ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XL GENOVA NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Palazzo Bianco MCMVIII Proprietà Letteraria della Società Ligure di Storia Patria in Genova Genova — Tipografia Sordomuti, 1908. LIGURIA PREISTORICA DEL SOCIO ARTURO ISSEL PREFAZIONE in dal 1892 fu pubblicata per cura del solerte editore A. Donath la mia Liguria Geologica e Preistorica, nella quale mi studiai di riassumere e di riordinare le nozioni raccolte in lungo volgere di anni sulla geologia e i materiali estrattivi, come pure sulla etnografia e le origini degli antichi abitatori della nostra regione ; ciò col precipuo intendimento di esporre le mie osservazioni personali. Il pubblico fece lieta accoglienza a siffatto lavoro, che rimase in breve esaurito; laonde, trascorsi 15 anni e venuti in luce molti documenti inediti intorno alla materia, pensai di richiamarlo a nuova vita, ponendolo eziandio a livello dei recenti prò- gressi. Mi accinsi quindi alla elaborazione della parte paletnologica, col proposito di farne cosa indipendente. Esaurito il mio compito, ne risulta non già una seconda edizione, ma un' opera maggiore e diversa dairoriginana, che presento oggi al lettore per generosa liberalità della Società Ligure di Storia Patria. Il volume comprende oltre alla riproduzione di quattro tavole di manufatti preistorici e di ossa fossili, gentilmente disegnate per me, nel 1892, dal Prof. N. Morelli, un certo numero di vignette già comparse nella Liguria Geologica e Preistorica, 9 φ · fra le quali venticinque provengono da incisioni appartenenti al Cav. A. Donath, cui mi professo obbligato per la licenza che mi diede di adope rarle. Ringrazio poi di gran cuore il Sig. Clarence Bicknell e l’Ing. Paolo Bensa, che mi prestarono il primo otto fotoincisioni, il secondo tre; ed esprimo infine viva gratitudine anche al Sig. Pietro Muttini, i! quale si compiacque di assistermi nel curare l’edizione e di compilare l’indice alfabetico. A. Issel. INTRODUZIONE Lva prima menzione dei Liguri si trova in Esiodo, il quale visse probabilmente nell’Vili secolo innanzi l’éra cristiana (i). Pochi cenni di poi son forniti su questo popolo da alcuni scrittori greci del V secolo. Ecateo di Mileto ricorda Monaco e Marsiglia come situate in Liguria, e cita una tribù ligure nei pressi di Narbona, ove più tardi, nel VI secolo della nostra era, fu segnalata una località denominata Liguria (2). Eschilo pone in bocca di Prometeo, il quale insegna ad Ercole la via che conduce alle Esperidi, le parole seguenti (3): « Tu incontrerai l'intrepida oste dei Liguri, e tu valoroso vedrai quanto sieno abili nel combattere. Farà la sorte che in questo punto vengano a mancarti gli strali, nè potrai raccogliere sassi perchè ivi il suolo è molle. Ma Zeus avrà pietà di te e coprirà il terreno di ciottoli come grandine, cosicché per mezzo di tali armi disperderai facilmente il nemico » (4). (1) Questa menzione non ci è nota che per essere compresa in un frammento citato da Strabone. (2) In Fragmenta Historicorum Graecorutn etc., curantibus C. et Th. Miillero. Parisiis, edit. A. F. Didot, 1853, voi. I, pag. 2. (3) Strabonis geographica grucce cum versione reficta accedit index variantis lectionis etc., curantibus C. Miillero et F. Durnero. Parisiis, edit. A. F. Didotr 1853, pag. 151, 152. (4) In questa leggenda i più autorevoli commentatori ravvisano il ricordo delle gesta compiute nella regione ligure da colonizzatori e trafficanti fenici, simboleggiati da Ercole, che i Greci trassero dalla mitologia siri ina, ov’ era conosciuto sotto il nome di Melkart, per introdurlo nella propria. In tale Atti Soc. Lig. St. Pitriì. Voi. XL. 2 1 IO — Più tardi Erodoto, fra i mercenari arruolati da Amilcare cartaginese per guerreggiare in Sicilia nell anno 4S0 pi ima di C., comprende coi Fenici, i Libi, gli Iberi e i Sardi, anche i Liguri (1); in un altro punto menziona i Liguri insieme a certi popoli dell Asia minore e della Siiia come componenti l’esercito di Serse. Tucidide, da canto suo, scrisse che prima della gueria di Troia, vale a dire in tempi anteriori al XIII secolo, i Liguri cacciarono dalla loro sede i Sicani, popolo della penisola iberica. Ma non si può prestar fede ad oscure tradizioni alterate e probabilmente ingigantite col volgere dei secoli, passando da un popolo all’ altro. Qual relazione, d’altronde, avevano coloro cui si attribuisce l’espulsione dei Sicani colla gente che noi reputiamo originaria dei paesi situati intorno al Golfo di Genova? Ognun sa che Γ Odissea d’ Omero designa come sede di Circe una piccola isola bassa e selvosa, la quale in base ad argomenti irrefragabili fu testé identificata dal Cham-pault (2) con Pianosa. Orbene Euripide attribuisce a Circe l’epiteto di ligustica (3). interpretazione convengono A. Thierry, Lindenschmidt, Herzog, Bargès, d Arb de Jubainville, E. Desjardins, P. Castanier. A me pare che nelle parole di Prometeo non si presagisca una cadut di pietre dal cielo, secondo la interpretazione comunemente ammessa, piuttosto il ritrovamento, per volere di Giove, di un terreno sparso di sas Nel suggerire l’uso di tali sassi a guisa di armi si allude poi senza dubb al modo di combattere dei Fenici mediante la fionda. ^ (1) Herodoti Historiarum etc., conivi. G. Dindorfìus. Parisiis, edit. A. Didot, 1844, pag. 364. ^ . (2) Champault, Phéniciens et Grecs en Italie d'après FOdyssée. arl » E. Leroux edit., 1906. (3) Circe omerica personifica verosimilmente, secondo l’autore precitato, una delle stazioni fenicie, le quali nei tempi in cui viveva il poeta esercita vano quasi esclusivamente il commercio e la navigazione nel Mediterraneo e si studiavano con gelosa sollecitudine di conservare il loro primato. Un altr di siffatte stazioni ebbe sede a Marsiglia che era allora paese ligure. — IX - Da un brano di Erodoto si deduce come egli comprendesse i Liguri fra gli abitanti della regione lambita dal Mar Nero; altri autori li collocavano alla estremità orientale di questo mare ed accennano alla città di Kutaia (forse l’odierna Kutais) nell’antica Colchide come loro sede. A me sembra inverosimile l’ipotesi di una stretta affinità fra gente che popolava in tempi remoti paesi così lontani fra loro ; nè so acconciarmi al supposto di una origine comune e tanto meno a quella di una emigrazione in Oriente dei Liguri propriamente detti. Nel III secolo prima dell’èra volgare Eratostene attribuiva ancora il nome di Liguri agli abitanti di gran parte -—del bacino circummediterraneo a ponente della penisola italiana, ed è presumibile che'pei Greci dei suoi tempi fossero tali i popoli dell’ estremo occidente, rimasti affatto estranei alla civiltà ellenica. Nel modo stesso che durante il medioevo bastò l’errore di Colombo perchè gli abitanti del nuovo continente fossero detti Indiani, e questo nome fosse loro attribuito fino ai nostri giorni, sebbene sieno ben diversi sotto tutti gli aspetti dai popoli dell’ India propriamente detta, così nei tempi più remoti una tradizione infondata, una analogia intraveduta, che poteva aver per base taluno di quei costumi comuni a tutti i popoli barbari, fu sufficiente a dar credito ad erronei riferimenti. Secondo Polibio, dopo Γ invasione dei Galli, dei Cenomani, dei Salluvi, dei Boi, dei Senoni, in Italia, s’ intendeva per Liguria il paese limitato a nord dal Po, ad ovest dal Varo e dalle Alpi, al sud dal mare e ad est dalla Trebbia e dall’Arno. Pisa, soggiunge, era la prima città etrusca, ben s’intende per chi procedeva verso il mezzogiorno. Sempronio poneva la nostra regione fra il Varo e la Magra, e così molti altri scrittori. I Fin dai tempi di Strabone Genova si reputava Γ emporio dei Liguri, i quali erano divisi dagli Etruschi per mezzo della Magra (i). Nella memorabile divisione dell' Italia in i i regioni, istituita da Augusto, la Liguria era la nona, ed aveva per confini il Varo, il Po, il mare ligustico e la Magra. Plinio scrisse « Macra Liguria finis » (2). Filisto siracusano, storico contemporaneo di Dionigi il tiranno ricordò i Siculi come tribù lig-ure. Altri dicono Liguri gli aborigeni del Lazio. Seneca da canto suo attribuisce con maggior fondamento al medesimo ceppo gli abitanti della Corsica. Una delle 17 provincie consolari nelle quali fu suddivisa l’Italia sotto rimpero'di Costantino, prese nome dalla Liguria e fu assai più estesa della nona circoscrizione di Aug-usto. L’espressione geografica alla quale alludiamo non ebbe mai, adunque, un significato preciso e fu attribuita prima dai Greci, poi dai Latini ad una estesa regione che era loro presso a poco ignota. A misura che le vicende storiche ebbero messo in luce altri popoli distinti, per nome e costumi peculiari, dai Liguri, a questi si assegnarono più angusti confini. Nel secolo XV Alberti accenna ai due corsi d’acqua Varo e Magra che delimitano la Liguria a ponente e a levante, e al medesimo concetto s’informano i geografi dell’ evo moderno ; ma rimangono divergenti i dati relativi al confine settentrionale, che alcuni sospingono fino alla pianura padana ed altri avvicina più o meno allo spartiacque. (1) Strabonis geographica graece etc., curantibus C. Miillero et F. Diir-nero. Parisiis, A. F. Didot edit., 1853, pag. 175 e 185. (2) Histoire naturelle de Piine> avec la trad. en fratig. par E. Littré. Paris, Dubochet, Chevalier et C. édit., 1848, voi. I, pag. 162. — 13 — Attualmente il significato geografico della medesima espressione tende a rimpicciolirsi, modellandosi negli angusti termini delle circoscrizioni politiche ed amministrative; ma è del tutto arbitraria la identificazione che da taluno si fa delle provincie Liguri colla Liguria propriamente detta. Da canto nostro, il desiderio di ben definire l’oggetto di queste pagine e di attribuire al territorio di cui ci occupiamo confini segnati dalla natura e non da mutabili vicende storiche ci induce a ridurlo nei limiti della Liguria marittima, che intercede per comune, consenso tra il Varo a ponente, la Magra a levante, lo spartiacque alpino-appenninico a settentrione, il mare a mezzogiorno. Dopo la ricostituzione del regno di Sardegna, avvenuta in conseguenza della caduta di Napoleone I, facevano parte di questo regno le provincie di Genova e di Nizza, le quali coincidevano quasi perfettamente nel loro complesso colla Liguria marittima, fatta astrazione dei territori di Mentone, Monaco e Roccabruna che rimanevano riuniti fra loro sotto la sovranità dei Goyon de Matignon, successori dei Grimaldi, Principi di Monaco. Il confine settentrionale delle due provincie anzidette corrispondeva solo in parte alla linea idrotermica e, mentre per piccolo tratto verso occidente lasciava fuori la valle superiore della Roia, comprendeva nella porzione media ed orientale, parte non piccola delle valli di Scrivia e di Trebbia tributarie di quella del Po. Il turbine rivoluzionario che attraversò 1’ Europa durante il 1848, ebbe per effetto di staccare Mentone e Roccabruna dal Principato per farne due municipi sotto la protezione del Piemonte. Nel 1860, in seguito alla proclamazione del Regno d’Italia, il Nizzardo con Mentone e Roccabruna fu annesso alla Francia, la quale rimase divisa ad occidente dal nuovo regno mediante un confine che incomincia lungo il litorale al vallone di S. Luigi, risale al N., taglia in due punti — 14 — la valle della Roia e volge poi ad ovest, confine che non soddisfa ad alcuna esigenza geografica od amministrativa. Abbiamo adunque una Liguria italiana, che comprende gran parte delle provincie di Genova e di Porto Maurizio e piccole porzioni di quella di Massa-Carrara, una Liguria monegasca limitata al principato di Monaco, e una Liguria francese, che è costituita dal dipartimento delle Alpi Marittime escluso il circondario (arrondissement) di Grasse. 11 litorale si può distinguere, secondo l’uso comune in Riviera di Levante, tra la foce della Magra e Genova, Riviera di Ponente, fra Genova e la foce della Roia e Riviera di Nizza fra questa e il Varo. - Ciò premesso, ogni qualvolta mi verrà fatto di menzionare in questo libro la Liguria marittima , dal punto di vista geografico, o per brevità la Liguria, alluderò al paese che comprende i bacini idrografici del Varo e della Magra ed è limitato dallo spartiacque alpino-appenninico e dal mare. I Liguri moderni sono per me gl' abitanti del medesimo paese ; nè con ciò intendo menomare differenze che intercedono tra quelli confinati nell estremo occidente e tutti gli altri. Dicendo Stirpe Ligure o Ligun^ antichi accennerò alle genti, le quali, avendo caratteri antropologici ed etnografici comuni, occupavano al pr|n cipio dei tempi storici non solo il paese di cui sopra, ma ancora la Provenza, la valle del Po (esclusa la parte ter minale) e la Lunigiana, che è quanto dire la Regione Liguie Respingo fin d’ora come impropria, o meglio destituit di valore scientifico l’espressione di Razza Ligure· Φ PARTE PRIMA » I. — ETÀ PREISTORICHE IN GENERALE \ K ornai risaputo che in ogni paese della terra, prima di conoscere i metalli, l’uomo fece uso delle pietre più dure e tenaci per fabbricarne armi ed utensili. Siffatto costume risale, presso i popoli che godono di più antica civiltà, a tempi sì remoti che se ne perdette quasi sempre la memoria. Le ascie e le cuspidi litiche non erano ignote, a quanto pare, alla Grecia e all’Italia, durante l’antichità classica; ma gli accenni che ne furono fatti dagli scrittori, fra i quali Porfirio, Plinio, Svetonio, si prestano a dubbie interpretazioni (i). Michele Mercati da San Miniato, morto nel 1593, si occupò degli antichi manufatti di pietra che si trovano sparsi qua e là a fior di terra e ravvisò la vera natura di certe accette di pietra levigata, considerandole come rozzi utensili adoperati da gente che ignorava l’uso dei metalli; così nella sua Metallotheca Vaticana, pubblicata nel 1717 a spese di Clemente XI. Ma lo stesso Mercati non andò immune, rispetto alle punte di freccia, dal pregiudizio comune che ne attribuiva la formazione al fulmine. (1) Si veda in proposito la memoria di Baudoin e Bonnemère « Les hach.es polies dans l'histoire », nel periodico « Bull, et Mém. de la Société d’Anthrop. de Paris», 5' sèrie, voi. V, fase. 5'. Paris, 1904. — 16 — Tolgo a prestito dal maggiore Angelucci una citazione del Moscardo (i), nella quale si legge, a proposito del-Γ ossidiana, che « gli indiani usavano di questa pietra in luogo di ferro, come scrive Pietro Martire (De orbe novo, lib. 4), formandone mannaie ed altri istrumenti per tagliare, e fabbricare case e barche, canoe da loro chiamate, non avendo ancora Γ uso del ferro, ritrovandone assai nei loro fiumi » (2). E vuoisi avvertire che Moscardo viveva nel secolo XVII e Pietro Martire nel XV. Si legge nei Diari Sanesi dell'Allegretti come il capitano delle galee del re di Spagna, Cristoforo Colombo, abbia visitato nel 1493, « oltre alle colonne d’ Ercole, in Canaria», un’isola, nella quale «alcuni uomini mangiano gli altri di un’altra isola vicina e sono gran nimici insieme, e non hanno alcuna generazione d’arme... »; « i loro mari, soggiunge, sono molto tranquilli e usanli con certi ceppi d’arboli grossi, cavati per forza di certi sassi taglienti ». Da questa citazione, che trovo in una scrittura del maggiore Angelucci (3), emerge in prima che nel 1493 regnava ancora l’età della pietra in una delle Canarie e che fin da quel tempo fu conosciuta da taluno in Italia la vera natura delle ascie litiche. L’Aldrovandi, che visse dal 1527 al 1605, ravvisa nelle accette di pietra antiche armi che, rimaste lungo tempo sepolte, avrebbero acquistato consistenza litoidea. Vallisnieri, morto nel 1 730, asserisce che gli uomini facessero uso di stromenti litici prima di conoscere i metalli. Il D.r Plot e William Dugdale in Inghilterra interpretarono rettamente, secondo J. Evans, il significato di antiche (1) Angelucci A., Ricerche preistoriche e storiche nella Capitanata, pag. 29. Torino, 1872. (2) Museo Moscardo, lib. 11, cap. 30. (3) Angelucci A., Op. cit., pag. 29. — 17 — f armi di pietra. In Francia ne furono menzionate da A. de Jussieu nel 1723 ; e Mahudel diede la descrizione e la figura di parecchi esemplari fin dal 1740. Nel 1783 il Giovene notò come il suolo delle caverne del Pulo presso Molfetta ricettasse oggetti d’antica industria umana, cioè stoviglie della più rozza fattura, armi ed utensili di pietra proprio identici ad altri che sono opera di isolani di Otaitì. Vuol essere ricordato il nome di Salvagnoli Marchetti, il quale, fin dal 1843, presentò al Congresso degli Scienziati italiani, in Lucca, una serie di manufatti litici, da lui trovati nella Grotta dei Santi, come pure quello di Giuseppe Scarabelli, il quale, nel 1850, pubblicò la prima diligente illustrazione di una raccolta d’armi di pietra italiane. D’allora in poi, e specialmente dopo le memorabili discussioni provocate dalle scoperte di Boucher de Perthes in Francia, le osservazioni si fecero grado grado più frequenti, si estesero ad ogni provincia e si moltiplicarono in guisa che oggi la loro enumerazione oltrepasserebbe i confini che mi sono prefissi in questa rassegna. Nei primi tempi di Roma, 1’ uso degli utensili di pietra si manteneva in alcuni riti religiosi. Così, ci narra la storia, come, nel sacrifizio che precedette la pugna dei Curiazi contro gli Orazi, la vittima fosse scannata per mezzo d’un arnese di selce e, secondo Catullo, certe mutilazioni imposte dal paganesimo a taluni dei suoi sacerdoti dovevano essere praticate per mezzo di taglienti litici. Similmente, la circoncisione fu praticata per lungo tempo dagli antichi Ebrei, quantunque conoscessero i metalli, per mezzo di trincetti silicei, reputati più atti al compimento di Un rito religioso, perchè l’uso loro risaliva a tempi remotissimi. Forse per analoga ragione gli Egiziani facevano uso di utensili litici nello sparare i cadaveri destinati alla imbalsamazione. — ι8 — Più tardi, confusi coi denti di squalo e coi radioli degli echinodermi fossili sotto il nome di ceraunie, simili manufatti si credettero d’oriofine celeste, e come tali furono o oggetto di venerazione e si vollero incastonare nel diadema degli Dei. L'opinione che alcuni riti religiosi dei Romani si debbano far risalire all’età del bronzo e perfino a quella della pietra, venne testé luminosamente confermata da un fatto osservato da Michele Stefano De Rossi. Secondo questo autore, il fondo del bacino o serbatoio delle acque termali Apollinari, presso il lago Sabatino, si trovò coperto di bronzi, di vasi d’oro e d’argento, di monete più o meno antiche, tributo votivo accumulato in lungo volgere di secoli dagli infermi che facevano uso delle acque termali e colla offerta di oggetti preziosi intendevano propiziarsi gli Dei dai quali invocavano la guarigione. Tali oggetti erano, direi quasi, regolarmente stratificati, in guisa che la profondità alla quale giacevano corrispondeva all’ordine cronologico; cioè, al di sopra, si raccolsero i vasi e le monete dell’ impero, poi le monete battute o fuse della repubblica, inferiormente ad esse in gran copia monete rudimentali od aes rzide, le quali riposavano alla lor volta sopra uno strato di selci scheggiate, che rappresentano le offerte votive di una epoca anteriore all’uso dei metalli (i). La credenza che le ascie e le saette di pietra cadessero dal cielo fu professata da Paracelso, da Gessner e da altri filosofi dell'antichità, e tuttora è dominante nel volgo d’ogni paese. Infatti, mentre si dicono nell’ Italia continentale fulmini, saette folgorine, cu7iei di tuono, si domandano in Sardegna pedra de lu trono, ascia de tronu o pedra de rasu, in Francia coins de foudre, pierres de tonnerre, in Inghil- (i) De Rossi M. S., Secondo rapporto sugli studii e sulle scoperte paleoetnologiche. Roma, 1868. ι — 19 — terra thunderbots, in Danimarca tonderkiler, in Germania Donnerkeile o Thorskeile, in Olanda donderbeitels, in Portogallo corrisco. Sono conosciute sotto nomi che alludono ad analogo significato nell’Affrica settentrionale e media, nella Cina, nel Giappone, nell’alta Birmania e in altre regioni asiatiche. I nostri terrazzani, in ispecie i montanari, sono persuasi altresì, che le azze litiche abbiano il potere di allontanare il fulmine, per la qual cosa le conservano preziosamente nelle loro case(i). In Liguria e in Piemonte pretendono, inoltre, di sperimentare la virtù di queste pietre, avvolgendo intorno ad esse alquanto filo e ponendole sulla brace, che le vere pietre del fulmine (prie du trun le dicono nel Geno-vesato) non consentono la combustione del filo. Le punte di freccia e le accette litiche si conservano ancora preziosamente in molte parti d’Italia, specialmente nel mezzogiorno (nelle provincie d’Aquila e di Chieti) come talismani; alcune di esse, montate in argento e munite di un anellino, o semplicemente forate, si tengono appese al collo. Molti di questi oggetti, riferisce Beliucci, furono cosparsi d’olio allo scopo di esaltare la virtù protettrice attribuita all’amuleto, assai diversa secondo i luoghi. La pratica di tali unzioni, alla quale allude Teofrasto, è antichissima; tuttavolta persisteva ancora in Norvegia alla fine del XVII secolo e vive oggi stesso presso le Isole della Società (2). Colini cita il fatto di una accetta di pietra verde rinvenuta sul petto di una donna sepolta nella chiesa di Santa Lucia a Siracusa (3). D’altronde l’uso di utensili litici limitato ad alcuni casi speciali vige ancora in paesi semibarbari od anche civili. (1) De Rossi M. S., Op. cit. (2) Beliucci G., Il feticismo primitivo in Italia. Perugia, 1907. (3) Tombe eneolitiche del Viterbese. Bull, di Paletn. ital., 1903. λ — 20 — E noto che si adoperavano, e forse si adoperano ancora, nell’isola di Teneriffa, in Tunisia, presso Smirne e nell’isola di Cipro trebbiatrici primitive munite di scheggie di selce a guisa di denti. Giglioli descrive e figura una rozza lastra di pietra che si fa trascinare da due paia di bovi sull’aia, allo scopo di trebbiare il grano, ciò nel cuore della penisola cioè a Covigliaio, nell’alto Lucchese (i). Questi fatti porgono esempi istruttivi di costumi di un’altra età, perpetuatisi tra gente che pur conosce i metalli, e spiegano la strana associazione di manufatti litici e di metallici che non di rado fu avvertita in antichi ripostigli e sepolcri. Ma per rintracciare i costumi delle nostre stirpi preistoriche ed investigare a quale ufficio fossero destinate le svariate loro armi e suppellettili, e come e quando ne usassero , i migliori criteri ci sono offerti dai popoli propriamente selvaggi. Per breve tempo ancora sarà consentito all’etnologo di coglier sul fatto la vita di tali società primitive, perciocché ovunque, incalzate ed accerchiate dalla civiltà erompente, stremate in numero, corrotte, affievolite, sono inesorabilmente condannate alla distruzione. Fra le migliori fonti per la cognizione delle industrie superstiti pertinenti all’età della pietra mi piace additare il pregiato lavoro del mio amico Enrico N. Giglioli « Materiali per lo studio della età della pietra » (Firenze, 1901). Dimostrato il fatto che Γ uomo delle società primitive, che ignorava l’uso dei metalli, si servì da principio quasi esclusivamente di pietra per foggiarne armi ed utensili, e poi, vieppiù progredito nel civile consorzio e venuto in possesso della metallurgia, mise in opera il bronzo, e in ultimo il ferro per lo stesso scopo, gli archeologi dell’ Europa settentrionale immaginarono di scindere i tempi preistorici nelle tre età della pietra, del bronzo e del ferro. Ed (1) Archivio per l'Antrop. e 1’Etnol., XXIII Firenze, 1893. infatti, se si considerano le fasi attraversate dai popoli scandinavi dai tempi più remoti fino agli albori della storia, fasi palesate dai prodotti industriali di questi popoli, risulta assai naturale e legittima la divisione anzidetta. Fra le tre età, quella della pietra, che incomincia coi primordi dell’umanità e finisce col nascere della metallurgia, sembra la più spiccata. Il ritrovamento in varie parti dell’Affrica media (per es. tra i Niam Niam e i Mombuttu), nel Senegai e nel Brasile di azze di un minerale di ferro duro e tenace, l’ematite rossa (fig. i), accenna ad un termine di transizione tra lo stadio della pietra e quello dei metalli (i). Hanno il mede- Fig. i. Ascia d’ ematite rossa del paese dei Niam Niam. (Museo Civico di Genova) ; '/2 della grandezza naturale. « * simo significato i manufatti, quali scheggiati quali levigati, di limonite, scoperti in una grotta presso Konakry nella Guinea francese (2) e una bolas di ematite proveniente dall’Uruguay e citata da Giglioli. (1) Annali del Museo Civico di Storia Naturale di Genova, voi. XX, 1884, e serie 2.’, voi. Il, 1885. (2) Si veda a questo proposito una nota pubblicata durante il 1901 nel periodico L'Anthropologie. Reputo assai probabile che, sperimentati i requisiti propri agli utensili d’ ematite e di limonite, gli Affricani che primi fecero uso di tali utensili, ricercassero per fabbricarne di analoghi le pietre di uguale aspetto, e per questa via fossero condotti a raccogliere e a lavorare il ferro meteorico, il quale, per colore, lucentezza, peso e resistenza alla percussione, si accosta all’ossido e all’ idrossido dello stesso metallo. Non è inverosimile che conosciuta poi la proprietà del ferro nativo di diventar più compatto e tenace mercè l’arroventamento e la martellatura, sottoponessero ad ugual preparazione anche altri minerali di ferro, in particolar modo la magnetite e conseguissero in tal guisa il metallo artificialmente ridotto. In alcuni paesi, come nel Nuovo Continente, in Spagna, in Ungheria, in Irlanda, sembra che la fabbricazione di manufatti di bronzo sia stata preceduta da quella di og-getti di puro rame. Perciò alcuni credono che possa ammettersi anche un periodo archeologico del rame.- A tale stadio industriale, che fu brevissimo, accennano alcuni utensili di rame rinvenuti nelle caverne della Liguria, promiscuamente però a manufatti di tipo schiettamente neolitico. Siccome nelle nostre stazioni preistoriche non esistono che rare e tarde tracce di una lavorazione dei metalli praticata localmente, così non è il caso di contemplare una età del rame in Liguria, e, rispetto a quella del bronzo, non si potrebbe accettare in un ordinamento razionale che quale fase distinta dalla introduzione nel paese, per via di scambi, di scarsi arnesi metallici fabbricati altrove. I paletnologi italiani designano col nome di età eneolitica, proposto da Gaetano Chierici, quella durante la quale, pur mantenendosi il predominio dei manufatti litici, si adoperavano eziandio arnesi di bronzo. Si tratta non già di un periodo determinato, ma di una fase di transizione che si manifesta nella facies di alcuni depositi archeologici e — 23 — in certe necropoli, per esempio in quella di Remedello nel Bresciano. E da lamentarsi che siffatto vocabolo, potendosi facilmente scambiare con neolitico preceduto dalla congiunzione e, si presti ad ambiguità e confusioni. L’età della pietra si volle distinta, come è noto, in paleolitica (od archeolitica) o della pietra scheggiata e neolitica o della pietra levigata, intendendosi con ciò che da principio la materia prima che s’offriva all’uomo in maggior copia era da lui foggiata esclusivamente per mezzo della percussione e quindi della scheggiatura, e più tardi non solo con questo artifizio, ma eziandio collo stropicciamento sopra altra pietra. Si comprende di leggeri come certe specie di rocce si prestino ad essere lavorate in un mòdo piuttosto che nell’altro, come in alcuni paesi debbano perciò abbondare, indipendentemente dalle ragioni d’ordine paletnologico, manufatti scheggiati o pure levigati, e come nei casi più frequenti la scheggiatura abbia avuto solo per oggetto di predisporre l’arme o l’utensile ad ulteriore lavorazione, mercè la quale era condotto a compimento colla levigatura. Ciò spiega perchè nel territorio di Sassello, anche ove mancano tracce sicure di stazioni paleolitiche, sono piuttosto comuni ascie di pietra verde grossolanamente scheggiate, alcune con segni di levigatura appena iniziata, ascie indubbiamente neolitiche, le quali, tanto per la foggia quanto per la materia, son da porsi nel novero dei manufatti abbozzati che rimasero incompiuti a causa di qualche difetto riscontrato dall’artefice nella pietra o per altra circostanza accidentale. Un tentativo di suddivisione della prima età della pietra si deve a G. de Mortillet, il quale, rispettando la separazione già introdotta nella scienza da Lubbock tra il periodo neolitico e il paleolitico od archeolitico, cangia il nome del primo in robenhausien (dalla località di Robenhausen) e — 24 — scinde il secondo in magdalénien, solutréen, mousténen, achculéen, thelléen, dal nome di cinque celebrate stazioni preistoriche della Francia (La Madeleine, Solutré, le Mou-stier, Saint Acheul, Chelles). Al magdalénien, che è il più recente, spettano lunghe lame prismatiche di silice o coltelli, seghe, lisciatoi, punteruoli, punte di freccia amigdaloidi, associati ad una gran varietà d’armi e di suppellettili d’osso e di corno; al secondo appartengono utensili litici foggiati con molta diligenza, e specialmente cuspidi appuntate alle due estremità in forma di foglia d’ alloro (i) ; al terzo si riferiscono larghe lamine silicee assai meno perfette, per lo più scheggiate sopra una sola faccia, ed appuntate ad una estremità; vi si incontrano anche punte d’ altra foggia e raschiatoi. L acheuléen offre stromenti amigdaloidi o piriformi di quarzo o quarzite scheggiati sulle due facce. Nel chellcen gli stessi stromenti (azze o mazzuoli a mano) sono più voluminosi e grossolani. È questo un ordinamento assai utile nella pluralità dei casi, ma non conviene applicarlo senza attenta disamina alle stazioni preistoriche lontane da quelle scelte a termini di confronto. È certo, infatti, che le forme e i tipi delle armi litiche variassero da un punto all’altro, presso i diversi popoli, secondo le attitudini di ciascuno e secondo la natura dei materiali adoperati, precisamente come presso le odierne tribù e nazioni dell’Affrica centrale variano, a breve distanza, le foggie delle suppellettili e degli utensili. Inoltre, alle età più recenti si riferiscono utensili accurati e perfetti ed altri assai grossolani, che simulano quelli propri ai tempi più remoti. E poi, come discernere gli strumenti improvvisati per soddisfare alle necessità del momento e le schegge di (i) Lartet e Christy, pur riconoscendo le differenze che intercedono fra le industrie di Solutré e della Madeleine, conclusero, in base alle proprie osservazioni stratigrafiche e paleontologiche, per la loro contemporaneità. rifiuto dei periodi meno antichi, dai prodotti costantemente rozzi dell’industria primitiva? Secondo H. Fischer, le difficoltà da superarsi per conseguire un manufatto finamente scheggiato son ben maggiori di quelle che si oppongono alla fabbricazione di un utensile colla levigatura. Egli però, istituendo il confronto fra oggetti lavorati nelle due maniere con straordinaria finezza, pertinenti nell’un caso e nell’altro all’èra neolitica, negava ogni valore cronologico alla divisione precitata. Da canto mio, osservo che in certe azze assai rozze, rinvenute tra gli Apennini liguri, l’opera della levigatura si riduce all’affilatura del taglio che richiedeva destrezza, intelligenza e tempo minore di quanto fossero necessari per la fabbricazione di qualsiasi arnese scheggiato. Tuttavolta, fa d’uopo convenire che non solo fra noi, ma in tutti i paesi, il criterio suesposto ha fatto in pratica buona prova per distinguere l’età della pietra in due periodi, che in altre parole si è sempre verificata la pertinenza dei manufatti levigati ai tempi più recenti della detta età ed anche all’èra dei metalli. Ben s’intendé, innanzi tutto, come 1’ accennata divisione valga soltanto ad esprimere i gradi successivi di svolgimento pei quali passarono gran parte dei popoli europei (probabilmente non tutti) prima di giungere alla condizione presente, e sia subordinata a circostanze locali ; perciocché uno di questi periodi potè durar meno in tal territorio che in tal altro, o anche mancare affatto. Chi può dubitare che la Germania e la Scandinavia fossero appena giunte all’età del bronzo, quando l’Italia e la Grecia, già in possesso del ferro, godevano di una civiltà relativa ? Io poi ritengo, che nella nostra stessa Liguria certe tribù montane, che vivevano segregate da ogni altro popolo, conservassero i barbari costumi propri all’età litica fino a tempi storici non remoti. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL. 5 — 20 - D’altra parte, le recenti indagini tendono a ridurre sempre più il campo dell’ era del bronzo e legittimano il supposto, che in molti luoghi l’uomo sia passato senza transizione dall’ uso della pietra a quello del ferro. Intanto, quando anche si respingano le conclusioni che ammettono la scoperta di selci scheggiate dall’uomo in formazioni plioceniche o mioceniche, non è men vero che l’età della pietra abbracci uno spazio di tempo incomparabilmente più lungo delle due successive, e risalga, anche secondo 1 più m°' derati apprezzamenti, fino ai primi tempi dell èra quaternaria. Questi riflessi giustificano la proposta di Paolo Lioy, il quale vorrebbe abolite le denominazioni di età della pietra, del bronzo e del ferro, e adottate invece quelle di litoplidi, calcoplidi, sideroplidi (armati di pietra, di rame, di ferio), applicabili agli uomini e non ai tempi. Tuttavolta, il cri terio delle tre epoche preistoriche, anzi delle quatti o, ammet tendo la divisione dell’ età della pietra in neolitica e paleo litica, quantunque insufficiente, riuscì di gran giovamento quando fu applicato con prudenza, tenendo sempre conto delle condizioni locali. Fa d’uopo che nelle determinazioni cronologiche dei depositi contenenti vestigia umane, studio degli avanzi organici e principalmente delle ossa vertebrati proceda di pari passo con quello dei manufatti, fa d’uopo eziandio, che s’introducano ulteriori suddivisioni nella prima età litica, la cui ampiezza non è proporzionata a quella delle età successive. L’ordinamento di de Mortillet è difettoso in ciò che si fonda sui caratteri differenziali di alcune stazioni arbitraria mente ritenute tipiche, mentre esse son tali solo dal punto di vista della paletnologia francese; in secondo luogo, pei che non è dimostrato che i termini di siffatto ordinamento sieno tutti periodi successivi, e non, in parte, facies verificatesi contemporaneamente in punti diversi. — 27 Da siffatte obbiezioni al sistema di de Mortillet risulta palesemente- che il criterio dei manufatti è da solo impotente a risolvere i più essenziali quesiti ideila cronologia preistorica; esso non può andar disgiunto dal criterio paleontologico. Persuaso di questa verità, Edouard Lartet stabilì una classificazione della così detta epoca archeolitica, tutta fondata sui resti dei mammiferi fossili che trovansi associati ad oggetti d’antica industria umana, nei depositi delle caverne. Egli suddivise tale epoca in tre periodi, ciascuno dei quali è distinto dalla prevalenza d’una specie di mammiferi. L'Ursus spelceus sarebbe la specie caratteristica del più antico, il mammut (Elephas primigenius') del successivo, il renne (Rangifer tarandus) del terzo. Ma siccome il mammut si trova quasi sempre associato all’orso delle caverne e ad altri quadrupedi della medesima età, Dupont preferisce riunire i due primi periodi in uno solo. Senonchè, ammettendo pure l’emendamento proposto dal direttore del Museo di Bruxelles, non si eliminano dubbi, ambiguità e cause d’errore. Il renne, infatti, comunque caratteristico del secondo periodo, non manca nei depositi del primo; quindi la distinzione è fondata più che altro sulla copia relativa degli avanzi di questo ruminante, criterio, come ognun vede, assai lieve. Di più, tale specie, cui si attribuisce sì alto valore nella cronologia dei depositi delle grotte non attraversò le Alpi, manca all’Italia, tranne la Liguria occidentale, come manca probabilmente alla Grecia, alla Turchia e alla Spagna meridionale. Il criterio paleontologico al pari dell'archeologico non può dirsi assoluto, e deve necessariamente variare secondo la natura dei depositi e secondo le regioni. Per trarne tutto il frutto di cui è suscettibile non bisogna tener conto di due o tre specie soltanto per ogni stazione, ma di intere faune, interpretando il significato loro cronologico in relazione colla climatologia e colle condizioni morfologiche locali. — 2 8 — Sono posteriori ai depositi ascritti al pliocene superiore (astiano) e distinti dalla presenza di numerose specie di mammiferi, fra le quali Elephas meridionalis, Mastodon Arvernensis e Rhinoceros Etruscus, i giacimenti che ricettano la medesima specie d’elefante associata all E. Antiquus, ad un ippopotamo, come pure a spoglie d’altri vertebrati (i). Le grotte dette Kent’s Hole, in Inghilterra, e di Baume, in Francia, ricettano anche lo strano felino Machcerodus latidens dai canini foorcriati a lama di sciabola, non ancora osservato o o ; , in Italia (2), e si riferiscono al medesimo orizzonte, eie reputo infraquaternario, mentre per molti autori si considera come pertinente ad un piano peculiare (villafranchiano) del pliocene. Lievi differenze di fauna distinguono questo * * * Si dal successivo, al quale passa per graduate transizioni, attribuiscono allo stesso orizzonte schegge informi di selce più o meno ritoccate Ιιιησο i margini, e molti di quegli , 1 1 ’Jj arnesi di quarzite o di silice irregolarmente amigda 01 , scheggiati sulle due facce, che G. de Mortillet denominò Instruments chelléens dal nome di una classica stazione dipartimento di Seine-et-Marne ; mentre la facies delle rare selci scheggiate rinvenute in depositi pliocenici (per esempio ad Otta presso Lisbona, nel Kent e nel Forest cromer be ^ in Inghilterra, come pure a Saint-Prest in Francia), se c le quali secondo molti scienziati offrono tracce dell °Pe^ umana, è data semplicemente da che i frammenti pietra, distaccati ed elaborati da cause naturali, avrebber subito scheggiature, ammaccature, ritocchi fortuiti per mai _ di una creatura intelligente nell’adoperare questi frammer ad uso di armi o di utensili. Detta facies fu profondamen (1) Tipo di tali giacimenti è in Italia quello di Leffe nel Bergam quale non forni tuttavolta residui d’industria umana. Cairo (2) Il ritrovamento di un dente di questa specie nei pressi^ ^ rmjna-Montenotte, da me annunziato anni sono, era fondato sopra una zione erronea. ✓ — 29 — studiata nel Belgio dai naturalisti Neyrinck, Delvaux, Cels, Rutot, ed ebbe il nome di industrie mesvinienne dal nome di un villaggio dei pressi di Mons. In altri giacimenti assai più numerosi i vertebrati estinti sono rappresentati da scarsi resti di Elephas antiquus e Rhinoceros Merchi, da Trogontherium Cuvieri, assai raro, e specialmente dall’orso delle caverne, dalla iena delle caverne (var. della H. crocuta), dal leone delle caverne (Felis leo, var. spelcza), dal leopardo (F. pardus, var. antiqua). A questo livello, che rappresenta il medioquaternario, i manufatti di pietra si riferiscono a forme più svariate, in parte analoghe alle precedenti, in parte diverse, cioè a lamine più o meno allungate (pugnali o coltelli) scheggiate a larghe falde, a punte triangolari più o meno ritoccate lungo i lati, a scaglie irregolari dai margini taglienti (raschiatoi) ecc. Sottentra la terza fase quaternaria, nella quale vengono a mancare i mammiferi fossili che accennano a clima caldo e sono sostituiti in gran parte da tipi artici, confinati al presente in regioni più settentrionali; cioè il renne, il gran cervo d’Irlanda, Γ Ovibos moschatus, il Bison Eu-ropaus od auroch, che vive ancora in Lituania, la Saiga tatarica, confinata al presente fra la Polonia e l’Aitai, il Gulo spelaus, varietà del ghiottone, la marmotta, e tanti altri, cui si associano le specie estinte mammut ("l’elefante glaciale dalla folta lana e dai lunghi velli) e Rhinoceros tichorhinus. Nei giacimenti riferibili a questa fase, cioè al periodo sopraquaternario, sono comuni i manufatti abbandonati dall’ uomo, e consistono in talune delle forme di selci già ricordate, alle quali si uniscono svariatissime punte di freccia e di lancia, coltellini, punteruoli, come pure in manufatti d’osso, di corno, di conchiglia, denti lavorati, di cui si dirà più innanzi (Industries moustériennes, solutreennes, magdaléniennes ecc). — 30 — Nelle stazioni di data posteriore che non possono ascriversi al periodo quaternario, ma al recente, Γ uomo fu accompagnato da prima da una fauna vertebrata prevalentemente costituita da animali selvatici, viventi ancora nel paese o solo recentemente scomparsi (orso bruno, lupo, cinghiale, cervo comune, daino, capriolo, capra, stambecco, camoscio, marmotta), cui si aggiunsero più tardi animali domestici analoghi o identici alle comuni varietà di cani, porci, pecore, capre, bovi. In tali stazioni succedono a quelli già ricordati i manufatti di tipo neolitico (accette o ascie di pietra levigata, punte di freccia e di lancia ad alette, finamente scheggiate, stoviglie ecc.); poi gli stessi oggetti sono associati a scarsi manufatti di bronzo (fase eneolitica), indi si trovano in gran prevalenza arnesi di bronzo e finalmente ogforetti di ferro insieme ai bronzi, o o ciò, ben inteso, procedendo dalle stazioni antiche alle recenti. Non fa d’uopo insistere sul fatto che parechie specie di mammiferi fossili sono comuni a due o più epoche ed anche al periodo quaternario e all’attuale. Nell’apprezzare le condizioni della fauna convien tener conto non solo della latitudine del giacimento, alla quale sono subordinate fino ad un certo segno, come ognun sa, le condizioni climatologiche del passato e del presente, ma ancora degli altri fattori geografici e principalmente della configurazione verticale, della idrografìa e della vegetazione del paese, ciò riferendosi alla data del giacimento stesso. Così, nell’apprezzare il significato della presenza o della mancanza di certe specie di vertebrati caratteristiche, fa d’uopo ricordare che \' Elephas antiquus, il Rhinoceros Merchi, le varie sorta di cervi furono animali di selva, che il Rhinoceros tichorhinus e il Rangifer tarandus prediligevano la tundra o la steppa, che la saiga è esclusivamente antilope di steppa, che il camoscio e lo stambecco sono — 3i — ruminanti di montagna, che l’ippopotamo accusa la vicinanza di corsi d’acqua, laghi o paludi. La mobilità dei tipi organici nella serie dei tempi (mobilità che niuno ornai potrebbe revocare in dubbio), non solo non fa ostacolo all’ applicazione del criterio paleontologico alla cronologia dei depositi delle caverne, ma, sotto un certo rispetto, è anzi un vantaggio, perchè ne accresce la squisitezza. Infatti, scelte certe forme tipiche come termini di confronto, le variazioni che esse subiscono in una data località sono, direi quasi, proporzionali ai tempi trascorsi. Si osserva, per esempio, che X Ursus spe-Iczus dei giacimenti più antichi differisce da quello dei depositi posteriori per la mole gigantesca, per la robustezza maggiore delle ossa, perchè il suo cranio ha le gobbe frontali assai prominenti, perchè i suoi denti offrono una configurazione più complicata. Orbene, certi Ursus spe-Icbus presentano caratteri di transizione fra quelli delle due varietà summentovate e sono più recenti della prima e più antichi della seconda. Similmente i leoni, i leopardi, i lupi quaternari sono più voluminosi e robusti dei recenti e degli attuali. I mutamenti verificatisi nella fauna europea durante il periodo quaternario sono subordinati a quanto pare alle vicende climatologiche subite in quel volger di tempi dal paese. In tesi generale si produssero fasi di minor trasparenza nell’atmosfera, per densità e frequenza di nebbie e nubi, con copiosa precipitazione acquea, accrescimento di campi nevosi e ghiacciaie, e con ingente refrigerazione, fasi tra le quali intercedevano momenti caldi ed asciutti. Una prima espansione glaciale poco spiccata si manifesta fra noi appena terminato il pliocene; la più importante si svolge alla fine deU’infraquaternario; la terza durante il quaternario superiore e coincide collo svilupparsi della fauna vertebrata artica nell’Europa media e meridio- naie L’intervallo che separa le due ultime fasi glaciali è quello durante il quale la nostra regione si popola di fiere attualmente confinate nell’Africa tropicale, vale a dire di leoni, leopardi, iene (i). Nella recente edizione del pregiato manuale di G. de Mortillet (2), riveduta dal figlio del compianto autore, A. de Mortillet, l’ordinamento dei tempi preistorici, fondato essenzialmente sui manufatti, è riassunto nel quadro qui appresso trascritto : TKMPI PERIODO EPOCHE .2 Robenbausienne --- (Robenhausen, Zurigo) J- 3 £ £ Neolitico Tardenoisienne « ce d (Fère-en-Tardenois, Aisne) « Tourasienne (La Tourasse, H.te Garonne) Magdalénienne O (La Madeleine, Dordogne) 0 ■*-> ri Solutr éenne c Ut 4-* .2 ‘5 n (Solutré, Saòne-et-Loire) C3 0 n Paleolitico Moustérienne G *-> u* CO Ut Ό (Le Moustier, Dordogne) 4---> P-i P3 a. cy 4-> Acheuléenne W (S. Acheul, Somme) Chelléenne (Chelles, Seine-et-Marne) Puy-Cournienne .2 (Puy Courny, Cantal) C3 Eolitico Thenaysienne ’n (Thenay, Loir-et-Cher) H 1 (1) In Italia si sono osservati i residui di due o, al massimo, di tre glaciazioni ; nell’ Europa settentrionale e media i geologi ne ammettono quattro od anche cinque. (2) Le Préhistorique, origine et antiquité de Γ homme. Paris, C. Rein-wald ed., 1900. — 33 Anche rispetto a questa classificazione, esprimo il fermo convincimento che non rappresenti rispetto alle epoche una successione di tempi, ma una serie di facies, fra le quali due, in qualche caso anche tre, prossime l’una all’altra, nel medesimo periodo, furono simultanee in regioni più o meno lontane. Engerrand, autore di un corso di preistoria (i) posteriore all’opera di de Mortillet, considera il solutréen come una facies e manifesta il dubbio che il tardenoisien, come pure il campinien dei paletnologi belgi, rappresentino da canto loro due facies del neolitico. Egli preferisce poi sostituire agli aggettivi magdalénienne e solutréenne, i vocaboli tarandienne e éburnéenne, proposti da Piette, che alludono « ai materiali (corna di renne e avorio) adibiti alla fabbricazione di manufatti caratteristici pertinenti alle epoche o facies di cui si tratta. Le due espressioni sono certo assai suggestive, ma non mi par necessario contravvenire alla legge di priorità e abbandonare due termini consacrati da lunga consuetudine, per introdurre nella nomenclatura un concetto diverso da quello che informa le altre denominazioni, concetto già adottato in geologia. Per Piette i tempi della Madeleine e di Laugerie-Haute si distinguono nelle epoche gourdanienne e papalienne. Durante la prima si produssero tre fasi, secondochè furono prevalenti l’incisione e l’uso di numerosi raffii od arponi (nella prima), l’incisione con pochi raffii o senza (nella seconda), l’incisione a contorni profondamente impressi (nella terza). L’ epoca papaliana è poi caratterizzata da sculture a basso rilievo o a rilievo poco risentito. Per conto mio, debbo deplorare l’impiego della espressione periodo colitico, adoperata dai paletnologi francesi e (i) Engerrand G., Six Lefons de Préhistoire. Bruxelles, Imp. Veuve F, Larcier, 1905. S belgi con significato affatto diverso da quello che io fin dal 1885 (1) attribuivo all'età eolitica (2). Per essi i tempi durante i quali l’uomo non possedeva ancora l’arte di scheggiare la pietra per appropriarla all’uso cui la destinava, e metteva in opera come utensili ed armi le pietre gregge, sono distinti coll’ ao-gettivo di editici, mentre eoliti sono ο O quelle selci gregge, le quali, per le ammaccature che portano e per le speciali condizioni di giacimento, si suppongono semplicemente usufruiate dall’uomo primitivo allo scopo di percuotere, infrangere, tagliare, raschiare, ecc. Questi tempi ebbero lunghissima durata ; son tutti compresi nell’ èra terziaria, e dai signori de Mortillet furono suddivisi in epoca puy-cournienne e thenaysienne dalle stazioni é omonime. Il concetto cui si informa l’accennata distinzione mi sembra in generale mal sicuro e poco pratico ; mi associo perciò, circa il significato di tali tracce (quali reali, quali supposte) della esistenza dell’ uomo in tempi remotissimi, alle giudiziose considerazioni esposte non è molto da Boule (3), il quale dimostrò come molte pietre simili a quelle che diconsi in qualche modo adoperate e ammaccate per mano dell’ uomo ripetono i propri caratteri da un semplice giuoco di forze fisiche. Senonchè, in mancanza di indizi più positivi, son pure da tenersi in qualche conto anche le così dette eoliti, in ispecie quando si trovano in giacimenti schiettamente pliocenici. Espongo per concludere uno schema di ordinamento dei tempi preistorici in Europa, schema principalmente (1) La Liguria e i suoi abitanti nei tempi primordiali. Genova, tip. Martini, 1885. — Liguria geologica e preistorica, 1“ ediz., voi. 11, P- 94· Genova, Donath ed., 1892. (2) intendevo per età eolitica quella durante la quale si adoperavano arnesi scheggiati assai rozzi e sprovvisti di manico o d’asta. (3) L'origine des éolithes. L’Anthropologie, voi. XVI. Paris, I9°S· — 35 applicabile all’Italia, il quale riassume i concetti da me professati in proposito. Durante la fase infrapaleolitica furono fabbricati dall’uomo rozzi manufatti di pietra, che si adoperavano senza il sussidio di un manico come armi contundenti e perforanti e ad uso di utensili; mancavano le lancie, i giavel- (i) La fase siderolitica che fa transizione all’epoca storica è bene spesso designata sotto il nome di epoca protostorica per opposizione alle precedenti denominate in complesso preistoriche. lotti e le frecce. Generalmente, al principio di essa le selci lamellari erano scheggiate sopra una faccia sola e non ritoccate lungo i margini. Le più antiche tracce di riti funebri risalgono a questa fase e più specialmente al principio del quaternario medio. Nella fase successiva furono foggiate le prime ascie od accette provviste di manico, insieme a pugnali, coltelli, punteruoli, seghe, trincetti, scalpellini, ecc. Si adoperarono eziandio armi da o-etto. gi iniziò o almeno si sviluppò la o lavorazione dell’osso, del dente, del corno e della conchiglia; e siffatta industria procedette di pari passo con notevoli manifestazioni artistiche, le quali tuttavolta si osservano in alcune stazioni e mancano in altre della medesima età. Risalgono a questo periodo graffiti, disegni, bassorilievi, e perfino vere pitture, che rappresentano generalmente animali. La fase neolitica è quella nella quale furono messi in opera i primi arnesi foggiati o finiti colla levigatura e comparvero le forme più accurate e perfette di cuspidi più finamente scheggiate. Intanto si sviluppa 1 arte ceramica, nata forse allo scorcio della fase precedente. Si rendono frequenti in questa fase 1’ addomesticazione degli animali e le pratiche di una agricoltura primitiva. Nella fase calcolitica o del bronzo non cessa 1 uso dei manufatti litici e vi si aggiunge la metallurgia del rame e del bronzo; le stoviglie, modellate d’ordinario col sussidio del torno, si cuociono nella fornace; esse presentano decorazioni più complicate che non nei tempi neolitici. Al rito della inumazione si sostituisce generalmente quello della cremazione. La pastorizia e l’agricoltura si diffondono, sostituendosi alla caccia e alla pesca. Finalmente la' fase siderolitica o del ferro è distinta dalla lavorazione di questo metallo, come pure dell argento e dell’oro, dall’ uso di ceramiche ornate di figure — 37 — umane graffite o dipinte, da numerosi tipi affatto speciali di armi, di utensili e di ornamenti. Quanto ai confini da assegnarsi all’ epoca recente e quindi ai tempi preistorici, essi debbono coincidere coi più antichi documenti storici propriamente detti, i quali per l’Europa, che è quanto dire per la Grecia e per 1’ Italia, non si possono far salire oltre al settimo secolo della nostra èra. Anzi, per quanto concerne Roma, si ritengono in gran parte leggendari gli episodi anteriori all’ istituzione del consolato (509 p. di C.) riferiti dai classici. Non fa d’uopo avvertire che se l’ordinamento adottato dovesse applicarsi non solo all’Europa, ma anche all’Asia e all’Affrica, il campo che legittimamente appartiene alla storia dovrebbe accrescersi per necesssità di buon numero di secoli a spese della preistoria, per dar luogo ai documenti di data sicura, scritti o scolpiti, rinvenuti nella Cina, nell’Assiria e specialmente nell’ Egitto, ove risalgono ad oltre 4500 anni prima dell’èra volgare. II. - MANUFATTI LITICI IN LIGURIA Armi ed utensili scheggiati. Nelle armi e negli utensili di pietra, testimoni della profonda barbarie che, per tempi ben lunghi, regnò nel nostro paese, giova considerare le forme loro svariatissime, gli usi cui erano destinati, la materia di cui sono foggiati, la maggiore o minore perfezione del lavoro, che in generale si connette alla loro antichità. Nelle pagine seguenti tratterò in principal modo di quelli rinvenuti nelle stazioni situate all’aria aperta, riserbandomi di occuparmi più diffusamente in altri capitoli delle armi e degli utensili raccolti nelle caverne. Azza a mano. — Tra i manufatti paleolitici (della prima fase) segnalati in Italia, abbondano le così dette ascic. Assai grossolane e di età remotissima sono quelle dell’Imolese, primamente descritte da G. Scarabelli, le quali hanno forma di mandorla, e sono di una selce bigio-scura, coperta di patina bruna. Poco ne differiscono 1 grossi cervoni (così diconsi nell’Italia meridionale) raccolti dall’Angelucci a Vico Garganico e sul Gargano stesso, nella Capitanata, e le selci trovate da Concezio Rosa nella Valle della Vibrata (Abruzzo Teramano). A questo tipo appartiene un manufatto raccolto da don Perrando nelle vicinanze di Sassello ed ora conservato nel Museo geologico universitario (tav. I, fig. 12). Si tratta di un grosso arnese amigdalare, assottigliato o o , ad una delle estremità e foggiato a larghe schegge in una quarzite grassa, a grana minuta, di color bigio, con macchie rubiginose, dovute all’ alterazione di un minerale ferruginoso accluso nella roccia. L’estremità assottigliata finisce in lama tronca; la opposta offre un taglio irregolarmente arcuato che si continua ai due lati, e questo taglio porta iracce di ammaccature. Le dimensioni del manufatto sono: lunghezza 144; larghezza 92; spessezza massima 5° millimetri; pesa grammi 636. Esso è compreso fra quelli, riferibili ai tempi più remoti del quaternario, e denominati coup-de-poings da G. de Mortillet, il quale riteneva, e credo con buon fondamento, che si adoperassero senza manico, stringendoli in pugno per l’estremità più larga. Mancando a mia cognizione un vocabolo del nostro idioma equiva lente a coup-de-poing, mi servirò delle espressioni az^a a mano o mazzuolo a mano, che hanno significati poco di versi, secondochè sono taglienti o contundenti. — 39 — Per la forma e pel modo di scheggiatura, lo stromento è somigliantissimo all’esemplare di Sauvigny-les-Bois (Niè-vre) rappresentato alla figura 47 della tavola Vili, nel Musée Préhistorique di G. e A. de Mortillet (Paris, Rein-wald, 1881). Il prof. Beliucci diede pur la figura di una selce quasi identica nei suoi Materiali paietnologici dell’ Umbria (Perugia, tip. Buoncoppagni, 1884), alla tav. I, fig 1. Come si vedrà in seguito, tal foggia di manufatto non si è rinvenuta ancora nelle nostre caverne ossifere paleolitiche, mentre invece vi abbondano altre forme che altrove sembrano appartenere al medesimo periodo archeologico. E risaputo che le ascie od accette scheggiate paleolitiche sono quasi sempre di silice o di pietre silicee (piro-maca, diaspro, quarzite, arenaria quarzosa). Si trovano nella regione ligure, massime nei pressi di Sassello e Ponzone, numerose ascie scheggiate, la materia delle quali è invece pietra verde, come anfibolite, diorite, diabase, eufotide, ofisilice, ecc. ; ma, per la loro associazione a manufatti schiettamente neolitici e per la circostanza che alcune di esse presentano un principio di levigatura, mi feci persuaso che sono oggetti abbozzati oppure di rifiuto. Trincetti. — Merita di essere descritto un altro 00-- ò getto rinvenuto all’aria aperta (a Santa Giustina), pur compreso nella collezione Perrando, oggetto che credo proprio ai tempi paleolitici meno remoti. Esso consiste in una lamina di selce bruna, da una parte assottigliata e terminata in punta ottusa, dall’altra, foggiata a tagliente. Una delle sue facce è appena un po’ concava e non offre scheggiature 0 ritocchi ; l'altra, che è convessa, presenta quattro superficie di scheggiatura che si riducono a tre verso la punta, ed è tutta ritoccata lungo i margini. L’estremità più larga ha il margine scheggiato più finamente — 40 — e ridotto, come dissi, ad arco tagliente, ma è un po’ sbocconcellata dall’uso. Le dimensioni dello strumento sono: lunghezza cm. 8 '/2 ; larghezza massima 4; spessore massimo poco più di 1 (fig. 2). Fig. 2. Trincetto di Santa Giustina (Museo di Genova); assai ridotto Fig. 3- Raschiatoio di selce dei Balzi Rossi (Rivière); grand, nat. Stromenti simili a quello di cui ho esposti i caratteri furono incontrati nelle caverne dei Balzi Rossi da Riviere che li registrò sotto il nome di raschiatoi. A. de Mortillet figurò lo stesso genere di manufatti, attribuendolo al piano di Moustier. Nelle caverne liguri della seconda età della pietra si raccolsero oggetti affini, ma che furono considerati come punte di freccia, perchè acute all estremità più sottile. Escludo che l’esemplare di Santa Giustina fosse una di tali cuspidi, perchè ha la punta assai smussata. La dentellatura che si osserva alla parte media dei due mar gini laterali, mi persuade che esso era destinato ad intro dursi in un manico e, considerando la disposizione della estremità più larga, ritengo che lo stromento fosse prò 1 — 41 — priamente un trincetto destinato a tagliare, a dividere la carne, l’osso, e forse anche il legno. Esso potè anche servire come raschietto, uso pel quale era forse superflua una fattura tanto accurata. Un altro manufatto della stessa specie, ricavato da una scheggia di diaspro di color bruno chiaro, fu raccolto a Buentina, in quel di Sassello, e l’ebbi in dono dal signor Vincenzo Rossi farmacista. Anche in questo trincetto il margine è minutamente ritoccato e si vedono ammaccature nel taglio. 11 bulbo di percussione, ben palese alla estremità assottigliata, porge chiara prova che, nell’intenzione dell’artefice, non doveva tale estremità ridursi a punta più o meno acuminata, ma era invece foggiata per innestarsi in un manico, di che fanno fede alcuni ritocchi più spiccati degli altri, anzi vere smarginature. La lunghezza dello stromento è di 88 millimetri. Raschiatoi. — Poco è da dirsi intorno agli utensili designati con questo vocabolo, i quali possono risalire alla prima fase paleolitica od anche alle successive, senonchè nel primo caso rappresentano uno dei tipi di manufatti più perfetti che l’uomo primitivo riuscisse a conseguire, mentre nel secondo erano arnesi improvvisati per soddisfare ad un bisogno del momento, oppure abbozzi rimasti tali perchè una circostanza qualsiasi non ne consentì il compimento, od anche oggetti di rifiuto e residui di lavorazione. Si tratta in generale di lamelle di arenaria, di quarzite, di diaspro o di piromaca, distaccate colla percussione e di forma indeterminata, ma abbastanza larghe da potersi stringere facilmente nella mano in guisa che rimanesse o o sporgente un margine atto a tagliare, segare o raschiare. Questo margine suol essere ritoccato da piccole scheggiature irregolari (le quali nei raschiatoi più antichi furono fatte da una parte sola o mancano), e, quando lo Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. LX. 4 — 42 — stromento servì all’uso cui era destinato, porta segni più « o meno palesi di logoramento (fig. 3). Le caverne Barma Grande, del Principe e dei Bambini (Balzi Rossi) ci insegnano che la materia adibita nei tempi più remoti per la fabbricazione dei raschiatoi fu l’arenaria quarzosa a grana minuta. S’intende di leggeri come dal raschiatoio tipico a lama 00 , larga e a tagliente unico trasversale dei primi tempi si ri possa passare, per transizioni graduate, alle lame strette ea allungate con uno o con due margini longitudinali taglienti, o coltelli primitivi a lame più o meno lunghe ed appuntate, suscettibili di servire, secondo i casi, ad uso di pugnali, di stiletti, di lesine, di perforatori. È presumibile che, a norma dell’abbondanza q della penuria della pietra, subordinatamente alle sue proprietà e alla perizia dell’ artefice, si fabbricassero di proposito deliberato, du rante la fase soprapaleolitica, stromenti diversi pei le varie destinazioni od a queste si adibissero le scheggi^ e lame che risultavano dalla spezzatura dei nuclei, scegliendo all’uopo le più appropriate, senza ritocchi o con He" scheggiature complementari. Lamelle smarginate. — Meritano particolare attenzione fra le selci dei Balzi Rossi, laminette, o raschiatoi c^ e dir si vogliano, a smarginatura {lames à encoches), c offrono forme irregolari e sono provviste di smarginatur semicircolare più o meno ampia, d’ordinario finament ritagliata a piccole schegge. Queste servivano indubbia mente ad assottigdiare e levigare aste di frecce o di o d 1 vellotti, aste formate di ramoscelli di piante arboree ^ cannucce. Parecchi esemplari di manufatti compresi n raccolta Perez, sono forse da inscriversi sotto questa rubrica. Vi si riferisce con certezza un bel diaspro appar tenente al Museo di Genova, rinvenuto dal Prof. L. sini nella Barma Grande. La sua forma è semielittica — 43 — misura 35 mm. di lunghezza e 25 di larghezza; il diametro della smarginatura è di 11 mm. (fig. 4). Fig. 4. Lamella smarginata della Barma Grande (Museo di Genova); grand, nat. Fig- 5. Punta di freccia a foglia di sambuco della Tanassa (Coll. Morelli) ; grand, nat. A proposito di queste lamelle son da consultarsi le note del D.r Alien Sturge (1). Coltelli. — Gli stromenti compresi sotto la denominazione g-enerale di coltelli sono ovvii nelle stazioni litiche in Italia e specialmente nelle meno antiche fra le paleolitiche. Gli uni consistono in semplici lamine a sezione triangolare, coll’angolo opposto alla base assai ottuso; gli altri offrono sezione quadrangolare in tutta la loro lunghezza o solo in parte. Raramente, le due estremità sono terminate in punta smussata e in certi casi una delle due si termina in tagliente arrotondato, mentre l’altra è troncata. I due margini sono talora integri, talora ritagliati a piccole scheggie. Rispetto allo dimensioni, il più voluminoso che io conosca, fra quelli rinvenuti all’ aria aperta nel nostro territorio, non misura che 11 centimetri di lunghezza e consiste in una lamina di diaspro rosso, alquanto (1) Catalogne descriptif etc., pag. 99. Nice, 1906. — 44 — arcuata, a sezione triangolare, coi margini ritagliati e le due estremità troncate e proviene da Santa Giustina. Un secondo coltello della medesima provenienza è una laminetta di selce bruna, translucida, lunga 8 centimetri ‘/2, a margini taglientissimi non ritoccati, troncata ad un capo e terminata alla estremità opposta da un margine obliquo, pur tagliente. Altre lamine, quali ad estremità sottile, obliquamente troncata, quali ad estremità incurvata ed acuminata a becco d aquila, come quella di Santa Giustina qui appresso figurata (fig. 6), erano forse arnesi destinati ad incidere, intagliare o forare 1’ osso o il corno, in altre parole sorta di bulini. Fig. 6. Fig. 7· Fì£' ^ ' Bulino di selce di S."’ Pugnale di selce paleolitico Pugnale di se ce Giustina (Coll. Perrando); di Stella S. Martino neolitico i » ‘/a della grand, nat. (Coll. Perrando); (Coll. 1 erra h Va della grand, nat. V* della grand, nat. Pugnali. — Lamine di selce o di diaspro più o meno allungate, dai margini taglienti e terminate in sono considerarsi come pugnali piuttostochè coltelli. a — 45 — grotte dei Balzi Rossi se ne trassero di grandissime, alcune delle quali erano collocate in prossimità od anche in contatto di scheletri umani. Reco ad esempio di pugnale l’arme paleolitica di Stella S. Martino rappresentata nella fig. 7, arme di 138 mm. di lunghezza, piana sopra una faccia, scheggiata longitudinalmente a larghe falde sull’altra, e ritoccata lungo parte dei margini, massime verso la punta e alla base. Tale è parimente· una lunga lama di selce bruna, in forma di foglia di salice, lama pianeggiante sopra una faccia, convessa, minutamente scheggiata sull’altra, che misura 137 mm. di lunghezza. Essa mi sembra di epoca recente e proviene da Palo (fig. 8). Seghe. — Le seghe di pietra degli archeologi altro non sono che coltelli a taglienti più o meno sbocconcellati o dentellati, con una certa intenzione di regolarità. A. de Mortillet crede che servissero ad assottigliare od aguzzare punteruoli od altre punte d’osso, e non propriamente a segare ; ma a siffatta opinione si può opporre il riflesso che si danno nelle caverne ossifere e in altri giacimenti preistorici ossa e corna propriamente segate. Tali utensili, non mai in gran numero, si trovano in parecchie delle nostre stazioni. E spesso difficile di distinguere i coltelli dalle seghe e questi dai raschiatoi, perchè probabilmente, nei primi tempi dell’ età litica, gli stessi artefici non erano sempre guidati da un deliberato'proposito nel fabbricare l’una o l’altra delle foggie, che ora noi designiamo con peculiari denominazioni. Certi arnesi a margine concavo dentellato, che da taluni si suppongono seghe, sono piuttosto da considerarsi come falcetti (1). (1) Si vedano in proposito le osservazioni del D.r Alien Sturge, nel suo Catalogne descriptif (Nice, 1906). — 46 — Punteruoli. — Sotto il nome di punteruoli (ι), o di trapani, si sogliono comprendere, nelle collezioni di oggetti preistorici, certe punte di piromaca o di'quarzo, più o meno aguzze, per lo più a sezione trigona; delle quali io dirò solo, senza perdermi in congetture sulla loro destinazione, che sono comuni in Italia, massime nelle caverne. Più innanzi è figurato un punteruolo, raccolto in una delle grotte dei Balzi Rossi. Nuclei. — L’importanza di questi oggetti consiste in ciò che accennano ad una lavorazione in posto dei manufatti silicei. Se ne trovano di rado nelle nostre caverne come pure nelle stazioni all’aperto. Un bel nucleo di piromaca fulva, dal ‘ quale iurono staccate lunghe lame (coltelli) e molte schegge, si raccolse a Bellà (Sassello), e figura nella collezione Perrando. Sono ben manifesti, all’estremità superiore di questo oggetto, che è troncata, i segni corrispondenti ai punti in cui av^ venne la percussione pel distacco delle lame ; 1 estremità opposta, ridotta dalla scheggiatura a tagliente smussato, presenta tali ammaccature e tracce di logoramento, da far credere che l’arnese fosse adoperato ad uso di azza a mano. La sua lunghezza è di 122 mm., la larghezza massima di 73. Altri nuclei più piccoli, conservati nel Museo di Ge nova, furono rinvenuti nelle vicinanze di Sassello e di Santa Giustina. Punte di lancia e di freccia. — In fatto di cuspidi lancia, meritano un cenno due bellissimi esemplari prove nienti da Bobbio, compresi entrambi nella collezione Per rando. Uno di essi, lavorato con somma diligenza destrezza, è una selce biancastra, variegata di big>° e bruno chiaro, finamente scheggiata sulle due facce, in forma (1) Esito a servirmi del vocabolo punteruoli, quantunque consacrato l’uso, perchè fu attribuito, nei secoli scorsi, a stiletti di foggi3· pecu'’are — 47 — di foglia d’alloro, sprovvista di picciolo. La sua base è smussata, quasi tronca (non però spezzata); la punta, che doveva essere acutissima, si trova un po’ smussata dall’uso; i due margini, regolarmente arcuati, sono ritoccati in guisa da risultare taglienti; sulle due superficie si vedono ancora i residui di una antica patina. Le dimensioni della cuspide sono: lunghezza mm. 120; larghezza massima 37; spessezza massima 8 (tav. I, fig. 9). Tanto per la forma quanto per le dimensioni, non è da escludersi il dubbio che questo oggetto fosse destinato invece ad uso di pugnaletto. Il secondo esemplare di Bobbio è una cuspide ad alette, più grossolana ed un po’ sbocconcellata sui margini, fatta d’una selce di color bruno chiarissimo, a macchiette biancastre. La lamina ha forma di triangolo isoscele, assai allungato, le alette, poco sporgenti, sono appena incavate alla base, il peduncolo è breve e ristretto all’estremità; la lunghezza totale dell’ arma non passa gli 11 centimetri (tav. I, fig. 8). I due manufatti recano esempio della facies remedel-liana, che si manifestò nell’ alta Italia tra la fase della pietra levigata e quella del bronzo (età eneolitica di alcuni paletnologi). Le punte di freccia litiche sono quali peduncolate, quali senza peduncolo, le une provviste, le altre prive di alette. Le peduncolate sono ad alette più o meno lunghe ed acute, e di forma triangolare, a lati rettilinei o curvilinei. Quelle non peduncolate possono essere ad alette più o meno acute, o in forma di mandorla, di foglia di salice, dì foglia di sambuco, di prisma triangolare, di losanga ecc. Le forme non peduncolate, a foglia e a mandorla, lavorate più o meno grossolanamente, talvolta con una faccia piana e Γ altra convessa, talvolta, invece, colle due facce egualmente convesse, sono comuni nelle grotte dei Balzi \ — 48 - Rossi, e risalgono al paleolitico; di rado ne furono trovate all’aperto nelle nostre provincie. Provengono dalle medesime stazioni e risalgono alla medesima età cuspidi assai rozze ad una o due alette, che sembrano abbozzi di manufatti neolitici. Fra le punte di freccia destituite di alette e di peduncolo, ve ne ha una, raccolta a Santa Giustina (tav. I, fig. 7) che presenta la forma di una lamina triangolare isoscele, acutissima, assottigliata e arrotondata alla base. Una delle sue facce è piana, l’altra convessa; i margini sono ritoccati dalle due parti. La pietra di cui è fatta questa cuspide è di color violaceo screziato di biofio e sembra un diaspro. Altra punta poco diversa, fatta di piromaca bruna, fu trovata nel territorio che intercede tra Sassello e Ponzone e differisce dalla precedente perchè scheggiata sulle due facce, inoltre, è terminata in punta ottusa e non troncata alla base. Un esemplare consimile, ma colla base un po troncata, figura tra gli oggetti rinvenuti da don Perrando nella grotta della Matta. La punta che porta il numero 5 74» nel Museo di Genova, e proviene da Sassello, si distingue da quella ora citata perchè verso la base si assottiglia grado grado, in guisa da foggiarsi quasi a peduncolo. Notevole la cuspide a foglia di sambuco (neolitica), φ1’ appresso rappresentata (fig. 5), raccolta in una caverna dei pressi di Toirano. In una punta di diaspro bigio venato di bruno, rinve nuta a Santa Giustina e conservata nella collezione de^ Museo di Genova al n.° 564 (tav. I, fig. 5)> * margini sono curvilinei, convergenti ad una estremità acuminata, presso la base, che è troncata, si osservano due intacca ture, o meglio smarginature, destinate a fissar la selce alla sua asta. Sopra una delle due facce si vedono tre grandi scheggiature e ritocchi marginali; sull altra, una superficie pianeggiante e piccole scheggiature periferiche. Lunghezza mm. 41; larghezza 22. La figura 3.* della tavola I rappresenta una punta di piromaca bruna, assai rozza e irregolare, ma tuttavia ritoccata sui margini, la quale era destinata ad essere assicurata ad una asticina, come dimostrano le due intaccature di cui è fornita alla base. Questa punta fu raccolta ai confini del comune di Ponzone. La piccola cuspide di diaspro bianco, figurata al n.° 11 della stessa tavola e proveniente da Santa Giustina, era lavorata con maggior cura per servire allo stesso uso; sono notevoli in essa l’acutezza della punta, la dentellatura dei margini e le due intaccature della base. I due manufatti erano forse coltellini, ridotti posteriormente a punte di freccia Ί ipo raro e bizzarro è quello di una piccola cuspide di piromaca biancastra ed opaca, in forma di lamella quadrilatera irregolare, permodochè alla punta corrisponde un angolo acuto e alla base un angolo ottuso (tav. I, fig. 6). Rispetto alle altre punte, essa apparisce larga e corta, e dalla sua scheggiatura, quantunque poco uniforme, conseguono due margini taglienti e tre punte aguzze. Questa arme, che è distinta col n.° 586, fu raccolta ai Viazzi presso Sassello. La fig. 1 della tav. I, rappresenta una cuspide peduncolata ad alette poco pronunziate, e proviene da una stazione neolitica all’aperto dei pressi di Sassello. Esempio tipico di punta di freccia silicea, a peduncolo sottile e ad alette assai distinte, che potrebbero dirsi uncinate, vien dato dall' esemplare di Santa Giustina, che porta il n.° 573 nella collezione del Museo di Genova (tav. I, fig. 4). Un secondo, poco diverso e proveniente da Sassello, ha il peduncolo rotto e le alette un po’ più divergenti (tav. I, fig. 13). Il numero 568 offre, con maggiori dimensioni (58 mm. di lunghezza e 24 di larghezza massima), un tipo in cui le alette sono brevi e mediocremente acute e il peduncolo, largo alla radice e terminato in punta ottusa, misura un po’ meno del terzo della lun- — 50 — ghezza totale. L’esemplare, rinvenuto a Santa Giustina, e lavorato a piccole schegge in una piromaca biancastra. Da questo tipo si passa ad un altro (i), in cui la punta essendo alquanto più lunga, le alette non presentano sviluppo maggiore. Ne porge esempio un manufatto di pi romaca bionda, proveniente da Santa Giustina (fig· 9)· Forma prossima a questa ci è rappresentata da una bella cuspide raccolta a Mioglia (fig. io), assai più allungata, ma con peduncolo brevissimo (2). Fig. 9 e 10. Punta di freccia di piromaca Punta di freccia di selce di .Mioglia , di Santa Giustina (Museo grand, nat. di Genova); grand, nat. Fra i tipi più singolari di cuspidi silicee è quella di stinta coll’ aggettivo tricuspidata, provvista di peduncolo e di due espansioni con piccola punta rivolta in alto pcr (1) Si tratta forse di punte di lancia anziché di freccia. (2) La punta di freccia di cui si tratta, che mi fu comunicata nel 1 da don Perrando, non è compresa nella raccolta acquistata pel Museo Genova. —__ — 5i — ciascun lato. Don Morelli ne figurò una di piromaca scura, convessa sopra una faccia pianeggiante sull’altra, da lui raccolta nella caverna delle Arene Candide (i), e che io riproduco un po’ ridotta nella fig. 2 della mia tav. I. Non mancano, nei depositi delle caverne e in quelli all’aperto, rari esempi di cuspidi triangolari o meglio deltoidi. Ne osservai uno a base incavata, proveniente da Sassello nella collezione Rossi ; un altro fu rinvenuto da Morelli nella caverna delle Arene Candide (2). Ve ne hanno di lavorate con somma cura e perfezione, ma non ne conosco alcuna che possa gareggiare, sotto questo aspetto, colle finissime cuspidi d’ossidiana e di selce (tutte senza peduncolo) rinvenute nelle tombe di Micene da Schlie-mann e conservate nel Museo archeologico d’Atene. O Non debbo omettere, prima di abbandonare il tema delle punte di freccia, che ai Balzi Rossi furono adoperati a quest’ uso i denti degli squali fossili (specialmente del Carcharodon megalodon). Dell’antico uso di tali oggetti tramandarono a noi la tradizione i Latini, tra i quali Servio, commentatore di Virgilio, narra come Telegone, fondatore di Tuscolo, avesse ucciso il padre di Ulisse « aculeo marinae belluae ». Selci dioerse. — Altre selci e diaspri, provenienti in particolar modo dalle stazioni dei Balzi Rossi, delle quali tuttavolta si sono rintracciati esemplari sporadici, massime nelle vicinanze di Sassello, consistono in punteruoli (?) a punta doppia o semplice, scheggiati lungo i due margini, che raggiungono da 3 a 5 centimetri di lunghezza (fig. 1 1), in laminette piccolissime, foggiate a mo’ di coltelli ed obliquamente troncate alle due estremità (misurano di ordinario da 15 a 20 mm. di lunghezza, in cuspidi non % (1) Iconografia della Preistoria Ligustica, tav. LII, fig. 7. (2) Opera citata, tav. LIV, fig. 4, 5. — 52 maggiori delle lamelle teste ricordate e terminate in punta diritta o curvata (fig. 12, 13), in lame romboidali, più o meno minutamente ritagliate lungo i margini (fig. 14). Fig. 11. Punteruolo (?) a doppia punta dei Balzi Rossi ; Fig. 12, ij. Piccole punte dei Balzi Rossi; grand, nat. grand, nat. Fig. 14. Selce romboidale dei Balzi Rossi; grapd. nat. Alcune di queste fogge di selci, e in particolar modo le lame romboidali o trapezie di minori dimensioni, potrebbero essere non già utensili integri, ma parte di arnesi più complessi. Servivano forse ad armare i margini di aste di legno, che così si rendevano atte a servire come stromenti da taglio od anche come armi, suscettibili di produrre dolorose ferite. Ai Balzi Rossi furono raccolti oggetti di piromaca o OO « diaspro a foggia di piccoli dischi, simili a quelli scoperti dal Prof. Stasi nella grotta Romanelli, i quali difficilmente si potrebbero considerare come utensili ; è piuttosto a sup porsi che servissero alla numerazione di oggetti determinati o a sussidio di qualche giuoco. Non escludo che certe selci di forme insolite e bizzarre, ritagliate lungo i margini, fossero scheggie ottenute pei caso, modificate poi di proposito affine di usufruttarle come armi od utensili, ciò quando la pietra per la sua tenacità e durezza si prestava a qualche utile applicazione. 11 Dottor A. Sturge, il quale adunò, nella sua privata collezione, serie numerose ed istruttive di manufatti litici — 53 — d’ogni età e d’ogni paese, crede con buon fondamento che bene spesso gli abitanti delle stazioni paleolitiche meno antiche ricercassero le selci già adoperate dai loro predecessori, per adattarle al proprio uso, dopo averle opportunamente ritoccate o rinfrescate con ulteriore scheggiatura. Siffatta particolarità emerge dall’esame della patina di età più o meno remota di cui le superficie scheggiate sono coperte. Peso arcaico. — Inscrivo sotto questo nome, tra i manufatti dell’Appennino Ligure, un oggetto grossolanamente elaborato, che sembra destinato a rappresentare un uccello dalla testa grossa, dal capo eretto e un po’ piegato verso il lato destro, dal corpo depresso, pianeggiante alla parte inferiore, dalla coda breve, e ricorda lontanamente l’aspetto di un’anatra o d’altro palmipede, mentre riposa colle zampe piegate e nascoste sotto il ventre. La figura è ricavata da un frammento di cloritescisto logorato dagli agenti esterni, che fu opportunamente assottigliato, mediante un utensile tagliente, per rendere il collo ben distinto dal capo e dal corpo e per diminuire in questo la naturale Fig. ZJ. Peso arcaico di Sassello (Coll. Perrando); dimensioni assai ridotte. asimmetria della pietra. Il manufatto misura 13.5 cm. di lunghezza, 8.2 di larghezza massima, circa 15.5 d’altezza, e pesa kg. 2 e 190 gr. Esso può essere facilmente preso — 54 — dal collo come da un manico. Il suo colore, che in gran parte consegue dall’alterazione della roccia, è bruno traente più o meno al verdastro ; la sua struttura originaria finamente granulosa, con tracce oscure di scistosità, non si manifesta che in qualche punto. Raccolto anni sono da D. Perrando nei dintorni di Sassello, si conserva ora nel Museo geologico di Genova, sotto la rubrica di peso arcaico. Questo riferimento è fondato sopra un giudizio del Prof. Lin-demann di Monaco, di cui è nota la competenza nella metrologia antica. Oggetti diversi con scarse tracce di lavorazione. — Questi, già elaborati dagli agenti naturali, furono modificati assai lievemente, sia nella forma sia nella condizione della superficie, per mano dell’ uomo. Alludo ai così detti percuotitoi, ciottoli pesanti e tenaci di forma più o meno allungata, che si adoperavano ad infrangere le ossa lunghe dei mammiferi affine di estrarne il midollo; alludo ai martelli a mano, destinati alla lavorazione di altre pietre per mezzo della percussione, ai pestelli, macinelli e porfinzzaton, che servivano a contundere e schiacciare radici eduli, fibre tessili, cereali, o a ridurre in polvere ocre da tingere. Alludo alle pietre da macina tanto comuni nelle caverne ossifere neolitiche, alle pietre da affilare e da appuntare, colle quali si impartiva o si rinfrescava il filo agli stromenti da taglio o si aguzzavano pugnali, giavellotti, Jancie, dardi, raffii, lesine, aghi d’osso o di corno; e finalmente alle pietre da fionda, scelte fra ciottoletti di peso appropriato e di forma più regolare traente alla sferica. Più innanzi, trattando delle singole stazioni, mi farò a descrivere alcuni degli esemplari più notevoli. — 55 — Armi ed utensili levigati. Ascie ed accette. — Siffatti stromenti sono comuni nella Liguria marittima, e presentano molta varietà nelle forme e nelle dimensioni (i), come può vedersi dalla recente Iconografia della Preistoria Ligustica del Prof. Morelli, nella quale son figurate in gran numero. Ridotti i tipi ai più spiccati, si possono comprendere sotto le denominazioni seguenti : Rettangolare, quando il manufatto ha un perimetro presso a poco rettangolare; in questo caso però il lato corrispondente al taglio è raramente rettilineo. Triangolare, quando l’ascia o l’accetta è più o meno conforme ad un triangolo, che può essere equilatero, isoscele o scaleno. In ogni caso però Γ angolo opposto al taglio è più o meno troncato o smussato, e bene spesso anche gli altri due sono smussati Linguiforme. Questo risulta da una modificazione della facies precedente, nella quale, essendo l’arnese allungato, a taglio arcuato e ad angoli arrotondati, ricorda la forma di una lingua bovina. Una delle mutazioni più notevoli di questo tipo è quella così detta a virgola, nella quale le due superficie principali assumono forma arcuata a ouisa di virgola. Amigdaloide, allorché, per l’arrotondamento degli angoli e per la scomparsa dei due spigoli laterali, l’ascia o l’accetta assume foggia di mandorla; certe forme simili potrebbero dirsi piuttosto ellissoidali od ovali. Irregolare, se il perimetro dello stromento non corrisponde a quello di alcun solido geometrico e nemmeno alle forme precedentemente notate. (i) Distinguo col diminutivo di accette quelli che non raggiungono 11 centimetri nella maggior dimensione. — 56 Smarginato. È questo un tipo ben distinto, nel quale si osserva per ciascun lato una smarginatura scabra, più o meno profonda, che serviva a legare più saldamente la pietra al suo manico (i). In certi manufatti esotici, invece di una smarginatura per ciascun lato, vi è una scanalatura o uno strozzamento che sira tutto all’intorno e adempie allo stesso ufficio. Tutti i tipi e le mutazioni fin qui enumerati sono suscettibili di una varietà straordinariamente spessa, che dirò turgida, e di un’altra di insolita sottigliezza, cui attribuisco la denominazione di lamellare. Gli stromenti fatti di rocce assai pregiate dai litoplidi, sia per la vivacità del colore sia per la tenacità e la durezza, appartengono di preferenza alla seconda. La prima fu adottata piuttosto per le ascie che si volevano rendere assai pesanti affine di adibirle a lavori grossolani. Le diverse fogge di cui ho fatto cenno sono pur suscet tibili di variare nella proporzione relativa della lunghezza e della larghezza, risultandone mutazioni larghe e larghis· sime (nelle quali la corda dell’arco formato dal taglio può superare la lunghezza) ed altre invece più o meno shette che fanno transizione agli scalpelli. Le prime sono gene ralmente lamellari e le seconde turgide. La forma rettangolare a spigoli ben netti, col ta*^° rettilineo o poco arcuato, corrispondente ad uno dei a minori del rettangolo, è una tra le più comuni in Dan marca, nei Kjókkenmódding. Presso di noi è invece piuttos rara, e ne offrono esempi istruttivi il manufatto provenien da Dego, figurato dal Gastaldi, al n.° 4 della tav. (i) Gli strumenti la cui immanicatura è agevolata da due tac depressioni laterali possono comprendersi ancora fra le ascie o le a quando l’estremità opposta al taglio rimaneva coperta e non serviva percussione; ma debbono assumere un altro nome, se questa estremità ^ piva essa pure ad un ufficio determinato, sia come utensile sia conte t 0 — 57 — annessa alla sua memoria « Iconografia di alcuni oggetti di remota antichità rinvenuti in Italia » (Torino, 1869), come pure parecchie di quelle rappresentate dal Morelli (.Iconografia della Preistoria Ligustica, tav. XVIII, fig. 1,2 - 3,4- 5,6). Sono invece comuni in Liguria i tipi 'triangolari o cuneiformi, di cui il Museo geologico di Genova possiede belli esemplari di Mioglia, Giusvalla, Bobbio, ecc. Esemplare della stessa foggia ben degno di nota è quello di Monte-notte , che porta il n.° 340 nella raccolta del Museo di Genova, e si distingue per la materia, una roccia scistosa, ricca di mica, nonché per la insolita sottigliezza (lunghezza millim. 92 ; spessezza massima 9). Al tipo triangolare scaleno appartengono, fra gli altri, uno stromento assai rozzo, raccolto tra Sassello e Ponzone ed uno di Dego qui appresso figurato (fig. 16). Fig. 16. Fig. I7- Accetta triangolate di Dego (Museo Accetta linguiforme del Monte Giovo Civico di Genova); grand, nat. (Museo geol. di Genova); >/4 della grand, nat. Da quelle testé considerate, si passa, per insensibili gradazioni, alle scuri a fianchi tondeggiati e a taglio fog- Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL. 5 - 58 - giato ad arco ben risentito (facies linguiforme), comuni in Italia e quasi in ogni parte d’Europa; la fig. 17 ne rappresenta un perfettissimo campione fatto di pietra verde assai dura. Altre, conservando la medesima forma generale, sono più voluminose, più allungate, e si suppone da taluno (ma io credo a torto) che si adoperassero anche senza essere immanicate, ad uso di coltelli ; da cui 1 appellativo di coltelli-ascie, che venne loro attribuito. Tal’è un esemplare lavorato con somma cura in una roccia dioritica assai tenace, compreso nella collezione del Museo di Genova e proveniente da Sassello. La sua luncrhezza è di 22 cen- o timetri, mentre non ha che 4 centimetri e mezzo di larghezza. I caratteri dell’ascia linguiforme a virgola s incontrano in un esemplare di Sassello (appartenente al Museo di Genova), il quale sembra fatto di saussurite e misura circa 13 centimetri di lunghezza per 43 millimetri di larghezza con spessore di 27. Il suo taglio è in parte spezzato. Un altra ascia di forma analoga, che fu trovata invece nei pressi di Albissola Marina, è compresa nella raccolta del fu P. Ighina, conservata a Carcare. Raro il tipo amigdaloide. Ne porgono esempio parecchie accette raccolte, quali a Sassello, quali tra Sassello e Pon- _ zone, conservate nel R. Museo geolocnco di Genova e o o provenienti dalla collezione Perrando. E propriamente irregolare una accetta lamellare, proveniente da Cosseria, conservata nella collezione del Padre Ighina in Carcare (1). Affatto eccezionale la varietà smarginata; ne conosco un esemplare di Sassello raccolto dal Sig. Rossi; altri due, rinvenuti nelle caverne Pollerà e delle Arene Candide dal Prof. Morelli, hanno due strozzature per parte. (1) Don Morelli ne diede la figura al n.° 13 della sua tav. XVII· e 'L____- — 59 — Il manufatto litico più voluminoso, fra quelli trovati sporadici del nostro territorio, è un’ ascia di tipo assai comune, cioè linguiforme, proveniente da Mioglia, la quale è lunga 27 centimetri scarsi, larga circa 7, spessa 36 millimetri, e pesa un chilogrammo e 37 grammi. Questo utensile ha taglio assai arcuato, un po’ guasto dall’uso, ed è foggiato con cura in una roccia anfibolitica un po’ scistosa, difficile a determinarsi perchè assai alterata. Altro esemplare, un po’ più piccolo, proviene da Sassello e, se non fosse spezzato alle due estremità, raggiungerebbe circa 24 centimetri di lunghezza. In esso la pietra è assai alterata non solo da cause naturali, ma anche dall’ azione del fuoco cui, a quanto credo, fu sottoposta per esperi-mentare la sua pretesa virtù. Contrastano con tali arnesi, grossi e pesanti, parecchie accette di 4 a 5 centimetri di lunghezza e larghe in proporzione, il cui peso è inferiore ai 20 grammi. Alcune di queste non sono che schegge di pietre dure, di cui fu reso arcuato e tagliente, coll’affilatura, uno dei margini ; altre invece sono lavorate con cura in ogni loro parte; così, per esempio, un esemplare di Sassello, fog- Fig. iS. Accetta di ofìsilice di Nizza (Museo di Genova); grand, nat. giato in roccia assai dura e tenace, di color verde chiaro sbiadito, la cui lunghezza è di 47 millimetri, con larghezza — 6o — di 34 e spessore massimo di soli 8. La figura 18 rappresenta un’accetta, raccolta dal sig·. Geny a Nizza ed ora conservata presso il Museo geologico di Genova, la quale non misura che 3 centimetri e mezzo di lunghezza e di larghezza ed è fatta di ofisilice. Tengo per fermo che tali minuscoli arnesi fossero utili all’ uomo non meno dei più grossi. Se questi erano branditi sul capo all’ inimico, o servivano a rozze arti fabbrili, quelli furono necessari all’economia domestica; perchè destinati, forse, a dividere i ramoscelli, confricando i quali si suscitava il fuoco, a staccare dalle piante le cortecce fibrose, atte a fare saldi legami, a tagliar pelli in lacinie, ecc. Mi sembra poi evidente che alcuni di essi furono ridotti a piccolo volume, affilando più e più volte il taglio, logoro da lungo uso, di accette maggiori od anche di ascie. • · Accetta immanicata. — Le ascie litiche erano in ogni caso adattate ad un manico di legno o di corno, nel quale s’inserivano per la parte loro assottigliata e scabra; e probabile che alcune volte fossero assicurate al manico stesso mercè una legatura e coll’aiuto di una sostanza attaccaticcia, come bitume. Anni sono, da un contadino dei pressi di Sarzana, fu rinvenuta nella propria terra un’ascia di pietra, e poco dopo il manico dello stromento, il quale è foggiato in un corno di Capra o di Ovis. Secondo la descrizione di questo rarissimo oggetto, pubblicata dal sig. Paolo Podestà nel « Bollettino di Paletnologia italiana » (anno 3.0), ess0 manico, lungo 13 centimetri, presenta, presso la radice del corno, un foro conico, alquanto schiacciato ai lati, di 3^ millimetri nel diametro maggiore, foro in cui si adatta perfettamente l’estremità della pietra opposta al taglio. Alcuni segni come di ustione, sull'orlo esterno del foro, e certe macchie nere penetranti, come infiltrate nella radice — 6ι — del fusto osseo del corno, farebbero credere che un bitume tenesse salda la pietra al manico. Descriverò più innanzi altre pietre immanicate, raccolte da don Morelli nelle nostre caverne ossifere, una delle quali è rappresentata nella mia tav. II, fig. 4. Zappette. — Le ascie a taglio trasversale o da bottaio, o zappette (1) sono poco numerose e si distinguono dalle comuni per l’asimmetria, perchè cioè una delle due superficie è pianeggiante od anche concava e l’altra convessa, o pure pel diverso grado di convessità delle due superficie. Questi stromenti sono d’ordinario alquanto voluminosi e pesanti, forse perchè erano adibiti a lavori fabbrili od Fig. 19. Zappetta di Giusvalla (Coll. Perrando), veduta di prospetto e di fianco; V2 della grand, nat. agricoli. Uno dei migliori esemplari figura nella collezione del Museo geologico di Genova al n.° 253 e fu trovato a Sassello. Esso è lavorato con somma cura in una pietra (1) Così la denomina il Chierici nel « Bullettino di Paletnologia ital. » (anno VII, η." i e 2). — 6 2 — di color verde cupo, traente al nero, che sembra anfibo-lite; è linguiforme, coll’asse longitudinale un po’ arcuato, convesso nella superficie superiore, piano o appena un po’ convesso nella inferiore. Il suo taglio, sbocconcellato dall’uso, era originariamente arcuato. Dimensioni (supposto il taglio intero): lunghezza circa centimetri 23 ‘/2; larghezza massima 6 ; spessezza massima 2 ‘/2. Attribuisco al medesimo tipo un’altra accetta linguiforme, assai più piccola, fatta di pietra nerastra assai piritosa, accetta che porta il n.° 129 nella raccolta del museo e 1 indicazione « Cairo Montenotte ». Reco la figura di un terzo esemplare (conservato nello stesso museo) che si distingue per la natura della roccia, anfibolite scistosa (fig. 19)· Accette votive. — Sono tali per me quelle che, essendo levigare anche nella parte opposta al taglio e sprovviste d’intaccature o smarginature, mediante le quali si potessero assicurare ad un manico, debbono considerarsi come talismani, oggetti simbolici o voti, e non come utensili. Infatti esse si trovano qualche volta in tombe di età posteriore alla neolitica, o pure in stazioni nelle quali sono associate a manufatti metallici. Ne porgono esempio due accette di pietra verde scura durissima, conservate nel gabinetto di geologia dell’Università di Genova e distinte coi numeri 196 e 189. Esse provengono entrambe da Bobbio, ove sono frequenti i ritrovamenti di reliquie protostoriche, e mi furono procurate da don Perrando. Sono entrambe isosceli, curvilinee, coll’ estremità opposta al taglio in forma di punta smussata, e presentano entrambe la particolarità di essere levigate sopra quattro facce dalla base fino all’apice, per modo che non sarebbe possibile unirle saldamente ad un manico. La più grande, misura 104 mm. di lunghezza, 39 di larghezza massima e 20 di spessezza. La seconda ha 53 mm. di lunghezza, 26 di larghezza massima e 13 di spessezza; siccome il suo taglio — 63 — è un po’ logoro, sospetto che abbia servito ad uso di utensile tagliente prima di aver subito ulteriore levigatura per essere convertita in oggetto di culto. A proposito dell’uso cui potevano essere destinate le ascie od accette preistoriche disadatte a lavori fabbrili, ricorderò come Giglioli abbia descritto con molta efficacia ascie di basalto provenienti da Mangaia (Arcipelago di Cook) « unite con speciale legatura artisticamente avvolta di bellissima e fine trecciolina piatta di fibre di cocco, nel più dei casi ad un manico o sostegno monumentale vero portento di arte scultoria, lavorato a traforo, coperto di finissima incisione o trina, ma affatto inservibile come im-manicatura » — « Tali ascie non erano più stromenti, ma reliquie; si dissero cerimoniali, e oggi sappiamo che sono monumentali’, ricordi di defunti, connesse col culto degli antenati e dette infatti Toki tikitiki, cioè ascia dei molti tiki o antenati » (i). Accetta forata. — Analogo significato credo sia da Fig. 20. Accetta forata di Sassello (Coll. Perrando); circa '/2 della grand, nat. attribuirsi ad una bella accetta forata di diorite (?) verde, che appartiene parimente al museo geologico di Genova, e (i) Giglioli E. H., Materiali per lo studio della « Età della Pietra ». Firenze, tip. S. Landi, 1901. — 64 — proviene da Sassello. 11 manufatto, di forma isoscele, coll’apice arrotondato, è condotto a perfetta pulitura in ogni sua parte ed ha tutti i suoi spigoli arrotondati, eccetto quello che corrisponde al taglio, il quale e lievemente smussato e non porta alcuna traccia di ammaccature. Il foro, ampio, di forma conica, a margini ben netti nella parte più larga, si continua dall’altra in una depressione eccentrica rispetto all’asse e di forma elittica. Le dimensioni dello stromento sono: lunghezza mm. 90, larghezza massima 39, spessezza 19; diametro massimo del foro 9 1 /,, diametro minimo 6 (fig. 20). Non fa d’uopo avvertire che, mediante il foro di sospensione di cui è munito il manufatto, doveva portarsi legato o appeso alla persona a guisa di ornamento, e non dubito che fosse tenuto in conto di talismano, come si verifica di altri oggetti consimili, conservati qual prezioso o o retaggio anche ai nostri tempi. Alcune accette delle nostre caverne ossifere si trovarono tinte in rossastro da un intonaco ocraceo. 1 ale particolarità già segnalata altrove, per esempio in Francia, in condizioni analoghe, dipende forse da che 1 ocra rossa sparsa originariamente sui cadaveri, nelle tombe in cui erano deposti, determinò la colorazione degli oggetti collocati accanto al morto. Forse è invece manifestazione di un rito speciale analogo a quello che praticano ancora certi selvaggi tingendo in rosso i propri manufatti litici. Ascia-picco. — Distinguo sotto questo nome arnesi o meglio armi, i quali si adoperavano, da una parte, a guisa di ascia pel margine tagliente di cui sono muniti e, dalla parte opposta, come' picchi o mazzapicchi, perchè provvisti di punta. Non fa d’ uopo dimostrare che erano assicurati per la parte media (naturalmente scabra o resa tale di proposito deliberato) ad un manico, il quale lasciava libere le due estremità. Al tipo delle ascie-picchi appartengono — 65 — io credo due manufatti che somigliano ad ascie linguiformi, nelle quali la parte che si termina col taglio è conforme al tipo e l’estremità opposta, accuratamente levigata, è foggiata a vertice di cono. In uno dei due, rinvenuto a due metri di profondità nella città di San Remo, secondo una comunicazione fattami dal D.r Molon, vi ha, ad una certa distanza dall’estremità assottigliata una fascia scabra che serviva ad assicurar meglio l’arnese ad un manico. Nell’ altro, osservato nella collezione Rossi e di cui ignoro la provenienza, la fascia scabra è poco manifesta; perciò non è escluso il dubbio che fosse stromento a doppio uso, cioè da taglio e da punta, destinato ad impugnarsi direttamente senza sussidio di manico. Scalpelli ed altri manufatti analoghi. — Dalle ascie ed accette propriamente dette si passa agli scalpelli, nei quali la larghezza del taglio non supera la quinta parte della maggior lunghezza. Essi sono di forme poco variate e poco divergenti in genere dalla parallelepipeda allungata 0 dalla cilindroide più o meno attenuata alle due estremità. Uno dei tipi più frequenti, che si trova rappresentato da parecchi belli esemplari nel Museo di Genova e nelle collezioni del Prof. Morelli e del P. Ighina di Carcare, ha 1 margini laterali quasi paralleli fra loro, le facce maggiori quasi spianate e il taglio breve, appena un po’ arrotondato ai due lati ; la sezione loro è irregolarmente rettangolare. Notevoli, fra gli scalpelli, quelli a doppio taglio, raccolti alle Arene Candide e nella Pollerà, e descritti dal Prof. Morelli nella sua ^Iconografia della Preistoria Ligustica » (tavola LXXXII)· Essi sono d’ ordinario assai allungati e vanno restringendosi alle due estremità; i due tagli non hanno generalmente la medesima lunghezza. Se non fosse la circostanza che ogni loro parte suol essere accuratamente levigata, supporrei che fossero destinati ad assicurarsi ad — 66 — un manico per la parte media per servire a guisa di bipenne. Gli scalpelli arcuati, di cui il Morelli reca un esempio delle Arene Candide nella sua « Iconografia » (tavola LXXXV, fig. 1,2), erano forse immanicati analogamente alle zappette. Lo stesso osservatore trasse dalla caverna Pollerà un manico di scalpello o meglio di zappetta-scalpello, costituito dalla parte superiore di un corno di cervo, un ramo del quale serve di impugnatura, mentre la base del corno, troncata, serve ad accogliere la pietra in apposita cavità (.Iconografia, tav. LXXIX, fig. 10). Lo stromento figurato dallo stesso autore al n.° 3 della sua tav. LXXXV, sembra una sgorbia piuttostochè uno scalpello ed è proveniente dalla caverna delle Arene Candide. Nella collezione Perrando, ora conservata tra quelle del Museo geologico di Genova, è compreso un utensile, che sembra l’estremità di un piccolo scalpello, a tagliente retto ed acuto e a sezione rettangolare; ma il manufatto spianato, comunque imperfettamente, nella superficie opposta al taglio, non può essere, perciò, considerato come un frammento. Esso è fabbricato di pietra bruna, tenera, a lucentezza grassa, che credo una roccia steatitosa alterata. Denominandolo provvisoriamente cuneo, non intendo avanzare alcuna ipotesi circa l’uso cui era destinato. Brunitoi. — Un manufatto di pietra verde scura, durissima (che sembra peridotite), disgraziatamente incompleto per antica spezzatura di una delle estremità, differisce dalle comuni accette, perciocché presenta, invece del taglio, un margine quasi rettilineo e arrotondato, il quale si connette mercè due angoli smussati ai due margini laterali, quasi paralleli. Lo stromento, o piuttosto quanto resta dello stromento, il quale, come dissi, è incompleto, presenta una levigatura più accurata del consueto, che manca tuttavolta presso l’estremità spezzata, la __ quale doveva essere greggia o quasi, come nella massima parte delle ascie. Questo utensile rinvenuto a Stella San Giovanni Battista, è probabilmente una azza dal taglio logoro pel lungo uso, ridotta alla condizione di brunitoio (i). Bipenne. — Dalle ascie alle bipenne è breve tratto. Una bella bipenne, rinvenuta nel Nizzardo ed illustrata da A. Angelucci, è fatta di porfido verdastro e, per la forma e le dimensioni, richiama alla mente gli esemplari della Danimarca esposti in parecchi pubblici musei (fig. 21). Questo manufatto, che appartiene ad un tipo raro e prezioso, è certamente posteriore alla fase neolitica e si deve considerare come estraneo all'industria locale. Fig. 22. Bipenne del Nizzardo (Angelucci); '/5 della grand, nat. giadaite Testa di mazza ad anello di della caverna delle Arene Candide; assai ridotta. Le memorabili scoperte compiute in Creta da A. Evans e dalla missione archeologica italiana dimostrano quanto fosse comune nei monumenti dell’isola, che risalgono alle fasi del bronzo e del ferro, l’immagine della bipenne, simbolo venerato della potenza dominatrice. Quest’arma, secondo Rouse, è denominata labris in lingua della Caria; e da (1) Il Prof. Bellucci illustrò oggetti analoghi, raccolti nell’ Umbria, nella sua memoria già citata (tav. XIII). — 68 — siffatto vocabolo proviene il nome di labirinto attribuito alla casa della doppia ascia (i). I martelli ed i mazzuoli di pietra non abbondano in Italia, e quando sono attraversati da un foro destinato a ricevere il manico, debbonsi ascrivere alla fase durante la quale cominciarono ad adoperarsi i metalli; 1 operazione del forare una roccia durissima, comunque sia agevole, mediante una cannuccia ed un po’ di sabbia silicea umida, richiede infatti un orrado d'intelligenza, un’intensità e con- ' ■ ri' tinuità d'attenzione che l'uomo non potè acquistare ai primo acchito. Non conosco martelli forati raccolti nel nostro territorio. Teste di mazza ad anello. — Si tratta di armi assai rare, fabbricate colla massima diligenza, delle quali si raccolsero solamente pochi resti frammentari nelle caverne delle Arene Candide e Pollerà. Consistono in anelli piatti, che misurano da 5 a 5 centimetri e mezzo di diametro interno, con larghezza di 2 a 3 centimetri e spessezza di 3 a 4 millimetri, ed hanno il margine esterno tagliente come quello di un’accetta (fig. 22). Credo fermamente che tali anelli, al pari di altri simili conservati nelle collezioni etnografiche come prodotti dell industria papuana, fossero teste di maz/a, e, muniti di robusto manico di legno, che si configgeva a forza in ciascuno di essi, dovessero servire quali armi da guerra. Dal pregio in cui erano tenuti può far fede la finezza della lavorazione e la materia, giadaite tralucida di un bel verde. Anelli ed avmille litici. — Gli esempi di anelli litici, trovati sporadici all’aperto o nei depositi archeolog'ici delle grotte, sono assai rari in Liguria. La collezione Perrando comprende sei manufatti di questo genere (uno dei quali (1) Mosso A., Escursioni nel Mediterraneo e gli scavi di Creta. Milano, F.Ih Treves edit., 1907. — 6 9 — ridotto presso a poco alla metà), tutti fatti di steatite bruna o nerastra e tutti provenienti dal Bobbiese e di data assai recente. Quattro di questi anelli, offrono la forma delle comuni fusaruole sferoidali e sono più o meno schiacciati nel senso corrispondente al foro, il quinto è più schiacciato dei precedenti ed offre una distinta carena, Γ ultimo è un disco irregolare, attraversato da un ampio foro. Un altro, che figura nella stessa collezione e proviene invece da Godano, è pur fatto di steatite ed ha forma assai irregolare e depressa, con spigoli -smussati; sulle due facce presenta solchi disuguali e non simmetrici, disposti a guisa di raggi. Gli anelli summentovati non risalgono a parer mio che alla così detta età del ferro od ai tempi protostorici e sono ogfoetti d’ornamento od accessori d’indumenti. o o Altri anelli litici di maggiori dimensioni (fatti di pietra calcare) e rinvenuti nelle caverne, sono da considerarsi invece come armille che si portavano alle braccia o alle gambe. Pendaglio. — Va pur compreso, nel novero degli oggetti d’ornamento, un pendaglio proveniente da Bobbio, costituito di un pezzo di steatite indurita, di color verde scuro, tagliato presso a poco a mo’ di lama di rasoio, con largo foro ad una delle estremità. Questo foro è ora incompleto a' causa di una spezzatura del manufatto, il quale oltre a ciò è assai logoro, forse perchè fu lungamente portato. La sua lunghezza è di 4 cm„ la larghezza massima di 16 millimetri, la spessezza di 8. Talismano. — Questo oggetto è una piastrella di roccia scistosa, di forma presso a poco triangolare isoscele, col vertice un po’ smussato. Il lato opposto al vertice è sbocconcellato per antiche fratture, una delle quali comprende un angolo della piastrella ed anche parte della falda scistosa che costituisce una delle superficie. Gli altri — 70 — due lati sono così poco regolari che sembrano quasi greggi; in qualche punto vi si scorgono, tuttavolta, tracce di levigatura, che si ottennero probabilmente collo stropicciare i margini della piastrella sopra altra pietra più dura. L’istrumento è presso il vertice attraversato da un foro circolare, del diametro da 4 a 5 millimetri, un po’ svasato presso le due facce. Una di queste si presenta imperfettamente piana (corrisponde ad una antica superficie di sfaldatura della roccia) ed è ornata di 7 figure, tutte geometriche, ad eccezione di una, e disposte senza ordine. Presso il vertice, vi ha un’area circolare coppelliforme, del diametro di 13 millimetri, il cui centro coincide con un piccolo incavo più profondo e alla cui periferia è tracciato un solco; al di sotto, un po’ a sinistra, si osserva una serie di tre profondi solchi circolari concentrici (il diametro del maggiore è di 20 millimetri), intorno ad un piccolo incavo centrale; a destra, vi sono altri due circoli concentrici, più piccoli, con lieve incavo centrale; ognuno di questi circoli è ornato di 8 impressioni puntiformi, equidistanti. Presso il margine inferiore, infine, si vedono schierate obliquamente quattro figure che sono, procedendo da destra a sinistra: i.° un circoletto incavato, con punto cavo centrale ed altri 5 punti simili periferici, simmetricamente disposti; 2.0 un incavo irregolare, allungato, che si restringe o o dall alto in basso, in cui si osservano indistintamente tre solchi longitudinali irregolari, che forse non son fatti di proposito deliberato; 3.0 un solco rappresentante un girò di piccola spirale, con un incavo puntiforme nel centro, 4· un circoletto incavato, del diametro di 6 millimetri, con 6 impressioni in forma di foglia di salice, disposte a guisa di raggi intorno ad altra piccola concavità centrale, fra raggio e raggio, altri 6 punti cavi periferici. Al di sotto di queste due ultime figure, si nota un incavo arcuato, il quale deve essere parte di una figura circolare, conforme - 7i — a quella indicata da principio, e di cui il rimanente manca per antica spezzatura dell’oggetto. Nella seconda faccia, a breve distanza (6 millimetri) dal foro, apparisce una cavità coppelliforrne, irregolare, del diametro di 9 millimetri; a sinistra, inferiormente, un incavo circolare con 9 solchi disposti poco regolarmente, a guisa di raggi, intorno ad un piccolo incavo centrale; a destra, altro incavo circolare con 2 solchi circolari, concentrici e centro comune incavato; lo spazio anulare fra la periferia e il solco più esterno è ornato di tante piccole impressioni equidistanti; sotto ancora, a sinistra, altro circolo incavato, di 16 millimetri di diametro, con due solchi diametrali, intersecantisi ad angolo retto; a destra, un po’ inferiormente, un circolo incavato, con due serie circolari, concentriche di incavi puntiformi ed altro incavo centrale; in mezzo, un incavo coppelliiorme, con un orliccio sporgente e, sottoposto a questo, altro piccolo incavo coppelli-forme, profondo, senza orliccio, incavo che rimane intaccato da una rottura della pietra; a sinistra (immediatamente sottoposto al circolo coi due solchi diametrali), vi ha un altro solco circolare, alquanto profondo, del diametro di 14 millimetri, con un incavo centrale e intorno ad esso concentricamente, 8 incavi puntiformi ; una parte di questa figura manca per guasti anticamente sofferti. Osservando bene il margine opposto al vertice della piastrella, si nota infine il resto di un piccolo incavo circolare, di cui manca la massima parte, per spezzatura del manufatto (tav. IV, fig. 9). Sulla prima faccia già descritta vedonsi pure, presso il foro, 3 solchi irregolari, paralleli alla base, intersecati da 2 altri obliqui, solchi di cui non giova tener conto, perchè, dal colore e dalla freschezza, appariscono recentissimi e fatti probabilmente allo scopo di sperimentare la durezza della pietra da chi la rinveniva, dopo che era rimasta sepolta per lungo volgere di tempi. Mentre questi — 72 — solchi spiccano in bigio chiaro, sul fondo verdastro della piastrella, gli altri incavi, incomparabilmente più antichi, appariscono di color verdastro cupo o rubiginoso. Gli ornati che si osservano sulle due facce del manufatto sono eseguiti, verosimilmente, parte, mercè utensili muniti di due punte più o meno vicine, che si adoperarono a guisa di compasso, parte, mediante semplici punteruoli; le cavità coppelliformi sembrano praticate, invece, per mezzo di scalpellino a taglio obliquo. Dalla profondità e sottigliezza dei solchi, argomento che tali utensili fossero metallici. La pietra di cui è foggiata la piastrella è bigia, traente al verdastro, con screziature di color verdastro cupo; in alcuni punti, massime nell’ interno degli ornati e laddove fu spezzata, si mostra rubiginosa per alterazione; ove e meno alterata, ha lucentezza grassa o debolmente madre- Λ * * * perlacea e metalloidea; il suo tatto è untuoso. Ai margini della piastra, è facile vedere la sua tessitura scistosa. La durezza della roccia è compresa fra il secondo e il terzo termine della scala di Mohs. Dal complesso dei caratteri suesposti, essa deve necessariamente riferirsi ad una varieta di cloritescisto non rara nella formazione serpentinosa antica dei monti di Sassello e delle valli dell’Erro e della Stura. Le dimensioni del manufatto sono : altezza, millimetri 85 ; larghezza (base), computati i due angoli mancanti, circa millimetri 60; spessezza massima, millimetri 10. Ho già avvertito che esso è spezzato alla base. Supponendo che la sua parte inferiore accogliesse tutti interi gli ornati di cui si vedono ancora i residui, la sua altezza doveva essere maggiore, originariamente, di 10 millimetri almeno. L’oggetto di cui si tratta fu rinvenuto nella terra di un campo a Ponzone. Secondo autorevole parere, esso potrebbe aver servito a qualche lavoratore di borchie o meglio forse di rivestiture di borchie, ottenute con sottili _ — - 73 — lamine metalliche applicate alle figure e battute con un punzone; qualche cosa di simile si conosce, infatti, fra le antichità americane della Colombia. Oltre alla presenza del foro di sospensione, il quale non si concilia guari coll’ipotesi surriferita, le sono palesemente contrari la sottigliezza e la poca resistenza della pietra, per le quali questa non avrebbe resistito senza spezzarsi alla pressione di un punzone. A me pare che il manufatto di Ponzone sia da considerarsi piuttosto come ornamento o come oggetto relativo a qualche antica superstizione. La seconda ipotesi è più verosimile della prima, perchè la piastrella, destituita di smaglianti colori e di viva lucentezza, non ha nulla che valga ad allettare gli occhi; in secondo luogo, perchè le figure di cui è ornata si ritrovano incise sopra ascie di bronzo votive dell’ età del ferro, e da ciò si può forse congetturare che abbiano un significato simbolico. Dalle tracce di logoramento che si osservano nei margini superiori del foro praticato al vertice della piastra, è lecito inferire che rimase qualche tempo appesa a sottile cordicella; probabilmente fu portata al collo a guisa di pendaglio, ed anche tal considerazione milita a favore del supposto che si tratti di antico talismano. Lo stile e la fattura degli ornati accennano alla fase dei metalli, e più precisamente a quella durante la quale si cominciò a far uso del ferro nell’Italia settentrionale. Rocce l>i cui son fabbricati gli stromenti litici. Gli antichi abitanti della Liguria occidentale adoperarono principalmente, allo scopo di foggiarne armi ed utensili mediante la scheggiatura, selci probabilmente raccolte nelle puddinghe di Roccabruna, dei Ciotti presso Mentone, di Cisano presso Albenga, agata e calcedonia di Grane a N. di Fréjus, e della riva destra del Sansobbia Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL. ^ — 74 — di contro alla Cappella del Salto. Essi fecero uso indubbiamente dei diaspri permiani di Montenotte e di quelli contenuti nel conglomerato oligocenico di Santa Giustina, Cadibona ed altri punti. La quarzite di cui risultano molte macine provenienti dalle caverne del Tina-lese ed alcuni stromenti rinvenuti all’aperto, poco lunge, fu tratta dagli estesi affioramenti di questa roccia visibili alla base del trias tra Bergeggi e Ceriale, nonché nelle valli del Pia, dell’Aquila, del Porrà, del Varatiglia, del Neva, ecc. I materiali usufruitati dai litoplidi delle stazioni prossime alla Spezia furono principalmente quarziti e diaspri della Riviera di Ponente Sono senza dubbio esotici i rari coltellini d’ossidiana trovati nei depositi delle caverne ed accennano, io credo, a materiale importato dalla Sardegna occidentale, dall’isola d’Ischia o dalle Eolie. Alla fabbricazione dei manufatti levigati fuiono adibite quasi esclusivamente pietre verdi, tratte dai conglomerati oligocenici ed originarie della formazione serpentinosa an tica della Liguria occidentale od anche ciottoli di torrenti. Si tratta di dioriti, prasiniti, gabbri, anfiboliti, diabasi, afaniti, eclogiti, pirosseniti, e specialmente di giadaiti, di queste mi occuperò a lungo in altro paragrafo (i)· In una sola ascia della collezione Perrando, proveniente da Bobbio ho riconosciuto la serpentina normale. Tra i numerosi manufatti levigati o scheggiati segna lati nelle stazioni della regione Ligure, non ne fu riferito alcuno alla nefrite, almeno con sicurezza; ma secondo (i) Notevoli rispetto alla materia un’ascia di cclogite a grossi &ra proveniente da Giusvalla (coll. Perrando), e un'altra di scisto piiossenic < glaucofane e granato rinvenuta a Sassello (coll. Perrando). Queste rocce trovano in posto nella formazione antica della Liguria occidentale distin col nome di gruppo di Voltri, associate a gabbri, giadaiti, serpentine ec^_’ e non mancano lungo il versante settentrionale dei monti liguri. Le boliti e le prasiniti si trovano comprese anche in terreni permiani. — 75 — ogni probabilità non mancano esemplari nei quali la composizione chimica della roccia corrisponde a quella della specie precitata. Pel colore grigio verdastro pallidissimo una accetta di Palo ed una della Vetriera superiore (Savonese), possedute dal Museo di Genova, ricordano la giada tipica, non però per la translucidità, che è assai minore. I rari esemplari di cloritescisto lavorati, compresi nelle nostre raccolte preistoriche, son tolti probabilmente alla locale formazione triassica inferiore. Quelli di steatite provengono senza dubbio dagli adunamenti serpentinosi della Liguria orientale. Nella caverna Pollerà furono raccolte parecchie sferette forate d’ambra gialla, le quali, secondo ogni verosimiglianza, erano state deposte presso qualcuno dei cadaveri ivi sepolti. L’alterazione loro assai inoltrata non consente di rintracciarne la provenienza ; ma ricorderò in proposito come sia stata segnalata la presenza dell’ambra nella formazione eocenica del Monte Beilindo presso Ven-timiglia, e come pure questo minerale potesse pervenire ai Liguri, negli ultimi tempi in cui cercarono rifugio nelle caverne, dal Bolognese, dalla Sicilia e perfino dal Baltico, se è fondata la credenza che i Fenici lo recassero dall’Europa settentrionale alle loro stazioni Mediterranee ( i ). La questione della giadaite e della giada. Nel 1863 Damour fece conoscere sotto il nome di jadéiie (2) una roccia di color verde smeraldo, translucida, (1) Intorno alla distribuzione geografica dell'ambra gialla e alla provenienza di quella che si trova nelle stazioni preistoriche italiane si consultino i lavori di F. Strobel, G. Capellini, Otto Helm, A. B. Meyer, 0. Olshausen e specialmente il volume di A. Stoppani « L'ambra nella storia e nella geologia » (Milano, Dumolard, 1886). (2) Comptes Rendus des séances de l’Acad. des sciences, 1S63, p. 231. Si veda pure: Franchi, Sopra alcuni giacimenti di roccie giadeitiche nelle Alpi occidentali e nell Appennino ligure. Boll, del R. Comit. geol. italiano, 1900, n. 2. — 76 — a lucentezza un po’ grassa, a struttura generalmente fibrosa, assai pesante e tenacissima, roccia proveniente dalla Cina e che i lapidari confondevano colla giada orientale o nefrite (silicato di magnesio e calcio, considerato dalla maggior parte dei mineralisti come varietà compatta di tremolite), ma che pur se ne distingue per spiccati caratteri fisici e chimici. Il suo peso specifico oscilla fra 3»25 e 3,55, la durezza è uguale a 6,5 e talvolta un po maggiore di quella della giada più dura, cioè uguale a 7 ; esposta in schegge sottili alla fiamma avvivata dal cannello, si liquefa agevolmente ; dagli acidi non è attaccata se non in minime proporzioni. Si tratta essenzialmente, secondo Damour, di un silicato di alluminio e sodio con scarsa dose di calcio, magnesio e ossido ferroso, di un composto pertinente al tipo dei pirosseni e al gruppo delle werner iti. Il medesimo autore descriveva dipoi . col nome di chloromélanite, una specie affine alla sua jadezte, ma di tinta più cupa, poco o punto translucida e più ricca di ferro, la quale fu ritenuta come varietà della prima. Egli accennò a parecchi giacimenti esotici di queste rocce e ne illustrò numerosi esemplari rinvenuti sotto forma di ascie od accette in varie parti d’Europa, specialmente in Francia, in Svizzera' e nel Messico (1). Gastaldi, in Italia, riconobbe di poi la giadaite e la cloromelanite in parecchi manufatti preistorici del Pie' monte (2). Noterò qui, per incidenza, come fra gli autori italiani che si occuparono di tali rocce, parecchi, col Gastaldi, adottarono le denominazioni di giadeite e cloromelanite, (1) Comptes Rendus etc., 1865, p. 313 e 357. (2) Iconografia di alcuni oggetti d'alta antichità rinvenuti in Italia· Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, serie 2.% tomo XXVI. Torino, 1871. — 77 — altri, collo Strobel, reputarono più corretto, in luogo della prima, giadaite, nella quale si conserva inalterata la voce originaria da cui deriva il nome scientifico della nuova specie, mentre Piolti preferisce iadeite. Mrazec, da canto suo, manteneva le denominazioni primitive di Damour nei due tipi, in cui si ravvisano specie mineralogiche distinte, ed attribuiva alle rocce corrispondenti quelle di jadéitite e chloromélanitite. Da principio non si conosceva la giadaite in posto,, almeno con sicurezza, che del Ce-Kiang nella Cina, del-Γ alta Birmania e della Nuova Zelanda (i), ed erano pur noti alcuni frammenti o ciottoli greggi, ma erratici, della medesima pietra raccolti nella Stiria e nella Sassonia. Stando le cose in questi termini, il Prof. H. Fischer di Freiburg, esaminò l’ipotesi, già avanzata da autorevoli archeologi, che la giadaite fosse come la giada importata in Europa dall’Asia, ciò in una ponderosa monografia, ricca di dati archeologici, che vide la luce nel 1874 a Stoccarda, col titolo « Nep li rit und Jadeit nach ihren mineralogischen Eigmschaftm, sowie nach ihrer urgcschichtlichen und ethno-graphischen Bedeutung» (2). Fin dal 1875 accennai per incidenza, in un mio lavoro d’ordine generale (3), alle divergenze sorte a proposito dell’origine di questa roccia e diedi un elenco di 26 oggetti di giadaite, tra i quali un solo greggio, rinvenuti in Italia. Sono compresi nel numero un ciottoletto raccolto in una delle caverne dei Balzi Rossi, 6 accette levigate (1) La distribuzione geografica dei manufatti di questa pietra giustificava però l’ipotesi che se ne trovassero giacimenti nella Nuova Caledonia, in qualcuna delle isole del Pacifico, nel Messico e nell’America centrale. (2) L’opera del Fischer ebbe nel 1880 una seconda edizione, parimente comparsa a Stoccarda, che consta di un volume in 8° di 414 pagine con 2 tavole in cromolitografia e 131 figure nel testo. ^3) L'uomo preistorico in Italia ecc. Torino, Unione tipogr. editr., 1875. - 78 — ed un frammento di disco forato provenienti dalle stazioni neolitiche della Liguria. Nel 1881, Damour diede a conoscere una vera giadaite rinvenuta in posto dal Sig. Bertrand de Lom presso Saint Marcel in valle d’Aosta (0> e forni a favoie di coloro che ammettevano l’estrazione della roccia da giacimenti indigeni un valido argomento, il quale non bastò tuttavolta a dissipare i dubbi. In varie sue memorie e principalmente in una pubblicata nel 1879 su « Nuovi oggetti litici della Calabria » (2), il Prof. Lovisato diede la descrizione di buon numero di manufatti di giadaite e cloromelanite italiani (in ispecie della Calabria), da aggiungersi a quelli già segnalati da altri. Egli scoprì pure manufatti di fibrolite e di sillimanite, e pose in chiaro che non mancano in Italia o-iacimenti di oueste rocce, una delle quali, la seconda, -*■ si riteneva esclusivamente americana. G. De Mortillet si mostrò fautore, fin dal 1881, della ipotesi secondo la quale la giadaite, che servì a fabbricare le accette ed altri manufatti preistorici rinvenuti in Europa, sarebbe, almeno in gran parte, indigena ; quanto alla giada, dopo aver professato la medesima opinione, egli dichiarava di dubitar molto, perciocché le nefriti lavorate d’Europa sono rarissime (provengono quasi tutte dalla Svizzera o da territori vicini) e quasi identiche alle asiatiche. Inoltre, nella stazione di Gérofin sul lago di Bienne, i manufatti di nefrite erano associati a bronzi di carattere orientale (3). Meyer asserì fin dal 1882 che non mancano in Europa giacimenti di nefrite, giadaite e cloromelanite, e che questi esistono probabilmente fra le Alpi e altrove. (1) Bulletin de la Société Minéralogique de France, tome IV. Paris, 1881. (2) Memorie della R. Accademia dei Lincei, voi. III. Roma, 1879. (3) Importation de la nefrite et du bronze. Matériaux pour l’histoire positive et naturelle de l’homme, 2' sèrie, tome XII. Toulouse, 1881. — 79 — Arzruni manifestò la persuasione che le accette di giadaite, essendo generalmente più voluminose di quelle jdi nefrite e d’altra forma, cioè d’ ordinario meno convesse od anche pianeggianti, dovessero servire ad uso diverso. In questo concetto convenne anche R. Virchow, ed osservò che le prime sono abitualmente levigate sulla maggior parte della superficie e non solo in corrispondenza del taglio, come le accette di nefrite, le quali inoltre si presentano ruvide e talora come artificialmente martellate nella parte opposta al taglio, argomentando da ciò che le une sono oggetti destinati al culto od hanno un significato simbolico, mentre le altre sono vere armi od utensili foggiati per essere fissati ad un manico. Della controversia, alla quale, oltre ai precitati, presero parte altri etnografi e petrografi, diede conto Pellegrino Strobel (i). Nel 1886, tra ventuno esemplari di ascie, accette o scalpelli litici conservati nel R. Museo di Antichità di Parma, oggetti tutti di quella provincia, o della finitima di Reggio, A. B, Meyer ne trovò ben dieci di giadaite e cloromelanite che furono succintamente descritti (2). Nel 1892 esposi di nuovo i termini della divergenza nella mia « Liguria geologica e preistorica », e accennai ai recenti ritrovamenti della giadaite in posto sul Monte Zopten in Stiria e al Piz Longhin in Val Bregaglia (Gri-gioni), dai quali risulterebbe facile a spiegarsi, senza ricorrere all’intervento dell’uomo, quelli di ciottoli nel fiume Saum in Stiria e di piccoli massi erratici in Germania (3). Nel tempo stesso io riferiva come il Professore G. Rovereto mi avesse informato della esistenza di un minerale di contatto tra la (1) Provenienza degli oggetti di nefrite e di giadaite. Bull, di Paletnologia italiana, anno IX, n. n-12, e anno X, n. 7-8. Parma, 1883 e 1884. (2) Bullettino di Paletnologia italiana, anno XII, n. 3 e 4. (3) Si trovò di poi che la supposta giadaite dei Grigioni appartiene ad altra specie. — 8o — serpentina antica e i calcescisti dei pressi di Pegli, il quale pei caratteri fisici più spiccati, apparisce identico alla giadaite tipica. Questo minerale si trova in vari punti nella valle del Rivo Praniga, principalmente presso le cascine Isola. È di color verde smorto, più vivo e più chiaro di quello assunto comunemente dalla nostra serpentina, con zone di varia intensità, e si mostra translucido quando è ridotto in schegge abbastanza sottili ; la sua durezza è appena superiore al 6.° grado (scala di Mohs) ; peso specifico 3.3 alla temperatura di 20°. Al cannello si liquefà agevolmente, ribollendo ; si scioglie incompletamente a caldo nell’acido cloridrico. Al microscopio apparisce fibroso, sparso di granuli d’opacite, e presenta deboli colori d interferenza con scarso pleocroismo, come si osserva d ordinario nei pirosseni. Dall’analisi chimica di questo minerale, che fu gentilmente eseguita a mia richiesta dal D.r G. Vignolo, risulta una composizione alquanto diversa da quella della giadaite per copia di calcio e magnesio e per deficienza di sodio (1), composizione che, come avvertiva Rovereto (Boll, della Soc. Geol. Ital., voi. XIII. Roma, 1894). accenna a saussurite zoisitica. (1) Ecco i risultati di questa analisi: Si 02...........35. 187 Al2 03 ....................20. 705 Fe2 03 ....................6. 300 Ca 0.........26. 100 Mg O ....................4-972 Mn 0..... .... o. 712 Na2 0....................o. 125 Li2 0 ......... o. 260 N2 Ο....................I. 947 ~g6. 308 K2 O. sost, indet. e perdite 3 692 100 000 La questione fece un nuovo passo allorché Mrazec (i) illustrò petrograficamente e chimicamente un ciottolo di giadaite conservato nel Museo di Bukarest coll’ indicazione « Piemonte », e quando G. Piolti espose i caratteri litologici e chimici di un altro ciottolo della medesima roccia, da lui rinvenuto in un deposito morenico presso Rivoli, in Piemonte (2). Rispetto alla composizione chimica, la pietra descritta da Piolti differisce dagli esemplari tipici dell’Asia centrale per la copia della calce (12.04 per 100), della magnesia (7.33) e per la conseguente deficienza di allumina (9.66) e di soda (7.84), e lascia supporre che minerali dotati dei caratteri fisici della giadaite possono essere ben diversamente costituiti l’uno dall’altro dal punto di vista chimico. Con ciò, tuttavolta, non poteva ancora ritenersi dimostrato che i materiali dei manufatti giadaitici, rinvenuti in sì gran numero nelle stazioni preistoriche neolitiche della Francia, della Svizzera e dell’Italia, fossero propriamente originari delle Alpi e si riferissero alle stesse varietà dei campioni scoperti in Piemonte allo stato erratico. È merito dell’ Ing. Franchi di aver dimostrato che non solo la giadaite si trova in posto fra le Alpi occidentali, ma che inoltre è varietà estrema di una' specie litologica assai diffusa. Se non si era segnalata fin qui con tutto il rigore richiesto dalla scienza, nei giacimenti alpini, ciò dipendeva dalla insufficienza delle indagini sul terreno e principalmente dalla imperfetta cognizione che si aveva del materiale litico delle nostre stazioni. Il Franchi ottenne il risultato cui accennavo dopo un esame litologico accuratissimo dei manufatti litici raccolti (1) Mrazec, Note sur une Jadei/ite du Piemont. Bull, de la Soc. des Sciences de Bukarest, voi. Vii, n. 2, 1898. (2) Piolti G-, Sulla presenza della iadeite nella valle di Susa. Atti della R Accad. delle scienze di Torino, voi. XXXIV. Torino, 1899. — 82 — nella stazione d’Alba dall’Ing. G. B. Iraverso, esame che pose in chiaro uno strettissimo nesso litologico e quindi crenetico fra le o-iadaititi e le eclogiti, nesso, il quale diede ο o 1 . . appunto un indirizzo sicuro nella ricerca della roccia in posto. Nella memoria citata appiè della pag· 7 7» questo autore comincia coll’illustrare le rocce della stazione d Alba, che sono principalmente eclogiti, pirosseniti, giadaititi, por-firiti. L’ultima specie è rappresentata da una varietà formata di pasta zoisitica e feldispatica « tempestata di innumerevoli piccoli granati incolori e di leucoxene impuro e da elementi pirossenici essi pure parzialmente uralitizzati », varietà identica a certe porfiriti afanitiche, sviluppatissime alla base del Monviso e alla Lobbia di Viso, ove furono segnalate dall’ Ing. Stella. Nella seconda parte del suo lavoro, della quale renderò conto in poche parole, perchè è d’indole più specialmente petrografia, il Franchi espone numerose osservazioni sulle rocce giadaitiche ed eclogitiche delle Alpi occidentali e dell’ Appennino ligure, avvertendo che sono associate alle così dette pietre verdi e costituiscono numerosi giacimenti ma non grandi masse. Raramente si trovano, fra le Alpi, in banchi e lenti o noduli che oltrepassano qualche metro di potenza, e sono interposte, il più delle volte, ^ra serpentine da una parte, le eufotidi, prasiniti ed an ο i dall’altra, e, più raramente, sono accluse nella massa stess di questi vari tipi di rocce. L’Ing. Stella rinvenne le rocce eclogitiche, compren^ denti vari tipi di giadaititi, nella massa di pietre verdi ce Monviso (al colletto 2477 a N. O. di Alpe Biulé, a S. di Punta Murel, al di là di Alpette, a monte del lago superiore di Prato Fiorito, sul fianco occidentale de ^ 0 Armoine, ecc. ecc.), come pure nella massa micascistoso gneissica delle parti inferiori delle valli di Varaita e ^ (a monte di Frassino, a Piano Madonna, lungo il sentiero * _— - 83 - fra Colle Duvetta e Bec Monforte, sul versante sinistro del Vallone Gilba, sul versante sinistro di Valle Isasca, sul versante destro della bassa Val Po, sul contrafforte di Colle Serret, ecc.). Franchi aggiunge Γ indicazione di molti altri punti più orientali, situati cioè nell’alta valle di Sangonetto, alla Punta del Lago a N. O. del Colle della Russa, nei pressi di Bussone, a Monte La Croce, a S. S. O. di Trana, ecc., tutti riferibili alla prima maniera di giacimento; nella bassa valle dell’Orco fra Locana e lo sbocco in pianura, e in parecchi altri fra la Maira e la Dora Baltea, appartenenti invece al secondo tipo. Egli accenna di poi a massi erratici di rocce giadaitiche o clo-romelanitiche, osservati presso Saint Marcel in Valle d'Aosta, e ad altri giacimenti della Valle di Susa e del Biellese, di cui intende occuparsi in altro lavoro. Rispetto all’Appennino ligure, Franchi ricorda precipuamente Γ alta valle dell’ Olba, fra Tiglieto e Pianpa-ludo, e in ispecie i dintorni di Martina d’Olba, i territori fra Olba e Vara inferiore, Monte Antenna, ed alcuni punti a nord di Bric dell’Oca, a nord di Monte Ermetta, ad est di Monte Beigua, ecc. In tutta la regione le eclogiti assumono eccezionale sviluppo e si interpongono fra le serpentine a guisa di dicchi, e in masse minori alternano con scisti anfibolici, serpentinoscisti, micascisti, calcescisti. La memoria si chiude con descrizioni esaurienti della cloromelanitite di Mocchie, raccolta in Val di Susa presso Condove, che forma ripide rupi a nord dell’abitato detto Le Sinette, della giadeitite dei laghi di Prato Fiorito, della cloromelaniiite granatifera erratica, trovata presso la Colletta di Paesana, delle eclogiti dei pressi di S. Bernardo di Martiniana, della eclogite zonata di Sea Bianca (Valle Po), la cui struttura a feltro ricorda le giadaiti della Nuova Zelanda, della eclogite erratica di Arramola in Val Maira, di una roccia nefritoide della Valle Grana, roccia derivata — 84 - da pirosseno forse analogo alla giadaite, di una eclogite di Pianpaludo, di una cloromelanite erratica del torrente Visone presso Grognardo. Taccio delle considerazioni com parative in ordine alla giacitura, alle associazioni e alla genesi delle rocce giadaitiche alpine ed appennine e di quelle del Kuenlun, del 1 ibet e dell alta Birmania. Si riassumono, in ultimo, le osservazioni fatte in un certo numero di proposizioni, fra le quali reputo importanti dal punto di vista paletnologico quelle qui appresso trascritte. « Nessuna obiezione seria può essere ormai fatta a che si considerino realmente come di origine alpina le giadeiti trovate in ciottoli, tanto in Svizzera, che in Piemonte; specialmente quelle della collezione Pisani, del Museo di Bukarest e il campione raccolto dal Piolti, delle quali tre abbiamo descritto tipi corrispondenti di origine alpina certa. « Nel materiale della stazione neolitica di Alba figurano, senza parlare delle lherzoliti, delle eclogiti, talora a glaucofane, delle giadeititi, delle cloromelanztz, delle porfiriti afanitiche e delle anfibolitz, con identici caratteri di rocce analoghe del gruppo del Monviso, della Valle di Susa, del vallone di Oropa e di quello di Saint Marcel. « Nell’Appennino ligure, dove son pure frequenti e importanti masse di rocce a pirosseno fortemente sodico, analogamente a quanto accade nelle Alpi Cozie, quelle rocce passano localmente a rocce giadeitiche e cloro melanitiche. « È perciò anche possibile che parte del materiale della stazione suddetta possa provenire dall Appennino ligure, dove può essere stato tolto dagli strati ciottolosi del mio cene inferiore o dai greti dei fiumi fra la Bormicla di Spigno e 1’Olba. « L’ origine certamente indigena del materiale roccioso della stazione neolitica di Alba, la evidente sua lavorazione nella stazione stessa, le notizie che si hanno sulla natura - 85 - dei manufatti litici di diverse stazioni piemontesi e liguri ed i numerosi ed abbondanti giacimenti di tipi svariati di rocce giadeitiche delle Alpi a noi già noti, i quali ci permettono inoltre di intravederne la estensione in altre valli, dove si proseguono i terreni che le comprendono, costituiscono degli argomenti validissimi per affermare la probabile origine indigena di tutto o della massima parte del materiale roccioso delle stazioni neolitiche che si trovano nei due versanti delle Alpi occidentali e dell’Appennino ligure >. Posteriormente alle ricerche di cui ho reso conto, Franchi pubblicò analisi di giadaite di Prato Fiorito (valle del Po) e di Mocchie (valle di Susa), eseguite dall’Ing. Aichino;, risulta da entrambe che le rocce delle due provenienze sono ricche di calce e scafseggiano di soda. Dipoi Zambonini fece conoscere l’analisi di un pirosseno sodico del Biellese nel quale è deficiente la silice (i). Dal D.r Colomba fu data un’altra analisi di un ciottolo di m'adaite rinvenuto c> sul letto della Bormida presso Cassine, analisi della quale l’autore deduce pel minerale di cui si tratta la formola Na2 Al2 Si4 0I2, avvertendo che spesso la soda è parzialmente sostituita da calce e magnesia (2). A Zambonini si deve pure l’analisi di un pirosseno sodico analogo a quello di Cassine, ma più povero di silice, il quale forma parte dell’eclogite di Cima Cucco nel Biellese (3). Con altro lavoro più recente Franchi fece conoscere giacimenti di rocce giadaitiche o cloromelanitiche rinvenuti nel vallone di Saint-Marcel, nelle alluvioni della Dora presso Villar-Fochiardo e presso Torino, nella formazione morenica delle vicinanze di Casellette, nella bassa valle del Lys, sul versante sinistro della bassa valle della Dora Baltea, (1) Boll, del R. Comit. geol., anno 1901, n. 4. (2) Sopra una jadeitite di Cassine (Acqui). Padova, 1901. (3) Atti della R. Accad. dei Lincei, serie 5/, voi. X. Roma, 1901. e specialmente nelle valli biellesi dell Elvo, di Oropa e del Cervo, nei greti della Stura di Lanzo presso Pontestura, e nel letto della Sesia (i). In’parecchie località il materiale è tanto copioso da escludere il sospetto che sia dovuto a trasporto per opera dell’ uomo. Il giacimento del Lys, ove, entro a micascisti che si trovano tra il ghiaccio del Lys e il crinale Colle d Ollen (Stollenberg) - Vincent Pyramide, le lenti e i noduli di rocce eclogitiche e cloromelanitiche sono assai comuni, e pure importante pel fatto che si estende anche al di la del confine svizzero e può aver fornito materiali per la fabbricazione dei manufatti neolitici che abbondano lungo il versante settentrionale delle Alpi. Novarese segnalò da canto suo giadaititi di Cassine (Alessandria), Ollomont (Aosta), Issiglio (Ivrea), Mom-piano presso Locana (Ivrea) e del bacino del Col Barrant (alta valle PelliceV Stella raccolse le stesse rocce presso Romagnano di Val Sesia, in ciottoli piuttosto abbondanti, cioè come ri sultato finale di un meccanismo naturale di cernita e concentrazione. Rispetto alla regione Ligure, alcuni degli esemplari più notevoli raccolti da Franchi nelle sue recenti gite provengono dalla valle del Gorzente, specialmente a letto di questo torrente e dai pressi della C. 1 erriere, come pure dalle vicinanze di Casaleggio e dal torrente Tana. Egli osserva come la zona delle pietre verdi, che comprende eclogiti, giadaiti e cloromelaniti, si sviluppi tra Sestri Ponente e Varazze, lungo il littorale, e tra il Gor zente e la Bormida di Spiamo nel versante padano. Da · ’ p· la- questa zona provengono certamente i saggi greggi (i) Franchi, Novarese e Stella, Nuovi giacimenti di roccie giadeitic in Piemonte. Boll, della Soc. geol. ital., voi. XXII, fase. I, *9°3· - 87 vorati di tali pietre che abbondano lungo i due versanti dell’Appennino (i). Fra le numerose accette neolitiche adunate nel gabinetto di geologia in Genova, come pure fra quelle della collezione Morelli, Franchi ravvisò come riferibili alla vera giadaite e alla cloromelanite non solo gli esemplari che io avevo già determinati per tali, in base ai caratteri esterni più appariscenti, ma molti altri nei quali il colore, la pellucidità, la lucentezza, la struttura, non corrispondono esattamente a quelli propri ai tipi delle due varietà. Per quanto concerne le giadaiti propriamente tipiche, abbiamo motivo di meravigliarci della perspicacia colla quale gli abitanti delle stazioni neolitiche e principalmente i cavernicoli, riuscivano a scoprire le varietà di colore più spiccato e dotate di maggiore pellucidità per sottoporle alla lavorazione, mentre ai tempi nostri geologi e mineralogisti andarono cercando per molti anni, senza riuscire a rintracciarli, i giacimenti originari di queste pietre. A. B. Meyer affermando che la questione della giadaite è essenzialmente geologica e mineralogica, alludeva alla origine indigena di questa roccia, che può dirsi oggi pienamente dimostrata. Virchow manifestò l’opinione che le accette di giadaite e d’altre roccie rare, accette di piccole dimensioni ed assai sottili, fossero oggetti destinati al culto o per insegna di magistrati e non stromenti da taglio che si adoperavano innestati in un manico. 11 ritrovamento nella caverna Pollerà di una piccola accetta di giadaite con manico di corno di cervo non va d'accordo con siffatta interpretazione. Si spiega facilmente, d’altra parte, come la (i) Franchi S., I giacimenti alpini ed appenninici di rocciegiadeitiche e i manufatti di alcune stazioni neolitiche italiane. Atti del congresso in-ternaz. di scienze storiche, voi. V. Roma, 1904. I — 88 — . pietra, essendo tenuta in conto di materiale prezioso, fosse adoperata con parsimonia, e servisse a foggiare gli utensili più lini e delicati atti ad usi speciali. Oltre a ciò, e da notarsi che la tenacità eccezionale compensava la sottigliezza. L’ipotesi che le accette di giadaite e d’altre pietre non comuni servissero nelle stazioni neolitiche di valuta convenzionale per agevolare gli scambi, nel modo stesso che oggi si adoperano all’ uopo in molti punti della Melanesia e dell’ Africa interna specie peculiari di conchiglie, apparisce probabilissima, come sembra tale Γ applicazione allo stesso ogforetto delle ascie ed accette di bronzo. A ο o sussidio di siffatta interpretazione, Giglioli adduce la scoperta fatta da Schliemann ad Hissarlick di lamelle d argento in forma di piccole ascie, disadatte a qualsiasi lavoro fabbrile (i), e il fatto delle monete di Tenedos sulle quali era impressa l’effige dell’ascia (2). Ognun sa che la maggior parte della nefrite o giada lavorata, di cui abbondano i saggi nelle collezioni di oggetti d’arte della Cina e del Giappone, proviene dall’Asia Centrale e dall’ India superiore. Essa fu ritrovata nella penisola dei Ciukci, nell’Asia Minore, in Prussia, in Svizzera, nel Tirolo meridionale, nella valle d’Aosta, ciò secondo A. B. Meyer. Si deve al petrografo E. Kalkowsky di Dresda il merito di aver segnalato questa roccia nella Liguria orien tale (3). I punti nei quali fu raccolta più abbondantemente (1) La moneta tra i popoli primitivi ecc. Arch. per l’Antrop. e l’Etnol., voi. XXVII. (2) Si tratta propriamente della immagine d’una bipenne, simbolo religioso venerato da parecchi popoli dell’antichità e specialmente a Creta, nella Caldea, a Cipro, ecc. (3) Kalkowsky E., Geologie des Nephrites in siidlichen Ligurien. Zeitschr. der Deutschen Geo!. Gesellschaft, 1906, Heft 3. - 89 - sono il Monte Domenico, il Monte Bianco, la casa Bo-nelli (Val di Gromolo), la miniera Gallinaria, il Monte Fu ed altri lungo la via rotabile da Genova alla Spezia presso i Km. 73,5 e 74, a Mattarana e presso Monterosso al mare. Si tratta quasi sempre di un materiale di contatto associato a serpentina o ad eufotide. La roccia pesa specifica-mente tra 2,91 e 2,94; il suo colore è verdastro chiaro, o grigio-verdastro, raramente accompagnato dalla lucentezza cerea e dalla translucidità caratteristiche della specie. Per eccezione volge all’azzurro. Si danno varietà venate, screziate, scistose, porfiriche (con diallagio), nodulose (in noduli a nucleo serpentinoso e a periferia nefritica), brec-ciate, ecc. Ricetta numerose inclusioni microscopiche, fra le quali sono rappresentate attinolite, asbesto, orneblenda, clorite, diallagio, granato, epidoto, zoisite, apatite, grafite, calcite e parecchi minerali metallici. Segue l’analisi chimica della nefrite del Monte Bianco, analisi condotta dal D.r O. Mann : Si 02 Al, O, Fé O Mg O Ca O Perdita al fuoco 99-49 2-73 2.91 21.41 12.97 2.96 Kalkowscky dice che i minatori della Riviera orientale conoscono la nefrite sotto il nome di carcaro ; ma ritengo che abbia frainteso, giacché questo vocabolo non è che una forma corrotta di calcare, e si attribuisce dalla gente del paese alle rocce di color chiaro, distinte dalla serpentina, dalla così detta Metamorfica (diabase) e dal granitone (eufotide diallagica). Atti Soc. 1-ig. St. Patru. Voi. XL. 7 — 90 — La medesima roccia si trova, a quanto credo, anche in parecchi punti della formazione serpentinosa antica nella Riviera di Ponente. III. - DEGLI ANTICHI MANUFATTI METALLICI IN LIGURIA Considerazioni generali. Gli oggetti di bronzo, provenienti da località italiane, riferibili indubbiamente a tempi esostorici sono meno variati di quelli rinvenuti in altri paesi, massime nella Svizzera e nella Scandinavia, ed offrono, generalmente, meno manifesta la ricerca estetica. Uno sviluppo del senso artistico comparabile a quello che distingue la fase del bronzo nella Scandinavia, non si verifica presso di noi che quando le stirpi diverse che popolarono la penisola, prima di ogni sicura memoria storica locale, conobbero il ferro. Lo stadio del bronzo, nella sua purezza, ci si rivela in Italia nelle terremare, vale a dire, tra le vestigia d’un popolo dedito alla pastorizia, all’agricoltura e alla caccia, la cui vita era confinata nell’angusta cerchia di un piccolo territorio, e la cui precipua cura era di provvedere alle necessità della vita. Non è qui luogo d’investigare ove sia nata la metallurgia del bronzo, nè io mi crederei in grado di imprendere utilmente una tale ricerca; ma è d’uopo avvertire in proposito che non pochi indizi e considerazioni accennano ad una importazione forestiera di questa industria. Prima di tutto, prescindendo da un piccolo giacimento del Cam-pigliese e da qualche saggio insignificante che trovasi nell isola d Elba e tra le Alpi, Γ Italia è affatto priva di V — 9I — minerali di stagno. Rispetto a quelli di rame, benché frequenti presso di noi, sono generalmente poveri e di lavorazione difficile. Anche la semplicità e lo scarso numero dei nostri manufatti in bronzo, e più la mancanza tra essi di forme peculiari, sono segni che l’uso ne provenne dall’estero. A questi indizi si deve aggiungere il ritrovamento di un celt che porta una iscrizione fenicia. Si pretende a torto, io credo, da taluni che l’arte del bronzo, di qui si irradiasse nella Francia, nella Svizzera, nella Germania e nella Scandinavia. Contro questa opinione, si può addurre il fatto perentorio che, durante la così detta prima epoca del bronzo, si fabbricarono in Scandinavia,, armi ed ornamenti di squisito lavoro e special-mente diademi, coltelli, pugnali e spade di fogge peculiari che a noi mancano. E siccome in tale materia deve essere concesso di vagare nel campo sconfinato dell’ipotesi, perchè, chiederò io, la metallurgia del bronzo non sarebbe uscita essa pure dal gran crogiuolo asiatico, in cui si elaborarono gli idiomi e i miti indo-europei? Non è egli naturale e legittimo il supporre che, propagatasi e divulgatasi da quel centro comune, prosperasse in grado diverso e sotto diverse forme nelle varie regioni, originando prodotti analoghi, ma pur improntati di alcuni caratteri locali? Che nei tempi preistorici l’Italia abbia esercitato in Europa una cospicua azione industriale, commerciale ed artistica, parmi assai probabile, ma non già quando cominciò a praticarsi la lavorazione del bronzo, sibbene in quei tempi posteriori che i paletnologi designano coll’appellativo di prima e di seconda età del ferro ; di che appariscono chiari indizi ad Hallstatt, Tiefenau, ecc. Non però le povere tribù di pastori delle terremare potevano menar vanto di tale influenza; ma piuttosto, io credo, le genti civili e doviziose le cui spoglie riposano, o meglio riposavano (da — 92 — che la suprema quiete vien loro contrastata dagli archeologi) nelle tombe di Villanova, di Marzabotto, di Bologna, di Volterra, di Vetulonia, di Chiusi, di I arquinia, di Bisenzio, di Palestrina. È ragionevole il supporre che ove ebbe principio la lavorazione del bronzo, sia stato in precedenza un periodo, più o meno lungo, durante il quale Γ uso del rame era venuto a sostituire quello della pietra, ma un tale periodo può esser mancato in Italia, ove, la metallurgia non sembra indigena. La relativa scarsità dei manufatti di rame in Italia si può spiegare, d’altronde, anche nell’ipotesi di una fase del rame, ammettendo che gli antichi stromenti fossero stati fusi per fabbricarne altri di bronzo. Così come lo stadio della pietra aveva lasciate tracce profonde nella memoria degli uomini anche in tempi assai posteriori, e 1’ uso dei manufatti litici si era perpetuato nei riti del giudaismo e del paganesimo, così la tradizione della fase del bronzo si mantenne viva lungamente, tra i popoli italici, manifestandosi colla esclusione del ferro, tenuto a vile e profano, da ogni rito religioso. La prima fase del ferro vien distinta dalla precedente, non solo perchè da questa data l’uso, in molte parti d’Europa, e segnatamente in Italia, del più utile tra 1 metalli, ma ancora perchè corrisponde ad un nuovo stato sociale, in cui, per l’intervenuto progresso intellettuale e morale, per la cresciuta ricchezza, l’uomo provò nuovi bisogni, si fecero più svariati e perfetti i prodotti della sua industria, si sviluppò squisitamente il suo senso artistico. In essa incomincia la costruzione muraria, le stoviglie si torniscono, si cuociono al forno e si coloriscono, si foggiano fibule, armille, orecchini, specchi e vasi metallici; si fabbricano vetri e smalti ; si lavorano, nonché il ferro, l’oro, l’argento e l’ambra; hanno principio, almeno in Italia, una squisita arte figurativa, la scrittura, le sigle, i bolli, Γ uso di una moneta primitiva Le forme e i fregi dei manufatti metallici sono quasi conformi nei primi tempi a quelli della fase precedente, poi si rendono più complicati e raggiungono localmente il carattere di preziosi prodotti artistici. Siffatto svolgimento si verifica in alcuni luoghi poco a poco, in altri invece repentinamente con oggetti di tipi affatto peculiari, e manifesta allora una influenza straniera, conseguenza di immigrazione o di relazioni commerciali. Come dubitare infatti dell’azione esercitata dalla civiltà micenea sull’ arte della prima età del ferro in Sicilia? (i). Come revocare in dubbio la provenienza dall’Asia Minore della civiltà e dell’arte degli Etruschi? (2). La prima fase del ferro è essa legittimamente esclusa dai tempi storici ? Ho già risposto anticipatamente a questa domanda esponendo come e perchè, in modo assoluto, le così dette età del bronzo e del ferro non appartengano ai tempi preistorici, qualora questi si considerino sotto un punto di vista generale. Per quanto concerne Γ Italia, non disconosco l’utilità di adottare convenzionalmente l’espressione di prima età del ferro per designare tempi non rigorosamente preistorici, ma propriamente esostorici. Gli oggetti più frequenti, in Italia, tra quelli ascritti all’età del bronzo e fatti di questa lega, sono indubbiamente le ascie, intesa la parola nel senso più lato, in guisa che vi si comprendano i tipi denominati dagli archeologi paalstab, coltello-ascia e celt. (1) Orsi P., La necropoli sicula di Plemmirio [Siracusa). Bull, di Paletn. Ital., anno XVII, pag. 139. Parma, 1891. (2) Si veda in proposito l’opera riassuntiva di Basile Modestov « Intro-duction à Γ Histoire Romaine, trad. du russe de M. Delines. Paris, Alcan édit., 1907 ». — 94 — Tra i prodotti d’arte e d’industria che legittimamente appartengono alla così detta prima età del ferro, prevalgono sempre, quanto alla materia, bronzi e fittili, e, rispetto alla natura degli oggetti, quelli che soglionsi raccogliere nei sepolcri, vale a dire: armille, braccialetti, monili, anelli, fibule svariatissime, spesso di forme peculiari nelle singole stazioni, pendagli, spilloni, rasoi, ossuari di materiali e di tipi diversi (talvolta in forma di capanna), vasi fittili, accessori di molte fogge, situle di bronzo ed altre suppellettili o o * di riti funebri. Scarseggiano invece armi e strumenti di uso comune. Fra le punte di lancia e di freccia, i pugnali, i coltelli-ascie, i paalstab, si ripetono generalmente le forme della fase precedente; ma sono bene spesso di lavoro più squisito ed arricchiti d’ornamenti, che furono ottenuti dall’artefice con abile magistero di bulino e di martello. Sono pur fatti di bronzo, comunque appartenenti alla medesima fase: spade, coltelli, falcetti, ora semplici, ora più o meno ornati nella impugnatura o nel manico. La Liguria non ha fornito che scarsi saggi di manufatti di questa età, quasi esclusivamente rinvenuti nelle tombe arcaiche di Cenisola, Roccatagliata, Ameglia ecc. (i). Manufatti in bronzo. I manufatti metallici di bronzo, di provenienza sicura, rinvenuti all’aperto nella regione, e che ebbi occasione di esaminare, sono in piccolo numero ; si riducono cioè ad alcune ascie riferibili a tipi comuni, una delle quali scalpelli forme, ad una lama di pugnale, a sei braccialetti, a due (i) Intorno alla prima età del ferro, lo studio della quale si connette taluno dei più importanti problemi relativi all’ archeologia e all etnografia italiana, sono da consultarsi i lavori capitali di Gozzadini, Zannoni, Brizio, Castelfranco, Undset, Gsell, Helbig, Milani, Ghirardini e Montelius. L opera recente di quest’ultimo « La civilisation primitive en Italie » è un ìiassunto prezioso per la ricca iconografìa che l’accompagna. — 95 — anelli e a pochi frammenti di aghi crinali e di fibule. Porgerò solo un cenno dei principali. Parecchi dei manufatti qui appresso descritti furono sottoposti all analisi chimica e si trovò che risultavano di una lega assai povera di stagno, contenente soltanto il 5 per ioo di questo metallo. Altri, esumati nelle caverne Pollerà e di Bergeggi, constano invece, come si vedrà in seguito, di puro rame. Da questo fatto argomento che nei tempi in cui cominciarono a lavorarsi i metalli in Liguria, lo stagno, che manca nei giacimenti metalliferi della nostra regione, dovesse esser raro e prezioso e si adoperasse però con molta parsimonia. I primi bronzi si fabbricarono probabilmente nella Riviera di Levante, usufruttando il rame del paese, il quale si rendeva più fusibile coll’aggiunta di vecchi bronzi. Vuoisi però ricordare che a Loco, presso Sestri Levante, fu trovato in una specie di ripostiglio un pane discoide di rame greggio, accompagnato da tre manufatti di bronzo, di cui dirò in seguito. Ad ogni modo la metallurgia non fu praticata che in piccolissima scala e nei centri più progrediti, mentre a breve distanza la popolazione si trovava nella condizione sociale che suol definirsi coll’espressione età della pietra. I rozzi stromenti di pietra e di legno, destinati alla estrazione del minerale ramifero, che furono scoperti a Libiola fanno fede di una industria mineraria di data antichissima, industria che non poteva andar disgiunta, in quei tempi, dalla lavorazione dei metalli (fig. 26, 27). Se gli stromenti metallici dei tempi jDreistorici sono assai rari presso di noi, ciò dipende non solo da che i Liguri passarono quasi senza transizione dallo stadio della pietra alla civiltà romana; ma anche dalla circostanza che, quando furono soggiogati dai Romani vivevano in tal penuria, — g6 — che, pur conoscendo i metalli, dovevano possedei ne scarsa copia. È ben probabile, d’altra parte, che i bronzi degli antichi Liguri, sieno stati fusi dai loro discendenti per convertirli in armi e in utensili più conformi ai costumi del tempo. Fra oli oo-gretti rinvenuti nella caverna delle Arene Candide dal Prof. Morelli, ho riconosciuto due frammenti di forme da fusione che accennano a tentativi fatti dagli antichi abitanti, mentre i loro costumi erano ancora quelli della fase neolitica, per lavorare il bronzo o il rame. Questi frammenti consistono in due lastre d’arenaria silicea a grana minuta, che sembrano aver subito 1 azione di alta temperatura. Sulla superficie di una di esse, superficie perfettamente piana, è praticato un solco rettilineo, più largo ad una estremità che all’altra e assai allungato (i), solco dal fondo levigato e tondeggiante e dai margini ben netti. 11 secondo frammento porta un solco più largo e meno piofondo. Ciascuna lastra doveva essere completata da altro pezzo che si sovrapponeva al primo e coincideva con esso. Una delle due forme doveva fornire asticelle coniche, 1 altra lame a foggia di cilindri schiacciati ; asticelle e lame desti nate a subire forse ulteriore lavorazione a martello per convertirsi in lame di pugnali o di spade. Il ritrovamento di forme di fusione in una delle nostre più ricche stazioni preistoriche è un indizio di cui non può sfuggire ad alcuno il significato; ma disgraziatamente non sappiamo se tali oggetti fossero contenuti, come io credo probabile, nella parte media del deposito (dalla quale provengono manufatti di tipo neolitico) e non dalla superficiale in cui si raccolsero cocci di anfore o doln romani. (i) L’oggetto essendo incompleto per frattura, non è dato conoscerne la lunghezza totale. — 97 — Siccome non furono mai segnalati nelle caverne della Liguria occidentale pani di rame, crogiuoli, scorie di fusione, ritengo che l’arte metallurgica, se pure vi fosse esercitata, si riducesse, in questo territorio, durante l’ultima fase dei tempi preistorici e nei protostorici, alla rifusione di bronzi logori, provenienti da altri paesi. Che manufatti metallici fossero importati nel Finalese dalla valle del Po, è dimostrato dalla scoperta del coltello a lama ondulata, descritto più innanzi (si veda a pag. 103). D’altra parte, se si ammette, come fanno storici ed archeologi autorevoli, che tra il 1200 e il 1000 prima dell’èra volgare, i Fenici corressero il Mediterraneo come trafficanti di metalli ed avessero relazioni da una parte cogli scali del Mar Tirreno e della Sardegna, dall’altra con quelli della Provenza e della penisola iberica, sembra difficile supporre che non abbiano lasciato qualche traccia del proprio passaggio, lungo i lidi per forza di eventi o di proposito deliberato visitati dalle loro navi. Certo è, tuttavolta, che lungo le due Riviere non fu segnalato un solo cimelio di origine sicuramente fenicia. Se pure le supposte relazioni di scambio si verificarono, furono certamente poco attive per l’indole fiera e selvaggia dei Lio-uri, per la semplicità dei loro costumi e pel fatto che potevano offrire soltanto derrate di scarso valore in cambio di merci reputate allora preziosissime. A scie. — Tre ascie di bronzo furono trovate da un contadino presso l’antica via che mette da Pietra Ligure a Ranzi, appiè del pittoresco dirupo denominato Rocca delle Fene ; due di queste andarono smarrite ; la terza che appartiene a don Morelli (1), ha forma di lamina irregolarmente isoscele, col taglio, corrispondente alla base, un (1) Morelli N., Antichi manufatti rinvenuti nella Liguria. Bullettino di Paletnologia ital., anno XIV, n. 1. Parma, 1888. » — 98 - . po arcuato e Γ angolo opposto al taglio troncato. Sulle due superficie si osserva, ai due lati, un piccolo rilievo marginale che serviva ad assicurare più saldamente lo stromento al proprio manico. La lunghezza di quest ascia è di mm. 143; la sua larghezza, in corrispondenza del taglio, non supera i 57. Un altra ascia fu scoperta dal Prof. Chiappori a Pian di Casale, fra Pietranera e Garbarino, in Val di Trebbia. Essa appartiene ad un tipo descritto dai paletnologi svizzeri sotto il nome di ascia Morlot (1), il quale s’ incontra raramente nelle palafitte del lago di Ginevra e più spesso in terraferma, nei dintorni del lacro stesso. Ha una forma C> snella, ajlungata ed è ristretta e spessa nella parte mediana, larga ed assottigliata verso il taglio, il quale offre un arco assai pronunziato. L’ estremità opposta presenta una smarginatura; lateralmente, nella parte media, e sulle due facce, ha i margini rialzati in guisa che formano doccia sotto e sopra. La lunghezza maggiore dell’ascia è di 165 mm., la massima larghezza di 63; la spessezza fra gli orli 18. Pesa 393 grammi. La sua superficie è in gran parte ossidata ed in qualche punto coperta di incrostazioni di malachite, a fascetti cristallini fibroso-radiati. Lo stromento era sepolto in uno strato di marna, ad un metro e mezzo di profondità, sopra il quale v’ era un altro strato contenente pezzi di terra cotta e frammenti di utensili in bronzo che credo di dover ascrivere all epoca romana; questo era coperto alla sua volta da un letto di terra vegetale. ^ idi nella raccolta d’oggetti antichi, posseduta dal fu signor Pellegrini in Genova, un’ altra ascia consimile, la quale si credeva* proveniente dai pressi di Bobbio; nia (1) Vedi: Desor E., Les palafittes ou constructions lacustres du Lac de Neufchàtel, pag. 39, fig. 38. Paris, 1865. tale origine è mal sicura. Ebbi tra le mani, dipoi, un terzo esemplare, di questo tipo, che io inclino a ritenere parimente ligure, il quale fu acquistato presso un antiquario della nostra città. Un’ascia ad alette assai lunghe e prominenti, sopra entrambe le facce, dal taglio breve ed un po’ arcuato, spezzata in tempi remoti nella parte opposta al taglio, figura nella raccolta del Museo geologico di Genova, che l’ebbe da don Perrando. Questo manufatto, proveniente da Bobbio, offre i caratteri più spiccati di alcune ascie fra quelle attribuite dagli archeologi francesi, e segnata-mente da G. e A. de Mortillet, agli ultimi tempi della fase del bronzo (larnaudien dalla stazione di Larnaud nel dipartimento del Giura). Lo stromento, nella sua integrità, doveva raggiungere una ventina di centimetri di lunghezza; il taglio è largo poco meno di 5 ; le alette occupano col loro rilievo 3 centimetri nel senso longitudinale. Merita pure di essere descritta un’ ascia raccolta dal Sig. G. B. Rossi, a piccola profondità nella caverna del Sanguineto (o della Matta) ; si tratta di un oggetto incompleto, per la mancanza della estremità opposta al taglio (fig. 23). La sua forma è quella di lama trapezia, traente alla rettangolare, con spessezza che va scemando verso il taglio. Essa presenta, per ciascun lato, un’aletta assai sporgente sopra e sotto, la quale, osservando lo stromento per uno dei suoi lati, apparisce presso a poco ellittica. Il taglio è quasi retto e in buona condizione. Ai due lati della lama, che costituisce precipuamente l’àscia, verso il taglio, si osserva una costolina sporgente (dovuta a fusione imperfetta), che fu diligentemente ribattuta. Dimensioni : lunghezza cm. 15.1 ; larghezza del taglio 5.1 ; lunghezza delle alette 7; altezza delle alette 3.5 ; spessezza massima 1.7. La spezzatura crià segnalata si trova a livello della estremità delle ò O alette. 11 metallo in questo manufatto, è bronzo duro, di - ΙΟΟ — color rossastro, assai povero di stagno; alla superficie è parzialmente incrostato, per alterazione, di malachite e azzurrite. Un piccolo bronzo incompleto appartenente al Museo geologico di Genova, mi- o o sura 65 mm. di lunghezza, 20 di larghezza e 10 di spessore. Questo fu trovato a Bobbio, e consiste in una lamina rettangolare con due rilievi laterali, mediante i quali si poteva più fortemente fissare a un manico. Appunto per tali rilievi credo si debba considerare come accetta e non come scalpello (fig. 24). Nella villa Hanbury alla Mortola, osservai, per cortesia del proprietario, fra altri oggetti di remota antichità, un’ ascia di bronzo, a bossolo cilindrico e ad anello, che ricorda Fig. 23. alcune di quelle della Svezia. La sua lun- AScaveÌLbdels°anguÌ ghezza è di circa 14 cm„ mentre non misura neto (coll Rossi) c^e - centimetri di diametro esterno nel dimens. ridotte. 0 ,· bossolo e 5 centimetri di larghezza nel taglio, il quale è quasi retto. 11 bossolo è ornato esternamente di due cordoncini; uno corrisponde al margine, l’altro è situato ad un centimetro di distanza dal primo a contatto dell anello. Il manufatto fu acquistato dal compianto Sig. T ommaso Hanbury presso un antiquario, il quale lo dichiarò proveniente da Ventimiglia. Sulla fede di questa asserzione, credo bene farne cenno, non senza le più ampie riserve. Un’accetta analoga, ma più piccola, fu trovata presso Mentone, ed io ebbi occasione di esaminarla, alcuni anni or sono, presso il Prof. G. Rossi di Ventimiglia. Si tratta di uno strumento a bossolo incavato, destinato ad accogliere l’estremità del manico e con piccolo anello laterale, in cui doveva passare una legatura per assicurare 1 ascia al manico stesso. ■■E :>ì .. _ - ΙΟΙ - Manico. — Le ascie, zappe ed accette di bronzo erano abitualmente innestate in un manico di legno o di corno, cui le univa saldamente, nella pluralità dei casi, una legatura. Questa era molto agevolata dall’anello marginale di cui sono provvisti gli accennati stromenti, che risalgono a tempi meno remoti. Il Gabinetto di Geologia della R. Università di Genova possiede un manico di legno in uno stato di conservazione veramente eccezionale (dovuto io credo ai sali metallici di cui è impregnato), nel quale, secondo ogni probabilità, fu originariamente innestata un'ascia, o meglio una zappetta di bronzo. Esso fu rinvenuto in una antica galleria abbandonata della miniera ramifera di Libiola presso Sestri Levante, e consiste in un ramo di quercia (se non sono in errore) della lunghezza di 55 cm. l/2, che s’innesta ad angolo acuto in altro ramo più voluminoso (la sua grossezza raggiunge cm. 7), bruscamente troncato. Questo presenta nella troncatura una profonda soluzione di continuità (disposta trasversalmente rispetto all’asse del manico), le cui dimensioni corrispondono a quelle di un arnese pressoché lamellare (secondo ogni verosimiglianza una zappetta di bronzo o di rame), che doveva esservi confitto per un tratto di 6 a 7 cm. e misurava presso le labbra della fessura 4 cm. o poco più di larghezza e meno di uno di spessore. In analoghe condizioni furono rinvenuti, nella stessa miniera, una pala di legno (fig. 26) ed un mazzuolo litico in forma di cilindro a spigoli arrotondati, un po’ strozzato nella parte media, con una depressione al centro di ciascuna base ed altre quattro disposte nella zona media (fig. 27). Non v’ha dubbio che questo si adoperasse a battere la testa di un punteruolo, non saprei dire se di pietra o di metallo. Pugnali. — La lama di pugnale cui ho accennato fu trovata sul Giovo di Santa Giustina e fa parte della col- - 102 - lezione Perrando. È di forma lanceolata, un po convessa, destituita di costola mediana e presenta un solco per parte Fig 26. Fig. 24. Fig- -2/. Fig. 27. 24. Accetta di Bobbio — 25. Pugnale di Santa Giustina (Coll. Perrando). 26. Pala di legno — 27. Mazzuolo di pietra della miniera di Libiola. Le quattro figure assai ridotte. ■ parallelamente al margine. Alla estremità opposta alla punta, si mostra un po’ dilatata e munita di un foro, pel quale doveva passare un chiavello, onde fissare la lama alla impugnatura; se l’arma non fosse spezzata, vi si osserverebbero altri fori (fig. 25). Tal quale si trova, misura circa 125 mm. di lunghezza e 18 di larghezza massima. Dal Sig. Hanbury, alla Mortola, mi fu mostrato un pugnale di bronzo, acquistato presso un antiquario, il quale lo disse raccolto nel territorio di Ventimiglia. Quest arma presenta lama triangolare a due fili, ornata sulle due facce di due strisele parallele al margine, formate di sottili linee graffite. L’impugnatura, pur di bronzo, è breve e semplice, in forma di cilindro schiacciato e si allarga in basso a guisa di mezzaluna per ricevere la lama, alla quale è assicurata per mezzo di chiodetti ; superiormente, si termina in un pomo schiacciato. In complesso, somiglia assai a quella figurata nel « Bullettino di Paletnologia » (anno II), ___ — 103 — i a η· 5 della tav. I, che serve di corredo ad una memoria Sig·. Giovanni Mariotti intorno ai pugnali scoperti nel 1 ^75 a Castione dei Marchesi. Pugnali dello stesso tipo furono segnalati, d altronde, in Francia, in Germania, in , ecc. Coltello. — Un bel coltello raccolto dal Sig. G. B. .Rossi nell’Arma del Sanguineto si riferisce ad un tipo comune nelle terramare, ed attesta come tra i cavernicoli e gli abitanti del- 1 Emilia intercedessero relazioni di commercio. Esso ha lama stretta, allungata, sottile, allargata e protratta alla base, attenuata e rotondeggiante aH’estremità. È ad un solo filo e a taglio ondulato; alla base si innesta in un bossolo o cannone conico. Dimensioni: lunghezza mm. O 203; larghezza massima 22 (fig. 28). L’esemplare somiglia a quello delle palafitte svizzere figurato da Desor nell’opera « Les palafittes ou constrzictions lacustres » al n.° 44, e ad altri rinvenuti nelle terramare del Parmigiano, come pure nelle stazioni di data molto posteriore del Bolognese, per esempio a Villanova. Braccialetti ed Anelli. — Il più notevole fra i braccialetti fu scoperto casual- Coitello di bronzo mente, insieme ad alcuni altri manufatti della caverna del Sanguineto (Coll, (un puntale di lancia di forma conica, una ridotte.’ dimens‘ piastrella peduncolata a foggia di bottone ed il pane di rame greggio precedentemente ricordato), a Loco, presso Sestri Levante. Esso risulta di un nastro piano all’ interno, convesso e carenato al di fuori. La faccia esterna presenta un ornato a graffito, diviso in quattro compartimenti, in ognuno dei quali si osservano gruppi di lineette parallele, quali oblique, quali verticali (fig. 29). Big. 29. Braccialetto di bronzo rinvenuto a Loco; grand, nat. Gli altri braccialetti, che provengono da un sepolcro dei pressi di Bobbio, sono semplici fettucce aperte, bronzo, senza alcun ornamento. Degli anelli, uno ha o di fettuccia convessa all’esterno, piana all interno, e tezza non uniforme tra un punto e 1 altro , il secondo siste in un cordoncino avvolto a spirale. Entrambi trovati presso Bobbio ed appartengono alla co Perrando. 1 Fibule ed aghi crinali. — I frammenti di hbu e appartengono a tipi piuttosto comuni e non offrono parti colari degni di nota. In uno dei due aghi crinali, ^ pocchia è foggiata a semplice disco, nell altro offre, inv , tra due strozzature, una sferetta, nella quale sono pra 9 piccoli incavi, che dovevano accogliere smalto co o Tanto le fibule, quanto gli aghi provengono da Bob 10 e fanno parte della collezione Perrando. Le prime, a P ^ dei braccialetti, erano contenute in un sepolcro, il qu non risaliva certamente a tempi più remoti della così prima età del ferro. Manufatti in ferro e d’altri metalli. Manufatti in ferro. — I manufatti di questo meta provenienti da antichi depositi archeologici della regio _— — io5 — ligure non potrebbero attribuirsi con certezza a tempi preistorici e forse nemmeno esostorici. La rarità loro nel nostro territorio dipende non solo dalla rapida e profonda alterazione che il metallo subisce per opera degli agenti esterni, onde in breve si converte in idrossido e si disperde, ma ancora da che fu conosciuto e adoperato dai Liguri in tempi recenti. Fra i pochi manufatti di questo genere, citerò un coltello, varie lame di spada e ferri di lancia, rinvenuti nelle Langhe e conservati nella raccolta del P. Ighina alle Carcare. I dubbi che sussistono circa l’età, loro m’inducono a non descriverli; merita un cenno pel suo carattere arcaico, l’arco di una voluminosa fibula, con ingrossamento sferoidale mediano, oggetto della stessa provenienza, che si conserva del pari nella collezione Ighina. Nella caverna delle Arene Candide, alla superficie dello strato archeologico, don Perrando raccolse tre grossi arnesi in ferro, che mi sembrano di foggia romana: uno è un grossolano e robusto bidente, coll’occhio praticato nello spessore dell’arco che porta i due denti; gli altri due sono sorta di zappette, a penna straordinariamente lunga ed arcuata. Manufatti doro e d'argento. — Non credo sia il caso di occuparmi qui dei manufatti d’oro e d’argento, perciocché questi metalli non appariscono in Liguria che per eccezione, e solo nelle tombe già comprese tra le reliquie dell’età storica o riferibili a tempi di poco anteriori ad essa. Noterò solo in proposito che l’oro, essendo, comunque in scarsa copia, diffuso nelle alluvioni di parecchi torrenti che scendono dall’Appennino Ligure, per esempio in quelle del Gorzente, della Piota, della Stura, dell’ Olba, e trovandosi pure in parecchi giacimenti filoniformi, come a Masso presso Sestri Levante e alla Vesima non lungi da Arenzano, dovesse ben presto fissare l’attenzione degli abitanti, i quali infatti lo usufruttarono fin dai tempi storici più remoti, mentre l’argento, rappresentato quasi esclu- Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL. S — ιο6 sivamente fra noi da un solfuro metallico, raro e poco appariscente, l’argentite, che accompagna la galena in taluno dei rari aduiiamenti di questo minerale, rimase ignoto fino a che, per fatto della civiltà romana, l’arte mineraria e la metallurgia non furono assai progredite. Non dubito perciò che le fibule d’argento rinvenute nella necropoli della via Venti Settembre, in Genova, sieno di provenienza straniera. IV. — DEI FITTILI PREISTORICI E D’ALTRI MANUFATTI IN LIGURIA Vasi fittili. — Numerosi ed importantissimi, per lo studio delle industrie preistoriche neolitiche, calcolitiche e siderolitiche sono questi manufatti ; e rispetto ad essi giova ricercare di quali argille si fabbricassero, quale fosse nei vari tempi e nei diversi luoghi la tecnica messa in opera per ridurli alle forme desiderate, per munirli di anse o manichi, per ornarli di fregi graffiti, incisi, dipinti o formati col mezzo di appositi stampi, per impartir loro la tinta e la lucentezza richiesta, per renderli mediante la cottura sufficientemente resistenti e duri, in modo che fossero atti agli usi cui erano destinati. Anche in ordine ai fittili, e specialmente ai vasi, che sono numerosissimi nelle nostre stazioni, mi propongo di descrivere più innanzi .( tipi più distinti e caratteristici, nel render cónto dei singoli scavi; e reputo superfluo indugiarmi qui ad esporre considerazioni sistematiche, le quali sarebbero inopportune in un lavoro che ha per oggetto precipuo l’illustrazione di depositi paleolitici privi di fittili e neolitici ricchi di terre cotte, riferibili quasi esclusivamente a tipi primitivi. I — 107 — Per quanto concerne i vasi delle caverne ligustiche, dopo aver tentato con accurati confronti di attribuirli ai tipi ben noti agli studiosi di archeologia greco-romana, ho dovuto persuadermi della convenienza di prescindere affatto per essi dalla nomenclatura classica, assegnando loro invece denominazioni assai generiche di uso comune (i). Faccio solo eccezione per quei pochi rimasugli di ceramiche romane che si trovano associate alle preistoriche. Ciò premesso, distinguerò i vasi di cui si tratta in : a) olle o pentole, grandi e piccole (molte delle quali erano indubbiamente destinate a contenere cibarie e a collocarsi sul fuoco), provviste di uno o più manichi, od anche prive di appendici ; b) tazze più o meno ampie con anse o Fig. 30. Olla a bocca quadrangolare e a base conica della caverna delle Arene Candide (Coll. Morelli); dimens. ridotte. Fig. 31. Ciotola a margine svasato e ad ansa tubiforme della caverna Pollerà (Coll. Rossi); dimens. ridotte. senza, che servivano probabilmente ad accogliere bevande; C) vaselli o calici, generalmente assai semplici, i quali nella pluralità dei casi erano adibiti ad uso di bicchieri e qual- (1) Non mancano fra i nostri fittili preistorici esemplari più 0 meno somiglianti al dolium, alla lagena, alla cymba, al cyatus, al calat/ius, alla patina, allo scyphus, alla patera, ecc., ma tali analogie non bastano a legittimare l’impiego di vocaboli che alludono più che alla forma a speciali applicazioni di ciascun tipo. \ — ιο8 — che volta a stemperare ocra da tingere. Non escludo l’ipotesi che i più piccoli fossero vasi votivi, d) Aggiungo ai tipi sopra enumerati quello delle ciotole, piatti o scodelle circolari più o meno profondi, che si adoperavano probabilmente per gli stessi usi cui servono anche al dì d’oggi nella economia domestica (fig. 3 1 ). Le olle possono essere ovoidi, elissoidali, sferoidali, coniche, cilindriche o risultare dalla combinazione di più forme geometriche. La loro apertura, generalmente circolare, è invece quadrangolare in un certo numero di tipi (tav. Ili, fig. 15) (fig. 30). Nel corpo del vaso si dà talvolta una strozzatura che lo divide in due parti; la superiore è d’ordinario cilindroide o svasata, l’inferiore arrotondata od anche carenata (tav. Ili, fig. 13). L’orlo può essere sottile o ingrossato, svasato od anche riflesso. Il fondo apparisce abitualmente arrotondato o convesso, ma può essere pianeggiante e in casi rari marginato. Varietà minore di tipi si osserva nelle tazze e nei calici. Le prime hanno l’orlo più o meno svasato e il corpo arrotondato o carenato. Nei calici dominano le forme a campana (fig. 32)> ovoidali e cilindroidi. Notevolissimi quelli provvisti di piede e che più propriamente possono dirsi biconici (fig· 33)> perchè risul- Fig. 32. Bicchiere a campana della caverna Pollerà (R. Museo etn. e preist. di Roma); circa */2 della grand, naturale. Fig. 33- Sezione verticale/di calice biconico della caverna Pollerà (Coll. Morelli); ]/5 della grand, nat. — log — tano di due recipienti a foggia di cono tronco, congiunti per la parte opposta alla base (tav. Ili, fig. 12). Nelle ciotole, che hanno sempre periferia circolare, variano i caratteri dell’orlo e del fondo, e differenze relativamente lievi si notano rispetto al corpo. Se si estendano le considerazioni alle anse ed ai manichi, è facile avvertire, nella congerie di cocci delle caverne ligustiche, come sia grandissima la varietà loro per la forma, per la posizione, pel numero, per le dimensioni, per gli ornamenti delle appendici. I manichi più semplici sono tubercoletti emisferici o conici od anche protuberanze. Questi tubercoli sono ora semplici, ora binati, alcuni forati, altri impervi, e generalmente situati verso la parte media del vaso. In un coccio, il tubercolo che fa ufficio di manico è profondamente bipartito; in alcuni, è attraversato da una coppia di fori verticali ; in un altro, appartenente a vaso assai più fino e di piccole dimensioni, è triforato; i fori sono d’ordinario trasversali; in un coccio della collezione Rossi vedonsi, a breve distanza l’uno dall’altro, un po’ al di sotto del margine, due piccolissime bugne a foro longitudinale. In certi fittili l’appendice si fa assai prominente e compressa trasversalmente, riducendosi talvolta in una espansione semicircolare, che vidi in più d’un caso ornata di taglietti o di crenature marginali. In altri, essa è foggiata a cono, a ferro di cavallo, a capocchia o a pestello. Le anse, conformi nella pluralità degli esemplari a quelle delle pignatte comuni, assumono spesso foggia tubiforme ; altre volte sono assai compresse sulla parete del vaso e si sviluppano in altezza (tav. Ili, fig. 16,17). Già ebbi occasione di descrivere certe anse, le quali si terminano superiormente in una appendice compressa, verticale, allargata alla estremità superiore e perciò ricordano le anse appendiculate delle terramare. In un esem- — I IO - piare della collezione Rossi il margine superiore dell’appendice è tagliato netto, orizzontalmente ; in due altri, invece, presenta un incavo mediano che sembra un avviamento alla forma lunata, ben nota ai paletnologi, della quale non conosco tuttavolta esemplari integri conformi ai tipi ben caratteristici (tav. Ili, fig. 20). Il P. Amerano trovò una di simili anse compressa e sviluppata superiormente, unita ad una ciotola assai capace, a margine svasato e a carena acuta, ciotola ornata di solchi circolari. Le bugne e le anse non escludono nei vasi delle nostre caverne i fori di sospensione praticati presso l’apertura, fori talvolta numerosi. In un coccio della collezione Rossi, si contano in breve tratto, nel margine, cinque fori, mentre al di sotto v’ ha una piccola bugna forata. I fori di sospensione si confondono facilmente con quelli eseguiti allo scopo di risarcire il vaso spezzato. Molti vasi, come si è detto, son privi di manichi, altri ne portano uno, due, tre e perfino cinque ; la loro distribuzione sembra assai capricciosa. Nei fittili di minori dimensioni i manichi sono talvolta sostituiti da fori praticati prima della cottura presso l’orlo, fori dai quali si faceva passare una cordicella che serviva a sospendere il vaso. Certi fori eseguiti dopo la cottura, in vasi più grandi, accidentalmente spezzati, servivano ad accogliere legature destinate a tener strettamente riuniti i frammenti. I vasi sono in gran parte sprovvisti di fregi ; e questi, quando esistono, sono abitualmente semplici e primitivi. I cocci ornati si trovano in maggior numero nei depositi più profondi delle nostre caverne e mancano quasi del tutto alla superficie. Varietà grandissima si verifica in tali fregi, che sono segni graffiti od incisi, impressioni, cordoncini in rilievo, semplici o crenati, paralleli od anche perpendicolari all’orlo (fig. 32, 34, 35), distribuiti generalmente con imperfetta simmetria, ma talvolta senza simmetria di sorta, alla su- perfide dei fittili, talché difficilmente si trovano, sotto questo punto di vista, due cocci uguali. Siffatta varietà è però conseguita con gran semplicità di mezzi, riducendosi gli ornati a sistemi di linee, di punti, di impressioni, raramente a ghirigori e spirali, ed essendo spesso i diversi elementi combinati fra loro. Certi fregi si osservano, non solo sul corpo del vaso, ma anche sulle appendici, attorno al margine e alla parte esterna del fondo. Fig. 34- Coccio con ornamenti impressi raccolto nella tomba di un bambino nella caverni delle Arene Candide; '/* della grand, nat. Le differenze fra un esemplare e l’altro m! inducono a credere che gli ornamenti fossero praticati il più delle volte, non tanto per soddisfare ad un bisogno estetico, quanto per distinguere l’uno dall’altro i fittili della medesima specie, appartenenti ad individui diversi. Così ve-donsi, a cagion d’esempio, distinte fra loro le ciotole di ugual fattura già adoperate dai membri di antiche comunità religiose, mediante sigle graffite. I graffiti e le impressioni sono d’ordinario profondi e bavosi, e da ciò è facile argomentare che furono praticati sulla pasta molle per mezzo di punte, di stecche, di spa- Fig- 35-Coccio con ornamenti meandri-formi e fori della caverna delle Arene Candide (Museo Civico di Genova); '/2 della grand, nat. — 112 tole (talora dentellate o sbocconcellate), o anche semplice-mente colle dita o colle unghie. Credo che in alcuni casi si adoperassero per conseguire il medesimo intento valve di Cardium dal margine crenato (tav. Ili, fig. 9). Raramente la sottigliezza e la nettezza dei tratti danno a credere che fossero ottenuti sulla terra già cotta, in tal caso, per mezzo di arnesi appuntati assai duri. Si trovano in buon numero cocci fregiati di sistemi di solchi paralleli, che costituiscono col loro complesso una serie di triangoli o come suol dirsi un ornato a denti di cane, meno comuni i reticoli, assai rari i graffiti a guisa di curve irregolari o di spirali (fig. 42) (1)· In pochi esemplari 1 ornato risulta di piccoli incavi simmetricamente disposti, riempiti di materia terrosa bianca (fig. 36). Ornamenti conseguiti col medesimo artifizio mi furono segnalati in antichi fittili dell’ Yucatan. Gli ornamenti degli orli consistono più che altro in una crenatura; di rado in graffiti. In un vasetto di Ber-geggi figurato da D. Morelli (2) si osserva presso l’orlo, che è semplice, un fregio formato da una 'serie di denti graffiti, ciascuno dei quali è diviso per metà da una retta longitudinale. Morelli considera tali figure come foglie (fig· 37)· Fig. j6. Coccio ad incavi riempiti di pasta bianca della caverna Pollerà (Museo geol. di Genova); grand, nat. (1) Morelli, Iconografia della Preistoria Ligustica, tav. CI, fig. 4. (2) Opera citata, tav. C. F*g- 37-Tazza a fregio denticolato della caverna di Bergeggi (Coll. Rossi); circa r/s della grand, nat. — ii3 — Nei fondi dei vasi gli ornati consistono in cordoncini o solchi concentrici, in croci tracciate al centro del circolo formato dal fondo, e in impressioni, quali semplici quali complesse, Ottenute indubbiamente per mezzo di stampi, (fig. 40). I fittili che presentano questa particolarità si discostano alquanto per la finezza della pasta, per le forme eleganti, per le anse assai protratte, dai tipi neolitici e sono invece conformi a quelli della fase calcolitica. I manichi sono talvolta essi pure crenati (fig. 38, 39) o fregiati di graffiti, che consistono in lineette parallele, simmetricamente disposte. Credo che i rari esempi di graffiti fatti sui vasi dopo la cottura, sieno da considerarsi come segni speciali, piut-tostochè quali ornati. Fig. 38. ' Fig. 39. Cocci con manichi crenati della caverna delle Arene Candide (Museo civico di Genova); dimens. ridotte. Fin qui accennai agli ornamenti più o meno impressi nei fittili; non convien tacere della ingubbiatura e della lisciatura a spatola, in alcuni casi molto accurate (1). Certi esemplari furono senza dubbio anneriti colla fuliggine e poi (1) S’intende per ingubbiatura un rivestimento superficiale di argilla più fina e più omogenea, che permetteva di impartire al vaso miglior parvenza e lo rendeva più atto ad accogliere ornamenti più delicati. — ii4 — lisciati. Finalmente sono da segnalarsi pochi esempi di cocci propriamente dipinti ; i primi due furono rinvenuti dal P. Amerano nelle caverne dell’Acqua e Pollerà, in quel di Finale (ij, e consistono in avanzi di due vasi non torniti, assai rozzi (muniti di manico tubuloso), alla cui superficie sono tracciate striscie formate, in uno, di macchie nere in serie longitudinali e trasversali ; nell’ altro, di zone nere longitudinali; nel primo si osserva anche una macchia rossa. In gran parte di un’olla sferoidale (dal collo breve e verticale), rinvenuta più tardi nel deposito della Pollerà dal Sig. G. B. Rossi (2), il fregio dipinto, che spicca sulla tinta rossastra del fittile, consiste in due striscie nere, parallele all’orlo, tracciate attorno al collo, e in tre striscie ugualmente nere, che dal collo scendono verticalmente, passando sopra un manico tubuloso alla parte inferiore del vaso (fig- 4 0· Fig. 40. Fondo di ciotola con ornato a _. stampo della caverna delle Arene 41· Candide (Museo geol. di Ge- Olla dipinta della caverna Pollerà (Coll. Kossij, nova); dimens. assai ridotte. dimens. ridotte. Tutte le stoviglie di tipo neolitico provenienti dalle nostre stazioni sono lavorate senza il sussidio del torno e cotte sulla brace. L’argilla che servì a fabbricarle fu tratta (1) Bull, di Paletnologia ital., anno XVII, 1891, n.° 1-4. (2) Diedi la figura di questo oggetto nel « Bull, di Paletnologia ital. », anno XIX, 1893, n.1 1-6. — ii5 — \ indubbiamente da depositi poco lontani, riferibili al pliocene; essa, almeno nei casi più comuni, non fu depurata e contiene grani di sabbia quarzosa e serpentinosa, i quali in alcuni casi vi furono introdotti di proposito deliberato, a guisa di tarso, affine di rendere la pasta più resistente alla cottura. Questo artifizio non fu messo in opera quando si trattava di fabbricare vasi di piccole dimensioni e di straordinaria finezza. Gli antichi vasai fecero uso principalmente delle dita per foggiare la terra cotta (i), e sussidiariamente adoperarono spatole, stecchi ed anche gusci di conchiglie bivalvi a margine crenato, questi per imprimere fregi ondulati o dentellati alla superficie del fittile. Affatto eccezionali gli ornamenti ottenuti mediante uno stampo, e in tal caso appartengono a fittili di tipo calcolitico (fig. 40). Da quanto mi consta, non furono rinvenuti vasi a bocca quadra analoghi ai nostri che in una sola stazione preistorica, cioè in quella neolitica di Tordos, sul Maros, in Ungheria, descritta da H. Schmidt (2). Questi vasi sembrano fabbricati colla stessa tecnica ed offrono in generale ornati assai primitivi che ricordano i graffiti dei fittili ligustici. Uno di essi, rappresentato nella fig. 13 di Schmidt, alla pag. 440 del periodico citato in nota, è fatto a cono tronco rovesciato, nella parte inferiore, ed, allargandosi superiormente, assume poco a poco sezione quadrata. Esso è munito di piccolo manico tubercoloso a breve distanza al di sotto del margine; quanto agli ornamenti, consistono in un fregio di tre solchi paralleli che corrono lungo il margine e in altri solchi disposti tre a tre obliquamente nella parte media (3). (1) Dalla piccolezza delle impronte lasciate sulla pasta di alcuni vasi si può inferire che gli artefici fossero talvolta fanciulli. (2) 11 Maros sbocca nel Theiss affluente del Danubio. (3) Schmidt Η;, Tordos. Zeitschrift fur Etimologie, voi. XXXV, p. 43S. Berlin, 1903. r \ — 116 — Altro dei vasi figurati nella medesima memoria è assai o diverso da quelli delle caverne del Finalese, perciocché la parte inferiore ha forma di tronco di piramide quadrangolare rovesciato, cioè colla base rivolta in alto, mentre la • * superiore è foggiata a cono tronco, diritto, irregolare e si termina con piccola apertura circolare semplice, talché, se la figura, che lascia molto da desiderare, non m’induce in errore, il recipiente potrebbe definirsi una boccia a ventre quadrangolare carenato e a fondo quadrangolare. Nella medesima stazione di Tordos si trovano anche vasi che accusano un’ arte più avanzata, perchè ornati di freo-i alla ereca od anche formati di una successione di o o spirali e rabeschi. In alcuni di essi furono segnalati la svastica e sigle, simili a quelle dei fictili troiani ed egiziani, riferibili all’età dei metalli (i). Giova ricordare come anche i vaselli di forma biconica di cui ho fatto cenno non sono esclusivamente propri alla Liguria, ma si trovano in taluna delle necropoli siciliane descritte con tanta diligenza dal Prof. Orsi (2), ed offrono qualche somiglianza con fittili dell’antica Troia rinvenuti da Schliemann. Insieme ag-li avanzi di vasi di fattura neolitica se ne trovano molti nelle nostre grotte, che presentano tutti i caratteri dei fittili romani, cioè forma caratteristica, finezza ed omogeneità di pasta, segni di tornitura, cottura uniforme e perfetta Tali frammenti sono in particolar modo pezzi di ventre, fondi conici e anse di olle ed anfore. Ve ne ha uno raccolto nella caverna delle Arene Candide, fra gli altri, meritevole di speciale descrizione, perchè presenta il caso (1) Sulla conformità di tali fittili dell’Ungheria con quelli della Liguria già ebbe a richiamare l’attenzione dei paletnologi D.r Colini nella sua memoria « La civiltà del bronzo » comparsa nel « Bullettino di Paletnologia italiana » (anno 1903, pag. 228). (2) Bull, di Paletn. ital., voi. XIX, tav. VI, fig. 12, 19 e 25. Parma, 1893. — ii7 propriamente unico di un ornamento di foggia neolitica, associato ai caratteri summentovati (fig. 43). Si tratta di un pezzo del ventre di grossa olla od anfora, di pasta ben lavata, omogenea, cotta a punto, con strie di tornitura ben manifeste dentro e fuori, che presenta esternamente impressioni formate di un sistema di quattro piccoli incavi lineari, prossimi, ed equidistanti, ripetuto un gran numero di volte in vari sensi, in modo da risultarne un ornato irregolare. A queste impressioni, ottenute indubbiamente premendo sulla pasta molle una stecca dentellata, munita cioè di quattro punte, ne furono aggiunte altre formate di solchi paralleli, rettilinei o quasi. In un breve tratto tre serie di tali impressioni circoscrivono un triangolo isoscele. Un ornato simile a quello ora descritto si trova impresso in parecchi altri cocci non torniti rinvenuti nella medesima grotta. Se non mi sono stranamente ingannato, vi ha qui la prova patente che Γ ingenua e rozza arte neolitica si mantenne in Liguria fino alle prime manifestazioni della civiltà romana. Fig. 42. Fig. 43- Olla, con graffiti di tipo insolito, della caverna delle Arene Candide (Coll. Morelli); circa ‘/ideila grand, nat. Coccio di vaso tornito, di fattura romana con fregi di tipo neolitico. Caverna delle Arene Candide (Coll. Rossi); dimens. ridotte. — 11S — Fittili diversi. — Altri fittili erano coperchi in forma di semplici dischi ; erano fusaruole sfei oidali, lenticolari, pianoconvesse, biconiche, discoidali (i); erano cucchiai, lampadine, figure d animali ed anche figuie umane. Ad esempio di cucchiaio reco quello raccolto da G. B. Rossi nella Grotta Pollerà, il quale consiste in un piccolo recipiente presso a poco emisferico munito verso la base di grossa e lunga appendice conica impervia. 11 vaso, sottile presso i margini, è ingrossato al fondo e misura circa 9 cm. nel diametro maggiore ; altri somigliano ai comuni cucchiai da minestra, ma sono provvisti di manico assai breve (tav. Ili, fig. 7, 8). I veri cucchiai sono piuttosto rari; fuori della Liguria ne fornirono alcuni le stazioni di Chassey (2), della Lagozza (3), ed altre dell’Istria citate dal D.r Marchesetti (4). Le lampadine, di cui si raccolsero in parecchie caverne saggi di varii tipi, risultano d’ordinario di piccoli recipienti piriformi, provvisti di lungo becco tubulato simile a quello delle caffettiere (fig. 44), o pure fatto a doccia (5). Le figure d’animali sono abbozzi informi, nei quali ravviso ingenue riproduzioni di uccelli; una di queste, che proviene dalla Pollerà, presenta un corpo rotondeggiante, dal petto sporgente, munito, ad una estremità, di una appendice a foggia di coda eretta, simile a quella dei gallinacei e, all’altra, di una sorta di collo terminato da (1) Si vedano le varie fogge di cui si accenna nell'« Iconografia » di Morelli, alle tav. XC1I e XCIII. (2) Perrault E., Note sur un foyer de Page de la pierre polie découvert au Camp de Chassey. Paris, 1870. (3) Bull, di Palet. ital., voi. XIII, n.1 1 e 2, pag. 2, tav. Il, fig. 4. Parma, 1887. (4) Marchesetti, La caverna di Gabrovizza presso Trieste, pag. 29, tav. V, fig. 17. Trieste, 1890 (5) La tavola XCIV dell’« Iconografia » del Prof. Morelli reca le figure degli esemplari più caratteristici. Figurine umane. — I due soli esemplari raccolti nelle nostre stazioni posteriori all’età paleolitica furono scoperti dal Prof. Morelli nella caverna delle Arene Candide. Sono entrambi incompleti per antica frattura. In uno, grossolanamente modellato con argilla non purgata, mancano le estremità inferiori e si conserva il busto (sul quale due prominenze accennano alle mammelle) e la testa, schiacciata dall avanti all indietro e depressa, che ha per sostegno un breve collo cilindrico. Le braccia non sono rappresentate che da due sporgenze coniche. La superficie che corrisponde alla faccia non ha ne bocca nè naso ; ma due pezzetti di carbone incastrati nella terra cotta segnano il posto degli occhi, al di sopra dei quali due solchi arcuati stanno ad indicare le sopraciglia. Alla parte superiore del capo si osserva un altro solco diretto verso la fronte che significa forse la partizione dei capelli in due masse. (i) Reputo analoga agli oggetti accennati una piccola terracotta proveniente dalla stazione neolitica di Iablanica in Serbia e figurata da S. Reinach nell’ « Anthropologie » (voi. XII, p. 350. Paris, 1901). — 119 — un becco breve ed ottuso; non v’ha però alcuna traccia d’ali e di zampe (1). Il manufatto, che misura 6 cm. nella maggiore dimensione e cm. 2, 3 di spessezza, è fabbricato di terra fina, mal cotta, di color nerastro, ed apparisce sopra uno dei suoi lati lisciato a spatola (fig. 45). Fig. 44. Lampadina in terra cotta della caverna Pollerà (Coll. Rossi); dimens. ridotte. Fig. 45-Figura in terra cotta rappresentante un uccello, della caverna Pollerà (Coll. Rossi); dimens. ridotte. - 120 — Quanto rimane del corpo, insieme alla testa, non misura che 7 cm. di lunghezza e 4 di larghezza massima (tav. Ili, % II)· La seconda figurina, di fattura più fine ed accurata,· consiste in un torace assai schiacciato dall avanti all indietro, con mammelle emisferiche ben distinte. Le braccia furono omesse dall’artista di proposito deliberato; la testa, come pure la parte inferiore del corpo mancano per effetto di antica frattura (tav. Ili, fig· 14)· Questi saggi di un’arte infantile trovano riscontro in quelli rinvenuti da Schliemann tra le rovine di Ttoia (1), i quali sono pure sprovvisti di braccia, ed anche nelle statuette di Lubiana e di Castellaro del Vho (Cremonese). Pintaderas. — Stimo dovermi indugiare alquanto sulle pintaderas, le quali meritano di fissare in particolar modo l’attenzione degli studiosi per le affinità etnografiche di cui recano indizio. Si tratta di stampi in terra cotta, che presentano generalmente una superficie ellittica pianeggiante o un po convessa, coperta di incavi puntiformi o di solchi variamente disposti, e nella parte opposta un rilievo o manico più o meno sporgente, spesso attraversato da un foro. Sono analoghi a certi arnesi adoperati dai Messicani nei primordi della conquista spagnuola, mediante i quali gli indigeni imprimevano sul loro corpo e specialmente sul volto fiegi a vivi colori. Appunto perciò furono designati dai conquistatori col nome di pintaderas (fig. 46, 47)· Oggetti consimili si trovano compresi nelle raccolte di antichità americane dell’Yucatan, dell’Honduras, della Colombia, e specialmente in quelle che provengono dalle caverne della Gran Canaria, associati ad avanzi di pasti e a manu- (1) Schliemann, Ilios, ville et fiays des Troyens} trad. de 1 anglais par E. Egger. Paris, 1875. - 12 1 - fatti primitivi attribuiti ai Guanci (i). Alcune pintaderas di questa provenienza, che si conservano nel museo di Fig. 46. Pintadera della caverna Pollerà (Coll. Rossi); dimens. ridotte. Fig. 47-Pintadera della caverna Pollerà (Coll. Rossi); dimens. ridotte. Santa Ciuz di Teneriifa, mi son note mercè fotografie recate dal capitano Enrico d’Albertis (fig. 48, 49). Finalmente, utensili dello stesso genere, fabbricati però di altra materia, cioè di legno, si adoperano per certe pratiche superstiziose presso i negri d Asinia. Una compiuta illustrazione comparativa delle pintaderas americane e cana-riensi fu testé pubblicata dal dottor Renato Verneau, nel 1 2 volume degli Annali della società spagnuola di scienze naturali (2). Dopo che, dalla ispezione delle fotografie di alcune pintaderas canariensi, recatemi da d’Albertis, fui condotto a riconoscere il vero significato delle due pintaderas pri- (1) Noto la singolare coincidenza che fra questi manufatti abbondano punteruoli d’osso, foggiati con ossa lunghe di piccoli ruminanti, non diversi da quelli che sono tanto comuni alle Arene Candide. (2) Las Pintaderas de Gran Canaria, Annales de la Sociedad espanola de Historia naturai, tomo XII, quad. 2°. Madrid, 1883. — Rapport sur utie mission scientifique dans ΓArchipel Canarien, pag. 221 e seg. Paris Imp. Nationale, 1887. Atti Soc. Lig. St. Patru. Voi. XL. 122 — mamente scoperte nella grotta delle Arene Candide, pubblicai in proposito una nota descrittiva (i)> di cui ho riferito gran parte del contenuto nei precedenti paragrafi (2). Fig. 48. Fig- 49- Pintadera a base rettangolare della Pintadera a base circolare della Gran Canaria (secondo Verneau); Gran Canaria (secondo Verneau); grand, nat. dimens. ridotte. Giova notare che in un altro giacimento archeologico italiano, il quale somministrò reliquie di antichi Liguri, cioè fra i così detti fondi di capanne di Campeggine, il professor Gaetano Chierici rinvenne un oggetto di argilla nera, picchiettato di bianco e ingubbiato, che aveva indubbiamente la medesima destinazione di quelli di cui tengo discorso. Esso ha la parte basale sottile, oblunga e a margini ondulati, il manico poco prominente, compresso e non perforato, ed offre alla superficie inferiore una minuta quadrellatura che risulta dalla intersezione di due sistemi di solchi rettilinei, irregolari. «È un amuleto? o un sigillo? o uno stampo? », chiede il Chierici. Poi soggiunge : « negli ornamenti dei vasi nulla è di somigliante: s improntò in focacce o in pelli o in vesti, tingendolo di alcun colore ? Speriamone la spiegazione da altre scoperte (3) ». Sono assolutamente identiche o analoghe a quelle delle nostre caverne le pintaderas recentemente segnalate nella (1) Pintaderas ; nella « Natura», n.° 24. Milano, 8 Giugno 1884. (2) Anche il capitano Enrico D’Albertis, nella sua « Crociera del Corsaro » (Genova 1884), accennò alla stretta analogia che si osserva tra le pintaderas delle Canarie e del Messico, da un lato, e quelle della Liguria, dall altro. (3) Bull, di Palet. Ital., anno III, η. I, tav. I (1877). — 123 — stazione di Priesterhiigel presso Brenndorf, in Moravia, stazione riferita agli ultimi tempi del periodo neolitico. Come risulta dalle descrizioni e dalle figure di Teutsch, tali utensili sono tutti di terra cotta, con una faccia ellittica o circolare pianeggiante, che porta l’impronta (graffita od incisa prima della cottura), ed un’altra faccia più o meno sporgente, spesso foggiata a cono schiacciato, forata od impervia. L’impronta consiste in una spirale semplice, in due spirali combinate, in un complesso di quattro segni ad S, ciascuno con due piccole appendici nella parte media o in altri disegni anche più complicati (i). Ritengo che qui, come in Liguria, l’impronta sia un segno caratteristico di famiglia o di tribù, una specie di totem. Precedentemente fu segnalata dal Dott. Moser la scoperta di una pintadera anche nel Carso, cioè nella caverna denominata Theresienhohle presso Duino; è di forma conica, con superficie improntata circolare e convessa, sulla quale sono incisi solchi paralleli, equidistanti; fra questi intercedono piccoli tratti perpendicolari ai primi (2). Chantre descrive, da canto suo, sotto il nome di cachets en terre cuite, vere pintaderas, la cui superficie impressa è circolare e pianeggiante e provvista di manico in forma di cono forato, provenienti dall’antica Cappadocia (3). Fra le pintaderas della Colombia e d’altre località americane, se ne trovano di forma cilindrica, che si adoravano alla guisa dei rulli tipografici. Anche questo tipo (1) Teutsch ]., Die Spatneolitischen Ansiedlungen mit bemalter Keramik am oberen Laufe des Altflusses. Mittheilungen der Prahistorischen Commissioni der Kais. Akad. der Wissenschaften, I, p. 365. Wien, 1903. (2) Moser D' Cari., Untersuchungen pràhistorischer und romischer Fund-stàtten in Kiistenlande und Krain. Mittheilungen der Prahistorischen Com-mission der Kais. Akad. der Wissenschaften, n.° 1, 1887. Wien, 1888. (3) Chantre E., Recherches archéologiques dans VAsie orientale. Mission en Cappadoce, tav. VI, fig. 15, 1898. — 124 — ' non manca alle nostre stazioni, come lo dimostrano due esemplari scoperti recentemente dal Prof. Morelli nella caverna delle Arene Candide. Uno dei due (che si conserva nella privata collezione dello scopritore) ha forma di un cilindro perfetto, prescindendo da antiche abrasioni lungo uno degli spigoli. 11 suo diametro è di 49 mm., l’altezza di 22 a 23. La superficie presenta 11 segni profondamente impressi, la cui forma ricorda quella di zeta maiuscole disposte un po’ obliquamente rispetto all asse del cilindro. Ogni impressione sembra fatta conficcando profondamente nell’ argilla ancora plastica, in due punti prossimi della superficie cilindrica, una punta triangolare e congiungendo con una piccola incisione le due cavita che ne risultavano, le quali misurano da 6 a 10 mm. di profondità. Sopra ciascuna base si osservano due incisioni larghe e profonde nel mezzo, assottigliate alle estremità che si intersecano nel centro, risultandone una croce, e tre impressioni triangolari alla parte media di ogni quadrante. Queste impressioni sono analoghe alle singole cavità di cui è composto Tornato della superficie e sembra che l’artefice si proponesse di renderle equilatere e simmetriche e sia riuscito solo imperfettamente a raggiungere lo scopo. Al centro di ciascuna base, ove si intersecano le braccia della croce, vi ha un piccolo foro che forse passava originariamente da parte a parte, ma ora è impervio a causa di corpi estranei penetrati nel vacuo (fig. 50). La seconda pintadera ha forma di cilindro allungato, irregolare, attenuato ed arrotondato alle due estremità; si potrebbe dire che è foggiata ad oliva se fosse più rigonfia nella parte media; la sua superficie è coperta di solchi longitudinali e trasversali assai profondi e disuguali : i primi ondulati od anche sinuosi, che passano da una estremità all’altra dell’oggetto; i secondi arcuati o rettilinei, che attraversano solamente lo spazio compreso fra — 125 — due solchi longitudinali prossimi. I solchi longitudinali sono quattro e in qualche tratto si rendono paralleli ai trasversali, il cui numero può computarsi di 7 a 9. Fra gli uni e gli altri intercedono rilievi irregolari, prevalentemente trasversali, di estensione disuguale e di forme che si sottraggono ad ogni definizione. L’asse dello stromento è forato; corrisponde cioè ad un vacuo rettilineo, cilindrico di mm. 6 di diametro e di 53 o 54 mm. di lunghezza. Lunghezza massima mm. 55; diametro maggiore mm. 26. La materia di questa pintadera è terra cotta, assai dura e omogenea, di color bruno carico (fig. 51). Fig. so. Pintadera a rullo della caverna delle Arene Candide (Coll. Morelli); dimens. ridotte. Fig. ji. Pintadera a oliva, della caverna delle Arene Candide (Coll. Morelli); dimens. ridotte. Tra gli esemplari di pintaderas, che mi son passati fra le mani (ornai raggiungono la dozzina), non ve ne sono due che offrano impronte identiche e nemmeno analoo-he. Questo fatto, per quanto suppongo, non è casuale, ma dipende probabilmente da che ogni impronta rappresentava un segno caratteristico personale, ■ quasi come lo stemma che molti fanno incidere sul proprio sigillo o come l’inseona colla quale il pescatore chioggiotto distingue le proprie note dalle quali risultano i crediti e i debiti nei suoi rapporti col padrone di barca alla cui dipendenza si trova. Oggetti d'osso, di corno, di conchiglia. — Trattando più innanzi di siffatti oggetti, utensili, armi ed ornamenti, che in buon numero si trassero dalle nostre caverne os- 126 — sifere quaternarie o recenti, non ometterò di esporre le considerazioni opportune intorno ai caratteri di questi manufatti e circa la provenienza dei materiali che servirono a fabbricarli. Dirò fin d’ora come tali oggetti non rivelano in alcun caso lo squisito senso artistico di cui ci diedero esempio gli antichi abitanti dei territori francesi della Dordogne, dell’Ariège, della Haute Garonne, come pure di alcuni punti del Belgio, della Svizzera e della Spagna. Presso di noi non si trovano, come nelle stazioni alle quali alludo, avori, corna ed ossa, quali scolpiti, quali graffiti, che riproducano con singoiar verità animali, e special-mente quadrupedi, di varie specie ; come pure mancano manufatti ornati di delicati intagli a guisa di fregi. In breve, tanto nella fase paleolitica quanto nella neolitica, l’arte non si estrinseca, lungo le due Riviere, che con saggi relativamente rozzi e primitivi ; e questa mia affermazione si può estendere a tutta la regione Ligure, anzi a tutta 1’ Italia, quantunque il nostro paese abbia raggiunto più tardi il più alto fastigio in ogni maniera di manifestazioni estetiche (i). Lo sviluppo del senso artistico durante gli ultimi tempi dell’ èra quaternaria in Francia, in Spagna e in pochi altri paesi non è a parer mio conseguenza dei caratteri antropologici e della evoluzione intellettuale di quei popoli, ma di speciali contingenze locali; è subordinato, io credo, alla grandissima abbondanza di mammiferi selvatici e specialmente semiselvatici, che somministravano facil- (i) Analogamente non hanno alcun riscontro in Italia le figure d ani mali così efficacemente disegnate, incise e perfino dipinte, scoperte sulle pareti delle caverne della Mouthe, delle Combarelles, di Fond-de-Gaume, di Pair-non-Pair, di Marsoulas, di Chabot, in Francia, e d’Altamira in Spagna. Si vedano in proposito i lavori di Rivière, Capitan, Cartailhac, Breuil ed altri, e si consultino i volumi dei « Comptes Rendus des séances de 1 Acad. des Sciences » del 1894, del 1901, del 1903; il « Bulletin de la Société d An thropologie de Paris » del 1897 e 1’ « Anthropologie » del 1905. — 127 — mente all’ uomo alimento inesauribile, permettendogli di rivolgere la sua mente e la sua attività ad oggetti diversi da quelli che tendevano alla immediata incetta del cibo. Ai cavernicoli paleolitici della Liguria e delle altre stazioni italiane mancarono i numerosi armenti di rangiferì e di cavalli che servivano a sostentare gli abitanti della Vézère e di altre vallate della Francia, i quali, secondo ogni verosimiglianza, erano riusciti mediante ingegnosi artifizi a soggiogare quei mammiferi, in modo da non renderli propriamente domestici, ma tali da poterli tenere in riserva per quando occorreva adoperarli, ed avevano così provveduto, indipendentemente dalle sorti della caccia e della pesca, ad allontanare il pericolo della penuria. ♦ PARTE SECONDA I, — GIACIMENTI PLIOCENICI Il sistema pliocenico in Liguria Il sistema pliocenico assume notevole sviluppo lungo la Riviera di Ponente, ed è precipuamente rappresentato da marne ed argille alla parte inferiore, da sabbie e conglomerati superiormente. Questi materiali formano lungo la riva una zona interrotta, la quale s’insinua nelle principali vallate, sopratutto in quelle del Varo, della Roia e del Centa. Le argille e marne, molto più sviluppate degli altri depositi, sono ricche di fossili e risalgono al piacenziano. 1 conglomerati sprovvisti di avanzi organici appartengono probabilmente all’ astiano, e certamente vi si riferiscono alcuni dei lembi sabbiosi, come quelli rinvenuti in Genova, presso la stazione ferroviaria del Principe, e sulla riva sinistra del Chiaravagna, presso Sestri Ponente. Le argille e le marne si trovano fino a più centinaia di m. sul livello del mare, sottoposte bene spesso ai conglomerati, i quali raggiungono, sopra la Mortola, l’altitudine massima di 550 m. Le sabbie, attribuite con sicurezza al piano superiore in base ai loro fossili, costituiscono parte di una antica riva poco discosta dalla odierna, situata a pochi metri d’altitudine. I lembi fossiliferi più ricchi son quelli situati in riva al Rio 'Porsero presso Albenga, come pure a ponente di — 130 — Savona, nei punti denominati Zinola e le Fornaci. Dal-l’ultimo provengono non solo molti gasteropodi, lamelli-branchi, echinodermi, coralli, foramini feri, ma ancora avanzi di crostacei, di pesci (denti e vertebre) e di mammiferi; fra questi sono rappresentati i generi Mastodon, Rhinoceros, Balano,, Balanoptera ecc. Non furono mai segnalati nei depositi pliocenici della Liguria avanzi dell’ industria umana; ma non posso tacere di un frammento di legno convertito in lignite bruna, il quale, per la sua forma regolarmente parallelepipeda, sembra aver subito l’azione di uno stromento tagliente. L esemplare, che è quasi completamente impigliato in una zolla di marna proveniente dal giacimento originario, fu raccolto molti anni or sono alle Fornaci da don Perrando ed ora è conservato nel Museo geologico dell’Università genovese. Esso misura mm. 133 di lunghezza, da 28 a 22 di larghezza, da 23 a 21 di altezza. È infranto ad una estremità e logoro per erosione all’altra; le sue superficie solcate nel senso longitudinale, che è quello delle fibre legnose, sono pianeggianti e presentano tracce che si direbbero prodotte da raschiatura eseguita per mezzo di lamina tagliente. Sopra due facce opposte, che sono rettangolari, tali segni risultano ben visibili, sulle altre facce alterazioni posteriori li rendono meno appariscenti ; uno degli spigoli dell’asticella è ben conservato ed offre angolo diedro quasi perfettamente retto. Non pretendo, nel porgere un cenno di questo oggetto, di addurre una prova od anche un indizio di una manifestazione inverosimile dell’industria umana in tempi così remoti; ma credo utile, per ogni buon fine, di non trascurare alcun dato di fatto. G. B. Canobbio, che insegnò chimica nella R. Università di Genova, si occupava nel 1823 dei così detti tufi (è questa la denominazione volgare delle marne di Genova), che — ΐ3ΐ — costituiscono gran parte del suolo della città e ne investigava la composizione, paragonandola a quella dei depositi consimili dell’Astigiana. In questi, egli soggiunge, non si rinvennero altre spoglie d’animali fuori delle conchiglie, « mentre nel tufo di Genova invece più pezzi se ne trovarono, e fra gli altri il singolarissimo che io posseggo d’ un osso ileo, appartenente ad un giovane garzone, quasi intiero » (i). Disgraziatamente il fossile di cui si tratta non fu conservato, e ben legittimamente si possono muovere dubbi sulla sua pertinenza all’uomo e sulla sua giacitura nel tufo; tuttavolta non mi pare verosimile che un osservatore sagace qual’ era il Canobbio, possa aver scambiato per un fossile di età remota parte di uno scheletro umano sepolto in tempi storici, come se ne scoprono spesso nel sottosuolo della città. Antropoide di Savona. Or sono per Γ appunto cinquantaquattro anni, si mise mano in Savona alla costruzione della chiesa delle Suore della Misericordia, in una piazzetta attigua al convento dello stesso nome, sopra una piccola altura, alla quale si accede pel Vico del Vento. Il terreno sul quale doveva innalzarsi il nuovo edifizio è marna pliocenica, di color bigio cinereo, uguale a quella che si trova in molti punti della regione litorale. Ivi, il giacimento, il quale trovasi presso il suo confine, appiè della balza di gneiss detta « Lo Sperone », che costituiva un’antica ripa, è ridotto a tenue spessezza. La fabbrica fu preceduta da un ampio sterro, per condurre a livello opportuno il piano del nuovo edifizio, e da (i) Saggio sulla giacitura cPalcuni fossili di Genova e suoi contorni. Genova, tip. Gravier, 1823. un profondo scavo, destinato a ricettare le fondamenta del medesimo. Quest’ ultimo era giunto a circa 3 m. di profondità, quando, il 10 aprile 1852, sotto i colpi di badile degli operai, scattò da una zolla di marna un corpo emisferico, che lo scultore Brilla, testimonio del fatto, scambiò a tutta prima per un vaso di terra cotta. Ma, raccoltolo, non tardò ad accorgersi che era un teschio. Proseguito il lavoro, si misero allo scoperto le altre parti di uno scheletro, che a tutti parve umano, e fra queste il Brilla scelse i migliori pezzi per conservarli. · Lo scheletro, impigliato nella marna, giaceva supino, cogli arti anteriori protesi, inclinato col capo in basso, ed era quasi addossato ad una roccia. Intorno ad esso, si trovarono pezzetti di carbone, molte ostriche fossili (Ostrea cochlear, var.) e frammenti di Pecten. Il Sig. Brilla si proponeva di eseguire qualche ricerca per vedere se ivi fossero sepolti altri oggetti, atti a spargere un po’ di luce sull’antichità di quegli avanzi. Ma ne abbandonò il pensiero, perchè l’impresario della fabbrica si oppose energicamente ad ogni tentativo che avesse potuto recare qualche ritardo ai lavori. La parte dello scheletro sottratta alla distruzione consisteva specialmente, oltre al teschio, nel torace, in cui si vedevano distintamente le coste incastrate nella marna che ne riempiva la cavità, e in alcune piccole ossa della testa e degli arti. 11 parroco di Santa Giustina, don Perrando, veduto il prezioso fossile nello studio del Brilla, fece istanza al possessore perchè volesse cederglielo; ma questi, che si proponeva di torlo a modello per certi suoi lavori, acconsentì solo a privarsi di pochi frammenti. Quanto alla parte principale dello scheletro, trascorsi alcuni anni e rimasta negletta in un angolo oscuro, scomparve nella confusione di uno sgombero. — 133 — « I frammenti conservati da don Perrando, che ora appartengono al R. Museo geologico universitario di Genova, sono un pezzetto di parietale, una parte di mandibolare superiore con un premolare in posto, un pezzo di omero, una testa di femore, quasi un terzo di perone, un pezzo di clavicola, e due piccole e problematiche ossa, che mi studierò più innanzi di definire. Altri due, cioè: un altro pezzo di parietale e porzione di mascellare inferiore, col-l’apofisi coronoide ed un premolare in posto, raccolti dal Brilla, e passati di mano in mano, vennero ad arrichire la collezione paietnologica del padre Filippo Ighina delle Scuole Pie, il quale ne fece poi dono a me, e son quelli ora ostensibili nel Museo civico di Storia naturale di Genova. Tanto i primi, quanto i secondi furono da me esibiti come avanzi umani al Congresso internazionale d’antropologia e archeologia preistoriche, tenuto nel 1867 in Parigi, e più tardi alla Società Italiana di Scienze naturali, riunita straordinariamente in Vicenza. In entrambe le occasioni, la presentazione di quei fossili fu corredata di succinte notizie sui loro caratteri osteologici, nonché sulla natura del terreno d’onde provengono. Ecco, in breve, i dati più importanti in proposito, che in parte furono già notati precedentemente e in parte son nuovi. II frammento di parietale destro offre una figura pentagona, con due lati corrispondenti, l’uno alla sutura fron-toparietale, l’altro alla sutura sagittale. Entrambe le suture non offrono traccia di saldatura e son munite di frastagli o semplici e poco profondi. Il secondo frammento di parietale appartiene alla regione posteriore sinistra del cranio e presenta parte della sutura sagittale, in cui si osservano le particolarità già notate. Esso è di forma triangolare ed assai convesso. La sua superficie esterna è liscia ; sull’interna sono visibili un’ infossatura piuttosto profonda, che decorre parallelamente — 134 — alla sutura e vari solchi dicotomi, che accoglievano le ultime diramazioni dell’arteria meningea media. Spessezza mm. 7.4. Il frammento del mandibolare superiore sinistro è degno di nota, perchè vi si vedono gli alveoli di un canino, di un incisivo e di due premolari, uno dei quali è ancora in posto. La direzione degli alveoli e del dente superstite attesta un prognatismo rilevantissimo nelle ossa facciali. Il premolare è piccolo, a radice bifida e corona logorata ^ orizzontalmente (fig. 52). Nel pezzo di mascellare inferiore, è da notarsi che il corpo dell’osso è più piccolo che negli individui normali della stirpe ligure, che l’apofisi è stretta, sottile, arcuata, appuntata e forma col corpo del mascellare un angolo più ottuso che d’ordinario. L’ultimo molare rimasto nell alveolo è piccolo, a radice bifida e profondamente cariato; la sua superficie di logoramento è pianeggiante ed alquanto inclinata verso il lato interno. Fig. 52. Frammento di mandibolare super, sinistro dell’antropoide di Savona (Museo geol. di Genova); grand, nat. Il frammento di omero sinistro è lungo 118 mm.; comincia un poco al di sotto del punto in cui si verifica la torsione dell’ osso e finisce un po’ prima della articolazione inferiore, laddove la diafisi si dilata; esso apparisce di sezione distintamente trigona ed offre dimensioni assai — J35 — minori di quelle della parte corrispondente di un omero normale umano. La parte di clavicola sinistra non comprende che 3/s dell osso ed è lunga 90 mm. (fig. 53); paragonata all osso omologo di un Ligure moderno, apparisce più corta, più incurvata dall’alto al basso e dal- 1 avanti all indietro, più spessa nella parte mediana, meno, all incontro, nella estremità che si articola all acromion. La scabrezza che porge attacco al legamento coraco-clavi-colare offre inoltre una insolita prominenza. Fk- 53 ■ Clavicola sinistra dell antropoide di Savona (Museo geolog. di Genova)^ grand nat. La testa di femore e quasi perfettamente emisferica, e presenta nel vertice un piccolo incavo; il suo diametro maggiore è di 45 mm. La superficie superiore dell’osso è liscia (ma non levigata), fatta eccezione per l’accennato incavo e per un solco di cui rimane traccia presso il margine ; l’inferiore è data da una frattura, avvenuta probabilmente quando il fossile fu estratto dal deposito in cui giaceva, e lascia vedere la struttura finamente spugnosa propria all’interno dell’osso. Del perone destro si conserva poco meno del terzo superiore (esclusa l’articolazione), sopra una lunghezza di 74 mm., ma la variabilità propria a quest’osso non per- 136 — mette di istituire, intorno al frammento fossile, istruttivi confronti; si può dire, peraltro, che esso è più sottile e diritto del perone normale umano, che la sua carena comincia più in basso ed è meno acuta, che 1 apofisi stiloidea vi è ben spiccata (fig. 54). Fig. 54- Frammento di perone dell’antropoide di Savona (Museo geolog. di Genova); grand, nat. Circa i' due problematici ossetti menzionati da principio, premetto che hanno colore più chiaro degli altri e sembrano più freschi e perciò meno fragili (1). Essi ricordano, per le proporzioni (lunghezza mm. 37 e 31 rispettivamente), le falangi digitali della fila mediana, specialmente quella dell’indice; ne differiscono assai, tuttavolta, per la forma cilindroide, traente alla prismatica quadrangolare ( non compressa, o schiacciata come si osserva d’ordinario nelle falangi), con ingrossamento che va crescendo dalla parte media alle due estremità. Nel più piccolo il capo articolare più voluminoso è convesso e corrisponde ad una rimboccatura che finisce lungo la di afisi in due creste; il capo articolare minore è quadrangolare, arrotondato e un po’ convesso. Nell’osso più lungo uno dei capi articolari è irregolarmente ovale ed obliquamente spianato, e del secondo capo non resta, per antica frattura, che tenue residuo convesso (fig. 55). (i) Don Perrando ebbe i due ossetti dal Sig. Brilla, insieme ai frammenti già descritti, come parti del medesimo scheletro, e riteneva che fossero tutti della stessa provenienza. ✓ — 137 — Dopo aver discusso ipotesi diverse circa il significato di tali ossa, la più verosimile alla quale son giunto si è quella che appartengano allo scheletro assile, che sieno cioè due vertebre caudali; in ciò confortato dall’autorevole parere del chiaro collega D.r Ettore Regalia, il quale osservò, dopo uno studio accurato degli esemplari, che somigliano a quelle di certi ruminanti. Supposte Avendo confrontate queste ossa, da canto mio, colle analoghe di parecchi mammiferi, non trovai in alcun caso identità; ma solo notai qualche somiglianza colle vertebre caudali del Nasalis larvatus dell’Arcipelago Indiano. Il pezzo fossile più lungo sembra corrispondere alla terza vertebra, per l’accenno di biforcazione della carena superiore; 1 altro potrebbe riferirsi ad una quarta o quinta vertebra ; entrambi sono più brevi e di forma più prossima alla cilindrica di quelli della specie precitata. Pochi anni or sono il Prof. Michele Pacini, prete della Missione (mancato ai vivi l’anno scorso), rinvenne, fra altri oggetti di storia naturale in Savona (residuo di una collezione ormai dispersa), alcuni pezzi d’osso che egli tosto riconobbe come pertinenti allo scheletro esumato dal pliocene di Colle del Vento. Per cortese condiscendenza del compianto naturalista, questi fossili vennero in possesso dell’istituto adffiato alle mie cure, e mi è concesso descriverli. Avverto, innanzi tutto, che per la natura dell’argilla contenuta nelle loro anfrattuosita, pel peso, pel colore, Fig. 55- vertebre caudali dell’antropoide di Savona (Museo geol. di Genova); circa grand, nat Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL. io - 138 - per la lucentezza caratteristici si palesano quali frammenti dell’antropoide di Savona. Per mala ventura non son tali però da risolvere i gravi dubbi suscitati dall esame di quelli primamente conosciuti. Essi consistono in una porzione di femore sinistro e in due frammenti di bacino. Il primo appartiene alla parte superiore della diafisi, misurando mm. 152 di lunghezza e lascia vedere tutto intero il piccolo trocantere e parte della linea aspra (fig. 55). L’osso apparisce straordinariamente liscio, un po’ lucente, di color bruno chiaro, con chiazze le une di color meno intenso le altre più scure. Internamente, è cinereo traente al bruno e assai compatto. La cavità midollare, piuttosto ampia, e in gran parte occupata da marna pliocenica che penetra in ogni più tenue anfratto. Notevole il suo peso piuttosto alto, che dipende certamente da materie minerali di cui è impregnato. Le sue dimensioni sono singolarmente piccole, se si tien conto del fatto che appartiene ad un individuo adulto (1). Dalla superficie levigata e tersa come quella delle altre ossa, suppongo che fosse d’individuo femmineo. Fig. 55- Femore sinistro dell’antropoide di Savona (Museo geol. di Genova); dimens. assai ridotte. Il diametro della diafisi decresce regolarmente dall’alto al basso ; nè vi ha accenno di curvatura e di torsione. La piccolezza è relativa non solo al diametro, ma anche, se non sono in errore, alla brevità. Nella sezione trasversale si vede che è di forma ovata e non carenato. (1) A 8 centimetri sotto il piccolo trocantere la sezione trasversale misura 24 mm. nel diametro maggiore e 22 nel minore. s — 139 — 11 piccolo trocantere, mediocremente sviluppato e prominente (altezza circa 9 mm.), è più attenuato del consueto verso la sommità e presenta sensibile curvatura. Il punto in cui dovrebbe apparire il tubercolo del quadrato non è compreso nel pezzo. La linea pettinea è sufficientemente segnata; non così la cresta intertrocanterica o linea inter-trocanterica posteriore, alla base della quale si nota una lieve sporgenza trasversale. La linea scabra, che collega il grande al piccolo trocantere, presenta presso quest’ ultimo una lieve gibbosità e si continua superiormente in una asperità poco accentuata. Detta linea è rappresentata da due sporgenze o labbra longitudinali poco salienti, non angolose, divise da un solco o meglio da una doccia ; una di queste sporgenze è maggiore dell’altra. La mancanza del grande trocantere e del collo del femore non lascia scorgere quei caratteri distintivi che tanto spiccano in alcune razze umane inferiori. Il secondo osso, che appartiene indubbiamente allo stesso individuo, è un pezzo di bacino, cioè di osso iliaco sinistro con parte della cresta corrispondente. Esso è più piccolo dell’omologo umano ed ha forma di triangolo rettangolo curvilineo, i cui cateti sono costituiti dai due margini o o naturali, uno di 68, l’altro di 53 mm. di lunghezza. La maggiore spessezza dell’osso si dà nella parte media del margine più lungo e misura 17 mm. Il terzo pezzo cui ebbi ad accennare appartiene pure al bacino, ed è insignificante. Anche prescindendo dalle vestigia di una coda (nel fossile di Savona), rispetto alle quali, come si vede dalle osservazioni e dal parere che sono venuto esponendo, sussistono gravi dubbi, i caratteri differenziali sopra enumerati, mi inducono a non ascrivere deliberatamente esso fossile alla specie umana, come feci altra volta, e a designarlo — HO — invece provvisoriamente col nome di antropoide. Intendo con ciò, non già d’introdurre nella scienza una nuova denominazione generica, ma solo alludere ad un termine della serie biologica ancora 'mal definito, e per la cognizione del quale ci mancano fin qui gli elementi necessari. Tutte queste ossa, ad eccezione delle supposte vertebre, presentano l’aspetto consueto dei fossili del medesimo giacimento ; sono, cioè, di color bruno chiaro, traente al ci-.nereo, lucenti, fragili, allappanti alla lingua, ed inquinate di marna grigia, fina ed omogenea, la quale penetrava nelle cavità midollari dell'omero e del perone e ne riempiva ogni interstizio. Per tali caratteri, non può nascere dubbio sulla loro provenienza, in chiunque abbia una certa pratica dei fossili pliocenici della Liguria. Le comunicazioni fatte al Congresso di antropologia e archeologia preistoriche di Parigi ed alla Società italiana di Scienze naturali intorno al fossile savonese suscitarono vive discussioni, dalle quali parve prevalente, fra i dotti, l’opinione che quegli avanzi fossero meno antichi dei sedimenti in cui erano sepolti. Ciò non deve recar meraviglia quando si pensi come fosse accolta da principio la scoperta di selci lavorate nel diluvium di Menchecourt e di Abbeville, e come trascorressero molti anni prima che fosse generalmente ammessa la coesistenza dell’uomo coi mammiferi quaternari estinti, della quale si possedevano tuttavolta prove sì numerose. Rispetto ai fossili di Savona, lo scetticismo dipendeva, peraltro, non solo dal preconcetto che molti si fanno di simili scoperte, ma benanche, e sopratutto, da che mancavano esatte e sicure indicazioni sulle circostanze del ritrovamento, al quale non fu presente alcun naturalista. Si vedrà come alcune circostanze, dapprima ignorate, intorno alla giacitura dei fossili sopra enumerati, sieno ora cono- — Ι4ΐ — sciute e come la presunzione della loro età remotissima si sia ora avvalorata da nuovi argomenti. Secondo un’analisi chimica eseguita dal Dott. Fucini, un piccolo frammento dell’omero sopradescritto ricetta ancora, per cento parti, 9.25 di materia organica e 4.5 d’acqua. Un pezzetto d’osso di cetaceo del medesimo giacimento, sottoposto del pari al saggio chimico, dallo stesso operatore, somministrò 13.95 di materia organica e 7.05 d’acqua. L’esperimento ripetuto sopra una scheggia d’osso lungo di rinoceronte del pliocene di Savona fornì al Fucini 2.25 di materia organica e 2.75 d’acqua. Questi risultati così discordi, come pure altri ottenuti, analizzando ossa di vertebrati di vari giacimenti più o meno antichi, mi hanno persuaso che la proporzione dell’acqua e della materia organica, nei fossili, dipende più che altro dalla natura del terreno e non offre criteri sicuri che permettano di apprezzarne l’età relativa. Mediante un profondo scavo che feci eseguire nel 1874, a breve distanza (circa un metro) dal punto in cui avvenne il ritrovamento dello scheletro, potei verificare che ivi il terreno è propriamente costituito di marna pliocenica, non rimaneggiata, e contiene ostriche e vestigia di pesci fossili. Nell’esame sommario dei fossili anzidetti, fatto a Parigi da Broca e Pruner-bey, questi antropologi furono colpiti dalla forma e dalla posizione anormale dell’apofisi coronoide, nel frammento di mascellare inferiore (considerato da tutti, allora, come reliquia umana), e si mostrarono inclinati a ravvisare nei caratteri eccezionali di quel pezzo un segno di remota antichità, giacché è presumibile che le stirpi vissute in tempi più lontani da noi differissero per spiccate particolarità dalle razze attuali. Orbene, il Dott. Hamy e più tardi il signor de Qua-trefages, avendo riscontrata forma analoga in parecchie apofisi coronoidi, appartenenti ad individui assai vecchi, ma < V — 142 — non fossili, ne inferirono non esser questa caratteristica di razza, ma piuttosto segno di decrepitudine; e trassero da ciò argomento per ricusare ai fossili di Savona l’alto valore che consegue dalla remotissima loro antichità. Ma contro tale conclusione milita una circostanza di molto peso, della quale non si tenne il debito conto, ed è che dai caratteri dei due denti superstiti, nei frammenti di mandibole, come pure dalle suture nei pezzi di cranio, apparisce che 1 individuo cui appartenevano era ancora lontano dalla senilità. Antropoide di Pietra Ligure Don Niccolò Morelli fu informato, nel 1885. che in un recente scavo praticato in una cava d’argilla da mattoni, presso Borgio-Verezzi, si scorgevano frammenti d ossa. Supponendo che si trattasse di qualche fossile, egli si reco subito sul posto, discese nello scavo e colà vide, per meta incastrati nell’argilla, a circa 6 metri sotto il livello del terreno, alcuni pezzetti d’osso e denti che sembravano umani ed assai antichi. Questi oggetti furono da lui estratti insieme ad una grossa zolla d’argilla. Avvertito della scoperta, mi recai poco dopo a visitare il giacimento e, dopo attento esame, acquistai la persuasione che risulta pio-priamente di argilla pliocenica, ma che è rimaneggiato. Questa conclusione è confermata dal ritrovamento, nel deposito stesso, di alcuni manufatti di recentissima data. Prescindendo da una valva erosa di Pectunculus vio-lacescens, di età incerta, raccolta presso il punto in cui giacevano i fossili enumerati qui appresso, si trovarono allo stesso livello e a 6 metri di distanza, un bottone di metallo giallo, non più antico di un secolo, poi, ad una profondità minore (circa a m. 5,50) e alla distanza di una trentina di metri dal punto anzidetto, una moneta di bronzo romana. Poco lungi, finalmente, si scoprirono, a m. 5,5°- 1 resti di un antico acquedotto formato di tubi di terra cotta. — 143 — Separati dall’argilla che li accludeva i fossili primamente raccolti dal Prof. Morelli, riconobbi tra questi gli esemplari seguenti: due piccoli frammenti di mandibola inferiore; cinque denti, tra i quali due premolari, due molari e un canino; parte della diafisi di un perone. I due frammenti di mandibola, appartengono al corpo dell’osso. In uno, si conserva l’estremità dell’arco e si vede la base deH’apofisi coronoide e parte dell’alveolo dell’ultimo molare; manca il margine inferiore che corrisponderebbe all’angolo della mascella; manca del pari la regione in cui ha orieine la base del condilo. Confrontato colla ° « parte omologa del mascellare umano, questo pezzo non presenta nulla di anormale; è piuttosto robusto, massime nella parte che corrisponde alla base dell’apofisi coronoide. Dalla forma e dall’ampiezza di parte di un alveolo che vi si osserva, argomento che l’ultimo molare non avesse raggiunto ancora nell’individuo il suo pieno sviluppo. II secondo pezzo di mascellare occupa presso a poco il posto del primo, nel lato sinistro della mandibola, se-nonchè è più breve e meno alto ; vi manca quasi interamente la base dell’apofisi coronoide e non vi rimane traccia del canale déntario inferiore; dell’alveolo dell’ultimo molare non resta che piccolissima parte del margine posteriore. In ordine alle proporzioni, l’osservazione già fatta riguardo al pezzo precedente si può ripetere per questo. I cinque denti erano disposti nella zolla d’argilla d’onde furono ricavati, secondo i loro reciproci rapporti, costituivano cioè, colle loro corone, un arco interrotto e, a quanto credo, erano impiantati nello stesso mascellare inferiore cui si riferiscono i due pezzi già descritti; debbo avvertire, peraltro, che questi pezzi offrono superficie di frattura non già fresche e nette, ma logore, come fluitate, e che Tessersi ritrovati accanto ad essi altri resti scheletrici dipende forse da circostanze accidentali e non da rapporti — 144 — anatomici. Della porzione orizzontale della mandibola nella quale si inserivano i cinque denti, non si conserva che qualche frustolo insignificante ; il resto fu probabilmente distrutto. Sia per la posizione rispettiva che occupano nella zolla, sia pei loro caratteri, ravviso nei cinque denti : il primo molare sinistro, il canino sinistro, il primo premolare destro, il secondo premolare destro e il primo molare della stessa parte. I due molari hanno forma e proporzioni poco diverse dalle normali ; son piuttosto piccoli e a corona un po’ più regolarmente cuboide di quel che non sia di consueto nell uomo; questa corona è profondamente erosa dalla masticazione. La radice è duplice, a fittoni lievemente divergenti nel molare sinistro, paralleli nel destro. 11 secondo premolare destro è esso pure piuttosto piccolo ed ha la corona logorata in guisa da presentare superiormente due piani che s’incontrano formando uno spigolo assai ottuso. La radice è breve e assai compressa. Il primo premolare destro è comparativamente piccolo e come il secondo assai logorato ; la superficie di logoramento, inclinata da destra a sinistra, lascia scorgere una depressione mediana ed un piccolo rilievo verso il margine esterno ; la radice è piuttosto breve, diritta ed assai compressa. Il canino ha dimensioni proporzionate a quelle degli altri denti e presenta una piccola superficie di logoramento perfettamente piana, diretta dall’avanti aH’indietro; il lato esterno della sua corona è un po’ convesso, l’interno appena un po’ concavo; la sua radice è semplice, larga, compressa, un po’ riflessa all’estremità verso il lato destro; una depressione longitudinale mediana sulla faccia destra di essa radice accenna ad uno sdoppiamento incipiente. Il frammento di perone sopra indicato consiste in un pezzo di diafisi, della lunghezza di 65 millimetri, corri- — '45 — spondente alla parte situata al di sopra dell’ingrossamento che precede l’estremità articolare inferiore. L’osso è di for/na prismatica triangolare, una delle facce del prisma essendo pianeggiante e le altre due alquanto convesse; la cresta che divide due di queste facce contigue è assai risentita, massime alla parte superiore. Nel perone umano normale il perimetro della sezione misura in questo punto circa 48 mm. ; nel fossile non ha che 39 mm. Calcolando le superficie delle due sezioni, si trova che stanno nel pezzo normale e nel fossile presso a poco come 2 . 1. Le ossa ora descritte presentano la tinta bruna e la lucentezza grassa proprie a tutti gli avanzi di vertebrati che si trovano nei giacimenti pliocenici di Albenga, di Savona e di Genova; sono fragili, leggere, inquinate di una argilla grigio azzurrognola, la quale occupa gran parte delle loro cavità interne, allappano alla lingua. Le corone dei denti sono di colore più chiaro, con macchie brune; le radici hanno lo stesso aspetto delle ossa. Siccome, secondo ogni verosimiglianza, i pezzi di mandibola, i denti e il perone appartengono ad un solo individuo, è logico supporre che fosse provvisto di un apparato mandibolare e masticatorio analogo a quello che si trova comunemente in un uomo adulto e di ossa lunghe straordinariamente più sottili e brevi. Orbene, io munsi alle medesime conclusioni in ordine 7 o all’individuo cui si riferiscono i frammenti di Savona. Per siffatta sproporzione, fra i residui mascellari e dei denti da un lato e delle ossa lunghe dall’altro, rimangono confortati i miei dubbi circa la pertinenza degli avanzi scheletrici di Savona e di Pietra Ligure al genere Homo ; d’altra parte, non possiedo elementi sufficienti per attribuire questi avanzi ad uno dei tipi conosciuti della serie zoologica. Anche per ciò, mi sono appigliato al partito di desio-nare tali fossili come resti di antropoidi, vocabolo '/ — 146 — che accenna all’affinità loro coi pezzi omologhi dello scheletro umano e non pregiudica nulla circa la loro definitiva determinazione. II. — GIACIMENTI QUATERNARI Delle caverne ossifere in generale. Siccome i depositi quaternari da esaminarsi in ordine alla preistoria ligustica sono precipuamente contenuti nelle caverne ossifere, credo opportuno premettere alcune considerazioni generali intorno a queste, prima di passare alla descrizione dei giacimenti singoli. In molti paesi montuosi, massime ove il terreno è calcare, abbondano ca\dtà naturali più o meno estese, dovute a svariati fenomeni geologici. L’azione chimica e meccanica prodotta da correnti acquee circolanti nelle fenditure delle rocce, gli spostamenti di strati per effetto delle forze orogeniche, il lento lavorìo delle onde marine lungo i litorali, od anche, successivamente, parecchie di queste cause, prescindendo da altre che si verificarono per eccezione, diedero origine a siffatte cavità che noi denominiamo indifferentemente grotte o caverne. Nella regione Ligure, e specialmente lungo la Riviera di Ponente, se ne trovano molte, massime entro calcari dolomitici mediotriassici, nei giurassici e nei miocenici. Nella pluralità dei casi, la formazione loro avvenne in tempi che dal punto di vista geologico possono dirsi recenti, cioè non prima del periodo pliocenico. Si danno caverne così estese, che l’esploratore ne segue per miglia e miglia i tenebrosi recessi senza trovarne il fondo, caverne che presentano in piccole proporzioni pae- — 147 — saggi sotterranei, ai quali non mancano monti, valli, fiumi, laghi, e in cui vivono talvolta animali e piante peculiari, dannati a perenne oscurità. Nulla di più meraviglioso di certi vasti sotterranei, ornati dalle acque filtranti di bizzarre concrezioni alabastrine, che qua simulano maestosi colonnati, là guglie e pinacoli, e rivestono pareti e volte di drappi lapidei candidissimi, variamente frastagliati o frangiali, talora scintillanti per nitide cristallizzazioni ! Rispetto alla nomenclatura, caverna o spelonca significa in genere cavità sotterranea, grotta caverna alquanto sviluppata in lunghezza, che può essere costituita di cavità diverse più o meno ampie ed anche anguste e tortuose; per antro s’ intende una nicchia relativamente ampia, ma poco addentrata nella roccia; ridotto ai minimi termini, si converte in un 'anfrattuosita od anfratto; baratro significa vacuo assai esteso dall’ alto al basso del quale, stando al di fuori, non può vedersi il fondo, e limitato da pareti verticali o quasi; voragine è un baratro nell’interno del quale scorre acqua ; tana è piccola cavità, che serve o può servire di rifugio alle fiere ; galleria dicesi cavità artificiale, assai sviluppata in lunghezza, accessibile all’uomo e che d’ordinario traversa da parte a parte, orizzontalmente, una massa rocciosa, e, per similitudine, anche un sotterraneo naturale, il quale ricordi per le sue proporzioni una galleria propriamente detta; se la sua lunghezza non supera l’altezza si dice finestra, se relativamente angusta, foro. Per doline si intendono cavità per lo più imbutiformi, naturalmente scavate nei calcari dalle acque superficiali, principalmente per soluzione; sogliono comunicare con vacui o condotti sotterranei, mediante i quali sono bene spesso suscettibili di assorbire le acque esterne, e in altri casi invece di recare alla superficie quelle del sottosuolo. Le così dette sprugole dei pressi della Spezia sono poco diverse dalle doline tipiche. — 148 — Garbo, voce dell’idioma ligure, equivale ad anfratto o ad antro (accrescitivo garbasso). Buranco, nel dialetto della Riviera di Ponente, significa propriamente burrone o vallone, ma si adopera anche per forra, anfratto, antro. Arma, barma, balma sono vocaboli di uso comune in tutta la Liguria per designare rifugio rupestre (Vabris-sous-roche dei Francesi), antro, grotta, caverna; nella Provenza, nel Delfinato, in Piemonte, fra le Alpi occidentali in genere, si converte in balme o beaume ( 1). Armassa è accrescitivo di arma. Zutta o slitta (in genovese), alla lettera sentina o fondaccio, si adopera anche nel senso di depressione o cavità del suolo. Beugio, pertuso, voci dialettali che equivalgono a foro e pertugio, si impiegano anche nel significato di anfratti e grotticelle. Il fondo delle cavità sotterranee formate dagli agenti naturali è generalmente occupato da depositi terrosi, più o meno regolari, di colore bruno o rossastro (residuo dell azione dissolvente esercitata dalle acque sulla roccia entro la quale si apre la spelonca), i quali contengono bene spesso ossa e denti di mammiferi, misti ad avanzi d antica industria, ceneri e carboni di antichi focolari, e sono spesso coperti e difesi da letti di concrezione stalagmi-tica più o meno potenti. La stessa concrezione costituisce talvolta un cemento che connette gli oggetti di cui si tratta, insieme a detriti diversi. Sia per l’opera protettrice delle concrezioni calcaree, sia perchè la pioggia e gli altri agenti atmosferici esercitano la loro influenza molto meno entro le caverne che all’esterno, è chiaro che i fossili vi si trovano in condizioni favorevolissime per essere conservati. Ciò spiega in parte la loro straordinaria abbondanza, la quale dipende eziandio dai modi con cui essi furono introdotti in quei giacimenti. ( i ) In provenzale baoumo; in basco borma. — 149 — Osservazioni ingegnose di Claussen tendono a dimostrare come le caverne possano tpVolta fornire al geologo un prezioso cronometro per determinare l’età assoluta di certi fossili. Egli verificò che in alcune grotte del Brasile il suolo si accresce, nel corso dell’ anno, di due sottili straterelli, l’uno estivo stalagmitico, l’altro invernale limaccioso. Siffatta alternanza offre il mezzo di conoscere la data di ciascun strato. Da ciò potè quindi argomentare che i resti di Megatherium, di Glyptodon e d’altri vertebrati estinti, sepolti nel deposito stalagmitico di quelle cavità risalgono a più migliaia d’anni, e che da allora in poi le condizioni meteorologiche del paese, almeno in ordine alle pioggie, non sono sensibilmente cang-iate. Secondo i dati più sicuri forniti dalle recenti indagini, Γ introduzione delle ossa e degli altri fossili che si trovano nelle grotte può essere avvenuta in quattro modi principali : 1.° Per mano dell’uomo, ogniqualvolta stabilì la sua dimora o cercò rifugio temporario in quelle cavità; 2.° Parimente per opera dell’uomo, allorché scelse una caverna per deporvi i suoi morti ; 3.0 Per opera delle fiere, ove queste vi trascinarono le loro prede per divorarle, o vennero a rifugiarvisi per aspettarvi la morte ; come pure per fatto di carnivori ed insettivori, e specialmente di uccelli rapaci, che allevarono la loro prole nei cavi delle rupi ; 4.0 Per opera di correnti acquee, per lo più temporarie. Di queste quattro maniere d’introduzione si hanno esempi nella regione Ligure e non mancano casi in cui due o tre di esse si verificarono simultaneamente o successivamente nella medesima caverna. Le grotte che servirono d’abitazione sono generalmente vaste, ariose, asciutte, ben illuminate, e si trovano in riva ad un corso d’acqua o presso qualche sorgente; le loro aperture sono ampie naturalmente o furono ingrandite ad arte ; non è raro il caso che le loro pareti e le rocce sporgenti dal suolo terroso che ne occupa il fondo, presentino in qualche punto una particolare levigatezza, dovuta ad attriti lungamente ripetuti. Bene spesso le stesse cavita furono adibite al seppellimento dei morti, mentre erano abitate od anche durante periodi di abbandono. Quelle che furono destinate esclusivamente ad uso di tomba, oltre all’essere quasi sempre più piccole e di meno facile accesso, non offrono in generale i requisiti di salubnta propri alle prime. Originariamente, in alcuni casi, le aperture loro furono chiuse per mezzo di lapidi o di sassi. Le tane che servirono agli orsi, per lo più molto estese, presentano cunicoli angusti e tenebrosi ; in quelli di Caudano Trona, presso Frabosa Soprana (Alpi Marittime), gli artigli di tali fiere lasciarono sulle rupi graffii evidenti. I rifugi sotterranei delle iene, ricettano spesso in copia feccie fossili di questi carnivori. Finalmente le cavità, i cui fossili furono trasportati dalle acque, consistono generalmente in fessure più o meno profonde, che mettono all’esterno mediante aperture collocate in alto, in guisa da raccogliere in gran copia le acque piovane ed alluviali, dopo che queste dilavarono un tratto più o meno esteso di terreno. Ricettano spesso ciottoli e ghiaie. Ben s’intende, che tali indicazioni non hanno un valore assoluto e possono, in certi casi speciali, non corrispondere alla realtà dei fatti. Gli inquilini delle grotte adoperate ad uso di ricovero o d’abitazione, i quali nei tempi più remoti avevano raggiunto solo uno stato sociale rudimentale, analogo e forse inferiore a quello di cui porgono esempio i selvaggi odierni, e più tardi passarono pei diversi stadi della barbarie, lasciavano accumularsi nell’interno delle loro dimore residui ed immondizie d’ogni maniera, come utensili domestici ed arnesi fuori d’uso, materiali per la fabbricazione di svariate — ΐ5ΐ — armi e suppellettili, e soprattutto avanzi di pasti. I massi e i detriti caduti dalla vòlta, massime durante i terremoti, i pulviscoli atmosferici, le alluvioni dei fiumi e dei torrenti, le acque di dilavamento, la precipitazione del calcare disciolto nelle acque filtranti ed altre cause meno attive, % coll'andar dei tempi, dovevano necessariamente coprire quegli avanzi di strati terrosi o litoidei più o meno spessi. Simili sedimenti si formavano infatti quasi costantemente, e dai manufatti che ricettano o ricoprono, il paletnologo trae legittime induzioni sui costumi, sugli usi, sulle condizioni sociali degli antichi cavernicoli, mentre il geologo argomenta l’età relativa di ciascun deposito dalle specie di fossili che vi sono rappresentate, dal numero e dalla potenza delle stratificazioni. In molti casi, gli scheletri dell uomo stesso, compresi fra siffatti fossili, valgono ad illuminarci in ordine ai caratteri somatici e alle affinità antropologiche degli antichi abitanti. Il complesso di tali miseri avanzi logorati dal tempo dice più e meglio, bene spesso, di lunghe epigrafi. L uomo primitivo, debole ed ignudo, vivendo tra stenti e pericoli incessanti, ignaro ancora d’ogni artificio industriale, eccettuato quello di scheggiare la selce per trarne utensili taglienti, non sapeva nè poteva trovar ricovero migliore delle cavità naturali, offerte dai monti e dai colli, ed infatti occupò indubbiamente tutte quelle che non mancavano dei più necessari requisiti di sicurezza e di salubrità. Ma nei poveri cavernicoli già si svolgeva il germe di quella mirabile evoluzione di cui ignoriamo il principio e la fine, di quel progresso, in virtù del quale doveva affermarsi ed ingigantire la loro supremazia così sugli oggetti inanimati come su quanto vive e respira. Più tardi, cresciuti in numero, progrediti fisicamente e moralmente, essi impararono l’arte di fabbricarsi armi e suppellettili più perfetti, e di erigersi capanne, prima rozze ed anguste, poi ampie e comode; e così le caverne non servirono più che d’asilo temporario, nella stagione più rigida o in speciali contingenze di guerra o di caccia, finché, grado grado, furono abbandonate. Tuttavolta, ove mancavano i materiali necessari alla costruzione di capanne, ove l’uso di queste non era in armonia colle condizioni del clima, presso le tribù che vivevano isolate, o che, per effetto di particolari condizioni fisiche o psicologiche, si mostravano aliene dal progresso, gli antichi costumi si conservarono più a lungo. Ciò spiega come la tradizione dei cavernicoli sia giunta fino a noi, sotto una veste più o meno fantastica, e come persino in alcuni paesi civili non manchino grotte tuttora abitate o solo disertate da pochi anni, così a Granata in Spagna, in Sicilia, in Francia. Desumo da una monografia pubblicata dal Prof. Revelli (i) che il censimento del 1901 noverava nel comune di Modica, in Sicilia, ben 938 abitazioni sotterranee, delle quali 742 erano allora occupate. Per la maggior parte queste si aprono nella così detta cava d’fspica e le altre nella stessa città. Nel dipartimento dell’Aisne in Francia, gli abitanti delle borgate di Paissy, Pargnan, Comin, Neuville ed altre, presso Craonne, dimorano in gran parte, da tempo immemorabile, in certe spelonche artificiali, colà denominate creute. Ove queste furono abbandonate, si fabbricarono vicino ad esse case e villaggi. Le caverne do Martin (o do Prinsipà), del Ponzone, di Sant’ Eusebio ed altre ancora, che si aprono sulle rive del Rio della Valle, affluente dell’Aquila, presso le case di Montesordo, furono certamente adibite ad uso d'abitazione, alcuni secoli addietro, come si inferisce dal muro accuratamente costruito, provvisto di porta, col quale fu „ chiusa l’apertura di ciascuna. (1) Modica, descrizione fisico-antropica. Palermo, R. Sandron, 1904. - 153 — Nel vallone che ha nome Canale delle Ruggette e sbocca nella Alalie Pia (a destra), si trovano due gruppi di casette trogloditiche, abbandonate di fresco, parzialmente circo-scritte di mura a secco, nelle quali non mancano porte e finestre. In altro vallone, che mette nel primo, si vedono residui consimili, e così pure poco lunge nel piccolo circo naturale di Camporiondo. Ruderi di costruzioni medioevali, atti ad accogliere parecchie famiglie, si osservano nel Garbasso, antro assai vasto, che si apre nel Capo di Noli a più diecine di metri d altezza sul mare, in tal posizione da offrire un rifugio inespugnabile, cui non si poteva accedere che da angusto orifizio. Nella frazione d’Arma, presso le Manie, nel Finalese, un ampia grotta che serviva in passato d’abitazione, accoglie ora un frantoio di olive e in parte è convertita in ovile ; ad altre furono addossate casupole o capanne colle quali comunicano internamente, e però adempiono ancora in parte all’antico ufficio. Chi sono mai i ciclopi della mitologia ellenica, se non gli ultimi cavernicoli della Grecia? Gli antichi poemi son pieni di racconti in cui si parla di uomini dotati di facoltà sovrannaturali che vivevano nei cavi delle rupi. Erano questi cavernicoli, che ad altra gente più civile, venuta probabilmente da paesi lontani, ispiravano un terrore superstizioso. Vuole ^una saga che presso la dimora di Odino abitassero alcuni uomini abili ed esperti in ogni specie di lavori, i quali si chiamavano dvergar (nani) e dimoravano nelle cavità dei monti. Eigil, secondo un’ altra saga, ebbe una mano mozzata combattendo, ed incontratosi di poi, nella foresta, col figliuolo di un nano, che veniva ad attingere acqua al vicino rivo, pose un anello d’oro nel vaso che costui portava. Il padre del fanciullo, grato per così Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL. 11 1 — 154 — prezioso dono, venne ad Eigil, lo condusse nella propria caverna e medicò la sua ferita (r). È ancora viva nella Svezia meridionale la tradizione di misteriosi fumi che scaturiscono da focolari sotterranei, di voci umane e vag-iti che sembrano uscire dalle fessure o delle rocce, coi quali si manifestavano ai viandanti i bergfolk, abitatori delle spelonche, reminiscenza superstiziosa dei cavernicoli preistorici. Presso i popoli selvaggi è diffusa la credenza che nella morte si continuino i piaceri, i dolori e le necessità della vita, che gli estinti abbiano d’uopo come i viventi di cibi, d’armi, di suppellettili, di vesti, d’ornamenti. Così avvenne anche per lo passato, e non v’ ha dubbio che i cavernicoli si ispirassero bene spesso a questa fede. Non fa dunque meraviglia che essi collocassero i loro morti in una grotta come in una dimora simile a quelle occupate dai viventi. E pur naturale che per sottrarre i cadaveri alla voracità delle fiere, li coprissero di sassi o li seppellissero, e chiudessero talvolta per mezzo di massi o di lastroni di pietra l'apertura o le aperture del sotterraneo. Disertate le grotte, la consuetudine, il rispetto per le tradizioni, le credenze religiose esigevano che fosse mantenuto l’antico rito funebre, e così fu per lunghissimo tempo. Apparisce manifesto dalla Bibbia che era vigente presso gli Ebrei, ai tempi di Abramo, il costume di inumare i morti nelle caverne.In fatti, secondo la Genesi, il patriarca chiede ad Hephron, figlio di Tsohar, la sua caverna di Macpela per seppellirvi la salma di Sara, ed è esaudito. Risulta anche da altri documenti come fosse generale in Palestina l’uso di porre i morti in grotte naturali o artificiali. (i) Saga di Eigil, citata da Nilsson nell’opera « Les habitants prwtitip de la Scandinavie, i.* par'tie ». Paris, 1868. — 155 — Più tardi, ingentilitisi i costumi, l’antico rito si modificò per modo che scomparve la traccia delle sue origini. Ne derivò secondo ogni verosimiglianza Γ inumazione entro pozzi funebri, nelle catacombe, negli ipogei, nei mausolei ecc. Lo stesso principio, durante la fase siderolitica, suggerì il costume di porre le ceneri dei defunti in vasi fittili che ripetono in piccole proporzioni le fogge delle case o delle capanne dei luoghi in cui si praticava il rito funebre; così a Tarquinia, a Roma, ad Albalonga, a Velletri, nel-1 isola di Creta ecc. Il medesimo costume fu messo in opera durante la fase del bronzo nella Germania settentrionale. Investigatori delle caverne. Fin da quando nacque la scienza della terra, le caverne fissarono l’attenzione degli studiosi; ma da principio questi si diedero principalmente ad investigarne l’origine ; a sviscerare il fenomeno in virtù del quale si producono le stalattiti e le stalagmiti; e, se qualcuno pose mente ai fossili diseppelliti nelle grotte, si fu solo per incidenza, non ravvisando in simili oggetti l’alto interesse che al presente loro si attribuisce. Prescindendo dai naturalisti dell’antichità e risalendo soltanto alla fine del secolo scorso, possono citarsi fra gli investigatori delle grotte : de Saussure che visitò e descrisse accuratamente quelle del Monte Salève sul Lemano, Tour-nefort che illustrò la grotta di Antiparo nell’Arcipelago greco, Esper e Rosenmiiller che trattarono di quelle di Miiggendorf, Piccoli che pubblicò nel 1739 un « Ragguaglio duna grotta ove sono molte ossa di belve diluviane nei vionti veronesi'» , Cimarelli che ravvisò nelle petrificazioni della spelonca di Costoza (Vicentino) avanzi di pasti dei Lestrigoni. Vari autori si occuparono al principio del secolo XIX, delle grotte di Baumann presso Goslar, nel ducato di Brunswich, 0 / — 156 — di Gaylenreuth in Franconia, di Gibilterra in Spagna, nelle quali si scoprirono ossa di mammiferi. Patrain credeva che le prime due fossero prodotte dall’azione delle onde mai ine sulle rocce, allorché le acque dell’oceano salivano più in alto che non oggidì; e spiegava la presenza dei fossili col supposto che in esse trovassero rifugio vitelli marini ed altri anfibi, e vi portassero le loro prede per divorai le. Delue e di poi Blumenbach inferirono più ragionevolmente dalla scoperta di ossa fossili in alcune caverne della Germania che queste avessero servito di abitazione a grossi quadrupedi terrestri, i quali bene spesso vi erano morti di vecchiaia (i). Meritano poi onorevole menzione gli studi di Maicel de Serres sulle grotte di Lunel-Vieil, Sallèles-Cabardes, Mialet e Argon, di De Christol sulle grotte del Gard, di /Tournal su quelle di Bize, di Anca sulle caverne siciliane. Cuvier, cui si compete il vanto d aver rinnovato la geologia e quasi fondato l’anatomia comparata, diede descrizioni in gran numero di vertebrati fossili, estratti dalle grotte e dalle fenditure delle rocce. La caverna di Mardolce in Sicilia, quella del Capo Palinuro nell’ Italia meridionale, le brecce ossifere di Cette, di Antibo, di Nizza, di Uliveto (presso Pisa), della Corsica, della Sardegna, di Gibilterra, dell’isola di CerigO e molte altre offrirono copiosi mate-riali alle sue investigazioni ; ma egli si era proposto un compito sì vasto, era assorto in sì gravi e molteplici indagini, che forse gli sfuggì, almeno sotto certi aspetti, l’importanza dei fatti che andava ponendo in luce. Il contrasto fra Γ apparente disordine che regna in generale nei depositi delle caverne e la regolare sovrapposizione degli strati fossiliferi che si estendono all’ aperto (a cagion d’esempio nelle formazioni cretacea e terziaria del bacino (i) Breislak, Introduzioyie alla Geologia, voi. II, pag. 129. Milano, 1811. - 157 — di Parigi, i cui sedimenti si succedono in serie verticale, come le pagine d’un libro) spiega come tenesse i primi in poco conto. Egli poi ammetteva che le ossa sepolte nelle cavità sotterranee vi fossero state in ogni caso introdotte per opera delle acque, come ciò di fatti molte volte si verifica, e supponeva che i fossili pertinenti a varie epoche vi si trovassero sempre confusamente accumulati. Durante la lunga ed operosa vita di Cuvier, più d’una volta si segnalarono reliquie umane impigliate nelle brecce ossifere delle grotte, accanto alle ossa di grandi mammiferi di specie estinte. Ma tali scoperte, che dovevano più tardi commuovere i paleontologi, lasciarono indifferente il sommo naturalista; o piuttosto, troppo ligio ai principi da lui medesimo proclamati, egli non prestava fede ai fatti che sembravano contraddirvi ; e se questi fatti erano palesi e indiscutibili, allora ne interpretava il significato con speciose ragioni, in guisa da ricondurli alla regola. Così, egli spiegava l’associazione di ossa umane e di avanzi di quadrupedi estinti nella stessa breccia, nella stessa caverna, dicendo che ivi era accaduto un accidentale rimescolamento di residui diversi per età e provenienza. Ad onta dei validi argomenti che già cominciavano a prodursi in contrario, nella seconda edizione della sua grande opera sui vertebrati fossili, Cuvier enunciava la massima, che la comparsa dell’ uomo avvenne posteriormente alla estinzione dei grandi mammiferi fossili di cui si rinvengono le ossa nelle caverne. L’uomo, asseriva, non lasciò traccia di sè che nei depositi superiori al così detto diluvium, cioè sotto quell’esteso terreno di trasporto, attribuito all’azione di acque diluviali, il quale copre in « * ogni paese le grandi pianure, empie quasi tutte le cavità ed anfrattuosità del terreno ed ostruisce le fenditure delle rocce. Non è che nei terreni formati dopo quest’ epoca, (l’epoca diluviale), soggiungeva, nelle alluvioni, nelle tor- ΐδδ — biere, nelle concrezioni recenti, che trovansi allo stato fossile, ossa appartenenti ad animali conosciuti oggidì per viventi. « On a fait grand bruit, il y a quelques mois, , scriveva egli nel suo Discours sur /es révolutions du globe, de certains fragments humains trouvés dans les cavernes à ossements de nos provinces meridionales, mais il suffit qu’il aient été trouvés dans les cavernes pour qu’ils rentrent dans la règie ». Intanto, come narra Buckland, l’autore delle Reliquia diluviana, nella grotta di Paviland (Glamorganshire), si disotterrava uno scheletro umano che giaceva accanto ad ossa di iena, d'orso, di rinoceronte, d’elefante di specie scomparse, ed insieme a tracce d’antichissima industria umana, consistenti in punteruoli d’osso ed altri primitivi manufatti. Intanto, Schmerling iniziava, nelle caverne ossifere del territorio di Liegi, le sue memorabili ricerche, proseguite poi per lunga serie d’anni. Egli adunò, così, cospicui materiali di studio, che furono illustrati con incomparabile accuratezza in due grossi volumi corredati di 74 tavole, rappresentanti fossili e viste di grotte. In quest’opera sono descritte non meno di 66 specie o varietà, di cui parecchie nuove, e si trovano precisi e circostanziati ragguagli sulla giacitura e sull’abbondanza relativa di ciascuna. Nelle caverne di Engis e di Engihoul, egli trovò, insieme ad altri fossili, e in condizioni iden- O ' tiche, resti umani e selci lavorate dall’uomo. Circa i primi dimostrò, con stringenti prove, che risalgono alla medesima età delle ossa di quadrupedi estinti cui erano associati, e delle seconde conobbe il vero significato, come emerge dai paragrafi seguenti : « La forme de ces silex est tellement régulière, qu il est impossible de les confondre avec ceux que l’on ren-contre, dans la craie et dans le terrain tertiaire. I oute réflection faite, il faut admettre que ces silex ont été — 159 — taillés par la main de l’homme et qu’ils ont pu servir pour faire des flèches et des couteaux. « Les exemplaires dus à Γ industrie humaine dont je viens de donner le dessin et la description n’ auraient pas exigé un chapitre particulier si le gite de ces os et de ces silex avait laissé matière à quelque doute, c’est-à-dire, si un accident quelconque avait pu amener ces pièces dans les cavernes après leur remplissage. Comme j ose garantir qu’aucune de ces pièces n’a été introduite après coup, j’attache un grand prix à leur présence dans les cavernes. « Le temps seul, au reste, décidera jusqu’à quel point nous avons eu raison de nous exprimer d’une manière aussi catégorique » (i). Tuttavolta, l’opera sagace e paziente di Schmerling non riuscì per anni ed anni a smuovere le dottrine predominanti nelle scuole d’allora e giacque obliata e negletta, finché una nuova generazione di studiosi non venne a rendere tarda giustizia al suo autore, abbattendo gli antichi errori contro i quali egli aveva inutilmente lottato. I campioni più illustri di questa rivendicazione sono : Lartet, Lyell, Lubbock, Christy, G. De Mortillet, Dupont, dalle cui opere emergono nuove ed importantissime nozioni sui primordi delle società umane, sull’ antropologia preistorica, sulla fauna quaternaria e le sue modificazioni nella serie dei tempi e nelle varie regioni. Per la prima volta fu scientificamente esplorata una caverna della Liguria, quella di Cassana, da Paolo Savi, il quale vi scoprì copiosi ossami dì Ursus spelceiis (2). (1) Recherches sur les ossements fossiles découverts dans lis cavernes de la province de Liège, voi. II, pag. 179. Liège, 1834. (2) Savi P., Sopra una caverna ossifera stata scoperta in Italia. Nuovo giornale dei Letterati italiani, voi. XI. Pisa, 1825. o — 16o — Più tardi Lorenzo Pareto e di poi Giovanni Capellini vi praticarono ulteriori indagini (i). Risalgono al 1865 le prime osservazioni pubblicate da Bartolomeo Gastaldi intorno alla grandiosa caverna di Bossea nella quale furono pur rinvenuti avanzi d’orso (2). Poco dopo comparve la monografia della grotta di V erezzi di Giovanni Ramorino, della quale dovrò occuparmi più innanzi. Mi propongo di riassumere, nei paragrafi seguenti, le osservazioni e notizie da me raccolte intorno alle caverne ossifere, quaternarie, della Liguria, che ricettano avanzi o vestigia dell’uomo, riserbandomi di accennare in seguito a quelle nelle quali non furono rinvenuti che resti d animali. Faccio conto di procedere, nella mia rassegna, da levante a ponente e subordinatamente da sud a nord. Caverna dei Colombi. Nell' Isola di Palmaria (Golfo della Spezia) s apre a circa 30 metri sul livello del mare, in una ripa violentemente sbattuta dal mare e tagliata a picco, una grotta di accesso difficile e pericoloso, nella quale prima Capellini, poi Regalia e Carazzi, ebbero a fare esplorazioni assai profittevoli per la scienza. Essa è scavata in un calcare .argilloso infraliassico, e consta: i.° di un vestibolo ellittico, illuminato da ampia apertura; 2° di una angusta galleria discendente; 3.0 di una cavità maggiore affatto buia, si- (i ) Capellini G., Nuove ricerche paleontologiche nella caverna ossifera di Cassana ( Provincia di Levante'), lettera al Prof. M. Lessona. La Liguria medica, anno IV. Genova, 1859. (2) Gastaldi B., Visita alla caverna ossifera delta di Bossea nella valle della Corsaglia (Mondovì). Boll, del Club Alpino ital., n. 1. Torino, 1865. Presentazione alla R. Accademia delle Scienze di Torino di resti fossili di Ursus spelaus trovati nella caverna di Bossea. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, serie 2.“, voi. XXIV, 1866. — 161 — tuata a quasi 40 metri dall’ esterno. Senza entrare in più minuti particolari descrittivi, noterò che gli oggetti raccolti dal primo dei naturalisti precitati sono principalmente: coltellini e raschiatoi di piromaca e diaspro, schegge delle stesse roccie, due percuotitoi o lisciatoi, uno dei quali di saussurite, un coccio di stoviglia di terra cotta destituito d’ornamenti, una punta dosso, una falange di capra perforata presso l’articolazione (forse per servire di fischietto), varie conchiglie artificialmente forate, poi un gran numero d’ossa d’animali infrante, alcune cotte altre no, commiste ad ossa umane (1). Dall’esame di tali reliquie, il Prof. Capellini crede di poter ammettere che gli abitanti della grotta praticassero il cannibalismo; ipotesi nella quale non conviene Regalia. Questi segnalò la presenza nella grotta di ossa o denti appartenenti a 27 specie di mammiferi, tra le quali: cervo, capriolo, cinghiale, stambecco, lince ed Arvicola nivalis (2). , Raccolse inoltre quattro crani, quattro mandibole e molte altre ossa riferibili all’uomo, nonché buon numero di manufatti ; cioè coltelli e raschiatoi litici di varie foggie, una perla di calcare cristallino, ben levigata, alcuni pezzetti di stoviglie non tornite, conchiglie lavorate ed un metatar-siano di cinghiale, in cui, a quanto pare, fu praticato dall’uomo un foro, allargato poi per opera dei roditori. Al Regalia, si deve pure uno studio accuratissimo del modo di formazione e dell’ età dei depositi antropozoici della grotta (3). (1) Capellini G.. Grotta dei Colombi à Pile Palmaria, Gol/e de la Spezia, station de cannibales, à l'époque de la Madeleine. Bologne, 1873. (2) Specie montana che scende sul nostro Appennino al livello di 1150 metri e raggiunge tra le Alpi altitudine superiore ai 4000 metri. (3) Si vedano in proposito le memorie intitolate : Sui depositi antropozoici della Caverna dell'isola di Palmaria. Firenze, 1876. - Sopra un osso forato della Caverna di Palmaria. Senza data. - I 62 — Posteriormente, il Prof. D. Carazzi praticò egli pure (nel 1887) alcuni scavi nella grotta dei Colombi (1), ed ebbero per risultato il ritrovamento di avanzi organici e di manufatti in buon dato. Non mancano, fra i primi, ossa umane, quali d’ adulti e quali di bambini, rinvenute quasi tutte nella sala interna e solo in piccola parte nel corridoio. Tra i resti di mammiferi, meritano di essere citati quelli di stambecco, di camoscio, di tasso, di martora. Alcune ossa d’uccello spettano a corvidi, colombi e ad altri. Si raccolsero pure alcune conchiglie marine e terrestri, tutte comuni. I manufatti litici sono in numero di 60, in gran parte schegge informi e vi si notano alcuni coltellini di diaspro, lavorati con cura, ed una cuspide di freccia o di lancia della stessa roccia. Gli oggetti d osso sono due punteruoli ed una specie di spatola; oltre a ciò, si danno parecchi pezzi d osso, per lo più di cervo, che portano segni di lavorazione e un dente (forse un premolare di cavallo) attraversato da un foro artificiale. In seguito ad uno studio ulteriore del materiale raccolto, il Prof. Regalia dimostrò che esso comprende anche un ulna destra di Gulo borealis ed una sinistra di Nyctea· nivea. Il primo è indizio di clima asciale e dimostra incon- ò . testabilmente, scrive 1’ autore precitato, per analogia con gli altri giacimenti d’Europa, nei quali è stato incontrato, 1 età quaternaria del deposito. La Nyctea nivea è uccello artico, e subartico soltanto nelle sue migrazioni. Esso non dimora che in terreni scoperti, vale a dire nelle steppe e tundre, ed attesta la estensione di terreni coperti di piante erbacee nella regione in cui visse. Siccome questa strige, osserva Regalia, ha qualche nemico fra i rapaci diurni, (1) Vedasi la relazione di tali scavi negli «Annali del Museo Civico di Genova», serie 2/, voi. IX. Genova, 1890. — 163 — ma non ne ha fra i suoi simili, ed anche oggidì (se un dubbio si potesse avere sulla sua commestibilità) è stimata pietanza squisita dagli uomini della sua patria americana, gli Esquimesi, così non altri che un selvaggio della Palmaria potè introdurla nella caverna (1). Colle sue recenti ed accuratissime ricerche Regalia accrebbe a tal segno il catalogo delle specie di animali che lasciarono qualche loro spoglia nella caverna, da portarne il numero a 140, fra le quali 60 di mammiferi e 20 di uccelli (2). Notevoli le forme di carattere meridionale che sembrano quaternarie: Cervus capreolus, var. major, Antilope Saglionei (Regalia), Vulpes meridionalis (Woldrich), Canis aureus o sciacallo, Felis magna (Bourguignat). È però da osservarsi come sia ancora dubbio il valore dell’ Antilope Saglionei (/ondata sull’esame di un solo dente) e della Felis magna, e come non sia sicura la determinazione dello sciacallo. Sono specie caratteristiche della fauna glaciale : Capella rupicapra, Fcetorius erjnineus, Lepus variabilis, Arvicola nivalis, Arctomys mar mota, var. primigenia. È incerto il significato del Fcetorius minutus (Woldrich). Siccome la spelonca non è occupata da deposito regolarmente stratificato e, a quanto pare, non rimase immune da antichi rimaneggiamenti, non è agevole accertare l’epoca alla quale risalgono gli oggetti raccolti. In base ai manufatti litici o almeno alla maggior parte di essi, sembra legittimo il riferimento di Capellini, il quale attribuisce il riempimento della grotta agli ultimi tempi della fase soprapaleolitica. Con questo supposto concordano i risultati delle ultime investigazioni paleontologiche di Regalia. (1) Sulla fauna della Grotta dei Colombi ecc. Archivio per l’Antropol. e l’Etnol., voi. XXVI, fase. 2°. Firenze, 1896. (2) Regalia E., Sulla fauna della grotta dei Colombi (Is. Palmaria, Spezia). Archivio per l’Antrop. e l’Etnol., voi. XXIII, fase. 3.0. Firenze, 1893. — 1Ó4 — D’altra parte, i fìttili, quantunque scarsi, la sferetta di calcare, certi ossami di vertebrati (che hanno caratteri di singoiar freschezza) accennano al neolitico (i). Caverna delle Fate. Considerazioni generali. — 11 F malese è in gran parte costituito da un altipiano di calcare grossolano cavernoso, spesso arenaceo od anche brecciato, riferibile al miocene medio (piano elveziano), il quale offre generalmente stratificazioni poco inclinate sull’orizzonte che giacciono in discordanza sopra calcari dolomitici mediotriassici o pure sopra scisti cristallini in fratriassici, affetti da pieghe assai risentite, dalle volte abrase, e quindi bene spesso raddrizzati. Questo altipiano, che si solleva in media a circa 250 m. sul livello del mare e solo in alcuni punti raggiunge le quote di 350 e 400 m., è solcato dalle valli relativamente ampie e profonde del Porrà, dell’Aquila e del Pia, e da numerosi valloni e burroni in cui scorrono i rivi che recano i propri tributi temporari a questi corsi d’acqua. Ne consegue che il rilievo è diviso e suddiviso in lembi disgiunti, alcuni dei quali, come la Rocca di Perti, il Bricco del Corno (2), il Bricco Spaventagge (3), assumono il tipico aspetto dell 'amba etiopica e in tesi generale possono dirsi tabulari. Le valli principali acquistarono notevole larghezza e profondità perchè formate quasi esclusivamente entro rocce (1) Secondo due analisi chimiche del Sig. G. Bianchi, riportate dal Prof. Carazzi, le ossa di cervo contengono in media per 100 parti: 18.57 d’acqua, 5,42 di materia organica e 76,01 di materia minerale (2) Non Bricco del Corvo, come è scritto nelle carte dell’istituto geografico militare. (3) Non Bricco Spaventaj, come nelle carte ufficiali. Spaventagge significa in vernacolo spauracchi. Pia e dell’Aquila non sboccano a livello del fondo loro, ma ad una certa altezza superiormente, per modo che le (i) A rigor di termine il calcare dolomitico cavernoso che costituisce parte dei monti del Finalese è penetrabile alle acque, ma non propriamente permeabile. impermeabili (i), mentre le secondarie, che furono invece scavate nel calcare miocenico permeabilissimo, rimasero quasi tutte strette ed anguste, per la poca intensità raggiunta dalla erosione torrenziale. Subordinatamente al medesimo fatto, i valloni e burroni che mettono nella valle del \ — 166 — acque pervengono all’alveo principale dopo una serie di salti o cadute (fig. 56). Per le accennate circostanze, l’altipiano è generalmente roccioso, arido e poco ferace. Esso presenta tuttavolta depressioni carsiche, nelle quali le acque meteoriche si evadono meno facilmente, depressioni occupate da detriti e da terra vegetale atti alla coltura. 1 dossi tabulari, bene spesso difficilmente accessibili, 1 burroni, d’ordinario dissimulati da folta vegetazione, le caverne, che si aprono ad ogni pie’ sospinto ed offrono agevole nascondiglio, rendono il territorio Finalese un campo assai propizio alla difesa per gli abitanti che intendessero opporsi ad una invasione straniera, perciò esso fornì valido rifugio e propugnacolo ai Ligur' ^ occi^ dente quando la loro indipendenza fu minacciata dai Romani. Descrizione della caverna. — La caverna delle Fate, Arma de Faje od anche Arma du Zembo, in vernacolo, è scavata nella accennata formazione miocenica di cui risulta superiormente il Bricco di Peagna, sulla riva sinistra del Rio dei Ponci affluente del Pia, e mette all’ esterno per due aperture, l’inferiore delle quali è situata a circa 280 m. d altitudine, di contro al ponticello romano di Verzi- ln seguito alle indicazioni somministratemi dal capitano Emico Alberto d’Albertis, che già conosceva la grotta, vi penetrai dapprima nel 1876 e vi praticai qualche assaggio. Vi furono poi tentate ulteriori ricerche da me e da altri, specialmente dal P. Amerano, il quale fece eseguire con buon frutto scav profondi in vari punti. L’ apertura inferiore, fra le due suaccennate, di forma semicircolare ed amplissima, fu chiusa parzialmente mediante un muricciolo a secco, acciocché la cavità principale potesse servire ad uso di ovile. Questa è larga in media 12 ni. e profonda 20. A circa 2 m. d’altezza sopra l’attuale livello — 167 — del suolo, si vedono aderenti alle pareti i resti di un sepi-men'co stalattitico, in cui sono incastonati denti d’orso e cocci di stoviglie, ciò in conseguenza di uno sterro artificiale, eseguito probabilmente all’epoca in cui fu edificato il muricciuolo. I denti d’orso e i cocci significano, come dimostrerò in seguito, che la grotta servì successivamente di covo alle belve e di dimora all’uomo. In fondo alla accennata cavità, la parete che guarda il mezzogiorno offre una specie di scaglione, alto circa 2 m. sul suolo circostante, al di sopra del quale sbocca un angusto e tortuoso cunicolo, diretto presso a poco verso sud-est. Il primo tratto di esso, che misura circa 15 m. di lunghezza, si percorre carponi, poscia la volta stalattitica si innalza, mentre le pareti si allontanano, talché si può proseguire per altri 15 m. senza abbassar la testa. Procedendo poscia nella medesima direzione, si penetra in una seconda trafila, costituita da una cavità originariamente assai ampia, ora in gran parte ostruita da gran numero di grossi massi, fra i quali trapela in qualche punto la luce esterna. Oltre la frana, la cavità si biforca; da un lato si continua in un angusto o corridoio che volge prima a settentrione, poi a levante, e infine sbocca in una serie di grandi spelonche a fondo ceco, ricche di stalattiti; dall’altro, mette in una galleria, la quale, piegando a ponente fra i massi dirupati, conduce finalmente all’esterno per angusta apertura. 11 suolo della grotta è ovunque assai ineguale, e risulta di una terra ossifera grossolana, rossiccia, mista di massi angolosi, coperti in qualche punto di concrezioni stalattitiche. Nel tratto in cui avvenne lo scoscendimento, le ossa scarseggiano ; più innanzi, verso levante, si mostrano più copiose, massime nei punti che corrispondono a depressioni riempite di terra e minuti detriti. In generale sono rotte, ma non molto alterate chimicamente ; in parecchie si osservano segni di logoramento ; peraltro, stante la abbondanza — 168 — di tali fossili, non fu difficile raccogliere un certo numero d’esemplari interi e perfetti, massime fra i più piccoli. Il loro colore è d’un giallo traente al bruno, e talvolta sono inquinati superficialmente da incrostazioni terrose e macchie carboniose. Le ossa raccolte fino al 1887 nella caverna dai miei amici e da me sono in numero di oltre 15°° e S1 ri^er1' scono in gran parte al genere Ursus. Esse appartengono almeno ad una cinquantina di individui d’ogni età. Altre poche sono avanzi di Felis, di Cervus, di Capra, di Sns, ecc. Un materiale anche più ricco fu adunato dal Prof. Amerano, il quale già possedeva alcuni anni or sono 4° crani 1 ntei 1 o quasi e ben 300 mandibole ben conservate d orso, senza contare buon numero di ossa d’altri mammiferi di cui mi occuperò in seguito. Alla superficie, e qua e là, entro piccoli anfratti, si raccolsero pochi frammenti di fittili di carattere neolitico, ossa di animali, specialmente di ruminanti, fresche o almeno recenti, ed anche avanzi umani sull antichità dei quali non saprei pronunziarmi con sicurezza. In complesso, le condizioni della grotta non permettono di applicare i consueti criteri stratigrafici allo studio dei suoi depositi, i quali consistono più che altro in materiali franati, in detriti abbandonati lungo il loro percorso sotterraneo dalle acque di una piccola dolina aperta presso il lembo dell’altipiano carsico delle Manie, verso S. O., negli avanzi di numerose generazioni d’orsi e in scarsi residui lasciati dall’ uomo paleolitico e neolitico, quando per brevissimo tempo si rifugiò nella caverna. Mi farò a descrivere ora alcuni dei fossili più degni di nota, incominciando dalle ossa di felini. Avanzi di felini. — Tra le ossa di felini, un esemplare assai caratteristico appartiene al leone delle caverne, parecchie altre spettano al leopardo. — i6g — Alla Felis leo, var. spelaci appartiene un grosso pezzo di mandibola inferiore, in cui si conserva quasi tutta la parte media deH'osso, col ferino e l’ultimo premolare in posto. Esso corrisponde, per la forma e per le dimensioni, all’esemplare figurato da Schmerling, nella sua classica opera sulle ossa fossili della provincia di Liegi (voi. II. tav. XIV, fig. i i), senonchè il nostro fossile ha la dentatura un po’ più robusta. Il premolare, dalla base larga e dalla corona tricuspidale, il ferino, diviso in due lobi alti, compressi, a margini taglienti, trattandosi di un animale di mole così cospicua, non possono lasciar ombra di dubbio sulla identificazione del fossile. Dal confronto del pezzo ora descritto coll’osso omologo d’ un leone adulto, risulta che il primo è comparativamente più robusto, più grosso e sopratutto più alto ; il premolare vi apparisce più largo e più alto; il ferino offre tra i suoi lobi un angolo più aperto, che è di iio°. V’ha tuttavia molta affinità. Alcuni autori affacciano il dubbio che questo felino debba assimilarsi alla tigre, la quale nell’Asia centrale raggiunge, come è noto, una latitudine molto elevata e si associa a specie proprie ai paesi più freddi. Ma altri son di parere, con Goldfuss, Cuvier, Blainville, che il gran gatto delle caverne sia da considerarsi come specie peculiare, affine ad entrambe le summentovate, più però al leone che alla tigre. Secondo i signori E. ed H. Filhol, il cranio del leone si distingue da quello della tigre, pel suo profilo superiore meno sinuoso, per la sua cresta sagittale convessa in quasi tutta la propria estensione, e non diritta o un po’ concava come nella tigre, per la forma delle ossa nasali, le quali son più appianate che non nella tigre, per le dimensioni dei mascellari, maggiori nella prima specie, per la forma della volta palatina, più concava nel leone, e per molte altre particolarità meno appariscenti,1 la cui enumerazione Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL. 12 — 170 — sarebbe qui fuor di luogo. Tutti questi caratteri sono conformi nel gran gatto delle caverne e nel leone, ma il primo si differenzia generalmente dal secondo per la presenza sul coronale, a tergo delle apofìsi post-orbitarie, di due eminenze (simili a quelle che si osservano nella tigre), pel suo foro occipitale più ampio e più rotondo e pel margine inferiore della sua mandibola, che è terminato da una apofisi sottile, nettamente staccata e in direzione quasi verticale, apofisi che è invece, nel leone, corta, robusta, poco staccata e quasi orizzontale. Nel nostro fossile siffatte differenze non sono visibili. Esso però somiglia più al pezzo omologo del leone che non a quello della tigre, ed è più grosso e robusto di entrambi. Inoltre, il suo premolare presenta maggior larghezza ed altezza che quello corrispondente dei due carnivori precitati, e il suo ferino, poderosissimo, offre tra i due lobi in cui è diviso, un angolo più aperto. Misurata nel nostro fossile, l’altezza della mandibola risultò di 55 mm., sotto il ferino, e di 57 mm., sotto il premolare. Orbene, le misure corrispondenti, tolte sopra una mandibola d’un o-rossissimo e vecchio leone, conser- o vato nel Civico Museo di storia naturale di Genova, sono rispettivamente di 47 e 48. Fatte le debite proporzioni, è presumibile che la lunghezza totale della fiera del Fina-lese raggiungesse circa 3 metri, di cui quasi un metro per la coda, e che la sua testa s’alzasse da terra poco meno di m. 1,50. Secondo le osservazioni di Boyd Dawkins, recentemente avvalorate da quelle di M. Boule, il gran gatto delle caverne non differiva specificamente dal leone. Il primo aveva, durante l’era quaternaria, una distribuzione geografica estesissima. Esso è lo stipite degli attuali leoni d’Affrica e d’Asia, che gli sono di gran lunga inferiori in mole e robustezza, ma ereditarono i suoi istinti sanguinari e “ 171 - vagabondi^, e dei leoni di Tessaglia menzionati nelle antiche leggende della Grecia. Niuno ignora la tradizione che attribuisce ad Ercole 1 uccisione del terribile leone che infestava la selva Nemea. Secondo Erodoto, i cammelli che trasportavano i bagagli dell esercito di Serse furono assaliti dai leoni nell’ attraversare il paese dei Peoni in Macedonia. Polidamo, atleta celebre, quantunque inerme, affrontò di poi un grosso individuo della medesima specie sul Monte Olimpo, e 1’ uccise. Narrano pure le storie come l’oracolo vaticinasse che una delle figlie di Adraste, re d’Argo, dovesse perire vittima dì questa fiera, mentre 1’ altra sarebbe caduta in potere d’un cinghiale. Un’altra specie di fiera che lasciò le proprie reliquie nella grotta delle Fate è molto simile al leopardo ; io ne raccolsi due atlanti, una parte di mascellare superiore con un dente in posto, due mezze mandibole inferiori (ciascuna delle quali armata del rispettivo ferino e dell’ ultimo premolare), un metatarsiano sinistro ed una falange della zampa posteriore sinistra. Questa fiera che, fu rinvenuta in alcune caverne d’ Italia, della Francia meridionale e della penisola iberica, è generalmente menzionata dai paleontologi sotto il nome di Felis antiqua, impostole da Cuvier. Gli scarsi resti che se ne possiedono si distinguono dalle parti corrispondenti della comune pantera per caratteri non certo più spiccati di quelli che valgono a separare il , leone africano dal gran oratto delle caverne. 4 o o Le mandibole da me raccolte, una delle quali è quasi integra e in perfetto stato di conservazione, sono un po’ più voluminose delle ossa analoghe d’una pantera d’Abissinia, posseduta dal nostro Museo civico di Storia naturale. Il corpo loro è un po’ più alto ed ha il suo margine inferiore un po’ più convesso. I denti sono più spessi e forti ed è alquanto maggiore la distanza tra la base della apofisi \ \ — 172 — coronoide e quella del ferino. Tali differenze, peraltro, son così lievi che non bastano ad escludere il riferimento della F. antiqua alla F. pardus, a titolo di varietà. Questa specie fu segnalata da Falconer a Busk, presso Gibilterra (nella grotta di Genista), da Marcel de Serres, Dubreuil e Jeanjean a Lunel-Vieil, da Gervais a Mialet, da Fontan nella grotta superiore di Massat. E probabilmente la medesima di cui Bourguignat scoprì alcune ossa nella caverna di Mars, presso Saint-Cézaire (Alpi Marittime), e che Lartet descrisse col nome di Felis leopardus fossilis. Avanzi d'Orso. — \J Ursus spelceus tipico è indubbiamente rappresentato nella caverna delle Fate da buon numero di ossami. 11 Museo di Genova non possiede tuttavolta che un solo cranio integro di questa forma, raccolto da don Perrando; ed appartiene ad un individuo \ che raggiunse il suo completo sviluppo, ma non può dirsi vecchio. Esso cranio, paragonato a quello dell orso bruno, presenta una larghezza assai maggiore, massime nella parte media ; il suo profilo superiore è quasi rettilineo. Le bozze frontali sono larghe, estese, elevate, divise 1 una dall’altra da depressione ben risentita. Il muso è corto, largo, tozzo, allargato nella regione dentale. Le fosse nasali sono più ampie che non nelle altre specie. Le arcate zigomatiche sono larghe e descrivono un arco più sporgente, massime alla parte anteriore, che non nelle altre forme incontrate nelle nostre caverne. Le creste sono poco prominenti ed obliterate nella parte anteriore del teschio. La biforcazione della cresta sagittale si produce a breve distanza dalla cresta lambdoidea. La lunghezza totale del cranio e di circa 403 mm.; la larghezza di 257. Fra le apofisi postorbitarie del frontale, intercede una distanza di 143 mm· Le ossa d’orso della grotta si riferiscono, in grandissima parte, ad una specie che si distingue dall’orso comune (U. arctos') e dall’ U. speloeus. Dal primo differisce per la — 173 — maggior robustezza del suo scheletro, pel suo cranio più alto, più stretto, assai convesso nella regione anteriore e a gobbe frontali prominenti, per le sue creste sagittale e lambdoidea spesse e salienti, pel suo ultimo molare inferiore più lungo e non contratto posteriormente, per la forma più complicata dei suoi ferini (particolarmente di quelli della mandibola inferiore), per la mancanza dei premolari gemmiformi, tra il canino e il ferino di ciascun lato, nei mascellari superiori. Non si può confondere col-X Ursus spelceus, perchè nell’ultimo la cassa craniense è meno strozzata nella parte media e più alta, le creste sono più sviluppate, le gobbe frontali più prominenti, la regione interfrontale è più incavata, le arcate zigomatiche sono più protratte, i denti, massime i canini e i ferini, più robusti. I due crani di questo tipo primamente raccolti nella grotta delle Fate (uno dei quali è giovane e l’altro adulto) sono entrambi un po’ danneggiati all’ estremità anteriore, ma presentano ben chiaramente gli accennati caratteri distintivi. Un terzo cranio, estratto posteriormente, è adulto, uguale in grossezza al maggiore degli altri due e meglio conservato di entrambi. Esso si accosta al cranio dell’i/. spelceus, più dei summentovati, rispetto ai quali è più alto, più ristretto alla parte media ed ha l’osso occipitale più esteso e meno inclinato (più prossimo cioè alla perpendicolare innalzata sulla base della cassa cerebrale). Inoltre, la sua cresta sagittale è comparativamente più lunga, più elevata e sottile, la cresta lambdoidea più sporgente, veduta di prospetto, presenta un angolo meno ottuso e la cresta o carena occipitale è più saliente; nel punto in cui concorrono le tre creste, si ha poi una prominenza assai risentita e un po’ arcuata. D’altra parte, la regione frontale di questo cranio è un po’ meno rigonfia che non nel maggiore degli altri - 174 — due e si disegna, nel profilo, con un contorno meno saliente rispetto alla linea'dèi muso, il quale sembra meno allungato ed assottigliato. ο O Un altro cranio d’orso adulto, della stessa provenienza, pertinente alla medesima forma, e in miglior stato di conservazione dei precedenti, mi fu comunicato da don Morelli. Si ritrovano in questo i caratteri distintivi già registrati, e non solo, in esso, la cassa craniense apparisce, rispetto a quella dell’ U. spelceus, più allungata e più an-' gusta, massime nella parte media; ma il muso è più protratto e le arcate zigomatiche sono più avvicinate alla cassa craniense. La base è più stretta e così pure la regione palatale, massime in corrispondenza degli incisivi; la serie dei molari e dei premolari, quasi retta, comprende solo due dei primi ed uno dei secondi per parte, e non vi si scorgono alveoli obliterati. Mentre in questo fossile la lunghezza totale è di 415 mm., la larghezza misura appena 235 e la distanza fra le apofisi postorbitarie del frontale si riduce a 134 mm. La specie di cui esposi succintamente alcuni dei caratteri distintivi fu da me descritta col nome di Ursiis Ligusticus. Mi nacque il dubbio che la forma di cui si tratta, rappresentasse.il sesso femmineo dell’ U. speloeus ; ma se questo dubbio è possibile, considerando solo gli esemplari delle caverne delle Fate e Livrea, nelle quali coesistevano una forma gracile ed una robusta di orso a fronte prò-minente, rimane escluso dal riflesso che in parecchie grotte dell’Europa meridionale, nelle quali si trovano a centinaia spoglie di Ursìcs spelceus, non si dà che la sola forma robusta. Ho pur sospettato che la mia specie corrispondesse a\Y Ursus ferox delle Montagne Rocciose. Mercè un bel cranio di questa fiera, che potei studiare per cortesia del Sig. Seton-Karr, ho potuto assicurarmi che essa è ben — 175 — distinta dall’ U. Ligusticus, per la sua fronte piatta e larga, pel profilo del cranio arcuato, pel maggior sviluppo delle creste lambdoidea e sagittale (questa si bipartisce più posteriormente e forma coi suoi rami un angolo più aperto che non nel carnivoro del Finalese), per le apofisi postorbitarie più grosse, pel muso più largo, più corto e a profilo più incavato, per le fosse nasali più ampie, per le arcate zigomatiche robuste, spesse e più discoste dal cranio. Rispetto alla dentatura, l’orso americano somiglia ben più al comune che non allo spelceus e al Ligusticus Ignoro se sia fondato il riferimento r}e\Y Ursus priscus di Goldfuss, fossile, all 'Ursus ferox, vivente, proposto da taluno. Ad ogni modo, quest’ultimo non può identificarsi in alcun modo alle specie da me raccolte e studiate. Secondo E. Trutat, che fece uno studio accurato dei crani d’orsi fossili, estratti dalle grotte ossifere dei Pirenei (i), la forma denominata U. priscus avrebbe le bozze frontali meno prominenti dell’ U. spelceus, la depressione mediofrontale meno risentita, le apofisi postorbitarie salienii, ma orizzontali. 11 medesimo autore insiste d’altronde sul poli -formismo straordinario degli orsi fossili da lui esaminati, i quali non si riferiscono in ultima analisi che ai tipi arctos e spelceus. Egli verificò le maggiori differenze nel rilievo delle creste sagittali e temporali. Le mandibole dell’ U. Ligusticus, offrono più stretti rapporti con quelle dell' U. spelceus, ma sono in generale più piccole, meno robuste ed hanno il margine superiore, fra il ferino ed il canino, arcuato come nell’orso comune. Oltre ai due grossi molari, al ferino, al canino e a tre incisivi, ciascuna mandibola non porta, in generale, altri denti. Su 19 esemplari esaminati, se ne hanno 11 in cui fra il canino (1) Étude sur la forme generale du erane chez loitrs des cavernes. Tou-louse, senza data. — 176 — e il ferino non si vede segno d’alveolo; in 6, un po indietro · · del canino, si osserva un piccolo alveolo; in 2 e impiantato nell’alveolo un piccolo premolare gemmiforme. Queste due mandibole appartengono ad individui adulti; fra le 6 nelle quali si conserva l’alveolo, una sola è di giovane. Se si estendono le osservazioni alle altre ossa, si nota in prima che, in confronto delle analoghe dell Ursus spelceus, offrono in tesi generale dimensioni minori, sono più esili ed hanno apofisi meno risentite. Negli omeri, le pareti della fossa olecranica sono d ordinario assottigliate e non di rado la cavità è più o meno largamente perforata. Le tibie presentano quasi sempre la diafisi più esile e meno schiacciata che non nell ϋ. spelceus. In ordine alle vertebre, si osserva che gli epistrofei sono nella nostra varietà più piccoli e a corpo più breve di quelli riferibili all’orso delle caverne figurati nella classica opera di Schmerling. In complesso, X Ursus Ligusticus era più piccolo e sopratutto meno corpulento del comune orso delle caverne, da cui si distingueva eziandio pel suo muso più allungato e più stretto e per le estremità comparativamente più lunghe e snelle. È poi probabile che avesse abitudini rampicanti più delle altre varietà, di che sono indizi 1 esilità delle ossa lunghe e la sottigliezza o la perforazione della parete che forma la cavità olecranica dell’omero. D’altra parte, inferisco dalla poca robustezza e dalla semplicità dei denti che fosse di preferenza frugivoro (1)· Fossili diversi. — Due ossa rinvenute nella caverna in una delle prime gite, accennano a due altre specie di grossi mammiferi e sono una scapola (in cui manca parte della lamina dilatata), che non differisce sensibilmente dal (1) La medesima specie fu ritrovata nella Grotta dell'Acqua Bianca (Carso) dal D. Carlo Marchesetti, il quale ne diede una nuova descrizione negli « Atti del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste », voi. IX (1 ^95 )· — 177 - 1 osso omologo del Cervus elaphus, ed una mezza mandibola superiore che sembra di capriolo. La prima allappa alla linguai ed è coperta d’incrostazioni terrose, simili a quelle che aderiscono alle ossa d’orso, e per tal motivo inclino a ritenerla della medesima età; la seconda, dal colore più chiaro, dalla maggiore levigatezza, dalla lieve alterazione subita, in confronto delle altre ossa, mi parrebbe invece più recente. Sono inoltre da segnalarsi ossa di Arvicola e di lepre (tav. V, fig. 16) ed una gran parte di mascellare inferiore sinistro con cinque denti, appartenente ad un cinghiale, alquanto diverso dalla specie comune. Finalmente, da ulteriori scavi praticati nella spelonca, ottenni un cranio di stambecco quasi integro, un radio di Meles taxus ed una tibia di Teatro tetrix. In fatto di invertebrati, non raccolsi che pochi esemplari di una lumachetta estinta di tipo alpino, Campylcea Ramorimana, e della comune Helix (Tachea) nemoralis. Tracce dell’uomo. — Che l’uomo in tempi assai remoti abbia trovato ricovero nella grotta delle Fate si può inferire da che la terra rossiccia ossifera, accumulata nel fondo delle cavità in cui si trovano spoglie d’orso, contiene pure minuzzoli di carbone, cocci di stoviglie non tornite, assai grossolane ed altri manufatti. Il carbone non è raro nella caverna, specialmente nei punti in cui s’ incontrano le ossa, e vi si presenta ora in straterelli di uno o due centimetri di spessezza, ora confuso cogli altri elementi del terreno. I cocci si trovano qualche volta sepolti col carbone, ma più comunemente alla superficie. Dalle condizioni locali, 'dall’aspetto irregolare ed eterogeneo del giacimento, si deve necessariamente concludere che, tanto le ossa quanto il carbone, i cocci e la terra, provengono dalla parte superiore della spelonca, ora impraticabile a cagione di una frana, e di colà furono - i78 - promiscuamente trascinati dalle acque nella regione in cui si trovano. Esaminando i fittili e le ossa d’ orso, non si può a meno di avvertire che i primi sembrano troppo recenti per essere contemporanei delle seconde; d altra parte, riescirebbe difficile a comprendersi come, quando 1 Ursus spelceus, specie estinta, infestava ancora la Liguria, 1 uomo fosse già tanto progredito nelle arti manuali da produrre siffatte stoviglie. Nel caso presente, peraltro, questa promiscuità è accidentale, e dipende dalle acque che sconvolsero e confusero due giacimenti di diversa età. La caverna servì prima di covo agli orsi, ai leoni, alle pantere, poi, questi scomparsi, dopo lungo volgere di tempi, fu occupata dall’uomo neolitico. I pochi cocci raccolti sono identici, infatti, a quelli che trovansi più comunemente nella caverna delle Arene Candide e nell’Arma del Sanguineto. È probabile che risalga alla medesima età preistorica od esostorica un’altra opera umana, veduta da don Perrando, che consisterebbe, da quanto egli mi disse, in una cavità ellissoidale di alcuni centimetri di profondità, praticata artificialmente in un masso di pietra arenacea. Si tratterebbe di una vera pierre à bassin. J erminerò il breve elenco segnalando un ciottolo ovoide di quarzite bianca, da me raccolto, il quale senza dubbio fu portato nella caverna per mano dell’uomo. Mentre io ritengo che i cocci sopradescritti sono più recenti dell’Ursus speloeus) non è men certo per me che colà questa fiera ebbe ad imbattersi coll’ uomo, e ne fa fede un pezzo di mandibola inferiore, che osservai, sulla cui superficie interna si vedono solchi e tagli, fatti artificialmente mentre l’osso era ancora fresco (i). Si vedrà in (i) Issel A., Nuove ricerche sulle caverne ossifere della Liguria. Memorie della R. Accad dei Lincei, serie 3a, voi. 11, fig. 7. Roma, 1878. — 179 — breve come ulteriori indagini abbiano messo in luce tracce non dubbie e perfino avanzi scheletrici dell’uomo paleolitico nella stessa grotta. Risultato delle recenti ricerche. — Il Prof. Amerano riferisce in una sua nota come egli, sviscerando il deposito ossifero della caverna, sia riuscito a formare una cospicua raccolta paleontologica, a raccogliere, cioè, non meno di 40 crani d’orso, 300 mandibole ben conservate e molti altri avanzi che appartengono a ben 400 individui d’ogni età e di varie specie. Egli avrebbe riconosciuto fra queste, il mio Ursus Ligusticus, un Ursus speloeus major, un Ursus spelceus minor, Γ Ursus priscus di Goldfuss e dubitativamente anche 1 ’ U. arctos. Tra i resti mammiferi d’altre famiglie, cita parecchi grandi felini, il genere Hycena, il Lupus spelceus, il Sus aper, il Megaceros Hybernicus, e i generi Rhinoceros ed Arctomys. Un dente compreso nella stessa collezione e che mi fu comunicato dal raccoglitore, ha tutti i caratteri di quelli propri al genere Squalodon, che non conoscevasi in alcuna formazione quaternaria, prima a dente a c h Fig- 57- Dente di Squalodon della Caverna delle Fate, veduto dalla parte anteriore; b veduto dalla faccia interna; c sezione trasversale. Le tre fig. in grand, nat. ( — ι8ο — di essere segnalato da Forsyth Major in una breccia a Montetignoso, nel Livornese (fig. 57). Non è poi facile a spiegarsi come un dente di Squalodon, cioè di un animale schiettamente marino, possa trovarsi in un deposito a quasi 3 chilometri dal mare e all’altitudine di circa 280 m. L' ipotesi più verosimile, circa 1’ origine di questo fossile, si è che l’uomo lo abbia introdotto nella caverna durante la fase paleolitica. Nella collezione di D. Amerano, allorché era conservata nel Collegio Ghilieri a Finalmarina, osservai anche due frammenti di mandibole umane (di giovani individui), i quali, per l’aspetto loro, sembrano riferibili all’età stessa degli ossami Ursus spelceus. Tale contemporaneità è avvalorata dal ritrovamento da lui fatto di numerosi oggetti paleolitici, quali di quarzite, quali di piromaca, che appartengono alle fogge dei raschiatoi e delle cuspidi o punte (fig. 58). Quelle fra le ultime che sembrano la- Fig. Fig. 59· Punta di quarzite della Ca\'erna delle Raschiatoio di quarzite della Caverna Fate (Museo geolog. di Genova); del Colombo (Collezione Morelli;, ’/2 della grand, nat. '/2 della grand, nat. vorate con maggior cura hanno forma di piastrelle isosceli, arrotondate alla base (che corrisponde quasi sempre ad un bulbo di percussione) e ritoccate lungo i due spigoli laterali. Parecchi esemplari coincidono coi tipi figurati da G. e A. de Mortillet nel loro Musée préhistorique (i)> (1) Musée Préhistorique. Paris, Reinwald edit., 1881. — 18 r — come propri al tipo, di Moustier. Alcuni manufatti, forse di età posteriore, accennano, alle forme dei coltelli (i). Gruppo di 'caverne situate nella valle dell’Aquila. La caverna dei Zerbi si apre sulla riva sinistra dell’Aquila, un po’ più a valle di quella detta « Le File ». Don Amerano riferisce di avervi raccolto ossa di Ursus spelceus di grandi e piccole dimensioni ed un frammento di quarzite rozzamente scheggiato, da lui attribuiti all’epoca paleolitica. Inoltre vi rinvenne i soliti cocci di vasi lavorati a mano e cotti a fuoco libero, punte d’osso, nonché ossa di ruminanti e di suini, che accennano ai soliti depositi di carattere neolitico (2). Secondo lo scopritore, in alcune ossa d’orso la mano dell’uomo avrebbe lasciato qualche traccia. Anche la caverna denominata « La Fontana », situata a circa un centinaio di metri a valle della precedente (3), somministrò al medesimo investig-atore ossami della stessa specie d’orso e frammenti di stoviglie neolitiche. Analoga associazione di avanzi organici e di manufatti avrebbe fornito nella valle dell'Aquila, a maggior distanza dal mare, la così detta Arma di Orco, la quale si apre un po’ superiormente al punto in cui dalla via rotabile di Orco-Feglino ha origine il sentiero che sale a Orco. Il P. Amerano segnala pure in essa l’orso bruno, una valva di Pectunculus forata e frammenti di un vaso a bocca rovesciata, che sembra di data recente. (1) Intorno alla coesistenza dell’orso delle caverne coll’uomo in Italia, si vedano le considerazioni di P. Strobel nel « Bull, di Paletn. ital. x>, n.rl 1 e 2, 1889. (2) Bull, di Paletn. ital., voi. XVIII, n.° 7-8. Parma, 1892. (3) 11 P. Amerano soggiunge che si trova alla stessa altezza di quella dell’Acqua, ma non porge ulteriori particolari atti ad agevolarne il riconoscimento. I Nel gruppo di caverne di cui mi occupo in questo paragrafo potrebbe essere compresa la Grotta dell Acqua, di cui il Prof. Amerano tratta in parecchi suoi lavori, e nella quale avrebbe raccolto numerosi avanzi di Ursus spelceus e una selce scheggiata di tipo paleolitico, senonche essendo di gran lunga più copiosi e importanti i rimasugli di data posteriore da lui estratti nello stesso giacimento, preferisco descriverlo nel capitolo destinato alle caverne neolitiche e calcolitiche. , Noterò qui per incidenza che gli abitanti di quel territorio denominano dell’Acqua una spelonca di piccole dimensioni, nella quale scaturisce una sorgente, e che corrisponde verosimilmente a quella detta La Fontana da Amerano. La descrizione data da questo investigatore della Grotta dell’Acqua coincide quasi perfettamente con quanto ebbi ad osservare in una cavità sotterranea piuttosto ampia, ricca di avanzi neolitici ben conosciuta nel paese sotto il nome di Arma dn Morto. Da canto suo, 1' Ing. Bensa pubblica un cenno descrittivo accompagnato da schizzo topografico di quella che i terrazzani di Montesordo designano come Caverna dei Zerbi e dalle sue parole in proposito e specialmente dalla pianta recata nella sua tav. II, non posso dubitare che sia la stessa detta Arma du Morto (i). Caverne del Rio e di Martino. La grotta del Rio (Grotta o Arma du Rian, in dialetto) si apre sulla riva sinistra del torrente detto « La Valle », presso le Case di Montesordo, quasi di contro alla piccola cappella di S. Carlo, nel territorio di Finalborgo (fig. 55)· (i) Bensa P., Le grotte deir Appennino Ligure e delle Alpi Marittime. Boll, del Club Alpino ital., voi. XXXIII, n.° 66. Torino, 1900. - i83 ~ La sua apertura, in parte occultata da piccoli lecci, è bassa e di forma quadrangolare. Essa trovasi a circa 30 metri sul letto del torrente e a poco meno di 270 sul livello del mare. La parte della grotta fin qui esplorata consiste in una galleria alquanto stretta, dal suolo disuguale e un po ascendente verso il fondo, che penetra per una quarantina di metri nella collina calcarea, costituita dalla nota pietra di Finale. Questa galleria è chiusa da una parete di roccia che presenta a lieve altezza un orifizio, il quale, ingrandito ad arte, potè dar adito ad uomo, e permettere l’esplorazione di un lungo corridoio ascendente, ridotto verso la sua estremità a stretto cunicolo, al Prof. Rovereto e all’ Ing. Bensa (1). La galleria di cui sopra ha la volta rivestita di stalattiti poco appariscenti e, quanto al suolo, risulta di una grossa crosta di concrezione calcare, sotto la quale, ove fu asportata, si può vedere, fino a più di un metro di profondità, un terriccio ossifero, localmente cementato in breccia, diviso in due o tre letti da sepimenti stalagmitici. La stessa breccia, che contiene inoltre piccoli ciottoli, si vede in alcune anfrat-tuosità delle pareti. Queste, tranne per piccoli tratti,1 sono sprovviste di concrezioni e mostrano a nudo un calcare cavernoso, un po’ arenaceo, a strati quasi orizzontali, il quale presenta segni d’erosione, e, fra gli altri, un solco orizzontale ben manifesto, a m. 1,50 sopra il suolo, presso 1’ apertura. Anni sono la grotta del Rio fu visitata dai signori M. Brown e V. Brooke, i· quali, rimosso il deposito stalagmitico superficiale, raccolsero negli strati sottoposti ossa e denti di carnivori, di cui fecero dono al Museo civico di Storia naturale di Genova. Il 10 Gennaio 1 »84, il capitano E. d’Albertis ed io ritrovammo non senza difficoltà la spelonca e, fatto proseguire lo scavo iniziato dai nostri (1) Bensa P., Memoria citata, pag. 38 (estratto). / — 184 — predecessori, vi raccogliemmo del pari, come pure nella breccia ossifera aderente alle pareti, i tossili di cui dirò più innanzi. Quasi tutte le ossa raccolte colà, così da noi come dai precedenti esploratori, sono avanzi di fiere o ìeliquie di ruminanti che alle fiere servirono di pasto. Tuttavolta, il fatto che il terriccio ossifero si mostra sparso in certi punti di particelle carboniose, è indizio, a parer mio, che Γ uomo non rimase estraneo al riempimento della grotta. I principali avanzi raccolti nella grotta del Rio dai signori Brown e Brooke e posteriormente dal capitano d’Albertis e da me appartengono ai generi Ursus e Lupus. Al primo si riferiscono circa venti pezzi, tra 1 quali gran parte di due mandibole che sembrano riferibili all’ U. Ligusticus. Al genere Lupus appartengono: un frammento di mascellare superiore destro, col primo molare o ferino in perfetto stato e robustissimo, e due canini lunghi, assottigliati, compressi, arcuati, uno dei quali è ancora impiantato nello alveolo. Si tratta indubbiamente della specie comune. Mi rimane da segnalare un frammento di mandibola destra di Arctomys (coll’incisivo corrispondente ed uno dei molari anteriori), il quale fu raccolto più tardi dal Prof. G. Rovereto (1). Un po’ a monte della spelonca ora descritta (a circa ?/4 d’ora di distanza), lungo la riva sinistra del medesimo corso d’acqua, se ne trova un’ altra, la cui denominazione è nel dialetto del paese Arma du Martin o du Pnnsipà, e si apre a circa 273 m. sul livello marino, alla base di una ripida parete di calcare miocenico, nella quale gli agenti naturali scavarono altre piccole cavità (fig. 60). t (1) Da canto mio raccolsi, nella grotta, oltre alle ossa già ricordate, le conchiglie Helix ( Tue he aJ nemoralis t Ru?)iiuci decollata. La grotta di cui tengo discorso si distingue dalle molte di quei dintorni, perchè la sua apertura è sbarrata da un alto muro a secco, in cui è praticata una porticina rettangolare cogli stipiti e l’architrave di pietra. Essa presenta da prima una galleria piuttosto larga ed alta, che, dopo lungo e tortuoso percorso, sbocca in una ampia camera irregolarmente ellittica, ornata di voluminose stalattiti e stalagmiti di color bruno scuro. Nella prima cavità, i materiali che costituivano Γ antico suolo, cioè Fig. 60. Apertura della caverna di Martino (P. Bensa). strati di terriccio ossifero, frammezzati di sepimenti stalag-mitici, furono quasi tutti asportati per ingrassare i campi vicini. Gli scarsi residui di questo terriccio, impasto di ossa, carbone, pietruzze e pezzetti di selce, cementati da concrezioni calcarifere, residui che rimasero aderenti alle pareti, dimostrano come fosse ricchissimo di fossili di età probabilmente assai remota. Nella camera maggiore, il Atti Soc. Lig. St. Patri*. Voi. XL. 15 — ι86 — cui suolo è formato di salde concrezioni stalagmitiche, le ricerche fin qui praticate ebbero esito, negativo (i). Grotta di Verezzi. Questa grotticella, che si apre nel calcare triassico del Monte Caprazoppa, fra le stazioni di Borgio-Verezzi e Finalmarina, a breve distanza dal mare (circa 50 metri) e a 7 metri sul livello, fu rinvenuta casualmente nel praticare una trincea per la costruzione della ferrovia litorale. Essa consiste in un cunicolo, assai inclinato dall alto al basso verso l’interno del monte, che si sviluppa per la lunghezza di una cinquantina di metri in direzione O.-E. e comunicava coll’ esterno, in tempi remoti, mediante una • Λ spaccatura, la quale, all’epoca della scoperta, si trovo otturata da salda breccia. Il suolo della spelonca era coperto di un grosso strato di stalagmite, giacente sopra un letto di terra rossa con fossili abbondantissimi, principalmente ossa di piccoli mammiferi e d’uccelli. Il Prof. Giovanni Ramorino, cui si deve in gran parte lo studio di questi fossili, riconobbe fra essi avanzi di : Ursus ( U. spelceus ?), Putorius, Canis, Vulpes, LIy cena. (H. crocuta, var. spelcea), lince, Antilope (2), Bos primigenius. Le ossa d’uccelli furono identificate da A. Milne Edwards, che segnalò nel numero: Tetrao albus, T. urogallus e Turdus migratorius, specie che più non vivono in Liguria. Sono poi da citarsi una Lacerta, un crostaceo (Oniscus murartus) / (1) Questa grotta somministrò ai zoologi una fauna relativamente ricca, nella quale figurano coleotteri (Gnathoncus rotundatus, Homalota Linderi, Omalium Attardi), miriapodi (Lithobius, Polydesmus, Callipus) e il noto grillo delle caverne Dolichopoda palpata; ciò da quanto riferisce l’Ing. Bensa. (2) Si tratta probabilmente del camoscio e non di Antilope propriamente detta. - i87 - ed alcune conchiglie, due delle quali (Campilcza Ramon-niana e Hyalina spelcea) sono estinte (tav. V, fig. 2, 3, 11 e 14). In complesso, la fauna della grotta coincide in parte con quelle dei Balzi Rossi ; ma il deposito ossifero è dovuto a Verezzi non già all’operà dell’ uomo, sibbene all’azione di cause naturali, cioè di acque superficiali e di piccoli carnivori. Tuttavia è certo che l’uomo, senza aver partecipato in modo diretto al riempimento della spelonca, doveva dimorare a breve distanza, quando si formava l’accennato deposito. Infatti, questo conteneva parecchie ossa lunghe di mammiferi spezzate artificialmente, alcune valve di Mytilus, che sembrano residuo di pasto, varie schegge di quarzite e due piccoli ciottoli di serpentina (roccia estranea al paese), il cui trasporto in quel punto non può essere attribuito ad agenti naturali. Le supposte incisioni artificiali osservate dal Ramorino sopra un osso di coniglio, non sono altro, a parer mio, che tracce lasciate dai denti di un roditore. Qui, come nella Barma Grande e nella Grotta del Principe (Balzi Rossi,), quantunque il deposito apparisse immune da ogni sconvolgimento, nell’epoca in cui si praticarono gli scavi (che in parte furono compiuti sotto i miei occhi), abbiamo rappresentanti della fauna quaternaria superiore, per numero d’individui e di specie di gran lunga preponderanti, ed altri pochi della fauna quaternaria media (Hycena crocida, var. spelcea ecc.). La ragione di questa promiscuità deve essere ricercata nel fatto che si tratta di deposito di transizione, prevalentemente riferibile agli orizzonti superiori, che passa grado grado, nella parte più profonda, ai termini medi del medesimo sistema. Le distinzioni cronologiche, per quanto legittime, non hanno nè possono avere, se non per eccezione, limiti ben determinati; è quindi ammissibile che, non essendosi — i SS — verificati rapidi mutamenti nelle condizioni altimetriche e climatologiche locali durante i tempi in cui ebbe origine la stratificazione, non si sia prodotta differenza notevole fra le faune di strati che in base a pochi fossili caratteristici siamo indotti ad attribuire a due piani o sottopiani distinti. A breve distanza dalla grotticella di Verezzi, presso la stazione di Borgio-Verezzi, furono scoperti nei crepacci e negli anfratti del calcare dolomitico triassico lembi di breccia ossifera e conchiglifera di cui dirò in seguito, trattando dei giacimenti destituiti di vestigia umane. Le Grotte. — Le così dette « Grotte » sono piccoli anfratti rupestri o grotticelle, che si aprono a ponente dell’abitato di Pietra Ligure, presso l’antica chiesa dei Domenicani, appiè di una ripida balza di calcare marmoreo, triassico. Vi si accede facilmente superando un piccolo scaglione coltivato a orto, che forma parte di una proprietà conosciuta nel paese sotto il nome di « Grotte », proprietà della famiglia Borelli. Le grotticelle sono tre, situate Γ una accanto all’ altra coll’ apertura verso mezzogiorno. La prima, procedendo da levante, misura m. 3.30 nella maggior lunghezza e circa 3.20 di larghezza, con altezza un po’ minore; la seconda raggiunge m. 9.50 di lunghezza ed ha 6 m. di larghezza media (allargandosi notevolmente verso l’apertura) e 5 di altezza; la terza è un crepaccio accessibile per pochi passi. Dalle indagini preliminari che vi praticai nel 1882 e · da quelle più diligenti compiute di poi dal Prof. Morelli risulta che queste cavità meritano di essere ricordate come stazione preistorica paleolitica e per la ricca fauna fossile cui davano ricetto. I manufatti che furono rinvenuti nella più piccola (non se ne trovarono nelle altre) consistono: a) in due raschiatoi di quarzite di color bruno scuro; b) in un disco di quarzite grossolanamente scheggiata; c) in una piccola punta del tipo di Moustier, di agata verde — 18g — screziata di rosso; d) in un coltellino di piromaca grigia, di 53 mm. di lunghezza e 25 di larghezza, con due tagli (un po’ logori dall’ uso) dati dall’ incontro di una larga superficie di scheggiatura con tre minori ; e) in un pezzo di arenaria con tracce di logoramento, che dimostrano come abbia servito ad aguzzare qualche oggetto acuminato; f) in una scheggia di osso lungo, appuntata alle due estremità, forse una punta di zagaglia. Gli oggetti sopra enumerati accennano al quaternario superiore e precisamente alla fase che corrisponde agli orizzonti più alti delle caverne dei Balzi Rossi. Alla medesima conclusione conduce l’esame della fauna, la quale è più importante delle vestigia umane. Secondo il Prof. Morelli, che ne fece oggetto di lungo studio, i resti organici delle Grotte, appartengono alle seguenti specie : a) Mammiferi: Rhinolophus ferntm-equinum, Vespertilio murinus, Talpa Europcea, Arctomys marmota, Myoxus glis, M. quercinus, Mus rattus, M. sylvaticus, Arvicola amphibius, A. arvalis, Lepus timidus, L. cuniculus, Felis catus, F. lynx, Canis vulpes, Ursus sp. ( probabilmente U. Ligusticus), M artes foina, M. abietum, Putorius antiquus (Mayer), Sus scrofa, Bos brachyccros, Capra hircus, Cervus elaphus, Cervus capreolus. b) Uccelli: 54 specie, fra le quali alcune rare in Liguria o anche scomparse dalla nostra regione. La maggior parte delle ossa di questa classe si deve ascrivere al. Pyr-rhocorax Alpinus e al colombo selvatico. c) Rettili e anfibi: poche specie, fra le quali Lacerta ocellata rappresentata da individui di grandi dimensioni e Bufo viridis. d) Molluschi: 7 specie di conchiglie terrestri e 4 di marine. Notevoli la Campylcea Ramoriniana, la Hyalina spclcza e la Rumina decollata (quest’ ultima rappresentata dal maggior numero di esemplari). Le conchiglie marine, — 190 — tutte di lamellibranchi, debbono considerarsi come oggetti recati dall’uomo e sono probabilmente avanzi di pasti. Date le condizioni del giacimento, in cui gli avanzi organici e i detriti erano accumulati senza ordine, in cumuli piuttostochè in depositi stratificati, non è da escludersi il dubbio che gli oggetti enumerati appartengano a tempi diversi. Le ossa di piccoli mammiferi e di uccelli, fi a le altre, rappresentano in gran parte, io credo, avanzi di prede fatte da rapaci, i quali in epoca non lontana avevano scelto le Grotte per collocarvi i propri nidi. Grotta del Colombo. La Tana del Colombo è situata alle falde del monte di S. Pietro, che limita a levante la Valle del Yaratiglia, presso Toirano, e si apre a circa 225 m. sul livello marino - e ad una trentina di metri di distanza dalla grotta di Santa Lucia adibita ad uso di santuario. Superata una parete rocciosa assai ripida, si accede alla Tana per una apertura foggiata ad arco irregolare, che misura metri 4.50 di larghezza e 5 di altezza, e si entra a tutta prima in una galleria che si estende per una cinquantina di metri, quasi in linea retta, con larghezza media pari a quella della apertura summentovata. Alla estremità della galleria, a mano destra, vi ha un cunicolo diretto ad est, il quale, dopo circa 15 m. di percorso, si divide in due rami entrambi assai angusti ; a sinistra, la galleria comunica con una cavità assai ampia, di circa 40 m. di lunghezza e 20 di larghezza, nella quale è notevole una colonna naturale di calcare che sembra sostenere la volta. Secondo una memoria del sacerdote Morelli, dalla quale ho attinte le indicazioni surriferite (1), il suolo della grotta, general- (1) Sopra due caverne recentemente esplorate nel territorio di Toirano. Bullettino di Paletnologia Italiana, anno XVI, η. i e 2. Parma, 1890. — igi — mente pianeggiante, è formato da un deposito di circa metri 1.50 di potenza in media, in cui si distinguono superiormente due strati terrosi e inferiormente uno di ciottoli. Lo strato superficiale somministro cocci di vasi medioevali e un acciarino, e, a profondità un po maggiore, cocci di vasi non torniti e due frammenti di macine. Dal secondo strato si trassero ossa, avanzi di pasti umani, cenere, car bone e manufatti paleolitici. Il terzo strato si mostrò destituito di fossili. In due punti il piano ossifero ricettava anche resti umani; vi si raccolsero cioè, alcuni denti, una vertebra e poche falangi. Le ossa di mammiferi raccolte nella grotta e determinate dal Morelli si riferiscono per la massima parte all’ Ursus Ligusticus, subordinatamente alle specie : Ursus spelceus, var. minor, Arvicola spelcea, A. amphibia, Mus sylvestns, Bos primigenius, Capra hircus, Ovis anes, Cervus claphus (?). Le ossa d’uccello spettano ad una ventina di specie, generalmente poco voluminose e quasi tutte viventi ancora nel paese ; si tratta pero di una fauna che accenna ad un clima più rigido dell’attuale. I manufatti consistono tutti in rozze schegge di quarzite, talvolta appena ritoccate sui margini, analoghe a quelle ben note della stazione tipica di Moustier. Morelli li distingue in punte, raschiatoi, utensili di transizione e cuspidi di freccia, ma è difficile assegnar loro una denominazione specifica precisa (fig. 59). Uno di essi, che misura 7 centimetri di lunghezza e 4 di larghezza, ed è scheggiato sopra una sola faccia e quindi ritagliato lungo i margini, si accosta a quella forma già menzionata col nome di trincetto. Caverna del Pastore o Livrea. La grotta del Pastore o Livrea, la quale mi fu primariamente indicata come ricco ossario dai colleghi prò- \ fessori Antonio e Giovanni Denegri, si trova sulla sponda destra del \raratiglia, a circa 4 chilometri a monte di Toirano (in linea retta), presso a poco all'altezza di 350 metri sopra il livello del mare. Essa apresi entro il fianco orientale di un monte calcare assai scosceso, indicato nel foglio N.° 83 della carta topografica dello Stato Maggiore sardo colla denominazione di Punta Alzabecchi. Per giungere alla sua bocca, dovetti attraversare una frana ed arrampicarmi per dirupo scosceso, e credo che da altra parte non sia meno malagevole il pervenirvi. L’apertura, larga 3 m. e poco più alta, si restringe irregolarmente dal basso all’alto. Essa mette in una sorta di corridoio tortuoso e basso, di larghezza variabile fra 3 e 9 metri, diretto da principio verso N.O., poi presso il fondo, verso S.O. La sua lunghezza misura 80 passi, cioè poco meno di 50 metri. Tanto la volta quanto le pareti, sono vestite di concrezioni calcaree, di color bruno o nerastro, in gran parte infrante, residuo di altre molte che furono asportate per adornarne la villa della duchessa di Galliera, in Voltri. Il suolo, pianeggiante nel primo tratto, si abbassa di circa 2 metri presso il fondo, ed e in gran parte coperto di concrezioni simiglianti. Presso 1 e-stremita del corridoio suaccennato, si vedevano accumulate in disordine, a fior di terra, entro un’argilla giallastra, molle e un po’ vischiosa, sparsa di sassi, numerose ossa di mammiferi, principalmente d’orso. Queste ossa erano confinate in uno spazio assai ristretto, massime presso le pareti. Esse non portano traccia di logoramento per fluitazione ; ma sono in gran parte spezzate, forse per la caduta di pezzi di roccia staccatisi dalla volta. Alcune poche si trovarono impigliate nella stalagmite. La spelonca, la quale è scavata nei calcari dolomitici del trias medio, deve principalmente la sua origine ad acque circolanti nei meati della roccia, acque che lascia- \ — 193 — rono evidenti tracce di erosione lungo le pareti. Non fu dimora d’uomini, ma servì per lungo tempo di covo agli orsi, di cui ricetta sì copiose spoglie. L’ ubicazione della grotta, l’oscurità che regna nella parte più profonda di essa, ove giacciono le ossa, confermano questa supposizione. I Professori Antonio e Giovanni De Negri, raccolsero nella grotta numerosi resti d’orso, quasi tutti riferibili al mio Ursus Ligusticus. Alcune ossa rinvenute dai predetti raccoglitori o raccolte da me stesso accennano anche ad una forma un po’ più grossa e più corpulenta della prima, essa pure da me descritta fra le specie proprie alla caverna delle Fate, cioè all’ Ursus spelceus. Non ho mancato di osservare se qualcuno degli avanzi di cui si tratta portasse tracce da cui si potesse argomentare la coesistenza dell’uomo con quelle fiere. Tre pezzi mi sembrano sotto questo aspetto degni di attenzione e sono: una porzione di mascella inferiore destra, troncata anteriormente e posteriormente, che offre una piccola ammaccatura e tracce di erosione forse artificiali; un’altra parte di mandibola, appartenente al lato sinistro e troncata all’ indietro, la quale presenta nella parte interna alcuni sottili tagli ben distinti e macchiette brune che si direbbero prodotte dall’azione del fuoco; una terza mandibola, cui mancano l’apofisi coronoide e tutti i denti, tranne l’ultimo molare, la quale lascia scorgere sulla superficie interna una lieve scalfittura artificiale e macchiette brune. Non mi dissimulo che tali segni, meno evidenti di quelli che osservai sopra una mandibola della caverna delle Fate, possono dar luogo facilmente ad erronee interpretazioni, epperò ne rendo conto colle debite riserve. Nella grotta Livrea, Morelli, che vi praticò ricerche dopo di me, rinvenne ossami di una cinquantina d’individui s. — 194 — d 'Ursus, appartenenti per la massima parte alla specie Ligusticus, e solo in piccolo numero ad altre forme, segnatamente alla varietà dell’ Ursus spelceus, distinta dal Prof. Strobel e da altri coll’aggettivo minor (i). In questa forma il ramo orizzontale del mascellare inferiore è più alto che non nell’£7. Ligusticus e misura, tra il canino e i premolari, circa 6 centimetri. Un teschio d’orso di vecchio individuo, compreso nella raccolta Morelli, riproduce i principali caratteri di quello descritto da Schmerlinof come riferibile al suo U. Lcodtensis, o e spetta, a parer mio, ad una varietà dell’ U. arctos. Questo fossile è più allungato e stretto delle altre specie o varietà summentovate (U. spelceus e U. Ligusticus) e si distingue, innanzi tutto, per la straordinaria lunghezza del muso e per la depressione della regione frontale, che è pianeggiante e solo lievemente incavata nella parte media. Il profilo superiore del cranio risulta leggermente convesso nella parte posteriore, e rettilineo, tra le apofisi postorbitarie (che sono piccolissime e in forma di uncini) e la spina nasale. Arcate zigomatiche sottili, comparativamente avvicinate alla cassa craniense. Base del cranio analoga a quella delYU. Ligustinis. Nella serie dentale si hanno per parte due molari e tre premolari, uno dei quali assai piccolo, collocato accanto al canino. Lunghezza totale mm. 385; larghezza 240; distanza frale apofisipostorbitariedel frontale 115. Oltre agli avanzi d’orso, Morelli trasse dalla medesima grotta: un cranio, due femori, parte d’ un omero e metà di un bacino di Felis pardus (var. antiqua), un bacino di faina, un cubito di suino, ossa lunghe di Bos, di Cervus, di Capra, mandibole di Capra, un omero di Fregilus graculus e pochi altri avanzi che non meritano speciale menzione. (1) Strobel P., Gli orsi nelle caverne del continente italiano contemporanei all’uomo. Bull, di Paletnologia ital., anno XV, η. i e 2. — 195 — Il teschio di felino raccolto da don Morelli, e che ora appartiene al Museo geologico di Genova, confrontato da me con quello di un grosso leopardo adulto, maschio, recato dallo Scioa nel 1887, per cura del D.r Ragazzi, e conservato in questo Museo civico di Storia naturale, si distingue pei caratteri seguenti : le sue dimensioni sono alquanto minori (lunghezza massima fra l’estremità della cresta occipitale e il margine dell’alveolo del primo incisivo sup. circa mm. 221 invece di 252; larghezza massima fra le due arcate zigomatiche, all’esterno, mm. 140 invece di 156); il frontale è meno compresso nella regione laterale media e più pianeggiante superiormente ; la regione parietale è un po’ più turgida; la cresta sagittale è meno sporgente e, protraendosi sui frontali, dà origine a due rilievi divergenti quasi rettilinei, che si continuano coi processi sopraorbitali e non sono spiccatamente arcuati come nell’esemplare del Museo civico. Orbite comparativamente più aperte. Nei mascellari la sporgenza che corrisponde agli alveoli dei canini apparisce meno risentita. Il maroine alveolare degli intermascellari è meno riflesso. o o Le ossa pterigoidee offrono superficie esterna più regolare e più liscia. La volta palatina è proporzionatamente più ampia. Tra i denti superiori, il ferino e il tubercoloso presentano maggior larghezza, e nel secondo il tallone interno ha maggiore sviluppo. Le dimensioni dei denti sono: lunghezza del tubercoloso mm. 24; larghezza dello stesso, in corrispondenza del tallone, mm. 12; larghezza del canino presso il margine alveolare mm. 16. Si tratta di un teschio quasi integro, in cui mancano l’arcata zigomatica sinistra, parte delle ossa nasali, parte degli sfenoidi coi condili e parte dei palatali. Sono presenti un canino, un premolare, un ferino e due tubercolosi. I mascellari inferiori non furono rinvenuti. Tali avanzi appartengono ad un individuo vecchio, come lo dimostrano — 196 — i denti superstiti assai logori, le ossa ispessite e le suture quasi completamente saldate (rimangono aperte le inter-mascellari). Nella parte anteriore del frontale destro si osserva una ammaccatura, conseguenza di antica ferita. Il genere Bos è rappresentato da un metacarpiano, che sembra riferirsi alla specie brachyceros, e dall’aspetto si direbbe non meno antico delle ossa d’orso e di felini. Pel suo colore bruno e pel fatto che vi aderiscono particelle di cenere e di carbone (appariscono tali quando sieno osservate colla lente), argomento che abbia subito 1 azione del fuoco. Lo stesso dicasi, rispetto all’antichità, delle ossa lunghe di Capra (due tibie). Non così i resti di suino e di cervo, come pure tre mandibole di Capra. Queste, . \ · · mancanti del ramo ascendente e delle estremità anteriori, sono ridotte alla condizione in cui sogliono trovarsi nei focolari neolitici, e due di esse sembrano relativamente fresche ; inoltre si osservano in una tracce di cottura· e d’erosione. Anche in ciò abbiamo indizi che l’uomo, pur senza aver eletto domicilio nella caverna, vi facesse incursioni, tanto durante il periodo quaternario, quanto nel recente. Caverna della Giacheira. Nozioni generali. — La caverna della Giacheira è situata a circa due chilometri e mezzo da Pigna (nel comune omonimo), verso N.O., sulla riva sinistra del Rio del Corvo, affluente della Nervia. Essa apresi in un contrafforte del Monte Labenin, a circa 400 m. superiormente all’abitato, il quale si trova a m. 310 sopra il livello marino. La grotta mette all’esterno mercè un’angusta apertura verticale, quasi una fenditura, che si prolunga in uno stretto corridoio, il quale si trova in comunicazione mediante un pozzo verticale con una cavità sottoposta assai più ampia, — 197 — dalle pareti scoscese, che misura circa 9 m. di lunghezza ' per 5 di larghezza, il cui suolo si trova a m. 13.50 inferiormente. Per scendere a questo livello, occorre farvisi calare mediante una fune o adoperte una scala portatile. Nella cavità, alla quale si giunge in modo così malagevole, è da notarsi in prima che il suolo scende rapidamente verso ovest e che, a breve altezza sul suolo stesso, si osserva un profondo solco orizzontale, dovuto evidentemente alla erosione. Una piccola propaggine, lunga circa una diecina di passi e ricca di stalattiti, si dirama da questa cavità, verso sud-est, ad un’ altezza di parecchi metri sul fondo. In basso, dalla estremità occidentale della cavità maggiore, si penetra in una galleria ricca di stalattiti, che volge a sud-ovest; e in questa, nel tratto mediano, raccolsi, parte liberi sul terreno, parte impigliati nella stalagmite, ossa di fiere e resti umani, fra i quali notevolissima una mandibola umana, quasi intera, che descriverò più innanzi. La galleria conduce ad una piccola camera, ornata di bizzarre concrezioni lapidee, bianche o giallastre. Colà, accanto alle pareti, il suolo è scavato di piccole conche alabastrine, piene d’acqua, presso le quali rimasero orme profonde di quadrupedi„ impresse evidentemente sopra una melma molle, che acquistò di poi, per lo stillicidio calcarifero, consistenza lapidea. Due lastroni stalagmitici, in cui si vedono alcune di tali orme, furono distaccate, mercè scalpello e mazzuolo, ed ora si conservano nel R. Museo geologico di Genova. Dalla camera ora descritta, un cunicolo più stretto dei precedenti, praticabile solo ad un uomo di mediocre corporatura, dà adito ad una sala bassa, lunga non più di una diecina di passi, sul suolo della quale si trovarono a fior di terra una mezza mandibola ed un cranio umani un po’ incrostati di calcite. La volta di questa sala è formata di calcare nero, sprovvisto di stalattiti, stranamente * — igS — inciso da profonde erosioni e in cui si distinguono num-muliti mal conservate. Finalmente, un’altra galleria discendente, dal suolo umido e melmoso, diretta da est ad o\est, conduce, dopo un percorso di altri 6 a 7 metri, nel punto più profondo raggiunto da me e credo anche da altri. Lungo una delle pareti di tale galleria, si apre, nel suolo, una sorta di spaccatura verticale, da cui si leva il frastuono d’acqua corrente, la quale tuttavia non si vede, perche nascosta dalle sporgenze della roccia. Non si rinvennero in alcuna parte della spelonca, manufatti, tracce di abitazione od avanzi di pasto riferibili all’uomo (1). Avanzi umani. — I mascellari inferiori estratti dalla spelonca- sono, come già accennai da principio, in numero di due; uno quasi completo, cui mancano soltanto le apofisi coronoidi, i condili ed alcuni denti, l’altro, ridotto alla metà sinistra e mancante del condilo corrispondente, nonché del canino e degli incisivi. 11 primo colpisce, innanzi tutto, pel suo aspetto di remota antichità, per forme e proporzioni affatto insolite. Esso è di color bruno chiaro, con lieve lucentezza grassa, ed allappa alla lingua; nella regione del mento e, lateralmente, sugli archi dentali e sqgli stessi denti, si mostra coperto di una saldissima incrostazione calcare (fig· 61). Questo fossile apparisce assai diverso, a tutta prima, dall’osso corrispondente di un Ligure odierno, per la sua straordinaria robustezza, perchè forma un arco assai più aperto, essendo eziandio i suoi rami meno arcuati, perche è comparativamente più alto, massime nella regione mentoniera. Rispetto alla prima differenza, basterà notare che, (1) Raccolsi presso l’apertura della caverna il raro mollusco Pupa psa-rolena (Bourguignat). Nell’interno furono scoperti i coleotteri Anophlhabnus Spagnoli (Gestro) e Batyscia Spagnoli (Gestro) e il miriapodo Polydesmus inconstans. — 199 — mentre lo spessore massimo del corpo della mascella, all’estremità posteriore della linea obliqua interna, è di circa 13 mm. in uno scheletro fresco, adulto, di sesso maschile e di ossatura normale, raggiunge 19 mm. nel nostro fossile; se poi la misura sia presa in corrispondenza della sinfisi del mento, le due cifre diventano 12 e 18 mm., per cui si può asserire che, rispetto alla grossezza, il fossile supera almeno di un terzo le condizioni normali. Fig. 61. Mandibola umana della caverna della Giacheira; '/, della grand, nat. La maggiore apertura dell’ arco formato dai due rami della mascella si manifesta tanto nel perimetro esterno quanto nell’interno; il primo è meno arcuato e il secondo è meno sinuoso di quanto si osserva d’ordinario. L’angolo mascellare, notevole per la spessezza dell’osso, che ivi si ingrossa a guisa di orlo, è inoltre nettamente riflesso all’esterno, anziché all’interno, come nei casi più frequenti. Esso angolo è piuttosto arrotondato e assottigliato anziché quadro, ma senza esagerazione. L’arco dentale è più ampio e più aperto di quel che non sia normalmente; la parte che comprende gli incisivi è quasi retta. Quanto ai denti, il nostro fossile presenta i tre grossi molari per parte, ben sviluppati, piuttosto grossi, fitti, a tubercoli mediocremente sporgenti e un poco logori. La corona loro è pentacuspide nei due terzi molari, a quattro soli tubercoli negli altri. Mancano tutti gli altri denti ; ma si vedono gli alveoli loro che appariscono relativamente ampi, profondi ed un po’ compressi a destra e a sinistra. Fra quelli del secondo e del primo premolare, come pure fra gli alveoli del primo premolare e del canino, vi ha una piccola lacuna; tutti gli altri alveoli sono separati fra loro da un intervallo lineare. Agli alveoli dei canini corrisponde anche una sporgenza notevole dell’arco dentale. L’individuo cui appartiene l’avanzo descritto era appena un po’ prognato, in ordine alla forma della mascella; e, rispetto alla direzione dei denti, i suoi molari e premolari i · * . · · erano impiantati quasi verticalmente, mentre gli incisivi e in ispecie i canini presentavano lieve inclinazione dall indietro in avanti. Esso aveva raggiunto il suo massimo sviluppo senza che la dentatura accusasse tracce di vecchiaia. Dal pochissimo che ne rimane si può argomentare che fosse dotato di robustissima corporatura, e ciò tanto rispetto allo scheletro quanto ai muscoli. Alcuni dei caratteri suesposti si ritrovano nel frammento di mandibola della Grotte Rouge, presso Aldène (Aude), figurato da de Quatrefages e Hamy, alla tav. XII, fig· 6, dell'opera intitolata Cranici Etlinica e nel profilo della mandibola di Engihoul, riportato nella stessa opera alla pag. 5 7* La mezza mandibola umana della Giacheira, nella quale, come abbiamo detto, mancano il condilo e gli incisivi, e di color bruno, come terroso, e destituita di lucentezza. Nulla vi ha d’anormale, nelle sue dimensioni e nelle forme, per le quali ricorda una mascella estratta dal Trou dti Frontal, nel Belgio, per opera di Dupont e figurata alla fig. 4, tav. XII dell’opera di de Quatrefages e Hamy. Del cranio umano, il quale, a quanto pare dall’aspetto e dal grado di conservazione, appartiene ad un individuo - 201 - diverso da quelli cui spettano le due mandibole, non ho che poche parole da dire, essendo ridotto a troppo scarse ed imperfette relique. Infatti, consiste nella sola calvaria, ricomposta incollando vari frammenti, in cui si spezzò quando volli estrarlo dal giacimento. Giudicandone da ciò che ne rimane, questo cranio doveva essere piuttosto ampio, assai dolicocefalo, comparativamente angusto nella regione posteriore, di spessezza maggiore del consueto. Il suo frontale, in gran parte conservato, ma coperto di concrezioni calcari, è stretto, basso, poco convesso, quasi destituito di bozze. La porzione orbitale manca, quindi mancano le prominenze sopraccigliari, le quali, d’altronde, non si annunciano affatto nella regione contigua. La sutura coronale, visibile solo per piccolo tratto, apparisce a frastagli brevi, minuti e poco complicati ; essa è parzialmente coperta di incrostazioni. I parietali, conservati per la maggior parte, massime il destro, ma nascosti per più di metà sotto salda incrostazione, presentano convessità uniforme e meno risentita che non nei crani tipici di stirpe ligure ; le bozze loro sono spianate e si uniscono all’occipite per declive regolare. La sutura sagittale, quasi tutta aperta, offre dentellature singolarmente semplici. Dell’occipitale non resta che un piccolo frammento, il quale, nel profilo, non sporge affatto rispetto ai temporali. La sutura lambdoidea, ancora ben visibile, quantunque saldata, presenta insolita semplicità di frastagli. Le cavità della superficie interna, per quanto le incrostazioni, che coprono le ossa del cranio anche internamente, permettono di apprezzarle, sono poco risentite. Avanzi d’animali. — Gli avanzi di animali rinvenuti nella grotta si riferiscono principalmente all’orso e al lupo. Al primo appartengono due molari inferiori, il primo sinistro e l’ultimo destro, una vertebra, un frammento di radio, tre Atti Soc. 1.10. St. Γ’λτκια. Voi. XI. — 202 — metatarsiani, alcuni pezzi di coste e pochi frammenti di cranio. Spettano al secondo due pezzi di cranio, uno dei quali comprende parte del mascellare superiore, i due mascellari inferiori integri, parecchie vertebre e frammenti di ossa lunghe. Oltre a ciò, raccolsi due mandibole ed un femore destro di gatto comune e una mandibola destra, o mancante di parte del corpo e del ramo ascendente, di piccolo cervo, probabilmente capriolo. Le ossa d’orso sembrano, dall’aspetto loro, ben più antiche di tutti gli altri avanzi, eccettuati la mandibola umana di maggiori dimensioni e forse anche il cranio umano., i quali risalgono verosimilmente alla medesima epoca. Le reliquie di lupo e di cervo, nonche la seconda mandibola umana, hanno caratteri di fossili più recenti, e le ossa di gatto appariscono quasi fresche. I resti d’orso sopra enumerati si riferiscono, secondo ogni probabilità, alla specie Ligusticus ; ma ad ogni modo non spettano all’ Ursus arctos. Quanto alle ossa di lupo, appartengono alla specie comune, la quale, comunque prossima alla estinzione, si mantiene ancora tra i monti liguri. Se ci facciamo ad esaminare le orme impresse sul suolo cedevole della caverna, orme conservate mercè stillicidi calcariferi, che impartirono alla melma durezza lapidea e la coprirono in gran parte di salda concrezione stalattitica, osserviamo in prima che queste appartengono a parecchi animali di mole diversa, si sovrappongono e si confondono in modo da renderne difficile l’interpretazione. In un lastrone stalagmitico di 20 centimetri di lunghezza e 19 di larghezza, estratto dal suolo della caverna, si può distinguere un gruppo di cinque orme di piccole zampe digitigrade, ciascuna delle quali lasciò ben netta l’impronta del polpaccio di tre o quattro falangi ; una di esse presenta ben visibile anche la impressione di due artigli. Tali — 203 — orme non misurano più di 5 cm. di larghezza ed appartengono per ciò ad un mammifero della mole di un cane di media corporatura. In altra lastra, che offre superficie un po’ minore, vi ha un’ impronta, assai ampia e distinta, ma meno perfetta nei particolari, stante la natura grossolana della roccia. Essa presenta tre profonde cavità irregolari, che furono modellate da un egual numero di falangi, ed occupano una larghezza di 8 cm. ; due di queste sono contigue, la terza dista almeno un centimetro dalle altre due. All’innanzi, alla distanza di 2 cm. a 2 cm. ‘/2, si vedono tre cavità che attribuisco ad un altro individuo, e che sono parzialmente occultate da una impronta posteriore. Si tratta di orme lasciate probabilmente da qualche lupo. Non è da far meraviglia che si trovino nella Giacheira ossa di fiere, massime d’orso, perciocché è noto come le caverne sieno covo prediletto di molti carnivori, e come l’orso, fra gli altri, non solo elegga in esse la propria dimora, ma abbia il costume di ritirarvisi per morire, quando sia gravemente infermo o ferito. Ma perchè insieme agli avanzi di fiere giacevano resti umani, resti di tre individui almeno ? Escluso dalle condizioni topografiche-della grotta, dalla sua oscurità ed umidità, che abbia potuto servire ad uso di ricovero od abitazione, il ritrovamento di quegli avanzi si spiegherebbe nei modi seguenti : In varie epoche caddero uomini nel baratro e vi trovarono la morte; i carnivori si cibarono delle loro spoglie. Oppure, spoglie di morti furono depositate colà dai superstiti. Od anche, vi furono trascinati i cadaveri dalle fiere per farne pasto. Le adiacenze dello speco non essendo tagliate a precipizio e nemmeno scoscese, apparisce poco presumibile — 204 — perciò che, a causa di accidentale caduta, vi soccombessero, sia pure a lunghi intervalli, tre individui. Non dubito che le ossa appartengano ad uomini tratti la dentro dopo morte, e reputo perciò più verosimili la seconda e la terza ipotesi. Giova osservare, in ordine alla seconda, che durante i tempi preistorici i defunti si depositarono abitualmente nelle cavita naturali dei monti. E fu tanto generale siffatto costume in Liguria, che in quasi tutte le grotte e grotticelle del Finalese e del Loanese, e perfino in semplici crepacci o piccoli cavi di rupi, si rinvengono ossa umane, quasi sempre in tali condizioni di giacitura da far credere che vi sieno stati collocati o anche gettati i cadaveri, per sottrarli alla vista dei superstiti. È presumibile che nei tempi più remoti dell era quater naria l’uomo abbandonasse nelle grotte i cadaveri senz altra cura, lasciando che le fiere affrettassero l’opera distruggi trice degli agenti atmosferici; più tardi, giunto ad un certo grado del suo svolgimento, compose con cura le spoglie dei morti per l’ultimo riposo, le fregiò di preziosi orna^ menti ed amuleti, pose loro d’accanto le armi più efficaci per la guerra e per la caccia, e i cibi preferiti, adempiendo così a certi riti e cerimonie imposti dalla fede o dalla superstizione. A favore dell’ultima ipotesi, che fra tutte reputo a più verosimile, milita la considerazione che fiere assai robuste, come lupi, potevano in quei tempi remoti, come fanno ancora oggidì, assalir l’uomo, farne loro preda e trascinarne le spoglie nelle spelonche per divorarle (i). (i) Udii raccontare dal Sig. Victor Brooke, il quale andò anni sono caccia di lupi nei pressi di Pigna, ove tuttora allignano, che in una n0*·^ alcuni di questi carnivori riuscirono a trascinare a più centinaia di metri, distanza una carogna di cavallo, abbandonata colà in luogo deseito pe servire di esca. Caverne dei Balzi Rossi. Posizione e numero delle caverne. — Chi segue la strada che conduce, lungo la riva del mare, dal territorio di Mentone a quello di Ventimiglia, attraversato appena l’attuale confine politico tra la Francia e l’Italia, che corrisponde all’ angusto e scosceso burrone di San Luigi, si trova ad un tratto a’ piedi di un'antica ripa di calcare giurassico, tagliata quasi a picco, entro la quale sopra una scarpa detritica, si apre una serie di anfrattuosità e di caverne (che erano originariamente in numero di 9), distribuite a variabile altezza sul livello del mare. Le rupi nude e aduste ritraggono colà un aspetto fantastico non solo dalfe forme bizzarre, ma anche dalla tinta rossiccia della roccia, d’onde il nome di Balzi Rossi, Bausse Rosse nel dialetto locale (1). Allorché non esisteva ancora la città di Mentone, coi suoi sontuosi alberghi, coi suoi ridenti villini, sparsi in mezzo agli aranceti, quando una densa foresta copriva di ombre paurose tutto il paese e risuonava per i suoi poggi il ruggito delle fiere, anzi che il fischio della vaporiera, le spelonche dei Balzi Rossi servivano di dimora ad una popolazione selvaggia di stirpe ben diversa da quella del ligure odierno. Essa vi portava il prodotto delle sue cacce, vi accendeva i suoi focolari, vi fabbricava colla selce e coll’osso le proprie armi e ogni altro utensile ; più tardi, in quei medesimi recessi seppelliva i suoi morti e poneva loro d’accanto gli ornamenti e le armi che in vita avevano portati, insieme alla scorta di cibo che occorreva al gran viaggio. (1) Le parole Bausse Rousséj colle quali gli autori francesi sogliono designare siffatto nome, sono il risultato di un errore di trascrizione. - 2θ6 — Risultato dei primi scavi. — Fournet riferisce che prima del 1848 una cassa di fossili estratti dalle caverne dei Balzi Rossi per ordine del principe Florestano I di Monaco, il quale li riteneva meritevoli di studio, fu spedita al Museo di Storia naturale di Parigi, ma non giunse a destinazione e andò smarrita. Il medesimo autore fece conoscere assai più tardi, cioè nel 1862, alcuni manufatti litici della stessa provenienza, rinvenuti tra il 1854 e il 1858 da Grand (1). A questa data risalgono le indagini scientifiche tentate nei depositi fossiliferi delle medesime caverne dal dottor Adolfo Perez, dal dottor F. Forel e dal Sig. Geny. Il primo donava al Museo di Storia naturale di Genova le proprie raccolte (che comprendevano anche manufatti rinvenuti a Nizza), delle quali dopo alcuni anni ci occupammo il Prof. Gastaldi (2) ed io (3). Forel rendeva conto delle sue scoperte in una appendice della Stona di Ventimiglia di Gerolamo Rossi e più innanzi in altra relazione più particolareggiata (4). Ernest Chantre esponeva nel 1867 i risultati di alcuni scavi praticati in quelle stazioni preistoriche fin dal 1864 (5). Il < Bulletin de la Société d’Anthropologie de Paris», pubblicato nel 1865, reca la relazione di scavi praticati colà in quell’ anno dal Prof. Broca. Nella grotta del Cavicchio (Barma du Ca-villou) Costa de Beauregard fece copiosa raccolta di ma- * (1) Du mineur, son róle et son influence sur les progrès de la civili-sation d'après les données actuelles de Γarcheologie et de la geologie. Lyon, 1862. (2) Iconografia di alcuni oggetti di alta antichità ritivenuti in Italia. Mem. della R. Accad. delle scienze di Torino, serie 2.% voi. XXVf. Torino, 1871. (3) Resumé des recherches concernant l'ancienneté de l'homme en Ligurie. Paris, 1867. (4) Vulliemin, Gaudin et Forel: Menton, son climat, sa geologie et ses grottes. Menton, 1864. (5) Éludes paléoethnologiques etc. Lyon, 1867. — 207 — nufatti litici e di ossami di quadrupedi fino a m. 1.50 di profondità. A Moggridge si debbono brevi cenni di ulteriori indagini in proposito, comunicati nel 1862 e nel 1872 alla Associazione britannica pel Progresso delle Scienze (1). Risale al 1870 un lavoro col quale, trattando dell’ età della pietra fra le Alpi Marittime, Gerquand si occupava pure dei manufatti scoperti nelle accennate stazioni (2). Poco dopo, nel 1872, Bonfils e Smyers sottoposero a diligente disamina le armi e gli utensili di pietra colà rinvenuti coll’intento di investigare come fossero fabbricati e per quale uso (3). Intanto Rivière presentava all’ Istituto di Francia la sua prima relazione sugli scavi da lui compiuti in alcune grotte od anfrattuosità che servirono di domicilio all’ uomo primitivo lungo quel litorale, relazione seguita da numerose altre note e memorie, nelle quali illustrava sotto gli aspetti della paleontologia, dell’antropologia e dell’archeologia preistoriche il materiale raccolto (4). A lui si debbono eziandio monografie relative a quasi tutte le grotte ossifere dei dipartimenti delle Alpi Marittime e del Varo. I lavori di Rivière furono compendiati nelll opera intitolata De ΐ antiquité de Γ homme dans les Alpes-Maritimes, compiuta nel 1879. Durante e dopo le indagini di Rivière ne furono fatte molte altre in quel territorio e specialmente nelle stesse caverne, delle quali renderò conto in seguito. Le numerose (1) British Assoc. advanc. Science, Report XLI. — Report XLII. (2) Mémoires de la Société des Sciences nat. des lettres etc. de Cannes, tome I. Cannes, 1870. (2) Reclierches sur les outils en silex des troglodytes et sur la manière dont il les fabriquaient. Nice, typ. Gauthier, 1872. (4) Sur les cavernes à ossements des Baoussé-Roussé. Comptes Rendus etc., 1871 — Sur Vhomme fossile trouvé dans les cavernes des Baoussé-Roussé etc. Ibidem, 1872 — Sur le squelelte humain trouvé dans les cavernes des Baoussé-Roussé etc. Ìbidem, 1873. — 2θ8 — pubblicazioni che ne risultarono saranno registrate per la massima parte nell’elenco bibliografico annesso a questo volume. 11 prodotto degli scavi eseguiti dal Prof. Perez consiste in un centinaio di manufatti silicei, in numerosissime schegge di selce e diaspro, rifiuti di lavorazione, in conchiglie marine e terrestri e in ossa o denti di mammiferi, principalmente di cinghiale, cervo e capra. Fra questi oggetti, che si conservano presso il Museo geologico di Genova, sono da notarsi : coltellini di piromaca o diaspro, gli uni terminati in punta ottusa, gli altri appuntati, dal margine tagliente, bene spesso ritoccato a piccole schegge (fig. 64) ; punte di freccia a mandorla; punte di freccia ad alette o che fanno transizione al tipo ad alette senza peduncolo e son fatte delle medesime pietre (fig 62, 63, 65, 66); punteruoli Fig. 62. Fig. 63. Fig. 64. Fig. 65. Fig. 66. Punte di freccia a mandorla dei Balzi Punte di frecce ad alette dei Balzi Rossi (Museo geolog. di Genova); Rossi (Museo geolog. di Genova); grand, nat. grand, nat. a sezione triangolare ; bulini (fig. 70) ; raschiatoi litici in forma di larghe lamine dal margine tagliente ecc. (1). (1) Allorché il Prof. Perez rinunziò al posto di assistente, che egli occupava presso il R. Museo di Storia naturale in Genova, e per ragioni di salute si trasferì in altra sede, fece dóno al predetto museo della sua raccolta di oggetti preistorici, nella quale, come seppi di poi, si trovavano riuniti, sotto una comune indicazione di provenienza, molti oggetti dei Balzi Rossi, ed - 209 - Trincea aperta cL' innanzi alle grotte — Ritornando alle indagini di Rivière, giova osservare come egli, fin da principio, fosse edotto della meravigliosa ricchezza di quei depositi fossiliferi, osservando la profonda trincea aperta per la costruzione della ferrovia ligure, lungo il litorale, nel ripiano detritico che sta d’innanzi alle grotte. In questa trincea apparve una breccia piena di ossa d’animali, di selci scheggiate, di carboni, di cenere, residuo di un antico focolare, situato immediatamente fuori della caverna numero 3 (1). Presso il limitare della medesima, di contro alla grotta numero 7, un altro scavo, che penetrò di 14 metri sotto il livello del suolo, mise in possesso del Sig. Rivière due molari da lui attribuiti al Rhinoceros tichorhinus ed ossa lunghe di cervo, infrante dall’ uomo. Da tali indizi si poteva argomentare come molto rimanesse ancora a scoprirsi nel fondo delle altre cavità e fuori di esse. Scavi compiuti nelle singole grotte. — La piccola spelonca N.° 1, la più prossima al vallone di S. Luigi, che coincide col confine italo-francese (2), presentò da principio un certo numero di avanzi di cinghiale e di cervo, scarse conchiglie, selci scheggiate, manufatti d’ osso (questi in piccolo numero) ed alcuni articoli d’ encrini fossili, che si suppongono oggetti di ornamento. Più tardi, a maggior alcuni di Nizza (questi procurati al Prof. Perez dal Sig. Geny). Per tal circostanza avvenne che, porgendo un cenno dei manufatti delle caverne ligustiche, posseduti dal Museo di Genova, registrassi come pertinenti ai Balzi Rossi tre accette litiche levigate, e un ago di osso che furono realmente trovati a Nizza. Ignoro se due dischi di terra cotta, una fusaruola della stessa materia e due pietre da affilare, compresi nella raccolta, provengano pure, come è probabile, da Nizza. Ramorino era caduto nel medesimo errore accennando a quei manufatti in un suo lavoro sulle caverne della Liguria (Meni, della R. Accad. delle scienze di Torino, serie 2.*, voi. XXIV, Torino, 1866). (1) Adotterò d’or innanzi, per brevità, i numeri d’ordine proposti da Rivière per distinguere le singole grotte. (2) È la stessa denominata di poi Grotte des Enfants. profondità, vi furono rinvenuti da Rivière due scheletri di bambini, coperti o circondati nella regione lombare da un grandissimo numero, circa un migliaio, di conchiglie (Cyclo-nassa neritea) forate. La grotticella numero 2, che è un piccolo cavo formato da una sporgenza rocciosa di quella stessa ripa in cui si apre la prima spelonca, non fornì che denti di Cervus elaphus, associati a qualche scheggia di diaspro e ad altri residui di poco interesse. Nel numero 3, grotta che misurava m. 9.5° di larghezza e 17 di lunghezza, si trovarono ossami in copia, con alquante selci, un ciottolo di serpentina ammaccato ed arrossato di ocra ad una estremità, due pugnali d osso, un lisciatoio di corno, ecc. Dalla caverna numero 4, o Barma dti Cavtllou (du Ca-villon in frane.), le cui dimensioni erano circa m. 19 per la lunghezza e 9.40 per la massima larghezza, si trassero a vari livelli residui organici, nonché pietre, conchiglie ed ossa più o meno lavorate ; poi uno scheletro umano, ben conservato, d’ individuo adulto, di cui esporrò in seguito 1 caratteri più spiccati. La caverna N. 5 o Barma Grande, è più estesa, poiché penetrava nella roccia per ben 28 metri, presentando larghezza variabile nei diversi suoi tratti. Il suolo di essa constava di un terriccio nero e umido, sparso di pietre angolose, il quale conteneva numerosi manufatti litici, schegge di piromaca, punteruoli d' osso (in gran parte punte di zagaglia) e moltissimi avanzi di animali ; insomma un’ accumulazione di residui analoga ai Kjdkkenmòddings della Danimarca. Tra le selci segnalate in questa grotta, credo bene ricordare due tipi non comuni: il raschiatoio doppio, lunga lama di selce terminata a ciascuna estremità da un tagliente ad arco, lavorato a sottili schegge, ed il perforatore, il quale presenta una punta acuta atta a forare ed un margine scheggiato ad uso di tagliente. La fauna della caverna risulta precipuamente, secondo Rivière, di numerose specie, fra le quali si reputano emigrate od estinte quelle da lui designate coi nomi di Felis spelcea, Capra primigenia, Bos primigenius ed un suino affine al Sus larvahis (i). La caverna N.° 6 (detta della Ciappa del Ponte od anche Bausso da Torre) assai più prossima al mare delle precedenti, era larga metri 16 e s’inoltrava persoli 12. 11 suolo di essa, sotto un cumulo di detriti caduti dalla volta, si presentava formato di una breccia rossastra, ricca di residui organici. Presso la superficie, vi si trovarono spoglie di piccoli roditori, al di sotto, ossa e denti di ruminanti e d’altri mammiferi, conchiglie (specialmente mitili e patelle), nonché parecchie punte di freccia e punteruoli d’osso, il tutto misto a cenere, carbone o frammenti di roccia. Tra iresti di mammiferi, debbono essere segnalati un canino d’orso delle caverne ed una .mandibola di lupo, raccolti alla profondità di m. 2.75. Un po’ più in basso, Rivière scoprì tre scheletri umani, di cui mi occuperò più innanzi. Negli scavi praticati posteriormente, ad una profondità alquanto maggiore, il medesimo naturalista ebbe a verificare che mancavano i soliti utensili di selce e di diaspro ed erano sostituiti da manufatti d’arenaria quarzosa a grana minuta. La caverna N.° 7, le cui dimensioni sono m. 33.70 di lunghezza (senza tener conto di due piccole propaggini nella parte più interna) e m. 9 di larghezza media, era designata altre volte sotto il nome di Grotta del Ponte romano e fu poi denominata del Principe, in seguito alle (1) Il Prof. Boule reputa la F. spelcea non distinta specificamente dalla F. leos e la Capra primigenia riferibile allo stambecco delle Alpi. — 212 fortunate indagini che vi furono compiute da Alberto l di Monaco. Quantunque non Γ abbia esplorata, Rivière potè Fig. 6η. Fig. 68. Fig. 69. Manufatti dei Balzi Rossi; in grand, nat. Fig. 7°· Cuspide silicea a doppia punta — Punteruolo doppio d osso di uso i0n Punta di raffio d’osso (Rivière) — Bulino di piromaca (Museo geol. di verificare come fosse fossilifera, quando il deposito che ne costituisce il suolo e si protrae alla parte anteriore della cavità fu in piccola parte asportato per la costruzione della ferrovia litoranea. La successiva (N.° 8) non è che una angusta an frattuosità della roccia, nella quale non fu osservato nulla di notevole. 11 N.° 9, o Barma dei Gerbai, piccola cavità che rimase tagliata dalla trincea aperta per dar luogo alla ferrovia offrì ossa di mammiferi pertinenti a buon numero di specie, fra le quali son citate: Ursus speloeus, Canis sp· (probabilmente il C. aureus o sciacallo), Hycena spelcea, Felis spelcea, Felis antiqua, lince, rinoceronte di specie — 213 — indeterminata (i). A queste si trovarono associate alcune ossa di gazza, di pernice e di colombo. Primo scheletro umano scoperto da Rivière. — Il primo scheletro umano in cui si imbattè il Rivière, nel corso delle sue ricerche, era sepolto nella Barma du Cavilloii o quarta caverna, a m. 6,55 sotto al livello primitivo. Esso giaceva presso la parte laterale destra della cavità, coricato sul lato sinistro, in atteggiamento come di riposo, col capo un poco sollevato e il mascellare adagiato sulle ultime falangi della mano sinistra. A contatto della base craniense e della regione posteriore dello scheletro, v’erano varie pietre gregge, più o meno voluminose, come se avessero servito di sostegno al capo. Questo scheletro è tra i fossili umani uno dei più completi, non mancandovi che alcune ossa dei piedi e pochi frammenti della tibia e del perone sinistri. Il suo cranio, di forma dolicocefala, assai allungato, convesso alla sommità, offre strette analogie con quelli ben noti, raccolti fin dal 1868 nella caverna di Cro-Magnon, illustrati da de Quatrefages e Hamy nella pregiata loro o^era Crania Ethmca (Paris); ma ne differisce pel suo minor volume e perchè ha la regione posteriore od occipitale meno larga e la fronte più ristretta. Le suture di questo cranio sono tutte saldate, e, per lo più, poco appariscenti; le orbite sono di forma rettangolare ed hanno tal particolarità comune coi teschi di Cro-Magnon; l’angolo facciale è assai aperto e manca, nella faccia, ogni segno di prognatismo o d’altro carattere che accenni ad una razza inferiore; l’angolo della mascella è arrotondato; le apofisi coronoidi sono poco sporgenti. I denti sono sani e logori e non vi si scorgono più nè tubercoli, nè incavi ; la I (1) Già dissi come per Houle Felis spelcea equivalga a F. leo; il medesimo autore crede che F. antiqua debba identificarsi con F. pardus e Hycena spelcea possa considerarsi quale razza della crocuta vivente. — 214 — superficie loro è perfettamente piana ed orizzontale, fatto sino-olare, se si consideri che i caratteri osteologici dell indi- o viduo non son quelli d’un vecchio. Le misure delle singole ossa fossili, comparate alle misure corrispondenti prese sopra uno scheletro umano moderno, mostrano che la statura dell’uomo dei Balzi Rossi sopravanzava l’ordinaria e doveva raggiungere almeno i m. e 85. Le proporzioni rispettive delle varie ossa sono, nel fossile dei Balzi Rossi, diverse da quelle che si verificano nell'Europeo dei nostri tempi. Così, recando un esempio tra cento, le lunghezze dell’omero e del radio stanno fra loro, nell’uomo fossile, come 100 a 76.90, mentre il rapporto normale delle due lunghezze, è, nell Europeo, di 100 a 73.82 per l’uomo, di 100 a 74.02 per la donna, e, nella razza negra, di 100 a 79.43 per 1 uomo e di 100 a 79.35 per la donna. Altri caratteri pur degni di menzione sono la forma appiattita, a lama di sciabola, delle tibie, la brevità del collo del femore, la robustezza e lo sviluppo insolito delle ossa dei piedi, particolarità che più o meno si verificano nella razza o varietà di Cro-Magnon. Alla superficie delle ossa umane da lui scoperte, il signor Rivière osservò una colorazione rossastra ed un lieve riflesso metallico, dovuti ad un sottil deposito di ferro oligisto. o Fig. 7/. Fig. 72. Fig. 73. Manufatti litici dei Balzi Rossi (Rivière). Cuspidi triangolari a doppia punta; dimens. un po’ ridotte. Disco siliceo; grand, nat. — 215 — La terra sulla quale giaceva lo scheletro, esaminata al microscopio, si mostrò sparsa di numerosi avanzi ed impronte di peli, assai diversi dalle produzioni epidermiche dell’uomo, e da ciò si può argomentare che il cadavere fosse originariamente adagiato sopra una pelliccia. 11 cranio era circondato da un gran numero di con-chigliette marine, artificialmente forate (ve n’erano più di 200, tutte spettanti alla specie denominata Cyclonassa nentea) e da ventidue canini di cervo comune, egualmente, forati. E impossibile non riconoscere in questi oggetti gli avanzi di un’acconciatura che adornava il capo del defunto. A contatto del cranio medesimo, di contro al frontale, si raccolse un radio di cervo, appuntato forse ad uso di stile, e, presso l’occipitale, si trassero dal terreno due lame di selce, a sezione triangolare, infrante entrambe alla base. Accanto all’estremità inferiore della tibia sinistra, Rivière trovo altre conchiglie marine, della specie già rammentata, e sono quanto rimane di un ornamento che circondava il garretto. Resti che accompagnavano lo scheletro. — Ecco l’elenco degli animali, i cui avanzi erano nella immediata vicinanza dello scheletro, secondo la determinazione dei signori Gervais e Senéchal : Felis spelcea; Ursus spelceus; lupo; riccio comune; rinoceronte di specie non indicata; coniglio; Bos primigenius ; alce, specie confinata presentemente nello estremo settentrione; Cervus elaphus ; C. Canadensis, varietà del cervo comune che si distingue principalmente per le maggiori dimensioni; piccola specie o varietà di cervo denominata C. Corsicanus; C. capreolus; Capra primigenia; camoscio. In altre parti della grotta, si raccolsero pochi avanzi attribuiti ad orso delle caverne, Hycena spelcea, Felis antiqua, Arctomys primigenia ( i ), specie o varietà estinte. (i) Si tratta propriamente di varietà della marmotta. - 2 ιό — La fauna fossile ornitologica della grotta e rappresentata da un Falco e da alcuni passeracei e gallinacei. Quanto alle conchiglie, si riferiscono a ben 60 specie, sì marine che terrestri, e sono, in parte, oggetti d ornamento, come lo attestano i fori artificiali, praticati in alcune di esse, fori che servivano a sospenderle a guisa di monile od allacciarle a qualche capo di vestiario. Alcune delle specie marine (Purpura lapillus e Littonna littorea) sono proprie all'Oceano Atlantico e solo per opera dell uomo si rinvencrono sulle rive del Mediterraneo. Accanto allo sche- o letro, v’erano, oltre alle Cyclonassa già rammentate, parecchie valve di Mytilus, uq Pectunculus e frammenti di Pecten. Le numerosissime ossa lunghe di erbivori estratte nella quarta caverna, dal signor Rivière, sono quasi tutte infrante dall’ uomo, hanno, cioè, la diafisi spaccata longitudinalmente. Anche le mandibole superiori ed inferiori, così dei ruminanti che dei pachidermi, sono invariabilmente spezzate. Tra le ossa dei carnivori, comparativamente scarse, alcune si presentano d’ordinario intatte, per esempio le falangi; altre, come le mandibole sono costantemente spezzate. Le corna di capra e di cervo non si trovano mai intere, e servirono bene spesso di materia prima ai rozzi artefici dei Balzi Rossi per foggiarne armi od utensili. Nella pluralità dei casi, ossa, corna e denti che accompagnavano lo scheletro non subirono l’azione del fuoco o di questa portano lievissimi segni. Oltre alle armi e agli stromenti, già accennati per incidenza, la quarta caverna somministrò gran numero di manufatti, tra i quali noterò: punteruoli (forse punte di zagaglia), aghi e scalpelli d’osso, un metacarpo di cavallo perforato presso la sua articolazione inferiore, considerato dal Sig. Rivière come un bastone di comando (1), un (1) Antiquité de ΐhomme dans les Alpes Maritimes, tav. IX, fig. I· ( — 217 — supposto lisciatoio di corno cervino (utensile forse destinato a comprimere ed appianare le suture delle pelli cucite), numerosissimi oggetti di selce e di diaspro, cioè vari tipi di raschiatoi, punteruoli, percuotitoi, cuspidi e schegge a migliaia. Meritevoli di speciale attenzione, dischi silicei di varie dimensioni (fig. 73) e cuspidi irregolarmente triangolari a doppia punta (fig. 72, 74) (1). Salvo poche eccezioni, questi oggetti sono di piccole dimensioni, assai grossolani e lavorati, non solo nelle varietà più tenaci di pietra, ma eziandio in quelle che presentano più vago aspetto per lucentezza e tinta vivace. Sono pure, da segnalarsi, nel numero delle pietre che portano tracce del lavoro umano, un ciottolo ovoide di serpentina ed uno un po’ appiattito di giadaite; e, siccome il primo offre, ad una delle sue estremità, ben manifeste ammaccature ed erosioni e vi aderisce dell’ocra rossa, Rivière sospetta che fosse destinato a stritolare questo minerale. L’unico oggetto di terra cotta rinvenuto nella caverna è un frammento di un disco forato nel centro, e sembra posteriore agli altri manufatti. Il supposto bastone di comando è propriamente, a parer mio, parte di un capestro destinato a padroneggiar cavalli od altri equini. E. Piette dimostrò con larga copia di argomenti, fondati sull esame di numerosi esemplari di sculture e graffiti paleolitici rappresentanti teste di equidi, che durante i tempi compresi nella così detta età del renne i cavernicoli erano riusciti a conseguire una imperfetta addomesticazione (1) Tali dischi, segnalati in vari punti della stazione dei Balzi Rossi, sono selci di forma presso a poco lenticolare, con minute scheggiature marginali. Non riuscì finora ad alcuno d’indovinarne il vero significato. Rispetto alle punte triangolari suaccennate, mi sembrano assai affini a taluna delle così dette frecce a tagliente trasversale, descritte da De Baye, Bellucci ed altri ; suppongo però che non servissero quali frecce, ma piuttosto ad armare qualche strana foggia di mazza guerresca in cui fossero confitte in più serie Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL. 1S - 2 18 — del cavallo e di altri equidi e signoreggiavano questi animali, mediante capestri non molto diversi da quelli che si adoperano ancora in alcuni paesi (i). Spetta a Pigorini il merito di aver riconosciuto prima di Piette che certi arnesi fatti con pezzi di corno di rangifero, arnesi forati ad una estremità e più o meno ornati di graffiti e di bassorilievi, erano propriamente pezzi rigidi di tali capestri, i quali, nel rimanente, consistevano in lacinie di pelle o in funi opportunamente connesse. Oggetti consimili furono bene spesso designati dai paletnologi francesi come bàtons de commandement. Persiste ora il dubbio se certe aste di corno di renne, per lo più riccamente ornate di sculture e d’intagli e provviste di parecchi fori (che le rendono poco atte a resistere senza rompersi ad energico sforzo di trazione), fossero propriamente insegne di comando, come si ammette dai più, e non piuttosto porzioni di capestri d’apparato. Nella grotta N.° 4 (Barma du Cavillou), a poco meno di 8 m. di profondità, lungo la parete destra, fu osservato un adunamento di terra nerastra contenente molte piccole conchiglie forate (circa 857), arrossate da perossido di ferro, molte altre conchiglie non lavorate, buon numero di vertebre di pesci (di salmonidi) per la maggior parte forate, punteruoli d’osso, residui di pasto e un molare umano. Tale adunamento era limitato, verso sinistra e alla parte anteriore della cavità, da massi di pietra, e se ne può argomentare che fosse il residuo di una tomba sconvolta, dalla quale cioè si era tolto lo scheletro Scheletri umani successivamente rinvenuti. — Dopo il ritrovamento dello scheletro che fu ora brevemente descritto, il signor Rivière ebbe la ventura, come accennai, (1) Piette E., Le chevélre et la sémi-domestication des animaux aux temps pléiostoc'enes. L’Anthropologie, voi. XVII. Paris, 1906. — 2 19 - di disseppellirne tre nella sesta caverna (di cui due d’adulti ed uno di giovane) e due, ultimamente, anche nella prima, entrambi di bambini. Lo studio di questi preziosi avanzi non conduce a risultati nuovi ; ma ha per conseguenza di confermare ed avvalorare le conclusioni tratte dalla prima scoperta. fig- 14 · Punta a tacca della Barma du Cavillou (Museo geol. di Genova); '/2 della grand, nat. Uno degli scheletri umani testé ricordati come proveniente dalla 6' caverna giaceva supino, in posizione orizzontale, a m. 3.75 di profondità, fra i residui di un antico focolare. Esso aveva i piedi rivolti verso l’apertura ed era accompagnato da armi, suppellettili ed oggetti d’ ornamento. Fu probabilmente deposto alla superficie del suolo, col capo appoggiato alla parete rocciosa, e forse ricoperto di poca terra. Lo scheletro, incompleto, offre gran parte dei caratteri già segnalati nell’esemplare esumato dalla quarta caverna; era però di statura più alta, che Rivière stima di oltre 2 m. Presso Γ omero destro, si trovò una grande lamina di selce irregolarmente ellittica, un pò smarginata nella parte media ; perciò si argomenta che fosse originariamente unita ad un manico e potesse adoperarsi ad uso di mazza. Vi erano pure numerose conchiglie marine forate, quasi tutte distribuite presso le vertebre cervicali e accanto alle estremità anteriori, segno che servivano a formare col loro complesso una collana e dei braccialetti. La specie prevalente è la Cyclonassa neritea, e non mancano Cyprcea ed altre conchiglie. - 220 — L’ esame microscopico della terra che si trovava a contatto del teschio rivelò tracce di capelli e quello delle materie tolte attorno allo scheletro, fra le vertebre cervicali e il bacino, manifestò la presenza di residui di peli appartenenti ad una pelliccia, della quale il cadavere fu avvolto o vestito. I segni di morsicature osservati su alcune ossa lasciano supporre che, se il morto fu inumato, la poca terra di cui era coperto era insufficiente a difenderlo dal dente dei carnivori. II secondo scheletro umano, fra i tre sumnientovati, scoperto da Rivière nella medesima caverna, giaceva a m. 3.90 di profondità, in mezzo ad un deposito costituito di ceneri, carboni, ossa d’animali spezzate, conchiglie ecc., che può legittimamente considerarsi come un antico focolare misto ad avanzi di pasti. Anche questo scheletro presentava un color rosso particolare, che lo scopritore attribuisce ad una tinta ocracea, applicata al cadavere all’epoca del seppellimento. La medesima colorazione si osservò sui manufatti, sulle conchiglie, sui denti forati rinvenuti a contatto o in prossimità delle ossa umane. Lo scheletro riposava sul fianco sinistro, sopra un piano inclinato dall’avanti all’indietro e dall’ alto al basso, disposizione dovuta forse a qualche cedimento del terreno. Esso era incompleto, mancando di gran parte del torace, della colonna vertebrale, di un osso iliaco, del sacro e di parecchie parti delle estremità inferiori. Altre ossa erano spostate in guisa che Rivière suppose fosse stato esumato e in parte divorato il cadavere dalle fiere, poco dopo il seppellimento; i suoi resti, accomodati di nuovo nella tomba, non corrisponderebbero per ciò alle connessioni anatomiche. Il cranio presenta una dolicocefalia pronunciatissima, e da quanto se ne può argomentare, larghezza non comune della regione facciale. σ — 22 1 - Le orbite sono rettangolari come quelle degli scheletri di Cro-Magnon e dei Guanci; l’indice orbitario è di 65. 11 mascellare inferiore è assai robusto con denti grossi ed apofisi coronoide assai alta. L’ ultimo molare non è ancora spuntato; perciò si presume che l’individuo avesse appena raggiunto da 25 a 30 anni. Le ossa delle estremità sono degne di nota, per le loro inserzioni muscolari e le loro dimensioni insolite, dalle quali apparisce che l’uomo cui appartenevano era dotato di forte muscolatura e di statura più alta del consueto, cioè di circa due metri. Le clavicole hanno spessezza e sviluppo più che ordinari. In questo scheletro i femori sono esageratamente sviluppati ed alquanto arcuati ; la linea aspra è risentita ; il collo apparisce breve, robusto e forma col corpo dell’osso un angolo poco pronunziato. Le tibie sono platicnemiche. La testa del morto era circondata di piccole conchiglie e di canini di cervo perforati, i quali dovevano far parte di un copricapo o di una corona. Altri denti e conchiglie consimili, rinvenuti presso varie parti dello scheletro erano indubbiamente resti ' di una collana e di braccialetti. A breve distanza, si trovarono gli avanzi di un individuo giovane (il terzo dei tre sopra ricordati), dalle ossa assai alterate e perciò fragilissime, che non erano accompagnate da alcun ornamento e non presentavano traccia deha tinta ocracea osservata negli altri. Lo scheletro giaceva 0 o disteso, col torace in basso e i piedi situati in alto presso l’apertura della grotta. I due scheletri di bambini rinvenuti nella prima caverna giacevano a m. 2.70 sotto il suolo e alla distanza di m. 10.50 dalla apertura, nella parte media della cavità. Erano coricati uno accanto all’altro, quasi in contatto, come se i cadaveri fossero stati deposti insieme nell’ ultima dimora. Possono dirsi quasi integri, mancando solo poche ossa dei piedi e sembrano aver appartenuto ad individui Γ uno di 5 a 6, l’altro di 4 a 5 anni. Non si osserva sulle ossa l’intonaco ocraceo tanto notevole sul primo scheletro scoperto. Esse erano coperte da una moltitudine di Cyclonassa nentea perforate, circa un migliaio di esemplari, che dovevano ornare orig-inariamente una tunica od altro indumento. Non a contatto, ma a breve distanza dagli scheletri, si raccolsero un piccolo raschiatoio e parecchie schegge silicee, gusci di Patella e piccole ossa di mammifero. Raccoglitori succeduti al Sig. Rivière. — 11 compianto Prof. R. Wirchow presentò, anni sono, alla Società antropologica di Berlino vari oggetti rinvenuti dal signor Schultze, fra i quali figurano un punteruolo d osso, due cucchiai, una sorta di bicchiere d’osso, un nocciolo di ciliegia di singolare grossezza e molti noccioli di oliva; gli ultimi indubbiamente recentissimi. Nel 1883, il Prof. Leone Orsini, residente a Ventimiglia, accortosi che la quinta caverna o Barma Grande, rovistata solo superficialmente dai precedenti investigatori, prometteva ancora ricca messe di fossili, incomincio in questa uno scavo sistematico, proponendosi di proseguirlo attraverso a tutto il materiale mobile che riempiva la spelonca fino all’incontro della roccia viva. Ritagliando nel suolo una serie di gradini, egli scopriva successivamente i vari strati archeologici e veniva raccogliendo poco a poco avanzi organici e manufatti, notando accuratamente la profondità in cui giaceva ciascuno di essi. c> Meritano particolar menzione tra gli oggetti rinvenuti, che furono tutti donati al R. Museo geologico di Genova, parecchie punte di zagaglia d’osso (le così dette pointes à cran dei paletnologi francesi), un corno cervino aguzzato, conchiglie di Trochus, Patella e Pecten e special-mente manufatti di selce riferibili a tipi svariatissimi. Oltre — 223 — ai raschiatoi, alle lamelle smarginate, ai dischi, alle cuspidi ovali e a foglia di salice, alle punte di freccia ad una aletta e a due, ai punteruoli, ai coltellini di varie fogge, vi figurano: punte di dardi finamente ritagliate e appuntate alle due estremità, grandi lame foggiate ad una estremità a punta triangolare, ritagliate grossolanamente nell’ estremità opposta e smarginate nella parte media, forse allo scopo di poterle legare ad un’ asta che doveva servire ad uso di lancia o di giavellotto; nè convien tacere di rombi o romboidi di uso ignoto. Il professore era già penetrato col suo scavo alla profondità di i m. 25 cm., quando, sospeso un giorno il lavoro, a causa del tempo cattivo, ritrovò l’indomani che altri, distruggendo i gradini, aveva continuato per conto proprio le indagini, e da ciò egli fu indotto ad abbandonare l’impresa iniziata con tanto impegno e consenziente il proprietario del fondo. A questa irruzione di breve durata, sottentrò il signor Louis Julien, e, proseguendo le ricerche in terreno vergine, ebbe la buona ventura di scoprire, a m. 8.50 sotto il suolo primitivo, uno scheletro umano, a quanto si afferma, integro o quasi, accompagnato da lame di selce ed altri manufatti. Non so se per malvagità o per ignoranza, il prezioso fossile non ancora estratto dalla grotta, fu da ignoti, durante la notte, infranto e disperso; sottratti alla distruzione, mercè le cure del Sig. Bonfils, si conservano ancora nel Museo civico di Mentone il teschio mutilato ed alcune ossa lunghe. Posteriormente in epoca non precisata, prima però del 1890, il Sig. G. B. Rossi tentò alcuni scavi che gli fruttarono i manufatti qui appresso enumerati : dalla prima caverna trasse un raschiatoio di piromaca ed una valva decorticata di piccolo Mytilus; dalla seconda un frammento di coltellino e schegge silicee; dalla terza otto coltellini silicei, uno dei quali notevole per le piccole Λ c - 224 — dimensioni (non misura che 13 mm. di lunghezza per 6 di larghezza), numerose schegge pur di selce ed alcuni frammenti di conchiglie. Provengono dalla quarta caverna : i.° un frammento di calcare cristallino coperto di ammaccature, il qualg sembra parte di un’ accetta levigata assai logora; 2.0 coltellini, quali di piromaca quali d’arenaria, interi o spezzati, in numero di 24; 3.0 cuspidi di freccia una delle quali nettamente triangolare ; 4.0 un frammento di raschiatoio di diaspro, in forma di lamella foggiata da una parte a tagliente arcuato e minutamente ritoccato, dall’altro tronca; 5.0 molte schegge di selce, diaspro o arenaria- 6.° due conchiglie di Trochus, una lamella ma- * O dreperlacea ed altri frammenti di conchiglia. Dalla quinta caverna il Sig. Rossi non trasse che schegge di selce ed ossa spezzate. Statuette di pietra e d’osso. — Il Sig. E. Piette, ben noto ai paletnologi per le sue numerose illustrazioni di saggi d’arte primitiva, diede la descrizione di cinque statuette assai rozze, quattro delle quali di talco e la quinta d’osso, che furono da lui acquistate dal D.r Julien come rinvenute ai Balzi Rossi (1). Sia per la materia di cui quattro di esse sono formate, sia pei caratteri eccezionali delle figure umane che rappresentano, non mi sembrano infondati i dubbi che furono avanzati circa la loro autenticità; nè bastano ad allontanarli le analogie di uno di tali manufatti colla nota statuetta d’avorio scoperta a Brassempouy dallo stesso Piette e da de Laporterie. Le più notevoli tra le quattro sono una piccola testa coperta da un berretto, che offre caratteri indubbiamente negroidi, e una figurina di donna, la quale, per lo sviluppo straordinario dato alle natiche e per altri particolari, sembra l’immagine grosso- (1) Piette É. Gravures du Mas d’Azil et statuettes de Mentori. Bull, et Mém. de la Société d’Anthrop., séance du 5 nov. 1902. — 225 — lana di una boscimana affetta da mostruosa steatopigia. Taccio degli altri esemplari di cui non conosco gli originali nè la figura. Se fosse certa la provenienza di siffatti oggetti, essi fornirebbero un nuovo nesso tra le stazioni soprapaleolitiche della Francia occidentale e quelle della Liguria. Scoperta di tre altri scheletri umani. — Da lungo tempo gli operai adibiti alla cava di calcare appartenente al signor F. Abbo, ai Balzi Rossi, avevano incominciato ad asportare il deposito ossifero quaternario che giace sulla roccia viva appiè delle note grotte e nell’ interno di esse, quando nel febbraio del 1892, praticando una trincea, nello interno della Barma Grande o quinta caverna, misero allo scoperto uno scheletro umano, che doveva essere integro o quasi ; poi, dopo alcuni giorni, altri due scheletri parimente umani. Ben presto, divulgatasi la notizia, affluirono dalla vicina città di Mentone numerosi visitatori per osservare queste reliquie, alle quali la pubblica voce prestava statura gigantesca. Subito dopo la scoperta, mi recai ai Balzi Rossi, incaricato dal Ministro dell’ Istruzione di adoperarmi acciocché fossero conservati quei preziosi fossili, ed ecco in breve le osservazioni fatte, le quali, per le condizioni in cui si trovavano gli scheletri e per la ressa dei visitatori, furono poche ed imperfette. I tre scheletri, incastrati in un terreno ossifero nerastro, misto a detriti di roccia, giacevano 1’ uno vicino all’ altro, anzi in piccola parte sovrapposti, all’ imboccatura della spelonca, trasversalmente rispetto al suo asse, in una zona di circa un metro e 20 centimetri di larghezza (1). (1) I primi scheletri esumati da Rivière nelle grotte dei Balzi Rossi in numero di 6, nel 1872, nel 1873 e nel 1875. erano tutti disposti longitudinalmente nelle cavità che li contenevano, gli uni rivolti colla testa verso 1’ apertura, gli altri in senso inverso. \ 22Ò — Quello dei tre collocato più internamente (N.° i), si trovava in posizione quasi orizzontale, appoggiato sul fianco sinistro col braccio destro piegato e la mano in parte nascosta dalle ossa facciali; le gambe erano alquanto protratte e un pò piegate. Il cranio di questo scheletro presentava un’ampia frattura nella regione parietale e temporale destra ; ma, raccogliendo tutti i frammenti ancora in posto, avrebbe potuto essere facilmente riparato. Le altre ossa erano tutte collocate secondo le loro connessioni anatomiche, mancando od essendo occultate dalla terra, poche di quelle delle mani e dei piedi. 11 cranio è ampio, dolicocefalo, con distinto prognatismo facciale e dentale (i). I denti, colla corona alquanto logora, sono tutti o quasi tutti a posto e sani ; da questi si può inferire che 1’ individuo cui appartenevano avesse raggiunto il suo completo sviluppo. Del secondo scheletro, situato immediatamente accanto a quello di cui mi sono già occupato, si può dire soltanto che giaceva esso pure sul fianco sinistro, col capo alquanto più alto della regione toracica e il corpo inclinato da levante a ponente. Trovandosi ad un livello inferiore agli altri e in parte coperto da questi, non era visibile che in piccola parte. Il suo cranio, pure dolicocefalo, era malamente spezzato, in modo da renderne difficile la ricostruzione. Dai denti argomento che appartenga ad individuo adulto. Si vedeva distintamente uno degli arti anteriori piegato, colle ossa della mano presso il capo. Il terzo scheletro (N.° 3), collocato più esternamente rispetto agli altri, aveva la colonna vertebrale e le ossa degli arti in buona condizione, malgrado qualche rottura delle ossa lunghe. Del capo, di proporzioni maggiori del (1) Questo cranio fu estratto pochi giorni dopo la mia visita, e, secondo le misure ottenute dal Prof. Orsini, il suo diametro longitudinale sarebbe di 181 mm. e il trasversale di 136. — 227 — consueto, non rimanevano che pochi avanzi in posto, cioè piccoli frammenti della mascella inferiore e delle ossa cra-niensi ; il resto, estratto od asportato da mani inesperte, si conservava presso il Sig. Abbo (i). Anche in questo caso il cadavere fu deposto sul fianco sinistro, quasi orizzontalmente, ma gli arti non erano piegati. Lo scheletro aveva, cioè, le ossa delle braccia e delle gambe disposte parallelamente alle ossa del tronco. I denti, presentando la corona assai logora dalla masticazione, accennano ad una età piuttosto avanzata. Le tibie in questo individuo, come nel N.° i, sono platicnemiche ed hanno la cresta alquanto acuta. I tre scheletri erano esattamente orientati da levante a ponente, coi piedi rivolti verso quest’ ultimo punto. E facile avvertire che in due di essi la statura è superiore alla comune. Si disse da taluno che raggiunge in uno 2 m. 50; ma, tenendo conto dell’allontanamento delle vertebre dovuto ad antichi cedimenti del terreno, e della posizione dei piedi, le cui ossa erano allineate nella direzione stessa delle tibie, si viene alla conclusione che non dovesse raggiungere i due metri. I crani e le ossa del torace, nei tre scheletri, si presentano intensamente arrossati di un pulviscolo d’ematite, le cui particelle, dotate di splendore metallico, scintillano al sole. Io potei verificare che questo fatto dipende da un letto di ematite in polvere, disposto originariamente intorno al cadavere ; infatti, osservai la materia rossa alla distanza di 15 a 20 centimetri dalle ossa e fra quelle dello scheletro N.° 3, proprio di contro al torace, ne raccolsi grumi grossi come nocciole, i quali sarebbero inesplicabili, nella ipotesi che Γ arrossamento provenisse da tinta applicata al cadavere od anche alle ossa scarnite. (1) 11 Prof. Orsini mi scrisse che il cranio di cui si tratta, estratto e restaurato dal Dott. Verneau, misura 211 mm. nel diametro longitudinale e 156 nel trasversale. — 228 — ο Prescindendo dall’intonaco rosso, le ossa appariscono di color bruno· chiaro, sono fragili, leggere ed allappano alla lingua. Presso il teschio N.° 3, fu raccolto un coltello o lama di selce bruna, di circa 23 centimetri di lunghezza, dimensioni invero straordinarie; una seconda selce di 17 centimetri di lunghezza fu trovata presso una mano dello scheletro N.° 1. Altre più piccole, si incontrarono qua e là nel sepolcreto. Fig- 7/· Fig. 76. Dente di cervo forato; grand, nat. — Ornamento d’osso; grand, nat. Entrambi della Barma Grande. Presso la regione toracica dello scheletro N.° 1, si trassero in copia dal terriccio piccole vertebre di pesce, forate, che formavano probabilmente una collana. In casa del signor Abbo vidi poi buon numero di incisivi di ruminanti (cervo?), forati nella radice e colla corona artificialmente smussata e, in alcuni di essi, ornata attorno ai margini di tante incisioni oblique (fig. 75) (1). Tra questi v erano pure certi manufatti d’osso, non ancora segnalati altrove, che consistono in piccoli corpi ovato-allungati, con una strozzatura mediana, coperti di sei serie di brevi tratti rettilinei, profondamente incisi. In un altro oggetto simile si osservano una faccia spianata ed un foro di sospensione nel mezzo della strozzatura (fig. 76). Tutti questi manufatti, i 1) 11 Prof. Orsini mi scrisse che tali denti forati erano in numero di circa 40, tra i quali 12 con la corona ornata di lineette incise. — 22 9 — vale a dii e i denti forati e gli ornamenti d’osso, furono raccolti, a quanto mi dissero,.accanto allo scheletro N.° 3. Siccome vidi estrarre io stesso dal terriccio vergine uno degli oggetti d osso in forma di doppio ovoide, come pure alcuni denti di cervo forati e incisi, così non posso mettere io dubbio 1 autenticità di questi manufatti ; ma non escludo che altri possano essere l’opera di falsificatori. Nel giorno in cui visitai la caverna, si vedeva sporgere a lato del cranio dello scheletro N.° 2 il capo articolare di un voluminoso osso lungo, che mi parve di ruminante. Se, come è bene accertato, gli scavi del signor Julien penetrarono nel terriccio della grotta fino alla profondità di m. 8.50, i tre scheletri testò scoperti giacevano ad un livello di circa 1 1 metri sotto al suolo primitivo della cavità, suolo la cui traccia e ancora visibile lungo le pareti di essa ; infatti, secondo la testimonianza del Prof. Orsini, lo sterro compiuto dall Abbo scendeva allora a quasi 3 metri al di sotto di quello cui era pervenuto l’esploratore francese. Ad ogni modo, gli avanzi umani erano contenuti in un deposito intatto, sottoposto a regolari stratificazioni di terra carboniosa e di ceneri. Nuovi scheletri umani rinvenuti nella quinta caverna. — Già esposi come fossero scoperti da prima a metri 8.50 di profondità uno scheletro umano che andò in gran parte perduto, dal Sig. Julien, poi a m. 11 tre altri individui due dei quali assai ben conservati, notevolissimi per l’alta loro statura e i caratteri osteologici, che corrispondono al tipo di Cro-Magnon. Il 12 gennaio 1894 gli scavi che si continuavano nella Barma Grande conducevano alla scoperta di un nuovo scheletro umano di sesso mascolino, a circa m. 6.50 di distanza dai precedenti, verso il fondo della cavità e a m. 1.60 al di sopra. Questo, collocato longitudinalmente colla testa verso il mezzogiorno, riposava sul lato sinistro — 230 — col braccio applicato lungo il corpo e l’avambraccio piegato per modo che la mano rimaneva sottoposta alla mascella ; il braccio diritto era un po’ divergente dal corpo coll’avambraccio piegato ad angolo retto e appoggiato sul torace. La fronte di questo scheletro si trovò ornata di conchiglie (Cyclonassa neritea) bucate, e presso il capo si raccolsero due canini di cervo forati e tre pendagli d’osso analoghi all’oggetto da me figurato (i); altre conchiglie aderivano alle vertebre cervicali o erano poco lontane, e presso la mano sinistra si raccolse un pezzo di gesso alquanto voluminoso. A breve distanza e più innanzi verso il fondo della caverna, crii scavi misero alla luce i resti di uno scheletro umano in gran parte consunto dal fuoco. Esso era tutto rattrapito, per modo che le diafisi delle tibie e dei femori si trovarono a contatto e i calcagni toccavano le ossa ischiatiche. Al di sotto delle ossa, le quali occupavano rispettivamente il posto consueto, si distinguevano gli avanzi di un antico focolare che aveva servito indubbiamente alla ustione del cadavere. La tomba, per la posizione che occupava e la suppellettile che conteneva (conchiglie forate, selci, ecc.), non sembra di età diversa dalle altre. Essa ci offre un esempio forse unico, rispetto al tempo cui risale, di cremazione, esempio il quale tuttavolta non manca di analogia con quelli degli scheletri neolitici con tracce di ustione delle caverne del Finalese. Decdi scavi ulteriori compiuti nella Barma Grande diede conto il Dr. Verneau, dichiarando degne di fiducia le indicazioni fornite in proposito dal Sig. F. Abbo proprietario del fondo, per conto del quale si eseguivano le ricerche. (2). 11 risultato più notevole di tali scavi fu di I ‘ (1) Si veda la fig. 76, alla pag. 228. (2) Verneau R, ÌJ homme de la Barrna-Grande, pr.g. 83. — 231 — mettere in luce un mutamento progressivo nei caratteri del materiale archeologico proprio ai livelli inferiori: alla selce si sostituisce in gran parte arenaria o quarzite, ed intanto i manufatti appariscono più grossolani e d’aspetto più primitivo ; nè la loro rozzezza si deve ascrivere soltanto alla materia, perciocché si manifesta negli utensili di selce che ancora permangono. Notevoli, fra gli altri, un raschiatoio di arenaria (grès), lungo 7 centimetri, largo 4, di forma irregolarmente rettangolare, ritoccato imperfettamente lungo uno dei margini. Esso è analogo ad un tipo segnalato bene spesso a Moustier e a Chelles. Si raccolsero punte d’arenaria del tipo di Moustier e lame della stessa pietra, di circa 7 cm. di lunghezza, dal bulbo di percussione ben netto, con qualche scheggiatura nella parte opposta al bulbo. Quanto ai manufatti propriamente silicei, consistono in raschiatoi, lame e punte appartenenti ai medesimi tipi. Uno dei primi misura 11 centimetri nella maggior dimensione e j di larghezza massima, con spessezza che raggiunge fin 27 mm., e si mostra ben scheggiato sul margine convesso, mentre 1 opposto, non tagliente, era forse destinato ad applicarsi alla mano. L industria rappresentata da questi oggetti è la medesima segnalata da Riviere nella sesta caverna, ove incomincia però ad un livello superiore, cioè a m. 3.75. Verneau sottopose a diligenti misure gli scheletri scoperti dal sig. Abbo, e diede nel seguente prospetto il compendio delle proprie osservazioni : Individuo lunghezza delle ossa statura (maschile) Femore 550 mm. m. 1,94 « Omero 346 1.73 (maschile) Cubito 295 1.85 « Radio 269 1.79 « Femore 486 1.75 Media m. 1,78 — 232 — Individuo lunghezza delle ossa statura ° (femminile) Omero 328 mm. ni. 1 >^5 40 (adolesc.c) Omero 328 1,644 Femore 440 l>654 0 « Media m. 1,65 Le stature sono dedotte dai coefficienti suggeriti da Manouvrier, i quali sembrano a Verneau un po troppo piccoli, quando si tratta di individui di alta statura. Co-munquesia, non si può dubitare che i cavernicoli dei Balzi Rossi fossero gente di statura notevolmente superiore alla media. Essi erano pure assai vigorosi, come lo dimostrano le inserzioni muscolari più estese e più scabre del consueto. Questi caratteri sono spiccatissimi nelle tibie e specialmente nella parte posteriore dei femori, lungo la linea aspra. Rispetto alla fauna, gli strati profondi della caverna, inferiori a quelli che ricettavano gli scheletri umani, ma pur contenenti manufatti di arenaria e di selce, somministrarono ossami d’elefante (probabilmente Elephas antiquus), fra avanzi umani consistono principalmente in una accetta litica di tipo comune, in una punta di freccia in diaspro e in coltellini di piromaca bionda. Uno di questi ultimi, che può considerarsi come esemplare tipico del genere, consiste in una lamina sottile di 79 mm. di lunghezza e 14 di larghezza massima, perfettamente piana sopra una faccia e un po’ convessa sulla faccia opposta, ottenuta col distacco di tre lunghe schegge. Dei due margini uno e rettilineo, integro e tagliente, l’altro arcuato e provvisto di qualche denticolatura dovuta a minuti ritocchi. Una delle estremità, un po’ assottigliata e troncata, presenta ben manifesto il bulbo di percussione, l’altra è terminata da un angolo ottuso. Furono poi raccolti moltissimi fittili, per la massima parte ornati di rozzi fregi a graffito, alcuni pezzetti di vetro di fattura romana ed un frammento di bronzo (forse parte di una fibula), che andò smarrito. I cocci appartengono quasi tutti a vasi di piccole dimensioni, non torniti, formati di pasta più o meno fina, (1) I due crani summentovati fanno parte del R. Museo di Antropologia in Firenze. — ζη\ — commista di mica e si riferiscono alle forme comuni nelle grotte delle Arene Candide e nella Pollerà, con prevalenza di quelle a margine svasato. Non vi mancano il tipo a bocca quadrangolare e quello a ventre carenato. Fra i cocci notevoli per qualche ornato, ricorderò i seguenti : a) Parte di grossa olla coll’orlo crenato e due cordoni parimente ornati, paralleli all’orlo. b) Pezzetto di vaso munito parallelamente al margine di cordone, che presenta solchi irregolari longitudinali. c) Frammento, con fregio formato di due serie continue di incavi arrotondati fatti colla punta del dito. d) Pezzo di vaso con margine ornato superiormente di tanti taglietti rettilinei. e) Parte di vaso, di pasta nera, fina, il quale presenta attorno al ventre, assai prominente, un fregio inciso, formato di brevi linee verticali e sinuose. In altro pezzo analogo le linee del fregio sono rette ed oblique. f) Frammento tutto coperto di impressioni semicircolari, equidistanti fatte coll’unghia. g) Frammento di vaso cilindraceo o cilindro-conico, che presenta al di sotto dell’orlo, alla distanza di 3 centimetri e ‘/2, un piccolo foro conico dal quale si dipartono 4 linee rette divergenti, graffite, che finiscono all’orlo stesso con breve incisione. h) Pezzetto di fittile di pasta fine, coperto di solchi fra loro assai prossimi, i quali circoscrivono tanti complessi di piccoli rombi l’uno inscritto nell’altro. E un ornato che appartiene indubbiamente alla seconda fase dei metalli, e sembra dovuto ad impronta lasciata sulla pasta ancora molle da un cesto di vimini, entro il quale il vaso fosse stato introdotto e premuto. i) Fondo di una tazza foggiata in pasta fina, nerastra, al centro del quale son graffite due rette in croce, tanto all’esterno quanto all’interno. — 27 2 — Le conchiglie marine raccolte nella grotta di Bergeggi sono in buon dato ed appartengono a 17 specie. Degne di nota in questo numero: il Trìtoli nodiferum (Linné), il T. succintum (Lamarck), la Purpura hcemastoma (Linné), la Columbella rustica, il Murex trunculus, rappresentati da esemplari, quali coll’apice mozzato, quali lavorati in altra guisa. Le patelle, le ostriche, gli Spondylus, le Venus ed altre, i cui gusci non portano tracce di lavoro, sono proba bilmente residui di pasti. Avanzi umani. — Intorno a questi, che non furono ancora sottoposti ad un esame esauriente, mi contenterò di esporre alcune osservazioni preliminari assai succinte, le quali precederanno io spero ulteriori studi fatti da persona competente. Lo scheletro distinto col N. 1 è quello di una giovine donna, i cui denti del giudizio erano prossimi a spuntare. Il suo cranio, completamente conservato, sembra pertinente al tipo ovoide di Sergi e misura mm. 179 nel diametro antero-posteriore, 130 nel trasversale e circa 500 di circonferenza. I frastagli delle suture appariscono piuttosto brevi e semplici. La fronte è piuttosto alta colle gobbe frontali poco prominenti; le arcate sopraccigliari, debolmente salienti, si rialzano verso la glabella. La faccia apparisce piuttosto larga e corta e vi si nota la sporgenza delle ossa nasali alquanto più sensibile del consueto; il naso è però stretto. Assai spiccato il prognatismo, che è mascellare e dentare; mento un po’ sporgente (1). I denti sono di regolari dimensioni e piuttosto serrati. E notevole in questo scheletro 1’ esilità degli arti e specialmente dei superiori. N.u 2. E di grandi dimensioni, incompleto per la mancanza di quasi tutte le ossa pertinenti alla colonna verte- (1) Verneau avverte nell’opera più volte citata (Les Grottes de Grimaldi, p. 176) che questa mandibola presenta come in alcuni negri 1’ extroversion du bord alvéolaire. — 273 — brale, al torace, alle mani e ai piedi, e privo anche del cubito destro; esso appartiene ad un individuo di sesso maschile, adulto. 11 cranio, quasi integro (vi mancano solo pochi pezzi del lato destro), è dolicocefalo, a bozze frontali poco pronunziate e rilievi sopraccigliari mediocremente salienti, ma solo nella parte prossima alla radice del naso. Articolazione superiore delle ossa nasali situata a maggiore altezza del consueto, cioè quasi a livello del margine superiore delle orbite. Ossa nasali prominenti. Faccia alta con spiccato prognatismo alveolare e dentare, massime nel mascellare superiore. Denti assai grossi, serrati e sani ; gli incisivi e i canini superiori scavalcano i sottostanti. I molari hanno la corona logora, ma non tanto da obliterare i tubercoli che rimangono ben manifesti. Mandibola inferiore assai alta a mento quadro e sporgente. . Le ossa degli arti sono piuttosto robuste. Femori voluminosi, arcuati colla convessità anteriore. Tibie a cresta acuta; nella sinistra, priva dei due capi articolari, si osserva alla parte media una callosità che accenna ad antica lesione. Il N.° 3 non è provvisto che di pochi resti della colonna vertebrale, del torace, delle mani e dei piedi ; sono pure incompleti il femore e la tibia sinistri. Il suo capo manca solamente di qualche pezzo della regione facciale ed offre forma spiccatamente dolicocefala, colla fronte alta (a bozze poco pronunciate) ed arcate sopraccigliari appena salienti. La faccia apparisce alta e relativamente stretta con orbite assai piccole. E da osservarsi il prognatismo alveolare e dentare ben manifesto, massime nella mascella inferiore, la quale presenta mento un po’ sporgente e apofisi coro-noidi brevi. Denti di grossezza normale, piuttosto radi, assai logori ; molari completamente spianati. Le ossa delle estremità inferiori sembrano voluminose e robuste in confronto di quelle delle superiori. — 274 — Nel N.° 4 il cranio è ridotto a pochi frammenti ; ma rimane la mandibola che si distingue a prima vista da ogni altra per lo straordinario prognatismo alveolare e dentare. Verneau osservò pure in questo pezzo 1 insolito allungamento delle arcate dentarie e lo sviluppo esagerato dell’ apofisi coronoide. Incompleti la colonna vertebrale e il torace. Gli arti sembrano in generale ben sviluppati e robusti. L’anteriore destro è ridotto ad un frammento d’omero. L’omero sinistro presenta spiccata torsione. Lo scheletro N.° 5 appartiene ad un individuo di piccola statura, adulto (i cui denti del giudizio, appena spuntati nella mascella superiore, sono ancora imprigionati nell alveolo inferiormente). Il suo teschio, il quale manca della parte basale e di tutto il lato destro, presenta spiccatissima dolicocefalia, essendo stretto all’ innanzi, sviluppato nella parte posteriore e compresso lateralmente. Curva frontoparietale piuttosto depressa. Fronte angusta e un po’ fuggente; gobbe frontali poco pronunziate; arcate sopraccigliari pia-neggianti, tranne presso la radice del naso, ove acquistano leggera sporgenza. Ossa nasali assai prominenti. Poco protratte le arcate zigomatiche. Orbite piccole e quadre. Notevole il prognatismo che si accentua specialmente nella regione alveolare e dentare inferiore (1). Mascella inferiore larga, a mento quadro, con apofisi coronoidi brevi e appuntate e condili poco sviluppati. I denti sono di piccole dimensioni, gli incisivi piuttosto distanti fra loro, il canino un po’ discosto dall’incisivo e dal premolare più prossimi. Scavi ulteriormente eseguiti. — Nel 1885 furono praticate nuove investigazioni nella caverna di Bergeggi per opera di alcuni soci della Sezione savonese del Club Alpino (1) Verneau avverte che tutta la parte superiore della faccia si protrae in avanti per modo che la proiezione faccialé alveolare raggiunge 16 mm. / — 275 — italiano, investigazioni delle quali diede conto per le stampe l’Ing. E. Del Moro (i). Gli oggetti più notevoli raccolti in questa circostanza sono : 1.° Un parietale, un calcaneo ed un metatarsiano umani. 2." Un accetta litica, in forma di lamina irregolarmente rettangolare, a lati maggiori un po’ arcuati e a taglio ben affilato; dimensioni: mm. 79 di lunghezza, 30 di larghezza e 8 di massimo spessore. La materia di questa accetta è una pietra di color verde chiaro, traente all’ azzurrognolo, translucida, il cui peso specifico è 3.09 e con durezza uguale a 6 (2). 11 Sig. G. B. Rossi raccolse più tardi in questa caverna un certo numero di cocci notevoli pei loro ornamenti, ma pochi da cui sia possibile conoscere la forma del vaso cui appartengono. Inferisco dall’esame di tali cocci come da quello dei fittili rinvenuti da Modigliani e da me stesso, che ivi gli abitanti adoperavano stoviglia più fina e più ornata che non nelle altre grottè. Tra i cocci da descriversi, v’ha parte di un piccolo vaso di pasta fina e ben lavata, che fu annerito di proposito colla affumicatura. Rispetto alla forma, era sferoidale e ventrosa inferiormente, provvista di margine svasato nel quarto superiore; per cui potrebbe definirsi coll’aggettivo sferoconica. Il fittile è ornato di quattro sottili cordoni orizzontali, a mezzo rilievo, che corrono sul ventre, dei quali due, ornati d’impressioni, alternano con due semplici. E pure da ricordarsi un piccolo coccio di pasta nera, ornato di tre gruppi di solchi irregolari, obliqui, conver- (1) Giornale della Società di Letture e Conversaz. scientifiche, 1886, fase. 5. (2) L’analisi chimica di questa pietra, condotta dal Prof. Foldi, reca: Silice 65.34; Allumina 18.46; Ossido di ferro 4.54; Calce 3.69; Magnesia 3.12; perdita al fuoco 4.80. — 276 — genti, praticati prima della cottura. Si conserva nel frammento un resto di orlo schiettamente riflesso all esterno. In altro pezzo, che è pianeggiante, si vedono sistemi di sottili solchi paralleli o quasi, distribuiti senza ordine, che s’incontrano senza intersecarsi. Tali solchi sono tracciati mediante punta dura ed acuta sul vaso già cotto. Nella collezione Rossi figura, fra gli oggetti estratti dalla caverna di Bereecrod, una coroncina assai rozza e o o o primitiva, che merita un cenno di descrizione. Essa consiste in una catenella di sottile filo di bronzo, formata di 64 articoli, foggiata a monile per appendersi al collo e terminata da un tratto semplice, che sostiene una medaglietta di bronzo imperfettamente ottagona. Le maglie della doppia porzione sono fatte di piccoli tratti piegati ad Λ. Alcune, in numero di 5 per parte, sono rinforzate da una legatura formata da 4 giri di fili di bronzo. La porzione semplice risulta di due maglie, una delle quali assai più lunga delle prime, fatta ad 3, e l’altra di forma comune, rinforzata da legatura trasversale. La medaglietta è provvista di lungo peduncolo appiattito e forato presso l’estremità. Una delle sue facce presenta in rilievo poco risentito una specie di candelabro a tre branche, appiè del quale si distinguono la testa ed il busto di due figure umane che sembrano in atto di adorazione. Il lato opposto udella medaglietta porta un rilievo obliterato dalla ossidazione, nel quale panni poter distinguere una figura intera, in piedi, accompagnata da altre figure o segni diversi. La lunghezza, della catenella è di circa 48 centimetri ; 6 ne misura la parte semplice e 2 ‘/2 la medaglietta compreso il peduncolo. Ho creduto opportuno indugiarmi intorno a questo saggio di tarda arte medioevale, rinvenuto nella caverna, perche si può connettere alla tradizione di pagani che avrebbero adempiuto colà a misteriosi riti e sarebbero stati convertiti al cristianesimo da Sant’ Eugenio e Windemiale. I — 277 — Lo stesso investigatore mise alla luce, nel cunicolo occidentale della spelonca, una sepoltura che dava ricetto ad uno scheletro umano d’individuo adulto, di cui si conservano il cranio incompleto e poche altre ossa. Si raccolsero accanto alle reliquie umane gli oggetti seguenti : (a) Cocci di terra cotta, (b) Una conchiglia di Murex truncultcs coll’apice forato, (c) Una verghetta di circa 3 centimetri di lunghezza, cilindrica, ondulata, che sembra fatta di conchiglia e alla quale aderisce una specie di resina, (al) Conchiglie diverse, specialmente patelle. Caverne prossime a quella di Bergeggi, — A circa 600 m. a N. N.O. della stazione ferroviaria di Spo-torno, nel comune omonimo, si apre la vasta spelonca detta Grotta do Murtou (il punto è indicato col nome di Morto nella mappa a curve orizzontali dell’ Istituto geografico militare). Sia per le condizioni della caverna, sia perchè è poco distante da quella di Bergeggi ora descritta, mi lusingavo di raccogliervi copiose reliquie preistoriche; ma gli scavi, per verità poco profondi, che potei praticarvi, fruttarono solo cocci di terra cotta, alcuni dei quali non torniti. Le mie indagini risultarono poi del tutto vane in altra cavità, denominata grotta di Morema, situata lungo la via provinciale fra l’Àcqua Novella e Spotorno. Caverna del Sanguineto o della Matta. E conosciuta nel Finale sotto quest’ultima denominazione da che servì di rifugio ad una donna del vicinato, alla quale pietose vicende tolsero la ragione. Si apre nel territorio di Perti non lunge da Finalborgo a circa 175 m. d’altitudine, sulla riva destra dell’ Aquila, ed è scavata per opera degli agenti naturali, principalmente dall’azione dissolvente delle acque sotterranee nel calcare miocenico, il quale ricetta colà numerosi ciottoli di quarzo, in guisa da convertirsi in una specie di conglomerato a radi elementi. La sua cavità principale richiama alla mente 1 immagine di un forno, le cui maggiori dimensioni sarebbero m. 22 nel senso della lunghezza e 15 in quello della larghezza con altezza di 6 a 7 metri ; e vi si penetra da ampia apertura semicircolare, volta a levante, cui si accede per sentiero scosceso, ingombro di cespugli, che attraversa un arco naturale, dovuto ad un masso assai voluminoso, il quale, cadendo da uno strato soprastante, fu trattenuto da una sporgenza del monte e rimase appoggiato per l’estremità superiore alla parete rocciosa. Dinanzi all’apertura alcuni massi accavallati accennano ai resti di un antico sbarramento eretto, forse per difesa, da gente che tenne la caverna per dimora. Verso N.E. la volta si foggia a cammino verticale, di cui tuttavolta non apparisce che breve tratto, a causa dei massi e dei detriti che l'ostruiscono; è sicuramente 1’ orifizio da cui discesero le acque che diedero origine alla cavità. A S.O. si apre in basso un cunicolo discendente, il quale, procedendo carponi, si può seguire per alcuni metri; esso servì in parte alla evasione delle acque che affluivano originariamente dal condotto superiore. Il suolo, formato di detriti prodotti dalla disaggregazione delle pareti, da materiali abbandonati dalle acque e principalmente da massi e frammenti di roccia caduti, è coperto, nella propaggine occidentale, di salda stalagmite. Nella volta si notano crepacci quasi verticali, diretti per lo più da N.E. a S.O. e numerose cavità cilindracee od emisferiche, assai regolari (ne contai più di una trentina) che misurano in media da 30 a 40 cm. di diametro ed altrettanti di profondità. Al pari dell’ Ing. Bensa, che ne fa cenno in una sua descrizione della caverna, li — 279 — ritengo dovuti all’azione dissolvente delle acque filtranti ; a me pare che la genesi loro sia pur subordinata alla tessitura conglomerata della roccia, al formarsi cioè di piccole cavità iniziali per la caduta di un ciottolo provocata dalle acque. 11 primo ad imprendere ricerche scientifiche nella caverna della Matta fu don Perrando, il quale vi trovò un certo numero di manufatti e di avanzi organici', da lui brevemente descritti in una nota, presentata al Congresso internazionale d’Antropologia e d’Archeologia preistoriche di Bologna. Questi oggetti son ora visibili nella sua collezione in Genova. Dapprima, scandagliando il suolo della cavità, principale presso l’apertura, il nostro esploratore s’imbattè alla profondità di 15 a 25 centimetri, in un grosso strato di ceneri, poi, verso il mezzo della stessa cavità, nei resti di uno o di più focolari che contenevano, oltre alle ceneri, cocci, ossa spezzate e cotte, frammenti di calcare e di stalattiti, nonché parecchi rozzi manufatti, cioè: punteruoli d osso simili a taluni di quelli più innanzi descritti, una scheggia di selce, vari ciottoli levigati e certi pezzi di gneiss, logori sopra una delle loro facce, che io tengo in conto di macine, e al raccoglitore parvero.pietre destinate ad ammollire e mondar le pelli. Proseguendo lo sterro verso l’apertura che mette in comunicazione i due compartimenti della grotta, egli raccolse poscia altri oggetti che portano le tracce della mano dell’ uomo, tra i quali : pezzi di stoviglie, due rozze fusaruole di terra cotta, un lisciatoio d’osso, un dente e due conchiglie artificialmente forati, per uso di pendagli o d'ornamenti. Ivi, penetrando cogli scavi più profondamente, gli venne fatto di scoprire, a circa un metro dalla superficie, sotto una spessa lastra di stalagmite, una mandibola di bambino e, poco lungi, di contro ad un masso sporgente, tre teschi umani, l’uno % — 28ο — vicino all’altro. Uno di essi era posato, a quanto pare, sopra un vaso che conteneva materie organiche carbonizzate, indubbiamente residui di cibarie (i). Attorno e al di sotto di tali avanzi, si raccolsero, nella terra mista di ceneri, altre ossa umane che sembrano aver subito 1 azione del fuoco, e parecchi manufatti, cioè: due piccole ascie di pietra, un pezzo di vaso, un frammento d osso sul quale son tracciati dei solchi ed una spatola della medesima sostanza (tav. IV, fig. 11). Io visitai la caverna nell’agosto 1876, in compagnia del Prot. Emanuele Celesia, poi nel giugno 1907, col Prof. R. Gestro. La prima volta feci assaggiare il terreno in vari punti della cavità principale e ne trassi un certo numero di stoviglie e di ossa. Fra queste, sono un radio ed una tibia d’un piccolo cervo ed alcune ossa di suino, che si riferiscono parte al cinghiale comune, parte ad un porco domestico. Quanto alle stoviglie, tutte foggiate senza il soccorso del torno e quasi sempre rozze e mal cotte, appartengono a parecchi tipi tra loro molto diversi. Tre cocci son resti di grosse pentole, ad anse della forma più comune e a pasta grossolana, di color rossastro, contenente granelli quarzosi. Un altro coccio offre esempio di manico in forma di tubercolo, ed è fatto coi medesimi materiali; alla superfìcie esterna di esso vedonsi chiaramente le impronte lasciate sulla pasta molle dalle dita dell’artefice. Merita poi di essere ricordato un certo frammento che presenta il margine piegato ad angolo, e faceva parte d’ un vaso a bocca quadra. Mi rimangono ancora a registrare due pezzi di terra cotta, che appartengono a due vasi di forme non meno distinte. L’uno di questi era piccolo, subsferico e munito (1) Il cranio indicato col N.° r alla pag. 282, ed un altro non descritto presentano lieve arrossamento artificiale alla parte posteriore. — 281 — di un labbro verticale poco elevato. Esso aveva il margine semplice, portava uno o più manichi della solita fattura, ma piccolissimi, ed era foggiato di pasta assai fina, rossastra, esternamente lisciata a spatola, con tanta cura da parer ingubbiata. L’altro coccio, di pasta nerastra ben cotta, ma grossolana, sembra parte di un vaso di mediocri dimensioni, il quale era in basso rotondeggiante e superiormente provvisto di labbro assai svasato, dell’altezza di 2 centimetri; nella parte del coccio che corrisponde alla base di questo labbro si osserva un fregio formato di una fila di piccoli incavi equidistanti che doveva girare attorno al vaso. Tali incavi sono evidentemente ottenuti colla pressione delle dita ed in ciascuno vedesi un solco in forma di V molto aperto, lasciato forse da un’unghia lunga e tagliente (i). Gli oggetti d antica industria raccolti in questa caverna dal R. D. Perrando e da me sono parte somigliantissimi, parte identici a quelli rinvenuti negli strati medi e profondi delle Arene Candide, per cui si deve argomentare che risalgono alla medesima età. Nè dall’ esame dei resti organici raccolti nelle due caverne, si potrebbe giungere a diversa conclusione. Sussiste però una differenza notevole tra il deposito archeologico deWArma del Sanguineto e quello delle Arene Candide, inquantochè nel primo mancano i frammenti di stoviglie ed altri avanzi d’ una industria comparativamente molto inoltrata, che abbondano nel secondo (almeno nella parte più superficiale di esso). Due dei crani raccolti nella caverna del Sanguineto ò da Don Perrando e conservati nel Museo geologico di (i) A proposito di queste impressioni, noterò pure come sembrino fatte da dita assai piccole, e ciò mi fa supporre che presso i cavernicoli la cura di fabbricar le stoviglie fosse affidata'alle donne e ai fanciulli. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL. 19 — 282 — Genova furono esaminati dal D.' Verneau, il quale fece in proposito le osservazioni qui appresso riassunte (1). N.° 1. Appartiene ad un individuo giovane, probabilmente di sesso maschile, nel quale i denti del giudizio non uscirono ancora dall’alveolo. Quantunque la cassa craniense abbia subito una deformazione postuma, 1 esemplare si può dire senza esitazione dolicocefalo. Le gobbe parietali non essendo salienti, la volta risulta regolarmente ellittica. La curva anteroposteriore offre debole depressione postcoronale e lieve ripiano (méplat) parieto-occipitale. L’individuo è spiccatamente prognato, perciocché la proiezione facciale raggiunge 20 mm. La glabella e le arcate sopraccigliari sono poco prominenti. Orbite microsemi (indice orbitario uguale a 80.55) (2). Naso^ platirrino, il tavolato delle fosse nasali è limitato a sinistra da un margine acuto, a destra da un margine smussato che si continua con piccola doccia mascellare. Volta palatina iperbolica. Mandibola assai spessa nel ramo orizzontale. Margine alveolare fortemente prognato; ma 1 denti non partecipano a questo carattere. Il mento, triangolare, non è fuggente, ma presenta notevole protrazione. N.° 2. Questo pel suo indice cefalico (80) tocca 1 estremo limite della mesaticefalia. La sua faccia è megasema (indice facciale uguale a 71.77)· Orbite microsemi (indice orbitario uguale a 82.86); volta palatina iperbolica. Denti delle due mascelle impiantati verticalmente. Mento assai protratto. Prognatismo ben accusato in tutta la ^cc'13· (proiezione facciale alveolare uguale a 18 mm.). Platirnnia (1) Queste osservazioni furono pubblicate nell opera. « Les gtottts de Grimaldi », voi. II, fase. i.°, pag. 173 e seguenti. (2) Vindice orbitario è il rapporto che passa fra il diametro verticale della base dell’ orbita e il diametro orizzontale. Broca denominò megasemi gli individui nei quali l’indice è relativamente alto, mesosemi quelli nei quali è medio, microsemi quelli nei quali è basso. - 283 - assai breve (indice nasale uguale a 53.33) (1). Nei due teschi Verneau ravvisa qualche affinità coi due negroidi testé esumati nella caverna dei Bambini, affinità, la quale, almeno nel primo, accennerebbe ad un caso di atavismo parziale. Raccolte ulteriori. — Queste sono in gran parte dovute al Sig. G. B. Rossi, il quale pur troppo ha cessato di accrescerle, a causa di grave malattia che 1 obbliga ad astenersi da ogni occupazione. Reco una rassegna sommaria degli oggetti che reputo meritevoli di nota. Ascie ed accette. I manufatti appartenenti a questo tipo sono in numero di nove, tutti più o meno guasti e spezzati. Essi porgono esempio delle forme più comuni nel nostro territorio, ad eccezione di uno, il quale, logorato come stromento da taglio, fu spianato all’estremità tagliente ed assottigliato alla parte media, per servire ad uso di martello. Uno degli esemplari è fatto di quarzite; gli altri sono fabbricati con rocce verdi. Coltellini. Sono in numero di sei, tutti lavorati a schegge nella piromaca, e di forme comuni. Due soli sono terminati in punta acuta. Il maggiore raggiunge mm. 93 di lunghezza. Mortaio e pestello. Il primo è una lastra d’arenaria ridotta artificialmente a forma circolare, e nella quale fu praticata una cavità circolare mediana, di 10 a 12 cm. di diametro e della profondità di 1 a 2 centim. A questo mortaio si adatta un pestello di forma cilindrica, rinvenuto a breve distanza nella grotta. Macine e macinelli. Le prime sono in numero di nove e, per la forma come per la materia, sono analoghe a (1) Indice nasale è il rapporto che intercede fra la larghezza massima dell’-orifizio nasale e la sua maggior lunghezza misurata tra la spina nasale e la sutura nasofrontale. Platirrini si dicono gli individui a indice alto, superiore cioè a 53, mesorrini quelli a indice medio (compreso fra 52 e 48), Jeptorrini quelli a indice basso (fra 47 e 42). — 284 — quelle delle grotte Pollerà e delle Arene Candide. Due soli i macinelli. Percuotitoi e Lisciatoi. Due dei primi e due dei secondi, ciottoli più o meno digrossati, provengono dalla grotta di cui qui mi occupo, ma nulla presentano di notevole. Punte di lancia d’osso. I manufatti riferibili a questo tipo sono sette od otto, quasi tutti fabbricati con larghe scheeee' di ossa lunghe. 00 ° Punte di freccia o di zagaglia d’osso. Sotto questa rubrica comprendo quarantadue punte di varie fogge e di diverse grandezze, alcune delle quali sono schegge appena aguzzate. La più lunga di tali punte misura cm. 12.2. Pugnale e stiletto d’osso. Il primo è un cubito di grosso ruminante colla diafisi appuntata e raggiunge cm. 21 di lunghezza. Il secondo è un’asticella cilindrica un po ingrossata nella parte media, spianata per breve tratto sopra due facce e resa sottile verso le due estremità, una delle quali è terminata in punta aguzza (1). Quantunque spezzata alla base, la sua lunghezza è di 18 cm. Lisciatoi d’osso. Sono qui da registrarsi sei esemplari di tipo comune, ed un altro, qui appresso descritto, di foggia un po’ diversa, cioè a guisa di verghetta rettilinea, di sezione ellittica, un po’ compressa ed assottigliata verso le estremità ed arrotondata ai due capi. Lunghezza cm. 9·^ > spessezza da 0.9 a 1.2. Spatole d’osso. Sotto questo nome debbo render conto di due oggetti, d’incerto significato, di cui sospetto che fossero adoperati per raschiare le pelli destinate alla concia. L’uno è una lamina irregolarmente rettangolare, un po' attenuata ad una estremità, che presenta presso l’altra (1) Considero tale oggetto come uno stiletto per la sua somiglianza con quello, provviste di un manico di corno cervino, che don Morelli raccolse nel deposito della Pollerà. \ — 285 — due smarginature laterali, una per parte, destinate evidentemente ad accogliere una cordicella, mediante la quale Γ utensile poteva portarsi appeso. La sua lunghezza è di cm. 8.1; la larghezza massima di 1.9. Il secondo manufatto consiste in una lama, lunga e stretta, terminata in punta smussata ad una estremità ed arrotondata all’ altra, presso la quale si apre un largo foro. Lunghezza cm. 7.2; larghezza 1.4; spessezza circa 0.2. Pendagli. Cito qui un pendaglio d’osso, formato da un metatarsiano di lince, forato presso uno dei capi articolari, e due zanne di cinghiale, ciascuna delle quali è provvista di largo foro. Piastrella d’osso. È irregolarmente circolare, misurando cm. 1.5 nel diametro maggiore ed offre largo foro nella parte media. Articolo di monile. Consiste in un cilindretto cavo, levigato all’ interno e all’ esterno, lungo 11 mm., e tratto dalla diafisi di un osso lungo di piccolo mammifero o d’uccello. Oggetto di uso ignoto. È una zanna di cinghiale foggiata a spatola ad un capo, troncata all’altro e senza alcun foro. Tromba marina. E un grosso Triton nodiferum coll’apice artificialmente mozzato. Piastrelle. Si tratta di tre lamine di conchiglia di forma irregolare, due delle quali, integre, portano un piccolo foro nella parte media; la terza è attraversata da due fori e spezzata. Ornamenti diversi. Inscrivo sotto questo titolo diciannove conchiglie forate; cioè: dodici valve di Pectunculus, Car dium e d’ un altro genere indeterminato e sette gusci di gasteropodi : cioè una Purpura, due Columbella, due Conus e due Cerithium. Qui sono da ricordarsi due manufatti metallici, cioè : Un coltello di bronzo che è il medesimo descritto alla pag. 103 (fig. 28). Un’ ascia di bronzo della quale mi sono occupato alla pag. ioo (fig. 23). Segue jl catalogo succinto delle figuline : Vasi sferoidali e sferocilindrici ; fra questi: a) circa una quarta parte di grande olla sferoidale di pasta mediocremente fine; b) gran parte di voluminosa pentola, inferiormente sferoidale o ventrosa e alla parte superiore cilindrica. c) Frammenti di altra grossa pentola, a fondo emisferico, nella quale fu rinvenuto un dente di squalo (Lamna) fossile, proveniente secondo ogni probabilità dalla forma·; zione elveziana di Verezzi. Vasi ovato-conici. A questa forma si riferisce con certezza un coccio che comprende circa la terza parte di un vaso ovato-conico, a fondo piatto, munito di ansa riferibile al tipo più comune, e coll orlo ornato di lievi impressioni. Altezza cm. 12. Altri cocci di dubbia interpretazione appartengono probabilmente alla medesima forma. Vasi a bocca quadra. Dovevano essere piuttosto comuni nella caverna; ma nella collezione Rossi se ne conservano soltanto uno integro, due mancanti di metà o di due terzi ed altri ridotti a piccoli frammenti. a) (integro). È in basso arrotondato e un po’ ventroso, presentando un accenno di carena ottusa, e a fondo piano, porta nella metà inferiore un’ansa canaliculata, piuttosto grossa. Altezza cm. 10; larghezza della bocca, in media, 9. b) (ridotto ad una terza parte). È più ventroso e proporzionalmente meno alto del precedente, in basso arrotondato e non carenato, a fondo piccolo e piano; vi si osserva una piccola ansa canaliculata. Larghezza della apertura cm. 15 a 16; altezza 13. La pasta di questo vaso è fina, rossastra e lisciata a spatola esternamente. c) (ridotto ad una metà scarsa). Questo, piuttostochè un’ olla, è una tazza inferiormente arrotondata, col fondo — 287 — convesso, superiormente quadrangolare; i margini di ciascun lato della bocca sono leggermente arcuati colla concavità rivolta all’ esterno ; una piccola ansa canaliculata alla parte media. Larghezza della becca cm. 15-16; altezza del vaso circa 10. La pasta, non fina, è nerastra e lisciata a spatola dentro e fuori. Tazze o bicchieri. Cinque esemplari interi o quasi si possono ascrivere a questa categoria : a) E una piccola tazza in forma di campana, con segno lasciato dal distacco di una appendice, che manca. b) Piccola tazza assai grossolana, di forma più depressa della precedente, ma meno regolare; il suo diametro è di 8 centimetri e mezzo. c) Tazza emisferica, del diametro di 7 cm. con lungo manico arcuato, che sporge più di 5 cm. e si inserisce alla parte inferiore del vaso. La pasta è eterogenea, mal cotta ed affumicata. ci) Altra tazza, ridotta a frammento, porta un manico assai sporgente, obliquo, di forma conica. e) Vasetto (bicchiere?) ovato, dal fondo convesso con piccolo manico canaliculato alla parte media e la traccia di altro manico uguale, opposto al primo. Altezza e diametro cm. 3.5. Cocci con appendici ed ornamenti notevoli. Alcuni cocci accennano a forme di vasi diverse dalle summentovate, intorno alle quali mancano elementi sufficienti per una precisa definizione; altri presentano svariate appendici in parte conformi a quelle descritte come provenienti dalla Pollerà (orecchiette pervie ed impervie, bugne a un foro e a due, anse assai sporgenti, depresse, canaliculate ecc.), in parte peculiari. Tali sono: a) Un frammento, con appendice in forma di parallelepipedo schiacciato, inserita parallelamente al margine ed attraversata da due forellini verticali. — 288 — b) Un piccolo coccio che porta ad un tempo 1 ansa di forma comune ed una bugna doppia. c) Un pezzo in cui si osserva, proprio a filo del margine, una espansione orizzontale, a guisa di lamella irregolarmente semicircolare con foro verticale. Rispetto agli ornamenti, oltre ai consueti fregi elementari, consistenti in cordoni semplici o impressi, in serie di solchi obliqui, paralleli fra loro (i), in solchi paralleli al margine od anche divergenti fra loro, in serie di impressioni digitali, in orli ingrossati, oppure ornati di impressioni e di solchi, noterò: un vaso ad orlo propriamente crenato (nello stesso esemplare si vedono sotto l’orlo due piccole prominenze mammillari) ed un coccio nel quale 1 ornato è fornito da un cordone piano, ondulato e da solchi sottili, meandriformi, circoscritti gli uni agli altri, in guisa da formare una figura alquanto complicata e non simmetrica (2). In questi solchi osservai una materia biancastra che vi fu forse introdotta di proposito deliberato per dare al fregio mag-odor risalto. o o Accenno per memoria ai fori per sospensione e per risarcimento (3), di cui si danno parecchi esempi tra i fittili della grotta del Sanguineto conservati nella collezione Rossi. Fusaruola. Di questa provenienza me ne fu mostrata una sola, biconvessa, di pasta grossolana, lisciata a spatola. Essa misura cm. 5.4 di diametro. Pintadera. (Tav. Ili, fig. j). Una bella pintadera, raccolta dal Sig. Rossi nella grotta, presenta la base ellittica, (1) Siffatto fregio si osserva in un coccio di vaso a bocca quadrangolare. (2) Esso coccio è fatto di terra cotta fina, omogenea, rossastra e si mostra internamente lisciato a spatola. (3) I cavernicoli racconciavano i vasi rotti, assicuravano i pezzi disgiunti con legature che facevano passare per fori appositamente praticati presso i margini della rottura. Lo stesso artifizio è ancora in uso presso i nostri montanari, senonchè usano connettere i frammenti con filo di ferro. superiormente una superficie convessa nel senso della larghezza, che si converte verso la parte media in prominenza arcuata, compressa, obliqua rispetto all’asse dello stromento e impervia. La superficie basale, che è pianeggiante, presenta una impressione profonda, formata da un unico solco meandriforme e spezzato, il quale ricorda la maiuscola gotica €. Dimensioni: lunghezza mm. 63; larghezza 40; altezza della prominenza 32. Lo stromento è fatto di pasta poco omogenea, granosa, di color bruno chiaro, ben cotta. Oltre agli ossami sparsi, riferibili a tre o quattro individui, il sig. Rossi estrasse dal terriccio della grotta tre scheletri di bambini due dei quali erano provvisti di qualche suppellettile. N. 1. Scheletro incompleto di bambino. Suppellettili, a) Un vasetto semiovale (bicchiere?), con due fori di sospensione presso il margine; b) un vasetto ovale di cm. 5.2 d’altezza e 4.8 di diametro; c) un pendaglio spezzato all’estremità inferiore, il quale sembra fatto con parte di una zanna di cinghiale. N. 2. Scheletro quasi completo d’un bambino di pochi mesi. Non fu raccolta alcuna suppellettile nella tomba. N. 3. Scheletro incompleto di bambino di pochi mesi. Suppellettili. Un grano di collana d’ambra gialla, divenuta bruna, opaca e fragile per alterazione. Esso ha forma di sferoide assai schiacciato, anzi pianeggiante ai poli, ed è attraversato in corrispondenza del diametro minore da piccolo foro. Il diametro maggiore misura circa 2 cm., il minore 6 mm. (1). Durante l'ultima visita che feci aWArma del Sangui- c> neto (durante il mese di giugno del 1907) raccolsi più (1) Fra gli oggetti rinvenuti nella grotta dal Sig. Rossi è pur compreso un mezzo grano d’ambra un po’più piccolo, il quale proviene probabilmente da una tomba precedentemente esplorata. — 290 — che altro cocci di fìttili non torniti, fra i quali i seguenti meritano essere menzionati : a) Un frammento di olla a orlo un po’ svasato, semplice, fatta di pasta finissima di color bruno chiaro, ingub- biata e lisciata a spatola. b) Un frammento di orlo di vasetto, da osservarsi per le piccole dimensioni e d’ insolita spessezza (bicchiere); è di pasta rossa, grossolana e mal cotta. c) Un pezzetto di vaso di pasta nerastra, fine, con solco esterno parallelo vicino all orlo, ed impressioni irregolari. d) Un frammento di olla di pasta rossa grossolana, con una fila di piccole impressioni digitali fra loro assai prossime. e) Un coccio di pasta mediocremente fina, coperto di solchi paralleli trasversali, sottili, poco profondi, fra loro assai vicini. f) Un piccolo manico in forma di tubercolo conico. Altre caverne della Valle dell’Aquila. Caverna del Morto. — La caverna o Arma del Morto, designando sotto questo nome la stessa che D. Amerano denomina Grotta dell'Acqua e 1 Ing. Bensa Grotta dei Zerbi, è scavata nel fianco assai ripido e scosceso in un dosso di calcare miocenico, regolarmente stratificato, che corrisponde al Monte Grigio della carta topografica alla scala di 1: 50.000 dello Stato Maggiore Sardo. La sua apertura, larga m. 5.50 ed alta 4, mette in una cavità irregolarmente ellittica alla quale Bensa attribuisce 25 m. lungo l'asse maggiore e 12 di larghezza (1). Le pareti e (1) Lo stesso investigatore stima che sia situata a circa 267 metri sul livello del mare. la volta, destituiti di rivestimenti stalattitici, lasciano vedere gli strati, affetti da profonde spaccature; il suolo è sparso di massi e di frantumi di roccia, massime verso ponente. La parete meridionale, che limita 1’ apertura a sinistra di chi entra nella grotta, risulta di parte di un grosso banco distaccato dalla volta ed abbassatosi di pochi centimetri rispetto alla sua posizione originaria, per modo che l’interstizio lascia trasparire la luce esterna. A ponente della cavità principale sbocca una propaggine angusta nel primo tratto, che più innanzi si allarga e può seguirsi per più diecine di metri. In questa pro-paggine umida ed oscura, fra grandi massi caduti dalla volta, furono eseguiti dal P. Amerano, dal Sig. G. B. Rossi e da me gli scavi che condussero alla raccolta dei manufatti preistorici di cui dirò più innanzi. Nelle altre parti della caverna le ricerche sortirono esito poco felice, forse perche la formazione archeologica è coperta colà da un deposito troppo spesso di detriti sterili o da massi di cui è malagevole la rimozione. Nella seconda camera D. Amerano avrebbe rinvenuto come si è detto, numerosi avanzi di Ursus spelceus, alcuni dei quali con tracce di lavoro umano ed un raschiatoio di selce nera del tipo di Moustier. In altra parte della medesima cavità, si trova un deposito archeologico neolitico, formato di ceneri ed avanzi animali e vegetali, rnisti o 1 a poca terra che somministrò allo stesso esploratore: un’accetta di pietra verde levigata, frammenti d’altra ascia, alcune cuspidi silicee, un frammento d’ anello di pietra, macine, macinelli, lisciatoi e percuotitoi di pietra, punteruoli, pugnali ed altri manufatti d’osso, un lisciatoio, spatole ed oggetti diversi di corno di cervo, un pezzo di zanna di cinghiale forato alle due estremità, valve di Pectunculus forate, e, infine, frammenti di vasi d’ogni dimensione, tutti lavorati a mano e cotti a fuoco libero. ί , — 2Q2 — Per la massima parte, questi cocci sono ben levigati e ingubbiati; alcuni di essi presentano ornati in graffito o in rilievo. Notevoli, certi cocci crivellati di fori (secondo il mio modo di vedere, pezzi di vasi destinati al caseifìcio) ed altri, resti di vasi doppi, come fossero costituiti di due recipienti conici uniti per il vertice, al pari di quelli rinvenuti nella Pollerà. Merita poi particolar menzione un coccio fatto di argilla ben purgata, di color bianco cenerino sul quale spicca in nero un fregio formato di macchiette irregolarmente circolari e di triangoli (denti di lupo) disposti in serie verticale; presso il manico si osserva una macchia rossa. Il vaso, cui apparteneva questo frammento, il quale porge un curioso esempio di fìttile neolitico dipinto, era a margine riflesso con manico a foggia di bugna e forato (i). Fra i molti cocci raccolti, tra la superficie e I m. 50 di profondità, nella propaggine occidentale della grotta, durante gli scavi eseguiti per mia cura (giugno 1907), ricorderò i seguenti: a) Pezzo di olla di forma ovato-cilindrica, con orlo semplice, fatta di pasta fina, bruno nerastra, lisciata a spatola. b) Altro frammento analogo al primo con un fregio che risulta di una fila d’intaccature (probabilmente parallela all’orlo), praticate mediante un utensile appuntato. c) Piccolo coccio di pasta grossolana, rossa, il quale presenta parte di un orlo piuttosto grosso, rimboccato all’esterno e spianato superiormente. Si tratta di tipo non comune, riferibile alla fase dei metalli. / d) Pezzetto di vaso di pasta nera, piuttosto fina, con profondo solco esterno (probabilmente parallelo all’orlo che (1) È uno dei due vasi dipinti da me ricordati alla pag. 114. Si tratta di quello che il raccoglitore fece conoscere come rinvenuto nella « caverna deil’Acqua ». — 293 — manca), entro al quale furono praticate intaccature assai prossime. Moltissimi i cocci di olle con manichi di forma comune e destituiti d’ornamento, riferibili alle forme più frequenti nelle nostre caverne. Caverne dette « dell’Acqua » e « Le Pile ». — La caverna alla quale gli abitanti della valle attribuiscono propriamente il nome di Grotta dell’Acqua, come l’Ing. Bensa potè verificare, è situata a circa io minuti di distanza a valle della precedente nel medesimo versante montano, e si apre a circa 255 m. sul livello del mare mediante una piccola apertura (è larga m. 3.20 e alta 4.80) dissimulata da elei, frassini, ramni ed altre piante. La cavità principale, mediocremente capace, è diretta da S.E. a N.O. e dopo alcuni metri subisce un restringimento, mentre il suolo si rialza in gradino irregolare coperto di capelvenere. In questo gradino è scavata una piccola conca piena d’acqua alimentata da una polla perenne ; da ciò la denominazione di Grotta della Fontana attribuitale dal P. Amerano e quella eziandio sotto la quale è più generalmente conosciuta. A breve distanza dall’ apertura sbocca una piccola propaggine oscura, diretta a mezzogiorno. Bensa riferisce d’aver fatto scavare una trincea di m. 1.50 di profondità presso la parete occidentale della grotta, dalla quale ottenne ossa e denti di ruminanti e cocci di terra cotta. A me pure un piccolo assaggio praticato invece presso la parete orientale fruttò qualche frammento di vaso non tornito e qualche osso. La caverna detta Le Pile, situata presso la vetta della balza denominata Bricco Grigio, a circa 200 metri sul letto dell’Aquila, lungo la destra di questo corso di acqua, fu segnalata dal P. Amerano, il quale in un sottile strato di terriccio superficiale, contenente avanzi di focolari e residui di pasti, raccolse ossa di comuni animali dome- — 294 — stici, frammenti di macine, macinelli, brunitoi, come pure cocci di ceramiche analoghe a quelle della vicina grotta Pollerà (i). Caverna Pollerà. Considerazioni generali sulla caverna. — Le prime notizie di questa caverna furono fornite fin dal 1873, da don Perrando; essa fu poi esplorata da me, dal Dott. Wall, dal Prof. Morelli, da don Amerano, dal Sig. G. B. Rossi Fig. 79. Cavità anteriore della grotta Pollerà (P. Bensa). e in ultimo nuovamente da me, somministrando materia a parecchie note e memorie paletnologiche ed archeologiche, di cui si troverà Γ elenco in appendice. (1) Bull, di Paletn. ital., voi. XVIII, n. 7, 8. Parma, 1892. — 295 — Fornì inoltre materia d’indagini speleologiche e faunistiche all Ing. Bensa, il quale studiò diligentemente sotto gli stessi punti di vista le numerose caverne che si aprono lungo il Rio della Valle e parecchie altre nel Finalese (1). Il deposito archeologico fu pur rovistato a più riprese, per conto proprio, da operai, adibiti alle precedenti ricerche, i quali si diedero a rintracciare antichi manufatti, per venderli agli stranieri che visitano il Finalese. Durante la lunga permanenza che feci nella caverna per sopraintendere ai lavori di scavo, e in grazia delle particolarita venute in chiaro per tali lavori, potei farmi giusto concetto della sua formazione e riconoscere le tracce di mutamenti importanti che ebbe a subire in tempi remoti, mutamenti da cui emerge una più razionale interpretazione del ricco e potente deposito fossilifero contenuto in questa cavità. Senza dare una nuova illustrazione particolareggiata della Pollerà, la quale fu già più volte descritta, premetterò alle mie osservazioni un cenno succinto delle sue condizioni topografiche (fig. 79, 80, 81). La caverna si apre nella balza di Pian Marino, a circa un centinaio di metri sopra la borgata di Montesordo. Si penetra per ampia apertura triangolare nella cavità più esterna, che si prolunga per una trentina di metri, con circa 18 di larghezza, e declina alquanto da mezzogiorno a settentrione e da ponente a levante. Appunto verso levante, cioè a destra, entrando, scende a precipizio in un’ ampia e tenebrosa propaggine, il cui fondo, ingombro di massi, corrisponde ad un livello inferiore di una trentina di metri, propaggine scoscesa e dirupata, estesa in lun- (1) La Pollerà va distinta per la sua fauna cavernicola, nella quale figurano i coleotteri Homalota Linieri, Anophthalmusr Cane va·, Machcerites Vacca:, Spliodropsis Ghilianìi, il niiriapodo Atractosoma Bensa·, l’aracnide Chthonius Gestroi ecc. — 2gò — ghezza per circa 90 metri, dalla volta diappeggiata di stalattiti. Il rivo che scorre sul suo fondo, con lieve mormorio rompe solo il silenzio della spelonca, alla quale giunge Fig. 80. Pianta della parie superiore della Grotta Pollerà (secondo N. Morelli). A apertura principale; B apertura corrispondente all’arco naturale; C cavità interna nella quale le ricerche risultarono infruttuose; D discesa al baratro; SS scavi praticati per conto del Ministero dell’istruzione nel 1892; XXX posizione delle tombe scoperte; aaa massi caduti dalla volta. - 2Q7 — appena un fioco raggio di luce dall’alto. Le osservazioni dell Ing. Bensa dimostrano che questo rivo, alimentato dal Rio della \ alle, viene alla luce più innanzi, formando la ricca sorgente che scaturisce dalla grotta denominata « II Bino », clopo un percorso sotterraneo di circa mezzo km. (i). Verso settentrione, il suolo s’ innalza rapidamente, mentre la volta si abbassa, e la cavità è qui limitata da una parete ornata di concrezioni calcaree. In questa si apre però un varco da cui si passa in altra camera contigua, umida e tenebrosa, assai meno ampia e sopratutto meno alta della precedente. È notevole la circostanza che la parete occidentale della prima cavita, si continua fuori di questa per piccolo tratto nella stessa direzione a guisa di muro, ed, essendo attraversata da ampia apertura, costituisce una sorta d’arco naturale, da cui si accede al terreno ingombro di massi che si estende dinanzi alla grotta (fig. 80). La Pollerà è indubbiamente scavata dall’azione erosiva e dissolvente di acque circolanti, le cui tracce sono ben visibili. Queste acque cominciarono a gemere, verosimilmente, per fessure situate nella parte superiore ed occidentale della cavità (2), e, scorrendo nel senso della stratificazione, cioè verso levante, aprirono una breccia sempre più estesa. Ad un certo tratto, incontrando una soluzione di continuità, quasi verticale (che attraversa gli strati presso a poco normalmente al piano loro) e, penetrando nella stessa, produssero il baratro inferiore, in fondo al quale si unirono ad altre acque sotterranee che continuano tuttora a scorrere, sotto forma di rivoletto. (1) Bensa P., Le grotte dell'Appennino Ligure e delle Alpi Marittime. Boll, del Club Alpino Italiano, voi. XXXIII. Torino, 1900. (2) Una di queste fessure diretta da N.N.E. a S.S.O, è ben manifesta. Atti Soc. Lic. St. Patria. Voi. XL. 20 — 298 — La poca consistenza del calcare arenaceo che costituisce il monte, la sua permeabilità, la proprietà della roccia di Fig. 81. Sezione verticale della parie superiore della Grotta Pollerà (secondo N. Morelli). A, B, C, D suolo terroso, ossifero della grotta ; E, F pareti rocciose della stessa \ a arco naturale ; b punto in cui si praticarono i primi scavi per conto del Ministero, in continuazione di quelli eseguiti dal Sig. Rossi ; ccc massi caduti dalla volta; d propaggine interna. — 299 — disgregarsi per 1’ azione dell’ umidità, la disposizione dei suoi strati, la facilità colla quale, scorrendo tra strato e strato, le acque filtranti possono determinare il distacco e la caduta di falde rocciose, spiegano come in tempo relativamente breve si sia formato lo speco. Anche al presente, i meati fra gli strati sono acquiferi e si manifestano sulle pareti con zone umidiccie, lungo le quali si sviluppano in copia piccole felci. D’altra parte, quando si iniziò la formazione della grotta, durante il periodo quaternario, le acque superficiali erano certamente assai più copiose che non al presente. Importa poi notare, dal punto di vista dei nostri studi, come abbia subito ingente mutamento da che cessò di servire ad uso di abitazione o di tomba. Infatti, il piano inclinato che si trova all’innanzi, fuori della cavità, è tutto coperto di detriti e di massi di calcare, accatastati in disordine, e, al di sotto di questi, si continua il deposito archeologico, regolarmente stratificato, che nell’ interno giunge quasi alla superficie. Da ciò si deve per necessità argomentare, che, in passato, la grotta si estendeva assai più alla sua parte anteriore che non attualmente, e fu ridotta alle presenti condizioni da uno scoscendimento della volta, verificatosi nella stessa parte, il quale ebbe per conseguenza la formazione dell’ arco naturale, situato in continuazione della parete occidentale. Quest’arco era sicuramente una delle aperture del sotterraneo, forse la principale, e rimase isolato, nella condizione in cui ora si trova, per la caduta della parte anteriore della volta, cui era unito, e della parete adiacente verso mezzogiorno, Lo scoscendimento cui alludo diede luogo a quella congerie di massi e di detriti che ora si innalza di due o tre metri sopra il suolo nella parte anteriore della cavità già descritta, e si estende per circa quindici metri all’esterno. — 300 — Si tratta di un fenomeno ingentissimo, dovuto indubbiamente ad un terremoto d’ insolita violenza, di cui si manifestano le tracce in altra parte della stessa grotta ed in molte altre caverne, per esempio, in quella delle Arene Candide. Tanto alla Pollerà quanto alle Arene Candide, si osservano, nel deposito archeologico, massi sepolti a vari livelli, i quali accusano cadute di materiali, avvenute in tempi diversi ; ma i massi incomparabilmente più numerosi al di sopra degli strati contenenti manufatti di carattere neolitico, sono generalmente coperti di terriccio in cui non si trovano che scarsi residui, di data recentissima. È assai difficile, e, coi materiali di cui dispongo forse impossibile, il determinare precisamente l’epoca della catastrofe; ma, tenendo conto della spessezza del terriccio sopra e sotto i massi, dell'aspetto e della natura dei fossili che si trovano inferiormente e superiormente, credo di non allontanarmi molto dal vero facendola risalire a tempi storici remoti, di poco posteriori alle prime spedizioni dei Romani contro i Liguri. Dinnanzi all’arco sopra accennato, che io considero come la principale apertura originaria della grotta, osservai resti di una barriera artificiale di massi greggi sovrapposti per ragione di difesa. Questa barriera, che forma una specie di muro a secco, non più alto di un uomo, sarebbe stata inutile qualora fosse esistito 1’ attuale ingresso, più largo e più facilmente accessibile dell’antico. Per ciò è presumibile che essa abbia preceduto lo scoscendimento e risalga a tempi remotissimi. Se non temessi di arrischiarmi nel mare infido delle congetture, avanzerei Γ ipotesi che la Pollerà fosse uno degli ultimi propugnacoli in cui si rifugiarono i Liguri indipendenti, allorché il territorio loro fu invaso dai Romani. Risultati delle prime investigazioni. — Gli scavi praticati nella caverna da don Perrando sortirono risultati — 301 — migliori nel tratto compreso tra la camera esterna e la china per la quale si scende alla cavità principale. Ivi, appiè’ di un masso che minacciava rovina, il suolo fu scavato per più di tre metri e si misero così in evidenza varie stratificazioni contenenti resti dell’ uomo e della sua industria ; una delle superiori fornì tre pezzi di un cranio umano, varie ossa di cinghiale e due pezzi di pietra spianati sopra una delle loro superficie. Da uno strato più profondo, si trassero una ascia di pietra verde e parte d’un altro strumento consimile. Gli scavi posteriormente eseguiti nella grotta, alla mia presenza, col concorso del compianto Prof. Emanuele Celesia e d altre gentili persone, che vollero assistermi in queste ricerche, ebbero principalmente per oggetto di scandagliare il terreno, per verificare se per avventura non sarebbe stato utile di tentare un’esplorazione completa e sistematica del sotterraneo. » Le fosse più o meno profonde, praticate in cinque o sei punti della prima camera, nella quale mi pareva fosse più probabile la scoperta di antichi focolari o di tombe, diedero a conoscere che il terreno è quasi in ogni parte formato di terra nerastra, oscuramente stratificata e mista di pietruzze, con rare ossa infrante e cocci di antichi fittili. Nella parte media della cavità, presso la bocca, si trovò, ad un metro e 20 cm. di profondità, una piccola scheggia di piromaca giallastra, irregolarmente triangolare. I cocci raccolti consistono in avanzi di vasi non torniti, simili per la forma e la materia ai tipi più frequenti nella caverna delle Arene Candide. Alcuni sono sfli abituali manichi di pentola, di fattura assai rozza; altri son pezzi di olle, di pasta lina e nerastra, a pareti sottili, a labbra lievemente svasate, a margini semplici, a fondo pianeggiante ; per lo più tali frammenti sono lucidati a spatola. Un terzo tipo è presentato da certi frammenti che offrono — 302 — all’esterno un cordone in rilievo, ornato di piccole cavità equidistanti, ottenute colla pressione delle dita sulla pasta molle e sono resti di pentole cilindriche, di grandi dimensioni, dalle pareti spesse e dalla pasta grossolana. Scavi eseguiti dal Prof. Morelli. — Per opera di questo naturalista furono praticati nella caverna scavi estesi e profondi prima nell’ottobre 1885, poi nel maggio 1886, scavi che durarono in complesso 14 giorni e nei quali lavorarono quattro o cinque operai. Nell intervallo fra i due periodi, ebbero luogo indagini coordinate con quelle del D.r Giulio Podestà. In complesso ne risultarono pregevoli osservazioni e raccolte di cui renderò conto colla scorta dei lavori pubblicati dal primo (1). I sequenti manufatti litici furono raccolti durante le o accennate ricerche : a) N.° 40 ascie od accette, fra le quali 13 intere e con taglio acuto e le altre spezzate o logore pel lungo uso. Sono degne di nota tre accette di giadaite, tutte assai piccole, fra le quali la più perfetta misura mm. 66 di lunghezza e 28 di larghezza (2). Ma di gran lunga più preziosa ed interessante delle altre è una accetta congiunta ancora al manico originario, fatto di corno di cervo (tav. II, fig. 4). Questo manico consiste nella parte inferiore di un corno di cervo col primo ramo troncato presso la radice, per mezzo di uno stromento tagliente, ed incavato in modo da accogliere per due terzi della sua lunghezza (1) Morelli N., Relazione sugli scavi eseguiti nella caverna Pollerà. Mem. della R. Accad. dei Lincei, Classe di Scienze mor., stor. fil., serie4.“, voi. IV. Roma, 1888. — Iconografia della Preistoria Ligustica. Genova, 1900. (2) Una delle accette (pertinente al tipo linguiforme) era colorata in rosso da ematite, così come arnesi litici rinvenuti in alcune grotte dei dipartimenti della Marna e della Charente in Francia, secondo A. de Maret · e G. de Baye. Anche certi stromenti di pietra adoperati dai Papuani sul Fly River presentano la medesima particolarità. — 3°3 — una forbitissima accetta di giadaite. La lunghezza totale del manico è di circa 16 centimetri; la pietra ne sporge per soli 4 cm. b) Una zappetta linguiforme, lunga mm. 123, larga 37, spessa 21. c) N.° 4 scalpelli di pietra verde. Un manico di corno di cervo (rinvenuto nello stesso deposito), entro al quale è praticato un foro tondo, sembra destinato ad accogliere un arnese cilindraceo simile a taluno di questi scalpelli. d) Accetta a due tagli. Sotto questo nome Morelli descrive uno stromento in forma di lamella rettangolare, nella quale ciascuno dei lati minori corrisponde ad uno spigolo tagliente. Lunghezza mm. 55, larghezza 30. e) Pietra da affilare o lisciatoio. f) Parte di un anello di marmo bianco ceroide, anello a sezione triangolare, a spigoli smussati ; si tratta di una armilla, la quale se fosse stata integra avrebbe misurato 58 mm. di diametro (fig. 89). Altra armilla più grossolana, raccolta posteriormente, è pur fatta di calcare ed ha torma di ciambella assai schiacciata; diametro maggiore 8 erri., minore 6 j1 (1). g) N.° 12 coltellini di silice, alcuni ridotti a frammenti. /1) Una selce di forma propriamente romboidale. i) Raschiatoi di fogge diverse, alcuni dei quali ricordano le lamine taglienti di cui son munite le trebbiatrici · primitive menzionate alla pag. 20. f) Pezzi di pietra pomice con solchi profondi, oggetti adoperati senza dubbio per appuntare lesine e giavellotti d’osso. (1) Armille analoghe sono menzionate tra le suppellettili di parecchie stazioni preistoriche della Spagna — 304 — k) Frammenti di pietra oliare tornita, cocci di vasi di cui dirò meglio in seguito allorché mi occuperò degli oggetti raccolti dal Sig. Rossi. I) Un mortaio di quarzite con parecchi macinelli. m) Macine e ciottoli più o meno ammaccati nel contundere cereali o per altro uso analogo. Nella categoria dei manufatti di corno, d’osso, di conchiglia sono da ricordarsi : a) Punte in numero di oltre 64, foggiate con diafisi d’ossa lunghe di ruminanti, 30 delle quali, per le loro dimensioni, possono considerarsi come destinate ad armar lancie, e le altre più piccole come punte di freccia o di giavellotto. b) Una cuspide di freccia ad alette (trovata a 3 metri di profondità). c) Una punta d’osso, alquanto curva, a guisa di lesina. d) Un ago da cucire colla sua cruna, lungo 43 mm., scoperto a m. 4.50 di profondità (tav. II, fig. 12). e) N.° 5 aste d’osso, diligentemente appuntate, quale a sezione triangolare, quale cilindrica (tav. II, fig. 15)» che servivano verosimilmente ad uso di pugnali o stiletti. Una di queste è confitta colla estremità opposta alla punta in un rozzo manico in corno di cervo (tav. II, fig. 16). f) N.° 3 stecche, o meglio trincetti d’osso a tagliente assai acuto, che erano destinati, a quanto credo, a scuoiare i mammiferi di cui si voleva usufruttare la pelle. g) Due spatole d’osso, che forse erano arnesi culinari, o forse anche servivano allo stesso uso delle stecche testé menzionate. h) Due lisciatoi di corno di cervo. i) Una bella zanna di cinghiale artificialmente spianata, con due fori all’estremità radicale. j) Un altro dente simile, munito alla base di un solo foro. 4 — 305 — k) N.° 3 denti canini di carnivoro (uno d’orso, uno di lupo ed uno di cane), colla radice attraversata da un foro. Oltre a questi oggetti si potrebbero citare un utensile, di uso ignoto, tagliato a foggia di piccolo cucchiaio in un canino di suino e frammenti diversi di denti lavorati. Manufatti metallici. — Nella caverna Pollerà si raccolsero pure da D. Morelli quattro manufatti metallici. Due di questi sono lame di pugnale di puro rame (i). L’una, che giaceva a 3 m. di profondità insieme ad avanzi di pasti ed a pietre ed ossa lavorate, è lanceolata, con costola mediana e codolo piatto, alquanto allargato ai due lati, munito presso Γ estremità di due chiodetti ribaditi. La lunghezza di questi chiodi (17 mm.) accenna allo spessore dell’ impugnatura di legno o d’osso di cui Γ arma era provvista. La lunghezza totale della lama era di 12 cm., la larghezza massima di 25 mm. La seconda lama di pugnale è di forma pur lanceolata e munita di costola mediana; ma il suo codolo, destinato ad essere inserito in un manico, si mostra sottile e a sezione quadrangolare; la lunghezza dell’oggetto non raggiunge 10 cm. (2). Il terzo manufatto è un’asticella di rame di 7 cm. e mezzo di lunghezza, a sezione quadrata, la quale si mostra assottigliata e terminata in punta alle due estremità. Si tratta indubbiamente di una punta di giavellotto. Un altro oggetto metallico consiste in un frammento di lamina di ferro, tutto irrugginito, di 5 cm. e mezzo di lunghezza, di cui sarebbe ora difficile rintracciare il signi- (1) La natura di tali oggetti fu accertata mediante analisi chimica (2) Accenno per incidenza ad un’ altra lama di pugnale, conservata nel Museo pedagogico di Genova, cui fu venduta da un operaio del Finalese, il quale asserì di averla raccolta nella caverna Pollerà. Morelli ne dà la figura, come pure delle altre summentovate, nella tav. XI della sua Iconografia della Preistoria Ligustica. — 3°6 — ficato. Certo è che fu raccolto a circa 2 m di profondità e fornisce, con quelli sopra enumerati, valido argomento per dimostrare che, se i depositi esplorati nella caverna Pollerà (pur prescindendo dalla parte più superficiale di essi) hanno in complesso il carattere di quelli così detti neolitici, appartengono fino a non meno di 2 m. di profondità alla così detta età del ferro e per un altro metro inferiormente a quella impropriamente denominata del bronzo. L’esame dei fittili non smentisce queste conclusioni. Fittili. — I numerosi cocci di terra cotta rinvenuti da don Morelli nelfa caverna appartengono in gran parte a vasi simili a quelli già descritti come provenienti dal medesimo deposito archeologico. Notevoli, fra gli altri, un frammento di vaso doppio, che aveva la forma cioè di due vasi conici che fossero stati saldati per la base, e fu rinvenuto a più di 4 m. di profondità (fig. 33); varie ciotole di pasta più o meno fine ed ornate quali di cordoni a rilievo, quali di graffiti; altri vaselli a pareti spesse, conici col fondo forato (1); piccoli recipienti emisferici, con lunga appendice forata, che servivano indubbiamente ad uso di lampadine, una specie di pestello in terra cotta, 4 fusaruole (2), una delle quali di forma insolita, cioè (1) Secondo Morelli questi potrebbero essere imbuti, ma le loro esigue dimensioni non si conciliano, a parer mio, con siffatto uso. Nel museo del Castello Sforzesco di Milano vidi un oggetto consimile proveniente da una stazione del Cremonese esibito come fischietto in base ad un giudizio di Pigorini. La medesima interpretazione è forse ammissibile anche pel manufatto della grotta Pollerà. (2) I piccoli manufatti di terra cotta, quali lenticolari, quali sferoidali o biconici, attraversati da un foro, si dicono fusaruole, perchè secondo ogni verosimiglianza servivano a rendere più pesante il fuso (l’estremità inferiore del quale si introduceva a forza nel foro) per agevolare la filatura. Poche diecine d’ anni or sono le fusaruole erano ancora in uso in parecchi paesi d’ Europa. Nella Francia meridionale si chiamavano bertel. Con ciò non si esclude che oggetti consimili potessero avere destinazione diversa, si adoperassero cioè ad uso di bottoni. — 307 — discoide a spigoli arrotondati, con una depressione attorno alla superficie curva (fig. 90) ; un piccolo pane di argilla rossa coll’impressione di cinque dita umane, impressione così ben conservata che vi si osservano i rilievi epidermici dei polpastrelli. Fra i cocci sono pure da ricordarsi pochi avanzi di anfore e due pezzi di tegoloni di fattura romana, trovati a profondità non maggiore di 30 cm. Terminerò questa enumerazione col cenno d’una pintadera di terra cotta, scoperta da Morelli nella caverna, a circa due metri di profondità. La sua forma è quella di un corpo irregolarmente ovoide, pianeggiante da una parte, dall’altra munito di un rilievo, ora in parte spezzato, che serviva di manico. La superficie pianeggiante presenta in mezzo tre file di impressioni (la mediana formata di incavi puntiformi, le altre due costituite di piccole cavità irregolarmente emisferiche) e per ciascun lato una serie di solchi trasversali (tav. Ili, fig. 1, 2). Avanzi di animali. — I resti di vertebrati recentemente raccolti nella caverna da D. Morelli appartengono alle specie: riccio, lupo, cane, gatto, lince, orso, tasso, martora, faina, puzzola, cinghiale, capriolo, cervo, camoscio, capra, pecora comune, pecora riferibile alla razza palustre (Ovis palustris), mufflone, bove, lepre, coniglio ed a 11 specie d’uccelli, tra i quali il Corvus corax, il Pyrrhocorax Alpinus, la Fuligula fusca. Sono da osservarsi, nel numero delle specie precitate, la lince e il camoscio, confinati al presente nelle più alte vallate alpine, e il mufflone, che si trova nell’isola di Sardegna, ma non vive più nel continente italiano. Vuoisi avvertire in proposito che i tre mammiferi testé ricordati sono rappresentati nella caverna da avanzi in piccolo numero e poco voluminosi, i quali provengono forse da pezzi di selvaggina trasportati da una certa distanza. — 3°8 — Tombe. — Oltre ad un certo numero di ossa umane sparse, don Morelli ebbe a scoprire tre tombe intatte, due delle quali, accoglievano gli avanzi di un adulto e la terza quelli di un bambino. Uno dei sepolcri si trovò a 3 m. di profondità, nel punto indicato nella figura 80 dal N.° 1, e, a quanto scrive don Morelli, era formato da una specie d’incassatura di lastre di pietra greggia, coperta di altre lastre consimili a guisa di coperchio. Lo scheletro, in perfetta condizione ed integro, era adagiato sul fianco sinistro, colla mano sinistra sotto il capo ed aveva le ginocchia piegate e il braccio destro proteso. I piedi erano rivolti verso l’apertura della grotta. Presso il cranio, si osservarono gli avanzi di un vaso di terra cotta, contenente ocra rossa; appoggiata all’anca destra, stava un’accetta di pietra verde, di forma triangolare, assai schiacciata e col taglio logoro dall’uso. Accanto allo scheletro, al lato sinistro, era collocato un teschio di capra ; presso le estremità posteriori, giacevano parecchie ossa di cervo. Tanto queste quanto il cranio di capra, non portavano segni di ustione. Sopra il coperchio della tomba, erano accumulate in copia : ceneri, carboni, ossa bruciacchiate e cocci, secondo le nostre presunzioni, avanzi del pasto funebre. La seconda tomba si scoprì a breve distanza dalla prima e allo stesso livello, nel punto indicato nella figura col N.° 2. Anche questa risultava di una cassa irregolare, formata di lastroni di pietra, piantati verticalmente e coperti di altri lastroni consimili, collocati in posizione orizzontale sopra i primi. Essa ricettava del pari uno scheletro umano d’individuo adulto, collocato nel modo stesso del primo, ma non accompagnato di manufatti. Il cranio era in parte danneggiato dalla pressione della pietra ond’era coperto. Al punto distinto col N.° 3, nella figura, e poco lontano dagli altri, fu messo allo scoperto il terzo sepolcro, formato come i precedenti e contenente lo scheletro di un bambino, non completo e in parte guasto dal tempo. È importante una osservazione del D.r Morelli intorno alla costruzione di questa sepoltura. Le pietre che la circoscrivevano erano confitte in terreno ben battuto, e poi, secondo ogni verosimiglianza, coperte di terra, permodochè la tomba doveva originariamente manifestarsi all’esterno sotto forma di piccolo tumulo. Il primo di tali scheletri, che può vedersi nella collezione del gabinetto di geologia universitario, è di piccola statura e presenta ossa notevolmente esili. Esso appartiene ad un individuo di sesso maschile, morto in età avanzatissima, come lo dimostrano le sue mascelle quasi completamente sdentate cogli alveoli ossificati, e la saldatura delle suture craniensi. La forma generale del teschio non quadra perfettamente con alcuno dei tipi a me noti. Veduto dall’alto al basso, apparisce irregolarmente ellissoide, depresso nella parte anteriore e un po’ arrotondato nella parte posteriore. Nella norma orizzontale è assai spiccata per la sua protrazione la sporgenza nasale. Diametro antero-posteriore mm· 173/ trasversale massimo 130. Larghezza della faccia mm. 124 (fig. 82, 83). La fronte è stretta e poco prominente. I rilievi sopraorbitali hanno solo lieve sporgenza. 11 teschio apparisce un po’ depresso, quasi schiacciato posteriormente, in ispecie alla base dei parietali (1). Le suture son quasi completamente ossificate ; la parte che ancora si può discernere offre solo qualche dentellatura assai semplice. Notevole, come già dissi, la prominenza delle ossa nasali. Le orbite si distinguono per la straordinaria spor- (1) Una estesa depressione nella parte media del parietale sinistro accenna ad antica ferita cicatrizzata. — 3IO — genza del loro contorno e pel fatto che l’orlo superiore è quasi rettilineo e in posizione pressoché orizzontale. Le ossa mascellari superiori sono poco sviluppate e destituite di prognatismo. I cinque denti superstiti superiormente sono verticali, voluminosi e assai consunti. Il mascellare inferiore sembra piuttosto stretto, ha angoli arrotondati e mento con mediocre sporgenza (fig. 84). Fig. 84. Cranio dello scheletro N.° 1, rinvenuto dal Prof. Morelli nella caverna Pollerà (Museo geol. di Genova). — 311 — Le ossa degli arti sono in questo scheletro piuttosto esili. Le lunghezze loro corrispondono approssimativamente alle seguenti cifre: Omeri 290; cubiti 254; radi 230; femori 400 (?) ; tibie 346 mm. Le clavicole, relativamente sottili, presentano ben manifesta la doppia curvatura (1). La cavità olecranica degli omeri è perforata. I femori si distinguono per la curvatura assai pronunziata e per la sporgenza della linea scabra. Lo scheletro N. 2, raccolto nella grotta Pollerà dal Prof. Morelli e pur compreso fra quelli ora posseduti dal Museo geologico di Genova, è di mediocre statura (2) e presenta ossa piuttosto sottili rispetto alla lunghezza. Appartiene ad un individuo adulto di sesso maschile. Il teschio corrisponde in tesi generale al tipo penta-gonoide di Sergi ed assume dimensioni eccezionali, massime per lo sviluppo assunto dalla parte posteriore. Seguono poche misure (3): Diametro anteroposteriore ...... mm. 190 Diametro trasversale massimo.....» 1 ςο Circonferenza..........» 510 Altezza totale della faccia......» 120 Larghezza massima della faccia fra le sporgenze delle arcate zigomatiche ... » 130 L’indice cefalico, che supera di poco 68, accusa straordinaria dolicocefalia. La fronte è stretta con prominenze frontali poco risentite ; essa si rialza alquanto sopra le (1) Una di esse lascia vedere i segni di un’antica frattura, seguita dalla congiunzione dei due pezzi. (2) Desumendo la statura dalla lunghezza degli arti, secondo i rapporti ammessi da Manouvrier, si avrebbe una cifra di circa m. 1.65. (3) Queste son mal sicure, causa qualche deformazione subita dalla cassa craniense. — 312 — orbite, massime nella parte media, formando due rilievi sopraorbitali, fra i quali intercede piccola depressione. Le suture son tutte poco frastagliate e aperte. Occipite assai sporgente (fig. 85, 86). Orbite ampie col margine superiore quasi orizzontale e quasi rettilineo. Zigomi robusti. Prominenza nasale assai pronunziata. Mascellari superiori assai sviluppati e pro- Fig. 87. Cranio dello scheletro N. 2, rinvenuto dal Prof. Morelli nella caverna Pollerà (Museo geol. di Genova). ~ 313 — tratti. Denti voluminosi; gli incisivi e i canini superiori situati obliquamente e non serrati, gli inferiori quasi verticali e più avvicinati. Mascellare inferiore robusto, alto, coll’ angolo risentito e sporgente; prominenza mentoniera ben spiccata (fig. 87). Le ossa delle estremità sono in questo scheletro piuttosto esili. L’omero, assai torto, ha cavità olecranica largamente perforata e misura 313 mm. di lunghezza. Il femore, arcuato, raggiunge la lunghezza di circa 450 mm. La tibia, notevole pel suo appiattimento, è lunga mm. 370. Lo scheletro di bambino (N.° 3) è incompleto per la mancanza delle ossa delle mani e dei piedi. Il cranio è dolicocefalo, a suture non connesse, e per le sue proporzioni si può argomentare che l’individuo di cui faceva parte fosse affetto di idrocefalia. Del mascellare superiore non si conosce che una metà con cinque denti; l’inferiore è intero e munito di nove denti. Nelle vertebre i corpi sono disgiunti dagli archi. Le ossa iliache sono ancora divise nelle loro parti. Raccolte del Prof. Amerano. — Gli oggetti raccolti dal Prof. Amerano durante l’autunno del 1890 (1), nella caverna Pollerà, provengono principalmente da un anfratto situato lungo la parete orientale presso l’apertura e sono : a) Sei ascie od accette di pietra verde, di forme comuni, non compresi i frammenti. b) Una zappetta o ascia da bottaio. c) Coltellini in piromaca. d) Raschiatoi in silice e in quarzite, uno dei quali relativamente voluminoso e assai rozzo, che somiglia ad un’ ascia paleolitica, è figurato dal raccoglitore. e) Due punte di freccia, peduncolate e ad alette, in silice, raccolte nello strato superiore. (1) Bull, di Paletnologia ital., serie 2", voi. VII, pag. 91. Parma, 1891. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL — 314 — f) Una selce a tagliente trasversale, propriamente tipica. g) Lisciatoi, brunitoi, pietre da arrotare e macine di pietra; una di queste ultime misura 53 cm. di lunghezza e 24 di larghezza media. h) Pugnali e lisciatoi di corno di cervo. i) Denti di ruminanti, di cinghiale, d’orso, forati per servire ad uso di pendaglio. j) Ornamenti di conchiglie marine. k) Un pezzetto di corallo rosso, con piccolo foro, per servire ad uso di pendaglio. I) Molti fittili di varie fogge, fra i quali alcuni vasi integri, cucchiai o mestole ed una pintadera, simile ad altra da me già descritta. Uno dei fittili, quasi integro, è un’ampia tazza a fondo piatto, fatta di terra fina, annerita e ben lucidata, con poche linee semicircolari impresse tutto all’intorno, a mo di fregio, ed una croce tracciata sul fondo all’esterno. Ciò che vi ha di più notevole in questo vaso è 1 ansa, assai alta e sporgente, munita superiormente di una propaggine destinata a servir d’appoggio al pollice, allorché si sor-regga la tazza, introducendo nell ansa stessa 1 indice od anche le altre dita. Io ritenevo di poter interpretare un’ansa consimile, pur proveniente dalla Pollerà e mutilata, supponendo che fosse provvista di appendice a mezzaluna, quale si trova bene spesso nelle olle delle terremare (tav. Ili, fig. 20); ma un altro oggetto dello stesso genere, colla sua appendice integra, mi fece accorto dell’errore (tav. Ili, fig. 16,17). Un frammento di olla della collezione Amerano, già da me ricordato alla pag. 114, presenta tre striscie parallele, di color nerastro, colle quali si volle ornare il vaso. E propriamente un primo e rozzo tentativo di pittura (1). (1) Il Prof. Amerano accenna pure, nelle sue comunicazioni, ad un ornamento di bronzo e a due manufatti di ferro da lui raccolti nel suolo della grotte. — 3i5 — Lo stesso raccoglitore mise alla luce anche una diecina di scheletri umani, più o meno completi, fra i quali quattro di adulti ; ciò senza contare le ossa umane sparse. Questi scheletri provengono in piccola parte dall’anfratto già accennato e nel rimanente da punti diversi della caverna. Scavi di G. B. Rossi. — In parecchi anni di ricerche, e principalmente dal 1885 al 1892, il Sig. G. B. Rossi di Sassello si diede ad esplorare stazioni preistoriche italiane ed estere e a riunire manufatti d’ogni maniera, nonché reliquie d’uomini e d’animali provenienti da tali stazioni, risultandone una raccolta assai ricca ed istruttiva, nella quale emerge, pel numero e il pregio degli oggetti, la serie della caverna Pollerà. Eccomi ora a porgere un cenno descrittivo degli oggetti più notevoli compresi in questa serie, prescindendo però dagli avanzi organici non lavorati, ossa e conchiglie, appartenenti in gran numero alla medesima collezione, perchè non furono ancora studiati. Ascie od Accette.· La caverna Pollerà somministrò al Sig. Rossi non meno di sessantasei ascie od accette levigate, fra le quali circa una trentina in discreto stato di conservazione e le altre logore o ridotte a frammenti. Secondo il consueto, sono predominanti, fra questi manufatti, i tipi che denominai linguiforme ed isoscele, ma il così detto rettangolare non manca. La roccia di cui risultano è quasi sempre pietra verde. Parecchie ascie od accette son fatte di bella giadaite verde, translucida, una è di quarzite, un’altra di micascisto. La più lunga fra le ascie misura 15 cm. di lunghezza; la più piccola delle accette non ha che cm. 4.8 nella maggior dimensione. Scalpellini. Sono in numero di due, di piccole dimensioni e del tipo più comune. Mazzuolo. E un prisma irregolarmente quadrangolare, a spigoli ed angoli arrotondati, un po’ strozzato nella parte mediana. Ad una delle estremità, che è un po’ più larga — 3 * 6 — dell’altra, presenta numerose ammaccature. Mi pare che questo oggetto fosse destinato ad aver un manico che doveva essere assicurato con legature alla parte media della pietra. Ma potrebbe darsi che m’ingannassi, e in tal caso si tratterebbe di un pestello anziché di un mazzuolo. Punte di Freccia. Sono due, lavorate grossolanamente colla scheggiatura, in una varietà di piromaca, la più piccola si riferisce al tipo a mandorla; la maggiore sembra un esemplare incompiuto del tipo a peduncolo e ad alette, in cui queste e quello fossero appena accennati da una tenue smarginatura per ciascun lato. Coltellini. Ne ho contati trentanove, tutti di tipo comune, quali a taglienti freschi, quali logorati dall uso. La materia di questi utensili è piromaca di varietà diverse, ed una sorta di corniola. Raschiatoi. Due schegge di selce, ritoccate sul margine, rappresentano questa foggia di manufatti. Nuclei. Me ne furono presentati due, entrambi di piccole dimensioni, uno di diaspro giallo, l’altro di piromaca bionda. Testa di Mazza. Si tratta d’un frammento d’anello (poco meno di '/,) lavorato in una pietra verde assai tenace. Esso ha sezione triangolare isoscele, presentando altezza di 24 mm. e base (spessore massimo dell’anello) di 6. Il taglio, corrispondente all’angolo esterno dello strumento, è acutissimo, ma guasto dall uso. Armille. Sono quattro frammenti. a) È la metà di un anello di marmo bianco, arrotondato internamente, carenato all esterno. Diametro esteino mm. 66; spessezza 15 (1). ( i ) Anelli analoghi a questo per la fattura e per la materia si raccolsero da don Emanuel de Gongóra y Martinez, nella grotta sepolcrale detta*Cueva de los Murciélagos (dei pipistrelli), presso Albunol in Andalusia. b) Consiste nella metà di un anello, ma a sezione rettangolare arrotondata. La materia è calcare bigio. Diametro esterno mm. 67; altezza 9; spessezza 7. c) Si tratta della terza parte di un anello di calcare (?), a sezione ellittica. Le dimensioni della fascia e il diametro sono poco diversi dalle misure del precedente. d) Anche questo è presso a poco la terza parte di un’armilla. La sezione è arrotondata all’esterno, un po’ incavata internamente e misura mm. 13 d’altezza e 11 di spessezza. La materia è pietra assai dura e tenace, di color verde scuro. Notevole la circostanza che il frammento presenta ad una estremità, presso il margine corrispondente ad una antica frattura, un foro indubbiamente destinato a risarcire per mezzo di legatura l’armilla spezzata. e) Un frammento d’anello, il cui diametro doveva essere assai maggiore di quello delle armille sopra citate, accenna ad un ornamento destinato alle estremità inferiori. La fascia è a sezione triangolare isoscele, coll’angolo esterno smussato e misura 9 mm. di spessezza. La pietra di questo manufatto è steatite bruna. Pendaglio. Questo sembra un frammento d’armilla o di testa di mazza, a sezione triangolare, ridotto a pendaglio, cioè forato ad una estremità e arrotondato all’altra, dopo la frattura. Esso è largo 2 cm. e misura soltanto S mm. di spessezza. E fatto di pietra di color verde sbiadito, che credo riferibile alla serpentina. Articoli di monile litici. Uno di essi è un corpo cilin-draceo-arrotondato, attraversato da un foro nel senso del-1’altezza. Misura 17 mm. di diametro e 15 d’altezza, mentre il foro ha 7 mm. di diametro. La pietra è mica-scisto ricco di mica argentina e perciò assai lucente. Un altro è pur di forma irregolarmente cilindracea, ma con una base un po’ convessa e la seconda concava, e si mostra parimente attraversato da un foro. La pietra è talcoscisto. - 318 - Macine. Le grandi macine comprese nella serie di oggetti di cui ho assunto l’enumerazione sono circa una ventina. Esse consistono in lastre, piuttosto spesse, di rocce dure e tenaci (quarzite, gneiss, granito), più o meno logore, incavate nella parte media di ciascuna faccia. Alcune si distinguono per la forma regolarmente quadrilatera, mentre altre, in maggior numero, sono ellittiche od irregolari. Macinelli. Sono pietre simili alle precedenti, ma più piccole e, generalmente, in forma di parallelepipedi schiacciati, con due facce opposte, più o meno spianate per logoramento artificiale. S’intende facilmente come potessero adoperarsi nel modo stesso delle macine, oppure ad uso di macinelli, cioè tenute a mano, per schiacciare e stritolare semi od altri corpi distribuiti sulla superficie orizzontale di altra pietra maggiore. Ne contai almeno venti. Pietre da affilare o da aguzzare. Così definisco sei frammenti d’arenaria, che presentano vari solchi più o meno larghi e profondi, prodotti mercè lo stropicciamento sulla pietra di arnesi appuntati o taglienti, probabilmente ascie e scalpelli. Lisciatoi o Brunitoi. Sono pietre, per lo più dure e tenaci, con una o più facce spianate e levigate. Ne contai 13, quasi tutte di rocce verdi o di quarzite ; notevole un esemplare d’alabastro orientale, spianato su tre facce. Percuotitoi, Pestelli ecc. Si tratta di ciottoli ovoidi o cilindroidi, di pietra dura e tenace, più o meno ammaccati artificialmente ad una delle loro estremità o ad entrambe. Nella collezione Rossi ne ho contati 13, senza tener conto di quelli in cui le tracce della mano dell’uomo non sono ben manifeste. Frammenti d’Ematite. Uno di questi è di color bigio d’acciaio, lucente, lamelloso, tenace e pesa 45 grammi ; l’altro offre struttura minutamente scagliosa, colore bigio di piombo, con lucentezza grafitoide e riflessi rossastri e — 319 — si lascia facilmente intaccare, ricordando nell’aspetto l’argento rosso. Il suo peso è di 155 grammi. Entrambi forniscono polvere di color rosso mattone e presentano qualche ammaccatura artificiale. Assai numerosi i manufatti d’osso o di corno, e sono: Punte di Lancia. Dopo maturo esame, registro sotto questo nome venti punte d’osso, di rozzo lavoro, ma robuste, comprese nella collezione Rossi. Punte di Freccia, di Zagaglia o di Giavellotto. Può riferirsi a questa categoria, per le considerazioni che già esposi, la maggior parte delle piccole punte tanto comuni nelle nostre caverne. Nella collezione Rossi ne contai 109 di varie fogge, simili a quelle già descritte, e ricavate quasi tutte da metacarpiani o metatarsiani di piccoli ruminanti. Pugnaletti. Inscrivo sotto questa rubrica, non senza qualche riserva, sei punte d’osso, fatte con cubiti di ruminanti; una lama ossea, appuntata, assai rozza, che non sembra destinata a portar manico o ad esser fissata ad un’asta, ed un corno di cervo appuntato. Stiletti. Certe punte d’osso, assai lunghe e sottili, di lavoro più accurato delle altre, essendo assottigliate alla base, in guisa da potersi innestare in un manico, furono già inscritte da me come stiletti, fra i manufatti delle nostre caverne. Il ritrovamento nella Pollerà di una di tali armi ancora infissa nel proprio manico in corno di cervo, ritrovamento dovuto a don Morelli, avvalorò la mia induzione (1). Riferisco ora al medesimo tipo alcuni manufatti della collezione Rossi, almeno una diecina, restando incerto circa il significato di altri cinque o sei, i quali sono forse da registrarsi sotto la rubrica seeuente. o o (1) Morelli N., Relazione degli scavi eseguiti nella Caverna Pollerà, pag. 16 dell’estratto. Roma, 1888. — 320 — Punte di Raffio o di Fiocina. Per la pesca e forse anche per la guerra, i cavernicoli fecero uso probabilmente di raffii (harpons dei Francesi) e di fiocine armate di punte d’osso. Una verghetta d’osso arcuata e a doppia punta acuminata,compresa nella collezione Rossi, doveva servire, a parer mio, di punta ad un raffio, ma non è esclusa l’ipotesi che, strettamente legata ad una asticella diritta, adempiesse all’ufficio di amo; altre verghette rettilinee o appena un po’ arcuate, appuntate ad un capo e solo assottigliate al capo opposto, confitte in una base comune, assicurata ad un’asta, potevano munire fiocine analoghe a quelle che adoperano gli odierni Papuani e Polinesiani. In complesso, le punte d’osso riferibili ai due tipi sono circa una diecina. Amo da Pesca ? È compresa fra i manufatti d’osso della raccolta Rossi una asticella lunga solo 6 cm., levigatissima e acuminata alle due estremità, scabra e quadrangolare alla parte mediana. Questo arnese, congiunto obliquamente per la parte media ad altra verghetta assicurata ad una lenza, poteva servire come amo, e tale era verosimilmente la sua destinazione. Aghi crinali. Per me non possono interpretarsi diversamente tre asticelle d’osso, lavorate con diligenza, relativamente assai lunghe e sottili, terminate in punta ad una estremità ed ottuse all’ altra. Uno di questi manufatti, più perfetto degli altri, è lungo i 14 mm. e piegato ad angolo ottuso, per breve tratto, presso il capo opposto alla punta, e somiglia a quelli di cui fanno uso gli Etiopi del Tigrè e dello Scioa. Aghi da cucire. Sono quattro punte d’osso, brevi, sottili ed acuminate; l’estremità opposta alla punta è troncata e non hanno cruna. Ricordo qui per incidenza che la medesima caverna somministrò a don Morelli e al P. Amerano anche aghi ugualmente sottili e provvisti di cruna. — 321 — Lisciatoi e Stecche. A. queste categorie di utensili, che dovevano servire principalmente alla preparazione delle pelli, attribuisco una ventina di manufatti d’osso, ricavati in gran parte da costole e cannoni di ruminanti. Altri due lisciatoi son fatti di corno di cervo. Pendagli. Mezza mandibola destra di martora con foro di sospensione alla base dell’ apofisi coronoide, che fu in gran parte tolta. L’osso è lucidissimo e sembra logoro dall'uso. Si tratta di un trofeo di caccia o di una insegna, la quale si connetteva forse a qualche superstizione. Un altro pendaglio consiste in un cilindretto di circa 4 cm. di lunghezza ed uno di diametro medio, ornato di 8 solchi trasversali, presso a poco equidistanti, intersecati da un solco longitudinale rettilineo, perpendicolare ai primi, che corre da un capo all’altro del manufatto. Presso la sua estremità superiore, un po’ assottigliata ed ottusa, si apre un foro di sospensione relativamente largo, cioè di 4 mm. di diametro, alquanto svasato dalle due parti. L’estremità inferiore è lievemente ingrossata ed arroton-data (fig. 88). La materia di questo pendaglio sembra osso assai compatto, ma non escludo che sia invece un dente spoglio del suo smalto. Manufatti di Denti. Prescindendo da pochi denti di cinghiale, con lievi tracce di lavoro umano, si tratta esclusivamente di pendagli, fra i quali distinguerò : a) Quattro zanne di cinghiale, forate ad una delle loro estremità. Una di esse è artificialmente troncata all’estremità radicale e presenta foro assai ampio. b) Una zanna di cinghiale, con piccolo foro a ciascuna estremità. c) Due zanne di cinghiale, una delle quali con due piccoli fori alla estremità radicale (in seguito ad antica frattura non resta che lieve traccia di uno dei fori), l’altra con due piccoli fori alla estremità opposta. — 322 — d) Due incisivi di Sus forati nella radice. e) Parecchi canini d’orso, attraversati da largo foro presso l’estremità radicale. f) Piccolo dente non determinato, con foro nella radice. Fig. 88. Fig. 89. Fig. 90. Pendaglio della ca- Armilla di calcare bianco della Fusaruola di terra cotta della verna Pollerà (Coll. caverna Pollerà (Coll. Mo- caverna Pollerà (Co 1. Mo-Rossi) ; grand, nat. relli);' 1//2 della grand, nat. relli); '/2 della grand, nat. Molte sono le conchiglie marine che portano tracce di lavorazione, rinvenute dal Sig. Rossi nella caverna. Volendo ricordare soltanto quelle che furono convertite in utensili od ornamenti, sono da citarsi le seguenti : Trombe marine. Si tratta di cinque Triton nodiferum, tutti coll’apice artificialmente mozzato, e costituivano stromenti musicali, atti a trasmettere segnali od avvisi a distanza, analoghi a quelli comunemente adoperati presso di noi in tempi storici e che 1 antichità classica ha resi famigliari. Uno di essi presenta anche un foro di sospensione, praticato nel margine destro. Ami da Pesca. Sono tre uncini, due dei quali ricavati da valve di Spondylus ed uno dal guscio di un Trochus. Altri due esemplari, provenienti da uno Spondylus e da un Pectunculus, sono frammenti di arnesi consimili (i). (i) Mi è nato il dubbio che alcuni dei manufatti di conchiglia delle grotte Pollerà e delle Arene Candide, inscritti nelle mie note come ami da pesca, fossero invece orecchini. Sottopongo questo dubbio agli studiosi che sono in grado di istituir confronti tra tali oggetti e gli anelli di·conchiglia di cui certe popolazioni selvagge si ornano le orecchie. — 323 — Cucchiai. Alcune valve di Spondylus sembrano ridotte ad uso di cucchiai coll’arrotondamento dei margini loro, o 1 che sono taglienti nello stato naturale. Articoli di Monile. Sono due dischetti del diametro di mm. 13 e 16 rispettivamente, con largo foro centrale. Si possono comprendere nella medesima categoria i pezzi di Dentalium, quali fossili (questi provenienti dalla formazione pliocenica di Albenga), quali freschi, e raccolti probabilmente sulla vicina spiaggia dopo qualche mareggiata, gli uni e gli altri destinati io credo al medesimo uso, essendo già naturalmente attraversati da un foro longitudinale. Armilla. Si tratta di un frammento di conchiglia indeterminata, in forma d'arco di circolo, che mi sembra parte di un’armilla di rozza fattura, spezzata. Piastrella. Lastrina bianca, lucente, di forma ovale, con piccolo foro presso il margine, la quale è parte di un monile o serviva ad ornare qualche indumento. Conchiglie forate. Furono sottoposti al mio esame numerosi esemplari (non meno di un centinaio) di conchiglie forate, fra i quali Pectunculus, Cardium, Vcnus, ecc. Figurano nella collezione Rossi molti fittili integri o ridotti in frammenti, i quali non subirono la tornitura e furono cotti senza il sussidio della fornace. Vasi sferoidali ed ovoidi. A questi tipi credo potere riferire i seguenti: a) Calice sferoidale un po’ depresso, superiormente troncato, a fondo angusto pianeggiante, dal margine lievemente riflesso, semplice e munito di quattro fori disposti in due paia opposte. Questi fori sembrano praticati dopo la cottura. Diametro dell'apertura cm. 6.3. Nel terzo superiore si osserva la traccia di· un manico a bugna, che fu spezzato. Pasta fina, lisciata a spatola. b) Calice irregolarmente ovato, arrotondato in basso, terminato in alto da margini verticali, alla cui base si — 324 — osserva come una strozzatura. Dimensioni: altezza cm. 6 a 7; diametro dell’apertura cm. 4. Alla parte superiore della porzione ventrosa, v’ ha un manico a bugna, attraversato da due forellini verticali. Pasta nerastra, lisciata a spatola. c) Vasetto irregolarmente ovato, troncato superiormente, a parete spessa. Altezza cm. 3. 8—2. 9; diametro mao-o-iore cm. 2. 9. Pasta grossolana e mal cotta. Si tratta forse di oggetto votivo. σ O Vasi sfero-cilindrici ed ovato-cilindrici. Distinguo sotto questi nomi i recipienti arrotondati a guisa di sfera o di uovo inferiormente, e cilindrici alla parte superiore. a) Vasetto dell’altezza di 12 cm. e del diametro di cm. 9, integro, il quale ha forma emisferica nella parte inferiore e cilindrica nella superiore. In questa si osserva un piccolo manico forato. b) λ^εείίο integro, di forma ovato-cilindrica, irregolare e a fondo pianeggiante. Presso il margine, due coppie di forellini opposti, destinati indubbiamente alla sospensione del recipiente. Tali fori furono praticati nella pasta molle. La terra di questo vaso è grossolana e mal cotta. c) Vasetto ovato-cilindrico, dal fondo arrotondato, munito presso il margine di due paia di fori opposti. Altezza cm. 6. 4. Vasi ovato-conici e conico-cilindrici. Nei primi, la parte inferiore trae all’ ovata, mentre superiormente le pareti si foggiano a tronco di cono rovesciato, cioè colla base in alto. Nei secondi, si ha inferiormente la forma a tronco di cono rovesciato, mentre al di sopra le pareti si foggiano a cilindro più o meno irregolare. Questi tipi, abbastanza comuni, si distinguono in parecchie varietà per le diverse proporzioni, come pure pel numero e per la foggia dei manichi o delle anse, per gli ornamenti ecc. Ecco l’enumerazione di alcuni esemplari: — 325 ci) Vaso ovato-conico, a fondo piccolo e piano. Altezza cm. 7. 5 ; diametro circa cm. 13. Nel terzo superiore, piccola ansa di tipo comune. Pasta ben cotta, di mediocre finezza, di colore bruno nerastro. b) Vaso ovato-conico, di dimensioni maggiori del precedente ed assai più alto in confronto al diametro (altezza circa cm. 17.5; diametro cm. 15.5). Fondo piccolo, pianeggiante. Nel terzo superiore, ansa tubolosa. Pasta grossolana. c) Altro consimile, un po’ più piccolo. d) Altro consimile, più grande, rozzamente lavorato. Il frammento che ne rimane presenta parecchi fori praticati dopo la cottura, collo scopo evidente di risarcire il vaso, assicurando i cocci l’uno all’altro per mezzo di legature. e) Vasetto quasi integro, di forma conica traente alla cilindrica, a fondo emisferico. Nel terzo superiore, due piccole anse forate, opposte. Pasta omogenea, di color bruno nerastro, esternamente lisciata a spatola. f) Vasetto integro, di forma conica traente alla cilindrica, irregolare, a fondo un po’ convesso. Altezza cm. 4. 5; diametro maggiore cm. 7. 5. Vasi cilindracei. Si tratta generalmente di olle diverse fra loro non solo per le dimensioni, ma ancora pel rapporto che passa fra il diametro e l’altitudine, come pure per la forma del fondo, nonché pel numero e per la foggia delle appendici. Quasi tutti questi vasi portano tracce d’aver subito a lungo l’azione del fuoco, e possono considerarsi come recipienti culinari. Espongo qui appresso alcuni cenni intorno agli esemplari degni di nota pel grado di conservazione o per altra particolarità. a) Vaso cilindrico, voluminoso, simile alle comuni pignatte. Fondo arrotondato. Nel terzo inferiore presenta un’ ansa di tipo ordinario. Pasta grossolana, bruna. — 326 — b) Vaso cilindrico, piuttosto voluminoso (diametro massimo cm. 13. 8), incompleto per la mancanza del fondo e di parte delle pareti, munito alla parte media di ansa a canaletto, parallela al margine. Lo spessore di esso margine offre solchi trasversali che sembrano fatti con lama tagliente. Pasta mediocremente fina, lisciata a spatola. c) Vasetto integro, di forma irregolarmente cilindracea, a fondo pianeggiante, spesso di parete, grossolanamente fogg-iato e con segni lasciati dalle dita dell’artefice e dalla 00 o spatola alla superficie esterna. Altezza cm. 5. 5; diametro cm. 4. 2. Questo, per le sue dimensioni, potrebbe considerarsi come bicchiere oppure come oggetto votivo. Vasi biconici. Comprendo sotto questo nome alcuni vasi, cui meglio si addice l’epiteto di doppi (già me ne occupai alla pag. 108), i quali, essendo muniti di un sostegno conico più o meno esteso, non si prestavano alla cottura delle vivande, e più probabilmente erano adoperati ad uso di nappi o bicchieri. Reputo degni di nota gli esemplari della collezione Rossi qui appresso enumerati. a) Parte inferiore, o piede, foggiata a cono tronco, cava, breve (la sua altezza è di cm. 3. 5) in confronto del diametro (cm. 7. 5 a 8. 2). Parte superiore, o calice, incompleta; da quanto ne rimane sembra che fosse emisferica. Esternamente, presenta solchi rettilinei, verticali, irregolari, tracciati dopo la cottura. Pasta di color bigio traente al bruno, fina, ma poco omogenea, contenente pagliuzze di mica. b) Simile al precedente,, ma col calice più sviluppato rispetto al piede. Esternamente è lisciato a spatola e non ornato di solchi. Pasta fina e nerastra. c) Simile ai precedenti, ma col piede ridotto a minori proporzioni in altezza e diametro. Pasta più grossolana. Vasi a Bocca quadrangolare. Questi erano atti a contenere liquidi e a travasarli senza disperderli; è probabile — 327 — che i più grandi servissero a conservar latte. Se ne danno di fogge e di capacità diverse. Tacendo di quelli che son ridotti a piccoli frammenti, accennerò ai seguenti, conservati in gran parte : a) Forma generale irregolarmente quadrangolare, ad angoli alquanto arrotondati. Fondo arrotondato. Apertura leggermente allargata. Altezza circa 14 cm.; larghezza, in corrispondenza del margine, all’esterno, cm. 11.5. Il vaso è affatto sprovvisto di manichi e di ornamenti ; le sue pareti sono piuttosto sottili e sembrano esternamente lisciate a spatola. La pasta è omogenea e ben cotta. b) Un altro coccio presenta analoga forma in proporzioni maggiori; ma col fondo propriamente emisferico. c) Merita particolar menzione un vasetto piccolissimo (altezza cm. 3.8; larghezza e lunghezza, misurate lungo i margini, cm. 2.5 e 3), la cui forma generale è ovato-troncata, col fondo angusto e piano e la bocca irregolarmente quadrangolare. Nella parte mediana esso presenta un piccolo manico impervio. Vasi carenati. Comprendo sotto questa rubrica due fittili assai diversi. Il primo è inferiormente arrotondato e depresso, presentando alla parte mediana del ventre una carena ottusa ; alla parte superiore esso ha un diametro alquanto minore e si fa cilindrico. 11 margine è semplice e un po’ flessuoso. Nella porzione superiore, ad una certa distanza dal margine, si trova un’ansa tubulata. Il secondo risulta dalla sovrapposizione di due coni tronchi, riuniti fra loro q^er la base, mediante una carena acuta. Il suo fondo è piccolo, piano e misura 6 cm. di diametro; il diametro dell’apertura doveva essere un po’ minore ; ma la mancanza del margine non consente di determinarlo. Il vaso è a pareti spesse e fatto di pasta grossolana, eterogenea, di color bruno. - 328 - Ciotole. Queste sono fra gli oggetti più singolari delle caverne a facies neolitica della Liguria. La collezione Rossi non ne comprende che pochi frammenti. a) (fig. 31). Pezzo di grande ciotola a fondo convesso, a margine svasato e a carena ottusa, la quale è collocata un po’ al di sotto del margine. Il fittile è fatto di pasta fina, nerastra, accuratamente lisciata a spatola. Ansa marginale tubulata. Sotto la carena si osserva un ornato costituito di solchi a guisa di archi di circoli concentrici, disposti in parecchi sistemi. b) In un pezzo di vaso consimile in cui è conservato il fondo, si osservano, aH’esterno, in mezzo, due circoli concentrici, incisi nella pasta molle e, latei almente, altri circoli concentrici in numero di cinque. cì In un terzo frammento, sotto la carena della ciotola, è visibile un ornato che risulta di solchi paralleli ed obliqui. Tazze. Si possono così distinguere i vasi semisferici o semiovali, di piccole dimensioni, nei quali il diametro dell’apertura è sempre più o meno maggiore della profondità. Questi vasi, quasi sempre sprovvisti di ansa o manico, servivano probabilmente ad uso di nappo o bicchiere. Una delle loro varietà fu designata qualche volta dai paletnologi sotto il nome di bicchiere a campana ed è considerata da Pigorini come caratteristica degli antichi Iberici, da lui accomunati ai Liguri (ì). Per quanto concerne le caverne ligustiche di facies neolitica, la variabilità di forma, non disgiunta da singolare semplicità che si osserva in siffatta maniera di fittili, m’ impedisce di attribuirle un’ importanza etnografica pari a quella d’ altri tipi testé ricordati, come sarebbero le ciotole a cerchi concentrici, i vasi a bocca quadrangolare, ecc. (1) Pigorini, I Liguri nelle tombe della prima età del ferro ecc. Memorie della R. Accad. dei Lincei. Classe di se. mor. stor. fil., serie 3.’, voi. XIII. — 329 — a) Tazza emisferica, a fondo piccolo e piano, del diametro di 18 cm. b) Tazza semiovata, a fondo piano. Diametro cm. i i,· altezza circa cm. 8. c) Tazzina emisferica, dal fondo pianeggiante. Diametro maggiore cm. 6.7. È ornata all’ esterno di solchi obliqui, disposti dalla periferia del fondo fino alla prossimità del margine, solchi praticati prima della cottura. d) Altra simile alla precedente, ma più profonda e destituita di ornati, misura cm. 8 di diametro e 4 d’altezza. Esternamente vi si osserva la traccia di un manico spezzato. e) Vasetto emisferico. Diametro maggiore cm. 3.8 ; altezza cm. 2.7. f) Altro simile un po’ più piccolo (diametro maggiore cm. 3.2 ; altezza cm. 2.3-2.5), a pareti sottili. Vi si adatta un coperchietto convesso superiormente, e piano al di sotto. g) In questa categoria vuol essere pur notata una tazzina irregolarmente emisferica, quasi informe , assai grossolana per fattura e materia, lisciata e striata all’esterno. E un oggetto votivo ? È un giocattolo ? Vaso da Ί inta ? Si tratta di un manufatto piuttosto grossolano ed incompleto per antica frattura. Da quanto ne rimane, argomento che la sua forma generale fosse analoga a quella di certe pintaderas. Presenta infatti una superficie assai convessa, con prominenza conica, compressa, a guisa di manico ; ma nella parte opposta, invece della faccia pianeggiante o convessa improntata, offre una cavità ellittica poco profonda, la quale, a parer mio, era destinata ad accogliere una tinta liquida o semiliquida. In questa cavità doveva essere introdotta, io credo, l’impronta della pintadera per intingerla di ocra stemperata. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL. 22 — 330 — Cocci riferibili a Forme diverse dalle sopra citate. Che altre forme di vasi fossero in uso presso gli abitatori della caverna lo dimostrano parecchi frammenti conservati nella collezione Rossi. Uno di questi offre un fondo circolare piano, al di sopra del quale si osserva una carena acuta; un secondo è parte di bocca appartenente a grande olla, dal margine riflesso all’esterno; due altri cocci, notevoli per la foggia dell’apertura, presentano, nel primo, il margine svasato, quasi riflesso, ed ingrossato, nel secondo, il margine propriamente rimboccato all esterno. Reputo degni di essere ricordati per qualche loro particolarità i fittili qui appresso enumerati: a) Alcuni cocci ornati di solchi paralleli al margine, In un pezzo ve ne ha uno solo ; in un altro se ne contano tre assai prossimi. Già citai le ciotole, in cui gli archi di circolo e i circoli sono il motivo che domina nella decorazione. b) Cocci con fregi paralleli al margine, formati di impressioni a foggia di virgole. In un coccio, il fregio è unico; in un altro è doppio, mentre l’orlo è impresso e il vaso porta due bugne abbinate. c) Coccio di olla capace e grossolana, con solchi rettilinei, tracciati in vari sensi e protuberanze compresse. d) Cocci coll’orlo impresso. Uno di questi appartiene ad un vaso a bocca quadra e presenta, nella spessezza del margine, intaccature trasversali, equidistanti ; in un altro, a bocca tonda e a margine svasato, le intaccature sono oblique. e) Coccio a margine regolarmente ondulato. J) Cocci ornati di cordoni in rilievo o mezzo rilievo, semplici od impressi. Questi cordoni sono qualche volta trasversali e in altri casi longitudinali. In un esemplare, dal margine, che è semplice, scendono due cordoni, convergendo sul corpo del vaso. In un altro, un cordone a — 331 — mezzo rilievo, orizzontale, si associa a due verticali. In un terzo i cordoni son tre, rispettivamente paralleli , e disposti obliquamente. g) Coccio ornato di parecchie bugne a mezzo rilievo, che formano fregio. h) Coccio con un’ansa grande, ornata di due sistemi di solchi paralleli che s’intersecano, formando un reticolo. Cucchiaio. Considero come tale un piccolo vaso arrotondato e poco profondo, munito di manico impervio e relativamente lungo. Lampadine. Come ebbi ad esporre in altre memorie, sono tali per me certi vasetti poco profondi e a pareti spesse, ciascuno dei quali porta una appendice tubiforme, più o meno estesa (fig. 44). Fra integre e spezzate, si contano nella collezione di cui tengo discorso, cinque esemplari di siffatti arnesi. Un frammento, che pur si riferisce ad una lampada, comprende, invece dell’appendice tubiforme, una breve doccia, che doveva servire a contenere il lucignolo e si mostra perciò annerita ed arsa dalla fiamma, alla sua estremità libera. Il ritrovamento di questo oggetto elimina ogni dubbio, a parer mio, circa l’uso di vere lucerne presso gli abitanti delle nostre grotte. Dalle dimensioni e dalle forme dei cocci, argomento che fossero alimentate con grasso. a) Figurine d’Animali (fig. 45). Una di queste, già descritta alla pag. 119, sembra la riproduzione assai grossolana ed ingenua di un uccello. . b) Si tratta di un esemplare della stessa provenienza, il quale presenta un corpo simile al precedente, corpo che si prolungava indubbiamente alle due estremità in due appendici divergenti, ora entrambe spezzate. Una delle facce di esso, assai convessa e liscia, è integra, mentre la opposta, pianeggiante e scabra, porta le tracce di una — 332 — scheggiatura. La maggior dimensione di quanto rimane del manufatto è di cm. 4.5. c) Questo oggetto è assai difficile ad interpretarsi^ perchè mutilato. Esso lascia vedere un corpo cilindraceo, da una parte mozzato, dall’altra assottigliato e terminante in una estremità appuntata, che potrebbe rappresentare una testa d’uccello o di mammifero, nella quale fossero accennati gli occhi da due piccole intaccature, e la bocca da una scalfittura. La lunghezza del manufatto, quale ora si trova, è di cm. 10.5; la sua larghezza di cm. 3.5. È fatto di terra fina, omogenea, ben cotta, di color bruno. Non posso dissimulare come sia per me molto arrischiato il riferimento di questo fittile ad una figura d’animale. Giova notare, d’altronde, che, osservato sotto un punto di vista opportuno, esso ricorda piuttosto parte di un corpo umano femmineo, con fianchi sporgenti ed una coscia assai turgida, alla quale fa seguito una gamba breve, informe e priva di piede. La recente scoperta di rozze figure umane, modellate del pari in terra cotta, nella caverna delle Arene Candide (scoperta dovuta al Morelli) giustifica il supposto che anche nel deposito della Pollerà si possano rinvenire oesfetti consimili. OO Una terza ipotesi da considerarsi sarebbe questa: che in tali oggetti l’artefice non si sia proposto di riprodurre effigie di uomini o di animali ed abbia voluto soltanto procurarsi campioni di giusta misura, provvisti di appendici facili a spezzarsi, allo scopo di sperimentare la resistenza di vari impasti di terra da stoviglie. Tenuto conto di tutte le circostanze e specialmente del fatto che la prima figura è, secondo ogni probabilità, riferibile ad un uccello, e somiglia ai rozzi uccellini di maiolica, tuttora fabbricati in Italia (ad uso di fischietti), per essere venduti nelle fiere di campagna, ritengo la medesima interpretazione ammissibile anche in ordine agli altri manufatti. — 333 — Pintaderas. Questi manufatti che servivano, come è noto, ad uso di stampi per imprimere sul corpo dei cavernicoli figure vivamente colorate, distribuite con simmetria, sono fra i più caratteristici delle nostre grotte a facies neolitica. Gli esemplari rinvenuti alla Pollerà dal Sig. Rossi sono qui appresso descritti: a) Superiormente è foggiato a cono assai ottuso e lateralmente compresso, dal vertice troncato. Alla parte inferiore offre una superficie in forma di rettangolo al-ungato, irregolare, coi lati maggiori sensibilmente arcuati (a convessità esterna), superficie alquanto convessa e con profonde impressioni. Queste consistono in una serie di dieci brevi solchi trasversi, paralleli e, per ciascun lato, in un solco longitudinale, intersecato da dieci brevi tratti trasversi, alternanti coi primi e che si portano, dalla parte media, al margine dello strumento, nonché da due brevi tratti obliqui, simmetrici, per parte, i quali raggiungono il margine corrispondente. Dai due taglietti terminali della serie mediana si diparte poi un piccolo solco perpendicolare, che finisce alla estremità corrispondente. Ne risulta un complesso difficile a descrivere con parole, complesso da cui apparisce una ricerca di simmetria che non raggiunse 10 scopo per la inesperienza dell’artefice (fig. 91). Lunghezza cm. 9.9; larghezza massima cm. 4.1; altezza totale, nella parte media, cm. 3.5. L’utensile è fatto di pasta fina, ben cotta, di color nerastro. è) Superiormente offre un rilievo irregolare, che si continua in prominenza conica, mediana, assai compressa. Inferiormente è un po’ convessa e irregolarmente ellittica. 11 disegno della superficie inferiore è dato da un sistema di otto solchi trasversali, non equidistanti, che intersecano in parte dieci solchi longitudinali, risultandone circoscritte molte piccole aree sporgenti, quadrangolari, ineguali. Di- — 334 — mensioni: lunghezza cm. 8; larghezza cm. 4.3; altezza della prominenza cm. 4.1. I solchi sono profondi da 1 a 2 mm., e larghi altrettanto. Questa pintadera è fatta di argilla nera, omogenea, cotta intensamente, anzi in parte vetrificata. c) La parte superiore offre una prominenza assai Fig- 91. FiS- 92- Pintaderas della caverna Pollerà (Coll. Rossi); dimens. ridotte. risentita, regolarmente arcuata e compressa in corrispondenza dei due lati maggiori del manufatto (fig. 47)· Alla parte media di essa prominenza, si apre un ampio foro, che sembra praticato dopo la cottura. Inferiormente si ha una superficie pianeggiante con incavi simmetrici, i quali consistono: i.° in due solchi trasversali, da cui l’intera superficie è divisa in tre zone; 2.0 in file di impressioni (che sembrano fatte premendo sulla pasta molle l’estremità di una verghetta cilindrica). INella zona mediana, le file sono sette, di otto impressioni ciascuna ; alle due estremità, le file, poco regolari e mal distinte fra loro, sono sei o sette, con impressioni in numero non maggiore di otto per fila. Lungo la periferia del suggello, si osservano anche brevi solchi trasversali (ve ne ha uno o più per ogni fila d’impressioni) che risalgono anche un po’ lateralmente. Dimensioni : lunghezza cm. 8.3 ; larghezza — 335 — cm. 3.3; altezza della prominenza cm. 3.8. Le impressioni hanno 3 mm. di profondità. La pasta è omogenea, grigia e ben cotta. d) Superiormente offre un rilievo irregolare, che si converte nel mezzo in prominenza conica, ottusa e impervia (fig. 92). Alla parte opposta la superficie è convessa ed irregolarmente ellittica, presentando un disegno costituito di molte impressioni, circa sessanta, piccole, ma profonde, sparse senza ordine (1). Dimensioni: lunghezza cm.5; larghezza cm. 2.5; altezza della prominenza cm. 2.6. La materia è simile a quella del numero precedente. Fusaruole. Sono in numero di quattro:-una di forma biconvessa ed attraversata da angusto foro ; due presso a poco discoidali, presentando sulle loro due facce leggera convessità; la quarta è piano-convessa ed ornata sulla faccia convessa di due solchi in croce (2). Pesi da Telai o da Reti? Inscrivo sotto questa rubrica cinque grossi sferoidi di terra cotta, grossolana, forati nel senso del diametro minore. Pallottola. È uno sferoide di cm. 3 a 3. 4 di diametro, con incavo superficiale, che sembra un foro non compiuto. Focacce. Accenno sotto questo nome a due informi pani di terra cotta. Moneta di bronzo. Poco sussidio si può trarre dal ritrovamento di quest’oggetto, perchè mancano indicazioni relative al livello cui corrisponde e perchè, essendo erosa, non fu possibile interpretarne il conio. (1) Tali impressioni sembrano ottenute premendo verticalmente sopra la pasta molle l’estremità di una verghetta cilindrica o d’uno stecco. (2) Gli oggetti compresi sotto questo nome dai raccoglitori non sono da considerarsi in ogni caso come pezzi accessori di fusi; allorché il foro che li attraversa è assai angusto, si adoperavano verosimilmente ad uso di bottoni. — 336 — Il Sig. G. B. Rossi mise allo scoperto nella caverna Pollerà non meno di quindici sepolture. La circostanza che, dopo avermi comunicato la sua raccolta coll’incarico di darne una sommaria descrizione, egli fu colpito da grave malattia mentale, di cui pur troppo perdurano le tristi conseguenze, mi toglie la possibilità di ottenere da lui, informazioni e particolari a complemento dei cenni succinti qui appresso riferiti. Le poche osservazioni fatte intorno agli scheletri raccolti non mi consentono di descriverli; mi basterà avvertire in proposito che ve ne sono dei due sessi e di varie età e che appartengono tutti, senza eccezione, alla stessa schiatta di quelli già rinvenuti nella medesima grotta, e nella caverna delle Arene Candide. I crani son tutti dolicocefali con arcate sopraccigliari generalmente prominenti, faccia sviluppata nella regione zigomatica, orbite sensibilmente quadrangolari e prognatismo dentale od anche facciale f ben manifesto. È da desiderarsi, nell’ interesse della scienza, che si prezioso materiale di studio sia sottoposto all esame di un antropologo competente. Le tombe erano qualche volta circoscritte da lastroni di pietra greggia; ma, più comunemente, mancavano di qualunque difesa. In ogni caso, non pare che fossero designate alla venerazione dei superstiti da alcun segno esterno. Segue l’elenco delle tombe il cui contenuto e compreso nella collezione Rossi (i). N.° i. Scheletro umano incompleto, d’individuo adulto. Suppellettili: (a) Mezza mandibola di grossa lince, priva del condilo e dellapofisi coronoide, forata ed arrotondata alla (i) Per distinguere la suppellettile di ciascuna tomba, ho adottato gli stessi numeri d’ordine adoperati dal raccoglitore. L indicazione « tombe a lastre » è data solo nei casi in cui lo scheletro era contenuto in apposita incassatura di pietre gregge. I — 337 — estremità posteriore; l’osso è lucido come se fosse logoro per lungo stropicciamento, (b) Sei canini di carnivori (Canisf), forati nella radice, che furono raccolti presso la parte media del femore sinistro dello scheletro, (c) Vari pezzi di ocra rossa, (d) Gusci di Patella, (e) Gran parte di un vaso fittile, grossolanamente dipinto, bicromo (fig. 41). Questo era un’ olla di mediocri dimensioni, di forma sferoidale, ad apertura un po’ ristretta rispetto al diametro del ventre, e munita di angusto margine verticale. Si osserva nel frammento superstite che il margine è attraversato da un foro di sospensione, praticato prima della cottura e che il ventre porta un’ansa tubolosa, di mediocri dimensioni. La pasta del fìttile è finissima, omogenea, ben cotta e coperta all’esterno di una tinta uniforme, ocracea. Attorno al margine, al di sotto del foro, corre orizzontalmente una sottile striscia nerastra, dalla quale scendono tre striscie parallele, più sottili, verticali, parimente nerastre, che passano sopra Γ ansa e si prolungano per breve tratto al di sotto. Una quinta striscia scura, meno estesa delle altre, è tracciata orizzontalmente sul ventre dell’olla, al di sopra del margine superiore dell’ansa, ma non si prolunga nè a destra nè a sinistra. N." 2. Scheletro umano quasi completo, d’individuo giovane. Non fu rinvenuta nella tomba suppellettile di sorta. N.° 3. Scheletro umano quasi completo d’adulto. Suppellettili : (a) Valva di Spondylus, (b) Pezzi d’ocra rossa. N.° 4. Scheletro quasi completo di bambino. Suppellettili: (a) Un raschiatoio di selce, (b) Una valva di Pectunculus. N.J 5. Scheletro umano, quasi completo d'adulto (tomba a lastre). Suppellettili : (a) Frammento di arenaria con solchi artificiali (pietra da affilare), (b) Purpura hcemastoma - 338 coll’apice forato, (c) Valva di Pectunculus forata, (d) Ocra rossa (questa ai piedi dello scheletro). Sopra la tomba, ma fuori di essa, furono raccolti : un coltellino di piromaca, un ciottolo di quarzite con una faccia spianata (macinello) ed una accetta logora e rotta, fatta di roccia anfibolica e granatifera. N.° 6 Scheletro umano, incompleto, d’adulto (i) (tomba a lastre). Suppellettili : Frammento di Cassis sulcosa, foggiato in forma di cucchiaio. N.° 7. Scheletro incompleto, di bambino. Suppellettili : Ocra rossa. N.° 8. Scheletro umano, quasi completo, d’adulto. Suppellettili: (a) Cocci di terra cotta, (b) Frammenti di conchiglie diverse, (c) Una valva di Venus. (d) Ocra rossa. N.° 9. Scheletro umano, quasi completo, di giovane. Suppellettili: (a) Coccio di terra cotta, (b) Conchiglie di mare, (c) Ocra rossa. N.° 10. Scheletro quasi completo, di piccolo bambino. Suppellettili: (a) Cocci di terra cotta, (b) Conchiglie. (c) Articoli di monile di Dentalium, (d) Ocra rossa. N.° 11. Scheletro umano, incompleto, di giovane. Suppellettili: (a) Due accette di pietra verde, una delle quali logora e guasta, (b) Una scheggia di selce. N.° 12. Scheletro quasi completo di bambino. Suppellettili : Frammento di conchiglia marina. N.° 13. Scheletro umano incompleto, d’adulto (tomba a lastre). Suppellettili: (a) Bella ar.milla di Spondylus (2), in - (1) Il cranio di questo scheletro è singolarmente compresso nel senso antcroposteriore, come se avesse subito una deformazione artificiale, mentre l’individuo era in vita. (2) Anelli consimili, rinvenuti nella Cueva de la Mujer (Grotta della Donna) nei pressi dell’Alhambra di Granata, furono descritti da Mac-Pherson. — 339 — vari pezzi (presso il cranio). (bj Coltellino di selce. (c) Scheggia di selce, (d) Frammenti di conchiglia, (e) Gusci di Patella, (f) Ocra rossa. N.° 14. Scheletro incompleto, di bambino di pochi mesi. Suppellettili: (a) Accetta litica, assai logora, (b) Frammento di zanna di cinghiale. N.° 15. Scheletro quasi completo, di bambino. , Suppellettili: Una conchiglia marina (Cyprcea lurida?). A questo elenco potrebbesi aggiungere l’indicazione di un certo numero di ossa umane, appartenenti ad individui diversi da quelli di cui si raccolsero le reliquie nelle tombe, ossa rinvenute qua e là nel terriccio della grotta. Scavi compiuti nel 1892. — Incaricato dal ministro dell’istruzione, Pasquale Villari, di tentare nuove indagini nelle caverne ossifere della Liguria occidentale, potei adempiere con esito felice alla mia missione ripigliando gli scavi nella grotta Pollerà, che non era ancora esaurita ad onta dei lavori eseguiti dai miei predecessori e da me (1). Questi lavori avevano prodotto però tale sconvolgimento da rendere difficili e dispendiose ulteriori investigazioni. La confusione era poi cresciuta pel fatto di alcuni operai venuti a rovistare clandestinamente il deposito archeologico per far commercio degli oggetti raccolti. Non senza difficoltà potei ritrovare verso il fondo della caverna un piccolo lembo di deposito intatto (indicatomi dal Sig. Rossi), e da questo ottenni, nel giugno 1892, a profondità di 4 a 5 m. parecchi punteruoli d’ osso, conchiglie bucate, un vaso fittile graffito quasi integro ed una fibula umana appuntata per servire ad uso di pugnale. Nell’ottobre seguente, desideroso di continuare le indagini su larga scala, in una zona sufficientemente estesa o o 1 ( i ) Avverto che gli oggetti raccolti furono destinati dal ministro parte al R. Museo Etnografico e Preistorico di Roma, parte al Museo di Geologia della R. Università di Genova. — 340 — e vergine, abbandonai i primi scavi e ripigliai i lavori verso l’apertura, in una parte che gli altri investigatori avevano trascurata perchè ingombra di massi (fig. 80). In questo secondo periodo fu scavata una larga e profonda trincea perpendicolarmente all’asse della cavità con direzione E.-O. Dalla trincea s'i condussero poi parecchi fossi minori verso l’esterno, ed uno fra gli altri per la lunghezza di 8 metri lungo la parete occidentale. Opposero ostacoli e cagionarono ritardi agli sterri numerosi massi di calcare, alcuni dei quali di oltre un metro cubo di volume, massi che si dovettero spezzare colla mina. Iniziato lo scavo il 25 sotto la direzione di don Morelli, non si trovarono da principio che ossa di mammiferi, cocci di fittili, una bella accetta litica, macine ed altri manufatti, ma di poco conto. Nei giorni successivi, raggiunta una profondità maggiore, si rinvennero quattro punteruoli d osso nella parte media della trincea, ciottoli ad uso di percuotitoi e, verso ponente, cocci con qualche ornato. Da vari punti si esumarono poi numerose ossa di mammiferi, appartenenti principalmente alla capra, alla pecora, al cinghiale e al tasso. Verso i 3 metri di profondità, una Helix aspersa. Il quinto giorno si trassero dall’estremità orientale del fosso, me presente, valve di conchiglie marine, forate, e punteruoli, e, dalla parte opposta, punteruoli di forme svariate ed un’accetta di pietra verde, oltre alle solite ossa in gran copia. Dalla stessa parte, e alla distanza di due metri circa dalla parete rocciosa della grotta, si rinvennero, il 29 ottobre, due lastroni di pietra greggia, disposti per costa, perpendicolarmente ad altro simile un po più piccolo. Nel vano compreso fra le pietre, si trovò gran parte di uno scheletro umano, d’individuo giovane e di sesso femmineo — 341 — (N.° i), il quale posava sul fianco sinistro, colla mano sinistra sotto il capo e la destra distesa sul petto. Il corpo era aggomitolato in breve spazio, talché le ginocchia stavano appoggiate al torace e le ossa dei piedi erano poco lontane da quelle delle mani. Il cranio, quantunque assai fragile, era quasi intiero ; delle altre ossa, alcune erano consumate dal tempo. L’età giovanile dell’individuo si palesava non solo dalle dimensioni, ma ancora da che le epifisi dei femori erano disgiunte dalle diafisi. Accanto allo scheletro si raccolsero 4 gusci di Helix nemoralis, alcune ossa dei soliti mammiferi, un lungo punteruolo e parecchi ciottoletti di mare. Da varie parti della trincea, e in ispecie dalle vicinanze della tomba, uscirono poi: macine, macinelli, ciottoli di focolare, cocci; fra questi, frammenti di una grossa olla di pasta rossa e fina. Proseguendo lo sterro, allo stesso livello in cui si era scoperto il primo scheletro umano, si raccolsero, a breve distanza, gli avanzi di due bambini (N.1 2 e 3), uno dei quali di pochi mesi. Le ossa, non difese da lastroni, erano assai alterate dal tempo, e non le accompagnava alcun manufatto, ma solo una mandibola di agnello. © Raggiunta la parete della caverna, si vide spuntare dalla terra smossa una pietra pianeggiante, sotto la quale giaceva un cranio umano infranto (N.° 4) ; era quello di un fanciullo, le cui ossa si distinguono per un arrossamento sensibilissimo, dovuto ad ossido di ferro, indipendente affatto dalla natura del terreno. Gli avanzi di un altro individuo un po’ più giovane, che si trovarono confusi in un solo mucchio con quelli del primo, non presentano la stessa tinta. Accanto ai due scheletri raccolti, una punta di zagaglia d’osso ed un Cerithium forato. Allargandosi lo scavo verso 1’ interno dello speco, si incontrarono le spoglie, assai alterate, di un bambino lat- — 342 tante (N.° 5), e, ad un livello immediatamente superiore alle ossa, cocci di fittili, fra i quali il fondo di un vaso arrossato con ocra. Poco lungi, furono estratte dalla terra •alcune pietre da affilare ed una grossa macina di forma ellittica. Siccome, inoltrandosi lo scavo a profondità maggiori, si incontrava un letto di terriccio sterile, sovrapposto alla roccia viva, ordinai, la mattina del 3 1 ottobre, di continuare la trincea perpendicolarmente alla direzione seguita fino a quel punto, cioè verso il nord e seguendo la paiete della grotta. A circa un metro di profondità, si rinvennero vari punteruoli d osso; un po’ al di sotto, un manico di corno di cervo, un ago d’osso ed alcune valve di Pectunculus forate. Nel pomeriggio dello stesso giorno, essendosi iag~ giunta la profondità di circa metri 3.5°» alla quale si eiano scoperte le prime tombe, comparvero due pietrom pianeggianti, collocati orizzontalmente, uno accanto all altro, sopra due verticali disposti in posizione perpendicolare rispetto ai primi. Sotto a questa difesa, giacevano le ossa di un bambino (N.° 6) e, ad immediato contatto della tomba, un po’ al di sopra, quelle di un altro (N. 7)· Nelle adiacenze degli scheletri, si rinvennero: un dente di suino ridotto a punta acuminata, alcuni punteruoli d’osso, un ascia di pietra verde un po’ logora, un guscio di Triton dall apice mozzato, macine, cocci di fittili, ecc. L’indomani fu scoperto un altro sepolcro, il quale ricettava le spoglie di un fanciullo di 8 a 9 anni (N. &)· Nei giorni successivi, gli scavi furono continuati, sotto la sorveglianza del signor Rovereto, nella medesima dite zione, ma con esito meno favorevole. Convien notare in proposito che, quanto più si procedeva in direzione settentrionale, cioè verso Γ esterno, e tanto maggiori si facevano le difficoltà, sia per 1 ingombro — 343 — dei massi franati dalla volta, sia pel rapido innalzarsi del suolo, dovuto a maggiore spessezza del deposito terroso. In questi lavori non furono rinvenuti che uno scheletro di giovane (N.° 9), discretamente conservato, ed uno di piccolo bambino (N.° 10), ridotto a frantumi. Il primo giaceva solo a m. 1.70 di profondità, sotto un cavo della roccia viva, ed aveva d’accanto una accetta di pietra verde ; il secondo, sottoposto ad alcune pietre, alla profondità di 3 metri, era sprovvisto dei consueti oggetti. Da quanto precede risultano confermate le osservazioni di ordine generale, già fatte precedentemente intorno ai costumi dei cavernicoli, in ispecie la povertà della suppellettile funeraria, propria ai sepolcri dei giovani e dei bambini, ed emerge un fatto nuovo, quello cioè che una determinata regione della grotta era specialmente adibita al seppellimento degli individui non adulti. Gli scavi sistematici, da molti anni iniziati nelle grotte neolitiche del Finalese, e principalmente nella Pollerà e in quelle delle Arene Candide e del Sanguineto, dimo- O ' strarono che, per la maggior parte, tali grotte, non solo furono destinate dagli antichi Liguri ad uso di sepolcro, ma servirono loro di domicilio e di ricovero. Dopo tante prove raccolte a favore di questa asserzione, sarebbe superfluo lo insistere per avvalorarla, se la verità non ne fosse revocata in dubbio dal P. Amerano, il quale scrisse a proposito d una stazione all’aperto da lui esplorata presso la grotta dell’Acqua: « La somiglianza non solo, ma Γ identità dei manufatti della stazione-sepolcro entro la caverna con quelli della stazione all’ aperto, sono argomento abbastanza evidente per poter affermare che sì gli uni che gli altri appartengono ad una stessa gente che, abitando d’ordinario all’aperta campagna, aveva costume di seppellire i suoi morti nella vicina caverna....... Perocché se, come è — 344 — certo, gli antichi Liguri praticarono largamente la pastorizia, conobbero l’agricoltura, possedettero armi ed utensili di metallo e raggiunsero una civiltà, se non eguale però simile a quella dei terramaricoli, non dovettero certamente essere tanto barbari da condurre vita da trogloditi » (i). Ripeto, adunque, che le nostre caverne ossifere recenti più spaziose ed asciutte, lurono certamente abitate per lungo spazio di tempo, perciocché non si spiegherebbero altrimenti la copia immane di residui di pasti e le numerose tracce di focolari che vi si rinvengono. Nella grotta Pollerà, di cui mi occupo in queste pagine, il terriccio, ricco di cocci e di ossa, spesso più o meno bruciacchiate, misura, secondo i punti, da i a η metri di potenza; per tratti assai estesi, questo terriccio è formato prevalentemente di cenere e d’ altri avanzi di focolari ; altrove, per la copia dei materiali organici che ricetta, si deve piuttosto considerare come il risultato di rifiuti accumulati lentamente, rifiuti fra i quali si comprendono, oltre agli avanzi di pasto, cocci, punteruoli spuntati, armille rotte, accette logore, macine spezzate, in breve materiali fuori d’uso. Ma v’ha di più: nelle caverne di cui si tratta, l’utensile domestico più frequente, dopo il vaso di terra cotta, è la macina, e questa, quantunque sia fatta di pietra dura e tenace (generalmente di quarzite), è spesso tanto logora da accusare un lungo servizio. Le grotte delle Arene Candide e Pollerà fornirono macine a centinaia. Il Museo geologico di Genova e la collezione privata di don Morelli, ne possiedono in complesso non meno di 50 esemplari, i quali sono quasi esclusivamente costituiti di rocce che si trovano in posto, ad una certa distanza dalle caverne. Una sola macina pesa talvolta più (1) Bullettino di Paletnologia italiana, anno XIX, n.“ 7-9, pag. 181-182. Parma, 1893. — 345 — decine di chilogrammi: due di quelle rinvenute da don Perrando nella grotta del Sanguineto e conservate nel Museo di Genova, pesano almeno mezzo quintale per ciascuna. 1 macinelli, i percuotitoi (o mazzuoli a mano), i ciot-toloni arrossati dal fuoco, i lastroni coi quali erano composti ί focolari, sono frequenti quasi quanto le macine. Si spiega l’accumulazione di residui di pasti, nelle nostre grotte, invocando il banchetto, certamente compreso fra le cerimonie funebri cui adempivano gli antichi Liguri; ma è egli ammissibile che, per la celebrazione dei funerali si trasportassero su per le erte scoscese dei monti in cui si aprono le caverne, non solo vasi fittili voluminosi e fragili, ma ancora svariati utensili domestici e perfino macine, taluna delle quali sarebbe carico appena tollerabile ad un uomo robusto e per breve tratto ? Dalla stratigrafia delle caverne, dal fatto cioè che si alternano in esse strati commisti di cenere, di carbone e di residui di pasti con altri privi di simili materiali, si può argomentare che servirono di domicilio all uomo non continuamente, ma in modo saltuario, a brevi intervalli (i). Dai residui più copiosi e caratteristici, che si scoprono negli strati inferiori del deposito archeologico di alcune fra esse, si può argomentare che, in origine, fossero abituale dimora di gente la cui barbarie ha riscontro, in oggi, presso tribù affricane ed asiatiche, le quali sanno foggiare vasi fittili, armi ed utensili di pietra e d’osso, ornamenti di conchiglie, ma ignorano l’uso dei metalli. Più tardi, sviluppatosi probabilmente il costume di erigere capanne all’aperto, e divulgatasi la cognizione dei (i) Gli strati non sono continui e paralleli che pei brevi tratti nei quali il suolo roccioso originario della grotta era poco anfrattuoso e pianeggiante. In alcuni punti potei contare sei o sette letti stratiformi ricchi di ceneri, carboni e residui di pasti. Ove il suolo è assai disuguale e presenta pendenza risentita, la stratificazione non è più apprezzabile. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL. — 346 — metalli, le grotte servirono solo di ricovero nella stagione invernale e quando occorrevano speciali contingenze di guerra o di caccia. Come tutte quelle che spettano alla fase neolitica, le tombe della Pollerà hanno caratteri essenzialmente diversi dai sepolcri dei Balzi Rossi. Nelle prime è costante la presenza di vasi fittili integri o in frammenti, e, quando ricettano spoglie di maschi adulti, non manca mai 1 accetta di pietra verde levigata; all’incontro, i manufatti di selce scheggiata (coltellini e punte di freccia, peduncolate e ad alette) vi si trovano solo per eccezione. Nei secondi, non si rinvennero mai cocci di terra cotta ed accette levigate in vicinanza degli scheletri umani; menti e, in ogni caso, si raccolsero utensili od armi di selce scheggiata in gran numero e di forme svariate, principalmente coltelli e ra schiatoi, non però cuspidi ad alette e a peduncolo ben distinto. Mi farò a porgere un cenno della raccolta da noi formata : Ascie od Accette. I manufatti compresi sotto questa rubrica sono in numero di 16 e tutti di pietre verdi, tenaci e dure, principalmente rocce anfìboliche e dioritiche, non diverse da quelle che abbondano nella formazione serpen- tinosa antica dell’Appennino ligure. Sei ascie od accette sono integre o quasi. Tre di esse si riferiscono ad una delle facies più comuni che deno minai linguiforme, e hanno il taglio logoro e sbocconcel lato ; ve ne ha una distinta dalle altre per la spessezza assai minore dell'ordinario (15 mm. ove è più grossa), rispetto alle altre dimensioni (lunghezza mm. 95, supposto il taglio completo; larghezza 52). Fra le accette, la più piccola (lunghezza mm. 70, larghezza 36, spessezza 13) è perfettamente conservata e porta le tracce di un lavoro diligente ; notevole per la sua finezza, il taglio che si con- — 347 — giunge con margini arcuati ai due lati, lungo i quali si continua. Essa appartiene al tipo scaleno. Altre due accette hanno il taglio logoro e si riferiscono, l’una a forma assai spessa ed isoscele, la quale, per la larghezza dell’estremità opposta al taglio e pei suoi margini rettilinei, si accosta alla rettangolare, l’altra ad una forma sottile ed isoscele. Quest ultima è assai irregolare e rozza. Le ascie mutilate sono 8, 6 delle quali mancano solo del taglio e 2 sono prive anche dell’estremità opposta. Fra le prime, 405 servirono ad uso di martello ; una di esse fu un po incavata, nella parte media dei margini laterali, acciocché potesse più facilmente saldarsi ad un manico. Le accette guaste sono due ; una di lavoro accuratissimo e a taglio fino, mancante della testa, e l’altra, grossolana, priva del taglio. Ad eccezione di due o tre, di cui non saprei accertare il tipo originario, tali ascie ed accette offrono la consueta facies linguiforme. Scalpello. Questo utensile, di tipo affatto insolito, presenta all ingrosso la forma di un prisma a sezione triangolare, arrotondato ad un capo, assottigliato e ridotto a brevissimo tagliente alla estremità opposta. Greggio o grossolanamente lavorato colla scheggiatura e col logoramento, nella maggior parte della sua superficie, il manufatto è levigatissimo verso il taglio, il quale misura appena 4 mm. di larghezza ed è lievemente arcuato. La pietra è assai dura e tenace, di color bigio chiaro, traente al verdastro, e tiaslucida. Lunghezza mm. 95 > larghezza massima 17; spessezza massima 10. Brunitojo. Credo sia da definirsi così un ciottolo di pietra verde, assai dura, ridotto artificialmente a forma triquetra, irregolare. Ha angoli e spigoli arrotondati, superficie levigatissima, sulla quale si scorgono tuttavolta esili strie in vari sensi. Lunghezza mm. 56, larghezza massima 21, spessezza 14. r — 34§ — Coltellini. Si ottennero dagli ultimi scavi quatti o coltellini di piromaca bionda o bruna, interi, due coltellini di selce biancastra, mutilati, ed un frammento di altro utensile consimile di diaspro bigio. Questi manufatti appartengono a tipi ben noti, già rinvenuti nella grotta, e però credo superfluo descriverli. Aggiungerò solo che, fra i primi, due sono assottigliati alla estremità opposta alla base e si terminano in punta più o meno smussata. Pietra da affilare. Così definisco una piccola lastra quadrilatera di arenaria nerastra, a grana sottile, sopra una delle cui facce si vedono, nel senso della lunghezza ed in quello della larghezza, numerose strie parallele. Arnesi da appuntare. Comprendo sotto questa rubrica due oggetti assai diversi l’uno dall’altro, cioè: a) un pezzo di pomice fluitata, di forma rotondeggiante, che misura 60 mm. nel diametro maggiore e presenta alla sua superficie alcuni solchi rettilinei più larghi ad una estremità che all'altra; b) una lastra di arenaria scistosa, a grana finissima, di forma irregolarmente quadrilatera, attraversata nel senso della sua lunghezza (di circa 11 cm. e mezzo) da due solchi rettilinei, di un mm. a due di profondità, uno per superficie. Da una parte, il solco è accompagnato da altra scalfittura più breve e sottile. Tengo per fermo che, tanto la pomice, quanto la lastra di arenaria, servissero a rendere più acuta la punta dei giavellotti, pugnali, aghi ed altri manufatti dosso. Macine. Fra le macine assai numerose che vennero alla luce durante gli scavi praticati nella grotta, sotto la mia direzione, non raccolsi che 13 esemplari: cioè 2 grandi, 4 mediocri e 7 piccoli. I primi hanno rispettivamente 45 e 37 cm. di lunghezza, 26 e 18 di larghezza e sono di forma ben regolare; due, fra i più piccoli, sono forse frammenti di macine maggiori e furono adoperati anche ad uso di macinelli. Le macine sono fatte quasi tutte di quarzite — 349 — tenacissima o di arenaria, ed è a notarsi in proposito che la prima roccia si trova in paese, mentre il punto più prossimo da cui si può ricavare la seconda è il territorio di Alassio. Macinelli. Fra questi, nove sono ciottoli grossi come il pugno o poco meno, i quali erano originariamente di forma sferoidale e furono poi, più o meno, spianati dall’uso sopra tre o quattro facce, per cui alcuni hanno assunto una figura poliedrica ad angoli e spigoli smussati. Altri due sono ciottoli ovoidi, spianati sopra una sola faccia. Le superficie pianeggianti di questi utensili sono coperte di strie ed anche di ammaccature, quando, come accadde in alcuni casi, furono adibiti anche ad uso di percuotitoi. La quarzite e l’arenaria sono i materiali più comunemente adoperati in tali manufatti. Percuotitoi o Mazzuoli. Sono parecchi ciottoli ovoidi o cilindrico-ovoidali, di rocce dure e tenaci, più o meno profondamente ammaccati alle due estremità, come se avessero servito ad uso di mazzuolo. Per la forma loro e la levigatezza della superficie, nella parte media, non è presumibile che si adattassero ad un manico. Si adoperavano probabilmente a spezzare le ossa lunghe dei mammiferi per estrarne poi il midollo. Segue 1 enumerazione di alcuni oggetti foggiati nell’osso o nel corno e di denti lavorati. Punte di Lancia. Credo di poter comprendere sotto questa denominazione almeno 7 esemplari, 5 dei quali sono lamine robuste, staccate da ossa lunghe di mammi-feri indeterminati, di mediocri dimensioni, lamine appuntate ad una estremità; mentre le 3 altre consistono in tibie di ruminanti (capra 0 pecora), coll’articolazione intatta e la diafisi tagliata obliquamente ed appuntata. Il più lungo di tali manufatti misura 16 cm. e mezzo di lunghezza. © Secondo ogni verosimiglianza, fu adibita al medesimo uso una lamina ossea, pianeggiante, piuttosto larga, foggiata — 350 — grossolanamente in punta ottusa ad un capo e in punta acuta all’altro, raggiungendo non più di mm. nella maggiore dimensione. Punte di Zagaglia, di Freccia e di Giavellotto. Ne o o raccogliemmo 27, riferibili a forme svariate già descritte, fra le quali 12 in perfetto stato di conservazione. Mentre alcune sono lavorate in ogni parte con diligenza, altre consistono in schegge ossee, di cui fu solo acuminata ο O l’estremità ; una di esse accenna, per la sua foggia tutta speciale, al tipo delle cuspidi ad una sola aletta. Notevole uria punta d’osso foggiata con molta cura, che si continua alla base con un grosso frammento d osso affatto greggio. Si tratta, a quanto pare, di un oggetto non finito. Pugnale foggiato con un osso umano. Negli scavi eseo-uiti nel fondo della caverna, verso levante, trovai nel giugno 1892, a circa 4 metri di profondità, questo manufatto, il quale non ha riscontro ancora tra gli oggetti illustrati nelle memorie di paletnologia. Si tratta di un’ ulna umana, di individuo adulto e ben sviluppato, nella quale si conserva integra 1 articolazione inferiore, mentre presso a poco verso la metà della sua lunghezza totale, la diafisi è spaccata obliquamente e si termina in punta. I margini scabri dell’osso, ove fu spaccato, sono spianati collo stropicciamento sopra una superficie dura ed aspra, probabilmente sopra una lastra di arenaria, di che si vede la traccia ben manifesta nei solchi e nelle strie che corrono obliquamente verso il margine del manufatto ; la punta, che non è completa, fu acuminata nello stesso modo. Dalle macchie nerastre e dalle incrostazioni carboniose che si osservano alla superficie dell’osso, sembra che sia stato in contatto del fuoco. La sua lunghezza è di 283 mm. e raggiungeva forse i 290, allorché aveva la punta intera ; la sua larghezza massima, che corrisponde alla parte media, non misura che 20 mm. — 35ΐ — Stiletti. Esposi in altro lavoro (i) le ragioni per le quali credo di dover considerare come tali, verghette d’osso di lavoro assai diligente, acuminate ad una estremità, mentre presentano all’altra un tratto più sottile, terminato in punta ottusa, che sembra così ridotto per essere innestato in un manico. Ed infatti, nella medesima grotta Pollerà, don Morelli rinvenne una verghetta consimile, munita di manico in corno cervino. Due soli sono i manufatti da comprendersi qui sotto questa rubrica. Uno di essi, lungo 158 mm.. a sezione irregolarmente ellittica, ha punta acutissima ad un capo, e sembra troncato da antica frattura alla estremità opposta; l’altro, lungo appena 130 mm., è mutilato alle due estremità. In entrambi la materia è assai compatta, e perciò, come pure per le tracce d’una scanalatura mediana, che si osservano in questi oggetti, e per certi residui della superficie originaria rimasti in essi, sospetto che sieno ricavati da ossa del pene di orsi. Punta di Raffio o di Fiocina. Si tratta di un osso duro e compatto fusiforme, assai compresso ed un po’ arcuato ; una delle due punte è acuta, l’altra smussata. Probabilmente, parecchie di queste ossa, infisse in una base co · mune e collegate fra loro alla parte media per mezzo di una legatura, erano assicurate ad un’ asta. Il manufatto, lungo 1 1 cm. e mezzo e largo poco più di uno, è lavorato con molta cura. Ago da cucire. È questo uno dei più rari utensili rinvenuti nella grotta (2), e consiste in una lamina di osso di 87 millimetri di lunghezza e 9 di larghezza massima, ridotta in punta acuta ad una estremità e nettamente troncata all’altra; a 3 mm. di distanza da questa, è pra- (1) Bullettino di Paletnologia italiana, anno XIX, n.° 1-3. Parma, 1893. (2) A mia cognizione non vi furono raccolti che due aghi provvisti di cruna, ed altri 405 non forati, il cui significato, appunto per ciò, rimane incerto. — 352 — ticata la cruna, che ha poco meno di 3 mm. di luce e si allarga ad imbuto dalle due parti. Spatole. Tre grosse costole di ruminanti, raccolte nella grotta, presentano l’estremità più larga foggiata a spatola, cioè assottigliata ed arrotondata ; una di esse presenta tracce di logoramento e di arrotondamento anche al capo o opposto. Dalle incrostazioni di materia organica osservate alla superficie di questi utensili e dalla forma, argomento che fossero adoperati dai cavernicoli per rimescolare il cibo, durante la cottura. Corni cervini lavorati. I frammenti di corno cervino lavorati, rinvenuti negli ultimi scavi sono in numero di 5. Fra questi, uno della lunghezza di 62 mm., è grossolanamente foggiato a piramide quadrangolare ad un capo e terminato in punta conica, smussata, all altro ; il secondo, un po’ più lungo, presenta all’estremità basale un taglio a guisa di scalpello e si termina nella parte opposta in punta ottusa, ottenuta, a quanto pare, stropicciando il manufatto sopra una superficie dura e rugosa. L uno e Γ altro si direbbero abbozzi di punte, destinate ad armi da getto. Un altro manufatto di corno cervino, che sembra un manico di piccola arma da punta o di utensile, consiste nella estremità di un ramo (pugnale), accuratamente decorticata e levigata, la quale presenta alla base un incavo che sembra destinato ad accogliere un corpo appuntato, di questo incavo non resta che piccola traccia, perchè la base del pugnale è spezzata. Denti lavorati. Uno di questi è un incisivo di suino, lungo 70 mm., assottigliato ed appuntato nella estremità radicale, per modo che poteva servire ad uso di ago (senza cruna), od anche a munire un’arme da getto. Un secondo incisivo di suino, assai più breve, fu del pari convertito in punta sottile. — 353 — * In quattro frammenti di zanne di cinghiale, raccolti qua e là nella grotta, si notano tracce di lavorazione. Si comprendono fra i manufatti di conchiglia gli esemplari seguenti : Piastrella forata. E pianeggiante sopra una faccia, lievemente concava sull’altra e di forma rettangolare cogli angoli arrotondati; la sua lunghezza è di mm. 19, la larghezza di 13, lo spessore di 2 a 3; alla parte media, ma non perfettamente in mezzo, presenta un largo foro ellittico, la cui maggiore dimensione è di 4 mm. La piastrella fu tolta probabilmente ad una valva di Spondylus (1). Frammento di oggetto ignoto. È una lamella, incompleta per antica frattura, tratta dalla parte marginale d’una valva di Spondylus gaederopus; verso l’interno, apparisce arrotondata e levigata. Non è improbabile che appartenesse ad una armilla. Trombe marine. Si tratta di due Triton nodiferum di mediocri dimensioni, coll’apice forato per servire ad uso di trombe marine. Uno degli esemplari è integro; all’altro manca gran parte dell’ultimo giro di spira. Conchiglie forate per uso di ornamento. Queste si riferiscono alle seguenti specie : Conus Mediterraneus (un esemplare coll’apice forato); Mitra oleacea (un individuo di piccole dimensioni, coll’ultimo giro forato e l’apice rotto; Cyprcza pyrum (un esemplare con foro di sospensione artificiale) ; Cerithium vulgatum (tre esemplari logori e forati ed uno spezzato senza foro; Trochusfragarioides (un esemplare forato e coll’apice mozzo) ; Pectunculus violacescens (nove valve forate nell’apice). . (1) Ho già avvertito in altra occasione (Bullettino di Paletnologia Italiana, anno XIII, n.° 11-12) che questa non si trova ora vivente nei mari d’Europa, ma nell’Oceano Indiano. — 354 — I soli fittili interi o quasi, rinvenuti durante gli scavi di cui tengo discorso, nella grotta Pollerà, sono due calici di forme ben conosciute, ed un vasetto, che credo fosse destinato ad accogliere una tinta stemperata. Calici. Uno di questi, il maggiore, è semiovale, con fondo tondeggiante, orlo semplice, sottile, irregolare, flessuoso, pareti mediocremente grosse, scabre e disuguali all’esterno come all'interno. La pasta, non grossolana, ma eterogènea e mal cotta, è di color bruno assai chiaro, traente al bigio. Dimensioni: altezza mm. 4° a 5°> dia-metro esterno 55 a 65. II secondo fittile di questa specie è un bicchierino cilin-draceo-conico, a fondo piccolo, pianeggiante, a bocca circolare, un po’ più grande del fondo, con orlo alquanto ingrossato, munito di quattro piccoli rilievi equidistanti, lievemente piegati aH’infuori. Internamente, il fondo è arrotondato. La pasta è fina, dura, ben cotta, di color bruno traente al bigio, alla parte superiore, e nerastro, alla inferiore ; esternamente, si mostra lisciata a spatola. Dimensioni: altezza mm. 49-51 (53-54 i° corrispondenza dei rilievi) ; diametro del fondo, all’ esterno, 30 ; diametro della bocca, all’esterno 44-49; spessezza 3-10. Vaso da Tinta (fig. 32). Questo vaso, in forma di campana, presenta sezione ellittica prossima alla circolare, fondo pianeggiante relativamente grande, un po depresso nella parte media, lievemente sporgente all’esterno ; bocca più ampia del fondo e come questo di forma ellittica; le pareti sono svasate e si terminano in un orlo un po’ ingrossato e che in alcuni punti quasi merita 1 epiteto di riflesso. Notevolissimi gli ornamenti del fittile, i quali consistono principalmente in 12 zone longitudinali, di forma e lunghezza non del tutto uniformi, costituite di due sistemi di linee oblique, incise in graffito, intersecate in modo da formare un fitto reticolo. Le 1 2 zone si trovano / — 355 — • in contatto fra loro alla base e gradatamente si restringono dal basso all’ alto, terminando in punta o quasi presso l’orlo; per cui tra l’una e l’altra rimane superiormente un intervallo, il quale è occupato da un triangoletto equilatero di reticolo graffito. Tanto i triangoli quanto le zone, sono limitati lateralmente da solco graffito. La pasta del vaso è mediocremente fina e omogenea, ben cotta, di color nerastro, all’esterno lisciata a spatola. All’interno e fino ad un centimetro dall’orlo, esso presenta macchie o meglio chiazze di color rosso vivo, che reputo residui di un liquido colorante, rimasto a lungo nel recipiente. Dimensioni: altezza media mm. 50; diametro medio del fondo, all’esterno, 60; diametri del fondo, all’interno, 41-46; diametri della bocca, all’orlo, 84-89 ; spessezza media del fondo 10; spessezza dell’orlo 5. Questo fittile ricorda alcuni dei vasi rinvenuti nelle necropoli sicule dal Prof. Orsi, ma si tratta solo di conformità nello stile. Altri Fittili. Osservando i frammenti raccolti, è facile riconoscere che appartengono quasi tutti a vasi di forme comuni, già descritte da Morelli o da me nelle memorie pubblicate intorno ai ritrovamenti della grotta Pollerà e di altre vicine. Tali sono residui di olle, quali a fondo arrotondato, quali a fondo piano, a bocca circolare o a bocca quadra, con ornati o senza. Sono da osservarsi, non per la forma, ma per la fattura della pasta, che è fina, omogenea, uniformemente cotta, dura, e mette un suono quasi metallico quando sia percossa, gli avanzi di una grossa pentola sferoidale, esternamente lisciata a spatola, di color rosso chiaro. Uno dei cocci raccolti, non tornito come quasi tutti quelli del medesimo giacimento e fatto di pasta mediocremente fina e ben cotta, presenta alla superficie esterna un rilievo a semicircolo poco prominente, che può considerarsi come orecchietta rudimentale. La medesima partico- - 356 - larità fu segnalata dal Prof. Vasseur in parecchi dei vasi rinvenuti nella stazione di 13au Roux, presso Aix in Provenza, vasi da lui attribuiti agli antichi Liguri. Fig. 93- Coccio con rilievo a semicircolo della caverna Pollerà. Rispetto alle appendici, quelle che figurano nei frammenti raccolti si possono distinguere nelle varietà seguenti: Manichi comuni 23 ; anulari 2 · tubulari 1 ; conici 1 , a bugna semplice 2; a bugna depressa nel mezzo 1, a bugna allungata e forata 1; a bugna assai prominente e forata 1, ad orecchietta piana, arcuata ed impervia 3; ad orecchietta crenata ed impervia 1; ad orecchietta crenata e forata 1, ad orecchietta bifora 1. Quanto agli orli, meritano di essere ricordati i pezzi in cui si vedono ondulati, crenati, incisi e riflessi. In un coccio, il margine presenta una espansione riflessa, ornata di impressioni digitali, per servire all ufficio di orecchietta. Alcuni residui di ciotole, a pasta rossa o nera finissima, presentano una carena che corre parallelamente all’ orlo, a breve distanza da questo. Non starò a ripetere, in ordine agli ornati dei fittili, le cose esposte in precedenti studi. Avvertirò solo che tra 22 cocci più o meno ornati, si osservano 11 casi di cordoni in rilievo, semplici o muniti di impressioni digitali o taglietti. Nello stesso frammento in cui si trova l’orec- — 357 — obietta crenata, che ebbi già a citare, sono presenti 3 cordoni trasversali, crenati, ed uno simile, longitudinale, che interseca i precedenti. In un altro pezzo, ad un cordone crenato, orizzontale, si connette un fregio di parecchie file longitudinali d’ impressioni fatte collo stecco sulla pasta molle. La fig. 94 porge esempio di fittile ornato a denti di lupo graffiti prima della cottura. Fig. 94- Coccio con graffiti a denti di lupo della caverna Pollerà (Museo geol. di Genova). Due soli esempi di graffiti fatti dopo la cottura del vaso: uno di essi, il più istruttivo, è fornito dalla tazzina già descritta alla pag. 354; l’altro è offerto da un coccio di pasta nera finissima, lisciata a spatola, coccio che presenta alla supei fìcie superiore di un’ansa, di cui resta solo piccola parte, alcuni solchi obliqui, irregolari, i quali invece di costituire propriamente un ornato, sono forse un segno caratteristico, una sigla, destinata a distinguere il fittile da altri analoghi. Reputo opportuno, infine, di accennare a due altri ge-neri di ornamento: 1 uno e ottenuto premendo obliquamente in punti equidistanti e prossimi, sulla pasta molle una spatola munita alla sua estremità di 5 punte, od altro oggetto consimile, risultandone un fregio di aspetto assai singolare. - 358 - L’altro consiste in serie parallele di impressioni circolari (del diametro di un mm. e mezzo), assai vicine, riempite posteriormente di materia plastica, bianca, per modo che il fregio spicca assai bene sulla superficie del vaso, che è nero e lisciato a spatola (fig. 36). Fusaruola. Si tratta di un disco di terra cotta, rossa, di pasta assai grossolana, perforato nel centro. L esemplare, ridotto a metà da antica frattura, ha 4 cm. /2 di diametro ed uno di spessezza; il diametro del foro passa di poco il mezzo cm. Disco di Terra cotta. Questo oggetto non ha che 4 a 4 cm. e mezzo di diametro, con spessezza di 8 a 10 mm. e fu indubbiamente ottenuto impartendo forma circolare, mediante la percussione, ad un coccio pianeggiante, annerito pel lungo uso. Scheletri umani. Durante il secondo periodo di scavi eseguiti nella caverna, si esumarono, come dissi, gli avanzi di 10 individui umani, tutti di giovani o di bambini. Essi, ad eccezione di uno, scoperto ad un metro e 70 cm dalla superficie, giacevano fra i 3 e i 4 m. di profondità, al l’estremità S.-O. della grotta, presso la sua apertura e pre^ cisamente nella zona contigua alla parete. Fra tali avanzi due scheletri, distinti coi numeri 1 e 9, appartengono a giovani di 14 a 15 anni, e sono suscettibili di prestarsi a qualche studio comparativo, perchè quasi completi e ben conservati. Altri due, indicati coi numeri 4 e 8, sono di fanciulli che non avevano raggiunto i 9 anni, e non forniscono che scarso sussidio alla antropologia. I sei rimanenti (N.1 2, 3, 5, 6, 7, 10) sono spoglie di bambini, e risultano pressoché inutili per lo studio, causa la condizione frammentaria e l’alterazione delle loro ossa. Di tutti questi scheletri, tre, come già notai, erano difesi da incassature costituite di tre o quattro lastioni di \ — 359 — pietra, uno era difeso da una sola lapide, e un altro giaceva col capo a ridosso di una rupe sporgente. Il materiale antropologico tratto dalla grotta Pollerà da me e specialmente da altri investigatori, che ebbero la ventura di raccogliere avanzi di individui adulti, aspetta ancora uno studio particolareggiato, il quale condurrà certamente ad importanti risultati in ordine alle affinità degli antichi Liguri. Mi basterà qui ricordare che il teschio del N.° 9 è dolicocefalo, regolarmente ovale e notevole per lo sviluppo della regione occipitale; la sua porzione facciale è superiormente come spianata e mancano assolutamente i rilievi sopraorbitali, che sono ben risentiti nella massima parte degli individui. Nella regione mascellare e dentale, v’ ha prognatismo ben spiegato. I denti sono mediocri, uguali, serrati. Sopra uno dei parietali si osserva una macchia di ocra rossa. Il teschio N.Q 1 somiglia al precedente, ma è più ristretto nella regione frontale, più largo posteriormente e non offre che lieve prognatismo dentale. I denti sono piccoli e serrati. Spoglie di ammali. — Non mancarono fra i prodotti di questi scavi numerosi ossami di vertebrati in oran • ^ parte artificialmente spezzati, in parte anche anneriti dal- 1 azione del fuoco. Ho riconosciuto con sicurezza le specie : Orso bruno, tasso, volpe, martora, cinghiale, Sus palustris, Bos primigenius, Cervus elaphus, capriolo, Capra hircus, pecora e lepre. Meritano di essere ricordati, per la buona conservazione, parte delle mascelle inferiori di un orso con due canini e quattro incisivi, 1111 cranio di tasso coi suoi mascellari inferiori, parecchie mascelle di capriolo, ed alcune corna di cervo comune. Le conchiglie, escluse quelle che portano tracce di lavorazione, appartengono a sette specie marine, comuni — 3Ó° — lungo le nostre rive e a cinque specie terrestri tutte viventi nel paese. Fra le prime le patelle, ira le seconde YHelix aspersa, sono da considerarsi come residui di pasti. Raccolte ulteriori e considerazioni riassuntive. 11 dottor Wall medico addetto all’esercito coloniale delle Indie Orientali profittò del soggiorno da lui fatto nel Finalese durante il 1883 per tentare qualche scavo nella grotta Pollerà. Del risultato di queste ricerche riferirò soltanto, da quanto ne accenna il P. Amerano, che oltre alla raccolta di qualche manufatto condussero alla scoperta di due scheletri umani. Posteriormente agli scavi praticati per cura dei sacerdoti Amerano e Morelli un operaio che aveva prestato l'opera sua al primo e conosceva quanto fossero apprezzati gli antichi manufatti rinvenuti nella spelonca, ne estrasse per proprio conto in buon numero ed esumò nel corso delle sue ricerche non meno di tre scheletri umani adulti, due dei quali furono venduti, con altri oggetti ad un gentiluomo inglese, che ne fece dono al Museo di Storia naturale di Bordighera, ed uno ceduto al Civico Museo Pedagogico di Genova. Recentemente, il 28 aprile 1907, il Sig. Giacomo Mantero fece da canto suo qualche saggio nel suolo della caverna e precisamente al di sotto dell arco naturale. Penetrato collo scavo entro un focolare situato alla profon- . dità di un metro, vi raccolse i soliti cocci ed ossa infrante di mammiferi. La sua attenzione fu poi attirata da certi corpi ellissoidali neri, nei quali ravvisò ghiande ridotte dall’azione del fuoco allo stato carbonioso ; e da ciò argomentò che i frutti della quercia fossero compresi fra 1 commestibili di cui si cibavano i cavernicoli. In conclusione, dai vari esploratori o raccoglitori che praticarono ricerche nella caverna furono scoperte almeno — 36i — 43 tombe, fra le quali alcune (ad esempio le prime esplorate da don Perrando) avevano subito qualche rimaneggiamento in precedenza; ma dal numero di ossa umane sparse senza ordine in vari punti, ossa rinvenute a diversi livelli e fino alla massima profondità raggiunta dagli scavi, si deve argomentare che altre tombe furono violate prima delle investigazioni scientifiche, o, come è più probabile, che in vari tempi fossero abbandonati cadaveri sul suolo 0 negli anfratti della spelonca. Caverne prossime alla Pollerà. Caverna di Sant’Eusebio. — La caverna di Santo Eusebio o Eusebio è una delle molte che furono scavate dalle acque circolanti nella formazione miocenica media del Finalese. Essa trovasi lungo il Rio della Valle, a poche diecine di metri a N. 0. della grotta Pollerà, ma ad un livello meno alto. È la stessa probabilmente che il Professore Amerano ricorda sotto il nome di Pianmarino N.° i senza fornire indicazioni topografiche da cui sia possibile identificarla con sicurezza. Essa è chiusa fino ad una certa altezza da muro provvisto di porta e consiste in una camera principale, la cui lunghezza misura circa 22 ni., con larghezza massima di 7, dalla quale si può passare dopo 1 recenti scavi in altra cavità assai minore situata un po’ inferiormente. I primi saggi tentati in questa caverna datano dal 1885 e sono dovuti al D.r Giulio Podestà, il quale rinvenne a piccola profondità sotto 1 massi e i detriti grossolani che coprono il suolo della camera principale alcuni cocci di tipo neolitico, una fusaruola di terra cotta ornata di p-raf- o fiti, un punteruolo d’osso, parecchie macine ed alcune ossa umane. Le ricerche ulteriori, provocate dallo scrivente, si svolsero nel 1892 col concorso dei professori Rovereto e Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL 24 — 36* — Morelli. Ne risultò principalmente la scoperta di una enorme quantità di ossa di piccoli vertebrati estratte fra la superficie e 3 m. di profondità in vari punti, ma in parti-colar modo presso la parete rocciosa dell estremità meridionale. Di questi avanzi, che furono diligentemente studiati da D. Morelli, dirò più innanzi. Altri consistono nei consueti avanzi di pasto e saggi di industrie primitive, tanto comuni nei nostri depositi recenti. Si tratta nel caso concreto di poche ossa lunghe d’erbivori spezzate, con tracce di cottura, di alcuni coltellini di piromaca, di schegge della stessa pietra, di punteruoli d’osso e di cocci di vasi non torniti, per lo più di piccole dimensioni e senza ornamenti. Fra le 26 specie di mammiferi segnalate in questo ferace giacimento da Morelli, sono compresi 1 Hypudceus glareolus e ΓArvicola nivalis, estranei alla fauna vivente della Liguria marittima, il Lepus variabilis proprio alle Alpi, il Foetorius minutus (varietà estinta della donnola), l’ermellino specie assai rara fra noi e il boccamele, specie o varietà dell’Italia meridionale e della Sardegna. Fra le 68 specie di uccelli registrate, sono comprese le rarissime Aquila pennata, Pyrrhocorax Alpinus, Podi- ceps griscigena, P. auritus, come pure il Lagopus scoticus, il L. albus, il Tetrao urogallus e la Bonasia betulina, • · · \ specie ora estranee alla Liguria, proprie a regioni più settentrionali della nostra. Non è necessario insistere per dimostrare come 1 accumulazione di piccole ossa in sì gran numero non si possa spiegare se non ammettendo che la grotta abbia servito di nascondiglio a grossi rapaci. Secondo Morelli colà nidificava il Bubo maximus. La grotta designata dal Prof. Amerano come seconda di Pianmarino, nella quale, giusta le indicazioni di questo esploratore, si penetra pel vallone omonimo, e la cui bocca è ingombra di massi franati, avrebbe pur fornito vestigia — 363 — lasciatevi dalla dimora dell’uomo in tempi recenti (1); ma nulla di più preciso saprei dire in proposito. Caverna della Rocca di Perti. — Questa grotta fu esplorata per la prima volta dal Prof. Emanuele Celesia. Essa è scavata nella così detta Costa del Curletto, sotto la Rocca di Perti, in cui s’interna per ben 100 metri, e si apre all’esterno a circa 300 m. sul livello del mare, per una sola apertura che misura presso a poco 6 m. di altezza ed altrettanti di lunghezza; tutto ciò, secondo le notizie pubblicate da Celesia nel giornale « 11 Diritto ». Il medesimo esploratore, avendo praticato qualche scavo nel suolo della caverna, vi scoperse alcuni avanzi di industria umana, ossa di mammiferi e conchiglie, e me li confidò acciocché li esaminassi e li unissi alla collezione da me fatta nel Finalese, per conto del Ministero dell' Istruzione e a vantaggio del Museo Etnografico e Preistorico di Roma. Alcuni manufatti della grotta sono cocci di stoviglie, fra i quali è compreso un pezzo di crogiuolo di grafite, recentissimo, analogo a quelli che servono tuttora alla fusione dei metalli preziosi. Il ritrovamento di tale oggetto è indizio, se non prova, che la grotta servì di officina e di nascondiglio a falsi monetari. Un altro coccio, cioè un frammento d'ansa, sia per la qualità della pasta, sia per la sua forma, non può considerarsi che come un resto di anfora romana. All’arte cosidetta preistorica appartengono invece, senza dubbio, alcuni resti di vasi non torniti e mal cotti, la cui pasta assai grossolana è mista di sassolini. Il più notevole di questi frammenti, di color bruno e lisciato a spatola, presenta un grosso cordone in rilievo, ornato di impressioni equidistanti, ottenute premendo col dito la pasta ancora molle. Un altro porta un piccolo manico riferibile al tipo (1) Bull, di Paletnologia ital., voi. XV III, n. 7-8. Parma, 1892. — 364 — solito delle caverne ligustiche; un terzo poi è un pezzo di fondo pianeggiante, cui va unita parte della parete. In fatto di strumenti litici, non mi fu comunicato che un rozzo coltellino di arenaria, a grana finissima, lungo 63 mm. e largo 18, di sezione triangolare, appuntato ad una estremità e troncato all' altra. I due tagli di questo arnese sembrano un po’ logorati dall’uso. Fra gli oggetti raccolti dal Prof. Celesia, sono pur compresi due piccoli ciottoli di spiaggia marina che prò* babilmente furono recati nella grotta per mano dell uomo. La fauna della caverna è rappresentata, nella raccolta sottoposta al mio esame, dai seguenti pezzi : a) Parte d’un radio sinistro d’un grossissimo orso; b) il corpo d’una vertebra dorsale d’un orso più piccolo; c) un epistrofeo di ruminante (verosimilmente di cervo), sul quale si vedono incisioni trasversali, praticate da uno stromento da taglio; d) due valve di Donax trunculus, mollusco edule abbondante in tutti i bassi fondi arenosi del Mediterraneo. Da quanto precede, si può arguire che la caverna della Rocca di Perti, al pari di altre in Liguria, fu abitata o almeno visitata dall’uomo in diverse epoche e che il suolo della stessa ebbe a subire qualche artificiale sconvolgimento, in virtù del quale si trovano ora commisti oggetti di remota antichità ed altri comparativamente recenti. Caverna delle Arene Candide. Nozioni generali. — A ponente della piccola città di Finalmarina si protrae dalla catena litorale un piccolo promontorio che ha nome Caprazoppa, e raggiunge nel suo punto culminante l’altezza di 293 metri sul livello del mare. Questo monte è costituito alla sua parte inferiore, di calcare dolomitico triassico, di color bigio chiazzato di ferrigno, in stratificazioni assai inclinate, e superiormente di calcare grossolano ed arenaceo riferibile al miocene medio, propriamente al piano elveziano, in strati quasi orizzontali (i). (i) Questo calcare fornisce il pregiato materiale decorativo e da costruzione detto pietra di Finale o di Verezzi. Schizzo pianimetrico di parte della caverna delle Arene Candide (P. Bensa). Scala 1:750 — L, M, N, D aperture che mettono all’esterno; S cunicolo pel quale si ascende alle cavità superiori; E cunicolo pel quale si penetra nelle cavità inferiori ; | | | punti in cui furono incontrate ossa umane sparse ; + + τ tombe. — 366 — La Caprazoppa, al pari dei monti circonvicini, analogamente costituiti dal punto di vista geologico, si presenta alla sua parte inferiore e media tutta bucherata e fessa da numerose soluzioni di continuità che talvolta raggiungono le proporzioni di vere grotte. Quasi tutte sono parzialmente occupate di materiali detritici o di terra rossa ed hanno le pareti loro inquinate da infiltrazioni ferrugginose. Chi da Finalmarina seguiva la via provinciale della Riviera, nella direzione di Pietra Ligure e d Albenga, appena oltrepassata la galleria, per mezzo della quale si attraversa il promontorio della Caprazoppa, vedeva in passato il versante meridionale del medesimo, comunque assai ripido, coperto, per buon tratto della sua altezza, di finissima e bianca sabbia silicea, che dalla vicina spiaggia fu scaraventata sui fianchi del monte per opera dei venti di mezzogiorno, colà gagliardissimi. Questa sabbia, asportata in gran copia a vantaggio di parecchie industrie, è ridotta da qualche anno a scarso residuo. Ad 89 metri d’altezza sul livello del mare, un po sopra il limite superiore delle Arene Candide, così si chiama la duna, fra rupi scoscese, sulle quali vegetano grami cespugli spinosi, è scavata nel calcare triassico una profonda grotta che trae il suo nome da quelle arene e mette all’esterno per tre aperture principali, disposte quasi sul medesimo piano orizzontale (1). La finestra L (fig. 95) che si apre verso sud-ovest è meno ampia delle altre due e inaccessibile ; dalla mediana M, che è larghissima e bassa, si penetra facilmente nella cavità. Questa si presentava, all’epoca della mia prima visita, come una vasta camera di forma irregolare, che misurava 70 metri nella maggior dimensione (senza con- (1) La grotta era altra volta conosciuta nel paese sotto il nome di Ar-massa-, di poi, verso il 1862, due frati domenicani essendosi smarriti nel laberinto (d’onde furono tratti, dopo parecchie ore d’angustie, per opera di persone accorse a rintracciarli), fu detta anche Grotta dei Frati. — 367 — tare una piccola propaggine nella quale si prolunga all'estremità orientale), 15 di larghezza massima e poco meno di 5 di altezza (1). Alla parte media di essa, la volta si abbassa e le pareti si accostano, per modo che rimane divisa da una specie di strozzatura in due ineguali compartimenti, occidentale l’uno, orientale l’altro (fig. 95). Entrambi sono quasi privi di stalattiti, ed invece le pareti e la volta si mostrano qua e là ornate di ciuffi di felci. In fondo al primo sbocca un tortuoso cunicolo, per mezzo del quale si scende in un intricato laberinto di tenebrose spelonche fra loro comunicanti (2). Una di esse, più vasta e più dirupata delle altre, sarebbe ammirabile per la vaghezza delle sue colonne stalattitiche e dei suoi panneggiamenti lapidei, se non avesse subito la sorte comune a tutte le caverne della Liguria, cioè una vandalica devastazione. Rispetto aH’origine, dirò solo che, a parer mio, si deve principalmente attribuire all’ azione distruttiva delle onde marine per quanto concerne la cavità principale, ed alle erosioni prodotte da acque sotterranee rispetto alle altre, più anguste e tortuose, che si estendono entro la montagna. Il sollevamento che si verificò alla fine del periodo pliocenico ed ebbe per conseguenza l’innalzarsi dei depositi subapennini della Riviera al loro livello attuale, dovette subire un arresto od un rallentamento più o meno lungo, durante il quale l'orizzonte a cui ora si trova la caverna corrispondeva al livello del mare. Questo allora, flagellando colle sue onde la ripa per lunga successione di secoli, disgregò e corrose alcuni degli strati più esterni del calcare, praticando in essi una larga breccia, che fu poi resa (1) In seguito ai profondi scavi compiuti nella caverna, le sue forme e dimensioni appariscono ora alquanto diverse. (2) Nelle cavità più remote della grotta si raccolsero il coleottero cavernicolo Machccrites Vacca; e l’aracnide Chlhonius Gestroi. — 368 — più ampia e profonda per opera delle acque circolanti nelle viscere del monte. A favore della mia opinione militano i seguenti fatti : i.° D’innanzi a due delle tre maggiori aperture suindicate (distinte nella figura colle lettere L, Μ, N) esiste come una specie di terrazzo in gran parte ruinato, anch’esso opera del mare pliocenico. 2° Si osservano nel monte parecchie altre caverne allineate allo stesso livello e piuttosto estese nel senso orizzontale. 3.0 Il calcare della Caprazoppa e dei monti vicini presenta, presso a quell’altezza, numerosi fori praticati da molluschi litofagi. Allorché la visitai per la prima volta, la grotta offriva un suolo pianeggiante, sul quale si vedevano alcune pietre di piccole dimensioni e vari massi caduti. Questo suolo era, nella camera orientale, perfettamente asciutto e costituito di terra bruna; nella camera occidentale e in qualche punto della parte media, si presentava un po’ umidiccio e coperto qua e là di croste stalattitiche, per effetto di stillicidi calcariferi. Le materie terrose che occupavano il fondo della spelonca raggiungevano la potenza di circa m. 3.20 (1) ed erano regolarmente stratificate. Il massimo numero degli strati visibili era, secondo i punti, di sei o sette, ed in ciascuno si distinguevano quasi sempre un letto di terra bruna, con carboni, ceneri, cocci ed ossa, ed un letto sterile, assai più sottile, formato di terra chiara o biancastra, sparsa di pietre angolose. La prima, vale a dire la terra bruna, fu in gran parte recata nella cavità per opera di correnti acquee temporarie, e vi si introdusse da una piccola aper- (1) Nella parte orientale, posteriormente esplorata, la spessezza del deposito si trovò un po’ maggiore. — 3Ó9. — tura situata all estremità orientale, per poi depositarsi, mista ad avanzi di pasti e a residui di focolari abbandonati dall uomo. La terra di color chiaro e le pietre non sono che materiali caduti dalla volta e prodotti dalla degradazione meteorica, accumulatisi nei lunghi intervalli di tempo durante i quali la grotta rimase disabitata. Alla estremità occidentale della cavità, siccome la volta è umida e la roccia è resa più dura e meno alterabile, per effetto di stillicidi calcariferi, non potevano originarsi materiali frammentari e polverosi, invece di letti detritici, si formarono alcuni sepimenti stalattitici. In un piccolo tratto della parte media, di contro alla parete settentrionale, il deposito calcarifero, assai copioso, si concretò in una breccia, quasi destituita di stratificazione, i cui elementi principali sono: ceneri, minuzzoli di carbone, frammenti d’ossa e cocci di rozze' stoviglie. È presumibile che ivi, originariamente, fossero collocati alcuni focolari. Di altri si trovarono poi evidenti tracce nel terriccio sciolto e stratificato che occupava la camera orientale. Oli straterelli ricchi di cenere e carbone, fra i letti stalattitici o fra i letti di terra bianca, accennano ad altrettante epoche nelle quali il sotterraneo servì di domicilio all uomo, e sono, per così dire, altrettanti suoli successivamente sepolti da cause naturali. Stona delle ricerche eseguite nella Caverna. — Visitai per la prima volta la grotta nel mese di giugno del 1864, in compagnia del professor Adolfo Perez di Nizza e di mio fratello Alberto. 11 primo, buon conoscitore della nostra geologia, aveva scoperto, nelle spelonche dei Balzi Rossi, tra Mentone e Ventimiglia, copiosi manufatti litici ed altre preziose reliquie dei tempi trascorsi, e sperava che le nostre ricerche sarebbero pur riuscite proficue alle Arene Candide. D’altra parte, si magnificava a tal segno l’estensione della grotta, si vantavano siffattamente la va- — 370 — rietà e la bellezza dei suoi aspetti, che eravamo desiderosi di ammirare tali meraviglie. Ci assicurammo di poi che la voce popolare aveva esagerati i meriti del sotterraneo ; ma dal punto di vista paietnologico, esso doveva superare di gran lunga la nostra aspettativa. Perlustrata la grotta in ogni sua parte, iniziammo alcuni scavi in vari punti della cavità maggiore e più esterna di essa, perchè ivi il suolo, essendo costituito da un potente deposito di terriccio, sembrava più propizio alle nostre indagini. Da uno solo, praticato a circa m. 1.20 nella cameia occidentale, si ottennero per allora oggetti degni di nota, cioè : 4 punteruoli d’osso, frammenti di vasi, conchiglie, ossa di mammiferi infrante ed ossa umane (1). NeH’agOsto dello stesso anno ritornai alla Arene Can- o e dide in compagnia del Prof. Giovanni Ramorino e proseguimmo insieme gli scavi già iniziati, ma con poco successo. Non trovammo infatti, oltre a: cocci e alle solite ossa di animali, che un pezzo di pomice lavorata ed altri oggetti di poco momento. Delle ricerche eseguite in queste due gite presentai una breve relazione alla Società italiana di Scienze naturali, nella sua riunione straordinaria tenuta a Biella dal 3 al 6 settembre 1864, sotto la presidenza di Quintino Sella. Tre anni dopo, nell’esporre dinnanzi al Congiesso internazionale d’Antropologia e d’Archeologia preistoriche, riunito in Parigi, la storia succinta delle indagini paietnologiche eseguite in Liguria, tornai per poco sullo stesso argomento, recando ulteriori notizie sui caratteri osteologia degli avanzi umani da me scoperti. La caverna fu poscia visitata da don Perrando, ma con esito mediocre. (1) Nella figura 95 i punti ove trovai le prime ossa umane isolate sono indicati con alcune lineette. — 37ΐ — Al principio del 1874, i signori Yeats Brown Montagli e Victor Brooke, il primo console di S. M. britannica in Genova, il secondo zoologo ed autore di alcune monografie intorno ai ruminanti, mi esibirono di accompagnarli in una escursione che avevano in animo di fare nella Liguria occidentale, affine di visitare alcune grotte di quel territorio e, presentandosene l’opportunità, per eseguire qualche scavo nelle medesime. Io accettai di buon grado l’invito, e proposi che le nostre indagini avessero a cominciare dalla caverna delle Arene Candide, nella quale le prime raccolte legittimavano la speranza che si avesse a trovare assai di più in seguito, mediante scavi ben diretti e sufficientemente profondi. Detto fatto, ci recammo a Finalmarina e di là alle Arene Candide, ed appena posto piede nella grotta si principiarono gli scavi. A 40 o 50 centimetri di profondità, nel suolo della caverna, si trovarono subito le tracce di un focolare ; cioè: pietre annerite dal fuoco, ceneri, carboni, cocci di rozze stoviglie, ossa di mammiferi e particolarmente di ruminanti, per lo più cotte ed infrante, ed anche alcune ossa fooro-iate a o o punteruoli. Ad un metro e 60 cm., tolti alcuni lastroni di calcare, che avevano opposto improvvisa resistenza allo scavo, si mise allo scoperto 1 estremità superiore d’una tibia umana, poi un femore, un bacino, una colonna vertebrale, in breve, uno scheletro umano completo, accanto al quale giacevano un corno di cervo, vari pezzi d’ocra, un accetta di pietra ed altri oggetti che a tempo debito saranno enumerati e descritti. Costretto da urgenti motivi ad abbandonare l’impresa così felicemente iniziata, l’esplorazione continuò per due giorni ancora, per opera de’ miei compagni, e ne risultò il ritrovamento di vari altri manufatti e di uno scheletro di bambino. Poco dopo, don Perrando fece altre due visite alle Arene Candide e, ripigliando le interrotte ricerche, riuscì » — 372 — a procurarsi, la prima volta, alcune parti d uno scheletro di bambino e, la seconda, due altii scheletri umani, uno dei quali quasi completo, senza contare molti manufatti di più maniere. In quello stesso anno un nuovo esploratore, Anton Giulio Barrili, si diede ad estendere taluno degli scavi già iniziati, e a lui si deve la scoperta di un quinto scheletro, col solito corredo di ossa, di conchiglie e di cocci. Ad alcuni terrazzani dei dintorni, non so se per vana curiosità o per cupidigia di tesori, parve l’esempio degno di essere imitato; ma per buona ventura si contentarono di praticare un piccolo fosso e di devastare una sola tomba. Il prezioso ricettacolo di reliquie preistoriche era, tutta-volta, in gran parte intatto, e quando accettai 1 incarico, affidatomi dal Ministero dell’istruzione, di eseguire alcuni scavi nelle caverne ligustiche, a vantaggio del nascente Museo etnografico e preistorico di Roma, il mio primo pensiero fu di ripigliare l’esplorazione che tre volte, e a lunghi intervalli di tempo, avevo principiata e che, per circostanze indipendenti dalla mia volontà, mi era stato impossibile di compiere. In nove giorni di ricerche accuratissime (dal 24 agosto al 3 settembre 1876), durante i quali fu posto a nudo il fondo roccioso di buon tratto della parte orientale e media della grotta, mi venne fatto di scoprire sette nuovi sepolcri inviolati, coi rispettivi scheletri, alcuni guasti, altri in ottimo stato, e una ricca serie di manufatti di terra cotta, di pietra e d osso. Questi oggetti, nonche i sette scheletri, sono ora ostensibili nella collezione del Museo etnografico e preistorico di Roma. Più tardi, la grotta fu visitata da mio fratello Alberto, il quale, avendo praticato un piccolo fosso in un punto che io gli avevo indicato, vi scoprì, impigliati in una tenacissima concrezione stalagmitica, contenente ossa, car- — 373 — boni e cocci, un bellissimo scalpello d'osso, un’ascia-scalpello di pietra verde (il primo rappresentato nella tav. II, fig. i) ed un cristallo di quarzo jalino. Nel 1883, il D.r Wall, medico presso l’esercito inglese delle Indie, tentò nuovi scavi verso l’estremità onentale della camera maggiore della grotta, in un tratto in cui il terriccio della stessa è misto di pietre e coperto di massi. Ivi i miei saggi erano sortiti infruttuosi e così avvenne da principio di quelli di Wall; ma, avendo egli continuato gli scavi fino a maggiore profondità, fu così condotto alla scoperta di un orifizio, per cui penetrò in un alti a camera ancora vergine, nella quale ottenne largo compenso alle sue fatiche, col ritrovamento di numerosi manufatti primitivi ed avanzi di pasto, che giacevano a vari livelli, entro straterelli di terra e cenere. Nello schizzo pianimetrico presentato alla pagina 370, schizzo desunto dalla memoria dell’ Ing. Bensa già citata, appariscono le dimensioni approssimative di questa camera, quali risultano al presente dopo gli scavi da cui fu sconvolta. In alcuni punti la sua altezza supera di poco quella di un uomo di media statura, in altri la volta è tanto bassa che obbliga il visitatore a proceder curvo. Dalle aperture che mettono all’ antigrotta o cavità esterna fino al fondo della nuova propaggine, il suolo va discendendo rapidamente, ciò sopratutto nel primo tratto. Chi entra nella parte della spelonca rinvenuta da Wall, osserva a tutta prima verso levante, una sorta di fenditura quasi verticale, appena praticabile (nel linofuauO-jo » , ' o òò minerario si direbbe un caminetto), la quale alla sua pai te superiore mette all esterno, e lateralmente comunica, merce uno stretto cunicolo, con parecchie camere più alte, che penetrano profondamente nelle viscere del monte. Tali camere, ben più delle altre già ricordate, sono rivestite in generale di belle concrezioni stalattitiche. — 374 — Nella maggiore di esse, si osservano impigliate nella crosta di stalagmite che costituisce il suolo, ossa d erbi- o vori spezzate e rose, abbandonate probabilmente da qualche fiera. La più remota della serie è una vasta galleria ascendente, ed ha per suolo uno strato di escrementi di chirotteri, entro al quale raccolsi alcuni cocci di stoviglie non tornite, di fattura preistorica. In tutte queste cavità superiori alla principale non furono trovati da me nè da altri, oggetti degni di nota, tranne le ossa e i cocci precitati. Piccoli scavi eseguiti nelle medesime rimasero affatto sterili. Nella propaggine, la cui scoperta si deve al dottor Wall, questi trovò da principio, verso ponente, 1 resti di un focolare, con molta cenere, numerosi cocci, ossa di ruminanti, e di suini, conchiglie interne di seppie, spine e vertebre di pesce, ecc. ; più innanzi, in una concavità della roccia sotto un piccolo stillicidio, che egli reputa Γ ultimo residuo di una antica sorgente inaridita, raccolse frammenti di stoviglie, verosimilmente vasi da acqua. Poco lunge, Wall disseppellì 70 articoli di monile, in forma di cilindretti faccettati e forati, che egli crede ricavati da denti d’ orso, parecchi coltellini di selce ed una sorta di lampada di terra cotta. Fra tutti questi residui un solo osso umano, un omero, se ho ben inteso, il quale, essendo spezzato e coperto di erosioni artificiali e tracce di cottura, attesterebbe, secondo il raccoglitore, il cannibalismo degli antichi cavernicoli. Il dottor Wall lasciò interrotte le sue ricerche nella primavera del 1883, e, poco appresso, gli scavi abbandonati furono ripresi nel medesimo punto dal sacerdote Nicolò Morelli, il quale, asportati alcuni strati di terriccio ancora vergini, nella parte estrema della cavità nuovamente scoperta, raccolse ancora svariati manufatti di pietra, d’ ossa e di terra cotta, che descriverò in seguito. — 375 — Il 9 Gennaio 1884, recatomi nella grotta in compagnia del sacerdote Morelli e del capitano Enrico Alberto d Albertis, proseguimmo, non senza frutto, le investigazioni nel punto in cui il primo le aveva lasciate, risultandone la raccolta di alcune conchiglie forate, di due lesine d’ ossa, di cocci ecc. Visitando nello stesso giorno le altre parti della caverna, vidi che una propaggine, la quale sbocca all’ estremità occidentale della camera principale, propaggine che nel 1876 misurava soli 5 metri di lunghezza, era divenuta praticabile per m. 14.50, con larghezza massima (all imboccatura) di m. 2.40, mantenendo direzione costante da N.E. a S.O. Questo mutamento era dovuto allo sgombro di massi e pietrame fatto eseguire da Wall. Ivi siffatto lavoro non aveva dato, peraltro, utili risultati; ma, proseguito di poi dal Morelli, condusse al ritrovamento di numerosissimi manufatti e d’ avanzi umani. Nella medesima gita ebbi il piacere d’incontrarmi col dottor Wall, reduce a Finalmarina, il quale mi fornì ragguagli particolareggiati intorno al ritrovamento della nuova cavità e circa i manufatti che vi furono raccolti. Esdi crede che questa cavita fosse altre volte in libera comunicazione colla camera esterna, e che la via per cui vi si accede rimanesse di poi intercettata dai detriti trascinati per opera di acque affluenti dall’ apertura orientale, ciò durante un periodo in cui la grotta era abbandonata. I cavernicoli che vennero di poi ad abitarla non avrebbero conosciuto 1’ esistenza della propaggine suaccennata. Io divido pienamente questo modo di vedere ; senonchè, ho per fermo che la chiusura della grotta sia avvenuta in tempi relativamente recenti e che il deposito archeologico abbia subito solo lieve accrescimento dopo tal chiusura. Infatti, nella cavità scoperta dal dottor Wall abbondano cocci di vasi romani, e si trovarono inoltre — 376 — pezzi di grandi vasi torniti di pietra ollare, i quali, secondo l’opinione di paletnologi competenti, non sono più antichi dell’ invasione romana, si mostrano anzi più frequenti nelle stazioni archeologiche riferibili all’ epoca barbarica. Gli scavi praticati da Wall nel 1884 avrebbero sortito esito felicissimo, risultandone, a quanto mi fu accertato, la scoperta di altre cinque sepolture col relativo scheletro. Le investigazioni compiute da don Morelli dal 1885 al 1887, in vari punti della spelonca trascurati dai suoi predecessori, in ispecie alla estremità occidentale e in qualche punto verso N.E., ebbero per epilogo il ritrovamento di buon numero di tombe, aumentando assai la collezione di manufatti e di avanzi organici, da lui formata. Alcuni oggetti raccolti da Morelli furono illustrati da me; di altri lo stesso raccoglitore diede la descrizione (1). Merita poi menzione la circostanza che, nel marzo 1881, il compianto principe ereditario Federico Guglielmo di Germania, accompagnato dalla consorte, dal Console Brown e da altri, visitò la caverna, e volle essere informato da me dei più minuti particolari in ordine alle recenti scoperte. La principessa raccolse, alla superficie del deposito archeologico, alcuni fossili, dichiarando di volerli offrire al Prof. Virchow. Tombe scoperte nei primi Scavi. Ebbi già occasione di avvertire come nelle prime visite che io feci alla grotta, nel 18641 vi trovai ossa umane sparse in disor dine ad una certa profondità nel terreno. Un vecchio contadino, il quale adempieva meco, allora, all ufficio di guida, affermò che alcuni terrazzani dei dintorni erano venuti (1) Resti organici rinvenuti nella caverna delle Arene Candide. Atti della Soc. Ligustica di Se. nat. e geog., voi. I. Genova, 1889 — Iconografia della Preistoria Ligustica. Genova, 1900. — 377 — molti anni innanzi nella grotta a farvi incetta d’ ossa, di cui si servivano per ingrassare le loro terre. Da ciò emerge 1 interpretazione più probabile e più logica degli avanzi così dispersi. Queste ossa sono fragili, leggere e biancastre, come se avessero subito 1 azione del fuoco, e presentano scalfitture ed intaccature, che sembrano assai antiche, le quali in parte furono prodotte da zanne di carnivori, in parte da arnesi taglienti. Si presentano alla mente varie spiegazioni di tali circostanze; ma preferisco astenermi dal- 1 emettere giudizi in cui la fantasia avrebbe parte troppo larga. Ad ogni modo, credo che non si tratti di avanzi d antropofagia, prima di tutto, perchè le ossa umane non sono spezzate nel senso della lunghezza, come quelle degli erbivori, in secondo luogo, perchè i segni di cottura, comuni con quasi tutti gii scheletri umani della grotta, furono forse prodotti da fuoco acceso sulle tombe, mentre i cadaveri erano sepolti a fior di terra. La prima tomba intatta fu scoperta, come dissi, nel 1874, allorché iniziai nuove ricerche nella caverna, in compagnia dei signori Brooke e Brown. Lo scheletro cui dava ricetto si trovo alla profondità di m. 1.60, nella camera orientale, presso a poco alla parte media di essa, col capo poco discosto da un voluminoso masso caduto dalla volta e coi piedi rivolti verso il mare. Esso giaceva obli· o quamente rispetto al piano della caverna; aveva cioè il capo più alto dei piedi. Degli arti anteriori, uno era collocato sotto il capo e l'altro disteso; i posteriori si trovarono un po’ piegati. Le ossa erano perfettamente difese da alcuni lastroni di calcare disposti sotto, sopra e ai due lati, a guisa di incassatura. Sotto i lastroni inferiori, a qualche centimetro di profondità, v’ era come un letto di terra biancastra ; all’ estremità corrispondente al capo e intorno ad esso, per 15020 cm., si sovrapponeva alla Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL. 2$ - 378 - terra bianca una polvere carboniosa, che mi sembro il residuo di un’ abbondante capigliatura. Accanto al cranio, v era un corno di giovane cervo, in cui non si vede trac-eia di lavorazione; a lato dello stesso cranio, si raccolsero vari pezzi d’ ocra rossa, originariamente contenuti in un vaso, ed una piccola accetta di giadaite, e sul torace, una grossa zanna di cinefhiale, alla cui estremità radicale sono o o praticati due fori (fig. 96). Lo scheletro appartiene ad un individuo adulto, di sesso mascolino, la cui statura è un po’ inferiore alla media. Il cranio è piccolo, dolicocefalo, schiacciato lateralmente, allargato nella regione posteriore, basso ed angusto nella frontale; la sua circonferenza massima è di · \ millimetri 510, il diametro longitudinale, fra la sommità della sutura nasale e la protuberanza occipitale, è di mm. 172, il diametro bitemporale raggiunge appena i iib mm. L’ indice cefalico è perciò 62,79 e attesta spiccatissima dolicocefalia. Le mascelle mancano, in parte, dei loro denti, ed alcuni dei superstiti sono cariati. La mandibola inferiore ha la porzione ascendente collocata in posizione assai obliqua, e la prominenza del mento ben spiccata. 11 detto scheletro, esumato nei primi scavi ed ora conservato nella raccolta del Museo civico di Genova, presenta un sacro con 5 false vertebre invece di 4» saldate insieme e con 5 fori invece dei 4 che vi si si trovano normalmente. Secondo le osservazioni del Prof. Raimondi, la falsa vertebra sopranumeraria si aggiunse in basso « per assimilazione della prima vertebra coccigea » ; e tale unione avvenne « non solo pel corpo, ma anche bilateralmente per anomalo sviluppo dei processi trasversi, saldati ad anello osseo semplice col pezzo ultimo del sacro, sostituendo così un quinto foro alla normale incisura sacrococcigea ». La tomba aperta dai signori Brown e Brooke, presso la sopradescritta, non ricettava che uno scheletro di pie- — 379 — colo bambino, le cui mandibole presentano un molare ed un premolare per lato. Questo scheletro non era difeso da lastre di pietra e non si osservarono accanto ad esso che cocci, conchiglie ed ossa di mammiferi. Fig. 96. Ornamento atto con una zanna di cinghiale, della caverna delle Arene Candide; 2/, della grand. nat. Il primo dei tre scheletri scoperti dal R. D. Perrando giaceva presso a poco nel mezzo della cavità orientale, quasi a contatto della roccia viva che forma il fondo della grotta, sotto una spessezza di m. 2.20 di terriccio ed apparteneva ad un bambino lattante. Mancavano le solite pietre, e non si raccolsero nelle vicinanze che ossa e cocci di poco interesse. 11 secondo scheletro, che fu quasi completamente conservato, apparteneva ad un fanciullo di 7 a 8 anni e riposava alla profondità di m. 1.70, sempre nella parte orientale del sotterraneo, ma un po’ più addentro del primo; sul suo cranio si osservano le tracce di una frattura anteriore alla morte. La terza tomba si scoprì nella parte media, presso la parete che sta di contro alla più ampia apertura. Essa era limitata da otto lastre di pietra e dava ricetto alle ossa di un vecchio, presso le quali giaceva un coccio con graffiti. Le due braccia del morto, congiunte sul torace, sostenevano una grossa pietra. Lo scheletro rin- — 38ο — venuto in questa tomba si distingue pel cranio straordinariamente sviluppato nel senso longitudinale (misura 194 mm. nel diametro antero-posteriore e soli 155 nel trasversale) e munito di rilievi sopra-orbitali assai maggiori del consueto. Sopra i detti rilievi, ed anche un po’ ai due lati, esso presenta una larga zona colorata irregolarmente di rosso mattone, da una sostanza gianosa e polverosa, cementata da concrezioni calcari. Si tratta sicuramente di ocra, di cui era tinta la fronte del cadavere all’ epoca del seppellimento. Barrili descrive presso a poco in questi termini il sepolcro da lui trovato: « Lo scheletro è di persona giovane e mostrava le braccia composte in atteggiamento di chi dorme, il destro ripiegato intorno al capo, il sinistro sul petto, mentre il torace e la faccia erano leggermente voltati da tramontana verso la parete del masso. Intorno alla persona e di sotto erano alcuni lastroni; un altro era collocato sopra e ricopriva appena la regione lombare. Entro quella rozza sepoltura, si trovarono conchiglie in buon dato, quali bucate, quali a dirittura foggiate in cerchietti, ossa lavorate, uno scalpello di pietra veide e uno stranissimo arnese di giadeite, del quale non è ben certo 1’ uso se d’ arma ovverosia d ornamento » (1)· « Negli strati superiori alla tomba si rinvennero ossa e denti d’ animali diversi, tra i quali è riconosciuto il cinghiale, avanzi di stoviglie dalle più rozze alle più aggraziate, ma senza vernice nè tracce di graffiti. Uno di questi cocci, e appunto il piede di un anfora, fu pure ritrovato presso lo scheletro, sotto il cui cranio era un modesto ciottolo di spiaggia marina. Neanche qui mancava Γ ocra per tingere che fu anzi ritrovata in quantità piuttosto singolare ». (1) È un frammento di testa di mazza rappresentato nella fig. 22, pag. 67. - 38i - Aggiungerò che lo scheletro, notevole per le sue esigue proporzioni, è adulto e probabilmente di sesso femmineo. Il suo cranio, assai piccolo, dolicocefalo e allargato posteriormente, misura 169 mm. nel diametro antero-posteriore, 115 nel bitemporale, 485 nella circonferenza massima. La sua faccia è meno larga che negli altri individui della stessa provenienza. Le mascelle portano tutti i loro denti che sono sani ; la mandibola inferiore offre, tra il corpo e il ramo ascendente, un angolo molto aperto ; Γ apofisi coronoide è breve ed acuta. Tombe scoperte posteriormente. — Descriverò per sommi capi le tombe scoperte da me nel 1876, distinguendo ciascuna di esse con un numero progressivo, che corrisponde all’ ordine del ritrovamento. N.° 1. Quella che. ho contrassegnata col numero 1 era collocata nella parte media della caverna, ove è più bassa e ristretta, di contro all’ apertura maggiore, a circa 3 m. di distanza dalla medesima. Essa trovavasi sotto il secondo strato del deposito archeologico, ad 80 cm. di profondità, ed era limitata, come quasi tutte le altre, da lastroni di pietra greggia, disposti in guisa da formare una specie d’incassatura. Lo scheletro cui dava ricetto era di adulto e, per quanto credo, di sesso maschile. Il suo cranio, quantunque schiacciato dal peso dì un grosso lastrone di pietra, si raccolse quasi intiero, cioè mancante solo di una parte della regione occipitale ; si salvarono poi le scapole, le clavicole, un omero, un radio e un’ulna, le articolazioni del secondo omero, le rotule, il calcaneo e l’astragalo di ciascun piede ed alcune ossa minori delle mani e dei piedi. Si estrassero inoltre pochi pezzi della colonna vertebrale, alcune coste e scarsi frammenti del bacino. Tutte queste ossa sono assai alterate dal tempo e dall’ umidità e si sbriciolano sotto la minima pressione. Alcune, massime il cranio, sembrano aver sofferto l’azione del fuoco. — 382 — Lo scheletro era raccolto in piccolo spazio e tutto scomposto dalla caduta delle pietre destinate a difenderlo, permodochè non si può accertare qual fosse la sua posizione originaria. Nella terra che copriva la tomba furono trovati moltissimi gusci di patelle e d’altri molluschi eduli, ossa lunghe di ruminanti, cotte e spezzate, e un ascia di pietra verde. Accanto allo scheletro, vi erano pure un fondo di vaso non tornito, con altri cocci di terra cotta, e vari pezzi d’ocra rossa che originariamente erano contenuti in un vaso. Ouantunque io non mi sia proposto qui di descrivere, dal punto di vista antropologico, gli scheletri disseppelliti nella caverna, mi pare opportuno di indicare in breve alcuni dei loro caratteri più spiccati. In quello della tomba numero i si vede chiaramente che il cranio è assai lungo, in confronto alla larghezza, alquanto sviluppato posteriormente, basso e depresso nella regione frontale. La faccia è alta, stretta ed assai prognata, estendendosi il prognatismo alla regione dentale. Le occhiaie sono quadre e quasi disposte lungo una linea orizzontale. I denti sono piuttosto grossi, sani e generalmente stipati ; si osservano però piccole lacune fra il canino superiore di ciascuna parte e i denti più prossimi. Gli incisivi sono larghi, lunghi e foggiati a scalpello, i canini aguzzi. La volta palatale e stretta e lunga. Il mento si presenta d insolita altezza e mediocremente prominente. Il braccio ascendente della mandibola inferiore forma col ramo orizzontale un angolo più aperto del consueto. L’apofisi coronoide è breve ed appuntata. Le ossa delle estremità sono piuttosto sottili, comparativamente alle dimensioni del cranio. L omero si distingue per la sua gracilità ed ha la parete della fossa olecranica assottigliata, ma non perforata. L’individuo cui appartenevano le reliquie ora descritte aveva appena raggiunto i 25 anni quando fu sepolto, — 383 — infatti, i suoi denti sono appena logori e gli ultimi molari, quantunque già formati nell’ interno dell’ osso mascellare, non sporgono ancora fuori di esso. N." 2. Questa tomba era situata a poca distanza dalla prima, un po’ più a ponente, e alla medesima profondità. Sotto le solite pietre, si trovò uno scheletro adulto, di sesso maschile, in perfetto stato di conservazione e quasi completo, mancando solamente di alcune ossa minori dei piedi e delle mani. Il cranio è dolicocefalo e sviluppato posteriormente, colla regione frontale un po’ angusta e le arcate sopraccigliari piuttosto sporgenti, massime nella parte mediana della fronte. La sua sutura fronto-parietale è parzialmente ossificata. Le orbite sono quadrate, profonde, poco oblique ; la sporgenza nasale è assai pronunziata; zigomi prominenti. In complesso, la faccia offre un lieve prognatismo. Mancano tutti i denti della mandibola superiore e gli alveoli dei molari sono obliterati per vecchiaia. La mandibola inferiore ha l’arco stretto e quasi angoloso ; il mento è quadrato e sporgente. Il ramo ascendente della mascella è perpendicolare al ramo orizzontale. L’apofisi coronoide è spessa, larga ed arrotondata. I condili sembrano assai robusti. I denti di questa mandibola sono tutti a posto, ma assai logori, e in gran parte cariati. Il piano di logoramento è orizzontale. Gli omeri, grossi, quasi diritti, a superficie scabre, hanno la fossa olecranica non perforata; le clavicole sono assai torte e grosse. 1 femori, esageratamente sviluppati ed un po’ arcuati, hanno il collo breve e la fossa digitale profonda e stretta; il loro margine posteriore offre i due rilievi della linea aspra straordinariamente salienti. La cavità del bacino è ampia ed assai svasata superiormente ; le tuberosità ischiatiche sono singolarmente grosse e robuste, con scabrezze più risentite del consueto. — 384 — Tutte le ossa summentovate sono ancora in ottimo stato e non portano tracce dell’ azione del fuoco. Esse appartengono ad un individuo d’alta statura e di robustezza non comune, il quale morì in età assai avanzata. Lo scheletro era adagiato sopra un fianco, colle ginocchia un po’ piegate e la mano sinistra collocata sotto la testa. Intorno ad esso, si trovarono: pezzi d’ocra rossa, numerosi ossami di mammiferi, per lo più cotti ed infranti, gusci di patelle, di monodonte, di ostriche, valve di Pectunculus artificialmente forate per servir d’ornamento, un grosso punteruolo d’ osso, una lama d’ osso appuntata che è forse un pugnale, varie punte di freccia o di giavellotto parimente d’osso, molti cocci di stoviglie, un vasetto fittile, quasi intiero, di pasta bruna e fina, di forma ovale, a fondo piatto, a pareti sottili, il quale conteneva una certa quantità di terra bruna, sparsa di particelle carboniose, verosimilmente avanzi di cibo. Ma l’oggetto più interessante, fra quelli che facevano corona al morto, è indubbiamente una piccola e sottile accetta di giadaite, raccolta a destra dello scheletro, presso il capo. N.° 3. Fu scoperta a levante della tomba numero 1, un po’ più verso il fondo della caverna, ad una profondità di poco maggiore delle precedenti. Essa era circoscritta, secondo il consueto, da cinque o sei lastroni di calcare, disposti ai due lati dello scheletro e al di sopra di esso; la sola parte anteriore del corpo era però difesa da quelle pietre. Vi si trovò uno scheletro umano di sesso maschile, ben conservato e completo, se si faccia astrazione dalla mancanza di qualcuna delle ossa minori. Esso riposava coricato sul fianco sinistro, colla mano sinistra sotto il capo e coll’altra protesa e in alto. Le sue ginocchia erano piegate e le due tibie avvicinate. Il cranio di questo scheletro è pur dolicocefalo, ma meno allargato posteriormente degli altri già menzionati; - 385 - la sua sutura sagittale è già ossificata ; le altre sembrano meno frastagliate che d’ordinario. La regione frontale apparisce stretta, fuggente ; le arcate sopraorbitali sono poco prominenti alla periferia, ma si rialzano alquanto sopra la radice del naso. La faccia è assai larga, non prognata ed offre zigomi robusti ed assai sporgenti. Le mandibole portano tutti i loro denti, i quali sono logorati orizzontalmente; uno dei molari superiori è cariato. La mandibola inferiore, piuttosto alta, offre il mento sporgentissimo; la sua parte ascendente è verticale, coll’apofisi coronoide lunga, sottile, un po’ appuntata. Le vertebre sono in numero di 25, essendovene una sopranumeraria, che appartiene alla serie dorsale. I caratteri delle ossa lunghe corrispondono a quanto fu avvertito nello scheletro della tomba N.° 2. Peraltro, nel femore i rilievi del margine posteriore sono un po’ meno sensibili. Sulle vertebre cervicali raccolsi tre canini di lupo, uno grosso, in mezzo, e due piccoli lateralmente. A 30 cm. circa dalla mano destra, trovai una accetta di pietra verde. Non mancavano sopra la tomba e ai due lati : ossa spaccate, cocci, pezzi d’ocra e conchiglie. N.° 4. La tomba distinta con questo numero d’ordine fu scoperta a levante e in vicinanza di quella cui assegnai il N.° 1, cioè presso l’apertura maggiore della grotta; giaceva a circa 1 m. di profondità. Lo scheletro che racchiudeva appartiene ad un individuo di sesso maschile, che morì in età assai avanzata. Alcune delle sue ossa, essendo fragilissime, ebbero a soffrire qualche danno, allorché furono estratte; tuttavolta si conservano per la massima parte. 11 cranio è assai allungato e notevolmente sviluppato alla parte posteriore, a un dipresso come nello scheletro della tomba N.° 2. La sua sutura fronto-parietale è ossi- - 336 - ficata, la sagittale e la lambdoidea sono ancora ben visibili. La regione frontale è mediocremente elevata ed offre le ossa nasali assai prominenti. La faccia, piuttosto larga, presenta un lieve prognatismo; il quale si fa più manifesto nella regione dentale. I denti, assai logori, attestano la vecchiaia dell’ individuo. Gli incisivi medi superiori sono piuttosto distanti fra loro. Nella mandibola superiore, mancano due molari del lato destro e Γ alveolo di uno fra essi è già obliterato ; tre molari e un premolare superstiti sono più o meno cariati. Nella mandibola inferiore sussistono tutti i denti, tra i quali gli incisivi e i canim sono assai alti, impiantati verticalmente e distanti fra loro. La regione basale del cranio è incompleta per la mancanza di parte dei temporali, dell’occipitale e dello sfenoide. Di queste ossa si conservano però molti frammenti staccati. La mandibola inferiore è alta ed ha il ramo ascendente quasi verticale, coll’ apofisi coronoide poco estesa e di forma un po’ uncinata. Il mento è quadro ed assai sporgente. Le altre ossa dello scheletro sono in generale sottili e brevi; e ciò mi fa credere che la statura dell’individuo fosse inferiore alla media. L’omero sinistro ha la fossa olecranica perforata. I femori sono un po’ arcuati, carenati posteriormente e ruvidissimi; le tibie assai appiattite. La tomba ora descritta conteneva, oltre alle ossa di mammiferi, ai cocci e alle patelle, un Conus Mediterraneus forato, due punte di freccia d osso ed una scheggia di selce. Lo scheletro giaceva nella posizione consueta, cioè adagiato sul fianco sinistro, con una mano sotto il capo, le ginocchia piegate e i piedi volti verso il mare. N.° 5. Questa tomba era collocata a capo della precedente, cioè più vicina alla parete settentrionale della grotta, ad una profondità poco maggiore di un metro. Essa conteneva uno scheletro d’individuo giovane, di sesso femmineo, il quale è disgraziatamente incompleto. - 3§7 - Del capo rimangono l’occipitale, i due parietali, i temporali, qualche pezzo di frontale, il mascellare superiore ; ma queste ossa sono quasi tutte rotte e scomposte. La colonna vertebrale, il torace e il bacino sono quasi completi. Delle ossa degli arti mancano pezzi dei cubiti e dei radi ed alcune parti delle mani e dei piedi. Da quanto si conserva del cranio, sembra che differisse dagli altri summentovati per essere meno sviluppato posteriormente e per avere l’occipite meno turgido. I denti della mandibola superstite sono sani e bianchi, e dall’esame di questi apparisce che l’individuo aveva 12 o 14 anni appena, poiché provvisto di dentizione permanente e i suoi secondi molari, già formati nei rispettivi alveoli, non erano ancora venuti alla luce. La posizione originaria del morto non si potè determinare, essendo le ossa, almeno in gran parte, spostate dai movimenti del suolo e sconvolte da uno scavo anteriore. Molte conchiglie ed un raschietto di silice accompagnavano questo scheletro. Le sue ossa lunghe sono sottili, minute, liscie ; e da tali caratteri, come pure dalla forma del foro occipitale e dall’ampiezza della pelvi, si può argomentare che appartenesse ad una femmina. Il loro colore uniformemente rossastro potrebbe dipendere da ocra in polvere sparsa nella fossa. N.1 6 e 7. Queste tombe si rinvennero a 30 centimetri di profondità a fianco l’una dell’altra, a levante del N.° 5, un po’ più internamente nella spelonca. Esse non erano difese da lapidi e contenevano le reliquie di due bambini, già assai alterate dal contatto del terriccio umido. Nello scheletro della tomba N.° 6 manca interamente la cassa craniense e si conservano i mascellari superiori, la mandibola inferiore, alcune vertebre, i pezzi principali del bacino e della cassa toracica, nonché quasi tutte le ossa lunghe. Tali avanzi sono guasti, corrosi, fragilissimi - 388 - e sembrano avere subito in qualche punto 1 azione del fuoco. Così dalla dimensione delle ossa, come dal numero e dalla disposizione dei denti, si può argomentare che appartenessero ad un bambino di 4 a 5 anni ; infatti, dal mascellare inferiore non sporge ancora fuori il primo molare permanente, il quale già sussiste però entro l’alveolo. Lo scheletro della tomba N.° 7, comprende la massima parte del cranio, in frammenti assai alterati, le due mandibole, quasi tutte le ossa delle estremità ed alcuni pezzi della colonna vertebrale, della cassa toracica e del bacino. Questi avanzi sono ridotti a tal condizione che mal si prestano a qualsiasi misura o confronto. Rispetto all età dell’ individuo, credo poterla comprendere fra cinque e sei anni, perchè già si osservano nel mascellare inferiore il primo molare permanente, ben formato nel suo alveolo, mentre gli incisivi decidui non sono ancora surrogati. Intorno ai due scheletri abbondavano ossa di mammiferi e conchiglie ; fra queste si raccolsero alcune Columbella rustica (specie il cui mollusco non è mangereccio). In fatto di utensili, non si trassero dalle due tombe che un coltellino di piromaca, rotto, ed una scheggia di pietra verde. Il D.r A. Incoronato, il quale ebbe a studiare i sette scheletri umani testé enumerati diede una tabella di misure (da me recata in appendice) ottenute sui quattro che sono in migliore stato di conservazione. Egli osserva che i loro caratteri anatomici non trovano riscontro in alcuno dei popoli ora viventi in Italia. La statura loro non vantaggiosa, la sproporzione degli arti, specialmente nei rapporti fra il braccio e l’avambraccio, richiamano alla mente, secondo questo autore, il tipo negroide (1). (1) Incoronato A., Scheletri umani della caverna delle Are?ie Candide presso Finalmarina. Mem. della R. Accad. dei Lincei, serie 3.·1, voi. II-Roma, 1878. — 389 — Scheletri umani raccolti dal Prof. Morelli. — Mi farò ora a descrivere sommariamente i due scheletri umani d’individui adulti rinvenuti nella caverna delle Arene Can dide dal Prof. N. Morelli, scheletri in perfetto stato di conservazione, che figurano tra le raccolte del Museo geologico di Genova, cui furono ceduti dal raccoglitore. Premetto che giacevano in tombe a lastre analoghe alle sopradescritte. N.° i. È notevole per le sue dimensioni, per la robustezza delle ossa, per le inserzioni muscolari ruvide e scabre. Il suo teschio sembra corrispondente al tipo ellissoide piano di Sergi (i). Esso apparisce spiccatamente asimmetrico pel maggiore sviluppo del lato sinistro rispetto al destro. Seguono alcune delle principali misure: Diametro antero-posteriore .... mm. 176 Diametro trasversale massimo . . » 133 Circonferenza orizzontale.....» 510 Altezza totale della faccia.....> 210 Larghezza massima della faccia, fra le sporgenze delle arcate zigom. » 130 La relazione che intercede fra i diametri antero-posteriore e trasversale conduce ad un indice cefalico di 76.1, in virtù del quale il cranio può essere compreso fra i sottodolicocefali (fig. 97). Altre particolarità consistono in ciò che le ossa frontali sono poco salienti e che la prominenza sopraorbitale è continua ed alquanto spianata. Le suture fronto-parietale e sagittale sono poco frastagliate e in parte ossificate, la prima però più della seconda; la sutura squamosa è aperta. La faccia, singolarmente alta, offre spiccato prognatismo dei mascellari superiori (fig. 98, 99). (1) Arii ed Italici, pag. 112, fig. 25. — 390 — I denti, impiantati quasi verticalmente, hanno corona presso a poco spianata, e sono più distanti fra loro che non nei casi normali (è specialmente notevole la distanza fra i canini e i premolari) ; mancano gli ultimi molari delle due mascelle. Parecchi denti sono cariati. Fig. 99. Cranio dello scheletro umano N.° 1 raccolto da N. Morelli nella caverna delle Arene Candide (Museo geol. di Genova). Nello scheletro assile il corpo delle prime vertebre lombari, anchilosate, presenta escrescenze ossee marginali. — 39ΐ — Le clavicole sembrano poco arcuate. Le ossa delle estremità sono piuttosto voluminose e robuste. Lunghezza dell’omero circa 30 cm. ; del cubito circa 25.5; del radio circa 24. Il femore misura presso a poco cm. 42.4 e la tibia 35 ; quest’osso si distingue per la sua forma appiattita e il suo spigolo posteriore tagliente. N.° 2. Questo esemplare appartiene ad un uomo adulto di piccola statura ed è quasi completo. Teschio assai capace, riferibile al tipo ovoide piano di Sergi. Esso manca solo di qualche frammento nella parte basale (in ispecie dei condili e dell’apofisi basilare) come pure di gran parte dello sfenoide. Le ossa della cassa % craniense, divise in molti pezzi, sono saldate artificialmente, ma in modo imperfetto. Diametro antero-posteriore .... mm. 190 » trasversale massimo ...» 140 Circonferenza orizzontale.....» 520 Altezza totale della faccia. . . ·. . » 130 Larghezza massima della faccia, fra le arcate zigomatiche......» 135 L indice cefalico è dunque un po’ maggiore di 73.6 e corrisponde a dolicocefalia propriamente detta. Fronte piuttosto ampia, un po’ fuggente, con bozze appena accennate. Rilievi sopraorbitali poco pronunziati, manifesti esclusivamente nella parte prossima alla glabella. Depressione sensibile in corrispondenza delle suture fronto-parietali. Occipite turgido e prominente, massime presso la sutura lambdoidea. Suture parzialmente aperte, con frastagli presso a poco normali (fig. 100). Faccia assai larga con zigomi assai sporgenti. Le orbite hanno i consueti caratteri propri a quelle dei teschi neolitici ed offrono direzione schiettamente trasversale. Da quanto rimane delle ossa nasali si inferisce che dovevano essere — 392 — assai protratte ; inoltre è notevolissimo un solco profondo che coincide colla incisura nasale. Mascellare superiore alto, Fig. 102. Cranio dello scheletro umano N.° 2 raccolto da N. Morelli nella caverna delle Arene Candide (Museo geol. di Genova). protratto con sensibile prognatismo che si estende anche agli incisivi ed ai canini superiori. Mascellare inferiore alto, massime nella parte anteriore, coll’angolo arrotondato. Il ramo ascendente forma coll’orizzontale un angolo poco più — 393 — apeito del retto. Apofisi coronoide larga e breve. Profilo del mento quasi rettilineo con protuberanza mentoniera poco lisentita. Denti inferiori collocati presso a poco verticalmente. Rispetto alla forma e alle dimensioni, questi, come pure i superiori, sembrano normali (fig. 101, 102). In tale scheletro 1 omero misura 293 mm. di lunghezza, il femore 397 e la tibia 328. La platicnemia di quest’osso è poco spiccata. Manufatti litici, — Ascie ed accette furono trovate in buon numero nella caverna, a tutti i livelli e in alcuni casi associate a cocci di terra cotta, riferibili indubbiamente a tempi storici. Io ne ebbi tra le mani non meno di una ventina di esemplari, tra integri e mutilati, raccolti fino al 1876 dagli esploratori precitati o da me stesso. Più tardi, don Morelli ne ottenne dai propri scavi in numero assai maggiore. Le forme di tali stromenti sono tutte o quasi tutte comuni, con deciso predominio delle facies linguiforme e triangolare; ma non mancano esemplari delle fogge amigdaloidi e a virgola. Per la massima parte, presentano dimensioni inferiori alle medie, ed alcuni possono dirsi piccolissimi. Secondo il solito, sono foggiati di pietre verdi ; cioè diorite, anfibolite, giadaite ecc. È da notarsi la circostanza che abbondano nella caverna ciottoli delle prime due rocce importati dall’ uomo, ma non schegge, e che vi si trovano pietre atte alla affilatura delle ascie ed accette. Dal complesso delle cose osservate, ritenoO che o qualche volta siffatti arnesi fossero fabbricati nel sotterraneo, con materiali portati dal di fuori; ma in tal caso la levigatura non fosse preceduta dalla scheggiatura. Gli esemplari più freschi e di lavoro più perfetto erano contenuti nelle tombe ; nei focolari e tra gli avanzi di pasto si raccolsero invece, di preferenza, i più rozzi e logori. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL. 26 — 394 — Fra le più belle accette citerò quella di giadaite, lunga appena 46 mm., raccolta dai signori Brown e Brooke e da me accanto ad uno scheletro umano da noi esumato, un altra della stessa materia, ma più piccola e più sottile, rinvenuta da me nella tomba N.° 2, è ora depositata nel R. Museo etnografico e preistorico di Roma; una terza (che sembra fatta di diorite) accenna alle facies a virgola. Un frammento d’utensile di pietra verde, raccolto nella parte orientale della caverna dal Prof. Anton Giulio Barrili, e da lui donato, insieme a molti altri oggetti, al Museo civico di Genova, si riferisce evidentemente al tipo delle accette-scalpelli; del quale, d’altronde, ebbi poi un esemplare perfetto trovato da mio fratello Alberto. Que-st’oggetto, è lungo 90 mm., alto 18 e largo 13 ed ha forma di cilindro, un po’ compresso ed attenuato ai due capi. Una delle due estremità si termina in un taglio acutissimo, irregolarmente semicircolare; l’altra è greggia e scabra, segno che lo stromento doveva essere adattato ad un manico. Nella collezione Morelli, oltre a scalpelli di varie fogge, sono rappresentate anche le zappette (hermwettes) di pietra verde. Testa di Mazza. Il frammento raccolto da Barrili e che è ora compreso nella collezione del Museo civico di Genova, formava parte indubbiamente d’ un anello litico, il cui diametro esterno poteva misurare dai 10 ai 12 cm., mentre il diametro interno era di 4 f2 a 5. La piccola parte del margine esterno conservata nel frammento e assai tagliente; il margine interno è liscio e lucente. La materia che servì a fabbricare quest’ oggetto è una bella giadaite translucida. Mazzuolo. Sotto questo nome inscrivo un arnese litico di forma cilindroide, arrotondato alle due estremità (collezione Morelli). — 395 - Doppio Scalpello. Così definisco un altro arnese litico, trovato col precedente, dallo stesso esploratore. Esso consiste essenzialmente in un prisma quadrilatero, assai irregolare, assottigliato alle due estremità e terminato da due piccoli tagli situati obliquamente Γ uno rispetto all’ altro. Il più largo dei due tagli si mostra convesso sopra una faccia e pianeggiante sull’ altra, il più stretto è un po’ convesso sulle due facce. Lo stromento presenta nella parte media qualche tratto greggio e nel rimanente si mostra levigato con diligenza; la pietra di cui è fatto sembra diorite ad elementi minuti; il suo colore è un verde nerastro. Esso fu ricavato, se non erro, da un pezzo staccatosi da un’ accetta di forma comune, il taglio della quale sarebbe stato conservato parzialmente in uno dei due che si osservano nell’ oggetto di cui si tratta. Lisciatoi. Considero come tali, certi ciottoli di rocce olìolitiche, con superficie piane, levigatissime, artificialmente ottenute. Uno di questi presenta all’ ingrosso la forma di un prisma quadrangolare, ridotto a punta ottusa ad una estremità ed assottigliato alla estremità opposta. Coltelli. I ra parecchi coltelli di selce estratti da varie parti della grotta da Morelli e da me, ve ne ha uno che può essere addotto a tipo. Questo consta di una lamella di selce bruna, che presenta alla base un bulbo di percussione ben distinto ed è troncata di netto alla estremità opposta; una delle sue facce è pianeggiante, l'altra offre due spigoli longitudinali, formati dall’ incontro di un piano medio con due piani laterali; la sezione trasversale del coltello apparisce quindi trapezia. I suoi tagli sono minutamente ritoccati ; la sua lunghezza è di mm. 79. Altro coltello, o piuttosto coltellino, ritrae speciale importanza dalla materia ond’ è fatto, ossidiana nera, pietra vulcanica estranea all’ alta Italia. Si tratta di una laminetta lunga 28 mm., terminata in punta ottusa ad un capo — 396 — e troncata al capo opposto o base; una delle sue facce è piana, Γ altra presenta uno spigolo mediano, assai ottuso; i margini sono sbocconcellati ; ai due lati della base si osserva una intaccatura che sembra accidentale, per cui Γ oggetto arieggia un po’ certe punte di freccia, ma credo che la somiglianza sia fortuita. L’ ossidiana di cui lo strumento è fabbricato si riferisce alla varietà più comune e non si distingue da quella che tanto abbonda nell isola di Lipari. Un frammento di coltellino fu da me rinvenuto fra le ossa di un bambino esumate negli scavi eseguiti nel 1876. Seghe litiche. Alcuni di questi utensili, uno solo tra i quali propriamente caratteristico, sono segnalati fra le reliquie rinvenute nella grotta da Morelli. Punte di Freccia. La collezione di don Morelli comprende alcune punte di freccia silicee, provenienti per la massima parte dalla propaggine occidentale della maggior cavità della grotta. a) In quattro di queste domina la forma a foglia di olivo, cioè di lamelle ovato-acuminate, (tav. I, hg. io e 14), allargate alla base ed assottigliate verso 1 apice, una delle loro facce è pianeggiante, l’altra presenta uno spigolo assai ottuso, mediano, oppure due spigoli ottusi laterali; la punta, acuta in due di esse, in due altre è spezzata; i margini e la base sono ritoccati finamente , alla base corrisponde un bulbo di percussione. La più perfetta di tali punte, che è tuttavolta poco simmetrica, misura mm. 58 di lunghezza. b) Altro tipo di cuspide silicea, incontrato coi precedenti, ma rappresentato da un solo esemplare, è una lamella ovata, a base troncata, con due smarginature laterali, da cui risulta una sorta di breve peduncolo; una delle facce è piana, l'altra offre uno spigolo mediano; 1 margini sono grossolanamente scheggiati, la punta è ottusa. — 397 — Dimensioni: lunghezza mm. 42; larghezza massima 25; spessezza 18. c) Punta di freccia triangolare a base incavala finemente lavorata in selce bruna. Lunghezza mm. 22; larghezza 20. d) Punta di freccia di diaspro rosso, notevole perchè presenta una sola aletta e breve peduncolo; il lato che porta l’aletta è ritoccato, l’altro semplice e tagliente. e) Punta di freccia allungata, a peduncolo breve e troncato, ad alette incurvate. È lavorata diligentemente nella selce bigia. f) Punta tricuspidale di selce scura già ricordata alla Pa&· 51 (tav· !» fig· 2)· Lunghezza mm. 50, larghezza 12. Raschiatoi. Parecchi, alcuni dei quali in forma di lamine ellittiche dai margini minutamente ritoccati, figurano nella collezione Morelli. Si può forse considerare come raschiatoio una grossa scheggia di selce giallastra, della lunghezza di ben 6 cm., di forma irregolare, trigona, con una faccia pianeggiante e l’altra convessa, dal margine rozzamente ritoccato. Questa fu da me trovata nella tomba N.° 5. Nucleo. Fra i manufatti ultimamente asportati dalla caverna è compreso un piccolo nucleo siliceo, di forma presso a poco lenticolare, il quale ha una delle sue facce naturalmente arrotondata e coperta di patina gialla, e l’altra tutta scheggiata. Se questo oggetto fu così ridotto di proposito, potrebbe essere una pietra da fionda. Schegge. Una fra le schegge litiche tratte dalla caverna è di color verde sbiadito, translucida, di lucentezza cerea, di struttura un po’ cristallina e per questi suoi caratteri ricorda la giadaite. Altre, in buon numero, sono frammenti di selce piromaca. Vasi di Pietra oliare. È degno di nota ed affatto nuovo per questa come per ogni altra caverna ossifera la scoperta — 398 — di alcuni frammenti di vasi torniti di pietra oliare, scoperta che pur si deve alle indagini di Morelli. Il principale di tali cocci è di forma irregolarmente triangolare e misura nelle maggiori dimensioni 15 e 14 cm. con spessezza variabile tra 10 e 12 mm. Esso appartiene ad un vaso cilindrico, del diametro di circa 16 cm. Gli altri frammenti minori, in numero di 3, fanno parte probabilmente dello stesso vaso. Tutti presentano dentro e fuori solchi paralleli al margine, dovuti alla tornitura ; oltre a ciò, sono ornati esternamente, alla distanza di 2 cm. e mezzo dall’orlo, di una zona di 6 costoline, l’una vicina all altra, parallele all’orlo stesso. Due dei pezzi sono un po anneriti dal fuoco. La materia di questi frammenti è pietra oliare di color verde cupo, tenera, talché si può intaccare coll’unghia, dal tatto untuoso, a struttura cristallina, che è accusata da sottili faccette di clivaggio. Sotto la lente, apparisce prevalentemente costituita da scagliette cristalline di clorite. Alitandovi sopra emana odore terroso. Come risulta dalle indagini istituite in proposito dal Prof. Strobel, non si conoscono vasi di pietra oliare torniti che risalgano a tempi più remoti dell’epoca romana. Secondo il Prof. Pigorini, i più antichi vasi litici datano soltanto dai tempi barbarici (1). Dobbiamo argomentare, comunquesia, da siffatto ritrovamento che la grotta servi di domicilio, di ricovero o per lo meno di ripostiglio all’uomo in tempi assai recenti (2). (1) Bull, di Palet. Ital., anno ΙΓ, pag. 147; anno IX, pag. 16 e pag. 206. (2) La pietra oliare si ricerca in parecchie valli alpine per fabbricarne vasi resistenti al fuoco, piatti, tubi ed altri oggetti. Questa pietra si tiova anche nella regione delle Olbe presso Sassello, e colà era pur adoperata altre volte a fabbricar vasellame, lo raccolsi la stessa roccia nella valle del Teiro presso Varazze, in quella del Sansobbia poco lunge da Santa Giustina e sul Monte Gippone in quel di Sassello. Sono piuttosto comuni antichi frammenti di tali vasi, in parecchie località italiane, associati a residui ro- — 399 — Pietre da macina. Nei miei scavi eseguiti alle Arene Candide ne trovai almeno una dozzina, quattro delle quali fanno parte della collezione spedita al R. Museo etnografico e preistorico di Roma. Queste pietre, variabilissime nella forma e nelle dimensioni, offrono il carattere comune di presentare una faccia pianeggiante o un po’ incavata con tracce di logoramento. Seguono alcuni cenni intorno a tre esemplari scelti fra i più caratteristici. a) È di forma irregolarmente quadrilatera, un pò incavata superiormente, piana inferiormente. Le sue dimensioni sono: lunghezza cm. 32, larghezza 21, spessezza 7 a 8. La roccia è pietra di Finale. b) Forma come quella della precedente; la superficie superiore è concava e liscia, l’inferiore piana e scabra. Dimensioni: lunghezza cm. 28, larghezza 18, spessezza da 4 a 8. La roccia è identica a quella della prima. c) E di forma ovoide, schiacciata, ed offre sopra e sotto un incavo. Tali incavi sono levigati e tinti in rosso come da una sostanza ocracea. Si tratta probabilmente di un mortaio, anziché di una macina. Dimensioni: diametro maggiore cm. 26 '/2, diametro minore 15 '/2, spessezza circa ò. La roccia è quarzite biancastra, durissima. Qui debbo osservare per incidenza che vidi adoperare nell’Eritrea, per esempio tra i Mensa e i Bogos, macine identiche a taluna di quelle delle caverne ligustiche. Pietre da affilare. Alcuni ciottoli di pietra verde, assai dura, offrono alla loro superficie numerosissime strie rettilinee evidentemente artificiali; da ciò argomento che si adoperassero ad impartire il filo alle accette litiche. La forma loro è per lo più ovoide e schiacciata. mani e medioevali, per esempio nella valle d’Aosta e nel Canavese (ne ho veduti provenienti da Pont Saint Martin, Fénis, ecc.). A Borgomasino si raccolsero in buon numero recipienti di pietra oliare integri colla suppellettile di tombe barbariche. — 4°° — Macinelli. Credo che servissero a quest’uso certi grossi ciottoli ovoidi, per lo più di quarzite bianca, piuttosto comuni nella caverna; infatti, le loro estremità sono logore ed ammaccate. Uno di essi misura 9 cm nel diametro maggiore; gli altri sono più piccoli. Percuotitoi. Fra il macinello e il percuotitoio la differenza è lievissima, e forse, in qualche caso, non sussiste. Tuttavolta la seconda denominazione mi sembra più acconcia della prima per designare un semplice ciottolo sferoidale di pietra verde, il quale offre a ciascun polo una incavatura artificiale. Quest’oggetto è compreso nella collezione Perrando. Raccolsi pure, presso la tomba N.° 5, un percuotitoio di pietra verde, la cui forma è sferoidale, con uno dei poli schiacciato e logorato. Forme di Fusione. Inscrivo qui sotto questa rubrica ì due frammenti di lastre d’arenaria, descritti alla pag. 96, frammenti alla superficie dei quali furono praticati solchi destinati ad accogliere metallo fuso (1). Di altri oggetti simili il significato è dubbio. o Ciottoli diversi. In tutti gli scavi eseguiti nella grotta si estrassero ciottoli marini di varie forme e di varie dimensioni che furono evidentemente portati dall’uomo nella caverna. Ma ognun vede quanto sia difficile il rintracciare la destinazione di oggetti che, nell’infanzia di ogni artificio industriale, potevano essere adoperati nei modi più diversi. Non ometterò tuttavolta di esporre in proposito alcune ipotesi. Ove s’incontrano residui di focolari, non mancano mai grossi ciottoli quarzosi, anneriti dal fuoco, i quali sicuramente ebbero un ufficio qualsiasi nell’economia domestica (1) Morelli, il quale conviene meco nella interpretazione di tali reliquie, ne dà la figura, nella tav. LXXIX della sua Iconografia, ai N,' 7 e 8. — 401 — dei cavernicoli. Servivano forse a sostenere i vasi in cui si apparecchiavano i cibi? Non si può a meno di avvertire che la forma loro ovoide o sferoidale era poco acconcia all’uopo. Erano invece destinati alla cottura di qualche commestibile sul quale si disponevano dopo averli arroventati ? Non è egli possibile che si adoperassero per arroventarli, e cuocere talune vivande, introducendoli in vasi che non si volevano esporre direttamente al fuoco, od anche per cuocere una specie di pane senza lievito, come fanno gli Abissini, avvolgendo simili ciottoli di pasta, e ponendoli sulla brace? Altri ciottoli, per lo più di pietra verde, servirono indubbiamente ad uso di stromenti di percussione, come lo dimostrano le ammaccature di cui sono coperti. È probabile che i cavernicoli li adoperassero a spaccar le ossa lunghe dalle quali estraevano il midollo per cibarsene. Per chiudere le mie considerazioni in proposito, dirò pure che trovai un buon numero di pietruzze quarzose, bianche, nella terra che ricopriva i sepolcri della caverna. A parer mio, non è questa una circostanza accidentale, ma segno di un antico rito funebre, analogo forse a quello che compiono i moderni Bogos, i quali coprono di candidi ciottoli le tombe dei loro cari, quando questi non perirono di morte violenta. Frammenti di Pomice. Fra gli oggetti raccolti, sia nei primi scavi sia nei successivi, sono compresi pezzi di pomice bigia, alla superficie dei quali si osservano solchi profondi e sottili, decorrenti in varie direzioni, che sembrano fatti affilando corpi appuntati, ed è probabilissimo che abbiano servito ad aguzzare le punte d’osso già descritte (fig. 104). La pomice è propriamente estranea alla Liguria; ma, dopo le maggiori sciroccate, se ne trova sulle nostre spiagge qualche pezzo, forse proveniente dalle Isole Eolie. — \02 — Ocra rossa e gialla. In quasi tutte le tombe scoperte nella caverna fu trovata l’ocra rossa, in pezzi irregolari, talvolta assai voluminosi, ed era per lo più associata ai cocci di un vaso che originariamente la conteneva. Una volta m’accadde perfino di osservare due o tre fiammenti grossi come il pugno collocati sul fondo di un vasetto, il quale, quantunque spezzato, ancora conservava la propria forma, perchè sorretto dalla terra circostante. L ocra di cui si tratta è impura, cioè mista di sabbia silicea, e credo provenga da un deposito che s’ incontra nei pressi di Gorra. M’imbattei pure nel corso degli scavi in alcuni pezzi di ocra gialla. Cristallo di Quarzo e Stalattiti. Mio fratello Alberto raccolse, come dissi, un prisma di quarzo jalino , questo è limpidissimo, di 12 mm. di lunghezza, rotto alle due estremità, ed era impigliato in una durissima concrezione staiattitica che univa in un solo masso, pietre, ossa e frantumi di carbone. Un simile cristallo non potè formarsi nella grotta, le cui pareti calcaree non presentano traccia alcuna di filoni quarzosi. Esso vi fu dunque introdotto dall uomo. Sono da segnalarsi alcuni frammenti di stalattiti incolori e trasparenti come vetro, simili ad altre che si trovano nelle grotte delle Cento Corde (Finalese) e di Caudano, presso Frabosa Soprana (Alpi Marittime), frammenti pur trasportati dall’uomo. Pendaglio e Perla. La fig. 4 della tav. IV rappresenta una pietruzza di calcare bigio, sottilmente forata per servire di pendaglio; la fig 5 della stessa tavola è l’immagine di una perla lenticolare, di pietra nera non dura, perla provvista di ampio foro. Manufatti d'Osso e di Corno. — Punte di breccia e di Zagaglia. Considero come tali gli oggetti figurati ai numeri 9 e 10 della tavola II, che sono pezzi staccati dalle diafisi d’ossa lunghe di piccoli ruminanti, principalmente — 403 - cannoni, ridotti in punta ad una delle loro estremità; la estremità opposta, in cui si conserva in generale parte della articolazione, suol essere spianata, per stropicciamento, su due facce parallele, allo scopo di renderla atta ad introdursi in un asta sottile, alla quale doveva congiungersi saldamente per mezzo di una legatura. Alla base del manufatto, si vedono spesso piccole incisioni trasversali, che sono destinate per l’appunto, a parer mio, ad accogliere questa legatura. Attribuisco il medesimo significato a molte altre punte più o meno allungate, più o meno sottili, quali appena abbozzate, quali lavorate con somma diligenza. Alcune di esse potevano servire ad armare fiocine od aste per la pesca ; ma ci manca la prova che fossero adibite a quest’uso. Cuspidi di Freccia ad Alette. Fra gli oggetti più notevoli rinvenuti nella grotta, si comprendono due di tali cuspidi, l’una raccolta nella nuova camera orientale, l'altra nella estremità occidentale. La prima (tav. II, fig. 5 e 6) ha forma di lamella triangolare isoscele, un po’ curvilinea, a base assai stretta, che gradatamente si attenua, riducendosi a breve peduncolo. Essa subì due antiche fratture, per cui si stacco una scheggia ossea dalla punta, rimanendo questa smussata, e un altra dal peduncolo. I due margini della cuspide che convergono alla punta sono a tagli smussati; le sue due facce sono coperte, massime alla base, di strie irregolari, longitudinali ed oblique, alquanto profonde; la lunghezza totale del manufatto misura mm. 64. Esso è foggiato in un pezzo duro, compatto, staccato, secondo ogni verosimiglianza, dalla diafisi di un voluminoso osso lungo di grosso ruminante. o o La seconda cuspide di freccia, rinvenuta a piccola profondità nel cunicolo occidentale della grotta, differisce da quella ora descritta per la forma più allungata e per la maggior regolarità e sottigliezza. Essa ha ora 70 mm. di — 4°4 — lunghezza, 20 di larghezza e 4 di spessezza alla base; ma siccome la sua punta è smussata e scheggiata (certo per effetto dell’uso), se ne deve inferire che raggiungesse originariamente maggiori dimensioni. Punte di Lancia. Alcuni pezzi di diafisi d’ossa lunghe acuminati, essendo assai più robusti dei precedenti e potendosi del pari fissare ad un’asta, mi sembrano foggiati ad uso di cuspidi per lande. Citerò, tra questi, un osso appuntato, lungo 8 centimetri, ricavato da un metatarsiano di piccola capra, del quale rimane ancora intatta 1 articolazione inferiore, e un altro pezzo che mi sembra foggiato coll’estremità inferiore del radio di piccolo ruminante. I medesimi oggetti potevano servire ad uso di pungoli. Si intende poi come punte consimili, ma non destinate ad essere fissate ad un’asta, fossero adoperate per forar pelli, cioè come lesine. Pugnali. A questa specie di arme conviene ascrivere, io credo, un pezzo di corno cervino, della lunghezza di circa 15 centimetri, ben diritto, reso aguzzo ad un capo, arrotondato al capo opposto, e nel rimanente levigato con cura ; verso la parte media la sezione dello stromento tende a farsi quadrangolare. Un vero pugnale fu indubbiamente raccolto dal R. D. Perrando, nella caverna delle Arene Candide, e consiste in una lama ossea, di forma irregolarmente triangolare, lunga 17 cm. e mezzo, munita di un foro presso l’estremità opposta alla punta (tav. IV. fig. 7). Stiletti. Sotto questo nome registro con dubbio certe verghette d’osso della lunghezza di mm. 115 e 86, rispettivamente, cilindriche nella parte mediana, assottigliate ed appuntate ai due capi (tav. II, fig. 2). Don Morelli raccolse nella caverna Pollerà un manufatto consimile, inserito in robusta impugnatura di corno di cervo (tav. II, fig. 16), e da ciò argomento che fossero immanicati in modo ana- — 405 — logo anche questi delle Arene Candide. In tal condizione, l’arnese di cui si tratta poteva essere adoperato con efficacia come arma da punta, ma è chiaro che costituiva del pari una lesina buona per forar pelli e corteccie. Altra verghetta ossea, terminata in punta alle due estremità, differisce dalle precedenti perchè è lavorata con minor diligenza, e presenta una scanalatura longitudinale. Di questo arnese sospetto che fosse fatto invece per essere legato in posizione obliqua alla sommità di un’asta per farne un raffio (harpon), ad uso di pesca o di caccia. Non escludo che la doccia avesse per oggetto di accogliere un veleno, affine di rendere l’arme micidiale per l’uomo. Cucchiaio (?). L’oggetto rappresentato nella tavola II, fig. 18, consiste in un pezzo di diafisi d’osso lungo, squadrato ad una estremità e tagliato in isbieco, in guisa da O ' o impartirgli una specie di taglio. La sua lunghezza è poco minore dì ii cm., la larghezza di 18 mm. L’estremità opposta al taglio manca. Questo utensile è un cucchiaio, una sgorbia o uno zuffolo cui manca l’ancia? Mi attengo dubitativamente alla prima ipotesi. Aggiungerò in proposito che la grotta somministrò ai signori Brooke e Brown due altri oggetti del medesimo genere. Talismano. E un disco irregolare che misura 32 mm. nel diametro maggiore, Il suo perimetro, regolarmente ellittico per due terzi, si presenta nel rimanente quasi rettilineo; la spessezza dell’osso varia, secondo i punti, tra 4 e 5 mm.; in mezzo, si apre un foro circolare, regolarissimo, del diametro di mm. 4.5. Tanto le pareti esterne quanto quelle del foro sono perpendicolari rispetto alle due facce del disco. Esso è ricavato senza dubbio da un cranio umano, molto probabilmente dal parietale sinistro e dal frontale di un uomo adulto; e ciò inferisco da una sutura parzialmente ossificata che attraversa il disco a guisa di corda e che corrisponde, pei suoi frastagli, alla — 4°6 — parte media della fronto-parietale. Se fu tolto dal vivo, la sua forma subì qualche modificazione ulteriore. Le due superficie della rotella sembrano infatti levigate e i margini furono smussati collo stropicciamento sopra un corpo duro, di che rimangono le tracce in certe strie fine ed irregolari; il foro invece è tagliato netto. Questo arnese, che probabilmente era conservato dai cavernicoli come prezioso talismano, fu rinvenuto da don Morelli alla estremità occidentale della grotta. Ricorderò a questo proposito come la trapanazione del cranio sia presso alcuni popoli selvaggi, e fosse anche in Europa fino a pochi secoli addietro, non solo una operazione chirurgica, ma una pratica superstiziosa, intesa a liberare il paziente dalle persecuzioni di spiriti nefasti. La scoperta di teschi trapanati in parecchie stazioni preistoriche della Francia dimostra quanto sia remota l’origine di siffatto costume, cui si connette, e certamente si connetteva in passato, la credenza che le rotelle ossee, distaccate dal cranio umano, sono dotate di virtù meravigliose, col rendere immuni da certi morbi coloro che le portano indosso. È presumibile che le proprietà attribuite ai dischi ossei estratti dall’uomo sul vivo fossero poi estese a quelli tolti ai defunti. Scalpello o Raschiapelli. La fig. i della tav. II mi dispensa dal recare una diffusa descrizione di questo arnese, il quale consiste in una larga lama ossea, di 111 mm. di lunghezza e 40 di larghezza, che sembra tratta da un cubito d’erbivoro, ed offre ad una delle sue estremità un taglio forbitissimo, bu rinvenuta nella parte media e più interna della grotta, a circa 70 cm. di profondità. Ritengo che potesse servire a scuoiare gli animali di cui i cavernicoli adoperavano le pelli. A raschiare o mondare le pelli, dovevano essere adibite anche certe lamine ossee, spatuliformi; tra le più notevoli, ve — 407 — ne ha una lunga 145 mm., di forma irregolarmente rettangolare, ma spezzata ad uno dei due capi (tav. II, fig. 14); un alti a assai minore, è di forma trapezia e rotta in varie parti della sua periferia. Non escludo che si adoperassero invece per lisciare od ornar vasi di terra, prima della cottura. Lisciatoi. Si tratta di una lama ossea di 38 mm. di lunghezza, larga non più di 21 e spessa al massimo 8, la quale è lievemente scanalata sulle due facce; ad una delle due estremità è spezzata, all’altra si presenta assottigliata, ristretta e levigatissima, non però tagliente come se fosse uno scalpello. Proviene dal cunicolo in cui si termina la parte occidentale della grotta Attribuisco dubitativamente lo stesso significato ad altri due oggetti. L uno risulta della parte inferiore d’una tibia di ruminante, lunga circa 14 cm., colla diafisi tagliata obliquamente a scalpello, in guisa da presentare allo scoperto un piccolo tratto della cavità midollare; il secondo è un pezzo d osso lungo, tagliato ad un capo normalmente all asse, all altro obliquamente, in guisa da formare colla sua cavità midollare una sorta di doccia, come si vede dalla figura (tav. II, fig. 3) ; 1’ estremità opposta è logorata in modo da presentare sezione quadrangolare. I due arnesi ora descritti, provenienti dalla camera Wall, meriterebbero, per la forma loro, il nome di sgorbie; ma, riflettendo alla materia tenera e poco resistente di cui sono fabbricati, suppongo che servissero ad altro uso. Non è inverosimile che fossero adoperati, per esempio, come lisciatoi, come spatole od anche a guisa di cucchiai, per estrarre la materia alimentare contenuta nella cavità delle ossa. Pendaglio. Dalla collezione Perrando proviene una piastra ossea, cuoriforme, munita di un lungo peduncolo forato. Quest’oggetto, rinvenuto in uno degli strati prò- — 4°8 — fondi della caverna, misura 14 cm. e mezzo di lunghezza (tav. II, fig. 17). Aghi crinali. Sono, se ben mi appongo, verghette ossee, sottili e appuntate ad un capo, troncate all altro, che misurano da 15 a 18 cm. di lunghezza. Bottone. Il medesimo raccoglitore trovò la metà di un oggetto simile ad una fusaruola che fosse piana sopra una faccia ed assai convessa sull’altra; la superficie piana presenta alcuni cerchietti concentrici, incisi parallelamente al margine. Il foro centrale che attraversa il manufatto e ampio e un po’ conico. Credo si tratti di un bottone, essendo troppo leggero per adempiere all’ufficio di fusaruola. Denti lavorati. — Questi sono quasi esclusivamente pendagli, e possono considèrarsi come trofei di caccia, ornamenti o talismani. Durante gli scavi che praticai coi signori Brooke e Brown alle Arene Candide, raccolsi sul torace del primo scheletro umano che mettemmo alla luce una bellissima zanna di cinghiale, munita di due fori presso l’estremità radicale (fig. 96). Una seconda, più piccola e meno perfetta, fu raccolta poco appresso da don Perrando, nella cui collezione è pur compreso un incisivo di suino (tav. IV, fig. i°)> forato ad uso di pendaglio. Tra i prodotti dei recenti scavi eseguiti nella grotta, figura un pendaglio, il quale consiste in un frammento di lamina, in forma di triangolo curvilineo irregolare, tratto dalla porzione esterna di una zanna di cinghiale. Presso il suo lato minore, lato che è formato da un’antica frattura, si vedono due piccoli fori, i quali da una parte sono tagliati netti, dall’altra sono fatti ad imbuto e circoscritti da solchi concentrici, segno che furono praticati facendo ruotare sul pezzo un arnese irregolarmente appuntato. Ricorderò a questo proposito come Odoardo Beccari abbia osservato, durante i suoi viaggi, che gli indigeni — 409 — della baia di Humboldt (Nuova Guinea) portano sul petto un piastrone costituito di zanne di cinghiale e di semi rossi d ’Abrus. Due pendagli, raccolti dipoi, nella propaggine che termina la grotta verso ponente, sono corpiciattoli di forma irregolare, una delle cui estremità è arrotondata e l’altra assottigliata e munita di un foro (tav. II, fig. 7) ; dalla loro struttura, argomento che sieno ricavati da denti di fiere. In quello dei due non figurato è visibile un residuo di smalto che accenna ad un molare di carnivoro. Sulle vertebre cervicali dello scheletro umano N.° 3, raccolsi tre denti di lupo, colla radice artificialmente forata. 11 più grosso, che stava in mezzo ai due minori, misura 46 millimetri di lunghezza; gli altri sono lunghi rispettivamente 28 e 30 mm. Il foro è irregolare e fatto un po ad imbuto ; intorno ad esso, si osservano dei solchi concentrici. Nel novero dei denti lavorati vanno pur compresi numerosi frammenti di zanne e d’altri denti, quali con fori, quali senza, con superficie più o meno spianate e levigate. Conchiglie lavorate, — L oggetto più singolare ed interessante in questa categoria fu trovato nella grotta dal R. D. Perrando e consiste in una grossa valva di Pectunculus ben arrotondata, della quale, per accidentale frattura, manca un buon terzo (tav. IV, fig. 3). La conchiglia è attraversata da un foro collocato sulla linea mediana, a due terzi della distanza tra il cardine e il marcine ven-trale, ed ha la sua superficie esterna divisa in quattro segmenti, ciascuno dei quali è coperto di profonde strie parallele. Le strie di ogni segmento sono parallele a quelle del segmento opposto al vertice ed incontrano le altre ad angolo quasi retto. Le valve di conchiglie semplicemente forate presso Γ apice erano assai comuni nella caverna, massime in Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XI.. — 410 — alcune tombe, e non si possono considerare che come °&getti d’ornamento. Il foro è di variabili dimensioni e si vede chiaramente che il più delle volte fu praticato stropicciando l’apice della conchiglia sopra un corpo duro e scabro. Così forati si trovano numerosi Pectunculus ed alcuni Cardium. Altre conchig'lie forate, raccolte nella grotta, sono Conus Mediterraneus, uno dei quali proviene dalla tomba numero 4 (raccolta Issel), Cassis sulcosa, ecc. Articoli di monile e Pendagli. — Comprendo sotto questi nomi gli oggetti seguenti : i.° Alcuni tubetti cilindrici, lunghi un centimetro o poco più, ricavati da grossi Dentalium fossili, ma ben conservati. Si distinguono benissimo alla loro superficie le costoline originarie (tav. II, fig. 8 e tav. IV, fig. 2). 2.0 Una lamella circolare del diametro di 11 mm., nel centro della quale è praticato un foro, largo 2 a 3 mm. Il margine della rotella e quello del foro sono tagliati netti ; il foro è un po’ più ampio da una parte che dall altra; una delle facce di questo oggetto è liscia e piana, 1 altra lascia scorgere delle costoline erose; da che argomento che la conchiglia da cui fu ricavata fosse una specie di Cardium. 3.0 Tre piastrelle irregolarmente ellittiche, entrambe forate ; 1 una, convessa da un lato e concava dall altro, ha 19 mm. di lunghezza, offrendo un largo foro alla parte media (tav. II, fig, 11); la seconda, un po’ più lunga e pianeggiante sulle due facce, presenta il foro presso una delle due estremità (tav. IV, fig. 8). La terza misura 25 mm. nel diametro maggiore ed ha un largo foro svasato dalle due parti. Piastrelle non forate. Sotto questa rubrica si possono comprendere gli oggetti seguenti ; a) Lamella di conchiglia di forma ovale, lunga 26 mm., ornata sopra una faccia, per metà del suo perimetro, di tanti taglietti obliqui, marginali. — 4ΐι — b) Ire frammenti di Triton nodiferum, convertiti in piastrelle arrotondate mercè lo stropicciamento, ed altro pezzo della stessa conchiglia ridotto a figura di lastrina triangolare ; questo è logorato sulle due faccie e attorno agli spigoli. c) Una piastrella madreperlacea, irregolarmente rettangolare, lunga 35 mm., larga 23. Due dei lati sono determinati da un taglio artificiale, gli altri due da una spezzatura forse accidentale. Dalle pieghe poco risentite che si distinguono in tal piastrella e dalla sua particolare lucentezza, argomento che sia tratta dalla madreperla di una Pinna. Questo genere di molluschi si trova non comune in Liguria, alla profondità di più diecine di metri. Esso è proprio ad un piccolo numero di località del nostro litorale. A^erghette nasali. Don Morelli raccolse negli strati più profondi della grotta parecchie verghette di conchiglia piegate ad arco, arrotondate alle due estremità e leviora- o tissime, verghette non più lunghe di 3 cm. e mezzo (fig. 103). La mancanza di ogni foro, solco od intaccatura che permettesse di attaccarli al corpo o ad un indumento mi vietò di considerare questi oggetti come ornamenti o talismani di uso comune. D altra parte, e per 1’ estrema cura colla quale sono levigati, massime ai due capi, e, dopo confronti con manufatti analoghi adoperati dai selvaggi odierni, in ispecie dai Papuani, sono giunto alla conclusione che furono foggiati per essere introdotti nel setto delle narici (1), non saprei dire se affine di adempiere a qualche prescrizione religiosa o a guisa di fregio bizzarro. (1) La perfetta loro simmetria esclude che si portassero nella cartilagine nasale ad uso degli steccolini di legno 0 delle bullette di ottone che usano le donne in quasi tutta 1’ Etiopia. — 412 — Paolo Mantegazza scrive nei seguenti termini come siano portati da alcune tribù della Nuova Guinea oggetti di simil genere : « La faccia è ornata o sfigurata, come si vuole, da vari ornamenti, il naso è forato, e attraverso il setto sono passate due zanne di cinghiale riunite in modo da aver l’apparenza della luna nuova colla concavità in alto e con le punte arrivanti sino ai lati degli occhi. Altre volte, venne imitato codesto ornamento con dischi di conchiglia smangiati da un lato o più semplicemente vi si sostituisce, come tra orli Arfak, un cilindro massiccio di conchiglia (tav. XIV, fig. 969) > (1). Fig. 10 3. Fig. 104. Verghetta da introdursi nel setto na- Pezzo di pomice artificialmente sol- sale, caverna delle Arene Candide; cata, delle Arene Candide; assai grand, nat. ridotto. Sospetto che possa aver analogo significato, che fosse cioè destinata ad essere introdotta in un foro del setto nasale, oppure del labbro inferiore od anche nel padiglione dell’orecchio, una verghetta di conchiglia, lunga 36 mill, foggiata a guisa di prisma triangolare asimmetrico, ad una estremità terminato in punta smussata, all’ altra irregolarmente arrotondato. Questo manufatto proviene dal cunicolo (1) Mantegazza, Studi antrop. ed etnog. sulla Nuova Guinea, p. 55· Firenze, 1877. — 413 — che si diparte dalla estremità della camera maggiore della caverna, verso ponente. Erano forse destinati ad introdursi nelle labbra o nel setto nasale certi cilindretti di calcare un po’ assottigliati ad una estremità, scoperti nella grotta funeraria di Cascaes, presso Cintra in Portogallo (i). Ami da Pesca. Sotto questo nome comprendo tre archi di circolo di diversa grossezza ricavati da conchiglie. L’uno, il maggiore, è tolto dalla partq periferica di una valva superiore di Spondylus ; esso è troncato ad una estremità ed appuntato all’altra, ma la sua punta è smussata. Gli altri due sono tolti al peristoma di due grossi Trochus, e presentano entrambi una estremità appuntata e tagliente, mentre l’altra offre un ingrossamento destinato a trattenere il nodo della lenza. Altro frammento di conchiglia, in forma di spina arcuata, ed acuminata, della lunghezza di 55 mm., ricavato, se non sono in errore, dal labbro destro di una Cassis sulcosa, era forse destinato ad essere legato a sottile asticella, per formare un amo da pesca simile a quelli che i Papuani e i Polinesiani fabbricano per mezzo di pezzi di madreperla o di spine di pesce. I tre oggetti primamente registrati provengono dalla regione occidentale della grotta; il quarto dalla camera Wall. Trombe marine. Parecchi Triton nodiferum coll’apice mozzato, per modo che se ne possono trarre dei suoni come da una tromba, mi persuadono che il costume attribuito ai Tritoni della favola fosse pur praticato dai nostri cavernicoli. Cucchiai. Uno di questi, tratto da un guscio di Triton nodiferum, fu raccolto nel 1874 ed è ora ostensibile nel Museo civico di Genova; un altro ne trovai posteriormente, (1) Cartailhac E., Les àges préhistoriques de l'Espagne et du Portugal. Paris, Reinwald, 1886. — 414 — ed è compreso nella collezione del Museo etnografico e preistorico di Roma. In entrambi il margine è arrotondato e limato, e da ciò principalmente io desumo la destinazione loro. Forse ad uso di cucchiaio servivano pure alcuni gusci di grosse arche, di Spondylus e di ostriche, trovati qua e là nella grotta ; ma questa non è che una mia presunzione. Oggetti di terra cotta. — Gli oggetti di terra cotta estratti dalla caverna sono quasi esclusivamente cocci appartenenti a più maniere di stoviglie e sono riferibili a due periodi archeologici, i cui prodotti industriali vennero per così dire a sovrapporsi e in parte a confondersi nel suolo della caverna. Fittili di Tipi romano e protostorico. Alcuni sono pezzi di vasi foggiati al torno e con pasta fina e omogenea, i quali, sia per le forme, sia per la materia, non differiscono menomamente dai fittili che si trovano in abbondanza fra i ruderi romani di Vado, Albissola, Libarna, Ventimiglia, ecc. Consistono specialmente in fondi di grandi anfore fatti a cono tronco o a punta smussata, in cocci con pezzi d’orlo rimboccato all’esterno e con ventre prominente, in anse assai grandi e piegate ad arco. Questi avanzi (raccolti da tutti gli esploratori della caverna) provengono senza eccezione, dagli strati di terriccio compresi fra la superficie e 40 cm. di profondità, ed è notevole il fatto che nei medesimi strati si trovano bene spesso accanto ad oggetti che sogliono tenersi in conto di preistorici. Fra i fittili rinvenuti nella caverna merita pure di essere menzionata, non tanto per la forma quanto per gli ornamenti, una tazza assai depressa (profonda da 5 a 6 cm.), di circa 30 cm. di diametro, dal fondo pianeggiante di 8 cm. di diametro, formata di pasta bruna, grossolana e ben cotta. Essa è esternamente annerita con fuliggine e lisciata a spatola. Nella zona parietale, all’esterno, si osservano tre striscie concentriche al fondo stesso, striscie — 415 — leggermente impresse ottenute a quanto pare per mezzo delle dita. 11 fondo è poi ornato, all’esterno, di un fregio parallelo al margine, costituito di io impressioni circolari, con rilievo centrale, disposte in circolo, le quali sembrano prodotte mediante uno stampo, segno che il vaso non è più antico della fase dei metalli ed appartiene probabilmente alla calcolitica (fig. 40). E da menzionarsi un altro piccolo coccio, coperto esternamente da quattro rilievi irregolari e schiacciati che si sovrappongono come embrici d’un tetto ; il vaso era assai piccolo, a pareti sottili, di pasta rossastra, omogenea e ben cotta, e probabilmente data dall’ultima epoca durante la quale la caverna fu frequentata. Fittili di 1 ipo neolitico. Rispetto ai cocci più grossolani premetto che sono assai più numerosi e che si incontrano dalla superficie fino alla massima profondità raggiunta cogli scavi, di circa 3 m. e mezzo sotto il livello del suolo. Essi son foggiati a mano, cotti senza l’aiuto del forno, e risultano di argilla impura, per lo più di color bruno o rossiccio. Una delle forme più comuni era quella, presso a poco cilindrica, delle nostre volgari pignatte. I vasi di tal fattura avevano l’orlo semplice, il fondo pianeggiante o ap pena un po’ convesso e portavano d’ordinario un solo manico. Erano pur frequenti i vasi ovato-conici a fondo piatto. Alcuni pezzi accennano a vasi di forma semiovale, un po’ meno alti del tipo sopradescritto e col fondo arrotondato ; anche questi, a quanto pare, forniti di un solo manico. In altri poi si manifesta una forma ventricosa in basso e cilindroide in alto, come può vedersi dalla fig. 13, tav. III. Alcuni frammenti di impasto più fino offrono ornati a graffito, e presso l’orlo sono muniti di fori per mezzo dei quali il vaso si poteva sospendere ad una cordicella. — — 416 — Pochi pezzi appartengono ad una specie di olla ven-tricosa, alquanto strozzata presso l’orlo, con un piccolo manico o due, all’altezza della strozzatura. Caratteristici i vasi a bocca quadrangolare, di cui ebbi ad occuparmi trattando in tesi generale delle stoviglie di tipo neolitico. Quello quasi completo, figurato al n. 15 della tav. Ili, è compreso nella collezione Perrando; di altri più o meno ornati si può veder l’immagine nella Iconografia del Prof. Morelli, dalla quale fu tratta la mia figura 30. Rispetto agli ornati, ricorderò due pezzi di vasi che offrono parecchi ordini d’ intaccature verticali, paralleli all'orlo; ed uno, in cui v’ha una serie di segnetti verticali in un senso e una serie di piccoli tratti orizzontali in un altro. Un piccolo coccio della medesima raccolta è coperto di sistemi di lineette tremolate, dirette in vari sensi djg· 34)· Fra gli oggetti raccolti da me, nel 1874, un frammento offre due ordini di linee tremolate longitudinali, l’uno prossimo all’orlo, l’altro sul ventre del vaso (fig. 35). In altro coccio l’ornato è distribuito in due zone e risulta di segni fatti premendo un oggetto appuntato sulla pasta ancora molle; nella prima zona si osservano tre file di segnetti trasversi, poco profondi, alternanti con due file di tratti obliqui; nella seconda zona si vedono tre file di segni obliqui, alternanti con due di tratti trasversi. Un esemplare, che raccolsi insieme al precedente, presenta un pezzo d’orlo semplice ed assottigliato, e al di sotto un cordoncino poco elevato, dal quale si dipartono due ordini d’ impressioni oblique, che forse stanno a rappresentare foglie attaccate ad un ramoscello. In questo le impressioni sembrano eseguite coll’unghia. Vuoisi ricordare, fra le olle della collezione Morelli, quella tanto distinta pei suoi bizzarri ghirigori graffiti, che è - 4*7 — figurata al numero 42. Un’altra merita menzione pel suo fregio, di denti di lupo graffiti, parallelo all’orlo, e per una lunga e stretta striscia longitudinale formata di tratti trasversi ; i manichi del vaso sono in numero di quattro di forma tubulare ed opposti. Gli esempi di manichi ornati sono assai scarsi; tuttavolta, il R. D. Perrando ne trovò uno della forma più comune, in cui vi ha, per ciascun lato, una serie di incisioni parallele, trasversali, e in mezzo una serie d’intaccature. Altri manichi, in forma di prominenze compresse, semi-circolari, che furono rinvenuti da me nella caverna, presentano intorno al margine loro delle crenature più o meno profonde (fig. 38, 39). I vasi ad ansa rialzata e dilatata all’estremità superiore, che sembrano una transizione alla forma lunata delle terremare, vasi d ordinario bassi, a bocca dotata di margine semplice, a fondo convesso, a carena mediana, si litrovano nella necropoli di Golasecca al pari di certi fittili assai rari (di altri punti del Finalese), ornati all’ esterno di sottili cordoncini paralleli all’orlo; ma in alcun caso le figuline delle nostre caverne porgono esempio di delicata decorazione a lucentezza grafitoide e specialmente di quella che comprende tra i propri motivi figure d’uomini o di animali. In tesi generale esse offrono analogie più o meno strette con quelle delle stazioni neolitiche dell’Italia media e meridionale, della Sardegna, della Sicilia, della Provenza e della penisola Iberica. I vasi biconici si ritrovano nella stazione di Lagozzetta presso Besnate (Lombardia), ed in Sicilia, ma non conosco olle preistoriche a bocca quadrangolare che della Liguria e dell’Ungheria. Affinità invero straordinaria si osserva fra la nostra ceramica e quella della stazione ungherese di Tordos, illustrata da Hubert Schmidt, nella quale tuttavolta i fregi alla greca, i complicati arabeschi, le sigle e la svastica o croce — 418 — gammata, accennano ad una evoluzione artistica più inoltrata. Ciotole. Fra i fittili della collezione Morelli provenienti da questa caverna son compresi due piatti o meglio scodelle analoghe a quelle che si adoperano nel contado, destituite però di vernice e foggiate a mano. Calici. La collezione del Museo di Genova comprende un bel bicchiere integro, alto poco più di 6 cm., di forma cilindrica in alto, e arrotondato in basso (tav. Ili, fig. io). Altri son compresi nella raccolta Morelli. Lampadine. Sono piccole terre cotte, simili per la materia ai cocci più rozzi, che rammentano pipe alle quali mancasse parte della cannuccia e col ricettacolo del tabacco più voluminoso del consueto. Don Perrando trovò la prima a 2 metri di profondità nel suolo delle Arene Candide; altre lampadine meno rozze furono raccolte posteriormente da Morelli, da Rossi e da me. Un arnese consimile, tratto dalla terramara di Gorzano, fu descritto dal Prof. Canestrini sotto il nome di olla caudata. Cucchiaio. Questo utensile (tav. Ili, fig. 7 e 8), somiglia moltissimo, per la forma del recipiente, ai nostri cucchiai da bocca; ma se ne allontana per quella del manico che, invece di essere lungo, è cortissimo. Nell’argilla con cui fu fabbricato, piuttosto fina e omogenea, la solita sabbia quarzosa, tanto comune nella pasta dei fittili neolitici, e sostituita da pagliuzze di mica. Esso misura cm. 6 '/2 di lunghezza, 4 di larghezza e 1 '/2 di profondità, e fu trovato a 3 m. sotto il suolo della spelonca. Nella penisola Iberica la stazione neolitica di Argecilla somministrò un manufatto simile al nostro. Figurine umane. Mi basti qui ricordare come ho già succintamente descritti i due esemplari scoperti da don Morelli, figurati nella tav. Ili ai numeri 11 e 14. ] — 419 — Pintaderas. La prima, da me trovata nel 1876 (1), presenta una faccia improntata, irregolarmente rettangolare, che presenta due solchi longitudinali mediani ed altri trasversali, un po’ obliqui rispetto ai primi (in numero di 16 per parte), disposti fra questi e il margine. La faccia opposta si protrae in manico mediano terminato in punta arrotondata e trasversalmente forato (tav. Ili, fig. 3, 4). Vedansi alla pag. 120 le mie considerazioni intorno al significato e alla distribuzione di questi oggetti. Un’ altra pintadera fu trovata nella cavità orientale della grotta, da Morelli, alla profondità di circa un metro. L’esemplare, disgraziatamente mutilato, comprende poco più della metà di uno di tali utensili. Questo pezzo ha, all’ ingrosso, la figura di un prisma triangolare, una delle cui facce laterali, alquanto convessa, porta un solco mediano, longitudinale, rettilineo, dal quale si dipartono, in direzione quasi perpendicolare, 5 solchi da una parte e 7 dall altra, pur rettilinei, ed un solco per parte, fatto ad arco ; le altre due facce del prisma sono lievemente concave. Alla estremità integra dello strumento, lo spigolo opposto alla faccia solcata si rialza in una specie di manico non perforato, in forma di cono tronco, compresso. Nel frammento di cui tengo discorso la larghezza massima della faccia improntata è di 4 cm. e mezzo; la lunghezza totale doveva raggiungere poco meno o poco più di 10 cm. I solchi sono profondi da 2 a 4 mm., e sembrano fatti premendo una lamina tagliente sull’ argilla molle. La pasta del fittile è fina, omogenea, ben cotta e dotata di singoiar durezza; il suo colore è bruno chiaro con macchiette, quali più scure quali meno. Lo strumento fu senza dubbio foggiato a mano coll’aiuto della spatola; in qualche punto, (1) Diedi una descrizione particolareggiata e figure di quest’oggetto tra le « Memorie della R. Accad. dei Lincei, serie 3.·% voi. II (pag. 29, tav. II, fig. ioa e 10b dell’estratto) ». — 42° — sembra come un po’ levigato per mezzo di un corpo duro. Di altri due tipi assai bizzarri di pintaderas la cui scoperta nella caverna delle Arene Candide e dovuta al medesimo investigatore, vale a dire di quelli a rullo e a oliva, si vedano i cenni descrittivi e le figure alle pagine 124 e 125. Coperchi Non saprei definire se.non come coperchio un disco di terra cotta, dai margini sbocconcellati non accidentalmente, ma con intenzione manifesta, il cui diametro maggiore misura cm. 16.5 e il minore 15, con spessezza media di circa un cm. Questo disco, irregolare e scabro, presenta, sopra una superficie, segni lievemente impressi nella pasta molle da piccole unghie umane ; mentre sull’altra si vedono impressioni simili e brevi solchi disposti a guisa di raggi. In una delle facce si osserva anche un arco fuligginoso che accenna alla bocca di olla assai capace, il cui diametro superava quello odierno del disco; da ciò argomento che il coperchio, da prima assai più grande, si ruppe e fu poi aggiustato con paziente lavoro, acciocché servisse a coprire vasi minori. Sotto questa rubrica va pur compreso un piccolo disco, formato di argilla bruna, omogenea, poco cotta, sopra un po’ convesso e inferiormente pianeggiante. Allorché lo raccolsi, nella parte media della grotta, a circa un metro di profondità, era così molle che credetti a tutta prima fosse fatto di legno. Rinvenni pure un coperchietto circolare con manico forato. Focaccia. Si tratta di una masserella d’argilla che ha quasi il volume del pugno, forma di ovoide irregolare schiacciato e color rosso mattone, la quale fu evidentemente impastata a mano, poi esposta al fuoco. L’artefice vi lasciò l'impressione delle dita e segnatamente quella di un pollice, la quale si presenta come un incavo di 17 mm. — 421 — di profondità. L’impronta è così netta, in qualche punto, che vi si distingue perfettamente il modello dei rilievi epidermici. Circa il significato di quest’oggetto, due interpretazioni si presentano spontanee alla mente. Esso è una porzione di argilla apparecchiata per foggiarne un vaso, caduta per inavvertenza in un focolare, oppure un campione di pasta di cui si volle sperimentar la resistenza al fuoco ; la seconda ipotesi mi sembra più verosimile della prima, giacché il pezzo, cotto con diligenza, fu poi infranto ad una estremità, per verificare probabilmente quale azione il fuoco avesse esercitata nell’ interno della massa. Ad ogni modo, si può da ciò argomentare che i trogloditi finalesi fabbricassero le loro stoviglie nella stessa caverna. Manufatti di Vetro e di Metallo. — Sotto questa rubrica è da registrarsi un disco di vetro le cui dimensioni sono: diametro mm. 38, spessore mm. 10. Esso è sopra convesso e inferiormente concavo ; nella parte centrale della faccia superiore si osserva il residuo d’un peduncolo infranto, il quale era attraversato da un foro. La materia di cui risulta è un vetro verdastro, un po’ opalescente, coperto di un intonaco bruno, dovuto ad una alterazione superficiale ; togliendo la patina con una punta di temperino, il vetro sottostante apparisce splendente di vivida iridescenza e si sfoglia in minutissime laminette. Il disco ora descritto è certamente la base di un calice o di un unguentario di fabbrica romana. La sua presenza nella caverna, a 50 cm· di profondità, un po’ al di sopra di uno scheletro umano, insieme a cocci di stovio-lie non tornite, O ' in uno strato di terriccio carbonioso intatto, è un fatto che merita di fissar l’attenzione dei paletnologi, e non si può spiegare se non ammettendo che quel coccio fosse tolto dai cavernicoli a gente assai progredita in civiltà e conservato come oggetto raro e prezioso. — 4 22 — Già notai incidentemente come nella parte superficiale della grotta si sieno rinvenuti da don Perrando alcuni stromenti di ferro che non possono risalire ad età molto remota. Da canto mio, raccolsi nelle medesime condizioni una lama di pugnale o di spada, assai alterata dall’ossidazione. Avanzi di vertebrati. — Le numerosissime ossa di vertebrati estratte appartengono principalmente a mammiferi e giacevano alla rinfusa in ogni parte della grotta, ma sopratutto presso antichi focolari ed intorno alle tombe. Due o tre volte soltanto m’accadde di disseppellirne un certo numero, collocate secondo le loro naturali connessioni. Alcune specie più comuni e non molto voluminose, come la pecora, il cinghiale, la capra, erano rappresentate nella grotta da ossa di ogni maniera. Di altre, come il bue e il Cervus claphus, mancavano all incontro le ossa più voluminose e non si trovarono che frammenti di mandibole, metacarpiani, metatarsiani, falangi e coste. Quasi tutte le ossa lunghe dei mammiferi di grandi e di medie dimensioni presentano le diafisi spaccate per lungo o rotte obliquamente. Fra i resti di grossi mammiferi, non raccolsi che un cannone di cervo ed uno di bue che fossero veramente intatti. Spesso, alla superficie di tali ossa, sopratutto presso i capi articolari, si osservano tagli trasversali, netti e profondi, e segni di raschiatura. Alcune epifisi di ruminante sembrano rose da qualche carnivoro. . Pochi teschi interi di mammiferi furono trovati nella caverna; dai pezzi raccolti, si può argomentare che i cavernicoli uccidessero i grossi quadrupedi destinati alla loro alimentazione, spaccando loro il cranio per mezzo di uno strumento tagliente. Sopra un cranio d 'Ovis, osservai, tra le basi delle corna, un piccolo foro assai stretto e rettangolare, che sembra fatto con un colpo di scalpello. — 423 — Quasi tutte le mandibole inferiori hanno Γ estremità anterioie spezzata; alcune sono prive del ramo ascendente, in altre si ruppe solamente 1 apofisi coronoide o il condilo. Le mezze mandibole intere, incontrate in scarso numero nella grotta, spettano ad un tasso, ad un cane, a due faine e a qualche mammifero di piccole dimensioni. Si trovò anche una mezza mandibola d’un altro cane, artificialmente spezzata all estremità anteriore, come sono d ordinario quelle dei ruminanti. Per la massima parte, le ossa portano tracce evidentissime eli cottura e talune sono perfino carbonizzate. È ben manifesta 1 azione del fuoco su quasi tutte le ossa di ruminanti e di suini, nonché sopra una mandibola di lepre. Le ossa di cinghiale e di porco si distinguono bene spesso, a prima vista, per la loro tinta più oscura; il che si verifica pure per gli avanzi delle terremare appartenenti alle medesime specie. Le ossa d’uccelli si trassero in gran numero dagli scavi praticati da don Morelli, nella parte orientale deTla caverna. Quasi tutte appartengono alle estremità. Quelle riferibili ai rettili ed ai pesci si riducono a poche specie. _ Le sPecie di mammiferi di cui raccolsi e determinai gli avanzi sono: il gatto selvatico, la lince, la faina, la martora, 1 orso comune, il tasso, il lupo, una varietà di piccolo cane affine al Canis familiaris palustris, la volpe, il cinghiale, il porco, il Sus palustris, il Bos primigenius (due o tre varietà domestiche), il cervo comune, il capriolo, la pecora (probabilmente la var. palustris), la capra, la lepre e XArvicola amphibius. Oltre gli animali precitati, don Morelli segnalò nella grotta: un chirottero (le cui ossa erano associate a residui di pasti), il riccio, il leopardo (tav. V, fig. 4) (i), due (1) Questa specie è rappresentata da un dente, l’ultimo premolare della mandibola inferiore sinistra, raccolto a piccola profondità nella parte occi- — 424 — Fcetorius, fra i quali la puzzola (tav. V, fig". 9)> lontra, lo scoiattolo (tav. V, fig. 5), il ghiro, il topo quercino, la lepre bianca, il coniglio, il ratto comune, il topo casalingo, l’arvicola campagnola, il cavallo, il camoscio, il daino, la foca, il delfino soffiatore, la balenottera (1). I mammiferi le cui ossa trovansi in maggior copia nel terriccio della grotta sono : la capra, la pecora, il Sus palustris e il tasso. Don Morelli si occupò pure, con particolare impegno, di raccogliere e determinare gli avanzi d uccelli contenuti nei sedimenti della grotta (2), e riuscì ad identificarne 67 specie, fra le quali assai comuni : la Columba Ιινια (85 individui), la Columba cenas (27 individui; e il Pyrrho-corax Alpinus (27 individui); meno frequenti la Columba palumba, la Pica caudata, il Coccothraustes vulgans. Tutti o quasi tutti questi uccelli servirono di pasto ai cavernicoli; le ossa loro giacevano infatti, per la massima parte, fra le ceneri, i cocci e gli altri rifiuti degli antichi foco- lari (3). Gli avanzi di rettili che si raccolsero nella grotta sono un piccolo scudo quasi intero e pochi altri frammenti ossei di testuggine palustre (Cistudo Europcea) ed un bel mascellare inferiore sinistro di Varanus, riferibile a specie indeterminata, figurato qui appresso (fig. i°5)· Questo dentale della grotta. Non essendo presumibile che il leopardo vivesse in Liguria durante la fase neolitica, suppongo che si tratti di oggetto importato da altra regione, probabilmente dall’Affrica settentrionale. A causa della sua freschezza, escludo che potesse appartenere alla var. antiqua. (1) Le specie enumerate, ad eccezione del camoscio, determinato posteriormente, figurano nell’ elenco pubblicato da Morelli negli « Atti della Società ligustica di Scienze naturali e geografiche», voi. I. Genova, 1890. (2) Atti della Società ligustica di Scienze naturali e geog., voi. IL Genova, 1891. (3) Le ossa d’uccelli erano generalmente intere, perchè gli antichi trogloditi non usavano schiacciarle come quelle di mammiferi. — 425 — / mascellare fu rinvenuto nella parte media della grotta, a metri 2.50 di profondità. Fig. 10;. Mascellare sinistro di Varanus, della caverna delle Arene Candide; grand, nat. La testuggine palustre vive ancora nel piano acquitrinoso, d Albenga, e non è quindi a meravigliarsi che figuri nella fauna della caverna. Quanto al varano, trattandosi di genere esotico, assai comune nell’Affrica settentrionale, reputo probabile che provenga da antica importazione per mano dell’uomo. È presumibile che la mascella di cui si tratta, connessa al capo del rettile, fosse unita ad una pelle, esportata in tempi remoti dai lidi affricani, come si esportano anche al presente, quali oggetti di curiosità e d’ornamento, varani imbalsamati dall’Algeria e dall'Egitto. Scarse ossa di rana verde e di rospo comune, queste riferibili ad individui di volume insolito, rappresentano nella caverna la classe degli anfibi. I resti di pesci, i quali sono solo determinati in piccola parte, consistono in ossa di Polyprion cernium, di dentice comune, di Sargus Ronde-leti, di Pagrus vulgaris. A questi possono aggiungersi alcuni denti fossili di Oxyrhina, provenienti senza dubbio dalla pietra di Finale, denti di cui forse i cavernicoli si servivano per armarne le loro frecce. Molluschi. — Sono rappresentati nel suolo della grotta da frammenti di ossicini di seppia comune e da grandissimo numero di conchiglie, specialmente di lamellibranchi (figura 106). Fra le conchiglie, son compresi parecchi Dentalium fossili, pliocenici, forse raccolti nel vicino giacimento d’Al- Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL. 28 - 4 2Ò — benga, convertiti in articoli di monile o di collana, ed una Helicidce quaternaria, estinta (Campyleea Ramoriniana), la quale in tempi remoti viveva probabilmente nella caverna. Fig. 106. Fig. I07· Mitra oleacea, coll'apice artificialmente spezzato. Valva di Cardium forata, i due oggetti della caverna delle Arene Candide (Museo geol. di Genova); figure in grand, nat. In complesso, le specie determinate sono 84, per la maggior parte marine ed appartenenti alla fauna vivente del Mediterraneo. Deve essere citata come esotica la Mitra oleacea (Reeve), propria all’Oceano Indiano, della quale tuttavolta don Morelli rinvenne 15 esemplari quasi tutti erosi (fig. 105). Altre specie, come Purpura hcemastoma e Patella ferruginea, trovate in copia nella grotta, sono rare lungo il litorale ligustico e in genere nelle acque del Mediterraneo settentrionale (1), mentre abbondano lungo i lidi della Tunisia, dell’Algeria, del Marocco. Credo che, fra le conchiglie marine, le patelle, almeno in gran parte, il Trochus turbinatus, forse le ostriche e i mitili, debbano considerarsi come residuo di pasti. Ciò inferisco, rispetto alle patelle e al Trochus, dal numero degli esemplari, dalla freschezza relativa dei gusci, dalla speciale maniera di rottura che si osserva in alcuni di essi, rottura praticata collo schiacciamento, allo scopo di estrarne il mollusco, e infine dalla ubicazione, essendo (1) Ho ricevuto in dono un esemplare di Purpura haemastoma raccolto vivente a Porto Maurizio, e mi si assicura che la medesima specie si trova lungo il litorale della Provenza. — 427 — state per lo più rinvenute tra ossa, ceneri e cocci, rifiuti di cucina. Le altre conchiglie marine, fresche o fossili, furono tutte o quasi tutte raccolte dai cavernicoli, perchè attiravano Γ attenzione loro, vuoi per le tinte vivaci, vuoi per la lucentezza spesso smaltoide, talora madreperlacea; perchè piaceva ad essi di adornarsene o forse anche di recarle seco qual ricordo di lontane peregrinazioni ; ma certamente non si cibarono dei molluschi di quelle conchiglie, alcune delle quali infatti erano già vuote ed erose quando furono tolte al loro naturale elemento. Che talune conchiglie fossero portate in dosso a mo’ di fregio, lo dimostra ad evidenza il fatto che sono artificialmente forate e che più volte si trovarono presso gli arti o presso le vertebre cervicali degli scheletri umani sepolti nella grotta (fig. 106). Negli scavi praticati in varie parti della caverna, specialmente ove abbondavano i residui di pasti, osservai zolle argillose nerastre, contenenti vacui ovoidi dalle pareti levigate e lucenti, che mi parvero da principio modelli esterni di corpi organici, di natura vegetale, distrutti, per esempio di ghiande, cui corrispondono per forma e dimensioni ; ma, dopo maturo esame, mi feci accorto che sono opera di ditteri sarcofagi. È da supporsi che tali insetti deponessero le uova nelle carni putride accumulate colà in gran copia, e che le loro larve, prima di convertirsi in pupe, scavassero nella terra sottostante i piccoli vacui di cui ho fatto cenno. Raccolte del Sig. G. B. Rossi. — Mi farò a registrare succintamente anche gli oggetti raccolti da questo esploratore nella medesima caverna, oggetti che mi furono da lui comunicati nel 1893. Ascie ed Accette levigate. Si riferiscono alle solite forme e sono quattro; una di esse fu adoperata come — 4 28 — r martello, dopo aver servito quale stromento da taglio. Pregevole un esemplare di bella giadaite verde, il quale misura cm. 6.7 di lunghezza e 3.8 di larghezza. Punta di Freccia romboidale. È lavorata con molta cura a piccole schegge e ritagliata sui margini. La sua base, alquanto assottigliata, accenna a transizione al tipo peduncolato. La pietra è piromaca. Coltellini silicei. Fra i diciassette utensili compresi in questa rubrica, alcuni, sottili, terminati in punta aguzza, potrebbero considerarsi come cuspidi di dardi o di frecce; altri, più larghi e dalla base arrotondata, servirono forse ad un tempo di coltelli e di raschiatoi. Per la massima parte, i primi hanno doppio taglio. Notevoli un piccolo esemplare di piromaca pallida, translucida ed altro di selce bianca. Raschiatoi. Ve ne ha uno di tipo comune e un altro che può dirsi doppio, perchè terminato ai due capi da margini taglienti, minutamente scheggiati. Entrambi son fatti di piromaca. Piastrella forata. Si tratta di una lastra presso a poco semicircolare, di roccia cristallina assai dura, mancante delle due estremità, che furono spezzate. Presso 1 arco, si aprono due fori piuttosto ampi, uno mediano e Γ altro laterale. La lunghezza dello stromento, supposto completo, sarebbe di circa 8 cm., la larghezza di 3.4 ; lo spessore è di 6 mm. Il margine corrispondente alla corda presenta un tagliente smussato. Ignoro Γ uso di questo manufatto. Mortaio. Consiste in una lastra quadrangolare di pietra dura e tenace, nel mezzo della quale fu praticata una cavità emisferica, relativamente profonda. Frammenti di Vaso. Sono due; cioè un fondo quasi integro ed un pezzo di parete di recipiente non molto capace fabbricato con pietra oliare. Entrambi offrono segni ben visibili di tornitura. Nel primo sono visibili tracce lasciate esternamente dall’azione del fuoco. — 429 — Alle osservazioni, relative ai pezzi di pietra oliare lavorata, raccolti nella grotta delle Arene Candide, già esposte da me, aggiungerò la notizia che frammenti di vasi consimili e forse identici, parimente anneriti dal fuoco, furono rinvenuti dal Sig. Paolo Podestà di Sarzana, R. Ispettore degli scavi e monumenti, fra i ruderi dell’ antica Limi (i). La roccia consiste propriamente per le due provenienze in un cloritescisto granatifero, a grana minuta, poco scistoso, assai tenace. I granati, piuttosto grossi e copiosi in alcuni esemplari di Luni, sono invece piccoli e scarsi in quelli del Finalese. L’architetto Alfredo d’Andrade mi mostrò da canto suo rottami della stessa natura trovati nelle fondamenta del Castello di Pavone (Canavese), insieme ad avanzi romani e medioevali (2). Macine. Sono in numero di nove, e fra queste una ha forma di lastra artificialmente arrotondata. Le forme dei macinelli, dei percuotitoi, dei ciottoli anneriti dal fuoco sono le più comuni. Essi trovatisi in gran numero. Ocra rossa. Alcuni pezzi. Punte di Lancia d’Osso. Le tre che mi furono presentate sono tutte assai grossolane e simili agli esemplari già descritti come raccolti nella erotta Pollerà. o Punte di Zagaglia e di Giavellotto d’Osso. Tredici esemplari compresi nella collezione Rossi non offrono alcuna particolarità degna di nota. Ago crinale? Registro con dubbio sotto questo nome un punteruolo d’osso appiattito, più lungo e più diligentemente lavorato degli altri. (1) Intorno alla lavorazione, agli usi ed all’età dei manufatti di pietra oliare veggasi pure : « Bullettino di Paletn. ital., voi. Ili, 1877, pag. 96 e X, 1884, pag. 80 ». (2) 11 Prof. Pigorini mi avverte che nel gabinetto di storia naturale della università di Parma si conservano frammenti di macina romana di clori-toscisto poco scistoso, con granati grossi e copiosi. — 430 — Lisciatoi e Stecche. Alcuni, in numero di sei, sono lamine o schegge ossee, più o meno spianate e levigate. Altre meritano un cenno speciale e sono : a) Una lastra di corno cervino, un po’ arrotondata ai due capi. b) Una stecca d’osso, ricavata da una costa di rumi' nante, con largo foro di sospensione ad una delle sue estremità. c) Si tratta di un pezzo di diafisi d’ osso lungo, ridotto in forma di prisma esagono, troncato ad un capo e tagliato in isbieco all’altro. Somiglia all oggetto figurato al numero 3 della tav. II. Pendagli. Tre denti di cinghiale ed un canino di carnivoro, forati nella radice, sono inscritti sotto questo nome. Manufatti di Conchiglia. Si possono distinguere nei seguenti gruppi : a) Piastrelle in numero di sei, ad un solo foro. Una di queste, di forma circolare, ha 46 mm. di diametro; le altre, di forma irregolare, sono più grandi o più piccole. b) Una piastrella di forma rettangolare a due fori. c) Un pendaglio foggiato con un frammento di Cassis, e spezzato. d) Inoltre, sono comprese nella raccolta trentasette valve di specie diverse, coll’apice attraversato da un foro artificiale, e buon numero di conchiglie di gasteropodi parimente forate. Cocci di Terra cotta non torniti. I frammenti di vasi di terra cotta, non lavorati al torno, raccolti in questa caverna dal Sig. Rossi, sono numerosi, ma appartengono tutti, per quanto mi pare, alle forme già descritte, a quelle, cioè, dette ; ovata, ovato-conica, sferoidale-carenata, e ad altra, non ben definita, a bocca quadrangolare. Alcuni fra essi presentano appendici, fra le quali mi piace ricordar qui soltanto quelle che mi sembrano rare o nuove : — 431 — a) Un manico in forma di orecchietta quadrangolare, assai sporgente. b) Un manico fatto a guisa di prominenza arcuata, con due fori verticali. c) Un manico fatto come il precedente, ma più esteso lungo la circonferenza del vaso, con quattro forellini verticali. I cocci ornati offrono i soliti cordoni semplici, impressi o solcati, e i consueti graffiti, intorno ai quali ho insistito abbastanza, trattando dei fittili della grotta Pollerà. Notevole un framménto (circa l/2) di vaso ovato, provvisto di due bugnette marginali a guisa di manichi, il quale conteneva un ciottolo di quarzite annerito dall’azione del fuoco. Da siffatto ritrovamento si potrebbe congetturare che i cavernicoli, allo scopo di riscaldare un liquido senza esporre al fuoco il recipiente, usassero introdurre in esso ciottoli roventi o caldi, come tuttora si pratica presso certi popoli selvaggi. Cocci torniti. Insieme agli avanzi di vasi di fattura neolitica se ne trovano molti nella grotta (e non mancano nella raccolta di cui mi occupo in queste pagine) che presentano tutti i caratteri dei fittili romani, cioè forma caratteristica, finezza ed omogeneità di pasta, segni di tornitura, cottura uniforme e perfetta. Tali frammenti sono in particolar modo parti di ventre, fondi conici ed anse di olle ed anfore. Già mi occupai di uno fra questi in cui si osserva un graffito di foggia neolitica associato ai caratteri propri ai fittili romani (fig. 43). Fusaruola. È un oggetto discoide, piano-convesso, un po’ schiacciato, di 6 cm. di diametro e di 14 mm. di spessezza massima. La materia è terra pura e omogenea, ben cotta e lisciata a spatola. Contenuto di una Tomba. Oltre un certo numero di ossa umane isolate, sparse senza ordine nella grotta, il — 432 — signor Rossi mise allo scoperto una tomba conforme a quelle già descritte, la quale conteneva uno scheletro di adulto insieme agli oggetti seguenti: a) Un coltellino siliceo. b) Una piastrella d’osso. c) Un pendaglio tratto dalla porzione apicale di una valva di Pinna, forata nella parte più larga. d) Un frammento di grosso Pectuncuhis. In complesso gli scheletri umani integri estratti dall’ossario sono almeno in numero di 20; mentre le ossa isolate, fra le quali alcuni teschi, rappresentano, secondo un computo approssimativo, altri 10 individui. Caverna di Galuzzo. Questa, detta in vernacolo Tana di Galuzzo (o di Galluzzo'), si apre a circa un chilometro dalla stazione di Borgio Verezzi, verso levante, presso una fornace da calce. La sua apertura, larga 26 m. e bassa, si trova a pochi metri d’altitudine sul livello del mare e a circa 120 m. di distanza dal battente di esso. L’apertura stessa è acclusa nella cinta di un orto, in mezzo al quale sorge la villetta del dottor Bracale. La caverna consiste in una cavità principale, che misura m. 37.50 nella maggior dimensione, da S.E. a N.O., e 1 1 di larghezza media, da N.E. a S.O., con due propaggini principali, collocate nel senso della larghezza, l’una maggiore all'estremità S. E., l’altra minore all’estremità opposta. Un muro a secco, nella parte media, provvisto di un’apertura a mo’ di porta, divide la cavità nel senso della larghezza in due parti disuguali, l’una anteriore piuttosto ampia, l’altra posteriore meno estesa. A questa appartengono le due propaggini anzidette. La volta della caverna presenta qualche stalattite soltanto nelle parti più profonde, e nel rimanente mostra a — 433 — nudo il calcare bigio triassico, di cui risulta tutto il litorale fra Pietra Ligure e Finalmarina. Il suolo, discendente gradatamente dall’esterno verso l’interno, consta superficialmente di terriccio bruno, sparso di sassi caduti dalla volta, e al di sotto, di sabbia silicea, biancastra, simile a quella delle Arene Candide e della spiaggia odierna. Sotto alla sabbia, presso le pareti e nelle anfrattuosita della roccia viva, si trova qua e là qualche incrostazione stalagmitica, con scarsa breccia ossifera a cemento rossastro, contenente fossili che saranno enumerati più innanzi. Nello strato sabbioso si raccolsero parecchi manufatti ed altri oggetti certamente apportati dall’uomo, cioè: a) Una lesina d’osso, verosimilmente una fibula di piccolo ruminante, appena appuntata. b) Una piastrella di forma irregolare, non perforata, ricavata da una valva di Spondylus gcederopus ; è lunga 3 cm. e larga 2.5. c) Fittili in piccolo numero. Sono parecchi cocci, che appartengono a vasi grossolani, foggiati senza l’aiuto del torno, e in generale mal cotti. Uno di questi è fatto di pasta nerastra, poco omogenea, e presenta orlo semplice, con ansa verticale, che si attacca superiormente ad un cordone irregolare, parallelo all’orlo. La forma del vaso sembra essere stata ovato-cilindrica. Un altro pezzo appartiene ad un recipiente a bocca un po’ svasata, ornato esternamente di solchi concentrici un po’ sotto il margine. Un terzo coccio, dal quale nulla si può argomentare circa la forma del vaso, è coperto esternamente di solchi irregolari paralleli, assai fitti, impressi nella pasta molle mercè una punta. d) Una piastrella di bronzo, di forma circolare, del diametro di 52 mm., dello spessore di 1 mm. Una delle sue facce, liscia e pianeggiante, non presenta nulla di notevole; sull’altra sono saldati, presso due punti del mar- — 434 — gine diametralmente opposti, ad ugual distanza dal centro, due dischetti peduncolati, ciascun dei quali destinato forse ad introdursi in un occhiello, allo scopo di sorreggere la piastra, che doveva servire a mo' d ornamento. Le proporzioni di quest’oggetto mi fanno supporre che fosse parte di una cintura. Fra gli oggetti raccolti coi precedenti, in cui si manifesta l’azione dell’uomo, \7uol essere ricordato anche un rozzo macinello di quarzite. Mi basterà notare, infine, per memoria, il ritrovamento di buon numero di conchiglie marine o terrestri, parecchie, tra le prime, sono forate o logorate per mano dell’uomo. Gli ossami d’animali raccolti nella caverna di Galuzzo appartengono a due o più epoche distinte. Alcuni pochi, raccolti entro una terra rossiccia che occupa alcune piccole anfrattuosità del fondo roccioso, presentano lo stesso aspetto dei fossili della grotta delle Fate, risalgono verosimilmente allo stesso periodo quaternario, e non sono in relazione con vestigia umane ugualmente antiche. Altri invece, che erano associati ad avanzi dell’ industria umana, si trovarono a un dipresso nelle medesime condizioni di quelli che provengono dagli strati meno profondi della vicina caverna delle Arene Candide, e, mentre sono assai antichi dal punto di vista storico, possono dirsi, sotto 1 aspetto paleontologico, recentissimi. I fossili antichi della caverna di Galuzzo sono: a) Una mezza mandibola sinistra di suino, mancante delle due estremità e del margine inferiore del corpo, con cinque denti tra molari e premolari. b) Un frammento di mandibola inferiore sinistra, di grosso carnivoro, coll’ultimo premolare e il primo molare ferino (tav. V, fig. 1). c) Un canino superiore sinistro di carnivoro, probabilmente dello stesso individuo cui spetta il pezzo registrato precedentemente (tav. V, fig. 6). # - 435 — d) Un incisivo superiore sinistro (?) di carnivoro, intorno al quale si può ripetere l’avvertenza fatta pel canino (tav. V, fig. 8). La mezza mandibola di suino, corrisponde perfettamente alla parte omologa di un grosso cinghiale comune, e perciò si tratta della medesima specie o di specie affine, che non può essere differenziata col sussidio di quel piccolo avanzo. 11 frammento di mascella di carnivoro e quindi anche i due denti isolati si riferiscono invece, quasi certamente, al Lycorus Nemesianus, nuova specie istituita nel 1875 da J. R. Bourguignat per alcuni resti (un mascellare inferiore sinistro quasi completo, un frammento di mascellare destro ed alcuni denti isolati) scoperti nella caverna di Mars, a Vence (Alpi Marittime). Dalla memoria pubblicata da Bourguignat sui canidi fossili, quaternari, della Francia (1), si desume che il genere Lycorus si accosta precipuamente al Canis ed al Cuon (quest’ultimo rinvenuto esso pure da Bourguignat nella grotta di Mars). Ma nel Canis la formula dentale è, come ognun sa : 3-3 1 — i 4.4 2.2 i. - c. - p. m. -m.-, 3-3 i — i 4-4 3-3 mentre nel Lycorus la mascella inferiore porta, dopo i canini, procedendo dall’innanzi all’indietro, tre premolari, il ferino e 2 tubercolosi, e nel Cuon presenta, sempre dopo il canino, 4 premolari, il ferino ed un solo tubercoloso. Il Cuon primcevus, Hodgson, vivente nella regione media deH’Imalaya e in tutte le contrade montane dell’india e deH’Indocina, è una fiera somigliante al lupo e allo sciacallo, intermedia per le sue dimensioni tra queste due specie, colle quali ha molti caratteri comuni ; ne dif- (1) Recherches sur les ossements de Canidce constatis en France pendant la période quaternaire. Paris, Masson édit., 1875. — 436 — ferisce però, facendo astrazione dai caratteri meno appariscenti, per la sua dentatura e perchè porta 14 mammelle. Il Lycorus sarebbe stato, secondo Bourguignat, stretta-mente affine al Cuon, tanto per la dentatura, quanto per la forma generale e i costumi. Che il Lycorus Nemesianus costituisca una specie distinta, parmi ben dimostrato dagli studi di Bourguignat. Circa la legittimità del genere, faccio qualche riserva, perciocché, essendo fondato su due sole mandibole di individui adulti (anzi la mandibola più completa sembra appartenere ad un animale vecchio), può essere che la mancanza del primo premolare, per cui si distingue dai lupi e dai cani, dipenda dal fatto che esso premolare sia soggetto a cadere sollecitamente e il suo alveolo rimanga ben presto obliterato. In tal caso, non riscontrandosi importanti differenze nelle altre parti dello scheletro, il Lycorus sarebbe un vero Canis. Ascrivo al Lycorus o Canis Nemesianus il frammento di cui sopra, per le proporzioni del ferino, che è assai più grosso ed allungato che nei soliti Cams e nei Cuon, per la forma piramidale e l’altezza del lobo mediano di esso ferino (il quale è profondamente diviso dagli altri e munito di robusto tallone nel lato interno e posteriormente), come pure per la forma triangolare del lobo anteriore e lo sviluppo eccessivo del lobo posteriore, per la forma e la larghezza del terzo premolare. Le dimensioni del ferino sono nel mio fossile : lunghezza mm. 29; altezza mm. 17; spessezza mm. 11; un po’ superiori alle misure date da Bourguignat. Tali dimensioni corrispondono presso a poco a quelle assegnate al ferino del Lupus spelceus, il quale, tuttavolta, si mostra simile nella forma al ferino del lupo comune. - 437 — Il canino della grotta di Galuzzo si distingue da quelli di un lupo, perchè più piccolo, più assottigliato e più compresso; esso sembra un po’più piccolo e meno compresso di quello di Lycorus figurato da Bourguignat ; ma si tratta di differenza lievissima. L’incisivo è arcuato, a radice assai compressa, a sezione quasi trigona. Fra gli ossami recenti della grotta di Galuzzo, il massimo numero si riferisce ai generi Cervus, Capra ed Ovis. Del primo si trovarono la parte anteriore di un teschio di mediocri dimensioni, alcuni pezzi di grandi corna, una mezza mandibola destra e due mezze mandibole sinistre. Le corna sembrano appartenere al C. elaphus, gli altri pezzi piuttosto al capriolo. È da notarsi sul teschio, nella regione frontale, alla base del corno sinistro, un taglio lungo e profondo, fatto con gagliardo colpo vibrato da strumento tagliente. o Ascrivo alla capra comune, oltre alcune ossa lunghe, 6 mezze mandibole che sembrano riferibili ad una piccola varietà. Tre di queste mancano del ramo ascendente, per effetto di una frattura artificiale. Ad un piccolo Ovis attribuisco un cranio mancante di corna, più largo e più convesso nella regione frontale di quello di una pecora comune. Esso cranio è da un lato guasto dall’ azione del fuoco. Ascrivo anche, dubitativamente, allo stesso genere una mezza mandibola assai grossa, alla quale, secondo il solito, manca il ramo ascendente. Caverne dei pressi di Verezzi, Loano e Toirano. Caverna degli Armorari. — Ad occidente della grotta di Galuzzo sarebbe da citarsi quella degli Armorari, situata a circa mezz'ora di distanza dalla stazione ferroviaria di Borgio-Verezzi, presso la via che da questa conduce all’abitato di Verezzi ; e consiste in una cavità non molto — 438 capace, che il Prof. Morelli assunse anni sono il compito di esplorare (i). Egli non diede conto ancora del risultato delle sue ricerche, dalle quali ottenne, fra gli altri manufatti di tipo neolitico, una punta di freccia silicea, a peduncolo e ad alette uncinate. Quella designata dal P. Amerano come caverna di Verezzi e della quale afferma che « e situata in prossimità della strada che dalla stazione di Borgio Verezzi sale al comune di Verezzi, a circa 200 m. sul livello del mare, e ad un chilometro più a nord della caverna delle Aiene Candide » (2), corrisponde, circa l’ubicazione, alia grotta degli Armorari e credo sia la medesima. Amerano riferisce di aver notato nel deposito argilloso che ne forma il suolo tre straterelli di cenere e carboni, contenenti rozzi manufatti in pietra, in osso e in terra cotta, nonché avanzi di pasto; mentre nell argilla interposta abbondavano ossa umane, a quanto pare, frammentarie. Egli segnala, fra i primi, macine, macinelli e « cuspidi in quarzite di tipo paleolitico »; fra i fìttili, cita i resti di una ventina di vasi non torniti, ad elementi piuttosto fini, levigati o lucidati. Enumera pure spoglie di mammiferi domestici, come bove, pecora, capra, maiale, e di selvatici, quali sono cervo, tasso, orso comune, coniglio, ecc. Caverna di Boissano. — Chi percorra la nuova via rotabile che conduce da Loano a Boissano, calca una pianura alluviale, quaternaria, fin presso i Meceti (un chilometro e tre quarti), attraversa poi colli scistosi fino a Boissano (un chilometro e mezzo), e colà si trova alle falde d’un gruppo montuoso, la cui vetta più prossima è (1) Poco lunge il « Pozzo delle Cento Corde », spelonca meritevole di essere visitata per alcune sue particolarità d’ordine geologico, e specialmente per le sue stalattiti vitree e trasparenti, mi si manifestò sterile dal punto di vista paietnologico. (2) Bull, di Paletn. ital., voi. XVIII, n. 7-8. Parma, 1892. — 439 - quella segnata nella carta alla scala di 1:50000, dell’istituto geografico militare, col nome di Bricco Scotto (di m. 607). Entro tale montagna si aprono parecchie piccole caverne, che ebbi occasione di esplorare nell’estate del 1883. La prima che visitai, è anche la più prossima a Loano, e si trova al nord di Boissano, a circa 5/4 d’ora da questo villaggio, all’altezza di quasi 280 m. sul livello del mare, sulla sponda destra di un angusto burrone. Si tratta di un piccolissimo speco, le cui dimensioni massime sono: lunghezza m. 3.20; larghezza m. 2.30; altezza circa m. 3. L apertura, foggiata a bocca di forno, si apre a mezzogiorno, ed è in parte occupata da un masso caduto dalla volta. In fondo alla cavità sboccano due propaggini, una diretta a N.E., l’altra a N. O. ; da una di queste si penetra, per mezzo di una specie di spaccatura, in altre piccole camere più alte, che non meritano di fissare la nostra attenzione. La volta non presenta stalattiti di sorta ; il suolo risulta, parte di roccia viva, parte di terra giallastra, asciutta, mista a frammenti di calcare caduti dalla volta. Avendo praticati piccoli scavi nei punti che mi parevano più opportuni, cioè laddove la camera principale si addentra verso nord-est, raccolsi alcune ossa d’uomo e d animali, pochi frammenti di terra cotta, due conchiglie forate dall’ uomo, e un articolo di monile d’osso. Nella parte anteriore della cavità non rinvenni che pezzetti di carbone. La ristrettezza dello speco e principalmente la scarsa potenza dello strato terroso che ne occupa il fondo non lasciano presumere nulla di buono dalle ulteriori indagini che vi si praticassero. Le ossa umane sopra ricordate appartengono a due individui, uno dei quali adulto e l’altro giovanissimo (di cinque a sei anni) e sono: un omero, due clavicole, un — 440 — omoplata, un osso sternale, due ossa iliache, una rotula, una fibula e due calcanei. Questi avanzi sembrano, dal-Γ aspetto, di data poco remota. Le conchiglie rinvenute nella grotticella di Boissano sono una Cassis sulco sa ed una valva di Cardium mancante di parte del margine. Nella prima si osserva, alla parte inferiore dell’ultimo giro, un’area pianeggiante, in mezzo alla quale è aperto un foro tondo di 5 mm. di diametro. Questo foro fu praticato evidentemente collo stropicciamento della conchiglia sopra un corpo duro e scabro. Quanto al Cardium, presenta un largo foro irregolare nell’ apice. L’articolo di monile di cui si è fatto cenno consiste in un pezzetto d’ osso lungo, probabilmente d uccello, grossolanamente faccettato; ha 20 mm. di lunghezza, 6 mm. di diametro, all’estremità più grossa, 5 alla minore. I cocci appartengono a vasi grossolani, non torniti e mal cotti, simili a quelli tanto comuni nel deposito delle Arene Candide. Uno di essi è frammento di una sorta di tazza con orlo semplice, parallelamente al quale corre una carena ottusa. In questa grotta non si raccolsero che poche ossa d’animali, d’aspetto recente, riferibili tutte a piccoli ruminanti. È compresa nel numero una mezza mandibola destra di Capra, i cui denti son coperti parzialmente di un intonaco metalloideo, come si osserva in alcune località sui denti delle capre e degli Ovis viventi. Caverna di San Pietnno. — Se dalla grotticella di Boissano, si risalga il Bricco Scotto per circa tre quarti d'ora, obliquando a ponente, si giunge ad una specie di scoscendimento situato a destra di uno dei burroni che incidono più profondamente il bricco, a circa 500 m. d altitudine. Ivi apparisce una gran rupe di calcare dolomitico, che strapiomba, e dalla quale caddero molti massi ora — 441 — sparsi tutto all’ intorno. Sotto questa rupe, il monte è scavato di spelonche più o meno profonde, ma tutte facilmente accessibili e ad apertura ampia, talché non occorre far uso di lume per visitarle. Le cavità principali sono in numero di tre, assai prossime, e a diversi livelli. Gli scavi eseguiti in esse non riuscirono proficui; tuttavia, nella prima, in quella cioè situata verso S. E., osservai, entro una spaccatura, poca breccia contenente ossa di mammiferi, verosimilmente assai antiche, in cattivo stato di conservazione ; un frammento di costa estratto da questa breccia è riferibile al genere Ursus. Al di sotto, un po’ al nord-ovest della terza cavità, vidi nella roccia un’ apertura orizzontale, della lunghezza di 50 a 60 cm. ed alta quanto basta per dar adito ad un uomo di media corporatura. Insinuatomi nel foro, dopo aver strisciato per un certo tratto in angusto cunicolo, penetrai in una caverna, assai più vasta delle precedenti ed ornata di belle stalattiti, la quale risulta di una camera principale di mediocre altezza e di varie altre minori, comunicanti colla prima. Nella mia rapida visita non ebbi agio di prender misure; ma in altra, che vi fecero i signori avvocati Guido e Stefano Carrara, questi verificarono che la cavità principale ha 38 m. di lunghezza e 7 a 8 di larghezza, e che le tre propaggini, più estese misurano rispettivamente m. 9.70, 10 e 18 di lunghezza. Lungo le pareti umidissime della caverna raccolsi viventi parecchi piccoli batraci (Geotriton fuscus), e sul suolò trovai quali liberi, quali impigliati nella stalattite, ossami umani sparsi e pochi resti di piccoli ruminanti e di carnivori. Altre ossa d’uomo e d’animali furono rinvenute a fior di terra o a piccola profondità dai predetti signori Carrara. Le ossa umane raccolte (appartenenti almeno a sei individui tra giovani ed adulti) appariscono piuttosto Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL. 29 — 442 — fresche, e in gran parte sembrano infrante dal dente dei carnivori. Si trovano più abbondanti che in ogni altro in un punto della maggiore fra le tre propaggini della spelonca, ove furono probabilmente trasportate da qualche fiera. Dei caratteri antropologici di queste ossa poco o nulla potrebbe dirsi, a causa della loro condizione frammentaria. Si raccolsero colle ossa anche molti denti isolati. I manufatti rinvenuti in questa grotta sono, prima di tutto, alcuni cocci di stoviglie non tornite, poi, due ornamenti di conchiglia; cioè un piccolo pendaglio, lungo 35 mm. e largo 24, a foggia di lama trapezia ad angoli arrotondati, con sottil foro presso il lato più breve, ed una piastrella quadrangolare, lunga 34 millimetri, con larghezza massima di 18, munita di due fori nella parte mediana (tav. IV, fi a. 12 e 13). I due oggetti, quantunque logorati artificialmente sulle due facce maggiori, lasciano scorgere sopra una di queste le varici e lo smalto che riveste esternamente la conchiglia di cui sono fatte, la quale spetta al Tnton nodiferum. I fori, tanto nel primo oggetto, quanto nel secondo, furono praticati dall’ esterno all interno, facendo ruotare sulla conchiglia la punta di uno stromento aguzzo e duro. Fra i manufatti, si potrebbe pur citare a rigor di termine una valva inferiore di Spondylus gczderopus, calcinata dal tempo e rotta, munita di piccolo foro artificiale, situato presso il margine, foro di 2 mm. di diametro, fatto a doppio cono, cioè forando la superficie esterna della conchiglia verso Γ interno, e viceversa 1 interna in direzione opposta, per riuscire al di fuori. Non manufatti, ma indubbiamente recati dall’ uomo nella grotta sono alcuni ciottoletti bianchi, quali di calcare siliceo, quali di quarzite, e pezzetti di ocra rossa. Quanto ai resti di animali, la caverna somministrò ossa e denti d 'Ursus arctos, di tasso, di cinghiale e di — 443 — vari piccoli ruminanti. In questi avanzi, i quali non presentano traccia di cottura, nè fratture, nè tagli artificiali, non vedo nulla che accenni all’ intervento dell’ uomo. L introduzione di cadaveri umani nella cavità (non dico seppellimento, giacché sembra che sieno stati semplicemente deposti sul suolo) non fu susseguita da banchetto funebre, almeno entro la stessa caverna. D’altronde, per l’angustia della sua apertura, per le tenebre e Γ umidità che vi regnano, essa era disadatta all’ uopo. Fecero di certo loro pasto le fiere, a spese dei defunti, le cui ossa, sparse in disordine sopra una estesa superficie, portano impresse le tracce lasciatevi dalle zanne dei carnivori. Caverna Ghiara. — La grotta Giara o Ghiara si apre nel fianco della Rocca Berleurio (i), sulla riva sinistra del Rio della Valle, affluente del Varatiglia, a circa 620 metri d altitudine sul mare. Per giungere a questa grotta, partendo da Toirano, grosso borgo situato a circa 3 chilometri dalla stazione di Borghetto Santo Spirito (lungo la linea ferroviaria Genova-Ventimiglia), si risale il Varatiglia e poscia il Rio della Valle per circa un’ ora e mezza, seguendo la strada mulattiera che conduce a Bardineto ; oltrepassata la base del monte sul quale sorge la cappella di S. Pietro, si abbandona la strada e, volgendo a destra, si ascende la montagna lungo uno dei valloni, da cui è solcata, quindi, per mezzo di erto sentiero, si perviene in venti minuti presso l’apertura che apparisce a guisa di ampia porta, larga 8 metri ed alta altrettanto. L’ ultimo tratto della salita è ripido e malagevole. La roccia nella quale si apre la grotta è un calcare bigio triassico, di cui risultano i monti che limitano quella vallata quasi da un capo all’altro. (1) Si veda la carta topografica alla scala di 1:50000, dell'Istituto geografico militare, N.° 92. — 444 — La caverna consiste in una cavità mediocremente larga ed alta, piuttosto regolare, che si addentra quasi orizzontalmente per 109 metri. Nel primo tratto, di circa 34 m., essa è diretta da S.O. a N.E. ; poi prosegue verso il N. Ove cangia la sua direzione, l’asse della cavità è occupato da due grosse stalagmiti a guisa di pilastri. Dalla volta pendono scarse e piccole stalattiti, che si convertono lungo le pareti in concrezioni foggiate a guisa di drappi. Quanto al suolo, è formato di terra bruna, ricoperta e cementata in qualche tratto da concrezioni calcaree. Praticando uno scavo in questa terra, presso l’apertura, si trovo alla profondità di pochi centimetri uno strato nerastro, carbonioso, contenente ossa di ruminanti e di suini, con scarsi cocci di vasi neolitici e romani. A maggior distanza dall’ apertura, i resti di animali e i manufatti si fecero più radi o mancarono affatto; come pure mancarono nelle fosse praticate a profondità maggiore in varie parti dello speco. Morelli diede la figura di un coltellino a due tagli, di piromaca, rinvenuto in questa grotta (.Iconografia, tav. LXIX, fig. 29, 30). Altre Caverne. — Nella medesima valle del Varatiglia il Prof. Morelli visitò altre grotte, nelle quali osservò tracce della dimora dell’uomo. Fra queste la Tanassa, presso Toirano, gli fruttò la bella cuspide di freccia a foglia di sambuco, da me figurata alla pag. 43> come pure un coltellino a doppio taglio, tratto da una lama di piromaca. La grotta che si apre a pochi metri al di sotto di quella convertita in santuario e dedicata a Santa Lucia mi somministrò cocci neolitici ed ossami di poco conto, mentre Morelli vi raccolse un coltellino di selce. Altro utensile analogo ridotto a frammento fu trovato dallo stesso raccoglitore nella caverna detta dei Balzi Rossi, in Val Varatiglia (.Iconografia, tav. LXIX, fig. 31). Da canto mio, praticai inutilmente assaggi superficiali in parecchie cavità situate in riva al Varatiglia e segna- — 445 — tamente nella Tana Sgarbà, nella Tana Marie, e riserbai a tempo migliore indagini da tentarsi in quelle dette da Basura, do Furgau, de l’Oliva, do Pisciou ecc., come pure in altre nel territorio di Bardineto, i cui calcari dolomitici sono assai cavernosi. Nel circondario d’Albenga, ove sono pur frequenti le anfrattuosita, furono vane le mie indagini nelle caverne denominate Arma di Gemi, Anna do Ciossu, Arma di Beugi e Arma di Val di Neva presso Zuccarello, come pure in quelle dette Arma de Tibon, Arma do Risso e Arma de Filippon, situate sulle rive dell’Auzza affluente del Neva (i). Caverne situate a ponente di Porto Maurizio Fra Porto Maurizio e il confine occidentale del regno non mancano certamente stazioni preistoriche di tipo neolitico; ma di queste non mi è pervenuto che qualche notizia succinta o incerta, della quale stimo tuttavia tener conto, come di ogni altro elemento relativo alla distribuzione geografica delle antiche sedi della gente ligure. La cosidetta Tana Beltramo sul Monte Faudo è indubbiamente un sepolcreto preistorico, nel quale la signorina Grace Hood, che vi fece praticare alcuni scavi, rinvenne ossa umane, avanzi di pasto (cioè ossa di erbivori spezzate) e due punteruoli fatti colle diafisi di ossa di ruminanti. Fra Santo Stefano Riva e San Remo esistono tre grotticelle, nelle quali Francesco Molon afferma d’aver raccolto ossa di cervo, di capriolo e di bove. Nell’ingresso della maggiore, soggiunge, fu eretto un piccolo delubro destinato al culto, appartenente al comune di Bussana. Il Prof. (i) Parecchie grotticelle da me visitate nella Valle dell’Auzza furono altre volte adibite ad uso di abitazioni o di ovili, come apparisce dai muri innalzati di contro alle loro aperture. — 446 — G. Gentile mi fece dono di alcune ossa di cervo provenienti da quest’ultima, che è probabilmente la medesima, già menzionata alla pag. 260, della quale si occupò il Dottor Lupi. Queste ossa sembrano avanzi di pasto, abbandonati dall’ uomo in tempi recenti. Seppi dal defunto Prof. Celesia e trovo la conferma del fatto in una memoria di Molon (1) che nella caverna del Tuvetto o del Torello, a 7 km. da Pigna, furono rinvenuti parecchi scheletri umani, accompagnati da manufatti d’osso e di pietra. Uno di questi è la magnifica lama silicea di pugnale accuratamente scheggiata, di cui il Prof. Morelli diede la figura (2) e che è una delle armi più caratteristiche della fase di transizione fra quelle della pietra levigata e dei metalli. Si tratta di un arnese di selce bruna, lavorato a piccole schegge con rara perizia, e che appartiene allo stesso tipo del manufatto di Bobbio figurato al N° 9 della tavola I, ma è assai più allungato e snello, infatti le sue dimensioni sono 154 mm. ‘/2 per la lunghezza e 37 per la larghezza. Provengono, io credo, dalla medesima stazione alcune ossa umane, donate molti anni addietro al Museo Geologico di Genova dal D.r Giorgio Caneva. Dei prodotti d’industria umana, riferibili alla prima età dei metalli, segnalati nella grotta dell’Albarea, tra le Alpi Marittime, da Rivière, mi occupai per incidenza, esponendo le osservazioni dello stesso naturalista sulla fauna di carattere sopraquaternario venuta alla luce nella esplorazione del medesimo giacimento. Caverna « Les Spelugues » Nel 1890, praticandosi l’allargamento del piano stradale della ferrovia littoranea nel principato di Monaco, (1) Molon F., Preistorici e contemporanei, studi paietnologici in relazione al popolo Ligure. Milano, U. Hoepli edit., 1880. (2) Iconografia della Preistoria Ligustica, Tav. LVI, fig. 10. — 447 - presso Montecarlo, si misero allo scoperto piccole cavità che si manifestavano all’esterno, in una parete di calcare giurassico tagliata a picco, per mezzo di crepacci e anfratti. Era ben legittima perciò la denominazione di Spelugues attribuita a quelle rupi. Da siffatte cavità e specialmente da una grotticella in gran parte ingombra di concrezioni calcari, residuo di altra più estesa che era stata distrutta da molti anni, si trassero ossa umane, pochi resti di animali e manufatti. Questi oggetti consegnati dalle autorità del Principato al dottor Rivière furono da lui studiati (i). Dalla nota pubblicata in proposito risulta che gli avanzi umani, fra i quali non è compreso alcuno scheletro completo e manca ogni cranio, sono poco caratteristici, ed appartengono a nove individui di cui 7 adulti, riferibili ad una razza di piccola statura. Un mascellare figurato dall’autore accenna a mento piuttosto largo e retto. Due omeri presentano la cavità olecranica perforata. I manufatti consistono in una punta di freccia di forma amigdaloide e a base troncata, scheggiata non molto finemente, in una silice di color bruno chiaro, e in parecchi cocci di terra cotta, resti di vasi grossolani non torniti ; in due di tali frammenti il margine è crenato, in altri due si osserva un cordone formato di impressioni digitali. In complesso abbiamo qui un nuovo esempio di grotta funeraria neolitica, nella quale furono depositati i morti di gente non diversa da quella che lasciò le proprie spoglie nelle spelonche del Finalese e del Savonese. Caverna dei Bassi Molini La così detta eaotta des Bas Moulins è costituita di o due piccole cavità comunicanti fra loro che si aprono alla base di una rupe a strapiombo. Questa serve di sostegno a (1) Rivière E., La grotte des Spélugues. Association frane, pour l’avanc. des Sciences, Congrès de Carthage, 1896. — 448 — due frantoi d’olive, situati in riva di un piccolo vallone, il quale accoglie le acque della sorgente Noce e la derivazione di altre più copiose note sotto il nome di Font-Divina. Esse contenevano un ossario, il quale scoperto nel 1898, durante certi scavi eseguiti nella villa Imperty a Montecarlo (Principato di Monaco), fu esplorato con diligenza ed illustrato per cura del dottor Verneau e del canonico Villeneuve sotto gli aspici del principe di Monaco. I numerosi mutamenti subiti dalla località in vari tempi per mano dell'uomo e per contingenze naturali non lasciano rintracciare con sicurezza le condizioni originarie del giacimento, dovute a residui di sepolture primitive, ad antichi focolari con ceneri, carboni, stromenti litici, cocci e ciottoli, il tutto cementato in breccia. Il disordine che si verifica nelle tombe sembra risalire ad epoca assai remota. Probabilmente la grotta superiore fu visitata molte volte per procedere a successive inumazioni, e gli antichi avanzi umani furono gettati nella sottostante, per far posto ai nuovi cadaveri. Potrebbe darsi che i corpi fossero stati sepolti da prima in un altro punto e che dopo la distruzione delle parti molli, il sotterraneo avesse servito di ricettacolo agli scheletri già scarniti. Fra i manufatti litici, è da notarsi un coltellino di silice assai stretto e allungato (misura nella maggior dimensione 120 mm. di lunghezza), a sezione trasversale triangolare, minutamente ritagliato lungo i margini e un po’ arcuato. Sono pure da ricordarsi un piccolo coltello di selce bianca, translucida, a due nervature, che presenta segni di logoramento dovuti all’uso, nonché una punta di lancia spezzata, che porta tracce d’ustione, e varie lame di silice quali integre quali rotte. Nel terreno circostante furono rinvenute anni sono due piccolissime accette di pietra levigata, ora conservate nel Museo di Monaco. — 449 — I fittili di cui si raccolsero i resti nell’ossario offrono le consuete fogge di quelli delle stazioni neolitiche, con motivi di decorazione semplici e grossolani (prevalgono fra gli ornati ί cordoni con impressioni digitali). Si rinvennero parecchie piccole tazze o bicchieri quali ovoidali, quali a campana. La fauna consiste in poche ossa di cani, riferibili a due distinte varietà (una delle quali sarebbe il cane da pastore), ad una capra e al camoscio. Le ossa umane appartengono almeno a 58 individui quasi tutti adulti; ma, essendo per la massima parte incomplete, non se ne possono desumere tutte le indicazioni desiderabili dal punto di vista della antropologia. Esse accusano gente gracile e di piccola statura (altezza massima 1 m. 63 per gli uomini, minima 1 m. 40 per le donne). In parecchi omeri si trovò la cavità olecranica perforata. Platimeria e platicmenia frequenti. Pochi teschi, integri o quasi, si prestano allo studio. Uno solo schiettamente dolicocefalo, due mesaticefali, uno sottobrachicefalo, uno brachicefalo. Nei crani brachicefali di cui si tratta la glabella è poco accusata, la fronte si innalza da prima diritta, per poi inflettersi bruscamente a livello delle gobbe frontali laterali. La curva si continua con regolarità, sollevandosi lentamente, fino verso il terzo anteriore dei parietali ; a questo punto si produce una nuova brusca curvatura che si continua sulla squama del parietale, la quale è leggermente rigonfia. La norma orizzontale presenta il cranio dilatato in larghezza a livello delle gobbe parietali e ristretto nella regione frontale anteriore. Le suture si mostrano piuttosto semplici. In conclusione, i crani mascolini della grotta dei Bassi Molini appartengono precipuamente al tipo classico di Furfoz N.° 2, detto pure d’ Orrouy. II cranio dolicocefalo della medesima stazione corrisponde al tipo di Cro-Magnon, — 450 — Il ritrovamento di dolicocefali e di brachicefali nelle stazioni neolitiche è comune anzi normale in Francia, specialmente nel nord, e nel Belgio. I secondi provengono verosimilmente da invasioni settentrionali e occidentali. G. Hervé ammette che in Francia una corrente seguì le valli della Mosa, dell’Aisne e dell Oise ed un alti a dal massiccio Alpino sarebbe discesa per la valle del Rodano. Verneau ritiene, in base alle osservazioni da lui fatte ai Bassi Molini, che il loro arrivo in Liguria si sia verificato molto prima di quanto crede Hervé. Minori anfratti e caverne. Al Capo Roux, tra Monaco e Mentone, fu scoperto molti anni or sono un piccolo rifugio rupestre, nel^ quale l’abate Cardon, che ripigliò durante il 1905 le ricerche interrotte, ebbe a scoprire ossa di mammiferi, conchiglie (avanzi di pasto), e manufatti di carattere neolitico. Saranno in breve pubblicate fra gli atti del Congresso internazionale di Monaco notizie particolareggiate intorno a questa e ad altre stazioni umane preistoriche del medesimo territorio. E qui, per non contravvenire all’ordine adottato, debbo pure ricordare i manufatti neolitici scoperti dal Sig. P. Geny in una piccola anfrattuosita della balza sulla quale sorgeva il castello, nella città di Nizza, manufatti dei quali ignoro l’ubicazione precisa e le circostanze relative al ritrovamento, mentre nulla posso aggiungere ai cenni che già ne diedi alla pag. 263. — 45ΐ — APPENDICE (i). TABELLA delle principali misure prese sulle ossa umane della caverna delle Arene Candide (scavi di A. Issel), secondo A. Incoronato. .2 òi Ui υ % <υ 1-4 D Diametro ant.-posteriore » trasverso i° . » detto 2° . » detto 3° » detto 4° . . N. I. om. 192 ora.099 o"'. 092 I Curva fronto-occipitale . . . . » trasversa . . Circonferenza orizzontale . . . Altezza della faccia..... » del mascellare superiore. Larghezza- della faccia . . . idem idem. 2° ... j Lunghezza della volta palatina . Larghezza idem . . . 20 o'n. 067 om. 038 I Distanza della stessa dal foro occip.1' Altezza del mascellare inferiore . idem delle branche..... Larghezza delle stesse..... Diametro verticale delle orbite. » trasverso idem...... Lunghezza del femore...... » della tibia....... » dell’ omero...... » del cubito....... » del radio ....... Indice cefalico......... detto del radio......... (1) Vedasi la pag. 388. 0". 029 om. 043 Om. 034 0-.03 5 0". 037 » » o”, 220? 0™. 180? om. 170? » » N. II. 0'". 179 om. 102 om. 092 O”. 135 0'". 127 320 om. 290 510 0” 062 0"· 039 Om. 114 0”. 04$ 0m· 0)5 0”. 047 om. 044 0m.030 om. 051 om. 040 0”. 052 om. 041 o”· 413 o™. 340 0m. 288 0”. 235 om. 225 75-4' 78.12 N. III. o”. 192 om. 104 om. 096 om. 128 om. 133 ora.310 om. 282 om. 510 on’. 068 om. 042 om. 105 o™. 050 om. 054 om. 047 om. 042 om. 046 om. 056 om. 038 o". 034 o”. 039 0"’. 380 om. 310 0". 275 o". 225 Om. 2 I 5 66.66 78.18 N. IV. o”. 195 o“. 097 o". 093 o”. 140 » om. 320 om. 290 om.5 so om. 060 o“· °37 0™. I IO om. 053 om 029 0m.0)4 om. 034 om. 034 o™. 037 0™. 390 0“· 33° 0™. 260 O™. 220 0". 210 71.79 80. 76 Osservazioni Dalla glabella al mezzo della linea curva occipitale superiore. Fra le apofisi occipitali esterne. Fra i punti più rientranti della linea temporale. Fra le tuberosità parietali. Alla base dell’apofisi mastoide. Dal mezzo della glabella al mezzo della linea curva occipitale sup. Da un foro auditivo all’ altro. Fra le sporgenze delle arcate zigomatiche. Fra i forami sottorbitali. IV. — FOSSILI UMANI D’INCERTA DATA Cranio umano della Valle Varatiglia. — Mi piace di chiamare l’attenzione degli studiosi sopra un fossile estratto per opera di don Morelli da una grotticella situata presso Toirano. Si tratta di un teschio (che fu per lungo tempo depositato presso Γ istituto affidato alle mie cure), il quale è in gran parte riempito e coperto di concrezioni stalatti-tiche. Esso è biancastro, fragile, come calcinato e ridotto a poco più della calvaria. Vi rimangono in posto i frontali, da cui si distaccarono alcuni pezzetti, i parietali, uno dei quali incompleto, uno solo dei temporali non integro e l’occipitale mancante della porzione basale. Da quanto si conserva si può asserire che era di eccezionali dimensioni, ed apparteneva ad un individuo di età avanzata (le suture sono tutte ossificate), di straordinaria robustezza. La forma del cranio si accosta a quella denominata sfenoide rotondo dal Prof. Sergi. Il suo diametro antero-posteriore misura circa mm. 184 e il trasversale massimo circa 160 (1). La spessezza del frontale, a 5 cm. sopra la glabella, è di 11 mm. Le suture sono assai semplici e a grossi dentelli. Pel suo indice cefalico, il quale quasi raggiunge 87, esso si allontana singolarmente da tutti quelli rinvenuti nelle stazioni preistoriche della Liguria. D’ altra parte, differisce assai anche dalle forme rappresentate attualmente nelle nostre province. È però da osservarsi che la sua straordinaria ampiezza (che consegue dalla misura eccezionale della circonferenza) è compensata da una riduzione considerevole dell’altezza, riduzione che la mancanza della base craniense non permette di tradurre in cifre. (1) La misura è solo approssimativa perchè manca uno dei parietali. - 453 — La fronte si inizia con profilo appena arcuato, quasi verticale, poi si continua depressa con arco dolcemente ascendente. Le gobbe frontali sono poco accentuate. L'obelion è invece assai prominente. Arcate sopraccigliari poco prominenti, foggiate a guisa di due rilievi arcuati sopra le orbite, rilievi che lasciano fra loro una piccola depressione in cui si trova la glabella. Dall’aspetto il fossile si direbbe assai antico, nè la sua forma è in opposizione con tale apprezzamento. Infatti sono pur brachicefali i crani umani rinvenuti dal Prof. Gorya-novic nei ripari rupestri di Krapina in Croazia la cui età sopraquaternaria è accusata dalla fauna che li accompagna (i) e quello eziandio scoperto all’Olmo nell’Aretino descritto dal Prof. Igino Cocchi (2), probabilmente di età più remota. Non fa d’ uopo avvertire che gli esempi di tipi brachicefali si rendono di gran lunga più frequenti, fra gli avanzi umani di data posteriore e specialmente fra quelli recentissimi. Cranio della caverna della Besta. — Dall’Avv. A. Vacca, il quale perlustrò buon numero di caverne in servizio dell’ entomologia, fu donato al Museo geologico di Genova un teschio umano rinvenuto nella grotta denominata della Besta, nel territorio di Tenda. Non essendo io informato dei particolari relativi all’ubicazione e al giacimento, mi basterà qui porgere un cenno descrittivo del fossile, desumendolo da una memoria pubblicata nel 1891 dal Prof. C. Pollini (3). Si tratta di un teschio virile, incompleto per la mancanza della parte basale, di circa un terzo dell’occipitale (1) Der palccolitische Mensch und seine Zeitgenossen aus den Diluvium von Krapina in Kroatien. Wien, 1901. (2) L'uomo fossile nell'Italia centrale. Mem. della Soc. ital. di Scienze nat., voi. II. Milano, 1867. (3) Sopra alcuni crani antichi. Atti della Soc. Ligustica di Scienze nat. e geog., voi. II. Genova, 1891. — 454 — e di porzione del frontale. È alto, relativamente allungato, a regione interparietale piuttosto svduppata, a fronte stretta, bassa e fuggente, a bozze frontali poco salienti. Il suo diametro antero-posteriore misura 188-190 mm., il trasversale massimo 142, la circonferenza orizzontale circa 53°· L’indice cefalico, compreso fra 74-73 e 75·53> e ^en Pros simo a quelli dei dolicocefali. La cassa cerebrale, alquanto depressa in corrispondenza del rilievo longitudinale medio (che è di gran lunga meno sviluppato del trasverso), nel rimanente apparisce irrego larmente convessa e scabra. Occipitale abbastanza robusto, con cresta mediana trasversale assai pronunziata, raggiungendo un’altezza massima di quasi 5 rnm. Le suture, piuttosto semplici, sono all’esterno aperte; la sagittale più dentellata della lambdoidea, che acclude qualche osso wormiano. Pollini stima, dalla condizione delle suture e dalla spessezza delle ossa, che 1 individuo fosse adulto, ma non avesse raggiunto nove lustri, Le arcate sopraccigliari, a giudicarne dalla parte c ne rimane, dovevano essere notevolmente ispessite. I prò cessi zigomatici sono robusti. I caratteri sopra enumerati poco differiscono in coin^ plesso da quelli che distinguono il tipo antropologico del cavernicoli del Finalese. Avanzi umani di Nizza. — Cade qui in acconcio lo accennare a certi avanzi umani, rinvenuti durante il 1880 a Nizza, nel sobborgo Carabacel, non in una tomba, ma in un deposito di limo calcare, con ghiaie e massi, quale sembrava intatto (1). Questo deposito, ascritto da Desor e Niepce al quaternario, giace sopra sabbie conte- (1) Le ossa umane erano coperte da m. 1-35 d* limo e da m· I,25 1 terra vegetale; al di sotto si osservò ancora limo per cm. 58, poi un banco di sabbia di m. 1.03 ed uno di ghiaia più o meno agglomerata di m 2, che passa inferiormente al conglomerato. — 455 — nenti conchiglie plioceniche ed eoceniche rimaneggiate. Le ossa (una porzione di mascellare inferiore, frammenti di femoie, d omero, di radio e di clavicola) furono esaminate da de Quatrefages, il quale le trovò conformi ai pezzi corrispondenti degli avanzi di Cro-Magnon ; da che si può inferire che fosse colà sepolto, da cause naturali, un individuo della stessa stirpe e forse della stessa epoca di quelli meno antichi di cui si esumarono le spoglie nelle caverne dei Balzi Rossi (i). (i) Desor E. et Niepce, L'homme fossile de Nice. Nice, 1881. . * . ' % V ■ ' . PARTE TERZA 1. — INCISIONI RUPESTRI Considerazioni generali. A.LLO studio delle reliquie preistoriche fu attribuita scherzosamente la definizione di archeologia degli analfabeti, per la circostanza che suol essere coltivato da persone incompetenti nelle lingue e nell’ archeologia classiche ed anche per alludere al supposto che tali reliquie appartengano a gente che non conobbe la scrittura. E avvenuto della paletnologia come di ogni vena di scibile, che, cioè, massime nei primordi, fosse coltivata da dotti e indotti, e che, nel fervore delle prime ricerche, si raccogliessero con sollecitudine frustoli di prezioso metallo e pagliuzze di mica lucenti, ma destituite di ogni valore. Non perciò i suoi cultori meritano la taccia collettiva di analfabeti, come non si addice il vanto di letterati a tutti i decifratori di epigrafi. Che i popoli primitivi, ignari di ogni industria tranne quella di fabbricar rozze armi e suppellettili colla pittra o coll’ osso, che i cavernicoli dei tempi più remoti non conoscessero la scrittura non fa d’uopo dimostrarlo. La paletnologia ha però messo in chiaro come talvolta costoro, pel singolare sviluppo di peculiari attitudini intellettuali di cui erano dotati, fossero in grado di tradurre le loro impressioni, forse di serbar traccia di eventi memorabili, mediante figure di uomini e di animali graffite, Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi, XL. — 458 — scolpite o dipinte, figure, le quali risalgono bene spesso a tempi incomparabilmente più remoti di quelli contemplati dall’archeologia. o Altre volte le figure d’uomini e d’animali, incise o . scolpite, riferibili ad epoca preistorica si citavano come rare eccezioni, ma da alcuni anni le scoperte si moltiplicarono, risultandone un materiale assai cospicuo in ispecie per lo studio dell’arte paleolitica. Per dimostrare la ricchezza e la varietà di questo materiale, dirò come in una memoria del Sig. Piette sono illustrate ben 73 rappresentazioni artistiche, quali scolpite quali incise, tutte riferibili alla così detta età del renne, le quali hanno per oggetto elefante, rinoceronte, cavallo, asino, renne, camoscio, saiga, stambecco, capriolo, bovini, iena (?), orso, foca, anatra, pesci, piante diverse, senza contare ornati desunti da motivi che non appartengono ai regni animale e vegetale. Fin dal 1880 Santuola fece conoscere immagini di animali graffite e dipinte durante gli ultimi tempi dell età paleolitica, immagini da lui scoperte sulle pareti della caverna d’Altainira in Spagna. Queste furono di poi riprodotte e illustrate con molta diligenza. Nella grotta della Mouthe (Dordogne), che fu occupata durante i tempi neolitici e paleolitici, le pareti presentano, cominciando dalla distanza di 77 m. dall apertura per lunghissimo tratto verso la parte più remota del sotterraneo, figure d’animali di grandi dimensioni, finamente incise, in parte anche con lievi tracce di tinta a base di manganese. Tali figure rappresentano ruminanti (bovi o antilopi), rangiferi, equidi, il mammut ecc. -Vi sarebbe anche effigiata una specie di capanna (1). (1) Rivière E., Les ftarois gravées et fieinies de la grotte de la Mouthe (Dordogne), L’homme préhistorique, voi. I, fase. 3. Paris, 1903. — 459 — La caverna di Font-de-Gaume (Dordogne) offriva a Capitan e Breuil non meno di 80 figure, veri affreschi c* 1 dipinti con tinte rossa e nerastra, nei quali la sicurezza del tratto e il sentimento della natura sono meravigliosi. Fra gli animali rappresentati prevale il bisonte, ma non manca il renne (1). Nella grotta delle Combarelle (Dordogne) Capitan e Breuil segnalarono graffiti di animali in numero anche maggiore fra i quali prevalgono immagini di equidi e di mammut, pur essendovi compresi saiga, stambecco, renne, bisonte, bove (2). Tutti questi esempi di iconografia primitiva risalgono indubbiamente agli ultimi tempi della fase paleolitica, geologicamente all’età sopraquaternaria. La paletnologia ha pur fornito le prove che, in una delle età meno antiche del periodo quaternario, durante quella che denominai età miolìtica (3), gli abitanti della caverna di Mas-d'Azil, in Francia, rozzi cacciatori, non erano ignari di un’arte grafica relativamente avanzata, perciocché usavano tracciare, per mezzo di una tinta rossa indelebile (preparata con perossido di ferro commisto ad un grasso) sopra ciottoli quarzosi, bigi 0 biancastri, svariati segni di cui ignoriamo il significato, i quali sembrano riferibili, almeno in alcuni casi, a valori numerici. Questi segni consistono in tratti paralleli, in cerchietti allineati, croci, linee serpeggianti, ed anche in figure che ricordano caratteri orientali, e in altre che rappresentano forse occhi umani, alberi, ecc. (4). (1) Comptes Rendus des séances de l’Acad. des Sciences, 23 Septembre 1901. (2) Comptes Rendus des séances de l’Acad. des Sciences, 16 Septembre 1901. (3) Questa espressione, della quale feci uso per la prima volta nel 1887 ha il medesimo significato delle parole età mesolilica, adoperate da Ame-ghino fin dal 1889. (4) Piette, Études cT Ethnographie préhistorique. L’Anthropologie, 1895, p. 285 — Hiatus et lacunes. Bulletins de la Société d’Anthropologie de Paris, i895, p. 235· — 4-6° — Sappiamo eziandio che, più tardi, in una fase del loio svolgimento, che corrisponde allo stato pastorale ed ai primordi dell’ agricoltura, sia col proposito di tramandare ai posteri documenti o memorie di fatti importanti, sia per adempiere a riti religiosi, sia per trasmettere ad altri avvisi od ammonizioni, popoli diversi praticarono il costume di tracciar sulle rupi geroglifici, più o meno complicati e numerosi, per modo che avessero lungamente a resistere all’azione del tempo e delle intemperie. Si può argomentare che risalgano alla stessa epoca, almeno in gran parte, le prime sigle impresse dai medesimi popoli, sia come segno di possessoria a guisa di firma o di suggello del proprietario di un determinato oggetto, sia a guisa di marca di fabbrica o di contrassegno dell artefice, od anche per indicare pesi, misure, valori, ecc. In simili espressioni grafiche del pensiero, bene spesso suscettibili di spiegazione razionale, possiamo ravvisare i rudimenti di una scrittura primitiva, laonde, anche per questo riflesso, respingiamo la definizione epigrammatica colla quale si volle designare la nostra disciplina. Acquasanta. La rupe incisa dell’Acquasanta, che mi fu indicata dal mio giovane amico, il marchese Gaetano Rovereto, è situata a nord del santuario omonimo, sul versante meridionale dell’Appennino, ma poco lunge dallo spartiacque, il quale, nel tratto più prossimo, sorge al Prato d Ermo, segnato nella carta dell’ Istituto Geografico Militare del 1878 (scala di 1:25000) colla quota di m. 763. La rupe stessa si trova ad un livello di circa 5 10 metri alla parte inferiore di un piccolo rivo, affluente del Veleno, uno dei due torrentelli che formano, colla loro riunione, il Rio Martino. Vi si accede per un sentiero che corre fra i castagneti, il quale passa a poche diecine di passi — 461 — a levante della cascina Giutte, procedendo per circa 25 minuti oltre questa cascina, e superando a destra del sentiero, per piccolo tratto, la falda erbosa del Bric Caramello (1). Essa si presenta a pochi metri al di sotto di un rilievo di serpentina nerastra, la quale, da lontano, si direbbe la base di una vecchia torre in rovina, e consiste in una sporgenza rocciosa, che emerge, insieme ad alcune altre analoghe, da un pendio erboso. La pietra ha 1 aspetto di un masso informe che presenta una superficie orizzontale di circa metri 2.80 di lunghezza per 1.40 di larghezza massima, ed una superficie verticale, la cui altezza, variabile secondo i punti, supera di poco la statura di un uomo. Dalla ispezione di quest’ultima superficie è facile verificare che la roccia risulta di serpentina, la quale, nella parte superiore, è convertita in talcite scistosa o in steatite. La faccia orizzontale talcosa è quella appunto che presenta le incisioni, distribuite in gran numero nella sua parte più liscia e regolare, che ne occupa circa i due terzi. Le incisioni sono principalmente piccole cavità emisferiche, tratti rettilinei, figure irregolari diverse, più o meno complicate, e circoli disposti senza ordine alcuno. Le coppelle, cosi panni poter tradurre l’espressione di cnpules e di conpelles adoperate dai Francesi, per designare simili cavità, sono numerosissime (si tratta di centinaia), raramente isolate, più spesso in gruppi di cinque o sei o in sciami di più diecine. Le maggiori misurano due centimetri di diametro e da uno ad uno e mezzo di profondità; le minori non hanno che due 0 tre millimetri di diametro. Esse furono eseguite, a quanto pare, facendo ruotare sulla pietra uno stromento appuntato e tagliente, a foggia di scalpello. (1) Il sentiero si continua fin presso la cascina Veleno, poi nella valle dell’ Orba. — 462 — Fig. 108. Le incisioni rettilinee consistono in tratti netti, poco profondi, praticati con arnese tagliente; queste si intersecano in vari sensi, ma non costituiscono propriamente figure determinate Segue un cenno di quattro altre incisioni più complicate: una di queste è un circolo completo del diametro di circa 10 centimetri ; nell’interno del quale è segnato uno sciame di molte piccole impressioni cop-pelliformi che si estendono anche al di fuori. Nell’interno del circolo vi ha pure una cavità poco profonda che corrisponde Coppelle e cavità tetraedrica dell’Acqua- all’impronta di un angolo SO- santa; dimens. ridotte. ... η. τη8\ I a lido tetraedrico (fig. io»;. seconda consiste in un circolo incompleto con molte piccole intaccature coppelliformi. La terza è una figura graffita, irregolarmente poliedrica, divisa in due parti disuguali da un solco longitudinale; lungo il solco periferico e lungo il mediano sono scavate molte cupolette equidistanti. La maggior dimensione della figura passa di poco i 10 cm. (fig. 109). La quarta consiste in una ellisse grossolanamente graf-fita, divisa, da due sistemi di solchi ad angolo retto, in 30 compartimenti disuguali. Nel mezzo di ciascuno è praticato un piccolo incavo (fig. 110). Fig. 109. Figura di significato ignoto dell Acquasanta; dimens. ridotte. — 463 — Sono pure da notarsi due solchi rettilinei, fra loro un po divergenti, attraversati da un altro, quasi perpendicolare ad uno dei primi, il quale è terminato da due profonde coppelle. Parecchie cavità consimili, quali grandi, quali piccolissime, sono distribuite al di sotto della figura, ed una di esse, isolata, è collocata tra i due solchi trasversali (fig. in). Fig. no. Figura di significato ignoto dell’Acqua-santa; dimens. ridotte. ·· · • · Fig. in. Coppelle e solchi dell’Acquasanta ; dimens. ridotte. Le figure intercalate tra queste note sono ridotte, presso a poco, a metà della grandezza dei graffiti originali e valgono a darne un’ idea approssimativa. Di altri segni, meno evidenti, sia perchè furono tracciati con minor diligenza 0 non compiuti, sia perchè obliterati dagli agenti atmosferici, credo inutile trattare. Alcune coppelle, le quali spiccano in bianco sulla tinta grigio-verdastra della pietra, sono evidentemente recentissime e del pari sono recenti alcuni tratti rettilinei coi quali taluno, pochi anni addietro, volle di certo imitare le antiche incisioni. Ad eccezione di questi, attribuisco ad — 464 — età remota tutti i segni sopra descritti; e ciò, non solo a causa della tinta oscura assunta dalla pietra, per effetto degli agenti atmosferici, nei punti scavati, ma ancora per i caratteri indubbiamente arcaici di alcune incisioni. Ognun sa, infatti, che le coppelle sono fra i segni più spesso ripetuti sui dolmen e sugli altri monumenti megalitici della cui antichità non è lecito dubitare. Incisioni analoghe, e segnatamente coppelle, non furono mai segnalate sopra rupi o massi nelle provincie Liguri, e, per quanto mi consta, sono affatto eccezionali in Italia, eccettuata la Lombardia, che ne fornì esempi numerosi illustrati dal Sig. Magni (1). Fra gli innumerevoli petro-glifici impressi nelle alte regioni della Valle d Inferno e di Fontanalba, incisioni illustrate, come è noto, da Rivière, Clugnet, Moggridge, Celesia e specialmente dal Bicknell, solo alcune, in piccolissimo numero, ricordano non propriamente le coppelle, ma i disegni dell’Acquasanta e in ispecie quello rappresentato nella fig. 110. La similitudine è più intima se tali disegni si confrontano con quelli tracciati sopra una piastrella di steatite rinvenuta a Ponzone, piastrella di cui diedi un cenno descrittivo alla pag. 69. Infatti, vediamo nei due casi coppelle, circoli e tratti rettilinei graffiti. Affinità puramente accidentale, a parer mio, è quella che si potrebbe avvertire tra le incisioni rupestri qui descritte e i segni tracciati sopra un dodecaedro di steatite (probabilmente un dado da giuocare), rinvenuto in una delle antichissime capanne di pietra del Monte Loffa, presso Breonio, ed illustrato dal Sig. Stefano De-Stefani (2). (1) Magni A., Pietre a scodelle. Milano, 1906. (2) De Stefani S., Intorno un dodecaedro quasi regolare di pietra ecc. Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, serie Vi, tomo IV. Venezia, 1886. — 465 - In trancia abbondano analoghe incisioni sui monumenti megalitici della Bretagna, del Morvan, della Haute-Loire, della Lozère, del Jura. Consistono sopra tutto in coppelle, in circoli, quali con un piccolo incavo nel centro, quali senza, in circoli concentrici, cui si aggiungono talvolta punteggiature, jn solchi serpeggianti, spirali, e disegni più complicati, fra i quali si distinguono rozze immagini di ascie ed anche figure di uomini e di animali. Le incisioni risalgono talvolta a data posteriore a quella cui si riferisce il monumento e, in questo caso, offrono esempi non rari di croci semplici, o pure gammate ed anche di vere epigrafi, le une indecifrabili, le altre pertinenti ad antichi alfabeti. Nè mancano esempi di disegni propriamente anteriori ai megaliti, impressi sopra massi ai quali furono sovrapposti altri massi più o meno voluminosi. Tali sono quelli rinvenuti nel Morbihan citati da De Nadaillac. In Francia le rupi e i massi in cui sono scavate coppelle diconsi generalmente pierres à écuelles o à cupules. Nel Giura francese le piccole coppelle sono denominate bujoux, le grandi écuelles. Anche in Inghilterra, e specialmente in Scozia, sono frequenti i casi di megaliti 0 di semplici massi coperti di incavi rappresentanti coppelle, circoli con un punto centrale o senza, circoli concentrici, spirali, ecc. 11 grande tumulo che si trova sul Boyne in Irlanda offre ornamenti dello stesso stile, ma più complicati. I lavori di Keller, Desor, Troyon ci dimostrano come la Svizzera presenti numerosi esempi di incavi e graffiti su roccia non dissimili da quelli segnalati in Francia. Altri se ne citano nella Scandinavia ove, secondo De Nadaillac ( 1), le rupi 0 pietre a coppelle diconsi « Elfenstenars », vale t (1) De Nadaillac, Les premiers hommes, voi. I, p. 279. Paris, 1881. — 466 — a dire pietre dei piccoli, alludendosi con questa denominazione alle anime dei defunti che aspettano, in virtù della trasmigrazione, un nuovo involucro corporeo. E qui cito ancora, per memoria, le incisioni rupestri della Spagna, in ispecie dell’Andalusia, quelle delle Isole Britanniche, della Scandinavia, della Svizzera, della Germania, della Danimarca (in generale assai meno rozze delle nostre), le pietre a coppelle dell’Algeria, dell’Eritrea, di Smirne ed altre simili delle Indie orientali, segnatamente di Nagpore sull’ Indo, e della valle del Cashmire, come pure della Cina, della Nuova Caledonia, ecc. (i). Laddove i medesimi segni caratteristici, come le coppelle e i circoli graffiti, si ripetono, accennano non già a comu nanza d’origine di quell’arte primordiale, ma foise ad un concetto comune che inspirò gli artefici in tempi diversi e in paesi fra loro lontani. A tal concetto non dovevano essere estranei i sentimenti religiosi dell antichità, che noi vediamo estrinsecarsi in modo analogo nei monumenti megalitici (2). Non fa d’uopo confutare l’ipotesi di coloro che attri buiscono i nostri petroglifici e quelli sparsi in tutta 1 Europa occidentale, in Asia e in Affrica, all’opera di pastori, desiderosi di abbreviare gli ozi della solitudine. Rispetto all’ età delle vestigia osservate sulla rupe del-l’Acquasanta, a me basti esporre l’opinione che risalgono a data relativamente antica, cioè ai tempi protostorici o (1) A Chaudeswar si contano ben 200 coppelle in uno spazio di 150 piedi quadrati. Gli incavi sono bene spesso congiunti da un solco il quale circoscrive una figura più o meno complicata (2) Gli antichissimi culti e le superstizioni che si manifestano nelle coppelle e in altri segni incisi sulla pietra si mantennero localmente fino a tempi storici non remoti. Infatti in un’ara romana conservata sotto 1 atrio della basilica di S. Ambrogio di Milano si vedono praticate cavità scodelli-formi e così in altri monumenti della stessa epoca, come pure alla base di parecchi templi cattolici (Magni). — 467 — ai primordi dell’età dei metalli, opinione fondata sul fatto che le coppelle e i circoli graffiti sono tra i segni più comunemente impressi sui monumenti megalitici e avvalorata dal parere di autorevoli studiosi. Intanto, dalla scoperta delle incisioni rupestri dell’Acqua-santa e di quelle, più complicate, rinvenute nel Finalese, delle quali darò conto, argomento che nelle provincie Liguri non debbano mancare i megaliti, fin qui non segnalati fra noi, e presagisco il prossimo annunzio del loro ritrovamento. Finalese Le incisioni rupestri di Orco-Feglino. — Il Finalese, che allo studioso delle memorie e delle stirpi antiche si segnala pei suoi ruderi medioevali e romani, per le sue numerose caverne adibite ad uso di dimora o di sepolcro dall’uomo neolitico e dal paleolitico, per le stazioni preistoriche all’ aperto e i manufatti di pietra sparsi tra le sue balze, ci riserbava un’ altra particolarità ben degna d’attenzione e di meraviglia. Alludo a rupi stranamente incise, rupi le quali fino a poco tempo addietro erano rimaste inavvertite a tutti coloro (e non son pochi), i quali esplorarono quel territorio, nell’interesse della storia, dell’archeologia o della paletnologia. Il primo a fissar la propria attenzione sulle vestigia di cui tengo discorso fu il mio amico Sig. Clarence Bicknell cui le aveva indicate una signora scozzese, durante una passeggiata nel Finalese, fin dal 1883. Dopo aver veduti ed esaminati gli svariatissimi disegni, impressi mediante serie di incavi puntiformi, sulle rocce levigate dai ghiacciai della valle d’inferno e di Fontanalba, tra le Alpi Marittime, e in seguito alla sagace e diligente illustrazione da lui fatta, in apposite memorie, di molti fra tali disegni, egli portò le sue indagini su quelle del Finalese e m’invitò ad occuparmene con una sua lettera, nella quale mi riferiva quanto aveva osservato in proposito. Le incisioni segnalatemi dal signor Bicknell si trovano nel comune di Orco-Feglino, a circa i km. e mezzo di distanza in linea retta, verso S.S.E. dal capoluogo. Esse coprono parte di una piccola superficie rocciosa pianeggiante, alquanto inclinata verso ovest, situata a settentrione di una balza poco prominente, che sorge isolata a circa m. 320 d’altitudine, in mezzo ad ampia depressione foggiata ad anfiteatro, depressione affatto destituita di abitazioni e vestita di radi cespugli. Tutto il complesso è parte di un massiccio montuoso irregolare, il quale divide la valle dell’Aquila dal vallone in cui corre il rivo Cornei affluente del Pia. A ponente della rupe incisa, e a soli 250 m. di distanza, sorge il Monte Cucco, alto m. 357» secondo la carta dell’istituto Geografico Militare. La località, e più specialmente il ripiano delle incisioni, si dice nel vernacolo del paese Ciappo de Coliche, denominazione che allude alle vaschette di cui dirò in seguito. Per accedere al punto di cui si tratta, si segue in prima la via rotabile che conduce dalla valle dell’Aquila a Costa fino aH’estremità del tronco che procede da ponente a levante, si abbandona poi la strada maestra per un sentiero irregolarmente tracciato, il quale, mediante ripida ascesa, raggiunge l’altipiano sovrastante e, serpeggiando in discesa verso mezzogiorno, conduce alla superficie incisa, per continuare verso la valle del Pia, ove si congiunge ad altra via meno malagevole. Tal superficie si estende, come dissi, a nord di un rilievo, che è propriamente una balza spianata, superiormente limitata per due lati da pareti scoscese, quasi verticali. Nella stessa balza, a breve distanza verso mezzogiorno. si apre una spelonca poco profonda, l’accesso della - 469 — quale è reso più angusto da un muro a secco (x). Il ripiano, al pari dei monti circostanti, è costituito da un calcare più o meno arenaceo, a struttura concrezionata (pietra di tinaie), riferibile al miocene medio, calcare nettamente stratificato, in assise alquanto pendenti verso S. e S.E. Questo calcare, essendo colà attraversato da due sistemi di diaclasi che s’intersecano fra loro secondo angoli quasi sempre poco divergenti dal retto e sono perpendicolari ai piani di stratificazione, si riduce per opera delle acque correnti in balze tabulari e scoscese, divise fra loro da forre profonde. Altre particolarità della roccia sono di essere poco omogenea ed assai permeabile; perciò, come dissi, le acque filtranti la penetrano agevolmente, vi scavano innumerevoli anfrattuosità ed anche grotte e spelonche. Coll’ esercitare potente erosione, i rivi e torrenti, perenni e temporanei, contribuiscono ad impartire al paese il suo caratteristico aspetto. 11 calcare è ricco di materiali ferruginosi, i quali, separati dalle acque meteoriche e d’infiltrazione, si raccolgono in copia nel fondo delle spaccature, delle caverne e delle anfrattuosita sotto forma di terra ocracea. Si adagia alla parte inferiore sopra argille grigie o azzurre, visibili nell ultimo tratto della strada rotabile, e queste riposano alla loro volta sopra rocce antiche triassiche (quarziti, calcari dolomitici, carniole) e forse permiane (alludo qui specialmente a cloritescisti), le quali appariscono nella parte superiore della valle dell’Aquila. La superficie incisa può essere compresa in un’area quadrilatera lunga una trentina di metri e larga 20. La pietra vi si mostra, tranne in pochi punti, pianeggiante, compatta, quasi completamente spoglia di piante, e natu- (1) Dinanzi alla caverna è collocato un piccolo masso artificialmente scavato per servire di serbatoio d’acqua. — 470 — ralmente levigata per opera delle acque di dilavamento, ma questa levigatura non può dirsi perfetta. Le incisioni, o i gruppi d’incisioni, fra loro assai prossimi, e che appariscono con sufficiente chiarezza, sono in numero di circa 30, senza contare un certo numero di vaschette (non meno di 7), alcune delle quali son riunite fra loro da piccoli solchi sottili e più o meno lunghi. Le figure offrono dimensioni assai diverse (mentre alcune misurano più di 1 m. di lunghezza, altre raggiungono appena pochi centimetri), e sono distribuite principalmente alla estremità meridionale, senza ordine e con orientazioni svariate. A differenza di quelle della valle d’ Inferno e di Fon-tanalba, fra le Alpi Marittime, ormai ben note per le descrizioni che ne diedero Moggridge, Clugnet, Riviere, Blanc, Celesia, Bicknell, figure che risultano da serie di incavi puntiformi, praticati mediante utensili acuminati, questi della nostra Riviera sono formati di solchi profondi tracciati a scalpello, col sussidio di mazzetta o d’altro arnese atto a percuotere. Lo scalpello, come può desumersi dalle intaccature lasciate nella roccia, aveva taglio breve e non molto acuto. Argomento che si adoperasse percuotendolo alla estremità opposta al taglio, dalle scheggiature non rare lungo i margini dei solchi. Nessuna traccia di metallo negli incavi, ai quali si adattano perfettamente alcuni degli scalpelli di pietra verde, rinvenuti sporadici nella Liguria occidentale. Le prove fatte per ricavare stampe o calchi da queste incisioni 'non riuscirono, sia per la profondità dei solchi, sia per l’asperità della superficie rocciosa ; nè fu possibile ottenerne buone riproduzioni fotografiche, perciocché, a causa delle loro dimensioni e della posizione che occupano sopra un piano quasi orizzontale, sarebbe stato necessario all’uopo l’uso di apparecchi speciali assai volu- — 471 — minosi, ben diversi dalla piccola macchina istantanea di cui potevo disporre. Le immagini recate a corredo di queste note non sono che riduzioni fotografiche di disegni, fatti dal vero in condizioni poco favorevoli, cioè sotto la sferza del sole e senza il sussidio di una tavoletta e di un sedile (i); valgono tuttavolta a dare un’idea abbastanza giusta delle figure rappresentate. Le incisioni del territorio d’Orco-Feglino si possono distinguere convenzionalmente in tre categorie principali : 1. Segni cruciformi, i quali, per le ragioni che dirò in seguito, debbono quasi tutti considerarsi come immagini simboliche dell’uomo. 2. Figure di significato ignoto, quali esclusivamente o prevalentemente formate da rette, quali tutte o quasi tutte curvilinee. 3. Sistemi di vaschette, comunicanti fra loro mediante canaletti sinuosi, destinate ad accogliere acqua od altro liquido. La prima categoria comprende buon numero di incisioni adunate in gruppi, dei quali 9 furono disegnati da me 0 da mio figlio. Uno solo dei gruppi è costituito da una sola figura grandissima (lunga cioè 1 m. 30), 3 constano di 2 figure per ciascuno, 2 di 3, uno di 4, uno di 5 ed uno di 6. Nei complessi di più figure, se ne osservano alcune assai minori delle altre, che misurano cioè da 20 a 30 centimetri di lunghezza. Ritengo che i segni cruciformi di cui si tratta (figure 112-116) sieno quasi tutti immagini umane, perchè quelli (1) È assai difficile di disegnare esattamente queste figure, perchè le asperità e le macchie naturali della superficie rocciosa si confondono a prima vista cogli incavi artificialmente praticati. Inoltre, alcuni solchi sono ornai poco distinti per la sopravvenuta alterazione del calcare 0 perchè occultati da detriti. — 472 — Λ incisi con maggior diligenza (fig. wib, i\$a, c, e, 114α, b, c, 115Λ, b, 116a,b) (1) presentano costantemente 1 asta più Fig. 112. Figure umane cruciformi di Orco-Fedino. Figure umane cruciformi di Orco-Feglino. Figure umane cruciformi di Orco-Feglino. Figure umane cruciformi di Orco-Feglino. lunga biforcata da una parte, coll’intento evidentissimo di rappresentare due arti inferiori, ed in generale dilatata alla parte opposta per indicare il capo, mentre le sbarre tra- (1) Tutte le figure tra i numeri 112 e 129 sono assai ridotte. - 473 — sversali, talvolta curvate in alto od ingrossate alle due estremità, accennano indubbiamente agli arti superiori. Fis· II6· Fig. ιιη. Fig. 118. Figure umane cruciformi Figure cruciformi di Orco-Feglino. di Orco-Feglino. Il gruppo nel quale sono insieme collegate per le mani figure di diverse dimensioni (fig. 114) ha forse il significato simbolico di una famiglia (1). La figura sola di grandi dimensioni, effigiata al numero 119, è più complicata delle altre per le appendici che si dipartono dai solchi degli arti superiori, una delle quali rappresenta, a quanto pare, un arma, spada 0 pugnale. Singolarissimi due disegni costituiti di due figure cruciformi, una delle quali in posizione obliqua rispetto alla prima, che è verticale, e alquanto più bassa (fig. 122). Se si tratta di immagini umane, in ciascuna incisione, uno degli individui sarebbe rappresentato in atto supplichevole 0 almeno umile dinanzi all’altro. I tre segni distinti coi numeri 117 e 118, in ispecie questo cui manca del tutto una delle braccia della croce, non sono forse figure umane, e potrebbero invece rappresentare utensili ; ma è congettura fondata sopra lievi analogie. (1) Nello stesso gruppo di quattro figure, tre delle quali si tengono per la mano, si nota un incavo puntiforme sotto i piedi della prima ed un altro simile a lato della terza. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL. ^ — 474 — Le figure non cruciformi, di significato ignoto, di cui possiedo un disegno più o meno esatto, sono sette, le quali, per la loro disposizione, sembrano indipendenti l’una dall’altra. Fig. 120. Fig. 119. Fig. 121. Figura di Orco-Feglino Segni di significato ignoto rappresentante un uomo armato. di Orco-Feglino. La più semplice è un solco rettilineo e profondo, il quale ad una estremità è terminato da un pozzetto cilin- — 475 — drico e all’altra presenta una doppia piegatura ad angolo retto (fig. 120). La grande incisione riprodotta nella fig. 12 1 (dico grande perchè misura 118 centimetri nella maggior dimensione) è un rettangolo assai allungato, attraversato nel senso longitudinale da un solco rettilineo, che si estende alquanto oltre ai lati minori ; da questo solco e da tre altri quasi equidistanti, perpendicolari ai lati maggiori, il rettangolo è diviso in 8 quadrilateri. Quella effigiata al num. 123 consiste in una figura allungata, rettangolare ad una estremità, arrotondata all’altra, la quale è divisa in 12 compartimenti, presso a poco uguali, da un solco mediano, rettilineo, longitudinale Fi 122 e da 5 solchi trasversali, perpendicolari Figure umane di Orco- &1 P^0' Essa rÌCOrda Π disegno imperlino. prontato sopra una pintadera trovata nella caverna delle Arene Candide. Siffatta analogia suscita in me il sospetto che alcune figure possano costituire un distintivo simbolico, di una famiglia, di una tribù o di un capo. Altra incisione (fig. 124) consiste in un rettangolo, assai allungato, diviso in 7 compartimenti da solchi trasversali, con numerose prominenze esterne, lungo uno dei lati maggiori. 11 lato che presenta tali prominenze è rappresentato da un solco assai più largo degli altri. Di contro ad uno dei lati minori del rettangolo, quasi a contatto, si continua la figura con due brevi tratti irregolari, longitudinali, e con uno perpendicolare ai primi che si connette al più sottile dei precedenti. — 476 — Questa figura risveglia il pensiero di un tentativo infantile per rappresentare un treno di ferrovia. Tuttavolta, non dubito che l’incisione sia antichissima, e ciò, sia per l’aspetto dei solchi, sia pel carattere arcaico delle figure che Γ accompagnano. Fig. 123. Insegna? Orco-Feglino. Ricordo per memoria, senza descriverla, una figura intricatissima, la quale somiglia alla pianta di una città assai irregolare (fig. 125). Si tratta di solchi, gli uni rettilinei, gli altri curvi, che in parte circoscrivono un’ area allungata, internamente suddivisa da altri solchi in più di 20 compartimenti irregolari; accanto alla figura principale se ne osserva un’altra più piccola, che consiste in un rettangolo suddiviso in varie parti, con solchi rettilinei periferici in vari sensi. Due altre figure son limitate da contorni curvi. Una di esse (fig. 126), lunga 73 cm. e larga 40, per la simmetria bilaterale che vi si palesa, come per la profon- Fig. 124. Figura di significato ignoto. Orco-Feglino. Fig. 123. Figura di significato ignoto. Orco-Feglino. — 477 — dità e laighezza dei solchi, sembra eseguita con maggior cura delle altre. Questa è formata essenzialmente da due ellissoidi compenetrate, ognuna delle quali presenta internamente un piccolo circolo da cui si irraggiano 809 solchi presso a poco rettilinei fino alla periferia; inoltre si osservano tracce di altro solco che attraversa incompletamente i due circoletti. Fig. 126. Insegna? Orco-Feglino. Figura di La seconda delle due incisioni curvilinee è assai obliterata e per conseguenza mal definita (fig. 127). Essa consiste in due circoli irregolari tangenti, da uno dei quali, incompleto, si dipartono due propaggini divergenti quasi simmetriche, simili a corna; in ciò richiama alla mente figure assai frequenti fra i geroglifici delle Alpi Marittime; inoltre lo stesso circolo presenta pure altre due appendici laterali dovute forse a difetto della roccia. Le vaschette cui già accennai sono piccoli scavi, quali quadrangolari, quali ellissoidali, quasi tutti poco profondi, in parte connessi fra loro mediante piccoli canaletti tortuosi di 2 a 3 cm. di larghezza e di uno o due di profondità. Il complesso più notevole comprende una vasca Fig. 12η. significato ignoto. Orco-Feglino. — 478 — superiore, di forma irregolarmente ellittica e poco profonda, e un canaletto tortuoso di 7 m. di lunghezza, che si divide alla parte inferiore in 3 rami, ognuno dei quali mette in una vaschetta quadrangolare, di lavoro molto accurato (fig. 128). Fig. 128. Fig· I29· Parte terminale di un sistema Parte terminale di altro sistema di vaschette. Orco-Feglino. di vaschette. Orco-Feglino. Un altro sistema è più esteso e sbocca ad una vasca quadrangolare più ampia (fig. 129), lunga m. τ·5°> ^ar»a m. 0.90, profonda da 20 a 40 cm., la quale, essendo suscettibile di accogliere acqua piovana, può servire anche di abbeveratoio; ma dubito che questa sia di data più recente. Le vaschette e i canali furono scavati collo scopo evidente di far passare acqua od altro liquido dalla parte più alta del ripiano rupestre coperto di incisioni alla media, la quale trovasi ad un livello inferiore di pochi centimetri rispetto alla prima, e siccome il suolo è in quel punto aridissimo, le cavità non sono suscettibili di accogliere naturalmente che acqua piovana; ma se sono a ciò — 479 — destinate, perchè alcune di esse hanno appena la capacità di un piccolo bicchiere ? Per spiegare la strana disposizione delle vaschette e dei canali, come pure le dimensioni loro, affatto inadeguate allo scopo di raccogliere acqua da bere, e il fatto che sono così prossime fra loro e quasi a contatto di misteriose incisioni praticate sulla stessa rupe, è legittimo il supposto che fossero piuttosto adibite alle cerimonie di un culto primitivo. A Langoelan (Morbihan) il Sig. Alfred Fouquet ha segnalato un antico altare coperto di bacinelle e di solchi (■rigoles), che sembrano destinati a raccogliere e a distribuire un liquido (i). Ed ora, mi si concedano altri riscontri : La medesima semplicità ed ingenuità rudimentale nel disegno delle nostre croci, la medesima fattura nell’ incisione, si osservano in un graffito tracciato sopra un lastrone d’arenaria, il quale forma parte del dolmen denominato du Trou-aux-Anglais, situato nel comune di Aubergenville presso Versailles (dipartimento di Seine-et-Oise). Il graffito rappresenta una figura umana che tiene fra le mani un utensile non ben determinato, forse un aratro primitivo (fig. 130). Il corpo è ridotto anche qui ad un solco biforcato in corrispondenza degli arti posteriori ; le due braccia son del pari solchi, ma assai più brevi, e si terminano con due piccole cavità al posto delle mani. La testa manca o meglio è rappresentata da un piccolo incavo, le asperità del quale non lasciano indovinare l'intenzione dell’artista (2). Sul medesimo lastrone v’ ha un altro disegno assai o grossolano che presenta qualche analogia con quelli di (1) Antiquités celtiques du Morbihan, 1853. (2) De Mortillet A., Figures gravées et sculptées sur des monuments tnégalithiques des environs de Paris. Bulletins de la Société d’Anthropologie de Paris, séance du 19 octobre 1893. — 48° Orco-Feglino figurati ai numeri 121 e 123. Si tratta, scrive De Mortillet, di una figura avente la forma di un trittico sormontato da un frontone arrotondato (fig. 131). Taccio di altre figure meno caratteristiche, osservate in due lastroni calcari dello stesso monumento, ma importa notare che negli scavi da lui tentati nel 1881, il signor H. Leroy, scopritore del dolmen, trovò nella camera principale del medesimo due strati di ossa umane, associate a manufatti neolitici, strati divisi fra loro da lastre di pietra. Fig. ijo. Figura umana incisa sopra un dolmen dei pressi di Versailles; dim. ridotte. Un masso greggio, osservato nel territorio di Beira-Alta in Portogallo, masso di cui il Sig. José Fortes porge una figura nella sua recente memoria sulle sculture dei megaliti del Portogallo (1), offre, con altre enigmatiche incisioni, segni cruciformi analoghi a quelli di Orco-Feglino, che rappresentano più o meno schematicamente omiciattoli in varie attitudini (fig. 132). Fu osservata una incisione rupestre che ricorda lontanamente la nostra del Finalese nella gola del Cervetto, subito fuori del paese di Rosazza, lungo la via che con- (1) Congrès préhistorique de France. Compte Rendu de la 2' session, pag. 350. Paris, 1907. Fig. iji. Figura incisa sopra un dolmen dei pressi di Versailles ; dimens. ridotte. — 481 — duce a Piedicavallo (i). Essa è costituita di segni assai semplici in numero di io; sono linee flessuose o spezzate, quali verticali quali orizzontali, alcune di esse terminate da piccola cavità. Due di questi segni (il verticale è provvisto di cavità) si tagliano in croce; un altro assai piccolo sembra una V. La semplicità e la brevità dell’epigrafe mi lasciano supporre che si tratti di antica indicazione itineraria. Fig. IJ2. Incisioni rupestri di Beira-Alta in Portogallo (secondo J. Fortes); dimens. assai ridotte. Nelle nostre figure abbiamo almeno due segni che sono vere croci, non dissimili dal simbolo cristiano; non per ciò si deve attribuir loro il significato di questo simbolo, ricordando in proposito come G. De Mortillet abbia dimostrato che la croce fu emblema diffuso prima del cristianesimo, emblema che egli a torto ravvisa tuttavolta nei fittili delle terremare parmensi, nei manufatti delle necropoli di Villanova e Golasecca, come pure in altre stazioni preistoriche (2). Alcuni ritengono che le croci incise sui massi servissero talvolta ad indicare confini. Magni cita infatti croci sopra (1) Pertusi e Ratti, Guida del Biellese. Torino, 1892. (2) De Mortillet G., Le signe de la croix avant le Christianisme. Paris, Reinwald, 1866. — 482 — una pietra a scodelle del comune di Scaria in Val d Intelvi, la quale corrisponde ad un punto del confine fra 1 territori di Scaria e di Peglio. La croce, nella sua forma più semplice, è compresa fra i segni misteriosi, forse caratteri, incisi sulle rupi dell’isola del Ferro (Canarie) e descritti da Berthelot (1), come pure a Grave-Creek sull’ Ohio (Stati Uniti), sopra una piastrella di pietra, scoperta con molti altri manufatti e scheletri umani in un tumulo sepolcrale (2). Rispetto alla svastica o croce gammata, la quale non è compresa fra le nostre incisioni, ognun sa che, del pan estranea al cristianesimo, si trova impressa sui prodotti di industrie svariatissime, quali preistoriche, quali proto-storiche od anche esostoriche, a Bologna, a Narce, a Faleria, in Francia, in Polonia, in Svezia, in Inghilterra, in Grecia, a Rodi, a Cipro, a Troia, nella Battriana, nell’Armenia, in varie parti della regione caucasica, nella Persia, nella Fenicia, in Egitto, fra gli Ascianti, nell India, nella Cina, nella Corea, nel Giappone, nel Tibet, nel Tenessee, nella Georgia, nell’Ohio, nel Kansas, nel Nicaragua, nel Costarica, nel Brasile, nel Paraguay, cioè, si può dire, quasi in ogni parte del mondo che fu sede di qualche centro di incivilimento (3). Essa rappresenta, almeno in alcuni casi, il simbolo di lieti auguri. Non è qui il caso di far cenno della croce ansata, emblema ben noto, che tanto spesso ricorre disegnato, inciso o scolpito nei monumenti dell’antico Egitto, perciocché si mostra differentissimo dai segni esaminati in queste pagine. (1) Berthelot Sabin, Antiquités canarienncs. Paris, 1879. (2) D’Albertis E., Crociera del Corsaro alle isole Madera e Canarie, p. 72. Milano, 1884. (3) Wilson Thomas, The Swaslika, thè earliesl symboi and its inigrations. Washington, 1896 — 483 — Da quanto mi fu dato rintracciare intorno agli alfabeti protostorici o creduti tali, come pure intorno ai segni indubbiamente preistorici, nei quali si vollero ravvisare caratteri alfabetiformi (1), credo poter asserire che i segni tracciati sul calcare di Orco-Feglino hanno tutt’altro significato. Si tratta, a parer mio, di figure simboliche, scolpite in tempi remoti per l’adempimento di un rito religioso, ciò dico specialmente per la somiglianza loro con quelle dei monumenti megalitici. Non credo ora utile, nè opportuno di indugiarmi a raccogliere ulteriori argomenti a prò’ della mia interpretazione, Le incisioni di Orco-Feglino sono generalmente più rozze, più primitive dei geroglifici della Valle d’inferno e specialmente di Fontanalba; le varie parti della figura umana non vi sono rappresentate in proporzioni presso a poco giuste 0 quasi, come in alcuni di quelli riprodotti dal Sig. Bicknell. Malgrado le accennate differenze, io ravviso in alcune figure delle due regioni una certa affinità. Citerò, ad esempio, reticolati più o meno complessi della Valle d’inferno. Secondo il mio apprezzamento, le figure eseguite colla maggior diligenza attestano un’arte non più inoltrata di quella accusata dai vasi graffiti, dalle pintaderas e dagli idoli in terra cotta, raccolti nelle caverne del Finalese, ma di carattere assai diverso. Le somiglianze più strette si rinvengono tra le nostre figure e quelle incise sui monumenti megalitici della • (1) Letourneau, Bulletins de la Société d’Anthropologie de Paris, 1893. Piette, Études d'ethnographie préhistorique. Les galets coloriés du Mas d'Azil. L’Anthropologie, VII. Paris, 1896. Bordier, Origines préhistoriques de Pieri tur e. Bulletin de la Société Dauphinoise d’Etnographie et d’Anthrophologie, IV. Grenoble, 1897. Reber. Vorhistoriseher Sculpturendenkmàler in Canton Wallis (Schweis). Archiv. fur Anthrop., XX, p. 375; XXIV, p. 91. Evans A., Cretan pictngraphs and prcephoenician script from Crete and thè Pelopponese. 1895. — 484 — Francia settentrionale, e ciò tanto per lo stile quanto per l’esecuzione. Senonchè, trattandosi di materiale assai scarso, sarebbe presuntuoso un giudizio assoluto e definitivo in ordine alla sua antichità e al suo significato etnografico. Pieve di Teco. La pietra cruciata di Pieve di Teco, della quale possediamo fin dal 1879 una descrizione di Desor, si trova • · a breve distanza da Crosio sull’Arroscia, e consiste in un masso irregolarmente quadrilatero, d’arenaria, che misura m. 4.90 di lunghezza, 4.60 di larghezza e circa 1 m. di altezza media. Alla sua superficie sono incise molte croci (Desor ne contò 31, ma altre sfuggirono forse al computo perchè coperte di muschio), disposte senza ordine, lungo una zona situata presso uno degli spigoli del masso. Le croci sono tutte più o meno curvilinee e ad estremità Fig. 133. Pietra cruciata di Pieve di Teco; dimens. ridotte, eccettuata la croce rappresentata in C', che è in grand, nat. (Desor). - 485 — arrotondate, le maggiori raggiungono 4 cm. di lunghezza e poco più di 3 j2 di larghezza, mentre la profondità dell’incavo varia tra 1 centimetro e 1 l/2 (fig. 133). Desor rende conto nei seguenti termini di una tradizione locale che vi si riferisce, ed espone poscia alcuni riflessi, che pur si connettono all’oggetto di questa digressione : « Voici à cet égard, egli scrive, la legende telle qu’elle a cours parmi la population de la vallèe et du district de l’Arroscia. C’était dans le voisinage de cette pierre que se trouvait le lieu du supplice. Toutes les fois qu un criminel était condamné à mort on l'amenait près de la pierre sacrée et c’est là qu’on lui donnait connais-sance de la sentence qui le condamnait, après quoi on le conduisait au supplice et on gravait une croix sur la pierre, en sorte que le nombre des croix est sensé corres-pondre à celui des suppliciés ». « On ne possède aucune donnée précise sur l’époque à laquelle ces pratiques avaient lieu. Il se peut qu’elles ne remontent pas à une epoque très éloignée, s’il est vrai qu il s’y rattache une idée de rédemption exprimée par le signe de la croix. Cette pratique appartiendrait des-lors a 1 ère chrétienne. De l’autre coté il ne faut pas perdre de vue que le signe de la croix était en usage bien avant de devenir l’emblème de la rédemption ;· elle se trouve mème parfois associée à d’autres signes, spé-cialement à des écuelles sur des monuments préhistoriques entre autres dans le nord de l’Europe » (1). Alpi Marittime. Cenni geografici e storici. — Le incisioni rupestri, sulle quali da qualche tempo si è fissata l’attenzione dei paletno- (1) Desor E , La pierre de croix de Pieve di Teco, lettre à M. L. Pigorini. Bullettino di Paletnologia italiana, anno X, n.‘ 5 e 6. Parma, 1879 — 486 — losfi» furono segnalate in Scandinavia, in Danimarca, in O ' o Inghilterra, nella Germania settentrionale, in Spagna, nell’Algeria, nel Marocco, nelle Isole Canarie, in Egitto, nell’Arabia Petrea, nella Valle dell’indo; ma non si mostrano in alcun paese con profusione e varieta maggiore che in alcune alte valli delle Alpi Marittime, presso il confine politico tra 1’ Italia e la Francia, che sono : i.° La Valle d’inferno, propriamente la parte superiore della Valle della Miniera (in cui si trova la miniera di Vallaui ia), nella quale scorre il torrente omonimo, affluente di destra del Casterino, il quale si unisce alla Roia un po a sud di S. Dalmazzo di Tenda, e vien impropriamente designato in alcune carte col nome di torrente o rivo della Miniera. Questa valle accoglie superiormente i tre Laghi Lungfii e a monte il lago delle Meraviglie (fig. 134), cui è congiunta dal vallone dello stesso nome (1). A N.E. di detto lago sorge il Monte Bego (m. 2873). A mezzogiorno dei Laghi Lunghi si trovano pure incisioni sulle alture sovrastanti al Lago del Carbone e nelle adiacenze del Passo del Trem fin sotto la Cima del Diavolo. 2 0 La Valle di Valauretta, nella quale scorre un rio affluente di sinistra di quello che occupa la valle d’inferno (fig. 135). 3.0 La Valle di Fontanalba, che sbocca a destra in quella di Casterino ed accoglie il Lago Verde. Le incisioni sono tutte situate sui fianchi dei monti che limitano detta valle nella sua parte superiore e nel lato sinistro, e risalgono fino a grande altezza (oltre 2500 m.), lungo il versante meridionale del Monte di Santa Maria. (1) Mediante la così detta Baissa (vale a dire bassura) di Valmasca, depressione della cresta orografica, la Valle d’inferno è separata dalla contigua regione di Fontanalba. Per tutta la regione di cui si tratta, le carte topografiche dello Stato Maggiore Sardo e del R. Istituto geografico Militare sono assai imperfette. — 487 — 4·° La parte superiore della Valmasca, la quale non è altro che l’alta valle del Casterino. Essa si termina col lago omonimo ed è limitata verso S.E. dal Monte di Santa Maria. Fig. 1J4. Il Lago delle Meraviglie (Bicknell). Tanto in questa quanto nella regione di Valauretta le immagini scolpite sono in minor numero che non nelle altre parti e generalmente poco visibili per alterazione dovuta agli agenti atmosferici. Alla prima si accede da S. Dalmazzo di Tenda, sulla via rotabile tra Cuneo e Ventimiglia, mediante circa sei ore di salita, meta delle quali s’ impiegano a percorrere il sentiero che conduce all’antica miniera di piombo argentifero di Vallauria, lungo il torrentello detto perciò della Miniera. « Valle d’inferno, scrive Emanuele Celesia, nome che ben le si addice per la desolazione che regna d’intorno, pel tetrico color delle rupi che d’ogni banda l’accerchiano, — 488 — per il difetto di ogni vegetazione da poche erbe infuori nell’estiva stagione e per l’orridezza del luogo. Il pauroso silenzio di quella sconsolata vallea non è rotto che dagli stridi dei falchi e delle aquile che formano tra quei dirupi i lor nidi ». Fig. 135. Punto della Valle di Valauretta con rupi scolpite (Bicknell). Le condizioni del paese non furono però in ogni tempo conformi alle attuali, almeno rispetto alla deficienza di piante, perciocché in passato esso era in gran parte coperto da una folta selva di larici, di cui rimangono solo scarsi residui, e in parecchi punti si vedono tracce di antiche colture abbandonate. Nella Valle d’inferno le rupi scolpite si trovano sparse in maggior numero sopra un tratto di circa 2 km., principalmente in vicinanza dei laghi, uno dei quali detto perciò delle Meraviglie ( 1), le inferiori a circa 1890 m., le superiori a poco meno di 2600, presso il limite delle nevi perenni. (1) Le rupi stesse sono designate nel paese col nome di Ciappi de Maavegie. — 489 — La Valle di Fontanalba ha direzione presso a poco parallela a quella della Valle d’inferno, dalla quale è divisa per mezzo del massiccio imponente del Monte Bego, la cui vetta coperta di nevi perenni sorge a m. 2873 (1). Vi si penetra dalla Valle Casterino, nella quale corre un impetuoso torrente, cui si unisce quello della Miniera. Dalle rive dell alpestre Lago Verde, a m. 2100, fino alla parte superiore della valle, a circa 7500 m., si vedono sulle rupi, più o meno Tubefatte o annerite dall’azione degli agenti Fig. 136. Sponde di piccolo lago e Monte Bego (Bicknell) atmosferici, geroglifici profondamente impressi (tav. VI). Il signor Bicknell crede che in questa valle essi sieno distribuiti in uno spazio grandissimo, spazio equivalente ad un quadrato di 1 km. '/4 di lato. Uno dei suoi tratti (1) 11 vocabolo Bego deriva, secondo Castanier, da un radicale celtico, il quale significa malvagio, infausto, in armonia col significato sinistro di parecchi altri nomi di quella regione: Val d'inferno, Valmasca, Cima del Diavolo, Lago del Carbone, Lago della Matta. Atti Soc. Lig. St. Ρλτβι* Voi. XL 51 — 490 — è così ricco di incisioni rupestri che meritò il nome di Via Sacra, assegnatogli dallo stesso osservatore (tav. VII). Un enorme masso di conglomerato-quarzoso, che spicca per la sua tinta porporina, masso circondato di balze scoscese e dirupi, presso il Lago delle Meraviglie, suscita l’idea di un altare, dinanzi al quale si adorasse la divinità della montagna. Chi ha visitato il paese è rimasto colpito dalla vista delle conche lacustri, occupate da limpidissime acque, dei valloni cosparsi di enormi massi erratici, delle anguste forre con erte pareti, di rupi spianate e levigate dagli antichi ghiacciai, predisposte dalla natura per accogliere direi quasi l’archivio di una antichissima stirpe, e, in alcuni punti, di immani sporgenze rocciose, foggiate a torrioni e a pilastri simili a ruderi di castella. Bicknell nota come 1 suoi predecessori non abbiano avvertito buon numero di quelle pietre istoriate, forse perchè passarono loro d accanto quando erano già stanchi da lungo cammino, forse invece perchè le figure incise, obliterate dalle intemperie od occultate dalla patina uniforme che il tempo produsse alla superficie delle rocce, facilmente si confondono con macchie od anfrattuosità naturali. Osserva poi, per incidenza, come non sieno rare in quel territorio le denominazioni locali che alludono a spiriti maligni, nelle quali taluno volle trovare una relazione col fatto delle pietre figurate. Tali sono: Val d’inferno, Cima del Diavolo, Valmasca (Masca nel vernacolo della Liguria occidentale significa strega). Le incisioni consistono in aree coperte d’incavi puntiformi, tra loro assai vicini, o in linee formate da serie degli stessi forellini, i quali misurano in media 203 mm. di diametro ed uno di profondità, ma spesso le dimensioni originarie risultano modificate dalla alterazione della roccia, dovuta agli agenti atmosferici. In casi eccezionali, una serie di forellini contigui sembra sostituita da un solco. - 491 — Le figure, così scolpite, sono generalmente praticate sopra superficie, quali orizzontali, quali più o meno inclinate sull orizzonte (di rado sopra rupi verticali), naturalmente levigate dall azione erosiva di antichi ghiacciai scomparsi. Molte volte si osservano, anziché sulle rocce in posto, sopra massi precipitati dalle prossime balze o già convogliati dai ghiacci. Fig. 13η. Pendice del Monte di Santa Maria e Lago Verde (Bicknell). L aspetto delle rupi incise apparisce con evidenza dalle due immagini qui riprodotte (fig. 136, 137, 138), ricavate mediante la fotografia dal Sig. Bicknell, il quale mi ha dato licenza di riprodurle. Non si conosce con certezza come fossero eseo-uiti ò quei forellini, nè si raccolsero nella regione utensili atti a praticarli. Si argomenta però, dal complesso dei loro caratteri, che sieno stati fatti per mezzo di stromenti litici. Se si fossero adoperati utensili di metallo, questo avrebbe forse lasciato tracce visibili sulla roccia dura e — 492 — scabra (ha tessitura granosa e fibrosa), che è scisto cristallino di varie sorta, principalmente cloritescisto ; ma nulla di simile si è potuto avvertire. Fig. ιβ. Figure umane e figura bovina di Val Fontanalba (Bicknell). Fin dal *1650 Gioffredo fece menzione nella sua Storia delle Alpi Marittime (1) delle rupi incise intorno ai « Laghi delle Meraviglie >, sulle quali il parroco Onorato Laurenti gli aveva fornito qualche notizia (2). Di poi furono ricordate con cenni poco esatti in una guida di quelle montagne pubblicata da Fodéré (3). La priorità di una descrizione scientifica, sebbene assai succinta, delle (1) Di questa opera fu pubblicata una edizione a Torino nel 1824. (2) Questi le aveva vedute accidentalmente transitando nella valle dei Laghi Lunghi per discendere in quella della Gordolasca. (3) Fodéré F. E., Voyage aux Alpes Maritimes etc. Paris, 1821. — 493 — incisioni appartiene a Moggridge (i), il quale presentò in proposito una breve memoria al Congresso internazionale di antropologia ed archeologia preistoriche, tenuto a Norwich nel 1868. Illustrazioni più particolareggiate ne furono date quasi simultaneamente, durante il 1877, da L. Clugnet (2) e da E. Rivière (3). Pubblicazioni posteriori di Blanc (4), Navello (5), Prato (6), Ghigliotti (7), Molon (8) aggiunsero assai poco alle cose già note. Nel 1884 il capitano E. d’Albertis si occupò del confronto delle inscrizioni rupestri delle Alpi Marittime con quelle delle Canarie (9). Dopo aver dato conto dei geroglifici da lui veduti nella Valle d’inferno, il Prof. Emanuele Celesia fu il primo a segnalare quelli di Val Fontanalba (10), la quale, discosta dalle vie abitualmente battute e solo visitata a (1) Moggridge P. G. S., The Meraviglie. Comptes rendus du Congrès internationnl d’Anthropologie et d’Archéologie préhistoriques. Londres, 1868. (2) Clugnet Léon, Sculptures préhistoriques siluées sur les bords des lacs des Merveilles (a sud-est du col de Tende, Italie). Matériaux pour servir à l’hist. de l’homme, 2' serie, tome Vili. Toulouse, 1877. (3) Rivière E. R., Gravures sur roches des Merveilles au Val d'Enfer. Association Frangaise pour 1’avancement des sciences. Paris, 1878. (4) Blanc E., Études sur les sculptures préhistoriques du Val d' Enfer. Cannes, 1878. (5) Molon Francesco, Preistorici e contemporanei, studi paietnologici in relazione al popolo ligure, con 5 tav. Milano, U. Hoepli editore, 1880. (6) Ghigliotti Felice, Escursioni nelle Alpi Marittime. Boll, del Club Alpino italiano, voi. XXVII, n. 50. Torino, 1883. (7) Navello S., Impressioni sulle iscrizioni simboliche preistoriche dei laghi delle Meraviglie. Boll, del Club Alpino Italiano. Torino, 1884. (8) Prato A. F., Sulle iscrizioni simboliche del Lago delle Meraviglie. Rivista Alpina Italiana. Torino, 30 settembre 1884. (9) d’Albertis E., Crociera del Corsaro. Milano, 1884. (10) Celesia Emanuele, I Laghi delle Meraviglie in vai d'inferno (Alpi Marittime). Giornale della Società di Letture e Conversazioni scientifiche, fascicolo di luglio - agosto - settembre. Genova, 1885. — Escursioni alpine - I -Laghi delle Meraviglie - li ■ Fontanalba. Bollettino ufficiale del Ministero di Pubblica Istruzione, fase. V, maggio 1886. Roma, 1886. — 494 — lunghi intervalli da pochi pastori e cacciatori, era ignota agli studiosi. Più recentemente, un altro esploratore, il Sig. Clarence Bicknell, reputato botanico inglese da molti anni residente a Bordigfhera, si diede a studiare con rara diligenza e O ' ... sagacia le figure incise nelle alte valli delle Alpi Marittime. Stabilito in una rustica casetta nella Valle Casterino, continuò per parecchi anni le sue indagini durante la buona stagione. Avendo educato 1 occhio alla scoperta delle incisioni meno appariscenti, sia perchè logorate dagli agenti esterni sia perchè nascoste dal terriccio e dalle piante, ebbe ad osservarne ogni volta buon numero di nuove, anche dove erano sfuggite all attenzione di altri esploratori. Alla fine del 1902 i calchi, stampi (1) o disegni ottenuti dal sig. Bicknell, erano in complesso non meno di 2554, di cui 2400 sono copie di figure o segni diversi e gli altri duplicati. Egli stima che nei luoghi da lui visitati il numero delle immagini graffite o scolpite sulla roccia non sia minore di 7000. Parte dei materiali di cui sopra furono riprodotti e descritti in una serie di memorie (2), che costituiscono (1) I così detti calchi furono ottenuti principalmente tracciando con cera nera su carta sottile, applicata alle rupi incise, i contorni e ogni altro particolare delle immagini scolpite; gli stampi si eseguirono comprimendo fortemente e battendo con un panno rotolato, sulle stesse immagini, fogli di grossa carta ricca di colla, molto inumiditi, per modo che rimanessero alla superficie posta a contatto della roccia, impresse in rilievo, le anfrattuosità, e riprodotti come incavi le sporgenze. (2) Bicknell C., Le figure incise sulle roccie di Val Fontanalba. Atti della Società Ligustica di scienze naturali e geografiche, voi. Vili. Genova, 1897 — Proceedings of thè Society of Antiquaries, Dee. 9, 1897. — Osservazioni ulteriori sulle incisioni rupestri in Val Fontanalba. Atti della Società Ligustica di Scienze nat. e geog., voi. X. Genova, 1899. The prehistoric rock engravings in thè Italian Maritime Alps, Bordighera, 1902 Further explorations in thè prehistoric rock engravings di thè Italian Maritime — 495 — ormai i migliori documenti intorno alle misteriose incisioni, e alle quali io attinsi nello scrivere queste pagine. Le figure di cui sono corredate le suddette memorie subirono quasi tutte opportuna riduzione, di cui è data la misura. In alcune tavole si vedono rappresentati gruppi di di-segni, quali furono riuniti dagli ignoti artefici, secondo ogni probabilità col proposito deliberato di esprimere idee più o meno complesse o pure serie di fatti fra loro coordinati. Mediante un certo numero di fotoincisioni, alcune delle quali (tav. VI, VII, Vili) sono riprodotte in questo volume per gentile condiscendenza dell’autore, egli dimostra qual sia l’aspetto delle rupi effigiate e il carattere alpestre e selvaggio del paesaggio. Sono posteriori ai primi lavori di Bicknell due comunicazioni pubblicate da Fritz Mader(i) e da Lissauer (2). Il signor Bicknell ha fatto parte generosamente dei suoi calchi e delle sue fotografie ad alcuni studiosi e a parecchi istituti italiani ed esteri, fra i quali il R. Museo Etnografico e Preistorico di Roma e il gabinetto di Geologia della R. Università di Genova; ha poi destinato a favore di quest’ultimo un piccolo frammento originale di pietra incisa ; mentre un altro è stato da lui inviato al British Mtiseum di Londra, ed un terzo fu già depositato presso il piccolo museo di Bordighera. Bicknell avrebbe potuto procurarsi ben facilmente, per sè o per arricchirne pubbliche raccolte, esemplari più nu- Alps. Bordighera, 1903 — Incisioni rupestri nuovamente osservate nelle alte valli delle Alpi Marittime. Atti della Soc. Ligustica di scienze nat. e geog., voi. XVII. Genova, 1906. (1) Mader F., Le inscrizioni dei Laghi delle Meraviglie e di Val Fontanalba nelle Alpi Marittime. Rivista del Club Alpino Ital., voi. XX, n.° 3. Torino, 1901. (2) Lissauer, Anthropologischen Bericht ilber seine letzte Reise in Siid-Frankreich und Italien. Verhandl. des Berliner Anthrop. Gesellschaft, Sitzung, 21 Juli 1900. — 496 — merosi e di maggiori dimensioni di questi che si trovarono già naturalmente staccati dalle rupi figurate, ma non volle, trattenuto dal desiderio di lasciar intatte, nella loro sede orio-inaria, le vetuste e venerabili vestigia. Senon- o ' chè, pochi sogliono obbedire a sì delicati sentimenti, e non è ingiustificato il timore che in avvenire le incisioni più vistose e più nitide cadano sotto gli occhi di raccoglitori senza scrupoli che ne facciano scempio affine di asportarle. Ad impedire questa jattura sarebbe opportuno, io credo, che fossero equiparate, come chiede il Sig. Bicknell, ai monumenti nazionali, o che, almeno, ne fosse vietata la distruzione dalle autorità provinciali o comunali. Vedano i competenti in materia legale se e come i nostri voti sieno suscettibili di pratica applicazione. Ricorderò in proposito come in Algeria sia severamente inibito dall’autorità locale di guastare o rimuovere certi antichi graffiti, rappresentanti uomini ed animali tracciati sulle rupi, graffiti non certo più preziosi di quelli testé scoperti fra le Alpi nostre, e come, per provvedere alla loro conservazione, alcuni di essi fossero circondati di robusti cancelli. Ciò mi riferiva, il capitano Enrico d Al-bertis, quando reduce dall’Oranese meridionale, mi rendeva conto delle osservazioni da lui fatte in quella regione. Percorrendo nel 1902 la valle di fontanalba in compagnia del Sig. Bicknell, il numero e 1 estensione delle pietre figurate mi si palesarono maggiori di quanto avevo immaginato, e rimasi colpito dalla imponenza che assumono, sia per la copia, sia per l’ubicazione loro. E impossibile non ravvisare in esse un fatto etnografico di capitale importanza, intimamente connesso con antichissimo e misterioso culto; perciocché, se così non fosse, sarebbero inesplicabili la somma del lavoro compiuto e le difficoltà superate per tracciare tante migliaia di figure e di segni in regione inospitale e remota. - 497 — Nel tempo stesso, potei vieppiù persuadermi della cura minuziosa che l’autore pose> nel riprodurre le principali figure da lui osservate e come egli non abbia omesso pazienti indagini per risolvere i problemi che loro si connettono. Dalla escursione che feci in Val Fontanalba, coll’aiuto di sì esperta guida, acquistai la certezza che in molti casi le incisioni furono eseguite, non già, come io credevo, mediante il sussidio di scalpellini o subbie (i) e mazzette, ma col mezzo di stromenti appuntati, provvisti di manico più o meno lungo, analoghi al martelletto (2) dei lavoranti in marmo 0 meglio ad un picconcino. Ciò perchè le intaccature di cui risultano i disegni accennano a colpi vibrati involontariamente a qualche distanza dai punti che l’artefice prendeva di mira. Fig· 139· Fig. 140. Accette e picconi (3). Non solo le figure scolpite sono assai numerose, ma presentano forme, grado di complicazione e modo d’ag- (1) Subbie diconsi dagli operai adibiti alla lavorazione del marmo quegli scalpelli grossi 0 sottili, quadrangolari e troncati ad una estremità, in punta conica 0 poliedrica all’altra. (2) Il martelletto consiste in piccola mazza di ferro a manico corto, riquadrato ad un capo appuntato dall’altro. (3) Il luogo in cui fu osservata ciascuna incisione sarà indicato nel testo 0 nell’ indice delle figure. Big. 141. — 498 — gruppamento svariatissimi, osservandosi però in complesso il medesimo carattere, che si palesa nella tecnica uniforme, Fig. 142. Fig. 143. Piccone e mazzuolo. Fig. 144. Hg' 145· Punte di freccia. nella ripetizione di alcuni motivi e nella analogia di certi disegni dirò così elementari, e in particolar modo di quelli nei quali sono rappresentate corna bovine, λ^ΐ ha adunque indubbiamente unità di stile, la quale implica entro certi limiti unità di tempo. E soggiungo immediatamente che si tratta di tempo remoto, come risulta con evidenza dalla foggia ingenua ed arcaica del disegno, da taluno degli oggetti rappresentati e dalla alterazione della roccia nei punti in cui fu intaccata dalla scalpellatura. Faccio eccezione per un certo numero di figure e scritti recenti o meno antichi, eseguiti con metodo diverso. Mazzuolo di pietra. In tali incisioni si palesano la vanità e lo spirito d’imitazione, innati nell’uomo, che indussero tanti viaggiatori a scrivere 0 a scolpire il proprio nome sulle pareti di — 499 — insigni monumenti e accanto ad altri nomi. Così Bicknell segnalò nella Valle delle Meraviglie la firma di « Gian Battista Guidi » colle date del 1766 e del 1770; e, nella stessa legione, le iniziali « B. G. » colla data 1607, le parole « Claudio Salvagno di Tenda » colla data del 1619, il nome « Giovanni Cassio » colla data del 1717 ed altre meno antiche. Così d’Albertis, secondo una sua comunicazione manoscritta, osservò nella Valle delle Meraviglie, sopra una rupe che reca quattro antichissime figure cornute, altri disegni assai posteriori, fra i quali quello di una croce, colle parole W CARLO VALLE TORINO, scolpite al di sotto e la data 1629 lateralmente, e, poco lunge, le immagini di una scure di tipo moderno (col monogramma I |-d_| S nella parte che rappresenta il ferro), di una roncola, di due coltelli, di una barca a vele spiegate (paranza?) col suo nocchiero imperfettamente indicato. Fig- Ι4Ί· Fig. 148· Fig. 149. Fig. 1 jo. Punte di lancia. Punta di lancia ad anello. Pugnale. Di altra inscrizione dei tempi storici, da lui veduta nella regione delle Meraviglie, Bicknell scriveva testé nella nota Incisioni rupestri recentemente osservate ecc.: « Mi occupai di fare il calco (sopra una superficie orizzontale lungo la riva destra del vallone) dello scudo di Umberto dell'Agarena Viennese, colla data del 1629, del I — 50° — quale accennai in altro lavoro; e dentro la linea o specie di cornice che lo racchiude osservai le lettere greche Fig. iji. Fig. ip. Fig. j;j. Fig. IJ4- Fig. ISS- Pugnaletto. Lama di pugnale o di spada. Pugnali di varie fogge. λαγαθρωος ed altre che sembrano ebraiche. Pare che le prime non abbiano nessun significato, ma forse le altre danno il nome Han Iroch. Dalla croce che figura nella parte superiore dello scudo, son quasi sicuro che quel personaggio appartenne all’ordine dei Cavalieri di Malta; ma finora non ho potuto sapere se vi fosse mai un cavaliere di tal nome. Vicino a questo scudo e la data 1549 senza alcun nome ». Sopra altra pietra d’Albertis scoprì figure infantili (formate di pochi e incerti tratti) di uomini e di animali e Fig. 156. Fig. //7. Fig. 158. Falci di bronzo di varie fogge. J due disegni molto più perfetti e d'altra fattura, rappresentanti due uomini dal torace allungato, dagli arti sottili, i — 501 — quali sono entrambi provvisti di alto copricapo appuntato come il berrettone dei Persiani; uno dei due, armato di pugnale o spada, è atteggiato a minaccia, nell’ altro si vede un voluminoso membro virile. Queste ultime immagini, di carattere assai spiccato, sembrano aggiunte posteriormente, ma pure in tempo remoto, alle moltissime segnalate dagli autori come preistoriche. Fig. iS9. Falce. Mentre alcune figure misurano pochi centimetri nella maggior dimensione, altre sono relativamente grandissime. Un disegno che rappresenta una cuspide di lancia misura 98 centimetri di lunghezza. Bicknell mi scrisse di una testa bovina le cui corna si prolungano in capricciosi ghirigori per circa 7 metri. Descrizione sommaria delle figure principali. — Un gran numero di figure assai semplici, tanto presso i laghi delle Meraviglie quanto in Val Fontanalba, rappresentano manufatti, e la spiegazione loro può considerarsi come sicura o quasi. Tali sono quelle di accette di bronzo o di pietra immanicate (fig. 139, 140), di mazzapicchi 0 zappe di pietra con manico (fig. 141, 142), di martelli 0 picconi di pietra pur con manico (fig. 143), di cuspidi di freccie con o senza peduncolo (fig. 144, 145), di punte di lancia a lungo cannone (fig. 147) od anche a peduncolo breve ed allargato alla base (fig. 148). Fig. 160. Fig. 161. Falcetto. Rasoio rituale. — 502 — Noto per incidenza che le punte di lancia a cannone sono comuni tra i manufatti preistorici di bronzo, e che a mia cognizione, quelle a peduncolo allargato appartengono tutte al novero delle armi litiche, quantunque provenienti da stazioni non sprovviste di metallo. Si possono comprendere nella stessa categoria le immagini di lame di pugnali o di pugnaletti a breve impugnatura (come se ne trovano in parecchie stazioni dell Europa settentrionale, riferibili agli ultimi tempi dell’età del bronzo) (fig. 150) o col solo codolo (fig. 152). Merita attenzione il disegno di una cuspide di lancia in bronzo, di forma comune, della lunghezza di 33 centimetri, col cannone munito alla parte superiore di un anello per parte, certo destinato ad accogliere una cordicella, mediante la quale l’arnese era legato alla sua asta (fig. 149); retta tracciata presso la base del cannone serve forse ad indicare un orlo o cordone. Strumenti analoghi a questo, osservato nella Valle delle Meraviglie, si trovano in stazioni dell età o ’ del bronzo di vari paesi. Altre immagini posteriormente illustrate rappresentano pugnali a breve impugnatura (fig. 153), una cuspide di freccia o di lancia ed un mazzuolo di pietra immamcato (fig. 146), il primo osservato nelle adiacenze del Lago delle Meraviglie, e buon numero di falci primitive, vedute in , riva al Lago del Carbone, insieme ad altre immagini d’armi o d’utensili. Fra le armi, Bicknell ha illustrato parecchi esemplari, che furono attribuiti ad una alabarda assai caratteristica, nella quale il celebre archeologo A. Evans ravvisa uno stromento tipico della prima età del bronzo, rinvenuto in parecchie stazioni preistoriche europee (fig. 156-159) (1)· (1) Secondo questo autore esso accenna ad epoca anteriore all’èra nostra di 1 o a 15 secoli. — 503 — Esso era munito di asta terminata da uno o due anelli (in alcuni casi connessi tra loro pel margine esterno, in altri concentrici), e talvolta aveva una lama triangolare, fissata mediante chiodetti ad apposita espansione dell’asta. Anche Lissauer nota come importante l’immagine di questo stromento, il quale figura a parte ed impugnato da un uomo (fig. 162). —. · 73^^, Γ» *à, talvolta ravviso il carattere di insegne. Fig. 2ji. Fig. 2J2. Fig. 253. Fig■ 2S4- Quattro figure di ignoto significato. Anche le figure umane isolate e i gruppi di figure potrebbero rappresentare insegne. Quelle nelle quali 1 uomo impugna una falce o un’ascia appartengono verosimilmente a sacerdoti, o meglio a capi o principi, e il numero dei nodi dell’ asta che sostiene lo stromento sta forse ad indicare il grado gerarchico del portatore. Gli attacchi di bovi coll’aratro e coll’erpice servirebbero invece ad indicare agricoltori. Per terminare questi appunti intorno ai gruppi di figure che mi sembrano meritevoli di studio, come quelli che accennano a geroglifici più 0 meno complicati, additerò i seguenti, tutti illustrati nella relazione Further exploratioris in thè regions prehistoric rock engravings di Bicknell. — 533 - a) Fig. 18, tav. II; piccolo gruppo di geroglifici di cui fanno parte una figura topografica assai semplice, un l|: incluso nella prima, un altro iji esterno, un bovino con due corna ed altra appendice (corno od orecchio), un Y , un circolo attraversato da due diametri in croce e un piccolo segno di significato ignoto, che somiglia all’immagine di una pala (Val Fontanalba). b) Fig. 6, tav. II; complesso di due disegni, fra loro assai vicini. L’inferiore, informe o alterato dal tempo, sfugge ad una interpretazione verosimile; il superiore è uno dei soliti corpi bovini, le cui corna sviluppatissime limitano uno spazio irregolarmente poliedrico, e presentano, a sinistra, una soluzione di continuità provvista di due brevi rette sporgenti all’esterno, come imboccatura. Internamente, dinanzi al capo del supposto bove, sono allineati sette brevi tratti (Val Fontanalba). c) Fig· i. tav. Ili; gruppetto di tre disegni fra loro vicinissimi: a sinistra vi ha una falce (o alabarda) dalla lama triangolare, lunghissima e dall’asta lineare; a destra un corpo bovino con lunghe corna lineari e coda, e al di sotto un oggetto triangolare, che sembra una lama di falce, la cui punta interseca una delle corna Val (Fontanalba). d) Fig. io, tav. Ili; curioso gruppo nel quale figurano, oltre un disegno di ignoto significato, due corpi bovini cornuti, uno di essi anche caudato, due (Jj) ed un Q (Val Fontanalba). e) Fig. 3, tav. IV ; gruppo singolarissimo, nel quale si vedono inferiormente due rettangoli tutti scalpellati anche nell’interno, con figura irregolare tracciata a contorno dinanzi ad uno dei lati (piante di capanne con recinto destinato agli armenti?), e lunghe curve (parte di uno steccato o recinto periferico?). Dinanzi al rettangolo superiore, una coppia di bovi con l’erpice, due figure umane assai primitive, davanti ai bovi, e due dietro; tra le prime, quella di sinistra brandisce un’arma(?). Queste figure sono notevoli perchè formate di pochi tratti assai sottili (Val Fontanalba). f) Fig. i, tav. VI; gruppo stranissimo costituito da una testa bovina con corna lineari, lunghissime e tortuose, le quali alle due estremità intersecano altre due teste bovine assai più piccole, una, quella di destra (che è di dubbio significato), colle corna in giù, l’altra, di sinistra, colle corna in su. Sopra, a sinistra, un triangolo isoscele, irregolare, diviso in due parti da una retta parallela al lato superiore, inferiormente, a destra, due piccole figure bovine, schematiche, una ellissi divisa in sette parti da sei rette trasversali, un piccolo circolo diviso per metà da un diametro, e, sotto a questo, un ultimo corpo cornuto (Sopra il Lago delle Meraviglie). g) Fig. i e 2, tav. VII; sono due gruppi singolari di figure, entrambi intricatissimi, che destano 1 idea di piante topografiche di orti, pasture e recinti, con case o capanne. Nella prima, si vede delineata un’ area circolare, con una sorta di appendice ellittica e due rettangolari, nella seconda, le figure in numero di quattro, in contatto fra loro o assai prossime, sono tutte circoscritte da curve, gli spazi tutti picchiettati, distinti nella riproduzione litografica mediante ombreggiatura uniforme, rappresentano forse aree coperte (Monte Bego). Il confronto fra le incisioni delle valli d’ Inferno e di Fontanalba coi geroglifici di cui fanno uso i popoli barbari, specialmente nell America settentrionale, ci porge chiara prova che nelle prime come nei secondi le immagini e i segni singoli sono associati in convenzionali combinazioni, allo scopo di esprimere idee più o meno complesse. - 535 - , Così, tengo per certo che l’avvicinamento di più figure scolpite in quella remota regione non fosse casuale, e servisse a formulare determinate proposizioni. Si tratta evidentemente di una scrittura ideografica, simbolica, nella quale certi segni assai semplici ( ^ ) stavano per acquistare e forse avevano acquistato il significato di caratteri fonetici. Alcuni gruppi risultano costituiti di poche figure piuttosto semplici. Così per esempio, in uno di quelli disegnati dal capitano d Albertis e di cui volle darmi gentilmente comunicazione, si vedono sopra una superficie levigata, di m. tre di lunghezza e due di larghezza, cinque corpi cornuti, due dei quali compenetrati, colle corna dirette in senso inverso all’ esterno, corpi disposti in prossimità 1 uno dell altro lungo una linea obliqua ascendente, poi, poco più in alto a destra, una insegna formata di un’ellissi divisa in due metà da una retta verticale, attraversata da tre tratti trasversali, certo la stessa rappresentata da Clugnet al N. 4 della sua tavola VI, qui riprodotta nella fig. 237. Orbene, 1 insegna potrebbe essere designazione di persona, rappresentando le altre figure il numero e la natura degli ammali offerti in olocausto alla divinità dalla stessa persona. Quantunque manchino al presente validi termini di confronto per tentare la spiegazione di tali geroglifici, non mi sembra l’impresa superiore a quelle che la scienza moderna è capace di condurre a buon porto. Ben s’intende che, oltre alle nozioni fornite dalla paletnologia, saranno da usufruttarsi per ciò i metodi e i criteri messi in opera dalla epigrafia, dalla sfragistica, dalla linguistica e dalle discipline affini. Intanto, faccio viva istanza agli esploratori affinché vogliano apparecchiare elementi alla futura indagine, raccogliendo, non solo i singoli segni, ma i gruppi che risultano dal loro reciproco avvicinamento. — 536 — Nei tentativi di interpretazione dei gruppi d’immagini conviene tener presente il fatto che si danno, secondo Bicknell, casi di incisioni eseguite in tempi diversi, propriamente sovrapposte, senza alcun preconcetto, sulla stessa superficie rupestre. Ipotesi e congetture emesse dagli autori. — Prima di chiudere questo studio con qualche considerazione d’ordine generale, reputo opportuno esporre succintamente giudizi e opinioni suggeriti dall’esame dei geroglifici di cui ho tenuto discorso. Alcuni, come Clugnet, non vedono in essi che il risultato di un passatempo immaginato da ingenui pastori, affine di ingannare lunghe ore d ozio. Questo concetto, già avanzato da Gioffredo, e che lo stesso G. De Mortillet parve inclinato ad accogliere, mi sembra fondato sopra impressioni affatto estranee alla critica scientifica, e tale da non richiedere discussioni, poiché già implicitamente confutato dalle osservazioni surriferite. Rivière riconosce nelle incisioni della Valle d Inferno carattere etnografico ben spiccato, nella qual cosa io pienamente convengo, avvertendo che più e meglio si palesa un tal carattere in quelle di Val Fontanalba ; ravvisa poi stretta somiglianza fra le prime e le iscrizioni rupestri del Sus (Marocco) e delle Isole Canarie. Nei disegni segnalati sulle rupi del Sus figurano, è vero, animali, ma si tratta, per quanto mi consta, di rinoceronti, elefanti e struzzi, i quali non hanno coi nostri alcuna relazione. Si dà invece una strana coincidenza nella ripetizione del segno che rappresenta una testa cornuta e nella somiglianza di parecchie altre figure. Rivière trova inoltre qualche analogia fra i disegni scolpiti sopra un menhir del Marocco e taluno di quelli della Valle d’inferno. Rispetto alle Canarie, osservo, dai saggi pubblicati per cura di d’Albertis, che, tra le incisioni dell’ìsola di Palma, — 537 — predominano spirali e curve capricciose, nelle quali non si palesano riscontri notevoli coi geroglifici delle Alpi. A Gomera si avrebbero invece segni simili o conformi a caratteri orientali, e perciò, salvo rare eccezioni, essenzialmente diversi da quelli qui passati in rassegna. Non cosi nell Isola del Ferro, le cui pareti rocciose scolpite sono estesissime, e presentano figure svariate, fra le quali alcune, nel punto detto Los Letreros, corrispondono a queste descritte dallo stesso Rivière e dai suoi continuatori: Verneau illustrò un gran numero di segni e figure incisi sulla roccia nelle Isole Canarie, nel noto Rapport siir une mission scientifique dans l’archipel Canarien, e risulta dalle sue osservazioni che le iscrizioni propriamente dette, formate cioè di segni alfabetici, sono ottenute colla scalfittura (raclage), mentre quelle che non si possono considerare come caratteri sono fatte mediante una serie di piccole scheggiature (au pointillagè). Si avrebbe qui percio 1 opposto di quanto Flamand ebbe a verificare in Algeria. Rivière avverte sagacemente come le analogie da lui segnalate si accordino colla estesa distribuzione geografica, nel bacino del Mediterraneo, della razza di Cro-Magnon, secondo gli studi antropologici di de Ouatre-fages e Hamy (i). È ora a desiderarsi che i confronti appena iniziati sieno proseguiti ed estesi al copioso materiale recentemente scoperto da Bicknell. A me mancano gli elementi per accingermi a questo lavoro, il quale darà certo buoni frutti a chi potrà tentarlo nelle condizioni più opportune. (i) De Quatrefages A. et Hamy E. T., Crania ethnica, tic, Paris, 1873. V Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL. 35 - 538 L’ ipotesi che attribuisce i bizzarri geroglifici ad Annibaie, raccolta da Elisée Reclus, come quella che li vuol tracciati per opera dei Cartaginesi guidati dai duci che militavano col celebre condottiero, caldeggiata da Fodéré, son prive di ogni sussidio storico, etnografico ed archeologico. Superfluo il dimostrare, pur ammettendo il transito pel varco di Tenda di un oste cartaginese, quanto è inverosimile supporre che si sia indugiata a scolpir migliaia di figure sulle rupi, in regione lontana da ogni via praticabile e nella quale regna quasi perennemente il rigor dell’ inverno. Con maggior verosimiglianza fu sostenuta dal compianto professore Emanuele Celesia la tesi che gli artisti di Val d’inferno e di Val Fontanalba fossero Fenici approdati in tempi antichi, per ragioni di commercio, ai lidi della Liguria, ed ascesi poi fino alle alte pendici di quelle Alpi, per fare incetta dei preziosi metalli forniti loro dalla miniera di Vallauria, coltivata da epoca remotissima (i). Bicknell osserva opportunamente che, se i Fenici seppero estrarre dai loro giacimenti rame e stagno, non risulta che coltivassero miniere di piombo. Egli tuttavia non è alieno dal riconoscere, con Celesia, 1 influenza fenicia in taluno dei segni che più spesso si ripetono sulle pietre scolpite di quelle valli. Io soggiungo, in proposito, che uno dei riscontri più notevoli sui quali Celesia fondava la sua tesi, il ritrovamento cioè della croce ansata dei Fenici, non si concilia colla interpretazione razionale di numerose figure cornute della Valle di Fontanalba, figure spesso ridotte a segni schematici, nei quali 1 asta verticale è convertita in croce da una sbarra che la taglia trasversalmente. (i) La tradizione attribuisce gli scavi della miniera ai Saraceni, che la fantasia popolare avrebbe per anacronismo sostituito ai Fenici. — 539 — Mader non reputa probabile, come crede taluno dei suoi predecessori, che i segni e figure di cui ci siamo occupati sieno dovuti ai Fenici, i quali coltivavano forse la miniera di Vallauria, non per estrarne piombo, di cui facevano poco o niun conto, ma argento, rame e zinco (i). Sarebbero documenti di molto valore, a prò di certe affermazioni ed ipotesi, gli antichi manufatti rinvenuti, secondo Celesia, in questa miniera; ma, disgraziatamente, non furono veduti da alcuna autorità competente. Non mancano autori che ravvisano tracce di una influenza fenicia anche nelle immagini scolpite sui monumenti megalitici, massime su quelli situati alle foci dei fiumi e in riva al mare, e ciò non solo in Europa, ma nel Nuovo Continente. Infatti Levistre, nell’illustrare i geroglifici della Pierre du Petit-Mond (Morbihan) e dei megaliti di S. Luis in Bolivia e di Dighton-Rock, nel Massachusetts, come pure Ouffroy de Thoron, nel suo opuscolo Les Phéniciens à l'Ile d’Haiti, sostengono questa tesi, la quale, malgrado il ripetersi in punti fra loro tanto lontani di alcuni motivi caratteristici, mi pare assai ardita per non dire arrischiata. Molon stima che le nostre incisioni rupestri sieno saggi di scrittura lasciati da popoli aborigeni allo scorcio dell’età della pietra e quando già cominciava a diffondersi la cognizione dei metalli; e sarebbe ipotesi verosimile se l’arte degli aborigeni, quale si palesa nei più antichi manufatti, in parte coevi con quelli delle caverne, non fosse improntata a caratteri assai diversi. Le rarissime immagini d’uomini o d’animali, modellate in terra cotta dagli antichi Liguri, non offrono alcuna analogia colle figure incise nella Valle di Fontanalba. Simil- (i) Egli non nega però che possono aver esercitato qualche influenza sugli autori delle incisioni. — 540 — mente non si può ravvisare la più lontana relazione fra i bronzi delle stazioni preistoriche del nostro territorio e i disegni delle bizzarre falci sopradescritte. Escluse, in seguito a plausibili considerazioni, le ipotesi che attribuiscono le incisioni ai Cartaginesi e ai Saraceni, Bicknell conclude che gli ignoti artefici furono gente di origine affricana dedita all’ agricoltura e forse anche alla caccia, stabilita in qualche punto del vicinato. Egli crede che due popoli affini, ma diversi, abbiano lasciate le proprie vestigia nelle valli delle Meraviglie e di Fontanalba. Bicknell non è inclinato a comprendere fra i geroglifici propriamente detti le figure scolpite, perchè nella massima parte sparse senza ordine, e dice che in certi casi la stessa figura fu eseguita in più tempi da mani diverse. Egli ammette che furono tutte scolpite di proposito deliberato, per soddisfare al sentimento religioso, e ricorda in proposito, senza però ritenerla confermata dai fatti, l’opinione di Moggridge, il quale vede nelle incisioni delle Alpi Marittime qualche cosa di simile ai segni mistici che alcuni popoli delle alte regioni montane, presso il limite delle nevi perenni, sogliono tracciare allo scopo di tramandare alla posterità la memoria di fatti importanti. Tutti i popoli primitivi, soggiunge, tennero in conto di sacri certi monti, laghi o boschi, i quali erano per essi, in qualche modo, manifestazioni di un mondo invisibile, di misteriose e potenti forze naturali. Con ciò non è necessario accogliere il supposto del Sig. Edmond Blanc, secondo il quale gli artefici preistorici adoravano una ter ribile divinità infernale. Il Monte Bego, visibile da gran distanza (chiaramente si proietta nella Valle di Roia dal ponte di Ventimiglia), può essere stato oggetto di culto per gli antichi visitatori, tanto più che le rupi a superficie levigate e a smaglianti - 54ΐ — colori, allora emergenti dalle tetre foreste onde erano vestiti i suoi fianchi, dovevano fissar l’attenzione ed eccitar la fantasia di gente semplice e superstiziosa. Tali rupi apparivano probabilmente più liscie alcune migliaia di anni addietro che non al presente, avverte Bicknell, ed era forse meno sviluppata la cotica di muschi e licheni, che ora aderisce alle parti di esse più profondamente alterate dagli agenti esterni. Gli odierni pellegrinaggi religiosi e civili, pei quali una moltitudine di persone di ogni ceto e di ogni età conviene periodicamente, da lontani paesi, in certi punti venerati, perchè si connettono ad avvenimenti memorabili, od anche a tradizioni o a miti, e lascia tracce della sua visita con inscrizioni o segni particolari, come pure con ex-voto, tributi, offerte di vario genere, ci forniscono plausibile spiegazione del fenomeno che qui consideriamo. In altre parole, le figure incise erano in certo modo ricordi e segni di un culto remoto, offerte votive, invocazioni a potenze invisibili, benefiche o maligne, espressione di desideri relativi alla prosperità e sicurezza della tribù o di singoli individui, alla conservazione degli armenti, alla abbondanza dei raccolti, al buon successo delle imprese venatorie o guerresche. Si tratta, soggiunge il nostro autore, di invocazioni, le quali, per coloro che le incidevano nella viva pietra, dovevano essere valide non solo nel presente, ma anche nel lontano avvenire. Le figure cornute in molti casi, come si è già detto, significavano indubbiamente bovi, ma in altri avevano forse significato analogo a quello che anche ai dì nostri si attribuisce alle corna, quali talismani atti ad allontanare il mal’ occhio o la jettatura. Così si spiegherebbe, secondo Bicknell, l’immenso numero di emblemi cornuti incisi in quelle alpestri regioni. D’altra parte, le figure che consistono in una semicirconferenza, inferiormente alla - 542 — quale si innesta una retta, sono identiche ad un noto segno alfabetico fenicio, e costituirebbero un riscontro storico assai importante, se non si verificasse, come si è detto, una transizione graduata fra le dette figure e le rozze, ma evidenti, immagini di bovi tanto comuni nella Valle di Fontanalba e in quella delle Meraviglie. L’autore precitato accenna ad alcuni segni da lui rinvenuti colassù, che furono spesso tracciati dai popoli preistorici, per esempio dagli edificatori dei dolvien, segni pur compresi negli alfabeti cretese, libico, etrusco, paleogreco. Soggiunge che altri da lui raccolti sono simili a numeri primitivi, ma non inclina ad attribuir loro questo significato, perchè compariscono solo per eccezione. Lissauer attribuisce i segni da noi descritti agli Iberi, ciò principalmente a motivo dei tipi cui si riferiscono alcune delle armi rappresentate, e soggiunge che dodici o tredici secoli prima dell’èra volgare questo popolo frequentava per scopi commerciali una via (la via Erculea), la quale poneva in relazione la Spagna orientale col Piemonte per Antibo, Nizza, Villafranca, la Turbia, attraversando lo spartiacque, secondo ogni verosimiglianza, al passo di Tenda. Senonchè, per generale consenso dei paletnologi italiani, gli Iberi e i Liguri appartenevano ad una medesima stirpe, la quale, con caratteri antropologici ed etnografici comuni, avrebbe occupato il territorio compreso fra la penisola Pirenaica e la Valle del Po, come pure gran parte della penisola Italiana, la Corsica, la Sardegna e la Sicilia. Se si vogliono autori delle incisioni rupestri gli Iberici così stretti parenti dei Liguri, perche, non si attribuiranno invece a questi ultimi? Comunque sia l’ipotesi alla quale accenno merita di essere tenuta in molta considerazione. Presso l’antichità classica si riferivano gli abitanti di un dato territorio o paese ad un popolo o all’altro, sulla — 543 — fede di oscure tradizioni e leggende o per lievi coincidenze etimologiche ed etnografiche, laonde, mentre non è lecito dubitare che certi popoli protostorici fossero designati quale col nome di Liguri, quale con quello di Iberi, non è men vero che ignoriamo le loro relazioni reciproche, e non possiamo accogliere senza molte riserve le asserzioni degli autori circa la loro distribuzione geografica nelle varie epoche, specialmente durante le più remote. Se Strabone riconobbe la necessità di designare come Celtoiberi coloro che provenivano dalla commistione dei Celti e degli Iberi e come Celtoligun altri che partecipavano dei Celti e dei Liguri, è ben legittimo argomentare che i tre elementi, già ben distinti come nazioni, fossero più tardi, localmente, congiunti e fusi. Rispetto alla stirpe, diremo solo, per esser cauti, che Liguri ed Iberi erano assai affini, sopra tutto dal punto di vista dei caratteri antropologici. Intanto, ripetiamo incidentemente, per non generar confusione, che intendiamo per Liguri, non già quelli dai classici distribuiti per tali in Italia, in Francia, in Spagna, in Inghilterra e sul Mar Nero, ma solo la gente che, fra i tempi archeo-litici e i protostorici, lasciò i propri avanzi nelle caverne e nelle altre stazioni archeologiche della Liguria Marittima. o o Dopo le pubblicazioni di Bicknell, che mettono in chiaro come l’arte dei misteriosi incisori si esplicasse bene spesso con figure assai più corrette e complicate di quelle che si conoscevano da principio, apparisce adunque improbabile che tali incisori fossero Liguri dei tempi neolitici e postneolitici, i quali, come dimostrano le vestigia rinvenute nelle loro caverne, erano dotati di un senso estetico assai oscuro, non possedevano che scarsi ed imperfetti utensili metallici, tutti o quasi tutti importati da altri paesi, e, dediti principalmente alla caccia e alla pastorizia, esercitavano una agricoltura rudimentale. -- 544 — Ricorderò qui, tra parentesi, aver io dimostrato, mediante il confronto dei resti umani paleolitici della stazione dei Balzi Rossi con quelli neolitici e protostorici del Finalese, e colla scoperta di relitti anche posteriori, come una stirpe, ora estinta, abbia popolato la nostra regione dai tempi più remoti (lo studio dei quali appartiene alla paleontologia) fino ai primordi dell’ era storica, come eziandio detta stirpe, la sola cui si competa propriamente l’appellativo di Ligure, coincidesse perfettamente, pei suoi caratteri osteologici, con quella illustrata da Broca, de Quatrefages e Hamy sotto il nome di race de Cro-Magnon, che occupò durante i tempi preistorici gran parte dell’Europa occidentale e del bacino circummediterraneo. Alla unità antropologica ben definita di Cro-Magnon fu di poi assegnato un significato più comprensivo, annettendole parecchie stirpi più o meno divergenti dal tipo, e si denominò razza Mediterranea. Sergi sostiene ora la tesi che l’origine di questa razza sia affricana; ma tale affermazione ci sembra prematura, pel fatto che ai Medi-terranei si connettono i Liguri neolitici e paleolitici delle caverne, per tacere di altri cavernicoli antichissimi, di cui si trovano gli avanzi in plaghe più settentrionali. Si può ricorrere, è vero, alla ipotesi delle immigrazioni avvenute in una fase geologica anteriore alla nostra per conciliare le accennate induzioni coi fatti precedentemente esposti in ordine alle origini liguri. Contrariamente alla opinione professata da Rivière, ritengo che anche buon numero di incisioni e figure megalitiche, osservate sui dolmen e i menhir dell’ Europa occidentale, quantunque differenti nella tecnica dalle incisioni delle valli d’inferno e Fontanalba, abbiano con esse relazioni strette, sia dal punto di vista dello stile, sia da quello della similitudine di parecchi segni. Le prime ci esibiscono principalmente: coppelle (non osservate ancora — 545 — fra le Alpi Marittime), circoletti con un punto nel centro, con e senza circoli concentrici, spirali semplici o doppie, linee serpeggianti, piegate ad U, piegate a pastorale, segni cruciformi ecc., poi immagini di ascie litiche con manico e senza, figure umane assai rozze, insegne o stemmi più o meno complicati, ornamenti diversi, figure di significato ignoto in parte analoghe a quelle da noi descritte. Mentre Letourneau ravvisa in gran parte dei nostri segni lettere analoghe a quelle di antichi alfabeti, in ispecie dei semitici (i), Adrien De Mortillet nega assoluta-mente che si riferiscano ad una scrittura: * qui dit écri-ture, egli soggiunge, dit arrangement. Or il n’y en a aucun dans les signes des monuments mégalithiques » (2). A me par difficile revocare in dubbio, per gran parte di quelle incisioni, il carattere di scrittura ideografica. De Nadaillac cita due esempi nei quali i segni tracciati sulle pietre di megaliti del Morbihan sono coperti da altro masso e quindi anteriori alla erezione del monumento; d altra parte, è certo che in alcuni casi le incisioni sono posteriori, e in questi si tratta talvolta di vere epigrafi, quali scritte in caratteri indecifrabili, quali in lettere di antichi alfabeti. È appunto il complesso degli accennati segni ed immagini, tracciati sui monumenti megalitici, tipici, e contemporanei ad essi, che presenta a parer mio una certa analogia con quello delle incisioni rupestri alpine. Le differenze che si notano fra molte figure dei primi ed altre delle nostre Alpi sono forse dipendenti da destinazione diversa (le une erano, per la maggior parte, inscrizioni funebri, e le seconde invece documenti di carattere religioso o poli- (1) Letourneau C., Signes alphabétiformes des inscriptions mégalithiques. Bull, de la Société d’Anthropologie. Paris, 1893. (2) De Mortillet A., Revue mensuelle de l’Ècole d’Antrhopologie, 15 sep-tembre 1894. — 546 — tico); si spiegano eziandio invocando diverse circostanze di tempo e di luogo, e specialmente il fatto che presso le società primitive esistevano ed esistono ancora disparita profonde nei costumi, nelle credenze, nei parlari di tribù antropologicamente assai prossime e geograficamente vicine. Quanto alle differenze nella tecnica, le ritengo subordinate alla natura della roccia che si scolpiva e a quella degli stromenti adibiti al lavoro. Osservo a sussidio delle mie considerazioni, che la estesa distribuzione in Europa, in Affrica e in Asia dei megaliti spiega, da una parte, la disparità delle vestigia grafiche lasciate dai loro autori nei vari punti, e, dall altra, certe somiglianze fra queste ed altre della stessa indole e di origine ignota, che si trovano impresse sulle rupi in buon numero di luoghi in cui mancano megaliti. Intanto, contro l’affinità da me avvertita, si può addurre il fatto che non furono segnalati dolmen, menhir, cromlek nelle valli d’inferno e di Fontanalba, e nemmeno in tutta la regione che le circonda; non ne conosco anzi un solo esempio ben accertato in tutta la Liguria e nel Piemonte. I più vicini alle rupi incise sarebbero, per quanto mi consta, i dieci dolmen scoperti presso Saint Césaire, nel dipartimento francese delle Alpi Marittime, descritti da Bourguignat e A. Maret. Esistono, è vero, fra noi, cimeli antichissimi, da taluno considerati più o meno legittimamente come pertinenti alla stessa famiglia dei monumenti cui accenno. Abbiamo la pietra da croci di Pieve di Teco e le rupi incise di Orco-Feglino e ddl’Acquasanta (i), che offrono punti di contatto notevolissimi coi massi figurati dei dolmen. Finalmente, in rifugi attuali di pastori, comunissimi in (i) Desor E., La pierre de Croix de Pieve di Teco etc. Bull, di Paletnologia italiana, anno X. Parma, 1879. - 547 — Liguria, che si denominano cabanne o caselle (i), si palesa la tradizione di rozzi edifìzi preistorici, assai somiglianti a certe costruzioni primitive ; ma tuttociò non ha che relazione molto indiretta colla nostra tesi, alla quale farebbe mestieri, per essere saldamente sorretta, un esame comparativo delle incisioni · megalitiche, da una parte, e delle rupestri, dall’altra, esame impreso da un buon conoscitore dei geroglifici e degli alfabeti antichi, da uno studioso il quale avesse sotto gli occhi i copiosi documenti raccolti dagli archeologi, dagli antropologi, dai glottologi e dagli etnografi sui monumenti megalitici in genere, sulle genti cui si deve la loro erezione, sulle vie seguite dai misteriosi architetti che lasciarono le proprie orme in sì gran parte del mondo, sulle relazioni fra i popoli primitivi, e specialmente sulle origini della scrittura. In questo esame vorrei si tenesse gran conto dei lavori di Piette (2) e di Bordier (3) sui caratteri paleolitici, di Keber (4), di Letourneau (5), di Berthelot (6) sui graffiti della prima età dei metalli, di Schliemann, di Gozzadini, di A. Evans (7), di Kirchoff, di Corssen, di Pauli sulle iscrizioni dei tempi protostorici, e finalmente delle numerosissime memorie concernenti l’epigrafia antica in genere. Numerosi esempi di rupi figurate furono segnalati nella Cirenaica, nel Fezzan, nel libesti, nell’Algeria e nel Mail) Si veda il capitolo V della parte terza. (2) Piette. Etudes d ethnographie préhistorique etc. L’Anthropologie, voi. VII. Paris, 1896. (3) Bordier, Origines préhistoriques de l'écriture. Bulletins de la Société dauphinoise d’Ethnographie et d’Anthropologie, voi. IV. Grenoble, 1S97. (4) Reber, Vorhistorische Sculpturendenkmàler in Camion Wallis. Arch. fur Anthropol., voi. XX e XXIV. (5) Letourneau C., Signes alphabétiformes des inscriptions mégalithiques. Bulletins de la Société d'Anthrop. de Paris, 15 septembre 1894. (6) Berthelot, Antiquités canariennes. Paris, 1879. (7) Evans A., Cretan Piclographs and praephaeniciati script, from Crete and thè Peloponnese. 1895. — 548 — rocco. A Cirene sono scene di guerra e di caccia, o immagini di cerimonie religiose, memorie incise sulle pareti di ο O gallerie sepolcrali, artificialmente scavate. Barth riferì che quelle di Telizzarhen rappresentano asini, cavalli, bovi, in gran numero, e supposte divinità col corpo d uomo, quale a testa di antilope, quale a testa d’uccello; uno di questi esseri fantastici è vestito di pelli ed armato di arco e di frecce, un altro porta uno scudo (i). Nachtitfall osservò che le memorie iconografiche del- o l’Enneri Udeno, a S. di Bardai, consistono specialmente in immagini di buoi a corna protratte in avanti, alcuni dei quali coperti del basto sudanese; vi figura anche un guerriero colla spada a crociera dei Tibbù, e uno scudo ovale ornato di una croce (2). Duveyrier accenna ad incisioni vedute da altri ad Anai, lungo la via tra Germa e il paese d’Air, che rappresentano carri tirati da bovi gibbosi. Nel Marocco meridionale il rabbino Mardocheo raccolse, fra il 270 45' e il 290 151 di lat. N. e fra 1 11 30' e 130 r51 di long. O. da Parigi, disegni di incisioni alquanto diverse, nelle quali non figurano il bove e 1 asino ed invece abbonda l’elefante, bene spesso accompagnato dal rinoceronte e dalla giraffa. L’uomo vi comparisce armato di una spada uguale a quella dei Guanci canarioti e munito di scudo rettangolare. Segni misteriosi sono associati a siffatte immagini (3). - Fra tali gruppi, assai lontani fra loro, intercedono, per la loro posizione geografica e in parte anche pei loro caratteri, le rupi scolpite dell Algeria meridionale. (1) Barth, Voyages, voi. I, pag. 113. (2) Nachtigall, Sahara et Sondati, voi. 1, pag. 178. (3) Duveyrier, Les sculptures rupestres du Sous. Bull, de la' Société de Géographie. Paris, 1876. — 549 — In un recente lavoro (i) il Prof. Flamand asserisce che nell estremo Oranese meridionale, e specialmente nel Saara, le stazioni note per la scoperta di inscrizioni rupestri sono circa 50, e si estendono oltre le oasi d’ In-Salah. Egli reca il nome e la posizione di ciascuna. Le incisioni sarebbero parte preistoriche (neolitiche), parte protostoriche, storiche e moderne. Le incisioni delle varie età si mostrano in alcuni punti sovrapposte. Le più antiche, d’altronde, si manifestano per tali, essendovi compresa bene spesso l’immagine del Bubalus antiquus, il quale non si trova in Affrica che allo stato fossile, e quelle di grandi pachidermi (elefante e rinoceronte), ornai confinati in latitudini più meridionali. Le inscrizioni che datano da tempi protostorici o storici sono assai numerose nella catena atlantica, saariana, da Aflu a Figuig, e si fanno più frequenti verso il Marocco. « Je citerai particulièrement, scrive Flamand, l’Oued Dermel ou panni les lauriers roses et les bouquets de tamarix et de roseaux, surgissent des rivages de l’Oued, presque à chaque pas, les rochers rutilants de ces mysté-rieuses inscriptions ». Esse si distinguono dalle più antiche per la tecnica, essendo ottenute mediante serie di scheggiature assai prossime, au pointillé (precisamente come quelle delle Alpi Marittime) ; hanno poi caratteri ben diversi dalle prime ■ pel fatto che sono riproduzioni schematiche e grossolane, nelle quali manca il sentimento della natura e la sicurezza delle incisioni preistoriche. Consistono: i° in figure di animali, tutti viventi nella regione 0 nel mezzogiorno a distanza non grande, come: Boselaphes bubalis, mufflone, dro- (1) Flamand G. B. M., Hadjrat Mektoubat ou les pierres écrìtes, pre-mières manifestations artistiques dans le Nord Africain. Lyon, 1902. — 550 — medario (i), cavallo, pantera, leopardo cacciatore, struzzo, ottarda; 2° in immagini di uomini, generalmente a cavallo e armati di lancia e di scudo; 30 in caratteri alfabetici libico-berberi; 40 in segni di ignoto significato. Le inscrizioni più recenti risultano esclusivamente o quasi di caratteri alfabetici berberi (tifinar e tiddebakin), ed anche arabi (2). Si tratta di vere epigrafi, la cui interpretazione è bene spesso possibile. Le incisioni a forma relativamente arcaica, protostoriche, secondo Flamand, che hanno maggiore interesse per noi, vista l’affinità loro con quelle delle Alpi Marittime, comprendono lettere libiche e berbere, analoghe ad altre ancora in uso presso i Tuareg, poi rombi, cerchietti e svastica. La disposizione di questi segni, i quali sembrano distribuiti senza ordine, il significato ignoto od incerto di molti fra essi oppongono gravi difficoltà ad ogni tentativo di traduzione. Tuttavolta Flamand accenna a qualche esperimento, che avrebbe condotto ad interpretazioni accettabili. Il capitano E. d’Albertis profittò di un viaggio in Algeria, nell’inverno del 1902, per visitare alcuni punti dell’ Oranese (circolo di Αϊη-Sefra), noti per le loro bizzarre incisioni rupestri, e le grotte di Chaba Naima, nella valle Ued Itel (Costantana) ; e mi comunicò gli appunti da lui raccolti. Sulla rupe denominata Karmiller, presso Αϊη-Sefra, si trovano nella medesima parete grandi immagini d’elefanti (la maggiore misura 1 m. 50 di lunghezza), figure di piccoli mammiferi, di cammelli, di struzzi, nonché segni che sembrano lettere alfabetiche e numeri. Le prime, eseguite con molta maestria, e pochi disegni minori, appari (1) L’introduzione di questo mammifero data in Egitto dall'epoca greca, in Tunisia dal primo secolo prima della nostra èra; esso comparve solo più tardi in Algeria. (2) Tifinar, nella scrittura dei Berberi, si dicono le lettere formate di linee; tiddebakin quelle rappresentate da punti. — 55ΐ — S,C0n0’ Per natura e la spessezza della patina che ricopre 1 incisione, più antichi degli altri (segnatamente delle figure di cammelli e di struzzi, come pure dei supposti caratteri), i quali si distinguono, inoltre, perchè sembrano fatti a colpi di punteruolo. Le impressioni ricevute dal capitano concordano pienamente colle conclusioni cui pervenne il Prof. Flamand. Fra le opinioni emesse da Rivière, Celesia, Bicknell, Lissauer, Molon non intercede una differenza radicale e profonda, se si rifletta che gli abitanti dell’ antica Libia, i Tenici, gli Iberici e i Liguri preistorici presentano fra loro certe affinità etnografiche, e forse appartengono a diversi rami dello stesso stipite umano, od anche a stirpi fra loro più o meno affini, per fatto di origine o di antiche relazioni. Similmente, i riscontri sui quali ho insistito in modo speciale in queste pagine non sono tampoco in opposizione colle ipotesi dei miei predecessori, se, come ammette Letourneau, le inscrizioni megalitiche hanno segni-comuni coll’alfabeto fenicio, se il popolo che edificava dolmen, menhir e cromlek aveva coi Liguri e gli Iberi quelle relazioni di parentela che taluno suppone. * Intanto, la risposta alla semplice domanda che si affacciava da principio alla nostra mente : « a qual popolo si debbono attribuire le incisioni rupestri delle nostre Alpi? » si rende non solo difficile per sè stessa, ma si aggroviglia alle questioni etnografiche ed antropologiche più gravi e più controverse. Dopo la scoperta del Sig. Piette, di segni alfabeti formi, tiacciati su ciottoli che giacevano in un deposito non rimaneggiato, riferibile all’età miolitica (al magdalènien secondo la classificazione di De Mortillet), dopo le osservazioni del dottor Bordier, il quale non solo conferma le affermazioni di Piette, in ordine alla conformità di alcuni fra tali segni con altri degli alfabeti egeo, cipriotto, del- — 552 — l’Asia Minore, ma estende la coincidenza a certi caratteri frigi, lici, di Tera e d’Egitto, è difficile revocare in dubbio il fatto che in tempi remotissimi, pertinenti alla paleontologia, già si producessero nelle società primitive sprazzi di luce, lampi fugaci di progresso, i quali si diffusero, più o meno affievoliti nello spazio e nel tempo, suscitando, ove le condizioni erano favorevoli, nuovi focolari di coltura, dotati di caratteri parte peculiari, parte comuni agdi originari centri d’ irradiazione. Così, data la conco- o o # mitanza di circostanze e di eventi propizi, sarebbero nati i primi rudimenti delle antiche civiltà ; così, prima che queste sorgessero, sarebbero stati in uso, presso popoli fra loro lontani, metodi e segni grafici non identici, ma analoghi, per l’espressione del pensiero. Per spiegare queste ed altre relazioni paletnologiche fra i popoli che lasciarono analoghe tracce di sè, non solo nelle rupi scolpite, ma nei monumenti megalitici, nei manufatti litici e metallici, nei fittili, ecc., non fa d’uopo ricorrere esclusivamente all’ ipotesi di vere e proprie migrazioni, come quelle che si verificarono nei tempi storici. Ognun vede come possiamo rendercene ragione anche mediante i criteri messi in opera dai paleontologi, quando si studiano di rintracciare l’origine delle faune fossili, cioè invocando il lento e progressivo diffondersi e il compenetrarsi vicendevole di più stirpi primordiali, nate a breve distanza l’una dall’altra, risultandone, in ordine ai singoli rami e ramuscoli, da un lato, un certo grado di affinità, e, dall altro, una impronta propria in ciascun tempo e in ciascun paese. In altre parole, ritengo che le razze o specie umane, originarie di ogni regione, sieno molteplici e provengano da diversi centri d'irradiazione, e tuttavia ne discendano stirpi collegate fra loro da reciproca parentela, pel fatto di frequenti commistioni, sia tra gli stipiti, sia tra le varietà nate per selezione naturale, o per mutamenti nelle condizioni di vita e nell’ambiente. — 553 - Epilogo e conclusione. — Tenendo nel debito conto le osservazioni fatte dai più diligenti illustratori di quei geroglifici, paragonando senza preconcetti i segni di cui si tratta con altri di significato noto ed ignoto e di età più o meno remota, segnalati in varie parti del mondo, mi piace riassumere le osservazioni fatte colle proposizioni seguenti, parte conformi a giudizi già emessi dai miei predecessori, parte originali, proposizioni tendenti a sollevare un piccolo lembo del fitto velo che avvolge tali singolari vestigia dell’arte preistorica: I. Le figure incise risalgono a tempi remotissimi, anteriori ad ogni memoria storica della nostra regione, durante i quali, tuttavolta, erano già noti i metalli d'uso comune. Alcuni dei manufatti rappresentati si riferiscono a tipi propri alla così detta prima età del ferro. II. Esse furono eseguite da gente dedita all’agricoltura e alla pastorizia, ben più che alla caccia e alla guerra. Le immagini di aratri e di erpici escludono che gli artefici fossero esclusivamente pastori. Tali immagini, associate ad altre, assai più numerose, di teste e corpi cornuti, le prime provviste di orecchie o senza, i secondi muniti o no di gambe e di coda, dimostrano che queste figure cornute non sono, in tesi generale, il noto emblema fenicio, ma rappresentano bovi liberi od aggiogati per servire a lavori campestri. III. Mentre molte figure rappresentano manufatti, animali od uomini, altre sono indubbiamente ridotte a schemi ed avevano, secondo ogni verosimiglianza, significato simbolico. Si tratta essenzialmente di una scultura figurativa, che in parte ha un senso metaforico e quindi può dirsi anche ideografica. Ritengo che alcuni segni comuni cogli alfabeti affricani arcaici, e in ispecie col libico, non abbiano più valore ideografico, ma fonetico, sieno cioè vere lettere alfabetiche. Non si esclude che vi sieno sigle e segni di proprietà. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL. — 554 — IV. Non v’ ha una sola figura che rappresenti con sicurezza un animale esotico. L’immagine di una testa munita di grandi corna avvolte a spirale, che a tutta prima potrebbe attribuirsi ad una antilope affricana, e con macrcrior verosimiglianza, come si è detto, 1 effige del capo di un vecchio ariete. V. Il numero delle figure, il lungo e malagevole lavoro a prezzo del quale furono ottenute, le condizioni climatologiche, l’asprezza e la sterilità dei luoghi, disadatti alla dimora dell’uomo, porgono chiara prova che si annetteva loro grande importanza, e che furono eseguite a gran distanza dalle abitazioni, in territori remoti, difficilmente accessibili, inospitali, per preservarle dal pericolo di andar distrutte, e forse anche per sottrarle alla vana curiosità degli estranei. Un tal sentimento si concilia agevolmente col supposto che i geroglifici avessero un significato religioso o rituale (alludo specialmente alle corna bovine). VI. Lo stile dei disegni si accosta principalmente a quello delle figure che si vedono scolpite o graffite in buon numero di monumenti megalitici (dolmen o menhir), sui quali bene spesso sono rappresentati 1 accetta di bronzo immanicata, rozzi stemmi (cartouches), ornamenti svariati, come circoletti, spirali ecc. ed anche immagini d uomini e d’animali. Differisce però la tecnica delle incisioni. Vuoisi ricordare che i monumenti megalitici hanno estesissima distribuzione geografica, non appartengono ad una sola epoca archeologica e ad una sola stirpe, e che le loro inscrizioni scolpite od incise offrono, nei vari casi, caratteri disparati. Non mancano analogie fra le nostre incisioni rupestri e talune di quelle segnalate nelle Isole Canarie ; mentre altre le collegano a quelle arcaiche o proto-storiche dell’Oranese meridionale, che sono eseguite colla medesima tecnica. Alludo ai disegni di Gebel MahisscYcit (circolo di Αϊη-Sefra) illustrati da Flamand. — 555 — VII. Particolarità notevolissima di tutte le figure d’animali, incise nella regione di cui ci occupammo, si è che sono rappresentati come se fossero veduti dall’alto, mentre, a mia cognizione, in tutti i disegni delle caverne paleolitiche francesi, delle grotte del Sud oranese, come quelli che si vedono allo scoperto nel Sus e nel Fezzan riproducono quadrupedi svariati, non escluso il bove, veduti di profilo. VIII. La mancanza di avanzi umani, sepolti o combusti, presso le rupi scolpite, di pietre ritte o cippi elimina assolutamente il sospetto che si tratti di iscrizioni funerarie. Le ipotesi da tenersi in maggior conto, circa il significato delle nostre scolture, sarebbero a parer mio le seguenti: a) Che fossero destinate a perpetuare la memoria di un culto misterioso o di sacrifizi offerti alla divinità (i). b) Che fossero in certo modo un archivio destinato a conservare il ricordo di eventi memorabili, come vittorie conseguite, paci o tregue concluse, controversie composte, nuovi ordinamenti amministrativi o politici, alleanze, matrimoni. c) Che avessero per oggetto di determinare i confini di territori soggetti a singole tribù o nazioni, o di definire titoli di proprietà o diritti di pascolo, che fossero in certo modo lodi, giudizi arbitrali, trattati, intesi a risolvere contestazioni tra populi e tribù. Non è escluso, colle ultime ipotesi, che la registrazione in quelle alpestri valli di importanti documenti storici od (i) Qui conviene osservare come nella Scandinavia le pietre figurate abbiano specialmente per oggetto di ricordare avvenimenti gloriosi o memorabili, cioè battaglie, cacce, giuochi. Non pare che si riferiscano ad un culto, ad atti votivi se non in casi eccezionali; tale è forse il significato delle rupi a coppelle. 556 — amministrativi avesse luogo in modo solenne e fosse accompagnata dall’adempimento di cerimonie religiose, affine di impetrare il favore della divinità, alla quale colà, come · · 1 ’ * ' più tardi in altri paesi e presso altri popoli, si assegno per sede l’alta montagna. IX. La distribuzione dei petroglifici porge chiara prova che non furono eseguiti lungo una determinata via da gente che passava. U grado di conservazione, non uguale nei diversi gruppi, certe differenze nella fattura e nei soggetti delle incisioni dimostrano che non furono fatte o o in una sola volta, ma in parecchie. Da ciò il supposto, che mi par ben fondato, di gente che saliva periodicamente alle falde del Monte Bego o del Monte di Santa Maria, o che visitava le valli circostanti, per adempiere a solenni cerimonie religiose o civili. Dato che il numero delle figure e dei segni raggiunga complessivamente otto migliaia, e il computo non è certo esagerato, se si rifletta a quelli distrutti per opera degli agenti naturali e a molti altri ancora ignoti; se si ammetta che un solo artefice abbia potuto eseguirne 6 al giorno in media, nella stagione in cui il sole rimane più a lungo sopra l’orizzonte, ne risulterebbe che, affine di compiere l’intero lavoro, sarebbero state necessarie 1334 giornate di un uomo, per una diecina d’uomini sole 134, e quindi appena 14 per un centinaio di persone. X. Tutto considerato, a me pare più verosimile l'ipotesi che, dato lo spazio che intercede fra una incisione e l’altra, i litoglifi sieno stati poco numerosi, ed abbiano provveduto al compito loro a più riprese, un po per volta, in lungo volgere di tempo, certamente in più d’un secolo, lavorando solo durante alcune giornate estive. Se le mie congetture non sono errate, i pochi artefici, che affrontavano intemperie, privazioni e pericoli per adempiere alla propria missione non dovevano far lunga dimora — 557 — in quelle regioni, ma procedevano da paese non lontano. Quale poteva essere questo paese? Non era certamente un territorio montano e selvoso, ma piano o pianeggiante e coltivabile, perciocché si è nella loro sede abituale che doveva adoperarsi l’aratro tratto da due, tre e fin quattro paia di bovi, aratro bene spesso figurato tra i petroglifici, i quali accennano principalmente ad occupazioni agricole e pastorali. XI. Ammesso che i litoglifi non provenissero da lontani paesi e fossero gente di pianura, le due ipotesi più meritevoli di considerazioni sono, per ragioni evidenti d’ordine geografico, che avessero sede nella Valle del Po o nella Valle del Rodano. I popoli che si succedettero nella prima, dalla età del bronzo fino ai primi albori della storia, sono ben conosciuti mercè numerose stazioni e sepolcreti dai quali si trassero a profusione armi, utensili domestici, ornamenti (basti ricordare all’uopo le celebrate terramare dell’Emilia, le necropoli di Golasecca, di Villanova, di Marzabotto, della Certosa, di Este ecc.). Orbene si ha forse esempio di qualche immagine di arme o di utensile o d’altra figura qualsiasi compresa fra le incisioni delle Alpi Marittime che ricordi oggetti caratteristici delle stazioni padane? Ci è forza rispondere negativamente a siffatta domanda. Le analogie non sono molto maggiori se s’ istituisca il confronto fra le prime e i cimeli, per verità poco numerosi forniti dalla Francia meridionale e in specie dalla pianura che si estende lungo le rive del Rodano nella parte terminale. Ma sappiamo che quella pianura fu popolata dagli Iberici, che erano pur diffusi nella prossima penisola Pirenaica, ed avevano strette connessioni codi abitanti o del Marocco e dell’ Algeria, vale a dire delle regioni - 558 nelle quali le rupi scolpite sono più frequenti e presentano una certa affinità con quelle di cui ci occupiamo. D’altra parte, ricordiamo che certi disegni della Valle di Fontanalba rappresentano un tipo di falce comune nell’Europa occidentale, cioè in Irlanda, in Francia, nei paesi Iberici, come pure in Sardegna. Ricordiamo pure che le nostre incisioni non mancano di analogie con quelle dei monumenti megalitici attribuiti a Celti, e non possiamo ignorare che questi e gli Iberici si trovarono in contatto, si unirono e si confusero nella Valle del Rodano sotto il nome di Celtiberi. Perciò concludo accettando come dotata della maggior verosimiglianza l’ipotesi che a questa schiatta appartenessero coloro che di tempo in tempo, allo scorcio dell’ età calcolitica, o meglio al principio dei tempi protostorici, compievano lunghi pellegrinaggi allo scopo di tracciare segni simbolici sulle rupi delle Alpi Marittime e di adempiere probabilmente a misteriosi riti. Siccome le figure umane sono per lo più destituite di indumenti, se ne può inferire che rappresentano gente che viveva in paesi caldi, e traeva dal mezzogiorno le proprie tradizioni artistiche e religiose. Gli ignoti artisti erano adunque, probabilmente, oriundi della regione Iberica, meridionale e piana; certamente per ragioni geografiche, forse anche per l’origine loro, ebbero intime relazioni cogli antichi abitanti delle Isole Canarie e dei lidi affricani settentrionali. Se i litoglifi provenivano dal S. e dal S.O. non fu loro possibile, per raggiungere le valli adiacenti ai Monti Bego e di Santa Maria, di seguire il corso della Roia, impraticabile per le forre profonde che attraversa. Secondo ogni verosimiglianza, penetrarono fino al nodo orografico di cui si tratta, risalendo il Varo e la Vesubia, poi, per la Valle della Gorclolasca, il Vallone Lavassa o meglio il \^allone Empoanrama, e il Passo Arpeto. — 559 — XII. Le incisioni preistoriche furono tutte opera della stessa gente, ma non datano tutte dalla medesima epoca. Le figure della Valle Fontanalba, meno infantili e più complicate di quelle della Valle d’inferno e dei territori vicini, sono verosimilmente alquanto posteriori. II. - STAZIONI PREISTORICHE E MANUFATTI SPORADICI ALL’ APERTO Stazioni e manufatti pertinenti alle fasi litiche I documenti relativi alle stazioni litiche ed ai manufatti sporadici rinvenuti in Liguria sono assai importanti dal punto di vista della distribuzione geografica delle sedi umane, durante i tempi che precedettero le memorie storiche, ma non è facile rintracciarli, e il più delle volte risultano imperfetti rispetto alla ubicazione e mal sicuri in ordine al riferimento cronologico. Nelle condizioni presenti dei nostri studi, dobbiamo limitarci perciò a riunire il maggior numero possibile di indicazioni, riserbando a tempi migliori una discussione esauriente circa il significato loro, ed accogliendo con molta cautela le deduzioni che sembrano emergere dall’esame del materiale raccolto. Credo opportuno procedere nella mia rassegna, enumerando da principio i punti nei quali furono segnalate stazioni litiche o credute tali, od anche arnesi di pietra isolati, poi quelli in cui si raccolsero manufatti metallici. Porgendo i nomi di molti luoghi della nostra regione che furono sede di aggruppamenti umani, durante i tempi preistorici e segnatamente durante la fase neolitica, intendo chiamare l’attenzione dei glottologi sopra un materiale — 56ο — toponomastico di valore non comune, perchè, secondo ogni verosimiglianza, più ricco degli altri di voci pertinenti aH’antichissimo idioma locale. Zona litorale. — Le schegge di selce e i pochi manufatti litici, tutti lavorati colla percussione, di cui fanno cenno nei loro scritti il Prof. Capellini e il D.r Regalia come di oggetti raccolti lungo le ripide pendici dell Isola Palmaria, furono abbandonati certamente da gente che faceva sua dimora della grotta dei Colombi, alla fine dei tempi quaternari. Questi avanzi si trovano di preferenza nella parte occidentale dell’isola e sono spesso impigliati nella breccia che occupa alcune anfrattuosità del calcare clolomitico. Hanno invece carattere neolitico la cuspide di freccia e le schegge di diaspro rosso trovate da Capellini sul Monte Castellana, sopra la Spezia. Non conosco un solo manufatto litico rinvenuto nella regione litorale tra il Golfo della Spezia e Sestri Levante, come pure nei dintorni immediati di Genova. A nord di questa città, sono segnalati indizi di una stazione litica a Prato Leone presso Gallaneto (Campomorone) e a ponente nel punto detto Vaccana (Arenzano). Ci è nota un’accetta levigata della Vesima (Gastaldi), tra Voltri e Arenzano (i). Presso Varazze ne fu raccolta una al Grop-pazzo, ed altri oggetti accennano all’esistenza di una stazione litica sul Monte Beigua (G. B. Rossi). Si osservarono schegge di silice, residui di lavorazione, a Prato del Fieno, presso Alpicella (G. B. Rossi). Stella S. Martino e Stella S. Bernardo fornirono due manufatti per ciascuna frazione; cinque se ne trovarono a Stella S. Bernardo, uno per ciascuno si ottennero da S. Giovanni Battista e S. Bartolomeo, quattro ne fornì Savona (fig. 255)» cinque Finalborgo. (1) Avverto però che non è sicuro il riferimento di questo punto alla zona litorale. Il medesimo nome si ripete anche nell’interno. — 56i — Abbondano i manufatti di pietra attorno al villaggio di Santa Giustina (comune di Stella) e nelle sue vicinanze, in ispecie sui monti che sorgono verso N.O., ed accennano all’esistenza di parecchie stazioni. Provengono dal territorio di cui si tratta non meno di una cinquantina di esemplari raccolti da don Perrando, che fu curato di quella parrocchia, e sono principalmente coltellini (fig. 256) e punte di freccia silicei (tav. I, fig. 1, 4, 5, 6, 7); non mancano bulini (fig. 6) e punteruoli (fig. 257). G. B. Rossi accenna al ritrovamento di simili oggetti al Prato del Duca, a Montevideo, a Rocca Sansobbia, al Piano del Sciorè (presso Corona) e al Bricco da Moggia (presso Corona). In generale sono più comuni verso i confini del limitrofo comune di Sassello. Una stazione preistorica all’aperto fu segnalata dal P. Amerano in vicinanza della caverna da lui denominata dell Acqua, nota da quei terrazzani sotto il nome di Arma do Morto, sul colle detto Monte Grigio, a 150 m. sopra 1 alveo dell’Aquila. Essa si manifesta con terriccio nerastro, in qualche tratto commisto di cenere e di granelli di carbone, contenente numerose ossa di vertebrati, in specie Bos, Ovis, Sus, molti cocci ed altri manufatti. I fittili cui tali cocci si riferiscono appartengono quasi tutti ai tipi già segnalati nelle prossime grotte. Notevole, fra gli altri, un vaso a bocca quadra, e un frammento di pintadera, nel quale la superficie destinata ad imprimere un ornamento a colori è coperta da rilievi rombici, di circa 4 mm. di lato. Questo arnese doveva essere analogo allo stampo scoperto da G. Chierici nei fondi di capanne del Reggiano. In fatto di armi 0 stromenti d’osso, si raccolsero un punteruolo, un frammento di pugnale (?) e punte di freccia 0 zagaglia. Poche pietre lavorate, fra le quali macine, macinelli e un’ ascia od accetta spezzata. — 5^2 — Lo scopritore assicura che il deposito archeologico non proviene da uno sterro della prossima caverna, come si potrebbe sospettare. A levante della Valle dell’Aquila, sulla Rocca di Perti, e precisamente fra i due dossi denominati Bricco della Croce e Bricco delle Anime, il Prof. Rovereto riconobbe le tracce di una stazione all’ aperto, la quale si manifesta con numerosi cocci di fittili, simili a quelli delle vicine caverne ossifere e con frammenti di pietre verdi, levigati. Ritrovamenti di manufatti sporadici, di tipo neolitico, furono segnalati all’aperto a Finalmarina, Diano Manna, Oneglia, Dolcedo presso Porto Maurizio. Morelli diede la fio-ura di un nucleo siliceo, trovato sul Monte Trabocchetto, ò presso Pietra Ligure. Molon mi comunicò il disegno di un’ascia-picco, rinvenuta presso San Remo (pag. 65). È nota un’ azza levigata di Castel d’Appio, ove fu un oppido degli Intemeh. Il Principato di Monaco somministrò alle raccolte paietnologiche parecchie ascie od accette di pietra levigate. A Beaulieu si danno tracce di una stazione neolitica, nella quale il D.r Johnston-Lavis raccolse, fra gli altri oggetti, due punte di freccia scheggiate, un raschiatoio, numerosi coltellini e schegge di silice, come pure conchiglie di molluschi commestibili. Egli avrebbe ^ pur trovato, nelle medesime condizioni, fittili, quali foggiati a mano, quali torniti, tutti però riferibili alla stessa epoca, la quale corrisponde ad una fase di transizione tra l’uso della pietra e quello dei metalli (1). Dalla zona litorale del Nizzardo provengono tre azze a mano (coup de poings) del Mont Boron (de Villeneuve). (1) Verneau R., La XIII session du congrès International <1 Anthromologie et d’Archéologie préhistorique. Compte rendu sommaire. L’Anthropo-logie, Janvier-Avril 1906. — 563 — Regione interna. — Nella regione interna sono affatto inesplorate dal punto di vista paietnologico le montagne che intercedono fra il Passo della Cisa e il Genovesato. Nella valle di Trebbia, e particolarmente presso Bobbio, si trovano manufatti di pietra sparsi in tal copia da giustificare l’affermazione che ivi fosse una delle sedi preferite dei litoplidi liguri. Un’accetta di pietra verde mi fu recata da Montoggio. Un certo numero di manufatti o di residui di lavorazione, segnalati alle Capanne di Marcarolo (dal Prof. A. Chiappori) e alla Cascina Naspo, sul versante meridionale del Monte Tuggio (M. Tobbio nelle nostre mappe), accenna a due stazioni dell’Appennino. Altre sono accusate dal ritrovamento di buon numero di pietre lavorate, principalmente coltelli, a Crocetta Rossiglione, al Bricco di Saccone e alle Ciazze, presso Rossiglione sulla Stura (G. B. Rossi). Nella stessa valle si novera Beiforte tra le provenienze di ascie od accette sporadiche. Fra la Stura e l’Erro, si possono citare come più o meno ricchi di manufatti litici sporadici e specialmente di ascie od accette levigate: Palo, Olba, Tiglieto, Molare, Bandita di Cassinelle, Pian Castagna, Cimaferle, Toleto, Cartosio, Ponzone, Morbello. Fra 1’ Erro e la Bormida di Spigno: Montenotte, Giusvalla, Pontinvrea, Mioglia, Squa-neto, Pareto, Malvicino (fig. 10, 19). Nelle vicinanze di S. Pietro d’Olba si notano come più o meno feraci di arnesi litici i punti denominati : Ciazza-donne, Campì,, Taverne, la Costa sopra i Prati, Olbicella (1); nei pressi della Bandita di Cassinelle: Cascina di Vacche, Pian Galante, Sul Gobbo, Monte del Ratto, e specialmente Monte degli Uvi (2); nel territorio di Pian Castagna, in (1) Si trovano coltellini di selce alla Cascina Gruglietto (Rovereto) (2) Uvia, Uvio, Uia sono sinonimi di Agugia, guglia, punta di roccia. — 5&4 — principal modo: Coste Vngolate e Mòggia di Fracassi (i), poi Costa di Bensì, Costa dello Stampamelo, Castagneto, Campa zzo, Jl Campanile, Valle Giannetti, Moggia Casa dei Ricci, Terrarossa (G. B. Rossi). Appartengono al comune di Ponzone i punti ricchi di reliquie preistoriche: Arquino, Moggia di Giafardo, Nella Coda, Gli Ormei, Schiappato, Ritanazzo; a quello di Car-tosio, le supposte stazioni di Ciazza (2), Moncalvo e Quibone. Presso Cimaferle si citano i luoghi detti Alberelle, Fornace (?), Gorvelli, Gropallazzo, La Penna, come supposte stazioni. Bosco Pre Sciocco, Cilicgiola sono indicati da G. B. Rossi fra quelli che forniscono manufatti litici presso Toleto. La collezione Rossi comprende buon numero di manufatti dei luoghi designati coi nomi: Badin, Boscarezzo, Cascinazza, Fané, Monte Perpetua, Prato del Castello, Re di Contino, Suria di Paté, Uvio di Fatè, tutti presso Morbello. Più o meno prossime a Giusvalla sono le località di. Castagneto, Casa del Co, Gerusalemme, Meinn, Rianazza, Suria de Resia; e nei dintorni di Pontinvrea son quelle di Pian dei Buschi e del Vignaretto, d’onde G. B. Rossi trasse esemplari per la sua collezione. Chiapparone e Bosco del Rosario vicino a Mioglia, Pian dei Crosetti in quel di Squaneto, Ballada, Ciazza Amara, Montarsi, non lunge da Pareto, debbono essere citati allo stesso titolo. Sulla Bormida di Spigno 0 lungo i suoi affluenti si trovano: Ferrania, Bormida, Pallare, Carcare, Cairo Monte-notte, Dego, Piana Crixia (3), Merano, Spigno, Monbal- (1) Per Moggie s’intendono nel vernacolo della Liguria terreni, per lo più prati, acquitrinosi 0 bagnati. Le nostre carte topografiche recano il vocabolo Moglie come trascrizione di Mogge. (2) Questo vocabolo ha qui il significato di radura. (3) Conosco 12 ascie, accette 0 scalpelli levigati di Cairo Montenotte e 17 di Piana Crixia. I - 565 — done, comuni 0 frazioni che somministrarono arnesi litici alle raccolte Ighina e Perrando (fig. 16). Albergo, Bricco di Buonfigli\ Bricco Rosso, i Brogi, Cassinelle, La Coda, Il Piano, La Torre, Roslei, sono altrettanti nomi di supposte stazioni prossime a Dego, secondo G. B. Rossi. Nei pressi di Spigno sono da noverarsi le stazioni di Valle Sauri, Sur tazza ^ Missotti. Sulla Bormida di Oxilia, il comune omonimo fornì utensili di pietra, e così: Bardineto, Calizzano, Murialdo, Millesimo, Saliceto, Monesiglio, Cortemiglia, su quella detta di Millesimo. Fra le Bormide di Spigno e di Millesimo, figurano nei cataloghi di armi e stromenti litici: Biestro, Piodio, Cosseria, Rocchetta Cengio, Carretto, Brovida, Santa Giulia, Lodisio, Roccaverano; così pure, fra il detto corso d’acqua e il lanaro, Murazzano e Monforte. Ogni altro territorio è superato, per la copia di manufatti sporadici e certo anche di stazioni preistoriche propriamente dette, da quello di Sassello, nel quale don Perrando e G. B. Rossi fecero le più cospicue raccolte (tav. I, %. l> 12, 13). A breve distanza dall’abitato di Sassello, è situata la regione Ligatta, che offre numerosi fossili oligocenici e sui colli circostanti anche selci scheggiate; così pure Monte Sabino, presso le Albergare, ove trovai una grossa ascia assai logora, troncata alle due estremità, ascia che servì probabilmente ad uso di martello ; più tardi le copiose raccolte di G. B. Rossi rivelarono 1 esistenza colà di una importante stazione. Nei pressi della Maddalena, si rinvennero parecchie accette, una delle quali, proveniente dalla cascina detta Periaschi, mi fu donata dal Sig. Vincenzo Rossi, farmacista a Sassello. Mi si manifestarono, poco lungi, segni di stazioni litiche anche agli Ornici e ai Murazzi (Circondario di Ponzone). — 566 — Alla base del Bricco Viabella, situato a circa 4 chilometri a N. N.E. di Sassello, si trova, appiè d’un dirupo e in riva di un torrentello, il Pian della Ghianda, piccolo ripiano coperto di quercie, in mezzo al quale una congerie di massi accatastati in disordine forma un monticello di sei a sette metri d’altezza. Alcuni nel paese sospettano che quel monticello sia artificiale, formato, cioè, da massi sovrapposti per la mano dell uomo, in tempi assai remoti, ma io non potei osservare alcun fatto che valesse ad avvalorare siffatto dubbio; anzi i massi, costituiti di scisto serpentinoso, sembrano precipitati naturalmente da uno scoscendimento vicino. Notai però, tra questi massi, le tracce di un antico sentiero foggiato a gradini irregolari, il quale conduce alla sommità del monticello, tracce nelle quali la mano dell’uomo è evidente; ma, sebbene il lavoro sia molto antico, e non si manifesti chiaramente lo scopo per cui fu compiuto, non saprei trovar sicuri argomenti per attribuirlo ai tempi preistorici. Di contro al monte Viabella, a mezz ora di distanza, sorge un’altra piccola eminenza un po’ più elevata, il cui nome, Bric de Scuelle (Bricco delle Scodelle), accenna all’abbondanza dei cocci di terra cotta e, quantunque ivi e nelle vicinanze non si trovino affatto abitazioni e manchi ogni traccia di quelle officine da cui sogliono provenire frammenti di stoviglie quali rifiuti, la tradizione locale vuole che la denominazione fosse ben giustificata. Il compianto don Perrando, che aveva acconsentito a farmi da guida in una gita ai monti Vtabella e delle Scodelle, mi assicurò d’aver raccolto altra volta alle falde di quest’ultimo parecchi frammenti di vasi non torniti e mal cotti, ma, allorché mi recai cola in compagnia del degno sacerdote, non ci fu dato rinvenire che schegge di selce. Ciò che non si può revocare in dubbio si è che il Pian della Ghianda e i suoi dintorni immediati ab- — 567 — bondino di manufatti litici e principalmente di accette, coltellini, raschiatoi, ecc. Da questo punto don Perrando ottenne molti oggetti conservati nella sua collezione, e da canto mio acquistai da un villano, che dimora nelle vicinanze, una bella accetta di pietra verdastra, translucida, un frammento di un altro esemplare in cui è conservato il solo taglio e parecchie ascie di pietra verdastra, abbozzate, vale a dire scheggiate. Non dubito pertanto che il Pian della Ghianda fosse uno dei punti in cui Γ uomo dei tempi neolitici fabbricava i suoi utensili; e forse colà egli aveva pur eletto la sua dimora. I punti nei quali G. B. Rossi fece raccolta di manufatti preistorici (esclusi i metallici) sono : Barletti superiori, Barletti inferiori, I Colmi, I Gatti, Grino, Marona, I Migliastrini, Montaldo, Le Mógge, Piano superiore, Prato delle Rane, Rocchetta, Sbarlinziano, Uvio di Cotella, Unto di Nona, Monte Valleccia. Dai Barletti superiori ed inferiori, in ispecie da questi ultimi, provengono oggetti di pietra scheggiata e levigata assai numerosi, come pure cocci di terra cotta, di tipo neolitico; lo stesso dicasi di Grino. Gli oggetti più frequenti, oltre alle schegge di selce e di diaspio, in tali stazioni, sono i coltellini integri o ridotti a frammenti; vi si trovano pure comunemente ascie, accette e scalpelli di pietra verde, levigata, riferibili a vari tipi, talvolta logori od infranti, spesso invece appena abbozzati, poi cuspidi svariatissime, raschiatoi e trincetti scheggiati. Non vi difettano nuclei di piromaca 0 diaspro, che servirono a trarne coltelli. Gli stromenti di pietra hanno per la massima parte i caratteri di quelli dei depositi neolitici. Alcuni coltelli, trincetti, cuspidi e un’ascia a mano potrebbero ascriversi invece ad una delle fasi del periodo quaternario ; ma le induzioni fondate sopra oggetti rinvenuti qua e là, alla superficie - 568 - del suolo, riposano sopra mal sicure fondamenta, e percio credo prudente non insistere in proposito. Mi mancano elementi sufficienti per compilare un elenco esatto delle migliaia di manufatti rinvenuti in queste stazioni, che potranno essere illustrate con frutto da chi avrà agio di sottoporre ad uno studio accurato la collezione Rossi (i). A me basterà qui il segnalare alcuni dei tipi più notevoli. Fig. 255. Coltellino di Santa Giustina (Museo geol. di Genova); grand, nat. Fig. 256. Coltello di Savona (Museo geol. di Genova); grand, nat. Fig. 2f7· Punteruolo di piromaca. S.ta Giustina (Mus. geol. di Gen.); gr. nat. Fig. 2j8. Punta di freccia, a base incavata, di Sassello (Coll. Rossi); gr. nav. Punte di freccia di selce a margini curvilinei, a base retta ed a profonde intaccature basali, simili a quelle raccolte nel Nuovo Continente, si trovano comprese tra i manufatti litici della Moggia di Giafardo (Ponzone) e dei Barletti inferiori (Sassello;. Da quest’ ultima proviene una cuspide ad alette senza peduncolo, colla base profondamente incavata (fig. 258), nonché una punta a foggia, di romboide. Notai belle punte di freccia, a peduncolo o (1) Sarebbe qui superfluo riferire per quali circostanze non mi fu concesso che di consacrare pochi giorni all’esame di questa collezione, e come non mi sia stato possibile istituire opportuni confronti. — 569 — senza di Terrarossa, della Moggia Casa dei Ricci, presso Pian Castagna, di Prato di Castello, della Moggia di Giafardo, località tutte situate nel territorio di Ponzone ; una di queste punte, di Gorrelli, presso Cimaferle (Ponzone), è quasi regolarmente cruciforme. Dalla Moggia di Fracassi, dalle Coste Vrigolate, dalla Costa dello Stampanino (Pian Castagna), si hanno cuspidi triangolari, più o meno simmetriche. Mi piace poi tener conto di un dardo siliceo, assai allungato e sottile, simile a quelli delle caverne di Balzi Rossi, raccolto in una stazione situata sopra un poggio presso Planale (Sassello). Osservai dischi finemente scheggiati, rinvenuti al Re di Contino, presso la Bandita di Cassinelle, ed una sola selce romboidale, questa dubbia, trovata poco lungi al Monte degli Uvi. Una bella punta di lancia, di -diaspro giallo, forma destituita di peduncolo e di alette, proviene da Terrarossa. Alcune cuspidi raccolte presso Pian Castagna, come pure nella stazione di Valle Sauri, presso Montaldo (Spigno), e in cima al Bosco del Rosario presso Mioglia (Dego), ricordano certi stromenti miolitici. Sono da consultarsi intorno agli arnesi fo^aiati colla O 00 scheggiatura le pag. 38 e seguenti. In fatto di utensili levigati, prevalgono ascie ed accette di ogni forma e di ogni grandezza, fra le quali non manca il tipo delle azze da bottaio o zappette, raccolto a mo’ d’ esempio alla Crocett presso Rossiglione, ai Barletti inferiori e all' Uvio di Nona, in quel di Sassello, in fondo al Mrizo, presso Mioglia, ecc. Alcune accette triangolari, come quelle di Giazza Amara Quini, presso Pareto, hanno i margini laterali spianati. Degna di particolar menzione una ascia-picco del Pian della Ghianda (Sassello). Una varietà di ascia, incontrata in Cima alla Ciazza, presso Palo (Sassello), presenta per ciascun lato una strozzatura, atta ad agevolare il suo saldo collegamento ad un manico. Atti Soc. Lic. St. Patria. Voi. XL. 37 — 570 — Parecchi scalpelli, gli uni cilindrici, gli altri compressi, a taglio più o meno breve, rinvenuti in parecchie stazioni, tra le quali quelle segnalate nei punti detti : Uvio di Coteìla (Sassello), Monte Sabino (Sassello), Fornace (Cimaferle). Si veda pure in proposito quanto si espone alle pag. 55 e seguenti. Nella Valle del Tanaro, Ormea, Garessio e Ceva somministrarono qualche saggio di industria neolitica, e cosi, più a nord, fra il Tanaro e la Bormida: Murazzano, Dogliani, Monforte, La Morra. Mi è noto un manufatto dei Molini di Triora, nella Valle dell’Argentina Fodéré fa menzione, nel suo Voyage dans les Alpes Maritimes, di pietre del fulmine rinvenute al Colle Ardente, fra le sorgenti dell’Argentina e della Levenza, e alla Tanarda o Tenarda. Da un punto non lontano dalle Terme di Vinadio(i) proviene un arnese litico levigato; un altro fu rinvenuto a Collelungo, nella \7alle della Tinea (Museo Civico di Torino). Gastaldi descrive alcune ascie od accette di pietra verde, raccolte a Giletta, Ί orretta-Revest (ora Revest), Tadone e Pietrafuoco, tra il Varo e 1 Esteron (2). Stazioni litiche del Piemonte in connessione con quelle della Liguria. — Qualora fi estendessero queste considerazioni ad una zona un po’ più discosta dallo spartiacque appennino ed alpino, si potrebbero aggiungere al novero dei comuni o frazioni che somministrarono arnesi litici. Casteggio, Tortona, Alessandria, Acqui, Bistagno, Corte -milia, Alba, La Morra, Neive, Dogliani, Carrù, Cherasco, Fossano, Savigliano, Cuneo. Nè mancano vere stazioni in taluni dei punti accennati 0 nelle loro adiacenze. Nella cava d’argilla esercitata in servizio della fornace Taverna, nel territorio denominato II Cristo, alle porte di (1) Situato propriamente, secondo Gastaldi, fra le ferme e le Fianchi. (2) Iconografia di alcuni oggetti di remota antichità rinvenuti in Italia, Torino, 1869. — 57ΐ — Alessandria, si raccolsero parecchie ascie di pietra verde, uno scalpello dello stesso materiale, molti coltellini di selce, due punte di freccia ad alette e a breve peduncolo, entrambe di selce, alcuni raschiatoi, nuclei e schegge della medesima pietra, buon numero di cocci di vasi in terra cotta, non torniti, corna di cervo, una delle quali segata alle due estremità, denti ed ossa di ruminanti e di cinghiale. In altra stazione, scoperta presso la fornace Testa, situata a circa i km. di distanza dalla precedente, si ottennero almeno sei coltellini di selce ed alcuni frammenti di rozzi vasi fittili. Nelle due località, e specialmente nella prima, si trovarono pure numerose anticaglie romane, quasi tutte dell’epoca imperiale, cioè statuette di bronzo, un braccialetto, aghi crinali, monete, una macina di lava leucitica, fìttili ecc. Gli oggetti che son venuto enumerando si conservano presso il piccolo Museo Civico di Alessandria. Fin dal 1868 Michele Stefano de Rossi fece conoscere un giacimento di selci paleolitiche (?), da lui osservato a Castel Ceriolo, presso Marengo. Esso consiste in un deposito di argilla sabbiosa, sottostante ad alluvioni recenti, argilla usufruttata per fabbricarne mattoni (propriamente nel punto detto II Poggio). Le selci che vi furono rinvenute sono in parte lame tagliate a grosse schegge, somiglianti a coltelli di rifiuto delle stazioni dei Balzi Rossi, in parte punte assai rozze, riferibili al tipo di Moustier, in parte, finalmente, raschiatoi imperfettamente quadrangolari. Questi manufatti non presentano tracce di logoramento per opera di agenti naturali (i). · Verso S.O., in maggior prossimità dei territori montani, nei quali a noi sembra fosse più densa la popolazione (i) De Rossi M. S., Scoperte paietnologiche in Castel Ceriolo presso Alessandria, lettera al Prof. Gastaldi. Bull, nautico e geografico di Roma, anno V, n.° i, dicembre 1868. — 572 — dei Liguri della seconda età della pietra, si trova una delle stazioni più caratteristiche e ferace di manufatti (ve ne furono raccolti più di 950), che consistono principalmente in ascie, accette, scalpelli, martelli di pietre verdi, levigati, in coltelli, raschiatoi, punteruoli, nuclei, punte di frecce silicei, selci romboidali, fittili neolitici, ed erano associate ad ossa di mammiferi (quasi tutte d’animali domestici). Alludo alla stazione di Alba, esplorata ed illustrata per cura dell’Ing. G. B. Traverso (1). Manufatti di metallo sporadici. Gli scarsi manufatti scoperti entro antichissime gallerie abbandonate delle miniere di Libiola e Monte Loreto, presso Sestri Levante, e il contenuto del piccolo ripostiglio di bronzi di Loco (vedi pag. 95), nel medesimo territorio, sono i soli avanzi sporadici di un’età preistorica dei metalli rinvenuti, a mia cognizione, nella Riviera Orientale. Il versante settentrionale dell’Appennino Ligure fornì alcuni bronzi raccolti, l’uno, fra Pietranera e Garbarino, ed altri, a Bobbiò in Val di Trebbia. Mi furono segnalati celt della medesima lega come provenienti dal Genovesato, ma reputo dubbia la ubicazione loro. Già ho descritto un pugnale del territorio di Santa Giustina (pag. 101, fig. 25). Un paalstab di bronzo che porta la indicazione « Dego > figura nella raccolta Rossi. Reputo pur degno di essere segnalato il ritrovamento nella stazione del Monte Rosso, presso la Bandita di Cassinelle, di un’ascia in bronzo, di forma prossima alla rettangolare, assai allungata in confronto alla sua larghezza, (1) Stazione neolitica di Alba. — Prima parte. Alba, 1898 — Seconda parte. Alba, 1901. Si veda anche in proposito: Pigorini, Bullettino di Paletnologia ital., anno XIX, pag. 162 — Colini, Periodico citato, anno XXVI, pag. 196. — 573 — ad orecchiette molto sviluppate in lunghezza, e strette, a taglio breve ed arcuato, ad estremità opposta al taglio lunulata. Nella medesima stazione si raccolsero pure manufatti di tipo neolitico. Menzionai già per incidenza tre celt raccolti appiè della Rocca-delie Fene, tra Pietra Ligure e Ranzi (pag. 97). De Chambrun de Rosemont raccolse un frammento di fibula di bronzo presso Pieve di Teco, lungo la via da lui percorsa per recarsi a visitare la pietra da croce di cui mi occupai nella parte precedente. Ricordai due ascie a cannone ed anello, l’una di Mentone, posseduta dal Prof. Gerolamo Rossi, Γ altra forse di Ventimiglia conservata in casa Hanbury (pag. 100), come pure un pugnale di bronzo che avrebbe comune provenienza colla seconda (pag. 102). Un vaso fittile contenente un tesoretto di bronzi, cioè : otto braccialetti, un frammento d’altro oggetto consimile più piccolo, uno stilo (?), due cuspidi di freccia, una spada infranta, fu trovato sul Monte Grosso, nelle adiacenze dell osservatorio astronomico (1). Stazioni preistoriche lontane dalla Liguria Marittima. Sarebbe facile citare numerosi esempi di stazioni, che datano dalla fase neolitica e dalle successive, strettamente affini a quelle ora descritte, comunque lontane dal territorio cui ora si attribuisce il nome di Liguria. Fra questi ricorderò i così detti fondi di capanne di Calerno, Albinea, Campeggine, nel Reggiano, di cui dobbiamo la descrizione a Gaetano Chierici, uno dei fondatori della paletnologia italiana (2). (1) Bull, de la Société d’études de Draguignan, voi. XVII, pag. 42, 1889. (2) Bullettino di Paletnol. ital., anno I, pag. 101 e seg., anno II, pag. 253, anno III, pag. 1. — 574 — Si tratta di buche poco profonde, per lo più circolari od ellittiche, limitate da pareti verticali, occupate da terra nerastra, ricca di materiali organici, come pure di rifiuti e manufatti di vario genere. Esse corrispondono ad antiche capanne (forse sostenute da pali, di cui rimangono scarse tracce), le quali formavano aggruppamenti più o meno numerosi od anche veri villaggi. Tali buche si trovano a circa un metro sotto il piano di campagna. Vi si raccolsero copiosi ossami di animali domestici, utensili d osso, come aghi e punteruoli, accette levigate e percussori di pietra, coltellini, seghe, piccoli rombi, nuclei e schegge silicei, nonché fittili in parte riferibili a tipi neolitici, in parte a vasi i cui ornamenti accusano uno stadio industriale più inoltrato. Fra gli oggetti di terra cotta è compresa una pintadera. G. Vasseur, professore di geologia nell università di Aix-Marsiglia, pubblicava testé una memoria sull industria ligure in Provenza, durante la colonia greca (i), memoria che merita di fissare la nostra attenzione pei riscontri che suggerisce tra le nostre stazioni preistoriche od esostoriche e quelle coeve di un territorio limitrofo. 11 lavoro di cui intendo qui render conto per sommi capi consiste principalmente nella illustrazione di manufatti, quali di tempi storici, quali preistorici, rinvenuti tra Marsiglia e Aix, sul pianoro calcare detto di Baou-Roux, nel comune di Bouc, pianoro che sorge a circa cinquanta metri sulla pianura e si collega alle colline dipendenti dal massiccio orografico dell’ htoile. Si tratta di una specie di acropoli, nella quale, durante un lungo volgere di tempi, si succedettero Liguri, Fenici, Greci e forse gente d’altre stirpi, che vi trovarono rifugio (i) Note prélimiìiaire sur Γindustrie ligure (potenes et silex tailles'J en Provence au temps de la coloìiie grècque. Marseille, 1903. — 575 — e vi lasciarono avanzi di abitazioni, saggi di industrie diverse e rifiuti d’ogni maniera, sovrapposti od associati in un deposito archeologico di spessezza assai limitata. Gli oggetti che sembrano più meritevoli di menzione, raccolti da diversi investigatori, nella stazione di Baou-Roux sono enumerati qui appresso: a) Alcune monete d’argento o di bronzo, provenienti dall’Asia Minore, dalla Grecia, da Palermo, da Taranto, da Roma (i); molte monete marsigliesi. b) Pochi oggetti di ferro assai alterati e incompleti, fra i quali due punte di giavellotto ; pani ed altri oggetti frammentari di piombo. c) Punte di freccia, fibule, anelli, braccialetti, chiodi di bronzo e frammenti della stessa lega. Le fibule appartengono a tipi del IV secolo prima dell’era volgare. d) Pezzetti di vetro e di smalto. e) Un cubetto di terra cotta, nel quale cinque facce rozzamente incise rappresentano: un guerriero a cavallo, una testa di bove, una mano, un pesce, e segni che l’alterazione loro non consente di determinare. fj Fittili, quali dipinti quali no, alcuni italici, altri attici o ionici, ed anfore romane. Fra i primi, resti di vasi che risalgono al secolo VII prima di C. g) Molti cocci di fittili non torniti di tipi neolitici, cocci attribuiti dall’autore ai Liguri. Questi cocci sono fatti di pasta grossolana e mal cotta, contenente granelli di calcite, ed appartengono a forme diverse di scodelle, tazze ed olle. I manichi, poco voluminosi, consistono spesso in sporgenze trasversali, un po’ ripiegate in basso alle due estremità. La superficie dei vasi era liscia o coperta di fregi grossolani, formati di graffi e solchi rettilinei o sili) L’unica moneta romana è un denaro d’argento di Tiberio Veturio (129 av. C.), raccolto nel ciottolato superficiale del pianoro. — 576 — nuosi, di impressioni digitali, di cordoncini. I cocci figurati, distinti coi numeri 2, 3, 4, 5 nella tav. X e quelli indicati coi numeri 3, 4, 5 nella tav. XI della memoria citata, sono identici, rispetto agli ornamenti, a taluna delle ceramiche di tipo neolitico estratte dalle caverne del Finalese. h) Una fusaruola in terra cotta. i) Ossa di mammiferi lavorate in varie guise (1). j) Una accetta di pietra verde, cioè il manufatto caratteristico dell’età neolitica. k) Cuspidi di freccia e coltellini di selce, lavorati mediante la scheggiatura, le une e gli altri conformi ai consueti tipi neolitici. Fra le punte di freccia, una appartiene al tipo detto a foglia di salice; un’altra, distinta dall autore colle parole en ccusson, è pianeggiante, a peduncolo largo e breve, ad alette poco sviluppate e a margini assai arcuati. Raschiatoi di selce (2). l)‘ Frammenti di macine di basalte. m) Pietre da affilare d’arenaria. n) Ciottoli e pietre più 0 meno arrotondate artificialmente, che dovevano servire, secondo l’autore, ad uso di proiettili. Il Prof. Vasseur ricorda come nel 124 prima di C. Sestio Calvino, accorso con un piccolo nerbo di milizie romane in aiuto ai Marsigliesi, che allora erano in lotta coi Liguri, assalì e debellò questi ultimi nel loro campo di Entremont, e, poco dopo, nel 122, fondò a breve distanza l’oppido designato col nome di Castellum Aquce Sextice. Non v’ha dubbio, soggiunge, che, nel tragitto fra Marsiglia e Entremont, Sestio sia stato costretto a far sosta dinanzi al Baou-Roux per impadronirsi di quel propu- (1) Si tratta principalmente di diversi dischi con largo foro nel centro che dovevano servire d’ornamento o di talismano. (2) Vasseur crede che i Liguri del Baou-Roux adoperassero le selci scheggiate per estrarre i molluschi dai loro gusci, ma che non le lavorassero. — 577 - gnacolo naturale, il quale, fra le mani dei Liguri ostili, era per la spedizione grave minaccia e pericolo. Dalle osservazioni che sono venuto riassumendo emergono le seguenti conclusioni : 1. Il pianoro di Baou-Roux fu abitato tra l’ottavo e il primo secolo innanzi l’era volgare, e secondo ogni probabilità anche anteriormente ai tempi storici durante la fase neolitica. 2. Fin dal VII secolo, esistevano probabilmente comunicazioni commerciali tra la Provenza e l’Italia; e fin dal successivo, tra la Provenza e l’Asia Minore. I cimeli raccolti confermano che le ben note relazioni fra la prima e la Grecia erano già stabilite nella seconda metà del secolo VI e al principio del V. 3. Negli ultimi secoli precedenti la nostra èra l’uso dei manufatti di selce si manteneva in vigore, malgrado la diffusione nel paese del bronzo e del ferro lavorati. 4. Dagli stessi rapporti che intercedono fra l’industria degli aborigeni della regione marsigliese, all’ epoca della colonia greca, e quella della pietra levigata in genere, si inferisce che gli antichi Liguri si connettevano ai popoli neolitici, di cui erano probabilmente i discendenti. L’autore insiste specialmente sul fatto che non solo le selci scheggiate si trovarono accanto ai resti della ceramica ellenica, ma furono rinvenute eziandio a tutti i livelli della stratificazione archeologica; nè si può spiegare siffatta circostanza invocando supposti rimaneggiamenti, perchè l’associazione dei manufatti di tipo storico e preistorico si verificò anche nelle ceneri di antichi focolari ben delimitati. Le civiltà greca e romana furono adunque a contatto colla barbarie neolitica rappresentata dai Liguri. Questa proposizione fu già dimostrata per alcune stazioni italiane; ma può sembrare nuova e audace in Francia, ove la paletnologia, forse perchè più progredita, si è formata - 578 - un fondo di dottrine un po’ troppo dogmatiche, le quali non sono applicabili in tutti i paesi e a tutti 1 casi. A conclusioni non diverse da quelle esposte io giunsi fin dal 1877, dopo le indagini da me compiute nelle caverne ossifere del Finalese (1). III. - CAVERNE A FACIES SIDEROL1TICA Caverna del Ponte di Vara. Descrizione della caverna. — Questa è situata sulla riva destra del torrente Maremola, nel territorio di Pietra Ligure, a circa 2 km. dal capoluogo del comune. La sua apertura si trova a pochi metri d’altitudine sul letto del corso d’acqua, alla base d’un monticello di calcare triassico, il quale limita da quella parte la vallata, e vi si accede per sentiero campestre, dalla via rotabile, dopo aver attraversato il ponte di Vara o di Vaè (2) ed una villa appartenente all’Avv. Barusso. Dall’apertura, che serve d’ingresso alla grotta, può liberamente passare un uomo per volta, senza curvarsi, essa mette immediatamente in una galleria piuttosto bassa, la quale procede in discesa verso N. N.E. per circa 10 m., con larghezza di m. 2.75 a 4.60, secondo i punti. In fondo a questa cavità si aprono, uno a destra, l’altro a sinistra, due cunicoli discendenti, il primo diretto a N., il secondo (1) Nuove ricerche sulle caverne ossifere della Liguria. R. Accademia dei Lincei. Memorie della classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, serie terza, voi. II (seduta del 2 die. 1877 e del 3 febb. 1878), p. 43 dell’estratto. (2) Tale è pure, presso quei terrazzani, il nome del fondo. — 579 — ad 0. Il primo tosto si biforca e sbocca in altra cavità più vasta, di forma irregolare, che si estende precipuamente da N.E. a S.O., ed ha il suolo ad un livello più basso, cavità nella quale pur mette l’altro cunicolo. Da questa, che può dirsi la seconda sala della grotta, si scende per angusto passaggio nella terza, uno speco stretto e profondo, specie di fenditura della roccia, dalla quale non si va oltre. Il suolo delle tre cavità, formato di terra argillosa, assai umida, mista di pietruzze e.massi caduti dalla volta, o artificialmente introdotti dal di fuori, è sparso d’ossa, di cocci e di fittili. A quanto mi dissero, molti sassi tolti ad un campo vicino furono gettati nella caverna, e da questa fu estratta parte del limo fertilizzante che conteneva, per ingrassarne le terre vicine. La volta e le pareti non presentano che scarso rivestimento stalattitico, nella seconda e nella terza cavità, e nude rupi nella prima. Nulla di pittoresco d’altronde nella spelonca, e nulla di notevole, tranne la copia dei cocci e e delle ossa umane. Queste appartengono quasi esclusiva-mente ad individui adulti dei due sessi, e sono sparse in disordine nel terriccio; ma credo che ciò dipenda da artificiali sconvolgimenti, e ritengo che ivi fossero, originariamente, cadaveri sepolti dalla mano dell’uomo. In tale persuasione son venuto da che in un punto della grotta, situato presso la parete meridionale, a pochi passi dallo ingresso, negli scavi praticati in piccolo lembo di terreno non rimaneggiato, rinvenni parte di uno scheletro umano, colle ossa collocate secondo le naturali connessioni, ed anche pel ritrovamento nella grotta stessa di lastroni di pietra greggia (calcescisto), indubbiamente portati dal di fuori, simili a quelli che coprivano le spoglie dei cavernicoli nella spelonca sepolcrale delle Arene Candide. — 58ο — Ossa umane. — Nella congerie di ossa umane, sparse entro la grotta di Ponte Vara, si raccolsero molti esemplari scelti fra quelli che meglio si prestano allo studio. Vi sono comprese, in discreto numero, ossa delle estremità integre; ma non v’ha un solo cranio completo. Tali reliquie appartengono indubbiamente a più diecine di individui, come già dissi, per la massima parte adulti. Il cranio meno imperletto è ridotto alla sola calvaria, e non si trova in condizioni favorevoli per essere misurato, risultando di pezzi mal connessi. La sua circonferenza orizzontale misura circa 500 mm., il diametro antero-poste-riore 180 e il trasverso massimo 145; l’indice cefalico è quindi di 80. Si tratta, adunque, di un mesaticefalo. La cassa craniense offre un ovale regolare e simmetrico, alquanto sviluppato nella regione parietale e posteriore ; la fronte, angusta e depressa, ha le gobbe e i seni poco prominenti, le arcate sopraccigliari presso a poco spianate. Le suture sono quasi tutte aperte e mediocremente frastagliate. Dalle ossa di cui dispongo nulla posso inferire circa la forma e disposizione delle orbite. La regione mascellare dentale presenta, in uno dei pezzi raccolti (appartenente ad altro individuo), prognatismo assai spiccato. I denti sono generalmente piccoli, fitti e logorati orizzontalmente ; non ho osservato segni di carie. Fra 13 omeri ve ne sono tre perforati nella fossa olecranica. I femori hanno il collo cortissimo e meno obliquo del consueto. Le tibie sono un pò schiacciate e a cresta acuta. Basteranno i pochi cenni suesposti, aspettando che altri assuma l’incarico d’una compiuta illustrazione di queste ossa. Intanto, dal poco che ho potuto vedere, apparisce negli scheletri di Ponte di Vara qualche tratto dell antico tipo ligure, alterato da commistione con altro tipo ; non abbiamo infatti dolicocefalia, ma solo mesaticefalia, e, a differenza - 58i - di quanto si osserva nei crani degli antichi trogloditi del Finalese, le arcate sopraccigliari sono depresse; i caratteri di questa stirpe si mantengono schietti, tuttavolta, in alcuni femori ed omeri. Fittili. — i manufatti raccolti nella caverna sono esclusivamente cocci di terra cotta, i qnali si riferiscono a vasi di due maniere assai diverse. Gli uni, formati di pasta eterogenea e grossolana, non torniti, cotti inegualmente senza il sussidio della fornace, non si possono in alcun modo distinguere dai fittili generalmente attribuiti alla fase neolitica; gli altri, invece, composti di materia fina ed omogenea, ben cotti e fabbricati con squisita maestria, sono conformi ai tipi più comuni in Italia durante i primi secoli dell impero romano. Per brevità, denominerò questi ultimi vasi romani, non volendo però intendere con ciò che sieno fatti da artefici romani o che provengano dalla grande metropoli. Fra i primi, v’erano, rispetto alla forma e alle dimensioni, grandi olle probabilmente cilindriche, altri vasi minori, fatti a cono tronco e a fondo piano, ed altri ancora più piccoli, a margine svasato e a corpo arrotondato e ventri-coso. Alcuni cocci accennano pure ad una forma a sezione quadrangolare, nella parte superiore, forma analoga a taluna di quelle già descritte. λ ari cocci presentano anse più o meno voluminose, conformi a quelle delle comuni pignatte d’Albissola ; in altri, meno comuni, 1 ansa è tanto larga rispetto alla sua altitudine che diventa quasi tubiforme. Non trovai manichi d altra maniera, nemmeno quelli a foggia di tubercolo, tanto comuni in altri giacimenti archeologici. Per quanto concerne gli ornamenti di quei vasi, in un frammento di ampio recipiente, si osserva che l’orlo un po’ svasato, porta molte intaccature l’una vicino all’altra, impresse col dito sulla pasta molle, e, parallelamente all’orlo, - 5§2 - a 9 centimetri da questo, corre all’esterno un cordone irregolare, a mezzo rilievo, largo due centimetri, ornato ancor esso, tutto all’intorno, di intaccature fatte col dito. In un secondo, privo d’orlo, si ha soltanto il cordone, ma colle intaccature più profonde ed oblique. Sopra un vaso a cono tronco e a fondo piano, di cui trovai almeno una terza parte, la superficie esterna presenta sottili solchi obliqui in vari sensi, che sembrano tracciati collo stecco. Nella pasta di tutti questi vasi si vedono granelli quarzosi in gran numero, granelli che raggiungono 4 o 5 mm. di diametro, e in qualche caso, nei fittili più voluminosi e grossolani, perfino un centimetro. La pasta è generalmente assai cotta, di color bruno e talvolta annerita da lunga permanenza sul fuoco, massime in quei pezzi che appartengono al fondo o alle parti prossime ad esso. Quasi tutti i cocci spettano a vasi di grandi dimensioni, fra i quali taluni raggiungono 40 o 50 centimetri di diametro. I cocci della seconda categoria ci mostrano gli avanzi di forme assai svariate ed eleganti, riferibili per la massima parte alle specie delle diote e dei doli. Da taluni di questi cocci vedesi come in certi vasi la bocca fosse munita di orlo ingrossato o riflesso all’esterno, in altri di orlo ingros sato internamente od esternamente, ma non riflesso. V ha, nel numero, parte della bocca di un vaso finissimo di terra rossa, internamente ingubbiato, il quale presentava un mar gine esterno assai svasato e riflesso, ed altro interno semplice. 11 collo era in alcuni casi stretto, allungato e cilindrico, in altri breve ed ampio, oppure angusto e rigonfio nella parte mediana. Rispetto alle anse, sono tutte della foggia più comune. In un grosso frammento, 1 ansa costituisce un arco di 18 centimetri di corda, collocato verticalmente a breve distanza dall’ orlo. — 583 — I fondi, più o meno assottigliati od appuntati, offrono tutti quanti un pezzo pieno, la cui forma varia assai ; è talora breve, cilindrico, strozzato nella parte media, tal’ altra a foggia di tubercolo arrotondato e breve, tal’ altra ancora grosso e bulboso, e in certi casi invece a cono tronco (tavola XIII, fìg. 18 g 19). Ossa di animali. — Gli avanzi di animali raccolti nella grotta di Ponte di Vara si riducono a poche ossa e denti, fra i quali si distinguono: una mandibola sinistra di Capra, mancante di parte del ramo ascendente; un calcaneo di piccolo ruminante; un pezzo di zanna di cinghiale, della lunghezza di 6 centimetri; un omero di tasso di grossezza un po maggiore del comune, omero perforato nella cavità olecranica. Significato degli oggetti raccolti. — In altro mio scritto dissi come si poteva spiegare la commistione dei cocci romani coi cocci così detti preistorici, nelle caverne Pollerà, del Sanguineto, delle Arene Candide, di Bergeggi ed altre (che indubbiamente servirono di abitazione e di ripostiglio nonché ad uso di tomba), col supposto che i cavernicoli avessero sottratto coll’astuzia 0 conquistato colla forza ad altra gente più avanzata in civiltà, insieme ad oggetti di metallo o di vetro, i vasi di tipo romano (che ricettavano commestibili), vasi, i quali, rispetto a quelli dei cavernicoli, rappresentavano un prodotto industriale più perfetto ; ma tale interpretazione non regge nel caso presente. Infatti, la grotta è tanto angusta, oscura ed umida, che non potè servire ad uso di abitazione 0 di rifugio; non era evidentemente che una tomba, un carnaio, in cui furono accumulati molti cadaveri. Ma perchè tanti vasi in questo sepolcro? I fittili di fattura preistorica sono senza dubbio vasi culinari, ed è molto probabile che qui, come altrove, servissero: i.° a ricettare e a cuocere le vivande destinate al banchetto funebre; 2.0 a contenere cibo di scorta pei — 584 — morti, nel loro viaggio; 3.0 a contenere be\rande o cibi da consacrarsi ai numi, nei sacrifizi. Vuoisi notare, intanto, che tali vasi, nonché gli avanzi dei supposti pasti funebri, cioè le ossa di mammiferi, sono scarsissimi. I fittili di fattura romana, e perchè hanno il fondo appuntato, e perchè non sono abbruciati dalla fiamma del focolare, e perchè non presentano, come i primi, all interno, incrostazioni carboniose, dovute all’alterazione di cibarie, non possono essere vasi culinari. Dei vasi votivi in uso nei tempi storici più remoti ed anche nelle necropoli preromane della prima età del terrò (intendo in quelle della Alta Italia) non hanno affatto i caratteri. Non sarebbero invece, per avventura, vasi vinari, vasi che dovevano contenere domande offerte agli stessi defunti, o destinate a placar gli dei, a compiere sacrifizi od altri riti? Questa ipotesi non è inverosimile; ma le dimensioni dei vasi, per lo più amplissimi, l’associazione dei loro cocci agli scheletri ed una coincidenza riferita qui appresso mi suggeriscono una spiegazione diversa. Durante un certo periodo di tempo, verso i primi secoli dell’ èra nostra, in Provenza e in Liguria fu praticato lo strano costume di seppellire i morti entro un anfora segata o rotta per metà, oppure fra i pezzi di due o più vasi di questo genere. Un sepolcro formato di due mezze anfore, non l’una dentro l’altra, ma solo avvicinate, fu trovato dal colonnello Gayan ad Antibo ; un altro analogo fu osservato a Beaune dal Sig. Charles Aubertin, il signor Flouest ne descrive un terzo scoperto nella Camargue (·)■ In un sepolcro testé rinvenuto a Beaulieu, presso Villafranca, lo scheletro di una bambina giaceva nella cavità di due mezze anfore tagliate trasversalmente, una delle quali introdotta per piccolo tratto nell interno dell altra. (1) Revue de Nice. 6.' année (1874), pag. 194· - 585 - Rendendo conto dì questa scoperta, il Sig. Brun, recava parecchi altri esempi di consimili seppellimenti da lui atti ibuiti ai Gallo-romani, che vissero non prima del terzo secolo della nostra èra ( i ). 1 resso i ruderi del castello di Spotorno si trovò uno scheletro umano in un’ anfora spezzata. Pochi anni or sono don Morelli, vide mettere allo scoperto in uno scavo fatto per le fondamenta di una casa, presso la stazione ferroviaria di Borgio—Verezzi, nelle vicinanze di Pietra Ligure, uno scheletro umano, contenuto nelle due metà di una grande anfora, e difeso, nella regione che rimaneva allo scoperto, dai cocci di un altro vaso assai più ventricoso (fig. 259). Fig. 2/9. Scheletro umano entro cocci di fittili torniti, di fattura romana, rinvenuto a Borgio-Verezzi (Coll. Morelli). Lo scheletro di Borgio-Verezzi, che era in perfetto stato di conservazione, appartiene ad individuo adulto. Il suo cranio, che ora si conserva presso don Morelli, fu studiato dal Prof. C. Raimondi, il quale opina che appartenesse a giovine donna (di età prossima forse ai 20 anni), di tipo ligure, modificato per incrociamento con altra gente 0 per altre circostanze. Come risulta dal lavoro del Prof. Raimondi, il cranio sembra conforme, almeno nei (1) Annales de la Société des Lettres, Sciences et Arts de Nice, voi. Ili, pag. 218. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL. 3S — 586 - tratti principali, a quello di Ponte di Vara, imperfettamente descritto d’altronde, perchè incompleto e mal conservato. A ciò debbo aggiungere che i. pezzi d’anfora che coprivano lo scheletro sono della forma e della fattura medesime di quelli che si raccolsero abbondantemente a Ponte di Vara. Dalle cose suesposte, argomento che la caverna di cui tengo discorso fosse un sepolcreto di una schiatta mista, ma con elementi liguri predominanti, vissuta forse fino ai primi tempi della conquista romana, schiatta la quale conservava in parte i costumi funerari degli antichi cavernicoli, e in parte aveva adottato il rito dell inumazione entro grandi vasi, recato senza dubbio da un popolo estraneo al paese. Con ciò non escludo, ritengo anzi probabile, che la spelonca abbia servito ad uso di cimitero anche in tempi più remoti, prima cioè che fossero conosciuti nel paese 1 fittili lavorati al torno. Vasi fittili contenenti scheletri umani furono scoperti nel Chersoneso di Tracia e appiè della collina sulla quale sorgeva l’antica Troia (i), nell’isola di Zante (ne ebbi notizie sicure da testimoni oculari del ritrovamento), a Sfax in Tunisia, nella Spagna e nelle Baleari secondo i signori Siret, a S. Giovanni presso Ajaccio, da quanto riferiscono Mérimée e Bloch. Questa bizzarra maniera di inumazione fu in uso presso i Caldei ; si trovarono infatti nel palazzo di Nabuccodo-nosor numerosi scheletri umani, contenuti in grandi vasi di terra cotta (2). Essa era praticata, in tempi remoti, dai Persiani, dai Giapponesi e dai Peruviani (3). (1) Nadaillac, Les premiers hommes. Paris, 1881. (2) Troyon, Revue archéol., 2| sèrie, voi. IX. 1864. (3) Grossi, Atti della Società Ligustica di Scienze nat. e geogr., voi. I. Genova, 1892. - 58? - Caverna della Basua. La Tana della Basua (o della Strega) si apre a circa 180 metri d’altitudine sulla destra di un sentiero, il quale si dirama dalla via da Toirano a Bardineto, e conduce al territorio denominato localmente Varo. Essa è scavata nel calcare triassico e riceve scarsa luce da due piccole aperture rivolte a tramontana. Una di queste, la maggiore, ha rn. 3 di larghezza per 1.50 d’altezza; l’altra m. 2 nella prima dimensione e 1 nella seconda. L’apertura maggiore mette ad una galleria asciutta e priva di concrezioni calcari, la quale misura 20 m. di lunghezza, m. 4 di larghezza e 1.50 di altezza massima. Dall’estremità di essa si passa a stento, per un angusto vano, in altra cavità, lunga un 15 m., larga circa poco più di 4 ed alta 5 in media, la quale è scarsamente illuminata dalla minore delle due aperture summentovate. Don Nicolò Morelli, che fu il primo ad esplorare e a descrivere questa grotta, osservò fin da principio, penetrando nel primo cunicolo, che il suolo di esso era tutto cosparso di ossa umane, ossa di animali e cocci di fittili. Asportando poi il materiale terroso, depositato superficialmente, trovò in copia i medesimi fossili, e con essi una pietra da affilare, logora pel lungo uso, un ciottolo tutto ammaccato, che fu probabilmente adoperato ad uso di mazzuolo, ed una conchiglia di Trochus che presenta segni di lavorazione. Le ossa umane appartengono a non meno di nove individui, fra i quali sei avevano raggiunto completo sviluppo e gli altri erano giovani. Ai primi si riferiscono sei mandibole quasi intere, assai robuste e tozze, a sinfisi protratta. Il mento è in due di esse nettamente triangolare. Un frammento di mascellare inferiore accenna a non comune prognatismo. - 588 - I denti, generalmente fitti, voluminosi e spianati, sono sempre sani; in alcuni molari la superfice di logoiamento è ampia e spianata. In due omeri d’adulto la fossa olecranica apparisce perforata. Le clavicole son più torte che d ordinario. Aggiungerò che, per lo stato frammentario e 1 alterazione dovuta agli agenti esterni, le altre parti dello scheletro non si prestano allo studio. È da notarsi che le ossa lunghe sono quasi tutte sprovviste di capi articolari e le diafisi loro presentano, alle estremità, tracce ben manifeste lasciate dai denti dei carnivori. Gli avanzi di animali si riconobbero pertinenti alla pecora, alla capra, al maiale, al tasso. V i son pur comprese alcune ossa di allocco. Rispetto ai cocci, in parte sono a pasta grossolana, lavorata a mano e mal cotta, cioè spettano al tipo dei vasi neolitici, e in parte sono frammenti di fittili fabbricati con argilla ben depurata, torniti e cotti al forno, e, come è dimostrato da un pezzo di fondo, sono resti di anfore simili a quelle in cui i Romani conservavano vino e cibarie. Anche qui, come nella grotta di Ponte di Vara, la copia delle reliquie umane accenna non ad una^ abitazione, ma ad un sepolcreto, in cui si praticava 1 inumazione entro ampie urne fittili di fattura romana. — 589 — IV. — NECROPOLI E TOMBE ESOSTORICHE Liguria Orientale. Tombe d’Ameglia. — In vari punti della Liguria orientale, e principalmente a Cenisola, Ameglia, Monterosso e Vernazza, si scoprirono sepolcreti che stanno a rappresentare nel nostro territorio la fase siderolitica tanto sviluppata in altre regioni d’Italia. La tomba d’Ameglia, che fu descritta dal signor Paolo Podestà (1), era una cassa sepolcrale formata di sei lastre di pietra bruna del Capo Corvo, esattamente lavorata a forma quadrilatera, cassa che misurava nelle tre dimensioni m. 0.67, 0.41, 0.40 circa. Essa conteneva cinque ossuari, quattro vasi accessori, quattro unguentari e parecchi manufatti metallici, fra i quali una cuspide di lancia. Gli ossuari davano ricetto ad avanzi di ossa umane, cremate, quali di adulti, quali di bambini. I ra i cinque ossuari, quattro sono a largo ventre, destituiti di ornamenti, senza · manichi, senza piede, con breve collo sporgente, di terra grossolana, lavorata a mano, mal cotta ed annerita esternamente ; il quinto, in forma di cono tronco, è fatto di creta rossa, ben raffinata, lisciata e lavorata al torno, ma senza ornati. Le ciotole, che servivan di coperchio, erano di pasta fine, tutte tornite, verniciate in nero, con piede e prive di manichi. I vasi accessori si trovarono collocati in gruppo nel mezzo della cassa; notevole il più grande, che può definirsi una coppa ansata, ed ha per ornamento, nel fondo, due cerchi concentrici, intorno ai quali sono disposte sette (1) Podestà P., Sepolcro ligure scoperto in Ameglia. Genova, 1891. — 590 — palmette improntate e cinque cerchi composti di lineette oblique. Negli altri vasi accessori, si osserva la forma arcaica del bicchiere a campana, tradizionale, secondo Podestà, nei sepolcri liguri. I quattro unguentari o lacrimatoi sono in creta rossa, torniti e fusiformi. Nell’interno di uno degli ossuari, si raccolsero due fibule, una d’argento e l’altra di ferro, un fermaglio di cinturone, un anello di bronzo, e due targhette della stessa lega. In un altro ossuario, v’ era un piccolo fermaglio da cinturone e in un terzo, il castone di un piccolo anello di bronzo. La fibula d'argento è a vermiglione semplice e con tre giri di spira; essa ha forma di cucchiaio e somiglia assai ad altra di Cenisola. La cuspide di lancia, in forma di foglia d oliva e a costa mediana, è spezzata e doveva raggiungere 40 centimetri di lunghezza. Posteriormente, furono rinvenuti nella terra degli ossuari : una piccola fibula ad arpa, due frammenti di altre fibule ed una moneta in bronzo, che sembra un asse romano ed è forse un sestentario. In un’altra tomba, scoperta ad Ameglia a breve distanza dalla precedente, il Podestà segnalò ossuari sepolti nella cenere del rogo senza vasi accessori e, nell’interno degli ossuari, un vasellino con entro piccole ossa non umane ed un balsamario spezzato, di smalto egizio; oltre a ciò, molti oggetti d’ornamento in oro, argento, bronzo e vetro, parte negli ossuari, parte fuori, nella cenere. Mentre il primo sepolcro è tra i pochi nei quali si manifesta l’introduzione del rito italico presso i Liguri, nel secondo si scorge ben chiara l’influenza etrusca. Più tardi Podestà fece conoscere un monile d’oro della stessa provenienza, il quale per la sua semplicità, sembra un prodotto d’arte primitiva e decadente. Non è escluso il dubbio che si tratti di un saggio di arte gallica, manife- — 59ΐ — standosi in tal guisa antiche relazioni di commercio tra popoli lontani (i). Tombe di Cemsola. — Fin dal 1870, un contadino di Cenisola, frazione di Podenzana. dissodando un campo nel finitimo territorio di Calice, rinvenne molti sepolcri di cui raccolse in parte la suppellettile, colla speranza di trarne qualche lucro. Più tardi, saputasi la cosa in Calice, si costituì tra i proprietari del luogo una società collo scopo di continuare gli scavi e di rintracciare un tesoro che la tradizione volgare poneva appunto in quei pressi, insieme alla Corona di Nerone. Ma costoro, delusi nelle loro speranze, abbandonarono ben presto l’impresa, tenendo però celato il loro tentativo, di cui, solo dopo sette anni, fu informato il Sig. Paolo Podestà di Sarzana. A lui si deve se in parte raccolti furono sottratti alla distruzione. Inoltre, per opera dello stesso Podestà, e col concorso dei sio-nori o Prof. Chierici e Dott. Mariotti, furono scoperte e sistematicamente esplorate parecchie altre tombe di quella vetusta necropoli. I sepolcri di Cenisola son tutti ad incinerazione, formati a cassetta, cioè da sei lastre di roccia argdlosa, eccettuati due casi, in cui grandi tegole ad uso romano sostituiscono le lastre. Sono poi circondati e coperti di sassi, per lo spessore di mezzo metro da ogni parte e sottoposti ad uno strato di terra. Ne entro le tombe nè fuori si trovarono avanzi del rogo, oltre alle ossa combuste contenute nell’ossuario; generalmente, la posizione di ciascuna era indicata all esterno da una grossa pietra. Si rinvennero invece i resti di un fornello quadro, con pezzi di lastra di argilla cotta, tutta traforata (certamente la grata del fornello), che doveva servire ad uso di ustrino. Non si osser- (1) Podestà P. Di un monile d'oro antico scoperto in una tomba di Ameglia. Genova, 1887. — 592 — varono nel terreno cocci e avanzi di bruti che accennasseio a pasto funebre. Si inferisce dal complesso delle osservazioni fatte che, costituita la cassa nel mezzo della fossa, vi si disponevano l’urna e ogni altra suppellettile sepolcrale, e quindi si copriva la cavità con un lastrone di pietra e si accumulavano al di sopra terra e sassi. In ultimo si erigeva sulla tomba un pietrone per additarla alla venerazione dei superstiti. Oltre alla consueta urna cineraria, ciascuna tomba conteneva talvolta un’altra urna più piccola (entrambe erano coperte da ciotola), uno o più vasi accessori, alcune armi, oggetti d’ornamento e qualche moneta. Le armi, tutte di ferro, sono lancie, giavellotti, spade coi foderi pure di ferro. Gli oggetti d’ornamento più notevoli consistono in: fibule, armille, anelli da dito, fermagli da cinturone, ganci, spilloni. Questi manufatti sono per la maggior parte di bronzo o d’argento, e ve ne ha pur qualcuno di ferro. Si trovarono, oltre a ciò, frammenti di striglie in ferro, una laminetta di osso forato, un globetto di vetro giallo, smaltato, dieci fusaruole di terra cotta e tre di pietra. Le monete determinate con sicurezza sono otto assi romani ed un quinario. Gli scavi, eseguiti in presenza del signor Podestà e del Prof. Chierici, ebbero per risultato la scoperta di tre sepolcri, con copiosa suppellettile, che furono illustrati dal primo. Dalla memoria pubblicata in proposito (i) ho desunto i ragguagli qui appresso descritti: Quasi tutte le urne sono fatte a mano e mal cotte, di forma semplice e ventricosa, destituite di piedi e di manichi, con breve collo e labbro riflesso. Due urne sono munite (i) Notizie degli scavi di antichità ecc., anno 1879, pag. 295. Roma, tipografia Salviucci, 1879. — 593 — di piede e fatte a mano; una terza, di creta finissima e tornita, ha piccolo piede e presenta una decorazione di quattro fascie di color rosso cupo. Un’altra urna ha la forma di cilindro un po’ svasato alla parte superiore, ed è ornata di zone formate di listelli e di cerchi concentrici ; anche questa è tornita. Le ciotole, quasi tutte tornite, con piede e senza manichi, differiscono alquanto da quelle di Villanova, Bismantova e Golasecca, come pure dai tipi di Marzabotto e San Polo d’Enza. I vasi accessori sono in generale affini alle urne tanto pel modo di fabbricazione, quanto per la forma. In alcuni, il Podestà ravvisa un carattere etrusco e più particolarmente aretino. Uno di quelli figurati nella relazione precitata si riferisce al tipo di Golasecca. Le lancie sono a foglia d’olivo, più o meno allargate alla base; in una i taglienti si mostrano ondulati. Delle spade, una è lunga ed a punta acuta, altre due son corte e a punta ottusa; in tutte, due tagli, con costa mediana e codolo. Delle armille, degli anelli e dei fermagli reputo inutile intrattenermi. Delle fibule dirò, colla scorta di Podestà, che, delle sette d’argento, «sei sono a doppio e lungo vermiglione che conta dai quindici ai venti giri di spirale, posto trasversalmente sull’arco della fibula ed in alcune presso a poco lungo quanto l’arco istesso ». La più voluminosa raggiunge il peso di 62 grammi, quantunque mancante dell’ardiglione. La settima, con un solo vermiglione da un lato, e di soli tre giri di spira, ha per arco una lamina foggiata a cucchiaio comune, della lunghezza di 6 cm. Sono pure a doppio vermiglione dieci fibule di bronzo e tre di ferro ; fra le prime, prevalgono le piccole, ad arco formato di una laminetta triangolare, sulla quale è collocato un dischetto ornato di cerchi concentrici e forato nel mezzo. — 594 — Tra alcune monete rinvenute negli ultimi scavi, merita particolar menzione un bronzo che porta la sigla var, la quale assegna la moneta a C. Terenzio Varrone, che fu console nell’anno di Roma 538. Da questo ritrovamento e da non poche osservazioni sull’ordine cronologico delle tombe, Podestà inferisce che o * il sepolcreto durò fino oltre all’anno 665 di Roma, quasi 90 anni avanti C., e che il suo principio toccò il periodo di tempo dal 537 al 580, nel quale anno i Liguri della Valle di Magra furono soggiogati dal Console Muzio sul- o 00 o XAudenna (Aulella dei moderni). Secondo Podestà, si può credere che la regione compresa fra la Magra e la Vara, nella quale si trova Ceni-sola, fosse abitata dai Garuli, tribù ligure, la quale in un coi Lapicini e gli Ercali, fu vinta dai Romani, e quindi attribuisce ai Liguri la necropoli di cui diedi succinte notizie. Ma se coloro le cui ceneri furono chiuse nelle urne di Cenisola potevano dirsi Liguri di nazione, come è ben probabile per ragioni geografiche e storiche, credo però fermamente che non fossero più tali dal punto di vista etnografico. Per le industrie, per le arti, per la loro civiltà e principalmente pei riti funerari, erano ornai italici, e quindi ben diversi dai Liguri semiselvaggi, che cercavano ancora ricovero nelle caverne della Riviera di Ponente. È notevolissimo il fatto che nella Valle di Magra e in qualche punto della Riviera di Levante il ritrovamento di tombe italiche che risalgono a due o tre secoli prima dell’èra volgare attesta che prima di essere attratti nell orbita romana, molti dei Liguri avevano abbandonato 1 antica barbarie, partecipando in una certa misura alla civiltà che fioriva a Villanova, a Bologna, a Golasecca, nel Lazio. Nulla di tuttociò nella Riviera di Ponente ove, a quanto ci rivelano le caverne ossifere, la stirpe ligure ancora immersa nella barbarie neolitica, quando già altrove in Italia — 595 — era incominciato il periodo storico, in parte rimase distrutta al contatto di gente più civile, in parte si modificò profondamente in ogni rapporto etnico ed antropologico, convertendosi in un nuovo popolo sotto Γ influenza livellatrice della civiltà romana. Tombe di Ceparana. — A Ceparana, frazione del comune di Bollano ("mandamento di Sarzana), nel dissodare un antico castagneto, furono rinvenuti a mezzo metro di profondità, alcuni sepolcri analoghi a quelli di Cenisola, sprovvisti però di stela o cippo, e non collocati in mezzo ad un cumulo di ciottoli. Uno solo, secondo la relazione che ne diede Podestà, accoglieva due urne, coperte di piccola lastra di pietra in luogo di ciotola; e queste contenevano avanzi di cremazione, una fibula e tre anelli di bronzo. In due altre tombe, scoperte più tardi, si raccolsero, oltre a due vasi fittili, una punta di lancia in ferro ed altro °g'getto indeterminato del medesimo metallo. Tra i vasi, il solo intatto è un’urna cineraria di creta gialla, di fattura accurata e ben tornita. Tra le fibule, quella che trovasi in condizioni migliori è di forma comune, a vermiglione e ad arco semplice; la staffa è lunga, massiccia e munita di tre dischi. Uno degli anelli offre un cerchio semplice ; gli altri due sono di fattura uguale a quelli di Cenisola. Podestà reputa tali sepolcri più rozzi e poveri di quelli di Cenisola, mentre in generale son più ricche le tombe della stessa età in pianura che in montagna. Tombe di Monterosso e di Vernazza. — Nel comune di Monterosso, presso il santuario di Soviore, a circa 400 m. sul livello del mare, in seguito alle piene del torrente Pignone, rimase allo scoperto un sepolcro di laterizi, in cui si raccolsero da un contadino quattro fittili, cioè : un ossuario, un oinochoe, una coppa ed una ciotola, che furono poscia — 596 — esaminati e descritti dal signor Paolo Podestà, ispettore degli scavi e monumenti. L’ossuario è di creta gialla impura, con tracce di affumi-cazione e fatto a mano. L'otnochoe è di creta line, di forma svelta e leggera e fatto al tornio. La coppa e la ciotola sono entrambe tornite e di fabbrica aretina; la prima con ornamenti (cerchietti sporgenti e tagli diagonali); la seconda, essendo internamente levigata e lucente, convien ritenere che fosse rovesciata sopra l’urna, alla quale doveva servir di coperchio. « La somiglianza del rito funebre, conclude Podestà o e dalle proprie osservazioni, ci prova che i Liguii mantennero i loro costumi anche nel tempo in cui vennero in vog-a le terre cotte aretine ». O 9 | È a deplorarsi che nel vuotare 1 urna cineraria non si sieno conservati i manufatti metallici, i quali erano probabilmente confusi coi resti della cremazione. Sul Monte S.ta Croce, nel comune di Vernazza, furono rinvenuti due sepolcri arcaici, difesi da rozza incassatura di pietra. Uno di essi andò distrutto ; 1 altro conteneva un’ urna cineraria colla sua ciotola, entrambe di creta, fatte a mano e grossolanamente lavorate. Questi oggetti erano accompagnati da una fusaruola semplicissima, di terra cotta, e da un pezzo di ferro. Nel render conto del ritrovamento, Podestà afferma che la seconda tomba, pur essendo fra le più povere della regione, non può dirsi però fra le più antiche, e crede che risalga agli ultimi tempi della repubblica romana Furono segnalate tombe della prima età del ferro poco diverse da quelle testé descritte, e forse appartenenti allo stesso popolo, a Villa Collemandina, a Vagli-Sotto (in una località detta Renaio), a Castagnola, nel comune di Minucciano (i) e in altri punti vicini. (i) Pieroni, Bull, di Paletnologia ital., anno XXIX, n.1 4.-6, pag. 103. — 597 — Genovesato e Liguria occidentale. Necropoli della Via Venti Settembre in Genova. — Mentre si procedeva ai lavori di sterro per l’apertura della nuova via Venti Settembre in Genova, durante l’estate del 1898, si scoprirono in vicinanza della chiesa del Rimedio, sotto o presso le fondazioni di alcuni antichi edifizi ora demoliti (1), parecchie tombe arcaiche, le prime di una serie abbastanza numerosa appartenente ad una necropoli, la cui esistenza fino a quel punto era ignota (2). 11 materiale archeologico rinvenuto fu diligentemente raccolto, per cura del municipio, sotto la direzione del Prof. Campora assessore comunale, ed ora si conserva nel museo del Palazzo Bianco. La prima tomba, la quale giaceva accanto alla salita di S. Defendente, a m. 3.45 sotto il suo livello, era scavata entro un banco di marna pliocenica, sottoposto ad uno strato di materiali alterati dagli agenti esterni, forse già rimaneggiati dall’ uomo, e ad un letto di detriti. Consisteva in un pozzo di forma conica, il quale attraversava per 2 m. il terreno superficiale alterato o detritico, e per un metro la marna intatta, pozzo in fondo al quale si apriva il loculo, limitato superiormente da una risega di pochi centimetri e coperto da una lastra di calcare, di forma irregolare, lunga m. 1.30, larga 1.10 e dello spessore di m. 0.19. Esso loculo era fatto a guisa di cono tronco, presentando in alto il suo diametro massimo di (1) Questi edifizi erano situati lungo il lato orientale della via Giulia, ora scomparsa, il cui piano stradale era in quel punto superiore di 4 m. al livello della via Venti Settembre attuale. (2) Siccome i vasi erano quasi tutti infranti e le pietre sepolcrali si trovarono spostate, si suppone che il cimitero sia stato manomesso da chi procurava di toglierne gli oggetti preziosi. — 59§ — m. i.io. Al pari del pozzo era tutto occupato di materiali detritici, e conteneva inoltre il mobiglio funebre, cioè: i.° Un cratere con ansa a colonnette, di arte attica, a figure nere in fondo rosso (vi si distinguevano una effigie di Mercurio, una di Apollo citaredo, una di Diana col cerviatto e quelle d’altra divinità femminile, nonche di tre Efebi ; 2° I frammenti di una-kylix, parimente figurata; 3.0 Un orcio di rame, simile a quelli delle tombe etrusche a vasi oreci ; 4.0 Uno striglie di rame, che giaceva coi cocci aei cratere di cui sopra, e con resti di ossa combuste. Tutto ciò secondo una relazione di Alfredo D’Andrade (1)· La suppellettile raccolta nelle altre tombe non era meno ricca nè meno svariata, e si può riferire, secondo D’Andrade, al periodo che intercede fra il quarto e il quinto secolo prima dell’ èra volgare. La necropoli e certamente assai più antica di quelle schiettamente romane, rinvenute a maggior distanza dal centro della città, presso il palazzo Quartara e nel cortile del convento della Consolazione. 11 Prof. Ghirardini, invitato a recarsi a Genova per esaminare gli oggetti raccolti negli scavi compiuti pei lavori della via Venti Settembre, riconobbe fra questi un altro cratere a colonnette, una magnifica olpe di bronzo, con incisioni di puro stile greco, munita di manico terminato da una figura d’Arpia arcaica, due kyatoi in bronzo ecc. (2). Inoltre egli potè assistere alla esumazione di una tomba nuova. Da osservazioni pubblicate posteriormente, per cura del Prof. Ghirardini (3), rilevo che il cratere descritto da (1) Notizie degli scavi cTantichità, anno 1898, p. 395. (2) Notizie degli scavi di antichità, anno 1898, p. 464. (3) Di un sepolcreto primitivo scoperto a Genova. Rendic. della R. Accad. dei Lincei, classe di se. mor., stor. e filol., voi. Vili, p. 151. — 599 — d Andrade è simile per soggetto a tre vasi della Campania e deve attribuirsi a fabbrica ateniese che fioriva verso la meta (circa) del V secolo prima dell’èra volgare. Altra tomba, distinta col numero io, conteneva in frammenti un cratere somigliante; inoltre vi furono rinvenuti una kylix, sulla quale sono rappresentate scene della vita famigliare, e una preziosa olpe di bronzo, squisitamente ornata di finissime baccellature e provvista di manico, il quale si congiunge al ventre, mediante una figura di sirena a rilievo, figura di stile ionico. Siffatta olpe sarebbe analoga, secondo Brizio, a tre orci scoperti in ricca tomba del giardino Margherita in Bologna. Ghirardini soggiunge che in una delle tombe di via Venti Settembre, nella quale v’ era un ossario di rozza argilla, si trovarono una situla di legno, con doppio manico girevole di bronzo, e una fibula pertinente al tipo della Certosa. Da canto mio aggiungerò alcune osservazioni sommarie a quelle riferite. Mentre alcuni vasi secondari per essere lavorati senza il sussidio del torno e per la pasta grossolana ricordano la ceramica delle caverne, altri invece, come una piccola diota di tipo romano, rinvenuta nella tomba N.° 54, accennano ad una industria di data assai posteriore. Notevole in alcune tombe il ritrovamento di d oro, fra i quali una lamina circolare, ornata di rilievi a bottoncino, un anello a fascia semplice, e parecchi frammenti. L’argento è rappresentato da una bella fibula (raccolta nella tomba N.° 57) riferibile al tipo della Certosa, distinta pel bottone terminale, per la brevità della staffa e pel dischetto interposto fra l’arco e l’ago; essa è quasi identica a quella figurata dal D.r Marchesetti, nella sua opera sulla necropoli di Santa Lucia (1) alla tav. XIX, (1) Scavi nella necropoli di Santa Lucia presso Tolmino. Trieste, 1893. — 6oo — fig. 2. Fra i bronzi, ho notato, oltre a parecchi strigili, alcune fibule ad arco, semplici e poco voluminose, due aghi con cruna e un bellissimo elmo proveniente dalla tomba N.° 48 his, il quale meriterebbe di essere illustrato. Non manca il ferro, essendo foggiata in questo metallo una spada di mediocre lunghezza, diritta, a due tagli, con codolo piuttosto lungo, terminato da un arco, il quale sembra residuo di un anello infranto. Notevolissimi, per la squisitezza della lavorazione e la vivacità dei colori, due balsamari di smalto policromo. Sono in buon numero gli articoli di monile, quali sferoidali, quali cilindrici, quali lenticolari od oliviformi d’ambra gialla. Nella tomba N.° 30 molti di questi oggetti erano accompagnati da pendagli della stessa materia, gli uni discoidi, gli altri a guisa di piramide a base ìettan- golare, troncata. In ciascuno si osservano, oltre al foro di sospensione, piccoli incavi a foro ceco, probabilmente destinati ad accogliere un prefumo. La tomba N. 5o conteneva anche un grande anello d’ambra, provvisto di suggello, ma senza impronta. Merita pure una menzione parte di un pettine di corno, a denti piuttosto sottili e fitti, che fu raccolto nella tomba N." 46 in una tazza di bronzo. di In una comunicazione fatta dinanzi al Congresso 1 Antropologia ed Archeologia preistoriche, in Monaco, Roberto Paribeni porgeva una succinta descrizione della necropoli e di taluno dei cimeli che vi furono rinvenuti, dichiarando, se ho bene inteso, di ravvisare fra questi non già fittili greci, ma italioti, decorati nell’ Italia meridionale e specialmente nella Campania. Egli accennava pure a tazze di fattura gallica, e non disconosceva 1 affi nita che altri avvertiva fra le situle di Genova e le etnische, come pure fra certi bronzi della nostra necropoli e quelli della Certosa. In conclusione attribuisce le più antiche tombe al IV secolo e le più recenti al III. — 6οι — La differenza che intercede fra i giudizi precitati non è di gran conto; ed emerge con sicurezza il fatto, di cui tace ogni memoria storica, che nel IV secolo prima della nostra èra, e forse prima, dimoravano in Genova famiglie cospicue, le quali avevano adottato i riti funebri degli Italici, e nell arte, nell industria, secondo ogni probabilità anche nello stato sociale, erano assai diversi dai Liguri, ancora semi-selvaggi, della Riviera occidentale. Si afferma che molti anni addietro furono messe alla luce nella villa Brignole, a Voltri, tombe arcaiche, simili a quelle recentemente scoperte in Genova; ma per mala ventura non se ne tenne conto, e quanto ricettavano andò distrutto o disperso. Tombe di Savignone. — Queste, accidentalmente scoperte nel podere detto Gamasc/uetta, nel comune di Savignone, furono segnalate agli archeologi dallo scultore Santo Varni (i); ma son più note per la descrizione datane dal Prof. G. Ghirardini (2). I due sepolcri erano formati ciascuno di sei lastre di pietra, disposte a guisa di cassetta quadrilatera, e contenevano due vasi fittili, coperti di tazza capovolta, come pure parecchi oggetti di metallo. L’ossuario del primo consiste in un’ olla panciuta, tornita e coperta di vernice nera, olla che Ghirardini stima analoga a quelle del secondo periodo di Golasecca; si rende maggiore 1 affinità nella tazza collocata sull’ossario a guisa di coperchio, tazza ornata di tante linee nere, in due sistemi obliqui, da sinistra a destra e viceversa, che si intersecano risultandone un reticolato. Il vaso accessorio della stessa tomba, basso di forma e col ventre quasi sferico, manca di cottura e ricorda le figuline galliche della necropoli atestina. (1) Giornale Ligustico, anno XI, p. 314. Genova, 1884. (2) Di un arcaico sepolcreto ligure nel territorio di Genova. Rendic. della R. Accad. dei Lincei, voi III, p. 204. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL. 39 Il secondo sepolcro presentava un ossuario coperto di due altri vaselli rovesciati, di forma diversa dal pi imo, il quale è lavorato al tornio, verniciato di nero e somiglia assai a quelli di Cenisola. Poco caratteristici gli oggetti di ferro, fra i quali una spada tre volte piegata su se stessa, terminata in punta, spada di cui non è certo che fosse ad un taglio, due cuspidi di lancia e un’ ascia in ferro del tipo ad alette, Ben maggiore è il significato di una fibula di bronzo, che è riferibile ad uno dei tipi della Certosa di Bologna, ed accenna ad età sicuramente non posteriore al III secolo a. C. e non più antica del IV. Altre Tombe. — Non è qui il caso di descrivere i sepolcri romani che in buon numero si rinvennero nella Liguria Marittima, anzi in tutta la regione Liguie, ma credo opportuno far presente agli studiosi della nostra preistoria il ritrovamento di antiche tombe suscettibili di spargere un po’ di luce sulle vicende attraversate dal paese prima di subire 1’ influenza del dominio e della civiltà di Roma. È da ricordarsi quella scoperta anni sono a Valloria nel Savonese, che conteneva uno scheletro umano di alta statura, presso il quale era deposta una lunga spada di ferro a crociera. Dai caratteri del teschio, che è brachicefalo, e della spada sono inclinato a ravvisare in questi avanzi spoglie galliche (i). A tempi forse meno remoti si riferisce un complesso di tombe, non studiate ancora, disposte sul dosso di un piccolo rilievo, detto perciò Colle del Cadavere, nelle adiacenze di Piana Crixia. Ciascun sepolcro consiste in una fossa poco profonda, scavata nel suolo marnoso di quella eminenza, e nella quale, non difeso da lastre di pietra o (i) Lo scheletro e la spada sono conservate presso il Museo geologico di Genova. — 6o3 — di cotto, si trova uno scheletro umano, più o meno alterato dal tempo e dagli agenti atmosferici, accompagnato, talvolta, da qualche suppellettile. All’ esterno, manca ogni traccia di tumulo o di cippo. Nell’ unica tomba della necropoli che ebbi agio di esplorare, trovai gli avanzi di uno scheletro umano di statura superiore alla comune. Le poche ossa ben conservate, cioè alcuni frammenti di cranio, la mandibola, un femore, ecc., accennano a razza assai diversa da quella delle caverne ossifere. Un solo manufatto fu rinvenuto accanto allo scheletro e consiste in un oggetto di ferro geminato d’argento, il quale, a quanto credo, faceva parte di una fìbbia di cintura. Esso consta di una lama della lunghezza di 77 mm. che si termina in un anello schiacciato, il cui diametro esterno è di 33 millimetri; sopra l’anello e nella stessa direzione della lama, è fissata una specie d’uncino. Alla parte superiore dell’anello e della lama, si vedono i resti di un ornato simmetrico d’argento, che consiste in sottili ghirigori e punti; si tratta di geminato di fattura elegante e di stile gallico. Di una tomba, scoperta presso la stazione ferroviaria di Borgio-Verezzi, tomba nella quale si trovò uno scheletro umano, in parte contenuto in due mezze anfore e in parte difeso dai cocci di un altro fittile di stile romano, ebbi già ad occuparmi (pag. 585). Don Morelli fece conoscere, anni sono, un sepolcro gallo-romano rinvenuto poco innanzi a Ceriale, nella Riviera di Ponente. Si tratta di una cassetta di marmo bianco, scavata in un solo pezzo, con coperchio della stessa materia, e contenente ossa combuste insieme a quattro vasetti di vetro e a frammenti di altri due vasi, uno di vetro turchino e l’altro di terra cotta. Lo stesso autore accenna ad altre tombe assai antiche ad incassatura di terra cotta, scoperte a Borgio. Credo opportuno ricordare almeno siffatti documenti, non — 6θ4 — preistorici, ma csostorici, a guisa di complemento a quanto fu esposto nei precedenti capitoli. V. — RECINTI E CASELLE Recinti. In molti punti della Provenza si conoscono recinti di pietra greggia, in gran parte preistorici od esostorici, eretti indubbiamente per servire di difesa dagli antichi abitanti del paese. Costruzioni analoghe furono segnalate anche a levante del Varo, in ispecie lungo una zona di litorale di circa 20 km. di larghezza tra Nizza e Roccabruna (i). Essi sono distribuiti sulle vette e le creste, in punti che conservano denominazioni allusive al significato di quei ruderi, come: Monte Guerra, Colle della Battaglia, lesta del Campo, Barra dell’Arma, Monte Bastia, Castellar, Castellaras, Castelleretto, 1 Bari (I Ripai i). Tali costruzioni, dette genericamente in Francia Ga-stellars, Castellaras, Bastides (2), risultano di grossi massi sovrapposti senza cemento, in guisa da circoscrivere più o meno completamente un’ area ellittica, ovale o circolare, ed offrono una o più brecce od aperture ad uso di porte. Il recinto è in alcuni casi doppio per tutta la sua peri- (1) De Chambrun de Rosemont A., Enceintes à gros blocs. Revue de Nice, 1874. Desjardins., Les camps retranchés des environs de Nice. Bull, de la Société Nifoise des Sciences nat., voi. IV. Nice, 1879. Andrews J. B., Nomenclature des camps préhistoriques trouvés dans Pesi du département des Alpes-Mantimes. Nice, 1882. (2) Le denominazioni Castellaro e Bastia della toponomastica ligure alludono certamente a tali difese di data più o meno remota, e derivano senza dubbio dalla prima i cognomi Castellaro, Castellari, non rari fra noi. — 6o5 — feria o solo in parte, e talvolta dal lato esterno*del muro si parte perpendicolarmente uno sperone che raggiunge il ciglio di un burrone o di altra anfrattuosità a parete scoscesa, chiudendo così un passo, che avrebbe consentito di girare attorno al muro di cinta. Non vi mancano localmente fossi di circonvallazione, ormai colmi di detriti, e, in rari esempi, avanzi di torrioni. Assumono, in breve, i caratteri di opere stabili, coordinate ad un sistema difensivo ben definito. Siccome sono quasi sempre edificati sulla viva roccia, non vi si trovano d’ordinario che scarsi e mal conservati manufatti riferibili a tempi storici e preistorici ; dai quali si può argomentare che furono occupati in tempi diversi e da gente che non apparteneva ad un solo popolo. Al Castelleretto si raccolsero, a cagion d’esempio, due accette litiche levigate e due monete di bronzo cartaginesi'. Segnalati od imperfettamente descritti da principio per opera di alcuni autori, furono di poi studiati con molta diligenza da Henry de Gerin-Ricard e specialmente da Paul Goby e A. Guébhard (i). Quest’ultimo è riuscito a segnare l’ubicazione precisa di ben 85 recinti sul foglio di Nizza della carta del servizio geografico militare francese, alla scala di 1:320.000. Nei punti qui appresso enumerati son noti all’autore precitato castellars ben caratteristici : La Fubia alla Ro-quette; Collet des Pagans a Levens ; Revel alla Trinité; Mont Macaron sopra Chateauneuf; Mont Barri, Mont Chauve, S\ Sébastien nel comune di Aspremont; Capo Ferrai di Beaulieu ; Pacanaglia di Villafranca; Mont Bastide e Monte Lenza sopra Eza; Colle del Castello e Bourdine alla Turbia; Mont des Mules e Butte du Revare presso Monaco; Camp Ricard, Fouracca, Puymcuerga, Val Fenouil, e (1) Goby P. et Guébhard A., Sur les enceintes préhistoriques des Pré-alpes Maritimes. Association frane, pour l’avanc. des sciences, XXXIII'session (Grenoble). Paris, IQ04. — 6o6 — cinque o.sei altri sul Monte Grosso, comune di Roccabruna; Monte Orso e Sirococca sopra Saint-Agnés (i)· Il Sig. Philippe Casimir aggiunse alla prima nota di castcllars dell'arrondissement di Nizza, compilata da Gué-bhard l’elenco dei seguenti, da poco osservati nei pressi della Turbia: La Téte de Chien e il Cros, Tenao, Baon Tagan, La Masque, La Revère, Camp Redon, Loti Ca-steou, Le Signal Rolland, Mont des Batailles, Coussiti ière (2). Il Sig. J. Lefèvre segnala, da canto suo, un campo trincerato detto Terragno, mentre Maury e Caziot annunziano la scoperta di un altro al Col de Brouis (3). Lo studio di tali costruzioni fu ripreso testé con fervore dal dottore A. Guébhard, il quale coll’esempio e colla parola tracciò il programma delle osservazioni da farsi, ed espose i risultati che se ne aspettano, assistito in ciò dal suo collaboratore P. Goby (4). Recinti consimili furono segnalati in molti punti dell’Europa occidentale e dell’Algeria. Sono poi numerosi e caratteristici nell’Istria, ove si designano col nome di ca-stellieri (si vedano in proposito i lavori di Burton e del D.r Marchesetti). Quasi in ogni paese e nella maggior parte dei casi si ignora da qual gente furono edificati e a quale epoca si possono assegnare. Presso tutti i popoli e in tutti i tempi, infatti, si innalzarono muri di pietre a secco a scopo di difesa. Non fa d’uopo dimostrare perciò (1) Trattandosi di dati raccolti da osservatori francesi, ho creduto opportuno mantenere inalterata l’ortografia originaria, quantunque le denominazioni italiane comporterebbero un diverso modo di trascrizione. (2) Guébhard A., Les enceintes préhistoriques (Castellars) des Prcalpes Maritimes. Bulletin de la Section des Alpes Maritimes du Club Alpin Fran-?ais, N.° 25 et 26. Nice, 1907. (3) Journal de la Comiche, 25 mars e 15 avril 1906 (4) Delle accennate fortificazioni preistoriche si occuparono già Bourguignat, E. Blanc, Bottin, Brun, P. Castanier, Camau, Cerquand, Chiris, Noyon, Olivier, Rivière, Sénequier. — 6o7 — quanto sia difficile determinare la data della loro costruzione e porre in chiaro da chi furono edificati. Le indagini in proposito sarebbero da tentarsi caso per caso, con largo sussidio di scavi archeologici, di documenti storici e di materiali comparativi. Nella Francia meridionale sembrano distinti per la speciale loro costruzione i castellars gallici dai liguri, assai più numerosi, massime tra le Alpi Marittime Bene spesso caddero in potere dei Romani invasori, i quali ne accrebbero l’efficacia col risarcire i ripari guasti dagli agenti naturali e col sussidio di nuove opere. 1 cocci di stoviglie e le scarse armi litiche o metalliche, scoperti nel loro perimetro forniscono qualche indizio delle vicende subite da quelle antiche costruzioni. Esse non dovrebbero mancare anche nelle provincie di Porto Maurizio e di Genova, ma fin qui non fissarono l’attenzione degli studiosi o furono distrutti senza lasciar traccia di se. Il recinto del Monte Bastia, che visitai nel 1906, in occasione del congresso internazionale di Monaco, occupa la sommità del monte omonimo, a breve distanza da Eza e si estende in forma di ellissi irregolare, allungata da E. ad O. e limitata da doppio paramento di massi, in cui Γ intervallo è colmato da pietre di minori dimensioni. Laddove il versante del monte apparisce più ripido e scosceso, il muro di cinta è diruto; nella parte rivolta verso il litorale, questo muro è doppio e per piccolo tratto quadruplice. Alle due estremità dell’edifizio si vedono ruderi che accennano a torri (fig. 260). Notevolissimo il fatto che nella parte media si trovano i resti di numerose divisioni rettangolari, che erano probabilmente antichi depositi di vettovaglie e forse in parte abitazioni. Tali compartimenti sono formati di lastroni greggi, collocati verticalmente e sembrano disadatti a sostenere un tetto. In essi Guébhard ravvisa un tipo fenicio — 6o8 — diverso dal ciclopico, dominante nella parte periferica e in tutte le costruzioni analoghe (r). Tra questi avanzi raccolsi alcuni cocci di stoviglie tornite, di fattura romana, e pochi altri di carattere preistorico (2). Fig. 260 (3). Recinto fortificato del Monte Bastia presso Eza; pianta e sezioni (secondo A. Naudot). Se, come pare, furono quasi tutte innalzate prima del dominio romano, è legittimo il supposto che tali fortificazioni sieno dovute alla stirpe Ligure, dalla quale il paese era occupato. Con ciò non si può revocare in dubbio, come dissi, che ripari di pietre gregge sieno stati eretti in ogni tempo, perchè in ogni tempo si produssero gare, minacce e pericoli di conflitto fra tribù e tribù, fra nazione (1) Congrès préhistorique de France. Compte rendu de la deuxième session (Vannes). Paris, 1907. (2) Naudot A., Mém. de la Société des Antiquaires de France, tome XXI. Paris, 1852 (3) Questa figura è tratta da una nota pubblicata dal D.r Guébhard nel « Compte Rendu du Congrès préhistorique de France, deuxième session (\rannes) ». — 6og — e nazione, e nacque il bisogno di provvedere alla difesa. E come potremmo supporre, quantunque non sempre ci sia dato di rintracciare prove materiali, che durante i periodi fortunosi di lotte intestine, di aggressioni, di invasioni, di conquiste, i recinti fortificati non abbiano avuto successivamente per presidio popoli diversi, che ignoravano il nome l’uno dell’altro? Certo e che più e più volte furono rinvenuti entro tali ripari cocci di figuline non tornite e manufatti di pietra o di bronzo, sicuramente preistorici. Blanc cita il ritrovamento di accette di diorite orbicolare della Corsica nel cosi detto Camp de la Towwcique a Tourette-les-Vences. Caselle e Cabanne. Liguria italiana. — Gli edifizi sui quali credo opportuno richiamare 1 attenzione degli studiosi in queste pagine sono in gran parte moderni, ma appartengono tuttavolta ad un tipo primitivo, certamente anteriore alle più antiche memorie storiche. Si tratta di abitazioni rustiche, le quali servono tuttora di temporario rifugio agli agricoltori, ai pastori ed ai falciatori di fieno in buona parte della Liguria occidentale, e si trovano di preferenza nelle regioni montane, a gran distanza da citta e villaggi. Sono ignote nella Liguria orientale e nel Genovesato ; si dicono cabanne nel Finalese, caselle, casui, casellom, casoni, nel territorio di Porto Maurizio, cabanons tra le Alpi Marittime francesi. Gli esemplari di tali costruzioni che conservano inalterato il carattere originario sono formati di piccoli massi greggi, sovrapposti con cura, ma senza cemento; se ne danno pure di pietre grossolanamente squadrate, congiunte per mezzo di scarsa calce. Le porte e le finestre (queste possono mancare) sono inquadrate di pietre più voluminose e regolari, che sostengono in generale una specie di architrave. — 6ιο — La forma loro più semplice e più comune è quella di un cono tronco, in cui il diametro della base e poco maggiore del diametro della troncatura, alla quale è sovrapposto un tetto di pietre ingegnosamente connesse, a guisa di volta schiacciata, che suol esser coperto di terra argillosa, impenetrabile alla pioggia. 11 suolo è fatto di terra battuta. Alla porta, d’ordinario assai piccola e rettangolare, si accede qualche volta per mezzo di una scaletta composta di pochi gradini formati di pietre gregge. Bene spesso la camera interna, le cui pareti sono destituite d’ intonaco, è illuminata da una finestra o da due assai piccole. Nessuna simmetria nella disposizione delle aperture, le quali si chiudono con rozze imposte di legno ad un solo battente, e servono, quando è necessario, a dare adito al fumo che si sviluppa dal focolare (i). Le dimensioni più frequenti sono di 3 a 4 metri per la circonferenza basale, e di 3 a 3.50 per l’altezza. Fig. 261. Casella del Monte Settepani (da fotografia G. Dellepiane). Del tipo semplicissimo di caselle 0 cabanne ora descritto si dànno esempi numerosi sul Monte Settepani ad est del Colle di Melogno, nei pressi di Giustenice e di (1) Non fa d’uopo aggiungere che le finestre sono destituite di telai e d’impannature o vetri. Mancano talvolta anche le imposte. — 611 — San Giacomo (non lunge da Pietra Ligure), sul Monte Calvo (a N.-O. di Loano), come pure al Pizzo d’ Evigno (a N.-O. di Oneglia). Se ne conoscevano pure alcuni sul Monte Fauclo, presso Porto Maurizio, ma sono ormai rovinati. Accanto alle caselle tìpiche si osservano sul Pizzo di Evigno, capanne in forma di piramidi tronche cogli spigoli arrotondati, le quali stanno a rappresentare una transizione fra le prime e le costruzioni rustiche rettangolari, quali sono di uso comune in tutta la nostra regione (fig. 262). Fig. 262. Casella del Pizzo d’ Evigno, transizione al tipo rettangolare (da fot. Gervasio). Caselle de muxee si dicono nella Riviera di Ponente quelle che si aprono nei muri di sostegno degli scaglioni (o fascie), praticati lungo i fianchi dei monti o delle balze, allo scopo di trattenere la terra vegetale e di agevolare la coltura. Esse comprendono il più delle volte un solo vano conico od anche rettangolare, ma non di rado sono provviste di un primo piano di forma conica, al quale si accede mediante una porticina che si apre a livello dello scaglione immediatamente superiore a quello corrispondente al suolo del pian terreno. Fra Diano Marina e Diano San Pietro, vidi presso il frantoio Arduino, in un oliveto, un esemplare di casella un po’ diverso dal tipo comune, sia per la forma, sia perchè nella sua costruzione fu adoperata un po di malta. Esso risulta di tre tronchi di cono sovrapposti, e è diviso internamente in.due piani: l’inferiore riceve aria e luce dalla porta, alla quale si accede mediante alcuni giadini esterni ; il superiore è illuminato da piccola finestra e coperto da una specie di volta fatta di lastroni di pietra (fig. 263). Le dimensioni di questo singolare edifizio sono: altezza m. 3.50 ; diametro interno m. 3 ; spessezza del muro alla base m. 1.20; spessezza del muro nella parte superiore m. 0.80; altezza della porta m. 1.45; larghezza della stessa m. 1.20; altezza della finestra m. 1.25; larghezza della stessa m. 0.65 (1). Fig. 263. Casella del territorio di Diano S. Pietro (da disegno di A. Issel). Nelle casupole rettangolari, basse (generalmente ad un solo piano), coperte da una volta appena convessa 0 meglio da una cupola circolare, schiacciata, casupole che erano comuni altra volta a Varigotti, Finalpia, Loano, Ce riale, e che ora tendono a scomparire, si ha forse una (1) Il Prof. Tito Zanardelli mi scrisse pochi anni or sono, che aveva incominciato a raccogliere notizie su questi strani edifizi, intorno ai quali, per quanto mi consta, nulla fu pubblicato. derivazione assai alterata dal tipo primitivo testé descritto ( i ). Liguria Francese. — 11 dottor Fritz Mader, di cui son note le illustrazioni delle Alpi Marittime, mi ha donato una fotografìa, nella quale si vede Γ immagine di due abituri, 1 uno contiguo all’ altro, simili ad alcuni dei più caratteristici fra quelli che ebbi ad osservare in Liguria ; si tratta in certo modo di una casella doppia. Ciascuno dei due piccoli edifizi risulta di una base cilindrica, nella quale si apre una porticina, e di una cupola, alquanto protratta in altezza, e terminata in punta; uno di essi è quasi completamente circondato da un recinto di pietre, che servì secondo ogni probabilità di agghiaccio agli armenti (fig. 264). Essi trovansi al colle Ferrier, lungo la via vicinale tra Caussols e Grasse, a nord di questa città. Nel paese siffatte costruzioni sono piuttosto comuni, ma quasi tutte ruinate, e diconsi cabanons. Fig. 264. Cabanons del Col Ferrier (da fot. Mader). Il Dott. Guébhard e il Sig. Goby mi hanno riferito che i cabanons sono assai comuni nella parte occidentale (1) Debbo ringraziare i signori Vittorio Poggi, G. Rovereto, N. Alassio, A.Gervasio, G. Dellepiane, F. Mader, per le indicazioni e le fotografie relative alle costruzioni primitive della Liguria che si compiacquero comunicarmi. — 614 — del dipartimento delle Alpi Marittime, specialmente nelle vicinanze di Grasse. Se ne trovano anche in prossimità dei dolmen e dei recinti preistorici. Nel dare Γ illustrazione di un caso notevole di piega stratigrafica (il così detto « crochetjurassiqae du Collet de la Malie ») Guébhard reca per incidenza la figura di una di tali costruzioni, fatta di pietra greggia senza cemento, e in forma di torre presso a poco cilindrica, che ne sostiene un’altra più piccola a foggia di cono tronco (i). Questa parte è superiormente pianeggiante, e porta due pietre allungate, ritte sopra due punti opposti del margine. La porta, arrotondata alla parte superiore, è incorniciata di materiali più voluminosi, e raggiunge appena 1 altezza di un uomo di piccola statura (fig. 265). Un’altra costruzione simile, visibile in una tavola della memoria precitata, che rappresenta la montagna di Calern, veduta dai Planestels de Caussols, consiste in una semplice torre terminata superiormente da un tetto a cupola. Fig 265. Cabanon del Collet de !a Malie (Guébhard). L’ indicazione di cui è da tenersi maggior conto, per legittimare Γ inserzione di questi cenni in un volume intitolato « Liguria Preistorica», si è l’annunzio datomi, da (1) Bulletin de la Société géologique de France, 4.' sèrie, tome II, fase. 5, p. 373. — 6i5 — Guébhard, autorevolissimo nella materia, secondo il quale gli scavi archeologici praticati da P. Goby, presso Grasse, e da M. Chiris, in prossimità di Draguignan, entro cumuli di pietrami prodotti indubbiamente dal crollo di antichi cabanons, avrebbero somministrato manufatti, e specialmente fittili, analoghi a quelli rinvenuti nelle grotte preistoriche e nei castellars vicini, manufatti riferibili alla transizione fra le fasi della pietra levigata e del bronzo (i). Provenza ed altre Province Francesi. — Prosper Casta-nier accenna nelle sue opere alla esistenza di questo tipo architettonico nella Linguadoca e nella Provenza. 11 Prof. Vasseur di Marsiglia mi assicurò che simili edifizi primitivi sono assai numerosi in Provenza, nelle adiacenze di Aix. Egli ne avrebbe osservati a Lalbingue, Bache, Concots ecc., e dall archeologo Pranishniskof seppe che si trovano in copia sul monte di Cordes nelle vicinanze di Arles, ove formano un aggruppamento a guisa di villaggio. 11 Sig. Imbert accennò, dinanzi al Congresso di Monaco, alla diffusione di casupole a tetto conico dont Ics pierres plates sont rangées en encorbellement, a Thiviers, Exideuil ed altri punti, nel dipartimento della Dordogme. Trutat, a proposito delle comunicazioni precedenti, segnalò simili edilìzi primitivi, da lui veduti sul pianoro carsico del T arn-et-Garonne, a Saint-Antonin, e nel dipartimento del Tarn, a Vaom e Penne. Altri furono da lui additati fra Pomiers e Savilles, nell Ardèche, e nella parte superiore della Valle del Bepmale (2). Trulli delle Puglie. — Sia per le forme loro, sia per la destinazione, le caselle o cabanne riproducono in dimensioni ridotte il tipo dei così detti trulli 0 truddi, sparsi in (1) Compte Rendu du XIII* Congrès d’Anthropologie et d’Archéologie préhistorique, pag. 250 a 260. Monaco, 1907. (2) Compte Rendu du ΧΙΙΓ Congrès d'Anthropologie et d’Archéologie préhistorique, già citato. — 616 — gran numero nelle Puglie fra l’Ofanto e il Capo di Leuca, e ormai ben conosciuti per le descrizioni che ne diedero De Giorgi, Lenormand e recentemente Bertaux (i)· Anche questi sono fatti di pietre di piccole dimensioni, gregge o quasi gregge, ingegnosamente conne'sse, senza sussidio di cemento. I più antichi assumono dimensioni grandissime e forme complicate, quelle cioè di due od anche di tre coni tronchi, di diametro decrescente dal basso all alto, collocati uno sopra l’altro; i più recenti, molti dei quali edificati da pochi secoli od anche ai giorni nostri, sono ridotti al tipo più semplice di piccoli edifìzi a foggia di cono tronco. Le medesime considerazioni possono ripetersi in ordine alle cabanne o caselle Nell’Apulia petrosa, come nella Liguria, i dossi denudati dei monti e dei colli sparsi di detriti rocciosi, i cumuli di sassi tolti ai campi dayli agricoltori, i muri a secco me- 1 Ο Ο 1 . diante i quali si dividono le proprietà, e finalmente g i abituri di pietra greggia dal tetto a cupola impartiscono al paese un’ impronta speciale. Alberobello porge un esempio istruttivo di una piccola città precipuamente formata di trulli, i quali sono in gran parte di recente costruzione, posteriori cioè al 1635, ed imitano le forme di altri assai più antichi. Mentre colà servono alla abitazione dell’uomo, nei pressi di Noci sono destinati al bestiame. In tutto il territorio delle Puglie, d’altronde, e specialmente nelle vicinanze di Bari, i trulli, e le caselle sono in piena decadenza, talché i pochi recentemente edificati sono il prodotto degenerato e contrafatto di un’arte d’altri tempi. La casella dei pressi di Diano San Pietro testé descritta è quasi identica al trullo elementare, tipo B, di (1J Vedasi specialmente in proposito: Bertaux E., Étude d un type d’habitation primitive. Trulli, Caselle, Specchie des Pouilles. Annales de Géographie. Paris, 1899. Bertaux, disegnato da questo autore nella sua fig. 3, alla pag. 211 della memoria precitata (fig. 266). Fig. 266. Trullo delle Puglie; tipo B (Bertaux). Noto per incidenza che gli edifizi primitivi denominati nell’ Italia meridionale caselle sono capannoni formati da un muro perimetrale, cilindrico, di materiale, muro provvisto di una porta e di piccole finestre (d'ordinario di una sola), il quale sorregge un ampio ed acuto tetto conico contesto di paglia, e perciò non somigliano che lontanamente alle caselle della regione Ligure. Le specchie sono grandi cumuli di pietre gregge, di forma conica o a 1110’ di cupola, più raramente ellissoidali. Se ne conoscono parecchie circondate di muri od anche munite di fossi. In casi rari attorno ad una specchia maggiore se ne aggruppano altre più piccole. L’ ipotesi più verosimile, circa la loro destinazione, è quella che servissero a scopo di difesa e quali punti di vedetta. Behive-houses delle Isole Britanniche. — In via subordinata, è da osservarsi la stretta affinità di queste nostre costruzioni italiane colle Behive-houses dell’ Irlanda settentrionale, della Scozia e delle Ebridi, le quali, comunque tendano a scomparire, sono ancora in uso. Le Behive houses, segnalate fin dal 1858 dal capitano Thomas, furono descritte nel 1904 da R. W. Mackenzie, il quale avvertì la loro affinità cogli abituri delle Alpi Atti Soc. Lig St. Pìtru. Voi. XL. 40 — 618 — Liguri, secondo una informazione ricevuta dal pastore Somer-ville di Mentone (i). Esse possono osservarsi lungo il lido settentrionale dell’ isola di Lewis (Ebridi occidentali), e consistono in costruzioni cilindriche, di pietra greggia, del diametro di 6 a 7 piedi, alte poco più, dal tetto foggiato a cupola schiacciata, coperto di argilla (fig. 267). Sono Fig. 26η. Behive house dell’ Isola di Lewis (Mackenzie). I provviste di due piccole aperture ad uso di porte, e internamente si vedono nello spessore delle loro mura nicchie, che servivano ad accogliere letti d’erica, come pure altre piccole cavità in cui si ponevano utensili domestici. Una Behive house tipica era ancora occupata poco meno di mezzo secolo addietro; di molte si vedono le rovine, ed altre furono più o meno modificate per adattarle alle esigenze moderne. Nell’ isola di Sky e nella contea d In-verness erano comuni. A Caithness se ne conoscevano esemplari più grandi del consueto, formati di mura spessissime; uno di essi aveva un diametro di 22 piedi. Anche nel paese di Galles assumevano dimensioni assai maggiori (fin cinque volte) che non nelle Ebridi ed avevano mura (1) Mackenzie R. W. R., Notes on certain struclures of archaic tyfie in thè Island of Lewis, Behive Houses, Dutis and sione circles. Proceedings of thè Society of Antiquaries of Scotland, voi. XXXVIII. Edimburg, 1904. — 6ig — assai più grosse. In gaelico si designano col nome di bothain. Nell’ Highland le forme loro si modificarono come fra noi, ed assunsero pianta rettangolare. Finalmente non mancano all’Irlanda, ed anche in quest’isola, mentre le più recenti risalgono a parecchi secoli, altre si suppongono anteriori al Cristianesimo. Secondo Mackenzie, tali edifizi si connettono a quelle costruzioni arcaiche, a domo, tanto diffuse nel bacino del Mediterraneo, delle quali ebbe ad occuparsi A. Evans nei suoi lavori archeologici. Nitraghi, Talayots ecc. — Non meno manifeste sono le relazioni che intercedono fra le nostre caselle o cabanne e i monumenti preistorici della Sardegna, delle Isole Baleari e di Pantelleria, noti sotto i nomi di nuraghi, talayots e sesi (i). I nuraghi più semplici (che sono anche in maggior numero) presentano, come le caselle, forma di cono tronco (2) ; ma ve ne hanno anche a fog-gria di due tronchi di cono o o sovrapposti (fig. 268), così quello di Monte Siseri (3); e non mancano tipi assai più complicati, nei quali intorno ad un torrione principale si aggruppano simmetricamente altri edifizi minori (4). In ogni caso, le dimensioni loro superano di gran lunga quelle dei modesti abituri ligustici, e le disposizioni interne sono diverse pel fatto che ricettano generalmente più cavità in forma di nicchie. (1) È notevole la frequenza di monumenti megalitici in Sardegna presso i nuraghi, a Minorca in vicinanza dei talayots e delle garritas, in Puglia, nella regione delle specchie e dei trulli, tra le Alpi Marittime francesi in prossimità dei cabanons. (2) Tali sono i nuraghi di Oschiri, Boes, Bighinzone, Zuras, figurati nell’opera di G. Pinza Monumenti primitivi della Sardegna. Monumenti antichi, pubblicati per cura della R. Accademia dei Lincei, voi. XI, puntata I. Roma, 1901. (3) Vedi : Pinza, Opera citata, fig. 72. (4) Si può addurre ad esempio il nuraghe di Ortu (Pinza, Op. cit., fig. 74). — 020 — L’ interpretazione dei nuraghi diede luogo alle più vive controversie non ancora del tutto sopite. 1 er alcuni sono fortezze e torri di guardia, che fanno parte di un complicato sistema di difesa (Perrot); per altri sono abitazioni od anche templi (Spano, Montelius); non manca di fautori l’ipotesi che li considera come tombe (Pinza). Antonio Taramelli recava testé nuovi argomenti decisivi per dimostrare come fossero originariamente dimore fortificate, che bene spesso furono adibite più tardi ad altri usi. Fig. 268. Nuraghe Santa Barbara, a Macomer (da fotogr. Dessi). Alcuni nuraghi somigliano invece alle specchie, e notevole ad esempio la similitudine del nuraghe Oriti, figurato da Lamarmora, colla specchia Schiavoni. Gli uni e le altre erano collocati ad una certa distanza fra loro, al sommo delle alture e potevano adempiere efficacemente percio all ufficio di torri di guardia e di vedette, cui erano forse destinati. I talayots, confinati nell’ isola di Minorca, sono edifizi di pietre gregge, sovrapposte senza cemento, dei quali non si può disconoscere la stretta affinità coi nuraghi, sia per l’aspetto, sia per le proporzioni; vi prevalgono le forme più semplici (fig. 269); dagli autori più reputati si ritengono essi pure abitazioni primitive (1). (1) Martorell y Pena F., Apuntes arqueologicos. Barcellona, 1879. L’ Isola di Pantelleria (i), comunque tanto minore della Sardegna, possiede anch’essa un tipo proprio di costruzioni preistoriche, di cui il Sig. Guido Dalla Rosa fece conoscere i tratti principali (2). I sesi, così si dicono localmente, sono monticelli di pietre, in forma di cupola emisferica o di cilindro un po’ attenuato all’estremità, basati su due gradini o meglio scaglioni concentrici. Nel corpo del secondo scaglione si aprono, a distanze presso a poco uguali, parecchi stretti cunicoli, convergenti verso il centro, ciascuno dei quali si termina generalmente in una piccola cavità di pianta circolare. In tali cunicoli un uomo non può penetrare che a fatica e carponi. Fig. 269 Talayot di Cornia nell’ I. di Minorca (da fot. Bicknell). I sesi son fatti di pietre ben connesse, ma senza cemento, e ciascuno di essi è circondato da un recinto o muricciuolo di pietre, il quale è di figura poligona e diviso in vari compartimenti. L’unico, di cui fu tolta la misura, ha 8 metri di altezza e 14 di diametro; ma, fra i molti (1) Dalla Rosa Guido, Abitazioni deir epoca della pietra nell Isola di Pantelleria. Parma, 1871. (2) In tutti gli edifizi primitivi di cui si tratta, nuraghi, talayots, sesi, come nei trulli e nelle caselle, mediante strati di pietre disposte orizzontalmente nei quali ogni pietra sporge alquanto sulla sottoposta, vale a dire col metodo che i Francesi dicono en encorbellement, si ottennero archi, vólti e nicchie. che trovansi nell’ isola, se ne conoscono di maggiori e di minori. Si attribuisce a questi monumenti un’età assai remota, non tanto pel carattere arcaico della costruzione, quanto pel fatto che in uno di essi fu raccolto un coltello di selce. E probabile che servissero di rifugio e di difesa all’uomo; ma in proposito nulla si sa di certo. E presumibile che i nuraghi, i se si e i talayots abbiano preceduto i trulli e le specchie, e che questi alla loro volta sieno stati eretti prima delle caselle e dei capannoni delle Alpi Liguri. Dalla distribuzione geografica e dalla presunta antichità relativa di tali costruzioni primitive, argomento che sieno subordinate ad una corrente migratoria diretta in prima da ponente a levante, poi da sud a nord. Considerazioni d'ordine etnografico ed archeologico ci inducono a considerare come derivazioni dei monumenti primitivi del bacino Mediterraneo occidentale la tomba a cupola conica degli antichi re di Mauritania in Algeri, le cosi dette sciuscià dell’Algeria (i), i sepolcri degli As-saorta nell’ Eritrea. Assai dubbie invece mi sembrano le relazioni fra gli stessi monumenti e certi mausolei dell’antica Eliade, per esempio di Micene e di Orcomene. Altre costruzioni rustiche in Liguria. — Ugualmente rudimentali per la semplicità straordinaria della costruzione, e per l’impiego di materiali greggi raccolti sul posto, nonché per l’intento ben manifesto di profittare delle condizioni locali, affine di conseguire con poca fatica un riparo contro le intemperie, sono le così dette daghe del Cjenovesato, nicchie irregolari costruite nell’ atto in cui si edificavano muri a secco, affine di sostenere la terra vege- (i) Le sciuscià (in francese choucha) sono antiche tombe in forma di torri cilindriche, di 2 a 3 metri d’altezza, formate di pietra senza cemento e coperte di un gran lastrone. — 623 — tale, di contro agli scaglioni o fascie, praticati lungo i fianchi delle balze e dei colli. A proposito delle rozze abitazioni, che riproducono tipi propriamente primitivi, non mi pare inopportuno di ricordare certe costruzioni dell’Appennino Ligure, fatte di pietre cementate di scarsa calcina e destituite di intonaco all’esterno ed all’ interno, costruzioni attraversate da anguste gallerie che servono di pubblica via. In queste case mancano abitualmente camini e fornelli ; il focolare si accende in mezzo alla stanza, e il fumo si evade per mezzo di un foro aperto nel soffitto o dalle anguste finestre, quasi sempre sprovviste di vetri. Costruzioni caratteristiche di questa foggia si trovano a Cassagna e a Nascio nel Chiavarese, a Casale presso Montaggio, ecc. Altrove, come ad Artana in valle di Trebbia, è ancora vigente il costume di suddividere in più camere quelle misere capanne, mediante tramezzi fatti di sterco bovino (i) (il medesimo materiale serve a coprire il tetto di certe margherie delle Alpi Liguri) ; in questi abituri si vedono letti o piuttosto giacigli contesti di rami d’albero. Non meno primitivi di quelli ora accennati sono i ricoveri dei fabbricanti di formaggio e dei pastori nelle più alte zone abitate delle Alpi Liguri, cioè fra 1800 e 2800 metri. Si tratta di piccole trincee scavate nel fianco della montagna e coperte di legname appena digrossato od anche di tronchi e rami d’albero e di zolle erbose ; un foro, che si apre superiormente e nella parte più addentrata di questa specie di grotta artificiale, serve imperfettamente all’evasione del fumo, sviluppato in copia dal focolare, che arde quasi di continuo. Il giaciglio sul quale i miseri abitanti si abbandonano al riposo, consiste d'ordinario in un cumulo di ramuscoli e fronde di rododendro. La suppellettile loro (1) Ciò secondo osservazioni comunicatemi dal marchese G. Rovereto. — Ó24 — si riduce a pochi recipienti sbocconcellati e fessi e ad alcuni rozzi arnesi rurali. Se, come spesso succede, sono adibiti all’esercizio del caseificio, regna nell’angusto ambiente un sudiciume indescrivibile, e dai residui di latte imputridito onde sono circondati si sollevano emanazioni nauseanti. Il nome localmente attribuito a tali rustici rifugi è ciabott, ciabotti o casere, mentre si dicono celle (il vocabolo si pronuncia selle) piccole capanne quadrangolari di pietra, intonacate d’argilla o di calce, con porta da chiudersi a chiave, destinate ad uso di ripostiglio pel formaggio fabbricato poco lunge. A differenza delle costruzioni coniche di cui mi occupai, i ciabott e le celle non presentano alcuna particolarità degna di nota rispetto alla forma, e solo rispecchiano nella loro rozzezza le misere condizioni materiali e morali degli Alpigiani. PARTE QUARTA I. — EPILOGO Il Problema delle Origini Liguri. ' u,z * Prima di esaurire il mio compito con un riassunto sintetico dei risultati conseguiti dalle indagini che mi sono studiato di esporre in questo libro, è pur necessario far conoscere, almeno per sommi capi, a quali conclusioni pervennero gli autori, i quali in tempi diversi, e in base a criteri disparatissimi, si occuparono delle origini ligustiche. Riferirò in breve le opinioni, i pareri, le ipotesi più autorevoli, seguendo di preferenza l’ordine cronologico, non senza tralasciare quegli aggruppamenti razionali che sono talvolta imposti al relatore da certe conformità di metodo o di scuola fra studiosi di epoche diverse. Antichità Greco-Romana. — Cercando le origini di un popolo coi classici greci e latini ci troveremmo il più delle volte in compagnia di poeti, compagnia gradevolissima, come dice Anton Giulio Barrili, ma pericolosa. Quando una nazione od una metropoli aveva raggiunto un certo grado di potenza e di dovizia, allorché la prosperità presente incitava i poeti, non ancora gli storici, a rintracciare le glorie del passato, essi erano indotti, quasi senza addarsene, ad accarezzare la vanità dei compaesani o concittadini, attribuendo loro una origine divina, o per lo meno facendo risalire ad un eroe o ad un gran re la fondazione dello stato o della città, che il più delle volte conseguiva dal lento e graduale incremento di una o più — Ó2Ó — tribù, dal ripetersi di fortunati eventi militari nelle lotte intestine che si verificarono tra i primi aggruppamenti, dallo svolgersi di relazioni commerciali ecc. Così la tradizione ellenica volle derivati da Pelasgo, Elleno, Doro e Jono i Pelasgi, gli Elleni, i Dori e gli Joni ; così nacquero in Italia i nomi di Siculo, Enotrio, Sabino, Latino, come quelli dei progenitori dei Siculi, degli Enotri, dei Sabini, dei Latini ; così si volle che Metaponto fosse fondata da Nestore, Taranto da Diomede; e fu immaginato un Ligure figlio di Fetonte, fondatore eponimo della nazione Ligustica. Non attribuisco diverso significato alle leggende relative ad un Giano, figlio di Saturno e re degli Itali, fondatore di Genova. I classici parlano assai succintamente delle particolarità essenziali che distinguevano i Liguri. Psicologi più che naturalisti, e generalmente artisti più che scienziati e storici, si soffermarono a trattare dell’indole e dei costumi, a narrare episodi, senza precisare i caratteri fisici, senza spiegar le credenze, l’ordinamento sociale e politico di un popolo, il quale nel mondo antico era tenuto in poco conto, perchè assai lontano dalla civiltà. D’ altronde i Greci, osservatori più sagaci dei Romani, ebbero scarse relazioni colla Liguria. I fieri montanari che popolavano le Alpi e gli Appennini, fra la Roia e il Varo, parvero tuttavolta tanto diversi da ogni altra gente ai Greci del quarto secolo p. di C. che taluno li reputava pertinenti ad una razza peculiare, provvista di sette paia di coste, cosicché Ari-' stotile non stimò superfluo di confutare il grossolano errore nella sua Storia degli Animali (i). Per le accennate considerazioni non chiederemo adunque ai Romani e ai Greci di svelarci un arcano che non (i) Libro I, cap. XV. — 627 — si curarono d’investigare, e in ordine al quale le oscure tradizioni e i miti immaginosi che ci tramandarono non sono atti ad illuminare lo studioso. Rinascimento. — Accingendoci alla medesima indagine cogli scrittori che trattarono delle origini liguri dal rinascimento fino alla metà del secolo XVIII, avremo a che fare, non più coi poeti, ma cogli eruditi, e dobbiamo convenire che non sono miglior guida dei poeti. Essi, d’ordinario, inspirati da idee preconcette, sostengono la propria tesi con criteri unilaterali, ora tratti dalla archeologia, ora dalla filologia, ora dalla interpretazione di oscure leggende o di miti immaginosi. Citano a iosa opinioni di altri scrittori, ma di rado le apprezzano alla stregua di una sana critica, ed avanzano spesso congetture come verità irrefragabili. Da tutto ciò la vera scienza non saprebbe ricavare che scarso sussidio. Tra coloro che si occuparono di tal materia, gli uni, appartenenti alla così detta scuola biblica, fanno risalire gli stipiti degli Italiani ai figli o nipoti immediati di Noè. Altri ammettono che i primi abitatori della nostra penisola vi penetrassero parte per le Alpi, parte per la via di mare. Altri ancora sostengono la tesi che l’Italia fosse originariamente popolata di aborigeni od autoctoni. Siffatta dottrina, promossa nella antichità da Dionisio d’Alicar-nasso, Sallustio e λ irgilio, ebbe più tardi un valente fautore in G. Micali (i). Senonchè, egli ed altri dopo di lui considerarono come stirpi italiche anche quelle che le più sicure illazioni dell’archeologia comparata ci additano ora come originarie dall’Oriente. Tempi moderni. — Il P. Bardetti attribuì ai Liguri origini celtiche, e per lungo tempo la sua tesi esercitò (i) Micali G., L'Italia avanti il dominio dei Romani, 4.* ediz. Genova, 1829-1830. — Storia degli antichi popoli italiani. Firenze, 1832. — 628 — grande influenza sugli eruditi e sugli storici; così, per citare un esempio fra tanti, Guizot, svolgendo il tema delle origini galliche, non sente la necessità di ricordare Ο o i Liguri antichi abitanti della Francia meridionale, perchè o non li distingue dagli immediati loro successori, e solo tien Ο O conto degli Iberici od Aquitani, i quali avrebbero pur preceduto i Galli nella medesima regione (i). Grotefend, citato da Oberziner, conveniva nella medesima opinione per ragioni geografiche; e così credeva anche Maury, in base ad analogie d’ordine linguistico. E qui convien ricordare come Strabone non dubitasse della differenza che intercede fra le due stirpi, così a settentrione come a mezzogiorno delle Alpi. Niebuhr, tanto benemerito della storia antica, dice dei Liguri potersi asserire che non erano nè Celti nè Iberici; mentre invece Ampère, seguendo in ciò le tracce di G. v. Humboldt, e, tenendo gran conto di certe conformità nella toponomastica, come pure della opinione sostenuta da alcuni Latini, ammette che Baschi e Liguri sieno sì strettamente affini, da comprendere i due popoli sotto la comune denominazione di Iberici (2). D’Arbois de jubainville ricerca le origini dei Liguri nella toponomastica, nella etimologia dei vocaboli locali e subordinatamente nelle indicazioni fornite dagli scrittori greci e latini dell’ antichità (3). Egli riassume i propri studi affermando che i Ligusi o Liguri, identici ai Siculi e agli aborigeni d’Italia, sono il primo popolo indoeuropeo che la storia ci additi nell’ Europa occidentale, ove sarebbe pervenuto circa due millenni prima dell’era volgare. Al pari degli altri Indoeuropei d’Europa, soggiunge, col- (1) Guizot, L'histoire de Frafice. Paris, Hachette et C., 1872. (2) L'histoire romaine à Rome. Paris, 1862. (3) D’Arbois de Jubainville, Les premiers habitants de V Europe etc. Paris, J. B. Dumoulin edit., 1877. — 629 — tivavano i cereali e conoscevano l’aratro, e, come a tutti quelli dell Europa e clell’Asia, era loro noto il bronzo. Essi, dopo gli Iberici e prima dei Celti, furono i dominatori delle Gallie, mentre padroneggiarono Γ Italia, non solo sotto il nome di Liguri, ma anche come Siculi e prima degli Umbri. Si impadronirono pure di parte della penisola iberica. Le conquiste degli Umbri in Italia (XIV secolo?), quelle dei Celti nelle Gallie e in Spagna (dal VII al IV secolo p. di C.), li ridussero ad una parte affatto secondaria, quindi i progressi della dominazione romana provocarono la scomparsa loro dal novero dei popoli che godono di autonomia nazionale e politica. La toponomastica, la storia, la glottologia, che pur vanta fra i suoi compiti « quello di ravvivare col reat-i tivo delle parole geneticamente interpretate il quadro sbiadito della coltura primitiva » (i), son certo capaci di prestare efficace sussidio alle nostre indagini, ma solo io credo a condizione di procedere di pari passo coll’archeologia, colla paletnologia e coll’ antropologia. Con ponderosa memoria, ricca di notizie storiche ed etnografiche (2), Giustiniano Nicolucci si propose di dimostrare le seguenti proposizioni : « 1,° Essere i Liguri odierni discendenza diretta di que Liguri dell antichità che nelle epoche antestoriche avean popolato non pure l'Italia, ma parte ancora della Francia e della Spagna; « 2.0 Esser eglino di stirpe affine a quelle altre genti che abitavano l’Europa innanzi l’arrivo dei popoli Ariani, stirpe distinta pel carattere brachicefalo del cranio, (1) Fumi F., Glottologia e preistoria. Palermo, 1884. (2) Nicolucci G., La stirpe Ligure in Italia tie' tempi antichi e tno-derni. Atti della R. Accad. delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli, voi. II. Napoli, 1863. — 630 — e per quelle altre qualità di natura che son proprie della schiatta turaniana; « 3.0 Le colonie Ariane venute in Italia avervi in parte sostituito i più antichi abitatori, ed essersi soprapposte alla razza indigena, il cui tipo scomparve e fu assorbito dall’Ariano che divenne il tipo generale della penisola ; « 4.0 Ma in Piemonte ed in Liguria la vecchia razza si serbò predominante, onde quivi il tipo antico o non fu punto, o fu solo lievemente modificato, perocché anch oggi è osservabile nella maggioranza degli abitanti di quelle provincie la forma del cranio brachicefalo, la quale si conserva immutata da quella ch’essa era nell’età più remota. « 5.0 Non pertanto i nativi del Piemonte e della Liguria, compenetrati col resto degli abitatori della penisola, e vincolati con essi per comunanza di lingua, di religione, e di costumi, han da lungo tempo formato insieme una sola nazione, come tutto il gran territorio fra 1 ’Alpi e il mare ha formato da gran tempo e forma al presente una sola e indivisibile patria;;. Se risultano convincenti gli argomenti secondo i quali i Liguri descritti dagli storici romani e greci avrebbero preceduto ogni altro popolo italico, ed anzi risalirebbero propriamente a tempi preistorici, apparisce manifestamente non conforme al vero l’asserzione che questo popolo fosse brachicefalo. Gli esempi di crani liguri descritti come tipici dal Nicolucci sono indubbiamente riferibili ad altra schiatta, e pertanto le considerazioni generali, da lui dedotte, colla scorta di dati inesatti e scarsi, mancano di fondamento. Nel libro intitolato Le teogonie dell'antica Liguria (1), del compianto Celesia, troviamo esposto in forma eletta (1) Atti del R. Istituto tecnico di Genova, 1868. — 631 — un sistema immaginoso, in gran parte desunto da quello di Nicolucci ; ma non sorretto da nuovi argomenti ; non giova pero all’etnologo e al naturalista seguir l'autore per la via fiorita da lui percorsa. Il Prof. Schiaparelli conclude da un lungo studio (1), in cui sottopone a diligente disamina i lavori dei suoi predecessori (2), che nella regione orientale dell’ Italia superiore dominavano in tempi remotissimi popolazioni turaniche o uraloaltaiche (che lasciarono le loro vestigia nelle stazioni lacustri e nelle caverne ossifere), colle quali coesistevano le genti liguri o ligustiche, di sangue iberico, venute probabilmente dall’ Affrica. Questa schiatta avrebbe occupato le regioni occidentali del Mediterraneo, lunghi tratti delle coste orientali dell’ Iberia e delle sponde della Celtica. Mentre il popolo turanico avrebbe abbandonato il paese per 1 avanzarsi degli Ariani, venuti secondo ogni probabilità dalle steppe dell Asia settentrionale e dell’Europa orientale, i Liguri sarebbero stati in gran parte cacciati dai Celti, e ridotti ad occupare pochi tratti delle Alpi Marittime, del-1 Appennino settentrionale e del territorio montuoso ai Iati di queste due catene. Colà essi appariscono ancora al principio dell era volgare con caratteri distinti e peculiari, quantunque vinti e sgominati dai Romani. I più antichi abitatori storici della penisola furono adunque, secondo Schiaparelli, i Liguri, gente di sangue iberico, di cui si perpetuo sino a noi la stirpe quasi genuina, i Liguri, strettamente affini ai Baschi dei Pirenei, e di cui i Sicani e i Siculi erano frazione. (1) Schiaparelli S , Lezioni sulla etnografia deΙΓItalia antica. Torino. E. Loescher, 1878. (2) Addito questa memoria di Schiaparelli a chi desiderasse acquistare un giusto concetto delle opinioni professate intorno alle origini italiche dai dotti fino a pochi anni addietro. — 632 — Fin dal 1877, E. Brizio avanzò l’opinione che i Liguri fossero stati propriamente gli abitatori delle terramare, opinione sostenuta più tardi da Sergi. La tesi contraria fu propugnata nell’opera Die Itckhker in der Poebene, di Helbig, il quale attribuisce la costruzione delle palafitte aorli Italici, in ciò confortato dal parere di Pigorini e di o Chierici. Gli argomenti precipui addotti da Helbig sono. che i Liguri erano assai più barbari dei terramaricoli e, secondo la testimonianza di Posidonio, conducevano vita errante e nomade, che ignoravano le pratiche dell agri coltura, che nei loro fittili non si palesa l’ansa lunata delle terramare. Per questo autore le palafitte lacustri e le ter ramare sarebbero come stazioni o sedi temporarie de&li Ari, nel loro procedere verso 1 occidente. Dopo aver data una estesa recensione critica dell opera precitata, Brizio si studiava di giustificare, nel 1880 (1), lo asserto che le terramare sono rimasugli di abitazioni liguri, insistendo sui fatti: che, prima della discesa dei Galli, i Liguri occupavano tutta la valle del Po, d onde si rifugiarono poi sulle falde dell’Appennino; che essi, come attestarono scrittori romani, possedevano città e villaggi (alcuni dei quali corrispondono verosimilmente a terramare note fra le maggiori), che non erano ignari d agricoltura e di certe industrie. Il riflesso che negli strati inferiori di alcune terramare si manifesta uno stadio di barbarie anteriore all’ età dei metalli, la scoperta di manufatti metallici e di anse lunate in parecchie caverne dell’ Appennino, la circostanza che mancano depositi archeologici in cui si accusi^ una transizione tra la barbarie dei terramaricoli e la civiltà degli (1) Gli Italici nella Valle del Po. - / Liguri nelle Terramare. Nuova Antologia, fase, di aprile e d’ottobre. Roma, 1880. — 633 — Italici sono altrettante ragioni a favore di Brizio e di Sergi. D’altra parte, la stretta analogia delle necropoli attribuite ai terramaricoli con quelle che appartengono propriamente agli Italici, analogia messa in luce da Pi-gorim (ij, è grave argomento in contrario. Nell’opera del dottor F. Molon Preistorici e contemporanei (Milano, 1880), l’autore, dopo avere trattato del-1 antichità dell’uomo in genere e dei più pregevoli acquisti della scienza in ordine all’età ed alle stirpi preistoriche, si occupa in particolar modo dei Liguri. Egli accenna alle più antiche memorie di questo popolo, descrive i costumi arcaici conservati da esso, fino ai tempi nostri, ne indica il carattere e le attitudini intellettuali ; porge poi un saggio linguistico dell’idioma ligure, coll’intento di rintracciarne 1 etnica provenienza. Finalmente, conclude, manifestando 1 opinione che Liguri ed Iberi sono i discendenti di invasioni mongoliche (turaniane), calate in Europa durante la fase neolitica, prima degli Ariani e poco dopo i Celti. Non si adducono però, nel corso della voluminosa memoria, prove di siffatta derivazione, la quale è desunta da lievi indizi e congetture. In una sua estesa scrittura (2), il Prof. Sergi ebbe a rife-ure che, dopo la pubblicazione della memoria di Nicolucci, vennero fatte molte osservazioni e scoperte in Italia e specialmente nella Valle del Po (che a lui sembra più atta a risolvere la questione delle origini italiche), dalle quali, contrariamente al parere di Nicolucci, risulterebbe che in detta valle appariscono : i.° Una gente dolicocefala dell’età della pietra, che continua sino all’età del bronzo e sopravvive nell'inizio di (1) Bull, di Paletnologia ital., serie 2.\ tomo VII, n. 8-10. Parma, 1891. (2) Liguri e Celti nella Valle del Po. Archivio per 1’ Antropologia e 1 Etnol., voi. XIII. Firenze, 1883. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XL, 41 — 634 — quella del ferro. Essa costituisce lo strato più piofondo, il quale perciò si deve denominare primitivo. Sergi leca una lunga lista di avanzi preistorici che si riferirebbero a questo strato, fra i quali sono compresi quelli di Rivoli Veronese, di Bovolone, dei sepolcreti umbri di Villanova e del fondo Benacci (Bologna), di Sant Ilario d Enza ecc. 2.° Un secondo strato di gente, che non si manifesta con reliquie umane, ma con avanzi d industria, specialmente nei sepolcreti; gente la quale era più sviluppata in civiltà, ed anche per ciò posteriore. SÌ riferirebbero a questo strato la stazione d’ Este, le tombe arcaiche di Villanova, quelle di Golasecca e di Castelletto. 3.0 Una terza sovrapposizione, che sarebbe propriamente etrusca, ed avrebbe sua sede principale nel Bolognese, diramandosi anche nel Veneto ed altrove. Dalle ti adizioni e dalla distribuzione dei prodotti di un arte tutta propria, risulta, qual fosse l’espansione degli Etruschi. 4.° Un quarto strato sarebbe formato dalle invasioni celtiche, abbastanza numerose da impartire una impronta speciale agli abitatori del paese È dubbio se i Veneti, i quali sono distribuiti a nord-est della valle del Po, fra questa e la sinistra dell’Adige, siano posteriori agli Eu ganei o sovrapposti ad essi. 5.0 Una ultima sovrapposizione sarebbe quella dei Romani, i quali non furono però numerosi a sufficienza, scrive Sergi, da mutare l’aspetto etnografico anteriore. Dello strato inferiore l’autore enumera 59 crani; ma di 16 soltanto egli conosce l’indice cefalico. Intorno agli avanzi delle singole provenienze e alla giacitura loro, porge minute indicazioni ; passa poi a ricordare e a coni mentare i rapporti etnografici, le tradizioni e le memorie storiche, pei quali egli crede che i popoli cui spettano codesti avanzi costituissero ciò che egli intende per schiatta ligure. In ultimo insiste specialmente sulla unità etnica del — 635 — popolo delle terramare e dei Liguri propriamente detti, negata con energia da Pigorini, Chierici ed Helbig. Ouesti obbietta che i Liguri erano meno civili dei terramaricoli, e non conoscevano Γ agricoltura, mentre i popoli delle terramare erano agricoltori, che la loro industria ceramica non fornisce 1 ansa lunata, caratteristica dei terramaricoli, che le costruzioni su palafitte son proprie degli Italici ; e quindi conclude che i popoli delle terramare sono italici e non liguri. Considerando poi le razze italiche fuori della Valle del Po, Sergi ritrova Liguri in altre contrade della penisola italica e delle sue isole, sotto il nome di Siculi, nell'Umbria, nel Piceno, nel Lazio e in Sicilia. Soggiunge che la parentela, anzi l’unità di stirpe, dei Siculi e dei Liguri è unanimemente ammessa. Altri crede anche ad una parentela dei Liguri cogli Iberi e coi Libi; quest’ultima sembra a Sergi probabilissima, e intende dimostrarla in altro lavoro. Una grande famiglia Ibero-ligure-libica, prima delle razze semitiche ed ariane, avrebbe occupato gran parte del bacino Mediterraneo e si sarebbe estesa fino al nord-ovest d’ Europa, formando uno degli strati primitivi delle popolazioni europee preistoriche, occidentali e meridionali. In Sicilia, secondo le misure di Calori, su 146 individui, e secondo quelle di Sergi su 127, i dolicocefali sarebbero 68.68 per °/0, i mesaticefali 19.01, i brachicefali 12.40. Circa i Liguri, tra 159 individui novesi, genovesi, garfagnini, misurati da Lombroso e Morselli, la proporzione dei dolicocefali risulterebbe del 63.52 per %, mentre i brachicefali sarebbero 18.86. Dalle misure di 47 crani del Genovesato, fatte da Lombroso e da Albertoni, si avrebbero 53.19 dolicocefali, 21.27 mesaticefali, 25 per % brachicefali (1). (i) La proporzione fra dolicocefali e brachicefali in Liguria, dedotta posteriormente da materiali assai più copiosi, per opera di R. Livi, risulta assai diversa. — 636 — Il cranio ligure è dunque dolicocefalo, e, come si vede dal confronto delle tabelle date da Sergi, la sua dolicocefalia è andata diminuendo, accrescendosi la brachicefalia e la mesocefalia, nei tempi più prossimi a noi, a causa del maorofior numero di elementi stranieri intromessi, e per o o secolari modificazioni. Sergi istituisce di poi un accuratissimo studio del cia-nio etrusco e del celtico, nonché delle razze rispettive coi criteri della antropologia e della storia. Conclude poi col dire che le razze celtiche diedero la fisionomia dominante, attuale alla Valle del Po, e che i Piemontesi rappresentano il tipo più puro di queste razze in Italia. Anche fra Lombardi ed Emiliani è preponderante il celtismo, ma con altri elementi mescolati e fusi, tra i quali taluni forniti dagli Etruschi. Si aggiunga, per Γ Emilia, il fatto di numerose colonie romane, e si avrà una idea della com mistione di tipi che vi si produsse. In tutte queste popolazioni v’ha preponderanza di brachicefalia, dovuta a sovrapposizione celtica (la brachicefalia vi supera il 70 P· /<>)■ Quanto alla razza ligure, soggiunge 1’ autore precitato, può quasi dirsi scomparsa dalla Valle del Po; ne rimane qualche elemento sporadico nell’ Emilia, nel Bolognese, massime verso la montagna, e un numero maggiore di elementi dalla Trebbia verso l’Astigiano meridionale. Altri avanzi liguri li troviamo sul versante meridionale degli Appennini liguri e negli Appennini toscani. Le razze celtiche soppiantarono etnicamente la ligure, le latine la distrussero colle armi. Ognun vede, da quanto piecede, come sia ricco di fatti positivi, d’ordine antropologico, il contributo recato da Sergi alla cognizione della stirpe ligure. Una seconda opera di Molon, pubblicata nel 1887 (1), due anni dopo la morte del compianto autore, tratta a (1) Molon, Paletnologia italiana. I nostri antenati. Parma, tip. Luigi Battei, 1887. — 637 — lungo dei Liguri e delle loro origini. Nel capitolo V di questo libro è professata la tesi che i Liguri e i Baschi sieno gli avanzi di una antica razza turanica, la quale avrebbe popolato in tempi remoti le rive del Mediterraneo, razza alla quale appartenevano i brachicefali dediti alla caccia e alla pastorizia, di cui troviamo le vestigia nelle caverne. Molon crede confermata siffatta comunanza d’ origine eia certe analogie tra i dialetti basco e ligure, e da affinità toponimiche di denominazioni italiane e spagnuole (i). Colla scorta della filologia e della storia egli si studia poi di dimostrare, nei capitoli IX e X, come il ligure sia il popolo italico di cui si possiedono memorie di data più remota, memorie che risalgono a tempi protostorici, e come il suo idioma abbia lasciato tracce profonde nei volgari di tutta Italia. Gli ultimi due capitoli dell’ opera recano ragguagli particolareggiati, dedotti da fonti storiche, sui costumi dei Liguri antichi e moderni. o Sarebbe vano dissimulare la deficienza degli argomenti recati dall’autore, in questa opera, come nella precitata, a sussidio della sua tesi, che è presso a poco la stessa propugnata da Nicolucci. Anton Giulio Barrili volle portare egli pure il proprio contributo alla cognizione degli antichi Liguri con una sua forbita scrittura (2), nella quale, dopo aver passato in rassegna le interpretazioni o meglio congetture degli autori, sulle tanto contrastate origini, e fatti risaltare i punti deboli di ciascuna, sostiene il principio d’una stretta parentela, anzi di una derivazione comune delle stirpi ligure, (1) Alla fine del suo lavoro egli raccoglie l’affermazione di Von Eys, il quale, in base agli studi di confronto sul fonetismo e sulle forme grammaticali, sarebbe venuto a concludere che i dialetti baschi fanno parte del gruppo delle lingue uralo-altaiche. (2) Gli antichissimi Liguri. Ateneo Ligure, anno XVII. Genova, 1889. — 638 - libica, iberica, guancia ed americana. Egli conclude, « Insufficiente l’antropologia, co’ suoi confronti anatomici; incerta la glottologia, con le sue raccolte di voci, fallace O o la storia, con le sue greche menzogne ; vana la mitologia, con le sue leggende astronomiche, a chiarirci 1 arcano delle origini liguri, è tuttavia da ricorrere alla paletnologia, scienza più nuova, ma forse meglio sussidiata di prove, per ciò che riguarda il nostro problema ». E la paletnologia, secondo Barrili, accenna ad affinità occidentali e principalmente americane. Come vedremo a suo tempo, anche l’autore di queste pagine non disconosce tali affinità, ma le spiega diversamente. Secondo investigazioni posteriori di Sergi, i Liguri con tutti i popoli viventi lungo le rive del Mediterraneo, come pure nell’Europa occidentale, comprese le Isole Britanniche, costituiscono una razza Mediterranea ben definita, razza della quale sarebbero progenitori i dolicocefali di cui si esumarono le spoglie nelle stazioni della Chancelade, di Laugerie-Basse, delle Beaumes-Chaudes, di Cro-Magnon ecc. Essa ebbe due sorelle nelXAfricana scura e nella Nordica bionda; e tutte insieme appartengono alla specie Homo curafricanns, che sarebbe penetrata in Europa verso la fine del quaternario, i cui componenti sono ben diversi dalla gente Ariana, riferibile ad altra specie brachicefala, asiatica, la quale sarebbe pervenuta in Europa assai più tardi, recando seco la cognizione dei metalli e determinando perciò nella nostra regione la fine della fase neolitica (i). In base a documenti craniologici, il medesimo autore sostiene la tesi che i costruttori delle palafitte svizzere e italiane fossero anch’ essi Mediterranei, e che le abitazioni lacustri come le terramare si debbano considerare quali stazioni Liguri, malgrado certe particolarità relative alle (i) Sergi G., Origine e diffusione delta stirpe Mediterranea. Roma, ,895. — Arii ed Italici ecc. Torino, 1898. — 639 — industrie locali ed ai costumi. I mutamenti intervenuti nel rito funerario primitivo, pei quali fu adottata l’incinerazione dipendono, secondo Brizio e Sergi, dal dominio di un popolo straniero che si sovrappone a quello delle terramare. Si tratta degli Umbri di Brizio, dei Protoetruschi di Gozzadini, i quali avrebbero recato nella Valle del Po la civiltà di Villanova e si sarebbero poi diffusi in gran parte dell’ Italia. Non a questi adunque, ma ai preistorici conquistati si converrebbe l’epiteto di Italioti od Italici (r). Mentre Sergi ravvisa nella così detta razza Mediterranea il substratum di gran parte dei popoli che vivono sulle rive del nostro mare, l’Avv. Gaetano Poggi intende dimostrare come il dialetto ligure sia propriamente l’antico idioma Mediterraneo, del quale la lingua greca fu la più splendida estrinsecazione, e possa dirsi il substratum linguistico su cui si formarono il latino e le lingue neolatine (2). Senonchè, il concetto adombrato in queste proposizioni non vuol essere interpretato, io credo, nel senso che un solo idioma fosse usato in sì vasta regione, nei tempi durante i quali erano malagevoli e lente le relazioni fra i popoli, ma che piuttosto si parlassero diversi idiomi --pertinenti ad una sola famiglia. Chi scrive si riconosce, d’altronde, troppo incompetente nella materia per avventurar giudizi intorno al metodo seguito dall’autore ed ai risultati controversi da lui ottenuti ; reputa però fecondo il pensiero di rintracciare nei (1) Della aggrovigliata controversia relativa alle origini italiche e specialmente dei concetti svolti dal Prof. Sergi diede un limpido riassunto il Prof. Giuffrida Ruggeri nella Rivista di Scienze Biologiche (voi. Il, n. 11-12); senonchè, attribuendo a Sergi il merito di aver stabilito che gli antichi Liguri erano dolicocefali, dimentica i primi lavori di Rivière sui paleolitici (187 1-1874) e i miei sui neolitici (1875-1878), nonché la memoria di Incoronato sugli scheletri umani della caverna delle Arene Candide (1878). (2) Poggi G., Genoati e Viturii. Atti della Società Ligure di Storia Patria, voi. XXX. Genova, 1900. volgari ancora viventi fra noi residui propriamente preistorici, pur ammettendo con Poggi che questi parlari, in ispecie col sussidio di dati toponomastici accuratamente raccolti sulle montagne, debbano fornirr i migliori elementi per una ricostruzione linguistica. Il Prof. F. L. Pullè distingue nell’Italia preistorica, fra il decimo e l’ottavo secolo innanzi l’èra volgare, cinque gruppi di favelle e di razze, che sono: i° l’iberico, 2° il Ligure, 30 l’italico (umbro sabello-latino), 40 l’illirico, 501 E-trusco. Solo più tardi, cioè verso il quinto secolo, scendono sul suolo italico i Celti, soggiunge, « la cui rapida e irresistibile invasione determina l’ultimo grande spostamento di popoli nella penisola »; dei Liguri dice non essere ancora risoluta la questione della loro provenienza e degli altri popoli coi quali avrebbero avuto comune l’origine. Essi costituiscono però la prima stirpe preistorica della penisola, che si sarebbe mantenuta anche durante i tempi storici in parte delle sue sedi primitive (1). Dopo aver fornito numerosi documenti concernenti la diffusione che avevano in passato, la loro antica lingua (principalmente dedotta dalla notissima tavola di Polceveia), 1’ indole loro, secondo gli scrittori romani, 1 abito fisico, e in ispecie i caratteri craniologici, conclude coll asserire che i Liguri, a differenza degli Iberici, di origine africana o libica, invasero l’Italia dalla parte superiore orientale, e furono l’avanguardia di un ramo meridionale della grande famiglia ariana; più probabilmente del ramo tracoillirico, divisosi all’ingresso della penisola fra le due coste dell Adriatico, e incalzato dai sopravvenienti Greco-Italici e Celti. Ammette però, eziandio, come si fossero già mescolati colle razze incontrate sul suolo delle due penisole, da che avrebbero (1) Pullè L. F., Profilo antropologico dell Italia. Firenze, Tip. S. Landi, 1898. — 641 — acquistato una dolicocefalia maggiore di quella degli altri Indo Europei. « Antropologicamente, scrive da canto suo il Dr. Fras-setto, dire Liguri o Italici è cosa indifferente, appartenendo gli uni e gli altri ad una medesima stirpe, a quella che nei vari periodi dell’ età della pietra immigrò in Italia stanziando nelle caverne e nei fondi di capanne. Gli Umbri, invece, antropologicamente sono diversi dai primi due perchè non sono provenienti, come quelli, dall’Africa e perchè non hanno forme craniche ellissovoidali, ma bensì sferoidali e sfenoidali » (t). Questo autore ritiene che i Liguri praticassero in origine il rito funebre dell’umazione distesa o rannicchiata, ma che più tardi, nella prima età del bronzo, usassero 1 umazione mista all incinerazione, e nell’età del ferro l’incinerazione, che poi conservarono fino all’ epoca romana. Le ragioni di siffatti mutamenti di rito bisogna cercarle, egli crede, nelle relazioni che i Liguri sul finire dell’ età della pietra (dell eneolitico secondo i paletnologi) ebbero colle immigrazioni Umbre, le quali recarono in Italia il costume della cremazione. Non dubita, come da altri fu asserito, che gli Umbri s’introducessero nella valle del Po dalle Alpi Giulie, e, mantenendosi sempre ad oriente, ponessero le loro prime sedi nel territorio d’Este, nel Bolognese tra il Panaro e l’Aposa, presso Rimini, diffondendosi poscia per tutta 1’Etruria e il Lazio fino ai Colli Albani. Egli crede inoltre che gli Umbri non penetrassero nella Valle del Po oltre il Panaro, e perciò che tutte le necropoli ad incinerazione le quali si trovano nella medesima valle sulla sinistra del Panaro, non essendo Umbre, debbano attribuirsi ai Liguri. Avendo poi procurato di dimo- (1) Frassetto F., Sopra due crani rinvenuti nell'antico sepolcreto di Bovolone Veronese ecc. Atti della Soc. romana d'Antrop., voi. XV., fase. 2. Roma, 1906. — 642 strare che gli scheletri inumati a Bovolone apparten&° ai Liguri, Frassetto è condotto ad ammettere con^ certa probabilità che le terramare fossero stazioni k1» Paleolitoplidi. Antropoide. — Da principio intravediamo 1 esistenza nel Savonese di un essere caudato (?), uomo o ^rut°^aj]e capo di proporzioni umane, dal corpo di pigmeo, estremità esili e brevi. Nessuna relazione si scor& ^ le scarse reliquie dell’antropoide pliocenico pervenut a noi e i più antichi avanzi umani rinvenuti altrove, pure tra queste reliquie, da una parte, e i resti di un posto precursore dell’uomo (Antropopithecus), dall altra ^ Se esso costituisce propriamente uno dei primi , Lan mani-della catena umana, non si collega in modo d 11 i iie nostre festo coi successivi. Vano sarebbe nello stato eie cognizioni lo architettar congetture. Diciamo adunque, ambage, che nulla sappiamo a rigor di termine delle Sfini ; ma se ci umilia una tal dichiarazione d imp°te pori" vuoisi aggiungere, per mitigarne la gravità, che 1 ]tre deroso problema non ebbe tampoco soluzione m regioni. Per quanto concerne l’aurora dell umanità nel territorio, non fummo fortunati quanto i nostii co » del Belgio, della Francia, dell’Inghilterra, del Portoga > i quali rinvennero eoliti in depositi pliocenici o miocen , come pure in altri che appartengono ai più antichi orizzon quaternari (si avverta però che è controversa la vera (1) 11 Prof. E. Morselli ha trattato con molta sagacia alla pag· 925 ^ sue lezioni d’Antropologia Generale (Torino, Unione Tipogr -Editr., 1907), non ancora completamente pubblicate, della ricostruzione, dal p di vista fisico e psicologico, dell’uomo primitivo in genere. Senza entr nel vivo dell’ardua questione, io ho inteso solo accennare a quel pochissim che emerge dall’esame dei documenti forniti dalla Liguria. ♦ — 643 — natura, o non risulta con sicurezza Γ età del giacimento che li ricettava). Ci mancano, come dissi, tracce dell’ industria umana e resti dell’ uomo stesso in quei depositi, i quali, come la breccia della grotta di Grimaldi, risalgono propriamente all’aurora dei tempi quaternari. Negroidi. — I più antichi documenti di età e di carattere bene accertati, forniti dalla paleontologia umana in Liguria, sono i due scheletri esumati a spese del principe di Monaco nella parte più profonda del deposito de-tritico che occupava la grotta dei Bambini, ai Balzi Rossi. Si tratta di individui piccoli, esili, dalla testa allungata, dalla faccia (si potrebbe dire dal muso) sporgente, dalla mandibola ristretta all’innanzi (i), dal naso largo e schiacciato, dalle estremità allungatissime, specialmente per lo sviluppo esagerato della gamba e dell’avambraccio, individui evidentemente riferibili ad una razza inferiore, analoga agli Australiani, razza che era compagna dell’elefante antico, del rinoceronte di Merck e di grandi fiere analoghe al 0 o leone, al leopardo, alla iena viventi (2). Con ciò costoro erano uomini in tutta 1’ estensione del termine, uomini non solo fisicamente, ma anche dal punto di vista psicologico. Essi infatti, adempivano al rito dell’ inumazione rannicchiata, accompagnato da pratiche speciali che accusano la credenza in una vita futura, pratiche ancora vigenti presso certi selvaggi ; solevano ornarsi di lucenti conchiglie e tingere d’ocra i cadaveri ; traevano (1) Per tal carattere della mandibola, lo spazio in cui si muoveva la lingua per l’esercizio della parola era minore del normale, ma non angusto quanto nelle scimie (si veda in proposito la memoria di A. Gaudry, nel periodico « L’Anthropologie », voi. XIV. Paris, 1903). (2) Le differenze sono pure ben manifeste nella dentatura, la quale offre molari e premolari più voluminosi che non nei casi normali, e a superficie più ricche di tubercoli, quali manifesti quali rudimentari. I molari, massime gli inferiori, sono più allungati del consueto; il secondo presenta un den-ticolo posteriore esistente nell’A ustraliano e non nel bianco. — 644 — dalla pietra, colla scheggiatura, e adoperavano, rozzi utensili appuntati o taglienti. Si affaccia a tutta prima alla mente un grave dubbio. Questo nuovo tipo antropologico è esso indigeno o immigrato ? Le sue affinità colla stirpe primitiva di Neander-thal, di Engis, di Spy (i), che sembra un po’ più antica sono incontestabili; nè possiamo allontanare il sospetto che il primo discenda più o meno indirettamente dalla seconda. 11 tipo di Grimaldi, sia per lo sviluppo della cassa craniense, sia pel prognatismo meno accentuato e per altri caratteri della faccia, sembra più evoluto del tipo di Spy, ed accenna, rispetto a questo, secondo Verneau, a relazioni che intercedessero fra rappresentanti di due razze collaterali. L’espressione materiale delle relazioni che collegano fra loro razze, stirpi, popoli diversi non si deve ricercare, a parer mio, in un albero genealogico, ma ben piuttosto in una rete, anzi nelle ultime propaggini del sistema circolatorio degli animali superiori, nelle quali i vasi sanguigni che procedono da tronchi diversi si dividono e si suddividono, si riuniscono e si confondono, producendo inestricabili anastomosi. Comunquesia, ritengo che, fin (i) 11 cranio umano estratto dalla spelonca di Neanderthal, presso Dusseldorf, ed illustrato da Schaaffhausen, è assai allungato (dolicocefalo), schiacciato, munito di enormi arcate sopraccigliari, ravvicinate nel mezzo in guisa quasi da confondersi, e, come osservarono Huxley e Busck, ha un aspetto decisamente scimiesco. Quello di Engis, descritto da Huxley, è allungato, ma normale nel senso dell’altezza, i suoi archi sopraccigliari, sono ben sviluppati, ma senza esagerazione, la fronte è alquanto convessa. Gli avanzi scheletrici rinvenuti nel deposito quaternario situato dinanzi ad una piccola grotta, nel comune di Spy, presso il molino di Goyet, nella provincia di Namur (Belgio), avanzi illustrati da Fraipont e Lohest, appartengono ad individui affini a quelli di Neanderthal e Engis ; i due teschi sono assai allungati, stretti, depressi ; uno di essi può dirsi schiettamente dolicoplaticefalo (indice cefalico da 74 a 76). Essi hanno il frontale depresso, stretto e corto e i rilievi sopraccigliari assai prominenti. — 645 — dai primordi dell’umanità, un ramo di ignota origine fosse stabilito lungo il litorale della Liguria. Siccome la sua comparsa nel paese precedette la maggiore espansione glaciale, non è affatto necessario argomentare che le condizioni climatologiche di quel tempo fossero incompatibili coll’ ipotesi di una provenienza settentrionale e tanto meno con quella di un origine locale. Scheletri della Barma Grande, ecc. Si è detto che gli altri cavernicoli dei Balzi Rossi, quali medioquaternari, scoperti assai profondamente nella grotta dei Bambini, (ma di data un po’ posteriore a quella dei negroidi), quali assai meno antichi, cioè sopraquaternari, quantunque diversi dai negroidi summentovati, si credono però discendenti da siffatta varietà umana. Rappresentati dagli scheletri della Barma Grande, della grotta del Cavicchio e di quella dei Bambini (esclusi i due che giacevano ad un livello inferiore), appartengono pei caratteri loro più spiccati alla così detta razza di Cro-Magnon, di Hamy e de Quatrefages. In essi la testa è voluminosa, assai allungata (la dolicocefalia si manifesta specialmente nella regione parieto-occipitale), ad arcate sopraccigliari assai prominenti verso il livello dei seni frontali (i); la faccia apparisce alquanto larga, con arcate zigomatiche assai sviluppate e naso leptor-rino, ad appendice assai sporgente ; le orbite sono rettangolari, allargate trasversalmente, ad angoli appena arrotondati ; la mandibola alquanto robusta, ha il ramo ascendente largo e poco inclinato sull’orizzontale, con mento protratto e triangolare. (i) Sembra che l’occipitale sia meno prominente nella regione iniaca di quanto si osservi nel tipo di Cro-Magnon ; sarebbe scomparsa o almeno attenuata la forma pentagonale della cassa craniense, e tenderebbe a diminuire il prognatismo sottonasale caratteristico di detto tipo. Verneau, cui si debbono queste osservazioni comparative, non attribuisce loro una portata generale. — 646 — Notevolissimi lo sviluppo degli arti inferiori rispetto ai superiori, la maggior lunghezza dell’avambraccio e della gamba in proporzione del braccio e della coscia. I ronco largo a livello delle spalle. Bacino sviluppato e robusto, in cui risultano accresciuti i diametri verticali e i trasversi, comparativamente ai diametri antero-posteriori. La statura media degli individui maschili del tipo di Cro-Magnon, estratti dalle accennate caverne, dedotta da numerose misure rigorosamente eseguite dal Dott. Verneau, sarebbe di m. 1.87, la massima del più alto raggiungerebbe m. 1.94 (1) I più antichi di questi cavernicoli diedero la caccia, come quelli del tipo di Grimaldi, a\\Elephas antiquus e al Rhinoceros Merchi; i loro successori sopraquaternari furono invece contemporanei del mammut, del renne, dell’alce, dello stambecco, del ghiottone, del castoro, della marmotta, in breve di una fauna atta a vivere sotto un clima rigido. Mentre i primi facevano uso di rozzi stromenti di quarzite o di calcare siliceo, e più raramente di piromaca e diaspro, i secondi adoperarono, quasi ad esclusione di ogni altra, per fabbricare i loro utensili e le loro armi, queste due varietà di pietra; inoltre usufruttarono anche l’osso per foggiarne punteruoli, aghi, lisciatoi ed ornamenti. Gli uni e gli altri mantennero quasi invariati i costumi funebri dei loro antenati del tipo di Grimaldi, e li tramandarono ai posteri, vale a dire ai trogloditi del Finalese, che sono indubbiamente loro discendenti, per verità un po’ degenerati. Le tribù dei Balzi Rossi collocavano i loro morti con molta cura nelle proprie grotte, secondo un rito prefisso, (1) Non tutti i particolari esposti in questo epilogo corrispondono a quelli recati nel capitolo II delia parte seconda ; perchè, quando fu incominciata la stampa del mio libro, non era ancora pubblicata la preziosa monografia del Dott. Verneau contenuta nel tomo II dell’opera Les Grottes de Grvnaldi. — 647 — e cleponevano loro d’accanto armi e cibarie, come fecero dipoi ί cavernicoli neolitici. I cadaveri erano fregiati di collane e monili (formati di vertebre di pesce, di denti d erbivori o di conchiglie forati) e in parte coperti d’indumenti ornati di conchiglie. Già dissi come si trovassero presso alcuni scheletri umani tracce di una pelliccia. Nella tomba era sparsa molta polvere d’ematite, forse col pensiero di renderla più gradevole all’occhio, o perchè il rosso fosse tenuto in conto di colore sacro alla divinità. Sotto il capo del morto, ponevano una pietra o un osso che doveva avere un significato simbolico. Sull’avello solevavano accendere fuoco, forse per allontanare le fiere dal cadavere, forse anche allo scopo di preparare il pasto funebre. Da questo fuoco rimase talvolta adusto il corpo del defunto. Abbiamo adunque una catena estesissima, continua o quasi, così nell’ordine dei caratteri scheletrici, come in quello dei costumi. Perciò, qualora si voglia concedere alle nostre parole un significato relativo e si prescinda dalla prima origine, possiamo affermare che i cavernicoli dei Balzi Rossi sono gli aborigeni della Ligiiria, e che la medesima stirpe si è mantenuta nel paese, ad onta di qualche commistione, fino all’aurora dei tempi storici. Pei quanto ci consta, i Liguri sopraquaternari, formavano scarse famiglie o tribù, che conducevano una vita di stenti e di pericoli, in un paese aspro e selvaggio, infestato dalle fiere. Da principio erano confinati alla estremità orientale del territorio di Ventimiglia e alle sue adiacenze, poi occuparono vari altri punti della Riviera di I onente e risalirono alcune valli che l’attraversano. I discendenti loro si stabilirono nell’ Isola Palmaria. connessa in quel tempo al promotorio occidentale del Golfo della Spezia. Lasciarono pure qualche traccia, almeno a noi sembra, lungo il versante settentrionale dell’Appennino Ligure. — 648 — Essi avevano quasi sempre per domicilio stabile o temporario caverne o rifugi formati da rupi sporgenti. I Liguri di cui tengo discorso non possedevano animali domestici, erano ignari d’agricoltura e vivevano principalmente di caccia, perseguitando in modo speciale la grossa selvaggina (cervi, caprioli, renne, capre, stambecchi, cavalli e cinghiali), che doveva essere allora abbondantissima ; si cibavano anche di molluschi e di pesci, ma non pare che fossero esperti pescatori. Non mancano indizi, anzi prove, di relazioni con altra gente di paesi non prossimi ; e qui alludo alla conchiglie di specie atlantiche, provenienti secondo ogni verosimiglianza dalla Spagna o dalla Francia occidentale, rinvenute nelle grotte dei Balzi Rossi. Altri Tipi. - 11 teschio estratto da unagrotticelJa presso Toirano, descritto alla pag. 45-, il quale sembra quaternario, accenna ad una razza brachicefala, assai diversa dal tipo di Cro-Magnon, la quale aveva alcuni caratteri comuni col fossile scoperto all Olmo nell’Aretino, fossile ben noto per la descrizione che ne diede il professore Igino Cocchi (1). La mandibola della grotta della Giacheira, descritta alla pag. 128, se non appartiene ad un individuo anormale, giustifica il supposto che un tipo umano diverso da quelli di Grimaldi e di Cro-Magnon fosse presente nella Riviera occidentale durante i tempi quaternari. Essa è infatti di eccezionale spessezza, ad arco più stretto del consueto alla parte anteriore e più divergente all indietro, con mento protratto, denti grossi, serrati e molari più ricchi di tubercoli che d’ordinario. Anche il cranio della Valle Varatiglia ricordato alla pag. 452 accenna ad una varietà umana peculiare, non segnalata altrove in Liguria. (1) 11 cranio dell’Olmo, ridotto alla sola calvaria, è grandissimo, robusto, con rilievi sopraccigliari assai pronunziate e protuberanze frontali ben risentite. — 649 — Clima e fiora. — Mentre vivevano l’elefante antico e il rinoceronte di Merck, regnava indubbiamente nella nostra regione un clima caldo e umido, ma non tropicale, che favoriva lo sviluppo della vegetazione arborea; ma difettano osservazioni dirette che ci consentano di fornire sicure indicazioni in proposito. Dai fossili rinvenuti in depositi della medesima età, poco lontani dal nostro paese, possiamo supporre che non mancassero il Pinus sylvestns, il Pinus montana, il larice, il tasso, la quercia, XAcer pseudoplatanus, il nocciolo, il Circis siliquastrum, il Salix cinerea, i lauri ecc. Allo scorcio dell’età medio-quaternaria si produssero per lungo volgere di tempi venti gagliardissimi, accusati da depositi eolici, esistenti in vari punti della Riviera occidentale (Cogoleto, Laigueglia) e specialmente al Capo Mele, ove una duna morta, di sabbia giallastra, cementata, si innalza fino ad oltre 150 m. sul livello marino. 1 iù tardi, in seguito all’irrigidirsi del clima, vale a dire col frequente intorbidarsi dell'atmosfera, col crescere della precipitazione acquea (che spesso si produceva sotto forma di neve), sostituitisi ai grandi mammiferi dei primi tempi d mammut, il rinoceronte ticorino, il rangifero, la marmotta, si addensarono boschi di abeti, di larici, di Pinus Cimbra, di faggi, si moltiplicarono aceri di montagna, frassini, noci, P’oppi, ramni ecc. Neolitoplidi e calcoplidi. Commistione di tipi. — La transizione fra la fase della pietra scheggiata e quella della pietra levigata è tanto rapida in Liguria, che accenna ad una influenza estranea, repentina, e non a lenta e spontanea evoluzione. L arte neolitica fu praticata quasi in tutti i paesi che hanno raggiunto ora un grado più o meno inoltrato di Atti Soc. Lig. St. Patri*. Voi. XL. 42 — 650 — civiltà, e sopravvive in pochi altri nei quali permangono condizioni sociali meno evolute. Appunto per la sua gran-dissima diffusione nel passato, non siamo in grado di indicarne con precisione le origini nel tempo e specialmente nello spazio. Per quanto concerne la Liguria, ritengo sia provenuta dall’Oriente, o meglio da una stirpe orientale rispetto ai Liguri, senza escludere che, per vie indirette, sia penetrata da varie parti. Siccome in principio non era accompagnata da un mutamento notevole nei caratteri fisici e nei costumi degli abitanti, così credo che si trasmettesse per penetrazione, in seguito a relazioni di vicinato, e non in conseguenza di conquiste o pel trasferimento da una sede all altra di popoli o di tribù. Senonchè il fenomeno della irruzione di altra gente si manifesta ben presto, nelle stazioni neolitiche, colla comparsa di avanzi scheletrici appartenenti ad una stirpe brachicefala, di piccola statura, meno robusta, ma secondo ogni verosimio-lianza più intei- 1 · A agente di quella che nella nostra regione la precedeva ; alludo ai cavernicoli, di cui si esumarono gli avanzi nelle grotte del Sanguineto, dei Petits Monlins ecc. L introduzione della pietra levigata e della relativa industria fu ben presto seguita da quella dei manufatti di rame e di bronzo, che certamente giunse alla Liguria ma- « . «_> o nttima per penetrazione dai terramaricoli della Valle del Po. Xon pare che questi, almeno nel nostro territorio, sieno stati conquistatori od invasori. Più tardi, altri popoli che conoscevano i metalli si stabilirono nelle valli delle Alpi e degli Appennini Liguri e lungo le due Riviere. Tipo delle Arene Candide. — Sotto questo nome intendo comprendere la maggior parte degli scheletri umani esumati dalle caverne del Finalese, i quali offrono i caratteri propri al tipo di Cro-Magnon (dominante, come si è etto, nelle stazioni dei Balzi Rossi), alquanto attenuati, ciò 1 mcrociamento con altra gente e per le condizioni spe- — 651 — ciali cui furono sottoposti. Il titolo di questo * paragrafo non significa adunque che si debbano considerare come varietà umana ben definita. « I crani, scrive Incoronato di quelli della caverna delle Arene Candide, sono dolicocefali a forma ogivale, la quale come ognun sa, è una variante della piramidale di Pri-chard. Inquantochè le pareti laterali, essendo alla base parallele fra loro, convergono verso il vertice, onde la volta craniense assume la figura precisa di un tetto. In una sezione trasversalmente eseguita, il contorno allora si mostra come un arco gotico a sesto ribassato (fig. 270) (1). « La linea che traccia il profilo della fronte si eleva di poco dal piano della glabella ed arriva al vertice come se ascendesse per un dolce pendio, sicché la fronte offre una superficie quasi piana, bassa, inclinata, fuggente all’indietro, e per giunta stretta ove appena s’iniziano le bozze frontali. Le arcate sopraccigliari, per Γ inverso, sono sviluppate e robuste, terminate in fuori da rozze e grosse apofisi orbitarie, mentre nel lato interno, ispessendosi sempre più, rendono la glabella assai prominente...... (fig. 271) ». « Le ossa zigomatiche svolgonsi in fuori ed in dietro; ed è questa la ragione precipua della strettezza della faccia. Le ossa nasali brevi e larghe, dal modo come sono articolate fra di loro e col frontale, lasciano presupporre un naso grosso e piatto, molto probabilmente camuso, platir-rtnico. Le cavità orbitarie poi sono più larghe che alte e quasi quadrangolari..... ». - « 11 mascellare inferiore è abbastanza tozzo, triangolare anziché parabolico, con branche vertù ali brevi e robuste, le quali portano grossi condili molto allungati nel senso trasverso ed apofisi coronoidi ben pronunziate. Gli angoli inferiori sono piegati in fuori ed abbastanza sporgenti, per- (1) Memorie della R. Accad. dei Lincei, serie 3', voi. II. Roma, 1878. — 65 2 — corsi in ambo le superficie da creste rilevate pei inser zioni muscolari. Infine, nella sinfisi si nota la spina noi mal mente rilevata che discende fino alla parte interiore e mento, la quale si presenta triangolare, prominente, faccettata..... ». Gli accennati caratteri si mostrano come attenuati ed ingentiliti in alcuni crani femminei (fig. 271). In quanto alla disposizione dei denti, è da aggiungersi che la ringhiera dentaria in verun punto della sua estensione appare interrotta, e la grandezza dei molari &r va decrescendo dal primo all ultimo. Fig. 2~]o. Fig. 2T1 ■ Crani degli scheletri N.‘ III e IV della caverna delle Arene Candide, raccolti A. Issel. Vedansi in proposito le pag. 384 e 385. La statura degli scheletri d’"adulti sembra in generale un pò inferiore alla media. Da vari indizi e sopratutto dalla scabrezza delle superficie d’attacco del tendine di Achille, del muscolo popliteo e del tibiale anteriore si può inferire che appartenessero a robusti camminatori, cui era abituale lo arrampicarsi fra i dirupi. D’altronde, i nostri neolitici erano ben proporzionati ed esenti da quei morbi che sogliono deformare le ossa. — 653 — Si deve avvertire tuttavolta che quasi tutti gli individui avevano i denti cariati. Se poi, considerando quegli ossajjii calcinati dal tempo, ci facciamo ad immaginare quali fossero i fieri trogloditi, allorché rosseggiami d’ocra, vestiti di pelli ferine, brandivano la terribile scure di pietra, affrontando orsi e lupi sulle aspre balze del Caprazoppa, la fantasia ce li raffigura, magri, macilenti, colle chiome abbondanti ed incolte, la fronte bassa, gli zigomi salienti, le mascelle protratte, il naso e il mento prominenti, gli occhi infossati e il volto improntato di selvaggia energia. Le stazioni all’aperto dei neolitoplidi e dei calcoplidi erano in ispecie addensate sui monti situati a nord e nord-ovest di Savona, in ispecie sul versante settentrionale e fra le quote altimetriche di 300 e 700 m. sul livello del mare ; mentre le caverne adibite ad uso di abitazione e di tomba son quasi esclusivamente quelle della zona litorale. Sappiamo dai precedenti capitoli che gli antichi abitanti della Liguria lasciarono la propria vestigia, durante la fase neolitica e la successiva dei metalli, in molti punti dell’Appennino, sia nelle stazioni all’aperto, sia nelle caverne. Fra queste, parecchie, per lo più anguste e tenebrose, servirono soltanto ad uso di sepolcro. Costumi, industrie, arti dei cavernicoli. — La caverna delle Arene Candide, nella quale si scoprirono ben 30 tombe e la grotta Pollerà, in cui ne furono rinvenute almeno 43, si possono considerare come vere necropoli. Ma furono anche indubbiamente abitazioni, come lo dimostra la copia invero straordinaria dei cocci di terra cotta, dei manufatti logori dal lungo uso, degli avanzi di pasti, delle macine, ritrovati nel terriccio che occupa gran parte delle due grotte. Siffatti residui hanno propriamente i caratteri di rifiuti, per servirmi di una espressione volgare, ma efficace, non sono — 654 — altro che spazzatura; e infatti si trovano accumulati di preferenza nei punti in cui dovevano recar minor molestia agli abitanti, cioè presso le pareti e nelle regioni più umide e scure della spelonca. Alle Arene Candide, contribuirono a colmare la camera Wall. Nella Pollerà furono riversate al limitare dello scoscendimento che mette alla cavità più vasta e più profonda, nella quale era però impossibile il dimorare. Talvolta i sepolcri degli antichi trogloditi furono coperti dalle immondizie depositate dalle nuove generazioni. Presso i popoli barbari, d’altronde, i cadaveri non ispirano ribrezzo e repulsione come alla gente civile e raffinata, laonde s’ intende come la stessa cavità fosse ad un tempo domicilio di vivi e di estinti. Alcune grotte servirono certamente d’abitazione, ma forse non in modo continuo, e solo in alcune stagioni del- ’ o 1 anno. Il costume di ricoverarsi negli antri e nei cavi delle rupi, si protrasse assai tardi nel nostro territorio, talché Diodoro Siculo potè scrivere dei Liguri del suo tempo : « Costoro dormono la notte nelle campagne e assai di rado in alcune vili baracche o piccoli tuguri, e per lo più in rupi cave fatte dalla natura, che possono offrir loro il comodo di tenerli al coperto ». Usavano rompere le tenebre delle sotterranee dimore mediante lumicini di terra cotta, nei quali un sottile beccuccio accoglieva il lucignolo. Che i cavernicoli fossero essenzialmente cacciatori, ce lo attestano i denti di lupo e di cinghiale, di cui si fregiavano come di ornamenti o trofei, nonché gli avanzi dei loro pasti, prevalentemente costituiti d’ossa di cervo, di capriolo, di cinghiale ecc. E nel dir cacciatori intendo anche guerrieri, poiché in seno alle società primitive, ove la lotta per 1 esistenza ferve sotto ogni sua forma, aspra, incessante, inesorabile, non saprei immaginare una di queste qualità — 655 — disgiunta dall’altra. Inoltre, molte armi raccolte nelle grotte sono arnesi guerreschi. Essi erano meno esperti nell’arte d’ insidiare i pesci, come lo dimostrano gli avanzi dei loro pasti. Solevano poi far incetta di testacei marini, e specialmente di patelle, e non sdegnavano seppie e ricci di mare. Con pari certezza si può asserire che esercitassero la pastorizia. Quando conducevano i loro armenti al pascolo, erano armati, probabilmente di tutto punto, pronti a respingere ogni assalto di uomini o di fiere, come oggi fanno i pastori etiopi, sempre muniti d’asta e di scudo. Fra gli animali che vivevano nelle grotte coll’uomo ed erano senza dubbio domestici, sono da noverarsi il porco delle torbiere, il Canis palustris■, una piccola pecora, la capra e due o tre varietà di bovi. Quanto all’agricoltura, difettano prove dirette per asserire che fosse esercitata; ma il ritrovamento di molte macine accenna all’uso comune di qualche cereale o d'altro analogo commestibile, il che difficilmente si concilia colla mancanza d’ogni coltivazione (i). Ad ogni modo, costoro non potevano essere che tristi agricoltori. Si cibavano, fra l’altre cose, di ghiande dolci, e certamente facevano uso di altri frutti spontanei, di cui non si conservò alcun residuo. Non risulta che conoscessero la vite e l’ulivo. Dal ritrovamento di certi vasi tutti foracchiati, argomento che non fosse loro ignoto il caseificio. Il cibo dei cavernicoli era prevalentemente animale, e ciò si rileva dai residui dei loro pasti, costituiti principalmente d’ossa di pecora, di capra, di capriolo, di cervo, di cinghiale, di bue. Oltre a queste specie, mangiavano anche, all’occasione, la lepre, il cane, il lupo, i pipistrelli, molti uccelli, principalmente colombi. Si ha motivo di argomentare che sacrificassero gli animali domestici destinati ai loro pasti con un colpo di stro- (i) Facevano uso probabilmente di segala e d’orzo. — 656 — mento tagliente, assestato sulla sommità del cranio. Non risparmiavano gli agnelli ed i capretti ancora lattanti, i cui resti sono abbondanti nelle caverne. 1 piccoli mammiferi erano trasportati nelle grotte e, dopo essere stati cotti e mangiati, le loro ossa rimanevano sul terreno, commiste agli avanzi dei focolari. I grossi mammiferi erano probabilmente uccisi e squartati all’aperto, e si recavano solo nelle spelonche i pezzi scelti fra i migliori, per farli cuocere e mangiarli. Infatti, gli scavi non somministrano indistintamente ogni specie d’ossa di buoi e di grossi cervi ; ma solo le coste, le mandibole e frammenti di ossa lunghe. I trogloditi spaccavano per lungo le diafisi dei ruminanti e dei suini, e ne estraevano il midollo per cibarsene o per adoperarlo alla preparazione delle pelli. A quest’uopo, le schiacciavano per mezzo d’un ciottolo o le percuotevano violentemente sopra una pietra, tenendole strette per una estremità. Anche i crani erano sempre aperti per estrarne il cervello. Finalmente, le mezze mandibole inferiori solevano esser rotte alle due estremità, forse per cavarne la sostanza polposa che occupa le cavità alveolari. I residui dei pasti accumulati nelle grotte erano abbandonati ai cani, e poscia, insieme alle altre immondizie, rimanevano preda d’insetti sarcofagi e, putrefacendosi, infettavano l’aria. Quanto alle industrie, erano affatto rudimentari, e per certi rapporti decisamente inferiori a quelle d’altri popoli che non conobbero i metalli. Mancava loro, a quanto pare, la perizia e la diligenza nel lavorare l’osso e il corno, e sopratutto l’ingenuo senso artistico propri ai trogloditi della fase del renne, in Francia, i quali ci lasciarono immagini di animali graffite o scolpite con singolare maestria. Le loro stoviglie, non tornite e cotte senza l’aiuto del forno, massime nei primi tempi, erano ornate di semplici fregi formati di lineette spezzate o meandriformi, d intac- — 657 — cature fatte col dito o coll’unghia, oppure di orli crenati e di manichi striati. Alcuni fregi furono ottenuti mediante conchiglie dal margine crenato, colla estremità di cannucce 0 di spatole appositamente dentellate, o tracciando graffiti sul fittile già cotto. I vasi, per lo più di forme goffe e ineleganti, sono talvolta ingubbiati ; più spesso appariscono di un bel nero lucente, impartito a quanto pare colla fuliggine e la brunitura a spatola ; non presentano in alcun caso ornati a lucentezza grafitoide, come 1 fittili di Golasecca. Eccezionali i vasi dipinti, e quelli ornati di fregi in rilievo ottenuti per mezzo di stampi. L'argilla che serviva a fabbricare codesti fittili ben di rado o era depurata, e quasi sempre vi si univa, a guisa di tarso, per accrescerne la resistenza alla cottura, un po’ di rena quarzosa o serpentinosa. I vasi spezzati erano bene spesso risarciti con paziente lavoro, assicurando l’uno all’altro i diversi frammenti, mediante legature, che passavano per fori opportunamente praticati. Dalle conchiglie e dai denti forati ad uso di monili, dalle armille, di cui già tenni discorso a suo tempo, si vede pure quanto i nostri trogloditi fossero inesperti nell’arte di ornarsi. Tuttavolta, piaceva loro di imprimersi sul volto, e forse su altre parti del corpo, disegni simmetrici, a colori (mediante le così dette pintaderas), e di portare verghette di conchiglia nel setto delle narici. Raccoglievano con cura, lungo le rive del mare, non solo conchiglie fluitate, ma ramuscoli di corallo, e frammenti di pomice convogliati dalle correnti. Per fabbricare ami atti ad attirare il pesce, usufruttavano conchiglie madreperlacee. Pregiavano ogni oggetto vivamente colorato o lucente, come ambra, cristalli di rocca, agata, ematite. La fabbricazione delle armi e degli altri stromenti richiedeva in generale più esperienza ed accuratezza che - 658 - non quella dei vasi. Le ascie si ottenevano, dopo lungo e paziente lavoro, logorando ciottoli o schegge atti all’uopo sulla superficie di lastre d’arenaria. Le teste di mazza di giadaite di cui si rinvennero frammenti nella grotta delle Arene Candide, non furono condotte a tanta perfezione se non superando le maggiori difficoltà, sia per la durezza della roccia, sia per la forma stessa dell’oggetto. Credo probabile che le accette e gli altri stromenti litici che si lavoravano colla levigatura fossero fabbricati nelle caverne. Non così dei coltellini, raschiatoi e punte di frecce scheggiati, poiché non si incontrano colà, come altrove, i copiosi residui silicei, che sarebbero risultati immancabilmente da tal. fabbricazione. Mi occupai a lungo delle armi e degli utensili di cui i neolitoplidi e i calcoplidi fecero uso. Aggiungerò solo in proposito come le ascie, le accette, i martelli, le mazze fossero provviste d’ordinario di manico di legno, che lasciò solo, nelle nostre stazioni, rare vestigia. Era certo meno comune il manico di corno di cervo. Le punte di lancia, di zagaglia, di freccia di pietra e d'osso presuppongono aste di legno, che non furono ritrovate, come pure non è a revocarsi in dubbio che si adoperassero archi, fabbricati mediante rami di alberi od arbusti, dotati dei requisiti di elasticità e di resistenza più opportuni all uopo ; ma anche questi ci sono ignoti. L unico stromento musicale rinvenuto nei nostri deperiti archeologici è la conchiglia di un grosso Tnton, che serviva probabilmente a richiamare gli armenti dispersi, forse anche come tromba di guerra (i). Relazioni dei cavernicoli con altra gente. — Gli oggetti raccolti in quella parte del deposito antropozoico giacente (i) La stessa tromba marina fu adoperata nei tempi storici dai pastori in Italia e in Grecia, allo scopo di adunare il gregge; e mi assicurano che recentemente ancora si usava in Corsica. — 659 — nelle nostre caverne, che ricetta avanzi di carattere neolitico, non accennano in generale a relazioni che i trogloditi mantenessero o avessero mantenute con paesi lontani. Fanno eccezione alla regola : parecchi bronzi che provengono probabilmente dalla Valle del Po, alcuni coltellini d’ossidiana (roccia mancante alla Liguria e comune invece nella Sardegna, nelle Isole Eolie, in Sicilia, nel-l’Arcipelago Greco, nelle Canarie), pochi granelli d’ambra di provenienza ignota (i), un dente di leopardo, una mascella di Varanus, alcune conchiglie marine e certi fittili. Rispetto alle conchiglie, è da notarsi che alcune si riferiscono a specie rare o sconosciute affatto nel Golfo di Genova, mentre è certo che abbondano lungo le rive del Mediterraneo occidentale e meridionale ; pertanto, se non m’inganno a partito, non furono raccolte sui nostri lidi, e quindi hanno forse la medesima provenienza del-1 ossidiana. Una di queste conchiglie, la Mitra oleacea, non è nota fin qui che come vivente nell’ Oceano Indiano ad esclusione di ogni altro mare (2). Al mio supposto, circa la patria originaria di certe conchiglie, come, per esempio, la Purpura hcemastoma, la Patella ferruginea ecc., si potrebbe obbiettare che, se non allignano oggi nel mar Ligure o vi sono rarissime, nulla osta a che vi allignassero o vi fossero comuni, anziché rare, nei tempi in cui si formavano gli strati archeologici (1) Non è esclusa l'ipotesi, poco probabile, che quest’ambra fosse indigena, provenisse cioè dai pressi della Mortola. (2) La determinazione della specie è dovuta all’esperto malacologo E. von Martens di Berlino, il quale esaminò un esemplare un po’ logoro, ma dotato di colore e lucentezza propri a conchiglia non fossile. Mi nasce ora il dubbio che, pur essendo fresca, la specie sia un caso di sopravvivenza in tempi recenti di un fossile del pliocene superiore, vale a dire di una varietà della Mitra turricula, Jan, cui molto somiglia. — 66ο — delle grotte. I mutamenti recenti verificatisi nelle condi-zioni fisiche e climatologi eh e della Liguria, il fatto che dai più remoti tempi storici certe specie di animali e di piante scomparvero da questa regione, rendono verosimile un tal supposto. Non lo credo tuttavolta conforme al vero, perciocché nei depositi fossiliferi quaternari superiori e recenti, osservati non lunge dal Finalese, al capo Santo Ospizio, ai Balzi Rossi e presso la Spezia (negli scavi eseguiti per la fondazione del nuovo arsenale della marina militare), non furono rinvenute a mia cognizione le specie di cui si tratta, le quali probabilmente non vi mancherebbero se fossero state comuni in Liguria, durante i tempi neolitici. Le pintaderas, rinvenute, da una parte, alle Canarie, segnatamente nella Gran Canaria (i), nel Messico e nell’America centrale (ove l’uso loro, all’epoca della scoperta o poco appresso, è attestato dagli scrittori del tempo), dall’altra, nella Moravia e nella Frigia, accusano una coincidenza etnografica fin qui non sospettata fra popoli lontanissimi, ritenuti fra loro affatto estranei. Non meno strana è la conformità evidente, che si manifesta fra le olle a bocca quadra delle nostre caverne e quelle della Transilvania. Dopo le recenti scoperte, non è più ammissibile a parer mio una provenienza occidentale delle pintaderas. Fino a che nuovi ritrovamenti non vengano ad illuminare questo punto oscuro della paletnologia, ritengo sia da cercarsi l’origine loro ove nacque l’industria figulina dei Liguri, la quale ebbe verosimilmente per culla, come la levigatura delle pietre e la metallurgia del bronzo, una regione, forse anche più regioni, ad oriente della nostra. (i) Si trovarono a Galdar, Agiumes e Terayana, nelle grotte che ricettano copiosi residui abbandonati dai primitivi abitatori dell’isola. — 661 — Debbo aggiungere, perchè non sieno fraintesi i miei concetti, in ordine alle relazioni che potevano intercedere fra i Liguri litoplidi e gli abitanti dei litorali Mediterranei ed Atlantici più o meno lontani dalle nostre Riviere, che i primi dovevano essere pescatori, e per conseguenza marinai, assai inesperti; e ciò desumo dalla scarsità degli avanzi di pesci e dalla mancanza assoluta di ossa di specie pelagiche fra i relitti dei loro pasti. Riti funebri. — I Liguri delle caverne adagiavano i morti sotto poca terra, e se si trovarono scheletri sepolti a parecchi metri di profondità, si è perchè, dopo l’inumazione, il suolo delle grotte fu innalzato da successivi interrimenti. I cadaveri si abbandonavano talvolta sul nudo terreno. I sepolcri degli adulti erano difesi da lastroni di pietra greggia, in numero di quattro, cinque, sei e perfino otto, i quali formavano, come dissi, una specie d’ incassatura, che per lo più era incompleta, e riparava solamente il capo e il torace. Le tombe di bambini si lasciavano d’ordinario prive di tali pietre. I cadaveri erano abitualmente coricati sul fianco sinistro, col cranio appoggiato sulla mano sinistra e le ginocchia alquanto piegate, in guisa che si trovano spesso le tibie assai prossime alla cassa toracica. Altre volte gli scheletri si trovarono invece distesi, per lo più perpendicolarmente all’asse maggiore della cavità (coi piedi volti , verso l’esterno), e adagiati sul dorso. Presso il lato destro dei morti di sesso maschile, si collocava un’accetta di pietra, il cui manico era quasi sempre di legno, poiché, se fosse stato d’altra materia meno alterabile, se ne sarebbe rinvenuto qualche avanzo. Lo stromento non si trovò mai situato in contatto della mano, ma ad una distanza di 20 a 30 centimetri, che corrisponde appunto alla lunghezza del manico, di cui si suppone fosse — 662 — munito. Presso il lato sinistro, era deposto un vaso di terra cotta, contenente pietra sanguigna. Tal sostanza, di cui i cavernicoli facevano uso indubbiamente per tingersi il corpo, era destinata ad ornare il defunto, acciocché apparisse smagliante di rosso nel regno degli spiriti (i). Osserverò in proposito che durante il IV secolo della nostra èra gli abitanti usavano ancora, secondo M. Mayer, nella Daunia e forse in altre parti dell’Apulia (2), di ornarsi il corpo mercè una specie di tatuaggio a colori. Non sarebbe questo per avventura un relitto del costume cui accennano le pintaderas ?. Gli estinti erano fregiati dei loro ornamenti ed insegne. Alcuni, forse guerrieri, portavano al collo zanne di cin ghiaie o denti di lupo, appositamente forati, altri conchiglie bucate. Quasi in ogni tomba si raccolsero punteruoli d osso, quali diligentemente lavorati, quali assai rozzi, cioè sem^ plici cannoni di piccoli ruminanti appena aguzzati, arnesi che io considero parte come punte di freccie o di zaga glie, parte come aghi crinali e lesine. Credo che non si deponessero ascie nè altra maniei d’armi nelle tombe delle femmine e dei bambini- In delle prime raccolsi un coltellino di selce ed un raschiet della stessa pietra, ed accanto alle ossa d’un tenero barn bino trovai una scheggia di pietra verde translucida e vari (1) Il costume di spargere ocra nelle tombe era praticato poco temp dagli indigeni dell’Algeria meridionale. Nella stessa regione, ma in j anteriore alle memorie storiche locali, si seppellivano i cadaveri c b 11 CICA piegati. Anche in gran parte del Sudan, e specialmente, nella ‘ Niger, i cadaveri sono tinti di ocra rossa prima dell’ inumazione. j|e alcune tribù i morti si depositano in grotte sepolcrali ; presso altre stesse capanne che servono di domicilio ai vivi. Si veda in pr°P° . c. ■ . T e PlaieaU libro di L. Desplagnes, tanto ricco di particolari etnografici . centrai nigérien (Paris, E Larose edit., 1907). (2) Notizie degli scavi d’antichità ecc., anno 1898, pag. 2 Π· — 063 — conchiglie. Sole conchiglie, e non di specie mangerecce, trassi dal sepolcro di un altro morticino; ed ho per fermo che ivi le deponesse una madre pietosa nel comporre per 1 ultimo sonno la salma del figliuolo, acciocché non avessero a mancargli nella vita futura i suoi prediletti trastulli. Nella terra che copriva le tombe abbondavano gusci di molluschi eduli, nonché ossa di ruminanti, per lo più cotte e spezzate ; e sono indubbiamente i resti del banchetto funebre, imbandito dai congiunti e dagli amici del defunto, dopo, o forse anche durante, ciascuna inumazione. Due o tre volte osservai pure, presso un sepolcro, certe ossa di capriolo, nell’ordine delle loro naturali connessioni; ond io sospetto che ivi si fosse deposto qualche pezzo di grossa selvaggina, a guisa di scorta per colui che imprendeva il gran viaggio. Il fuoco destinato a cuocere il pasto sepolcrale era acceso verosimilmente sulla tomba stessa dell’estinto, e talvolta così vicino al cadavere che questo ne rimaneva in parte abbruciato. Così si spiega, io credo, l’ustione di cui si scorgono le tracce sugli arti inferiori di alcuni scheletri. Il sospetto, da me altra volta manifestato, che i trogloditi finalesi si abbandonassero all' antropofagia è fondato su lievi indizi. Ciedenze. In tutti i paesi in cui si adoperarono per la guerra e per la caccia ascie di pietra, frecce e cuspidi di selce, zappette e coltelli di pietra ad uso di utensili, conchiglie e denti forati quali ornamenti, sono somigliantissimi i liti funebri ed intimamente connessi alla fede in una vita futura, molto diversa da quella che professano i seguaci di religioni più elevate, pervenuti a civiltà più avanzata. Così, presso gli abitanti della Papuasia e delle isole circonvicine, è comune la credenza nelle anime disincarnate dei defunti, anime quali benefiche quali malvagie, dotate di potere soprannaturale, anime che inter- — 664 — vengono in tutte le vicende umane e in particolar modo nelle malattie, nell'esito delle imprese guerresche e venatorie, nella riuscita delle colture e dei negozi d ogni genere, anche in quelli di minore importanza. Siffatte anime avrebbero inoltre parte molto attiva nelle contingenze meteorologiche, provocando a capriccio caldo, freddo, pioggia, siccità, vento contrario, uragano, mareggiate, terremoti, od anche il cessare di tali flagelli quando sono iniziati. Costante preoccupazione dei miseri selvaggi si è di allontanare, scongiurare od ammansare gli spiriti maligni, di implorare la protezione dei benefici o di coloro che reputano avversari dei primi, adempiendo all’uopo a pratiche bizzane od anche crudeli. Non di rado i sacrifizi umani e perfino Γ antropofagia sono conseguenze di sortilegi tradizionali cui professano fede cieca. Gli scono-iuri, le stregonerie sono affidati talvolta ad individui che fanno professione di magia, sovente ancora ad altri, che per circostanze straordinarie e transitorie si ritengono investiti di un potere più o meno efficace sugli spiriti e sugli agenti naturati. La stessa medicina dei sel-vaggi, che pure non è sprovvista di specifici veramente utili, è sempre accompagnata da pratiche superstiziose, assurde o puerili, di cui non sarebbe difficile rintracciare i residui nelle nostre plebi. Orbene, sono fermamente persuaso di non errare, ritenendo che i cavernicoli del Finalese, i quali, come 1 Papuani, adoperavano ascie e coltelli di pietra, mazze da guerra formate da un disco di pietra forato, in cui si innestava un’asta di legno, ami da pesca, intagliati nella conchiglia, come i Papuani, si fregiavano di nicchi forati, si ornavano o credevano di ornarsi, con cilindretti di conchiglia confitti nel setto nasale e si tingevano coll’ ocra rossa, ritenendo, io dico, che questi cavernicoli fossero dediti alle strane pratiche superstiziose cui ebbi ad accennare. — 665 — A tali pratiche indubbiamente si riferiscono i due piccoli e rozzi idoli muliebri, dalle mammelle assai pronunziate, rinvenuti da D. Morelli nella grotta delle Arene Candide, una piastrella forata, certo per appendersi al collo, tratta da un teschio umano, piastrella della stessa provenienza, ed una specie di pugnale, della caverna Pollerà, formato da una fibula umana appuntata. Clima, flora, ecc. — Durante le fasi preistoriche succedute alla paleolitica il clima della Liguria si mantenne più fresco e più umido che non attualmente, come può argomentarsi dalla fauna delle caverne ossifere. Quanto alla flora, è presumibile che, prescindendo dalle specie introdotte posteriormente nel paese per cura dell’ uomo (dobbiamo comprendere fra queste l'olivo, la vite, gli agrumi, il frumento, il grano turco, la patata), essa non poteva differir molto dall’attuale. Dal livello del mare fino ad oltre 2000 m., il paese era coperto da folte selve, che rendevano malagevoli le comunicazioni ed esercitavano un’ influenza notevolissima sulle condizioni climatologiche, come pure sul regime dei fiumi e dei torrenti, in quel tempo assai più ricchi di acque perenni. Il litorale della Liguria occidentale, che era stato emerso per non meno di una ventina di metri di altitudine dal principio dell’epoca quaternaria fino all’aurora della recente, subì invece una sommersione di cinque a sei metri posteriormente, cioè fra il formarsi dei depositi che contengono manufatti neolitici e i primi secoli dell’evo moderno. Immigrazioni. — Pervenuta e stabilitasi nella Liguria Marittima, dall’ Oriente (seguendo secondo ogni probabilità vie indirette), una stirpe brachicefala, preistorica, alla quale erano famigliari l’industria della pietra levigata e 1 arte figulina, stirpe che, poco a poco, assumeva il modo di vivere degli aborigeni, altri popoli cui era nota la lavorazione dei metalli ebbero coi Liguri relazioni più o Atti Soc. 1.ig. St. Patria. Voi. XL. — 666 — meno intime e penetrarono nel loro territorio, quali tem-porariamente, quali per eleggervi domicilio stabile. Terramaricoli. — Si era da breve tempo introdotta fra olì aborigeni della regione ligure l’industria della pietra levigata, quando scendeva nella Valle del Po attraverso le Alpi, e si spargeva lentamente lungo il versante Adriatico dell’Appennino, un popolo il quale, a differenza del nostro, che era essenzialmente montanaro, preferiva il piano ai monti, ed aveva costume di erigere le sue abitazioni sopra palafitte nei laghi e nelle paludi, assicurandosi così valida difesa contro le eventuali aggressioni dei nemici e delle fiere. Questo popolo lasciò numerosi resti dei propri vil-laggi nei laghi della Svizzera, principalmente in quelli di Neuchàtel e di Zurigo, ed eziandio nei laghi del Piemonte, della Lombardia e del Veneto. Penetrato nella pianura Emiliana, ove non erano laghi, ma terreni acquitrinosi, esso, per mantenere l’antico costume, formò per mezzo di argini, bacini artificiali, in cui condusse le acque dei vicini rivi, e ivi collocò le sue capanne. I materiali di rifiuto che si adunarono per opera dell’uomo in tali bacini costituiscono le cosi dette terramare, adoperate ad uso di concime, per fertili/.zare i campi di quella ubertosa regione. I terramaricoli, principalmente agricoltori, conoscevano rame e bronzo, e perciò, come pure per 1’ esercizio di parecchie industrie, erano meno lontani dalla civiltà dei Liguri, coi quali ebbero commercio. Inoltre, da questi differivano essenzialmente pei costumi funebri, inquantochè ardevano i morti anziché seppellirli. Pigorini ritiene con buon fondamento, che dai terramaricoli, progrediti nello svolgimento sociale, sieno provenuti gli Italici, i quali prima dei Galli e degli Etruschi occuparono gran parte della penisola. Costoro non erano nomadi, come lo dimostrano i loro villaggi, eretti con tanta diligenza e sagacia, per sottrarli — 667 — ai pericoli di aggressioni, non erano guerrieri; ne fanno fede lo scarso numero e la tenuità delle loro armi. Dediti all’agricoltura e alla pastorizia, esercitavano come si è detto alcune arti fabbrili, e fra queste la lavorazione del bronzo. Essi non vennero ad occupare le rive dei laghi prealpini del versante settentrionale, allettati dalle condizioni del paese, coperto allora di folte selve, e nemmeno dalla mitezza del clima, che era assai rigido ; ma vi furono sospinti, secondo ogni verosimiglianza, dal desiderio di sottrarsi alle persecuzioni di un nemico assai temuto. Forse il medesimo incentivo, cui si aggiunse anche l’attrazione esercitata dal clima più temperato e dalla fertilità del suolo, li indusse a superare i monti e a stabilirsi da principio intorno ai laghi italiani, poi nella pianura padana. La scelta delle loro nuove sedi lascia scorgere la costante preoccupazione della difesa. Intanto, argomentiamo dalla immigrazione dei costruttori di palafitte che il grande movimento di traslazione dei popoli asiatici, narrato dalla storia dell’evo antico, accusato dalla glottologia per tempi assai più remoti, fosse già iniziato fin dallo scorcio dell’età della pietra. Gli scheletri dei terramaricoli e dei loro progenitori od affini, costruttori delle palafitte dei laghi alpini, sono poco noti, in conseguenza della incinerazione praticata generalmente da questi popoli. Tuttavolta dai caratteri dei pochi, di provenienza sicura, che pervennero fino a noi e furono oggetto di studi, risulta come fossero in prevalenza dolicocefali, e Sergi afferma inoltre la loro pertinenza alla stirpe Mediterranea. SlDEROPLIDI. Litoglifi e costruttori delle Caselle e dei Recinti. — Altra gente, che senza dubbio proveniva da ponente (erano io credo Celtiberi), seguendo i lidi della Provenza e risa- — 668 — lendo le valli del Varo e della Vesubia, ascese fino ai laodii del Carbone e delle Meraviglie, fino ai fianchi nevosi dei monti Bego e di Santa Maria, per lasciare impresse sulle rupi le tracce di un antichissimo culto e di misteriose memorie. Gli argomenti sui quali ho fondato le mie affermazioni furono svolti nella terza parte di questo libro. Ravviso pure le vestigia di un’influenza straniera, anticamente subita dalla Liguria occidentale, nelle costruzioni primitive di pietre a secco, denominate caselle, cabanne e casoni ; e siccome il prototipo di questi semplici edifizi si trova, come dissi, nelle isole del Mediterraneo, è mestieri supporre che si tratti di una corrente venuta dal mare. Tutti costoro erano già in possesso del ferro, e pei ciò debbono considerarsi come posteriori ai terramaricoli, 1 quali, alla loro volta, furono indubbiamente soggiogati ed assorbiti da altri popoli più civili, che lasciarono nelle proprie sedi cospicue necropoli, ricche di preziosi cimeli artistici. Allorché le invasioni di popoli stranieri si fecero più frequenti, si costituirono i primi centri di popolazione sulle vette, sui dossi isolati più atti alla difesa.^ Furono eretti in quel volgere di tempo i primi campi fortificati o castel lari, e sull’ alto dei colli e delle balze, ebbero origine probabilmente i primi villaggi, che si convertirono più tardi nelle pigne delle città medioevali. Siipposti Liguri di Golasecca — Secondo Pigorini, la stirpe Ligure non solo si modificò profondamente e adotto i costumi degli Italici nella Lunigiana, nella Riviera di Levante e nel Genovesato (come si è veduto nel capitolo IV della parte terza), ma assurse anche in Lombardia, durante la prima età del ferro, ad una civiltà relativa, della quale si avrebbe la testimonianza nella necropoli di Golasecca, illustrata per opera del Prof. Castelfranco. — 669 — Le popolazioni di schiatta iberica (o ligure) dell’ultima fase litica ponevano nelle loro tombe un bicchiere a campana. Un simile vaso fittile si trova, dice Pigorini, nella necropoli di Golasecca ; e se esso non è propriamente decorato come i bicchieri neolitici di Palmella in Portogallo, di Villafrati in Sicilia, si dànno però in altri vasi di Golasecca decorazioni di stile iberico e neolitico. D'altra parte, gli Iberici o Liguri seppellivano i loro morti in una incassatura formata di lastroni di pietra greggia. Orbene, quei di Golasecca avrebbero conservato in parte 1’ antico rito, circondando di lastre, non più i cadaveri, ma gli ossuari contenenti i residui dell’ incinerazione. E v’ ha di più : pel nostro autore, la grotta artificiale, 1’ ipogeo dei neolitici meno antichi sono una diretta imitazione o derivazione della caverna sepolcrale ligure o iberica ; i dolmen al di là delle Alpi equivalgono a quelle grotte, e sono associati ad altri monumenti megalitici, costituiti di monoliti disposti in circolo (cromlech). In riva al Ticino, si sarebbe perpetuato il recinto di pietre associato alle tombe, ma un recinto per così dire impicciolito, menomato, quasi come resto di una usanza affievolita dal tempo, un recinto non più di massi, ma di ciottoli. Ed ecco spiegati i circoli ed allineamenti di pietre, pei quali la necropoli precitata assume un carattere così spiccato e differisce da molte altre riferibili del pari alla prima età del ferro. Senonchè siffatte ingegnose illazioni hanno per base assai lievi analogie. Inoltre, come si è già avvertito per incidenza, l’affinità tra i Liguri e gli edificatori dei monumenti megalitici non è confermata dalla distribuzione geografica di tali monumenti e dai caratteri desdi scheletri umani che vi sono associati. D’ altra parte, Castelfranco, cui si debbono le più diligenti osservazioni sul materiale atcheologico estratto dai sepolcri di Golasecca, reputa che — 670 — esso ricetti le spoglie di gente affine ai palafitticoli del Lago di Varese (1). Penetrazione Celtica. — Mancano testimonianze sicure di una grande invasione od immigrazione preistorica di Celti (2) nella Liguria Marittima. Essa non è accusata da importanti relitti archeologici, da necropoli, da un rapido mutamento nei caratteri fisici degli abitanti ; ma parecchi segni e indizi accennano piuttosto ad una penetrazione lenta, che forse avvenne col trasferimento dalla Provenza alla Riviera di Ponente, e da questa al Genovesato, come pure dalla Valle del Po al litorale, pei varchi appenninici, di tribù o drappelli, i quali, stabilitisi nel paese, esercitarono sugli abitanti una influenza che andò sempre crescendo. Tale influenza si manifesta nelle incisioni rupestri del Finalese, nei caratteri di alcuni manufatti rinvenuti nelle tombe arcaiche ad incinerazione di Genova e della Liguria Orientale, come forse in quei sepolcri della Riviera di Ponente, che consistono in cocci di grandi anfore contenenti scheletri umani. Le numerose relazioni toponomastiche, verificate dagli autori nella Liguria, nella valle del Po, nella Francia e nella Spagna (intendo quelle che risalgono a tempi anteriori alla conquista romana), ebbero origine in gran parte durante la fase qui contemplata. Nel tempo stesso si (1) Revue d’Anthropologie, 3' sèrie, tome IV, N.° 4. Paris, 1889. (2) Secondo le migliori autorità, i nomi di Celti e di Galli si riferiscono al medesimo popolo, il quale si trasferì in tempi remoti dall’Oriente all Europa occidentale e meridionale; senonchè il primo è menzionato dagli autori fino dallo scorcio del VI secolo a. C., mentre il secondo non comparisce che nella prima metà del III secolo. Scillace nel suo Periplo, e più tardi Polibio, accennano a Celti che avevano sede tra i Veneti e i Tirreni, come pure nella valle del Po. Le irruzioni dello stesso popolo verificatesi in Italia, durante i tempi storici, furono sempre attribuite ai Galli, che i Greci denominavano Galati (si veda in proposito : De Mortillet G., Formation de la nation franfaise. Paris, 1897, pag. 71 e seg.) accrebbe il numero degli elementi comuni, tra gli idiomi parlati nell’ alta Italia, da una parte, e quelli dei popoli confinanti a nord e a nord-ovest, dall’ altra. Fenici, Cartaginesi, Focesi. — Verso l’undicesimo secolo della nostra èra i Fenici avevano già iniziato un traffico attivo colla Provenza e fondavano stazioni navali e fondaci lungo il litorale e nell’ interno. Si vuole che essi frequentassero una via commerciale, terrestre, per mezzo della quale, dai Pirenei orientali, raggiungevano Marsiglia e Nizza, e quindi, attraversando le Alpi Marittime, facessero capo a taluni degli empori della valle Padana. Più tardi, tramontata la prosperità di quegli Asiatici, la medesima strada, resa forse un po’ più agevole, fu battuta successivamente dai Greci e dai Romani (i). La tradizione che addita i Fenici come fondatori di Marsiglia non ha sicuro fondamento. L’epigrafe scoperta nel suolo di questa città, fin dal 1845, e che si adduce a sussidio della sua supposta origine fenicia, proviene certamente da Cartagine, e, secondo archeologi competenti, sarebbe posteriore al dominio greco. Per quanto concerne la Riviera Ligure, oltre a succinte indicazioni tramandate dagli storici greci, non conosco alcun documento relativo a relazioni che i Fenici avrebbero mantenute col nostro litorale. È tanto più singolare siffatta lacuna, inquantochè sono in buon numero e bene accertati i cimeli lasciati da questo popolo in Sardegna. Un tempio dedicato a Melkart Menuak, detto di poi Ercole Monoecus, secondo la tradizione riferita dagli storici sorgeva a Monaco; si vuole perciò che ivi fosse una antica stazione fenicia, passata più tardi sotto la dipendenza dei (1) Castanier P.( Histoire de la Provence dans Fantiquité etc. I, La Provence préhistorique et protohistorique. Paris-Marseille, 1893. — 672 — Massalioti. Castanier avverte, d’ altronde, come Portus Herculis sia da identificare con Villafranca, mentre Monoeci, rifugio navale assai meno capace (1), coinciderebbe propriamente colla capitale odierna del Principato. Che i due punti fossero ben distinti risulta anche da una citazione di Tolomeo. Si crede che per breve tempo i Greci di Rodi sieno sottentrati ai Fenici come intermediari fra l’oriente e 1 occidente. Quali relazioni corressero fra i Focesi del litorale Mas-saliota e i Liguri della Riviera di Ponente non sappiamo, perchè la storia e le tradizioni sono mute su questo soggetto ; ma, se è vero che i Greci fossero stabiliti a Nicea e a Monaco, non par possibile che non si verificassero frequenti comunicazioni, non solo fra le tre città, ma ancora fra queste e i piccoli aggruppamenti che gli indigeni avevano già formati lungo il litorale, perciocché alle prime dovevano essere necessari i prodotti di cui le seconde potevano disporre (pelli, lana, miele), in cambio dei quali erano in grado di offrire ai Liguri semiselvaggi manufatti di bronzo ed altre preziose derrate. E noto come, alla fine del sesto secolo prima di Cristo (verso il 599), Focea soccombesse ai replicati assalti di Ciro, re dei Persiani, e come gli abitanti, costretti ad abbandonare la loro città, si rifugiassero a bordo delle nav i e si trasferissero in vari punti del Mediterraneo, principalmente agli scali che già accoglievano gente della propria stirpe. Da ciò la fondazione di una cospicua colonia greca a Marsiglia (2). Un manipolo di tali profughi fece (1) Strabonisgeographica etc., vers. Miillere Diirner. Paris, Didot edit., 1853· (2) Questa colonia si iniziava col favore della tribù gallica dei Segobrigi, la quale aveva sottomessi poco prima gli aborigeni di schiatta Ligure. La tradizione, 0 meglio la leggenda, cui non conviene prestare soverchia fiducia, accenna al poetico episodio delle nozze fra il capo dei Focesi e la vezzosa figliuola del re dei Segobrigi, come a quello che avrebbe cementato l’amicizia fra i due popoli. — 673 — capo ad Alalia in Corsica, secondo la tradizione, già popolata da Liguri ; ma dopo alcuni anni, molestato dalle scorrerie dei Cartaginesi, i quali già cominciavano a battere il mare, si sarebbe ricongiunto a quei di Marsiglia, 0 avrebbe fondato, a breve distanza Agatha (Agde), verso ponente, Antipolis (Antibo), Niccea (Nizza), Moncecus (Monaco), verso levante. Non manca di molta verosimiglianza la congettura di Oberziner, secondo la quale, assai più tardi, i Massalioti avrebbero stabilito in Genova qualcuno dei loro fondaci, e si trovassero perciò in relazione coi Romani. Etruschi e Galli. — È noto come la dominazione etrusca sulle rive del Tirreno si estendesse da principio a settentrione fino a Pisa, e progredisse poi a segno da comprendere tutto il litorale fra questa città e Luni, che divenne, cospicuo emporio commerciale e marittimo. Siffatta espansione non avvenne certamente senza conflitti ; ma, siccome gli Etruschi miravano più che altro ad impadronirsi dello sbocco della Valle di Magra e del Golfo della Spezia, per agevolare i propri traffici e non tendevano a so§’&'°gare il popolo indigeno, ritengo che avesse sopratutto il carattere di penetrazione lenta e non avvenisse in conseguenza di grandi spedizioni militari. Non e inverosimile che le miniere di Serravezza, tra le Alpi Apuane, come quelle del Mesco e dei pressi di Sestri Levante, ad ovest del Golfo di Luni, fossero pure per gli Etruschi, incentivo ad estendere la propria influenza lungo 1 lidi settentrionali del Tirreno, influenza che doveva in breve affievolirsi e scomparire, non senza lasciare nella nostra Riviera un lievito di civiltà. È poi presumibile che 1 figuri provocassero con scorrerie e saccheggi le rappresaglie dei loro vicini. Mentre i Greci signoreggiavano il mare ed estendevano la propria ingerenza lungo le rive del Mediterraneo — 674 — con numerose colonie e stazioni, i Celti o Galli, da canto loro, continuavano a procedere, ed occupavano grado grado bassopiani e valli nell’Europa occidentale e meridionale. Essi erano valorosi, audaci, crudeli, dediti alla caccia ed alla pastorizia ben più che all’agricoltura. Prestanti della persona, menavano vanto delle membra gagliarde e delle fulve chiome, che portavano sciolte (spesso le tingevano in rossiccio mediante la calce viva). Solevano ornarsi il corpo di smaglianti colori e vestivano, come i Liguri, rozze pelli ferine, ma portavano armi metalliche più efficaci di quelle usate lungo le nostre Riviere. Le loro credenze religiose, come pure l’ordinamento vigente presso le loro tribù, accusano nei Galli uno svolgimento intellettuale più inoltrato di quello dei Liguri d allora. Erano invece sotto ogni aspetto di gran lunga meno civili ed evoluti dei Greci loro contemporanei, ed appunto perciò, e per la loro singolare attitudine al progresso, subirono in maggior misura d’altri popoli da prima l’influenza della coltura greca, poi la supremazia dei Latini, e la loro civiltà fu di poi improntata al suggello d’Atene e di Roma. Anche in paragone degli Etruschi e degli Italici dei loro tempi, coi quali vennero a contatto, potevano dirsi ancora barbari. Dopo aver dilagato lungo il versante meridionale della giogaia Alpina e principalmente nella Valle del Po, attirati dalla fertilità del suolo e dalla dovizia dei popoli più civili da parecchi secoli · stabiliti nel paese, i Galli penetrarono pure, senza dubbio, nelle valli settentrionali dell Appennino ligustico e lungo le due Riviere; ma è probabile non vi facessero da principio lunga dimora, perchè poco profitto potevano sperare dalla conquista di un paese aspro e povero, conquista che l'indole degli abitanti rendeva assai laboriosa. Gli elementi estranei insinuatisi pacificamente tra gli indigeni o ad essi sovrappostisi colla violenza, dopo aver — 675 — introdotto nel paese la pietra levigata, la ceramica primitiva, la cognizione del bronzo, il rito della cremazione, vi lecarono il ferro, l'ornato geometrico delle figuline, la fibula, il tintinnabulo dei sacerdoti asiatici, il segno della croce precristiano, sotto forma di svastica. Le correnti d’ incivilimento si produssero adunque in più volte, per vie diverse, risultandone stratificazioni e commistioni, che mettono a dura prova la sagacia degli archeologi e degli etnografi. Durante i primi tempi della fase siderolitica, il commercio, 1 industria, la potenza militare, quindi l’agiatezza e lai te, colle loro molteplici manifestazioni, ebbero grandissimo rigoglio in Italia, principalmente nel territorio che intei cede tra le valli del Po e del Tevere. Da numerosi centri si propagava, non solo a gran parte della penisola, ma ancora, fuori di questa, ad un certo tratto del bacino Mediterraneo e all’ Europa settentrionale ed orientale, una corrente di civiltà precorritrice di quella che doveva più tardi irradiare da Roma. A tale influenza non poteva sotti arsi la Liguria, e la vediamo infatti manifestarsi tra Luni e il Genovesato, limitata però ad alcuni punti e a centri poco popolosi. Le tombe della- via Venti Settembre dimostrano che nel quarto e nel quinto secolo prima di C. il porto di Genova era già aperto ai traffici, e come tra gli abitanti aggruppati sulle sue rive si distinguesse una classe eletta per agiatezza e coltura, la quale aveva adottato il rito della cremazione, apprezzava il fastigio dell’arte, e manteneva relazioni colla Grecia, coll’Etruria, colla Valle del 1 o e forse colla Gallia. Le armi rinvenute in alcune tombe attestano che le spoglie contenute in quei sepolcri non sono tutte di trafficanti (i). (0 Della Genova d'allora non conosciamo che i sepolcri. Essa non possedeva probabilmente edifizi in materiale, ma solo case e capanne di legno. ! — 677 — Essi, che dai più antichi scrittori furono detti Ligi, Liguiy Libiti, erano designati dai Romani col nome di Ligures e, dopo Polibio, con quello di Ligustini. Non sappiamo con qual fondamento Plutarco riferisca la voce che accusassero origine comune cogli Ambroni, popolo transalpino, noto specialmente, perchè quando, unito ai Cimbri, affrontò i Romani (i), fu sconfitto da Mario. Qui è poi da ricordarsi la lunga controversia, in ordine alla quale non saprei prender parte, circa la supposta identità od affinità degli stessi Ambroni, cogli A vibri, Ombri od Umbri, e la provenienza di costoro dalle Alpi Retiche, dalle Carniche, dalle Illiriche o da altra regione (2). Aspetto e caratteri fisici. — Non dubito che sotto il dominio romano i Liguri fossero fisicamente poco diversi dai loro antenati dei tempi preistorici ; sarebbe tuttavolta opportuno l’esporre in proposito osservazioni desunte dallo studio di avanzi scheletrici di data sicura ; ma siccome questo non è stato fatto, forse per mancanza dei materiali necessari all’uopo (3), ho pensato di esaminare la effigie di Pertinace, Ligure di nascita (si crede nativo di Albenga), d quale succedette a Commodo imperatore nel 195 di G. C., effigie che figura in parecchie monete del suo tempo (4). In essa il capo apparisce mediocremente arrotondato (me-sat'cefalo ?), a curva regolare, con arcate sopraccigliari prominenti ; il naso è lungo, diritto. I capelli son ricciuti; lunga la barba. In generale il volto loro era, secondo gli autori, allungato ed angoloso (alcu ni lo definiscono dicendolo « qua- (' ) Opera omnia etc., vers. Dcehner, voi. I, pag. 493. Paris, Didot ed., 1846 (2) Si veda in proposito: Oderico G. L., Lettere ligustiche ecc. Bassano, 1792. (3) Questi sono deficienti, non solo perchè non furono istituite all’uopo speciali ricerche, ma anche pel fatto della cremazione, adottata da gran parte dei Liguri anche prima della conquista (4) Kohen, Description historique des monnaies frappées sous l'empire rornain, tome III. paris, 1860. — 678 — drato »), colle arcate sopraccigliari prominenti. Bruno il colorito. I capelli neri, abbondanti, spesso ricciuti, incolti. La barba folta, nera, non molto lunga. La statura mediocre, il corpo esile, asciutto. Difficilmente questi caratteri dovevano essere comuni a tutti i Liguri ; così è da supporsi che allora, come adesso, quelli della Garfagnana e dei territori limitrofi fossero di statura vantaggiosa. Acconciature. — Non risulta dalle notizie tramandateci dagli storici e cronisti romani che i Liguri si tingessero i capelli; mentre, secondo la testimonianza di Diodoro, sembra fosse costume dei Galli di arrossarli, adoperando all'uopo acqua di calce. Analogamente, ai nostri giorni 1 Somali ed altri popoli dell’Affrica tropicale convertono in fulvo acceso il nero corvino dei loro capelli, impiastric ciandoli di calce. Mentre i Galli raccoglievano la capigliatura, opportunamente torta e legata alla sommità del capo, 1 Liguri la lascia\rano onde^criante sulle spalle, donde 1 epi 11* teto di cornati, col quale bene spesso vengono designa Ma probabilmente non tutti portavano la chioma lunga e sciolta. 11 nome di un villano-io del Nizzardo, Coaraza (in dialetto ciia rasa, cioè coda rasa) accenna ad un costu diverso, forse proprio ad una o più tribù. Secondo Oderico, dicevansi capillati i componenti d’ una tribù Ligure della Liguria Marittima, di cui facevano parte i Vedianzi che ave vano sede a levante degli Alpini e a ponente degli Intemeli, ma siffatta denominazione si attribuiva precedentemente a tutti i Liguri. Essi vestivano un rozzo giubbone incappuc ciato, fatto di pelli di pecore non tosate, e ne ponevano la lana sulla pelle d’inverno e al di fuori d’estate; oltre a ciò, si coprivano le spalle con pelli di fiere. Colla cintura si tenevano stretta ed alzata la tunica. Siffatto costume non era però comune a tutti. Sappiamo infatti che altri si coprivano di rozzi indumenti di lana, tessuti nel paese. % — 679 — Costumi. - Le loro armi erano archi, frecce (forse armate di cuspidi d’osso o di pietra), fionde, e più tardi spade di ferro piuttosto brevi, piccole scuri alla greghesca, scudi bislunghi, di rame, secondo la foggia dei Galli. Ebbero fama di abili frombolieri. Nell’assalire il nemico e al fine di atterrirlo, mettevano altissime grida. I Liguri si cibavano di radici, d’orzo, di frutta, bevevano acqua, latte ed un liquore fermentato, fatto d’orzo, che era sicuramente cervogia (i). Colla selvaggina e colla carne degli animali domestici si risarcivano della mancanza di biade. « Vivono, lasciò scritto Diodoro, una vita miserabile, tra le fatiche e le molestie continue di pubblici lavori, gli uni di essi tutto quanto il giorno impiegano a tagliar legname, a ciò adoperando forti e pesanti scuri, altri che vogliono coltivar la terra, debbono occuparsi in romper sassi, poiché tanto arido è il suolo che cogli istru-menti non si può levare una zolla che con essa non si levino sassi. Però, quantunque abbiano a lottare con tante sciagure, a forza di ostinato lavoro, superano la natura, sebbene, in tante fatiche sostenute, appena poi traggono uno scarso frutto; e l’esercizio continuo e il parchissimo nutrimento rendono macilenti e nervosi i loro corpi » (2). Le donne loro, indurite alle fatiche, prendevano parte ai più penosi lavori. Di queste donne narrano alcuni, che appena sgravate, immergessero il neonato nelle gelide acque d’un vicino ruscello, poi tornassero alle consuete (1) Alcuni autori asseriscono che i Liguri solevano acquistar vino presso gli stranieri, essendo scarso ed aspro quello del paese, ma così non era in alcuni punti del litorale, per esempio sulle rive del Golfo di Luni, che somministrava prodotti assai pregiati. Plinio afferma che facevano seccare le uve al sole sopra fasci di giunchi e le riponevano poi in vasi turati con gesso. Usavano spruzzare i mosti di pece, durante la prima bollitura, il vino acquistava per ciò sapore resinoso. (2) Diodoro Siculo, Biblioteca storica volgarizzata dal Cav. Compagnoni, tomo II, pag. 358. — 68ο fatiche. Svezzati i fanciulli, erano addestrati dai genitor i a prò curarsi il cibo coll’arco e la fionda. Fin dalla età più teneri|’ si stropicciavano loro le membra per renderle agii' e ^eSS1 1 '■ Le abitazioni delle tribù ligustiche, oltre ai natu ricoveri offerti loro dalle cavità delle rupi, erano mis tuguri, formati di pietre sovrapposte senza cemento, capanne conteste di rami d albero. Seneca narra che durante le guerre dei Romani i Liguri, questi si nascondevano nelle caverne, permoco ^ era cosa più facile vincerli che trovarli. La me espressione, adoperata da molti altri, divenne Pr0V are Fin da tempi remoti, i Liguri si diedero a tr a coi popoli vicini, cui somministravano legnarne, cacio, cuoio e miele, mentre ne ricevevano princip 11* 11 ΤΊ olio e vino. Secondo Strabone, nutrivano cavai ι e i i ] & rOJjG ClUcl11» di muli detti gigenii. Possedevano piccole barcn , erjcoli giusta la testimonianza di Diodoro, affrontavano di lunghe navigazioni. I galleggianti primitivi, fatd c ^ d’albero appena scavati o di legnami sostenuti gonfi d'aria, galleggianti coi quali, secondo ^erratL]-t; da avventuravano sul mare, furono ben presto s0S jelle vere navi, per le quali i boschi di querce e di 1 due Riviere fornivano la materia prima. tituita di Condizioni sociali. — La nazione Ligure era c°sU^t[ da piccoli gruppi (o tribù) fra loro indipendenti, c0 fosse un vincolo federativo. È verosimile che ogni grUP cer-to soggetto ad un capo elettivo; ma nulla sappia111 s0C}ale intorno a ciò, come pure rispetto all ordinamen Qaj di ciascuna tribù e circa la costituzione delle fam ^ niento costumi ancora vigenti nei villaggi montani, a & che l’autorità dell’uomo sulla donna e del padi fossero assolute. i i t Genova» (i) Serra G., Storia delP antica Liguria ecc., voi. 1, pag. 5· — 681 — / Le città Liguri erano al principio del dominio romano in piccolo numero e poco popolose, d ito Livio assegna in complesso alle quindici principali venti migliaia di abitanti. Dovevano essere certo più numerosi coloro che vivevano in frazioni o borgate, perciocché si afferma che ben 40000 liguri Apuani furono deportati nel Sannio per opera dei consoli Cornelio e Bebio, dopo le memorabili fazioni del 180 a. C., e che, per la vittoria di Paolo Emilio sugli Ingauni, 15000 di costoro rimasero uccisi e 2500 prigionieri. Pur facendo la parte della esagerazione, che non manca mai quando si tratta di fatti d’arme, ritengo che la Liguria Marittima (compresa la zona Apuana) contasse allora non meno di 200000 anime. Le asserzioni relative alla rozzezza e miseria dei Liguri vanno intese con certe riserve. Infatti la necropoli di Genova dimostra come in questa città vivessero fin dal V o dal IV secolo, cioè assai prima dei tempi contemplati da Strabone, Diodoro, Tito Livio, famiglie cospicue, cui non erano estranee le superfluità della ricchezza, cioè 1 fittili greci e d’Arezzo, preziosi balsamari di smalto oiientale, ambra del Baltico, bronzi cesellati, ornamenti d oro e d’argento. Condizioni poco diverse regnavano secondo ogni verosimiglianza nella Luni ligure-etrusca (1) e nei piccoli centri di popolazione rivelati dalla scoperta delle tombe di Ameglia, Cenisola, Savi-gnone ecc. Rispetto alla Liguria occidentale, se è vero, come after ma I ito Livio (2), che il bottino conseguito da L. Emilio, ( > ) Vedasi sulle intricate relazioni tra questa e la colonia romana cui si attribuì lo stesso nome lo studio diligente di G. Poggi: Limi Ligure-etrusco, e Luna colonia romana. Genova, 1904. (2) Opera omnia, voi. VII (Historiarum, XL, cap. 34), pag. 472. Torino, Pomba ed., 1826. Atti Sue. Uc. St. Patri*. Voi. XL, — 68 2 — nella sua vittoria sugli Ingauni, comprendesse venticinque corone d’oro, distintivi di capi o principi, conviene argomentarne che i costumi semplici e rudi di alcune tribù si fossero notevolmente modificati (i). Forse, come osserva opportunamente Gaetano Poggi, eli storici romani attribuivano i costumi dei Liguri della o montagna a tutta la nazione, tacendo della civiltà relativa alla quale erano assurti quelli della regione litorale; forse anche intendevano, così facendo, di menomare il significato della resistenza pertinace dei vinti. Religione — Sceverando col lume della critica le af- o # fermazioni degne di fede dalle fantastiche interpretazioni di antiche leggende, ben poco resta di positivo circa le credenze dei Liguri e il culto prestato alle loro divinità. Ammiano Marcellino fa allusione a riti che essi compivano nel folto delle foreste, le quali, come attestano molti nomi di luoghi, coprivano gran parte del nostro territorio (2). Emanuele Celesia accenna all'esistenza in λ al di 1 ia, in quella parte che tira ad Orco, presso 1 antica via militare romana, di un masso immane « in cui poteansi, non fanno ancora molti anni, riscontrare fattezze umane, posto a cavaliere di uno scheggiato burrone », e soggiunge come egli lo reputi un simulacro del Dio Pen, eponimo della stirpe ligustica, divinità tramutata poscia dai Romani in Giove Pennino. Nulla mi fu dato rintracciare di questo masso, come di « altro strano macigno a somiglianza eh dolmine », in cui il medesimo autore s’imbattè nei pressi _ (1) Di queste corone, come pure delle armi adoperate dai Liguri quando si opponevano alla conquista romàna, non possediamo avanzi che ci permettano fondati riscontri etnografici. È probabile che le prime somigliassero ni diademi rinvenuti nelle tombe iberiche della prima età del ferro nella Spagna e nella Sardegna. (2) Stanno a designare selve o boschi le antiche denominazioni locali di IJbaga, Ubago, Ubaghetto, Ubega, ecc. — 683 — di Taro dei Muti, sul Monte Gracchiolo, in Val di Tanaro, macigno che la tradizione popolare addita come antichissimo altare (i). Non pare che alcun macigno o accatastamento di rupi osservato sull’Appennino e sulle Alpi Liguri abbia i caratteri di monumento megalitico. Se pure fosse tale, mancherebbero dati positivi per attribuirlo alla stirpe indigena, alla quale, come dissi, non credo sieno dovuti i geroglifici ed altri segni incisi sulle rupi fra le Alpi Marittime e nel Finalese. Il Dio Italico, cioè il Dio Ligure non discende sulla teria ne partecipa direttamente ai negozi dell’uomo, scrive Celesia, e palesa la sua volontà con presagi, visioni, voli d augelli, schianti di fulmini. Pur troppo, io soggiungo, 1 indomito avversario del dominio romano, portò seco nella tomba il segreto delle sue divinità e dei suoi culti, e solo ci e dato argomentare dagli indizi che ci forniscono antichi sepolcreti come fosse ferma in lui la fede in una vita futura. I acendo derivare Joventio da Jovis, Desimoni immagma che i popoli Liguri .avessero venerato Giove sulle vette dell Appennino Genovese. G. Poggi sostiene la tesi che Joventio e semplicemente la traduzione di Zuvu o Giovo, e ìespinge le ipotesi fondate sopra una antica teogonia ligure più o meno affine al paganesimo greco-romano. I classici ci tramandarono il ricordo di un Pen, che adempieva all ufficio di Giove, di un B or man, dio del mare, di un Alar, che sopraintendeva alla guerra, di un Teut, emulo di Mercurio, venerati dai Liguri; ma queste divinità, per la stessa loro parentela con quelle dell’Olimpo clas-Slc°> c' s* manifestano ben più romane che indigene; (i) Le teogonie dell'antica Liguria. Atti del R. Istituto Tecnico, ind., prof. — Genova, 1868-1869. — 684 — laonde possiamo affermare che delia teogonia locale ci limane poco più di qualche nome di incerto significato. Dopo la conquista gli abitanti delle due Rivieie e dei monti che fanno loro corona abbandonarono le ciedenze e il culto aviti per convertirsi al Cristianesimo. 11 paganesimo greco romano dei Liguri fu praticato anche prima della conquista con zelo, o almeno con solenni e pubbliche manifestazioni, nei precipui e più civili centri di popolazione, dalla gente altolocata per uffici o per rie chezze, dai magistrati, dalla milizia, ma non dal ceto più umile, dagli abitanti dei villaggi sparsi sulle montagne e nelle alte vallate, i quali conservarono a lungo le antiche superstizioni. Diedi conto del ritrovamento nella caverna ossifera di Bergeggi di scheletri umani, accompagnati da numerosi manufatti, gli uni di carattere preistorico, gli altri riferibili all’età romana e in parte anche al medio evo. Orbene il Sig. Salino, prima di tali scoperte, aveva chiamato l’attenzione degli studiosi sopra un brano di una antica scrittura (i), desunta dalle memorie di Tiziano (vescovo di Treviso vissuto nel VII e nell’Vili secolo) in cui narra come Vindemiale e Sant’Eugenio, reduci dall Affrica, nel I secolo dell’era volgare (sic), approdarono al castello Sauense e poi al Vadense, e colà convertirono colla predicazione una moltitudine di pagani. « Moltissimi di questi vi erano, riferisce l’accennata scrittura, i quali ingannati dal demonio, lasciando di adorare Dio creatore dell universo, una esecrabile bestia dentro una spelonca, con vanissimi sentimenti adoravano e con sacrilego scelleratissimo rito gli offrivano ogni giorno vittime e sacrifizi ». Avendo ciò saputo i due vescovi, prosegue lo scritto, armati del segno della croce, si accostarono intrepidi e pieni di fiducia alla (i) Giudici, Notizie storiche di Sant'Eugenio. Ancona, 1744· - 685 — spelonca, in cui stava la bestia e postevi sopra le mani, la legarono colla stola pel collo, e trattala fuori della caverna andarono a sommergerla nel mare (i). Le pratiche alla quale si riferisce l’episodio raccontato, non senza qualche amplificazione che consegue dalle circostanze e dai tempi, non sono altro certamente che residui di un antichissima idolatria professata dagli indigeni. Date le condizioni dei luoghi, non molto diverse dalle attuali, durante i primi secoli di C., la spelonca prossima al Castello Vadense alla quale si allude non poteva essere che quella di Bergeggi, vetusto sepolcreto e dimora dei Liguri, occupata durante la fase neolitica e posteriormente ad intervalli più o meno lunghi, cioè al principio dei tempi storici e durante i primordi del cristianesimo. Indole. — Gli storici romani si mostrano in generale poco benevoli pei Liguri, dipingendoli come scaltri, sleali, insidiosi, dediti alla rapina. Catone li dice anche illetterati e mendaci. Siccome non sapevano indurre i Liguri a cimentarsi contro forze preponderanti, i nemici loro asserivano fosse più facile vincerli che trovarli; e, per giustificare i crudeli eccessi della conquista, solevano dipingerli coi più foschi colori, accusandoli di menzogna, di furto, di tradimento. La verità è che al pari dei barbari o semibarbari, e specialmente dei montanari, che ebbero a combattere eserciti agguerriti e disciplinati di gente più civile, i Liguri non risparmiavano gli agguati e le finte, ciò tanto P'ù, trattandosi di sottrarsi alla servitù, di difendere il sacro retaggio della terra nativa. Essi ben conoscevano il terreno aspro e difficile, che era teatro della fiera lotta, mentre era ignoto o quasi agli invasori. Scomparivano in breve quando la sorte della battaglia si volgeva loro contraria, piombavano sul nemico, allorché meno se l’aspettava e (i) Salino, Boll del Club Alpino Ital , 1877, pag. 501. — 686 — nei punti in cui gli accidenti del terreno impedivano alle schiere di spiegarsi. Dei drappelli isolati, che si lasciavano cogliere all’improvviso, menavano strage, non curandosi d’ordinario di far prigionieri, perchè non avrebbero saputo come custodirli ed alimentarli. Dei Liguri menzionati nelle più antiche memorie storiche si afferma che fornissero contingenti alle milizie mercenarie, assoldate ora da questa ora da quella nazione (i), per le più arrischiate imprese guerresche ; ciò spiega come fossero più temuti che amati, e come acquistassero perizia nella guerra e nella navigazione. Che la guerra combattuta tra i Romani ed i Liguri fosse guerra a morte, lo dimostra l’episodio seguente, narrato da Lucio Floro e confermato da altri. Terminata la prima guerra punica, scrive il primo, i Romani furono costretti a pigliar l’armi contro i Liguri i quali abitavano su per le cime dell 'Alpi, fra la Magra e il Varo, nascondendosi nei boschi e nelle spelonche, laonde si durava maggior fatica a ritrovarli che a vincerli, tanta era l’asprezza e la fortezza dei luoghi Essi scorazzavano per tutti i territori vicini, rubando e saccheggiando senza voler combattere, quantunque fingessero talvolta d’impegnar zuffa coi loro vicini. Avendo i Romani mandato contro costoro Fulvio, egli ritrovò con gran sagacia le spelonche e gli altri segreti rifugi in cui si nascondevano e, chiuso col fuoco ogni varco, li abbruciò e così li vinse (2). Per comune consenso i Liguri si distinguevano per la semplicità dei costumi, la sobrietà, la sveltezza, la resistenza alle fatiche e alle privazioni, e sopratutto per l’indomito coraggio. In codesto paese, scrive Diodoro « le donne hanno la robustezza degli uomini e gli uomini quella (1) Herodoti Historiarum, recens. Dindorf (Liber VII), pag. 72 e 364. Paris, F. Didot, ed., 1844. (2) Salluste, J. César etc., trad. Nisard, pag. 646. Paris, F. Didot, ed,, 1879. — 687 — delle fiere ». E non solo erano arditi e forti in guerra, ma anche nell’affrontar le procelle, colle loro umili barchette, fin nei mari della Sardegna e della Libia. L’effigie che l’autore precitato traccia dei Liguri contrasta singolarmente con quella che egli ci porge dei Galli, di cui scrive: « Amano amplificare con iperbole le proprie lodi e di mostrar disprezzo per gli altri. Sono minacciosi, superbi ed esageratori in tuono tragico; altronde acuti d’ingegno; nè incapaci di buone discipline». E merita considerazione tanto più siffatta diversità di giudizi, rispetto alle due nazioni, inquantochè, quando vennero in contatto dei Romani, alla estremità occidentale della regione ligustica, esse erano già fra loro in parte compenetrate e fuse. Tacito riferisce come, durante la fiera lotta che si impegnò fra i fautori di Vitellio e di Ottone (69 di C.), presa da questi ultimi Ventimiglia, avvenisse che una donna della città, avendo nascosto il proprio figliuolo per sottrarlo al pericolo, fosse sottoposta a minacce e tormenti perchè svelasse il nascondiglio, in cui speravano trovar ricco bottino. Alle insistenti domande che le rivolgevano, rispondeva impavida, alludendo al figlio, « è qui in me stessa », nè gli strazi l’indussero a parlare altrimenti (r). Trascrivo quasi testualmente, qui appresso, un episodio della guerra combattuta dai Romani, capitanati da Mario, contro i Numidi, quale è narrato da Sallustio: Non lungi dal fiume Muluca, che serviva di confine fra i domini di Bocco e quelli di Giugurta, sorge in mezzo ad una pianura uniforme, un’altissima rupe isolata, sulla quale era costruito un castello non molto grande, ma fortissimo per la posizione eminente, cui non si poli) C. Cornelii Taciti opera etc., ree. Oberlin (Historiarum, Lib. Il, caP· *3)) voi. Ili, pag. 153 Torino, Pomba erìit., 1820. — 688 — teva accedere che da angusto sentiero. Un Ligure, semplice soldato delle coorti ausiliari, uscito dal campo per procurarsi acqua, verso la parte del castello opposta a quella nella quale era investito, osserva per caso delle lumache striscianti in un crepaccio della rupe. Ne raccoglie prima una, poi due, poi in maggior numero, e così, sollecitato dal desiderio ai adunarne altre ancora, ascende grado grado lino al sommo della balza. Fatto sicuro di non essere visto, obbedisce alla curiosità propria all uomo, che lo sollecita ad esaminare quei luoghi a lui ignoti. Ivi una grossa quercia era penetrata colle proprie radici nei crepacci della roccia; il suo tronco, da prima inclinato si era poscia raddrizzato in direzione verticale secondo la legge comune a tutte le piante. Il Ligure, appoggiandosi ora ai rami, ora alle sporgenze della rupe, può a suo agio esaminare la spianata del castello e vede che i Numidi sono tutti occupati a difendersi dagli assedianti. Dopo aver fatto queste osservazioni, delle quali intendeva tosto trarre profitto, scende per la stessa strada, ma non senza riflettere come fosse salito, sibbene scandagliando il terreno ed esaminando ogni cosa con cura. Riferita la scoperta a Mario, questi si assicura che il Ligure ha detto il vero, e dispone che, guidati da costui, alcuni trombettieri e quattro centurioni si arram-pichino furtivamente su per la balza fino alla spianata del castello. La piccola comitiva adempie mirabilmente alla missione affidatale, e giunge alle spalle degli assediati, che ignari del pericolo combattono fuori degli spalti. All’improvviso squillare delle trombe, i Numidi, che non s’aspettano di essere aggrediti da quella parte, fuggono in disordine, mentre i Romani profittano della confusione per dar la scalata alle mura ed opprimere il nemico sbigottito; e così s’impadroniscono facilmente della fortezza, che da — 689 — lungo tempo stringevano d’assedio, tentando sanguinosi assalti, i quali a causa dell’asprezza dei luoghi, erano risultati inutili (1). 1 L iguri in conflitto coi Romani. — Malgrado la reiterata intrusione di gente diversa e le relazioni intervenute fra gli abitanti della Liguria Marittima e parecchi altri popoli, non si può asserire che i primi avessero subito alterazioni profonde. Se in alcuni punti della Riviera Orientale e a Genova stessa si erano adottati i costumi degli Italici, altrove continuavano a mantenere l’antico modo di vivere quando vennero in contatto coi Romani. Non è mio compito il ricercare come e perchè i Liguri si trovassero fatalmente interposti fra la potenza dei Romani, pervenuti al loro apogeo, e gli obbiettivi cui mirava la loro politica, non è tampoco mio compito (nè avrei competenza e lena sufficienti all’uopo) rievocare gli episodi della epica lotta che s’ impegnò fra la potente repubblica e le tribù semibarbare sparse lungo il litorale del golfo di Genova. Mi basti ricordare come, quantunque gli assalitori fossero agguerriti e numerosi, sia per Γ indole fiera e indomabile degli indigeni, compresi della necessità di combattei e fino all’estremo per sottrarsi alla servitù, sia per la natura dei luoghi, affatto sprovvisti di strade (2) e in gran parte coperti di impenetrabili selve, la lotta si protrasse (1) Cali Crispi Sallustii opera omnia, pag. 298 (Lib. XCI1). Torino, G. Pomba ed., 1827. (2) Le vie battute non erano allora che sentieri appena praticabili a gente avvezza a superare ogni ostacolo, attraverso ad impetuosi torrenti e rupi scoscese. Si noti che le forre per le quali corrono alcuni dei principali torrenti, come la Vesubia, la Roia, la Nervia e l’Argentina, non consentivano all’uomo di risalire direttamente dalla foce allo spartiacque, laonde le comunicazioni tia vari punti della stessa valle erano assai più difficili che non al presente, richiedevano cioè, laboriose ascensioni e discese a precipizio. — 690 — a lungo con alterne vicende, più volte rinfocolandosi quando pareva prossima al suo termine. Nella tenzone quasi secolare spiegarono mirabile pertinacia e resistenza i Liguri Alpini, da una parte, e gli Apuani, dall’altra, mentre i Genuati, forse perchè più civili, ed altre vicine tribù, compresero ben presto come fosse vano opporsi alla potenza preponderante di Roma e le furono, anziché nemici, efficaci ausiliari, quando non mantennero verso eli invasori relazioni di benevola neutralità. o L’attitudine di Genova alleata dei Romani, nella prima . guerra punica, durante la quale Asdrubale ebbe efficace sussidio, appena penetrato in Italia, da ben 8000 Liguri Alpini (1), fu causa che la nostra città soffrisse poi incendio e saccheggio per opera di Magone, nel 205 a. C.; ma dopo due anni risorgeva, col concorso del senatore Lucrezio, e d’allora in poi si rendevano sempre più intime le sue relazioni con Roma. Il sontuoso trofeo della 1 urbìa col quale Augusto volle perpetuare il ricordo delle sue vittorie sugli Alpini (anno 741 di R.) risultò pure il monumento funebre della ligure indipendenza, irreparabilmente perduta (2). La lunga guerra ebbe per epilogo non solo le reiterate sconfìtte dei Liguri, ma anche la loro scomparsa dal novero delle nazioni, e quasi direi da quello dei popoli, tanto fu energica l’azione assimilatrice esercitata prima di tutto dai vincitori, poi dalle invasioni barbariche. Perciò li ritroviamo col rinascimento assai mutati sotto tutti gli aspetti. (1) Oberziner G., Le guerre di Augusto contro 1 popoli alpini. Roma, Loescher ed., 1900. (2) 11 magnifico edifizio, convertito, per l’azione del tempo e l’incuria degli uomini, in rudere sconnesso e privo della maggior parte dei suoi marmi, è ora oggetto di accurate indagini archeologiche e di lavori di risarcimento per opera della benemerita Société fran(aise des fouilles archéologiques. 691 — Caduti sotto il giogo e fattesi più agevoli e frequenti le relazioni loro coi dominatori e coi popoli vicini, i Liguri 0 piuttosto quelli fra essi che seppero porsi in armonia col nuovo ordine di cose, si dedicarono con maggior attività alla pastorizia, alla coltura e al traffico. Fino a tempi poco lontani da noi furono però mediocri agricoltori, ciò tanto per indole quanto pel fatto che disponevano di terre in gran parte sassose ed ingrate; ma specialmente si svilupparono presso gli abitanti delle due Riviere, di pari passo colle attitudini commerciali e industriali, singoiar perizia nelle costruzioni navali e nel navigare, per la quale superarono 1' Greci, che certo furono loro primi maestri. Erano riuscite di prande incentivo a siffatto indirizzo della gente ligure le guerre puniche, per le quali i Romani ebbero mestieri di procurarsi in ogni parte d’Italia bastimenti e marinari, l’abito del pirateggiare, comune in quei tempi a tutti coloro che battevano il mare; più tardi fu favorito dalla necessità dei popoli del litorale di respingere le aggressioni dei Saraceni e di rintuzzarne l’audacia sempre crescente, e infine dalle crociate. 11 primo documento storico, autentico, della Liguria romana (intendo per tale quella che, pur essendo indi-pendente dal punto di vista politico, subiva tuttavolta la egemonia della città eterna) può dirsi la celebrata tavola di Polcevera, scoperta nel 1506 presso Pedemonte. Si tratta, come tutti sanno, di una sentenza arbitrale pronunziata 1 17 anni a. C. in Roma, da Ouinto e Marco Minucii, per definire, certe vertenze insorte fra Genuati e Vituri di Langen, circa le relazioni di vicinato dei due popoli, i confini del rispettivo agro pubblico e privato, il godimento di compascui, e per risolvere questioni d’ordine personale, subordinate a diritti controversi e a conflitti di giurisdizione. Ricorderò solo in proposito come il prezioso documento, interpretato in prima da Giustiniani, poi da Gero- — 692 — lamo Serra e da Mommsen, studiato e commentato da valenti archeologi e storici, fra i quali Sanguineti, Grassi e Desimoni, illustrato recentemente sotto nuovi punti di vista da Gaetano Poggi (i), sia ricca miniera di materiali relativi alla geografia antica, alla toponomastica, alla • \ · etnografia della Liguria, e dimostri come il paese già si fosse acconciato in quel tempo alla supremazia di Roma e ne avesse in gran parte accettate la lingua e le usanze (2). Il Cristianesivio. — I Liguri di quei tempi, fieri e bellicosi, violenti, vendicativi, molti dei quali professavano il feticismo primitivo, inspirato a paurose superstizioni, mentre altri, per convenienza politica o per necessità, avevano accettato il paganesimo greco-romano imposto dai dominatori, in virtù di quella legge dei contrasti che spesse volte si mmifesta nella natura umana, erano ben predisposti ad abbracciare la fede fondata sulla infinita misericordia divina, sull’affratellamento degli uomini, sulla esaltazione degli umili e degli infelici, sul perdono delle offese. Quando i primi apostoli penetrarono nella nostra regione per annunziarvi la buona novella non vi trovarono, infatti, come nella Grecia, nella Sicilia, nell’Apulia, nella Campania, nel Lazio, una plebe, che professava l’antico politeismo, in armonia colle sue aspirazioni ai godimenti materiali, alla sua indole frivola e leggera, non vi trovarono una aristocrazia intellettuale, corrotta, versata nella dialettica e nella critica, gente per la quale una dottrina filosofica teneva luogo di religione; ma un popolo semplice, rude, temprato alla scuola della sventura, un popolo insensibile alle lusinghe della fantasiosa mitologia greco-romana, il (1) Atti della Società Ligure di Storia Patria, voi. XXX. Genova, 1900. (2) Emerge pure dalla tavola di Polcevera l’importanza che si attribuiva ai pascoli e all’esercizio della pastorizia nella Liguria d'allora. — 693 “ quale apriva l’animo avidamente alle speranze della su prema giustizia e della pace perenne (i). Se i seguaci delle nuove dottrine ebbero a soffrire da principio persecuzioni e tormenti, ciò fu per fatto della gerarchia romana ben più che per ostilità degli indigeni. Ad Intemelio il cristianesimo fu professato fin dal primo o dal secondo secolo, come l’attesta il sepolcro di Maja Paterna, illustrato da Girolamo Rossi (2). I santi Nazario e Celso, sottrattisi colla fuga alle persecuzioni che infierivano in Roma sotto l’infausto regno di Nerone, sarebbero stati i primi ad esercitare l’apostolato cristiano fra i Genuati, procacciando alla fede numerosi proseliti, secondo una tradizione, che addita pure come luogo del loro approdo in Liguria quello in cui sorge il piccolo tempio dedicato ai due santi sul lido d'Albaro, ove poco innanzi, come dice una vetusta epigrafe, era un recinto consacrato agli dei mani (3). Verso la fine del secondo secolo, per opera di S. Barnaba e di S. Calocero, la nuova fede si diffondeva fra gli Ingauni (4). S. Marziano, adempì dicesi ad analoga missione (1) Così è avvenuto nei giorni nostri che le missioni cattoliche e protestanti cogliessero i migliori frutti presso i barbari adoratori di feticci dell’Af-fi ica centrale, mentre i tentativi loro risultavano vani, nello stesso continente, piesso la gente più evoluta che professava 1’ islamismo. (2) Rossi G , Storia della città e diocesi d'Attenga. Albenga, Tip. Cra-viotto, 1870. — Atti della Società Ligure di Storia Patria, voi XXXIX, pag. 106. Genova, 1907. (3) L’ opera apostolica dei santi Nazario e Celso, che S. Lino, successore di I ietro, inviava ad evangelizzare i Lombardi, è chiaramente ricordata da S. Pier Damiano; così F. Alessio. Tuttavolta il P. Savio qualifica la tradizione di leggenda e mette perfino in dubbio l’esistenza dei due apostoli. (4) Autori accreditati attestano che S. Barnaba visitò predicando parecchie citta del Piemonte e della Lombardia, come pure Genova ; ma altri ritengono clic dell’ opera sua non si potrebbe addurre alcuna traccia sicura all’ infuori del culto antichissimo prestatogli in buon numero di templi. A S. Calocero si attribuiscono molte conversioni compiute nella nostra regione, e si afferma che sia caduto vittima della fede in Albenga. Questa circostanza è però messa in dubbio da Semeria (Secoli cristiani della Liguria. Torino, 1843). — 694 — ad Acqui e a Tortona, con sacrifizio della vita. Si ricordano ancora, tra i fasti del secondo secolo, un Ponzio vescovo di Cimella ed apostolo delle Alpi Marittime, ed Anatolio primo vescovo di Milano, il quale, al pari di parecchi suoi successori, avrebbe esercitato il suo ministero anche nella regione ligustica. S. Dalmazzo, che soffrì il martirio nel 254, poco prima predicava il vangelo presso gli Ingauni, gli In te meli e i Vagienni. La fede cristiana fu apertamente abbracciata, con minor sollecitudine, dalle tribù del Genovesato e della Riviera di Levante, presso le quali era più inoltrata l’assimilazione alla civiltà latina. I più autorevoli scrittori son concordi nel lamentare l’oscurità profonda che avvolge i primi secoli del cristianesimo, così in Italia, come nelle Gallie (1). Alla penuria di documenti non è estranea la prescrizione di Diocleziano, intesa a distruggere le memorie concernenti i primordi della nuova fede. Sono poi assai divergenti i pareri circa i progressi che essa fece durante i primi due secoli. Fra il terzo e il settimo secolo una congerie di popoli, che agognavano il godimento delle terre feraci e del mite clima della penisola italiana, attirati eziandio dalla lusinga di appropriarsi le ricche spoglie che Roma aveva accumulate nei propri domini, dilagava dal settentrione e dall'oriente dell’impero, già affievolito per la corruzione e la discordia. Le più antiche incursioni dei Burgundi e dei Longobardi, verso la metà del terzo secolo di C., non raggiunsero a quanto pare le due Riviere, nelle quali non erano attirati da sontuose città, da cospicui empori e da campi (1) Allard, Histoire des persécutions pendant les deux premiers siecles etc. Paris, 1903. Alessio F., I primordi del Cristianesimo in Piemonte ed in panie, a Tortona. Pinerolo, tip. Chiantore Mascarelli, 1905. — 695 — ubertosi, ma più tardi la Liguria occidentale fu reiteratamente depredata dalle orde dei Visigoti di Alarico, poi dagli Alani capitanati da Radagasio. Più infesta ancora fu nel 409 una seconda calata di Alarico, per la quale molti abitanti del litorale ripararono in Corsica o in Sardegna affine di sottrarsi alla strage. Nel quinto secolo della nostra era la potenza romana non dà più in Occidente che qualche sprazzo e poi si estingue. Genova e le altre città del nostro litorale attraversano allora, al pari di Marsiglia e delle sue colonie, una fase di oscura decadenza. Si attribuisce ai Longobardi la distruzione di Ceme-neleum, avvenuta verso il 475, e a Gundebaldo, re dei Burgundi, di aver funestato la Liguria nel 490. Acqui cadde una prima volta sotto il dominio dei barbari nel V secolo, e più tardi fu depredata da Alboino (568). Nel 641 Rotari mise a ferro e a fuoco Genova e Luni. I Longobardi signoreggiarono quasi tutta la Liguria in gran parte del sesto secolo e del successivo. Collo sfacelo del mondo romano, e mentre non si erano ancora saldamente costituiti gli aggruppamenti nazionali e comunali, che dovevano risultare in Italia dal dominio dei barbari, si rese vieppiù infesto il regime dell’ arbitrio e della violenza, cui da principio il cristianesimo non poteva opporre argine efficace. La fede professata dai barbari si manifestava d’altronde nelle pratiche esterne del culto Ijen più che nella osservanza dei precetti. Inoltre le sette, tra le quali erano scissi i credenti, opponevano grave ostacolo all opera mitigatrice della religione. Rotari e i suoi Longo-bardi, ascritti alla eresia ariana, a cagione d’esempio, da ciò traevano motivo o pretesto per incrudelire sui cattolici. Così avvenne che la stirpe indigena subisse per successive intrusioni mutamenti profondi. Gli elementi stranieri formarono allora in gran parte, come dimostrò •— 696 — Oberziner, l’aristocrazia del patriziato, della milizia, della magistratura, del sacerdozio, restando i superstiti dell an tica schiatta a costituir la plebe. Non erano cessate ancora le irruzioni dei settentrionali, che incominciarono le scorrerie dei Saraceni non meno esiziali alla Liguria. Si attribuisce ad essi la distruzione avvenuta durante il 646 di quanto era rimasto in Lum dopo l’impresa di Rotari. Più tardi ebbero una stazione al Capo Ferrato, dalla quale padroneggiavano il litorale fra Nizza e Albenga. Fondarono poi un campo trincerato Ventimiglia e s’impossessarono di Porto Maurizio. Alla fine del IX secolo e al principio del successivo, risalendo per le valli che sboccano al Golfo di Genova, depredarono o taglieggiarono città e villaggi della regione montana ed anche buon numero di quelli del versante settentrionale. Nel 936 saccheggiarono Genova stessa. Ed ecco in qual modo, col volgere dei tempi, si mu^ tarono le condizioni sociali, i costumi e gli stessi caratteri antropologici dei Liguri, di cui mi sono studiato di ab bozzare l’effigie. L’evoluzione si continuò più o meno lenta nel perio o delle crociate e nell’evo moderno; finche ai giorni nostri, in virtù di mutamenti profondi che agitarono 1 Italia tutta, e le nazioni sorelle, è venuta acquistando un impulso di gran lunga maggiore. Nella estremità occidentale della Riviera Ligure, divenuta in parte frazione di un dipartimento della vicina repubblica e in parte principato di Monaco, 1 elemento indigeno tende a scomparire, assorbito dalla marea inter nazionale e specialmente francese, che affluisce a questo lembo di terra, cui natura fu tanto prodiga dei suoi doni. 11 rimanente del litorale ligustico, in virtù della emigra zione, che sospinge gli indigeni a lontane plaghe, pei fatto di numerosi stranieri, qui convenuti per godere del mite eli m — 697 — e dei ridenti paesaggi, come pure per l’affluenza di Italiani d ogni provincia (che accorrono in cerca di lavoro, allettati dalle alte mercedi, ove più ferve l’attività dei traffici e delle industrie), vede il suo popolo rinnovarsi e trasformarsi rapidamente; laonde dei Liguri preistorici di cui raccogliemmo con amore le vestigia non rimangono più che scarsi relitti, destinati a scomparire (i). Ci conforti il pensiero che, di pari passo colla decadenza e coll’ estinzione del popolo Ligure primitivo, si plasmava, ed ora si svolge rigogliosa, un’altra unità etnica nazionale, più grande e più gloriosa, nella quale si trasfonde con quella di nobilissime stirpi di provenienza diversa, 1 anima e l’energia degli antichi aborigeni. Volgano propizi gli eventi a quella che gli Italiani, non indegni di tal nome, venerano ed amano come madre ! (0 Dalle misure ottenute sopra 7215 soldati liguri, nati a meno di 400 m. idine, il maggiore R. Livi desume un indice cefalico medio di 82.3; entre da quelle di altri 739 individui nati superiormente a 400 m. ricava ice di 82.7. Pur sottraendo a tali cifre due unità, per renderle com-P i aali indici desunti dai teschi fossili, risulta manifesta la brachicefalia Liguri odierni, in confronto degli antichi, fra i quali la dolicocefalia era assai prevalente (Antropometria militare. Roma, 1896). uftrida Ruggeri ha studiato recentemente il cranio ligure moderno, con roncandolo col siciliano. Dall’esame di 57 maschi e 68 femmine delle P inde liguri, desume che nel 38.6 della serie maschile e nel 55.5 °/0 e la femminile l’indice cefalico è superiore ad 80 ; nelle due serie mancano & 1 indici più bassi. Le forme dominanti (46 maschi e 60 femmine) sono mediterranee, le rimanenti (9 maschi e 8 femmine) eurasiche (Atti della oc. Romana d’Antropologia, voi. XIII, η. I. Roma, 1907). Atti Soc. Lig. St. Patri*. Voi. XL. BIBLIOGRAFIA PALETNOLOGICA DELLA LIGURIA Allan T. — Skelch of thè geoio gy of thè environs of Nice. Trans, of thè royal Soc. of Edinburgh, tom. Vili. Edinburgh, 1818. Amerano G. B. — Scoperta d’una stagione paleolitica contemporanea al grande orso delle caverne in Liguria. Bull, di Palet. Ital., anno XV, n. 3 a 6. Parma, 1889 — Dei vasi colorati e dipinti a disegni geometrici delle caverne del Finale. Bull, di Palet. Ital., anno XVII, n. 537. 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Perrando); '/> della grand, nat......... η — Pugnale di selce, di Stella S. Martino (Coll. Perrando), /2 della grand, nat.......‘ ^ 8 — Pugnale di selce, di Palo (Coll. Perrando); ‘/? della grand, nat. 9 — Punta di freccia 0 di lancia di piromaca. S. Giustina (Museo geol. di Genova); grand, nat. ■ 10 — Punti di freccia o di lancia di selce. Mioglia (Coll. Pei rando); grand, nat....... 11 — Punteruolo di selce a doppia punta, dei Balzi Rossi ( useo geol. di Genova); grand, nat...... 12 — Punta di selce, dei Balzi Rossi (Museo geol. di Genova); grand, nat. ...... 13 - Punta di selce, dei Balzi Rossi (Museo geol. di Genova); grand, nat..................’ 14 — Selce romboidale dei Balzi Rossi (Museo geol. di Genova), grand, nat.....· 15 — Peso arcaico di Sassello (Coll. Perrando); dimens. assai ridotte..........’ 16 — Accetta triangolare di pietra verde, di Sassello (N useo civico di Genova); grand, nat.....· iy — Accetta linguiforme di pietra verde, del Monte Giovo (Museo geol. di Genova); 3/4 della grand, nat. · 18 — Accetta di ofisilice, di Nizza (Museo geol. di Genova); grand, nat........’ 19 — Zappetta di anfibolite, di Giusvalla (Coll. Perrando), /2 ^ ^ della grand, nat. . . ■ · · · ‘ 20 — Accetta forata ad uso di talismano, di Sassello (Co . ^ ^ Perrando); circa ‘/2 della grand, nat. 5° 5° 52 52 52 52 53 57 57 59 — 715 — Fig. 2i — Bipenne del Nizzardo (Angelucci); '/5 della grand, nat. Pag 22 — Testa di mazza ad anello di giadaite. Caverna delle Arene Candide; dimens. assai ridotte ....... 23 — Ascia di bronzo, della caverna del Sanguineto (Col Rossi); dimens. ridotte...... 24 — Accetta di bronzo, di Bobbio (Coll. Perrando); dimen ridotte ......··· 25 — Pugnale di bronzo, di Santa Giustina (Coll. Perrando dimens. ridotte .... · 26 — Pala di legno, della miniera di Libiola; dimens. ridotte 27 — Mazzuolo di pietra, della miniera di Libiola; dimens ridotte.......... 28 — Coltello di bronzo a lama ondulata, della caverna del San guineto (Coll. Rossi); dimens. ridotte 29 — Braccialetto di bronzo rinvenuto a Loco (Prop. Issel); grand, nat........... 30 — Olla di terra cotta, a bocca quadrangolare, della caverna delle Arene Candide (Coll. Morelli); dimens. ridotte . 31 — Ciotola di terra cotta, a margine svasato e ansa tubiforme, della caverna Pollerà (Coll. Rossi); dimens. ridotte . 32 — Bicchiere a campana di terra cotta, della caverna Pollerà (R. Museo etn. e preist. di Roma), circa r/2 della grand, nat. 33 — Sezione verticale di calice biconico, della caverna Pollerà (Coll. Morelli); T/3 della grand, nat...... 34 — Coccio con ornamenti impressi, della caverna delle Arene Candide (R. Museo etn. e preist. di Roma); l/2 della grand, nat. 35 — Coccio con ornam. meandritormi e fori, della caverna delle Arene Candide (Museo civico di Genova); '/2della grand, nat. 36 — Coccio con fregio formato di incavi riempiti di pasta bianca, della caverna Pollerà (Museo geol. di Cenova); grand nat. 37 — Tazza a fregio denticolato della caverna di Bergeggi (Coll. Rossi); circa '/$ della grand, nat...... 38-39 — Cocci di vasi con manichi crenati, della caverna delle Arene Candide (Museo civ. di Genova); dimens. ridotte 40 — Fondo di ciotola con ornato a stampo, della caverna delle Arene Candide (Museo geol. di Genova) ; dimens. assai ridotte 41 — Olla dipinta della caverna Pollerà (Coll. Rossi); dimens. ridotte......... 42 — Olla con graffiti a ghirigori irregolari, della caverna delle Arene Candide (Coll Morelli); circa >/2 della grand, nat. . 43 — Coccio di vaso tornito, di fattura romana, con fregi di tipo neolitico. Caverna delle Arene Candide (Coll. Rossi); dimens. ridotte......... 44 — Lampadina in terra cotta della caverna Pollerà (Coll. Rossi); dimens. ridotte......... 45 — Figurina in terra cotta rappresentante un uccello, della caverna Pollerà (Coll. Rossi); dimens. ridotte 67 67 100 102 102 102 102 103 104 107 107 108 108 I 11 I I I 112 112 113 114 114 117 117 119 119 — ηιό Fig. 46-47 — Pintaderas di terra cotta, della caverna Pollerà (Coll. Rossi); dimens. ridotte......· » 48 — Pintadera a base rettangolare, della Gran Canaria (Verneau); grand, nat.........· » 49 — Pintadera a base circolare, della Gran Canaria (Verneau); dimens. ridotte........ » 50 — Pintadera a rullo, della caverna delle Arene Candide (Coll. Morelli); dimens. ridotte.....· » 51 — Pintadera a oliva, della caverna delle Arene Candide (Coll. Morelli); dimens. ridotte.....· » 52 — Frammento di mandibolare sup. sinistro dell’antropoide di Savona (Museo geol. di Genova); grand, nat. » 53 — Clavicola sinistra dell’ antropoide di Savona (Museo geol. di Genova); grand, nat......· » 54 — Frammento di perone dell’antropoide di Savona (Museo geol. di Genova); grand, nat..... » 55 — Supposte vertebre caudali dell’antropoide di Savona (Museo geol. di Genova); grand, nat. » 55WS _ Frammento di femore sinistro dell’antropoide di Savona (Museo geol. di Genova); dimens. assai ridotte . » 56 — Valle inferiore del torrente Aquila nel Finalese (P- Bensa) » 57 — Dente di Squalodon della caverna delle Fate (Coll. Ame- rano); grand, nat..............; » 38 — Punta di quarzite della caverna delle Fate (Museo geol· di Genova) ; '/2 della grand, nat. ...'·' » 59 — Raschiatoio di quarzite, della caverna del Colombo (Coll. Morelli); ’/j della grand, nat..........' » 60 — Apertura della caverna di Martino nel Finalese (P. Bensa) » 61 — Mandibola umana della caverna della Giacheira (Museo geol. di Genova); */2 della grand, nat. » 62-63 — Punte di freccia silicee, a mandorla, dei Balzi Rossi (Museo geol. di Genova); grand, nat. » 64 — Coltellino di piromaca, dei Balzi Rossi (Museo geol. Genova); grand, nat....... » 65-66 — Punte di freccia silicee, ad alette, dei Balzi Rossi (Museo geol. di Genova); grand, nat..... » 67 — Cuspide silicea, a doppia punta, dei Balzi Rossi (Pivière grand, nat. . . ......‘ » 68 — Punteruolo d’osso, a doppia punta, di uso ignoto, dei Ba zi Rossi (Rivière); grand, nat. . » 69 — Punta di raffio, d’osso, dei Balzi Rossi (Rivière);grand, nai » 70 — Bulino di piromaca, dei Balzi Rossi (Museo geol. di Genova) grand, nat. ....... » 71 — Cuspide triangolare silicea, a doppia punta, dei Balzi Rossi (Rivière); dimens. un po’ ridotte . » 72 — Disco siliceo, dei Balzi Rossi (Rivière); grand, nat. » 73 — Cuspide silicea, a doppia punta, dei Balzi Rossi (Rivière), Pag . 121 » 122 » 122 » 125 » 125 » 134 » 135 » 136 » 137 » 138 » 165 » 179 » l80 » l80 » 00 » 199 » 208 » 208 » co 0 O* » 212 » 212 » 212 » 212 » 214 » 214 » 214 i I — 7Π — Fig- 74 — Punta d’osso a tacca (poinle (ΓAurignac), della Barma du Cavillou (Museo geol. di Genova;; l/2 della grand, nat. . Pag. 219 » 75 — Dente di cervo forato, della Barma Grande (Coll. Abbo); grand, nat..........» 228 » 76 — Ornamento d’osso ad uso di bottone (?) della Barma Grande (Coll. Abbo); grand, nat. ..... » 228 » 77 — Scheletri di negroidi, recentemente scoperti nella caverna dei Bambini (Verneau) ... .... » 244 » 78 — Sezione verticale della caverna di Bergeggi, nel Savonese (Issel)...........» 269 » 79 — Cavità anteriore della caverna Pollerà (P. Bensa) . . » 294 » 80 — Pianta della parte superiore della caverna Pollerà (N. Morelli) » 296 » 81 — Sezione verticale della parte superiore della caverna Pollerà (N. Morelli) ........... 298 » 82-83-84 — Cranio dello scheletro umano N. I, rinvenuto dal Prof. Morelli nella caverna Pollerà (Museo geol. di Genova). » 310 » 85-86-87 — Cranio dello scheletro umano N. II, rinvenuto dal Prof. Morelli nella caverna Pollerà (Museo geol. di Genova) » 312 » 88 — Pendaglio fatto con un dente di mammifero, della caverna Pollerà (Coll. Rossi); grand, nat......» 322 » 89 — Frammento di armilla di calcare bianco, della caverna Pollerà (Coll. Morelli); '/2 della grand nat. ...» 322 » 90 — Fusaruola di terra cotta, della caverna Pollerà (Coll. Morelli); '/2 della grand, nat.......» 322 * 91-92 — Pintaderas della caverna Pollerà (Coll. Rossi); dimens. ridotte........... * 93 — Coccio con rilievo a semicircolo, della caverna Pollerà (Museo geol. di Genova); dimens. ridotte . . . . » 356 » 94 Coccio con graffiti a denti di lupo, della caverna Pollerà (Museo geol. di Genova); lungh. dell’orig. mm. 83 . . » 3 57 » 95 — Schizzo pianimetrico di parte della caverna delle Arene Candide (P. Bensa)........» 365 » 96 Ornamento fatto con una zanna di cinghiale, della caverna delle Arene Candide (Museo civico di Genova); 2/3 della grand, nat. ..... .... » 379 » 97*9^_99 — Cranio dello scheletro umano N. I, rinvenuto dal Prof. Morelli nella caverna delle Arene Candide (Museo geol. di Genova) :.........» 390 » 100-101-102 — Cranio dello scheletro umano N. II, rinvenuto dal Prof. Morelli nella caverna delle Arene Candide (Museo geol. di Genova) . .......» 392 » 103 — Verghetta di conchiglia da inserirsi nel setto nasale. Caverna delle Arene Candide (Goll. Morelli); grand, nat. . » 412 » 104 — Pezzo di pomice artificialmente solcato, della caverna delle Arene Candide (Museo geol. di Genova); dimens. assai ridotte........... » 103 Mandibola di Varanus, della caverna delle Arene Candide (Coll. Morelli); grand, nat.)......» 425 » 334 » 412 Fig. 106 » 107 » 108 » 109 » 110 » III » 112, » 116 » 117/ » 119 » 120, » 122 » 123 » 124, » 126 » 127 » 128, » 130 » 131 » 132 » 133 134 135 136 J37 » 138 - 718 - — Mitra oleacea coll’apice artific. spezzato, della caverna delle Arene Candide (Museo geol. di Genova); grand, nat.. — Valva di Cardium forata, della caverna delle Arene Candide (Museo geol. di Genova); grand, nat. . — Coppelle e cavità tetraedrica incise sopra una rupe all Acqua santa; dimens. ridotte...... — Figura di ignoto significato, incisa sopra una rupe all Acqua santa; dimens. ridotte...... — Figura di ignoto significato, incisa sopra una rupe all Acqua santa; dimens. ridotte...... — Coppelle e solchi praticati sopra una rupe all’Acquasanta, dimens. ridotte....... 113., 114, 115. — Figure umane cruciformi, incise sopra una rupe ad Orco-Feglino; dimens. ridotte . — Figure umane cruciformi, incise sopra una rupe ad Orco Feglino; dimens ridotte . · · > 118 — Figure cruciformi, incise sopra una rupe ad Orco Feglino; dimens. ridotte..... — Figura rappresentante un uomo armato (?) incisa sopra una rupe ad Orco-Feglino; dimens. assai ridotte . " 121 — Figure di ignoto significato, incise sopra una rupe Orco-Feglino; dimens. assai ridotte — Figure umane (?) incise sopra una rupe ad Orco-Feghno, dimens. ridotte ...···· — Insegna (?) incisa sopra una rupe ad Orco-Feglino; dimens ridotte......· 125 — Figure di ignoto significato, incise sopra una rupe Orco-Feglino; dimens. ridotte . . . · — Insegna (?) incisa sopra una rupe ad Orco-Feglino · — Figura di ignoto significato, incisa sopra una rupe ad re Feglino; dimens. ridotte...... . 129 — Parte terminale di due sistemi di vaschette pratlC< sopra una rupe ad Orco-Feglino; dimens. assai ridotte — Figura umana incisa sopra un dolmen presso Versai (A. De Mortillet); dimens. ridotte . — Figura di ignoto significato, incisa sopra un dolmen Pres Versailles (A. De Mortillet); dimens. ridotte . ■ — Segni cruciformi ed altri, incisi sopra un masso a Beir Alta, in Portogallo (J. Fortes); dimens. ridotte . — Pietra cruciata di Pieve di Teco; dimens. ridotte, eccettua la croce rappresentata in C, che è in grand, nat. (Desor) — Il Lago delle Meraviglie (Bicknell) . . m — Parte della Valle di Valauretta con rupi scolpite (Bickne )· — Sponde di piccolo lago e Monte Bego (Bicknell) · — Pendice del Monte di Santa Maria e Lago Verde (^‘c'“ne — Figure umane e figure bovine in λ al Fontanalba (Bickne dimens. assai ridotte . - · ad Pag. 426 » 426 » 462 » 462 » 463 » 463 » 472 » 473 » 473 » 474 » 474 » 475 » 476 » 476 » 477 » 477 » 478 » 480 » 480 » 481 » 484 » 487 » 488 » 489 » 49' » 492 _ Fig. *39> 140 --- Accette incise in Val Fontanalba (Bicknell); dimens. ridotte........... Pag. 497 » 141 --- Piccone inciso in Val Fontanalba (Bicknell) ; dimens. ridotte » 497 » 142 --- Piccone inciso in Val Fontanalba (Bicknell); dimens. ridotte » 498 » H3 --- Mazzuolo di pietra, inciso in Val Fontanalba (Bicknell); 498 dimens. assai ridotte ....···· » » 144 --- Punte di freccia peduncolate, incise in vai Fontanalba 498 (Bicknell); alt. dell’originale mm. 55 » » 145 --- Punta di freccia triangolare, incisa in Val Fontanalba 498 (Bicknell); dimens. ridotte ..····· » » 146 --- Mazzuolo di pietra a lungo manico, inciso presso il Lago 498 delle Meraviglie (Bicknell); dimens. ridotte » » 147 --- Cuspide di lancia a lungo cannone, incisa in Val Fonta¬ nalba (Bicknell); dimens. ridotte ...··· » 499 » 148 --- Cuspide di lancia a peduncolo smarginato, incisa in Val Fontanalba (Bicknell) ; dimens. assai ridotte » 499 » 149 --- Cuspide di lancia ad anelli, incisa nella Valle delle Me¬ raviglie (Bicknell); dimens. ridotte..... » 499 » 150 --- Pugnale inciso in Val d’inferno (Rivière); dimens. ridotte » 499 » --- Pugnaletto inciso presso il Lago delle Meraviglie (Bicknell); dimens. ridotte ......··· » 0 0 » 152 --- Lama di pugnale 0 di spada, incisa in Val Fontanalba (Bicknell); dimens. assai ridotte...... » O O ΙΛ » x53 --- Pugnaletto inciso presso il Lago delle Meraviglie (Bicknell); » O O » 154 --- Pugnaletto inciso in Val Fontanalba (Bicknell); ‘/<5 della grand, nat........... » O O »Λ » *55 --- Pugnale inciso in Val Fontanalba (Bicknell); dimens. assai ridotte......... » 500 » 156 --- Falce incisa sul Monte Bego, in alto (Bicknell) ; dimens. ridotte........... » o 0 » *57 --- Falce incisa in Val Fontanalba (Bicknell); dimens. assai ridotte........... » o 0 ΙΛ » 158 --- Falce a doppio anello, incisa in Val Fontanalba (Bicknell); dimens. assai ridotte........ » O O » *S9 --- Falce ad anello semplice, incisa in Val Fontanalba (Bicknell); dimens. assai ridotte...... » 501 » 160 --- Falcetto inciso in Val d’inferno (Rivière); alt. dell’origin. cm. ............ » 501 » 161 --- Rasoio (?) inciso presso i Laghi delle Meraviglie (Bicknell); dimens. assai ridotte (1)....... » 501 » 162 --- Figura d’uomo senza capo che sostiene una falce, incisa in Val Fontanalba (Bicknell); alt. dell’origin. circa cm. 19 » 502 » 163 --- Carro a due ruote, inciso in Val d’Inferno (Rivière); lungh. dell’ origin. m. 0,53........ » 503 (x) Si avverta che mancano attorno alla lama del supposto rasoio, in questa figura, otto impressioni puntiformi, osservate recentemente dal sig. Bicknell sull’originale. 720 — Fig. 164 — Ruota (0 segno numerale), incisa in Val d’interno (Rivière); largh. dell’orìgin. mm. 156 » 165 — Aratro connesso a schemi bovini, inciso in Val Fontanalba (Bicknell); dimens. assai ridotte ..···· » 166 — Giogo connesso a simboli bovini, inciso in Val Fontanalba (Bicknell); dimens. assai ridotte . . · · » 167 — Aratro inciso in Val d’inferno (Rivière); alt. dell origin. circa mm. 156........ » 168 — Erpice (?) inciso in Val d’inferno (Rivière); lungh. del— l’origin. circa cm. 42 . ...... » 169 — Erpice (?) inciso 111 Val d’inferno (Rivière); lungh. dell origin. circa cm 20 . . · · · · ’ » 170 — Aratro tratto da una coppia di bovi, con bifolchi, inciso in Val Fontanalba (Bicknell); dimens. assai ridotte . » 171 — Erpice o trebbiatrice tratta da una coppia di bovi, incisa in Val Fontanalba (Bicknell); dimens. assai ridotte. » 172,173 — Teste bovine incise in Val d’inferno (Clugnet); dimens. assai ridotte . . . · · · * » 174 — Testa bovina od ovina incisa in Val Fontanalba (Bickne ), alt. dell'origin. mm 125 . · · · » 175, ;76 — Teste bovine incise in Val Fontanalba (Bickne ), dimens. ridotte . · · .'••"vi * 177 — Testa bovina od ovina con lunghe orecchie, incisa in Fontanalba (Bicknell); dimens. ridotte. · · ‘ » 178 — Testa bovina con orecchie, incisa in Val Fontana (Bicknell); dimens. ridotte .·■■'' » 179, 180, 181, 182 — Immagini simboliche di bovini con co a senza, incise in Val Fontanalba (Bicknell); dimensioni ridotte.....· · · ’ » 183 — Immagine simbolica di bovino con lunga coda, λ a nalba (Bicknell); dimens. assai ridotte . ■ » 184, 185, 186 — Immagini schematiche di bovini, le due ultime co quattro estremità. Val Fontanalba (Bicknell), dimens. ridotte..........« » 187 — Immagine schematica di bovino con quattro corna Val Fontanalba (Bicknell); dimens assai ridotte j » 188, 189, 190 — Immagini simboliche di bovini con quattro estremità. Val Fontanalba (Bicknell); dimens. assai ri « 191 — Testa bovina con segno numerale sovrapposto, incisa p il Lago delle Meraviglie (Rivière); '/é della grand. » 192, 193 — Immagini simboliche di bovini, incise in a nalba (Bicknell); dimens. ridotte. · · σ delle » 194 — Immagine simbolica di bovino, incisa presso il ag° Meraviglie (Rivière); dimens ridotte · · .’ , .« » 195,196,197 — Immagini simboliche di bovini (segni a a incise in Val Fontanalba (Bicknell); dimens. ridotte ^ » 198,199 — Segno alfabetico derivato dal simbolo bovino (.)· della Rocca delle Meraviglie (Bicknell); dimens. ri otte Pag. 503 » 504 » 504 » 504 » 504 » 504 » S05 » 505 » 5°5 » 5°) » ϊ06 » 506 » 506 » 506 » 5°7 » 5°7 » 5°7 » 508 » 5°9 » 5°9 » 5°9 » 510 » 510 200 — Immagini simboliche di due bovini compenetrati. Val d’inferno (Rivière); dimens. ridotte..... 201 — Immagini simboliche di due bovini opposti l’uno all’altro. Val d’inferno (d’Albertis); dimens. ridotte . 202 — Immagine simbolica di corna bovine (?). Val Fontanalba (Bicknell); dimens. ridotte ....··· 203, 204 — Immagini simboliche derivate da figure bovine- Val Fontanalba (Bicknell); dimens. ridotte. . 205, 206 — Immagini simboliche derivate da figure bovine, incise presso il Lago delle Meraviglie (Bicknell); dimens. ridotte. 207 — Immagine derivata da corpo bovino o da pelle, incisa in Val d’inferno (Clugnet); dimens. ridotte . 208,209 — Immagini derivate da pelli di quadrupedi Val honta- nalba (Bicknell); dimens. ridotte..... 210,211 — Segni alfabetici o numerali Vallone delle Meraviglie (Bicknell); dimens. ridotte....... 212,213 — Segni alfabetici o numerali. Regione del Passo Arpeto (Bicknell); dimens. ridotte .....·· 214, 215 — Segni alfab. o num., il 1° inciso nel Vallone delle Meraviglie, il 20 presso il Lago sup. delle Meraviglie (Bicknell); dimens. ridotte......... 216, 217 — Segni alfabetici o numerali. Presso i Laghi Lunghi . 218,219 — Teste caprine incise in Val Fontanalba (Bicknell); dimens. ridotte ......... 220 Testa d’ariete, incisa in Val d’inferno (d’Albertis); dimens. ridotte........... 221 _ Testa (o teschio) di cervo, incisa in Val d’inferno (Rivière); largh. dell’origin. mm. 125....... 222 Figura di piccolo cane (?), incisa in Val Fontanalba (Bicknell); dimens. ridotte ....... 223 Immagine simbolica di bovi aggiogati. Val Fontanalba; dimens. ridotte ......... 224,225,226,227 — Immagini di bovi che traggono l’aratro; le due prime con una figura umana, le due ultime con due. Val Fontanalba (Bicknell) ; dimens. ridotte .... 228 Segno cruciforme inciso presso il Lago delle Meraviglie (Bicknell); dimens. ridotte....... 229 Immagine di bovi che traggono 1’ erpice. Val Fontanalba (Bicknell); dimens. ridotte....... 23° Immagine simbolica di tre paia di bovi aggiogati all’aratro. Val Fontanalba (Bicknell); dimens. ridotte .... 231 Immagine simbolica di sette bovi, di cui cinque di fronte, aggiogati all’aratro. Laghi delle «Meraviglie (Bicknell); dimens. ridotte......... 232 — Supposta pianta topografica di margheria. Val Fontanalba (Bicknell); lungh. dell’ origin. circa cm. 30. 233 — Supposta pianta topografica. Sopra il Vallone delle Mera- viglie (Bicknell) ; dimens. ridotte..... Pag. 52 3 » 524 » 525 — 7 22 — Ftg. 234 — Pianta di supposte vasche 0 abbeveratoi. Val Fontanal (Bicknell); dimens. ridotte . Mera » 235 — Insegna o stemma con inscrizione (?) Laghi delle ‘ viglie (Bicknell); dimens. assai ridotte · · · » 236 — Insegna (?) presso il Lago delle Meraviglie (Bicvne , dimens. assai ridotte . . · · · ' . ' » 525 » 237 — Insegna (?) Val d’inferno (Clugnet); dimens. assai ri » 238 — Insegna (?) Val d’Inferno (Rivière); lungh. dell origm· c * ^ ^ 595 mm.......; ‘ .’ · * 239-240-241-242 — Piccole figure umane (guerrieri, sacerdoti, tribù?). Val Fontanalba (Bicknell); dimens. ridotte (il n. 3; ^ ^ ha circa cm. 28 d’altezza, il n. 242 circa 50) · » 243-244-245-246 — Piccole figure di uomini armati ile „ur ■ e 245 sembrano munite di ascia, quella distinta co n porta forse un arco). Val Fontanalba (Bicknell) , ^28 ridotte.....· ' » 247 — Figura umana maschile con serpente (?)· Val on ^ ^0 (Bicknell); dimens. ridotte . · ; · ' 'naiba » 248 — Pianta od orma di piede umano, incisa in ^ » 531 (Bicknell); dimens. ridotte . · · ‘ # ‘ . yaj » 249 — Aratro tratto da bovi (?) a corna ramose, inciso ^ ^ 53 ϊ Fontanalba (Bicknell); dimens. ridotte. · · j„iie » 230 — Figura simbolica con braccia umane. Laghi de e ί => ^ (Moggridge e Bicknell) . ; · ■ p0Dtanalba » 251 — Figura di ignoto significato, incisa in t » 532 (Celesia); dimens. ridotte . · · * ’ del » 252 — Figura di ignoto significato, incisa sopra 1 » 532 Carbone (Bicknell) . · · ya[ Fon- 253 — Figura di ignoto significato (insegna?), incisa in ^ » 5 32 » 53 tanalba (Bicknell); dimens. ridotte · · · ^ » 254 — Figura di ignoto significato (insegna?), incisa in ^ ferno (Rivière) ; lungh. dell’ origin. circa mm. 8 > » 25$ — Coltellino siliceo, di Santa Giustina (Museo geo ^ » 568 nova); grand, nat. . . · · · ‘ r-enova); » 256 — Coltello di piromaca. Savona (Museo geo 1 » 5^^ grand, nat..........‘ y di » 257 — Punteruolo di piromaca. Santa Giustina ( useo # 568 Genova); grand, nat. . · · ' cassello » 2)8 — Punta di freccia di selce, a base incavata, ^ » 56S (Coll. Rossi); grand, nat. . · · ‘ ’ nfore di » 259 — Scheletro umano, contenuto entro cocci di gran 1 < » 585 fattura romana. Borgio-Verezzi (Coll. Morelli) · ^ e » 260 — Recinto fortificato del Monte Bastia presso za. ^ ^0g sezioni (Naudot) . . . ■ · npilpniane) * ^10 y> 261 — Casella del Monte Settepani, nel Finalese ( a ot. e . ^ » 362 — Casella del Pizzo d’Evigno, trans, al tipo qua ^ » 6H (da fot. Gervasio). . . · * ... r sen » 612 » 263 — Casella del territorio di Diano S. Pietro (disegno — ‘723 — Fig. 264 — Cabanons del Col Ferrier, Alpi Marittime (da fot. Mader) Pag. 613 » 265 — Cabanon del Collet de la Malie, Alpi Marittime (Guébhard) » 614 » 266 — Trullo delle Puglie, tipo R. (Bertaux) . . . . » 617 » 267 — Behive house dell’ isola di Lewis, tra le Ebridi occidentali (Mackenzie) . . . . . . . . · » 618 » 268 — Nuraghe Santa Barbara a Macomer, Sardegna (da fot. Dessi) » 620 » 269 — Talayot di Cornia, nell’I. Minorca (da fot. Bicknell) . » 621 » 270-271 — Crani degli scheletri umani N. Ili e IV della raccolta „ Issel, rinvenuti nella caverna delle Arene Candide (Museo etnog e preist. di Roma).......» 652 NB. — Per Lago delle Meraviglie s’intende il maggiore di quelli complessivamente denominati Laghi delle Meraviglie. — 724 — SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Tav. I. Fig. i. — Punta di freccia ad alette ed a peduncolo. Sassello (Mu g Genova). ., fColl Morelli)· » 2. — Punta di freccia tricuspidale. Caverna delle Arene Can i e ^ ^ Genova). » 3. — Punta di freccia smarginata. Confini di Ponzone (Museo o ^ ^ » 4. — Punta di freccia ad alette uncinate. Santa Giustina Genova'· · c n riustina (Museo geol. di » 5. — Punta di freccia |i base smarginata. Santa Gì Genova)· . .. renova). » 6. — Punta di freccia rombica. I Yiazzi (Museo geo . <-1 museo ge°l· ^ » 7. — Punta di freccia a foglia di salice. Santa Giustina Genova). _ σε0ι_ di Genova). » 8. — Punta di lancia ad alette e peduncolo. Bobbio (λ useo ,, ^ Genova). » 9. — Lama di pugnale a foglia d’alloro. Bobbio (Museo ge ^ Qancjide (Coll. » 10. — Punta di freccia a foglia d’olivo. Caverna delle Morelli). , . (Museo ge0*· » 11. — Punta di freccia a base smarginata. Santa Giustin Genova). . . . j· o^^ello (Museo geol- di » 12. — Azza a mano (coup de poings). Dintorni Genova)· , ς c(>ii0 (Museo geol- dl » 13. — Punta di freccia ad alette e peduncolo. ass Genova). Candide (Coll- » 14. — Punta di freccia a foglia d’olivo. Caverna delle Morelli). NB. Tutte le figure sono in dimensioni più 0 meno ridotte. Tav. II. 1 η Arene Candide (Museo Fig. 1. — Scalpello o raschiapelli d’osso. Caverna etn. e preist. di Roma). Candide (Coll· » 2. — Stiletto o punta di fiocina d’osso. Caverna e e Morelli). . d>osso. Caverna 3. — Lisciatoio (o arnese destinato a decorticare le pian delle Arene Candide (Coll. Morelli)· ,erna Pollerà (Coll· 4. — Accetta litica con manico di corno di cervo. a Morelli). ,· < ("Coll. Morelli)· 5,6. — Punta di freccia d’osso. Caverna delle Arene an Arene Can- 7. — Pendaglio fatto con un dente di ruminante, avern dide (Coll. Morelli). 8· — Articolo di monile di Dentalium fossile. Caverna delle Arene Candide (Coll. Morelli). 9- — Punta di zagaglia d’osso. Caverna delle Arene Candide (Museo geol. di Genova). I0· — Punta di zagaglia o di freccia d’ osso. Caverna delle Arene Candide (Museo geol. di Genova). 1 !· — Piastrella di conchiglia forata. Caverna delle Arene Candide (Coll. Morelli) I2· — Ago d’osso. Caverna Pollerà (Coll. Morelli). 13· — Pugnale di corno cervino. Caverna Pollerà (Coll. Morelli). '4- — Spatola d’osso. Caverna delle Arene Candide (Coll. Morelli). J5· — Stiletto d’osso. Caverna Pollerà (Coll. Morelli). ■6. — Stiletto d’osso con manico di corno. Caverna Pollerà (Coll. Morelli). 17. — Pendaglio d’osso. Caverna delle Arene Candide (Museo geol. di Genova). 18. — Cucchiaio o lisciatoio d’osso. Caverna delle Arene Candide (Museo geol. di Genova). Λ'ΰ. Tutte le figure sono in dimensioni più 0 meno ridotte. Tav. III. ■ >1 2. Pintadera di terra cotta. Caverna Pollerà (Coll. Morelli). 3> 4· — Pintadera di terra cotta. Caverna delle Arene Candide (Museo etnog. e preist. di Roma). 5> 6· Pintadera di terra cotta. Caverna del Sanguineto (Coll. Rossi). 7> 8- Cucchiaio di terra cotta. Caverna delle Arene Candide (Coll. Morelli). 9· Coccio di fìttile con graffiti impressi e manico a bugna. Caverna delle Arene Candide (Coll. Morelli). I0· Calice di terra cotta. Caverna delle Arene Candide (Coll. Morelli). 11 ■ Figura umana di terra cotta (idoletto femminile?). Caverna delle Arene Candide (Coll. Morelli). I2· Vaso biconico. Caverna Pollerà (Coll. Morelli). !3· Olla emisfero-cilindroide con graffiti. Caverna delle Arene Candide (Coll. Morelli). r4- Torace di figura femminile di terra cotta. Caverna delle Arene Candide (Coll. Morelli) Γ5· Olla a bocca quadrangolare. Caverna delle Arene Candide (Museo geol. di Genova) 16, 17. — Ansa di ampia tazza. Caverna Pollerà (Museo geol. di Genova). 18. Fondo d’anlora di fattura romana. Caverna di Ponte Vara (Museo geol. di Genova). *9· Fondo d’anfora di fattura romana. Caverna di Ponte Vara (Museo geol. di Genova). 20· — Ansa di tazza che accenna al tipo lunato. Caverna Pollerà, strato superficiale (Museo geol. di Genova). jVB. Tutte le figure sono in dimensioni più 0 meno ridotte. — 726 Tav. IV. i» ι r'ovirna delle Arene Fig. i. — Lisciatoio fatto con una tibia di ruminante. Ga Candide (Coll. Morelli). Arene Candide — Articolo di monile di Dentalium fossile. Caverna (Museo geol. di Genova). deUe Arene — Piastra pettorale fatta con valva di Pectunculus. Candide (Museo geol. di Genova). Candide (Museo geol. — Pendaglio di pietra calcare. Caverna delle Aren di Genova)· _ Arene Candide (Museo — Articolo di monile di pietra nera. Caverna geol. di Genova). r.ndide (Museo geol. — Pendaglio di conchiglia. Caverna delle Arene di Genova). j di Genova). — Pugnale d’osso. Caverna delle Arene Candide (Museo (Museo — Dente forato ad uso di pendaglio. Caverna de n geol. di Genova). Genova). — Talismano di cloritescisto. Ponzone (Museo geo · Arene Candide — Pendaglio fatto con un incisivo di suino. Caverna (Museo geol. di Genova). _ d; Genova). — Spatola d’osso. Caverna del Sanguineto ( useo g ,^use0 geol. di — Piastrella di conchiglia forata. Caverna di S. Pietra » 2 » 3 » 4 » 5 » 6 » » » 9 » io » II » 12 Genova). pietrino (Museo geol. » 13. — Piastrella di conchiglia biforata. Caverna 1 di Genova). . £0 (Museo geol· » 14. — Piastrella di conchiglia biforata. Caverna del an0 di Genova). NB. Tutte le figure di questa tavola sono in dimensioni più o m Tav. V. di Galuzzo (Museo Fig. 1. — Ferino sinistro di Lycorus Nemesianus, aver geol. di Genova). Caverna di Verezzi » 2. — Secondo molare inf. di Hyana crocida, var. spe hn Evans « Les àges de la pierre, Instruments, fatti con Joh'ia a-rouo - - de la Grande Bretagne». ■ Tra le provenienze possibili dell’ambra rmvenuta neUej^io ^ storiche della Liguria è da noverarsi anche a p 0 ’ c ès intern. cazioni fornite da Stolte Hjalmar (Con.pte en u cfnrkolm 1876, d’Anthrop. e. d'Archéol. oréhist, Vili· session en .874· Stockolm, .87 , ^Particolarità notevole dell'ambra del Baltico, »'·«*; contenere da 5 a S per.too di addo siciliane, e posto sarebbe rappresentato da circa 0.4 v oacrnuole (Strobel, mancherebbe affatto nelle appenniniche e ne e σ Bull, di Paletnol. ital., anno XII, n. 1. Parma, 1S86). " nlla fase del Γ2ΐΏ^ - Provvedo ad una omissione avvertendo che, rispett°terrnjnoi0gia, l’uso, e del bronzo, e specialmente in quanto concerne a jarg0 uso del la distribuzione geografica dei manufatti europei, 10 nts armes prezioso volume di John Evans « L’àge du bronze, mstrume ^ # et ornements de la Grande Bretagne et de r (Paris, G. Bailliére, 1882). - Il rapporto fra il diametro anteroposteriore e il t . . oss|a dei-sotto i trocanteri, fornisce l’indice della cosi etta ^ ^ a[trj ca_ l’appiattimento della diafisi, il quale suole accompap ^’Antlirop. et ratteri (Manouvrier, Compte Rendu du Congres d’Archéol. préhist, X' session. Paris, 1889). - Carattere precipuo delle tibie dette plalicnem che è ^ ^ spigolo an-corpo dell’osso nei tre quarti superiori, per mo ο ^ ς0:σ0ϋ laterali, teriore si rende sottile ed acuto e scompariscono - Fra le specie marine non comuni segnalate nella g ^ physis cutaceum, Ranella giganiea, Coralliophila lame osa fBruguiére). La (Brocchi) , Cassis saturon, (Bruguiére), ^Chi d conchiglie seconda, la terza e la quarta non figurano ne, ‘atabghij ^ ^ della Liguria e sono indizio di relazioni che mterce. , Mediterraneo, nicol! del Finalese e gli abitanti d’altri punti del litorale Medi — 729 — Pag. 494 Attualmente i disegni o facsimile di incisioni rupestri alpine adunati dal Sig. Bicknell sono circa 4000. » 496 — Convien dire in proposito che le autorità militari si prestarono di buon grado a soddisfare i desideri del Sig. Bicknell coll’impedire che si eseguissero tiri di artiglierie ed altre esercitazioni nei punti in cui si trovano rupi istoriate. » 55’ A Cullité nel Barca, il tenente L. Ripamonti osservò incisioni rupestri che rappresentano figure umane, cammelli, giraffe, antilopi e segni diversi, uno dei quali cruciforme. A Dinac, a due ore di distanza dal primo punto, si vedono pure immagini di uomini e d’animali e vi è unita una breve epigrafe in caratteri abissini arcaici (Conti Rossini C., Rendic. della R. Accademia dei Lincei. Classe di Se. morali ecc., serie 5*, voi. XII. Roma, 1903). I disegni rupestri a colori, osservati dal tenente Desplagnes presso Bandiagara e Songo sull’altipiano del Niger ricordano le incisioni rupestri di cui ci siamo occupati, perchè rappresentano figure di animali (mammiferi, tartarughe, lucertole) in proiezione orizzontale, ridotte spesso a schemi, e, più comunemente, consistono in figure geometriche, come reticolati irregolari, scale e simili. Si tratta, secondo gli indigeni, di emblemi di famiglia, immagini di animali protettori ed altri segni tracciati dall’antico popolo degli uomini rossi, che lasciò nel paese numerosi relitti (L. Desplagnes, Le Plateau Nigérien, Paris, 1907). » 599 Risulta da informazioni ulteriori che la diota di cui diedi cenno come rinvenuta nella tomba N.° 54 fu probabilmente raccolta fuori di essa e non appartiene alla suppellettile funebre. » 640 I lavori di G. Flechia, G. I. Ascoli, E. G. Parodi, G. B. Andrews, C. Garnier ed altri posero in chiaro come i vernacoli della regione Ligure debbansi ascrivere alla famiglia dei gallo-italici. Poco rimane in questi vernacoli, secondo i moderni glottologi, dell’ idioma locale originario. » 681 L’accenno ai vasi d’Arezzo si riferisce propriamente a tempi assai posteriori a quelli cui si attribuiscono le tombe preromane Uno di tali vasi proviene dagli scavi della via Venti Settembre, ma fu raccolto fuori della necropoli. »685 — L’episodio di cui ho fatto cenno si converte, secondo altre testimonianze, a ben diversa lezione, e risale all’anno 411 anziché al i° secolo: Unnerico re dei Vandali pretendeva costringere gli abitanti di Savona ad adorare i falsi numi e con essi una statua scolpita a foggia di drago; ma i santi Vindemiale, Eugenio e Fiorenzo, esiliati in Liguria durante le persecuzioni inflitte ai cristiani d’Aflrica, sostennero stiecus-mente la fede dei Savonesi, e tanto fecero che fu loro ccncesso di sommergere in mare il simulacro pagano ; ciò aflern.a, sulla fede del Monte, Atti Soc. Lig. St. Pat»i*. Voi. XL 47 — 730 — G. Moroni, nel suo Dizionario di erudizione storico-ccclesiastua( o Venezia, 1853). Il santo Eugenio di cui si tratta è il ‘ e visse e morì mWIsola di Vado Sahara (cioè neU’isolotto di Ber0egg ), il corpo del quale fu poi deposto nella cattedrale di 01. Pag. 693 — La dottrina insegnata dai prinn apostoli, ben diversa nella1 0 semplicità da quello che fu più tardi il Cristianesimo da principio un culto quasi clandestino, limitato a poc λ nche per le dif-e alla venerazione dei fedeli mancavano allora 1 santi. ? )a ferenze essenziali che la distinguevano dal paganesimo^ P nuova religione doveva essere ben accetta alla gente 0 » 714 e seguenti. — Gli oggetti conservati nella collezi0 stazjoni prei- geologico di Genova, in ispecie quelli provenienti ^ G Per. storiche all’ aperto, furono in gran parte racco ti tr^tta rando; ma il nome del raccoglitore non è ricor dei manufatti più notevoli. ^nfemente depo- U collezione adunata dal Prof. N. Mordi, è f sitata presso il Museo del Palazzo Bianco di pertin — 730 ** — ginariamente occupata dal primo, e in alcuni casi un terzo sul piano del secondo, senza che si mutassero in alcun modo i costumi degli abitanti, costumi accusati dai rimasugli accumulati per lungo volgere di secoli in augusto spazio. Si danno palafitte in pianura ed in collina ; e, per quanto concerne la valle del Po, si distinguono in occidentali o lombarde, che hanno più stretta connessione con quelle della Svizzera, e in orientali o venete, che rivelano rapporti più intimi colle stazioni preistoriche delle valli dell’ Adige e del Danubio. Alle palafitte orientali si colle^ano le sta/ioni del Mantovano, di parte del Bresciano, del Cremonese e dell’Emilia, cui fanno seguito altre nell’Italia peninsulare (ne fu scoperta una testé presso Taranto) (i) _____ _ Alla medesima stirpe che edificò le abitazioni lacustri della Francia, della Svizzera, dell’Italia, della Baviera, appartengono i palafitticoli della Moravia a nord-est, della Croazia e della Bosnia ad est e sud-est. Fin qui non sono ancora sufficientemente conosciute le relazioni che intercedono fifa le abitazioni lacustri propriamente dette e le terramare. Si sa soltanto che, in tesi generale, le prime precedettero le seconde. Le une e le altre appartengono indubbiamente a gente diversa da quella cui sono dovuti in Italia i depositi neolitici delle caverne e i fondi di capanne, gente alla quale si riferiscono gli antichi Liguri. Si danno lungo le rive dei laghi svizzeri resti di abitazioni lacustri attribuite alla fase neolitica, mentre in maggior numero sono pertinenti ai diversi stadi .della fase cosi detta età del bronzo, ed una di quelle della Francia occidentale (sul lago di Paladrù) si mantenne fino all’ epoca dei Carolingi. Le terramare non accusano che quella fase, nella quale, pur continuando a far uso di manufatti di pietra e d’osso, l’uomo conosceva il bronzo. Ad alcune stazioni lacustri della Svizzera sono connesse necropoli nelle quali, secondo recenti osservazioni di Forel, non mancano tombe ad inumazione (2). ( 0 Gli italici sarebbero propriamente derivati dai palafitticoli orientali. (2) Dalla copiosa bibliografia relativa alle terramare estraggo solo il titolo di alcune fra le memorie più accreditate Pigorini L. e Strabei P. Le terramare dell’ Emilia, prima e seconda relazione. Milano, 1864. Pigorini L. Le terramare dell’ Emilia. N. Antologia, voi. XII. Firenze, 1870. Le terramare de Casaroldo. Comptes Rendus du Congrés préhist. de Stockholm, I. Terramara dell’ età del bronco situata in Castione dei Marchesi. Atti della R. Accad. dei Lincei, Cl. di se. mor., serie 3·, voi. Vili. Roma, 1883. — La terramara Castellalo di Fontanellato. Notizie degli scavi, genn. 1895. Roma, 1895. Le più antiche civiltà dell’ Italia, discorso. Roma, 1903. — La terramara di Parma. Bull, di Paletnol. ital., anno XXXIV, n° 1-4. Parma, 1908. Chierici G. Le antichità preromane della provincia di Reggio Emilia. 1871. — 730* RETTIFICAZIONI ED AGGIUNTE Giova rettificare il cenno fornito per incidenza alla paginai 6 è « Liguria preistorica » (p. φ dell’ « Epilogo ») nei quajj Condu- detto che essi formavano per mezzo di argini bacin cevano le acque dei vicini rivi, per collocarvi le loro £ profondo, L’argine era propriamente circondato da fos ’ ^ tardi in cui circolava acqua corrente e limitava un area tra;Pez“ In t> area che quella delle antiche città italiche), ad onentazione ìnvari^ . - a,ta su, piano di originariamente doveva essere acquitrino*sa e: si ren mm>> si piantava la campagna e più asciutta, pei copiosi detriti ^ capanne di legno palafitta, sulla quale era disposto il tavolato a sos g occupavano che o di paglia. Esse eosti.uiv.no eome isole quadrangola.. e non occup una parte del tavolato. _ . . oar,j uguali da una Il Villaggio, se cosi posso esprimermi, ^ ivi^ ^ ^ ^ qua,e era via longitudinale, che metteva per una de due parti il perimetro gettato^10 ponte di legno; altra via cui si di ciascuna metà Le due rive corrispondeva , i decumanus e al cario maximus devono le più autorevoli osservazioni in proposito, a stazione, e da molti delle antiche città italiche. Da ciò, dalla forma qua ri ^ dai terrama- altri riscontri, concernenti i manufatti e i costum,, s, argomen ricoli sieno derivati gli Italici. ,;ι;Ρνο di terra e di legno Nel lato orientale della terramara sorgeva un ^ corrispondente al templum o all 'arce delle cutà p ^ ceneri erano collocate Fuori dell’ abitato si cremavano i ca499-5oo, SU, S35-536, 550. Alberto I principe di Monaco, 212. Albertoni, 635. Albinea, Reggiano, 573. Albissola Marina, 58, 414, 581. Alboino, 695. Aldrovandi Ulisse, 16. Alessandria, 570-571. Algeri, 622. Algeria, 425-426, 466, 486, 496, 537, 547-548, 550, 557, 606, 622, 662 n. Allan P., 263. Allegretti, 16. Alpe Biulè, Monviso, 82. Alpette, Monviso, 82. Alpi, 11, 27, 78, 81-82, 85-86, 90, 362, 626 628, 630, 650,666,669,686. — Apuane, 673. — Carniche, 677. — Cozie, 84. ico segnando con diversità di caratteri i nomi di Alpi Giulie, 641. — Illiriche, 677. — Liguri, 617-618, 622-623, 683. — Marittime, 14, 207, 446, 467, 470, 477, 485- 5^9- 607, 609, 613-614, 631, 671, 683, 694. — Occidentali, 81-82, 85, 148. — Reticlie, 677. Alpicella, 560. Aitai, 29. Ambri, 677. Ambroni, 677. Ameglia, tombe di, 94, 589 S9!> 68'■ A MERANO G. B., 110, 114> '66, 168, 179-182, 290-291,293-294, 3>3*315> 320, 343-344» 360-362, 438, 561. America centrale, 77, 660. — settentrionale, 525, 534-Ami da pesca, 413. Amilcare, io Ammiano Marcellino, 682. Ampère, 628. Anai, 548. Anatolia, >09. Anatolio, primo vescovo di Milano, 694. Anca, 156. Andalusia, 466. Andrade (D’) Alfredo, 429, >9^_599* Anelli ed armille litici, 68-69. Anfiboliti, 84. Anfratti e caverne minori, 450. Angelucci Angelo, 16, 3^ 67· Annibale, 538. Anophthalmus Doriae, 259 n. __Spagnoli (Gestro), 198 n· Antibo, 156, 542, 584, 673. Antilope, 186. — Saglionei, 163. Antipolis (Antibo), 673. Antropoide di Pietra Ligule, 142 1 -r _ _ Savona, 13'; 642-643. Apollinari, Acque termali, 18. A posa, 641. Appennino, 87, 460, 626, 31 32> 636, 653, 666. Appennino Ligure,25, 53, 82-85, 105, 346, 563, 572, 623, 636, 647, 650, 674, 683. Apulia petrosa, 616, 662, 692. Aquila, 19. Aquila pennata, 362. Aquila, torrente, i52> 277> 293> $61. Aquitani, 628. Arabia Petrea, 428. Arbois(D’) de Jubainville, io n., 628. Arcipelago Greco, 659. — Indiano, 137· Arctomys, genere, 179. _ , _ marmota, var. primigenia, — 163, 184, 189. — primigenia, 215. _ spelaea, 262. Arene Candide, tipo delle, 650-653 Arenzano, 560. Arezzo, vasi d’, 681. 729. Arfak, tribù della Nuova Guinea, 4^. Argar (El), Almeria, stazione di, 503 n. Argecilla, penisola Iberica, stazione di, 4’8- Argentina, torrente, 57°. 6*9 η· Ariani, 629-633, 638. Ariège, Fruncia, 126. Arles, 615. Aristotile, 626. Arma presso le Manie, Finalese, 153· Armenia, 482. Armi ed utensili levigati, 5 5-73-_ __ scheggiati, 37-54· Aimo, 11. Arqnino, Ponzone, 564. Arramola, Val Maira, 83. Arroscia, 484-485· Ariana, Val di Trebbia, 623. Articoli di monile e Pendagli, 410-414 Arvicola amphibius, 189, 191, 423· _ arvalis, 189. _ nivalis, 161, 163, 362. _ spelaea, 191 > 262· Arzruni, 79· Ascia ed accetta amigdaloide, 55. __ _ a virgola, 55. ____ ellissoidale od ovale, 55. __ __immanicata, 60-61. __ _ irregolare, 55. ___ lamellare, 56. __ _ linguiforme, 55. — 733 — Ascia ed accetta rettangolare, 55. — smarginata, 56. triangolare, 55. turgida, 56. — Morlot, 98. Ascianti, 482. Ascia-picco, 64. Ascie di bronzo, 97-100. ed accette levigate, 427-428. — litiche, 15-25. Ascoli G. I., 729. Asdrubale. 690. Asia, 37, 77, iy0) 546,629 — centrale, 81, 88, 169. minore, 10, 88,93,552, 575, 577. settentrionale, 631. Asinia, 121. Aspremo nt, 605. Assaorta, Eritrea, 622. Assiria, 37. Astigiana, 131. Astigiano meridionale* 636. Atene, 674. Aubeigenville presso Versailles, 479. Aubertin Charles, 584. ndenna (Aulella dei moderni), 594. Augusto, I2, 69o. Ault (d’) du Mesnil, 252. Australiani, 246, 643. Anzza, affluente del Neva, 445. Avanzi umani di Nizza, 454.455. za a mano, 38-39. B Bacile, Aix jn Provenza, 615. Ì ,"1, Presso Mori,elio, 564. I* eari, Isoie, 586> 6l9> Ballaila, presso Paret() 6 oalcena, 130. Batenoptera, i?0 Baltico , Mar, 75> 68l, y28. ‘ lagara, altipiano del Niger, 729. «ix ( Bone ), presso Aix in Baoi/ 'l· enZa’ stazi°ne di, 356, 574-577· n ! lagan, presso La Turbia, 606. Bltrda1’ E«neri Udcno, 548. Bardetti p. Stanislao, 627. Bardinolo, 443, 445, 565, 587. Bargés, io n. Bari, 616 — (I), [I Ripari], 604. Barletti inferiori, Sassello, 567, 569. superiori, — 567. Barra dell’Arma, 604. Barrili Anton Giulio, 371, 380, 394, 625, 637-638. Barth, 548. Barusso, villa dell’avv., 578. Baschi, 628, 631, 637. Battriana, 482. Batyscia Spagnoli (Gestro), 198 n. Baudoin, 15 n. Baume, Francia, 28. Beaulieu, presso Yillafranca, Alpi Marittime, 562, 584, 605. Beamnes-Chaudes, stazione delle, 638. Beatine, 584 Bebio, console, 681. Beccari Odoardo, 408. Bec Monforte, 83. Behive houses delle Isole Britanniche, 617-619. Beira-Alta, Portogallo, 480. Beiforte, Valle Stura, 563. Belgio, 29, 126, 450, 642. Bella, Sassello, 46. Bellardi, 265. Bellucci Giuseppe, 19, 39, 67 n. Benacci, (Bologna), fondo, 634. Bensa Paolo, 8, 182-183, 186 11., 278, 290, 293-295, 297, 373. Berberi, 550 n. Bergeggi, 74, 112, 730. Bergfolk, cavernicoli della Svezia meridionale, 154. Bertaux E., 616-617. Berthelot Sabin, 482, 547. Bertrand de Lom, 78. Bibbia, 154. Bicchiere a campana, 669. Bicknell Clarence, 8, 464, 467-468, 470,483,489, 491, 494-502,^05,508-509, 511, 514-517,519,521-524. 526-5}2, 536-538, 540-543, 551, 729. — 734 — Biellese, 83, 85. Biestro, 565. Bipenne, 67-68. Birmania alta, 19, 77, 84. Bìsenzio, 92. Bismantova, Reggiano, 593. Bison Europseus, auroch, 29, 232. — priscus, 240. Ristagno, 570. BlAIN VILLE, 169. Blanc Edmond, 470, 493, 540, 606 n., 609. Bloch, 586. Blumenbach, 156. Bobbiese, 69. Bobbio, 46-47, 57, 69, 74, 98-100, 104, 563, 572· Bocco, 687. Bogos, Eritrea, 399, 401. Boi, 11. Boissano, 438-440. Bolano, Sarzana, 595. Bolivia, 539. Bologna, 92, 482, 594, 599» 602. Bolognese, 75, 634, 636, 641. Bonasia betulina, 362. Bonelli, casa, Tal di Groinolo, 89. Bonfils, 207, 223. Bonnemére, i) n. Bordier, 547, 551. Borgio-Yerezzi, 142,186,188. 585, 603. Borman, dio del mare, 683. Bormida, comune, 564. Bormida, 85, 570. — di Millesimo, 565· — — Oxilia, 565. — — Spigno, 84, 563-565. Bos brachyceros, 189, 196. — primigenius, 186, 191, 211, 215, 359» 423· — o Bison spekeus, 239, 262. — taurus, 240. Iìoscarezzo, presso Morbello, 5^4· Bosco del Rosario, presso Mioglia, (Dego), 564» 569· — Pre Sciocco, presso Toleto, 564. Boselaphes bubalis, 549· Βοττιν C., 606 n. Bottone, 408. Bone, tra Aix e Marsiglia» 574· Boucher de Perthes, 17· Boule Marcellin, 34» 17°> 232> 234» 238, 240, 242, 253-254· Bourdine, La Turbia, 605. Bourguignat J. R., 163, 172,435-437» 546, 606 n. Bovolone Veronese, 634» 642· Boyd Dawkins W., i7°> 248· Boyne, Irlanda, 46) · Braccialetti ed anelli di bronzo, 103. Brasile, 21, i49> 4^2· Brasseinpouy, 224. Breouio, Monte Loffa, 464· Bretagna, 465· Breuil, 126 n., 459-Bric Caramello, 461· _ deirOca, 83. Bricco da Moggia, presso Corona, 5 '· _ del Corno, 164. _ della Croce, 562· _ delle Anime, 562· __ — Scodelle, 566. _ di Buonflgli* 565. _ _ peagna, 166. _ — Saccone, 563. _ Grigio, Valle dell’Aquila, 293. _ Rosso, 565· _ Scotto, 439-440· _ Sparentagge, 164. _ Viabella, 566· Brilla, scultore, 132-133. r36 n· Brizio E., 599>632'633 > 639· Broca, 145· 2°6> 544· Brogl (I), presso Dego, 565· Brooke Victor, 183-184, 204 ·, 37 -377-378, 405, 4°8· Brovida, 565· , Brown Montagu Yeats, 371» 37 '3/ » 405, 4°8· Brown M., 183-184. Brun F., 585, 606 n. Brunitoi, 66-67. Bubalus antiquus, 549-Bubo maximus, 362. Buca del Bersagliere, Isola Pai maria, 257-258. s 735 Buccinum undatum, 238. Buckland, 158 Buentina, Sassello, 41. Bufo viridis, 189 Burgundi, 694-695. Burton, 606. Busck, 644 n. Bnsk, Gibilterra, 172. Bussana, 445. Bussono, pressi di, 83. Butte da Revare, presso Monaco, 605. C Cabanne, 547, 609-624, 667-668. Cabanons, 613-615. Cadibona, 74. Cairo Monteuotte, 28 n., 62, 564. Caithness, 618. Calabria, 78. Calcoplidi (armati di rame), 26. Caldea, 88 n., Caldei, 586. Caledonia, Nuova, 77 n., 466. Calerno, Reggiano, 573. Calice, 591. ’ Calici, 418. Calizzano, 565. Callipus, miriapodo, 186 n. Calori, 63 5 Camargue, 584. Camau, 606 n. Campania, 599.600, 692. ampanile (II), pjan Castagna, 564. ampazzo, Pian Castagna, 564. Campé, S. Pietro d’Olba, 563. ^ampeggine, Reggiano, 573. Campigliese, 90. Campora Giovanni, 597. Camporiondo, 153. Camporosso, 260. Camp de la Tourraque, a Tourette Vences, 609. Redon, La Turbla, 606. Ricard, Roccabruna, 605. ampylasa Ramoriniana, 177, 187, 189, 426 Canale delle Kuggette, 153. Canaria (Gran), Isola, 120, 660. Canarie, Isole, 16, 486,493, J14, 517, 536-537> 5 54. 5 58» 659660. Canavese, 399 n. Canestrini, 418. Caneva Giorgio, 446. Canis, 186, 337, 435'436* — aureus, sciacallo, 163, 212, 262. — familiaris palustris, 423. — lupus, 239, 262. — palustris, 655. — spelaeus, 212, 262. — vulpes, 189. Canobbio G. B, i 30-131 -Capanne di Marcarolo, 563. Capella rupicapra, 163. Capellini Giovanni, 75 η·> i6o-i6i, 163, 257-259, 560. Capitan, 126 η., 458-459-Capitanata, 38. Capo Corvo, 589. . — Ferrato, Beaulieu, 605, 696. — di Leuca, 616. — Mele, 649. — di Noli, 153- — Santo Ospizio, 660. Cappadocia, 123. Capra, 60, 437, 440, 583. — hircus, 189, 191, 359. — ibex, 239-240, 262. — primigenia, 211, 215. Carabacel, sobborgo di Nizza, 264, 454- Carazzi D., 160, 162, 164 n., 257. Carcare, 58, 65, 105, 564. Carcharodon megalodon, squalo fossile, 51. Cardium, 112, 285, 323, 410, 440. Cardon, 430. Caria, 67. Carrara Guido, 441. — Stefano, 441. Carretto, 565. Carrù, 570. Carso, 123. Cartagine, 671. Cartaginesi, 538, 540, 671-673. ! — 736 — Cartailhac Emile, 126 n.,2;4, 249, 253. Cartosio, 563-564. Cartouches, 554. Casa del Co, Giusvalla, 564 Casale, Montaggio, 625. Casaleggio, 86. Cascina di Tacche, Bandita di Cas-sinelle, 563. — Grnglietto, S. Pietro d’Olba, 563 n. — Naspo, Monte Tuggio, 563. Cascina/za. presso Morbello, 564. Caselle, 547, 605-624, 667 668. Casellette. 85. Casimir Philippe, 606. Cassagna, Cliiavarese, 723. Cassine, Alessandria. 85-86. Cassiuelle, Dego, 565. Cassio Giovanni, 499. Cassis saburon (Bruguiére), 728. — sulcosa, — >338, 410, 413, 440, 728. Castagneto, Ginsvalla, 564. — , Pian Castagna, 564. Castagnola, 596. Castanier Prosper, io n., 489 n., 606 n., 615, 672. Casteggio, 570. Castel Ceriolo, Marengo, 571. — d’Appio, 562. Castelfranco P , 248, 668-669. Castellar, 604. Castellaras, 604. Castel laro del Vho, Cremonese, 120. Castellars o Castellaras, 604-609. Castelleretto, 604-605. Castelletto, tombe di, 634. Castellieri dell’ Istria, 606. Castello Yadense, 684-685. Castellum Aquse Sextiae, 576. Casterino, torrente, 486. Castione dei Marchesi, 103. Catone, 685. Catullo, 17. Caussols, 613-614. Caverna Barma Grande, Balzi Rossi, 42, 186, 210-211, 222-234, 645, 648. Caverna Beltramo sul Monte laudo, 445- — degli Armorari, Verezzi, (di Verezzi, secondo Amerano) , 437-438- „r , v .. — dei Balzi Rossi, Val Uiati- glia, 444 _ - Bambini, 42- 241*257. 283> 643, 645. _ — Bassi Molini. 447-45° _ —Colombi, Isola Palmaria, 160, 164, 258, 560. _ — Gerbai, Balzi Rossi, 212-215. _ - Murcièlagos (dei pipistrelli), presso Albunol in Andalusia, }J6-_ — Santi, 17· . _ - Zeri,!, -Ile dell'Aquila, 181-182. _ ,lel Bandito, in riva al Gesso, J6'. _ _ Bersagliere. M* Palma-ria, 257-258· _ _ Capo Palinuro, 15&· _ _ Capo Ronx, tra Monaco Mentone, 45°· _ -Cavicchio (Barma dnCavjl lou), Balzi Rossi, 206-207, 213, 218, 241-257. 645· __ _ Colombo, 190-19r· _ _ Monte Parodi presso gazzano, Spezia, 25 · _ _ Morto, Tane deU’A’"i “’ (Grotta dell’Acqua, second P. ΛΜΕΠ.«ο, Grotta de. Zerbi,secondo l’Ing. h 182. 290-293· _ _ Pastore 0 Livrea, 174. _ _ ponte di Vara, 578-586,588. _ _ Ponzone, ’52· I2 _ — Principe, 42> * 7’ 2 234-241· . Q - _ _ Rio, (Arma do Ria»),'82' _ _ Sang.inetoo della Matta, sulla riva destra dell Aquila, „,.0,, .78. »77-29».?«· 583, 65O. — 737 — Caverna del Tnvetto o del Torello, 446. — dell’Acqua (Arma do Morto), Monte Grigio, 561 — — Acqua, Finale, (Grotta della Fontana, secondo P. Amerano), [ 14, 182, 293, 343. — Albarea, territorio di So- spello, 26'-262, 446. Oliva, Val Varatiglia, 445. — Orco, valle dell’Aquila, 181. — della liasua (o della Strega), 587-588. — Basura, Val Varatiglia, 445. — Besta, territorio di Tenda, 453-454· Ciappa del Ponte o Bausso da Torre, Balzi Bossi, 211. ~ Giacheira, 196-204, 648. — Madonna, colle “ dei Ca- stelletti „, 260. Montile (Dordogne), 126 n., 45§· ~ — Mujer (della Donna), nei pressi dell’Alhambra di Granata, 338. Rocca di Perti, 363-364. delle Arene Candide, 51, 58, 6)-6§, 68, 96, 105, 116, 1 ·8, 122, 124, ϊ78, 250, 266, 271, 281, 284, 300-30J, 322, 332, 336, 343-344, 364-432,438, 440, 451, 475» 579, 583, 650-654, 658, 665. ~ Cento Corde, Finalese, 402, 438 n. ~ — Combarelles (Dordogne), '26 n., 459. Fate, 164-181, 193. ~~ di Altamira, Spagna, 126 n , 458. ~ Antiparo, Arcipelago Greco» 155. ~~ — Aurignac, 247, 254. ~ — Bergeggi, 95, 236-237, 266, 277, 583, 684-685. Caverna di Beugi, 445. — — Boissano, 438-440. — — Bossea, valle del Corsaglia, '60, 260-261. — — Cascaes presso Cintra, Por- togallo, 413. — — Cassana presso Borglietto, 159-160, 259. — — Cauilano Trona, presso Fra- bosa Soprana (Alpi Marittime), 50, 261, 402. — — Chabot, Francia, 126 n. — — Costoza, Vicentino, 155. — — Cro-Magnon, 213, 247 — — Engihoul, 158, 200. — — Engis, 158. — — Filippon, Valle dell’Auz/a, 445· — — Font-de-Gaume (Dordo- gne), 126 n., 459. — — Galuzzo (0 di Galluzzo), Borgio-Verezzi, 432-437. — — Genista, Busk (Gibilterra), 172. — — Genii, 445. — — Grimaldi, Ventimiglia, 643- 644. — — Macpela, 154. — — Mardolce, Sicilia, 156. — — Mars, Saint-Cèzaire (Alpi Marittime), 172, 435 (a Yence). — — Mnrsoulas, Francia, 126 η. — — Mas-d’Azil, Francia, 459. — — Massai, (superiore), 172. — — Morema. Spotorno, 277. — — Neanderthal, presso Dus- seldorf, 256, 644. — — Ormea, 260. — — Pair - non - Pair , Francia , 126 n. — — Paviland,Glnmorgansliire, 158. — — Pianmarino N. 1, (Cav. di S. Eusebio), 361-362. — — Pianmarino N. 2, 362-363. — — S. Eusebio, 152, 361-363. — — S. Pietrine, 440-443. Caverna di Santa Teresa, Golfo della Spezia, 257. — — Yal di Ne va presso Zucca· rollo, 445· — — Verezzi, 160, 186, 190. — do Ciossu, 445. — — Furgau, Val Varatiglia, 445- — — Martin 0 do Prinsipii, 152, 184-186. — — Murtou, Spotorno, 277. — — Pisciou, Yal Varatiglia, 445· — — Risso, Valle dell’ Anzza, 445 · — Gliiara o Giara, 443-444. — La Fontana, Valle dell’Aquila, (propriamente Grotta delI’Ac-qna), 181-182, 293. — La Tanassa, Toirano, 48, 444. — Le Pile, Valle dell’ Aquila, 181, 293-294. — Les Spélngues, 446-447. — Marie, Yal Varatiglia, 445. — Pollerà, Finale, 58, 65 66, 68, 75, 87, 95, 114, 118, 266, 271, 284, 287, 292, 294, 361, 404, 431, >83, 653-654, 665. — Romanelli, 52. — Sgarbà, Yal Varatiglia, 445. — Theresienliohle, Duino, 123 — Tibon, Valle dell’Anzza, 445. Caverne dei Balzi Rossi, 40,42, 45-48, 51-52,77, 187,189,205-257, 346,369,455,544,569,571, 643, 645-648, 650, 660. — — Pirenei, 175. — — pressi di Verezzi, Loano e Toirano, 437-445. — del Finalese, 74, 116,204,230, 295, 343, 447>483,576,578, 650, 660. — — Gard, 156. — — Loanese, 404. — — Pulo di Molfetta, 17. — — Savonese, 447. — della Gran Canaria, 120. — — Valle dell’Aquila, 181-182. Caverne della Valle del Varatiglia, 444-445. — di Argon, 156 — — Bau man n presso Goslar, du- cato di Brunswich, 155· — — Bize, 146. _ _ Cliaba-Nanna, Costantina, 550. _ - Gaylenreutli, Francoma, 155- _ - Gibilterra, i56,_ !72· _ — Krapina, Croazia, 45 3- _ _ Liegi, territorio di, 158, 169. _ — Lunel-Yieil, 156, !72· — — Mialet, 156, !72· _ — Miiggendorf, 15 5- _ — Sallèles-Cabardes, 156· — investigatori delle, 155-160. __ ossifere in generale, 146-155. _ — a facies neolitica, 264-266. CAVERNE A FACIES SIDEROLITICA, Parte Terza, Cap. Ili, 57 5 _ prossime alla Pollerà, 361-364. __ situate a ponente di Porto Maurizio, 445-446· Cavernicoli; clima, flora, ecc., e a Liguria mentre era popolata dai, 665. _ costumi, industrie, arti dei, 653-658. __credenze dei, 663-665. _ immigrazioni dei, 665-666. _ relazioni con altra gente, 658-661. _ riti funebri dei, 661-663. Caziot, 606. Ce-Kiang, Cina, 77. Celesia Emanuele, 280, 301, 363-364, 446, 464, 470, 487. 493. 5Π, 521, 529, 538-539. 55 1, 630, 682-683. Cels, 29. Celt, 93, 572-573· _ con iscrizione fenicia, 91. Celti, 543. 558, 628-629, 631, 633, 640, 670, 674. Celtiberi, 543. 558, 667. Celtica, 631. — 739 Celtoliguri, 543. Cemeneleum, 695. Cenisola, tombe di, 94,589-595,602,681. Cenomani, ii. Ceparana, tombe di, 595. Ceraunie, 18. ' Ceriale, 74, 603, 612. Cerilo, Isola (li, 156. Cerithium, 285, 341. ~ vulgatum, 353. Cerquand, 207, 606 n. Certosa
  • 239· — Corsicanus, 215. — elaphus, 177, 189, 191, 210, 215. 239, 262, 359, 422, 43 7. genere, 259, 263, 437. (Dama) Somonensis, 239, 242. Cette, 156. Ceva, 570. ClIAMBRUN (DE) DE RoSEMONT A., 573. CHAMPAULT P., io. Chancelade, stazione della, 638. Chantre Ernest. 123. Chassey, stazione di. 118. Chateannenf, 605. Chaudeswar, 466 n. Chelléen, periodo, 24. Chelies, Seine-et-Mnrne, 24, 32, 231. Clierasco, 570. Chersoneso di Tracia, 586. Chiapparone, Mioglia, 564. Chiappori A., 98, 563. Chiaravagna (Sestri Ponente), torrente, 129. Chiavarese, 623. Chierici Gaetano, 22,61 n, 122, 265, CliIeU,' 6j2· 6!i- Chioggiotti, 520-521. Chiris M.( 606 n, 615. Chiusi, 92. Christol (De), , 56. Christy, 24, 159. Chthonius, aracnide, 259 n. Ciazza, Cartosio, 564. — Amara Quini, Pareto, 574,569. Ciazzadonne, S. Pietro d’Olba, 563. Ciazze, presso Rossiglione sulla Stura, 563. Cilicgiola, presso Toleto, 564. Cima alla Ciazza, presso Palo, Sassello, 569. Cima Cucco, Biellese, 85. — del Diavolo, 486, 490. Cimaferle, Ponzone, 563-564, 569-570. Cimarelli, 155. Cimbri, 677. Cimella, 694. Ciiniez, Nizza, 264 Cina, 19, 37, 76-77, 88, 466, 482. Ciotole, .418. Ciotti (I), Mentone, 73 Ciottoli diversi, 400-401, 576. Cipro, 20, 88 n., 482. Circe, io. Circis siliquasttum, 649. Cirenaica, 547. Cirene, 548. Ciro, 672. Cisano, Albenga, 73·. Cistudo Europaea, 239, 424. Ciukci, penisola dei, 88. Claussen, 149. Clemente XI, 15. Cloromelaniti, 84. Clugnet LéoN, 464,470,493,519-520, 527, 530, 535-536· Coaraza, Nizzardo, 678. Cocchi Igino, 453, 648. Cocci di terra cotta non torniti, 430-431. — — — torniti, 431. Coccothraustes vulgaris, 424. Coda (La), Dego, 565. — (Nella), Ponzone, 564. Cogoleto, 649. Col Barrant, alta valle Pellice, 86. Colchide, u. Col de Brouis, 606. Colini G. A., 19, 151. Colle Ardente, fra le valli dell* Argentina e della Levenza, 570. — 740 — Colle Annoine, Monviso, 82. — del Cadavere, Pinna Crixia, 605. — — Castello, La Turbia, 605. — della Battaglia, 604. — — Russa, 85 — di Melogno, 610. — — Ollen, Stollenberg, 86. — — Tenda, 538, 5 μ. — Du vetta, 83. — Ferrier, 615. Collelungo, Valle della Tinea, 570. Colle Serret, 83. Collet de la Malie, 614. — des Pagans, a Levens, 605. Colletta di Paesana, 83. Collezione Amerano, 180, 314. — P. Ighina, 58, 65, 105, 133, >65 — ISSEL, 4IO. — Morelli, 65, 87, 194, 344, 394, 396-397, 416, 418, 730. — Perez, 42. — Perrando, 39, 46, 58, 66, 68, 74, 102, 104, 279, 281, 400, 407-408, 416, 565, 714, 727, 730. — Pisani, 84. — Rossi, 51, 65, 109-110, 276, 286, 288, 315-339, 564, 568, 572. Colli Albani, 641. Colmi (I), Pian della Ghianda, 567. Colomba Luigi, 85 Colombia, 73, 120, 123 Colombo Cristoforo, ii, 16 Coltelli di pietra, 43-44, 395-396 Coltellini silicei, 428. Coltello-ascia, 93. — di bronzo, 103. Columba aenas, 424. — livia, 424 — palumba, 424. Columbella rustica, 272, 285, 388. Comiu, Aisne, 152 Commodo, imperatore, 677. Conchiglie lavorate, 409-410. Concots, Provenza, 615. Condove, Val di Susa, 83. Consolazione (Genova), convento della, 598. Continente, Nuovo, 22, 539, 568. Conus, 285. — Mediterraneus, 353» 386, 410· Coperchi, 420. Coralliophila lamellosa (Jan), 728. Corea, 482 Cornelio, console, 681. Corona, 561. Corona di Nerone, 591· Corsica, 12, 156. 542, 658 n., 673, 695. Corssen, 547. Corteiniglia, 565, 570. Corvus corax, 307. Cosseria, 58, 565. Costa de Beauregard, 206. Costa del Curletto, sotto la Bocca di Perti, 363 — dello Stainpanino, Pian Ca- stagna, 564, 569. — di Bensì, Pian Castagna, 564. _ sopra i Prati, S. Pietro d’Olba, 563. Costantana, 550. Costantino, 12. Costarica, 482. Coste Yrigolate, Pian Castagna, 564. 569. Costruzioni (altre) rustiche in Liguria, 622-624. Conssinière, La Tnrbia, 606. Coviglinio, alto Lucchese, 20 Cranio della Caverna della Besta, 453-454· — — Yalle Varatiglia, 4 5 2-4 53» 648. Craonne, Aisne, 152. Creta, 67, 88 n , 155. Cristallo di Quarzo e Stalattiti, 402. Cristo (II), Alessandria, 570. Crocetta Kossiglione, presso Rossiglione sulla Stura, 563, 569. Cro-Magnon, stazione di, 638. — tipo di, 213-214, 221, 229, 247, 256-257, 449, 45 5« 537* 544» 645-646, 648, 650. Cromlek, 546, 551, 669. Crosio sull’Arroscia, 484. Cucchiai, 405, 413-414, 418. Cnllité, Barca, 729. Cuneo, 486, 570. Cuneo, 66. Cuon primaevus, 435-439 Cuspidi di freccia ad alette, 403-404. Cuvier G.C. 156-158,169, 171,262-263. Cydonassa neritea, 210, 215-216, 219, 222, 230. Cyclostoma elegans, 259. Lutetianum, 240. Cyproea, 219. — lurida, 339. physis (Brocchi), 728. ~ pyrum, 353. D Damour, 75-78. Danimarca, 19, 56, 67, 210, 466,486. Danubio, 115η. Raunia, 662. 5.6_57, ^ ^ w- JJelftnato, 148. Dellepiane G , 613 n. Delvaux, 29. Deneghi Antonio, 192-193. p. ~~ Giovanni, 192-193. Dentalium, 323, 3j8; 410> ^ esimoni Cornelio, 683, 692. Desjardins E., ,0 n. Deluc, i 56. Wano lDOl!AUD’ I03,454,465,484-485· Manna, 562, 611. 1 ~ S* dietro, 611, 6!6. h 1 on-Rock, Massachnssetts, 539. Diocleziano, -694. Diodoro Siculo, 654, 678-681, 686. Diomede, 626. Dionigi d’Alicarnasso, 627. IL TIRANNO, 12. l>ogl.ani, 570. Meeio, Porto M.nrW.^5,' " 10P°da palpata, grillo delle ca-verne, 186 n. Dolmen, 542, 544,546,551,554,614,669. Donato A.. 7-8. Donax trunculus, 364. Bora, 85. — Baltea, 83. Dordogne, Francia, 126, 615. Dori, 626. Doro, 626. Draguignan, 615. Dubreuil, 172, Dugdale William, 16. Duino, 123. Dupont, 27. 159, 200. Durner F., 9 n , 12 n. Duveyrier, 548. Dvergar, nani, 153. E Ebrei, 17, 154. Ebridi, Isole, 617-618. Ecateo di Mileto, 9. Eclogiti, 84. Egitto, 37, 425, 482, 486, 525, 552. Egiziani, 17. Eigil, 153-154 Elba, Isola d’, 90. Elephas antiquus, 28-30, 232, 236, 239, 259, 646. — meridionalis, 28, 261. — primigenius, mammut, 27, 240. « Elfenstenars », pietre dei piccoli, (Scandinavia), 465-466. Eliade, 622. Elleni, 626. Elleno, 626. Emilia, 636. terramare dell’, 103, 557,666-(>67. Emiliani, 636. Emilio (L ), 681. Engerrand, 33. Engis, crani di, 256, 644. Enneri Udeno, 548. Enotri, 626. Enotrio, 626. Eolie, Isole, 74, 401, 659. Editi, 34, 642. Entremont, 576. Epoca acheuleana, 32. — chelleana, 32. — gourdaniana, 33. — maddaleniana, 32. — mousteriana, 32. — papaliana, 33. — puycourniana, 32, 34. — robenhausiana, 32. — solutreana, 32. — tardenoisiana, 32. — thenaysiana, 32, 34. — tourassiana, 32. Equus Stenonis, 239. Eratosthke, i 1. Ercole, 9, 171. — Motuecui, 671. Eritrea, 399, 466, 622. Erodoto, 10-11, 171. Erro, 72, 563. Eschilo, 9 Esiodo, 9. Esperidi, 9 Esquimesi, 163. Este, territorio d’, 641. Estéron, 570. Età del ferro, prima, 93. — della pietra, 15-37. — eneolitica, 22, 47. — eolitica, 34. — neolitica, 23. — paleolitica, 23. ETÀ PREISTORICHE IN GENERALE, Parte Prima, Cap. I, 15-37. Etiopi, 320. Etiopia, 411 n. Étoile, massiccio orografico dell’, 574. Etruria, 641, 675-676. Etruschi, 12, 93, 521, 634, 636, 666, 673-676. Euganei, 634. Euripide, io. Europa, 34, 37, 58, 76-78, 91-92, 162, 251, 406, 485, 539, 546, 628-629, 633, 635, 638. — inedia, 31-32 n., 255. — meridionale, 31, 174, 674. Europa occidentale, 466,544,558,606, 628, 638, 674. — orientale, 631, 675. settentrionale, 20, 32 n., 75, 502, 675. Evans A., 67, 250-251, 5°2> 547» 6J9· — John, 16, 728. Exideuil, Dordogne, 615. E/a, 605, 607. F Falconer, 172. Faleria, 482 Faié, (Uyìo di), Morsello, 564. Faraoni, 525. Faujas-Saint-Fond, 262. Federico Guglielmo, principe ereditario di Germania, 376· Felis antiqua, 171-172, 2I2· — catus, 189. — leo, var. spelea, leone delle ca- verne, 29, 169, 248, 262. — leopardus fossilis, 172· — lynx, 189, 239, 262- — magna, 163. — pardus, var. antiqua, leopardo, 23, 172, 194, 239· — spelaea, 211-212, 215. Fenici, 9η.-io, 75, 97» S11· 538-539* 551, 574» 671673. Fenicia, 482. Fénis, 399 η. Fère-en-Tardenois, Aisne, 32· Ferrania, 564. Ferriere, C., 86. Ferro, Isola del, (Canarie), 482, 5 !4" 5 * 5, 537· Fetonte, 626. Fibule ed aghi crinali di bronzo, 104· Figuig, 549· Figure d’animali, 119» 33I-332· Figurine umane, 119-120. Filhol E., 169. — H., 169. Filisto siracusano, 12. 743 — Finalborgo, 182, 277, 560. Finale, 114, 277. — pietra di, 399, 425, 469. Finalese, 97, ^3, ,64-166, 175, 245, 248-250, 295, 360-361, 363, 417, 429, 454, 480, 544, 609, 660. Finalinarina, 186, 251, 259, 364,366, _ 371, 375, 562. Final|,ia, 612. Fischer H., 25, 77. Fittili della Caverna del Ponte di Vara, 581-583. ~ — Caverna di Galluzzo, 433. di Tipo neolitico, 415-418 — Tipi romano e protostorico, 414-415· — lipidiversi, 118-119. FITTILI PREISTORICI ED ALTRI MANUFATTI in Liguria, Parte Piuma, Gip. IV, 106· 127. Flamand G. B. M., 235-236, 537, 549-5 5 1. 554· Florestano I, principe di Monaco, 206. Floro (Lucio), 686. Flouest, 584. Focea, 672. Focesi, 671-673. Fodéré F E„ 4,2> „8, „0, roetorius 424 ~ ermineus, 163 minutus, varietà estinta della donnola, 163, 362. Fondi di capanne del Reggiano, 561, 573-Fontan, 172. Fontanella (Mantova), tombe eneolitiche di, 249 Forel F., 206. Forest cromer bed, Inghilterra, 28. F°rme di fusione, 400. Fornace, Cimaferle, 564, 570. ornaci (Le), Savona, 130. Cortes José, 480. Fossano, 570 Fossili della Caverna di Galluzzo, 434-437· FOSSILI UMANI D’INCERTA DATA, Parti·: Seconda, Cap. IV, 452-455. Fouquet Alfred, 479. Fouracca, Roccabruna, 606. Fournet, 206. Frahosa Soprana, Alpi Marittime, 150. Fraipont, 644 n. Frammenti di Pomice, 401. — — Vaso, 428-429. Francesi, 148, 525. Franchi Secondo, 75 n., 81-87. Francia, 13, 17-18, 24, 28, 64,76, 81, 91. 103, 126-127, 152, 205, 207, 406, 450, 465,482, 486, 529, 54 3, 558, 577, 604, 629, 642, 656, 670. — meridionale, 171, 557, 607. — occidentale, 225, 503, 527 n , 648. — settentrionale, 484. Frassetto F., 641-642. Frassino, 82. Fregilus graculus, 194. Frigia, 660. Fubia (La), alla Roquette, 605. Fucini D r, 141. Fuligula fusca, 307. Fulvio, 686. Furfoz N.° 2, detto pure d’Orrouy, tipo classico di, 449 Fusaruole, 118, 431, 576. G Galdar, Gran Canaria, 660 n. Galles, Paese di, 618. Galli, ii, 628, 632,606,674,678-679. Gallie, 629, 675-676, 694. . Ganniscili otta, Savignone, 601-602. Garbarino, Tal di Trebbia, 98, 572. Garbasse, Capo di Noli, 153. Garessio, 570. Garfagnana, 678. Gargano, 38. Garonne (Haute), Francia, 126. Gastaldi Bartolomeo, 56, 76, 160, 206, 260, 560, 570. Gatti (I), 567. Gayan, colonnello, 584. — 744 — Genoati, 690-691. Genova, io, 12-14, 98, 106, 129, 130, 131, 145, 267, 597-601, 626, 670, 675-576, 689-690, 69/-69Ó. Genova, Golfo di, 659, 696. Genovesato, 563, 572, 597-601, 607, 609, 622, 635, 668, 670, 675, 694. Gentile G., 446. Geny P., 60, 206, 263, 450. Georgia, Stati Uniti, 482. Geotriton fuscus, 441. Gerin-Ricard (de) Henry, 605. Germa, 548. Germania, 19, 25,79, 91» lc3> 156,466. — settentrionale, 155, 486. Gerusalemme, Giusvalla, 564. Gervais P., 172, 215. Gervasio A., 613 n. Gessner Corrado, 18 Gestro Raffaello, 280. Ghigliotti Felice, 493. Ghirardini Gherardo, 598-599. GIACIMENTI PLIOCENICI in Liguria, Parte Seconda, Cap. 1, 129-146. — QUATERNARI in Liguria, Parte Seconda , Cap. Il, 146-264. — quaternari destituiti di vestigia umane, 257-264. — RECENTI, Parte seconda, Cap. Ili, 264-451. Giadaite e giada, Questione della ,75-90. Giadeititi, 84. Giano, 626. Giappone, 19, 88, 482. Giapponesi, 586. Gigenii, muli, 680. Giglioli Enrico H, 20., 21, 63, 88. Giletta, 570 Ginevra, lago di, 98. Gioffredo Pietro, 492, 536. Giorgi (De), 616. Giove, io, 683. — Pennino, 682. Giovene, 17. Giovo di Santa Giustina, 101. Giugurta, 687. Giura, 99, 465. Ginstenice, 610. Giustiniani Agostino, 691. Giusvalla, 57, 74 η·, 563*564· Glandina antiqua, 259. Glaucofane, 84. Glyptodon, 149. Gnathoncus rotundatus, coleottero, 186 n. Gobbo (Sul), Bandita di Cassinelle, 563· Goby Paul, 605-606, 613, 615. Godano, 69. GoLDFUSS, 169, 175, 179 Goni era. Isole Canarie, 5 37· Gongora (de) y Martinez Emanuel, 316. Gorra, 402. Gorrelli, Cimaferle, 5^4» 569* Goryanovic, 453. GorziUio, terramara di, 4'8-Gorzente, torrente, 86, 105. Goyon de Matignon, principi 1 °-naco, 13 , Gozzadini Giovanni, 513-> 547> 39· Granata, Spagua, 152· Grane, Fréjus, 73 Grand, 206. Granitone (eufotide dialagica), »9· Grasse, 14. 613-615· Grassi Luigi, 692. ... Grave-Creek sull’ Ohio, Sta 1 * 482. / Grbc, ,-.2, 574. 626, ’82, Grecia, 15, 25, 27, 37· *!5> ' >75, 577, M”„ 6?!·676’ ^ Grigioni, 79. Grimaldi, 13. Grimaldi, tipo di, 646, 648. Grino, 567. Gropallazzo, Cimaferle, 5 4· Groppazzo, Yarazze, 560. Grotefend, 628. Grotte Rouge, Aldène (Ande), Guanci, Canarie, 121, 221, 54 · Guébhard A, 605-Ó07, 613 15· Guidi Gian Battista, 499-Guinea francese, 21. — Nuova, 412. — 745 — Guizot, 628. Gulo borealis, 162. — spelasus, 29, 261. Gundebaldo, re dei Burgundi, 695. H Hallstatt, 91. Hamy E. T., 141, 200, 213, 247, 537, 544, 645. Hanbury Tommaso, 100, 102, 233. — villa, alla Mortola, 100,102, 573· Helbig, 632, 635 Helix aspersa, 240, 340. — Mentonensis, 259. — (Tachea) nemoralis, 177, 184 n., 341. (Macularia) Niciensis, 261. — Paretiana, 259. Helm Otto, 75 n. Hephron, figlio di Tsohar, 154. Hervé G., 450. Herzog, io n. Highland, 619. Hippopotamus amphibius, var. major, 239> 257, 261. Hissarlick, 88. Hodgson, 435. Hoernes, 252. Homalota Linderi, coleottero, 186 n. Homo eurafricanus, 638. Honduras, 120. Hood Grace, 445. Humboldt (von) Guglielmo, 628. Humboldt (Nuova Guinea), baia di, 409. Huxley, 644 n. Hyalina spelea, 187, 189. subolivetorum, 240. Hyjena, genere, 179. crocuta var. spelcea, 29, 186-i87 , 239-240, 243, 248, 262. — spelala, 212, 215. Hypudsus glareolus, 362. ÀTT1 Soc· Ll=· St. Patria. Voi, XI.. I Iberi, io, 328, 542-543, 551 » 557-558, 628-629, 633, 635, 640, 669. Iberia, 631. Iberica, penisola, 417-418, 558. Ighina Ρ. Filippo, delle Scuole Pie, 58. Illirici, 640. 1 inalava, Monti, 435. Imbert, 615. Imolese, 38. INCISIONI RUPESTRI, Parte Terza, Cap. I, 457-559-Incisioni rupestri, considerazioni generali sulle, 457-460. Incisioni rupestri del Fezzan, 547, 555. — — — Finalese, 467,484, 670, 683. — — — Marocco, 547-548. — — dell’Acquasanta, 460, 467, 524, 546. — — — Oranese, 550-551. — — — Oranese meridio- nale, 496, 549, 5 54-5 5 5· — — — Oued-Dermel, 549. — -- del Sus (Marocco), 5 36, 5 5 5· — — — Tibesti, 547. — — della Cirenaica, 547- 548. — — — rupe Karmiller (Ain-Sefra), 550-551· — — delle Alpi Marittime, 485-559. — — — Canarie, 536-537. — — di Cullité nel Barca, 729. — — — Dinac — — , 729. — — — Gebel Maliisserat (Αϊη-Sefra), 554. — — — Los Letreros, Isola del Ferro, 537. — — — Orco-Feglino, 467, 484, 524, 546. — 74& Incisioni rupestri di Telizzarhen, 548. Incoronato A., 388, 651. India, 11, 455, 482. — superiore, 88. Indiani, ii. Indie Orientali, 504. Indocina, 435. Indo-Europei, 641. Industrie mesvinienne, 29. — magdalénienne, 29. — moustérienne, 29. — solutréenne, 29. Inghilterra, 16, 18, 28, 465, 482, 486, 543. 642. In-Salah, oasi di, 549. Instruments chelléens, 28. Intemelio, 693. Inverness, contea d’, 618. Irlanda, 22, 29, 558, 617, 619. Ischia, Isola d\ 74. Isola, cascine (Pegli), 80. Isole Britanniche, 466, 638. Issel Alberto, 369, 372-373, 394, 402. Issiglio, Ivrea, 86. Italia, 11-13,15-16, 19, 25, 27-28, 32 η., 35, 37'38, 43» 46-47» 58, 68, 76-77, 81, 90-93, 126, 171, 205, 249, 258, 332, 388, 464, 486, 343. 577» 581, 589. 673,626-631, 633, 635-637, 639-641, 658 n., 690-691, 694, 696. — alta, 395, 581, 671. — media, 417, 676. — meridionale, 38, 156, 417, 617. Italiani, 627, 697. Italici, 601, 633, 635, 639-641, 666, 668, 674. J Jeanjean, 172. Jennings, 248-249. Johnston-Lavis, 562. Joni, 626. Jono, 626. Joventio (da Jovis), 683. Julien Louis, 223-224, 229. Jussieu (de) A., 17. K Kalkowscky E., 88-89. Kansas, Stati Uniti, 482. Keller, 465. Kent, Inghilterra, 28. Kent’s Ilole, Inghilterra, 28. KlRCHOFF, 547. Kjókkenmòdding, 56, 210. Konakry, 21. Kuenlnn, Monti, 84. Kutaia (iorse l’odierna Kutais), li· L Labris, bipenne, 67. Lacerta, 186. — ocellata. 189. Laerte, 51. Laghi della Lombardia, 666. — — Svizzera, 666. — del Piemonte, 666. — — Veneto, 666. — delle Meraviglie,492» 501- 5l6· — Lunghi, Tal d’inferno, 486,506, 515» 521· „ Q, Lago del Carbone, Val d’inferno, 4 > 489 n., 502, 531» 668. — della Matta, 489 π· — delle Meraviglie, Val d’inferno, 486,488,490, 502, 507, 521, 534· — di Ginevra, 98. — — Neuchatel, 98, 666. __— Varese, palafitticoli del, 670. — — Zurigo, 666. — Sabatino, 18. — Verde, Valle di Fontanalba, 486, 489, 526. Lagomys, 264. Lagopus albus, 362. — scoticus, 362. Laigneglia, 649. Lalbingue, 615. — 747 — Lamarmoua Alberto, 620. Lamelle smarginate, 42-43. Lamna, squalo, 286. Lampade, 118. Langen, Val Polcevera, 691. Langhe, 105. Langoelan, Morbihan, 479. Laporterie (de), 224. Larnaud, Giura, 99. Lartet Édouard, 24 n., 27, 159, 172. Latini, 12, 51, 626, 628, 674. Latino, 626. Laurenti Onorato, 492. Lazio, 12, 594, 635, 641, 692. Lefévre J., 606. LelFe nel Bergamasco, giacimento di, 28 n. Lenormand, 616. Lepus cuniculus, 189, 239. — timidus, 189, 262. — variabilis, 163, 362. Lerici, 257. Leroy H , 480. Lesina d’osso, 433. Lestrigoni, 155. Letourneau C., 545, 547, 551. Levenza, 570. Levistre, 539. Lewis (Ebridi occidentali), Isola di, 618. Libi, io, 635. Libia, 551, 686. Libiola, miniera di, 95, 101, 572. Ligatta, Sassello, 565. Ligure, figlio di Fetonte, 626. Liguri, 9-14, 75, 95-97, 105, 166, 300, 328, 343-344. 351. 572, 574. 577. 59°. 594. 601,608, 626, 642, 647-650, 654-697. — acconciature dei, 679. — aspetto e caratteri fisici dei, 677-678. — condizioni sociali dei, 680-682. — costumi dei, 679-680. — dei tempi storici, 676-697. — (supposti) di Golasecca, 668, 670. — in conflitto coi Romani, 689, 692. Liguri, indole dei, 685-689. — problema delle origini dei, 625, 642. — religione dei, 682-685. — il Cristianesimo, 692-697. — Alpini, 678, 690. — Apuani, 681, 690. — Ercali, 594. — Garuli, 594. — Genuati, 691-693. — Ingauni, 681-682, 693-694. — Intemeli, 678, 694. — Lapicinì, 594. — Vagienni, 694. — Vedianzi, 678. — Vituri, 691-692. Liguria, 9-14, 68, 78, 90, 94-95, 105, nó-118, 123, 127, 129-130, 140, 148, 159-160, 178, 186, 189, 204, 225, 233, 236, 245, 251, 269, 328, 362, 364, 367, 370, 401 , 411, 417, 45°, 452, 464, 538, 546-547» 559. 573, 584, 622, 626, 630, 643, 650, 653, 660, 665, 668-670, 697. — Francese, 613-615. — Italiana, 609-613. Liguria Marittima, 13-14, 55, 265, 362, 543, 602, 650, 665, 670, 676, 678, 681, 689. Occidentale, 27, 73-74, 97, 609, 665, 668, 681, 695. — Orientale, 75, 88, 585-596, 609, 670. — preistorica, 22. — romana, 691. — storica, greco-romana, 9-12, 25· Ligusi, 628. Lindemann, 54. Lindenschmidt, io n. Linguadoca, 615. Lioy Paolo, 26. Lipari, Isola di, 396. Lisciatoi e stecche, 430. Lissauer, 495, 503, 542, 551. Lithobius, miriapodo, 186 n. — 748 — Lithodomus lithophagus, 267. Litoglifì e costruttori delle Caselle e dei Recinti, 667-668. Litoplidi (armati di pietra), 26. Littorina littorea, 216. Littré C., 12 n. Lituania, 29. Livi R., 635 n. Livio Tito, 681-682. Loano, 611-612. Lobbia di Yiso, 82. Locana, Ivrea, 83, 86 Loco, Sestri Levante, 95, 103, 572. Lodisio, 565. Lohest, 644 n. Loire, Haute, 465. Lombardi, 636. Lombardia, 464, 666, 668. Lombroso Cesare, 635. Longobardi, 694-696. Lovisato, 78. Lozère, Francia, 465. Lubbock John, 23, 159. Lubiana, 120. Lucca, 17. Lucrezio, senatore, 690. Lnnf, 429, 673, 675-676, 679, 681, 695-696. Lunigiana, 14, 668, 676. Lupi A., 260, 446. Lupus, genere, 184. — spelasus, 179, 436. Lyell, 159. Lys, giacimento del, 86. M Machserodus latidens, 28. Macine, 429, 576. Macinelli, 54, 400. Mackenzie R. W., 617-619. Mac-Pherson, 338. Maddalena (La), Sassello, 565. Madeleine (La), Dordogne, 24, 32, 33. — tipo della, 252, 254. Mader Fritz, 495, 539, 613. Magdalénien, periodo, 24. Magni A., 464, 466 n., 481. Magone, 690. Magra, 11-14, 266, 594» 686. Mahudel, 17. Maira, llnme, 83. Maja Paterna, 693. Major Forsyth, 180. Malvicino, 563. Mangaia, Arcipelago di Cook, 63. Manico di legno, 101. Manie, altipiano carsico delle, 153« 168. Mann O., 83. Manouvrier, 232, 311η. Mantegazza Paolo, 412· Mantero Giacomo, 360. Manufatti di bronzo, 94-104. — — conchiglia, 430. — — ferro e d’altri metalli, 104- I05· _ — metallo sporadici, 572-573· _ _ vetro e di metallo, 421-4 22. — — oro e d’argento, 105-106., — — osso e di corno, 402-408. MANUFATTI LITICI in Liguria, Parte Prima, Cap. Il, 57 9°> 393-402. — METALLICI in Liguria, Parte Prima» Cap. IH» 90-106. Mar Adriatico, 640. — Baltico, 75, 681, 728· Marchesetti (de) Carlo, 118, 599» 0 Mardocheo, rabbino, 548· Maremola, torrente, 578· Marengo, 571. Maret A., 546. Mario, 677, 687-688. Mariotti Giovanni, 103, 591· Mar Ligure, 659. — Nero, 11, 543- Marocco, 426, 486, 536, 547->49» 5 >7» 574· — meridionale, 548· Marona, 567. Maros, il urne, 115. Marsiglia, 9, ion., 576, 671-673, 95· Marsigliesi, 576. Martelli a mano, 54 — 749 — Martens (von) E., 659 n. Martes abietum, 189. — ioina, 189. Martina d’Olba, 83. Mar Tirreno, 673. Masque (La), La Turbia, 606. Massa-Carrara, 14. Massalioti, 672-673. Masso, Sestri Levante, 105. Mastodon, genere, 130. Arvernensis, 28. Mattarana, 89. Mauritania, 628.· Maury, 606, 628. Mayer M., 662. Mediterranea, razza, 544, 638-639,667. Mediterranei, 544, 638. Mediterraneo, 10, 97, 216, 252, 258, 364, 426, 537, 619,635, 637, 638, 661, 668, 672-673, 675. meridionale, 659. occidentale, 622, 631. settentrionale, 426. idioma, 639. egaceros Hybernicus, 179. Megatherium, 149. Meirin, Giusvalla, 564, Melanesia, 88. Meles taxus, 177. Melkart Menuak, 9 n., 671. Menchecourt, diluvium di, 140. Γ1;"·’ 544, 546, 551, 554. n one, 13, i00) 2Q^ 22.^ ?6 ^ Merano, 564. Mercati Michele, 15 MtRCURIO, 683. Mérimée, 586. Mesco, miniere del, 673. Messicani^ 120. Messico, 76-77 n.( 66o> Metamorfica (diabase), 89. Metaponto, 626. Mkau G B'’ 75 n" ?8'79’ δ7'88' “CALI Giuseppe, 627. Micene, 51, 622. Migliastrinì (I), 567. Milani, 94, Millares (Los), Spagna, 507. Millesimo, 565. Milne Edwards E., 186. Minorca, Isola di, 620. Minncciano, 596. Minucii, Quinto e Marco fratelli, 691. Mioglia, 50, 57, 59, 563-564, 569. Missotti, Spigno, 565. Mitra oleacea (Reeve), 353, 426, 659. — turricula, (Jan), 659 n. Mocchie, Yal di Susa, 83, 85. Modica, Sicilia, 152. Modigliani Elio, 268-270, 275. Mogge (Le), 567. Moggia Casa dei Ricci, Pian Castagna, 564, 569. — di Fracassi, Pian Castagna, 564, 569. — di Giafardo, Ponzo ne, 564, 568-569. Moggridge P. G. S., 207, 464, 470, 493, S31 > 540. Mohs, scala di, 72, 80. Molare, 563. Molfetta, 17. Molini di Triora, 570. Molluschi della Caverna delle Arene Candide, 425-427. Molon Francesco, 65, 445-446, 493, 539, 55 1, 562, 633, 636-637. Mombaldone, 564-565. Mombuttu, 21. Mommsen Theodor, 692. Moni piano, Ivrea, 86. Monaco, 9, 13-14, 562, 671-773, 696. Moncalvo, Cartosio, 564. Monesiglio, 565. Monforte, 565, 570. Monaecus (Monaco), 671-673. Mons, Belgio, 29. Montagne Rocciose, 174· Mont-Alban, 264. Montaldo, Spigno, 567, 569. Montarsi, Pareto, 564. Mont Barri, Aspreinont, 605. — Bastide sopra Eza, 605. — Boron, Nizzardo, 264, 562. — Cliauve, Aspreinont, 605. — 750 — Mont de Calern, 614. — des Batailles, La Turbia, 606. — — Cordes, Arles, 615. — — Mules, Monaco, 605. Monte Astemia, 83. — Bastia, presso Eza, 604, 607, 608. — Bego, 486, 489, 515, 534, 540, 556, 558, 668. — Beigua, 83, 560. — Beliindo, Ventimiglia, 75. — Bianco, 89. — Cairo, 611. — Caprazoppa, 186, 259, 364, 366, 368, 653. Montecarlo, 447-448. Monte Castellana, sopra la Spezia, 560. — Cncco, 468 — del Ratto, Bandita di Cassi- nelle, 563. — degli Uri, Bandita di Cassi- nelle, 563, 569. — Domenico, 89. — Ermetta, 83. — Faudo, Porto Maurizio, 445. — Graccliiolo, Val di Tanaro, 68 3. — Grigio, 290, 561. — Grosso, 57ì, 606. — Guerra, 604. — Labenin, 196. — La Croce, 83. — Lenza, sopra Eza, 605. MoNTELIUS, 94 η., 620. Monte Loffa, 464. — Loreto, Sestri Levante, 572. — Macaron, sopra Chateaunenf, 605. Montenotte, 57, 74, 563. Monte Olimpo, 171. — Orso, 606. — Perpetua, Morbello, 564. — Pu, 89. — Rocchetta, IsolaPalmaria, 257. — Rosso, Bandita di Cassinelle, 572. Monterosso al mare, 89, 589. Monte Sabino, Sassello, 563, 570. — Saléve sul Leinano, 155. Monte S. Pietro, Valle del Varatiglia, 190. — Santa Croce, Vernazza, 596. — Santa Maria, 486-487,5 56, 5 38, 668. — Settepani, 610. — Siseri, Sardegna, 619. Montesordo, 152, 182, 295. Monte Trabocchetto, Pietra Ligure. 562. _ Tuggio (M. Tobbio delle mappe), 565- — Valleccia, 567. Montevideo, Corona,' 561. Monte Zopten, Stiria, 79· Montignoso, Livornese, 180. Montoggio, 563, 623. Monviso, 82, 84. Moravia, 660. Morbello, 563-564. Morbihan, Francia, 465, 545· Morelli Nicolò, 8, 51, 55> 57"5 > '» 65-66, 96-97, 1x2, 119, I24> i42“I43> 174, 188-191, 193~T95> 25°> 294> 29 > 298, 302-303, 305-312, 319-ί20' 332’ 3 5 1 . 3 5 5, 360, 362, 374-376,,389. 393-398, 404, 406, 411,4l6> 41 4 9» 423-424,426,438, 444, 446, 452> 5 2> 585, 5S7> 603, 665, 73°· Moko (Del) E., 275. Morra (La), 570. Morselli Enrico, 635. Mortaio, 428. Mortillet (De) Adrien, 32, 34» 39 45,99, 180, 479-48°, 545· _ (De)Gabriel, 23,26-28, 32- 34, 38-39» 78, 99- '59. 180, 247-248, 252"2 5 3» 481, 513» 536· _ Ordinamento di, 3 2"34» 5 5 Mortola, 100, 129, 659 η. Morvan, Francia, 465. Moscardo, 16. Moser Carl, 123. Moustérien, periodo, 24. Moustier, tipo di, 181, 188, 231. 2 5 4’ 291» .571. Mrazec, 77, 81. Mrizo, in fondo al, 569· — 75ΐ - Muller C., 9 η., ΐ2 η. — Τη., 9 η. Muluca, Illune, 687. Murazzano, 565, 57°· Murazzi, Ponzone, 565. Murex trunculus, 272, 277. Muri al (lo, 565. Museo Antropologico di Monaco, 238,448. — Archeologico d’Atene, 51. — — (R.) di Parma, 79. — Civico di Alessandria, 571. — — di Mentone, 223. — — di Storia e d’Arte di Ge- nova, Palazzo Bianco, 597, 73°· — — di Storia Naturale di Ge- nova, 133, 170-171, 183, 195, 206, 208-209 n-> 270, 378, 394, 4!3- — Pedagogico di Genova, 360. — — di Torino, 570. — di Bukarest, 81, 84. ' — — Saint-Germain en-Laye, 248. — — Santa Cruz di Teneriffa, 121. — — Storia Naturale di Bordighera, 360, 495. — — Storia Naturale di Nizza, 263. — ~ — — di Parigi, 206. — Etnografico di Monaco, 234. — (R.) Etnografico e Preistorico di Roma, 339η., 363, 372, 394, 399, 414. 495· — (R.) Geologico Universitario di Genova, 38,42,46,48-50 n,54, 57-58,60-66,75,87,99-101,130, •33, >72, 195, '97, 208, 222, 259, 281 282, 311, 339 η., 344-345,389.418,446,453,495,730. — Prehistoricum, dinanzi alla Barma Grande, 233. Museum (British) di Londra, 495. Mus rattus, 189. — sylvaticus, 189, 191 — Murrini Pietro, 8. Muzio, Console 594. Myoxus glis, 189. — quercinus, 189. Mytilus, 187, 216, 223. N Nabuccodonosor, 586. Nachtigall, 548. Nadaillac (De), 465, 545. Nagpore sull’ Indo, 466. Napoleone I, 13. Narbona, 9. Narce, 482. Nasalis larvatus, 137. Nascio, Cliiavarese, 623. Navello S., 493. Neanderthal, cranio di, 256, 644. Necropoli della Certosa di Bologna, 5 57, 599 6oo> 662- — — Liguria Occidentale, 597-604. — — Liguria Orientale , 589-596. — — Via Venti Settembre in Genova,106,597-601, 675. — di Este, 5 57, 634. — — Golasecca, 417, 481, 557, 593-594, 601, 634, 657, 668-670. — — Marzabotto, 92, 557, 593. — — Palmella, Portogallo, 669. — — S. llario d’Enzn, 634. — — S. Polo d’Enza, 593. — — Santa Lucia presso Tolmino, 599. — — Yillafratij Sicilia, 669. — — Yillanova, Bolognese, 92, 103, 481, 557, 593, 634. NECROPOLI E TOMBE ESOSTO-RICHE, Parte Terza, Cap. IV, 589-604. Negroidi, 643-645. Neive, 570. Neolitoplidi e Calcoplidi, 649-667. Nerone, 591, 693. Nervia, flmne, 196, 260, 689 n. Nestore, 626. Nenville, Aisne, 152. 752 — Neyrinck, 29. Νιαμ-Νιαμ, 21. Nicaragua, 482. Nicsea (Nizza), 672-673. Nicolucci Giustiniano, 629631 633, 637 Niebuhr B. G., 628. Niepce, 454. Ninni A. P., 520. Nizza, 60, 156, 206, 262-263,454, 542, 604-606, 671-675, 696. — breccia ossifera del castello di. 262-263, 450. — Riviera di, 14. Nizzardo, 13, 67, 506, 558, 562, 678. Norvegia, 19. Novarese, 86. Noyon, 606 n. Nuclei, 46. Numidi, 687-688. Nuraghi, 619-622. Nyctea nivea, 162. Ο Oberziner Giovanni, 628,673,690,696. Oceano Atlantico, 216, 238. — Indiano, 426, 659. Ocra rossa, 429. Oderico Gaspare Luigi, 678. Odino, 153. Ofanto, 616. Oggetti diversi con scarse tracce di lavorazione, 54. — d’osso, di corno, di conchiglia, 125-127. Oliio, Stati Uniti, 482. Olanda, 19. Olba, 83-84, 105, 563. Olbicella, S. Pietro d’Olba, 563. Olivier, 606 n. Ollomont, Aosta, 86. Olmo (Aretino), cranio dell’, 453, 648. Olshausen O , 75 n. Om.ilium Allardi, coleottero, 186 n. Omero, io. Oneglia, 562. Oniscus murarius, 186. Orco Feglino, 682. Orcomene, 622. Oriente, 650, 66$, 676. Ormea, 570. Ormei (Gli), Ronzone, >64-565. Orsi P., 116. Orsini Leone, 42, 222, 226-229. Ossa di animali della Caverna del Ponte di Tara, 583· Ossa umane della Caverna del Ponte di Vara, 580-581. Ostrea cochlear, var , 132· Otaiti, 17. Otta, Lisbona, 28. Ottone, imperatore romano, 6 7. Ovibos moschatus, 29. Ovis, 60, 263, 422, 437, 440, 561- — aries, 191. — palustris, 307, 425· — spelaeus, 262. Oxyrhina, 425. P Paalstab, 93-94, 572· Pacanaglia, Yillafranca, 605. Pacifico, isole del, 77· Pacini Candelo Michele, 13 7, 2 >9· Pagrus vulgaris, 425. Paissy, Aisne, 152. Paleolitoplidi, 642 649. Palermo, 575-Palestina, 154 Palestrina, 92. Pallare, 564. . Palma (Canarie), Isola di, 53 · Palmaria (Golfo della Spezia), Iso , 160, 163, 257-258, 560, 647· Palo, Sassello, 45» 75, 5^3, 5 9* Panaro, 641. Pantelleria, Isola di, 619-622. Papuani, 411, 41}, 663-664. Papnasia, 663. Paracelso, 18. Paragnay, 482. Pareto, 563-564, 569. — 753 — Pareto Lorenzo, i6o, 259. Pargnan, Aisne, 152. Paribeni Roberto, 600. Parma, provincia di, 79, 103. Parodi H. G., 729. Passo Arpeto, Nizzardo, 506,515-516, 558. — della Cisa, 563. — del Trem, 486. Patella, 222, 337, 339. — ferruginea, 426, 659. Patrain, 156. Pauli, 517. Pavone (Canavese), Castello di, 429. Pecten, 132, 216, 222. Pectunculus violacescens, 142, 181, 216, 285,291, 322-323, 337-338, 342, 353, 384, 409-410, 432. Pedemonte, Tal Polcevera, 691 Pegazzano, 258. Pegli, pressi di, 8o. Peglio, Val d’Intelvi, 482. Pelasgi, 626. Pelasgo, 626. Pellegrini, 98. Penck, 255 Pendagli, 69, 402, 407-408, 410-413, 430. Penetrazione celtica nella Liguria, 670- 671. Penna (La), Cimaferle, 564. Penne, dip. del Tarn, 615. Peoni, paese dei (Macedonia), 171. Percuotitoi, 54, 400. Perez Adolfo, 206, 208-209 n., 263, 369. Periodo eolitico 32-34. — larnaudiano, 99. — neolitico, 32. paleolitico, 32. Perla, 402. Perrando, D. G, 38, 48, 50 η., 54, 62, 99. >05. 130, 132-133, 136η., 172, 178, 279> 281, 294, 300, 345, 361, 370-371, 379, 404,408-409, 417-418, 422, 5Ói, 565-567, 730. Perrot, 620. Persia, 482. Persiani, 501, 586, 672. Perti, 277. Pertinace, 677. Peruviani, 586. Peso arcaico, 53-54. Pestelli, 54. Phalacrocorax graculus, 258. Pia, torrente, :66. Piana Crixia, 564, 602. Piaiiale, Sassello, 569. Pian Castagna, 563, 569. — dei Buschi, Pontinvrea, 564. — — Crosetti, Squaneto, 564. — della Ghianda, Sassello, 566-567, 569. — di Casale, Val di Trebbia, 98. — Galante, Bandita di Cassinelle, 563. Pianmarino, 295. Piano (II), Dego, 565. — del Sciorè, Corona, 561. — Madonna, 82. — superiore, Sassello, 567. Pianosa, Isola, 10. Pianpaludo, 83-84. Piastrella di bronzo, 433. — forata, 428. — ricavata da una valva di Spon- dylus, 433. Piastrelle non forate, 410-411. Pica caudata, 424. Piccoli, 155. Piceno, 635. Piedicavallo, Biellese, 481. Piemonte, 13, 19, 81, 84, 148, 542, 546, 570-572, 630. Piemontesi, 63(3. Pierre à bassin, 178. Pierre du Petit-Mond, Morbihan, 539. Pietrafuocoj tra il Varo e 1’ Esteron, 570. Pietra Ligure, 97, 142, 145, 188, 366, 562, 573, 578, 585, 611. Pietranera, Val di Trebbia, 98, 572. Pietre da affilare, 54, 399, 576. — — appuntare, 54. — —. macina, 54, 399. Pietro Martire, 16. — 754 — PiETTE E., 33, 217-218, 224, 458, 547, 5Si* Pieve (li Teco, pietra cruciata di, 484-485. 546, 573· Pigna, 196, 204. n., 446. Pignone, torrente, 595. Pigorini Luigi, 218, 248, 26$, 328, 398, 632-633 635, 666, 668-669. Pinna, 411, 432. Pintaderas, 120-125, 329, 333-335, 475, 561, 574, 657, 660, 662. Pinus cembra. 649. — montana, 649. — sylvestris, 649. Pinza G., 507, 619-620. Piolti Giuseppe, 77, 8i, 84. Piota, torrente, 105. Pirenaica, penisola, 557. Pirenei, 175, 631, 671. Pisa, 11, 156,673. Piz Longliin, Tal Bregaglia (Gri-gioni), 79. Pizzo d’Evigno, Oneglia, 611. Planestels (le Caussols, 614. Plinio, 32, 15. Piodio, 565. Plutarco, 677. Plot, 16. Po, 11-14. Podestà Giulio, 302, 361. — Paolo, 60, 429, 589-596. Podiceps auritus, 362. — griscigena, 362. Poggi Gaetano, 639-640, 682-683, 692. — Vittorio, 613 n. Poggio (II), Marengo, 571. Polibio, ii, 677. Polidamo, 171. Polinesiani, 413. Pollini C., 453-454. Polonia, 29, 482. Polydesmus, miriapodo. 186 n. Polyprion cernium, 425. Pommiers, Ardéclie, 615. Pontestura, 86. Pontinvrea, 563-564. Pont Saint Martin, 399 n. Ponzone, 39, 48-49, 57*5^ 72_73> -164, 563, 565, 568-569. Porfirio, 15. Por drizzatori, 54. Portogallo, 19, 480, 642. Porto Maurizio, 14, 562, 607, 609, 11, 696. Posidonio, 632. Pranishniskof, archeologo, 615. Prato A. F., 493, 5°9- Prato del Castello, Morbello, 564· — — Duca, Corona, 561· — — Fieno, presso AlpiceHa> 5 °· — delle Bane, 567· — d’Ermo, 460. — di Castello, Ponzone, 569- — Fiorito (Lago superiore < 1), Monviso, 82-83, 85. — Leone presso Gallaneto ( am poinorone), 56°· Prestwich, 258. _ , Prichard, (forma piramidale 1). Principe (Genova), stazione errovi del, 129. Prometeo, 9-10 n. Protoetruschi, 639. Provenza, 1 (, 97, '48, 4*7’ 6?I’ 574, 577, 584» 604, 615,6 7, Pruner-bey, 141. Pmssia, 88. Puglie, 615-617. Pugnali, 44-45· — di bronzo, ioi-i°3· — d’osso, 404. Pullé L. F., 640. Punta Alzabecchi, 192· — del Lago, 83. — Murel, Monviso, 82. — di Freccia romboidal·’, 42 Punte di Freccia, 396-397· _ _ _ e di Zagaglia d osso, 402, 4°3· — — Lancia d’osso, 4°4, 429· _ _ _ e di Freccia, 46'5r* ___Zagaglia e di Giavellotto d’osso, 429, 659· Punteruoli, 46. „ Pupa psarolena (Bourguigna i)» r9 — 755 Purpura hasmastoma (Linné), 272, 285, 337» 426. — lapillus, 216. Putorius, 186. — antiquus (Mayer), 189. Puy Courny, Cantal, 32. Puymenerga, Roccabruna, 605. Pyrrhocorax Alpinus, 189, 258, 307, 362, 424. Q Quatrefages (pe), 141,200,213, 455, 537. 544» 645.. Quibone, Cartosio, 564. R Raccolte del Sig. G. B. Rossi nella Caverna delle Arene Candide, 427. 432. Radagasio, 695. Ragazzi D.r, 195. Raimondi Prof. G., 378, 585. Ramorino Giovanni, 160, 186-187,370. Ranella gigantea, 728. Rangifer tarandus, renne, 27, 30. Ranzi, 97, 573. Raschiatoi, 41-42, 397, 428. Reber, 547. RECINTI E CASELLE, Parte Terza, Cap. V, 604-624. Re di Contino, Morbello, 564, 569'. Reclus Elisée, 538. Regalia Ettore, 137, 160-163, 257-258, 560. Reggio Emilia, provincia di, 76, 265, 561, 573- Regione Ligure, 86, 126, 146, 149, 256, 265, 602. Remedello, Bresciano, tombe eneolitiche di, 23, 249, Revel, La Trinité, 605. Revelli Prof., 152. Itevère, (La), La Tnrbia, 606. Rhinoceros, genere, 179. — Etruscus, 28. Rhinoceros Mercki, 29-30, 239, 242, 243, 256, 643, 646, 649. — spelaeus, 261-262. — tichorhinus, 29-70, 209,242, 248. Rhinolophus ierrum-equinum, 189. Rianazza, Giusvalla, 564. Rimini, 641. Rio dei Ponci, 166. — del Corvo, 196. — della Yalle, affluente dell’Aquila, 152, 295, 297, 361. — della Valle, affi, del Varatiglia, 443. — Martino, 460. — Torsero, Albenga, 129. Ripamonti L., 729. Risso A., 263. Ritanazzo, Ponzone, 564. Riviera di Levante, 14, 89, 95, 572, 594, 668, 676*68^, 694. — Ponente, 14, 74, 90, 129, 146,148, 265, 366-367, 470, 594, 601, 603, 611, 647, 650, 670, 696. Riviere, le due, 97, 126, 260, 650,661, 674-680, 684, 691, 694. Rivière Emilio, 40, 207, 209-220, 222, 231, 241-243, 218-249, 252, 261, 263-264, 446-447, 470, 493» 508, 514, 517, 521, 527, 532, 536-537, 544, 551- Rivo Cornei, affluente del Pia, 468. — della Miniera, 486-487, 489. Rivoli Veronese, 634. Robenbausen, Zurigo. 23, 32. Robenhausien, periodo, 23. Rocca Ber leurio, 443. Roccabruna 13, 73, 604. Rocca delle Fene, 97, 573. — di Perti, 164, 365-364, 562. — Sansobbia, Corona, 561 Roccatagliata, 94. Roccaverano, 565. Rocce di cui son fabbricati gli stromenti litici, 73-75. Rocchetta Cengio, 565. Rodano, 557. Rodi, Isola di, 482. — 756 Roia, 13-14, 266, 558, 626. Roma, 17, 57, 155, 591» 602, 67+~675> 690-694. Romagnano, Tal Sesia, 86. Romani, 18,95, 166,300,514,607,626, 631,634,671,673, 677,680, 682-692. Rosa Concezio, 38. — (Dalla) Guido, 621. Rosazza, Biellese, 4s'o. Roshnmùller, 155. Roslei, Dego, 565. Rossi G. B., 99, 103, 114, 118, 223, 224, 275, 283, 288-289, 294, 304, 315? 322, 3 33. 3 36, 339» 418, 427, 430, 43», 560-561, 564-565, 567. Rossi Girolamo, 100, 206, 573, 693. Rossi Vincenzo, 41, 565. Rossi (De) Michele Stefano, 18, 571. Rossiglione sulla Stara, 563. Rotari, 695-696. Rouse, 67. Rovereto Gaetano, 79-80, 83, 184, 542, 460, 562, 613 n. Rumina decollata, 184 n., 189. Rupicapra tragus, camoscio, 239. Rutot A., 29, 254-255. s Sabatino, Lago, 18. Sabini, 626 Sabino, 626. Sacco F., 261. Saiga tatarica. 29. Saint-Acheul, Somme, 24, 32. — Agnès, 606. — Antonin, 615. — Césaire, Alpi Marittime, 546. — Marce), Talle d’Aosta, 78,83-85. — Prest, Francia, 28 — Sébastien, Aspremont, 605. Saint-Venant (dk), 527 η. Saliceto, 565. Salino F., 684. Sallustio, 627, 687. Salluvi, XI. Salmon, 248. Salto, Cappella del, 74· Salvagno Claudio di Tenda, 499. Salvagnoli Marchetti, 17 S. A.MBROGiodi Milano,basilica di,466η. S. Barnaba. 693. S. Bernardo di Martiniana, 83. S. Calocero, 693. S. Dalma zzo, 694. S. Dalmazzo di Tenda, 486-487. S. Defendente (Genova), Salita di, 597. ?. Eugenio, 276, 684, 729. S. Fiorenzo, 729. S. Giacomo, Pietra Ligure, 611. S. Giovanni, presso Ajaccio, 586. S. Luis, Bolivia, ?39· S. Marziano, 693. I Sannio, 681. S. Pietro d’Olba, 563. S. Remo, 65,445, 562· S. Terenzo, 257. S. Vindemiale, 276, 684, 729· Sansobbia, torrente, 73· Santa Crnz di Teneriffa, 121. Santa Giulia, 565· Santa Lucia, (Siracusa), chiesa di, 19· Santo Stefano Riva, 445· S.S. Nazario e Celso, 693. Santuola, 458. Sara, 154· Saraceni, 538 η., 540, 691, 696. Sardegna, 18, 97, 156, 3°7> 41?» 5°3> 507, 542, 558, 619, 621’ 659, 671, 687, 695. — Occidentale, 74· Sardegna, regno di, 13. Sardi, io. Sargus Rondeleti, 425. Sarzana, 60. Sassello, 23, 38-39, 41-, 46» 48-49» 51 > 54- 57-59» 61, 64, 72, 74 n-> 59 n·' 561, 565-566, 569-570. Sassonia, 77. Saturno, 626. Saum (Stiria), fiume, 79· Saussure (de), 155. Sauvigny-les-Bois, Nièvre, 39· Savi Paolo, 159, 259. I Savilles, Ardèche, 615. — 757 — Savona, 130-151, 137.142, 145, 560. Savonese, 249, 642. Scalpelli ed altri manufatti analoghi, 65-66, 395. Scalpello o raschiapelli d’osso, 406-407. Scandinavia, 25, 90-91, 103,250,465-466, 486, 555 η. Scania, 521. SCARABELLI GIUSEPPE, 17, 38. Scaria, Val d’Intelvi, 482. Schaaffhausen, 644 n. Schegge, 397. Scheletri umani delle Arene Candide, 389-393. Schiaparelli S., 631. Schiappato, Ponzone, 564. Schliemann, 51, 88, 116, 120, 547. ScHMERLING, I 58-I 59, 169, 176, 194. Schmidt Hubert, 115, 417. Schultze, 222. Scioa, 195, 320. Scozia, 465, 617. Seri via, 13. Sea Bianca, Valle Po, 83. Seghe litiche, 45, 396. Selci diverse, 51-53. Sempronio, i i. Senegai, 21. Seneca, 12, 680. Senéchal, 215. Senoni, II. Sergi Giuseppe, 544, 632-636,638-659, 667. — tipo ellissoide piano di, 589. — — ovoide di, 272. — — — piano di, 391. — — pentagonoide di, 311. — — sfenoide rotondo di, 452. Serra Girolamo, 680. Serravezza, miniere di, 673. Serres (de) Marcel, 156, 172. Serse io, 171. Servio, 51. Sesi dell’Isola di Pantelleria, 621-622. Sesia, 86. Sestio Calvino (Caio), 576. Sestri Levante, 560, 673. — Ponente, 86. Seton-Karr, 174. Sfax, Tunisia, 586. SlCANI, IO, 631. Sicilia, 10, 75, 93, 152, 156, 417, 542, 635. 659, 692. Siculi, 12, 626, 628, 631, 635. Siculo, 626. Sideroplidi (armati di ferro), 26, 667-676. Signal Rollami (Le), La Turfoia, 606. Sinette, Le, Val di Susa, 85. Siracusa, 19. Siret, signori, 586. Siria, 10. Sirococca, Saint-Agnès, 606. Sistema pliocenico in Liguria, 129-151. Sky, Isola di, 618. Smirne, 20, 466. Smyers, 207. Società, Isole della, 19. Solutré, Saòue-et-Loire, 24, 32. — tipo di, 256 Solutréen, periodo, 24. Somali, 678. SoMERVILLE J. E., 250, 6l8. Songo, altipiano del Niger, 729. Spagna, 16, 22, 126, 152, 156, 466, 486, 503, 507, 543, 586, 629, 648, 670. — meridionale, 27. — orientale, 542. Spano Giovanni, 620. Specchie, 617, 620, 622 Sperone (Lo), (Savona), balza di gneiss, I31· Spezia Giorgio, 621. Spezia, Golfo della, 257, 560, 647,660, 673. Spigno, 564-565. Spondylus, 272, 522-323, 3 37-338» 3 5 3» 415-414. - gsederopus, 355, 433 > 442· Spotorno, 25, 277, 585. Spy, tipo di, 256, 644. Squalodon, 179-180. Squaneto, 565-564. Stasi, 52. Stazione della Chancelade, 638. — — Lagozza, 118. - 758 - Stazione neolitica di Alba, 82,84, 57°i 572.' — delle Beaumes-Chaudes,63S. — di Albinea, Reggiano, 573. — — Argecilla, penisola Ibe- rica, 418. — — Chassey, 118. — — Gérofin, lago (li Bienne, 78. — — Lagozzetta presso Bes-nate, Lombardia, 417. — — Laugerie-Basse, 638. — — — Hante, 33. — — Le 3Ioustier, Dordogne, 2\, 32, 40, 191, 25I. — — Priesterliiigel p. Brenn- dorf, Moravia, 123. — — Tordos sul Maros, Un- gheria, 115-116, 417. — — Yiille Sanri, Spigno, 565, 569. Stazioni dell’Istria, 118 — del Perigord, 247, 253. — e manufatti pertinenti alle fasi litiche, 559 572. — litiche del Piemonte in con- nessione con quelle della Liguria, $7°->72 STAZIONI PREISTORICHE E MANUFATTI SPORADICI ALL’APERTO, Parte Terza, Cap. II, 559-578· — preistoriche lontane dalla Li- guria Marittima, $73-578- — prossime alla Spezia, 74· Stefani (De) Stefano, 464. Stella, 82, 86. Stella S. Bartolomeo, 560. — S. Bernardo, 560. — S. Giovanni Battista, 67, 560. — S. Martino, 45, 560. — S.‘* Giustina, 39-40,44, 46, 48- 50, 74, 101, 398 n.„ 561, 572. Sterna macrura, 258. Stiletti d’osso, 404-405. Stiria, 77, 79. Stoppani Antonio, 75 n. Strabone, 9η., i2, $43, 628, 680-681. Strepsiceros kudù, antilope, $iS. Strobel Pellegrino, 75 n , 77, 79, 194, 265» 398· Strombus Mediterraneus, 236, 238-239. Stura, 72, 105, 563. — (li Lanzo, 86. Sturge Allen, 45, 45 n-> 52· Sudan, 662 n. Suore della Misericordia (chiesa delle), Savona, 151. Suria (li Paiè, Morbello, 564. — — Resia, Giusvalla, 564. Suriazza, Spigno, 565. Sus aper, 179. — larvatus, 211. — palustris, 359, 423-424· — scrofa, 189, 239, 262, 322. Svetonio, 15. Svezia, 100, 482. — meridionale, 154-Svizzera, 76, 78, 8 r, 84, 88, 90-91, 126, 465-466, 666. T Tabella delle principali misure prese sulle ossa umane della caverna delle Arene Candide, 451 Tadone, 570. Talayots, 619-622. Talismani, 69-73, 4°5-4°6· Talpa Europaea, 189. Tana, torrente, 86. Tanarda 0 Tenarda, 570. Tanaro, 565, 570. Taramelli Antonio, 620. Taranto, 575, 626. Tarquinia, 92. 155. Taverne, S. Pietro d’Olba, 5^3· Tavola della Polcevera, 640, 691-692. Telegone, 51. Tempi terziario, quaternario ed at tuale, 32. - 759 — Tenao, La Turbia, 606. Tenedos, monete di, 88. Teneriffa, 20. Tennessee, Stati Uniti, 482. Teofrasto, 19. Tera, 552. Terramaricoli, 666 667. Terrarossa, Pian Castagna, 564, 569. Tessaglia, 171. Testa del Campo, 604. Testa di mazza, 394. Teste di mazza ad anello, 68. Testudo radiata d’Australia, 263. Teti, Sardegna, 507. Tète de Cliien (La), La Turbia, 606. Tetrao albus, 186. — tetrix, 177. — urogallus, 186, 362. Teutsch I., 123. Thenay, Loir-et-Cher, 32. Thierry A., 10 n Thiviers, Dordogne, 615 Thomas, 617. Thoron, Ouffroy (de), 539. Tibbù, 548 Tiberio Veturio, 575 n. Tibet, 94, 482. Ticino, 669. Tiefenau, 91. Tiglieto, Valle Olba, 83, 563. Tigré, 320 Tirolo meridionale, 88 Tiziano, vescovo di Treviso, 684. Toirano, 190, 192, 443-444, 452, 587. Toleto, 563 564. Tolomeo, 672. 1 omba delle Arene Candide, contenuto di una, 431-43. — di Yalloria, Savonese, 602. Tombe del Savonese, 249. — di Ameglia, 94, 589-591, 681. — — Castelletto, 634. — — Cenisola, 591-595, 681. — — Ceparana, 595. — — Fontanella, Mantova, 249. — — Monterosso e di Vernazza, 589» 595-596 Tombe di Remcdello, 23, 249. Tombe di Savignone, 601-602, 681. — — Voltri, 601. — diverse, 602-604. Torino, 85. Torre (La), Dego, 565. Torretta-Revest, ora Revest, 570. Tortona, 570. Toni-asse (La), H> Garonne, 32. TOURNAL, I56. Tournefort, 155. Traila, 83. Transilvania, 660. Trapani o punteruoli, 46. Traverso G. B., 82. Trebbia 11, 13. Trincetti, 39-41. Tritoni. 413. Triton cutaceum, 728. — nodiferum (Linné), 272, 285,322, 353. 411» 413) 442, 658. — succintum (Lamarck), 272. Trochus, 222, 224, 322, 413, 587. — fragarioides. — turbinatus, 426. Trogontherium Cuvieri, 29. Troia, 10, 116, 120, 482, 586. Trombe marine, 413. Trou du Frontal, Belgio, 200. Troyon, 465. Trulli delle Puglie, 615-617. Trutat E , 175 Tlareg, 550. Tucidide, io. Tunisia, 20, 426. Turbia, La, 542. — trofeo romano della, 690. Turchia, 27. Turdus migratorius, 186. Tuscolo, 51. u Uliveto, Pisa, 156. Umbri, 629, 639, 641, 677. Umbria, 67 n., 635. Ungheria, 22, 115, 419. — 760 — Unnerico, re dei Vandali, 729. Ursus, genere, 184, 258-259, 441. — arctos, 172, 175, 179, 194, 202, 239, 243, 262, 442. — ferox delle Montagne Rocciose, >74*175· — Leodiensis, 194. — Ligusticus, 174-176, 179, 184, 189, 191, i93'I94. 202. — priscus, 175, 179· — spelieus, orso delle caverne, 27, 31, 1 S9> 172-176. 178-182, 186, 189, 191, Ι93Ί94. 2I2> 215, 239-240, 243, 24S, 258, 263, 291. Uruguay, 21. Uvio (li Cotella, Sassello, 367, 570. — — Faié, Morbello, 564. — — Nona, Sassello, 567. V Vacca Agostino, 260, 453. Yaccaria, Arenzano, 560. Yagli-Sotto, 596. Yal Fenouil, Roccabruna, 605. Yallauria, miniera di, 486-487, 538-539. Valle Carlo, Torino, 499. Yalle Casterino, 486-487, 489, 494. — d’Aosta, 78, 83 85, 88. — (lei Bepmale, 615. — — Cashmire, Indie Orientali, 466. — — Centa, 129. — — Cervo, Biellese, 86. — — Gorzente, 86. — — Lys, 85. — — Neva, 74. — — Niger, 662 n. — — Pia, 74, 153. 164-165, 468, 682. — - Po, 82-83, 85, 97, 542, 557 » 632-636, 639-641, 650, 659, 666,670-671, 674-676. — — Porrà, 74, 164. — — Rivo Praniga, Pegli, 80. Yalle del Rodano, 45°, 5 57-5 58. — — Sansobbia, 398 n· — — Tanaro, 57°, 683. — — Teiro, 398 n. — — Tevere, 675. — — Yaratiglia, 74, I9°> 444· — — Yaro, 129, 668. — dell’ Aisne, 45°· — - Aquila, 74, 164-165, 181-182, 290, 468-469, 502 — — Argentina, 57°· — — Auzza, 445· _ _ Elvo, Biellese, 86. — — Indo, 486· _ _ Oise, 45°· _ _ Olba, 83. — — Orco, 83. _ della Dora Baltea, 85. _ _ Gordolasca, 5 58· — — Magra, 257, 594, 673- — — Miniera, 486. _ _ Mosa, 45°· — — Nervia, 237. _ — Boia, 129, 237, 540· — — Tinea, 57°· _ — Yesnbia, 668. _ _ Yézère, Francia, 127· __Vibrata, Abrua» Torama- no, 38. „ — delle Meraviglie,499-5°5» 5°7'5 » 515-516, 523-524, 528->3°-531, 540, 542· — di Fontnnalba, 464, 4°7> ^°' 483, 486-49°· 493- 49&" 497,501-506, 412,5I3'515, 517, 519, 522-523» 528-529* 532-53+- 536,538-540,512, 544, 546, 5 58-5 59· _ — Inferno, 4Ó4, 467, 47<->. 4 3> 486-490, 493-5°8'5i8>52 » ;27, »2, 531' »*■ 538. 544, 546, 5 59- — — Oropa, 84, 86. _ — Sangonetto, 83. — — Susa, 83-85. — — Yalauretta, 486-487· _ Giannetti, Pian Castagna, 564- — Grana, 83. 761 — Valle Isasca, 83. Val Maira, 83. Valmasca, 487, 489 11.-490. Val Sesia, 86. Valle Trebbia, 98, 563, 572, 623. 636. — Ue(l Itel, Costantina, 550. Val Varaita, 82. Valle (La) Finalese, 18?.. Vallisnieri, 16. Vallone della Rocca, ^15-516. — di S. Luigi, 13, 205, 209. — Empoanraina, 5 58. — Gilba, 83. — Lavassa, 558. Vaoin, Tarn, 615. Vara, 594. — inferiore, 83. Varanus, 424, 659. Varatiglia, torrente, 192, 443-444. Varazze, 86, 560. Varigotti, 612. Varni Santo, 601. A aro, n-14, 558, 570, 604, 626, 686. Varrone (C. Terenzio), console, 594. Vasi di pietra oliare, 397-398. — fittili, 106-117. Vasseur G., 356, 574, 576, 615. Veleno, torrente, 460. Velletri, 155. Veneti, 634. Veneto, 631. Ventimiglia, 100, 102, 205, 252, 369, 487, 540, 573, 647, 687. \ento (vico del), Savona, 131, 137. Venus, 272, 323, 358. Verghette nasali, 411-413. \ erneau Renato, 121, 230-232, 23 4, 245, 247, 253, 274, 282-283, 448, 450, 537, 644, 6 1^6. Verzi, 166. Vesiina, Arenzano, 105, 560. Vespertilio murinus, 189. Vesubia, 558. Vetriera superiore, Savonese, 75. Vetulonia, 92. Via da Pietra Ligure a Ranzi, 97. — Erculea, 542. — rotabile da Genova alla Spezia, 89. — Sacra, 490. — Venti Settembre, Genova, 106, 597-601, 675. Viazzi, Sassello, 49. Vico Garganico, 38. Vignaretto, Pontinvrea, 564. Vignolo G., 80. Villa Collemandina, 596. Villafranca, 542, 584, 672. Villanova, 594, 639. Villar Foccbiardo, 85. Villari Pasq.u*le, 339. Villeneuve (de) L, 233-234,448, 562. Vinadio, Terme di, 570. Vincent Pyramide, 86. Virchow R., 79, 87, 222, 376. Virgilio, 51, 627. Visgioti, 695. Visone, torrente, presso Grognardo, 84. Vitellio, 687. Volterra, 92. Voltri, 560. — gruppo di, 74. Vulpes meridionalis, 163. w Wall, 294, 360, 373-376, 407. Woldrich 163. Y Vucatan, 112, 120. z Zambonini. 85. Zanardelli Tito, 612 n. Zante, Isola di, 586. Zappette, 61-62. Zelanda, Nuova, 77, 83. Zeus, 9. Zinola. Savona, 130. Atti Soc. I.ig. St. Patri*. Voi. XL. 49 ■ v J;V. ·. · . ' \ * ' Γ INDICE GENERALE Prefazione............ Introduzione — Prima menzione dei Liguri — Estensione della Liguria secondo gli antichi — Liguria odierna . ... . PARTE PRIMA Cap. I. — Età preistoriche in generale. Età della pietra — Ceraunie — Superstizioni relative agli antichi manufatti di pietra — Manufatti di ematite e di limonite — Età neolitica e paleolitica — Ordinamento di De Mortillet — Ordinamento cronologico ammesso dall’autore — Epoche geologiche e fasi paletnologiche ....... Cap. II. — Manufatti litici in Liguria. Armi ed utensili scheggiati — Armi ed utensili levigati — Rocce di cui son fabbricati gli stromenti litici — La questione della gia-daite e della giada ......... Cap. III. — Degli antichi manufatti metallici in Liguria. Considerazioni generali — Manufatti in bronzo — Manufatti in ferro e in altri metalli.......... Cap. IV. — Dei fittili preistorici e di altri manufatti in Liguria. Vasi fìttili — Coperchi, fusaruole, lampade, figure d’uomini e d’animali, pintaderas........... PARTE SECONDA Cap. I. — I giacimenti pliocenici. Il sistema pliocenico in Liguria — Antropoide di Savona — Antropoide di Pietra Ligure .......... — 7Ó4 — Cap. IV. — Fossili d’incerta data. Cranio amano di Val Varatiglia — Avanzi umani di Nizza Pag. 14° Cap. II. — I giacimenti quaternari. Delle caverne ossifere in generale — Investigatori delle caverne Caverna dei Colombi — Caverna delle Fate — Gruppo di caverne situate nella valle dell’Aquila Caverne del Rio e Martino — Grotta di Verezzi — Caverna del Pastore o Livrea — Caverna della Giacheira — Caverne dei Balzi Rossi 11 cimenti quaternari destituiti di vestigia umane . Cap. III. — I giacimenti recenti. Caverne ossifere a facies neolitica — Caverna di Bergeg gi i del Sanguineto o della Matta - Altre caverne nella valle dell’Aquila — Caverna Pollerà — Caverne prossime alla Pollerà Caverna delle Arene Candide — Caverna di Galuzzo Caverne dei pressi di Verezzi, Loano e Toirano Caverne situate ponente di Porto Maurizio — Caverna « Les Spelugues Caverna dei Bassi Molini — Minori anfratti e caverne App ^ dice: Tabella di misure scheletriche . 452 PARTE TERZA Cap. I. — Incisioni rupestri. Considerazioni generali — Acquasanta — Finalese Pieve di T ,457 — Alpi Marittime . . · · ■ · · Cap. II. — Stazioni preistoriche e manufatti sporadici all’aperto. Stazioni e manufatti pertinenti alle fasi litiche — Manufatti di metall sporadici — Stazioni preistoriche lontane dalla Liguria Marittima Cap. III. — Caverne a facies siderolitica. Caverna del Ponte di Vara — Caverna della Bastia Cap. IV. — Necropoli e tombe esostoriche. Liguria Orientale — Tombe d’Ameglia — Tombe di Cenisola e di Ce parana — Genovesato e Liguria Occidentale Necropo della Via XX Settembre in Genova — Tombe di Savignone ^ ^ — Altre tombe. . . . . » 559 » 578 765 — Gap. V. — Recinti e caselle. Recinti — Caselle e Cabanne — Liguria Italiana — Liguria Francese — Provenza ed altre provincie francesi — Trulli delle Puglie — Behive houses delle Isole Britanniche — Nuraghi, Talayols ecc — Altre costruzioni rustiche in Liguria ...... Pag. 601 PARTE QUARTA Cap. I. — Epilogo. 11 problema delle origini Liguri — Antichità Greco-Romane — Rinascimento — Tempi moderni — Antropoide — Paleolitoplidi — Negroidi — Scheletri della Barma Grande ecc. — Altri tipi — Neolitoplidi e Calcoplidi — Commistione di tipi — Tipo delle Arene Candide — Costumi, industrie, arti dei Cavernicoli — Relazioni dei Cavernicoli con altra gente — Credenze — Clima, flora, ecc. — Immigrazioni, ecc. — Sideroplidi — Supposti Liguri di Golasecca — Penetrazione Celtica — Relazioni dei Liguri coi Fenici, i Cartaginesi, i Focesi, gli Etruschi, i Galli, ecc. — I Liguri dei tempi storici — Aspetto e caratteri fisici — Costumi, acconciature, condizioni sociali, religione, indole — I Liguri in conflitto coi Romani — Il Cristianesimo — Conclusione . . »625 Bibliografia Paletnologica della Liguria ....... 699 Indice delle figure intercalate nel testo. . . . . . » 714 Spiegazione delle tavole ...» 724 Note e Avvertenze. .......... » 728 Indice alfabetico dei nomi e delle materie Indice Generale..... » 751 » 763 > ' . ο ■ ‘ \ ■ ' ERRATA *3, 52, 98, 138, 208, 210, 231, 276, 3 5?» 379) 424, 450, 5°3. 539. 615, 647. 695 696. linea 21 e 22, invece di “ idrotermica ,, leggasi “ idrotemica » 15, invece di “ Tourasienne ,, leggasi “ Tourassienne » ultima, invece di “ Neufch.itel ,, leggasi “ Neuchàtel » 8 e 20, invece di “ Fig. 55 ,, leggasi “ Fig. 55 bis ,,. » 11, invece di “appuntati,, leggasi “acuminati ad una estremità o a due ,, ; 17, porre sotto la Fig. 64 la spiegazione, cioè “ Coltellino di piromaca dei Balzi Rossi,,. » 29, invece di “ Kjòkkenmoddings ,, leggasi “ Kjòkkenmodding . » 31, si trasportino le parole “ 2° (maschile),, alla linea immediatamente sovrapposta. » ultima, invece di “ Windemiale ,, leggasi “ Vindemiale ,, . » ii, si trasporti il segno “ (1),, alla linea 25, dopo le parole “ apice rotto ,,. >> 6, invece di “ atto ., leggasi “ fatto ,,. » linea 13, invece di “ anas ,, leggasi “ anas ,,. » 13, invece delle parole “e quello eziandio,, leggasi “E’ pur grandissimo quello ,,. » 10 (spiegaz. della fio. 162), invece di “una figura ,, leggasi “ una falce » 17, invece di “ Massachusets ,, leggasi “ Massachussetts » 26, invece di “ Pomiers ,, leggasi “ Pommiers ,,. » 11, invece di “ solevavano ,, leggasi “solevano,,. » 31, invece di “ cattolici ,, leggasi “ seguaci dell’ortodossia ,,. » ultima, invece di “ clini,, leggasi “ clima ,, . I. . ’ ■ -\V Issel. Liguria Preistorica. Tav. I. Manufatti di pietra scheggiata (Disegni di N. Morelli). . . ■ A. Issel. Liguria Preistorica. Tav. II. A. Issel. Liguria Preistorica. Tav. Manufatti di terra cotta (Disegni di N. Morelli). A. Issel. Liguria Preistorica. Tav. IV. Manufatti d’osso, di conchiglia e di pietra (da fotografie). Issel. Liguria Preistorica. Tav. V. Vertebrati fossili (Disegni di N. Morelli). Superficie levigate dai ghiacciai e rubefatte dagli agenti atmosferici con incisioni rupestri, alle falde del Monte di Santa Maria (Bicknell), ■ ' ' . - ATTI DELLA ( SOCIETÀ’ LIGURE DI STORIA PATRIA APPENDICE AL VOLUME XL GENOVA NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ’ LIGURE DI STORIA PATRIA Palazzo Rosso mcmxxi ATTI DELLA S0CIET7Y LIGURE DI % STORIA PATRIA APPENDICE AL VOLUME XL GENOVA NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ’ LIGURE DI STORIA PATRIA Palazzo Rosso mcmxxi Ciascun autore degli scritti pubblicati negli Fìtti òella 5ocietà è unico garante òelle proprie produzioni e opinioni Proprietà Letteraria della Società Ligure di Stoi ia Patria in Genova Stabilimento Tipografico Tecnico Industriale Piazza dell' Agnello 6-3 GENOVA LIGURIA PREISTORICA NOTE SUPPLEMENTARI DEL SOCIO ARTURO ISSEL LIGURIA PREISTORICA NOTE SUPPLEMENTARI Da che, nel 1908, mi studiai di riunire in un complesso organico, razionalmente ordinato, le nozioni relative alla paletnologia della Liguria, continuarono, comunque con minor intensità, de indagini nelle stazioni preistoriche e sui singoli manufatti concernenti le antiche manifestazioni delle società umane nella nostra regione, così attraente per il naturalista, per Γarcheologo e per lo storico. Mi è parso opportuno e non inutile di adunare i materiali raccolti in questa appendice, nella quale mi sono proposto eziandio di rettificare alcuni apprezzamenti meno esatti contenuti nel mio lavoro e di porgere qualche dato comparativo atto ad agevolare le ricerche riferibili all’origine e alle relazioni reciproche delle stirpi primitive che lasciarono le proprie reliquie lungo le rive del Mediterraneo. — 6 - Seguirò in questa esposizione l’ordine stesso adottato nello svolgimento dell’opera da me pubblicata nel 1908, e mi lusingo che il mio nuovo ìepertorio valga ad agevolare e a promuovere ulteriori studi per l’illustrazione della Liguria e dei suoi abitanti. Meritano di essere ricordati i recenti ritrovamenti relativi alla nostra paletnologia, non solo per le conseguenze che ne emergono, ma anche per id fatto increscioso della crisi economica e sociale succeduta alla guerra combattuta fra il 1914 e il 1918, che ha provocato una deplorevole decadenza degli studi storici e preistorici, cagionando eziandio la scomparsa di molti preziosi documenti e rendendo le indagini ulteriori più ardue e dispendiose. Caverne ossifere a facies paleolitica. Caverna delle Fate. Meil’esporre le scarse notizie supplementari relativo a queste ca\rerne, procederò da Levante a Ponente. La prima che m’incombe l'obbligo di menzionare è quella detta delle Fate, situata nell’alto della balza dalla quale è limitata a sinistra, non lunge da Calvisiio, nel Fin alese, la valle del torrente Pia (in vernacolo a Se Ai mea). Già ebbi a descrivere il materiale paleontologico e i manufatti rinvenuti nei suoi depositi da parecchi esploratori e da me stesso. Molti fossili, e principalmente ossami d’orsi, raccolti dal Sig. G. B. Rossi e dal Prof. G. B. Amerano, furono acquistati dal R· Museo Geologico Universitario di Genova, ma è mancata fin qui la opportunità di studiarli e descriverli in modo \ — 7 — esauriente. Debbo però aggiungere qualche osservazione alle notizie da me fornite in proposito nella mia Liguria Prarer m*°’ tre stazioni dei presisi di Bardineto cui ho fatto cenno accusano abitazioni o rifugi tem-^ Pastori, forse anche di cacciatori, che risal-'on° Probabilmente ai tempi protostorici. °I(^ne alla Grotta Ghiara, della quale mi oecu- nuf a^a ^ mi'° libro precitato, insieme ai ma- ti atti già da me registrati, figurano nella collezione p0,10 ‘i’ Cl°n'Servatia nel Museo di Storia e d’Arte del a azzo Bianco, un coltellino di selce e cocci di fìttili neolitici comuni, di questa provenienza; oltre a CJ-°> un ornamento riferibile ad un tipo non raro nelle Pa a®^e lacustri, il quale risulta di un filo di bronzo avvolto in senso inverso dalle due parti, in modo da 01 mare due spirali piane piuttosto strette, assai vici-l’urna all’altra. Della caverna denominata La T anas sa si osservano llejua medesima collezione: una punta di freccia di S€uCe a foglia di sambuco (vedasi Iconografia della — 14 - Preistoria Ligustica del Professore N. Morelli, tavola LV, fig. 1), già da me figurata, alla pag. 43 della Liguria Preistorica, un coltellino di selce (Iconografia, tav. LXIX, n. 13), duo ossa appuntate (Iconografìa, tavola LV, fig. 1 e tav. LXIII, fig. 11) ed una lama di pugnale di rame (Iconografia, tav. XI, fig. 4), che fu anche descritta dal Colini nel BuK. di Paletnologia, anno XXIX, pag. 229. La grotta dei Balzi Rossi di Val Varatiglia fornì allo stesso investigatore un frammento di coltellino di selce (.Iconografia, tav. LXIX, fig. 31). Tutti questi cenni furono riferiti dal Dott. E. Modigliani neilla sua nota intitolata Indagini su altre grotte dei pressi di Toirano (Liguria) (1), insieme a qualche 'altra, indicazione di minor conto. I manufatti rinvenuti dal Dott. A. Mochi, durante le ricerche da lui recien,temente compiute nella Tana del Pastore, sono qui appresso enumerati (2). a) Una piccola lama di selce biancastra, dai margini taglienti; si tratta di parte d’un coltellino lungo 55 mm. e larga al massimo 10. b) Un frammento di altra lama più piccola, che fu certo adoperata quale arnese tagliente, come apparisce dalla condizione del margine. c) Altro frammento di lama silicea, dalla base tondeggiante. d) Una scheggia silicea lamini forme, lunga 38 mm., larga 15 e ispessa 5; ha Γapice tondeggiante e la base (1) Atti de! Comitato per le ricerche di Paleontologia umana in Italia, relazione del 1913. Firenze, 19l4. (2) Mochi A., Ricerche nella Grotta del Pastore ecc. Archivio per l’Antrop. e PEtnol., voi. XLIV, fase. 1.°, Firenze, 1914. 15 - attenuata a guisa di peduncolo ; i suoi m argini sono ritoccati, certo per servire ad uso di raschiatoio· e) Uno scalpello di pietra, verde, levigato (si tratta secondo il Prof. F. Millosevich di anfibolite fibrosa), di forma cilindrica col taglio logoro. /) Un metatarsiano di capra spezzato longitudinalmente e troncato alle due estremità, coi margini limati ; 0 f°rse un abbozzo di utensile. 0) Pochi frammenti di terra cotta non tornita, ingub-bìata; uno di questi è Provvisto di un piccolo rilievo a bugna. h) Una pallottolina sferica, del diametro di 23 mm-, pure di terra cotta. E’ ignota la destinazione di questo oggetto e di altri analoghi rinvenuti nella caverna del allaccio (Alpi Apuane) e in quella della Guerra (Gar-lagnana). ?) L)ue valve di GardiUm, quantunque non portino - tce di lavoro, si possono considerare come abbando-na e ’^alil uomo in quel focolare. ^ enni relativi ad oggetti provenienti da altre grotte già’ descritte. mio^Ì· 6 aglÌ già menzionati, fino dal 1908, nel non ^Jl° Su^a Pa^e^n°l()gia ligustica, raccolti, come ne,1] nianca* avvertire, dalla Signorina Grace Hood, mede glOtta 0SlSÌfera di Beltramo sul Monte Faudo, la (le· Sinia esploratrice rinvenne 14 articoli di monile, le71.qUali Λ °^e farmi dono, e che io depositai nella, collimi y11 h^useo Geologico di Genova·. Si tratta di cidi f f0rati nel senso de,!1’asse : 10 di questi sono ali’ "I"" ^resso a 1J0C0 reo°lare; gli altri 4 presentano es erno una o due sporgenze arrotondate. Dalla tes- — 16 — situra loro argomento che ciascun cilindretto sia ricavato da una vertebra di piccolo vertebrato, vertebra nella quale ima o due apofisi sarebbero state spuntate e arrotondate per formare le protuberanze delle quali sono forniti i 4 articoli summentovati. Nell'interno di uno degli articoli è incastrato un dischetto di pietra tenera, forat-o, che ne impicciolisce la luce. Ali occupai a lungo nella Liguria Preistorica di quei bizzarri suggelli denominati Pintaderas indubbiamente destinati ad imprimere sul corpo umano, secondo ogni probabilità sul vodto, fregi o segni colorati, sia a mò di ornamento, sia come insegne proprie a singole famiglie o ad individui, che desideravano in qualche modo di essere distinti dagli altri. Ognuno intende come tali oggetti costituiscano notevoli particolarità etnografiche, delle quali giova tener gran conto da chi si propone di investigare le origini e le connessioni delle stirpi preistoriche. Alle indicazioni, già da me somministrate intorno alla distribuzione geografica di questi manufatti, dei quali io segnalai per la prima volta la scoperta nelle nostre caverne ossifeie, aggiungo come ne furono scoperti 3, durante il 1910, neila Grotta della Galleria presso Draga (territorio di Trieste). Di due altri venne annunziato il ritrovamento dai Signori R. Battaglia, Cossiansig e G. Cumin (1), il sesto è noto per merito del Sig. Neumann (2). Battaglia accenna ad altra pini adora raccolta dal Moser in una grotta delle vicinanze di Duino (3). (1) L’AIatoarda, rassegna mensile, n. 3. Trieste, 1919. (2) BuM. di Paletnoilogia ita!., anno XLI, n. 1-6. Roma, 1915 (3) E’ degna di avvertenza l’identità di una pintadera figurata dal Siig. Battaglia con una di quelle rinvenute in Liguria. Non mancano d’altronde, altre coincidenze paletno'ogiche fra la nostra regione e 1 Istria. - 17 — Figure e segni preistorici incisi sulle rupi. Possiedo numerose lettere del Sig. Bicknell. tutte P111 ° meno corredate da schizzi e disegni, che riproducono incisioni rupestri, lettere speditemi da Val Gaste-uno in varie epoche, e principalmente durante l'autunno del 1912. Si tratta di documenti nei quali l'autore mi annunzia le sue ultime scoperte ed espone colla consueta sagacia le più verosimili interpretazioni delle figure più notevoli. Una di quelle che fissarono in modo speciale la sua attenzione è la stessa da me riprodotta incompletamente nella pag. 531 della mia Liguria Preistorica. Avverto, prima di tutto, che diedi nella detta figura, quanto ne conoscevo in base alle comunicazioni del compianto Bicknel'l. Risulfia ora dalle indagini ulteriori che si tratta di urna, incisione larga 39 cm. ed alta 29, intesa a rappresentare un volto umano, con occhi a g'uisa di due piccoli incavi assai prossimi, naso formato da cavità allargata in basso ed ampia bocca, nella quale si vede una fila eli sette puntini (indubbiamente sette denti). Collo e corpo forse sono compresi in una sorta di trapezio sottostante alla bocca. Ai due lati del capo sporge una propiaggine rettilinea verticale, un braccio, il quale termina (con una mano, provvista di 5 dita·. All’estremità di ciascuna mano, a contatto del dito esterno (che sembra il pollice), è inciso un corpo triangolare, allungato, orizzontale, forse una lama di pugnale. Bicknell non dubitava di riferire questa bizzarra immagine adì una figura umana, che doveva ricordare un genio malefico. In una suia lettera del 15 dicembre 1912, mentre mi informava dei suoi recenti ritrovamenti, il Bicknell ri- - 18 - chiamava la nr'ia attenzione sopra parecchi esempi di croci incise, da lui osservate, e specialmente sopra due croci scolpite sulla riva sinistra del vallone delle Meraviglie, nelle quali si osservano aH’esitremità di ciascun braccio, in una, tre puntini simmetricamente disposti, e neM’altra tre piccole rette divergenti (in questa ciascuna delle braccia è in certo modo tripartita). Altre dfue croci semplici si vedono, soggiungeva, sulla rupe detta dell’Altare, ma può darsi che sieno recenti, risalgano cioè al periodo che intercede fra il 1600 e il 1700 (1). Mi avvertiva poi che la figura da me riprodotta da una memoria di Rivière, alla pag· 503 del mio libro, non è che piccola parte di una incisione di grandi dimensioni (misura circa 185 centimetri di lunghezza e 83 di larghezza), che comprende parecchi rettangoli e trapezi. Sagace osservazione dovuta allo stesso esploratore concerne le immagini di bo\à aggiogati all’aratro, e consiste in ciò, che in tali immagini il giogo sembra collocato sul collo del quadrupede, come si usa in Liguria, in Piemonte e in Spagna, mentre in Francia prevale il costume di assicurare il giogo alle corna del bovino. Quanto ai corpi cornuti e alle corna rappresentati nella maggior parte delle figure di cui tengo discorso, non solo accennano, lo credo fermamente, al carattere pastorale delle figure, ma anche ad un significato rituale, simile a quello che era loro attribuito nella Crei a preellenica, nella prima città di Troia ed anche nei (1) Anche fra le incisioni dtel Saara, e precisamente nella stazione di Barrebi, sono comprese piccole croci. - 19 - villaggi preistorici delia Sicilia, come presso i cavernicoli del Catanese (1). In Libia il culto del solo è simboleggiato dia un ariete, il capo del quale porta una specie di tiara munita di corna. Fra i rimasugli delle abitazioni lacustri della Svizzera, conservati nel Museo Nazionale di Zurigo, figurano corna di terra cotta, che si ponevano probabilmente sul vertice dei tetti di cui erano coperte le capanne. A queste coma che sono indubbiamente emblemi rituali, si connettono forse le anse cornute caratteristiche delle terramare italiane. Qui merita di esser ricordata eziandio la superstizione tanto diffusa nell'Italia meridionale, per la quale gli abitanti pongono in vista, nelle loro abitazioni, corna bovine, e portano indosso piccoli simulacri di tali corna, come preservativi contro il malocchio e la iettatura. Nella zona di Fontanalba furono osservati numerosi segni non precedentemente descritti, fra i quali circoletti concentrici cion un punto centrale1 o senza, circoletti ed ellissi entro i quali è tracciata una croce. Si da anche il caso di una circonferenza dalla quale si dipartono, verso resterno, cinque rette piarallele assai prossime fra loro. Dalla regione delle Meraviglie provengono circoletti con una piccola croce inscritta in ciascuno; uno di questi contiene una croloe. che offre una delle aste singolarmente allungata airesterno· e terminata in uncino'. Da un altro circolo, destituito di croce, si irradiano nove brevi rette equidistanti. (1) Orsi_P., Necropoli e stazioni sicule di transizione. Bulli, di Paletnologia Itai?., anno XXXlIII, n. 6-10, p. 92. 20 - Bicknell segnalò un certo numero di geroglifici anche nelle adiacenze del Colle del Sabbiane ; ma, a differenza delle altre regioni, non si trovano in questa figure (cornute. Mi sembra opportuno di render conto in modo più particolareggiato delle osservazioni fatte dal Bikcnell nelle gite da lui compiute lungo le Valli di Fontanalba e delle Meraviglie, dui ante gli anni 1907 e 1908 secondo le notizie e le figure da lui pubblicate (1). La tav. I. reca specialmente figure cornute e derivazioni di esse, quali semplici, quali abbinate in varie guise od anche aggruppate in numero di tre (fig. 8): diverse figure cornute sono ridotte alla condizione di sigle (fig. 24, 30, 33, 39, 41, 42). Parecchie le supposte immagini di pelli con appendici diverse o diversamente disposte da quelle che si osservano in altre già illustrate (fig. 9, 10, 14, 15). Alcuni disegni di armi o di utensili di forme già note (fig. 18, 19, 27) ; una foglia a pagina irregolarmente ovale, a breve picciolo, se pure non si tratta di punta di freccia grossolanamente rappresentata (fig 23). Altri disegni, più o meno complicati, di significato ignoto. Nella tavola II, oltre ad un certo numero di corpi cornuti semplici o '.doppi (fig. 3, 4, 6, 8, 9, 12, 13, 14, 19, 23, 24, 25, 26, 31, 32, 35), srvedono falci (fig. 7, 34), una zappetta (?) (fig. 15), un pugnale (fig· 3), arnesi di ignoto significato (fig. 11, 20); poi supposte piante topografiche (fig. 11, 28, 29, 38), insegne {?). ghirigori di- fi) Nuom contributo alla cognizione delle incisioni rupestri delle Alpi Marittime. Atti della Soc. Ligustica di Se. Nat. e geog., voi. XIX. Genova, 1909. - 2ί - versi; associazioni di piccole figure, talvolta connesse fra loro ed altri segni indecifrabili (1). La tav. III ci offre i soliti segni cornuti in buon numero, alcuni dei quali convertiti in sigle (fìg. 10, 25, 17, 23, 39, 34) ; un bel pugnale orientale (fig. 6); un ferro di lancia (fìg. 24); punte dii freccia, e al di sotto tratti orizzontali (fig. 8, 9, 20); una croce nella quale l’estremità di ogni braccia è tripartita (fìg. 25); una figura umana maschile, che brandisce una falce {"■), figura assai primitiva, esilissima; alcune supposte pianto topografiche (fig. 5, 21, 20, 32), ed altri bizzarri disegni· La tav. IV ci presenta cinque complessi, ognuno dei quali è un quadretto indipendente, di cui sarebbe impossibile render conto senza il sussidio dell’iconografia. In tutti i corpi cornuti hanno parte preponderante. La tav. V è occupata da due gruppi di bizzarre immagini. In uno (fig. 1) sembrano disegnati campi, prati, capanne, abbeveratoi e bovini; nell’altro si vedono strani ghirigori aggrovigliati a corpi cornuti. La fìg. 3 rappresenta schematicamente un bove a corna straordinariamente lunghe. Colle, loro ultime escursioni l’autore e il suo collaboratore Pollini scoprirono, nella regione delle Meraviglie, parecchie figure di aratri con uomini, ed anche di armi, nelle quali parte dei contorni fu incisa a guisa di solco e non ottenuta, come nei casi normali, da serie di incavature puntiformi. Notevoli alcuni supposti segni alfabetici, che si ritrovano in parte nelle (lì II sig. Bicknell credeva ohe iili pugnale e il corpo cornuto riprodotti nella fig. 30, quantunque sovrapposti, non avessero relazione fra loro. iscrizioni del sud Oranese, delle Canarie, dell’alfabeto libico dii Tordos, doll’Egitto (in quelle della XII dinastia), in Creta e a Cipro. Quanto più potei investigare i detti segni e tutto lo svariatissimo complesso di figure scolpite nelle alte vallate alpine dai misteriosi loro visitatori preistorici e tanto più salda si fece in me la convinzione che si tratta spesso di veri segni alfabetici o numerali, in parte di veri geroglifici, atti ad esprimere idee o fatti più o meno complessi di proposito deliberato. Io penso che il più antico documento scritto relativo alla Liguria è un giudizio arbitrale, che risale a meno di due secoli jyrima dell’era volgare e si riferisce a contestazioni concernenti diritti di pascoli sorte fra Genuati e Viturii (1). Orbene, senza escludere il carattere religiosa e mistico attribuito dal Bicknell alle incisioni rupestri, ritengo che in tesi generale esì-e possono attribuirsi alla soluzione di controversie e di conflitti sorti fra tribù o famiglie di pastori. Cerio è che in molti casi ricordano animali domestici, suppellettile pastorale e im’agriccltura rudimenta e. Le mie illazioni si riferiscono in particolare modo ai complessi, direi quasi ai quadri, nei quali si tro vano disposti, secondo un ondine determinato, fìguie e segni diversi fra loro intimamente associati (si λ e dano, ad esempio, le immagini pubblicate in una de .le sue tavole dal Bicknell, nella memoria « Nuovo contributo alla cognizione delle incisioni rupestri delle Alpi Marittime '). Reputo doveroso chiudere il cenno relativo alle recenti osservazioni compiute intórno alle incisioni rupestri delle alte Alpi Marittime, ricordando breve- li) Alludo alla nota Tavola di Polcevera. - 23 monte le- benemerenze acquistate da Clarenoe Bicknell nella cognizione d'i questi strani cimelii. Nato il 27 ottobre 1842, ad He me Hill presso Londra, Bicknell mancò ai vivi repentinamente a Val Canterino il 17 luglio 1918. La sua vita operosa fu tutta consacrata da un lato a beneficare gli infelici, dall’altro, a coltivare la botanica, nella quale era profondamente versato, e ad illustrare le figure e i caratteri preistorici da lui rinvenuti in gran numero a ponente del corso superiore della Roia. Egli subiva profondamente il fascino della natura, apprezzando sopra tutto la maestà del paesaggio alpino e gli aspetti ridenti delia nostra Riviera;' era inoltre acuto osservatore e squisito artista. Il primo studio cui consacrò le sue fatiche fu quello della fiora, e non &olo ne diede saggi scientifici assai lodati, ma -si compiacque, da esperto disegnatore ed acquarellisi a, di ornare la sua abitazione d,i immagini di fiori di-pmte dal vero. Più tardi, colpito dalle svariate e bizzarre incisioni rupestri preistoriche, visibili in molti punti delle alte vallate delle Alpi Marittime, si diede con diligenza insuperabile a descriverle con note e memorie. Eseguiti con gran diligenza calchi esatti e fotografie delle figure scolpite alla superficie delle lupi, tentò di interpretarle, e le riprodusse in numerose tavole da lui stesso disegnate. Allo scopo di conseguire nel miglior modo il proprio intento, Bicknell trascorse per molti anni restate, nell’alto della Vallo Ciasterino, in un rustico alloggio preso in affiho; più leardi, ciò non bastando, egìi si fece fabbricare in quei pressi una casetta, nella quale poteva dimorare ed offrire ospitalità ad alcuni amici. Da colà, a ben 1600 metri d’altitudine, egli facilmente raggiungeva le rupi figurate che abbondano alle falde dei mon- ti Bego e (li Santa Maria fino ai limiti delle nevi perenni. Le immagini scolpite da lui riprodotte sono parecchie migliaia, se ben ricordo oltre 5000; ma riteneva ielle il numero di quelle non ancora ricalcate o copiate fosse almeno tre volte maggiore. Le sue disposizioni testamentarie costituiscono un ultimo attestato di affetto per la sua Liguria prediletta. Legò, infatti, al Museo di Bordigli era pregiate collezioni paleontologiche, adunate in molte escursioni, al R. Museo Geologico di Genova, la serie completa dei calchi dalle incisioni rupestri alpine, da lui stesso eseguiti, e all'istituto Botanico della R. Università di Genova il proprio erbario. Bronzo preistorico della miniera di Vallauria. I rari documenti archeologici, etnografici o paleoetnografici forniti dalle alte valli delle Alpi Marittime, nella legione in cui si rinvennero in si gran numero quelle bizzarre incisioni rupestri descritte o ricordate nella mia « Liguria Preistorica », acquistano una importanza eccezionale da che sono suscettibili di spargeie qualche luce sugli artefici e sul significato dei misteiiosi geroglifici, come pure sulla loro antichità. A questo titolo mi sembra opportuno segnalare all*attenzione dei lettori la descrizione eli una iozza figurina idi bronzo, la quale, a quanto afferma un ope-ìaio che la cedette al ag. Doublet, sarebbe stata raccolta in una galleria deH’antichissima miniera eli piombo argentifero di Vallami a, ora esercitata dalla società « Vieille Montagne » (1). (1) Doublet G., Statuette de brcrnze des ,environs de Tende. Bul-lettin Archéologiquc. Paris, 1908. - 25 - E’ da notarsi in proposito che parecchi autori, e segnatamente Emanuele Celesia, accennano alla scoperta di cimelii. di età remotissima, ne Re cavità abbandonate della Miniera, attribuendoli ai Fenici o ad altra gente estranea al paese; ma non risulta che alcuno di tali oggetti sia stato veduto da studiosi competenti, e non ne concisciamo nè descrizioni, inè figure. Ecco, quasi testualmente tradotto, il cenno dato da Doublet intorno alla preziosa statuetta: questa misura circa m. 0,85 d’altezza e rappresenta un uomo· dati corpo, se non atei tutto ignudo, almeno, in pan1 te nella metà inferiore. Il capo è munito da un elmo basso e arrotondato, che lascia scoperte la nuca e le guance, elmo· da cui sporge piccola cresta spianata; es,so è attraversato da quattro lori disposti irregolarmente, uno sulla parte destra della fronte, uno, piuttosto largo e profondo, sul parietale destro, il terzo, più piccolo, sai temporale dello stesso lato, il quarto sull’occipite a destra, fori che sembrano destinati ad. accogliere sottili aste. Gli occhi sono sommariamente indicati da due lori, mentre il naso è rappresentato da una leggera prominenza, e la bocca apparisce a guisa di incisione orizzontale, lunga 6 millimetri. La figurina sembra imberbe. Le braccia, assai rozze ed imperfette, mancano di avambraecia, forse per effetto di una spezzatura; al gomito l’arto è bruscamente assottigliato e incurvato; e, a destra, presenta, presso l’estremità, una smarginatura. Attorno alla vita è tracciato un solco, il quale, dall’immagine che correda la nota del Doublet·, si direbbe piuttosto profondo. Nelle ginocchia si osserva una sporgenza informe, come di grossa ginocchiera, ciò specialmente a destra. I polpacci sono accennati, ma non così le natiche. Nei piedi, sprovvisti di calzari, si distinguono le dita — 26 - separate da piccole intaccature. Nella ba.se rettangolare che serve di sostegno alla statuetta, e che fu limata alla superficie inferiore, è praticato un foro circolare del diametro di 5 millimetri. Mancano disgraziatamente ulteriori osservazioni, che consentano qualche confronto istruttivo tra la statuetta illustrata dal Doublet e i cimelii analoghi d’altra provenienza. Nulla si oppone peraltro all’ipotesi che abbia origine fenicia o cartaginese. Manufatti litici sporadici paleolitici e neolitici. Ai pochi manufatti paleolitici sporadici, rinvenuti ini Liguria, sono in graidio di aggiungere il cenno di una bella lama amigdaloide di diaspro rosso, screziato di verde, che raccolsi poco tempoi addietro sul Monte dei Vagì, nel Levantese, fra i detriti di una ingente fraina, a circa 2 km. e mezzo dal punto in cui la via rotabile che conduce a Levanto si riunisce alla provinciale Genova-Spezia, e a poco> meno di 150 metri al di sotto' di detta via. Il manufatto è lungo 96 mm, e largo non più di 60, con spessezza massima di 14 mm· Alquanto convesso sopra una faccia, che presenta tre superfìcie longitudinali di scheggiatura, apparisce pianeggiale sulla faccia opposta. Ha i margini taglienti finamente ritoccati, risultandone una breve dentellatura artificiale. Si nota sulla superficie pianeggiante qualche scab rezza, in parte dovuta a vene quarzose. Al posto dei bulbo di percussione basale, v’ha un piccolo anfratto regolare; la punta originaria sembra troncata da una frattura. Si tratta di un tipiot contemplato (dia G. de Mortillet nel suo moustérien} tipo segnalato primamente nella - 27 nota stazione paleolitica di Moustier, come pure a La Quina, ed anche nei livelli più profondi delle caverne dei Balzi Rossi, in ispecie in quella del Principe (fig.A). Segue l’elenco dei manufatti neolitici : a) Ascia di pietra verde. Pietra Ligure, fra le ghiaie del torrente Maremola (secondo la testimonianza del Prof. N. Morelli). &) Due ascie di pietra verde. Vallone deU’Ischiator presso Vinadio (secondo informazione deH’Ing. C. Bo-zano). Fig. A c) Ascia di pietra di color verde cupo,, traente al grigio, con macchiette chiare (forse di lherzolite) ; forma rettangolare irregolare, tagliente, logoro. Peri-t schi sopra la Maddalena (Sassello). Fu raccolta dal signor V. Rossi. d) Ascia di pietra verde. Corte S. Lorenzo presso Rocca Grimalda e) Accetta di pietra verde (giaciaite) di tipo rettangolare, affilata solo lungo uno dei margini più brevi 28 - rinvenuta nella valle del Brevenna (secondo la testimonianza del Sig. Braceseo di Montaggio). /) Accetta di pietra verde. Pian Cavallo sopra Upe-ga (sarebbe stata raccolta dal parroco Don Rossi, secondo una comunicazione del Dott. Gentile). g) Accetta di pietra verde. Collebassa, Monte Grazie in quel di Porto Maurizio· (secondo una comunicazione del sacerdote Don Borelli). h) A Savona, lungo il braccio di ferrovia che congiunge la stazione Letimbro al porto, presso un pilone del viadotto ferroviario, a circa 200 metri a ponente del promotorio di Priamar, iì Prof. Nicolò Mezzana raccolse in un piccolo scavo, praticato per dissodare il terreno, due piccoli coltelli di selce; ciò secondo una comunicazione epistolare dello stesso professore. i) In una sua memoria intitolata Albi sola il compianto archeologo Vittorio Poggi accenna a manufatti litici provenienti dall’agro Savonese, e principalmente dalle valli del Sansobbiae del Riobasco (1), e in altra pubblicazione, di data posteriore, menziona pure due piccole cuspidi silicee, peduncolate, una pun ta di freccia d’ossidiana, un frammento di coltello del la medesima materia (2) e due coltelli di selce, com pendio d’una raccolta esibita in vendita dalla ditta Giulio Sambon come proveniente dal Savonese. (1) Poggi V , Albisola. Atti e Memorile della Società Storica Savonese, voi. J, p. 73 (2) Poggi V. Una moneta medita di Savona. Atti e Memorie della Società Storica Savonese, voi. I, p. 52δ. I manufatti di ossidiana (materiale estraneo alla Liguria) sono talmente rari nella nostra regione, che io dubito assai della verità di siffatta indicaxione, ben s’intende in ordine alla provenienza della punta di freccia e del frammento di coltello. - 29 - Le numerose cuspidi d’osso e di pietra scoperte nelle stazioni preistoriche segnalate in Liguria forniscono prova esuberante che gli abitanti di questa regione facevano uso di larmi da getto, che erano senza dubbio giavellotti e freccie di forme e dimensioni diverse. Ri-ongo che le punte d’oisiso più voluminose ed anche le sottili lamine di pietra appuntate fossero inserite alla estremità dà aste di legno, lunghe non meno di un metro e mezzo per servire ad uso di giavellotto. Le punte litiche leggere, massime quelle di diaspro, di piccole dimensioni, sia provviste di alette, sia invece amig-daloi'di, erano certamente adibite ad armare asticelle sottili che scagliavano mediante archi indubbiamente foggiati con rami elastici di arbusti ; alFuopoi si sceglievano · secondo ogni probabilità il nocciolo, assai comune lungo le due Riviere e il bagolaro {Celtis au-stral/s), non raro nella nostra regione. Debbo però aggiungere che di tali archi non rimase alcuna traccia nei nostri depositi preistorici. Manufatti metallici e fittili sporadici. tra i primi sono dia ricordarsi una cuspide di bronzo ad alette rinvenuta nel comune di Giustenice e una fibula di bronzo ad arco, di fattura assai semplice, entrambe segnalate da D. Morelli; la seconda figura su cartone della sua raccolta distinto col n. 97, nel Museo del Palazzo Bianco. Fra i fittili mi basterà tener conto dei cocci di tipo neolitico, rinvenuti dai Professori Moresco e Campora a circa tre km. e mezzo ,a N.-NO. dii Rossiglione, non lunge dalla cascina Veyrera, ove certamente ebbe sede un accampamento estivo dì antichi Liguri. Altri fìttili furono segnalati dal Sig. P. Barocelli nella parte superiore del Rio Cornei, affluente del Pia e in un punto vicino. Il più notevole è parte di un vasetto carenato a-nialogo a quello illustrato daH Amerano nel Bull, di Paletn. ital., alla pag. 186 del voi. XIX (tav. IX, fig· 9); A questo proposito noterò come smi Rio Cornei pe mangano i resti di un ponticello romano, e cornA P0^ lunge, si vedano imitali di abitazioni ipogee assai an che. Necropoli preistoriche. La tomba di rapallo e la croce gammata. A circa 2 km. di distanza dalla città di -^aPa_ verso N. E., e precisamente nella regione del Cape si trova un territorio pianeggiante, formato di ^eP°^.^ abbandonati dalle acque che scendono dalle balze costanti e di quelli del Rio Bogo quando straripa, co^ me raramente avviene per straordinarie eontingen^ meteorologiche. Il suolo, costituito di argilla, deny*._ da. calcari marnosi decalci'fieati dagli agenti atmos eu^ ci, fornisce un bulon materiale da laterizi, leigg^rm ^ te limonitico e calcarifero, estratto in grande scala p essere convertito in tegole e mattoni, che son cotti ne e. vicine fornaci. L’argilla viene attualmente estratta da grandi esca vazioni di forma parallelepipeda, la cui profondità non oltrepassa i 4 m. sotto il livello del piano di campagna· Sia perchè ricetta conchiglie terrestri e d’acqua . ce calcinate, sia per la sua natura litologica, apparisce infondato il dubbio che siffatto terreno ripeta la propria origine dia recente emersione di bassofondo marino. Al principio del 1911, nel fondo di uno dei maggiori scavi, dal quale già sporgevano alcune lastre di - 31 - I calcare greggio, confìtte verticalmente a guisa di stele, venne alla lulce un,a tomba arcaica, giacente a m. 3,65 di profondità, livello che corrisponde approssimativamente a quello del mare. Lannuncio del ritrovamento fu dato dall’Avvocato Gaetano Poggi, nel periodico genovese II Caffavo appena avvenuta la scoperta. L’autore nota approssimativa-vamente la posizione e i caratteri dolila tomba di Rapallo, come pure la sua affinità con quelle di A,megli a e di Savignone; egli ritiene che debba risalire agli ultimi tempi della indipendenza ligure, cioè fra il 300 e il 100 prima dell’era volgare. Mi sta a cuore, prima di procedere, di tributare la debita lode al Sig. ingegnere Federico Cuneo, che si a-dopeiò efficacemente per raccogliere e conservare i ci-melii scoperti, come pure le indicazioni che vi si riferiscono. Mi professo gratissimo a% stesso i'ugek'ne-ro per avermi fornito cigni agevolezza, acciocché po-tesisti studiarne questi (Oggetti, somministrandomi inoltre le fotografie riprodotte in queste pagine Il sepolcro era limitato da quattro piccole lastre irregolari di calcare scistoso eocenico, disposte verticalmente e ad angolo retto fra loro, in guisa da formai e un recinto quadrangolare di m. 0,45 di lunghezza e 0,40 di laighezza, di profondità alquanto minare della larghezza e non uniforme. Esso si trovava compreso in un aiea irregolarmente rettangolare, segnata da altre favide dii calcare marnoso, fra loro prossime, ma non a contatto, pur confìtte verticalmente nell’argilla, e ne occupava piccola parte, in prossimità di uno dei lati. Detta area misura m. 7,70 di lunghezza per 5 di larghezza, ed è orientata coi suoi lati maggiori da E. a, O. Il supposto che altre tombe fossero comprese nel medesimo recinto, accanto alla prima, non fu confer- mato, por quanto mi consta, dalle indagini tentate m quell5 area. Gli scavi misero alla luce, ad una certa distanza, buon numerla di pietre gregge di forma allungata· 70 a 80 centimetri d’altezza-, pietre più o meno SP0^ genti, a guisa di cippi, dal piano sul quale giaceva^ quadrilatero oopna descritto. E! probabile che sei vis sero a segnalare alla venerazione dei superstiti le i n/>r SI more degli estinti, ina non si comprende come n i scoprissero altre sepolture nelle vicinanze. Fig. B Fig- C La tomba arcaica ricettava nel momento della sco perta gli oggetti seguenti : 1. [' n ossuario in t&n*a cotta, di mediocri dimensioni, colla sua ciòtola, che copriva la bocca del vaso e a £ riva fortemente all’orlo dello stesso (fig. B e C). 2. Un vaso accessorio, poco meno capace dell ossua rio, e che era adagiato a brevissima distanza da questo (fig. E). 3. Una cuspide di lancia, in ferro (fig. F)· 4. Un braccialetto d’oro, in foggia di serpe, avvoJ to a spirale. 5· Un oiccolo articolo di monile d’osso in forma di bariletto. — 33 — Questi oggetti orano sparsi nel terriccio che occupava la tomba. 6. Un noduletto di pirite alterata. Era probabilmente collocato accanto ai manufatti sopra accennati. L’ossuario, fatto di terra fina, omogenea, tornito, e ben cotto al forno, è annerito nella superficie esterna, a quanto sembra mediante l’affumicatura, e levigato a spatola, ma non verniciato. Ha il corpo in forma di ovoide troncato superiormente e inferiormente, collo brevissimo un po’ svasato, che circoscrive larga bocca circolare; parallelamente al margine dell’apertura corrono all’esterno tre solchi poco profondi: uno in corrispondenza deU’attaccatura del collo, il secondo assfci piossimo al primo, al di sotto; e il terzo, pur vicinissimo al precedente, sullo stesso collo. Il fondo è piano, circolare e destituito di depressioni o rilievi. Notevolissimo un fregio tracciato esternamente sul corpo del fittile, mediante tinta rossa a base d’ocra, applicata probabilmente mediante un pennello od altro oggetto simile che ne teneva vece. Si tratta di due serie di croci gammate e di grossi punti interposti alle croci (fig. D), collocate irregolarmente intorno al corpo del vaso, luna nel terzo inferiore, l’altra nel terzo superiore; irregolarmente, perchè le croci e i punti non sono equidistanti fra loro e non si discostano in e guai misura dai solchi superiori e dal margine del fondo inferiormente. Ciascuna serie risulta di cinque croci, divise l’una dall’altra mediante un punto. Le croci soro in parte poco visibili, perchè sbiadite od anche quasi cancellate per attriti sofferti. Convien dire che la tinta, fors? per Fazione prolungata dell umidita, è ccsi poco aderente, che a rimuoverla basta un lieve stropicciamento. Il diametro esterno dell’ossuario, in corrisponden 34 - za del ventre, non supeira m. 0,16 ; quello della bocca. all’interno, è di ni. 0,14. L’altezza misura circa ni- 0,15, dico circa, perchè le perpendicolari innalzate in vani punti, dal fondo al piano che passa per il margine, non risultano uguali. La ciòtola, quantunque di colore un po’ più chiaro, sembra fatta dalla medesima pasta della quale è fabbricato il fìttile principale. La sua forma è propriamente semilenticolare e depressa, presentando Fig- D. lieve strozzatura circolare nella parte media, all'esterno·; il margine è semplice. Si osserva esternamente alla superficie della ciòtola, presso a poco ad uguale disianza, dai centro e dall’orlo, un fregio formato di almeno quattro croci gammate, analoghe per forme, dimensioni e colore a quelle già segnalate sull’ossuario, ma più alterate e sbiadite (1). Le une e le altre furono grossolanamente segnate, propriamente dipinte, a mano libera, con due tratti piegati in senso inversoi alle due estremità, tratti della larghezza media di mm. 3, e misurano da 24 a 2r> mm. di lunghezza (fig. D). Forse, tra una eroice e l’altra, intercedevano punti rossi, di cui non rimangono tracce apprezzagli. (1) Forse orano invece' cinque; ma in tal caso una di esse scomparve. - 35 — Quando la tomba fu scoperta, la ciòtola, come dissi, aderiva fortemente all’ossuario, e questo con innova terra, frustoli di carbone e piccoli frammenti di ossa combuste. * Il vago1 accessorio è fatto di pasta bruna, meno fina di quella dell’ossuario, lavorata al tornio e ben cotta •coirausilio della fornace. Non vi si osservano tracco di verniciatura e di pittura, ©d offri© forma sferoidale, semplicissima, 1111 poco più turgida di quella del vaso principale, con collo un po’ piìi alto e verticale, boc- icia circolare, a margine ingrossato ed un po’ riflesso aH’esterno. Il fondo è piccolo, circolare, piano, limitato, da un cordone sporgente alFesiterno. Il diametro1 del fittile, nella parte più rigonfia, misura all’esterno m. 0,20, quello della bocca, all’interno, metri 0,09; l’altezza totale è di m. 0,19. La, spessezza delle pareti, non maggiore di mm. 6 in media, supera in corrispondenza dell’orlo 9 mm. La cusoide di lancia, fatta di ferro, ora in gran parte consunto dalla ruggine, appartiene al tipo in forma di foglia d'olivo con cannone basiate, L’espansione fogliare, ove non limane occultata da concrezioni limoni-tiche, apparisce a margini taglienti, e. nella sua parte mediana, rinforzata da una costola longitudinale poco prominente, che si assottiglia e si oblitera a1 le due e-stremità. Lunghezza totale 111. 0,25, dei quali 0,12 corrispondono allo sviluppo del cannone (-fig. F): Fig. E - 36 - L’araiilla· d’oro consiste in un cordoncino di fattura piuttosto grossolana, a seziono pressoché ovale, di grossezza decrescente dia un capo all’altro, ^roncato all’estremità maggiore da una frattura che sembra antica, assottigliato, e quindi terminato in punta alla estremità opposta. Questo cordoncino costituisce una sparale di circa un >jiro e mezzo, il cui diametro equivale a quello di un braccio umano di medie dimensioni, e. a quanto pare, è foggiato ad imitazione di un sei-pentello. Manoa, come ho detto, l’eetremità più grossa la quale, se la mia ipotesi non è errata, corrispondeva al capo del rettile, ed era alquanto allarga1 a e schiac ciat-a, come si vede in altre armille consimili· Il metallo, alterato superficialmente dall ustione e dagli agenti esterni, assunse tinta bruna e divenne fragile. L’articolo di monile, se pure la definizione non è impropria (1). sembra tornito in un osso di mammifero, ed ha forma di bariletto. Esso è largamente forato in corrispondenza dell’asse longitudinale. Presso ciascuno dei due capi, si osserva una strozzatura accompagnata da due solchi paralleli al margine. L ultimo oggetto ricordato, del quale non è certissimo che fosse situato proprio pig f nella tomba c a breve distanza do questa, è un nodulo lenticolare di pirite (parzialmente convertita in limonite per alterazione), il cui ( 1 ) Potrebbe darsi che non si trattasse dii un oggetto di ornamento, ma del capo di un cordoncino che serviva a legare un caJzare o pure qualche parte di un altro indumento. Forse era invece un manico di punteruolo. - 37 — diametro maggiore mistura cm. 4 e il minore cm. 2. Non avendo osservato noduli piritosi o limonitiei nel 'errilo rio circostante, suppongo che quello raccolto colà vi tosse stato deposto dall’uomo, ed avesse per ufficio di suscitar scintille colla percussione, mediante un pezzo d’altro minerale od anche di ferro, allo scopo di accendere il fuoco. Non è inverosimile che .si tratti di uno degli accessorii della cremazione, collocato nel sepolcro coi resti del rogo. I due vasi della tomba di Rapallo non sono uguali ad alcuno di quelli che io conosco, ma poco differiscono da parecchi dei fittili rinvenuti nelle tombe arcaiche esumate ad Améglia, a Cenisola, a Roccatagliata, n Savignone, tanto per l’impasto quanto per la forma (1). Se le in formazioni ricevute sono in tutto conformi ad a verità, la tomba di Rapallo si distinguerebbe da quelle analoghe fin qui rinvenute in Liguria e in Luni-giana, perchè era limitata da quattro lastre di pietra, disposte verticalmente, e non proprio da una incassatili a chiusa anche alla base e nella parte superiore, ma potrebbe darsi che non si fosse tenuto conto delle pietre disposte orizzontalmente al di sotto e al di sopra ; ad ogni modo, la differenza sarebbe insignificante. As- ii) Podestà' P., Notizie d. Scavi pii antichità, anno 1879. — Tomba preromana di Ameglia. Notizie di soavi di antichità, 1880. - Di un monile d’oro antico scoperto in una tomba d’Ameglia \in provincia di Genova. Genova, 1887. — Sepolcro Ligure scoperto in Ameglia, ottobre 1890. Genova, 1891. Varni 5., Giornale Ligustico, Genova, 1884, anno XI, p. 314. Ghirardini G., Di un arcaico sepolcreto ligure nel territorio di Genova. Rend. d Accad. dei Liirvcei, voi. HI. Morelli N., Iconografia della Preistoria Ligustica. Atti d. R. Univ. di Genova, voi. XVI, 1901 (He prime 8 tavole'). sai più si discesi erebbe dal sepolcro di Monterosso, descritto dal Podestà, essendo questo formato di lateiizii, indizio di data posteriore. •Non fa d'uopo dimostrare quanto sia diversa questa tomba dai sepolcri della Via Venti Settembre di Genova, i quali appartengono al tipo ben noto a pozzetto, e ricettano ossuari figurati, di stile greco, accompagnati da ricca e svariata suppellettile di terra cotta, di metalli e d’ambra (1). Ma ciò per imi specialmente si allontana da tutte le altre segnalate, non solo in Liguria, ma ancora nei territorii (circostanti, è il fiegio dipinto dell’ossuario, fregio formato, come dissi, di croci gammate, dalla ripetizione di quel segno fin qm 11011 rinvenuto nelle provincie liguri, ■& che è tanto ciaiaite-ristico di alcune necropoli dell’età dei ferro e di nianu fatti di tempi posteriori, estranei all’Italia subalpina. La svastica o crocè gammata è, come tutti sanno, una crc-ee greca, ciascuna asta della quale è piegata ac angolo netto in senso inverso alle due estremità; dispo sta in serie, dà origine ad ornamenti assai svariati e complessi. I fregi così detti alla greca, di cui fece laigo uso l’ari, a decorativa ellenica, in parti colar modo nel architettura, sono indubbiamente derivati dalla ero (1) Già ebbi a citare ridila mia nota comparsa nel Balletti no di Pa^ nologia Italiana, (A. XXXV p. 20 sgg.) col titolo « Museo-dei Palazzo Bianco in Genova », la bibliografìa relativa a questa necropoli. Ai w·0 ele'nco sono da aggiungersi le seguenti pubblicazioni d; recentissima data . Rizzo E., Notizie degli Scavi, 1910, pag. 157 e segg. Paribeni, Necropoli arcaica rinvenuta nella città di Genova. Au-o nia, 1910. Grosso O., Rassegna di Storia e d’Arte. Rivista Ligure, anno XXXVIII, n. 6. Genova, 1911. - S9 - ce gammata. Esisa, inoltre isubi, nell© sue diverse applicazioni, secondo i luoghi e secondo i tempi, numerosi mutamenti; e, siccome la direzione impartita alla piega di ciascun braccio può essere destrorsa o sinistrorsa, ne risultano· due varietà ben distinte. Essa trovasi impressa su prodotti disparatissimi di industrie, che risalgono alla fase dei bronzo, e si svolgono- nella prima o nella seconda età del ferro, ed anche appariscono' nei tempi storici più remoti, nei meno antichi, e perfino attualmente, quali in Europa, quali in Asia, in Affrica e in America. Fu osservata in molti antichi manufatti di terra cotta e di metallo rinvenuti in Grecia, a Rodi, a Cipro, a Troia, nella Siria, nella Fenicia, nell’Armenia, nel Caucaso, nella Battriana, nella Cina, nel Tibet, nella, Corea, nell’india, nel Giappone, in Egitto e fra gli Ascianti. E’ nota in un coccio delle palafitte del Lago di Bourget; comparisce nella numismatica gallica, greca e romana, nei motivi di decorazione adoperati in Francia durante i regni dei Carolingi e dei Merovingi, come pure in ci-melii che risalgono all’era volgare, scoperti in Polonia, in Inghilterra- e in Scandinavia. ella Cina e nel Giappone alcuni vasai dei nostri giorni traggono ancora dalla croce grammata la sigla che serve a contrassegnare i prodotti della propria arte ; è poi frequente, come ornamento intessuto, in cestóni di paglia e in stoffe ricamiate di fabbricazione giapponese odierna. Risulta dalle indagini di T. Wilson che il medesimo segno si trova inciso nei monumenti preistorici del Te-nessee, della Georgia e del)Ohio, negli Stati Uniti di America, e si ripete inoltre in molti tessuti, in stuoie e in altri svariati manufatti degli aborigeni ned Kansas, liiel Nicaragua, nel Costa Rica, nel Brasile e nel Pa- — 40 - raguay. Inoltre non manca in terre cotte e in arnesi litici di parecchi punti deH’Amerioa meridionale (1). Ognun sa che im Italia questo simbolo misterioso figura sopra numerosi fittili e bronzi, specialmente nel mobig-lio sepolcrale di Ceire, di Bologna (2), di Roma, di Terni (3) ecc . L’egregio collega prof. P. Castelfranco mi comunica il disegno di due fittili del secondo· periodo di Golasecca, cocci di scodella-coperchio ingubbiata, con sva-sticìie impresse a pasta molle, in serie prossima ad altra serie di circoletti concentrici. In altro coccio egli osservò uno isolo dei due elementi che costituiscono la croce gammata, cioè il segno Z, molte volte ripetuto in una serie interposta fra due file di circoli concentrici. Le tre figure, soggiunge il Castelfranco, sono ottenute con due soli stampi o punzoni. Le croci semplici, formate di rette o di serie di punti che ^intersecano ad angolo retto od anche di due serie di tratti assai prossimi, paralleli fra loro, similmente intersecati, croci, che si trovano comunemente sulle terre cotte delle necropoli di Villanova e Golasecea, come pure in quelle di alcune terramare deH’Emilia, descritte da G. de Mortillet, si riferiscono verosimilmente al medesimo simbo.Io o ad una forma primitiva di esso, e dimostrano come prima del Cristianesimo il (1) Wilson T., The svalika, thè earliest symbol, and its migrations. Washington, 1896. (2) De Mortillet G. e A., Musée Préhistoriquef tav. XCVIII, XCIV, XCX Paris, 1881. (3) Pigorini L., Antichità della prima età del ferro, ecc. Bull, di Paletnologia ital., anno XXXIV, p. 103). Bellucci G., Recenti scoperte paletnologiche, ecc. Bu i. di Paletnologia ital., anno XXXV, ·ρ. 95. — 41 — segno della croce fosse già messo in uso con significato indubbiamente rituale. -La tesi anticamente propugnata da Gabriel de Mor-tillet, circa l'adozione della croce, quale simbolo religioso anteriore alla nostra èra (1), è confortata non solo dalla diffusione della svastica storica e preistorica, ma ancora dalla scoperta di vere croci incise sulle rupi delle alte Alpi Marittime (2). Si tratta idi segni che sembrano analoghi alla croce di Malta, vale a dire di due aste che si tagliano ad angolo retto, con tre punti simmetricamente disposti airestremità di ciascun braccio. Gli autori attribuiscono alla svastica significati diversi secondo i casi; e, per quanto si riferisce ai tem pi moderni, non sono certo conformi nelle varie regioni. Si è detto che fosse l’emblema del Creatore, di Baal, di Zeus, del Sole, di Giove, di Thor. Da quanto si argomenta, in certi cimelii, avrebbe servito a simboleggiare il sesso femmineo, o il principio della generazione e della fecondità, o a ricordare Artemis, Hera, Astai tei, Nana (fra i Caldei)· Certo è che presso i Buddisti si reputa attualmente un emblema sacro, e che comunemente si adopera nell’Ind'ia, nella Cina e nel Giappone come augurio di buona fortuna, di prosperità, di lunga vita. Finalmente ne ho veduti, foggiati ^ . * oo un oro o m argento, portati appesi alla catenelle dell’orologio da persone che professano le dottrine teosofiche, tanto affini, come è noto, ai principiidei buddismo. (1) De Mortillet Gm Le signe de la croix avant le Christianisme Paris, 1866. (2) Bicknell C., Incisioni rupestri nuovamente osservate sulle alte vaili delle Alpi Marittime. Atti della Scc. Ligustica di Se. nat. e geog., voi. XVI,I, tav. II. fig. 51. - 42 - Una ingegnosa scrittrice, Zeìia Nuttall, in base ai materiali da lei raccolti sulle cognizioni astronomiche e la misura id'el tempo presso gli antichi Messicani, sostiene la tesi o piuttosto: Γipotesi 'che le quattro posi zioni opposte assunte dallOrsa maggiore, nel volgeie di un anno, col succedersi delle stagioni, pei un ossei vatore situato in un dato punto dell emisfeio boiea e, costituiscano col loro complesso una figura analo0a a la croce gammata; perciò dalle parvenze e nota costellazione sarebbe derivato il simbolo i tengo discorso. Siccome alcuni 'dei calendari sco p ^ nella roccia, rinvenuti fra i ruderi della civiltà messi cana, sono appunto foggiati a guisa di s«.natica, a s gnor a Nuttall vede in ciò la conferma del suo conce e ne argomenta che il simbolo misterioso si 11 er al moto degli astri, forse all’anno o ad alt io ciclo as nemico. Ella avverte, inoltre, che le quattro polizie opposte presentate nel corso dell anno dallOrsa min re, per una persona collocata nell’emisfero set n0 naie, corrispondono pure, in complesso, ad una is,ur simigliante, cioè ad una croce gammata colle braccia piegate a sinistra anziché a dìestra (e la designa co nome di swavatiska) ; anche di questa non mancano esempi nei segni e nei motivi d’ornato degli indigeni americani (1). Pur accettando con benefizio d’inventario siffa e (1) Nuttall Z., The fondamental principies df old and news àvitiza-tions, Peabody Museum. Cambridge, Mass., 1901. Si veda pure in proposito : D’Albertis E. A. Periplo del l’Africa (capitolo intitolato Γ « Atlantide »). Milano, Treves, 1910. In quest'opera opportune figure valgono a dimostrare più efficacemente il concetto della Nuttalil, e porgono esempio deille svariate modificazioni subite dalla croce gammata. - 43 - congetture, non è men vero che la croce gammata accusa la migrazione di un simbolo, probabilmente relativo ad un concetto cosmogonico, dal contimente antico al nuovo*. Le particolarità che sono venuto esponendo intorno alla distribuzione geografica della svastica dimostrano come si verifichino suggestive coincidenze etnografiche fra gli abitanti deH’antioo e del nuovo continente. E’ notlo, ad eisempio·, come ai quipos peruviani corrisponda l'a pratica di attribuire un significato convenzionale, che permette di render conto dii idee e di fatti determinati, a certe specie di nodi, opportunamente disposti in apposite cordicelle, pratica in uso presso* gli Ebrei e anticamente presso i Cinesi. La svastica della quale è 'fregiato l’ossuario di Rapallo stabilisce un nesso fra i sepolcri arcaici della Riviera di Levante e quelli deirEtruria, del Lazio e di tutto il mondo orientale, rendendo pure più spiccato il contrasto ‘archeologico tra le due Liguiie nei tempi protostorici. Io ritengo infatti che lungo il litorale ad occidente di Genova non fossero penetrate, dopo la fase neolitica, quelle correnti di civiltà, che, pur debolmente si palesano nelle necropoli della via Venti Settembre, di Cenisela, di Ameglia e di Savignone. Le osservazioni surriferite confermano il giudizio che io esponevo alcuni anni or sono a proposito delle tombe di Cenisola, intorno agli abitanti della Liguria orientale e della Lunigiana, nei tempi che corrispondono al seppellimento di Rapallo, cioè prima del dominio romano (1). « Ma se coloro le cui ceneri furono chiuse nelle urne di Cenisola potevano dirsi Liguri di nazione, come è (1) Lignria Preistorica, pag. 594. Genova, 1908. — 44 - ben probabile per ragioni geografiche e storiche, credo però fermamente che non fossero più tali dal punto di vista etnografico. Per le industrie, per le arti, per la loro civiltà e principalmente pei riti funebri, erano ornai Italici, e quindi ben diversi dai Liguri semiselvaggi che cercavano ancora ricovero nelle caverne diella Riviera di Ponente ». Necropoli arcaica di Genova. Ai pochi cenni da me esposti nella Liguria Preistorica intemo al ritrovamento' di questa necropoli, in virtù della quale si illuminano di viva luce le origini della nostra città, e le sue vicende si possono far risalire ad oltre quattro secoli prima dell’era volgare, cioè a tempi assai anteriori ai documenti storici più antichi rispetto alla Liguria, mi piace aggiungere alcuni particolari attinti a recenti pubblicazioni. A costo di cadere in alcune ripetizioni, riassumo in queste pagine l’elenco delle reliquie di detta necropoli, reliquie enumerate in una pregiata memoria dei Signori A;vv. Gaetano Poggi e Avv. Mattia Moroseo (in 4.° di 27 pag. con 73 figure)· L’Ufficio dArte del comune di Genova mi consente, mediante il prestito dei relativi clichés, di riprodurre alcune figure già pubblicate ad illustrazione deH’accennata memoria. Debbo ricordare, in proposito, come parte degli oggetti menzionati già fece oggetto di descrizione da parte di d’Andrade (1) (1) Tomba a pozzo con vasi dipinti appartenenti ad un sepol- - 45 — Ghirardini (2) e Paribeni (3). Segue 1 ’enumerazione, nella quale conservo l’ordine adottato in altra mia memoria (4). a) Cinque crateri ornati di figure. In uno è dipinto il giudizio di Piaride; in un altro, di maggiori dimensioni, si vede Bellerofonte che combatte le chimere da una parte, ed una conversazione d’efebi, dall’altra. b) Sei crateri a colonnette o kelebe. In uno di questi sono rappresentati Mercurio, Apollo citarredo, Diana col cerviatto, tre efebi ecc.; in un secondo, non integro, è effigiato, dia una parte, un soggetto dell Odissea e dall altra il giardino delle Esperidi. In questo Pari-beni ravvista il tipo dell'industria apuliama. c) Quattordici oxybapha integri o quasi, tutti coperti di figure e molti frammenti di ad tri vasi della stessa specie. d) Un grande stamnos esso pure figurato. e) Non meno di otto kylikes di varie dimensioni. Tutti questi fittili (crateri, oxybapha, stamnos, kylikes) son fregiati di figure di (color rosso cupo o rossastro in fondo nero, e sembrano per la maggior parte prodotti genuini od imitazioni dtell’arte greca. creto preromano. Atti della iR. Acc. dei Lincei, serie 5.a, Classe delile Se. morali ecc., voi. VI, :parte 2Λ Notizie degli scavi. (Roma. 1898. (2) Di un sepolcreto primitivo scoperto in Genova. Rendiconto della R. Acc. dei Lincei, Classe dell le Se. morali, serie 5.a, voi VOI. Roma, 1899. (3) bne nccropole archa'ique dans la ville de Génes. Gowgrès intern. d’Anflhrop. et d’Archéò!. préhist. Compte rtend-u de la XIII session, voi. 1Γ. Monaco, 1908. (4) Issel A., Museo del palazzo Bianco (con fig.). BuìII. di Paletn. Ital. anno XXXV. Roma, 1909. - 46 - f) Numerosi vaselli di stile greco {calix, ampulla, ecc.) e tazze (cyatlius, patina, ecc.). Una di queste sembra al Paribeni e a me di fattura gallica. g) Due grandi (ciotole di terra rossa, grossolana; una di esse, provveduta di beccuccio sporgente, conteneva ossa di ruminanti. h) Non meno di una dozzina di olle od orciuoli destituiti di anse e di ornamenti, fatti di terra cotta gros solana, non tornita, sembrano quasi tutti prodotti de l’industria locale (fig. G). i) Parecchie paterae di varie dimensioni. j) Una piccola fusarutoila di terra cotta. k) Due balsamari di smalto policromo; piccoli sferoidi e frammenti di vetro colorato. Numerosi articoli di monile d’ambra gialla, sferoidali, cilin.^.ci, lenticoilari od oliviformi, ed alcuni pendagli della sa materia. Uno di questi è fatto a guisa di piede urna no calzato; altri sono in forma di piramide iettando lare, tronca o in foggia di disco, ed accolgono pi.co-v, cavità, che dovevano servire a ccnteneie profumi. I) Un anello d’ambra assai voluminoso, provvisto di sigillo, ma senza impronta. m) Parte di un pettine di corno, che aveva forma di lamina quadrangolare, con denti sottili e fitti da una sola parte. n) Una laminetta d’osso di forma rettangolare, assai allungata, con circoletti graffiti, rei centro di ciascuno dei quali è impresso un punto. o) Un manico d’osso di forma cilindrica, ornato di strozzature trasversali. p) Resti di una situila di legno con manichi di bronzo mobili. . i ; q) Parecchi coperchi di legno. Passando ad enumerare gli oggetti metallici, ricor- O PO dorò : r) Sei olpaì di bronzo, una delle quali ornata di incisioni elegantissime e provvista di manico, che si congiunge al ventre mediante una figura umana a rilievo, di stile ionico (fig. H). Fig. H s) Cinque oinochoai della stessa lega, assai diverse fra loro per forme e dimensioni ; la più grande è inferiormente carenata (fig. 1). t) Sei si tuie di bronzo di varie fogge, tutte a manichi mobili, a margine riflesso e a ventre più o meno turgido (fig. J). Una di esse, la maggiore, è chiusa da un coperchio del medesimo! metallo (fig. K). Un orciolo di bronzo (fig. L). u) Due supposti colatoi integri (1). Alcuni simpulì. v) Tre striglili di piccole dimensioni. v bis) Buon numero di fibule (non meno di 15. in- tegre. e parecchie spezzate). Per la maggior parte sono Fig. K di bronzo e ad arco semplice. Due appartengono ial tipo detto a sanguisuga. Una delle fibule, che è d’argento, pel bottone terminale, per la brevità della staffa e pel dischetto interposto fra l’arco e l’ardiglione, è simile a quelle della Certosa (fig. M). Un’altra fìbula di ferro, 1 Anziché colatoi} come ammettono alcuni autori, suppongo che si tratti di padelle traforate, destinate all'arrostitura de’le cia&tagne. — 51 — di tipo tassai semplice, ricorda quelle della Téne (ftg. N)· w) Due aghi di bronzo con cruna. oc) Una lamina circolare d’oro, ornata di rilievi a bottoncino, ed altri frammenti dello stesso metallo. y) Un anello d’oro, a fascia semplice. z) Un elmo di bronzo, perfettamente conservato, di iipo etrusco. E’ di forma alta, terminato superiormente in punta smussata, con carena longitudinale e a margine provvisto dii cordone e riflesso (fig. 0). TI raro cimelio somiglia assai a quello figurato dal ftg- 0 Fig; M, /V Daremberg nella illustrazione del Museo Gregoriano (voi. II, pag. 1446, fig. 3484). Noto per incidenza come sia assai diverso dal consueto elmo gallico, il quale era d ordinario munito di due corna e portava fra queste una rotella verticale. Fra gli oggetti di ferro dimenticavo una punta di lanicia a cannone, assiai alterata dal tempo e dall'umidità. Taccio di molti frammenti di fittili e di metallo e di qualche altro oggetto di ignoto significato. - 52 - Secondo il Prof. Ghirardini, alcuni dei fittili, rinvenuti nelle tombe di cui si è tenuto discorso, risalgono alla metà circa del V secolo dell’era volgare e sono di fabbrica ateniese. Il Paribeni attribuisce i più antichi sepolcri a.l IV secolo e i più recenti al III. Egli reputa che le terre cotte sieno, almeno per la massima parte, italiote (specialmente della Campania) e non greche. L’uno e l’aitro ravvisano nei bronzi, e segnata-mente nelle situle, tipi etruschi. L’ultima tomba arcaica scoperta in Genova, in seguito agli scavi eseguiti per conto del Comune, per dare assetto alla via XX Settembre e alle sue adiacenze, venne alla luce nel 1911, presso la fondazione del muro di cinta che prospetta il nuovo palazzo della Banca d’Italia. Essa era provvista d'i uno scavo in forma di due parallelepipedi sovrapposti, l’inferiore dei quali ,meno capace, accoglieva la suppellettile funebre. Questa, per tacere di altri oggetti di minor confo. comprendeva frammenti di un voluminoso cratere dall’orlo decorato di foglie d’alloro e parti del corpo, con figure dipinte in rosso cupo su fondo nero; poi un frammento di specchio, il primo oggetto di questo genere, fra le migliaia di quelli esumati dal sepolcreto, ed altro notevole manufatto, il quale consiste in una piccola fusaruola, che merita un cenno di descrizione: è in forma di cono tronco, ma cogli spigoli un po’ arrotondati e re:a, sulla superfìcie una epigrafe in caratteri arcaici non ancora decifrati, impressa sulla pasta, omogenea e nerastra, prima della cottura. Dato il suo aspetto. sembra inverosimile che servisse quale ornamento e non doveva essere un bottone, perchè in tal caso la epigrafe sarebbe rimasta nascosta o quasi; si esclude per la sua leggerezza e per l’angustia del foro, che fosse un peso da telaio o si adattasse airestremità di un fu- - 53 — so. Suppongo piuttosto che avesse un significato rituale, relativo· ad una antica superstizione e si portasse appesa al collo. -Notevole il ritroviamento in vicinanza delle tombe di una dramma di Marsiglia, d’argento, che presenta nel diritto una testa di Diana di corretto disegno, e sui rovescio un leone di stile arcaico ; superiormente v’ha una leggenda in caratteri greci. Questo conio si reputa dai competenti riferibile ial V secolo A. C. Altre monete, che giacevano presso la tomba N. 12, cioè fra la chiesa dl S· Ambrogio e il Vico S. Defendente, ma ad un livello un po’ superiore alla necropoli, sono bronzi assai eiosi, in uno dei quali si può riconoscere tuttavolta un conio deirimperatore Costanzo (1). La circostanza che al di sopra dei sepolcri ad incine r azione se ne trovarono altri ad inumazione, quali contenuti in frammenti di grandi anfore, quali destimi! di siffatta difesa, attesta che la necropoli fu adoppiata in vari tempi. ^ Altra scoperta ,compiuta nel 1910 presso la Poita kopiana, a 5 ni. di piofondità, sotto un antico piano stradale, è quella di strati alternanti di ceneri e carboni, e, per il fatto che questi erano disposti a reticolato, accenna ad un rogo formato di travi della lunghezza approssimativa di metri 2,50, rogo destinato indubbiamente alila cremazione dei cadaveri. Rimane in ogni modo verità accertata che la necropoli arcaica della quale diedi conto accoglieva le spoglie di piccolo nucleo di Genuati assurti ad un al- lo grado di civiltà e di agiatezza, (conseguito in virtù di lelazioni commerciali, per lungo tempo mantenute coi (1) Bollettino aeli’Uffiicio di Belile Arti di Genova. Rivista Ligure, anno XXXVM, ,fasc. 2. Genova, 1910. — 54 - popoli più evoluti della valle del Po’, dell’Etruria, del Lazio, delta Campaniae forse anche della Grecia e delle Gallie. Queste relazioni incominciarono fin dal V secolo A. C.3 se non in tempi più remoti. I lavori di ampliamento di una piccola bottega addossata alla Porta Soprana, e quindi nelle immediate adiacenze della necropoli descritta in queste pagine, misero alla luce una stele greca, della quale fu assicurato il possesso al Museo di Storia et d’Arte di Genova, e che è ormai ben nota per merito del Prof. Orlando Grosso· Si tratta di un marmo di stile attico, di forma quadrangolare, provvisto nella parte superiore di un piccolo frontone e di due antefisse ai lati. Sotto il frontone si legge una epigrafe che suona Apollonian Potamonos Arckippou iiiieiguncka (1), ed inferiormente ad esso si scorge il residuo di un antico bassorilievo logoro e guasto, che rappresentava una donna dinanzi a uu'ara ; un’altra figura, quella a quanto pare di un’ancella, sembra offrire un tributo o un sacrifizio. II cimelio isii può attribuire illegittimamente al IV o al III secolo A. C., e non avrebbe grande importanza dal punto di vista storico ed archeologico, (come non merita attenzione per i suoi pregi artistici, se non costituisse un nuovo argomento a f avore dell’ipotesi avanzata da parecchi studiosi, secondo la quale la Liguria, e in ispecie il Genovesato, avrebbe accolto prima dell’era volgare alcune colonie greche. Risulterebbe quindi avvalorato il concetto dellia influenza ellenica palesata agli archeologi da alcuni fittili di cui ci siamo occupati, a sussidio della quale possono essere ricordati (lj Questa significa «Il popolo celebra Apollonia moglie di Pota· mone Archippo», Γepigrafe di un sarcofago, esistente a Montalto Ligure e i bronzi di Vado illustrati dja Vittorio Poggi (1). Relitti d’altre necropoli. Anni sono, nel demolire una casetta detta «fonte battesimale », presso l’antica chiesa di S· Giorgio in Montalto Ligure, si sicoprirono numerosi cocci di fittili, quali dipinti, quali graffiti, ornati di figure e fregi, nei quali si;manifesta chiaramente l’influenza ellenica, accusata nel paese anche da un sarcofago di pietra che reca incisa una epigrafe in caratteri greci (2). I pochi cenni di questi oggetti forniti fin qui dal Rev. arciprete D. Rossi, e dal Sig. G. Degli Ammirati, non sono sufficienti per determinare la data e il significato di siffatti cimelii, dei quali è vivamente desiderata 1 illustrazione; e la mia citazione ha solo per oggetto di provocarla. Poco tempo addietro il Sig. P. Barooelìi segnalò il ritrovamento nel vivaio forestale del Piano dell’isola, in territorio di Pornassio, di una tomba arcaica, che era protetta da una incassatura d’ardesia. Disgraziatamente, il suo contenuto andò quasi tutto disperso, senonchè dai pochi residui (conservati e dalle testimonianze raccolte, il Barocelli crede che consistesse essenzialmente in un ciinerario di cotto, con ossa combuste, in due ciotole, in frammenti di braccialetti e di catenelle di bronzo e in una grossa fibula a sanguisuga. Tali oggetti (P I bronzi votivi di Vado. L’Italia industriale, anno I, 1893-1894. (2) Degli Ammirati G., Ellenismo ed arte cristiana. Gazzetta di Genova anno LXXXV1II. Genova, 1920. risalgono, a quanto pare, ad epoca alquanto pia antica del dominio romano (1)· Anfore sepolcrali. Recenti scoperte sono venute ad accrescere il nu mero dei documenti relativi a casi di inumazioni di corpi umani entro grandi fittili. Al principio del 1910, continuandosi gli sterri da lungo tempo iniziati nella Piazza Deferrari, in Genova. per dar luogo a nuovi edifici e sistemaer le aree adiacenti, si esumavano parecchie tombe della necropoli preromana messa in luce ed esplorata mediante i lavori compiuti per la costruzione della Via Venti Settembre, necropoli della quale mi occupai colla scorta di D'Andrade, Ghirardini, Paribeni ed altri (2). Già dissi come accanto ad una di esse, in un punto non precisato, un operaio raccolse la dramma di Marsiglia sopra ricordata. Nello scorcio del Maggio 1910 si scoprirono enfro lo strato archeologico soprastante buon numero di sepolcri assai diversi dai primi e di data posteriore ('ciascuno dei quali conteneva uno scheletro i mano), formati da grandi anfore spezzate, di cui si conservano due esemplari incompleti nel Museo di Storia e dArte del Palazzo Bianco. Esse erano grandissime, piuttosto ven-trose e turgide, provviste superiormente di due piccole anse colla bocca relativamente piccola a margine svasato e riflesso, e il fondo foggiato a vertice di cono (1) Barocelli P., Notizie degli scavi di antichità, voi. XV, fase 4-6. Roma, 1918. (2) Bull, di Paletnologia ital., anno XXXV, p. 20 e seg. Roma, 1909. un po’ smussato. La materia di cui risultano è terra cotta, fina, omogenea, di color rossastro chiaro. Per la sottigliezza delle pareti e la tornitura poco accurata, la forma loro riuscì irregolare; e, vista la loro straordinaria fragilità, associata alle dimensioni non comuni, che consentivano di riporre un corpo di persona adulta in un solo vaso (purché trasversalmente diviso in due parti presso a poco uguali e l’introduzione del cadavere potesse aver luogo dalla porzione più larga), ritengo fossero fabbricate propriamente per servire di sepoltura e non per essere adibite, come tante altre, alla conservazione di cereali, vino, olio, ecc. I urono almeno quindici le tombe di questo genere rinvenute in breve spazio fra la chiesa di S. Ambrogio e il vico di S. Defendente, a lato dei residui di un angusto sentiero; ma i loro fìttili erano quasi tutti spezzati, ,e degli scheletri non restavano che frammenti corrosi dagli agenti esterni, poco opportuni per le osservazioni antropologiche. In vicinanza della dodicesima sepoltura, esumata il 26 maggio, si raccoglievano 19 monete di bronzo assai erose, la cui determinazione sembra malagevole,, se pure è possibile; in una di esse si ravvisa tuttavolta un conio deirimperatore Costanzo, e si dubita fosse originariamente contenuta in una delie anfore sepolcrali. Tutto ciò mi è stato riferito dal compianto Cav. Angelo Boscassi, ispettore del patrimonio artistico del comune, il quale prese nota con gran cura dei particolari di ciascuna scoperta. Nel novembre 1910, in occasione deg»li sterri eseguiti per la costruzione di una strada comunale nella regione Crosto, compresa nel comune di Bergeggi, si misero al- lo scoperto due sepolture fittili ad inumazione, i cui avanzi andarono dispersi, ad eccezione di pochi pezzi fortunatamente venuti a mano del Comm. Vittorio — 58 — Poggi, ispettore dei monumenti. La prima di queste doveva essere, secondo il dotto archeologo savonese, una tomba in foggia di prisma triangolare, formata di embrici, pertinente ad un tipo non raro nelle necropoli di Legino, Albissola, Savona e dintorni, che può considerarsi perciò come propria dei Liguri Sabazi. La seconda era invece un ossuario « consistente in un'anfora panciuta, intenzionalmente rotta o segata nella sua parte inferiore, entro la quale giacevano i resti di ano scheletro umano. Siccome dallo stretto orificio e pel collo allungato dell’anfora non sarebbe stato possibile far passare il cadavere da adagiarsi entro il ventre di essa, la congettura più probabile è che lo scheletro vi sia stato introdotto dal fondo del vaso a tal uopo rotto o segato, ricoprendo poi le parti inferiori del cadavere, sporgenti dall’anfora, coll’altra metà del vaso e coi cocci di altro vaso più ventricoso, di cui si trovarono frammenti commisti a quelli dell ossuario » (1). Convengo pienamente nelle osservazioni e presunzioni surriferite, le quali concordano con quelle da me pubblicate in casi analoghi ; e si tratta senza dubbio della ripetizione di quanto si verificò a Borgio-Verezzi. Allo scopo di verificare se sia fondata la mia ipotesi relativa alla fabbricazione locale delle accennate anfore teste rinvenute in Genova, ho sottoposto qualche frammento di queste all’esiame microscopico, ritenendo che se si fosse trattato di paste fittili elaborate nel Lazio o nella Campania, avrebbero contenuto, fra i loro componenti, minerali vulcanici, abitualmente compresi, sia pure in minime proporzioni, nei depositi argillosi prossimi ad ingenti adunamenti di tufi e di lave. ( 1 ) Atti della Società Ligure di Storia Patria, voi. X LV I, fase. I, p. IL, - 59 - I campioni scelti per le mie indagini furono ridotti in polvere finissima, poi lavati allo scopo di sottrarne le parti terrose, amorfe, indi trattati con acido cloridrico assai diluito per eliminare i carbonati ed altri principi agevolmente solubili ; il residuo ottenuto apparisce al microscopio quasi esclusivamente di tenui scagliette e granuli di quarzo ialino incoloro, associati a frammenti di feldispato ortoclasio e plagioclasio e di uin minerale di colore verde smorto, che reputo antibo- lo. Le osservazioni a luce polarizzata confermano siffatte determmazioniL. Gli stesisi minerali sono isolati mediante analogo trattamento dalle figuline fabbricate neil Savonese. Mancano assolutamente il sanidino. la leucite, la nefelina, l’augite, comuni nelle paste fittili dei paesi vulcanici (1). Questi appunti sono, se non m’inganno, un primo tentativo di psammologia (2) applicata allo studio degli antichi fittili di incerta provenienza; e credo che il metodo messo in opera, purché opportunamente sviluppato a norma dei criteri della moderna petrografia, sia 'suscettibile di dar buoni frutti a vantaggio delle investigazioni preistoriche ed archeologiche. (1) L’analisi microscopica dal materiate dii alcuni vasi dipinti esumati d&lla necropoli dolila via XX Settembre, in Genova, non mi diede ohe, puro ortoclasio, e da ciò sembra risultare ohe talli vasi sono greci e non italici. (2) III prof. F. Salmoiraghi attribuisce questo nome alesarne ottico dalle sabbie e terre. — 60 - Le stele antropomorfe della Liguria orientale. I na di queste, scoperta nel 1827 a Novà nella Pieve di Zignago, fissò molto tempo addietro Γattenzione dei dotti, specialmente per il fatto che vi è incisa una epigrafe di 11 lettere etnische o almeno reputate etnische dagli eruditi. Fra gli archeologi ed epigrafisti che si occuparono da principio di questo cimelio, citerò il Padre Spotorno,l'lnghirami, Gerolamo Amati, il Mica-li, Giambattista Zannoni, il Mommsen, Francesco Orioli, Ariodante Fabretti, il Padre Tarquini, G. Bardelli, il Coiàsen ed Emanuele Celesia. Nel 1908 il Dott. Ubaldo Mazzini pubblicò una nuova descrizione di detta stele, illustrandone intanto altre quattro posteriormente scoperte (1) ; ritornò poi sullo stesso argomento' nel- 1 anno successivo, facendo conoscere in complesso sedici oimelii dello stesso genere, compresi nel numero i primi cinque, ed accennando ad altri due che andarono perduti (2). In altre due pubblicazioni, dovute al Sig. Manfredo Giuliani, 'fu data ex novo l’illustrazione di siffatti monumenti; e, siccome in grazia del cortese prestito dei clichés, che servirono alla stampa delie figure di cui furono corredate le dette pubblicazioni, prestito fatto dall’autore alla Società Ligure di Storia Patria, mi è concesso di riprodurre fedelmente quelle figure, credo opportuno valermi, nel riassunto seguente, della numerazione adottata dal Giuliani (3;, la quale non corri- (1) Mazzini U., Monumenti celtici in Val di Magra. Giornale Storico e Lletterario deOOa Liguria, anno IX. Genova, 1908. 2) Stntues Menhirs in Lunigiam. Bull, di Paletn. Itali., anno XXXV, n. 5-9. Roma, 1909. (3) Giuliani M., Di nuovi Studi sui celti in Italia. Giornale storico della Lunigiana, voi. V. Spezia, 1913-14. Tavola Stele preistoriche della Lunigiana. Stele preistoriche della Lunigiana. 'II T3I - 63 - sponde all'ordine cronologico del ritrovamento (si veda-no Io nostre tavole I e II). Premesso che, malgrado qualche divergenza sorta da principio circa il significato di siffatti cimelii. e, quantunque accanto ad alcuno di essi non sia stato scoperto un sepolcro propriamente detto o qualche oggetto che possa considerarsi con certezza come 'suppellettile sepolcrale, è ormai accolta senza contestazione dagli archeologi più competenti ^interpretazione secondo*la quale si tratta di monumenti funerari destinati a contrassegnare all’esterii l’ultima dimora di defunti, ed anche a ricordare, il1 più delle volte in modo assai imperfetto, -che può dirsi convenzionale od anche schematico, la figura e talvolta gli attributi dei morti che -.si volevano additare alla reverenza dei superstiti. .N. 1. La figura che ne diedero il Mazzini e il Giuliani, riprodotta in queste pagine è desunta da uno schizzo dal vero fatto dai Prof. Sen. Capellini. Essa rappresenta una lastra d’arenaria di forma rettangolare, della lunghezza di circa 40 cm. e sembra parte di monumento mutilato alla parte inferiore. Sopra una delle fa.cce si osserva un. piccolo rilievo in forma di V, thè sta ad indicare schematicamente, a quanto sembra, la bocca e il naso di un volto umano. La lastra fu scoperta nel 1886 a cinca 12 m. di profondità, ad 800 m. dall antica spiaggia marina, del Golfo della Spezia, e si afferma che si trovassero con essa avanzi scheletrici umani. Certo è che era accompagnata dia altra lastra d’arenaria, di forma ovato-ellittica, attenuata alla base, la quiale andò perduta. N. 2. E’ un prisma d’arenaria a base rettangolare, giossolanamente scolpito, il quale si termina superiormente in un capo arrotondato, assai schiacciato d allevanti all’indietro, mutilato di cima una terza parte — 64' — nel lato destro. Questo capo è distinto dal corpo mediante una depressione a docìcia (che sta a rappresentare il collo) e lascia vedere due piccoli occhi tondi, in rilievo, fra loro assai vicini e un naso lungo, sottile e o ' poco sporgente. Alla superficie anteriore di quella porzione che corrisponde al corpo è incisa verticalmente, presso il margine destro, una serie di caratteri male allineati, nella quale archeologi e glottologi ravvisarono una epigrafe etnisca; il significato della inscrizione suscitò vive controversie di cui accennerò i risultati, -senza intervenire nel dibattito per ragione d’incompetenza. Il cimelio di cui si tratta, ora conservato nel Museo di Storia e d’Arte del Palazzo Bianco in. Genova, fu rinvenuto, come dissi, nella villa di Nova nel territorio di Pieve di Zignago, in Val1 di Vara. N. 3. E’ certamente una delle stele più notevoli per i particolari che vi sono· scolpiti. Si tratta di un masso d’arenaria che misura ioirca 90 cm. d’alteizza senza contare la base originariamente conficcata nel suolo. E’ e-vidente in questo caso l’intenzione dello scultore di effigiare un corpo umano; senonchè il capo, con brevissimo collo, poco distinto, è collocato sopra un torace assai largo e quadrangolare, e presenta dimensioni relativamente assai ridotte. Sono ben visibili, scolpiti in rilievo, oltre all’ovale del volto, che poco si disscosta da un circolo, le sopracciglia, piccoli occhi tondi e assai vicini, la bocca e forse una piccola barba. Le braccia piuttosto brevi e sottili, alquanto piegate, si terminano in larghe mani rettangolari a foggia di pettini. Sulla mano destra sono appoggiati due brevi giavellotti a cuspide sottile, forse invece di giavellotti dardi o frecce; sulla sinistra è collocato il manico di un ascia quadrangolare di tipo arcaico., della quale si vedono esemplari consimili \ - 65 - nelle raccolte di manufatti riferibili alla prima età del ferro. Sopra le coscie si osservano due rilievi rettilinei, o-nzzontali che Mazzini considera come una doppia cintura; mia suppongo che possano indicare invece il margine ornato di doppio fregio di una tunica. Fra le co-scie si intravede l’organo virile. Le gambe sono piagate dalla stessa parte e terminate da piccolissimi piedi. Non e visibile nella figura la corta spada, pendente, a destra, di cui sarebbe munito il guerriero. Nella parte posteriore un solco accenna scrive il Mazzini, alla colonna vertebrale, e traversa la cintola. 1 na epigrafe di circa dieci lettere, ora. indecifrabili, incomincia sotto Mastella e si termina presso il gomito sinistro. La stele ora descritta, esumata nella selva di Filetto (Comune di Villafrainoa, in Valile di Magra) è posseduta dal Sig. Luigi Bocconi di Pontremoili. N. 4. Assai alterata diagli agenti atmosferici e dalla mano dell’uomo, questa stele, scolpita in un masse di macigno, misura in complesso poco più di un metro di altezza e presenta una testa ben distinta, dal corpo mediante una strozzatura ben pronunziata, testa schiacciata dall’alto al basso e depravanti aH’indietro, testa che lascia vedere confusamente naso, ocìohi e bocca. Sono visibili chiaramente il braccio destro colla mano destra, che impugna una piccola tìfici a, e la sinistra sotto la quale sporgono le cuspidi di due corti giavellotti o dardi. La cintura, non consta che di un solo rilievo trasversale, il quaile potrebbe invece indicare il margine di una tunica. Gli arti inferiori rimangono indistinti. L’ubicazione originaria del simulacro è la stessa del n. 3· eisso figura nel Museo Civico di Spezia. N· 5. E’ un. frammento d’arenaria, che misura sopra — 66 — / la base originariamente sepolta, ni. 1,15 d’altezza. La sua testa, mal distinta dal corpo, piccola, schiacciata, lascia scorgere occhi, naso e bocca imperfettamente incisi. alterati da logoramento ed ammaccature. Il Dott Mazzini avverte che il simulacro è provvisto in contatto della mano destra dei soliti dardi e pre-a a sinistra un’ascia ora scomparsa ; soggiunge cihe vi si osserva Ja cintura ad un solo giro, la quale soireggeva probabilmente una spada ora non più discernibile, e che due segni sul braccio e sull’avambraccio. accennano a due armille. La stole si trova murata presso l’oratorio della Madonna nel comune di Mulazzo, in Val di Magra. N. 6. Consiste in un pezzo di arenaria gialla, più pic-( c*.o degli altri, nel ouale è scolpita superiormente una testa umana provvista di abbondante capigliatura, testa ben distinta dal corpo mediante un corpo di giuste proporzioni, che si inserisce sopra un ampio torace quadrangolare, mozzato alla parte inferiore. Nella faccia sono slcolpiti a mezzo rilievo occhi, sopracciglia, naso e bocca, con modellatura, che accusa arte più evoluta di quella delle altre stele, a meno che non consegua, come suppone il Giuliani, da ritocchi posteriori. Nulla rimane dei particolari del tronco e degli arti a causa di antiche e recenti abrasioni ; ma è probabile che fossero proprii ad una figura femminile. Questo cimelio, ora conservato nel Museo Civico di Spezia, era incastrato nel muro esterno di una casa colonica presso il castello di Malgrate, in Val di Magra. N. 7. E’ una lastra di macigno grossolano, ridotta attualmente a cm. 54 di altezza per effetto di una frattura, per la quale fu distaccata la parte superiore, che andò smarrita. Manca il capo e rimane il rilievo di due braccia senza mani. I - 67 - N. 8. Si tratta di altra lastra di macigno, più piccola (alita cioè m. 42,50),, relativamente sottile, nella quale la testa è appena accennata e in luogo della faccia è praticato un piccolo incavo quadrangolare ad angoli smussati, in mezzo al quale, in rilievo, un piccolo naso ; ai due lati del capo due! piccole cavità accennano forse alle orecchie. Due piccole braccia, diritte, senza traccia di mani, convergono senza- toccarsi. N. 9. Lastra di macigno alta cm. 62, nella quale la faccia è indicata con un circoletto inscritto in un semi-circolo, che rappresenta il capo. Non v’ha alcun isegno per indicare gli occhi, la boclca e il naso; ma nell’alto del corpo due piccoli rilievi rotondi accennano al petto, e, ai due lati, due sottili archi sono indubbiamente, nell'intenzione dello scultore, le braccia del simulacro, braccia destituite di mani. N. 10. Lastra di macigno simile al n. 8, ma più voluminosa; vi si osservano occhi puntiformi e braccia in rilievo, piegate e senza mani. N. 11. Più piccola della precedente, aniche questa è una stele lastriforme, nella quale, sopra un capo assai schiacciato e distinto dal corpo mediante un rilievo rettilineo orizzontate, si osserva un incavo che rappresenta la fiaccia, e in mezzo ad essa sono ^indicati, a quanto pare, occhi e naso. Suilla superficie sottostante al rilievo rettilineo figurano le braccia; a sinistra tre piccoli solchi ricordano una mano rudimentale. N. 12· Stele lastriforme, che supera di poco 1 m. di altezza. E’ superiormente arrotondata con capo semicircolare, solo distinto dal corpo· mediante un rilievo rettilineo orizzontale. Volto quadrangolare con occhi incavati. Sujl corpo sono soltanto indiati in rilievo gli arti anteriori, piegati ,al .gomito; il braccio sinistro è terminato da una mano che sembra provvista di sei dita. Al- -.68 - 1 estremità della mano destra è scolpito un grosso pugnale a lama larga e a breve impugnatura. N. 13. E poco dissimile dalle precedenti, senonchè in questa due incisioni valgono' ad accentuare la separazione fra la testa e il collo; inoltre quattro tratti orizzontali stanno forse ad indicare la posizione di un monile. Sono ben visibili, fra le braccia convergenti, due rilievi circolari,che accennano ai seni. N. 14. In questa si ripetono i precipui caratteri del n. 12; cioè capo assai schiacciato, distinto dal corpo per mezzo del solito rilievo orizzontale; volto in cavato con occhi ben manifesti; braccia piegate con mani e dita chiaramente delineate, e, ai di sotto di queste in posizione orizzontale, un grosso pugnale simile a quello che figura nella stele n. 12. N. 15. Non è che un frammento di lastra figurate analoga a quelle contrassegnate coi n. 8 e 12; vi si nota un piccolo incavo al posto della faccia, e sporgono, fra i rilievi obliterati delle braccia, due tondini sporgenti che rappresentano i seni. Tutte le stele comprese fra< i n. 8 e 15 furono rinvenuti nel punto nominato I Bocciarì, presso le case dette di Pontevecchio, parrocchia di Cecina, comune di Fiviz-zano. Sono ora conservate nel Museo Civico di Spezia. N. 16. Appartiene al tipo di quelle di Montevecchio, ma è scolpita1 con rilievo più risentito. Il capo semicircolare è appena distinto dal corpo e presenta anteriormente un piccolo incavo, che accenna al volto, incavo nel quale una piccola sporgenza occupa il posto del naso. Braccia piegate con mani schematicamente indicate; due prominenze rotonde rappresentano senza dubbio i seni ed accusano sesso femminile. Questo ed altro simulacro simile, pur femmineo, di cui manca la descrizione e la figura, furono rinvenuti nel territorio - 69 - I . di Moncigoli nella valle del Rosaro e sono conservate nel Museo Storico-Egizio di Firenze. Gli scavi eseguiti nel punto presso ;il quale avvenne la scoperta e nelle sue adiacenze non sortirono alcun risultato. Il Sig. Manfredo Giuliani riferì nel 1914 gli studi del Mazzini sulle statue lunigianesi, accogliendone le conclusioni ed aggiungendo commenti proprii (1). A tutta prima, prescindendo dal monumento scoperto nel 1827 presso Zignago, il quale è distinto da caratteri peculiari e principalmente dall’epigrafe accennata da principio, non si può revocare in dubbio la stretta affinità delle nostre statue, in ispecie di quelle rappresentate nelle figure 7, 8, 9, 10, 11,12,13,14 e 15. colle ciosì dette statues-menhirs, rinvenute nel mezzogiorno della Francia, nei dipartimenti del Tarn, dell’Aveyron e dell’Herault, e in gran parte illustriate dall’abate Her-met. Ho detto che archeologi e filologi autorevoli convennero nella interpretazione secondo la quale ritennero etnisca 11 epigrafe incisa sulla stele di Zignago ; ma alcuni di lorp ebbero a ravvisare in essa qualche elemento celtico. Per 1 Orioli l’inscrizione risulterebbe dei due vo-caboli-Jfe^ Nemesus, prenome e nome di un defunto·, e il .secondo sarebbe conforme ad un gentilizio non ignoto agli antichi Toscani. Anche per il Fabretti il piccolo monumento è un cippo funebre (non un erma o una colonna miliare, ccme altri suppose) e si dovrebbe legge-ìe Mezo Nemusus o Mettu Nemusius. Ulteriori.. considerazioni furono pubblicate più recentemente sulla epigrafe di Zignago dal Vendryes. (1) Giuliani M., Di nuovi sludi sui Celti in Italia ecc. Giornale Sto· ri deilla Lunigiana, voi. V. Spezia, 1913-14. dal Rhys, dall’Hubert e da altri ; mia credo preferibile non inoltrarmi in un campo tanto estraneo alla mia competenza·; oltre a ciò il Mazzini e il Giuliani diedero conto dei pareri espressi e delle conseguenze che ne emergono dal punto di vista del succedersi delle stirpi preistoriche nell’alta Italia o in Francia. Il Mazzini esaminò con molta diligenza i caratteri delle cinque figure e specialmente quelli della cintura e delle armi di cui alcune sono munite, e notò esser proprio al guerriero gallo il costume di portar la spada appesa al lato destro. Ravvisa inoltre nella spada ad antenne e nell’ascia figurate in due dei monumenti le fogge di armi galliche. Esposti ulteriori confronti dedotti dai manufatti dello tombe di Hallstatt, dalle figure impresse sulla situla Arnoaldi e sulle monete celtiche, come pure dalle così dette stutues-menhirs scoperte nel dipartimento dell’Aveyron e descritte dall’abate Hermet, concluse colFattribuire le stele all’opera dei Galli, i quali, dopo aver occupato il versante meridionale delle giogaia alpina e la Valle del Po, invasero TEtruria, l’Umbria ed anche il territorio dei Liguri (1) ; e soggiunse, che le valli della. Vara e della Magra furono indubbiamente le vie per Ile quali calarono nel versante tirrenico attraverso ai più agevoli valichi del-Γ Appennino, come i passi delle Cento Croci, del Brat-tello, della Ci sa. del Lagastrello e del Cerreto. Egli reca a sussidio della propria tesi le considerazioni qui appresso descritte : (1) Vuoici avvertire che l’Aveyron e il Tarn, dipartimenti in cui furono rinvenute le bizzarre statue descritte dall’abate Henmet, statue delle fluali non si disconosce la parentela con quelle illustrate dal Dott. Mazzini, sono compresi in una regione popolata diuiia/nte i tempi storici più remoti da Liguri e da Iberici, forse più che dia Celti. - 71 - « hi numerosi punti della Riviera di Levante, delia Lunigiana, della stessa Valle di Magra, che ci ha dato queste stele, molti .sepolcri di gente ligure vennero in luce in diversi tempi, e tutti ci rivelano che, se quelle popolazioni, due o tre secoli innanzi all’era volgare, prima di essere attratte nell’orbita romana, avevano abbandonato Γ antica barbarie de’ loro tempi prò istorici, partecipandoi in certa misura alla civiltà che fioriva. a ViLlanova, a Bologna, a Golaseoca e nel Lazio, non ebbero però comuni con 1 Celti i costumi e l’armatura. E le nostre stele, sebbene siano state trovate tutte fuori del loro posto di origine, cioè non più vicine ai relativi sepolcri, e manchino perciò al nostro studio i preziosi elementi che ci offrirebbero il rito di seppellimento e, se vi fu, la suppellettile funebre ; pure bastano di per sè stesse & provarci che non si possono attribuire alla stessa gente che ha lasciato i suoi resti e le sue armi nella necropoli di Cenisela, a brevissima distanza da esse, e nelle numerose tombe sparse nel territorio circostante ». « Repugna maggiormente riferire i nostri monumenti al popolo etrusco, non offerendo alcun punto di contatto con i costumi, le armi e, sopratutto, con l’arte tu-scanica. E’ bensì vero che il Micali, nel riconoscere per il primo nel cippo di Zignago un monumento funerario, ebbe a dire che consueta è la forma etnisca del monumento ; ma chi esamini le due pietre con le quali egli intese instituire il confronto, non potrà non riconoscere le essenziali differenze che corrono tra esse ed il nostro monumento, sia per,la forma, come per l’ufficio loro, non essendo, infatti, monumenti isolati, ma lapidi poste a chiudere ingressi di sepolcri. Con ragione invece il Corssen affermò che il nostro cippo si scosta manifestamente dalle altre forme di pietre mortuarie etnische ». Parmi opportuno di notare per incidenza come, visitando il ricco museo archeologico di Este, ebbi ad osservare. tra le suppellettili di una tomba veneta della necropoli occidentale, un’ascia di bronzo, nella quale si riproduce il tipo di quelle rappresentate in due delle nostre stele. Nel medesimo museo si trova un vaso arcaico che presenta una epigrafe in caratteri analoghi a quelli incisi sulla stele di Zignago (fra 13 lettere almeno 4 possono dirsi identiche). Stele antropomorfe che ricordano quelle dell’Appen-nino Ligure e della Francia si trovano in copia in una estesa regione compresa fra la Mongolia e il Danubio, regione limitata a nord dai governi di Tomsk, Tobolsk, Ufa, Samara, Saratoff, Varonege, Kursk e Minsk, per risalire fino alla Polonia, alla Prussia, alla Baviera, mentre a mezzogiorno non oltrepassa il Sir-Daria, la depressione Aralo-Caspica e la giogaia Caucasica- Ma sono più numerose nei go\^erni di Ekaterinoslaw, della Tauride. di Stavropol, di Taganrog, come pure nelle steppe dei Kirghisi- In Russia sono ben note sotto la denominazione locale di babà. Furono menzionate fin dal 1253 da un inviato di S. Luigi presso il Kan di Tarlarla, e ne diedero poi conto viaggiatori, archeologi e naturalisti, in memorie e note relative ai loro caratteri, al loro significato e alla loro distribuzione geografica-Recentemente un archeologo francese, Joseph Castagne, pubblicò in proposito una pregevole monografia, ricca di figure e di note bibliografiche, dalla quale andrò stralciando quanto si connette all’argomento che mi sono proposto di svolgere in queste pagine (1). (1) Etude historique et comparative des stataes Bcbas des steppes Khirghizes et de Russie en général. Bull, et mém. dei lai Société d Antii rop.-de Paris, 5.e sèrie, tome I. Paris!. 1S10. — 74 - L autore ammette che allo stesso ordine di monumenti si connettono le così dette statues-menhirs scoperte nei dipartimenti francesi dei Gard, dell’Avevron ' V e (iel I am, descritte dall'abate Hermet, e riconosce perciò implicitamente le strette analogie dei babà colle nostre stele; senonchè estende i confronti a molti altri simulacri asiatici, africani, americani ed europei, opera di popoli che non ebbero verosimilmente alcuna connessione etnografica coi Russi, coi Celti e cogli Etruschi, ciò in base a somiglianze fortuite. I babà della Russia assumono proporzioni assai svariate; se ne danno alcuni, infatti, che misurano appena da 20 a 30 centimetri d'altezza ed altri che raggiungono più di tre metri; ve ne sono di maschili e di femminili. Non sempre adempiono all’ufficio di stele o cippi funebri, perciocché qualche volta furono rinvenuti entro tumuli. Sembra, ad ogni modo, che l’ufficio loro sia stato quello di ricordare le fattezze dei defunti, sebbene, d’ordinario. lo scultore inesperto non abbia conseguito dal proprio lavoro che abbozzi grossolani, i quali non potevano soddisfare che ad un intento convenzionale Rispetto all’antichità di siffatti cimelii, meri! re risalgono bene spesso a tempi propriamente preistorici, sono talvolta di data recente; certo è che si adoperavano frequentemente in Russia durante i secoli XII e XIII. Il materiale in cui sono scolpiti è quasi sempre pietra del paese; ma non mancano simili statue di legno e di terna cotta. Fra i Kirghisi e gli Ostiacchi, si hanno esempi di simulacri vestiti di pelli o panni, forse di. indumenti del defunto. Già dissi come le stele antropomorfe non appartengano tutte allo stesso popolo ed accusino schiatte e cui- - 75 - ti diversi; cosi quelle del Turkestan, hanno impronta schiettamente islamitica, e nelle puniche si riflette l’arte cartaginese. Le statue funerarie della Russia e della Germania sono generalmente meno rozze di quelle della Lunigiana e della Francia, e rappresentano figure umane in modo meno convenzionale, recando bene spesiso particolari relativi al volto, all’acconciatura del capo e agli indumenti, che mancano nelle nostre. Le braccia sono talvolta ripiegate sul coipo e spesso sostengono una tazza. In buon numero di stele, i seni, più o meno sporgenti e in alcuni casi foggiati a borsa, indicano il sesso femminile, mentre, più raramente, è accusato il maschile da un fallo. Gli attributi di cui .sono forniti i simulacri sono, per quelli della Prussia orientale e della Galizia, una. specie di corno e qualche volta un pugnale o una spada, ma dai documenti consultati non risulta che l’arme fosse provvista di impugnatura ad antenna. In conclusione, le stele della Lunigiana e della Francia accusano, come quelle di altre regioni più o meno lontane, il culto dei defunti, ma non ri danno elementi sufficienti per rintracciare con (certezza le origini del popolo che le collocò, allo scopo di designare le tombe alla venerazione di posteri. Le osservazioni del Mazzini rendono assai verosimile l’interpretazione da lui formulata; ma non dobbiamo dissimularci le obbiezioni che vi si possono opporre : la prima fra queste è relativa alla circostanza, che in regioni schiettamente celtiche sono assai scarse le siede funerarie analoghe alle nostre, che i dipartimenti della Francia meridionale in cui furono segnalate le statues-menhirs furono popolati originariamente, - 76 - secondo le memorie storiche, dai Liguri piuttosto che dai Celti, che non si conosce in Lunigiana uno solo dei monumenti megalitici (dolmen, cromlek, menhir) tanto caratteristici nelle regioni dominate dalle stirpi celtiche. Di più, la somiglianza delle nostre stele con alcune di quelle della Prussia orientale e della Russia, e specialmente il fatto della epigrafe con caratteri etruschi incisa sul cimelio di Zignago, costituiscono elementi di giudizio discordi e, non consentono di risolvere il problema con recisa sentenza. Possiamo sollo affermare, che in epoca remotissima, circa sei o sette secoli prima della nostra era, dal gran crogiuolo ariano, nell’Asia occidentale, si iniziò una corrente migratoria di Celti o di una stirpe affine, che raggiunse in Italia· le rive del Mediterraneo e in Francia quelle dell’Atlantici. Questa corrente attraversò probabilmente una regione già sottoposta alla coltura etnisca e ne subì l’influenza. In alcuni esemplari la somiglianza fra le stele della Liguria e quelle della Francia è quasi perfetta, ed attesta origine e significato comuni. Non si può disconoscere qualche analogia fra i nostri monumenti e le figure scolpite nelle cripte funerarie della Marna e sopra i dolmen d’Aveny (dipartimento dell’Eure) di Boury (dipartimento dell’Oise), di Aubergenville (dipartimento di Seine-et-Oise) e d’altri punti della Francia, come pure coi monoliti deH’isola di Guernesey· Ee stele della Lunigiana ricordano, inoltre, alcune di quelle segnalate nel Bolognese, segnatamente a S. Giovanni in Persiceto, nel fondo Arnoaldi e nella proprietà Grabin-skì. - 77 - Ruderi preistorici o protostorici. A proposito delle caselle, .aggiungerò alle notizie precedentemente fornite, che una di queste, non diversa dal tipo comune, fu osservata dalFIng. A. Μ. Issei fra la Punta Martina e il Prato d’Erma, a circa 300 metri di distanza dalla prima. Parecchie altre ne furono vedute dallo stesso osservatore fra Giustenice e il Monte Agnellino, come pure sulla spianata del Pizzo della Follia presse il Monte Faudo. Secondo l’autorevole testimonianza del reputato naturalista Forsyth Major, gli edifici primitivi, analoghi a quelli di 'c.ui segnalai l’esistenza in Liguria sono frequenti in Corsica, ove gli abitanti li denominano ca-seddu, casellu, casarone, pagliau· Nella regione detta Il Nebbio sono coperti di lastre "scistose; altrove invece di terra argillosa. Il villaggio di Montestremo, presso Gallerio (lido occidentale), è in gran parte formato di tali costruzioni, quasi tutte abitate : altrove invece furono abbandonate ed ora non ne rimangono che i ruderi. ••V Tavares de Proenca pubblicò testé una monografia delle costruzioni primitive descritte in queste pagine, e ne illustrò parecchi esempi di vari paesi, principalmente le così dette queijeiras redondas (presso Castello Branco) e cabanas (sulla Sierra de Estrella). Questi edi-fizi del Portogallo sono in gran parte identici ai liguri, talché Fautore ripete per essi le osservazioni già da me esposte rispetto alle nostrane. Nell’opera In brigand's hands and tursUsli prisons (1914-1918) di A. Fordes è descritto un villaggio di «Bee-Hive», osservato dall’autore presso Aleppo, nella Siria settentrionale. Si tratta di costruzioni di terra, coniche o a cono tronco, disposte in gruppi a breve distanza l’una daMi’altra. Rispetto alle antiche difese erette dai Liguri a presidio della loro indipendenza, prima della invasione latina, e durante le guerre sostenute contro i loro potenti nemici, quando già le aquile romane erano penetrate nelle valdi alpine ed appennìne, non mancai di segnalare le strette affinità che collegano i nostri castellavi e le nostre bastìe preistorici iai castellieri d’Istria, parimente edificati a scopo di difesa. Recentemente costruzioni simili furono anche osservate nella valle dell’alto Adige, e faccio voti perchè non se ne faccia aspettare a lungo una esauriente illustrazione. Si connettono agli antichi propugnacoli sparsi fra i nostri monti ruderi assai rozzi e certamente incompleti, che consistono' in mura a secco. Il Prof. G. Rovereto me ne indicò uno assai ampio, di forma .arcuata, che trovasi a circa un centinaio di m. d’altitudine fra A-renziano e Invrea; nella concavità dell’arco sorge un masso voluminoso. Ajltri si trovano a maggior distanza dal mare in parecchi punti della Riviera occidentale ; ma non credo prudente additarli tagli studiosi, mancando le prove che risalgano proprio a tempi anteriori ai ricordi storici. S’intende di leggeri come costruzioni improvvisate, innalzate per provvedere a necessità del momento, con materiali raccolti in posto, offrano di rado particolari atti a precisarne l’età, come si osserva bene spesso in ordine ai sepolcri. Provvedo ad una omissione citando con lode, a proposito dei castellieri, l’esauriente monografia di quelli di Trieste e della regione Giulia, pubblicata nel 1903 dal Dottor Carlo Marchesetti. - 79 Egli potè accertare resistenza, nei dintorni di Trieste, di ben 118 castelllieri, 55 dei quali di grandi dimensioni. Di molti diede la descrizione e le misure ; il suo lavoro è corredato di 24 figure nel testo. Carta paietnologica della regione Ligure. Mio antico proposito era quello di riassumere graficamente in una carta topografica della Liguria a scala opportuna (basterebbe quella di 1: 100.000) la posizione delle caverne ossifere paleolitiche e neolitiche, delle stazioni preistoriche all’aperto, delle antiche necropoli, delle tombe isolate, dei castellari e d’altre difese costruite dai Liguri indipendenti, delle caselle, come pure delle incisioni rupestri, dei ruderi romani e perfino l’ubicazione dei singoli manufatti riferibili a tempi storici remoti od anche anteriori alla storia; ciò mediante segni convenzionali fra loro ben distinti. Questi segni avrebbero- dovuto essere impressi in rosso, in turchino, in' verde, in giallo, in viola o in bruno, per indicare eziandio a qual fase cronologica fossero da riferirsi. Dagli abbozzi di tal carta, già da me eseguiti, emergono considerazioni generali e concomitanze notevoli, suscettibili di spargere qualche luice sulla distribuzione topografica delle antiche stirpi in Liguria e sulla evoluzione loro. Così, ad esempio, apparisce ad ogni occhio veggente il fatto dello scarso numero delle stazioni paleolitiche in confronto delle neolitiche, il fatto che le seconde si trovano quiasi sempre in (contatto (o sovrapposte) 'afte prime, la circostanza che i relitti neolitici, miolitici e siderolitici o pratostorici si trovano quasi sempre in prossimità dei centri di popolazione — 80 - romani e medioevali, perciocché i dominatori proceduti da Roma e i loro successori stabilirono colonie militari di preferenza nei punti già occupati dagli indigeni, i quadi ben presto adottarono i costumi dei vincitori, e con essi si confusero. Risulta pure con evidenza come la civiltà che coincide coll’uso del bronzo abbia avuto presso di noi sì scarso .sviluppo per modochè, per i suoi relitti, si confonde quasi colla precedente (1). Senonchè, il disegno che vagheggiavo non ha potuto tradursi in atto, pur prescindendo dalla scemata energia di chi scrive, a causa della grave crisi economica e sociale attraversata dall’Italia nostra e dai paesi vicini, crisii che si ripercuote suH’industria delle arti grafiche e sulle indagini paietnologiche ed archeologiche. Per finire, non mi resta che ad augurare tempi più propizii agli studii, tempi nei quali, cessatele difficoltà materiali da me deplorate, altri si accinga all'impresa con maggior lena, e consegua l’intento agognato. Note supplementari e rettificazioni concernenti l’epilogo. Alle indicazioni relative ai costumi dei Liguri neolitici o miolitici, quali risultano dalle indagini di cui già diedi conto, giova aggiungere le seguenti : Durante i primi scavi che tentai nella caverna delle Arene Candide od Armassa, presso Finalmarina, ebbi la ventura di raccogliere a piccola profondità nel deposito ossifero del sotterraneo, presso l’apertura principale, alcuni manufatti d’osso (punte di zagaglia o di (1) Ottima guida per l’attuazione del mio diseigno sarebbe stata la memoria di E. Chantre « Progét d'une légende ìnterruitionde pour les cartes achéologiques, préhistoriques etc. ». - 81 - freccia), cocci di terra cotta, assai grossolani, ed ossami c i mammiferi di specie viventi, che giacevano entro i residui di un antico focolare. Insieme a queste erano commiste reliquie umane, pei lo più fragili, leggere, biancastre, che avevano subito indubbiamente Fazione del fuoco. Inoltro, la parte superiore di un femore di giovane individuo presenta in breve spazio scalfitture, che sembrano prodotte da un arnese tagliente ed intaccature simili ,a quelle che i denti dei carnivori lasciano alla superficie delle ossa degli animali di cui divorano le carni. Analoghe intaccature osservai sopra una dialisi di tibia umana; taccio di qualche altro segno che si può attribuire ad una raschiatura praticata, affine di staccare un lembo di carne dall’o-sso cui aderiva. In breve, tali reliquie suscitano l’ipotesi che sieno avanzi di un pasto di cannibali. Senonehè, facendo poco affidamento sulla mia esperienza, non ebbi allora (nel 1864) il coraggio di -adottare una spiegazione tanto arrischiata, e lasciai impregiuldicatoi ili grave problema che mi si affacciava alla mente. Di poi, avendo letto u-na memoria assai suggestiva, di Carlo Vogt sull’antropofagia (1), memoria presentata nel 1871 al Congresso preistorico di Bologna; tenendo eziandio nel debito conto le conclusioni alle quali era pervenuto, in un caso analogo (illustrando le ossa umane da lui scoperte nella grotta dei Colombi, neU’isola Palmaria) il Prof. G. Cappellini, non dubito ora di ammettere che gli antichi Liguri, al! principio dell’età miolitica e nella successiva, si cibassero di carne umana. In questa tesi mi conforta l'a circostanza che le ossa umane da me rinvenute nella caverna delle Arene (1) Vogt C., Anihropophagie et sacrifices h.?nains. Bologne, 1873. - 82 - Candide, ossa sulle quali sono visibili le tracco di raschiatura o le impronte dovute a pressioni di denti teste accennate, appartengono tutte ad individui giovani, ed erano sparse fra i residui di un focolare; non appartengono, cioè, ad uno scheletro sepolto, come tanti altri, in conformità di un rito funebre (1). Poco tempo addietro volli esaminare ex novo la collezione paletnologica del Museo di Geologia universitario, in Genova, affine di verificare se, per avventura, non comprendesse altri esemplari che possono considerarsi con verosimgilanza quali resti di pasto di cannibali. Mi fu dato di osservare, questa volta, che una tibia di /individuo umano non adulto, raccolta anni sono dal compianto Prof. N. Morelli nella caverna Paste, presenta segni di raschiatura e che impronte, lasciate a quanto pare da denti, si vedono sopra un femore della stessa provenienza. Tali ossa subirono indubbiamente l’azione ded fuoco. Sopra altre essa degli arti di giovanissimi individui, che si tlevarono sparse nella grotta di Bergeggi, non mancano segni di erosione dovuti probabilmente a denti umani. Vogt 'dimostrò con argomenti inoppugnabili come 1 orribile costume deirantropofagia, già praticato nei tempi preistorici ed ora vigente presso alcune tribù asiatiche, affricane ed americane, sia subordinato ad una condizione sociale, che non è lo stato selvaggio, e vada strettamente collegato a quello dei sacrifizi umani, il quale non è disgiunto da un certo grado di evoluzione nell’agricoltura, nell’industria, nelle arti e nella legislazione. (1) Anche nelle ossa umane contenute nei sepolcri si danno spesso segni d’usione, ma questi dipendono dal fuoco .acoeso sui tumuli per 1 imbandigione del pasto funebre. - 83 - Il cannibalismo non consegue, come a tutta prima pan ebbe verosimile, da penuria di cibo, ma dipende il più delle volte da sete di vendetta a danno del nemico vinto, e, in secondo (luogo, dalla brama dei divoratori di carne umana di appropriarsi i requisiti fisici e morali delle loro vittime, requisiti che reputano invidiabili. Essi erodono di acquistare l’intrepideza del nemico mangiandone il cuore e il fegato, di ereditarne l’energia bevendone il sangue. Bene spesso, avverte Vogt, gli an-tropofagi ricorrono a siffatto costume per obbedire a preconcetti o a prescrizioni d’indole superstiziosa, e affino di soddisfare ad esigenze rituali. Certo è che attualmente si può dire un relitto del passato. Anche presso le più civili regioni d’Europa si trovano tracce della antropofagia dei tempi più o meno remoti, nelle fiabe e nelle leggende. Non mancano irrecusabili testimonianze 'idi siffatto costume nelle antiche epopee; così, ad esempio, gli episodi relativi ai Ciclopi ed ai Lestrigoni, nell’Odissea, attestano che erano* noti ai Greci, di cui Omero narrò le vicende, certe isole del Tirreno, erano abitate da rudi e feroci cavernicoli, i qua- li, quantunque non privi di mandre, usavano cibarsi di canne umana. Ognun vede, come, pur tenendo conto delle esagerazioni e delle deformazioni subite dal poema, non sieno da mettersi in dubbio i fatti che suggerirono siffatti episodi· Giova rettificare il cenno fornito per incidenza alla pagina 666 dell’opera « Liguria Preistorica » intorno ai teirranwicoli, ove è detto, che essi formavano col mezzo di argini bacini artificiali, nei quali conducevano le acque dei vicini rivi, per collocarvi le loro capanne. L’argine era propriamente circondato da fosso artificiale, largo e profondo, in cui circolava acqua cor- — 84 — rente, e limitava un'area trapezoidale (come sarà più ai . Γ quellad^te antiche città italiche), ad orientazione iman abile. In quest area, che originariamente do-λ e\ a e ssei e acquitrinosa, e si rendeva di poi più alta su piano di campagna e più asciutta, pei copiosi detriti che \i si depositavano, si piantava la palafitta, sulla quake era disposto il tavolato, a sostegno di case o capanne quadrangolari, di legno o· di paglia. Il "v illaggio, se così posso esprimermi, era diviso in due parti uguali da una via longitudinale, che metteva pei una delle sue estremità al fosso, sul quale era gettato un ponte di legno; altra via trasversale divideva in due paiti il perimetro di ciascuna metà. Le due rive coi rispondevano, secondo Pigolimi e Chierici, cui si devono le più autorevoli osservazioni in proposito, al decumanus e al cardo niaxìmus delle antiche città italiche. Da ciò, dalla forma quadrilatera della stazione, e da molti altri riscontri, concernenti i manufatti e i costumi, si argomenta che dai terramaricoli sieno derivati gli Italici. Ritengo tuttavolta che a dar origine a questo popolo abbiano largamente contribuito anche i Liguri, che formavano il substratum dell’aggruppamento umano, ncili Italia superiore & media, nei tempi preistorici (1). '\el lato orientale della terramara sorgeva un rilievo di terra e ni legno corrispondente al terriplum o dWarce delle -città primitive. i uori delFabitato si cremavano i cadaveri, le cui ceneri erano collocate entro rozzi e fragili urne, mal difese dall’azione degli agenti esterni e quindi raramente conservate fino ai nostri giorni. (1) Dicendo tempi preistorici, intendo alludere qui a quelli posteriori a'l’età quaternaria, che precedettero i più antichi documenti storici. — 85 - In alcune terramare, come in quella di Parma, re-/centemente esplorata con nuovi scavi, la palafitta risulta di più ordini di pali sovrapposti, il qual fatto sii interpreta ora, ammettendo che, quando il bacino circoscritto dall’iargine era colmo dai rifiuti, che si eliminavano giornalmente mediante le botole di cui erano provviste le abitazioni, queste venivano distrutte (verosimilmente incendiate), e quindi una seconda palafitta si piantava sul suolo formato dai detriti, mentre si rialzava in proporzione Γargine periferico. Così si fondava un secondo villaggio sull’area originariamente occupata dal primo, e in alcuni casi un terzo sul piano del secondo, senza che si mutassero in alcun modo i costumi degli abitanti,, postumi accusati diai rimasugli raccolti per lungo volger di secoli in angusto! spazio. Ma non è da escludersi l’ipotesi che le capanne fossero bene spesso distrutte da incendi appiccati da nemici o divampati accidentalmente. Si danno palafitte in pianura ed in collina ; e, per quanto concerne la valle del Po, si distinguono in occidentali o lombarde, che hanno più stretta connessione con quelle della Svizzera, e in orientali o venete, che rivelano rapporti più intimi colle stazioni preistoriche delle valli dell’Adige e del Danubio. Alle palafitte o-rientiali si collegano le stazioni del Mantovano, di parte del Bresciano, del Cremonese e deH’Emilia, cui fanno seguito altre nell’Italia peninsulare (ne fu scoperta una teste presso Taranto) (1). Alila medesima stirpe che edificò le abitazioni lacustri della Francia, della Svizzera, dell Italia, della Ba- (1) Gli italici sarebbero probabilmente derivati dai palafitticoli orientali. 86 - vier a, appartengono i palafitticoli della Moravia a nord-est, della Croazia e della Bosnia ad est e sud-est. Fin qui non sono ancora sufficientemente conosciute le relazioni che intercedono fra le abitazioni lacustri pilopriamente dette e le terramare. Si sa soltanto, che, in tesi generale, le prime precedettero le seconde. Le une e le altre appartengono indubbiamente a gente diversa da· quella cui sono dovuti in Italia i depositi neo- -litici delle caverne e i f ondi di (capanne, gente alla quale si riferiscono gli antichi Liguri. Si danno lungo le rive dei laghi svizzeri resti di abitazioni lacustri, attribuite alla fase neolitica, mentre in maggior numero sono pertinenti ai diversi stadii della fase cosà detta età del bronzo, ed una di quelle della Francia occidentale (sul lago di Palad’rù) si mantenne fino all’epoca dei Carolingi. Le terramare non accusano che quella fase, nella quale, pur continuando a far uso di manufatti di pietra e d’osso, l’uomo conosceva il bronzo. Ad alcune stazioni lacustri della Svizzera sono connesse necropoli, nelle quali, secondo recenti osservazioni di Fored, non mancano tombe ad inumazione. In ordine ai primordii del Cristianesimo nella nostra regione, dei quali mi occupai incidentalmente nell’i^-logo della mia Liguria Preistorica, mi piace ricordare una tradizione notevolissima desunta dalle memorie di Tiziano, vescovo di Treviso, vissuto nei secoli VTI θ Vili della nostra era. Si narra con queste memorie come Vindemiale e Sant’Eugenio, reduci dall·Affrica, nel primo secolo detH’era volgare, approdarono prima al castello Sauense (la moderna Savona) poi /al Vadose (al presente Vadio) e colà convertirono, predicando, numerosi pagani. Si legge in una antica scrittura del Giudica intitolata: Notizie storiche di Sant'Eugenio (An- — 87 - oona, 1744), « che moll'tissimi di costoro, ingannati dal demonio, lasciando di adorare Dio creatore dell’uni-' verso, un’esecrabile bestia, dentro una spelonca, con vanissimi sentimenti adoravano e con sacrilego scelleratissimo rito gli offrivano ogni giorno vittime e sacrifizi ». Aggiunge l’autore, che ciò essendo venuto a cognizione dei due vescovi, questi, armati del segno della croce, si accostarono intrepidi e pieni di fiducia alla spelonca in cui stava la bestia e postevi sopra le mani, lia legarono colla stola e la precipitarono in mare. L’unica grotta, che si apre in riva al mare in prossimità di Vado, è quella situata a poche centinaia di passi dalla borgata di Bergeggi; orbene in questa cavità, assai capace, furono scoperti non è molto, come si è detto, sepolcri neolitici, ciascuno dei quali conteneva il proprio scheletro, accompagnato da lasoie di pietra verde, levigata, tene cotte, frammenti di bronzo e di vetro. La bestia cui allude il vescovo Tiziano è verosimilmente un drago, col quale bene spesso gli antichi simboleggiavano lo spirito del male od anche l’eresia (1). Oltre a S. Giorgio, He cui gesta, son descritte da tutti gli agiografi, si attribuisce a S. Venerio in Lunigiana e a Santa Marta in Provenza di aver debellato il mostro. (1) Un’altra versione del medesimo episodio suona ,presso a poco così : verso il quarto secolo della nostra era, ai Savonesi, che subivano il giogo d'i Unnetrico, questi impose ili edito dei falsi numi e l’adorazione del simulacro di um dir ago. Sopraggiunti dall’Affrica i santi vescovi Vindemiale ed Eugenio,, avrebbero gettato in mare l’idolo e fervidamente instaurata la fede cristiana. Nel condurre a termine questa mia appendice m’incombe iì dovere di dichiarare, che ho suppli to in piccola parto alle illustrazioni delle quali avrebbe dovuto esser corredata mercè alcuni clichés cortesemente prestatimi dal Senatore Luigi Pigorini, dal Prof. Orlando Grosso e dal Dott. LTbaldo Mazzini. A tutt' tre porgo l’espressione delia mia viva gratitudine per il segnalato favore che vollero usarmi. A. I. . i ; i > INDICE delle Note supplementari alla Liguria preistorica del socio ARTURO ISSEL (Appendice al voi. XL degli Atti della Società Ligure di Storia Patria). da· altre grotte già Ragioni cihe mossero ΓAutore ia scrivere le presenti Note supplementari alla Liguria Preistorica .... Pag. Caverne ossifere a facies paleolitica Caverna delle Fate Caverna del Pastore . Caverne dei Balzi Rossi Caverne ossifere a facies neolitica Grotte prossime a Bardineto . Cenni relativi ad oggetti provenienti descritte .... Figure e segni preistorici 'incisi sulle rupi Bronzo ip.rei storico della miniera di Vallauria Manufatti litici sporadici paleolitici e neolitici Manufatti metallici e fìttili sporadici Necropoli preistoriche La tomba di Rapallo e la croce gammata Necropoli arcaica di Genova . Relitti d’altre necropoli. Anfore sepolcrali Le stele antropomorfe della Liguria orientale Ruderi preistorici o protostorici . Qartia pad etnologica della regione ligure . Note supplementari e rettificazioni concernenti l’epilogo 5 6 6 7 8 10 10 15 17 24 26 29 30 30 44 55 56 60 77 79 80 ERRATA CORRIGE Pag. 31, linea 7 approssimativavamente approssimativamente » 41, » 25 catenelle catenella » 43, » 3 contimente continente » 52, » 3 dell’ era volgare avanti l’era volgare » 54, » 1 Po’ Po » 57, » 19 .. esrvazioni .. servazioni » 64, » 33 un ascia un’ ascia » 65, » 11 accenna accenna, » 66, » 13 nel comune di Mulazzo nella villa di Campoli, frazione del comu¬ ne di Mulazzo » 66, » 17 corpo collo » 67, » 2 m. 42,50 cm. 42,50 » 67, » 32 indiati indicati » 68, » 22 . . . nuti . . . nute » 68, » 25 Montevecchio Pontevecchio » 69, » 23 Nonesus Nemtisus » 69, » 28 Meso Mesu » 69, » 28 Mettu N e musin s Mettus Nemisius » 70, » 20 delle della » 75, » 25 di dei » 83, » 7 intrepideza intrepidezza » 83, 21 erano abitate abitate