancora adempiuto al loro dovere si faceva loro un sequestro. Venezia, Arch. di Stato, ufficiali alle rason vecchie, (copie del 1752), pag. 8 e 10. (2) Fog. 20b. (3) L. J. I, col. 1463. — 92 — una compera di iooooo L. ed un mutuum impositum di 40 s. (1); nel 1291 un mutuum impositum di 20 s., una compera di 7000 L. (prestito volontario, facta per commune Janue quibusdam civibus Janue); del 1292 un altro simile di 25000 L. e nel 129S una compera di 200000 L. (2). Le finanze genovesi si trovarono in tali condizioni, che per migliorarle non si rifiutò l’aiuto dell’estero (3). Quantunque colla pace con Pisa, Genova ricevesse un in-denizzo di guerra di 135000 L. (4), tuttavia le sue finanze non ne risentirono vantaggio e nel 1302 il governo dovette combinare una compera all’interesse del 10 °/0 (5)- La nobiltà guelfa non lasciò alcun mezzo intentato per riacquistare la supremazia. Alla lunga i capitani ghibellini non potevano sostenersi e a capo del governo fu di bel nuovo chiamato un podestà forestiero. I creditori dello Stato temevano che il governo in queste condizioni, non fosse in caso di soddisfare i propri impegni, come appariva dalla clausola che veniva messa nel passaggio di proprietà dei loca, secondo la quale il venditore si dichiarava garante verso qualunque terzo, meno che contro un atto di forza del governo (6). Specialmente nel 1296, quando in una sollevazione andarono bruciati la maggior parte dei libri dei conti, sembrò essere questa una buona scusa per il governo per mancare alla propria fede. Però quando alla fine di quest’ anno i Doria e (r) « Cui mutuo assignati sunt diversi redditus » tuttavia sta sotto la pari, mentre le compere stanno al di sopra; ad uno di essi potrebbe essere identico un « mutuum de libris sex prò centenario » che è pure sopra la pari. (2) Tutte queste date sono prese dal Wolf, Compere, pag. 40-45. (3) Progetto d’un contratto con Re Carlo di Sicilia, il quale doveva prestare a Genova 200000 libr. Turon. Mon. Gerii. Scriptores, XVIII, p. 346, anno 1292. (4) Stella, Annali. (5) Richerius, foliat. (N.° 537), pag. 2662. Il 27 gennaio 1302 fu acquistata 1 */2 loca di questa compera. (6) Richerius, Index, pag. 1308, anno 1287 Nic. Dentus vende 2 loca compere lib. 100000 per libr. 206; « quos locos promittit defendere ab omni persona preterquam a violentia communis Janue ». — 93 ~ gli Spinola ripresero le redini dello Stato, eglino promisero di rispettare i prestiti ed i rispettivi assegni. Eguale dichiarazione fecero i podestà, che dal 1300 in poi tornarono al potere (1). Riforma delle finanze del 1303, Nel 1303 ebbe luogo una riforma di tutto il sistema finanziario. Colle leggi di quest’ anno furono regolate tre cose : 1 amministrazione delle finanze, il bilancio, ed il debito pubblico (2). Consideriamo prima di tutto il riordinamento dell 'amministrazione delle finanze. Il i.° aprile 1303 il podestà, 1’Abbas populi, il consiglio degli anziani, ed il consilium maius dei 160 (20 sapientes per ogni compagna), tennero consiglio per discutere le proposte d’una commissione di 4 sapientes che furono alla fine accettate, e fu stabilito quanto segue: Ai duo super rationibus communis fu quasi dimezzato lo stipendio, cioè da 150 L. a 80 L., 40 L. per cadauno. L’ufficio delle spese dei duo de castris fu abolito e affidato ai clavigeris. Invece Vofficium assignationis mutuorum fu innalzato alla più importante autorità di finanza. Riscuotevano ognuno 50 L.f mentre i clavigeri ed i duo super ratione soltanto L. 40. Erano assistiti da 5 executores, i clavigeri invece, ed i duo super ratione, solamente da due. Ad essi furono delegate le entrate del Comune, ad eccezione di quelle assegnate ai consules salis per l’amministrazione del debito ed ai salvatores portus et moduli per la manutenzione del porto. I clavigeri, che pagavano le spese ordinarie del Comune, ritiravano il denaro necessario daH’amministrazione del debito pubblico, 8100 L. dai consules salis, 17900 L. dall’ officium assignationis mutuorum. Le spese straordinarie, come, p. es., (1) Reg. covif>. cap. fol. 88 e fog. 220; « de observatione officii assignationis mutuorum ». (2) Rcg. covip., cap. fog. 169-216. Cfr. Caro, II, p. 330-335. — 94 — ioooo L. per un palazzo che il Comune aveva comperato da Leonardo Fieschi, erano pagate dai consules officii assignationis mutuorum nomine communis (i), i quali furono pure incaricati per la stipulazione di contratti d’importanza per la finanza. Così nel 1306 rappresentarono il governo nella cessione d’una casa a livello perpetuo : i due capitani Opecinus Spinula e Bernabos de Auria, l’Abbas populi ed uno dei duo constituti super officio assignationis mutuorum (2). Anche in altre città eranvi speciali autorità per l’amministrazione del debito pubblico. Fino dal 1254 troviamo a Venezia gli ufficiali agli imprestiti (3), mentre nei prestiti forzosi ad interesse del 1207 (4) e 1224, l’amministrazione del debito pubblico era affidata ai Vicedomini e ai Camerlenghi (5) del sale. A Pisa nel 1317 , 1’ assettamento e 1’ amministrazione dei prestiti forzosi spetta ai soprastante degli estimi e delle prestanze (uno per ogni parrocchia) e nel 1329 ai partitori e distributori delle prestanze (6). A Firenze solo nel febbraio 1344 venne istituito uno speciale camerarius montis ed un ofjicuilis super revidendo debentes recipere (7). Nel 1353 l’amministrazione del monte venne riformata. Nel 135^ troviamo gli officiales deputati ad officium correctionis librorum seu registrorum montis (8). Similmente in Colonia il debito pubblico era amministrato (1) Foliat. Noi., Ili, 2 f. 361- (Ambrosius de Rapallo), 8 genn. 1303. (2) Ivi, f. 31, 7 maggio 1306. (3) Cecchetti ne fa menzione la prima volta il 29 dicemb. Il Doge di Venezia, pag. 82; non e accertato quando sieno stati istituiti. Cecchetti, Appunti sulle finanze della Repubblica Veneta, Arch. Veneto, 36, pag. 92, « Camere imprestitorum origo non exstat ». Nel 1264 sono menzionati 3 nobili preposti all’ufficio degli imprestiti. Predelli, Nota sui prestili pubblici di Venezia, Arch. Veneto, 1888, n. 36, pag. 78. (4) Cecchetti, Il Doge, pag. 238. (5) Predelli, Liber plegiorum, Arch. Ven., 1872, Append. n. 153. (6) Morpurgo-Lupi, pag. 155. (7) Arch. Reform. Prov. N. 35, pag. 63. (8) Arch. Reform. Prov. 41, fog. 7. Arch. delle prestanze. Libro delle rifor magioni degli assegnamenti delle prestanze, fog. 3. * — 95 - dalla Camera delle rendite e nel 1396 venne istituita a Braun-schweig una commissione permanente per il debito pubblico^ ed estinzione del medesimo (1), mentre la commissione per 1 estinzione del debito pubblico di Lùneburg del 1377 non era altro che un’autorità straordinaria (2). In queste citta i debiti erano tanto rilevanti da esigere una speciale autorità per amministrarli. Ma a Genova la loro importanza era tale, che tutta 1’ amministrazione delle finanze ed il servizio delle spese ordinarie del governo erano subordinate all’amministrazione del debito pubblico. Oltre ai consules officii assignationis mutuorum con 50 L. di stipendio per cadauno , ai duo super ratione, ai clavigeri, ai consules salis, tutti con L. 40 di stipendio ciascuno, nel 1303 e fatta menzione anche dei seguenti funzionari di finanza : i salvatores portus il cui stipendio da 50 L. cadauno venne ridotto a 30; mentre questi accudivano alla polizia del porto, i ministri sopraintendevano alla nettezza delle strade ed alla polizia del commercio, come p. es., alla compilazione della tariffa dei prezzi dei viveri (3). Alla zecca erano -proposti i superstantes ceche. Il posto di ponderator et numerator monete in capitulo dovette essere soppresso, e diminuito lo stipendio da 18 a 15 L. del ponderator carnium ad macella governativo. Dovettero pure essere soppressi i duo super exigendis delitis communis e così pure uno dei duo supra mutuis exi->gendìs (4).----—--------—.. . - Queste disposizioni sono prese dal lilancio normale approvato il i.° aprile 1303, da cui risulta che fu presa la massima di una estrema economia sulle spese ordinarie. Delle 26244 L., fino ad ora pagate, ne furono cancellate 3037, e quindi ne rimasero L. 23207, come cifra normale di spese annue. Le 26244 L. si ripartivano circa come segue: (1) R. Knipping, Dos Schuldenwesen der Stadt K'óln. ÌVestd. Zeitschr, XIII, 4, pag. 352. (2) Kostanecki, pag. 47, pag, 29. (3) Confr. Cap. 3* pag. 183. (4) Rg. Comp. Cap. f. i88b. — gèli governo centrale di Genova, cioè stipendio del podestà, impiegati giudiziari e amministrativi, richiedeva L. 49I5!Pie' sidio e polizia della città L. 5290; podestà e castellani delle riviere L. 16039. Il minimum delle spese ordinarie era dunque fissato in 23207 L., però con un margine per piccole spese impreviste, poiché i Clavigeri potevano disporre di L. 26000 annue. In ogni caso è degno di nota il fatto che il bilancio ordinario è assai poco importante in paragone collo straordinario. Ricordiamo che nel 1293 le entrate del Comune asce sero a 140000 L. Così pure a Firenze, ad un introito di 300000 fl. d’oro di gabelle, compreso Vestimo, si contrapponeva negli anni 1336 a 1338 una spesa di soli icoooo fl- di cui 40000 sul bilancio ordinario, escluse le spese per i soldati mercenari. Il resto veniva ingoiato da spese straordinarie e dall ammi nistrazione del debito (1). Il riordinamento del debito pubblico costituisce la parte principale della legge del 1303. Fu fatto un consolidamento dei debiti derivanti dalle guerre pisane, dalla mutua vetera, in un blocco, sul quale si sarebbe pagato il 6 %• 4 anm lo scopo doveva essere raggiunto. I debiti si componevano in particolare come segue. ^ In primo luogo venivano i prestiti forzosi all interesse 6 %. Per questi, durante i quattro anni successivi, non si pa gavano interessi, che andavano aggiunti al capitale (2). Dopo scorsi i quattro anni doveva cominciare il pagamento degl 1 n teressi del 6 °/0 sul capitale, aumentato degl’ interessi dei 4 anni, in rate trimestrali come nella compera salis. In secondo luogo Genova doveva intendersi per delle com pere ad un interesse più elevato, 10 °/0, che in parte devono essere state volontarie. Queste compere dovevano essere re stituite, non già mediante un’ imposta diretta , bensì con un prestito forzoso ad interesse minore. (1) Giov. Villani, XI, 92 e 93. F. Burckhardt, Kultur der renaissance, I. pag. 77. (2) Reg. Comp. Cap. fog. 175 « faciendo tunc de dicto capitali et proventu unam summam et unam columnam ». — 97 — Venne toccato il progetto di 4 mutui a soldi 40 (2 °/) che dovevano essere pagati uno per anno. Però i sapientes credettero che 1’ officium assignationis potesse uscirne colle gabelle assegnategli e con uno dei 4 mutui. Inoltre il governo aveva dei debiti in sospeso, stipendi arretrati, e impegni a breve scadenza contro obbligazioni. Questi debiti, per i quali il governo era obbligato alla restituzione ad sindicamentuia (1), dovevano venir coperti mediante un prestito sui beni all’ 1 % > e mediante compensazione nell’altro prestito forzoso. Il debito in sospeso , la cui restituzione non premeva (2) ed inoltre il prestito di 2 % col quale dovevansi estinguere le compere e quello di 1 % col quale dovevasi pagare il debito in sospeso, erano da comprendersi negli altri mutui pure al 6 °/0. Altri impegni risultavano dalla occupazione di Monaco e per i sussidi pagati a Lucca. Non è chiaro se colla quantitas que debetur pendentibus de Monacho (3), coll’ interesse del 5 07°, si tratti d una specie di mahona. Le 7200 lire pagate ai Lucchesi (4), sembrano essere state ripartite in un prestito forzoso. Dopo l’estinzione delle compere , dovevano venire subito queste due partite. Ma in pari tempo occorrevano L. 17900 annualmente per le spese correnti del governo. L 'officium assig?iationis mutuorum dovea dunque far fronte, colle rendite assegnategli, ai seguenti impegni: Anzitutto restituzione delle compere del 10 %, fra le quali sono special-mente menzionate quella di 200000 lire del 1298 e una di 25000 lire Jacobi e Symonis , probabilmente dell’anno 1302. Se, come si sperava, si fosse ottenuto lo scopo in 4 anni, l’ufficio doveva pagare colle entrate annuali prima gl’interessi dei mutui al 6 °/0, e poi assegnare ai clavigeri 17000 lire. I (1) Le multe convenzionali da incassarsi dall’Ufficio di Controllo, « Sin-dicatores ». (2) Reg. Comp. Cap. fog. iSob, « quod per clavigeros debetur tam pro salariis preteritis quam pro alia causa exceptis sindicamentis ». Questi debiti per un anno non erano soggetti ad interessi. (3) « Pro capitali et proventu libr. V, pro loco »; fog. 177. (4) « Ordinata pro factis Lucensibus »; fog. 181. Atti Società Ligiu e Storia Patria. Voi. XXXV. 9 — 98 — clavigeri avevano diritto alla somma intera, e se non poteva essere loro pagata tutta o che non fosse tutta occorsa, la differenza veniva loro accreditata sul loro conto (i), per modo che, occorrendo , avrebbero potuto disporre, perchè in quel caso i bisogni del governo andavano innanzi al pagamento degl’ interessi. Se eventualmente fosse rimasto qualche avanzo disponibile, questo doveva essere impiegato nella estinzione di debiti e anzitutto dei debiti derivanti dagli affari di Monaco e Lucca, poi degli altri. L’estinzione dei debiti era determinata dalla sorte. Prima dovevano venir estratti i piccoli importi sotto 50 L. L’estrazione aveva luogo in 8 sacchetti, uno per ogni compagna, acciocché una di esse non avesse vantaggio sull’altra. Tutte queste disposizioni vennero prese con 185 voti contro 8, e con ciò, oltre la compera salis 8 °/0 amministrata dai consules salis, venne fissato un secondo grande gruppo di debiti consolidati, la mutua vetera al 6 °/0, amministrata dai consules officii assignationis mutuorum. Per i creditori furono istituiti 8 cartolari, secondo le 8 compagne della città, cioè le 4 versus civitatem e le 4 versus burgum. In questi cartolari i creditori erano registrati in ordine alfabetico. Ognuno di essi aveva la propria colonna ove era indicata la somma del suo credito. Di fianco 0 sotto erano inscritti i pagamenti degl’ interessi (2). Le singole partecipazioni potevano essere cedute mediante trasferimento. Nel 1303 i giureconsulti fecero legge che i loca dovessero (x) « Et si minus ascenderent, remaneat in dicto officio assignationis mutuorum et scribatur illud residuum in dicto officio in ratione clavigerum, ut, si opus fuerit, habèri possit et errogari in utilitatem communis, fog. l’jSb. (2) Sopra un libro del debito pubblico di Pisa confronta: Davidsohn, Geschichte von Florenz, pag. 685, nota 4. I debiti di carta di Vercelli nel 1242 furono convertiti in debiti di libro. M. Hist., P. XVI (L. Mun. II). Statuta communis Vercellarum, col. 1282, Doc. XI. Ancora alla fine del 12.0 secolo vi erano a Genova libri del debito pubblico; confr. Append. 2. 1 — 99 — valere come bona mobilia; che soltanto quegli in cui nome erano scritti i loca, fosse considerato come proprietario, e che il locus garantisse solamente i debiti di questo (i). Con ciò venne facilitato il trasferimento dei loca. Nel 13.0 secolo il venditore doveva sempre , con clausola speciale, assumere garanzia contro evizione da parte di terzi, mentre era sciolto da qualsiasi responsabilità per gli attentati agli altrui diritti da parte del Comune (2). I loca non erano considerati soltanto^ come mobili, ma valevano anche come merce fungibile. Già nel 1266 viene promesso « locum illum vel alium similem de eadem compera reddere » (3). I loca erano ricercati come impiego di capitale da coloro che dovevano collocare denaro in modo sicuro a favore di pupilli (4). Alcune fondazioni furono costituite in locis , coi cui interessi veniva mantenuta la fondazione (5), quale, p. es., un vicariato , una messa. Specialmente le doti venivano volentieri costituite in locis (6). Riguardo agli affari fatti con locis osserveremo quanto segue : Alla stessa guisa che al compratore vien fatto credito del prezzo d acquisto (7), così anche al venditore è accordato un (J) Fog. 1S3 « ad dieta loca et proventus ipsorum aliqua persona regressum habere non possit nisi forte pro debitis, creditis seu obligationibus illius \el illorum, super quos dicta loca scripta essent, tempora quo dicta loca advocarentur ». (2) Confr. pag. 92, nota 6. (3) Wolf, Compere, pag. 4. (4) Wolf, Compere, pag. 16. « Montamine uxori q. Andree Bonacie ementi pro se et filiis », 23 apr. 1282; ivi pag. 15, 6 febr. 1278, « Lan-francus de S. I horna preceptor collegii infirmorum mansionis S. Lazarii» acquista */2 locus salis. L. J. II, coi. 498. Nel 1335 azioni del convento di S. Stefano in « comperis salis, pacis, assignationis mutuorum etc. ». (5) Fog. Not. (Civica) III, 2, fog. 346, 1314. (6) Richerius, fog. n. 537, pag. 2662 , 27 genn. 1302. Laurentius de Volta acquista 1 */„ loca « in comperis locorum factis de novo hoc anno » « de dotibus uxoris ». (7) Wolf, Compere, pag. 4, 10 dicembre 1266 « confiteor tibi me tibi dare debere libr. LIIII pro pretio medii loci salis a te mihi venditi in communi in compera salis ». — 100 — termine (usque ad annum unum), prima dei quale non ha obbligo di consegnare (i). In un dato caso il venditore si riserva il diritto di ricompera (2). Viene talvolta convenuto di stabilire per un tempo futuro un prezzo fisso del locus; il venditore dà allora la scelta fra la consegna o il pagamento d’una somma stabilita (3). Avviene anche, che il compratore ha la facoltà di accettare 0 no la consegna (4). In questi affari possiamo già vedere i principi d’ una speculazione in loca. Il governo procurava di tenere alto il prezzo di queste azioni, accordando ad esse legalità per i pagamenti alle casse pubbliche. Con esse potevansi compensare altre imposte e persino ammende (5). Ciò forniva il destro ai banchieri, che avevano maggiori crediti verso il g'overno, di combinare affari in azioni, comperandole da coloro che avevano meno mezzi per pagare, 0 prestandole agli aspiranti ad impieghi. Quelli che facevano domande d’impiego dovevano prestare cauzione per il tempo che esso durava. Dovevano offrire al governo un mutuo, che veniva loro reso « ad sindicamentum » al termine dell’ impiego. Anche queste cauzioni potevano essere prestate mediante cessione di loca. Qualche volta i banchieri anticipavano (1) Ivi, pag. 10, 18 agosto 1271. Ma il venditore paga al compratore la « page que per commune Janue dantur » per l’intervallo. (2) Ivi, pag. 4, genn. 1266. « Si volueris rehabere locum salis quem mihi hodie vendidisti pro libr. LXXX usque ad annum unum, tibi locum illum vel alium similem de eadem compera reddere promitto. (3) « Confitemur habuisse a te tot de tuis rebus pro quibus promittimus tibi consignare hinc ad annum unum, locum unum salis de bonis comperis de tempore. Alb. de Mal. aut tibi dare pro pretio dicti loci libr. LXXX », 18 maggio 1274. Wolf, Compere, pag. 11. (4) Pag. 41 , 14 marzo 1287. In una vendita di 5 loca salis, il venditore promette: « eos super te scribi faciam in cartulario communis in tua voluntate hoc est quando de cetero voles ». (5) Wolf , Compere, pag. 30, 6 aprile 1251. Un contribuente cede 3 libr. che deve pagare nel mutuo del 1251 « et quod possis pro his de mutuis tuis veteribus excusare pro dicta quantitate ». Pag. 31, 9 aprile, « Secundum quod alii excusant et compensant ». « k — IOI — a questi aspiranti le somme occorrenti (i), facendosi garantire 1 eventuale perdita d’interessi e ribassi di valore (2). I\el primo quarto del 14.0 secolo, queste azioni, in causa delle guerre civili, erano molto ribassate, e il governo ne sentiva forte danno , poiché i debitori pagavano le multe con locis deprezzati. Nel 1326 fu decretato per tutte le multe un aumento del 25 °/o che doveva essere pagato in moneta sonante. Il prodotto di questo aumento non doveva andare a vantaggio dell ojjìcium assignationis mutuorum o di altri debiti, ma doveva essere impiegato nella costruzione delle mura, della lanterna e degli acquedotti (3). Ai debiti consolidati del 1303 se ne aggiunsero altri ancora. Cosi nel 1307 vennero portati 40 loca da 100 L. nel cartularium officii assignationis mutuorum. L’interesse del 10 °/0 veniva coperto dall’ affitto che 1’ officium salis doveva pagare al Comune. Il ricavato dall’ incanto di questi loca fu destinato alla costruzione della lanterna (4). La forma del prestito volontario era differente da quella del secolo precedente. Non è più l’intero ricavato d’una certa gabella che vada a vantaggio dei creditori, ma bensì interessi fìssi, e d altra parte non si tratta più d’una rendita temporanea come fu nel 1248, ma d’una rendita perpetua. Tuttavia (1) Wolf, Podeslarìe, pag. 49, 7 aprile 1253, Not. Bart. de Forn. : « Ego Martinus de Maraboto confiteor tibi Conrado Calvo bancherio quod scripte sunt super te ad recipiendum a communi Janue ab hodie usque ad annum unum libr. CXXV quas debebas recipere a communi Janue et quas super me excusati occasione potestatie Pulcifere quam prò anno futuro incantavi a communi, et quas super te postea scribi feci », A pag. S7, 1254, « dedisti mutuo libr. C communi Janue occasione Castellarne mee Bonifacii que scripte sunt supra te in communi ad recipiendum ipsas ad syndicamentum ». (2) Wolf, Compere, pag. 44, 8 maggio 1292. « Si non restituero, promitto tibi solvere pro estimatione dicti loci libr. CX ». Podestarie, p, 87, 1281, « libr. L prò danno et interesse quod dictus Enricus sustinuit occasione pecunie quam pro dicto officio (potestatie Portus Mauricii) habendo more solito Enricus mutuavit communi Janue ». (3) Reg. Cornp. Cap. fog. 91. (4) Cuneo, pag. 295. — 102 — i creditori dei prestiti al io e 12 °/0, erano relativamente in buona condizione, poiché i loca di questi prestiti erano sopra la pari. E conservato un documento del 1313 , dal quale risulta, che i capitalisti intendevano la rendita perpetua nel senso che il capitale non fosse redimibile. Si trattava d’una compera di L. 80000 al 12 %. I capitalisti avrebbero desiderato di conservare un impiego di capitale così lucroso, oppure di ricevere la differenza fra il valore nominale e quello maggiore che correva. Ma un comitato di 4 sindici communis, eletto dal vicario (podestà), dall’Abbas e dagli anziani il 24 novem. 1312, preso consiglio da 4 giureconsulti, decretò il 22 gennaio 1313, avere il comune il diritto di pagare i comperisti alla pari (L. 100 per loco), senz’obbligo di qualsiasi altro indennizzo (1). Del resto non era questione di estinguere la compera, ma bensì di convertirla e amalgamarla con altri prestiti ad interesse più basso (2). La riforma delle finanze sotto il reggimento della nobiltà guelfa* Istituzione dei visitatores, ordinamento dei libri, confortatores e protectores. Nel 1306 vennero di nuovo eletti capitani ghibellini. Ma essendo Opecinus Spinula energicamente intervenuto per gl’interessi del popolo, i Doria e gli Spinola di S. Luca, passarono nel campo guelfo ed espulsero Opecinus. I Genovesi non si sentivano più in caso di ristabilire la quiete all’ interno. Comincia il periodo nel quale per una serie di anni il potere passa a dominatori stranieri, all’ imperatore, ai duchi (r) Torino, Arch. di Stato. Raccolta Lagomarsini, Banca S. Giorgio, I, 22 genn. 1313; « commune potest solvere participibus capitale libr. C loco et proventus usque in tempus quo eis fiet solutio capitalis libr. XII pro loco, et quod commune Janue de jure non teneatur ad dandum dictis participibus aliud interesse seu aliud interusurium ». (2) « Dicta compera libr. LXXX (80,000) fiat una cum alia compera, prout in capitulo de hoc facto plenius continetur », Ivi. di Milano e di Savoia, al re di Francia, come tempo innanzi fu dato per un anno ad un podestà forestiero. Però la costituzione genovese rimase intatta, e, se il capo era forestiero, il potere sovrano era sempre della compagna e più tardi del popolo di Genova. Enrico VII, a cui nel 1311 fu consegnata la città, potè ancora una volta ristabilire la pace. Ma poco dopo morì , e allora più violenta che mai scoppiò la lotta fra i partiti aristocratici. I Guelfi occuparono la città, ma i Ghibellini coll’aiuto di Milano tennero fermo nella riviera di ponente e specialmente in Savona avendo pure il sopravvento nelle colonie, a Pera. Questi, gli extrinseci, molestarono i guelfi, intrinseci, tanto fortemente, che questi nel 1318 dovettero darsi al Papa Giovanni XXII ed a re Roberto di Napoli. Col loro aiuto poterono mantenersi nella città, mentre gli extrinseci continuarono ad occupare la riviera di ponente. Quando dominavano i nobili guelfi a Genova, venne creato verso il 1320 una nuova autorità di finanza, i visitatores, i quali dovevano sostituire 1’ officio dei duo de ratione e l’ officium inquisitorum constitutorum ad inquirenda jura et debita comvntnis (1). I visitatores erano' 4, due scelti fra i nobili, due fra il popolo e rimanevano in carica sei mesi. Venivano eletti dagli anziani e dai consiliarii dell’ officii assignationis mutuorum, dovevano avere almeno 30 anni di età e possedere una sostanza di 3000 L. I visitatores diventarono la suprema autorità di finanza alla quale i clavigeri, i consules salis, i consules officii assignationis mutuorum ed i podestà delle riviere dovevano rendere conto. Essi dovevano intervenire nell’ appalto delle imposte, vigilare sull’esattezza della contabilità, ed alla fine del-l’anno si presentavano loro tutti i libri per la revisione dei conti. Tre di essi si occupavano dei calcoli, il quarto doveva passare gli arretrati al judex de capitulo per 1’ esecuzione. I (1) Reg. Cotiip. Cap. fog. 12. Il sigillo dei visitatores era il Santo Michele, « cum statera vel billancio in manibus », fog. iS. •— 104 — visitatores apponevano la loro approvazione ai conti trovati esatti; se però, oltre i trasporti da portarsi all’anno seguente, ne risultava un deficit non calcolato, i consoli delle rispettive compere ne erano personalmente responsabili (i). Sappiamo che il libro maestro del Comune doveva essere tenuto ad modum cartularu banchi, lo che probabilmente vuol dire in partita doppia (2). In questo libro dovevano venir registrate le entrate del Comune, i debitori per multe, per imposte, per prestiti, come pure gli assegni che dovevano far fronte ai due gruppi di debiti consolidati e finalmente le spese del governo, ad eccezione di quelle che dovevano essere sostenute dall’officiuyn assignationis mutuorum e dai consules salis. Fra gli altri libri se ne cita uno in due copie , nel quale era registrato il patrimonio del Comune (terratica et embola), un catasto che riguardava i contribuenti alle imposte dirette, ordinati secondo le 4 compagne deversus civitatem e le 4 deversus burgum. Ogni passaggio di proprietà era annotata alla rispettiva partita. Si dovevano citare le parti interessate, acciocché si accertassero delle regolarità del trapasso , che veniva senz’ altro compiuto dal notaio se dopo tre citazioni le parti non comparivano (3). Eravi inoltre un cartularium nel quale venivano inscritti gli appalti delle imposte, gli appaltatori e le loro cauzioni , i pagamenti fatti e a chi erano assegnati. Così pure le multe dovevano essere registrate in un libro speciale. Le compensazioni non potevano essere eseguite se non che per quei certi debiti del governo , annotati nel cartularium conservato presso 1 'officium assignationis (4). Per tutti questi libri era prescritto l’ordine alfabetico (5). (1) Confr. App. 5. (2) Reg. Comp. Cap. fog. 18, « ita quod in ipso manifeste pateat debitum cuiuscunque et solutio cuiuscunque debiti et pro qua parte facta fuerit et quando ». Di questo tempo non abbiamo alcun libro maestro; quelli conservati dopo il 1340 provano l’uso della scrittura doppia. Conf. App. 7. (3) Reg. c. c. f, III. Le sostanze destinate a dote, erano valutate solo al 40 °/0. (4) Reg. Comp. Cap. fog. 16. (5) M. Hist. P. XVIII, pag. 637 « de alphabeto in cartulariis preponendo ». — io5 — Le cancellazioni erano proibite, e se qualche correzione si rendeva necessaria, si doveva interlineare la parte errata, in modo che fosse sempre leggibile (x). Anche i consoli di Genova all’estero dovevano tener libri per le multe da essi inflitte e per l’eredità di Genovesi morti aH’estero (2). I scritturali delle podestaria dovevano dare ogni 4 mesi ai Clavigeri la resa dei conti. Tutti gl’impiegati di finanza, un mese dopo la cessazione dall’ impiego, dovevano dar ragione del loro operato per tutto il tempo che erano rimasti in carica e quelli che venivano dal di fuori, un mese dopo il loro arrivo a Genova. Però en-tro 4 giorni dopo cessate le loro funzioni, dovevano consegnare ai successori il denaro che avevano in mano per ragione della carica ed i libri d’ufficio. Gl’impieghi avevano generalmente la durata d’un anno. Oltre l’amministrazione dello Stato, eravi pure 1’ amministrazione del debito che aveva libri propri. Ogni compera ne aveva due, uno nel quale i creditori erano ordinati per compagne , il cartularium compagnorum , ed un altro per 1’ introitus ed exitus della compera (3). Questi cartolari erano di grande importanza per i capitalisti genovesi. Parte per amore, parte per forza, essi avevano impiegato una grande parte delle loro sostanze nel debito pubblico, per cui potevasi affermare m quibus cartitlariis consistit totum mobile civium Januen-sium (4). Fino da allora fu osservato che molte vedove e molti orfani vivevano cogl’ interessi del debito pubblico (5). (1) R. c. c. fog. 109 « cum penna mortificare, ita quod illa mortificatio semper possit legi ». (2) Ivi, fog. 102b. (3) Conservati solo dal 1340 in poi, però anche i precedenti erano tenuti alla stessa maniera. Confr. R. c. c. fog. 340, anno 1340, « ita quod dieta duo cartularia fiant sicut acteuus fieri consueverunt ». Conf. « inventarium factum per.... visitatores 1366 ». Genova, Arch. St., Sala 43, n. 1104. Divers. Capituli, fog. 83 seg. (4) R. c. c. fog. 24 dopo il 1326. (5) Ivi, fog. 2S. C. «nec advertunt quam impie opprimant viduas, or-phanos et alias personas miserabiles que ex dictis introytibus quam plurimum vitam ducunt ». Nel primo quarto del 14.0 secolo il peso del debito pubblico crebbe a Genova in modo compromettente. Ecco 1’ e-lenco delle varie compere: Una compera avarie del 1309 e 1310 (1), una compera regis Caroli di 42000 L., una compera imperatoris di 30000 L.; nel 1314 venne fatto un grande prestito forzoso (2), e nel 1317 la ripartizione d’una compera di L. 150,000 al 10 %, cui furono assegnati i sopravanzi del-Vofficium assignationis mutuorum (3). Le guerre civili ingoiarono somme rilevanti, essendo state fatte con soldati mercenari, specialmente tedeschi (4). Le spese delle guerre fra nobili erano sopportate dal popolo. E mentre le guerre stesse gl’ impedivano di spiegare la sua attività per i necessari guadagni, esso doveva per di più pagare con imposte indirette i gravosi interessi delle numerose compere fatte tanto dagli Extrinseci quanto dagli Intrinseci. Il popolo perciò nel 1321 si sollevò per darsi un’organizzazione da cui fossero esclusi i nobili (5). Ma questo movimento fu un’altra volta soffocato coll’aiuto straniero. Quando re Roberto nel 1324 soggiorno in Genova, tolse, ad istanza dei nobili, opni competenza giudiziaria alla mobba populi ed zW!officium magistrorum executorum populi artium (6). Nobili e capitalisti uscirono più forti di prima da questa lotta, come è provato dai mutamenti che ebbero luogo in questi anni nell’amministrazione delle finanze. Per primo, fu data maggior forza all’officiuvi assignationis viutuorum. Vedemmo come ad esso, in concorso cogli anziani, fu delegata la nomina dei visitatores. Non è bene accertato quando i consules sieno stati completati con 8 consiliarii. Sic- (1) Reg. Comp. Cap. fog. 240. (2) Ivi fog. 233, seg. (3) L. J. II, col. 471; questa compera è probabilmente la stessa che è indicata come Compera regis Roberti. (4) Stella, Annali. (5) Federici, Genova, Arch. di St. Manuscr. 46, pag. 200, cita per il 1324 un « Vicarius populi ». I garanti per le pigioni delle case del Comune non potevano essere se non che del popolo. R. c. c. fog. 31. (6) Stella, Annali, co). 1053 « nobilium instantia ». — io7 — come ora era loro conferito un incarico così importante, si dovette regolare la loro nomina, per la quale fin qui non eravi ancora una norma fissa. I nuovi impiegati, secondo una forma tanto frequente a Genova, vengono nominati dal collegio degli antichi, rinforzato, in questo caso, da due membri della nobiltà e due del popolo (i). L officium assignationis fu completato nel 132 x dai Confortatores. Loro compito principale era quello di prendere in esame la posizione dei banchieri che entravano come mallevadori negli appalti e di provvedere alla conservazione del patrimonio del Comune in considerazione delle rendite assegnate ai mutuis. I confortatores assegnavano ai consoli il denaro necessario per pagare ai creditori le 4 rate d’interesse. Erano per altro obbligati a render conto ai visitatores (2). Tutti questi ufificii dovevano specialmente badare agl’ interessi dei creditori dello Stato. È singolare il fatto che invece 1 ufficio dei clavigeri, non più a soldo fisso, venne poco a poco soppresso (3). L officium assignationis mutuorum rimase sempre un’auto-rita dello Stato; ai creditori dello Stato mancava ancora una rappresentanza scelta dal loro seno, che ottennero poi nel 1323 nei protectores comperarum capituli (4). L ufficio dei protectores et defensores comperarum capi-tuli era costituito sulle medesime basi degli altri uffici dello Stato. Quattro dovevano esser presi dalla nobiltà e quattro dal popolo. Ognuno non solo doveva avere azioni del débito pubblico (5), ma dovevano essere tutti nominati, quantunque solo per la prima volta, dai participes. Duravano in carica un anno ed i protectores dell’anno susseguente venivano no- (x) R. c. c. fog. 26b. (2) R. c. c. fog. 217 seg. (3) R. c. c. fog. 37, 1326; « de abolitione officii clavigerum, » « quia officium clavigerie habeat vivere de residuis et nihil habeat ». (4) R. c. c. fog. 227 seg. (5) Anche il Console e confortator officii assignationis , doveva avere almeno 5 loca nei prestiti dello Stato « ut melius curet », fog. 37. — ioS — minati mediante cooptazione dei protectores del precedente, senza ulteriore intromissione dei participes e nemmeno dello Stato. Il loro ufficio era soltanto quello di badare all’ interesse delle compere e dei participes. Tutti i Consoli delle compere e persino i visitatores dovevano obbedire ai loro ordini e ad essi pure spettava la conferma degli impiegati capituli nominati a sorte. A loro richiesta ed in qualunque momento dovevano essere loro presentati i conti delle compere ed i visitatores dovevano riparare agli eventuali danni. I protectores dovevano dare la loro approvazione sulla cauzione di L. 500 che i visitatores dovevano depositare, ed il vicario prestava giuramento nelle loro mani di vegliare sui diritti dei creditori dello Stato. Tutta questa massa di diritti fece dei protectores la più importante autorità finanziarie di Genova. I visitatores sembrarono essere a quel posto solo come revisori dei conti. Se nelle deliberazioni ad essi spettanti eravi parità di voti, decideva uno dei protettori 0 un cittadino da essi nominato (1). Finalmente l’ufficio dei visitatores fu assunto dai protectores (2). Tutta la finanza genovese pare non avesse altra mira che i creditori dello Stato; non la salus pullica, ma solamente la protezione dei creditori era legge suprema. Però l’istituzione dei protectores non è solamente importante dal lato sociale e politico, ma lo è ancora per lo sviluppo del diritto. Infatti , chi nelle compere vuol vedere la forma primitiva delle Società per azioni (3), deve fissarne l’anno di nascita nel 1323; poiché sull’esempio dei protectores comperarum capituli, vennero di poi creati i protectores delle maone e delle compere di S. Giorgio. A Pisa troviamo una simile organizzazione per i creditori (1) Reg. Comp. Cap. fog. 44. (2) Ivi, fog. 166b, 1422. . (3) Goldschmidt. Univers alg esc Inclite des ITandelsrcchts, pag. 291 e segg-> contro K. Lehmann, die geschichtliche Enlwicklung des Aclienrechts, pag. 7 ed altri passi. — ——— — 109 — dello Stato. Nel consolidamento del 1370 fu stabilito che i partitores incaricati della distribuzione dei dividendi, dovessero partecipare per 2000 L. alla nuova massa e fossero nominati dai participes grossiores (1). Così pure a Lucca, 1’ amministrazione del debito pubblico della massa salis consolidato nel venne passata a 6 partecipanti della stessa massa (2). Questo comitato di creditori non aveva però una così alta posizione come i protectores capituli di Genova. A Venezia e Firenze i creditori mai arrivarono ad avere una propria rappresentanza. V appalto delle imposte, A Genova le finanze dello Stato e le pretese dei creditori si basavano specialmente sulle imposte indirette, la riscossione delle quali, nelle grandi agitazioni del 14.0 secolo, incontrava delle difficoltà. Perciò nei primi 20 anni si pensò a riordinare anche 1 amministrazione delle imposte. Fu per primo ordinata la questione degli appaltatori. Infatti ancora nell anno 1326 doveva essere deciso dagli anziani, se anno per anno le singole imposte dovessero appaltarsi o tenersi in propria amministrazione (3). Però quanto alle imposte indirette , ad eccezione del monopolio del sale, a Genova come in altre citta italiane, l’appalto delle imposte era la regola (4). Nel 1340 l’incanto venne decretato per legge (1) A. Lupi in Morpurgo, la critica storica e gli studi intorno alle istit. finanz. Atti dell’Accademia dei Lincei, seduta 18 IV, 1S77, pag. 160. (2) Salv. Bongi. Inventario dell’Arch. di Lucca, II, pag. 193. (3) « Exponat ipse vicarius, utrum placeat consilio vendere introitus communis an communi retinere ». Reg. Comp. Cap. fog. n6b. (4) Fog. 1206. Capitalisti genovesi spesso assunsero anche all’estero l’amministrazione delle rendite dello Stato. Genova, Arch. di Stato. Not. divers. 104. Nel 1343, negozianti genovesi verso L. 111,000, assumono l’impresa delle ferriere dell’ Elba. Gli statuti del 1413 , cap. 91 « quod nullus Januensium curat comerchium » proibivano ai Genovesi di prendere in appalto imposte di paesi stranieri, come facevano specialmente in Oriente. Nel 1486 Gio. Doria e Consorti presero in appalto le allumiere del Papa. Divers. Cancell. — I IO — dal Consilium generale (i). Furono conservate per proprio conto solo quelle rendite che non si poterono vendere (2). Il sistema dell’ appalto delle imposte si raccomandava al governo, perchè l’incanto gli forniva una cifra sicura per ogni imposta, e l’appalto, cioè la vendita dell’imposta per un anno, andava a rischio e pericolo del compratore, il quale, ancorché avesse le sue rendite diminuite in causa di guerra, doveva pur sempre pagare al governo la somma pattuita (3). Il compratore assumeva un’assicurazione di fronte al governo. D’altra parte questo sistema poteva produrre il pericolo che gli appaltatori aumentassero arbitrariamente le imposte. Se queste rendevano molto , l’intera eccedenza sopra la somma appaltata rimaneva a vantaggio degli appaltatori; ma se il ricavato era inferiore, gli appaltatori spesso procuravano di sottrarsi ai loro impegni verso il governo (4), anzi i tempi calamitosi servirono loro di pretesto, per negare qualunque diritto al governo (5). Contro simili inconvenienti vennero prese nel 1326 delle misure. Fu nominata una speciale autorità cioè gli emendatores calegarum che rimanevano in carica un anno. Gli emendatores uscenti nominavano, in concorso cogli anziani, i loro successori (6). (1) « Statuimus, clausulamus et firmiter ordinamus quod omnes et singuli introitus communi Janue vendantur et vendi incalegari debeant in consilio generali ». Reg. cons., cal. I, 1, Genua, Arch. di St. memb. 78. (2) Append. 5, « introitus canne ». (3). « Fiat dicta emptio ad riscum et fortunam emptoris de deveto et guerra, pace et omnibus aliis ». R. c. c. cap. fog. 144, 1330. Perfino Ca-rafa preferì l’appalto delle imposte all’ amm.ne propria « cum publicani maiore sedulitate vigilantiaque negotium suum agunt quam alienum ». Riva Salerno, Storie delle dottrine finanziarie, pag. 52, nota r. (4) Cosi si lagnavano i protectores: « qui tamen emptores etsi sepius plurimum superlucrentur ex dictis introitibus, numquam ex lucro etiam modicum offerunt, ymo nec solutionem anticipant.... et fit dictis comperis et participibus (a cui erano assegnate le rendite) per ipsos emptores societas leonina » 23 luglio 1368. Genova Arch. di S. Sala 43, N.° 1105. Diversorum capituli. (5) R. c. cap. fog. 138, 1330. « Quoniam multorum arrogantia tantum crevit quod calegas communis emunt et colligunt nec tamen volunt propter ipsorum potentiam pretia quibus obligati sunt, persolvere ». (6) R. c. cap. fog. 1346. — Ili — Primo dovere degli emendatores era quello di rivedere le tariffe delle imposte. Ogni appaltatore, oltre la tariffa speciale della sua gabella, riceveva clausule generales alle quali doveva uniformarsi. Dovevano inoltre fare il pubblico incanto, al quale assistevano pure sex de melioribus et magis fidedignis participibus della compera, a cui favore veniva assegnato l’introito relativo (i). Appena deliberata la vendita, il compratore doveva giurare di pagare la somma promessa, esattamente, in rate trimestrali e di prestare cauzione. Intanto entro 8 giorni doveva consegnare dei pegni mobili, che per il primo pagamento non potevano essere altro che oro, argento, pietre preziose ed obbligazioni bancarie; per gli altri 3 anche loca, azioni del debito pubblico, dalle quali veniva defalcato il 17 °/0 del valore corrente (2). Questi pegni erano perduti, se alla fine dell’anno il compratore non avesse saldato il conto col governo. Sembra che i loca dati in pegno non fossero sufficiente garanzia per il governo, perchè quando gli rimanevano, non si trovavano compratori che li prendessero. Perciò in seguito fu determinato che gli appaltatori delle imposte dovessero prestare eguale cauzione per la 4.* rata come per le altre tre (3). Gli emendatores pubblicavano ogni anno una lista di banchieri e la somma per la quale erano ritenuti dal governo come sicuri garanti. Gli appaltatori, per i quali fosse provato che avessero incassato più di quanto prescriveva la tariffa, dovevano pagare una ammenda equivalente a 12 volte la somma maggiore percepita (4). In materia d’imposte si procedeva sommariamente. Il Index calegarmn, che doveva essere uno straniero, era nominato an- (1) Fog. 34. (2) R. c cap. fog. 136. Nel 1329 « faciendo extimationem ipsorum locorum secundum quod communi extimationi tunc videbitur, diminuendo prius de dicta communi extimatione sextam partem ». (3) Fog. 160. (4) Fog. 1463. - X 12-- nualmente dalla maggioranza degli appaltatori. Alla elezione erano presenti due francescani o domenicani (x). Per il ricorso in appello erano competenti i tribunali ordinari (2). Il monopolio del sale. A Genova l’imposta più importante sui viveri era quella sul sale, come la collecta maris , lo era fra le imposte indirette. Nell’anno 1152 l’imposta del sale fu costituita in monopolio (3). Coloro i quali avevano sale in Genova, potevano ancora venderlo liberamente fino al i.° agosto del detto anno. Subito dopo entrava in pieno vigore il monopolio, il quale, per sgravio di debiti, fu dato dallo Stato in appalto ad un consorzio per 910 lib. per 20 anni. Gli importatori dovevano vendere il loro sale soltanto a questo consorzio. Gli appaltatori istituirono gabelle per la rivendita e l’esportazione p. es. per la Lombardia. L’antico dazio portuale e la decima maris, che gli importatori dovevano pagare prima dello scarico, furono conservati in aggiunta alle dette gabelle (4). Nel 1152 vi era ancora uno dei soliti impegni sulle rendite, per il quale era lasciata l’amministrazione ai creditori. Al contrario vediamo nel 13.0 secolo alla testa del monopolio del sale impiegati dello Stato , i consules salis. Questi non solamente dovevano sorvegliare l’incasso dei denari del monopolio , ma ne incombeva loro la consegna a quelli cui questi denari erano assegnati e specialmente ai creditori delle diverse compere salis (5). I consules salis, avendo pure parte all’amministrazione del debito, furono anche chiamati consules compere salis. Come tali avevano la sopraintendenza sui (1) Fog. 34. (2) Fog. 150. « Capitanus, vicarius et eius subvicarius possit cognoscere de questionibus calegarum summarie ». (3) Lib. Jur. I, col. 159, Caro, Verfassung Genuas, pag. 62. Anche a Basilea il sale era regalia. Schònbérg, pag. 83. (4) « Duas minas ultra centenarium pro benedictione ». (5) Wolf, Compere, pag. 8, 12 settemb. 1269. — 113 — libri della compera. Vedemmo come nel 1274 i creditori a-vessero una certa influenza sulla nomina dei consoli. Però nel 1320 venne tolto ai participes qualunque diritto nelle elezioni. I consules salis da allora in avanti dovevano, come la maggior parte degli altri impiegati, essere scelti a sorte (1) rimanendo soggetti ai protectores comperarum capituti. Nelle regule comperarum capituli si trova una serie di ordinanze sul monopolio del sale, molte delle quali vengono da tempi anteriori , e che ne mettono in chiara luce l’amministrazione (2). La Liguria dava poco sale. Vengono nominate le saline comunali di Albissola, Porto Maurizio (3) e Ventimiglia (4). L arcivescovo ed i Doria possedevano saline a S. Margherita (5) e Rapallo (6) e più tardi si parla di sal albus di Spezia e di Bonifacio in Corsica (7). La maggior parte del sale veniva dalla Provenza, dalla Sardegna e da Ibiza. Nel 1229 gli abitanti di Hyères s’impegnarono di vendere tutto il sale ad importatori genovesi. Genova non aveva altro obbligo che di avvisare, se non voleva riceverne. Il prezzo a Hyères sul mare era di 9 d., a Genova 19 d. per mina (8). In Sardegna il sale veniva da Cagliari, Terralba e Sassari. Già i Pisani dovettero essere stati messi fuori dal mercato del sale, se il principe di Cagliari nel 1174 s’impegnava di non concedere ai Pisani acquisti di sale, senza il consenso del governo genovese (9). Nel 1228 fu concesso ai Pisani di trasportare a Pisa annualmente 30 mine di sale per 2 den. gen. sopra navi proprie (10). Nel 1229 venne proibita ai Pisani Te- li) R. Comp. cap. fog. 161. (2) R. Comp. cap. Si stampano ora i Mon. Hist. P. VXIII, col. 73-95. (3) Reg. Comp. cap. fog. 257. (4) L. J. I. pag. 1270, anno 1258. (5) L. J. I. pag. 31S, anno 11S1. (6) « Sai domini Oberti Aurie factus et faciendus apud Rapallum ». R. Comp. cap. fog. 62. (7) Reg. Comp. cap. fog. 257b. (8) Lib. Jur. I. col. 884. (9) L. /.II. col. i6b. (10) L. J. II. col. 128. Atti Società Ligure Storia Patria. Voi. XXXV. 10 — ii4 — sportazione del sale per la via di Malta, mentre i Genovesi potevano introdurne ed asportarne quanto loro piacesse (i). Gli abitanti di Ibiza, si obbligarono nel 1282 di fornire ai Genovesi quanto sale volevano. Il prezzo fu stabilito in 8 sol. 3 den. regalium Valentie per il mondinus di 14 mine (2). Al principio d’ ogni anno Genova doveva notificare agli Ibizani il cambio delle regales Valentie 0 d’ altre monete secondo il mercato monetario ni Genova. Il sale di Ibiza, come niger (sale marino) distinto da quello di Spezia, al principio del 14.0 secolo era preferito dall’amministrazione del monopolio. L’importazione del sale era riservate agli armatori genovesi (3). Le navi genovesi fornivano il sale non solamente alla costa ligure, ma nel 1284, quando Genova con Firenze e Lucca si collegarono contro Pisa, la marina genovese ottenne persino per quelle città il monopolio della fornitura del sale. In marzo di ogni anno Lucca e Firenze dovevano dichiarare ai Genovesi la quantità di sale che era loro necessaria e dove doveva essere consegnato, cioè se a Portus Pisanus o in Plazia presso Motronum. Genova si obbligava di consegnare la quantità richiesta, il provenzale a 4 sol. per mina, quello di Ibiza a 4 sol. 8 den., e 40 giorni dopo la consegna Lucca e Firenze dovevano pagare a Genova. Il sale veniva misurato secondo il quartino genovese. Firenze poteva ritirare sale da Grosseto e Volterra senza l’intervento di Genova, solo per via di terra (4). In Genova fu solo nel 1403 che il governo, anzi l’amministrazione del debito pubblico, i protectores capituli, prese in proprie mani le provviste del sale come monopolio (5). Fino (1) L. J. II. col. 380. (2) L. J. II. pag, 47. Pegolotti, Pagnini, delia decima III, p. 235/c conta il mundino a mine 12. (3) « De sale non adducendo in ligno extraneorum ». Reg. Comp. cap. fog. 257b fog. 72. Mentre all’importatore genovese si pagavano 4 s. per mina, ai forestieri non se ne davano che 2 2/B. Pegolotti, Pagnini, della decima III, pag. 219. (4) Lib. Jur. II, col. 66. (5) Diversorum reg. 19 ottobre T403, fog. 37 seg. — iis — allora gl importatori erano obbligati solamente a portare a Genova tutto il sale destinato per la Liguria (i). Severissime disposizioni punitive proteggevano il diritto di scalo. Se un capitano avesse defraudato , se avesse voluto scaricare il sale in qualche altro punto della riviera, 1’ equi-paggio era richiesto dal governo stesso a ribellarsi. I marinai andavano immuni da pena se, impossessandosi della nave del loro padrone, 1’ avessero portata a Genova, e in questo caso avevano diritto alla metà del valore della nave ; l’altra metà andava a favore del fìsco. Se veniva trovato il proibito sai albus invece del sal niger di Ibiza , veniva gettato in mare , e la nave sulla quale era caricato veniva abbruciata, distruggendo pure l’edifizio dove era custodito (2). In confronto i consules salis erano obbligati di comperare tutto il sale che si recava a Genova (3). Quando arrivava in porto un bastimento carico di sale, l’impiegato super dando et recipiendo salem (4), mandava un sorvegliante a bordo, acciocché lo scarico procedesse secondo regolamenti. L’importatore doveva mandare un campione del suo sale ai consules salis e se era trovato soddisfacente ne veniva permesso lo scarico. Alla consegna sul bastimento il misuratore del comune (5) doveva rendere la misura più pigiata e colma che era possibile, mentre 1’ importatore la faceva rasa. Così fra la misura rasa e la misura colma eravi compensazione. Agl’ importatori si pagavano 4 sol. 8 den. per mina , prezzo che rimase costante per tutto il 14.0 secolo. Il sale veniva portato in sacchi nei magazzini governativi, dei (1) « De sale non exonerando per riperiam ». R. Comp. c. 257. (2) Reg. Comp. cap., f. 62. Divers. capituli, N.° 1097, 1342, « lignum honeratum sale albo combustum in portu Janue ad instantiam officii protectorum ». (3) Reg. Comp. c. fog. 53. (4) La sua nomina aveva luogo nel modo seguente. Sopra invito del podestà i partecipanti delle compere salis, i consules salis e assignationis mutuorum, proponevano 3 candidati, dai quali i duodecim sapientes ne sceglievano uno. Ivi, fog. 50. (5) Riceveva 12 d. il giorno, fog. 55. — 116 — quali due chiavi erano in mano dei consules salis e una terza era tenuta dall’impiegato super dando et recipiendo salem. Da questi magazzini, il sale veniva dispensato dall’impiegato super dando et recipiendo salem alle singole gabelle (luoghi di rivendita), al prezzo stabilito dal governo. A Genova questi luoghi di rivendita erano situati al Molo e a Porta dei Vacca. Altre 16 gabelle erano sparse per tutta la Liguria. Dal seguente conto che riproduce le entrate dell’anno 1371, possiamo vedere l’importanza di queste gabelle : le 2 gabelle di Genova . . . L. 12517 s 4 d. 2 la gabella » Voi tri. . . . » 224 14 » --- » » » Varazze . . . » 4750 19 » 8 le 2 gabelle » Savona . . . » 13648 9 » 8 la gabella » Noli .... » 430 16 » 8 » » » Finale . . . » 2229 12 » 3 » » » Albenga. . . * 3397 16 » --- » » » Diano . . . » 389 IO » --- » » » Porto Maurizio » 572 9 » 9 » » » Taggia . . . » 650 --- » --- » » » Ventimiglia . » 157 5 » 6 » » » Recco.... » 408 11 » --- » » » Rapallo. . . » 218 11 » 3 » » » Chiavari. . . » 1758 --- » IO » » » Sestri Levante » 372 18 » 19 » » » Spezia . . . » 3546 2 » IO L. 45273 s. 3 d. 2 Nel 1267 è fatta menzione d’una gabella pure a Nizza (2). Per quelle dei distretti si dovevano scegliere luoghi facili a chiudersi e solidi, affinchè il sale non dovesse soffrirne (3). (1) Dalla suddetta somma devonsi dedurre L. 16714. 5 s. 4 d. che l’amministrazione del monopolio pagò per acquisti di sale ed altre spese nel 1371, sicché il guadagno netto rimane L. 28456. 15 s. App. 5. (2) Wolf, Gabelle. (3) « Nec in aliqua volta reumatica vel viatica i uncta trexende in ali- Talvolta un Comune, come p. es. Novi, si assumeva la rivendita; ma di solito i preposti alla vendita, i gabellatores, erano impiegati stipendiati dal governo, nominati da 12 importatori di sale chiamati all’uopo dal Vicario e da 36 partecipanti della compera salis. Questi gabellatores erano scelti metà fra il popolo e metà fra i nobili, e dovevano render conto dell’ amministrazione della loro rivendita. Ai gabellatori della riviera erano rimborsate le spese di viaggio per Genova, solo quando vi venivano per portar denaro (1). In ogni gabella vi dovevano essere due scritturali, uno dei quali incassava il denaro del sale venduto, mentre l’altro redigeva il conto che doveva presentarsi ciascun mese (2). Vi erano inoltre impiegati misuratori che ricevevano 1 den. per mina venduta e 4 lavoranti per ogni rivendita per asportare il sale venduto. I gabellatori vendevano il sale soltanto all’ ingrosso ; per il piccolo commercio in Liguria furono istituiti da loro e dai consules salis dei rivenditori minori. Altro sale era venduto ai Lombardi, i quali ottenevano in Genova una bolletta di libero passo per la dogana. I privati Genovesi non potevano avere altro che piccole quantità col tramite delle gabelle. Quantità maggiori, che fossero state sorprese senza la bolletta di libero passaggio , venivano confiscate (3). II prezzo del sale variava fra Genova e le rivendite dei distretti, anche per le spese di trasporto da Genova alle gabelle. Secondo il contratto del 1340 il sale doveva vendersi nelle gabelle di Finale al medesimo prezzo di quelle di Savona, Albenga e Noli (4). qua alia occasione per quam sai diminutionem recipiat, sai poni permittant nec faciant collocari ». Reg. Comp. fog. 54. (1) Reg. Comp. fog. 73. (2) Reg. Comp. fog. 5ib. (3) Reg. Comp. fog. 71. (4) Genova, Archivio di Stato, Mans. VII, (8) fog. 199; sala 42, N.° 1003, fog. 59. Nel 1371 Andriolus Judex, gabelotus gabelle salis Attingane, calcola sol. 2, den. 6 per mina il nolo da Genova ad Albenga e 6 den. per mina spese di scarico. — i iS — Il grande vantaggio del monopolio del sale, consisteva nel fatto che il governo aveva in mano il prezzo, che poteva aumentare a suo piacimento. Ciò d’altra parte aveva un limite nel minore consumo prodotto da un prezzo troppo alto (i). Nel corso del 14 secolo, in cui scoppiarono e guerre civili e la fiera lotta con Venezia, il prezzo del sale ascese al quintuplo, mentre la lira d’argento diminuì in peso solo della metà (2). Prezzo di Prezzo Differenza (spese acquisto di d’amministrazione per mina vendita e utile) 115 2 sai de provincia 7 d. io d. 3 d. altro 9» 12 » 3 » » I2I4 1 ? ? 12 » (4) 1234 1229 18 » (5) I25I 2 sol. --- » 5 sol. --- » 3 sol. --- » (6> 1253 17 » 1255 21 » 1257 4 » --- » 6 » --- » 2 » --- » w 1274 4 » 6 » 12 » --- » 7 » 6 » 1323 4 » --- » 22 » --- » 18 » --- » 1327 4 » --- » 23 » --- » 19 » --- » dopo il 1352 4 » --- » 37 » 1 » 33 » 1 » I366 4 » --- » 45 » 1 » 4i » 1 » 1369 4 » --- » 50 » 1 » 46 » 1 » 1380 4 » --- » 60 » 1 » 56 » 1 » Le entrate del monopolio del sale furono specialmente e spesso date in garanzia ai creditori dello Stato. Abbiamo co- (1) Divers. reg. 19 ottobr. 1403, fog. 37, « propter dictum augumen-tum pretii salis minus venditur de ipso sale in gafcellis ». (2) Da 56 g. di fino 1288 a 28,640 g. di fino nel 1390. Desimoni, Pag- 515- (3) L. J. I. col. 159. (4) « Gabella den. 12 pro qualibet mina salis ». Confr. Caro,' Genua u. d. Machte, I, pag. 94, nota 3. (5) Caro, Verfas. pag. 158, nota 33. (6) Lib. ped. fog. 84, nell’assumere la Gabella di Savona. (7) Wolf, Gabella salis. municazioni delle diverse compere alle quali nell’anno 1323 vennero fatti degli assegni sul monopolio del sale. La mina di sale fu venduta a 22 sol. dei quali 4 sol. andarono a beneficio degl’ importatori, 6 s. alla covipera magna salis del 1274, i restanti 12. sol ad altre compere (1). Nel 1327 a questi 22 sol. se ne aggiunse un altro. Nelle sue strettezze pecuniarie, Genova, verso un prestito di L. 9500, diede in pegno al Cardinale Luca di Fiesco il sacro catino, un vaso, del quale i Genovesi erano venuti in potere dal bottino fatto in Cesarea nel noi. In esso Giuseppe d’Arimatea avrebbe raccolto il sangue del Salvatore. Per riscattare questo palladio della città, venne aumentato il prezzo di vendita del sale di 12 den. per mina, ed il cardinale venne compensato con una rendita consolidata sopra tale aumento. Questa rendita portò il carattere del prestito del 1307 ; cioè, interesse fisso , senza termine per 1’ estinzione. Furono creati 95 loca, all’8 °/0. L’eventuale eccedenza fra l’aumento del prezzo del sale e gl’ interessi. doveva essere adoperata per l’estinzione del debito (2). Ne 13.0 secolo il monopolio del sale era stato sotto l’amministrazione dello Stato. Ma siccome le rispettive rendite e-rano state assegnate a diverse compere, così i protectores covi-perarum capituli ebbero la soprintendenza sul monopolio del sale (3) ; questa importante amministrazione dunque, non solo fu istituita a prò dei creditori dello Stato , ma poco a poco andava emancipandosi dallo Stato stesso. (1) -Reg. Comp. cap. fog. 263. Ciò non combina colle cifre ufficiali, se Pegolotti (Pagnini, della decima III, pag. 219) dà il prezzo di 15 sol. per mina per Genovesi, e 14 sol. per forestieri. (2) Confr. pag. 101, 102. Nel 1334, cioè 7 anni dopo, il debito era già sceso da L. 9500 a L. 7429. Genova, Arch. di Stato, Sala 42 , compera salis, 1. (3) Reg. Comp. cap. fog. 79b. Visitatori e protettori nominano insieme 4 « rectores comperarum salis contra fraudes in sale ». - 120 - La compera pacis* Aumento d'imposte e grave peso del debito pubblico. La guerra civile , che aveva dilaniato Genova, ebbe un termine solo nel 1331, quando la città fu minacciata dai Catalani. Di fronte al comune nemico gli extrinseci ghibellini e gli intrinseci guelfi si unirono insieme, e sotto comando guelfo i Genovesi respinsero i Catalani. Nella pace dei partiti conchiusa a Napoli, re Roberto ebbe la conferma della sovranità su Genova. Una delle maggiori difficoltà che si opponeva alla fusione dei partiti era il regolamento dei debiti che ognuna delle due parti avea contratto durante la guerra. Nel 1332 furono riuniti sotto la denominazione di compera nova pacis (1). La somma dei debiti degl’intrinseci fu calcolata L. 623000, di cui però solamente 410400 furono messe nella nuova compera. I debiti degli extrinseci, che erano consolidati p. es. sulle gabelle del sale di Savona e Albenga , sopra imposte del commercio con Trebisonda o Simisso, ammontavano a L. 272835, sol. 6, den. 5 delle quali entrarono L. 256496, sol. 17 e den. 10. La somma totale del debito fu dunque ridotta a L. 666896, sol. 17, den. 10, che doveva essere all’interesse del 10 %. A questa somma dovevansi aggiungere diversi altri debiti in sospeso, che ora dovevano essere consolidati, cioè circa. 120.000 L. per pagare i soldati mercenari del Comune; 5.000 L. per la liberazione di terreni e case impegnati; 34.800 L. per indennizzi da pagarsi ai Grimaldi ed agli Spinola ; 4.800 L. spese dell’ambasciata degl’ intrinseci. Per rendere possibile il pagamento degl’ interessi e 1’ ammortamento della compera pacis, si dovette ricorrere ad un forte aumento delle imposte. Nel 1334 l’entrata della compera (1) Reg. Comp. cap. fol. 275 segg. fu calcolata a 90000 L., delle quali 47400 furono impiegate per pagamento d’interessi (1). Le imposte in sostanza gravavano sugli oggetti di prima necessità, e per conseguenza sulle spalle delle classi inferiori. Il vino fu specialmente colpito da forte imposta, cioè 1 sol. e 4 den. per metreta (2), che produsse L. 12300. Poi furono messe nuove tasse sopra grano e sale, carne e pesce, polli e legumi, formaggio e candele, legname e fieno. E naturale che anche le tasse del commercio dovessero venir aggravate. I denarii maris e la ripa grossa e minuta furono aumentati (3). Le colonnie vennero pure chiamate a contribuzione. Dei 20 carati del dazio di Pera, 3 soltanto andavano a favore dell’amministrazione coloniale; gli altri 17 erano destinati ai creditori dello Stato genovese (4), a cui competevano pure 1’ introitus ponderis Peyre » e Y introitus ponderis et pontis de Caffa. Siccome tutte queste gabelle appena bastavano alle esigenze dell’amministrazione del debito pubblico (5), così per i 3 anni seguenti venne immaginata una imposta diretta, un vana. E mentre le altre imposte accennate colpivano essenzialmente il commercio ed il consumo della capitale e delle colonie, questa avana doveva venire ripartita solo nei distretti. Era una imposta personale progressiva. Qualunque Ligure a-bitasse fuori della capitale, dell’età da 18 fino a 70 anni, doveva pagare , secondo la sua sostanza, da 5 sol. a 5 Lire. L imposta fu quotizzata per distretti, ognuno dei quali aveva in mano la realizzazione del contingente spettantegli. (1) Diversorum capituli. N.« 1098, fog. 16 segg. « Ratio compere pacis de 1334 ». (2) La metreta, mezzarola, aveva 100 pinte da 0,9675 1. Rocca , Pesi e misure antiche di Genova, pag. 78. (3) « Ripa possessionum et locorum ». Reg. Comp. cap. fog. 281. (4) Nel 1334» resero L. 12800. (5) Dava principalmente pensiero il pagamento delle truppe mercenarie. Reg. Comp. c. fog. 289. A tale scopo furono pure assegnate per 2 anni le L. 26,000 che dagli altri due gruppi del debito pubblico , la mutua vetera e la compera salis, dovevano essere pagate al governo. — 122 — Se in generale l’imposta diretta era a Genova un’imposta sui beni, vi troviamo tuttavia un principio d’imposta sulla rendita, tale però che colpiva solamente una certa rendita, cioè la tassa sugli stipendi, la quale potrebbesi piuttosto chiamare una sottrazione agli stipendi stessi. Vedemmo come gl’impiegati dovessero prestare cauzione, che il governo utilizzava come prestiti, e vedemmo ancora come nel 1303 l’economo governo avesse ridotto gli stipendi. Ora hanno luogo due nuove forme di aggravamento. I posti vengono occupati per metà mediante i datores officiorum nobilium e per l’altra metà mediante i datores officiorum populi. Le condizioni cambiavano a seconda che la riuscita degli a-spiranti dipendesse dalla sorte 0 dal ballottaggio. In ogni caso però 1’ aspirante, all’ atto della domanda, doveva pagare una tassa, il detiarius auri officiorum (1). Nel 1335 venne pure introdotto 1 'introitus staliarum, una tassa sullo stipendio, che dovevano pagare quelli che riusciti, entravano in carica. La tassa doveva pagarsi 8 giorni dopo la nomina, senza di che l’eletto non occupava il posto (2). Nei primi 30 anni del 14.0 secolo , abbiamo dunque per Genova il seguente gruppo d’imposte: tassa sulla rendita per gl’ impiegati, tassa sui beni per il territorio, imposte indirette sul commercio e sul consumo della città stessa. Oltre a queste imposte , gravavano sullo Stato e sul popolo i debiti, tanto per la loro entità, quanto per la forma. Abbiamo potuto seguire il sempre crescente miglioramento nel credito, e quindi possiamo facilmente riconoscere come il governo sia riuscito ad ottenere prestiti a condizioni più favorevoli. Non fu più necessario ora, come nel 12.0 secolo, di lasciare ai creditori l’amministrazione del pegno, 0, come nel 13.0 secolo, di lasciare a profitto dei creditori, sia pure per un tempo limitato , l’intero importo delle rendite loro assegnate; nel 14.0 secolo invece i creditori si contentavano di fi) Promis, Continuazione della Cronaca di Jacopo da Varagine. Atti X, pag. 509, nota 1. (2) Inlroitus staliarum, Genova Archivio di Stato. Manscr. 6 (V). un interesse fisso dall’8 al io o 12 °/0, senza che il governo fosse obbligato alla restituzione a tempo determinato. Ma siccome lo Stato si valse del proprio credito in modo eccessivo, così fu costretto ad accordare nuovamente alla massa dei creditori una rappresentanza, che avesse un certo peso nel- 1 amministrazione stessa. Specialmente i protectores capituli installati nel 1323, vegliavano sui diritti dei creditori di fronte allo Stato, e ad essi fu pure subordinata la nuova compera pacis. Questa, insieme colla compera salis del 1274 e la mutua vetera del 1303, diventò il terzo grande gruppo di debiti. Inoltre i partecipanti alla compera pacis acquistarono una certa influenza sulla scelta degl’ impiegati della loro compera. Infatti, la nomina dei 2 consoli e dei suoi impiegati subalterni doveva bensì aver luogo nella stessa guisa come per gli altri impiegati dello Stato, cioè per estrazione a sorte (1), e anche in questo caso metà di essi doveva essere della nobiltà e metà del popolo; ma la conferma degli eletti era nelle mani dei participes compere, rappresentati da un comitato di 6 approbatores. Questi approbatores erano nominati nel modo seguente : tutti i maggiorenni maschi laici (2) che avevano almeno 100 lire nella compera, erano divisi in 3 gruppi, cioè da 100-500 L., da 501-1000, da 1001 in più di partecipazione alla compera. Da ognuno di questi gruppi venivano estratti a sorte 20 nomi, e tutti insieme procedevano alla elezione dei 6 approbatores. Nel periodo corso fra il 1257-1339 il carattere del debito pubblico permanente di Genova si è completamente affermato. La differenza essenziale fra le città tedesche e le italiane consiste nell essere i debiti di queste ultime basati sopra prestiti forzosi (3). Con ciò coincide il fatto che i debiti non limitati (1) Reg. Comp. cap. fog. 290: « officia consulum et scribarum ad sortes sive ad florenum secundum quod alia officia communis Janue et de capitulo dantur ». (2) Ivi. « Preter minores annis XVII, mulieres, clericos et alios religiosos et tutores aliquorum habentium facere in dicta compera ». (3) Vi furono prestiti forzosi anche in Germania. K. Rììbel , Dort-munder Finanz-und Steuerwesen I pag. 342 sotto forma di testatico, — 124 — da tempo, ebbero in Italia la massima estensione. A Genova trovo un solo debito che possa chiamarsi « rendita a vita », la compera magistri Pauli (i), nè mai vi si parlò dell’estinzione del debito mediante conversione di rendite ereditarie in vitalizie, come fu tentato a Colonia (2). L’influenza acquistata dai creditori dello Stato suH’amministrazione del debito, la loro organizzazione sotto i protectores capituli, che li metteva in grado di tener testa allo Stato, è una assoluta particolarità di Genova, che non ha riscontro nemmeno con altri Stati italiani come Venezia e Firenze. Il motivo di tale organizzazione si trova nella disunione dello Stato a causa dei partiti. Il continuo mutarsi del reggimento non offriva sicurezza alcuna sul credito dello Stato, cosa che ai Genovesi sembrava scopo precipuo di governo. La loro organizzazione mantenne ai creditori le loro azioni di credito, anche quando gl’interessi dello Stato avrebbero richiesto la conversione 0 la restituzione. Essa aveva consistenza, mentre la forma dello Stato variava , dimostrandosi forte abbastanza per sopravvivere anche alla rivoluzione. Knipping , Schuldenwesen der Stadi K'óln pag. 364 , prestiti forzosi per la guerra di Neuss; ma la forma dei titoli di rendita predominò sempre. (1) Reg. Comp. cap. fog. 287, 154. (2) Knipping, 361. Anzi le rendite destinate a Magister Paulus furono assegnate dopo la sua morte ad una nuova compera, costituita come le altre compere perpetue. Reg. Comp. cap. fog. 251. CAPITOLO III. L’AMMINISTRAZIONE DELLE FINANZE GENOVESI SOTTO I DOGI FINO ALLA EREZIONE DELLA CASA DI S. GIORGIO 1339-1407 U inalzamento del doge popolare. Convenzioni di Boccanegra coi protectores capituli. La pace del 1332 aveva solo precariamente assopito le discordie dei partiti genovesi. Nel 1337 i Ghibellini s’impadronirono di bel nuovo del potere. Però la nuova signoria di Raffaele Doria e Galeoto Spinula de Luculo non diede luogo ad un cangiamento di sistema. Fu appunto sotto di loro che l’imposta sul sale venne notevolmente aumentata (1), fu allora che nessun conto si tenne dei diritti del popolo, come accadde p. es. nella nomina dell 'abbas popiili. Il popolo era stanco dell’alterigia delle famiglie nobili, e mormorava sul crescente peso delle imposte. La massa del popolo, specialmente gli artifices, domandava un alleggerimento di tasse, ed il loro odio era verso i capitalisti, a cui profitto, quali creditori dello Stato, andavano per la maggior parte le imposte. Ma i mercatores populi, ricchi essi pure ed a cui solo (1) Da 23 a 30 s. Reg. Comp. cap. f. 260. Questo aumento venne cassato nel 1340. - I2Ó — interessava di abbassare i nobili, per poi rimpiazzarli nei migliori impieghi, assunsero la direzione del movimento. Fino dal 1270 l’organizzazione del populus era riconosciuta come parte della costituzione. Nel 1290 gli fu aggiudicata la metà di tutti gl’impieghi. Il 1339 portò l’elezione del doge popolare. Da quel momento il capo del governo doveva uscire dal populus, essendo i nobili rimasti esclusi da questa carica. Nel J339 scoppiò la rivoluzione nella flotta, la quale al servizio della Francia combatteva contro l’Inghilterra. I marinai si sollevarono contro il loro capitano Antonio Doria perchè il soldo era loro pagato in cattiva moneta. Il re di Francia prese il partito dei nobili, ma parecchi marinai disertarono verso la Liguria e piantarono a Savona la bandiera della rivolta contro i nobili. Il movimento si propagò rapidamente nelle valli del Genovesato , finché giunse a sommuovere Genova stessa. Il partito popolare esigeva che, come per lo passato, 1 'abbas populi fosse eletto dal popolo e non dai Capitani. In una tempestosa assemblea popolare, Simon Boccanegra, nipote dell’antico capitano del popolo, del 1257, dopo aver rifiutato la carica di abbas populi, come troppo modesta, sopra proposta d’un argentiere fu eletto doge a vita. I capitani furono scacciati, ed il popolo , dando sfogo al proprio furore, distrusse le gabelle e bruciò i libri dei creditori dello Stato (1). A tale movimento avea preso grande, anzi, la massima parte, la classe inferiore del popolo, cioè il terzo stato, gli artifices. Questo movimento, partito dalla gente di mare, si estese fra gli abitanti delle valli, fino a che un orefice propose 1’ elezione del Boccanegra. E qual parte abbiano avuto i macellai in questa rivoluzione, lo vediamo dal condono che, in ricompensa del loro zelo, fece loro il Comune di tutti gli arretrati fino al 1339 dell’interesse che dovevano pagare per i banchi di carni (2). Ma i mercatores, il secondo stato, seppero approfittare della rivoluzione, col mettervisi alla testa. (1) Stella, Annali. (2) Genova, Arch. St. Sala 43. N.° 1097. Diversorum capituli, 1342 : « Macelarii velut boni communis zellatores multum profuerunt ad faciendum statum presentem ». — 127 — Ora si ripeterono le scene del 1257. La rivoluzione finì cel ritorno dell’antico stato di cose. Solo cambiarono le persone che avevano in mano il potere. I nobili rimasero esclusi dal potere supremo , il doge doveva essere scelto fra il popolo; ma Boccanegra non poteva appagare i desideri degli artifices e doveva, a motivo della sua posizione personale, venire a patti con cittadini capitalisti. I diritti dei visconti, che la rivoluzione aveva aboliti, furono di nuovo e definitivamente riconosciuti il 31 gennaio 1340. Solamente gli odiati dazi sui viveri rimasero sospesi per sei mesi (1). Come nel 1257, così pure questa volta, la disgraziata posizione finanziaria, fu il motivo principale che fece scoppiare la rivoluzione (2). Ma come il suo avo, anche Simon Boccanegra temeva di ricorrere all’unico mezzo che potesse giovare, cioè ad un’energica imposta diretta (3). Egli poteva temere che la ripartizione di essa, in un momento di sovraeccitazione degli animi, potesse fai*si in modo non equo e che quindi i singoli partiti venissero alle prese l’uno contro l’altro. Indubitatamente però egli favorì anche gl’ interessi della sua classe, evitando una tassa che avrebbe colpito specialmente i ricchi. Da dove doveva incominciare per rifornire le vuote casse dello Stato? Non era il caso d’introdurre subito dazi di consumo, contro i quali il furore popolare erasi specialmente scagliato. Perciò fece le prime prove sulle imposte del commercio. Al dazio di mare di 5 den., fino allora praticato , venne aggiunto un nuovo denarius maris e così pure l’imposta di (1) Lib. Ped. fog. 102. « Propter nimiam coartationem victualiam, quam civitas passa fuit ». (2) Reg. Comp. cap. fog. 266, 31 marzo 1340: « (cum) nec sit nec re-periatur in communi pecunia ipsius communis aliqua non assignata seu que in dictas causas capi possit » (pro salario ducis, potestatis etc., pro custodia castrorum et terrarum communis). (3) Ivi: « difficile et grave non modicum esset tam communi Janue quam civibus et districtualibus ipsius communis arcam seu bursam communem facere seu mutuum, dacitam vel collectam imponere et a civibus et districtualibus exigere pro predictis expensis (ordinariis !) subeundis et faciendis ». — 128 — transito, la ripa grossa, venne aumentata di un den. per lira. In terzo luogo gli appaltatori delle imposte dovevano pagare una tassa di 5 °/0 (12 den. prò libra pretii) sulla somma dell’appalto (1). Tutto ciò però non era sufficiente per far fronte ai bisogni delle finanze. Non era il caso di pensare ad una restituzione dei debiti, anzi si studiava già come ricorrere nuovamente all’aiuto dei creditori dello Stato. Perciò Boccanegra si pacificò coi comperisti, e reintegrò i protectores capituli nei diritti che la rivoluzione aveva loro tolti. Al 30 marzo 1340 i comperisti si obbligavano di pagare al doge per 3 anni e per ogni anno 20000 L. per le spese correnti. In compenso il doge lasciava alle compere capituli le 3 nuove tasse da lai introdotte e prometteva da allora in poi di non più molestare le compere, ma anzi di proteggerle e di non imporre tasse che potessero danneggiarle (2). Una convenzione speciale della medesima data regolava i rapporti del monopolio del sale. Sappiamo che il nuovo doge impose un prestito forzoso di L. 25000 che i comperisti promisero di estinguere, destinando all’uopo 3 sol. dei 23 sol. che erano il prezzo di una mina di sale. Perciò il governo cassò i 7 soldi che erano stati aggiunti dai cessati capitani sul prezzo della mina salis e riconobbe ai comperisti il diritto, dopo restituzione del detto prestito forzoso, di poter disporre liberamente dei 23 soldi del prezzo di vendita di ogni mina salis (3). Era alquanto duro per il governo il non poter ritrarre alcun utile dall’ importante monopolio del sale , e sembra che esso nel 1340 ne abbia strappato l’amministrazione di mano ai creditori. Solo al 31 marzo 1341 venne conchiusa una definitiva convenzione fra il governo ed i protectores capituli, i quali a tal fine ebbero speciale procura dai loro partecipes in un consiglio da essi tenuto il 23 marzo (4). (1) Luogo citato, fog. 267. (2) Convenzione del 31 marzo 1340. Reg. Comp. cap. fog. 266-68. (3) Reg. Comp. cap. fog. 259 e 260. (4) Reg. Comp. cap. fog. 269, 270, 255. Secondo tale convenzione il governo doveva tenere ancora per due anni 1’ amministrazione del monopolio del sale verso un indennizzo di 5000 L. annue alle compere. Trascorso questo termine le compere rientravano in possesso dei loro pieni diritti. Nei due anni successivi il governo riceveva dai comperisti il sopravanzo del monopolio del sale e 15000 L. (cioè 20000 — 5000 L. d’indennizzo) e in seguito 20000 L. 1’ anno. Consolidamento e amministrazione delle compere capituli. Mentre il governo riconosceva così l’organizzazione dei creditori dello Stato ed i loro diritti, contro i quali erasi avventata la rivoluzione del 1339, procurava in pari tempo di regolare e semplificare l’amministrazione del debito. Nel 1339 erano stati abbruciati i libri. Fu dunque necessario di stabilire nuovamente chi fossero i creditori, quale l’entità dei loro titoli di credito e quali gli assegni con cui dovevano venir soddisfatti, e di pari passo ebbe luogo la conversione di tutti i debiti dello Stato genovese che erano ancora in essere nel 1340. Furono nominati 4 sapientes « ad incorporandum comperas et dohanam » (1) cioè Oberto de Vivaldis, Oliverius Squanja-ficus, Franciscus Maruffus e Dominicus de Garibaldo. Al 16 febbraio 1340 avevano già compiuto il loro lavoro, che doveva poi essere riveduto dai 20 sapientes regulatores super negotiis communis (2). Tutti i debiti dello Stato genovese furono divisi in 6 gruppi, con diverso trattamento. La massa dei debiti fino allora amministrati separatamente , fu aggregata ai 3 grandi gruppi della compera salis del 1274, della mutua vetera del 1303 e della compera pacis del 1332. Similmente in Inghilterra nel 1739 i debiti non vennero riuniti in una massa indistinta, ma (1) Reg. Comp. cap. fog. 316, fog. 233 e segg. (2) Fog. 24Sb. Atti Società Ligure Stona Patria. Voi. XXXV. n vennero aggregati a diversi gruppi di consolidati ai quali si ascrissero di poi debiti posteriori (i). Questo consolidamento procurò al governo una grande semplificazione nell’amtninistrazione , e offerse ai creditori un più ampio mercato per i loro loca (2). All’officium assignationis mutuorum furono ascritte 8 nuove compere : la compera.....L. 150000 regis Roberti » » 11000 Corsice » » 13000 grani » » 42000 regis Caroli compera mutici de sol. » 100 prò centenàrio (5 °/0) compera maletolte. . . compera......» 30000 imperatoris » » 25000 Rodi Alla compera pacis furono unite 3 compere salis di 20000, 30000 e 2700O L. e due compere carnium et casei. Alla covi-pera salis venne assegnata 1’ amministrazione dell’ avaria del 1314. La costituzione di questa antichissima compera fu presa a modello delle altre. A questi si aggiunsero i seguenti nuovi gruppi di debiti. Alla compera gazane, contratta per la difesa delle colonie di Crimea, di 61000 L., furono riunite la compera cardinalis, una compera di L. 30000 militum, una di L. 16000 vini, una compera di L. 10000 Eliani Salvaygi, e la compera olim magistri Pauli. Tre compere una di 30000 L. grani, una di 10000 L. castro-rum e una di 12000 L. imperatoris formarono un altro gruppo. Due compere, una di 180000 L., insieme colla quale ne era amministrata un’altra di L. 14000, e una seconda nova di L. 20000 vennero a costituire il sesto gruppo di debiti (3). (1) K. Saenger. Die engl. Rentenschuld. Finanz. arch. 1891, fog. 8 e pag. 17. (2) Sui consolidamenti di altre città italiane confronta Goldshmidt, Universalgeschichte des Handelsrechts, pag. 294. (3) Confronta Lobero , pag. 16 e segg. Reg. Comp. cap. fog. 253 e segg. L amministrazione dei tre ultimi gruppi era già nel 1371 nelle mani dei consules salis (1). La somma dei debiti così consolidati, fu concretata nel 1354 come segue : Compera assignationis mutuorum magna pacis . . salis..... gazane .... 40000 L. grani . L. 18000. . . . avarie de 1314 . L. sol. den. I314023 12 4 975133 3 11 318471 I 8 92974 9 9 33918 17 — I99I42 5 2 28485 19 8 2962149 9 6 (2) Il consolidamento traeva seco di solito una convenzione (3). Il governo riconobbe la perdita nel corso, che i loca delle singole compere avevano sofferto nelle discordie civili. Il locus mutua vetera fu stimato 26 L., il locus compere pacis L. 35, compere salis L. 66, sol. 13, den. 4, gazarie L. 100, trium comperarum L. 50, duorum comperanm L. 16 (4). Mediante questa stima il capitale da estinguersi e gl’ interessi da pagarsi dal governo sul capitale stesso , vennero ridotti ad una cifra molto inferiore. Nel 1366 i visitatori calcolarono che la somma da distribuirsi, era soltanto sopra 10400 loca bona, che ricevettero solo 17 denari prò libra bona cioè 7 V, % (5). (1) Appendice, 5. (2) 11 computista del Reg. Comp. cap. fog. 322b fa risultare nell’addizione 2955149 L., S sol., 6 den. Secondo Desimoni la lira d’argento genovese pesava nel 1339 34 gr di fino. La somma della quale Edoardo III d’Inghilterra rimase debitore ai Bardi ed ai Peruzzi importava secondo Giovanni Villani XI, cap. SS, fl. 1365000 d’oro. (3) A Pisa nel 1370 furono consolidati in un monte 4 gruppi di debiti e in pari tempo si convertirono gl’interessi dal 10 al 5 °/0. Morpurgo-Lupi, pag. 157. Archivio di Stato Pisa, consigli di Senato, II, c. 157-160. (4) Genova, Reg. Comp. cap. fog. 237b. (5) Genova, Arch. di Stato, sala 43, N.° 1104. Diversorum capituli, fog. S9. — 132 — Dal seguente computo si può vedere la differenza fra il bonus locus ed il capitale nominale. Lire sol. den. Il locus gazane (che valeva 100) riceveva d’interesse 7 I 8 » salis.......... »... 4 14 4 » covipere grani L. 40000 . . . »... 3 IO 2 » » L. 180000 .... »... 1 2 8 » deli avaria del 1314 . . . . »... --- 14 2 » compere assignationis .... »... 1 l6 IO » 2 9 7 Quasi tutte le rendite dello Stato erano assegnate &\ protectores capituli. Lo Stato non solamente rinunziava ai denari che ad essi affluivano (i), ma, come nel 12.0 secolo, anche all’amministrazione. Gli appaltatori facevano i loro versamenti ai protectores, i quali avevano la facoltà di accordare dilazioni o diminuzioni del fìtto (2). Siamo informati che i denarii maris, la ripa grossa, il pedagium Gavii et Vultabii, Vintroitus vini, Vintroitus unius pro centenario Francie (questo istituito solamente per un certo tempo) furono ricevuti in dogana, ossia nel palazzo a mare, assunto poi da S. Giorgio. Il dazio sopra carni e formaggio fu aumentato nel 1340 di 6 den. portato cioè a 3 sol. e 6 den. per cantaro. Una nuova imposta venne messa sulla vendita delle navi, cioè 2 den. prò libra che dovevano essere pagati tanto dal compratore quanto dal venditore (3). Il governo si obbligava di non sopprimere le gabelle assegnate alle compere, altrimenti queste erano in facoltà di diminuire le somme di cui andavano debitrici al governo ; sopra le compere non si potevano aggiungere nuovi balzelli (4). (1) Reg. Comp. cap. f. 249 « capitulum de non expedienda pecunia comperis assignata ». (2) Divers. cap. 1105. (3) Reg- Comp. cap. fog. 244. L’imposta sulla carne e sul formaggio aveva importato alla fine del 13 0 secolo, 3 sol. e 10 den. per cantaro. (4) Fog. 243b « exatio, dacita collecta gravamen imponi non debet super introitibus assignatis ». — 133 — I protectores ce.pituli nominavano l’esattore degli interessi sui beni dello Stato (i). Essi avevano principalmente in mano il monopolio del sale ; nominavano, non solamente i consules salis, ma anche i gaieloti nelle rivendite di Genova e territorio (2). Vedemmo come nel 1341 il governo confermò ai protettori questi diritti. Essi avrebbero volentieri respinto qualunque intromissione del governo nell’amministrazione del monopolio del sale, ma nel 1352 i giureconsulti di Genova dichiararono il monopolio del sale essere un diritto dello Stato (3). In pari tempo fu riconosciuto che l’importo delle entrate spettava esclusivamente alle compere, e che, per di più, non era permesso un aumento sul prezzo del sale senza il consenso dei comperisti (4). Se, come vedemmo, il governo potè ripetutamente impossessarsi dell’ amministrazione del monopolio del sale, tale fatto fu sempre considerato come un’ invasione contraria al diritto, poiché il governo avrebbe dovuto farsi trasmettere 1 amministrazione dalle compere (5). La somma dei redditi assegnati alle compere si calcola come segue per l’anno 1371 (6). L. sol. den.. L. sol. den. Introitus castelletti..... 399 — — » embolorum.....1154 9 7 Rendite dai beni 1553 9 7 Segue . . . 1553 9 7 (1) Reg. Comp. fog. 246. (2) Diversorum capituli, 1367, sala 43, N.° 1105. (3) Reg. Comp. cap. fog. 257. « Commune Janue habuit et habet jus instituendi venditionem salis ». (4) Reg. Comp. fog. 25S: « dictum salem debere vendi pretio 23 sol. et non ultra nisi de voluntate communis Janue et participium comperarum ». Nel 1366 il prezzo del sale venne aumentato per accordo dei protectores capituli e dei parlicipes comperarum ». Membr. 8 (VII) fog. 19. (5) Quando nel 1348 il governo amministrava il monopolio, si parla così d’una « locatio facta per protectores domino duci Johanni de Murta et suo consilio de eventionibus et de omni et toto quod perciperetur et haberetur ex pretio et venditione salis ». Reg. Comp. fog. 2s6b, Divers. capituli N.° 1099 fog. 8b. (6) Genova, Arch. di Stato. Sala 42. N.° 1003, fog. 25b e segg. Confr. App. 5. — 134 — L. sol. den. Riporti . . Introitus pignoris bandi. ... 728 8 9 Condemnationes............291 9 8 Officium florenorum auri . . . 5272 — 9 Introitus mazacanorum .... 68 5 — » marcarum.....1123 10 — » mulionum..........157 10 — » quaranteni..........630 — — » pontoni............85 1 — » pontis et ponderis Caffè. 1071 — — Introiti per regalie e competenze . . . . 6 den. maris.......44719 10 — Karati Peire........12862 10 — Pedagia Gavi et Vult..........1470 — — Ripa grossa........12351-- » minuta.......1638 — — Introitus piatarum..... 21-- » cassanorum .... 600-- » ferri et alzarii. . . . 120 15 — » calcina............§9 5 — » canabaciorum. . . . 199 1 o — » lombardiscorum . . . 452 17 — » lini..............367 10 — Imposte sul commercio....... Introitus canne.......... den. 6 grani........5922-- gombetum Janue......4851-- introitus pancogolorum. . . . 5995 10 — Gombetum BisannisL. 73 s. 10 » Pulcifere » 420 » — » Vulturis » 78 » 15 » Rechi » 157 » 10 » Rapalli » 126 » — 1553 9427 74891 17 — 924 6 — Segue . . 855 s. 15 16768 10 — 86796 — 135 — L. sol. den. L. sol. den. 855 s. 15 16768 10 — 86796 17 9 250 » — 52 » 10 » del territorio . . 1158 5 --- Dazio del pane..... Introitus misturarum..... 120 15 --- » mellis....... 120 15 --- » carnium et casei. . . 4735 IO --- » piscium...... 236 5 --- » vini....... 11870 5 --- » olei....... 00 IO --- CN evi Prodotto netto del monopolio del sale . 28456 15 --- Imposte dei consumo........46768 15 Totale 151492 7 9 In questa somma sono già compresi i redditi, che furono assegnati alle compere veteres S. Pauli contratte dopo il 135°-Nel 1366 le entrate delle compere ammontavano a sole L. 99368, s. 9, d. 6 (1). Da queste rendite doveansi prelevare anzitutto L. 20000 per il governo. Poi erano da pagarsi le spese dell amministrazione del debito, gli stipendi dei protettori, dei visitatori, dei consoli delle compere e degli altri impiegati e scritturali, come pure le spese d’ufficio. Il resto rimaneva disponibile per essere diviso fra i creditori. Nel 1366 furono ripartite L. 73666, sol. 13, den. 4, (a cui furono poi aggiunte (2) L. 1207, sol. 3, den. 2) e nel 1370 L. 123754, s. 14 d. 1. Fu stabilito un interesse fisso cioè: dell’ 8 °/o per la compera salis, 7 % per la mutua vetera e 10 % per la compera gazarie. L’eventuale sopravanzo doveva essere impiegato al- Riporti Gombetum Clavari » » Segestri » (1) Sala 43. N.° 1004, fog. 88. (2) Luogo citato, fog. 89. — 136 — l’estinzione del debito (i). Effettivamente mai si verificò un tale sopravanzo sulle rendite assegnate , anzi queste non furono sufficienti nemmeno a coprire interamente gl’ interessi stabiliti, per modo che i creditori percepivano un dividendo oscillante, sempre inferiore alla misura dell’ interesse promesso (2). L’amministrazione di queste finanze era nella mani degli 8 protectores capituli, uno dei quali, come priore, custodiva il sigillo (3). A fianco di essi stavano i visitatores communis et comperarmi1. Questi doveano dare esecuzione agli ordini dei protettori. Esaminavano i conti e rilasciavano i relativi mandati di pagamento (4). Il 29 maggio 1422 questa carica venne soppressa e due protettori assunsero le loro funzioni col titolo di Gubernatores (5). Ancora nella metà del 14.0 secolo vediamo qualche traccia che dimostra come i visitatori fossero stati una volta la prima autorità di finanza dello Stato. P. es. essi ancora esaminavano i conti della zecca, il cui reddito del resto era assegnato alle compere. Specialmente però, oltre che i consoli delle compere, anche l’autorità dei Salvatores portus et moduli, dovevano rendere loro conto delle rispettive amministrazioni (6). Questi ultimi avevano sotto di sè la polizia del porto e principalmente dovevano provvedere alla manutenzione del porto e della sua profondità. A tale scopo erano loro asse- (1) Reg. Comp. cap. fog. 240. (2) Reg. Comp. cap. fog. 36 « compere et officia non possunt inlegras pagas solvere et solvunt ut volunt vel ut possunt ». (3) Divers. capituli, sala 43, N.° 1105. (4) « Officium visitatorum visa ordinatione et decreto facta seu facto per officium protectorum et de consensu et voluntate dicti officii visitatorum..... mandat fieri apoditias.... ». Divers. capituli, N.° 1097, fog. 43, 10 luglio 1342; i mandati di pagamento qui indicati sono ora: « de mandato et ordinatione officiorum protectorum et visitatorum communis Janue > quanto prima soltanto « mandato visitatorum ». (5) Reg. Comp. cap. fog. i66\ (6) N.° 1096, 1342, fog. 27; fog. 40 « ralio ceche ». — 137 — gnate speciali rendite cioè un introitus schifati, un introitus faro, 1’ introitus deceni legatorum , gli affitti di parecchi negozi, una partecipazione alla ripa grossa ed un terzo delle multe che i consoli infliggevano alle corporazioni (i). Le entrate e le uscite dei Salvatores furono portate anche nei libri dei massarii communis, impiegati di finanza governativi (2). In sostanza , 1’ amministrazione del debito pubblico a Genova, formava un sistema di finanza organizzato e indipendente sotto l’autorità dei protectores capituli e nei cui conti gl’ impiegati contabili dello Stato non dovevano mischiarsi. I/ organizzazione dell' amministrazione delle finanze dello Stato nella Genova ducale. Dappoiché i visitatori erano passati del tutto al servizio dell’amministrazione del debito pubblico , 1’ amministrazione delle finanze del governo dovette crearsi nuovi organi. Tali furono i due massarii communis ed i due magistri rationales, che già nel 1335 compariscono come impiegati dello Stato (3). Ai massarii communis era commesso il servizio di cassa. Esigevano i denari dello Stato e facevano i rispettivi pagamenti. Essi non potevano fare alcun pagamento , se non era loro presentato un documento scritto dal cancelliere , sotto-scritto dal notaio dei magistri rationales e munito di tre sigilli, cioè, quello del doge, quello degli anziani e quello dei magistri rationales (4). I massarii dovevano tener conto di tutti i denari che passavano per le loro mani e per conseguenza i loro libri mettevano in evidenza tutto il bilancio dello Stato di Genova (5). (1) Sala 41, N.° 1S9, 1340. « Cartularium officii salvatorum portus et moduli ». (2) N.° 1. Massaria communis, 1340, fog. 95, 106. (3) Reg. Comp. cap. fog. 36S. Impositio gabelle staliarum , Membr. 6 (V). (4) Man. Hist. P. Turin. XVIII. Leges G. Adurni , 1363 , col. 33s> Genova, Arch. di St. Sala 41, N.° 5. Massaria communis, 1349 fog. 3. (5) Append. 7. - 133 - Al contrario i libri dei magistri rationales rappresentavano soltanto i conti di singole partite di una speciale importanza (i). Questa autorità doveva controllare l’amministrazione dei massarii, e ciò mediante controllo preventivo, dovendo ogni mandato di pagamento portare il suo sigillo, e mediante esame del bilancio consuntivo (2). A Genova la sovranità era riposta in tutti i cittadini nobili e popolari atti alle armi. Dal 1339 in poi, come nel 12.0 secolo (3) questa comunità alle volte si radunava a parlamento, senza altra mira però se non quella di trasferire il potere al doge e al suo consiglio, cioè agli anziani (4). Fra gli anziani poterono per un certo tempo entrare anche nobili (5), mentre in altro momento dovevano essere scelti solamente fra il popolo (6). Erano 12 fra cui 3 rappresentanti delle valli del Bi-sagno, della Polcevera e di Voltri. In questioni d’importanza, come ad esempio la ripartizione d’un prestito forzoso, veniva sentito il parere d’un consiglio di competenti e ragguardevoli cittadini. A questo consiglio prendevano parte i capi dei quartieri, i conestaluli ed i consoli delle corporazioni (7). (1) Sala 41 N. 44 « Cartularium magistrorum rationalium communis Janue.... In dicto cartulario continentur debentes dare et recipere pro portionibus declaratis per dictos magistros rationales ». (2) Leges Adurni, coi. 242. « Singulis annis magistri rationales et massarii generales diligenter examinent omnes et singulas communis expensas, et notent omnes expensas superfluas, ex altera parte notent totum introitum communis, ut possit videri, utrum introitus et exitus sint equales ». (3) Blumenthal, pag. 36 segg. (4) Reg. Comp. cap. fog. 314, 24 sett. 1139 a S. Boccanegra, Membr. VII (8) fog. 3ob, 4 maggio 1347 al doge Giov. de Murta; ivi fog. 7b, 22 novem. 1350 a Giov. de Valente. (5) 1378, Assereto, p. 119. (6) Cosi nel 1347 (Membr. VII (8) fog. 30b) e nel 1363 (Leges G. A-durni, fog. 257). Nel 1356 e 1383 i nobili furono esclusi da tutti gli impieghi. (7) Convocazioni del Consilium maius: 2 magg. 1347, Membr. VII (8) fog. 3ob « consilium conestabulorum populi Janue, consulum artis dicte civitatis et aliorum adiunctorum et demandatorum de qualibet conesta-bilia et dictum consilium vocatorum et congregatorum ex ordinatione et J — 139 — Nel 14.0 secolo, il governo, cioè dopo il 1339 doge e anziani, per singoli affari e col consenso del parlamento , mise spesso a parte del potere speciali uffici e commissioni. Tale officium doveva discutere a fondo le questioni che entravano nella cerchia di svia competenza, dare gli ordini relativi per la loro promulgazione d’accordo col doge e cogli anziani, e provvedere alla esecuzione di essi. Specialmente i casi di guerra davano luogo alla creazione di questi uffici. Nel 1350, quando Genova uscì in campo contro Venezia, venne nuovamente formato l’officiuvi octo de credentia (1) , che troviamo pure nel 13.0 secolo (2). Così pure troviamo più volte gli officia provisionis, gli officia balie prò rebus maritimis, gli officia provisionis maris (3). Taluni di questi officia diventarono permanenti, come quello dei tractatores viercantie (4) citato già nel 1286. Questi uffici dovevano anzitutto decidere se in caso di furto all’ Estero a danno d’un Genovese, questo potesse o no esercitare rappresaglia; in seguito poi il loro potere giudiziario fu esteso a mandato Magnif. d. ducis et sui consilii » 8 febbr. 1356 ivi fog. i3b; 5 a-prile 1357 ivi fog. I411; 2 maggio 1427 ivi fog. 365 « partim officiales, partim consules artium, partim persone private ». (1) Membr. VII (8) fog. 3. (2) Heyck, pag. tu. (3) Genova, Arch. di St. Manoscritti 10; catalogo dei magistrati; Schaube, das Konsulat des Meeres in Genua, Zeitschrift fìir den Handelsrecht, 1886. XXXII, pag. 510-12. E. Bensa, Arch. giurid. XXVII, pag. 283 e 84 s’inganna facendo una sola cosa dell’ officium maris o provisionis maris coi consules maris. L'officium maris doveva dare gli ordini per la marina in tempo di guerra, specialmente riguardo alla pirateria. Confr. diversorum cancellarie 1489, 1 dee.: 1’officium maris vieta a parecchi capitani, che vogliono partire, qualsiasi rapporto col sultano di Granata. A questo ufficio andava unita speciale legislazione sulle prede. Nel caso citato dal Bensa, Nicolò di Moneglia, comandante della flotta genovese a Tolone, aveva noleggiato la cocca di Francesco Vacca di Savona per due giorni verso 226 fl. promettendogli una garanzia sopra beni che appartenevano a Tobia Lomellino. L’officium maris dichiarò questo pegno come nullo, perchè Nicolò non aveva il diritto di mettere le mani sulla proprietà di Tobia. (4) R. Mas-Latrie, du droit de marque au vioyen age, pag. 67. — 140 — tutti gli affari di commercio per i quali non vi fosse alcun contratto scritto (i). Così pure 1 'officium gazane, a cui incombeva tutto quanto riguardava la navigazione, specialmente del Mar Nero, e che aveva giurisdizione su tutte le questioni marittime , diventò stabile dal 1313 in poi (2). Commercio e navigazione erano a Genova di tale importanza , da rendere necessaria una speciale autorità che si occupasse di esse esclusivamente, e da rendere necessario un apposito fòro (3). Più importante di tutti questi uffici fu quello degli odo de moneta, creato da Gabriele Adurno nel 1363. Venivano nominati dal doge, dagli anziani e dai 4 sindicatores. Ad essi incombeva la direzione dell’ amministrazione delle finanze. Nessuna spesa straordinaria, che sorpassasse la modesta somma di 375 L. nell’anno, poteva essere fatta senza la loro autorizzazione (4). Essi dovevano non solo approvare le spese per l’allestimento d’ una spedizione d’una flotta , ma determinare anche i mezzi necessari per procurarsi il denaro occor- (1) Statuta et decreta reip. Jan. 1498, fog. 8r, libro IIII, cap. 96 «de potestate et bailia officii mercantie... officium mercantie sit... magistratus super omnibus et singulis differentiis... que coram eis movebuntur mercandi causa seu occasione mercantie vel alicuius mercanti, de quibus non sit instrumentum publicum... summarie... sine consilio jurisperiti ». (2) Leg. Municip. Impositio off. gazarle, c. 352- Lastig, Quetten und, Entwicktung des Handeisrechts, pag. 221. Diversorum cancellarie 21 giugno 1441. Regule et capitula Gazarle sive conservatorum maris. (3) Ciò fu detto con buone ragioni da E. Bensa nel luogo citato contro Lastig. Gli uffici mercantie e gazarle, dovevano essere occupati da giudici laici. Confronta Statuta Adurui 1413 N.° 135 : de prohibitis consiliis jurisperitorum coram officiis mercantie et gazarie ». Dal i.° genn. 1530 in avanti il potere giudiziario dei due uffici, venne conferito ad un magistratus rote quinque jurisperitorum ; vedi Constitutiones rote civilis Genue, 1529, Archivio Civico N.° 154, secondo le quali devonsi rettificare le proposizioni di Lastig quando dice che Genova « non ebbe mai nel medio evo speciali giudici commerciali e che le questioni del commercio erano giudicate esclusivamente da dotti giudici ». (4) Leges G. Adurni, col. 338. rente (i). Per spese straordinarie il mandato di pagamento ai massani communis , oltre i tre sigilli d’ uso doveva portare anche quello degli oclo de vioneta. L’officium monete era un’autorità molto influente che talvolta potè tener testa, con successo, anche contro il doge stesso (2) e fu il solo che abbia potuto competere coi protectores comperarum capituli. Ordinamento formale del bilancio genovese, scrittura doppia, unità di cassa» I libri dei conti del Comune, che ci sono conservati dal 1340 in poi, sono interessanti già per la forma con cui sono tenuti, cioè a scrittura doppia. Io credo che i Genovesi possano pretendere essere propria l’invenzione di tale forma di scrittura. Firenze viene dopo Venezia e Genova, nell’ evoluzione e-conomica. Abbiamo un conto di Firenze dell’anno 1260, che ci dimostra come poco a poco andasse introducendosi colà la scrittura doppia. Nei libri di commercio tedeschi vengono notati i diversi debitori del negoziante, facendo appunto sotto ogni tenetur, quando ha luogo il pagamento (dedit) (3). Nei libri di Firenze il dare e l’avere sono bensì in contrapposto colle voci dover dare e aver dato, ed i conti (rationes) qui sono già individuati (4); ma il dare e l’avere sono ancora scritti l’uno sotto l’altro e non in due diverse pagine corrispondenti. Nem- (1) Membr. VII (8) fog. 41, 5 giugno 137S : « officium de moneta..... audita propositione sibi facta per d. ducem et consilium... deliberaverunt quod dictum mutuum fiat et imponatur ». (2) Anno 1383. Essi tolsero 75 uomini dalla guardia del doge Nicolao di Guarco. (3) H. Nirrnheim. Handlimgsbuch di Vicko di Geldersen. Confr. Sieveking , Aus veneiianisclien Handlungsbuchern, Schmollers Jahrbuch, ott. 1901, p. 299 segg. genn. 1902, p. 189 seg. (4) App. 6. Aver dato di Gualtierus dal BoRGHOdi 150 lb. 5S. sotto qq ritorna come de avere sotto ff. meno in ogni conto il dare pareggia coll’avere, nè sono fatti i saldi. Le disposizioni del dare e dell’ avere di fronte , anziché l’uno sotto l’altro, sembra essere una trovata dei Veneziani (i). Sventuratamente i libri della contabilità di Stato di Venezia andarono distrutti negl’incendi del 1525 e 1577- Libri di commercio del 1406 attestano già l’uso della scrittura doppia, e Paccioli, che per primo trattò scientificamente di questa materia (2) ne prese gli esempi da Venezia. A Pirenze però questo sistema ancora nel 1458 non era completamente introdotto (3). Qui nel 14.0 secolo i libri dei conti pubblici e privati erano disposti col dare di fronte all’avere, ma non sono fatti i saldi dei singoli conti (4). Solo alla fine era compilato il bilancio (5). Tale sistema era chiaro, ma mancava del controllo che offre da sè la scrittura doppia. A Genova invece essa è in pieno vigore fino dal 1340. Ogni affare è doppiamente registrato in una pagina di dare e in una di avere. Di fronte vengono annotate le estinzioni dei relativi obblighi, così che le due pagine si pareggiano. Le eventuali differenze vengono trasportate e calcolate nell’altra pagina (6). Al libro maestro, disposto per ordine alfa- (1) P. Rigobon, la cottabilità di Staio , Girgenti, 1892, pag. 25. Qui sono rettificati gli errori di Peruzzi, che considerava la scrittura alla veneziana, come scrittura doppia. (2) Goldschmidt, Universalgeschichle des Handelsrechts pag. 246 e 47. (3) Rigobon, pag. 115. — Sieveking, rapporto all’accademia delle scienze di Vienna. Anzeiger der philosopitiseli-histovisclieu A tasse , del 3 decem. 1902. (4) Firenze Arch. di St. Scrivani di camera, 1, 1394, « libro biancho secundum A (Ifabetum) de Francesco de Lapo Federichi e di Piero de Be-nizii banchieri del Commune, tenuto per me Antonio de Cocho loro scrivano ». (5) Ivi, fog. 255 e fog. 264. I « recholatori del entrata e dele spese del commune di Firenze ». Chasino di Nicolò Chasino e Antonio di Cipriano Mangioni, fanno la somma delle entrate e delle uscite (fl. 1674551 lb. 28561, sol. 1, den. 1, p. — ) e dichiarano: « sta bene l’uscita col entrata ragionando il fior, soldi 76, den. 6..... e perciò niente a queste ragioni restano a rimettere (i banchieri Francesco e Piero) ». (6) Append. 7. Recepimus ovvero Debet nobis in alia ratione. betico, corrisponde un manuale nel quale prima è fatta nota degli affari in ordine cronologico. Io credo che l’invenzione della scrittura doppia sia dei Genovese. Se l’avessero presa dagli Arabi, perchè avrebbero dovuto per tanto tempo insistere coi numeri romani, se le cifre dei loro conti raggiungevano le centinaia di migliaia, anzi i milioni? Non possiamo determinare con certezza, quando questa forma di registrazione abbia avuto principio. Però un confronto fra i conti conservatici del 1237 e del 1282, fa supporre che i maggiori progressi sieno stati fatti nella seconda metà del 13.0 secolo, e che nel 14.0 fosse generalmente adottata la scrittura ad modum banchi (1). A Genova i libri dei conti erano rinnovati tutti gli anni (2). Nei libri dei massarii erano registrate tutte le entrate e le uscite del comune di Genova, e quindi eravi unità di cassa. Anche gli affari deW'officium victualium, l’autorità addetta alle provviste del grano , passavano per i libri dei massani. In questi si otteneva la unità delle casse ancora più rigorosamente che a Venezia (3). Solo non comparivano nei libri dei massarii genovesi le entrate dei redditi assegnati alle compere capituli e gl’ interessi pagati ai creditori di queste compere. Vi sono invece i conti dell’ amministrazione dei debiti contratti dopo il 1340. Nel 1349 fu ordinato a Venezia (4) di riunire in un solo conto , o somma , o mons, tutte le entrate del Comune, dal qual monte dovevano levarsi tutte le spese ordinarie e stra- (1) Confronta pag. 90 e 104. Evidentemente erra Cusumano, Storia dei banchi delta Sicilia, I, p. 121, attribuendo l’invenzione della scrittura doppia ad un monaco benedettino, 1348, perchè a Genova era già usata prima di questo tempo. (2) Anche a Venezia liquidazione annuale dei conti: Arch. di Stato, Ufficiali alle rason vecchie, pag. 16, 1373 marzo 18; « rationes provisorum biadi semper omni anno adminus debeant videri et examinari, sicut videntur et examinantur alie rationes ». (3) Uffic. alle rason vecchie, 3, fog. 7, aglij, officiales frumenti erano assegnate speciali entrate, come per esempio una tassa di un mezzo per cento sul commercio con Tana. (4) Sen. Misti, 25, c. 63. ordinarie. Nel medesimo conto furono calcolati a Venezia gl’ interessi da pagarsi ai creditori e le restituzioni. In Firenze pure si era tentato di raggiungere lo scopo della unità delle casse ; ma, come a Genova l’amministrazione delle compere capituli e a Venezia quella (\e\Y officium victua-lium ruppero questa unità, così anche a Firenze nel 14.0 secolo le casse rimasero divise (1). Così p. es. il 16 aprile 1353 fu fondato il lanco del Cho-mune o della condotta, una cassa che doveva provvedere ai pagamenti dei mercenari, e che accordava loro anche anticipazioni (2). Dissertazione sulla parola monte. La parola monte è un’ e- spressione altrettanto poco tecnica come compera, e non ha un significato determinato e limitato. A Venezia chiamasi monte 1349, la somma delle entrate dello Stato veneziano. Pacioli, Sumvie de arithmetica, Venez. 1494, fog. 201, adopera la stessa parola per la totalità d’ una sostanza privata : « cavedale se intende tutto el tuo monte e corpo de /acuita presente ». Il medesimo autore adopera la stessa parola per « capitolo d’ un libro » fog. 200 « seconda parte principale del presente tractato e pero di sei faremo doi parti, 1’ una detta corpo ovvero monte de tutto il traffico , 1’ altra detta corpo ovvero monte de botega ». A Siena si richiamavano monti i partiti delle diversi classi, monte de gentiluomini, de nove, de dodici, de riformatori, G. Rezasco, Dizionario, Firenze, 1881, pag. 669. Qui la parola monte non ha alcuna relazione con questioni monetarie. Più di frequente la parola monte era impiegata per accumulazione di capitali in denaro di privati, (Ehrenberg, Zeit-alter der Fugger, pag. 36', nota 39), 0 di governi, e special-mente chiamavansi con questo nome i debiti pubblici consolidati, per la maggior parte derivanti da prestiti forzosi. A (1) Rigobon, pag. 52. (2) Ivi, pag. 54. Confr. sopra pag. 00. Provig. 41, fog. 9ib, « de tabula pro stipendiariis facienda ». — 145 — Genova trovai una sola volta la voce monte nel suddetto senso. Nel 1403 quando a Genova era questione del consolidamento e della conseguente conversione del debito pubblico genovese , i protectores capituli dichiararono : « sunt valde dicta loca diminuta propter perloquia aliquorum civium qui asserunt de omnibus locis et assignatione ipsorum velle facere unum montem ». Essi pregarono che, per far rialzare il corso dei loca, si potesse ordinare: « quod nullus decetero audeat dicere loqui vel recordari quod de dictis locis et assignatione ipsorum fìat seu fieri debeat mons seu montes ». Reg. comp. c. fog. 340. Mentre a Genova i debiti dello Stato consolidati si chiamavano compere, a Venezia e Firenze avevano il nome di montes. All’ amministrazione dei debiti si rannodavano , come vedremo nella seconda parte della presente opera , parecchi affari di credito ; p. es. dall’ amministrazione del monte di Firenze vennero accettati depositi fino dal 1415. Le somme prese in queste occasioni furono del pari chiamate monti e perciò fino dal 1415 esisteva a Firenze un monte depositi. In conseguenza dal 15.0 secolo in poi qualunque accumulazione di denaro da servire ad operazioni di credito venne specialmente chiamata monte. Queste accumulazioni di capitali possono distinguersi in quelli che, come i monti di pietà, hanno in mira la mediazione del credito e le istituzioni corrispondenti alle nostre assicurazioni sulla vita e militari. In particolare, uno si acquistava una dote per il proprio figlio o figlia in caso di matrimonio (monte doti a Firenze) o per farsi dire delle messe in caso di morte (monte dei morti, Benevento). Particolarità in R.EZASCO, luogo citato. Atti Società Ligure Storia ratria. Voi. XXXV. 12 — 146 — Ordinamento materiale del bilancio di Stato di Genova* Mentre a Genova l’amministrazione delle finanze era maestrevolmente progredita dal lato contabile, era invece difettosa quanto all’armonica organizzazione delle singole materie. Nella compilazione statistica dei fatti, Venezia e Firenze erano superiori a Genova (1). Qui si era molto lontani dal raccogliere in gruppi le entrate e le uscite delle differenti partite, 0 meglio di sommare i singoli incassi d’un dato reddito, per portarne il risultato complessivo nel conto generale. Le singole partite venivano ordinate per alfabeto, ma non in rubriche per materia, bensì secondo il nome dei rispettivi impiegati. Le sole rubriche materiali erano expense e commune sulle quali compilavasi il bilancio. Il rendiconto dell’ anno 1377 è redatto in modo più chiaro (2). Al conto del Commune Janue foglio 53 e 54 so-novi prima di tutto le entrate sommate insieme. Ai fogli 55-74 seguono le spese cioè expense ordinane ed extraor dittane in fogli differenti. Al foglio 73 è tirata la somma delle expense extraordinarie con 74572 L., 8 sol., 2 den., e al foglio 74 la somma delle expense ordinarie con 31786 L., 17 sol., 6 den. Al foglio 72 è chiuso il bilancio con sole 105247 L., 6 sol, 1 den. non essendo state calcolate 1011 L., 19 s., 7 d. Venne fatta distinzione fra spese ordinarie che dovevano essere coperte dalle entrate normali, e spese straordinarie che non potevano essere fatte senza l’approvazione dell’ officium monete e per la cui copertura (con prestiti forzosi e simili) d’ordinario (dietro invito del consiglio) venivano emanate leggi speciali. Al principio del 15.0 secolo, per provvedere il denaro e per 1’ amministrazione dell’ or dittano, fu istituita una speciale autorità, 1’ officium expense ordinarie (3). (1) Burckhardt, Kultur der Renaissance, I, pag. 70 e 77. Archivio Storico Italiano, IV serie, 16, 1885, p. 315. Provisioni canonizzate della Camera, Firenze 1289; « distinguendoli in capitoli e categorie ». (2) Sala 41, N. 15. (3) Divers. regim. 1408, fog. 9 : « officium expense ordinarie nuper impositum ». A Genova si è ripetutamente procurato di limitare le spese ordinarie ad una misura fissa. Nel 1303 venne fissato un budget normale. Parimente nel 1349 le expense annue continue communis vennero calcolate a L. 50120 (1), nel 1350 le expense ordinane a L. 74000 (2). Così pure a Venezia le spese ordinarie per il 1349 vennero calcolate a lb. 72000, cioè 6000 lb. il mese (3). Gli statuti del 1363 ritennero inutile la formazione d’un budget normale, facendo soltanto raccomandazione in via generale all’amministrazione delle finanze di cassare tutte le spese superflue e, in tempi di pace , procurare di ottenere qualche avanzo, « quod securum, utile et laudabile foret contra casus adversos » (4). Le città italiane mai vennero all’ idea di formare un tesoro. A Firenze esso fu anzi specialmente proibito, potendo ciò dar luogo a scarsezza di denaro (5). Nel 1413 Giorgio Adorno compilò un altro budget normale nel quale vennero previste 71023 L. 10 sol. di spese ordinarie. L’ assegnamento del doge e del suo seguito ascendeva a 8625 L., quello del podestà a 5000 L. Si era riconosciuto che sopravveniva regolarmente un certo numero di spese impreviste e perciò furono introdotte 3000 lb. pro diversis expensis extraordinariis dietim occurrentibus e 2000 lb. pro provisiofiibus secundum quod videbitur d. duci (6). Questo budget fu preso per norma anche da Raffaele Adorno, quando nel 20 gennaio 1443 fu eletto doge ; solo vi cangiò alcune partite in armonia coi nuovi tempi (7). (1) Sala, 41, N. 5, fog. 3. (2) Membr. 8, (VII), fog. 5. (3) Venezia, Arch. Stato. Sen. misti, 25, c. 63. (4) Leges G. Adurnj, col. 342. (5) Canestrini, pag. 48. (6) Archivio civico. N. 156. (7) Genova, Arch. Stato, manuscr., 136, pag. 37. « Hec est impensa ordinaria reformata et taxata per generosos et egregios viros Math. Lo-melinum, Tedisiumdie Auria, Simonem Justinianum et Manuelem de Rapallo, correctores et reformatores regularum, incepta hoc anno die V febr. et finita di ultimo aprilis ». — 148 — È pure conservato un budget normale del tempo del doge Lodovico Fregoso del 12 agosto 1461 (1). Una simile norma delle spese ordinarie fu tentata a Venezia. Nel 1335, in relazione a bilanci normali precedenti, le spese annuali vennero fissate a 3000 lire il messe (2). Nel 1349 la somma venne portata al doppio cioè L. 72000 l’anno (3). In tal modo si fissò un approssimativo delle spese ordinarie che si cercò di mantenere, rimandando alle straordinarie tutte le altre spese (4). Il determinare però questa cifra approssimativa nel bilanciò generale interno, era, come in altre città medioevali, altrettanto poco possibile a Genova, perchè quasi ogni anno , spese straordinarie impreviste venivano a turbare l’equilibrio finanziario. Le guerre contro Venezia e contro i Catalani, come pure le guerre civili, furono causa a Genova di enormi spese, che ingrossarono le cifre del bilancio dello Stato, molto al di là del previsto. L’anno 1348 si chiude con un bilancio di 93769 L., 8 sol., 10 den. (5), il 1354 con 108784 L., 12 sol., 2 den. (6). All’incontro nel 1382 le spese salirono a 245000 lb., di cui 52000 a carico dell’amministrazione ordinaria. Altrettanto fu ingoiato dai mercenari. Per 1’ officium victualium vennero stabilite 14000 L. Le spese per Famagosta e Cipro ammontarono a 73000 L. (7). Nel 1388 si spesero 156536 lb., delle quali 18000 per 1’officium victualium e più di 40000 negli armamenti per la guerra di Tunisi (8). Nel 1395 quando Genova stava in (1) Proposto dal doge e dagli « octo moderatores ad regulandum moderandum et restringendum ordinarium sumptum et onus impensarum quo usque in diem presentem depressa fuit et est urbs Janue». Manuscr. 15, Constitutiones Ceche, pag. 37b. (2) Sen. misti, 17, fog. 2b, 2 marzo. (3) Sen. misti, 25, fog. 63. (4) Genova, Div. Cancell., 1489 aprile 27 : « eum peditum numerum referendum esse ad sumptum extraordinarium, quia pro obsidione castel-leti conducti erant, et ob id in ordinario, libr. L, non debere computari ». (5) Massaria communis, N. 4, fog. 46. (6) N. 6, fog. 18. (7) N. 16. (8) N. 20, f. 75. — M9 — campo contro Savona, le spese raggiunsero la cifra di 391805 lb. (1). Come potevano coprirsi tutte queste spese, se già dal 1340 in poi tutte le gabelle erano assegnate alle compere capituli, ed il governo non aveva altro che una pensione di 20000 L. dai protectores capituli ? Potevansi togliere i privilegi alle compere capituli, per far affluire nuovamente i redditi alle casse dello Stato, e privare i creditori degl’ interessi. A Venezia fu seguita questa via senza alcun riguardo , ma a Genova i creditori dello Stato bene organizzati seppero mantenere i propri diritti. In secondo luogo si potevano imporre nuove gabelle. Di latti dopo il 1340 furono notevolmente aumentate le imposte indirette. Le nuove tassq, gabelle regiminis, si contrapponevano alle, antiche gabelle capituli. Ma le imposte indirette bastavano appena a pagare gli interessi dei nuovi prestiti, per modo che il governo si trovava sempre di fronte al nulla. Non rimaneva altra via che quella dell’ imposta diretta ; malgrado la sua impopolarità essa era inevitabile, anzi il bilancio ordinario doveva basarsi essenzialmente sulla ripartizione diretta. Per spese di maggiore rilievo i Genovesi non vollero saperne d’imposte dirette, salvo che non fossero loro corrisposti interessi e promessa la restituzione delle somme esborsate. La massima parte di quello che occorreva -venne fatto con prestiti forzosi. In particolare abbiamo i seguenti dati : ENTRATE DEL 1340 L. s. d. L. s. d. Imposte delle compere capituli . 20000-- dalla gabella salis (contro i diritti delle compere)......8640 — 8 Segue . . . 28640 — 8 —-- (1) N. 23, f. 49b. A Venezia, 18 marzo 1342 le spese erano di 670 646 Lire ven., le entrate di sole 667 271 Lire ven., cosicché rimaneva un deficit di 3 375 Lire ven. La Lira di Venezia secondo Cecchetti, Archivio Ve- — 150 — L. s. d. L. s, d. Riporto . . 28640— 8 introitus sold. VIII pro mina grani et victualium regiminis . . . 7851--- dalle imposte dirette....... 36491 — 8 mutuum novum......1266-- cotumum vetus (imposte dirette) 202 — 10 cotumum novum......20209 J3 1 dalle imposte dirette . . . 21677 13 11 entrate dal distretto..............42412 — multe giudiziali......... 1455-- diverse........................2331 18 4 Totale 66196 14 11 ENTRATE DEL 1354 dazio sul pane.......9101-- do sul vino.......50338-- do sull’olio....... 605-- viveri............ 60044-- dazio sul panno......... 103 91-- uno per cento.......14090-- ripa locorum.......2574--— imposte sul commercio...... 16664-- versamento delle compere..... 20000-- dalle imposte indirette 107099-- Mentre nel 1354 le gabelle di nuovo introdotte bastano appena a coprire le spese, nel 1395, in cui fu necessario impegnare queste rendite in causa delle guerre contro Venezia, il governo dovette procurarsi con 4 grossi prestiti forzosi 375514 L., cioè quasi tutta la somma di cui aveva bisogno (1). neto, 35, p. 49, in questo tempo non valeva che presso a poco la metà della Lira di Genova. (1) N. 23 fog. 108, Joh. de Travi et Tadeus Cataneus massarii mutui unius prò centenario nuper impositi 12900010. Il capitale importava dunque 12900000 L.; altri mutui, fog. ii3b fog. 99, fog. 104. — 15' — Le colonie genovesi possedevano entrate proprie ed un proprio sistema finanziario. Kaffa era centro dell’ amministrazione del Mar nero, Pera per quella dello Stato greco (i). Nel 1346 si aggiunsero Scio e nel 1373 Cipro. Amministrazioni finanziarie di minore importanza avevano Alessandria (2) e Bruggia (3). Le colonie dovevano rendere conto alla citta madre delle loro amministrazioni (4). Nei conti conservatici di Kaffa e Pera si rispecchia il sistema finanziario genovese. Anche quivi furono messe imposte simili a quelle di Genova, e cosi pure i prestiti forzosi vi hanno grandissima parte. Nel 1381 troviamo a Kaffa i seguenti introiti: Genova possedeva in Crimea estesissimi fondi, specialmente vigneti (5). Le gabelle produssero 3777 sommi, dei quali 1698 da un’imposta sul commercio e 1471 dall’imposta sul vino. Saraceni (999 s.), Armeni (749 s.), Greci (175 s.) ed Ebrei (75 s.), dovevano pagare una tassa diretta, (cotumum) insieme 1998 s. I Genovesi ricavarono una somma maggiore cioè 3783 s., ma mentre i forestieri pagavano le imposte a fondo perduto, i contribuenti genovesi si facevano promettere il pagamento dell’ interesse del io % e la restituzione dei fatti versamenti, pagando cosi le imposte sotto forma di prestito forzoso (6). (1) Genova, Arch. Stato. S. Georgio 1402; « Cartularium introitus et exitus massarie communis Janue in peyra tempore trium potestatum..... peyre et Januensium in imperio Romanie ». Promis , Statuti di Pera, (Misceli. Stor. Ital. XI, 513 seg.) p. 761, caP- 248- (2) Divers. Cancell. 1489, 18 marzo, 5 aprile i486, Doge e Anziani nominano quattro uomini « pro reformatione massarie Alexandrie.... ad u tile mercatorum in dictis partibus negotiantium ». (3) Belgrano, Doc. inediti, Atti V, pag., 392. 1423 massaru dei mercanti genovesi a Bruggia. (4) « Viso exitu massarie per dictos consules (Caffè) Januam transmisso ». Divers. S. Georgii, 9 marzo 1419- (5) Genova, Arch. St., massarie Caffè, 13S1, fog, 27, fog. 103. i e a prima parte di questo libro è calcolato ad Aspern. (30 aspern. = 1 lira di Genova). Al foglio 226 comincia un nuovo computo per sommi. I sommo, moneta di conto, valeva secondo Desimoni, 6, 14 lire di Genova, 531, &(6) Fog. 277b. Commune Caffè, fog, 466 , mutuum assignatum prote- ctoribus. — 15* — Considereremo ora più attentamente le entrate di Genova in questo periodo , le imposte dirette e indirette , e special-mente la politica daziaria a favore delle industrie locali, e la politica dei viveri. Poi ci addentreremo più profondamente sul debito pubblico nella seconda metà del 14.0 secolo. V imposta diretta* Vedemmo come dalla fine del 13.0 secolo in poi, fosse uso di applicare un terzo delle imposte dirette come tassa personale e gli altri due terzi come tassa sulle sostanze (2). L'avana capitum venne staccata dalle altre come tassa indipendente e appaltata come le gabelle. Ogni Genovese atto alle armi dai 17 ai 70 anni, era obbligato al contributo. Il nobile pagava 3 L., il popolo 1 L., 10 sol. (3). Dovevano inoltre pagare tutti coloro che avevano la semplice residenza a Genova (4). Due nobili di ogni albergo e due o più borghesi di ogni conestagia fornivano al ricevitore della tassa, sotto vincolo di giuramento, un elenco di tutti quelli che e-rano obbligati a pagare la tassa. Inoltre venne resa indipendente dalla imposta generale sulle sostanze, quella sui fondi e sulle case, la gabella possessionum (5). Nel 1422 le imposte capitalizzate davano 873,000 L., (2) La stessa organizzazione delle imposte anche in altre città; Ricca Sarerno, Storia delle dott. jiu., pag. 23 segg. In Amburgo la collecta non era altro che una tassa sui beni. Koppmann, Kàmmereirechntmgen der Stadi Hamburg, I, S. LV.; a Braunschweig eravi una tassa personale e sui beni, H. Mack, Die Finanzverwaltung der Stadt Braunschweig, fino l’anno 1374, pag. 100; a Basilea tassa personale e sui beni, Schònberg, pag. 87, 89; a Colonia imposta personale e sui fondi, Knipping, Schul-demvesen, pag. 341. (3) Membr. 30 (XXII) fog. 92b, 1439; « venditio avarie gabelle capitum de 1340, 41, 42 ». (4) « Similiter autem solvere teneantur omnes illi qui in Janua morabuntur tempore dict. Kal. nov. ». (5) Reg. speciali del 15.0 secolo in poi, Genova Arch. St. Sala 41, N. 559; 1414; N. 560, 1422; secondo questo registro l’imposta importava 1 V2 °/o della stima della sostanza. — 153 — di cui 488000 ricadevano sui nobili e 385000 sul popolo. L imposta doveva essere suddivisa sopra un capitale di 850000 L. (1). La proprietà fondiaria dei Genovesi fu stimata ad 1 Mil. di L. Da questa somma però era da dedursi una buona porzione in causa dell’ immunità di cui godevano importanti famiglie come i Fieschi ed i Spinola (2). La gabella possessionum era un’ imposta che i cittadini dovevano pagare sopra fondi e case da essi posseduti a Genova e nel distretto. Se uno, non cittadino di Genova, comperava da un Genovese un fondo posto fuori del recinto della città, la tassa non era più pagabile a Genova, ma bensì al comune ove risiedeva il nuovo proprietario (3). Se un Genovese comperava un fondo nel distretto, il Comune relativo perdeva la tassa. Quell’ imposta veniva ragguagliata sul valore dei fondi e dei fabbricati, e aumentava se al posto delle antiche venivano erette nuove case e più belle. Però se un nobile genovese voleva sostituire un sontuoso palazzo a vecchie costruzioni, era costume , per incoraggiarlo a costruirlo più riccamente, di fargli pagare per dieci anni la tassa primitiva inferiore, per quanto bella potesse essere la nuova costruzione (4). Nel catasto del 1414 sono dati soltanto i confini ed i valori dei fondi non la loro estensione. In città minori dell’ I-talia centrale troviamo un’ applicazione più precisa delle imposte (5). L’imposta fondiaria a Genova aveva un’importanza relativamente minore, perchè la massima parte delle sostanze genovesi erano impiegate nel commercio e nella navigazione. (1) Membr. 8 (VII), fog. 336b. (2) Genua, Arch. Stato. Manusc. 36, fog. isb. (3) Divers. cancell. 20 dee. 1430: « quoniam dicta possessio (sita in villa Zenestreti potestatie Bisannis) erat cuiusdam civis, fuit molestatus pro avaria dicte possessionis, que scripta tunc videbatur in extimo possessionum Janue ». (4) « Cum hoc cedat ad decorum civitatis ». Divers. Cancellarie, 1431, Supplicatio Enrici de Squarcaficiis. (5) Pardi, Catasto d’Orvieto dell’anno 1292, Bollett. d. Soc. umbra dì St. Patria, II, 2, 3. pag. 225. La gabella capitum in considerazione del malcontento del popolo venne abolita nel 15.0 secolo (1); la gabella possessionum, che andò via via acquistando il carattere di un’imposta reale, positiva, ricevette uno sviluppo suo proprio (2). Ora dovremo rivolgere la nostra attenzione sullo spendium , imposta generale sulle sostanze, dalla quale derivarono queste due. Lo spendium, cotumum, l’avaria 0 il focagium era riscosso da impiegati dello Stato e si ritraeva dall’ intera sostanza, mobile ed immobile. Quando al principio del 15.0 secolo ebbe luogo la separazione della gabella possessionum, la tassa continuò a sussistere sulle sostanze mobili. La stima aveva luogo mediante impiegati dello Stato. In origine venivano nominati, per ogni ripartizione e per ogni riscossione annuale delle imposte, speciali impiegati. Però nel 1349 il numero dei collectores spendiorum venne limitato ad un solo collettore aiutato da due scrivani (3). Nel 15.0 secolo 1’officium expense ordinarie era incaricato dell’ esazione (4). I contribuenti avevano diritto di reclamo al governo, al doge ed agli anziani, che rimettevano la decisione all’ officium monete (5). La stima non era fatta su basi accertate poiché gli stessi reclamanti non erano disposti a fornire indicazioni e-satte sulle loro proprietà. Così p. es. un certo Babilanus de Nigro, che domanda l’esenzione della tassa, dichiara puramente: « non valet amplius mercari ut solebat, ex quo nullatenus sibi possibile esset solutionem facere pro dictis ava-riis » (6). Un altro dichiara di trovarsi nella lista dei contri- (1) Contr. VII, (8) fog. i6ib, 11 febbraio 1456: « Considerantes quod... venditio dictarum gabellarum (frumenti et capitum, stimato a 11416 L. p. a.) murmurationem inter populus suscitaret, non vendantur ». (2) Essa rimase, quando nel 1489 furono abolite le altre imposte dirette Divers. Cancellarie, 28, aprile 1489. Proposta di Gio. Battista Tonsi, di elevare la gabella possessionum, abolendo il focagium. (3) Massaria Comm., 5, fog. 2. (4) Divers. Cancell. 8, decem. 1430. (5) Ivi, 15 decem. « Vener. off. monete civitatis Janue habita informatione de facultate ipsius supplicantis taxet eum ad solvendum quid debet communi pro mutuis, avariis et aliis oneribus publicis ». (6) 8 dee. — 155 — buenti o per malevolenza dei vicini, o per errore, e chiede gli venga imposta una cifra fissa, e condonato il resto, altrimenti sarebbe costretto ad abbandonare la città (i). L’importo totale della tassa era stabilito e venne ripartito con quote fìsse fra le due classi, della nobiltà e del popolo. Secondo la legge del 3 dee. 1445, i massarii, cui erano affidate la ripartizione e l’esazione dell’ imposta, venivano scelti fra le due classi, cioè due nobili e due del popolo. Questi dovevano rendere conto ai sindicatores, quattro per ciascuna delle due classi (2). Secondo il bisogno ora veniva esatto l’intero contingente, ora più, ora meno. A molte classi inferiori di contribuenti, era concesso di pagare un importo fisso annuo per un certo numero di anni, invece di una somma variabile (3). Questi chiamavansi con-ventionati, ai quali appartenevano specialmente gli aiutanti degli operai genovesi (4). Sulla ripartizione dell’ imposta abbiamo i seguenti dati : Nel 1349 in occasione della guerra di Sardegna fu fatto un prestito forzoso, del quale L. 8500 furono imposte sulla nobiltà e L. 6500 sul popolo (5). Nel 1378 dovevano suddividersi 2000 fl. in ter alberga civitatis Janue e 4000 fi. mter cone- (1) Div. Cancellarie, 8 dee. 1430 : « ne mala relatione vicinorum de cetero vel errore stalietur et ut possit in Janua vivere et fugere rumores talium staliarum, in quibus si gravaretur , necesse haberet absentiare et hanc civitatem relinquere ». (2) Genova, Bibi. Univ. C. V. 12, fog. 77. Ripartizione delle imposte per classi anche a Firenze. Canestrini, pag. 36, 43. (3) Nel 1489 (Div. Caliceli. 23 febbr.) fu concesso a parecchi fuggitivi da Pera a Chio, di pagare, invece dell’imposta: « 1 libr. 5 soldi in anno semel tantum super avaria aut impositione Libr. 50000 (il contingente) quomodocunque et qualitercunque imponendis ordinarie vel extraordinarie ». Questo importo doveva pagarsi ancorché il contribuente morisse prima del tempo. Manusc., 15, fog. 37. 5 ottobre 1434: « conventionati morti debent pro eorum conventionibus usque et per totum tempus in dictis eorum conventionibus limitatum ». (4) « Conventiones que non solum exteris ymo fere adhuc stantibus juvenibus districtualibus cum eorum magistris, cum quibus Janue artes didicerunt, conceduntur ». Div. C., 27 febbr. 1431. (5) A/assaria communis, 5; « De tertiis creditoribus ». — 156 — stagias (1). Nel 1428 fu imposto un contingente di 50000 L. (2), nel 1439 un altro di L. 100000. Di queste 100000 L. era a carico dei nobili 8 l/2 ex vigiliti ossia il 42 1/2 % e a carico del popolo 57 '/a %■ Da queste ultime 57500 L. erano da levarsi 6300 di tassa personale e 4313 L. 15 sol., tassa dei conventionati, per modo che rimanevano solo 46886 L. 5 sol. come vera tassa sulle sostanze (3). Il 14 novem. 1447 venne fissato a 3/5 il contingente della nobiltà ed a 2/s queU° del popolo, in cui non è tenuto conto della gabella capitimi che nel frattempo era stata abolita (4). Nel contingente popolare, furono tassati senza distinzione mercatores e artifices e quindi sulla stessa misura pagarono anche i Giustiniani, i più ricchi fra la classe popolare , nella contrada Clavice (5) Poi seguivano gli operai, che non erano tassati, come a Firenze, per corporazioni. Non mancarono sforzi per ottenere, con migliori criteri, un più sicuro accertamento dei contribuenti ed un maggiore introito per lo Stato. A tal fine il 7 gennaio 1379 il doge ed i suoi anziani nominarono 24 uomini coll’ incarico di fare un nuovo estimo sulla sostanza « mobilis et posse » dei Genovesi (6). Il 13 gennaio fu annunziato che i contribuenti potevano, fino al 16 dello stesso mese, fornire indicazioni all’Au-torità sulla loro facoltà, dopo il qual tempo non sarebbero prese in considerazione ulteriori domande. Sembra essere stato ben fatto il catasto del 1428 (7). Un nuovo estimo venne compilato nel 1442 (8). (1) Divers. not. 1378, 14 maggio. (2) Divers. cariceli. 5 ott. 1433. (3) Sala 41, N. 432, avaria nobilium 1439 e N. 540, avaria popularium. (4) Notar. Gio Valdetaro, 1429 segg. (5) Focagium 1467, N. 614, N. 540 « avariarum prò mobili 1439, T9b> Barth. Justinianus de Campis paga 1214 L., Simon J. Longus 1008 L. (6) Divers. Not., N. 104, « officiales super coturno fiendo ». (7) Divers. Cancell. 1433 , 5 ott. « consilium celebrantum super habendis pecuniis et satisfaciendo officio S. Georgii ». Paulus Imperialis raccomanda la forma di tassazione del 1428. (8) Membr. 8 (VII) fog. i43b 18 maggio 1442 « 4 partitores seu exti- I calasti, dei quali a Genova sventuratamente non mi fu più possibile trovarne alcuno, servivano di base per il calcolo delle imposte dirette, dei prestiti forzosi (i) e delle tasse di successione. Vi era inoltre una tassa militare a carico di tutti coloro i quali non potevano o non volevano andare personalmente in guerra (2). In ispecie gli appaltatori delle imposte, che non potevano lasciare la città , avevano la scelta, o di pagare la tassa militare o di farsi sostituire da un altro (3). La tassa di successione istituita nel 1395 importava il 2 °/0 della sostanza (4). Il calcolo aveva luogo sul catasto dei beni, (estimum). In mancanza di questo, il capitale (longus) veniva calcolato sulla base dell’ultima imposta pagata. Quanto ai con-ventionati l’appaltatore delle imposte aveva la scelta di esigere il 2 °/0 sul capitolo imponibile corrispondente all imposta pagata fino allora, ovvero sulla sostanza lasciata. È molto interessante una disposizione contro i defraudatori, che si fingevano miserabili e che perciò pagavano sol- matores possessionum » nominati, « qui habeant tempus annorum 2 ut moris est ad componendum et perficiendum dictum estimum ». (1) L J. II, col. 266, 1291 trapasso d’ un fabbricato « liberum et assolutimi ab omni genere servitutis preterquam a mutuis et collectis communis Janue ». M. Hist. P. XVIII, Leges Eucicaldi, col. 457• b 23- « quod expendantur in mutuis et collecctis equa lance ». Anche a Firenze le prestanze furono ripartite secondo Vestimo fatto per le imposte dirette. Canestrini, La scienza e l’arte di Stato, pag. 25. Per Pisa confronta Lupi-Mor-purgo, pag. 155, Venezia; Lenel, Entstehungder Vorhei>schaft, pag. 41, nota 1; Arch. St., rubeus parvus « capitulare dominorum desuper ìmpre-stitis ». A Parma fu stabilito nel 1249 che i mutui dovevano essere calcolati da allora in poi secondo il nuovo e non seconno 1’ antico estimo. Papa d’Amico, Titoli di credito, pag. 84. (2) Stella, anno 1380. La chiamata veniva divisa] in trej^sezioni a sorte che dovevano uscire in campo secondo l’ordine dell’estrazione, « si quis aptus ad navigandum nequiebat aut nollet, pro viro uno mittendo solvebat ». (3) Reg. cons. cal., II, 53 = « solvant pro^orum^variajantunTquan-tum fuerint accotumati per illos qui deputati fuerint ad accotumandum illos qui non iverint in ipsis armamentis et non tamquam inobedientes ». (4) « Introitus duorum accatorum defunctorum ». Membr. 22 (XIX), Venditio gab. veterum, fog. is6b, Membr. 30 (XXII) fog. 198. — 158 — tanto la tassa personale (i). Se alla loro mortesi trovava che possedessero più di 500 L. « deducto aere alieno » dovevasi pagare la tassa di successione, quantunque non inscritti nei catasti. Non è fatto alcun cenno di qualche penalità. Come a Genova le sostanze di 500 L. e meno, erano libere da questa imposta, così usavasi a Venezia per quelle inferiori a 300 L. (2). A Genova, i padri di 12 figli, avevano una casa in città e una in campagna libere da imposta (3). Se a Genova nella tassa di successione è fatto cenno di un defalco dei debiti sulle somme dovute , non troviamo invece nessuna disposizione simile per le altre imposte dirette. A Venezia tali defalchi erano espressamente esclusi (4). In generale però, nel 14.0 secolo, per l’imposta sui beni, serviva di norma il sistema di Venezia. Qui non si accontentavano d’ una tassazione in generale sulla facoltà complessiva, il che naturalmente dava origine ad una grande quantità di errori, ma si cercava invece di colpire la sostanza nelle sue parti. Vi era una tassa sui fabbricati (decima delle case) e, una sui fondi fuori della città (decima delle possessioni di fuori)-, una tassa sulla rendita dei titoli del debito pubblico (decima d’imprestidi), una sul capitale impiegato nel commercio di mercanzie (decima delle merca-tanzie), ed una sul capitale impiegato dagli armatori (decima di navi e di galere e di noli). Il clero e gli Ebrei erano soggetti a tasse speciali (5). (1) « Si persona decessisset que pro capite tantum et non prò mobili in avariis communis Janue reperiatur stallata, sicut plerumque aliqui faciunt tractantes se pro miserabilibus ». Membr. 22 (XIX) fog. i56h. (2) Cecchetti, Arch. Ven.. 35, pag. 82, nota 6. (3) Membr. 8 (VII), fog. 250 : « franchire possit unam possessionem pro sua habitatione in civitate et unam aliam pro sua habitatione in villa ». (4) Venezia Asch. St. Rubeus parvus, cap. 7, 1 marzo 1258, « non obstantibus aliquibus debitis quilibet facere debeat imprestitum de redditibus suis ». (5) Muratori, 55, XXII, col. 1189, col. 980, 8 ott. 1425, nuova stima con cui 6 impiegati valutarono la sostanza dei Veneziani 72424 L. più di quello che importava l’antico catasto. Cecchetti, Arch. Ven. 35, pag. 8r, Colla imposizione delle tasse sulle singole parti componenti le sostanze , si giungeva a risultati di gran lunga più esatti che colla tassazione complessiva. Il governo poteva più facilmente sorvegliare e stimare le proprietà fondiarie ed i titoli del debito pubblico. Nel movimento che il capitale subiva nel commercio, era vantaggioso per il governo che gli affari fossero d’ ordinario fatti in società (i). In ogni modo con questa tassazione differenziata, l’arbitrio nell’estimo della sostanza era di gran lunga limitato (2). L’ imposta diretta di Venezia servì di modello ai Fiorentini, quando questi nel 1427 istituivano il loro catasto, che diventò celebre. In questo non era tassabile che Vavanzo alla vita. Si defalcavano i debiti e quello che era necessario alla vita (3). In confronto con questa l’imposta dei beni a Genova sembra imperfetta, arbitraria e parziale (4). Era stimata come un peso opprimente, dal quale ognuno cercava sottrarsi in ogni modo. Tuttavia l’intero bilancio del governo basavasi sopra di essa. Era raccomandabile per la sua elasticità, dacché il governo, secondo il bisogno, poteva chiedere tutto o parte od anche più del contingente stabilito. L’imposta normale copriva il budget ordinario ; gl’ importi maggiori, sotto forma di pre- 1386: imposta super imprestitis et super domibus et possessionibus et super mercationibus. (1) Giorn. S/or. degli Arch. Tose. IV, 43,^1860. Documenti intorno al catasto, N. IV, 7 marzo 1427, pag. 40, discorso di Ran. Albizzi: « Pecunia numerata est incerta, sed in brevi tempore, ut per aliquos dicitur, reperietur per societates et alias, et male potest in contrarium loqui ». (2) Ivi: « Catastus... oculis apertis et super re certa imponetur et odia civilia tollentur ». (3) Canestrini, L’arte di Stato delta Repubblica Fiorentina, pag. 316. (4) Membr. V (6) gabelta staliarum, fog. 13, 1423 = « Attendentes.... quod sit durum et laboriosum civibus has post exhaustas facultates eorum exbursare pecunias , item quantas murmurationes et odia generant partitiones eiusmodi numquam juste ». Si trattava della ripartizione d un prestito forzoso di 400 loca, che dovettero essere accettati a L. 80. I . Sotto il nome di gabelle furono comprese tutte le entrate, 1 ammontare delle quali non variava annualmente come era per lo spendium. Alle gabelle appartenevano dunque non solamente le imposte indirette, compresa la tassa di successione, ma anche i redditi provenienti da sostanze e diritti dello Stato; e da quando le tasse personali e le imposte fondiarie vennero staccate dallo spendium propriamente detto e furono portate ad -un contingente stabile, vennero anch’esse ascritte alle ga-belle {gabella capitum e gabella possessionum). Per le gabelle fu creata nella Genova ducale una nuova autorità, i consides calegarum, alla quale passarono le funzioni del judex calegarum, per decidere sopra questioni fra esattori e contribuenti, come pure fra appaltatori. I consules calegarum erano eletti dal doge e dagli anziani (2) ; percepivano il loro stipendio sotto forma di quota del prezzo di vendita dei singoli redditi ; per evitare corruzione da parte degli appaltatori fu stabilito nel 1363, che i consules calegarum dovessero ricevere il loro stipendio col tramite officium mercantie anziché direttamente dagli appaltatori (3). (1) L. J. II, Col. 1017, 1385 giugno 28: < Commune Janue est in tantum oppressum et gravatum oneribus maxime diversarum comperarum et assignationum spectantium et pertinentium ad varias et diversas personas singulares, quibus assignati sunt omnes introytus et redditus gabettarum et quorumcunque introytuum dicti communis, adeo quod, si commune Janue indiget facere aliquam expensam , necesse est quod illam exigat et habent et habere provideat de bursis civium quod, est dictis civibus nimium o-nerosum ». (2) Reg. Cons. Caleg. II, 1-3. (3) M. Hist. P. 343. § j — Le gabelle venivano messe all’ incanto in gennaio dinanzi al consilium generale in presenza del podestà, dei protectores comperarum (i) e dei venditores gabellarum (2). Prima dell’incanto lo statutarius leggeva ad alta voce le clausule generalis, (alle quali, indipendentemente dalle loro tariffe speciali, tutti gli appaltatori erano obbligati) e specialmente, i nomi degli immuni e le ordinanze relative alla forma del pagamento (3). Gli appaltatori potevano pagare cogl’ interessi del debito pubblico (pagae) ; soli per pochi era prescritto il pagamento in denaro contante (4). Gli appaltatori in materia d’imposte avevano poteri di polizia (5). Nel 1400 fu stabilito che essi avrebbero potuto trarre in arresto il contribuente moroso, salvo preavviso con un termine di tre giorni (6). Per la medesima cosa , ancorché dovesse passare per più mani, doveva pagarsi ordinariamente una volta sola il medesimo introitus. Però sulla stessa merce non solamente gravavano parecchie specie d’imposte, ma anche quelle del medesimo genere erano considerate come distinte. Se p. es. un imposta veniva aumentata, questo aumento era considerato come un’altra imposta, che si appaltava separatamente. Cosi nell’ imposta sugli stipendi eravi la stalla, la superstalia, la tristalia etc. (7). Al dazio d’ importazione e d’esportazione, cioè ai denarii maris vennero spesso fatte delle aggiunte di uno o di mezzo per cento (*/0 °/0 sul valore della merce). Ciascheduno di que- (1) Più tardi solamente dinanzi ai protectores comperarum S. Georgii. (2) Corrispondenti ai succitati emendatores gabellarum. (3) Sala 59, Membr. N. 36, fog. 19. 23 genn. 1466. (4) Ivi, 15 genn. 1465: « che le gabelle de cetero se venderan a pagar lo prexio di quelle paghe corno se he facto, excepto alcune poche, che parirà più utile alo officio le quae se vendan a pagar alo numerato ». (5) « Emptores seu collectores quorumcunque introituum communis Janue sua propria auctoritate possint personaliter detineri facere quoscunque veros debitores dictorum introitum ». Membr. 13 (XII) fog. 1. (6) Reg. cons. cal., II, 18. (7) Memor. V (6) gabella staliarum, fog. 9: secunda stalia 1393, fog. 13: tertia stalia, 1423. AUi Società Ligure Storia Pc/tia. Voi. XXXV. 13 — 102 — sti aumenti aveva il suo appaltatore speciale. Tutti insieme poi dovevano mettersi d’accordo sui propri esattori dell’ imposta. Così quelli che avevano interesse nei dazi d’importazione e di esportazione nominavano i consules maris (i). La mag'gior parte delle merci doveva passare il ponte del dazio {pons pedagii') e la dogana (il palazzo di S. Giorgio). Però per accelerare la spedizione, alcune merci erano libere da tale obbligo, come allume, guado , pece e cera , cotone, lino, canape, olio, burro, fichi, mandorle, e tutte lo sostanze alimentari salate. Carne, grasso e formaggio venivano sbarcati al pons Ceba; il vino al pontes vini e de Spinolis, olio al pons clape piscium. Il grano veniva sdaziato a bordo e portato direttamente nei magazzeni del mercato (rayba) (2). Il proprietario della nave (patronus) garantiva per i negozianti che viaggiavano sul suo legno. Non poteva scaricare prima d’avere esattamente dichiarato ai consules maris i suoi passeggieri ed il carico e di avere dato le volute garanzie (3). Prima di cominciare il viaggio egli doveva pure garantire ai consules maris ed all’ officium gazarle, di caricare soltanto merci daziate, nè poteva salpare dal porto se non aveva in mano il certificato del dazio pagato per il suo carico (4). Il negoziante non era obbligato a pagare subito il dazio , ma gli veniva accordato un credito di sei mesi (5). Erano liberi da imposta, il doge, il podestà ed il suo vicario, l’arcivescovo, i nobili di Fiesco, i giudici ed i medici, (1) Membr. 22 (XIX) Venditio gabellarum veterum, 1428 , fog. iob: Emptores presentis introitus possint constituere consulem et consules ad colligendum et exigendum ipsum introitum Janue, in Peyra, Chio, Cipro, et aliis quibuscunque locis ». Not. Ant. Facio, 217, 4 giugno 1451 ; « i gubernatores et collectores introitus unius pro centenario de 1447, i gubernatores caratorum XXIV maris et dimidii pro centenario de 1447, ed i gubernatores aliorum carat. XVIII, nominano per esattore Cristoforo Cataneo. (2) Reg. Cotis. Cai. III, 24 e 25. (3) Membr. 22 (XIX) fog. 8. (4) Reg. cons. cal. III, 1-3. (5) II. 40. - i63 — i padri di 12 figli (1), i cancellieri e cintraci, lo statutario, gli eredi di Luciano de Auria, vincitore di Venezia 1379 (2). L’ Imperatore Enrico nel 1311 fece sentire la sua autorità contro l’abuso delle esenzioni dalle imposte (immunità) (3). Genova si difese principalmente contro le franchigie che imperatore e papa, conferivano ai loro favoriti, p. es. nominandoli conti palatini (4). Nel 1378 vennero di nuovo presi in esame i diritti degli immuni (5) e nel 1450 si procedette perfino contro l’assoluta franchigia dalle imposte dei Fieschi (6). Il peso delle imposte si accrebbe notevolmente nel 14.0 secolo, sia per alcune nuove che vennero introdotte, sia per aggiunte fatte alle antiche. Le gabelle introdotte dopo il 1340 furono distinte, colla denominazione di gabelle regiminis, dalle precedenti, le gabelle capituli, assegnate ai creditori dello Stato. Per le gabelle regiminis non esistevano immunità (7). Si giustificava questa disposizione dicendo, che le gabelle introdotte per far fronte alle spese del governo (al contrario di quelle impegnate) andavano pure a vantaggio di coloro che godevano dell’ immunità (8). (1) Introdotta da Antonioto Adorno nel 1391. R• c. c. V. 22. Nel 1463 vi furono 38 famiglie, benedette da 12 figli. Not. Ant. Fascio, filza 20. I padri di 10 figli di legittimo matrimonio, dovevano notificare all’ufficio di S. Giorgio, 6 mesi dopo la nascita del 10.0 rampollo, « si dictam immunitatem obtinere spem habent ». Membr. 8 (VII) fog. 103, 6 marzo 1428. (2) Membr. 36, fog. 19 (1466). (3) L. J. II, coi. 458. (4) Membr. 8 (VII) fog. 175, 17 ott. 1449: « Ex constitutionibus communis Janue latissime provisum et adversus eos qui bullas, literas aut alia rescripta vel a Romano pontifice vel ab imperatore aut aliis pontificibus contra publicum bonum impetrarunt ». Divers. Not. 104, 1 juni 1355, Privileg. Karls IV a Petrus de Luna de Ottocanis de Trebbiano. (5) Divers. Not., 104, 14 maggio 1378: « Cognoscantur jura illorum qui debent esse immunes ». (6) Divers. S. Georgii, 8 giugno 1450. (7) Reg. cons. cat. V. 43: « Quod franchi sint immunes.... ab omnibus et singulis introitibus et toltis communis Janue assignatis capitulo tantum ». Confr. II, 49. (8) Ivi, II, 16: « cum ex ipso introitu evidenter omnes tam cives quam extranei commodum reportent et etiam in futurum dante domino repor- - i64 - Talvolta veniva imposto un aumento p. es. del 5 °/0 su tutte le tasse esistenti, lo che chiamavasi una salsa (1). Una tale salsa del 5 % fu applicata nel 1433 su tutte le gabelle di Genova. Con questo aumento dovevansi pagare gl’ interessi del 7 °/0 di 1600 loca di nuova emissione; si calcolava dunque di ricavare 11200 lire da questa salsa, da cui risulta che il complessivo introito delle gabelle ascendeva a circa 224000 L. Di 90 gabelle, che allora componevano il sistema tributario genovese, 33 erano assegnate alle compere capituli, le altre 57 alle compere S. Georgii esistenti dal 1407 in poi (2). Imposte diverse, specialmente sul commercio. Abbiamo tariffe della Genova ducale, le quali ci dimostrano, più chiaramente di quello che non sia per i periodi precedenti, la forma delle tassazioni (3). Fra i redditi derivanti dalle sostanze, troviamo ora perla prima volta, accanto a quelli dei mulini, anche quelli dei forni da pane del comune {furnum) (4). Quanto alle competenze furono principalmente fissate quelle di giustizia. L’attore doveva pagare 1’introitus pignoris bandi. Vi era una speciale competenza per citazioni dinanzi al tribunale di commercio (5). Chi si appellava, doveva pagare Yintroitus appellationum. È citato inoltre Xintroitus sententiarum et instrumentorum. Accennammo già al triplice aumento dell’ imposta sugli tare firmiter speretur propter bonam justiciam et regimen civitatis et districtus ». (1) Membi. 8 (VII) fog. 55b, 18 novem. 1380: « tolta seu salsa » dei 5 °/0 « super omnibus gabellis communis Janue assignatis regimini civitatis ». (2) Membr. 8 (VII) fog. 373 seg. (3) Membr. 22 (XIX) Venditiones gabellarum veterum. (4) Membr. 8 (VII) fog. 176, 1450: « introitus apothecarum contiguarum furno et furnum ». (5) Membr. 22 (XIX fog. 109; « den. III pro libra pignoris bandi de questionibus officii mercantie et officii banchorum... ex parte actoris », — ié>5 — stipendi, che non andò certamente per il meglio dell’ amministrazione; poiché col falcidiamento degli stipendi, gl’ impiegati erano indotti a rifarsi con estorsioni od a farsi più facilmente corrompere. Oltre la tassazione sullo stipendio degl’impiegati, venne quella non meno discutibile sulle paghe dei marinai (i). Laddove l’applicazione della tassa sulle rendite e più facilmente applicabile , è appunto dove riesce più spinosa dal punto di vista della pubblica economia. Il commercio venne notevolmente aggravato. Dalla fine del 14.0 secolo in avanti i denarii maris appaiono sotto il nome di karati maris. La voce karatus, come locus, viene dagli armatori e significa principalmente porzione di proprietà d’una nave (2). Dall’armamento delle navi, la parola fu trasportata agli appaltatori delle imposte come dire « parte di un appalto » e venne a sostituire qui la voce locus, usata nel 13.° secolo. I denarii maris, come altre grandi gabelle , non furono appaltati ad una sola persona o ad una compagnia, ma la somma- complessiva dell’ appalto fu divisa in parti ideali, che furono vendute all’incanto per singolo (3). Vi erano 8 carati maris capituli, e 16 carati maris regiminis, a cui nel 15.0 secolo furono aggiunte una quantità di addizionali di 1 % e 7, Yo» Per m°do che nel 1466 vi erano 60 carati maris (4). (1) Stella, anno 1402. (2) Divers. cane. 1430 : Nella massa ereditaria di Antonio Doria sono citati: accomende, carati seu portiones navigiorum, resque et merces ». (3) Confr. Append. 5, sugl’inconvenienti degli appalti di grandi imposte senza questa suddivisione: Roscher, Finanzwissenschaft,\ 67, nota 5. (4) Sala 59, N. 36, fog. 17. Il singolo carato valeva allora 2000 lb. pagarum S. Georgii, 120000 lb. l’introito totale, quindi circa 2400000 lb. il complessivo valore deH’importazione, dell’esportazione e dei corpi delle navi. Nel 1364 un’addizionale di 1 °/0 sul commercio generale rese 16000 L. (Massaria N. 10) da cui deducesi un giro d’ affari di 1500000 L. Pel 5 marzo 1421, dai diversorum S. Georgii, si può calcolare un capitale di L. 1510000. Si rifletta che la lira nel 1370 pesava 29,180 gr. d’argento, nel 1412 24,15092, nel 1480 solo 13,700 gr. di fino, la lira di paghe (interesse del debito pubblico accettato in pagamento) valeva ancora meno della lira d’argento. È impossibile di precisare il valore dell’importazione e dell’esportazione, non avendo sott’ occhio gl’ introiti effettivi, ma solamente le somme totali d’appalto. I Genovesi avevano acquistato privilegi sulle imposte al-l’Estero, dovevano perciò dal canto loro accordare agli stranieri un mig-liore trattamento , alle volte anche migliore di quello che accordavano ai Genovesi stessi. In particolare era garantito a queste nazioni privilegiate, nessun aumento d’imposta. Siccome però ai Genovesi non sempre erano mantenuti 1 diritti promessi, il doge Luigi Fregoso, il 3 gennaio 1449 , ordinò che tutti i forestieri, quanto al dazio, fossero parificati ai Genovesi (x). Soltanto i Catalani, che dopo la fratellanza d’armi contro i Saraceni avevano avuto da Genova dei privilegi (2), i Lombardi, i territori dietro Genova (3) ed i Tedeschi, che erano stati ligi ai contratti con Genova, continuarono a godere privilegi (4). Dalle tariffe risulta che i karati maris erano un dazio d’importazione e d’esportazione, sul valore della merce e delle navi (5). Dovevansi pagare 5 L., 8 s., 4 d. sopra 100 L. di valore; nel commercio con Barcellona solo 4 L., colla Toscana e Sardegna solo 3 L., colle Riviere, coi paesi lombardi e tedeschi dall’interno, in quanto non intaccassero i dazi di Gavi e di Voltaggi, 2 L., 10 sol. (6). I karati maris erano un dazio della città, ma, (1) « Tantum quantum ab ipsis civibus Janue solveretur ». Membr. 8, (VII) fog. 228. (2) Bastava che pagassero solo il drictus Catalanorum di 2 l/2 °/0 del valore. Membr. 22 (XIX), fog. 139. (3) Confr. Desimoni, Atti III, pag. LXXXIX; divers. Cancell. 14 luglio 1430. Privilegi per la Lombardia, specialmente per l’esportazione dei panni. (4) « Quorum fidei nihil obici posse videtur ». Cfr. sul commercio dei Tedeschi a Genova. Heyd, Geschichte des Levantehandels, II, pag. 721 segg. Privilegi dei Tedeschi, sett. 1421; Additiones, 15 febbr. 1431, Genova Arch. Segreto, 3135; Divers.... Schulte, Geschichte des mitlelalterlichen Handels und Verkehrs zwischen Westdeutschland und Italien, I, pag. 531 seg. (5) * Diminutis de pretio armis et compagnia » Vendit. 1428, fog. 5b. Confr. il Pfundzolt dei Hansi, 1361, ed imposte simili degli Olandesi ed Inglesi, e la Convoy-tax in Inghilterra, che doveasi pagare anche su merci importate ed esportate e sulla portata delle navi. St. Dowell , History of taxation, II, pag. 222/3. (6) Cfr. Ulman Stromer, Chroniken der deutscheti Stàdie, I, pag. 100, « von ydem lb denar 6 den. ». — 167 — a causa del diritto di scalo, essi funzionavano, quando non vi erano privilegi d’imposta, come un dazio che abbracciava tutto il territorio dello Stato genovese. Per merci che erano venute dall’Oriente e doveano procedere per un sito della meta settentrionale dei bacino occidentale del Mediterraneo, senza cambiare di proprietario, si pagava una sol volta. Lo stesso per merci che dalla Francia andavano in Toscana. Stoffe di seta che da Bologna o dalla Toscana andavano per terre in Francia pagavano 2 °/0 una volta sola. Se dal libro di bordo risultava che non vi erano merci destinate per Genova , non si pagava^ che un tenue dazio di transito (1). Se le merci erano destinate a Genova od altrove, a scelta del consegnatario, dovevasi pagare l’intero dazio d’ importazione (2). Genova portava ai Fiorentini specialmente lana inglese, mentre riceveva da essi panni di Firenze. Nel 1374 fu stabilito che i panni fiorentini fossero considerati, ai riguardi del-1’ imposta genovese , come del valore di fl. 25, per quanto grande potesse essere il valore vero , e che i panni colorati in chermisi fossero calcolati alla metà del loro valore reale (3). Se da una parte venivano accordate delle facilitazioni ai Fiorentini che toccavano Genova, questa alla sua volta pretese riservarsi 1’ approvigionamento della costa toscana, nel quale, dopo la caduta di Pisa e prima che la marina fiorentina si rinforzasse, ottenne per qualche tempo favorevoli risultati. Le merci che da occidente andavano direttamente a Porto Pisano, dovevano pagare 1’ 8 °/o (4)* Nell’ interesse del dazio venne ripetutamente aumentato il diritto di scalo. Chi non riceveva le spedizioni dall officium gazarie o dai consules maris era fuori della protezione delle (1) « Pro strazeto ». (2) « Si rauba oneraretur consignanda in electione, eo casu ex nunc prout extunc intelligatur et obbligata sit solutioni pro adventu ». Membr. 30 (XXII) f. 15. (3) Reg. cotis, cal., f. 62b; V. 49; 26 apr. (4) Membr. 22 (XIX) fog. 3: « de missis vel portatis a quavis parte occidentis portum pisanum recto viagio absque facicndo portum in Janue solvantur libr. VIII ». Cfr. Schulte, p. 397. — 168 — leggi genovesi (i). Al dazio non erano solamente soggetti i viaggi da e per Genova, ma anche quelli intermedi che erano fatti all’estero da navi genovesi (2). Queste facevano il commercio fra la Provenza e Barcellona, fra Napoli e Tunisi, fra il mare Adriatico e il regno di Grecia e Alessandria ; portavano merci saracine da Tunisi ad Alessandria ; ad occidente le navi genovesi viaggiavano fra l’Inghilterra e le Fiandre da una parte, Napoli, Sicilia, Maiorca, Valenza dall’altra; dall’Inghilterra e dalle Fiandre in Castiglia, Portogallo, Granata e dalla Castiglia, dal Portogallo e dalla Mauritania a Napoli e in Sicilia e viceversa. Per questi viaggi doveasi pagare da 10 a 4 0/° secondo la lunghezza percorsa (3). Questa tassa come vedesi era di difficile esazione, a meno che la nave non ritornasse nei domini dello Stato di Genova. Perciò quelli che pagavano puntualmente le tasse nel corso dell’anno, partendo dalla data del principio del viaggio tassabile, dovevano sborsare solo la metà (4). Il contribuente doveva, sotto vincolo di giuramento, indicare il valore dell’oggetto da daziarsi. Per merci vendibili sul mercato, il prezzo poteva venir fissato dai consules maris medesimi (5). Se il prezzo fosse sembrato ai consules maris troppo basso potevano comperare (oltre la tassa) tanta merce quanta corrispondeva alla tassa, al prezzo dato dal negoziante (6). (1) 1372, Reg. comp. cap. 374; 1405, Reg. cons. cal., II, 12. (2) Sul commercio intermedio dei Fiorentini tra i porti del Mediterraneo. Cfr. Davidsohn, Forsclmngen, III, pag. IX. (3) « De rebus et mercibus defFerendis vel portandis de aliquibus locis ad aliqua loca.....Super aliquibus vasis navigabilibus Januensium vel qui privilegio Januensium fruuntur vel etiam extraneorum si in ipsis vasis extraneorum aliqui Januenses.....sint patroni, participes conductores, naulizatores, procuratores vel recipientes r.aula ». Membr. 30, (XII), fog. 9. (4) Membr. 22, (XIX) fog. 3 segg. (5) Fog. rob. « Si persona habuerit rationes solidare cum collectoribus, liceat collectoribus ponere dictis rebus tale pretium quale similibus rebus et mercibus fuerit positum per alios mercatores ». (6) Fog. I41'. « Additio 1429 in favorem mercatorum: si collectores — xòg — I consules maris potevano allestire un brigantino con 25 uomini d’equipaggio contro il contrabbando. A Pera i Genovesi esigevano un dazio corrispondente ai karati maris. Solamente per i « karati peyre » si davano in pagamento anche viveri , che a Genova erano esenti dai karati maris (1). Oltre al dazio generale marittimo, furono imposte diverse gabelle sopra parecchi rami del commercio genovese. Vi era un drictus Corsice, drictus Anglie et Frandrie (2), un medius prò centenario Chii (3), 1/2 % de Alexandria (4), drictus J/2 % Yspanie (5) ecc. Queste imposte erano istituite quali contributi che dovevano pagare coloro i quali ritraevano speciali utilità da imprese che proteggevano i rispettivi commerci (6). deliberaverint habere aliud tantundem in rauba mercetorum , quod teneantur collectores sol vere mercatoribus pio il o tantundem in pecuuia numerata ad rationem pretii positi per mercatores » ; Conf. II parte, Cap. II, Le gabelle assegnate alla casa di S. Giorgio, in nota. (1) Fog. 224. « De mercibus, frumento, biado, vino ceterisque victua- . libus et rebus que portabuntur de Janua vel de mari maiore vel alia quacunque mundi parte per ]anuensem in Constantinopolim vel in peyram » e così pure per l’esportazione; « de corporibus galearum armatarum non solvatur dictus introitus nisi semel in anno ». (2) Membr. XXII (30) fog. 78, 1421. Istituzione dell’imposta di uno per cento sul commercio per le Fiandre e 1’ Inghilterra , onde produrre 6000 L. steri, a favore di Inglesi danneggiati a Genova. Corpora navigiorum dovevano pagare in questo introitus solo una volta 1’ anno, precisamente come nell’antica collecta viaris. (3) Divers. cariceli. 21 aprile 1431. Il commercio per Chio venne monopolizzato. Petrus de Puteo e Petrus de Fo potevano importare merci a Chio da tutte le parti del mondo. Simon Spinula, Lucas Italianus, Joh. Baptist. Cataneus, Phil. Justinianus e Simon Cataneus solamente da Genova. L 'introitus fu venduto per 500 L. p. a., si calcolava quindi una importazione a Chio del valore di L. 50000. Le navi qui nulla pagavano. (4) Rese nel 1364, 3850 L. Il traffico di Genova con Alessandria fu quindi L. 770000. Massarie, N. 10, fog. 37. (5) Divers reg. 24 nov. 1403, (f. 52b) 3000 fl. (6) « Impositio unius et dimidii pro centenario merito appellari non potest gabella seu novus dirictus, sed deliberata est ea institutio ad subventionem et expeditionem armamenti dictarum III navium pro commoditate publica et salute ipsarum rerum et mercium ac navium ». Membr, 30 (XXII) fog. 2o6\ 1438. — 170 — Egualmente a Venezia nel 1335, le spese d’un’ambasceria a Maiorca vennero rifatte mediante un’ imposta di un per cento sul valore delle merci dirette a Maiorca (1). I drictus dei Ge-vesi rassomigliavano alle tasse dell’antica collccta maris. In origine non avevano altro scopo che di coprire certe spese, come fu il drictus Famaguste imposto il 5 agosto 1446 per 8 anni e 6 mesi sul commercio dei Genovesi per Cipro , per estinguere un debito di lb 5800 dell’amministrazione coloniale (2). Anche i drictus però ebbero la stessa sorte delle collecte maris, col diventare imposte ordinarie, da straordinarie che erano. Così pure le convoyem e licenten olandesi erano da principio destinate puramente per le spese di guerre, ma rimasero poi fisse dopo il 1648 (3). Come i dazi di mare, furono pure aumentati quelli di terra. Ai pedaggi di Gavi e Voltaggi ne fu aggiunto uno di nuovo (4), nel quale, come nell’antico pedagium porte, furono formate tre categorie di valori. Tutte le some dovevano pesare 18 rubi. La sauma fino a 10 L. di valore pagava 4 soldi; 6 soldi la saiima de aromatibus; il valore massimo veniva dato alla soma di guado (soma gualdorum 18 libr. Jan. valoris). Simili aumenti andarono a colpire le imposte del traffico. La ripa grossa, che veniva pagata una sola volta sulle merci che andavano e venivano, conservava per queste il suo carattere primitivo di dazio. Al contrario la gabella censarie, introdotta di nuovo, era da pagarsi sopra qualunque vendita fatta con 0 senza l’intervento d’ un sensale. Nel primo caso questi doveva cedere 3/5 della sua competenza , nel secondo caso tutto l’importo della mediazione doveva essere pagato a titolo d’imposta. La gabella censarie non si pagava quando concorreva con altre imposte, come p. es. la tassa sulla vendita di liquori al minuto, 0 di roba vecchia ; e così pure so- (1) Sen. misti, 17, fog. 26b. (2) Genova. Membr. 30 (XXII) fog. 180. (3) Laspeyres, Gesch. d. volkswirlsch. Anschauungen der Niederldnder, pag. 222. (4) Membr. 22 (XIX), fog. 207 « pedagium novum de et in Lom-bardiam ». — i7i — pra affari di minore importanza, come locazioni che venivano conchiuse fino a io anni senza mediatore, doti fino a 150 L. e simili. La tariffa di queste imposte ci offre un interessantissimo catalogo delle merci che formavano allora il commercio di Genova. Le 328 partite di questa tariffa sono tassate o a numero di pezzi, o a peso, o secondo il valore. Mentre nelle antiche tariffe le pelli avevano la parte principale nel-1’introitus porte (13 numeri su 94), nella tabula della gabella censarie vi sono nominate 37 specie di panni (1). Le tasse sul commercio dovevansi pagare dal venditore e dal compratore in parti eguali. Simili tasse erano pure in vigore a Venezia (2) e a Firenze (3). Il governo fa spesso differenze fra chi deve esborsare il dazio e chi realmente lo sopporta. Così p. es. la ripa glossa andava a carico del compratore , la ripa minuta e censarie metà a carico del compratore e metà a carico del venditore, e si credeva che potesse bastare un decreto per costringere al pagamento dell’imposta, quegli il quale era designato dal governo (4). Sopra questo ingenuo modo di vedere, il Pac-ciolì dice sardonicamente: a Venezia la gabella messetarie era a carico per metà del compratore e per metà del venditore, viceversa poi il compratore era responsabile, come a Genova, del totale. Perciò Paccioli (5) consiglia al compratore di registrare nei suoi libri anche la parte spettante al venditore. « Tanto non vedrai più il tuo denaro ! Chi non crede ne faccia a meno. » « Chi non fa non falla; chi non falla non impara ». (1) Ivi, fog. 5ob segg. (2) La gabella mesetteria produsse nel 1469 36oo° ducati, Muratori, SS. XXII, col. 1189. (3) La gabella dei contraili diede nel 1336 20000 fl. Gio. Villani, XI, 92. . (4) Per es. nel 1431 il governo genovese dichiarò al negoziante e- desco Ottomar, rappresentante d’una societas de fosumpis, che si lagnava d’una salsa imposta sull 'introitus auri filati, essere stabilito che la salsa deve andare a carico dei suoi compratori. Arch.segr. Divers. 3135. con r-Membr. XII (13) fog. 25. Istituzione dell’ introitus aun filati di 4 d- Pr0 libra: « liceat fabricari facientibus exigere dictos IIII denarios ab empto ribus ». (5) Paccioli, Summa, fog, 203’'. — 172 —• Alla gabella censarie si unì a Genova la censaria locorum, nell’acquisto della rendita di Stato (1). Altre imposte andarono a colpire il commercio di roba usata e delle aste (2) , i cambi (3), le assicurazioni (4), i noli (5), e le chiatte (6). Legname (7) e ferro (8), ed in seguito il guado , furono colpiti da speciali dazi d’importazione. Tutto il guado che veniva a Genova per la via di mare doveva passare il pons pedagii ossia la dogana ; se veniva per via di terra doveva passare per la porta di S. Tomaso. Tutto il guado che trova-vasi sul territorio dello Stato , e non destinato per Genova , doveva essere denunziato entro tre giorni agli appaltatori delle imposte sotto pena di confisca. Il dazio era di 8 soldi per soma di 3 cantari (9). Anche il commercio dei panni fu sottoposto a diversi dazi. Il lino lombardo , pagava un dazio d’importazione sul peso, di 1 soldo per la torta di 2 rubi (10); il panno di lana o mez-zalana pagava un dazio sul valore di 2,50% (”) il panno di cotone un dazio di 2 soldi */, den. per pezza (12). Poi vi era l’imposta di 1 den. prò libra pretii ai venditori di panni e-stari (13). La vendita al minuto di qualunque qualità di panno era soggetta alla canna pannorum ohe era salita da 2 a 16 den. prò libra pretii (14). (1) Membr. 22 (XIX), fog. 2i6b. (2) « Introitus calegaruvi » fog. 125. (3) « Introitus controrum, usurarum et cambiorum » fog. 61. (4) Fog. i22b « dimidius pro cent, super securitatibus ». (5) Fog. 137, 20 % « super naulis navigiorum ». (6) Fog. 80 « introitus piatarum: a quolibet platarolio sol. 6 pro singula platata quarumcunque rerum que exonerabuntur de cochis galeis etc. ». (7) Fog. 116, 2 d. , per legname piccolo 1 d. pro cantar. Stella, anno 1402. (8) Fog. 174, « devetum vene ferri » 8 denari prò cantario, non pagando il dazio eravi una multa di 25 sol. per cantario. (9) Membr. 28 (XXI), « Institutiones gabellarum gualdorum et peda-giorum ». (10) Membr. 22 (XIX), fog. 18 « introitus lini ». (ri) Fog. 7ób. (12) Fog. 32, « introitus fustaneorum ». (13) Fog. 78. (14) Fog. 961'. — 173 Dazi sui viveri. Imposte sul lusso. Anche i dazi sui viveri vennero sensibilmente aumentati , cioè sul pane (i), sulla carne, sul formaggio (2) e sull’olio (3), e nel 14.0 secolo vennero portate speciali riforme al dazio sul vino (4). Le imposte sul vino e sul sale fornivano alle città del medio evo, relativamente, le maggiori entrate (5). Il vino prodotto nello Stato Genovese che si portava a Genova, pagava 2 sol. per metreta, quello estero 2 sol. 6 den. Nelle vendite all’ ingrosso si esigevano 2 sol. pro metreta dal venditore ed altrettanto dal compratore. Per la vendita al minuto nelle bettole, pagavasi ancora i sol. pro metreta, o 1 den. prò pinta. La vernaccia, decantata da Dante, Boccaccio e Petrarca (6) non poteva vendersi che in due sole bettole e doveva pagare 3 den. prò pinta. Per l’esportazione il governo esigeva 6 sol. pro metreta vini. Le qualità più fine, che nel consumo interno erano gravate di più, godevano qualche van- (1) Fog. 82. « Introd. sol. 2 novorum capsie grani ». (2) Fog. 17o1', sol. 4 prò cantario oltre ai denarii maris (i439> 11 9 d. prò cent, libr.), per bestiame vi era 1 'introitus carnium recentium; Membr. 12 (XI) fog. 88. (3) Membr. 22 (XIX) fog. ii2b: 2 s. 6 d. « a persona que detulerit oleum Januam » sold. 5 (prò barile) « ab eo qui oleum emerit ». (4) Membr. 8 (VII) 1350; colle imposte del vino doveansi pagare gl’interessi della compera Venetorum. (5) A Venezia nel 1469 il dazio del vino con 77000 due. ed il monopolio del sale con 960000 due. formano rispett. il i4> 3 °/o e ^ I8°/0, insieme ‘/3 delle entrate totali, Muratori SS. XXII, pag. 1189. A Firenze nel 1336 la sola gabella del vino a minuto rese 58300 fl. d oro quasi /5 del reddito totale. Villani, XI, 92. A Bologna nel 1371 figurano in prima linea col 25 °/0 la tassa sul macinato, vino e sale davano rispettivamente 20 °/0 e 11,7 o/°. Salvioni, pag. 65. A Basilea il Winungelt era la fonte principale cioè, nel 1361, 1746 lb. sopra 3415 lb. Schònberg pag. 80, poi la farina ed il sale. Nel 1386 fu introdotto anche a Norimberga il Wei-nungeld, che dava il terzo delle imposte totali. Hegel, Stddtechroniken, I. pag. 281. A Dortmund venne introdotto nel 1395 un Weinaccise, per pagamento d’interessi. Rììbel, pag. 109. (6) Belgrano, Vita privata, pag. 160. — 174 — faggio all’esportazione. La vernaccia pagava solo 4 den.; il vino di Mons rubeus solo 1 o den. pro metreta. Oltre a queste tasse sul commercio e sul consumo eravene pure una sulla preparazione del vino, cioè 5 sol. pro metreta per quello spremuto entro le mura di Genova e 2 sol. per quello spremuto nelle tre valli (1). Siccome queste imposte pesavano più specialmente sulle spalle delle classi meno privilegiate della popolazione, così si cercò di colpire per compensazione anche le benestanti, mediante tasse sul lusso, che furono introdotte dal Boccanegra nel 1402 (2). In conseguenza venne tassato chi portava perle con un’imposta annua di 12 sol. 6 den. sopra un valore di perle fino a 100 L. ; per un valore da 101 fino a 400 L. pa-gavansi 37 sol. 6 den. e da 401 in più 3 L. 15 s. Erano esenti dalla tassa i cavalieri, i giudici ed i medici, inoltre le giovinette da 6 anni fino al loro matrimonio , anzi godevano di tale esenzione nella luna di miele e precisamente fino alla fine della terza settimana dopo le nozze (3). In occasioni solenni, in cui si trattava di far vedere il benessere di Genova, la tassa sulle perle rimaneva completamente abolita, come fu nel 1489, quando la duchessa di Milano era attesa a Genova (4). Un’altra imposta fu messa sui cavalli (5) e sugli schiavi (6). Secondo Wolf vi erano a Genova verso la fine del 14.0 secolo circa 3000 schiavi e nella prima metà del 15.0 secolo in media 2500. Quando , in forza della conquista di Costantinopoli fatta dai Turchi, la navigazione nel Mar Nero si rese più difficile, il numero di essi si ridusse in cifra rotonda a 1200 (1467-72) (7). (1) Membr. 22 (XIX) fog. irib « imbotaturarum vini ». (2) Stella, anno 1402. (3) Membr. 22 (XIX) fog. 107 « gabella super deferentibus perlas ». (4) Divers. cariceli., 9 genn. 1489. (5) 29b- « 1 A- auri supra equis.... portantibus sellas ». (6) Fog. 19: V2 Al- annualmente in rate semestrali da pagarsi per ogni schiavo maschio o femmina. (7) Wolf, Quadro statistico degli schiavi esistenti, venduti ed emancipati in Genova nel /5.0 secolo, manoscr. Palazzo Bianco. 1 , ' — !75 — Persino la prostituzione (i) ed il giuoco (2) furono considerati dal fisco come fonti finanziarie. Protezionismo. Vediamo da quanto precede come a Genova, quando occorreva, si escogitavano sempre nuovi mezzi di tassazione. Non vi era alcuna specie di attività economica, nella quale il fisco non stendesse la mano avida d’imposte. Tuttavia il si-tema tributario di Genova non era unicamente basato sui bisogni fiscali. Come nel primo periodo trovammo nelle tariffe daziarie la tendenza di favorire il commercio mediante una differenziazione delle tariffe, così nel 14.0 secolo ci cadono sott’ occhio disposizioni le quali hanno per iscopo la protezione delle fiorenti industrie proprie , contro la concorrenza esterna. Il riguardo alle industrie locali fu sempre e ad ogni occasione tenuto di mira, come quando nel 1372 e nel 1405 si era trattato di toccare il diritto di scalo (3). Gli artifices ai quali è dovuta principalmente la rivoluzione del 1339, ottennero diritti politici come una classe riconosciuta a lato dei mercatores. Se gli impieghi andavano divisi fra nobiltà e popolo , la metà spettante a quest’ultimo doveva alla sua volta essere suddivisa metà ai mercatores e metà agli artifices. Così a quest’epoca troviamo operai persino fra gli anziani, che era la più alta dignità dello Stato accanto al doge. (1) « Introitum castelleti de loco et receptaculo meretricum quantumcunque detestabilem ac turpem in piam ymo necessariam causam operis portus et moduli convertendum ». M. hist. patr. XVIII, coi. 335, (1363). (2) « Introitus baraterie ». Membr. 22 (XIX) fog. 104. Confr. imposte simili a Bologna, 1371. Salvioni, La popolazione di Bologna, Atti.... dì storia patria.... di Romagna, 1890, pag. 72. Furono abolite dal Cardinale Anglico come indegne della Chiesa. (3) Reg- comp. cap., fog. 362, cons. cal. II, 12; « deviatio mercature que est civium et artificum proprium imo quasi unicum et singulare emolumentum ». Gli sforzi del governo giunsero a tale da creare in Genova una produttiva industria d’esportazione, nella quale i capitali trovarono nuovo collocamento ed il commercio nuovi incoraggiamenti. Anzitutto speravasi di poter riunire in tal modo un numeroso e forte corpo di soldati, in questa città sempre travagliata dalla guerra. Contro tali vedute si frapponeva qualche ostacolo da parte delle maestranze. Perciò il governo nel 1350, in presenza della guerra con Venezia, abolì tutte le disposizioni ostili ai forestieri che erano contenute negli statuti delle corporazioni, per avere pronto in questa guerra minacciosa il maggiore numero possibile di forti braccia (1). Il medesimo scopo di promuovere la grande industria dell’esportazione, si ebbe in mira colle tariffe daziarie della seconda metà del 14.0 e nel 15.0 secolo. Furono specialmente favoriti gli orefici nei lavori di filigrana. Oro e argento non lavorato non pagavano dazio d’importazione, come quello lavorato non pagava dazio di esportazione (2). Il ferro che doveva essere lavorato a Genova, era esente dalla ripa grossa (3). I panni destinati all’esportazione godevano grandi facilitazioni sulla tariffa dei denarii viaris. I panni di lana, invece del dazio sul valore, dovevano pagare all’esportazione da 10 a 20 soldi la pezza; le merci di seta erano esenti completamente (4). L’industria genovese della seta era preferita anche sul mercato interno. Tranne il taffetà, il raso ed i prodotti delle colonie genovesi, non potevansi (1) Membr. 8, (VII). (2) Membr. 22, (XIX) fog. 2. Membr. XII (13), fog. 24b, 22 agosto 1408: « nihil de cetero dictis introitibus amplius persolvatur.... ut de ipsis magis habunde fiat mercatura ». (3) Ivi, fog. 27, 7 febb. 1409: « de ferro quod laborabitur per ferrarios vel quod in apothecis ferrariorum positum fuerit causa laborandi.... nihil solvatur ». (4) Membr. 22 (XIX), fog. 2: « de pannis auri vel sete factis et fiendis in Janua extrahendis de Janua pro quacunque mundi parte nil solvatur pro exitu », — 177 - introdurre a Genova stoffe di seta forestiere, se non che per proprio uso personale o in transito; la vendita era assoluta-mente proibita (i). Nel 1442 per dare impulso all’industria delle costruzioni navali (2) , venne diminuito il dazio d’ importazione del legname. L’esportazione delle botti era esente da dazio , e ciò per venire in aiuto alla corporazione dei bottai (3). Simili facilitazioni sui dazi, vennero concesse all’ industria genovese delle pelli (4). Nelle tariffe di Venezia di quell’epoca troviamo una simile tendenza conciliatrice per l’incremento delle industrie locali (5). Politica degli approvigionamenti. Quando era questione di provvedere ai viveri per la popolazione della città, il governo era sempre propenso a passare sopra ai riguardi fiscali, anzi spendeva a tale scopo considerevoli somme. In tempi di carestia venne creato per l’approvigiona-mento della città una speciale autorità, 1’ « officiuvi vichia-lium » (6). (1) Fog. 71. L’unica imposta alla quale era soggetta l’industria della seta nel 15.0 secolo, era una tassa di 300 L. che la corporazione dei setaiuoli poteva pagare, come le piaceva. Sieveking, Cenueser Seidenindu-strie, Jahrbuch, Schmoller’s, gennaio 1896, pag. 120, Questa tassa stava in luogo di un introitus super portantibus vestem de panno sirico, e d un introitus den. 4 prò libra natorum et nascitorum (se. pannorum?) (2) Nota f. 68: « attendentes quantum ex navali fabrica Januensium opes crescunt et civitas exultat ». Ivi, fog. 17. (3) « Pro vegetibus extrahendis de Janua nil solvatur comerchiis adeo quod ars botariorum amplietur in hac civitate ». (4) 1465: « Pro melioramento coriorum affaitatorum in Janua extrahendorum ab Janua nihil solvatur comerchiis ». Membr. 30, fog. Sc. (5) J333 e 133S, Cognetti de Martiis, Idue sistemi, p. CCXXXVIII. (6) A Venezia vediamo già nel 1224 un ufficiale alle biade, Predelli, Liber plegiorum, Arch. Veneto. 1S72, App. 135; Confr. sulla politica del grano a Venezia; Lenel, Entsiehungder Vorherrschaft Venedigs, pag. 45. A Firenze nel 1353 1’ officium abundantie fu autorizzato a ricevere depo- Atti Società Ligure Storia Patria. Voi. XXXV. *4 — 178 — Genova dipendeva assolutamente dall’importazione del grano per mare. Essa ne ritirava specialmente dalla Sicilia, dalla Provenza, dalla Grecia e dalla Russia meridionale, che in tempi antichi servì da granaio ad Atene. Mediante contratti con principi stranieri , Genova erasi assicurato il diritto di poter addurre dai loro rispettivi Stati una certa quantità determinata di grano (i); ma quando rincarava, Genova non era mai sicura che questi contratti fossero rispettati, perchè, per timore della carestia, spesso venivano emanati decreti proibitivi di esportazione. In quali angustie si trovasse Genova per questo fatto, lo vediamo dalle istruzioni date il 30 ottobre 1432, quando più infieriva la fame, ad Antonio Lercari-che doveva andare quale inviato alla corte del luogotenente del re di Provenza. Egli doveva anzitutto fare appello ad un privilegio che accordava la libera esportazione per Genova. Se il luogotenente avesse voluto riconoscere questa concessione solo limitatamente, si fosse tenuto quanto più alto era possibile sulla quantità. Una risposta negativa in modo assoluto , da parte del luogotenente, come temevasi, doveva essere evitata in qualunque modo, prima colle buone, ma alla fine colle minaccie, poiché Genova dipendeva assolutamente da tale importazione (2). Nella carestia del 1374, tornano in campo contratti simili a quelli che vedemmo già nel 13.0 secolo (3). Il governo ac- siti fino a 7000 fi. coll’interesse del 15 *7o- Provis. 4*> fog. 101, fog. 74* A Lucca organizzazione dell’ ufficio di abbondanza solo nel 1369- Bongi, Inventario, II, pag. 202 e segg. (1) Membr. 30 (XXII) fog. 105: « In pace et conventione domini regis Caroli facta 1305.... rex permittet commune Janue et omnes et singulas persona de Janua seu de districtu Janue seu qui pro Januensibus distinguuntur acquirere iusto titulo et extrahere frumentum , ordeum et alia victualia quecunque de Sicilia et Apulia et aliis regni partibus citra et ultra farum et etiam de provincia '>. (2) « Considerata inopia et necessitudine nostra expedit nobis ab eo accipere id quod dare voluerit'». Divers. cancell. (3) Per Firenze confronta Pagnini, Della decima, IV, pag. 44, 1419; a tutti coloro che vogliono introdurre grano, viene garantito per l’anno 1419 dal governo fino a 4000 moggia un prezzo di */? A- per moggio. — 179 — cordava prestiti ai negozianti di grani se s’impegnavano , a portare una quantità determinata di grano sul mercato genovese. Il dì 18 luglio 1375 Lazarotus Cataneus ricevette a prestito 1500 L. coll’obbligo di portare a Genova 3800-4000 mine di grano dalla Sicilia , dalla Puglia o dalla Turchia, con facoltà poi di venderle in città come meglio gli fosse piaciuto (1). Lo stesso governo si fece direttamente negoziante di grano. Vennero mandati sindici communis in Sicilia (2), Sardegna (3), Corsica (4), negli Stati della Chiesa (5), in Aragona (6) e Turchia (7) per intendersi colle autorità locali , e poi comperare dai negozianti di grano le occorrenti quantità (8). Furono no-leggiati bastimenti per trasportare il grano a Genova, assicurando agli armatori un guadagno fisso, promettendo cioè loro un minimo di nolo, ancorché il carico di grano non arrivasse salvo al destino (9). Il governo genovese mandava per diverse vie ai suoi incaricati il denaro necessario per l’acquisto del grano. Così il 14 febbraio 1375 esso mandò 1500 fl. in Sicilia, consegnando questa somma come prestito marittimo ad un certo Nicolaus, che doveva portare a Genova il grano da comperarsi, ad ri- (1) Divers. not. 104. Le 1500 L. dovevano essere restituite 2 mesi dopo il ritorno; se fosse accaduto una disgrazia 2 mesi dopo che la notizia del naufragio era arrivata a Genova. (2) Ivi, 19 febbr. 1375. Thom. Ardimentus. (3) 14 marzo, Bart. Burgarus. (4) 12 giugno, Araonus de Strupa. (5) 19 febb. 1375, Ector Picamilius e Barth. Burgarus. (6) x5 giugno, Pasqualetus Ususmaris. (7) 19 febb. Leonardus Tartarus. (8) Divers, caliceli. iS decem. 1430. Istruzione ad Antonius Luce de Tussignano, che doveva andare come inviato a Siena, per ottenere prima il permesso dal governo di esportare 12000 mine di grano, e poi trattare coi negozianti. (9) Divers. not. 104, fra il 13 aprile e il 22 maggio Johannes de Vezano, noleggia un bastimento, « S. Clara » al governo, per trasportare da Civitavecchia 700 mine di grano. II nolo dev’essere di S s. e 4 d. per mina. Se il sindaco del Comune di Civitavecchia non potesse consegnare tutta la quantità convenuta, il governo pagherà prò vacuo 6 sol. per ogni mina mancante dalle 700. — iSo — sicum et periculum et fortunam dicti communis (i). Talvolta il governo genovese mandava ai suoi incaricati il denaro necessario in cambiali. Al 30 maggio 1375 fu mandato Ayguinante Conte Cor-nilia in Sicilia , per comperare 7500 mine di grano , che dovevano essere trasportate dalla Sicilia a Genova col bastimento di Luciano Doria « S. Giovanni » che doveva essere pronto alla vela il i.° luglio a Genova (2). Il prezzo d’acquisto per mina fu convenuto in Sicilia ad 1 L., ed il nolo 10 s. 6 d. prò mina. Il governo mandò le 7500 L. occorrenti per 1’ acquisto del grano al suo incaricato col mezzo di Luciano Doria, con una cambiale « ad risicum dei, maris, gentium et Luciani»-, ma il governo non pagò in Genova le L. 7500 a Luciano , dal quale invece se le fece accreditare, con promessa di versargli le L. 7500 coi relativi interessi e 11 nolo convenuto, al suo ritorno in Genova (3). Il commercio di grano fatto dal governo di Genova per conto proprio serve a quest’ epoca per provvedere la città, senza riguardo a considerazioni fiscali. All’incontro dal 13.0 secolo in poi a Venezia, il commercio del grano esercitato dallo Stato era regolato in forma che ricorda la posteriore organizzazione del monopolio del sale a Firenze (4), Milano (5) ed in Francia. Per assicurarsi la vendita del proprio grano, lo Stato veneziano obbligava i sudditi ad accettare il grano (1) Ivi. (2) Ivi, 8 giugno 1375. (3) Quantunque questo affare corrisponda perfettamente alle cambiali descritte da Goldsmidt, Storia univers., pag. 415, in cui il debitore o quello che fa credito, corre il rischio, non si trova la clausola salvum in terra, ma bensì la suaccennata, d’ altronde usata nei prestiti marittimi , (pag. 350). Il motivo sta in ciò che Luciano non è debitore, ma è quello che fa credito. Si tratterebbe di una vera cambiale se il governo avesse pagato a Luciano le 7500 L. più interessi, prima della sua partenza da , e non dopo il suo ritorno a Genova. Siamo dunque in presenza di due diversi affari, cioè: una rimessa; Luciano si obbliga mediante la cambiale di procurarsi 7500 lire in Sicilia; e un prestito: Luciano anticipa al governo la somma da rimettersi. (4) Canestrini, pag. 87; tutti gli abitanti devono prendere dai magazzini di sale dello Stato T/4 di staio di sale a prezzo fisso. (5) Ricca Salerno, Dott. fin., pag. 105. 1 I » I — del governo. Questa misura veniva ad essere come una tassa personale, poiché quelli che si rifiutavano di accettare il grano del governo dovevano tuttavia pagarne il prezzo (i). Mentre i singoli negozianti di grano, coi quali il governo genovese aveva conchiuso contratti, si obbligavano a vendere il loro grano al minuto a Genova e non ad esportarlo, vigeva in Genova stessa un divieto assoluto di esportazione , come , in tempi di carestia, vigeva in altri paesi produttori di grano, lo che non era certamente a favore degl’ interessi del Comune di Genova. Appunto perchè si accumulavano sul mercato genovese considerevoli quantità di grano , compreso quello destinato ad un trasporto ulteriore , 1’ approvigionamento della città pareva garantito nel miglior modo (2). Però, intanto che il governo genovese non risparmiava sacrifìci per provvedere la città, le imposte sui viveri, anche in tempi di carestia, furono raramente diminuite. Nel 1375 i Fiorentini trovaronsi nelle medesime strettezze dei Genovesi, al cui aiuto dovettero ricorrere , come quelli che erano signori del mare. I Genovesi promisero all’ inviato Annibai Bernardi de Strozzi, di proteggere l’introduzione del grano dalla valle del Rodano a Firenze, purché fossero adoperate navi genovesi e purché i Fiorentini portassero sul mercato genovese ~/5 dei loro carichi. Qui i Fiorentini dovevano pagare le solite imposte sul pane, e solo erano protetti contro nuovi aumenti (3). Invece il 25 ottobre 1432 (4) e il 9 gennaio 1439 (5) i dazi (1) Cecchetti, il doge di Venezia, pag. 165. Sen. misti, 25, pag. 45, 20 agosto 1349; « frumentum quod per contractos datur ». (2) Divers. caliceli. 11 aprile 1429, andò una deputazione dal duca di Milano, allora dominante su Genova, per pregarlo di togliere il veto dell’esportazione del grano. Dopo che furono introdotti gli aggravi sul commercio, fu detto: frumenta fiunt multo viliora vendentibus et cariora ementibus. Si conosceva quindi , che il danno aggiunto ai negozianti, colpiva anche i consumatori. Cf. per Amsterdam, 1501, Nandi, Gelreidehandels-politik, I, A eia Borussica, p. 317. (3) Divers. not. 104, 16 marzo, 1375. (4) Divers caliceli. i.° aprile 1433 la franchigia d’imposta pel grano proveniente dalla Lombardia e dalla riviera occidentale venne nuovamente abolita. (5) Membr. 8 (VII) fog. 140 « per annura unum ». sul grano vennero aboliti. 11 motivo perchè queste concessioni sui dazi si facevano raramente, era che i dazi per la massima parte stavano impegnati a favore dei creditori dello Stato , i quali dovevano essere indennizzati in caso di abolizione. Altre ordinanze del governo miravano a provvedere la città con altri articoli di prima necessità. Per es. i pescatori della costa da Varazze fino a Chiavari dovevano portare due terzi della loro pesca sul mercato del pesce di Genova (i). I padroni di barche della riviera che portavano vino a Genova, godevano del privilegio, se introducevano più di 25 metrete, di non poter essere chiamati in giudizio dagli appaltatori delle imposte, per debiti d’imposte arretrate che potessero avere i rispettivi comuni , salvo che per la parte ad essi spettante (2). Alla corporazione dei fornai era concesso di non escludere dal mercato genovese, il pane cotto fuori del Comune (3). II governo influì sulla determinazione dei prezzi, procurando evitarne 1’ aumento mediante negozianti intermedi (4). Nel 1403 fu fatta legge, che un terzo dei viveri destinati alla vendita all’ingrosso dovesse essere venduto al minuto, pero ai prezzi di vendita all’ ingrosso (5). Così pure gl’ importatori dovevano vendere metà della loro merce prima di poter cedere l’altra metà ai rivenditori. Oltre agl’ importatori di pesce forestiero , si trovavano sul mercato del pesce anche i pescatori liguri. Essi non potevano farsi sostituire dai rivenditori, se non che dopo 1’ ora terza, e nei giorni di magro, dopo l’ora nona (6). Il mercato dei grani, eccettuate le domeniche e gli altri (1) Reg. conservat, fog. 124. (2) Reg. cons. cal. V, 5. (3) Reg- cons. cal. IV, fog. 43. (4) Reg. conserv. fog. 113: « Nimis enim foret enorme prejudicium et singularis rei et publice, si precia, numerus vel pondera rerum dimite-rentur in potestate vendentium ». (5) « Quod tertia pars victualium venditorum in grossum consentiatur emere volentibus ad minutum pro pretio quo in grossum vendite, fuerint ab eo qui apportaverit ». Mon. Hist. Rat. XVIII, fog. 563, 1403. (6) Reg. conserv.. fog. 124. — i83 - giorni festivi, doveva rimanere aperto dal mattino fino alla campana delle 22 (io ore di sera) (i). Le vendite di piccole quantità, 4 mine o meno , non potevano aver luogo, al volgere del 14.0 secolo, all’ infuori del mercato (2). I conservatores o ministri erano incaricati della sorveglianze del commercio al minuto dei viveri. Dovevano esaminare la bontà delle merci e le misure adoperate nella vendita (3) e stabilire i prezzi di vendita al minuto in relazione con quelli all’ ingrosso. I loro decreti e le loro sentenze, andavano al di sopra di quelli della corporazione (4). Estrarremo dagli statuti dei Conservatores i particolari seguenti. I mugnai ricevevano in compenso un ventesimo del grano macinato. Se il prezzo della mina di grano saliva sopra 30 soldi, non avevano più di 18 d. per mina (5). Ai fornai veniva confiscato il grano cattivo ; ogni venerdì 1 conservatores, secondo la posizione del mercato dei grani, stabilivano il peso al quale i fornai dovevano dare il pane; Una scala ascendente da 21 a 81 soldi fissa i limiti del prezzo del grano ed il peso del pane diminuisce in proporzione da 11 oncie e 1 quarto a 4 oncie e 1 quarto. Secondo Richerius il prezzo medio del grano a Genova nel 14.0 secolo fu da 1 a 2 L. quantunque nella carestia del 1374, il prezzo sia salito a 20 L. per mina (6). (1) Reg. coiis. cal. IV, fog. 43. (2) Membr. 22 (XIX), fog. 24b. (3) Ogni anno all’ entrare delle nuove cariche venivano verificate le misure, « prout consuetum est, oportuit omnes mensuras facere marchari de novo »; inoltre i ministri in virtù della loro carica potevano modificare la misura dell’unità; per es. nel 1356 venne aumentato il quartinus di 2/3 gombete, (la mina di 1 '/3 °/o)- Sala 41, N. 136, fog. 42. (4) Regule conserv. 1383. Ai consumatores incombeva pure la polizia stradale. Dovevano p. es. avere cura che in estate , se non pioveva , si scopasse al sabato davanti la casa; che i tintori tenessero i recipienti in modo da non lordare i passanti e che gl’incanti non si facessero nelle chiese e specialmente in S. Lorenzo (ut calige non fiant in ecclesiis). I proprietari di bagni non potevano apparecchiare bagni per donne quando fosse suonata la campana della sera, salvo che non si trattasse di ammalate, o di persone che volessero sposarsi entro 8 giorni. (5) Reg. conserv. fog. ii5b- (6) Stella, Annali. — 184 — Nel 1431 dovevasi mettere un’imposta del 5 % sul prezzo del pane. I fornai fecero istanza perchè questa imposta andasse a carico dei consumatori facendo il pane più piccolo , attesoché essi raramente guadagnavano il 5 °/0 (1). Non lavoravano soltanto per conto proprio, ma cocevano pure a mercede il materiale dato loro dai consumatori (2). L’altezza del compenso era regolata dal valore della legna usata nella cocitura , (3) che doveva esser fissato dai conservatori ogni due anni. Se le domande erano rilevanti, come a Natale e Pasqua, in altre solennità e per nozze, potevano domandare il doppio del solito. Così pure i pescatori potevano alzare i prezzi nei giorni di magro. In generale i prezzi del commercio dei viveri al dettaglio erano regolati non solo nell’interesse dei consumatori, ma anche in modo che producessero il necessario ai fornai, ai pescatori ed ai macellai. Così nel 1383, quando la pace di Torino diede termine alla guerra con Venezia, che tanto pesò su Genova, fu concesso alla potente corporazione dei macellai, acciocché questi potessero ristorarsi dei danni patiti durante la guerra, di mantenere ancora per un mese i prezzi anteriori alla pace, quantunque in virtù di questa sarebbe dovuto succedere un ribasso (4). Anche la corporazione degli osti era soggetta ai conservatores. Non potevano mettere acqua nel vino, nè adulterarlo (1) Divers. cancell. 1431, 2 marzo. (2) La differenza dei pancogoli, facientes panem pro vendendo e dei fornarii, coquentes panem tam casanis (ai clienti) quam aliis personis.. . . quorum erunt, 1386, sembra scomparsa. Cf. Mon. Hist. P. XVIII, col. 400, cap. 6; « quia sunt pancogoli qui casanis coquunt panem..... coquere debeant eo pretio quo furnarii » ; invece col. 402 cap. 14 « fornarii seu coquentes panem tam casanis quam aliis personis sive sunt causa vendendi sive non... coquere debeant... ipsos panes illis quorum erunt ». Cf. sulla differenza degli artifìci lavoranti a conto proprio o a mercede. Bììcher, Gezuerbe Handworterbuch der Staaiswissenschaften. 2.a edizione IV. p. 367 e segg. (3) < Secundum ipsorum lignorum pretium », col. 402, cap. 15; dopo la loro mercede fu fissata a 5 den. nell’ inverno, 4 */2 den. nell’ estate (i.° marzo fino al i.° settembre) « pro qualibet quarta panis », col. 450. (4) Col. 411. — i85 — con altri ingredienti ; solo potevano chiarificarlo col bianco dell’uovo. Se un’oste vendeva del vino di buona qualità (sopra 6 den.) che sapesse d’aceto, era condannato ad una multa di 2 sol. (i). I bicchieri oltre il bollo indicante la misura, dovevano portare anche le armi del Comune. Era specialmente proibito agli osti di mettersi d’ accordo alla Boycott per non comperare vino da un Genovese o comperarne solo in una quantità limitata. Ci siamo soffermati alquanto sugli statuti dei Conservatores, acciochè l’economia finanziaria di Genova non ci apparisse da un solo lato. Nel favorire 1’ industria colle tariffe daziarie e colla polizia dei viveri, il governo si dimostrò pure premuroso del benessere delle classi inferiori e bisognose. Non dobbiamo però, per questo, farci illusione sul carattere del sistema tributario di Genova sotto i dogi. Il peso maggiore gravava principalmente sulle spalle delle classi povere della popolazione che, anche in tempi di carestia , dovevano sopportare il carico delle imposte sui viveri. La dominante plutocrazia poco contribuì alle spese dello Stato sotto forma di imposta diretta, mentre dava grosse somme soltanto come prestiti forzosi ad interesse. Il debito pubblico a Genova ed altre città italiane fino verso il 1400. Prima di occuparci del crescente debito dello Stato genovese nella seconda metà del 14.° secolo, dobbiamo ricordarci quante imprese siano state compiute dai ricchi negozianti genovesi coi loro prestiti. Nella guerra per la Corsica alla fine del 13.0 secolo, fu decisa la supremazia di Genova sopra Pisa e solo con grandi (1) « Si quis tabernarius vel aliqua persona pro eo vinum vendens ad minutum a den. VI supra, vendiderit aliquod vinum alicui persone valoris pretii supradicti quod sapiat acetum vel sentiat de poncto vel de grogo vel de marcido vel quod sit coratum seu suampitum, condennetur in sol. II pro qualibet vice ». Reg. conserv. coi. 406. — i86 — sacrifici venne tenuta in soggezione la fiera popolazione di quest’ isola, tanto necessaria alla sicurezza del commercio genovese. Genova potè resistere a lungo e vittoriosamente alle sue più potenti rivali, Barcellona e Venezia; anzi dopo le vittorie di Luciano Doria nel Mare Adriatico, si credette che questa ultima potesse essere annientata (i). Mentre Venezia dominava l’Adria e aveva nell’ Eliade, a Candia e Negroponte, le sue più importanti colonie , Pietro Campofregoso per conto di Genova occupò nel 1373 , quale pegno, Famagosta, il più importante porto di Cipro. Fino dal 1346 Chio coi suoi boschi di resina e Focea coi suoi depositi di allume erano state conquistate da una maona genovese. Da Pera i Genovesi dominavano il Bosforo. A Caffa si unirono altre colonie della Crimea, Soldaja, Gothien e Bala-klava (Cembalo) (2). Si poteva ammettere una supremazia dei Genovesi sul mare, quantunque non assoluta, non solamente sul Mediterraneo occidentale, ma pure anche sull’Egeo e sul Mar Nero (3), poiché, mentre i Veneziani trafficavano coll’ Oriente special-mente per la via di Alessandria , i Genovesi erano ad essi decisamente superiori sulla via settentrionale che risale il Don. La conservazione di questa forte posizione costò ai Genovesi molto denaro. Altre somme furono ingoiate per la sicurezza del governo all’ interno. I Genovesi furono sempre un sol uomo quando era il caso di tener testa ad un avversario; però fino dal 1339 , non solo la potente nobiltà manteneva un contegno ostile contro il doge popolare ; ma anche le frazioni popolari erano in continue discordie fra di loro , delle quali le città liguri, specialmente Savona, approfittavano per defezionare. (1) Quando nel 15 sett. 1379 venne imposto un prestito forzoso di 120000 fl. all’8 % per mantenere la flotta genovese che operava nell’Adria, lo scopo di tale operazione fu definito : « obtenere finalem et triumphalem victoriam de ipsis inimicis nostris ». Membr. 8 (VII), fog. 43. (2) Heyd, Geschichte des Levantnhandels, II, pag. 209 segg. (3) C. Manfroni, Storia della marina italiana, pag. XI. — i87 — Nel periodo da noi considerato troviamo molteplici prestiti a breve e lunga scadenza. Capitalisti genovesi prestavano al governo grosse somme a brevi termini. Questi debiti temporanei sembrano essere senza interessi, probabilmente perchè nella somma per la quale il governo confessavasi debitore e-rano pure compresi gl’interessi (i). Prendevasi denaro anche su cambiali. Cogli affari di credito andava unito quello delle rimesse, quando venivano fatte a Genova cambiali pagabili coi proventi delle colonie (2), oppure quando si pagavano le spese delle colonie con cambiali sopra Genova (3). È interessante notare che il governo nei prestiti non prendeva solamente denaro , ma accettava pure merci di valore come e specialmente pepe. Così nel 1378 aprile 17, trattandosi di dover spedire in fretta un’ importante ambasciata, il governo dichiarò che avrebbe accettato un prestito in pepe (4), e promise che avrebbe restituito il pepe in denaro od in natura, con tutti i mezzi di cui disponeva lo Stato (5). (1) Memb. 8 (VII), fog. 12; 19 gennaio 1355, 30000 fl. prestati al Comune gratiose et libenti animo. L’interesse fu calcolato come sconto ; confronta Lupi-Morpurgo, pag. 162; « non discomputando tempus pro tempore ». (2) Confronta gli scritti dei protettori di S. Giorgio ai Consoli e Massarii di Caffa, le cui rendite erano assegnate a S. Giorgio , (Divers. .S. Georgii, 9 marzo 1419): « de somis VCCC velitis taliter providere quod solvantur procuratoribus nostris (Caffè) s. II quos urgentibus causis coacti fuimus capere ad cambium ». (3) Confronta i numerosi cambia Famaguste, sala 41, N. 16. Massaria communis, 1382, fog. 73 e segg.; p es. : « Pro Oberto Vesolla uno ex venditoribus illius quantitatis grani empte in Famagusta ab ipso et aliis per capitaneum et massarios Famaguste et cuius pretium dicti capitaneus et massarii solvere promiserunt in Janua de pecunia communis, ut per ipsas licteras cambii presentatas apparet et sunt pro dicto cambio Libr. MCCCLXXXIII, sol. IV ». (4) Divers. tiot. 104; « ad de dicto pipere faciendum, disponendum et vedendum prout dicto communi placuerit ». Confr. i conti del pepe, Desimoni, Atti XIX, 3. Pag- 39 , Carta 37, 134°. 10 maggio. « Proventus cambii et dampnum de rauba vendita debent nobis ». Cfr. Ia « perdicio in pannis » Bever, Schuldenwesen der Stadi Breslau, pag. 73 seg. (5) Divers. vot. luogo citato; « de omni quantitate pecunie, que..... primo exigetur et quocunque modo veniret in commune et undecunque veniat ». Questo assegno generale fu un’eccezione. Il credito dello Stato non era ancora abbastanza solido, perchè una tale promessa generica potesse offrire ai creditori sufficiente sicurezza. Se il pagamento non poteva aver luogo in un tempo breve, i creditori facevano pressione per un assegno sopra entrate speciali, e con tali assegni venne assicurato il debito in sospeso. Ancora nel 1349 ebbe luogo un nuovo consolidamento del debito in sospeso. I regulatores communis formarono 6 gruppi di debiti, ai quali, fino alla loro estinzione, erano assegnate diverse entrate (1). Fra i creditori ve ne sono di quelli che fecero spontanei esborsi al Comune, p. es. un notaro Nicolaus de Careto con 3500 L., un Frater Monrealis con 10000 L. li debito in sospeso fu di molto aumentato per paghe arretrate ai combattenti nella guerra di Corsica del 1347 , come pure per arretrati ai fornitori di grano (17367 L. 8 sol. 3 den. fro grano). Un’altra importante partita era formata da un prestito forzoso per le spese della guerra di Sardegna, ripartito fra nobiltà e popolo (21000 L.). Questi debiti dovevano rimanere estinti negli anni prossimi seguenti mediante le entrate assegnate. Prima i prestiti volontari colle entrate del 1349; poi gli arretrati dei fornitori di grano con quelle del 1350; indi nel 1351 dovevano essere pagati i creditori dei prestiti forzosi e finalmente gli altri, specialmente i mercenari. Non era fatto cenno d’interessi (2). Oltre a questi debiti eravi pure la compera Corsice creata nel 1347. Si disse essere ingiusto che le spese fatte per il mantenimento della Corsica dovessero essere sopportate esclusivamente dalle persone obbligate al pagamento del cotumum (3), (1) Massaria, N. 5, 1349, 10 luglio. « Cartularium creditorum communis Janue ». (2) « Nullam excepto temporis lapsu recipiant lesionem ». Del resto questi sei gruppi di debiti, sono ancora nominati nel 1363. M. Hist. Pat. XVIII, c. 385, N. 170. (3) Memb. 8 (VII), fog. 24b; « equum et conveniens non est, quod onus expensarum.... factarum et flendarum.... propter commune et publi- — i8g — e considerando i difetti del sistema tributario a Genova, troveremmo che queste osservazioni non erano prive di fondamento. Si decise di costituire in compera altre 50000 L. occorrenti per la prosecuzione della guerra di Corsica. I contribuenti (1) vi parteciparono in quote diverse, col 10 °/0 d’interesse, ed inoltre colla promessa di eventuale restituzione. Le somme occorrenti per il pagamento degl’ interessi e per l’estinzione del capitale, dovevano ricavarsi dai 3 soldi, che spettavano al governo dei 23 s. fissati come prezzo al quale vendevasi ogni mina di sale. Il sistema delle compere sembrava il più comodo tanto per i contribuenti quanto per il governo. Questo riscuoteva più presto e più facilmente somme maggiori ; quelli erano contenti di impiegare il loro denaro ad interesse. Il male però stava in ciò, che il governo adoperava questo mezzo senza misura, per modo che si trovava aggravato da un debito e-norme, mentre per soddisfare al pagamento dei relativi interessi doveva ricorrere ad un continuo aumento delle gabelle. Quelli che erano tassati per imposta diretta , scaricavano il peso sulle spalle di coloro che dovevano pagare le gabelle. I prestiti forzosi ad interesse costituiscono a Genova 1 elemento principale del debito sospeso. Nel 1350 gli apparecchi di guerra contro Venezia furono coperti mediante un prestito forzoso di 300000 L. ripartito fra Genova e territorio. Il pagamento degl’interessi del 10 % e l’estinzione del capitale , vennero eseguiti con aumenti di imposte, specialmente sul vino. Per facilitare ai tassati il pagamento di una somma così rilevante, venne loro condonato il pagamento della intera imposta diretta (2). cum bonum communis Janue substineantur solum modo per illos qui fuerint accotumati et accotumabuntur ad solvendum certas pecuniarum quantitates ». Cfr. Assereto, Genova e la Corsica, p. 31. (1) « In qua compera et de locis compere predicte scribantur et scribi debeant omnes et singule quantitates quas quilibet solvet de accotuniatis predictis ». (2) Membr. 8 (VII), fog. 5; «quia officialibus visum fuit, quod commode dicta summa exigi non posset a civibus Janue, nisi ab eisdem cassaretur dispendium communis Janue ». — 190 — Alla Compera Corsice e alla Compera magna Venetorum seguirono le seguenti altre. Al 19 giugno 1353 il governo fece un prestito di 50-60000 L. per 1’ allestimento di galere contro Venezia. I creditori vennero organizzati il 10 dicembre 1353 in una Compera parva Venetorum. Per ogni 75 L. prestate, ricevevano un locus della nuova compera fruttante il 10 % (1). I creditori di un prestito volontario di fl. 30000, che il governo non poteva pagare, furono organizzati il 19 gennaio 1355 in una Compera tertii pluris al 10 °/0 (2). Nella guerra contro i Catalani il 13 febbraio 1356 venne ripartito un prestito forzoso di 50000 L. all’ 8 %, ed il 5 aprile 1357 un altro di 70000 al 10 %. Un'altra Compera Fi?iarii di 50000 L. venne ripartita il 23 settembre 1365 quando Gabriele Adorno uscì in campo contro gl’ insorti marchesi di Finale. Pure il doge nel 1366 ripartì un prestito di 100000 fl., obbligatovi dall’insurrezione di Leonardo Montaldo (3). II 16 agosto 1368 tutte queste compere vennero riunite nella Compera S. Pauli, a capo della quale vi dovevano essere Protettori coi medesimi privilegi dei protectores capituli (4). Nelle enormi strettezze in cui trovavasi Genova per la lotta decisiva contro Venezia (1378-1381) — in sulle prime piena di speranze di vittoria, e dopo la disfatta di Chioggia in disperata difesa — vennero fatti 10 prestiti forzosi di 100000 fl. in media e all’ interesse dell’ 8 °/0. Gl’ interessi venivano pagati in parte coi denari stessi che entravano dai prestiti for- (1) Membr. 8 (VII), fog. 11. (2) Dalla scadenza del debito fino alla istituzione delle compere il governo non aveva adempiuto ai suoi impegni. La perdita degl’interessi che ne derivò per i creditori fu pareggiata, coll’aver calcolato nella compera il loro capitale un terzo di più ; per 100 L. prendevano nella compera 133 */3» confronta per Firenze, pag. 192-193. (3) Confr. Membr. 7 (VI). (4) Membr. 8 (VII), fog. 33. Il nome fu preso dall’edifizio, nel,quale si eseguivano i pagamenti. « Conradus Masurrus, sacri imperii notarius et communis Janue cancellarius et scriba comperarum Venetorum et aliarum, que solvuntur in S. Paulo ». zosi. Così p. es. in un prestito forzoso stabilito il 26 maggio *379 di 105000 fl., 6000 vennero destinati per gl’interessi scadenti fino al i.° maggio 1380 (1). La maggior parte degl’interessi venne pagata o con aumenti di tasse, come si fece per un mutuum del 18 novembre 1380, per il quale fu stabilita una salsa al 5 °/0 su tutte le gabelle regimmis (2); oppure mediante nuove gabelle come la gabella censarie destinata al pagamento d’interessi d’un mutuum del 5 giugno 1378, e l’imposta sui panni e sugli schiavi per quelli d’ un prestito del 2 gennaio 1379 (3). Il 12 marzo 1381, sulle norme dei precedenti gruppi di debiti, tutti questi nuovi furono consolidati nella Compera nova S. Pauli di 1200100 L. (4). I Protectores del Nuovo S. Paolo assunsero anche 1’ amministrazione d’ una Compera regiminis istituita nel 1390. Un gruppo del tutto nuovo di debiti era costituito da prestiti fatti da Antoniotus Adurnus nelle sue guerre contro Savona. Il 3 dicembre 1394 vennero consolidati 5 prestiti forzosi in una cojnpera di 98000 L. (5). Poi venivano due prestiti forzosi di 100000 e 60000 fl. Tutti questi debiti vennero consolidati nel 1395 nella compera S. Petri (6). Tutto sommato il debito pubblico di Genova si raddoppiò in questo periodo; ai tre milioni circa delle compere capituli, si aggiunsero ancora più di 2 4/2 milioni di lire. Un carico simile di debiti notavasi anche nelle altre città italiane. Se pure al doge veneziano Tomaso Mocenigo era riuscito di estinguere 4 milioni di ducati di debiti, lasciò però dietro di sè nel 1423 un debito di 6 milioni di ducati, che derivavano per la maggior parte dalle guerre combattute per l’acquisto della terra ferma (7). (1) Ivi, fog. 43. (2) Membr. S (VII), fog. 55. (3) Fog. 41 e 42. (4) Fog. 64. (5) Fog. 304. (6) Sala 43, N. 1690 « mutua novissima S. Petri ». (7) Muratori, SS. XXII, c. 959. Il capitale del Monte Vecchio nel Firenze, ancora prima, era ricorsa ai prestiti forzosi (i), ma la massa maggiore venne fatta fino dal 1336 in poi (2). La somma che Firenze incassò dai cittadini come prestiti forzosi nella seconda metà del 14.0 secolo fu enorme. Dal giugno 1362 all’agosto 1364 furono imposti 16 prestiti del complessivo importo di 1013000 fi. Dal 1381 al 1401 vi erano da pagare in media 4 prestanze l’anno (3). Non tutti questi prestiti forzosi andarono impiegati nel viojite, ma la base principale di esso era costituita dalla maggior parte di tali prestiti, a cui vennero poi aggiunti debiti per prestiti volontari e arretrati. Il debito permanente di Firenze rimonta all anno 1343, quando cioè non fu possibile al governo di restituire le somme prestategli pel malaugurato acquisto di Lucca. Del debito di 70000 fi., a cui furono aggiunti arretrati dovuti dal governo del duca d’Atene, venne fatto nel 1343 un monte, al 5 J (4). La somma dei debiti di 600000 fl. fu ridotta all atto del consolidamento a 504000 fl. (5). Questa somma era ripartita come segue sui singoli quartieri : 1520, era 8675613 due. 14 grossi. Venezia, Arch. di Stato. Francazione Monti, pag. 19. Gl’interessi del Monte Vecchio richiedevano nell’anno 1421 150000 ducati (da 611600 due. d’entrata generale), nel 1490 154000 ducati. Muratori, luogo citato, pag. 1426. Nel 1450 le entrate degli otto uffizi obbligati alla Camera degl’imprestiti importavano 233500 due. pag. 963. Il 23 aprile 1482 venne istituito il monte nuovo (550000 due.) facendo pagare alle classi superiori d’itnposte (quelle cioè superiori ad 8 ducati) una tripla decima sulla quale veniva corrisposto il 5 °/0. Venezia, Archivio di Stato. Niger parvus, fog. 1. (1) Arch. di Stato. Provigioni 7 luglio 1301, 22 ott. 1302. « 3 ufficiali ad esigere le prestanze non pagate. (2) Pagnini, Della decima, I, pag. 10. (3) Firenze Indice dell’Arehivio delle prestanze. (4) Leon. Aretino, libro VII, (nella traduzione di Donato Acciajoli. Venezia, 1476, pag. I30b). Firenze, Arch. di St. Provisiones, N. 34, fog. 88, 29 die. 1343. Nel febbraio 1344 furono assegnati 2074 fl. mensili per pagamento d’interessi e restituzione del capitale, da prelevarsi dalle gabelle portarum. Altre ordinanze per pagamento d’interessi nel giugno 1346. (5) Matteo Villani, III, 106, « fatti del monte ». Qua tiere S. Croce.....129850 fl. S. Maria Novella . 12 9019 » S. Giovanni . . . 115151 » S. Spirito . . . . 139151 » Totale 503171 fl. auri (1). Nel 1352 venne fatto un nuovo prestito forzoso sulla base dell estimo ossia della gabella fumantium (2). A questo monte venne unita l’amministrazione di altri gruppi di debiti (3), come quella, 19 giugno 1358, del monte novo uno due , nominalmente all’ interesse del 5 %, di fatto K del 15 °/0, perchè i prestatori venivno inscritti nei libri del debito pubblico , per un importo triplo di quello che pagavano (4). Nel 1380 il debito pubblico di Firenze fu valutato ad un milione di fiorini d’oro (5). Nel marzo 1390 ebbe principio il mons libertatis all’ 8 °/0 (6). Poi per le guerre di Pisa venne il monte di Pisa al 10 °/0 e nel 1415 un altro monte novissimo al 5 °/0 (7). Nel 1427 il debito pubblico venne valutato a 3 milioni di fl. (8). (1) Arch. di St. di Firenze, Arch. monte, libri del debito del 1350. (2) Prov. 41, fog. 11, citato il 20 maggio 1353. (3) « Officium montis et montium » confronta il libro del debito del inous trium prestanlionum per il quartiere S. Maria Novella 1363, Firenze, Arch. monte. (4) Arch. prestanze, N. 1. Libro delle rifonnagioni degli assegnamenti delle prestanze 19 giugno 135S: « Sint creditores dicti communis in ea quantitate pecunie quam sic mutuaverint et in duplo pluri, ipsa sorte in dicto duplo minime computanda ». M. Villani III, 109. Confronta per Genova la compera tertii pluris. Simili facilitazioni ottennero i creditori a Venezia nel 1382. Alla camera degli imprestiti si calcolò un debito di 60 L. come 100. Venezia, francazione dei monti, fog. 34. Arch. di St. (5) Prov. 70, fog. 187. (6) Arch. delle prestanze, I, fog. 109, fog. in; « pro libertate defendenda et augmentanda ». (7) Prov. 29 dee. 1415, fog. 26ob. (S) Giornale storico, 1S60, pag. 40; « dicitur quod solvendo unum pro centenario valoris triginta milia florenorum extrahentur ». Atti Società Ligure Storia Patria. Voi. XXXV. 15 194 — Amministrazione ed estinzione dei debiti. Per la ripartizione dei prestiti forzosi, furono pure utilizzati i catasti che servivano per le imposte dirette (i). Sulla base di questi catasti gl’ impiegati dello Stato fissavano le quote da pagarsi da ciaschedun individuo (2). A Venezia, nei prestiti forzosi, le quote erano progressivamente maggiori secondo che erano maggiori gli importi delle tasse pagate (3). Facevano comodo al governo i prestiti forzosi, per la prontezza colla quale incassava le rispettive somme, e perciò quelli che facevano i versamenti prima del tempo fissato avevano trattamento migliore (4). Chi pagava dopo, aveva una multa (5). A Firenze i contribuenti minori (imposte di 10 fi. e meno) nel 1390 potevano scegliere, 0 di versare una quota maggiore come prestito forzoso , 0 pagare a fondo perduto [ad perdendum) metà della imposta (6). Per gl’interessi venivano d’ordinario assegnate determinate imposte (7). Cecchetti sostiene che a Venezia il pagamento degli interessi non era sempre fatto con un dato fondo, ma (x) V. sopra, pag. 157. (2) Membr. 8 (VII), fog. 1, 1350. Compera venetorum ; « debebunt ponere in communi in dieta compera illas quantitates de quibus dictis of ficialibus seu maiori parti eorum videbitur habito respectu ad qualitatem et facultatem personarum et eris ». (3) Ven. Frane, monte, 1380, fog. 33. Nuova imposizione. I del nuovo prestito da farsi, dovevano essere ripartiti come il solito; 1 altro terzo doveva essere aggiunto alle potiores. (4) Archivio di Stato Veneto, rubeus parvus, cap. 12; « de modo observando in illos qui fecerunt imprestitum et faciunt ». I primi che pagarono ebbero più largo interesse. (5) Arch. di Stato, Genova. Sala 41, N. 574, solventes mutuimi r357> fog. 114 segg. « Solverunt pro pena ». Venezia. Arch. di St. Rubeus parvus, cap. 6, i.° agosto 1235; « quicunque non fecerit imprestita lune retro ordinata ad terminum ordinatum, debeat sol vere sold. V, prò libra communi, que quidem pecunia solvi debet ex toto antequam ei redantur dicte V per centum ». (6) Archivio prestiti, 1, fog. 112. Canestrini, pag. 92. (7) Florenz. prov. N. 34, 29 dicem. 1343: « le imposte del sale e del vino assegnate al monte ». che (come a Genova prima del consolidamento del 1274) talvolta venivano fatti nuovi prestiti a questo scopo, e che persino i creditori della caviera frumentorum dovettero accettare in pagamento grano anziché denaro (1). Però dal 1381 in poi il consolidamento dei debiti diventò norma anche a Venezia (2). L’amministrazione del debito pubblico era dappertutto affidata, come vedemmo, ad una speciale autorità. Però nell’amministrazione dello Stato vi era sempre la tendenza a non soddisfare i propri impegni verso i creditori. Severe leggi assicuravano a Venezia il credito dello Stato, di cui si riconosceva la somma importanza (3). Una multa di 2000 ducati, colpiva colui il quale avesse proposto di diminuire con atto di violenze il capitale e gl’interessi (4), e nel 1384 venne stabilito il bando per tutti coloro, ed eredi di tutti coloro , che come impiegati non avessero adempiuto al loro dovere di pagare gl’interessi ai creditori dello Stato. La severità delle punizioni, e la spessa ripetizione di tali ordinanze, dimostrano che qui nulla potevasi ottenere colle sole leggi (5). Perciò a Lucca ed a Pisa si accordò ai creditori una partecipazione nell’amministrazione del debito, mentre a Genova essa fu lasciata interamente nelle mani dei creditori organizzati nei protectores capituli S. Pauli veteris et novi (6). (1) R. Cecchetti, Appunti sulle finanze antiche folla repubblica Veneta. Archivio Veneto, 1S88, N. 36 pag. 86. (2) Venezia — Arch. di Stato. Monti, 1171-1600, fog. 6, 17 novem. 13S1; « intrate datii vini quacunque, trium tabularum, justicie nove, missetariae, beccariae et introitus Clugiae specialiter deputate sint ad reddendum prode imprestitorum ». Defalcatio monte vecchio, 1587; « alla camera d’impre-stidi restino le infrascripte intratte assignate: Dazio delle intrade da terra, dazio dell’olio, della misetaria, del ferro, del vino, della grassa, di pietre e calcina ». (3) « Camera nostra imprestitorum semper fuit et est vita et salus istius benedicti dominii ». Venezia. Arch. St. Prestiti, N. S5, 13S4. (4) Ivi, 1350. (5) Ivi, 13S4. « Sicut notum est, non profuerunt nec prosunt poenae, ligamina nec stricture ». (6) Membr. S (VII), 12 marzo 1381 « participes dictarum comperarum (nov. S. Pauli) presentes et futuri de cetero habeant et habere debeant largam et liberam potestatem et bailiam eligendi et habendi et tenendi — 196 — I protettori acquistarono poi altri diritti. Non solamente avevano l’amministrazione del debito, ma ottennero anche grande potere sulle imposte, nei cui appalti essi costituivano la suprema istanza dei consules calegarum. Il governo dovette cedere poco a poco ai creditori dello Stato 1’ autorità che aveva acquistata sul monopolio del sale, cogli aumenti di prezzo del sale stesso (1). I quattro officiales salis erano nominati dai participes comperarum capituli (2). Nel 1379 le rendite del monopolio del sale vennero regolate in guisa che il controllo sui conti era lasciato ai magistri rationales ed inoltre I’officium salis pagava al governo 3000 L. annue. Le compere capituli ricevevano annualmente L. 12500 per interessi e L. iooo per l’estinzione. Il rimanente delle entrate doveva essere diviso , per quanto possibile, fra le compere veteres S. Pauli con 21500 L. e le compere nove S. Pauli con L. 11000 (3). Nel 1381, quando ai protettori delle nuove compere di S. Paulo furono conferiti i medesimi diritti come ai protettori delle compere capihdi e veteres S. Pauli, venne così circoscritta la loro competenza: essi dovevano giudicare in questioni fra contribuenti e appaltatori d’imposte, fra appaltatori ed i loro garanti, fra appaltatori e creditori dello Stato, fra appaltatori ed i consoli delle compere e fra i creditori ed i loro consoli. I protettori poteano procedere sommariamente, senza far uso delle consuete forme di procedura; il loro giudizio era inappellabile (4). perpetuo more aliarum comperarum communis IIII vel. VI autVIII par-ticipum assignatorum qui sint et vocentur protectores dictarum comperarum et qui eligantur annuatim per precedentes protectores more aliarum comperarum communis ». (x) Membr. 8 (VII), fog. 387. Sentenza arbitrale del 24 ottobre 1426: « omnia emolumenta salis ad comperas S. Pauli veteres et olim mutuo-rum novorum S. Pauli spedare, detractis assignationibus factis comperis capituli et officio salis ». (2) Fog. 389b; « deputati super factis salis communis per participes comperarum capituli (1379, 20 ag.) ». (3) Ivi. (4) Membr. 13 (XII) fog. 1, 22 marzo 1382, con relazione al privilegio Uno dei compiti principali degli amministratori del debito, era quello di diminuirne il crescente peso, sia con diminuzione degli interessi, sia con estinzione del capitale. A Venezia e a Firenze si procedeva in tale questione senza riguardo. Venezia per parecchi anni non pagò interessi ai suoi creditori (i). A Firenze dopo la sommossa dei Ciompi il capitale del monte uno due fu ridotto ad un terzo del suo importo e così 1’ interesse che nominalmente era del 5 %, di fatto al 15 °/0, tornò realmente al 5 °/0. E così pure per gli altri monti l’interesse doveva esser pagato sul capitale effettivamente versato (2). I consolidamenti vennero specialmente utilizzati, per diminuire in pari tempo il peso del debito pubblico. Lo vedemmo già a Genova nel 1332 e nel 1340. Nella medesima maniera si operò nel consolidamento del 1394, in cui l’interesse dei cinque prestiti riuniti, il quale era fissato in parte al 9 °/io> ora- fu ridotto in generale all’8 °/0. Però questa misura venne presa d’accordo colla maggioranza dei creditori (3). Simili conversioni ebbero luogo nei consolidamenti di Pisa e di Firenze. Per la progressiva estinzione del debito furono istituiti dei fondi speciali. Esisteva a Venezia un simile fondo di e-stinzione (4), ma il sistema fu usato specialmente a Genova. Qui non si contentarono più di destinare per l’estinzione del debito il sopravanzo delle entrate assegnate al pagamento degli interessi, ma da allora in poi una parte determinata del del 12 marzo 1381 ; « 'absque eo quod ab ipsis sententiis ulla appellatio admitti debeat ». (1) Ricca Salerno, Storia delle dottrine, fog. 101. (2) Provig. 70, fog. 187, 12 dee. 1380, circa negotia montis ; « pro monte appellato il monte libero in quo scripti dicuntur fl. C pro XXXXV solutis, ipsi XXXXV intelligantur vera sors et tantum ad ipsum commune propterea devenisse ». (3) « De consensu vel voluntate..... dictorum participum vel maioris partis eorum ». Membr. 8 (VII), fog. 304. (4) « De non tangendo pecunias deputatas tam ad reddendum prode imprestitorum quam ad emendum imprestila pro diffamatione camere ». 7 nov. 1458. Venezia, Arch. St., prestiti, N. 85. — 198 — debito venne disposta come fondo d’ ammortamento (sm/ang fluid); il quale coH’accumularsi degl’ interessi composti doveva alla fine formare e quindi estinguere il debito totale. Il sistema delle code sembra essere stato introdotto per la prima volta nel 1350. Nella compera venetorum il governo dispose un decimo della somma totale del debito come cauda ossia fondo d’ammortamento (1). Per questo decimo, cioè 300 loca, che il governo riserbo a sè nel 1350, esso riceveva gl’interessi dalle gabelle assegnate come tutti gli altri creditori. Questi interessi dovevano servire all’ acquisto di nuovi loca, che producevano nuovi interessi, per modo che il shilling fund aumentava cogl’ interessi composti fino a formare l’importo dell’ intera compera. Questa appendice, che il governo, come creditore di sè medesimo, aggiungeva alla somma del debito che assumeva, de-nominavasi cauda (2), coda. La coda doveva inghiottire tutto il corpo del debito. Questo sistema di utilizzare la composizione degl’interessi come fondo d’ ammortamento, non era ancora conosciuto da Walpole nel 1715 ; esso fu raccomandato da Price come qual-checosa di nuovo, e solo dal giovine Pitt introdotto più tardi in Inghilterra (3). Sull’esempio del fondo d’ammortamento dello Stato, altri ne sorsero in Genova fondati da privati. E siccome essi erano stabiliti sullo stesso principio dell’ aumento del capitale me- (1) Membr. 8 (VII), fog. 4. (2) Cuneo, pag. 136. Senarega relazione, 1393. Membr. 8 (VII), fog. 299. Qui trovo un’altra spiegazione di « cauda »: « ex summa supradicte pecunie assignate proventibus dicti mutui fl. 18000 remaneant omni anno semper pro cauda ad minus lb, 1000 ad exdebitandum dieta loca seu mutuum ». Qui per cauda non è indicato parte del fondo capitale, ma bensì delle entrate. L’ammortamento non deve aver luogo mediante una percentuale indeterminata, come per i loca del governo, ma mediante una quota fissa delle rendite derivanti dall’appalto delle imposte, che viene defalcata, prima che il resto venga diviso fra i partecipanti. (3) K. Saenger, Etigl. Rentensch. Finanzarchiv. 1891, pag. 11 e 12. diante la composizione degl’ interessi, così furono chiamati molteplici. La serie di questi fondatori fu aperta da Francesco Vivaldi. Nel 13 71 egli mise 90 loca, 9000 L. nella compera pacis, che dovevano moltiplicarsi (1); cioè gl’ interessi dovevano essere impiegati nell’acquisto di nuovi luoghi, e così via fino a che la compera pacis fosse completamente estinta. I protectores capituli ed il governo s’impegnarono di rispettare queste disposizioni. A qualunque attacco al testamento Vivaldi, tutti i loca ritornavano ai suoi eredi. La colonna del Vivaldi andò , secondo le condizioni del suo testamento , sempre crescendo. Alla sua morte vi erano già 448 loca, 44800 L. Si ammonticchiarono loca sopra loca. Nel 1420 vi erano già a suo nome 171763 L. 8 s. 9 d., a cui in questo anno andavano aggiunte 18473 L. 1 s. Nel 1454 l’estinzione era completamente riuscita (2). La compera pacis di 974996 L. 6 s. 8 1/2 d. continuava a tenere il libro annuale dei partecipanti per compagne. Però il lavoro era facile per l’impiegato a ciò addetto. A Franciscus de Vivaldis nelle compagne Porta e Stixilia spettavano 921490 L. 2 s. 9 l/2 d. a cui andavano aggiunte 51380 L. 3 s. 10 d. Il resto della compera di 2108 L. 3 d. spettava al conto di Antonius Justinianus, i cui loca e-rano pure vincolati come quelli di Vivaldi (3). I conti degli altri partecipanti, che si trovavano inscritti nella compera, furono cassati, e sotto di essi leggesi l’annotazione: scripte suni super D. Franciscum de Vivaldi (4). (1) Desimoni, Cristoforo Colombo e il Banco di S. Giorgio, Docum. II e VI. (2) Genova, Archivio di Stato, Sala 42, N. 412. Compera pacis, i454> fog. 94b, P. S. (3) Genova, Archivio di Stato, Sala 42, N. 412. Compera pacis, 1454» fog. 41. (4) La compera pacis fu incorporata nel 1454 nelle compere di S. Giorgio come fondo molteplice d’ammortamento. Sulla statua, che nel 1467 venne eretta al Vivaldi è indicato la somma di Sooo loca S. Georgii a lui ascritti. Siccome nel 1454 il locus pacis era calcolato ‘/j locus S. Georgii, così il fondo d’ammortamento nei 13 anni era aumentato circa della metà. — 200 — Nel palazzo di S. Giorgio, sul mare, fu posta la statua del magnanimo fondatore, con un’ iscrizione che non indarno stimolava i ricchi Genovesi ad imitarlo (i). Come per la compera pacis, così procedette 1’ estinzione della compera gazane consolidata nel 1340. Dalle 94722 L. 8 s. 11 d. che ne costituivano il capitale, 71389 L. 17 s. 2 d. erano già nel 1406 passate al fondo d’ammortamento. A che giovava però questa estinzione, se accanto alla compera vetus gazane, pel mantenimento delle colonie di Crimea era già entrato un mutuum novum gazane all’8 °/0> al quale furono assegnate annue L. 3203 delle entrate dell’antica compera? (2). Traffico di luoghi, impiego di capitali e speculazione. Tanto in Germania (3) quanto in Italia venne preferita per il debito pubblico l’inscrizione a libro. Per le città italiane questa forma proveniva dal fatto che maggior parte del debito pubblico dipendeva da prestiti forzosi, che venivano ripartiti in base ai catasti. Per conseguenza i creditori erano divisi secondo i quartieri della città e a Genova secondo le otto compagne. Nel seno delle compagne i creditori erano elencati per alfabeto, però, come vedemmo, secondo il nome di battesimo. Sotto la lettera E, stanno tutti i possibili heredes, sotto la 0, tutti i possibili officia. I forestieri furono portati nella compagna burgi. (1) Lo zelo di questi privati di riparare alle strettezze dello Stato in causa del debito pubblico, trova riscontro nell’Italia risorta col Consorzio Nazionale, un fondo d’ammortamento creato con offerte di privati per diminuire il debito del nuovo regno. (2) Sala 42, N. 864. Gazarie, 1406, fog. 38; « officium dominorum protectorum capituli ». Il fondo d’ammortamento importava in origine 1000 lb. e quando nel 1379 venne assegnato un fisso ai protettori di L. 12500 ricavati dal monopolio del sale, venne pure disposto dall’amministrazione del monopolio l’assegno annuo di 1000 L. per ammortamento del debito. (3) Kostanecki, pag. 93: « l’inscrizione a libro fu posta a base del movimento della rendita pubblica ». Sulla pagina piegata scrivevasi a sinistra il nome dei creditore e la cifra del suo credito; sotto era fatta menzione di eventuali vincoli o trapassi, con uno stretto margine verticale destinato a note ed osservazioni del controllo ; nella metà di destra si annotavano i pagamenti degl’ interessi (i). Oltre al libro del debito ogni compera aveva un libro per gl’ incassi e pagamenti (pagamenti d’interessi) della compera stessa. I libri erano tenuti dai consoli e notari delle compere, ed esaminati dai visitatori. Il governo non poteva domandare la presentazione dei libri o richiederne degli estratti se non nel caso in cui si trattasse di titoli di ribelli (2). A Genova gl’ interessi erano pagati a trimestre, in maggio, agosto, novembre e febbraio. L’ interesse doveva essere fisso, però di fatto le rendite assegnate non bastavano mai a pagarlo per intero, per modo che i creditori erano sempre e-sposti ad oscillazioni senza che, come si disse, si potesse superare il fisso stabilito (3). I visitatori dovevano determinare quanto era da ripartirsi trimestralmente sulle rendite realizzate (4). Dapprima il dividendo veniva stabilito per locits ( e quindi un tanto per cento) e poi prò rata sulle rispettive partecipazioni (5). A Genova i libri venivano rinnovati annualmente ; a Venezia nel 1391 venne ordinata una revisione semestrale del giornale e del libro maestro, tenuti dall’amministrazione del (1) Il più antico libro del debito pubblico conservatoci è del 1334 ; Genova Arch. di Stato, sala 42, compera salis. I libri del debito pubblico di Pisa erano tenuti meno bene. Cf. Sieveking, Rapporto all’Accademia dì Vienna, 3 die. 1902. (2) Membr. 8 (VII). Reg. comp. cap. fog. 240, 1382 : « non possint consules comperarum compelli ad ipsa cartularia ostendenda vel ad aliquam copiam faciendam de ipsis cartulariis vel participibus per aliquem magistratum civitatis ». (3) Confronta pag. 136. (4) Reg. comp. cap. fog. 34 : « officium visitatorum declaret in unaquaque compera vel officio quantum viderint solvi posse pro paga ». (5) Nella Sala 42, N. 864, Compera gazane, 1406, fog. 1 , troviamo una tabella d’ interessi, ove è calcolato quanto fanno le 1 L. 13 s. 4 d. prò loco paga maj, per importi da 1 a 15000 L, — 202 — debito pubblico (i). A Firenze gl’interessi erano pagati mensilmente. I primi libri del monte non sono tenuti con tanta evidenza e con tanto ordine, quanto quelli dei creditori dello Stato di Genova (2). Per rimediare alla contusione dei libri del debito di Firenze, venne creato nel 1353 un officium errorum montis. Fra gli officiales montis allora nominati troviamo pure lo storico Matteo Villani (3). Vedemmo come fino dal 13.0 secolo era libera a Genova la cessione delle partecipazioni del debito pubblico. Solo per i forestieri che volessero acquistarne, era necessario uno speciale permesso del governo (4). I forestieri coll’acquisto di titoli del debito, si obbligavano a partecipare anche ai pesi dello Stato (5) ; e specialmente a pagare le eventuali tasse sulla rendita, ancorché ciò non fosse loro espressamente dichiarato. Tale disposizione vigeva a Venezia (6). Qui però una legge del 1385, metteva gli acquirenti di titoli del debito pubblico in condizioni più svantaggiose dei creditori primitivi, poiché se questi ricevevano l’interesse del 4 % quelli dovevano contentarsi del 3 °/0 (7). A Pisa, ancora nel 1378, (1) Venezia, Arch. Stato. Ufficiali rason vecchie, 3 fog. 24 « de repuntando zornalia cum quaternis authenticis ». (2) Confr. Firenze Arch. di Stato. Archivio Monte I, 135°- (3) Arch. monte, creditores montes 1354. (4) Confr. Turin. Arch. di St. Racc. Lagomars. Genova, Banca S. G. I. « Conventione e privileggio fatto al signor Cadit Cadit veneto albo... ad loca usque ad 200 comperarum communis ». 11 Die. 1403. Diversorum regiminis p. 56: 27 loca 75 L. della compera vetus S. Pauli si trovano nelle mani di Lombardi. (5) « Et si non erit in dispendio janue non fiant sibi (page), nisi se obligaverit et fideiussorem prestiterit secundum formam istius capituli ». Reg. comp. c. 22ób dell’anno 1290. (6) Venezia, Arch. Stato, Rubeus parvus, cap. 13: « de modo illorum qui aliorum imprestita emerant »: cum honere quo habebant illi, quorum fuerunt, nec aliter habeant ea ». Cap. 158,1320: « inhibeatur officium imprestitorum, quod non permittant fieri aliquam alienationem seu transactionem imprestitorum confinatorum sine licentia consilii de X » Confr. Simons-feld , Fondaco dei Tedeschi, I, N. 297, 329, 414, 424. A parecchi Tedeschi è concesso di acquistare titoli del debito pubblico (non della Banca dello Stato come scrive Simonsfeld) fino ad una somma determinata. (7) Ufficiale rason vecchie, 3, fog. 22'’. i' ■ sgffs--?. — 203 — il governo manteneva il diritto di privilegio d’acquisto di titoli del debito pubblico quando qualche creditore voleva disfarsene (i), come a Genova ai tempi deb primo Boccanegra; invece a Siena fino dal 1365 (2) e a Firenze fino dal 1345 (3) la vendita dei luoghi era libera. 1353 sorse a Firenze la questione se fosse permesso di istituire una compera senza termine per la restituzione , e di vendere i relativi titoli non al valor nominale, ma secondo il corso. A Genova si era già da molto tempo passato sopra a simili scrupoli, ed ora a Firenze il francescano Francesco da Empoli, che difendeva tali affari, riportò vittoria sul suo avversario, il domenicano Pietro Strozzi, per cui fu deciso — come riferisce Villani — di considerare senza rimorsi i titoli del debito pubblico come qualunque altra merce (4). I titoli del debito pubblico acquistarono un valore speciale pel fatto che i governi di Genova e Firenze (5) di Pisa e Venezia, li accettavano in pagamento anche per multe. A Pisa però il governo li prendeva ad 1/3 del valore nominale (6). A Venezia vi erano cinque specie di pagamenti che dovevano essere fatti solo in valuta sonante, e ciò specialmente per multe inferiori a 5 L. e per le multe stabilite cogl’ importatori di grano (7). I notari erano obbligati, dietro domanda dei creditori, a (1) « Chi vuol vendere qualche somma della massa, ne richieda con atto pubblico gli Anziani e i partitori della massa, e se il Comune la vuol comprare a detto prezzo o a meno, possa farlo. Se il Comune non la vuole, si potrà vendere ad altri allo stesso prezzo, o a meno; con che il compratore sia obbligato a rivenderla allo stesso prezzo al Comune, se gli piacesse di comprarla ». Morpurgo-Lupi, pag. 157. (2) Rezasco, Dizionario alla voce monte, pag. 649. (£) M. Villani, III, 106. (4) Villani, III, 106. W. Endemann, Studien i. d. romanisch-kanon. Wirtsch.-u. Rechtslehre, I, pag. 434. (5) Provig. 41 fog. 70 (1353). (6) Morpurgo-Lupi, pag. 159; « (debentibus) ex condempnationibus, impositionibus datiorum vel focorum seu prestantiarum cassentur tres denarii in dicta massa pro uno denario sui debiti ». (7) Uff. rason vecchie, 3 fog.. 2ob, 9 marzo 13S9. — 204 — fornir loro una copia della loro partita (i). Solo il libro faceva fede del possesso dei titoli. Ogni creditore aveva diritto non solo di vendere , ma anche d’impegnare i propri titoli. Il cangiamento di proprietà aveva luogo mediante voltura nei libri. I notari delle compere a Genova dovevano eseguire la voltura, quando ne avevano incarico dal proprietario personalmente o mediante uno speciale procuratore. Quando una voltura era fatta non poteva essere impugnata, se non che per errori del notaro o per illegalità del mandato (2). Senza speciale incarico del proprietario e solo per auctoritate magistratus, un terzo, che non fosse quello al cui nome erano inscritti i titoli, poteva sollevare pretese sui loca e paghe, però solo in casi di dote e contraddote (3), di eredità e testamenti. Parimente 1’ officium robarie, in caso di violazione della pace pubblica 0 di alto tradimento, aveva il diritto di sequestrare i titoli dei colpevoli e di incassarne gli interessi a favore del governo (4). Quando i ribelli tornavano al loro dovere di cittadini, i loca venivano loro regolarmente restituiti. Come il capitale, potevano essere ceduti anche gl’interessi. Questa cessione doveva aver luogo prima della scadenza degl’interessi, e l’obligatio del locus veniva fatta in guisa che sotto la colonna principale si annotava: « debet responderi de pagis venturis Simoni ». I tre primi pagamenti d’interessi erano tenuti bassi, non potendo sapere come si sarebbe chiuso l’anno, e solo al quarto (1) Venezia, Rubeus parvus, cap. 29. Si trovano estratti dei libri del debito genovese colla formula « reperitur in cartulario.... » in possesso del signor Professore Rich. Ehrenberg , che li pose gentilmente a mia disposizione. (-}) Regule comperarum capituli, 1340, fog. 3i6b. (3) Reg. comp. cap. 1340, fog. 3i6b; « pro dotibus et antefactis possit consequi solutionem in ipsis locis auctoritate magistratus non obstantibus supradictis quelibet persona recipere debens ipsas doctes et antefactum seu partem ipsorum ». (4) Reg. comp. cap. fog. 24ib. — 205 — trimestre si divideva l’intero utile. Nel 1346 i creditori della compera salis, che avevano diritto all’ 8 % » non ebbero più di L. 5, s. 4, d. 8 e precisamente: prima paga madii.... L. I sol. II den. VI seconda paga augusti . . » I » II » VI tertia paga novembris . . » I » VI » VI quarta paga februarii . . » I » XIII » II summa pagarum toto anno L. V sol IIII den. VIII (l). Siccome era incerto a quanto l’interesse poteva scendere sotto la misura fissata, così era possibile far qualche buon affare in caso di vendite anticipate. Per esempio troviamo nei libri della compera salis del 1346 una vedova, uxor quondam Bonvaselli de Bozzoli, che vende 2 delle sue 4 rate d’interessi ad un presbiteriano Domenico, Cappellano di S. Lorenzo , e le altre due ad un negoziante di panni. Questo draperius Simon de’ Corsio fece un eccellente affare. Al 26 settembre j346 gli fu ceduta la 4.a rata per 2 L. e 10 s. Quando 1’ 8 febbraio 1347 la rata venne in iscadenza, il sarto ricevette 2 L., 18 s. 4 d. con un guadagno cioè, dal 26 settemb. all’8 febbraio, di 8 sol. 4 den. cioè il 16 2/3 °/o> 0 circa 40 °/0 1’ anno (2). I titoli che i singoli creditori possedevano sul debito dello Stato, erano di importi differenti e non in cifre rotonde. Ciò dipendeva in parte dalle quote diverse che ognuno doveva pagare nei prestiti forzosi proporzionatamente alle rispettive facoltà, dall’altra perchè importi in origine rotondi cessavano poi di esserlo per interessi arretrati che vennero aggiunti al capitale (3). Nel 1392 stavano inscritti a Genova 1733 credi- (1) Genova, Arch. St. 42, compera salis, 6. (2) Ivi, fog. 101, Cart. M. Appendice VIII. (3) Cecchetti Arch. Ven. 36 , pag. 90. Genova, comp. cap. fog. 27, (1326); « scriba... quolibet anno scribat, quid restat in unaquaque compera cuique partecipi habere recipere de proventibus preteritis et hoc scribat in cartulario ipsarum comperarum in ratione cuiuscunque in medietate ». — 2 o6 — tori, 158 dei quali con meno di 100 L., 1282 da 100 a 1000 L. e 293 sopra 1000 L. (1). I possessori di piccole azioni erano dappertutto in peggiore condizione degli altri e si procurava di eliminarli (2). Nelle estinzioni si facevano loro condizioni più sfavorevoli. Nel 1316 il governo veneziano estinse titoli inferiori a 10 L. al 70 °/0 e da 10 a meno di 15 L. all’8o °/0 (3)- Con minore riguardo ancora si procedette a Firenze (4), mentre a Genova i più grossi creditori, i « participes grossiores » erano trattati con una certa preferenza ed avevano la massima influenza suH’amministrazione delle compere di Genova. Vedemmo p. es. come nella co?npera pacis la scelta degli approbatores consulum era nelle loro mani, e solo chi poteva vantare un numero determinato di titoli del debito dello Stato, poteva essere e-letto nelle cariche delle compere. Nei consolidamenti e nelle conversioni il governo non prendeva in considerazione altro che il parere dei « participes grossiores » (5). Non occorreva che nemmeno questi grossi creditori avessero titoli in cifra rotonda, il che fu stabilito per legge solo nel 18.0 secolo (6). (1) Sala 43, N. 1997; « omnium comperarum ». (2) « Qui faciunt impedimentum camere ». Venezia, Rubeus parvus, cap. 140, 1316. Cuneo, pag. 292 segg. (3) Cecchetti, Arch. Ven. pag. 89. nota 10. (4) Rezasco , Dizionario art. monte, pag. 655. « Alcuna sospensione (di pagamento) in Firenze fu tale che i maggiorenti si pagavano, e solo alla vii turba si allegava la povertà del Commune per non pagare; il quale assassinio portava l’altro di comprar le polizze de’ bisognosi un quarto 0 un quinto del valore, quei maggiorenti stessi privilegiati di riscuotere l’intero; e i maggiorenti tenevano lo Stato e lo Stato dominava il monte ». (5) « Presertim cum magna pars ex grossioribus dictorum participum iis diebus fuerint propterea petiti » 1380, 9 aprile. Membr. 8 (VII) fog. 53. Mem.hr. XII, (13) fog. 2i\ 14 febbraio 1408, « de consensu et voluntate maioris partis participum dicte compere (gazarie veteris) illorum vid. qui de maioribus quantitatibus sunt participes dictum off. deliberavit dictam comperam commisceri cum compera nova gazarie ipsi officio iam ad-hessa ». (6) La legge toscana menzionata da Rezasco, pag. 654, che non permetteva di dividere il luogo in parti minori d’un quarto, rimonta al 3 luglio 1739. L. Cantini, Legislazione toscana, XXIV, pag. 192. — 207 - Il corso dei loca oscillava considerevolmente e nella seconda metà del 14.0 secolo, a cagione del forte debito da cui erano aggravate le città, stavano molto al di sotto della pari. Per esempio nel 1398 a Genova un locus S. Pauli novi valeva 82 L. 10 s.; e uno S. Pauli veteris solo 77 L.; un locus dei debiti consolidati nel 1303 aveva un valore di sole 25 L. e 10 s. (1). Ciò nonostante i titoli del debito pubblico erano molto domandati dal capitale in cerca d’impiego, specialmente allo scopo di pie fondazioni. Così troviamo in un libro del debito pubblico del 1412 sotto il nome di « Gregorius Lercarius » una partita di 500 L., stabilita in perpetuo a favore dei poveri. Due dell’albergo dei Lercari dovevano tutti gli anni, insieme colla Priorissa dominarum misericordie, distribuire gl’ interessi ai poveri della città (2). Gl’ interessi di un’ altra partita di L. 248 s. 15 dovevano essere pagati ad Andrea Lomellinus figlio di Napoleone Lomellinus sua vita naturale durante; dopo la sua morte il titolo diventava di proprietà degli eredi di Napoleone (3). Battista Spinula aveva destinate 200 L., i cui interessi erano destinati per una messa in perpetuo a suo suffragio (4). A Venezia l’impiego del capitale in titoli del debito pubblico era preferito a quello in stabili. Nel 1353 e nel 1398 furono vendute delle case, i cui affitti erano destinati ad o-pere pie, e col ricavato si acquistarono titoli del debito pubblico (5). A Venezia stessa eranvi pie fondazioni, per dotare ragazze povere (6). Nel 1431 un certo Antonius Petri ot- (1) Rezasco, Diz., pag. 240, sotto compere. La tariffa della gabella censarie, Genova, Membr. 22 (XIX) fog. 53, calcola per loca mutuorum veterum e Cipri solo la metà del prezzo dei loca S. Pauli, salis e gazarie, mentre i loca pacis e Chio stanno loro in mezzo. Sul corso dei luoghi fiorentini confronta Canestrini, pag. 136, 425, 431. (2) Sala 43, N. 1701, fog. 7ob; « obligatum in perpetuum pauperibus ». (3) Ivi, fog. 6b. (4) Fog. 25. (5) Venezia, Arch. di St. Defalcatio monte vecchio. (6) Prestiti, N. 85, 1398, Fondazione di Antonio de Mutio « prò ma ritare puellas orphanas ». — 208 — tenne il permessso di impiegare 5000 ducati in imprestila. Per 1000 ducati comperò 2032 L. 10 s. Grossorum imprestitorum. Gl’interessi di 1000 ducati erano devoluti ad un prete di S. Giacomo di Rialto per una messa ; i frutti di 2000 ducati dovevano essere impiegati per doti di fanciulle a Venezia e Piacenza (1); il resto deg’interessi metà al suo figlio naturale Paolo, per 1’ altra metà al nascituro rampollo della sua schiava Margherita (2). Come l’indigeno , anche il capitale straniero ricercava i titoli del debito pubblico. Nei libri genovesi del debito figurano specialmente Milanesi ed Astigiani. In particolare conventi stranieri acquistavano 0 per compera 0 per legati grande numero di titoli. Alla fine del 14.0 secolo un cavaliere milanese, Balzer di Pusterla, acquistò per 3080 L. di titoli della covipera venetorum, e nel 1388 stabilì, che per 30 anni il capitale non potesse essere alienato. Gl’ interessi dovevano essere goduti prima dal cavaliere stesso, poi dal suo figlio naturale Guglielmo. Se questi fosse morto senza prole, il capitale sarebbe passato in proprietà dell’ ordine delle 4 Marie di Milano (3). Fra i monarchi esteri sembra che il re di Portogallo sia stato uno dei più propensi ad impiegare il suo denaro nei debiti delle città italiane (4). I loca commitnis non servivano solamente ai capitalisti per impiego del loro denaro, ma servivano pure allo speculatore che approfittando della variabilità dei corsi, sapeva trarne utile comperando e vendendo a tempo. Riguardo però a questi speculatori italiani non trattasi precisamente della consegna dei loca negoziati, ma solamente della differenza del (1) Ivi: « in Venetia medietatem prodis in nubendo unam puellam pauperrimam, alia medietas prodis distribuenda in Placentia in nubendo duas puellas pauperrimas, quia ille dotes sunt minores ». (2) Nota quod Margarita sciava non remansit gravida et fuit maritata et habuit legatum suum ». (3) Manuscr. Ehrcnberg, (4) Venezia, Arch. di Stato. Prestiti N. 85, Capitule 1410 « possit emere imprestita et de sua pecunia ponere ad cameram imprestitorum secundum usum et consuetudinem nostram ». — 20Q — corso. NcH’aprile 1404 a Genova Domenico de Pagana aveva comperato da Amicus Imperialis 12 loca de mutua vetcra al corso di 21 L. Nei mesi successivi i loca salirono a 23 L. 10 s. Percio Amicus si rifiuta di consegnare i titoli, quantunque Domenico gli offra il prezzo d’acquisto. Domenico cita Amicus dinanzi al tribunale di commercio per la consegna dei loca o pagamento della differenza (1). All’11 luglio 1404 il tribunale di commercio condanna l’Amico alla consegna dei 12 loca verso pagamento di 21 L. prò loco e nel caso 1’ Amico non abbia, o non voglia, consegnare i titoli, egli debba pagare al Domenico la differenza fra le L. 21 e il valore del giorno (2). Sono di particolare importanza le parole della sentenza: « sive illa dare recusaret ». Il tribunale obbliga dunque il debitore, non alla consegna, ma soltanto al pagamento della differenza. Se è preveduto il caso, che Amicus non possedesse i loca venduti, vuol dire che si credeva essere egli stato un disgraziato giocatore al ribasso (3). L’interessante in questo caso si è , che il tribunale di commercio riconosce come legale la differenza del corso (4). Il governo di Firenze cercava d’impedire l’aumento artificioso del corso, poco gradito alla commissione d'ammortamento, obbligando i compratori (che giuoca- (1) Genova, Arch. Stato. Divers. Nota 104. Liber actorum officii mercantie 1404 e 1405 fog. 27; « ad scribi faciendum super ipsum Domeni-cum dieta loca cum dieta paga, sive interesse quod est a libris XXI usque in libr. XXIII sol. X ». (2) « Et in quantum ipse Amicus non haberet ipsa loca sive illa dare recusaret aut scribi facere dicto Domenico, tunc et eo casu ipsum Amicum condemnamus ad dandum et solvendum ipsi Domenico illud plus quod valent dicta loca ultra pretium dictarum libr. XXI pro singulo loco ». (3) Il convenuto impugnò la validità del contratto, solo perchè non eran state adempiute certe formalità di legge, « maxime quia ipse partes 11011 fuerunt afrontate infra horas XXIIII prout cavetur in capitulo posito sub rubrica de censariis ». Il tribunale però non ammise questa ragione. (4) La questione, se Amicus possedesse i loca o nc alla conchiusione del contratto gli è indifferente. Confr. un decreto di papa Alessandro III 1213, contro il giuoco col pepe a Genova. Lattes, Libertà delle banche, pag. 13, nota. Atti Società Ligur| Storia Patria. Voi. XXXV. 16 — 2 10 — vano al rialzo), quando i prezzi aumentavano, a vendere allo Stato i loro luoghi, col solo aumento del 2 % su^ Prezz0 ^ acquisto (1). Come a Genova e Firenze, anche a Venezia la speculazione era in pieno vigore. Grave danno ne sorgeva quando in queste speculazioni impiegati del governo approfittavano della loro più sicura conoscenza delle condizioni politiche , p. es. d’una prossima guerra, per vendere i loro titoli, lo che faceva trapelare alla parte avversaria le intenzioni del governo veneziano (2). Si comprava e si vendeva non solo a contanti, ma anche a tempo (3). Gli speculatori al ribasso vendevano loca, anche senza averli, a tempo, nella speranza di poterli comperare all’epoca della consegna a prezzo inferiore (4). Nel 1425 il governo di Venezia indignato, emanò delle leggi punitive contro quelli: « qui de die in diem conantur de statu nostro facere mercantiam ». Vediamo dunque, che fino da allora il commercio dei titoli era sviluppato, che se ne risentivano già gl’inconvenienti, e che contro questi si cominciava già a fare delle leggi (5). Le Maone, Fra le compere genovesi dobbiamo comprendere anche le maone; la maona vetus di Chio (1347), l’antica e la nuova maona di Cipro (1374 e 1403) e la maona di Corsica del 137^ Imparammo già a conoscere la viaona di Ceuta del 13.0 secolo. Il carattere delle maone risulta più evidente nel 14.0 (1) Rezasco, Monte, pag. 657. (2) Ven. Sen. Misti, 53, fog. 176'», 6 decem. 1425; « specialiter in rebus arduis per illud signum comprehendunt (forenses) nostram intentionem ». (3) « Ad denarios contatos et ad terminum ». Ivi. (4) Ivi, fog. 193, 26 febbr. 1425 capta in Consilio de C. : « si aliquis vendet imprestita que imprestita non habeat scripta ad cameram nostiam imprestitorum, cadere debeat (in penam) de quinquaginta pro centenario ». (5) Confr. per i tempi posteriori, Olanda eie. R. Ehrenberg; die Fonds-spekutation und die Gesetzgebung. secolo e si possono definire come prestiti fatti allo Stato, non in denaro, ma sotto forma di uomini armati per la guerra. Nel 1346 il governo popolare di Genova trovavasi nelle maggiori strettezze. Da Monaco i nobili, i Grimaldi, minacciavano di assalire la città. Le casse dello Stato ed il credito erano completamente esauriti, per modo che sembrava impossibile di resistere al nemico. Allora si ricorse all’aiuto dei privati chiedendo loro di mettere a disposizione dello Stato 25 galee o più. Il governo promise di rifondere ai prestatori le loro spese, ed assegnò loro intanto le 20000 L. che le com-pcre capituli dovevano versargli annualmente (1). A tale domanda si presentarono subito 44 armatori; quando però le condizioni diventarono più onerose, esigendosi una cauzione di 400 L. per ogni nave, per essere sicuri che la flotta sarebbe pronta alla vela a tempo opportuno, il numero si ridusse a 29, cioè 26 popolari e 3 nobili. Sotto il comando supremo di Simone Vignoso, salpò la flotta allestita da privati, ma per conto dello Stato, e quando i ribelli si trovarono di fronte a questa forza, rinunziarono al combattimento e si sottomisero al doge. Il vero scopo di questo assetto jdi guerra era raggiunto prima di venire a battaglia. Dovevasi ora lasciare inoperoso il capitale impiegalo in queste 29 galee? Tale non era l’intendimento nè del governo nè degli armatori. Dapprima Vignoso ripulì il bacino occidentale del Mediterraneo dai pirati, castigando principalmente Terracina. Poi si diresse verso Oriente, ove strappò al regno di Grecia Chio, sulla quale i Veneziani avevano posto l’occhio. Oltre Chio coi suoi boschi di mastice, sottomise allo scettro di Genova l’antica e la nuova Focea. Quando Vignoso fece ritorno colle sue galere da Chio, domandò al governo la promessa rifusione delle sue spese di L. 7000 per ogni galea, cioè 203000 L. insieme. Siccome il governo non poteva pagare, (1) Stella, Ann. « Hoc tamen modo quod respublica Janue dominis seu patronis ipsarum galearum se obliget ad conservandos ipsos indemnes ab omni adverso quod consequerentur pro ipsis galeis et de satisfaciendo pro eorum damno armatura ipsarum galearum finita ». così il 26 febbraio 1347 questo debito venne convertito in una compera 0 maona Ch-ìi (1). Il governo di fronte alla compera si riconosceva debitore di L. 203000 che prometteva restituire entro 20 anni. Per garanzia del capitale ed interessi i creditori ebbero in feudo Chio e Focea. Il dominium utile e tutte le rendite di questi territori erano devoluti ad essi, mentre il governo non ne conservava che l’alta sovranità, il merum et mìxtum impernivi. Podestà e castellani dovevano essere nominati d’ accordo fra il governo ed i creditori della maona. Quando il debito fosse pagato le colonie ritornavano senz’altro allo Stato. In questa maona Chii non eravi nulla di essenzialmente differente dalle altre compere (2). Si trattava di somme di debito, ai cui creditori venivano assegnate determinate entrate in pagamento degli interessi. Come gli altri creditori dello Stato, così anche quelli delle maone non riscuotevano direttamente questi redditi, il cui incasso era lasciato a speciali appaltatori. La differenza fra la maona di Chio ed altre compere, consisteva in ciò, che quella era nata da un prestito di uomini messi in assetto di guerra, queste da prestiti in denaro e che mentre per quest’ ultimi venivano assegnate certe rendite, per la prima rispondeva un intero paese. Nè differenti erano le condizioni della Maona di Cipro. Dopo che, nell’occasione dell’incoronazione di re Pietro II, i Genovesi si sentirono vivamente offesi, la repubblica, per vendicarsi, allestì una flotta, che sotto il supremo comando di Pietro di Campofregoso conquistò Famagosta, imponendo al re nel trattato di pace del 21 ottobre 1374 le più dure condizioni (3). La flotta genovese era stata allestita nella stessa maniera come nel 1346 (4), e perciò le spese di guerra, che (1) L. J. II, col. 568: « fiant loca de quantitatibus supradictis quemadmodum loca comperarum communis Janue ». (2) Giustiniani, Annali, pag. CXXXIII, opina perfino che « questa è la prima menzione che si faci di compre e di luoghi ». (3) Heyd, Geschichte des Levantehandels, II, pag. 406-8. (4) « Plures et diversi cives et districtuales dicti communis Janue et alie diverse persone societatem et mahonam fecerunt et contraxerunt cum il re doveva pagare, andavano per la massima parte alla Maona di Cipro. L’ ammiraglio genovese ed il suo consiglio stipularono il trattato: nomine et vice communis, patronorum participum et mahone. Oltre 90000 fl. che il re doveva pagare alla flotta per le spese del momento, doveva pagare pure alla maona l’ingente somma di 2012400 fl. in 12 rate annuali (1), e 40000 fl. annualmente allo Stato genovese occasione eius quod posuit et contulit dictutn commune in dieta mahona et armata galearum (2). In cauzione e per gl’interessi i Genovesi tennero Famagosta. Come prevedevasi, il re di Cipro non era in caso di mantenere i suoi impegni. Morì nel 1382. I Genovesi avevano portato seco a Genova il successore Giacomo I come ostaggio; e prima di lasciarlo partire per Cipro , fu conchiuso un contratto, che metteva i Genovesi nel pieno possesso di Famagosta. Ciò malgrado, il debito del re verso la maona ascendeva ancora a 852000 fl. che aumentarono di altri 100000 fl. per le spese del viaggio del re a Cipro. Per il pagamento degl’interessi di questa somma vennero assegnate ai Genovesi le rendite della città di Cerine. Se il re pagava il debito prima del termine fissato la maona gli abbuonava uno sconto dell’ 8 % (3). Nel 1403 alla mahona vetus subentrò una mahona nova Cipri (4) composta di creditori dello Stato, che avevano dei diritti verso il governo per la spedizione intrapresa dal maresciallo Bucicaldo contro Cipro. In questo caso sono meglio dicto communi Janue de et super exercitu et armata per dictum commune Janue ad dictam insulam transmittenda.... ipsi mahonenses et participes eiusdem magnas pecuniarum quantitates exposuerunt ». Membr. 9 (VIII), fog. 28 (1383). (1) « Dividendos inter dictos patronos et participes pro rata eius quod quisque ipsorum participat et particeps est in dicta mahona ». Membr. 9 (VIII), fog. 16. (2) « Pro placatione insule et submissione rebellium dicti illustrissimi domini regis ». (3) Contratto del 19 febbraio 13S3. Membr. 9 (Vili), fog. 26 segg. Confronta Heyd, II, pag. 411. (4) Maslatrie, II, pag. 466. — 214 — distinte le diverse categorie dei creditori, cioè creditori per un prestito forzoso di 40000 fl., cavalieri , armatori e fórni-tori che avevano provveduto a credito 1’ armata. La somma complessiva del debito importava 150000 fl. Coi denari che provenivano da Cipro, doveansi pagare prima d’ ogni altra cosa le cambiali dei fornitori (1), poi erano da distribuirsi 1000 fl. fra quelli che avevano contribuito con meno di 10 fl. al prestito forzoso (2), e in terzo luogo venivano gli armatori ed i cavalieri (3). Come le altre compere, anche le maone di Chio e Cipro erano organizzate con procuratori (4), i quali in certi casi importanti si facevano rilasciare dai partecipanti speciali poteri (5). Con Chio e Cipro, Genova aveva fatto nuovi acquisti, mentre dal 1358 in poi il Comune di Corsica si era unito al Comune di Genova. Però lo Stato non era in grado di difenderlo contro Enrico della Rocca che, protetto dal Re d’Ara-gona, s’impadronì dell’isola nel 1377 (6). Perciò, quando nel (1) Membr. 8 (VII). Riconoscimento del 4 maggio 1404. « Primo integra solutio fiat de ipsa pecunia creditoribus cambiorum pecuniarum acceptarum pro commoditatibus dicte nove Mahone ac omnibus aliis , quibus occasione victualium seu alterius cuiusvis rei promissum fuit ». (2) « Secundo conferatur pauperibus dicti mutui, cui facta non fuit aliqua assignatio, qui mutuaverunt fi. X et abinde infra, fl. M., ut quos afflixit exactio, aliqualis restitutio letificet ». (3) Patroni galearum et navium et caporales ac conductores armigerum dicti exercitus conscripti agendis et favoribus mahone nove ». (4) L. J. II, col. 715C, 1360; « protectores mahone veteris syi suis propriis nominibus et nomine et vice omnium participum ipsius mahone veteris ». Il contratto del 19 febbraio 1383 è conchiuso « de consensu et voluntate protectorum et procuratorum participum dicte Mahone ». Membi. 9 (Vili), fog. 26. (5) Membr. 8 (VII) fog. 240; 9 ottobre 1391: Contratto fra il re di Cipro e gli 8 protettori della maona di Cipro, i quali pattuiscono: « ipsorum propriis nominibus et nomine et vice reliquorum mahonensium et participum in Mahona predicta habentes ad infrascripta et alia plenum et sufficiens mandatum a dictis de dicta mahona vigore et forma publici instrumenti compositi per Antonium de Guasco de Govio, die XVI api ile MCCCLXXXXI ». (6) U. Assereto, Genova e la Corsica, 1358-78, p. 39 e 115 (Bulletin de la Société des Sciences historiques et naturelles de la Corse, 1901). 1378 era imminente la lotta decisiva contro Venezia, l’isola, eccetto Bonifacio e Calvi, fu consegnata ad una maona, la quale fu formata da Leonello Lomellini e da altri 5 capitalisti (1). Mentre il podestà di Famagosta era nominato dal governo, e per l’installazione di quelli di Chio e Focea esso poteva almeno dire la sua parola, i partecipanti alla maona di Corsica, quali governatori, potevano agire a loro talento , solo riconoscendo 1’ alta sovranità del governo. Al principio del 15.0 secolo la Corsica passò interamente in possesso di Leonello Lomellini, che era il più forte interessato nella maona (2). Tuttavia si vede chiara 1’ analogia esistente fra questa maona e le compere. Lomellini viene infeudato della Corsica, perchè solleva il governo dalle spese per la conservazione dell’ isola, appunto come nelle compere, nelle quali vengono concesse ai creditori certe entrate, per i servigi resi al governo, che nel caso presente consistevano in determinate somme di denaro esborsategli. Però questo sistema di sollevarsi dal peso del proprio dovere, non giovava al governo. Anzi si accumulavano le difficoltà, così che le guerre tra Genova ed i Córsi in gran parte erano la conseguenza dell’ infausta maona, la quale dall’ Assereto (3) non è giudicata più favorevolmente di quello che Ad. Smith giudicasse le East India Company. Se le maone di cui fin qui facemmo parola, possono essere considerate come speciali organizzazioni di creditori dello Stato, tale non è il caso per la maona nova di Chio, lo che (1) Genova, Arch. Stato. Divers. Not. 104, 13 genn. 137S: « commune Janue pro defensione ipsius insule hactenus substituit magnas expensas quas non intendit ulterius substinere maxime consideratis condictionibus guerrarum que ad presens communi Janue imminere creduntur ». (2) Assereto, pag. 120, n. 2. Bulletin 1888, Histoire de la Corse, de l’abbè Letteron, pag. 241; '« L. Lomellini, qui avait engagé des sommes considérables dans la maona de Corse, intregua si habilement auprés du gouverneur franQais, que cette ile lui fut donnée personellement et qu’ il en fut nommé comte ». Però la perdette nel 1407 contro il ribelle Vicentello d’Istria, pag. 242. (3) Assereto, p. 146. — 216 — ci mostra ancora che il medesimo nome di Compera, Mons. Maona hanno diverso significato. La maona nova di Chio ebbe origine dagli appaltatori delle imposte, che presero in appalto le rendite di quest’isole dalla maona vetus. Addì 8 marzo 1362 il doge Simon Boccanegra pronunciò una sentenza arbitrale fra gli 8 procuratori della maona vetus Cidi e due rappresentanti degli apal-tatores seu participes mahone nove Chii. La maona vetus ottenne il diritto di appaltare le rendite dell’ isola di Chio per 12 anni alla maona nova. Questa doveva formarsi da 12 interessati popolari approvati dal doge. Ognuno poteva vendere la sua parte, però ad uno del popolo di piacimento del doge. Una divisione in più di 12 parti era inammissibile; la maona nova doveva essere sempre composta di 12 partecipanti appartenenti alla classe del popolo (1). Venne riservato il diritto al governo di acquistare i loca della maona vetus nel 1374 al corso di 75 %. Sulla base di questa sentenza ebbe luogo nel 28 settem. 1362 l’appalto di Chio e Focea. Come affittuari si presentarono i singoli partecipanti della maona vetus « prò locis que quisque habet in dicta compera ». Le partecipazioni di ognuno erano di differente grandezza e non in cifre rotonde. Per esempio Nicolaus de Guarco possedeva 16 loca, Antonius Italianus 40 loca, 40 L., 10 s., 10 d., Andreolus de Septa 41 loca, 83 L., 6 s., 8 d. I partecipanti appaltarono agli imprenditori della Maona nova tutti i diritti e tutte le rendite di Chio e Focea, e specialmente il mastice per 12 anni, a datare dal i.° maggio 1364. Per contro i membri della nuova maona,, dovevano pagare sui loca l’interesse del 7 °/o *n rate seme~ strali. Se gli appaltatori volevano prendere parte al capitale della maona vetus, stavano a loro disposizione loca al 70 °/0 (2). (1) L. J. II, col. 714. « Possit vendere quilibet ipsorum apaltatorum per se suam partem subrogando unum alium apaltatorem qui placeat diao domino duci » Hopf si sbaglia nell’ammettere che « fosse interdetta la vendita di tutta, o parte della somma di credito ». Egli stesso nella medesima pagina cita delle vendite. Soltanto occorreva il permesso del doge. (2) Genova Arch. St. Manuscr. 259 Conventiones ìnsule Chii, fog. 11 segg. — 217 — Il 14 novembre 1362 i 12 appaltatori conchiusero per sè ed eredi un contratto di società per 12 anni per l’assunzione in comune dell’appalto. Ognuno doveva partecipare per un dodicesimo agli utili ed alle perdite dell’impresa (1) e acciocché la società non venisse rotta, ognuno vi si obbligava, sotto pena d’ una multa stabilita di 1000 L. La società imponeva l’obbligo a ciascheduno dei suoi membri di provvedersi, non oltre il i.0 aprile 1364, 100 loca della compera Chii, per modo che la maona nova disponeva di 120000 L., cioè di una metà di più del capitale della maona vetus. Il 29 marzo 1364 venne prolungato il termine e in questa modificazione al contratto del 14 novembre 1362 apparisce per la prima volta il nome dei Giustiniani, nel quale dieci appaltatori mutarono il loro nome. I Giustiniani formavano una riunione di diverse famiglie, in origine neppur consanguinee, collegate per proteggere i loro comuni interessi, allo stesso modo degli alberghi dei nobili. L’albergo dei Giustiniani non era la stessa cosa della maona nova di Chio. Vi erano degli interessati nella maona che non appartenevano ai Giustiniani ; p. es. Gabriele Adurno, uno dei 12 appaltatori, non accettò il nome di Giustiniani. Invece presero parte all’ albergo altri, che non avevano alcun interesse nella maona (2). Nel 1373, 21 novembre, si riuscì ad impossessarsi interamente della maona vetus. Il governo soddisfece i creditori della maona, pagando, com’era pattuito, i loca al 75 %* L. 152250 per L. 203000 che costituivano il debito totale (3). Ma il governo dovette prendere queste 152250 L. dalla maona nova, alla quale come correspettivo diede in appalto fino al 1393 Chio e Focea verso pagamento del modico tributo di (1) « Unus quisque ipsorum sit et intelligatur esse socius pro duodecima parte ad omnia commoda et incommoda ». Ivi, fog. i6b. (2) Hopf, pag. 340; l’albergo popolare dei Giustiniani fu riconosciuto officialmente insieme con tre altri solo nel 1528. (3) Il luogo era caduto da 100 a 75, non rialzato, come dice erroneamente Hopf, pag. 318. È pure in errore quando dice (pag. 319) che nel 1383 il tributo venne aumentato da 2000 fl. a 2500 L. poiché 2000 fl. e-rano equivalenti a 2500 L. fl. 2000 annui. L’appalto non sembra essere più diviso in dodicesimi , ma bensì in 38 carati. Un dodicesimo venne ragguagliato a tre carati e quindi ne uscirono 12 2/.i dodicesimi (1). Mediante il contratto del 21 novembre 1373 la maona nova era subentrata alla maona vetus, o?sia alla società dei creditori dello Stato. Per la sua costituzione fu di norma il fatto che essa era in origine una società di appaltatori d’imposte. Essa non si organizzò per luoghi, cioè secondo le quote della somma capitale, ma secondo carati ideali. Ad ogni casato venne ascritto un certo numero di luoghi. Però gli appaltatori non erano in possesso di tutti i loca dell’ antica maona. Alcuni erano in mano di taluno che nulla aveva a che fare colla maona e che doveva ricevere il 7 % l’anno > da quell’appaltatore cui erano ascritti i rispettivi loca (2). Troviamo conservati documenti dell’anno 1390 sopra vendite di carati, dai quali risultano più esattamente i diritti degli appaltatori. Col carato si trasferiscono: 1) Partecipazione al governo della colonia ; 2) il diritto d’ acquistare loca della maona (all’ interesse del 7 °/#) e 3) una partecipazione alle rendite dell’ isola, come dazi e simili, specialmente a quelle del mastice (3). Vedemmo come nell’appalto delle imposte, il governo spezzò in diverse parti le rendite maggiori, p. es. i denani maris in 60 carati, che vennero poi appaltate separatamente. Il singolo particeps introitus non era responsabile che per la sua parte, per questa però rispondeva con tutta la sua so- (1) L. J. II. col. 793: « posita seu divisa dieta insula et omnibus rebus predictis venditis in partibus seu karatis 38 ». (2) Divers. reg. 501, fog. mb, 18 agosto 1404: « quisque ex conductoribus seu apaltatoribus Syi tenetur habere sua vel aliena sibi apodiata loca centum sexaginta vel circa ex locis diete mahone Syi pro quibus locis alienis sibi apodiatis iidem conductores et apaltatores tenentur solvere et respondere de proventibus ipsorum locorum ad rationem de libris septem Januorum pro singulo loco et singulo anno ». (3) Not. Ant. de Credentia, 1375-1418, fog. 109-112, 22 nov. 1390, un Caratus (1/3g del totale) è venduto per L. 8680. La citazione del Hopf, pag. 340, vale pure per un cavalo grande, non piccolo (V»/, del duodeno). — 219 — stanza (i). Non molto differentemente andavano i rapporti cogli interessati della nuova maona. Il governo voleva bensì ricevere 1’ annuo tributo col mezzo dei massarii della maona, ma gl’ interessati ottennero che ciascheduno rispondesse soltanto per la sua parte (2). Così pure quelli i quali possedevano loca al 7 °/0 senza essere appaltatori, potevano rivolgersi solamente all’ interessato, a cui erano stati assegnati i rispettivi loca. Questo rispondeva verso di loro con tutta la sua sostanza, quantunque come cosa più facilmente ottenibile, si dovesse prima di tutto porre sequestro sui suoi loca a garanzia del pagamento degl’interessi (3). Nelle contrattazioni, dovevano prendere parte tutti gl’ interessati della maona o esservi rappresentati. Vennero fatte grandi difficoltà quando, nel 1385 nel contratto col governo, Franciscus Giustiniani mancò coi suoi tre carati (4). Si vede come fosse poco compatta l’associazione che questi appaltatori delle maone formavano fra di loro; essi avevano certi diritti ed obblighi in comune, sui quali dovevano andare d’accordo; però ognuno stava da sè. Forse la poca coesione della maona fu il motivo per il quale un grande numero dei suoi componenti formarono 1 albergo dei Giustiniani. (1) Confr. Divers. S. Georgii, 1440, 19 dee. « Luce de Viviano participi introitus pinte.... facta est gratia.... solvendi totum illud quod ipse Lucas debet pro sua participatione pro quarta paga ». (2) Membr. S (VII), fog. 70; 9 aprile 1403: « massarii mahone Syi non compellantur ad solvendum libr. 2500 Jan. quas annuatim solvunt communi Janue seu comperis dicti communis, sed quilibet particeps dicte mahone pro parte sua ». Confr. Divers. S. Georgii, 12 agosto I4J6; 13 Ian. 1416 : S. Giorgio permette agli eredi di Andrea Giustiniani olim de Furneto (2 1/2 karati) ed a Gabriele Reccanelli (6 kar. ), di pagare la loro parte del tributo in tre rate. (3) Divers. Reg. N.° 501, fog. mb segg., 18 agosto 1404: « quod ad alia bona ipsorum duodenariorum seu apaltatorum solvere ut supra ne-gligentium habilior aut efficacior recursus haberi non potest, quam ad propria loca, que habent in dieta mahona ». (4) L. J. II, col. 1021-1023: « recipiunt Franciscum Justinianum pro Kar. 3 presentum acceptantem esse in dictis pactis pro ljl3, ita quod in omnibus et per omnia sit eis equalis quoad commoda et incommoda pro ‘/is »• Dopo avere considerato la maona vetus e la maona nova di Chio, non ci rimane altro che gettare uno sguardo sulle posteriori compere di Chio. Il contratto fra il governo e la maona del 21 novem. 1373 fu rinnovato più volte, 28 giugno 1385, 11 marzo 1413, 17 dicembre 1436, 19 novembre 1476, 19 novembre 1507. Nel I5I3 il governo era pronto a pagare ai creditori della maona il suo debito di 152250 L. verso consegna dell’isola, ma non poterono andar d’accordo sulla moneta in cui pagare, e quindi 1 antico contratto fu rinnovato ancora una volta. Governo e maona avevano eguale interesse a difendere 1 isola. Specialmente quando Costantinopoli cadde nelle mani dei Turchi, la conservazione di Chio costò grandi sacrificii. Questi furono sostenuti con compere, i cui interessi ed il cui ammortamento dovevano ricavarsi da imposte sul commercio con Chio, 0 con le entrate dell’isola. Così nel 1463 fu istituita la compera vecchia dì Scio, in origine di soli 415 luoghi, i quali ebbero differenti aumenti senza che ne fosse cambiato l’assegno. Nel 1498 seguì la compera nuova di Scio con 1600 luoghi, al 4 0/° (1), e che coi relativi assegni rimase estinta nel I5I3- Però la maona, a motivo di grandi spese, special-mente per la difesa e approvigionamento dell’ isola, si trovò in difficoltà, ed i loca già estinti della comperula nova furono rimessi all’incanto coll’aggiunta di 400 loca. La compera non doveva eccedere il numero di 2500 loca, di cui 350 erano ritenuti come fondo d’ammortamento. Al pagamento degl’interessi e del capitale furono assegnate tutte le entrate dell’isola. La compera aveva i suoi protettori, come tutte le altre compere genovesi, e più tardi fu amministrata da S. Giorgio. Come si vede, queste compere di Chio del 15.0 e 16.0 secolo, portano in tutto e per tutto il carattere delle assunzioni di debito dello Stato (2). (x) Lobero, pag. 82-84; Goldschimdt, pag. 296, osser. 194, fa tut-t’uno di queste compere colle maone. (2) Non è quindi il caso di dire che l’assunzione del debito del 1513, sia stata una bancarotta delle maone, come dice Hopf, pag. 322. — 221 — I\el 1566 Chio fu conquistata dai Turchi. Ora gl’interessati della maona avanzano domanda al governo genovese per il pagamento delle Lire 152250, che invano furono loro offerte nel x 513, ed inoltre per la restituzione di 600 luoghi, che erano stati depositati presso S. Giorgio in garanzia del pagamento dell’annuo tributo dovuto dalla maona. Però il governo non soddisfece a nessuna delle due domande, e quantunque nulla avesse fatto a vantaggio dell’ isola, pure sembrava volesse tenere responsabile la maona della perdita di essa (1). Possiamo ora rispondere alla domanda, fino a qual punto le compere e le maone genovesi possano essere considerate come precursori delle odierne società per azioni. Da quanto dissi risulta evidente che la nuova maona di Chio non può essere paragonata ad una società per azioni, come neanche possono esserlo le associazioni degli appaltatori delle imposte (2). Ben altro erano le organizzazioni dei creditori dello Stato, ossia le compere. Certamente anche in questo si può notare una differenza colla moderna società per azioni. Queste sono una riunione di capitali per l’esercizio d’una data impresa; le compere genovesi erano una riunione di capitali, derivante per la massima parte da prestiti forzosi e da prestiti consolidati a forma forzosa. Il capitale delle società per azioni è diviso in azioni d’un valore fisso e determinato, mentre il locus delle compere non era che un’ unità ideale. L’azionista spera in un dividendo più alto che sia possibile, ai comperistì, fino dal 1257, era invece assegnato un interesse fisso. Malgrado tutto ciò si deve riconoscere che i consorzi dei creditori nelle diverse città italiane, hanno molti punti di contatto colle attuali società per azioni. Esse erano organizzate a Genova fino dal 1274 sotto la direzione di consoli, a Pisa sotto quella di partitores nominati dagli stessi creditori nel (1) Hopf, pag. 325. (2) Si deve convenire colle idee di Lehmann, pag. 1S-21 contro Gold-schmidt, pag. 295, che chiama la maona di Chio « un’ associazione per azioni ritenuta per la più antica ». proprio seno. Inoltre fino dalla istituzione dei protettori nel 1323 i creditori dello Stato genovese formavano un’associazione con diritti propri. I participes che avevano già avuto mano alla nomina dei consoli, nominarono i primi procuratori senza intervento dello Stato, e alla loro presenza doveva aver luogo la nomina dei futuri protettori. Se più tardi i protettori si completavano mediante coopzione , dobbiamo considerare che questa forma della costituzione, corrispondeva allora esattamente a quella dello Stato (1), e con ciò si mantenne il principio della delegazione dei poteri da parte degl’ interessati. Come il governo in questioni gravi non poteva agire da sè, ma doveva assicurarsi prima l’adesione del parlamento, così i protettori, per questi casi, si facevano rilasciare dai participes speciali facoltà (2). I protettori agivano per incarico ed in rappresentanza della compera o della maona e di tutti gli interessati (3). Essi esercitavano i diritti di questi in giudizio e nei rapporti col governo, e appianavano le liti che nascevano fra di loro (4). I consorzi dei creditori dello Stato di Genova, non solo ci presentano una buona costituzione perfezionatasi di poi (1) L 'officium gazarie e mercantie si completavano nello stesso modo. (2) « Protectores convocatis multis participibus comperarum dicti capituli, ex quibus coinparuerunt infrascripti... ». La proposta dei protettori viene accettata con 38 contro 18 voti. 1454. Lib. contr. 82o\ « In pre-sentia voluntate et consensu nobilium et prudentium virorum G. Squarciatici! prioris (seguono i nomi degli altri 7) protectorum et procuratorum omnium et singulorum participum diete Mahone (Cypri) habentium ad hec et alia quamplurima plenum et sufficiens mandatum, potestatem ba-liamve ». Lib. contr., fog. 27. (3) « Protectores comperarum capituli agentes nomine et vice dicti capituli et dictarum comperarum sive per se et participibus suis ». 14!^, Reg. comp. cap. fog. 348. (4) Div. Reg. 501, 20 dee. 1403 : « ipsi quatuor ut protectores officiales et magistratus dicte nove Mahone Cypri possint omnia et singula agenda dicte mahone nove et participum ipsius explicare et jus inter ipsos participes, prout ipsorum protectorum, officialium et magistratus incumbet officio, ministrare ». ——————- — 223 — nelle compere di S. Giorgio, ma ci forniscono pure 1’ idea di una responsabilità limitata alla propria esposizione (i). Prima di tutto le compere si avvicinavano alle nostre società per azioni, per il fatto che l’interesse pattuito non era mai pagato ai comperisti nè regolarmente nè per intero, per modo che ricevevano un dividendo variabile a seconda del- 1 incasso che si effettuava sulle imposte assegnate. Vedemmo poi che, come i dividendi, anche il corso dei loca alzava e ribassava e come perfino 1’ oscillazione dei corsi stessi dava luogo a speculazioni contro le quali Venezia dovette emanare leggi speciali (2). Senza dubbio possiamo qui ravvisare i caratteri delle compagnie per azioni. Anche la Compagnia olandese delle Indie orientali del 1602 non era ancora una Società per azioni, nel senso in cui oggi l’intendiamo (3) ; ma mentre 1’ organizzazione delle compere italiane non ebbe grande influenza sullo sviluppo del diritto delle società (4), le Compagnie olandesi segnarono il punto di partenza del diritto delle azioni. (1) « Ita quod presens obligatio ad bona que habent ultra et extra dictam Mahonam, non intelligatur excedere ». Contratto fra il re di Cipro e la Maona di Cipro, 1391. Genova, Arch. Stato, Membr. 8 (7), fog. 250. Secondo ciò Lehmann pag. 53, dev’essere rettificato. Un impegno della maona risultò p. es. il 10 nov. 1376, quando il duca d’Angiò domandò risarcimento di danni per merci catturategli dalla flotta genovese di Cipro. Divers. notari, 104, (2) I fatti da noi citati contraddicono l’opinione di Lehmann, pag. 25, che gli abusi del commercio delle azioni, nei loca comperarum nou abbiano avuto luogo. Confr. Giustiniani, Ann. fog. 25Sb. La sommossa del 1506 fu attribuita da alcuni agli speculatori al ribasso, i quali speravano, che il corso dei loca dovessero ribassare in causa del tumulto. (3) Lehmann, pag. 29 e 44. (4) Confronta le associazioni di capitali citati dal Rezasco alla voce monte e per contro Peri, Il negoziante, pag. 235 e 236. Fine della prima parte. ■ - - - „ - W wwwwvww>y vy \y \y V, APPENDICI Genova, Arch. di Stato, Notaro Federicus de Sigestri 1225-29> pag-- 26, 16 Settembre 1228. Andrea, Marchese di Massa, investe dei diritti viscontili in Genova Simon e Lanfranchinus de Carmadino, i quali in cambio devono prestargli giuramento di fedeltà. Dominus Andreas marchio de Massa investivit cum clamide cendati quam habebat in manu , Lanfranchinum filium Symonis de Carmadino (nomine patris sui dicti recipientem) de eo quod Ido de Carmadino pater quondam dicti Symonis tenebat pro feudo a patre dicti Andree et antecessoribus suis et ab ipso Andrea in porta Janue, in vicecomitatu, ripa, leuco et macello quantum pro parte que contingit de dicto feudo de iure eidem Symoni nomine, honorabilis et recti feudi ; eo pacto , quod dictus Symon infra menses III post adventum suum in Janua vel in districtu de viagio in quo est, se pre-sentet coram dicto marchione vel comitissa aut filiis suis vel domino Cunrado pro facienda sibi fidelitate modo quem vas-sallus domino facere debet. Et si forte dictus Symon decessit Alti Società Ligure Storia Patria, Voi. XXXV. — 2 20 — vel decederit antequam Januam ridiret, ipse Lanfranchus teneatur presentare se coram dicto marcinone vel comitissa aut filiis suis vel domino Cunrado pro facienda sibi dicta fidelitate, si esset illius etatis qua fidelitatem facere posset, et si non posset facere eam, teneatur facere fieri fidelitatem duobus a-micis suis qui essent boni et ydonei. Quod si non xaceret i-dem Symon, dicta investitura facta sit innutilis et pro nulla habeatur. Et promisit idem marchio eidem Lanfrancho nomine dicti patris recipienti dictum feudum defendere et auct(orizare) sibi et heredibus suis per se suosque heredes et non impedire sub pena dupli de quanto contrafecerit vel contrafactum fuerit et sub obligatione bonorum suorum. Actum Janue in domo Cunradi albergatoris die XVI Sept. parum post nonam, lestes Ansaldus Embronus et Enricus Embronus et Obertus Advocatus et Oto de Nigro et Enricus Rubeus. Genova, Arch. di Stato, Notarii diversi, 9 Settembre 1200. Menzione d’una colletta imposta per compagne. Ego Angelotus de Cafara confiteor accepisse a Cunrado filio quondam Ricii libr. XXIII x/2 denar. Janue ex collecta den. AX prò libra, que erant super me scripte ad recipiendum in compagna Machagnorum per Wilielmum Tornellum et Fredericum de Albiciis, quas tu Rollandus cognatus pre-dicti Cunradi mihi fecisti numerare et dare pro eodem Cunrado et de ipsis me bene quietum et solutum voco renuntiando exceptioni non numerate pecunie et omni alii exceptioni promittens de cetero nullam requisitionem per me aut per alium a-liquo modo facere. Actum intra domum predicti Angeloti. lestes Lambertus Guardator, Obertus Grossus ferrarius, Do-noanus Pertus. i. rattasi d’ una colletta di 20 denar. (forse devesi leggere 2 den.) per lira, cioè d’ una colletta sulle sostanze , che però venne imposta come prestito forzoso, così che i singoli importi scripti sunt ad recipiendum. L’imposta ha luogo per compagne. Può darsi che Willielmus Tornellus e Fredericus de Albiciis fossero collettori ed amministratori del prestito forzoso. Angelo de Cafara era inscritto .come creditore nel cartolare del prestito forzoso per L. 23 l/2. Forse egli pagò l’imposta per Conradus q. Ricii, dal cui cognato Rolando viene ora rimborsato. — 228 — III. Genova, Arch. di Stato, Notaro Joh. Vegius I (i235-53), pag. 45, 8 Aprile 1237. Le spese del Comune. Nos Rubaldus Albericus et Petrus Auria et Rubaldus A-vionus qui fuimus electi cum Enrico de Nigro secundum formam capituli facti de assignatione reddituum communis assignandis octo nobilibus existentibus nunc pro dicto communi pro solvendis castellanis et officiariis communis, assignamus vobis Alinerio Panzano et Enrico Baracino ex octo nobilibus pro communi recipientibus pro vobis et sociis vestris de redditibus dicti communis qui ascendunt secundum rationem inde factam et scriptam manu Ambrosii scribe libras viginti septem milia trecentas quinquaginta novem et solidis XI, de quibus pro labore portus et ripe consignantur libre DCCCLXXXV et consulibus maris libre X pro solvendis mutuis communis et gabellatoribus Septe et castellarne Bonifacii secundum formam « teneamini » facti per potestatem precedentem pro quarto de redditibus libre V XXXVIII sold. XVI den. duo; sunt omnes libr. XV DCCCXXIII sold. XVI den. II (1) et remanent de redditibus supradictis libre XI CXXXV sold. XIV den. X (2), de quibus invenitur datum esse in expensis communis sive officiariis et custodia castrorum libre MLIII (1) Primo errore di calcolo L. 885 + » 10000 + » 5038 sol. 16 den. 2. = L. 15923 sol. 16 den. 2, non 15823. (2) Secondo errore di calcolo: L. 27359 s°ld. 11 — » 15823 sold. 16 den. 2 = L. 11535 sold. 14 den. 10 non L. 11135 sold. 14 den. 10 — 229 — sold. XVII, restant pro solvendis castellaniis et officiariis libre X LXXXII (i) et vos debetis pro castellaniis et officiariis lib. X DCCXXXI sold. VI, et sic invenimus quod deficiunt pro solvendis castellanis et officiariis lib. DCXLVHII sold. VI (2), quas vobis assignamus in eo quod superfuerit in quarto supradicco a solutione gabellatorum Septe (3) et castellarne Bonifatii. J.estes Petrus Elephans, Guillelmus Bocconus et Guillelmus Oggionus et Placentia de Vultabio. Actum Janue in capitulo die VIIII Aprilis. (1) Terzo errore di calcolo: » L. 11135 — » 1053 sold. 17 = L. 10081 sold. 3 non L. 10082; fu dimenticato di sottrarre i 17 soldi; i 14 soldi e i 10 den. furono addirittura messi. (2) Dalla esattezza di questa sottrazione si rileva, che non si tratta di un errore di penna, ma bensì d’un errore di calcolo che nel processo.dell’operazione venne rettificato. (3) Qui potrebbesi anche leggere galeatorum, però da una proposizione poche righe più sopra risulta che devesi leggere gabellatorum. Sembra che si voglia alludere a quelle persone che incassavano il dazio a Ceuta e che poi ne versavano l’importo ai membri della maona di Ceuta. Questa partita d’uscita del governo genovese si spiega coll’ammettere, o che il governo genovese tenesse in propria mano 1’ amministrazione del dazio, ovvero che ai membri della maona, oltre a questo dazio , fossero concesse altre entrate. — 230 — IV. Genova, Arch. di Stato , S. Giorgio Membr. IV (5), fog. 253 b, 254, 271-74. Consolidamento della Compera salis. In nomine domini amen. Symon Bonoaldi, civis Anchone potestas Janue , et dominus Obertus Spinulla et ' dominus 0-bertus Aurie, capitanei communis et populi Janue, de voluntate et beneplacito Antianorum et consiliariorum more solito per cornu et campanam congregatorum nec non et ipsi An-, ciani et consiliarii nomine et vice communis Janue et prò ipso communi (examinata prius forma presentis instrumenti secundum formam capituli Janue et omni solempnitate que per capitula Janue requiritur, observata): Cognoscentes ad magnam utilitatem et comodum communis Janue pertinere, quod assignationes fiant de redditibus et in-troytibus communis Janue ex quibus satisfieri possit participibus comperarum salis seu illis personis que habent et repe rientur habere decetero in comperis salis, cum habere debeant libras octo quolibet anno pro quolibet loco secundum formam capituli Janue quod incipit: « Juro egopotestas et quilibet rector communis Janue qui sunt vel tempore fuero quod, ego solvam etc. », et ad ipsam solutionem teneantur commune et rectores Janue secundum dicti capituli formam — atque super assignatione facienda proposuerunt sapientes qui super hoc tractare deberent, qui in formam infrascriptam tractaverunt et assignationem faciendam esse et fieri debere consu-lerunt. — Viso dicto tractatu et illo exposito prius ad consilium An-cianorum et subsequenter ad consilium generale ordinatum et stabilitum fuit per utrumque consilium dictum tractatum observari debere et assignationes faciendas esse et promissiones in omnibus et per omnia prout in dicto tractatu continentur — et volentes ea que cum tam grandi solempnitate ordinata sunt observarer Statuerunt et ordinaverunt predictum tractatum et omnia et singula que in ipso continentur observari perpetuo debere et ex nunc assignaverunt predictos redditus et de quibus in ipso tractatu fit mentio et quemlibet ex eis et quidquid ex eis percipietur, solutionibus faciendis participibus ipsarum com perarum vid. omnes introytus et proventus dictorum reddituum videi, omnia que percipientur et habebuntur ex illis et quolibet illorum a festo purificationis beate Marie proxime venturo in antea, ita quod ipsi redditus et proventus ipsorum pertineant et sint assignata ad dictas solutiones faciendas quantum pro tempore procedente a dicto festo in antea secundum dicti tractatus formam. Et etiam volentes dictum tractatum observare et adimplere promiserunt ipsi potestas, capitanei, antiani et consiliarii nomine et vice communis Janue vobis Petro de Nigro judici et Guillelmo de Savignono stipulantibus nomine et vice o-mnium et singulorum qui in dictis comperis recipere debent et per tempora recipere debebunt, in omnibus et per omnia attendere complere et observare prout in ipso tractatu continetur et non diminuere nec diminui facere nec diminui permittere aliquo modo vel ingenio aliquid de hiis que in dicto tractatu continentur et scripta et ordinata sunt, sed ipsum tractatum firmum et illibatum observare et observari facere et nullam personam in contrarium attentare volentem audire et si in aliquo contrafieret, promiserunt nomine et vice communis Janue vobis stipulantibus nomine omnium et singulorum participum dictarum comperarum nomine pene libras decem milia boni argenti ratis manentibus omnibus et singulis que in dicto contractu continentur et proinde bona communis Janue omnia et specialiter dictos redditus pignori obligarunt. Et ad maiorem cautelam ipsorum participum et ut satisfiat voluntati ipsorum, Pisanus executor communis Janue de mandato dictorum potestatis, capitaneorum , antianorum et consi Hariorum in anima ipsorum tactis scripturis corporaliter in o-mnibus et per omnia attendi (promisit) per ipsos et successores suos et commune Janue prout suprascriptum est et in ipso tractatu continetur. Salvo et reservato semper illis qui mutuaverunt communi gratis et amore , omni jure eis et cuilibet competente siquid habent vel eis competit in dictis duobus denariis maris assignatis dictis comperis ut in dicto contractu continetur quantum est usque in quantitatem quam recipere debent. Cuius tractatus forma talis est: Petrus de Nigro , Symon Tartaro , Bonifacius de Volta, Lanfranchus Pignollus et Marchisinus de Cassino ellecti super videndo et disponendo et ordinando qualiter possit comodius et melius satisfieri participibus comperarum salis qui habent in ipsis comperis salis et ne ipsi participes habeant materiam conquerendi et cotidie instandi potestati et capitaneis super solutionibus comperarum, et qualiter satisfieri possit tam magnis quam mediocribus et minoribus viduis et orfanis habentibus in ipsis comperis equaliter et sine onere communis Janue et ne cotidie occasione faciende solutionis de ipsis comperis mutua imponantur: Primo examinata ratione ipsarum comperarum que sunt in summa libre trecente decem et septem milia quinquaginta quatuor, de qua summa diminuuntur infrascripte quantitates que sunt scripte super infrascriptos, videlicet super commune libr. quatuor millia sexcente triginta octo, super Fredericum de Flisco lb. triamillia trecente viginti quinque , super Nicolaum de Flisco lb. octingente viginti octo , super Boarellum de Grimaldo lbe. centum, super Catalinam uxorem Gabrielis de Grimaldo lb. mille , super Lucham de Grimaldis nomine Alterixie filie quondam Jacobi de Bissanne lb. quadringente sexaginta una, super Scoerginam uxorem Luce de Grimaldo lb. ducente viginti quinque, super Thomaynum de Grimaldo libre quingente, super heredes Bonifacii de Vivaldo lib. quadringente octuaginta octo, super Petrinam uxorem Lanfranchi de Grimaldo lib. septingente nonaginta octo et sunt in summa libre duodecim millia trecente sexaginta tres. Et sic restant libre trecente quatuor millia sexcenta nonaginta una que ascendunt ad rationem de libris octo pro centenario in anno lib. XXIIII CCCLNXV s. IIII quas habere debent participes hodie debentes recipere ex dictis comperis. lractant pre&icti tractatores quod per potestatem, capita-neos , antianos et consilium generale assignentur participibus dictarum comperarum seu aliqui pro ipsis in consilio generali certi redditus de quibus possit satisfieri quatenus omni anno ipsis participibus de tribus in tribus mensibus, secundum quod fieri eis debet solutio vel fieri consuevit ad rationem de libris octo pro quolibet loco et specialiter ex forma capituli quod incipit « Juro ego potestas et quilibet rector communis Janue qui sum vel pro tempore fuero quod ego solvam ». Et tractant quod ad ipsam solutionem faciendam assignentur predictis participibus illi soldi sex de qualibet mina salis que de cetero vendetur in cabellis communis seu alienabitur vel transferetur in Januam et de Monacho usque Corvum qui non sunt assignati per commune , cum solummodo assignati sint ex sol. XII cuiuslibet mine salis sol. VI et sic restent communi sold. VI, qui assignati non sunt ; ita quod dicti sold. VI assignentur dictis participibus et consuli seu consulibus eorum qui pro tempore fuerint vel fuerit, de omnibus et singulis ga-bellis Janue et districtus et riperie Janue percipiendis eo modo et forma quo et qua percipiuntur et percipi consueverunt per commune, et videtur eis quod ex illis sold. VI facta deminutione de eo quod minus percipitur de gabellis Varagmis, Nauli, Finani, Ventimilie et de eo quod datur occasione dicte gabelle Linarii et etiam occassione expensarum faciendarum circa salem exonerandum , vendendum et mittendum et de pecunia que datur domino archiepiscopo Janucnsi, percipientur et habebuntur omni anno circa lib. XV. Ita quod in dicta assignatione non cedat gabella Illicis sed remaneat communi Janue. Item quod assignentur eis duo den. maris et jus habendi et percipiendi et colligendi dictos duos denarios annuatim qui ascendent ut creditur lb. sex millia in anno, et Introytus carnis et casei scilicet tres partes cum quarta pars sit assignata mutuis, et ascendunt dicte tres partes lb. II vel circa; et assignentur dictis participibus Introitus olei tres partes que que ascendunt circa lb. DCCCC, V, — 234 — Item introitus infrascripti vid. den. VI ex den. VIII malatolte potestatie Vulturis qui ascendunt lb. LIII s. V, Introitus canne pro tribus partibus et ascendunt ipse tres partes lb. DCCLXXIII s Den. VI potestatie Clavari ex introitu den. VIII et ascendunt lb. LXXXXVI, Gombetum potestatie Clavari lb. XXXVIIII, Introytus Frascarii lb. XVII, Den. sex octo denariorum potestatie Rappalle lb. XXXXVIIII s. XII d. VI, Cum gombeto den. VI ex den. VIII, et Gombetum potestatie Rechi lb. XV s. VIIII d. III, Introytus raibetarum lb. CCLXIII, Introytus ministrarie potestatie Vulturis lb. XXI, Introytus Marcarum lb. CCCXXV, Introytus pedagii Riparolie Introytus melis Introytus ministrarie potestatie Pulcifere Introytus cabanaciarum Den. VI octo denariorum potestatie Sigestri lb. XXXIII s. XV. Introytus gombeti dicte potestatie Introytus Pereti Introytus molendinorum casteleti Introytus ferri et alzarii Introytus pontoni Introytus ripe minute Introytus pedagii Portus Veneris Introytus ministrarie Bissannis Introytus quaranteni Introytus mulionum Introytus gombeti potestatie Pulcifere Introytus reddituum Vultabii Introytus Flaconi Introytus ball(arum) provincie Introytus roxi et murte Introytus curletorum lb. VII, lb. X, lb. XVI, lb. CCXIH; lb. XX, lb. XXXI, lb. cc, lb. LXXXXIIII, lb. CXI, lb. CCLXII, lb. MX, lb. XIII s. X, lb. DI, lib. LXIIII, lb. XIIII, lb. CLXXXIIII, lb. X, lb. XIIII s. X, lb. CXXXI, lb. XVII, — 235 - Introytus pedagii Vultabii lb. D, Introytus piscium quantum pro dimidia lb. LXXV, Introytus pedagii Gavii lb. DCCX. Et dicte assignationes fiant et facte intelligantur ita quod cedant et cedere incipiant redditus predicti in predictis solutionibus faciendis a festo purificationis beate Marie proxime venturo quod festum erit in MCCLXXV, in antea, scilicet incipiat cedere ad dictam solutionem faciendam in festo Sancti Blaxii proxime venturo ; ita quod si contigerit plus colligi vel haberi ex dictis introytibus quam ascendit summa eius quod solvitur'omni anno pro comperis, quod totum quod plus perciperetur et superfuerit factis solutionibus dictarum comperarum deleat pervenire ad commune et in utilitatem communis expendi et dari illis duobus qui constituentur super munitione castrorum et solutione servientium, pro facienda inde solutione secundum formam eorum officii non obstante dicta assignatione facta participibus ; hac vid. forma et modo quod ex eo quod percipietur et habebitur de dictis introitibus de primis tribus mensibus anni, fiat primo solutio ipsis participibus pro prima paga trium mensium, et quicquid supererit de dictis introitibus de eo quod habitum et receptum fuerit ex dictis mensibus tribus, detur et assignetur predictis duobus constitutis super munitione castrorum et sic fiat de singulis tribus mensibus anni, ita quod de eo quod percipietur de tribus mensibus post dictos tres menses, nihil possit diminui nec dari dictis duobus constitutis super munitione castrorum nec alibi expendi nixi primo facta solutione participibus de dictis tribus mensibus infra quos percipientur redditus et sic fiat et observetur de singulis quibusque tribus mensibus. Item tractant quod facta assignatione predicta potestas et capitani permittant et non impediant nec contradicant aliquo modo participibus habere consules seu consulem et scribam seu scribas qui consul seu consules colligant percipiant et habeant dictos introitus, et promittant commune et dicti pote- * stas et capitani et consilium et in eorum manu juretur quod dictum consulem vel consules seu dictos participes nullo modo — 236 — impediant nec de eorum officio se intromittant seu de dictis assignationibus, quominus dictos introytus habeant percipiant et distribuant ipsi consules vel consul inter participes omni anno quater in anno scilicet de tribus in tribus mensibus ad rationem de libris octo in anno pro quolibet loco computato loco in libris centum secundum quod eis per participes fuerit iniunctum vel secundum quod fieri consuevit vel secundum formam capituli supradicti, ita quod nullo modo qui dici vel excogitari possit, potestas capitanei seu aliquis magistratus vel rector possit impedire consulem vel consules supradictos, quominus dictos introytus percipiant et quominus dividant inter illos qui recipere debebunt per soldum et libram equa-liter et secundum quod superius dictum est, ita tamen quod quicquid superfuerit quibuslibet tribus singulis mensibus ad solutionem comperarum, integre assignetur et sine aliqua di-minutione et detur et solvatur per dictos consules duobus constitutis super munitione servientium pro solutione facienda per ipsos duos secundum formam eorum officii, ita quod nihil remaneat penes ipsos consules de eo quod superfuerit a solutione quorunlibet trium mensium secundum formam superius dictam, — imo ipsis consulibus seu consuli et participibus dabunt consilium et juvamen et operam efficacem ad hoc ut ipsi possint dictos introitus percipere et habere et omnia et singula supradicta facere et adimplere et executioni mandare et promittant quod de dicta pecunia nullo modo accipient vel accipi facient sed ipsam usque in dictam quantitatem libere colligere percipere habere distribuere permittant per consulem seu consules inter participes ut dictum est, et promittant e-tiam in dicto consilio quod si aliquid deficeret (quod absit!) in dictis assignationibus quia forsitan aliquo casu tantum ex dictis assignationibus percipi non possit seu non perciperetur, quod sufficeret ad satisfactionem dictarum comperarum, quod dabunt de pecunia communis aliunde et assignabunt ipsi consuli vel consulibus tantum quantum defficeret ita quod page fieri poterunt integraliter omni anno secundum formam pre-dictam. Qui consules et scribe eligantur hoc modo vid. quod ca- pitanei vocare debeant septem usque in novem ex participibus salis qua voluerint et ellegerint, quorum participum quilibet ad minus habeat in dictis comperis loca decem et quorum consilio et consensu eligantur dicti consules et scribe per dictos capitaneos. Et jurent dicti consules facere dictam solutionem dictis participibus secundum modum et formam supra-scriptam et colligere et percipere dictos introytus et redditus et de hiis facere secundum quod superius dictum est. Et qui erit consul uno anno, non possit esse consul nec habere illud officium in sequenti anno et scriba qui fuerit uno anno non possit esse in sequenti in eodem officio. Et de predictis fiat publicum instrumentum predictis participibus seu aliqui alii persone pro eis per dictos dominos capitaneos, antianos et consilium generale. Actum Janue in palatio heredum quondam Oberti Aurie in quo regitur, MCCLXXIIII Indictione prima die XVIII Julii inter tertiam et nonam. Testes Lanfrancus de Sancto Georgio, Bartholomeus de Fontemaroso et Guillelmus Stephani notarius. - 23s - V. Genova. Arch. di Stato, Sala 42, N. 1003. « Cartularium sententiarum latarum super introytibus et exitibus corc ulum comperarum capituli et gabelatorum per visitatores communis et capituli ». 1371, fol 25b, e seg'g. Ratio Gabrielis Catanei et Domenici Pezoni consulum officii comperarum salis anni de MCCCLXX. In nomine domini amen. Nos Valarianus Lomelinus et Dagnanus Gambonus, visitatores communis et comperarum capituli anni presentis de LXXI, visa examinata ac calculata ratione Gabrielis Catanei et Domenici Pezoni, consulum officii comperarum salis anni de MCCCLXX, ac viso cartulario ipsorum consulum de introytu et exitu scripto manu Bartolini Vegii, invenimus ipsos consules habuisse et recepisse atque dedisse et solvisse ut infra. Introytus dictorum consulum ut infra: Primo debent pro infrascriptis emptoribus infrascripto-rum introytuum assignatorum dicte compere in dicto anno. Videlicet pro Segurano de Guisulfis emptore introytus unius medallie maris computato sold. I den. per libram precii in summa : lb. IIIDCCLVIIII, Item pro -Nicolao de Goano emptore unius medallie maris computato s. I per libram precii: lb. IÌI DCCXXVII s. X, Item pro Vescunte Malagamba emptore introytus u-nius medallie maris computato s. I per libram pretii: lb. IÌI DC LXXXXVI, Item pro Vincentio Lomelino emptore unius medalie maris computato s. I per libram: lb. III D CC LXVIIII s. X, — 239 — Item pro Avidaro Cigalla emptore introytus unius medallie rippe grosse et pro eo in Nicolao Squarzafico comp. s. I p. lb. lb. E CXXVI s. V, Item pro Thoma Justiniano emptore introytus unius medallie rippe grosse computato s. I per libram pretii : lb. II XXVI s. XI, Item pro Cosme Lomelino emptore karatorum Peyre computato s. I per. lb. pretii: lb. IIII CCLXXXVII s, X, Item pro Nicolao Oberti notario- emptore introytus carnium et cassei et pro eo in Dagnano Maruffo computato s. I per libram pretii: lb. ì DLXXVIII s. X Item pro Julliano Tarigo emptore introytus unius me-dalie pancogolorum et computato s. I per libram pretii : lb. II DCCCCXXXX Item pro Nicolao de Caneto de Cassanova emptore introytus den. VI grani capituli computato s. I per lb. pretii: lb. fi DCCCCLXI Item pro Anthonio de Guisso emptore introytus den. VI vini computato s. I per lb. pretii lb. lì CCLXVIII Item pro Centuriono de Castro emptore introytus pedagii Gavii et Vultabii comp. etc. lb. I CCCCLXX Item pro Anfreono de Zoalio emptore introytus ollei computato etc. lb. I CCXXVIII s. X Item pro Germano de Casteliono notario emptore introytus rippe minute comp. s. I per lb pretii lb. Dcccxvnn Item pro Anthonio de Gavio notario emptore introytus lini comp, etc. lb. CCCLXVII s. X Item pro Lanzaroto Scorcia de Vultabio emptore reddituum Vultabii comp. lb. CCLXXVIII s. V Item pro Johanne de Spignano emptore introytus ca-stelleti comp. s. I per lb. lb. CCCLXXXXVIIII Item pro Badassalle de Zoalio emptore introytus ferri et azarii comp. etc. lb. CXX s. — 240 — Item pro Symone de Recho confectore introytus piatarum comp. lb. XXI Item pro Anthonio de Gavio notario emptore introy-tus grani et gombeti Bisannis et pro eo in Nicolao de Caneto et pro dicto Nicolao in Bartholomeo de Caveta de Cassanova comp. etc. lb. LXXIII s. X Item pro Bernabove sinistrario emptore grani et gom-beti Rapalle et pro eo in Nicolao de Caveto et pro dicto in Bartholomeo de Caveto de Cassanova comput. s. 1 Per lb. CXXVI Item pro Ambroxio Tannaerio emptore introytus unius denarii lombardiscorum comp. s. 1 per lb. lb. CCCCLII s. XI lb. XXXVIII CCCCLXXXXVI s. XVII (Fol. 26). Introytus Item debent pro Badasalle Vegio notario emptore introytus pontis et ponderis de Caffa et pro eo in Stephano de Lissorio et dicto Stephano in Conrado Mazurro computato etc. lb. Ì LXXI Item pro Anthonio de Gavio notario emptore introytus grani et gombeti Sigestri et pro eo in Nicolao de Goano computato s. I per lb.: lb. LII s. X Item pro Anthonio de Clavari emptore introytus gombeti Clavari de MCCCLXX: lb. XXXX Item pro Anthonio de Crestiano consule comperarum salis de MCCCLXVIII : lb. CCII s. XI d. VIII Item pro Raffaele Maruffo collectore embolorum de MCCCLXVIII: lb. CCX s. XIIII Item pro Colombo Bestagno consule officii comperarum snlis de LXVII : lb. III s. XIII d. III Item pro Colombo Bestagno et Johanne Octaviano superstantibus officii ceche de MCCCLXX: lb. L Item pro Georgio de Via notario fidejussore Andree Capsicii participis molendinorum casteleti de LXVIIII: lb. XX s. XVI d. II — 241 — Item pro Johanne Honesto fidejussore pro quarta paga Janoti de Paverio emptoris unius medalie maris de LXVI: lb. XXVII s. XV d. X Item pro Nicolao de Canicia olim gabeloto gabelle salis Rapalle de LXVIII: lb. LUI s. X d. VI Item pro Cosmaelle de Laurentio olim gabeloto gabelle salis Saone de LXX: lb. LVII Item pro Rizardo Squarzaficio olim consule comperarum salis de LXVIII : lb. XXXX s. XVIIII d. VIII Item pro Pasquaroto Ususmaris olim gabelloto gabelle salis Saone de LXVIII: lb. XV s. XIII d. III Item pro Thoma Ravascerio olim gabeloto gabelle salis Finarii de LXVIII: lb. XVIII Item pro Nicolao de Goano de Clavari olim gabeloto gabelle salis Clavari de LXVIIII : lb. CCCV s. XVIII d. im Item pro Leonardo Picamilio debitore pro cartulario debitorum officii visitatorum de MCCCLXVIIII: lb. CCCCLXXII s. VIII Item pro Thome Justiniano et socio olim consulibus officii comperarum salis de LXVIIII: lb. II LXXXXV s. i d. VII Item pro Anthonio de Magdalena gabeloto gabelle salis Diane de LXVIIII et LXX: lb. CCCLXXXVH s. X Item pro Bartolomeo de Struppa olim gabeloto salis Janue de LXVIIII: lb. ÌI DCXXVIII s. X Item pro Georgio de Romeo olim gabeloto gabelle salis Spedii MCCCLXVIIII: lb. DCCCXVII s. II d. X Item pro Anthonio Marescarcho olim gabeloto salis Saone MCCCLXVIIII : lb. II XX s. XI d. I Item pro Mauro de Nigro olim gabeloto gabelle salis Albingane de MCCCLXVIIII : lb. f CCLXXXX Item pro Meliano Salvaygo olim gabeloto gabelle salis Saone de LXVIIII in summa: lb. DCCXXX Item pro Nicolao de Belengerio gabeloto salis Finarii de MCCCLXVIIII in summa: lb. ì LX s. XI d. III Atti Società Ligure Storia Patria. Voi. XXXV. 18 Item pro Georgio Milaneysse de Portu Mauricio debitore in cartulario debitorum de LXVIIII quod est penes officium visitatorum: lb- LI s- V Item pro Lombardo de Vivaldis et socio superstantibus ceche de LXVIIII : lb. CCLXV s. - d. II Item pro Anthonio de Bartolomeo gabeloto gabelle salis Sygestri de LXX: lb- CCX Item pro Segurano judice de Diano cabeloto Portus Mauricii de MCCCLXVIIII gabelle salis: lb. CCCVIIII s. XVIIII d. vini Item pro Enricho Parente et Andriollo Cialia de Naulio nomine communis Naulii pro gabella salis Nauli: lb. CCCCXXX s. XVI d. VIII Item pro Petro de Casubiana gabeloto salis Sigestri de LXVIIII: lb. CLXII s. XVIII d. VIIII Summa lb. XV CII s. IIII d. VIIII F. 26 b. Introytus dictorum consulum. Item debent dicti consules comperarum salis pro Segurano Lercario olim gabel. salis Janue de MCCCLXVIIII: lb. CCCCXX s. V d. X Item pro Gandulfo Homodei de Varagine olim gabeloto gabelle salis Varaginis de LXVIIII: lb. ! CCCXXV s. XVIIII d. VIII Item pro Gandulfo gabeloto dicte gabelle Varaginis anni LXX in summa: lb. HI CCCCXXV Item pro Valarano de Auria gabeloto salis Spedie de LXX in summa: lb. II DCCXXVIII s. XV Item pro Johanne de Mauro olim gabeloto gabelle salis Tabie de LXVIIII: CCL Item pro Murichio de Paxano olim gabeloto gabelle salis Saone de LXX : lb. V DI s. X d. IIII Item pro Lancogio Moro gabeloto gabelle salis Ven-timilii de LXVIIII: lb. CVII s. V d. VI Item pro Anthonio de Jugo gabeloto gabelle salis Vulturis de LXVIIII: lb. CXXXVIII — 243 — Item pro dicto Anthonio gabeloto dicte gabelle salis de MCCCLXX : lb.......... Item pro Nicolao de Manicha olim gabeloto gabelle salis Clavari anni MCCCLXVIIII: lb. CCCCXXXXVI s. VII d. VI Item pro centuriono de Castro olim gabeloto gabelle salis Saone de LXX: lb. V CCCXXIII s. XV Item pro Galeoto Grillo gabeloto gabelle salis Janue de LXX : lb. iUI CCCCLXXXXVII s. XIIII d. III Item pro Danielle de Nigro olim gabeloto gabelle salis Vulturis de LXVIII: lb. LXXXVI s. XIIII Item pro Lanfrancho de Guisulfis consule et collectore embulorum et terraticorum de LXX: lb. CCCXXXXVIIII s. XVIIII d. I Item pro Johanne Honesto olim exactore et collectore condemnationum anni de LXX : lb. LX s. XVI d. XI Item pro Heustacho Marencho de Novis pro sale Ga-leoti Ususmaris habito, prout continetur in cartulario introytus et exitus dictorum consulum in CLXXXII: lb. CCCXI s. V Item pro Niccola de Axereto de Recho gabeloto salis Rechi LXVIIII: lb. LXXIH d. XI Item pro Jacobo de Costa gabeloto salis Rappalli de LXVIIII : lb. CLXIIII s. XVIII d. VIIII Item pro Anthonio de Goano gabeloto gabelle salis Rechi de LXX: lb. CCCXXXV Item pro Anthonio Vescunte gabeloto gabelle Vinti-milii de LXX : lb. L Item pro Bartolomeo de Claparia de Clavari gabeloto gabelle salis Clavari de MCCCLXX: lb. Ì Item pro Percivalle Curilo gabeloto gabelle salis Al-bingane anni LXX: lb. II CVII s. XVI Item pro Tadeo de Cavallo gabeloto gabelle salis Portus Mauricii de LXX: lb. CCLXII s. X Item pro Domenico de Cruce olim gabeloto gabelle salis Finarii de LXX: lb. I CLI s. I — 244 — Item pro Bartolomeo de Campomero de Clavari debitore pro gabella salis Clavari de LXVII tamquam gabeloto ut apparet in cartulario debitorum de LXVIIII in carta XXVII: lb. V s. XV Item pro Bartolomeo de Marcho gabeloto gabelle salis Janue de LXX: lb. IIII DCLVIIII s. VIIII d. I Item pro Franco Osello gabeloto gabelle salis Tabie de LXX: lb. CCCC Item pro Nicolao Panzano collectore introytus den. octo canne de MCCCLXX non venditi: lb. CCLXXXXIIII s. XVIIII d. V Item pro Ugolino de Iohanne unde nobis in cartulario debitorum de LXVIIII in carta CCXXX : lb. IIII s. VI d. VIII Item pro Johanne Sacho pro cartulario diversorum negotiorum de LXX in carta CCLVII: lb. LXXX s. XVIIII d. II Item pro Anthonio de Flischo bancherio pro cartulario diversorum negotiorum de LXX in carta LVI: lb. CXXXIII s. IIII Item pro Bartolomeo de Camulio bancherio pro dicto cartulario diversorum negotiorum et in dicta: lb. XXV s. V Item pro introytu floreni auri prime et secunde dationis in summa pro floreno: lb. ì DCC XXXXIIII s. IIII Summa lb. XXXVII CCCC LX VIII s. XIII d. I lb. XV C II s. IIII d. VIIII lb. XXXVIII CCCC LXXXX VI s. XVII Summa summar. lb. LXXXXI LX VII s. XIIII d. X dicti introytusJ Item MCCCLXXII die XXVIIII Jan. pro Raffaele de Orto bancherio de cartulario diversorum negotiorum LXX in carta LII : lb. XXXX s. VIII Summa per totum dicti introytus lb. LXXXXI CVIII s. II d. X (f. 27). Exitus dicti Domenici consulis predicti De quibus dederunt et solverunt sive ipse Dominicus Pezonus consul antedictus dedit et solvit ut infra. Primo in solutionibus factis participibus compere magne salis de quatuor compagnis de versus castrum prout invenimus in dicto cartulario in summa: lb. Vii CCXXVIIII s. — d. V Item in solutionibus factis participibus dicte compere ut vidimus contineri in cartulario quatuor compagnarum de versus burgum in summa: lb. Xlm DCCCCXXV s. xvni d. I Item in solutionibus factis participus compere gazarie in summa : lb. WtT CCLVIII s. IIII d. III Item in solutionibus factis participibus compere lb. XXXX grani in summa: lb. ì DCCLXVIII s. X d. VI Item in solutionibus factis participibus compere lb. CLXXX in summa: lb. IÌI CCCIIII s. XVIIII d. VI Item in solutionibus factis participibus compere avarie de MCCCXIIII in summa: lb. CCXXXVII s. XV d. VIII Item in solutionibus factis participibus compere resi-diorum in summa: lb. LXXXX s. XII d. VII Item in consulibus comperarum S. Pauli de MCCCLXX vid. Babilano Bestagno et socio in summa: lb. XVI DLXXXVI s. XV d. VII Item in dictis consulibus ad complementum: lb. CLXIII s. XVI d. VIIII Item in consulibus S.cti Pauli de MCCCLXXI vid. Battolino Vegio et socio: lb. ì CCCCIIII s. X d. I Item in consulibus compere pacis anni LXX vid. Luchino de Flisco et Griffedo de Bennama in summa: lb. lì DCXXXVIIII s. VII d. VII Item in consulibus officii assignationis mutuorum de LXX vid. Anthonio Lomellino et socio: lb. IÌ DCXXXVIIII s. VII d. VII — 246 — Item in consulibus pacis de LXXI vid. Antonio de Gavio et socio: lb. CCXXXXII s. VI Item in consulibus officii assignationis mutuorum anno LXXI vid. Antonio de Crestiano et socio : lb. CCXXXXII s. VI Item in Galeoto Ususmaris: lb. ì DCVIII s. IIII d, V Item in navatis salis ut infra et prout in navata Lo-disii Italiani: lb. Ili CCCI s. XI d. V Item in navata Bernardi Semgor: lb. CCCCXXVIIII s. XI » Alberti Lercharii : lb. I LXIIII s. XVIII d- XI Constantini Logii: lb. Ì CCCLXXXXVIII s. XIII d. VIIII Petri Pichoni : lb. V CCCCXI s. XVII d. VIIII Oberti Squazaficii : lb. Ili CCCXXV s. XVIIII d. I Symonis de Sturiono : lb. Ì LX s. XVIII d. I Item in massariis communis Janue pro tertia parte de lb. XX assignatis regimini: lb. VI DCLXVI s. XIII d. IIII Item in salvatoribus portus et moduli de MCCCLXX: lb. DLV s. XI Item in avariis salis eid. pro pensione voltarum cana-baciarum pro sachis, salario Januyni de Pissina et guardi is in summa: lb. CCCCLXXXXV s. XV d. IIII Item in expensis sive avariis cartulariorum : lb. XXVIIII s. VIIII d. VI Item in salariis consulum, scribarum et subscribarum et nontiorum duorum: lb. DXXXXVIII Item in officio protectorum et suce, pro certis solutionibus factis certis emptoribus introituum communis assignatorum comperis capituli pro partitis datis ut continetur in cartulario dictorum consulum introytus et exitus in carta CXXXIII in summa : lb. CLXXXVI s. XVI d. VI summa lb. LXXXVI DCCXVII s. X d. VIII — 247 — f. 27 b. Item dederunt et solverunt ipsi consules in officio protectorum pro pluribus et diversis expensis prout apparet in cartulario dictorum consulum in carta CXXXV: lb. DXXXVIII s. X d. III Item in officio visitatorum de MCCCLXX pro certis solutionibus factis de eorum mandato, ut continetur in car- • tulario ipsorum consulum in carta CXXXIV: lb. CCCLXXXVI s. XI d. V Item in officio visitatorum et succ. pro Panollo de Mediolano lb. XXV Item in officio visitatorum MCCCLXXI et succ. pro Dagnano Gambono uno ex visitatoribus pro suo salario: lb. CXXV Item in salasio Johannis de Levi et Andri olli de Gri-maldis officialium constitutorum super dando et recipiendo sale LXX et pro salario Anthonii de Riparolio notarii et eorum scribe lb. CCC Item in consulibus officii comperarum salis anni pre-sentis de MCCCLXXI vid. Petro de Monelia et socio in summa lb. ÌDCCXI s. 11 d. X Item in Guideto de Bracelis notario et statutario com- -munis et succ. pro suo nomine posito ad florenum: lb. I s. V Item MCCCLXXII die XII febr. in Johanne Pezono et pro eo in Anthonio Grillo bancherio , unde nobis in cartulario diversorum negotiorum officii visitatorum de MCCCLXXI in carta de CCLVIII: lb. CL Item die XIII februarii in Dagnano Gambono et pro eo in Lodisio de Vivaldis bancherio in cartulario diversorum negotiorum de LXXI in LXXII : lb. CC Item in Guidoto de Bracelis notario, unde nobis in cartulario debitorum de LXVIÌII in carta XXXXVIIII: lb. V Item in Conrado de Oppiciis de Monellia et succ. pro eius provisione tamquam constituto ad faciendum cocqui-sitionem sive procuramentum salis inter comperas et navatas vid. pro LXVIIII, LXX ad rationem de lb. XII s. X in anno lb. XXV Item die XVIII Februarii in Petro Re speciario et V pro eo in Bartolomeo de Caveto et pro dicto in dictis consulibus salis vid. Petro de Monellia et socio in cartulario diversorum negotiorum lb. CCCXXXX Item die XXVII februarii in Dagnano Gambono et pro eo in consulibus salis de LXXI vid. Petro de Monellia et Guillelmo Bestagno in cartulario diversorum negotiorum officii visitatorum in LX lb. LXXXVIII Summa lb. Ili DCCC LXXX V s. VIIII d. VI lb. LXXXVI DCC X VII s. X d. VIII Summa summarum dicti exitus presentis rationis lb. LXXXX DC III s. -- d. II restant lb. D V s. II d. VIII Et sic videtur restare penes dictos consules lb. quingentas quinque soldos duos den. octo Januenses. Idcirco nos Valarianus et Dagnanus vixitatores antedicti visa et diligenter examinata dicta ratione dictorum Gabrielis et Dominici, prout melius videre et examinare potuimus, vigore baylie nobis vigore nostri officii attributa et omni iure, modo et forma quibus melius possumus, ad nostrum solitum banchum pro tribunali sedentes, Christi nomine invocato et semper deum habentes pre oculis et in mente per sententiam nostram dictos Gabrielem Cataneum et Domenicum Pezonum consules predictos, condempnamus et condemnatos esse pronuntiamus ad dandum et solvendum consulibus officii comperarum salis anni presentis vel futuros dictas lb. quingentas quinque sold. 11 d. VIII Jan. restantes ut supra de eorum consulatu , in quantum predicta ut supra vera sint et aliter apparere non possint et salvo semper errore calculi. A ceteris autem ipsos absolvimus et absolutos esse pronuntiamus. MCCCLXXII die XXVII febr. presentibus Julliano de Podio Anthonio Lomellino et Johanne Beffagno notario. Segue il bilancio delle entrate e delle uscite dei consules compere pacis e dei consules officii assignationis mutuorum. Dalle rationes introitus si può rilevare la somma delle gabelle assegnate alle compere. - 249 — VI. Firenze, Arch. di Stato, Dipi, luglio 1260. Copia d’un conto tratto dal « Liber Castre Gualfredi et sociorum eius de societate Burgensium » dal notaro Lot. For-magius « ad petitionem Scolai et Giuducci fratrum, filiorum Ranerii Vgilletti de mandato consulum mercatorum Callimale de Florentia ». Al nome di Dio Amen. Di guadagno e di buona ventura, ke dio ci dea. A indizione di MCCLIII in kal. luglio. MCCLVIHL Gualterio Dalborgo e Tuccio Saverigi, manovaldi de fanciulli di Rinieri Ugiellecti deo avere Libr. CXXXIII e sold. XIII e den. IIII in kal. Agosto per m(anum?) Maccio da la badia, pone a sua r(atione), ove de avere in qua nel MO. e deo avere per merito libr. XVI s. XI e den. Vili in fino a k. agosto del sessanta (1). Aver dato a Gualtieri e a Tuccio lb. CL e s. V in kal. agosto del sessanta, demoli a Gualtieri medesimo, pone ke de avere innanzi nel TT. (1) Interesse annuo 12 °/0. — 250 — TT. MCCLX. Gualtieri dal Borgho manevaldo de fanciulli di Rinieri U-gielletti de avere lb. CL e s. V in Kal. Agosto per Gualtieri medesimo (e) per Tuccio Saverigi, levamo ove doviamo avere in qua nel qq. e de avere lb. CCXXXVI e soldi XII questo die per Ser Arrigho Bonachorsi e per li compagni, pone ke deo dare in qua nel bb. Questa ratione donamo e ponemola da qui insuso in nuna soma, e quel die ke de avere qui di sopra, pone ke de avere ne libro novo nel ventitré carte, e tutte queste partite kae avute qui di soto ragguagliatele in nuno termine in soma, sono poste a pie de la detta r(atione) di sopra ne libro novo, sette dianzi kal. dicienbr. del LXI. Aver dato a Gualtieri libr. XII, quatordici di intrante a-gosto, a ugho Monaldi in sua mano venti soldi di fior per grano. aver dato a Gualtieri lb. IIII, undici di anzi K. oct. mandam oli a la moglie di Rinieri Ugiolleti. Aver dato a Gualtieri lb. V, undici di anzi Kal. Nov. per vino de fanciulli Rinieri Ugiellotti aver dato a Gualtieri sold. XXXII questo die de moli in sua mano per li panni de fanciulli di R. U. Avelli dato sold. XLIIII den. VII lo die di kal. febraio, disse kelli dava in nove staja di grano perii figliuoli Rinieri Uscielletti, porto Guiduccio fo del detto Rinieri. Seguono altri pagamenti, la somma del debito è di 128 lb. 17 sold. 11 den. a cui sta di fronte un credito di 386 lb. 17 sold. — 251 — VII. Genova, Arch. di Stato, Sala 41, N. 1. Massaria communis 1340. Bilancio delle entrate e delle uscite del Comune in scrittura doppia. Fol. ii9b. MCCCXXXXI die V Martii Commune Janue debet nobis pro ratione expensarum dicti communis in isto iri CCXXXVII: lb.LXlIT CCXXXV s. XVIII d. VIII I Item ea die pro ratione expensarum dicti communis in isto in CCXXXVIII: lb. IIII DLXXIII s. XI Item e? die pro ratione expensarum dicti communis in isto in CCXXXVIII: lb. III LXVIIII s. VI d. X Item ea die pro salario domini ducis pro mensibus IIII initis in hoc marcii proxime presentis de ratione dicti domini ducis in isto in CXXXIII : lb. MDCCLXXXIII s. VI d. VIII Item ea die pro Thome Morandi de Levanto in isto in XVII: lb. XX s. V Item ea die pro Iohanni de Murta in isto in XVIIII : lb. XII s. X Item ea die pro Lanfranco Dri-zacorne in isto in XVIIII: lb. LXXXV s. XV Item ea die pro Luchino de Facio in isto in XXXVI: lb. XXXI s. V Item ea die pro Albertino Ma-rocello in isto in XXVI : lb. XII s. X Item ea die pro Andrea de Santo Sisto in isto in XXVII: lb. LXXV Item ea die pro Benedicto de Varisio in isto in CCXXIIII: lb. XV s. II d. X MCCCXXXXI die V Marcii. Recepimus in Thobia Lavagio et sociis collectoribus cotumo-rum veterum in isto in III : CCII s. X Item ea die in Iohanne Spinula de Santa Lucha et sociis gabelleriis gabelle salis Janue de MCCCXXXX in isto in CLXIII: lb. III Item ea die in Iohanne Spinula de Santa Lucha uno ex dictis gabelleriis in isto in CLXXXII: lb. IIÌ CLXXXV s. XI d. V Item ea diè in Jacopo de Bar-galio alio ex dictis gabelleriis in isto in CLXXXV: lb. lì CCCCLIIII s. VIIII d. III Item ea die in Conrado de O-picis de Monelia in isto in CLXI: lb. LXXV Item ea die in dicto commune in alia sua ratione antea in isto in CXXIII: lb. XXXXVIII CCCXXV s. V d. III Item ea die in Iohanne de Pes-sina et sociis collectoribus coturni novi in isto in CXIIII: lb. XIII s. XI d. VII Item die VI Marcii in dicto commune in alia sua ratione unde nobis in alio cartulario novo de MCCCXXXXI in carta XXVIIII : lb. XVI CCLXXXV s. XVIII d. V Summa lb. LXX11I DXXXXII s. V d. XI ---- Item ea die pro expensis factis per dominum Egidiolum Bucca-nigram in eundo Clavarum et de Rubrica expensarum Tasarolii de ratione dicti domini Egidioli in isto in.....lb. LXXXVI s. VIII d. XI Item ea die pro salario nuntiorum XII officii XV de ratione dictorum nuntiorum in isto in CXX: lb. XXIII Item ea die accipiente Andrea de Finario notario pro expensis factis per ipsum in officio Magistrorum rationalium de ratione Dominici de Garibaldo in isto in CCXII : Fol. 123. MCCCXXXXI die V Marcii, commune Janue debet nobis pro alia sua ratione unde nobis in alio cartulario vetere de MCCCXXXVIIII carta CXXV : lb. VÌII DCCCCXXXX s. VI d. VII Item ea die pro alia sua ratione retro in isto in CXVIIII: lb. XXXXVIII CCCXXV s. V d. III Summa lb. LVU CCLXV s. XI d. X 252 — Item ea die pro Domenico de Garibaldo in isto in CCXXIIII et etiam pro eius salario pro mensibus quinque preteritis inceptis MCCC XXX VIIII die prima octobris et finitis die prima marcii MCCCXXXX : lb. LXII s. X Item ea die pro Petro Carpa-ragie castellano castri Speroni de Savona etc. (due partite illeggibili che devono importare lb. CCCCXXXX s. VIIII d. XI). Item pro Damino de Vulturo in isto in CLIII: lb. LXXII s. VI Summa scripta per totum lb. LXXIII DXXXXII s. V d. XI MCCCXXXXI die XXVIII Febr. Recepimus in dicto commune in alia sua ratione antea in isto in CLXXXXVII: lb. LI DCCCCLXXXI s. XVIIII d. XIIII Item ea die in dicto commune in alia sua ratione antea in isto in CLXXXXII : lb. IIII XXXXI s. II Item die V Marcii in Vando quondam Cosi de Illici procuratore universitatis hominum communis Illicis in isto in CLXXXXII: lb. CC Item ea die in Pascasio de fur-noto in isto in IIII: lb. MXXXXII s. X d. 1 Summa lb. LV1I CCLXV s. XI d. X lb. V Fol. 197. MCCCXXXXI die XXVIII Febr. Commune Janue debet nobis pro alia sua ratione retro in isto in CXXIII : lb. LI DCCCCLXXXI s. XVIIII ________ d> VIm Item ea die in Andrea Cucha-rello et sociis collectoribus dicti introitus in isto in CXII : lb. lì CCCCLV s. XIII d. III Item ea die in Johanne de Pes-sina collectore dicti coturni in isto in CXIIII : lb. IIÌI DCCCLXXXX s. VI d. VIII Item ea die in introytu sold. VIII pro qualibet mina grani et victualium in isto in CXXIII: lb. VÌI DCCCLI Item ea die in dicto commune in alia sua ratione retro in isto in CXXXXII : lb. DCCXII s. VII d. III Summa lb. LÌ DCCCCLXXXI s. XVIIII d. VIIII Fol. 196. MCCCXXXXI die XXII Febr. Commune Janue debet nobis pro alia sua ratione retro in isto in CLXXXXII : lb. IIII XXXV s. V d. VI. Item ea die in comiti de Co-lumbano de Beverino sindico et procuratore universitatis hominum de Beverino in isto in CLXXXX : ■ lb. XXXV Item ea die in sindicis universitatis hominum potestatie Rechi in isto in C LXXXXI: lb. CLXXXVIII s. VII d. VI MCCCXXXXI die XXVIII Febr. Recipimus in Anthonio Rubeo Macellario in isto in III : lb. XV Item ea die in Johanne Roveto in isto in III : lb. 1 s. V Item ea die in galea que fuit Filipi de Flisco in isto in X: lb. CCCCLXXXV s. XVI Item ea die in officio condemnationum in isto in XVII : lb. MLXXV Item ea die in officio Gazarie in isto in XXIIII : lb. CCCLXXX Item ea die in regimine civitatis Janue in isto in XXVIII : lb. XX Item ea die in Raflfo Cataneo et socciis collectoribus mutui novi in isto in XXXXVIII: lb. MCCLXVI s. VI d. VII Item ea die in Enrico Lecavel-loni et sociis collectoribus coturni novi in isto in CVIIII : lb. V VIIII s. I Item ea die in Franco Maruffo et sociis collectoribus dicti coturni in isto in CX: lb. V DCCCCLXXXIII s. XI Item ea die in Raffo Vicentio et sociis collectoribus dicti coturni in isto in CXI: lb. MDCCCLVI s. XIII MCCCXXXXI die XXXI Jan. Recepimus in commune Palodi in isto in CLXXXIIII: lb. LXII s. X Item ea die in Oberto de Ri-mezano et Ugolino de Clavaro sindicis et procuratoribus potestatie Clavari et Lavanie in isto in CLXXXVIII: lb. DC Item ea die in Enrigueto de Vil-lafrancha sindico et procuratore universitatis hominum de Villafranca in isto in CLXXXVIIII: lb. XXIII s. XV 254 — Item ea die in sindicis universitatis hominum communis Levanti in isto in CLXXXXI: lb. CC Item die XIIII Februarii solvente Guillelmo Ganducio sindico et procuratore universitatis hominum Carpate in ratione Franci communalis in isto in CCV: lb. LXXXXV s. XI d. VI Item ea die solvente dicto Guillelmo in Guillelmo de Casubtano potestati carpate in isto in CCXX: lb. VIII s. III d. VI Item ea die pro sindicis universitatis hominum de zigraculo in isto in CLXXXXI: lb. XXXVI s. VI Item ea die pro Oddone Travia et sociis Sindicis hominum communis Andorie in isto in CLXXXXI: lb. CCL Item ea die pro Enrigveto Storcia de Vulturo sindico et procuratore universitatis hominum de Vulturo in isto in CLXXXXI : lb. CCL Item ea die pro sindicis universitatis hominum potestatis cor-varie unde nobis in CLXXXXI : lb. LXXXXVIIII s. 2 Summa lb. IIII XXXV s. V d. VI Item ea die in Marencho de Cavigia sindico et procuratore u-niversitatis hominum de Rosigio-no in isto in CLXXXVIIII : lb. XXV Item ea die in Jacobo Mando-lano et Johanne de Raymondoto sindicis castri vuade in isto in CLXXXX : lb. CXXV Item ea die in Jacobo Albingo et Tadeo Bondino sindicis castri carpate in isto in CLXXXX: . lb. LXXXXVI s. V Item ea die in Leonardo Ugolini de Cornilia sindico Cornilie in isto in CLXXXX: lb. LXXXXI Item ea die in sindicis communis Arcule in isto in CLXXXX: lb. CL Item ea die in Guillelmo Barbano et Gabriele de Solarono sindicis et procuratoribus Quiliani in isto in CLXXXX: lb. CCLXXIIII s. XVIIII d. II Item ea die in Ottobono de Monterubeo notario quondam Jo-hannis sindico et procuratore u-niversitatis hominum montis rubei in isto in CLXXXX : lb. CLXXVIII Item ea die in Nicolao Majo-cho de Rapallo notario et Canevario de Canevario de plebatu Re-chanie et Johanne de Firuncio de Santo Ambroxio de Rapallo sindicis et procuratoribus universitatis hominum potestatie Ra-palli in isto in CLXXXX: lb. CCCCXXXXIII s. XI d. XI Item ea die in donino de Si gestro quondam magistri conradi collectore et procuratore universitatis hominum potestatie Sige-stri in isto in CLXXXX : lb. CLXXX Item ea die in sindicis universitatis hominum potestatie Carpine in isto in CLXXXX: lb. Item die XXXI Jan. Benevenuto de Abay de Vezano sindico Vezani in isto in CLXXXXI : lb. CXXII s. XIII d. XI (Fol. 123). MCCCXXXXI die XXVIII Febr, Introitus sold. VIII pro qualibet mina grani et victualium impositus pro Regimine et custodia civitatis Janue colligendus a die XVIII mensis Septembris ipsa die comprehensa usque ad annum u-num proxime venturum, traditus et deliberatus fuit in publica ca-lega per officium octo sapientium constitutorum supra provisione civitatis Janue et districtus Nicolas de Caveto notario particulariter et precio ut inferius continetur. Et qui introitus supradictus debet nobis pro commune Janue in isto in CLXXXXVII : lb. VÌI DCCCLI Fol. 192. MCCCXXXXI die XXVIII Febr. Commune Janue debet nobis pro alia sua ratione retro in isto in CXXIII: lb. IIÌI XXXXI s. 11 MCCCXXXX die XV Septembris. Recepimus in Nicolao de Caveto notario emptore denariorum III dicti introitus unde nobis in isto antea in presenti carta CXXIII: lb. IÌ Item ea die in dicto Nicolao emptore aliorum trium denariorum unde nobis in isto antea in presenti carta CXXIII: lb. MDCCCCXXXI Item ea die in dicto Nicolao Emptore aliorum trium denariorum dicti introitus unde nobis in isto antea in presenti carta CXXIII: lb. MDCCCCLX Item ea die in dicto Nicolao Emptore aliorum trium denariorum dicti introytus unde nobis in isto antea in presenti carta CXXIII lb. MDCCCCLX Summa lb. VÌI DCCCLI MCCCXXXI die XXII Febr. Recepimus in dicto commune in alia sua ratione antea in isto in CLXXXXVI : lb. IIII XXXV s. V d. VI Item die XXVII Febr. solvente Anfranco de Turre potestati Vezani pro nobilibus de Vezano in ratione Franci commu-nalis in isto in CCXX: lb. V s. XVI d. VI Summa lb. IIII XXXXI s. II — 2 56 — FoL I42\ _ , MCCCXXXX die VII Novemb. MCCCXXXXI die XXVIII Febr. Recepimus in Ugneto de Leone Comune Ianue debet nobis pro et sociis sindicis triorie unde no- alia sua ratione antea in isto in bis in isto in XVII: CLXXXXVII : ^ ,b_ xxn Si xni lb. DCCXII s. VII d. III jtem ea die in Guillelmo va- cha notario unde nobis in isto in XXIII : lb. CXII s. X Item ea die in Cuiiliotto Muno et Oddone Ameto sindicis communis Andoriein isto in XXVIII: lb. CXXVI Item ea die in sindicis portus Mauritii in isto in L : lb. LXVII s. X Item ea die in Franco vescunte de Saona sindico saone in isto in LVI: lb. CL Item ea die in Christiano Bonaventura potestate Bisannis in isto in LXV : lb. LXVIIII s. i d. VIIII Item ea die in Enricum Leca-vellum Raffo Vigoso, Jofìredo grillo et Raffo Vatacio officialibus super officio victualium in isto in LXVI : lb. VIIII s. XII d. X Item ea die in dicto commune pro alia sua ratione in isto in LXX lb. CXXVII s. XI d. Vili Item ea die in Oberto de Re-mezano de Clavaro in isto in LXXXVIIII : lb. XI s. X Item die XVII Nov. defferente Cristiano Bonaventura potestati Bisannis in ratione Dominici de garibaldo in isto in CXXXXIII: lb. V s. XVIII Summa lb. D CCXII s. VII d. Ili Altri conti di questo libro, sono dati da C. Desimoni, Cristoforo Colombo ed il Banco di S. Giorgio, Atti, XIX, 3, pag. 37 e segg. Doc. Ili e IV. Non esiste manuale di questo libro maestro ; mentre son conservati manuale e libro maestro del Banco di S. Giorgio degli anni 1408-1444. Desimoni dà alcuni conti tratti dai libri del 1408. Luogo citato, Doc. V. Vili. Genova, Arch, di Stato, Sala 42. Compera salis 6, fol. 101. Cart. M. Trasporto d’interessi nel libro del debito pubblico. Fol. 101. Aldina uxor quondam Bonva-salli de Borzoli lbs. ducentas lb. CC proventus dicti presbiteri ut continetur in alio. debet responderi petro de sancto urcisio draperio de lb. II s. XI Jan. ut continetur in alio. M0CCC°XXX0VI° die XXVI sept. debet responderi de pagis venturis simoni de corsio draperio de Ibis, duabus et sold. decem Jan. et hoc de mandato et voluntate presbiteri presentibus Juliano de Turre et conrado de credencia notariis. die XVIIIo madii. Eidem (se. pagate sunt) acci-piente presbitero domenicho cappellano sancti Laurentii et collectore canne: lb. II s. X Item die tertia Junii accipiente petro de sancto urcisiò: lb. II s. XI Item die XXIo Julii accipiente dicto presbitero domenicho et collectore cane: lb. II s. X Item die Vili Februarii accipiente simone de Corssio in se ipsum: lb. II s. XVIII d. IIII. INDICE Poche parole del traduttore, pag. IX-XI. Prefazione dell’autore pag. XIII-XVIII. Fonti e letteratura pag. XIX-XXXI. Capitolo I. — Genova sotto it dominio illimitato della nobiltà fino all’anno 1257. Prime notizie di Genova, dominio e diritti dei marchesi pag. 3-6. I visconti e le tasse da essi percepite pag. 6-14, II Comune tende ad emanciparsi appoggiandosi al vescovo. Diritti finanziari di quest’ultimo pag. 14-18. Organizzazione indipendente della borghesia nella Compagna. (La Compagna è 1’ organizzazione dei cittadini atti alle armi e non una corporazione (gilda), nè una società commerciale con capitali) ■ pag. 18-27. Genova estende la signoria sulla Liguria, si emancipa dai marchesi, lasciando invece sussistere i diritti dei visconti e dell’arcivescovo pag. 27-31. Finanze del Comune, patrimonio, dazi, diritti di pesatura pag. 31-40. Riconoscimento da parte dell’ imperatore pag. 40-43. Le spese straordinarie del Comune coperte da imposte straordinarie; le collectae terrae et maris pag. 43-46. Il debito pubblico di Genova, debito in sospeso, pegni e appalti pag. 47-50. Acquisto di rendita, la maona di Ceuta, prestiti forzosi pag. 51-56. Importanza sociale del crescente debito dello Stato ; dominio della nodiltà guelfa, amministrazione delle finanze, conto dell’anno 1237 pag. 56-60. Capitolo II. — Dalla prima istituzione del Capitaneus populi fino all’elezione del doge popolare 1257-1339- Elezione del Boccanegra a Capitaneus populi, sua politica finanziaria (prestito forzoso ad interesse del 1257 pag. 61-63. Signifi- I — 260 — cato della voce locus per gli armatori, nell’appalto delle imposte, nel debito in rendita e nei prestiti forzosi ad interesse pag. 63-65. Energia del Boccanegra contro i marchesi, i visconti e 1’ arci ve scovo, come pure contro i creditori di rendita ; sistemazione delle compere ad interesse fisso a Genova, pag. 65-68). Reazione della nobiltà 1262; libera vendita dei loca pag. 68-69; la compera Maletolte del 1263 pag. 69-71 ; consolidamento della compera salis del 1274 pag. 71-72. Cangiamento della costituzione del 1270 ; organizzazione delle classi; nobiltà e popolo ; floridezza di Genova al volgere del 13.0 secolo Pag. 73-80. Le imposte e 1’ amministrazione delle finanze di Genova nella seconda metà del 13.0 secolo. (Le entrate dello Stato di Genova derivanti dal patrimonio , dalle regalie , dai dazi e dalle imposte sul commercio pag. 80-83 ! politica e tassazione per provviste alimentari; tendenza al monopolio pag. 83-88; riforma delle imposte dirette, tassa d’ eredità pag. 88-90 ; amministrazione delle finanze pag. 90-91; aggravamento del debiio causato dalla guerra di Pisa; torbidi verso la fine del 13.0 secolo pag. 91-93). Riforma delle finanze del 1303. (Riordinamento dell’amministrazione bilancio, consolidamento dei mutua vetera pag. 93-98. Traffico eoo titoli del debito pubblico. Debiti pubblici contratti mediante vendita di luoghi pag. 98-102). Riforma delle finanze sotto il reggimento della nobiltà guelfa, istituzione dei visitatores ordinamento dei libri, confortatores e protectores-, importanza della istituzione dei protectores 1323; pagina 102-109. Appalto delle imposte pag. 109-112. Il monopolio del sale pag. 112-119. Compera pacis. Aumento d’imposte e peso del debito pubblico prima della rivoluzione del 1339 pag. 120-124. Capitolo III. — Amministrazione delle finanze genovesi sotto il doge, fino all’erezione della casa di S Giorgio 1339-1407. Elezione del doge popolare. Convenzioni di Boccanegra coi protectores capituli pag. 125-129. Consolidamento e amministrazione delle compere capituli pagina . 129-137. Organizzazione delle finanze dello Stato nella Genova ducale pagina 137-141. Ordinamento formale del biancio interno di Genova, scrittura doppia , unificazione delle casse. Dissertazione sulla voce monte pagina 141-145. Ordinamento materiale del bilancio di Genova pag. 146-152. Imposte dirette pag. 152-160. Gabelle pag. 160-164; in particolare tasse ed imposte sul commercio. Pag- 164-173. Dazi su viveri, imposte dirette sul lusso pagina 173-175. Protezionismo pag. 175-187. Politica per l’approvigionamento del Comune pag. 177-185. Il debito pubblico di Genova e di altre città italiane fino verso l’anno 1400 pag. 185-194. Amministrazione ed estinzione dei debiti pag. 194-200. Traffico di luoghi, impiego di capitali e speculazione pag. 200-210. Le maone di Cipro, Corsica e Scio , confronto colle società per a-zioni pag. 210-223. Appendici pag. 225-257. <5 —> ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE ! STORIA PATRIA _ VOLUME XXXV (PARTE SECONDA) GENOVA NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ PALAZZO BIANCO IQ07 ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XXXV (parte seconda) GENOVA TIPOGRAFIA DELLA GIOVENTÙ 1906 Dott. Prof. Heinrich Sieveking STUDIO SULLE E IN PARTICOLARE SULLA CASA DI S. GIORGIO TRADUZIONE DAL TEDESCO DI ONORIO SO ARDI RIVEDUTA DALL’AUTORE PREFAZIONE feci promessa nel primo volume del mio io sopra le finanze di Genova, vengono alla luce i capitoli che trattano della Casa di S. Giorgio. La benevola accoglienza fatta alla prima parte del mio lavoro, mi diede animo ad intraprendere fiducioso la pubblicazione dei presenti capitoli, i quali, spero, varranno a portare qualche altra luce sopra alcuni punti importanti della storia dell’ economia. Goldschmidt nella sua Universalgeschichte des Han-delsrechts pag. 296, nota 196, manifesta 1’ opinione, che la ricca letteratura sopra S. Giorgio debba essere ancora riveduta a base di documenti; questi per la massima parte devono essere cercati negli archivi italiani e specialmente nell’ archivio di Stato di Genova. Solo per qualche parte speciale, come per l’amministrazione coloniale della Casa, i documenti sono già stampati. La massa del materiale offerto dagli archivi è enorme; io dovetti limitarmi alla parte più importante, a quella cioè che illustra i momenti decisivi del suo sviluppo. Mi lu impossibile offrire una estesa pubblicazione di tutti i documenti e di tutti i conti che riguardano la finanza, lo che Stieda, (Stàdi. Finansen im Mittelalter, Conrads Jahrbuch LXXII) addita con ragione degno di ogni sforzo. Solo spero che questo lavoro ecciti i miei colleghi italiani ad intraprendere tale pubblicazione su vasta scala. In ogni trattato storico di economia dovrebbesi prendere ad esempio la forma adoperata da Schmoller e Knapp nelle loro opere fondamentali, nelle quali in una pi ima parte essi offrono una esposizione coordinata e cori ente dello sviluppo economico, mentre in una seconda ne raccolgono i singoli atti. Ma lo studioso, che da solo lavora in archivi stranieri, non può sia da sè, sia mediante 1’ aiuto degli impiegati dell’ archivio, procu-iaisi estese copie di documenti, se non con grande dispendio di tempo e di denaro. Perciò mi limitai a riprodurre in appendice, solo i documenti ed i conti di mag-gioie importanza, valendomi nel corso dell’opera, per quanto mi fu possibile, di tutte le notizie che potei raccogliere, corredandole di note che chiarissero l’espressioni caratteristiche delle fonti. Finalmente preferii una suddivisione cronologica ad una suddivisione per materie. Tanto in un caso, quanto nell’altro qualche ripetizione è inevitabile, come talvolta si rese necessaria una certa classificazione di fatti, che avrebbe potuto trovare posto, egualmente bene, in un’ altro punto. Nessuno più di me può sentire dispiacere per i difetti di forma che si trovano nel mio libro, che per la maggior parte dipendono dall’aridezza della materia. Sarei soddisfatto se almeno tali difetti non recassero danni alla chiara intelligenza dei risultati più importanti delle mie ricerche. — IX — Tali ricerche sulla Casa di S. Giorgio mi sembrarono importanti sotto quattro punti di vista. Prima di tutto era necessario porre in chiaro le forme della sua organiszazione. La Casa di S. Giorgio non era, come alcuni e specialmente Goldschmidt opinavano, una Società per azioni, ma piuttosto una maggioranza legale unita in consorzio, paragonabile alla massa dei creditori in una procedura concorsuale. Ciò fu ammesso già da K. Lehmann (Rechi der Actiengesell-schaften pag. 44), per il periodo 1407-1419. Credo di avere dimostrato che questo principio non rimane infirmato nè dall’esercizio della banca annesso all’amministrazione del debito pubblico, nè dalla circostanza che, invece d’ un interesse fisso, si pagavano ai creditori interessi variabili minori. La posizione dei protettori, quali autorità governative (membrum reipubblicae), e il fatto che i titolari delle compere lo erano in causa di prestiti forzosi, sono circostanze che non si confanno coll’indole della società per azioni. I proventi che venivano da affari esercitati dai protettori, come p. es. dall’esercizio della banca, erano considerati come frutto dell’ industria dei Protettori soli, che potevano disporne in favore delle compere, ma non aumentavano l’interesse dei luogatarii, i quali dovevano contentarsi del provento delle gabelle loro assegnate (pag. 246 nota 1.). La Casa di S. Giorgio formava il punto centrico delle finanze di Genova; perciò le condizioni in cui tro-vavansi le imposte e il debito pubblico dovevano essere trattate ampiamente. Forse mi è riuscito di riempire la lacuna che, come rileva Wagner (Schònbergs Handbucli III, 1, pag. 806, nota 104) esisteva tuttodì nelle nostre cognizioni sulla storia dello sviluppo dei debiti di Stato. Insistetti sull’importanza dei prestiti forzosi negli Stati italiani e sul nesso esistente fra l’avversione che il po- Atti Soc. Lig. Storia Patria. Voi. XXXV, P. II. 2 — XTI — sviluppo delle città italiane nel XII e nel XIII secolo, ha molti tratti simili con quelli delle tedesche nel XIII fino al XVI, p. es. nel sistema delle imposte dirette e del debito pubblico. Più tardi le condizioni delle città italiane prendono un’altro corso, che si manifesta collo svolgersi più potente dell’elemento cittadino e con una più estesa propagazione dell’organizzazione del mercato. Di fronte alle circostanze più complicate non è più possibile l’estimo fatto dagli stessi contribuenti, e mentre a Dortmund , Colonia, Amburgo, il soverchio debito pubblico mena a rovina il reggimento patrizio, le città italiane creano un industrioso sistema di credito, mediante il quale non solo viene reso possibile di sopportare un g:rave peso di debito, ma il sistema stesso è considerato come parte integrante della macchina dello Stato. Solo le posteriori istituzioni olandesi possono stare a lato delle italiane. Facendo un confronto fra Genova, Venezia e Firenze, troviamo che le forme fondamentali di tutti gli organismi sociali corrispóndenti sono le medesime. E se in una repubblica, in qualche parte, vi fu uno sviluppo anormale, ne troveremo i principi anche nelle altre. La differenza consiste nell’ energia dello sviluppo. Gli stessi organismi non vivono allo stesso modo nelle diverse repubbliche. Là va morendo ciò che qui si sviluppa potentemente. Queste differenze dipendono dalle forze economiche delle singole classi sociali della repubblica, e dalla abilità degli uomini che vi stanno a. capo. Alcune crisi storiche sono determinate dal fatto, che persone le quali per nascita e per educazione sembrano essere chiamate a rappresentare un certo indirizzo sociale, sorgono invece a rappresentarne un’ altro, a ciò spinte da illuminato giudizio o dalla forza delle circostanze, senza perciò smentire la loro origine. Un movi- mento di nuove classi insorgenti non può avere un efficace successo, se non mettendosi a capo persone di merito per antiche tradizioni. Sventuratamente le nostre fonti sono insufficienti a seguire esattamente la parte rappresentata a Genova dai visconti, i quali da rappresentanti del regime feudale, diventarono capi della borghesia, nello stesso modo che a Strasburgo i ministeriali, i giudici, i direttori di dogana, i burgravi, diventarono capi della nuova cittadinanza. (Schmoller, Stvassbuvgs Biute, pag. 27). Una seconda crisi nella Storia di Genova è data dalla sollevazione del popolo nel 1257. Boccanegra non si trovava troppo lontano dalla casta dei nobili ; però il movimento popolare ebbe durevole effetto solo quando nel 1270 i nobili ghibellini fecero propria la causa del popolo. Più avanti nella Storia di Genova trovo special-mente degne di menzione le figure di Antoniotto Adorno e di Andrea Doria. È noto che il passaggio di quest’ultimo dalla Francia alla Spagna, produsse un cangiamento nelle condizioni di Genova, che durò tre secoli. Devesi pure notare che anche Antoniotto Adorno portò un cambiamento nella politica della sua casa, poiché mentre nel XIV secolo gli Adorni erano a capo delle classi inferiori del popolo, ed i Fregosi rappresentavano le classi più ricche, nel XV secolo le parti si sono perfettamente invertite. La Casa di S. Giorgio trovasi strettamente in relazione non solo colla storia politica di Genova, ma eziandio colla sua storia commerciale, non però come Istituto di credito, come si ritenne fino ad un certo tempo. Una storia del commercio genovese dovrebbe rannodarsi colle imposte cedute alla Casa, e colla sua azione bancaria per regolare il commercio monetario. Essa dovrebbe considerare, da — XIV — una parte, le vie del commercio, i trattati commerciali conchiusi con altri Stati e le lotte commerciali sostenute con essi, prendendo in considerazione oltre alla concorrenza di Venezia, anche le relazioni con la Spagna (Aragona, Barcellona); dall’altra parte un attento studio dei tesori dell’ archivio genovese porterebbe nuova luce sul perfezionamento della tecnica del commercio, sulle varie specie di merci, sulla loro quantità e sui prezzi. Questi però sono temi pei quali si richiederebbe un lavoro organizzato da più persone. Se io avessi potuto dare impulso ad una simile impresa, l’avrei ritenuta il mezzo migliore per esternare i miei ringraziamenti alle persone, che misero a mia disposizione i tesori degli archivi italiani e in particolare dei genovesi. Rimango pure obbligato ai funzionari che a Parigi, nell’ archivio del ministero degli esteri, custodiscono i documenti genovesi, per l’amichevole appoggio accordatomi nell’esecuzione del mio lavoro. Dott. Prof. Heinrich Sieveking. FONTI E LETTERATURA Oltre gli annali degli Stella (Scriptores XVII) del Gallo e del Senarega (,Scriptores XXIV) pubblicati per cura del Muratori, e gli annali del Giustiniani, dobbiamo prendere in considerazione per la storia genovese, dal XIV secolo in poi, specialmente le raccolte ufficiali di documenti, che dall’epoca napoleonica si trovano a Parigi presso il Ministero degli esteri. [Inventane, me-moires et documents, fands divers, Génes). Liber Jurium 11 (29/27) contiene documenti dal 1317-1422, di privilegi accordati al Comune, e di contratti da esso stipulati. Questo volume è diviso in 7 libri, dei quali il primo comprende i privilegia imperialia et alia jura intra civitatem acquisita, il secondo le jura in terris de ultra jugum intra districtum, il terzo le scripture terrarum ultra jugum extra districtum. Il quarto e quinto libro comprendono i diritti nella Riviera di Ponente, entro e fuori il territorio dello Stato, il sesto ed il settimo quelli della Riviera di Levante. Liber Jurium 111 (30/28) contiene i privilegi del XV secolo, p. es. il privilegio del Papa del 1471 di nominare dottori, conchiudere trattati di commercio con Milano, Lucca e Siena del 1430, ed i trattati di pace coi re d’A-ragona. Liber Jurium 111 (31/29) contiene i privilegi del XVI secolo , fog. 6 e segg. la nova reformatio del 1528, — XVI — fog. 150 e segg. il libro d’oro della repubblica (libro col taglio dorato) i Nomina civium nobilium ex omnibus ordinibus civitatis nostre aggregatorum in XX Vili familiis, ex quibus universa respublica nostra constat. I liber Jurium successivi servono di complemento agli Annali del Casoni, del Foglietta e del Bonfadio. Lib. Tur. IX, Investiturarum instrumentorum 1396-1409 contiene p. es. i documenti dell’investitura della Corsica a Leonello Lomellini. Per la politica interna devesi prendere in considerazione la compilazione preparatoria dei Statuta civilia et criminalia Bucicaldi (15 e 16) ora stampati dalla Mon. Hist. Pat. XVIII, e cosi pure 19/17 gli Statuti del 1413 e 1528. Per le finanze è specialmente importante 20/18 de officio monete eiusque regulis. Le tariffe delle gabelle di Genova del XVI secolo sono riunite in un codice dell’archivio di Stato di Genova, Membr. S. Georgii 14 (XIII). Sulle condizioni monetarie ci dà luce il Codice già adoperato da Gandolfi, della moneta antica di Genova, 1841, Genova, Archivio di Stato, Manoscritti 15, Constitutio Ceche. L’ archivio di Stato di Genova conserva i libri della contabilità del Comune, oltre ai quali, per la materia finanziaria, sono da consultarsi specialmente i capitoli diversorum regiminis e cancellarie. Gli atti dei notari sono sempre fonti importanti, di cui però potei servirmi solo occasionalmente. Specialmente utili sono: Not. 104, (Confronto Caro, Genua und die Machie 11 pag. 424). I 23 volumi leges et decreta reipublicae Genuensis ab anno 1530 ad 1772 contengono in copia la raccolta delle leggi più importanti relative all’amministrazione dello Stato nelle epoche più avanzate. (Biblioteca del-l’Università C. VI, 10; Olivieri. Carte pag. 170 e seg.). Importante, specialmente per l’amministrazione del grano — xvir — dello Stato, è la raccolta Lagomarsini nell’archivio di Stato di Torino. Le leggi del 1528 sono stampate a Pavia nel 1575. Egualmente è stampata la costituzione del 1576. Gli statuta et decreta communis Genuae stampati a Bologna nel 1498 contengono leggi di procedura, diritto civile e penale, e così pure gli Statuta civilia et criminalia del 1589. L’archivio di S. Giorgio, che dapprima era nei piani superiori del palazzo sul mare, fu fino dall’ anno 1880 incorporato coll’archivio di Stato e trasportato nelle sale del medesimo. In questo passaggio non venne mantenuto 1’ ordine delle 9 divisioni citate dal Lastig ; e sembra pure che in questo movimento siano andati smarriti alcuni manoscritti. Almeno non mi fu possibile rinvenire il manuale, in quo continentur pretia quibus diversis annis vendita sunt gabelle comperarum S. Georgii, già utilizzato dal Wolf. I privilegi accordati a S. Giorgio sono raccolti nelle pergamene voluminose contenenti i Libri magni contractuum. Membr. 8 (VII) contiene i contratti e privilegi 1350-1453 ; Membr. 34 (XXIV) i contratti e privilegi dal 1453 a 1476; Membr. 39-45 (XXVII-XXXIV) quelli da 1476 a 1593. Le minute di questi documenti trovansi nelle carte dei rispettivi cancellieri. Il governo fece elencare pure questi contratti in appositi libri di documenti (Mans. 16, 18-21, 27, 29, 31 etc. contractus cum comperis). La Biblioteca Civica di Genova, sotto D.b- 5, 3, 5, conserva in 6 volumi, una collezione dei più importanti contratti relativi a S. Giorgio, tratti per la maggior parte dai libri contractuum. Questa collezione di copie (fino al 1589) venne fatta alla fine del secolo scorso, (1774 e segg.) — xvm per opera del padre cappuccino genovese ìommaso Maria (F. A. Olivieri). Essa ò menzionata da Mas-latrie. Hìstoire de Chypre, II pag. 370, e da Wiszniewski p- V. Del Liber magnus contractuum 1350-1453, parlammo già I pag. XIII; l’ultima parte di questo codice p- 471-582, De institutione comperarum S. Georgu è riprodotta in una copia meno bella,-sotto 13 (XII) Decreto-rum. Questo codice, oltre i documenti sulla fondazione delle compere, contiene i contratti stipulati fra la Casa di S. Giorgio ed il governo riflettenti il debito pubblico e le imposte. I documenti relativi alla costituzione di S. Giorgio del 1411, fog. 87 e segg., sono pure indicati nel liber parvus regularum, decretorum, aliorum. Membr. 15 (XIV). Altri documenti di amministrazione interna sono contenuti Membr. 35 (XXV), Reformationes super legibus comperarum 1459-1543. Nel 1568 si stamparono le leggi relative alla costituzione delle compere di S. Giorgio. L’opera fu divisa in tre libri, il primo dei quali tratta della nomina e delle attribuzioni dei magistrati, il secondo dei ministri stipendiati, mentre il terzo s’occupa dell’appalto delle imposte. Nel 1605 fu stampata una riforma et giunta alle leggi di S. Giorgio e un’appendice alle leggi di S. Giorgio di 34 Capitoli. Nel 1634 venne alla luce una seconda edizione delle leggi accresciuta delle aggiunte ai singoli capitoli dei tre antichi libri e di un nuovo quarto libro, materie diverse. Negli anni 1672, 1698 e 1720 uscirono altre edizioni (confronta K Leumann, Das Recht der Aktiengesellschaften, pag. 46. Nel 1593 vennero stampate le immunitates a magistratu divi Georgii concessae, facilitazioni sulle imposte accordate a diversi comuni liguri. — XIX — Gli affari correnti della Casa di S. Giorgio furono registrati in fascicoli sbotto il titolo Diversorum, da cui si possono attingere le più importanti notizie della Casa, relative al primo esercizio bancario. Per 1’ epoche successive sono da consultarsi i libri propositionum che riproducono le trattative nel consiglio delle compere ed i risultati delle stesse. (Membr. o veramente cod. cartacei, 112-126: Propositionum 1568-1796). Un intero piano dell’archivio di Stato di Genova è pieno dei libri dei conti delle compere di S. Giorgio. 1 libri delle colonne, in cui erano elencati i creditori dello Stato, riempiono le sale 20-22, seguono i cartularii pagar uni degl’ interessi ed i libri della banca ; sala 24 i libri della banca del primo periodo dell’esercizio bancario 1408-1444; sala 26 scansia 38 i cartolari del banco d’ oro dal 1586 e scansia 63 quelli del banco dell’ argento; sala 27 i cartolari del banco dei reali e i libri dei banchi di moìieta corrente, che si estendono fino alle sale seguenti 28 e 29. Per il XVI e XVII secolo sono di speciale importanza parecchie relazioni sulle condizioni di Genova e della Casa di S. Giorgio. Fra le altre citerò la relazione del 1597, il cui originale è rinchiuso nel Palazzo Durazzo, inaccessibile allo studioso. Però abbiamo parecchie copie di tali relazioni, cioè una nell’archivio di Stato a Genova manoscritto 117, quattro nella biblioteca dell’Università B. VI 23, B. II33, B. II 44 e B. Ili 8. Quest’ultima contiene 14 capitoli meno delle altre copie. L’ opera è divisa in due parti ; la prima cap. 1-18 (Gli ordini) tratta della costituzione di Genova, la seconda cap. 19-70 dell’amministrazione e della statistica. I Capitoli 54-69 danno una descrizione dell’ Officio o Casa di S. Giorgio, confronta Olivieri ; Carte pag. 55. — XX — Per il XVII secolo sono importanti le memorie sopra Genova, che l’inviato francese S.‘ Olon mandò al suo re. (Bibl. dell’ Università E. VI 29). I seguenti manoscritti della biblioteca civica ci danno ragguagli della Casa di S. Giorgio nel XVII secolo: Me movie sulla banca di S. Giorgio 1681, D 2, 6, 14, Il medesimo testo dà, D 3, 6, 12, luoghi ovvero notizie della Banca di S. Giorgio. Il primo esemplare è più ricco per la copia di alcuni documenti in più, il secondo invece è meglio scritto ed ha un indice. Una terza parte della medesima opera ci dà, D 1, 2, 10, Informatione e notizie delle pratiche di S. Giorgio. Una parte di quest’ opera trovasi riprodotta con altre copie in D 4, 1, 21 Descrizione e notizie circa i luoghi e le compere di S. Giorgio (log. 39-50). Cuneo pag. XIX ci dice d’ avere fatto uso di questa relazione. A. Olivieri , (carte e cronache manoscrittè per la storia genovese, esistenti nella biblioteca della R. Università ligure, Genova 1855), offre estese notizie su tutto il materiale manoscritto della biblioteca dell’Università di Genova. A. Manno nella sua Bibliografia di Genova 1898, riporta tutti i singoli particolari del materiale stampato. Fra la letteratura stampata sopra la Casa di S. Giorgio dobbiamo principalmente far menzione di alcuni Consilia (specialmente cons. 99 e 262) del valente giureconsulto Bartolomeo Bosco che fiori nella prima metà del XV secolo. Sopra di lui confronta E. Bensa, della vita e degli scritti di B. Bosco, giureconsulto genovese del secolo XIV. Le sue opere furono stampate solo nel 1620. (Loano, F. Castello). Di minore importanza è la breve dichiarazione del-V istituzione della compera di S. Giorgio che Michele — XXI — Merello pone in appendice alla sua opera della guerra fatta dai Francesi, Genova 1607, pag. 583-594. Sono migliori le notizie forniteci da Accinelli, sopra la Casa di S. Giorgio nel suo compendio delle storie di Genova Lipsia 1759 II pag. 306 e segg. Se ne servirono più tardi altri scrittori, come Cuneo e Wiszniewski, i quali rilevarono alcune inesattezze dell’Accinelli, p. es. la sua falsa interpretazione del breve del 1456. Per conoscere lo stato della Casa all’epoca della sua dissoluzione, è della massima importanza il Saggio sopra la Banca di S. Giorgio, pubblicato da L. Corvetto nel 1799. Il ministro delle finanze di Luigi XVIII, che era stato uno dei procuratori, conosceva esattamente le condizioni della Casa. Confronta sopra di lui Bel-grano, Arch. Stor. ltal. Serie III, tomo XI, parte I (1870) pag. 2, pag. 3, nota 1. È notevole che alcune delle più particolareggiate notizie sopra la Casa di S. Giorgio si trovano nelle guide. Gius. Banchero , Genova e le due riviere 1846, dà una fedele riproduzione delle iscrizioni del Palazzo S. Giorgio, e C. G. Ratti in appendice alla sua Istruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova, pag. 241 e segg., comparsa nel 1780, ci dà un trattato dell’ Uffìzio ossia Casa di S. Giorgio, la cognizione del quale avrebbe preservato alcuni scrittori posteriori da qualche errore. Nel XIX secolo i direttori dell’Archivio di S. Giorgio si sono resi specialmente benemeriti per la Storia della Casa. Nel 1832 l’archivista Ant. Lobero pubblicò le sue Memorie storiche della Banca di S. Giorgio. L’ opera è elaborata accuratamente e contiene una quantità di materiale, non sempre trattato criticamente, nè raggruppato secondo punti di vista d’ordine generale. Al- \ \ \ — xxtr — cuni particolari, come p. es. la discussione sulle paghe, pag. 160, sono letteralmente tratte dal Ratti. Il lavoro di Lobero servì al Serra nella sua Storia di Genova IV, digressione IV. Serra compendia con spirito acuto i punti più importanti. Siccome però oltre che dal Lobero egli attinge le sue notizie anche dalla propria memoria, così egli enuncia certe proposizioni che avrebbero bisogno d’essere maggiormente approfondite. L’opera di grande mole dell’archivista Carlo Cuneo, memorie sopra l'antico debito pubblico, mutui e com-pere di S. Giorgio in Genova, è la più diffusa. Questo scrittore però manca dello spirito scrupoloso del Lobero, del quale, con maraviglia, sembra che egli neppure si sia servito. Il principe Ad. Wiszniewski compilò, colla materia che trovò in Cuneo, un libro sotto il titolo: La methode histovique appliquée à la ré/orme des Banques, Histoire de la Banque de Saint Georges de Gènes, la plus ancienne banque de l’Europa etc. Libro che venne alla luce a Parigi nel 1862, e che vide una seconda edizione nel 1865. Wiszniewski scrisse all’ epoca in cui a Parigi il Crédit Mobilier dopo un breve periodo di vita fiorente , precipitava verso la crisi. Egli voleva portare un contributo alla riforma del Crédit Mobilier facendo rivivere le dottrine storiche, e nella Casa di S. Giorgio egli vide il primo Crédit Mobilier (1)! Sul letto di Pro-custe di questo infelice pensiero, egli poneva le notizie sopra S. Giorgio che aveva alla mano, senza aumen- (i) Egli chiama S. Giorgio pag. XVII, maitre et proprietaire de toni le haut commerce de Génes et de toutes tes entreprises industrie Ile s, qu’elle mobilisa par sex aclions. — XXTII — tarle con nuove ricerche. L’unico pregevole articolo del suo libro è quello che tratta dell’ organizzazione della nobiltà genovese, pag. 43 e segg., tema, che al principe polacco stava più a cuore. I documenti sui possedimenti coloniali della Casa di S. Giorgio ebbero una degna edizione nel codice diplomatico delle colonie taiiroliguri durante la Signoria dell’ Ufficio di S. Giorgio, pubblicato da A. Vigna negli Atti della Società ligure di Storia patria voi. VI e VII. La signoria della Casa sopra Cipro è trattata da Mas-latrie , Histoire de Chypre II, pag. 366 e segg., confr. Heyd, Geschichte des Levantehandels II, pagine 388, 422, e segg. Le relazioni della Casa colla Corsica si possono vedere nelle pubblicazioni del Bulletin de la Société des sciences historiques et naturelles de la Corse. Per la presente opera furono utili una serie di lavori, che solo incidentalmente si occupano della Casa di S. Giorgio, come i lavori di Desimoni sulla questione monetaria di Genova, specialmente Alti S. L. S. P. voi. XXII, e Belgrano, Vita privata dei Genovesi, pag. 506 segg. Più accurate, quantunque più brevi, e perciò incapaci d’esaurire la materia, sono alcune nuove pubblicazioni. H. Harrisse, Cristoforo Colombo ed il Banco di San Giorgio, rettificò alcuni errori dei predecessori. Il libro non è in commercio. (1). C. Desimoni , il benemerito direttore degli archivi genovesi, lo annunzia in (i) Perciò uno dei miei Critici, Schaube (Deutsche Litteraturzeitung 17 Febbraio 1900) si è creduto in dovere di biasimarmi per aver usato un libro che . . . non esisteva. Però se ne trovano esemplari non sola-, mente a Genova ma anche nella Commerzbiblìothek di Amburgo. XXIV un articolo degli Atti S.L. S. P. (Voi. XIX, 3) e in quell’occasione pubblica importanti documenti tratti dai libri della contabilità della Casa. Finalmente il Prof. Cognetti de Martiis, diede, in F. Cenala, il palazzo di S. Giorgio, un breve schizzo della storia di S. Giorgio. G. Rezasco nel suo Dizionario del linguaggio italiano storico ed amministrativo tratta della Casa di S. Giorgio alle voci Monte e Compera in relazione col debito pubblico di altre città italiane ; Rota , nella sua Storia delle banche pag. 141 e segg. parla anche degli affari bancari di S. Giorgio. In Germania Goldschmidt, prima di tutti, fa cenno della Casa di S. Giorgio; egli crede (Univ. Geschichte des Handelsrechts I pag. 296). che con essa « il sistema genovese delle azioni » abbia raggiunto il suo massimo sviluppo. Il più recente trattato è quello del Leumann, das Rccht der Aktiengesellschaften pag. 42 e segg. (confronta 1’ opera dello stesso autore: Die geschich. Entmcklung des Aktienrechts bis sum Code de Commerce pag. 6, 14 e segg.). Però questi lavori si basano sopra Cuneo, Lobero e sulle leggi delle compere stampate dal 1568 in poi. 7 > PARTE SECONDA LA CASA DI S. GIORGIO Alti Soc. Lig. Storia Patria. Voi. XXXV, P. II. ——— CAPITOLO I. LA FONDAZIONE DELLA CASA DI S. GIORGIO. PRIMO PERIODO DEL SUO ESERCIZIO BANCARIO 1407-1444 Genova e le sue finanze alla fine del XIV secolo. Tentativi per un miglioramento delle finanze. Nella lotta decisiva con Venezia e dopo aver riportato luminose vittorie, Genova dovette alla fine soccombere nella guerra di Chioggia. Tuttavia nella pace di Torino del 1381 e mediante l’intromissione del duca di Savoia, Genova ne uscì alla meno peggio. Però, mentre negli anni seguenti, Venezia colla sottomissione della Terraferma salì all’apice della sua grandezza, Genova fu dilaniata da violente lotte di partito, nelle quali ebbe gran parte specialmente l’ambizioso Antoniotto Adorno, e che finirono nel 1396 colla sottomissione della città al re di Francia (1). Se Genova nel XV secolo potè ripetutamente scuotere il giogo dei dominatori stranieri, non riuscì però a mantenere (1) Jarkv, Les origines de la domination fran fu" rono divisi in diversi gruppi, con differenti organizzazioni e differenti interessi cioè del 10 0 dell’8 % (3). Questi dovevano essere tutti riuniti in una nuova compera S. Georgu col-l’interesse del 7 %. Esaminiamo ora come 1’officium disimpegno il suo compito di fronte ai singoli gruppi di debiti. Anzitutto vennero prese in considerazione le compere regiminis del 1390 e S, Petri del fjpS- B 29 aprile i protettori della nuova S, Paolo, ai quali era affidata la compera regiminis■, furono chiamati a presentare i loro libri; il 4 maggio venne interdetta ai consoli della nuova S. Paolo l’ulteriore amministrazione della compera ed il 7 maggio venne pubblicato un decreto col quale si comunicava agl’ interessati della compera regiminis lo scioglimento dell’antica compera. Chi voleva riprendere il suo denaro poteva chiedere nel corso del maggio il pagamento di 100 lire per luogo. Coloro i quali deliberatamente o no, lasciavano scorrere questo termine, venivano considerati come partecipanti della compera nova re- (1) Membr. 13 (XII) fog. 1 e 2. Sul cambio delle persone dell 'officium nel 1407 e 1408 confronta Harrisse, Cristoforo Colombo ed il Banco di S. Giorgio pag. 158, nota 115. (2) I pag. 129. (3) I pag. 188 segg. In Germania nella 2.a metà del XIV secolo, la misura dell’ interesse per prestiti pubblici era stata dal 10 °/0 al 6 2/3 0/° la quale misura rimase costante per tutto il 15.° secolo. W. Stieda; Stdd-tische Finanze7i im Mittelalter, Conrads Ialirbiicher, LXXII pag. 36. - i7 - gimmis S. Georgii 7 % alla quale erano riservati tutti i privilegi ed assegni di cui aveva goduto l’antica compera (1). Il 26 novembre 1407 era compiuta la conversione delle compcre riunite sotto il nome di S. Petri e ciò non senza opposizione di quei creditori che prima percepivano l’interesse del1’ » 7a % (2). Ora toccava alle compere gazane d’essere fuse con S. Giorgi0 (o)- Di fatto però l’estinzione, in questo caso, era così progredita , che non si trattava d’altro che di assumere in amministrazione un fondo d’ammortamento. I protectores capituli ^fiutarono recisamente di cedere gli assegni ad essi spettanti per le compere gazane, e vi si sottomisero soltanto in seguito ad un giudizio arbitrale (4). Il 14 luglio 1408 passarono a S. Giorgio le comperae novae S. 1 aulì (5) ed il 28 settembre le comperae veteres S. Pauli. I luoghi della compera venetorum, compresa in quest’ ultime, coll interesse del 10 %, vennero assunti per lire 125, ridotti cioè solo a 8 -!/4 °/0 ■ quelli delle altre compere all’ 8 0 7 l/s °/° vennero assunte per 100 lire (6). Finalmente il 15 ottobre 140S venne fusa con S. Giorgio anche la maona vetus di Cipro. Le 588409 L. 6 s. 9 d. del suo capitale vennero calcolate solo ad Y4 del valore nominale cioè 147102 L. 6 s. 10 L- (7). La somma dei debiti che godevano prima d’un interesse (1) Membr. 13 (XII) fog. 3-4. (2) Membr, 13 (XII) fog. i2b; 30 agosto. « La compera S. Petri quinque librarum convertita; » fog. 14, 10 ottobre « compera S. Petri fi. 100000 et denarii unius prò libra: cum aliqui verbo asserant dictam comperarli non posse alio transferri neque desbitari aut a summa 8 prò cent, diminui ; » fog. 15, 26 novem. « procuratores S. Georgii attendentes se de-sbitasse omnia et singola loca comperarum S. Petri ». (3) lHog. 7b; 20 luglio 1407 la compera nova, fog. 2ib; 14 febbr. 1408 la compera vetus (4) Fog. 23b 28 giugno 140S. (5) Membr. 13 (XII) fog. 48. (6) Fog. 52b. (7) Maslatrie, Histoire de Chypre II, pag. 483. maggiore e consolidati poi nel 1407 e 140S al 7 % nelle compere di S. Giorgio è la seguente: Compera regiminis .... 203878 L. 19 sol. — Compere S. Petri .... 529646 » 3 » 8 den. » Gazarie .... 132859 » 2 » 7 » » nove S. Pauli . . 903966 » 11 » 5 » » veteres » . . 1021009 » 7 » — » Maona Cipri. , . . . . 147102 » 6 » 8 » 2938462 » 10 » 4 » (1) Si aveva pure in vista il passaggio di Scio e Focea a S. Giorgio, lo che era possibile solo nel caso che S. Giorgio avesse potuto pagare i creditori dello Stato interessati in queste maone (2). Questo consolidamento recava anzitutto una grande semplificazione nell’amministrazione del debito pubblico. In luogo di averne parecchie, subentrava una sola amministrazione, grande, potente, che, come vedremo, poteva essere di efficace aiuto allo Stato. Nè meno contenti furono, per la massima parte, i creditori per questa operazione. Quantunque ne sentissero un danno negl’ interessi, pur tuttavia erano sicuri di ricevere quello stabilito, quantunque minore, e potevano meglio negoziare i loro luoghi unificati per i quali si offriva un più vasto mercato. Tutte le imposte, che erano state date in garanzia alle antiche compere, furono confermate alle nuove t __ (1) Torino Arch. di St. Raccolta Lagomarsini. S. Giorgio I, 1411, confronta Desimoni, Cristoforo Colombo e S. Giorgio, Atti XIX, 3 p. 13. nota 2. — Genova Arch. St., summa locorum 1407, da una cifra alquanto minore, però non vi è compresa la compera regiminis. La cifra di 476706 luoghi 45 L. 9 s. 5. d. dataci da scrittori precedenti, Lohero , Serra, Cuneo e pure accettata da Goldschmidt. Univ. Geschichle des Handels-rechts pag. 297 e K. Lehmann, das Recht der Actiengesellscaften, Berlino 1898 pag. 45, riproduce la somma dei luoghi di S. Giorgio nell’anno 1681. (2) Membr. 8 (VII), pag. 498; 7 luglio 1409 viene passato l’appalto di Chio e Focea a S. Giorgio « prò tempore annorum XXVIIII incohan-dorum die qua finitum et elapsum erit tempus apaltus insule Chii ultimate facti et reformati cum illis de Justinianis ». I pag. .219. compere di S. Giorgio , nominatamente l’importante monopolio del sale. In compenso i creditori, in causa della conversione, erano esenti dal pagamento di ulteriori imposte (i). Organizzazione e natura della Casa di S. Giorgio. Passarono 4 anni prima che i procuratori di S. Giorgio potessero portare a compimento il consolidamento delle menzionate compere e che tutti i luoghi fossero verificati e convertiti in luoghi di S. Giorgio. Le somme dei debiti (luoghi e frazioni di essi), come era d’uso per le precedenti compere, vennero iscritte in libri, ordinate secondo le otto compagne o quartieri della città. Gl’ interessati d’ogni singola compagna erano iscritti per ordine alfabetico (2). Bucicaldo non doveva vedere, come governatore di Genova, la conclusione di quest’opera. Malgrado i suoi pregi personali, i Genovesi sentirono pesare il suo governo come un giogo insopportabile. Egli aveva spinto all’estremo le forze finanziarie del paese ; i cittadini non volevano sopportare più a lungo la forte tassazione da cui erano colpiti, e le crociate del maresciallo rispondevano al suo spirito cavalleresco meglio che agl’interessi del commercio genovese, il quale stimava più conveniente un pacifico componimento cogl’infedeli. Così, quando Bucicaldo credevasi al sommo della sua potenza e mentre era uscito in campo per sottomettere Milano, venne rovesciato nel 1409 da una sollevazione dei Genovesi. (1) Membr. 13 (XII) fog. 32, 15 Ott. 1408 « occasione reducionis com-perarum quarumcunque communis Janue etseu mahonarum reductarum vel reducendarum sub protectionem et ad gubernationem officii S. Georgii aliquisvis introitus seu gabella colligi non possit a dicto officio nec etiam a contrahentibua cnm dicto officio ». (2) Genova Arch. St. Sta 20. Cartolarli delle colonne. I quartieri erano: C. (Castrum) P. L. (Platea Longa), M. (Machagnana). S. L. (S. Lorenzo), P. (Porta), S. (Suxilia), P. N. (Porta Nuova) e B. (Burgum). Nella compagna Bnrgi vennero introdotti forestieri, possessori di titoli. I cartolarli delle colonne erano rinnovati tutti gli anni. I Guelfi di Genova domandavano un altro governatore francese, ma la parte ghibellina la vinse sugli avversari e chiamò il Marchese di Monferrato a capo dello Stato. Questo cangiamento però non segnava un nuovo indirizzo nel sistema. Le basi della costituzione del 1339, malgrado le sollevazioni degli artifices del 1399 e del 1506, rimasero invariate fino al 1528. Questa costituzione venne di nuovo redatta, quando nel 1413, il doge, Giorgio Adorno, abbatte di nuovo la sovranità del marchese (1). Essa era basata sul-1’ equilibrio delle classi ; la metà delle cariche era riservata ai nobili, 1’ altra metà divisa fra mercatores e artifices. Nel seno delle singole classi avevano poi eguali diritti i differenti partiti, guelfi e ghibellini, bianchi e neri ; perciò nella distribuzione degl’impieghi, non dovevasi prendere in considerazione soltanto la classe, ma anche il colore del partito dei candidati. Secondo che questi appartenessero ai nobiles, ai mercatores, agli artifices, albi 0 neri, le nomine venivano fatte per colori. Solo la suprema carica dello Stato, il dogato, e per un certo tempo anche gli anziani, erano posti riservati alla classe popolare. La signoria straniera alla quale Genova si diede per buona parte del XIV e del XV secolo, significava che al posto del doge popolare, subentrava un governatore nominato da un sovrano straniero (2). I nobili rimasero esclusi dal sommo del governo fino all’anno 1528. Essi poterono dominare soltanto all ombra dei governatori stranieri 0 delle famiglie di dogi popolari. Cosi gli Adorni ed i Fregosi furono ritenuti dipendenti dai Doria e (1) Stella, Annali, Muratori XVII, c. 1249: magnus ordo regularum. (2) Genova stette dal 1354 al 1356 sotto Milano. » » » 1396 » 1409 » la Francia. » » » 1409 » 1413 » Monferrato. » » » 1421 » 1435 » Milano. » » » 1458 » 1461 » la Francia. » » I464 » 1478 j ^ M.lano_ « » » 1489 » 1499 ) » » » 1499 » 1528 » (con interruzione) sotto la Francia. dei nobili del 1528. Si potrebbe credere che la sostituzione di un’ autorità governativa, quali erano i procuratori di S. Giorgio, ai protettori delle singole compere, fosse stata una vittoria del potere Stato medesimo ; però la costituzione che la Casa di S. Giorgio zazione dei creditori. L’incarico dei procuratori era consistito nell’ esecuzione del consolidamento, e quest’ incarico era ora esaurito. Con essi, otto protettori di S. Giorgio avevano avuto l’ispezione sugli affari in corso, sulle entrate della Casa da parte degli appaltatori e sul pagamento degl’ interessi ai creditori. Si concluse di amalgamare la carica dei procuratori con quella dei protettori e dal i.° maggio 1412 in poi, otto funzionari nominati per un’ anno col titolo di procuratores et protectores comperarum S. Georgii, dovevano assumere l’amministrazione delle compere. Questi dovevano possedere almeno 1000 Lire di titoli del debito pubblico. Erano nominati dai procuratori e protettori che si aumentarono perciò di 24 scelti fra i maggiori interessati. Per conservare la tradizione dell’amministrazione, si collocavano a lato del nuovo ufficio per 304 mesi, due procuratori e due protettori con voto consultivo, non deliberativo. l’organizzazione delle Compere di S. Giorgio aveva essen- reso ancor più evidente dalla istituzione dei consiliarii. Già ancora nelle prime compere usavasi consultare gl’ in- • Jjjjj -f y •' • v teressati specialmente nei casi di maggiore rilievo, e tale consuetudine venne adottata pure per S. Giorgio. Fu solo però il 25 g'ennaio 1425 che si regolarono le attribuzioni del Consiglio (1). Quattro giorni dopo l’entrata in carica, i protettori dovevano nominare 52 consiliarii scelti fra i più ragguardevoli interessati. Perchè le deliberazioni fossero legali, almeno 40 dovevano essere presenti alle sedute. I protettori non potevano prendere alcuna deliberazione importante, p. es. di accordare prestiti al governo, senza il consenso del Consiglio. In casi più gravi oltre il consiglio dei 52, veniva consultato anche il consilium maius participum (2). Negli affari dei due consigli regnava un medesimo ordine. I protettori convocavano l’adunanza e ne esponevano lo scopo (3), dopo di che i singoli consiglieri, o richiesti 0 di propria iniziativa, si alzavano per svolgere le proprie idee. Subito dopo la discussione si stabiliva il merito delle varie opinioni esposte (4). Dopo ciò i protettori formulavano le proposte, sulle quali si faceva la votazione mediante ballottaggio, come in generale usavasi a Genova, e la deliberazione aveva luogo colla maggioranza di due terzi. I protettori erano obbligati ad attenersi alla decisione del consiglio. Se una proposta dei protettori era respinta per due volte consecutive, non poteva essere più ripresentata (5). Da ciò vediamo che il potere legislativo era nelle mani dei creditori, e che i protettori esercitavano il potere esecutivo. Il consiglio dei 52 nominava 4 sindicatores, che dovevano esaminare tutti gli atti dei protettori e domandarne loro conto. (1) Membr. 8 (VII) pag. 91. (2) Membr. 15 (XIV) fog. 51, 10 dee. 1437, « fiat convocatio 300 civium ex maioribus et utilioribus partecipibus ». Divers. S. G., 21 luglio 1441, in occasione della fondazione della terza banca. (3) Per la maggior parte in dialetto genovese. Confronta Vigna, Atti VI, VI. (4) Divers. S. G. 20 giugno 1442 : « Super quibus sermonibus absolutum est quantum ad voces, et in apparere Pauli de Vivaldis concordarunt voces XXXIIII, in Johannis de Passano V. dicti Andaleonis II etc. » (5) Divers. S. G. 23 gennaio 1450. Da qui risulta com’era cangiata la posizione dell’Officio di S. Giorgio. Gli antichi procuratori erano impiegati del governo ; i nuovi protettori e procuratori dipendevano dai creditori dello Stato. Con i protettori e procuratori, nella cui nomina il potere dello Stato non esercitava più alcuna influenza, e col Consiglio, i creditori dello Stato avevano raggiunto una organizzazione tale, da renderli una forza indipendente di fronte allo Stato medesimo. Essi avevano posto il dito sul nervus rerum. L’intera amministrazione del debito pubblico, i redditi ipotecati alle compere, il fondo d’ ammortamento, ed i luoghi decaduti, erano passati nelle mani della Casa di S. Giorgio , e tolti a quelle dello Stato. Nel 1418 il governo rinunziò solennemente al diritto di rivedere i libri delle compere, mediante V officium de moneta (1). Le imposte più importanti erano nelle mani della Casa di S. Giorgio. Sopra tutto il governo aveva dovuto rinunziare a qualsiasi ingerenza nell’amministrazione del monopolio del sale e di nome soltanto ne conservava la privativa (2). Il 25 decembre 1431 il governo fece espressa rinunzia a qualunque participazione sopra questo importantissimo reddito (3). La Casa di S. Giorgio , quale erede delle compere S. Pauli, doveva far partecipare all’ amministrazione del monopolio le compere capituli, le quali però poco a poco vennero lasciate fuori (4), essendone rimasto l’introito alla Casa di S. Giorgio mediante un compenso di L. 12500 alle Compere Capituli e di L. 3000 al governo (5). I protettori di S. Giorgio reclamavano il diritto della noti) Membr. 5 (IV) fog. 357b- (2) Membr. 8 (VII) fog. 392, 5 giugno 1425: «ab eo quod superfuerit... ultra dictas assignationes... dictum commune... absolvimus ». (3) Membr. 8 (VII) fog. 133: « Si quod jus hactenus habere pretendunt in ipsis emolumentis». (4) Membr. 5 (IV): il 7 giugno 1409 il governatore, gli anziani, e gli officia provisionis e S. Georgii agentes nomine communis pro officio S. Georgii diedero un compenso di 10000 L. ai procuratores capituli per la intera rinuncia dell’ amministrazione per tre anni. (5) I pag. 196-197, Membr. 13 (XII), fog. i25b 1415. mina e del controllo dei quattro officiales salis (i) il cui incarico era, insieme coi protettori, di eseguire le vendite del sale ai rivenditori (gabelloti) ed ai forestieri dipendenti da Genova, p. es. ai Milanesi (2) Il prezzo del sale veniva fissato senza alcun riguardo al governo, basandosi sulla proposizione che: dominium et gubernatio salis spectat et pertinet officio cioè (all’ officitim salis dipendente dai protettori di S. Giorgio) et non communi (3). Ogni governo di Genova doveva giurare i privilegi alla Casa di S. Giorgio, e se il governo si trovava in bisogno, si rivolgeva ai protettori ed al consiglio delle compere, come ad un potere indipendente. Entro le mura d’una città stavano di fronte 1’ una all’ altra 1’ organizzazione dello Stato coi suoi funzionari ed i suoi consigli e l’organizzazione dei creditori dello Stato coi suoi procuratori ed il suo consiglio. Ben fu detto che la Casa di S. Giorgio era uno Stato dentro lo Stato (4), come fu giustamente osservato, che mentre la costituzione dello Stato veniva scossa dalle più aspre lotte di partito, la costituzione dei luogatarii rimase ferma e sicura e in grado di venire in aiuto allo Stato. (5). La relazione del 1597 osserva d’altra parte giustamente, che 1’ Officium S. G e or gii altro non era che un membro del- (1) Questo diritto venne loro contestato nel 1428 dai protectores capi-pittili. Membr. 8 (VII) fog. io8b (2) Membr. 8 (VII) fog. 390b: « in presentia et cum consilio et consensu officii protectorum capituli et protectorum S. Georgii ». L officium salis era competente nelle liti fra i gabelloti. Bartl. de Bosco, cons. 532, p. 854. (3) Membr. 13 (XII) fog. i25b, 1415: «dictum sai vendere et vendi facere possint pro illis pretiis, modis et temporibus quibus dictis officialibus (salis) videbitur et placuerit, sive pro pretio sold. L. et den. I, sive sold. LX et pluri et pauciori pretio. Si ipsis officio et protectoribus videbitur ». (4) Confr. La relazione dell’ ambasciatore veneziano, F. Genala, il palazzo di S. Giorgio pag. 35, Foglietta, tìist. Gen. IX (ad anno 1407) isdem moenium saeptis duae respublicae includentur, F. Sansovino, dei governo et amministrazione di diversi regni e republiche, pag. 131, duc comunità. (5) Machiavelli, hist. florent VIII fog. 218 (Edizione 1532) A. Giustiniani. Ann. fog. 171b : « 1’ ufficio di S. Giorgio è stato la conservatione della patria e della reipublica ». — — 2 i — > 1 Amministrazione generale dello Stato (i). Infatti non solo i primi procuratori erano funzionari nominati dallo Stato , ma anche più tardi, 1 'Officium S. Georgii, insieme coll’Officium monde ed altri, figura come facente parte del governo, e ciò anche in questioni che, come quella del catasto (2) 0 della riforma monetaria (3), non aveano rapporto diretto colle compere. Agl impieghi della Casa, e alle cariche di protettori si provvedeva, come per gl’impieghi dello Stato, prendendo in considerazione le classi ed i partiti politici; fino al 1528 per colori (4), più tardi per alberghi. La Casa di S. Giorgio era un’ organizzazione di creditori dello Stato genovese, in gran parte per prestiti forzosi ; era una di quelle istituzioni caratteristiche del medioevo , che in causa di un indebolimento nel potere dello Stato ne assumeva parte delle funzioni. La Casa di S. Giorgio era una organizzazione politica separata a favore della classe dei capitalisti, nelle cui mani si concentravano i titoli del debito pubblico. Era ben lungi dal- 1 essere una società commerciale (5) e quindi non può essere considerata come la più antica associazione per azioni (6). (x) Cap. 69. membrum rei publice confr. Membr. 8 (VII,) fog. rSo. A proposito della conferma dei privilegi di S. Giorgio per parte del doge Pietio de Campo Frègosp 4 Febbraio 1451 « intelligentes has comperas maximum esse ac nobilissimum Januensis Reipublice membrum ». (2) Officio monete (Paris) fog. 55*», 9 Ott. 1455. (3) Manoscr. 15 fog. 55, 28 giugno 1507. Si radunano in consiglio de corrigendo pretio monetarum, quod per civitatem per turbationes , nimium jam excreverat: gli anziani, gli officii balie, monete, S. Georgii e monetarum, sotto la presidenza del regio governatore. (4) Divers. S. G. 11 decem. 1441; «Officium S. G. elegit 24 consiliarios dicti officii, nobiles et populares coloritos ex participibus compera-rum ». Vigna, Atti VI, pag. 962. 15 nov. 1459: «gratia faciende electionis duodecim protectorum accoloritorum ». Torino Arch. St. Racc. Lagomar-sini S. G. 1. 1501: « nomina civium accoloritorum iuxta ritum qui serva-batur in domo comperarum S. Georgii : nobiles albi e nigri, nominati per alberghi ed inoltre mercatores ed artifices albi e nigri ». (5) C. G. Ratti, Genova pag. 246: .S". Giorgio 11011 è casa di negozio ma de/ Commune. (6) Gildschmidt. Universa! Geschicte des Ilandelsrechts pag. 296, de- Costruzione giuridica delle compere, pagamento dell'interesse, imposte sulle rendite. Le compere di S. Giorgio, come organizzazione dei creditori dello Stato, devonsi considerare come cosa affatto distinta dagli appalti delle imposte, che vengono parimente chiamate compere, ossia acquisti delle rendite dello Stato. Le grosse rendite non venivano acquistate da singoli, ma bensì da gruppi di appaltatori, i quali però non avevano una spe ciale organizzazione, ma erano uniti fra di loro in forma di una società ad utile e perdita (i). I socii non figuravano tutti al momento in cui l’imposta veniva messa all’ incanto, e chi appaltava un’imposta o parte di essa, acquistava in generale il diritto d’incassarla non soltanto per sè, ma per un gruppo di soci. Per la riscossione veniva poi incaricato un collettore Questi ed il socio, il quale di fronte allo Stato era subentrato come acquirente della gabella, potevano rappresentare in giudizio i diritti dei soci (2). Invece i creditori dello Stato, i cui titoli per la massima parte avevano origine da prestiti forzosi, erano organizzati per compagne 0 per quartieri, in corrispondenza coi catasti delle imposte, avendo nei protettori e nel Consiglio una solida organizzazione. signa la Casa di S. G. come « il massimo sviluppo del sistema delle azioni a Genova, mentre K. Lehmann , Recht der Actiengesllschaften, Berlino 1898, pag, 283, la chiama non una società, ma un consorzio legale della specie d’ un concorso di creditori. Simili organizzazioni possono oggi essere create da creditori europei a fronte di paesi esotici (cf. la dette publique nella Turchia). (1) K. Lehmann; Recht d. Actiengesells. pag. 35, (2) Bartholom. de Bosco pag. 509 cons. 317. In una quistione riguardante l’imposte sull’eredità (decenum legatorum) al Publicanus Johannes de Vallabella come solo primaevo emptori ed al collettore Nicolinus ratione partis sue pro suo proprio interesse et ratione partium sociorum tanquam collectori è attribuito il diritto di appello, anche nomine sociorum etpar-ticipuTH die ti introitus. Conf. I. pag. 166, 216 e segg. — 27 — Per giustificare gl' interessi sui prestiti dello Stato, contro il divieto d’ usura, il prestito venne giuridicamente considerato come un acquisto, eviptio èt condUio, o compera. I caratteri di un acquisto sono : accordo fra le parti, merce e prezzo. La merce era la rendita, il luogo, il diritto del creditore di percepire dalle rendite a lui ipotecate , un interesse corrispondente alla quota di denaro prestato. Il prezzo era la somma pagata allo Stato nella ripartizione del prestito. Quanto al consenso delle parti era chiaro, che i primi creditori erano stati effettivamente obbligati al pagamento del prestito contro la loro volontà (i). Però si immaginò un accordo colla volontà del governo da parte dei tassati, adducendo in appoggio, che questa forma di tassazione si basava sopra una decisione dei cittadini, alla quale ogni singolo contribuente era tenuto (2). Altri sostenevano, più giustamente, non essere affare di diritto privato, poiché il prestito forzoso non era altro • che una forma di tassazione, e 1’ interesse pagato ai creditori nul-1’ altro che un favore loro accordato (3). I creditori dovevano ricevere un interesse fisso. Se però le rendite a loro assegnate non erano sufficienti a soddisfarli interamente, ciò era a loro danno, mentre se vi era un sopravanzo, questo andava a vantaggio del Comune o veniva impiegato nell’ ammortamento del debito. I creditori non avevano nessun diritto di denunzia contro lo Stato. Questo non (1) Bartholom. de Bosco, cons. 262, pag. 416 : « eosque cogi fecit invìtos solvere » « hoc signanter addito, quod cives, qui primarie solvunt pecunias, id perquam invite faciunt ». (2) Ivi: « hic intervenit consensus communis et civium qui contenti fuerunt facere antequam taleas et collectas simpliciter solvere et totaliter pecunias amittere ; nam vendendo loca saltem habent partem pecunie ab eis solute ». (3) Cosi il giureconsulto Johannes de Lignano , in Bosco pag. 419 , « commune coegit cives ad pecuniam tradendam et deinde commune tradit gabellas non ex conventione sed auctoritate propria et motu proprio ». Cfrs Endemann. Studiéu in der romaniscli-kanonistischen IVir-schafts-und Rechtslehre I, pag. 435, sul concetto che la necessità scusava il pagamento degli interessi nei prestiti dello Stato. — 28 — era tenuto verso di essi ad un termine fìsso per 1 estinzione, che poteva farsi in qualunque momento gli fosse piaciuto. Per questi motivi le compere non potevano essere considerate come prestiti ad interesse. Non si trattava di un mutuo perchè mancava la promessa della restituzione da parte del debitore, nè vi erano interessi, perchè l’incasso della rendita era incerto ed in pericolo. Il pericolo a cui erano esposti i creditori riguardo alla restituzione del capitale ed al pagamento degli interessi, è più precisamente rilevato da BARTOLOMEO BOSCO, dicendo che i creditori perdevano il loro capitale quando lo Stato, la civitas, venisse distrutto o soffrisse una maxima laesio, ovvero se un tiranno distruggesse i libri del debito pubblico appropriandosi le rendite vincolate ai creditori, come verso il 1400 accadde a Bologna dei montes communis (1). Ancorché il capitale dei creditori non potesse essere toccato, era però sempre in pericolo l’incasso delle rendite, lo che dipendeva dalla maggiore 0 minore bontà delle gabelle loro assegnate. Se queste non bastavano a coprire in parte ed anche in tutto gl’ interessi promessi, il Comune non aveva alcun obbligo di rifondere il danno, il quale rimaneva tutto a peso dei creditori (2). Gl’ interessi garantiti ai creditori potevano anche soffrire una diminuzione per il fatto che lo Stato non mantenesse le condizioni stabilite. Così era una manovra prediletta quella di aumentare il numero dei luoghi d’ una compera lasciando invariati gli assegni. Ciò si faceva principalmente quando un fondo d’ ammortamento aveva già coperto buona parte della compera. Allora i creditori che rimanevano, perdevano lo sperato pagamento (3). (1) Bosco. Cons. 262. (2) Bosco ivi : « Et si assignatio in totum periret vel etiam in partem redderetur inutilis, risicum, periculum et damnum pertineret ad habentes dictus assignationes et non ad dictum commune ». (3) Membr. 30 (XXII) 1435 fog. 159: « revideantur parvule compera locorum communis recentius institute que dicuntur exdebitasse nmlta loca, quodque ipsis comperis addantur tot loca quot commode addi possunt, — 29 — Prima di tutto lo Stato falcidiava le rendite dei creditori imponendo delle tasse sugl’ interessi. Queste o erano pagate direttamente dai creditori, o indirettamente, mediante trattenuta di parte o di tutti gl’ interessi. Però verso i forestieri bisognava andar cauti nell’applicare tali misure, per non incorrere in rappresaglie. Infatti a Firenze, quando nel 1470 vennero ribassati gl’interessi del debito pub-bito pubblico, si fece eccezione da tale disposizione per i creditori stranieri, come il re di Portogallo e parecchi Genovesi (1).. Per evitare complicazioni coll’ estero, a Chieri non era in generale concesso ai principi stranieri ed ai loro funzionari di acquistare titoli del debito pubblico. Chi diventava possessore d’ un luogo di monte di Chieri, veniva per questo fatto considerato come cittadino del Comune e come tale obbligato al pagamento delle imposte (2). Parimenti nelle città maggiori, Firenze, Venezia e Genova, l’acquisto di titoli del debito pubblico da parte degli stranieri, veniva accordato, come privilegio, e solo entro certi limiti (3). In caso di guerra non si pagavano interessi ai cittadini dello Stato nemico, e quelli dei ribelli venivano confiscati. Però ordinariamente nei trattati di pace veniva inserta la clausola di pagare poi gl’ interessi di cui lo Stato era debitore verso gli stranieri (4). L’imposta sulla rendita era in uso a Genova da tempo remoto (5). Vedemmo come nelle covipere capituli l’interesse que postea vendantur et ex eorum pretio suppleatur publice necessitati ». Furono proposti 500 luoghi. (1) Firenze Arch. St. Provisiones 12 nov. 1470: « accioché si fugga danno e rappresaglia a vostri cittadini et observasi la fede ». (2) Cibrario, Storia di Chieri, I pag. 474-75. Il monte del 1415. (3) I pag. 200, 201. (4) Nella pace del 1413 fra Genova e Firenze venne promesso ai Genovesi il pagamento degli interessi arretrati sui loro titoli del montes jlorentie o della Massa Pisarum. L. J. II. Paris, fog. 339. (5) Leges Bucicaldi I. Paris fog. 151 : « De illis qui habent in comparis salis seu in compara II den. de malatolta seu in denariis maris vel in aliquibus aliis comperis, ex quibus percipitur aliquis introitus vel aliquid annuatim: .... de eo quod habent in comparis, expendant in avariis ». — 30 ~ promesso non sia mai stato pagato per intero, ma bensì in misura variabile, e sempre al di sotto di quella fissata (i). In confronto il governo accordava ai creditori, dopo la seconda metà del XIV secolo, 1’ esenzione dalle imposte, e per lungo tempo venne mantenuto il pagamento dell’ interesse del 7 °/0, fissato nel 1407 (2). Ancora nel 141Ò la rendita della Casa di S. Giorgio era stata tale, che oltre il pagamento dell’ interesse del 7 °/0, essa aveva potuto anche ammortizzare 200 luoghi (20000 L.) al cento per cento (3). Perciò il credito deio Stato erasi rinforzato ed il corso dei luoghi era salito alto (4). Però nel 1419, sotto il doge Tomaso Campo Fregoso, si dovette per la prima volta allontanarsi da questa massima. La Casa di S. Giorgio venne in aiuto alle strettezze finanziarie del governo, colla trattenuta a favore di quest’ultimo di una delle rate trimestrali d’interesse, per modo che i creditori ricevettero solamente il 5 i/i °/° (5)- Questa misura fu allora ritenuta un’ ingiustizia scusata soltanto dal pericolo dello Stato (6) ; da quella volta in poi però, il versamento di una (1). I, pag. 135, segg. (2) Il 21 luglio 1413 i protettori di S. Giorgio dovettero persino ammonire un Consul sive tnassarius mutuorum appodiatorum officio salis, • il quale aveva pagato illegalmente 8 °/0 d’interesse. I creditori dovevano ricevere soltanto 7 %, poiché 1’ uno per cento era destinato all’ ammortamento del debito. (Divers. S. G.). (3) Divers. S. Georgii, 16 ottobre 1416. (4) Membr. 30 (XII), fog. 211, 1445; « 'oca multo maiore pretio ven-dita fuere in maximam utilitatem communis Janue ». (5) Membr. 13 (XII) fog. 180. (6) Bosco, cons, 262 ; « licet hoc fuerit factum de facto et contra justitiam ». Non posso convenire coll’opinione di K. Leumann, Recht der Acliengesellschaften, pag. 44. che la Casa di S. Giorgio sia diventata dal 1419 una Società per azioni. È certo che si possono notare certi punti di contatto, specialmente quello del dividendo variabile ; ma pensando che la Casa è sorta dall’ imposte parificate ad un prestito forzoso , e riflettendo sulla importanza politica della sua organizzazione, vorrei piuttosto ascriverla ai precursori della società per azioni come furono le Markgeiiossenschaften e le Gewerkschaften. Non posso attribuire al cangiamento del 1419 una cosi grande importanza, esso appoggia solamente I — 31 — paga allo Stato diventò di norma, nè i creditori poterono quindi più ricevere il completo interesse del 7 %• Nel 1421 troviamo già la posizione dei creditori peggiorata di molto. In causa della peste l’appalto delle imposte aveva reso molto meno degli anni precedenti, e dopo che dovevasi versare al governo una paga (25 %) a titolo d’imposta sulla rendita, i protettori di S. Giorgio si trovarono nel dubbio di poter pagare ai loro luogatari anche appena la metà dei loro interessi (1). Però teoricamente venne mantenuto il diritto ai creditori di ricevere il 7 °/0 (2). La possibilità di poter pagare ai creditori anche solo il 5 U % Per luogo scompariva mano mano di fronte alle grandi sovvenzioni che la Casa di S. Giorgio faceva al governo. Negli anni 1432, 1434 e 1435 si pagarono soltanto 4L. 5 sol. per luogo, e poco a poco si ritornò ai dividendi annuali variabili. Ma ancora nel 1435 ai creditori stranieri sembrò una lesione dei loro diritti il non ricevere 5 l/i L. usuali e per aquietarli fu necessario diramare una circolare ufficiale del vicario del podestà di Genova (3). La finzione di questo interesse nominale dal 7 °/°, appare completamente abbandonata solo nel 1440. I procuratori di S. Giorgio calcolarono 1’ introito delle gabelle e degli altri redditi, deducendone le spese di amministrazione, e dell’ introito netto vennero assegnati 25 sol. per luogo ai governo a titolo d’imposta sulla rendita; ed il rimanente fu diviso fra i comperisti, ai quali toccarono 4 L. 10 sol. per luogo (4). Nel 1445 fu imposta a sette compere, che possedevano insieme un .capitale di 610000 L., una sopratassa di 25 sol. (1 fi) per luogo. Il governo però riconobbe questa imposizione come il concetto di Lehmann, pag. 203, ov’egli giustamente paragona la Casa di S. Giorgio ai creditori in una procedura concorsuale. (1) Divers. S. Georgii, 23 aprile 1421. (2) Membr. 15 (XIV) fog. 6» 6 ott. 1421 « ad rationem septem pro centenario ». (3) Notaro Cristoforo di Rapallo. Sen, I. fog. 270: « Universis et singulis potestatibus etc. et precipue officialibus civitatis Terdone ». (4) Divers. S. Georgii, 10 marzo 1440. .'H — 32 — illegale e promise che da allora in avanti la cciptio florem non sarebbe applicata che in caso di assoluta necessità e dopo sentito il consiglio di cento cittadini, accordando poi ai creditori di rivalersi dell’ imposta così pagata, sulla prossima tassa generale sulle proprietà (i). Parimente, se il governo voleva imporre una captio florem alle Compere di S. Giorgio, doveva avere il consenso dei protettori e del Consiglio, i quali potevano rifiutarlo, se 1 imposta sulla rendita non era domandata per coprire bisogni straordinari. Il 16 gennaio 1450 il Consiglio delle compere respinse due volte la proposta dei protettori, fatta da questi sopra documenti del governo, per ottenere una imposta sulla rendita di 30000 lire; la prima volta con 150 voti contro 112, la seconda con 144 contro 117. In questo caso gli statuti delle Compere non consentivano che la stessa proposta venisse messa nuovamente in campo. Perciò quando il 28 gennaio il doge Lodovico Campo Fregoso avanzò la stessa pretesa alla Casa di S. Giorgio, i procuratori la respinsero, nè gli valse addurre in appoggio, che si trattava formalmente di una proposta nuova, basata sopra una decisione del Gran Consiglio di Stato del 23 gennaio approvata con 157 voti voti contro 131. Il piccolo Consiglio delle Compere dichiaro che una nuova discussione su questa proposta era contro la legge e con ciò il governo dovette darsi per vinto (2). E_fuor di dubbio, che tale organizzazione preservo 1 creditori di Stato genovesi da maggiori perdite. Anche il credito dello Stato rimase con ciò più alto di quello che fosse in altre città italiane ed è con un certo orgoglio che nell’anno 1534 Giustiniani riferisce che dopo la fondazione della Casa di S. Giorgio, un interesse anche piccolo venne sempre dato ai creditori dello Stato di Genova, mentre tanto la camera veti) Membr. 30 (XXII) fog. 211, 1445: « unusquisque ex participibus staliatus in avariis communis Janue possit et debeat excusare fi. unum pro quolibet loco quem reperiatur habere ». (2) « Ulterius non fieri contionem convocatorum nec proponi debere requisitionem ». Divers. S. Georgii, 1450. Confr. Cap. II pag. — 33 — neziana degli imprestiti, quanto l’amministrazione dei monti fiorentini, talvolta mancarono totalmente ai loro impegni (i). Però nemmeno la Casa di S. Giorgio fu in grado di pagare un interesse costante ai creditori dello Stato, ai quali invece dava un dividendo oscillante a seconda dei maggiori o minori introiti che ritraeva dall’appalto delle imposte. Vendita dei titoli del debito pubblico. Se gl interessi che i creditori dello Stato ricevevano per i capitali da esso versati, erano di molto inferiori alla misura normale, e se in conseguenza la compera si riduceva ad un cattivo impiego di capitale per i primi contribuenti (2), rimaneva però sempre in vigore il diritto di vendere i titoli del debito pubblico. In questo modo il primo contribuente si garantiva dalle perdite maggiori che avrebbe sofferto per imposizione di tasse, ed il capitalista più forte, che comperava i titoli a bassi prezzi, poteva fare buoni affari se, in anni favorevoli, maggiori incassi derivanti dagli appalti delle imposte rendevano possibile dei dividendi relativamente vantaggiosi. Il passaggio di proprietà dei luoghi era soggetto ad una tassa di vendita (censaria locorum) e doveva effettuarsi mediante sensali nominati dagli appaltatori delle imposte e approvati dall’Officio di S. Giorgio. DaJla vendita di luoghi della Casa S. Giorgio, 0 di luoghi a questi assimilati in valore, essi percepivano 20 sol. per luogo, che erano sopportati in parti eguali dal venditore e dal compratore ; per i loca salis, od altri dello stesso - valore 10 sol. per luogo , e per luoghi del valore della mutua vetera solo la metà (3). (1) A. Giustiniani, Annali, fog. 172. (2) Bosco, Cons. 262: « Si tunc temporis vendere vellent loca sive assignationis ipsis factas, non haberent ex pretio tantum quantum sol-vernnt ». (3) Membr. 14 (XIII), pag. 115: « Et quod nullus alius censorius vel aliqua alia persona possit vel debeat aliquam venditionem seu descriptionem locorum predictorum facere ». Vedemmo che altri Stati si riservavano il diritto di priorità per l’acquisto dei titoli del debito pubblico; a Genova la vendita dei luoghi era libera fino dal XIII secolo (i). Solo in casi eccezionali il governo proibiva il commercio dei titoli, che erano considerati come una merce (2). I luoghi venivano negoziati pubblicamente dai cittadini e forestieri, e tenuto pur conto della perdita sofferta dal primo contribuente nella vendita e del minore interesse che davano, in proporzione ai prestiti volontari, tuttavia i luoghi erano sempre ricercati come un impiego di capitale specialmente sicuro per le sostanze dei pupilli, delle vedove, delle chiese, dei conventi e delle pie istituzioni (3). Il passaggio di proprietà dei luoghi si effettuava mediante voltura nei libri del debito pubblico. Il venditore doveva far nota la sua volontà ai Consoli delle compere, incaricati della tenuta dei libri, personalmente 0 mediante uno speciale mandato notarile (4). A garanzia dei proprietari dei luoghi era loro accordato il privilegio che il passaggio di proprietà non potesse aver luogo se non per loro espressa domanda, meno che in quattro casi. In caso cioè di eredita e legati, gli eredi ed i legatari, riconosciuti come tali, venivano senz’altro messi in possesso dei luoghi loro spettanti, e cosi per le doti e controdoti (dos et antefactum) gli aventi diritto ottenevano la voltura mediante decreto del tribunale (5)- (1) I. pag. 67, 63 e 202. (2) Il 21 maggio 1378, Divers. not. 104: Viene ordinato agl’impiegati delle compere di eseguire volture soltanto con appodisia et expressa, li-centia del doge e degli anziani per iscritto. (3) Bosco, Cons. 262: « De his locis ut de aliis rebus et mercibus fit publice mercantia inter cives et extraneos; pecunie pupillorum, viduarum, miserabilium personarum, ecclesiarum, monasteriorum et aliorum piorum locorum convertuntur in ea; alii etiam cives et forenses emunt ex eis ». (4) Appendice, I. (5) Bosco, Cons. 507, p^g* 814* « occasione dotium et antefacti possit consequi solutionem in locis auctoritate magistratus persona recipere debens ipsas dotes et antefactum ». Questi privilegi erano stati concessi alle compere capituli il 12 aprile 1346 ed estesi a tutte le compere posteriori. Confr I, pag. 204. In relazione a questa deliberazione Bart. — 35 — Il suddetto privilegio era una garanzia per i proprietari dei luoghi. Una legge data il 5 aprile 1447 proteggeva gli acquirenti bona fide luoghi, allo scopo di dare sicurezza al traffico di questi titoli, e farne rialzare il corso. L’acquirente bona fide d’un luogo a carico del quale non fosse notato alcun pegno, doveva essere protetto di fronte ai terzi, qualora a-vesse versato al venditore il prezzo d’ acquisto, lo che però non escludeva che questi dal canto suo fosse responsabile verso il vero proprietario, nel caso avesse usurpato il possesso dei luoghi venduti (1). Soltanto verso i nemici dello Stato e verso i ribelli, il governo non rispettava la proprietà dei loca communis, anzi i titoli del debito pubblico erano i primi ad essere colpiti da confisca (2). Anche in questi casi però, in seguito a riconciliazione o conclusione di pace, veniva d’ordinario accordato rifusione di danni (3). Bosco, Cons. 172, accorda sotto certe circostanze anche all’accomandante il regresso sui luoghi del suo accomandatario senza speciale mandato di quest’ultimo. Giovanni Grillo aveva dato ad Ottobono de Gui-sulfi del denaro in accomandita. Questo dopo la conclusione del contratto comperò dei luoghi, e poi morì senza soddisfare il suo accomandante. B. Bosco dichiara che Grillo poteva far fare la voltura dei luoghi a suo favore, poiché una legge « de pecunia in societate mutuo ... » accordava all’accomandante il privilegio della moglie e della nuora , le quali però in simili casi ottenevano la voltura dei luoghi per la loro dote senza speciale mandato del proprietario. B. Bosco crede anche che, quando non vi fossero eredi, l’accomandante abbia diritto di regresso, se l’accomandatario avesse acquistato i luoghi prima della formazione dell’accomandita , non potendo essere nell’idea del legislatore di girare i luoghi a favore d’ un morto. (1) Membr. 8 (VII), fog. i35b. (2) Confr. Membr. 8 (VII), fog, 97, 31 ott. 1425: « (loca 36) scribantur in ratione et columna communis Janue tanquam loca et bona Thome de Campofregoso, rebellis ducalis et communis Janue, titulo confiscationis et rebellionis ». (3) Membr. 8 (VII), fog. 1S3, 1 aprile 1451. Il governo delibera di accordare ai cittadini di Atti 30000 lire « ad integram solutionem et satisfactionem proventuum ut supra (propter pretensam hostilitatem) interceptorum ». — 36 — In virtù di questi privilegi il traffico dei titoli del debito pubblico diventò attivissimo. Non solo si comperava a contanti , ma anche a tempo (i) ed i prezzi variavano giornalmente a seconda che la posizione politica infondeva maggiore o minore fiducia sugli interessi sperati. Dopo il taglio degl interessi avvenuto nel 1419, il corso dei luoghi cadde notevolmente, e risalirono a 70 lire soltanto dieci anni dopo, quando cioè nel 1429 sotto il dominio di Milano la pace parve assicurata (2). Per dimostrare quanto al basso fosse scesa Genova nel 1464, sotto il reggimento dell’ambizioso doge arcivescovo, Paolo de Campo Fregoso, il cronista ci informa che allora i luoghi di S. Giorgio non valevano più di 23 lire (3). Il commercio della rendita diventò un ramo d’affari indipendente ; si comprava e si vendeva non solo per bisogno o come impiego di capitali, ma anche per speculazione. Chi si attendeva a un ribasso dei luoghi vendeva, chi prevedeva un rialzo comprava (4). Fino da allora si presentarono tutti gli inconvenienti della speculazione sul traffico dei fondi pubblici. Quelli che erano a cognizione della posizione politica ne approfittavano per realizzare a tempo opportuno i loro capitali (5) , spargendo anche talvolta artificiosamente false notizie. Le sommosse avvenute nell’anno 1506 a Genova vennero da alcuni imputate agli speculatori al ribasso (6). (1) Membr. 14 (XIII) fog. 115, 1499: « contractus de locis compera-rium S. Georgii consignandis ad tempus '>. Questi contratti dovevano essere notificati al collettore della gabella censarie locorum. (2) Stella, Annali. (3) Giustiniani. Annali. (4) App. II. (5) I, pag. 208, 209. (6) Senarega, Annali, 1506. Muratori, Scriptores pag. 581: «Arbitrati nonnulli sunt, paucorum avaritia arma sumta in urbe fuisse; quia pauci populares et ipsi divites magnum numerum locorum tradere intra statutam diem creditoribus, cum quibus convenerant, deberent, et ad suam maximam utilitatem pertineret, si minori pretio resignarentur quam ea habuisset: quod fieri posse hdc ratione sperabant si leviter civitas tumul-tuasset et tantisper tumultus duraret, donec pretium decrevisset ; quod saepius in locis contigit, ubi timor aliquis futuri mali nascitur ». Taluno di essi fu colto in fin di vita da rimorsi di coscienza. Così Bendinelli Sauli aveva lavorato molto durante la sua vita in questo genere di affari. Suo figlio Pasquale, dopo la morte del padre , comunicò alla Chiesa le sue apprensioni sulle conseguenze che quella specie di affari potessero recare aH’anima del defunto. Il padre Angelo rispose, il 24 febbraio 1484, che l’anima di suo padre nulla aveva da temere, qualora delegasse 15000 lire per scopi pii (1). Quando venivano fatti prestiti al governo o quando vi era pericolo di guerra i luoghi cadevano , perchè allora la Casa poteva pagare pochi interessi; rialzavano invece di valore se probabilità di pace lasciavano prevedere un maggiore introito dall’appalto delle imposte. Possiamo bensì paragonare il variabile interesse ad un dividendo, ma non per questo si può dire che la Casa di S. Giorgio fosse una società per a-zioni. I luoghi sono paragonabili ai titoli di Stato, non alle azioni. Il commercio dei fondi pubblici è più antico di quello delle azioni. (2). I luoghi di S. Giorgio erano ricercati, perohè i banchieri li dovevano dare in garanzia (3). Prima di tutto il mercato di luoghi diventava vivo perchè gli appaltatori delle imposte ne facevano attiva domanda, avendo il diritto di pagare con _ essi e con le paghe (interessi) l’ammontare dell’ appalto. Perciò procuravano di acquistare i luoghi e le paghe, ordinariamente sotto la pari, lo che contribuiva a mantenere vivo il mercato dei luoghi ed a rialzarne il corso. Quando nel 1441 (1) Bruzzone, Appunti storici intorno al monte di pietà di Genova. Giorn. ligustico, 1898, pag. 121. Di queste 15000 lire, 4000 dovevano andare erogate per la fondazione del Padre, ossia dei monte di pietà di Genova. (2) Sul « giuoco di borsa a Firenze » , confronta R. POhlmaun, Dìe Wirtschaftspolitik dér fiorentine*- Renaissance und das Princip der Ver-kehrsfreiheit. Memoria premiata della Società Jablonowsky, XXI, pag. 86. (3) Ceche, pag. 46, 16 dee. 1490: « quilibet bancherius debeat obligare officio monetarium loca C. comperarum S. Georgii ad vendendum et alienandum arbitrio officii ». Nel 1494 le obbligazioni del monopolio del Sale, cioè le scripta seu eredita sa/is, furono concesse per la metà delle 100 lire, oltre ai loca e page S. Georgii. Ceche, fog. 25b. - 38 - si voleva imporre agli appaltatori di pagare almeno un terzo del prezzo dell’appalto in contanti, venne opposto che la diminuzione della domanda di luoghi e paghe che ne sarebbe conseguita, avrebbe prodotto gravissimi danni ai creditori dello Stato, che gl’ interessi sarebbero scesi al 60 0/°, e ancor meno, del loro valore, e che infine quella disposizione equivaleva alla distruzione dei libri del debito pubblico (1). Importanza della Casa di S. Giorgio per il debito pubblico di Genova. L’istituzione della Casa di S. Giorgio non bastò a porre un termine all’accrescimento del debito pubblico dello Stato genovese, che continuò per la via sulla quale si era messo. Il governo contraeva debiti in sospeso, rilasciando ai creditori assegni a termine (2), mentre il debito permanente era costituito dai loca comperarum. Il debito permanente della repubblica andava aumentando specialmente per i prestiti forzosi che il governo non riusciva a restituire. Il 22 ottobre 1409 vennero consolidati tre prestiti forzosi in una compera al 7 °/0 dell’ importo di 165000 fi., la cui amministrazione fu dapprima affidata all Officium de moneta. Per il pagamento degl’ interessi ed estinzione del capitale, furono assegnate parecchie entrate, fra le quali un nuovo diritto istituito a Caffa sull’ancoraggio (3). Sotto il doge lo-maso de Campo Fregoso nel 1418 furono riuniti in una com- (1) Divers. S. Georgii, 14 genn. 1441, Michael Capellinus : « diffor-mare excusationes esset quasi emere ligna et comburere caituiaria ». Si riteneva che un ribasso dei luoghi dovesse disgustare prima di tutto l’estero ed i piccoli possessori che avrebbero venduto i loro luoghi. Con ciò i forestieri avrebbero cessato di partecipare ai pesi dello Stato, e si sarebbe aumentata 1’ influenza dei facoltosi nelPamministrazione del debito. (2) Confr. Vigna. Atti S. L. S.P. VII, 2, pag. 97, 9 marzo 1476. Le « assignationis massarie Caphe, quarum tamen terminus non excedat annum unum ». Vi erano dunque anche termini più lunghi. (3) Membr. 8 (VII), fog. 354, segg. I — 39 — pera al 7 °/0 i creditori d’un prestito forzoso di 100000 fl. ed in una terza i creditori di un altro prestito di 50000, alla quale compera vennero assegnate le imposte fondiarie, e che perciò venne chiamata compera possessionum. I creditori potevano organizzarsi sotto protettori propri, ed ottenevano pure condizioni favorevoli. Contro una contribuzione di 80 lire ai prestiti forzosi, ricevevano un luogo da 100 lire (1). Come l’imposta fondiaria, anche quella sulle persone venne nel 1427 assegnata ad una compera organizzata sotto propri protettori, formata dai creditori d’un prestito forzoso (2). Il prestito forzoso ad interesse fu accolto, in confronto della colletta, come il mezzo più comodo per procurare allo Stato somme di maggior rilievo. Però 1’ applicazione troppo frequente di questo sistema provò che i prestiti forzosi diventavano una forma gravosa di tassazione (3), ed il governo, il quale più che altrove doveva far calcolo sulla buona volontà dei cittadini, procurò di rabbonirli ricorrendo ai prestiti volontari. Questi prestiti venivano assunti nella forma già conosciuta fino dal principio del XIV secolo, promettendo cioè, per una determinata somma capitale , un interesse fisso, garantito da determinati redditi. Il capitale veniva diviso in luoghi da 100 lire, i quali si vendevano separatamente all’ incanto (4). Per l’estinzione di questi debiti doveva servire il sopravanzo delle imposte assegnate, ovvero si metteva da parte un certo numero di luoghi come fondo d’ammortamento (cauda, coda). Allo scopo di mantenere alto il cosso dei luoghi, il goti) Membr. 30, (XXII), fog. 42b. (2) « Compera locorum mutui capitum nuper imposita ». Sala 41 , N. 520, fog. 197. (3) Membr. S (VII), fog. 209, 10 nov. 1427: « Animadvertentes quantum sit necessarium habere pecuniam in communi.....accrescentibus hostium et rebellium viribus, quantum etiam haberetur odio universis civibus via mutuorum et avariarum , quam quisque libenter evitat propter iniustas et inordinatas partitiones tam etiam propter impotentiam persolvendi ». (4) I. pag. ior, 102. — 40 — verno prometteva la restituzione non già ad un corso eventuale, ma bensì in misura fissa p. es. 90 lire per luogo (1). In tal guisa nel 1428 furono venduti all’ incanto 640 luoghi, ai quali venne assegnata un’ aggiunta alla tassa sul traffico (gabella censarie) e che il governo promise restituire con almeno 90 lire per luogo; ciò malgrado appena si arrivò da 63 a 65 lire per luogo (2). Nel 1433 il governo tentò di procurarsi denaro coll’emissione di 1600 luoghi, ai quali fu assegnato un aumento generale su tutte le gabelle esistenti {salsa) (3). Allo stesso modo l’n luglio 1435 furono messi all’incanto 220 luoghi liberi da imposta di una nuova compera, alla quale venne assegnata una tassa di ancoraggio di ’/2 %■ I luoghi furono venduti al corso da 78 a 73 lire per luogo (4). Il 12 settembre 1444 furono messi in vendita 325 luoghi 7 % corso di 77 (per ricavare 25000 lire), ma non si ottennero più di L. 75 a 76 7., per luogo (5). Si può dire che nel presente periodo, al contrario del XIV secolo, ai prestiti forzosi, prevalse la forma dei prestiti volontari mediante vendita all’ incanto dei luoghi. Però questa offerta in massa che il governo gettava sul mercato , faceva sì che il prezzo che si raggiungeva per i luoghi era molto al di sotto dell’aspettativa (6), e con un giro vizioso si tornava al prestito forzoso, poiché i luoghi rimasti invenduti venivano ripartiti fra i cittadini più facoltosi (7). Però questa forma di (1) Membr. 8 (VII), fog. 210, 11 dee. 1427. (2) Membr. 30 (XXII), fog. 157. Si scelse questa via per evitare un’imposta diretta o un prestito forzoso. (3) Membr. 30 (XXII), fog. 85. (4) Membr. 8 (VII), fog, 216. (5) Membr. 30 (XXII), fog. 119. (6) Membr. 8 (VII), fog. 2i3b, 14 gemi. 1428: « hactenus oblata non fuisse pro locis pretia idonea nec sperari debere inveniri emptores nisi vilibus pretiis, unde resultaret gravis jactura in communi ». (7) Ivi: « loca amplius non subastentur, sed de eis fiat et fieri debeat partitio inter cives Janue assignando quemlibet locum pro libris LXX ». Viceversa in un prestito forzoso, vennero messi pubblicamente all’incanto nel 1427 i loca illorum qui non solverunt infra tempora stallila, Corso 56, 59, 63; Sala 41, N. 520, fog: 213. — 4i — prestito forzoso era ritenuta come odiosa e da applicarsi in casi estremi, quando cioè le vendite all’ incanto o le trattative colla Casa di S. Giorgio fallissero (i). In tal guisa si formarono nuovi gruppi di debiti, che come le Compere di Capitulo rimasero indipendenti dalla Casa di S. Giorgio. Anche la mahona di Scio e i debiti dell’amministrazione coloniale di Pera e Caffa, cioè i luoghi di Pera e di Caffa non furono sottoposti all’amministrazione della Casa di S. Giorgio (2). Però ancora nella prima metà del XV secolo, la Casa di S. Giorgio poteva dirsi il nucleo principale delle compere genovesi (3), e poco alla volta essa assorbì tutte le compere rimaste fuori dalla sua amministrazione. Così nel 1417 la compera consolidata nel 1409 fu tolta all’officium de momta e ag-gregata alla Casa di S. Giorgio (4). Altri prestiti forzosi che dovevano essere uniti col debito permanente, passarono subito alla Casa stessa, come fu nel 1412 per un prestito forzoso di 60000 lire. I protettori della Casa di S. Giorgio disposero di 5000 fl. per comperare al corso di 90 °/0 (*8 sol. prò libra) i piccoli importi di coloro, e col loro consenso, che avevano versato, da 25 lire in giù (5). Gl’ interessati d’un altro prestito forzoso di 107500 lire furono dichiarati il 25 maggio 1419 come partecipanti alle compere di S. Giorgio, sicché og'nuno ricevette un locus S. Georgii per ogni 80 lire del suo avere. Con ciò il capitale della Casa di S. Giorgio si accrebbe allora di 1343 3/4 luoghi (6). (1) Membr. 30 (XXII), fog. 119. (2) L. J II (Parigi), f. 3ib. Nella promissio facta pro conservatione comperarum et locorum S. Georgii, prestata in occasione dell’assunzione della Signoria di Milano sopra Genova, 24 febb. 1422, sono menzionate le compere: « S. Georgii, capituli, officii salis, possessionum, mahone Chii, Peyre, Cafle et aliarum quarumcunque comperarum Janue ». La compera protectorie Caffè, importava nel 1425, 246 luoghi all’8 °/0. Membr. 13 (XII), fog. 226. (3) « Tanquam caput ceterarum comperarum Janue ». Membr. 8 (VII), fog- 133, 1430. (4) Membr. 13 (XII), fog. 126 segg. (5) Membr. 15 (XII), fog. So. (6) Divers. S. G. 1419. — 42 — Così pure i creditori di prestiti volontari furono aggregati alla Casa di S. Giorgio, sicché nel 1413 il suo capitale aumentò di altri 625 di tali luoghi (1). La Casa di S. Giorgio amministrava da sola una somma di debiti doppia di quella amministrata da tutti gli altri protettori insieme. Perciò quando nel 1422, vennero forzosamente ripartiti 1290 nuovi luoghi, fra i cittadini, due terzi dei nuovi creditori, 860 luoghi, vennero assegnati ai protettori della Casa di S. Giorgio, mentre le compere capituli, salis e possessionum divisero fra di loro i rimanenti (2). Talvolta il governo lasciava alla Casa di S. Giorgio la creazione di luoghi. In tal caso esso governo assegnava alla Casa alcune determinate imposte, ricevendo in cambio una data somma. P. es. il 20 dicembre 1431 il governo, verso un prestito di 200000 lire cedette ai protettori di S. Giorgio i seguenti redditi : una imposta sulla rendita del 25 % (* lira 15 sol. per luogo) sulle compere al 7 °/0, il doppio della tassa sul cambio, ed una sopratassa di 1 % alla imposta sulla vendita di luoghi (censaria locorum). Per realizzare questi redditi i protettori potevano aumentare il loro capitale d’un numero corrispondente di luoghi, da porsi all incanto ed ai quali venivano assegnate le suddette imposte per il pagamento degl’ interessi (3). La Casa di S. Giorgio non solamente assunse la maggior parte del debito permanente dello stato di Genova, ma essa sovvenne pure il governo in momenti di gravi imbai azzi. ]\Iolto spesso avvenne che la Casa dovette porre a disposizione del governo, sempre in bisogno, i suoi ricchi mezzi, verso cessione di corrispondenti gabelle. In (questi Ccisi non sempre essci pcig’civci in contanti, ma spesso metteva invece a disposizione del go-verno una parte del fondo d ammortamento amministrato dai protettori, cioè luoghi coi relativi interessi. Così il 30 agosto 1412 furono accreditate al governo 31200 lire dal fondo d’am- (1) Membr. 13 (XII), fog. 90. (2) Ivi, fog. 45b- (3) « Super ipsis introitibus..... loco imponere..... auctoritate propria. Membr. 8 (VII), fog, 133. ■ 1 > — 43 — mortamento (i) e nel 1413 il governo si valse della mallevarla di S. Giorgio. Il governo voleva provare a soddisfare i creditori coi propri mezzi, ma non avendolo potuto fare, intervenne nuovamente la Casa di S. Giorgio con una sovvenzione di 30000 lire tolte dal fondo d’ammortamento, verso cessione d un altro 1 °/n della tassa d’ancoraggio (2). Nel 1414, pei una somma accordata al governo venne concesso alla Casa di S. Giorgio per 10 anni una nuova tassa d’ancoraggio ^ Va /0 (3)- Allorquando il 30 aprile 1415, il governo decise di far pervenire una sovvenzione di 15000 lire all’imperatore Sigismondo che trovavasi nei pressi del suo territorio , tale somma venne prelevata ad scriptum banci dalla Casa di S. Giorgio, la quale fu compensata del suo esborso mediante cessione d un dazio di 1 °/0 Per mesi (4). Nel 1416 le Covi-pere di S. Giorgio e Capituli assunsero insieme il pagamento di 94349 ducati, che Genova doveva pagare a Venezia entro trent anni, verso rinunzia del governo genovese di fronte alle suddette Compere, di qualunque diritto sulla tassa degli stipendi (officia sortium fioroni auri) (5). Nel 1417 il governo ricevette altre 24350 lire dalla Casa di S. Giorgio verso cessione di un altro 1 °/0 sulla tassa d’ancoraggio (6). Nel 1421 esso ebbe ancora 25000 lire per 1’ allestimento d’ una nuova flotta, in correspettivo delle quali venne dato alle compere il dazio di Scio (1 4/2 %) in solutam (7). Poiché il governo si valeva dell’aiuto della Casa di S. Giorgio, esso si asteneva dal gravare i cittadini con imposte di- (1) Membr. 13 (XII), fog. Ss ; verso rilascio di 52 loca S °/0, da 100 somi della Compera Caffè. (2) Membr. 13 (XII), fog. 9ób: «pro assecurando illos qui satisdabunt et securam reddent communitatem Florentie de dictis fl. 21250 (che il governo genovese doveva a Firenze) » fl. 100: « Et si dux etc...... effe- ctualiter satisfecerint..... eo casu ofì. S. G..... non possit se intromittere de dicto introitu ». (3) Divers. S. G. 13 settem. 14x4. (4) Divers. S. G. (5) Membr. 5 (IV), fog. 352. (6) Membr. 13 (XII), fog. 109. (7) Divers. S. G. 23 aprile 1421. ------ — 44 — rette; ma in pari tempo doveva cedere le gabelle una ad una alla Casa di S. Giorgio (i), nella quale erasi così trasportato il centro di gravità delle finanze dello Stato (2). Fu asserito che la Casa di S. Giorgio si acquistò grandi meriti per l’economia dello Stato genovese. In fatto i protettori molto fecero per la cosa pubblica, per le dogane e specialmente per il porto. Nella fissazione delle tariffe daziarie tenevano pure conto del commercio e delle industrie. Peiò in tutto ciò la mira principale era quella di rendere più produttive le imposte. La Casa di S. Giorgio non era un istituto costituito come le nostre banche di credito per promuovere l’industria ed il commercio del paese, ma suo scopo precipuo era quello di ritrarre il maggior utile possibile dalle imposte assegnatele, a profitto dei suoi creditori. I prestiti che la Casa accordava allo Stato, erano un correspettivo per la rinunzia che esso faceva ai propri diritti, per evitare che esso un bel giorno abolisse interamente l’organizzazione dei creditori del debito pubblico, non pagasse gl’ interessi, ed impiegasse nuovamente a proprio favore il prodotto delle imposte. Del resto la Casa di S. Giorgio si faceva compensare dei servigi che prestava al pubblico con cessioni di redditi e fondi. In seguito a domanda dei salvatores portus et moduli, l’u maggio 1414, i protettori assegnarono un terzo del ricavato dalle multe inflitte per defraudi delle tasse portuali, da impiegarsi per l’epurazione del porto e per il ristauro delle (1) Membr. 13, fog. 101, T413: « Bonum et utile esset rei publice Ja-nuensi non facere ad presens aliquod mutuum..... inter cives piopter diversa gravamina que hactenus substinuerunt, ymo conventionem accipere cum officio S. Georgii (il quale verso rilascio di 312 1/2 luoghi del fondo d’ammortamento riceve parecchie gabelle) ». (2) Membr. 13 (XII), fog. 32, 23 ott. 1408: « Omnes et singule pecuniarium quantitates que quomodocumque et qualitercunque spectent communi Janue sive in ipsum commune pervenire debeant de versus partes Romanie et de quibuscunque aliis locis quocunque nomine censeantur et que non sunt obligate officio expense ordinarie, spectent et pertineant pleno iure officio Sancti Georgii ». Ivi, fog. 30: « Circumspectum officium dominorum procuratorum S. Georgii cui inter cetera cura interest agendorum introituum et gabellarum communis Janue ». — 45 — dighe (i). Nel 1428 si dichiararono pronti a mettere a disposizione, per il medesimo scopo, dieci luoghi coi relativi interessi, prelevandoli dal fondo d’ ammortamento. In compenso però si fecero cedere dai Salvatores portus et moduli tre magazzini ed una stalla (2). Qui troviamo per la prima volta la Casa di S. Giorgio come proprietaria di fondi nel recinto del porto. Questa proprietà s’ingrandì nel 1444 di altri magazzini che servivano aH’amministrazione dei monopolio del sale. Essendo stati distrutti da un incendio, la Casa di S. Giorgio si offerse di ricostruirli sborsando 3000 L., ed il comune lasciò i magazzini in proprietà della Casa (3). Affari monetari e di credito delle amministrazioni del debito pubblico. Monte depositi e Monte doti a Firenze. Il 18 gennaio 1408 i procuratori di S. Giorgio ebbero dallo Stato la concessione di esercitare affari bancari (4). I loro crediti furono parificati a quelli del Comune, e godevano d una ipoteca generale con privilegio su tutti gli altri creditori (5). I guadagni o le perdite derivanti dagli affari di banca, erano devoluti all’ ufficio dei procuratori ; i guadagni eventuali dovevano essere impiegati per l’estinzione del debito (6). (1) « Considerantes reparationem moduli et modificationem portus cedere ad evidentem utilitatem rei publice Januensis et presertim introytuum et gabellarum dicti officii et comperarum S. Georgii ». Divers. S. Georgii 1414. (2) Membr. 15 (XIV), fog. 41. (3) Membr. 8 (VII), fog. 156 : « edificium malpage cum magazenis spectasse ad commune Janue sed ab hodie in antea in protectores S. Georgii ». (4) Membr. 13 (XII), fog. 331'. Barrisse , Cristoforo Colombo ed il Banco di S. Giorgio, pag. 158, nota 116. (5) « Sint potiores quibuscunque aliis creditoribus ». (6) « Omnia commoda et incommoda processura et proventura ex vel occasione dicti banci libere et insolidum pertineant et spectent venerando officio procuratorum S. Georgii principaliter ad desbitationem locorum comperarum communis Janue deputato et non ad aliquam proprietatem ». — 46 — Non si può dunque dire che questa banca lavorasse ad utilità dei singoli interessati delle Compere di S. Giorgio. E vero però che l’andamento degli affari di banca, che, come vedremo non era molto fiorente, esercitò dal 1419 in poi una certa influenza sulla misura dei dividendi spettanti agl interessati ; se la banca prestava grosse somme al governo, i dividendi diminuivano e il corso dei luoghi ribassava. Ma i proprietari dei luoghi non si erano uniti, come i fondatori della Banca d’Inghilterra, per esercitare affari bancari. Molto prima della fondazione della banca, essi avevano dovuto versare i loro capitali allo Stato, e l’utile derivante dagli affari di banca, dopo che era stato loro pagato l’intero interesse fissato, non andava a profitto di loro, ossia dei cosi detti « azionisti » ma bensì dell’ amministrazione del debito , per l’incetta di « azioni » (1). Gli affari di banca dei procuratori di S. Giorgio non erano altro che un accessorio dell’ amministrazione del debito pubblico (2). Del pari in Germania nel medio evo , le amministrazioni del debito pubblico, trattavano, come accessorio , affari di banca (3), quantunque 1’ amministrazione dei monti fiorentini fosse quella che più specialmente vi si dedicasse. Devesi osservare che questi affari in origine nulla aveano da fare coll’amministrazione del monte. Quando nel 1415 fu istituito a Firenze il monte depositi, si dovettero prima sospendere le leggi del 1380, 1390 e 1391 sull’amministrazione del monte (4). (r) Quando, il 2 marzo 1408 i procuratori aprirono la loro banca, ne dichiararono lo scopo (Sala 23, Bancorum S. Georgii, 1408) : « debita communis redigantur ad nihilum et prave nonnulle consuetudines banche-riorum resechentur ». Non è fatta parola d’ un guadagno dei creditori dello Stato. Perciò non possiamo convenire coll’ opinione di Lehmann , (Gesch Eatwicklung der Aktiengesellschaflen, pag. 6) ove dice: « Non si può contraddire il fatto che la Banca di S. Giorgio rappresentasse fino dal 1419, una Società per azioni ». (2) Endemann, I. Studi, pag. 446. (3) Kostanecki, pag. 42 per Litneburg e Gottingen. Knippine, Sclml-denwesen, pag. 380, per Colonia. (4) Firenze, Archivio di Stato, Prov. 106, fog. 258 segg. — 47 — F u concesso agli officiales diminutionis montis di accettare depositi ad interesse. Dapprima i soli Fiorentini godevano del privilegio di poter depositare i loro denari presso 1’ amministrazione del monte. I depositi dovevano essere fatti almeno per un anno, e l’interesse da pagarsi ai depositanti non poteva eccedere 5 °/0 (1). L’amministrazione del monte doveva impiegare i depositi all’ estinzione dei debiti. I creditori godevano i medesimi diritti e privilegi degli altri creditori del monte. Anzi quando nel 1415 l’interesse degli altri creditori venne ridotto di un quarto, i creditori del monte depositi furono eccettuati da tale riduzione (2). II 22 gennaio 1431 fu accordato ai forestieri il diritto di fare depositi presso 1’ amministrazione del monte di Firenze, alle stesse condizioni accordate fino allora ai Fiorentini (3). Vennero esentati da una nuova imposta sulla rendita del 25 °/0, che allora doveva andare in vigore, tutti i depositanti, i forestieri, anche per i loro titoli del debito pubblico e finalmente quelli che ricevevano una rendita vitalizia da un monte istituito nel 1423 (4). A questo monte depositi tenne dietro il monte doti. Esso fu creato il i.° febbraio 1424 [5] mediante una reformatio montis, dopo che il 9 dicembre 1424 furono di nuovo temporaneamente sospese le precedenti leggi e gli esistenti privilegi del monte. Questo monte era un’ assicurazione sui matrimoni corrispondente alle nostre assicurazioni militari. Si versava all’am-ministrazione del monte una certa somma per un ragazzo o una ragazza (5) i quali dopo 15 0 dopo 7 lf2 anni, se con- (1) « Provisio vel donum », fog. 264. (2) Ivi, fog. 261, 29 decem. 1415. (3) Prov. 123, fog. 321. (4) Fog. 317: « pro illis creditis quibus est adiecta conditio quod post mortem unius seu duorum creditum extinguatur ad utilitatem communis Florentie ». (5) Prov. 1424, fog. i39b, 14 febbr. 1424: « in favorem juvenum uxorem non habentium »; fog. 145, 23 febbraio : « debilitatem sexus feminarum adiuvare cupientes ». Sull’abuso fatto dal governo dei Medici de traevano matrimonio, ricevevano una dote corrispondente alla somma versata. Col versamento di 100 fl. gli sposi felici riscuotevano 250 fl. dopo 7 V2 anni e 500 fl. dopo 15. Se però gii aventi diritto, non contraevano matrimonio, o morivano prima della scadenza dei termini rispettivamente di 7 i/2 o 15 anni, coniugati o no, le somme versate rimanevano a favore del Comune; parimente questo nulla pagava di più se gl’ interessati lasciavano il denaro a sua disposizione o se lasciavano scorrere un tempo più o meno lungo dalla scadenza dei termini di 7 */„ o 15 anni, senza che fossero entrati nello stato coniugale. Il governo sperava con ciò di raggiungere un considerevole profitto, che doveva essere impiegato per l’estinzione del debito pubblico. A questo monte doti, altri ne seguirono; nel 1465 fu istituito il quarto monte. Questi monti erano soggetti all’ amministrazione del debito pubblico , poiché non costituivano un dicastero speciale. La voce monte significa solamente somma capitale. Quantunque lo Stato avesse promesso di soddisfare subito le domande dei creditori dei monti-doti col denaro corrente, sembra tuttavia che talvolta i pagamenti gli abbiano creato degli imbarazzi. Lo Stato impiegava subito per i suoi scopi il denaro che gli veniva versato, e quando più tardi chi doveva contrarre matrimonio reclamava i suoi diritti, non sempre eravi pronto quanto occorreva a soddisfarli. Nel 147° il monte doti era debitore di 165000 fl. Per facilitare il pagamento fu convenuto di farlo per metà in moneta sonante e per metà con assegni di titoli del debito pubblico. Questi dovevano essere calcolati al prezzo del mercato con aggiunta dell’uno per cento (1). monte doti, cf. A. di Reumont, Lorenzo de Medici il Magnifico, 2. ediz. II, p. 300 seg. (1) Prov. 162, fog. 32b, 17 maggio 1470: « in crediti di monte.....secondo le valute in mercato e uno per cento di più » I titoli del monte delle doti, come degli altri monti di Firenze, erano accettati pel pagamento delle imposte ». Canestrini, pag. 269. — 49 — Il pericolo che questi denari amministrati dallo Stato, po tessero in caso di bisogno passare a favore dello Stato stesso a danno dei creditori privati, fu raramente evitato. L’esercizio bancario della Casa di S. Giorgio deve essere messo a paro con questi monti fiorentini di depositi e doti. La Casa di S. Giorgio esercitava i suoi affari di banca , in concorso coi banchieri privati genovesi autorizzati dal governo (i). Perciò prima di addentrarci negli affari bancari di S. Giorgio, dobbiamo gettare uno sguardo sul lavoro degli altri banchieri di Genova. Gli affari di banca a Genova nel medioevo* Gli affari di banca si svilupparono dallo scambio di monete, a cui collega vasi 1’ accettazione di depositi e prestiti su pegno (2). Il diritto del cambio delle valute era regale (3). A Genova il diritto di cambiare monete era limitato al posto delle otto banche appartenenti alla città. Nel 1150 la citta appalto questo diritto ad un consorzio per 29 anni verso 400 lire. Un negoziante poteva cambiare presso di sè, senza obbligo di dipendere dal monopolio dei banchieri, soltanto le proprie monete estere che aveva portato seco dal di fuori, o che aveva ricevuto a Genova in una vendita (4). (1) Baticoruvi S. G., 1409; vengono citati specialmente i seguenti banchieri, coi quali la Casa di S. Giorgio teneva conto corrente : Simon de Auria et socii , Percival de Vivaldis, Nicol. Lomellinus e Georgius Lo-mellinus, Marcus et Matheus de Strata, Mastinus de Carbonaria, Jacobus de Caniiclio , Cataneus et Anthonius de Spinulis , Antoniotus Calvus et fratres, Antoniotus de Neirono, Vincentius Fatinanti. (2) Cahn, der Slrassburgen Stadlzaec/isel, LIII, pag. 44 e segg. (3) Oltre Cahn, pag. 4S, confronta Sul cambium regis V. Cusumano, Storia dei banchi della Sicilia,I, pag. 55. Eheberg, iiber das altere deui-sche Miìnzzvesen und die Hausgenossenschaft, Schmollers, Forschungen, 5» pag. 59 segg.; Knipping, Kòlner Stadlrechnung, 1, pag. LXXXII1I/V; la città monopolizzzò il cambio della moneta nel 1496 e 1503. Sander, die reichslddtische Haushaltung Niir/ibergs, pag. 306. Moes, Bankzvesen in Niederland, pag. 13. (4) Lib. J. I, col. 144: « laudaverunt, ut aliquis non possit cambiare Atti Soc. Lig. Storia Patria. Voi, XXXV, P. II. 6 Sulla base del cambio delle valute monopolizzato dallo Stato , alcune amministrazioni comunali tedesche, come hran-coforte, Strasburgo, Basilea, crearono delle banche comunali che accettavano depositi e facevano prestiti di danaro (i). In altri luoghi lo Stato si contentava di esigere forti somme per la concessione data agli Ebrei ed ai Lombardi di trattare questi affari (2). La città di Chieri offre un esempio per l’Italia, come lo Stato ne traesse un utile, concedendo il diritto di fare prestiti contro pegno. Essa era fortemente indebitata verso alcune persone facoltose di Asti e non avendo nessun altro mezzo per soddisfare i suoi impegni, la città concesse ad alcuni cittadini di Asti l’esclusivo diritto, per 8 anni e verso 150 lire l’anno di far prestiti ad interesse contro pegno a Chieri. Gli statuti non permettevano un interesse maggiore del 20 °/„ {4 dm. prò mense et libra) ma agli Astigiani fu concesso di prendere il 25 °/0. Questi furono pure protetti contro le conseguenze d’un deprezzamento del denaro. Se il turonensis grossus andava a più di 34 denari astigiani, il datio in solutum del diritto d’usura rimaneva nullo, ed il Comune di Chieri era obbligato a pagare 1’ interesse del 20 °/0 sul suo debito. Dunque per liberare lo Stato dei suoi debiti fu concesso ai creditori di Asti di esercitare l’usura sui cittadini di Chieri. Però l’usura non era tollerata fra gli stessi concittadini e quindi nessuno della città di Chieri poteva acquistare il privilegio accordato a quelli di Asti (3). A Firenze nel 1353 lo Stato limitò la concessione di far prestiti ad interesse sopra pegno a 20 feneratores in città e in banchis nec in tabnlis, nec in civitate, excepto si aliquis adduxerit de foris monetas vel de rebus suis eas acceperit, in domo sua possit cambiare ». (1) Cahn, pag. 49 segg. Strassburger Stadtbank, dal 1402 in poi. (2) Schulte, Geschichte des mittelalterlichen Handels u. Verkehrs, I, pag. 320 segg. (3) Cibrario, Storia di Chieri, II, pag. 135 segg. Documento dei 23 ott. 1308. 2 nel territorio, i quali per tale privilegio doveano pagare 2000 fl. allo Stato (i), lo che ha riscontro coll 'introitus cas-sctnorum di Genova (2). Mentre in Germania prevaleva il sistema che gli affari di banca fossero esercitati dalle autorità cittadine per conto proprio e che, soltanto come ausiliarie, ne venisse concesso ’alla città 1 esercizio ad alcune banche private (3), in Italia invece dall appalto o dalla cessione in pegno del diritto d’esercitare gli affari bancari, ne conseguì il passaggio di tali affari all’industria privata, la quale non aveva altro vincolo che la concessione governativa. Se da un lato vediamo svilupparsi la banca dal cambio delle monete e dai prestiti usurari, vi si scorge pure un altro fatto che vi diede origine, e cioè che agli affari di commercio dei grandi negozianti si collegavano quelli di banca , i quali alla fine diventavano il ramo d’affari il più importante, sicché dal mercator uscì il banclierius. I banchieri delle città italiane continuano ancora per lungo tempo ad esercitare gli affari di merci insieme con quelli di banca (4). Anzi un banchiere si obbligava a tenere in pronto una riserva di merci per coprire i crediti dei suoi clienti (5). Mano mano che gli affari di banca prendevano poi importanza pel commercio, i prestiti su pegno ed il cambio delle valute furono considerati come affari di second’ordine. (1) Fior. Prov. 41, fog. 13: « mutuare seu fenerari super pignoribus ad usuras cum banco vela seu tappeto ». (2) I, pag. 77. (3) Cahn, pag. 61. Dal 1442 in poi è accordato questo diritto ai coinquilini che prima, quali ministeriali del Vescovo, esercitavano il cambio. (4) Confr. per Venezia, E. Nasse, das venetianische Bankivesen, Jahr-bììclier fiir Nationalbkonomie und Statisti/:, XXXIV , 5 (1S80), pag. 336 e segg. Alcuni fra molti esempi di Genova, Notaro Barth. de Fornar. II, pag. 132, 4 aprile 1251: il bancherius Nicolosius de Vedereto vende raza e boldroni per 23 lire al lanarius Peregrinus Barbucus de Luca, pagabile metà a Pasqua, metà a Pentecoste. Nel 1405 i banchieri Nicolaus Lomel-linus e Percival de Vivaldis esercitano affari di merci. Actorum Mercantie, fog- 53 e 54. Divers. Not. 104. (5) Appendice, V, 1. I feneratores fiorentini non sono inscritti nella matricola dell’arte di cambio (i) ed a Genova fino dal XIV secolo vennero distinti i bancharoti (2) o cambia-valute e gli usurarvi, che prestavano denaro su pegno (3), dai bancìieru. Una simile distinzione secondo la differente natura di questi affari fu fatta anche a Venezia (4). L’organizzazione delle banche venne fatta a hirenze dal-l’arte di cambio. Gli statuti del 1299 fanno menzione dei seguenti generi di affari : prestiti differiti {ad scriptum libri) e garanzie, cambio di valute e cambi con piazze estere e commercio di metalli preziosi. Gli affari doveano effettuarsi mediante sensali (5). Quanto alle monete che venivano negoziate dai cambia-valute, sono più specialmente menzionati i grossi (turonenses grossi) e i ducati (veneti) (6). Si vede che venivano tratte cambiali in oro su Firenze, mentre Firenze traeva sopra la Francia, Genova e Venezia (7). I distintivi del banchiere erano un tavolino coperto da un panno, una tasca nella quale teneva le monete ed i libri nei quali registrava data e accepta (8). (1) I, pag. 77, nota 4. (2) Genova, Arch. Stato, manuscr.: /5, Gecha, fog. 71: « minores bancherii quos volgus nuncupat bancherotos ». Confr. Eudemann , Studien in den ro'm-kan. Wirtsch und Rechtslchre, I, pag. 451- (3) Mon, /lisi. patr. XVIII, pag. 621: « usurarii mutuantes ad pignus ». (4) E. Nasse , Handivorlerbuch der Staatswissenschaft. « Ari. Banlieu im Mittetalter », II, pag. 47. (5) Le loro competenze (sensaria) erano, per prestiti 4 den. per 1 mese, 6 den. per 2 mesi, 2 soldi per un anno per 100 fl. auri; per garanzie parimente 2 soldi; per il commercio di metalli preziosi 1 den. per una libbra d’argento e 2 soldi per 100 oncie di oro; Firenze, Arte di cambio, I, fog. 33, cap. 98. (6) La competenza importava in questo caso r V2 den- risP- 1 den-prò libra (5/8 rispett. 5/12 %). (7) « Item de quolibet cambio linde fiat, nomine floreni auri, sive cam-bium extrinsecum Florentiam den. XII prò centenario (llorenoium). Item de proventis in Franciam soldi II a venditore e sold. I ab emptore, item Januinos Januam sold. I a qualibet parte ut moris, item de Venetis Vene-tias den. II prò libra a qualibet parte ». (8) « Campsores, qui tenent tabulam cum tappeto , tasca et libro ». Fior. Arte di cambio, I, fog. 6. — 53 — Le tavole stavano in istrada all’aperto ed esposte alla contusione ed al rumore del mercato. Nel 1300 venne imposto ai campsores fiorentini di tenere le loro tavole distanti almeno sei braccia da quelle dei pescivendoli, acciocché 1’ addossamento delle une sulle altre non impedisse la circolazione (1). A Genova lo Stato concentrava gli affari di banca sulla piazza che ancor oggi chiamasi Piazza Banchi (2). La piazza era recinta da catene di ferro, per evitare che il bestiame condotto da quella parte potesse per caso recare qualche disordine (3). Gli statuti fiorentini contengono anche delle prescrizioni sulla tenuta dei libri. Ogni affare doveva esservi registrato con esatta indicazione della data. I giorni non dovevano essere computati secondo il calendario romano, ma bensì giorno per giorno per tutto il mese (4). In vece i numeri doveansi scrivere con cifre romane non colle arabiche (5). I banchieri assumevano il servizio di cassa dei negozianti e di altri privati o giravano i crediti dei loro clienti, trascrivendoli nei libri della banca. Ancora al principio del XIV secolo notasi una forte distinzione sociale fra i membri della corporazione fiorentina deWarte di cambio. I grandi banchieri osteggiavano i minori e cercavano di sottrarsi ai regolamenti dei consoli della corporazione (6). Però contro tali tentativi stavano le leggi della corporazione stessa. (1) Arte di cambio, II, Cap, 81: « non videtur, que sint tabule campso-rum seu venditorum piscium ». (2) Leges Bocc. I, fog. 8o\ (Paris): « Nemo possit tenere banchum nisi infra confines subscriptos..... domus Illarii Usudimaris, illorum de Ciconiis, Napoleonis Lomellini, Leonardi de Njgro , Andrioli de Mari ». Confronta già nel 1254: « platea malocellorum ubi morant campsores ». Desimoni, Giornale ligustico, 1898, pag. 319. Confronta sul centro degli affari a Genova, Ehrenberg, Zeitalter der Fugger, I, pag. 70 e seg. Qui vennero pure pubblicate le leggi e le ordinanze. (3) Mon. hi st. pat. XVIII, pag. 623 (1403). (4) Fior. Arte dì cambio, II, Cap. 37. (5) I, fog. 34b: « quod nullus de arte scribat in suo libro per abbacum ». (6) Fior. Arte di cambio, II, cap. 10S, (1304): « Licet nos equales natura genuerit, non nature initio sed actionum deformitate processit, ut — 54 — Una di queste vietava ai membri del consorzio di girare per la città allo scopo di cercare affari di cambio. I banchieri doveano stare tranquilli ai loro posti, fino a che i clienti vi andassero da sè, in guisa che le occasioni di guadagnare avessero possibilmente la stessa probabilità per tutti i membri della corporazione (i). A Genova gli affari di banca erano regolati dallo Stato (2). Tanto questi come i cambi erano soggetti all’ officium mer-cantie (3). I banchieri erano obbligati a pagare con buona moneta e dovevano giurare di non isminuire le monete, nè tollerare che i loro famuli il facessero, come pure di tagliare le false monete d’oro, d’argento 0 di rame che capitassero loro fra mani (4). I motivi fiscali erano già soppressi nel XIII secolo. Lo Stato si limitava alla sorveglianza degli affari di banca nel-l’interesse della pubblica economia. Quando nel 1415 le banche communis che davano alla città 150 L. d’affitto annuale furono completamente distrutte dall’ incendio , la città volle cansare le spese della ricostruzione, ed a tal fine impose ai proprietari delle case che davano sulla piazza Banchi di provvedere i locali necessari per affittarli soltanto ai bancherii, bancharoti, notari, sensali (cen- propter affectus et actus justitie limitibus coherendos homo non hominum nature sed vitiis preferatur ». (1) I, cap. 81, (II, cap. 77) 1299: « de non eundo per civitatem pro cambio faciendo ». La legge I, fog. 27, sembra avere la stessa tendenza: « de usuris cessandis de denariis mutuandis illi campsori, qui tenuisset denarios alterius ». (2) Membr. 5 (IV), fog. io3b-io7b: « De bancheriis et famulis eorum ». A questi capitoli corrispondono Promis, Statuti di Pera, Misceli, di storia italiana, XI, pag. 513 segg., cap. 78-81: « de bancheriis ». Queste leggi sono della seconda metà del XIII secolo , (fog. 107, Promis, cap. 81 : « factum 1257 »). Confronta Caro, Verfassung pag. 23. (3) L 'officium mercantie era giudice in materie commerciali. Bosco, cons. 292, pag. 483, dice che per l’intelligenza d’una questione commerciale occorrono tre cose, la cognizione cioè della persona, della cosa e della specie dell'affare. Mercatores, merces e negotia mercandi, (4) « Incident omnes denarios falsos auri et argenti et rami qui ad manus eorum pervenerint ». Genova, Membr. 5 (IV), fog. 103'’. j / sarii) od agli appaltatori di pubbliche imposte. Doveva venire eretta una colonna per i pubblici avvisi. Una faccia della colonna era riservata per gli avvisi relativi all’ incanto delle rendite dello Stato (i). Il commercio dei metalli nobili rimase limitato nell’ interesse della zecca dello Stato. Gli altri affari di banca erano vincolati fino dal XIII secolo ad una concessione, e potevano essere esercitati liberamente da coloro soltanto, che erano stati esaminati e trovati idonei dall’ officium mercantie (2). Il ban -chiere doveva ogni anno in dicembre rinnovare il giuramento, per sè e per i suoi famuli, di esercitare coscienziosamente il suo ufficio (3) e doveva inoltre prestare una valida cauzione (4). Il banchiere doveva indicare, se esercitava gli affari per conto proprio soltanto od anche per conto di soci, i quali dovevano assumere la loro parte di responsabilità. Per il banchiere fallito rispondevano, oltre i suoi garanti, anche i suoi fratelli personaliter et realiter, a meno che sei mesi prima che fosse dichiarata la sua insolvenza, non fosse avvenuta una divisione dei beni, e così pure la moglie, salvo che essa entro un anno dal principio dell’ esercizio degli affari, non avesse espressamente dichiarato a Vi officium mercantie, di non voler entrare garante del marito (5). Le registrazioni per importi maggiori di 25 lire, fatte nei due giorni precedenti la data della dichiarazione dell’ insol- (1) L. /. II, col. 1457. La Loggia dei Banchi, 1’ attuale Borsa, fu costrutta nel 1570, e ristaurata nel 1730. Accinelli, II, pag. 65. (2) Mon. hist. patr., XVIII, c, 545: « electus et approbatus pro bono et ydoneo ». (3) Secondo gli statuti del XIII secolo questo giuramento doveva prestarsi nelle mani del vicario del podestà. Membr., 5, (IV), fog. i03b, più tardi all’Officium mercantie. Sala 41, monetarum, 20, 1315. (4) Nel 1403, 10000 L. Confr. sull’obbligo della cauzione dei banchieri a Venezia, Lattes, Libertà delle banche, pag. 13. Goldschmidt, Utii-versalgesch des Handelsrechts, pag. 162. Dopo la caduta di parecchie banche a Siena, si esigettero nel 13S3, 4000 fl. di cauzione da tutti quelli che si facevano banchieri. Cibrario, Economia politica, III, pag. 311. (5) Mon. hist. pat. XVIII, pag. 657, 1404. - 56 - venza, erano ritenute non valide. Quelle dell’ ultimo mese a favore del banchiere , lo erano solo colla approvazione dell’autorità che presiedeva al concorso (i). Di solito alla massa dei creditori in concorso veniva delegato un magistrato ; ovvero interveniva Vofficium mercantie, il quale apriva il processo, sequestrando i libri del fallito (2). L’affare principale dei banchieri genovesi, consisteva negl’ incassi. Accettavano depositi da Genovesi e da forestieri, o incassavano denari per conto dei loro clienti (3). Questi, mediante iscrizione nei libri della banca, potevano disporre del loro credito. L’iscrizione nel libro del banchiere faceva fede del fatto versamento, qualora nell’ iscrizione a libro, fosse fatta menzione della causa dell’affare (4). Il depositante poteva effettuare la trascrizione del suo credito, o di parte di esso, con ordine verbale o scritto (5). Egli poteva anche valersi del suo credito, facendo tratta sul suo banchiere (6). I libri di banca tenuti regolarmente erano reputati come autentici, e come il notaio, così il banchiere, poteva e doveva produrre i suoi libri in giudizio come prova legale. Però, le iscrizioni nel libro del banchiere avevano dapprima solo forza di prova a favore del creditore contro di lui e fra di loro in (1) Leg. Bue. I, Mercantie, (Parigi) fog. 54b : « arbitrio magistratus dandi vel constituendi dicto bancherio, vel si magistratus non daretur, arbitrio officii mercantie ». (2) II priore e due membri dell 'Officium mercantie custodivano i cartolari nella sacrestia di S. Lorenzo: « si contingat bancherium rumpere seu non posse suis creditoribus respondere », (3) Append. Ili, 3. (4) Membr. 5 (IV). Questa limitazione sembra essere caduta nel XV secolo. Almeno le iscrizioni nel manuale (Meniorial) di S. Giorgio non contengono nessuna causa, p. es. Sala 24, scansia 53, bancorum S■ G., /408, matiuale: « Christoforus Cataneus pro Juliano de Ventimilia, lib. XX » e così via. (5) APP- 1 e 2- Confronta sui Cheks italiani, Goldschmidt, Uni-versalgesch, des Handelsrechts, I, pag. 324 segg. (6) Libro di commercio dei Barbarigo, Venezia. — — 57 — mancanza d’una confessione di debito. Fu soltanto nel 1413 che la legge sanzionò una consuetudine già da tempo in uso, che cioè Vofficium mercantie poteva accordare a tali iscrizioni la prova processuale anche a favor del banchiere (1). I banchieri genovesi avevano corrispondenti su tutte le piazze colle quali Genova trovavasi in relazioni commerciali. In quei tempi mal securi, nelle relazioni coll’estero, si procurava corrispondere con persone del proprio paese stabilite fuori, o ancora meglio con persone strette da vincoli di parentela. I banchieri si mandavano di tanto in tanto liquidazioni dei pagamenti e degli incassi fatti loro dai rispettivi clienti (2). Queste rationes venivano liquidate fra di loro (3). Così mediante l’iscrizione nei libri dei banchieri da un cliente all’ altro e mediante le iiquidazioni dei banchieri fra loro, gli sviluppati principi d’economia nel credito , risparmiavano già in Italia nel medioevo il giro del denaro contante, che occorreva soltanto per i saldi. I depositi erano parte a tempo fìsso, parte esigibili tutti i giorni. Però i banchieri non tenevano inoperosi i depositi, ma li adoperavano per affari di vario genere, che noi oggi non giudicheremmo adattati per una banca (4). Perciò poteva accadere che le domande dei clienti per la restituzione dei depositi riuscisse incomoda ai banchieri e che quindi questi cercassero delle scappatoie per sottrarvisi. (1) Statuta Adurni, 1413, cap. 131: « Ampliatio bailie officii mercantie ». L’officium mercantie pronunzia però già nel 1404 (M. fog. 62) una sentenza: « presentata quadam ratione extracto de libro seu cartulario banci Samuelis Gentilis olim bancherii in Sibilia, super quo apparet factam fuisse solutionem dicti argenti ». AI 23 luglio 1404 venne pubblicata una sentenza contro un certo Andalò quale garante di Leonello De Mari per un debito arretrato verso i banchieri Antonio Calvo e fratelli. Questo giudizio favorevole ai banchieri suona così: « visis petitione et contentis in ea et quadam apodixa extracta de cartulario banci dicti Antonioti et fratrum MCCCCIIII die V Iunii signata manu Bartholomei de Riparolio notarii et scribe dicti banci ». Fog. 29b. (2) App. IV. (3) App.'V, 3. (4) Confr. Nasse, Das venet. Bankwesen Conrads Jahrb. XXXXIIII, 5, Pag. 336. - - 58 - Contro tali abusi si opponevano già gli statuti del XIII secolo. Se un banchiere non voleva osservare i suoi impegni, il creditore doveva rivolgersi dal vicario. Questi accordava ancora al banchiere un termine corrispondente ai giorni di rispetto delle cambiali, cioè 8 giorni per L. 200, e 14 giorni per somme maggiori. Se il banchiere non pagava entro questi termini, veniva condannato alla multa di un ventesimo del debito, di cui metà andava a favore del creditore. Non solo però per il pagamento delle somme dovute il banchiere opponeva ostacoli. Egli talvolta si rifiutava di fare qualche trascrizione se il nuovo creditore non era di sua soddisfazione. In questo caso la legge stabiliva , che il depositante avesse il diritto di esigere le trascrizioni dei crediti non iscaduti in qualunque tempo, in tutto od in parte (1). Agli affari di depositi e di giro si collegavano quelli di crediti attivi, da prima in conto-corrente. Per esempio l’arcivescovo Jacopo Fieschi si era fatto a-prire dal banchiere Antonio Fieschi rationes currentes. Non occorreva che egli andasse personalmente a portare i denari alla banca 0 a ritirarne, perchè poteva farlo a mezzo del suo fattore (2). Alla morte dell’arcivescovo risultò che, secondo il cartolare del 1397, egli era rimasto in debito verso il suo banchiere di 100 lire e 17 sol. Gli eredi cercarono di contestare il debito opponendo la autenticità dei libri della banca, che fu invece ammessa dall 'officium mercantie, con condanna degli eredi. (r) Membr. 5, (IV), fog. io4b. « Et sive terminus solutionis faciende advenerit sive non, teneatur quilibet bancherius ad postulationem creditoris in toto vel pro ea parte pro qua voluerit creditor, dictam pecuniam scribere et scribi facere cui vel quibus voluerit ipse creditor, solvendam ad terminum, ad quem ipsi creditori debita esset ». Confr. Nasse, pag. 343. (2) Off. Mercati., fog. 41: « Quando factor dicti q. domini Iacobi pro ipso domino Jacobo accipiebat a dicto banco pecuniam numeratam, scribebat (scriba dicti banci) « accipiente ipso d. Jacobo de numerato » ita, quando factor predictus pro ipso d. Jacobo deferebat ad dictum bancum pecuniam numeratam scribebat « deferente ipso d. Jacobo de numerato» et in eius ratione ponebat eam, licet ipse d. Jacobus ad bancum non accederet nec pecuniam deferret ». Confronta sul conto-corrente dell’arcivescovo di Palermo, 1449-50, Cusumano, I, 5, 126. — 59 — r er distinguere gli affari di credito da quelli di pagamenti, il banchiere divideva il suo libro in due parti; nell’una scriveva le 1 ationes ad, numeratum, nell’altro le tempora. L’apertura d un credito ad un cliente chiamavasi scriptam facere alitai. Il credito veniva accordato per somma e per tempo determinati. Le somme che il cliente prelevava di tanto in tanto, a carico del suo conto di credito, si ripetevano nell’avere del conto ad numeratum. 1 ero tale scripta non era accordata alla leggiera, ma era regolata secondo le norme dei prestiti su pegno. Si accettavano come pegno, merci, oggetti preziosi, titoli del debito pubblico a prezzi determinati e che erano ritenuti quando scaduto il termine fissato, il debitore non provvedeva ad estinguere altrimenti il suo impegno (i). Le banche esercitavano pure affari in effetti cambiari, quantunque sieno essenzialmente distinti da quelli trattati ai di nostri. Le banche non scontavano cambiali, perchè la girata di esse venne in uso solamente nel XVII secolo, quando caddero i mercati cambiari (2). Invece le cambiali furono a-doperate come rimessa di denaro. Inoltre si traevano cambiali , per procurarsi credito, e si accordavano i così detti crediti per accettazioni, facendo tratta sopra di uno il quale rimetteva immediatamente la somma al traente della cambiale. Nella grande difficoltà del trasporto del denaro, aumentata anche dai divieti d’esportazione dei metalli nobili, la cambiale ebbe parte importantissima nel commercio del medio evo. Pacioli la chiama il mare del commercio , senza il quale la (1) Sulla questione dei compensi dei banchieri per poter far uso dei depositi, e dei compensi pei crediti da essi accordati, confronta Endemann, Sludìen in dev roviun-kun. Il ìrtsch. u. Kechtslehre, I, pag. 453 e pag. 60. (2) Grunhut, IVechseìrecht, I, pag. 96. Però molte cambiali contenevano la clausola dell’ordine, (Goldschmidt, Universalgesch. d. Handelsr. I, pag. 448). Confronta una cambiale, tratta il 7 aprile 1416 da\YOfficium S. Georgii sopra Pera, di cui era rimettente Raffaele Centurione , presentatore Branca Spinola, del quale ultimo è detto (Divers. S. G. confr. pag. 58, nota 2): « Si non fuerit responsum seu solutum et satisfactum dicto Raffaeli vel dicto Branche seu alteri pro eo de dicto cambio ». — 6o — barca dello scambio non potrebbe navigare (i). La forma delle tratte creata dal XIII secolo in poi, è conosciuta (2). Naturalmente, la maggior parte delle cambiali emesse in quel secolo, andò smarrita. Però un caso fortunato ci ha conservato una serie di cambiali del medio evo , da cui possiamo dedurre il grandissimo uso fatto di questo prezioso istru-mento (3). Il trarre cambiali non era certamente cosa limitata ai banchieri, però risulta dalla natura stessa dei loro affari, che essi più specialmente e più frequentemente erano traenti, mittenti e trassati dei litere pagamenti (4). Il presentatore , a cui favore era stata emessa la cambiale, doveva presentarla al tras-sato. Questo a norma degli statuti genovesi doveva dichiarare entro 24 ore, se voleva 0 no far onore alla cambiale (5). Se era disposto a pagare doveva porre la sua accettazione in calce all’effetto; però BOSCO ammette che certi fatti, come il trattenere 1’ effetto, tenessero luogo di accettazione (6). Se la cambiale non veniva riconosciuta , il presentatore la faceva protestare da un notaio e la rimandava così protestata al traente, per una somma aumentata delle spese, come ricom- (1) Alfieri Vittorio, la partita doppia, pag. 30. (2) Goldschiiidt, Univ. Gesch. des Handclsr. I , pag. 237. App. V, 3 e VI. Cambiali ai trassati, che probabilmente erano contenute in lettere dirette ai presentatori. (3) Confr. cambiali sopra Francesco di Mario Dattini, conservate dal-PArchivio di Prato presso Firenze ; come mi disse E. Bensa a Genova. É da sperarsi che a questo benemerito studioso, sia possibile di pubblicare quanto prima i suoi profondi studi sul diritto commerciale del medio evo. (4) Libro di Commercio dei Barbarigo, Venezia. (5) Leg. Bue., I, fog. 52'’ (Parigi): « Ille cuicunque presentata fuerit aliqua litera cambii teneatur et debeat infra horas XX1III numerandas ab hora presentationis respondere et subscribere se in dieta litera, se. utrum velit respondere et solvere an non. Ea dieta lettera reddatur et remaneat penes eum qui presentaverit eam usque ad terminum solutionis faciende. Si quis autem se subscribere et respondere recusaverit, possit qui presentaverit illas, uti jure suo ». (6) Cous. 80, pag. 143: « Philippus litteras cambii simpliciter recipiendo eas acceptasse videtur ». — 6i — bio. vSe il traente non poteva pagare doveva rispondere il suo garante (i). Nel calcolo della somma delle cambiali era tenuto conto della differenza del luogo e del tempo (2), ed erano soggette ad un corso variabile (3). La giurisdizione in affari di cambiali venne nel XV secolo in parte tolta all 'officium mercantie e, a motivo della sua relazione colla circolazione del denaro, passata all’officiuvi monete laneorum (4). Quanto piccolo fosse il rigore in materia di cambiali al principio del XV secolo, è provato dal fatto seguente : Il governo genovese di Cipro aveva preso denaro da alcuni cittadini sotto forma di prestito forzoso, ma verso cam-. biali, sopra il governo centrale di Genova (5). Quando i negozianti presentarono queste cambiali a Genova, il governo le accettò, ma anziché adoperarsi per affrettarne il pagamento, acciocché non ne soffrisse il credito del governo, decise tranquillamente di soddisfare i creditori colla prossima imposizione della tassa diretta (6). Soltanto i posteriori statuta civilia stabilirono la premi- (1) AI. fog. 49. Il 13 gennaio 1405, viene condannato il garante d'una cambiale su Valenza, che era ritornata. Il rimettente era il banchiere Percivalle Vivaldi ; fog. 37, Il 12 sett. 1404, venne condannato Gregorio Lercari che aveva firmato per avallo una cambiale tratta da Napoleone Spinola. La cambiale era stata protestata a Bruges il 5 giugno 1403 dal notaro Guglielmo q. Bartolomeo di Arquata. (2) Arch. di St. 534, Richerius index, II, pag. 1062, 1200: « lib. 128 Jan. valent libr. 350 venet. cum cambio mensium 4 */2 »; 1248: « Den. 12 Turon. Solvende in Aquis mortuis et ibi non solute debent solvi Janue den. 18 Jan. ». (3) M. fog- 42'’, 12 decem. 1404: « secundum quod valebant cambia anno de MCCCCII ». (4) Bosco, cons. 80, pag. 143; «quod est judex ordinarius cambiorum ». (5) Divers. reg., 17 sett. 1403: « ipsis tradite fuerunt certe litere pagamenti per viam cambiorum quantitatem unicuique promisam et reser-ciendam eis in Janua continentes. (6) « Omnes sopradicte quantitates pecunie superaddi debeant summe, de seu proquanta imponi debuerit avaria ordinaria de prossimo imponenda ». — 6 2 — nenza delle cause per questioni di cambiali, su quelle derivanti da altri affari di commercio. Le sentenze pronunziate contro un debitore dì una cambiale, che contenesse la clausola cambiaria, erano esecutive 24 ore dopo la scadenza della cambiale stessa (1). Il governo genovese non si lasciò sfuggire una fonte tanto produttiva per le finanze dello Stato come quella del con> mercio di effetti cambiari. Se ad un tempo il cambio delle valute era un privilegio dello Stato , questo impose ora una tassa sulle cambiali. Il rimettente ed il traente dovevano pagare l/2 °/0 sull’importo della cambiale, ed altrettanto il presentatore, ancorché il trassato si rifiutasse di accettarla. Bastava la metà per cambiali sopra Venezia, Napoli, Sicilia, Sardegna, Corsica, Avignone, Montpellier, è così pure per cambiali di ritorno protestate a Genova. L’ appaltatore delle imposte aveva il diritto di aprire le lettere per vedere se contenevano cambiali (2). Gli affari bancari della Casa di S. Giorgio* Lo stesso genere di affari bancari era esercitato dai procuratori di S. Giorgio, quando il 2 marzo 1408 aprirono la loro banca. Questa non era però che una banca di giro 0 di passaggi di partite. A ciò solo limitavasi la sua azione di fronte al pubblico (3), mentre agli appaltatori ed allo Stato (1)"5/. civilia, stamp. [589, pag. 45, II, cap. 4 : « de causis brevioribus » Grunhut, I, pag. 74. (2) Membr. 22 (XIX), fog. 6r. (3) Negot. gest. S. Georgh , 4 genn. 1441. « Nemo expenderet in dicto banco ultra suum creditum ». Sembra che questa disposizione non sia stata sempre osservata rigorosamente, se questo dovette essere allora nuovamente notificato Chi sorpassava la cifra del proprio credito doveva pagare una multa del 10 °/0 (due sol. per libra). Il tenitore del libro del bancum tertium, giura {Divers. 5. G., 29 luglio 1441) : non permittere aliquem intrare dictum bancum et seu in dicto banco expendere nihil ultra quod habere debebit ab ipso banco et nulli facere seu fieri facere indicto banco pecuniam scriptam, et seu que sit ad tempus numerata ». / — 63 — accordava anche credito, e questo istituto, come semplice banca di giro, tornava principalmente a profitto dello Stato e deH’amministrazione del debito pubblico. E noto come a Venezia lo Stato si servisse di banchieri privati per il suo servizio di cassa (i). Del pari a Genova lo Stato si faceva pagare le imposte dai banchieri mediante giro delle somme corrispondenti (2) e nella stessa forma faceva i pagamenti (3). Specialmente l’amministrazione del debito pubblico si serviva dei banchieri privati, mediante i quali pag'ava gl’ interessi da una parte, facendosi pagare dall’altra le somme dovutele dagli appaltatori. Secondo gli statuti del 1326, i consoli delle compere dovevano depositare i loro cartolari presso un banchiere, ove erano custoditi a doppia chiave, una delle quali era tenuta dal console , 1’ altra dallo scritturale della compera (4). Ogni anno i protettori, i visitatori, i confortatori ed i consoli dei singoli gruppi di debiti, fissavano fino a 25 banchieri, me- (1) 1. Ferrara, Documenti per servire alla storia dei banchi veneziani, Arch. Veneto, I, 1S71. Confr. p. es. pag. 127, N. 37. Il banco Soranzo, 13 aprile 1463, promette di pagare le spese dell’ambasciata veneziana in Ungheria, (cioè di far onore alla cambiale tratta dall’ ambasciatore su di esso). In confronto lo Stato assegnava al detto banco certe somme da incassarsi. (2) Genova, Arch. St., sala 41, N. 514, fog. 160 e segg. : sono citati i bancherii, mediante i quali venne pagato una gran parte del mutuo del J357> e così pure N. 520, fog. 170, 189, nota le rationes bancheriorum, colle quali pagarono i mutuantes della compera locorum mutui capitum del 1427: Confronta Membr., 8 (Ib) fog. 35ib, 2S marzo 1409: « 20000 fi. haberi possint et exigi a civibus ad scriptam bancorum termini mensium sex restituendi eisdem civibus de pecunia mutui inter cives imponendi et quod imponi possit et debeat ». (3) L.J. II, col. 1076, 13S6. Dei 60000 fi. che devonsi pagare al marchese di Caretto, quale prezzo d’acquisto per la Val d’Arocia, si pagano 20000 fl. in et super diversis banchis bancheriorum civitatis, 20000 fl. « in banchis Anthonii Grilli et Baptiste Lomelini bancheriorum Janue ». L.J. fog. 52 (Paris) 13S7 ; « pretium (Castri Lerme) solutum a massariis generalibus super certis banchis bancheriorum civitatis Janue ». (4) Membr. 5 (IV), fog. 42. — 64 — diante i quali poteva essere eseguito il pagamento degl interessi del debito pubblico (i). Anche i preposti delle compere, sentiti 20 fra i maggiori interessati, dovevano scegliere le banche alle quali gli appaltatori potevano fare i pagamenti da essi dovuti ai creditori dello Stato (2). Vedemmo come gli appaltatori dovessero presentare la garanzia di banchieri, che dovevano essere di gradimento del g'overno. Nel 1327 troviamo garanti: per 200 lire 3 banchieri, somma 600 lire 500 » 81 1000 » 42-2000 » 9 40500 42000 18000 Totale 135 banchieri per 101100 lire Questa lista venne opportunamente modificata (3). Gli appaltatori designavano i banchieri, mediante 1 quali volevano che fosse eseguito il pagamento delle somme d ap paltò. I banchieri rilasciavano all’amministrazione del debito, delle obbligazioni suggellate, le quali, in mancanza di paga mento, andavano subito in esecuzione (4). I creditori dello Stato potevano scegliere, o di essere pagati in contanti, o mediante giro del loro credito presso una banca (5). _ . Tutti questi servizi, fin qui prestati da banchieri privati all’amministrazione del debito pubblico, vengono ora assunt’ (1) Fog. i5b. (2) Fog. 23: « de banchis declarandis, que sint secura ». evono sere interpellati « viginti participes habentes maiores collumpnas ». (3) Fog. 125, fog. :6i\ fog. 165», I, pag. IH- A Firenze i banchieri garantivano i debiti dei compratori di panni. Doren, Geschiclite dei Flo rentiner Wollentuchindustrie, I, 5, 179. (4) Fog. 123: « Que apodisia vim laudis obtineat, et possint dicti consules coram quocunque magistratu Janue petere, dictam apodixiam exe-cutioni mandari tamquam instrumentum pubblicum ». (5) Membr. 5, (IV), fog. 26, 1326: « Officiales satisfaciant participibus de sua menda vel satisfactione in numerato vel in banchis ydoneis iuxta voluntatem habentium ea recipere ». dalla Banca di S. Giorgio (i). La banca semplificò anche il giro dei luoghi e delle paghe nei libri del debito pubblico , operazioni queste che per sè stesse nulla avevano di analogo con quelle della banca. Chi voleva vendere luoghi o paghe, si contentava talvolta di farsi accreditare il prezzo d’acquisto nei libri della banca, lo che , trovandosi e 1’ amministrazione del debito e la banca nelle stesse mani, recava a quello notevole vantaggio (2). Gli utili che ritraeva la banca di giro per depositi non ritirati nel termine fissato , venivano impiegati dall’ Officio di S. Giorgio all’estinzione di debiti da esso amministrati. Col cambiamento della costituzione, i protettori ed i procuratori il i.° novembre 1413, assunsero la direzione della banca, che fino allora era condotta dai procuratori (3). Però acciocché i numerosi affari fossero meglio divisi, delegarono i puri affari di banche a quattro scelti nel loro seno , quali gubernatores banci. La sfera d’azione della banca di depositi andò prendendo una sempre crescente estensione. Mentre fino allora (1) Membr. 13, (XII), fog. iS2b, 15 febb. 1420: « Officium octo protectorum et procuratorum comperarum S. Georgii disposuit et ordinavit decetero dare et assignare particibus dictarum comperarum scriptam de pagis ipsis debendis pro locis de quibus erunt participes in dictis com-peris, super ipsius officii banco ». Confr. Bancorum 5. Georgii, 1424, fog- 953 seg. « paga februarii ». Tomaso Campofregoso accordò nel 1420, un privilegio sugli altri creditori, a tutti quelli che erano diventati creditori della banca, quali aventi diritto agl’interessi del debito pubblico e simili. Confronta Statuta et decreta stampati a Bologna nel 149S, lib. IV, cap. 95': « de bailia officialium protectorum S. Georgii ». (2) Divers. S. Georgii, 1413, 3 ottob.: « ex ipso et occasione ipsius (banchi) multa commoda et utilitates ac beneficia sequentur et sequi poterunt dictis comperis et participibus ipsarum tam ad prestandum auxilium in desbitationibus fiendis et subveniendo consulibus dictarum comperarum, ut suis debitis temporibus valeant et possint solvere pagas debitas dictis participibus quam in aliis utilibus causis ». (3) L. c. « recipiatur per ipsos (protectores et procuratores) eorum nominibus propriis dictum banchum a dictis eorum precessoribUs et regatur et gubernetur nomine et vice dictarum comperarum et ad utilitatem, commodum et beneficium ipsarum ». Atti Società Ligure Storia Patria. Voi. XXXV, P. II. 7 — 66 — era sufficiente un solo libro per iscrivervi tutti i clienti, ne occorsero dopo il 1424 due e dopo il 1428 tre per anno; le mille pagine circa del primo libro del 1424 erano già piene alla fine di giug'no, ed il secondo cartolare dello stesso anno contiene le registrazioni da luglio a dicembre (1). I libri erano riveduti e ad ogni partita passata in esame veniva fatto un segno dai così detti pontatores (punctatores). Essi non percepivano altro che dieci soldi per ciaschedun libro da essi riveduto , avevano però il io °/0 (2 sol. prò libra) sopra ogni errore da essi scoperto (2). Il 28 decembre 1439 [40], in esecuzione ad una deliberazione dei 52 consiliarii, i protettori ed i procuratori istituirono una seconda banca. Pelugro Promontorio e Luca Grimaldi furono nominati gubernatori di questo secundum bancum S. Georgii. Anche questo come il primo aveva i seguenti impiegati : uno scritturale con 250 lire 1’ anno , a cui era aggiunto un juvenis con uno stipendio di 50 fl. che teneva il manuale notule, ed un cassiere con 100 lire. Quest’impiegati dovevano prestare cauzione. Il cassiere doveva dare ogni giorno al tenitore dei libri della banca un estratto delle operazioni di cassa che venivano annotate nel Conto-Cassa. Ogni anno veniva compilato il bilancio, il cui saldo dal libro del-l’anno finito , si trasportava in quello dell’ anno che cominciava (3). Come locale ad uso del movimento degli affari venne assegnato alla nuova banca uno scannus, prima adoperato da Gaetano Spinola, di proprietà Ottobono di Negro e da que- (1) Genova, Arch. di St. Sala 24, scansia 53. (2) Membr. 8, (VII), fog. 249b, 23 novem. 1428: « Sol. II, pro singula libra illarum omnium partitarum que sint reperte tanquam perdite ad damnum officii et invente ad lucrum et commodum dicti officii seu banci et comperarum ». (3) Divers. S. G. 8 genn. 1441 : « Scribe tam primi quam secundi banci debeant in veteribus cartulariis dictorum bancorum scribere exitum dictorum cartulariorum et in novis introitum juxta laudatum morem antiquum, et hoc antequam banca reponantur ». — 67 — sto affittatole per 31 lire annue. L’amministrazione era tenuta nel locale della prima banca (1). Non passarono sei mesi che la grande agglomerazione degli affari rese necessaria l’istituzione d’una terza banca, la quale però limitava le sue attribuzioni al giro del denaro da incassare dagli appaltatori e da riversare ai creditori dello Stato (2). Da principio questa terza banca fu considerata come au-siliaria, che potesse essere soppressa sei mesi dopo; invece il 14 gennaio 1441 ne venne decretata la continuazione per un altro anno (3). Il credito accordato dalla banca di S. Giorgio, si limitava agli appaltatori delle imposte ed allo Stato (4). Addì 8 giugno 1440 il Consiglio con 39 voti contro 16 fece una legge che autorizzava i protettori, per l’anno di durata della loro carica, ad accordare prestiti, contro pegno di luoghi, valutati a L. 50 agli appaltatori delle imposte (5). Se allo spirare del tempo fissato l’appaltatore non adempieva il suo impegno, i luoghi rimanevano a favore della banca, senza tener conto del maggior valore che avessero potuto (1) « Attento, quod melius utilitati et declarationi agendorum utriusque banci serviet, quod in eodem loco vid. in volta reducantur et exercentur officiales ipsorum bancorum prope unus alteri quam remoti et distantes ». (2) Divers. S. G. 21 luglio 1440: « circa imponendum novum bancum et accipiendum in se onus exigendi pecunias debitas per gabelotos et solvendi proventus debitos per comperas pro futuris proventibus locorum presentium comperarum ». (3) Divers. S. G. (4) Le rationes temporum riempivano la seconda parte più piccola dei libri della banca di S. Giorgio , p. es. fog. 6oob bancorum S. G. 1409, fog. 621-946 bancorum 1424. Nei conti maggiori sotto la rubrica tempora trovatisi i banchieri che esigevano e pagavano per conto degli appaltatori e dei funzionari di finanza. Confr 1409 fog. 7oib. Nel conto « Simon de Auria et socii bancherii » vi sono registrazioni « pro consulibus dricti novi, pro consulibus censarie, pro consulibus pacis et salis » etc. (5) Divers. S. G.\ « fiant per ipsos dominos protectores scripte pro pecuniis debendis gabcllotis , ita quod scripte non distribuantur nisi in gabellotos tantum et non in alios civibus requirentibus cum obligatione locorum comperarum S. Georgii obligandorum ad rat. lib. L, pro loco ». — 68 — avere in quel momento. Le scritture per questi prestiti garantiti da pegno erano tenute da uno speciale scriba cartu-larii temporis, il cui libro era affatto distinto dai cartulana banci de numerato (i). Volendo considerare la Casa di S. Giorgio come una Società per azioni, cade in acconcio di parlare ora dell investimento delle proprie azioni, che del resto era in uso anche prima del citato decreto. Ancora nelle rationes temporum del libro della banca del 1409 troviamo p. es. al 28 novembre un credito di L. 450 accordato a Benedetto Odono fino al 15 aprile dell’anno seguente, verso pegno alla banca di 4 1/2 luoghi (2). Anche l’amministrazione stessa del debito pubblico faceva prestiti presso la propria banca verso pegno di luoghi. Cosi il 3 aprile 1416 i procuratori di S. Giorgio incaricano i loro consoli, di impegnare, mediante trascrizione nel libro, 30 luoghi appartenenti all’ officium a favore dei governatori della banca di S. Giorgio. Se l’amministrazione del debito pubblico non avesse potuto soddisfare il suo impegno fino al 20 luglio 1 luoghi rimanevano proprietà della banca (3). Così pure i protectores capituli nel 1421, presero a prestito 9000 lire dal banco di S. Giorgio depositando in pegno 600 dei loro luoghi (4). Nel 1420 i governatori del banco avevano accordato a Battista Giustiniani de Oliverio un credito bancario, vincolando dei luoghi della compera mutuorum officu sahs. Il 28 gennaio 1421 svincolarono il pegno al figlio ed eiede di Battista Gerolamo Giustiniani, avendo questi promesso di \ elidere i luoghi impegnati e, col ricavo della vendita, pagare il (1) « Predicte scripte nullo pacto trahi possint ad cartularia banci de numerato, nisi postquam pervenerit dies termini scripte et pro illis scriptis officio fuerit satisfactum ». (2) Bancorum S. G. 1409, fog. 707b. (3) Divers. S. G. « Cataneo de Vi valdis et Jacobo Justino bancheriis ». È evitato il nome « Bancum S. Georgii ». (4) Divers. S. G. 6 marzo 1421:1 protectores officiales banci S. Georgii incaricano gli scritturali della compera pacis di ridurre di 300 luoghi il pegno, essendo stato pagato parte del debito a Luciano Spinola et sociis bancheriis. Luciano Spinola era nel 1420 priore dei protettori di S. Giorgio ». — 6g — debito del padre. La banca di S. Giorgio volle usare cortesia verso gl’ interessati della maona di Scio, rinunziando all’utile risultante dal prezzo di vendita sul debito del vecchio Battista (i). La Casa di S. Giorgio si valse delle lettere di cambio solo per fare delle rimesse o per procurarsi denaro contante, facendo tratta sopra crediti a breve scadenza. Ai privati non veniva fatto credito su accettazioni. Fra i redditi che lo Stato aveva assegnato ai suoi creditori, rappresentati collettivamente dalle compere di S. Giorgio, eranvi quelli delle lontane colonie di Scio, Caffa e Pera. Per incassare i denari che trovavansi colà, i protettori di S. Giorgio traevano cambiali su Caffa e Pera e ricevevano a Genova il denaro dai rimettenti per queste cambiali. Così le compere di S. Giorgio dovevano ricevere 4000 lire annualmente per un dazio a Pera. L'u agosto 1416 si fecero pagare a Genova da Luchino Grimaldi e Manuel Bustarnio un quarto di detta somma, rilasciando loro come rimettenti una cambiale di 2250 Hyperperi a carico del governo di Pera pagabile ad Anto-niotto Saivago quale presentatore (2). Allo stesso modo i protettori il 18 febbraio 1420 trassero una cambiale sulla maona di Scio per incassare il tributo di 2000 fi. da essa dovuto al governo e da questo dato in pegno alla banca di S. Giorgio (3). Però queste cambiali non erano sempre sicure. La Casa alle volte se ne serviva unicamente per realizzare crediti a breve scadenza (4). Perciò i prenditori (rimettenti) di questi (1) Divers. S. G. Mandato dei « Rabelle de Grimaldis et socii ban-cherii gerentes vices suas et domini Luciani Spinule eorum consocii » agli officiales della compera. Rabella de Grimaldi nel 1421 era priore dei protettori di S. Giorgio; anche qui è nuovamente taciuto il nome « Bancum S. Georgii ». (2) App. VI. (3) Divers. S. G. Confr. I pag. 217-218. La maona di Scio aveva tentato di pagare S. Giorgio con una cambiale, alla quale però gli appaltatori di Focea, suoi debitori, non fecero onore « que verba non faciunt solutionem nostram ». (4) Div. S. G. 13 sett. 1414 : Siccome la banca è oppressum et gravatum, é permesso ai suoi governatori « providere favi per modum cambii quam per venditionem locorum ex locis spectantibus officio ». — 7o — effetti si assicuravano facendosi consegnare dei luoghi in pegno, che rimanevano di loro proprietà se le cambiali ritornavano protestate (i). Se una cambiale della Casa di S. Giorgio non veniva onorata a Caffa, essa trovavasi di fronte a gravi difficoltà. Non solamente la Casa perdeva un incasso sul quale aveva calcolato, per soddisfare i creditori dello Stato , ma per di più la rivalsa che il presentatore non pagato traeva sulla Casa, era aggravata dalle spese non indifferenti del ricambio, soffrendone pure immensamente la sua riputazione. Possiamo quindi farci un’ idea dell’ agitazione in cui trovaronsi i protettori di S. Giorgio, quando nel 1419 le vennero ritornate in gran parte le cambiali che aveva tratto sopra Caffa, per incassare le rendite loro colà assegnate (2). Quale erede della compera masse istituita nel 1415 ed incorporata a S. Giorgio nel 1416, erano stati a questo assegnati i titoli del debito di Caffa appartenenti al governo ed il dazio di Caffa (3). Sembra però che il governo coloniale di Caffa abbia avuto bisogno di adoperare per sè , in causa di spese straordinarie, le rendite dovute alla madre patria (4). Era 1’ anno delle devastazioni di Tana, per parte del Kan dei Tartari (5). Perciò le cambiali (1) Divers. S. G. 7 apr. 1416 vengono dati in pegno a Raffael Centurione 13 luoghi, in garanzia d’una cambiale di 1000 lire, che 1 Officium aveva tratto su Pera. Presentatore della cambiale di 2416 perperi è branca Spinola (prò lib. 1000 valore officium promisit eidem (Centuriono) vel Branche Spinule pro eo). (2) Divers. S. G. 9 marzo 1419. Lettera dell’ Officium al console, massarii e provisores Caffè: « Non modicum de vobis fuimus admirati etc. ». (3) « Soma 2000 annuatim pro proventibus locorum oli ni compere massa in massaria Caffè, item comerchium màgnum Caffè » Confr. Membr. 13 (XIII), fog. 160. (4) Il sopravanzo dell’amministrazione di Caffa, pagate le spese oidi narie, gli stipendi degli impiegati e dei soldati mercenari e gl interessi dei luoghi di Caffa, andava a benefizio delle compere di S. Giorgio; ma il rendiconto dei massarii Caffè spedito a Genova dava : « dictos massa rios et consulem (Jac. Adurnum) magnas quantitates pecuniarum pro expensis extraordinariis solvisse, que minime solvi debebant nisi prius nobis (Officio S. Giorgio) solutione de nostro credito facta ». (5) Heyd, II, pag. 378. / — 71 — della Casa di S. Giorgio non furono onorate a Caffa, e siccome in pari tempo la Casa aveva versato grosse somme al governo, mentre le imposte a causa delle turbolenze rendevano meno del solito, così nel 1419 la Casa per la prima volta non potè mantenere l’obbligo del pagamento dell’intero 7 °/0 di interesse verso i suoi creditori. Per evitare questi ritorni tanto costosi, la Casa di S. Giorgio incaricò i suoi rappresentanti di Caffa, nel caso che quei consoli non potessero pagare, di soddisfare i presentatori delle loro cambiali colla vendita dei luoghi delle compere Caffè , che appartenevano alla Casa (1). Il traffico fra Genova e le sue colonie era così attivo, che si presentava regolarmente l’occasione di rimettere denaro mediante cambiali, e quando nel 1420 i rappresentanti della Casa a Caffa dichiararono di non aver potuto mandare a Genova un importo di 3000 som., perchè non avevano potuto trovare un rimettente, i protettori dubitarono della loro buona volontà (2). La Banca di S. Giorgio accordava credito allo Stato, su vasta scala, in conto-corrente (3). Come le banche veneziane furono denominate le colonne dello Stato (4) che era da esse sovvenuto in ogni strettezza, così i banchieri genovesi erano obbligati a fare allo Stato prestiti a termine (5). S. Giorgio si considerava per metà banca dello Stato (6) e doveva quindi procurare di giustificare un tale privilegio (1) Divers. S. G. 1419: « volumus hec penes non secreta esse ». (2) Ivi, 3 maggio 1420 : « quos per cambium asseruerunt nobis non potuisse mittere defertu quod non reperirerunt, cum quibus cambiare, quod difficile credere nobis fuit ». (3) Membr. 8 (VII), fog. i3S\ 1434: « residuum rationis currentis inter venerandum officium monete et bancum ipsum ». (4) Nasse, Venetianisches Bankivesen, pag. 340. (5) Off. monete (Parigi), fog. i23b, T4S8: Ad Àcolinus Salvaigo ban-cherius viene ordinato : « Subeat onera publica et pro communi scriptas faciat, prout fieri solet et fit per ceteros bancherios, pro sua rata et portione statuta et statuenda ». (6) Divers. S. G. 1440, 17 febbr. « banca ipsa serviunt rei publice que rei private precedere debent ». dimostrando una certa premura nel rispondere alle esigenze delle casse pubbliche (i). Però i protettori procuravano di non essere troppo aggravati da questo nobile officium. Ripetutamente venne confermata la legge, che i protettori non potessero accordare alcun prestito allo Stato, nessuna scriptam facere, senza l’approvazione del consiglio dei 52 (2) o del consilium maius (3), nè potevasi ripresentare una proposta simile entro l’anno, se l’ultima era stata respinta con due terzi dei voti. In ogni caso se lo Stato si fosse trovato in stringente bisogno, la banca di S. Giorgio non avrebbe dovuto sopportarne da sola il peso , ma bensì dividerlo cogli altri banchieri genovesi, in guisa che due quinti d’un eventuale prestito andasse a carico di S. Giorgio, il resto diviso fra gli altri banchieri, e a patto che le condizioni per S. Giorgio non fossero meno favorevoli che per gli altri. I prestiti accordati al governo dalla banca erano di solito ad interesse (4) ed a tempo (5), ed assicurati con assegni sopra redditi. Se , come sempre accadeva, il governo non poteva pagare in iscadenza, i redditi rimanevano a benefizio di S. Giorgio. Per esempio i protectores et procuratores compe-rarum S. Georgii, bancherii dicti officii, emisero una scripta di 35000 lire a cinque mesi, somma che era necessaria al governo per una flotta da spedirsi in Oriente. A garanzia fu assegnato agli officiales et bancherii S. Georgii un nuovo dazio portuale del l/2 °/0, da imporsi sopra tutte le merci. Se. il governo un mese prima della scadenza pagava il suo debito , (1) Divers. comm. 30 decerci. 1429. Bosco esorta il governo: « quod ea que sibi (banco S. Georgii) promittentur, observentur, ut justum est, ut bancum ipsum possit semper paratum esse publicis indigentiis ». (2) Membr. 15 (XIV), fog. 43, 8 decem. 142S. (3) Ivi, fog. 51, 10 decem. 1437. Confr. Membr. 8 (VII), fog. ii7- (4) Quando il 31 agosto 1445 i protettori abbuonarono al governo 500 lire d’interessi (pro damno et interessi) sopra un prestito di 11000 lire, venne dichiarato: « has lb. D ex liberalitate expeditas fuisse et ob id vetuerunt ne ad exemplum adduci vel allegari possit ». Membr. 8 (VII), fog. /59- (5) Confr. le rationes temporum, p. es. bancorum S. G. 1409, fog. 6oo\ • — 73 — S. Giorgio non poteva incassare questo nuovo dazio; in caso contrario esso andava a benefizio del banco , il quale lo utilizzava emettendo e vendendo nuovi luoghi, i cui interessi erano pagati con questo dazio (i). Le delegazioni che il governo assegnava in garanzia alle banche, non erano sempre di primo ordine. Il 3 gennaio 1405 banchieri privati avevano esborsato 12500 fl. per l’allestimento di un ambasciata a Padova. Essi dovevano rimborsarsi con un prossimo mutuo che doveva essere imposto e furono autorizzati a trattenere gl’ importi delle tasse che s’incassavano col mezzo delle loro banche (2). Il governo cedeva volentieri in pagamento alla Banca di S. Giorgio gl’importi delle tasse arretrate. Il 10 luglio 1443 le furono assegnati i debitori dal H37 al T441 ir* pagamento di I. 30000 da essa esborsate al governo, al quale occorrevano per conservare i suoi diritti sopra Savona (3). In pari tempo S. Giorgio subentrò in tutti i diritti esecutivi che aveva lo Stato in confronto dei debitori morosi. E chiaro però che queste rancide noci, come e-rano chiamati tali debiti arretrati (4), rappresentavano per la banca un valore molto incerto. In tali circostanze non era quindi da escludersi il caso che la banca di S. Giorgio, in causa dei prestiti che faceva al governo, potesse talvolta trovarsi in difficoltà. I depositanti privati, quando correva voce d’un forte prestito s’impensierivano e domandavano la restituzione dei depositi (5). Nel 1414, la (1) Div. Cancell. Membr. 8 (VII), fog. 127: « vel, si maluerint, instituere possint arbitrio suo tot loca in et super ipso introitu vel eius redditibus perpetuo colligendis, ex quibus sive ex quorum pretio ipsis officialibus et bancheriis integre satisfiat de credito ipsius scripte ». (2) Divers. regim. 1405, fog. 146. (3) Membr. 8 (VII), fog. 147. (4) Ivi, fog. i4Sb « protectoribus dari in solutum omnes illos debitores communis avarie anni 1429 et nucum rancidarum 1430, qui officio S. Georgii obligati et ipotechati fuerunt ». (5) Div. S. G. 13 sett. 1414: « Attentis magnis quantitatibus pecuniarum quas dictum officium debet dicto bancho, dictum banchum presen-taliter est oppressum et gravatum, quoniam creditores ipsius (banci) a paucis diebus citra voluerint sibi fieri solutionem de eo quod recipere 74 — banca trovandosi in questo caso dovette riparare mediante emissioni di cambiali e vendita di luoghi. Nel 1421 dovette alienare i suoi titoli del debito di Caffa (1) e nel 1434 paria-vasi ancora di strettezze della banca (2). La banca di S. Giorgio, come facevano altri bannchieri, procurava in qualche modo di schermirsi dalle domande dei depositanti, frapponendo difficoltà a quelli che chiedevano la restituzione delle somme versate. Quando nel 1441 venne istituita la terza banca, questa non ebbe cassa propria, ma fu stabilito che dovesse essere sussidiata da quelle delle altre due banche, le quali per conseguenza due volte per settimana tenevano chiusa la loro (3). Con ragione erano sorte gravi preoccupazioni contro queste restrizioni dei diritti dei depositanti, conseguenza della istituzione della terza banca (4). Fu necessario far sentire ai protettori e governatori di provvedere acciocché la cassa fosse meglio fornita, poiché « alla borsa » si mormorava riguardo al cattivo stato della banca (5). I prestiti accordati allo Stato indebolirono la Banca di S. Giorgio, e ciò fu la causa per la quale la Casa abbandonò nel 1444 gli affari di banca, poiché non si vedeva più in grado di prestare alla politica monetaria dello Stato quei ser vigi per i quali era stata fondata. debent et debebunt, et nisi presentialiter provideatur in predictis, 11011 esset possibile eis (gubernatoribus) satisfacere dictis creditoribus dicti banchi ». (1) Div. S. G. 23 aprile 1421: « pro satisfaciendo creditoribus banci nostri vendimus loca nostra Caffè ». (2) Membr. 8 (VII), fog. i38b : « magna onera dicti officii et banci ». (3) Divers. S. G. 26 luglio 1441: « ita quod per vices omm ebdomoda unum ex dictis tribus bancis sit duobus diebus sine capsa ». (4) Divers. 21 luglio: « Raffael de Cassina (dixit) .... Se intelli0ere quod proponentes____id agant potius ducti proprio commodo quod sperant ex hac impositione debere habére, quam zelo patrie ». (5) « Surrexit Dorinusde Grimaldis laudans .... provideri quod capsa sit magis munita et latius solvat, ut minuatur rumor iste, qui continue apud banca fit ». — 75 — La moneta. ! )opo che Corrado III concesse a Genova il privilegio di battere moneta, essa coniò prima denari d’argento, poi dal XIII secolo in poi anche grossi d’argento del valore di un soldo (i). L’oro era da principio semplicemente munito di bollo (2), ma dopo il 1252 venne pur esso coniato. C ome lavoranti di zecca, troviamo nel XIII secolo una organizzazione di operarti, riuniti in corporazione sotto pre-positus e consul, ma che sembra appartenessero ad una più estesa societas degli operarii monetarum de Lombardia, che abbracciava tutta l’Italia settentrionale (3). Più tardi la scelta degli impiegati alla zecca spettava all’ officium mercàntie (4). La sorveglianza sulla zecca era affidata ai due superstantes ceche\ lo scriba doveva fare il calcolo del metallo consegnato dal governo 0 dai privati per essere coniato e le monete che ne uscivano. Un fonditore (fonditor) ed un coniatore (coniator) erano addetti alla manifattura delle monete, mentre il saziator ceche et batifoliorum esaminava il metallo nobile ed un impiegato ad bancum communis et astum et freigum ceche ripassava le monete prima di metterle in circolazione. Le tasse di zecca, nette dalle spese di coniatura, furono (1) Confr. le tavole di Desimoni in Belgrano , Vita privata dei Genovesi, pag. 514. (2) Richerio. Index, II, pag. 1025, 1237 : « uncia una auri marcati marco communis Janue valet L. 2.19,6 ». (3) Confr. Not. Angelus de Sigestri, pag. 21 ib, 5 febb. 1257.1 zecchieri promettono a Jumenta Benvenuti Corateni d’insegnargli 1’ arte del conio e di ammetterlo alla loro corporazione quando avrà presentato il suo lavoro d’esame perfetto, cioè la manifattura di due libbre d’ argento e di assegnargli la sua parte di lavoro in argento. Prepositus e Consul degli zecchieri sono di Piacenza, così pure uno dei citati operai, mentre fra gli altri due sono di Lucca, uno di Pavia, ed uno di Monza. (4) Desimoni, Tavole descrittive delle monete della zecca di Genova. Atti S. L. S. P. XXII, 1, pag. XXII, 1330-1444. Div. Reg. 501, fog. 149, 9 genn. 1405: Il governo approva la nomina fatta dall 'Officium mercantie degli officiales ceche ad officia ceche et ponderis auri banchorum. _ 76 — impegnate nel XIV secolo alle compere capituli (i). Temporaneamente, come fu nel 1330 e nel 1436 per i tre anni susseguenti per la nomina dello scritturale e del fonditore , la scelta del personale della zecca fu rimessa ai protettori delle compere. Il fonditore doveva prestare una cauzione di 250 lire e prometteva di non farsi sostituire nell’esercizio del suo ufficio. Sulla parte che gli spettava dei diritti di zecca, egli doveva rilasciare annualmente 25 lire per la manutenzione dei fabbricati della zecca. Il doge e gli anziani confermarono le nomine fatte dai protectores capituli, dandone comunicazione alVofficium mercantie ed ai superstantes ceche (2). Acciocché la zecca fosse sufficientemente provvista di metallo, l’introduzione dei metalli nobili fu nel 1403 dichiarata franca di dazio (3). L’oro e l’argento introdotto doveva essere denunziato alla zecca, la quale poteva trattenerne un terzo per proprio conto al prezzo del giorno (4). In qualche caso gl’introduttori di metalli nobili dovevano consegnarne alla zecca una quantità determinata (5). Invece per 1’ esportazione dell’ oro e dell argento occorreva uno speciale permesso del governo (6). Acciocché non vi fossero in circolazione altro che monete buone, i falsi monetarii erano colpiti da severi castighi. Le monete false erano tagliate dai cassieri del governo (7). (1) Sala 43, N. 1096. Diversorum capituti, 1342, fog. 40: « ratl° su' perstantium ceche in anno 1341 ». Le compere , oltre le 50 liie fisse loio assegnate ricevettero dall’amministrazione della zecca un soprappiù di 35 lire j2 soldi. (2) Divers. Cancell. 2 giugno 1436. (3) Reg. cons. calegarum. Voi. II, cap. 19; 2 febb. 1403: « volentes providere indigentie pecuniarum, que nunc est in civitate Janue ». (4) Sala 41, Monetarum, 20, 7 febr. 1439. (5) Ceche, fog. 25, 29 marzo 1412 : « quarta pars auri et argenti non laborati quod deferetur Januam, ponatur in checa ad cudendum grossos, sub pena amissionis ». (6) Divers. cancell. Questo divieto del 3 maggio 1404 e del 29 marzo 14x2 fu rinnovato il 12 genn. 1435. (7) Sala 41, Monetarum 20, Officium superstantie ceche 1315: « Quod aliqua persona non audeat neque possit trabuehare vel trabucari facere 1 — 77 — Le monete genovesi non potevano essere eseguite così esattamente come oggi (i). Esse, come tutte le monete del medioevo, sia per l’uso, sia per un minor valore intrinseco che, con intenzione, avevano già quando venivano coniate , andavano soggette ad un deterioramento progressivo, differente nelle diverse specie, cioè maggiore per le piccole monete d’argento, minore per quelle d’oro. Le piccole monete d’ argento formavano la base sempre decrescente delle calcolazioni. Così la lira genovese (non coniata), unità immaginaria divisa in 20 soldi 0 240 denari, valeva ancora nel 1205 75,417 gr. d’argento e nel 1253 era già scesa a 58,119 gr. (2). Contro le piccole monete d’argento, non solo quelle d’oro, ma eziandio quelle più grosse d’argento, facevano un crescente aggio. Sappiamo che nel 1405 furono coniati : grossi (da 2 soldi), 1 °5 V2 dei quali entravano in una libbra d’argento fino, colla spesa di 1,5 °/0 per coniatura e 0,6 °/0 per diritto di zecca; mezzi grossi, petachini, con 2 °/o di coniatura e 1,3 °/0 di diritto di zecca e minuti con 1,8 °/0 di coniatura e 1 °/o di diritto di zecca (3). vel ponderare seu ponderari facere pro eligendo fortem monetam a debili aliquam monetam de auro vel de argento vel de bolzono cuiuscunque condicionis modi seu forme existat, nec elligere monetam fortem a debili sub pena lib. X Jan. pro quolibet et qualibet vice si dicta moneta que fuerit trabuchata vel ponderata, fuerit a. s. XX Jan. infra, et si fuerit ab inde supra, sub pena lb. XXV Jan. pro quolibet et qualibet vice qua contrafactum fuerit ». . . . « Massarii monetam falsam incidant ». (1) Sulle difficoltà della tecnica conf. Schmoller, ìiber die Ausbildung einer richtìgen Scheidemiinzepolitik vom, X1V-XIX Iahrh-Iahrbuch, 1900, pag. 1248. (2) Secondo Rocca, pesi e misure antiche di Genova, la libbra di zecca pesava 316,750 gr.: Rici-ierio, II, dà alla voce valor argenti per il 1205 il prezzo della libra argenti in 4 L. 4 sol. e per il 1253 in 5 L. 9 sol. Schaube, Wechselbriefe Ludwigs des Heiligen, Conrads Jalirb. LXXIII, per lbb. intende la libra di 314 gr. (3) Sala 4T. Ceche introitus et exitus 1405. Il diritto di zecca è considerato come « prò segrestia », le spese di coniatura sono «[prò fondendo, ' prò oneriis e prò moneriis ». La libra a cui si riferivano questi aggravi, era la libbra d’ argento non monetata. A ciò corrisponde quanto dice - 78 - Oueste spese erano relativamente piccole. P. es IvRUSE (i) per le monete del 1386 e 1409 dell’Elettorato renano, calcola a 8,6 % e 11,3 °/0 la spesa rispettivamente di coniatura e di diritto di zecca, e Cai-in porta a 7,9 °/0 la spesa di coniatura per le monete d’argento fatte a Strasburgo nel 1421 (2). Per quanto il governo genovesse vegliasse sulla bontà delle monete, esso non aveva però in mano la circolazione del denaro, fra il quale oltre le proprie eravi una grande quantità di monete straniere. Tutte queste monete avevano un corso variabile l’una rispettivamente all’ altra. In ogni caso , in questo caos di monete diverse, quelle coniate nelle migliori zecche come Venezia, Genova, Firenze, cioè ducati e fiorini, avevano un valore stabile che serviva di norma specialmente nel grande commercio fra piazze diverse (3). Il male fondamentale nella questione monetaria a Genova, era che mentre il fiorino, una delle monete che davano norma, nel suo intrinseco e nel suo valore si manteneva presso a poco serrtpre eguale, la moneta piccola d’argento che, a sua volta, dava norma ed era la base dei calcoli per le contrattazioni interne, andava continuamente scemando di valore. Il fiorino faceva un crescente aggio sulla moneta d’argento; se nel XIII secolo il suo valore era di 16 sol. nel XIV salì a 25 sol. e nei primi anni del XV arrivò a 30 sol. e più (4). Desimoni in Belgrano pag. 514, che il titolo del grosso è fissato nel 1404 a 3,002 gr. (1 libra 316,75 gr. : 105 = 3,002). Conf. Gandolfi, moneta di Genova I, pag. 275, de mercede fonditoris, 1445, pag. 279. Il governo con 5 lb. d’oro coniava 449 ducati, dei quali ne tratteneva 5 come diritto di zecca (1,12 °/0). Confr. manos. 15, fog. 5ob, 23 nov. 1470. Venezia riteneva dal ducato 0,80 °/0, dai grossi 6,2 r °/0. Nagl, die Gold-wàhriing ini Mittelalter, Wiener numismatische Zeitschrift, 1894, pag. 175. pag. 138, sul costo della coniatura a Firenze. (1) Kotnische Gotdgeschichte, ÌVestd. Zeitschrift, Ergànzungslieft, IV, pag. 106. (2) Miinz-und Geldgeschichte d. StadiStrassburg im Mittelalter, pag, 93. (3) Conf. die Bernerkungen iiber Parallelwàhrung und Sortengeld di Lexis, Conrads Jahrbiicher LXI1II specialmente pag. 81 e Nagl, pag. 28. (4) Desimoni, tavole in Belgrano, Vita privata dei Genovesi, pag. 522. — — 79 - Se il pagamento non era espressamente pattuito in oro , si poteva pagare a Genova in qualunque moneta dello Stato, e quindi anche in moneta piccola d’argento (i). L’aumento del corso dei fiorini diventava per conseguenza un profitto per il debitore, il quale poteva saldare il suo debito con del- 1 argento che valeva meno, mentre il creditore che aveva e-sborsato oro, nel giorno del pagamento doveva accettare monete d’argento, colle quali non poteva acquistarsi tanto oro quanto ne aveva esborsato. Il valore calante delle monete d’argento venne a favorire specialmente i banchieri, i quali poterono pagare i loro depositanti in monete che valevano meno di quelle colle quali era stato fatto il deposito. Così pure gli industriali potevano pagare le mercedi dovute ai loro lavoratori in moneta piccola di poco valore (2). Usavano di questo diritto i padroni dell’arte della lana a Firenze, ed anche i capitani della marina genovese. Quest’ abuso fu la cagione della sollevazione dei marinai genovesi contro i loro padroni nel 1339. Il motivo per cui il corso delle monete d’oro aumentava, consisteva da una parte per il brutto conio e pel maggior logoramento della moneta piccola d’argento. In particolare sembra che i pezzi da 6 denari, i petacliini coniati dal 1402 in poi, fossero fatti molto male (3). Dall’altra parte le guerre L. Cirrario, Della economia politica del medioevo III, pag. 225, nota Pa&- 3 r9- B. Cecchetti, Appunti sulle finanze antiche della repubblica veneta. Arch. Veneto, XXXV (1S88) pag. 35. N'agl, p. 221 seg. E. Fo-restié, Livras des fréres Bonis, pag. XLII segg. Simile aumento dell’oro sul Reno, Kruse, Geldgeschichte, pag. 84 segg. (1) Bosco, Cons. 410: « Solutio debet fieri de libris currentibus secundum aestimationem temporis solutionis non habito respectu ad valo- rem florenorum qui fuit tempore contracti debiti, quoniam..... obbligatio fuit de libris ». Confronta Cons. 411, dove era espressamente convenuto il pagamento in oro. Sulla reciproca sostituzione delle varie monete confronta Endemann, Studi, II, pag. 215 segg. (2) Doren, Geschicute der Fiorentiner Wollentuchindustrie, p. 208. (3) Desimoni, Le prime monete della zecca di Genova , Atti della S. L. S. P. XIX, 212: « petachine, per dispregio e per la corruzione della sua lega ». — 8o — che nel XIV e XV secolo accaddero in Italia e Francia, fecero aumentare la domanda dell’ oro , il quale naturalmente rincarò in confronto dell’argento (i). A Genova la causa dell’aumento dell’oro venne attribuita all’avidità di guadagno dei banchieri (2). Effettivamente essi traevano utile da tale aumento, nè mancarono di fare in modo da convalidare questo pregiudizio, coll'evitare, per quanto possibile, di pagare in buona moneta. Spesso troviamo che i banchieri pagavano i loro creditori, mediante giro e assegno sopra un altro banchiere, obbligando i depositanti, che facevano calcolo sul denaro contante, ad averlo a prezzo d un aggio (3). Quando i banchieri si decidevano a pagare, lo facevano preferibilmente in cattiva moneta d’argento, calcolando per i pagamenti in buona moneta, cioè in oro, un altro aggio. Essi procuravano di smerciare le monete cattive e logore in paese, mentre mandavano fuori le buone e giuste per ricavarne un utile (4). (1) Bart. Bosco , Cons. 410 : « Propter condiciones nnnc in Italia imo fere in universo orbe occurrentes Januinorum et Horenorum auri aestimatio crevit ita, quod florenus auri nunc valet pluribus soldis quam tunc ». Kruse, pag. 110: « Il progressivo aumento dell’oro dalla fondazione della lega monetaria dell’Elettorato renano lino al 1477 »■ Sulla relazione tra oro ed argento cf. Nagl, p. 139 seg. (2) Confr. pag. 82 11. 3 e pag. 84 n. 1. (3) Divers. S. G. 14 genn. 144 r, « visto la differenza, la qua in lo passao era de la monea e scripta da un banco ad un altro ». Pagnini , Della decima, IV , pag. 148 (Uzzano 1442) sopra Genova : « Vagliono i contanti da 2 in 4 per cento meglio che scritta »; pag. 151 sopra Venezia. Cfr. Nasse, venct. Bankwesen, pag. 344. Simili lagnanze sui banchieri di Caffa in Vigna, Atti S. L. S. P., VII, 2, pag. 96, 1474- (4) Cfr. per Venezia Nasse, Conrads Jahrb XXXIV pag. 35°- Ma che più, quando la banca della città di Strasburgo arrivava al punto di non poter far prestiti se non che, a termini dei suoi statuti, in cattiva moneta e non in buoni fiorini del Reno, o in buon argento corrente a Strasburgo? Se i creditori volevano essere pagati con buona moneta, dovevano anche qui corrispondere un aggio per il cambio. Cai-in, Zeitschrift fiir Gesch. d. Oberrheins, LIII, pag. 59. In Francia , come in Germania lo Stato cercava di avere i suoi introiti in buona moneta, mentre spendeva la cattiva. Cfr. sull’ « Agiofouds » del governo di Ntirnberg Sander , die reichstddtische Ilaushaltung Niirnbergs, pag. 327. Però, se la clientela del banchiere contribuì sul prezzo delle monete d’oro e d’argento, non si può dire che i banchieri ne fossero i primi responsabili. Le condizioni di Genova nel volgere del XVII secolo e-rano differenti da quelle dell’Inghilterra, dove lo straordinario aumento del corso della ghinea era basato puramente sulla speculazione di borsa. Poiché non si può dire che il deprezzamento dell’ argento , abbia avuto a Genova , quale conseguenza, la creazione di una valuta d’ oro, come avvenne in Inghilterra, ove un cambiamento nel corso della moneta d’oro significava puramente un cambiamento sul valore nominale della base della valuta (i). Tale considerazione però non reggeva per Genova, ove il numero delle monete piccole d’ argento era troppo grande. La zecca genovese continuava a coniare monete d’argento, e perciò si era riservato il diritto di acquistare la terza parte di tutto il metallo che veniva introdotto. E quantunque i privati, in causa del deprezzamento delle monete, ne facessero coniare meno, tuttavia la grande quantità di pezzi stranieri d’argento che entravano e che non e-rano rifiutate dal commercio, resero la circolazione della moneta piccola d’argento più che sovrabbondante (2), per modo che non si può dire che la questione fosse soltanto di degrado delle monete d’argento sulla moneta spicciola. In conseguenza anche i tentativi del governo genovese per impedire mediante tariffe 1’ ulteriore aumento del fiorino , non potevano avere effetto eguale a quello ottenuto dal decreto del governo inglese, secondo il quale le casse dello Stato dall’agosto 1695 in poi non potevano accettare ghinee ad un corso superiore di 30 se., lo che fece cessare d’ un tratto ulteriori aumenti nel corso della ghinea (3). (1) Kalkmann, Englands Uebergang zur Goldwàhrung, pag. 2S segg. Cfr: Helfferich, die geschichtl. Entwikelung d. Miinzsysteme. Conrads Jahrbiìcher, LXIIII, pag. S23, (2) Sull’influenza della moneta forestiera cfr. Nagl, pag. 230. Sieveking, I. G. Biisch und seine Aabhandlung von devi Geldumlauf. Schmolleks, Jahr. Jan. 1904, pag. 97 seg. (3) Kalkmann, pag. 34. Atti Società Ligure Storia Patria. Voi. XXXV, P. II. g — 82 — La cattiva condizione monetaria a Genova, il continuo aumento del fiorino dipendevano da una difettosa circolazione, in causa della grande massa di moneta piccola d argento di minore valore di cui sovrabbondava il mercato. Il male fu soltanto ag'gravato dai banchieri coìl’approfittare in ogni modo del loro diritto di pagare in monete piccole d’argento. Tentativi per stabilire un corso fisso del fiorino d'oro, e parte presa dalla Banca di S, Giorgio in questi tentativi* Il governo avrebbe potuto trarre profitto del crescente aggio dell’ oro , esigendo p. es. che il pagamento dei dazi e delle imposte fosse fatto in oro, ovvero al corrispondente maggiore equivalente in argento, e pagando invece i soldati mercenari in argento all’ antico corso (i). Doveva pero premergli maggiormente che il rapporto fra oro e argento diventasse quanto più fosse possibile costante per ovviare agl inconvenienti che il valore variabile del denaro portava fra debitori e creditori. Il governo credette dapprima che per impedire un ulteriore aumento del fiorino d’ oro contro argento , fosse sufficiente il fissare il valore del fiorino a 25 s. vietando una maggiore tariffa (2). Questa disposizione però, continuando ad aumentare l’aggio dell’oro, non ebbe altra conseguenza, che il florerius auri di 25 s. diventò un fiorino immaginano per 1 calcoli, dal quale l’effettivo fiorino d’oro, il florenus m amo, distinguevasi essenzialmente, essendo questo arrivato nella prima metà del XV secolo fino a 45 s. (3). (1) Così pure a Firenze, Pag&i, della decima, I, pag. 132. Ivnipping, Kòlnische Stadtrechnungen, I, pag. XXVII. (2) 1339, Desimoni, Atti S. L. S. P., XXII, 1, pag. XXXIX. (3) Bosco, Cons. 220, pag. 351 (verso il 1430): « Post has universales tribulationes mundi, que fuerunt in Italia, Francia et aliis mundi partibus maxime christianis ab annis viginti citra, pecunia aurea fuit multum que-sita et propterea venit in maius pretium suo debito et exinde introduxit avaritia mercatorum et cambiatorum in Janua hanc differentiam in lo- “ 83 - Per rimediare a questi inconvenienti e per 1’ esecuzione della tariffa stabilita per le monete d’oro e d’argento, il governo genovese istituì il 5 novembre 1405 una speciale autorità cioè i quatuor supra provisione cursus monetarum. Questi dovevano principalmente vegliare che i banchieri, di fronte ai loro creditori, rispettassero la tariffa, nè potessero pretendere un aggio troppo forte per 1’ oro, per cui essi furono anche chiamati officiales super solutionibus fiendis per bancherios (1). Nel 1412 quest’autorità fu investita dei poteri punitivi che prima erano di competenza del governo , del capitano e degli anziani stessi e ciò perchè fino allora non le era riuscito a far rispettare i decreti relativi al corso delle monete (2). P ra le ordinanze dell’ officium monetarium è specialmente degno di nota un singolare tentativo per limitare la validità dei pagamenti in minuti, che contenevano solo una esigua quantità d’argento. Per pagamenti fino a 50 lire , era tollerato un quarto di questa piccola moneta, per pagamenti superiori a 50 lire solo un quinto (3). Il creditore doveva quindi accontentarsi, anche per somme rilevanti di riceverne un quinto in tale moneta che poteva chiamarsi piuttosto di rame che d’argento. A Genova la causa dell’ aumento dell’ oro credevasi causata non tanto dalle condizioni della circolazione del denaro, quanto dall’avidità di guadagno dei banchieri. E quando l’esperienza dimostrò che leggi e tariffe contro i banchieri a quela, ut aliud importet dicere florenus auri, aliud florenus in auro », così a Firenze nel 1279 si creò il floreno di calcolo di 29 s., quando il floreno in oro saliva a 33 s. 1279, a 48 4/2 s. 130T. Nagl, p. 87. (1) Dives. reg. 501, fog. 193, 502. fog. sob, 5 aprile 1408, fog. S9b. 13 novem. 1408: « Officiales ordinati supra cursum monetarum et super solutionibus fiendis per bancherios constituti sunt magistratus ad reddendum et ministrandum justitiam dictis bancheriis de debitoribus eorumdem.... 11011 expectato aliquo placet officii mercantie ». (2) Ceche, fog. 26, 29 marzo 1412: « advertentes decreta condita super facto monete fuisse hactenus cum negligentia officialium violatos ». (3) Ceche, fog. 25, 1413. « In volumine antiquo decretorum officii monetarum existente penes officium bancorum reperitur decretum ». - 84 - nulla giovavano, quando si vide che il pubblico, a cui favore erano fatte queste leggi, si metteva dalla parte del banchiere, perchè di lui aveva bisogno, si pensò che ciò che non si poteva ottenere colla morta lettera della legge, sarebbe potuto riuscire mediante l’esempio ; se una banca cioè s’impegnasse di osservare il corso delle tariffe, le altre avrebbero dovuto seguirla e sarebbe scomparso l’aggio che era considerato come qualche cosa di anormale. Questo fu uno dei motivi per il quale venne fondata la banca di S. Giorgio. Differentemente dagli altri banchieri avidi di guadagno, e senza alcuna considerazione per il bene del loro paese, la banca di S. Giorgio doveva prendere le monete al loro giusto valore, al deòihcvi pretium, cioè a norma delle tariffe del governo (i). Nei libri della banca di S. Giorgio del 1408 troviamo il fiorino ragguagliato a 27 s. (2). Ma i- protettori ed i procuratori della Casa di S. Giorgio dovettero fare la triste esperienza che la sola buona volontà non bastava a reprimere 1’ aggio dell’ oro e che la cattiveria (1) Genova, Arch. di Stato. Sala 23, Bancorum S. G. i4°9> 2 maiz0-« Officiales S, Georgii banchuin tenere incoarunt, quo debita communis redigantur ad nihilum et prave nonnulle consuetudines banchieiorum re sechentur, que incommoda non modica rei publice irrogant, cum sint sic propriis dediti, quod publica vastare minime erubescant et monetam non debito precio sed insueto et irracionabili spondere et retinere consen tiant». Harrisse, Cristoforo Colombo ed il Banco di S. Gioìgio, paB. 1581 nota 116. Affatto simili furono i motivi per i quali il 31 gennaio 1609 venne fondata in Amsterdam una banca di cambio: « Alson 0111 alle ste) gheringhe ende confusie in t’stuck van de Munte te vveeren, ende luyden, die eenige specien in de Coopmanschappe van doen hebben, gherieven ». W. C. Mees, Prone eener geschiedenis van het Bankwesen in Nederland, pag. 283 segg., pag. 37 e segg. Anche in Amsterdam, colla banca della città, rimasero pure i cambiavalute ed i cassieri giurati, pag- 39, pag. 51 segg., pag. 129 segg. Però la banca di cambio di Amster dam, come fu della banca di Genova nel 1675, ebbe subito il privilegio, che per tutte le cambiali da 600 fl. in su, fosse la trascrizione nei libri la forma obbligatoria del pagamento. (2) Bancorum, 1408, fog. 3: « Antoniotus de Nairono: Recepimus die II martii in capsia, deferente ipso Antonioto et sunt prò valuta delibe rata lb. 3700 in auro ad rat. de s. 27 prò floreno lb. 3824 s. 18 ». —i - dei banchieri non era il solo motivo dell’alto corso del fiorino. L’avarizia dei banchieri che non volevano pagare in buona moneta e specialmente in oro, ed il crescente aggio che esigevano, dipendevano in ultima analisi dal fatto che il commercio accettava, senza fare obiezioni, cattiva moneta. Era impossibile metter argine all’ invasione di monete estere e logore e intanto i banchieri continuarono ad approfittare del guadagno che era loro offerto da questo movimento. Allorquando nel XIV secolo venne convocato a Genova un consiglio per discutere sui danni recati dalla circolazione monetaria, il giureconsulto Bartolomeo BOSCO, fra le cause dei sempre crescenti inconvenienti, addusse per primo le pubbliche gravezze che pesavano troppo fortemente sull’ e-conomia del paese. Aggiunse collegarsi a ciò la mancanza del denaro presso i banchieri, i cui creditori si adattavano alla deduzione d’un aggio per avere il pagamento pronto (i). Però Bosco opinava che, spiegando maggiore energia, sarebbe stato possibile al governo di mantenere una tariffa fìssa del fiorino. Fu calcolato che il deprezzamento della moneta d’argento, sul valore normale, abbia ridotto alla metà il valore dei beni nazionali di Genova (2). Per impedire l’ulteriore aumento del fiorino d’oro, si ritenne importante di accordare delle facilitazioni ai banchieri. Fu proposto quindi di abolire la cauzione che essi dovevano prestare, la quale costituiva già una forte diminuzione dei loro mezzi pecuniari. L’esercizio della banca sarebbe dichiarato libero, ma i giri delle partite di credito avrebbero perduto la loro forza legale come pagamenti ; il debitore potrebbe pagare mediante giro, soltanto quando ciò fosse prima convenuto col creditore (3). (1) Divers. comm. 30 decem. 1429: « consilium celebratum super reformatione cursus monetarum » ; Bosco : 2) « Indigentia bancheriorum et reverentia, que eis habetur, ex qua contingit quod qui indigent pecuniis et vident displicere bancheriis solutionem numerato, mallunt illud emere quam contra eorum voluntatem illud ab eis accipere ». (2) Ivi, Manuel Ususmaris. (3) Raffael de Cassina: « permittatur libere omnibus volentibus banca — 86 — Si credeva, mediante queste proposte, di poter mantenere il corso del fiorino da 38 a 40 sol., ma invece tutto rimase come prima e 1’ aggio continuò ad aumentare, Di fronte alle condizioni generali della circolazione , tutti i provvedimenti d’una banca per mantenere ad un certo limite il corso del fiorino , non potevano arrivare allo scopo , tanto più che questa banca era impegnata col governo per eventuali prestiti. Anzi per affermarsi, la banca di S. Giorgio dovette talvolta mancare al patto stabilito e , come gli altri banchieri, calcolare il fiorino al corso del giorno. A tale trasgressione la banca veniva autorizzata , come p. es. quando nel 1427 , prestò al governo 26250 lire , contro pegno della tassa degli stipendi (1). Essendo riusciti vani i tentativi fatti di modificare il sistema bancario per riparare ai danni della circolazione monetaria, si provò nel 1437 con una riforma della moneta. La direzione superiore della zecca fu tolta alYofficium mercantie e conferita invece alla Casa di S. Giorgio. Si conchiuse con Antonio di Monleone e Luca Fei un contratto in virtù del quale questi due dovevano per tre anni, quali superstantes ceche, assumere la coniatura delle monete (2). I grossi allora dovevano essere molto fini, titolo oncie 11 i/2, cioè dovevansi coniare 100 grossi per ogni libbra d’argento puro. Se però da una parte, il titolo di questa moneta verso il 1404 era migliorato, dall’altra il valore cui era calcolato era salito in una proporzione molto maggiore a tale miglioramento, cioè da 2 soldi a 3 sol. 2 den. (3). tenere ea condicione, quod nemo teneatur quam sua voluntate pecunias in eis acceptare ». Similmente si espresse Battista de Francis. (1) Membr. 8, (VII), fog. 99: « liceat protectoribus et possint dare et solvere pecunias numeratas in banco S. Georgii illis personis quibus eas solvi continget ex pecuniis supradictis sive ipsarum occasione seu causa, illis pretiis quibus pecunie numerate solvuntur vel solventur ab aliis ban-cheriis, debentibus ipsas recipere, et quod ad solvendum eas aliis pretiis cogi non possint nec debeant ». (2) Sala 41, Monetarum , 20, 7 nov. 1437: « officium mercantie sine consensu officii S. Georgii durante dicto appaltu 11011 possit eligere officiales in zeclia ». (3) Desimoni, tavole,■ pag. 514. 11,11 — 8.7 — Per contra peggiorò nuovamente il titolo delle monete d’argento minori. I soldini dovevano essere coniati al titolo di 6 oncie , contenendo quindi solo 50 °/0 d’argento, o 176 pezzi sopra una libbra d’argento puro. I petachini avevano il titolo di appena 4 oncie e se ne coniavano 240 per ogni libbra di fino. Finalmente vi erano monete piccolissime, moneta minuta , che tuttavia avevano un titolo di 1 1/4 oncie d’argento fino (1). Colla maggiore sorveglianza sulla zecca si sperava possibile di portare a 40 s. il corso del fiorino. In pari tempo per dare maggiore importanza alla banca di S. Giorgio, che doveva vegliare acciocché fosse conservata la proporzione nei valori di zecca, le venne accordato che le ordinanze da essa emanate avessero effetto legale. Se in pagamento veniva offerto un credito inscritto nei libri della banca, nessuno poteva rifiutarlo (2). Però anche questi provvedimenti non sortirono il desiderato effetto. Il corso del fiorino continuò a salire e nel 1444 era arrivato a 47 s. Soppressione della Banca di S. Giorgio Nuovo ordinamento della costituzione della Casa nel 1444, Il tentativo di ovviare ai danni recati dalla questione monetaria, mediante 1’ erezione di una banca che seguisse lealmente i regolamenti della zecca, era ornai considerato come fallito (3). (1) Divers. Cane. 2 giugno 1436. Nel 1492 il titolo delle moneta minuta era sceso a Vu- Ceche fog. 2ib, 19, ottobre , 1492 : « in qualibet libra boioni prò fnbricando minuta Janue ponatur uncia una argenti fini, de unciis duodecim pro libra ». (2) Monet. 20, 1437 : « quod scripta banci S. Georgii refutari sive renui non possint et quod cambia solvenda intelligantur solvi debere ad rat. s. 40 pro singulo floreno in auro et non ultra ». Le Scripta banci erano a tempo, pagabili in denaro solo dopo un tempo determinato ; la misura dunque del 1437 , corrisponde ad una concessione del corso forzoso per crediti non subito riscuotibili. (3) Anche alla banca di Amsterdam non riuscì di raggiungere il vero — 88 — La banca di S. Giorgio a motivo del suo collegamento coll'amministrazione dello Stato, si trovava in difficile posizione. Poiché, mentre doveva pagare gl’interessi ai suoi creditori puntualmente ed in parte anche per cassa, le entrate invece da parte degli appaltatori delle imposte camminavano lentamente e quasi sempre sotto forma di compensazioni (i), per modo che la banca era costretta a procurarsi denaro contante con perdita (2). Si propose di obbligare gli appaltatori a pagare almeno un terzo del loro appalto in contanti, per poter mettere la banca in condizione di contentare nello stesso modo almeno i piccoli creditori, che ne abbisognavano (3). La proposta venne rigettata il 14 gennaio 1441 con 49 voti contro 11. La banca di S. Giorgio era molto indebolita per i prestiti accordati al governo, la cui restituzione soltanto avrebbe potuto metterla in grado di contentare i suoi creditori (4). Lo Stato però non pensava ad estinguere il suo debito verso la Banca, anzi lo aumentava continuamente. In tali circostanze la banca di S. Giorgio, appena poteva soddisfare le domande correnti dei suoi creditori (5). Il man- scopo per il quale fu fondata, quello cioè di far scomparire l’aggio per le monete migliori. Mees, pag. 55-60. (1) Divers. S. G. 14 genn. 1441 : « Tutto Io tempo passao lo officio molto più tosto ha pagao li proventi ali locatari dagando la scripta in lo banco, che non ha ricevilo li pagamenti dagli cabelotti; della qual cossa à seguio grandissimo interesse, perzochè questa forma ha producto grande scarsitae allo banco ». (2) « Hanno grande danno in acatar monea numera da suppri ali creaoi de lo dicto banco ». (3) « Cum lo qua et cum quello che se havesse de numerao da lo officio de lo sale, se porrea subveni a paga li proventi a la povera gente, a la qua questa forma sufficerera ». Si fece anche parola sulla importanza di rialzare il credito della banca di fronte all’estero, il quale, a disdoro della città, riconobbe la difficoltà di avere denaro contante dalla banca: « han visto cum quanta pressa et affanno a li banchi se po havei dinae ». (4) Divers. S. G. 14 genn. 1441, Petrus de Mari : « finale rimedium, ut commune solveret, quid debet comperis, cum quo exdebitarentur banca ». (5) Membr. 8 (VII), fog. 150: « Ha da metter forma e modo che la mo- — 89 - tenere in vigore il corso delle tariffe, tanto dannose per la banca, ne aumentava le difficoltà e si dimostrò impraticabile. Perciò quando nel 31 agosto 1444, sopra proposta di Luciano Grimaldi , il governo pose il dilemma alla banca di S. Giorgio, o di mantenere da allora in avanti nei pagamenti il corso di 42 s. per fiorino, 0 di perdere la concessione per 1 esercizio della banca (1), i protettori e procuratori di S. Giorgio, sentito il consiglio, decisero il 4 settembre di rinunziare agli affari di banca (2). Colla cessazione di questi affari, si trovò indispensabile di dare un nuovo ordinamento alla costituzione della Casa di S. Giorgio , cui 1’ esercizio della banca aveva gettata in una sena crisi. Si era reso manifesto che la sola autorità dei prò tetton e procuratori, rinnovantesi annualmente, non poteva accudire a tutti i complicati affari della Casa. Perciò il 27 novembre 1444 il Consiglio delle compere deliberò che i nuovi protettori e procuratori da eleggersi per 1’ anno susseguente, dovessero occuparsi degli affari correnti dell’amministrazione del debito pubblico, mentre la liquidazione della banca rimarrebbe affidata ai protettori e procuratori del 1444 che a tal uopo restavano in carica. Sembra che le difficoltà che si opponevano alle banche nei pagamenti fossero molto gravi e che tale crisi abbia portato rovina su vasta scala, poiché fu proposto ai creditori di pagar loro solo quel tanto che potesse bastare per i loro bi-sogni giornalieri (3). neta non vagga crescendo, la qua e ja in pretio de soldi 47 per fior , e che li banchi de S. G. no fassan a li soi creasi debiti pagamenti ». (1) Ivi : « Si eligunt tenere sua bancha an ne ... et si deliberabunt et respondebunt velle tenere dicta eorum bancha teneantur et debeant tenere bona banca et solvere cuilibet creditori suo in solutionibus fiendis ad rat. sol. 42 pro unoquoque floreno et non ultra ». (2) « Statuerunt et ordinaverunt omnino deponi et levari debere banche ipsorum ». Di questa soppressione della banca parlarono, senza però far cenno dei motivi, Lobero, pag. 71 e Desimoni, Atti S. L. S. P. XIX, 3. pag. 14. (3) Membr. S (VII), fog. 150, 31 agosto 1444: « infra dictum tempus Kal. Jan. civibus creditoribus dictorum bancorum (S. G.) respondeatur — 90 — I protettori del 1444 dovevano rimanere in carica fino a tanto che fosse compiuta la liquidazione della banca e tutti i creditori fossero pagati (1). Ma l’esperienza dimostrò che pure questa autorità era necessaria anche pel seguito per 1 amministrazione della Casa di S. Giorgio, e perciò accanto ai protettori e procuratori che trattavano gli affari correnti, entrò come istituzione stabile 1 'officium de 1444, a cui incombeva il disbrigo degli affari non esauriti nell’ anno in corso. L’ officium de 1444 ricevette la liquidazione dei conti dei protettori e dell’ officii salis. Nel 1450 fu stabilito che i protettori entro due anni dalla cessazione della loro carica dovessero chiudere i loro libri e consegnarli all 'officium de 1444 entro un mese dallo spirare del detto termine (2). La rinnovazione dell 'officium de 1444 fu il 10 decemb. 1459 regolata nel modo seguente. Ogni due anni, due dei membri che erano in carica da più di due anni, dovevano uscire, venendo surrogati da altri due mediante elezione per parte dei procuratori e deVC officium de 1444 (de li banchi) (3). L’abbandono degli affari di banca nel i444> non rec° n0' cumento alcuno all’ autorità della Casa di S. Giorgio ; anzi questa liquidazione consolidò la sua forza. Rinvigorita dalla nuova costituzione , la Casa potè riprendere la continuazione degli affari interrotti fino dal 1411, e dedicarsi esclusivamente al suo proprio ufficio , cioè all’ amministrazione del debito pubblico. de tanta pecunia numerata, prout eis videbitur debitum et honestum, que ipsis civibus creditoribus sufficere debeat pro suis necessariis et quot dianis expensis ». . . (1) Fog. 153, su proposta di Joh. Justinianus de Campis . « officiari debeant in rebus, causis et negotiis ad vetus perninentibus, illis finem ponendo quoad poterunt, usque quo agendis depositionis bancorum et satisfactionis creditorum dictorum bancorum integre provisum ent ». (2) « Officio illi, quod curam habet omnium negotiorum comperarum et olim bancorum. Membr. 8 (VII), fog. i78b, confr. 15 (XIIII) fog. 182, anno 1463. (3) Vigna, Atti S. L. S. P. VI, pag. 966. CAPITOLO II. LA CASA DI S. GIORGIO DALLA META DEL XV SECOLO FINO ALLA METÀ DEL XVI SECOLO. LA CASA PROPRIETARIA DEI FONDI. 1447-1562 I consolidamenti verso la metà del XV secolo* Ancor oggi, verso il porto di Genova, vediamo erigersi un onorando edifìzio in mattoni rossi e ornato di snelle colonne, cioè il Palatium maris chiamato poi dopo il XIV secolo Palatium Dugane e più tardi ancora Palazzo di S. Giorgio. Questo edifìzio fu principiato nel 1260 sotto il primo Boc-canegra, per servire come palazzo del Capitano (1). [Molti uffici nel XIV e XV secolo fecero uso delle sue stanze: i pa- « tres communis , gli officia mereantie e garanzie, i ministri, 1’officium provisionis super agendis Corsice, i magistri rationales, ed i revisores avariarum veterum, si convocavano quivi fino dal 1428 (2); nel 1443 il govrrno vi allestì una stanza per la trattazione degli affari dell’ Officium S. Georgii (3). Il piano terrene serviva ad uso della dogana. (1) F. Gekala, II palazzo di S. Giorgio, pag. 23. (2) Stella, Annali. Muratori, Scriptores, XVII, col. 1300. (3) Membr. 8 (VII) fog. i46b : « Intendentes officio in requisitionibus honestis continue complacere.... deliberaverunt.... quod officium patrum — 92 — Nel 1451 il palazzo trovavasi in cattivo stato. Il tetto minacciava di cadere e molti altri guasti esigevano ui genti riparazioni. Il governo era impensierito per le spese di tali ristauri e S. Giorgio si offerse allora di eseguire i lavori occorrenti, a condizione che fossero poi lasciate per suo uso le stanze fino allora occupate daW'officium mercantie. Il governo accettò la proposta e d’ allora in poi tutto il palazzo rimase di proprietà della Casa di S. Giorgio (i). Questo fatto è molto significante, per la posizione di S. Giorgio, rispetto allo Stato. Nel XV secolo Genova era in decadenza; in Oriente perdetie le colonie del Mar Nero ed Aragona crebbe a potente rivale nelle sue stesse acque. Lo Stato di Genova era quasi impotente a sostenersi coi propri mezzi; ed ecco venire in suo aiuto l’organizzazione dei creditori dello Stato , la Casa di S. Giorgio. Essa assunse le più importanti funzioni dello Stato, 1’ amministrazione del debito pubblico, le colonie, 1’ amministrazione delle imposte , creandosi così una fortissima situazione nello Stato (2). Fu precisamente negli anni dopo il 1444 che ebbero luogo gl’ importanti consolidamenti di quasi tutte le compere fino allora rimaste indipendenti e che da allora in poi si concen trarono nella Casa di S. Giorgio, sicché da quel momento, questa ebbe in mano quasi tutto il servizio del debito perma nente dello Stato genovese. Già ancora nella prima metà del XV secolo, la Casa S. Giorgio era ritenuta come a capo delle compere genovesi, poiché quantunque le antiche compere e quelle minori communis thalamum ad usum S. Georgii converteret, patres con possint eorum exercitia tractare in camera superiori dugane officii »• et officiales gazarie de cetero vacent eorum officio in camera Corsice ». . (1) L 'officium mercantie doveva quindi sloggiare : « deinceps o ici in eo loco, ubi officium impense ordinarie moram quondam faceie bat ». Membr. 8 (VII), fog. i8sb. (2) Parimente a Perugia due camere del palazzo furono cedute da go^ verno all’Arte dei mercanti, 1390, per estinguere così il debito verso essa. Giustiniano degli Azzi , Perugia illustrata, I. Il Collegio della Mercanzia. (Perugia 1901) pag. 15. — 93 — nuova istituzione avessero un’amministrazione propria, tuttavia in questioni che interessavano tutte le compere prevaleva l’autorita delle Case di S. Giorgio, i cui protettori ottennero nel 1432 una sentenza contro i Savonesi che si erano rifiutati di pagare parecchie gabelle. Le spese di questa causa ascesero alla considerevole somma di 9088 Lv 3 s.. 10 den. che i protettori ripartirono fra tutte le compere interessate. Sono citati i seguenti gruppi di debiti a cui beneficio era tornata la sentenza : oltre le compere dell’ Officio di S. Georgio, le compere capituli, censarie ?iove, additionis rippe grosse, medii prò centenario Caffè, possessionum, la compera gabella soldi unius vini, e la compera gabelle capitum, così chiamate secondo la natura delle rendite date loro in pegno (1). Nel 1437 ebbe luogo il primo maggiore consolidamento; furono cioè unite alla Casa di S. Giorgio 14 compere. A motivo della loro piccolezza relativa da 60000 a 260000 lire questi gruppi di debiti furono chiamati comperete, fra cui p. es. le compere possessionum, capitum, censarie, ripe, salse. Tutto sommato il capitale delle Case di S. Giorgio aumentò allora di Lire, 1869315 12 sol., 6 den. (2). Nel 1447 furono aggregate a S. Giorgio altre cinque compere minori. In tal modo cessarono i pesi di una molteplice amministrazione, i luoghi mediante questa incorporazione furono negoziati in un campo più vasto e raggiunsero un valore più elevato (3). Però il capitale delle compere incorporate fu calcolato al prezzo del giorno; poiché , a motivo delle buone rendite loro assegnate, alcune di quelle compere stavano al di sopra di quelle di S. Giorgio ; quindi furono pagate con un valore corrispondente; così p. es. per 1 o luoghi della compera quarte salse ne vennero date 13 l/2 ^ S. Giorgio , per (1) Membr. S (VII), fog. ii3b, 12 apr. 1432 ; un’ altra copia Membr. 15 (XIV), fog. 46. F. Genala, Il palazzo di S. Giorgio, pag. 27 nota 2. (Prof. Cognetti de Martiis) sbaglia nel credere che S. Giorgio abbia, fino dal 1407, assunto de iure tutti i debiti dello Stato. (2) Torino, Raccolta Lagomarsi/ii, I, 6 luglio 1437. (3) « Maiores favores obtinebunt dicte comperete unite quam disperse ». io luoghi della compera unius pro centenario Neapolis ii ‘/3 di S. Giorgio. Nel medesimo anno furono emessi altri 8800 nuovi luoghi di S. Giorgio (1). Nel 1448 venna semplificata di molto 1’ amministrazione delle compere capituli. Ricordiamo che nel consolidamento del 1340 si formarono sei gruppi maggiori di debiti, le compere salis, pacis, mutuorum veterum, gazane e due compere grani (2). Fra queste la compera gazane venne aggregata a S. Giorgio nel 1407 (3); le altre ad eccezione della compera pacis, vennero ora riunite in un’ unica compera salis capi-tuli (4). Un’altra volta il 7 giugno 1409, i protectores capituli avevano ceduto alla Casa di S. Giorgio 1’ amministrazione delle rendite ad esse vincolate, per tre anni e verso un fisso annuo di 87000 lire (5). Però, fu solo nel 1454 che le riunite com-pere capituli vennero definitivamente incorporate alla Casa di S. Giorgio. Il 19 giugno i protectores capituli con molti interessati, tennero consiglio per deliberare sul consolidamento (6). Fu proibito di cambiare 1 luogo e ]/2 della compera salis capituli, contro un luogo di S. Giorgio. Alcuni si opposero dicendo che ciò non equivarrebbe ai prezzi dei loro luoghi pei quali venivano pagati 39 o 40 lire; ma la maggioranza di 38 voti contro 18 decise per il consolidamento alle condizioni della proposta, perchè il consolidamento era utile ai singoli inte re:sati (7). Il governo del resto era deciso , nel caso che le (1) Membr. 8 (VII), fog. 161. (2) I, pag. 129/131. (3) Pag. 17. (4) Race. Lagomarsini, I, 5 marzo, 1448. (5) Membr. 5 (IV), fog. 348. Di queste S7000 lire , bastava che S. Giorgio ne pagasse solo 60000 al Capitolo ; 27000 la Casa le teneva per sè, delle quali 7000 per la compera gazarle riunita con S. Giorgio e 20000 per la compera nova S. Pauìi; erano quelle che la compera capituli do veva pagare annualmente al governo, e che il governo aveva dato m garanzia. Confronta sul sale, pag. 23/24. (6) Membr. 34, fog. 29: « convocatis multis participibus comperarum ». (7) « Lo participo de capijulo vene a aver megio cavea e pi'i Pro" vento e megio monea ». ————— — 95 — compere rifiutassero l’annessione a S. Giorgio, di costringere gl interessati ad una vendita forzosa dei loro luoghi (i). E cosi i protectores comperarum capituli il 21 giugno cedettero alla Casa di S. Giorgio tutti i loro diritti ed assegni, e questa antichissima organizzazione di creditori dello Stato genovese, dopo una vita di più d’un secolo, cessò di avere un’esistenza propria, indipendente. Mediante questi consolidamenti e nuovi debiti, il capitale delle covipere di S. Giorgio si duplicò e triplicò. Se nel 1417 esso importava 2734223 lire, 9 sol., 5 den., le seguenti cifre 1’ ulteriore progresso : anno Lire sol. den. 1415 3030226 3 I I 1419 3779442 --- 5 V, 1454 7950320 7 7 V, 1460 9983471 2 9 7. 1470 12039334 10 9 (2)- Colle compera capituli passò nel 1454 alla Casa di S. Giorgio anche la compera pacis, la quale mediante la fondazione Vivaldi era completamente coperta , e costituiva soltanto un grande fondo d’ammortamento. Gli eredi del Vivaldi dovettero dare 1’ approvazione a questo passaggio e la Casa continuò l’estinzione del debito secondo le disposizioni del fondatore (3). La Casa però dovette acquistarsi tale aumento di potenza a spese di grandi servigi resi allo Stato. I consolidamenti furono fatti manifestamente per avere alla mano mezzi pecuniari per lo Stato. Trattavasi non tanto d’una riduzione d’interesse, quanto invece del possesso dei fondi d’ammortamento per i momentanei bisogni dello Stato. Nel 1447 si trovò che il fondo d’ammortamento dei gruppi di debiti da consolidarsi con la Casa di S. Giorgio era salito a 234 luoghi, 10 lire, 6 « (1) « Si contingeret dictas deliberationes locum non habere, possint participes comperaaum capituli cogi ad vendendum loca pretio Lb. 34 ». (2) Sala 24, N. 4 e 5. Summae locorum. (3) Membr. 34, fog. 29. Desimoni, C. Colombacci il Banco di S. Giorgio. Atti S. L. S. P., XIX, 3, pag. 43. App. VI. — g6 — sol., 8 den.; dei quali 214 luoghi, 10 lire, 6 sol., 8 den., dovevano assegnarsi al governo , mentre S. Giorgio ritenne soltanto 20 luoghi come germe di un nuovo fondo d’ammortamento (1). Il consolidamento del 1454 fu occasionato dal pericolo minacciato dalla flotta del re d’Aragona. Le compere di S. Giorgio si impegnavano, verso incorporazione delle Compere Capituli e relativi assegni, di mettere a disposizione del governo 2550 nuovi luoghi da emettersi, con cui far fronte alle spese della flotta da contrapporsi a quella del re Alfonso. In tali circostanze l’assenso dei protettori e del Consiglio per il consolidamento fu invocato come un dovere patriottico , poiché solo in questo modo era possibile armare una flotta che potesse competere coll’avversario ed evitare l’onta di una sconfitta. Il Consiglio accettò la proposta del governo con 151 voti contro 61 (2). Parimente nel 1458, quando la flotta del re Alfonso bloccò sotto Villamarin il porto di Genova, i mezzi di difesa furono trovati mediante consolidamento con S. Giorg'io d una compera vini ed una sextc salse, che misero i protettori di S. Giorgio in grado di esborsare al governo 18000 lire (3). La Casa di S. Giorgio continua ad aiutare finanziariamente il governo che, in cambio, le accorda privilegi* Vediamo che la Casa di S. Gicrgio , anche dopo la soppressione della banca è in grado di sovvenire e far prestiti allo Stato nei suoi grandi momenti. Queste sovvenzioni venivano attinte dal fondo d ammortamento e dalla emissione dei nuovi luoghi, che S. Giorgio (1) Membr. 8 (VII), fog. 165 : « cum sit, quod dicta unio et incorporatio facta sit ex dictis crescimentis et caudis, ut habeantur pecunie necessarie prò communi Janue ». (2) 13 giugno 1454. Membr. 34, fog. 29. (3) « Tot page de 1458 ex quibus habeantur lb. 18000 numerate monete currentis ». Membr. 34 (XXIV) fog. 38, 23 febbr. 1458. — 97 — vendeva. Così il 5 marzo 1444 la Casa esborsò 16500 lire per coprire i debiti dell’amministrazione di Cipro (cambia Fa-maguste), coll’ autorizzazione di pagarsi mediante emissione d un numero corrispondente di luoghi al corso di 65 lire (1). Però, più di frequente che coll’ aumento del capitale , la Casa di S. Giorgio provvedeva ai bisogni dello Stato, sacrificando i suoi creditori con parte degl’interessi loro dovuti. Dopo il 1447 Genova si trovò in guerra col marchese di binale il quale aveva catturato una nave genovese. Quando il 6 maggio 1448 si tenne consiglio per provvedere i mezzi necessari alla continuazione della guerra , furono respinte le proposte che ledevano i privilegi delle compere. Un aumento del prezzo di vendita del sale era inammissibile, poiché il governo aveva ceduto alle compere tutti i diritti di questo monopolio, e ancorché un tale aumento avesse avuto luogo, sarebbe dovuto andare a benefizio delle compere stesse, le quali avendo diminuito temporaneamente il prezzo del sale, potevano pretendere, se non altro quella parte d’incasso che valesse a far raggiungere il prezzo primitivo (2). Altrettanto ineffettuabile era il proposito di colpire di sequestro a favore del governo uno dei tanti fondi d’ ammortamento, senza il consenso dei protettori. Questi però si dichiararono volontariamente pronti (3) a contribuire con 40000 lire contanti per le spese di guerra, qualora fosse loro rilasciata l’imposta sulla rendita del 1451. Consentirono dunque al governo una imposta sulla rendita, che pagarono subito sotto sconto , mettendo a disposizione del governo le 40000 lire. Parimente 1’ 8 marzo 1449 , quando la guerra contro Finale volgeva ad una fine favorevole, non mancando altro che la conquista del villaggio, fu concessa e scontata al governo l’imposta sulla rendita per il 1452 (4). (r) Racc. Lagomarsinì, I. (2) Membr. 8 (VII), fog. 16S: « cum presertim liqueat fuisse aliquando ab ipsis protectoribus salis pretium extenuatum , quod tunc gravius et maius erat ». (3) « Protectores necessitatis non ignari statuerunt illi subvenire ». (4) Membr. 8 (VII), fog. 232. Atti Societ.i Ligure Storia Patria. Voi. XXXV, P. II. 9 - 9S - I creditori delle compere ebbero come al solito il diritto di essere compensati, per il minore interesse ricevuto, sul prossimo pagamento dell’imposta diretta a loto carico. Anzi non occorreva che aspettassero la scadenza dei loro interessi, ma potevano compensarsi del futuro defalco di interessi sopra un pagamento d’imposta anteriore alla scadenza di essi (i). I creditori dello Stato erano tenuti al pagamento dell imposta sulla rendita (paga floreni), solo però per casi straordinari. Ad esempio l’imposta del 1463, non poteva essere impiegata altrimenti che per l’allestimento della flotta contro Aragona (2). All’occasione l’imposta fu adoperata per alleggerire altri pesi di tasse e debiti. Così il 7 maggio 1444 fu deciso di facilitare una diminuzione delle gabelle colla imposta sulla rendita di due anni (3), e le imposte del 1461 e 1462 dove, vano essere impiegate nell’estinzione del debito delle compere capituli. Talvolta i luoghi erano espressamente dichiarati liberi dalla imposta sulla rendita; nel 1454 il governo dichiarò liberi di imposta i luoghi Vivaldi ed i nuovi luoghi emessi, e garanti ai loca capituli franchigia d’imposta fino al 1462 (4). Oltre a queste sovvenzioni la Casa di S. Giorgio accordava al governo prestiti a termine. Al 23 febbraio 1458 i protettori gli prestarono 26910 lire a 6 mesi (5), al i.° dicembre dello stesso anno 25000 lire a 8 mesi (6), al 15 marzo 1459, 3I25° lire a 18 mesi (7)- La (1) « Que compensatio fieri possit et debeat ad rationem s., 20 Jan, pro singula libra dictorum proventum, et habeat vim vere solutionis, perinde ac si suam impositionem de numerato solvissent, non obstante quod dicta pecunia sit pecunia temporis et quod tempore dicte compensationis faciende non cessiset nec venisset dies solutionis dictorum proventum ». (2) Membr. 34 (XXIV), fog. 29 : « non possit expendi in aliam causam quam in armamentum contra regem Aragonum ». (3) Membr. 8 (VII), fog. i48b: « ad extenuationem gabellarum ». (4) Membr. 34 (XXIV), fog. 30. (5) Membr. 34 (XXIV), fog. 41. (6) Ivi, fog. 45b. (7) Ivi, fog. 52. — 99 - si conteggiava spese ed interessi su questi prestiti (i) ^ governo doveva accettare il computo da essa fatto (2). aSa Giorgio veniva garantita mediante parec- gabelle, ed anche con assegni sulla imposta sulla ren-e sulle imposte dirette. Le gabelle rimanevano a van-ggi della Casa , se il governo prima della scadenza non p ga a il suo debito. Essa poteva subito trarre profitto da q gabeLe, emettendo luoghi per 1’ importo capitalizzato gabello siesse. Così il governo non avendo potuto pagare il suo debito dell’anno 1459, assegnò alle compere una g bella di un soldo prò mina grani, e S. Giorgio emise il 29 novembre 1464 , 720 luoghi da 50 lire i cui interessi dovevano essere ricavati dal dazio sul grano. Il ricavo della vendita dei luoghi (3) coprì il debito del governo. . sostanza era la forma che vedemmo già adoperata nella prima metà del secolo. Siccome la Casa di S. Giorgio nulla faceva per nulla, così ogni servizio reso allo Stato, segnava per essa un aumento di forza. Tutte le imposte di Genova si concentravano poco alla volta nelle sue mani. Dopo il monopolio del sale vennero le dogane, la cui amministrazione nel 1450 daV? officium mercantie passò alla Casa di S. Giorgio (4). Vedemmo pure come i fabbricati dell’amministrazione delle imposte e dei dazi siano passati in proprietà della Casa. I protettori di S. Giorgio avevano giurisdizione non solamente sulle contestazioni riguardanti i luoghi (5), ma ezian- (0 Fog. 45b: « tot soldi . . . quod necessarii forent ad satisfactionem predictorum tam sortis quam jhuvimentorum et interesse ». (2) Fog. 52: « de quibus jhuvimentis, damnis et interesse stari debeat dicto et semplici declarationi dictorum dominorum protectorum sine alia probatione ». (3) Fog. 64b. (4) Membr. 8 (VII), fog. i74b, fog. 180: « omne ius omnisque communis et officii mercantie jurisdictio usque in perpetuum respectu dicti officii massarie dugane traslatom (est) in officium S. Georgii ». (5) Ivi, fog. 533, 19 marzo 1417. Secondo un decreto dell’anno 1428, 1 'Officium bancorum doveva essere competente per contestazioni riguar- — 1 oo - dio su tutte le questioni d’imposte (i). Infatti non vi era gabella nella quale le compere non fossero almeno in parte interessate. Essi giudicavano in appello, per i consules calcga-rum da loro scelti (2) ; le liti fra i creditori dello Stato ed i consoli delle compere , fra gli appaltatori delle imposte ed i loro collettori, furono rimesse dai procuratori di S. Giorgio nel 1430 ai due visitatores camere officii S. Georgii (3), «serbando per sè 1’ eventuale sentenza d’ appello. Nel 1451 la competenza della Casa di S. Giorgio fu estesa persino a casi in cui trattavasi di immunità di privilegi d’imposte e che fino a quel momento erano riservate al doge, agli anziani ed al-1’officium monete (4). Quando il 31 ottobre 1452 la Casa di S. Giorgio accordò allo Stato l’imposta sulla rendita del i457> venne concesso il diritto di applicare la tortura a chi defraudava le imposte (5). I protettori di S. Giorgio ed i membri dell officium del 1444 furono liberati dal peso degli impiegati non stipendiati dallo Stato (6). ® Nessuna nuova disposizione poteva essere emanata senza l’approvazione dell’Officio di S. Giorgio e dei protectores ca pituli (7). Tale privilegio, già goduto dalle Compoe capituli, nel XIV secolo, fu confermato a S. Giorgio nel 1482 (8). danti il prezzo dei luoghi e paghe che dovessero servire come mezzo pagamento o come oggetto di commercio. Staluta et deci età, 1498’ cap. 91. (1) Fog. 233, 8 marzo 1449: « judex gabellarum ». (2) Div. S. G. , 9 marzo 1441- Diversorum Cane. , 13 gennaio i44 • Il diritto della nomina dei consutes calegarum fu conferito ai prò nel 1458, e confermato nel 1499. Membr. 42 (XXIX), fog. 9• (3) Divers. Cane. 21 marzo 1430. (4) Membr. 8 (VII), fog. 186, 18 maggio 1451- (5) Fog. 236\ (6) Fog. 186, 18 maggio I451- (7) Divers. Cancell. 13 genn. 1446 ; « Emendationes laudate et appro bate per (8) dominos emendatores gabellarum anni presentis cuin et consensu dominorum protectorum S. Georgii et capituli. (8) I, pag. 128 Lib. contr., 1476-99, pag. 40. ÌOI I privilegi riguardanti l’intangibilità dei diritti di giurisdizione della Casa di S. Giorgio, le vennero confermati ripetutamente, p. es., il 30 aprile 1488 e 4 marzo 1499 (1). Pagamento d'imposte e d'interessi mediante compensazione; sconto delle « paghe ». Anche quando la Casa di S. Giorgio cessò di ricevere depositi da privati , si vede eh’ essa continuò ad essere un importante istituto finanziario, quando si pensi alle grosse somme che gli appaltatori delle imposte, dovevano pagare, e che venivano poi riversate per interessi ai creditori dello Stato e per sovvenzioni al governo. Tutti questi pagamenti erano trasmissibili, potevano essere girati o compensati con altri (2). In questi casi la Casa di S. Giorgio operava come le banche. Evitava per quanto poteva i pagamenti a contanti, eseguendo la maggior parte delle operazioni mediante compensazione (excusatio). Abbiamo un’ idea dell’ estensione di tali compensazioni dal libro mastro del 1409 , nel quale i fogli 577 a 763 sono dedicati alle excusationes, quelli 769 a 820 alle solutiones (3). Mentre fino al 1444 la Casa di S. Giorgio poteva servirsi della propria banca per i pagamenti a contanti, doveva da allora in poi valersi delle banche private concessionate dallo Stato (4). Le compensazioni si operavano mediante registrazione nei libri delle compere. (1) Ivi, fog. 75 : « De gabellis comperis assignatis nullus magistratus se intromittat ». fog. 192 ; « Protectores sint soli judices in causis comperarum ». (2) Sull’ importanza dell’ amministrazione del debito pubblico nel credito e nel numerario a Colonia, confronta Knipping, Schuldenwesen der Stadi Kota, IVestd. Zeitschrift, XIII, 1S94, pag. 380-382. (3) Sala 21, Introitus et exitus, S. G., 1409. (4) Membr. 15 (XIV), fog. 193, 15 decem. 1503: « quodlibet officium comperarum habens pecunias numeratas in cartulariis bancorum civitatis Janue ». Dopo il 1445 si fece uso di libri speciali per gl’interessi da pagarsi ai creditori dello Stato, i quali interessi erano trasferibili come i luoghi specificati nei libri delle colonne. Detti libri furono chiamati cartuiaria pagarum , che dopo il 1446 formavano annualmente due grossi volumi e dopo il 1472 tre, distinti coi numeri 1, 2 e colla lettera R. (restantium) (1). Ma le compere procuravano di evitare i pagamenti in denaro sonante, tanto che li accordavano malvolentieri anche ai creditori che ne facevano richiesta. Le regtolae comperarum capituli avevano dovuto imporre ai consoli delle compere l’obbligo del pagamento in contanti. Il pagamento dei frutti alle parti interessate doveva essere fatto ad ogni scadenza o in questo modo o mediante una banca, sotto pena di 10 lire di multa (2). Nel 1410 i protettori obbligarono g'ii appaltatori delle imposte a pagare almeno un terzo del loro debito in contante, mentre gli altri due terzi potevano essere versati con titoli d interessi. Col denaro contante che in tal modo affluiva alla Casa, doveansi anzitutto pagare i piccoli creditori, quelli cioè che doveano avere da 1 a 20 lire d’interesse (3). Parimente un anno prima i protectores capituli, nella cessione delle loro gabelle alla Casa di S. Giorgio , avevano chiesto un terzo del (1) Sala 22. (2) Reg. comp., c., fog. 24: « Officiales comperarum communis Janue semper et quandocumque ad requisitionem participum seu loca habentium in ipsis comperis, teneantur et debeant dare et consignare ipsis participibus introytus et pagas totius anni sive id quod habendum restabit de pagis totius eiusdem anni, in pecunia sive banchis secundum tempora et pagas quas habere debebunt, sub iuramento et pena Ib. decem pro qual. vice ». (3) Membr. 13 (Xll), pag. 36, 16 sett. 1410: « consules debeant habere al emptoribus gabellarum tertiam partem in pecunia numerata , de qua tertia parte pecunie numerate consules et scribe predicti teneantur et debeant dare et solvere in pecunia numerata debentibus recipere pagas suas seu recipientibus pro eis et nomine ipsorum pagas suas et maxime pauperibus personis tam viduis et orfanis quam monialibus hospitalibus et aliis quibuscumque pauperibus viris et mulieribus ab una libra usque 111 libras viginti Januinorum ». — 103 — prezzo d’ acquisto in contante, mentre gli altri due terzi potevano essere corrisposti mediante compensazioni (i). Però quest’ obbligo di pagare in denaro un terzo del prezzo del-1’ appalto delle imposte cadde , ed i tentativi fatti per introdurlo nuovamente urtarono contro un’ efficace resistenza (2). I protettori, in casi particolari, potevano accordare facilitazioni agli appaltatori, specialmente quando in caso di guerra o di peste gl’ introiti fossero stati scarsi. Essi potevano concedere loro delle dilazioni , o accettare il pagamento per più di due terzi del debito con compensazioni ed anche condonarne una parte. Così nel 1440 Luca Viviani, interessato nell’ appalto dell’ imposta sul vino, ebbe a soffrire gravi perdite in causa della peste e siccome aveva già pagato in contanti alla Casa buona parte del debito, i protettori il 19 dicembre gli condonarono la quarta ed ultima rata della somma dovuta (3). Il 1.0 luglio 1452 fu statuito che tali condoni non potessero avere luogo se non quando l’appaltatore avesse pagato tre quarti del suo debito (4). I debiti degli appaltatori delle imposte o le domande dei pagamenti dei creditori dello Stato, che dovevano compensarsi, non coincidevano in certi casi colla medesima scadenza. Siccome i consoli delle compere avrebbero dovuto procedere differentemente nel calcolo di partite pagabili a termine, cosi nel 1410 venne emanata un’ordinanza su questo argomento. Se fra creditori dello Stato e appaltatori delle imposte che volevano compensarsi, vi era un contratto che determinasse le condizioni alle quali tale compensazione doveva avere luogo , queste condizioni erano valide ; in mancanza di una convenzione, dovevasi distinguere se 1’ appaltatore offriva un (1) Membr. 5 (IV), fog. 348, 7 giugno 1409: « Solvendo tertiam partem cuiuscumque page in pecunia numerata et reliquas duas tertias partes in scuzis siva assignationibus faciendis in cabellotos seu emptores dictarum gabellarmi! ». (2) Divers. S. G., 14 gennaio 1441. (3) Divers. S. G.t 1440 : « A quo capta est competens utilitas de me-talo dato banco absque aliquo interesse ». (4) Membr. 8 (VII), pag. 1S8. — 104 — pagamento o no. La compensazione si faceva senza defalco di sconto per l’appaltatore se alla scadenza degl interessi egli poteva contrapporre un assegno bancario a 4 mesi, vale a dire se poteva soddisfare il possessore del titolo d interesse con una scripta banci, pagabile a quattro mesi, durante i quali l’avente diritto non poteva disporre altrimenti del suo credito, se non che girandolo. Se però 1’ appaltatore non poteva offrire come compensazione una scripta banci. o ne offriva un’altra pagabile ad oltre quattro mesi, doveva adattarsi al diffalco d’uno sconto, poiché il titolo per interesse veniva considerato come credito li quido (1). I consoli dovevano pagare le rate trimestrali d interesse o materialmente o mediante compensazione entro due mesi dopo la scadenza, cioè il pagamento di maggio fino al 30 giugno, quello di agosto fino al 30 settembre e così via. Queste disposizioni sul pagamento degl’interessi non furono osservate ; la lentezza con cui si effettuavano i versamenti degli appalti delle imposte, fecero ritardare anche i pagamenti degl’intesessi che nel corso del secolo diventarono irregolari. Nel 1441 il ritardo frappostosi fra la data in cui doveva es sere fatto il pagamento degl’interessi e quella in cui fu e tivamente eseguito, fu di nove mesi (2) e nel 1460 fu lamen tato come la mancanza di regolarità nel pagamento de&l inte ressi avesse fatto ribassare il corso dei luoghi (3). In seguito a ciò il 5 novembre 1460 venne stabilito protettori dovessero pagare la prima rata del loro anno carica entro quattro mesi dallo spirare del medesimo anno (4 (1) Membr. 13 (XII) fog. 37 : « Sit talis excusatio accepta seu acceptata ad numeratum sine contradictione illius gabellotti, in quem fuisset ». (2) Divers. S. G. , 14 genn. 1441 : « Lo Banco sta in gosua de nova meisi anziché seam maure le page ». (3) Membr. 15 (XIV), fog. 174: « Considerantes quod nulla certa norma hactenus servata est circa solutionem pagarum locorum dictarum compe rarum , eamque potissimum causam esse propter quam proventus loco rum ad tam vile pretium redacti sint ». (4) « Intra menses quator a fine primi anni sui proxime computandos ». — 105 — e le altre rate ad intervalli di sei mesi ciascuno. 11 pagamento doveva farsi in moneta corrente secondo le tariffe del governo ; per le prime tre rate erano ammessi, anche assegni bancari a tre mesi, per l’ultima soltanto quelli che non avessero scadenza superiore a due mesi (i). Dunque in questi 50 anni notiamo un ritardo di oltre un anno nel pagamento degli interessi. In causa della irregolarità di questi pagamenti , i luoghi cessavano dall’ essere un conveniente impiego per il piccolo capitale, e mentre in origine anche i piccoli contribuenti prendevano parte alle compere, i titoli del debito pubblico si accumulavano ora nelle mani dei grandi capitalisti (2). Le paghe, come nel XIV secolo le pagae comperantm capituli , vennero adoperate nel commercio come modo di pagamento (3) ; però non avendo esse nè un valore determinato, nè un tempo fìsso per il pagamento, costituivano un titolo di valore molto oscillante. Perciò i tessitori di seta nel 1479 pregarono che il pagamento delle loro mercedi non fosse fatto con paghe, che probabilmente saranno state loro talvolta addossate senza defalco di uno sconto (4). Le compere di S. Giorgio si trovarono in un modo singolare inceppate, per essere allora gran parte del debito pubblico da esse amministrato in mano del clero, il quale a motivo del divieto d’ usura , si faceva scrupolo di coscienza di scontare titoli di interesse prima della scadenza o di far domande agli appaltatori delle imposte. Perciò quando il 13 dicembre 1463 si tenne consiglio sul-1’ ordinamento interno della Casa di S. Giorgio, accanto ai (1) « Non de scripta bancorum ultra terminum mensium II ». (2) I, pag. 57, nota 2. Divers. S. G., 14 genn. 1441 : « Serea alor (riguardo al corso dei loca) dar materia de vender li soi logi in li quae per gran sunima participan ». (3) I, pag. 203, segg. Statuta ad, decreta, 1408, IIII, cap. 91 dell’anno 1428 : « Venditio aliquarum mercium vel rerum ad pagas ». Manoscr. 239, Tariffe di Ripa grossa, fog. 3 : « Si contingat vendere raubam ad pagas locorum vel permutare cum sale ». (4) Sieveking die Genueser Seidenindustrie, Schmoller’s Jarb. pannar., 1896, pag. 116. protettori, di cui era priore Luciano Grimaldi , furono messi tre ecclesiastici, l’abbate di S. Antonio, il preposto di Santa Maria delle Vigne ed il priore di S. Sisto , quali rappresentanti del clero genovese. Inoltre vi presero parte 1 'Officium de 1444 (Officium comperarum et olivi bancorum), i protettori nominati pel 1464, e finalmente otto auditores e relatores e sedici electores, deputati appositamente per questa circostanza dal corpo degli interessati nelle compere (1). Le compere , i cui luoghi erano caduti di prezzo ed i cui interessi erano pagati stentatamente , avevano bisogno di riforme, e qui esporremo le più importanti regule et decreta allora stabilite. Anzitutto fu proibito , in qualunque caso , la creazione di luoghi ciechi, cioè di nuovi luoghi, a cui non fossero assegnati nuovi redditi. I protettori non potevano valersi di questo mezzo, nè per procurarsi il necessario per pagare gl interessi, nè per sovvenire lo Stato. Gli appaltatori dovevano prestare valide garanzie, per due terzi mediante avallanti e un terzo con luoghi. Potevano pagare le somme d’ appalto con paghe , che acquistavano dagli aventi diritto agl’interessi, e solo per alcune gabelle era espressamente prescritto il pagamento in contanti (2). Questo versamento in paghe doveva farsi in epoche fissate , cioè in settembre e febbraio. Se il pagamento non era eseguito in febbraio gli appaltatori delle imposte perdevano il diritto di soddisfare il loro debito con paghe e dovevano pagare in denaro. Hi Però in caso di straordinarie avversità, come scarsezza redditi in causa di guerra, peste e simili, i protettori avevano il diritto di condonare (far gratia) d’ un quarto del loro debito , purché al 1.0 febbraio venissero interamente pagati 1 primi tre quarti. Fra i redditi che il governo assegnava alle Compere, tro- (1) Membr. 15 (XIV), fog. i8r. Tre membri delVOfficium del i444> Luca Grimaldi , Tomaso Ususmari e Lodisio Mairono erano protettori del 1444, gli altri protettori furono surrogati da altre persone. (2) « Excepto alcune poche, che parira più utile a lo ufficio, le quae se vendali a pagar de numerato ». — 107 — viamo talvolta imposte su rendite future, come p. es. nel 1460 il governo assegnò alle compere l’imposta . dal 1473 al *475 (0- Le compere si rifacevano vendendo collo sconto corrispondente la parte dei futuri interessi che componevano 1 imposta. Soltanto col ricavo della vendita di queste future paghe, i protettori furono spesso in grado di pagare ai credi tori dello Stato un interesse. Ma fra questi creditori gli ecclesiastici non si sentivano la coscienza sicura temendo che questo affare costituisse una infrazione al divieto d’usura. Perciò quando nel 1456 la Casa si trovò in gravi strettezze di denaro in causa dell’assedio di Caffa da parte dei Turchi, nè aveva altro mezzo per pagare gl’ interessi, se non che vendendo l’imposta della rendita (page) assegnatale dallo Stato per gli anni 1464 a 1466, si interpellò il papa sul punto, se la Chiesa potesse ammettere la vendita di questi interessi futuri ad un prezzo diminuito dello sconto. Papa Calisto dichiarò in un breve , che gli affari dei protettori di S. Giorgio non erano in contraddizione coi divieti della Chiesa. E infatti come poteva egli creare delle difficoltà alla Casa che difendeva in Oriente la Chiesa cristiana contro l’oppressione degli Osmani? Come poteva privare dei mezzi di sussistenza tanti sacerdoti che vivevano degl’ interessi di S. Giorgio? Però per mettere in armonia il permesso dello sconto col diritto canonico , fu ammesso che gl' interessi del debito pubblico, come redditus annui, dovessero essere a-scritti agl’ immobili e che quindi come tali potessero essere negoziati ad un prezzo qualunque (2) e nel 1479 Papa Sisto confermò il breve del suo predecessore (3). (1) L. Contr., fog. 62. (2) Membr. 34 (XXIV), fog. 23b, stampato. Vigna, Atti S. L. S. P., VI. pag. 625. (3) Cuneo, pag. 29S segg. Questo scrittore dimostra di non aver riconosciuto il significato del privilegio papale, se a pag. 119, dice che il papa abbia con esso permesso di pagare ai creditori meno dell’ interesse fisso normale. Ciò era già in uso fino dal 1419 e quindi il papa non a-veva da concedere alcun permesso; poiché quando nulla c’è, non solo l’imperatore , ma anche il papa ha perduto ogni diritto. Le confuse di- Condizione monetaria e bancaria a Genova nella seconda metà del XV secolo* Mentre la Casa di S. Giorgio continuava a costituire un importante istituto sia come numerario, sia come fornitore di prestiti allo Stato, non venne però ritentata la prova di annettere una banca al suo normale esercizio di affari, per regolare la circolazione del denaro. Vedemmo come i problemi di questa circolazione fossero complicati in Genova e come i danni della banca e quelli del numerario si collegassero strettamente gli uni cogli altri. Verso il 1444 sorsero parecchie proposte per il migliora mento delle condizioni monetarie. Un gruppo di cittadini si offerse di mantenere la relazione di 44 s. per il florenus lar gus e di 43 per il florenus strictus de camera , se si conce desse loro il monopolio per 5 anni di una banca di cambio e di giro (1). Essi volevano erigere due o tre banchi pubblici, pagando al governo 500 fl. annui. Essi non richiedevano forza legale di pagamento per le somme girate , ma volevano in cambio avere il diritto dal canto loro di rifiutare in date cir costanze l’accettazione di denaro (2). Le monete estere dove vano essere escluse ed i pagamenti inferiori a 10 lire si sa chiarazioni di Cuneo, il quale mette insieme il breve del 1456 > mitazioni degl’interessi del 1419 e col susseguente differimento 11 q^ ^ anni dal termine originario per il pagamento degli interessi , uro cettati da Vigna, Atti S. L. S. P., VI, pag. 475 e c*a HEYD’ ^esc ^ des Levatilehandels, II, pag. 388, e stanno a base della esposizio Lehmann, Recht der Aktiengesellschaflen, I, pag. 46- (1) Monetarum 20 (senza data): « Durante tempore annorum quinque nullus alius civis vel extraneus cuiuscunque condicionis exis a , vel per indirectum et quovis quesito colore possit tenere banchum pu cum vel secretum in civitate Janue exceptis ipsis dumtaxat ». (2) « Sit licitum quibuscunque volentibus refutare soluptiones fien as in banchis predictis illas non acceptare et pari modo dicti banchern possint astringi ad capiendum et custodiendum monetam civium nisi eorum beneplacito ». — io9 — rebbero potuti fare con qualunque specie di moneta genovese d argento. Però il governo non accettò il progetto. Nella questione monetaria, l’invasione delle monete forestiere quasi tutte deprezzate , era un male. ancor maggiore del deterioramento delle piccole monete d’argento proprie. Quindi la circolazione doveva prima essere depurata delle cattive monete forestiere e sostituite con monete nuove proprie. La cattiva moneta estera faceva alterare il prezzo delle valute d’ oro , anzi ne favoriva 1’ esportazione (i). A tale inconveniente si sperò rimediare vietando la circolazione delle monete d’ argento straniere , e con forti multe che venivano inflitte in caso di trasgressione a questo divieto (2). Ma anche le monete genovesi non erano senza difetti, ed era necessaria una vigilanza più accurata alla zecca , per ottenere una più perfetta coniatura. A tal uopo il 21 agosto 1445 la direzione della zecca venne passata ai protettori di S. Giorgio e del Capitolo come pure ai quattro officiales bancorum sive monetarum (3). Queste tre autorità si misero all’opera il 29 ottobre 1445. Ingiunsero ai sicperstantes ceche di consegnare le monete ai privati, per i quali erano state coniate, entro otto giorni dacché fossero pronte, però soltanto quelle delle quali fosse stato esaminato il peso dal ponderator ceche e che da questo fossero state trovate entro i limiti del remedium (4). Però coll’esclusione delle monete straniere, e col miglio- (1) Manusc. 15, fog. 3ib: « Civitatem plenam esse monetis extraneis argenteis auro nequaquam respondentibus que ob id ipsam causam afferunt, ut aureus et precio augeatur et propterea hinc exportetur ». (2) Ivi, 11 luglio 1446, il podestà deve dare appoggio zWofficium monetarum nella persecuzione di debitori. (3) Membr. 8 (VII), fog. 159. (4) Manuscr. 15, constitutiones ceche: « obligati sint dare grossos, sol-dinos et petachinas fabricatos et fabricatas mercatori infra dies VIII. Veruni quia contingit aliquando monetam male fabricatam esse et sino debito ordine, ita quod interdum levior est debito ordine — ut obvietur tali inconvenientie, non possint neque debeant dicti suprastantes monetam resignare nisi primo recognita fuerit ad pondus magnum et parvum per ponderatorem ceche presentibus duobus ex officio bancorum ad minus». ramento delle proprie non era tutto fatto. Era necessario di ridurre la valuta genovese ad un sistema. Si trattava di monete d’ oro, di monete grosse e piccole d’argento e quindi di un problema piuttosto di trimetallismo che di bimetallismo (i). Nel fissare una tariffa costante si correva pericolo che la moneta cattiva, cioè la piccola d’ argento , portasse la buona fuori del paese. Fino a tanto che la piccola moneta aveva forza legale per qualunque pagamento , aumentava il valore delle monete d’oro le quali facevano un aggio sempre crescente ed i banchieri ne facevano profitto, senza però esserne la causa prima. L’abolizione delle banche, come qualche mente Calda domandava (2), a nulla avrebbe giovato. Intanto mentre i banchieri mantenevano per i loro clienti la misura oscillante della piccola moneta d’ argento, calcolavano il loro status sulla base del valore più costante dell’oro (3). Era poi necessario di stabilire un valore modello fisso, come era dato allora dalle monete d’oro, riducendo a monete divisionali quelle d’argento, specialmente le piccole. B. Centurione fece una chiara proposta in questo senso : tutte le cambiali e crediti bancari dovevano essere pagati in oro, il fiorino a 44 soldi era il valore legale fìsso, e secondo esso doveva regolarsi il valore variabile delle monete d’argento, per modo che il creditore riceveva in qualunque momento il suo importo in un corrispondente equivalente d’oro, fosse questo rappresentato da poche o molte monete d’argento (4). (1) Sui tentativi corrispondenti a risolvere questo problema a Venezia e Firenze cf. Nagl , p. 128 seg. A Firenze fra le monete d’ argento si distingueva la lira di piccoli e la lira di grossi. (2) Monetarum 20, 14 decemb. 1446: Gasp. Gentilis: « che poi se leva li banchi, quelo sero lo scuro remedio ». (3) Ivi. « Chi ha misso banco et facto debiti, li ha facti soto queli decreti, per la qua cosa non e facta iniuria a chi e astreito ad paga sote queli ordini ». (4) Ivi: « Li banchi sean debitoi di paga de fiorino e li cambi etiam Altre proposte meno radicali, volevano dare all’ argento ed anche alle piccole monete , forza legale per i pagamenti no ad un certo limite. Fu proposta la così detta triplex sonilo. I banchieri sarebbero stati obbligati a pagare un terzo loro debiti in fiorini a 42 f/2 s., un terzo in grossi e l’ultimo terzo in petachmi. Per questi due ultimi terzi si potevano pagare anche fiorini a 44 s. (1). Il risultato di queste discussioni fu il decreto sulle monete del 21 giugno 1447, che segna una via di mezzo (2). Anzitutto venne ribadito il divieto assoluto del corso delle monete straniere ; venne aumentata la multa per le monete tosate e affidata la giurisdizione in affari di banca e monetari al magistratus monetarum. La valuta d’oro venne introdotta per pagamenti di cam-biali (3). La valuta per cambiali create a Genova doveva essere in oro, e così pure dovevano essere pagate le cambiali tratte sopra Genova. Questa disposizione doveva entrare in \igore col i.° settembre per le cambiali emesse a Genova e per quelle tratte sopra Genova dall’Italia, Sicilia, Aragona, Trancia, e dalle Fiandre; dal i.° ottobre per le cambiali tratte da Maiorca, Granata, Portogallo, Castiglia, Inghilterra, Rodi e Scio; dal 15 ottobre per le cambiali tratte dagli Stati Barbareschi ; dal 15 decembre per cambiali tratte dall’ Egitto, Cipro e Pera, e col i.° gennaio 1448 per le cambiali tratte da Caffa. Invece gli altri pagamenti, e specialmente quelli di crediti presso 1 banchieri, dovevano essere fatti in triplicibus vel a- se pageno a fiorino, et in questa forma se reterra lo oro in la terra et in processo de tempo li citaen se troveran lo suo in oro e non in cativa monea ». (1) Proposte di Gaspare Gentile e Luciano Grimaldi. (2) Appejid. VII. Anche a Venezia per le somme grosse (di più di 4S soldi) fu ordinato il pagamento in oro, almeno per la dogana, 1410. Nagl, p. 170 seg. (3) A Fiienze, 1464, si ordinò il pagamento in oro, Nagl, p. 106. A Bruges, 1434, si ordinò di pagare le cambiali metà in oro metà in argento. Pirenne, Geschichte Belgiens, II, p. 4S5. — 112 — icrciatis monetis, potendo quindi pagare in monete d’oro e d’argento grosse e piccole. Qualunque pagamento poteva farsi in fiorini d oro genovesi al cambio di 42 */., s., o in fiorini stranieri ammessi al cambio di 42 s. Anzi un terzo di qualsiasi pagamento doveva essere eseguito con questa moneta. Per contra le monete d’argento genovesi potevano surrogare l’oro in qualunque pagamento per due terzi, mentre un terzo solo poteva essere fatto in monete d’argento basso, sestini o petachini. Quindi la limitazione della legalità dei pagamenti in moneta piccola e grossa d’ argento non era fissata fino ad un dato importo, ma bensì fino ad una determinata frazione della somma totale del debito (1). Mediante un deposito di 100 fi. presso il magistratus monetarum, i banchieri si obbligavano ad adempiere a tutti 1 loro obblighi nelle forme prescritte. L’ordinanza sulle monete del 1447 è interessante come un chiaro esperimento per l’introduzione della valuta d’oro. Pero non ebbe esecuzione, perchè allo Stato genovese non riuscì di limitare la circolazione della piccola moneta. La citata ordinanza del 1447 limitava solamente la legalità dei pagamenti con monete d’argento ; mà ciò non bastava perchè s intendessero ridotte al grado di moneta divisionale, visto che il mercato traboccava di monete d’argento straniere e proprie, le quali formavano di fatto la base della valuta. Le condizioni monetarie di Genova continuarono a peccare dei medesimi difetti come in passato, ed il corso del fio rino salì progressivamente fino a 55 s. nel 1483 e a 64 s. nel 1492 (2). Questa grande differenza fra le monete d oro e quelle d’argento produceva confusione in tutto il commercio (3) ed (1) Cosi a Firenze fu ordinato che parte dei pagamenti dovesse essere in oro, parte in piccola moneta. Doren, Florentiner Woltentuchindustne, pag. 208. (2) Ceche, fog, 42 e 22. (3) Ceche, fog. 10, 21 ottob. 1489, Melchior de Nigrono:«hec diversitas rei monetarie inducit magnam confusionem et jacturam in re mercantili, in qua situm est fundamentum vite nostre ». era sopra tutto di grave danno alla classe lavoratrice, che era pagata con piccola moneta e che all’aumentare del corso del fiorino riceveva un sempre minore equivalente d’ oro (i). Il governo non rimase inerte per escogitare i mezzi opportuni contro questi danni. Esso emanò parecchi decreti contro la circolazione di monete estere, ne contentandosi di averle messe al bando, si prestò pure a ritirarle dal corso sacrificando qualche spesa. Per norma venne accordato un termine di otto giorni per il cambio di valori metallici. Spirato questo termine le monete dichiarate fuori corso, se trovate, erano colpite da confisca (2). Per incoraggiare al cambio i possessori di monete condannate, fu stabilito nel 1511 che la perdita fosse sopportata metà dal Comune e metà dal proprietario (3). Tutti questi rimedi non ebbero un successo durevole (4). Un grande numero di monete estere inondava sempre il commercio, per modo che il governo fu persino costretto a riconoscerne una parte dando loro un valore di tariffa, e con divieto di prenderle ad un corso differente da questo. In particolare quando Genova trovavasi sotto il dominio milanese o francese, le monete di questi Stati dovevano godere i medesimi privilegi delle genovesi (5). Come nella esclusione delle monete straniere, altrettanto poco fortunato fu il governo nei suoi tentativi per ridurre le proprie piccole monete d’argento a moneta divisionale. (1) Ceche fog. 10, « que res ad omnes pertinet maxime etiam ad pauperes, qui suam mercedem talem accipiunt qualem acciperent in minore pretio ducati, sicut solebant ». (2) Sala 41 , monete 20, 3 sett. 1501 a proposito del discredito dei grossi bolognesi calanti di peso. (3) Ceche, fog. 61, 31 gennaio 15 [i , in occasione del discredito dei grossi fiorentini e cavalotti: « e la meita de lo interesse e danno sera de quelli dele diete monete, e l’altra meta pagera lo comune ». (4) Ceche, fog. 62. Il 12 genn. 1511 sorsero nuovi lagni sulla circolazione di grossi e cavalotti screditati: « 11011 havuto rispecto ne risguardo a diete gride ». (5) Ceche, fog. 13, 26 febbr. 1490, fog. 63, 29 novem. 1509. Atti Società Ligure Sforia Patria. Voi. XXXV, P. II. io In un decreto del 14 decembre 1461 e promulgato 1’ 8 gennaio 1462 si andò al di là di quanto stabiliva 1 ordinanza sulle monete del 1447. Venne tolta la validità dei pagamenti in piccole monete per somme superiori a 5 lire (1). Inoltre il governo genovese ordinò il 16 decembre 1490, che i conti non dovessero essere più tenuti come fino allora in argento, ma bensì in oro (2). Questi decreti non potevano per conseguenza di diritto riuscire a introdurre l’oro come base della valuta, fino a tanto che di fatto una grande parte dei pagamenti veniva eseguita in moneta piccola d’ argento. I banchieri avevano il torto di mantenere a bella posta nel commercio la moneta d argento, che poi si procuravano per pagare possibilmente con essa i propri creditori (3). I banchieri non sembravano disposti a prestar mano per eliminare uno stato di cose, che quantunque dannoso per la maggioranza, recava loro grande profitto. I tentativi fatti per venire alle unità del sistema monetario, mediante una tariffa fissa e la istituzione d’una banca speciale, andarono falliti in causa della quantità e diversità delle monete in circolazione, e l’insuccesso dei saggi decreti emanati dal governo nel XV secolo fu evidentemente cagionato dalla politica interessata dei banchieri. (x) Ceche, fog. 33: « ex moneta minuta non possit fieri aliqua solutio, que excedit summam libr. quinque ». (2) Ceche, fog. 46: « libros et cartularia tenere sub nomine et scriptura non librarum ut prius sed ducatorum et soldorum auri ». Un ducato doveva essere di 20 soldi d’oro. Confronta sopra Firenze , Pagnini , Della decima, I, pag. 141 e 147: « I mercanti.....per tutto il secolo XV ne preferirono l’uso all’altro modo di-valutarlo a piccioli moneta ». Confronta per Venezia Alfieri Vittorio, La partila doppia, pag. 36. Nagl, p. 82 seg., p. 191 seg. (3) Monet. 20, 14 dee. 1446. B. Centurione: « li banche se fan bocore delle petachine e sexine chi corre ». Ceche, fog. 27b , 23 febbr. 1495 : « officialibus monelarum dicentibus reperisse quosdam ex bancheriis civitatis habentes arcas seu capsias saculis denariorum minutorum plenas, quos in solutum creditoribus dnre ceperunt contra formam deliberationis et regularum predictarum ». 1 erciò il governo procurò di estirpare i malanni della circolazione del denaro, procedendo rigorosamente contro i banchieri che si prestavano mal volontieri ai dovuti pagamenti. Fra le astuzie dei banchieri eravi quella di tenere la loro banca possibilmente chiusa ai loro creditori, procurando pagarli preferibilmente, mediante giro od assegno su altro banchiere. Contro tale abuso si rivolsero le leggi , ed il ripetuto richiamo alla osservanza di esse, dimostra quanto spesso vi si trasgredisse. Nel 1483 fu ordinato che le banche dovessero essere aperte ai loro clienti in tutti i giorni di lavoro; il principio ed il termine delle ore degli affari era annunziato dal suono d una campana (1). Nel 1500 si dovette aggiungere , che la piog'gia non era motivo sufficiente perchè i banchieri dovessero tenere chiusa la loro banca ed inoltre che dovevasi tenere a disposizione non solamente il libro della banca per le scritturazioni , ma anche la cassa per i pagamenti ai creditori (2). Infine fu vietato il pagamento mediante assegni sopra altri banchieri (3). I n danno particolare derivava dal fatto che i banchieri continuarono a dare oro soltanto con un aggio superiore a quello fissato dalla tariffa , e che il pubblico, che aveva assegni sui banchieri, ne era contento (4). Per tenere obbligati i banchieri all’ adempimento dei loro doveri verso i creditori, il decreto sulle monete del 1447, in- (1) Ceche, fog. 42. (2) Sala 41, monetarum, 20, 5 ott. 1500: « Anchora se comanda ad ogni banchiere che debiano aprir li loro banchi ogni jiorno non feriato et etiam quando piove a lo sono della campanella con le loro capsie a-perte e lo capsiro a le diete capsie ad satisfare li loro creditori ». (3) Ivi : « fare alchuno pagamento ad alchuno creditore de loro banchi sopra lo bancho de alchuno bancharoto ne de alchuno altro de che mainera se sia , in mandare dicti creditori a fare pagare a dicti bancharoti' ne ad altri ». (4) Ceche, fog. 10, 21 ott. 14S9: « Imo sufferano piutosto prendere lo ducato a soldi LXII e più, che farse pagare secundo lo decreto, per non farse despiaccire ». dipendentemente dalle malievarie da fornirsi, aveva previsto un deposito di 100 ducati per ogni banchiere, che doveva facilitare all 'officium monetarum la riscossione di multe in confronto di banchieri renitenti ai pagamenti (i). Il 31 ottobre 1448 la somma da depositarsi fu elevata a 200 ducati (2). Nel 1483 fu accordato il diritto all 'officium monetarum, di prelevare da questi 200 ducati le somme occorrenti a favore di creditori, che i banchieri non volessero soddisfare (3). Il 3 decembre 1487 la somma fu portata a 1000 ducati per qualunque banchiere genovese. Se il deposito veniva toccato, doveva essere completato fino al limite prescritto. L officium monetarum doveva tenere questa cassa di depositi aperta nelle ore degli affari per gli eventuali pagamenti da farsi (4), quest’autorità assumeva così il servizio di cassa dei banchieri. Le turbolenze degli anni 1506 e 1507 avevano prodotto una speciale e grande confusione nelle condizioni monetarie, ed in particolare i testoni, di cattiva lega , avevano fatto alzare sensibilmente l’aggio della moneta fina. Nel i5°9 si venne ad una riforma sulla circolazione del denaro. Il 30 maggio 1509 fu presa una deliberazione radicalissima, cioè vennero assolutamente vietati i pagamenti mediante giri presso banchieri. Solamente le cambiali da pagarsi nel corso del mese di giugno, nate dalla fiera pasquale di Lione, potevano essere ancora pagate mediante giro ; qualunque altro pagamento doveva essere fatto nella valuta stabilita. Questa proibizione dei pagamenti in scripta de banco doveva por- (1) Ceche, fog. 32: « ut si delinquerent, maiori facilitate puniantur ». (2) Fog. 32b. (3) Fog. 34b: « ex quibus liceat predicto officio, sua propria auctoritate satisfacere creditoribus dictorum bancheriorum , prout dicto officio videbitur ». (4) Fog. 35: « quod officium vel saltem unus ex eis assidue tempore bancorum adesse debeat eum dicta capsia in bancis ad locum per ipsum deputandum pro facienda solutione ex dictis ducatis mille cuilibet creditori dictorum bancheriorum vel alterius eorum ». Confronta i 500 dlicatl che secondo il regolamento bancario di Venezia del 1524, ogni banca doveva depositare presso i provveditori sopra banchi. Nasse , Conrads Jarbuch, XXX11II. pag. 346. — n7 - tare la conseguenza che il denaro in circolazione si riducesse a solo oro e argento. Con tal mezzo si sperava di rimediare ai danni del corso delle monete e di far scomparire 1’ aggi o CO- Pero si vide che la questione della circolazione a Genova era troppo complicata, per poter fare a meno dei pagamenti mediante giri. Il 29 novembre 1509 venne nuovamente abrogato il divieto, che non recò il desiderato effetto. Non si trattava di abolire i pagamenti mediante scripta banci ma di assicurare la loro effettuazione. A raggiungere tale effetto sembrò ora adatto di valersi dei depositi esistenti presso l’ofjfi-ciuvi monetarum. La legge del 29 novembre 1509, emanata in seguito ad un consiglio del 22 ottobre, statuiva che 1’ officium monetarum dovesse tenere una banca colla quale i creditori venissero pagati coi depositi dei banchieri. Per pagamenti fino a 25 lire, erano eseguiti appena i creditori facevano girare il loro aveie dal banchiere sull’ officium. Per pagamenti di somme maggiori, veniva prima invitato il banchiere a fare il pagamento da sè; se questi non vi si prestava entro 24 ore, pagava 1 'Officium (2). La ricerca dei mezzi per regolare la circolazione del denaro a Genova, era affidata, dopo la metà del XV secolo, al-1 'officium monetarum. La Casa di S. Giorgio fino al volgere del XVI secolo si ristette dall’ intromettersi in simili questioni. Nel 1473 essa rinunziò pure alla sopraintendenza della zecca, che da allora in poi rimase unicamente affidata all’ officium monetarum (3). Come in questo periodo di tempo la Casa di S. Giorgio mai s’intromise nella questione dei pagamenti, altrettanto fece riguardo al credito dei privati. Però il prestito su pegno, lasciato ai privati, aveva con- (1) Ceche, fog. 571’: « desiderando de,obviare a tale coruptela, quale judicano procedere per non farsi alcuno pagamento de cortanti ». Confronta un simile decreto della città di Amsterdam 15 luglio 160S. Mees, lict Bankzuesen in Nedo land, pag. 28, 279 e segg. (2) Ccchc, fog. 59 e 63. Confronta monelarum, 20. (3) Desimoni, Atti S. L. S. P. XXII, I, pag. XXIII. — 118 — dotto, nel credito consuntivo , l’usura ad un punto tale che fu ritenuto necessario qualche provvedimento. Le prediche e le premure del padre minorità beato Angelo da Chivasso contribuirono a far sì che Genova, come quasi tutte le città dell’Italia d’ allora, avesse un monte di pietà , istituto il quale faceva prestiti contro pegno, verso l’interesse del io %, che, rispetto alla natura di questo credito , può considerarsi modico. Il fondo capitale di questo monte fu costituito da 300 luoghi ad interesse , soggetti alle imposte; questi luoghi furono dati dai protettori dello spedale di Pammatone dall’ officium misericordie e dalla Casa di S. Giorgio. La direzione del monte fu affidata ai protettori dello spedale di Pammatone sotto la sorveglianza dello Stato (1). Quello che in un periodo anteriore non era riuscito alla Casa di S. Giorgio riguardo alla circolazione del denaro, riuscì invece al monte di pietà riguardo al credito, specialmente riguardo al credito consuntivo contro pegno, della classe meno agiata. Esso fu un istituto modello che fece cessare i grandi inconvenienti che danneggiavano il credito. La Casa di S. Giorgio era in questo periodo sopraccarica di altri affari ; come potente istituto finanziario, essa presto allo Stato i più grandi servigi, specialmente coll assunzione delle colonie; ma è un errore di parlare in questa epoca della Casa di S. Giorgio come di un istituto bancario. Amministrazione coloniale della Casa di S. Giorgio. Uno dei primi doveri dello Stato è quello di conservare l’integrità del suo territorio. Genova nel XV secolo, dilaniata dai partiti interni e spesso dominata da stranieri , mancava della forza finanziaria che mantenesse alto questo principio. Vedemmo già nella stessa epoca, lo smembramento di alcuni Stati tedeschi, i cui principi dovettero dare in pegno ai pro- (1) M. Bruzzone , Appunti s/orici intorno al Monte di pietà di Genova, Giornale ligustico, 1898, pag. 57, 68, 70. Sui monti di pietà italiani confronta in generale Boccardo, Dizionario, alla voce monte. — 11Q — pri potenti vassalli importanti castella ed anche parte del loro territorio. Del pari ad alcuni signori genovesi furono date in pegno grandi porzioni del territorio dello Stato. Così nel 1426, sotto il duca Filippo di Milano, per un debito di 8000 lire, venne dato in pegno a Francesco Spinola la Val d’Aroscia e la pieve di Teco , e ad Isnardo de Guarco il territorio di Ovada per un debito di 4500 lire. Nel 1427 fu consegnato in pegno per 10 anni , il castello e la città di Ventimiglia a Carlo Lomeilino che aveva prestato al duca 3000 ducati d’oro (1). Mentre il governo genovese alienava questi territori per redimersi dai debiti , cedeva pure altri importanti possessi, specialmente colonie, alle Compere di S. Giorgio, allo scopo di sollevarsi dalle spese di amministrazione e di difesa, come fece per la maona di Corsica nel 1378 (2). L’organizzazione dei creditori dello Stato aveva un sistema di amministrazione grandioso, rinomato per la valentia con cui erano condotti gli affari , a cui lo Stato poteva affidare missioni che veramente incombevano ad esso. Per tal modo l’8 luglio 1447, Famagosta , il possesso genovese di Cipro, passò ai protettori di S. Giorgio per 29 anni. I protettori promisero di reggere la città in guisa da tener alto l’onore del nome genovese, e qualora l’amministrazione avesse richiesto un’aggiunta di denaro , i protettori si obbligavano di concorrervi fino alla somma di 10000 lire , e il di più doveva essere fornito dallo Stato (3). S. Giorgio era interessato alla conservazione del dominio genovese sopra Cipro , perchè colla maona di Cipro aveva pure assunto i diritti da essa dipendenti contro il re di Cipro (4). (1) Stella, Ann. Muratori, SS. pag. XVII, col 1295. (2) I., pag. 214. (3) Membr. 8, (VII), fog. 432b. Mas-Latrie, hist. de Chypre, III, pag. 34 segg. (4) Nel 1410 il re di Cipro terasi obbligato ad un pagamento annuo di 22500 fl. alla maona; nel 1428 il re riconobbe un debito di 150000 ducati e diede in pegno i dazi della sua residenza di Nicosia {Membr. 8, (VII), fog. 410. Mas-Latrie, II, pag. 52r, 522) ; nel 1441 il debito del Per questo motivo S. Giorgio nel 1442 aveva già aiutato il governo nelle spese occorrenti perla conservazione di Cipro (1). La Casa, quale signora di Fa mago sta si diede cura di rimettere in fiore la città , lasciata in disparte dalle altre nazioni in causa della dominazione genovese, abolendo un dazio che paralizzava il commercio , e fu riconosciuto che questa prima prova, ebbe ottimo risultato. Il territorio ad essa affidato cominciò ad acquistare una certa floridezza (2), per modo che non era lontana la cessione di altri territori a questa provata amministrazione. Nel 1453 Genova si trovò in una criticissima situazione. Colleg'ata con Francesco Sforza e coi Fiorentini, guerreggiava contro re Alfonso d’ Aragona e contro i Veneziani. In pari tempo la presa di Costantinopoli per parte dei Turchi, minacciava la perdita delle colonie genovesi sul Bosforo e nel Mar Nero. Nel maggio giunse la notizia a Genova, che il Castello di S. Fiorenzo in Corsica fosse caduto nelle mani dei Catalani. In tale frangente il governo esausto di mezzi non potè far altro di meglio che acconsentire alla proposta dei Córsi, e il re fu convertito in una rendita perpetua di 6750 ducati veneti. (Membr. 10 (IX), fog. 77-91). Confr. Divers. S. G. Il 9 febb. I44I: Proposta d imporre al re una rendita perpetua di 6000 ducati, o indurlo al riconoscimento di un debito di 200000 ducati , da estinguersi con 7000 ducati l’anno. Sui tentativi del re di Cipro , di avere aiuti da Venezia per la restituzione delle somme dovute a Genova e per il riscatto di Famagosta, confronta Bibliothèqne de l'ecole da Chartes, 1874, pag. I3°_I33 > ^ T9 febb. 1420 Venezia si rifiuta di prestare al re di Cipro 120000 ducati, quale contributo alla prima rata di 160000 ducati, della somma intesa da pagarsi ai Genovesi. (1) Divers. S. G. 20 giugno 1442: « Compere contribuant pro tertio, considerato quantum dictis comperis tanget civitas Famagusle ». I ratta-vasi di 10000 lire di rifusione di danni, da rifondersi ad un Anconetano, 11 quale in un assalto dato dai Catalani sulla città , erasi energicamente adoperato in favore dei Genovesi, e la cui nave nella mischia andò sommersa. (2) Membr. 34 (XXXIII), fog. 1, 1453: « urbes , que protectorum dicioni parent, non, quiescere solum sed et incrementis attolli et felici statu florere ». Bulleltin de la Sociele' de la Corse, II, pag. 37. - 12 1 — 2i maggio cedette 1’ isola alle compere di S. Giorgio. Verso rinunzia alla Casa di tutte le rendite dell’ isola, essa doveva assumerne tutte le spese di ammistrazione e di difesa (i). La notizia della caduta di Costantinopoli sparse lo sgomento in tutta Genova. I Peroti, che durante l’assedio avevano tenuto un contegno equivoco, nella speranza di conservare la loro autonomia sotto i nuovi padroni, dovettero sottomettersi a discrezione del conquistatore (2). I Turchi tennero in propria mano l’entrata del Mar Nero, sicché le colonie genovesi del Tauro rimasero tagliate fuori. Anche in questo caso si trovò che il passaggio delle colonie alle Compere di S. Giorgio avrebbe potuto essere l’unica salvezza. La Casa di S. Giorgio era facoltosa, la sua amministrazione distingue-vasi per energia e coscienza, e quale custode dei luoghi, di cui si erano valsi anche all’ estero come impiego di capitale, godeva d’immenso credito in tutto il mondo (3). Perciò i 16 provisores rerum Caphensium, non trovarono altra via d’ u-scita se non quella di offrire ai protettori le colonie per parte del governo. Però il trasferimento delle colonie alla Casa di S. Giorgio, non costituiva per questa un benefizio , ma bensì un grave peso, e le Compere l’accettarono come il male minore , poiché, diversamente le colonie andavano del tutto perdute per il futuro, e con esse più di 30000 lire annue, che tanto erano stimate le rendite per dazi e simili, ivi percette da S. Giorgio (4). Il 12 novembre il gran consiglio delle Compere ac- (1) Membr. 34, (XXXIII), fog. 1. (2) Heyd, II, pag. 305 segg. 312. C. Manfroni, Storia della marina italiana, pag. 19. (3) A. Vigna, Codice diplomatico delle colonie tauro-liguri durante la Signoria dell’Officio di S. Giorgio. Atti S, L. S. P., VI, pag. 32-34. Non posso condividere il concetto di Manfroni , pag. 20 : « Genova poteva essere in pace, mentre le colonie divenute proprietà del banco, erano in guerra » poiché l’officio di S. Giorgio era e rimase sempre membrum rei publicae. (4) Vigna, Atti S. L. S. P., VI, pag. 26: « Ant. Lomellinus... dixit se intelligere, quod bonum comperarum non contineat huiusmodi translatio, se tamen intelligere quod , nisi perveniant in S. Georgium, de illis - I 2 2-- cettò la proposta del g'overno con 248 contro 27 voti, il 14 novembre il contratto fu approvato dal gran consiglio di Stato, ed il 15 dello stesso novembre ebbe luogo il solenne trapasso delle colonie alla Casa di S. Giorgio con tutti i diritti di regalia (1). L'officiavi Romanie che dal 1313 r453 aveva amministrato le colonie, fu sciolto , e le sue funzioni passarono nelle mani dei protettori di S. Giorgio. Questi però accettarono l’eredità del cessato uffizio curn beneficio inventam, rendendosi soltanto responsabili per quei debiti dell’ Officium per i quali dall’ attivo dell’ Officium stesso risultasse esistere una copertura (2). Il governo s’impegnava di proteggere la Casa di S. Giorgio nel possesso delle colonie del Tauro, e di indennizzarla con 300000 ducati se avesse dovuto perdere queste colonie per colpa del governo stesso (3). In tal modo la Casa di S. Giorgio, era diventata padrona dei più importanti possedimenti di Genova all’ estero , cioè delle colonie di Crimea, di Cipro e di Corsica. Dopo la demolizione delle mura di Pera la bandiera genovese non sventolava più che su Scio e Lesbo, dove la maona di Scio e la casa principesca dei Gattilusi sostenevansi a mala pena contro gli Osmani (4). rebus actum esse, ex quo prò minori malo laudavit assentiendum, quod perveniat in comperas S. Georgii ». (1) Vigna, Atti S. L. S. P., VI, pag. 32 segg. (2) Vigna, pag. 42: « Non teneantur dicti domini protectores ad debita vetera (officii Romanie) nisi in tantum et prò ea parte ac lata, quantum exigent ex bonis et redditibus locorum ipsius officii (Romanie) aut aliorum (officiorum) ». (3) Vigna, Atti S. L. S. P., VI, pag. 42: « Sub pena aureorum trecentorum milium, in tanta summa exnunc taxata pro damno et interesse ipsarum comperarum ». Questa somma, circa il ventuplo delle rendite annuali, che le compere ritraevano fino allora da Caffa , contiene bensì una multa, ma però serve anche a dimostrare il valore delle colonie genovesi, molto più delle 5500 lire di paghe del i453> che il 16 novembre 1453 i protettori rendevano al doge. Non posso trovare una relazione diretta fra questo dono e la cessione delle colonie, come ammette Vigna, Atti S. L. S. P., VI, pag. 14. (4) I Turchi occuparono Lesbo nel 1462 , Scio solo nel 1566, cioè — 123 — La Casa di S. Giorgio consideravasi di diritto successore degli officia Corsice e Romanie, lasciando però sussistere le organizzazioni degl’ impiegati delle rispettive colonie. La Corsica fu amministrata da un governatore , dal quale dipendevano i podestà di Calvi e Bonifacio ed i Castellani di Bastia, Biguglia, S. Fiorenzo e Corte (i). Per le colonie del Tauro valeva lo Statuto di Caffa del x493 (2)- L’ organizzazione di queste colonie era fatta sulla scorta della costituzione genovese, e vi troviamo tutti gli offici e tutte le autorità della città madre. Il console aveva a lato otto anziani ; massam, officium monete, officium provisionis erano addetti all’amministrazione delle finanze; 1’ offeia mercantie e gazane vegliavano sul commercio e sulla navigazione e avevano giurisdizione sugli affari riguardanti queste materie (3); Vofficium victualium si occupava dell’importazione di viveri in città ed i sindicatores avevano il controllo sull’ a-dempimento dei doveri dei pubblici funzionari. Dal console di Caffa dipendevano i consoli di Soldaia e Cembalo, di Samastro, Tana, Copa, Sebastopoli e Trebisonda, Soldaia (Sudak), Cembalo (Balaklava), e Samastro (Amasra in Paflagonia) erano presidiate da guarnigioni genovesi (4). La nomina degl’ impiegati coloniali aveva luogo nel modo seguente. Verso la fine dell’anno i protettori in carica, insieme coi protettori dell’ anno precedente e quelli nominati per 1’ anno seguente , sceglievano otto elettori, i quali prendendo in considerazione i diversi partiti, nominavano sessanta creditori dello Stato (participes accoloriti) e venti di riserva. Da questi sessanta ne venivano estratti a sorte ventiquattro, quando la maona dovette sospendere il pagamento dei tributi. Heyd, II, pag. 322 e 335. (1) Bulletin de la Corse, II, pag. 283, 289: « forma eligendorum officialium Corsice ». (2) Vigna, Atti S. L. S. P., VII, 2, pag. 575 segg. (3) Pag- 6o3> caP- Vili, 115: « Exequantur mere et mixte placet (i giudizi) dicti officii, quod coram eis seu eorum altero (consule et vicario) fuerit presentatum ». Confronta, 1, pag. 139-140. (4) Heyd, II, pag. 369; Vigna, Atti S. L. S. P., VI, pag. 897. ai quali spettava finalmente la nomina degli impiegati coloniali. In tal guisa, differentemente da quello che avea luogo per la nomina dei protettori , i protettori in carica non vi a-vevano parte diretta (i). Oltre che per le colonie nuovamente assunte di Lamagosta, Corsica e Caffa, in quei medesimi anni i protettori ebbero molto da fare per il consolidamento delle compere capituli e delle coviperetc. Nessuna meraviglia dunque se essi si lagnavano della massa di lavoro che pesava sulle loro spalle. Era costume che in caso di questioni importanti, chiamavano a sè i loro predecessori, 1’'officium prccedcntis se. anni (2); ora, a scarico di peso, domandavano che il numero fosse portato a dodici. Ma il consiglio respinse questa domanda adducendo che il peso del lavoro dei protettori era stato anche maggiore quando avevano anche l’esercizio della banca (3). Fu solo nel 1459 che il Consiglio fece luog'o alla domanda dei protettori, accordando che per l’anno seguente fossero nominati 12 protettori. Questi però non dovevano essere nominati come per lo innanzi, ma bensì secondo il processo usato per gl’ impiegati delle colonie. L’Officio si divise il lavoro in modo che quattro membri si occupassero specialmente delle colonie, senza che potessero però prendere decisioni da soli se non che per gli affari di poca importanza, mentre per quelli di maggior rilievo dovevano unirsi cogli altri otto colleghi, come in ogni caso dovevano fare ogni giovedì (4). Tale sistema però non si sostenne , e già subito dopo per 1 anno seguente, si ritornò alla nomina di otto protettori eletti se con do 1’ antico processo (5). Però i protettori spesso rinforza rono il loro ufficio chiamando come collaboratori degli inte ressati nelle compere e dal 1463 in poi nominarono quattro (1) Bulletin de la Corse, II, pag. 289. Vigna, Atii S. L. S. P., VI, pag. 961. (2) Vigna, Atti S. L. S. P., VI, pag. 44- 16 novembre 1453- (3) Ivi, pag. 763, x.° dee. 1457. (4) Vigna. Atti S. L. S. P., VI, pag. 956 segg. ; 13 novembre i459> pag. 964, ro decem. 1459, VII, 1, pag. 29, 2 genn. 1460. (5) VII, 1, pag. 88, 7 novem. 1460. 11 ' — - 12- rcvisorcs carhilanuvi massariarum Famaguste, Capile et aliorum locorttm submissorum compcris S. Georgii ncc non insule Corsice (i). Cipro e le colonie del Tauro. Fra i suoi possessi coloniali , la Casa di S. Giorgio perdette Cipro dopo 17 anni di proprietà. Invero ancora nel 1464 i protettori si facevano vanto dell’attaccamento della popolazione di IHamagosta alla loro signoria, con cui si rendeva più facile il mantenersi su quella piazza (2), che poi nel mede-desimo anno dovettero consegnare a Giacomo II re di Cipro (3). L. assunzione delle colonie del Tauro da parte della Casa di S. Giorgio , venne considerata come un atto patriottico , quantunque i luogatart credessero agire nel proprio interesse. L avvenimento fu salutato a Genova e Caffa con giuliva aspettazione, che rimase giustificata dall’ opera dei protettori. Essi sostennero per 20 anni le sorti minacciate ai possedimenti genovesi dopo la caduta di Costantinopoli (4). Te compere avevano sperato coll’ assumere 1’ amministrazione di questi territori , di assicurarsene i redditi, ma rimasero deluse. Non solo le colonie non davano nessuna rendita, ma la loro condizione esigeva anzi d’ essere sovvenzionate ; non solo la Casa dovette scrivere sulla sabbia le 30000 lire (1) Membr. 15, (XIV), pag. 1S2. Vigna, Atti S. L. S. P., VII, 1, pag. 312, 24 novem, 1464. Questo magistrato fu soppresso dopo la rinunzia dei possedimenti territoriali della Casa: Leges comperarum, 1568, I, cap. 14. (2) Vigna, Atti S. L. S. P. VII, 1, pag. 289, 3 febb. 1464: « quelli de Famagosta... jam annis quattuor hano patito obsidione et consumpto fin a la palea, rupti li muri, decapitati LVII preixi suoi fide, et mai non hano voluto separarse da la nostra devotione, sperando, come in la gratia de Dio sera, in la liberatione. Unde veduto tanta constantia et la gente del soldano et li altri se sono levati da campo ». Confr. pag. 231 « Ciprus obsidetur a mauris ». (3) Heyd, II, pag. 423; 6 gennaio, capitolazione della città. (4) Heyd, li, pag. 3S4 segg. che si aspettava annualmente dalle colonie, ma le fu d uopo adoperare per esse , denaro che era destinato all’ ammortamento delle compere. Questo è un fatto degno di nota, il quale venne opportunamente rinfacciato ai Caffioti, quando ebbero a lagnarsi della severità del reggimento della Casa (i). La situazione finanziaria di Caffa era molto critica. L’anno finanziario 1458 si chiuse con un deficit di 1130000 asperi, più 24000 asperi di crediti incerti (imposte , multe arretrati e simili). In queste cifre non erano compresi 3200 ducati da pagarsi al sultano dei Turchi e 662000 aspen, importavano solamente gli stipendi arretrati degl’ impiegati e dei soldati mercenari (2). Di fronte a tali cifre le compere deliberarono anzitutto dei risparmi nelle spese, in quanto però non ne potesse derivare danno alla sicurezza delle colonie. Doveansi diminuire gli stipendi e ridurre il numero dei mercenari. Per il tributo da pagarsi ai Turchi, gli abitanti non Genovesi di Caffa, Latini, Greci, Armeni ed Ebrei, dovevano dare 600 sommi, formati da una imposta ripartita sopra queste quattro nazioni. 200 sommi furono riscossi a titolo d’imposta sulla rendita dagl’ interessati nella compera locorum Capite. Infine doveva raddoppiarsi il dazio sul grano. Ma con ciò il deficit non era colmato, e le compere dovettero a tal uopo mandare alle colonie 1800 sommi (3). In generale i protettori non mancarono mai di fare spedizioni di denaro, materiale da guerra e forti guerrieri. Per un soldo mensile furono mandati a Caffa operai d’ogni specie soggetti al servizio militare i quali dovevano rinforzare quel presidio, potendo pure esercitare il loro mestiere (4). (1) Vigna, Atti S. L. S. P. VII, i, pag. 2S9, 3 febbraio 1464, pag. 436, 1466. (2) Vigna, Atti S. L. S. P. VI, pag. 910, 30 marzo 1459. Un aspero valeva circa 2/3 del soldo genovese, un sommo — 6,14 lire. Desimoni in Belgrano, Vita privata, pag. 531 e seg. Vigna, Atti S. L. S. P.,Vll, I, pag. 563, nel 1468, 500 lire vengono ragguagliate a 80 sommi. (3) Vigna, Atti S. L. S- P. VII, pag. 920. (4) Vigna, Atti S. L. S. P. VII, I, pag. 300 e sgg. 1464: « cupientes glomerationem januensium artificum in illa civitate ». Confr. I, pag. 176. 11 1,1 ■ — — 127 — Mentre ordinariamente Caffa era per Genova di grande importanza come piazza di esportazione per i grani, tuttavia, quando il grano vi difettò, i protettori non mancarono di spe-dirvene con tortissima spesa. Gli avvenimenti del 1474 ci rendono manifesto di quanta importanza fossero il commercio e la speculazione del grano a Caffa. Trebisonda abbisognava di grano ed i Caffioti vendettero loro tutto quello che avevano; persino piccoli negozianti che appena potevano disporre da 3 a 4 capisi se ne privarono , perchè del grano che ritiravano ai lartari a 8 aspen per capiso, ne ricavavano 10-12 da Trebisonda. Intanto però le nuove importazioni di grano, in attesa delle quali i Caffioti avevano vuotato i loro granai, rimasero sospese per un divieto d’esportazione dei Can dei Tartari. L’approvigionamento della città era compromesso, e si poteva contare soltanto sopra arrivi dalla parte del mare (1). La Casa di S. Giorgio si occupò specialmente della condotta dei funzionari delle colonie, i quali lontani da un diretto controllo credevano che tutto fosse loro lecito. Sappiamo p. es. che un console di Cembalo tiranneggiava i propri soldati pagandoli in merci (sistema truck) (2). I protettori non mancavano di rimproverare con dure lettere gli impiegati negligenti o infedeli , che erano poi sottoposti a Genova a severi processi. Le finanze nelle colonie non erano sempre trattate in modo incensurabile; si trovarono delle mancanze di denaro, e per riempire il vuoto delle casse, ricorrevasi a mezzi, che non potevano averne l’approvazione dei protettori. La creazione di luog/fi, il mezzo finanziario prediletto, e spesso adoperato dallo Stato genovese , venne pure adottato dal governo di Caffa. Questo, nel 1465, aumentò di quaranta il numero dei luoghi di CafFa e credette con questa nuova emissione di avere giovato a far rialzare il corso dei luoghi preesistenti. I protet- (1) Vigna, Atti S. L. S. P. VI, pag. 144, VII, 2, pag. 121. (2) Vigna, Atti S. L. S. P. VII, 1, pag. 549, 1468: « Consules cim-bali socios ita assidue obligatos tenent ex mercibus, quas illis tradunt longe maiore pretio quam valeant, ut quando paga stipendiatorum cim-balum transmittitur, fere tota in consulem perveniat ». — 128 — tori però biasimarono fortemente questa operazione. Gli acquirenti dei luoghi avrebbero dovuto dare, da buoni patriotti, il loro denaro allo Stato, senza acquisire il diritto d’una rendita; il g'overno coloniale non era stato autorizzato a questa emissione e solo in caso di estrema necessità avrebbe dovuto servirsi di questo mezzo (i). Ciò malg'rado i Caffioti emisero nel-1’ anno seguente 65 nuovi luoghi (2). Come nelle città italiane, così pure a Caffa esistevano fondazioni, le quali davano una dote a ragazze povere, che andavano a marito. Queste fondazioni avevano il capitale in luoghi, i cui interessi dovevano formare tali doti. Per una serie di anni si lasciarono andare gl’ interessi sul capitale , per potere dare somme maggiori. Ora il governo di Caffa si servi di quest’ interessi a proprio vantaggio, avendoli impegnati per 15 anni; cosa che provocò severe riprensioni contro gli impiegati delle colonie (3). Le spese dell’amministrazione delle colonie, non erano sostenute dalla sola Casa di S. Giorgio , ma vi contribuivano pure il governo genovese ed il Papa. Quando nel 1457 i protettori dichiararono che i loro mezzi non permettevano di pagare più di 3 lire e 9 soldi d interesse per luogo, su proposta del dottore Battista de Goano, (1) Vigna, Atti S. L. S. P. VII, 1, pag. 356, 1 decem. 1465: « De_ testamur impositionem locorum quam fecistis, que vellemus omnino extin-gueretis. Nam etiam inconsiderate illa vendere illico malefactum fuit, quia solummodo vendi debebant quando contingebat pecuniam expendere, et licet dicatis quod ex illa impositione et venditione accessit favor aliis locis, non sunt facienda mala ut veniant bona. Si illi quorum sunt loca, essent zelatores boni publici, contribuissent et contribuerent ex illo favore ale-viationi onerum publicorum quia qui sentit beneficium debet etiam sentire damnum ». (2) Ivi, pag. 459, 1466. Qui non si tratta di tassa sui luoghi, come crede Vigna, pag. 326. (3) Ivi, VII, 1, pag. 438, 1406: « non solum mirum sed etiam intolerabile nobis videtur quod dicti proventus (locorum fideicommissariarum assignati dotibus puellarum) dicantur obligati pro annis quindecim futuris que res arguit quod et ipsa elemosina et relique administrationes male gubernentur »; pag. 442. - 129 — ' ^ ^ Jnsi-=|’° delle Compere decise di rendere possibile P g" ento del 4 /Qi che solevasi dare ogni anno, doman- ^ rno una sovvenzione e con maggiori economie nelle spese del governo delle colonie (1). Sappiamo già quanto singolare fosse l’aiuto del governo, C V OTC!lnan0 COnsisteva in future imposte sulla rendita, m efficace fu 1’ assistenza del Papa. Calisto III permise t aipo di carestia, di trarre grano dai suoi Stati per essere^ trasportato nelle colonie e sopratutto di devolvere a vantaggio della Casa, per sostenere le Colonie, i denari delle decime e delle indulgenze, che la Chiesa ritraeva dal territorio geno.ese e dalla Polonia. Da Lemberg la trasmissione del denaro a Caffa era abbastanza sollecita (2). Dopo che gli Osmani furono padroni dei Dardanelli e Bosforo, la conservazione delle colonie genovesi dipese unicamente dalla loro discrezione. I protettori, col pagamento d’ un alto tributo poterono acquistarsi il permesso di asportare da Caffa attraverso il Bosforo una limitata quantità annua di grano (3). La via di terra attraverso 1’ Ungheria e la Polonia , percorsa dai corrieri e dai soldati arruolati per Caffa, non poteva sostituire la via di mare. A causa delle conquiste di I ìmur le colonie avevano perduto la loro importanza come punto di partenza duna strada commerciale dal- 1 Asia per il Volga e per il Don , rimanevano però sempre considerevoli per l’esportazione del grano e del pesce (anche del caviale) (4). La loro caduta però non era che una questione di tempo. (1) Vigna, Atti S. L. S. P. VI, pag. 736. (2) Vigna, Atti S. L. S. P. VII, 1, pag. 167 e 697 segg. Heyd, lì, Pag. 390- (3) Vigna, Atti S. L. S. P. VII, 1. pag. 339, 1465 : « cum sue (domini teucrorum) consuetudinis sit, ambassatoribus extractam concedere frumento, maius conveniens est, illam concedere suis tributariis »; pag. 359, 1 decem. 1465: « si necesse erit, mediantibus ad ultimum aliquibus tributis sive e.xeniis curet impetrare ab ipso serenissimo domino rege licentiam frumenti Januam conducendi pro modiis teucris usque ad decem milia videlicet ex Caffa ad nos conducendis pro uso Januensium ». (4) Heyd. II, pag. 376, segg. pag. 395. Atti Società Ligure Storia Patria. Voi. XXXV, P. II. .. — 130 ■— Nel 1459. in causa del mal uso fatto delle economie, i protettori perdettero Samastro a profitto dei I urchi, e per i riusciti intrighi di funzionari infedeli consegnarono a questi nel 1474 Caffa e le colonie della Crimea (1). La Casa di S. Giorgio non potè, come Venezia nel 1463, fare grossa guerra contro le forze preponderanti degli Osmani. Le colonie genovesi erano troppo esposte per sperarne un successo; mentre le veneziane raggruppate intorno alla Morea (Candia, Negroponte) in masse più compatte rendevano maggiormente possibile una resistenza più unita e vigorosa. Venezia si avanzò vittoriosa contro i Turchi. Cipro, dopo il 1489, fu per essa un punto d’appoggio militare e cercava di guadagnarsi la Morea (2). Altra cosa era per la Casa di S. Giorgio. Quando il papa, nel 1459» offerse alle Compere le isole di Lemnos, Tasos e Samothrace conquistate colla sua flotta, esse rifiutarono l’offerta, per non eccitare la collera del Gran Turco, il quale poteva mettere fine alla loro signoria a Caffa, e che invece procuravano di tener calmo pagandogli dei tributi (3). Tuttavia la Casa di S. Giorgio potè salvare Caffa per una serie di anni dalla conquista dei Turchi, contro i quali anche la più potente Venezia dovette alla perfine cedere. Corsica. Come per le sue colonie in Oriente, anche per la Corsica la Casa di S. Giorgio non ebbe da principio migliori risultati. Nel 1378 Genova aveva consegnato l’isola alla maona di Corsica (4). Quando nel 1405 il governo domandò alla maona (1) Heyd, II, pag. 391, PaS- 4« segg. (2) Heyd, II, pag. 424, 325. (3) Vigna, Atti S. L. S. P. VII, pag. 937, 12 giugno 1459: « eiusmodi indignatio regis turchorum manifestum periculum generaret caphe et aliis terris nostris maris pontici, que quamvis pro eis tributum solvatur dicto regi et animum eius omni studio placare nitamur, non tamen sine summa difficultate sustentari possunt ». I protettori stessi erano più fiduciosi. Heyd, II, pag. 389, nota 7. (4) I, pag. 214, 215. L. J. VIIII. (Parigi), fog. 119, 9 maggio 1403: — '3i — pagamento del tributo arretrato di 19 anni, consistente in cavallo stimato 40 fl., e la rifusione delle spese fatte per d isola (1), Leonello Lomellini si profferse di pagare questo debito e perciò ricevette l’isola in feudo (2). Però non seppe sostenervisi. •^el 1453» Genova teneva occupato Calvi e Bonifacio, quando S. Fiorenzo, Biguglia, Bastia e Corte erano nelle mani di Galeazzo di Campofregoso; il rimanente dell’ isola era dominata da signori Còrsi. In vista del pericolo minacciato dal re di Aragona, il popolo si raduno al Lago Benedetto, e mandò una deputazione a Genov a per domandare il trasferimento del governo del-1 isola alla Casa di .8. Giorgio. Vedemmo già come il governo genovese acconsentisse a tale desiderio, e come il 21 n^ag’g'° 1453> cedesse alla Casa tutti i suoi diritti. La parte di Galeazzo Campofregoso venne comprata per 8500 lire (3). Il Papa consideravasi l’alto sovrano dell’isola (4) e come tale ne investì la Casa di S. Giorgio il 24 agosto 1453 per un compenso di 100 fl. (5). Questa però, oltre che dalle potestà superiori, si fece confermare il suo dominio sulla Corsica anche dai soggetti. Essa riconobbe alla popolazione certi diritti documentati nei Capitula Corsorum, e in cambio il 7 giugno '453- in una grande adunanza popolare, si fece prestare il giuramento di fedeltà dai Còrsi. I nobili corsi sparsi nel-l’isola si unirono a rendere questo atto di omaggio (6). I capitula concedevano ai Córsi una certa ingerenza nel- 1 amministrazione del loro paese. Gl’impiegati della Casa allo spirare della loro carica erano sottoposti ad un controllo, eser- « Leonelus Lomellinus et socii, feudatarii, mahonenses » « Jofredus Lo-mellinus , Petrus Turturinus, Batista Luxardus, participes apalti seu conductionis Corsice » « apaltatores » « socii participes mahone ». (1) 27 giugno 1405, fog. T24b. (2) Fog. 145. (3) Bulletin corse, I, pag. 501, (4) Confr. Gregorovius, Corsica, pag. 20. (5) Bulletin corse, II, pag. 143. (6) Ivi, I, pag. 263, pag. 278-88, pag. 413; II, pag. .37. — 132 - citato da 14 sìndicatores, dei quali 6 erano nominati dai Cor.-i, 6 dal nuovo governatore, mentre la Casa deputava 2 cittadini genovesi. L’amministrazione locale era specialmente in mano dei Córsi. Due notabili nominati dal popolo, proponevano sei o sette persone del villaggio, fra le quali, presente il gover natore, veniva estratto a sorte il podestà. I pòoestà avevano atttibuzioni giudiziarie e fiscali; specialmente spettava ad essi la riscossione del fuocatico, fissata in 20 sol. pei ogni fami glia. Non si poteva imporre un nuovo catasto con aumento delle gravezze se non nel caso in cui fosse in giuoco la pace dell’ isola. I Córsi godevano a Genova facilitazioni sui dazi. Oltre che sul vino e sul grano , dovevano pagare solo metà del dazio usuale, per articoli di loro produzione importati a Ge nova, o esportati da Genova per consumo del 1010 paese. Nell’ isola stessa il sale ed il ferro erano soggetti ad un dazio, ma non esisteva monopolio. Le località maggiori, come Calvi , Biguglia , godevano di speciali privilegi (1). II governo della Casa di S. Giorgio ottenne qualche buon successo in Corsica. Il corsaro Vincentello , che a\ eva co quistato S. Fiorenzo per l’Aragona, e Francesco d’Istria passarono alla Casa (2), ed a papa Calisto III riuscì di far coi eludere la pace fra Genova e l’Aragona, dopo di che gli Aragonesi lasciarono l’isola (3). Però la durezza e la crudeltà dei funzionari, che la Casa di S. Giorgio aveva mandati in Corsica, alienarono dalla Casa gli animi dei Córsi. A nulla valse che i protettori nel 1457 richiamassero il governatore Calvo , della cui tirannia erano stati informati. Antonio Spinola nel 1459 infuriò più ferocemente sull’isola, e, ancorché fosse riuscito a ristabilire completamente la pace al di fuori, il suo governo lasciò un’ama- (1) Bulletin Corse, II, pag. 123, pag. 548. (2) Bulletin Corse, II, pag. 37. (3) Bulletin Corse, Vili; Abbé Letteron , Histoire de la Corse, I, pag. 317- — 133 — rezza tale nell animo dei Córsi, che questi aspettavano ansiosamente un’occasione per iscuotere il giogo della Casa (i). Tale occasione si presentò quando l’ambizione della famiglia de Campofregoso si rivolse alla Corsica. Tommasino Fregoso strinse una lega col Córso Vincentello. Alla Casa riuscì di impadronirsi di lommasino, ma il doge Lodovico de Campofregoso liberò il suo congiunto. Parimente il doge Paolo de Campofregoso, 1 arcivescovo che nel 1462 rovesciò Lodovico, favoriva il 1 ommasino, trattando persino con questo di dargli la Corsica nelle mani (2). Nel 1464 i Genovesi cacciarono il loro nobile doge e arcivescovo , che sfruttava lo Stato unicamente a proprio profitto, e consegnarono la città al duca di Milano, sotto il cui reggimento speravano veder spuntare giorni migliori. Anche la Casa di 8. Giorgio rinunziò al detto duca, Francesco Sforza, il possesso della Corsica, verso un annuo pagamento di L. 2000, le quali dovevano in certo modo rifare la Casa dei duri sacrifici fatti per conservare l’isola allo Stato , poiché • essendo tutta la Corsica sollevata, le era affatto impossibile riscuotere le rendite dell’ isola (3). Questa fu conquistata da Francesco Mainetto per il duca di Milano, e solo nel 1482 la Corsica tornò in possesso della Casa di S. Giorgio, e questa volta per un tempo più lungo. Confronto fra la politica coloniale di Genova e di Venezia. Procuriamo ora di metterci sott’occhio l’importanza della politica commerciale e coloniale di Genova, confrontandola con quella di Venezia nello stesso periodo. Genova era uno stato dilaniato dai partiti e finanziaria-mente esaurito, mentre al reggimento aristocratico di Venezia era riuscito di sopprimere qualunque opposizione all’ interno, ed a ricondurre a scopi determinati tutte le forze della re- (1) Histoire de la Corse, I, pag. 321, pag. 325. (2) Pag. 333. (3) Torino, Archivio di Stato, Raccolta Lagomarsini, I, 12 luglio 1464. — 134 — pubblica, coordinate ad un energico sistema. Venezia era tanto forte che si credeva potesse acquistare il dominio di tutta Italia, mentre sembrava che Genova potesse godere d un po di quiete solo quando era sotto una signoria straniera. Venezia sull’ Adriatico poteva mantenere con successo il monopolio del mare, mentre Genova doveva dividere con una serie di potenti rivali il dominio del Tirreno. Questa differenza nella potenza politica dei due Stati si rispecchia nella differenza con cui essi esercitavano la navigazione e gli affari coloniali. A Venezia la navigazione facevasi in gran parte con navi dello Stato. Le galere delle Fiandre, di Tana (Azoff), di Beirut e di Alessandria erano navi dello Stato , che ad epoche determinate dell’anno salpavano in flottiglia per quei porti, dopo che, al pubblico incanto , erano stati noleggiati alcuni spazi delle navi stesse , ai negozianti veneziani per caricarvi le loro merci (i). A Genova invece la navigazione era soltanto soggetta alla sorveglianza dello Stato. Le navi che veleggiavano per l’Oriente e per Bruges dovevano provare prima di partire che erano sufficientemente armate per la navigazione e contro attacchi nemici. Dovevano viaggiare in squadre al comando d’un capitano nominato dall 'Officium gazane; per la flotta che aveva a bordo funzionari coloniali o di nuova nomina o u^ scenti, il comandante eo ipso era, fino a Pera, il podestà di Pera, e nel Mar Nero il console di Caffa (2). Ma le navi genovesi erano di proprietà privata; lo Stato non disponeva, come a Venezia, di una grande flotta da poter armare facilmente per scopi di guerra, e in caso di conflitti esso doveva comperare o costruire le navi occorrenti (3)- (1) B. Cecchetti, La vita dei Veneziani, Archivio Veneto II, pag- s9> nota 1, Archivio di Stato, Venezia, Sen. misti, LV, fog. i86b, « Incantus galearum fiandrie », fog. 118, 121. (2) Leges Bue., I, (Paris), fog. 106, 107: « Galee de Romania naVigent in conserva ». (3) Vigna, Atti 8. L. 8. P. VII, 1, pag. 221, dee. 1463. Per la crociata progettata dal papa, Genova non può mettere a sua disposizione Le differenze nella politica coloniale fra i due Stati dipendevano dalle stesse cause. Il regno coloniale di Venezia era fondato sopra un piano prestabilito , informato non solamente agli scopi del commercio, ma altresì a quelli della politica. Venezia si valeva delle sue colonie come punti d’ ap-poggio per il dominio dei mari, e per allontanare , provvedendo alla loro sorte , alcuni elementi molesti alla capitale, come p. es. nobili decaduti (i). La Genova ducale invece lasciava le sue colonie nelle mani di società d’indole più o meno privata, come le maone di Scio e Corsica e la Casa di S. Giorgio (2). Possiamo senza dubbio asserire che il sistema di Venezia per quell’ epoca era superiore a quello di Genova (3). Esso fu seguito dalla Spagna e dal Portogallo nella loro politica coloniale e marittima, mentre il sistema genovese può avere un raffronto colle Compagnie commerciali olandesi ed inglesi. La Casa di S. Giorgio, quale signora delle colonie , può essere paragonata, più che ad altri, alla nuova Compagnia delle Indie Orientali fondata nel 1698 (4). In ambo i casi abbiamo un’associazione di capitalisti, che anticipa denaro allo .Stato, ricevendo in cambio il possesso di colonie. Le differenze però sono notevoli. Astraendo dal fatto , che quei ne- altro che S a 10 naves armate (grandi navi a vela) « galeas vero de presenti non habemus ». Confr. 5, 225 e segg., il parere sopra le spese della progettata crociata. Firenze seguì dapprima , dopo che dal 1421 in poi s’era data alla grande navigazione, il sistema veneziano , però nel 1466 furono aboliti gli « Atti di navigazione » fiorentini. Pohlmann, Wirlschafts-politik der fllorentiner Renaissance, pag. 126, 151. (1) Heyd, II, pag. 271 seg.: Cfr. su Creta, Noiret, documen/s inédits pour servir à l’histoire de la domination vénitienne en Crete, 13S0, 1485. E. Fabricius, die Insel Krela. Geog. Zeitschr. (Hettner), III , fog. 367 e segg. (2) U. Assereto, Genova e la Corsica , pag. 132 , che la preoccupazione degli affari, prevaleva sul concetto polìtico dei Genovesi. (3) Non possiamo convenire con IIaudecoeur, che pubblicò l’opera di Noiret, ove a pag. XVI dice: « La république de Venise était extrè-mement autoritative et ce fut là une des causes de sa décadence ». (4) Philippovich de Phiuppsburg, die Bank vott England ini Diensfe der Finanzverwaltnng des Staates, pag. 53 seg. e pag. Si. — I3Ò — gozianti inglesi, allettati dai privilegi che andavano ad acquistare , prestavano spontaneamente il loro denaro , mentre le Compere di S. Giorgio si basavano su prestiti forzosi, e solo più tardi acquistarono privilegi, dobbiamo far rilevare che la Compagnia delle Indie Orientali era anzi tutto una Compagnia commerciale e che acquistò il dominio politico sulle Indie in conseguenza dell’esercizio del suo commercio, mentre la Casa di S. Giorgio esercitava affari di commercio in via accessoria (i), essendo invece suo scopo principale a Caffa e in Corsica l’esercizio dei doveri e dei diritti politici che lo Stato le aveva trasmessi. L'imposta diretta a Genova. Sua impopolarità. Siccome lo Stato genovese aveva impegnato tutte le imposte indirette ai suoi creditori, cioè alle compere, così il bilancio ordinario venne fatto sotto i dogi sulla base dell imposta diretta. Nel 1350 essendo i cittadini molto aggravati venne abolita l’imposta diretta mediante prestiti forzosi, e per lungo tempo si provvide ai bisogni ordinari dello .Stato con nuove imposte indirette (2). Anche queste però, per far fronte alle spese della guerra contro Venezia, furono presto date in pegno, e l’imposta diretta di nuovo istituita nel 1363 (G. A-dorno) riacquistò la sua antica importanza. L’imposta diretta a Genova era una tassa sulle sostanze, basata sopra una stima soltanto approssimativa, ed il cui contingente veniva ripartito a norme fisse fra le classi della popolazione, nobiltà e popolo. Un nuovo estimo ebbe luogo 1 8 aprile 1427 (3). L’imparzialità dei partitores, doveva essere (1) Lobero, pag. 68, nota: « Cartularium naulorum navium quattuor officiis S. Georgii spectantium 1482 ». (2) I, pag. 189 e pag. 149. (3) « De officio monete eiusque regulis », (Paris) fog. rob segg. Contrariamente alle condizioni dell’Italia nel XV secolo, nelle città tedesche era norma la stima fatta dal contribuente stesso sul giuramento di buon cittadino, Stieda, Conrads Jahrbuch, LXXII, pag. 21. MacCHIAVELLI, — '37 — resa più sicura da un sistema molto complicato di elezioni. I 12 anziani estraevano a sorte 8 persone, tenuto conto dei diversi partiti (servatis coloribus) , di cui z fra gli anziani, 2 dall officia provisionis, 2 dall’officia monete e 2 dalla Casa di S. Giorgio. Questi otto nominavano, avuto riguardo alle strade ed agli alberghi, 48 nobili, ognuno dei quali sopra un contingente di 60000 lire doveva pagare almeno 25 lire d’imposta, e, a norma delle vie e quartieri (compagne), 50 persone della classe popolare, fra le quali il mercator fosse ritenuto tassato per almeno 10 lire, e 1 'artifex per almeno 4 lire. Fra questi 48 della nobiltà ed i 50 del popolo, venivano e-stratti a sorte 8 dei primi (1) e 10 dei secondi, i quali rimanevano effettivamente incaricati dell’estimo. Per 6 giorni avevano libero accesso tutti quelli che avessero creduto portar loro degli appunti atti a recar luce sulla determinazione della sostanza imponibile (2) e nei quattordici anni successivi dovevano eseguire completamente l’estimo, al quale scopo veniva loro fornito un elenco dei cittadini che dovevano pagare l’imposta e di quelli che godevano del privilegio d’esenzione. Ogni membro della commissione dell’estimo doveva agire per conto proprio e consegnare il lavoro suggellato. Quando i primi 18 avevano compiuto il loro lavoro, ne venivano eletti altri 18 colle stesse norme i quali dovevano presentare altre 18 stime. Da queste 36 stime si estraeva la media nel modo seguente. Le 8 maggiori e le 8 minori delle stime popolari non venivano prese in considerazione, e la media veniva fatta sulle altre quattro che rimanevano; nella stessa guisa e nella stessa proporzione procedevasi per le stime eseguite dai membri della nobiltà. I cittadini tassati nel modo suddescritto, erano inscritti prima in un manuale (3) e poi nel gran libro dell 'avaria, che Discorsi, I, cap. 55, apprezza la probità delle varie classi in Germania. Nel XII e XIII secolo sussisteva anche in Italia la stima fatta dalle parti stesse, I, pag. 45-46. (1) Fra questi vi doveva essere alternativamente uno appartenente alle famiglie Spinola, Doria o Grimaldi; fog. 44, i, decemb. 1433. (2) « Omnibus et singulis ipsos informare volentibus ». (3) « In manuali nitido ». - 138 - erano custoditi presso 1 'officium monete. Questo dava ai par-titorcs un’ elenco dei contribuenti, e le stime fatte dai 36 par- titores venivano abbruciate. Per i figli di famiglia e fratelli viventi in comune, fu stabilito nel 1433, che per i figli di famiglia emancipati, con sostanza propria, si dovesse fare un estimo separato , se pero vivevano in famiglia (1) coi genitori, si sarebbe potuto, seri-chiesto, fare la stima sotto il nome del padre. Così pure per figli di famiglia le sostanze dei quali non erano separate, anche se abitassero da soli, potevasi fare una stima complessiva colla sostanza del padre. Quanto ai fratelli venne fatta distinzione se avevano solamente in comune l’abitazione, o se andassero a carico comune anche le spese de1 mantenimento della famiglia. Se tutto era in comune, potevano domandare che fosse fatto un solo estimo, anche se le sostanze erano divise, mentre venivano fatte valutazioni separate, se solo 1 abitazione era in comune (2). Se però abitavano in luoghi diversi, venivano fatte tante stime separate ancorché la sostanza fosse ancora indivisa. Era contribuente chi abitava da più di due mesi a Ge nova (3). Chi lasciava la città, doveva prestare garanzia per- ii pagamento delle pubbliche gravezze, imposte e prestiti forzosi per un periodo di cinque anni dalla sua partenza, per padri di famiglia 1’ obbligo per il pagamento delle tasse era illimitato (4). Per contribuenti residenti all’estero, lo Stato si valeva dei loro corrispondenti di affari di Genova. Gl’ interessati nelle compere avevano il diritto di pagare nell’imposta diretta (Avaria) tanto meno (5), quando veniva (1) « Ad eandem mensam viventes » fog. 24. (2) Cfr. Baldus, cons. IV, 472, « cohabitatio sola non facit societatem ». N. Heyd, Zur Geschichte der t-Iandelsgesellschaften ini Mittelalter, Pag- 49- .. . (3) Fog. 35: « habitatores Janue per bimestre obnoxn oneribus p blicis ». (4) Fog. 70, 1448: « lex exigendarum avarium » « de solvendo avanas, mutua et quecunque onera publica ». (5) Divers. Cane., 1447: « Pretendentes debere aliquid excusare ex eo — 139 — loro preso dallo Stato per imposta sulla rendita [captio quarte page). Ma questa compensazione era concessa nel solo caso che il pagatore dell’ imposta sulla rendita e dell’ avaria fosse la stessa persona o che si trattasse d’imposta sugl’ interessi della propria moglie, di ascendenti e discendenti in linea mascolina o di figlie non maritate. La cessione del diritto di compensazione ad altri contribuenti era inammissibile. I così detti Conventiouati dovevano contribuire all’ imposta solo con un importo determinato e quelli per i quali questo importo era fissato una volta per sempre, non avevano diritto a compensazione , mentre lo avevano quelli per i quali l’importo oscillava proporzionalmente alla grandezza del contingente totale (i). La riscossione dell’imposta 1445 fu regolata in modo che per un contingente di 100,000 lire, venissero prima esatte dai nobili le quote da L. 15 e più, e dalla classe del popolo quelle da 10 lire e più. Entro sei mesi e otto giorni, dall’affissione della notificazione in piazza Banchi, questi importi dovevano essere pagati. Se essi non bastavano a coprire la somma necessaria, allora venivano citati i contribuenti minori, ai quali si lasciavano 14 mesi di tempo, dalla data della notificazione del riparto dell'imposta, per mettersi in regola (2). Anche i prestiti forzosi venivano ripartiti sulla base del catasto dell’ imposta diretta. Se il governo aveva bisogno immediato di denaro, ricorreva dai contribuenti più facoltosi per farsi pagare parte dell’imposta prima del tempo stabilito, col- 1 assicurazione che tale anticipo sarebbe calcolato nel prossimo riparto dell’imposta (3). quod sunt participes comperetarum, debeant fidem facere officio Monete aut massariis de summa locorum suorum ». (Dal 23 fino al 26 febbraio). (0 Off. monete, fog. 17, 17 giugno 1432. (2) Off. monete, fog. 42, 1445. (3) Diversorum Cancellarie, 3 marzo 1446: « Proclama... parte Ducis et officii provisionis... Cives Janue taxati in ultima avaria debeant solvere officio provisionis intra diem martis Vili ad comput. s. 7 pro singula libra, alioquin ea die elapsa gravarentur cum penis consuetis. A qua solutione exclusi sint solventes libr. 5 vel ab inde infra. Qui quidem soldi 7 compensabuntur et excusabuntur in avaria que nunc perficitur omnino et omni exceptione amota ». — 140 — Le imposte arretrate , le nuces rancide , erano colpite da una multa del 20 °/0. Per arrivare al contingente , i più facoltosi dovevano intanto colmare la differenza, per poi rifarsi con quel 20 °/0 delle multe sugli arretrati (1). Le disposizioni contro i defraudatori erano estremamente rigorose; non solamente il governo non pagava loro neppur un centesimo, sopra un eventuale credito verso lo Stato (2), ma erano pure trattati come ribelli. Se un defraudatore non pagava entro due giorni dalla data della citazione , era soggetto alla confisca ed al carcere , e al denunziatore spettava un terzo dei suoi beni. Nel XV secolo cominciò a manifestarsi la tendenza di rendere meno vessatoria questa tassa riguardo alla popolazione più bassa, già troppo fortemente aggravata dalle imposte indirette. Nel 1456 fu abolito il testatico (3); il 9 ottobre 1455 venne accordata la franchigia dell’imposta sulle sostanze, quando tale imposta fosse stata inferiore a 4 lire a meno che quella tassazione potesse essere ritenuta inferiore al vero (4). Nel 1459 vennero fatte delle convenzioni per 20 anni con uomini di mare, che volevano stabilirsi nel sestiere Molo (in contratibus modtili), secondo le quali veniva loro abbuo-nata metà dell’ imposta che avrebbero dovuto pagare altrove. In cambio però erano tenuti a prestar aiuto, in caso di tempesta, alle navi in pericolo (5). Però l’avaria, specialmente per la forma con cui facevasi l’estimo , era sempre per i possidenti un peso opprimente. Gran parte del contingente era inesigibile (6), parecchi contribuenti erano eccessivamente favoriti (7) ed a queste deficienze dovevano sopperire gli altri. (1) Off. mon., fog. 15. (2) Fog. 73. (3) I. Pag- T54- (4) Off. mon., fog. 55b: « nisi crederetur eos posse digne supra eum numerum librarum quattuor communi solvere ». (.5) Fog. 89». (6) Fog. 39b, 4 dee. 1445: « ne stalientur persone in avaria, que non sint vel exigi non possint aut de facto non exigantur per quamvis partium ». (7) Fog. 38'', 2 marzo 1447. » Sopratutto eravi eterna lotta fra le due classi, per il contingente che doveva spettare a ciascheduna (i). Non bastava che fosse stabilita una proporzione fissa, secondo la quale ai nobili toccava 3/5, alla classe popolare 2/5. Sorse adesso la questione dove le singole persone, p. es. i conventionati, dovessero contribuire. Avvenne che alcuni del popolo si fecero ascrivere alla nobiltà per pagare minore tassa. La deficienza del contingente doveva essere colmata dagli altri della loro classe. Per ovviare a tali inconvenienti, venne deciso nel 1473, che i conventionati dovessero far parte della classe popolare, nella quale dovevano continuare a rimanere pure quelli che più tardi passassero nella classe dei nobili (2). L'abolizione deir imposta diretta a Genova. Alle deficienze dell’imposta diretta a Genova, non si rimediò come a Firenze, dove un forte movimento democratico seppe eseguire una radicale riforma dei catasti; furono invece le classi dirigenti che dominavano a Genova, le quali pensarono al modo di abolire interamente l’imposta diretta. Nel 1433 venne pure rilevato, che considerando le imposte indirette che gravavano il commercio e lo scambio (3), l’imposta sulle sostanze era ancora il mezzo finanziario meno pesante; tuttavia nel corso del XV secolo l’abolizione del-Vavaria diventò una questione nella quale tutti erano d’ accordo (4). Solo era in discussione il modo come tale aboliti) Div. cane., 27 decerti. 1446: « contentiones quibus una civitas in duos populos et quidem sibi invicem adversantes dividebatur ». (2) Monete, fog. 112: « ex popularibus nobiles se fecerunt Johannes Paucianus de Triadano, Lucas Salicetus de Nigro, Hyeronimus Morinelus Ventus ». , (3) Divers. Cancellarie, 5 ottob. 1433 : « Raffael Pernixe considerans quantum civitas de gabellis est gravata, ita quod nec mercari potest, nec merces vehi possunt ad hanc civitatem , laudat inveniri pecunias necessarias per avarias ». (4) Monete, fog. 120, 1469: « hinc enim exhauste sunt civium facultates, hinc inequales taxationes suborte, hinc seditiones et scandala ci- zione doveva aver luogo e quando agli Adorno riuscì di venirne seriamente a capo , si trovarono solo i Fregosi come oppositori, temendo questi che un partito, a cui riuscisse l’abolizione de\V avaria, dovesse consolidarsi al punto da rendere impossibile ad altri di giungere al potere (i). Ancora nel 1462 troviamo a Genova un Officium odo constitutorum ad tollendum ordinarium sumptum (2). La tassa di successione a Pera, che era tanto odiata quanto quella sulle sostanze a Genova, fu redenta dai Peroti nel 1448, con 50 luoghi di S. Giorgio (3). Era facile tentare un procedimento simile per la tassa sulle sostanze a Genova. Tale era il progetto della Società « Providentia » , società composta di 51 membri, la quale nel 1469 elesse tre nobili dal suo seno (4), cioè, Lodovico Battista Saivago di Marco, Bened. de Savignone q.m Melchiorre e Costantino de Auria q.m Bartolomeo , i quali ebbero incarico di consegnare ai protettori 20 luoghi di S. Giorgio appartenenti alla Società, colla condizione che questi luoghi dovessero moltiplicarsi fino a che dessero una rendita di L. 40000 annue. Giunti a que- vilia, quibus hec urbs multis temporibus pressa fuit, hinc tirannides et crebre statuum mutationes, que quantum facture Januensi reipublice attulerint, trans aures nostras etiam hostibus nostris insonuit, adeo ut Ja-nuense nomen apud exteros parvipendi et ludibrio haberi aliquando visum fuerit ». (1) Muratori SS. XXIV, c. 524, Senarega Annali, 149°- Sulle diffi’ colta incontrate per la riscossione dell’ imposta diretta del sussidio, nel XVI secolo, negli Stati Pontifici, confronta Ranke, die ròmischen Pàpsie, I, pag. 267 segg. (7.a edizione). (2) Vigna, Atti S. L. S. P., VII, 1, pag. 159. (3) Membr. 8, (VII), fog. 171 e segg.: « gabella defunctorum, quam ita omnes abhorrent, quod non solum alienigene incolatum dicti oppidi fugiunt, verum etiam nonnulli burgenses locum illum deseruerunt et alii in dies deserent, nisi tollatur ea calumniosa vexatio ». Parimente la Land-tax del 1692 in Inghilterra potè essere redenta dai contribuenti nel XVIII secolo. Wagner, Finanzwissenscliaft, III, p. 182. (4) Monete, fog. 120. Di questi membri 15 erano presenti all’elezione, 29 « propter eorum absentiam non interfuerunt » e inoltre vengono menzionati 7 soci « qui defuncti sunt, ut quorum fuerit ipsa societas, in pleno numero intelligatur ac ut nemo eorum debito honore privetur ! ». — 143 — sto punto gl’ interessi di tre anni dovevano venire assegnati all Officium misericordie, per costruire un grande ospedale sotto il nome : « Hospitale societatis prudentie » ; 50000 lire doveano impiegarsi per il fabbricato, 10000 lire per la mobiglia, e le rimanenti 60000 lire dovevano impiegarsi in luoghi di S. Giorgio, per coprire coi relativi interessi le spese di andamento dello spedale. Dopo quei tre anni gl’interessi annui di 40000 lire dovevano essere assegnati all’ Officium monete in cambio dell’a-vana da abolirsi (1). Un progetto che fa strabiliare! La fondazione A ivaldi aveva fatto a fidanza colla forza accumula-trice degl interessi composti per l’estinzione del debito pubblico ; ora le si domanda di assumersi la copertura delle spese ordinarie d’ un intero Stato ! Pero questa fondazione non rimase sola. Nel 1473 Eliano Spinola ne istituì un’altra di 126 luoghi, 61 lira, 2 sol. 6 den. che dovevano arrivare a 6000. A questo punto 2000 luoghi dovevano essere impiegati a sollievo delle imposte indirette, 13 luoghi e 50 lire a profitto di parecchi conventi e spedali, ed i restanti 3986 l/2 luoghi dovevano servire, come la fondazione della Societas Providentie, per l’abolizione dell’imposta diretta, per modo che gli eredi mettevano a disposizione dello Stato 30000 lire annualmente ! (2). Nel 1476 il governo fece un passo importante per l’abolizione del focagium. Venne cioè deciso di mettere da parte l’imposta sulla rendita degli anni 1493 al 1502, stimata a 50000 lire pag. prò anno, per soddisfare i proprietari della maona di Scio, e riacquistare allo Stato quest’ isola mediante pagamento del debito pubblico, e qualora tale progetto non fosse effettuabile, si dovrebbe coprire l’imposta sulle sostanze colla imposta sulla rendita (3). Nel 1489, quando dopo lunghe lotte di partiti, il doge Agostino Adorno fu insediato sotto la signoria di Milano, l’abolizione dell’ imposta diretta , del focagium o dell’ avaria (1) « Si deliberabitur deponere taxationem focagii ». (2) L. J. V, (Paris), fog. 94b. (3) Membr. S. G., 34, (XXIIII), fog. 155. — 144 — si effettuò. Però non si nascondevano le difficoltà tecniche e sociali d’un simile passo. Si pensò all’elasticità della imposta diretta, specialmente in momenti di straordinari bisogni (i). Contro l’abolizione era prima di tutto il basso popolo (2) e gli ottimati liberati dalla tassa (3), quello perchè temeva un aumento delle imposte indirette, questi perchè vedevano probabile un’altro taglio agl’ interessi della Casa di S. Giorgio. Ma in .generale l’abolizione di questa tassa, tanto gravosa, perchè applicata con parzialità, fu salutata con grande soddisfazione. Secondo il cronista questo sarebbe il fatto più grande e più utile dell’epoca (4). Un secolo dopo questo avvenimento fu però giudicato diversamente, e cioè come una vittoria dei possidenti, nella quale i proprietari di piccole facoltà, per un momentaneo sollievo, si sarebbero addossati maggiori gravezze, in causa del necessario aumentarsi dei debiti e delle imposte indirette (5). Anche a Colonia, come a Genova, nel 1371, dopo la sollevazione dei tessitori, venne abolita l’imposta diretta. Anche qui però si ebbe per necessaria conseguenza un aumento nel debito e nelle imposte indirette (6). Però nel 1490 venne abolita a Genova solo la tassa generale sulle sostanze, e per la città, mentre vi rimasero in vigore l’imposta fondiaria (7), la gabella possessionum, e 1 avana (1) Muratori SS. XXIIII, col. 520: « praeripi viam regentibus credebatur, qua succurri repentino et inopinato casu posset ». (2) « Plebs Mediolanensium imperium perhorrebat », « plebs dicebat omne postea onus in cervices suas descensurum ». (3) C. 524: « submurmurabant infima plebs et ii etiam qui sunt in urbe primarii nec avarias ut reliqui pendebant ». (4) « Superatis tandem difficultatibus res confecta est, qua mea aetate (quicquid alii dixerint) nihil praeclarius, nihil utilius factum est ! ». (5) Rei. 1597: « l’avarizia e la poca coscienza fa loro stimare acquisto il non pagare per via di tassa pochi danari, che toccherebbero loro a proporzione di richi ». (6) Knipping, Schuldetiwesen der Stadi Koln. IVesld. Zeitschr. XIII, 4, pag. 341. Stieda, Stadi. Finanzen im Mittelalter, Gonrads Jahrb. LXXII, pag. 28-30. (7) A Dresda l’imposta sulle sostanze si converti in una tassa cittadina, ed in un peso reale sulle proprietà dei fabbricati. Stieda, pag. 30. — 145 — nelle Ri\iore. Il sistema tributario di Genova dal 1490 in poi può dunque confrontarsi con quello prussiano del 1820, cioè imposte indirette nella città e dirette nel territorio. Vedemmo già nel 1392 i germi dai quali si sviluppò questo sistema (1). Il contingente che dovevano dare annualmente le valli e le Riviere era fissato in 24200 lire per l’anno 1441 (2) e in 26185 bre per 1 anno 1490 (3). Genova aveva solo disposto delle norme generali per la ripartizione dell’imposta. Un terzo dove\a levarsi come testatico dai cittadini soggetti alle armi, due terzi, come tassa sulle sostanze, sopra beni mobili ed immobili, quantunque d ordinario venissero colpiti solo i possessi fondiari (4). In armonia col carattere personale della imposta sulle sostanze , il contribuente di un dato comune, pagava 1 imposta anche per possedimenti situati in altri comuni. Però nell anno i486 troviamo un decreto che si oppone a tale forma di pagamento dell’ imposta fondiaria, ordinando che questa debba essere pagata al comune dove giacciono i fondi (5). Un esempio dell anno 1416 ci informa che la tassa era a carico del proprietario, che però veniva pagata dal detentore, (appaltatore, fìttaiuolo, vassallo) col diritto di trattenerne l’importo sul pagamento dell’appalto, del fitto o degl’interessi (6). (1) I, pag. 122. (2) Off. moneta, (Paris), fog. 47. Elenco dei contingenti dei singoli luoghi. Inoltre le Riviere dovettero provvedere per equipaggi e bisogni straordinari. Divers. cancell. 1 decem. 1489; Div. cane. iS dee. 1430. In particolare i Comuni furono chiamati al pagamento delle spese straordinarie del loro rispettivo territorio. Off. HI., fog. 75 , 17 sett. 144S, riguardo al riattamento delle mura di Voltaggio. (3) Membr. 39 (XXVII), fog. 121. (4) Off. M. (Paris), fog. 97b, fog. 47: « super mobili, quod raro fieri solebat ». (5) Fog. io7b, 22 decem.: « Possessiones hominum Rimazorii in po-testatia Blasie posite Blasie solvant, possessiones vero hominum Blasie in territorio Rimazorii posite Rima/orio conferant ». (6) Divers. reg. 29 aprile 1416. Pieve di Teco, presso Albenga: « Pro officio contra Valentinum Perotum et pro dicto Valentino : Supradictus dominus capitaneus mandavit Valentino Perotho de plebe presenti, quod solvere debeat Joh. Buxio collectori stagie, quidquid eidem impositum et AUi Socicl Ligure Storia Pairia. Voi. XXXV, P. II. — 146 — Oltre la tassa nel territorio , rimase in vigore a Genova quella dei muratori stranieri che lavoravano in città, ognuno dei quali , in luogo dell’ avaria dei cittadini, doveva pagare 30 s. 4 d. l’anno. Questo introitus masacanorum venne affrancato nel 1566 dai consoli della corporazione dei muratori, verso un capitale di 112 luoghi (1). Come venne supplito alla mancanza dell' imposta diretta ; confronto con Firenze. Sono meravigliose le proposte che furono fatte , per coprire il vuoto che rimaneva in causa dell’ abolizione dell imposta sulle sostanze (2). Alcuni volevano sollevare i contribuenti dando loro il diritto di pagare allo Stato l’importo capitalizzato dell imposta, da convertirsi in luoghi di S. Giorgio , i cui interessi sarebbero in surrogazione dell’ imposta (3). Lo Stato avrebbe cosi ricevuto una rendita dai suoi cittadini, e quindi contro tale rendita fissa avrebbe rinunciato ad impor loro imposte dirette di variabili grandezze. Tale proposta venne modificata da altri nel senso che questa capitalizzazione dovesse farsi solamente da quelli che contribuivano per 8 lire o più e che la differenza prodotta dalla mancanza delle piccole contribuzioni fosse colmata con un aumento sulle imposte indirette (4). Altri proposero un aumento dell’ imposta fondiaria (5). taxatum fuit in registro per stagiatores et officiales, super hoc deputatos pro rebus confrarie quas tenet, mandans quod ipse diminuat et diminuere possit de reditu, quem rendet confrarie , id quod pro stagia ipsius seu ipsarum rerum confrarie solvet, et jubens quod pro predictis non possit idem Valentinus ab aliqua persona molestari ». (1) Membr. 14 (XIII), fog. 144- L 'introitus mazachanorum si trova già nel 1274. I, App. IV. (2) Divers. caliceli., 27 aprile, 1489. (3) Proposte di Leonardo de Calisano, Tom. Giustiniano, Fil. Lomellini. (4) Modificazione proposta da Marco Lercari. (5) Joh. Baptista Tonsi. — i47 — Intanto che questi uomini pensavano soltanto ad una trasformazione dell imposta diretta, altri uscirono fuori con progetti di nuove imposte in sua vece. Si propose un aumento sull imposta del vino (i) e del pane (2), una tassa sui documenti ufficiali (3) , un aumento della tassa generale sugli affari (4) e dei dazi di entrata e uscita dal porto (5) e finalmente una diminuzione sugli interessi di S. Giorgio (6). Ancora più notevole è il fatto che parecchi fra gl’ interpellati, si proponevano di creare nuove fonti d’entrate mediante monopoli. Il monopolio del sale era un cardine principale delle finanze genovesi. Quanto facile dunque estendere ad altri campi ciò che in un altro avea dato sì buoni frutti! Venne dunque proposto un monopolio del vino sulla base di quello del sale (7). Pel sale , lo Stato , o per meglio dire la Casa di S. Giorgio, non aveva in mano che la vendita, mentre 1 importazione , quantunque precariamente, era lasciata alla libera concorrenza (8); ora fu proposto di limitare di nuovo l’importazione del sale in poche mani privilegiate, le quali avrebbero dovuto lasciare allo Stato parte dei loro guadagni (9). Un procedimento simile venne portato in campo per l’importazione del grano. Era questione se lo Stato dovesse trarre profitto dall introduzione del grano, imponendo al negoziante una tassa unica di concessione, ovvero assumendo questa in- (1) « Additione sopra pinta vini » Giac. de Casanova ed altri. (2) Gabella de li pancogoli, da elevarsi da 2000 a 6000 lire, Pelegro Rebuffo. (3) Francho de Giberto, gabella sulle polizze ufficiali. (4) Gabella censarie, Ambrosio de Marini e altri. (5) Fil. Lomellini e altri. (6) L « imposta sulla rendita » che lo Stato per lo innanzi aveva messo a disposizione di S. Giorgio per la conservazione della Colonia di Caffa, dovesse essere impiegata, ora che S. Giorgio non aveva più possedimenti coloniali, per lo scopo presente (Cristoforo de Davagna). Marco Lercari piopose di indennizzare S. Giorgio, in caso d’una eventuale estorsione, mediante assegno delle comperule. (7) Pelegro Rebufto. (S) I, pag. 114. (9) Zirio Lomellini. — 148 — troduzione in propria regia (i). La maggioranza stava per quest’ultima forma. Lo Stato sul prezzo del grano da 55 a 75 sol. doveva avere un guadagno di 5 soldi per mina, servendosi d’impiegati pagati dallo Stato stesso. La Casa di S. Giorgio doveva anticipare il capitale occorrente per questo esercizio. La vendita che pel sale era ristretta alle sole gabelle, pel g'rano doveva essere limitata alla raìba (2). In questo modo si sperava non solo di guadagnare allo Stato 15000-20000 lire, ma si credeva pure che, l’amministrazione dello Stato potrebbe procurare ai cittadini dei prezzi bassi ed una importazione sufficiente ; altri invece opinavano che il mercato sarebbe stato più copiosamente provvisto se fosse lasciato nelle mani di liberi negozianti gravati soltanto della tassa di concessione. Qua e là si parlò pure dell’ utilità che lo Stato potrebbe ricavare dall’esercizio d’una fabbrica di sapone, escludendo la concorrenza privata (3), o dall’acquisto dell’esercizio delle ferriere di Piombino ridotte a monopolio, o ancora dal monopolio della vendita del legname (4). Venne pure raccomandato di far partecipare lo Stato agli utili dei banchieri autorizzati come si faceva a Bruges (5). In presenza di tante differenti idee, la Commissione dei Dodici, che doveva decidere sui mezzi di surrogare la imposta sulle sostanze , si limitò a proporre la seguente forma. Delle lire 50000 occorrenti per far fronte alle spese ordinarie, 33000 lire dovevano essere pagate annualmente dalla Casa di S. Giorgio e 17000 lire prese dal contingente delle Riviere, la somma che rimaneva di tale contingente, che ammon tava a lire 26185, doveva essere conservata per eventuali spese (1) Gerolamo Grimaldi. (2) Si trattava qui solo del grano introdotto per mare dalla Sicilia, Negroponte, Siena (Grosseto), Spagna, mentre il grano lombardo e pie montese non doveva entrare nel monopolio. Melchiorre de Nigro, Cristo foro de Davagna e altri. (3) Gio. Antonio Italiano. (4) Leonardo Spinola. (5) Zirio Lomellini. — 149 — straordinarie. In compenso delle 33000 lire che la Casa di S. Giorgio doveva pagare annualmente, le erano assegnati: a) La tassa sugli affari riformata (gabella censarie) ; b) una sopratassa generale [salso) di 5 °/0 su tutte le gabelle in vigore a Genova; c) la tassa sulla rendita già incassata dai luoghi di S. Giorgio ; d) i legati destinati per l’abolizione del focagium (1). Queste disposizioni vennero accettate dal Gran Consiglio della Repubblica il 7 gennaio 1490. Mediante questa legge , 1 abolizione dell’ imposta diretta, segnò un indebolimento dello Stato, e un ulteriore incremento della Casa di S. Giorgio. Lo Stato fu costretto a ricevere una pensione dalla Casa. Anche a Firenze vediamo che le spese ordinarie dello Stato, vengono coperte coi denari dell’ amministrazione del debito pubblico. Nè altro significa il Monte mensa fondato colà nel 1470. Al 12 novembre 1470 troviamo il monte fiorentino dotato dei seguenti redditi (2): Imposta delle porte di Firenze (porta et doana) » sul sale.....;..... » » vino e macello....... » sugli affari (contratti e permute) . . » diretta (estimo) nel territorio (contado) Entrate da Pisa........... » » Arezzo.......... » » Cortona.......... Taxati et districtuali et hebrei...... Ritenzioni di danaro uno per lira si fa al monte de l’aggi di fiorino et di uno per soldo di partita vecchia............ fl. 105000 » 48000 » 9000 » 22000 >' ISOOO » 26000 » 3500 » 25OO » 20000 2500 fl. 256500 (1) Membr. 39, (XXVII), fog. S5 segg. (2) Arch. di Stato fiorentino. Provigionì, 162, fog. i7ob, 12 nov. 1470. — 150 - A cui stavano di contro le seguenti spese: Spese d’amministrazione del monte......A- 5000 Camarlinghi del contado.........» 1000 Interessi del monte (paghe dei cittadini). . . • » 148000 Al signore Othone per legge.......» 1200 Al monte di più luoghi facti supportanti per legge...............» 6000 Al monte de depositi..........» 1600 Al monte unito delle fanciulle.......» 165000 Al monte quarto delle doti........» 33000 Al monte della mensa..........» 18000 Alle ricompere si fanno di detto monte (ammortamento del debito)..........» 8°°° fi. 386800 ai quali erano da aggiungersi altri 1900 fioreni largì da pagarsi al marchese di Mantova. L’amministrazione del debito lavorava dunque con un deficit di circa 130000 fl. (1). Abbiamo già fatto parola più sopra del monte doti e depositi. La grossa somma che doveva pagarsi per il monte delle fanciulle e doti mostra in quale vasta scala facevasi uso del-1’ « assicurazione dello Stato per il caso di matrimonio ». Sotto la denominazione di monte mensa, devonsi inten-tendere le spese correnti per il governo e la sorveglianza della città (2). Queste spese furono nel 1470 assunte a Fi- (1) Contro 80000 fl. d’interessi del Monte commune, 50000 H. per pagamenti fatti dal monte doti, per matrimoni, venivano calcolati come debiti scoperti del monte. Sugli abusi fatti sotto Lorenzo de Medici col monte delle doti cf. Reumont, Lorenzo de Medici, II, p. 301. (2) Pi-ov. 162, fog. 32b, 17 maggio 1470: « ufficiali del monte... siano tenuti a paghare la spesa della mensa, della signoria, rectori e famiglie della signoria, guardie del foco e cavallari, et la spesa de castellani, capitani e provigionati et altri con loro compresi e i depositi et capitani di parte pel conto delle forteze e le ricompere che sanno affare pel credito della mensa della signoria ». Simile era il monte dello studio , una spesa annua di 1000 fl. che l’amministrazione del debito pubblico doveva versare annualmente ai maestri di scuola (a maestri della schuola et a chi addoctrina et insegna pubicamente le latine lettere, 12 novem. 1470). renze dall’amministrazione del debito pubblico ed in tal modo, come a Genova , venne risparmiato ai cittadini il peso del-l’imposta diretta (i). Quanto differente però era a Genova ed a Firenze il carattere dell’amministrazione del debito pubblico, a cui era affidato il buon andamento della macchina dello Stato! Nella prima un’ organizzazione perfezionata e privilegiata dei creditori dello Stato, che stava di fronte al governo come forza indipendente e che faceva concessioni solo a prezzo di nuovi privilegi; a hirenze invece troviamo alla testa dei monti, uomini che potevano essere obbligati dallo Stato a colmare di propria tasca le eventuali deficienze (2). I protettori di S. Giorgio trovaronsi talvolta investiti di poteri superiori a quelli dei dogi e de’ suoi anziani; la carica degli ufficiali del monte a Firenze era una carica ad honorem e perciò essa era volentieri evitata, mentre la fazione governante la addossava ai suoi ricchi rivali, per rovinarli. A Tirenze non venne abolita l’imposta diretta, anzi vi si fecero dei miglioramenti. Già sotto i Medici nel 1458 furono rivisti i catasti, e dopo , secondo le proposte del Savonarola e del Guicciardini, si procurò di aumentarne le entrate, avendola nel 1494 trasformata come decima in una imposta fondiaria (3). Lo Stato evitò ulteriori debiti, dando termine al-1’ antico sistema dei prestiti forzosi con interesse e aumentando le imposte come vere imposte o come prestiti forzosi infruttiferi (4). (1) 12 novem. 1470: « E necessario provedere al monte della mensa, el quale arrecha grandissima utilità alle borse dei cittadinini, perchè vi risparmia l’anno due catasti che sarebbono necessari porre per dette spese, che sono al tutto necessarie ». (2) Prov. 162, fog. i6Sb, 12 nov. 1470: « si elegghino cinque ufficiali del monte..... e quali sieno tenuti prestare al Comune et per detto commune pagare alla Camera fl. 40000..... in modo che detti ufficiali nuovi restino creditori al monte e la camera habbi creditore il monte et restigli debitore ». (3) Ricca Salerno, Storia delle dottrine finanziarie, pag. 73. (4) Paolini , Ragionamento storico polìtico sul debito pubblico della Toscana, Atti dell’Accademia dei Georgotìli di Firenze, IX, 1831 , pag. — 152 — Potenza politica della Casa di S, Giorgio al principio del XVI secolo* In seguito all’ abolizione della imposta sulle sostanze, la Casa di S. Giorgio, essendo diventata, il sostegno dello Stato genovese anche nei tempi di pace potè assodare quel prestigio che dopo la perdita delle colonie era un po’ scosso. Però negli ottant’anni successivi diventò nuovamente padrona di territori. Il duca di Milano non potè sostenersi in Corsica. Nel 1468 i Còrsi si erano sollevati, rifiutandosi di pagare le imposte. Poi il paese si tenne indipendente sotto capi propri, che esercitavano alternativamente il potere , fino a che Tommasino de Campo Fregoso macchinò un altro colpo sull’isola (1). Nel 1478 verso pagamento di 4000 lire milan. annue, ebbe in feudo la Corsica dal duca di Milano (2) ; ma volendo ricavare dal paese delle tasse più forti, subito perdette le simpatie dei Còrsi (3). Allora nel 1482, il doge Battista Fregoso, che era al potere fino dal 1478, passò nuovamente alla Casa di S. Giorgio la Corsica e specialmente la città di Calvi ; questa volta però il governo s’impegnò di pagare alla Casa 1000 fl. (1250 lire), altrimenti la Casa si sarebbe rifiutata di riceverla (4) ; le pretese del Tommasino furono soddisfatte con 2000 ducati (5). La Casa di S. Giorgio prese possesso dell’isola mediante il commissario Francesco Pammolio sotto il quale e sotto il successore di lui, il paese godette un po’ di pace. Ma nel 1487 Giovanni Paolo, sorretto dagli intrighi di Tommasino Fre- 202. Ehreniserg, Zeitalter der Fugger, I, pag. 36, nota 32; nel 1557 Firenze doveva sempre pagare 63472 ducati d’interesse sui debiti. RrccA Salerno, pag. 96, nota 2. (r) Hisioire de la Corse, I, pag. 349, 340, 363. (2) Bulellin de la Corse, II, pag. 611. (3) Hist. de la Corse, pag. 375. (4) Membr. 34, XXIIII, fog. 49b. (5) Hisioire de la Corse, I, pag. 379. - 153 — goso, inalberò la bandiera della rivolta , che fu repressa col sangue. I funzionari della Casa col pugnale e col veleno infierirono sui rivoltosi; borgate intere vennero incendiate, e i beni dei capi confiscati. In tal guisa Ambrogio di Negro riuscì nel 1489 a ristabilire la quiete (1) e nel palazzo di S. Giorgio gli venne perciò eretta una statua (2). Ma nuove sommosse accaddero nel 1501 e 1503; nel 1507 Andrea Doria si acquistò i primi allori in servigio dei protettori di S. Giorgio. finalmente dopo che coll’intromissione della Francia si venne a patti con Rinuccio, capo degl’insorti Còrsi, il paese godette d una pace più lunga (3). La Corsica non era il solo possedimento di S. Giorgio. Nel 1479 gli venne trasferito Lerici (4), nel 1484 Sarzana ed altri luoghi situati verso i confini della Toscana. Le spese straordinarie per la difesa di queste piazze erano a carico comune del governo genovese e della Casa (5). Quanto alla potenza politica della Casa di S. Giorgio al principio del XVI secolo , è significante il fatto che era non solo rispettata dai più potenti sovrani esteri — come re Luigi XII, che assumendo nel 1499 la signoria di Genova, riconobbe espressamente tutti i privilegi della Casa di S. Giorgio (6)— ma che nei moti popolari del 1506 e 1507 anziché tentare, come nel 1339, di distruggere le compere, si preferì approfittarne per i propri scopi. (1) Histoire de la Corse, I, pag. 383-410. (2) Banchero, pag. 421. (3) Histoire de la Corse, I, pag. 460 segg. (4) Lobero, pag. 84. (5) Lib. Jur, VI. (Paris) fog. 20 : « civitas Sarzane, loca Sarzanelli, Castrinovi, Ortusnovi e S. Stephani ». Nella pace fra Genova e Firenze del 14S6 Pietra Santa, Castelnovo, Ortonovo, e Falcinello vennero aggiudicate a Firenze, Sarzana e Sarzanello a S. Giorgio. Lobero , pag. S5. Dopo aspre lotte S. Giorgio dovette lasciare nel 14SS questi posti per un certo tempo nelle mani dei Fiorentini. Giustiniani, Annali, fog. 242-244. Macchiavelli, /lisi. Fior. Vili. Più tardi i Genovesi ebbero Sarzana di ritorno verso pagamento di 25000 ducati. Guicciardini, Historia d'Italia, III, Ediz. 1621, (pag. 291). (6) Membr. 42, (XXIX), fog. 1, cap. 20: «de non concedendo aliquid in prejiudicium comperarum », cap. 35 a 37. — 154 — Il 26 ottobre 1506 all’officium balie, fu accordato dalla Casa di S. Giorgio un prestito di 1600 luoghi. In cambio fu concesso alle compere, il 2 febbraio 1511 di introdurre un dazio da un quarto a un mezzo per cento, il quale avrebbe servito a pagare gl’interessi di luoghi da emettersi (1). Inoltre la Casa prese un’ipoteca generale sui fondi d’ammortamento (2) e sulle imposte del comune, meno che sopra quelle delle sostanze alimentari. Il 19 aprile 1507, quando l’esercito del re di trancia si avanzava per punire la città ribelle, furono prese a prestito, per salvare la città, 150000 lire per un anno dalla Casa di S. Giorgio, a cui in compenso vennero confermati tutti i privilegi, la signoria sulla Corsica, i diritti sulle imposte, sul monopolio del sale e per di più le fu dato in pegno un dazio di 7* % (3). Il re vittorioso minacciò per un istante di annullare tutte le franchigie a Genova e tutti i privilegi alla Casa di S. Giorgio; venne però a più miti consigli (4), e come aveano fatto i nemici di Francia, similmente gli uomini che dopo 1 ingresso del re ressero la città, si valsero della Casa di S. Giorgio 0 le accordarono privilegi (5). Verso un prestito di 200000 scudi essi accordarono alla Casa il diritto di rifarsi, non solo valendosi dei fondi d'ammortamento, ma imponendo pure tasse a piacere per proprio conto (6). In quel tempo Machiavelli poteva ben scrivere che Genova offriva all’ uomo politico un aspetto eminentemente ca- (1) Membr. 42, (XXIX), fog. 69: « super quibus possint imponi loca per agentes pro comperis ». (2) « Loca exdebitationum lapidum ». (3) Fog. 79: « pro liberatione et salvatione civitatis et rei publice ». (4) Guicciardini, Historia d'Italia, VII, (ediz. del 1261, pag. 754): « ancoraché havesse deliberato di privare i Genovesi d’ogni amministrazione ed autorità ed appropriare al fisco quelle entrate, che sotto nome di S. Giorgio appartengono ai privati ». (5) Membr. 42, fog. 8r, 12 maggio 1507: « officiales balie ad recuperandam gratiam regis francorum ». (6) « Assignant S. Giorgio impositionem omnium et singularum gabellarum et drictuum cuiusvis generis, quos imponere voluerint agentes pro dictis comperis ». rattenstico. Mentre l’organizzazione dello Stato era affetta dai mali più seri, e altro non era che un ricettacolo dell’arbitrio e della tirannia, accanto ad essa ne esisteva un’ altra, ricca di mezzi, forte all’ interno e all’ estero , cioè la Casa di S. Giorgio, la quale solo coll’ integrità della sua amministrazione gai antì la continuità dello sviluppo politico della città, e col tempo sembrò poter assorbire in sè tutta Genova (i). Cangiamento della costituzione genovese nel 1528* La sollevazione di Genova del 1506 fu un ultimo tentativo per ristabilire una costituzione nazionale sulle basi di quella del 1339. Vedemmo come la nobiltà, esclusa dal 1339 in poi dal dogato, cercava acquistare influenza appoggiandosi a principi stranieri. Secondo i regolamenti, essa occupava quasi sempre metà delle cariche pubbliche, mentre 1’ altra metà era devoluta ai mercanti ed artefici. Le sollevazioni delle famiglie dei dogi popolari , specialmente dei Fregosi, contro le dominazioni straniere di Francia e di Milano, si appoggiavano principalmente sugli artigiani (2). Ma i membri del popolo di Genova non erano unanimi fra loro e la nobiltà aizzava le inimicizie delle rivali famiglie dogali, cioè dei F regoso e degli Adorno (3); i Fieschi favorivano gli Adorni, 1 L)oria, i Fregosi. Il fatto più pericoloso era che a motivo duna differenziazione sociale, nasceva un conflitto d’interessi nel seno del popolo stesso. Una parte dei negozianti popo- (1) Ilist. Fior. Vili, 1484, (ediz, del 1819, II, pag. 365): « quello ordine solo mantiene quella città piena di costumi antichi et venerabili, e s’egli avvenisse (che col tempo in ogni modo avverà) che S. Giorgio tutta quella città occupasse , sarebbe quella una repubblica , più che la Veneziana memorabile ». (2) Bibl. dell’Università, C, V. 12, (confr. Olivieri, Carte, pag. 76), fog. 91, i449; << Conventione del populo di (ìenova (cittadini arteixi) con Petio Canipofregoso.... per oviare che questa cita capite sotto seguoria forastiera », Giustiniani, Annali, fog. 237b, 147S. Confronta Sieveking, Genueser Seìdenìndustrie, pag. 115. (3) Giustiniani, fog. 240. - 156 — lari avevano raggiunto una tale ricchezza da poter competere coi nobili e ritiratisi dal commercio gareggiavano con questi in profusione di spese di lusso (i). Le sorti della costituzione genovese dipendevano dal modo con cui si sarebbero comportati i ricchi e potenti popolari. A Firenze, il buon accordo fra il popolo grasso e minuto avea potuto annientare la nobiltà, come classe, e trarla nella propria orbita. A Genova la lega fra mercanti e artefici aveva solo contribuito a tenere precariamente i nobili in disparte. Già una volta alla fine del XIV secolo , la classe popolare ricca, essendosi staccata dagli artefici, aveva aiutato la vittoria della nobiltà. Nel 1506 la classe popolare, da principio compatta, domandava una più ampia partecipazione ai pubblici uffici, limitando cioè ad un terzo quella dei nobili, mentre gli altri due terzi dovevano andar divisi fra le due classi del popolo (2). Però quando in una sommossa si era riuscito ad allontanare i nobili dalla città, la parte ricca del popolo cominciò a pentirsi della sua lega colle classi inferiori , poiché il furore del popolo armato sembrò volersi ritorcere anche contro i suoi tesori. I mercanti non poterono padroneggiare il movimento, che sempre più cadeva nelle mani degli artigiani; questi abbatterono il governo francese, ed inalzarono a doge uno dei loro, il tintore di seta Paolo da Novi. Questa signoria però durò poco, solo alcuni mesi, poiché re Luigi XII di Francia conquistò la città e rimise in seggio i nobili (3). Le lotte dei partiti degli anni seguenti si risolvettero nelle riforme di Andrea Doria dell’anno 1528. Quest’anno segna una nuova fase nella storia genovese. La costituzione del 1339, (1) Senarega, Annali, col. 581 : « nimias paucorum opes in summo otio ». (2) Giustiniani, Annali, fog. 260. (3) Luigi XII, malgrado la fortezza costruita al Capo di Faro nel 1512, non seppe tener testa ad Ottaviano Fregoso, mentre questo potè sostenersi più a lungo senza la fortezza, che da dopo averla conquistata non aveva più riattata. Ciò serve a Macchia velli, Discorsi, II. cap. 24, per dimostrare la inutilità delle fortezze. — 157 — fatta sulla base d’una combinazione dei tre stati, nobili mercanti e artefici sotto un doge popolare, venne definitivamente abolita. La sovranità, dalla popolazione costituita delle tre classi e queste ulteriormente suddivise per colori, neri o ghibellini e bianchi o guelfi, passò alla nobiltà organizzata in 28 alberghi. La nuova nobiltà genovese componevasi, delle famiglie nobili antiche, e di famiglie appartenenti alla classe popolare superiore, 23 dei nuovi alberghi portavano il nome di famiglie nobili, 5 di famiglie del popolo (1), però anche negli alberghi nobili, furono ammesse famiglie del popolo appartenenti alla casta dei commercianti e degl’ imprenditori (2). Le riforme dell’anno 1528 significavano 1’eguaglianza dei diritti della classe popolare più eminente coi nobili, riconosciuta dallo Stato genovese. Effettivamente già da molto tempo in questa classe popolare, come negozianti viventi alla guisa di cavalieri, non si notava più una certa differenza colla nobiltà antica; anzi, fuori di Genova, erano reputati come nobili (3) , talché i privilegi concessi al ceto popolare della citta, indussero alcuni nobili ad ascriversi ad esso. La costituzione del 1528 si basava sull’alleanza dei nobili Coi mercadanti (corrispondenti al popolo grasso di Firenze) contro gli arlijìces; gli operai, come classe, furono privati dei loro diritti politici, e solo alcuni singoli poterono arrivare ad essere inscritti nel libro d’oro della repubblica (4). (1) I Salili, De-Franchi , Giustiniani, Promontorii e Fornarii, Relazione 1597, cap. III. (2) Leggi 1576, cap. III: « L’arte della seta, della lana o dei panni non fa pregiudicio alla nobiltà ». (3) Div. Catte. 23 decem. 14S9 cita: « Illustr. comites atque magnifici milites domini Augustinus et Johannes Adurni ». Ai Giustiniani fu concesso nel 1413 dall’imperatore Sigismondo come arma, un castello d’ argento con tre torri in campo rosso. Genova, Arch. di Stato, manuscr. 259, « conventiones insule Chii », fog. 46. (4) S/aiuta, 1528, L. (Paris), f. 129. Ogni anno possono essere ammesse 7 persone inferioris ordinis nei 2S alberghi, anche forestieri « qui ibi domicilium habitaturus trasmigrare velit nec mechanicam artem exercere ». Tuttavia sui tentativi di escludere i Serrabotteghe (gli artefici) Fino dal XIII secolo, la nobiltà genovese erasi concentrata in alberghi. Questi alberghi non comprendevano necessariamente parenti consanguinei; erano principalmente un’organizzazione politica riconosciuta dallo Stato per quanto concerneva le imposte, la leva e la distribuzione degli uffici (i). Anche famiglie del popolo, come i Giustiniani, si erano costituite in alberghi, ma tali alberghi popolari non furono riconosciuti dallo Stato prima del 1528; i Giustiniani, come tutti i popolari, furono tassati a norma della contrada nella quale abitavano (2). Ancorché anteriormente la parentela a-vesse avuto poca influenza per appartenere ad un albergo, e quantunque essa avesse avuto una vera importanza solo nei grandi alberghi dei Grimaldi, dei Fieschi, dei Doria e degli Spinola, tuttavia gli alberghi del 1528 soltanto, furono ritenuti organizzazioni politiche, nelle quali si trovarono riunite famiglie diverse, spesso nobili e popolari insieme. Sulle condizioni di diritto privato l’appartenere 0 no ad un albergo non aveva alcuna influenza (3). Notammo già come l’organizzazione dei creditori dello dalla classe governante, a cui non si riuscì se non che nel 1600 qnando si chiuse la nobiltà genovese, confronta Stella, marchesi, nobili, patrizi genovesi e nobili generici (Genova 1903) pag. 18. (1) I, pag. 74. Confr. Statuta et decreta, 1498, I, cap. 10: « De com-mitendis propinquorum questionibus in albergina (duobus bonis viris de albergo). Domenico Grimaldi, Riflessioni confutanti il parére da un A-nonimo dato sopra le dispense Grimaldi, Genova, 1768, definisce pag. 13, albergum come « radunanza di più famiglie di diverso cognome che lasciato il rispettivo originario, un altro di convenzione per privato contratto nel 1200, 300 e 400 ne hanno assunto ». Il numero degli alberghi diminuì nel corso del XV secolo; mentre la gabella possessionum del 1422 parla di 70 alberghi, il cartularium focagiorum nobilium del 1479 (sala 41, N. 536) ne cita solo 35. La peste del 1527 distrusse completamente alcuni alberghi, e di qualche altro non conservò che pochi membri. Dom. Grimaldi, pag. 17. (2) I, Pag. 75 e 217. (3) Wiszniewski, pag, 42 segg. Nel 1766 fu deciso, che un ramo della famiglia Grimaldi, che non apparteneva all’albergo politico dei Grimaldi, dovesse pure essere ipso iure de veteri albergo Grimaldorum per il solo fatto della parentela. — 159 — Stato apparecchiasse in certo modo la reazione plutocratica del 1528 e la nuova costituzione dello Stato riconobbe i diritti della Casa nel modo più ampio col contractus solidationis del 1539. Il contractus solidationis del 1539* Il governo genovese come al solito , e specialmente nei torbidi cagionati dalla crociata aperta da Carlo Vili contro Napoli nel 1494, ricorreva alla Casa di S. Giorgio per aiuto nelle sue strettezze finanziarie (1). Tale aiuto consisteva prima in prestiti a breve scadenza (2), poi in paghe, che ordinariamente si sarebbero dovute impiegare nell’ estinzione del debito (3), finalmente in nuovi luoghi, per i quali il governo assegnava nuove imposte. Però la massa di questi affari aveva enormemente complicato i conti fra il governo e le compere (4), talmente che si sentì il bisogno di semplificarli. Ciò condusse ne^ I5I3> I5I4> I5I9> 15-6, 1530 e 1531 a contratti, che possono essere considerati come prodromi del contractus solidationis del 1539. Il debito del governo fu consolidato colla conversione in luoghi fruttiferi , delle obbligazioni e delle paghe, che non fossero state regolate il giorno della scandenza, e che il 28 gennaio 1513 erano rappresentate dalla vistosa cifra di 32297 luoghi, 90 lire, 6 soldi, 4 denari (5). (1) Ehrenberg. Zeitaller der Fugger, I, pag. 326. (2) Per es. Membr. 42 (XXIX), fog. 36a, il 12 agosto 1504 fu dato « propter inopiam erarii publici » dai protettori una fides di L. 15000 ali’ officium balie, in seguito a deliberazione del Consilium maifis S. Georgii. (3) Fog. 9b, 14 febbr. 1500: gli eredi dì Luciano Spinola, danno il loro consenso, perchè 20000 lire che erano destinate per l’estinzione dì una gabella « in stipendiis militum qui tunc petebantur, converti possint ». (4) Fog. r45a- 11 12 nov. 1510 il debito pendente del governo verso S. Giorgio venne stimato a 240000 lire « tam de numerato quam de pagìs diversorum annorum mutuata in diversis partitis dicto communi ». (5) Membr. 44 (XXX), fog. 30: « ingentia debita, de quibus excelsum — i6o — Però a questo debito del governo si contrapponeva un credito consistente nel fondo di ammortamento che si metteva in riserva all’atto della creazione d’ un nuovo debito ed i cui luoghi inamovibili erano chiamati arbor o lapides in contrapposto ai loca currentia che circolavano nel commercio (i). Il credito fu calcolato in 17 915 luoghi, 17 lire, 6 sol. Nel contratto del 28 gennaio 1513, si fece una compensazione fra questo debito e questo credito del governo, in forma che l’interesse sul credito fosse del 4 '/4 % annuo > mentre il governo fece un defalco sull’ interesse del suo debito; l’interesse rimase per tal modo del 2 3/4 % (2)• Si sperava di poter così ristabilire l’equilibrio in 12 anni. Oltre a queste disposizioni sull’ utile impiego del fondo d’ammortamento, il contratto ne contemplava altre che riguardavano i redditi assegnati alla Casa di S. Giorgio. La cessione dell’ introito derivante dal monopolio dell importazione del sale accordata nel i5I0> venne confermata, ed inoltre le fu garantito un introito di almeno 38821 lire sulla gabella censarie (tassa sul movimento degli affari). Il sopravanzo doveva andare a profitto delle compere, volendo il governo colmare il vuoto degl’ interessi del fondo di ammortamento (loca lapidum). Il contratto del 1513 non mise un argine ai debiti. Genova era sempre mescolata nelle lotte per la supremazia in Italia. Ora apriva le porte ai Francesi, ora li cacciava fuori delle sue mura. Ogni cangiamento dei suoi capi rendeva necessaria la ricerca di nuovi espedienti. Il debito del governo verso commune tenebatur etseu tenetur comperis S. Georgii etseu participibus earum ». (1) « Pro eo, de quo commune debitor erit, possint agentes pro comperis solutionem consequi de proventibus locorum lapidum videi, in illis qui remanere debent pro arbore et capitali ». (2) « Singulo anno fieri debeat adequatio respiciendo tam ad proventus quam ad rationamentum locorum ». Confronta 1514: « ad bonum com-putum, si plus aut minus capiant loca ipsa tempore venditionis ipsorum, computatis locis Janue venditis ». Il governo si regolò quindi secondo il valore corrente dei luoghi, quantunque avrebbe previsto un corso di 56 o 54. Confronta, I, pag. 101-102. — 161 — la Casa di S. Giorgio giunse a tal punto (i), che il 12 febbraio 1514 si dovette stipulare un nuovo contratto, nel quale trattavasi principalmente di garantire alla Casa un reddito fisso sulle imposte assegnatele (2). I contratti posteriori contenevano disposizioni analoghe (3). Il governo nel momento delle sue maggiori strettezze cercava di trarre il massimo profitto dai fondi d’ammortamento a sua disposizione e con aumenti sulle imposte esistenti. Questi contratti ebbero la loro conclusione nel contractus solidationis conchiuso il 23 decembre 1539 fra il governo, il doge Andrea Giustiniani ed i governatori e procuratori a ciò autorizzati il 14 dicem. 1538 da un consiglio di 400 cittadini, da una parte, e dall’altra parte le compere di S. Giorgio, I'officium del /539, /’ officium precedentis del 1538, e /’ officium del 1444, che avevano ricevuto pieni poteri in un gran consiglio dei participes comperarum del 23 sett. 1539. Questo contractus solidationis rimase nei tempi posteriori la legge fondamentale ed il principale privilegio delle compere (4). Le principali disposizioni generali di questo contratto relative alle imposte ed ai fondi di ammortamento sono le seguenti : \ E confermato l’assegno di tutte le gabelle date in pegno (1) Secondo la membr, 44 (XXX) risultano nel 1513 le seguenti partite di debito verso la Casa di S. Giorgio : 27 giugno........150000 lire 4 luglio........180000 » 8 agosto........80000 » 17 ottobre........22500 » 7 novembre.......100000 » « in scriptis bancorum termino mensium 6 » etc. etc. (2) Membr. 44 (XXX) fog. 84 segg. : « posuerunt pretium gabellis et introitibus infrascriptis et sive eas rationaverunt annuatim et in perpetuum ». (3) « Bonum esse devenire ad solidationem omnium rationum quas compere habent cum dicto communi ». 11 marzo 1519» fog. i03b. (4) Membr. 47 (XXXIII) fog. 34-4S, una copia Civica D, 4, 4, 2, Ag. Lomellino nelle trattative chiama il Contratto « questo benedetto saldo ». L’accordo definitivo ebbe luogo « hora II noctis accensis non tantum tri-bus verum etiam pluribus luminaribus ». Atti Società Ligure Storia Patria. Voi. XXXV, P. II. 13 - 1Ó2 — alle compere. Per assicurare l’incasso di queste gabelle, il governo s’impegnava di non imporre nuovi balzelli senza il-consenso delle compere (i). I protettori potevano riformare il sistema d’esazione delle imposte, mediante aggiunta di due rappresentanti del governo, da nominarsi dai procuratori (2). Il governo poteva ingerirsi nellamministrazione corrente delle imposte solo quando trattavasi di privilegi (3). Le compere promisero di destinare 600 luoghi come fondo di ammortamento di diverse gabelle, ma il governo nnunzio espressamente a qualunque controllo sull’impiego del denaro di questi fondi. Alle compere venne pure lasciata una serie di luoghi (co-lumne lapidum) della quale il governo poteva disporre, colla condizione che 550 luoghi dovessero passare al fondo d’ammortamento per 1’ acquisto di nuovi luoghi. Il governo promise inoltre di lasciare alle Compere di S. Giorgio, su qualunque nuovo prestito forzoso, 0 compera, un decimo del capitale fino a 1500 luoghi di S. Giorgio, dei quali 1000 a favore del fondo d’ammortamento e 500 a favore degli interessati delle compere (4). (r) Non possit imponi gabella seu additio nisi cum consensu agentium pro comperis ». Confr. pag. 112-113. (2) « Liceat agentibus pro dictis comperis una cum interventu et consensu MMDD Justiniani et J. B. Aurie duorum ex MMDD Procuratoribus, in quorum defectu una cum aliis duobus ex MMDD Procuratoribus Exc. Reipubl. pro tempore existentibus nominandis per agentes pro comperis pred. S. Georgii reformare venditiones quarumcunque gabellarum , dri-ctuum, caratorum, introituum , devetorum illisque addere et ab eis amputare quecunque capitula, ex quibus judicio ipsorum regulare possent lites seu contentiones inter collectores et debitores ipsorum et inter introitus, dummodo non augeatur vel diminuatur onus exationis earum ». (3) « Dux etc. . . . non possint se intromittere in gabellis nisi respectu francorum et conventionatorum ». (4) « Quibuscunque mutuis et accomodationibus de cetero faciendis quavis de causa quantumcunque necessaria nulla exclusa possint et debeant agentes pro dictis comperis habere et in se retinere decimam partem omnium dictorum mutuorum seu accomodationum de cetero faciendorum usque quo habeatur summa locorum 1500 dictarum comperarum ex quibus locis 1500 scribi debeant in colunnis Iapidum 550 ex primis I protettori promisero in nome delle compere di aumentare di 17000 lire vionete currentis la dotazione annua del governo che era di 33000 lire, e d’inscrivere nel conto del governo {supra ducem, gubernatores et procuratores) un importo ^ 3 500 luoghi, tesoro dello Stato, per il caso di bisogni straordinari. II governo fece promessa, in casi di difficoltà, di provvedere per riparare ai danni delle compere. Queste avevano sicurtà sufficienti per non temere che questo aiuto fosse per mancare loro. Infatti esse avevano in mano tutti i mezzi dai quali si ricavavano tutte le spese ordinarie e straordinarie dello Stato. Esse potevano fermare questo meccanismo e lasciare lo Stato in secco. Vero è però che in questo caso lo Stato avrebbe potuto usare la forza e annullare i privilegi della Casa. E anche da notarsi che i protettori erano del paese, tutti patriotti genovesi come gli uomini che sedevano al governo, spesso più disinteressati di questi e consci delle loro responsabilità per il pubblico benessere. Solo con queste considerazioni si può capire come le concessioni del contractus solidationis del 1539, enormi se considerate dal lato formale, e che mettevano lo Stato in assoluta balia dell’organizzazione dei suoi creditori, possono ritenersi non già come fine dello Stato genovese, ma bensì come un accomodamento, che in quelle date circostanze era vantaggioso anche allo Stato. Però 1 iniziativa per combinare questo « benedetto saldo » partì dallo Stato. Oltre alle disposizioni fondamentali sui rapporti dello Stato colla Casa di S. Giorgio, il contratto del 1539 contiene una serie di ordinanze in materia d’imposte, specialmente sulla riunione di certi dazi e gabelle, per modo che esso appare come un consolidamento d’imposte, paragonabile a quello di Pitt dell'anno 1787. locis procedentibus ex dieta decima loca 1000 cum modis et formis sub quibus debent remanere loca 550. Reliqua vero loca 500 percipienda ex dictis decimis libere spectent dictis comperis et participibus earum ». • % — 164 — Le gabelle assegnate alla Casa di S. Giorgio. La somma capitale, annualmente variabile, del debito pubblico genovese, consolidato nelle Compere di S. Giorgio, che nell’anno 1407 era di circa 3 milioni di lire, era asceso nel 1509 a 19318549 lire, e nel 1531 raggiunse la cifra di 39762430 lire, 12 sol. 9 7a den., nel 1540 salì a 41648753 lire 1 sol. ‘/2 den., e nel 1544 a 47711251 lire, 15 sol. 7 den. Con questa cifra il capitale di S. Giorgio raggiunse un limite che nei secoli seguenti non aumentò sensibilmente, talvolta anzi diminuì. Fra il 1559 ed il *572 1* s°mma del debito oscillò fra 40 e 42 milioni di lire, nel 1591 salì a 43 »/, milioni, essendo poi ricaduta a 42 milioni al tempo dello Scaccia (1). Secondo la relazione del 1681 vi erano 4767o6 luoghi, 45 lire, 9 sol. 5 den. (2); nel 1738 476110 luoghi, 20 lire, 12 sol. 10 den. (3); nel 1805 46437238 lire, 12 soldi, 3 den. di svì / /vn pvn Tn i A i Per l’estinzione e per il pagamento degli interessi di que-sta somma vennero assegnate alle compere nel 1539. 7* gabelle , fra le quali passeremo ora in rassegna le più importanti. . . . Prima di tutto ci si presentano gli introiti già impegnati alle compere capituli, derivanti dalle sostanze del Comune, dalle campagne e dalle case, specialmente da quelle sul porto (5) ed inoltre dei redditi provenienti da Voltaggio. La tassa sugli stipendi da pagarsi all’ atto di entrare in carica fu aumentata nel 1528 e poi nel 1577 (6)- (1) Summe locorum. (2) Civica, D, 2. 6, 14, fog. 39. (3) Accinelli, Compendio della Storia di Genova, II, pag. 313. (4) Torino, Arch. di Stato. Materie economiche, S. Giorgio, Relazione de Marini, i.° marzo 1815. (5) I» pag- 81, pag. 164. Membr. 14 (XIII), fog. 157: « introitus em- bulorum, terraticorum, domuncularum ». (6) « Gabella staliarum », Membr. 14 (XIII), fog. 150. Inoltre una competenza per l'ingresso nella corporazinne dei notai: « admissio juvenum in collegio ». - i65 - Per spese di giustizia l’attore doveva pagare nelle cause civili 8 l/i den. per lira, 3 21/4g °/0 del valore della cosa contestata; la metà in cause commerciali (1); in appello, l’appellante doveva pagare 6 3/4 den. per lira. A ciò sono da aggiungersi le multe (2). Quanto alle imposte sul commercio sono da citarsi per prime le competenze di pesatura. Nell ufficio principale di pesatura, i Genovesi, compresi gli abitanti delle vallate, i Milanesi ed i Tedeschi erano in migliore condizione degli abitanti delle Riviere e degli altri stranieri. Le competenze erano 3 3/s, 4 Vs» 9 V5 den- (3)- "Vi era inoltre una pesatura speciale per i legnami e per i grassi (4). Per gli alleggi che appartenevano al governo , era prescritta una tariffa ufficiale. I platarolii che portavano le merci dalle galee a terra, dovevano dare al fisco parte delle competenze, che riscuotevano dal proprietario della nave (patronus coche) (5). L imposta più importante e produttiva fra quelle del commercio, era il dazio generale del porto, Xintroitus caratorum 6<0 mans, a cui erano annessi dazi sopra rami speciali del commercio, come i drictus Anglie et Flandrie, Barbarie, Ale-xandne, super rebus et negotiatione Syrie, Chii, e che veniva riscossa in dogana al piano terreno del palazzo di S. Giorgio. In origine il dazio portuale colpiva non solo le merci d’importazione e di esportazione, ma pure le navi. Per rianimare (11 L 'introitus pignoris bandi de questionibus officii mercantie et officii bancorum, si era elevato fino dal secolo precedente da 3 a 4 */g den. per lira, I, pag. 164, Membr. 14, (XlIIj, fog. 136. (2) Membr. 14 (XIII), fog. 169: « introitus condemnationum, de quibuscunque forestationibus fiendis per d. potestatem et eius curiam exceptis forestationibus criminum lege majestatis et illorum quibus pena ultima veniret imponenda ». (3) Membr. 14 (XIII), fog. 162. L’introitus quaranteni venne unito nel 1539 co\Y introitus marcarmi. (4) Fog. 143: « Occasione officii ponderatorum lignorum, calcine et grassie ». (5) La tariffa importava 50 sol. per platata, Vintroitus piatarum 6 sol. per platata, Per grano, sale, allume, e ferro vigeva una tariffa speciale. — 166 — la navigazione venne accordata nel 1442 franchigia d imposta per ogni nuova nave da costruirsi per i viaggi di Caffa e Pa-magosta (1). I carati maris, secondo le tariife del XVI secolo, non erano altro che un dazio sul valore delle merci d’importazione e d e-sportazione ; l’aggravio che prima stava a carico degli armatori era stato tolto (2). Per le merci che passavano per la dogana, furono compilate delle tabelle di prezzi, da otto comerchani, quattro eletti a sorte e quattro dai protettori (3). Però queste tabelle non bastavano per evitare contese fra i negozianti e gl impiegati daziari sul valore di certe singole merci. I negozianti doveano indicare il prezzo al quale intendevano che la loro merce fosse tassata. Se entro le 24 ore gl’impiegati di dogana non facevano osservazioni, s’intendeva che quel prezzo era accettato; in caso contrario, potevano prelevare in natura la percentuale di merce loro spettante secondo il peso di dogana (ad pondus dugane), e avevano inoltre il diritto di prendersi un’altra quantità eguale di merce (aliud tantundem) d- prezzo indicato dal negoziante (4). Per importi di dazi di 50 lire e più, i negozianti potevano farsi accordare credito, per un anno, contro garanzia in luoghi (1) Div. S. G. 13 gennaio 1442: « Navis una elevanda hoc anno pio Peyra et Caffa, que naviget usque Caftam, sit franca et immunis pro coi pore tantum », e così pure « navis una elevanda prò Famagusta et Siria, dummodo annaviget usque Famagustam et ad partes Sirie et redeat Ja nuam non mutato viagio ». (2) I, pag. 165. Membr. 14 (XIII): « Vasa quecunque navigabilia parva et magna tam fabricata quam fabricanda et tam forensium quam Januen sium non teneantur pro corporibus et naulis ». Confr. fog. 11 e 12 febb. 1563, « pervenire debeant in comperas L. 5500 pro pretio traicdorum maris, qui restabunt pro annis 5 suspensi et non exigentur ». (3) « Pro rebus, quibus poni non posset pretium nisi dietim, pretia poni debeant in dies secundum quod opus fuerit ». (4) Membr. 14 (XIII) fog. 2: « Solvendo eas de numerato ad pretium predictum positum per dictos mercatores ponderando dictum aliud tan tundem non ad pondus dugane sed ad pondus Communis ubi ponde rantur dicte res et merces, quando venduntur, et cum suis solitis taris». Cfr. parte I, pag. 168, nota 6. — 167 — ° paghe di S. Giorgio. Se rinunziavano a questo credito, godevano dello sconto del 5 °/0 sull’ammontare delle imposte (1), 10 che era un favore per il commercio all’ ingrosso. Il dazio marittimo del 5 °/0> il carati maris, trovò la sua integrazione nel pedagium novuvi, dazio che veniva riscosso sulle merci che si importavano od esportavano per le strade del Bisagno, della Polcevera e di Voltri conducenti all’interno (2). Ira questi dazi generali non sono comprese le imposte speciali, cui andavano soggette le sostanze alimentari (3). Nell interesse delle industrie locali, eravi una serie di articoli che godevano di speciali facilitazioni sui dazi (4). Quanto alle tasse per compre e vendite, eravi la ripa grossa che importava il 7 l/2 % del valore delle merci ven-dute (5), mentre la ripa minuta colpiva i terreni, le case e le navi che venivano venduti (6). Nelle aste di roba vecchia dovasi pagare all’introitus calegarum 1 sol. e 8 den. per ogni lira ricavata dalla vendita (7). (1) Fog. 1: « ex libr. CV exactionis predicte libr. V », (2) La tariffa del pedagium de adventu et de exitu del 1526, comprendeva 14 risp., 12 rubriche. (3) Fog. 2 : « de grano, farina, castaneis, blavis, leguminibus et bestiis vivis exceptis avibus undecunque deferendis vel portandis Januam vel in districtum Janue nil solvatur », fog. 101: « Salvis et reservatis sale, grano, bladis et vino, pro quibus presens introitus non solvatur ». (4) I, pag. 176 , 177 ; sulle diminuzioni dei da^i a Firenze a favore delle industrie locali, confr. Pòhlmann, Wirtschaftspolitik der florentiner Renaissance, pag. 117 e segg.; sopra i privilegi daziari accordati a Tedeschi dimoranti a Genova, confronta Heyd, Der Verkehr der siiddeut-schen Stàdie mit Genita wàhrend des Mittelalters, Forschung zur deutschen gesc/iichte, XXIIII, pag. 213 segg. (5) Fog. 50. Confr. I, pag. 170, Manuscr. 239 , fog. 3 : « Pre=ens introitus colligatur et colligi debeat solum semel prò rebus que ementur vendentur, permutabuntur vel quomodo libet alio modo alienabuntur ». 11 guado pagava un dazio speciale. (6) Fog. 101: « a persona, que vendiderit domum, possessionem vel terram existentem in civitate Janue vel suburbiis et districtu » 7 s/3 den. per lira tanto dal compratore come dal venditore, « eodem modo de vasis fabricatis pro navigando, salvo quod diminui debet de dictis vasis quarta pars pro cordis, sartiis, armis et apparatibus ipsorum ». (7) Fog. 131: « super vestibus, rebus seu arnisiis, que venduntur per revenditores raubarum in publicis calegis », — 1 - — 168 — La gabella censarie era un nuovo aggravio sugli affari già colpiti dalla ripa grossa e minuta (i) e comprendeva pure altre transazioni. Questa imposta aumentata per parecchie aggiunte, venne regolata nel 1539 da una tariffa complicata. Per acquisti o per affitti di terreni e di case per una durata maggiore di io anni, quando il valore dell’oggetto non eccedeva 300 lire, doveansi pagare 4 1/i soldi per 100 lire e per importi maggiori 1 lira 7 soldi. Se la vendita d una casa aveva luogo col mezzo d’ un mediatore al pubblico incanto, la graduazione della tassa era inversa, si pagavano cioè lire 13 sol. 4 fino al valore di L. 300, la meta per importi maggiori. Così pure nella vendita di navi, l’imposta per una nave d’ un valore maggiore di 1000 lire era di una lira e 2 den. (per 100 lire), per valori minori 1 lira 8 sol. 4 1J2 den. Sulla vendita degli schiavi pagavasi 1 lira, 17 sol., 8 den.; per costituzione di dote da 150 a 800 lire, 1 lira, 18 sol., 9 den.; per noti maggiori solo 1 lira, 5 sol., 6 den. I noleggi di navi coperte , della portata di 300 cantari e più, e di navi coperte solo nella parte anteriore e posteriore e della portata di almeno 800 cantari, pagavano un’imposta di 2 lire, 11 sol., 6 den., ed i contratti di noleggio per merci I sol., 9 den. per balla. Per certe merci dfstinguevasi se la vendita era fatta per pezzi o a misura di capacità od a peso. È notevole che nella gabella censaria come nei carati maris erano accordate delle facilitazioni per i grossi affari. Alla gabella censaria andava unita la censaria locorum. Altre imposte gravavano assicurazioni (2) e cambi. Dazi speciali colpivano il legname, i mattoni, la calce (3). II dazio del ferro venne convertito in monopolio di vendita. Il compratore della gabella, devetum vene ferri, doveva isti- (1) Fog. 65, confronta I, pag. 170. Nel 1774, la ripa e la gabella cen-sariorum vennero riunite in una. Lobero, pag. 3° nota. (2) Fog. 110, 3 sold. « Si assecuratio fuerit de tribus pro centenario et abinde infra » altrimenti 4 sol. (3) « Gabella lignorum, introitus clapelarum et calcine ». — i6g — tuire magazzini a Savona, Albisola, Finale, Voltri e Genova, nei quali doveva essere riposto tutto il ferro che arrivava in Liguria; una quarta parte del ferro era preso dallo Stato (i). Nel 1566 fu imposto al compratore della gabella il dovere di provvedere sempre la città della quantità di ferro necessaria ai suoi bisogni. Gli fu imposto un prezzo di vendita di 7 lire per cantaro. La maggior parte del ferro veniva dall’isola d’Elba (2). Il commercio dei panni era gravato da speciali imposte, come la canna pannorum, la gabella fustaneorum, X introitus Imi, che da 1 soldo , com’ era nel secolo precedente, venne portato a 5 y# soldi prò torta (3). Fra le imposte sulle sostanze alimentari, il monopolio del sale occupò da tempo remoto il primo posto. Non solo il ricavato dalla vendita, ma tutta l’intera amministrazione del monopolio venne lasciata alla Casa di S. Giorgio. Il Comune non poteva aumentare il prezzo del sale se non col consenso delle Compere. Al monopolio della vendita collegavasi quello dell’importazione (conducte salis); oltre sale d’Ibiza e Hyères, preferito nel XIV secolo, se ne ritirava pure da Aigues-Mortes e Malta. Il sale distinguevasi in sal rubeus e albus (4). Il rubeus sembra tosse il sale di Ibiza, Xalbus quello che veniva dalla Provenza e dalla Spezia. Nel 1563 fu compilata la seguente tariffa per ogni singolo luogo di vendita : L. sol. den. Pro singula mina gabelle Hevise in gabella Janue..............7 15 — In gabella Rechi, Rapalli, Clavari . . . . 711 — » » Vulturi..........713 — » » Albisole, Saone, Vade .... 7 3 — » » Finarii, Toirani, Albingane, plebis (1) Fog. 123 « quarta pars (totius vene) cedat loco gabelle ». (2) Confronta sul monopolio del ferro, Lobero, pag. 95 nota. (3) I, pag. 172, Membr. 14 (XIII), fog. 135. (4) Appendice, VIII. Alaxii, Diani, Portus (Mauritii), Tabie, S. Romuli............619 — Salis Malte in Vado, Saona, Albissola.......5 8 Salis albi in gabella Ventimilie.........68 — » » Sigestri Levanti.......488 » » Spedie..........3 *6 8 » » Sarzane..........3 10 8 ■ L’amministrazione del monopolio provvedeva di sale non solo la Liguria, ma pure Milano (2). Tutti i posti dell’amministrazione del monopolio, fornitori o venditori, vennero concessi per 29 anni (3). Il guadagno di questi posti era sicuro , ma limitato , perchè la quantità del sale che veniva ad essi fornito, il prezzo di vendita e le mercedi da pagarsi ai lavoranti erano fissi. Mediante 1 incanto di questi posti, (minuslicitalio) la Casa di S. Giorgio si spogliava del rischio dell’amministrazione, però questo sistema non era utile per la qualità degl’ impiegati. ^Grano, farina, legumi e frutta come fichi, noci e castagne erano soggetti alla gabella grani di 12 sol. per mina. L imposta corrispondente nelle valli e località della Riviera di Levante conservò l’antica denominazione di gombetuvi (4). Oltre questo dazio d’entrata eravi un’imposta all atto della vendita del grano sul mercato. Genova aveva privilegio di (1) Confr. I, pag. 117. Membr. 14, (XIII), fog. 25. in mine gabelle equivalevano a 100 mine mensure magazeni, 145 mine gabelle a 100 mine mensure navis. Così l’amministrazione del monopolio otteneva un utile speciale adoperando una misura minore quando vendeva e maggiore quando comprava. (2) Membr. 44 (XXX), fog. 94, 1514: « Compere S. Georgii faciunt conductam salis albi cum agentibus pro Camera Mediolani de certa summa annuatim ». (3) Ivi : « Venditio gabellarum et conductarum salis debet fieri prò tempore annorum 29 ». (4) I, pag. 85 e segg. — i7i — tenere mercato, il quale non era concesso nelle valli dei Bi-sagno, della Polcevera e di Voltri (i). Infine eravi una tassa dei fornai, 1’introitus pancogolarum, che colpiva il pane destinato alla vendita (2). _ Il bestiame da macello soggiaceva ad un dazio d'introduzione per capo (3) ed un altro sulle carni e grassumi ragguagliato sul peso (4). Il pesce fresco era tassato secondo il valore, quello salato a barili od a peso (5). Per 1 olio eravi un dazio d’importazione e d’ esportazione al passaggio del confine del distretto (6), ed un’imposta doveva pure pagare il compratore di olio (7). Le complicate imposte sul vino vennero ridotte il 16 maggio 1431 dal governo e dalle Compere di S. Giorgio in un dazio generale d’introduzione di 16 s. per metreta, che doveva pagarsi da tutto il vino introdotto nel territorio, (da Co-goleto fino a Capodimonte) (8). (1) « Introitus raibetarum, capsie grani sol. 2 den. 6 prò mina a persona, que granum ponet in raibis ad vendendum ». Membr. 14 (XIII), fog. 166. Divers. Cancell. 22 marzo 1430: « in tribus potestatiis granum non vendatur nec rayba teneatur ». I, pag. 95, 185, 186, 194. (2) Membr. 14 (XIII), fog. 119: « Quod aliqua persona, que non sit pancogolus publicus vel pancogola publica non possit nec debeat facere seu fieri facere panem vel biscotum nisi pro uso suo et familie sue vel qui ad soldum suum steterit, nisi primum fuerit in concordia cum emptore seu collectore dicti introitus ». (3) Membr. 14 (XIII), fog. 57. Tariffa dell’ « introitus carnium recentium » da confrontarsi con quella del secolo precedente. Membr. 12 (XI), fog. SS. Questo introitus veniva incassato anche nelle tre podesterie. (4) I, pag. 86, 87. Membr. 14 (XIII), fog. 94: « introitus olim sold. 2 grassie sive carnium, casei, lardi et asonzie ». (5) « Introitus piscium recentium den. 2 pro soldo pretii a vendente pisces ». « Introitus piscium salsorum per barrile s. 1, d. 6 pro cantario tonine grasse s. 4, d. 6, maere s. 2, d. 3 ». Membr. 14 (XIII), fog. 134. (6) « Devetum olei 1526, sol. 20 per olei che saran condutte tanto di verso il distretto quanto di fuori d'esso ». (7) « Sol. 2, d. 6 pro barrili, a persona, queo/eum emerit, per 1 'introitus olei olivarum capituli e regiminis ». (S) Membr. 8 (VII) fog. 122: « Protectores S. Georgii... cum consilio civium participum ad hoc convocatorum.... assentiunt ». Vengono citate le seguenti imposte, poi abolite : « Gabellae den. 22 libre vini, den. 12 — 172 — L’imposta riformata del vino venne incantata da due membri dell’Officium balie , con che si ottenne un introito di 44000 lire, delle quali 6170 andarono alle Compere capitoli, 27700 alle Compere di S. Georgii e 10130 al governo. Ma questo impegnò subito la sua parte alla Casa di S. Giorgio contro 1660 luoghi che la Casa poteva vendere. Nella riforma di questa imposta non si era tenuto conto di parecchi privilegi, come quello degli importatori di Calvi, di Corsica, che doveano pagare solo 10 soldi, e la franchigia d’imposta del doge. Per il minore introito che derivava da questi privilegi, il governo promise nel 1433 di dare alla Casa un adeguato indennizzo (1). A norma d’una convenzione del 13 novembre 1465 > gli ecclesiastici dovevano pagare per il vino introdotto dalla parte del mare 14 soldi pagarum e per quello importato per vie di terra 12 soldi e 6 den. pro metreta. Questa imposta venne poi, il 15 agosto 1515, affrancata mediante una somma annua di 300 lire, e poi, il 19 agosto 1517- Per intromissione del papa Leone X, interamente abolita (2). ^ . In una tariffa del 1440 si tenne a calcolo la qualità del vino, che non era stata considerata in quella del 1431- 11 vmo doveva pagare un dazio d’importazione di 4 sol. pro metreta e inoltre 5 sol. prò libra pretii vini. Però questa graduazione era limitata fino ai vini che costavano L. 3 7* Pr0 metrela. I vini più cari erano tassati come se non costassero più di L. 3 7, pro metreta. Inoltre per gli osti rimaneva solo il dazio di 18 sol. pro metreta, ed il vino prodotto nelle tre valli e destinato per il consumo di Genova, pagava solo /2 fi. prò pro metreta vini adventus, sol. 2 pro metreta vini taberniorum, s. 4 P«> metreta vini casanorum, s. 2 pro metreta vini, den. 31 pinte vim a stipendiariis ». Confr. I, pag. 173* (1) Membr. 8 (VII), fog. i3ib, 23 febbraio e 9 marzo 1433 con 700 rispett. 600 lire annue. (2) « Amplius hec exactio non fieret tanquam saluti animarum periculosa. Concordantia pro gabella vini cum ecclesiasticis personis ». Civica D, 3, 7, 20, fog. 75bl’ «no 118. Cfr. sulla esenzione del dazio per gli ecclesiastici, Sommerlad, die Rheinzolle ivi Miitelalter, pag. 120 segg. metreta. A questa tariffa si riferirono le posteriori del devetum vini (i). Oltre questo dazio d’entrata del vino , eravi una imposta per la vendita al minuto di 4 den. prò pinta, che esigevasi a Genova, nelle valli e nei paesi della Riviera di levante (2). Le imposte vennero appaltate , le condizioni dell’ appalto furono rese pubbliche ed i procuratori di S. Giorgio, in presenza di rappresentanti del governo, procedettero all’incanto, con aggiudicazione al miglior offerente. Per alcune gabelle adottavasi il sistema del minus licitatio. Il compratore della gabella si obbligava a pagare gl’ interessi di un determinato numero di luoghi (3) e siccome le imposte genovesi erano destinate al pagamento di spese determinate ed al pagamento degl interessi d’ una determinata parte del debito pubblico , così il peso tributario, già rigido pel sistema degli appalti, riusciva ancora meno elastico. Tentativi per diminuire il peso delle imposte genovesi. I debiti di Genova, e le conseguenti imposte che gravavano sulla popolazione appaiono tanto più pesanti, quando si rifletta che la maggior parte del debito pubblico del XV e X\ I secolo, derivava da guerre sfortunate, intraprese più per ambizione dei capi partito, che per l’interesse del bene generale. Inoltre, per quanto di minor conto, eranvi spese per scopi di utilità pubblica. Cosi nel 1518, vennero assegnati 100 luoghi per i nuovi restauri della cattedrale di S. Lorenzo (4). Nel 1519 i patres communis si prestarono per un ampliamento della platea bancorum. Le baracche di Anfreone Usodimare furono demolite, essendo così rimasto un comodo porticato per i frequentatori della piazza, specialmente nella stagione invernale. L’importo (1) Membr. 14 (XIII), fog. 41 segg. (2) Fog. 73, pinta vini Janue, Bisannis, Sigestri etc. (3) Appendice, IX. (4) Membr. 45 (XXXII), fog. 112*: « massariis ecclesie maioris ». delle pigioni di 211 L., che Anfreone Usodimare ritraeva da queste baracche, gli venne indennizzato mediante la differenza fra 900 lire de numerato, che gli dava la Casa di S. Giorgio, e 900 L. pagar uni che a questa egli versava annualmente (1). Per gli scavi del porto, per il consolidamento del molo e per le riparazioni dell’acquedotto, nel 1518 furono assegnati ai patres communis 65 luoghi (2). Il 17 febbraio 1514 il governo assunse un debito di lire 300000 per spingere innanzi la costruzione del naviglio. Al Genovese che si offerse di costruire una nave della portata di oltre 15000 cantari venne accordata un’anticipazione di 20000 lire per 10 anni, verso l’interesse annuo di 1400 lire e restituibile in rate annuali di L. 2000. L’ armatore s’impegnò di portare ogni anno 4000 mine di sale da Ibiza a Genova, e d’altra parte 1’ amministrazione del monopolio si impegnò di acquistare questo sale al prezzo di 22 s. mon. corr. (3). Nel XIV secolo vennero fatti nuovi progetti per liberare Genova dal peso del debito pubblico permanente. Lo stesso Officio di S. Giorgio venne fondato , per effettuare 1’ ammortamento del debito, e numerose fondazioni, specialmente quella dei Vivaldi, dovevano servire a questo scopo ; tutti progetti che nel XVI secolo erano del tutto dimenticati. Il debito pubblico organizzato sotto i procuratori di S. Giorgio, venne considerato mediante il contractus consolidationis, come cosa necessaria, anzi utile, alle finanze genovesi, lutti gli sforzi del governo e dei privati per migliorare le finanze dello Stato, erano ormai unicamente rivolti ad alleviare qua e là il peso delle imposte, che servivano al pagamento degli interessi del debito pubblico. Il 23 febbraio 1506 il commissario francese Filippo de Cleve nominò una commissione di 4 membri, la quale servendosi dell’antico mezzo prediletto dell’interesse composto (inol- (1) Fog. i24b. « Ita quod dicte libr. DCCCC de numerato solvende utsupra percontra dictas libras DCCCC dictarum pagarum serviant An-freono pro eo quod peti posset pro pensionibus. (2) Fog. 94a. In compenso fu concesso a S. Giorgio 1’ annuo pagamento di L. 450, che si faceva ai consules calcgarum. (3) Membr. 44, (XXX). — *75 — tiplica), doveva effettuare l’estinzione di quei luoghi, per il pagamento dei cui interessi era stata messa 1’ imposta sulle cambiali e sulle assicurazioni, 1’ aumento di l/i °/0 sul dazio generale del porto, e quello di i s. prò mina sul dazio del grano. Si sperava entro otto anni di arrivare all’ estinzione dei luoghi relativi e all’abolizione di queste imposte (i). E forse degno di nota che negli anni che succedettero alla sollevazione del 1506, si ebbe uno speciale riguardo alle imposte sui viveri (2), mentre dopo il 1528 le diminuzioni vennero di preferenza applicate alle imposte , che gravavano il commercio (3). Secondo il contractus consolidationis le gabelle assegnate alle compere, che dal 1530 in avanti non erano state nè appaltate nè esatte, s’intendevano abolite. Troviamo numerose le fondazioni di privati destinate al- I estinzione del peso delle imposte. In onore dei fondatori furono erette nel palazzo a mare lapidi commemorative e statue, che ancor oggi costituiscono il migliore ornamento di questo famoso edifìzio (4). Il 25 aprile 1473 una fondazione di Luciano Spinola potè estinguere cinque imposte, fra cui quella della vendita e del possesso deg'li schiavi, quella sui cavalli da sella, e quella sulla pigiatura delle uve (5). Domenico Pastine, da Rapallo, aveva fondato, nel 1411, 13 luoghi e 70 L., che nel 1475 erano saliti a 2000, coi quali si poterono abolire otto gabelle (6). (1) Membr. 42 (XXIX), fog. 58.- (2) Membr. 44 (XXX), fog. 17, 3 sett. 1512, fog. 38, iS febbr. 1513. II governo perii casod inadempimento di debiti in sospeso impegnò a S. Giorgio tutte le sue rendite « exclusis gabellis super victualibus ». (3) Membr. 47 (XXXIII), fog. 6, 1531. I carati vengono limitati ad un dazio sul valore di 5 °/0, parecchie imposte speciali, come il drictus Hi-spanie. Neapolis, Calabrie sono abolite, mentre è aumentata la gabella pancogolorum; confronta appena IX, aumento del prezzo del sale iS febbraio 1530. (4) Banchero, pag. 404 segg.; Cuneo, pag. 214. (5) Confronta I, pag. 174: la quinta eri un introitus piatarum arene. (6) La gabella sol. 1 prò mina grani raibetarum gombete grani Janue; — 176 — Nel 1536 Ansaldo Grimaldi fondò una somma di 400000 lire, che raddoppiata quattro volte doveva arrivare a L. 6400000 formanti 64000 luoghi (1). Di questi 64000 luoghi, 19000 dovevano essere impiegati per l’abolizione o 1’ alleviamento delle imposte indirette (2) ; con 18000 luoghi Ansaldo voleva esonerare sè ed i suoi eredi da tutte le imposte dirette ordinarie e straordinarie ; 3000 luoghi dovevano servire a diminuire le imposte dirette a carico delle riviere ed i residuanti 24000 luoghi erano destinati al mantenimento di diverse fondazioni. Fra questi fondatori troviamo pure il maggior figlio di Genova, Colombo, il quale proveniente da una famiglia genovese di tessitori di seta, e più fortunato dei Genovesi che nel 1281, dopo la caduta di Accon, tentarono la navigazione intorno l’Africa, scoperse le nuove Indie. Il 2 aprile 1502, prima di scioglier le vele per il suo quarto ed ultimo viaggio, offerse all’Officio S. Giorgio, un decimo di tutte le rendite assegnategli dalla Corona di Spagna, acciocché i protettori mediante questa fondazione potessero alleggerire le imposte sul grano, sul vino e su altri viveri (3). Rinunzia dei possessi territoriali della Casa. I possedimenti territoriali della Casa di S. Giorgio aumentarono ancora all’epoca delle lotte di partiti cosi continue nel primo quarto del secolo XVI. Alla Corsica ed a Sarzana si aggiunsero il 24 settembre 1512 le terre di Pieve di Teco s. 15 pro centen. minarum grani; l’introitus mine I grani, quam exigebant patres communis a singulo navigio granum afferente ; l’introitus mestra-rum, canabaciarum, pontoni, cepi e mellis. (1) Colonne Carini. B. 1536, fog. 44: « multiplicentur per quattuor multiplica», confronta sopra Ans. Grimaldi, Ehrenberg, Zeltaltcr der Fugger, II, pag. 330 segg. (2) «Ad extinctionem gabellarum, grani, carnium, vini, olei, salumi-num, grassie et lignorum ad ratam onerum ipsorum pluri minorive summa ». (3) Harrisse , Cristoforo Colombo e il Banco di S. Giorgio, pag. 16 e 17. — T77 — e della valle di Aroscia, che erano ritornate in possesso di Genova ed i cui abitanti desideravano stare sotto la signoria della Casa di S. Giorgio (i). Il consiglio delle Compere acconsentì, a patto che le spese della Casa fossero limitate al udgct ordinario (pro ministranda justicia et custodia arcis). Gli abitanti pagavano 2500 lire d’imposte, delle quali 1100 andavano al Comune e 1400 alle Compere per far fronte alle spese correnti. Le spese straordinarie (pro defensione loci) erano a carico del Comune, e per coprirle i protettori di S. Giorgio potevano a spese del governo creare e vendere nuovi luoghi. Il 25 febbraio 1514, pure per domanda degli abitanti, seguì Ventimiglia (2). Anche qui le spese straordinarie , che si fossero rese necessarie, andavano a carico del Comune di Genova e non delle Compere, ed il 22 maggio 1515 pure Levanto passo alle Compere. In tal guisa una grande parte del territorio dello Stato genovese, specialmente le parti più esposte, come la Corsica, Ventimiglia, Sarzana, erano in mano della Casa di S. Giorgio, e tali possedimenti le furono espressamente confermati dal governo nel contractus consolidationis. Nel 1540 le Compere arrotondarono il loro possedimento presso Sarzana, mediante 1 acquisto per 8000 scudi d’ oro dai marchesi Malaspina, del feudo di Ponzano di cui erano stati investiti da Carlo V nel 1544 (3). Le compere però non avevano solo in mente, di aumentare i loro possedimenti, ma pensavano pure al benessere dei loro soggetti. Anche i cronisti locali lodano il mite reggimento dei protettori, dai quali la Corsica, dopo sedati i tumulti, potè godere lungamente (dal 1510 al 1553). La Corsica godette speciali privilegi, che permisero alla popolazione di eserci- (1) Paris. Min. aff. ctr., 2o/iS, de officio monete fog. 14S : « Sindici et procuratores dicti loci et vallis libere consentiunt immo rogant esse sub dominio Magnifici officii S. Georgii ». (2) Fog. i53b: « cun maxima instantia requirentibus sindicis universitatis eiusdem civitatis loci Ventimilie ». (3) Lohero, pag. 96. Atti Società Ligure Storia Patria. Voi. XXXV, P. II. 14 - i78 - tare una certa influenza sull’amministrazione , sulla giustizia, e sulla imposizione delle tasse. I protettori rispettarono questi privilegi ed esercitarono attenta sorveglianza sull attività, 1 imparzialità e l’incorruttibilità dei loro impiegati (i). E però da osservarsi che se anche i protettori si sforzavano per rendere sopportabile ai Còrsi le forme della loro signoria (2), la Corsica rimaneva sempre un paese soggetto e sfruttato da Genova e un debitore dei creditori genovesi (3). Perciò quantunque nel 1547 i Córsi fossero rimasti fedeli ai Dona, 1 Francesi poterono nel 1554 fare rapidi progressi nell’isola, tali da strapparla quasi interamente dalle mani dei Genovesi. I commissari mandati in Corsica dai procuratori di S. Gior gio nel XVI secolo, sembrano diversi da quelli del XV specialmente nella mitezza adoperata nell’esercizio delle loro funzioni. Però ancor essi, a causa della pericolosa posizione del-l’isola e dello spirito di rivolta che serpeggiava fra la popolazione, si videro costretti nel 1546 ad aumentare le imposte ed a sospendere alcuni importanti privilegi dei Corsi (4). Essi non impiegarono forse tutta l’energia necessaria per mantenere 1’ ordine all’ interno e la sicurezza al di fuori. Le ordinanze contro la vendetta che inferociva in Corsica non furono eseguite; anzi un omicida, che si mise al servizio d un nobile Genovese, andò assolto (5). I commissari di S. Giorgio non furono in grado di difendersi contro l’attacco delle flotte riunite francese e turca, avvenuto nel 1553 e la Corsica fu sul punto di cadere fino d’ allora e per sempre ^ nelle mani della Francia. Fu solo per intromissione della Spagna, che (1) Monteggiani Histoire de la Corse, I, pag. 466 segg. (2) Ceccaldi, Bulletin Corse, IX, pag. 17: « les hommes qui avaient l’expèrience du monde, disaient hautement, que les Corses étaient mieun traités par leurs maitres que n’importe quel autre peuple ». (3) « Genovesi (sono) usurarii che li mangiavano il sangue con estrema usura senza alcun rimedio ». Relazione d’un cancelliere di S. Giorgio 1559- Arch. Segreto. (4) Ceccaldi, Bulletin Corse, IX, pag. 17. (5) Histoire, I, peg. 473. - 179 — non volle abbandonare la sua alleata, se i Genovesi nel 1559, nella pace di Cateau Cambrèsis ricuperarono la Corsica (1). Per le compere il possesso della Corsica, che riebbero nel 1559» era un peso, sotto il quale l’adempimento del loro compito principale, l’amministrazione del debito, ne soffriva. I procuratori speravano di rifarsi in parte delle gravi spese dell ultima guerra , sulla isola stessa aumentando le imposte , lo che spinse i Córsi a resistere. E se pure riuscì alla Casa di pone argine a questa resistenza (2), le continue difficoltà che le si affacciavano, le fecero accarezzare il pensiero di rinunziare al governo i suoi possedimenti territoriali (3). Da parte sua il governo che, mediante le riforme del 1528 si era fortificato, sentì il desiderio di prendere nuovamente sopra di sè le funzioni, per le quali, nelle lotte partigiane dei tempi andati, non si sentiva forte abbastanza. Queste considerazioni condussero al contratto del 30 giugno 1562, in virtù del quale il governo genovese riprendeva in propria amministrazione i possedimenti territoriali della Corsica , di Sarzana, della Val d’ Aroscia , di Ventimiglia e Levanto, che erano stati ceduti alla Casa di S. Giorgio. In compenso degli obblighi che incombevano alla Casa, in dipendenza dai suoi beni territoriali, essa convenne di pagare al governo una somma di L. 75000 annue de numerato (4). I sudditi e specialmente i Córsi, non videro di buon occhio questo mutamento di cose, poiché si riteneva che il reggimento della signoria genovese dovesse riuscire più duro e meno giusto di quello dei protettori di S. Giorgio (5). La rinunzia dei possedimenti territoriali, sembrò a prima giunta aver tolto alla Casa di S. Giorgio una parte del suo prestigio; però la rinunzia d’un ramo d’amministrazione estraneo alla sua essenza, contribuì, come la rinunzia alla banca nel 1444 ad aumentare la forza interna della Casa ed a faci- (1) Bulletin Corse, IX, 2, pag. 316 segg. (2) Hist. de la Corse, III, pag. 23, pag. 77. (3) Bull. Corse, III, pag. 137. (4) L. Jur. VI, (Paris) fog. 20. (5) Bull. Corse, X, 2. Histoire de la Corse, III. (Filippini), pag. S6. — i8o — litarle lo scopo pel quale era stata creata, cioè l’ammmistra- zione del debito pubblico (i). La Casa di S. Giorgio, come amministratrice del debito pubblico riccamente dotata ed a cui lo Stato in tutte le sue necessità doveva rivolgersi, continuò ad adoperarsi per la Corsica anche dopo il 1562. Appunto per il mantenimento di essa, oltre alle 75000 lire annue, la Casa dovette accordare e anticipare parecchie grosse somme al governo; poiché la per dita dell’ isola avrebbe avuto per conseguenza un detrimento del commercio genovese e quindi anche una diminuzione de gl’ introiti delle gabelle ad essa assegnate (2). (1) Relazione, 1597, cap. 61: « da quel tempo sin hora le paghe et luoghi sono molto cresciuti, perchè ora i detti partecipi sanno que vono spendere ». f (2) Bull. Corse, VI, pag. 156, 12 giugno 1567: « dipendendo a u-fìcio la vita nostra ed essendo il nervo di queste compere tutto sull’ industria ». CAPITOLO III. GENOVA E LA CASA DI S. GIORGIO DAL XVI SECOLO FINO AL PRINCIPIO DEL XIX. SECONDO PERIODO DELL’ ESERCIZIO BANCARIO DELLA CASA. 1586-1815 Politica estera ed economia interna. Genova non fu mai una città assolutamente indipendente come Venezia (1). Durante tutto il medioevo essa riconobbe formalmente la supremazia dell’ imperatore. I dogi Simon Boc-canegra e Gabriele Adorno procurarono di consolidare la loro posizione col farsi nominare dall’imperatore vicari imperiali (2). Nella consegna della città alla Francia nel 1396, i diritti di dominio diretto dell’imperatore furono rispettati (3), solo nel 1502 quando si aspettava l’arrivo di Luigi XII di Francia fu tolta dal palazzo ducale l’aquila dell’impero (4) e nelle lotte contro la Francia gl’ imperatori anche più tardi alzarono le loro pretese sopra Genova, come città dell’ impero (5). (1) Caro, Genua und die Machie, II, pag. 397. (2) Giustiniani, nota, fog. i3Sb, 1368. (3) Stella, Muratori, S. S. XVII, c. 1151. « Salvis juribus Romani Imperii ». (4) Senarega, Muratori, S. S. XXIIII, eoi. 575. (5) Privilegio dell’imperatore Massimiliano del 20 sett. 1496, Lobero, Ciò però non impedì a Genova di mantenere dal XII al XIV secolo una indipendenza di fatto nell’ ordinamento interno dello Stato ed inoltre di fare una vigorosa politica e-stera, in certi casi anche ostile all’ imperatore. Citeremo ad esempio le guerre contro gl’ infedeli, contro Federico II, contro Pisa e Venezia. Nel XV secolo Genova, indebolita dalla forza preponderante dei Veneziani, dall’avanzarsi degli Osmani e dalle lotte interne dei partiti , manteneva a mala pena la sua antica posizione, e sovente la vedemmo darsi a dominatori stranieri. Neppure allora però Genova rinunziò ad una politica estera indipendente, come ci fanno specialmente conoscere le guerre contro Gli Aragonesi. Il sorgere dei grandi Stati nazionali, specialmente di Spagna e Francia non lasciava agli stati territoriali e municipali d’Italia altra via se non che ad unirsi in nazione, meta a cui miravano in certi momenti il papa e Venezia, ovvero mettersi sotto la protezione delle grandi potenze straniere. L’anno 1528 portò Genova ad una soluzione il cui germe si trova già nel XV secolo. Genova, che già aveva appartenuto a Milano per un terzo del XV secolo , rinunziò definitivamente ad una politica estera indipendente, e da allora in avanti formò parte del sistema politico della Spagna, signoria di Milano, di ventanto un importante anello nella catena dei possedimenti spagnuoli, fra la madre patria e le provincie olandesi (1). Genova però conservava la sua indipendenza all interno. pag. 85 seg. Guicciardini, História d’Italia, VII, (edizione 1621, pag. 747). Nel 1507 l’imperatore Massimiliano intimò a Luigi XII di Francia « a non molestar Genova come terra dell’imperio ». Il re di Francia pretendeva invece dopo l’occupazione della città l’assoluta superiorità, (pag. 755). (1) È notevole che Carlo V nella lega conclusa a Bologna il 27 febbraio 1533, vi abbia senz’altro incluso i Genovesi. Confr. L, J., IIII, (Paris), fog. 52, fog. 57, 7 aprile 1533: « Declaratio de imperatore Carlo quinto, che per haver compreso la repubblica di Genova in la ligha de-fensiva non per questo s’intenda rester prejudicato alla libertà di detta repubblica ». II partito di Spagna ha sempre prevalso in essa città. Notizie di M. S. Olon, 1682. Bibl. dell’Univ. B, II, 29, cap. I. - 183 - Anche dopo la sollevazione del Fieschi, Andrea Doria seppe tenere lontana dalla città una guarnigione spagnuola (1), e fu precisamente allora che Genova potè affermare la sua signoria sulla riviera di ponente. Savona, che durante tutto il medioevo aveva conservato una certa indipendenza, venne, aiutata dalla Francia, sacrificala dalla Spagna a Genova (2). Nella pace di Cateau Cambrèsis del 1559, per intromissione della Spagna, fu restituita a Genova la Corsica, che era stata conquistata dalla Francia. Mediante l’aiuto della Spagna, Genova potè affermare la sua indipendenza comunale e territoriale , contro le avide brame di Savoia, nelle guerre che scoppiarono dal 1623 in poi per la supremazia sull’Italia superiore, fra la Spagna e le potenze alleate alla Francia (3). Dopo la guerra di successione di Spagna, peggiorò la posizione di Genova, i cui interessi rimasero rivolti alla Spagna, mentre la vicina Milano apparteneva ora ad un sovrano spesso ad essa nemico. Nel 1746 gli Austriaci conquistarono Genova; ma una sollevazione popolare li cacciò ed i Genovesi riacquistarono la libertà che seppero conservarsi fino all’ invasione delle armi della rivoluzione francese. Nei documenti del NVI secolo troviamo i primi dati statistici sulla popolazione di Genova (4). Giustiniani premette ai suoi Annali una descrizione della Liguria, nella quale, sulla base dei catasti delle imposte dirette, dà la somma dei fuochi delle singole località. Per Genova egli calcola 6298 case, e crede che molte di queste, specialmente quelle abitate dal basso popolo , contenessero da 3 a 6 famiglie (5). La re- (1) M. Spinola, Relazione sui docum. ìspann-genovesi dell’Archivio di Simancas. Atti S. L. S. P., VIII, pag. 38S. (2) L. J. IIII, (Paris), fog. 23: « Saonenses declarati subditi ». (3) Casoni, Ann., V, pag. 81. (4) La stima del Serra sulla popolazione dell’ anno 1293, sulla base degli uomini atti alle armi è però affatto incerta. Storia detta antica Liguria e di Genova IIII, discorso III, sopra la populazione della Liguria Marittima in diversi tempi, pag. 173. Confronta per Venezia Cecchetti, Delle fonti della statistica negli Archivi dì Venezia. Atti dell’istituto Veneto, 28, pag. 1183 segg. (5) Giustiniani, Annali, fog. 14. - 184 - lazione del 1597 calcola, sulla base delle liste parrocchiali, la popolazione di Genova a 60529 anime, di cui 45595 che ^re' quentavano la comunione (1) ; fra questi ultimi sopra 20000 maschi, 16000 erano considerati atti alle armi, cioè 4000 servi (2) e 12000 cittadini. Vi erano allora a Genova 2124 nobili appartenenti a 524 famiglie, 1867 ecclesiastici (589 preti e 1278 monaci) e 2769 poveri. Per 1’ anno 1608 la popolazione di Genova viene dichiarata in 68475 anime , nelle valli (Polce-vera, Voltri e Bisag'no) abitavano 53629 anime, Savona aveva allora 25052 abitanti. La popolazione totale dello Stato genovese ascendeva a 346760 anime di cui 129748 sulla riviera orientale, 130454 su quella occidentale e 18083 sui territori genovesi sul versante settentrionale dell’ Appennino (3). Il censimento del 1802 diede poi tutta la Liguria 547983 abitanti, per Genova 86063 (4). Il territorio genovese da Ventimiglia ad occidente fino a Spezia e Sarzana ad oriente era difeso nel 1597 da un esercito di 28740 uomini. Mentre Venezia fino al XVIII secolo manteneva una potente marina da guerra, Genova nel XVI secolo la limitava a 6 galere. Con tali debole forze non era il caso di pensare a fare una politica estera, quando forse era in pericolo anche lo stato presente (5). (1) Questo numero è dato dalla copia B II, 33; la posteriore B VI, 33, porta 61131 anime; a questo si attiene Olivieri. (2) Genova, Bibl. dell'Univ. B. VI, 23 , pag. 64 : « chi servono nelle case di gentiluomini, et in diverse botteghe d’ artigiani et in mille altre maniere ». (3) Archivio civico, N. 1165, Miscel.pag. 317. Discritione delli huomini chi sono nel paese della repubblica fatta l’anno 1608. La relazione di S. Olon, 1683, {Bibl. dell'Univ., II, 29), suppone, malgrado la peste del 1657 per Genova 60000 abitanti, per la Corsica 100000. Serra ammette per il XVIII secolo sopra 100000 abitanti per Genova. Cecchetti , pag. 1183, dà la popolazione della città di Venezia 80956 anime pel 1633, 126865 pel 1761. Nel 1780 furono contati 3429 nobili, 5514 cittadini e 125926 popolar;, pag. 1203. La popolazione dello Stato veneziano ammontava nel 1760 a 2696678 abitanti. Sulle altre città italiane cfr. Inama Sternegg, Bevolkc-rungswesen, Handwòrlerbuch der Staatswissenschaflen, 2.° ediz., pag. 671. (4) Serra, IV, pag. 184. (5) Rei. 1597, cap. 33: « La republica è debole oltremodo, quasi di- - i85 - In queste condizioni, Genova nelle spese ordinarie poteva tenersi entro limiti relativamente modesti ; ma tanto più le riuscirono gravose le straordinarie, come quelle che si resero necessai ie per mantenersi il possesso della Corsica, e per la difesa della citta contro Savoia e contro la Francia, avendo dovuto procurarsi 1 aiuto militare della Spagna con grande sacrifizio di denaro (i). Il bilancio interno di Firenze, sotto la signoria dei duchi toscani, ebbe un notevole miglioramento di forma e di fatto (2). Così pure quello di Venezia, nel XVI e XVIII secolo, venne tecnicamente raffinato e perfezionato (3). A Genova invece i libri dell amministrazione interna dello Stato rimasero tali quali lo erano nel XIV secolo. Senza una certa concatenazione dei vari elementi, ma colla chiarezza che presenta la partita doppia, erano amalgamate tutte le entrate e tutte le uscite del Comune in un libro , che si rinnovava anno per anno. Tale libro però mancava di assoluta evidenza, per il motivo che la maggior parte delle pubbliche entrate erano state cedute alla organizzazione dei creditori dello Stato. Ora è la Casa di S. Giorgio che riceve parte d’ una gabella amministrata dallo Stato, ora e dessa che versa allo Stato parte delle sue rendite (4) e per di più tali pagamenti non sono fatti in moneta del paese , ma bensì con luoghi e paghe al corso del giorno da ragguagliarsi in moneta corrente. Dal XVI secolo in avanti, il conto generale venne diviso sarmata ». Mentre Venezia nel 1571 mobilizzò 105 galere contro i Turchi, Genova ne dispose 3 soltanto; Manfroni, Storia della marina italiana, Pag. 475 e 479. (1) Genova nel 1626, s’impegnò di pagare mensilmente durante la guerra 70000 scudi al governatore di Milano, sicché Casoni, Ann., V, pag. 110, dice: « la compagnia dei grandi nuoce agl’ inferiori ». (2) Rigobon, La contabilità di Stato nella repubblica fiorentina e nel Gtanducalo di Toscana, Girgenti, 1892, pag. 161 segg. (3) Bilanci generali della Repubblica di Venezia 1736-1755, pubblicati dalla Reai Commissione per la pubblicazione dei documenti fìnanziarii della Rep. di Venezia, (Venezia, 1903). (4) Confronta nello stato dei procuratori Relazione, 1597, cap. 39, da una parte la « gabella pancogolorum debita comperis » dall’altra la « assignatio in caratis maris », — 186 — in quattro sezioni, ad ognuna delle quali venivano addebitate speciali uscite e assegnate speciali entrate, quantunque tutto figurasse in un unico libro. L’Ufficio principale di finanza era quello dei procuratori (i), i quali pagavano gli stipendi degl’impiegati, le paghe dei soldati italiani e tedeschi, le spese straordinarie per ambascerie e simili ; per far fronte a questi esborsi erano loro assegnate prima di tutto le entrate del territorio (circa 130000 lire) e poi competenze, multe, affitti, gl’ introiti di parecchie gabelle (circa 206000 lire) e le 50000 lire (2) che, secondo il contractus solidationis, la Casa di S. Giorgio doveva pagare annualmente. I patres communis dovevano pensare al porto, ai condotti d’acqua, alle mura ed in generale a tutte le opere pubbliche. Ad essi erano assegnate le pigioni dei magazzini di deposito pubblici per mercanzie e dei posti di vendita, le tasse d’ancoraggio ecc.; solo per spese che sorpassavano una data importanza, dovevano dipendere dai procuratori 0 dalla Casa di S. Giorgio. L’ Officium galearum fu istituito nel 1559 (3) e doveva mantenere le sei galere. Per la sesta galera la Casa di S. Giorgio pagava dal 1575 in poi 22000 lire annualmente e altrettanto pagavano le Riviere. L’introito totale fu calcolato per l’anno 1597 a L. 164873. Come quarta autorità con finanza autonoma, venne nell’anno 1562 VOfficium Corsice, i cui redditi erano costituiti dalle imposte dell’isola e dalla sovvenzione di L. 75000 che la Casa di S. Giorgio gli passava annualmente. Però i redditi dell’isola, malgrado la sovvenzione di S. Giorgio, non bastavano nemmeno in tempi normali per far fronte alle spese del-1’ Officium Corsice (4). (1) Leges, 1528, Stampate Pavia, 1575, pag. 12 ; Relazione del 1597, cap. 39 e 40. (2) Relaz. 1597, cap. 73, ci dà per il 1596 un’ entrata dei procuratori di L. 435315, a cui si contrapponevano 417794 lire di spese, fra cui 40190 lire per spese straordinarie di ambascerie e simili. (3) Olivieri, Carte, pag. 42; Relazione. 1597, cap. 40. (4) Rei. 1597, cap. 41. Lo stato dell’ Officium Corsice bilanciava con L. 198595. Alla fine furono portate nel gran libro del Comune anche le entrate e le uscite dell’ amministrazione dei grani e dei poveri. In complesso la situazione dello Stato genovese bilanciava alla fine del XVI secolo con circa L. 800000 di entrate ed uscite (1). Questa somma però cresceva enormemente in tempi di guerra. Il bilancio dell’anno 1570 registra una spesa di parecchi milioni, impiegati in massima parte per fortificare la Corsica nuovamente sottomessa (2). Nel 1626 Genova doveva far fronte ad una spesa di oltre 800000 scudi (3). Dalla fine del XV secolo in poi il bilancio interno genovese era basato sopra imposte indirette. L’abolizione delle imposte dirette , alle quali in caso di bisogno si aggiungevano delle addizionali, tolse al bilancio interno quella elasticità, che e un fattore importante in qualunque amministrazione. L imposta fondiaria , estesa a tutto il territorio , doveva essere catastata ogni 10 anni. Di fatto però dal 1528 al 1638, fu rinnovata tre volte soltanto, cioè nel 1530, 1553 e 1574 e solo nel 1553 ebbe un aumento. Perciò tale imposta era per i fondi un peso reale e per lo Stato un reddito più rigido delle stesse imposte indirette (4). In conseguenza ad ogni più piccolo deficit si doveva dar mano o ad una imposizione straordinaria di tasse o ad un prestito. (1) La Cronaca del 1507 riporta per Genova un’entrata di 100000 ducati, mentre per Venezia ne riferisce una dodici volte, e per Milano sei volte tanto. Le entrate complessive dei governi italiani sono stimate a 4235000 ducati. V. Promis, Atti S. L. S. P. X, pag. 193. Già nel 1423 Genova con 1S0000 due. era molto inferiore a Venezia con 800000 due. Confronta la compilazione sulle entrate e le forze militari dei più importanti Stati. Muratori, SS. XXII, cap. 963. (2) Finanze, N. 1985, fog. 497, una partita di 3 l/2 milioni di lire per 1’ Officium Corsice. (3) Casoni, Annali, V, pag. 110. (4) Leges, 1638, Bibi, univ., C. VI, 10, voi. X, pag. 3: « Carattata delli beni del dominio di Terra ferma; 1’ aumento che dal 1574 in qua hanno fatto li stabili è di gran consideratione, pure la camera non ne ha maggior introito ». — 188 — Negli ultimi secoli della repubblica genovese le imposte dirette furono applicate soltanto per bisogni straordinari e sempre con grandi difficoltà di riscossione. Durante le turbolenze del 1575 i nuovi avevano decretato una tassa sui beni dell’ 1 °/0, che però non era ancora encrata quando i partiti si erano riconciliati. Ai nobili vecchi che erano stati espulsi dalla città, venne posto per condizione del ritorno, il pagamento d’un’imposta del 2 ijì % sui beni, che doveva fruttare 300000 scudi, corrispondenti ad un capitale imponibile di 120Ó0000 di scudi. Le trattative però per questa imposta, sollevarono le maggiori difficoltà (1) nè fu possibile incassarla se non che coll’ intromissione degli Spagnuoli nel cui territorio i creditori genovesi della corona di Spagna dovevano incassare il loro denaro. L’imposta diretta straordinaria colpiva più volte solo le sostanze maggiori, come avvenne nel 1624, quando in previsione della guerra colla Francia e colla Savoia, venne decretata un’ imposta dell’ uno per cento sopra i beni immobili, dalla quale erano esenti quelli d’un valore inferiore a 12000 lire. Nel 1626 fu emessa un’imposta, alla quale erano soggetti solamenti quelli i cui beni superavano il valore di 2400 pezzi (da 8 reali). Al contrario la tassa per testa del 1629, colpiva tutti gli abitanti della città, compresi, col permesso del papa, persino gli ecclesiastici (2). Nel 1636 troviamo nuovamente un’imposta dell’ uno per cento applicata sui beni della sola classe nobile (3) e nel 1652 e 1681 una tassa generale dell’uno per cento sui beni di tutti i sudditi della repubblica (4). Nel XVIII secolo furono imposti rilevanti prestiti forzosi a piccoli interessi (5). (1) Relaz. 1597, cap. 49 : « più travagliavano li ambasciatori in accomodar questa tassa che nel rimanente di tutte le discordie ». (2) Casoni, Ann. S. L. S. P., V, pag. 53, no, 191. (3) Olivieri, Carte e Cronache, pag. 115. Genova, Bibl. dell’Univ. B, VI, 18; 14 censiti possedevano oltre 1 milione di lire. (4) S. Olon, Bibl. Univ., cap. 2. art. 1 : « In caso straordinario bisogna imporre sussidi straordinari ». (5) Genova, Arch. di St. Sala 19, N. 109. Impiego 200000 scudi 1704, — 189 — Però la forma preferita per coprire le spese in straordinari bisogni, rimase sempre quella delle compere ad interessi, fossero esse volontarie o forzose. *534 fu imposto un dazio generale dell’uno per cento su tutte le merci, eccettuato vino e grano, per il pagamento degli interessi ed estinzione d’un prestito di 114000 lire (1). Nel I554 8 agosto, per difendere la Corsica e la Liguria dai Turchi, venne offerta al pubblico la comperula voluntaria S. G. P)attisLa di 500000 lire al 6 °/0 a cui si assegnarono 30000 lire de munerato sulla imposta addizionale del vino. A questa comperula furono preposti quattro protettori, nominati dal governo, uno dei quali usciva ogni anno , per essere sostituito per voto degli interessati. Non veniva accordato aumento del capitale della compera, se non vi consentivano almeno i due terzi degl interessati, dei quali ognuno possedesse almeno 3 */g luoghi (2). Nel 1565 i Genovesi esborsarono all’imperatore Massimiliano II, che ne li richiese, per difendersi dai Turchi, 30000 scudi, somma che si procurarono coll’imposizione d’un prestito forzoso del 5 °/0 {$)• Nel 1624 furono creati 4000 luoghi di S. Giorgio i cui interessi dovevano essere pagati colle entrate, che si sperava ricavare da un aumento del prezzo del sale. Questi luoghi furono ripartiti forzosamente sui nobili (4). In certe circostanze soltanto, il governo assumeva subito un debito permanente. D’ordinario ricorreva prima a’ prestiti N. 121, impiego coattivo 3 milioni del 1762; N. 166 segg. Impieghi coattivi del 1794 segg. La base della misura della tassazione per questi prestiti forzosi del X\ III secolo era il valore delle pigioni. Cuneo, pag. 154 nota. (1) Membr. 14 (XIII), fog. 64. (2) Genova, Arch. di Stato, Jurium, x: « super dieta comperula nec super redditibus nova loca imponi non possint nec pecunie alique requiri, nisi cum consensu trium quartarum participum, qui haberent libr. CCCL et non minus in compera ». Questa compera fu riunita nel 15S2 con S. Giorgio. Propos. 112, fog. 140. (3) Lib. Jur. IIII, (Paris), fog. 144. (4) Casoni, Ann. pag. 53. - - - — — igo — a breve scadenza, che assumeva a cambio sui grandi mercati bancari e solo nel caso che il pagamento delle cambiali si rendesse impossibile, il debito veniva convertito in una compera. Così nel 1682, di un debito in sospeso di 670209 scudi, venne formato il monte nuovo a 2 °/0, che doveva estinguersi mediante addizionali sulle imposte del grano e del sale (1). Gl’interessati del debito permanente dello Stato , furono, dal 1625 in poi, incorporati nei monti di S. Bernardo e S. Giovanni Battista, i quali vennero amministrati a parte dell’antico gruppo di debiti rappresentato dalla Casa di S. Giorgio. Al monte S. Bernardo vennero assegnate imposte sopra grano, carne ed olio. Il suo capitale era in origine 600000 scudi, aumentato nel 27 novembre 1625 di 500000 scudi (2), avendo poi nel 1617 raggiunto la cifra di 1550000 scudi (3). La compera vini S. Giovanni Battista venne fondata il 17 settembre 1626 e le fu assegnato un aumento di 20 sol. prò metreta vini. Il 30 dicembre 1627 il capitale dì questa compera ascese a 770000 scudi, coll’assegno di una addizionale sull’imposta del sale, ed il 27 settembre 1629 essa ricevette un nuovo aumento di 500000 scudi (4). Oltre questi monti non vacabili furono pure istituiti monti vacabili per rendite vitalizie. Nel 1683 venne creato un monte vitalizio S. Giov. Battista di 100000 scudi, sui quali dovevasi pagare una rendita del 5 % e più tardi del 5 */f %, mediante un aumento sul prezzo del sale (5). Nel monte istituito nel 1707 si introdusse un sistema simile alle tontine. I partecipanti al monte 5 % di 100000 scudi dovevano versare almeno 100 scudi d’argento e formavano un consorzio fra loro. Alla morte d’uno di essi, metà del suo capitale spettava al goti) Arch. di Stato. Sala 19, N. 101. « Il credito di quelli che non ha-veranno fatto dichiarazione incontraria (entro 8 giorni, gli assenti entro 20) si debba trasportar nel cartulario del nuovo monte ». (2) Leges, 1625, Genova, Bibl. Univ. C. VI, 7, fog. 10. (3) Contractus cum comperis, XI, Arch. Cam. 26. (4) Arch. di Stato Manuscr., 142. Confronta sopra questi monti Peri, II negoziante, II, pag. 75. (5) Lobero, pag. 128. — igi — 1 ‘tltra meta rimaneva a favore dei superstiti. Il monte cessava colla morte dell’ ultimo interessato. Lo Stato procuci ò di trarre a sè i capitalisti, colla speranza di latote'0r' rendite man mano che i loro cointeressati morivano (i). Ogni nuovo gruppo di debiti faceva in pari tempo aumentare 11 peso delle imposte indirette. Dal 1625 al 1684 vennero presi mediante compere circa 9 milioni di scudi. Il risultato di questo debito crescente fu, che nel 1683, di 1200000 scudi, che entravano annualmente a Genova per imposte, ne rimanevano solamente 300000 a libera disposizione del go\ crno, mentre 900000 erano vincolati ai creditori dello Stato (2). Vedemmo^ come il grave peso del budget, causato dal servizio del debito pubblico, fosse un male cronico per il bilancio di Genova a traverso i secoli; nè meglio andava nei Comuni minori. Le 13 gabelle di Savona, fra le quali la più proficua era quella sul vino, diedero nel 1538 un incasso di 12712 L., 12 s., 7 d., di cui 9990 L., 14 s., 6 d. erano destinate al pagamento degl’ interessi dei 5834 loca communis (3). I territori maggiori d’Italia, come Milano e Napoli, non offrivano un quadro migliore (4). II bilancio pontifìcio, fino al XIII secolo, era nudrito principalmente colle decime dei paesi della Chiesa occidentale. Dopo che gli Stati nazionali ricevettero forza col principato, questo provento scemò alquanto, ed allora il governo papale trovò un surrogato nella vendita delle cariche, che costituì una fonte principale delle sue finanze. In fondo, come osserva acutamente il Ranke, era questione di distribuzione di rendite (r) Cuneo, pag. 14S, nota. (2) Olivieri, Carte, pag. 11S; 400000 scudi a S. Giorgio, 500000scudi ai nuovi Monti. Genova, Piò. detl’Univ. B, II, 14: « notizie riportate al re di Francia, 16S3 » da S. Olon , fog. 29\ Ehrenberg , Zeìtalter der Fugger, I, pag. 353. (3) G. Assereto, Cronache Savonesi di Ag. Abate, pag. 119, 131, 132. Dopo il 1534 fu introdotta a Savona la lira di Genova. (4) Ricca Salerno, Stona deile dottrine finanziarie, pag. 112, 114 a 11S. vitalizie (i). Mediante pagamento d’una somma fissa, veniva accordato un impiego , che corrispondeva ad una rendita a vita. Dopo il 1526 vennero creati monti, ai cui interessati fu concesso di aver parte all’amministrazione dei redditi loro assegnati (2). Nel 1595 le rendite dello Stato romano furono valutate 1600000 scudi, dei quali però soli 570000 erano a disposizione del governo. I residuanti 1030000 erano impegnati a favore dei montisti (3). Gare interne* Industria e Commercio di Genova. Le basi della costituzione del 1528 rimasero intatte fino ai giórni della rivoluzione del 1797, fino a quando cioè le statue dei Doria dinanzi al palazzo ducale furono abbattute dai loro superbi piedistalli. Facemmo già menzione del carattere plutocratico di questa costituzione preparata fino dal XV secolo. La relazione del 1597 espone l’idea che il basso popolo non si solleverebbe più di proprio impulso, salvo il caso di carestia 0 mancanza di elemosine, mentre quella parte del popolo grasso, che era stata esclusa dalle famiglie dominanti, rappresentava un elemento rivoluzionario e si agitava per essere inscritta nel libro d’oro della repubblica (4). Le turbolenze ebbero per prima cagione le gare fra le stesse classi dominanti. L’ ambizione del Fieschi, posto in disparte dai Doria, avrebbe messo nel 1547 quasi a soqquadro la città. Nel 1575 scoppiò una guerra civile fra i nobili vecchi ed i nuovi. I nuovi si trovarono pregiudicati nelle elezioni, (1) Die romìschen Pàpste, I, pag. 264 (7.“ ediz.). (2) Pag. 266. Del resto il meccanismo del debito pubblico non si sviluppò per prima sistematicamente negli Stati della Chiesa, come vorrebbe Ranke, Pàpste. I, pag. 261. La Curia adottò le forme già in uso nei secoli anteriori nelle altre città italiane. (3) Ricca-Salerno, pag. 100. (4) Cap. 9. Casoni, Annali, V, pag. 136, 1628. Nei secoli posteriori non furono più tanto stimate queste iscrizioni nel libro d’oro della repubblica. Andavasi formando una classe di nuovi ricchi accanto ai nobili in parte impoveriti. Stella, Marchesi, nobili patrizi genovesi, e nobili generici, pag. 19 segg. — 193 — per le leggi del 1547. Inoltre si sentirono fortemente punti, per aver dovuto nel 1528 rinunziare al loro nome di famiglia, senza poi trovarsi tenuti nel debito conto negli alberghi degli antichi nobili, nei quali entrarono. Fra i vecchi, che si radunavano nel portico di S. Luca, ed i nuovi, che tenevano le loro riunioni nel portico di S. Pietro, esisteva sempre una tensione che durò fin dopo il 1576, cioè anche dopo che i nuovi acquistarono maggiori diritti nelle elezioni e poterono riprendere gli antichi nomi e le antiche armi delle loro rispettive famiglie (1). L amicizia fra nobili vecchi e nobili nuovi non era cagionata soltanto da rivalità di classe , ma eziandio da questioni economiche. Quando il commercio genovese Coll’Oriente ebbe a soffrire in causa dell avanzarsi degli Osmani, il capitale genovese, oltre che nel commercio, cercò impiego per altre vie diverse, cioè: col porsi a disposizione dell’Estero per la costruzione di navi, con prestiti in denaro a principi stranieri, e coll’ industrie, specialmente della seta. Già nei secoli anteriori le flotte genovesi aveano guerreggiato, non solo per il proprio paese , ma anche a servizio di principi forestieri, specialmente dei re di Francia (2). Ora i Genovesi esercitavano X industria della guerra su vasta scala al soldo dell’ estero. Il più rinomato fra questi condottieri per mare fu lo stesso Àndrea Doria che combattè colla sua flotta per il Papa, per il re di Francia e per l’imperatore. Può essere paragonato a Francesco Sforza (3). Quanto l’antico eroe del mare invecchiò, prese il suo posto (1) Accinelli, Compendio delle Storie di Genova, pag. 142, 169. Riflessioni di Domenico Grimaldi, 176S. pag. 29: « dimissio nomine et appellatione cognominis assumpti ». U. Assereto , Genova e la Corsica, pag. 50, nota. (2) Caro, Genita und die Machie am Mittehneer, II, pag. 320. Accinelli, Compendio delle Storie di Genova, I, pag. 99, 1416. (3) Ehrenberg , Zeitalter der Fugger, I, pag. n. J. Burckhardt, Gultur der Renaissance, I, pag. 22 segg. Atti Socict) Ligure Storia Patria. Voi. XXXV, P. II. 15 ——----- —— — 194 — Gian Andrea Doria, ed il re di Spagna, al servizio del quale Andrea Doria era passato nel 1528, gli conferì gli onori di ammiraglio della flotta spagnuola (1). I'ra le 29 galere, che nel 1559 mossero contro i Turchi, 16 appartenevano al Doria, fra le 80 galere, armate dalla Spagna nel 15 71 » 12 erano di Gian Andrea Doria. I Doria però non erano i soli. Fra la flotta del 1559 eranvi 5 galere d’un Antonio Doria e 2 di Bendinello Sauli. Nel 1571 ve n’erano 4 di Ambrogio Negrone, 2 di Nicolò Doria, 2 di un De Mari, 2 di David Imperiale e 2 di Giorgio Grimaldi (2). Questi capitalisti, che esercitavano la guerra come un mestiere, la elevarono alla dignità d’arte, di cui la norma principale era quella di risparmiare il costoso capitale che vi veniva impiegato. Andrea Doria, ad esempio, dimostrò grande valentia nel cogliere piccoli vantaggi, evitando le grandi battaglie (3). Il contrapposto fra questo sistema di guerra a base di speculazione finanziaria e l’altro, che arrischia tutto per la difesa dei propri interessi, è posto in luce dalla battaglia di Lepanto. Mentre i Veneziani si scagliavano valorosamente colle loro galere contro i Turchi, loro naturale nemico, Gian Andrea Doria cercava colle proprie di prenderei nemico alle spalle con destre manovre, anziché assalirlo vigorosamente di fronte, a dispetto dei Veneziani che non comprendevano questa tattica antiguerresca (4). Del resto questa forma d’ impiego del capitale genovese, non corrispondeva affatto agl’ interessi nazionali. Mentre il re di Spagna, per mano dei condottieri , sfruttava la Liguria, come distretto di reclutamento di marinai, Genova a mala pena riusciva ad equipaggiare le sue sei galere (5). (1) Manfroni, Storia della marina italiana, pag. 390. (2) Manfroni, pag. 411, 473, 475- Sulle galere di privati genovesi a disposizione della Spagna, ancorate al Mandraccio (1582-1716). Cfr. Accinelli, I, pag. 171. (3) Manfroni, pag. 409, 410: « Carlo V capi bene il carattere mercantile del Doria ». (4) Manfroni. pag. 494-496. II papa disse di lui: « S’è diportato più da corsale che da capitano ». (5) Relaz. 1597, cap. 40. — i95 — Ne cosa meno seria per una politica nazionale erano i prestiti che dal XV secolo in avanti i Genovesi accordavano su vasta scala ai principi stranieri, e dopo il 1528 special-mente ai re di Spagna (1). I Genovesi furono i banchieri della Spagna, alla quale poterono facilitare l’esecuzione d’una politica in grande, non solo con prestiti, ma anche come intermediari per lo scambio dei pagamenti fra la madre patria e I Olanda spagnuola sulle fiere di Besanzone e di Piacenza (2). Di quale importanza fossero per Genova questi mercati cambiari, risulta tra altro dal fatto che nella imposta sui cambi del i55°> viene prima di tutto fatta menzione delle cambiali della fiera di Besanzone ; in seconda linea vengono le piazze cambiarie di Milano, Firenze, Lucca, ed altre (3). Le ingenti somme , che i Genovesi prestavano agli Spa-gnuoli, li rese subordinati a quest’ultimi, poiché il pagamento degl interessi e la rifusione del capitale erano possibili soltanto mediante assegno di rendite riscuotibili nei domini spa-gnuoli (4). Pero gli Spagnuoli erano cattivi pagatori e fra il giubilo del popolo, che odiava gli usurai genovesi, Filippo II nel 1575 rifiutò loro i pagamenti (5). I creditori della Corona di Spagna erano quasi esclusiva-mente nobili vecchi. Nel 1575 essi pregarono il re, in compenso dei loro crediti, di aiutarli almeno per farli rientrare in Genova, donde erano stati espulsi dalla rivoluzione del 1575. II re però non accondiscese a tale preghiera, per lo che gli (1) Ehrenberg, Zeitalter der Fugger, I, pag. 324 segg. (2) Ehrenberg, II, pag. 222 segg. (3) Membr. 14, (XIII), fog. 77. Gabella de cambi : « per tutti quelli che negozieranno a Besensone od altro qualsivoglia luoco, dove accadessi che la nation nostra andasse per far il negotio delle fere ». Allorquando nel 1629 il governo genovese consolidò un debito assunto in sospeso sui mercati, addusse, come uno fra i vantaggi derivanti da questa misura, la favorevole circostanza per i mercati, che d’ ora innanzi il governo genovese non avrebbe più avuto bisogno di approfittare del capitale offerto sulle fiere. Manuscr. 142. (4) Ehrenberg, Zeitalter der Fugger, I, pag. 32S segg. (5) Ehrenberg, II, pag. 205 segg. - ———- — —- — 196 — esuli nobili vecchi versarono per qualche tempo nelle maggiori strettezze (1). Nel 1576, per intromissione del re di Spagna, dell’imperatore e del Papa, i partiti di Genova vennero ad un componimento, che permise ai nobili vecchi il ritorno in patria (2). Malgrado la bancarotta del 1575, i prestiti di denaro dei Genovesi alla Corona di Spagna, furono ripresi verso la fine del XVI secolo (3). Alla prima bancarotta ne seguirono altre e la rovina della potenza mondiale della Spagna trascino nel precipizio i Genovesi. Quando, nel 1627, la Corona di Spagna, per istigazione del duca di Olivarez, sospese un’altra volta i pagamenti e convertì in permanenti gl’ impegni temporanei dei Genovesi, valutati due terzi del valore nominale, scoppiò a Genova una grave crisi. Nessun creditore poteva riavere il suo denaro, e fu necessario ricorrere ad una moratoria generale (4). Sullo scorcio del XVI secolo , Genova ebbe un secondo periodo di floridezza, che possiamo paragonare allo splendore cui nel 1300 arrivò la città. Però questa volta la parte più nobile dello Stato genovese , mise in balìa degli stranieri le sue sorti e le sue fortune ricorrendo persino a maestri forestieri, ai Rubens ed ai Van Dyck, per la decorazione dei suoi splendidi palazzi (5). Mentre l’industria marittima ed il commercio del denaro, che andavano a vantaggio degli stranieri, erano esercitati dai (1) La Rei. del 1597, cap. 32, fa cenno che uno dei motivi che diede luogo al decreto del 1575, fu il malcontento del re per non essergli riuscito d’avere nelle sue mani il Castello di Genova : « visto il re di non poter ottenere la detta fortezza, fece il decreto circa a huomini di negotio, per lo quale si rovinò in gran parte tutta la impresa dei vecchi ». (2) Bibl. dell’Univ. B, VI, 33. Leges, 1576. (3) Membr. 59 (XXXVII), 16 marzo 1590: « delle censarie e cambi si può sperar introito maggiore e massime in quella cambi, poiché guadagna in grosso (la gabella) ». Ehrenberg, Fugger, I, pag. 350 e 351. (4) Casoni. Ann. V, pag. 122. I Genovesi erano anche molto interessati nei monti del Papa. Ranke, Pdpste, III, pag. 9 e 72. (5) M. Menotti, Van Dyck a Genova, Archivio storico dell’arte, III, 4 Roma, 1897, pag. 281 segg. — 197 — nobili vecchi, il commercio e l’industria rimanevano nelle mani dei nobili nuovi, la cui importanza però dopo il XVI secolo andò scemando. Oltre l’antica industria della lana, erasi sviluppata fino dal principio del XV secolo quella della seta , che era diventata il più importante articolo d’esportazione. Tessuti genovesi di seta erano spediti in Levante , in Francia, in Spagna (i), in Inghilterra (2), in Fiandra ed in Germania (3). Le arti della lana e della seta, i lavori d’oro e d’argento, le costruzioni navali e l’arte del bottaio, godevano d’una diminuzione di dazio per l’introduzione della materia prima e per 1 esportazione delle merci fabbricate (4). Il mercato interno fu assicurato all’industria locale della sartoria, mediante la proibizione di poter vendere al minuto stoffe di seta estere e ai padroni di indossare vesti di lana estera (5). I padroni lottarono a Genova con successo contro le limitazioni che le corporazioni dei maestri che lavoravano per essi, minacciavano di opporre allo sviluppo della loro arte (6). Gli statuti del 1528 erano avversi alle corporazioni. Forse per sollevare Genova dalla depressione nella quale si trovava, certo anche nell’interesse dei padroni che contribuirono alla compilazione degli statuti del 1528, fu promessa a tutti i forestieri che venissero a Genova, piena libertà di esercizio della loro arte o mestiere. Doveva essere abolita nelle corporazioni la limitazione secondo la quale non potevano esservi ammessi (1) Sieveking, Seidenindustrie, Schmollers, Jahrbuch, 1897, pag. 121. (2) Serra, IV, pag. 207. (3) Membr. 14 (XIII), fog. 144. (4) I, pag. 176 e 177. Nel 1563 furono concesse all’industria della lana di Savona le stesse facilitazioni che a Genova. Membr. 14 (XIII) fog. i2b. Oro e argento filato pagavano una tassa di fabbricazione che andava a carico del consumatore di 5 den. per libra justi pretii (2 ’/8 4°/0), 14, (XIII), fog. 141, I, pag. 171, nota 4. (5) I, pag. 176, 177, Leges, 1528, pag. 30, 13 marzo 1529. Arch. secreto, 3141: « indui non possint nisi panna Janue fabricata ». (6) Caro, Genita und die Machie, II, pag. 343. Sieveking, Seidenindustrie, pag. 105 segg. — i g8 — se non quelli che dopo un tempo prescritto avessero imparato l’arte e ciò anche qualora la corporazione non fosse stata al completo (i). Qualunque forestiero o nazionale che possedesse una casa a Genova, doveva venire abilitato ad esercitare qualsivoglia mestiere (2). Quanto riuscisse utile ai padroni questa proclamazione della libertà dei mestieri, vedesi dal fatto che contemporaneamente ai tessitori di seta, fu tolto il privilegio di tessere per conto proprio. Però su questo punto i padroni non seppero mantenere la loro posizione. Tuttavia dalla proclamazione della libertà d’ esercizio dei mestieri (3) alla sua esecuzione, corse un bel tratto. Come associazioni economiche le corporazioni poterono mantenersi malgrado le leggi del 1528 (e anche malgrado i torbidi del 1401). In tale occasione caddero loro in acconcio le lotte di partito fra i nobili nuovi ed i nobili vecchi che facevano assegnamento sulla loro forza. Intanto già un’ aggiunta alla costituzione del 12 marzo 1529, riconosce le corporazioni come associazioni possidenti. Gli operai forestieri non potevano partecipare ai vantaggi economici della corporazione, se non che col consenso della corporazione stessa (4). L’industria della seta da altre città italiane, come Firenze, (r) Leges, 1528, (stampata Pavia, 1575), pag. 22: « aveniva che coloro chi già avevano finito il tempo ordinato ad imparare l’arte, fussero sforzati di mancare del frutto delle opere loro, delle quali non potevano prevalersi per la povertà nel mestiere, che avevano appreso ». (2) « Non ostante privilegio e conventione di qualsivoglia artificio o arte, il quale privilegio e conventione e tutte altre cose , che facessero incontrario, si intendano esser derogate ». (3) Leges, pag. 31, 13 marzo 1529. Sieveking, Seidenindustrie, pag. 114. Leges, pag. 22: « desiderando che essi arti e mestieri si augmentino, ne quali consiste grandissimo commercio, onde ne procede universal guadagno ». (4) Leges, pag. 31, confr. sulla proclamazione della libertà dei mestieri nella contea di Firenze , Pohlmann , Wirtschafispolilik der florentiner Renaissance, pag. 78; sulla supposta libertà di mestieri e corporazioni di Milano negli ultimi secoli del medioevo, ivi, pag. 152 segg. Anche la libertà dei mestieri decretata a Venezia nel 1719 non ebbe effetto. Gius. Alberti, Le corporazioni d' arti e mestieri e la libertà del commercio interno negli antichi economisti italiani, pag. 29. — 199 — erasi trasportata a Genova, specialmente per la minore gravezza delle imposte che qui si pagavano (i). Ma necessità fiscali obbligarono anche il governo genovese ad abbandonare quella politica da cui poteva ritrarre la più importante fonte di vita della città. Nel corso del XVI secolo vennero tolte le franchigie del dazio sulla industria serica. Nel 1539 , 1’ addizionale di dazio dell’ 1 °/0 aggiunto di carati maris, venne applicata anche alle stoffe di seta fabbricate a Genova (2). Il 13 marzo 1565 venne imposto un dazio d’esportazione sopra tessuti di seta genovesi di 15 sol. per pezza di velluto di 100 piedi (palmae 3 = 1 braccio, brachium), raso e damasco di 150 piedi. Taffetà era tassato a peso, 1 1/2 sol. prò libra ponderis (3). Le imposte sull’industria serica furono d’impedimento perchè essa potesse entrare in concorrenza col commercio mondiale. Le epidemie decimarono il numero degli operai. I filatori e tintori di seta ebbero ancora grande parte nei movimenti del XVI secolo, cioè nel 1547 e 1575 (4). Dalla fine (1) Póhlmann, pag. 120. Nel 1478 gli alti dazi d’ esportazione fecero trapiantare 1’ industria della seta da Firenze a Genova. (2) Membr. 14 (XIII), fog. 1: « cui drictui unius prò centenario generalis dictis caratis incorporato intelligantur et sint obligata omnia panna sete fabbricata in Janua, pro quibus solvantur lib. XVII pro qualibet capsia de capsiis II, pro qualibet sauma, et pro illis pannis non existentibus in similibus capsiis solvantur sold. XXI, pro qualibet petia veluti, et prò aliis pannis sete auri vel argenti ac auri vel argenti cura seta ac etiam frezetis similiter in Janua’fabricatis solvatur I, pro cent, pro dicto drictu ». (3) Membr. 14 (XIII). fog. 144- La capsia di 11 ‘/s rubi, che usavasi per l’esportazione a Lione, costava 11 L. di dazio , la capsia di 12 rubi per l’esportazione in Fiandra e Brabante 12 L., quella di 12 1ji rubi per la Germania 12 L. 15 s. Il dazio della seta doveva servire per 1’ estinzione d’un mutuum locorum di 8950 L. Manoscr. 147. Fin, N. 1985, fog. 4-37> giugno 1665, venne applicata un’addizionale, Memorie S. Giorgio, 1681, fog. 58. Anche a Milano, 1600, si manteneva la vecchia protezione del commercio di seta e di panni gravandolo d’imposte. Verri, Memorie storiche sulla economia pubblica dello Stalo di Milano, Scrittori classici italiani., XVII, p. 49. (4) Rei. 1597, cap. VII. I nuovi promisero ai tessitori di seta un aumento di mercede di 3 s. per braccio. — 200 — del XVI secolo in poi il loro numero e la loro importanza andarono scemando. Nella metà del XVII secolo il perfezionamento tecnico ottenuto dai fabbricatori di Lione e la fortuna di questa città di appartenere ad uno Stato potente, ridussero Genova a trovarsi ad un posto inferiore nel mercato mondiale (i). Come nell’ industria, Genova decadde pure negli affari commerciali e monetari (2). I rapporti di Genova colla Spagna, aveano recato grande impulso al suo commercio. I Genovesi avevano ottenuto grandi vantaggi dal governo spagnuolo (3) il quale nel 1528 accordò loro un trattamento eguale a quello di cui godevano i propri nazionali (4). Però al posto dell’ antica rivale , sorse un nuovo concorrente , Livorno , che, favorita con privilegi dagli arciduchi toscani, specialmente col porto franco, salì a grande floridezza (5). Genova, ad imitazione di Livorno, e per procurare eguali vantaggi al suo commercio, venne dichiarata porto franco. Nel 1595, quando una generale carestia desolò l’Italia, e per la prima volta navi olandesi vi portarono grano polacco, Genova fu dal governo dichiarata porto franco, per tre anni per tutte le navi della portata di almeno 300 mine di peso che recassero viveri. La gabella grani doveva pagarsi soltanto per l’introduzione in città (6). Nel 1613 il privilegio della fran- (1) Sieveking, Seidenindustrie, pag. 124, 127. Oltre all’industria della seta e della lana, sempre attive, Peri, Negoziante, II, pag. 82, fa cenno fra altro dei frutti canditi e dei merletti come prodotti genovesi. (2) Ehrenberg, Zeitalter der Fugger, I, pag. 347. (3) L. J. IIII, (Paris), fog. 36b, 21 maggio 1524: « sopra el caricar delle navi di Genova in li porti di Spagna nonobstante Ia prematica prohibitione ». Confronta sopra 1’ impiego del capitale genovese nel commercio dei negri. Knapp, Ursprung der Sklaverei in den Kotonien, (Die Landarbeiter in Knechtschaft und Freiheit, pag. 16). (4) Ehrenberg, Zeit. der Fugger, I, pag. 325, 338. Confronta sul commercio di Genova colla Spagna, Lobero, pag. 107 nota. (5) Ehrenberg, Wie wurde Hamburg gross? (6) Banchero, pag. 437. - 201 - chigia del denaro di transito venne esteso a qualunque specie di merce (i). Le merci e le navi che venivano dal di là di Gibilterra e dalla Sicilia e che non erano destinate per la Liguria, erano franche d imposte a Genova, qualora non toccassero terra e non eseguissero vendite. Era permesso il trasbordo, e a tale effetto bastava darne avviso agli appaltatori dell’ imposta. Questa franchigia non era valida che per cinque anni , però veniva regolarmente rinnovata. Nel 1619 fu pure concesso di potei portare merci franche di dazio in qualche punto determinato del litorale (2). Una volta Genova tentò di monopolizzare, per la propria bandiera, il commercio nelle sue acque (3). Questa politica, che Venezia potè seguire con successo sull’Adriatico, fu abbandonata da Genova, perchè malgrado i suoi sforzi, non le fu possibile di sottomettere a sè i porti provenzali e toscani, nè tener testa alla sua più potente rivale Barcellona. Si fecero p. es. noleggiare a Genova bastimenti tedeschi per viaggi in Ispagna e Napoli, lo che non fu concesso da Venezia (4). Così nel 1501 le società di Amburgo poterono fare il progetto di un commercio proprio in Oriente per Genova (5). Questa pretendeva il diritto di scalo solo per la costa ligure; ogni nave proveniente dall’alto mare doveva toccare Genova (6). Venezia poteva mantenere il monopolio delle navigazione sull’Adria-tico perchè la sua flotta dominava il mare. Il bacino occidentale del Mediterraneo invece, non era dominato dai Genovesi, ma bensì dagli Spagnuoli, che dovevano difendersi contro gli attacchi dei Turchi e dei Francesi e più tardi degli Olandesi (1) -S-. Giorgio, Propos. 114, fog. 26. S. Giorgio dovette prima dare la sua approvazione alla proposta del governo. (2) Fog. 56. (3) I, pag. 39. 40.. (4) Heyd, die grosse Ravensburger Gesellschaft, pag. 23 segg. (5) Kaebler, die iiberrseeischen Unternehmungen der Welser, pag. 7. (6) I, pag. 167. Nel 162S il diritto di scalo, mantenuto per ragioni fiscali , venne modificato nel senso che furono istituiti a Savona e Porto-venere uffici daziari per i carati mdris (dazio portuale di Genova). Accinelli, II, pag. 311. e degl’ Inglesi. Quello che Genova non potè avere colla forza, d’essere cioè l’emporio della metà settentrionale del bacino occidentale del Mediterraneo, procurò ottenere mediante concessione di privilegi agli stranieri. Il favore del porto franco venne accordato solo a quelle navi che venivano direttamente a Genova da Marsiglia o dalla Sicilia senza aver toccato alcun altro porto (i). Con ciò Genova imitava la politica che Firenze, la cui . • • \ • v potenza marittima era cominciata fino dal 1421 , inizio già nel 1430 per aumentare la prosperità dei suoi porti, accordando franchigia d’imposte a tutte le merci che dovevano essere riasportate entro un anno, provenienti da luoghi situati al di là di Roma e Genova e qualora non fosse avvenuto cangiamento di proprietà (2). L’istituzione del porto franco rianimò il commercio di Genova. Si dovettero continuamente ampliare i magazzini, e l’incremento generale era dimostrato anche da un maggiore ricavo delle imposte (3). Ma il commercio di Genova da attivo era diventato passivo. Una volta, prima che gli Osmani chiudessero il Bosforo, i Genovesi portavano a casa il grano della Russia meridionale coi propri legni (4). Ora erano gli Olandesi che portavano loro il grano forse dalle medesime regioni ma perle vie di Danzica e Amsterdam (5). Nel XVII secolo, Francesi, Inglesi ed Olandesi soppian- (1) Prop. 115, fog. 59» 12 gennaio 1650: « senza haver fatto scala altrove ». (2) Pòhlmann, WirtschaftspolUìk der fiorentine}- Renaissance, pag. 124. (3) Prop. 114, fog. 221 , 1639: « conosciuto dall’esperienza, che la concessione del Porto Franco ha aprestato non solo giovamento universale alla città, ma in particolare all’ introito di queste compere, e della republica serenissima ». (4) Ancora nel 1558 un’ ambasciata andò dal Granturco per ottenere il permesso di asportare grano per Genova. Manfroni, Stona della marina italiana, pag. 39«. Questa ambasciata avea però anche lo scopo, mediante corruzione, di stornare i Turchi da un’invasione nel territorio genovese e di staccarli dai Francesi. (5) Naudé, Getreidehandelspolitik, pag. 345. tarono gl Italiani nel commercio col Levante nel quale prima eccellevano. L’Inghilterra in cambio delle merci orientali, poteva spedire ai Turchi piombo e stagno. Le altre nazioni dovevano acquistare dai Turchi la maggior parte delle merci col denaro. Genova null’altro poteva offrire ai Turchi se non che le sue manifatture di seta, che rappresentavano forse appena la quinta parte delle merci che ritiravano dal Levante (i). La fine del XVII secolo segnò la decadenza completa del commercio e dell’ industria genovese. Marsiglia e Livorno furono le più fortunate concorrenti. Solo nel commercio monetario i Genovesi continuarono ad essere superiori (2); nei cambi occorrenti per effettuare i pagamenti, la continua variabilità dei corsi, cagionata dal deterioramento delle monete, offriva loro qualche guadagno (3). Nè Genova poteva ormai riacquistare 1’ antica floridezza, quantunque nel XVIII secolo per i minori dazi di transito dei paesi vicini, i Milanesi nei loro commerci la preferissero a Venezia (4). Politica dei viveri. Per quanto l’imposta diretta, al momento dell’ esazione, riesca penosa alle piccole e alle medie fortune, ben più che alle grandi, tuttavia le classi povere soffrono di più, quando, non usando di questo mezzo di finanza, si aumentano invece i debiti pubblici e le imposte indirette, poiché queste sono tanto più sensibili quanto minori sono le entrate, intanto che i ti- (1) Genova, Arch. di Stato. Sala 41, Mon. 20, Relazione di Giov. Ag. Durazzo del 1666. Sui tentativi per rialzare 1’ industria marittima ed il commercio confr. Peri, Il Negoziante, II, pag. 79 seg. (2) Banchero, I, pag. 362. Nel 16S5 il prof. Montanari scrive da Padova: « Le altre nazioni se vanno regolate come dovrebbero colla piazza di Genova, ch’è il magazzino di questi metalli (oro ed argento) in Italia ». (3) Mon. 20, 16S9: « a Genova mancano i negozii di mercantie e li traffici e cosi si studiano tutte le forme per guadagnare alle spalle dei poveri ... a Genova vi è inclinazione grande al guadagno nelle monete ». (4) Verri, pag. 49. — 204 — toli del debito pubblico si accumulano nelle mani dei ricchi. A tale inconveniente si rimedia, come avvenne principalmente in Francia nel nostro secolo, democratizzando una rendita che ha un corso fisso. Così però non fu a Genova, quantunque il debito pubblico, derivante il più spesso da prestiti forzosi, fosse frazionato in piccole cifre, esso non era, a cagione della oscillazione del corso, un impiego di capitale conveniente alle borse modeste e quindi i piccoli creditori dello Stato procuravano disfarsi dei loro titoli, che venivano avidamente presi dai più ricchi (i). Il malessere derivante da un bilancio basato sulle imposte indirette e sui debiti, è tanto più aspro quando, come era a Genova, le imposte vengono appaltate. L’appaltore, di fronte al contribuente, rappresenta la parte del fisco da un solo punto di vista; e la durezza di questo sistema rende estremamente difficile la possibilità di venire ad una riduzione d’imposte. L’appalto non può essere assunto altrimenti che da forti capitalisti, i quali hanno così nuova arma in mano per sfruttare i più deboli (2). Tendenze, che si manifestarono già in secoli anteriori, ma che aveano trovato un certo contrappeso nella Genova popolare, tornarono a sorgere senza ritegno negli ultimi secoli della repubblica. La dominante plutocrazia, quale creditore dello Stato e appaltatore delle imposte, sfruttava lo Stato ed il popolo. I nuovi ed i poveri, le davano mano coll acconsentire alla continua abolizione delle imposte dirette. Essi si erano lasciati prendere da una legge secondo la quale, quando si rendeva necessaria la ripartizione d’ una imposta diretta, ne dovevano essere esenti le sostanze inferiori a 6000 scudi. Con questo l’imposta diretta non poteva bastare e le classi inferiori, che nella loro cortezza di vista avevano spe- (1) Relax. 1597, cap. 54 : « i poveri quello che per forza havevano comperato, assai tosto rivendendolo ai ricchi, venivano ad aiutar il modo et intention loro ». (2) Cap. 50: « volendo i ricchi dominare non possono farlo meglio che con questa via, e potendo per la copia della ricchezza comprar le entrate pubbliche, si sono ottimamente potuti servire della commodità », — 205 — rato un sollievo , dovettero adattarsi, in seguito all’aumento del debito pubblico, ad un peso sempre più opprimente di imposte indirette (i). Negli ultimi secoli della repubblica genovese, non vi fu altra cosa nella quale il basso popolo fosse maggiormente sfruttato da parte della signoreggiante plutocrazia, come nella fiscalità della politica dei viveri. ' Nella Genova popolare 1 'officium victualium doveva provvedere , perchè venissero introdotte in città sufficienti quantità di grano e che i prezzi non venissero eccessivamente aumentati dai rivenditori (2). Anche 1’ officium abundantie fu creato il 24 gennaio 1564, appunto collo scopo che affluisse alla città una sufficiente importazione (3). Questo ufficio prima di tutto, per evitare il pericolo di carestia, doveva tenere sempre un deposito di 15000 mine di grano, da vendersi solo in caso di carestia (4). L’ufficio stesso aveva inoltre il diritto di costringere mugnai e fornai a prendere metà del suo deposito a prezzi da esso fissati (5). Lia Vofficium abundantie esercitava pure una certa sorveglianza sul movimento del grano portato sul mercato di Genova. In tempi normali non pote-vasi asportare più di un terzo del grano che arrivava in città, però entro i confini del territorio della repubblica e col permesso dell’ufficio. L’istituzione del porto franco nel 1595 diede uno strappo a queste limitazioni. Nel 1641 si calcolò che entrassero annualmente a Genova 300000 mine di grano, delle quali 40000 venivano riasportate, ed il resto rimaneva a Genova e nelle Riviere (6). ^i) « I nuovi et i poveri sopratutto non potriano far meglio che per via di tassa pagar le spese a tutto loro potere e lasciar a poco a poco redimersi a S. Giorgio. (2) I, pag. 177 e seg. e 1S2. (3) Torino, Arch. di Stato. Raccolta Lagomarsino. Mag. Abondanza, I. (4) Nel 161S questa provvista venne portata a 20000 mine, e nel 1631 fu preventivata in 40000 mine. (5) Confronta Fin., 1985, 1570, fog. 424: « unus ex juvenibus deputatis ad curam solicitandi debitores qui non ceperunt frumenta et seu eorum portionem intra tempus ». Confr. per Venezia, I, pag. 180. (6) Bibl. dell'Univ. C. VI, 10, voi. X, pag. 117, 12 giugno 1641. Fu calcolato un consumi annuo di 2 mine per testa. - 2 o6 - Come negli Stati della Chiesa (i), anche a Genova, l’amministrazione dello stato sul grano da principio non aveva il monopolio per l’acquisto del grano stesso, poiché accanto ad essa vi erano i negozianti privati , che procuravano tenerne alto quanto più era possibile il prezzo (2). Alla realizzazione del proposito di ribassare il prezzo del pane mediante 1’ Officium abundantie, opponevasi lo stesso governo, colle forti gabelle cui era sottoposto il grano che veniva importato, nè ciò bastando, lo stesso officium abundantie, istituito in origine a tutela del popolo, venne sfruttato a profitto del fìsco. L’amministrazione del grano si procurò un capitale proprio assumendo debiti contro cambiali. Tale debito doveva estinguersi colla vendita del grano, e qualora questa fosse stata insufficiente, 1’ eventuale differenza sarebbe stata coperta con un’imposta diretta sulla nobiltà (tassa alla nobiltà) (3); ma più tardi troviamo anche compere dell’officium abundantie, e, come già avvenne ancora prima a Venezia (4), il passo fu breve per condurre la finanza dell’ officium abundantie a profitto dello Stato, cosa per la quale venne mosso rimprovero al governo fino del 1575 (5). D’altra parte l’amministrazione governativa del grano serviva agl’ interessi dei capitalisti a danno della massa della popolazione. Nel 1595 1 'Officium abundantie fu colto da una grande penuria di denaro, causata principalmente dagli alti interessi che esso ufficio dovea pagare per le cambiali, colle quali erasi procurato il denaro necessario per 1’ andamento dell’ ammini- (1) U. Benigni, Getreidepolitik der Pàpste e G. Ruhland, p. 38. (2) Relaz. 1597, cap. IX. (3) Relaz., cap. 46. (4) Cecchetti , Appunti sulle finanze antiche della repubblica venela. Arch. Veneto, XXXV, 1888, pag. 43: « Cassa principale (?) era quella del frumento, dove si depositavano denari dei privati ed alla quale il governo ricorreva per prestiti ». Confronta, Venezia, Arch. di Stato, Lettere commerciali, Soranzo, libro reai nuovo, fog. 5, (5) Rei. 1597, cap. Vili: « sparsero voce che l’Ufficio delle vettovaglie imposto da vecchi mantenesse la carestia ». I- - 207 — strazione. La bancarotta era alle viste (i), per cui si venne alla decisione di estinguere questo debito cambiario mediante un prestito accordato dalla Casa di S. Giorgio di 200000 lire di paghe. La Casa doveva rifarsi con un aumento sul dazio del grano. Per cui le eccessive spese dalle quali l’amministrazione governativa era aggravata, furono prese dalle tasche dei contribuenti bisognosi, per riempire quella dei ricchi prestatori di denaro. Nel XVII secolo pullularono progetti, i quali aveano per iscopo di dare completo assetto all 'Officium abundantie. Gli si doveva accordare un monopolio per 1’ acquisto del grano corrispondente a quello del sale e persino monopolizzare la cottura del pane in una fabbrica dello Stato. Il capitale occorrente per questa impresa doveva formarsi mediante un monte di 1400000 lire ad un interesse dal 4 al 5 °/0 e sperabilmente estinguibile in 6 0 7 anni. Citavasi ad esempio quanto erasi fetto a Lucca. La città sarebbe così sempre sufficientemente approvigionata, i poveri avrebbero avuto dal panificio dello Stato una qualità di pane migliore di quella fornita dai fornai e lo Stato avrebbe ricavato da tale impresa un notevole utile (2). Le discussioni avvenute su questo argomento vennero concretate il 30 ottobre 1645 colla decisione di costruire un panificio governativo che fu ultimato nel 1648 (3). Sembra però che la cottura del pane a spese dell’amministrazione del grano, sia stata praticata anche prima (4). Ora lo Stato si assunse (1) Membr. XXXVII, fog. 70, 13 marzo 1595: « l’Ufficio di abondanza si trova in debito di molte migliaia di scudi, li quali si tengono sopra cambi, e l’interesse è tanto eccessivo, che quando non si procuri presto l’estinzione d’esso debito , si può senza dubio tenere che quel magistrato in breve non si rovini ». ' (2) Lagomarsino, Abbondanza, 1610: « Supplica sopra il fabricar del pane ». Confr. Civica D., 3, 7, 22, N. 76 « sopra la fabbrica del pane... proposto di fare fabricare tutto il pane venale per la repubblica ». Si calcolò per 100000 persone a 100000 salme di grano a 14 lire. (3) Bìbl. dell’Univ. C., VI, 10, v. X, pag. 386. (4) Tag. 567, 11 sett. 1648: « Solendosi affittare le fabriche del pane a diverse qualità di persone ». - 2 o8 — l’approvigionamento della città con quantità sufficiente di pane, di unica e buona qualità. Il panificio dello Stato doveva a-vere sempre un deposito di 2000 mine di farina (1). Per impedire il contrabbando contro il jus privativum della vendita delle farine, fu proibito ai mugnai, sotto pena della galera fino a tre anni, il commercio dei grani e delle farine. Essi potevano macinare soltanto a mercede , per conto dello Stato e dei privati dai quali fossero richiesti per la macinatura del grano proprio, per proprio uso e non per essere venduto (2). L’ esercizio governativo per un ramo d’ affari così importante non poteva essere scevro di abusi e diventò un duro peso per le classi inferiori della popolazione (3), che nel 1657 si sollevarono contro il peso della politica dei viveri (4). Tuttavia il panificio dello Stato, del quale Giorgio Forster nel 1785 ci porge una poco brillante descrizione (5), si mantenne fino al nostro secolo (6). Come per il sale e per il grano, venne pure monopolizzata su basi fiscali l’importazione della carne. L’ amministratore del monopolio poteva riscuotere 6 soldi per ogni libbra di carne. Il governo, entro certi limiti di massima, fissava il prezzo al quale egli poteva rivendere la carne ai macellai (7). Nel 1593 vennero creati i provvisori dell’olio (8). Essi dovevano regolare il mercato dell’ olio, provvedere che non ne (1) Pag. 575. (2) Civica, D. 1, 3, 1. Decreti e scritture diverse, 271, 4 marzo 1766, riforma delle leggi del 2 aprile 1571 , 9 aprile 1592 , 19 novembre 1607, 7 gennaio 1609 e 21 maggio 1612. (3) Lagomarsino, Abondanza, 1745: reclami contro Domenico Riccio, impresario dei publici forni per furti e pessima cottura. (4) Accinelli, I, pag. 212. (5) Naudé, die Getreidehandelspolitik der europàischen Staater vom 13-14 Jahrh. (acta borussica) pag. 168. (6) Fino al 1839. Banchero, 1, pag. 446. (7) Propos. 118, fog. 318, 1727: « apalto del jus privativo di provedere le carni, con obligo al magistrato di prefiggere e limitare antecedentemente il prezzo, cui l’oblatore potrà vendere la carne ai macellai». (8) Olivieri, Carte, pag. 43. venissero esportate quantità eccedenti i bisogni dell’interno, in modo che questo ne fosse sempre provvisto. Nel 1772 l’e-spoitazione dell olio fu concessa a patto, che la decima parte della quantità a tal uopo destinata, fosse depositata nei magazzini pubblici a prezzi fissati dall’autorità (1). Il magistrato dell’olio, come 1 'officium ahondantie, si procurava denaro per 1’ acquisto dell’ olio ed il governo poteva, in caso di bisogno, approfittarne per i propri scopi, come avvenne nel 1629 (2). E siccome il governo all’ occasione abusava di queste facolta, vennero poi riscontrate delle irregolarità da parte degli impiegati subalterni. Nel 1636 l’amministrazione si trovò una mancanza di 6000 barili (3). Pet il vino furono creati nel 1588 i provisori del vino (4). Questo uffizio assunse nel 1642 il monopolio della vendita al minuto, allegando, per giustificare tale misura, ragioni d’indole morale. Le bettole cioè erano luoghi di dissolutezza e di macchinazioni per omicidi, ed il controllo introdotto nel 1639, che vincolava le bettole ad una concessione da parte dei patres communis, non era bastato (5). Devesi però ammettere che all abolizione della vendita privata del vino al minuto non sieno stati estranei riguardi fiscali. Dapprima le rivendite governative avevano il monopolio per qualunque qualità di vino, ma nel 1644 venne nuovamente accordata ai privati la facoltà della vendita dei vini più fini (6). Essi dovevano tenere il prezzo di questi vini 1 s. e 4 den. per amola, più alto di quelli che si trovavano giacenti nelle cantine dello Stato e (1) Civica, D, 1, 3, 1, 290. Questa disposizione del i.° aprile 1772, fu abolita il 15 maggio del medesimo anno , quando fu raggiunto Io scopo d’avere i magazzini pieni. (2) Contracti cum comperis, XI, fog. 43: « Il magistrato dell’oleo nonostante gli ordini per li quali vien proibito di disponir dei denari in altro uso che in compera d’olei. possa dar a cambio alla camera L. 100000. (3) Casoni, Ann. V, pag. 236. (4) Olivieri, Carte, pag. 43. (5) Bibt. dell'Univ. C. VI, 10, voi. X, pag. 226, 31 luglio 1642. (6) Pag. 320 : « in dolersi d’essere astretti a bevere vini cattivi ». Atti Societ.) Ligure Storia Patria. Voi. XXXV, P. II. 16 - 2 10 - averne licenza dal magistrato. Chi ometteva di denunciare al magistrato il vino che metteva in vendita, chi vendeva vino comune riservato al monopolio dello Stato, o chi vendeva il vino al di sotto del prezzo fissato dalla superiorità, era punito colla galera fino a 3 anni (1). Come vedesi il monopolio dello Stato colpiva gli oggetti più necessari alla vita, quantunque fosse un lavoro a perdita. Nel 1775 il magistrato dell’abbondanza, si trovò nell impossibilità di pagare gl’ interessi del denaro preso a prestito e la Casa di S. Giorgio gli venne in aiuto (2). Alla caduta dell antica repubblica, 1797, i tre magistrati dell’abbondanza, dell’olio e del vino, rimasero con un debito complessivo di 2742120 L. 13. 10 moneta fuori banco, parte delle quali si riferivano ancora al XVII secolo (3). In causa di questi monopoli si aumentavano le imposte, lo che rendeva sempre più difficile il materiale mantenimento delle classi bisognose. E mentre la dominante plutocrazia scaricava sulle spalle del basso popolo il peso delle pubbliche gravezze, non si curava più, come per lo passato, di dargli mezzo di lavorare mediante l’antico spirito di ardita intraprendenza. Ne venne in conseguenza l’impoverimento delle masse che venivano assistite dai più ricchi con elemosine. A Genova eranvi due uffici per i poveri, 1’ Officium misericordie istituito nel 1463 e l’Officio dei poveri creato nel 15 39 (4)-Quest’ultimo distribuiva regolarmente pane e denaro a più di 2000 poveri. Secondo la relazione del 1597 gli esborsi di questo ufficio sarebbero certi , le entrate incerte. Queste erano formate in parte da legati, in parte da piccoli doni per Natale e Pasqua e da offerte raccolte durante la quaresima. Anche i due spedali di Genova, il maggiore e quello di Pammatone fondato da Bartolomeo de Bosco, non potevano (1) Bibl. dell’Univ. B, III, 22, fog. 64. Sulla scelta degl’impiegati governativi sul vino. Confronta C, VI, 7, fog. 371 » *631. (2) Bibl. dell'Univ. B, III, 25, pag. 10. (3) Torino, Arch. di Stato, Materie economiche, S. Giorgio, relazione de Marini, i.° marzo 1815. (4) Olivieri, Carte, pag. 43. Relaz. 1597, cap. 43 e 44- — 211 - mantenersi coi propri mezzi, nè colle sovvenzioni dello Stato (i), per modo che dovevano ricorrere alla pietà dei ricchi. Questi erano in certo modo obbligati ad essere generosi coi poveri, se volevano godere in pace i loro tesori (2). S. Giorgio; costituzione e stato della Casa, Il quadro, che ci presenta Genova negli ultimi anni della repubblica, è splendido, considerato da un punto di vista soltanto. Alla Chiesa di S. Lorenzo ed al Palazzo a mare, sortì nell epoca d’oro delle crociate, si aggiunsero i superbi palazzi eretti dai nobili in Via Nuova, prima chiamata aurea, ed in via Balbi. Però i tesori che occorsero per questi edifizi furono guadagnati mediante servigi prestati agli stranieri. La corona di mura che dal 1625 in poi cinge le alture di Genova, non sorse, come quella contro il Barbarossa nel XII secolo, per concorso comune di rutti i cittadini, ma bensì mediante una compera, che offriva ai capitalisti un proficuo impiego di capitali, mentre opprimeva i poveri con un maggiore peso d’imposte indirette. Così pure la Casa di S. Giorgio, il fatto più notevole dello Stato genovese nei suoi ultimi tempi, dev’ essere considerato da due punti di vista. Se non possiamo disconoscere l’ammirabile costituzione tecnica di questo istituto, non possiamo d’altra parte non vedere in esso un istromento potente nelle mani della imperante plutocrazia. Lo Stato aveva vincolato a questa organizzazione dei suoi creditori la maggior parte delle sue rendite ; esso medesimo era diventato povero a profitto degl’ interessi privati, ai quali la Casa di S. Giorgio prestava la mano (3). % (1) « Con tutto ciò egli è sempre in debito perchè la spesa supera quasi sempre l’entrata ». (2) « Se non si tenessero da ricchi in quello Stato in cui sin hora la religione e la pietà di molti li hanno mantenuti, darebbero piuttosto adito a qualche tumolto populare ». (3) Relaz. 1597, cap. 55 : « Desideravano i ricchi di tener povera la - —■ 212 - Scrittori moderni, che sorvolano sopra questa relazione colle finanze dello Stato, si profondono in lodi verso la Casa di S. Giorgio, mentre altri riscontrano in essa la causa principale della caduta della repubblica (i), il che non possiamo interamente ammettere; la Casa di S. Giorgio non fu che un sintomo della caduta, ma le cause reali di essa sono più profonde e dobbiamo ricercarle in una cattiva disposizione degli strati sociali. La Casa di S. Giorgio conservò sempre il suo carattere di autorità pubblica. Perciò i cangiamenti nella costituzione dello Stato del 1528, ebbero per conseguenza quelli introdotti nella costituzione della Casa di S. Giorgio. Mentre le cariche della Casa erano dapprima distribuite per classi e partite (colori), come per quella dello Stato, dopo il 1528, condizione di eleggibilità per un posto di magistrato delle Compere, era di appartenere ad uno dei 28 alberghi dei nobili (2). Altra condizione per acquistare i diritti della corporazione , era di possedere un certo numero di luoghi delle Compere di S. Giorgio. Per i posti di magistrato non poteva essere nominato alcuno, che fosse debitore di qualche cosa verso le Compere. Questa disposizione era pure applicabile ai banchieri genovesi, che tenevano Conto corrente con la Casa di S. Giorgio (3). La base della costituzione delle Compere, era formata, secondo gli statuti compilati nel 1528, dal Gran Consiglio, composto da 480 membri, 20 dei quali erano procuratori e sindacatori. Gli altri 4Ò0 erano altri interessati nelle compere per almeno 10 luoghi. Di questi, 230 venivano eletti a sorte e 230 per ballottaggio, nel quale per riuscire, ognuno doveva repubblica, perchè con questa via venivano a stabilirsi bene le loro entrate, e facendosi padroni de denari pubblici e farsi ancora arbitri delle cose della repubblica ». (1) M. Spinola, Relazione sui documenti ispano-genovesi dell’archivio di Simancas, Atti Vili, pag. 401: « una delle principali cause della decadenza di Genova ». (2) Leges 1568, I, cap. x. I forestieri potevano comperare titoli delle Compere, ma non coprire cariche nell’ amministrazione di esse. In ogni ufficio non doveva esservi più d’un membro di ciaschedun albergo. (3) Leges, I, cap. 6: « Nel magistrato non possa essere eletto alcun banchiere ». — 213 — riportare almeno cinque palle (i). Per la validità delle decisioni del Gran Consiglio era necessaria la presenza di almeno 300 membri; le decisioni dell’assemblea, votate con una maggioranza dei due terzi, avevano forza di legge (2). Gli affari correnti erano amministrati da 8 protettori, che venivano annualmente nominati da 32 interessati, electores, e questi alla lor volta scelti secondo le norme di un intricato meccanismo elettorale. I protettori dovevano dichiarare di a-vere per ciascuno in loro proprietà 40 luoghi liberi da debiti 0 100 aggravati da impegni, e gli elettori che li nominavano almeno 25 luoghi (3). Quattro per volta i procuratori dirigevano per sei mesi gli affari; due di essi, i signori della mattina, sorvegliavano la vendita delle gabelle e l’osservanza delle condizioni di vendita, gli altri due, i signori della scrittura, a.vevano l’incarico speciale della revisione mensile dei libri e della cassa (4). Uno dei protettori dirigeva come priore le trattative degli affari e custodiva il sigillo delle compere, le chiavi del palazzo e della sacrestia, dove erano depositati 1 denari della Casa (5). I mandati di pagamento sulla cassa per spese straordinarie dovevano essere munite del suggello del priore (6). Gli otto protettori rimanevano un secondo anno m carica come ufficio precedente e in questo ufficio, assumevano la sopraintendenza delle gabelle in qualità di presidenti (7). (1) Leges, I, cap. 19. (2) Solenne decreto, cap. 20: « alla cura et autorità del quale s’intende essere commessa tutta la possanza delle suddette compere ». Si trovano corporazioni organizzate dei creditori dello Stato anche a Roma (Ranke, die rpmischen Pdpste, libr. Vili), a Bologna nel Monte Benedettino consolidato nel 1756 ed a Ferrara nel Monte Sanità del 1732 , (Vietti, Il debito pubblico nelle provincie che hanno formato il primo regno d’Italia, Pag. 137, segg, e pag. 144. (3) Leg. I, cap. 3. (4) Leg. I, cap. 13. (5) Leg. I, cap. 12. (6) Membr. 15 (XIIII), fog. 193,15 decem. 1503 : « apodisie expensarum extraordinariarum debent bullari sigillo proris exceptis ordinariis (pro solutione proventuum) ». (7) Leges I, cap. 2, IIII, 10. (Edizione 1672, pag. 264), 22 dee, 1643. Cuneo, pag. 91. « Ai due più anziani incombeva la sopraintendenza sulla dogana, quali presidenti dei caratti ». — 214 — La carica dei procuratoti fu creata nel 1568» Per facilitare il disbrigo degli affari ai protettori uscenti di carica (1). Essi dovevano prestare cauzione eguale a quella dei protettori e rimanevano due anni in carica. Dovevano sorvegliare 1 esecuzione delle disposizioni prese dai protettori e specialmente provvedere che il pagamento degl’ interessi, che doveva farsi quattro anni dopo l’effettiva scadenza, fosse eseguito regolarmente nelle epoche stabilite. I primi procuratori furono nominati dai protettori, dall’ uficio precedente e dall ufficio del 1444; i successivi dai protettori, dall’ ufficio precedente e dai procuratori. L’ Officium del 1444 aveva il controllo e la revisione ; ad esso era specialmente commessa la sorveglianza delle proprietà immobiliari della Casa e dei fondi d’ammortamento (2). I protettori nominavano X Officium salis, costituito da quattro cittadini, che dovevano partecipare alle compere con 40 luoghi; a questo ufficio era commessa 1’ amministrazione del monopolio del sale (3). I 32 interessati, che nominavano i protettori, eleggevano pure i quattro sindicatores, che dovevano vegliare sulla incorruttibilità degl’ impiegati della Casa, e giudicarli in caso di riconosciuta infedeltà (4). I magistrati della Casa di S. Giorgio avevano il privilegio di non poter essere citati dinanzi ai giudici dello Stato (5). La loro carica era senza stipendio, ad honorem, però nessuno poteva rifiutarsi di accettarla (6). In compenso quando uscivano di carica, venivano loro conferiti posti lucrosi, come quelli di governatori delle gabelle. A questi magistrati della Casa, dei quali tratta il primo (1) Leg. I, cap. 16: « per restringere il numero degli uffici di vecchio ». (2) Cap. 17: « mette fine al restante ». (3) Leges I, cap. 23. (4) Leges I, cap. 25 e 26. Sulla poca importanza di queste autorità confr. Wiszniewski, pag. 195, (5) Civica, D, 1, 2, 9, 1567. (6) Multa di 100 scudi d’oro per coloro che non accettavano. Leges, I, cap. 8. — 215 — libro degli Statuti, erano sottoposti i ministri stipendiati, di cui è tema il secondo libro degli statuti medesimi (i). I snidici erano gli avvocati delle compere e degli uffici attinenti. I cancellieri sopraintendevano all’esecuzione degli atti delle compere. In un libro speciale erano tenuti i conti che la Casa aveva col governo. Nel libro criminale erano annotate le punizioni inflitte dai procuratori contro i defraudatori delle imposte e contro gl’ impiegati infedeli. Il libro dello specchio conteneva il nome di coloro che, per qualche misfatto commesso, si erano resi incapaci di aspirare a qualche impiego o ad ottenere un appalto d’imposte (2). I due consoli delle compere erano impiegati subalterni, incaricati della sorveglianza sugli appaltatori delle gabelle, e specialmente sulla regolarità delle cauzioni da essi prestate (3). Venivano poi gli scritturali che tenevano i libri nei quali erano iscritti tutti i creditori dello Stato e bancari (4). Anche parecchi impiegati alle imposte erano nominati dai protettori delle Compere. Si distinguevano le gabelle di cassa dalle gabelle di tasca (stacca). Quest’ultime erano amministrate esclusivamente dagli appaltatori. Per le gabelle di cassa , i cassieri, gli scritturali ed i smdici (avvocati) erano nominati dai protettori (5). Verso la metà del XVII secolo, alle gabella di tasca, appartenevano soltanto le tasse di pesi e misure (marco e quarantena) come pure quelle delle bettole e vendite al minuto, (pmte et rive minute) nel territorio dello Stato. Dopo il 1657 (1) Gli stipendi dei ministri delle compere di S. Giorgio si aumentarono verso la fine del XVI secolo dal 50 al 100 °/0, lo che può essere attribuito al deprezzamento del denaro per l’aumentata produzione dei metalli preziosi (G. Wiebe, zar Geschichte der Preisrevolntion des XVI, XVII Jahrh., pag. 320), poiché il contemporaneo deterioramento materiale della moneta non era tanto rilevante per spiegare questo fatto. (Desimoni, tavole presso Belgrano, pag. 515). (2) Leges, II, cap. 2. (3) Leges, II, cap. 5. (4) Leges, II, cap. 6 segg. (5) Propos. 117, fog. 120, fog. 154. Cuneo, pag. 132. vi furono aggiunti anche i dazi sul ferro e sul legname come pure quelli nuovi sul riso, sulla polvere e sul tabacco. Nelle gabelle di tasca la Casa correva un rischio maggiore, poiché non aveva nessuna ingerenza nell’amministrazione. Invece gli appaltatori delle gabelle di tasca avevano una posizione più vantaggiosa in confronto di quelli delle gabelle di cassa, potendo quelli essere dispensati più facilmente dal pagamento del prezzo d’appalto. Siccome però tale preferenza sembrò ingiustificata, così nel 1699 fu deliberato che anche agli appaltatori delle gabelle di tasca non potesse esser fatto un condono se non avessero pagato 5/6 del prezzo d’appalto (1). Questo condono, che forse veniva accordato per favore, consisteva nella concessione fatta agli appaltatori di versare l’ultimo sesto con paghe, la cui scadenza veniva differita fino a nove anni dopo il tempo prescritto (2). Con ciò veniva loro accordata una dilazione per la quale non si esigevano interessi. Nel conferimento delle esattorie delle imposte al maggior offerente, si manifestava l’inconveniente, che poco solidi aspiranti cercavano di scalzare i loro concorrenti a qualunque costo, nella speranza che malgrado la loro debole forza capitalistica, l’esazione delle imposte potesse dar luogo a forti guadagni (3). Per liberarsi da questi poco graditi offerenti, la Casa richiese dagli aspiranti solide garanzie (4) e fu messa anche sul tappeto la questione se convenisse di deliberare (1) Propos. 117, fog. 120. (2) Leges, 1568, III, cap. 19: « accettare sopra 1’ ultimo sesto della loro compera paghe più lunghe delle dovute da uno sino in nove anni ». (3) Prop. 117, fog. 154, 4 dee. 1700: « Le gabelle tutte sono per lo più comperate da persone poco facoltose, che desiderando prenderle a qualunque prezzo per utilitarsi nelli salarii et in quelle altre forme suggeritele dalla loro industria, offrono tutte le somme che sono necessarie per escludere quelli, che con miglior indirizzo e maggiori caotele le maneg-gierebbero, onde soccede, che poi perdono molto e quasi abandonando le medesime, cresce il danno a gravi somme ». (4) Nel 1700 vennero richieste maggiori garanzie. — 217 - 1 appalto non già al migliore offerente, ma a quegli, il quale, a giudizio dei protettori, prestasse le più valide cauzioni (i). Per alcune specie di gabelle la licitazione era basata sul meno anziché sul più. Se cioè si prevedeva un dato introito per una certa gabella, se ne deliberava 1’ amministrazione a chi si assumeva di condurla con minori spese (2). Per parecchie gabelle una parte dell’ introito spettava alle compere, (p. es. le code nei fondi d’ammortamento), e quindi in simili casi l’amministrazione degli appaltatori era condivisa coi governatori nominati dai protettori (3). L amministrazione delle imposte complicavasi pel fatto che lo Stato, per le gabelle a cui partecipava, nominava impiegati propri. l\el corso del XVI secolo anche le gabelle assegnate nel *539 alle compere, furono aumentate. Questi aumenti ebbero sempre luogo solo col consenso della Casa di S. Giorgio, ma il risultato fu che lo Stato riebbe una partecipazione ad importanti gabelle, come quelle del porto, della ripa, del vino e del grano (4). Colla nomina degli esattori delle imposte da parte dello Stato e dei protettori delle Compere, venne limitata negli ultimi anni della repubblica, quella libertà che fino allora era lasciata all’ industria privata per la riscossione delle tasse. Gli appaltatori non erano più come prima imprenditori che esigevano le imposte come meglio loro piaceva; ora la vera direzione dell amministrazione delle imposte era nelle mani di organi nominati dallo Stato e dall’amministrazione del debito pubblico; gli appaltatori prendevano parte a quest’ amministrazione, e (1) « Si è andato riflettendo che il levare tali vendite dalla legge che prescrive il darle al plus offerenti, possa esser capace di varie considerazioni ». (2) Leg. Ili, cap. 5: « quelle gabelle per le quali i comperatori sono obligati pagare somma e somme certe e limitate, si venderanno e delibereranno a chi si offerirà riscuoter meno ». Cf. Appendice IX. (3) Leges, II, cap. 32: « Agli Agenti (delle compere) spetta di provvederle di governatori per la parte di dette compere ». Governatori si chiamavano anche gli appaltatori privati. (4) Rei. 1597, cap. 60: « in questo tempo incominciò il commune a partecipare nei commerci, rive e gabelle di grano ed olio », non potevano farsi rappresentare nell’esercizio delle loro funzioni, se non che con ispeciale consentimento dei protettori (i). Così nella gabella di grano il governo (:magistrato abundantie) e la Casa di S. Giorgio, nominavano un presidente per ciascuno, mentre i cinque posti dei governatori o collettori venivano appaltati (2). I presidenti ed i governatori avevano il diritto di mettere delle guardie e di imporre punizioni ai defraudatori; in confronto avevano anche molte limitazioni. Nelle riscossioni dovevano attenersi alla tariffa che veniva anno per anno pubblicata nel centro del movimento degli affari (a Banchi). I loro introiti non potevano superare una certa somma (3). Naturalmente il commercio dei grani era loro interdetto. Alcuni impiegati, come i commissari delle Riviere, gli stimatori, ed uno scritturale assistente erano nominati dai protettori. Contro le punizioni inflitte dai governatori, si poteva ricorrere alla decisione dei consules calegarum e infine far appello ai protettori medesimi. In tutte le altre gabelle riscontriamo una simile amministrazione mista (4). La base degli introiti della Casa di S. Giorgio, erano le gabelle ad essa assegnate dallo Stato (5). Il loro importo com- (1) Leges, IIII, cap. n, 1626; (edizione 1672, pag. 266). Nel 1619 fu deliberato, che i governatori non potessero dividersi la parte d’utile loro spettante, se prima non avessero presentato il bilancio ai protettori. (2) Olivieri, Carte, pag. 172. (3) Genova, Biblioteca dell'Università, B, III, 4, Vendita delle gabelle ossia deveto de grano, cap. 61 (1573): « Si dichiara il salario dei governatori interessati non poter eccedere L. 2000 de numerato ». (4) Leges, IIII, cap. 10, (edizione 1672), pag. 261 segg. Cuneo, pag. 167 segg. 8 agosto 1633, venne stabilito per i governatori delle tasse di vendita di vino al minuto uno stipendio di 1000 lire, delle quali 200 andavano al governatore pubblico, ed il resto prò rata ai governatori particolari. (5) Relazione del 1597, cap. 69 : « il fondamento dei suoi denari non consiste in altro che nei beni della repubblica ». Cap. 62: « Il provento e rendita di S. Giorgio è fondato sopra le gabelle della città e dominio ». Gl’introiti dell’esercizio bancario compariscono solo nel XVII secolo. plessi vo verso la fine del XVI secolo venne calcolato a circa 179k342 lire ossia 472721 2/3 ducati (1) divisi come segue: COMPETENZE. y % Lire sol. 1. Imposte sugli stipendi (gabellae staliarum, in- venditae)............. ... 2. Introitus pignoris bandi curiarum..........497 — 3- » » » mercantie..........448 — 4* » appellationuvi................— — 5- » ponderis calcine................210 — 6- » ponderis mar carum............1025 — 7- » mar carum et quaranteni . . . . 585 10 IMPOSTE SUL COMMERCIO. ' 8. Carati mans............420077 — 9. Dnctus barbariae....................1700 — 10. Gabella piatarum....................8870 — 11. Introitus pedagiorum.........26603 — 12. Additio pedagiorum....................6800 — 13- Gabella ripae grossae.........165626 3 J4- » » minutae.........34150 — I5- » sensariorum.........92157 — *6. » censariae locorum..............13677 — r7* » cambiorum..........121227 — » securitatum.........27531 — *9- » calegarum....................7106 — 20. Introitus cannae pannorum.......53500 — 2i- » lini........................1304 — (1) Relazione, 1597, cap. 63. Nel 1596 l’entrata importava 1908017 lire 9 sol. 11 den. Cap. 70. Se vi aggiungiamo le entrate indipendenti del governo, l’aggravio totale della popolazione è di circa 2 '/» milioni di lire, delle quali circa 1 */, milioni dovevano essere pagate per interessi del debito pubblico. Nel 1683 la pubblica gravezza era ascesa a 1200000 scudi, dei quali 900000 erano devoluti ai creditori dello Stato. È difficile calcolare qual cifra di gravezza toccasse per testa, poiché alcune tasse erano pagate dalla sola città, altre da tutto il territorio dello Stato, e fra queste come p. es, i carati maris, l’applicazione d’una percentuale alla città diventa più o meno arbitraria. - 220 — Lire sol. 22. Introitus pannorum sete................3°o — 23. » gualdorum..................700 — 24. » auri et argenti filati............60 — 25. Gal ella venae ferri..........29121 — 2 6. » lignorum ..........21711 10 IMPOSTE SUI VIVERI. 27. Gabella granorum..........I2254° 28. » raybae granorum..............r3J5 29. » carnium...........110677 30. » grassiae...........27801 31. » saluminum....................2402 — 32. » salis............260000 — 33. » pinta Genuae..................31027 — 34. » vini Genuae.........138160 — 35. Additio vini........................34500 ~ 36. Gabella olei............~ IMPOSTE SOPRA VIVERI RISCOSSE NEL TERRITORIO GENOVESE. 37. Introitus pintae Pulciferae..............2005 38. » gombetae....................377 — 3Q. » pintae gombetae Bisannis .... 485 — 40. » gombetae Vulturis..............336 — 41. » pintae » ..............1:52 — 42. » pintae gombetae Rapalli..........1066 — 43. » pintae Spediae ........ 166 — 44. » pintae gombetae Sigestri. .... 683 — 45. » pintae vini et gombetae grani Clav ari 1675 — 46. » pintae et gombetae Rechi .... 401 — 47. » vini Savonae..................14760 — Fra le uscite della Casa di S. Giorgio stavano in prima linea gl’interessi da pagarsi ai creditori dello Stato con un milione e viezzo. Le spese d’amministrazione, gli stipendi dei ministri importavano 30000 lire. Oltre ai versamenti ordinari che la Casa dovea fare al - 221 — governo (50000 lire secondo il contractus solidationis, 75000 lire secondo il contratto del 1562 come contribuzione all’amministrazione della Corsica, 22000 lire secondo il contratto del 157 5 per le 6 galere), vi erano per solito dei supplementi straordinari, come p. es. nel 1596, 35000 lire per l’amministrazione della Corsica, 40400 lire per la costruzione dell’ arsenale etc. Per spese straordinarie , elemosine e simili i protettori a-vevano a disposizione 10000 lire annue, che spesso venivano sorpassate, senza contare 1’ aggravio per debiti arretrati (debitores veteres) (1). Durante il XVI secolo la Casa di S. Giorgio continuò, ad imperare sul debito pubblico come autorità suprema. Fino ai primi anni del XVII secolo le piccole compere furono consolidate con la Casa di S. Giorgio. Così dal 1582 al 1590 vennero fuse con essa la compera vini S. Gio. Battista, la compera olei, ambedue al 5 °/0> la compera sopra l’estratione dei panni di seta e le compere Chii (2). Nel 1619 ebbe luogo la consolidazione della Compera 6 °/0 del mezzo prò centenario della mercanzia di 278 luoghi, 47 lire, 8 sol. e 2 den., e della compera di Metilino di 283 luoghi, 74 lire, 9 sol. 2 den. Un luogo di queste compere venne calcolato 1 2/5 luoghi di S. Giorgio (3). Nel corso del XVII secolo i Monti di S. Bernardo e di San Giovanni Battista furono creati come debiti autonomi a guisa della Casa di S. Giorgio. Il capitale e le rendite della Casa di S. Giorgio si mantennero anche durante il XVIII secolo alla stessa altezza media, fino a che, dopo la caduta dell’antica repubblica, tutto il debito pubblico yenne da essa di nuovo interamente assorbito. (1) Relazione del 1597. (2) Membr. 59 (XXXVII), fog. 21, 16 marzo 1590. (3) Propos. 114, fog. 63: « Havendod’esperienza maestra d’ogni cosa fatto conoscere de quanto utile sia stato 1’ aver unito et incorporato nei tempi passati questa qualità dei luoghi nelle dette compere ed estinte simili comperette sì per l’avanzo che se n’ è fatto in la responsione dei proventi come per la restrictione della scrittura e libri loro ». _ 222 — La Casa di S. Giorgio impedisce Y estinzione dell'antico debito pubblico di Genova; estinzione dei monti del XIV e XV secolo a Venezia. La Casa di S. Giorgio sovviene lo Stato con denaro. Quando il credito ha raggiunto un dato sviluppo, una certa somma di debito pubblico non è un danno nell’ economia di uno Stato , anzi per l’impiego di capitali che richiedono una rendita, non grande, ma sicura, un limitato importo di debito pubblico può essere desiderabile. Però la possibilità, che nuove complicazioni possano compromettere il credito, consiglia ogni governo a ridurre in tempi tranquilli, quanto è più possibile la cifra del debito dello Stato. Tuttavia se ciò rende un servigio ai contribuenti delle imposte , è dall’ altra parte visto di mal’occhio dai creditori dello Stato che vorrebbero conservata questa ottima forma d’impiego dei loro capitali. A Genova i contribuenti non poterono far prevalere il loro interesse su quello dei creditori dello Stato. Altrimenti andarono le cose a Venezia. Il debito permanente di questa repubblica componevasi del Monte vecchio del Monte nuovo creato nel 1482 (1), del Monte nuovissimo del 1506 e del Monte di stissidio del 1526(2). Altri prestiti erano redimibili a termine fisso. Così nel 1538 venne imposto un prestito forzoso di 500000 ducati, senza interessi, che doveva essere restituito entro 12 anni. Nel 1518 lo Stato era debitore di 10 anni d’interessi verso il Monte nuovo e oltre al soddisfacimento di questo impegno fu deciso di restituire pure il capitale. A tale bisogna fu assegnato un gruppo d’imposte, specialmente quella sul sale, per modo che nel 1551 l’estinzione del Monte nuovo era completamente riuscita (3). Rimasti liberi questi redditi, furono (1) I, pag. 191, nota 7. (2) Morpurgo-Cecchetti, Atti dell’Accademia dei Lincei, 1877; la critica storica e gli studi intorno alle istituzioni finanz., pag. 151, 152. (3) Venezia, Arch. di Stato. Parti pertinenti alli fondi applicati al monte nuovo. — 22 3 — subito impiegati per 1’ estinzione dei Monti nuovissimo e di sussidio, cominciata già nel 1519 (1). I creditori dello Stato furono pagati al valore corrente , però lo Stato non era disposto a pagare ai suoi creditori l’aumento del corso ricevuto dai luoghi ultimamente rimasti, e quindi intimò (1580) ai possessori di essi, di dichiarare entro un mese a quale prezzo li avevano acquistati. Dopo aver ricevuto queste dichiarazioni il governo determinò il prezzo al quale avrebbe estinto il suo debito (2). Nel 1600 fu completata la restituzione dei Monti nuovissimo e di sussidio, ad eccezione delle somme appartenenti alle opere pie , calcolate a 34000 ducati. Ad esse fu accordato due anni di dilazione, acciocché potessero trovare un nuovo impiego, dopo di che lo Stato avrebbe sospeso il pagamento degli interessi. Le pie fondazioni, che non si erano curate del rimborso, avrebbero ricevuto il solo capitale. Ora non rimaneva che il Monte vecchio per la cui estinzione Priuli neì 1577 aveva creato un piano, secondo il quale i 5 i/t mi* lioni di questo gruppo di debiti dovevano essere rimborsati in vent’anni (3). Mentre a Venezia si pensava a lavorare energicamente per sollevarsi dal debito pubblico, Genova rimase immobile, e solo per gli ultimi gruppi di debiti del XVII secolo essa si occupò attivamente della riduzione degl’ interessi. Non solo Genova procurava un benefizio allo Stato mediante il consolidamento in compera del debito in sospeso, ma essa alleggeriva pure il peso del suo debito con ripetute conversioni. La Compera S. Gio. Battista era in origine al 5 0/o: nel 1627 fu convertita al 4 ‘/2, nel 1634 al 4 °/0, al i635 al 3 V2 > ne* i638 al 3 % (4)- H 15 maggio 1666, le (1) Venezia, Arch. di Stato. Francazione monti, iS marzo 1551: «Essendo hormai al fine per la grada di Dio la francatione del monte nuovo, non si può convertir il fondo di esso monte in cosa più utile et necessaria, che nella francazione delli monti novissimo et sussidio ». (2) Ivi: « secondo che a loro (proveditori) per le informationi prefate parera ». (3) Ricca-Salerno, pag. 101. (4) Arch. di Stato. Sala 19, N. 19 segg. — 224 — Compere S. Bernardo e S. Gio. Battista furono consolidate in una compera S. Maria al 2 % (■)• Come fossero possibili queste conversioni volontarie si spiega col grande bisogno di collocamento risentito dal capitale italiano, a cui a tal uopo cominciavano a mancare gli affari industriali e commerciali. I possessori di titoli del debito pubblico a Lucca nel XVIII secolo si dichiararono soddisfatti dell’ interesse del 2 */„ °/0, purché lo stato non restituisse loro il capitale (2). I monti genovesi coll’ interesse di 3 % avevano un corso di 105 (3). A Genova l’organizzazione dei creditori dello Stato , costituita dalla Casa di S. Giorgio, impedì l’utile e possibile e-stinzione degli antichi debiti dello Stato, lo che avrebbe portato un sollievo alle classi inferiori della popolazione su cui gravava essenzialmente il peso delle imposte. Non si può dire che i Genovesi avessero perduto affatto di mira l’estenzione del debito pubblico. Basta ricordare a tale proposito i fondi d’ ammortamento , le code inerenti ad ogni singolo debito, e le fondazioni dei moltiplici. Questi, nel XV e nella prima metà del XVI secolo, erano riusciti a sopprimere parecchie imposte. Dopo allora però si procurò di evitare ulteriori estinzioni di capitali ed assegni, col distrarne gl’ interessi a scopi differenti, visto che procedendo nell estinzione del debito sarebbe caduta tutta 1’ organizzazione della Casa di S. Giorgio (4). Nel 1597 dei 437708 luoghi, 70 lire. 16 soldi e 11 den., che costituivano il capitale complessivo della Casa di S. Gior- (1) Cuneo, pag. 147. Propos. S. Giorgio, 116, fog. 2. A Firenze nel 1629, il Monte vacabile (rendita vitalizia) del sale 8 '/2 % del I^25> venne convertito in un monte non vacabile 5 °/o. Ricca-Salerno , Storia delle dottrine finanz., pag. 103. Sulle conversioni dei papi confr. Endemann, Sludien in der romanisch-kanon. Wirtschafts-und Rechtslehre, I, pag. 43^* Conversioni a Napoli Ricca-Salerno, pag. 11S. (2) S. Bongi, Inventario dell’Archivio di Lucca, II, pag. 194. (3) Peri, Il Negoziante, II, pag. 78. (4) Prop. 115, fog. 33: « rem comperarum poscere, ut gabelle et introitus pubblici diutissime sint apud comperas, que non ex alio constant ». Relaz. 1597, cap. 69. — 225 — gio, 121642 luoghi, 35 lire, 11 sol., 6 den. erano moltiplici (fondi di ammortamento), che perciò rappresentavano in certo modo un capitale immaginario che lo Stato doveva a sè stesso. Il numero di questi moltiplici aumentava ogni anno di circa 3000 luoghi, che venivano acquistati cogl’ interessi del fondo d ammortamento. In tal guisa il numero dei luoghi in libera circolazione andava diminuendo anno per anno ; ed in causa della scemante offerta il corso dei luoghi andò aumentando perfino sopra la pari. Nel 1597, non erano in circolazione più di 140000 luoghi, il resto era nelle mani di chiese, spedali, e opere pie pubbliche e private (1). Perle opere pie venne istituito, dal 1515 in poi, oltre ai cartolari delle 8 compagne, un nono O. M. (Officium misericordii). In tali circostanze, visto l’ingente somma dei fondi di ammortamento, ed i forti capitali immobilizzati nelle casse di pie fondazioni, create da famiglie 0 da corporazioni, l’autore della relazione del 1597 presentò, come desiderabile ed effettuabile, la completa soppressione della Casa di S. Giorgio, obiettando solo le difficoltà che avrebbero potuto opporre le rendite delle opere pie. E con spirito macchiavellico concludeva che, colla soppressione della Casa di S. Giorgio, un principe otterrebbe due scopi importanti, e cioè di arricchire sè stesso e di indebolire tutti quelli che potrebbero presentare un pericolo alla sua sovranità, privandoli delle rendite che presentavano loro la maggiore sicurezza (2). A questo patriotta sembrava che l’annientamento della forza prepotente del capitale, che solo serviva a privati interessi, potesse essere prima condizione per portare la repubblica a nuova floridezza. Però la imperante plutocrazia di Genova, non si sottoponeva a questi mezzi coercitivi, e molto più le premeva la conservazione della Casa di S. Giorgio, anche a danno dello Stato. (1) Relaz. 1597. cap. 63. (2) Cap. 69: « perchè i Genovesi non hanno altra cosa al mondo più sicura che l’intratte di S. Giorgio e queste a chi ben riguarda, sono state principio, accrescimento a conservare delle gran ricchezze loro particolari ». Alti Soc. Lig. Storia Pah ia. Voi. XXXV, P. II. Accennammo più volte agli scarsi mezzi che^ rimanevano a disposizione dello Stato genovese, il quale ne’ suoi bisogni si valeva della Casa di S. Giorgio, che lo sovveniva con grosse somme. Questi servigi però non erano disinteressati, poiché essa si faceva ogni volta confermare i propri privilegi e ne acquistava di nuovi, consolidando sempre più la propria po sizione. Nel 1590 il governo doveva alle Compere 51500 luoghi (5150000 lire). Circa 34200 erano coperti con assegni sulle gabelle; ma 17300 luoghi erano stati prestati senza che il governo avesse fornito speciali garanzie. Pero la C asa di S. Gior gio aveva in mano un mezzo efficace contro il go\erno per mettersi al coperto. Bastava semplicemente che trattenesse le somme che gli versava annualmente per 1 amministrazione dello Stato. E così fece, lo che portò la conseguenza, che il governo non potè nemmeno pareggiare il suo bilancio ordinario (1). Per poter riprendere i versamenti annuali dalla Casa di S. Giorgio, il governo dovette assegnarle nuove imposte, come l’aumento sui cambi, e consolidare parecchie piccole compere, assegnandone alla Casa i fondi di ammortamento (2). Circostanze impellenti possono obbligare lo Stato ad impiegare per altri scopi i denari destinati all’estinzione del de bito; potrà anche ritardare questa estinzione nell’interesse dei suoi creditori, poiché per pupilli e simili una certa misura di questo sicuro collocamento di denaro si rende quasi necessario. In generale per uno Stato la questione consiste nel divergere il proprio denaro a scopi differenti da quello stabi- (1) Membr. 59 (XXXVII), 16 marzo, 1590: « Agentes comperarum, ut indemnitati ipsarum consulerent, sepenumero aliqua eredita reipublice in se retinuerunt ad computum solutionis dictorum proventuum, adeo quod ex his et aliis prefata respublica quam pluribus debitis erga dictas com-peras onerata obligataque remansit et propterea impensis ordinariis pro manutentione defensioneque status ipsius reipublice suplere non potuit nec potest ». (2) « II provento di luoghi 491 che procedono da diverse code che hanno a servire per desbito della maggior parte de’ suddetti debiti. — 227 - lito. Ala a Genova lo Stato doveva contrattare colla Casa di S. Giorgio, se voleva approfittare dei denari assegnati ai fondi d ammortamento e questa non gli metteva a disposizione i denari di tali fondi, se non mediante conferma ed ampliamento dei suoi diritti. Nel 1592 si cominciò a distrarre in misura maggiore dallo scopo cui erano destinati in origine, i fondi d’ammortamento che provenivano da fondazioni di privati. Però governo e compere credettero bene prima di tutto di rendere tranquilla la loro coscienza prendendo il parere del tribunale ecclesiastico. Il 5 marzo 1592, il Vicarius generalis archiepiscopalis dichiarò il governo libero dagli obblighi contratti nel 1371 verso F. Vivaldi (1). Nel 1644 la Casa di S. Giorgio accordò al governo, stretto dal bisogno, per dieci anni gl’interessi di 24618 luoghi lapidimi, che erano veramente destinati per 1’ estinzione del debito. Nella discussione tenuta per questo argomento alcuni opinarono, che il corso dei luoghi cadrebbe, se dovesse mancare la solita domanda d’ acquisto per conto dei fondi d’ e-stinzione del debito. Altri rilevarono che, in fondo, non si verrebbe a dare allo Stato più di quello che gli competesse, e che tale impiego dei denari delle fondazioni, non sarebbe contro la volontà dei fondatori (2). Nel 1666 i luoghi della fondazione di Ansaldo Grimaldi furono assegnati all’estinzione della Compera S. Maria (3). I moltiplici furono considerati come una specie di tesoro di Stato , e l’assegno degl’ interessi per i bisogni dello Stato tu regolarmente rinnovato per 10 anni (4). (1) Membr. XXXVII, fog. 43. (2) Propos. 115, fog. 33: « Presidium rei pubiice de suo non de alieno queri, credi sane posse, ita voluisse illos honestissime memorie cives, qui generoso spiritu atque adeo eximia in patriam charitate incensi, temporum vicissitudine observata reipublice patrimonium componere studuerunt ». (3) Propos., 116, fog. 2. (4) Propos., i2i, fog. 192, 1742: «1673 assegnate al peculio eretto per la conservazione della pubblica libertà 10 anuate delli luoghi 182119 circa delle colonne ». Questo tesoro dello Stato formato dà debiti è comparabile con quello accumulato da papa Pio VI. Ranke, die ròmischcn Pàpste, I. Pag. 306. (7.a ediz.) - 228 - Numerosissime sono le somme che la Casa ili S. Giorgio sborsò per scopi d’interesse generale , tanto sotto forma di prestiti quanto a titolo di sovvenzioni, e non solo per le complicazioni della politica estera, ma ancora per i bisogni della interna amministrazione. Quasi tutti gli edifizi e gli stabili-menti pubblici attinsero gran parte dei mezzi occorrenti per le spese di costruzione dalla Casa di S. Giorgio (i). Per e-sempio nel 1552 il governo prese a prestito 2000 luoghi per la costruzione delle nuove mura, e nel 1605 , 250000 lire di paghe per la fabbrica del palazzo ducale (2). Nel 1611 la Casa di S. Giorgio diede 60000 lire di paghe per la costruzione del palazzo criminale, e nel 1612 100000 lire ài paghe per quello di via Balbi (3). Nel 1702 accordò un prestito di 2000 scudi d’arg. per riparare ai guasti d’una ferreria cagionati da inondazione in Aral dell’ Orba, e ai Padri del Comune assegnò 2250 lire numerato per la costruzione di A ia S. Tomaso verso la lanterna (4). Le compere avevano nel loro bilancio una partita apposita per le spese straordinarie. Coi fondi ad essa relativi furono accordate sovvenzioni a chiese ed a pii istituti; nel 1645 per unanime consenso del Consiglio, furono accordate 25000 lire ai gesuiti per l’erezione d’una cappella a S. Francesco Saverio, 1 apostolo delle Indie (5)* L’opera economica più importante per Genova, eseguita coi mezzi forniti dalla Casa di S. Giorgio, fu la costruzione dei magazzini generali del porto franco. Alle compere erano assegnati in prima linea le entrate derivanti dalle imposte , e quindi si metteva ogni studio per aumentarne il ricavato. Fu osservato che un grande numero d’imposte gravava troppo il traffico e 1 amministrazione del dazio, senza raggiungere un maggiore introito. Perciò (1628) quando venne rinnovata la concessione per il porto franco (1) Lobero, pag. 98, segg. (2) L. J. V. (Parigi), fog. 100. (3) Propos. 1x4. (4) Propos. 117, fog. 173, 174. (5) Propos. 115, fog. 38: « Offerendosi in contracambio non solo le loro preghiere qualunque sieno, ma di più la protezione del Santo ». — 229 — generale, si soppressero sei gabelle , come esistenti per sè, (la gabella delle piatte, ponderis maccliarum, gualdi, del lino, sopì a oro e argento filato e de salumi) e aggregate invece al dazio principale, cioè ai carati maris (x). La concessione del porto franco, ben lungi dall’aver diminuito 1 entrate della dogana, contribuì anzi ad aumentarle , poiché con ciò Genova diventò emporio commerciale. Le compere dunque, che partecipavano in larga misura al dazio portuario, (carati maris), si adoperarono energicamente per migliorare le condizioni del porto franco. Se nel 1595 la franchigia del dazio era solo a favore delle merci che non toccavano terra e nel 1619 venne estesa anche a quelle che venivano sbarcate , fu ora mestieri di provvedere alla costruzione di magazzini di deposito , ove poter custodire le merci che arrivavano in transito. lale cura fu affidata alle Compere di S. Giorgio il 12 dicembre 1641. Fra il ponte di legno ed il ponte di Chiavari doveansi erigere complessivamente 16 edifizi di deposito, e l’esecuzione ne venne affidata all’architetto Gio. Giac. Aycardo mediante L. 85000 mon. corr. Questa somma doveva essere presa provvisoriamente dalla cassa della sagrestia della Casa di S. Giorgio, nella quale erano allora pure riposti depositi di privati. Questa somma doveva essere rimborsata colle pigioni ritraibili dall’ affitto dei magazzini e con 3000 lire annue da prelevarsi sulle L. 10000 stanziate per spese straordinarie. La Casa di S. Giorgio, assumendo le spese di costruzione, acquistava la proprietà del terreno nel recinto del porto franco e le pigioni dei magazzini locati (2). (1) Propos. ir4, fog. 136: « come quelle che grandemente impediscono le speditioni del traffico , dove all’incontro sospendendosi resterà levata di mezzo la maggior parte delle difficoltà che hora si sperimentano in Dogana, e si indurrà il negotio delle mercantie a vera facilità e pronta ispeditione ». (2) Propos. 115, fog. 17: « li quali siti resteran per sempre in dominio delle compere ». Per evitare defraudi non furono ammessi in portofranco facchini genovesi, ma tali funzioni furono lasciate a forestieri (alla caravana bergamasca). Accinelli, II, pag. 312, Cuneo, pag. 157. Appena sei anni dopo, i magazzini fabbricati nel 1641 diventarono insufficienti in forza del grande aumento del commercio , specialmente di panni, per modo che il 18 giugno 1647 furono accordate altre 15000 lire per nuovi fabbricati (1). Nel 1655 furono di bel nuovo disposte 10000 lire per ampliamento del porto franco (2), e altre somme , sempre per il medesimo scopo, vennero accordate negli anni 1662 e 1673 (3). Lo sviluppo del porto franco veniva difficoltato, per essere l’area del porto occupata da una grande quantità di pubblici edilìzi. Nel 1655 le compere avevano tentato d’acquistare i magazzini di deposito dei grani (rela), quello dell’olio (chiappa dell’ olco), la dogana delle materie grasse (gabella della grassia) ed i fabbricati degli uffici dell’olio e del vino (4). Le trattative intavolate a questo scopo, andarono però a vuoto in causa della resistenza opposta dai patres communis e dal-1’ Officium guerre (5). Si decise allora di spingersi fuori in mare; ma neppure ciò fu sufficiente, e solo si potè rimediare nel 1707, quando lo Stato cedette alla Casa di S. Giorgio i panifici governativi (i furni publici) al cui posto venne costruito l’attuale porto franco, che conteneva 355 magazzini, divisi in 10 quartieri. La Casa di S. Giorgio dovette però contemporaneamente obbligarsi a ristabilire il panifìcio dello Stato costruendo un nuovo fabbricato in Castelletto. La costruzione del porto franco non fu però il solo merito , che si acquistò la Casa di S. Giorgio per l’interesse economico di Genova. I Genovesi vedevano con sommo rammarico che a cagione del mutamento delle grandi vie commerciali, Inglesi, Olandesi e Francesi, attiravano a sè il commercio coll’ Oriente, che dianzi formava la fonte principale della floridezza della loro città. Essi procurarono perciò di riprendere il loro posto in questo movimento, creando nel 1653 (1) Fog. 46b: « è concorsa in questa città molto maggior quantità di panni e merci di quello era solito per l’avanti ». (2) Fog. 124. (3) Propos. 115, fog. i78b e Propos. 116, fog. 69. (4) Propos. 115, fog. 144. (5) Banchero, pag. 437. — 231 — una Compagnia marittima per le Indie simile alle società commerciali olandesi. La Casa di S. Giorgio , che coll’ incremento del commercio si riprometteva un aumento d’introito delle tasse, aiutò questa Compagnia marittima di S. Giorgio, accordandole un prestito garantito di 20000 lire per ogni nave armata dalla Compagnia fino a cinque e per dieci anni, e promettendo alla Compagnia stessa un abbuono del 3 % sui dazi da pagarsi per le merci da essa importate (1), Con questo aiuto prestato alla Compagnia delle Indie, colla costruzione del portofranco ed altri simili imprese, la Casa si assumeva incarichi che sarebbero stati veramente di competenza dello Stato ; ma siccome la Casa era ormai in possesso della massima parte delle rendite pubbliche, doveva anche accollarsi una parte delle spese che allo Stato avrebbero dovuto incombere. Queste spese erano anche una specie di prezzo col quale la Casa riscattava dalla pubblica morale la conservazione della sua esistenza parassitica. In pari tempo mediante quest’ impieghi di denari che avrebbero dovuto servire all’estinzione del debito pubblico, essa consolidava le basi del proprio essere. Devesi però far rilevare che la Casa di S. Giorgio faceva queste spese nella sua qualità di amministratrice del debito pubblico , ancora prima di riprendere l’esercizio bancario. L’accettazione di depositi serviva solo a dar maggior forza alla Casa per avere i mezzi occorrenti a questi scopi, come infatti i primi fondi per i magazzini del porto franco e per il nuovo fabbricato del panificio governativo, furono presi da questi depositi di privati. (1) Torino. Arch. di Stato. Raccolta Lagomarsino. Fu del pari ordinato al Morite S. Teresa di Milano nel 1786 di prestare fino a 2 milioni di lire contro deposito di seta. Vietti, pag. 90. I Cartolari delle Compere. / cartulari! delle colonne costituivano la base delle scrit turazioni delle compere. In essi erano inscritti tutti gl’interessati nel debito pubblico e specificate le quote del loro credito (if. Erano nove libri, che si rinnovavano ogni anno; otto di essi corrispondevano agli otto quartieri della città (compagne), nel nono, O. M. istituito nel 1515, erano registrati i titoli appartenenti agli istituti pii. Gl’ inscritti nei libri suddetti avevano il diritto di percepire un interesse annuo. Era questione d’ un impiego di capitale sicuro e difficilmente rimborsabile. La restituzione, che l’amministrazione del debito pubblico effettuava, mediante acquisto dei titoli, andava con grande lentezza e dapprima senza toccare il capitale impiegato nelle pie istituzioni, al quale anzi offrivasi sempre nuova occasione d’impiego colla creazione di nuovi luoghi. Perciò i titoli del debito pubblico, loca comperarum, erano ricercati di preferenza per capitali da impiegarsi in pie fondazioni, 0 in costruzioni di case d’abitazione (2). Così corporazioni e famiglie impiegavano le loro sostanze in luoghi di S. Giorgio coi quali furono pure erette pie fondazioni da ricchi Genovesi per pubblici scopi (3), fra le quali le maggiori furono certo quelle di Benedelli Sauli e di Ansaldo Grimaldi. Sauli fondò nel 1481 250 luoghi, che dovevano aumentare per 60 anni. Dipoi gl’ interessi del capitale aumentato in questo periodo, dovevano impiegarsi nella costruzione d’ una (1) Propos. 114, fog. 44. « Li nove libri delle colonne sono la base e fondamento di queste compere ». (2) I, pag. 207. Lib.J., V, (Paris), fog. 94b. Testamento di Eliano Spinola: « Si non invenirentur tot loca ad emendum, que darent tantum proventum, emantur in civitate Janue tot domus ». (3) Ratti', II. pag. 249: « Anche all’Estero si approfittò di S. Giorgio come istituto di rendita. Confronta Cart. Colonne P. L. 1664 fog. 35b. Testamento di Bernardus Ritius, civis albigansis. — 233 — magnifica Chiesa. Il superbo tempio di S. Maria in Carignano, la cui cupola sovrasta a tutta Genova è opera di questa fondazione (i). j536 Ansaldo Grimaldi, oltre 40000 luoghi per abolizione d imposte (2), fondò 500 luoghi per messe che doveano csseie cantate a S. Luca (3), gl’interessi di 17500 luoghi doveano andare a favore di studenti dell'albergo Grimaldi, 3200 luoghi erano destinati per ospedali e fondazioni della città, 800 luoghi ai patres communis per il miglioramento del porto, a condizione che la Casa dei Grimaldi dovesse essere provveduta d acqua dell’ acquedotto della città e che si dovessero destinare annualmente io scudi auri per la manutenzione del ponte di Cornigliano. Finalmente gl’ interessi di 2000 luoghi do\evano servire per stipendiare 4 professori d’una università genovese (4). A questi pii fondatori si rendeva onore innalzando loro marmi e statue commemorativi: a quelli, la cui fondazione era inferiore a 25000 lire, si dedicava una semplice lapide marmorea, chi elargiva una somma superiore , ma non maggiore di 50000 lire, aveva un busto , a quegli il cui legato stesse fra le 50000 e le 100000 lire si innalzava una statua, e quegli il cui lascito superava le 100000 lire poteva aspettarsi che la sua effigie marmorea potesse dominare dall’alto d’ un seggio la sala delle compere (5). (1) App. X. Dal punto di vista storico-artistico è interessante notare, che il testamento accenna a molte cappelle, 12, mentre all’atto dell’esecuzione, cedendo al gusto mutato dell’ epoca, si preferì un vasto locale imponente per le sue dimensioni. Al compimento della Chiesa, gl’ interessi della fondazione Sauli dovevano essere erogati per la costruzione di spedali. (2) Pag. 176. Il capitale originario importava 4000 luoghi, che dovevano accrescersi fino a 64000. (3) 50 luoghi per il prepositus capellanie et cantorie S. Luce, 360 luoghi per 12 capellanie, 90 luoghi per i cantores. (4) « Quatuor lectoribus in utroque juri et in artibus liberalibus, teologia, philosofia morali, naturali et supernaturali et in humanitate sive in quibusvis predictorum ». (5) Cuneo, pag, 206. I titoli del debito pubblico, ossia i luoghi e le parti di essi, potevano essere ceduti. Queste cessioni non si operavano soltanto mediante trascrizione in un’altra colonna (conto), ma anche precariamente facendone annotazione nella colonna del cedente (i). Siccome questo procedimento recava danno alle tasse da esigersi all’ atto della cessione, esso per un certo tempo fu vietato. Tale divieto però venne tolto nel 1562, poiché, specialmente gli appaltatori delle imposte che non pagavano in contanti ma in paghe, mediante questa forma di vincolo dei luoghi si procuravano le paghe loro occorrenti (2). In causa della grande ricerca di luoghi che si faceva per aumento dei fondi di ammortamento e dagli appaltatori delle imposte, mentre diminuiva l’offerta, il corso dei luoghi, ancora dalla fine del XVI secolo, era salito sopra la pari (3). I comperisti dovevano da principio ricevere interessi fissi in rate trimestrali; però non solamente in cambio di essi ricevettero dividendi variabili sempre al di sotto del promesso 7 0/°, ma per di più il termine dei pagamenti venne mano mano ritardato. Nel XVI secolo le cose andarono tant’ oltre che i creditori dovettero attendere fino 4 anni per essere pagati dei loro interessi. Le leggi del 1568 stabilirono che i procuratori dovessero effettuare i pagamenti delle due prime rate annue tre anni dopo la loro scadenza, e quelli delle due ultime dopo quattro anni. Qualora però fosse possibile, dovevano pagare prima dei suddetti termini; se invece li avessero lasciati trascorrere, i procuratori incorrevano in una multa di 100 ducati. Nel 1593 (1) Membr. 14, (XIII), fog. 115: « Multi consueverunt venditiones locorum S. Georgii facere medio obligationum sub colonnis ipsorum locorum ». (2) Ivi: « Vendebantur loca iam obligata officiis S. G. pro cautione pa-garum personis revenditricibus ipsorum locorum, a quibus officio ante revendiam solute veniebant pagae pro quibus loca obligata erant et exinde gabella solvebatur ». (3) Cuneo, pag. 309. Dopo il 1582 stavano sopra la pari. Nel 1621 raggiunsero il massimo corso di 278. Peri , II Negoziante, II. pag. 77. « Leges comperarum 1603 ». — 235 — il termine del pagamento venne unificato, cioè a 4 anni dalla scadenza degli interessi (1). Il motivo della dilazione di questi pagamenti degl’interessi, era il lento entrare delle somme dovute dagli appaltatori. Solo allo spirare di quattr’anni le paghe diventavano esigibili (maturae). Se il creditore degl’ interessi avesse voluto avere il suo denaro prima d’allora, non poteva farlo altrimenti che cedendo le sue paghe e sottomettendosi al defalco d’uno sconto (2 1/2 3 lf3 jo l’anno) che diminuiva naturalmente quanto più prossimo era il termine del pagamento (2). Nel luglio di ciascun anno i protettori fissavano la misura dell interesse da pagarsi in quell’anno (3). Dopo ciò si regolava il valore delle paghe mediante passaggi e compensazioni [scuse) (4). Quattro anni dopo, i procuratori ordinavano il pagamento degl’ interessi (5). I conti degl’ interessi erano tenuti in libri che venivano rinnovati ogni anno (cartularii pagarum) , e nei quali venivano pure registrati gli eventuali passaggi. Quegl’interessi che, dopo un anno , non erano impiegati a compensare il debito degli appaltatori, venivano riportati nel cartolare pagarum restantium. Dopo il 1539 per gl’interessi maturati vennero (1) Leges 1634. I, cap. 16. Rei. 1597, cap. 64: « Le quali paghe son maturate del giorno della deliberazione a quarto anno la mezza parte e per tutto l’anno seguente. Tanto che la maturazione non finisce prima di cinque anni intieramente. (2) Ivi: « Secondo che più si acostano all’ anno della maturazione , sempre si vendono meno 608 denari per 1’ anno ». Vedi la tabella in Cuneo, pag. 308 segg. Le paghe all’epoca della loro originaria scadenza (delle scuse) valevano 14 a 18 soldi per lira. (3) Ratti, II, pag. 250. (4) Relaz. 1597: « Quel tempo della deliberazione di dette paghe si chiama tempo di scusa ». Peri, Il Negoziante, II, pag. 77 : « perchè la colonna che è debitrice del fondo, pagando il frutto di quell’anno scusa il suo debito ». (5) Decretorum S. Georgii, 15S4 segg., 6 agosto 15S6: « Procuratores habito inter se sermone de solutionibus pagarum anni 1581, quarum quidem solutionum terminus est propre, ex forma legum decreverunt solutiones pagarum anni 15S1, faciendas et deliberandas esse die 1 oct. proxime venturi ». — 236 — istituiti nuovi cartolari pagae maturae, i cartularii de numerato nei quali erano inscritti crediti che potevano essere riscossi ad ogni momento (1). Non era prescritto alcun termine per la riscossione degl interessi. Quelli non ritirati venivano registrati in un libro che si consegnava all’ Officmm de 1444- Questo doveva tenere sempre i fondi pronti a disposizione dei creditori ritardatari (2). Quando avveniva qualche trapasso di titoli del debito pubblico nei cartularii delle co Lo mie, si faceva conseguentemente il trapasso degl’interessi relativi nei cartularii pagarum; questi trapassi venivano comunicati agli scritturali del Cartulare pagarum, mediante un estratto firmato dai due notari del cartolare e del manuale, preso dal cartolare delle colomie che conteneva l’annotazione del trapasso. Questo estratto era chiamato biglietto di cartulario (3). Il trapasso di paghe, che dovevano essere compensate , aveva luogo d’ ordinario vincolando per un anno i rispettivi luoghi. I creditori d’interessi iscritti nel cartolare delle paghe non compensate (cartolare paghe restanti) potevano girare il loro credito. Questo giro nel cartolare delle paghe scadute, portava in conseguenza il giro nel cartular. de numerato, che ef-fettuavasi sulla base d’un estratto preso dal cartular. paghe (biglietto di cartulario) (4). (1) C. Ratti, distruzione, pag. 248, indica il principio del cartulario primo de numerato nel 1539, quello del cartulario secondo nel 154°- Lobero e Genala, pag. 32, indicano l’anno 1531. Il trasporto de\\e paghe in scadenza (apolizzare le paghe mature nei cartularii de numeralo), si effettuava sulla base d’un estratto preso dal Cartulario paghe, il quale oltre la firma dei due notari portava il sigillo del priore. Propos. 113, fog. 113, 1606: « al solito ». (2) Peri, Il Negoziante, II, pag. 77: « sino che i creditori ne dispongano ». (3) Sala 34, filza biglietti, Estratti dai cartolari delle colonne, sopra vincoli di loca all’officium pagarum, 1632 e segg. (4) Leges, II, cap. 12, Scrivani al cart. paghe restanti, (ediz. 1634, pag. 166): « Ogni persona possa disponere de crediti che avera in essi (cartularii restanti) e dì apolizari ne cartulari de numerato la somma e quantità del credito di ciascheduno sempre che la ricercaranno, venuto 4 — 2 37 - Chi era creditore delle compere nel cartulario de numerato e voleva essere pagato del suo credito, doveva presentare al cassiere delle compere un estratto di questo cartulario relativo al suo credito, cioè un biglietto di cartulario, firmato dai due scritturali del manuale e del gran libro de numerato (i). ] biglietti di cui parlammo fin qui non sono quindi altro che estratti dei cartolari; però la voce biglietto fu anche adoperata nel senso di mandati di pagamento. Quando si voleva girare un credito in qualche cartolare, delle colonne, delle paghe o de numerato, bisognava darne avviso o personalmente, o mediante mandato legalizzato dal notaio (2). In questi mandati di pagamento possiamo scorgere 1 origine dei clicques e trovammo già dei mandati simili nel giro dei creditori dei banchieri (3); sono da notarsi qui anche i mandati che il governo od altre autorità assegnavano per pagamenti sulle proprie casse (4). Non si trattava di un vero cheque, se non quando tali mandati di pagamento anziché essere staccati direttamente sopra la cassa, venivano consegnati all’avente diritto, il quale poi in base al mandato medesimo ritirava il denaro dalla cassa. pero che sara il tempo rispettivamente delle due prime e delle due ultime paghe- ». (1) Leges, 1634, II, c. 6, pag. 120: « Le polize per il cassiere , che detti scrivan faranno a coloro che prenderanno i lor crediti di cassa, sian sottoscritte de amendue essi scrivani ». (2) Leges, II, cap. 6, cap. 12. Confronta Membr. 15 (XIIII), fog. 176b, 5 nov. 1460: « De scribis cartulariorum proventuum et pagarum comperarum ». (3) Pag. 56, nota 5. Goldschmidt, Universalgesch des Handelsrechts, pag. 324, segg. (4) I, pag. 137. Arch. Stato. Arch. Segreto. Apodisie, 147;, 29 agos.: « De Mandato Magnifici ac 111.mi domini ducalis Januensis viceguberna-toris et magnifici consilii dominorum Antuanorum communis Janue. Vos spectatum officium debitorum communis camere Usus maris solvite ex mutuo nobilibus et egregiis viris Gentili de Camilla et Acurcio de Borla-scha massariis spectati officii Chii nuper electis libras sexcentas sive lb. DC. Ambr. de Senarega cancellarius ». Per una banca S. Bernardo che dovevasi fondare, viene prescritto (Sala 41 Mon. 20): « Quando chi havera credito in banco, vorrà spendere i denari, se farà biglietto perdetti car-tularii nella stessa maniera che si fa a presente dalla Camera 111.'"» ». — 238 — • La trascrizione nei cartularii de numerato delle Compere di S. Giorgio, venne privilegiata dal papa Gregorio XIII, nel 15S3. Le rendite secondo il diritto canonico non potevano essere costituite se non che mediante pagamento in contanti. Ora il Papa assimilò la trascrizione nel cartulare de numerato ad un pagamento in denaro (1). Naturalmente i creditori per interessi non potevano disporre che del loro credito; non si accordava credito ad un privato, quando ciò non fosse accaduto per nefas 0 inavvedutezza degli scritturali (2). I protettori invece, quando la cassa era in buone condizioni, potevano venire in aiuto ad urgenti bisogni del governo 0 di altri pubblici servizi, specialmente alle amministrazioni delle opere pie, accordando crediti a breve scadenza e garantiti da pegno (3). La Casa sovveniva il governo specialmente scontandogli paghe non ancora scadute. Il privato non poteva avere denaro contante, se non vendendo le sue paghe; a richiesta del governo invece la Casa gli pagava le sue paglie, sotto deduzione d’uno sconto, anche prima che spirassero i quattro anni d’uso. Mentre quelle dei privati chiamavansi paghe scritte, dicevansi paghe ad obligo dei luoghi quelle del governo. I luoghi e Je paghe spettanti al governo costituivano quasi il pegno, col quale la Casa si rifaceva allascadenza delle paghe (4). (1) « Quae solutio fortasse magis secura, cauta et idonea existit ac si illa fieret in pecunia numerata ». L. J„ V. (Paris) fog. 8, 4 aprile 1483: « Breve Gregorii XIII circa soluiiones factas et fiendas in cartulariis de numerato S. Georgii pro constitutionibus censuum ». (2) Membr. 15 (XIIII), 5 nov. 1460: « Non liceat alicui persone expendere super cartulario pagarum ultra quantitatem, de qua expendere volens creditor erit ». Leg. II, cap. 6. (3) Leges, II, cap. 6 (edizione 1634, pag. 117). (4) Civica D, 4, 6, 3. Annotazione alle leggi di S. Giorgio 1720, fog. 58 segg Relazione degli 111.mi deputati all’ufficio delle paghe cap. 6: « si pagano solamente a s. 18 0 circa di monerato per ogni lira in occasione dell’imprestito che se ne fa, e si rimborsano a sol. 20 de numerato per ogni lira quando ne scade la restitutione ». In causa della loro disponibilità, le paghe ad obbligo del governo avevano un valore superiore delle paghe scritte, p. es. se le prime valevano soldi 1S.4, le scritte valevano solo sol. 18, pag. 73. — 239 — Compratori delle paghe scritte erano specialmente gli appaltatori delle imposte, che potevano con tali paghe soddisfare il prezzo dell’ appalto. Il pagamento con paghe, recava alla Casa speciali vantaggi. Se cioè gli appaltatori dovevano pagare in numerato non si davano troppo premura, non essendo a ciò fissato un tempo determinato ,• e la Casa doveva talvolta attendere due o tre anni prima d’incassare il denaro. Se invece il pagamento era convenuto in paghe, era interesse degli appaltatori di pagare quanto prima fosse loro possibile perche la somma delle paghe era fissa e quanto più queste si avvicinavano al termine di loro scadenza, tanto più ne aumentava il valore (i). Il bisogno gli appaltatori che avevano di paghe, diede luogo alle creazione d’una nuova classe di uomini d’ affari, i paghisti. Questi comperavano tutte le paghe offerte al minor prezzo possibile per rivenderle quanto più caro potevano agli appaltatori (2). Per porre un argine alle mene di questi intermediari, che tenevano alti i prezzi delle paghe a danno dei gabeloti, la Casa nel 1631, li tolse di mezzo mettendosi al loro posto fra 1 luogatari che offrivano e gli appaltatori che ricercavano le loro paghe. L’ufficio di paghe assunse il monopolio delle transazioni in paghe. Gli appaltatori dovevano acquistare le paghe soltanto AdXYufficio di paghe, salvo che uno speciale permesso dei protettori non li autorizzasse a procurarsele da altra parte (3). L’ufficio calcolava per sè il 5 0/° di sconto, che de- (1) Membr. Nel 1590 per questi motivi il prezzo dell’additione del vino venne tramutato da 30000 lire de numerato in 34500 lire de pagis « et a cui offerirà riscuoter meno ». (2) Discorso intorno alla moneta di paghe. Civica : « andavano comprando ed acquistando tutta quella quantità de proventi immaturati che potevano, al minor prezzo che le riusciva, e poi, con la necessità che a-vevano le gabelle di pagar il costo in detta qualità di moneta, per non ridursi in necessità di pagarlo in lire di numerato, cioè soldi 20 intieri per ogni lira, ne facevano vendita ad esse gabelle a prezzi molte volte rigorosi ». (3) Leg. IIII, cap. 7, (ediz. 1634, pag. 286). Relazione paghe, pag. 59: « con il jus privativo a tutti quelli che non sono primi acquirenti ». — 24° — duceva agli appaltatori sul prezzo al quale aveva esso stesso acquistato le paglie. Questo esercizio del commercio delle paghe, da parte della Casa non ebbe gli effetti sperati. L’Ufficio lavorava a perdita e gli appaltatori si lamentavano che esso non facesse altro che far pagare loro un prezzo maggiore. Perciò questo ufficio venne soppresso ed il commercio delle paghe ritornò nelle mani dei privati (i). Ripresa dett'esercizio bancario nel 1586« Confronto fra la Banca di San Giorgio e la Banca ambrosiana di Milano* Nei cartularii de numerato erano registrati gl’ impegni liquidi della Casa di S. Giorgio. Tali erano principalmente gli interessi maturati dei creditori dello Stato, le paghe maturatae. Vi entravano pure eventuali sopravanzi dell’ amministrazione della Casa e di speciali gabelle che venivano depositati nella cassa della Casa. Inoltre sembra che già per tempo vi venissero depositate somme di denaro contestate sulle quali pendeva un giudizio (2). Ai due cartularii de numerato, fra cui non eravi sostanziale differenza, si connette l’istituzione d’una banca di depositi e giro. Nel 1586 venne aperto il cartulario oro, nel quale anche ogni privato, mediante versamento in scudi d'oro delle cinque stampe, cioè di conio spagnuolo, napoletano, fiorentino, veneziano e genovese, acquistava un credito, del quale poteva (1) Relazione paghe, pag. 58, Civica D, 4, 6, 3. (2) Confronta nel bilancium cartularii primi numerati officiorum S. Georgii, nel bilancio creditori, le partite : « Officium S. Georgii nomine depositi L. 591.5, gabella appellationum de 1539 nomine depositi L. 7>I5-S-Vicarius potestatis Janue nomine depositi L. 772 ». Genova Arch. di Stato, sala 29, N. 988. Lobero, pag. 162 e Cognetti de Martiis, (F. Genala, Il palazzo di S. Giorgio , pag. 32) opinano che la Casa di S Giorgio riprendesse dopo il 1531 l’esercizio degli affari di banca , appoggiandosi ad una relazione de Marinis dell’anno 1815, che nulla prova sulla assunzione di affari bancari in queU’anno. — 241 — disporre in qualunque momento, sia ritirandolo da sè, sia girandolo a favore di terzi (1). Lo scudo d’oro in oro fu ragguagliato a 68 soldi, e già il primo cartolario del banco dei-loro del 1586 registra una somma di 464638 lire depositate nella sacristici della Casa (2). Nel 1606 al cartulario oro, seguì il cartulario argento, chiamato anche cartulario de scudi de cambi, per scudi d’ argento di conio genovese. Questa istituzione, che in principio fu fatta per un anno, venne prolungata il i.° gennaio 1607 per tre anni per rimanere poi stabile (3). Il 13 giugno 1625 venne aggiunto un terzo cartulario de numerato o di moneta de reali, per pezzi da 8 reali di conio spagnuolo (4). Mediante questi tre cartolari si era creato a Genova una banca di depositi e giro, nella quale però erano accettate solamente determinate monete, cioè monete d’oro e monete pesanti d ai gento. Il credito del depositante veniva riconosciuto nella specie di moneta che veniva versata, e nella quale veniva poi rifuso (5). Queste monete speciali venivano ragguagliate da S. Giorgio sulla base di tariffe determinate. Così nel 1602 gli scudi d’oro delle cinque stampe e quelli d’argento di Genova furono messi a 90 soldi, ed i pezzi da 8 reali spa- '1 ) Leggi delle compere, IV, cap. 4, (ediz. 1634, pag. 281) «nel quale cartulario si scriva qualsivoglia quantità di scudi, che ogni persona publica o privata vorrà pagare al cassiere delle compere , spendere , continuare e girare in altri e farsi pagare e restituire ». (2) Genova, Arch. di Stato. Sala 26, se. 38. Propos. 112, fog. I3ib: « Il cartulario de numerato moneta d’oro, accordato per un anno il 4 a-gosto 15S6, per commodità delle compere nostre e de cittadini, fu poi confermato per altri cinque anni e così via ». Nel 1592 è detto: « detto cartulario d oro non è di minor importanza dei cartulari primo e secondo di numerato ». (3) Leggi delle compere, IV, cap. 5, Genova, Arch. di Stato, Sala 26, se. 63: « Cartularium Scutorum et cambiorum, MDCVII ». (4) Leggi, IV, cap. 6. (5) Leggi, IV, cap. 5, (ediz. 1634, pag. 283): « Il cassiere delle compere. . . doverà pagare dell’istessa moneta con biglietti che gli saranno presentati fatti e sottoscritti da detti due notari (del cartulario e manuale de numerato di scudi di cambio) conforme il solito ». Atti Società Ligure Storia Patria. Voi. XXXV, P. II. 18 gnuoli a 61 sol. moneta di Genova. Altre specie di monete non potevano essere depositate, se non che con pei messo scritto dei tre magistrati di S. Giorgio (i). Come la prima banca del 1407 , così anche la nuova del 1586, servì a facilitare le transazioni dell’amministrazione del debito pubblico, e in pari tempo il grande movimento finanziario della Casa favoriva l’annessione di una banca di depositi ai suoi affari (2). La banca-giro della Casa di S. Giorgio fu adoperata dallo Stato per le sue operazioni di Cassa, anzi lo Stato nel 1606, obbligò i suoi cassieri di non effettuare pagamenti per somme superiori a 100 lire in danaro ma bensì mediante giro nei cartolari di S. Giorgio (3). Scaccia descrive nel suo Tractatus de commercio et cambio, la istituzione della Banca di S. Giorgio nella prima parte del XVII secolo (4). A lui sembra molto interessante il trapasso dei crediti nei cartolari di S. Giorgio, come base del debito cambiario (5), e crede che la Banca di S. Giorgio godesse d’un credito incrollabile, da un lato, perchè riposava sopra concessione governativa, dall’altro, perchè i libri erano tenuti da notari pubblici; sopratutto però perchè una lunga ed onorata esperienza avrebbe infuso nel pubblico una fondata fiducia, che in nessun caso si sarebbe trasgredito alle eccellenti leggi genovesi (6). (1) Leggi, II, cap. 7. (2) Raf. de Turri, Tract. de cavibiis. Disp. 2, qu. 17, n. 44: «tacile fuit dictis administratoribus et bancum seu mensam adjicere ad augendam se. maiorem facilitatem circa expeditionem negotiorum ad dictas, administrationes spectantium ». (3) Olivieri, Carte, pag 129, 2 agosto 1606 : « Si ordina che tutti 1 cassieri dei Magistrati della republica eccetto quello degli III.1111 Signori Procuratori non possano pagare partite di maggior somma di L. 100 in contanti, e che al di là della detta somma si facciano i pagamenti nei cartulari di S. Giorgio ». (4) \ 7> gl- 3> n- 3 segg- Endemann, Studien, I, pag. 446. (5) i Q- 5> n- T7: exemplar cambii, quod convenit scripturae et libro argentarii nummulariique publica auctoritate deputati ». (6) Ivi: « Fides inviolabiliter prestatur libris seu cartulariis banchi S. — 243 — In modo simile si espresse Raffaele della Torre. Egli opina che fra le banche annesse alle amministrazioni di grandi fa-facolta, come le banche di Roma e Napoli agli spedali di S. Spirito e S. Annunziata, la banca genovese godesse della maggiore riputazione, come facente parte della più ricca amministrazione, cioè delle Compere di S. Giorgio (i). Secondo la sua opinione il credito della banca dipendeva dal non essere una banca di credito od almeno per non essere ritenuta come tale (2). La Banca di S. Giorgio esistente fino dal 15^6 , servì di modello a Gio. Antonio Zerbi, quando questi nel 1592 si accinse alla fondazione della banca ambrosiana a Milano (3). Egli si era proposto di annettere all’ amministrazione del debito pubblico una banca-giro della città, come era stato fatto presso la Casa di S. Giorgio ; però i suoi piani raggiunsero molto lentamente il loro effetto. Nel *593 fu autorizzata la banca-giro della città, cioè il cartulario (4). Secondo gli statuti del 1601, degli otto governatori del banco, quattro erano nominati dalle autorità e quattro dal consiglio generale della città. I crediti erano registrati in moneta corrente di Milano (5); i depositanti potevano disporne mediante giro 0 farseli rimborsare. I privati avevano il vantaggio presso la banca, di aver il loro denaro bene custodito e di poterlo girare comodamente. Il giro nei libri della banca era più sicuro e più semplice dei Georgii in civitate Genue, tum quia illud Bancum est publica auctoritate erectum, tum quia illius scripturae praesunt notarii publici, tuin quia ista fides inconcussa de consuetudine ab immemorabile tempore fuit semper praestita et praestatur, tum demum quia sic mandant statuta genuensia ». (1) Tract. de cambiis, disp. 2 , q. 17 , N. 44: « banchum S. Georgii adnexum est administrationi omnium ditissimae ». (2) « Ne solidum quidem quisquam in bancho expendere potest nisi prius ibidem habeat ». (3) K. Lehmann, das Recht der Aktiengesellschaften, I, pag. 46 segg. (4) E. Greppi, Il banco di S. Giorgio, Arch. Storico Lomb., X, fog. Ili, settemb. 18S3, pag. 6. (5) Così sarei incline ad interpretare moneta M,., anziché moneta mercantile come vorrebbe il Greppi, pag. ri. — 244 - pagamenti materiali nelle molteplici specie di monete allora in circolazione. Lo Stato , a Genova come a Milano , poteva entro certi limiti, approfittare del denaro dato alla banca senza interesse per scopi, per i quali avrebbe dovuto ricorrere a crediti a breve scadenza e ad altri interessi. Le banche italiane non erano tanto difficili nell accordare credito allo Stato, come lo era p. es. la banca di Amburgo. Se, per avere messo i depositi in troppo larga misura a disposizione dello Stato, le banche si trovavano in qualche difficoltà di fronte ai depositanti, esse si aiutavano con prestiti a breve scadenza verso cambiali (i). La seconda parte del progetto Zerbi, cioè la conversione del debito pubblico, venne approvata solo nel 1597-1 luoghi e moltiplici erano capitali da 100 lire, che i privati versavano spontaneamente alla banca cittadina, i luoghi per un trimestre, i moltiplici per cinque anni. La banca diede questi capitali a prestito alla città di Milano e ad altri Comuni dello Stato milanese, ricevendone in cambio assegni sulle pubbliche entrate. Questi prestiti presi dalla banca erano per 1’ amministrazione del Comune una forma più comoda del debito pubblico, in confronto con quella fino allora in uso , 1’ assunzione cioè di debiti da parte dell’autorità verso il pubblico direttamente, sia contro cambiali, sia per lunghe scadenze, contro assegno sopra redditi determinati (2). Dapprincipio a Milano, differentemente da Genova, lo Stato tenne in propria mano l’amministrazione delle imposte assegnate prima ai creditori, ora alla banca ambrosiana , e solo nel 1662 la cattiva condizione della pubblica finanza, obbligò il Comune a passare alla Banca di S. Ambrogio 1 amministrazione e la proprietà d’una serie d’imposte, cioè quella sui fabbricati, sulla farina, sul vino e sulla carne (3). A Milano dunque lo sviluppo procedette in senso inverso (1) Greppi, pag. 14. (2) Greppi, pag. 23, 24. (3) Greppi, pag. 27. — 245 — da quello di Genova. Qui aH’amministrazione del debito pubblico, a cui lo Stato avea ceduto le principali gabelle, si annesse più tardi una banca-giro ; a Milano invece alla banca-giro venne incorporata l’amministrazione del debito pubblico, alla quale più tardi lo Stato cedette le necessarie gabelle, per modo che la banca di S. Ambrogio solo nel 1662 diventa simile alla banca di S. Giorgio dal 1586 in avanti. Delle imposte assegnate alla banca ambrosiana il Comune ne teneva per sè un quarto, a simiglianza delle code genovesi, un altro quarto serviva per coprire le spese di amministrazione, e, se queste erano inferiori, il sopravanzo andava pure a profitto del Comune; la metà soltanto degli assegni andava a favore dei luoghi e dei violtiplici (1). I luogatari a Milano godettero fino da principio solo dividendi variabili, sufficientemente alti nei primi anni, ma che dal 10 °/0, scesero nel 1599 a 4 l/2 %, finché nel XVII secolo si ridussero al 2 % (2). A differenza di Genova, i luo-gatarii a Milano erano prima creditori a breve scadenza; ma la impossibilità in cui trovossi la banca di rimborsarli quando ne facevano richiesta, li parificò presto ai creditori delle Compere di S. Giorgio (3). I luogatarii della banca ambrosiana si distinguono da quelli della Casa di S. Giorgio perchè non esercitavano alcuna influenza nell’amministrazione, come invece l’esercitavano questi nel gran consiglio delle Compere e nella nomina delle cariche. Perciò la banca ambrosiana come società in accomandita per azioni fu posta a raffronto colla banca di S. Giorgio quale società per azioni (4). Non possiamo però dimenticare quanto poco le forme moderne delle società commerciali rassomiglino a quei primitivi istituti. La banca di S. Ambrogio, come quella di S. Giorgio, non era impresa commerciale, che (1) Greppi, pag. 20, 21. (2) Greppi, pag. 22, 26, 27. (3) Greppi, pag. 25, 28: « tutta la negoziazione versa nel trapassare i luoghi, che sono assentati da una testa all’altra ». Nel 1SS4 S. Ambrogio fu unito al Monte S. Teresa, Vietti, pag. 109. (4) K. Lehmann, Rechi der Aktiengesellschaften, I, pag. 48. — 246 — volesse fare degli affari coll’accordar crediti bancarii e impiegando il guadagno prodotto da questi affari per dare un dividendo ai suoi azionisti. Negli introiti dei protettori di S. Giorgio, che provenivano dall’ impiego di denari della banca per la costruzione del porto-franco , viene espressamente dichiarato che non competevano ai luogatari, ma che erano un introito a parte dei protettori (1). Anche i luogatari della banca ambrosiana non erano in fondo altro che una specie di creditori dello Stato; soltanto che non aveano da fare direttamente coH’amministrazione centrale delle finanze, ma colla così detta banca dipendente dallo Stato (2). Apertura dei banchi di moneta corrente 1615 e segg. Le disposizioni prese dalla Casa di S. Giorgio nel 1586 per i depositi non bastavano ai bisogni del movimento degli affari di Genova, perchè i tre cartolari della Casa accettavano depositi soltanto in determinate specie di monete. Ma per quanto e governo ed il ceto mercantile si affaticassero per fissare come tipo universale la valuta d’ oro e quella grossa d’argento, la piccola moneta d’argento rimaneva pur sempre a Genova come base della valuta (3). Mentre fra gli scudi d’oro e d’argento vi era una oscillazione minore (4), la pic- (1) Scritto esaminato, 1675, Notaro Chichizzola. Le pigioni dei magazzini dovevano servire per pagare gl’impiegati della nuova banca: « come introiti ehe non spettano ai tuogatarii, perchè non procedono da gabele, ma sono stati formati col denaro del deposito della sacristia, la quale ne è stata reintegrata, sì che essendo parto ossia frutto dell’ industria delli Protettori, possono questi come supremo rettore assignarli a questi usi delle compere, che giudicano maggiormente utili e profittevoli ». (2) Greppi, pag. 20, 21. Gl’ introiti dei tuogatarii erano costituiti dalla metà delle rendite assegnate alla banca dal governo. L’affare dei depositi cessò completamente per qualche tempo nel XVII secolo. (3) Confr. sulla valuta d’oro, nelle fiere di cambio. Ei-irenberg, Zei-talter der Fugger, II, pag. 232. (4) Nel 1593 Io scudo d’oro e d’argento vennero coniati ad eguale valore di 4 L. e 7 sol. e il 22 aprile del medesimo anno fu ad esse data uguale validità per i pagamenti, (cambiali escluse): Desimoni, Atti S. L. — 247 — cola moneta d’ argento scadeva continuamente e fortemente di valore, per modo che gli scudi acquistavano un crescente aggio. Nel 1596 gli scudi d’oro e d’argento valevano 90 s. (4 L., io s.); nel 1675 lo scudo d’oro ebbe il valore di 9 L. e 8 s., lo scudo d’argento di 7 L. 12 s. (1). Già da molto tempo indietro si era tentato di togliere o almeno di fissare 1’ aggio fra 1’ oro e la moneta grossa d argento da una parte e la piccola moneta d’argento dall’ altra, mediante decreti. L’esecuzione di questi decreti doveva essere facilitata dall’opera di una banca-modello (S. Giorgio 1408-1444). Più tardi si procurò di raggiungere lo scopo limitando la legalità dei pagamenti con moneta spicciola. Tutti questi tentativi però riuscirono a vuoto, perchè la quantità del denaro indigeno deprezzato veniva continuamente aumentata dall invasione di cattive monete estere (2), e l’oscillazione intorno la misura normale e universale dei prezzi costituiva per Genova un malessere gravemente sentito dalla vita degli affari (3). I decreti sulle monete di quei secoli offrono un triste quadro. Pochi anni dopo che lo Stato, comminando severe pu- •S. P. XXII, pag. XL, ma già nel 1624 1’ oro avea acquistato ìtn aggio 7 2/s °U ■ Sala 41, N. 20 , monetarum , 9 decem. 1624 : « per paghar detto debito di scudi di marche, si paga in scudi d’oro in oro delle cinque stampe o vero ogni 107 scudi e due quinti di argento per 100 scudi d’oro delle cinque stampe conforme il decreto ». (1) Desimoni, Tavole, pag. 516 segg. (2) Anche il ritiro delle monete estere non ebbe alcun effetto. L 11 febb. 1591 tale ritiro venne disposto a spese del governo (per officium monete scindantur soluto tamen earum valore quibus capte fuerint). Il governo defalcava solo il 5 °/0 ai possessori dalle monete a titolo di competenza (pro ministris dicti officii). Se però presso i cattivi cambiavalute, i bancharoti, il governo trovava monete proibite, le confiscava senz altro. Bibi. Univ. B., Ili, 21, fog. 75. (3) Ivi, fog. 119, 2 agos. 1606: « in maniera che il denaro, col quale sì comperano ed estimano tutte le altre cose, è divenuto estimabile secondo l’arbitrio d’ognuno, et specie di mercantia, soggetta alle in\entioni et stratagemme degli huomini ». Cfr. sulle stesse difficoltà nei piccoli stati della Germania, Sieveking, I. G. Biisch und seine Abhandlungvon dein Ge/dumlauf, Schìiollers, Jdhrbìicher 1904, p. 97. — 248 — nizioni, credeva di avere fissato stabilmente l’aggio delle monete migliori, riconobbe che malgrado i suoi decreti 1’aggio era salito ancora; nè potendo ormai resistere contro un fatto compiuto, vietò aumenti ulteriori, senza che questo divieto producesse col tempo migliore effetto. Questo progressivo scemare di prezzo della valuta tipo , produceva a tutti i creditori un g'rave danno. Se il pagamento non era stato convenuto in una data moneta, al momento dell’ esazione essi non ricevevano se non nominalmente il valore di ciò che avevano dato. Perciò il 29 novembre 1637 decretato che in tutti i contratti stipulati in moneta corrente, il pagamento doveva effettuarsi al cambio del giorno in cui fu conchiuso il contratto, ancorché nel frattempo il valore della lira in confronto collo scudo avesse provato variazioni (1). Qualunque trapasso di moneta sonante, traeva seco il pericolo che con ciò fosse messo in circolazione moneta cattiva. Quindi per facilitare l’esecuzione dei decreti relativi alle monete, venne proposta una limitazione dei pagamenti in contanti, col dare invece uno sviluppo maggiore allo scambio, mediante depositi e partite di giro. Nel 1629 venne proposta la fondazione di due banche, S. Gio. Battista e S. Bernardo, per un anno, nelle quali, sotto pena di multa del 10 °/0 e di nullità per qualunque altra forma, dovevano farsi i pagamenti di somme superiori a 200 lire (2). Doveva però rimanere libero il giro nei cartolari di S. Giorgio, e non si poteva portare ostacoli agli affari delle autorità, ne agli affari di cambio. I conti doveano essere tenuti in moneta corrente, però ai depositanti doveva essere libera la scelta, se cioè ritirare il loro denaro in moneta corrente secondo la tariffa ufficiale o nella stessa specie di monete depositate. (1) Civica, D, 3, 4, 15. Monete e le loro valutazioni, pag. ult. « Secondo il valore corrente al tempo di contratta obbligazione ». Per la valutazione delle lire di cartulario di S. Giorgio, di numerato , di paghe, di moneta d’oro doveva concorrere la volontà dei contraenti. (2) Olivieri, Carte, pag. 134, Bibl. dell’Univ. B. Ili, 21, I, pag. 312: « Capitoli per formare un o due banchi publici ». — 249 — Come le iscrizioni e gli estratti dai libri di S. Giorgio , cosi anche le iscrizioni e gli estratti dai cartularii delle nuove banche doveano essere senz’altro legalmente esecutivi. I depositanti potevano egualmente disporre del loro credito, con ordini scritti di pagamento, le autorità con mandate, i privati con biglietti. Come la banca di S. Giorgio, così anche le nuove banche non potevano essere, di fronte al pubblico, banche di credito, ma solamente banche di giro. Il notaio che ammettesse un credito non coperto sarebbe punito e avrebbe dovuto pagare di propria tasca l’importo mancante. Era però progettato che il governo potesse fare nelle nuove banche affari di cambi di monete, potesse anzi monopolizzare il cambio di monete piccole e grandi, mediante un aggio fissato a suo piacere (i). Le nuove banche non solo avrebbero potuto girare al governo gli utili provenienti dal cambio delle valute, ma sarebbe stato loro permesso di fargli pure dei prestiti. E acciocché tali prestiti non avessero portato inciampo alle banche, nell’adempimento dei loro impegni verso i depositanti, doveva essere lasciata facoltà alle banche stesse di contrarre debiti a breve scadenza fino alla somma di 20000 scudi d’oro di marche. Queste proposte furono respinte. Solamente un proclama del 9 agosto 1630 contiene il permesso in generale per l’erezione di due banche, senza alcun cenno dei privilegi testé accennati (2), coll’esclusione espressa di cambio di monete, e col diritto ad ogni creditore di rifiutare qualunque pagamento, mediante giro nei libri delle banche. Sembra che la fondazione di queste banche non abbia avuto allora luogo , o che in ogni caso abbiano avuto esistenza effimera. Quello che risentiva il maggior danno dalla confusione della circolazione monetaria a Genova , era il commercio al-l’ingrosso. Per le cambiali sulle fiere di Piacenza e di Besanzone esso si era bensì creato un valore unitario e fisso nello (1) « Con quel agio a benefizio del banco 0 banchi che parrà ragionevole al magistrato prò tempore, prohibendosi a qualunque altri far simili barate e permute ». (2) Ivi, pag. 320: « si potranno permettere doi banchi », — 250 — scudo d’oro (i) ; ma le cambiali sopra Genova potevano essere in monete diverse, in scudi d’oro e d’argento, ed in reali che stavano fra loro in un rapporto continuamente variabile. Questa mancanza d’ una valuta fissa recava danno al corso dei valori cambiari di Genova. La parità del cambio era regolata dalla peggiore specie di monete che circolavano a Genova (2) e perciò venne in campo un altro progetto avente per iscopo la unificazione di tutte le cambiali genovesi. Esse dovevano essere tutte stese in scudi immaginari di 4 lire , e tanto la costituzione quanto l’estinzione d’un debito cambiario non poteano aver luogo se non mediante giro nella banca di cambio di S. Bernardo che doveasi fondare (3). Si poteva acquistare un credito nella banca progettata, mediante un versamento di scudi d’ oro delle cinque stampe, di scudi d’argento genovesi, o di pezzi da otto reali coniati in Castiglia, Siviglia, o Messina. Il depositante poteva riservarsi il diritto di farsi rimborsare nella stessa moneta consegnata. In caso diverso, stava al direttore lo scegliere se il pagamento dovea farsi in scudi d’oro o d’argento. I depositanti in pezzi da otto reali erano rimborsati soltanto nella stessa moneta, 0 dovevano adattarsi al defalco di un aggio (4). (1) Sala 41, mon. 20, 1660: « dovendo prendere argento o reali, si mancherebbe la fide publica ». Ehrenberg , Zeitalter der Fugger , II, pag. 232 segg. (2) Genova, Arch. di Stato. Sala 41, Monet. 20, 1660: « Ii arbitrn delli cambii de reali, oro et argento, qual diversità è quella che da il nias giore impulso al crescimento delle monete, perchè 1’augmento del cani bio di una di esse monete introduce gli arbitri e fa crescere le alti e ». (3) « Per detto banco doverranno per necessità passare tutti i cambi che si fanno dalla piazza per le fere et altre piazze e tutti quelli che delle fere ed altre piazze capiteranno in Genova ». (4) « Chi comprerà il credito con reali, non possa pretendere il pagamento ne disponere di detto credito se non in reali, perchè se vorrà credito di banco libero con reali, doverà far buono quell’ agio che pacheranno ». In questa forma la banca genovese sarebbe stata simile alla banca di Amsterdam verso la metà del XVII secolo. Mees , Bankwesen in Nederland, pag. 86: « eenvoudige Deposito bank van eenige bepaalde specien ». Pag. 85 sopra il « noodzakelyk opgeld » che la banca calcolava per sè nel mettere fuori specie migliori di monete. — 251 — Verso la metà del XVII secolo tutti erano d’accordo sulla necessita di fondare a Genova una banca generale di depositi e giro, e solo era discussa l’opportunità se la direzione di essa dovesse essere assunta dal governo stesso, ovvero affidata alla Casa di S. Giorgio. Trattavasi con ciò di stabilire chi dovesse percepire gli utili provenienti dall’esercizio degli affari bancari, essendo evidente che tale esercizio avrebbe recato non solamente lustro, ma eziandio un materiale guadagno. La Casa di S. Giorgio avea riconosciuto coll’esperienza che dei denari ad essa affidati — sia a titolo di depositi ovvero d interessi del debito pubblico non riscossi — una grande parte non veniva riscossa dai creditori e quindi rimaneva a vantaggio della banca (i). Specialmente si diceva che all’ e-poca della peste dell’anno 1656, molti crediti rimasero a benefizio della Casa, non essendosi presentato alcun erede legittimo dei creditori a reclamarne il pagamento (2). burono messe in discussione parecchie eventualità, cioè o che la nuova banca fosse aperta negli uffici della zecca come banca dello Stato sotto la direzione dell’autorità delle finanze (3), ovvero negli uffici di S. Giorgio , ma sotto amministrazione del governo (4) o finalmente che S. Giorgio ne assumesse anche l’amministrazione aggregandola al suo ordinario esercizio. (1) Genova, Arch. di Stato. Atti della fondazione della banca del /67j: « parte delle quali (monete di deposito) in progresso di qualche tempo verranno insensibilmente a farsi proprie della Casa di S. Giorgio , come è seguito fin hora di quelle dei cartularii d’oro, argento, reali e numerato, perchè molte partite riescono inesigibili, o perchè gli heredi non risolvono di prendere 1’ eredità dei defunti, o per impossibilità di giustificar le qualità ereditarie o di adempir le condizioni apposte nelle partite ». (2) Wiszniewski, pag. 15. (3) Olivieri, Carle, pag, 142: «Progetto per un banco pubblico nella zecca ». (4) Civica, D, 3, 4, 15, Monete e le loro valutazioni, pag. 49: «La seconda forma sarà di esercitar il suddetto banco nella Casa di S. Giorgio ma a nome pubblico senza obbligazione alcuna della detta Casa con sacrestia separata e ministri che dipendessero dall’officio di moneta e dalla Camera illustrissima. 1646 rimedii proposti per ovviare al disordine della moneta et per erigere un nuovo banco ». — 252 ~ Nei primi due casi 1’ utile derivante dagli affari bancari sarebbe andato direttamente a favore dello Stato, mentre nel terzo caso sarebbe prima affluito all’organizzazione dei creditori del debito pubblico, per poi passare allo Stato, sotto forma di prestiti o sovvenzioni. Questo giro indiretto, che faceva dipendere dal consenso della Casa di S. Giorgio, il servirsi dei depositi per scopi di governo, frenava le troppo avide richieste del fisco e quindi presentava maggiore sicurezza per i depositanti. Nel cozzo degli interessi i protettori di S. Giorgio riuscirono a vincere il loro punto. L’ 8 marzo 1675 il governo decretò l’erezione d’una nuova banca, la cui direzione eia affidata ai protettori. Il principio degli affari fu fissato per il i.° aprile (1). La nuova banca doveva tenere i suoi conti in lire di moneta corrente. Mentre la Casa di S. Giorgio avea preso fino ad ora soltanto in deposito determinate specie di monete, la nuova banca doveva accettare tutte le monete, che avessero corso legale , al prezzo fissato dalle tariffe governative (2). Furono persino accettate monete false e calanti, le prime per il valore del metallo fino di cui erano fatte , le seconde in base al peso, presumendo che la lega fosse buona. Gli statuti del 1675 corrispondevano a parecchi desiderii precedentemente sentiti. Non solamente per le cambiali (3), (1) Appendice, XI. (2) Solo i pezzi inferiori ad 1 lira non dovevano essere accettati. In Amsterdam le cose andarono all’ inversa di Genova. Là la banca aveva accettato da principio tutte le monete correnti circolanti, limitandosi solo più tardi a certe specie. Mees, pag. 70-72- pag- 9°- Nel 1739 si pensò a Genova a limitare nuovamente il numero delle monete ammesse e ad istituire una banca speciale per le monete estere. (3) Anche a Venezia dal dicem. 1593 in P°> era obbligatorio il pagamento di tutte le cambiali mediante giro nei libri del banco di Rialto fondato nel 1587: C. F. Dunbar, The batik of Venice, quarterly Journal ofeconomies, VI, 3, P«g. 3« (aprii 1892). Sul modo di eludere il divieto di pagare cambiali di 600 fiorini e più, fuori della banca di Amsterdam, confronta Mees, Bankwesen in Nederland, pag. 46, seg. A Nurnbergdopo il 1621 i pagamenti superiori a 200 fiorini, dovevano aver luogo mediante la banca. P. I. Marperger, Beschreibung der Banquen, pag. 163. ma anche per tutti gli altri pagamenti superiori a 100 lire, la forma del giro nei libri della nuova banca fu dichiarata obbligatoria. In questo modo qualunque negoziante, ancorché avesse un modesto giro d’affari, era obbligato ad acquistarsi un credito presso la nuova banca. Questa forma eliminava la necessità del numerare il denaro contante e manteneva alle cambiali una parità costante. La direzione della banca poteva pagare a suo piacere in tutte le specie di monete ammesse e secondo le decretate tariffe. Solo chi si era servito del suo credito presso la banca, per pagamenti sulla fiera cambiaria e potesse produrne un attestato (firmato dal console della fiera e dal cancelliere sulla fede d’un estratto autentico dai libri della banca dimostrante il suo credito), aveva il diritto, come i creditori dei cartularii d oro, d'argento o di reali, di chiedere il pagamento in questa specie di monete, scudi o reali a piacere dei protettori. Invece la direzione della banca poteva pagar sempre al governo i suoi crediti in piccola moneta, colla quale , e non in moneta di cartulario, esso poi pagava i suoi stipendi e le sue mercedi. Gli affari della nuova banca assunsero una tale estensione, che ancora nell’anno seguente si rese necessaria una seconda banca (i), ossia un secondo libro di banca coi relativi scritturali per il cartulario ed il manuale. Come tutti gli altri scritturali della Casa, quelli del primo banco delle colonne, delle paghe etc., anche quelli della seconda banca, aveano il loro ufficio, nel quale facevano i giri richiesti dai creditori, situato nella sala delle scritture, adorna delle statue dei fondatori , la quale serviva pure per le sedute del gran Consiglio delle Compere (2). Le nuove banche fecero scemare il lavoro bancario fino allora avuto dalla Casa (3). Perciò contemporaneamente alla (1) Propos. 116, fog. 97b. Il 26 agosto 1676 il Gran Consiglio delle compere approvò con 202 di 261 voti 1’ erezione d’ un secondo cartulario di detta moneta (corrente). (2) Vedi la pianta del palazzo di S. Giorgio, Cuneo, Tav. III. (3) « Vedendosi da molti mesi in qua esser mancato assai in questi due cartolari (d’oro e reali) il giro di dette monete ». — 254 — fondazione della seconda banca fu deciso che i cartularii d’oro e di reali sarebbero stati bensì mantenuti, non però a mezzo di scritturali speciali. Il cartulario ed il manuale per depositi in scudi d’oro sarebbero stati tenuti dagli scritturali del cartulario e del manuale de numerato e quelli per depositi in reali dagli scritturali dei cartulari delle paghe in iscadenza (paghe moderne, cart. paghe R.). Nel 1675 la concessione della nuova banca venne data per il tempo limitato di tre anni; fu poi regolarmente rinnovata di 10 in 10 anni, vista l’utilità ohe essa recava alla circolazione del denaro (1). Quasi tutti i pagamenti passavano per i libri della banca, della quale approfittavano pure gli stranieri (2). Il 15 settembre 1714 il gran Consiglio approvò una proposta dei protettori per l’erezione duna terza banca (3). I due primi banchi di moneta corrente non bastavano più alle domande del pubblico, specialmente perchè, in causa della revisione dei libri, cui erano soggette, doveano stare chiuse due mesi l’anno (4). Alla nuova banca furono preposti i ragionieri del cartulario e del manuale de scudi d’argento i cui libri furono affidati agli scritturali de numerato. Nel 1739 venne fondata la quarta banca. (1) Propos. 118, fog. 191, 1718: « riescono di gran vantaggio e facilità alla contrattazione ». (2) Peri, Il Negoziante, II, pag. 77: « Depositi di somme di danari rilevantissime così da cittadini come da forestieri d’ogni natione.... Quasi il giro di tutta la negotiatione della città passa per questi libri ». (3) Prop. 118, fog. 122. (4) « Massime che convenendo per il buon ordine della scrittura tener per due mesi dell’anno in apontatura il cartulario d’ ognuno d’essi due banchi ». La Banca di S. Giorgio ed i suoi biglietti dal 1675 in poi. La Banca di S. Giorgio anche dopo il 1675 non era altro rispetto al pubblico che una banca di depositi e di giro. Nel primo periodo dell’esercizio bancario 1408-1444 la Casa aveva accordato credito agli appaltatori d’imposte contro pegno di luoghi ed anche ora vi era la tendenza di accoppiare agli affari di depositi, quelli di credito. I protettori di S. Giorgio chiesero al gran consiglio delle compere 1’ autorizzazione di poter fare prestiti contro pegni di argento monetato o non monetato per uno a due mesi coll’abbuono del 10 % (1). La somma del credito da accordarsi non avrebbe dovuto superare 100000 scudi d’argento. Fu dimostrato all’evidenza che questa forma di credito non solo avrebbe recato alle Compere un ragguardevole guadagno , ma che avrebbe pure giovato al commercio, venendo in aiuto ai facoltosi negozianti, a cui fosse mancato momentaneamente il numerario. 11 gran consiglio però respinse la proposta , non avendo ottenuto che 133 voti favorevoli. Se la banca di S. Giorgio non potè diventare una banca di credito, essa però coltivò un ramo d’ affare rimunerativo , cioè il cambio delle valute. Nei progetti per la nuova banca da fondarsi, eravi quello del monopolio del cambio delle valute. Ciò però non fu concesso dagli statuti (2); ma dall’esercizio degli affari di depositi (1) Prop. 116, fog. 82, 7 maggio 1675: « Sopra reali o paste d’argento o argento lavorati ». Se scadeva il pegno i protettori doveano subito mandarlo alla zecca , per farlo fondere e farne coniare scudi d’ argento. Sull’ accettazione di metalli nobili non monetati e altrimenti lavorati e sulla specie di monete non ammesse come costituzione di credito presso la banca di Amsterdam, confronta W. C. Mees, Proeve eener Geschiedenis van liet Bankwezen in Nederland gedurende den Tyd der Republick, pag. s3> S6, 95 e 96. (2) Sugli inutili tentativi della banca di Amsterdam, per monopolizzare il cambio delle valute, confronta Mees , Bankwezen in Nederland, pag. 126 e segg. — 2 56 —- veniva da sè la speculazione sulle varie specie di monete , poiché se la banca accettava tutte le monete previste dalle tariffe, essa aveva la scelta della specie nella quale voleva pagare, eccetto che per pagamenti di cambiali di fiera. La banca aveva la facoltà di barattare metalli nobili contro monete, e far fondere e riconiare monete alla zecca. Con questa operazione la Casa di S. Giorgio rendeva al commercio un importante servigio , togliendo dalla circolazione le monete straniere e deteriorate che affluivano alle sue casse, per convertirle in moneta buona di conio nazionale. Già nel 1665 la Casa aveva fatto coniare in scudi d’ argento per 200000 lire di piccola moneta d’argento, cavalotti, (da 4 soldi), dei quali gli appaltatori delle imposte avevano ingombrato la sacrestia. Nel 1725 si trattò del modo di liberarsi dalle monete di conio spagnuolo (1). Effettivamente, durante il tempo della trasformazione della moneta, i depositanti non aveano l’equivalente dei loro depositi in moneta corrente (2). Vedemmo però che la Casa sapeva di non aver mai bisogno di tenere in pronto l’intero importo dei denari ricevuti in deposito. Il cambio delle valute e l’accettazione di depositi infruttiferi, parte dei quali potevano essere adoperati per coprire impegni della Casa a breve scadenza, mentre in parte rimanevano (1) Sala 41, monet. 20: « vendute » 60000 doppie della stampa e corone di Spagna, discussa la vendita del/i pezzi da otto reali in ulmno luogo compri et introdotti in sagrìstia per negotio. Le monete estere formavano sempre il pericolo principale del sistema monetario genovese. Nel 1689, i filippini milanesi valutati troppo alti nel 1675, minacciarono di far sparire dal paese i buoni scudi d’ argento genovesi. Nel 1739 si pensò se la quarta banca da fondarsi, non dovesse riservarsi esclusiva-mente all'accettazione di monete estere da restituirsi in specie. Ma fu preferito di lasciar sussistere, a tariffa, le monete estere nel sistema monetario genovese, nell’interesse dell’unità della circolazione , e del giro da un banco all'altro. (2) Propos. 122, fog. 131, 1750: « Se gl’III. protettori secondo la facoltà che le competea alla forma delle leggi, si sono alle volte valsi del denaro dei depositi per compra di paste d’argento ed oro, l’anno fatto con introdurre in sacristia in luogo del danaro le dette paste calcolate sempre al loro solo valore intrinseco per poterle subito mandare in zecca a convertirle in moneta ». — 257 - a tutto favore della Casa, erano gli affari da cui essa ritraeva un reale profitto; trascurava però l’industria dei prestiti; eccetto che col governo, al quale la Casa in momenti di strettezze accordava credito e sovvenzioni coi denari della banca (i). Dicemmo già come i capitali, che affluivano alla Casa di S. Giorgio come depositi, fossero stati impiegati per la costruzione del Porto franco. I denari presi dalla sacrestia dovevano essere rimessi coi proventi delle pigioni dei magazzini e mediante una somma annua tolta dagli utili delle Compere (2). Questo procedimento iniziato nel 1641 , secondo il quale approfittando dei depositi si risparmiavano le spese d’un prestito a breve scadenza, ebbe buon effetto e fu usato nelle ulteriori imprese della Casa, come nel compimento dei lavori del porto franco e nella costruzione del panifìcio dello Stato. Fino dal 1684 si era pensato all’acquisto del panifìcio governativo situato al porto, per l’ingrandimento del Porto-franco, ma i fondi accumulati a tale scopo, furono assegnati nel 1692 al governo, che non poteva altrimenti pagare i soldati, e fu solo nel 1702 che si cominciò a rifarli per lo scopo primitivo (3). Nel 1720 il governo abbandonò alla Casa di San Giorgio il panifìcio del porto, coll’ obbligo di costruirne un altro in Castelletto. I denari occorrenti dovevano essere (1) Contro quanto asseriscono alcuni scrittori tedeschi dello scorso secolo, stanno le fonti genovesi. Secondo tali asserzioni, prese di seconda mano, vengono scambiati gli affari della Casa di S. Giorgio con quelli di banchieri privati genovesi. Confr. H. Conring , de caritate rerum, Braunschweig, 1750: « Domus S. Georgii recipit pecunias eorum qui ad-ferunt ad rationem unius denarii in viginti et rursus negotiandi causa mei catoribus elocat ad rationem unius den. in duodecim vel quindecim, que ratio magnitudinis et divitiarum eiusdem civitatis causa extitit ». Ha-berlin, Nachrichten von der Republik Genua, 1747, pag. 172. (2) Pag. 229. Nella sacristia erano mescolati fino al 1750 i depositi della banca e i denari in contante della Casa provenienti dai versamenti degli appaltatori delle imposte, coi quali dovevano essere soddisfatti i creditori dei cartularii de numerato, cioè i creditori dello Stato. Propos. 122, fog. 131, 1750. (3) Propos. 117, fog. 49. Atti Società Ligure Storia Patria. Voi. XXXV, P. II. 19 - 258 - presi dalla sacrestia, ossia dai depositi, per essere poi rimessi con successivi proventi; cioè con una parte delle ioooo lire fissate annualmente per le spese straordinarie delle compere, colle pigioni dei magazzini, coll’ utile sulla rendita dei luoghi, col profitto da conseguirsi nella vendita delle monete spagnuole (i). Dopo che nel 1731 furono accordate nuove somme, il nuovo panificio potè funzionare nel 1736. mentre sul terreno dell’ antico , vennero costruiti altri magazzini del Porto franco (2). Non solamente per queste imprese si dava mano ai denari della banca, ma anche per sovvenzioni e prestiti allo Stato. Questi prestiti erano generalmente garantiti da pegno di luoghi, che la Casa poteva vendere, qualora il governo non adempisse ai suoi impegni in tempo utile (3). Tutti questi sborsi erano considerati come straordinari, e dovevano essere approvati con speciale deliberazione del gran consiglio delle Compere. Il controllo del gran consiglio delle compere e la circostanza che la direzione della banca era nelle mani dei protettori ad esso soggetti, metteva la banca stessa in condizione di offrire maggiore garanzia, in confronto delle banche di Venezia (4) e di Amsterdam (5) che, dipendenti direttamente dalle autorità della città, potevano più facilmente far abuso dei depositi affidati alle banche. Ed infatti fino alla catastrofe (1) « Beneficio risultato nella vendita di una partita di doppie di Spagna ». Prop. 118, fog. 250. (2) Prop. 121, fog. 52. (3) Prop. 122, fog. 131, 1750: « E se talvolta hanno (i protettori) con l’espressa facoltà delle Signorie Vostre (gran Consiglio) fatto qualche im prestito alla Ser.ma republica, l’hanno fatto con l’obligo speciale ad vendendum et describendum di tanti luoghi di queste compere corrispondenti alla somma del detto imprestito, che poteano e doveano in quei tempi considerare come denaro effettivo da potersi ricavare ben presto dall af fluenza de ricorrenti alla compera di detti luoghi oltre 1’ obligo de mol-tiplici ». (4) Lattes, Libertà delle banche a Venezia dal secolo XIII al A VII, pag. 183. (5) Mees, Bankwezen in Nederland, pag. 153. - — 259 — del 1746 la banca di S. Giorgio fece un uso così discreto dei depositi affidatile, che mai il suo credito ebbe a soffrirne (1, Al contrario la banca-giro di Venezia cominciò subito nel 1619 coll assumere un gravissimo debito verso lo Stato, e durante la sua esistenza, fino all’anno 1806, dovette più volte, e per lunghi periodi, sospendere i pagamenti in contanti (2); e se la banca di Amsterdam riuscì a tenere alto il suo credito fino al 1790, la bancarotta nel 1795 dimostrò che prestiti secreti alla città e alla Compagnia delle Indie ne aveano stremate le forze (3). I prestiti accordati allo Stato non alterano il carattere di banca di deposito e giro della banca genovese di S. Giorgio. Questa sta a paro colle banche municipali di Barcellona, Palermo, Napoli, Venezia, Amsterdam, Amburgo e Nùrnberg (4) ed a paragone colle banche private italiane e colle banche di credito inglesi e scozzesi fondate da Paterson. Si sapeva a Genova, come a Venezia e ad Amsterdam, che l’assunzione di depositi aumentava il credito, ma la banca di S. Giorgio approfittava di questo credito per rimediare occultamente ai bisogni dello Stato e per opere dello Stato, mai però a favore della economia generale, sotto forma di un istituto industriale di credito. Furono principalmente le banche napoletane che servirono di modello alla banca fondata a Genova nel 1675, la quale adottò pure la forma usata a Napoli delle fedi di credito (5). (1) Prop. 122, fog. 130, 1750: « La Casa tene aperti li banchi, e sono sempre stati pagati li biglietti dei cartularii e de banchi con tutta prontezza..... gran credito presso tutte le nazioni ». (2) Dunbar, The bank of Venice, Quarterly Journal of Ec. VI, 3, Pag- 324 e segg. (3) Mees, pag. 186, 194, 195 e segg.- (4) Goldschmidt, Universalgesch d. Handelsrechts, I, pag. 330, nota 106. Marperger, Besclireibung der Banquen, pag. 163. (5) Genova, Arch. di Stato , Sala 35 , Notaio Antonio Chichizola , 6 febbraio 1675: « I protettori sono di sentimento di praticar lo stile di Napoli nelle fedi di credito ». Confronta ivi: « Nota di ciò che si pratica a Napoli per le polizze di banco ». Vedi copie di fedi di credito in Goldschmidt, Universalgesch d. Handelsrechts, I, pag. 321. - ---——————-—----1-— Fino allora i creditori dei cartulari di S. Giorgio potevano girare il loro credito o dandone ordine personalmente o mediante ordine scritto autenticato dal notaio. Ora venivano ri lasciati ai depositanti degli estratti dai libri della banca , fir ^ mati dai due notari del cartulario e del manuale. Questi biglietti di cartulario erano a nome, però cedibili mediante girata (i). Il depositante poteva disporre di tutto o di parte del suo credito (2). Il giratario doveva presentare alla banca la fede cedutagli, perchè fosse esaminata la regolarità del giro e fosse registrato nei libri il nuovo creditore (3). Chi andava per esigere un pagamento dalla banca, doveva presentare al cassiere un estratto dai libri di essa, o uno £ rilasciato a questo scopo, com’erasi usato fino allora, ed ’ ^ tre la sua fede di credito, la quale però doveva essere munita d’una nota del tenitore dei libri, attestante che il credito era ancora valido (4). Le fedi di credito si chiamavano biglietti. Erano una orma privilegiata degli antichi biglietti di cartulario, ossia estrat ^ dal cartulario. In origine avevano una certa simiglianza coi nostri libri di chéques 0 coi cliéques incrociati; da semplici ricevute di deposito si svilupparono in una forma media chèques e banconote, essendosi alla fine avvicinate nella essenza a queste ultime (5). (ij App. XII. Esempio di questo giro, Cusumano, Stona dei banchi della Sicilia, p. 291. . (2) Nota: « Suole per ordinario soccedere, che chi ha lb. 1000111 an non li spende tutti in una volta ma in più volte e perciò non Bira a di credito ma si fanno tante polizze quante saranno necessarie, e si no a l’importare di ciascuna di esse a debito in dorso alla fede, siccome 1 bro magistrale le nota a debito contro le Ib. 1000 ». Chi non ve e qui il precursore del formulare d’un chèque moderno? (3) Ivi: « Il giratario porte la fede girata all’officiale della pandetta ed essendovi conditioni ad adempiere si dichiara la difficoltà al giratario ». (4) « Capitoli aprovati 26 marzo 1675 per protectores comperarum per direzione della scrittura del nuovo banco, 7 ». Non occorreva farsi rilasciare alcuna fede per girare un credito, potendo sempre servii si della lenta forma usata fino allora. Da principio richiedeasi di addurre la causa del giro. Confronta però l’Appendice XII. (5) Confronta decreto del 28 aprile 1751 : « Chi averà e presenteia - — 261 — Si distinguevano dai recepis della banca di Amsterdam , perchè quantunque questi fossero pure a nome e girabili, non si riferivano però ad un credito sulla banca, ma bensì a determinate specie di monete (1). Le fedi di credito aveano una grande importanza per il creditore della banca specialmente per quegli il quale voleva disporre del suo credito (2), come pure per quelli che le accettavano in pagamento , quando però conservassero il loro credito presso la stessa banca, com’ era uso di fare. Le fedi di credito circolavano a Genova, come un modo di pagamento generalmente preferito (3). Ora possiamo declinare la posizione della Casa di S. Giorgio nello sviluppo delle banche. L’ esercizio bancario fu aggregato tardi all’ amministrazione del debito pubblico , della quale fu sempre un affare accessorio (4). La banca di San Giorgio servì certamente di modello alla banca ambrosiana di detta Cartolina si dovrà considerare per il vero creditore della partita in essa descritta non ostante che quella fosse in testa di altra persona e potrà farla passare in suo credito o in credito di chi egli vorrà col solo presentarla al M. Tesoriere, e così pure gli sarà permesso disporre e girare il suo credito a chi più gli piacerà nelle guise appunto degli antichi biglietti ». Corvetto , Saggio sopra la Banca di S. Giorgio , chiama a pag. 15 i biglietti di cartulario « un segno rappresentativo della obbligazione della banca di restituire le somme depositate a beneplacito del portatore ». Goldschmidt, Universalgeschichte des Handelsrechts, I, p. 322, le considera come banconote primitive. Sui bollettini a stampa e numerati del Banco giro di Venezia cfr. Vietti, p. 122, p. XIII. Le note degli orefici inglesi erano del pari una forma speciale di ricevuta di deposito, mentre i palmstruchs svedesi del 1661 sembrano essere statile prime banconote, titoli al portatore per una somma fissa convertibile in qualunque tempo dalla banca in denaro sonante. Confr. Harrisse, pag. 166. (1) Mees, pag. 135 segg. (2) Peri, II, pag. 78: « è di grande comodità, perchè s’avanza il fa-, stidio di ricever le carta di Pago dinanzi notaro ». (3) Corvetto, pag. 15: « questo segno non solamente supplì al numerario, ma vi fu preferito ». (4) Torino, Arch. di Stato, Materia econ. Memorie del Magistrato dei protettori: « operazioni che la qualificassero banca, non fece la Casa che assai posteriormente, nè furono queste che subalterne e accessorie alla sua istituzione ». Milano, mentre, da quanto esponemmo, non può dirsi altrettanto per le banche di Venezia e di Amsterdam (i). Sono pure da considerarsi come originali le banche create da Lazo e da Paterson. In ogni modo la banca di S. Giorgio sotto certi rispetti può aver dato norma ai due grandi fondatori delle banche di credito moderne. Lazo, nei suoi viaggi a scopo di studio , visitò 1 Olanda, Venezia, Genova, Firenze, Napoli e Roma (2). Nei suoi progetti di banche, egli ferma, fra altri, la sua attenzione sopra Genova (3). Lo scopo a cui tendeva Lazo, di sostituire la circolazione cartacea alla metallica , era il medesimo da cui furono animati i fondatori della banca genovese del 1675. Troviamo perciò nelle banche del Lavi, disposizioni che possono essere state prese dalla banca di S. Giorgio. Nel decembre 1719, fu decretato in Francia, che tutti i pagamenti di cambiali dovessero aver luogo mediante biglietti di banca, rimanendo concesso l’argento, solo per pagamenti fino a 10 lire e l’oro fino a 300 lire (4). Lazo sarebbe potuto rimanere impressionato specialmente sulla combinazione del meccanismo del debito pubblico e della circolazione monetaria, impressione probabilmente comune a Paterson fondatore della Banca d’Inghilterra (5). Però per quanto poco potessero essere conosciute in Inghilterra le istituzioni genovesi, sta il fatto che il principio dell interesse (1) Marperger , Beschreibung der Banqven 1717 Vorrede : « Zuar lasset man dem in Genua noch in Fior stehenden monti S. Georgii billig seine Ehre.... allein im Teutschland hat dessen Nachahmung bis hieher nicbt practicable sein wollen..... Unsere Teutsche See-und Handelsst.idte sehen vielmehr auf die Soliditat und Simplicitiit eines Werkes.... ». (2) Eug. Daire, Notice historique sur ]. Law, Collectiori des princi-paux e'conomisles, I, pag. 420. (3) Mémoires sur les banques, Colleclion, I, pag. 529. (4) Colleclion, I, pag 440. (5) Oltre l’Olanda pare abbia pure preso a modello Genova. Bannister, IV. Paterson, pag. 90. - Anderson, Origin of commerce, II , pag. 602. - Buscir, Ges. Schriften, VI, pag. 256. - Philippovich, Bank von England pag. 47. — 263 — composto per l’estinzione del debito pubblico , già in pratica a Genova nel XIV secolo, fu impiegato in Inghilterra, solamente dopo la guerra d’indipendenza d’America (1). Il carattere della banca d’Inghilterra era affatto diverso da quello della banca di S. Giorgio. Qui abbiamo un’autorità semigovernativa, amministratrice del debito pubblico, alla quale è aggregata una banca-giro cittadina, i cui utili non vanno a favore dei creditori dello Stato ; là troviamo una riunione di capitalisti privati, a cui in cambio dei prestiti fatti allo Stato, oltre ad altri compensi, viene conferito il privilegio di esercitare affari di banca produttivi mediante il credito. Possiamo trovare un punto di contatto colla banca d’Inghilterra, quando a Genova nell’anno 1742, un gruppo di creditori dello Stato, invece del solito assegno di dazi, ottenne il monopolio privilegiato dell’esercizio delle assicurazioni marittime (2). Ma in questo caso abbiamo l’inverso, cioè un e-sempio dall’estero che servì di modello a Genova. La catastrofe del 1746. Il continuo peggioramento del titolo delle monete si rendeva manifesto dal fatto che occorreva sempre una maggiore quantità di moneta spicciola (lire e soldi) per un pezzo grosso (scudi d’oro e d’argento). Le calcolazioni però non andavano di pari passo con questo movimento. Nei cartolari delle compere si continuò a calcolare lo scudo d’argento secondo 1 ordinanza del 1602, cioè a 4 lire 10 soldi; le lire de numerato assunsero perciò un valore immaginario superiore alle lire di moneta corrctite. Così pure nel cartulario d’oro lo scudo era calcolato a 68 soldi, per modo che questi soldi avevano un valore costante di 1/68 di scudo, e perciò superiore a quello dei soldi di moneta corrente. La banca fondata nel 1675 ac- (1) I, pag. 197-198. K. Saenger , Dìe englische Rentenschuld. Arch. Fin. 1S91, pag. 12, (2) Lobero, pag. 131. 9 - 204 - cettò lo scudo al corso dell’ultima tariffa cioè 7 lire 12 soldi, e mantenne questa valutazione , mentre lo scudo, in cambio della cattiva moneta circolante, salì gradatamente a 9 lire 16 sol. (1). Per conseguenza il denaro di banca acquistò un aggio contro la cattiva moneta in circolazione. Questo aggio cominciò nel 1710 col V2 °/0 (10 sol. su 100 lire); salì poi nel 1716 con continue oscillazioni al 3 %, nel 1719 al 6 °/0, nel 1725 al 10 °/o > finché nel 1741 arrivò alla massima altezza col 18 V, % (4 Come avvenne nel XIV secolo, il governo non s’ avvide che questo aggio era una naturale conseguenza dei rapporti della circolazione in causa della cattiva condizione della moneta spicciola; credette invece di trovarsi di fronte ad un fatto arbitrario, da potersi regolare con leggi. Ed esso prese sempre per norma fissa la moneta corrente e procurò di ristabilire l’unità del sistema monetario, fissando il i.° luglio 1741 l’aggio del denaro di banca contro quello corrente al 15 % (3). Questa lira di banco, che valeva il 15 % P*ù ^ quella fuori banco fu chiamata lira di permesso. Fin da principio il corso del denaro di banca si staccò da quello fissato dal decreto. Il 29 giugno 1741 l’aggio era al 16 V5 °/0, al i.° marzo 1746 stava al 15 7\ %> ^“settembre dello stesso anno a 15 lire 3 soldi 12 den. sopra moneta corrente. Dopo allora però l’aggio cominciò a cadere rapidamente. Il 15 settembre 1746 era al 9 %, il 22 al 6 °/0, il 10 ottobre al 5 °/0, il 20 al 3 °/0, il i.° novembre al 2 °/0, il 2 dicembre le due diverse lire stavano alla pari, e al 28 dicembre si potevano avere 100 lire di banco per sole 98 lire di moneta corrente. (1) Desimoni, Atti S. L. S. P., XXII, pag. XLV. Parimente a Venezia, i piccioli d’oro non erano altro che una frazione ('/708) del ducato. Nagl, p. 173, (2) Accinelli, II, pag. 357 e segg., dà le cifre per i singoli mesi. (3) Accinelli, pag. 360. Sopra una simile falsa veduta riguardo all’aggio del denaro di banca in Olanda, confronta, Hees , Bankwezen in Nederland, p. es. pag. 116 e segg. — 2&5 — Queste cifre dinotano una crisi della banca, provocata dalla conquista di Genova da parte degli Austriaci, e che doveva prendere una corsa più precipitosa della crisi della banca di Amsterdam, il cui denaro, quando nel 1672 i Francesi invasero 1 Olanda, era pure sceso al 5 °/0 sotto la valuta corrente (1). Vedemmo come la Casa di S. Giorgio avesse largamente sovvenuto lo Stato e pubbliche opere, senza peritarsi d’ adoperare a tali scopi il denaro della banca. I protettori sapevano fino a qual punto arrivare, tanto che queste prelevazioni nòn impedirono alla banca di mantenere sempre e puntualmente i suoi impegni verso i depositanti. Nei prestiti fatti allo Stato, questo d’ ordinario assegnava alla Casa i luoghi presi dai fondi d’ammortamento e che do-veano essere rimessi in 5 anni. Le faglie di questi luoghi erano pagate subito dalla Casa allo Stato come paghe non scritte, sotto deduzione dello sconto. Alla scadenza delle paghe, dopo 5 anni, lo Stato dovea indennizzare la Casa, dopo di che i luoghi relativi ritornavano liberi. Di solito però il governo non era in grado di mantenere le sue promesse e quindi alla fine dei 5 anni doveva rinnovare la sua obbligazione, ciò che chiamavasi reobbligo. Di questo passo il debito temporaneo del governo veniva rinnovato di 5 in 5 anni. Nel 1664 i diversi titoli delle compere dovuti dallo Stato furono riuniti in una colonna del Cartulario P. L. fog. 80 (2), ove fu pure fatta nota dei pegni dati alla Casa. Il secolo XVIII avviluppò Genova in gravi complicazioni. Dal 1729 in poi la Corsica era in continue sollevazioni che dovevano condurre l’isola ad un definitivo distacco da Genova. La corona regia, che fregiava l’arma di Genova, quale emblema della sua sovranità sulla Corsica, le costò molto (1) Mees, pag. SS e 93. (2) Secondo la Bibl. dell'Università, B, III. 25, fog. 7, il credito verso il governo in questa colonna importava 14676 luoghi 26 lire 7 sol. S den., li quali nel 1751 vennero equiparati a 269S732 lire 15 sol. 5 d. di paghe, ovvero a 2473S38 lire 6 sol 10 den. di numerato. Negli anni 1666, 1631 e dopo vennero aggiunte nuove partite. - 206 — cara. L’Accinelli calcola che i Genovesi per conservarsi 1 isola abbiano speso nel XVIII secolo 90 milioni di lire. Per procurarsi tali somme, furono imposte nuove tasse; nel 1731 una imposta fondiaria dell’uno per cento, nel 1739 una imposta sul carbone e sulle pigioni, e nel 1735 il prezzo del sale venne aumentato d’uno scudo per mina. Anzitutto la Casa di San Giorgio sborsò grosse somme, contro pegno dei fondi d ammortamento, specialmente della fondazione Grimaldi (1). La sollevazione della Corsica minacciò Genova di vedersi strappata la sua più importante colonia, ma sembrò finita per la repubblica, quando nel 1746 gli Austriaci, questa volta in lega colla Savoia, irruppero in Genova. Mentre Luigi XIV nel 1684 s’impadronì di Genova solo dopo un fiero bombardamento, gli Austriaci trovarono debole resistenza. Essi credettero d’aver preso la città a discrezione ed allora i Croati resero per lungo tempo odiato il nome tedesco agl Italiani. L’8 settembre il conte Cotek impose al governo generale una contribuzione di 3 milioni per riempire la cassa di guerra austriaca. Il primo milione doveva essere versato entro 24 ore, il secondo in otto giorni ed il terzo in quattordici. Indarno i Genovesi dimostrarono all’Austriaco l’impossibilità di soddisfare una tale domanda. Furono minacciati di saccheggio ed in tale frangente il governo ricorse a rimedi estremi. Pregò le compere di S. Giorgio di dargli la somma richiesta prendendola dai depositi della banca, e le compere annuirono a tale domanda per salvare la città. Con questo mezzo il governo fu messo in grado di pagare agli Austriaci dal 10 settembre al 29 novembre 2133250 lire di banco (2). La conseguenza di questo fatto fu che la banca , per la prima volta dopo la sua esistenza , fu costretta a sospendere i pagamenti (3) risolvendosi però a questo passo poco a poco e procurando di risparmiare per quanto era possibile i piccoli depositanti. (1) Accinelli, pag. 615. (2) Accinelli, II, pag. 143-147. (3) Pag. 317: « Sospensione del pagamento di biglietti sino a questo tempo puntualmente stati sodisfatti ». Il Banco Giro di Venezia invece cessò spesso di pagare in contanti, cioè dal 1716-38, Vietti, pag. 514. — 267 — Dopo il 15 settembre pagò soltanto gl’importi minori fino a 800 lire, il 23 settembre i pagamenti su depositi furono limitati fino a 500 lire, il 25 settembre i pagamenti per tutti vennero sospesi per 15 giorni e il 10 ottobre la sospensione fu prolungata a tempo indeterminato (1). I crediti scaddero di valore, ma la fiducia che la banca, in momenti più propizi, potesse riprendere i pagamenti, impedì una precipitosa rovina nel corso del denaro di banco. Il 4 febbraio 1747 esso valeva 95 bre, moneta fuori banco, il 30 marzo stava alla pari, e il 12 luglio salì fino a 109. Negli anni successivi il corso della moneta di banco oscillò fra 97 e 75, finché il 23 marzo 1751 scese al corso minimo di 68 °/0 (2)- Una sollevazione popolare in dicembre ricacciò gli Austriaci da Genova, e dopo la pace di Aquisgrana i Genovesi poterono pensare ai mezzi di riparare ai danni dell’ invasione. Il governo non solo avea messo mano sui depositi della banca, ma avea pure chiamato i cittadini a consegnargli i loro effetti d’argento. Persino le chiese, in seguito al permesso a-vuto con un breve del papa Benedetto XIIII, contribuirono coi loro tesori per appagare le pretese degli Austriaci. Il governo riunì tutti questi creditori in un Monte , promettendo 1 interesse del 2 °/0 ed eventualmente la restituzione del capitale (3). Più importante e più diffìcile cosa era per il governo, di restituire alla Casa di S. Giorgio il denaro preso a prestito. Durante la guerra contro l’Austria aveva preso tutto insieme 14820000 lire di banco, alle quali aggiungendo le partite arretrate, il debito totale del governo verso la Casa nel 1746 ascendeva a 21450222 lire 3 sol. 4 den. di moneta di banco (4). (1) Accinelli, II, pag. 360. (2) Pag. 361. La Casa pagava i suoi impiegati in biglietti, che però non aveano corso forzoso , come aveva decretato il papa per i biglietti delle Banche del Monte di pietà e di S. Spirito a Roma. La Casa di S. Giorgio ed il governo, a tenore del decreto 28 aprile 1751, presero i biglietti dei nuovi Monti al prezzo corrente alla piazza. (3) Pag. 316. (4) Lobero, pag. 135. Altrove il debito è dato per 19968351 lire 6 sol. — 268 — Il governo non poteva restituire questo importo, se non imponendo nuove e forti gabelle. Venne creato un nuovo dicastero, il Consiglio dei 13 , incaricato di prendere le necessarie misure pel riordinamento delle finanze. Di questi 13 funzionari, 3 appartenevano al senato, 5 alla nobiltà e 5 a cittadini non iscritti nel libro d’oro (1). Fu stabilita una imposta diretta, applicabile non solo alle proprietà fondiarie, ma anche ai creditori di rendita dello Stato , eccettuato i comperìsti di S. Giorgio (2). Furono pure colpiti i beni ecclesiastici (3). Ma siccome in causa della confusione prodotta dalla guerra, la riscossione d’ un’ imposta diretta non andava in sulle prime esente da difficoltà, si aumentarono pure le imposte sul sale, sulla carne e sul vino, e, acciocché le classi più abbienti non fossero meno aggravate dalla imposta indiretta, furono raddoppiati i dazi sul cacao, sullo zucchero e sulla cera (4). Il governo unificò il suo debito verso la Casa di S. Giorgio in un monte coll’interesse dell’ 1 ‘/2 %• Per° * Genovesi non sopportarono a lungo l’imposta diretta. Fu di nuovo a-bolita nel 1776, e si provò di coprire parte del debito del governo, colla vendita dei luoghi dei fondi d ammortamento (5). In fondo questa forma d’estinzione corrispondeva all’assunzione dei nuovi debiti, che era preferita dai Genovesi invece deir imposta diretta (6). moneta di banco, o, 11823365 lire 18 s di numerato, pari a 26274T4 scudi d’argento. Serie cronologica delle leggi per le contribuzioni austriache nel 1746 e debito coH’Ill.™ Casa di S. Giorgio. Bibl. dell’Università, B, ni. 25. (1) Sull’importanza dei non iscritti negli ultimi tempi della repubblica, cf. Stella, p. 19 segg. (2) Lobero, pag. 135. Riordinamento delle imposte 6 dicemb. i750. Serie cronologica. (3) Lobero, pag. 137. (4) Accinelli, II. pag. 318, seg. (5) Serie cronologica. 7206 luoghi 90 lire 17 s. 9 d. furono presi dal ratio emptionum et donationum e 6164 luoghi , 35 lire 5 s. 1 d. al ratio extinctionis diversarum gabellarum ». (6) Serie, f. 10. I protettori in seguito a tali transazioni sentirono un considerabile vuoto alla loro sacristia, perchè questi loca dei fondi d ani- — 269 — Nel 1776 erano pure estinti più di 12 milioni di lire di banco, ed il debito del governo verso la Casa di S. Giorgio era ridotto a 7612660 lire di permesso o 4507496 lire di numerato, pari ad un milione di scudi. Degli assegni finora fatti, che ascendevano a 600000 lire annue, 325000 lire per anno attribuite alle imposte indirette, doveano rimanere devolute all ulteriore estinzione (1). La Casa di S. Giorgio, come il governo , raggruppò in monti la somma dei suoi debiti. Furono creati 2 monti, il monte paghe di 6619600 lire per i creditori della Casa per interessi arretrati del debito pubblico, ed il monte di conservazione di 13338800 lire per i creditori delle banche di depositi. Colle 600000 lire accordate dal governo alla Casa i creditori dei monti dovevano ricevere il 3 °/o d’interessi, e la restituzione del capitale nel più breve tempo possibile (2). In questi monti scorgiamo il primo passo fatto a Genova per ridurre i titoli a cifra rotonda. Effettivamente anche i più piccoli importi erano compresi in questi due gruppi di debiti; cosa alla quale la Casa era tenuta, dovendo convertire il suo debito sospeso in debito permanente. Ma essa divise l’intero debito capitale in luoghi ovvero azioni di 200 lire, e procurò ottenere la composizione e l’arrotondamento dei piccoli titoli di credito alla cifra suddetta, col concedere il consueto giro soltanto alle azioni intere (3), procurando in tal modo di far scomparire le piccole partecipazioni. L’estinzione dei due monti prese una rapida corsa e nell’anno 1777 era già compiuta (4). Ma il credito della Casa era ormai scosso e la conversione dei biglietti in debito per- mortamento richiedevano ora il pagamento reale d'un interesse : « divenuti in commercio doveva ad essi pure corrispondersi come a tutti gli altri luoghi reali ». (1) Serie, fog. 11. (2) Legge del 28 aprile 1751. Civica, D. 1,3, 1. Decreti e scritture diverse, 245. (3) « N011 potranno i notari de cartolari di detti rispettivi monti scrivere giro alcuno all’Ufficio di essi se non’di axioni intiere ed il residuo lo lascieranno in testa del creditore ». Confronta I, pag. 206, nota 6. (4) Lobero, pag. 141. manente era certo una circostanza poco adatta per rialzarlo ; fu solo lentamente che i capitali vennero di nuovo affidati alla nuova banca istituita nel 1748 (1). È pur vero che la Casa di S. Giorgio fu vittima di malversazioni (2). Ma l’infedeltà di alcuni cassieri e di altri impiegati non poteva esser tale da compromettere la solidità della banca, poiché essendo tenuta 1’ amministrazione rigorosamente segreta, i deficit risultanti da queste cause, erano facilmente colmati dalle entrate correnti. L’amministrazione dei protettori, che erano i primi preposti, era veramente superiore a qualunque censura ; essi tentarono di curare gl interessi dello Stato, alla medesima stregua di quelli dei privati (3) e perciò la crisi della banca non può essere attribuita ad altro che ai prestiti accordati allo Stato. Lo. scioglimento della Casa di S. Giorgio. Istituti simili alle Compere di S. Giorgio, esistevano pure in altri Stati italiani. L’assolutismo illuminato del XVIII secolo li tolse di mezzo. Nell’anno 1751 Napoli potè redimere le rendite pubbliche date in pegno ai creditori dello Stato e altrettanto fece Milano (4). A Genova non sorse il principe, (1) Accinelli. II, pag. 317: « Pochi di questo mezzo si prevalsero, non tanto perchè le monete alla piazza correvano in maggior prezzo dello specificato nella grida (di 1741) come anco stimarono bene tenete il contante nelle loro casse e scrigni, che prevalersi d’ un banco , che non si apriva a tutte le ore e i di cui ufficiali e direttori studiavano d algebra per rassodarlo ». (2) Wiszniewski. pag. 112, nota 3. Raccolta Lagomarsini, II. Fatto storico e succinto dell’antica banca di S. Giorgio : « la detrazione del razionale Oneto, il fallimento del tesoriere de Franchi ». (3) Torino, Archivio di Stato, Materie economiche, N. i6h. « Pro memorie delli protettori 24 giugno 1816: « La sua amministrazione che fu sempre animata dal duplice ogetto dell’ interesse privato e pubblico, ha cercato in ogni circostanza di bilanciare questi interessi in modo che l’uno non venisse all’altro sacrificato, ma tenutili, quanto è possibile, di fronte concorressero entrambi al comune vantaggio ». (4) Ricca-Salerno, T. 274, 395. — 27 I — che facesse qualche cosa di simile, pure invocato dalla relazione del 1597; s°l° la rivoluzione del 1797 dovea farla finita coi privilegi della Casa di S. Giorgio. La costituzione democratica della nuova repubblica ligure, revocò il 15 decem. 1797 l’alienazione delle rendite dello Stato e la giurisdizione della Casa, come incompatibili colle leggi fondamentali dello Stato (1). Gl’interessati nelle compere vennero dichiarati creditori dello Stato, che la repubblica avrebbe soddisfatto con tutti i mezzi che fossero a sua disposizione; avrebbero ricevuto un interesse fisso di 4 lire, 12 s., 2 d. moneta fuori banco per luogo, lo che corrispondeva alla media degl introiti degli ultimi anni. La banca continuò a funzionare provvisoriamente. Ora pero insorsero le difficoltà della liquidazione in causa dei prestiti accordati allo Stato presi dai depositi. Se lo Stato avesse restituito il debito che aveva verso la Banca, i crediti dei depositanti sarebbero stati coperti (2). Contro un debito del governo di 4 J/2 milioni, vi era una circolazione di appena 3 milioni di biglietti scoperti. Il governo non era però in grado di fare tale restituzione, e la notizia che i biglietti non erano realizzabili, o almeno lo sarebbero con dilazione, fece subito ribassare il loro corso del 10 l/ì °/0; nella grande quantità dei biglietti circolanti fra tutte le classi della popolazione, il loro deprezzamento produsse dei fenomeni simili all’abuso degli assignati in Francia; la moneta metallica acquistò un aggio progressivo e tutti i prezzi salirono (3). Venne sollevata la questione, a chi appartenessero i possedimenti della Casa di S. Giorgio e specialmente il Porto franco. Vedemmo che era stato costruito coi denari dei depositanti, e che i protettori non ammettevano che gl’ introiti (1) L. Corvetto, Saggio sopra la banca di S. Giorgio, pag. 20: « incompatibile colla sovranità del popolo e colla eguaglianza de’ diritti ». (2) Pag. iS: « questo sbilancio è al giorno d’oggi il solo motivo per cui il numerario esistente in S. Giorgio non corrisponde alla massa del biglietto di cartulario che circola sulla piazza ». (3) Pag. 23: « si accresce il prezzo delle derrate, l’interesse del numerario non mancherà di elevarsi » _ 272 - degli affitti dei magazzini spettassero ai luogatari. Ma il governo dichiarò nell’aprile 1798, che delle 4 lire 12 sol. 2 den. da pagarsi ai luogatari per ogni luogo, 4 lire , 5 s°l” 1 <^cr1, dovessero stare a carico dello Stato in sostituzione delle ga belle che prima percepivano , mentre 7 sol. 1 den. dovevano venir tolti dai proventi del Portofranco (1). Anche CORVETlO nel suo Saggio opina che la vendita del Portofranco a favore dei possessori dei biglietti di cartulario avrebbe danneggiato i luogatari (2). Intanto il governo sollecitato dai possessori dei biglietti di cartulario il 29 dicembre 1799 decise la vendita dei magazzini a loro favore, lale vendita peiò, in causa dei tristi tempi che correvano, fu procrastinata, od il ricavo dei magazzini venduti non bastò a soddisfare le domande dei creditori della banca (3). Una così importante organizzazione come la Casa di San Giorgio, che aveva sfidato i secoli, non poteva sparire, senza che venissero fatti tentativi per ricostituirla. Infatti la sua co stituzione venne ristabilita il 28 settembre 1804; anzi sotto la nuova organizzazione dei creditori dello Stato venne consoH dato tutto il debito permanente di Genova. Oltre i vecchi 464372 luoghi 38 lire 12 sol. 3 den. di S. Giorgio, che furono parificati a 90188856 lire 18 sol. 6 den. fuori banco ^ il capitale della Casa comprendeva allora 247810 luoghi 19 lire 9 sol. 7 den. ossia 48128869 lire 17 soh 6 den. fuori banco della Scritta camerale, 5037078 lire 19 sol. 2 den. di banco^ ossia 6296348 lire 13 sol. 11 den. fuori banco per prestiti forzosi degli anni 1794 a 1796 e 2742120 lire 13 sol. 10 den. fuori banco, debiti delle amministrazioni dei monopoli dei viveri. Tutto ciò, meno alcune deduzioni, formava un complesso di 143749391 lire 16 sol. 2 den. fuori banco , che furono ridotte a 740149 luoghi 61 lire 16 sol. 1 den. lale somma, al- (1) Lobero, pag. 146. (2) Pag- J9- ..... (3) Raccolta Lagomarsini, II. Ancora sotto i debiti riconosciuti dal governo sardo, eravi una partita di 133970 lire, da pagarsi ai proprietari dei biglietti di cartulario. Relazione del 19 marzo 1817. Torino, Arch. di Stato. Materie economiche, — 273 — 1 interesse del 4 ‘/2 % > richiedeva una rendita di oltre 3 V2 milioni di lire fuori banco, che doveano uscire dalle gabelle, le quali, come per lo passato, erano assegnate ai direttori nominati dai creditori (1). Ma il regno della nuova Casa fu breve. Nel 1805 Napoleone annesse la Liguria alla Francia, il 4 luglio 1805 la Casa di S. Giorgio fu nuovamente disciolta, ed il 17 luglio l’amministrazione francese delle finanze prese possesso delle dogane genovesi. I comperisti furono amalgamati col debito pubblico francese. Gl’ interessi vennero ridotti ad un terzo dell importo fino allora pagato, cioè a 1 lira 10 sol. prò luogo e su tale base il governo francese liquidò 376770 luoghi 60 lire, 7 sol. 3 den. (2). Il resto non fu preso in considerazione, in gran parte per il motivo che, come proprietà di manomorta, si ritenne come decaduta. Caduto Napoleone, fu fatto un nuovo tentativo per ristabilire la Casa di S. Giorgio. La ricostituita repubblica, istituì il 2 dicembre 1814 una organizzazione dei creditori dello Stato, munita di tutti gli antichi privilegi, alla quale, come nel 1804, venne trasmessa l’amministrazione di tutto il debito pubblico. La verifica dei luoghi doveva effettuarsi fra il i.° gennaio 1815 ed il 31 dicembre 1816; i luoghi non presentati entro questo periodo erano ritenuti per decaduti. Alla nuova Casa, chiamata lanca, venne affidata l’amministrazione delle dogane e del portofranco, del monopolio del sale e dei tabacchi ; un terzo degli introiti andava a favore dei creditori, gli altri due terzi doveano essere versati nelle casse dello Stato. I luogatarì doveano ricevere almeno 30 sol. prò luogo; per quei luoghi, che durante il governo francese non aveano cambiato di possessore, era riservato un maggiore dividendo, qualora gl’ introiti delle imposte lo avessero consentito. La costituzione della nuova banca, con protettori e gran (1) Relazione de Marini. Torino, Arch. di Stato. Lobero, pag. 147. (2) Torino, Arch. di Stato, Materie economiche. Rapporto sullo stato della Banca di S. Giorgio e sul debito pubblico di Genova, 19 marzo iSi7. Atti Società Ligure Storia Patria. Voi. XXXV, P. II. 20 consiglio, doveva essere eguale a quella dell’antico Ufficio di S. Giorgio, e parimenti, come in antico, era prevista 1 aggregazione di una banca di depositi all’ amministrazione del debito pubblico. Per i depositi , sempre sul primitivo modello, si sarebbero rilasciati biglietti di cartulario (i). Però anche questa nuova fondazione non era destinata a lunga vita. Il 30 dicembre 1S14 Genova fu annessa al regno di Sardegna e per quanto il re avesse promesso il mantenimento delle antiche leggi e delle antiche ordinanze, non era però presumibile che 1’ amministrazione delle regie finanze , potesse tollerare nelle nuove provincie acquistate, una istituzione del genere dell’organizzazione dei creditori di S. Giorgio. Il 13 aprile 1815 la Casa di S. Giorgio fu definitivamente abolita (2). Con una petizione del 24 giugno 1816 i protettori tentarono, ma invano, di far valere ancora una volta i loro diritti. Essi domandavano principalmente la consegna degli edifìzi fabbricati o restaurati coi denari della Casa, cioè della dogana, del porto franco, della zecca, dei magazzini, che i provisori delle galee aveano edificato colle 250000 lire fuori banco a loro prestate gratuitamente il 4 giugno 1794 dai'a Casa di S. Giorgio (3). Fu del pari rifiutata la proposta de Marini, di lasciare ai protettori, non già 1’ amministrazione delle imposte, ma quella del debito pubblico, alla quale, come conservatori del debito pubblico, si sarebbero dedicati con di ritti corrispondenti a quelli del monte piemontese del 1681(4). E quando i protettori appoggiavano le loro ragioni sulla utilità che la loro banca avrebbe recato alla pubblica economia, fu loro risposto che aveano assunto il nome di banca, quale mantello che coprisse i loro privilegi, solo quando si tratto dello scioglimento della loro organizzazione (5). (1) Archivio Civico, N. 455. (2) Lobero, pag. 153. (3) Promemoria degli proiettori. Torino, Arch. di Stato, materie economiche, 16 bis. (4) Relazione del i.° marzo 1815. (5) Rapporto, Torino, 19 marzo 1817: « l’antica Casa di S. Giorgio — 275 — Come la natura di certi diritti risulta più che mai evidente in una procedura di creditori in concorso, così vediamo manifestarsi chiaro il carattere della Casa di S. Giorgio in questa sua liquidazione. Non era già una società di capitalisti formatasi per intraprendere affari ; ma bensì una organizzazione concessa ai creditori dello Stato , perchè i capitali da essi sborsati fossero meglio amministrati. A tal fine la Casa aveva assunto l’amministrazione dei dazi e delle colonie, da cui essa ritraeva le rendite assegnatele. E siccome in tal modo la Casa si sostituiva in gran parte allo Stato nel disimpegno di funzioni che ad esso incombevano, così altre dovette assumerne in conseguenza. La Casa di S. Giorgio funzionava come banca pubblica, ma le rendite che ne derivavano non costituivano un dividendo per i comperisti, ma e-rano amministrate come denaro pubblico. È bensì vero che questa organizzazione della Casa di S. Giorgio , avrebbe potuto offrire la base per una nuova Società di affari, ma realmente questa evoluzione dei monti italiani fu tentata molto di rado. E pure da notarsi che 1’ organizzazione del credito pubblico a Roma servì di modello per un’organizzazione del credito ipotecario dei grandi baroni. Presso i monti della Chiesa stavano i monti dei nepoti, come il monte Farnese. Ma la Società per azioni venne introdotta in Italia come cosa nuova e come ai comperisti di S. Giorgio, fu negato (1824) ai creditori del monte Teresa di Milano il carattere d’azionisti (1). Il 22 marzo 1816 fu nominata una commissione per la verifica dei luoghi di S. Giorgio, che doveano poi essere incorporati col debito pubblico sardo. Furono espressamente reintegrate nei loro diritti le opere pie soppresse dal governo francese, e così pure vennero nuovamente riconosciute le fondazioni di famiglie, delle quali non si erano occupati i liquidatori francesi. Nel maggio 1817 la commissione avea com- dal momento della rivoluzione in poi si volle chiamare col nome di banca, benché le operazioni ed i regolamenti di essa non vi convenissero in alcun modo, ed in sostanza non fosse che un luogo di deposito e di pagamento di certe determinate rendite ad essa assegnate ». (1) Vietti, pag. 95. — 276 — piuto il suo lavoro. Il 28 aprile 1819 una commissione superiore approvò la lista dei creditori dello Stato compilata dalla commissione genovese. La liquidazione definitiva fu terminata nell’anno 1823 (1). Il 28 aprile 1826 venne emanato un decreto sull’amministrazione delle rendite spettanti alle fonda zioni che venivano dalla Casa di S. Giorgio. È degno di menzione il fatto che la grande rivoluzione, come le precedenti dal 1339 in Poi- non distrusse 1 dmttl dei creditori dello Stato in Italia. Questi dovettero bensì talvo ta rinunziare agl’interessi, come a Venezia (1700-1746), il che faceva scendere il corso dei capitali al di sotto della pari, ma però ne venivano rifusi, almeno in parte , quando avveniva un riordinamento dello Stato. Coi monti di Milano, Napoleone fornì il monte Napoleone, che dagli Austriaci venne accettato come monte Lombardo-Veneto, per passare poi nel 1860 e 1866 nel debito del nuovo regno d Italia. E siccome la a, degna aveva già prima assunto il debito di Genova, cosi 1 attuale debito pubblico italiano è una continuazione immediata dei debiti degli antichi Comuni i quali risalgono fino al 200. Così finì la Casa di S. Giorgio. Le grandi strettezze finanziarie obbligarono una volta lo Stato a trasmettere a questa organizzazione di creditori l’amministrazione dei suoi debiti e delle sue imposte (2). Lo Stato moderno potè sopprimere forzosamente questa organizzazione troppo privilegiata faceti 0 entrare il suo ufficio nella sfera dell’amministrazione della pubblica finanza. Però il tesoro della esperienza tecnologica, accumulata dalla Casa di S. Giorgio a traverso 1 secoli non andò perduto. Uno dei suoi ultimi direttori, il conte Luigi Corvetto ne trasse profitto, come ministro delle finanze , nel riordinamento delle finanze francesi (3)« (1) Torino, Mal. econ. Il 2 aprile 1823 la Reale Commissione superiore di liquidazione, fissò le norme della liquidazione. (2) Scemando questa forza dello Stato si deve ritornare ai privilegi dei creditori, come si è veduto per 1’Egitto , per la Turchia 1879Pi] (cfr. Ch. Morawitz, Les finances de la Turqnie), per la Grecia e di re cente (1904) per il Giappone. (3) Belgrano, Archivio Storico Italiano, Serie III , tomo XI, parte , I protettori aveano aggregato all’amministrazione del debito pubblico una banca di depositi e giro. La caduta della Banca di S. Giorgio lasciò una grande lacuna neH’organismo della vita degli affari di Genova. Ripetutamente venne portata 1 attenzione sulla utilità che sarebbe derivata a Genova dalla ricostituzione d’una banca-giro, insieme colla fondazione d una banca di credito sul modello inglese (i). Allora però questi conati rimasero senza effetto. Siccome 1’ essenza della Casa di S. Giorgio non era in armonia collo Stato moderno, doveva necessariamente cadere anche tutto quello di buono che essa aveva fino allora recato. Non è però senza importanza notare, che lo sviluppo in materia bancaria della moderna Italia, ha le sue radici a Genova. Alcune banche di recente istituzione di Genova presero il nome dalla Banca di S. Giorgio (2) e la Banca nazionale nel Regno, fondata a Genova nel 1844, diventò il massimo istituto bancario del nuovo regno. Nella Casa di S. Giorgio si trovarono riuniti affari diversi, tanto pubblici quanto privati. I medesimi protettori amministravano il debito pubblico e dovevano in pari tempo regolare il corso della moneta. Oggi questi lavori sono divisi e poiché ogni ramo di amministrazione 0 di affari può essere trattato separatamente secondo l’indole speciale di ciascheduno, ne viene che con maggiore garanzia si ottiene lo scopo cui essi lavori sono destinati. Pure queste organizzazioni, alle quali, come ai monti e alla Casa di S. Giorgio, si univa una serie di operazioni capitalistiche, saranno sempre degne di essere ricordate come precursori della società moderna. 1S70; discussione del libro del barone de Nervi : Il Conte Corvetto. Corvetto fu ministro delle finanze dal 1816-1818, e sull’esempio delle code e ■dei moltiplici genovesi riformò la caisse d’amortissementfondata nel 1749. (1) Corvetto, Saggio, pag. 17, relazione de Marini, i.° marzo 1815. Torino Archivio di Stato. (2) Statuts de la nouvelle Banque de S. Georges, approuvés par de'cret royal du 31 inars 1854. Questa banca, come banca di credito , aveva un carattere affatto diverso dalla antica Banca di S. Giorgio, quantunque tale circostanza fosse ignorata dai fondatori della nuova banca marittima. ----------------- APPENDICI i. Genova, Archivio di Stato. Diversorum S. Georgii, 3, f. 27. Protocollo sul passaggio di luoghi dalla Casa di S. Giorgio e da Luciano Spinola a diverse compere, con unita copia del mandato di trascrizione ai protettori delle compere di Caffa e della lettera d’avviso ai rappresentanti di S. Giorgio a Caffa a cui accludevasi il mandato di trascrizione. MCCCCXIIII die XVII Marcii. Officium dominorum octo protectorum et procuratorum comperarum S. Georgii in sufficienti et legitimo numero congregatum : \ iso partito etseu requisitione domini Luciani Spinulle de Sancto Luca requirentis et offerentis quod, si dictum officium vult eidem dare et addere seu dari et tradi facere ex locis scriptis super dictum officium in protectoria seu comperis communis Caffè loca tria sive sommos trecentos pro ipsis computatos, et ipse d. Lucianus offert et contentus est dare et tradere pro ipsis locis tribus loca decem et octo comperarum S. Georgii. - 28o - Habita inter dictum officium super his matura deliberatione omni jure via modo et forma quibus melius potuerint et possunt, deliberaverunt dictum partitum fieri etseu pervenire cum dicto domino Luciano.....scribere et mandare protectoribus et seu officialibus Caffè ut describere debeant de ratione dicti officii loca tria cum paga marcii , et ipsa sic descripta cum dicta paga scribere debeant super dictum dominum Lucianum titulo permutationis in observatione dicte compositionis. Ea die « De mandato venerandi officii dominorum octo protectorum et procuratorum comperarum S. Georgii communis Janue est quod vos protectores etseu officiales et scribe protectorie lo eorum seu comperarum communis Janue in civitate Caffè describatis etseu describi faciatis de ratione et columpna locorum L seu sommorum V pro ipsis locis computatorum scriptorum super dictum officium in dictis vestris comperis Caffè loca III seu sommos CCC pro ipsis locis computatos cum paga marcii anni presentis MCCCCXIIII. Et dicta loca III cum dicta paga sive dictos sommos trecentos pro ipsis computatos scribatis et scribi faciatis super d. Lucianum Spinullam de S. Luca titulo et ex causa permutationis. Et predieta fieri vult et mandat prefatum officium in observatione compositionis facte per dictum officium cum dicto d. Luciano viso quod dictus d. Lucianus fecit versus dictum officium et observavit quid debuit ». » Circumspectis et prudentibus viris Paulo de Promontorio et socio, procuratoribus et syndicis nostris in Caffa habitantibus. Carissimis vestris his diebus receptis per alias nostras responsionem atuliums, solum per presentes vos avisamus quod ex compositione inita inter nos et d. Lucianum Spinullam de S. Luca tenemur et promisimus eidem d. Luciano dare et scribere etseu dari et scribi facere de ratione locorum nostrorum scriptorum super nos in protectoria seu comperis com munis Caffè loca tria sive summos trecentos pro ipsis com- putatos cum paga marcii anni presentis et aliis venturis. In observatione cuius promissionis mandamus protectoribus et officialibus ac scribis dicte protectorie locorum seu compera-rom Caffè quatenus dicta loca tria de columna nostra cum dicta paga marcii describere debeant et descripta scribere debeant super dictum d. Lucianum cum dicta paga marcii et aliis venturis vel super quemcumque voluerit. Quod mandatum vobis presentibus inclusum mitimus committentes vobis quatenus dictum mandatum presentetis dictis officialibus et dictam descriptionem fieri faciatis prout in ipso continetur et non aliter. Datum Janue MCCCCXIIII die XVII Marcii. II. Bartolomeo Bosco, cons. 99, pag. 167. « Circa onere et vendere ad tempus ». Venerabile officium Sancti Georgii loca decem ex suis nunc valentia secundum communem cursum civitatis libr. LVIII pro quolibet loco et redditura nomine proventuum libr. V s. VIIII pro quolibet loco annuatim cum pagis anni presentis MCCCCXXVIII vendidit Martino pro libris LXIII et s. X Janue pro quolibet loco solvendis in fine anni videi, libr. LVIII de numerato et libr. V s. X per tempora pagarum. Queritur an inste contractus sit licitus an vero usurarius vel turpis. Et respondetur, quod iste contractus est licitus, non usurarius vel alias turpis. Pro cuius rei declaratione premitto quod pretia locorum variantur dietim, nam crescunt et decrescunt secundum opiniones quas cives ex occurrentibus sibi assumunt de bono et malo statu et esse civitatis, ut notorium est, propter que valde verisimiliter dubitatur, an dicta loca tempore solutionis sint plus minusve valitura. Ex quo capite dico quod, si loca venderentur ad tempus aliquanto maiori pretio quam nunc valeant ad numeratum , ratione talis dubii licitus esset contractus et non usurarius.............. Hic contractus hac forma celebratus has utilitates continet scilicet, ut qui dubitat, ne pretia locorum decrescant, sic vendere possit, et qui sperat quod loca debeant plus valere, possit ad emptionem prosilire. Hi enim contractus nisi fiant impellente necessitate pro necessariis ad vitam , Jiunt causa lucri, huiusmodi autem exercitium clericis probibetur, laicis permittitur. Item continet aliam utilitatem, nam maior favor rectae mercantiae est, quod inveniantur emptores ad numeratum et ad tempus, dummodo fiat sine peccato , quam quod ad numeratum tantum. Multi etenim non habentes in presenti pe- — 283 — cuniam numeratam et ipsam habere sperantes in tempore possent contrahere ad tempus, promittendo pecuniam solvere m tempore , qui non possent contrahere de presenti. Et restringere mercantiam licitam est restringere naturalem libertatem, quod est odiosum et vitandum, et est contravenire publice utilitati, quam confert mercantia et negotiatio civitati Janue, ut notum est de se, et hoc dejure reputo verissimum et secundum conscientiam. - 284 - III. Genova, Archivio di Stato. Sala 24, Sg. 51 Bancheriorum 1392. Due mandati di pagamento ed uno d’incasso dell’anno 1392 al banchiere Federico Promontorio a Genova, acclusi al cartu-lulanum capsie banchi Benedicti Lomelini et Percivalis de Vivaldis scriptum manu Percivalis. 1) Polizza piegata coll’indirizzo: Domino Fredericho de Promentorio detur Janue (Marca di Nicolaus de Lomellinis) dentro : -f- die XXI Sept. in Saona. P(laceat) solvere de mea ratione de tempore in kalendas octobris proxime venturas domino Gregorio Squarzafico lb. CXXXIIII s. XVI] den. VIII sive lb. centum triginta qua-tuor solidi decem et septem denarii octo et sunt pro sua parte lucri de granis de Sicilia in quibus erat particeps Nicolaus de Lomellinis. 2) Polizza della dimensione 22 X *3 cent. prima piegata in lungo, poi diagonalmente, suggellata, la piega rende un biglietto di 8 V2 X 6 cent-Indirizzo: Egregio viro domino Fridricho de Promontorio in Janue detur (Marca di Francisco de Mayno). dentro : Honorande amice carissime. vobis placeat scribere de ratione mea Johanni Calveto Catelano pro lana habita ab eo lb. CCCCLXXXXV de Janua cum pactis quod, quando ero Januam, quod stet veritati, quia nescio si sint ad complimen-tum, et dictas scribatis sibi ad dies XXVI presentis vissis scriptis, et in casu quod recusaret noie dictum tempus vobis placeat facere de numeratis; tamen facietis ad tempus si poteritis. Blaxius de Iudicibus censarius veniet ad banchum et vos informabit de omnibus. Vobis placeat etiam scribere mihi cartulam, si exigistis denarios meos et qualiter de predictis facietis; vero plura si qua vobis grata possum, in omnibus me offero paratum. Vallete in domino. !• rancischus de Mayno salutem datum papié die VII Sept. 1392. 3) Polizza della dimensione di 20 X !3 cent., piegata ma non suggellata. Memoria Francischi de Mayno. Placeat vobis domino Fidrico facere et concordari domino Johanni Salvaticho aut Mateo filio suo quod dent vobis prò me Francisco de Mayno et sunt prò petiis IIII draporum computata ripa lb. C. s. V Item facere et concordari Laurenzio Ciori quod det vobis prò me ad Callend. setembris et sunt prò litera cambii de veneziis quam vobis dimise et sibis detis dictam litteram fl. DX lb. DCXXXVH s. X Item de predictis omnibus facere scripturam necessariam. Item si mitebo vobis aliquos denarios ad recipiendum, quod dictos scribetis rationi mee. — 286 — IV. • Bancorum S. G. polizza acclusa del 1409. Conto di Oberto Aymerico di Albenga a 1 omaso Castiglione in Genova. Indirizzo: Domino Tome de Castigliono dentur (Marca di Oberto Aymerico). Janue Dentro : Die XXVIII Jan. in Albigana. Carissime frater omni debita salutatione premissa mitto vobis rationem de moneta quam solvi et solvere feci banco vostro, prout inferius videbitur ; rogo mihi scribatis partitas per ordinem et eam detis gotifredo filio meo. Die XXIII Aug. Dominus Anthonius Justinianus debet nobis accipiente Johanne de Mayrono in florenis CLXXIII regine per s. XXI lo fiorino lb. CLXXX I s. XIII Item ea die accipiente dicto Johanne in schutis LXVIII de s. 30 d. 6 lb. C IH s. XIIII Item ea die accipiente dicto Johanne in uno nobile Anglie lb. III s. III. Item ea die accipiente dicto Johanne in florenis XXVIII de grossis Jan. lb. XXXV s. Item ea die accipiente dicto Johanne in grossis de papia lb. XX VIII Item pro fl. Jan. ducatis et flo. pc. (?) LXXXXI s 28 deferente Antonio de Struppa lb. C XX VII s. VIII Item die XXX Oct. pro domino Christiano Spinulla lb. C XXV s. Item die IIII Jan. pro cathino amerio lb. XXVIIII s. Item die dicta pro nicolao Lamberto lb. XII Item die XV Jan. pro Thoma Lamberto lb. XXII Item Item lomeo d Item ea - 287 - die XIII Jan. pro Calloto iordano lb. XXX die XXII Jan. prò domino Bartho-; Mari lb. CXXV di prò Conradino Gofredo lb. L Summa lb. DCCCLXXII s. XVIII restant ad habendum lb. CXXVII s. II Obertus Aymericus. — 288 — V. Genova, Archivio di Stato, Divers. nota 104. Copia d’una confessione di debito, di cinque cambiali dell’anno 1375, tratte da Giovanni Dardella di Siviglia sopra Pietro Dardella di Genova e di un conto. I fogli non sono impaginati; nella parte superiore a destra stracciati. 1) Hoc est exemplum publicatio et registratio. . . . apo-dise in appapiru scripte ... (a B.de) Camulio bancherio prout prima facie (apparet) . . . cuius apodise et scripture tenor talis est : MCCCLXXV Die V Januarii. Ego Bartholomeus de Camulio bancherius confìteor tibi Jacobo (M)anescharco quondam Petri me tibi dare et solvere debere in Kal Julii proxime venturis libras quadringentas Jan. sive lb. CCCC prout in cartulario banchi mei dicti Bar-tholomei continetur et ad cautelam pro tuo pignore habeo in volta mea tot fustaneos qui sunt in valore dictorum denariorum. Et ad cautelam manu mea ut supra scripssi Bartholomeus de Camulio bancherius et ad cautelam quantum pro supradi-ctis omnia bona mea habita et habenda tibi pignori obligo. 2) Hoc est exemplum quarundam literarum in apapnru sciptarum (manu domini Johannis Dardelle). Dominis Lazaro de Goano et Petro Dardella dentur Janue prima de d° CCCC. (marca di Johannes Dardella). In Christi nomine MCCCLXXV die XXI madii in Sibilila. Dominis Lazaro de Goano et petro Dardella Johannes Dardella salutem in domino. Per istam primam solvatis dominis Eliano et Oberto de Spinolis dobras quadringentas auri Morescas sive d° CCCC ad medium Augusti et sunt pro d° CCCC quas hodie recepi a Otobono de Marinis , a dictis faciatis bonum pagamentum. — 289 — Domino Petro Dardella dentur Janue, secunda de lb. CCCCL (Marca di Johannes Dardella). In Christi nomine MCCCLXXV die VIIII Octobris in Sibillia. Domino Petro Dardella Johannes Dardella sautem in domino. Si per primam non solustis dominis Damiano de Cra-paria et Manfredo Cantello libras quadringentas et quinquaginta sive lb. CCCCL, per istam secundam eis solvatis vid. lb. CL domino Damiano de Craparia et relique lb. CCC domino Manfredo Cantello infra mensibus duobus ista vobis apresentata et sunt pro dobras trecentas morescas sive d° CCC quas hic recepi a domino Georgio Gentile, licet quod per primam vobis scripsissem recepisse supradicte d° CCC (a) Cataneo Gentile eius fratre, ad dictis faciatis bonum paga-mentum infra supradictum terminem, et dimidia supradictarum librarum ponatis in ratione Johannis de Rapallo et reliqua dimidia in nostra ratione. Domino Petro Dardella dentur Janue, prima de d° CC. In Christi nomine MCCCLXXV die XIIII octubris in Sibillia. Domino Petro Dardella Johannes Dardella salutem in domino. Per istam primam solvatis Domino Conrado de Spinolis libras trecentas sive lb. CCC in mensibus duobus ista vobis apresentata, et sunt pro d° CC quas hic recepi a Luciano Squarzaffico, ad dicto faciatis bonum pagamentum. Domino Petro Dardella dentur Janue, secunda de lb. CCCCL (marca di Johannes Dardella). In Christi nomine MCCCLXXV die XVII octubris in Sibillia. Domino Petro Dardella Johannes Dardella salutem in domino. frater, si per primam non solvistis domino Francisco de Vivaldis vel Chilicho de Auria libras quadringentas et quinquaginta sive lb. CCCCL, per istam secundam solvatis et faciatis bonum pagamentum infra mensibus duobus, ista vobis aprezentata et sunt pro d° CCC quas hic recepi a Chilicho de Auria. In prezenti navi vobis scripsi unam aliam literam. Atti Soc. Ligi Storia Patria. Voi. XXXV, P. II. 21 — 2 go — Domino Petro Dardella Dentur Janue (marca di Johannes Dardella). In Christi nomine MCCCLXXV die V Februarii in Sibillia. Domino Petro Dardella Johannes Dardella salutem in domino, Per istam primam solvatis Johanni de Negrono dobras quadringentas morescas sive d° CCCC infra mensem unum aplezentato vonis ballassii tres qui ponderant Kant. LXXX sive octaginta, fassati in una pecia sive tella in saginba-chati et in saginbacho nostro signo talle (marca di Johannes Dardella) super cera vermillia. Si vos petre ibi non estis, placead vobis domine Gaspallis de Grimaldis complere dicto Johanni in locho Petri. non aliud dicho. vale in Chnsto. MCCCLXXIII die . . . Ratio nostra debet nobis prò scoto de mensibus novem ad rationem de d° VI prò mensse d° L IIII Item prò rauba et certis aliis (la parte superiore di questo conto avarns in summa d° XXXX Item pro ratione missa Januam per Cosmaellem de Palleriis d» CCCLV t.» IIII Item prò una ratione missa Januam de versus Lisbona per Ca-taneum Bechignonum d° CCVI Item prò una ratione missa Januam in navi Antonii Casselle d° CC Item prò una ratione missa Januam in societate cum Johanne Calvo d° CC Item prò Nicolo de Imperialibus do XVII Item prò scoto sive compagna de navi d° V Item prò florenis X quos portamus in burssa d° VIII Item prò Johanne Dardella et sociis quas sibi dimissimus in diversis partitis d° I CCLXXXII t.» IIII illeggibile). Item in ratione de pec VIIII velutorum Item in ratione pannorum de auro pec. II d» Item in ratione de petiis XXII bodrachinorum ^ Itemin Johanne de mari etsunt prò uno cambio facto cum eo d CC Summa d° II CCCLXXVIII Summa d° lì CCCLXXVIII — 291 — ltgo Nicolaus de Bellignano Imperiali auctoritate notarius publicus et communis Janue cancellarius suprascriptas quinque litteras et rationem in papiru scriptas utsupra supra scriptas et exemplatas .... sumpsi et exemplavi nihil addito vel diminuto quod mutet sensum vel variet intellectum, nisi forte litera, titulo, sillaba seu ponto extensionis vel abreviationis causa, sententia tamen in aliquo non mutata...... .................publicavi, registravi, scripsi et extendi in actis curie domini Vicarii ad instantiam et requisitionem Petri de Dardella civis Janue, cuius interest, timentis de amissione dictarum litterarum et rationis. Cui quidem exemplo et omnibus et singulis suprascriptis prefatus dominus vicarius pro tribunali sedens in loco infra-scnpto ad eius solitum bancum juris, causa plene cognita et officio magistratus suam et communis Janue auctoritatem interposuit .....laudans statuens pronuntians et decernens dictam publicationem et registrationem........ ..............Acta Janue in palatio novo communis ubj iura redduntur per prefatum dominum vicarium MCCCLXXVI die ultima Aprilis....... — 292 — VI. Genova, Archivio di Stato, Divers. S. Georgii. Cambiale tratta dai protettori di S. Giorgio sul governo di Pera. Nobili et egregio ac circumspectis viris Domino Petro de Flisco honorato potestati, massariis et consilio communitatis peyre. Egregie domine et fratres honoratistimi per istam primam pagamenti solvi facere placeat termino consueto Anto-nioto Salvaigo perperos duo millia ducentos quinquaginta sive pp IICCL ad sagium peyre. Et sunt pro valore lbr. mille Jan. receptarum ad cambium per Pellegrinum Salvaigum et socium consules comperarum nostrarum S. Georgii a Luchino de Grimaldis et Manuele Bustarino ad rationem perper. duo rum charatorum sex pro singula libra. Que libre mille sunt pro paga augusti anni presentis ex illis libris IIII Jan> n0^is nomine dictarum comperarum nostrarum (in quibus mutua septem pro centenario olim officii monete pervenerunt) debitis annuatim per communitatem peyre ex pecunia et processu unius pro centenario olim dicto officio monete assignati. Et non aliud quam eidem Antonioto solutionem bonam fieri fa cere placeat. Datum Janue MCCCCXVI die XI Augusti. — 293 — VII. Genova, Archivio di Stato, Divers. regiminis. Riordinamento della zecca del 1447. Proclamatio novarum legum in curso monetarum. MCCCCXXXXVII0 die XXI» Junii. Proclamate vos, preco communis, in locis consuetis: Parte 111. et exc, domini Jani de Campofregoso dei gratia ducis Januensium et magnifici consilii dominorum Antianorum: Quod sit omnibus manifestum, fuisse nuper conditas ac reformatas leges super cursu monetarum et cambiorum quarum sententia hec est. Primum quod clam vel palam, directe vel indirecte quovis modo impendere non liceat aut dare vel accipere ullas monetas argenteas cuiusvis domini, nationis aut populi, aut alibi quam in domo monetaria Januensi cusas, sub pena amissionis earum et insuper florenorum a quatuor usque ad centum arbitrio magistratus monetarum qui tunc fuerit, taxanda et vel dantibus vel recipientibus vel utrisque , prout ei videbitur , imponenda, totiens quotiens contrafieret, et in opus portus et mollis convertenda, ita demum ut omnis externa moneta argentea prorsus vetita et exilio data esse intelligatur. Item quod deinceps cursus et lex solutionum faciendarum sit ex aureis justi ponderis et earum nationum, quarum auream monetam impendi et cursum habere ex constitutionibus communis Janue permissum est, et ex monetis argenteis ja-nuensibus tantum sive in domo monetaria januensi fabricatis, que vel singule vel saltem omnes in summa debiti ponderis inveniantur secundum leges ceche Januensis: Itam tamen quod omnis solutio numerum quinquaginta libr. exccdens facienda sit triplicibus vel, ut dici solet, atterciatis monetis, aureorum videi, pro tertia parte talium, quales superius declarati sunt, quorum omnium pretium sit soldorum quadraginta — 2Q 4 — duorum preterquam ianuini, cuius pretium sit soldorum quadraginta duorum et dimidii; pro reliquis vero duabus partibus numerari liceat monetas argenteas januenses grossorum videi ac soldinorum et sextinorum, ita quidem ut non liceat sextinos dari ultra tertiam partem monetarum argentearum. Item quod singuli bancherii deponere teneantur penes magistratum monetarum aureos centum , ut, quotienscunque eos condemnari contingat, inde facilius satisfiat condemnationibus. Hisque consumptis iterum atque iterum totidem deponere teneantur, ut sic has leges promptius custodiant, vel si deliquerint, maiore facilitate puniantur. Item quod omnia cambia Janue facienda post kalendas sep-tembris proximi aureis tantummodo solvantur pretiis iam declaratis. Cambiorum vero ubivis terrarum ac gentium extra Januam faciendorum, pro quibus Janue solutio facienda sit, non liceat satisfactionem fieri nisi aureis dumtaxat monetis superius memoratis et pretiis iam declaratis , post terminos tamen inferius distinctos et singulis regnis atque urbibus pre-fixos: hoc modo videlicet quod cambiorum Frandrie, Francie, Aragonie ceterorumque occidentalium locorum citra ea regna positorum atque etiam regni Sicilie tam citra quam ultra pha ron et aliorum locorum orientalium citra id regnum positorum ac preterea totius Italie eiusmodi solutio auro ut dictum est facienda, incipiat ac locum habeat mox post kalendas septem bri proximi. Cambiorum vero Anglie, Portusgallie, Castelle, regni Gra nate ac Majoricarum necnon et Chii et Rhodi talis solutio auro ut dictum est facienda, incipiat et locum habeat mox post Kalendas octobri proximi. Omnium vero locorum in quavis parte Barbarie positorum cambia auro, ut dictum est, facienda persolvantur statim post XVam diem octobri proximi. Sirie autem ac Cipri, Egipti et Pere cambia eodem modo solvi debeant statim post XV am diem decembri proxime venientis. Et similiter cambia Caphe statim post kalendas ja-nuarii primum venturas. Comprobaverunt preterea et ut prudenter latas laudaverunt — 295 — leges et constitutiones domus monetarie sive, ut dici solet, ceche; precantes, monentes et adhortantes, ut ipsi 111. d. dux et consilium studeant eas recte et inconcusse servari. Intelligentes insuper spreto dei timore inolevisse nefarium abusum circumcudendi monetas, quod scelus quantum damni simul ac dedecoris afferat, cum omnes intelligant legumque ac penarum severitas declaret, edocere opus non est: Sanxerunt et quanto enixius potuere, statuerunt, ut ultra multiplices penas, que a legibus civilibus ac municipalibus et a quibusvis aliis constitutionibus taxate prescripteque sunt, quisquis id nefas admiserit, cecidisse insuper intelligatur in penam flore-norum a centum usque in mille arbitrio magistratus monetarum taxandam et sine ulla remissione toties exigendam, quotiens in hoc peccatum fuerit, cuius pene dimidium sit accusatoris, qui et sub secreto teneatur , reliquum dimidium a patribus communis exigatur in opera portus et mollis convertendum. Item quod magistratus monetarum nunc primum eligendus et quicunque eum postea sequentur, teneantur et debeant in et super omnibus et singulis controversiis originem habituris a quibusvis cambiis et a quibusvis solutionibus bancheriorum, sive quas bancherii iam fecissent vel quas facturi essent, ius partibus reddere summarium ac simpliciter et de plano, omni dilatione reiecta, ne propter dilationes et sumptus iudiciorum quisquam desinat iusticiam petere et sic paulatim res in deterius corruant. In actis Jacobi de Bracellis cancellarii. Eadem die XXI Junii. Jacobus de Campoplano, preco publicus, rettulit, proclamasse celebriter per urbem in forma suprascripta. — 2gó — Vili. 1530 — 18 Febbrajo. Contratto pel quale il Governo assegna alle Compere un’ad ditione di 40 soldi sulla Gabella del Sale. Questo introito deve non solamente saldare i debiti del Comune verso S. Giorgio ma anche servire all’ estinzione delle gabelle che sostenevano i possidenti di case di servi di Cavalli. In nomine domini amen. Cum ad requisitionem agentium pro Excelsa Republica Janue obtentum fuerit in magno Consilio participum Comperarum .Sancti Georgii prefate Reipu-blice dandi et attribuendi potestatem authoritatem et bailiam in effectu Magnifico officio dominorum Protectorum anni pre-sentis MDXXX. ac Spectabilibus Dominis Protectoribus dictarum Comperarum anni proximi precedentis de MDXXVIIII et anni de MCCCCXXXXim consentiendi requisitioni facte per a-gentes pro prefata Republica eisdem fidem faciendi de libris centum quindecim milibus pagarum cuiuslibet anni in perpetuum super aditione de novo facienda de soldis quadraginta monete de libris tribus pro singulo scuto auri solis pro singula mina salis mensure cabelle tam rubri quam malte et albi cuiuscumque sortis et qualitatis super partito et omnibus et singulis cabelis salis a Corvo usque ad monacum inclusive Sarzana comprehensa sub illis modis formis cautelhs et conditionibus et in omnibus et per omnia pro ut continetur in deliberacione dicti magni Consilii comperarum predictarum rogata per nobilem jacobum imperialem de terrili ipsarum comperarum Cancellarium anno de MDXXViiii die XXII decembris ac etiam alterius deliberacionis ac etiam aliarum deliberationum prefati magni consilii rogata una per Vincentium Fliscum bottum et altera per Ioannem Spinulam Parrisolam Cancellarios anno presenti sub diebus........ (sic) quibus omnibus brevitatis causa habeatur relatio. Cumque etiam verum — 297 — sit quod per dictum magnificum et spectabilia officia dictarum Comperarum dictorum annorum fuerit deliberatum consentire requisitioni agentium pro prefata Republica sub modis et formis et in omnibus et per omnia pro ut inferius dicetur et ad effectum predictum fuerit attributa autoritas et potestas Magnifico officio Sancti Georgii anni presentis faciendi presenterei contractum et in omnibus pro ut inferius dicetur ut constat deliberationibus dictorum trium officiorum rogatis per dictum Iacobum anno presenti sub die XXI Januarij ac aliis duabus per dictos Vincentium et Iohannem sub die- ^us....... (sic) quibus omnibus etiam brevitatis causa habeatur relatio, et propterea.Illustrissimus et Magnificus Dominus Dux Gubernatores et Procuratores prefate excelse Reipublice ja-nuensis et tam coniunctim quam divisim etc. — ac ex omni auctoritate potestate et bailia eisdem quomodolibet attributa et competenti et presertim vigore deliberationis Magni Consilii prefate Reipublice rogate per me Cancellarium infrascri-ptum hoc anno die..... (sic) cui habeatur relatio. Quorum quidem Dominorum Gubernatorum et Procuratorum nomina sunt hec. M. D. Franciscus de Auria. M. D. Baptista Spinula. M. D. Hieronimus lomelinus. M. D. Nicolaus de nigrono. M. D. Ioannes Baptista Sauli. M. D. Petrus de furnarijs de Camulio. M. D. Pantaleo Imperialis de baliano. M. D. Petrus Lercarius. M. D. Thomas Cattaneus. M. D. Laurentius Fliscus ragius. M. D. Nicolaus de Grimaldis. M. D. Ioannes Baptista de Auria. M. D. Petrus Ioannes Cibo de Clavica. M. D. Augustinus Pinellus. agentes nomine et vice prefate reipublice absolventes sese prius ad calculos albos et nigros ex una parte et Magnifici Domini Protectores comperarum Sancti Georgij anni presentis quorum nomina sunt hec. M. D. Augustinus de Nigro. M. D. Thomas de Auria. M. D. Ioannes de Grimaldis Duratius. M. D. Bartholemeus Imperialis de baliano. M. D. Leonardus cattaneus. M. D. Martinus Iustinianus de Moniardino. M. D. Nicolaus de Francis qm. E. (sic) ex omni potestate et bailia ipsis prefatis Dominis Protectoribus attributa et competenti agentes nomine et vice dictarum comperarum ex parte altera predictis et infrascriptis attentis ac iustis — 298 — de causis et rationibus moti. Sponte etc. Et ex omni meliori modo etc. Pervenerunt et pervenisse confessi fuerunt et confitentur ad invicem et vicissim ad infrascripta pacta asigna-tiones promissiones conventiones et alia de quibus supra et infra solemnibus stipulacionibus hinc inde intervenientibus et vaiata et valatas. Renunciantes etc. — Videlicet quia ex causa pactorum conventionum promissionum et aliorum de quibus infra prefati Domini Protectores dictarum Comperarum et a-gentes nomine et vice earum assignaverunt prefatis Illustribus et Magnificis Dominicis Gubernatoribus et Procuratoribus prefate Reipublice et ad cautellam mihi Cancellario infra-scripto tamquam persone publice officio publico presentibus et stipulantibus nomine, et vice prefate Reipublice januensis libras centum quindecim millia pagarum tam anni presentis quam omnium annorum venturorum pro singulo dictorum annorum in perpetuum sub modis et formis de quibus infra. Et versa vice prefati Illustres Magnificique D. Dux Gubernatores et Procuratores prefate Reipublice agentes nomine et vice prefate Reipublice januensis assignaverunt et assignant prefatis Dominis Protectoribus dictarum Comperarum et ad cautellam mihi Cancellario infrascripto tamquam persone publice et officio publico presentibus aceptantibus et stipulantibus nomine et vice dictarum comperarum Sancti Georgij quod agentes pro dictis comperis possint et valeant in perpetuum et sine aliqua perfinitione temporis augere pretium salis et ita ex nunc illud augent ultra pretium consuetum de soldis quadraginta monete de libris tribus pro singulo scuto auri solis pro singula mina salis mensure Cabelle et tam salis rubei quam malti et albi quam cuiusvis alterius sortis et qualitatis in et super omnibus cabellis et toto precio salis a corvo usque monacum incluxive Sarzana etiam comprehensa. Que aditio pretii predicti salis ut supra insimul cum dicto partito et cabellis vendantur et vendi possit per Mag.cos Dominos Protectores qui nunc sunt et pro tempore erunt seu agentes pro dictis Comperis in perpetuum sub illis temporibus, modis formis reformationibus diminutionibus et in omnibus et per omnia pro ut eisdem Dominis Protectoribus sive Agentibus — 299 — pro dictis comperis libere videbitur et placuerit et ita ex nunc adunt imponunt et assignant in omnibus ut supra. — Acto et expresse convento et declarato inter ipsas partes et tam in principio quam medio et fine presentis instrumenti et contractus quod ex dictis libris centum quindecim millibus pagarum predictarum in perpetuum et sine perfinitione temporis annuatim et quolibet anno tam pro presenti quam pro venturis prefati Domini Protectores dictarum Comperarum qui nunc sunt et pro tempore erunt sive agentes pro dictis comperis possint et valeant retinere in ipsismet comperis sive a-gentibus pro eis et ita eisdem assignaverunt et assignant libras triginta quatuor millia dictarum pagarum annuatim et singulo anno tam pro presenti quam pro venturis in perpetuum ut supra infra solutionem eius de quo dicte Compere sive agentes pro eis sunt et erunt creditrices prefate Reipublice sive excelsi Comunis janue. Acto etiam etc. quod prefati domini Protectores sive a-gentes pro dictis comperis possint et valeant retinere ex dictis libris centumquindecim millibus pagarum predictarnm annuatim et singulo anno comprehenso etiam anno presenti et venturis in perpetuum et sine, perfinitione temporis proventus et pagas locorum novem millium centum ex locis novem millibus sexcentis dictarum comperarum impositorum super Cabella seu avarjis domorum et posessionum que ad dictam summam ascendunt exclusa cauda que erat de locis quingentis et que cauda etiam contraponi debeat dicto debito dictorum locorum novem millium sexcentum pro extintioni ipsius. Acto etiam etc. — quod prefati domini Protectores sive agentes pro dictis Comperis annuatim et singulo anno in perpetuum comprehenso etiam anno presenti et venturis sine perfinitione temporis possint et valeant ex dictis libris centum quindecim millibus dictarum pagarum in eisdem comperis in se ipsis retinere proventus locorum trium millium centum ex locis tribus millibus tricentis impositorum super cabellas servitorum et pedisequum non computata cauda locorum ducentorum et ita assignant dictis comperis in omnibus ut supra et que cauda contraponatur dicto debito locorum trium millium tricentorum pro totali extintione ipsorum. — 300 — Acto etiam etc. — quod ex dictis libris centum quindecim millibus dictarum pagarum. Prefati domini Protectores sive agentes pro dictis comperis possint et valeant annuatim et singulo anno in perpetuum sine perfinitione temporis et tam pro anno presenti quam pro venturis in eisdem comperis retinere libras duomillia ducentas que una cum libris duabus millibus tricentis que superant ex venditione ultimo loco facta de cabella pedagiorum assignatorum dicto introitui e-quitaturarum faciunt complementum librarum quatuor millium quingentarum assignatarum dicto introitui equitaturarum. Ita tamen quod si de cetero in subsequentibus venditionibus dicti pedagii ultra id quod extrahi debet ex introitu predicto non elicirentur dicte libre duo millia tricente ultra id quod solitum est vendi dicta Cabella pedagiorum quanto minus vendetur ex dictis libris duobus millibus tricentis fieri debeat debitor dictum Comune sive Reipublica et sic Creditor si magis venderetur. Acto etc. — quod Prefati domini Protectores sive agentes pro dictis comperis annuatim et singulo anno in perpetuum et sine perfinitione temporis comprehenso etiam anno presenti et venturis ex dictis libris centum quindecim millibus dictarum pagarum in eisdemmet comperis possint et valeant retinere proventus tot locorum in quibus intrabunt libras tricen-tas triginta una millia in duabus partitis mutuate per agentes pro dictis comperis agentibus pro prefata Republica seu comuni janue super cautione ipoteca et pignore aditionis tunc fiende super pretio salis ut continetur in contractibus super inde celebratis. Acto etiam etc. — quod Prefati domini Protectores sive agentes pro dictis comperis ex summa dictarum librarum centum quindecim millium dictarum pagarum possint et valeant in eisdem comperis retinere tantam quantitatem pagarum predictarum ad quantum ascendit valor proventuum locorum duodecim millium ducentorum de quibus supra facta est mentio impositorum super cabellis et avarjis domorum et posessionum ac pedisequum et servitorum pro anno de MDXXVIIII attento quod dicte cabelle non fuerunt imposite pro dicto tem- pore et justum est quod satisfiat dictis comperis pro dictis proventibus dicti anni dictorum locorum, cum loca predicta traddita fuerint prefate Reipublice sive agentibus pro ea sive excelso Comuni janue cum dictis proventibus dicti anni de MDXXVIIII. Acto etiam etc. — quod Cabelle et seu avarie domorum et posessionum attentis predictis remaneant et seu remaneat extmcte et in illis statu et gradu pro ut erant antequam imposite fuissent. Insuper quia per diversos cives fuerunt tradite et seu mutuate diverse pecuniarum quantitates officiis victualium janue et seu Illustrissime dominationi sive agentibus pro prefata Republica quibus iustum et honestum est satisfieri et propterea actum fuit quod instituantur tot loca quot capient dicte pecunie ut supra tradite seu mutuate quibus locis pro proventibus eorum annuatim et singulo anno in perpetuum sine perfinitione temporis tam pro presenti anno quam pro futuris assignant et supleatur et supleri possit et debeat ex dictis libris centum quindecim millibus pagarum predicta-rum ex quibus locis ut supra instituendis seu preciis eorum per ipsos dominos Protectores satisfiat et satisfieri debeat dictis creditoribus et cuilibet eorum respective pro dictis pecuniis per eos ut supra traditis seu mutuatis. Insuper quia ex deliberacione magni Consilii in Palacio excelsi Comunis janue obtentum fuit fieri per agentes pro excelso Comuni contributionem Domino Iuliano de Grimaldis et socijs deputatis etc. — occasione et causa fabricationis pontis Corniliani de libris duodecim millibus januinorum et loco dicti domini Iuliani de Grimaldis et sociorum exinde fuerunt subrogati Prestantes Viri Domini Ansaldus de Grimaldis Augustinus Pallavicinus qm. P. Augustinus Centurionus Fatinanti et Thomas de Nigrono Bigna pro ut de dicta deliberatione magni Consilii constat ex actis nobilis Ioannis Baptiste de Grimaldis de Zino Cancellarji anno....... (sic) et de dicta subrogatione facta de personis dictorum D. Ansaldi et sociorum per Illustrissimam dominationem constat ex actis nobilis Laurentii Italiani de Garibaldo cancellarji anno presenti die...... quibus pro veritate brevitatis causa habeatur relatio, et prop- — 3°- — terea ita instantibus et requirentibus ipsis Domino Ansaldo et Collegis deputatis ut supra attentis deliberatis ut supra in magno Consilio potestate attributa et competenti ipsis Domino Ansaldo et collegis tuerunt et sunt contenti quod ex dictis locis prime dimidie dicti reliquatus seu procesus eorum per prefatos Dominos Protectores sive agentes pro dictis comperis fiat satisfatio et solutio prefatis D. Ansaldo et collegis subrogatis de presenti ut supra causa et occasione fabricationis dicti pontis et non in alium usum converti possint et ita etiam ad cautellam ipsi D. Ansaldus et socii delegati et subrogati ut supra ex omni potestate et bailia ipsis quomo-dolibet attributa et competenti et omni meliori modo etc. consentiunt requirunt ordinant committunt ac mandant quod attentis predictis ex dictis locis seu processu eorum fiat ipsis D. Ansaldo et socijs dicta solutio pro dicta summa causa et occasione et ad effectum predictum. Acto etiam etc. quod de restanti seu reliquatu dictarum librarum centum quindecim millium pagarum predictarum deductis et retentis prius omnibus et singulis predictis de quibus supra facta est mentio agentes pro prefata republica possint se accomodare et valere sub modis tamen et formis de quibus infra. Videlicet quod debeatur institui et imponi tot loca ex quibus locis debeat pro eorum proventibus annuatim et singulo anno supleri de pagis restantibus dicti reliquatus in perpetuum sine perfinitione temporis et ex dictis locis ut supra instituendis possit et debeat satisfieri participibus partiti et Cabellarum Salis de et pro locis duobus millibus sexcentis cum proventibus anni presentis et venturis tantum vigore Sententie late eisdem esse recompensandum pro renunciatione et cessione per eos facienda pro tempore emptionis dicti partiti et cabellarum salis pro tempore restanti et venturo tantum, facta tamen prius per ipsos participes sive legiptimas personas pro eis prefatis Dominis Protectoribus sive agentibus pro dictis comperis renunciatione et cessione pro dicto tempore emptionis predicte restanti tantum de qua inferius dicetur. Acto etiam etc. — quod deductis dictis locis duobus mil- — 303 — libus sexcentis de quibus supra solvendis dictis participibus dicti partiti et Cabellarum salis pro dicto tempore restanti pro dicta recompensatione etc. ut superius dictum fuit et aliis partitis de quibus supra de eo quod supererit agentes pro dicta Republica possint se valere de dimidia dictorum locorum restantium ad beneplacitum agentium pro dicta Republica et pro reliqua dimidia non possint agentes pro dicta Republica eam capere nec de ea se valere seu accomodare nisi elapso toto anno presenti de MDXXX — salvo et reservato si dicte cabelle et partitum Salis ante finitum dictum annum presentem de MDXXX. essent vendite cum aditione de qua supra. Quo casu facta dicta venditione possint agentes pro prefata Republica dictam aliam dimidiam et sic totum restum capere et de ea valere ac se accomodare quanvis non esset finitus annus de mdxxx. Acto etiam etc. — quod si dicte cabelle et partitum salis cum dicta aditione de qua supra venderentur maiori vel minori pretio quam solitum est et consuetum habito respectu ad venditionem antecedentem respective quod damnum et beneficium quod esset ultra solitum et consuetum ut supra intel-ligatur spectare et spectet quantum pro annis tresdecim cum dimidio incirca proxime venturis tantum pro duabus terciis partibus dicte Reipublice sive agentibus pro ea et pro alia tertia parte dictis comperis sive agentibus pro eis. Et lapsis dictis annis tresdecim cum dimidio incirca ut supra illud plus quod procederet ex dicto sale de quanto superius dicitur in-telligatur spectare et spectet prefate Reipublice sive agentibus pro ea et quanto minus haberetur pro dicta aditione possint et debeant prefati Domini Protectores sive agentes pro comperis qui pro tempore erunt facere tantam aliam aditionem super pretio Salis consumendi intra Corvum et Monacum inclusive Sarzana etiam comprehensa et seu pro toto sale partiti et cabellarum pro ut melius eisdem libere videbitur ad effectum ut dictis comperis sit integre cautum solutum et satisfactum et casu quo eorum judicio predicta adicio fienda non suppleret possint imponere dictas cabellas pedisequum et servitorum et equitaturarum pro eorum libito et benepla- — 304 — cito ad effectum ut dictis Comperis omni ex parte pienissime cautum sit et satisfactum remaneat et ulterius casu quo dictis Comperis non esset satisfactum eorum dominorum Protectorum sive agentium pro dictis comperis judicio et libero arbitrio elapsis tamen prius annis decemseptem proxime venturis possint libere pro eorum arbitrio imponere super grano et cabellis granorum pro eo quod defuerit eorum arbitrio absque alia interpelacione seu requisitione fienda prefate reipublice sive agentibus pro ea et ita ex nunc prout et tunc et e converso imposuerunt et imponunt in omnibus ut supra referendo singula singulis. Acto etiam etc. — Quod Prefati Illustrissimus et Magnifici Dux Gubernatores et procuratores et Agentes pro prefata Republica teneantur curare opere realiter et cum effectu quod participes partiti magni et cabellarum salis sive legiptime persone pro eis renunciabunt et cedent prefatis dominis Protectoribus sive Agentibus pro dictis comperis omnia et singula jura rationes et actiones cuiuscumque qualitatis et conditioni existant nil penitus excluso causa et occasione emptionis dicti partiti et cabellarum salis contra et adversus pre-fatos dominos Protectores et officiales salis ac dictas comperas sive agentes pro eis ipsosque dominos Protectores et officiales Salis ac dictas comperas sive agentes pro eis absolvent et liberabunt ab omni obligatione quam participes dicti partiti magni et cabellarum salis habent et pretendunt et seu habere et pretendere possunt contra et adversus prefatos dominos Protectores et officiales Salis ad dictas comperas Sancti Georgu et hoc pro tempore restanti et futuro dicte emptionis dicti partiti magni et cabellarum Salis tamen salvis juribus et obligationibus tam dictorum participum quam dictarum comperarum pro tempore preterito et hoc per publicum instrumentum seu per publica instrumenta legiptime conficienda manu publici notarij cum clausulis et solemnitatibus oportunis et in similibus consuetis. Insuper quia vigore dicte sententie late per Magnificos et Prestantes viros Dominum Petrum de Furnarjis de Camulio. Ansaldum de Grimaldis. Augustinum Pallavicinum quondam — 305 — Petri et Thomam de Nigrono bignani delegatos et seu deputatos etc. inter cetera fuit declaratum quod pro recompensatione dicte renunciationis et cessionis ut supra fiende etc. dictis Comperis per dictos participes dicti partiti magni et cabellarum Salis pro tempore venturo tantum solvi debeat dictis participibus sive legiptimis personis pro eis loca duo millia sexcentum de quibus supra in antecedenti capitulo plene dicitur et pro ut in dicta Sententia continetur scripta manu Nobilis Ambrosii Gentilis de Senarega Cancellaci cui brevitatis causa habeatur relatio. — Et propterea prefati Illustrissimus magnificique Dominus Dux Gubernatores et Procuratores prefate Keipublice fuerunt et sunt contenti et ita ordinaverunt et mandaverunt ac ordinant et mandant quod per prefatos dominos Protectores sive Agentes pro dictis comperis solvatur dicta loca dictis participibus sive legiptimis personis pro eis ex dictis locis seu processu eorum de quibus supra dictum fuit pro ipsa Republica.....(sic)..... facta prius tamen et simul et semel per dictos participes sivelegiptimas personas pro eis erga prefatos dominos Protectores et dictas comperas dicta renunciatione cessione et deliberacione pro dicto tempore restanti tantum in omnibus et per omnia pro ut superius dictum fuit. Insuper quia per magnum Consilium participum comperarum Sancti Georgii predictarum fuit etiam obtemptum quod dictis participibus partiti et cabellarum Salis pro tempore preterito pro sale rubeo quod restat ad intrandum et pro sensu salis malti et albi ac etiam pro aliis computis tempori? preteriti pretendunt se creditores et propterea pro satisfactione dictorum participum pro predictis pro tempore preterito fuit ad instantiam agentium pro prefata Republica quod pro satisfactione dictorum participum dicti partiti magni et cabellarum salis pro tempore preterito causis et ocasionibus predictis ultra dictos soldos quadraginta super pretio dicti Salis de novo ut supra aditos possit etiam fieri additio alia super pretio dicti salis vel per viam faciendi maiorem expeditionem salis aut alio modo in totum vel in parte vel per aliam viam pro ut melius et expediendus judicaretur et pro predictis Atti Società Ligure Storia Patria. Voi. XXXV, P. II. 22 — 3°6 — data potestas Magnificis et spectabilibus dominis Protectoribus comperarum Sancti Georgii anni presentis proxime preteriti et de Mccccxxxxim. qui exinde consenserunt in effectu posse fieri predicta in omnibus ut supra et per que tria officia etiam fuic data potestas et facultas Magnificis dominis Protectoribus Sancti Georgii anni presentis posse facere contractum et in omnibus ut supra pro ut de predictis constat ex deliberacione dicti magni consilii participum comperarum sub die XXVIIII. januarji preteriti et alia deliberatione dictorum trium officiorum dicto anno sub die XXVIIII- dicti rogata per Vincentium Fliscum bottum Cancellarium quibus omnibus etiam pro veritate brevitatis causa habeatur relatio. Cum etiam verum sit quod per Magnificum Dominos Petrum de Furnariis de Camulio. Ansaldum de Grimaldis et socios dellegatos et deputatos ut supra fuerit declaratum et judicatum ultra ea que superius declarata fuerunt de locis duobus millibus sexcentis pro dicta recompensatione fienda dictis participibus pro dicta renuntiatione et cessione per ipsos fienda etc. — dictis comperis pro dicto tempore eorum emptionis restanti ut superius dictum fuit quod etiam ipsis participibus sive legiptimis personis pro eis solvi et satisfieri debeat causis et occasionibus pro tempore preterito omne id et totum quicquid et quantum continetur in dicta Sententia rogata per dictum Ambrosium cui et contentis in eis brevitatis causa habeatur relatio anno presenti die XV presentis et propterea attentis et consideratis predictis prefati Illustrissimus Magnificique D. Dux Gubernatores et procuratores pre-fate Reipublice agentes nomine et vice prefate reipublice fuerunt et sunt contenti quod facta prius et seu simul et semel dicta renunciatione cessione et liberacione de quibus supra per dictos participes sive legitimas personas pro eis dictis Dominis Protectoribus sive agentibus pro dictis comperis ut superius dictum fuit quod prefati Domini Protectores sive agentes pro dictis comperis promittant solvere et in libris et in Cartulario dictarum Comperarum ex nunc creditores facere dictos participes sive legiptimas personas pro eis pro ipsa - 307 - Republica seu Comune janue dictas summas et quantitates de quibus supra causis et occasionibus predictis pro tempore predicto in omnibus pro ut judicatum et declaratum fuit vigore dicte Sententie ut supra late per dictos Magnificum Dominum Petrum Ansaldum et socios dellegatos et deputatos ut supra cui et contentis in ea habeatur relatio. Ita tamen quod ex dicto reliquatu de quo supra dicta causa per dictos dominos Procuratores sive agentes pro eis causa et occasione predicta nihil possit seu debeat retinere. Immo pro predictis supleatur et supleri debeat de nova additione precji salis seu de majori expeditione ipsius salis in totum et seu pro parte aut alia via et in omnibus et per omnia pro ut in dicta de-liberacione magni concilii Comperarum ac ordinationis trium officiorum de quibus supra continetur quibus brevitatis causa habeatur relatio et ita ex omni potestate et bajlia ut supra ipsis attribuita et competenti ex nunc pro ut ex tunc et e converso addunt et faciunt et imponunt in omnibus et per omnia pro ut pro satisfactione predictorum actum impositum dictum et declaratum fuit per agentes pro dictis Comperis in omnibus pro ut in dictis deliberationibus continetur quibus brevitatis causa habeatur relatio. Insuper quia in dicta Sententia lata per dictos D. Petrum et socios inter cetera continetur quod fiat satisfatio dictis participibus pro minis tribus millibus tricentis triginta quinque salis bocoli et quia ipsi reservaverunt respectu dicte partite posse addere vel minuere quod casu quo contingeret per ipsos aliquid addere respectu dicte partite tantum intra diem decimam septimam mensis marcji proxime venturi quod pari modo eo casu dicti Domini Protectores sive agentes pro dictis Comperis debeant promittere facta tamen dicta renuntiatione ut supra solvere dictis participibus sive legiptimis personis pro eis et eos facere creditores in eorum libris pro eo quod contingeret per ipsos Dominum Petrum et socios respectu dicte partite ut supra addi casu quo intra dictum tempus aliquid adderetur. Acto etc. — quod presens instrumentum et omnia et singula in presenti instrumento contenta locum habeant si et — 3°S — quatenus intra diem decimam octavam inclusive mensis presentis per dictos participes sive legiptimas personas pro eis fuerit facta dicta renunciatio cessio et liberatio de qua supra pro tempore restanti tamen ut superius dictum fuit sub modis ac cautellis pro ut ipsis dominis Protectoribus videbitur. Acto etiam etc. — quod pro contentis in presenti inst mento consideratis maxime predictis per agentes pro dictis Comperis ex contentis in presenti instrumento non poss’ tineri decima non obstante contractu facto de decima reti nenda etc. — vigore instrumenti rogati per Franciscum < 1-scum bottum Cancellarium remanente ileso dicto con respectu decimarum usque ad integram satisfactionem compe rarum pro ut in dicto instrumento continetur. Insuper quia virtute contractuum factorum inter ag pro comuni seu excelsa Republica ex una parte et agen pro dictis comperis Sancti Georgii ex altera dicto Co ^ quolibet anno datur debitum de proventibus locorum triginta unius millium quadringentorum octuaginta novem libra nonaginta quinque soldos quindecim et denariorum qu alterius loci ad rationem de soldis sexaginta pagarum pro singulo loco nec non de proventibus locorum octo mi septingentorum viginti unius et librarum quindecim soldorum quindecim et denariorum sex alterius ad rationem de so is sexaginta duobus pagarum pro singolo loco prefati domini Protectores sunt contenti quod si dicta Respublica sive gen tes pro eà habebunt in promptu ad scribendum dicta oca et ea scribi faciant ipsis comperis sive agentibus pro eis quod ipsi domini Protectores et agentes pro dictis Comperis dicta loca aceptabunt et dictis locis scriptis ut supra non faciant ulterius dictam Rempublicam et sive dictum Comune sive agentes pro eo debitorem de proventibus dictorum eorum. Acto etiam etc. — ac expresse declarato ad cautelam salvis semper predictis quod per predicta etjn presenti instrumento contenta non intelligatur nec sit in aliquo novatum derrogatum seu preiudicatum juribus rationibus et actionibus induitis et privilegiis dictis Comperis et tam respectu Salis - 309 — quam aliorum quorumvis que remaneant intacta et illesa ac in viridi observantia et in illis statu et gradu pro ut sunt et erant ante presens instrumentum celebratum salvis semper omnibus et singulis in presenti instrumento contentis. Acto etiam etc. — et declarato ad cautellam quod jura rationes et actiones dictarum Comperarum et agentium pro eis remaneant et sint salva et illesa respectu veneferri super sale vigore contractuum et seu instrumentorum antea celebratorum inter agentes pro dicto Comuni sive Republica ex una parte et agentes pro dictis Comperis ex altera quibus non intelligatur nec sit in aliquo novatum prejudicatum nec derrogatum sed remaneant pro ut sunt et erant ante presens contractum celebratum. Item acto etc. — ad cautellam quod si aliqua oriretur lis causa seu questio aut differentia de contentis in presenti instrumento et dependentibus ab eo quod Magnifici domini Protectores comperarum Sancti Georgii qui nunc sunt et pro tempore erunt intelligantur et sint ac esse debeant magistratus competens et quod illustrissima dominatio prefate Reipublice nec alius quivis Magistratus quocumque nomine appelletur quacumque jurisdictione dignitatis perfulgeat non possit nec debeat quovis modo se intromittere nec super predictis aliquam jurisditionem habere. Imo intelligatur et sit illi expresse derrogatum et expresse translata in prefatos magnifi cos dominos Protectores dictarum Comperarum qui nunc sunt et pro tempore erunt sive Agentes pro dictis Comperis quia ita expresse actum et conventum fuit inter ipsas partes. Que omnia et singula supra et infra scripta dicte partes sibi invicem et vicissim promisserunt attendere et observare et contra in aliquo non facere dicere vel venire aliqua ratione occasione vel causa que dici vel excogitari possit. Sub pena dupli totius eius in et seu de quo contrafieret vel ut supra non observaretur in tantum taxata de partium voluntate et ex nunc aplicata parti observanti pro suo justo danno et interesse. Ratis nihilominus in omnem casum firmis semper manentibus omnibus et singulis suprascriptis. — 3io — Et pro inde dicte partes altera videlicet alteri obligaverunt omnia et singula eorum bona presentia et futura. Iurantes ad Sancta Dei evangelia tactis corporaliter scripturis predicta omnia et singula penitus observare et contra ea aut aliquod predictorum aliquid non facere vel venire quomodocumque et qualicircumque aut pro quavis ratione occa-xione vel causa etiamsi foret justa. Actum janue in palacio prefate excelse Reipublice genuen-sis in ea videlicet aula in qua Illustrissima Dominatio habitare et residere solet anno dominice nativitatis millesimo quingentesimo trigesimo indictione secunda secundum janue cur sum die vero Veneris decima octava februarji hora decima octava presentibus testibus Excelsis et nobilibus laurentio Ittaliano de garibaldo et Francisco de nigrono Pasqua notarjis et prefate Reipublice Cancellarjis nec non Nobili Iacobo Imperiali de terrili dictarum comperarum Cancellario ad pre missa Vocatis specialiter et rogatis. (C°) Ambrosius Gentillis de Senarega Notarius prefate excelse Reipublice Ge-nuensis Cancellarius. Contractus Anni de 1539. 23 Decembris. In nomine domini Àmen. Cum verum sit prout etiam confitentur infrascripte partes quod inter agentes pro excelso Comuni seu Reipublica Genuensi ex una parte, et Agentes pro Comperis Sancti Georgii prefati Comunis seu Reipublice genuensis et earum participes et agentes pro eis ex parte altera, diversis temporibus fuerint facte et causate plures et diverse obligaciones. et tam pro mutuis pecuniarum proven tuum locorum quam pagarum quam pro assignationibus Ca bellarum drictuum et devetorum caratorum salis, translacioms civitatis et locorum quam aliis multis et diversis de causis quemadmodum et pro ut constat pluribus instrumentis causis et occasionibus predictis, et dependentibus ab eis inter ipsas partes celebratis et quelibet ipsarum partium pretenderet se creditricem pro diversis et notabilibus summis et possent hinc — 3ii — inde oriri diverse lites cause questiones et controversie et propterea volentes ipse partes a dictis litibus et controversiis discedere ac pro bono et utili tam parte Reipublice quam ipsarum comperarum fuerint hinc inde ellecti plures et prestantes cives et ultimate deputati pro parte prefate Reipublice Magnifici Prestantissimique D. Bernardus justinianus q.m Bapti-ste. loannes Baptista de Auria q.m Augustini et Ioannes Baptista lercarius q.m dominici ex gremio seu collegio procuratorum prefate Reipublice. Pro parte vero agentium pro dictis comperis Mag.cus Dominus Leonardus Cattaneus q.m Angeli, Martinus justinianus de Monyardino et Iulianus Sauli q.m petri qui per plurimos menses, ac cum maximis laboribus et dilligentia reviderunt dicta instrumenta et contractus facta et celebratos inter ipsas partes, ac libros et cartullaria ipsarum partium et cuiuslibet earum respecti ve et presertim instrumenta et Contractus facta et celebratos inter partes pre-dictas anni de MDXIII - MDXIIII - MDXVim. - MDXXVI. -MDXXX. - MDXXXI. - ac imposiciones Cabellarum Introytuum Devetorum additionum salsarum et locorum impositarum et impositorum ac additarum. Et viso omni debito dicte excelse Reipublice erga dictas Comperas factis diligentissime calculis inter ipsas partes et visis et consideratis omnibus predictis. ac calculatis calculandis et compensatis hinc inde compensandis, et demum facta diligenti solidacione inter ipsas partes omnium predictorum. Et propterea Illustrissimus et Magnifici Dominus Dux. Gubernatores et Procuratores prefate excelse Reipublice Genuensis quorum qui interfuerunt nomina sunt hec: Ill.mus. Dominus Andrea Iustinianus q. b. Dux. Mag.cus D. Benedictus de Nigro q. F. Mag.cus D. Baptista Lomellinus q. Stephani Mag.cus D. Petrus Iohannes Cibo Clavica Mag.eus D. Damianus Pallavicinus Mag.cus D. Hieronimus Italianus de Passaggio / Gubernatores Mag.cus D. Plieronimus de Vivai dis de Axereto 1 Mag.cHs D. Antonius de Furnarjis q. Oberti l Mag.cus D. Hector de Flisco — 312 — Procuratores vero Mag.cus D. Thomas de Auria q. Iohannis Mag.cus D. Paris Gentilis Mag.cus D. Andreas Centurionus Petrasancta Mag.cus D. Bernardus Iustinianus q. Bapte Mag.cus D. Laurentius Calvus Bellogius Mag.cus D. Iohannes Baptista de Auria Mag.cus D. Ioannes Baptista Lercarius q. Dominici absentibus tantummodo Mag.co Domino Nigro Christofforo de Grimaldis Rubeo, et Augustinus Ususmaris de Sancto Salvatore agentes nomihibus et vice prefate excelse Reipublice habentes ad infrascripta amplam potestatem et bailiam vigore et ex forma magni consilii quadringentorum Civium celebrati in palacio, cuius tenor talis est. et sequitur ut infra: MDXXXVIII. die XIIII. Decembris Cum ad conspectum 111.mi domini Ducis Mag.colum D.norum Gubernatorum et Procuratorum vocatum fuisset maius quadringentorum Consilium adessentque ex eo computatis prefatis 111.mo et Magnificis Cives tricenti sex preposita fuerunt illis verba infrascripta : Una gran parte de voi altri Signori doveria esser stata presente in San Giorgio a li passati giorni dove se propose la necessità de saldare li conti tra la Republica nostra e a-genti per esse Compere nel qual loco fu anche deliberato fare lo officio come cosa di molta importancia atribuito le balie secondo il lor costume alli officii per la executione di questo. E perchè poco giovarebbe che li agenti per esse compere havesseron bailia quando per parte della Repubblica non fossi fatto il medesimo conoscendo noi quella medesima necessità che una volta si saldino questi benedetti conti con essi Agenti per le compere che è stata conosciuta e indicata dai participi di quella acciocché una volta manchino le pretensioni hinc inde e che si resti sul chiaro è parso per questo congregarvi qui e notificarvi come facciamo la necessita — 313 — di far questo saldo, e la utilità che resulterà a tutta la città e particolarmente alle dette compere il quale sera in effetto grande. E acciocché in consequentia di questo vi piaccia eleggere e deputare quelli che vi occorreranno a far 1’ effetto con possanza di saldare assignare prender ogni compositione con li agenti per le dette Compere darli in pagamento ogni e qualunque cosa delle già assignate e permesso alle dette Co?npere che giudicasseron convenire a questo saldo e compositione con che però non si possa imponere nova gravezza ne alcun novo carrico di quello che al presente si scode e che con questa tal conditione se intendano colloro che have-rano il carrico haver nel resto tutta quella bailia che ha la Republica per fare et exequire quel che si è detto di sopra e questo accioche una volta si tronchino tutte. le pendentie con le dette compere, la qual cosa fornita del tutto parturirà quiete reputacione et utilità universale. Quod quidem Themate lecto per me Cancellarium infra-scriptum alta et intelligibili voce cumplures cives vocati sint et primus quidem jussus suam sententiam dicere super predictis fuit vir nobilis Augustinus Lomelinus q.m A. qui in hec verba loquutus fuit el Nobile Mag.co Augustino Lomelino q.m A. primo requesto etc. e poso diverse e prudente ragioni per lei adutte a confirmation de la necessità che lui conosce in far quello che si contiene per la posta e che lui ha sempre conosciuto necessarissimo. Ha detto esser de sententia che a ogni modo se vegna a questo benedetto saldo e far quello che si contiene in la posta, et che la cura et execution de questo sia attributa allo Ill.mo Sig. Duce Mag.ci Governatori e Procuratori al quale se intenda conferto tutta quella possanza et auctorità per le cose dette de sopra, detta e narrata per la posta e in tutto come in quella si contiene. Super qua quidem Sententia cum dati fuissent calculi et recolecti inventique essent ducentum quadraginta duo albi, nigri vero sexaginta quatuor sententiam dicti domini Augustini comprobata fuit ac habita et ita habetur pro decreto. Ex una parte et Magnifici domini Protectores comperarum — 3H — Sancti Georgii anni presentis de MDXXXVIIII ac spectabilia Officia annorum proxime precedentium de MDXXXVIH et MCCCCXXXXIIII. quorum qui interfuerunt hec sunt nomina. Officium Sancti Georgii anni de MDXXXVIIII. Mag.cus D. Iacobus de Grimaldis Prior Mag.cus D. Leonardus Cattaneus q. A. Mag.cus D. Paulus Spinula q.m O. Mag.cus D. Lucas Lomelinus de Clavaro. Mag.cus D. Vincentius Ususmaris de Mayolo Mag.cus D. Stephanus de Nigro Pasqua. Mag.cus D. Paris Pinellus subrogatus loco Io: Bapte. Lercan q. S. Absente solummodo Paulo Bapta Calvo judice. Offitium Sancti Georgii anni de MDXXXVIH- D. Vincentius Sauli q. B. Nicolaus Grillo de Mandello Augustinus Salvaigus q.m Ieronimi Matheus Fliscus Truchus Martinus Iustinianus de Monyardino Vincentius Pallavicinus Andreas Imperialis Paulus de Auria q.m Io: bapte. Offitium Sancti Georgii de MCCCCXXXXIIII. Dominicus Calvus Ioannes de Grimaldis Duratius. Petrus de Nigrono Simon Cibo de Reco. Nicolaus de franchis q.m Enrici Benedictus Centurionus q.m Luciani Ioannes bapta Lomelinus q.m Ansaldi Iullianus Sauli q.m Petri. Agentes nomine et vice dictarum Comperarum et parti cipum ipsarum habentes ad predicta et infrascripta per agen dam amplam potestatem et bailiam a magno Consilio parti cipum comperarum cuius tenor talis et sequitur ut infra. — 3^5 — Mdxxxviiii die xxiii Septembris Signori se vi fa noticia per parte de noi protectori de le presente come per la indisposition del Magnifico Messer Ansaldo de Grimaldo e de la morte del Mag.co meser Baptista Spinola non si è potuto per la balia a noi data metter a fine li negocii delle compere con la Illustrissima Signoria o com-mun nostro dentro da doi mesi a noi statuiti. Per la qualcosa non sarebbe più in nostra possanza fare quello saria de be-sogno in le predette cose le quali indichemo seria necessario terminare siandosi travagliato tanto e circa apontato tutto. Per la qual cosa vi piacerà ordinare come se habiamo da contener per la execucion del negocio. Qua lecta admoniti fuerunt omnes astantes ut si quis aliqua bene sentiret et vellet aliquid dicere libenter audiretur si minus vocarentur, cuius participes juxta solitum et sic nemine assurgente vocatis nonnullis particibus suam sententiam dicere Spectabilis D.nus Ieronimus de Furnarjs primus vocatus assurgens ita locutus est sibi dolere de morte et infirmitate prefatorum Magnificorum maxime propter dillacionem dictarum solidationum, et judicare bonum esse dare baliam dictis prefactis Mag.cis D.nis Protectoribus et spectabilibus officiis annorum proxime precedentis de mdxxxviii et MDXXXXim faciendi ea que facere poterant virtute precedentis Consilii et in omnibus et per omnia in ipsam baliam continetur ex proxime precedenti consilio ex omnibus et singulis propositis et contentis in aliam proposicionem proxime precedentis duratura per totum presentem annum. Illud idem affirmantes reliqui omnes vocatis quibus auditis per Magnificum D.num Priorem dictum fuit si quis aliquid aliud dicere vellet assurgere et dicere quia libenter audiretur. Si minus darentur calculi et finis poneretur Consilio, et nemine assurgente vocatis partibus.....et datis calculis in urnam iniectis repertis ducentis nonaginta uno affirmativis et duodecim nigris repro-bativis sententiam dicti spectabilis domini Ieronymi pro decreto habita est. Et cuius quidem Prioris Consilij et bailie tenor talis est et sequitur ut infra : V f* — 3i6 — MDXXXVIIII die xi Iulij Signori siete stati chiamati per farve notitia de quello che g'ià è publico esser revisto dilligentemente lo stato della caza e tutti li computi e ragion fra le compere comune ^et Republica nostra e li tre officii per voi l’anno passato deputè sopra tal negocio esser restati de accordio con li agionti della Republica nostra dentro allo tempo a loro statuito de quanto se debbi fare per pagare quitarse et estinguerse ogni ragion e pretension che havessi lo Comune o excelsa Republica contra queste Compere e transferi in le Compere ogni ragion e action che havessero in qual se voglia pegno et qualsivoglia imposition o concession che fossero a governo de queste Compere non siandosi possute fare le scripture opportune per li travagli occorsi per acautellar bene queste Compere judicando noi essere non solamente a bon proposito , ma necessario per la ultimacion de tal negocio dar balia a persone che possino concludere hinc inde acceptare dare et compire tutto quello e quanto sarà bisogno per la composition in effetto presa in osservation et execution de quello si è convenuto e sotto quelli modi e forme e cautelle, con condition che parerà a quelli a chi sarà data bajlia. Per la qual cosa vi piacerà dare balia se potessi fare in tutto come se è detto di sopra et ordinare quanto vi para expediente che facciamo. Qua lecta per dictum Mag.cum Dominum Priorem requisitum si quis aliqua dicere vellet libenter audiretur et nemine assurgente vocato primo spectabili Domino Ioanne Baptista Cattaneo Lazania ut suam opinionem et sententiam diceret. Qui primus assurgens ita locutus est nonquam audivisse aliquam propositam in ipso, loco tantum sibi gratam et tantum comperis profiquam quam suprascriptam et quod postquam Dominus noster Iesus Christus a quo cuncta bona procedunt taliter operatus est et aperuit occulos civium tam in detegendo illas personas que conabantur evertere presentes comperas in maximum tantarum operum piarum in damnum or-phanorum et viduarum detrimentum et providendo simillibus ■ — 3i7 — enominibus quam in dilucidando omnia cum excelso Communi et Republica genuensi sine qua compere restarent in magna confusione scripturarum et pretentionum quod deus non permittat si sub alio regimine civitas esset vel veniret et praedicta non solidarentur male esset consultum multis aliis rationibus adducetis suam Sententiam esse dixit gaudendum esse opportunitatem presentem dandam esse potestatem facultatem et baliam totalem amplam et largam Mag.cis D.nis Protectoribus Comperarum Sancti Georgii anni presentis Spectabilibus officiis Sancti Georgii anni proxime precedentis de mdxxxviii. et de MCCCCXXXXim faciendi ea omnia et singula contenta in proposita suprascripta infra menses duos proxime venturos et ceteri alij plures vocati in unam sententiam predictam convenerunt exinde datis calculis in urna projectis repertis tricentis quinque albis affirmativis et qua-tuordecim nigris reprobativis pro decreto habita est. Ex parte altera habentes noticiam de omnibus et singulis predictis et considerantes quam utile et honestum sit inter ipsas partes amputàre lites causas et questiones considerato presertim quod agentes pro prefacta Republica semper pro posse procuraverunt utile et beneficium dictarum Comperarum prout tenentur et agentes pro dictis Comperis semper agentes pro prefata Republica tamquam parentes habuerunt in summo honore et veneratione et tamquam matrem et caput. Et propterea ex omni potestate auctoritate et balia ipsis partibus et cuilibet earum attributa et competenti tam co-njunctim quam divisim etc. et omni meliori modo jure via et forma quibus melius et validius de jure dici fieri et esse potest. sponte etc. pervenerunt ac pervenisse ad invicem et vicissim confersi fuerunt et confitentur ad infrascripta pacta transaciones compositiones conventiones et alia de quibus infra solemnibus stipulationibus hinc inde intervenientibus ac vaiata et valatas. Renunciantes etc. — et quia ex causa dictorum pactorum compositionis transactionis et aliorum de quibus supra et infra ad cautellam quatenus expediat prefati Ill.mus D.nus Dux Magnifici D.ni Gubernatores et Procuratores dictis nominibus confirmaverunt approbaverunt et ratificaverunt, et quatenus expediat de novo dederunt concesserunt et assignaverunt dant concedunt et assig'nant prefatis Mag.cis Dominis Protectoribus et officiis dictis nominibus et ad cautellam mihi notario et Cancellario infrascripto tamquam persone publice et officio publico presentibus acceptantibus et stipulantibus nomine et vice dictarum comperarum Sancti Georgii ac parti-cipum earum omnes et singulos caratos maris. Comerchia ca-bellas et conductas salis emolumenta jura et alia quecumque ipsi sali spectantia et pertinentia et ab eo procedentia quomodocumque et qualitercumque, et pariter omnes et singulas cabe lias, introytus. drictus salsas et additiones nc deveta quibusvis temporibus impositas ac imposita, ac assignatas et assignata prefactis comperis Sancti Georgii sive agentibus pro eis. Ac impositionem quorumcumque locorum quibusvis temporibus impositorum tamquam juste et legiptime assignatas assignata et imposita non obstantibus quibuscumque in contrarium facientibus et que dici vel allegari possent et si essent talia de quibus opporteret facere mentionem magis specialem et ad cautellam et in specie approbaverunt et approbant additiones factas per Mag.cos Dominos Protectores Comperarum Sancti Georgii sive Agentes pro dictis Comperis cabellis. et devetis. Oleorum granorum et rippe grosse quamvis de dictis additionibus et imposicionibus earum non appareret scriptura comprehensis etiam illis cabellis et additionibus introytibus drictibus et devetis que pro caucione ypoteca seu pignore date et assignate videntur prefactis comperis sive agentibus pro eis. et presertim additionem soldorum quinque pro quolibet loco pro qualibet parte factam cabelle censane locorum ultimo loco. Additionem factam cabelle et introytui Calcine de soldis septem cum dimidio pro quolibet modio et drictum denariorum trium pro qualibet bestia in ea incorporatum. Additiones duplicationes et triplicationes factas diversis temporibus introytui et cabelle carnium recentium. — 319 — Di ictum unum unius pro centanario generaliter impositum anno de mdxxxvi die xxm decembris manu mei Ambrosii Gentilis de Senarega Cancellarji. Additionem de soldis quinque pro centenario librarum factarum introytui sive Cabelle rippe grosse ultimo loco factam per agentes pro dictis comperis. Salsam seu additionem de tribus pro centenario impositam super diversis cabellis et introytibus ac drictibus vigore publici instrumenti manu mei Ambrosii de Senarega Cancellarji anno de MDxxm. die xxim. martii. Additiones quascumque factas et impositas deveto seu Cabelle vini diversis temporibus sub modis et formis in dictis additionibus contentis, nec non etiam omnes et singulas salsas et additiones quibusvis temporibus quomodolibet factas quibusvis cabellis introytibus sive devetis que et quas etiam dederunt et dant in solutum prefactis D.nis Protectoribus et officiis ac mihi notario et Cancellario infrascripto ut supra stipulantibus et causis et occasionibus contentis in instrumentis antea cellebratis ac contentorum in presenti instrumento et quas et que in perpetuum ac jure proprio assignaverunt trad-diderunt traddunt et assignant prefactis comperis sive agentibus pro eis causis et occasionibus in dictis instrumentis contentis et expressis ac etiam causa et occasione in presenti instrumento contentorum. Salvis tamen cabellis inferius spe-cificandis sub modis et formis de quibus infra. Acto etc. — et expresse declarato quod pro cabellis et seu devetis granorum computatis quibuscumque additionibus factis dictis Cabellis seu devetis. et tam per agentes pro excelso communi seu excelsa Republica genuensi quam per agentes pro Comperis Sancti Georgii non exigatur nec exigTpossit de cetero nisi ad rationem soldorum duodecim januinorum monete currentis pro singula mina grani mensure janue et pa-rimodo respective exigatur pro aliis quibuscumque obligatis ex venditione reformatione et institucione dictarum Cabellarum seu devetorum grani ad ratam et pro concurrenti quantitate respectu pluris et minoris quantitatis secundum quod per venditiones ipsarum exigi debet. Acto etc. — quod respectu Cabelle seu deveti oleorum olivarum que in civitate janue et a capite montis usque Co-goletum inclusive et a jugo usque ad mare tantum computatis quibuscumque salsis et additionibus factis dicte cabelle seu deveto tam per agentes pro Excelsa Republica quam per agentes pro dictis Comperis Sancti georgii exigatur et exigi possit et debeat de introytu ad ratione soldorum octo et denariorum duorum januinorum monete currentis pro quolibet barile mensure janue. Et pro vendia seu emptione ad rationem librarum unius et soldorum trium januinorum dicte monete currentis pro singulo barrile mensure predicte sub privilegiis modis et formis contentis in reformationibus factis de dicto deveto anni de MDXXVI declarato quod ultra dictos limites superius expressos jura competentia dictis Comperis Sancti Georgii pro exatione dicte cabelle seu deveti remaneant integra et illesa, ac in illi statu et gradu pro ut erant ante reformationem factam dicto anno de mdxx\ r. Acto etiam pacto et expresso declarato quia respectu dicti introytus dicte Cabelle seu deveti oleorum exigantur pro introytu denarji novem et pro vendia seu emptione exiguntur denarji decemocto in dictis summis computatis causa et occasione unius drictus unius pro centanario generalis de quo inferius dicetur quod facta satisfactione comperis Sancti Georgii pro omnibus hiis pro quibus dictus drictus est obligatus dictis comperis eo casu ex dictis summis respective diminuantur ac minus exigi debeant per Agentes pro dictis Comperis dicti denarji novem et dicti denarji decem et octo respective. Acto et declarato quod pro hiis que ex dictis devetis seu cabellis tam granorum quam oleorum spectaret seu quovis modo spectare posset prefacto Communi seu excelse Reipublice genuensi sive agentibus pro eis et seu quod ex ipsis cabellis seu devetis solvendum esset 111.mo Duci et Capitaneo triremium custodie vigore contentorum in instrumento rogato anno mdxxvi. die vi Februarji manu mei Ambrosji de Se-narega notarji et Cancellarji et seu reformationis facte dicto anno die XXX januarji seu alio quovis modo agentes pro dictis Comperis Sancti Geergii non intelligantur habere nec habeant — 321 — aliquam obligacionem agentibus pro prefato Comuni seu Republica Genuensi, nec dicto domino Duci et Capitaneo sed dicte Cabelle et deveti integre et in totum intelligantur spedare dictis Comperis Sancti Georgii sive agentibus pro eis predictis non obstantibus modis et formis respectu cabelle seu deveti oleorum superius expressis. Insuper prefacti Ill.mus D.nus Dux Mag.ei D.ni Gubernatores et 1’rocuratores dictis nominibus omni meliori modo etc. In solutum et pro soluto attentis predictis et infrascriptis et in presenti instrumento contentis dederunt tradiderunt et assignaverunt prefactis D.nis Protectoribus et Offitiis ac mihi jam dicto notario et Cancellario infrascripto stipulantibus acceptantibus et recipientibus nomine et vice dictarum Comperarum Sancti Georgii et earum participum salvis infrascriptis omnia et singula loca cum suis pagis juribus et proventibus ac florenis lapidum seu Collonarum lapidum quibus dabatur florenus comprehensis etiam locis sex millibus ducentibus dictarum Comperarum Sancti Georgii alias dimissis pro arbore et de quibus omnibus et singulis fit mentio in contractibus annorum de MDXlli. MDXIIII. MDXVtm. et MDXXVT. celebratis inter agentes pro excelso Communi seu Reipublice Genuensis ex una parte et agentes pro Comperis Santi Georgii ex altera et de quibus columnis lapidum fit mentio in libro lapidum dicti spectati officii S.u Georgii de xxxxiii. cui habeatur relatio, et que columne quibus dabatur florenus sunt numero viginti quinque et de quibus locis exclusis dictis locis sex millibus ducentis dimissis pro arbore antea facta fuerat dactio in solutum agentibus pro dictis Comperis per agentes pro dicto Communi sive Republica genuensi pro concurrenti quantitate totidem locorum dictarum Comperarum dictis Comperis debitorum per dictum Commune, et que omnia loca cum dicto floreno ac suis pagis et proventibus multiplicentur, et multiplicari debeant per agentes pro Comperis usque ad et per totum annum proxime venturum de MDXXXX. inclusive quo tempore dicta loca cum suis multiplicis ascendent ad eam summam locorum ad quam ascendere debeant ex forma verborum contentorum sub dictis Columnis et finito dicto anno AU i Socit! Ligure Storia Patria. Voi. XXXV, P. II. 23 de MDXXXX. dicta omnia loca cum suis multiplicationibus pagis et proventibus ac floreno ut supra intelligantur spectare et in totum spectent dictis Comperis et participibus earum et per agentes pro dictis comperis possint et valeant libere describi ac de eis disponi tamquam de re propria et in dictas comperas ac earum participes ex causis predictis et infrascriptis transtulerunt et mandaverunt ac transferunt et mandant omnia et singula jura rationes et actiones etc. ipsi Ill.mo D.no Duci Gubernatoribus et procuratoribus dictis nominibus competentia et competentes nihil juris pro predictis in ipsis dictis nominibus retenti. Ita ut dictis juribus etc. Constituentes etc. Promittentes etc. Insuper ad effectum et ut conservetur memoria eorum qui dicta loca de quibus in dicto libro lapidum fit mentio et ut alii invitentur ad beneficium Reipublice et exonerationem onerum ipsius Reipublice actum et conventum fuit quod loca quingenta quinquaginta dictarum Comperarum ex dictis locis collonarum lapidum de quibus supra cum suis paghis et proventibus anni de MDXXXXI et venturorum dimittantur et remaneant sine tamen floreno in rationibus et columnis numero decem novem singularium personarum nam relique sex facientes complementum numeri dictarum Columnarum viginti-quinque de quibus supra in totum extingui debent respective eorum supra quibus dicta loca scripta reperiuntur ad ratam numeri locorum per eos dimissorum tempore eorum prime institucionis pro concurrenti quantitate juxta declarationem Agentium pro dictis comperis cum verbis scriptis sub columnis dictorum locorum respective que multiplicentur sine floreno per agentes pro dictis comperis in omnibus pro ut ex verbis sub columnis ipsorum locorum continentur refferendo singula singulis. Item acto et declarato quod alia loca quecumque tam lapidum quam non scripta super quemvis in cartulariis comperarum predictarum ad exdebitacionem seu exoneracione dictarum comperarum et cabellarum ipsis comperis spectantium et pro quibusvis publicis operibus exclusis semper et reservatis dictis — 323 — locis lapidum columnarum viginti quinque de quibus supra scriptis in dicto Cartulario lapidum de quibus supra. Salvis semper omnibus et singulis que superius dicta sunt de dictis locis quingentis quinquaginta dictorum locorum lapidum dimissis ad multiplicandum ut supra sine floreno et cum aliis mille adendi ex decimis de quibus infra. Ac sub obligacio-nibus ac modis et formis de quibus supra et infra remaneant et sint in illis statu et gradu ac viridi observantia cum obligationibus et ordinationibus scriptis sub columna dictorum locorum respective que observari debeant pro ut nunc sunt et erant ante presens instrumentum celebratum quibus non intelligatur nec sit in aliquo novatum nec prejudicatum. Acto etiam et declarato quod si adessent in Cartularjis dictarum Comperarum aliqua loca scripta pro exdebitacione aliquarum comperarum introytuum seu devetorum causa et occasione caudarum vel alia ratione quod dicta loca cum suis paghis et proventibus tam praeteritis quam futuris facere debeant suum cursum et effectum pro ut scripta et destinata fuerunt. Preterea prefati Ill.mus D.nus Dux Magnifici domini Gubernatores et procuratores dictis nominibus attentis predictis et infrascriptis et aliis justis rationibus moti quatenus ipsis dictis nominibus posset competere justam pro temporibus pre-teritis quam futuris habendi seu percipiendi florenum ex locis seu aliquibus locis seu paghis seu proventibus quorumcumque locorum dictarum comperarum et sic ex quibuscumque florenis per ipsum Commune et seu agentes pro Excelsa Republica quandocumque assignatis quibusvis locis lapidum et alienatis in quem vel quosvis quovis modo et quavis de causa quita-verunt et liberaverunt ac quitant et liberant prefatos dominos Protectores et officia ac me notarium et Cancellarium infra-scriptum ut supra stipulantes et recipientes nomine et vice dictarum Comperarum et participum earum a dicto floreno seu jure percipiendi ipsum florenum ex ipsis locis seu paghis et proventibus ipsorum locorum dictarum comperarum comprehensis etiam dictis locis sex millibus ducentis alias ut superius dictum fuit dimissis pro arbore tam pro temporibus — 324 — preteritis quam pro futuris et hoc per aquilianam stipulacio-nem procedentem et aceptilacionem subsequentem verbis so-lemnibus introductas. Transferentes ad cautellam in dictas comperas et earum participes sive agentes pro eis omnia et singula jura ipsis dictis nominibus competentia et si que sibi dictis nominibus competunt pro dicto floreno omnium dictorum locorum et pagarum seu proventuum ipsarum tam temporibus preteritis quam futuris nullo jure pro predictis in ipsis dictis nominibus retento. Ita ut dictis juribus etc. Constituentes etc Promittentes etc. Insuper ultra predicta attentis predictis et infrascriptis in solutum et pro soluto et pro contentis in presenti instrumento dederunt et tradiderunt prefactis Protectoribus et offitiis et mihi jam dicto et infrascripto notario et cancellario infrascripto stipulantibus etc. — loca centum sexaginta dictarum Comperarum scripta in Cartulario P. super Ill.mum D.num Ducem Mag.cos Dominos Gubernatores et procuratores predictos. Et loca sexaginta scripta super Anfreonum Ususmaris — Stepha-num Iustinianum — Franciscum de Auria q.m Andree et Baptistam Bottum deputatos nomine excelsi Communis janue in Cartulario M. — Ac loca quinquaginta duo et libre LXXXXIII. et denarii XVIIII. et alterius loci scripta in Cartulario B. super offitium Tuneti Alexandri Sauli et sociorum que omnia loca predicta cum omnibus suis paghis et proventibus tam annorum preteritorum quam presentium et futurorum intelligantur spectare et spectent jure proprio dictis comperis et earum participibus sive agentibus pro eis libere et pleno jure et de eis possint facere et disponere pro eorum libito et voluntate non obstantibus quibuscumque verbis et obligationibus sub dictis columnis et qualibet earum scriptis cedentes et transferentes in dictas comperas et agentes pro eis omnia et singula jura etc. in forma. Acto et declarato quod prefacti Dominus Dux Gubernatores et procuratores dictis nominibus teneantur et obligati sint et ita promiserunt et promittunt agentibus pro dictis Comperis facere et curare realiter et cum effectu ac manute-nere quod dicta loca quinquaginta duo et libre Lxxxxni et denarji xvim. alterius loci scripta super Officium Tuneti ut supra cum quibusvis proventibus tam preteritis presentibus et quam futuris libere et pleno jure spectant et spectabunt dictis comperis et agentibus pro eis et eos deffendere etc. — et omnem litem in se suscipere etc. Remissa etc. Et casu quo dicta loca quinquaginta duo et libre Lxxxxni denarji xvim. et cum suis paghis et proventibus predictis libere non remanerent agentibus pro dictis Comperis in totum seu pro ea parte que libere non remanerent dictis Comperis possint et valeant agentes pro dictis Comperis describere tot loca dictarum comperarum cum suis pagis et proventibus ex dictis locis quingentis quinquaginta cum suis multiplicis dimittendis ut supra in rationibus et collumnis dictorum locorum lapidum de quibus supra ex quibus remaneat integre satisfactum dictis comperis pro predictis absque licentia agentium pro excelso Communi et seu excelsa Republica genuensi et sive agentibus pro ea et ita scribatur sub columnis dictorum locorum quingentorum quinquaginta de quibus supra ita tamen quod specialis obligatio non derroget generali nec e converso. Insuper quia ultra predicta et infrascripta agentes pro excelso Communi sive excelsa Republica genuensi etiam fuerunt et sunt debitores dictarum Comperarum Sancti georgii de locis mille quingentis et propterea consideratis et debite considerandis actum et conventum fuit inter dictas partes dictis nominibus quod ex quibuscumque mutuis et accomodationibus de cetero faciendis quavis de causa quantumcumque necessaria nulla exclusa agentibus pro excelso Communi seu Republica Genuensi per agentes pro Comperis Sancti Georgii possint et debeant agentes pro dictis Comperis habere et in se retinere decimam partem omnium dictorum mutuorum seu accommandationum de cetero quomodocumque et ex quavis de causa faciendorum usque quo habeatur summa locorum mille qningentorum dictarum Comperarum ex quibus locis — 326 — mille quingentis cum suis pagis et proventibus scribantur et scribi debeant per agentes pro dictis Comperis in rationibus et columnis dictorum locorum lapidum numero quingentorum quinquaginta dimittendorum pro memoria ut supra ex primis locis procedentis ex dicta decima loca mille cum verbis respective ac sub modis et formis sub quibus debent remanere dicta loca quingenta quinquaginta ut supra dictum fuit pro ut in dies ex dictis decimis percipi continget. Reliqua vero loca quingenta percipienda ex dictis decimis ut supra intelligantur spectare et pertinere ac libere spectent et pertineant dictis Comperis et participibus earum occasione solucionis dicti crediti ut supra. Acto etc. quod agentes pro dictis comperis intelligantur et sint quitati et liberati et ita prefacti D.nus Dux Gubernatores et Procuratores dictis nominibus quitaverunt et liberaverunt dictas Comperas et eorum participes sive agentes pro eis ab omni eo et toto quod ab eis potuisset seu in futurum peti seu petendi posset quomodolibet per agentes pro Comuni seu Excelsa Republica Genuensi ex eo quod agentes pro dictis Comperis non exposuissent seu convertissent supraplus quod exactum seu processum fuisset ex aliquo introjtu ca-bella aditione drictu devetu seu salsa quod debuisset multiplicari et seu poni ad exdebitacionem dictarum Cabellarum et introjtuum drictuum et devetorum quorumvis pro ut fieri debebat ex forma contractuum super inde celebratorum pro quibusvis summis seu multiplicibus et tam pro temporibus preteritis quam futuris. Insuper quia Agentes pro Excelsa Republica genuensi debitores sunt dictarum comperarum causa et occasione suspensionis trajectorum facte pro annis quinque inceptis anno de MDXXXVIII. die li. Februarji de libris sexdecim millibus quingentis pagarum Sancti Georgii annorum de MDXXXVin. usque in mdxxxxii. inclusive pro resto de libris viginti septem millibus quingentis pagarum Sancti Georgii dictorum annorum de MDXXXVIII. usque MDXXXXII. inclusive. Et propterea actum fuit inter ipsas partes dictis nominibus pro satisfactione dictarum librarum sexdecim millium quin- A — 327 — gentarum dictarum pagarum quod agentes pro dictis comperis possint et valeant ac debeant habere accipere et seu in se retinere proventus locorum tricentorum columne q.m Domini Luciani de grimaldis annorum de MDXXXVIII. MDXXXVIIII. MDXXXX. MDXXXXi. et MDXXXXll. infra solucionem dictarum librarum sexdecim millium quingentarum dictarum pagarum pro concurrenti quantitate et pro resto et complemento dictarum librarum sexdecim millium quingentarum dictarum pagarum agentes pro prefacta Republica teneantur assignare tot debitores agentibus pro dictis comperis drictus unius pro centanario Chii noviter impositus in Chio gratos et aproban-dos per agentes pro dictis Comperis et ita promisserunt et promittunt etc. — quibus debitoribus assignatis in omnibus ut supra intelligantur agentes pro excelsa prefacta Republica quitati et absoluti pro tota dicta summa librarum viginti septem millium quingentarum de quibus supra. Et casu quo agentes pro dicta Republica intra annum unum proxime venturum non darent dictos debitores gratos et in contentamento ut supra teneantur solvere agentibus pro dictis comperis dictum restum dictarum librarum sexdecim millium quingentarum dictarum pagarum de quibus supra et pro cauptione dictarum comperarum retinere possint in se tot loca ex summa locorum trium millium quingentorum de quibus infra quot sufficient pro satisfactione residui debiti pro dictis trayectis. Insuper quia agentes pro prefacta excelsa Republica Genuensi in se ipsos acceperunt cabellam calcine cum pedagieto in ea incorporato denariorum trium pro qualibet bestia ab anno de mdxxxvi. citra ipso anno comprehenso. Propterea actum et conventum fuit quod agentes pro prefacta Republica teneantur et obligati sint et ita promisserunt et promittunt solvere agentibus pro dictis comperis constent (sic) ipsius cabelle dictorum annorum ad rationem librarum duarum millium tri-centarum nonaginta trium pro singulo dictorum annorum pagarum cuiuslibet anni et pro eo pro restante ad solvendum et pro tempore futuro cautum facere et promittere et solvere ad rationem predictarum pro eo tempore quo de cetero dictam cabellam in se retinuerint. — 3-8 — Acto etc. quod respectu librarum centum pagarum cuiuslibet anni respective solvendarum pro immunitate concessa D.no Antonio Guasco eiusque filiis heredibus et successoribus pro eo tempore quo habitaverint in civitate janue quod agentes pro prefacta Republica januensi debeant satisfacere agentibus pro dictis Comperis dicfas libras centum pagarum pro tempore quo habitaverint in civitate janue juxta formam instrumenti facti anno de MDXXX. die XXVIIII. decembris. Et versa vice prefati Domini Protectores et officia dictis nominibus attentis predictis et infrascriptis promisserunt et promittunt prefactis 111.mo D.no Duci et Magnificis Dominis Gubernatoribus et procuratoribus et ad cautellam mihi notario et Cancellario infrascripto stipulantibus et recipientibus nomine et vice Excelse Reipublice Genuensis dare et scribi facere in cartularjis locorum dictarum Comperarum in ratione et columna prefatorum Domini Ducis, Gubernatorum et procuratorum prefate Reipublice loca tria millia quingenta dictarum Comperarum Sancti Georgii cum pagis et proventibus anni millesimi quingentesimi quadragesimi et venturorum ad eorum liberam voluntatem et simplicem requisicionem, cum obligatione quod ex eis seu processu eorum debeat fieri solutio et satisfactio per agentes pro prefata Republica creditoribus Comperule panis de scutis duodecim millibus incirca de quibus restant creditores in cartulario dicte comperule scripte manu Laurentii de Vivaldis de Issalto notarji. Item promisserunt agentes pro dictis Comperis dari et scribi facere super officium Sancti Georgii ratio caude exde-bitacionis Cabellarum et deveti granorum loca quadringenta dictarum Comperarum cum proventibus anni predicti de mdxxxx proxime sequentis et venturorum. Item loca centum vigintiquinque super offitium Sancti Georgii ratio caude exdebitacionis cabelle et aditionum carnium recentium cum proventibus predicti anni de MDXXXX et venturorum. Item loca quinquaginta super offitium Sancti Georgii ratio caude exdebitacionis cabelle censarie locorum et seu editionis soldorum quinque pro quolibet loco pro qualibet parte cum proventibus predictis de MDXXXX. et venturorum. — 3^9 — m loca viginti quinque super offitium Sancti georgii .Caude aditionis cabelle calcine soldorum septem cum dimmidio computato pedagieto denariorum trium pro qualibet bestia cum dictis proventibus de MDXXXX et venturorum. Jue loca quadringenta centum viginti quinque quinqua-0.nt pag. xxvii, 62, 125, 126, 127, 128, 174, 216. — Par. II, pag. 181. Boccardo. Par. II, pag. 118. Bologna. Pas. I, pag. 61, 167, 173, 175. — Par. II, pag. 28, 182. Bona mobilia. Par. I, pag. 99. Bona soma. Par. I, pag. 37. Bonfadio. Par. II, pag. xvi. Bongi Salv. Par. I, pag. 109 , 178. >' — Par. II, pag. 224. Bonifacio. Par. I, pag. 113, 215. — Par. II, pag, 123, 131. Bosco Bartolomeo. Par. II, pag. xx, 7, 24, 26, 27, 28, 30, 33 , 34, 35, 60, 6r, 79, 80, 82, 85, 210. Bosco (marchesi di). Par. I, pag. 5, 32- Bosforo. Par. I, pag. 186. — Par. II, pag. 120 129, 202. Boycott. Par. I, pag. 185. Braunschweig (V. Brunswik). Bresslau H. Par. I, pag. xx, 4, 15, - 32. Breve della Compagna. Par. I, pagina xix, 24, 25, 30, 36. Bruges. Par. I, pag. 79,151. — Par. II, hi, 134, 148. Briigge (Vedi Bruges). Bruggia (Vedi Bruges). Brunswick. Par. I, pag. 95, 152. Bruzzone M. Par. II, pag. 37, 118. Bucher. Par. I, pag. 184. Bucicaldo, maresciallo (Vedi Lemein-gre). Bugea. Par. I, pag. 17. y Burckhardt Par. I, pag. 96, 146, 193. > Burgum. Par. I, pag. 25, 41. Burnengo Raffaele. Par. II, pag. 10. ■ Busalla. Par. I, pag. 75, Busch. Par. II, pag. 262. Atti Società Ligure Storta Patria. Voi. XXXV, P. II. 26 — 37° — O Caffa e-Caftìoti. Par. I, pag. 8o, 151, 1S6, 1S7. — Par. II, pag. 3S , 41, 69, 70, 71, 74, So, 107, m, 123, 124, 125, 126, 127, 128, 129, 130, 134, 136, 166. > Caff'aro. Par. I, pag. xix, xxiv, 18, 20, 25, 27, 41, 42, 43, 47. Cagliari. Par. I, pag. 113. Cahn. Par. II, pag. 49 , 50, 51 , 78, 80. Calisto III papa. Par. II, pag. 107, 129, 132. Calvi. Par. I, pag. 215. — Par. II, pag. 123, 131, 132, 152, 172. Calvo. Par. II, pag. 132. Cambiali. Par. II, pag. 59, 60, 61, 62, 69, 7o, 71, 74, m, 116, 206, 252, 353- Camera degl’imprestiti. Par. I, pag. 54, 192, 193. Camera frumentorum. Par. I, pag. T95. Camerarii communis. Par. I, pag. 91. Camerarius montis. Par. I, pag. 94. Camera ususmaris. Par. I, pag. 15. Camerlenghi del sale. Par. I, pag. 94. > Campofregoso Battista doge. Par. II, pag. 152. * Campofregoso (famiglia). Par. II, pagina xiii, 20, 133, 142, 155. Campofregoso Galeazzo. Par. II , pag. 131. Campofregoso Lodovico doge. Par. II pag. 32, 133. Campoftegoso Luigi doge. Par. I, pagina 166, 248. Campofregoso Paolo doge. Par. II, pag. 36, 133. Campofregoso Pietro doge. Par. I, pag. 186, 212. — Pai. II, pag. 25. Campofregoso Tommasino. Par. II, pag. 133, 152. Campofregoso Tomaso doge. Par. I, pag. 30, 38. Campsores (a Firenze). Part. II, pagina 53. 54 Canale. Par. I, pag. xxvii , 53, 56. Cancellieri. Par. II, pag. 215. Candia. Par. I, pag. 186. - Par. II, pag. 130. Canestrini. Par. I, pag. xxx, 54, 57, 147, 155, 157, 159, 180, *94, 207. — Par. II, pag. 8, 48. Cantini L. Par. I, pag. 206. Capitani del popolo. Par. I, pag. 61, 71, 72, 79, 102, 126, 128. Capitaneus populi (Vedi Capitani). Capitula corsorum. Par. II, pag. 131. Capodimonte. Par. II, pag. 171. Captis floreni. Par. I, pag. 32. Captio quarte page. Par, II, pag. 139. Caput fari. Par. I, pag. 25. Caput Liberum- Par. I, pag. 21. Carati. Paa. I, pag. 218. Carati maris. Par. I, pag. 165, 166, 169. — Par. II, pag. 166, 167, 219, 229. Carati Peyre. Par. I, pag. 134, 169. Carlomagno. Par. I, pag. 3. Carlo V. Par. II, pag. 177, 182. Carlo re di Sicilia. Par. I, pag. 92. Carlo VI di Francia'. Par. II, pag. ri. Carlo VIII. Pat. II, pag. 159. Carmandino. Par. I, pag. 11. Caro G Par. I, pag. xxi, xxii, 5, 10, 27, 28, 29, 32, 34, 36 , 37, 43, 44, 45, 5i, 52, 55, 58, 60, 61, 62, 63, 65, 66, 67, 71, 72, 74, 75 , 77, 78, 79, 85, S7, 93, 112, 118. — Par. II, pag. xvr, 54, 181, 193, 197. Carreto (Enrico e Ottone marchesi di) Par. I, pag. 32. Cartagine. Par. I, pag. 3. Cartolari. Par. I, pàg. 71, 72, 9$. — Par. II, pag. 232, 242, 260, 263. Cartolari delle colonne. Par. II, pagina 232, 236, 237. Cartulario argento. Par. II, pag. 241, 253, 254. Cartulario de numerato. Par. II, pagina 68, 235, 237, 23S, 240, 254. Cartulario oro. Par. II, pag. 240, 241, 253, 254, 263. Cartularium conestagiorum. Par. I, pagina 76. Cartulario pagarum. Par. II, pag. 102, 235, 236, 237. 254. Cartulario paghe mature. Par II, pagina, 236, 240. Cartulario de scudi di cambio. Par. II, pag. 241. Cartulario di reali. Par. II, pag. 241, 253, 254- Cartularium compagnorum. Par. I, pag. 105. — Par. II, pag. 232. Cartularium magnum. Par. I, pag. 90. Cartularium nobilium. Par. I, pag. 79. Cartularium populi. Par. I, pag. 79. Cartularium poste. Par. I, pag. 45. Cartular O. M. Par. II, pag. 232. Cartular P. L. Par. II, pag. 265. Casanova (Vedi Del Vecchio). Casini Dino. Par. I, peg. 57. Casoni. Par. II, pag. xvi, 183, 185, 187, 188, 189, 192, 196, 209. Casonus (Vedi Casoni). y Castiglia. Par. I, pag. 168. — Par. II, pag. in, 250. Castrum. Par. I, pag. 25, 26. Catalani. Par. I, •fjag. 120, 248, 167, 190. — Par. II, pag. n, 120. Cataneo Lazaroto. Par. I, pag. 179. Cataneus (Vedi Cataneo). Cateau Cambrèsis (pace di). Par. II, pag. 179, 183. Cauda (Vedi coda). Ceccaldi. Par. II, pag. 178. Cecchetti. Par. I, pag. 54, 94, 149, 158 , 181, 194, 195 , 205 , 206. — Par. II, pag. 79, 134, 183, 184, 206, 222. Ceche (Vedi Zecca). Cembalo (Balaklava). Par. I, pag. 186. — Par. II, pag. 123, 127. Censaria locorum. Par. II, pag. 168. Censarii. Par. I, pag. 48. — Par. II, Pag. 54. V Centurione B. Par. II, pag. no. Cerine. Par. I, pag. 213. Ceruti. Par. II, paS. 12. Gesarea. Par, I, pag. 119. Ceuta. Par. I, pag. 53. Chèques. Par. II. pag. 237. Chiappa dell’oleo. Par. II, pag. 230. Chiavari. Par. I, PaS- 29> 75) 86» 116, 182. — Par. II, pag. 9, 229. Chieri. Par. II, pag. 29, 50. Chiesa. Par. I, pag. 15, 18, 31, 179, — Par. II, pag. 107, 129, 206. Chio (Vedi Scio). Chioggia. Par. I, pag. 190. — Par. II, Pag- 3* Chivasso (beato Angelo da). Par. II, pag. 118. Cibrario. Par. I, pag. xvii , xx , 74. — Par. II, pag. 29, 50, 55, 79. Cintracus. Par. I, pag. 25. Cipro. Par. I, pag, xxvm, xxix, 148, 151, 170. 186, 212, 214, — Par. II, pag. xxiii, 6, 14, 61, 97, in, 119, 120, 122, 125, 130. Cipro (re di). Par. I, pag. xxvm, 213, 223. — Par. II, pag. 119, 120, 125. Civitas. Par. I, pag. 25, 26, 42 44. Clausole generales. Par. I, pag. xxix, ni, 161. Clavexana (marchesi di) Par. I, pagina 31. Clavigeri. Par. I, pag. xxv, 91 , 93, 95, 96, 97, 98, I03, 105, i°9- Clavigeri communis. Par. I, pag. 57, 58, 65, 90. Coda (cauda). Par. I, pag. 198. — Par. II, pag. 39, 217, 224, 245, 277. Cognetti S. de Martiis. Part. I , pagina 37, 177. — Par. II, pag. xxiv, 240. Cogoleto. Par. II, pag. 171. Cohn. Par. I, pag. 50. * Collecte maris. Par. I, pag. 43 , 44, 45, 46, 47, 52,55,82,112, 169, 170. Collecta super immobile. Par I, pagina 45, 46, 47. Collecta super mobile. Par. I , pagina 45. Collecta terre. Par. I, pag. 44, 44, 45, 46, 52, 55, §2- Collector, par. I, pag. S7. Collectores spendiorum. Par. I , pagina 154. — 372 — Collegium judicum Janue. Par. I, pagina XXVII. Collette. Par. I , peg. xxiv , 44 , 53, 54, 55• — Par. II, pag. 39. Colombo Cristoforo. Par. II, pag. 176. > Colonia (Città di). Par. I , pag. 39, 94, 124, 152. — Par. II, pag. xn, 144. Colonie. Par. I, pag. xvi, 121, 200. — Par. II, pag. 118, 119, 121, 122, 124, 125, 126, 127, 12S, 129, 130, 135- Colonna. Par. I, pag. 7r, 98. Columna (Vedi Colonna). Columna lapidum. Par. II, pag. 162. Comercharii. Par. II, pag. 166. > Como. Par. I, pag. 14. Compagna. Par. I, pag. xx, xxi, xxx, 16, iS, 19, 20, 21, 22, 23 , 24, 26, 27, 30, 44, 45 , 46, 55. 57, 73, 89, 93, 98, 104, 199, 200. — Par. II, pag. 19, 26, 136, 225. y Compagna burgi. Par. I, pag. 200. — Par. II, pag. 19. Compagna castrum. Par. II, pag. 19. Compagna communis. Par. I, pag. 24, 26. Compagna di pecunia. Par. I, pagina 24. v Compagna machagnana. Par. II, pagina 19. v Compagna Platea Longa. Par. II, pagina 19. Compagna Porta. Par. II, pag. 19. > Compagna Porta Nnova. Par. II, pa- gina 19. Compagna S. Lorenzo. Par. I, pla-gina 19. Compagna Suxilia. Par. II, pag. 19. Compagnia delle Indie orientali. Parte I, pag. xvi, 215. — Par. II, pagina 135, 136, 259-Compagnia del Pacifico. Par. I, pagina xvi. Compagnia marittima per le Indie. Par. II, pag. 231. Compagnia olandese delle Indie, Par.I, pag. 223. Compagnie commerciali. Par. II, pagina 135, 136. Compera assignationis mutuorum. Par. I, Pag- 131, Compera avarie. Par. I. pag. 106, 131. Compera cardinalis. Par. I, pag. xxvii, 130. Compera carnium et casei. Par. I, Pag. 130, Compera castrorum. Par. I, pag. 130. Compera censarie nove. Par. II, pagina 93- Compera Chii (Vedi Compere di Scio). Compera Cipri. Par. I, pag. 207. Compera Corsice. Par. I , pag. 130, 188, 190. — Par. II, pag. 7. Compera di Caffa. Par. II, pag. 71. Compera di Metilino. Par. II, pag. 221. Compera di Scio. Par. I, pag. 207, 2i2, 217, 220. — Par. II, pag. 221. Compera Eliano Saivago. Par. I, pagina 130. Compera Finarii. Par. I, pag. 190. Compera gabelle capitum. Par. II, Pag. 93- Compera gabelle soldi unius vini. Par, II, pag. 93. Compera gazarie. Par. I , pag. 130, 131, 135, 200, 201, 207. — Par. II, pag. 14, 17, 18, 94- Compera grani. Par. I, pag. 130, 131. Compera imperatoris. Par. I, pag. 106, 130. Compera Jacobi et Simonis. Par. I, pag. 97- Compera locorum Caphe. Par. II, pag. 126. Compera magistri Pauli. Par. I, pagina 124. Compera magna pacis. Par. I, pagina 131. Compera magna salis. Par. I, pag. 119. Compera magna venetorum. Par. I, pag. 190. Compera maletolte. Par. I, pag. 68, 69, 7l, 13°. Compera masse. Par. II, pag. 70. Compera militum. Par. I, pag. 130. - ■ - — 373 Compera mutuorum officii salis. Par. II, pag. 68. Compera mutuorum veterum. Par. II, pag. 94. Compera nova regiminis S. Georgii Par. II, pag. 16. Compera nova S. Pauli. Par. I, pagina xxvin, 191, 195, 196, 207. — Par. II, pag. 13, 16, 17, 18, 94. Compera nuova di Scio. Par. I, pagina 220. Compesa olei. Par. II, pag. 221. Compera olim magistri Pauli. Par. I, pag. 130. Compera pacis. Par. I, pag. xvii, xxx, 120, 123, 129, 130, 131, 199, 200, 206, 207. — Par. II, pag. 5, 14, 94, 95-Compera parva venetorum. Par. I, pag. 190. Compera possessionum. Par. II, pagina, 39, 42, 93-Compera quarta salse. Par. II, pag. 93. Compera regiminis. Par. II, pag. 16,18. Compera regis Caroli. Par. I, pag. 106, 130. Compera regis Roberti. Par. I, pagina 130. Compera Rodi. Par. I, pag. 130. Compera salis. Par. I, pag. xvii, xxvii, xxx, 56, 63, 67, 68, 71. 72, 96, 98, 112, 115, 117, 121, 123, 129, 130, 131, 201, 205,207. - Par. II, pag. 5, H, 42, 94-Compera salis capituli. Par. II, pagina 94. Compera S. Bernardo (Vedi Monte S. Bernardo). Compera S. Gio Battista (Vedi Monte S. Gio. Battista). Compera S. Pauli. Par. I, pag. 190. — Par. II, pag. 5, 23. Compera S. Petri. Par. I, pag. 191. — Par. II, pag. 7, 16, 17, 18. Compera S. Maria, Par. II, pag. 224, 227. Compera sopra l’estrazione dei panni di seta. Par. II, pag. 221. Compera tertii pluris. Par. I, pag. 190, 193- Compera unius prò centenario Neapolis. Par. II, pag. 94. Compera vecchia di Scio. Par. I, pagina 220. Compera venetorum. Par. I, pag. 173, 198, 208. — Par. II, pag, 7, 17. Compera veteres S. Pauli. Par. I, pagina 135, 195, 196, 207. — Par. II, pag. 17, 18. Compera vetus gazarie. Par. I , pagina 200. Compera vini. Par. I, pag. 130. — Par. II, pag. 96. Compera vini S. Gio. Batta. Par. II, pag. 190, 221. Compere. Par. I, pag. xv, xvii, xxiv, xxx, xxxi, 50, 52, 55, 56, 57, 60, 64, 66, 69, 70, 71, 72, 92, 96, 97, 145, 196, 201, 206, 207, 214, 215, 216, 221, 222, 223. — Par. II, pagina 13, 15, 26, 28, 33, 41, 64, 92, 93, 136, 13S. Compere capituli. Par. I, pag. 143, 144, 149, 164, 211. — Par. II, pagina 5, 23, 29, 41, 42, 43, 76, 93, 94, 95, 96, 98, 100, 124, 164, 172. Comperete. Par. I, pag, 221. — Par. II, pag. 93, 124. Comperula S. Gio. Batt. Par. II, pagina 189. Concilio Lateranense. Par. I, pag. 55. Conestabuli populi. Par. I, pag. 87, 138. Conestagi. Par. I, pag, 75, 79, 152. Conring H. Par. II, pag. 257. Consiliarii. Par. I, pag. 103, 106. — Par. II, pag. 21, 22, 66. Consolidamenti. Par. I, pag. xxvi, xxyii, 67, 68, 71, 96, 109, 129, 130, 131, 144, 18S, 192, 195, 197, 206. — Par. II, pag. 11, 14, 16, 18, 19, 21, 38, 41, 91, 92. 93, 94, 95, 96, 124, 159, 163, 221, 223, 224, 226. Consoli delle compagne. Par. I, pagina 19, 20, 21, 23, 30, 31. X x - '7 ■ Consorzio nazionale del nuovo regno d’Italia. Par. I, pag. 200. Consules artium. Par. I, pag. 87. Consules calegarum. Par. I, pag. 160, 196. — Par. II, pag. 100, 174, 218. Consules maris. Par. I, pag. 5 r, 52, 58. 59, 82 , 91 , 139, 162, 167, 168, 169. Consules mulionum. Par. I, pag. 39. Consules officii assignationis mutuo-rum. Par. I, pag. 94, 95, 98, 103, 115. Consules pro communis. Par. I , pagina 57, 58, 62. Consules salis. Par. I, pag. 51 , 59, 70, 71 , 91 , 93 , 95, 98, 103, 104, 112, 113, 115, 116, 117, 131, 133. Contraczus solidationis. Par. II , pagina 159, 161,163,174, 175, 186, 221. Conventionati. Par. I , pag. 27 , 30, 155, 156, 157- — Par. II, pag. 139, 141. Conventiones. Par. I, pag. 27. Conventiones insule Chii. Par. I. pagina XXXI. Conversioni. Par. I, pag. 145, 206. — Par. II , pag. 13 , 17, 19, 159, 223, 224. Convoiemen et licentem. Par. I, pag. 170. Convoy-tax. Par. I, pag. 166. Copa (città di). Par. II, pag. 123. Cornigliano. Par. II, pag. 233. y Cornilia (Conte). Par. I, pag. 180. Corno d’oro. Par. I, pag. 79. Corona Ferrea. Par. I, pag. 3. Corpora navigiorum. Par. I, pag. 169. > Corrado II imperatore. Par. I, pagina xx, 7. Corrado III imperatore. Par. I, pagina 41. — Par. II, pag. 75. Corsica. Par. I, pag. 16, 17, 43, 79, 113, 179, i85, 188, 189, 214, 215. — Par. II, pag. xvi, xxm, 62, 92, 120, 122, 123, 124, 130, 131, 132, 133, 136, 152, 153, 154, 172, 176. 177, 178, 179, 180, 183, 184, 185, 187, 189, 221, 265, 266. Corte. Par. II, pag. 123, 131. Cortona. Par. I. pag. 149- Corvetto L. Pao II , pag. xxi, 261, 271, 272, 276, 277. Costantinopoli. Par. I: pag. 79, 169, 174, 220. — Par. II, pag. 120, 121, 125- Costruzione giuridica delle compere. Par. II, pag. 26. Cotek (Conte). Par. II, pag. 266. Cotumum. Par. I, pag. 154, 188. Cotumum novum. Par. I. pae. 150. Cotumum vetus. Par. I, pag. 150. Cremona. Par. I, pag. 14. Creta. Par. II, pag. 135. Crimea Par. I , pag. 80 , 151 , 186, 200. — Par. II, pag. 122, 130. Crociate e Crociati. Par. I, pag. 9, 18, 26,53,57. —Par. II, pag. 12, 19. Cuneo Carlo. Par. I, pag. xxiv, xxvi, xxvm, 7, 17, 25 , 31 , 36 , 39. 44, So, 101, 198, 206. — Par. II, pagina xx, xxi, xxn, xxiv , 18, 107, 108, 189, 191, 213, 224 , 233, 234, 235, 253- Cusumano V. Par. I , pag. 143. — Par. II, pag. 49, 58. JD Daire Eug. Par. II, pag. 262. Dante. Par. I, pag. 173. Danzica. Par. II, pag. 202. Dardanelli. Par. II. pag. 12 Davidsohn. Par. I, pag. 15, 16, 42, 49, 98, 16S. Dazio consumo (imposta super vitum et vestitum). Par. I, pag. 83. Debiti in sospeso (Vedi Prestiti in sospeso). De Castro. Par. I, pag. 13. Decenum legatorum (Vedi tassa di successione. Decima delle'case. Par. I, pag. 158. Decima delle mercatanzie. Par. I, pagina 158. Decima delle possessioni di fuori. Par. I, pag. 158. Decima del mare. Par. I, pag. 17, 36, 112. Decima di navi e galere e di noli. Par. I, pag. 158. Decima d’imprestiti. Par. I, pag. 158. De Cleve Filippo. Par. II, pag. 174. Degli Azzi Giustiniano. Par. II, pagina 92. Della Rocca Enrico. Par. I, pag. 214. Della Torre Raffaele. Par. II, pagina 243. Del Vecchio-Casanova. Par. I, pag. 43. De Mari. Par. II, pag. 194. Denarii maris. Par. I , pag. 33 , 47, 80, 82, 87, 90, 120, 127, 132, 134, 161. 165, 173, 176, 218. De Nigro Petrus. Par. I, pag. 71. Desimoni C. Par. I, pag. xx, xxi, xxxi, 5 , 6 , 16, 19, 82, 131, 151, 166, 187, 199. — Par. II. pag. xxm, !5, iS, 53, 75, 78 , 79, 82, 86, 89, 95, 117, 126, 215, 247, 264. D’Este (marchesi). Par. I, pag. 5. De Vento. Par. I, pag. 13. Diano. Par. I, pag. 29, 116. Di Negro Ambrogio. Par. II, pag. 153. Di Negro Ottobono. Par. II, pag. 66. Doctores officiorum nobilium. Par. I, pag. 122. Doctores officiornm populi. Par. I, pg. 122. Dogi. Par. I, pag. xxvii, 61, 125, 126, 127, 137, 138, 139. 140, 141, 147, 151, 154, 160. 162, 175, 185, 190, 211. — Par. II, pag. 5, 11, 76, 100, *36, 151, 155, 172. Domenicani. Par. I. pag. 112. Don. Par. I, pag. 186. — Par. II, pag. 129. Doneaud G. Par. I, pag. xx, 24, 26, 62. 75. Doren. Par. I, pag. 7S. - Par. II, pag. 64, 79, 112. Doria Andrea. Par. II, pag. xm, 153, 156, 183, 193, 194. Doria Andrea Gian. Par. II, pag. 194. Doria Antonio. Par. I, pag. 126,165. — Par. II, pag. 194. Doria Bernabos. Par. I, pag, 94- Doria (famiglia). Par. I, pag. 71, 73, 74 , 75, 92, 102, 113- — Par- lr> 4, 20, 137, 155- 158, 178, 192. Doria Luciano. Par. I, pag. 163, 180, 186. Doria Nicolò. Par. II, pag. 194. Doria Oberto. Par. I, pag. 71, 79. Doria Raffaele. Par. I. pag. 125. Dortmund. Par. I, pag. 27 , 173. — Par. II. pag. xii. Dowel St. Par. I, pag. 166. Dresda. Par. II, pag. 144. Drictus Alexandrie. Par. I pag. 169. - Par. II, pag. 165. Drictus Anglie ut Flandrie. Par. I, pag. 169. — Par. II, pag. 165. Drictus Barbarie. Par. II, pag. 165, 219. Drictus Chii. Par. I, pag. 169. — Par. II, pag. 165. Drictus Corsice. Par. I, pag. 169. Drictus Famagoste. Par. I, pag. 170. Drictus super cebus et negotiatione Syrie. Par. II, pag. 165. Drictus Yspanie. Par. I, pag. 169, 175- Dunbar C. F. Par. II, pag. 252, 259. Duo constituti super officio assignationis mutuorum, Par. I, pag. 94. Duo de castris. Par. I, pag. 93. Duodecim sapientes. Par. I, pag. 115. Duo de ratione. Par. I, pag. xxv, 103. Duorum comperarum. Par. I, pag. 131. Duo super exigendis debitis communis. Par. I, pag. 95. Duo super munitionibus casi rorum. Par. I, pag. xxv, 58, 91. Duo super rationibus communis. Par. I, Pag. 91, 95- Duo superstantes fontanarum. Par. I, pag. 58. Duo supra munitione castrorum et solutione servientium. Par. I , pagina 72. Duo supra mutuis exigendis. Par. I, Pag. 95- — 376 — IE Ebrei. Par. I, pag. 151, 15S. — Par. II, pag. 50, 126. Edoardo III re d’Inghilterra. Par. I, pag. 131. Egeo (mare). Par. I, pag. 1S6. Egitto. Par. II, pag. in, 276. Eheberg. Par. II, pag. 49. Ehrenberg R. Par. I, pag. 50 , 144, 204, 210. — Par. II, pag. 53, 152, 159, 176, 19I) 193. 195. 196, 200, 250, Elba. Par. II, pag. 169. Eliade. Par. I, pag. 186. v Embola. Par. I, pag. 104. Endemann. Par. I, pag. 203. — Par. II, pag. 27, 46, 52, 59, 79, 224, 242. Enrico VI. Par. I, pag. 4. Enrico VII. Par. I, pag. 103, 163. Episcopatus. Par. I, pag. 25, 26. ZET1 Fabricius E. Par. II, pag. 135. y Famagosta Par. I, pag. 14S , 186, 187, 212, 213, 215. — Par. II, pagina 13, 97, 119, 120, 124, 125, 166. Fede di credito. Par. II, pag. 259, 260, 261. Federici. Par. I, pag. xxm, 5, 76. -y Federico II imperatore di Germania e re delle Due Sicilie. Par. I, pagina ss, 60, 75, 88, 182. Feneratores. Par. I, pag. 77. - Par. II, pag. 50, 52. V Ferrara. Par. II, pag. 4. Ferrara T. Par. II, pag. 63. y Fiandre. Par. I, pag. 79, 16S. — Par. II, pag. n 1, 134, ^97, 199- Fieschi Antonio banchiere. Par. II, pag. 58- Fieschi (famiglia). Par. I , pag. 60, 72, 74, 75, 89, T52, 162, 163. -Par. II, pag. 4, 21, 155, 158, 183, 192. Fieschi Iacopo arcivescovo. Par. II, pag. 58. Fieschi Leonardo. Par. I, pag. 94. Fieschi Luca (cardinale). Par. I, pagina 119. Filippini. Par. II, pag. 179-Filippo (duca di Milano). Par. II, pag. 119. Filippo II re di Spagna. Par. II, pagina 195. Finale. Par. I, pag, 84, 116, 117. — Par. II, pag. 269. Finale (marchesi di). Par. I, pag. 84, 190. — Par. II, pag. 97. Firenze e Fiorentini. Par. I, pag. xiv, xviii, 54, 57. 61 , 68 , 77 , S2, 94, 96, 109, 114, 124, 141, 142, 144) 145, 146, 147, 151, 155, 156. 157, 159. 167, 168, 171, 173, 177, 178, 180, l8l, I90, 192, 193, 194 ; 197, 202, 203, 206, 209, 210. — Par. II, pag. xii, 4, 7, 8, 9, 28, 47, 52, 60, 78, 79, 82, no, in, 112, 120, 141, 146, 149, 151, 156, 185, 195, 198, 199, 202, 224, 262. Flaconum. Par. I, pag. 8r. Focagium. Par. I, pag. 154. — Par. II, pag. 149. Focea. Par. I, pag. 136, 211, 212, 215., 216, 217. — Par. II, pag. 18. Fodrum. Par. I, pag. 4. Foglietta. Par. II, pag. xvi, 24, Fonditor. Par. II, pag. 75, 76. Forster Giorgio. Par. II. pag. 208. Francazione monti. Par. I. pag. 192, 193- Francescani. Par. I, pag. 112. Francesco da Empoli Par. I, pag. 203. Francesco d’Istria. Par. I, pag. 132. Franchi Luxiardo (Battista). Par. II, pag. 10, 11, 12. Francia e Francesi. Par. I, pag. 29, \ 126, 167, 180. — Par. II, pag. xm, 4, 11, 20, 52, 80, in, 153, 155, 160, 178, 181, 182, 183, 185, 188, 197, 201, 202, 204, 230 265, 271, 273. Francia (re di). Par. I, pag. 103, 126. - Par. II, pag. 3, 12, 154, 193. Francoforte. Par. II, pag. 50. Fregoso (Vedi Campofregoso). Frensdorff. Par. I, pag. 14. 377 — G- Gabella calegarum. Par. II. pag. 219. Gabella Cambiorum. Par. II, pag. 219. Gabella capitum (Vedi Avaria capitum). Gabella carnium. Par. II, pag. 220. Gabella Censaria locorum. Par. I, pagina 33, 172. — Par. II, pag. 40, 42, 219. Gabella censarie. Par. I, pag. 170, 171) 191, 207. — Par. II, pag. 149, 160, 168. Gabella de contratti. Par. I. pag. 171. Gabella funantium. Par. I, pag. 193. Gabella fustaneorum. Par. II, pagina 169. Gabella granorum. Par. II, pag. 220. Gabella grani. Par. II, pag. 170, 200; 218. Gabella grassie. Par. II, pag. 200, 230. Gabella lignorum. Par. II, pag. 220. Gabella mesetteria. Par. I, pag. 171. Gabella olei. Par. II, pag. 220. Gabella pancogolorum. Par. II, pagina 175. Gabella pinta Genuae. Par. II, pagina 220. Gabella piatarum. Par, II, pag. 219, 229, Gabella portarum. Par. I, pag. 192. Gabella possessionum, Par, I, pagina 152, 153, i54i ^0. - Par. II, pag. 144. Gabella rayba granorum. Par. II, pagina 220. Gabella salis. Par. I, pag. 149. — Par. II, pag. 220. Gabella saluminum, Par. II, pag. 220, 229. Gabella securitatum. Par. II, pag. 219. Gabella sensariorum. Par. II, pagina 219. Gabellatores. Par. I, pag. 117. Gabella venae ferri. Par. II, pag. 220. Gabella vini Genuae. Par. II, pagina 220. Gabelle (rivendite di sale). Par. I, pag. 116, 117, 126. — Par. II, pagina 148. Gabelle capituli. Par, I, pag. 149, 163. Gabelle di cassa. Par. II, pag. 215, 216. Gabelle di tasca, (stacca), Par. II, pagina 215, 216. Gabelle regiminis. Par. I, pag. 149, 163, 191. Gabeloti. Par. I, pag. 133. — Par. II, pag. 24. Gaeta, Par. I, pag. 8. Gallia Cisalpina. Par. I, pag. 3. Gallo. Par. I, pag. xv. Gandoglia B. Par. I, pag. 4, 23, 24, 27, 32. Gandolfi G. Par. I, pag. 8. — Par. II, pag. xvi, 78. Garibaldo Domenico. Par. I, pag. 129. Gattilusi (principi di). Par. II, pagina 122. Gavi. Par. I. Pag. xxi, 5, 30, 31, 33, 34, 35, 36- 37, 40, 65, 81. 166, 170. Gavi (marchesi di) Par. I, pag. 5, 29, 32, 33, 65, 73- Genala F. Par. II, pao. 24, 91, 93, 236, 240. Genova (quasi ad ogni pagina). Genova (arcivescovado). Par. 1, pagina 8. Genova (vescovado). Par. I, pag. S. Germain A. Par. I, pag. 34. — Par. II, pag. 16. Germania. Par. I, pag. 48, 200. — Par. II, pag. 46, 51, 80, 137, 197, 199. Gesta. Par. I, pag. 27. Ghibellini. Par. I, pag, xxiv, 57, 71, 75. 79, 92, 102, 103, 120, 125. — Par. II, pag. xm, 5, 20, 157. Giacomo I re di Cipro. Par. I, pa- V gina 213. Giacomo II re di Cipro. Par. II, pag. \ 125. Giappone. Par. II, pag. 276. Gibilterra, Par. 11, pag. 201. Atti Società Ligure Storia Patria. Voi. XXXV, P. II. 27 - 373 - Gilda. Par. I, pag. xx, 23, 24. Giovanni XXII papa. Par. I, pag. xxv, 103. > Giuseppe d’Arimatea. Par. I, pag 119. Giustiniani A. Par. II. pag. 24. y Giustiniani (Albergo dei). Par. I, pagina 76, 219. Giustiniani Andrea, doge. Par. II. pagina 161. Giustiniani (Annali). Par. I, pag. 212, 223. — Par. II, pag. xv , 33, 36) 153, 155, 156, 181, 183. \ Giustiniani Antonio. Par. I, pag. 199. — Par. II, pag. 16. V Giustiniani Battista. Par. II, pag. 15. Giustiniani (famiglia). Par. I, pag. 76, 156, 217. — Par. 'II, pag. 158. Giustiniani Francesco. Par. I, pagina 219. Par. II, pag. 16. Giustiniani Paolo. Par. II, pag. 15. Giustiniano (Vedi Giustiniani). Goano Battista. Par- II, pag. 128. Goldschmidt L. Par. I, pag. xxxi, 22, 64, 108, 130, 142, 180, 220, 221. — Par. II, pag. vii, ix, xxiv, 18, 25, 55, 59- 6o, 237, 259, 261. Gombete. Par. I, pag. 39. Gombetum. Par. II, pag. 170. Gombetum Bisannis. Par. I, pag. 134. Gombetum Clavari. Par. I, pag. 135. Gombetum grani. Par. I, pag. 86. Gombetum Janue. Par. I, pag. 134. Gombetum Pulcifere. Par. I, pag. 134. Gombetum Rapalli. Par. I, pag. 134. Gombetum Rechi. Par. I, pag. 134. Gombetum Segestri. Par. I, pag. 135. Gombetum Vulturis. Par. I, pag. 134. > Goethien. Par. I, pag. 186. Gottlob. Par. I, pag. 89. Granata. Par. I, pag. 139 , 168. — Par. II, pag. in. v Grassa. Par. I, pag. 9. Grecia e Greci. Par. I, pag. 17, 69, 79, 80, 85, 151, 168, 178, 211. -Par. II, pag. 126, 276. . Gregorio XIII papa, Par. II, pag. 238. Gregorovius Ferdinando. Par. Impagina 131. Greppi E. Par. II, pag- 243, 244, 245. Grimaldi Ansaldo. Par. II, pag. 176, 227, 232, 233. Grimaldi Domenico. Par. II, pag. 158, 193- Grimaldi (famiglia). Par. I, pag. 1 r, . 60, 72, 74, 75, 120, 211. - Par. II, Pag. 4, 137, 158, 233, 266. Grimaldi Giorgio. Par. II, pag. 194. Grimaldi Luca. Par. II, pag. 66, 89. Grimaldi (Luciano). Par. II, pag. 106. Grimaldi (Pietro). Par. II, pag. 15. Grosseto. Par. I, pag. 114. — Par. II, pag. 148. Griinhut. Par. II, pag. 59, 62. Guarco Isnardo. Par. II, pag. 119. Guasco (marchesato di). Par. I, pa- k gina 33. Guelfi. Par. I, pag. xxiv, 56, 57, 60, 71, 75, 92, 102, 103, 120. — Par. II, pag. 5, 20, 157. Guercius Enrico. Par. I, pag 32. Guicciardini Francesco. Par. II, pagina 151, 153, 154, 182. H Hàberlin. Par. II, pag. 257. Harrisse H. Par. II, pag. xxiii, 16, 45, 84, 176. Haudecoeur. Par. II, pag. 135. Helfferich. Par. II, pag. 81. Hegel. Par. I, pag. xx, 73, 173. Heyck. Par. I, pag. xx, xxi, 6, 16, 19, 23, 24, 25, 26, 44, 47, 80, 89, 139- Heyd W. Par. I, pag. xx, xxi, 9, 19, 21, 79, 80, 166, 186, 212, 213. — Par. II, pag. x, xxiii , 5, 70, 108, 121, 123, 125, 129, 130, 135, 138, 167, 201. Hopf S. Par. I, pag. xxxi, 217, 218, 220, 221. Hospitale societatis prudentie Par. II, pag. 143- Hyères. Par. I, pag. 113. — Par. II, pag. 169. - 379 — X Ibiza. Par. I, pag. 113, 114, 115. — Par. II, pag. T69. Ido (vicecomes), Par. I, pag. 6. Imperatore. Par. I, pag. 40, 42, 102. — Par. II, pag. 181, 182, 193, 196. / Imperiale Amico. Par. I, pag. 209. •/ Imperiale Davide. Par. II, pag. 194. Imperiale di S. Angelo Cesare. Par. I, pag. xxi, 19, 3o, 43. 47, 48, 49. Imperialis (Vedi Imperiale). Imposta sugli stipendi. Par. II, pagina 219. Imposte dirette. Par. I, pag. xvi, 46, 66, 69, 79, 88, 96, 121, 122 , 127, 149. 150, 151, 152) 157, 159, 185, 189, 194. — Par. II, pag. xn, 7, 8, 12, 61, 136, 138, 139, 141, 143, 144, 145, I46, 1471 15° ; 176) 187, 188, 203, 204. Imposte indirette. Par. I, pag. 122, 149, 150, 152, 160. — Par. II, pagina 7, 136, 143, 144, 145, 176, 187, 191, 203, 204, 205. Imposte ordinarie. Par. I, pag. 43. Imposte straordinarie. Par. I, pag. 43. 44. Imposta super victum et vestitum (Vedi dazio consumo). Inama-Sternegg. Par. I, pag. 22. — Par. II, pag. 184. * Indie occidentali. Par. II, pag. 176. Indie orientali. Par. II, pag. 136, y Inghilterra e Inglesi. Par. I, pag, 79, 126, 129, 166, 168, 192. — Par. II, pag. 4, 81, ni, 197,202.230,263. > Inghilterra (Banca d’). Par. II, pag. x, 46, 262. Inquisitores rationum communis. Par. I, pag. 91. Insulis (famiglia de). Par. I, pag. 11. Intrinseci. Par. I, pag. 103, 106, 120. Introitus appellationum. Par. I, pagina 164. — Par. II, pag. 219. Introitus auri et argenti filati. Par, I, pag. 83, 171. - Par. II, pag. 220, 229. introitus baraterie. Par. I, pag:- 175. Introitus calcine. Par. I, pag. 134. Introitus calegarum. Par. I, pag. 172. Par. II, pag. 167. Introitus canabaciarum. Par. I , pagina 83, 134.' Introitus canabi. Par. I, pag. 83. Introitus canne. Par. I, pag. 39, 84, 134, 219. Introitus caratorum 60 maris. Par. II, pag. 165. Introitus carnis et casei. Par. I, pagina 86, 135. Introitus cassanorum. Par. I, pag. 77, 134. - Par. II, pag. 51. - Introitus castelletti. Par. I, pag. 133. Introitus condemnationes. Par. I, pagina 134. Introitus controrum, usurarum et cam-biorum. Par. I, pag. 172. Introitus deceni legatorum. Par. I, Pag. 137- Introitus embolorum. Par. I, pag. 133. Introitus et exitus. Par. I, pag. xxx, 105. Introitus faro. Par. I, pag. 137. Introitus ferri et alzarii. Par. I, pagina 39, 83, 134. Introitus fontanarum. Par. I, pag. 81. Introitus fustaneorum. Par. I , pagina 172. Introitus gombetae. Par. II, pag. 220. Introitus gombetae Vulturis. Par. II, pag. 220. Introitus gualdorum. Par. II, pag. 220, 229. Introitus lini. Par. I, pag. 83 , 134, 172. Par. II, pag. 169, 219, 229. Introitus lombardiscorum. Par. I, pagina 134. Introitus pannorum sete. Par. II, pagina 220. Introitus malatolta pannorum. Par. I, pag. 84. Introitus marcharum. Par. I, pag. 3S. 40, 81, 134. Par. II, pag. 219. Introitus mazachanorum. Par. I, pagina 134, 146. — 38° — Introitus mellis, Par. I, pag. 135. Introitus minae et quartinus de ripa. Par. I, pag. 39. Introitus misturarum. Par. I, pag. 135-Introitus mulionum. Par. I, pag. Sr, 134. Introitus olei. Par. I, pag. 135. Introitus pancogolorum. Par. I , pagina S6, 134. — Par. II, pag. 171. Introitus pedagiorum. Par. II , pagina 219. Introitus pignori bandi. Par. I, pagina 134, 164. Par. II, pag. 219. Introitus pintae. Par. II, pag. 220. Introitus pintae et gombetae Rechi. Par. II, pag. 220. Introitus pintae gombetae Bisannus. Par. II, pag. 220. Introitus pintae gombetae Rapalli. Par. II, pag. 220. Introitus pintae gombetae Sigestri, Par. II, pag. 220. Introitus pintae Pulcifera. Par. II, pag. 220. Introitus pintae Spediae. Par. II, pagina 220. Introitus pintae vini et gombetae grani Clavari. Par. II, pag. 220. Introitus piscium. Par. I, pag. 135-Introitus piatarum. Par. I, pag. 134, 172, 175- Introitus ponderis calcine. Par. II, pagina 219. Introitus ponderis et portis de Caffa. Par. I, pag. 121, 134. Introitus ponderis marcarum. Par. II, pag. 219, 229. Introitus ponderis Peyre. Par. I, pagina 121. Introitus pontoni. Par. I , pag. 81, 134- Introitus porte. Par. I , pag. 8 , 33, 36, 171. Introitus quaranteni. Par. I, pag. 81. 134- Introitus raibarum grani. Par. I, pagina 86. Introitus ripe. Par. I, pag. 8. Introitus ripe pro vicecomitibus. Par. I, pag. 9. Introitus rosi et murte. Par. I, pagina S3. Introitus schiffati. Par. I, pag. 137. Introitus securitatibus. Par. I, pagina 172. Introitus sententiarum et instrumen-tarum. Par. I, pag. 164. Introitus staliarum. Par. 1, pag. 122. Introitus super naulis navigiorum. Par. I, pag. 172. Introitus imius pro centenaris Francie. Par. I, pag. 132. Introitus vicecomitatus. Par. I, pag. 8, 10. Introitus vini. Par. I, pag. 132, 135. Introitus vini Savonae. Par. II, pagina 220. Italia. Par. I , pag. xm , xvm , xix, 3, 4i. Italia (Regno d’). Par. II, pag. 276, 277. CT Janue (V. Genova). Jarry. Par. II, pag. 3> 9, IX-Judex calegarum. Par. I, pag. 111,160. Judex de capitulo. Par. I, pag. 103. Justiniani (Vedi Giustiniani). Juvenis. Par. I, pag. 66. IEC Kaffa (Vedi Caffa). Kaebler. Par. II, pag. 201. Kalkmann. Par. II. pag. 81. Karati (Vedi Carati). Keutgeu. Par. I, pag. 76. Kiener. Par. I, pag. 25. Knapp. Par. II, pag. vm, 200. Knipping R. Par. I, pag. 40, 95, 124, 152. — Par. II, pag. 7, 46, 49, 82, 144. Koppmann K. Par. I, pag. 152. Kostanecki. Par. I, pag. 49, 5^, 95-200. Par. II. pag. 46. Kruse. Par. I, pag. xvir. — Par. II, pag. 78, 79, 80. \ / - 38 L Lagneto (Signori di). Par. I, pag, 45, Lago benedetto. Par. II, pag. 131. Lapides. Par. II, pag. 159, 227. - Laspeyres. Par. I, pag. 170. Lastig. G. Par. I, pag. xx , xxi, 6, 15, 16, 18, 22, 25, 140. — Par. II, pag. xvn. Latini. Par. II, pag. 126, Lattes. Par. I, pag. 209. — Par. II, Pag- 55, 258. Lavagna. Par. I, pag. 23, 43, 75, 86. Lavagna (Conti di). Par. I, pag. 29, 73- Lavagna ('Ugo Blancus di). Par. I, Pag- 43-Law. Par. II, pag. 262. Lehmann K. Par. I, pag. xxxi, 64, 108, 221, 223. — Par. II, pag. ix, xviH, xxiv, 18, 26, 30, 46, 108, 243, 245. Leicester. Par. I, pag. 23. Lemberg. Par. II, pag. 129. Lemeingre Giovanni, maresciallo, detto Bucicaldo. Par. I, pag, 213. — Par. II, pag. xvi. 9, 10, 11, 12, 13, 14, 19- Lemme (fiume). Par. I, pag. 32, 33. Lemnos. Par. II, pag. 130. Lenel W. Par. I, pag. 49, 54, 60, 157, 177, Lepanto (battaglia di). Par. II, pagina 194. Lercari Antonio. Par. I, pag, 178. Lercari (famiglia). Par. I, pag. 207. Lerici. Par. II, pag. 153. Lesbo. Par. II, pag. 122. Letteron (abbate). Par. I, pag. 215, Par. II, pag. 132. Levante (Vedi Oriente). Levanto. Par. I, pag. 29. - Par, II, pag. 177, 179. Lexis. Par. II, pag. 78. Libro criminale. Par. II, pag. 215. Libro dello specchio. Par. II, pag. 215. Liguria e Liguri. Par. I, pag. 27,29, 37, 75, 88, 113, 115, n6, 117,121, 1 — 126, — Par. II, pag. 170, 183, 184, 189, 194, 201, 273. Lione. Par. II, pag. 116, 199, 200. Litere pagamenti. Par. II, pag. 60. Livellum. Par. I, pag. 77. Livorno. Par. II, pag. 200, 203. Lobero. Par. I, pag. xxiv , xxvm, 130, 220. — Par. II, pag. xxi, xxn, xxiv, 18, 89, 136, 153 , 177, 190, 228, 256, 240, 263, 267, 268, 269, 272, 274. Locus e Loca (Vedi luogo e luoghi). Lombardia e Lombardi. Par. I , pagina 9, 11, 29, 34, 84, 112, 117 , 166, 181. — Par. II, pag. 50. Lomellini Andrea. Par. I, pag. 207. Lomellini Battista. Par. II , pag. 16. Lomellini Carlo. Par. II, pag. 119. Lomellini Giorgio. Par. II , pag. 15. Lomellini Leonello. Par. I, pag. 215. Par. II, pag. xvi, 131. Lomellini Napoleone. Par. I, pag. 207. > Lomellini Tobia. Par. I, pag. 139. Longobardi, Par. I, pag. 3. Lucca fr-fcoeehesi. Par. I, pag. 29, 97, 98, 109, 114, 178, 192, 195. — Par. II, pag. xv, 195, 207, 224. Luigi (San) re di Francia. Par. I, pagina 56. Luigi XII re di Francia. Par. II, pagina 153, 156, 181. Luigi XIV. Par. II, pag. 266. ?r Lumbroso. Par. I, pag. 15, 21. Luna. Par. I, pag. S. > Liineburg. Par. I, pag. 95. » Luni. Par. I, pag. 3, 9. * Luoghi ciechi. Par. II, pag. 106. Luoghi compere maletolte. Par. I, pag. 70. Luoghi currentia. Par. II, pag. 160. Luoghi lapidum (Vedi lapides). Luoghi salis. Par. I, pag. 69, 70. — Par. II, pag. 33. Luogo, luoghi. Par. I, pag. xxvm, 50, 51, 63, 64, 65, 68, 69, 9S, 99, 101, 102, III, 132, 145, i65, 200, 201, 203, 204, 207, 209, 210, 218, 219, 221, 223. - Par. II , 13 , r4. x. y — 382 — 15, 16, 18, 26, 28, 30, 31 , 33, 34, 35, 36, 37, 33, 39, 40, 42, 45, 4«, 65, 67, 7°, 73, 74, 93 , 94, 96, 98, 102, 11S, 176, 1S9, 191, 265, 271, 272, 273. Luogo medius. Par. I, pag. 68. Luogo minus. Par. 1, pag. 69, 70. Lupi-Morpurgo (V. Morpurgo-Lupi). Lusso (imposte sul). Par. I, pag. 173. JUL Macchiavelli N. Par. II, pag. 24, 136, 153, 154, 156. Mack H. Par. I, pag. 152. Magistratus monetarum. Par. II, pagina in, 112. Magistratus rote quinque jurisperitorum. Par. I, pag. 140. Magistri rationales. Par. I, pag. 137, 138 , 196. — Par. II , pag. 6 , 13, 91- - Mainetto Francesco. Par. II, pag. 133. Majorca. Par. I, pag. 33, 168, 170. — Par. II, pag. in. Malaspina (marchesi di). Par. I, pagina 5 , 6 , 7 , 13 , 24 , 29 , 65. — Par. II, pag. 177. Malavolta (Alberto di) podestà. Par. I, pag. 61. Par. II, pag. 5. Maletolta grani. Par. I, pag. 86. Malta. Par. I, pag. 114. — Par. II, pag. 169. Manfroni C. Par. I, pag. t86. — Par. II, pag. 121, 185, 194, 202. Manno A. Par. II, pag. xx. v Mantova (marchesi di). Par. II, pagina 150. Maona di Ceuta. Par. I, pag. 51, 52, 53, 210. Maona di Cipro. Par. I, pag. 212, 213, 214, 223. — Par. II, pag. 18, 119. Maona di Corsica. Par. I, pag. 210, 215. - Par. II, pag. 119, 130, 135- Maona di Scio. Par. I, pag. xxxi, 52, 212, 214. — Par. II, pag. 41, 122, 135, 143- Maona nova di Cipro. Par. 1 , pa-giaa xxvm, xxix, 52, 53, 210, 213. Maona nova di Scio. Par. I, pag 215, y 216, 217, 218, 220, 221. — Par. II, pag. 69. Maona vetus di Cipro. Par. I, pa- V gina 210, 213. — Par. II, pag. 17. Maona vetus di Scio. Par. I, pag. 210, / 216, 217, 218. Maone. Par. I, pag. xv, xvii, xxxi, 52, 97, 108, 210, 215, 216, 218, 219, 221, 222. Marchesi. Par. I, pag. 3, 4, 6, 7, 15, 16, 17, 20, 26, 27, 30, 35, 36, 75. Mare clausum. Par. I, pag. 37. Mari (Bartolomeo de). Par. I, pag. 15. V-Marino de Bulgaro. Par. I, pag. 17. v Mar Nero. Par. I, pag. 80, 139, 151, 174, 186. — Par. II, pag. 92, 120, 121, 134. Marperger P. J. Par. II, pag. 252, 259, 262. Marsiglia. Par. I, pag. 64. — Par. II, > pag. 202, 203. Marufifo Francesco. Par. I, pag. 129. * Maruffus (Vedi Maruffo). Marx. Par. I, pag. xm. Mas-Latrie. Par. I, pag. 43, 53, 139, 213. — Par. II, pag. xviri, xxiii, 17, 119. Massa-Parodi (marchesi di). Par. I, X Pag. 5. Massa Pisarum. Par. II, pag. 29. >( Massarii Communis. Par. I, pag. xxx, 137, 138, 141, 143, 148, 155. 187. Par II, pag. 6. Massarii delle colonie. Par. II , pagina 123. Massarii delle Maone. Par. I, pag. 219. Massimiliano II imperatore. Par. II, / pag. 189. Mauritania. Par. I, pag. 168. Medaglia (mezzo denaro) in ripa. Par. I, pag. n. Medici (Casa de’). Par. II, pag. 151. Mediterraneo (mare). Par. I, pag. 168, y 186, 211. — Par. II, pag. 201, 202. Mees W. C. Par. II, pag. 49, 84, 88, — 383 — 117, 250, 252, 255, 258, 259, 261, 264, 265. Meloria. Par. I, pag. 79. Menotti M. Par. II, pag. 196. Merello Michele. Par. II, pag. xxi. Messina. Par. II, pag. 250. Milano e Milanesi. Par. I, pag. 3, 14, 42, 180, 208. — Par. II, pag. xv, 4, 19, 20, 24, 36, 155, 165, 170, 182, 183, 187, 191, 195 , 199. 203, 244, 245, 262, 270. Milano (duchi di). Par. I, pag. 103, 181. — Par. II, pag. 133, 152. Ministraria. Paa. I, pag. 77, 81. Ministri. Par. I, pag. 77. 95, 183. — Par. II, pag. 91, 215, 220. Minores de populo. Par. II, pag. 9. Minuti (moneta). Par. II, pag. 77, 83- Mistro (Merlanno de). Parte I, pagina 13. Mobba populi. Par. I, pag. 106. Mocenigo Tomaso. Par. I, pag. 191. Molteplici (Vedi Moltiplici). Moltiplici. Par. I, pag. 199. — Par. II, pag. 175 , 224 , 225 , 227, 244, 245, 277- Monaco. Par. I, pag. 27, 42, 75, 97, 98, 210. Monferrato (marchesi di). Par. II, pagina 20. Mons libertatis. Par. I, pag. 193. Mons trium. Par. I. pag. 193. Montaklo Leonardo. Par. I, pag. 190. Monte. Par. I, pag. 50, i3r, 144, 145, 192, 202, 216. — Par. II, pag. 14, 48, 151, 277. Monte de dodici. Par. I, pag. 144. Monte de gentiluomini. Par. I, pagina 144-Monte dei morti. Par. I, pag. 145. Monte delle fanciulle (Firenze). Par. II, pag. 150. Monte de nove. Par. I, pag. 144. Monte depositi a Firenze. Par. I, pagina 145. - Par. II, pag. 45, 46, 47, 49, 150. Monte de riformatori. Par. I, pag. 144. Monte di conservazione. Par. II, pagina 269. Monte di pietà. Par. I, pag. 145- — Par. II, pag. 118. Monte di Pisa. Par. I, pag. 193. Monte di sussidio. Par. II, pag- 222, 223. Monte doti a Firenze. Par. I, pag. 145. — Par. II , pag. 45 , 47 , 48 , 49, 150. Monte Fino. Par. I, pag. 75. Monteggiani. Par. II, pag. 178. Monte mensa (Firenze). Par. II, pagina 149, 150. Monte Napoleone. Par. II, pag. 276. Monte non vacabile. Par. II, pag. 190, 224. Monte novissimo. Par. I, pag. 193. — Par. II, pag. 222, 223. Monte novo uno due. Par. I , pagina 193. Monte nuovo. Par. I, pag. 192. — Par. II, pag. 190, 222. Monte paghe. Par. II, pag. 269. Monte piemontese. Par. II, pag. 274. Monte S. Bernardo. Par. II, pag. 190, 221, 224. Monte S. Giovanni Battista. Par. II, pag. 190, 221, 223, 224. Monte S. Teresa. Par. II, pag. 231, 245, 275. Montes communis. Par. II, pag. 28. Monte uno due. Par. I. pag. 197. Monte vacabile. Par. II, pag. 190, 224. Monte vecchio. Par. I, pag. 191, 192, 195, 222, 223. Monte vitalizio S. Gio. Batt. Par. II, pag. 190. Monti fiorentini. Par. II, pag. 33, 46, 47, 149- Montpellier. Par. I, pag. xxii, 30, 34. Par. II, pag. 62. Montronum. Par. I, pag. So, 114. Morawitz. Par. II, pag. 276. Morea. Par. II, pag. 130. Morpurgo-Lupi. Par. I, pag. 54, 94, 109, 131, 157, 187,203. — Par. II, pag. 222. - 3^4 — Muratori Lod. Par. I, pag. 82, 158, 173, I9r) I92- — Par. II, pag. xv, 12, 15, 20, 91, 119, 142, 144, iSr, 187. Mutua vetera. Par. I, pag. xvii, xxvi, 96. 9S, 121, 123,129,131,207,208. Par. II, pag. 33. Mutuum impositum. Par. I, pag. 56, 92. Mutuum novum gazarie. Par. I, pagina 200. InT Nagl A. Par. I, pag. xvii, 78, 79, 8r, no, ni. * Nandi. Part. I, pag. 181. -* Napoleone. Par. I, pag. 32. — Par. II, pag. 273. Napoli , Napoletani. Par. 1 , pag. 8, 120, 168. — Par. II, pag. 62, 159, 191, 201, 243, 259, 262, 270. Narbonne e Narbonesi. Par. I, pag. 9, 30. Nasse E. Par. II, pag. 51, 52, 57, 58, 71, 80, 116. Naudé. Par. II, pag. 202, 208. > Negrone Ambrogio. Par. II, pag. 194. Negroponte. Par. I, pag. 186. — Par. II, pag. 130, 148. Nervi. Par. I, pag. 16. Nervi (Barone de). Par. II, pag. 277 Nicopoli. Par. II, pag. 12. Ninfeo. Par. I, pag. 79. Nirrnheim H. Par. I, pag. 141. Nizza, Nizzardi. Par. I, pag. xxi, 8, 9, 116. Nobili (Vedi nobiltà). Nobiltà e nobili. Par. I, pag. 3, 56, 57. 58, 60, 61, 62, 68, 7r , 73, 74, 75, 76, 78, 79, 92, i°2, Io6, 107, 117, 123, 125, 126, 127, 138, 152, 153, 155, 156, 175, 188, 211. -Par. II, pag. xr, xm , xxm, 4, 8, 9, 11, 12 , 15, 20, 135 , 136, 137, 139, 141, 155, 156, 157, 158, 188, 193, 195, 196, 197, 198, 211. Noiret. Par, II, pag. 135. Noli. Par. I, pag. 4, 7, 8, 9, 23, 24, 29, 117. Norimberga. Par. 1 , pag. 173. — Par. II, pag. 80, 252, 259. Notari. Par. I, pag. xxn. Novi. Par. I, pag. 13, 32- i'7- / Niìrnberg (Vedi Norimberga). O Obertenghi (famiglia degli). Par. I, pag. 3, 4, 16, 32. Obizo d’Este. Par. I, pag. 6. Octo de moneta. Par. I, pag. 140, 141. Octo nobiles. Par. II , pag. 58 , 62, 75, 9i- Officia balie prò rebus maritimis. Par. I, pag. 139. Officiales bancorum sive monètarum. Par. II, pag. 109. Officiales camere abbatum. Par. II, pag. 14. Officiales diminutionis montis. Par. II, pag. 47. Officiales frumenti. Par. I, pag. 143. Officiales montis. Par. I, pag. 201. Officiales salis. Par. I , pag. 196. — Par. II, pag. 24. Officiales super diminutione debito-rum. Par. II, pag. 15. Officiales super revidendo debentes recipere. Par. I, pag. 94. Officiales super solutionibus fiendis per bancherios. Par. II, pag. 83. Officia provisionis. Par. I, pag. 139. Officia provisionis maris. Par. I, pagina 139. Officia sortium floreni auri. Par. II, pag. 43- Officio dei poveri. Par. II, pag. 210. Officio di S. Giorgio. (Vedi Casa di S. Giorgio). Officium abundantie. Par. I, pag. 177. — Par. II, pag. 205, 206, 207, 209, 210. Officium assignationis mutuorum. Par. I, pag. xxvi, 93, 97, 101, 103, T04, | 106, 107, 130. - 3«5 - Officium balie. Par. II, pag. 154, 172. Officium Corsice. Par. II, pag. 123, 186. Officium de 1444. Par. II, pag. 90, 100, 106, 161, 214, 236. Officium del 1539. Par. II, pag. 161. Officium de moneta. Par. II, pag. 7, 12, 13) 23, 38, 41- Officium desbitatorum locorum comperarum communis. Par. II, pagina 16. Officium errorum montis. Par. I, pagina 202. Officium expense ordinarie. Par. I, pag. 146, 154. Officium florenorum auri. Par. I, pagina 134. Officium galearum. Par. I, pag. 186. Officium gazarie. Par. I, pag. 58, 59, 77, 140, 162, 167. Par. II, pag. 91, 134- Officium gazarie delle colonie. Par. II, pag. 123. Officium guerre. Par. II, pag. 230. Officium maris. Par. 1, pag, 139. Officium mercantie. Par. I, pag. xxix, 140, 160. — Par. II, pag. 54, 55, 561 57, 53. 61, 75, 76, 86, 91, 92, 99- Officium mercantie delle colonie. Par. II, pag. 123. Officium misericordie. Par. II, pagina 118, 143, 210, 225. Officium monete. Par. I, pag. 141, 145, 154- - Par. II, pag. 25, 100, 116, 117, 137, 138, 143. Officium monete delle colonie. Par. II, pag. 123. Officium monete bancorum. Par. II, pag. 61. Officium octo de credentia. Par. I, pag. 139- Officium octo de moneta. Par. II, pagina 6. Officiumprecedentis.Par.il, pag. 124, 213, 214. Officium precedentis de 1538. Par. II, pag. 161. Officium provisionis delle colonie. Par. II, pag. 123, 137. Officium provisionis super agentis Corsice. Par. II, pag. 91. Officium robarie. Par. I, pag. 204. Officium Romanie. Par. II, pag. 122, 123. Officium salis. Par. I, pag. 101. — Par. II, pag. 24, 90, 214. Officium victualium. Par. I, pag. 143, 144, 148, 177- — Par. II, pag. 205. Officium victualium delle colonie. Par. II, pag. 123. Olanda e-0fcmdesi. Par. I, pag. 166. > Par. II, pag. 195 , 201 , 202 , 230, 262, 265. Olivarez (duca di). Par. II, pag. 196. V Olivieri A. Par. I, pag. xix , 6 , 30, 32. Par. II, pag. xvi, xvm , xix, xx, 155, 184, 186, 188, 191, 208, 209, 210, 218, 242, 248, 251. Olon S. Par. II, pag. 184, 188, 191. Oneglia. Par. I, pag. 75. Operarii monetarum de Lombardia (Societas). Par. II, pag. 75. Oriente. Par. I, pag. 79) 8° 1 l67. i§6, 211. Par. II, pàg. 72, 92, 107, 130, 134, 193, 197, 201, 203, 230. Osmani. Par. II, pag. 107, 122, 129, „ 130, 182, 193, 202. Ovada. Par. I, pag. 33, Sr. — Par. > II, pag. 119. Paccioli. Par. I, pag. 145 , 144, 171, — Par. II, pag. 59. Padova, Par. II, pag. 73. Paflagonia. Par. II, pag. 123. Paga, paghe. Par. I, pag. 205. — Par. II, pag. 31, 37) 38 , 65 , ioi, 104, 106, 107, 159, 265. Pagae (Vedi paga). Paga floreni. Par. II, pag. 98. Paghe ad obbligo dei luoghi. Par. II, pag. 238. Paghe scritte. Par. II, pag. 23S, 239. Paghisti. Par. II, pag. 239. Atti Società Ligure Storia Patria. Voi. XXXV, P, II, iS 386 Pagnini. Par. I, pag. xvii, 114, 119, 17S, 192. — Par. II, pag. 82, 114. Palatium dugane. Par. II, pag. 91. Palatium maris. Par. II, pag. 91. > Palazzo del Capitano. Par. Il , pagina 91. V- Palozolum. Par. I. pag. 25. Palazzo Bianco. Par. I, pag. xxiv. X Palestina. Par. I, pag. 9, 79. Palodium. Par. I, pag. 33. Pammatone (Ospedale). Par. II , pagina 118, 210. Paolini. Par. II, pag. 151. Paolo da Novi (doge). Par. II , pagina 156. Papa. Par. I, pag. 25 , 40 , 163. — Par. II, pag. xv, 128, 130, 131, 182, 188, 193, 196, 224. Papa d’Amico. Par. I, pag. 56, 62, 157. Pardi. Par. I, pag. 153. Parigi e- Parigini. Par. I, pag. 43. — Par. II, pag. xiv. Parma. Par. I, pag. 86, 157. Participes grossiores. Par. I, pag. 109, 206. Partitores. Par. I, pag. 109, 221. — Par. II, pag. 136, 138. Partitori e distributori delle prestanze. Par. I, pag. 94. Pastine Domenico. Par. II, pag. 175. Paterson. Par. II, pag. 259, 262. Patres communis. Par. II, pag. 10, 14, 15, 9i, 173, 174, 209, 230, 233. Pedaggi. Par. I, pag. xxiv. — Par. II, pag. 9. Pedagia Gavi et Vultabi. Par. I, pagina 122, 134. Pedagio Torrigie. Par. I, pag. 13. Pedagium novum. Par. II, pag. 167. Pedagium porte. Par. I, pag. 12, 37, 170. Pedagium ripe. Par. I, pag. 12. Pedagium vicecomitatus. Par. I, pagina 12. Pedagium vicecomitum. Par. I, pagina 8. Pedaticum. Par. I, pag 36. Pegolotti. Par. I, pag. 114, 119. Pelavicìni (marchesi di). Par. I, pa- > gina 5. Pera e Peroti. Par. I, pag. 79 , 103, \ 121, 151, 155, 169, 186. — Par. II, pag. 15, 4r, 69, ni, 121, 122,134, 142. Peretum. Par. I, pag. 81. Peri. Par. I, pag. 223. — Par. II, pag. 190, 200, 203, 224 , 234, 235, 236, 254, 261. Pertile. Par. I, pag. 4, 5°, 69. Pertz. Par. I, pag. 53. Perugia. Par. II, pag. 92. Petrarca. Par. I, pag. 173. Philippovich de Philippsburg. Par. II, pag. 135, 262. Piacenza e Piacentini. Par. I, pag. 5, . 13, 32, 47, 48, 208. — Par. II, pa gina 195, 249. Pietro II re di Cipro. Par. I, pag. 212. Pieve di Teco. Par. II, pag. 119, 145, 176. Piombino. Par. II, pag. 148. Pirenne. Par. II, pag. in. Pisa e Pisani. Par. I, pag. xiv, 15, 16, 20, 21, 43, 49 , 54, 55, 59, 6°, 61, 69, 79, 80, 86, 91 , 92, 94, 98, 108, 113, 114, 131, 157, ifi7, 185, 193 . 195 , 197, 201 , 202 , 203. -Par. II, pag. 4, 5. 149, 182. Pitt. Par. I, par. 198. — Par. II, pagina 163. Platea bancorum. Par. II, pag. 173. Plazia. Par. I, pag. 114. Podestà. Par. I, pag. 28, 42, 57, 58, 61,62,65,74,79,92,93,102,103, 115, 147, 161, 162, 212. — Par. II, pag. 31, 123, 132, 134. Podestà F. Par. I, pag. 14. Podestarie. Par. I , pag. xxiv, 85, 104. Poggi. Par. I, pag. xxix. Pohlmann R. Par. II, pag. 37, 135, 167, 198, 199, 202. Polcevera. Par. I, pag, 81, 85, 86. Polcevera (valle) Par. I, pag. 29, 138, — Par. II, pag. 167, 171, 184. _ - 3§7 - Polonia. Par. II, pag. 129. Pons Ceba. Par. I, pag. 161. Pons clape piscium. Par. I, pag. 162. Pons pedagii. Par. I, pag. 162, 172. Pontes vini e de Spinolis. Par. I, pagina 162. Ponzano. Par. II, pag. 177. Ponzonum. Par. I, pag. 33. Popolo. Par. I, pag. 75 , 76, 77, 78, 79, 197, 117, 123 , 125 , 126, 127, *38, 152, T53, 155, 156, 175, 188, 211, 216. — Par. II, pag. xi, xiii, 4, 11, 15, 20, 136, 137, 139, 141, 155. 158- Popolo grasso. Par. II, pag. 156, 157. Popolo minuto. Par. II, pag. 156. Porta di Vacca. Par. I, pag. 34, 116. Porto-franco. Par. II, pag. 200, 202, 205, 228, 229, 230, 231, 257, 258, 372, 274. Portogallo. Par. I, pag. 168. — Par. II, pag. 29, ni, 135. Portogallo (re di). Par. I, pag. 208. Porto Maurizio. Par. I, pag. 24, 28, 29, 88, 113, 116. Portovenere. Par. I, pag. 27, 29, 30, 36, 42, 81. Par. II, pag. 201. Porto Pisano. Par. I, pag. 114, 167. Portus Pisanus (Vedi Porto Pisano). Prato. Par. II, pag. 60. Predelli. Par. I, pag. 94, 177. Prestanze. Par. I, pag. 157, 192. Prestiti contro pegno. Par. I, pag. 47, 48, 49, 50, 51, 77- - Par. II, pagina 117, 118. Prestiti forzosi. Par. I, pag. xvi, 50, Si, 53, 54, 55, 56, 57, 63, 65, 66, 67, 69, 70, 96, 97; 123, 12S, 138, 144, 146, 149, 151, 155, 157, 159, 1S5, 188, 189, 190. 191, 192, 193, 194, 200, 205, 214, 221. — Par. II, pagina 7, 8, 12, 25 , 26, 27, 30, 38, 39, 40, 41, 61, 136, 138, 139, 162, 188, 189, 222. Prestiti in sospeso. Par. I, pag. 47, 48. 49, 97, 1S9. — Par. II, pag. 38, 190, 223. Prestiti volontari. Par. I, pag. xvi, 64, 67, 101, 188, 190. — Par. II, pag. 34, 39, 40, 42, 189. Price. Par. I, pag. 198. Priores artium. Par. II, pag. 9, n, 12. Promis V. Par. I, pag. 122, 151. — Par. II, pag. 54, 187. Promontorio (Federico de). Par. II, pag. 15- Promontorio Pelugro. Par. II, pa- > gina 66. Prostituzione. Par. I, pag. 175. Protettori (Protectores) delle compere. Par. I, pag. xvii, xxiv, xxv, xxvi, 102, 108, 109, 113, 114, 119, 123, 124, 125, 128, 132 , 133 , 136, 137, 141, 145, 149, 161, 190, 191, 195, 196, 199, 220, 222. — Par. II, pagina ix, 6, 13, 14, 15, 17, 21, 26, 63, 68, 94, 95, 100, 102. Protezionismo. Par. I, pag. 175. Provenza e—Provenzali. Par. I, pagina 9, 37, 38, 75, 80, IT3, 16S, 178. — Par. II, pag. 169. Providentia (Societas). Par. II , pagina 142. Provisionis maris. Par. I, pag. 139. Provisores rerum Caphensium. Par. II, pag 121. Provisori dell’olio. Par. II, pag. 20S, 210. Provvisori del vino. Par. II, pag. 209, 210. Puglia. Par. I, pag. 179. Pulcifera (Vedi Polcevera). Q, Quartino (misura). Par. I, pag. 39. IR Raiba (Vedi Rayba). Ranke. Par. I, pag. xm. — Par. II, pag. 142, 191, 192, 196, 213, 227. Rapallo. Par. I, pag. 85, 113, 116. Ratti C. G. Pas. II, pag. xxi, xxir, 25, 232, 235, 236. Rayba. Par. I, pag. 162. — Par. II, pag. 14S. - 388 - Reba. Par. II, pag. 230. Recco. Par. I, pag. 5, Ss, 86, 116. Reformatio montis. Par. II, pag. 47. Regalie. Par. I, pag. 4, 6, 40, 41, 134. Regalium Valentie. Par. II, pag. 114. Regulae comperarum capituli. Par. I, pag. xxiv, xxvi, xxvii, xxvm, 91, 113. — Par. II, pag. 102. Reobligo. par. II, pag. 265. Retornum. Par. I, pag. 34. Réumont A. Par. II, pag. 48 , 150. Revisores avariarum veteres. Par. II, pag. 91. Rezasco G. Par. I, pag. 22, 144, 145, 203, 206, 207, 223. — Par. II, pagina xxiv. Ricca-Salerno. Par. I, pag. 4, 14, 50, 54, 152, 1S0, 197. — Par. II, pagina 151, 152. 191, 192, 223, 224, 270. Richerio/Par. I, pag. xxm , 36, 38, 44, 46, 53, 58, 59- 63, 92, 99, 183, Par. II, pag. 75, 77. Richerius (Vedi Richerio). Rietschel. Par. I, pag. 14. Rigobon P. Par. I, pag. 142 , 185. Rinuccio. Par. II, pag. 153. Ripa. Par. I, pag. 4, 82. Ripa grossa. Par. I, pag. 83 , 121, 128, 132, 134 , 137, 170, 171, 176. — Par. II, pag. 167, 168, 219. Ripa minuta. Par. I , pag. 83 , 121, 134, 171. — Par. II, pag. 167, 168, 219. Rivarolo. Par. I, pag. 48 , 81. Riviera di Levante. Par. I, pag. 85. — Par. II, pag. xv, 170, 173. Riviera di Ponente. Par. I, pag. 29, 84, 103, 181. — Par. II, pag. xv, 183. Riviere. Par. I, pag. 16, 117, 166, 182. — Par. II, pag. 145, 14S, 165, 185, 205. Roberto re di Napoli. Par. I,pag. xxv, 103, 106, 120. Roboretum. Par. I, pag. 27. Rocca P, Par. I, pag. 39, 40, 121, — Par. II, pag. 77. Rodano (Valle del). Par. I, pag. 181. Rodi. Par. II, pag. in* Roma. Par. I, pag. xiii , 3 , 8, 41, y 42, 47. — Par. II, pag. 202, 243, 262, 275. Roncaglia. Par. I, pag. 41. Rossi G. Par. I, pag. 28. Rosso Rainerio podestà. Par. II, pa-gina 5. Rota. Par. II, pag. xxiv. Rotari. Par. I, pag. 3) T4- Riibel K. Par. I, pag. 123, 173. Rubens. Par. II, pag. 196. Rubeus Rainerius. Par. I, pag. 62. Ruhland G. Par. II, pag. 206. Russia. Par. I, pag. 178. — Par. II, ^ pag. 202. S Sacro catino. Par. I, pag. 119. Saenger K. Par. I, pag. 130, 198, 263. Sal albus e sal niger. Par. I, pag. 113, 114, 115. Sale (monopolio). Par. I, pag. xxvi, 28, 29, 38, 48, 52, 56, 59, 63, So, 88, 109, 112 , 113 , 114 , 118, 119, 128, 129, 133, 195. — Par. II, pagina 6, 19, 23, 24, 45, 97, 99. 132, 147, 160, 169, 170' 174, 208, 214. Salerno e Salernitani. Par. I, pag. 8. Salo. Par. I, pag. 33. Salsa. Par. I, pag. 164, 171, 191. — Par. II, pag. 40, 149. Salvatores portus et moduli. Par. I, pag. 93 , 95, 136 , 137- — Par. II, pag. 15, 44, 45- Salvioni. Par. I, pag. xvii, 173. Samastro (Amasra). Par. II, pag. 123, > 130. Samotrace. Par. II, pag. 130. Sampierdarena. Par. I, pag. 16. Sander. Par. II, pag. 80. S. Fiorenzo. Par. II, pag. 120, 131, V 132. S. Florent (Vedi S. Fiorenzo). S. Fruttuoso. Par. I, pag. 75. S. Giorgio, vedi S. Giorgio (Casa di;. — 389 — S. Giorgio (Casa di). Par. I, pag. xvi, xvii, 49, 125, 132, 169, 220, 221. — Par. II, pag. vii, ix, x, xi, xm, XVII, XVIII, xix, xx, XXI, XXII, XXIII, xxiv, 3, li, 15, 17, 18, 19,21,22, 23. 24, 25. 30, 31, 33, 37, 38, 41, 42- 43, 44, 45, 49, 65 , 68, 69, 70, 7i, 72, 73, 74, 86, 87, 89, 90, 91, 92, 93, 94- 95, 97, 98, 99, 10°, i°i, 105, 107, 108, 117, 118, 121, 122, 125, 127, 128, 129, 130 , 131, 132, I33> 135, 136, 137, 144, 147, 148, J49, 152, 153, 154, 155, 159, I60, 161, 163, 164, 169, 170, 172, 176, 177) 179, 180, 185, 186, 190, 207, 210, 211, 212, 213, 214, 215, 216, 217, 218, 220, 221, 222, 224, 225, 226, 227, 228, 229, 230, 238, 240, 243, 245, 251, 252, 253, 256, 257, 261, 265, 266, 267, 268, 269, 270, 273, 274, 275, 276, 277. S. Giorgio (Compere di). Par. I, pagina xvi, 108, 164, 223. — Par. II, pag. xviii xix, xx, 14, 16, 17, 19, 26, 32, 41. 43, 46, 69 , 89, 93, 95, 96, 97, 100, 105, 106, 119, 121, 125. 126, 130, 136, 154, 159, 160, 161, 162, 164, 171, 172, 176, 212, 228, 229, 230, 231, 243, 245, 255, 266, 270, 271, 272. S. Giorgio (luoghi di). Par. II, pagina 19, 36, 37, 41, 94, 95, 104, 105, 106, 121 , 127, 128 , 142, 143, 146, 149, 154, 159, 160, 162, 164, 177, 185, 189, 212 , 214, 221, 225, 226, 228, 232, 233 , 234, 244, 245, 255, 258, 275. S. Giorgio (paghe di). Par. II, pagina 167, 185, 207, 216, 22S, 234, 235, 238, 240. S. Giorgio (Palazzo di). Par. I, pagina 200. — Par. II, pag. xxi, 24, 91, I53> 165, 211. S. Giorgio (Primo esercizio bancario 1407-1444). Par. II, pag. x, xix, xx, 3, 45, 46, 49 , 62 , 65, 66, 67, 68, 69, 71, 72, 73, 74 , S2, 84, 86, 87, 88, 89, 90, 1S1, 255. S. Giorgio (Secondo esercizio bancario 1586-1815). Par. II, pag. 240, 242, 243, 245, 249, 255 , 259, 261, 262, 263. S. Giovanni (Quartiere-Firenze). Par. I, pag. 193. S. Lorenzo (Chiesa di). Par. I , pagina 15. 31, 36, 40, 183. — Par. II, pag, 173, 211. S. Luca (Chiesa di). Par. II, pag. 233. San Luigi re di Francia. Par. II, pa-giba 4. S. Martino. Par. I, pag. 8. > S. Remo. Par. I, pag. 23. S. Siro (Convento di), Par. I, pag. 18. Sansovino F. Par. II, pag. 24. Santa Croce (Quartiere-Firenze). Par. - I, pag. 193. Santa Maria Novella (Quartiere-Fi- . renze. Par. I, pag. 193. S. Spirito (Quartiere-Firenze). Par. I, pag. 193- S. Margherita. Par, I, pag. 113. S. Maria in Carignano (chiesa di). Par. II, pag. 233. Sapientes. Par. I, pag. xxvi, 93, 97, 129. Par. II, pag. 16. Saraceni. Par. I, pag. 14, 15, 17, 20, 21, 37- 43, 47, 53- 151. 166. Sardegna (regno di). Par. II, pag. 274, 276. Sardegna (isola di). Par. I, pag. 15, 16, 17, 46, 80, 113, 155, 166, 179, 1S8. — Par, II, pag. 62. Sarzana. Par. II. pag. 153, 176, 177, 179, 184. Sassari, Par. I, pag. 113. Sauli Bendinello. Par. II, pag. 194, 232. Sauli Nicola. Par. II, pag. 15. Savoia. Par. I , pag. 32. — Par. II, pag. 3, 183, 18S, 266. Savoia (duchi di). Par. I , pag. 103. — Par. II, pag. 11. Savona e-Savonesi. Par. I, pag. S, 9, 23, 24, 28 , 45, 103 , 116 , 117, 120, 126, 139, 149, 1S6, 191. — Par. II, pag. 73, 93, 169, 183, 1S4, 185, 191, 201. X — 39° — Savonarola. Par. II, pag. 151. Scabini. Par. I, pag. 50. Scaccia. Par. II, pag. 242. Scannus. Par. II, pag. 66. Schaube A. Par. I, pag. xvii, 56, 58, 59, 139- — Par. II, pag. xxiii, 77. Schiavi. Par. I, pag. 10, 174. — Par. II, pag. 168, 175. Schmoller. Par. I , pag. 75 , 76 , 78, 177- — Par. II, pag. vm, xm, 69, 77, Si, 247. Schònberg. Par. I, pag. 43, 112, 152, 173- Schulte. Par, I, pag. 166, 167. — Par. II, pag. 5, 50. Sciampagna. Par. II, pag. 4. Scio. Par. I , pag. xxxi, 151, 155, 169, 186, 211, 2t2, 214,. 215, 216, 217, 220, 221. - Par. II, pag. 18, 43, 69, in, 122. Scriba cartularii temporis. Par. II, pag. 68. Scriba Giov. Par. I, pag. xxn. Scripta. Par. II, pag. 59, 72. Scripta banci. Par. II, pag. 104, 116, 117. Scrittura doppia. Par. I, pag. xxx, 91, 141, 142, 143- — Par. II, pag. 60, 185. Scritturali. Par. I, pag. 72. — Par. II, pag. 215. Scrivia (Val di). Par. I, pag. 32. Scuse. Par. II, pag. 235. Sebastopoli, Par. II, pag. 123. Senarega. Par. I, pag. 75. — Par. II, pag. xv, 36, 142, 156, 181. Serra. Par. I, pag. xxvn, xxvm. — Par. II, pag. xxn; 18, 183, 184, 197. Sestri Levante. Par. I, pag. 86, 116. Sforza Francesco duca di Milano. Par. II, pag. 120, 133, 193. Sicilia. Par. I, pag. 17, 38 , 42 , 80, 88, 168, 178, 179, 180. — Par. II, pag. 62, ni, 148, 201, 202. Siena. Par. I, pag. 54 , 144, 203. — Par. II, pag. xv, 148. Sieveking. Frontespizio. — Par. I, pag. 76 , 141, 142 , 177 , 201. - Par. II, pag. 105, 155 , J97, i98, 200, 247. Sigismondo imperatore. Par. II, pagina 43. Signori della mattina, par. II , pagina 213. Signori della scrittura. Par. II , pagina 213. Simisso. Par. I, pag. 120. Simonsfeld. Par. I, pag. 202. — Par. II, pag. 5- Sindicamentum. Par. I, pag. 97, 100. Sindicarores. Par. I , pag. 97 , 14°, 155. — Par. II, pag. 22, 214. Sindicatores delle colonie. Par. II, pag. 123, 132. Sindici communis. Par. I , pag. 102, 179. — Par. II, pag. 10. Sindici (delle compere). Par. II, pagina 215. Sinking fund. Par. I, pag. 198. Sismondo (Console). Par. I, pag. 21. Sisto papa. Par. II, pag. 107. Siviglia. Par. II, pag. 250. Smith Ad. Par. I, pag. 215. Società per azioni. Par. I , pag. xv, xvii, xxxi, 108, 221, 223. — Par. II, pag. 25, 30, 68. Societas de fosumpis. Par. I, pag. 171. Soldaia (Sudak). Par. I, pag. 186. — Par, II, pag. 123. Sommerland. Par. I, pag. 8. — Par. II, pag. 172. Spagna. Par. I, pag. 17, 33, 47. — Par. II, pag. xm , xiv, 135 , 148, 176, 178, 182, 183, 185, 188, 194, 195, 196, 197, 200, 201. Spendium. Par. I, pag. 154, 160. Spezia. Par. I, pag. 113, 114, 116. — Par. II, pag. 9, 169, 184. Spignum. Par. I, pag. 33. Spinola Antonio. Par. II, pag. 132. Spinola Battista. Par. I, pag. 207. Spinola Eliano. Par. II, pag. 143. Spinola (famiglia). Par. I , pag. n, 13, 7i, 74, 75, 93 , 102 , 120, 153. — Par. II, pag. 4, -*37, 158. Spinola Francesco. Par. II, pag. 119. — 39i — Spinola Gaetano. Par. II. pag. 66. Spinola Galesto de Luculo. Par. I, pag. 125. Spinola Guglielmo. Par. I, pag. 32, 33. Spinola Luciano. Par. II, pag. 16, 159, 175- Spinola M. Par. II, pag. 183, 212. Spinola Oberto. Par. I, pag. 71, 79. Spinola Opecinus. Par. I, pag. 94,102. Spinula (Vedi Spinola). Squarciafico Oliviero. Par. I, pag. 129. Squar^aficus Oliverius (Vedi Squarciafico Oliviero). Stalia e superstalia. Par. I, pag. 161. Statuta civilia. Par. II, pag. 61. Statutarius. Par. I, pag. 161. Stella. Par. I, pag. xxiv, 76, 92, 126, 157, i65 , 172 , 174 > 183 , 211. -Par. II, pag. xv, 9, 12, 15, 20, 36, 91, 119, 158, 181, 192, 268. Stieda W. Par. II, pag. vili, 16, 136, 144- Stolus. Par. I, pag. 20. Strasburgo. Par. I, pag. 75 — Par. II, pag. xm, 50, 78, 80. Stromer Ulman. Par. I, pag. 166. Strozzi Pietro. Par. I, pag. 203. Sudak (Vedi Soìdaia). Super dando et recipiendo salem (impiegati). Par. I, pag. 115, 116. Superstantes ceche. Par. I, pag. xxv, 95. - Par. II, pag. 75, 76, 86,109. Surdi Guilelmo. Par. I, pag. 56. T Taggia. Par. I, pag. 29, 116. Tamim. Par. I, pag. 21. Tana (città di). Par. I, pag. 143. — Par. II, pag. 70, 123, 134. Tarigo Cosma. Par. II, pag. 16. Tartari. Par. II, pag. 70, 127. Tartari (Can dei). Par. II, pag. 127. Tartaro Simone. Par. I, pag. 71. Tartarus Simon (Vedi Tartaro). Tasos. Par. II, pag. 130. Tassa alla nobiltà. Par. II, pag. 206. Tassa di successione. Par. I, pag. 90, 157, 158, 160. — Par. II, pag. 142. Tassa sugli stipendi. Par. I, pag. 122. Tauro (Colonie del). Par. II, pag. 121, > 122, 123, 125. Tedeschi. Par. I, pag. 166. — Par. II, pag. 5, 165. Terracina. Par. I, pag. 211. Terralba. Par. I, pag. 113. Terra Santa. Par. I, pag. 16. Terratica. Par. I, pag. 104. Timur. Par. II, pag. 129. Tirreno. Par. II, pag. 134. • Tolone. Par. I, pag. 139. Tolosa (Conti di). Par. I, pag. 62. Tomaso Maria (padre) (Vedi F. O. Olivieri). Tontine. Par. II, pag. 190. Torino. Par. I , pag. xvm, 52. — > Par. II, pag. 3. Torriglia. Par. I, pag. 5, 7, 13, 65. Tortona. Par. I, paS. 3, 36. Tortosa. Par. I, pag. 20. Toscana er^Toscani. Par. I , pag. 9, 166, 167. Trebisonda. Par. I, pag. 120. — Par. • II, pag. 123, 127. Triora. Par. II, pag. 9. Triplex solutio. Par. I, pag. in. Tristalia. Par. I, pag. 161. Trium comperarum. Par. I, pag. 131. Tunisi. Par. I, pag. 17, 148, 167, 168. Turchia e-Ttrrchr. Par. I, pag. 174, 179, 220, 221. — Par. II, pag. 107, 120, 121, 126, 130, 178, 1S9, 194, 201, 203, 276. Turre (Philippus de la). Par. I, pagina 61. Turri (Raffaele di). Par. II, pag. 242. U Ufficiali all’imprestiti. Par. I, pag. 54, ! 94. j Ufficiali delle rason vecchie. Par. I, pag. 91, 143, 202, 203. Ufficiali del monte. Par. II, pag. 151. Ufficio di paghe. Par. II, pag. 239. Ugo (visconte). Par. I, pag. 21. Ulm. Par. I, pag. 27. Ungheria. Par. II, pag. 129. — 392 — Y Usodiinare Anfreone. Par. II , pagina 173, 174. Usurarii. Par. II, pag. 52. V Vacca Francesco. Par. I, pag. 139. * Valenza. Par. I, pag. 16S. N Van Dick. Par. II, pag. 196. Varazze. Par. I, pag. 28, 29, 40, 116, 1S2. Varese. Par. I, pag. 75. v Vegius Johannis. Par. I, pag. 59. Venditores gabellarum. Par. I, pa- ■ gina xxix, 161. Venezia e Veneziani. Par. I, pag. xiv, xv, xvni, 37, 49 , 54, 60, 67, 74, 91, 94, 109, 118, 124, 139, 141, 142, i43> 144, 145, 146, 147, 148, 149, 150, 157. 158, 159, 163, 170, 171, 173, 176, 177) 180, 174, 1S6, 189, 190, 192, 194, 195, 197, 201, 202, 203, 204, 207, 208, 210, 211, 215, 223. — Par. II, pag. x, xn, xiv, 3, 4, 5, 7, 29, 43, 52, 56, 60, 62, 63, 71, 78, 80, no, in, 116, 120, 130, 133, 134, 135, 136. 181, 182, 183, 184, 1S5, 187, 194, 198, 201, 203, 205, 206, 222, 252, 258, 259, 262, 276. Ventimiglia. Par. I, pag. 8, 28, 45, 55, 87, 113 , 116 , 119- — Par. II, pag. 177, 179, 184. Vercelli. Par. I, pag. 52, 98. Verri. Par. II, pag. 199, 203. Vescovi. Par. I, pag. 15, t6, 18. Via Posthumia. Par. I, pag. 3. Victualium regiminis. Par. I, pag. 150. Vicedomini. Par, I, pag. 94. Vietti. Par. II, pag. 213, 231, 245, 261, 266, 275. Vigna A. Par. II, pag. x, xxiii, 22, 25, 38, 80, 90, 107, 108, 121, 122, 123, 124, 125, 126, 127, 128, 129, 130, 134, 142. Vignoso Simon. Par. I, pag. 211. Villani Giovanni. Par. I, pag. 96, 131, 171, 173- Villani Matteo. Par. I, pag. 192, 193, 202, 203. Vincentello. Par. II, pag. 132, 133. Visconti. Par. I, pag. xxi , xxii , 6, 7, 10, 12, 16 , 20 , 27, 30 , 31, 32, 38, 65, 66, 73, 75, 77, 81, 127. -Par. II, pag. xm, 9, 10, 11. Vivaldi (Benedetto). Par. II, pag. 15. Vivaldi (famiglia). Par. I, pag. 11. Vivaldi Francesco. Par. I, pag. 199. Vivaldi Oberto. Par. I, pag. 129. Vivaldi Raffaele. Par. II, pag. 15. Volga. Par. II, pag. 129. Voltaggi (Vedi Voltaggio). Voltaggio. Par. I, pag. xxi, 12, 13, 29, 3°, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 40, 81, 166, 170. — Par. II, pagina 145, 164. Volterra. Par. I, pag. 114. Voltelini (H. di). Par. I , pag. 16. Voltri. Par. I, pag. 29 , 34 , 81, 85, S6, 116, 138. — Par. II, pag. 167, 169, 171, 184. Vulturis (Vedi Voltri). W Wagner. Par. II, pag. ix, 142. Walpole. Par. I, pag. 198. Weissenborn. Par. I, pag. 7. Wiebe G. Par. II, pag. 215. Wilda H. Par. I, pag. 88. Winkelmann Par. I, pag. 6. Wiszniewski Ad. Par. I, pag. 49. — Par. II, pag. xvm, xxi, xxii, 158, 214, 251, 270. Wolf A. Par. I, pag. xxiv, 5, 10, n, 12, 13, 19, 28, 32, 34 , 35, 40, 44, 45, 47, 50, 51, 52, 55 , 56, 58, 63, 64, 67, 68, 69, 70, 77, So, 81, 82, 83 , 85 , 86 , 87, 91 , 92 , 99 , 100, 101, 112, 116, 118, 174. — Par. II, pag. xvii. Z Zecca. Par. I, pag. 41 , 95 , 136. — Par. II, pag. 37, 55, 75, 76, 77, 78, 81, 83, 86, 87, 109, 117, 256, 274. Zerbi Gio. Ant. Par. II, pag. 243, I 244. ERRATA-CORRIGE Parte I. Pag. 44 nota 3 Volf leggi Wolf » 51 » 2 » » » » » » 3 » » » 73 » 2 Kegel f> Hegel » 76 » 2 Belor » Beloch » » » 7 Kentgen » Keutgen Parte II. Pag. 39 linea ultima cosso » corso » 49 nota 3 Moes » Mees » 52 nota 2 Eudemann » Endemann » 60161'linea ultima ricombio » ricambio » 9i t> 14 garanrie » gazarie » 138 » ultima quando » quanto » 149 » 4 salso » salsa » 174 » 24 consolidationis » solidatiouis » 175 » 12 » & » » 177 » 20 » » i> » 193 » 11 amicizia & inimicizia » » » ultima quanto » quando » 239 » 13 Il bisogno gli » il bisogno che gli appaltatori che.... » appaltatori..... » 250 » 5 parità » pari » 253 » 7 » » » » 264 » 3 Hees » Mees. 1 . . X;, i ■ * • ■ ■ 'ma . -, INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO VOLUME Dott. Prof. Heinrich Sieveking. Studio sulle Finanze Genovesi nel Medio Evo e in particolare sulla Casa di S. Giorgio. — 1 raduzione dal tedesco di Onorio Soardi riveduta dall’Autore. Parte Prima. Le Finanze Genovesi dal XII al XIV secolo. Parte Secotida. La Casa di S. Giorgio.