ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME LI GIOVANNI SFORZA ENNIO QUIRINO VISCONTI E LA SUA FAMIGLIA GENOVA NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA PALAZZO ROSSO MCMXXIII - ··' ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA ■ 1 ΕΝΛΊΟ QriRIIVO VISCONTI "Y' " /r t , //'//'f7 '/s //, ‘ φ ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA * “· s » * . . * s j « i · i .. r ;· ■ / » *- » .* VOLUME LI • rii i.i GIOVANNI SFORZA ENNIO QUIRINO VISCONTI E LA SUA FAMIGLIA GENOVA NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA PALAZZO ROSSO MCMXXIll Ciascun autore degli scrìtti pubblicati negli ATTI DELLA SOCfETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA è unico garante delle produzioni e opinioni esposte in essi scritti. PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA - ** Stabilimento Tipografico Dìtta CESARE CAVANNA Pontremoli AVVERTENZA // manoscritto dell’opera che qui comparisce postuma venne dal suo autore direttamente trasmesso al Presidente di questa Società nel luglio del 1922, e passò in tipografia quindici giorni prima che lo stesso autore venisse colpito a morte da una malattia die nè egli nè coloro coi quali era in corrispondenza epistolare presagivano così rapidamente letale. A supplire alla inopinata mancanza dello Sforza nella correzione delle prove di stampa, la Società potè giovarsi dell'opera del venerando prof. Achille Neri ; il quale, nonostante i suoi otta/it’ anni, volle premurosamente, in onuiggio alla memoria dell’estinto amico, addossarsi il non lieve carico. All’opera del prof. Neri aggiunsi anche la mia ; durante poi il periodo estivo-autunnale di quest’anno, essendosi egli allontanato da Genova ed urgendo condurre innanzi la stampa del libro, attesi io solo alla correzione degli ultimi cinque o sei capitoli ed appendici di questo. Il che dico non per altro che per istabilire le responsabilità, se è lecito esprimermi cosi, del lavoro di revisione ; e scagionare il detto professore da manchevolezze c negligenze imputabili, se mai, a me esclusivamente. Correggere le bozze di stampa di un libro dello Sforza non e faccenda agevole, poiché è tanta l’erudizione ch’egli profonde in ogni suo scritto e sono così abbondanti e particolareggiate le note e le citazioni e le indicazioni di cui fa sfoggio, che si richiede una continua e sempre vigile attenzione, una ripetuta lettura, non che una somma notevole di cognizioni per non cadere in omissioni ed errori: tutte cose che non è dato ognora nèdipos- sedere nè di applicare. Nel caso della presente monografia, l'autore, oltre le frequenti citazioni in latino ed in greco, riporta da un certo punto in poi quasi in ogni pagina lunghi brani in francese, che nel manoscritto sono troppo spesso riprodotti con scorrezioni e sbagli, specialmente negli accenti. Qualche volta nello stesso manoscritto trovatisi, per quanto riguarda le citazioni, lacune che lo Sforza si riprometteva di colmare nelle bozze; qualc/ie altra volta mancamenti di parole saltate nella fretta dello scrivere ; talora inesattezze nella conversione delle date del calendario re-pubblicano francese, eh egli per certi periodi dell’epoca rivoluzionaria riferisce con frequenza, nelle corrispondenti date del calendario gregoriano. Tutte queste piccole mende, che egli, ben noto per la scrupolosa cura dei particolari, avrebbe tolte con facilità nella correzione delle bozze, difficoltarono essa correzione a chi dovette eseguirla in sua vece. Accadde inoltre che, per lo lontananza da Genova della tipografia incaricata di stampare il presente volume, e per il desiderio di rendere più sollecito il lavoro di stampa, si limitò, per i cinque o sei ultimi capitoli e le appendici, la correzione alla prima bozza. Cosicché, malgrado la solerte cura dei revisori ed anche, ciò che è doveroso riconoscere, la diligenza elei tipografo, che, con un testo così sovrabbondante di voci e locuzioni straniere alla lingua italiana, seppe eseguire il lavoro con sufficiente correttezza, rimasero parecchi errori, f quali però sono nella maggior parte puramente formali, e facilmente correggibili dal colto lettore, e permettono quindi di rinunziare ad un'errata cor- ' rÌ£e- Questa, del resto, per essere veramente utile, avrebbe dovuto in primo luogo emendare gli eventuali errori commessi dallo stesso Sforza nelle continue citazioni ch'egli fa di passi di altri autori, e di dati numerici relativi alle opere di costoro. Ora, per tal riguardo, io debbo, in quanto mi spetta, dichiarare che non ho potuto se non in piccola parte verificare ' all origine esse citazioni ; e che il mio compito si è principalmente ristretto a che queste venissero nella stampa riprodotte tali e quali comparivano nel manoscritto dello Sforza, tranne a 'correggere gli errori manifesti o effettivamente riscontrati. Ciò per quanto riguarda la revisione delle prove di stampa ; circa poi la sostanza o, come vogliam dire, il merito del lavoro dello Sforza, taluno potrà osservare ch’è forse questa la prima volta in cui gli Atti della Società Ligure di Storia Patria accolgono uno scritto che non contiene, si può dire, documenti inediti, fatta eccezione di qualche breve e rado — 7 — inserto di poca importanza, e non reca pertanto quasi nessun contributo di nuove e originali notizie all’argomento che tratta; ma si propone esclusivamente di raccogliere intorno al medesimo tutto ciò che venne da altri già dichiarato ed esposto. Ed infatti lo scritto dello Sforza è essenzialmente un lavoro di erudizione, composto, secondo il costume di lui, in grandissima parte con squarci staccati da opere altrui, ch’egli ha cura di citare ognora con rigorosa esattezza e con larga notizia bibliografica. Nulla cosa più difficile che il temperarsi in materia d'erudizione » - diceva Vincenzo Monti - « e l’erudizione costa sì poco che Dio ti scampi da un erudito, parlo di quelli che sempre citano e mai non pensano » (1). Ma Giovanni Sforza non appartiene a codesta specie di eruditi usi ad a ffastellare una moltitudine di notizie più atte a soffocare e obliterare il soggetto, anziché a dargli risalto e illustrarlo ; e la sua erudizione non è di poco pregio, e lungi dal repellere attira il lettore, il quale trova ordinariamente in essa tutto quanto può interessargli ed occorre per una conoscenza intera e sicura dello stesso soggetto trattato. Sebbene egli metta nel dettato il meno possibile di parole sue. impiegandole il più sovente soltanto a congiungere fra di loro i brani di diversi autori ed a passare dall’uno all’altro, pur conservando scrupolosamente a ciascun brano la propria individualità, tuttavia egli ha l’arte di scegliere con felice abilità e di ricondurre i tratti prescelti sotto l’unità del soggetto e farli converger: alla migliore illustrazione di questo. Così egli ha radunato nel presente volume tutto quanto spetta alla biografia e bibliografia di Ennio Quirino Visconti, ed in modo sì largo e, direi, sì esauriente, che, da ora in poi, chi vorrà acquistare una cognizione non superficiale della vita e dell’opera del sommo antiquario, dovrà ricorrere necessariamente a questo scritto. Il quale richiama 3 rinfresca opportunamente la fama del Visconti, di questo prodigioso illustratore e vivificatore dell’antichità greco romana, che era « déjà maitre à l’époque de la vie où n’aspire qu' à devenir élève » - secondo l’espressione de! Quatremère de Quincy - et que, pour avoir la facilité de tout lire il eût la faculté de tout comprendre » (2). Ora che in Italia è di moda invocare ed esaltare il nome romano, e si estende a tutte le (1) Satire di Aulio Persio Flacco, traduzione di Vincenzo Monti ; Milano, Edoardo Sonzogno editore (Biblioteca universale), 1S8S, p. 93. (2) Vedasi questo volume a p. 203. scuale di cultura la studi, del Mino, il riddarne del Viscosi potrei* servire di sprone e di ammaestramento per una conoscenza sena prò fonda del mondo classico, in contrapposto alla puerile tendeva c e assegna a siffatto studio ano scopo di vano e ridicolo imperialismo politico Ma l’autore, colla pabblicazione di questo scritto sul Visconti si prò pose prima di tutto uno scopo d’interesse regionale, quello cioè di mendicare alla Lunigiana, epperò alla Liguria la gloria di aver dato mondo il grande archeologo. Egli aveva già presentato a tale scopo una nota su Gli antenati di Ennio Quirino Visconti alla Reale Accademia delle scienze di Torino nell’adunanza del 29 gennaio 1922, nota che venne pubblicata negli Atti della stessa Accademia (1), e che poi egli inserì, con qualche variante, nel presente volume, di cui forma il capitolo primo. « La Lunigiana (lembo della Liguria) » - così scriveva lo Sforza nel gennaio del 1922 al nostro presidente e di lui amico Comm. Luigi Vol-picella - « ha il pieno diritto, anzi il dovere di riguardare come suo Ennio Quirino, e farne la rivendicazione ». Ed in altra lettera del 29 aprile 1922 allo stesso nostro presidente, parlando dello scritto che ora qui vede la luce, aggiungeva e rincalzava: « Il lavoro è frutto di studi lunghi e pazienti e mi lusingo riuscirà esauriente. Io stesso, nel rileggerlo, son rimasto maravigliato d’aver scovato e raccolto tante notizie, non solo italiane, ma francesi su questo insigne archeologo ; che mi glorio d’aver rivendicato alla Lunigiana, la quale altro non è che an lembo della Liguria ». L’opera pubblicata in questo volume, non solo raggiunge pienamente l’intento che il suo autore erosi proposto, ma, con la moltitudine e la varietà delle notizie che contiene, contribuisce efficacemente alla conoscenza della archeologia artistica greco - romana, compie pertanto un ufficio di coltura che rientra nei propositi della nostra Società. La quale, una volta tanto, fra l’arida congerie dei documenti d’archivio raccolti nei suoi Atti, è lieta di poter presentare ai propri soci ed agli studiosi un lavoro che unisce cospicui pregi letterari a quelli dell’erudizione storica ; e che riuscirà loro, non v’ha dubbio, ancora più accetto per le incisioni, già dall’autore predisposte, che l’accompagnano e l’abbelliscono. Genova, nel novembre 1923. IL SEGRETARIO FRANCESCO POOGI (1) Atti della Reale Accademia delle scienze di Torino, vol. LVII, 1922, pp. 223-236. INTRODUZIONE Vernazza è situata sulla pendice d’uno scoglio dirupato sporgente nel mare, al cui piede si apre, dalla parte di tevante, un piccolo seno che è il più comodo scalo delle Cinque Terre; le quali si compongono, oltre Vernazza, di Monterosso, Corniglia, Manarola e Riomaggiore e si stendono dalla punta del Mesco al promontorio di Montenero, tra Levanto e Portovenere. Un tempo «ebbe le sue mura, attestandolo i ruderi delle medesime e tre porte, che rimasero in piedi. Era altresì munita di solide difese: sussistono, tra queste, l’antico bastione, a fior d’acqua, detto Beiforte, un altro, più elevato, si chiama ora il Castello ; ed una torre, la quale s’innalza al di sopra del borgo ed è nota col nome di Torrione » (1). Il suo territorio ha novecento trenta ettari di superficie. « Difeso, per la sua posizione, da tutti i venti freddi del nord ed esposto all’azione libera dei venti di mezzogiorno, gode di una continua primavera. La vegetazione che lo ricopre ha qualche cosa di particolare e risveglia al viaggiatore l’idea delle parti più calde della Spagna o delle coste del-l’Affrica. Cespugli di mirto, di ramerinc, di oleandro ne vestono le parti (1) LUIGI DE BARTOLOMEIS, Notizie topografiche e statistiche degli Stati Sardi, Torino, Chino e Mina, 1847, lib. Il, vol. II, part. II, pp. 1571 - 1572. — 10 — più incolte e scoscese, misti col fico d'india e coll’agave americana che oo-ni anno si copre di fiori. Le coste un po’ meno precipitose son ricoperte di boschi di corbezzoli e di quelle bassissime vigne, che coltre un tappeto si stendono sopra il terreno, famose per il vino eccellente che producono. Nelle piccole gole, scavate dai torrenti, che scorrono al mare, ove il pendio è anche più dolce, ed ove qualche volta trovansi delle piccole vallatine, tutto il suolo è adombrato da belli oliveti, da fichi, da boschetti di limoni, di cedri, di aranci e spesso tra questi si vede sorgere la palma (1). Una quantità di uccelli popola questi luoghi deliziosissimi, ed uno degli abitatori più comuni è la Sylvia Leucopogon. » (2). Una parte degli abitanti coltiva con amore i propri terreni, e una parte attende all’industria marinaresca, al traffico e alla pesca (3). Afferma il Guidoni, che « il nuoto, esercizio gratissimo alla gioventù, che rende agili i moti del corpo, coraggioso e intrepido lo spirito, forma l’occupazione principale della tenera età degli abitanti di questi luoghi.... La loro statura è piuttosto elevata, grande è la loro robustezza; ed agilissimi sul mare, sembrano veramente i discendenti de’Liguri montani » (4). Del Comune di Vernazza fa parte la terra di Corniglia (5) ; la quale, (1) La palma (Phoenix dactylifcra) non solo spesso vi sorge, ma qualche volta vi fruttifica; e vi si coltivan poi i cedri come oggetto di commercio. (2) Le Cinque Terre, notizie storiche; nelle Foglie sparse, periodico mensile, religioso, storico, letterario, artistico, di Sarzana, anno 1896, pp. 75-78. Cfr. GIUSEPPE PESSAGNO, Le Cinque Terre; nella Gazzetta di Genova, n. 10, 31 ottobre 1819. (3) GOFFREDO CASALIS, Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino, Marzorati, 1854, vol. XXV, pp. 24 - 28. (4) GIROLAMO GUIDONI, Memoria sulla vite ed i vini delle Cinque Terre; nel Nuovo giornale de' letterati, di Pisa, tom. VI, pp. 278-30^. Se ne hanno delle copie tirate a parte col titolo: Memoria sulla vite ed i vini delle Cinque Terre di GIROLAMO GUIDONI di Vernazza, Pisa, presso Sebastiano Nistri, 1823; in — 8.® di pp. 28. Ebbe due ristampe: Memoria sulla vite ed i vini delle Cinque Terre, nuovamente corretta ed ampliata dall'autore, Genova, presso Yves Gravier, stampatore libraio, 1825; in — 8.° di pp. 64; e Memoria sulla vite ed i vini delle Cinque Terre, seconda edizione nuovamente corretta ed ampliata dall' autore. Ristampa pubblicata per cura della Società « Girolamo Guidoni » nella ricorrenza del XXVIII.0 anniversario della morte del suo illustre titolare — 2 luglio MDCCCXCVIII — Spezia, tip. Argiroffo, 1898; in — 8.° di pp. 46. (5) La chiesa di S. Pietro di Corniglia venne incominciata nel gennaio t — 11 — per testimonianza del Targioni Tozzetti, « una volta doveva far smercio di qualche suo vino più scelto, perchè in vari libri pubblici appartenenti alla Repubblica Fiorentina e specialmente in quelli delle Dogane, s’incontra frequentemente nominata, nei secoli XIV e XV, Vernacia de Corniglia » (1). Fr. Salimbene da Parma, dopo aver raccontato nella sua Chronica che fu più volte a Chiavari, in riva al mare, nella diocesi di Genova, presso Lavagna, soggiunge: « et ibi prope vinum de Vernacia habetur, et vinum terrae illius optimum est»; e così generoso e deli' ziòso da richiamargli alla mente i versi fatti per quel liquore da un certo Trutanno : Vinum de vite — — det nobis gaudia vitae. Si duo sunt vina, — — rnihi de meliore propina. Non prosunt vina — — nisi fiat repetitio trina. Dum quartum poto, — succedunt gaudia voto. Ad potum quintum, — — mens vadit in laberyntum. Sexta potatio num — — me cogit abire supinum (2). Dante nel sesto cerchio del Purgatorio, dove le anime espiano le colpe della gola soffrendo la fame e la sete, s’imbatte in Simone di Brie, già tesoriere di S. Martino di Tours in Francia, poi papa col nome del 1334 e condotta a termine nel 1351, almeno quanto alla facciata, la quale ha ■ nel mezzo un bellissimo finestrone a ruota, in marmo di Carrara, d’intaglio vario e finissimo »; opera degli scultori pistoiesi Matteo e Pietro da Campiglio. Cfr. UBALDO MAZZINI, La chiesa di Corniglia nelle Cinque Terre e due artisti pistoiesi; nel Giornale storico della Lunigiana, vol. X (1919), pp. 31 -37. (1) GIOVANNI TARGIONI TOZZETTI, Relazioni d'alcuni viaggi fatti in divèrse parti della Toscana, Firenze, Cambiagi, 1777, tom. XI, p. 58. (2) Chronicon Fr. SALIMBENE parmensis, Parmae, 1857, p. 334. Cfr. Cronaca di Fra SALIMBENE, parmigiano, dell’Ordine dei Minori, volgarizzata da Carlo CANTARELLI sull'edizione unica del 1857, corredata di note e di un ampio indice per materie, Parma, Battei, 1883; 11, 132. Nell’indice la chiama erroneamente « Vernaccia di Chiavari «. — 12 — di Martino IV. Glielo addita Forese, con « un tantino d'ironia »: Ebbe la santa Chiesa in sulle braccia. Dal Torso fu, e purga per digiuno Le anguille di Bolsena c la vernaccia (1). Francesco da Buti chiosa: « le mangiava morte et affogate ne la vernaccia: vernaccia è vino che nasce nella riviera, m.ll.or «no che « Zi e forsi che anco ne bevea volentieri . (2). 11 Boccaccio all abate di CI igni, malato di stomaco, fa portare da Ghino di Tacco « m una tovaaliuola bianchissima, due fette di pane arrostito et un gran bicchiere di vernaccia da Corniglia > (3). Franco Sacchetti racconta che messer Vieri de’ Bardi, « veggendosi in grande stato, per onore di se e per va-o-hezza di porre nel suo alcuno nobile vino straniero » fece venire « magliuoli da Portovenere della vernaccia di Corniglia » che gli furono poi rubati dal piovano dell’Antella, suo vicino. « Questa novella » (dichiara) * mi fu narrata a Portovenere, là dove io scrittore nel 1383 arrivai, andando a Genova » (4). Giovanni Sercambi, dal canto suo, racconta la burla fatta « in nella riviera di Genova in una terra nomata Corniglia, dove nasce vino preziosissimo » a « uno contadino nomato Bruglioro, ricco [di] denari e possessioni e ricoglitore di vernaccia finissima e d ogni abbondante cosa » (5). La vernaccia trae il suo nome dalla terra di Vernazza e si fa con la vite Rassese, chiamata in Toscana Razzese, precoce nel maturare, di grato (1) DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia nuovamente commentata da FRANCESCO TORRACA. Quarta edizione riveduta e corretta, Milano, Società editrice Dante Alighieri, 1920, p. 530. _ (2) FRANCESCO DA BUTI, Commento sopra la Divina Commedia di danti·, alighieri pubblicato per cura di CRESCENTINO GIANNINI, Pisa, Nistri, 1860. II, 573. . ... ... (3) GIOVANNI BOCCACCIO, Il Decameron, riscontrato coi migliori testi e postillato da PIETRO F ANFANI, Firenze, Le Monnier, 1857; II, 343. Cfr. ORAZIO BACCi, La Vernaccia dell'Abate di Clignì; nel Fanfulla della Domenica del 28Tuglio 1907. Pare che la novella abbia fondamento nel vero. Cfr. DOMENICO MARIA ΜΑΝΝΙ, Istoria del Dec-amerone di Giovanni Boccaccio, Firenze, 1742; pp. 543-551. (4) FRANCO SACCHETTI, Le novelle pubblicate secondo la lezione del codice borghiniano, con note inedite di Vincenzio Foliini e Vincenzio Borghini per OTTAVIO GIGLI, Firenze, Le Monnier, 1861; 11, 100 e sgg. (5) GIOVANNI SERCAMBI, Novelle inedite, tratte dal codice Trivulziano CXCI11, per cura di RODOLFO RENIER, Torino, Loescher, 1889, pp. 281 -283. — 13 — sapore e di una speciale fragranza. Gio. Vittorio Soderini descrive il modo col quale « nella riviera della Spezia » si faceva « d’un vetigno medesemo » l'Amabile e il Razzese; le due qualità della vecchia e famosa Vernaccia. « Volendo far ΓAmabile » (son sue parole) « quando 1’ uva è matura storcono il picciuolo, là dove egli sta attaccato alla vite, a tutti i grappoli, avendoli spampanati bene, che il sole vi batta sopra, lasciandoli così per quindici giorni; dippoi li coggono a fare 1 'Amabile. E volendo fare il Razzese, quando è pur matura, la spiccano dalla vite senza altro » (1). Andrea Baccio, medico di Sisto V, leva alle stelle i vini delle Cinque Terre, che si mandavano « in Galliam et per Rhodanum ad Belgas et usque in Angliam, mediocribus dolii ac circulis ferratis »; e afferma che soprattutto VAmabile era tenuto « in summa vero laude » (2). Vernazza fa parte della diocesi di Sarzana, già di Luni, ed è vicariato foraneo. La sua chiesa parrocchiale, consacrata a Santa Margherita e prossima al mare, è a tre navate ed ha il titolo d’arcipretura. Il suo campanile ottagono, con galleria di marmo in giro e otto finestroni, si regge sulle quattro colonne del presbiterio. Conta nel proprio distretto la chiesa di S. Francesco, già de’ PP. Riformati, che vi avevano un convento, gli oratorii di S. Maria della Pietà, della Concezione e di S. Giovanni Battista. A quattro chilometri dal capoluogo sorge, sopra un colle, il santuario di N. S. di Reggio, che offre luogo a pellegrinaggi ed a feste (3). Tra le carte della famiglia Visconti, che si conservano nella Biblioteca comunale della Spezia, si legge la seguente lettera, indirizzata a Giambattista Visconti, padre di Ennio Quirino, che riguarda appunto N. S. di Reggio: t Ill.mo Sig. Padrone colendissimo, La propenzione dell’animo cortesissimo che V. S. Ill.ma ha sempre dimostrata a questa sua Patria, ma molto più la singoiar divozione che ha sempre (1) OIOVANVETTORIO SODERINI, Trattato della coltivazione delle viti e del frutto che se ne può cavare. In Firenze, per Filippo Giunti, MDC, pp. 71 e 82. (2) BACCIUS A., De naturali vinorum historia, de vinis Italiae et de conviviis antiquorum libri VU, Romae, 1596; in — fol. Cfr. lib. Ili, pp. 308 e sgg. (3) ANTONIO PITTO, La Liguria Mariana, Genova, tip. della Gioventù, 1872, pp. 24-31. 14 conservata al miracoloso Santuario della Regina dei C.el. nostra Avvocata d Reggio, a gloria ed imitazione de’suoi proavi, è quella che c. invita in pu blico ed in privato nome a ricorrere a’valevoli ed efficaci suo. buon, uffici per una volta avere il sospirato contento di vedere col.a solenne comparsa dell’incoronazione e coll’intento bramato della corona d’oro man.festat. al mondo i continui prodigiosi miracoli ha questa gran Madre di Dio teneramente sopra tutti noi e vicini Popoli compartiti e che giornalmente ci comparte. Stimeres-simo offendere la di lei ben nota pietà, se in un’opera cosi santa e così su-blime cercassimo termini, studiassimo espressioni per disporla a prestare, ogni sua opera ed a concorrervi con tutte le sue forze. Basta appunto essere Cristiano per essere devoti alla gran Madre di Dio; e basta essere di Vernazza per essere divoti della Madonna di Reggio, sentimenti del suo bell’animo e dettati dalla sua penna; onde ci restringiamo unicamente invitarla a concorrere col zelo suo eroico ad un’opera così santa e così lodevole, lasciando di sè stessa ereditaria delizia delle memorie in giro de’secoli in l’avvenire. Avvicinandosi l’origine dell’umane allegrezze colla Nascita del Divin Verbo, man-cheressimo a noi stessi se non pregassimo a V. S. IH.ma ed a’suoi diletti figli in tale circostanza una piena di felicità, e se pel glorioso emporio d onore clic va continuamente riportando il di lei ben degnissimo figlio sig. Ennio Quirino, ornamento della Repubblica letteraria, Fenice del secolo ed estremo sforzo della Natura, non isfogassimo l’universale nostro giubilo, non tanto con V. S. III.ma, quanto colla Città di Roma, anzi col mondo Cattolico. Colla venuta delli fratelli Castrucci in Roma riceverà copia del stupendo processo ed il ritratto della nostra Protettrice in Cielo, quale servir potrà d’esemplare per inciderne l’impronto in rame, e che quantunque mal abbozzato dal rustico pennello d una miserabil contadinella di questi contorni, pure la preghiamo ad aggradirlo, compatendo noi peli’imperfezioni della dipintrice sul riflesso delle nostre impossibilità d’avere un buon professore. Ci lusinghiamo però del suo gradimento sulla considerazione che all’esterna rozzezza dello stesso, supplisce la di lui intrinseca perfezione. Tanto sperando ottenere dalla sua divozione e dall’amor che conserva alla Patria, l’assicuriamo dell’universale nostra riconoscenza e d’un eterno guiderdone di celesti benedizioni, e ci protestiamo Di V. S. 111.ma Vernazza, 12 decembre 1767 Dev.mi ed Obbligatis.mi servidori Gio. Antonio Bianchi, agente. Domenico Massa, agente. Giacomo Maria Camerata, agente. Vincenzo Leonardini, agente. Pier Francesco Resasco, agente. — 15 — Monsig. Agostino Giustiniani di Genova, vissuto dal 1470 al 1536r fece questa descrizione di Vernazza: « Lassato Levanto, occorreno le Cinque Terre, la prima delle quali è nominata Monterosso, qual comprende cento venti foghi, et sopra di essa un monte nominato Sonio » 'correggi: Soviò, oggi Soviore], dove è edificato un tempio in honore di S. Maria Maddalena, habitato da monachi bianchi (1), viene poi al lito del mare Vernaza con cento trenta foghi. Et poi sul monte Corniglia con cinquanta, et appresso alla marina Manarola con cinquanta foghir et l’ultima Rivomaggiore, nominata volgarmente Rimazo [correggi : Ri-rnazò], pur alla marina con cento vinti foghi. Et su alla montagna, una divotione, nominata nostra Donna de Monte Negro. Et queste Cinque Terre pigliano quindeci miglia di spacio, cioè da Levanto in sino a Portovenere, quasi in egual distanza l’una dall’altra; et qui si vede quanto vaglia et possi l’ingegnioso intelletto humano, il quale con la industria sua provede a quel che la natura ha negato, perchè questo territorio è tanto erto et sassoso, che non solamente è difficultoso alle capre montarli, ma è quasi difficultoso al volare degli uccelli, arido et seco, et non di meno tutto pieno di fruttifere vigne, alla vindemia delle quali in qualche luoghi è necessario che gli huomini si calino dalle rupi ligati nel mezzo per una corda; et vindemiano uve, dalle quali si esprime il vino tanto eccellente quanto dir si possa. Et non è barone, principe, nè re alcuno qual non si reputi a grande honore quando alla sua tavola si porge vino delle Cinque Terre. Et da qui viene che la fama di questo territorio è celebre non solamente in Italia, ma quasi per tutto il mondo » (2). (1) Lo Spotorno annota: « 11 monastero di S. Maria Maddalena era un piccolo priorato dipendente dall’Ab. della Cervara ; fu poi abbandonato ». Cfr. A. OIUSTINIANI, Annali della Repubblica di Genova illustrati con note del professore cav. G. B. SPOTORNO. Terza edizione, Genova, 1854; 1, 529. (2) Castigatissimi annali con la loro copiosa tavola della Eccelsa et Illustrissima Repubb. di Genoa, da fideli et approvati scrittori, per il Reverendo Monsignore AGOSTINO Giustiniano Genoese, Vescovo di Ncbio, accuratamente raccolti. Opera certamente molto laudevole, a studiosi assai comoda, et commu-nementc a tutti utilissima. Facendo per la varietà delle opere chiaramente , conoscere quanto si debba da tutti riprovare el male, et constantemente procurare el bene della sua Republica. Genoa MDXXXVII, cum gratia et privilegio. [In fine:] Finiscono gli annali della Inclita Città di Genova con diligentia et opera del nobile Laurentio Lomcllino Sorba, stampati in la detta città L'anno dell'incarnatione del nostro Signore MDXXXVII. Et nono della reformata Li- 16 — Di queste lodi si fa eco il bolognese fr. Leandro Albert.: « Sono * 1p riunite Terre (come dice il Biondo) in Francia et in Sntr^U lentissimi loro vini che di , ne vengono portati e, è certamente cosa meravigliosa da considerare come sia c sopra si alte e precipitose montagne, ove pare qnas, impossibile potè volarvi gli uccelli, tanto sono sassose e sen.a terreno, V, serpeggino tante viti, che in tempo di estate, quando sono frondose, rappresentan 1 cortina d'ellera , („. Prima de, Giustiniani e dell'Albert,, Giacomo Bracelli della Spezia, nella sua Descriptio orae Ligusticae, che compilo nel 1448 fece ricordo delle Cinque Terre, « non Italia tantum, sed apu Gallos Britannosque ob vini nobilitatem celebria > (2). Biondo Flavio di Forlì, alla sua volta, ripetè: « quae loca non in Italia, magis quam m Galliis Britaniaque sive Anglia a vini odoratissimi suavissim.que excellentia sunt celebria ». Nota però, e l’osservazione è di pe.o: « Eas autem vineas et alias per Liguriam aetate Plinii non fuisse hinc videmus, quod quum ille edocendis vinis optimis quae ubique habeat Italia, diligens sit ac prope nimius, nullum in Liguria ponit nisi forte haec sint vina lunensia, quae ipse Plinius plurimum laudat » (3). Infatti li ritiene i migliori dell’Etruria: « Etruriae palmam Luna habet*. Vuole il Promis che* fossero « certamente prodotti dalle viti che chiamavano Apiane » cosi da Plinio stesso descritte: « Apianis apes dedere cognomen, praecipue earum avidae..... Etruria nulla magis vite gaudet». Soggiunge poi: berta. Regnante el quinto Duce. Per Antonio Bellono Taurinense con gratia et privilegio della eccelsa Republica di Genoa, a dì xviij de Mazzo, c. XIX verso e sgg. Cfr. UBALDO MAZZINI, La Lunigiana nella Descrittione della Lygu-ria di Agostino Giustiniani; nel Giornale storico della Lunigiana ann. IX [1918], pp. 145-162. _ . . (1) LEANDRO ALBERTI, Descrittione di tutta ΓItalia et isole pertinenti ad essa, In Bologna, per Anseimo Giaccarelli, MDL, c 9 t. (2) IACOBI BRACELLEl Genuensis Lucubrationes De bello hispanicnsi libri quinque. De claris Genuensibus libellus unus. Descriptio Lyguriae libro uno. Epistolarum Lib. unus. Additumque diploma mirae antiquitatis Tabellae in agro Genuensi repertae. Vaenundantur cum Oratia et privilegio in triennium in aedibus Io. Bladii Ascensii, senza anno, c. LI. (3) BLONDI FLAVII forliviensis de Roma triumphante libri decent, prisco-scorum scriptorum lectoribus utilissimi, ad totiusquc Romanae antiquitatis cognitionem necessarii, Romae instauratae libri tres. Italia illustrata. Historiarum ab inclinato Rom. imperio decades III. Omnia multo quam ante castigatiora. Basileae, in officina Frobeniana mense martii anno M. D. XXXI, cc. 299-301. — 17 — « Questo vino vuoisi ora riconoscere nel così detto Amabile delle Cinque Terre, e parmi sia quello stesso che da Qiuniore Filosofo, presso mon-sig^. Mai (Auct. e Vaticanis codd. vol. Ili), è mentovato tra i quattro vini più celebri d’Italia, col nome di vinus tuscus » (1). Il Mazzini vede « la prova che il vino lunense vctus fosse per l’appunto delle Cinque Terre, e precisamente di Corniglia », nel leggersi sopra alcune anfore, scoperte a Pompei ed illustrate dal Fiorelli, oltre LVN. VET. anche CORNELIA (2). Che su quelle anfore si legga realmente CORNELIA è fuori d ogni dubbio. Non vi si legge peraltro LVN. VET., come erroneamente ritennero il Fiorelli e lo Schoene (3); vi sta scritto invece LVMP [ha\ VET. Il prof. Antonio Sogliano, direttore degli scavi di Pompei, fu il primo a correggere la lezione del Fiorelli e dello Schoene. Il nome del vino preferito delle venti anfore pompeiane era Lampa, Lumpha, Lympha, non già qifello di Luni (4). Vernazza e Corniglia son romane d’origine, il nome di Vulnetia e di Cornelia con cui furono ne’primi tempi conosciute, l’ebbero da’coloni che 177 anni prima di Cristo si spartirono 1 'ager Lunensis. L’Anonimo Ravennate, fiorito nel settimo secolo, seguita nella sua Cosmographia a chiamarle col vecchio nome romano; lo stesso fa nella sua Geographia Guido da Pisa, fiorito nel secolo XII (5), Il poeta e notaio Ursone nel carme col quale celebra la sconfitta che dettero i Genovesi all’armata di Federico II, così nel 1242 inneggia a Vernazza ed a’suoi vini: (1) CARLO PROMIS, Dell’antica città di Luni memorie, Massa, Frediani, 1857, p. 74. (2) UBALDO mazzini, quale fosse il « vinum lunense »; nel Giornale storico della Lunigiana, ann. II (1910), pp. 64-71. (3) GIUSEPPE FIORELLI, Giornale degli scavi di Pompei, vol. I (1850), disp. 1, p. 26, n.° 1, n.° 2 e n.o 3. — RICHARDUS SCHOENE, Tituli vasis fictilibus inscripti; nel Corpus inscriptionum latinorum, vol. IV, p. 177, n.° 2599, n.° 2600 e n.° 2601. (4) GIOVANNI SFORZA, Bibliografia storica della città di Luni e suoi dintorni, Torino, Bona, 1910, p. 166. (5) RAVENNATIS ANONYMi Cosmographia et GUIDONIS Geographia ex libris manu scriptis ediderunt M. PINDER et G. PARTHEY, Berolini, in aedibus Frideric-Nicolai, 1860; lib. IV, cap. 29, p. 249, cap. 32, p. 269, lib. V, cap. 2, pp. 336 e 337. Cfr. GIOVANNI SFORZA, Gli studi archeologici sulla Lunigiana e i suoi scavi dal 1442 al 1800, Modena, Vincenzi, 1895, pp. 144-146. Ille locus vernans sacri cultura Lyaei Sedes grata Deo Nisae, celeberrima rupes Numine pampineis vestito colla recentis. Il Petrarca, che nel suo Itinerarium Syriacum deplora non fosse nota la fertilità delle Cinque Terre, nell'Aphrìca scioglie un inno ai loro-vini così cari a Bacco: liinc solis vineta oculo lustrata benigno Et Baccho dilecta nimis Monte/nque rubentem, Et juga prospectant Cornelia palmite late Inclyta mellifluo, quibus haud collesqtie phalernos Laudatamque licet Meroen cessisse pudebit; Tunc seu pigra situ, nulli seu nota poetae Illa fuit tellus, iacuit sine carmine sacro. II canonico Ippolito Landinelli di Sarzana trattando de vini * preziosissimi » della diocesi di Luni, piglia a dire: « Non v è liquore che uguali l’amabile delle Cinque Terre di questa diocesi, la fumosità del racese e degli altri vini di Lerici e delle riviere del Golfo [della Spezia], il vino odorato e soave di Carrara, la generosità di quelli d Areola, Bolano e Trebbiano, e la delicatezza di quelli di Ortonuovo, Nicola e Ponzano, e così delle altre castella » (1). Compie il quadro un altro sarzanese, il Dott. Bonaventura De’Rossi con questa descrizione, del pari rimasta inedita: « Nella terra di Monterosso la Repubblica di Genova ogni anno manda un podestà, che rimane subordinato al capitano di Levanto. La marina di questo luogo abbonda di nobilissime pescagioni e fra l’altre vi si fanno le pesche de’tonni, ove ogni anno, d’estate, se ne prende una buona quantità, e per lo più si smaltiscono in Genova. Vi si pescano ancora in grandissima copia le alici, che salate poscia et accomodate in piccioli barili, si mandano per le diverse parti del mondo. Siegue, dopo Monterosso, la terra di Vernazza, da’ latini chiamata Val-netia (2), già posseduta dalla famiglia Fiesca di Genova, per la vendita (1) IPPOLITO LANDINELLI, Origine dell'antichissima città di Luni, della sua distruzione, della città di Sarzana e di tutte le cose più notabili appartenenti a detta città, a tutta la provincia di Luni, della Chiesa Lunense e dei suoi Vescovi antichi, opera divisa in due trattati, ms. presso di me, p. 414. (2) Fu anche soggetta ai Liguri. Cfr. PAOLO PODESTÀ, Tombe liguri rinvenute a Vernazza; nelle Notizie degli scavi d'antichità. Luglio 1883, pp. 219-220. - 19 — •che gliene fece, per la metà, Guglielmo, vescovo di Luni, e per 1 altra metà dalla Repubblica, per donazione di Guglielmo del quondam Enrico di Ponzolo, che per benefici ricevuti dai Genovesi, volle donarli la porzione di detta terra (1); la quale oggi giorno è soggetta del tutto alla medesima Repubblica di Genova; et è posta al lido del mare, popolosa di cento trenta fuochi; narrando in proposito Oberto Foglietta ne suoi Annali di Genova che l’anno 1186 vi fu turbazione nella Riviera di Levante per gli huomini di Vernazza, i quali, con latrocinii e scorrerie, rompevano le strade et impedivano li traffichi (2), del «he ammoniti più volte dalla Repubblica che mutassero vita, e non cessando di rubbare, vi furono mandate da Genova galere e genti, le quali espugnarono la rócca, e la terra e il popolo fu messo sotto il giogo della Repubblica (3). Ne’ contorni di Vernazza nascono preziosissimi vini, che li paesani, dal nome del luogo, sogliono chiamare Vernaccie e altrimenti Rocesi, de’ quali ne raccoglie Vernazza ne’ suoi dintorni sopra trenta mila barili. Col nome (1) Guglielmo di Enrighino de Poenzolo il 14 novembre del 1209 donò al Comune di Genova la parte che aveva « in castro Vernacie », e l’atto venne rogato a Vernazza « in littore maris ». Gli uomini di Vernazza immediatamente giurarono fedeltà a’ Genovesi. Cfr. Liber iuriuni Reipublicae Genuensis; I, 546, 547 e sgg. 11 padre suo Enrico, fin dal 18 settembre del 1207, insieme con Bernardino di Riccomano, Bertolotto ed Ogerio, « domini de Vernacia » aveva promesso al Comune di Genova di marciare ad ogni richiesta « cum hominibus de Vernacia» nell’esercito che stesse apparecchiando. Cfr. Liber cit; I, 532. Nicolao del Fiesco, conte di Lavagna, il 24 novembre del 1276, vendette al Comune di Genova « omnia iura competentia racione vassallatici », che aveva « in quoscumque homines Cornilie et quoscumque de Vernacia ». Cfr. Liber cit.; I, 1447. Tra le terre che Guglielmo, vescovo di Luni, cedette a titolo di feudo a Nicolao del Fiesco, il 22 ottobre del 1254, non c’era Vernazza, come asserisce il De’ Rossi; bensì i castelli di Tivegna, Castiglione e Bracelli, il borgo di Padivarma, Carpena, Follo, Vesigna e porzione di Vezzano. Cfr. LUIGI PODESTÀ, / Vescovi di Luni dall'anno S95 al 12S9, studi sul Codice Pelavi-cino dell'Archivio Capitolare di Sarzana, Modena, Vincenzi, 1895 ; pp. 78 e sgg. (2) Gli uomini di Vernazza erano coraggiosi marinai e sapevano bravamente menare le mani. Per testimonianza di Oberto cancelliere, nel 1170, « galee Portus Veneris bine et una de Vernatia et altera Paxani et quinta Segestri et tres Rapallinorum, hoc anno viriliter guerram Pisanorum fecerunt et magnum dampnum illis intulerunt ». Cfr. Annali genovesi di CAFFARO e dei suoi continuatori, Roma, 1890; 1, 237. (3) 11 fatto non seguì il 1186, come vuole il De Rossi, male interpretando il Foghlietta, ma nel 1182, come afferma Ottobono Scriba, fonte alla quale attinse il Foglietta. 11 racconto d’Ottobono è questo: « Homines Vernacie, cum quibus — 20 — di Vernaccia vengono però specialmente nominat, nello Sta u o nostro-di Sarzana, alle rubriche 12 e 13 dello Statuto della Gabella, latinamente vinum Vernata aut Rocesis et de Vernatia Rocesi fra 1« vini più grand, e preziosi della provincia e diocesi di Luni, e fra quell, di Cors.ca, Grechi, Malvasie, di Candia et altri simili » (1). Anche nello S aiuto della Gabella delle Vicarie lucchesi dell’ anno 1372, nel qual tempo Massa faceva parte del territorio di Lucca, è ricordato il vino di Vernazza, che di ogni carro, tanto nell’entrare, quanto nell’uscire doveva pagare dieci lire. « Vini vernaccie de quolibet curru, tam in introitu, quam exitu, lib. decem. Et intelligatur vinum vernaccie quolibet vinum riperie Janue ». D’altra mano vi fu scritto in margine; « excepto vino razese, de quo solvatur ut de vino corso». 11 carro si componeva di ventiquattro barili (2). Il 30 giugno del 1788 Giambattista Carbonara lesse all’Accademia degli Industriosi di Genova la Descrizione delle Cinque Terre. Lo ricavo dagli Avvisi genovesi, ma ignoro qual sorte abbia avuto il manoscritto (3). « Fra gli altri soggetti degni di memoria ha prodotto la terra di Vetnazza Guglielmo Redoano, vescovo di Nebbio nell’isola di Corsicae famoso giureconsulto, di cui rendono ben chiara testimonianza le opere pacem habebant Januensium Cives, in publica strata maris capere prestimp* serunt, et de bonis suis et mercimoniis, cum quibus Januam festinabant, eos expoliarunt. Verum quia monere a perpetrato scelere resipiscere recusabant, supradicti Consules exercitu congregato illos fuerunt aggressi, et circa Vernacie castellum potenter castramentati, tandiu illos per diem et noctem cum machina et ceteris bellicis instrumentis eos impugnarunt, qua vi ceperunt eos *. (1) BONAVENTURA DE’ ROSSI, Collettane a copiosissima di memorie e notizie istoriche appartenenti alla città e provincia di Luni, desunte con gran tempo e fatica da moltissime scritture et istorie autenticamente da varii archivi e librerie per seriamente descrivere l’istoria e successi, tanto della città di Luni, quanto di Sarzana e di tutti i luoghi e terre principali della Lunigiana, distinta in diversi capitoli a benefizio della patria e di tutta la provincia; ms. nella Biblioteca del R. Archivio di Stato in Torino, c. 97 tergo. (2) GIOVANNI SFORZA, Statuti inediti di Massa di Lunigiana; ne' Monumenti di storia patria delle Provincie Modenesi, serie degli Statuti, tom. Ili, part. II, p. 59. (3) Cfr. anche: LUIOI BERETTA di Arcola, / vigneti ed i vini delle Cinque Terre della Provincia di Genova, con 12 tavole ampelografiche, Oiarre, tip. dei fratelli Cristaldi, 1891; in — 8.° di pp. 68. (Estratto dal giornale La Sicilia agricola). — 21 — legali da esso composte ». Son parole di Bonaventura de Rossi, il quale aggiunge: « Di Vernazza è stato un dotto uomo, per nome D. Gio. Bat tista di Vernazza, che ha composto le Veglie di Cristo, opera spiri tuale (1). Un ramo della famiglia Vernazza, a quanto pare, sono i Vernazza di Alba, che il 1781, insieme col feudo di Freney nella Savoia, pagato 7500 lire, ebbero il titolo baronale; famiglia da cui uscì Giuseppe il celebre erudito — nato ad Alba il 1745, morto a Torino il 1822. E un ramo de’ Vernazza di Lunigiana è probabilmente quello di Genova, che nel secolo XV dette Ambrogio, podestà di Alba e giureconsulto, ed il notaio Ettore, che fondò in Genova l’ospedale degli incurabili, il lazza retto e il conservatorio di S. Giuseppe per le ragazze povere, un ospe dale a Roma e un ospedale a Napoli. L’unica sua figliuola, Tommasina, gentile poetessa, fattasi monaca nel monastero delle Grazie e preso il nome di Battista, fu tenuta da’contemporanei in concetto di santa (2). Gu-gliemo Redoani fu auditore, prima di Nicolò Fiesco, vescovo di Savona, poi di Ambrogio Scarampi, vescovo di Nola; e finalmente di Cipriano Pallavicino, arcivescovo di Genova (3). 11 16 decembre del 1573 venne creato vescovo di Nebbio: « Solemniter eam adivit mense maio 1574, et post duos menses ibidem excessit e vivis » son parole di Ferdinando Ughelli (4). Aggiunge: « Vir summi ingenii fuit, solidorisque litteraturae. Scripsit ediditque de rebus ecclesiae non alienandis, de simonia, spoliis clericorum ». 1 suoi tre trattati, de Simonia, de Spoliis ecclesiasticis e de (1) Di questo « dotto uomo » non fa parola MICHELE GIUSTINIANI, Gli scrittori Liguri descritti, Roma, Tinassi, 1667; nè Raffaele SOPRANI, Li scrittori della Liguriae particolarmente della marittima, Genova, Calenzani, 1667; nè AGOSTINO oldoini, Athenaeum Ligusticum seu Syllabus scriptorum Ligurum nec non Sarzanensium ac Cyrnensium Reipublicae Genuensis subditorum, Perusiae, ex typographia Episcopali, 1680. Anche GIAMBATTISTA SPOTORNO nel quinto e ultimo volume della sua Storia letteraria della Liguria, Genova, Schenone, 1858, che tratta appunto degli scrittori fioriti nel Seicento, ne tace affatto. (2) Sonetti della venerabile BATTISTA VERNAZZA di Genova, per la primo volta pubblicati ed illustrati [dal cav. aw. G. Ronco). Terza edizione, arricchita d'una prefazione contenente la vita della venerabile, Genova, tip. Pagano, 1822; in — 8.° (3) MICHELE OIUSTINIANI, Gli scrittori Liguri, In Roma, appresso di Ni-col’Angelo Tinassi, 1667, part. I, pp. 495-496. (4) F. UOHELLi, Italia sacra; IV, 1013. Cfr. c. EUBEL Hierarchia catholica medii aevi; HI, 722. — 22 — Alienationibus rerum ecclesiarum, in più luoghi e tempi stampati e più volte messi alla luce, furono insieme raccolti dal tipografo Pietro Hen- nig, in Colonia, il 1618 (1). Un’altra gloria di Vernazza è Girolamo Guidoni, nato il 19 febbraio del 1794. Sulla sua casa venne murata questa iscrizione: addì II LUGLIO MDCCCLXX QUI FINIVA LA VITA TRAVAGLIATA DI LXXVI ANNI GIROLAMO GUIDONI CHE ACCREBBE LA RINOMANZA DEL PAESE NATIVO CON LE SCOPERTE GEOLOGICHE NELLE MONTAGNE DEL GOLFO E DI CARRARA LA SOCIETÀ D’INCORAGGIAMENTO DI SPEZIA ADDITA ALLA REVERENTE GRATITUDINE DEI POSTERI IL MODESTO NATURALISTA. Studiò le piante e gl’insetti, i pesci e gli uccelli della regione nativa; e ai monti di essa strappò « esseri che nessun occhio umano vide mai, che nessun naturalista raccolse, e nei quali la maschera della vita era sbiadita dalle ingiurie dei secoli » (2). (1) GULIELMI REDOANi Januensis a Vcrnatia J. C. opera omnia in Italia diversis in locis seorsim edita, rume primum variorum juriscultorum studio in aptiorem ordinem redacta et in tres tomos distincta, quorum I. de Rebus Ecclesiae non alienandis; \\. de Spoliis ecclesiasticis; III. de Simonia aliis ad materiam requisitis, ita copiose sub suis quaestionibus discutiuntur ut nihil desiderari in his materiis videatur, Coloniae, apud Pet. Hennig, 1618. Tre tomi in — fol. (2) CARLO CASELLI, Discorso pronunciato il 31 Ottobre 1897 in occasione dello scoprimento della corona marmorea posta alla casa di Gerolamo Guidoni in Vernazza, edito dalla Società per la diffusione e l’incremento degli studi naturali, che porta il nome del Guidoni ed ha la propria sede alla Spezia, a pp. 47-49 dell’opuscolo intitolato: Gerolamo Guidoni — Il luglio MDCCCLXX — II luglio MCM — Spezia, tip. Francesco Zappa, 1900; in 8.» di pp. 56, con ritratto. CAPITOLO i. A Vernazza per ben undici generazioni fiorirono i Visconti (1) e vi s’imparentarono co’ Redoani, co’ Caratini e co’ Rezasco, che « in quel luogo sono annoverati tra’ primi » (2). Manfredo di Gio Andrea nato il (1) Questa famiglia, che sempre si ritenne un ramo de’ Visconti di Milano, ha per stemma l’altera insegna, in cui — per dirla col Tasso — dall'angue esce il fanciullo ignudo. Avendo l’avv. Achille Gennarelli affermato che il lignaggio di essa « era ignobile ne’ registri municipali », Pier Ercole Visconti, figliuolo di Alessandro fratello di Ennio Quirino, ♦ per contrapposto alla affermata ignobilita e umilissima origine » della sua stirpe, diede alle stampe i Documenti che riguardano la famiglia Visconti, dalla Lombardia passata in Vernazza e quindi in Roma, Roma, senza note tipografiche e anno; in — S.° di pp. 16. Uno di questi documenti ha per titolo -. 'Memoria intorno all’ antichità e nobiltà della famiglia Visconti, già Signori di Lampugnano, stabilita nella terra di Vernazza, diocesi di Luna (sic) e Sarzana, scritta l’anno 1727. Son notizie vaghe, confuse ed immaginarie in gran parte. De’ Visconti di Vernazza il più vecchio, ricordato da’documenti, è Giovanni di Luciano: Johannes Luciani Vescontis de Vernatia, che nel gennaio del 1548 fu preso al proprio servizio dalla Comunità della Spezia come galeotus (rematore delle sue galere), con lo stipendio di tredici lire al mese di buona moneta da passarsi alla moglie di lui, Angeletta. Cfr. Archivio comunale della Spezia. Div. Coni. c. xiij verso. Col succeder degli anni, divenne però una delle più agiate e ragguardevoli delle Cinque Terre. (2) Son parole dell’ ab. Francesco Cancellieri che dà copiose notizie di Giambattista Visconti, padr di Ennio Quirino, in una delle tante note all’o- - 24 - 28 ottobre dèi 1591, che prese per moglie il 27 ottobre del 1619 Geio-nima di Paolo Redoani, pronipote del vescovo Guglielmo (3), si segnalo nelle armi, e in esse addestrò il nipote Marcantonio Caratini, figliuolo della sua sorella Caterina, che andato al soldo de’ Veneziani e fatto cavaliere di S. Marco « fortiter contra Tureas dimicans, subito navis incendio occubuit » (4). In Roma esercito la pittura Antonio Maria Visconti, uno degli allievi migliori di Giambattista Qaulli, che gli fece il ritratto. Nell’ospedale di Santo Spirito di Roma studiò medicina il nepote Marcantonio (5), il quale, sposata Maria Leonardini, il 26 decembre del 1722 mise al mondo Giambattista (6) — il padre di Ennio Quirino — e il pera: Dissertazioni epistolari di G. B. VISCONTI e FILIPPO WAQU1ER DE LA Barthe sopra la statua del Discobolo scoperta nella villa Palombaro da Carlo fea e Giuseppe Antonio GUATTANi, e con Vaggiunta delle illustrazioni di altri due Discoboli dissotterrati nella Via Appia e nella Via Adriana prodotte da Ennio Quirino viscónti, raccolte ed arricchite con note e con le bizzarre iscrizioni della villa Palombara da FRANCESCO CANCELLIERI. In Roma, nel MDCCCVI, Presso Antonio Fulgoni; pp. 61-69. (3) Frutto di questo matrimonio furono: Angela, nata ΙΊ1 giugno 1620; Gio. Giacomo,nato il 1° novembre 1621 ; Pier Paolo, nato il 5 novembre 1623; un'altra Angela, nata ΓII gennaio 1626; Maria, nata il 28 agosto 1628; Pier Francesco, nato il 18 gennaio 1634; e Giulia, nata il 19 aprile 1638. Con Oio. Giacomo che il 14 settembre del 1643 sposò Laura di Gio. Battista Redoani, e con Pier Francesco, che il 15 aprile del 1663 si maritò con Margherita Leonardini, la famiglia Visconti si spartì in due rami. (4) Son parole di un’iscrizione che si legge nella cappella gentilizia dei Visconti a Vernazza. Il matrimonio di Caterina di Gio. Andrea Visconti, sorella di Manfredo, con Pellegrino di Marco Caratini, ebbe luogo il 25 agosto 1619. L’anonimo autore della Narrazione storica della famiglia Visconti fa parola del loro figlio Marcantonio Caratini, « soggetto illustre e di condotta, di cui con speziai lode parlano gli storici de’ prossimi passati tempi, e spezialmente il Beragani nell 'Istorie d'Europa, parte II, fol. 309; il Foscarini nella Storia Veneta, lib. V. fol. 173 e lib. VI, fol. 332; il Garzone, tomo primo lib. V, fol. 125; e il Lucchesini nella sua Storia universale, fol. 504 ». (5) Gio. Andrea, figliuolo di Pier Francesco e di Margherita Leonardini, il quale, sposata il 21 aprile del 1689 Angela Bianca Vernaccini, ebbe da lei il nostro Marcantonio e Maria Benedetta. Quest’ultima, il 23 novembre del 1717, prese per marito Michelangelo di Francesco Rezasco. Marcantonio, che venne al mondo il 19 febbraio del 1699, sposò il 5 ottobre del 1721 Maria Leonardini. (6) Venne battezzato il giorno appresso da Giambattista Zacchia, arciprete di Vernazza, e gli furono imposti i nomi di Giovanni Antonio Battista. Ebbe per commare la zia Margherita Leonardini e per compare Gio. Andrea Leo Busto di Giambattista Visconti padre di Ennio Quirino Bwbiu· — 25 — 13 decembre del 1724 Angela. Quest’ultima, quando aveva un anno perdette la madre, a dodici il padre, e restò affidata alle cure della zia materna Margherita Leonardini. Datasi all’ascetismo sin dall’infanzia, consumò la vita tra le più aspre penitenze e la preghiera. Per testimonianza d’un suo biografo, sebbene fosse di «complessione abitualmente infermiccia, spesse volte intraprendea viaggi di dieci e più miglia a piedi per ascoltare qualche sermone di missionari o predicatori zelanti, o per prender consigli sulla propria condotta, o per visitare qualche chiesa dedicata a Maria SS.ma, cui professava particolar divozione. Ai lavori di mano e ai viaggi accompagnava ella sempre l’esercizio dell’orazione mentale o vocale, o spirituali ragionamenti, a vantaggio suo e del prossimo; ed assistendo agli operai nella coltura de’propri poderi, suggeriva loro opportuni ricordi, e trovava tempo da ritirarsi in qualche rimota parte a conversare col Signore orando. Sapendo esservi femmine bisognose d’istruzione della Dottrina Cristiana, o sconsigliate, o afflitte, recavasi alle case loro, o prendeva altre opportune occasioni per ammaestrarle e porger loro conforto e consigli. Se conosceva tra’ suoi attinenti, o in altre famiglie, qualche discordia, o tra’ paesani nimicizie, con prontezza s’interponeva e portava pace tra’ loro, vincendo con riuscimento felice ogni ritrosia....... Non ostante le ripugnanze del fratello, che più volte si fe’ a significarglielo per lettera, e de’ congiunti dimoranti in patria, vestiva essa sempre, tanto riguardo al panno, quanto alla forma, d’ una maniera inferiore alle sue facoltà e alla sua condizione. Fattasi ad osservare che le femmine di povero stato, con qualche spirito di vanità e qualche maggiore spesa d’aggravio alle famiglie, abbandonavano l’uso primiero di vestire gonne di mezzalana, panno di molta durazione e del minimo prezzo, non tardò essa a vestire di tal guisa. Crebbero allora le doglianze dei congiunti suoi, ma ottenne tosto con 1’ esempio, di rimettere in pratica l’antica costumanza, perchè ogni donna dicea: Cosi veste la Visconti, posso io tanto più vestire così, senza arrossire ». La marchesa Argentina Imperiali di Genova la chiamò a governare col titolo di sotto direttrice e poi di direttrice il ritiro da lei fondato nell’Albergo de’ po- nardini, rappresentati per procura da Giovanna Margherita Visconti e dal sacerdote Alessandro Maria Scottino di Bolano, come risulta da’ registri parrocchiali. — 26 — veri di Carbonara. « Introdusse l’uso de’ flagelli, di alcuni digiuni in certi giorni, di varie altre penitenze e di parecchi atti di pietà, per l’addietro non praticati. Grande attenzione adoperava per iscorgere se le giovani traevano frutto dalle quotidiane meditazioni e lezioni spirituali, e per adattar le massime alla loro capacità; altre che ogni dì prendevasi pensiero spiegarle con famigliari conferenze, alcuna volta le rendeva loro sensibili con qualche rappresentanza. Una sera, tra l’altre, dopo aver parlato con gran sentimento delle atroci pene infernali, esortollc tutte a tener ferma la palma della mano sopra la fiamma d un lumicino per il tratto della recita d’unMve Maria, ed ottenne che tutte ne facessero con molto orrore la prova, ma essa sola potè i esistere «il dolore della penosissima scottatura per il tempo prefisso ». Dall’albergo di Carbonara passò poi a dirigere il nuovo ritiro, eretto in Carignano presso il convento e la chiesa di S. Giacomo. Ammalatasi gravemente, l’Imperiali la fece trasportare nel proprio palazzo, dove spirò il 28 febbraio del 1773. Essendo ascritta al terz’ ordine di S. Francesco, fu sepolta, come desiderava, nella chiesa della Pace de’ Minori osservanti riformati. Le vesti da lei usatesi conservaron come reliquie; e da’contemporanei fu tenuta per santa (1). Di Giambattista — l’altro orfanello — si prese cura il prozio, del quale portava il nome, uomo colto, che si era laureato in teologia a Roma, arciprete allora di Vernazza, vicario foraneo ed esaminatore sinodale (2). Dopo averlo fatto istruire presso di sè nel latino da D. Giambattista Bianchi, lo mandò a Roma a tirare innanzi gli studi; e in Roma, nel latino ebbe per maestro il P. Luigi Bubuni delle Scuole Pie; nel greco e nell’ebraico l’ab. Gennaro Sisti; nella filosofia, nella fisica e nelle matematiche i PP. Leseur, Jacquier e Boscovich. Frequento anche le lezioni di botanica e di medicina nell’Archiginnasio. Restauratore del* l’Accademia de’ Varj, ne scrisse gli annali e ne fu segretario, poi principe; l’Arcadia lo contò tra’ suoi pastori col nome di Alberiimo Eginense; (1) Vita di Angela Visconti, d’ignoto autore, ms. nella Biblioteca comunale della Spezia. (2) Gio. Manfredo Visconti, fratello di questo arciprete, si ascrisse a’ Minori riformati di S. Francesco, pigliando il nome di Bonaventura da Vernazza. « Predicatore assai celebre in Roma ed in altre parecchie città e luoghi cospicui » è detto nella Vita di Angela Visconti, già ricordata. — 27 — l’ebbero a socio gli Aborigeni, gl’infecondi ed i Forti; frequentò la Sala Latina, dove si recitavano le commedie di Terenzio; dette più d’un saggio di sè come verseggiatore, in italiano e in latino. Prese poi a coltivare con tale e tanto ardore la numismatica che « in poco di tempo venne in quella riputato dottissimo » (1); nè vi fu genere di antiquaria alla quale non volgesse la mente e gli studi. « Acquistò la bella serie di medaglie imperiali di monsig. Lomellino e l’accrebbe dell’altra sceltissima, a gran prezzo riunita dal Bondacca. A queste due collezioni procurò con assidua cura sempre nuovi ornamenti di monete inedite; delle quali, e di colonie principalmente, si ebbe in buon numero. Scopertasi in Roma una medaglia in bronzo di Britannico, non prima stata, nè congetturata, l’ebbe a competenza di molti per il suo museo, pagandola scudi cinque cento; prezzo che sembrò grandissimo all’ Eckhel (2). Si accresceva per tali acquisti, piuttosto che diminuirsi, nel Visconti il desiderio di possedere rari antichi oggetti. Volle avere gemme incise, di rilievo e di cavo; volle marmi, figurati e scritti; volle bronzi, fra i quali tenne il primo luogo una cista mistica, che lascio pubblicare a Cristo-foro Amaduzzi (3). Altri letterati divulgarono altri monumenti prenden. doli dalla sua collezione. Perchè la sua casa aperta era a tutti; a tutti permesso il valersi delle cose da lui raccolte. Per la quale sua liberale (1) luigi biondi, Etinio Quirino Visconti; nel Giornale Arcadico, di Roma, tom. Il 11819], p. 4. (2) Giuseppe ilario Eekliel [1737- 1798] nel viaggio numismatico che fece in Italia, dove si trattenne dal 1772 al 1774, conobbe a Roma Giambattista Visconti; e racconta questo fatto nella sua opera -.Doctrina numorum veterum, la quale vide la luce, a Vienna, tra il 1792 e il 1798, in otto volumi in — 4.° (3) L’ab. Gio. Cristoforo Amaduzzi scriveva, da Roma, all’ab. Giovanni Lami, il 6 aprile del 1765: « Il celebre sig. ab. Gio. Battista Visconti, soggetto distinto per molte ragguardevolissime notizie che egli possiede e noto insieme per l’insigne primaticcia istruzione data al suo maggior figliuolo Ennio Quirino, ora d’anni tredici, in ogni maniera di studio e di erudizione, di cui già due plausibili esperimenti pubblici si sono avuti, fra una bellissima serie di medaglie imperiali in bronzo grande, che egli ha raccolto con un ottimo gusto, si trova averne un’antica cista mistica di metallo, la quale fu trovata in una spelonca chiusa in tre casse di peperino avente dentro sè un’altra piccola cista con simboli e al di fuori alcuni istrumenti di sacrificio, sulle quali cose tutte è per dar fuori in breve una dotta dissertazione, avendo già fatto delineare la medesima e le cose più speciali che essa contiene ». Cfr. Novelle letterarie, di Firenze, dell’anno 1765, tom. XXVI, col. 149. natura, circondato sempre da dotti uomini e da’ professori migliori delle tre arti, caro ad insigni personaggi, ebbe, ancora privato, autorità di uomo pubblico » (1). Il Winckelmann, che fino dal 1763 ricopriva in Roma la carica di prefetto delle antichità, quando nel’óS si recò a rivedere la nativa Germania, chiese e ottenne che il Visconti facesse le sue veci fino che restava lontano. Nel ritorno, il disgraziato archeologo trovò la morte a Trieste Γ8 giugno di quell’anno; e il Visconti, il 30 del mese stesso, fu da papa Rezzonico chiamato a succedergli. La scelta non poteva essere migliore, e b?n presto se ne videro i frutti. Impedì che uscissero da Roma e valicassero le Alpi i due candelabri trovati nella villa Adriana e famosi presso i Barberini, il Giove conservato nel palazzo Verospi e una singolare statua d’Augusto, con altri tesori d’arte; tesori che fece acquistare dal pontefice Clemente XIV ; il quale, per consiglio suo, fondò il Museo Vaticano; e per frenare « l’avidità de’dilettanti esteri e l’amor del denaro d’alcuni de’ possidenti nostrani » ordinò che t niuna produzione delle belle arti, sia antica, sia moderna, potesse estraisi dalla metropoli » senza il permesso del Cardinale camerlengo e per il parere favorevole del Prefetto delle antichità. Incaricò poi il Visconti di comprare « qualunque pezzo fosse degno del nuovo Museo ». Pèr accrescerlo, l’operoso archeologo ottenne che si abolisse la vecchia legislazione, la quale inceppava gli scavi. Le ricerche allora divennero agevoli non solo ne’ possessi de’ privati, mi in quelli del pubblico; e in dieci anni furono ritolti alla terra tanti monumenti, quanti non erano usciti fuori dal risorgimento delle lettere in poi. II fiore ed il meglio passava al Museo; le scelte e le compre si facevano dal Visconti, che ne dava conto al Papa. Però quella nuova e così rigogliosa e perenne fonte di spesa spaventò il tesoriere della Camera apostolica, che era allora monsignor Gio. Angelo Braschi, il quale, per quanto seppe e potè, si sforzò di frenarla; ma vinto dalla evidenza delle ragioni che il Visconti gli andava adducendo, finì col venire anche lui nelle sue idee. Come ci venne il Cardinale Guglielmo Pallotta, che gli successe nella carica di tesoriere. (1). N. N. Gio. Battista Antonio Visconti; nella Biografia degli italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti del secolo XVIII e de' contemporanei, pub blicata per cura del prof. EMILIO DE tipaldo, vol. Il, pp. 478 - 481. — 29 — L’amicizia stretta col Braschi prima che vestisse la porpora, rimase saldissima anche quando esso ebbe cinto il triregno; anzi, divenuto papa, fece eseguire con alacrità maggiore e in maggior numero le ricerche del monumento. Il Museo Vaticano, che forma la gloria di Clemente XIV e di Pio VI, è pure la gloria di Giambattista Visconti, che ne fu la mente, l’anima, il braccio. E del favore di que’due pontefici, che amò riamato, se ne valse per farsi consigliere e promotore di abbellimenti a Roma, di edifizi a decoro delle altre città pontificie, d’imprese di durevole utilità. Era di natura magnanimo, amò Io splendore del vivere, usò volentieri liberalità verso tutti; molti giovò dì consiglio, moltissimi di aiuto; a chi schiuse il cammino della fortuna, a chi quello della gloria (I). « Fu sensibile all’amicizia. Io stesso » (scrive l’ab. Francesco Cancellari) «potrei servirne di prova. Egli me l’accordo fin dalla più fresca età. Io l’ho sempre coltivata e valutata moltissimo per la stima che facevo del- l’auree sue qualità e della vasta sua erudizione.....Recitò in un’Accade- mia che si teneva nella Biblioteca Lancisiana, sotto la direzione di Don Giuseppe Duram, brasiliano, allora bibliotecario, due dissertazioni: una sopra un medaglione di Colonia, spettante a Tiberio; l’altra, stesa matematicamente, sopra certi danni recati da moderno lavoro agli antichi (1) Cfr. [spotorno Giambattista], Il padre d’Ennio Quirino Visconti; nel Nuovo giornale ligustico, fase. [1831], pp. 23 - 24 — SCANIGLIA ab. GIUSEPPE, Antonio Gio. Bat. Visconti; negli Elogi di liguri illustri. Seconda edizione riordinata, corretta ed accresciuta da D. luigi grillo, Genova, Stabilimento tipografico Fontana, 1846, tom. Ili, pp. 54-5S. — EMÉRIC - DAVID, Visconti Jean - Baptiste - Antoine; nella Biographie universelle, ancienne et moderne, Paris, chez L. G. Michaud·, 1827, tom. XLIX, pp. 249 - 251. Questa biografia, nella traduzione italiana stampata in Venezia presso G. B. Missiaglia, trovasi a pp. 399-401 del tom. XLI, che vide la luce il 1S30. — Un breve cenno di Giambattista Antonio Visconti si legge nel Nuovo dizionario storico, ovvero biografia classica universale, compilazione di una società di dotti francesi, pubblicata nel 1830, prima versione italiana, con aggiunte, Torino, presso Giuseppe Pomba e comp., 1837, vol. V, p. 1022. — N. N. Visconti; in L’Album, giornale letterario e di belle arti, ann. II, vol. II, distribuzione 27; ^settembre 1835, pp. 209-211. Finisce così: « Molte sue cose inedite conserva il cav. P. E. Visconti, che assaissimo onorando la memoria di tanto suo avo, si propone pubblicarne una scelta, con più ampie memorie di una vita così utile e così operosa ». Disgraziatamente non mantenne il fatto proposito. O&WAlbum è tolto il ritratto di G. B. Visconti, che adorna questo volume. Cfr. Giovanni SFORZA, Giambattista Visconti; nel Giornale storico della Lunigiana, voi. Vili [1916], pp. 50 - 59. — 30 — acquedotti presso la villa Casali. Egli aveva med.tato molte opere antiquarie, ma non l’eseguì. Compose molte iscrizioni latine, fra le qua i u te quelle, tanto di Clemente XIV, quanto di Pio VI, che si leggono a Museo Pio dementino. Altre molte ne scrisse per . suo. amici sopra vari argomenti. Progettò parimenti diverse iscriz.on. e tip. di medaglie e monete ponleficie, delle quali diverse furono eseguite. Suggerì ancora . soggetti delle pitture che adornano il detto Museo.....Fece inser.re nell An- tologia Romana varie letteree notizie antiquarie (1)· Molte altre ne fece stampare ne’ Foglietti del Chracas e in quelli manoscritti del Neri, ro-mosse la scavazione della breccia di Cori, dell’alabastro di Civitavecchia e di quello del Monte Circeo, che * riuscì adatto anche per la scultura (2). Nel 1750 sposò Orsola de’ Filonardi, famiglia originaria di Banco, piccolo castello degli Ernici nella diocesi di Veroli, la quale dette alla Chiesa due cardinali: Ennio, al tempo di Paolo IH, e Filippo, sotto Paolo V, un vescovo a Carpentras e un vescovo ad Aquino. Ebbe da le. quattro .nascili e due femmine. Il primo a nascere fu Ennio Quirino, che apri gli occhi alla luce il 1° novembre del 1751 (3). Sebbene venuto al mondo in Roma, la Lunigiana, vecchia culla de’ suoi maggiori, lo riguarda con occhio e tenerezza di madre. (1) Nel tom. V, p. 305 e seg. dell 'Antologia Romana vi è una sua lettera a monsig. Romualdo Braschi Onesti sopra due nuove iscrizioni scoperte nel sepolcro degli Scipioni. Nel tom. Vili, pp. 244, 249 e 267 parla di una nuova iscrizione dissotterrata nel sepolcro stesso. Nel tom. IX a pag. 187 e seg. vi è un’altra sua lettera al cardinal Guglielmo Pallotta intorno alla scoperta del monumento a Cornelio Scipione Barbato; a p. 227 e seg. riporta una nuova iscrizione dissotterrata e corregge la lezione dell’altre già messe in luce. Compose due componimenti sacri, II Tobia e La Susanna, che furono messi in musica dal maestro Francesco Garzia e stampati. Nelle Poesie degli Aborigeni e nelle Rime degli Infecondi non mancano versi dell’archeologo poeta; parecchi se ne trovano nelle altre raccolte d’allora, sacre e profane. (2) cancellieri F., Dissertazioni epistolari di Ο. B. Visconti e Filippo Waquier de la Barthe sopra la statua del Discobolo, ec., Roma, Fulgoni, 1806, pp. 60-69. (3) Al fonte battesimale, oltre i nomi di Ennio e di Quirino, ebbe quelli di Santi e di Spiridione. Le due sorelle, Matilde e Beatrice, si fecero monache; de’fratelli, Massimo, morì nell’infanzia il marzo del 1756; gli sopravvissero Filippo Aurelio e Alessandro. — 31 — Ennio Quirino incominciò a far parlare di sè all’età di tre anni e otto mesi. Il 17 ottobre del 1755 le Novelle letterarie, nel n. 42, stampavano la seguente lettera, scritta da Roma il 19 luglio di quell’anno: Sappiate che havvi in Roma il signor abate Gio. Battista Visconti (1) giovane di circa trenta anni, nipote del signor Giuseppe Saliceti, molto benestante, del quale io taccio i pregi, essendo egli noto a bastanza per gli suoi eruditi e sodi componimenti, che frequentemente fa sentire in Arcadia. Ebbe questi fin dall’età sua più giovanile sempre desiderio di prender moglie, a quest’oggetto principalmente di avere un figlio da poterlo educare a suo ta--· lento, e far conoscere al mondo la forza dell’educazione. Iddio prosperollo fin dal principio, poiché, presa moglie, ai 30 del mese di ottobre dell’anno 1751 nacquegli un bambino, che fin nelle fasce dava segni di avere una grandissima apertura di mente, a cui pose il nome di Ennio Quirino. Lascio a voi considerare quale fosse la cura che questo giovane avea del suo figlio, in cui sperava di veder compiuti i suoi disegni. Allattavate ancora la propria madre, quando egli procurò d’imboccargli le lettere dell’alfabeto, di modo che di diciotto mesi lo sapeva ben tutto; e siccome non poteva pronunziare le liquide per essere ancora troppo piccino, pure, essendone interrogato, le andava con le dita indicando in qualsivoglia libro. Crescendo, non dirò negli anni, ma nei mesi, conosceva perfettamente, in età di due anni, alla sola fisonomia, perchè non sapeva ancor leggere, tutte le medaglie degli Augusti da Giulio Cesare a Gallieno; e non solamente quelle del suo studio domestico, ma quelle ancora che de’ medesimi Augusti gli erano d’altronde presentate. Di tre anni non compiti conosceva tutti i ritratti degli imperatori e greci, e latini, e francesi, e tedeschi, fino ai tempi nostri; aggiungendo di più qualche azione particolare la quale facesse il carattere di quel tale imperatore. Spiegava ancora, della medesima età, il significato di tutti i ramini dell’Albrizzi del Vecchio e Nuovo Testamento. Presentemente poi, che ha tre anni e otto mesi, dice francamente (1) Come notò Achille Monti, « di que’ tempi tutti gli uomini di un qualche studio si dimandavano abati, ancorché avessero moglie e figliuoli, e abate era detto il Monti, abate dicevasi il Metastasio, e abati il Visconti, il Cesarotti ed il Mazza. Metterei pegno che taluno per uso desse altresì dell’abate a Vittorio Alfieri, il quale, con quelle sue furie, pensate voi quanto potesse aver caro quel così pacifico e poco poetico appellativo, che a un dipresso rispondeva a quel chiarissimo di cui noi ora facciam tanto sciupio ». Cfr. MONTI A., Vincenzo Monti, ricerche storiche e letterarie, Roma, Barbera, 1873; pp. 220-221. — 32 — IO storia di 307 carte figurate, rappresentanti i fatti più memorabili della Storia francarne. e :rxts & - — — ‘aTr mZm e div rse immagini d'idoli, e dà conto del Catechismo, secondo ,1 me-lòdo dd Fleury. Che il bambino nelle prime e,a sapesse co che .sopra „ ho detto, è infallibile, essendo qui in Roma infiniti testimoni e nobili, religiosi e letterati, che lo hanno in,erbato, e fattane pii, volte la spenenza. & Il signor Visconti, comecché uomo savio e prudente, riconosce benissimo da Dio l'aver un figliuolo di si raro talento e aiuti tali da poterlo ben educare· nè v’ ha pericolo che egli perciò sia per invanirsene. Sapendo pero che .1 mondo è stato sempre pieno d’invidie, e che a’ tempi nostri, come più eruditi, ‘sono cresciute a dismisura, avea ragione di temere, che tramandandosi a, posteri una somigliante notizia, non gli facessero il servizio di stimarla una favola, una invenzione; studiò pertanto il partito di far tenere al suo piccino come una specie di accademia, invitando vari uomini per lettere e professioni illustri, i quali Io interrogassero a suo arbitrio e senza ordine alcuno su delle cose già sopra esposte, e formassero come un atto pubblico della verità di un tal fatto. Fu stabilito il giorno dell’accademia il giovedì della cadente settimana, e intervennero mons. Gio. Gaetano Bottari, custode della Biblioteca Vaticana, il P. Tommaso Leseur, professore di matematica nella Sapienza, il P. Maestro Domenico Giorgi, professore di storia ecclesiastica pure nella Sapienza e altri che io non istò a nominare per non tediarvi. Adunatisi tutti, fu introdotto il buon bambino avanti si onorato consesso, e postosi a sedere sopra una seggiolina si cominciò l’esperimento. Monsig. Bottari dunque, presenti gli altri, avendo innanzi la raccolta de’214 rami del Soren e una Bibbia figurata, che in tutto forma le 307 carte suddette, alcune immagini d’idoli e un libro di ritratti di Arcadi e Capitani illustri, ne presentò un per volta al bambino, il quale rispose francamente, indicando i personaggi, nominando i luoghi, i monti, ec. ivi incisi, e dichiarando i fatti, ançorchè minimi, rappresentati ne’ medesimi rami. Furono indi prese dal medesimo monsig. Bottari, a una per volta, tre tavole di medaglie dei primi tre secoli, con alcune di Sommi Pontefici, e quindici cartolari, in cui erano i ritratti di tutti gli Imperatori dei secoli susseguenti; lo interrogò dei nomi di quei tali ritratti, che a lui più piacque, e il bambino rispose sempre con franchezza, dicendo il nome proprio di quelle tali figure e qualche fatto caratteristico delle medesime senza leggerne il nome, il quale apposta era stato diligentemente coperto. Presentogli poi la Bibbia latina, e assegnatogli un certo luogo per leggere, lesse speditamente tanto quanto piacque al prelato; e quindi presentogli il Greco, lesse parimente άd arbitrio degli astanti con la medesima facilità. Terminato l’esame, fu ri- mandato il bambino alle sue stanze; e fatto un lungo discorso sul modo di istruire i fanciulli fu lodato il metodo che si tiene da’ maestri nell’insegnare le lingue tanto \rancese, come spagnuola e le altre lingue vive; e fatte grandissime maraviglie peichè lo stesso non si usi nella lingua latina, ove si vede la gioventù perdere più e più anni con pochissimo profitto. Voglio dirvi ancora come il P. Leseur, di sopra nominato, ha molto tempo prima di ora francamente asserito, che un bambino a questo somigliante nella storia letteraria di qualunque nazione non c’è stato fino a’ nostri tempi. È poi indicibile il merito del padre, il quale nelle sue istruzioni s’ingegna sempre di far conoscere al bambino, che quanto esso gl’insegna, glielo insegna in premio di qualche sua azione gioco ancor puerile. Di modo che il bambino, curioso di godere il frutto delle sue piccole azioni, rimostrategli dal padre in aria di grandiose, sente volentieri; e siccome ha perfettissima ritenitiva, rade volte si scorda di ciò che ha una volta sentito. E si può dire con verità, che non istudia mai, e c e sta sempre applicato (1).. All’età di dieci anni, il 29 settembre del 1762, sostenne un altro pubblico esperimento (2); e di nuovo fece prova della propria bravura nel settembre del 1764 (3). Del primo di questi due esperimenti si legge il seguente ragguaglio nel Diario ordinario di Roma: È veramente riuscito di gran maraviglia il pubblico saggio delle sue cognizioni dato il dì di san Michele nel Palazzo dell’ Em.» [Ferdinando] de Rossi dal Sig. Ennio Quirino Visconti, romano, fanciullo che non sorpassa la sua età di undici anni, di modo che sorprese tutta l’udienza, stata onorata dalla presenza delli tre Em.nii [Cosimo] Imperiali, de Rossi e [Filippo] Acciaiuoli. Si era egli accinto ad esporre e dimostrare, come più piacesse agli astanti che l’interrogassero, quanto veniva esposto in un libretto stampato per il Barbiellini e distribuito agli ascoltanti, il quale riguardava la Storia Sagra e Romana, (1) Novelle letterarie pubblicate in Firenze l'anno MDCCLV, Firenze, nella Stamperia della SS. Annunziata, 1755, tom. XVI, col. 666-671. (2) Experimentum domesticae institutionis, quod publice habebit Ennius Quirinus Vicecomes, puer decennis, in aedibus Em.™ ac Rev.™ Principis Fer-dinandi M. de Rubeis S. R. E. Card. patroni sui; sive index 46 problem. arithm. scienti/, solvendorum, theorematum 52 ejusdem arithm. et 93 geom. problematum solvendorum, Romae, apud Haer. Barbiellini, 1762; in — 4° (3) Specimen alterum domesticae institutionis, quod publice dabit in Bibliotheca Angelica Ennius Quirinus Vicecomes, puer annorum XII, sub auspiciis S. Aurelii Augustini et universi Eremitarum Ordinis ab eo sanctissime instituti et feliciter fiorentis sub R.m° P. Francesco Xaverio Vasquez, supremo suo moderatore, Romae, apud haeredes Io. Laurentii Barbiellini, 1764; in - 4.» — 34 — l’Antichità, la Geografia, la Cronologia, l’Aritmetica e la Geometria, contenendo- i seguenti sette capitoli: I. Narrare, in succinto, le vite di tutti i Patriarchi, de’ Giudici e dei Re da Adamo ad Erode, tessendo ancora l’Umana Genealogia di Nostro Signore Gesù Cristo. II. Riferire l’istorie dei primi Re di Roma e di tutte le guerre cittadine e straniere della Repubblica Romana, additandone l’origine e l’esito; e nel tempo degli Augusti per tutti i 18 secoli accennare di ciascun Imperatore qualche fatto che ne formi il carattere. III. Precisare le fisonomie degli Augusti, Auguste e Cesari nelle medaglie dei tre primi secoli, interpretandone le note greche e latine, e i rovesci spettanti aU'Idoii e loro simboli; distinguere altresì per i seguenti 15 secoli tutti gli Imperatori in immagini, coperta ancora l’iscrizione; ed i Pontefici nelle loro medaglie. IV. Assegnare in quale età vivessero i suddetti Patriarchi, Giudici e Re e seguissero le indicate guerre Romane, come anche in qual secolo fiorisse qualunque degli Imperatori, dando le definizioni fondamentali della Cronologia, con la notizia dei tempi periodici de’ pianeti e del sistema del mondo. V. Dare la descrizione succinta delle quattro parti principali della Terra co loro confini, mari ed isole adiacenti, e coll’ annoverare i regni in quelle contenuti, colle loro metropoli e Principi. Indicare il metodo di descrivere la meridiana, la longitudine e latitudine de’luoghi, e l’elevazione del Polo. VI. Sciogliere e dimostrare i problemi e teoremi deU’Aritmetica scientifica. VII. Sciogliere similmente e dimostrare i problemi e teoremi della Geometria piana e solida. Infatti venne interrogato in tutte le suddette materie dal P. M. (Domenico) Giorgi, dal P. Abb. [Mauro] Sarti, dal P. Lettor Bonaglia, teatino, da’ PP. Lettori delle Scuole Piè [Liberato] Fassoni e Gaudio e finalmente dal P. Agostino da Napoli, Lettore nel convento di Aracoeli, alle domande dei quali rispose pienamente il fanciullo, sempre in latino, narrando Storie Sagre e Romane, interpretando medaglie, esponendo metodi e sistemi, e dimostrando e sciogliendo tutte le richiestegli matematiche proposizioni con tanta vivacità congiunta con un’aria d’intendimento che parve un prodigio a quella numerosa adunanza composta di persone nobili e scientifiche (1). Ecco quanto scrisse il Diario ordinario dell’altro esperimento: Nella Biblioteca Angelica de’ PP. Agostiniani nel doppo pranzo di giovedì [11 settembre 1764] il sig. Ennio Quirino Visconti, fanciullo di 12 in 13 anni, sostenne con gran presenza di spirito ed ammirazione della nobile numerosissima udienza un pubblico esame in Trigonometria, Sezioni coniche, Algebra e Calcolo integrale, differenziale ed esponenziale; con libertà a chiunque d’in- (1) Diario ordinario, di Roma, n. 7059, 2 ottobre 1762, p. 24, e n. 7062 9 ottobre 1762, pp. 2-5. — 35 — terrogarlo sulla soluzione e dimostrazione de’ teoremi e problemi della Trigo nometria piana del Wolfio, delle Sezioni coniche del Guidi e sulla soluzione di tutti i 380 problemi analitici trattati dal detto Wolfio. A tutte le interroga zioni latine state fatte da vari virtuosi soggetti rispose così dottamente e diede sì chiare riprove del suo gran talento, che ne riscosse applauso distinto, in particolare dagli Em.'»i [Antonio] Galli e [Gaetano] Fantuzzi, che onorarono colla loro presenza l’esame, come fecero vari prelati e religiosi, che occupano nel loro Ordine le cariche più sublimi (1). Il 2 febbraio del 1774, l’ab. Gio. Cristoforo Amaduzzi, nel dedicare ad Ennio Quirino, « generosae indolis et praecocis omnigenae litteiaturae adolescentem », una sua dissertazione (2), così rievocava quelle singo larissime prove: Duodecimus iam advolvitur annus, quo mihi huius Urbis aeternae in colae facto vel a primis fere fausti adventus diebus nomen tuum insonuit, cum scilicet experimentum domesticae tuae institutionis in Sacra et Romana historia, in re nummaria, chronologia, geographia, arithmetica ac geometria tandem decennis publice edidisti, eamque de te admirationem excitasti, quam nemo alius forte sibi partam glorietur, eam simul superans expectationem, ad quam et ab ipso XVI aetatis tuae mense Quirites erexeras. Paullo post bono fato contigit, ut studiorum similitudo mihi Iohannem Baptistam, patrem et institutorem tuum longe doctissimum conciliaret amicum, simulque tibi etiam consuetudine et familiaritate coniungerer. Hinc propius admirari licuit praecocis ingenii tui progressus sane praestantissimos et in dies succrescentes ad miraculum, novumque quinetiain mox a te XII iam annum nato exhibitum specimen domesticae tuae institutionis Roma suspexit, et vel praesens ego te-ex tempore sublimiores matheseos, quae est de trigonometria et analysis, quae calculum differentialeni, integralem et exponentialem, ut aiunt, respicit, demonstrationes tunc strenue extricantem, et litteratorum caetum amplissimum tibi plaudentem summa incunditate perspexi. Dein etiam pluribus interfui ingenii (1) Diario ordinario, di Roma, n. 7365, 15 settembre 1764, pp. 11-12. (2) Donaria duo graece loqnentia, quorum unum in tabula argentea apud Moniales saxoferratenses S. Clarae ab lustiniano Augusto S. Demetrio martyri, alterum in vexillo serico opere phrygionico apud Monachos Avellanenses ab Emmanuele Comneno lmp. S. Michaeli Archangelo dicatum, nunc primum latine reddita in publicam-lucem profert JOHANNES CHR1ST0PH0RUS AMADUTIUS, graecarum litterarum professor in Archigymnasio Romanae Sapientiae; negli Anecdota litteraria ex mss. codicibus eruta, Romae, apud Gregorium Settarium -ad insigne Homeri, [1774], vol. III, pp. 3-28. — 3ó - tui privatis tentaminibus, quibus ostendisti, imparatum licet, posse te Graecos auctores et praesertim Homerum nedum latine vertere, verum etiam Italicis versibus reddere, tum etiam te non imparem esse ad enodandas quoscumque mathematicae disciplinae questiones, quae proponerentur. L’ab. Francesco Cancellieri, nel trattare degli uomini « dotati di gran memoria », non scorda il « celeberrimo » Ennio Quirino Visconti, < principe de’ moderni antiquari », che destò « la pubblica ammirazione fin dall’infantile età di sedici mesi » (1). « Un enfant prodige de mémoire », notò giustamente PEmeric- David, « est souvent un prodige d’orgueil, sans renfermer 1'· germe d un vrai talent»; nel Visconti, invece, » ce qui étonnait le plus, c’était la simplicité de sou caractère et surtout sa modestie Era ingenuo e timido; qualità che facevano maggiormente ammirare in lui « la pénétration de son esprit, la justesse de son jugement, et la brillanti, faculté dont il "était doué de retenir imperturbablement ce qu' il avait appris » (2). (1) CANCELLIERI FRANCESCO, Dissertazionc intorno agli uomini dotati di gran memoria ed a quelli divenuti smemorati; con un'appendice delle Biblioteche degli scrittori sopra gli eruditi precoci, la memoria artificiale, l'arte di trascegliere, e di notare ed il giuoco degli Scacchi, presso Francesco Bourliè, 1815, pp. 84 - 87. (2) Biographie universelle ancienne et moderne, Paris, chez. L. O. Mi-chaud, 1827, tom. XLIX, pp. 251-256. CAPITOLO II. Chi prenda a sfogliare le numerose raccolte poetiche stampate a Roma negli anni giovanili di Ennio Quirino Visconti, spesso vi troverà de’ suoi versi. In parte, son .sonetti per festeggiare monacazioni e messe novelle, nascite e nozze, lauree e cantatrici, feste sacre e feste profane (1). Tra le altre monacazioni, celebrò quelle delle sorelle sue Beatrice e Ma-tilde. Per quest’ultima scrisse: Invan, ciechi mortali, in voi si desta Caldo desio d’esser felici appieno; Invano ai nappi che Babelle appresta Bevete il dolce di un letal veleno. Come cerva ferita alla foresta Non fugge dallo strai che fitto ha in seno; Cura in voi siede torbida e molesta Che de’più chiari dì turba il sereno. Nè volger d’anni o variar di clima E cercar lidi d’oltre mar bagnati Può dar calma al desio che il cor vi lima. (1) Cfr. Versi di ENNIO QUIRINO VISCONTI raccolti per cura di PIETRO VISCONTI, suo nipote, ed al eh. Sig. ab. Don Melchiorre Missirini dedicati; nelle Opere varie, italiane e francesi, di ENNIO QUIRINÒ VISCONTI, raccolte e pubbli- I - 3S — Sol chi (gli affetti al primo ben serbati) Fè, qual tu, Vergin forte, a Dio sublima, Trova lungi dal mondo i dì beati. Per la nascita del primogenito del principe Don Andrea Doria Pam-philj cantò: Odi, eccelso Bambin: felicitade Non di tetto reai negli atrj alberga, Nè in chi vanti avi egregi in lunga etade, E il nome suo dell’altrui gloria asperga. A quegli sol di lei fruire accade Che in desir vero di virtù s’immerga: Questi i titoli son, queste le strade Ond’uomo a fama eterna avvien che s erga. Per l’esaltazione al pontificato di Lorenzo Ganganelli scrisse: Oggi del Vatican sedendo all’ombra La Fe’ languente il gran soccorso implora. E a lui, « dell’alto destino in sull’aurora » presagì la « via d’onor » che doveva percorrere; divinando nell’austero frate romagnolo il fondatore del Museo Vaticano e 1’abolitore de’Gesuiti. Largo di lodi fu a Gio. Angelo Braschi — l'amico del padre suo cinta cha ebbe la tiara. ......Roma t’allegra: i tuoi destini Ti diero un Prence in un clemente e giusto. Danzerà gioia pe’ campi Latini, Scorrerà il Tebro di dovizie onusto. Non più lo stuol de’mesti cittadini Chiamerà i dì del fortunato Augusto, E ogni bell’arte, che in te seggio pone, Non dovrà sospirar Giulio e Leone. Nell’atto che piglia il possesso solenne, « cento Virtù > gli fanno « lieta scorta », e tra esse primeggia la Fede (1): cate per cura del dottor Giovanni labus, Milano, presso Fortunato Stella e figli [Dalla Società tipografica de’Classici Italiani], 1831; vol. IV, pp. 601-696. (1) Ottave I nel possesso di Nostro Signore | Pio Sesto P. M. dedicate all’ Eminentissimo, e Reverendissimo Principe \ il Sigrwr Cardinale Oian Carlo — 39 — Una dell’altre parea donna e duce Agli atti, al ciglio ed al regai sembiante. Dell’umana salute il segno adduce La destra, un dì deriso, or trionfante; Denso mistico vel la fronte imbruna, Che tutte le beltà del cielo aduna, Questa è colei che sul fedel naviglio Salvò gli eletti fra le genti assorte, Che trasse umanità dal gran periglio, E fe’ deserti i regni della morte: Questa al buon padre che svenava il figlio Facea pronta la mano e l’alma forte, 1 mar divise, e al suon di sue parole Tenne l’Ore sospese e immoto il sole. Già ne aveva cantata l’esaltazione con l’ode: La gara delle Virtù, che fa parte del « triplice omaggio » offerto dagli Arcadi al loro confratello Tinnio Neméo; come tra’ pastori si chiamava Pio VI (1). Le « celesti vergini » sono in guerra; « l’oggetto arcano » de’ loro « fervidi sdegni » è il nome da imporsi al nuovo pontefice. La Pietà tronca la gara: Ai dritti miei cedetelo Vo’ che si nomi Pio. lo che agli onor purpurei Ho i giorni suoi condotti, 10 de’suoi studi l’arbitra Nelle vegliate notti; Che poi propizia ai supplici Voti d’Italia e Roma, Della corona triplice 011 circondai la chioma. Bandi | Vescovo d'Imola \ da ENNIO QUIRINO VISCONTI | cameriero d'onore di S. S. I In Roma MDCCLXXV. | Nella Stamperia di Giovanni Zempel | con licenza de’Superiori ; in — 4.° di pp. XII. Le ottave sono ventitré; incominciano a p. Ili e terminano a p. XII. (1) Triplice omaggio | offerto | dagli Arcadi | al Padre Principe e Pastore \ massimo felice augusto | papa Pio VI | fra gli Arcadi acclamato \ Tinttio Nenièo | nella sua esaltazione | al sommo pontificato | In Roma MDCCLXXV. Le gare delle Virtù di Ostilio Cirsèo, Monsignor Ennio Quirino Visconti, si leggono a pp. XLVI - LII. _ 40 - L’ode finisce: Animator del tacito Merto e de’fatti egregi, Sei de’Pastori il massimo Ed il miglior de’ Regi. Non dalle tue vittorie L’Oriente commosso, Non vedrai il mar di Lepanto Di Tracio sangue rosso: Ma d’ulivo pacifico All’alme ombre cresciute Vedrai corona intesserti L’Arti loquaci e mute: Vedrai fastoso il secolo D’eternità sul monte, Rubello al tempo, ascendere Col tuo bel nome in fronte. Tre altre volte il Visconti prese la cetra per inneggiare quel papa. Il suo passaggio dinanzi all’anfiteatro Flavio nel giorno solenne del possesso; la statua della Giustizia, che Pio VI disegnò, ma senza effetto di far erigere su di un’antica colonna a Montecitorio; l’essersi ristabilito da lunga malattia, furono il soggetto di tre sonetti, che lesse nell’ Accademia degli Aborigeni, nella quale portò il nome di Platone ateniese (1). Le (1) Rime I dagli Aborigeni | recitate in diversi tempi nella loro adunanza in Roma \ Parte I \ alla Santità di Nostro Signore \ Pio VI \ pontefice massimo In Roma MDCCLXXIX. | Nella Stamperia di Oeneroso Salomom | con licenza de’Superiori. /c. ... In questa Parte I si leggono cinque sonetti di Platone Ateniese (E. Q. Visconti): « Per l’assunzione della B. V. al cielo », p. 21: « si allude alla statua della Giustizia da erigersi sulla colonna di Monte Citorio dalla Santita di N. S. », p. 22; « Per la passione di Cristo », p. 74; * Sulle tenebre nella morte del medesimo », p. 75 ; « Pel possesso di N. S. Pio Papa Sesto la cui solenne pompa passa innanzi all’Anfiteatro Flavio », p. 78. Rime degli Aborigeni, ec. Parte //, Roma MDCCLXXXI. Dalla Salomo* niana addetta alla medesima Accademia. Con approvazione. Vi si trovano questi due sonetti : « Per la passione di Cristo. L Agnello pasquale », p. 59; e < Pel passaggio della Santità di N. S. Pio PP. VI dal suo soggiorno del Vaticano a quello del Quirinale dopo essersi ristabilito dalla lunga malattia », p. 180. — 41 — nozze di Luigi Onesti, nepote del pontefice, con Costanza Falconieri, gl’ ispirarono l’ode: Le Muse (1). Tutte e nove « le figlie di Mnemosine, » opera egregia di greco scarpello, trovate fra i ruderi della Villa Tiburtina di Cassio, che Pio aveva onorate d’un nuovo tempio Sul Vatican, accompagnano « la pompa nuziale » con « le rosee dita » sull’arpa eolia. La « celeste » Urania chiama il figlio Imene a ardere « la face eterea; » la « dotta » Clio fa palese ai posteri la virtù delPalma coppia; la « vezzosa » Erato narra le grazie tutte della novella sposa; la « vivace ed ilare » Tersicore, Polinnia « in vaghe fole industre », la « severa > Melpomene, Euterpe, Talìa De’costumi degli uomini Ridente emendatrice, e la « purpurea « Calliope sciolgono dolci inni d’amore all’alma coppia; e dopo aver fatto « serto di fiori aonii » agli amanti, « sagaci e caute » restano sul limitare, onde non siano turbati D’Amor gli ascosi e placidi Misteri. In occasione d’altre nozze (2) così fa parlare il Triangolo Boreale, una delle costellazioni del Polo artico: Quel Dio che in riva d’inaco Argo lasciò trafitto; Quel cui tre. volte massimo Chiamò l’antico Egitto; (1) Componimenti poetici dedicati agli Eccellentissimi Signori Conte Don Luigi Onesti e Donna Costanza Falconieri, in occasione delle loro acclamatis-sime nozze, dall'abate Sante Garofoli Accademico Aborigene [In fine:] Si compì l’impressione di questi nuziali poetici applausi nella Stamperia Salomoni ai X di maggio giorno a Roma lietissimo per l’avventuroso ritorno del regnante Sommo Pontefice Pio Papa Sesto dalla auspicata Pontina bonificazione l’anno MDCCLXXX1, VII del suo glorioso pontificato; in — 8.° di pp. CLXXII. Oltre l’ode Le Muse di Ennio Quirino, vi sono due sonetti de’suoi fratelli ab. Alessandro e ab. Filippo Aurelio; questo chiamato tra gli Aborigeni Palladio Sorano, l’altro Alcidamante Leontino. (2) Quest’ ode uscì alla luce in una raccolta di versi per le nozze Anto- 4 — 42 - Quel Dio che la difficile Arte inventò primiero, Che sa la voce pingere, Dar sembianza al pensiero; Ei qui mi pose a splendere Dove in lucenti chiome Siderea cifra annunzio Del gran Tonante il nome; Nome al cui suon vacillano Gli archi de’ firmamenti, E fremon dell’oceano Gli atri gorghi muggenti; Nome che dalle tenebre Può trar dal nulla il mondo, E le cose ravvolgere Può nel nulla secondo. Se di sì gran principio Vo tra le stelle altero, Qual astro mai mi supera Nel gemino emisfero? Nel 1769 per la venuta in Roma dell’imperatore Giuseppe II e del •granduca Pietro Leopoldo, suo fratello, compose alcune ottave, un epigramma greco a Dardano e un epigramma greco a Tirreno. Questo da lui tradotto in francese; quello in latino (1). Chi avesse detto allora al giovane poeta, che la lingua francese, della quale dava un primo saggio, doveva diventare la lingua sua e scrivere in essa le opere tutte dell ultimo periodo della vita! Gio. Cristoforo Amaduzzi scriveva all’ab. Isidoro Bianchi, suo amico: « II sig. Ennio Quirino Visconti, fanciullo d'anni tredici, darà fuori presto una sua versione poetica dell’Ecuba di Euripide, fatta dal medesimo sul solo testo greco, senz’ alcun traduttore o annotatore, che ha consultato dopo, solamente per correggersi ove avesse sbagliato. La stampa della jielli, stampata a Roma, co’ torchi del Casaletti, nel 1789. Ognuna delle composizioni ha per argomento una delle costellazioni del Polo artico. (1) Questi componimenti furono stampati a Roma, da Arcangelo Casaletti, il 1769, in — 4.° . Dopo l’epigramma francese, che è l’ultimo di essi,'si legge: Κννιος Kvssìvo; IV.z.sz.oy.Y,; Ρωμαίο; ετών -/.χι λν/.7. /; /77. cioè : Ennio Quirino Visconti, romano, d’anni diciassette cantai *. — 43 — tragedia è compiuta, con in fine alcune noterelle: ma rimane a stamparsi una prefazione del padre, in cui renderà conto dell’istruzione primaticcia data a questo suo figlio ». Torna a parlarne anche in una lettera a stampa, dell’ 11 febbraio 1767, indirizzata all’ab. Epifanio Brunelli, bibliotecario della Gambalunghiana di Rimini. « Ma giacché ora » (gli dice) « siamo in ragionamento di cose Tragiche, vi voglio rammentare anche una tessera teatrale d’osso e di figura orbicolare, la quale si conserva, fra l’altre insigni rarità de’tempi antichi, dal comune nostro amico e letterato eruditissimo, il sig. ab. Gio. Battista Visconti, appresso al quale più volte e queste cose d’antichità abbiamo osservato, e sentito insieme abbiamo i portentosi voli del maggiore suo figliuolo, sig. Ennio Quirino, di cui, comecché in età d'anni XIV, avremo fra poco l’Ecuba, appunto del nostro Euripide, di già stampata e tradotta in versi italiani con molto spirito e con molta esattezza insieme » (1). Uno de’ pochis-simi esemplari di questa edizione, che sia noto ai bibliografi, si conserva nella Biblioteca comunale di Savignano, e porta scritto, di carattere appunto dell’Amaduzzi : « Opera non mai pubblicata, essendo anche senza frontespizio (2), eh’ è stato supplito da me colle stampe di Propaganda »; della quale tipografia era egli prefetto. Fu impressa a Roma, co’ torchi di Arcangelo Casaletti, nel 1765 (3); ma l’edizione riuscì talmente scorretta, che il padre non s’indusse mai a pubblicarla. (1) AMADUZZI G. C., Lettera sopra un antico marmo contenente il catalogo delle Tragedie di Euripide e sopra altre cose antiche scritta al sig. ab. D. Epifanio Brunelli di Rimino; ne’ Miscellanei di varia letteratura, Lucca, per Giuseppe Rocchi, 1767, tom. VII, pp. 194-195. (2) Anche all’esemplare posseduto dal Millin, come egli racconta, mancava il frontespizio. « Cette ouvrage a paru à Rome chez Casaletti: il n’ a point de frontispice. Dans l’exemplaire que je possède, le titre est écrit de la main du célèbre abbé Marini; il y est dit qu’en tête du livre est un exposé de la methode que M. Visconti s’étoit formée pour apprendre les langues et les sciences. Cet exposé manque dans mon exemplaire; peut-être en a-t-il-ete séparé ». (3) È così descritta daU’Amadiizzi nell’ epistola latina con la quale dedicò al Visconti uno de’suoi Anecdota; « Romae, typis Archangeli Casaletti, in 8.° pagg. 78, additis ad calcem paucis additionibus, sed ad huc sine fronte ». Cfr. Anecdota litteraria ex mss. codicibus eruta; III, 5, in nota. Anche l’abate Francesco Cancellieri ne parla: « Nell’anno seguente [1765] stampò per i torchi d’Arcangelo Casaletti l’Ecuba di Euripide, tradotta in versi dall’original greco, con la sposizione con cui ha nella fanciullezza appresi diversi idiomi ». Cir. — 44 — Questa « prima e singolarissima prova » della perizia nel greco di « uno degli ellenisti più celebri che P Italia avesse al suo tempo », venne fatta dal Visconti « nel suo decimo terzo anno, senza che il soccorresse comento alcuno od altra versione ». Son parole di Giambattista Zannoni, che aggiunge: « così tolse alla Francia il vanto di poter sola citare esempio di "somigliante maraviglia nel suo Bouthillier, che giovine anche egli di tredici anni diè una greca edizione delle poesie d’Anacreonte di greci scolli arricchita ». In una delle note con le quali Ennio Quirino accompagna il volgarizzamento scrive: « Ho lavorata questa mia traduzione sull Euripide greco dell’edizione Aldina del MDIU; tuttavia mi sono qualche \olta dipartito da quella ». Dichiara d’essersi pure servito * dell'antica edizione dell’Ecuba senz’epoca e nome dell’editore, la quale si conserva in un miscellaneo della Biblioteca Vallicelliana »; e di aver fatto « diligenza sull’originai greco non solo in parecchi libri stampati, ma ancora ne codici Vaticani ». Confessa inoltre che ha avuto per le mani le « animaversi uni » del Reiske, nelle quali quell’erudito * mostra di desiderare una nuova edizione dell’Euripide per le molte scorrezioni eh’ egli sospetta che siano corse nelle pubbliche stampe » ; e di aver « volentieri ». in un punto controverso, accolta la lezione d’uno de' codici Vaticani, « per essere stata felicemente col solo raziocinio immaginata dal sullodato Reiske ». Era esso un dotto grecista, ma nelle illustrazioni degli antici scrittori si lasciava trasportar soverchiamente dal desiderio di alterare il testo; difetto del quale gli venne fatto rimprovero dallo Jacobs, dal Brunck e dal Lucchesini (1). È da ammirarsi dunque l’accorta cautela del tredicenne traduttore, che piglia da lui la sola variante confermata da' codici. Lodovico Dolce modellò la sua Ecuba su quella di Euripide, dalla quale trasse « le inventioni, ie sentenze e la testura ». È un' imitazione, non una traduzione. Il primo a voltarla in italiano fu Giovanni Balcia-nelli di Vicenza; e lo fece « assai felicemente se si havrà riguardo a’ sensi e CANCELLIERI F., Dissertazione intorno agli uomini dotati di gran memoria ed a quelli divenuti smemorati, Roma, Bourlie, 1815, p. 86. A me nasce il sospetto che la Esposizione del metodo con cui Ennio Quirino nella fanciullezza apprese diversi idiomi, non sia mai stata stampata. (1) CESARE LUCCHESINI, Opere edite e inedite, Lucca, Oiusti. 1832; tom. Vili, pp. 111-112. — 45 — con qualche licenza di parole »; se crediamo a lui. Tornarono a tradurla Giambattista Gelli e Zaccaria Valaresso, Mario Guarnacci e Antonio Straticò, Stefano Benedetto Pallavicini e il P. Carmeli. Il Gelli vince gli altri per la bellezza della forma; peraltro la trasportò in italiano dal latino di Erasmo. Il Carmeli fu condannato d’inesattezza dal Reiske, quando però ingiustamente, quando con troppa severità. Ecco un saggio della traduzione del tredicenne Visconti. È Ecuba che parla: ......Terrestri Numi, Deh salvatemi ii figlio, àncora e speme Di mia reggia abbattuta. Ei vive in cura Dell’ ospite paterno, egli respira L’aure di Tracia, che biancheggia e splende Per le sue nevi. Oh Dio! forse recate Qualche nuova ferai? chi sa che ornai Non mi si desti accanto Qualche ingrata armonia d’urli e di pianto? Mai così senza posa Inorridì la mente, Nè paventò così. Dov’è, Trajane, Dov’e I’ alma divina D’Eleno e di Cassandra, i sogni infausti Che m’interpreti e sveli, or che mirai Di color vario tinta, e dal mio grembo Tratta per forza dal cruento artiglio Di lupo fier miseramente uccisa Una cerva leggiadra? Il mio timore Quindi ne vien, poiché l’ombra d’Achille Sul sepolcro salì, chiedendo ai Greci Premio de’suoi sudor qualche Trojana. Deh! togliete all’insana Oblazïon la mia fanciulla, o santi Numi, ve ne scongiuro. Cesare Lucchesini chiude il « novero » degl’italiani che nel secolo XVIII volgarizzarono Euripide « con un nome grande » quello di Ennio Quirinio. Dell’Ecuba, «ch’egli recò in versi italiani», però si sbriga dicendo: « È libro raro, nè mi è avvenuto di leggerlo ». Invece della traduzione di Pindaro fatta da lui scrive: « Io non diro che sia al tutto scevra da ogni macchia, ma queste son piccole, e vuoisi concedere — 46 — qualche cosa all’età sua giovanile ed alla difficoltà della rima » (1). Al saggio che ne pubblicò a Modena nel’ 73 - ventiduenne - premetteva queste sue « riflessioni » sul modo di tradurlo: Dal rinascimento delle lettere molti illustri filologi ci hanno a gara dipinto il carattere di questo gran Lirico, colla varietà e collo spirito stesso con cui fu Omero da sette città della Grecia in sette differenti volti ritratto. Siasi però qualsivoglia il più rassomigliante, non è dubbio che la di lui espressione non sia viva; enfatica, vibrata e concisa; la condotta delle odi poco studiata, ed in un certo apparente disordine, non vi s’ indicano le connessioni, non vi si scopre il filo delle idee, non vi s* offre alcun piano ragionato e metodico della canzone; il metro finalmente e il suono materiale de’versi è alquanto negligentato, sempre pieno però d’una certa nobile non sos’io dica durezza, o sostenutezza, che hanno ordinariamente usata i più gravi lirici d ogni lingua, e ciò perchè il verso facile di soverchio e corrente non facesse meno fissa l’attenzione nella beltà delle idee, nè il dolce d’un’ armonia materiale distraesse l’animo dalla contemplazione della sublime poesia; o ancora perché la gran cura della vivezza delle espressioni, la quale è sempre in qualche ragione della loro brevità, ricercando il tutto pieno di pensiero, senza riempiture e senza ridondante ornamento, non desse loro campo d’attendere sempre alle più belle cadenze de’ versi; a cui senza ciò difficilmente si giunge. Se dunque tale è l’espressione, la condotta e la versificazione di Pindaro, la sua maniera e affatto contraria alle idee che abbiamo delle Odi Petrarchesche e a lunghe strofe, nelle quali i pensieri debbono assai ben connettersi, la condotta ha ad esser chiara e regolare, il verso pieno di grande e maestosa armonia. Ho perciò io scelto piuttosto un metro che richiede per sua natura una espressione vibrata, in cui la brevità delle strofe può lasciare, senza offendere, una apparente sconnessione di pensieri; e le poche sillabe e lo sdrucciolo comodissimo ancora per molti nomi proprj, che sarebbero d’imbarazzo in altri metri, fanno che non vi s’abbia tanto a cercare una certa interna armonia, che senza una dicitura abbondante e stesa, e perciò contraria all’indole dello stile Pindarico, rado s’ottiene: anzi una moderata durezza li rende più nobili e più sostenuti. Nè sufficiente obbiezione a simil metro è il vedere le canzoni greche divise in strofe, antistrofe ed epodi; poiché sa ognuno che questa divisione ebbe origine dal cantarle in danzando, alla quale Pindaro ha così poco studiato adattarsi, che non solamente i periodi e i sentimenti, ma talvolta ancor le parole sono metà in una strofa e metà in un’altra; e se ciò non ostante ha (1) LUCCHESINI, Opere; tom. Vili, pp. 161-162. « — 47 — voluto così dividere le sue canzoni, egli è stato per seguir l’uso, ma senza prendersi maggior pena di questa divisione, di quello che taluno componendo un sonetto si prenderebbe a’ nostri di di accomodarsi al ballo, che è pure stato l’origine della divisione in quartine e terzine, lo qui non pretendo che il solo metro, di cui mi sono servito, sia conveniente allo stile di Pindaro, e forse non sempre io stesso mi vi atterrò; mi basta solo di aver mostrato che assai gli convenga, e forse più di quello che finora hanno usato altri suoi traduttori italiani. Così tradusse l’ode olimpica XI, ad Agesidamo, figlio d’Archestrato, lodrese epizefirio, che fu vincitore nel pugilato: Utili al mondo i rapidi Venti formò natura, E pioventi acque eteree Figlie di nube oscura. Anche i dolci inni spirano Forza al valor che geme; Degli encomj de’ posteri Sono alimento e seme: D’inestinguibil gloria Fido a virtù son pegno; Il vincitor d’Olimpia, Frema il livor, n’è degno. Mia lingua ancor perpetua Fama nudrir presume, Chè scende in uom lo spirito D’ogni saper dal Nume. Figlio immortai d’Archestrato, Agesidamo, or mira, Che pel tuo cesto i nobili Tuoi pregi ho sulla lira, E per l’ulivo, ch’aureo Ti serpe in su le chiome, 1 Locri, c’ han dal zefiro Le placid’ aure e’ 1 nome. Su queste piagge, o candide Muse, a danzar venite; Non sia eh’ abborran gli ospiti, Genti vi son gradite, — 48 - Che in seno alme non chiudono ' D’onesti affetti ignude, Ma sagge al sommo e belliche Son per natia virtude. Non sa cangiar quell’indole, Che da natura sugge, Nè volpe astuta ed ignea, Nè fier leon che rugge (1). Fra i traduttori di Pindaro, dopo il Visconti, tengono il campo il Mezzanotte, il Borghi ed il Lucchesini; il quale, dottissimo nella lingua greca e possessore della più bella e ricca libreria greca a suoi tempi, avanzò gli altri due per la fedeltà — « tanta che non può esser ili più » , e per « un certo non so che di pindarico anche nella dettatura, eh e una maraviglia ». Son parole di Luigi Fornaciari, al quale scriveva il Lucchesini : « Il Mezzanotte ed il Borghi hanno calcata la via più difficile, servendosi di metro regolato: io ho agevolato di molto a me il cammino, liberandomi da quella incomoda pastoia del metro, come fece il Guidi ». Ve Io spinse il desiderio d’essere, quanto potevasi, fedele senza essere servile -> (2). Fedele, per altro, riuscì anche il Visconti, le cui c strofette di quattro versi » trovava » troppo metastasiane » l’Ugoni (3). Tradusse anche in versi italiani le due iscrizioni greche triopee. Così (1) Cfr. Riflessioni del Sig. Ab. VISCONTI, romano, sulla maniera di tradar Pindaro; nel Nuovo Giornale de' letterati d'Italia, In Modena, presso la Società Tipografica, tom. Il, marzo e aprile 1773, pp. 27 - 57. I brani di Pindaro, da lui tradotti in versi italiani, che stampa, sono: « Ode X. Ad Agesidemo figlio d’Archestrato Locrese Epizefirio, che fu vincitore nel pugilato » [pp. 30-34]; «Ode XI. Ad Ergotele figlio di Filanore Imereo, vincitore nel corso lungo » [pp. 34 - 38]; « Ode olimpica II. A Terone », [pp. 39-45); « Ode pitica 111. A Oerone vincitore al corso equestre, ma travaglialo da’calcoli », [pp. 46-52]; » Saggio dell’ode olimpica XIII. A Senofonte Corinzio, vincitore allo stadio», [pp. 53-54]; « Saggio dell’ode VI Nemea. Ad Alcimida d’Egina, vincitor alla lotta », [pp. 54 - 55]; « Saggio dell’ode olimpica I. A Oerone, re di Sicilia, vincitore », [p. 55]; « Ode olimpica XIV. Ad Asopico di Or-comeno, città della Beozia, figlio di Cleodamo e vincitore allo stadio », [pp. 56-57]; « Ode istmica III. A Melisso, Tebano, vincitor al corso equestre *, [pp. 57-58]. (2) LUCCHESINI, Opere; tom. V, p. 13. (3) UOONI CAMILLO, Della Letteratura italiana nella seconda metà del secolo XV///, opera postuma, Milano. Bernardoni, 1858; tom. IV, p. 116. — 49 — incomincia la seconda di esse; la quale si aggira sulla consacrazione del .simulacro di Annia Regilla, la morta e pianta moglie di Erode Attico: Figlie del Tebro, al bel tempio movete E di Regilla al simulacro incensi Recate; a lei che pur d’Enea dipende, Di Venere e d’Anchise inclito sangue. Fu sposa in Maratone, e fanle onore Cerere antica e Cerere novella. Sorgi qui sacra a lor sua bella imago: Essa è poi là nell’ Isola Felice Fra Γ eroine, ove Saturno ha seggio. Questa mercede a’ suoi santi costumi Diè Giove, e ’l mosser del marito i pianti, Che preme in trista età vedovo letto. 1 figli a lui dalle superbe case Tolse la nera man di Parca avara In parte, e solo a due non fu maligna, Che ancor infanti, e della vita ignari, Non san qual madre lor rapisse il Fato Pria di volgerne al fuso i freddi giorni. Ebber di lui pietà Giove ed Augusto Che nell’ opre e nel volto a Giove è pari. Giove da un venticel delI’Oceàno Fe’ agli Elisi varcar la cara donna. Giacomo Leopardi, nella giovinezza, « una e due e tre volte » lesse queste bellissime iscrizioni, e tanto ne fu innamorato, che deliberò di voltarle anche lui in italiano, dichiarando: « Traduzione non ne avea Italia, che io mi sappia, altra che quella del Visconti; il quale incomparabile uomo, come nella scienza delle cose antiche non ha in Europa chi lo somigli, così non saprebbe, io credo, che fare della corona poetica, 0 certo traduzione incomparabile non ha fatto, nè potea, stretto come era a noverare i suoi versi, perchè la sua versione scolpita poi a canto 1 marmi, ne contenesse quanti il verso, nè più nè meno ». Il Leopardi allora non aveva, peraltro, « tutta quella maestria di verso e di stile che egli mostrò alcuni anni dipoi »; e « usando la terza rima » non poteva « sempre », come notò il prof. Pietro Pellegrini, « compiutamente esprimere i concetti originali » (1). (1) LEOPARDI o., Epistolario, con le iscrizioni greche triopee da lui tra- — 50 — Il Visconti, ritenendo . parte non tenue del patrio amore l’amore della materna favella ,, confortava i giovani amici. a leggere negli seri,, tori dell’ aureo trecento e del secolo di Leone .. Lo attesta D.omg, Strocchi, soggiungendo: « Me negli anni miei giovanili per discepolo raccolse e per amico , ed « agli studi di umane lettere conforto e di bei Giovamenti graziosamente sovvenne . (1). Il Visconti infatti fu . il brande maestro e l’amico vero dello Strocchi, non pure giovandolo assaissimo negli studi della greca e latina eloquenza, ma avviandolo nel diritto cammino delle lettere italiane. « Il giovane poeta, come ebbi da lui per udita . (scrive Giovanni Qhinassi), « un bel giorno gli mostrò un sno componimento in versi sciolti, mi pare sulla presa d, Buda, ,1 quale letto a non pochi in Faenza, gli aveva procacciata molta lode. Esso cominciava : Io batterò sulla deliaca incude Robusti versi a saettar l’oblio; e su questo andare continuava a lungo, con rimbombo frugomano promettendo di gran cose e nulla concludendo, anzi terminando appunto, giusta il costume, allorché doveva entrare in argomento. Il Visconti, appena ebbe data una scorsa a que’versi, gli disse candidamente: convient farsi da capo, e gli propose lo studio di un certo Dante, che rado o non mai egli avea sentito ricordare. Indi il grande mutamento operatosi in lui, e l’onore venutogli da sì degno e amorevole consiglio » (2). Lo Strocchi rammentando nella vecchiaia il suo giovanile soggiorno di Roma, che « fu di anni quattordici », ne fa questo quadro: « In quel tempo era tenuto a vile l’esercizio delle lingua volgare. Monti, che sin d’allora era predetto il principe de’poeti italiani, non era ricevuto ne dotte e le lettere di Pietro Giordani e Pietro Colletta all'autore, raccolte e ordinate da PROSPERO VIANl, Firenze, Le Monnier, 1864; pp. 242 e 245. (1) Discorso di DIONIOI STROCCHI e canzone di Giovanni Marchetti in onore di Ennio Quirino Visconti, Bologna 1819. Dalla Tipografia Nobili; in 8.° di pp. 48. In fine si legge: « Questa prosa e questa canzone furono recitate neH’Accademia del Casino di Bologna la sera del 1° giorno del 1819 ». Cfr. Biografie autografe ed inedite di illustri italiani di questo secolo, pubblicate da D. DlAAilLLO MULLER, Torino, Pomba, 1853, pp. 326 - 328. (2) Lettere edite e inedite del cav. DIONIGI STROCCHI ed altre inedite a lui scritte da uomini illustri, raccolte e annotate a cura di GIOVANNI OHINASSI, Faenza, tip. Conti, 1868; li, 181. circoli e ne’convivi di principi romani, di cardinali segretari di Stato, di esteri ministri; mentre i miei versi latini aprivano a me le porte de’ loro palazzi, e dirò pur quelle della fortuna. II nome di Dante vi era sconosciuto, per non dir peggio, sino che si appressò il tempo della francese rivoluzione, e un fraticello francescano lo chiamò dalle tenebre alla luce di Roma » (1). Il « fraticello » Baldassare Lombardi, minor conventuale — aveva però al fianco il Visconti, anche lui innamorato di Dante; e « molto favoreggiò la prima edizione romana della Divina Commedia e più cose notevoli conferì con l’esimio commentatore ». È lo stesso Strocchi che lo attesta. Il commento, « arricchito di molte illustrazioni edite e inedite », venne ristampato a Padova, co’ torchi della Minerva, il 1822, da Giuseppe Campi, Fortunato Federici e Giuseppe Maffei; e nella prefazione affermano essere stato « l’illustre lavoro » del Lombardi « riveduto da capo a fondo dal tanto celebre Ennio Quirino Visconti », prima che vedesse la luce, in Roma, negli anni 1791 e ’92. « Giovane dell'età mia, e di talenti maravigliosi ed unici in questa città » è chiamato il Visconti da Vincenzo Monti in una lettera a dementino Vannetti, scritta da Roma il 30 giugno del '79 (2). Nel Saggio di poesie, che in quello stesso anno stampò a Livorno, co’ torchi dell’ Enciclopedia, intitolava al Visconti il discorso preliminare, scrivendogli, tra le altre cose : E uni, Pieridum nostrarum candide judex. Se voi non aveste commesso lo sbaglio di accordarmi l’onore della vostra padronanza ed amicizia fin da quando ebbi la sorte di conoscervi, che è quanto dire di stimarvi e innamorarmi delle vostre virtù; io non commetterei adesso l’indiscretezza d’indirizzarvi questa lunga diceria, e, quel che è peggio di stamparla in fronte a questo saggio di poesie. Incolpate però voi medesimo prima d’incolpar me; e imparate da qui innanzi a far men uso di gentilezza e di affabilità. Queste sono prerogative d’animo troppo utili e troppo necessarie per tutti; ma voi potreste dispensarvene qualche volta, perchè, accompagnate essendo da cento altri privilegi di spirito, non vi tirano addosso d’ordinario fuori che molestie ; l’ultime delle quali non sono certamente quelle che vi vengono da me. Non contento di esservi eternamente noioso coll’in- (1) Lettera dello Strocchi al conte Giovanni Marchetti, scritta da Faenza il 21 maggio 1848. Cfr. STROCCHI D., Lettere edite e inedite; 1, 334. (2) MONTI V., Lettere inedite e sparse, Torino, Roux, 1893; I, 30. — 52 - comoda lettura de* miei versi (vizio comune a tutti , poet,. fuori che i vo ;c.,e anche in questo siete straordinario) io ho voluto «gravar* ancor eh pi, V, ho condannato ad essere il mio privato censore, lo sono ancor nel. età molto si scrive, e poco per lo più si conosce. Sono ,n una cittàove a ente, fra le persone di lettere facilmente si fa sentire, ove lo spinto de poet, e troppo dittatorio. Mi trovo lontano trecento miglia dal mio Endano, privo degl’insegnamenti del mio saggio Chirone, il dottissimo signor abate Gaetano Migliore, filologo di quel gran merito che voi sapete, e candido giudice un tempo delle mie Muse, come lo era un giorno Tibullo dei sermoni di Orazio; benché d’Orazio affatto a me manchi l’ingegno, e l’amico al contrario tutte possegga le eleganze di Tibullo. Era dunque necessario per me, e dovr.a esserlo per tutti, andar in traccia d’una confidente ed avveduta persona, alla cu, critica raccomandare l’emenda de’ miei errori. Non è egli meglio esser corretto dall’amico che dal pubblico? lo l’ho richiesto in voi questo giudice, e in voi l’ho ritrovato; nè certamente più schietto e più illuminato io poteva desiderarlo (1). Qual motivo più grande di compiacenza e più giusto d, sicurezza per me? L’amico lontano farà applauso alla mia scelta; e chi leggerà i miei versi rispetterà in essi l’approvazione d’un uomo che sin dagli anni più teneri ha dato per prova a conoscere di essere il portento e la maraviglia dei talenti italiani. Questa è una verità predicata da tutta Roma, ed io non ho altro merito che quello di ripeterla.......Sin dall’età di tredici anni voi \dt' Qrcci\ ne succhiaste il latte, e stringeste con essi famigliarità, recando sin d’allora in sì bei versi toscani qualche tragedia di Euripide, che Roma se ne ricorda ancora con maraviglia. 1 Greci intanto sono stati essi che vi hanno reso quel nobile e leggiadro poeta che siete. Di qui nasce a voi la ragione di esserne tanto innamorato: ma se fosse lecito indovinare i pensieri dei morti, si potrebbe credere che anche i Greci siano innamorati di voi, o che almeno abbiano la smania, dirò così, di vedervi e di essere veduti. Ne avete una prova in Pericle, il quale, dopo di essere stato nascosto per tanti secoli agli occhi diligenti della curiosa posterità, dalle campagne di Tivoli, di dove è stato dissot- (1) Il conte Francesco Cassi nelle sue Notizie intorno alla vita c alle opere del cav. Vincenzo Monti scrive: « La prima amicizia che ivi [a Roma] strinse, fu quella di Ennio Quirino Visconti, che per la erudizione vastissima può dirsi il Varrone degl’italiani. Di lui fu il Monti vero discepolo per amore, e da lui apprese a conoscere le più riposte ed alte bellezze de’ classici autori, che da niun maestro giammai furono meglio intesi e spiegati ». Cfr. MONTI V., Opere, Bologna, Stamperia delle Muse, 1828; Vili, 9. Cfr. anche la lettera del Monti al Visconti, senza data, ma del 1778 o’79, stampata a pp. 25-26 del vol. I delle sue Lettere inedite o sparse. — 53 — terrato è venuto ultimamente a trovarvi e a farsi da voi riconoscere in persona, con un bel volto, degno veramente d’Aspasia, e con un grand’elmo in testa scolpito dal bravo artefice forse sulla forma di quello che portava quel giorno che vinse i Sicioni. Ma io non vorrei che in grazia di Pericle vi dimenticaste di Pindaro. Egli da qualche tempo si lamenta che voi interrotta abbiate quella nobilissima incominciata versione delle sue odi, colla quale sperava vendicarsi delle storpiature fattegli sinora da tanti infelici suoi traduttori. Ricordatevi che Pindaro non merita questo abbandono. In vece di contemplare la testa di Pericle, o di esaminar qualche medaglia non ben conosciuta, giacché di medaglie e di antiquaria ne sapete abbastanza, date di piglio alla lira di Pindaro, e arricchitela d’auree corde toscane.......Ma queste debbono essere occupazioni di mero diletto, e non hanno da pregiudicare a quelle di seria attenzione che tutta la repubblica letteraria ha diritto di esigere da voi. Ella si duole che voi non pensiate ancora di mettere a profitto altrui quei lumi e quelle dottrine che ormai non possono tenersi più celate senza scrupolo di coscienza. Che giova al pubblico che voi siate versatissimo in tutti i generi di letteratura, profondo nelle metafisiche e sottile nelle matematiche, le^ quali ultime facoltà non aspettarono la maturità degli anni per farsi comprendere da voi, perchè voi, pari dei Pascal e dei Clairaut, avuto avete il privilegio di essere grande nelle medesime sin da fanciullo? che giova a lui tutto questo, se voi nascondete il candelabro sotto del moggio, e non vi curate di essere illuminato per altri che per voi? Dopo essere stata rinvenuta l’erma di parecchi uomini illustri della Grecia, ed anche di Aspasia, negli scavi di Civitavecchia, fu trovato nelle rovine della villa di Cassio, in vicinanza di Tivoli, il busto di Pericle, lavoro probabilmente di Fidia. Il Visconti consigliò il poeta a cantare quella insigne scoperta, e il Monti compose la Prosopopea di Pericle; « canzonetta », come egli scherzosamente la chiama (1), che lesse al (1) il Monti scriveva, da Roma, a dementino Vannetti, il 24 agosto del’79: « Io vi mando, per non star ozioso, una canzonetta recitata domenica sera al Bosco Parrasio per i voti quinquennali in onore di N. S. Pio Sesto. Dacché sono in Roma io non ho mai detta in Accademia cosa che abbia destato maggior strepito di questa canzonetta, la quale non è la cosa la più insoffribile, eppure fu stesa nel termine di due soli giorni. Un cardinale ha pensato che si debba far copiare in carattere dorato (vedete che pazzia!) e attaccarla con un bottone di metallo tra due laminette di cedro all’erma di Pericle, quando sarà portata in Vaticano. Ma non si farà niente di questo, perchè io non darò mai ai miei nemici questa occasione di mettermi in ridicolo ». Invece, * per opera » — 54 — Bosco Parrasio la sera del 23 agosto 1779, in occasione de* quinquennali celebrati dagli Arcadi in onore della Santità di Pio VI; e che poi venne appesa nel Museo Vaticano, dietro il busto di Pericle; « onore non mai concesso ad altri » (1). H Monti attinse poi da lui « le tante erudizioni, riversate specialmente nella Feroniade » (2). Al commento e alla ristampa del testo e delle traduzioni d’alcuni autori classici prestò largo aiuto, e da pari suo, il Visconti; a comin-dare dalle annotazioni con le quali il veneziano cardinale Lodovico Flan-gini volle accompagnata la c versione, dura e poco poetica , da lui fatta dell 'Argonautica d’ Apollonio Rodio (3) « pregevole », appunto, «pel doppio genere di note, le quali servono o ad illustrare il testo, o a dar ragione del volgarizzamento », come osservò giustamente Bartolomeo del Visconti, il Monti · potè vedere la sua Prosopopea, dietro al busto di Pericle, appesa alle muraglie del Museo di S. Pietro, onore non ma. concesso ad altri ». . ... (1) La Prosopopea di Pericle fu stampata per la prima volta a p. 55 e sgg. dell’opuscolo: / voti quinquennali celebrati dagli Arcadi nel Bosco Par rasio ad onore della Santità di Nostro Signore Papa Pio VI, (Roma) Nella Stamperia Salomoni, con licenza de’Superiori, senza anno. Che I opuscolo venisse impresso nel 1779, si rileva dalla recensione fattane dalle Efrmcridi tei terarie, n.° 2, 8 gennaio 1780. Il Monti è chiamato « l’erede dell’ovidiana spontanea facilità ». (2) GUIDO MAZZONI, L’ottocento, Milano, Vallardi, 1913; p. 350. (3) L’Argonautica | di \ APOLLONIO RODIO | tradotta ed illustrata. Tomo primo (e secondo) | In Roma, MDCCXCI - XCIV. A spese di Venanzio Mo-naldini e Paolo Giunchi; voli. 2 in — 4.° fig. Il vol I è di pp. XXXIX - 444 e contiene la Prefazione, pp. Ili XXXIX ed i libri I -II del poema (testo greco e traduzione in versi italiani a fronte). In fine al voi. si trova una carta geografica, raffigurante Argonaotarum iter ex Apolonnio. Il vol. II, di pp. XXXVIII-531, contiene un Avvertimento al Ut tore, pp. Ili - VIII; Varie lezioni dei IV libri del poema, tratte da quattro codici Vaticani, pp. IX-XXXVIII; e i libri III - IV àt\YArgonautica, pp. 1 -531. In nessuna parte dell’opera sono nominati nè il cardinale Lodovico Flangini, traduttore, nè il Visconti; ma sembra evidente che molta parte, così della bellissima Prefazione, come delle annotazioni poste in pie' di ogni pagina, delle osservazioni poste in fine di ogni libro e delle varie lezioni collocate in principio del voi. Il sia farina del sacco del celebre antiquario. Che < anche il P. Abate Biagi, camaldolese » prestasse » l’opera sua all'erudito porporato nel tessere le note » è affermato dai conte oaetano MELZl nel suo Dizionario di opere anonime e pseudonime ; I, 85. — 55 — Gamba (1); note compilate, in parte, dal P. Biagi, camaldolese (2) e in parte dal Visconti, il quale ebbe anche le mani nella recensione che di quel volgarizzamento fece Dionigi Strocchi a preghiera dello stesso Flangini (3). insieme con Carlo Fea e con Stefano Arteaga curò la stampa de’ dodici scrittori classici (quattro greci, quattro italiani e quattro latini) che il cav. Giuseppe Nicola D’Azara, ministro del Re di Spagna presso la Corte Pontificia, fece splendidamente imprimere a Parma co’ torchi di Giambattista Bodoni. Del Visconti è la bella prefazione in latino al Virgilio (4), arieg- (1) GAMBA BARTOLOMMEO, Serie dei testi di lingua, Venezia, coi tip. del Gondoliere, 1839, p. 583. (2) MELZI ΟΑΕΤΑΝΟ, Dizionario di opere anonime e pseudonirne, Milano, Schiepatti, 1863; I, 85’ (3) Lo Strocchi fece una recensione, sia del primo, sia del secondo volume del volgarizzamento àt\VArgonautica, che venne stampata a Pisa nel Giornale de’ letterati, iom. LXXXV, pp. 3 - 42 e tom. XCV1I, pp. 203-227. 11 Visconti scriveva allo Strocchi il 6 settembre del 1794: « Eccovi finalmente l’estratto dell’Apollonio del cardinale; anzi piuttosto una semplice indicazione di tutto quello che ha qualche novità e che più rende pregevole questa edizione. Lascio a voi di scegliere quegli squarci di poesia che potranno dare della dicitura qualche saggio meno infelice. Tutto ciò non vi assolve dal leggere attentamente i luoghi accennati, perchè possiate impinguarne l’esposizione e illuminarla col vostro stile ». In una lettera del cardinale Flangini allo Strocchi, del 20 novembre dello stesso anno, trovo scritto: « Dietro a quanto mi aveva ella indicato a Faenza, rilevo dalla sua dei 5 corrente esserle dall’ab. Visconti ritornato il suo estratto del secondo tomo del mio Apollonio; ed essere, come già io m’immaginava eh’esser dovesse, stato da lui pienamente approvato. È però affatto superfluo che si prenda ella la pena di mandarlo a me; chè son già certo in anticipazione di doverlo egualmente approvare; onde sulla doppia fede e di lei e del comune amico ciecamente approvo ■>. Cfr. STROCCHI D., Lettere edite e inedite; II, 11-13 e 15-16. Il marchese CESARE LUCCHESINI [Opere; Vili, 121] scrive: « Molto fece per 1’Argonautica d’Apollonio il cardinal Flangini, il testo della quale arricchì di poetica traduzione, di doppio genere di note e di copiose varianti. Delle note alcune servono ad illustrare il testo, o a correggerne la lezione, o a dar ragione della traduzione. Ma in ciò che si spetta alla correzione del testo, egli non fa quasi altro che dar giudizio delle emendazioni del Brunck, le quali egli spesso suole adottare. Ora sarebbe stato a desiderarsi, che avendo collazionati alcuni codici romani, e recatene le varianti, avesse poi fatto qualche uso delle migliori fra queste in quelle sue annotazioni, e parmi che si potesse. L’altro genere di note appartiene alla spiegazione delle favole mitologiche, nella quale - egli si diffonde con molta erudizione, e merita somma lode ». (4) VIROlLH I MARONIS | Opera. I Tomus l [et II] | Parmae, | in Aedibus Pa- — 56 - giante quella all’Orazio dettata dallo Strocchi in nome di esso D’Azara (30),. colto gentiluomo, amante e mecenate degli studi e degli studiosi, e in-tendentissimo di cose d’arte e di antichità, molte delle quali raccolse latinis I CIO IDCC xeni. | Typis Bodonianis; voli. 2 in - fol. gr. (mm. 495 X 330). 11 vol. I di pp. (2 n. n.) + Vili -|- (2 n. n.) 340; il 11.° di pp. (2 n. n.) + 296 + (2 n. n.) + XLI. Il vol. I contiene: « Praefatio », p. I - Vili ; « Bucolicon liber », ΡΡ· * « Georgicon libri quatuor», pp. 39 -134; « Aeneidos libri 1 - VI », pp. 135 - 340. Ai libri àt\Y Eneide precedono: « Fragmenta ex epistola P. Virgilii Maronis ad Augustum Caesarem », p. 135. II vol. 11 contiene: « Aeneidos libri VII-XH > pp. 1 -224; « Poematia qui sub Virgilii nomine circumferuntur : 1. Culex », ΡΡ· 227-244; « 2. Ciris », pp. 245 -269; « 3. Catalecta quae Virgiliana vulgo audiunt », pp. 270 - 283; « 4. Copa », pp. 284-288; « 5. Moretum », pp. 289-296. Seguono in 2 pp. η. η.: « Versus in Virgiliano carmine perperam inserti, qui ex hac editione exsulant ». Il vol. si chiude: « Tib. Claudii Donati ad Tib. Claudianum Maximum Donatianum filium de P. Virgilii Maronis vita »,pp· I-XLl. Nessuna nota nè in calce alle pagine, nè in fine. La numerazione de’versi (24 vv. per pag. piena) è collocata, non nel margine, ma di fianco al titolo corrente. Per la descrizione di questa edizione cfr. G. DE lama, Vita del cav. G. B. Bodoni, Parma, 1816, tom. Il, pp. 81 - 82, il quale avverte che venne incominciata il 10 agosto 1792 e ne furono tirate « 25 copie in carta sopraffine, 25 in carta d’Anonnay, e 3 in pergamena ». 11 Virgilio è indubbiamente uno dei dodici autori classici (quattro greci, qnattro latini e quattro italiani), che il Bodoni avrebbe dovuto stampare in Roma, in massimo formato, a istanza del cav. Giuseppe Nicola D’Azara, ministro spagnuolo, grande ammiratore del Bodoni : il che non essendo potuto farsi perchè il duca Ferdinando non acconsentì che il celebre tipografo lasciasse mai Parma, l’edizione degli accennati classici venne poi eseguita in Parma nella privata Stamperia del Bodoni. Cfr. DE LAMA, Op. cit., tom. 1, pp. 33 - 34 e 38-39; tom. II, p. 64. Infatti l’autore della prefazione al Virgilio parla come se fosse il medesimo che precedentemente aveva stampato 1’ Orazio (1791); e l’Orazio, com’è noto, reca una prefazione latina appunto del D’Azara. Cfr. Praefatio, p. II. Ciò fa ritenere che la prefazione al Virgilio, la quale è affatto anonima, fosse dettata bensì dal Visconti, ma quasi in persona del D’Azara stesso. Ciò è confermato da quanto scrive il biografo e bibliografo del Bodoni a proposito della stampa di codesti classici: « Parecchi fogli ne mandava [il Bodoni] « a Roma in ciascuna settimana, onde potesse il Cavaliere [D’Azara] a suo bel- * l’agio e senza frappor ritardo alla stampa rivederli coi suoi tre dotti colla-« boratori, il romano Ennio Quirino Visconti, il nizzardo Carlo Fea e il matri-« tense Stefano Arteaga ». Cfr. DE LAMA, Op. cit.; 1,39. Che poi, oltre la prefazione, anche il testo fosse elaborato a Roma, può desumersi dal fatto che nella prefazione l’editore dichiara di essersi servito, in alcuni luoghi controversi^ anche di codici Chigiani; e della Chigiana era allora bibliotecario il Visconti. (30) II DE lama nella sua Vita di G. B. Bodoni, Parma, 1816; II, 64, rac- - 57 - con finezza di gusto e signorile munificenza. 11 Visconti per il Virgilio seguì il testo dell’ Heyne, « tranne due varianti tolte da’ codici della Biblioteca Chigi, la rettificazione ortografica di qualche nome greco, e l’avere espunto, oltre gli emistichi intrusi per compiere qualche clausola di Virgilio, il verso 87 del libro XII, che, non sappiam come, non certo per suo merito, aveva ingannato la diligenza de’primi recensori »(1). Le tante dispute sul precetto dato da Orazio agli scrittori di tragedie: Nec quarta loquipersona laboret, furon troncate da lui col ragionamento che lesse nell’adunanza d’Arcadia al Bosco Parrasio il 21 agosto del 1785 (2), Prova e mette in evidenza essere stata legge costante dell’ antico teatro greco, osservata poi da’ migliori de’ moderni, che il nodo, lo sviluppo e la somma dell’azione si aggiri in tre soli personaggi. Anche Aristotele « in un passo alquanto oscuro della sua Poetica; oscuro » (son parole del Visconti) « perchè non si è voluto confrontare con le opere de’ greci tragici, dalle quali vien posto in un’aperta chiarezza; nè colla storia del greco teatro »; sostiene « non aver d’uopo la tragedia di maggior numero che di tre attori primaj ». Orazio, in sostanza, vuole che « il' quarto attore abbia nella tragedia minor parte de’ primi tre », e che, per conseguenza, « il principale interesse dell’azione » sia ristretto « ne’ tre primari interlocutori »; regola, come nota giustamente l’Ugoni, « più importante di quella che uscirebbe dalla volgare interpretazione del citato verso » (3). Notevole in questo ragionamento l’accenno all’Alfieri ed a Shak-speare. Del primo scrive: « Un tragico italiano di straordinari talenti fornito, dividendo in quattro attori quasi principali l’interesse delle sue tragedie, ed ora aggiungendo Argia ad Antigone, Creonte ad Emone, ed or rilevando le parti d’Egisto al par di quelle d’Elettra, di Clitennestra conta avergli narrato quell’insigne tipografo che Yantiloquium all’Orazio, stampato nel 1791, sotto il nome del D’Azara, fu veramente scritto dallo Strocchi. (1) UOONi C., Della letteratura italiana nella seconda metà del secolo XVIII, opera postuma, Milano, Bernardoni, 1858; IV, 111. (2) Lezione accademica sulle parole d' Orazio Nec quarta loqui persona laboret (Ad Pisones, v. 192) recitata nell'adunanza d'Arcadia al Bosco Parrasio il dì XXI agosto MDCCLXXXV ; nelle Memorie per le Belle Arti, tom. I (1785). p. 65 e sgg. Fu ristampata a pp. 458-475 del vol. Il delle sue Opere varie, italiane e francesi. (3) UOONl C., Op. cit.; IV, 114. — 58 — € d’Oreste, ed or presentando con Polinice quasi in egual vista Eteocle, Oiocasta e Creonte, e con Virginia Appio, e lo sposo e 1 padre, ha dato delle tragedie piene certamente di nobili tratti, ma senza riposo e senza chiaroscuro, che bellissime a parte a parte, e specialmente in alcune, restano poi quasi prive d’effetto e di commozione ». Vuole che « le sorprendenti bellezze » del grande tragico inglese siano < più univeisalmente e più sinceramente ammirate ». « Shakspeare », (son paiole del Visconti) « secondo la frase di Milton, il figlio della fantasia, quello che sembra camminare al più sublime posto de’ poeti drammatici, calpestando tutte le regole ed obbliando tutti gli esempli, non ha però contravvenuto a questa legge nelle più acclamate sue opere. Può ben egli trasportare i suoi attori dall’Adria a Cipro, da Roma in Tessaglia, e far loro scorrere il giro di molte lune; pure nella sua drammatica rappresentazione intitolata il Moro di Venezia, fuor di Otello, di Desdemona e di Jago, non è in tanto numero di recitanti altro attor principale. Hamlet, la madre, il re sono i tre agonisti nell’ Hamlet; Cesare, Antonio e Bruto nel Cesare ; Prospero, la figlia ’ I duca nella Tempesta. Lascio le altre.....Nè credo già in lodando Shakspeare contraddire a quanto espressi in lode degli antichi precetti e de’ greci esempli, e della loro osservanza ed imitazione. Il copista della natura non può esser mai tanto lungi dagli antichi originali. Se egli ha saputo adempiere più di qualunque altro scrittore quel secondo precetto d’Orazio: Respicere exemplar vitae morumque, l'osservazione di questo solo in un grado tanto sublime ha prodotto quella sorprendente imitazione che lo distingue dalla comune de’ moderni, e che unita alla elevatezza, alla vastità, al calore della sua mirabile immaginativa copre ogni irregolarità e ogni difetto. I tratti sublimi e caratteristici sono tanto frequenti nelle sue opere, quanto nelle altrui sono rari. Quindi lo spettatore ο ’ I lettore sentonsi a volta a volta scuotersi tutta l’anima. Or semplice, or fiorito; or tenue ed or grandioso; or ricercato, or artificiosamente negletto, diletta e rapisce con sì mirabile varietà di stile, di caratteri e d’accidenti, con tanto ardire e con tanta nobiltà di espressioni e di sentenze, che incanta egualmente l’orecchio e’ I cuore, l’intelletto e la fantasia. L’unità ch’egli s’è proposto conservare non è quella comunemente intesa dagli scrittori di poesia drammatica. È però sempre il soggetto simplex duntaxat et unum in un altro senso. Lo sviluppo del carattere del protagonista è l’oggetto unico de’ suoi drammi, ed uomo com’egli era dotato di finissimo ingegno, co- — 59 — nobbe che con due altri soli personaggi primarj poteva questo ottenere,, e che un maggior numero smembrava, per così dire, l’azione; e 1 attenzione, troppo dissipandola, indeboliva ». In questo giudizio sul Tragico inglese, precorre i tempi; come precorre i tempi nel volgere l’occhio acuto e indagatore in cerca del bello in qualsiasi letteratura straniera. Negli anni giovanili si occupo anche di quella svedese, allora poco nota. Prese a tratteggiarla con brevi tocchi da’ vecchi Scaldi a poeti e agli storici del tempo suo (1). Non scorda la regina Cristina, « rinomata per la abdicazione », la quale passò a Roma tanta parte della vita e vi lasciò così grande memoria di sè. Fondatrice dell’Università di Abo e dell’Accademia di Stockolm, chiamò e accolse nella propria reggia, protesse e premiò Renato Cartesio. « il distruttore del regno Peripatetico »; Claudio Sau-maise, « principe forse dei critici e dei dotti »; Samuele Bochart, insigne filologo, che « molto profittò de’ manoscritti Arcebi della Biblioteca d’Upsal»; Pier Daniele Huet, Gabriele Naudet e l’olandese Nicola Heusius. Tra’ « maggiori letterati svedesi » segnala Olao Rudbeck, autore de\Y Atlantide, < libro sistematico e capriccioso, ma pieno di recondita erudizione », e il Lindheim, che illustrò le antichità nordiche, « se non con maggior dottrina, certo con maggior critica e verità ». Tra gli scienziati rammenta Carlo Linneo, « il moderno Dioscoride », che « novit connubio, florum meglio di ogni altro prima di lui ». È uno scritto fatto per proprio studio, e non lo dette alle stampe, come non dette alle stampe il paragone tra VAntigone, « uno dei più applauditi drammi » di Sofocle, « principe del greco teatro », e quella d’Alfieri, al quale * sarà sempre gloriosa impresa l’essere entrato in ar-ringo col Tragico ateniese e l’essersene disimpegnato con tanto plauso ». Espone il disegno delle due tragedie e vi fa sopra belle e acute osservazioni. Riguardo alla condotta, preferisce XAntigone di Sofocle come più naturale e verisimile; trova in quella dell’Alfieri alcune situazioni introdotte non per la naturalezza dell’azione, ma per comodo del poeta. (1) Appunti inediti \ intorno | la Letteratura svedese | di 1 ENNIO QUIRINO VISCONTI. I Ai novelli sposi | Camillo Baggi \ e Fanny Schioppo | offrono e e-dicano | CARLO c OIUSEPPE CAMPORl | Modena | Tipografa dell» R· D. Camera | 1856; di pp. 8 n. n. — 60 - Segnala le sentenze più belle de’ due tragici; in Sofocle rileva però alcune « bassezze, che fan gran torto ai caratteri » dei suoi personaggi, e « gli avviliscono »; e alcune « sentenze morali, che cadono nel lungo e nel triviale »; invece, « l’opportunità, la scelta, la robustezza, la nobiltà de’ sentimenti rendono » (a suo giudizio) « il discorso della tragedia italiana più uguale e più sostenuto » (1). (1) Paragone fra l'Antigone, tragedia di Sofocle, e quella di Vittorio Alfieri, discorso; ne’Due discorsi inediti di ennio QUIRINO VISCONTI, con alcune sue lettere e con altre a lui scritte, che ora per la prima volta vengono pubblicate, In Milano, per Giovanni Resnati [Tip. Ronchetti e Ferreri], 1841 pp. 1 - 23. CAPITOLO III. Giambattista Visconti, che aveva imposto al suo primogenito il nome d’un antenato della moglie insignito del cappello cardinalizio, si mise in testa di fare anche di lui un principe della Chiesa; e appunto per questo volle studiasse diritto canonico e diritto romano e vi prendesse la laurea (1). Si addottorò, infatti, nell’una e nell’altra legge, il 7 agosto del 177L Uno de’suoi esaminatori — l’ab. Gio. Cristoforo Amaduzzi — non senza compiacenza, cosi lo ricordava ad Ennio Quirino: « Te ad Iuris utriu-sque studium tanto ardore et progressu addixisti, ut, me inter subsellia (1) L’Eméric-David, uno degli amici più cari del Visconti, che gli visse al fianco durante il suo soggiorno in Francia e dalla bocca stessa di lui intese il racconto de’casi della sua vita, scrive: « Jean - Baptiste Visconti, en sa qualité de préfet des antiquités, présidait au choix, â l’acquisition, au placement de tant de nouveaux trésors. Pie VI lui accorda la même confiance que son prédécesseur. Après cela, il semblait naturel que ce savant conçût le dessein de se donner un jour pour adjoint son fils Ennius, si propre par ses connaissances à accroître l’éclat de la magnifique collection confiée à ses soins. Cependant ce père de famille en avait disposé autrement. Comptant sur l’attachement que lui témoignait Pie VI, et sur le mérite transcendant d’Ennius, il avait le projet et l’espérance de le conduire au cardinalat. Dans cette vue il lui fit faire son cours de droit. Visconti reçut le grade de docteur en droit canonique et en droit romain, le 7 août 1771 ». Cfr. Biographie universelle, ancienne et moderne, tom. XL1X ( 1827], p. 253. — 62 - professorum Archigynnasii Romanae Sapientiae iucundissime spectante, honoris laurea, extemporaneo severi examinis periculo parta, cunctis plaudentibus, in ipso XVIIII aetatis tuae anno ad d. VIII idus augusti anni COI3CCLXXI insigniri sis meritus » (1). Da Pio VI venne fatto suo cameriere d’onore: gli conferì anche due pensioni ecclesiastiche. Rimasto poi che fu vacante per la morte di Pier Francesco Foggini l’uffizio di secondo custode della Biblioteca Vaticana, lo chiese e l’ottenne con breve del 6 giugno 1783 (2). Ennio Quirino però non sentiva vocazione alcuna per il sacerdozio, nè volle piegarsi mai a ricevere gli ordini sacri; anzi innamoratosi di Teresa Doria (3), che poi divenne la gioia e l’or- ti) amadutius JOH.'CHRIST. Anecdota litteraria ex mss. codicibus eruta; III, 5. (2) È di questo tenore : Delecto filio Ennio Quirino Vicecomiti Cubiculario nostro honorario. Pius PP. VI. Dilecto filio salutem, etc. Cum officium secundi Custodis Bibliothecae nostrae Vaticanac quod "bon: mem: Petrus Franciscus Fojgini, dum vixit, obtinebat, per obitum eiusdem Petri Franiisci officium praedictum ad praesens vacet. Nos sperantes qucd tu officium huiusmodi ea, qua par est fide, et industria sis administraturus, teque specialibus, etc. volentes, et a quibusvis, etc. censentes. Tibi officium secuudi Custodis ut praefertur vacans, cum honeribus, privilegiis, salariis, provisionibus, portionibus, etiam panis et vini, ac juribus, regaliis et aliis emolumentis solitis et consuetis, ac prout dictus Petrus Franciscus illud obtinebat, apostolica anctoritate tenore praesentium ad tui vitam concedimus et assignamus. Teque in ipsius Petri Francisci locum quoad officium secundi Custodis Bibliothecae hiusmodi eiusque liberum exercitium ac honores et onera, privilegia, exemptiones, salaria provisiones, portiones, jura, regalia et emolumenta praefata ponimus substituimus et subrogamus. Mandantes propterea dilectis filiis nostris S. R. E. Camerario et Bibliothecsrio Cardinalibus nec non Thesaurario Nostro Generali, ac Palatii Nostri Praefecto, caeterisque ad quos spectat, ut te ad pre-dictum secundi Custodis officium illiusque liberum in exercitium juxta tenorem praesentium recipiant et admittant, tibique de provisione, salariis et emolumentis ac portionibus praedictis libere faciant responderi, ac tibi favemt et assistant. Non obstantibus Constitutionibus et Ordinationibus Aposto-licts caeterisque contrariis quibuscumque. Datum S. Pelri, 6 Iunii 17S3. anno 9.° Cfr. Archivio Vaticano; Secr. Brevium, vol. 4003, 1783, Pius VI, lun. Par I, n.o 7, foi. 41. Ne debbo copia all’amicizia di tnonsig. Achille Ratti, prefetto della Biblioteca Vaticana. Nel « Ruolo » di essa Biblioteca, formato il 1° novembre 1783, che porta il n.o 237, vi figura Ennio Quirino come secondo custode, e con le competenze relative a quella carica, cioè: pane papalino una porzione, pane basso una porzione, due ciambelle mezzane, tre comuni, due biscotti, un boccale di vino. Il valore del vino era ragguagliato a scudi 2,09, al mese; e quello dei-companatici, in denaro, a scudi 28,53, al mese. (3) Come attesta camillo UGONi, Della Letteratura italiana nella seconda metà del secolo XVIII opera postuma, Milano, Bemardoni, 1858; IV, IO « spesso frattanto invoca le muse consolatrici a disfogare la piena degli affetti suoi ; e 0 goglio della sua vita, manifestò il proposito di sposarla. Il padre nel vedersi dileguare a un tratto l’ambizioso sogno, tanto da lui vagheggiato e accarezzato, vinto dal dolore, fatto cieco dallo sdegno, tentò di atterrirlo e piegarlo con la violenza. Ricorse all’amicizia del Papa, il quale, a istigazione sua, gli tolse l'impiego e le pensioni. Tutto fu inutile. Ennio Quirino, fiero della propria indipendenza, saldo nel proposito di non farsi prete, ma di ammogliarsi, sopportò con gagliarda fortezza l’atrocissimo colpo (1). 11 caso pietoso, che a Roma corse sulla bocca di tutti, intenerì il cuore al principe Sigismondo Cliigi; il quale chiamò e accolse nel suo palazzo il giovane perseguitato, lo volle alla propria mensa, lo fece suo bibliotecario; e perchè tirasse innanzi gli studi ed i lavori, e non attendesse che a questi, gl’impose di pigliarsi un segretario e di scegliere egli stesso un sottobibliotecario per aiuto (2). Fu la fortuna di Carlo Fea,. sia saggio di quei versi erotici un gentile sonetto, che sente le grazie grechei Noiosa delle estive ore compagna, Tenue d’ onde stagnante alata figlia, Che alla città ronzando e alla campagli*, Fughi de' sogni la cheta famiglia, Dori non odi, che di te si lagna, Clt’ ha impressa del tuo ardir nota vermiglia? Ouarda in che sangue il tuo rostro si bagna, A qual troppo gentil pasto s' appiglia. Forse, contro tuo stil fatta amorosa, Bacio indiscreto tu segnar credesti Sui molli avori della man vezzosa? No: di giusto furor moti fur questi : Di tanti cori che stringe orgogliosa Su quella man tu la vendetta festi. L’autografo si conserva nella Biblioteca nazionale di Parigi tra le carte dei Visconti. (1) L’Eméric-David prosegue: « Le jeune Visconti manifestait une vive opposition aux vues de son pére. 11 avait conçu de l’attachement pour une vertueuse personne, nommée Angela-Teresa Doria, et il refusait de s’engager dans les ordres sacrés. Le pape, pour favoriser les vues de Jean-Baptiste et dans l’intention de hâter l’avancement d’Ennius, dépouilla celui-ci du titre de sous-bibliothécaire, et supprima deux pensions qu’il lui avait accordées sur différents revenus de l’état. Visconti était d’un caractère très-doux, mais en même temps très-ferme dans ses resolutions: il subit ces suppressions sans se plaindre et ne persista pas moins dans ses idées d’endépendance et de mariage ». (2) Attingo queste notizie daU’Eméric-David, che scrive: < Le prince Si-gismond Chigi, depuis long-temps son ami, persuadé que rien ne changerait — 64 - che nato a Pigna presso Saorgio, nelle Alpi marittime, il 1753, e venuto a Roma presso uno zio sacerdote, s’era fatto prete anche lui, e laureatosi in diritto civile e canonico, aspettava un impiego. Divenuto sottobibliotecario della Chigiana per opera del Visconti, al fianco suo e alla sua scuola, si dette all’ archeologia, nella quale doveva un giorno segnalarsi. Il Chigi volle che il Visconti gli facesse un quadro dello Stato attuale della Romana letteratura. Vi s’accinse, spartendolo in tre classi: belle lettere; scienze morali e filosofiche; giurisprudenza e religione. Non condusse a fine che la prima parte (1). Nel proemio dichiara al Principe: « Arduo è l’incarico che voi mi avete addossato e che la vostra rispettabile autorità mi obbliga di buon animo a subire: quantunque se difficil cosa mi sembrava per sè il delineare questo prospetto, difficilissima poj mi sembra il delinearlo per esporlo agli sguardi vostri, il qual tanto finamente e in arti e in lettere e in ogni genere di dottrine intendete, che assai vi distinguerebbero dal comune degli uomini le cognizioni vostre, quando assai non ve ne avesse la fortuna distinto coll’altezza della nascita e dello stato ». Non son lodi di penna cortigiana. Sigismondo Chigi, degno discendente d’Agostino il Magnifico, apparteneva ad una casa, che, per testimonianza di monsig. Giorgio D’Adda, suo contemporaneo, era « di ricchezze fra le prime » di Roma, « contandosi quasi scudi 70.000 annui d’ entrata, oltre le quantità di palazzi, ville, gioie, argenti e suppellettili » (2). Nato il 15 marzo del 1736, compiti gli studi a Siena nel Collegio Tolomei, si ammogliò nel ’67 con Flaminia Odescalchi bellissima e buona, che lo rese felice. Mortagli di parto a vent’ anni, rimase inconsolabile. « Se ne sta a Lucca (3), nè si sa sia per tornare, giacché la sa détermination, et voulant l’.indemniser de sa disgrâce, le nomma son bibliothécaire, le logea dans son palais, l’admit à sa table, et exigea de lui qu’il prit un secrétaire, et qu’ il ne s’ occupât que de ses études accoutumées ». (1) L’autografo si conserva nella Biblioteca nazionale di Parigi. Sopra una copia, che ne fece fare Felice Bellotti, fu stampato a pp. 25-46 dt' Due discorsi I inediti \ di | ennio Quirino visconti | con alcune sue lettere | e con altre a lui scritte | che ora per la prima volta \ vengono pubblicate \ In Milano | per Giovanni Resnati [Tip. Ronchetti e Ferrari] | MDCCCXLI; in-8.° di pp. VI-160. (2) felice calvi, Curiosità storiche e diplomatiche del secolo XVIII; corrispondenze segrete di grandi personaggi, Milano, Vallardi, 1878 ; pp. 348-349. (3) Durante il suo soggiorno a Lucca, il Chigi venne ascritto all’Accade-mia degli Oscuri di quella città; e avendo essa proposto il tema: « Se prefe-ribil fosse l’opulenza ad una onesta mediocrità di fortuna, ovvero il contra- — 65 - •di lui malinconia è prossima alla vera pazzia ». Son parole anche queste di monsig. D’Adda (1). Succeduto al padre nella carica di maresciallo perpetuo di Santa Chiesa e di custode del Conclave, ereditaria in famiglia, alla morte di papa Oanganelli bisognò che tornasse a Roma e assistesse al Conclave che dette la tiara a Gio. Angelo Braschi. Di lì a poco girò per la città, manoscritta e stampata, la satira famosa: II Conclave, dramma per musica, da recitarsi nel Teatro delle Dame nel carnevale del 1775. Si fingeva uscito dalla penna del Metastasio ; ma « si seppe che un signore romano di alto grado era stato il vero inventore ed estensore dell’infame libello». Così lo chiama l’ab. Francesco Becattini, facendosi eco degli sdegni del Sacro Collegio (2). 11 « signore romano », si capisce, è il principe Chigi. Però non gli fu torto un capello; il castigo cadde sulle deboli spalle dell’ab. Gaetano Sertor, fiorentino, che, imprigionato, confessò in versi a Pio VI d’averci avuto parte, ma non esserne il solo, nè il principale autore. Scrive: D’altro più illustre e più sublime ingegno Frutto iniquo è quel dramma..... Mia mano è ria, ma non il cuor; vergai, Com’altri, anch’io le ingiuriose carte, Ma i maligni pensier io non creai. Son opra altrui. Se, per altro, il Chigi non fu punito, ben si tirò addosso lo sdegno del nuovo pontefice, e rimase poi sempre in uggia alla curia e al go- rio », il Chigi compose « un sermone in quanto è possibile all’Oraziana, e questo in forma di dialogo, facendo interloquire due personaggi fra di loro, filosofi e amici, uno opulente e d’elevata condizione, l’altro di mediocre fortuna, per guisa che ciascuno dei due biasimasse il proprio stato, lodasse quel del com pagno. D’onde poi rivenire alla conclusione appunto d’Orazio: Nemo sua sorte contentus ». Si conserva manoscritto nella Biblioteca Chigiana, col titolo : Sermone all’Oraziana sopra un tema dato dall'Accademia di Lucca. Il Visconti non ne fa parola. (1) Nella stessa lettera, scritta da Roma il 19 decembre 1772, aggiunge : « Un unico figlio, lasciatogli dalla defunta sua moglie, è stroppiato, avendo li piedi rivoltati talmente che dovrà camminare con il malleolo invece delle piante ». „ , (2) FRANCESCO BECATTINI, Vita di Pio VI, Venezia, Tommaso Fontana '.tipografo editore, 1841, I, pp. 74-75. — 66 - verno. « Amico di filosofi e di adepti alla setta massonica, alla quale senza forse apparteneva egli stesso, puzzava di liberalismo lontano un miglio e si mostrava molto propenso alle idee di novità », che incominciavano a farsi strada anche sulle sponde del Tevere. « Amatore delle antichità (1), zelante del decoro e dell’utile di Roma, letterato, artista, audace sfidatore dell’ira papale, il principe Chigi era la provvidenza degli uomini ragguardevoli per intelligenza che si trovavano a Roma ». A questa libera scuola il futuro Console della Repubblica Romana educò la sua coscienza di cittadino e di patriota. Sta lì a provarlo appunto lo Stato attuale della letteratura, che scritto « molto liberamente e senza ritegno », è « un modello di critica svelta, incisiva, mordace » (2). Mentre in Roma (son parole del Visconti) « la schiera de’ semidotti, ludici* argutum quae non formidabat acumen, stanca di continuo i torchi con scritti effimeri, imitati e superficiali, e imprime intanto una taccia di frivolezza, qui più che altrove si disgustano dal comparire alla lucè gli uomini più valenti, e ciò per parecchi motivi: per difetto d’un favorevole incoraggiamento dalla parte del Governo, insensibile ad ogni merito di talenti e di lettere; e per mancanza d’una ragionevole ricompensa che suol procurare altrove ai letterati la medesima stampa; mancanza che proviene dalla divisione dell’Italia in tanti principati, ne’quali si può ristampare, senza intesa dell’autore, qualunque opera meriti alcun poco d’esser letta, così privandolo di quel profitto che la impressione d'un libro applaudito potrebbe procurargli, mediante la quale tanti inglesi e francesi han trovato nell’avidità del pubblico pe’ lor volumi un degno premio alle lor fatiche, senza sollecitare l’approvazione delle corti. A tuttociò si aggiunge la minuta censura de’teologanti, alla quale debbon sottoporsi le opere da darsi alle stampe, che se mai fu noiosa e piena di sospetti, lo è al presente, che Γ infinito zelo d’un Greco è in arbitrio di aprire o di chiudere il campo agl’ingegni ». Il « Greco » è il focoso e battagliero P. Tommaso Maria Mamaclii. Nato a Scio, una delle isole deH’Arcipeiago, quindicenne vestì a Firenze l’abito de’ Domenicani nel convento di S. Marco; trasferitosi a Roma, insegnò filosofia nel Collegio (1) Tra il 1777 e il 1780 fece con felice successo degli scavi archeologici nella tenuta di Porcigliano del barone Del Nero. (2) ademollo AUn processo celebre di veneficio a Roma nel 1790; nella Nuova Antologia, seconda serie, vol. XXVII, pp. 593*594, 597-598, e 600. — 67 — •di Propaganda, fu bibliotecario della Casanatense e segretario della Congregazione dell’indice; maestro del S. Palazzo, menava le forbici come censore con intollerante ferocia. Benché anonime, son sue le note alla ristampa della Storia della letteratura italiana del Tiraboschi, fatta a Roma dal Salvioni nel 1784; nelle quali passa il segno. Il Tira-boschi afferma che il sistema copernicano era « evidentemente confermato e dimostrato »; ed il Mamachi, perse le staffe, con Giosuè al fianco, lo stolto decreto di papa Barberini e le opere di S. Agostino alla mano gli grida: « Non solo presso chi non adotta il sistema, ma anche presso molti copernicani questo non passa per dimostrato ». Tutte di questo conio le censure del frate! Il Tiraboschi lo ridusse al silenzio con una lettera a stampa, intessuta di fine e garbata ironia; prima di lui, il P. Francesco Antonio Zaccaria e il P. Gio. Domenico Mansi, alla loro volta assaliti da quel fanatico, gli assestarono tali colpi, da farlo stramazzare per le terre; e il cav. Salvatore Spirito, marchese di Casabona, l’aveva messo alla gogna con la caustica satira: La Mamachiana per chi vuol divertirsi. Nel trattare della poesia in Roma, il Visconti si rifà dall’Arcadia che con la « semplicità della poesia pastorale si sforzò di disgustare il secolo dallo stile ampolloso » e « giunse a estinguere in poco tempo il cattivo gusto; ma richiamando i giovani più alla lettura de’ classici italiani che de’ latini e de’ greci non giunse a sostituire un vero gusto al cattivo che aveva estinto, nè potè dare de’ poeti da giungere alla posterità. Un solo romano, uscito dalla scuola di Gravina, conobbe il vero metodo ed arricchì l'italiana poesia d’un dramma musicale che si meritò l'ammirazione degli stranieri e che passerà alla lettura de’ posteri. Questo genere stesso non ebbe, per altro, neppur la vita di Metastasio, chè la corruttela del gusto musicale si strascinò dietro la poesia, e son già degli anni che l’Italia vede sui suoi teatri musici i più insipidi e miserabili drammi, o sian comici, o tragici, che abbian mai avvilito il teatro d’una nazione. L’Arcadia degenerò ben presto dal suo istituto. I suoi pastori, a forza di raffinamento, sembrarono imuiti triviis ac paenc forenses. Il genere stesso pastorale fu quasi abbandonato; e siccome questa Accademia in niuno esercizio utile d’istruzione o di critica suol trattenersi, ma solo in quello d’alcune recite periodiche, nacque di qui un nuovo genere di corruttela, che si conosce in Roma col nome di stile arcadico, i cui autori sembrali non prefiggersi altra meta che quella — 68 - d’esprimere il plauso e d’eccitare i clamori d’una oziosa e poco dotta udienza, onde una maniera lian formata falsa, eccessiva e volgare. Alcuni han preteso di riformarla, ma non le hanno sostituito altro stile che il-frugoniano; e siccome decipit exemplar vitiis imitabile, han ricopiato la prolissità di quel fecondo poeta, e la sua neologia, senza partecipare nulla della sua fervida immaginazione. 11 verso sciolto, coltivato da questo scrittore, rapì sul principio tutti gli applausi, ma la mancanza della rima poco lusingava le orecchie dell’udienza, per piacere alla quale si era cominciata ad introdurre nel secolo di Nerone sin nel verso latino. Fu dunque d’uopo di nuovi sforzi: lo stile si caricò sempre più: si cercarono ad ogni verso antitesi che si risolvevano spesso in contradiziom, acumi che insegnavano ad esprimere difficilmente Iç cose comuni. Finalmente tutto ciò non bastando, per non far desiderare le armoniose attrattive del verso rimato, si cominciò ad abbandonare gli sciolti. Pure questo genere di poesia, o per meglio dir questa forma, si è veduta a’ dì nostri innalzata in Roma a tanta grazia, eleganza, varietà ed armonia di numero, che dopo l'Aminta del Tasso, unico ed immortale esemplare de’ buoni sciolti italiani, non si era ancora ascoltato il simile ». Parla del poema didascalico del principe Sigismondo Chigi: L’Economia naturale e civile, del quale avevano veduta la luce in Parigi, co’ torchi del Valade, nel 1781 i due primi libri; dedicati a Pietro Leopoldo, granduca di Toscana. « Ognuno che leggerà que’ due coltissimi poemetti » (è il Visconti che scrive) « vedrà quanto diverse sieno le vie che ns ha calcato l’autore dalle comuni. La lettura d’Omero, da cui è trasportata nel secondo libro la descrizione mirabile dello scudo, vi trasparisce di tratto in tratto. Le allusioni a Lucrezio son frequentissime; frequente l’imitazione di Virgilio e di Teocrito, d’Esiodo e d’Orazio. Le più belle tinte di Dante e di Petrarca, quelle de’ due sommi cinquecentisti, vengono volontarie a vestirne i pensieri. L’atticismo della lingua fa risaltare le espressioni più semplici. L’argomento didascalico, vastissimo ed importantissimo, comunica alla poesia la dignità e le bellezze delle pili gravi filosofiche scienze; talché può veracemente aversi questo scritto per la più distinta poetica produzione che possa onorare i fasti della nostra presente letteratura ». « Il volgo de’ poeti » (prosegue il Visconti), « con pregiudizio tutto opposto a quel de’ tempi oraziani, sembra che stimi gli esemplari migliori a misura che son più recenti. Non si contentano di abbandonare ! greci e i latini, trascurano i trecentisti e i cinquecentisti; Frugoni, Lorenzini, — 69 - Zappi, Petrossellini, Bettinelli, Algarotti sono i soli autori che leggonsi e r'leggonsi da questa scuola. Quindi un’altra se n’ è formata, che tutto ammira ciò che nel beato secolo XVI è uscito dalle penne italiane; nè solo rende ai due immortali poemi quella lode che tutti loro tributano, ma qualunque scritto di secondarii ingegni è uscito alla luce in quel tempo, tutto tolgono a modello, e de’ più minuziosi aneddoti tengon conto, d’ogni composizion più negletta fanno tesoro. Aggiungono questi tali un certo disprezzo per tuttociò che in quel secolo non si conobbe: fan perciò pochissimo caso delle scienze che rinacquero pressoché tutte nel secolo scorso, e di tutta la straniera poetica letteratura. Occupati poi de’ loro cinquecentisti, lodan bensì gli antichi, che sono i maestri de’ lor favoriti scrittori, ma non molto gli studiano; e per loro la scoperta dell’inno Omerico a Cerere, fatta in Moscovia, o l’altra che si dice delle Deche Liviane in Marocco, è meno importante di quella di qualche lettera o inedito scartabello che c’ informi d’un raffreddore del Tasso. Ognun vede che questa classe di letterati è poco al caso di richiamare al vero gusto la impaziente schiera poetica. Altri, in opposizione di questi, non leggono che gli oltramontani, e se superano i primi nella novità e nella importanza delle idee, perdono poi questi vantaggi coi barbarismi e coll’asprezza dello stile e dell’espressione. Così gli amatori degli studii poetici vati, per cosi dire, barcollando in cerca del sentier di Parnasso, senza mai imbattersi nel vero, che è e sarà sempre Io studio de’ grandi originali greci e latini, unito alla lettura de’ moderni classici dellé colte lingue d’Europa». Soggiunge: «· In questa gentral condizione delle lettere poetiche è necessario annoverar quelli che dal volgo si son distinti ». Ricorda, prima di ogni altro, Vincenzo Monti, che « nella lirica poesia ha un merito non ordinario. Vivace, nobile, grande è la sua immaginazione, che anima tutte le sue frasi e dà un vaghissimo colorito a’suoi pensieri. Il suo verso è facile ed armonioso: il suo stile è formato particolarmente sul-l'Ariosto. Non ha ugual pregio nella condotta de’ componimenti e nella scelta delle idee. Si lascia trasportare troppo o dalla sua fantasia, o dall’imitazione di qualche nuovo scrittore oltramontano, che gli capita alle mani. La sua dizione non è esente da difetti. Fu sul principio entusiasta per David e per Isaia. Poi lo è divenuto pel tedesco Goethe. Ciò non ostante, i due tomi di sue poesie, stampati a Livorno » nel 1779, co’ torchi dell'Enciclopedia, ed a Siena il 1783, per il Pazzini e Carli, « offrono, nel genere lirico, de’pezzi degni d’esser letti, come, fra gli altri, il canto — 70 — in terzine sulla Bellezza dell’Universo. I suoi sciolti sono alquanto negletti e prosaici: ha egli tentato qualche cosa di drammatico, ed ora sta componendo una tragedia, ambidui i generi con poca riuscita ». Era l'Aristodemo. Dionigi Strocchi il 14 febbraio del 1786 sciiveva al fratello: « Domenica passata Monti fece una recita generale della sua tragedia per due volte, la mattina in sua casa, la sera in quella del cardinal Boschi, ove intervenne, tra molti altri signori, don Luigi [Braschi]. Non vi so dire abbastanza la sorpresa, la compunzione e le lagrime di tutti. Non v’è dubbio, quella tragedia è un capo d’opera, lo stimava Monti infinitamente; pure ha superata la mia aspettazione. Il giudizio che comunemente si dà di questa tragedia è che sia il miglior lavoro di teatro che abbia l’Italia » (1). Il Monti stesso la recitò nel palazzo Sori dove egli abitava, poi nel teatro degl’ Imperiti, sostenendo tutte e due le volte la parte del protagonista, e Teresa Pikler — la futura moglie quella di Cesira. « E Iddio vi dica se piacesse agli amici corsi in folla ad udirla, tanto più che il poeta la declamò con tal impeto ed ardore, che nel ferirsi dell’ ultima scena ei si sarebbe punto daddovero con l’aguzzo stilo di legno, se mano amichevole non gli avesse porto in quella vece un pugnai di cartone » (2). In quello stesso anno fu stampata a Parma dal Bodoni; « edizione veramente sorprendente », da essere impossibile « farla più bella e grandiosa », a giudizio di Pio VI. Con felice riuscita per due volte andò sulle scene del Reai Teatro di Parma, e vi conseguì il premio che da Ferdinando di Borbone si conferiva annualmente alla migliore produzione drammatica. Andò sulle scene anche a Roma, al Teatro Valle, la sera del 6 gennaio ’87, » assai felicemente e « con frenetici applausi ». Il « bello stile del poeta » e la * eccellente esecuzione della tragedia », al dire di Volfango Goethe, che vi fu presente, guadagnarono il pubblico « fino dal principio » (3). Il Monti scriveva al Bodoni: « Nel teatro Valle fu recitata ieri sera la mia tragedia. Io non v’ intervenni, ma finita la rappresentazione, fu inondata la mia casa di gente, che parea forsennata pel piacere..... Tutti convengono non essersi mai veduto in Roma spet- (1) DIONIGI STROCCHI, Lettere edite e inedite; I, 13-14. (2) Achille monti, Vincenzo Monti, ricerche storiche e letterarie, Firenze, Barbèra, 1873, p. 225. (3) LEONE vicCHl, Vincenzo Monti, le lettere e la politica in Italia dal 1750 al 1830 (decennio 1781- 1790), Faenza, Conti, 1883, pp. 107-110 tacolo simile, nè simile furore d’applausi » (1). A quel trionfo ebbe la parte sua il Visconti, con gli utili consigli che gli dette, e il Monti stesso lo confessa. « Fino dalle prime letture ch’io feci de\\’Aristodemo » — son sue parole — «il signor abate Ennio Quirino Visconti, uomo sommo e maggiore di tutti gli elogi possibili, mi disse all’orecchio: — La tua tragedia è senza catastrofe. — Aristodemo palesa nel primo atto la sua intenzione d’uccidersi, l’accenna nel secondo, la ripete nel terzo, la conferma nel quarto, e l’eseguisce nel quinto. Dunque non v’è catastrofe. A dir vero io jni lusingava che l’agnizione di Cesira dovesse valere per un’abbondante catastrofe, e lo credette pur meco qualche amico di senno. Ma questa catastrofe il signor Visconti la trovò bastarda, perchè il cangiamento che quella agnizione produce non si fa che nell’animo dello spettatore. Quindi mi persuasi facilmente del torto, di cui il signor Visconti mi aveva avvertito in segreto; io lo feci subitamente pubblico, perchè anche a mie spese sacrifico, bisognando, alla verità; parendomi che l’unica grandezza d’animo della quale io possa vantarmi sia il riconoscere e confessare la mia picciolezza. La censura dunque d’un tanto uomo si sparse subito; e tutti, anche quelli che non avevano sentito l'Aristodemo, se ne fecero belli. Io badava intanto a emendare la catastrofe » (2). Ebbe a notarlo con l’acume suo Bonaventura Zumbini: « II celebre Ennio Quirino Visconti aveva osservato che Aristodemo palesava, nel primo atto, l’intenzione di uccidersi, l’accennava nel secondo, la ripeteva nel terzo, la confermava nel quarto, e l’eseguiva nel quinto: dunque non v' era catastrofe. E il poeta si diede a emendare il grosso sbaglio: tolse inferamente dal primo e dal secondo atto Γ immagine del suicidio, facendola, negli atti seguenti, venire e sparir subito una seconda volta, e ritornare in ultimo più salda e più potente che mai. Immaginò, inoltre, alcuni accidenti, i quali inducessero la speranza che Aristodemo non troverebbe modo di recare ad effetto il suo feroce proposito. Con tali correzioni parvegli di avere introdotto nella tragedia un’evidente catastrofe, e tolto di mezzo il motivo di quella censura. Ora (1) MONTI V., Opere inedite e rare, Milano, presso la Società degli editori degli Annali universali delle Scienze e dell'industria, 1834; V, 1S. (2) monti V., Esame critico dell'autore sopra ΓAristodemo; nelle Tragedie, drammi e cantate di VINCENZO MONTI, con appendice di versi inediti o rari, a cura di 0. CARDUCCI, Firenze, 0. Barbèra, editore, 1865, pp. 200-201. — 72 — tutti codesti mutamenti ruppero, senza dubbio, la monotonia e produssero negli spettatori una tal quale sospensione, in luogo di quella certezza che anticipava fin dalie prime scene l’impressione finale; ma il ver0 e massimo difetto della tragedia non mi pare che lo emendassero » (')· « Giudizio non tutto favorevole al Monti » è quello del Visconti, ma, come notò il pronipote biografo ed apologista, è un giudizio da « non far meraviglia, non avendo egli allora scritto che le prime sue liriche» (2). «Conviene indispensabilmente rammentare» — ripeteiò con Leone Vicchi — « che il nostro poeta non cessò mai dal ripulii e e dal correggere in età matura i versi della giovinezza, e nella vecchiaia i versi dell’ età matura. Questa dimenticanza ha fatto sì che bibliografi ed eruditi, sotto ogni riguardo rispettabili, concepirono de’ primi slanci poetici del Monti un’ idea troppo vantaggiosa e troppo lontana dal vero ». La Prosopopea di Pericle, « scritta ad insinuazione dell’amico E. Q. Visconti », infatti « suona ben diversamente nelle prime stampe del Saio-moni e del Pazzini », di quello che si legga poi nelle edizioni del Bodoni e del Lampato, del Le Monnier e del Barbèra. « Nè esistono due sole lezioni della Prosopopea di Pericle. Altre ve ne hanno; e non poche» (3). La Bellezza dell' Universo, canto che il Visconti dichiarò « degno d’esser letto », fu il primo componimento poetico che desse veramente grido al Monti (4). Ebbe anch’ esso i suoi ritocchi dall’autore; però in misura minore della Prosopopea; non solo emendata dal primo all’ultimo verso, ma in gran parte rifatta nell’edizione bodoniana del 1787, e sempre poi ricorretta (5). 11 poeta, sfavillante dalla gioia scriveva al fratello, il 25 a- (1) ZUMBINI BONAVENTURA, Sulle poesie di Vincenzo Monti studi [3.a edizione], Firenze, Successori Le Monnier, 1894; pp. 55-56. (2) ACHILLE MONTI, Op. cit., p. 134, in nota. (3) leone vicchi, Vincenzo Monti, le lettere e la politica in Italia dal 1750 al 1830 (triennio 1778- 1780), Roma, Forzani, 1885, pp. 305-307. (4) Uscì alle stampe col titolo: La Bellezza dell’Universo, canto dell'ab. VINCENZO MONTI, ferrarese, con versione libera in francese di M. BLAUVILLAIN, Roma, per Antonio Fulgoni, con licenza de’superiori, MDCCLXXXI, in-8.° di pp. 32. L ' Efe me ridi letterarie ne tesserono le lodi nella dispensa del 13 ottobre di quell’anno. (5) Giovanni Resnati neH’edizione delle Poesie varie del Monti, da lui fatta a Milano il 1839, a pp. 89-94 da la Prosopopea di Pericle, seg iendo « la lezione della Tipografia de’ Classici », la quale « è conforme, salvo pochissime mutazioni, alla Bodoniana del 1787 »; ed a pp. 421-422 riproduce » questo - 73 — gosto dell*81 : « Ha fatto e fa tuttavia strepito grande per Roma un capitolo, o canto, come volete, che io recitai domenica passata nell’Acca-demia del Bosco Parrasio sopra la Bellezza dell’ Universo, in occasione che l’Arcadia fece l’acclamazione dei nepoti del Papa, ai quali sopra tutto fece un’impressione grandissima» (1). Tanto grande, che Don Luigi Braschi Onesti, nel novembre di quell’anno, lo nominò suo segretario. Un giorno, seguendolo alle caccie che esso dava ne’ contorni di Terracina, si abbattè nella fonte Feronia, rammentata da Orazio, ed essendovisi lavato ora mannsque, come il poeta di Venosa, gli balenò il pensiero di cantare le vicende di Feronia, le quali « potevangli dare bel campo per immortalare le opere che Pio VI, con veramente regale munificenza, aveva intraprese per bonificare e rendere alla coltura il territorio Pontino, divenuto una trista e malsana palude ». Come il Monti stesso racconto a Gio. Antonio Maggi, « fattone parola al sommo archeologo Ennio Quirino Visconti, questi gli suggerì le opere del Kircher, del Corradini e del Volpi sull’antico Lazio, come quelle che gli avrebbero somministrata ampia materia onde ornare di bella erudizione e di nazionali memorie il suo lavoro »; al quale si accinse animoso, « nella quo- f tidiana conversazione del Visconti bevendo l’amore de’classici studii » (2), Il Visconti, « fra’ poeti arcadici » d’allora, afferma si distinguesse l’ab. Antonino Galfo, ex gesuita palermitano, « autore d’un canzoniere e d’una traduzione del Catoni d’Addisson ». Nel 1780 stampò II Socrater componimento drammatico, a giudizio del Visconti stesso, « pieno di bei sentimenti, di leggiadri versi, d’ingegnosi pensieri e degno del suo elegantissimo autore, il quale si mostra seguace fortunato della musa d’Artino - (3). Di questa tragedia il Metastasio lodò il « robusto insieme e componimento come fu stampato la prima volta ne’ Voti quinquennali celebrati in Roma, nel Bosco Parrasio, l’anno 1780 ». (1) MONTI V., Lettere inedite e sparse, Torino, Roux e C., 1893; I, 62. (2) maggi G. A., Intorno alla vita e alle opere del cav. Vincenzo Monti, cenni; nelle Opere di VINCENZO MONTI, Milano, presso Giovanni Resnati, 1839, tom. I, p. XX; e Avvertimento del Maggi alla Feroniade, nelle Opere suddette, tom. Il, p· 451. (3) Dette questo giudizio per commissione del Maestro del S. Palazzo ed è a stampa. Cfr. // Socrate, componimento drammatico del signor abate D. ANTONIO QALI O, censore degli Accademici Quirini ecc. ecc., Roma, P. Giunchi, MDCCLXXX, p. 6. — 74 — lusinghiero stile », la « vivacità delle immagini », la « ricchezza dei pensieri », la « solida dottrina »; concludendo, che il Galfo « ha coraggiosamente preso e felicemente sostiene il difficile impegno d’andar sempre superando se stesso » (1). Si sveleni contro il Monti, « poeta stolto », « franco all’orgie e ai tradimenti », « sempre infido », sordo « ad ogni fè »; e il Monti lo bollò col ferro e col fuoco nel turpe sonetto a Quirino, chiamandolo ladro e sodomita, « brigante, truffator, bardassa ». Tra’ « poeti arcadici » il Visconti non scordò l’ab. Gioacchino Pizzi, custode generale d’Arcadia e accademico della Crusca, « poeta manierato, ma fecondo immaginatore e versificatore armonioso ». Dell’ab. Nardecchia scrive: « Avrebbe il vero tono dell’anacreontica se non fosse restato inculto il suo bel talento ». Ricorda l’ab. Matteo Berardi, nemico esso mire del Monti, che « nelle satire personali » ha « sovente » lo spirito di Marziale, ma che non ha mai studiato abbastanza per intendere nè Orazio, nè Giovenale, nè Boileau »; e lo Zacchiroli, vivace scrittore d’alcuni dialoghi e prose » e « d’alcuni pezzi poetici, pieni di spirito brillante e d’arguti pensieri, scritti assai neglettamente, e per la lingua appena sof-fribili ». Non scorda l’ab. Giuseppe Petrosellini, segretario del principe Giustiniani e « nipote di quel Domenico Ottavio, conosciuto sotto il nome arcadico di Eniso Pelasgo ». Sembra «qualche volta cantar sulla cetra del zio, ma nel dramma giocoso, eh’è la sua occupazione annuale, si è prostituito sino a dilettare il più basso volgo; e il poco di buono che vi traspare ne’ caratteri ne’ comici scherzi ed in una certa spontaneità di stile, resta soffocato da tante bassezze, inverisimiglianze e servilità, che Io escludono affatto da ogni pretensione letteraria . Nè dimentica Appiano Buonafede di Comacchio — il celebre Agatopisto Cromaziano, frustato a sangue dal Baretti — « che ha dato, in sonetti, due tomi dei ritratti poetici d’uomini illustri in letteratura, e oltracciò è autore di parecchi sciolti ed altre composizioni in versi. La vivacità e lo spirito del suo stile si mostrano ancor ne’ suoi versi, che però han poco tono poetico, e sono avviliti da un’affettata franchezza. Il libro, per altro, è utile; e stimabili sarebbero le annotazioni, se non fosser quasi letteralmente compilate dal Dizionario di Bayle ». Conclude: « Gli altri generi (1) VICCHI L., Vincenzo Monti, le lettere e la politica in Italia dal 1750 al 1830 (triennio 1778- 1780), Roma, Forzani, 1885, p. 334. — 75 - di poesia italiana non han veruno, o solo infelice coltivatore »; invece la poesia latina presenta « miglior prospetto », vantando Benedetto Stay di Ragusa, lettore emerito di storia nell’Università Romana e segretario delle lettere latine a’principi; Raimondo Cunich, raguseo anch’esso, professore d’eloquenza nel Collegio Romano; Giuseppe Antonio Taruffi della Porretta e Stefano Antonio Morcelli di Chiari, in quel di Brescia. « Questi nobili ingegni fanno salire il vanto della nostra letteratura in tal genere sovra quella di ciascun’ altra metropoli, tanto son salutari que’ fonti ove chi siegue le latine muse è forzato attignere ». Lo Stay « ha saputo cantare in bei versi lucreziani la filosofia di Cartesio e di Newton; meno ardito e meno sublime del poeta epicureo, vi occupa incontrastabilmente il primo posto »; il Cunich nella sua traduzione dell’ Iliade ci ha fatto sentire Omero parlante colle frasi di Virgilio; autore oltracciò di tanti elegantissimi poemetti e d’altre traduzioni dal greco, fra le quali son notabili quelle di molti scelti epigrammi dell’ Antologia. Se egli avesse potuto accoppiare la sua rara eleganza ad una fantasia più svegliata, non avremmo da desiderare nelle sue traduzioni il colorito de’ greci ». Il Taruffi « è più poeta ed ugualmente elegante; non ha fatto però valere la sua poetica abilità in disegni così utili e vasti come quelli del Cunich, È autore di bellissime elegie, fra le quali distinguons! quella su’ globi areo.statici, e la traduzione che sta terminando dell’ inno Omerico a Cerere; uomo altronde d’una rara cognizione, fornito di lingue moderne e di scienze ». Il « dottissimo » ex gesuita Morcelli « ne’ suoi sermoni mostra la sicurezza d’ un antico del buon secolo, manca solo d’ una certa festività, che par propria di quel genere; ugualmente colto scrittore di prosa e profondamente versato nell’antiquaria erudizione ». Il Visconti, « in tanta abbondanza di poeti », trova « appena uno o due che scrivali la prosa con eleganza ». A suo giudizio, « eloquentissimo » è il discorso di Sigismondo Chigi per l’elezione di Giuseppe II a Re de’Romani, rimasto inedito e andato disperso. L’elogio del Meta-stasio, composto dal Taruffi, lo ritiene « una prova, unica bensì, ma significante, del suo valore nella prosa italiana ». Altri scrittori «■ non può vantare l’arte oratoria». Le lettere latine però « hanno per questa parte ancora miglior fortuna ». Lo stile del Morcelli « è scelto »; quello di Giuseppe Maria Mazzolari di Pesaro, « eloquente, quantunque i morali argomenti delle sue orazioni siano alquanto comuni ». Gaspare Garatoni di Ravenna, bibliotecario della Barberina, « possiede in grado notabile il - 76 - latino stile epistolare »; l’ab. Francesco Parisi si mostra « abbastanza erudito -» nelle sue Istruzioni per la gioventù impiegata nelle Segniate della Corte Romana, venute alla luce nel 1785, mentre il Visconti sta appunto scrivendo la sua dissertazione. La tristizia de’tempi strappa di bocca ad Ennio Quirino »n amar confessione: « La storia politica non ha scrittori presso di noi, e Pel la nostra storia civile si confonde con la ecclesiastica, e perchè la facolta istorica abbisogna, più di qualunque altra, di quella libertà che q**1 S1 niega alla stampa. Si provvede meglio alla riputazione delle nostre let tere non facendo caso « nè del marchese Lottario Ottieri, continuatore delle sonnacchiose storie paterne, nè del cancelliere Guasco, autore il >in tomo di proseguimento agli Annali d'Italia del Muratori; scrittore altresì di parecchie opere antiquarie, tutte ugualmente al di sotto del mediocre Nelle Memorie isteriche della pontificia città di Benevento dal secolo VU! al secolo XVIII di monsig. Stefano Borgia « varie notizie, ricercate con diligenza ed appurate con raziocinio, schiariscono molti punti legati ancora colla storia generale d’Italia. La mancanza però di un certo artifizi» di narrativa e d’una colta eguaglianza di stile, oltre quella d’ogni vista morale », obbliga il Visconti » a classificarlo piuttosto fra gli scrittoli critici ed antiquarii che fra i veri storici ». In fatto di storia letteraria il P. Francesco Antonio Zaccaria ha «le più vaste e le più varie notizie ». La Storia della Filosofia di Appiano Buonafede è « tratta quasi interamente dalla grand’ opera del Bruckero », ed è scritta « con molta vivacità, al suo solito, ma insieme con molta affettazione ». Si arroga esso « 1’ eloquenza come suo pregio particolare, ma l’eloquenza sua non è di buon conio; seppure può dirsi eloquente uno stile dove la smania di brillare trasparisce in ogni periodo, e si dicon de’ nulla con tanto apparato ». Gli Archiatri pontificj del « dotto » ab. Gaetano Marini son pieni « d’accurate, recondite e parecchie volte interessanti notizie, sì per la storia della medicina, come anche per la storia letteraria in genere e per la civile ». La Vita del Tasso dell’ab. Pier Antonio Serassi, bergamasco, è scritta « assai coltamente », e * le notizie che riguardano Torquato sono infinite, spesso nuove, appurate con buona critica ». Nella « vera filologia » greca e latina « il nome che si fa pronunziare con più rispetto è dell’ex gesuita d. Vito Giovenazzi, versatissimo nell’intelligenza de1 grammatici antichi, specialmente latini. La sua Dissertazione sulla città d’Aveja ne' Vestini è un’ opera dottissima, piena di belle e nuove interpretazioni sì d’antiche lapidi, che di passi di oscuri vetusti scrittori, ed abbondante di recondita erudizione. Egli ha dissotterrato il frammento Liviano, edito in Roma a’ giorni nostri, e Io ha illiir strato con buona critica.....È autore di molte iscrizioni, sì in prosa, che · in versi: tutte pero stese in uno stile, latino sì, ma oscuro e snervato. Poco più felice autore d’iscrizioni è l’ab. Morcelli, che le compone per lo più con troppo d’affettazione, quantunque il suo libro De stilo inscriptionum ne racchiuda i più veri, i più particolarizzati precetti, soggiunti a una moltitudine di esempli d’antichi ed illustrati con un dotto, ameno ed elegantissimo commentario » (1). L’ab. Gio. Cristoforo Amaduzzi di Savignano nella Romagna, prefetto della tipografia di Propaganda, ha « molto grido nelle facoltà filologiche, più col numero e colla frequenza de’ suoi opuscoli, commenti,, dissertazioni, che col valore delle sue opere ». Il suo più vero merito (1) Il Visconti così tornò a scrivere di lui il 22 marzo del 1811: » II Sig, ab. Morcelli, nativo di Chiari nel già Stato Veneto, era molto stimato sì per la sua erudizione, sì pel suo buon gusto nello scriver latino, sin dal tempo eli’ egli apparteneva alla Compagnia di Oesù. Era ancor giovane quando questa fu soppressa nel 1773. L’anno 1781 pubblicò in Roma un’opera eccellente De stilo Inscriptionum (un voi. in -4.» ), nella quale non solo dà i veri precetti ed inspira il vero gusto per iscrivere iscrizioni latine, ma illustra ancora con molta erudizione parecchie centinaia d’antiche lapidi scelte come per esemplari; spiega con elegante e nobile stile molti punti d’antichità, e finalmente produce una quantità di belle iscrizioni moderne, la maggior parte da lui composte, e che servono di regola per l’applicazione de’ precetti, e per la maniera d’imitare gli antichi esempli. Nel 1783 diè alla luce una Collezione di Iscrizioni latine che gli erano state dimandate in diverse occasioni, e le arricchì d’un commentario, dove compariscono il suo discernimento e il suo sapere; quantunque alcuna volta le sue allusioni alle frasi antiche per esprimere le cose moderne sieno sembrate troppo dotte e ricercate. Nel 1783 egli diede alle stampe in un volume in-8° due libri di poesie latine,che sono d’un genere medio, e portano il titolo di Sermones come que’ d’Orazio, ma riguardano specialmente la critica letteraria. Il Calendario della Chiesa Costantinopolitana greco-latino fu pubblicato l’anno 1788, due volumi in-4° , dal manoscritto originale che era allora nella Biblioteca Albani. Il Commentario, che vi è soggiunto, è una prova dell’abilità del Morcelli nella lingua greca e della sua erudizione negli studi sacri. Una grand’opera, ch’egli ha terminata, ma non edita sarebbe un monumento assai più considerabile della sua perizia in quest’ultima classe di studi. Essa è VAfrica cristiana, colla quale il dotto autore riempie una lacuna che resta nella storia e nella geografia ecclesiastica ». Fu poi pubblicata a Brescia, nel 1816, in tre volumi. — 78 - consiste in una vasta cognizione di bibliografia, particolarmente filol°glca· « E in ogni genere di notizie e particolarmente bibliografiche si distin gue » il P. Giambattista Audifredi di Saorgio, primo bibliotecario della Casanatense. « Versato nelle lettere e nelle scienze, è forse l’uomo più enciclopedico che abbiamo in Roma/Valente astronomo, dotto antiquario, buon naturalista, eccellente bibliografo, ha scritto con lode in questi diversi generi, ed ultimamente pubblicò un’operetta sull’edizioni romane del secolo XV, piena di belle notizie ed osservazioni ». « Settimanalmente » uscivano alla luce in Roma « due fogli perl0' dici » di 8 pagine in — 4.° piccolo: l’Efemeridi letterarie, che si stampavano all’insegna d’Omero sul Corso e davan conto de’ c nuovi libri (1); e l'Antologia, impressa dal tipografo Giovanni Zempel, che annunziava « le novità delle scienze » (2). L’ab. Pessuti, « che li dirige, ha un gran merito nelle matematiche; gli articoli perciò de\V Efemeridi, che trattan di libri matematici sono eccellenti; gli altri per lo più deboli e (1) A Gio. Lodovico Bianconi, bolognese, nacque il pensiero * d'intraprendere un Foglio periodico, che le notizie contenesse dei nuovi libri e specialmente di quelli che in Roma venissero alla luce, e di formarne gli estratti e anche di darne su loro congruenti giudizi.....A questa scabrosa e sempre cimentosa impresa si associò egli parecchi letterati suoi amici. La cura dell’estensione di questo nuovo Foglio, che ebbe principio nell’ anno 1773 col titolo di Efemeridi letterarie di Roma fu appoggiata all’ab. Giacinto Ceruti, piemontese...... Quando il Ceruti andò in Spagna, chiamatovi colà per precettore di matematiche nelle Regie Scuole Militari subentrò a lui il Sig. Vincenzo Bartolucci di Canziano ». che * presto dimise il laborioso lavoro ». Fu « suo successore il Sig. Gioacchino Pessuti, romano, ben capace sotto tutti gli aspetti di corrispondere al letterario peso addossatosi...... Da mano sì abile dirette le Efemeridi proseguirono felicemente a pubblicarsi sino al fatale anno 1798 ». Cfr. RENAZZi F. M., Storia dell' Università degli studi di Roma, detta comunemente la Sapienza, che contiene anche un saggio storico della letteratura romana dal principio del secolo Xllì sino al declinare del secolo XVIII, Roma, Pagliarini, 1806, vol. IV, pp. 292-294. (2) Anche ΓAntologia Romana, che « incominciò a pubblicarsi al principio di luglio del 1774 », ebbe per fondatore il Bianconi, il quale ebbe per collaboratore « il rinomato abate Gio. Cristoforo Amaduzzi, professore di lingua greca in Sapienza ». Dopo la sua morte, avvenuta il 1781, la direzione passò nelle mani del Pessuti. « Era già stato in Pietroburgo, chiamato colà per maestro nella Scuola militare del Genio. La fama di sua singolare abilità accompa-gnollo nel ritorno a Roma, e aprigli l’adito a subentrare al P. Francesco Maria Gaudio giubilato nella lettura delle matematiche miste alla Sapienza >. Cfr. renazzi F. M. Op. cit.; IV, 270 e 292. — 79 — pieni di troppe lodi agli autori. L'Antologia è ordinariamente un estratto d’altri giornali, ove suol inserirsi un breve elogio de’letterati defunti ». Delle « lingue dotte » scrive: « Roma non ha più un vero grecista: alcuni greci di nazione, e che professano in Roma le greche lettere, non le conoscono che superficialmente. L’ab. Stefanopoli ne ha qualche più estesa notizia; e intendono il greco il danese Zoega, Giovenazzi e Cunich ». La lingua ebraica e tutte le orientali vantavano « un sommo cultore » nel P. Antonio Giorgi, agostiniano, che « tutte » le conosceva « profondamente »; il suo libro sull’alfabeto Tibetano e la dissertazione sull’iscrizione Palmirena del Campidoglio « fanno ascendere la fama di lui nell’intelligenza delle lingue esotiche molto più che non facciano i suoi studii teologici, avuti in gran pregio da una sola classe, o più veramente setta, di persone ». Eccoci all’antiquaria; il campo suo (1). Non spigolo, nè riassumo; trascrivo : (1) Dell’antiquaria così tornò a scrivere nel 1808: * L’histoire de l’ar-chez les anciens, qui a répandu, avec raison, dans toute l’Europe, la réputation de Winckelmann n’ est cependant, à proprement parler, qu’ une e-squisse: un ouvrage complet sur le même sujet pourroit à peine être conduit à sa perfection par les travaux successifs de plusieurs hommes de lettres. L’espèce d’ordre dans lequel l’antiquaire Allemand a disposé cette matière immense a l’avantage de faire connoître les lacunes qu’il étoit extrêmement difficile de remarquer dans le recueil peu méthodique du savant François lunîus. La tâche des antiquaires est de remplir ces lacunes et de rectifier un grand nombre d’idées et de propositions erronées enoncées par Winckelmann. M. Heyne s’en est occupé avec succès, et a relevé, dans plusieurs discussions insérées dans ses Opuscula tuademica, imprimés â Gottin-gue, un assez grand nombre des erreurs échappées à Winckelmann ». Seguita: « L’antiquité expliquée du P. Montfaucon est un de ces exemples de plans parfaitement conçus, mais trop foiblement exécutés. A la vérité, la vie d’un seul homme n’auroit pu suffire à une tâche si considérable et si difficile, sur-tout dans l’état où étoient alors les connoissances archéographiques. Les savans n’ en avoient pas encore fait l’objet de leurs études, et n’ avoient point examiné les monumens avec le flambeau de la critique; ils s’étoient bornés â l’étude des médailles et des inscriptions, dont on avoit commencé à former, depuis le XV « siècle, des collections où l’on trou voit réunis un grand nombre d’objects de comparaison. Mais comment comparer et porter un jugement raisonné sur des statues, des bas-reliefs, des bronzes épars et presque isolés dans les palais ou les jardins des grands? comment distinguer l’antique d’avec des restaurations trop souvent faites de manière a dénaturer le morceau primitif — 80 - nostri Siamo col ragionare ornai giunti dove l’antiquaria volge a SC |a fjaC-sguardi; facoltà che presiede alle belle lettere, che guida le arti, cl'eLj*ocelle cola della storia, e quella che ci famigliarizza co’ passati tempi, mosti"311 J(j0 le usanze, svelandocene le opinioni, insegnandocene le religioni, e c0II,k| ^ tutto colle reliquie dell’ingegno e dell’industria di que’tempi steSSI’ facendoci conoscere gli uomini assai più addentro di quello che p°ssa fare la mera storia civile. Questa facoltà è stata più che altra mai tradita e cali"''" · «va di fer* da’suoi superficiali seguaci, che, abusando della necessità in cui si tr°' , marsi talvolta nella probabilità (necessità, in cui, riguardo agli oggettl plU teressanti, si trova spesso la filosofia), han creduto dar impronta del ver! ^ ai loro più inetti capricci ed han sedotto così una metà de’seniidot*1- 1 3 metà hanno scandalezzata. Non si sono però scoraggiati i veri cultori sto sapere, persuasi che durerà il loro credito fino che persevererà quell0 lettere e delle arti greche e latine, che sono le vere arti e le migb°ri ^ e sino che la storia delle opinioni sarà essenziale alla cognizione dell u° Son però rari questi veri antiquarii, e per un Mazocchi, un Caylus. un par des accessoires de pure fantaisie ? Le prélat Fabretti surmonta tous ces obstacles, et donna.au commencement du siècle dernier, des explica^0tis allSS savantes que justes de la table Isiaque et des bas ■ reliefs de la colonne Trajane. La plupart des autres antiquaires se perdoient en vaines conjectures, et 'n11 Ioient découvrir dans un cercle très - resserré d’érudition latine ce qu’'* fa * loit chercher dans la vaste étendue de l’érudition grecque. Plus jalous souvent de se signaler par la bizarrerie de leurs opinions, que d’aspirer â des succès dans la recherche de la vérité, ils s’étoient fait une doctrine de convention qu’ ils répro duisoient sans cesse, et qui, laissant le lecteur judicieux dans les ténèbres et dans l’incertitude, le portoit à mépriser cette partie de la science. Winckelmann arriva d’Allemagne en Italie: il consacra à l’archéographie les nombreuses connois-sances qu’il avoit puisées dans la lecture des anciens. Tous les yeux s’ouvri-rent à cette lumière éclatante; les nouvelles explications qui enrichissent l’Hi-stoire de l’art, firent excuser les imperfections et les lacunes de l’ensemble. Bientôt un ouvrage beaucoup moins connu des lecteurs vulgaires, quoique bien supérieur au premier, les Monumens inédits, vint répandre une clarté inattendue sur un grand nombre de monumens. A la même époque, le comte de Caylus pnblioit le recueil nombreux des petits monumens dont il possédoit la plus grande partie. Cet antiquaire, sans être doué d’une vaste érudition, possédoit à un degré éminent l’esprit d’observation et de comparaison; et il a singulièrement contribué à nous faire connoitre l’état des arts mécaniques chez les anciens ». Cfr. Rapport historique sur les progrès de l'histoire et de la littérature ancienne depuis 1789 et sur leur état actuel présenté à Sa Majesté V Empereur et Roi, en son Conseil d’état, le 20 février 1808 par la Classe d’Histoire et de Littérature ancienne de l'Institut, A Paris, de l’imprimerie Impériale, 1810; pp. 48 e 51-54. -- 81 — chelmann, quanti Paoli, quanti Bracci, quanti Venuti! Difatti l’antichità figurata, che abbraccia più delle altre tutta questa varietà di cognizioni ad onta delle pregevoli ìatiche dell’ex-gesuita [Stefano] Raffei [di Orbetello] e delle lunghe ed infelici del [fiorentino Pier Francesco] Foggini, giuniore, non può ancora vantarsi d’un altro Winckelmann. Altra sorte ha la Lapidaria, che, a-vendo tracce più certe, e contentandosi d’ uno spirito meno combinatore, ha degli studiosi degni di molta fama, fra’ quali, oltre gli accennati Giovenazzi e Morcelli, tutti supera l’ab. Gaetano Marini, il quale nello studio delle antiche lapidi ha impiegato egregie fatiche ed instancabile perseveranza. Il saggio che ne ha dato nelle Iscrizioni Albane fa onore alla sua penetrazione e al suo buon gusto, ugualmente che al suo sapere, tanto scelte e sobrie sono le note che vi ha soggiunte. Egli darà forse una collezione delle iscrizioni cristiane, tessendo così un’apologia tutta nuova della cattolica tradizione. La collezione compiuta di tutte le vetuste iscrizioni, parte edite e parte ricorrette, opera immensa ch’egli volgeva in mente, comincia ad essergli frastornata da’ progetti d’un’altra grand’opera riguardante interamente la storia ecclesiastica » (1). Riguardo alla numismatica, « nelle varie classi son da lodarsi il danese Zoega, proselito a’ nostri dogmi, familiare di monsig. Borgia, peritissimo nella conoscenza delle medaglie, e che illustra attualmente una gran collezione di monete egizie» (2); l’ab. Girolamo Tanini « per le medaglie del Basso Impero, che raccoglie ed illustra diligentemente »; il P. Ab. Prospero Sanclemente « specialmente per le medaglie de’ Re »; il P. Domenico Magnati, « minimo francese, per quelle delle città e popoli della Grecia ». La storia delle arti antiche « dee molto alla diligenza e all’erudizione * dell’ab. Carlo Fea, il quale arricchì di « copiose ed utili note, che servono in molti casi ad emendare il testo, in molti altri a schiarirlo », la ristampa della Storia delle arti del Disegno presso gli antichi del Win-ckelmann (3); impresa alla quale si accinse per consiglio del Visconti, (1) Il Marini lasciò manoscritta un’ampia collezione d’iscrizioni cristiane e di figuline, ed i volumi che contengono questo tesoro d’antiquaria sono nella Vaticana ». Cfr. LUCCHESINI COpere; IX, 75. (2) Gio. Gherardo De Rossi, il 7 febbraio del 1809, scriveva al Visconti: « Ieri a mezzodì mori il buon Zoega. È una perdita, perchè veramente era « un uomo dottissimo, e voi meglio d’ogni altro potete pesare il suo sapere. « Piranesi si caverà così dall’opera dei basso - rilievi, che già andava assai * male, e che quel povero Zoega scriveva in un barbaro davo - italiano, che r faceva morire ». (3) Storia delle arti del disegno presso gli antichi di GIOVANNI WINKEL- — 82 - che gli fu largo d’aiuto nella compilazione di quelle note· L-e R!l!ru Pesto, « opera magnifica per la parte tipografica e calcografica », hanno « una esposizione italiana e latina » del P. Paolo Antonio Paoli, lucchese, nella quale « si pretende illustrare l’antica storia delle arti e specialmente dell’architettura. Non v’ ha libro scritto con più presunzione e con meno sapere. Gli assurdi vi si spacciano con franchezza, si sostengono con grossolani paralogismi. Si parla d’arti e di lingue antiche senza cono scerle ». 11 consigliere Reiffenstein « ha fatto delle belle prove per rista bilire gli artifizj de’vetri antichi a varii colori, anche prima che pubbli casse il conte di Caylus le sue scoperte ». La storia delle arti moderne « dopo la morte » di monsig. Giovanni Bottari « non ha verun famoso cultore ». Il P. Guglielmo Della Valle de’minori conventuali nelle sue Lettere Satiesi « ha illustrato il rinascimento delle arti in quella colta Re pubblica » combinando « con poco criterio » le « notizie somministrategli da letterati sanesi » e « vi ha ragionato con poca logica, le ha dicate senza gusto, e le ha descritte con cattivo stile *. Invece la moderna architettura « più sorte ha avuto ». Le Vite degli architetti di Francesco Milizia, calabrese, « sono utili non solo per le notizie che contengono, ma ancora per lo stile filosofico nel quale sono scritte, e pe’ veri principii del buon gusto che vi sono sparsi. Sembra eccessivo alquanto in certe sue massime: la generai corruttela però della moderna architettura giustifica, in parte, il suo trasporto per la semplicità dello stile. V’ erano soggiunte delle illustrazioni architettoniche, piene di buon senso, nè di-spregevoli per la parte matematica, le quali poi sono state edite a parte più estesamente. II suo opuscolo sul Teatro contiene della buona critica, non solo sulla architettura, ma ancora su tutte le parti della poesia drammatica e sulla musica. Nell’altro intitolato: L’Arte di vedere, l’autore si è lasciato trasportare troppo dal disgusto cagionatogli dallo stile manierato de’ moderni ». Del Giornale delle belle arti e della incisione, antiquaria musica e poesia, che visse dal 3 gennaio del 1784 al 13 decembre del 1788 e si stampava dal Casaletti, dà questo giudizio: « È scritto con uno stile interessante, e più lo rendon tale il criterio e le sode co- MANN (sic), tradotta dal Tedesco, e in questa edizione corretta e aumentata dall’abate CARLO FEA giureconsulto, In Roma, dalla Stamperia Pagliarini, MDCCLXXXIII -MDCCLXXXIV; 3 tomi in-4.° con tavole e figure nel testo. — 83 - giiizioni del cav. [Onofrio] Boni, cortonese, che stende gli articoli ri-sguardanti l’architettura e l’incisione. Nella storia di quest’ultima principalmente intende molto il pistoiese ab. [ Tommaso] Puccini, studiosissimo di tutte le belle arti. Un foglio simile, arricchito di rami, pubblica una volta il mese l’ab. Guattani per le notizie antiquarie, ed è pregevole e scritto con spirito; non s’impegna però a parlare de’libri ». Vedeva la luce co’torchi del Pagliarini ed era intitolato: Monumenti antichi inediti ovvero notizie sulle antichità e belle arti di Roma. Giuseppe Antonio figlio di Carlo Guattani, milanese, « restauratore della chirurgia romana, maestro in due spedali e chirurgo di quattro papi », nato a Roma nel settembre del 1748, fu il compagno d’infanzia d’Ennio Quirino. « Ebbi in mia casa » (scrive nell’autobiografia), « mattina e sera il raro ingegno d'Ennio Quirino Visconti, giovine delle più grandi speranze, poi principe degli antiquari: feci con esso per anni assiduo studio sui classici e la lingua greca. La reciproca benevolenza era tale che separarci solo potè la diversità del mestiere prescrittoci dall’autorità paterna » (1). Il Guattani bisognò che studiasse legge e che si desse alla professione d'avvocato; ma non confacendosi per nulla all’indole sua, viva e focosa e tutta piena di poesia e di musica, finì col lasciare affatto la curia, e si mise a far da segretario al cav. Francesco Piranesi, figliuolo del grande incisore ed incisore egli stesso. « Incominciò allora a dilettarsi di antichità, massime figurata, di architettura antica e di belle arti: stretto essendo di amicizia con Ennio Quirino Visconti, e frequentando sì la scuola del nudo sotto lo scultore Pacetli, sì l’Accademia di Francia » (2). Dette un primo saggio del proprio valore in fatto di cose antiche con lo scoprimento della cella soleare nelle terme di Caracalla, che rese di ragion pubblica <· con approvazione ed elogio » del « suo » Visconti, come egli stesso dichiara. La Diplomatica, « ultimo ramo » deH’Antiquaria, aveva « un illustre e profondissimo conoscitore » nel cardinale Giuseppe Garampi di Rimini; (1) Biografie autografe ed inedite di illustri italiani di questo secolo, Torino, Cugini Pomba, 1853; pp. 182- 196. (2) BETTI SALVATORE, Notizie de' professori Giuseppe Antonio Guattani cav. Francesco Massimiliano Laboureur, cav. Girolamo Scaccia e cav. Francesco Manno, tette agli Accademici di S. Luca; nel Giornale Arcadico, tom. LI [1831], pp- 91 -95. vi tefieva « il secondo luogo », ma però « a gran distanza » tnons'g Pier Luigi Galletti. La Cronologia contava due soli cultori: il P* Enrico Sahcletnente di Cremona, autore di studi per anco inediti sulle epo de’t-e di Cappadocia » (1); e il P. Magnan, autore d’una dissertazione sull'annò della nascita di Cristo. Era questa la società letteraria ili mezzo alla quale educò il suo m gegno il Visconti; frequentatore assiduo delle veglie di Maria Pizzelli, donna di non comune avvenenza e coltissima; geniale ritrovo del Cunich e dello Stay, dell’Alfieri e del Canova, della Kauffmann e della Dionigi Orfei, del Monti, dell’Andres, del Goethe; insomma degli ingegni migli°rl che si trovavano a Roma. (1) Ventiquattro anni, dopo nel suo Rapport historique, tornò a parlare del P. Enrico Sanclemente, cremonese. Ricorda la lettera in latino « remplie d’érudition, de critique », che indirizzò al Cousinery « sur les médailles grecques portant la tête de Cicéron >; e l’opera, stampata a Roma nel 1793, « sur le véritable commencement de l’ére chrétienne, qu’il voudroit avancer de six ans. Quoiqu’ il ne paroisse pas avoir rempli complètement son objet, on peut puiser dans son ouvrage beaucoup de connoissances historiques, chronologiques et numismatiques ». Τ*Γ CAPITOLO IV. Con breve del 4 agosto 1778, il padre di Ennio Quirino ebbe dal pontefice l’incarico d'illustrare il Museo Pio dementino, « tesoro tanto ragguardevole di arti e di erudizione », che « aspettava la pubblica luce ». Lodovico Mirri, < mercante di quadri incontro al palazzo Bernini », ottenne « la privativa dell'edizione ». Appena Giambattista Visconti si fu accinto al lavoro, preso da una cronica malattia, si accorse trattarsi di un peso superiore alle sue forze affievolite. Aveva chiesto e ottenuto dal Papa per coadiutore alla carica di prefetto delle antichità l’altro figlio Filippo Aurelio, che sebbene egli pure coltivasse Γ archeologia, non seppe mai sollevarsi dalla mediocrità, ma ben s’avvide che magro aiuto poteva avere da lui nell’intraprendere l’opera, vasta e faticosissima. Fu dunque costretto a ricorrere ad Ennio Quirino, che vi consacro tutto sè sfesso. 11 primo volume del Masco Pio Clcmnlino comparve alla luce, in Roma, nel 1783, co* torchi di Antonio Fulgoni (1). « Il nome di Giambattista vi figura solo, ma suo figlio ebbe la parte maggiore nella gloria (I) II Musco I Pio-Clementino | descritto da GIAMBATTISTA ViSCONTi | prefetto delle antichità di Roma | tomo primo \ dedicato \ alla Santità di Nostro Signore Pio Sesto | pontefice massimo \ da LUDOVICO mirri | mercante di quadri incçntro al palazzo Bernini I 1° Roma MDCCLXXXII. | Con privilegio pontificio. [Infine:] Si è compita l'impressione | del tomo /. di esso. La voga che ottenne fu immensa; nessun’opera uscì inai in circostanze più convenienti alla sua celebrità, nè più interamente corrispose all'universale aspettazione », come notava l’Eméric - David. Mentre Ennio Quirino stava preparando il secondo volume, Giambattista che da tre anni era tormentato da un’aneurisma, cessò di vivere il 2 settembre 1784. Pio VI, con breve de’30 di quello stesso mese, restituì ad Ennio Quirino le toltegli pensioni ecclesiastiche, autorizzandolo a ritenerle « in ■fi. stato coniugale ed anche in abito militare » (1). Il 12 gennaio dell’anno dopo egli sposò Teresa Doria, « unione » (per testimonianza dell’Emé-ric- David), « costantemente fortunata, e che suo padre, il quale non era stato verso di lui severo che per eccesso d’amore, benedetta aveva prima di morire ». Non riebbe però dal Pontefice l’ufficio di secondo custode della Biblioteca Vaticana, che anzi soppresse il 1.° marzo di quello stesso anno 1785, accrescendo di dodici scudi l’onorario del primo custode, che era monsig. Antonio Reggi. In compenso però lo fece conservatore del Museo Capitolino; carica ben più importante, lucrosa ed onorifica. Ennio Quirino ebbe a dichiarare in fronte al secondo volume del Museo Pio dementino (2), che porta il solo suo nome e si compì di stampare nel 1785: del Museo Pio-Clementino \ in Roma | pe’ torchi di Antonio Fulgoni | nella vigilia de’ SS. Pietro e Paolo Apostoli | l’anno di Cristo CIDI3CCLYXXIH I e del pontificato di Nostro Signore | Papa Pio Sesto | gloriosamente regnante I l’anno IX; in fol. massimo, di pp. Χ-1Θ2, col ritratto del pontefice, la pianta generale del Museo e LII tavole, oltre 2 supplementari, segnate A e B. (1) Lettera di Ennio Quirino Visconti a Gio. Gherardo De’ Rossi, scritta da Parigi il 27 novembre dei 1815. Nell’Archivio Vaticano, per quante diligenti ricerche siano state fatte, non fu possibile trovare questo breve, nel quale, per testimonianza del Visconti stesso, erano « esattamente » indicate « le pensioni ecclesiastiche » conferitegli, che godè fin che visse. (2) Il Museo | Pio-Clementino | descritto da ENNIO quirino VISCONTI | tomo SECONDO | dedicato alla Santità di nostro Signore | Pio Sesto | Pontefice Massimo \ [stemma pontificio] | da LUDOVICO MIRRI | mercante di quadri incontro al palazzo Bernini | In Roma MDCCLXXXIV | con privilegio pontificio [In fine:] Si è compita l’impressione \ del tomo II. del Museo Pio-Clementino I in Roma \ pe’ torchi di Antonio Fulgoni | nel giorno della dedicazione delle Basiliche | de’ SS. Pietro e Paolo Apostoli | l'anno di Cristo cIdIdcclxxxv I e del pontificato di Nostro Signore | Papa Pio Sesto I gloriosamente regnante | l’anno XI; in-fol. massimo di pp. X-112, col ritratto del pontefice, la veduta della porta d’ingresso del Museo Pio, LII tavole di statue e 2 supplementari, segnate A e B. . - 87 - Poche sono le cose delle quali vuoisi rendere inteso il lettore al principio di questo secondo tomo. Il piano dell’opera e la classificazione de’monumenti sono precisamente i medesimi di quelli che si annunziarono nella prefazione al primo...... Riguardo allo stile e alla maniera con cui son trattati gli argomenti non vi ravviserà chi legge nessuna diversità, non ostante che il nome dell’espositore sia cangiato. Il fu abate Giambattista Visconti, mio padre, la cui memoria sarà sempre negli annali delle belle arti preziosa pel zelo, per l’intelligenza e pel disinteresse co’quali ha servito due Pontefici nella grande impresa della collezione che ora pubblichiamo, era già dalle fatiche e dalle indisposizioni piucchè dall'età cotanto abbattuto che quando s’incominciò l’edizione de’monumenti Vaticani non era in istato di contribuire alla esposizione altro quasi che il nome, lo, che v’ impiegai fin d’allora le mie occupazioni, continuo nello stesso assunto e col metodo stesso: onde per questa parte l’opera non comparirà di più mani. Temo anzi che il pubblico non vi troverà nemmeno quella sola differenza per cui avrei bramato distinguere il presente volume, cioè che i soggetti vi fossero disimpegnati con maggior sapere. Per quanto mi sia studiato di apportarvi la possibile diligenza, non mi lusingo che i progressi che abbia potuto fare verso l’erudizione in questi due anni assai distratti valgano tanto per porre in qualche fatto questo secondo volume. Quando il libraio Giuseppe Molini vagheggiava il disegno, che poi abbandonò, di fare una seconda edizione del Museo Pio-Clementino, il Visconti gli scriveva il 27 ottobre del '17: « Il primo tomo è quello che dà da fare più degli altri, avendolo scritto e ancora assai giovane e vivente mio padre, di cui non potevo alle volte fare a meno di secondare le idee >. Lodovico Mirri, che « aveva il privilegio del Papa per l’edizione del Musco, non intendeva nulla, nè si poteva ottener da lui che facesse •correggere i rami » quando riuscivano difettosi. Questo il programma dell'opera: Siccome nel vedere i monumenti de’ remoti secoli si eccita in chiunque è sensibile all’attrattiva delle cognizioni una certa curiosità riguardante il significato, la distinzione, l’epoca, i pregi del monumento: così ho creduto che le parti dell’illustratore sien d’appagare questa erudita curiosità, sulla quale è fondata in gran parte la scienza antiquaria; non però con capricciose e fantastiche spiegazioni, ma col confronto degli antichi scritti e d’altre vetuste memorie, e con verìsimigtianze tratte da un’evidente e facile analogia. Ho procurato soprattutto d’evitare la ragionevol taccia data da Winckelmann alla maggior parte degli interpreti delle cose antiche; cioè, ehe generalmente coloro i quali scrissero sull' antiquaria, sotto come i torrenti che gonfiansi quando — 88 - · l'acqua è superflua, e sono a secco quando sarebbe necessaria. Ho cercato m conseguenza, di non trattenermi che poco sulle cose generali e comuni, e arrestarmi soltanto su di ciò che merita particolare osservazione. Picciole rade mi sono permesso le digressioni, e sempre in favore di qualche rifles sione che avesse delle novità. Mi son fatta una legge di non tradire il Pub blico, per quanto mi è stato possibile, nel giudizio dell’arte di ciascun sim lacro, rimandandolo quasi sempre al tempo, e sempre al grado che gli compete di eccellenza o di mediocrità. Mi son proposto finalmente che le mie spiega zioni non dovessero esser comuni a tutte le statue, per esempio di Giove, d’Apollo, di Giunone, ma solo proprie di quel marmo individuo che n è 1 ar gomento. Perchè la ricchezza del Museo Pio dementino potesse comprendersi in un sol colpo d’occhio, si son separati i varj generi de’monumenti, Statue Busti, Bassirilievi, Musaici...... Per conservare però qualche ordine, ciascuno di questi generi si è distribuito in varie classi che sono le seguenti: Deità Eroi, Storia antica, Storia Romana, Storia letteraria, Storia naturale, Arte e Co stumi...... Le antichità che si andranno acquistando, si porranno quasi appen dice nel fine di ciascuna classe, per non defraudare il pubblico di niuna parte di questa maravigliosa collezione. Per ultimo si vuole avvertito chi legge, che l’estrema diligenza si è usata in notare in ciascun pezzo ciò che v'ha di moderno, onde evitare l’inconveniente in cui sono caduti molti eruditi di fondare i l°r giudizj e di spargere il lor sapere su di ciò eh’ è unicamente dovuto al ca priccio de’ moderni ristauratori. Al tomo secondo tenne dietro il quarto nel 1788(1); il terzo vide la luce soltanto il 1790 (2). La comparsa del tomo quarto venne così salu- (1) Il Museo I Pio-Clementino | descritto da ennio QUIRINO VISCONTI I presidente del Museo Capitolino \ tomo quarto | dedicato \ alla Santità di Nostro Signore \ Pio Sesto | Pontefice Massimo | [Stemma pontificio) I da luigi e Giuseppe MIRRI | mercanti de (sic) quadri incontro al palazzo Bernini | In Roma mdcclxxxviii. | Con privilegio pontificio. [In fine:] Si è compita l'impressione \ del tomo IV. del Museo Pio-Clementino \ in Roma I pe' torchi di Antonio Fulgoni | nella vigilia di S. Andrea Apostolo I l'anno di Cristo CIDDCCLXXXVIII | e del pontificato di Nostro Signore \ Papa Pio Sesto I gloriosamente regnante | l'anno XIV; in-fol. massimo di pp. XII-108, con XLIV tavole, oltre 5 supplementari delle quali 2 segnate A e B e 3 n. n. (2) // Museo I Pio-Clementino | descritto da ENNIO QUIRINO VISCONTI I direttore del Museo Capitolino \ tomo terzo \ dedicato | alla Santità di Nostro Signore \ Pio Sesto | Pontefice Massimo | [Stemma pontificio] I da luigi mirri | mercante di quadri incontro al palazzo Bernini | In Roma MDCCXC I con privilegio pontificio [In fine:] Si è compita l'impressione I del tomo IH del Museo Pio-Clementino \ in Roma | pe' torchi di An- — 89 - tata da moiisig. Oaetano Marini, prefetto degli Archivi segreti della San Sede: « Sono per siffatto modo preso dalla recondita erudizione di questo illustre scrittore, dal fino di lui giudizio e critica, aggiungo al^ tresì dalle modeste maniere e gentili colle quali le opinioni sue propone e condanna le altrui, che niente leggo con maggior profitto e sapere ». Del terzo ebbe a scrivere Stefano Borgia, allora segretario della S. Con gregazione di Propaganda: « Questo tomo, al paro del secondo e quarto, riconosce per autore il sig. Ennio Quirino Visconti, ed è condotto colla stessa facilità, chiarezza ed erudizione che lodai nei precedenti e che formano le rare qualità d’ingegno del benemerito illustratore ». II Marini, alla sua volta, riprese la penna, affermando: « Ho letto con piacere e profitto le illustrazioni delle statue del Museo Vaticano, che sono in questo terzo volume e se dirò che sono degne del loro chiarissimo autore le avrò sicuramente lodate quanto si meritano ». Al plauso del Borgia e del Marini unirono il loro Gio. Cristoforo Amaduzzi e Giuseppe Carletti. A giudizio di Dionigi Strocchi, il Visconti in questa insigne opera, * abbandonata la testura e gli indugi di uno stile elegante e numeroso, volle, all’esempio di Plutarco e di Plinio, tenere un modo di locuzione abbondante e spedito quale si confaceva alla plenitudine de’ suoi concepimenti, lucido e piano quale si addiceva a materie che domandano insegnamento e non adornamento ». Descriva « la serena maestà » di Giove o la < grazia » di Venere, la « bellezza » d’Apollo o il « dolor disperato » di Laocoonte, Giunone dagli « occhi grandi » e dal « labbro superbo », Pallade col suo « aspetto verginale e severo », Diana col crine annodato alla sommità del capo e con « un’aria, di volto pudicamente lieto » maneggia sempre con bravura la penna, riesce potente ed efficace. Lo Strocchi si domanda: « Chi sa come un Visconti vedere e sentire tutto quello che ebbe in animo significare il creatore del più grande prodigio di greco scarpello sia pervenuto a noi, l’ApoIIo di Belvedere? ». Conclude: « Bello il vederlo, signoreggiando, tenere il campo, abbattere opinioni, che, dal tempo e dalla fama suggellate, più non si tomo Fulgoni | nella vigilia de’ Santi Apostoli Simone e Giuda | l'anno di Cristo CblDCCXC I e del pontificato di Nostro Signore | Papa Pio Sesto | gloriosamente regnante | l'anno XVI; in-fol. massimo di pp. X-33, col ritratto del Pontefice, la veduta del Museo e 4 tavole, oltre 3 supplementari segnate A. B. e C. — 90 - aspettavano al cimento di novello giudizio; nomi nuovi imporre a statue di numi, di guerrieri, di eroi, rendere onore ad altri, che da fonti Onie rici sorgendo, e da maestre mani aveano tuttavia titolo di essere in mero delle infelici e comunali » (1). Nei primi tre tomi sono contenute le statue; il quarto ed il quinto, venuto alle stampe nel 1796 (2), comprendono i bassirilievi; nel sesto, c uscì fuori il 1797, si trovano i busti (3): il settimo, che vide soltanto la luce il 1807, è miscellaneo (4), e dall’autore fu dedicato a P'° ^ Questo il giudizio dell’opera, che, nel 1808, dava l’istituto di Francia. (1) Discorso di Dionigi strocchi e canzone di Giovanni Marchetti -n onore di Ennio Quirino Visconti, Bologna, 1819. Dalla tipografia Nobili, pp· 10-11 e 16. (2) Il Museo \ Pio dementino \ descritto da ENNIO QUIRINO VISCONTI 1 Direttore del Museo Capitolino \ tomo quinto | dedicato \ alla Santità > 1 Nostro Signore | Pio Sesto \ Pontefice Massimo \ [Stemma pontifici'·] I da LUIGI mirri | mercante di quadri incontro il palazzo Bernini In Roma MDCCXCVI I con privilegio Pontificio. [In fine:] Si è compita l'impressione I del tomo quinto del Museo Pio dementino \ in Roma pe' torchi di Antonio Fulgoni I nella vigilia de' SS. Apostoli Pietro e Paolo \ l'anno di Cristo CD1DCCXCVI I e del Pontificato di Nostro Signore | Papa Pio l I I &c~ riosamente regnante \ l'anno XXII; in-fol. massimo di pp. VI 11-90, con λ tavole, oltre 3 supplementari, segnate A. B. e C. (3) Il Museo \ Pio dementino descritto da ENNIO QUIRINO VISCONTI I Direttore del Museo Capitolino tomo sesto \ dedicato alla Santità di Nostro Signore | Pio VI | Pontefice Massimo | [Stemma pontificio] : da luigi mirri I In Roma «DCCXCII | con privilegio Pontificio [In fine·] Si è compita l'impressione | del tomo VI del Museo Pio dementino | m Roma I pe' torchi di Antonio Fulgoni nella vigilia di S. Andrea Apostolo I l'anno di Cristo CIDIDCCXCII e del Pontificato di Nostro Signore \ Papa Pio VI I gloriosamente regnante l'anno XVIII; in-fol: massimo di pp· XIV-94, con LXI tavole, oltre 2 supplementari segnate A. e B. (4) Il Visconti scriveva da Parigi, il 4 febbraio del 1807, ad Antonio Riccy: «Circa l’impresa del 7° volume del Museo Pio dementino pare che le vostre informazioni non fossero del tutto giuste. Pel mezzo stesso che vi reca questa mia lettera io mando al sig. Capperoni, impresario di quest’opera, le prime 9 tavole del volume ». (5) Il Museo \ Pio dementino | descritto da ENNIO QUIRINO VISCONTI I membro dell'Istituto Nazionale di Francia j e della Légion d'onore Conservi delle Antichità | nel Museo Napoleone a Parigi \ tomo settimo | dedicato alla Santità di Nostro Signore | Pio Settimo | Pontefice Massimo | [Stemma pontificio] | da GASPARE copparone | scultore in gemme nella strada di S. Silvestro in Capite, ufi 42 \ In RomaMDCCCVll | con privilegio — 91 — Vingt ans après la mort de Winckelmann, M. Visconti fut chargé d’expliquer l’immense collection des monuments du musée du Vatican..... Ce savant antiquaire, à l’aide des connoissances qu’ il avoit acquises dans la numismatique et dans la paléographie, connoissances qui lui sont beaucoup plus fa-millières qu’ elles ne paraissent l’avoir été à Winckelmann, et au moyen des combinaisons différentes et des comparaisons que les grandes collections formées à Rome depuis le milieu du XVIIIe siècle l’ont mis à portée de faire, est parvenu à donner à cette partie de la science une méthode comparative qui conduit souvent à une démonstration complète. Éloigné de tout système, il interroge les contemporains Grecs ou Latins sur la véritable idée qu’ on doit se former des sujets représentés par les ouvrages des arts; il remonte, autant qu’ il lui est possible, à l’origine de ces ouvrages, et s’attache à recon-noître les copies antiques de ces chefs - d’ouevre dont les écrivains de l’antiquité nous ont transmis la mémoire. La multiplicité des objects réunis au Vatican, ayant ouvert à M. Visconti un champ presque aussi vaste que celui de Montfaucon, lui procura l’occasion et les moyens d’expliquer la plus grande partie des monumens analogues qui existent dans les différentes collections de l’Europe (1). Soggiungeva poi: < L'iconographie, ou l'étude des portraits des personnages célèbres, ne peut pas, sans cloute, être regardée comme la partie la moins interessante des antiquités. Dans l'ancienne Rome elle avoit été cultivée par Varron, et, à la rennaissance des lettres, elle le fut, avec autant de soin que d'ardeur, par Fulvius Ursinus. Mais, celui - ci, plus jaloux d'augmenter sa collection des portraits antiques, que d'en compléter la gravure, en avoit omis un grand nombre dans les deux éditions qu' il a données de son ouvrage. Après sa mort, I. Faber répara cette omission, en publiant la totalité des portraits d'hommes recueillis par Ursinus. Les deux siècles suivans ajoutèrent peu aux connoissances iconographiques: 011 pourrait ménte dire qu' elles rétrogradèrent; car, si les collections de Gronovius, de Bellori, de Canini, of- Pontificio; in-fol. massimo di pp. VI-108, con L tavole, oltre 2 supplementari segnate A e B. Il volume non porta alcuna indicazione di stampatore. La p. VI per errore tipografico è segnata IV. (1) Rapport historique sur les progrès de l'histoire et de la litte'rature ancienne depuis 1789 et sur leur état actuel présenté à Sa Majesté l'Empereur et Roi, en son Conseil d'état, le 20 février 1808 par la Classe d’Histoire et de Littérature ancienne de l'institut. A Paris, de l’imprimerie Impérial, 1810, pp. 59-60 e sgg. — 92 — frent quelques têtes de plus que celle de I. Faber, la gravure nianq de fidélité, et les jugemens manquent de critique. Nous devons ^ ^ fouilles faites â Rome à la fin du dernier siècle, différens portrait <- 0 un assez grand nombre sont d’autant plus importans qu’ ils sont 00 statés par des inscriptions. M. Visconti a su en profiter; et Ie seX'^ volume du Museo Pio dementino, qu’ il a publié en 1796, a fait c01 naître, pour la première fois, les traits de Bias, de Periandre, de Pèricles, d’Aspasie, d’Antisthène, sur la foi d’inscriptions authentiques; et ceux d’Archiloque, de Thalès, de Zénon le Stoïcien, de Corbulon et d autres sur les conjectures les plus probables ». « Molte ed importanti furono le scoperte » del Visconti, ripe e con Giambattista Zannoni. « Assiduo egli nella lettura dei vetusti scrit tori greci e latini, e dei libri riguardanti le antichità; conoscitore di tutti i monumenti della sua Roma e delle altre cittadi, e con raro esempio congiugnendo con memoria prodigiosa perspicace intelletto; quello cbe nel fatto deH’antiquaria può sapersi, tutto, o almen presso che tutto, avea sempre e direttamente, all’animo suo presentissimo. Perciò, consi derato appena un antico monumento tutti egli aveva in pronto i sussidi per dichiararlo; per interpretarne i somiglianti, o male da altri esposti, o lasciati come inesplicabili in abbandono; per corregger sovente quel Winckelmann, che gli fu colle sapientissime opere duce e maestro , e per accrescere il numero delle verità e delle regole della sua disciplina. Nè solo mostrò mente si felice nell’antichità figurata, ma nella scritta eziandio. Interpretazioni nuove ed ingegnose di non pochi passi delle due dotte lingue, correzioni evidenti di essi, e di marmi scritti, e bei supplementi di questi ove il tempo ne logorò presso che totalmente le lettere, lasciando solo qua e là incerte vestigie, sono uno degli ornamenti più pregevoli delle celebrate sue opere. Rifulge qui in ispecial modo la grandissima sua perizia nella lingua dei Greci » (1). (1) zannoni G. B., Storia della Accademia della Crusca e rapporti ed tlogi, Firenze, tipografia del Giglio, 1848; p. 147. CAPITOLO V. L’illustrazione del Museo Pio dementino, che da sola sarebbe bastata a rendere immortale il Visconti, non gl’impedì di comporre nel tempo stesso una quantità di brevi scritti, ricchi d’erudizione e sempre di grande interesse, che andò pubblicando ne’ periodici di Roma e d’altre città d'Italia, o stampò separati, o inserì in opere d’amici. Che il sepolcro della famiglia degli Scipioni fosse fuori della porta Capena, ora S. Sebastiano, era già noto da Livio e da Cicerone. In qual sito si trovasse Io dette chiaramente a conoscere l’epigrafe di Lucio Scipione, figlio del Barbato, scoperta nel 1616; ma gli antiquari, che si erano incaponiti nel ritenere dovesse cercarsi altrove, non vi dettero bada; e proprio in quel sito, nel maggio del 1780, vennero casualmente trovati da’ fratelli Sassi gli epitaffi dì Publio Cornelio Scipione, flamine Diale, e di Lucio Scipione, figlio dell’Asiatico, insieme con una testa giovanile laureata. Pio VI, per consiglio di Giambattista Visconti, ne intraprese col proprio danaro lo scavo, accordando condizioni vantaggiose a' proprietari. Il dissotterramento durò circa un anno. Vi si rinvennero « molti pregevoli monumenti sepolcrali, quasi tutti di peperino »; oltre, < alcuni frammenti di scultura »; varie « lapidi e altri rottami d’antichità »; ed « un anello d’oro, nella cui gemma era incisa una Vittoria », che il pontefice donò a Luigi Dutens, archeologo e letterato francese, allora di passaggio a Roma. Ennio Quirino dette il disegno, la pianta e gli - 94 -C ■spaccati, facendone una descrizione minutissima; riportò le isci izi lustrandole ad una ad una. bi_ 11 « superbo » sarcofago di Lucio Cornelio Scipione Barbato,^ ^ savo dell’Africano e dell’Asiatico, per testimonianza del Visconti, « golare per la conservazione, nobile per la remotissima antichità» r l’arte *· vole al sommo per la romana storia ed erudizione, rarissimo Pe L’iscrizione è in verso: « l’incondito verso saturnio, il più antlC°(-.or Lazio ». Vien poi il sepolcro di Aula Cornelia, figlia d’un Gneo ^ nelio e moglie d’uno Scipione Ispallo, che resta incerto qual sia. 1 nome di Aula, portato dalla matrona, « potrebbe dare un leggero n ^ per crederla del ramo de’ Cossi ». Sembra infatti che i vari rami gente Cornelia «restringessero colle alleanze i vincoli del l’or igin ^ mune »; e chi sa, congettura il Visconti, che « a questa nuova a n fra gli Scipioni e Cossi non debbasi attribuire il vedere in questo terraneo i sepolcri d’altri personaggi ancora appartenenti a qlicst a ^ celebre ramo della gente Cornelia». Di Lucio Scipione giuniorc, glio del Barbato, la cui iscrizione era stata scoperta fin dal 1616 e lustrata « con un breve, ma dottissimo commentario » dal Si' mond , nell’ipogeo fu rinvenuto « il titolo rubricato del sepolcro »· 11 Visconti torna a dare la vecchia iscrizione, molto aggiungendo a quello che Sirmondo ne aveva detto e invincibilmente ribattendo le « frivole dui fazioni » del marchese Scipione Maffei che la riteneva apocrifa. V ' sl trovò l’epigrafe di Scipione Ispano, detto anche Ispallo o Ispalo, giacche i discendenti del celebre Oneo Scipione Calvo proconsole e conquista tore della Spagna, « con antitesi analoga forse alle pronunzie d'allora », mutarono il titolo d 'Hispanis in Hispalus o Hispallus. Lo Scipione Ispano del sepolcro è « persona non abbastanza certa ». Il Visconti lo ritiene il figlio primogenito del Conquistatore; « la cui pretura peregrina » (come attesta Valerio Massimo) « si distinse per parecchi provvedimenti che onorano la sua avvedutezza ». L’epitaffio di lui « sente più dt’tempi della lingua colta; e se parecchi arcaismi vi restano, sono di quella specie che s’incontrano ancora sui monumenti del secol d’oro ». Ha sotto, in versi elegiaci, un tetrastico « bastantemente colto ed elegante ». Segue la lapide di un giovinetto, per nome Scipione Lucio, figlio o nepote di un Gneo, che il Visconti crede sia il precedente Oneo Cornelio Scipione Ispano, o lo zio Gneo Scipione Calvo Ispano. La dicitura deH’iscrizione -* è nobile, la versificazione franca ed armoniosa ». — 95 — L’epitaffio di Lucio Scipione, figlio di Scipione Asiatico, cioè del vincitore di Antioco, « è concepito con quella semplicità di espressione che si rende sublime nell’annunciarci le grandi cose ». Al figlio di esso Lucio Scipione - Scipione Asiageno Cornato - appartiene la successiva epigrafe. Presi detto Asiagenus, invece di Asiagetes o Asiaticus, « secondo la più vera ed antica ortografia ». Ebbe il distintivo di Comato « con uso, a quel che sembra, familiare agli Scipioni di intitolarsi da alcune qualità estrinseche della persona, giacché i sovrannomi di Barbato, di Calvo, di Nasica son dell’indole stessa di quello del nostro Coniato ». Bella l’epigrafe, scritta in due tavole di peperino, a ricordo di Publio Cornelio Scipione figliuolo dell’Africano maggiore e padre adottivo del minore. « Le trasposizioni specialmente nel nome proprio del defunto fanno sospettare un metro che, secondo il vizio notato da O-razio ne’ latini scrittori, per non essere abbastanza numeroso ed accurato, rimane oscuro ». Peraltro « la nobiltà e l’eleganza delle espressioni non rendono questo elogio sepolcrale indegno di quell’Ennio che tradusse il primo nell’incondito linguaggio del Lazio la greca armonia ». Le altre due lapidi appartengono « certamente » ai Cossi, uno de’ rami della celebre gente Cornelia. La prima è di una Cornelia Getulica, il cui padre - Gneo Cornelio Cosso Lentulo - nella storia civile ed il germano ancor nella letteraria del secolo di Augusto e di Tiberio « tengono un luogo distinto »; la seconda è di Marco Giunio Silano, nepote di Getulico e pronipote di Cosso, a cui la grandezza de’ natali procurò fin dalla prima adolescenza « la magistratura di decemviro de’ giudizi e il sacerdozio saliare, che portava l’aggiunto di Collino, o ancor Quirinale, o Agonale, per distinguer così questi secondi sal.i, istituiti da Tullio Ostilio, da’ Palatini istituiti da Numa ». Le altre diciannove lapidi non appartengono alla gente Cornelia. O son liberti di essa, o ne hanno derivato il nome, sia per clientela, sia per altra via, « senza che da quello stipite tanto famoso vautasser l'origine» (1). Per la collezione de’ Templi antichi del cav: Francesco Piranesi il Visconti scrisse la Dichiarazione del Tempio dell'Onore e della Virtù. È (1) Monumenti \ degli \ Scipioni | pubblicati dal Cavaliere | FRANCESCO PIRANESI I architetto romano | nell'anno MDCCLXXXV. | Parigi | dai torchi dei Fratelli Firmin Didot libraj | stampatori dell’istituto di Francia | Via Giacobbe 24 I MDCCLXXXVi; in-fol. di pp. 7, a tre colonne, di testo, oltre 2 n. n. contenenti Vindice delle tavole, pure a tre colonne, con 6 tavole in-fol. massimo. — 96 - ■« uno de’ più antichi che sia a noi restato più intéro »; non fu mai « da altri analizzato »; la sua « bizzarra costruzione circa il materiale di mat toni è una evidentissima prova dell’antica maniera di opera laterizia che praticossi da’ Romani innanzi che Metello introducesse il lusso de’marmi ne’ tempj ». Il Panvinio lo giudicò dedicato a Marte; il Venuti alle Camene; la maggior parte degli antiquari, « andando dietro alle voci del volgo ignorante, lo ha sempre stimato tempio di Bacco, ancorché la maniera dell’architettura e gli ornamenti, non convengano a quella divinità, ma bensì all’onore e al valore militare ». Fu eretto da M. Claudio Marcello all’Onore e alla Virtù, ma i pontefici, a’ quali apparteneva la giurisdizione delle cose sacre, non consentirono che servir dovesse a due deità. Egli allora ne edificò subito un altro sì presso alla Virtù. D’entrambi fu architetto Caio Muzio, uno de’ più celebri dell’antichità; Vespasiano li fece restaurare da due eccellenti pittori, Cornelio Pino e Accio Prisco. Quello alla Virtù è scomparso ed il Visconti nc rintracciò i fondamenti; quello all’Onore è l'attuale chiesa di S- Urbano, fuori di porta S. Sebastiano, già porta Capena (1). Il Visconti poi prestò la sua collaborazione ai Monumenti antichi inediti, ovvero notizie delle antichità e belle arti di Roma, periodico mensile fondato e diretto da Giuseppe Antonio Guattani, durato dal 17S4 al 1789. V’illustrò il c singolarissimo vaso marmoreo » del principe Sigismondo Chigi, scolpito con « l’eleganza de’ più floridi tempi della Grecia », e adorno di un bassorilievo, « allegorivo in parte, e tutto allusivo alla donzella, le cui ceneri si chiudevano in questo marmo » (2). Vi descrisse l’antico intaglio, in corniola, rappresentante Minerva, che fatto scendere Stenelo dal cocchio, vi sale su, piglia ella stessa le re- (1 ) Dichiarazione | del tempio | dell’Onore e della Virtù fuori della Porta Capena ossia S. Sebastiano | ora chiesa di S. Urbano alla Cafarella; in-fol di pp. 4 a tre colonne, con 8 tavole in-fol. massimo, di cui la 7a doppia. Fa parte del vol. VI delle opere di Francesco Piranesi che nel frontespizio porta scritto: Raccolta | de’ tempj antichi opera di FRANCESCO PIRANESI I architetto romano | prima parte che comprende i tempj di Vesta Madre, ossia della Terra, e della Sibilla ambedue in Tivoli | e dell'Onore e della Virtù fuori di Porta Capena | [vignetta con due medaglie] | Parigi, da’ torchi de’ Fratelli Firmin Didot libraj | stampatori dell’istituto di Francia | Via Giacobbe, 24. J mdcclxxxvi; in-fol. massimo. (2) Lettera di mons. E. Q. visconti, Camerier d'onore di S. S. e Custode della Biblioteca Vaticana, all’ab. Giuseppe Antonio Guattani [sul singolaris- — 97 — dini, e incoraggiato Diomede, si scaglia furiosa contro Marte. È un episodio dell’Iliade, che conferma il * luminoso principio » del Winckelmann, che « può dirsi la chiave di tutta l’antichità », aver tratto gli artefici della Grecia « la maggior parte de’ lor soggetti » da’ poemi d’Omero e d’altri pochi (1). Nel « superbo cammeo » posseduto dal barone Gavatti, invece di Berenice, come sembrava agli antiquari, vi ravvisa Agrippina giuntare, figlia di Germanico, moglie di Claudio, madre di Nerone; scoperta che gli porge il destro di far parola d’altri due ritratti di quel-l’ambiziosa imperatrice: la « elegantissima » statua sedente di lei, che dagli orti Farnesiani passò nella reggia di Caserta, e la « bellissima » sua testa, che Sigismondo Chigi scavò ne’ campi Laurentini (2). Prova che il nome d’Acrazio, in un curioso intaglio in diaspro sanguigno, con le teste di Sileno e di Aerato, non è già quello dell’incisore, ma del possessore della gemma, che se ne serviva come sigillo (3). Nel gruppo, uscito da’ ruderi Tiburtini e dalla villa degli Estensi a Tivoli, passato ad accrescere i monumenti Borghesiani, riconosce Ercole che sostiene sul lembo della spoglia itemea il figlio Telefo, il quale sporge le mani e il viso verso la cerva con tale naturalezza e con tanta grazia, che par che insegni a chi non lo sa che quella cerva è la sua nutrice (4). Nel gruppo tratto fuori dalle rovine famose della villa A-driana a Tivoli, il 1790, subito vi scorse Apollo col fanciullo Giacinto sitno vaso marmoreo appartenente a S. E. il sig. Principe Chigi); ne’ Monumenti antichi mediti ovvero notizie delle antichità e belle arti di Roma per Γαηηο MDCCLXXXiV. In Roma. Nella stamperia Pagliarini, MDCCLXXXIV, mese di marzo, pp. XXV-XXVI, con due tavole. (1) lettera al Sig. Tommaso Jenkins [sopra un raro frammento d’antico intaglio in corniola, rappresentante Minerva sopra il carro di Diomede); nei Monumenti antichi suddetti, mese di agosto 1784, pp. LXV11I-LXX, con 1 tav- (2) Lettera al sig. Ab. Paolo Angelini [sopra un antico cammeo col ritratto di Agrippina giuniore ed un eccellente busto della medesima): nei Monumenti antichi suddetti. (}) Biglietto del eh. sig. ab. ENNIO QUIRINO VISCONTI al eh. sig. ab. Giov. Cristofano Amaduzzi [sopra un antico diaspro sanguigno colle teste di Aerato e Sileno); ne’ Monumenti antichi suddetti del mese di marzo 1786, pp. XXII-XXIII, con 1 tav. (4) Alcune critiche riflessioni del eh. ah. E. A. VISCONTI [sopra un antico gruppo in marmo rappresentante Ercole e Telefo con la cerva); ne’ Monumenti antichi suddetti, mese d’aprile 1788, pp. XXIX-XXXIV, con 1 tav. — 98 - (1); come scorse la Pace, che allatta Pluto, bambino, nell'altro gruppo che lo scultore Vincenzo Pacetti andava restituendo alla sua « primiera integrità »; replica, senza dubbio, di quello uscito dallo scalpello di Ce-fisodoto, che si ammirava un tempo nella Curia d’Atene (2). All’ab. Francesco Cancellieri - il più infaticabile erudito che allora avesse Roma - s’accese ardente il desiderio di mettere in chiaro che cosa rappresentassero le due famose statue da più secoli note al volgo con le denominazioni di Marforio e di Pasquino. La prima - a quanto pare - prese a chiamarsi così, per essere stata un tempo contigua al Foro di Marte; l’altra ebbe quel battesimo nel secolo XVI per trovarsi di faccia alla bottega del sarto Pasquino nella quale si tagliavano i panni addosso alla gente che passava. Mentre in Marforio tutti ravvisavano un Fiume: Pasquino chi lo voleva un gladiatore, chi un Marte, chi un Ercole, chi un soldato d’Alessandro. Il Cancellieri si rivolse al Visconti, che gli rispose: ^ « Sull’antico argomento di questa statua vi compiaceste chiedere Topi-nion mia. Certo che una immagine così circostanziata e così ripetuta, qual è l’espressa da questo nobil frammento, è rimasta oscura ed incerta fra gli amatori delle cose antiche più di quel che dovevasi e che potea comparir verisimile. Forse la mancanza di confronti con le diverse repliche di quel gruppo, che tuttora esistono, e l’impaziente proclività ad abbracciarne le denominazioni più a caso che a ragion suggerite da antiquari men critici, sono state motivo della incertezza del pubblico su questo particolare..... Due repliche veggonsi da molto tempo in Firenze: quella che sul Ponte vecchio era creduta, all’età di Dante, un simulacro di Marte, e l’altra che abbellisce i portici del palazzo Pitti. Paolo Alessandro Maffei, che nella sua raccolta di statue [tav. XLII] ha edita la prima, pensa che rappresenti il cadavere d'Ajace Telamonio, sostenuto da un suo soldato; accenna ancor, riprovandole, le opinioni d’alcuni che un combattimento di gladiatori vi ravvisarono, o un Alessandro svenuto, mentre si bagnava nel fiume Cidno... Non è peraltro punto migliore la congettura che il cadavere d’Ajace spento di propria (1) Illustrazione di un gruppo rappresentante Apollo e Giacinto; nelle Effemeridi Romane, Roma, De Romanis, 1823, fascicolo XXXII. (2) Descrizione di un gruppo rappresentante la Pace che allatta Pluto bambino; nelle Opere varie, italiane e francesi, di ENNIO QUIRINO VISCONTI,, vol. II. [1829], pp. 139-140. - 99 — mano, sia ritratto in questo bel marmo. Tutta l’istoria di quella morte, esposta nelle greche tragedie e ne’ Paralepomeni omerici, non ci offre verun punto che alla disposizione del gruppo facilmente si accomodi. Oltracciò, il guerriero coperto di celata sembra additare che l’azione in qualche fatto d’arme si rappresenti, e non già nel pacifico alloggiamento e fuor di battaglia, come della morte d’Ajace addivenne. L’atteggiamento concitato dell’eroe che solleva il corpo del giovine estinto, la sua regia e marziale fisonomia, la bellezza e la ferita del morto all’estremità inferiore del petto, mi son sembrate circostanze tanto concordi per riconoscervi il cadavere dell’amico d’Achille, dell’estinto Patroclo, difeso da’ greci e tolto di mezzo alla mischia da Menelao, che ho avuta sempre siffatta interpretazione per la più probabile, come quella che spiega una scultura tanto ripetuta dagli antichi, per mezzo d’un celeberrimo avvenimento, tratto dalla stessa Iliade, del qual poema è un de’ più nobili e più diffusi episodi: avvenimento altresì che apprendiamo per parecchie gemme aver anco esercitato la mano e i talenti de’ greci artefici. Ma la verisimiglianxa della proposta esplicazione divenne certezza, quando ne’ frammenti d’altro simil gruppo, dissotterrati nella villa Adriana, che si custodiscono nella impareggiabile collezione Pio-Cienientina, gli omeri conservatissimi del giovine ucciso ci mostrarono evidentemente segnata quella ferita che Patroclo ricevè prima da Euforbo fra le due spalle, ών.ων aawr.yi, secondo la narrazione d’Omero.....Il suo elmo è ornato di bassorilievo, e nelle immagini vedesi effigiata l’ottava impresa d’Alcide, la conquista cioè delle feroci quadrighe del trace Diomede. Questa favola si distingue sulla celata della bellissima testa del frammento Vaticano ; ina nel gruppo detto il Pasquino è talmente logora, che a Win-ckelmann potè sembrare il combattimento d’Èrcole co’ Centauri » (1). Il Visconti di nessuna delle sue tante scoperte si teneva sicuro come (1) Questa risposta del Visconti, « spertissimo conoscitore ed interprete d’ogni genere d’antichità , scritta · dalla biblioteca Chigi, domenica 30 novembre 1788 », fu stampata dall’ab. Cancellieri nelle sue Notizie delle due famose statue d’un Fiume e di Patroclo, dette volgarmente di Marforio e di Pasquino, la prima delle quali stava dirimpetto al carcere Mamertino, Roma, Salvioni, 1789; in 8.<> con 3 tav. Cfr. Notizie delle due famose statue di un fiume c di Patroclo | dette volgarmente di PasqinO (sic) e Marforio Nuova edizione | colla giunta inedita delle quattro fatue, così dette del!'Ah. Luigi, di Madama Lucrezia, del Babuino c del Facchino Roma presso Giovanni Ferretti ] — 100 — di questa; torna a parlarne nel Museo Pio dementino, rafforzandola con nuovi argomenti perchè si facesse strada e trionfasse (1). Trionfò presso 1 dotti, non già presso il volgo. Come ben disse il Dacier, « il échoua pour la statue du compagnon de Marforio; et on ne peut lui en faire un reproche, car VIliade toute entière ne réussirait pas à le dépouiller de son nom moderne; et la malice épigrammatique de Rome, qui a immortalise Pasquino, son plus intime confident, refusera long-temps encore, maigre Homère et Visconti, de reconnaître en lui l’ami tant regretté et si terriblement vengé par Achille, le vaillant et infortuné Patrocle » (2). Pio VI, per arricchire maggiormente il Museo Vaticano, tra il 1789 e il 1792, fece.fare degli scavi a Roma vecchia presso la via Appia, e volle che il Visconti desse il suo giudizio sulle cose rinvenute. Lo compiacque con una relazione, messa poi alle stampe da Qio. Antonio Riccy. Tra le sculture dissepolte, primeggia la statua al naturale di Venere. « E ignuda e precisamente nella posizione di quella che fu già di Pressitele, cotanto famosa in Gnido e presso tutta l’antichità, della quale esistono tuttavia diverse copie ne’ musei; niuna inai però da venire per l’eccellenza in paragone colla presente » (3). Tommaso Jenkins volle che il Visconti gli facesse il catalogo dei monumenti scritti del suo Museo, composto di are, di cippi, di cinerari e d’altri marmi scolpiti, tutti con qualche epigrafe. Alcune di queste erano state messe alla luce dal Grutero, dal Muratori, dal Gudio, dal Sirmondo, dal Reinesio e da altri, ma per lo più con poca fedeltà. II Visconti torna a darle alla luce con la massima accuratezza, e vi aggiunge le inedite, spartendole in cinque classi, ciascuna delle quali « è ricca di monumenti rarissimi e singolari > (4). MDCCCLiv ; in-8.0 di pp. 50, oltre due in fine senza numerazione. La lettera del Visconti si legge a pp. 3640. (1) VISCONTI E. Q., Museo Pio-Clementino, tom. VI, pp. 28-31, tav. XVIII e XIX. (2) DACIER, Notice historique sur la vie et les ouvrages de M. Visconti\ p. 10. (3) Relazione degli scavi fatti a Roma vecchia presso la Via Appia dal mdcclxxxix al MDrcxcn; nelle Ricerche storico-filologiche di oio. ANTONIO R1CCY. (4) Catalogo | di monumenti scritti \ del Museo | del Signor | Tommaso Jenkins | In Roma | presso Antonio Fulgoni | doiDCCLXXXYlI | Col permesso de’ superiori ; in-4.° - 101 — '1 diplomatico inglese Riccardo Worsley, dopo aver passato due anni ad osservare le antichità della Grecia, a visitare le sue isole, le colonie, l’Asia minore, l’Egitto, Costantinopoli e la Tartaria minore, venne a Roma. Avendo occasione di usar famigliarmente con parecchi insigni letterati (come egli stesso racconta) fu « indotto dalle loro vive richieste a fare intagliare dai migliori incisori un buon numero di antichi monumenti raccolti » nel suo lungo viaggio. Li pubblicò insieme con la descrizione, in lingua italiana e in lingua inglese, dichiarando nell’introduzione che era assai tenuto all’assistenza dell’abbate Ennio Quirino « Visconti, presidente del Museo Capitolino in Roma, il quale viene a < giusta equità riputato uno de’ maggiori ornamenti della letteratura € italiana (I). (1) Museum Worsleyanum, or a Collection of antique basso relievos, bustos, statues and geins, with views of places in thè Levant taken on thè spot, in thè ycars 1785, 86 and 87, London, printed by Bulmer, 1794-1803; 2 voli, in-fol. gr. ed in carta velina. « Cet ouvrage » (scrive il Brunet), « donile texte est en anglais et en italien, est exécuté avec le plus grand luxe et il surpasse en magnificence les pierres gravées de Marlborough, livre auquel il peut servir de pendant; il est orné d’environ 150 gravures d’autant plus curieuses qu’elles ont été faites sur les originaux par d’habiles artistes italiens et anglais. Ce livre déjà très recom-mandable par son mérite réel, devient surtout précieux aux yeux des curieux à cause de son extrême rareté, car l’édition n’a été tirée qu’ à 50 exemplaires et elle n’a pas été mise dans le commerce. L’appendix annoncé par l’auteur dans son introduction, comme devant contenir un catalogue descriptif des marbres, pierres gravées, peintures et dessins non figurés dans l’ouvrage, n’a point été imprimé.....Nous avons cru pouvoir déterminer avec quelque certitude le nombre des exemplaires qui existe de cet ouvrage, parce que nous avons eu sous les yeux l’original d’une lettre écrite en français, en date du 26 juillet 1814, par M. R. Worsley lui-même à M. le chevalier d’Azara, en lui envoyant l'exemplaire du premier volume de ce Muséum; laquelle lettre porte bien certainement: il a été tiré seulement cinquante exemplaires. Cependant nous nous trouvons peu d’accord sur ce fait avec les bibliographes anglais ». Infatti il Savage afferma che gli esemplari furono 250; il Dibdin 200. Il tipografo Bulmer andava dicendo che l’edizione era costata ventisette mila lire sterline. Museum Worsleyanum; or a Collection of antique basso relievos, bustos, statues and gens, with views of places in tlic Levant, taken on thè spot, in thè ycars 1785 to 1787, London, published by Septimus Prowett. W. Nicol, Shak-spear press, 1824; 2 voli. in-4.« grande. Le tavole incise in rame sono le medesime di quella originale. Uguale il testo delle due lingue, ma l'italiano pieno d’errori. Muséum Worsleyanum, cine Sammlung von antiken Basreliefs, Biisten, stutne η and (lem me ri nebst Ansichten nus der Levante. Hcrausgegeben voti -- 102 — Prestò dunque il proprio aiuto al Worsley; cosa, del resto confe mata da’ suoi amici Millin ed Emóric-David e dal figliuolo Sigism°nd°> che asseriva essere « la miglior parte » dell’opera dettata dal padre. « Negar tuttavia non si può » (osserva giustamente il Labus) che tutte le illustrazioni ond’é composto il volume sien del Visconti, n ch’egli abbia sempre adoprato, in quelle stesse che gli appartengono, l’erudizione profonda e l’acume che procacciarongli tanto grido in Europa. Se alcune sono ingegnose, accertate e di mano maestra, tal altra sembra vergata summis digitis, e come gettava la penna » (1). Il cav. Giuseppe Nicola D’Azara volle che illustrasse due musaici istoriati, de’ quali aveva fatto acquisto per la sua ricchissima collezione di antichità. Erano stati dissepolti nell’agro romano, da’ ruderi proba bilmente d’antichi sacelli, nel centro de’ cui pavimenti dovettero essere collocati. Dimostra esservi espressa la superstizione dell’ignispizio, e ciò gli porge il destro di raccogliere le più certe notizie che si abbiano della piromanzia, in quanto si restringe all’ignispizio ne’ sacrifizi, e prova averla usata i personaggi più celebri presso gli antichi tragici, come Pilade, Oreste, Clitennestra. Attribuisce i due musaici all’età di Adriano, in uno di essi ravvisa la figura d’Antinoo; ritiene che l’artista s ispirasse forse ad una pittura di Poiignoto, ricordata da Pausania; parla de fla belli, confutando ciò che di essi aveva scritto erroneamente il Passeri (2). L’antichità de’ due musaici, validamente sostenuta dal Visconti, venne Heinrich Wilhelm Eberhasd architect, und Heinrich Schaefer secretar der Grossherzoglichen Hessischen Hofbibliothek, Leipzig und Darmstadt, Verlag von Cari Wilhelm Leske, 1827-1828; 2 voli, in 4.» (1) Labus G., Prefazione al Museo Worslejano, Milano, Società tipografica de’ Classici italiani, 1834; p. XI. (2) Osservazioni | di Ennio Quirino Visconti | su due \ Musaici antichi | istoriati | In Parma | dalla Reale Tipografia | MDCCLXXXVIII ; ìtì-4' di pp. 50, oltre 4, in principio non numerate, con 2 tavole, disegnate da Bonaventura Saleta e incise da Francesco Cecchini. Per testimonianza di 0. De Lama, Vita del Cav. Ο. B. Bodoni, Parma, 1816, tom. II, pp. 51-52, « ne furon tirati 150 esemplari in carta reai fina detta di Napoli, 25 in carta di Anonnay, e 3 in membrane di Roma ». Precede una breve prefazione di 2 pp., dalla quale si apprende che i due Musaici, dissotterrati nelI’Agro Romano nel 1787, erano stati acquistati da « Sua Eccellenza il Signor Cavaliere D. Giuseppe Nicola Azara, Ministro plenipotenziario di Sua Maestà Cattolica presso la Santa Sede, cultore egregio e mecenate d’ogni maniera di lettere e di talenti ». - 103 — posta in dubbio, e la malignità giunse perfino ad affermare gli avesse egli stesso ideati. L’accusa non ha fondamento, ma però la diffidenza è giustificata dal fatto che, mentre i musaici « nell’originale erano di mediocrissimo stile e rozzi anzi che no », dall’incisore delle tavole « si fecero parere di corretto disegno e da non cedere a qualsivoglia in giazia e leggiadria» (1). A preghiera della contessa Marina Donà Gri-inani di Venezia illustrò la testa di Apollo in marmo, maggiore del naturale, proveniente da Atene, da lei posseduta; lavoro « di nobil maniera, toccato con morbidezza e grandiosità, benché non condotto all’ultimo finimento ». Ha somiglianza con ΓΑροΙΙο di Belvedere; « non tale però da stabilire che una delle due statue sia copia dell’altra ». Il confronto delle due opere lo induce a credere che « sia copia di qualche insigne originale, da cui sia stata ancor tolta l’idea dell’Apollo di Belvedere » (2). II cav. Zulian, ambasciatore della Repubblica di Venezia a Costantinopoli, portò da Efeso un superbo cammeo, rappresentante Giove Egioco; lo fece incidere alla grandezza naturale, da Raffaello Morghen (3), e spiegare dal Visconti, che ne prese occasione per mettere in carta numerose osservazioni sulla dattilografia. In questo cammeo, che probabilmente appartenne a’ donari e alle suppellettili sacerdotali del famoso tempio d’Efeso, Giove, con l’egida ravvolta all’omero sinistro, ha il capo coronato di quercia, e ben>hè un tal serto non sia frequente ne’ monumenti dell'arte, è frequentemente ricordato da’ classici e proprio del re de’ numi. Il Visconti nota la doppia etimologia della parola egida, àtri;, che può derivare o dal verbo zt::w, irruo, o dal sostantivo zie, (1) Lettera del cav. Pier Ercole Visconti al Dott. Giovanni Labns, del 21 marzo 1827. Cfr. VISCONTI E. Q., Opere varie, vol. I, pag. IX. (2) Per le nozze \ Grimaiii-Matiin | illustrazione | di una greca scultura di Ennio Quirino Visconti | In Venezia | co’ tipi di Giuseppe Picotti editore MDCCCXXlX; in-8° di pp. 10, con la testa di Apollo incisa, in rame. L’illustrazione ha la data: · Roma, dalla Biblioteca Chigi li 15 Febbraio 1791 ■. Il Museo Civico di Venezia ne possiede un esemplare impresso in pergamena. (3) È da avvertirsi -che la bella incisione del Morghen di questo cammeo, tratta da non troppo scrupoloso disegno, fu stampata con un errore nell’incisione, essendosi intagliato la parola efossus con una sola s, che fu poi emendato: per conseguenza il rame dove esiste l’errore riguardasi dagli amatori di maggior pregio *. Cfr. Catalogo ragionato dei libri d'arte e d'antichità posseduti dal conte CiCOONARA, Pisa, Capurro, 1821; 11, 95. — 104 — capra; Omero per egida intese le procelle; errò Anton Maria Salvmi traducendo questa parola con la parafrasi di capra allievo (D· Uno scavo accidentale presso il monastero delle Religiose Minime sull Esqu lino mise alla luce una quantità di pezzi d’argento purissimo, del peso di 1029 oncie, « vetusto lavoro » del quarto o quinto secolo dell’era nostra, consistente in gran parte in arredi di un’antica toeletta di quale illustre matrona romana; ed il Visconti a preghiera di monsignore Della Somaglia ne fece la descrizione, aggiungendovi qualche cenno sugli usi e sull’epoca del prezioso deposito. Degli utensili « il più vistoso per ar tifizio e per mole » è una cassetta, di figura quadrilatera, adorna all e sterno di bassorilievi, « tutti allusivi allo studio di ornarsi e ad una gio vane sposa ». Vi è il ritratto di lei, unito a quello del marito, ambedue in mezze figure, che dall’iscrizione si rileva fossero Secondo e Proietta. Sccunck et Proiecta vivatis in Christo. Tra’ rimanenti utensili son note voli « cinque piattelli quadrilateri, a foggia di schifo » e « quattro sco delle, leggermente concave », che hanno nel centro « due cifre o nessi di lettere », contenenti, a quanto sembra, il nome de’ due coniugi Pro iecta Turci. Un Turcio Secondo * era di fatti a quest’epoca tale uomo, cui e la ricchezza e la dignità che questi arredi annunziano ottimamente si conveniva, e come a colui che le primarie cariche di Roma e dell'Oc-cidente avea esercitate, e la cui famiglia, ch’era quella degli Asteri, fece quasi per tre secoli in questa città la più splendida comparsa: o fosse egli il Turcio Secondo prefetto di Roma nel 339, o l’altro dello stesso nome, che occupava l’uffizio medesimo nel 362 » (2). Nel 1794 ideò la (1) Osservazioni | di \ ennio QUIRINO VISCONTI I sopra un antico cammeo I rappresentante | Giove Egioco. | Padova | nella Stamperia del Seminario | MDCCXClli; in-8'’ di pp. 52, con 1 tav. Le Osservazioni occupano le pp. 3-21; le Annotazioni le pp. 2345. Le pp. 47-52 contengono tre componimenti poetici in lingua latina di Clemente Sibi-liato professore deH’Università di Padova. (2) Lettera su di una antica argenteria nuovamente scoperta in Roma a Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Della Somaglia, Patriarca Antiocheno, Segretario della Sacra Congregazione de’ Vescovi e Regolari, Roma, Salomoni 1793; in4.° La ristampò il Labus nel 1827, a pp. 210-235 del vol. I delle Opere varie del Visconti « arricchita d’aggiunte e correzioni inedite dell’autore ». N’era già stata fatta una seconda edizione col titolo: Lettera di Ennio Quirino Visconti iutorno ad un’antica suppellettile d'argento scoperta in Roma, dalle stampe del Salviucci, 1825; in-4« , con 24 tavole. Curò questa edizione il Mon- — 105 — medaglia da conferirsi in premio a’ convittori del Collegio Tolomei, fiorente in Siena fin dal 1676, ispirandosi a quella impressa da Nerone per i certami capitolini (1). Descrisse l’antico vaso fittile trovato presso Bari ne’ possedimenti della principessa Cassano Aragona, e poi acquistato dal principe Stanislao Poniatowski, « sì per la mole, sì per l’artifizio, sì per le istorie » da « contarsi fra’ più rari ». Nello spiegare le immagini che vi sono dipinte, trova che « corrispondono a meraviglia » all’istoria de’ misteri Eleusini insegnati da Cerere a Trittolemo e della fecondità renduta al suolo dopo una lunga aridezza; e vi corrispondono con « circostanze tali » da servir di commento e da confermare in modo incontrovertibile l’autenticità dell’inno a Cerere scoperto quindici anni prima a Mosca; e da ritenersi « quello stesso che era fra gli Omerici annoverato » (2). Ricordando l'ab. Luigi Lanzi, che anche lui trattò de’ vasi antichi dipinti, volgarmente chiamati etruschi, la illustrazione presente del Visconti esclama pieno d’ammirazione: « è il capo d’opera in taguan! e vi unì due scritti, uno del d’Agincourt e uno del Galeani Napione intorno allo stesso soggetto. Il Brunet la dice - augmentée de quelques passages et de plusieurs planches qui ne se retrouvent pas dans les Oeuvres diverses de l’auteur publiées par M. Labus ». Il conte Gio. Francesco Galeani Napione indirizzò « al ch.mo sig. ab. Ennio Quirino Visconti, direttore del Museo Capitolino » una lettera, scritta < dal Rubatto il 20 ottobre 1794 », con · alcune congetture intorno ad Asterio possessore della suppellettile d’argento, trovata in Roma ». Cfr. Galf.ani Napione conte G. F., Sacrario gentilesco ed altri vasi effigiati d’argento esistenti nel Museo della Regia Università di Torino illustrati; nel Giornale Arcadico, di Roma, tom. XX [1823], pp. 106-123 e 360-389. L’argenteria trovata a Roma l’acquistò il Barone di Shellersein di Wesfalia. Intorno a questo lavoro del Galeani Napione è a vedersi la lettera che il Visconti scrisse, da Grottaferrata, il 2 giugno 1795, al cav. Clemente Damiano di Priocca e fu stampata a pp. 107-108 del suddetto tomo XX del Giornale Arcadico. (1) Esposizione delle leggende c dei tipi che osservatisi nella medaglia coniata nel MDCCXCIV per premio dei signori convittori del nobile Collegio Tolomei di Siena, Siena, coi tipi Pazzini Carli, 1794: in-4° con 1 tav. (2) Le pitture di un antico vaso fittile trovato nella Magna Grecia appartenente al Principe Stanislao Poniatowski. Ve ne sono due edizioni, tutte e due fatte a Roma, una nel 1794, con 4 tavole splendidissima, della quale il Principe regalò di sua niano tutti gli esemplari ed é molto rara a trovarsi. Nella ristampa son riprodotte tutte le figure delle quattro tavole dell’edizione originale in una tavola sola, che dà per giunta il fregio del collo del lato posteriore del vaso. — 106 - •questo genere di quel prodigio d’ingegno, di memoria e d’erudizione » (1). Vitruvio, Plinio e Ateneo parlano assai di Ctesibio, figliuolo d un barbiere d’Alessandria d’Egitto, che inventò una quantità di macchine idrauliche; anzi Vitruvio si diffonde sopra una tromba da lui immaginata per l’elevazione delle acque. Ne fu trovata una in bronzo alla Chiaruccia, già Castronovo, nel littorale di Civitavecchia; la prima che sia a noi pervenuta, completa in ogni parte e di perfetta conservazione. Il Visconti prese a illustrarla, e la trovò « tal quale appunto Vitruvio l’ha descritta, eccetto la diversità di piccolissime circostanze non essenziali ». L’essere stata dissepolta tra le rovine degli acquedotti di Castronovo, dove già si lesse il nome di Antonino Pio, a giudizio del Visconti, « anche per la nettezza del lavoro » è credibile che si debba ascrivere a quell epoca la macchina scoperta; « il cui uffizio sarà stato probabilmente quello di alzare le acque a comodo delle pubbliche terme, di quella un tempo florida e popolata colonia romana » (2). 11 Barthélémy inviò a Roma all’antiquario danese Giorgio Zoega il disegno di un’antica medaglia di piombo, appartenente a Velletri, posseduta dal Museo di Parigi; medaglia che il cardinale Stefano Borgia fece incidere in rame e illustrare dal numismatico Domenico Sest ini, che ritenne esser questo piombo una tessera, probabilmente di spettacoli. Il Visconti trovò questa sua opinione « quasi certa », e ne prese occasione per trattare delle « corporazioni o collegi detti de’ giovani o della gioventù, sparse perle Romane Colonie e Municipi ; frequentissime al tempo degli imperatori e menzionate nelle lapidi frequentemente * (3). Avendo il Millin nella sua Introduction à l’et ude des pierre gravées, che stampò per la prima volta a Parigi nel 1796, tentato di compilare (1) Lanzi L. De’ vasi antichi dipinti volgarmente chiamati etruschi, dissertazioni tre, Firenze, 1806, p. 218. (2) Descrizione di un'antica Tromba idraulica, ultimamente scoperta, ed illustrata dal Sig. Abate Ennio Quirino Visconti, comunicataci dal Sig. Oi-rolamo Astorri, ecc. coll'annessa figura; nel Giornate della Letteratura Ita liana, tomo V, Mantova, nella Regia Ducale Stamperia, MDCCXCV, pp. 303-307. È in data di * Roma, 10 luglio 1795 ». La tav. trovasi a p. 30*). (3) Lettera | su d'un antico piombo Veliterno \ scritta AII’Eminentissimo e Reverendissimo Principe | il Signor Cardinale | Stefano Borgia I Prefetto della Sacra Congregazione dell'indice | da Ennio QUIRINO VISCONTI; in-4° di pp. 14 senza luogo, anno e nome di stampatore. È scritta da « Roma li 25 ottobre 1796 ». A p. 14 si trova l’Imprimatur. - 107 — un catalogo d’incisori in gemme, distribuiti per ordine cronologico, ne mandò un esemplare al Visconti chiedendogli aiuto e consiglio. Lo compiacque prontamente con alcune osservazioni (1), ricchissime di dottrina e piene d’acume; delle quali il Millin fece tesoro ristampando l’anno appresso la sua Introduction, giudicala dal Visconti « un livre élémentaire, mais qui n’ est cependant pas sans utilité». Dettò anche l'Esposizione de II’impronte di antiche gemme, raccolte per uso di S. E. il Sig. Principe Agostino Chigi, e compilò il Catalogo delle gemme antiche di S. E. il Sig. Principe Stanislao Poniatowski, due lavori che videro la luce soltanto dopo la sua morte (2). Al Millin scriveva: « La collezione di gemme della Biblioteca Vaticana, benché adunata piuttosto a caso che con scelta, contiene dei pezzi di gran mole e di gran rarità. Ho all’ordine la spiegazione di tutto ciò che vi si contiene, e forse vedrà la luce». Doveva venir fuori in due volumi in foglio uguali al Museo Pio dementino; ma disgraziatamente non solo rimase inedita, ma andò perduta. Come andò perduta la « esposizione alquanto più estesa » che fece delle gemme possedute dal Poniatowski, dopo averne compilato il catalogo. , « La Dactyliographie, ou l’étude des pierres gravées » (scrive il Visconti) « a sur celle des autres chefs-d’oeuvre des arts antiques deux grands avantages. L’un est la belle conservation des monumens dont elle s'occupe, et qui nous parviennent presque tous sans altération, grâces à la dureté des pierres fines qui en sont la matière, à la petitesse de leur volume, et au genre de la gravure, qui est le plus souvent eu creux: les attributs des figures ne tombent pas avec les membres, comme dans les ouvrages de sculpture, et ne s’effacent pas comme ceux de la peinture. Le second avantage est la facilité d’étudier les pierres gravées sur les empreintes avec autant de certitude que sur les originaux, tandis qu'on doit toujours se défier de la fidélité des dessins et des copies des autres monumens, et que même les plâtres moules sur des statues ou des bas-reliefs ne permettent pas de reconnoître les restaurations. Mais ces avantages sont atténués par un grand inconvénient; c’est l’extrême difficulté qu’ eprouvent quelquefois les antiquaires (1) Furono stampate dal Labus a pp. 115-134 del vol. 11 delle Opere varie, italiane e francesi, del Visconti col titolo: Osservazioni sul catalogo degli antichi incisori in gemme. (2) Li stampò il Labus nel vol. II delle Opere varie del Visconti; VEsposizione a pp. 141-371, il Catalogo a pp. 372-386. 108 — •eux-mêmes à distinguer les pierres gravées antiques, des pierres modernes, quand celles-ci sont gravées par un artiste habile. La critique, la comioissance la plus profonde des arts, l’expérience la plus consommée, suffisent à peine pour se préserver de l’erreur » (1). Tocca di questo anche nella lettera ad Agostino Chigi, da lui premessa aW'Esposizione delle impronte d’antiche gemme. « L’impostura de’ falsari che lia trovato in quest’arte un largo e facil campo, per sostituire l’apocrifo al genuino * (son sue parole) « ha ingombrate le collezioni di un numero immenso d’impronte di moderni lavori, che intruse indistintamente fra quelle degli antichi, alterano tutti que’ lumi di dottrina e d’arte che se ne potrebbero ritrarre, e mischiano di false ipotesi e pregiudizi quel sistema di classiche notizie che ne risulterebbero. Dall’altra parte, la vaghezza dello studio dattiliografico ha talmente allettato alcuni pratici o dilettanti, i quali credevano che il piacere da esso provato in osservare que’ lucidi monumenti, o la fortuna avuta in acquistarne de’ nobili ed autentici, potessero tener luogo del necessario corredo di cognizioni richiesto a illustrarli; che si sono accinti a pubblicarne de’ libri, utili certamente per la raccolta de’ pezzi antichi, ma sprovveduti di critica e di sapere, anche più che la maggior parte delle opere di coloro che trattarono le altre porzioni dell’antichità figurata. Pochi certamente si troveranno nel copioso numero de’ dattiliografi che abbian meritata qualche eccezione: debbono però separarsi affatto dagli altri il Winckelmann e il Buonarroti: ma l’opera del primo, cioè la Descrizione delle gemme Stoschiane (2), quantunque il migliore scritto di tal genere sin ora edito, oltre Tesser priva d’ogni sorta d’immagini, è stata il primo saggio di queirillustre antiquario, dato fuori in tempo che il più lungo soggiorno di Roma e l’assidua lettura de’ vecchi scrittori non l’avevano ancora a quella maturità fatto giungere che le posteriori opere ci hanno dimostrato (3). (1) Rapport historique; pp. 57-58. (2) 11 barone Filippo de Stosch, nato a Kiistrin nella Prussia centrale il 22 marzo 1691, morto a Firenze il 7 novembre 1757, fu agente inglese a Roma -e in Toscana ed un appassionato raccoglitore d’anticaglie. La sua collezione di stampe fu comprata dalla Biblioteca imperiale di Vienna, quella delle pietre incise e delle medaglie da Federico 11, re di Prussia; salvo le gemme etrusche vendute a Napoli. Cfr. Justi, Briefe des Barons Ph. von Stosch, Marbourg, 1872; in-8. (3) Winckelmann J., Description des pierres gravées du feu baron de — 109 — 11 secondo su pochi oggetti di questo genere ha portato i suoi lumi e le sue squisite ricerche (1). Lo stesso può dirsi del Sig. Eckhel, il quale non ha illustrato più di quaranta gemme della collezione imperiale, queste certamente con sufficiente criterio e con rara dottrina (2). Per quello poi che riguarda la Dattilioteca già d’Orléans, ora dell'imperatrice di Russia, molto leggiadre ed anche piene di studio e di riflessioni sono le note con che due antiquari francesi, i signori La Chaux e Le Blonde, l’hanno arricchita; ma vi desidera talvolta il lettore quella sicurezza di giudizio e quella opportunità e sceltezza d’erudizione, senza le quali poco valgono anche i pesanti volumi. Era in questo stato la dattiliografia quando è piaciuto all’E. V. pel suo genio verso il sapere e le belle arti commettermi l’acquisto e la spiegazione d’una raccolta d’impronte delle più notabili, o per artifizio, o per soggetti, o anche per una certa accidentale celebrità, fra le antiche gemme che tuttora esistono. Tale occasione mi è sembrata opportunissima per recare anche a questo bel ramo dell’antichità figurata quel miglioramento che mi era già studiato d’introdurre nelle spiegazioni de’ maggiori monumenti ». Come in tutto, anche nella dattiliografia lasciò la sua orma. Illustrò l’antico musaico trovato a Poggio Mirteto nella. Sabina, che-« ha i pregi dell’invenzione uniti a quelli dell’erudizione ». Rappresenta « la virtù produttrice della natura, che fornisce così bene ai nostri comodi e ai nostri piaceri, ed è sì varia nella sua unità ». L’artefice ha collocata nel centro del musaico la Diana multimammia, venerata in Efeso, che « n’è il cognito emblema »; v’ha messo anche l’aquila di Giove, che stringe il fulmine, « simbolo del fuoco, la più attiva delle creature »; inoltre « vi ha rappresentato quattro piante, tutte fra loro di- Stosch, Florence, 1760; in-4. Ne fu stampata una traduzione in tedesco a Norimberga nel 1775. È adorna di tavole, disegnate da Gio. Adamo Schwickhart. (1) Filippo Buonarroti, fiorentino, morto Γ8 decembre 1733, ne tratta nelle sue Osservazioni sopra alcuni frammenti di vasi antichi di vetro, ornati di figure, trovati ne' cimiterj di Roma, Firenze, 1716; in-fol. (2) Nella biografia di questo celebre numismatico torna a scrivere : « Comme le cabinet impérial contenait, outre les médailles, une collection très précieuse de pierres gravées, Eckhel crut également de son devoir de faire mieux connaître cette autre classe de monuments confiés à sa garde. Il en fit un choix et en publia, en 1788, à Vienne, les dessins gravés avec neteté en douze planches et accompagnés de quelques éclaircissements écrits en fran^ çais ». — 110 — verse, e di quelle che, oltre la virtù produttiva della natura, indicano ancora la provvidenza del supremo governatore ». Una è la quercia; l’altra l’olivo; la terza il loto; la quarta l’arboscello del balsamo arabico. Vi son rappresentati « otto differenti volatili », tra’ quali il gallo, la civetta, la cicogna, l’anitra. Nè vi manca il fiore del silfio, » tanto dagli antichi vantato, che .trovavasi a Cirene in Africa, e che si andava perdendo sin da que’ tempi » (1). Al principio del secolo XVII, regnante il pontefice Paolo V, uscì dalla terra la prima delle due iscrizioni greche triopee, che il Visconti, come s’è veduto, tradusse in versi italiani. Cristoforo du Puits, viaggiatore francese, che per caso si trovò presente allo scavo di questa prima iscrizione, ne mandò copia a Parigi, dove nel 1607 venne pubblicata per cura di Federigo Morelli, e nel 1609 da Isacco Casaubon. La seconda fu trovata circa dieci anni dopo, e il gesuita Sirmond ne inviò la trascrizione a Claudio Saumaise, che la stampò, insieme con l’altra, il 1619, commentandola dottissimamente ; più altri eruditi tornarono a darle alla luce un’infinità di volte. Subito ne fece acquisto il cardinale Scipione Borghese, che le allogò nella villa Pinciana, da lui fabbricata. Affisse per lungo tempo « nel fondo d’un viale, nel recinto detto delle Prospettive, troppo in alto per esser lette, e con troppo scarsa decorazione per essere osservate », la munificenza del principe Marcantonio Borghese le fece mettere c dinanzi ad un tempio marmoreo, di elegantissima architettura, sostenuto da gran colonne di granito bianco tebaico, quasi fosse quello che nel Triopio era stato eretto da Erode a onor di Cerere e di Faustina »; e incaricò il Visconti di ristamparle e illustrarle. Quando nel 1794 uscì fuori a Roma la nuova edizione di questi due insigni monumenti del lungo pianto di Erode Attico in morte di Regilla, sua moglie (2), venne salutata dal plauso concorde de’ dotti. Il Visconti - fu scritto - « nel ripigliarle di nuovo sotto i suoi sguardi ha saputo trovarvi per entro molte belle cose non da altri avvertite. Nelle notizie (1) Esposizione della rappresentanza d’tin antico musaico, edita dal nepote Pier Ercole Visconti, che vi fece alcune annotazioni, nelle Memorie romane di antichità e belle arti, vol. I [1825]. (2) Iscrizioni | greche triopee | ora Borghesiane | conversioni ed osservazioni \ di | Ennio Quirino Visconti I In Roma I nella Stamperia Pagliarini MDCCXCiv. | Con licenza de’ Superiori; in-4° grande di pp. 104, oltre 8 in principio senza numerazione e due tavole. preliminari egli narra in breve quanto fa d’uopo che intorno alla vita di Erode Attico e di sua moglie ner ΜΡΡΪ* genza delle proprie illustrazioni. Nè credasi per ciò, ch'egf^uT T”·' peta il già detto da altri. Riusciranno affatto nuove le · rA. produce rispetto alle cave de' mar.ni penielicl, s„. q le predette iscrizioni; come pur nuova riuscirà che Regilla f ael console Appio Anni» Bradua, e non già, come a|cmi “ ^ di Marco Att.l.o Brada», console esso pure venticinque anni d„po . . cll appartenessero a Regilla stessa i campi oVera il Triopie, borse sulla vi, Appia, distante tre miglia da Roma, dove le iscrizioni medesime esiste vano collocate in un tempio sacro a Cerere ed a Faustina ». Venend alle iscrizioni, il Giornale è dolente di non poter dare che « un piTc"]0 cenno del molto che vi osserva , 1Ά. « In una di esse sta scritto il noie di Marcello. Gli eruditi avevano sin’ora cercato indarno chi fosse questo Marcello in mezzo ai molti che portarono un stmil nome. Salmasio Maittaire e Spanhenico si affaticarono a indovinarlo; ma inutilmente' perchè j| nostro A. dimostra con molta chiarezza non poter esser alcuno de· Marcelli rammemorati dai surriferiti scrittori, e quindi prova che deve prendersi per quel Marcello Sideta, poeta greco, che fu contemporaneo appunto all’epoca di tai monumenti. A questo poeta egli attribuisce ambedue le iscrizioni, perchè scritte in versi, discordando in ciò dal· parere del sig. Brunck, il quale mentre attribuì la prima ad un incognito-Marcello, suppose l'altra lavoro di Erode, che non fece mai versi ». Nota poi che tra « le più belle disquisizioni dell’A. degna è di esser letta quella che riguarda il nome di Triopio data da Erode al luogo indicato, e che spiega mirabilmente un verso di Callimaco non bene inteso da altri; ed è pure osservabile com’egli altrove decifra ugualmente un passo d’Ormro (lliad. lib. Il, v. 548) non per anche stato colpito a dovere da’ suoi interpreti in proposito della parola KpaSoviov. Si vegga ancora in qual modo più facile egli spieghi l’etimologia del nome Ηρα*ΐ)ς, e come osservi che il nome di Arpie è proprio delle Parche e dì que' mostri insieme che ha inventati la favola, rendendo egli con ciò più intelligibili due luoghi di Omero, dove gl’interpreti di questo poeta non si accorgono clic la parola Arpia era un sinonimo di Parca » (I). (1) Giornale della Letteratura Italiana, di Mantova, tom. V, pp. 307-310. — 112 — Quando l’ab. Gaetano Marini, desideroso di stampare Gli atti e monumenti de’ fratelli Arvali, da lui raccolti, decifrati e commentati, presentò il manoscritto alla Censura, Tommaso Vincenzo Pani, maestro del Sacro Palazzo Apostolico, lo dette a leggere a Vito Maria Giove-nazzi e al Visconti. 11 giudizio di Ennio Quirino fu questo : « Lo stimo un lavoro insigne, anzi il più insigne che in genere di lapidaria latina abbia veduto la luce nel cadente secolo. La vastità delle cognizioni, la varietà delle ricerche, l’accuratezza delle notizie, la critica delle discussioni rendono quest’opera d'una utilità sommamente estesa per tutte le parti della filologia e perciò d’un pregio infinito e di molta istruzione anche pe’ dotti. Sembrami perciò che debba desiderarsi da chiunque onora ed ama le lettere di vederla quanto prima alle stampe, per servire di monumento perenne al sapere dell’egregio autore e di raro modello a tal maniera di scritti » (1). Quando era sotto il torchio, fu largo del suo aiuto e de’ suoi consigli all’autore, che gli scriveva pieno di riconoscenza: « Lunedì ebbi la carissima sua con le nuove osservazioni, e rispondo subito, impaziente di mostrarle l’animo mio grato, e di ringraziarla tanto quanto non so dire. Ella mi ha obbligato e mi obbliga con questo lavoro in un modo singolarissimo, nè alcuno certamente avrebbe saputo, nè voluto far quello ch’ella ha fatto in servigio della mia opera, ed io ne sono sì sorpreso e confuso, che quasi vorrei non averle dato occasione di annoiarsi tanto in un tempo massimamente destinato al sollievo ed all’ozio. Ma, d’altra parte, che brutta comparsa avrebbe fatto il libro con tanti spropositi ! io ne avea corretti molti; ma molti, massime nel greco, mi erano trascorsi; ed ora ii faccio emendar tutti diligentemente colla sua carta alla mano. Compia l’opera e mi faccia con suo comodo tenere le critiche al resto de’ miei fogli, delle quali terrò quel conto che debbo nzW’Addenda » (2). La serie de’ lavori del Visconti, scritti e stampati a Roma prima che pigliasse la via dell’esilio, si chiude con la lettera all’ab. Giorgio (1) Marini Q., Gli atti e monumenti de’ fratelli Arvali scolpiti già in tavole di marmo ed ora raccolti, deciferati e commentati. All'Eminentissimo e Reverendissimo Signore, il Signore Cardinale Luigi Valenti Gonzaga, vescovo di Albano, In Roma, MDCCXCV, presso Antonio Fulgoni; parte I e II; iu-4. (2) La lettera, che è del 27 maggio 1795, seguita per parecchie pagine e finisce. « Mi voglia bene, che io sono e sarò sempre, pieno della maggiore stima, riconoscenza ed amicizia, tutto suo ». — 113 — Zoëga su due monumenti, ne’ quali è memoria di Antonia Augusta, che lesse all’istituto nazionale della Repubblica Romana, il 1.° giugno del 1798. Piglia a descrivere un « raro e curioso» piombo Veliterno del Museo Borgiano, che nel diritto « contiene in profilo, rivolto alla destra •de’ riguardanti, un ritratto femminile con acconciatura di capelli convenienti a’ tempi Augustei, o a’ prossimi »; e la leggenda: GERANO-CVRKftori]. FELI [citer]. Nel rovescio «sta Mercurio in piedi colla tasca nella sua destra e’I caduceo nella manca ». L’epigrafe che Io contorna è pure di tre parole: SODALI [bus]. VELITER [nisj. FEL [iciter]. Prova che il ritratto femminile è quello d’Antonia, figlia di M. Antonio e d’Ottavia, nipote d’Augusto, moglie di Claudio Druso, madre di Germanico Cesare e dell’imperatore Tiberio Claudio. Mercurio, <·. il Dio Psychopompo, o sia il condottiero delle anime nelle regioni de’ favolosi Mani » gli è cagione di ritenere che questo piombo de’ Sodali Veliterni « fosse battuto in occasione di feste o di ludi funebri, solennizzati ad onorar la memoria della defunta matrona in quel Municipio, e per servire o di tessera o di missile nello spettacolo ». L’altro monumento di Antonia Augusta, « casualmente scoperto nelle ruine dell’antica Sinnessa >->, in vicinanza di Mondragone, è « una lapida marmorea, contenente un greco epigramma, di buon tempo e di molta venustà, preceduto da un nome proprio in genitivo, segnato con maggiori lettere »: il nome di Giuniore. La liberta Eouc, già delicata di Druso e di Antonia, l’aveva fatto scolpire per indice di un tempio da essa eretto a Venere Anadiobene appunto presso Sinnessa nella Campania. Il Visconti dà il testo dell’epigramma con un largo commento; lo traduce in latino e « ili liberi versi toscani »; indaga chi fosse il « colto poeta » che lo compose. Ritiene sia M. Pompeo Teofane giuniore, nepote di M. Pompeo Teofane Miti-leneo. È mentovato da Tacito; e Strabone «ci fa nota la grazia di che godeva egli presso Tiberio, il fratello appunto di Druso e’I cognato d’Antonia, che sono i coniugi mentovati neU’epigramma » (1). (1) Lettera su due monumenti ne' quali è memoria di Antonia Augusta, letta nella seduta della classe di filosofia, lettere ed arti dell'istituto Nazionale della Repubblica Romana il dì 13 Pratile anno VI, Roma, Fulgoni. CAPITOLO VI. Un documento molto attendibile, sconosciuto agli storici dell’eccidio di Ugo Bassville, che Vittorio Fiorini scoperse e pubblicò, ci fa sapere come la mattina del 13 gennaio 1793 « erasi tenuto in casa di Moutte un club di 120 persone: forse quelle colle quali Bassville e La Flotte si lusingavano di potere a forza innalzare le armi della Repubblica nella notte seguente » (1). « Oli intervenuti a questo convegno » — nota Tommaso Casini — « non erano certamente soli francesi, nè raccolti a trattare di cose francesi: quella era una propria e vera congiura, nella quale si potrebbe giurare che avessero parte molti di coloro che si chiarirono poscia per giacobini nel ’98, e tra gli altri particolarmente il giureconsulto Filippo Renazzi, Ennio Quirino Visconti, Giuseppe Flaiani, Liberio Angelucci, Angelo Stampa, Domenico Maggi, Filippo Accoram-boni, Gioacchino Pessuti, Carlo Luigi Costantini » (2). Che il Visconti appartenesse alla schiera de’ giacobini romani sta lì a provarlo la memoria da lui scritta il 29 gennaio del 1798 per illuminare il Direttorio di Francia, messa, in parte, alla luce dal cav. Ar- (1) FIORINI, Catalogo illustrativo dei documenti esposti in Bologna nel Tempio del Risorgimento nel 1868; II, 205 e sgg. (2) CASINI, Ritratti e studi moderni, Roma, Società Dante Alighieri, 1914, p. 11. — 116 - -taud; il quale la dice « dettata colla maggiore intelligenza e ricca di viste e statistiche piene di saviezza e di verità ». Eccone un passo: La poco felice riuscita delle insurrezioni romane ha potuto forse far risguar-dare questo popolo come assolutamente alieno dai principii democratici: ma la cosa non è così. L’incertezza in cui è, d’essere, o di non essere sostenuto, il timore di una invasione napoletana, l’esempio di Venezia, ecco gli ostacoli che gl’impedisconó di dichiararsi per la causa della libertà..... Se il combinato tentativo del 27 e del 28 decembre, tentativo pessimamente organizzato e peggio diretto, avesse avuto luogo un mese innanzi, cioè a dire prima che l’editto del 28 novembre, ponendo fuori di circolazione molta carta monetata, avesse diminuito l’effetto della scarsezza del numerario, io sono sicuro che sarebbe stato appoggiato da moltissime persone d’ogni grado: ma è stato fatto in un tempo, in cui il popolo aveva veduto migliorarsi la sua situazione in un istante, il che era dovuto a una sola operazione del Governo ; ed il popolo sperava allora che le sue calamità si sarebbero raddolcite (1). 11 Direttorio di Francia fin dal 10 ottobre del '97 aveva scritto a Giuseppe Bonaparte, suo ambasciatore a Roma: Voi dovete fare due cose: 1.° impedire al Re di Napoli di venire a Roma; 2.° aiutare anziché impedire le buone disposizioni di quelli i quali pensassero essere ornai tempo che finisca il regime dei Papi; incoraggiare e sostenere,in una parola, il volo che il popolo di Roma sembra voglia spiccare verso la libertà. Venne frattanto a Roma il generale Duphot, il quale alla conversazione di casa Massimi dichiarò che « il fare la rivoluzione era un divertimento: un amusement ». La sera del 27 decembre un gruppo di « persone armate si diresse contro una pattuglia, facendo fuoco ». La mattina dopo, « certo abbate Agretti, stato notaro criminale del Governo, indi governatore aH’Ariccia e finalmente creato notaro delPAmbasciata francese, liberalissimo nel distribuire cariche e patenti, assicurò il gene-nerale Duphot esser tempo di fare il colpo, sostenendo che esclusi i nobili ed i preti, poteva contarsi su tutto il popolo e su porzione della cittadinanza. L’Ambasciator francese dissentiva, rilevando che senza una forza armata, la rivoluzione non avrebbe avuto un esito felice, e voleva quindi che avanzassero sin verso Roma i Cisalpini, coi quali andava esso d’accordo; ma finalmente lasciossi persuadere dalle ragioni dell’A- (1) ARTAUD, Storia di papa Pio VII, Lucca, Baroni, 1837, vol. I, pp. 39-40. - — 117 — gietti e del generale». L’Agretti, «radunato un pugno di gente, la condusse sotto il palazzo delPambasciatore ». Ciò che seguì è noto. Giuseppe Antonio Sala però « per viemmeglio smentire le calunniose relazioni inserite in tante gazzette », aggiunge « che li rivoluzionari erano pochissimi, giacché molta gente era accorsa per semplice curiosità; che il generai Duphot investì colla sciabla i soldati accorsi per calmare il tumulto, fino a vergare co’ suoi colpi i fucili de’ medesimi; che I’uffi-ziale Amadei lo avvertì a voce alta di fermarsi, altrimenti avrebbe fatto far fuoco; che egli, ciononostante, volle andare innanzi animando i compagni col gridare: Avancez, avancez; che li soldati più d’una volta strillarono : si fermi, non venga avanti, abbiamo ordine di tirare; e che finalmente tutto essendo inutile, lo colpirono con una fucilata. Egli, caduto in terra, si alzò subito, onde gli replicarono un secondo colpo per cui dopo mezz’ora morì » (1). 11 Cacault, predecessore di Giuseppe Bonaparte nell’Ambasciata di Roma, e bene informato di quanto era seguito, confessò più tardi: «Le général Duphot a été imprudent; tranchons le mot: il a été coupable. 11 y avait à Rome un droit des gens comme ,partout » (2). Il Visconti, chiamandolo un tentativo « pessimamente organizzato e peggio diretto », diceva il vero. La morte, per altro, del Duphot fu presa dalla Francia come un pretesto per abbattere il dominio temporale de* Papi, e il Berthier ebbe ordine di marciare su Roma, e vendicarla. 11 10 di febbraio scriveva esso al generai Bonaparte: Je suis à Rome depuis ce matin, et je n’ai trouvé dans ce pays que la plus profonde consternation, et pas une lueur de l’esprit de liberté; un seul patriote est venu se présenter à moi, et m’ offert de mettre en liberté 2000 galeriens; vous jugez comme j’ai accuelli sa proposition.....Je vous réitère, mon général, la demande que je vous ai déjà faite de me rappeller au* prés de vous; c’est le plus grande service que vous puissez me rendre. Non solo fu obbligato a restare, ma gli venne imposto di « organizzare immediatamente un moto popolare » per proclamar la Repubblica. Obbedì. 11 Bassal, ex prete francese, il còrso generale Cervoni e varii Scolopi furono gli strumenti de’ quali soprattutto si valse il generale per (1) SALA, Diario Romano degli anni 1798-99, Livorno, Vigo, 1882, part. II, pp. 4-6, (2) SCIOUT, Le Directoire] 111, 268. - 118 - Indurre pochi cittadini a dimandargli « la libertà del Popolo Romano ».. 11 15 di quello stesso mese « un 300 patriotti si raccolsero in presenza del Cervoni, e, fiancheggiati da un drappello di francesi, a capo de’ quali stava il Murat, celebrarono un atto solenne, che fu rogato da tre no-tari, ove dichiararono che il Popolo Romano, stanco )in da gran tempo del mostruoso dispotismo da cui era oppresso.....temendo di cadere in un’orribile anarchia, o in una tirannide peggiore.....rivendicava i primitivi diritti della sua sovranità; e però, innanzi a Dio e al mondo tutto, detestava gli attentati degli assassinii commessi dal Governo Papale, e riassumeva in sè ogni potere, per esercitarlo secondo i principu di verità, di giustizia, di libertà, di eguaglianza; bensì voleva salva la religione e l’autorità spirituale del Papa, riserbandosi a provvedere al suo mantenimento e alla custodia della sua persona; per ultimo affidava temporaneamente il governo dello Stato a sette Consoli. Al quale ufficio furono designati dal Cervoni, sempre in nome del Popolo Romano, gli avvocati Riganti e Costantini, il duca Bonelli, il matematico Pessuti, Bassi causidico, Maggi e Stampa benestanti; i quali due ultimi non a-vendo accettato, furono subito dopo sostituiti con Angelucci e con un giacobino, suo amico; segretario il Bassal. Questi sette Consoli erano assistiti da due Ministri, che furono Camillo Corona per gli affari esteri ted Ennio Quirino Visconti per l’interno (1). Infatti nel proclama a stampa del generale Berthier, del 18 febbraio ’98, tra le altre cose, si legge : «Il Ministero dell’interno riunirà tutto ciò che riguarda il clero, le Municipalità, l’agricoltura e i Commissari del Consolato. Il cittadino Visconti Ennio Quirino ne eserciterà provvisoriamente le funzioni » (2). Il Direttorio di Francia mandò a Roma come suoi commissari il Daunon e il Faypoult, il Monge ed il Florent con l’incarico di compilare e d’offrire al Popolo Romano una Costituzione repubblicana, che fu promulgata e inaugurata il 20 di marzo. A Consoli vennero designati dal Massena, succeduto al Berthier nel comando delle truppe francesi . (1) FRANCHETTI, Storia d’Italia dal 1789 al 1799 (2.a edizione), pp. 460-461 e 571. (2) R. Archivio di Stato in Roma. Repubblica Romana, busta 8. - 115 — invaditrici, e confermati dal generale Dallemagne, il Visconti, l’Angelucci, il De Mattheis, il Panazzi ed il Reppi. Il diarista Sala (1), che ha sempre il veleno nel calamaio, scrive in data del 26 marzo: «Tutti li falegnami di Roma sono stati obbligati a •lavorare per servizio de’ Consoli e de’ Ministri, li quali, oltre l’annuo stipendio, avranno ancora le abitazioni fornite di tutto punto ». Il 25 d’aprile torna a scrivere: « Le mogli de’ Consoli Angelucci e Visconti, che fin dal primo punto dell’esaltazione de’ loro mariti avevano incominciato a prendersi in picca per la scelta degli appartamenti, si sono azzuffate in giardino, e sono venute alle mani. Chi avesse mai creduto che nel giardino Quirinale avessero a vedersi le scene indecenti che una volta erano proprie delle contrade di Trastevere »! (2). I Consoli, oltre l’alloggio, avevano di paga 6450 scudi romani l’anno, e vestivano così : « Manto nero, foderato di rosso, ricamato d’oro nel bavero ed in tutto il suo circuito; tunica e pantaloni bianchi; la tunica ricamata d’oro nella sua lunghezza e da piedi; cintura rossa, con frangia d’oro; la spada sostenuta da una tracolla néra, ricamata d’oro; cappello nero, alzato da una parte solamente, con cappiola e bottone d’oro e pennacchio tricolore; stivaletti neri ». Questo abito però era da indossarsi soltanto « per le udienze e cerimonie pubbliche »; invece, « nelle funzioni quotidiane » portavano un « abito nero, di forma solita, foderato di rosso, con piccoli ricami d’oro sul bavero e sui paramani ; gilè e pantaloni bianchi; stivaletti neri; fascia rossa, con frangia tricolore, in seta; cappello alzato con trina e bottone d’oro e pennacchio tricolore; sciabla sospesa ad un cinturone rosso, ricamato d’oro » (3). « Li Consoli e i ministri » — (chi scrive è il Sala) — « si sono ri- (1) 11 Sala, che visse dal 1762 al 1839, da papa Gregorio XVI fu creato cardinale il 30 settembre del 1831. Il prof. Giuseppe Cugnoni, editore del Diario e biografo del Sala, scrive di lui: « Il cronista è tutto odio pe’ Francesi, tutto amore pel Papa: ma l’odio e l’amore non gli fanno velo al giudizio, nè lo sviano dalla veracità; e spesso loda i nemici e ancor più spesso biasima gli amici ». Cfr. CUGNCNI, Il cardinale Giuseppe Antonio Sala, memorie intime della Curia Papale dopo la Rivoluzione Francese nella Nuova Antologia, serie III, vol. XXIII [1880), pp. 241-292. Che il Sala spesso biasimi anche gli amici è vero; ma l’odio suo verso i patrioti è tale e tanto e così feroce che gli offusca -continuamente l’intelletto. (2) SALA, Op. cit.; part. I, pp. 125 e 169. (3) Ballettino della Repubblica Romana, n. 3, pp. 141-142; n. 13, p. 306. — .120 - partiti infra di loro le biancherie ed altre suppellettili esistenti nella Floreria del palazzo Quirinale, in vista delPordine de’ Commissari francesi, per cui non debbono più avere tante aggiunte al loro trattamento. Così, invece del semplice uso di questi oggetti, ne hanno acquistato la proprietà, quantunque in gran parte non siano stati neppur pagati. Quell’empio del Console Visconti ha proibito a tutta la gente di sua casa il nominare Iddio e li Santi, e fa portare alli suoi figli li berretti coll’iscrizione: O Libertà o Morte. Può darsi che infine venga esaudito rapporto alla seconda parte di questa alternativa ». Toma a scrivere: « Il foglio del nostro Monitore n.° 60, distribuito ieri sera [12 settembre ’98] contiene un sanguinosissimo supplemento, in forma di dialogo, tra Pasquino e Marforio, in cui vengono nominati ad uno ad uno li Consoli, e tacciati da ladri. DeH’amministratore de’ beni nazionali si dice aver trovato il segreto di ridurre a zero tutti gli stessi beni ; e si promette in appresso la continuazione di sì bella litania. Termina il foglio con una graziosissima farsa della riconciliazione di ogni sorta di animali, alludendosi alla lega fatta dai Consoli e da altri funzionari, temendo che i Commissari francesi li chiamino al rendimento de’ conti. Siccome non è verosimile che i redattori del Monitore siansi azzardati a scrivere con tanta libertà, senza una previa intelligenza di detti Commissari; così non possiamo fare troppo buon pronostico de’ Consoli, e sembra imminente la loro caduta. Vi sarebbe, a dir vero, estremo bisogno che si scegliessero delle persone oneste, per destinarle alle prime cariche della Repubblica » (1). Ecco nella sua integrità il supplemento al n° LX del Monitore di Roma. LE LITANIE DI PASQUINO - DIALOGO Pasquino e Marforio P. - Allegri, Marforio, allegri. Ci sono belle novità. Consoliamoci, esultiamo. M. - Belle novità. Dammele un poco. P· ' Leggi, leggi il Proclama dei nuovi Commissari Bertolio e Duport, e poi! contieni, se puoi, e se ami la patria, l’allegrezza. M. - L’ho sentito leggere, caro Pasquino, ma ho paura..... (1) SALA, Op. cit.; part. II, pp. Ili e 148-149. _ — 121 — P. - Che paura, io ti denunzierò come nemico della patria per questa sola paura. È vero, che la nostra Repubblica, straziata, lacerata da molti dei suoi medesimi figli, languisce in pericolosa malattia : ma la generosa madre, che l’ama di cuore, che vuole ad ogni costo conser-varia e darle nuovo vigore, ha fatta la felice scelta di questi due medici, e l’ha confidata alla vigilante lor cura. Leggi, leggi e vedrai come hanno attentamente indagato i suoi mali, quanto sono complicati da sintomi mortali! Ma tu sai il proverbio: mal conosciuto mal guarito. La medicina è di effetto sicuro; l’applicazione è vicina; la scopa è pronta ..... Tremino gli anarchisti, le sanguisughe. M. - Adagio un poco, Pasquino. Non ti abbandonare tanto a sì belle speranze. Tu sai che bisogna cominciare da rimettere un poco di umore in questo corpo dissanguato della nostra malata. Or questo è il difficile. P. - E da questo appunto hanno cominciato i nostri bravi medici. Basta che tu legga la legge del 23 Fruttidoro. Con una cedola ancor demonetata di 90 scudi ne avrai 6 sicuri, sicurissimi..... M. - Oh benedetti questi medici! Ma saranno poi eseguite le operazioni e i tagli necessari, da loro indicati? P. - Se saranno eseguiti, ma ne dubiti? lo stesso, vedi, poveruomo si, ma onesto, e patriotto disinteressato..... M. - Oh sì, hai guadagnato assai finora col tuo disinteresse e col tuo gridare al ladro, al ladro! P. - Ebbene farò l’ultimo sforzo. Ho ben letto la notificazione degli 8 Fruttidoro. Credi che sia stata fatta per gettar della polvere negli occhi? 10 stesso mi porterò da questi nuovi Commissari, canterò certe Litanie ..... M. - Ma che diavolo dirai? P. - Dirò, per esempio, così : Cittadini Commissari, vi è un certo cittadino Visconti che fino al passato marzo ha ristrettamente vissuto colle sue letterarie fatiche, anzi credo che avesse appunto qualche debito. Era poi antiquario sì esperto, che le medaglie di casa Bracciano per irre-sistibil simpatia si attaccarono tenacemente all’erudita sua mano, nè si sono mai più distaccate. Ora, da marzo in qua, è in possesso di una bella vigna con molti uliveti sulle porte di Frascati, comprata poco prima della demonetazione delle cedole; degli orti estesi di S. Sabina, di una casa in Frascati, insomma mi hanno detto che già si è fatta un’entratina di passa SOO scudi puliti, puliti. Se andiamo di questo passo, fra 5 anni avra un’entrataccia di 20 mila scudi. E sai tu cosa ha fatto per occultarsi ? Ha fatto comparire come compratori il Lavaggi,. 11 Bini, ecc. ecc.! Ma io so dove il diavolo tien la coda. P Μ. - P. -Μ. -P. - Μ. ■ P. - Μ. P. Μ. P. Μ. -P. - — 122 - Oh vedi un poco! Sai tu cosa rispose questo medesimo Visconti al nostro comune amico il Monitore, quando gii disse che la demonetazione delle cedole quasi nulla avea guadagnato nel primo quadrimestre? Che gli rispose? In verità, non meritate guadagnar di più. Aveva ragione; quello sciocco non ha imparato da lui la vera strada di guadagnare. Passiamo di grazia al secondo Santo delle Litanie. Vedete voi, cittadini Commissari, quell’altro là? Quegli è il cittadino An-gelucci. Eh bada bene che non ti senta, perchè quand’è in collera va bestialmente sulle furie, pare un indemoniato, caccia fuori spada, pistole, siringhe, lancette..... Il soldato repubblicano sprezza la morte in campagna aperta con la spada alla mano, e lo scrittoi" repubblicano la sprezza in città con la penna in mano. Uh! se è così parla pure. Questo cittadino Angelucci faceva delle buone sanguigne a dava con 1 e-sperte sue mani la vita a molte creature estraendole dall’utero materno. Bisogna dire che quel denaro da lui seminato, quando di Campo di Fiore passò al Quirinale abbia prodotta buona raccolta. Poiché, oltre gli orti immensi di S. Clemente e la vigna del Collegio Ecclesiastico, ha comprato ancora il Palazzo di Malta. È ben vero che prudentemente ha preso ancora del danaro a interessa da Mutarelli, da Berisi, da questi ricconi, capisci. Ma il valore di questi capitali supera i 40 mila scudi, benché l’amico amministratore dei beni nazionali non sia stato con lui molto rigoroso. E ancora egli ha fatto ben giocare a tempo le cedole demonetate. Evviva il nostro chirurgo! Passiamo al terzo Santo. Questi,·seguiterò a dire, è il cittadino de Matthaeis, già medico di condotta in Frosinone. Benché vecchio, ha corso nella carriera dei buoni acquisti quanto Visconti e Angelucci, più giovani di lui. Il male è stato che le cedole, anche da lui smaltite in Frosinone, furono una delle cause di tanti mali in quella città. Poi indicherò ai Commissari il cittadino Reppi, che dormendo ancora compra delle possessioni, paga gli antichi debiti in Ancona, spedisce il figlio alla fiera di Sini-gaglia a imparar la mercatura con effetti preziosi, ec. ec. Oli indicherò il cittadino Panazzi, che più accorto di tutti, occulta tutti gli acquisti, fuori che le gioie che adornano la moglie, la... la... ec. Poi passerò al Cittadino Castelli, che da bravo banchiere di nuovo conio — 123 — ha quasi sciolto questo gran problema: Ridurre a zero i beni nazionali della Repubblica Romana. Costui, aggiungerò, ha preso il danaro dagli amministratori francesi per abbassare le stime dei fondi nazionali e lo proveddero! Ha venduto ai sopra nominati cittadini molti beni, contro cedole poco prima che fossero demonetate, a prezzo vilissimo. Ha fatto un lucroso mercimonio con i fondi incassati dalla Nazione, ec. ec. Passerò poi a nominare il citt..... M. - Non hai finito ancora? P. - Oh bella nelle Litanie dei Preti S. Pietro non è alla testa di tutti gli Apostoli? Così Castelli è alla testa di tutti i fornitori, che sono troppo inutili, e perniciosi più di ogni altro alla nostra Repubblica. M. - Ebbene, sentiamo un poco. (Sarà continuato) Al cittadino Gagliuffi (1). Il Sala prosegue: « Li stessi Consoli andarono sulle furie tostochè lessero il supplemento all'ultimo foglio del Monitore. Spedirono un commesso al burò della Posta nazionale per far trattenere tutte quelle copie che dovevano spedirsi in quella notte, e quantunque uno de’ corrieri fosse già partito, e l’ora fosse molto avanzata, pure bisognò disfare li pacchi delle lettere per ripescare le odiose stampe. La mattina seguente un altro commesso, con ordine in iscritto del Ministro di giustizia, presen-tossi dallo spacciatore di detto foglio e ne riportò via tutti i supplementi. Il Console Visconti, infuriato, fece un’invettiva ai segretari perchè non Paveano avvertito più presto, e disse: siamo mal serviti, onde li segretari medesimi si rivoltarono contro di lui, rispondendo, ch’essi servono la Repubblica, non già il Console Visconti. In seguito portarono le loro lagnanze ai Commissari francesi, in nome de’ quali è comparso quest’oggi [14 settembre] un proclama dichiarando che il supplemento al n. 60 del Monitore è soppresso, e che sarà fatta senza ritardo una legge tendente a reprimere gli abusi della stampa. Tutto il mondo però è per- (1) Monsig. Giuseppe Baraldi, parlando del Visconti, così ricorda il presente articolo: « S’incontra troppo spesso, e negli impieghi maggiori di console, di ministro, di commissario, ec. deH’effimera Repubblica Romana, il nome di quest’uomo grande, cui non si risparmiarono però mortificanti censure da que’ moderni Bruti e Catoni. Vedi Monitore Romano, 26 fruttifero anno VI ». Cfr. BARALDI, Notizia biografica dell'abate Francesco Cancellieri; nelle Memorie di religione, di morale e di letteratura, di Modena, tom. XIII (1828), pp. 373-463. — 124 — suaso che li Commissari medesimi fossero preventivamente informati del contenuto di detto supplemento » (1). Il 17 settembre del 1798 il Sala ricorda (2) per l’ultima volta il Visconti : « Abbiamo strepitosi cambiamenti nella classe de' pubblici funzionari. Li vecchi Consoli più non esistono. De Matthaeis e Reppi, di mala voglia, è vero, ma per scegliere tra due mali il minore, hanno ceduto alle insinuazioni fatte loro per impulso della Commissione francese, ed entrambi con biglietti diretti alla Commissione francese, ne’ quali pretendono di giustificare la propria condotta, e di lamentarsi dell’invidia e della maldicenza, si sono dimessi da que’ posti, che vedevano di non poter ritenere più a lungo. Li Commissari non hanno esitato un momento ad accettare le loro rinunzie, rispondendo ad essi con termini generali e poco significanti. Gli altri due Consoli, ostinatissimi a volersi sostenere, hanno dato una precipitosa caduta. Il generale Macdonaki con una legge annunzia che le diniisssioni de’ Consoli Angelucci, Reppi e de Matthaeis sono accettate ; e che i Consoli Visconti e Panazzi sono destituiti dai loro posti, nè potranno uscir da Roma senza il permesso dello stesso generale » (3). Ben più sereno giudizio dettero d’Ennio ( uirino, ministro dell’interno e console della Repubblica, l’Ugoni, l’Eméric-David e il Daunon. Camillo Ugoni scrive: « Sopraggiunse in Roma la rivoluzione; e durante il Governo Provvisorio stabilitovi in sulle prime, il Visconti fu (1) SALA, op. cit.; part. II, pp. 150-151. (2) A pp, 141-142 del suo Diario, dopo aver raccontato che il prete Santucci « per aver parlato di prossimo cambiamento di governo » fu rinchiuso in Castel S. Angelo e condannato alla fucilazione, aggiunge: « Questa iniqua sentenza commosse gli stessi uffiziali del Castello, li quali si diedero un gran moto per frastornarne l’esecuzione. Fortunatamente vi sono riusciti.....La ragione potissima che gli enunciati uffiziali fecero valere per salvare i! Santucci fu che se per la proposizione da lui proferita fosse stato degno di castigo, avrebbe bisognato procedere contro tutta Roma, trattandosi di una voce universalissima. Dagli atti del processo appariva che la proposizione medesima era uscita dalla bocca del Visconti; ma costui asserì in iscritto di non averla giammai proferita, e tanto bastò toglierlo da ogni imbarazzo. Secondo le regole della buona Democrazia si sarebbe dovuto procedere imparzialmente ancora contro di esso, ed assoggettarlo ai costituti; ma come pretendere che tali regole vengano osservate da un Governo dispotico e tiranno? ». (3) SALA, Op. cit.; part. II, p. 157. - 125 - eletto alla carica di ministro deH’interno. Sostenutala per due mesi, fu poscia costituita la Repubblica Romana. Ne’ novelli ordini delle magistrature v’era cinque Consoli, e il Visconti fu uno di quelli. Con che sollecito zelo attendesse alla gravità d’incombenze, chs abbracciavano la fortuna e la salute pubblica, colui che di minori obblighi sdebitavasi con assiduità, non occorre dirlo. Ciò solo diciamo, che fra quanti reggevano la cosa pubblica in Roma, nessuno fu più savio e moderato di lui . . -Cessò dal consolato non senza aver date prove di fermezza d’animo, tra le quali troviamo scritto, che a tale, famelico d’onori e di potere, il Console, recatosi in severo contegno, accennasse la ròcca tarpea ; e che quàndo i secondi Commissari francesi gli proffersero un decreto che umiliava la Repubblica, il Visconti gettasse lungi da sè il foglio gridando: Cercatevi altrove carnefici che v’immolino la mia patria» (1). L’Eméric-David, riconosce, alla sua volta, che il Visconti sostenne il consolato « con pari saggezza e integrità »; e giustamente aggiunge: « Se non che in que’ tempi di disordine, gli uomini turbolenti e faziosi non potevano apprezzare in nessuno la probità e il talento. Un giornale rimproverò al Visconti ed a’ suoi colleghi il torto irremissibile d’essere moderati. Tali rampogne furono sovente rinnovate» (2). Le maligne contumelie del Sala, le sozze calunnie del Monitore provano infatti che fosse un pruno negli occhi alle fazioni, estreme, alle quali ebbe sempre il coraggio di resistere impavido. Pietro Claudio Francesco Daunon, uno degli organizzatori della Repubblica Romana, da Parigi, il 29 ottobre del ’9S, scriveva al Visconti : Puis qu’ il fallu que l’intrigue et l’anarchie triomphassent aussi un instant dans votre République, je vous félicite d’en avoir ét; la première victime. C’est un honneur dont vos lumières, vos talens et vos verius républicaines vous rendaient tout - à fait digne. Je vous prie de penser que je n’ai point attendu votre lettre pour aprécier l’opération insensée de D-iport et pour manifester, mon opinion contre l’injustice que vous éprouvez. Mais cette inju jtice, quelque grave qu’elle soit, n’est pas le plus grand tort que le Directoire aurait à reprocher à ses Commissaires: ils ont excedé leurs pouvoirs, violé votre Constitution et (1) UGONi, Della Letteratura italiana nella seconda metì de! secolo XVIII, opera postuma, Milano, Bernardoni, 1858; vol. IV, pp. 11-12. (2) Biografia universale antica e moderna, Venezia, M'ss'aglia, 1830; voi. LXI, pp. 406407. - 126 - donné le signal de tous les fléaux publics que l’anarchie doit amener parmi vous, si elle n’est pas bientôt réprimée. J’ai transmis votre lettre au c. Talley-rand, j’ai remis à l’un des Directeurs celle que vous m’avez adressée et tous les pièces qui s’y trouvaient jointes. Une réponse, que je viens de recevoir de Talleyrand me fait espérer que le Directoire va s’occuper enfin des moyens de remedier à tant de desordres. Je suis fâché que vous disiez au Ministre des relations extérieures que vous auriez donné votre démission, si vous aviez su qu’ on la désirât. 11 vaut beaucoup mieux que vous ayiez été destitué. Nous avons essuyé depuis trois mois bien de malheurs: l’un des plus affli-geans peut - être est que le Directoire ait envoyé en Italie des agsns si peu dignes de sa confiance. Je désire qu’ il ne se voye pas dans la nécessité de maintenir les sottises qu’ ils ont faites et qu’ il apprécie parfaitement. J’apprends que Faipoult vient d’arriver à Paris. Je ne pourrai le voir qu’ après avoir remis cette lettre à Florens, qui va partir à l’instant. J’espère que Faipoult voudra concourir, je ne dis pas à éclairer le Directoire, auquel je crois qu’ il ne reste aucun doute, mais à le déterminer à des mesures vigoureuses, indispensables pour la tranquillité des Républiques d’Italie et pour l’honneur da la nation Française. Je vous prie de recevoir "l’assurance des voeux que je forme et pour la prospérité de votre République et pour votre bonheur per-sonel. Salut et fraternité (1). In forza dell’articolo 291 della Costituzione, ebbe vita a Roma l’istituto nazionale (2). Era diviso in due classi: Scienze matematiche e fisiche; Letteratura, filosofia e belle arti, ciascuna delle quali composta di sei sezioni. Della prima classe eran queste : matematiche, fisica, chimica, storia naturale, anatomia, agricoltura. Della seconda classe: filosofia, scienze politiche, storia ed antichità, grammatica ed eloquenza, poesia e musica, arti del disegno. Ennio Quirino, insieme con Giorgio Zoega, Gaetano Marini e il D’Agincourt, fece parte della sezione di storia e antichità; e fu anche presidente della propria classe. Le altre sezioni erano così composte: filo- (1) ENNIO quirino visconti, Due discorsi inediti, con alcune sue lettere e con altre a lui scritte, Milano, Resnati 1841, pp. 69-70. (2) Cfr. Legge. sullo stabilimento ed i travagli dell’istituto Nazionale delle scienze e delle arti; nel Ballettino delle leggi della Repubblica Romàna, n. 3, pp. 121-126. — 127 - sofia, Pio Fantoni, Domenico Testa, Moncada e Bottazzi; Scienze politiche, Giuseppe Toriglioni, Lampredi, Nicolao Corona; grammatica ed eloquenza, Faustino Gagliuffi, Ignazio Rossi, Solari, Garratoni ; poesia e musica, Agostino Chigi, Camillo Romiti, Luigi Lamberti, Pier Alessandro Guglielmi; arti del disegno: Ceracchi, Canova, Camuccini, Giovanni Volpato. Venne stabilito, per legge, che il «primo travaglio » dell’istituto fosse « di formare un piano dettagliato d’istruzione pubblica ». « Il I piano » — sta scritto nella legge — « abbraccierà le scuole di gradi superiori, le scuole specialmente destinate a delle scienze ovvero delle arti determinate. Esso si estenderà a tutte le instituzioni letterarie e morali che possono influire sulla felicità del Popolo Romano, e conterrà particolarmente un sistema di feste nazionali ». Del « piano » si prese cura grande il Visconti. Ad uno de’ suoi più intimi amici scriveva il 21 aprile del 1798: Libertà Eguaglianza Ennio Visconti Console della Repubblica Romana al cittadino cisalpino Dionigi Strocchi a Milano. L’Istituto Nazionale è in obbligo di progettare un piano d’educazione civica, d’istruzione e di feste. Siccome attualmente io sono il presidente della classe di filosofia, lettere e belle arti, così mi prendo l’incarico di far venire a conto di detto Istituto gli scritti usciti nella Cisalpina e i piani proposti costì, tanto per la istruzione, quanto per le feste. Voi che conoscete senza dubbio tutto ciò che costì si trova pubblicato in tal genere fatemi il piacere di mandarmi tutto, fuori del libretto di Bocalosi che l’autore già mi ha mandato, e notatemene il prezzo. Sento che la dimissione di Conti vi darà luogo nel Corpo Legislativo: ne ho piacere, ma avrei amato più di vedervi con noi nella Legislazione Romana. 11 nuovo ministro dell'interno costì è egli il fratello di Lamberti ? Noi stiain bene. Teresina vi saluta. Addio. Salute e fratellanza. Roma, dal Quirinale, 2 fiorile anno sesto. Dionigi Strocchi, quando in forza del trattato di Tolentino del 17 febbraio 1797 la sua Faenza, col resto della Romagna, venne aggregata alla Repubblica Cispadana, lasciata Roma, tornò nella nativa città. Passando da Firenze, rivide il cav. D’Azara, ambasciatore del Re di Spagna presso la Corte Papale, e gli chiese, qual bene poteva l’Italia aspettarsi — 128 — dai Francesi. Gli rispose: « Amico, io non ho mai letto nelle storie e non è secondo l’ordine di natura che un popolo sparga il suo sangue per liberarne un altro ». Si presentò all’Alfieri con una lettera commendatizia del principe Agostino Chigi. L’accolse con cortesia. Saputo però che andava in Romagna, già caduta sotto il dominio de’ Francesi, gli disse con fiero cipiglio e voce tonante: «Andate anche voi a servire quella Repubblica rubante, ammazzante, appiccante? » Lo Strocchi gli rispose che il desiderio di ricongiungersi co’ parenti e di offrire i suoi » onesti servigi alla terra dove era nato lo traeva a Faenza. L’Alfieri replicò: « Quelli scellerati francesi hanno ammazzato il loro re; i re vanno ammazzati, ma sul trono, non balzameli con inganno, e, appena caduti, vilmente trucidarli ». Aggiunta poi la Romagna alla Repubblica Cisalpina, 10 Strocchi ebbe l’incarico di rappresentare la sua provincia a Milano. Di là chiese consiglio all’amico Visconti per un piano d’istruzione pubblica del quale si stava allora occupando. Il 7 giugno del 1797 ebbe questa risposta da Ennio Quirino, che allora villeggiava a Grotta Ferrata: Riguardo al piano d’istruzione pubblica, parmi che debba essere diviso in due metodi, uno per l’educazione civile, l’altro per la scientifica e letteraria. 11 primo dovrebbe contenere degli elementi chiari e indipendenti da sistema alcuno d'altro genere d’una morale universale: alcune cognizioni di geografia, di cronologia, di storia generale, di storia d’Italia. Forse qualche tintura di cognizioni naturali sì cosmologiche ed astronomiche, sì di storia naturale. Altra poi dovrebbe essere l’istruzione letteraria e scientifica. Per la letteraria dovrebbe consistere nella cognizione delle due lingue latina e greca, delle antichità, di qualche elemento di lingue orientali e delle storie delle cognizioni umane e delle arti nelle quali si comprenderebbe una ben intesa bibliografia, non tanto per la mercatura, quanto per l’uso de’ libri. Alcuni elementi di disegno e la lingua francese potrebbero essere nel piano dell’istruzione più comune, della quale dovrebbe far parte, e me n’era dimenticato, la grammatica italiana. Forse questa stessa istruzione civile potrebbe dividersi in due classi, una indispensabile a tutti, l’altra per quelli che richiedessero una qualche maggior cultura, senza aspirare ad una educazione letteraria. Per la scientifica non occorre dar piani, perchè è conosciuta. Solo potrebbe progettarsi un piano di studi pe’ militari sì di guerra terrestre che marittima. Per questi potrebbe estendersi un piano più diffuso su certi articoli di morale e anche una scelta d’esempli storici e qualche idea de’ sistemi politici dell’Europa. Pe’ legali, supposto già che si faccia un nuovo corpo di leggi e si aboliscano i fidecommessi oltre quella generazione che si aspetta immediatamente, debbon darsi de’ più accurati elementi di morale che - 129 — comprende il diritto publico, e oltra a ciò una storia delle leggi e delle religioni e della società umana. Tutto ciò che v’ho scritto è una vera confusione; ma voi ne potrete e-strarre qualche cosa d’utile, e poi il vostro piano medesimo mi darà campo ad altre osservazioni e suggerimenti. Nell’istruzione letteraria conviene non dimenticare, nella parte d’archeologia o d’antiquaria, anche gli elementi di critica e quelli di diplomatica, intesa in quanto riguarda le carte, i codici e le antichità de’ bassi tempi. Potrebbe aggiungersi una educazione per li professori delle belle arti, al qual uopo converrebbe spargere delle bene intese e scelte, se non copiosissime, raccolte di gessi presi dall’antico, in quasi tutte le città d’una certa popolazione. Basta ciò per un semplice e informe schizzo. Il Visconti, divenuto che fu console, invitò l’amico a Roma, offrendogli un incarico onorevolissimo; ma lo Strocchi non volle lasciare la Repubblica Cisalpina. a * m Il Re di Napoli rompe guerra alla Francia e il 28 novembre del ’98 l’avanguardia del suo esercito, poco dopo le ventidue e mezzo, entra in Roma. Il Sala, non capendo in sè dalla gioia, scrive: «· Il popolo, accorso in folla, ha fatto giungere gli evviva fino alle stelle, ha abbracciato gii uffiziali e i soldati ». Le « imprecazioni ai giacobini e ai francesi » non mancarono. De’ giacobini però buona parte s’erano messi in salvo. « Attesto » (scrive Gio. Antonio Riccy) « come nella notte precedente alla fuga del nostro Governo per Perugia a cagione dell’invasione napoletana, andai ad avvertirne il cittadino Ennio Visconti perchè si mettesse in salvo unitamente alla sua famiglia; ed egli, avendomi richiesto di procurargli per ciò una vettura, da pattuirsi a qual prezzo che mi sembrava conveniente in quella circostanza, andai al carrozziere Michel Angelo Paies e seco lui convenni, a nome del suddetto cittadino Visconti, di prendere per questo una carrozza con tre cavalli per il prezzo di cento piastre effettive per la sola gita; il qual patto fu in seguito confermato dallo stesso Visconti, che partì effettivamente con tutta la famiglia ». Francesco Chiocca, uno de’ garzoni del Paies, attestò: « Essendo stato il cocchiere delia carrozza servita per la fuga del cittadino Visconti e sua famiglia in occasione dell’invasione napoletana, non solo ebbi scudi dodici effettivi di buona mano per averlo portato fino a Perugia, e salvatogli la vita nella giornata deH’insurrezione di Viterbo, ma che egli fu costretto in detta giornata 7 glaciale [27 novembre] di pren- / — 130 — dere i cavalli nelle due poste del Borghetto e d’Otricolì, pagando scudi quattro fini effettivi, non potendone più i cavalli della vettura, e il comandante del Borghetto avendo inculcata una pronta partenza ». La fuga, oltre le cento piastre della carrozza, a confessione del Visconti stesso,. « fra bone mani e cavalli di posta, che dovè aggiungere, specialmente nel retrocedere da Viterbo, ch’era insorto, e dove, per ordine del generale Rey, si era dovuto indirizzare tutto il convoglio », gli costò « altre piastre sedici ». A Roma, « durante l’invasione napoletana, una truppa di gente insorta contro i repubblicani si portò nella cantina del cittadino Visconti, fuggito colla famiglia pochi giorni prima; e di chiaro giorno, e non ostante le rimostranze d’alcune persone che furono dalla turba trattate per giacobini, la sfasciarono e si bevvero e dissiparono il vino, del quale era venuta una botte da Frascati e per anche non messa a mano »-Nella sua « vigna di Frascati » per opera delle truppe napoletane, ebbe un danno di settantotto scudi e settantotto baiocchi. L’esercito di Ferdinando IV, « male addestrato alle armi, sprovvista di ogni cosa più necessaria, condotto da un generalissimo borioso ed inetto e da ufficiali inesperti e parte anche traditori, non ostante la preponderanza del numero », dopo « vergognose sconfitte », dovette ritirarsi in disordine (1). Il Visconti tornato a Roma (2), il 9 pratile dell’anno VII [28 maggio ’99], scriveva al cittadino Breislak, ministro delle Finanze della Repubblica Romana: Ennio Quirino Visconti, membro dell’istituto Nazionale, esibisce la sua istanza a tenore della legge de’ 7 fiorile per la indennizzazione in beni nazionali delle perdite da lui sofferte a causa dell’invasione napoletana. La somma ch’egli può documentare ascende a piastre effettive 336; ma più oltre assai si estendono i danni a’ quali ha dovuto soccombere in quella circostanza. Nella descrizione e inquisizione che il Governo Napoletano fece eseguire di tutti gli effetti a lui appartenenti, anche esistenti e depositati nelle case de’ suoi amici, molti di detti effetti sono mancati, e persino dei libri. Ma siccome la fretta della partenza non aveva dato luogo ad inventariarli, così (1) FRANCHETTi, Storia d’Italia dal 1789 al 1799; (2.a edizione). (2) NJ ritorno, spese venticinque scudi effettivi « per nolo di una carrozza a quattro cavalli, in buon essere »; quattordici piastre per le sei poste da Perugia a Terni; e trentasei piastre per le poste da Terni a Roma. - 131 - I non potendo giustificare dette perdite con documenti, come la legge vuole, egli non gli esibisce in nota. Spera che sul vostro rapporto, cittadino Ministro, il Consolato, in conformità della prelodata legge, vorrà accordargli la richiesta indennizazione, tanto più ch’egli durante il suo soggiorno a Perugia non ha nè domandate nè percepite razioni, che pure e come a fuggitivo per causa publica e come a Presidente dell’istituto Nazionale avrebber potuto competergli. Nel novembre del 1799 un altro esercito napoletano sorprese Roma, presidiata da un corpo di truppe francesi debole troppo per difenderla. Ennio Quirino dovette per la seconda volta mettere in salvo la vita con la fuga; e in compagnia di Luigi Lamberti abbandonò Roma, presago di non doverla più rivedere! / CAPITOLO VII. « Fuyant sur la route de Civita - vecchia, séparé da sa femme et de ses deux fils » - son parole del più intimo de’ suoi amici di Francia -« il ne pouvait pas nourrir dans cette occasion, comme lors du voyage de Pérouse, l’espérance de rentrer à Rome sous peu de jours. II quittait tristement sa patrie, et ne devait plus la revoir. De nombreux fugitifs auxquels il associa sa fortune frétèrent en commun avec lui un bâtiment qui devait les transporter en France. Au milieu des mers, il charmait la tristesse du voyage en lisant à ses compagnons des odes d’Horace. On était assis sur le tillac, et on l’écutait, lorsqu’ une frégate russe aborda le bâtiment, prétendit être en droit de le capturer, et par accommodement le reconduisit à Civita-vecchia. Là, heureusement pour les passagers se trouva un commodore anglais, qui les prit sous sa protection: il régularisa leurs passe-ports, et peu de jours après, ils arrivèrent à Marseille. Le gouvernement français n’avait pas perdu de vue l’illustre fugitif. A peine celui-ci eut touché le port, qu’ il reçut, sans l’avoir demandé, un brevet, en date du 18 décembre 1799. qui le plaçait au nombre des administrateurs du Musée des antiques et des tableaux, que l’on formait alors dans le Louvre, avec le titre particulier de surveillant (1). Mais (1) Il Magasin encyclopédique [année V, toni. V. (1799), pag. 112] così ne dette l’annunzio; « Le ministre de l’intérieur vien de nommer le célèbre an- I - 134 - cet emploi ne devant lui donner que de très-faibles émoluments, le ministre de l’intérieur, M. François de Neufchâteau, chargea le chef du burean des beaux-arts, auprès du ministère, de lui proposer un moyen, à la faveur duquel il pût attribuer à l’ancien conservateur du Musee du Capitole des honoraires dignes de son mérite. Celui-ci - M. Amaury Duval - proposa de le nommer professeur d’archéologie auprès du Musee* Ce projet fut adopté, et l’étranger qui cherchait un refuge en France s’y trouva presque en même temps investi de deux emplois, avant d’en avoir sollicité aucun. Le peu d’habitude que Visconti avoit de la langue française le fit dispenser du soin de professer. Mais dés son arrivée il s’occupa de la disposition du Musée des antiques, où se trouvèrent bientôt réunis les chefs - d’oeuvre de Rome, ceux de Florence, et ensuite tous les trésors des palais Borghese, ce qui forma la plus riche et la plus magnifique collection qui ait jamais existé dans le monde » (1). Del suo sbarco, così dette avviso la Gazette nationale ou le Moniteur universel, il 13 frimaio dell’anno Vili [4 decembre ’99]: « Visconti un des plus habiles antiquaires de l’Europe, et ex-consul de la République Romaine, est à Marselle; il a commencé un ouvrage très-intéres-sant sur les statues antiques et autres monumens que possède aujourd’hui le Musée central des arts, et qui ornaient autrefois les Musées du pape ». Soggiungeva: Les fils du célébré graveur Piranesi, réfugiés de Rome, sont aussi à Marseille (2); ils n’ont sauvé de leur fortune que les tiquaire Visconti (ex consul de la République Romaine et auteur de l’excellente description du Musée Pio-Clementin) à la place d’antiquaire du Musée central des arts ». (1) EMÉRIC-D-WID, Visconti (Ennius Quirinus); nella Biographie universelle, ancienne et moderne; tom. XL1X, pp. 258-259. (2) Il celebre incisore romano Giambattista Piranesi [1707-1778] ebbe tre figli: Francesco, Pietro e Laura, che coltivaron anch’essi l’arte di disegnare e intagliare all’acquafòrte e al bulino. Francesco, nato nel 1748, fu agente d’affari di Gustavo III, re di Svezia, presso la Corte pontificia; ed a nome del Piranesi, Vincenzo Monti, nel decembre del 1794, scrisse la famosa Lettera al generale D. Giovanni Acton, giudicata « un’arringa del genere giudiziario che star potrebbe al paragone colle più eloquenti di Demostene e Isocrate, senza studio tuttavia di seguitar veruno di questi classici esempi ». Venne poi eletto nel 1798 ministro della Repubblica Romana a Parigi, dove morì il 27 gennaio del 1810. Il Chaudet disse sul suo sepolcro: «Quand, après la conquête de l’Italie, un héros fit de la France la patrie de la gloire et des arts François Piranesi vint déposer dan son sein le patrimoine mobile qui faisait le fonds - 135 — planches gravées par leur père; elles représentent les antiquités de Rome et de plusieurs autres lieux de l’Italie: la collection en est très-recherchée, et sera une ressource précieuse et utile aux héritiers de son auteur ». Lo stesso giornale più volte parla del celebre antiquario, ormai divenuto francese. Il 23 vendemmiatore dell’anno IX [15 ottobre del 1800]scriveva : « Plusieurs journaux annoncent que les citoyen Visconti et Dufourny, envoyés parle ministre de l’intérieur à Richelieu pour y examiner les statues et les tableaux que le cardinal de ce nom avait réunis dans son château, y ont fait pour le Muséum central une moisson très-intéressante. Sur soixante statues, il en a vingt que l’on tient pour dignes de figurer parmi les chefs - d’oeuvre antiques que la valeur française a conquis en Italie; mais il n’y a, dit-on, que peu tableaux estimables ». Il 30 vendemmiatore dello stesso anno [22 ottobre 1800] annunzia: «Les cit. Visconti et Rey, députés romains à la commission des secours pour les italiens réfugiés en France, se sont rendus, le 26 vendémiaire, à l’audience du ministre des relations extérieures, pour lui témoigner, tant en leur nom particulier, qu’ en celui de tous leurs concitoyens, la juste et vive indignation dont ils ont été pénétrés, lorsqu’ils ont connu l’odieux projet formé contre la personne du Premier Consul. Ils ont prié le ministre de vouloir bien faire agréer au premier magistrat de la République cette démarche de la part des romains comme une marque de leur respectueux attachement pour sa personne, et de leur reconnaissance pour le gouvernement français. Le ministre a très-bien accueilli ces députés, et i| de sa fortune. Son frère partageait ses sentimene et son sorte. Un gouvernement protecteur crut acquérir une nouvelle richesse en les accueillant. Onze cents planches environ qui composaient la calcographie de Piranesi, 'étaient une mine immense à exploiter. Une heureuse entreprise lui donna les moyens de les reproduire dans une édition complète et soignée. Ces premiers travaux qui marquèrent son séjour en France, furent suivis de la publication d’une magnifique collection de dessins coloriés et de plusieurs oeuvres de gravures. ■Un établissement d’un nouveau genre lui fournit ensuite les moyens de donner ■carrière à son immagination toujours active. C’était une manufacture de terres cuites, destinées à reproduire les peintures des vases étrusques, leurs formes élégantes et curieuses et toutes celles dont les monumens antiques offrent les modèles comme des règles de goût ». Cfr. Gazette nationale ou le Moniteur universel, n.° 30, 30 janvier 1810, p. 116. È rimasta inedita e si conserva nella Biblioteca nazionale di Parigi la Notice historique sur la vie et les ouvrages de ]. B. Piranesi, scritta da Ennio Quirino. — 136 - les a assurés que dans la journée il rendrait compte de leur démarche· au Premier Consul, qui y serait sûrement sensible ». Il Visconti, il 12 fruttidoro dell’anno Vili [30 Agosto 1800] scriveva da Parigi a Dionigi Strocchi,che si trovava allora in Faenza: « Somma consolazione mi han recato i vostri caratteri, e perchè mi vengon da voi e perchè accompagnati da una lettera della mia famiglia. Io seppi qui da Monti le vostre vicende sinistre, ora amo d’apprendere che i guai sono cessati, chela tranquillità e la fortuna ritornano a sorridervi. Io starei qui assai bene se avessi meco la mia famiglia: questa lontananza m’è dura ed inquietante, perchè non ne vedo ancora ben chiaro il termine. La lettera che vi accludo per Teresina » — la moglie del Visconti — contiene de’ progetti del nostro ravvicinamento, perciò ve la raccomando anzi perchè le pervenga più sicuramente non sarebbe male che la dirigeste in Roma al signor Ermanno Niemesgenes, direttore della posta imperiale: così non sarà nè aperta nè trattenuta; poiché vedete bene che non è possibile trattare de’ domestici interessi senza farvi entrare qualche accennamento alle cose politiche, lo che porrebbe impedire il corso alla lettera. Io le propongo di passar per Bologna: una volta che sono in paese repubblicano, forse il governo mi faciliterà i mezzi del resto del viaggio ...... lo non penso più a Roma: dubito del suo stato politico e sarò assai felice se avrò ridotto la mia famiglia con me in questo paese che d’ora in poi sembra che ad ogni evento sarà forse il men burrascoso di tutta l’Europa » (1). Di sé, della famiglia e de’ figli, che tutti si riunirono a lui in Parigi, parla spesso nelle sue lettere all’altro dilettissimo amico, Gio Ghe-. rardo de’ Rossi. « Ora è il tempo di spedirmi i miei libri e quello che resta del mio » in Roma. « Desidererei che fossero inviati a Marsiglia per filuca genovese. La spesa, che mi notificherete, sarà rimborsata al vostro ordine ». Così in una lettera del 3 novembre 1801. Gli torna a scrivere il 3 del successivo decembre: «Assicuratevi che dopo che la mia famiglia mi ha raggiunto non ho nulla che tanto mi prema come aver meco i miei libri: tanto più che libri di quel genere son qui estremamente cari: e quantunque ne abbia, prestati anche dalle Biblioteche pubbliche, voi sapete questa specie di studj, a’ quali mi applico, quanti (i) STROCCHI D., Lettere edite ed inedite ed altre inedite a lui scritte dar uomini illustri; II, 29 e seg. - 137 — ne richieda ». E il 29 gennaio 1802: « Il vostro progetto di mandare le mie cose piuttosto per una tartana francese, che per una filuca genovese, mi pare ottimo. Talché potete effettuarlo quando credete più a proposito. Voi vi potete immaginare l’impazienza colla quale attendo que’ pochi, ma buoni libri ch’ero avvezzo a scartabellare da sì lungo tempo... Teresina sta ottimamente, non ostante il noviziato che ha dovuto fare di questo clima. Il freddo sul principio del mese è stato per molti giorni circa 13 gradi sotto il ghiaccio, almeno per alcune ore in ciascun giorno. I miei figli ed io stiamo benissimo. Essi desiderano che vi saluti a lor nome. Sigismondo (1) comincia a disegnare assai passabilmente ». In quella del 26 aprile si legge: « I ragazzi studiano e il maggiore comincia a disegnare passabilmente e traduce assai bene dal francese nell’italiano ». Il 13 di luglio gli dice: « Circa i libri, tutto va ottimamente, come è il solito delle cose confidate alla vostra amicizia ed esattezza : ho già ricevuta nuova che Guy-bert ha la polizza a Marsiglia. Procuro che il Governo faccia il resto del trasporto sino a Parigi ». De’ figli scrive il 30 maggio del 1808: « Uno de’ miei ragazzi fa progressi nel disegno: è il minore (2); il mag- (1) Di lui scrisse il Labus: ■< Tutto inteso a coltivare le buone lettere, le belle arti e le discipline migliori, sente molto innanzi nella poetica facoltà e ne ha dato parecchi saggi che riscossero applauso dagli intelligenti. Tratta eziandio la matita e vedemmo da lui operati con molta bravura..... Alcuni articoli giudiziosissimi pubblicati ne’ giornali di Francia, parecchie versioni di opere teatrali dall’italiano in francese ed altre operette di maggior Iena che in serbo tien per la stampa fan prova del molto suo ingegno, della svariata sua erudizione e della sua attività ». (2) Lodovico - al fonte battesimale: Lodovico, Tullio. Gioacchino - nacque a Roma PII febbraio 1791; mori a Parigi il 29 decembre del 1852. Valente architetto, venne ascritto all’istituto di Francia. È sepolto presso il padre con un grandioso monumento, così descritto da Enrico Jouin: « Statue en marbre [long, m.1,75]. Visconti, à demi couché, en costume d’académicien, est accaudè du bras gauche sur un fût de colonne; la main droite tient un style; sous la main, le plan du Louvre. Signé sur le fût de la colonnz·. Leharivel-Durocher, 1859. Sur la face antérieure du piédestal de la statue sont sculptées, en relief, des vues perspectives du Louvre et des Tuileries. Ce plan, en bronze, est signé: L. Villemlnot, 1859 ». Cf. HENRY jouin, La sculpture dans les Ci-mitières de Paris; ne’ Nouvelles archives de l’art Français, serie III, tom. XIII, an. 1897, pp. 171-172. Il Millin, nel 1818, ricordando i due « jeunes, aimables et vertueux » figli di Ennio Quirino, ebbe a dire: « l’un d’eux suit avec intelligence et avec honneur la carrière administrative: l’autre, extrêmement jeune, a pris la profession d’architecte; les dessins qu’ il a faits pour l’iconographie de son père — 138 - giore l’applico particolarmente alle lingue dotte e all’erudizione. Sono contento de’ loro talenti, e contentissimo de’ loro costumi ». Ne parla anche in una lettera al fratello Filippo Aurelio, del 25 luglio del 1813. « 1 nipoti vi salutano. Il maggiore è impiegato nella contabilità del tesoro imperiale; il secondo si distingue nello studio di architettuia, ha già riportate sei medaglie nella scuola imperiale, ed ora è ammesso al concorso de’ grandi premj ». Al De’ Rossi così ne riparla il 27 novembre del Ί5: « Una indisposizione reumatismale, alla quale è soggetto, ha impedito al minor de’ miei figli Lodovico di concorrere quest’anno pel premio che porta la pensione di Roma. Lo tenterà l’anno venturo, se starà bene. Il maggiore è negli uffizi della Finanza. Il ministro attuale, Sig. conte Corvetto, genovese, che io conosco da più anni, gli ha ultimamente aumentati gli appuntamenti, che non sono per altroché duemila franchi » (1). Verso la fine del 1803 il Denon venne nominato Direttore generale del Museo, il Dufourny Conservatore de’ quadri e il Visconti Conservatore delle statue. Durante il soggiorno di Pio VII a Parigi, dove era andato a incoronare Napoleone e dove rimase dal 28 novembre del 1804 al 4 aprile del 1805, i cardinali Albani e Ruffo, Zondadari, Dugnani e Vincenti, che con altri porporati gli facevano corteggio, spesso andavano a passar la serata in casa del Visconti, discorrendo con lui e con i dotti francesi e italiani che la frequentavano, di scienze, d’arti e di lettere. Come racconta l’Eméric-David, uno de’ frequentatori, « les couleurs de la révolution ne se reconnaissaient plus danc ces réunions intéressantes; l’estime réciproque ne se fondait que sur le vrai mérite ». et pour le Camoëns publié par M. le comte de Sousa prouvent qu’ il se montrera un jour avec distinction dans l’honorable carrière des arts ». Cfr. Annales encyclopédiques, année 1818, tom. II, p. 153. Nel cimitero del P. Lachaise a Parigi costruì la cappella della famiglia Collot, fece il disegno de’ monumenti sepolcrali al conte Edmondo de Bourck, al maresciallo Gouvion-Saint-Cyr, al conte Boulay de la Meurthe ed al maresciallo Suchet duca d’AIbufera. Suo è pure il disegno della tomba di Napoleone agli invalidi; il monumento al Molière e quello al maresciallo Lauriston; sue le fontane Gaillon, Louvois e Saint-Sulpice, oltre parecchi palazzi privati. Ideò il piano d’insieme de’ grandiosi lavori del compimento e del collegamento del Louvre e delle Tuileries. (1) VISCONTI E. Q., Opere varie italiane e francesi; vol IV, pp. 546, 548, 550-551, 557, 562, 586 e 598. La lettera al fratello Filippo Aurelio, insieme con tre altre, fu stampata da monsig. Carlo Emanuele Muzzaelli nel Giornale Arcadico, tom. LI [1831], pp. 305-310. - 13g — Pio VII Γ il di decembre andò a visitare il Museo del Louvre. Essendo dalla galleria de’ quadri passato a quella delle statue, al Denoii succedette il Visconti per accompagnatore. « Dovendo esso fargli osservare le più belle statue greche tolte a Roma, credette di potere aggiu-gnere che le umane vicende avevano sempre, or in una parte, or in un’altra, trasportati questi antichi monumenti dell’arte. Allora il pontefice, che ben comprese la finezza di un tal discorso, rispose che ciò eia verissimo, indi soggiunse: « Questi prodigi della scultura furono involati ai Greci dai Romani.. A questi li lia tolti la vittoria. Non può sapersi se col tempo dovrà corrersi fin sulla Senna per rivederli ». Questa risposta « piacque estremamente » e « girò per le bocche di tutti » (1). il 23 marzo Ennio Quirino scriveva all’amico Gio. Gherardo de’ Rossi : « Ho raccomandato mio fratello Filippo al Papa, al quale chiesi udienza a quésto effetto, e l’ebbi graziosissima: non però me ne prometto gran cosa. Ho ancora dato parte di questo passo al cardinale Fesch: farò passare a Filippo il memoriale che detti al Papa in nome suo; se Io vedete, potete prevenirlo ». Aveva ragione di non promettersene « gran cosa ». Sta lì a provarlo quanto il fratello gli scriveva il 26 agosto del 1807. « Io me la passo male »: — son sue parole — « se si campasse di attenzioni e di complimenti non avrei bisogno di cosa alcuna. L’ambasciatore Alquier mi fa mille attenzioni,, e se tardo a vederlo mi viene a trovare. Tutti i forestieri amatori ho occasione di conoscerli;, il cav. Cicognara, Triulzi, Monti poeta mi hanno voluto spesso con loro a pranzo ed in compagnia; ma, come dico, questo non basta per vivere. Ora stamperemo con Guattani il tomo del nuovo Museo Chiaramonti ; e dopo procurerò, con l’appoggio di D’Este, se potrò avere qualche cosa. Queste sono belle speranze, ma non bastano ». L’impiego tanto sospi- (1) Monsig. GIUSEPPE BARALDI [Notizia biografica dell'ab. Francesco Cancellieri; nelle Memorie di religione, di morale e di letteratura, di Modena, toni. XIII (1828), pp. 415-416] attinse questo aneddoto da una relazione inedita del Cancellieri, il quale andò a Parigi con Pio VII come maestro di camera e segretario del cardinale Leonardo Antonelli. Ennio Quirino, il 4 maggio del 1805 scriveva all’avv. Filippo Maria Renazzi, suo cognato : « Avrà dal sig. ab. Cancellieri le notizie di Teresina e de’ miei figli. Mi dispiace che durante il suo soggiorno a Parigi non ho potuto coltivare quell’antica e pregevole conoscenza come l’avrei desiderato: ho veduto un poco più frequentemente monsig. Testa, il qìiale mi ha favorito più spesso ». — 140 - rato si fece aspettare un bel pezzo. Soltanto il 25 del Ί3 Ennio Quirino ebbe la consolazione di potergli scrivere: « Mi ha fatto un gran piacere la novella che mi avete data colla vostra nomina in direttore della zecca delle medaglie stabilita costì! Ne ho scritto de’ringraziamenti a codesto sig. barone Daru che vi ha favorito » (1). (1) Scrivevano da Roma il 15 giugno del 1813 al Moniteur universel: Les fouilles que le gouvernement a fait entreprendre à Rome pour déblayer la base des monumens antiques, ont déjà procuré plusieurs découvertes et fourni aux antiquaires le sujet de différens mémoires interessane. Dans le nombre des dissertations aux quelles ces découvertes ont donné lieu, on remarque celle que M. Aurelio Visconti a lue dernièrement â l’Académie romaine d’archeologie: elle a pour objet de faire connaître la destination et la date de l’érection d’une colonne qu’ on voit dans l’ancien Forum Romanum, aujourd’ hui le Campo vaccino. Jusqu’ à présent on ne savait à quel monument cette colonne appartenait: tour à tour ou a prétendu qu’ elle faisait partie du temple de Jupiter Stator, ou du portique de Caligula; mais l’inscription, qui s’y trouve gravée sur l’une des faces du piédestal, a dissipé toutes les incertitudes. Il parait que cette colonne était isolée, et qu’ elle sérvait à supporter la statue dorée de l’empereur Phocas. M. Bianchi, ingénieur du gouvernement, en a relevé la plan et misuré les proportions; la hauteur totale est de 54 pieds 1 pouce, savoir, la colonne, sa base et son chapiteau 43 pieds 2 pouces, et le piédestal 10 pieds 11 pouces. M. Aurelio Visconti pense que le piédestal est d’une époque antérieure et remonte au tems des Antonins. A l’appui de cette conjecture, il cite plusieurs exemples, qui prouvent que sous le bas-empire et pendant la décadence des arts, on avait coutume d’employer des portions des monumens anciens pour ajuster des monumens nouveaux. A l’aide d’une critique savante et judicieuse, M. Aurelio Visconti est pervenu à rétablir les lacunes de l’inscription, entr’autres le nom de l’empereur de qui la colonne fut elevée. Sans doute ce nom avait été effacé après la mort de Phocas, pour anéantir la mémoire de ce tyran cruel, don le régne n’a été marqué que par des forfaits. Des rapprochemens pleins des sagacité ont mis également à même le savant académicien de fixer une époque à l’érection du monument. Ainsi il demeure constant aujourd’ hui que la colonne qu’ ont voit dans le Campo vaccino, prés de l’arc de Septime Sévère, et qui a fait naître tant de conjectures, fut erigée par Smaragdus, exarque d’Italie, à la gloire de Phocas, pour supporter la statue dorée de cet empereur, l’an 608 de l’ère crétienne ». Cfr. Le Moniteur universel, n.° 181, 30 juin 1813, p. 709. La Lettera sopra la colonna dell’imperatore Foca, Roma, 1813, in-4° è adorna di una gran tavola in rame. In una lettera di Ennio Quirino al fratello, del 25 luglio 1813, si legge: « Aspettavo di mandarvi le mie congratulazioni dopo avere scorsa la vostra dissertazione, ma non essendomi ancora pervenuta, non ho voluto più ritardare. Voi non me ne dite il soggetto, ma congetturo che è scritta sulla colonna di Foca. Almeno vedo annunziata ne’ fogli pubblici questa vostra memoria, e - 141 - Il 27 marzo del 1796 Bonaparte diceva a’ suoi soldati: Vous êtes nus, mal nourris: le Gouvernement vous doit beaucoup, il ne peut rien vous donner.....Je veux vous conduire dans les plus fertiles plaines du monde. De riches provinces, de grandes villes seront en votre pouvoir; vous y trouverez honneur, gloire et richesses a. Il conquistatore, vedo che avete ottimamente interpetrato le sigle P. C. (post consulatum pietatis ejus) dalla data che assegnate al monumento. Ho fatta fortunatamente la conoscenza del Sig. conte Marconi e della sig. contessa sua consorte nel tempo del lor soggiorno a Parigi. Come questa conoscenza potrebbe esservi costì di vantaggio e di piacere, se volete farla potrete andare a visitare il sig. conte in mio nome, e rallegrarvi del loro felice viaggio, come altresì ringraziarlo della gentil menzione che ha fatto di me nella sua lettera scritta ultimamente al sig. Gianni poeta ». Il Labus così ricorda Filippo Aurelio: « Chiuse quest’uomo illustre la sua carriera piena d’anni e di meriti verso la religione, la patria e le lettere il 30 marzo del corrente anno 1831. Tenne il segretariato della Commissione di Governo, la quale veglia le cose parimente delle belle arti; diresse la Calcografia, il conio delle medaglie; fu Commissario delle antichità, fu l’anima dell’Acca-demia Archeologica. A lui dobbiamo eruditissime dissertazioni sopra oggetti d’antichità, e specialmente la illustrazione del Museo Chiaramonti, operata di concerto con Antonio Guattani. Volle, morendo, eredi i nepoti, e così alcuni autografi d’Ennio Quirino, col quale Filippo Aurelio avea tenuta continua corrispondenza, vennero in potare del cav. Pietro, nostro amicissimo ». Cfr. LABUS G., Prefazione al vol. IV delle Opere varie, italiane e francesi, di E. Q. VISCONTI, pp. XXX1II-XXXIV. Di Filippo Aurelio è da ricordare la Lettera al cav. Ale thèf sopra un medaglione inedito di Faustina seniore, Roma, 1807 in-fol., con una medaglia intagliata dal Piroli. — il Museo | Chiaramonti \ aggiunto al Pio-Clementino \ da N. S. Pio Vii P. M. \ con l'esplicazione de' sigg. | Filippo AURELIO VISCONTI e GIUSEPPE ANTONIO GUATTANI | pubblicato da ANTONIO D’ESTE e GASPARE CAPPARONE | Tomo primo \ Roma mdcccviii | Con privilegio Pontificio I presso l’Editore in Via di S. Silvestro in Capite n.° 43; in-fol. massimo, di pp. VIII-112, con XLIV tavole e 1 di « giunta «, il frontespizio intagliato e il ritratto di Pio VII. — Monumens | du \ Musée Chiaramonti, | décrits et expliqués | par \ philippe aurèle visconti \ et | JOSEPH GUAT-tani, I servant de suite et de complément \ au \ Musée Pie-Clémentin \ traduit da l'italien \ par \ A. F. SERGENT-MARÇEAU i Milan | chez J. P. Giegler libraire [De l’imprimerie et fonderie de Jean-Josef Destefanis] | 1822: in 8.0 di pp. LXXXVII-352, col ritratto di Pio VII e XLIV tavole e 3 supplementari. — Raccolta delle più insigni fabbriche di Roma antica, misurate da GIUSEPPE VALADiER, illustrate con osservazioni da Filippo Aurelio visconti ed incise da VINCENZO feoli. Ne videro la luce in Roma, co’ torchi di Mariano De Romanis, sette fascicoli negli anni 1810, 1813 e ISIS. All’Accademia Romana di Archeologia, della quale fu vicesegretario, leggeva : Osservazioni sopra un bronzo rotondo, con iscrizione, riguardante Nar- — 142 — -non contento d’imporre enormi gravezze ai popoli d’Italia soggiogati, li spogliò anche delle optre d’arte più belle, cosa che ferì « nel vivo il sentimento della dignità nazionale, quasi tutto fino allora concentrato nella comune coltura e tanto più superbo delle glorie passate quanto cisso [1816]; Lettera all’Em.mo Cardinale Galeffi sopra un’iscrizione cemeteriale [1830]. Per le altre sue opere cfr. GIUSEPPE MARIA BOZOLI, Filippo Aurelio Visconti; nella Biografia degli italiani illustri del TIPALDO, vol. II, pp. 128-130. Lasciò una « doviziosa biblioteca » della quale l’ab. Francesco Cancellieri, suo amico, compilò » un voluminoso catalogo in-fol. ». Cfr. CANCELLIERI F., Dissertazione intorno agli uomini dotati di gran memoria ed a quelli divenuti smemorati; con un'appendice delle Biblioteche degli scrittori sopra gli eruditi precoci, la memoria artificiale, l'arte di trascegliere e di notare ed il giuoco degli Scacchi, Roma, presso Francesco Bourlie, 1815, p. 109. Il fratello Alessandro, studiata medicina, l’esercitò in più luoghi della provincia di Marittima e Campagna, poi a Roma, senza trascurare l’antiquaria: della quale dette uu saggio con Ylndicazione delle medaglie antiche del Sig. Pietro Vitali, Roma, presso Antonio Fulgoni, 1805; voi. 2 in-4.° Stampò, insieme con Filippo Aurelio, l’Indicazione delle sculture e della galleria de’ quadri esistenti nella villa Miollis al Quirinale, Roma, 1814; in-4.° All’Accademia Romana d’Archeologia leggeva i seguenti lavori : Intorno ad alcuni vasi sepolcrali rinvenuti nelle vicinanze dell’antica Albalonga, lettera [1817] ; Dichiarazione dì un antico medaglione di argento dell'imperatore Domiziano [1826]; Nuova interpretazione della leggenda del rovescio di una medaglia d’oro del triumviro M. Antonio [1828]; Dissertazione sopra la cristianità di Costantino Magno, dimostrata co’ monumenti e con le medaglie, e sopra il nimbo usato nei ritratti di esso imperatore [1834]. Morì nel 1835, lasciando due figli: Felice, che fu padre dell’archeologo Carlo-Lodovico [1818-1894]; e Pier-Ercole [1802-1880], archeologo anch’esso e poeta. De’ suoi versi mi limito a ricordare La Via Appia \ dal sepolcro de' Scipioni al mausolèo di Metella carme | del cav. P. E. VISCONTI | Si aggiunge un'appendice di scelte \ antiche iscrizioni \ Roma | presso Antonio Boulzaler | 1832; in-8.° di pp. 64. Ne parlò con lode Giuseppe Montani nella vecchia Antologia di Firenze, serie II, vol. VIII, pp. 106-107. E lodati « di originalità » furono i suoi epigrammi, molti de’ quali » saettò contro i liberatori di Roma, essendo egli rimasto devoto al Vaticano regio anche dopo il « 70 ». Cfr. guido Mazzoni, L’Ottocento, Milano, Vallardi, 1913, p. 655. Lasciò un figlio bastardo, di nome Aurelio, morto pochi anni fa all’ospedale, dopo avere dilapidato il suo e miseramente dispersa la libreria, i manoscritti, gli oggetti d’arte e d’antichità che abbellivano quella casa di dotti. Gli scritti di Ennio Quirino che il cav. Pier Ercole ebbe in eredità dallo zio Filippo Aurelio furon questi: 1. «Illustrazione di un antico cammeo rappresentante Mercurio e Lara »; 2. « Illustrazione delle iscrizioni rinvenute nel mausoleo di Augusto »; 3. « Sposizione dell’antica lapide di Tito Cornasidio Vesennio Clemente »; 4. « Lettera al cardinale Alessandro Albani nella quale s’illustrano due antiche aiitefisse ♦; 5. « Relazione degli scavi di Otricoli, Pale. — 143 — più umiliato della bassezza del presente » (1). Il 9 di maggio si fa dare venti quadri dal Duca di Panna, tra’ quali i capolavori del Correggio, da scegliersi. Tre giorni dopo ne volle quindici dal Duca di Modena. Uno però fu restituito, perchè guasto; ma altri sei ue rivolle il 19 di luglio (2). Fin dal 7 di maggio il Direttorio gli aveva scritto : « Si Rome fai des avances, la première chose à exiger est que le pape ordonne immédiatement des prières publiques pour la prospérité et le succès de la République française. Quelques-uns de ses beaux monumens, ses statues, ses tableaux, ses médailles, ses bibliothèques, ses bronzes, ses madones d’argent et même ses cloches, nous dédommageront des frais que nous coûtera la visite que vous lui aurez faite » (3). Non intese a sordo. Dopo avere spogliato delle loro ricchezze artistiche Ravenna e Rimini, Pesaro e Ancona, Loreto e Perugia, scriveva a strina, Castel di Guido, Lavinia, ec. » 6. « Relazione degli scavi nell’interno di Roma »; 7. « Illustrazioni di un’antica edicola trasportata da Todi »; 8. Lettera al principe D. Marcantonio Borghese in proposito di alcuni monumenti della sua villa »; 9. « Nota intorno un inedito medaglione di Costantino Magno »; 10. « Illustrazione di un’antica iscrizione della Colonia Adriana, che contiene il catalogo degli ascritti all’ordine de’ pontefici in essa Colonia »; 11. « Di un’inedita statua di Atide giovinetto »; 12. « Spiegazione di un'urna etrusca »; 13. « Lettera al principe D. Paolo Borghese, principe Aldobrandini, sopra un antico cammeo »; 14. « Nota intorno un’antica sardonica »; 15 · Notizia intorno la statua equestre di Marco Aurelio che è in Campidoglio »; 16. « Dichiarazione di una piccola statua rappresentante Apollo augure >; 17. Nota intorno un antico bassorilievo rinvenuto in Milano l’anno 1770 »; 18. Notizia del casino della villa Aldobrandini a Monte Magnanopoli »; 19. Illustrazione di un’antica iscrizione trovata a Castro nuovo dedicata Junoni Historiae »; 20. « Voto intorno a due statue fortunatamente rinvenute presso l’antico Rieto »; 21. « Rappresentanza a Pio VI in proposito di un’antica statua di Augusto »; 22. « Catalogo ragionato, degli antichi oggetti in bronzo provenienti dalle paludi Pontine ed altri luoghi, riuniti nel Museo dei Bronzi annesso alla Biblioteca Vaticana »; 23. « Descrizione de’ principali monumenti della villa Mattei »; 24. « Nota responsiva alla Corte di Napoli circa alla dimanda de’ marmi Farnesiani »; 25. « Del tipo della medaglia di possesso di Pio VI »; 26. « Lettere in proposito di argomenti archeologici »; « Lettere varie ». (1) AUGUSTO franchetti, Storia d'Italia dopo il 1789, Milano Dottor Francesco Vallardi, p. 169 (in Storia generale d’Italia scritta da una Società di amici sotto la direzione di Pasquale Villari. (2) fiorini v., Catalogo illustrativo dei libri, documenti ed oggetti esposti dalle Provincie dell'Emilia e della Romagna nel Tempio del Risorgimento italiano, Bologna, Zamorani e Albertazzi, 1890, vol. 1, pp. 447-448. (3) Correspondance inédite officielle et confidentielle de Napoléon Bonaparte. Italie, tom. I [Paris, Panckoucke, 1809], p. 153. — 144 — Parigi: « Cela joint'à ce que sera envoyé de Rome, nous aurons tout ce qu’ il y a de beau en Italie, excepté un petit nombre d’objets qui se trouvent à Turin et Naples > (1). Il Liceo delle arti di Parigi festeggiò la preda con una solenne adunanza pubblica, ed il suo segretario generale così si fece eco della comune cupidigia: «Ce 11’est plus du sang que le Français demande! Ce ne sont point des esclaves, ni même des rois qu’ il veut enchaîner au car de la victoire; ce sont les dépouilles glorieuses des arts et de l’industrie dont il est curieux de décorer ses triomphes » (2). Non tutti però in Francia la pensavano così. Stefano Marco Quatrèmere de Quincy, che deputato all’assemblea legislativa nel ’91, ebbe il coraggio d’opporsi al Robespierre ed a’ suoi partigiani, che due volte sfidò il patibolo e sofferse la prigionia, mentre « i suoi concittadini barbaramente saccheggiavano l’Italia d’ogni ricchezza », afferrata la penna, scrisse e dette alle stampe varie lettere, protestando animoso contro queste spogliazioni (3). Si fece anche iniziatore d’una petizione al Direttorio; ma sebbene « segnata da’ principali artisti, non ottenne alcuna risposta » (4). Il 25 luglio 1798 la preda vien superbamente condotta in trionfo al Campo di Marte e di là al Louvre, preceduta da uno stendardo, dove era scritto: La Grèce les ceda; Rome les a perda; leur sorte changea deux fois, il ne changera plus. Il François de Neufcliateau, ministro dell’interno, pronunziò un discorso. « La Grande-Nation » (gli uscì, tra l’altro, di bocca) « recevoit avec enthousiasme dans cette pompe sans exemple l’histoire non moins etonnante des triomphes de ses enfans: elle consulte en quelque sorte chacun des monumens que vous lui présentez, sur la place qu’ ils occupaient; elle se les rappelle dans leur dispersion des (1) La lettera è scritta da Tolentino il 1.° ventoso dell’anno V.° [19 febbraio 1797], Cfr. Correspondance de Napoléon /., Paris, 1859; II, 342. (2) Gazette nationale ou Le Moniteur universel, 11. 258, octidi 18 prairial, l’ann. IV de la République Française [6 giugno 1796], p. 1030. (3) Lettres sur le préjudice qu' on occasionnéroient aux arts et à la science le deplacément des monumens de l’art de l’Italie le démembrement de ses écoles et la spoliation de ses collections, galéries, musées, cc. par A. .Q, Paris, 1796; in-8.° Ne venne fatta a Roma tuia «nouvelle édition sur celle de Paris, 1796 » l’anno 1815. (4) Catalogo ragionato dei libri d’arte e d'antichità posseduti dal conte Cicognara, Pisa, Capurro, 1821; vol. I, pp. 211-212. — 145 — Alpes au Tyrol et des bordes de l’Adige aux mers Adriatiques » (1). Il 9 novembre del 1800 il Museo del Louvre, chiamato allora Museo centrale delle arti e poi Napoleone, fu aperto per la prima volta aU’ammi-razione del pubblico (2). Il Visconti compose il catalogo delle ricchezze che conteneva, intitolandolo: Notices des antiques du Musée Napoléon; « ouvrage presque élémentaire », ma come egli stesso confessa, « propre à donner aux artistes, et même aux personnes les moins instruites, des idées justes sur les monumens de la sculpture antique, et à leur inspirer le goût de l’archéographie ». Fu ristampato più volte, sempre con variazioni notevoli e con aggiunte. L’ultima edizione, che è del 1817, può dirsi rifatta (3). Moltissimi de’ monumenti erano stati restituiti all’Italia e alle altre nazioni depredate; e il nuovo Re aveva cercato di raccogliere e acquistarne in Francia e altrove quanti più poteva per impinguare l’impoverito Museo. Riuscì al Visconti, che in quegli accrescimenti aveva prestato largamente l’opera sua, di conservare alla Francia alcune delle opere già appartenenti a Roma, dimenticate nella lunga lista che portò a Parigi il Canova. L’addolorato antiquario scriveva al De’ Rossi : « Non ho bisogno di dirvi le disgrazie del nostro Museo, effetto della gelosia dell’Inghilterra ; ciò non ostante la collezione di Francia supera ancora quella di ogni altra corte d’Europa, eccetto la collezione del Vaticano ». (1) Gazette nationale ou Le Moniteur universel, η.» 313, 13 thermidor an 6 [31 luglio 1793], p. 1254. (2) Due giorni innanzi il Primo Console, accompagnato dal console Lebrun e dal consigliere di stato Benezech, fece l’inaugurazione delPApollo di Belvedere. Tra il plinto della statua e il suo piedistallo vi fu messa la seguente iscrizione, incisa sopra una tavola di bronzo: La statue d'Apollon, qui s’elève sur ce piédestal \ trouvée à Antium sur la fin du XV.1' siècle \ placée au Vatican par Jules II au commencement du XVI/ | conquise l'an V de la République par l’armée d'Italie \ sous les ordres du général Bonaparte a été fixée ici le 21 germinal an Vili [11 aprile 1800] | première année de son consulat. Cfr. visconti e. q., Notice des statues, bustes et bas-reliefs de la galerie des antiques ou Musée Napoléon ouverte pour la première fois le 18 brumaire an IX [9 novembre 1800]; articolo: Apollon ■Pythien, dit l'Apollon de Belvédère. (3) Description | des antiques \ du \ Musée Royal, j Par le Chevalier Visconti, \ membre de l’institut | antiquaire et conservateur des statues du dit Musée — Prix, 2 francs. \ Paris, \ Imprimerie de Madame Hérissant le Doux, I imprimeur ordinaire du Roi et des Musées Royaux, | rue Saint-Marc, n.° 24. | 1817; in-S.° di pp. 144, oltre l’antiporta e il frontespizio. 146 — Del non essere accorso in aiuto de’ vincitori », avvertendo il Canova della dimenticanza, l’Ugoni lo scusa. Ha torto: si trattava d’un atto di giustizia verso la patria. 11 Visconti, l’aveva oramai rinnegata e s’era fatto francese (1)! Del Museo descrisse diciassette vasi d’argilla, ornati di pitture, noti col nome d’etruschi presso gli antiquari, ma di greco lavoro (2); illustrò la statua di Diana, in marmo pario, che già abbelliva la galleria di Versailles; senza contrasto, « le plus parfait de tous les antiques qui s’y trouvaient avant que la conquête d’Italie eût enrichi la nation de tant chefs-d’oeuvre » (3); illustrò il ritratto di Vespasiano, imperatore, ch’era stato dissepolto nelle vicinanze di Roma; busto in bronzo di singolare rarità e bellezza (4); descrisse le statue, i busti, i bassorilievi, le figurine (1) 11 Thiers non trova nulla da biasimare nelle depredazioni fatte da’ Francesi in Italia. Invece il LANFREY [Histoire de NAPOLÉON; I, 100-102] biasima questo genre de spoliations », questo « dérober les oeuvres du génie ». Oli fanno eco il Oaffarel e il Sorel. AI contrario Paolo Lacroix si compiace che l’Italia fosse stata « debarrassée de quelques-uns de ses monuments précieux, que furent recueillis et conservés par l’administration française avec plus de soin et de respect qu’il n’en avaient jamais trouvé dans leur patrie »· Questi monumenti, a sentir lui, furono « payés de l’or et du sang de la France » ; ripensa con dolore e con sdegno al 1815 « quand les commissaires des puissances alliées firent main basse sur le collections du Louvre et de la Bibliothèque imperiale »; conclude: «Cette indigne spoliation s’est faite sous la protection des baïonnettes étrangères!.... C’est un fait monstrueux dont personne n’a osé assumer la responsabilité morale, si ce n’est Canova qui en fut l’instigateur et qui présida à son exécution ». Così gli chiuse la bocca D. Sebastiani : « La France, qui laissait ses soldats sans habits et sans souliers, n’avait pas d’or, c’est notoire, pour payer les tableaux de l’Italie, et pas un seul de ceux qui habitèrent temporairement le Louvre n’avait été acheté et par conséquent librement vendu. S’il en eût été autrement, vous les auriez gardés en 1815, comme la collection Borghése, achetée par Napoléon, a été gardée pas vous, quoique le droit que le prince Camille s’était arrogé de l’aliéner pût être légalement contesté ». Cfr. Revue universelle des arts publiée par Paul LACROIX (Bibliophile JACOB), tom. IX [1859], pp. 405-409 e 495-503. (2) Questa descrizione è intitolata: Vases antiques d’argile ornés de peintures, de manufacture grecque, connus par les antiquaires sous le nom de vases étrusques. Fu inserita dal MOREL d’arleux a pp. 115-124 della part. II della sua Notice des dessins originaux du Musée central des Arts, Paris, an X. (3) Gazette nationale ou le Moniteur universel, n. 177, 27 ventôse an X [18 marzo 1802], p. 709. (4) Gazette nationale ou le Moniteur universel, n. 279, 9 messidor an XII [28 giugno 1804], p. 1265. Col titolo: Notice d’une tête en bronze de Vespasien - 147 — •e le altre antichità, tolte da’ Francesi alla vinta Germania, ed esposte nella sala di Diana il 14 ottobre del 1807, primo anniversario della vittoria di Jena (1) . Trasferito nel Museo l’antico arazzo della cattedrale di Bayeux, rappresentante la conquista dell’Inghilterra fatta nel 1066 da Guglielmo il Bastardo, duca di Normandia, il Visconti lo fece argomento di studio. « Ce monument > (scrive) est reconnu par tous les connaisseurs, comme contemporain à la conquête; et la tradition du pays, que le cours de sept siècles n’a point affaiblie, en attribue la confection à l’épouse du Guillaume, à la reine Mathilde elle-même.....Cette frise en broderie, longue de 214 pieds et haute de 18 pouces, était exposée de tems immémorial, en certains jours de l’année, dans l’église cathédrale de Bayeux. Cette exposition solennelle et périodique a contribué sans doute » à ne pas laisser vieillir ni disparaître les notices tra-ditionelles concernant l’origine de cet ouvrage. Des inscriptions latines accompagnent pas à pas les figures; par ce moyen, la Tapisserie de Mathilde fixe des points incertains de l’histoire, et peut corriger et suppléer les écrivains du tems ». Cinquantasette sono queste iscrizioni; € il Visconti prese a commentarle, rischiarandole di nuova luce (2). Anche nel campo dell’erudizione medievale quella mano sapeva mietere! L’incisore Pietro Laurent di Marsiglia, insieme col Robillard-Péron-ville, un negoziante che dette - come disse il Le Breton -« l’exemple honorable et hardi de mettre de grands capitaux dans une entreprise utile et glorieuse pour les arts », mise mano alla pubblicazione del Musée Français; recueil complet des tableaux, statues et bas-reliefs qui composent la collection nationale, avec l’explication des sujets, et des discours historiques sur la peinture, la sculpture et la gravure, di cui uscì fuori la prima dispensa il 5 fiorile delPanno XI [25 aprile 1803]. Gli editori ebbero « la noble pensée de faire partecipe!· au succès de leur ouvrage non - seulement tous les plus habiles graveurs français, mais encore la fu ristampata nella Décade philosophique et littéraire, an. XII, 4.° trimestre, p. 57 e seg. (1) Statues, bustes, bas-reliefs bronzes et autres antiquités, peintures, dessins et objets curieux conquis pur la Grande Armées dans les années ISObet 1807, dont l’exposition a eu lieu le 14 octobre 1807, premier anniversarie de la bataille d'iéna, Paris, 1807. Soltanto la prima parte è opera del Visconti. (2) Notice historique sur la Tapisserie brodée de la reine Mathilde épouse f .de Guillaume le Conquérant, Paris, an XII. — 14S — plupart de ceux qui jouissent d'une grande célébrité dans les pays étrangers » (1). D’italiani vi lavorarono, a Firenze Antonio Marghen e G. Contini, a Bologna il Gandolfi e il Rosaspina, a Roma il Bettelini, a Milano Giuseppe Longhi. « Edizione del massimo splendore >> la chiamò Leopoldo Cicognara, notando che « se per la parte calcografica avesse corrisposto alla tipografica magnificenza, non avrebbe l’uguale, poiché sebbene vi sia buon numero di tavole incise da valenti maestri, è troppo grande il numero delle inferiori, ed in ispecie l’intero numero delle statue » (2). Anche le illustrazioni, affidate al Croze-Magnan, offrirono il fianco alla critica. * L’on sent » (come osservò il Le Breton) - que l’érudition n’est point assez digerée »; e Napoleone a cui stava a cuore l’impresa a Iui dedicata, volle che il Visconti e il Denon gli proponessero uno scrittore di cose d’arte che meglio maneggiasse la penna. Tutti e due, senza che l’uno sapesse dell’altro, gli suggerirono PEméric-David. « Sur le point d’être chargé d’un si important travail, sans l'avoir demandé et sans avoir même pu le prévoir, ce littérateur » (lo racconta egli stesso) * instruit par un billet de Visconti, courut aussitôt chez lui, et lui dé clara que jamais il ne consentirait à composer des descriptions des statues antiques du Musée, lui Visconti étant à Paris. Il ajouta que c’était à l’auteur du Musée Pie-Clémentin à illustrer de nouveau ces statues, devenues en quelque sorte sa propriété, puisqu’ on avait été assez heureux en France pour l’y voir arriver avec elles.....Visconti ne se décida pas facilement, mais il se rendit ». Peraltro, « consentit seulement à composer les Notices sur les antiques. Cette entreprise fut pour lui une occasion de décrire de nouveau plusieurs figures sur lesquelles il avait déjà publié ses savants commentaires dans le texte du Musée Pie-Clémentin. Mais en cela même il manifesta toutes ses ressources. Nous osons dire que par l’ètendue et la propriété de l’érudition, la finesse des aperçus, l’élégance du style, ces nouveaux commentaires sont supérieurs même, aux premiers. Le séjour de la France n'avait point été inutile à (1) Il Moniteur universel, nel suo η. 66, 6 marzo 1812, colse l’occasione della stampa della 80.mi dispensa del Musée Français per fare una rassegna della dispensa stessa e parlare dell'intiera opera. È firmata T. e si Jegge a pp. 259-261. (2) CICOGNARA L., Catalogo ragionato dei libri d'arte e d'antichità, Pisa, Capurro, 1821; vol. Il, pp. 139-140. - 149 — 1 auteur du Musée Pie-Clémentin. Il avait acquis une délicatesse de gout qui améliorait de plus en plus ses ouvrages. Il a continué ee travail jusqu' à sa mort, et il a placé environ quarante-huit notices dans la première série et treize dans la seconde ». Né discorde da quello dell’Eméric-David è il giudizio d’un dotto italiano - il Labus - che scrive: * Il Visconti, tornando su varj soggetti già chiariti o nel Museo Pio-Clementino, o ne’ Monumenti Gabini e ne’ Borghesumi, potè rifiorir le sue idee con nuove e più assai squisite preziosità archeologiche. Anche i bronzi e i marmi che pigliò la prima volta in esame, perchè procedevano dai palazzi e giardini reali di Francia, o dai Musei Germanici e Italici, vennero esposti da lui con tale ingegno, dottrina e facilità, che fu gridato il primo antiquario del secolo. E che si può in fatti bramare di più intorno al Laocoonte, al-l’Apollo, al Mercurio, alla Melpomene? Quanto acume, quanta perizia e saviezza nell’osservare il Bacco del Louvre, il gruppo di Esculapio e Telesforo del giardino di Richelieu, il coro delle Nereidi del sarcofago Capitolino? Qual differenza tra ciò che Rivantella e Ricolvi pubblicarono sul basso rilievo di Daudemeno, e ciò che ne dice il Visconti? Non è maraviglia se il Millin, lo Schweighauser, il Petit-Radel, il Saint-Victor, il Filhol, il Clarac, quanti insomma ebbero di poi a parlare de’ monumenti ond'erasi la Francia abbellita, tutti o si mossero sulle tracce di lui, o seguirono fidatamente le sagacissime sue opinioni » (1). Il 6 marzo del 1812 il Moniteur scriveva: Μ. M. Visconti et Emé-ric-David, appelés à composer le texte, au mois de mai 1806, paraissent n'avoir pas fait moins d’efforts pour rendre le Musée Français digne de son objet et pour en faire un ouvrage classique.....0*s deux collaborateurs ont publié quarantedeux livraisons, depuis la 39.“ jusqu’ à la 80.c, formant ensemble le 3.e et le 4.« volume en entier, et une partie du second.....Un immense érudition, une connaissance particulière et approfondie de la mythologie, une critique saine et lumineuse, un goût sur, des apperçus justes et heureux, tels sont les divers genres de mérite qui distinguent ici M. Visconti, de même que dans toutes ses productions .....En ce qui concerne l'histoire de l’art a émis le premier l’opinion remarquable que l’excellence des statuaires de l’antiquité est (1) LABUS (t., Prefazione al vol. IV delle Opere varie del Visconti, p. XXV. — 150 — due en grande partie à l’esprit d’imitation bien dirigé par lequel en adoptant à peu-prés les attitudes et les caractères des statues déjà célébrés, ils s’efforcaient d’en ennoblir et d’en épurer encore les formes. Il a prouvé la justesse de cette observation par des exemples imposans, tels que ceux de l’Apollon de Belvédere, de différentes statues de Venus, de l’hercule Farneze, du Faune de Barberini, du fragment appelé le Torse, de la statue d’un personnage romain représenté sous les attributs de Mercure, dite le Germanicus, et de plusieurs autres figures. Cette vérité historique l’a conduit à démontrer un fait non moins important, c’est que l’art statuaire ne dégénéra point chez les Grecs après Alexandre, comme le pensait Winkelmann, qu’ il se soutint au contraire dans toute sa splendeur depuis le gouvernement de Périclés jusqu’ au règne des Antonins, et que la plupart des chefs-d’oeuvre qui nous restent ont été exécutés dans les derniers tems de la République Romaine et sous les empereurs antérieurs à Septime-Sévère. Ce fait est prouvé jusqu’ à l’évidence ». Ristampa la descrizione stupenda dell'Apollo di Belvedere (l) e quella del Laocoonte (2); concludendo: <■ M. Visconti rapporte dans sa notice sur ce groupe les diverses traditions consérvées par les auteurs de l’antiquité au sujet de la mort de Laocoon. Il fait remarquer dans la composition et l’exécution de ce monument, qui ne sera jamais trop admiré des beautés que les écrivains qui en ont parlé avant lui semblent n’avoir pas remarquées. Il confirme ensuite l’opinion de Lessing, qui a pensé avec raison que Virgile n'avait point vu le groupe et que les auteurs du groupe, par les motifs particuliers à leur art, n’ont pas imité ta description du poète; et il prouve par diverses considérations et notta-ment par le silence des auteurs antérieurs à Pline, que ce chef-d’ocuvre. trouvé dans les ruines du palais de Titus a dû être exécuté sous le règne de ce prince, ou au plus sous les premiers Césars » (3). (1) Apollon , vainqueur de Python, dit l'Apollon de Belvédere, notice de M. VISCONTI: in Le Moniteur universel, n.» 73, vendredi 13 mars 1812, pp. 287-288. (2) Laocoon, groupe, notice de M. visconti; in Le Moniteur universel, n.* 85, mercredi 25 mars 1812, pp. 335-336. (3) Aiutò anche un’impresa de’ fratelli Piranesi, suoi amici. * Les frères Piranesi » (scrive il le Breton) « ont publié la gravure au trait des statues, bustes et bas-reliefs antiques du Musée Napoléon. Le texte, de la description a été rédigé par M. Schweighaeuser fils, sous la direction de M. Visconti, jusqu’ à la 40.* gravure, et continué par M. Louis Petit-Radel jusqu' à la 318' — 151 — Non ho ancora gli anni di cittadinanza per potere essere ascritto all’istituto », scriveva il Visconti al De’ Rossi il 22 marzo del 1802. Gli annunziava però il 9 aprile dell’anno dopo: « Il Primo Console nella riforma dell'istituto nie ne ha nominato membro nella classe delle belle arti. Questa nomina è stata fatta il dì 29 gennaio scorso: mi porta la pensione di 1500 franchi (1). Sto ancora occupandomi, per suo ordine, d un opera sull'iconografia antica, la quale abbraccerà tutti i ritratti degli, uomini illustri, re, imperatori, etc. che ci son pervenuti in una maniera autentica, o fondati su congetture assai probabili. Quest’opera riuscirà magnifica ». Lo accenna anche in una lettera a Luigi Lamberti dell’ultimo febbraio 1806. « Voi già sapete » (così gli scrive) « che nel 1803 l'imperatore, allora Primo Console, mi nominò membro dell’istituto nella Classe delle Belle Arti, nella nuova organizzazione che ne fece, e che, in virtù di questa stessa organizzazione che permette di appartenere a più classi e moltiplicare i trattamenti, l'anno seguente concorsi a un posto vacante nella Classe di Letteratura antica, e l'ottenni subito per libera elezione de'miei confratelli (2). Ora sto lavorando ad una grand'opera contenente l'iconografia Greca e Romana, ossia la collezione di tutti i ritratti autentici dell'antichità. L’Imperatore me l’ha ordinata, e e il Ministro delle Relazioni estere M. Talleyrand è quello che la fa eseguire per conto del Ministero ». Una deputazione della classe di storia e letteratura antica, poi detta Accademia delle iscrizioni e belle lettere; et dernière. Cet ouvrage est remarquable par la netteté et la mesure d'érudition qu' il contient. L'auteur du texte n'a point abusé de la facilité d'écrire beaucoup sur de pareils sujects: il a proportionné les explications aux dimensions de l'ouvrage. M. Visconti a continué ses conseils pour la suite de ce travail ; mai il est cité toutes les fois que M. Louis Petit-Radel s'en appuie » Cfr joa-CHIM Lt BRETON, Rapport sur les Beaux-Arts, Paris, Imprimerie Impériale, 1810; pp. 217-218. (1) La nouvelle organisation de l’institut national» ebbe luogo con decreto del 3 piovoso dell’anno XI |23 gennaio 1803). Di tre classi che era fu spartito in quattro: · Classe des sciences physiques et mathématiques »; « Classe de la langue et de la littérature française »; Classe d’histoire et de littérature ancienne »; Classe des beaux-arts ». Quest’ultima, composta di ventiquattro membri e di otto soci stranieri, venne divisa in cinque sezioni: « Peinture »; • Sculpture ; Architecture >; · Gravure ·; « Musique (composition) ». Cfr. Bulletin des lois de lu République Française, serie III, toni. VII, pp. 373-378. (2) Il posto vacante era quello di Luigi Maria Revellière-Lepeaux. L’e-lezi.ine del Visconti ebbe luogo il 20 luglio del 1804. — 152 - deputazione composta del Visconti, del Degerando, del Sainte-Croix, ilei Brial, del du Tlieil, deU’Ameilhon, del Pastoret, del Silvestre de Sacy e del Gosselin, con alla testa il presidente Lévesque, il vicepresidente Boissy d’Anglas e il segretario Dacier, il '20 febbraio del 1808 venne ricevuta da Napoleone. Nel presentargli il Rapport historique sur les progrès de Γhistoire et de la littérature ancienne depuis 1789 et sur leur état . actuel, scritto per suo comando e per suo comando stampato, il Dacier, venuto a parlare dell’archeologia, ebbe a dirgli: « La science des antiquités a fait des progrès remarquables dont une grande partie est due à la France: l’étude des monumens a répandu sur les études philologiques et historiques des lumieres inattendues, et elle y a puisé en échange cette critique saine et éclairée, au moyen de la quelle la science des médailles a formé de nos jours un corps de doctrine. La paléographie grecque et la paléographie latine ont otteint un degré de perfection inconnu à nos prédé cesseurs. L’archeolograpliie, qui explique les monumens, a renoncé à ses chimeres et est devenue la dépositaire ou l’interprète fidèle des moeurs, des coutumes, des rites, des événemens et des arts de l’antiquité. Les restes admirables de la sculpture antique, que V. M. a déjà fait transporter, et va faire transporter encore des bords du Tibre dans sa nouvelle Rome, releveront l’importance de la science des antiquités, et en faciliteront de plus en plus les progrès. L’iconographie ancienne, excitée par un de vos regards, va remettre sous nos yeux les images trop long-tems négligées des grands-hommes de l’antiquité, qui sont vos ayeux de gloire, et dont vous avez su conquérir et aggrandir le sublime et immortel héritage » (1). il Visconti fece anche parte della deputazione della classe delle belle arti, presieduta dal Bervic, che ebbe udienza il successivo 5 di marzo. Napoleone le rivolse queste parole: « Athènes et Rome sont encore célébrés par leurs succès dans le arts; l’Italie, dont les peuples me sont chers à tant de titres, s’est distinguée la première parmi les nations modernes. J’ai à coeur de voir les artistes français effacer la gloire d’Athénes et de l’Italie. C’est à vous à réaliser de si belles espérances. Vous pouvez compter sur ma protection » (2). Al Rapport prestarono la loro collaborazione per la filologia greca (1) Gazette nationale ou Le Moniteur universel, n.» 55, 24 février 1808, pp. 217-219. (2) Gazette suddetta, n.” 67, 7 mars 1808, pp. 263-266. - 153 — e latina e per l’antiquaria il Visconti; per le lingue e la letteratura orientale il Silvestre de Sacy; per la storia antica il Sainte-Croix; per la diplomatica e la storia medioevale il Brial; per la s*oria moderna il Lé-vesque; per la geografia antica il Oossellin; per la legislazione il Pastor ret ; e per la filosofia il Degerando. Benché porti scritto in fronte: « rédigé par M. Dacier, secrétaire perpétuel de la Classe », il Dacier stesso dichiara neU’avvertenza: « Le secrétaire perpétuel doit ajouter qu’ il a cru ne devoir presque rien changer à la rédaction de quelques-unes des parties de ce travail, et qu'elle est, à peu de chose près, dans la même où elle lui a été remise par les commissaires: il auroit craint, avec raison, de faire moins bien s’il avoit entrepris de faire autrement ». La parte dunque che riguarda la filologia greca e latina e l’antiquaria venne scritta dal Visconti e per sua fu sempre riconosciuta. È un quadro tracciato con mano maestra. Non si restringe a trattare de’ cultori della filologia e delFantiquaria in Francia, volge lo sguardo suo, acuto e indagatore, a tutta quanta l’Europa. La schiera degl’italiani si apre col P. Maria Giuseppe Pagnini, pistoiese, che arricchì di note le traduzioni eleganti di Teocrito e Callimaco, mostrandosi non meno buon critico che buon verseggiatore. I lavori filologici e letterari dell’ab. Jacopo Morelli prouvent tous t’étendue, la variété et la profondeur de ses connoissan-ces ». Luigi Lamberti, reggiano, « l’un des écrivains les plus élegans de l’Italie, soit en prose, soit en vers et des meilleurs critiques », ha dato una traduzione poetica de’ canti di Tirteo con una versione latina e note eccellenti. Le Commentationes Lacrtianae « placent M. l’abbéjgnace Rossi au rang des critiques les plus éclairés et les plus ingénieux, et des hommes les plus versés dans la connoissance de l’histoire et dans celle des anciens systèmes de philosophie *. Con Melchiorre Cesarotti è severissimo. La traduction d’Homère mérite à peine d’être indiquée: mais on ne peut se dispenser de dire que ses notes, écrites d’un style maniéré, portent l'empreinte d’un esprit d’innovation et de néologisme très-favorable à l’ignorance, et qu’ elles sont en général fort opposées au bon goût et à la bonne critique ». Riguardo alla filologia latina, l’Italia, sempre gelosa di conservare l’eredità della lingua de’ suoi antichi abitanti, si gloria ·* d’un certain nombre d’hommes qui ont fait revivre le style des bons écrivains latins du XVIe siècle, eu imitant ceux du beau siècle de Rome ». Dopo il 1789 ha perduto lo Stay e il Boscovich, il Cunich e lo Zamagna; è pur morto — 154 - il Giovenazzi, le cui poesie latine » paroissent écrites par un contemporain de Catulle De’ viventi lo stile latino del Morcelli, sia in versi, sia in prosa « est pur et élégant *; all’ab. Morelli « l'élégance de style de plusieurs opuscules qu’ il a écrits en latin, lui assurent un des premiers rangs dans la philologie latine ». Monsig. Domenico Testa, Fab. Francesco Cancellieri e Dionigi Strocchi « écrivent en latin avec beaucoup de pureté et de grâce ». Il Serra, genovese, con la sua storia succinta delle campagne di Napoleone del 1806 e 1807, ha voluto senza dubbio « rivaliser avec son compatriote Uberto Foglietta; ou plutôt il a cherché à imiter Salluste et Tacite. Son style est pur et de bon goût et son ouvrage estimable ». Finisce con questa osservazione: t Plusieurs écrivains des derniers temps se sont plus à décréditer le style des ouvrages écrits en latin par les modernes. Cicéron et Virgile, disent-ils, en riro-ient et ne les comprendroient pas. Ces sarcasmes ne prouvent autre chose qu’ une grande ignorance, ou du moins une connoissance très-imparfaite des auteurs latins: car quel est le philologue, familiarisé avec la lecture de ces auteurs, qui ne soit pas intimement convaincu que Cicéron auroit plus de peine à comprendre Pline et Sénèque qu’ a bien entendre Manuce et Muret, et que Virgile croiroit plus rapprochés de son siècle Sannazar et Fracastor que Lucain et Stace! ». Venuto a parlare dell’antiquaria, tratta separatamente dell'archeologia, della mitologia, della storia delle arti, deH’archeografia, della dattilografia, dell’iconografia, della numismatica, della paleografia, delle antichità topografiche e delle antichità egiziane. Nel discorrere della paleografia piglia a dire : t La paléographie latine a fait beaucoup d’acquisitions pendant l’époque dont nous occupons. L’ouvrage de Fabretti sur les inscriptions nous avoit mis plus à portée que les grands recueils publiés auparavant, d’apprécier le trésor de connoissances que peut offrir ce genre de monumens. On savoit qu’ ils étoient indispensablement nécessaires pour nous faire connoître, non-seulement un grand nombre des usages de la vie privée chez les anciens, mais même l’organisation de l’empire, considérée dans tous ses détails. Le marquis Maffei avoit essayé de donner des principes de critique pour l’examen des inscriptions; mais il n’avoit ni un jugement assez solide, ni des connoissances assez vastes, pour que son ouvrage puisse être regardé comme un guide assuré. On trouve ce guide dans les ouvrages du prélat Marini: il a porté la paléographie latine à un degré de critique, d’exactitude et de clarté, qu' on n’auroit - 155 — pas même osé espérer. L’immense variété de ses connoissances archéologiques, la sagacité de ses réflexions, le sage emploi des conjectures, donnent à ses productions le plus grand intérêt, aux yeux des antiquaires jaloux de tout qui concerne l’érudition latine. Les points d’archéologie, de chronologie, d’histoire et grammaire, qu’ il a éclaircis, sont sans nombre. On regrette seulement que l’on ne peut entendre sans bien connoître la langue latine, aient été composés en italien ». U severo giudizio del Visconti sulMrs critica lapidaria di Scipione Maffei riuscì amaro ad Ippolito Pindemonte, suo concittadino. « Qual meraviglia » (osserva) « che il Marini, che venne dopo, portata l’abbia ad un maggior grado di perfezione? » Ripeterò con lo Zannoni: « II celebre monsig. Gaetano Marini, che davasi vanto, e ne aveva ragione,, di aver copiato più iscrizioni, che non ne avesse altri lette, coll’opera sua dei Fratelli Arvali superò quanti dinanzi a lui sopra antichi marmi aveano scritto, e tolse per avventura ai posteri la speranza di poterlo in ciò, non che vincere, ma nemmeno uguagliare ». Il Visconti prosegue t Plusieurs monumens trouvés en Toscane et dans les pays qui formaient la grande Grèce, offrent des inscriptions en caractères qui ne sont ni grecs, ni romains, quoiqu’ ils tiennent des uns et des autres. L’abbé Gori, le marquis Maffei tt l’abbé Passeri, n’avoient pas retiré grand fruit de leurs efforts; ce n’est qu’ en 1790 que M. l’abbé Lanzi, antiquaire du musée de Florence, a fait imprimer à Rome, en trois volumes, un Essai, écrit en italien, sur les caractères et les langues anciennes de l’Italie. Cet ouvrage a donné réellement l’existence à cette branche de la paléographie; et l’auteur a employé habilement ses découvertes, pour éclaircir, par le moyen d’une sage critique, plusieurs autres parties de la science des antiquités ». Il Pindemonte trova che il Visconti « loda a cielo e meritatamente » il Saggio di lingua etrusco e di altre antiche d’Italia per servire alla storia de’ popoli, delle lingue e delle belle arti; ma soggiunge: « fiorì anch’egli molti anni appresso », nè tace che dal Lanzi « potea il Visconti imparare a discorrere del Maffei con la debita venerazione » (1). Ingiusta è l’accusa. Ennio Quirino, pigliando a dimostrare che « la critique de la paléographie n’a pris son essor que lorsqu’ on a fait des collections de marbres écrits», conclude: « Fa- (1) PINDEMONTE I., Elogi di letterati italiani, Firenze, Barbèra, Bianchi c comp., 1859, pp. 151-153. — 156 — bretti en avoit rassemblé lui-même une très-nombreuse dans sa maison d’Urbin. Le cloître de Saint- Paul, à Rome, tapissé d’inscriptions, et le musée de Verone, ont formé les Lupi, les Maffei et tant d’autres hommes habiles en paléographie. Les collections immenses du Capitole et du Vatican, et plusieurs autres, faites à Rome dan ces derniers temps, ont formé le prélat Marini, qui a porté la paléographie latine à son plus aut degré » (1). Trattando de’ lavori della classe delle belle arti, il segretario Giovacchino Lebreton, nell’adunanza del 3 ottobre 1812, così parlava dtWIconographle del confratello Visconti: «Le souvenir des hommes illustres et l’admiration qu’ il excite, ne suffisent point a la pensée; elle a besoin de se nourrir de leur image: mais elle ne veut pas être trompée dans son culte et honorer des faux dieux. Comment s'assurer que les traits qu’ on contemple sont ceux des poètes immortels, des grands législateurs, des orateurs, des philosophes, des artistes célèbres, des guerriers fameux, et des princes illustres de l’antiquité? Il y a tant de monumens apocriphes, tant de détruits ou de mutilés! La science des antiquités est si vague, souvent si conjecturale, qu’ il est bien difficile de produire cettè sécurité entière qui fait le charme de l’amour et de l’admiration. Un seul homme en Europe était capable de remplir cette tâche, non-seulement parce qu’ il est le plus profondément instruit dans la connaissance de l’antiquité, mais parce qu’ il est doué d’une grande sagacité et d’un excellent esprit. L'Iconographie grecque est terminée, et M. Visconti travaille à l’Iconographie romaine. Le plan de cet ouvrage a été conçu et prescrit par l’Empereur lui-même. Il est executé par sa munificence. Qui pouvait mieux sentir toute la gloire des siècles antiques? C’est un temple qu’ il érige aux grands hommes de l’antiquité, et (1) Rapport historique sur les progrès de l'histoire et dr la littérature ancienne depuis 1789, et sur leur état actuel, présenté à Sa Majesté l'Empe-reur et Roi, en son Conseil d’état, le 20 Février 1808, par ta Classe d'Hi-stoire et de Littérature ancienne de l’institut; rédigée par M. DACIER, Secrétaire perpétuel de la Classe. Imprimé par ordre de Sa Majesté, A Paris, de l’imprimerie Impériale, MDCCCX; in 4.° La Philologie occupa le pp. 15-45; le Antiquités le pp. 43-80. Il Rapport sur les progrès de l’histoire, etc. è di pp. Vlll-264. Segue con nuova numerazione, 1-240, if Rapport sur les Beaux Arts, diviso in cinque parti: * Peinture »; * Sculpture *; « Architecture ·; « Gravure en taille-douce ·: e « Musique. Anche a questo il Visconti prestò la sua collaborazione. - 157 — pour ainsi dire, un devoir pieux qu’ il acquitte envers ses ancêtres (1). Ce livre est pour lui ce qu’étaient les dieux familiers qu’ on honorait dans l’enceinte de sa maison » (2). L'Iconographie grecque et romaine, che per il Visconti « est devenue un de ses plus beaux titres de gloire, si elle n’est pas le plus brillant de tous >; una delle opere « les plus lumineux, les plus magnifiques et les mieux soignés dans tous leurs détails, dont s’honore la république des lettres » - il giudizio è delPEméric-David — in parte era stata messa alle stampe fin dal 1808 (3). Il Millin ne discorse nel Moniteur universel. « Je » (così finisce) « ne puis entrer dans tous les détails d’un (1) Nel Rapport historique sur les progrès de l'histoire et de la littérature ancienne, scritto il 1808 e pubblicato dall’istituto di Francia il 181Ό, si legge: ■ L’iconographie en était à ce point, lorsque le désir de faire revivre les traits des grands hommes de l’antiquité et de célébrer leur mémoire, s’est fait sentir au grand homme qui avoit hérité de tous leurs droits à la gloire. Sa Majesté PEmpereur a voulu qu' une iconographie ancienne, imprimée avec magnificence et gravée avec le plus grand soin, réunît les images de tous les personnages illustres dont les portraits authentiques nous sont parvenus. M. Visconti a été chargé de la tâche honorable d’en recueillir les dessins, de les faire graver, et de les accompagner d’un texte qui contînt le précis historique de chaque sujet et l’examen critique du monument. Par les ordres de sa Majesté, le ministre des relations extérieures a interposé ses bons offices auprès des cours étrangères, pour obtenir les dessins, les moules ou les empreintes des monumens, souvent inédits, qui devoient entrer dans l’ouvrage. Le premier volume est sous presse; il contient l’iconographie grecque, et les suites des rois qui ont fait frapper des médailles dont les légendes sont grecques: il sera en étal de paroitre sous quelques mois. Comme M. Visconti n’est pas né en France et ne s’y est fixé que depuis un petit nombre d’années, M. Dacier, secrétaire perpétuel de la classe (d’histoire et de littérature ancienne de l’Insti-tut), s’est chargé de revoir le style de l’ouvrage ». (2) Le Moniteur universel, n.° 292, 18 octobre 1812, p. 1154. (3) Iconographie grecque | par | e. q. VISCONTI j membre de l’institut de France. \ Nullum est majtis felicitatis specimen quam semper omnes I scire capere, quare fuerit aliquis. PLIN. L. XXXV. £ 2. | A Paris | de l’imprimerie de P. Didot Paillé. | MDCCCVIll.; in-fol. massimo. Nell’antiporta figurato si legge: Iconografie \ ancienne | ou | recueil des portraits authentiques | des empereurs, rois | et | hommes illustres de l'antiquité Tome premier. | Iconographie grecque. È di pp. 4 n. n. -t- XXV -f- 2 n. n. -)- 115 -f 181. Al frontespizio figurato, col busto di Napoleone, segue: * Explication de la vignette du frontespice ». Vien la lettera dedicatoria del Visconti « A Sa Majesté PEmpereur et Roi »; e il * Discours préliminaire ». L’ «Iconographie grecque première partie» ha per soggetto gli uomini illustri: - hommes illustres» cosi suddivisi: < Poètes », tav. I-VH; « Lé- — 158 - ouvrage si précieux à lire et qu’ il faut étudier: il me suffira d’ajouter qu’ on y trouve une foule de remarques d’une érudition profonde, agréable et variée sur toutes les parties de Parchaeographie; que l’histoire grecque, l’histoire littéraire et la biographie y ont beaucoup à profiter; que plusieurs points de chronologie y sont discutés et établis avec une grande clarté. Les remarques sur la philologie, la paléographie, la numismatique sont nombreuses et intéressantes; enfin, beaucoup de monumens sont inédits : ainsi, ceux mêmes qui n’adopteraient pas quelques conjectures de M. Visconti, ne pourront s’empêcher d’admirer l’étendue de son érudition, la justesse de sa critique et l’esprit de ses combinaisons * (1). Dell’opera « celebratissima » dette questo giudizio lo Zannoni: « L’antichità dei ritratti; i luoghi nei quali uso era di porgli; le materie di che si formavano ; le raccolte di essi, sì antiche e sì moderne; l’esame critico di queste; i libri che giovarono all’uopo, sono i punti onde la prima parte è composta della bellissima prefazione. Si aggira la seconda parte sulla difficoità di recar l’opera ad effetto; e la terza ne informa del metodo, del quale è fatt’uso nel compilarla. La difficoltà era in vero gran- gislateurs et sages anciens», tav. VIII-XI1 ; « Hommes d’état et de guerre «, tav. XIII-XVI; «Philosophes», tav. XVI1-XXVI; - Historiens . tav. XXVII; «Orateurs et rétheurs », tav. XXVIII-XXXI; « Médecins et physiciens ·, tav. XXX1I-XXXVI; « Femmes célèbres », tav. XXXVII. Il voi. si chiude con la « Table des chapitres de la première partie». Iconographie \ grecque | par le chevalier ε. Q. VISCONTI | membre de l'institut de France. \ Magnorum virorum imagines, incitamenta animi. | SENECA, Epist. LXIV. A Paris | de l’imprimerie de P. Didot l’ainé. i MDCCCViii; in-fol. massimo. Nell’antiporta figurata si legge: Iconographie | grecque. Seconde partie I Rois. Dopo 6 pp. n. n. -j- VII e 1 p. n. n. prosegue la numerazione del volume precedente, 185-364. Al testo precede la « Explication de la vignette du frontespice »; è poi seguito dalla * Table des chapitres de la seconde partie de l’iconographie grecque » e dalle « Corrections de la seconde partie ». Contiene le tavole XXXVIII-LVII. Iconographie \ grecque | suite de la seconde partie; in-fol. massimo senza indicazioni tipografiche. È preceduto da 2 pp. n. n.; quindi continua la numerazione del volume precedente, 363-652. Segue: * Supplément a l’iconographie grecque », di 2 pp. η. η. -f 1-18 -j- 2 η. η. -f le pp. 653-658. Si chiude con la « Table alphabétique des noms des personnages ». Ha 57 tavole, oltre 1 di supplemento. (1) Le Moniteur universel, n.° 52, 21 février 1811, pp. 205-206; η.» 54, 23 février 1811, pp. 210-211. - 159 — dissima. Facea mestieri aver contezza di tutto quello, che rispetto a tema cotanto esteso, era, di mezzo alle ingiurie del tempo e dell’ignoranza, fino all’età nostra pervenuto: ma recava a ciò medesimo impedimento non lieve l’essere ancora ignoto un numero ben grande di autentici ritratti di regi e personaggi illustri dell’antichità, perchè inedite si giaceano le medaglie e gli altri monumenti, in che sono essi effigiati. D’uopo era talvolta ricorrere a poco conosciuto libro, affine di ritrovare qualche ritratto importante, che nelle raccolte iconografiche sarebbesi invano ricercato. Ponderar si dovevano eziandio le varie e sovente opposte opinioni degli antiquari su d’un medesimo monumento, e su’ diversi ritratti che allo stesso personaggio si attribuiscono, i quali nelle differenti opere dell’arte poi non si rassomigliano; adoperar convenia sommo criterio affine di separare i ritratti sinceri dai falsi, che in troppo copioso numero somministrano medaglie e gemme, le quali sono opere di moderna mano, e si riputavano di antico lavoro. Ma il Visconti, allorché narra tali difficoltà, è come il prode condottiero d’eserciti, che racconta i pericoli delle sostenute pugne, quando ritorna in patria cinto le onorate tempie del lauro trionfale. Il metodo poi, che egli prescelse, dovea necessariamente condurlo a felici risultamenti. Presi in iscorta, finché n’era conceduto, gli autori antichi e gli antichi monumenti, attinse egli da questi fonti di ricchissima vena, ad illustrazione di ciascun ritratto, molte ed importantissime particolarità, desiderate in tutti quelli che scrissero avanti di lui. Questi medesimi scrittori ov’ab-biano errato, sia rispetto alle notizie biografiche dei personaggi de’ quali egli parla, sia riguardo alla spiegazione dei monumenti, che loro appartengono, sono da lui c<.n molta sagacità sempre emendati. Quando le gesta di quegli uomini, dei quali illustra l’effigie, sono scritte in molti libri, poco su di esse trattiene il suo lettore : si diffonde più su’ fatti di quelli clic paiono esser fuggiti alle ricerche degli scrittori che lo han preceduto. Generalmente ha cura di rilevare l’indole di ciascheduno, perchè i lineamenti del volto disgiunti non vadano dalle qualità della mente e del cuore ; prestando i primi soventi volte sicurissimi indizi delle seconde. Si il testo e si le annotazioni, alle quali si riserbano le discussioni più prolisse, abbondano d'ingegnose avvertenze e di scoperte importantissime. Se è ornai da confessare, che nell'antica età state sono due Saffo, a ciò ne astringono i validissimi argomenti che addotti furono dal Visconti. Prova egli con autorità si positive e si negative, che l’amore di Faone, i - 160 - e il salto di Leucade appartengono ad una Saffo, la quale più moderna è della poetessa; e che Ovidio fu il primo a confonderle. I ritratti che il Visconti attribuisce ad Arato, a Crisippo e a Talete non hanno iscrizione. Sono però si robusti gli argomenti coi quali egli dimostra l’opi-nion sua, che forza è dargli ragione. Una rara medaglia di Pompeiopoli, città della Cilicia, e la medesima che Soli, presenta nelle due faccie le teste di due uomini illustri. Opportuna per dichiararle è un’autorità di Galeno, il quale afferma che Soli sarebbe oscura città, se la gloria non la illustrasse d’Arato e di Crisippo. Questi dunque effigiati esser debbono nella mentovata medaglia. Ma qual di loro sarà Arato e quale Crisippo? Una di queste teste riguarda il cielo: essa è quella di Arato. Ne convince Sidonio Apollinare, scrivendo che ai suoi tempi eziandio tal movimento si dava ai ritratti di lui; con che certamente ai suoi poemi astronomici si volle alludere. Il ritratto che prova il Visconti appartenere a Talete, è in doppio erma, con quel di Briante, il quale ha iscrizione che il manifesta. Egli è certo che l’effigie, la quale con quella di Briante congiunta si vede, esser debba d’un altro Sapiente. I ritratti di tutti i Sapienti sono noti, se quelli si eccettuino di Cleobulo e di Talete. Tra Cleobulo e Briante altra relazione non v'è, salvo quella d'appartenere ambedue all’ordine dei Sapienti. L’han più stretta Briante e Talete. Essi erano amici; e due città abitavano tra lor vicine, quali erano Mileto e Priene. Poiché egli è noto, aver avuto riguardo gli antichi a tali relazioni in iscolpire i doppi ermi ; così credibil si rende, se non certo, che Talete, piuttosto che Cleobulo, siasi a Briante accoppiato >. L’ edizione riuscì splendidissima, sia dal lato della stampa, sia delle incisioni; ma nelle tavole, sebbene c accuratamente intagliate e con lusso appariscente », come notò il Cicognara, « il bulino invase il buon gusto che deve esprimere il carattere delle pietre, delle medaglie, delle gemme » (1). La lettera dedicatoria del Visconti a Napoleone, che porta in fronte, è scritta con nobiltà dignitosa e senza un’ombra di cortigianeria (2). Quando gliene presentò, riccamente legato, il primo esem- (1) CICOGNARA L., Op. cit., vol. II, pp. 224-225. (2) Ecco il testo della lettera dedicatoria: A Sa Majesté PEmpereur et Rni. Sire, C’est par les ordres de Votre Majesté, et sous Ses auspices, que j’ai entrepris cet Ouvrage. La pensée de rassembler les images des grands hommes - 161 - piare, quel redivivo Cesare accolse l’autore « a parole di grandissimo onore »; lo rimunerò magnificamente e ne lodò la dottrina e l’ingegno. Poscia, come soprappreso da nuovo pensiero, gli disse: Ne voglio tutta la edizione riserbata per me. Quali uomini in tutta Europa sarebbero capaci di fare un’opera simile? Al che avendo il Visconti modestissimamente e col rossore sul volto risposto; Ebbene, quegli soggiunse, datemi la nota di tutti coloro eh’è di vostro piacere, o che meritano a vostro giudizio di averne un esemplare in dono. A cui Visconti, tuttavia più arrossendo, prontamente ubbidì, non senza però universale stupore; poiché si era bensì veduto, e si avea fra i miracoli, un Dionigi fatto cocchiere del suo carro reale per condurre in esso quasi a trionfo per le pubbliche strade di Siracusa Platone; un Alessandro Severo coprire col suo manto imperiale Ulpiano giurista per fargli della sua porpora vestimento per onore, e scudo per difesa: ma un letterato che regalasse agli 'amici ed ai compagni de’ suoi studi le proprie sue opere con la mano di un re, non si era veduto ancora, e potea solo un italiano e un Visconti presentarne l’esempio » (I). Ses devanciers Lui appartient toute entière; et, grâce à Sa munificence, ces portraits, retracés sur tant de monuments dispersés ou mutilés par le temps et la barbarie, échapperont à la destruction et à l’oubli et passeront tous ensemble â la postérité comme un digne cortège de Votre renommée. L'Iconographie ancienne appartient encore à Votre Majesté à un autre titre: elle prépare de loin Son histoire. Les qualités qui distinguent les grands hommes des temps anciens, et qui forment leur portrait moral? sont toutes dans le domaine de Sa gloire. L’histoire des législateurs, des guerriers, des conquérants. des fondateurs des Empires, des restaurateurs des grandes institutions sociales, rappelle â chaque page celle de Votre Majesté. Puissé-je avoir rendu, sans les affoiblir, les traits caractéristiques des différents genres de mérite qui les ont immortalisés, et qui, pour le bonheur de notre âge, sont tous réunis dans Votre Auguste Personne. Je supplie Votre Majesté d’agraéer avec bonté l’hommage de mes travaux; et je m'estimerai heureux, si mon zèle, mon empressement à Lui obéir, peuvent m’obtenir Son indulgence pour les défauts dont n’aurai pu me préserver. Je suis avec le plus profond respect, Sire, De Votre Majesté Impériale et Royale, Le très humble, très dévoué serviteur et très fidèle sujet. ENNIUS QUIRINUS VISCONTI. (1) l AW'S 0., Notitie intorno la vito di Ennio Quirino Visconti; nel Mu-vo ho dementino, illustrato e descritto da GIAMBATTISTA ed ennio quirino — 162 - I restaurati Borboni pigliarono sotto la propria protezione l’opera incominciata; e l’autore il 27 novembre del ’15 scriveva a Oio. Gherardo De’ Rossi: « L’Iconografia si continuerà; ora è sospesa per qualche momento sino a che nuovi fondi si facciano: gli spero nel mese entrante ». Soltanto nel 1S17 incominciò a vedere la luce la Iconographie romaine, pur troppo rimasta imperfetta, con gran danno dell’antiquaria, per la morte immatura del Visconti (1); il quale non potè condurne a fine che la prima parte, consacrata agli uomini illustri e divisa in cinque capitoli (2). 11 primo contiene que’ ritratti che « plusieurs antiquaires croient d’un genre idéal et de convention, et qui cependant ont dû, pour la visconti, Milano, per Nicolò Bettoni [tipografia Destefanis|, 1818, vol. I, pp. XLI-XLII. (1) Iconographie \ romaine \ par | le chevalier E. q. VISCONTI | membre de l'institut Royal de France. \ Magnorum virorum imagines, incitamenta animi. \ seneca, Epist. Lxiv. | A Paris \ de l’imprimerie de P. Didot l’ainé | chevalier de l’Ordre royal de Saint-Michel | imprimeur du Roi | MDCCCXVH ; in-fol. massimo. Nell’antiporta si legge: Iconographie ; ancienne \ ou \ recueil des portraits authentiques | des empereurs, rois et hommes illustres de l'antiquité. \ — I Iconographie romaine Tome premier. È di pp. 6. n. n. -j- ij -|- ij -4- 2 n. n. 219 e l’ultima bianca. Comincia con I’ « Explication de la vignette du frontispice », un medaglione con l’effigie di Luigi XVIII. Seguono: « Corrections de la première partie » e 1’ « Avant-propos ». L'Iconographie romaine è spartita in cinque capitoli: I. « Personnages illustres appartenants au époques les plus anciennes de l’histoire romaine > (tav. I); II. « Hommes d’état et de guerre qui appartenent aux différentes époques du gouvernement républicain » (tav. II-VI1); III. ♦ Hommes d’état et de guerre sous les empereurs » (tav. VII1-IX); IV. « Personnages illustres dans l’histoire littéraire des Romains » (tav. X-XIV); V. « Personnages illustres dans les Municipes > (tav. XV-XVI). Il volume si chiude con la « Table des chapitres de la première partie de l’iconographie romaine ». (2) L’opera fu proseguita dal cav. A. Mongez, membro anch’esso dell’istituto di Francia. Dichiara: « M. Visconti n’avoit point encore commencé le texte du second volume, celui des empereurs; on n’a trouvé dans ses papiers que le catalogue des monuments qui devoient en faire partie et quelques notes en petit nombre ». Nell’elenco delle opere di Ennio Quirino, compilato dai figli, all’/conographie Romaine c’è la seguente nota: « Cet ouvrage n’est pas achevé; M. Visconti n’en a publié que le premier volume; mais il a laissé le plan général de l’ouvrage et un grand travail contenant le choix de toux les monuments qui doivent le composer, la base de chaque notice, particulièrement de celle du grand camée représentant l’apothéose d'Auguste, connu sous le nom de Camée de la S. Chapelle, tous les dessins, presque toutes les planches, ecc. ». Cfr. Giornale Arcadico; II, 23. L’UGONl \Della Lette rat ara italiana - 163 - plupart, avoir des modèles dans des siècles tres-renculés; tels que les ouvra ges en bronze des statuaires toscaniques. Ces portraits appartiennent à la première période de l’histoire romaine, lorsque la ville de Mars était gouvernée par des rois ». Son quelli di Romolo, di Tazio, di Numa e d’Anco Marzio. Sono nel secondo capitolo gli uomini di stato e di guerra fioriti nei diversi tempi della Repubblica; nel terzo hanno luogo quelli che salirono in fama sotto il governo imperiale. « Quoique » [avverte il Visconti) « le nombre de ces personnages soit très-peu considérable, en comparaison du nombre immense d'hommes illustres dont l’histoire romaine étonne, pour ainsi dire, notre immagination, il y en a toutefois quelques-uns sur lequels elle garde le silence, et que les monuments nous ont fait connoitre ». Comprende il quarto gli scrittori che da Terenzio ad Apuleio si sono resi illustri nella letteratura latina. Si duole il Visconti « que des portraits si intéressants ne nous aient pas été conservés par des ouvrages de l'art moins imparfaits que ne le sont la plupart de ceux qui nous sont parvenus ». È una schiera che conta de’nomi immortali: Terenzio e Quinto Ortensio, Cicerone e Sallustio, Virgilio e Orazio, Mecenate e Senecaj Oiunio Rustico e Apuleio. L’ultimo capitolo è dedicato a que’personaggi «qui ont dû principalement leur illustration à leur vanité, et qui, en ob- nrllii seconda metà del secolo xvili, opera postuma; IV, 104] afferma: « Fra’ mss. dell’A. trovammo un Quadro generale del?Iconografia romana; ritratti che non appartengono al seguito imperiale; uomini illustri che fiorirono dalla fondazione di Roma fino alla battaglia d’Anzio; altri fioriti da quest’epoca fino all'imperatore Giuliano apostata. Primo secolo dell’era cristiana, secondo secolo, terzo secolo, quarto secolo. Ritratti romani non compresi nel seguito degli imperatori. Notizie sul cammeo della S. Cappella. — Nota sui cambiamenti di distribuzione da farsi al quadro de’ nomi cronologicamente ordinati. — Notizie sulla seconda sezione AtW'lcortografia Romana, formante un fascicolo di 40 faccie ». Aggiunge: · Ventisette rami erano incisi e quasi tutti i disegni compiuti. Dovunque ha potuto, il continuatore sig. Mongez ha fatto entrare i frammenti lasciati dal Visconti, come l’illustrazione del cammeo della S. Cappella, ec. ». Il secondo volume della prosecuzione vide la luce a Parigi nel 1824. Il Mongez l’adornò del ritratto di Ennio Quirino, di profilo, disegnato dal Leguiche e inciso dal Coiny; e l’adorno pure della veduta del monumento al Visconti nel cimitero del P. La Chaise, disegnata essa pure dal Leguiche e incisa dallo Schroeder ». Le Musée Royal publié par henri Laurent (avec des descriptions, par MM. VISCONTI, OUIZOT et le comte DE CLARAC), Paris, 1816 22, 2 vol. in-fol. Forma la seconda serie del Musée français. Venne fuori in quaranta dispense ciascuna delle quali adorna di quattro tavole. — 164 - tenant des honneurs et des monuments publics dans les Municipes, ont réussi à faire passer leur nom à la postérité » È notevole la differenza nell’acconciatura e nella disposizione della testa e de' capelli ne’ ritratti de’ cittadini d’utia stessa città, anche contemporanei. « On y voit de jeunes romains portant la barbe par fantaisie et pour se distinguer, tels que Cicéron peint les amis de Clodio; des personnages d’un certain âge entièrement rases; sur d’autres portraits, on retrouve cette barbe longue et hérissée que Γ orateur romain remarquoit dans les vieilles statues (1); d’autres enfin, et c’est le plus grand nombre, semblent n’avoir mis aucune recherche dans leur ajustement ». Come osservò lo Zannoni, il Visconti « quando le geste di quegli uomini, dei quali illustra l’effigie, sono scritte in molti libri, poco su di esse trattiene il suo lettore ». L’Ugoni (2) aggiunge: « È allora appunto che introduce, come usava Bayle, la critica e la maneggia con pari destrezza; e qui avverte e distrugge errori, e là avvicina fatti e circostanze, e con tali combinazioni avvalora le opinioni più probabili e avvilisce le meno... (1) Ex barbatis illis non hac barbula qua ista delectatur, sed illa horrida quam, in statuis antiquis et imaginibus videmus. Pro M. Coelio, § 14. (Nota dei Yiscontij. (2) UGONI C-, op. cit.; vol. IV, pp. 98-99. Quella parte dell’Iconographie romaine che riguarda Bruto l’assassino di Cesare — fa venir la senapa al naso all’esule bresciano. « Di Bruto » (scrive) < il Visconti compose un ritratto in caricatura, scegliendone qua e là i colori e rifiutandone quanti non facevano all’intento suo: usure esorbitanti, violenza in riscuoterle, fama di grande amatore della libertà e della patria, carpita con dissimulata ambizione, ipocrisia fino nelle parole estreme pronunciate prima di trafiggere, slancio di un attore che non abbandona la parte fino che è sulla scena. L’opinione delle virtù patrie di Bruto, secondo lui, deriva unicamente da due biografi, parente uno e l’altro amico di Bruto, e Plutarco li copiò. Per fuggire a un tal pericolo, pare che l’A. mirasse piuttosto in Dante, il quale avendo posto Bruto in una delle tre bocche del suo Lucifero, Visconti stimò bene di lasciarvelo. Ma lo scartare le testimonianze favorevoli e raccogliere le contrarie, e l’affettata severità, sveglierà alla sua volta quella de’ lettori, i quali potranno benissimo sospettare che PA. servisse più ai tempi, che al vero, e cercasse blandire al Servatori civium, il cui ritratto sta egregiamente inciso nel frontespizio delle tavole dell’/conografia Romana! ». L'Iconographie romaine vide la luce il 1817; non porta inciso nel frontespizio il ritratto di Napoleone — il Servatori civium, ma quello di Luigi xviii. L’insinuazione velenosa dell’lJgoni poggia sul falso; e chi legga con mente serena quello che il Visconti ha scritto di Bruto, si convincerà che non serve ai tempi, nè blandisce i tiranni, ma cerca il vero, e lo dice senza paura. - 165 — L’autore però trae qualche dardo dalla dialettica faretra, ma non la vuota mai, come faceva Bayle. E Dio sa quante cose riteneva nella penna, o recideva da’ suoi scritti! quante volte si sarà rattenuto su questo pendio, che la estesa sua dottrina gli avvallava davanti ad ogni passo; ma era conscio, che scriveva in una lingua, in un paese e in tempi che non patiscono dimore in nessuna cosa, e sentì che le discussioni critiche, storiche, cronologiche e artistiche doveano essere più spedite che nelle altre opere sue. In quelle fu sobrio, paragonato agli antiquari suoi concittadini; in questa fu paragonato a se stesso. Qui il genio dello scrittore è tutto posto a scolpire con evidenza quel del modello che ritrae. Quelle doti di sapere, di giudizio, di felici combinazioni e di critica, che gli erano consuete, qui splendono più che altrove, perchè la luce gioca entro limiti più circoscritti, e pochi libri, in sì breve spazio, esibiscono tanta istruzione ». CAPITOLO Vili. Il Visconti, appena arrivato a Parigi, pubblicò nel Magasin encyclopédique la descrizione d’un’antica statua egiziana che adornava il vestibolo del castello di S. Cloud. Quel lavoro « bastò a farlo porre di primo tratto fuori di parallele e molto al di sopra di chiunque coltivava sì fatti studi in Francia. Infatti quanto bene non è illustrata la statua! Quale recondita erudizione, nè mai abusata! Quanto felice l’applicazione d’un passo di Callimaco a comprovare il costume egizio di starsi accosciati presso gli Dei maggiori !» (1). Oli antiquari ritenevano che rappresentasse un sacerdote, o un iniziato a' sacri riti; il Visconti provò che era un Genio (2). La trasportò dal Cairo « un voyageur éclairé » e amico suo. il torinese Luigi Blancardi barone della Turbia, già ministro del Re di Sardegna alla Corte di Pietroburgo, il quale, nella giovinezza, per istruirsi, corse gran parte dell'Europa, visitò la Persia, altre regioni del-TAsia e l’Egitto. « Le goût pour l’érudition et pour les arts » di questo « amateur » — scrisse di lui il Visconti — « est constaté par tine su- (1) CAMILLO UOONi, Della Letteratura Italiana nella seconda metà del secolo xviil, opera postuma, Milano, Bernardoni, 1858; vol. iv, pp. 89:90. (2) Notice I d'une \ statue aegyptienne \ qui se voit à Saint-Cloud; \ par le C. VISCONTI | Membre de l'institut national de France [Extrait du Magasin Encyclopédique, année Vili, t. v., p. 499J; in-8.° di pp. 14, con 1 tav. I — 168 — perbe collection de pierres gravées qu il a réunies, l’une des plus riches et des mieux choisies que je connaisse à des particuliers ». Per compiacerlo, gliene fece il catalogo onde gli servisse di guida a conoscere il soggetto e il pregio delle gemme (1). 11 1802 pubblicò ne\\& Décade philosophique et littéraire la dissertazione sugli scultori che portarono il nome di Cleomene. Prova che Cleomene, figlio di Apollodoro, « artiste grec très-estimé », autore, a quanto sembra, della Venere de’ Medici, è 10 stesso Cleomene, ricordato da Plinio e da Cicerone, che scolpì le Tespiadi e fiorì avanti la distruzione di Corinto; e che nacque da lui quel Cleomene di Cleomene, vissuto « dans le septième siècle de Rome, où après l’an 608 », al quale dobbiamo la bella statua d’un romano, rappresentato sotto le sembianze di Mercurio, e un tempo creduto Germanico (2). La scoperta fatta da’ Francesi nella loro spedizione in Egitto de’ due zodiaci del tempio di Dendera — l’antica Tentyra, — de’ quali 11 Denon mandò a Parigi il disegno nel 1799, accese l’universale curiosità; e il Dupuis prese arditamente a sostenere che erano stati costruiti tredicimila anni prima dell’era volgare. Chi gli dette ragione e chi gli dette torto. Tra questi ultimi fu il Larcher, traduttore di Erodoto, che richiese il Visconti del suo parere. Lo compiacque con una notizia sommaria, dettata Γ8 maggio del 1801 e con una nota supplementare dell’l 1 agosto 1802 (3) « La ressemblance de la plupart des signes à ceux des Grecs », affermò, « prouvent que ce zodiaque a été exécuté non-seulement dans un temps auquel les opinions des Grecs n’étoient pas étrangères à (1) Appunto per questo classificò le gemme come stavano disposte nelle cassettine di quel privato museo. II catalogo, sebbene non destinato alla stampa, fu messo alla luce, prima a Parigi, poi a Torino, con una infinità d’errori e con interpolazioni che rivelano la mano inesperta dell’Ìgnoto editore. Lo riprodusse il Labus a pp. 401-434 del voi. ni delle Opere varie italiane e francesi, del Visconti, col titolo: Catalogo della Dattilioteca del signor Barone de la Turbie. II Labus, « senza punto alterare le frasi e le idee dell’autore », dette alle gemme « una classificazione conforme a quella ch’egli stesso avea praticata » compilando i cataloghi delle raccolte del Chigi e del Poniatowscki. (2) Note critique sur les sculpteurs grecs qui ont porté le nom de Cléo-m'enes; nella Décade philosophique et littéraire, an. x [1802], 4.o trimestre, p. 345 e sgg. e 399 e sgg. (3) Fu stampata l’una e l’altra a p. 567 e sgg. e 574 e seg. del tom. II della seconda edizione dell 'Histoire ^’herodote traduite du grec par M. LAR-CHER, Paris, 1802. - 169 — * Egypte, mais encore dans un temps qui ne remonte même pas à la plus haute époque de l’astronomie grecque. Je suis présque convaincu », concluse, « que cet ouvrage doit avoir été exécuté dans cet espace de temps dans lequel le Thoth vague, ou le commencement de l’année vague égyptienne, qui étoit aussi l’année sacerdotale, répondait au signe du Lion; ce qui est arrivé à-peu-près depuis l’an 12 jusqu’ à l’an 132 de l’ère vulgaire »* Il Dupuis gli rispose nel modo più acerbo e violento; gli si schierarono contro il Saint-Martin e il Biot, il Burckhardt e il Co-raboeuf, lo Jomard e il Leprince, il Paravey e il Lenoir. Malgrado la turba di tanti avversari, l’opinione del Visconti finì col trionfare; gli esami locali ed i posteriori confronti gli dettero piena ragione. Abbellì l'Examen critique des anciens historiens d’Alexandre-le-Grand del Sainte-Croix con la descrizione del bassorilievo che il principe Sigismondo Chigi, « protecteur éclairé des lettres et des arts », aveva scoperto fin dal 1780 facendo degli scavi a Porcigliano, sulla via Laurentina, a sei' leghe da Roma. Rappresenta Alessandro che nella terza e ultima battaglia vince Dario ad Arbela. Vi sono scolpite l’Europa e l’Asia in atto di fargli omaggio; e vi si legge un epigramma greco, che finisce: « Figlio di Filippo, per Ercole io discendo da Giove, per mia madre Olimpia son della stirpe degli Eacidi » (1). Nel 1804 il Corpo Legislativo deliberò una statua in marmo al Primo Console « pour consacrer le bienfait que la nation vient de recevoir de lui dans l’organisation du nouveau code ». Doveva essere in marmo, rappresentarlo in piedi e venir collocata nella sala delle adunanze del Corpo stesso sopra un piedestallo quadro. « Le sculpteur Chaudet avait été désigné pour exécuter cette statue, et Chaudet, dont le talent s’était formé par l’étude de l’antique, ne manqua pas de réprésenter le Premier Consul en costume grec, c’est-à-dire nu, drapé dans un manteau. Le modèle, exposé dans l’atelier de l’artiste, donna lieu à un soulèvement de critiques: on aurait voulu que l’auteur du Code civil fût vêtù à la française, en.grand costume officiel d’apparat, ou du moins avec (1) Explication d'un bas-relief en l’honneur d'Alexandre-le-Grand. L’opera del Saint-Croix, dove fu inserita, che s’intitola: Examen critique des anciens historiens d’Alexandre-le-Grand,xìde\a luce a Parigi il 1S04, in-4.o On\VExplication del Visconti ne furono tirati alcuni esemplari a parte. È adorna del disegno del bassorilievo. — 170 — un costume de convention qui cachât majestueusement sa nudité » (1)· H Denon, direttore del Museo, pigliò le difese dell’artista e nel tempo stesso della statuaria proclamando la necessità d’imitare l’antico e di seguire le lezioni dei grandi scultori della Grecia. « En vain 011 pourra alléguer » (scrisse) « que, pour la véracité de l’histoire, chaque monument doit rappeler les usages de chaque siècle; les Grecs ni les Romains n’avaient coutume de paraître en public avec les jambes, les bras et l’estomac nuds, et cependant ils se sont bien gardés de couvrir de vétemens les statues de leurs héros, de leurs rois, de leurs empereurs. Celle d’Épaminonde (au Musée Napoléon), vêtue d’un simple manteau, est aussi décente que noble. S’aperçoit-on que le Germanicus est nud? Après le règne de Tibère, où toutes les recherches de l’affèterie furent employés dans la parure des empereurs, on n’imagina pas d’exiger des sculpteurs de surchanger les statues héroïques, consacrées au sénat et dans les temples; et celles que nous avons d’Antonin, de Marc-Aurèle, de Septime-Sévère, pour être nues, n’en paraissent pas moins décentes. La nudité est tellement inhérente à la sculpture, qu’ en aucun tems on n’a cru pouvoir lui substituer la mode. Le règne de la richesse et de la magnificence, le règne de Louis XIV, n’a pu même se soustraire à cette loi. Les statues équestres de ce prince furent faites avec les bras, les jambes et les pieds nuds. Il est vrai que, n’osant tout à fait braver le préjugé, on ajouta alors à cette licence l’assemblage ridicule d’une grande perruque du tems et des armures sans caractère. Devenus plus rigides observateurs des minuties, nous avons vu, sous le règne de Louis XVI, ordonner aux malheureux sculpteurs d’exprimer dans les portraits de nos grands hommes jusqu’ aux plus basses trivialités; nous avons vu demander la statue du maréchal de Luxembourg en longue perruque, l’épée au poing, la tête nue, et, plus que tout cela encore, avec la difformité dont la nature avait affligé ce héros..... Mais quand il faut parler à l’âme par les yeux, l’artiste doit se garder de transmettre des vérités qui lui répugnent, des vérités si peu lieroïques, si peu monumentales. C’est à la peinture seule à conserver les costumes des tems; la richesse de la palette peut distraire et faire passer sur toute espèce de vêtemens; les étoffes, les broderies augmentent encore ses (1) PAUL LACROIX (Bibliophile Jacob), La question du nu dans la statuaire ; nella Revue universelle des arts, tom. ix, Bruxelles, imprimerie de A. Labroue et compagnie, 1859, pp. 410-425. - 171 — trésors; le nombre de ses personnages, celui de leurs expressions rendent son patrimoine immense; mais la sculpture, sans couleurs, qui n’a. pour apanage que ses formes sévères, qu’ une gravité de pose, si difficiles à varier, reduite le plus souvent dans ses compositions à l’unité d’un personnage, que lui restera-t-il si on exige d’elle qu’ elle couvre d’habits mesquins ses tranquilles mouvemens, si elle ne peut réchauffer le marbre de la v:e, de la nudité? Que l’on vienne voir dans l’atelier du citoyen Chaudet l’étude du monument projecté; qu’ on vienne voir avec quelle modestie un simple manteau français accuse le mouvement de sa figure, et l’on s’apposera sans doute à ce que cet artiste hache par les angles aigus de nos vêtemens écourtés les contours fluides des membres de sa statue qui sont restés découverts. Au nom d’un siècle ou tout doit être grand, qu’ on accorde à la sculpture ce sacré caractère. Comme directeur, je me joins à tous les artistes, à tous les véritables amateurs des arts, et je demande cet exemple du retour du bon goût au Corps législatif, à Bonaparte, à la nation entière» (1). La proposta del Denon ebbe il plauso de’ pittori tì degli scultori più valenti che avesse allora la Francia ed in una lettera collettiva (2), così gli risposero: « Les artistes vous doivent de la reconnaissance pour les judicieuses observations que vous venez de publier sur la sculpture... L’usage de draper les figures est venu au secours de la médiocrité. Il est plus facile d’ajuster un costume que de connaître le nud et de l’exécuter avec science. Cette funeste innovation, si contraire à la raison, doit donc cesser; et nous pensons comme vous que, dans un siècle aussi grand, aussi fertile en heroïsme que celui où nous vivons, la sculpture destinée par son essence, à transmettre à la postérité les traits des hommes immortels qui honorent notre âge, doit être aussi grande qu’ eux-mêmes. Que font en effet les vêtemens à la statue d’un héros? Sa mémoire est de tous les tems, son costume n’est que d’une époque. Laissons à la peinture de rendre les détails minutieux du costume; la sensibilité d’un fils, d’un époux, peut y trouver des charmes; mais quand (1) Gazette nationale ou le Moniteur universel n.° 216, 6 floréal an XII [26 aprile 1804], p. 984. (2) La lettera è scritta il 12 floréal dell’anno χιι [2 maggio 1804]. La sottoscrissero: Bonnemaison, Petitot, Beauvallet, Delaistre, Laneuville, Meynier, Buguet, Cartellier, Dumont, Ansiaux, Milbert, Foncou, Ramey, Lesueur, Esper-cieux, Stouf, Lorta, Lange, Rigò e altri. - 172 une nation élève une statue à la gloire d’un grand homme, elle consacre un monument que les siècles a venir doivent admirer, et rien 11 est moins susceptible de ce sentiment que nos vêtemens, trop souvent l’excès du ridicule et de la barbarie. La sculpture ne doit donc représenter que les belles formes humaines, qui sont éternelles comme la nature »(1) . 11 pittore Gibelin osservò, alla sua volta : « Il est des occasions, comme celles des actions publiques, où un fait traité historiquement exige la représentation fidèle du costume, des signes caractéristiques, du tems, de l’action *t du lieu. Mais toutes les fois qu’ il y a possibilité de concevoir le sujet d’une manière allégorique, ce qui arrive presque toujours quand il s’agit d’une figure isolée, alors qu’ il soit libre a l’artiste de la composer au gré de son génie, de la revêtir ou non de ses habits, ou de les placer comme accessoires, ordinairement plus ou moins nécessaires pout groupper ou soutenir l’ouvrage » (2). Scese in campo anche il Visconti con la sua Lettre au citoyen Denon sur le costume des statues antiques. Gli dice: « La note inserée dans le Moniteur du 6 floréal, sur la statue que le Corps législatif a décrété pour le Premier Consul, m’a surtout intéressé pour l’influence qu’ elle peut avoir sur la restauration du goût et par la connaissance qu’ elle suppose de notions étendues sur la sculpture ancienne. C’est un zèle bien éclairé pour les beaux arts, que celui qui tend à les débarasser de ces fâchéuses entraves du costume moderne, qui en arrêtent les progrès. Et comme l’observation par la quelle vous repoussez l'objection qu’011 tire contre la methode des anciens, de l’exemple des anciens mêmes, me paraît être juste et victorieuse, et qu’ au surplus j’ ai toujours été d’une opinion semblable, je me permettrai d’associer mes idées aux vôtres, et de les étayer encore, s’il est besoin, de quelques réflessions que l’étude de l’antiquité et la comparation des monumens avec les auteurs anciens m’ont suggérées depuis longtems ». E qui con un’infinità d’esempi piglia a provare che gli scultori greci, sia nello scolpire gli dei, sia nello scolpire gli eroi, non si sottomisero per nulla al costume de’ loro tempi, nè a quelli del secolo a cui appartenevano i personaggi da essi fatti rivivere (1) Gazette nationale ou le Moniteur universel, π.° 226, 17 floréal an xil |7 maggio 1804], p. 1037. (2) Gazette nationale ou le Moniteur universel, n.° 231, 21 floréal an XII (11 maggio 1804], p. 1054. - 173 — nel marmo. Finisce: « La classe des beaux arts de l’institut national, en accordant son suffrage solennel aux principes que vous avez avancés, les a déjà appuyés de la plus grande autorité qui pût les consacrer aux yeux de l’Europe » (1). L’Humboldt e il Bonpland dedicarono al Visconti Io splendido atlante pittoresco de’ monumenti de’ popoli indigeni dell’America, che accompagna la relazione storica del loro famoso viaggio alle Corde-gliere (2), Grato l’archeologo italiano ad una testimonianza sì preziosa d’amicizia, fissò la sua attenzione sopra « la figure de ronde-bosse d’une prêtresse, ou, si l’ont veut, d’une princesse aztèque », che vi è effigiata. « Vous avez pensé » (scrisse ad Alessandro Humboldt) « que l’ignorance du sculpteur a supprimé les brâs de cette figure, et-qu’ il a eu la maladresse de lui attacher les pieds aux côtés. Je n’ai pas plus que vous une grande idée de l’habilité du statuaire; mais il me semble que cette figure, pour être hors de toute proportion, n’est cependant ni mutilée ni estropiée ». Ne piglia occasione per trattare con larghezza di dottrina della posizione de’ piedi delle figure di donna rappresentate in ginocchio e per fare altre acute osservazioni sugli antichi monumenti de’ popoli americani. L’Humboldt, non senza compiacenza, stampò la dottissima lettera nella nuova edizione, riconoscendo la giustezza e l’acume delle osservazioni e de’ rilievi fatti dall’amico (3). Instancabile nella perseverante operosità, per compiacere il cav. Luigi Lamberti spiegò due lapidi, una latina « molto interessante » e una greca, trovate a Risano, piccola città della Dalmazia fra Cattaro e Castelnuovo, detta Rhizinum da Plinio e Rhizon da Livio nè sconosciuta a Tolomeo (4). (1) Gazette suddetta, n.° 245, 5 prairial an χιι [25 maggio 1804] pp. 1111-1112. Fu ristampata nella Dècade philosophique et littéraire, anno XII, 3.° trimestre. (2) Voyage de HUMBOLDT et BONPLAND. Première partie, relation historique. Atlas pittoresque, A Paris, chez F. Schoell, rue des Fossés - Saint-Ger-main - l’Auxerrois n.° 29, 1810; in-fol. massimo. (3) Lettre de M. VISCONTI, membre de l'institut de France, a M. de Humboldt, sur quelques monumens des peuples américains; nelle Vues des Cordillères et monumens des peuples indigènes de l'Amérique; par A. HUMBOLDT. Avec 19 planches, dont plusieurs coloriées, tome second, A Paris, a la Librairie grecque-latine-allemande, rue des Fossès-Montmatre, n.° 14, 1816; pp. 343-354. (4) Lettera al sig. Luigi Lamberti, socio dell'istituto nazionale italiano, su due antiche iscrizioni; nelle Opere varie, italiane e francesi, di E. q. visconti, vol. II, pp. 97-104, — 174 — Pregato dal conte Ercole Silva prese a studiare le sedici colonne presso S. Lorenzo in Milano, e pose in sodo non appartenere questi avanzi ad un tempio di Lucio Vero, come il Silva sosteneva (1), ma invece alla Basilica Mediolanense, « edifizio pubblico che dovea sorgere presso al Foro, che conteneva i tribunali, la curia de’ decurioni, la borsa e particolarmente l’Augusteo, o tempio de’ Cesari, dove le statue degli imperatori anche viventi si veneravano (2). Illustrò poi un antico cammeo, che porta scolpito Giove Capitolino, « tel qu’ il étoit vénéré à Rome dans son temple célèbre du Capitole » (3) ; ed un altro cammeo, pure antico, « représentant un trait de mythologie », che non aveva « jamais retrouvé sur aucun autre monument des arts: c’est la mort du berger Daphnis, fils de Mercure et d’une nymphe sicilienne »; morte che è il soggetto del primo idillio di Teocrito e della quinta egloga di Virgilio, il quale trasportò poi questa favola nella decima egloga, sostituendo a Dafni, Galeo. « L’artiste, comme Théocrite et Virgile, a représenté Daphnis entouré des devinités de la campagne. Un jeune faune et deux nymphes, dont l’une, qui est assise au pied du lit, a la tunique relevée à la mode des chasseresses, ont été présentes à ses derniers momens. Sylvain se distingue à la couronne qui ceint sa tête, aux rameaux qu’ il porte dans sa main gauche, et au pourceau, qu’ il soulève dans sa main droite. Toutes ces particularités rendent la composition intéressante et pathétique » (4). Dettò le biografie di Cleoeta, scultore ed architetto greco; di Cleomene, un de’ seguaci d’Alessandro nella sua spedizione ; di Raffaello Fabretti di Urbino, « le plus habile antiquaire du dix-septième siècle »; di Samuele, Nicola e Cristoforo Eglinger, cultori tutti e tre della medicina, e il primo anche della matematica; e del celebre numismatico Giuseppe Ilario Eckhel (5). (1) SILVA E., Dissertazione sopra le sedici colonne presso S. Lorenzo in Milano, Monza, tip. Corbetta, 1811; in-8.° (2) Sopra le sedici colonne presso S. Lorenzo in Milano; nelle Opere varie del visconti; vol. II, pp. 105-108. (3) Lettre sur un came'e antique repre’sentant Jupiter Capitolili à monsieur Taybacher, artiste [Paris, le 12 janvier 1815]. Cfr. VISCONTI E. Q., Opere varie, italiane e francesi; vol. Ili, pp. 435-436. (4) Observations sur un camée antique représtntant la mort de Daphnis; negli Annales encyclopédiques, année 1817, tom. I, pp. 114-115. (5) Biographie universelle, ancienne et moderne, A Paris, chez Michaud - 175 - Il Renouard quando dette mano in Parigi all’edizioncina elegante del romanzo di Senofonte Efisio sugli amori di Abrocome ed Anzia, volgarizzato da Anton Maria Salvini, ricorse al Visconti; che preso per guidali testo critico che dell’originale greco aveva dato, nel 1796, il baione Locella, vi fece « più di duecento correzioni », onde il valente bibliofilo francese potè dire con giusto orgoglio nelFavvertimento a’ lettoli « questo volgarizzamento » è « da riguardarsi come una novella versione », giacché « non solo rende l’originale in tutta la sua verità, ma in molti luoghi difficili può fare ancor le veci di un commentario » (1). frères, toni, ix [1813], pp. 52-53 e 61; tom. XII [1814], pp. 463-467 e 574; tom. XIV [1815], pp. 27-34. (1) Gli Efesiaci \ di | Senofonte efesio | volgarizzati da anton maria salvini. | Appresso Ant. Ag. Renouard. | ix-1800; in-12.° fig. di pp. 108. 11 volumetto, oltre l’occhio e il frontespizio, contiene un breve avvertimento A’ lettori, pp. 5-6; la Prefazione del Traduttore, pp. 7-11; e la versione del Salvini, pp. 13-108. « Ad emendare e colmare il testo dagli errori e dalle lacune delle stampe anteriori » (così l’editore a p. 6 dell’avvertimento preliminare) « si è compiaciuto prestar la sua opera il citt. Visconti, antiquario del Museo centrale e autore di più opere assai conosciute; il quale con più di due cento correzioni Io ha ridotto alla presente edizione; di maniera che questo volgarizzamento, da riguardarsi come una novella versione del romanzo di Senofonte, non solo rende l’originale in tutta la sua verità, ma in molti luoghi difficili può fare ancor le veci di un commento ». Precede una vignetta rappresentante Anzia legata ad un albero, presso il simulacro di Pallade, disegnata dal Prudhon e incisa in rame dal Roger. Di questa elegante edizioncina si stampò un esemplare in carta rosa e due su pergamena. « Cette jolie édition de la traduction de Salvini est aussi supérieure aux précédentes que l’édiction grecque et latine de Locella, 1796, l’est à la première de 1726; M. Visconti a profité de toutes les améliorations de ce nouveau texte, et elles sont si nombreuses que cette édition peut aussi être considérée comme une publication nouvelle. Les trois exemplaires » (cioè due in pergamena e quello in carta rosa) « et les deux in-4.° ont la gravure de Prudhon en épreuve sur papier de Chine, ou satin, avec eau-forte, plus une autre gravure faite pour un ouvrage allemand ». Cfr. [a. a. RENOUARD] Catalogue de la bibliothèque d’un amateur, avec notes bibliographiques, critiques et littéraires, Paris, 1809; m, 192.11 Renouard, al quale si deve questa edizione, possedeva nella propria sceltissima biblioteca l’esemplare sul quale il Visconti aveva di sua mano segnate l’emen-dazioni alle stampe precedenti. Dopo aver descritto nel Catalogue suddetto l’edizione : Xenofhontis Ephesii de Anthei et Habrocome Ephesiceorum lib. V, curata dal barone A. E. Locella (Vindobonae, 1796, in-4.o ) il Renouard scrive: « C’est bien cette édition que sa supériorité sur celle de 1726 doit faire nommer la première de cet ouvrage. A la fin de cet exemplaire sont plusieurs fouillet-tes de la main du savant Visconti, contenant toutes les améliorations que le — 176 - Fu largo non solo di consiglio, ma d’aiuto, a Gio. Francesco Bois-sonade, che nel 1S06 ristampò l'Eroiche del vecchio Filostrato, collazionando il testo greco su nove manoscritti della Biblioteca nazionale di Parigi, e arricchendolo di scolli e di note proprie e del Visconti, che sempre contrassegnò col nome di lui (1). Rivide la traduzione degli inni di Callimaco fatta da Dionigi Strocchi, e nel mandargli le sue osservazioni sui primi quattro gli scriveva: « Questa traduzione è veramente egregia: vale a senso mio più che molte e belle poesie originali. E desiderabile che il mio eccellente amico la compisca e la pubblichi, sì per suo onore che per onore dell’Italia e per eccitamento de’ buoni studi ». Le osservazioni sui Lavacri di Pallade e sull’inno a Cerere le accompagnò con le seguenti parole: « Le traduzioni di questi due inni mi sono sembrate eccellenti come quelle dei primi quattro: e i cambiamenti soddisfanno interamente alle difficoltà che aveva io proposte su quelle; nè sono meno felici per la poesia ». Queste ultime osservazioni però giunsero nelle mani del traduttore dopo la stampa e se ne giovò soltanto nella seconda edizione (2). Nelle note lo Strocchi non manca di ricor- nouveau texte lui a donné la facilité de faire dans la traduction italienne de Salvini, pour mon édition de 1800; tâche assez difficile, dont il s’est aquitté avec autant de bonheur que de goût ». La prima edizione del volgarizzamento salviniano ha questo titolo: Gli Amori di Abrocome e di Amia tradotti da A' M. Salvini, Lucca, dalla tipografia di Francesco Bonsignori, 1771; in-4.° È citata dalla Crusca; come è citata l’edizione del Renouard, la quale venne riprodotta nel voi. n degli Erotici greci tradotti in volgare, Crisopoli [Firenze], 1814-16, voli. 6 in-8.° gril) ΦΙΛΟ—ΤΡΑΤΟΥ 'Hpcoïki PHILostrati Heroica. Ad fidem codicum mss. novem recensuit, scholia graeca adnotationesque suas addidit i. FR. BOI-SONADE, Paris, Delanec, 1806; in-8.° di pp. 14-VI-24. La traduzione latina è di Sanctus Niger. (2) La prima edizione degli Inni di CALLIMACO recati in rima da DIONIGI STROCCHI, faentino, vide la luce a Milano, co’ torchi del Sonzogno, nel 1805. Il 28 ottobre del 1806 scriveva al Bodoni: « Ho grandissimo desiderio di adornare il mio Callimaco de’ vostri tipi incomparabili e al mondo soli.....Aggiungerò a questa novella anzi che seconda edizione La Chioma di Berenice e non poche note, altri molti pulimenti e cangiamenti di versi. La buona accoglienza che il mio Callimaco ha trovata presso gl’italiani, i conforti che ho ricevuti dal mio amico e maestro Visconti, mi hanno fatta nascere la voglia di mandarlo novellamente attorno in più leggiadri panni di quelli che li toccarono già in Milano un anno fa ». Il Bodoni non accettò la proposta; ma la seconda edizione fatta a Milano, co’ torchi di Luigi Mussi, nel 1808. riuscì addirittura splendida. - 177 - dare le varie « lezioni » suggeritegli dal suo « illustre maestro ed amico»; per consiglio del quale voltò in italiano anche l’elegia di Callimaco sulla chioma di Berenice, disgraziatamente perduta nel testo greco, ma fortunatamente conservataci nella traduzione fattane in latino da Catullo. Sul passo controverso di questa traduzione: ales equus, che il Monti nelle dotte e bizzarre lettere sul cavallo alato di Arsinoe s’ingegnò provare essere lo struzzo, così allo Strocchi scriveva il grande antiquario: « La lezione di Achille Stazio ales eques, non ales equus, il cavaliere alato, è la sola vera. Tutto ciò che si è detto su questo passo non fa che confermarmela. Zeffiro è un cavaliero, è il fratello di Mennone, è il cavaliere di Clori, cioè il suo amante, il suo consorte. Chi volesse prove ulteriori troverà in Euripide Phoeniss. v. 218-19. Ζέφυρου ~νοαΐς tzrsteavToç έν οΰρανώ, etc. Ecco il Zeffiro a cavallo: così anche i monumenti. E poi che figura poetica sarebbe di dare la chioma della regina da por-, tare a un cavallo che non ha nè mani, nè becco, nè artigli? » (1). Antonio Santi e Ugo Foscolo si accordano col Visconti nel sostenere la lezione dello Stazio. Il 18 maggio del Ί0 Vincenzo Monti, « con piena e libera confidenza » spediva al Visconti il primo volume della sua traduzione del-l’Iliade, scrivendogli: « Se mi sarà dato che voi, massimo giudice, siate d’avviso che nella mia versione il buono prevalga al cattivo, io profitterò di tutte le critiche di cui vorrete giovarmi, e mi studierò di purgarla e portarla a qualche possibile perfezione. Il vostro oracolo mi sarà sacro ». Il Visconti gli rispose: «Il libro che m’inviate non m’è pervenuto ancora; ma io conosco bene la vostra versione; l’ho letta e riletta e godo dell’invito che mi fate, di mettere in carta qualche osservazione su di essa, lusingandomi di poter così contribuire in qualche piccola parte alla perfezione di un lavoro che fa onore a voi e all'Italia, e che (1) Cfr. le lettere del Visconti allo Strocchi « verso la metà di maggio 1805 », «giugno o luglio 1805 », 41 gennaro 1806 », e * 9 novembre 1S06 », stampate dal chinassi, Lettere edite e inedite di dionigi strocchi ; II, 44-48, 49-50, 51-53; e dal LABUS, Opere varie italiane e francesi di ennio QUIRINO visconti; IV, 543-544. Lo Strocchi in una delle note alla sua traduzione dichiara: « De-vesi al chiarissimo sig. Ennio Quirino Visconti la lode di avere il primo indicata una storia che sì chiaramente ci scopre qual fosse il fatto memorabile che meritò a Berenice le nozze con Tolomeo ». Cfr. Inni di CALLIMACO tradotti da DIONIGI STROCCHI, Milano, per Luigi Mussi, MDCCCVIII, p. 79. — 178 — può ricondurre o risvegliare presso di noi quel gusto severo e classico, verso cui le lingue moderne han bisogno di essere richiamate di tempo in tempo da qualche scrittore non ordinario. La scelta e la varietà delle dizioni e delle frasi, il tuono uguale e sostenuto del verso, la nobile semplicità dello stile pongono la vostra fatica nel numero di quelle poche le quali tramandano con onore alla posterità il nome del poeta, ed emergono nella storia letteraria d’una nazione. L’Italia avrà finalmente una traduzione dell’Iliade da paragonarsi con quella dell’Eneide per Annibai Caro; e coloro che non sanno il greco, potranno gustare nella vostra versione una gran parte di quelle bellezze che tutti i secoli hanno ammirato in Omero, e che si cercano invano in altra versione italiana de’ suoi poemi. Questa è la mia opinione su! vostro lavoro, che mi auguro veder condotto al suo termine. 11 desiderio di farne disparire alcuni piccoli nei m’induce a soddisfare la vostra dimanda. Troverete qui annèssa la nota di alcuni passaggi che vorrei cambiati: allora la vostra traduzione non cederebbe ad alcun’altra per la fedeltà e per l’esattezza, come già è superiore a tutte nel carattere dello stile e della frase poetica ». Un anno dopo tornò a scrivergli: « Con curiosa attenzione e con replicato piacere ho letta due volte la vostra versione deH’Iliade. Che nobil lavoro! Che forza d’ingegno per conservar sino alla fine lo stesso carattere semplice senza meschinità, sostenuto senza gonfiezza, elegante senza affettazione ! Le poche cose che vi ho notate e che vi trasmetto vi mostreranno lo zelo di cui sono animato per la perfezione di un’opera, che, a mio giudizio, fa onore all’Italia ». Le « osservazioni » del Visconti, colmarono il Monti di « giubilo », come si ricava dalle sue lettere (1). Giunse fino a dirgli: « Nell’emendare (1) Il Monti il 3 agosto del Ί6 scriveva ad Andrea Mustoxidi: « E Giordani ed Acerbi ed altri amici mi stanno addosso perchè io conceda alla Biblioteca Italiana le a voi ben note osservazioni critiche del Visconti sopra la mia versione àzWIliade, prima edizione. E veramente essendo esse un modello di bella e profonda critica, la quale oltre al notare di molte cose da nessun commentatore avvertite, m’insegna anche con quanta religione si denno tradurre i classici greci, massimamente Omero, ogni cui sentenza, ogni cui sillaba vuol rispetto e venerazione, io volentieri mi son dato per vinto alle loro domande. Ma, oltre le osservazioni del Visconti, io ne conservo delle altre, egualmente preziose, che amerei di unire con quelle. Posso io dunque sperare che mi diate licenza di pubblicare anche le vostre? » Il Mustoxidi acconsenti. II Monti il 27 di agosto gli tornò a scrivere: « Dopo le osservazioni / - 179 — attentamente tutti i passi da voi notati, più altri ne ho corretti io stesso di mia coscienza, per modo che adesso veramente comincio a compiacermi del mio lavoro. Non ho taciuto al medesimo Viceré l’importante servizio che mi avete renduto, nè il tacerò al Pubblico nella nuova edizione alla quale si è già dato cominciamento ». Infatti dichiarò « al lettore » averlo « sopra tutti soccorso il maggiore luminare dell’italiana dottrina, il sig. cav. Ennio Quirino Visconti, uomo di quel sovrano sapere che a tutti è palese nella cognizione de’ classici antichi. Le severe e copiose sue annotazioni cortesemente a mia richiesta inviatemi da Parigi, son quelle che mi hanno messo in istato di dare al mio lavoro una quasi novella vita ». di Visconti darò luogo alle lettere sue che le accompagnano ». E il 2 d’ottobre: « Le osservazioni viscontine e le vostre debbono fare un sol corpo. Intenzione di Giordani sarebbe di pubblicarle a varie riprese nella Biblioteca Italiana, premesso un suo breve preambolo: ma temo ponendole tutte, l’affare anderebbe assai oltre, perchè sì le une, come le altre, non sono poche. Si prenderà consiglio dalla mole; e se iion tutte, almeno le più interessanti daranno materia a diversi articoli, e faranno onore al Qiornale. Tutte poi formeranno un separato libretto ch’io spero sarà modello di critica, e farà fede allo stesso tempo della mia docilità nell’accettare a grembo aperto le correzioni che due tanti maestri mi hanno somministrato con sì diligente e leal cortesia ». Il 28 novembre ne tocca di nuovo. « Nel titolo da porsi al libro, il vostro nome an-derà del pari con quello di Visconti, ma nella stampa le osservazioni dovranno andar separate ». Di lì a poco il Monti insieme col Giordani e col Breyslak si ritirarono dalla società compilatrice della Biblioteca Italiana, che restò tutta rielle mani dell’Acerbi: e il disegno di pubblicare le osservazioni del Visconti e del Mustoxidi andò a monte. All’Ab. Fortunato Federici così scriveva il Monti il 16 gennaio del Ί9: « In quanto alla ristampa dell 'Iliade mi è necessario parlarne prima con lo Stella, al quale io vendetti tutto d’un colpo le quattro mila copie dell’ultima edizione col patto di non permetterne altrui la ristampa senza di lui saputa. So ch’egli l’ha quasi tutta smaltita, o che del sicuro pochi esemplari più gliene restano in mano de’ suoi corrispondenti, i quali per iscusarsi del renderne conto, potrebbero, secondo il solito, dargli a credere di tenerli ancora invenduti. Ma questo si chiarirà quietamente, ed io vi farò consapevole dello stato di questo affare. Intanto sappiate che intorno alla detta mia Iliade io posseggo le molte autografe osservazioni del famoso Ennio Visconti, sulle quali, come apparisce dalla prefazione, io regolai le correzioni del mio lavoro. Ora il Bettoni avendomi dedicata la stampa da lui intrapresa della grand’opera del Visconti intitolata il Musèo Pio dementino, egli ottenne da me la promessa di dargli anche le dette osservazioni, che in vero sono un capo d’opera di profonda critica, e queste verranno dal Bettoni inserite fra le opere varie di quell’autore. Ma l’edizione Bettoniana procede sì — 180 — Angelo Mai, che non cessava d’arricchire la letteratura classica scoprendo e pubblicando frammenti di Cicerone, di Frontone, di Simmaco e d’altri antichi scrittori, stampò a Milano nel 1816 molti brani inediti degli' ultimi nove libri perduti delle Antichità Romane di Dionigi d’Alicarnasso, da lui trovati ne’ tesori dell’Ambrosiana; ritenendoli però non pezzi divelti da quella grande opera, ma di un compendio, che per testimonianza di Fozio e di Stefano Bizantino, Dionigi stesso aveva compilato. Parecchi dotti non menarono buono al fortunato scopritore, che si trattasse, come egli credeva, di brani del compendio; anzi il prof. Sebastiano Ciampi negò recisamente avesse Dionigi compendiata la sua storia. Il Giordani, che nella Biblioteca Italiana aveva applaudito alla pubblicazione del Mai, lodandolo perfino d’averla dedicata « ad un Re vivo », alla « Sacra Maestà dell’imperatore » Francesco I; con una lettera Sul Dionigi trovato dall’abate Mai, che indirizzò a Giambattista Canova, prese a difenderlo contro il Ciampi, e sostenne a spada tratta e focosamente che < la materia e le parole erano di Dionigi e ch’era vero compendio ». La lettera del Giordani, per quanto « erudita », a giudizio dell’Akerblad, non bastava a finire la questione. Il Mai, trepidante per la indecisa battaglia, chiese il parere del Visconti, « chiarissimo principe di ogni bella letteratura », augurandogli « lunga vita e salute per continuare lenta che probabilmente voi potreste essere primo a pubblicarle, poiché io sono libero di concederle a chi mi pare. E alle osservazioni si uniscono due lettere del Visconti, nelle quali ei porta il suo solenne giudizio sulla mia versione, predicandola francamente e di gran lunga migliore di tutte, e mettendola al paro dell 'Eneide d’Annibal Caro rispetto allo stile e al di sopra rispetto alla fedeltà ». Cfr. monti v., Opere inedite e rare, Milano, Lampato, 1834, volume V, pp. 127-128, 129-130, 130-131, 134 e 165-167. Nelle Opere varie del Visconti, che vennero fuori soltanto tra il 1827 e il 1831, le « osservazioni » non furono stampate. Quando nel 1820 comparve al pubblico per la terza volta la traduzione del Monti, per cura della Società tipografica de’ Classici italiani, l’editore dichiarò: « Ora le osservazioni del Visconti furono date in luce nel giornale letterario che pubblicavasi fra noi col titolo di Ape Italiana; quelle del Mustoxidi compariranno in breve tra’ suoi opuscoli ». Furono infatti inserite nelle Prose varie del cav. ANDREA MUSTOXIDI, corcirese, con aggiunta d'alcuni versi, stampate a Milano nel 1821. Come notò, per altro, Giovanni Re-snati, « la maggior parte delle osservazioni dei due celebri ellenisti rimase tuttavia inedita, giacché tanto di quelle del Visconti ntWApe, quanto di quelle del Mustoxidi negli Opuscoli, non venne pubblicato che un saggio ». Cfr. monti v., Opere, Milano, presso Giovanni Resnati e Giuseppe Bernardoni di Giovanni, 1840; IV, 9. - 181 - i nobilissimi lavori che fanno epoca luminosa nella storia delle cognizioni umane ». E il Visconti nel Journal des Savans gli dette torto, come lo dette al Ciampi (1); ma glielo dette in modo, che il Mai stesso ne andò superbo al punto da scrivergli: « lo comincio dal ringraziarla per l’articolo tanto a me favorevole sopra il Dionigi che ho Ietto nel Giornale dei Dotti. Questo articolo non poteva essere per me più consolante, vedendo io deciso dal massimo dei letterati che i pezzi da me stampati sono veramente di Dionigi, perocché l’altro punto degli estratti o della epitome (almeno in parte) assai meno importava: come ella graziosamente mi dice io devo desiderare che siano estratti ». Infatti coll’essere estratti la scoperta diveniva « più interessante (2). La sbagliata difesa del Giordani, ristampata nella raccolta degli scritti del Piacentino fatta in Napoli e poi in Palermo, e prima in quella del Brighenti a Bologna, fu tolta il ’42 nell’edizione del Silvestri che per il primo l’aveva stampata nel '17; avendo riconosciuto l’autore che « risultò dalle discussioni erudite che non era vero compendio, ma pezzi divelti dall’opera ». Leale confessione, offuscata, peraltro, da una menzogna: essere stata la sua « prolissa dissertazione troppo cortesemente lodata dal Journal des Savans » (3). 11 Visconti della « prolissa dissertazione » non aveva fatto motto! Quando l’Accademia di Berlino prese a raccogliere le iscrizioni greche edite e inedite e lo pregò d’aiutarla, fu pronto a mandarle l’apografo dell’iscrizione Orckomenia, trovata a Malta, e l’accompagnò d’ an- (1) La recensione che fece il Visconti delle due opere: DIONYSH HALICAR-NASSAEi Romanarum Antiquitatum pars hactenus desiderata, ope codicum Am-brosianorum ab ANGELO MAIO, quantum licuit, restituta, Mediolani, typis regiis, 1816; in-4.° ; e Osservazioni del prof. SEBASTIANO CIAMPI sopra /'Epitome di Dionisio d’Alicarnasso contro l'opinione del sig. ab. Angiolo Mai nell’opera : Dyonisii Alicarnassaei Rom. Antiq. pars hactenus desiderata, ec. Pisa, Prosperi, 1816; in-4.o , fu inserita a p. 361 e sgg. del fascicolo di giugno 1817. Venne ristampata a pp. 340-354 del vol. Ili delle sue Opere varie, italiane e francesi. (2) Cfr. le lettere del Mai al Visconti del 14 giugno, 14 agosto e 10 settembre 1817, che si leggono a pp. 147-154 de’ Due discorsi inediti di E. Q. VISCONTI, con alcune sue lettere e con altre a lui scritte, Milano, Resnati, 1841; in-8° . (3) giordani p., Scritti editi e postumi, pubblicati da Antonio Gussalli; vol. Ili, pp. 5-13 e 147-206. * — 182 — notazioni; invio ben gradito a que’ dotti, come sta lì a provare quanto a nome loro gli scrisse Augusto Bòckh il 26 luglio del ’16. Dall’InghiU terra a lui si rivolsero gli editori del Thesaurus graecae linguae — l’opera famosa d’Enrico Estienne, che ristampavano con nuove aggiunte principalmente per aver delle voci tecniche di scultura e di altre arti. A giudizio di tutti sembrava che la lingua greca fosse la sua lingua materna, come scrisse con pienezza di verità l’Eméric-David, il migliore de’ tanti biografi del grande archeologo. Anche della lingua latina può dirsi lo stesso, non essendogli ignota nessuna delle sue riposte bellezze. E di molte voci latine e greche trovò nuove e più vere etimologie e significati non conosciuti ai lessicografi. Nell’interpretare i passi oscuri e controversi de’ classici ebbe poi il merito e l’avvedutezza di saper condurre le arti e le lettere a porgersi vicendevole aiuto. Per darne un esempio il verso di Properzio: Qui subito Triton ore recondit aquam, sul quale tanto si travagliarono lo Scaligero e il Passerazio, il Brovchusio e il Markland, il Bentejo e il Burmanno,. il Santenio e più altri, senza cavarci un significato chiaro, trova dal Visconti la sua naturale spiegazione in que’ Tritoni di marmo che murati nel pavimento delle pubbliche fonti bevono le acque da’ pertugi degli occhi e della bocca. Di Prometeo cantò Catullo: Extenuata gerens veteris vestigia poenae. Non si tratta de’ lividi lasciati dalle catene che lo tennero tanto tempo legato sul Caucaso; interpretazione con la quale non s’accordano le parole extenuata e gerens. Racconta Caio Oiunio Igino che Giove lo sciolse col patto portasse legata al dito una piccola scaglia di quella roccia. A questo accenna Catullo; cosa ignorata da’ commentatori avanti che il Visconti per il primo gettasse gli occhi su ciò che di Prometeo si legge nell’Astronomico poetico d’Igino. All’Istituto fin da quando vi fu ascritto, era andato a mano a mano leggendo una quantità di memorie e di note ricche della più recondita erudizione e sempre feconde di nuova luce all’antiquaria ; la scienza prediletta, della quale, per giudizio concorde di tutti, teneva saldo in pugno Io scettro. Descrisse il carro funebre di Alessandro il grande, desumendone l’idea dalle parole di Diodoro Siculo (1); illustrò il trono (1) Description d'un char funebre d'Alexandre-le-Grand, d’après Diode re de Sicile, ms. nella Biblioteca nazionale di Parigi. Per testimonianza dell’Emé-ric-David, « cet ouvrage, que l’auteur s’était proposé de publier, devait être ac- - 183 — di Giove a Olimpia; l’impronta d’una pietra incisa, scoperta a Mont-Sa-léon nelle Alte Alpi; l’epitaffio d’un soldato romano, dissepolto a Carouge piesso Ginevra, « qui est curieuse par le récit chronologique des promotions de ce soldat à différens grades »; l’iscrizione sepolcrale trovata nelle vicinanze di Smirne; e il Piede, vecchia misura de’ Romani (1). Reintegrò e spiegò l’iscrizione poetica greca, che Eutichio fece scolpire sul piedistallo della statua da lui eretta a Cresia (2) ; reintegrò e spiegò le tre iscrizioni greche, mandate all’istituto dal console di Francia in Atene (3). Importante la prima, perchè conserva il nome d’un guerriero, « que nul auteur ancien et nul autre monument ne nous avoient fait compagnè de gravures ». L’Ugoni scrive: « Di questo carro, di cui l’A. gettò sulla carta uno schizzo a penna, desumendone l’idea dalle parole di Diodoro, il sig. Lodovico, suo secondogenito, egregio architetto, eseguì poi bellissimi disegni, e, come a noi fu conceduto, il pubblico avrebbe ammirato il bel sodalizio di questo duplice lavoro, se la morte non precideva co’ giorni d’Ennio Quirino il corso de’ suoi lavori e anche la pubblicazione d’alcuni che aveva già fatti ». (1) Queste memorie si conservano manoscritte presso l’Accademia delle iscrizioni e belle lettere. Eccone il titolo: Dissertation sur le trine de Jupiter à Olympie, et sur l’opinion que Μ. Quatremère de Quiucy a emise sur le même sujet. Observation sur l’empreinte d'une pierre gravée trouvée dans les fouil que M. De la Doucette, préfet des Hautes Alpes, a fait faire à Mons Seleucus, aujourd'hui Mont Saléon. [La lesse anche alPAccademia delle Belle Arti, che ne conserva essa pure l’originale, così intitolato: Dissertation sur l'empreinte d'une pâte de verre coulée sur une pierre gravée antique de travail grec; pâte trouvée dans les fouilles de Mont Saléon, Mons Saleucus]. Dissertation sur une inscription découverte prés de la ville de Carouge, et dont une copie a été envoyée à l'Académie par M. Baruel Beavert, inspecteur de poids et mesures. Note sur une inscription grecque sépulcrale trouvée près de Smyrne et communiquée par M. Barbier de Bocage. Note sur le Pied romain. (2) Notice sur une inscription trouvée à Autun en 1810; nel Magasin encyclopédique, toni. II [1811], p. 136 e seg. (3) Mémoire de M. le Ch. de VISCONTI sur deux inscriptions grecques trouvées à Athènes en 1810; in Le Moniteur universel n.» 192, 10 juillet 1812, p. 753. Cfr. Histoire et Mémoires de l’institut Royal de France. Classe d’Hi-stoire et de Littérature ancienne, tom. I [1815], pp. 230-240. Remarques sur une inscription grecque découverte près d’Athènes; nel-YHistoire et Mémoires de l'institut Royal de France. Classe d'Histoire et de Littérature ancienne, toni. III [1818], pp. 44-48. — 184 — connaître »; la seconda « est encore plus remarquable: elle présente une formule d’enchantement dirigée contre plusieurs personnes, que l’on dévoue aux divinités de l’enfer » ; la terza riguarda il sofista Giulio Teodato di Melito, di cui Filostrato scrisse la vita. 11 26 agosto del 1814 richiamò l’attenzione de’ colleghi sopra una medaglia greca, inedita e sconosciuta (1). « Les caractères qu’ on y lit» (prese a dire) « présentent le nom des habitants d’une ville dont aucun géographe n’a fait une mention distincte; ce sont les Aulares. Je me propose de rechercher et de fixer la région du monde ancien où ce peuple étoit établi, le lieu où la médaille a été frappée et l’époque où elle a pu avoir cours ». Non tutti ritennero che il Visconti cogliesse esattamente nel segno. Tra gli altri il Raoul-Rochette dichiarò reciso: « Je n’approuve pas la conjecture de Visconti sur l’origine et l’existence même du peuple auquel appartient cette monnoie ». Tutti però riconobbero che « ebb’egli lo sguardo sì acuto e penetrante che accoppiando alla profonda erudizione la critica presentò le sue idee con molta verisimiglianza e maravigliosa sa-gacità » (2), Descrisse un vaso di terra cotta dipinto, trovato in Sicilia, « curieux, par sa haute antiquité et par les inscriptions grecques qu’ il présenté » (3). Prestò larga collaborazione al Dictionnaire de beaux arts, che l’Accademia delle Belle Arti dell’istituto andava preparando (4); e fu (1) Mémoire sur une médaille antique des Aulares lu à l'institut par Μ. visconti le 26 août MDCCCXIV; nelle Opere varie-, italiane e francesi, di E. Q. visconti, voi. Ili [1830], pp. 437-452. (2) visconti E. Q., Opere varie; III, 437, in nota. (3) Note sur un vase peint apporté de Sicile; nell’Histoire et Mémoires de l'institut Royal de France, classe d'Histoire et de Littérature ancienne, tom. III [1818], p. 38. (4) Ecco la Liste des articles qu' il a rédigés pour ce Dictionnaire : « Accessoire - Acrolithe - Action - Agathe - Aigle - Albâtre - Ambre - Allegorie - Ametiste - Amphitheatre - Anaglyphe - Ancien - Antique - Antiquités -Antiquaires - Arc de triomphe - Archeographie - Archéologie - Arcas - Athénee - Atlante - Attribut - Aventureie - Auréole - Automate - Abside - Anneau -Albente - Bacchanale - Bayre - Baptistère - Barbate - Basalthe - Basainte - Basilique - Basilique chrétienne - Basilique moderne - Bibliothèque - Bitume -Boucher - Bouclier - Bucrane - Buste - Calcedonie - Camée - Candelabre - Canephore - Caryatide - Catacombe - Cenotaphe - Centaure-Calcedupre - Char-Chimere - Chrysolithe - Cirque - Chrysofrase - Cineraire - Cipolin - Cippe -Colonne miliaire - Colombaire - Cornaline - Corne - Corne à boire - Corne d’abondance - Corne d’abaque - Corne d’autel - Corne de belure - Corne de - 185 — largo del suo sapere in seno alle commissioni tutte delle quali venne chiamato a far perte; si trattasse di cogliere il vero senso d’alcuni passi di Vitruvio nella controversia per le mura pelasgiche sorta tra il Petit— Radei, Io Schneider, il Micali e il Sickler (1); si trattasse di giudicare il tentativo del Castellan di far rivivere la pittura ad encausto (2); o il· nuovo processo degli inglesi Tyrwhitt e Hayter per decifrare i papiri d'Ercolano (3). In Francia sedè anche nella commissione delle iscrizioni' e delle medaglie, e per testimonianza dei figli, compose « presque toutes les inscriptions et médailles, dont cette commission a été chargé depuis dix ans » (4). I restaurati Borboni vollero far rivivere il Journal des Savans, che fondato nel 1665 cessò di pubblicarsi il 1792 ne’ giorni del Terrore. Fu messo sotto la sorveglianza e direzione del Cancelliere guardasigilli; ebbe per redattori Silvestre de Sacy, il Gossellin, il Dacier e il Cuvier ; per collaboratori Ennio Quirino Visconti, il Daunau, il Quatremère de Quincy, il Tessier, il Vanderbourg, il Raynouard, il Gay-Lussac, il Bois-sonade, il de Chézy, il Raoul-Rochette e il Cousin, nobile schiera di valenti. « Uniquement consacré à la littérature et étranger aux discussions boeuf - Corne de bouc - Corne de cerf - Corne de chere - Cadran solaire -Damasquiner - Décadance - Devise - Diadème - Ecole - Ecusson d’armes -Electre - Embleme - Fontaine - Ferme Groupe - Génie Image - Lycée - Méandre - Monochrome - Nimbe - Onice - Porbe - Prototype - Sarcophage -Symbole - Sardoine - Stele - Type ». Cfr. Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti; tom. II [1819], p. 25. Il Millin dice che l’articolo Cornaline fu stampato dall’Accademia delle Belle Arti « dans un de ses Rapports ». (1 ) Institut impérial de France. Rapport fait à la classe des beaux-arts,, dans sa séance du samedi, 14 août 1811. Commissaires: M. M. Quatremère de Quincy, Heurtier, Dufourny, Visconti rapporteur; in Le Moniteur universel, n.o no, dimanche 19 avril 1812, pp. 433-434. Questo Rapport del Visconti sfuggì alla diligenza del Labus, raccoglitore amoroso delle sue opere. (2) Institut Impérial de France. Rapport sur un mémoire de M. Castellan, ayant pour titre: Essai d’un procédé encaustique ou de peinture à huile d’olives sur une impression de cire. Commissaires: MM. Vincent, Taunay, Visconti, Quatremère de Quincy, le comte Chaptal rapporteur; in Le Moniteur universel n.° 173, 22 Juin 1815, p. 714. (3) In questa commissione ebbe a compagni il Quatremère de Quincy, il Boissonade e il Raoul Rochette. Cfr. Le Moniteur universel, n.° 297, mercredi. 23 octobre 1816, p. 1195. (4) Giornale Arcadico di scienze, lettere ed arti, tom. II [1819], p. 26. « — 186 — politiques » — così annunzia la sua vicina comparsa il Moniteur universel — « il offrira un genre d’intérêts qui ne peut manquer d’être mieux senti à mesure que la paix rappellera les esprits aux connaissances utiles » (1). Ne vedeva la luce un fascicolo al mese di 64 pagine in-4.° II primo comparve nel settembre del 1816 e il Visconti v’inserì, illustrandola, la lettera, che indirizzò a’ magistrati e alla città di Ciretia, nella Tessaglia, il proconsole Tito Quinzio Flaminino, comandante in capo dell’esercito de’ Romani in Grecia (2). Vincitore di Filippo il Macedone, fu umano co’ popoli soggiogati, che gli decretarono onori divini. Tre secoli dopo morto, a Calcide, dove ebbe un tempio, comune con Apollo Delfinio, il memore e riconoscente affetto degli eredi de’ vinti seguitava ancora a cantare inni in sua lode e ad offrirgli sacrifizi. Nel successivo fascicolo trattò di Termusa, la bellissima schiava italiana, che Augusto inviò, con altri doni, a Fraete IV, re de’ Parti, il quale innamoratosene finì col farla sua moglie (3); dette conto di varie opere venute alla luce tra il Ί5 e il Ί7 (4), riguardanti l’antiquaria, la filologia classica e la (1) Le Moniteur universel, η ο 218, 5 août 1816, p. 881; n.o 260, 16 septembre 1816, p. 1048. (2) Inscription de Cyréties; nel Journal des Savons; Septembre 1816, A Paris, de l’imprimerie Royale, 1816; pp. 21-27. (3) Me'daille de la reine Thermuse, épouse de Phraate IV et mère de Phraatacès roi des Parthes; nel Journal des Savons, Décembre 1817, pp. 735-738. Corne parte integrante della Iconographie grecque il Labus la ristampò a p. 138 e segg. del vol. Ili dell’edizione milanese. (4) Le opere che prese ad esaminare son queste: The antiquities of Athens measured and delineated by James Stuart and Nicholas Revett, pointers and architects; volume thè fourth, London, printed by T. Bensley. for James Taylor, High-Holborn, 1816; in-fol. grande, dr. Journal des Savons, décembre 1816, pp. 195-207; janvier 1817, pp. 27-37. Dissertation sur l’inscription grecque IACONOC AYKION et sur les pierres autiques qui servoient de chachet aux médicins oculistes, par M. TOCHON d’Annecy, ec., A Paris, chez L. G. Michaud, 1816; in-4. Dissertation sur la mort d’Antiochus VU Évergètes, roi de Syrie, sur deux médailles de ce prince et sur un passage du li livre des Machabées, par le même, ibid. 1815; in-4. Notice sur une médaille de Philippe-Marie Visconti duc de Milan, par le même, ibid., 1816; in-4.o Cfr. Journal des Savons, mars 1817, pp. 166-176. AlOiVmOV ΑΛΙΚΑΡΝΑΣΣΕ PUMAIKII2 ΑΡΧΑΙΟΛΟΓΙΑΣ ·/.. τ. λ -DIONYSII HALICARNASSAEI Romanarum Antiquitatum pars hactenus desiderata, ope codicum Ambrosianorum, ab angelo maio, quantum licuit, restituta, Mediolani, Typiis regiis, 1816; in-4.° - 187 — storia (1). « Con qual senno » (notò già il Labus) « sottil critica, profonda erudizione e amabile gentilezza dettati sieno questi sugosi estratti e pareri, non ha chi noi senta e noi vegga. Se il Visconti corregge od emenda le altrui opinioni, vi dà opera per sì bel modo che conforta gli autori; e se gli applaude, disarma l’invidia e lor assecura i suffragi del móndo ». Estratto delle osservazioni sopra la Epitome di Dionisio, etc. — Extrait des observations sur l’Epitome de Denys d'Halicarnasse, lues à Florence par le professeur SÉBASTIEN ciAMPi. dans la séance de l’Atlienée italien du 21 septembre 1816, Pisa, 1816; in-4.° Cfr Journal des Savans, juin 1817, pp. 361-370. Emendationes Livianae; scripsit GEORG. LUDOV. WALCHiUS. D. gymnasii Berolino-Coloniensis professor, Berolini, apud G. C. Nauckium, 1815; in-8.° Cfr. Journal des Savans, septembre 1817, pp. 559-563. Libri Sybillistarum veteris Ecclesiae cliris, quatenus monumenta Christiana sunt, subjecti: disquisitio, auctore BIROERO THORLACIO, doct. th. et ph. prof, ling. lat. ord. in Universitate Hauniensi, Hauniae, (Copenhague), 1815; in-8.° Cfr. Journal des Savans, mai 1818, pp. 288-295. (1) 11 Millin, tra le opere stampate in Francia dal Visconti, registra, ma senza indicarne l’anno: Notices des tableaux du prince Giustiniani; in-8.° A me non è riuscito trovarla, ed il Labus non ne fa cenno; i figli però d’Ennio Quirino non mancano di notarla. Registra pure : Notice sur les statues, etc. apportées de Cassel et de Berlin, etc. 1817; ma il Labus afferma non essere del Visconti. CAPITOLO IX. i « Ho lette alle due classi dell’istituto, alle quali appartengo » — così il Visconti al De’ Rossi in una lettera del 27 novembre Ί5 — « più memorie sulle antichità di milord Elgin, su quelle specialmente che vengono dal tempio di Minerva in Atene, detto il Partenone, e su d’alcune iscrizioni greche veramente storiche come l’epigramma sui guerrieri morti sotto Patidea, il catalogo degli altri morti nella spedizione di Callia, ec. M. Canova e M. d’Este sono stati frequentemente da me la sera: ora sono ambedue in Inghilterra ». Gli scrisse di nuovo il 14 febbraio del Ί6: « Io ho letto alle due classi dell’istituto parecchie Memorie sulle antichità che Mylord Elgin ha portate a Londra. Queste si stampano in Inghilterra; se Mylord me ne manda, come par giusto, degli esemplari, non tarderò a mandarvene uno. Ho piacere di sentire che il sig. Canova è stato sorpreso dalla bellezza di quelle sculture e dalla natura che ha ritrovata nelle figure di Fidia con meno ideale di quello che ei supponeva ». Tommaso Bruce conte d’Elgin, essendo ambasciatore della Gran Brettagna presso la Porta Ottomana, ottenne, nel 1801, dal Gran Sultano, non solo il permesso di pigliare il calco in gesso de’ monumenti d’Atene, ma anche l’autorizzazione d’appropriarsene de’ pezzi. È così che potè formare queirinsigne raccolta, la quale fu nel 1816 comprata dal- — 190 - l’Inghilterra per il Britihs Museum scegliendo il Visconti a giudicarne il merito e stabilirne il prezzo. Fu allora scritto (1): Jamais questions plus cyrieuses et plus intéressantes ne s’étaient preséntées dans le domaine des arts, et jamais plus digne appréciateur n’avait été choisi pour les décider. Les marbres du Parthénon, ou du temple de Minerve d’Athènes, forment, comme on le sait, la principale partie de cette précieuse collection. Ils consistent en quatorze statues, ou fragmens plus ou moins considérables de statues, enlevés des deux frontons de ce célèbre édifice; en quarante morceaux environ des bas-reliefs dont se composait la frise extérieure des murs de la Cella, et en quinze autres bas-reliefs, du nombre de ceux qui avaient été placés dans les métopes. Il y a de plus un Cadran solaire, construit à Athènes, vraisemblablement vers le règne des Antonins; une des Caryatides du temple de Panorose; quatre bas-reliefs qui ont faite partie de la frise du temple d’Aglaure ; un bas relief du temple de Bacchus; une statue colossale, tirée du monument choragique de Trasyllus et un grand nombre d’inscriptions grecques, de colonnes sepulchrales, et d’autres monumens votifs ou funéraires. Les antiquaires les plus savans et les artistes les plus habiles de Londres avaient déjà donné leur avis sur ces monumens. 11 avait été fait, su la demande de la Chambre des Communes, une sorte d’enquête, tendant à en constater le mérite sous le rapport de l’art, et par suite à en établir la valeur pécuniaire. Tous les juges avaient déclaré que les sculptures du Parthénon étaient des chefs-d’oeuvre d’une haute beauté; mais on remarquait des variations singulières, soit dans l’appréciation du degré de perfection de chaque monument en particulier, soit dans les aperçus et les motifs qui avaient porté chacun des juges à placer tel morceau de la collection au-dessus de tel ou tel autre, ou à le regarder comme plus ou moins accompli que tel ou tel autre des chefs-d’oeuvre de l’antiquité qui ornent nos Musées. Le recuil de ces différentes opinions, imprimé sous le titre de Report from thè select committee on the earl of tlgin’s collection of sculptured mar-bles, etc. [Londres, 1816; une édition in-8.° et une in-folio], est un des ouvrages les plus dignes d’attention et les plus piquans que l’on puisse lire, en ce qui appartient à l’art d’apprécier les productions de la sculpture. D’une part, on voit des hommes très-éclairés, non seulement assimiler la généralité des marbres du Parthenon à tout ce qui existe de plus accompli parmi les chefs- (1) È questo il brano d’uno scritto interessantissimo dell’EMHRic-DAViD, affatto dimenticato, che tolgo dal Moniteur universel di Parigi, n. 363, 29 décembre 1818, pp. 1511-1512. Cfr. anche: a. l. milun, Marbres apportés de la Grèce par lord Elgin; negli Annales encyclopédiques, année 1817, tom. I, pp. 116-126. / I - 191 - doejvie antiques, mai placer même quelques-unes de ces figures fort au-dessus e I Apollon, du Torse et du Laocoon. De l’autre, on voit des juges non moins habi es, en rendant hommage à la beauté de ces statues, déclarer cependant que 1 Apollon, le Laocoon et même le Taureau Farnèse le surpassent. Les uns es inient que toutes les figures des fronts sont du tems de Phidias; les autres croie.it reconnaître, à la différence du style, qu’ il y en a quelques-unes du teim d Adrien. Ici, c’est la figure représentant le fleuve Ilissus qui est la plus belle de la collection; là, cette figure n’est qu’au second rang, et on la regarde comme très-inférieure à celle qu’on appelle le Thésée. Tantôt les figures des metopes sont supérieures aux bas-reliefs de la frise; tantôt ces bas-reliefs sont au contraire fort au-dessus des sculptures des métopes. Les motifs de ces ju-gemens ne sont pas moins dignes de remarque que les décisions elles-mêmes. Suivant un des illustres appréciateurs, le Thésée ne saurait, être assimilé à 1 Apollon, car, dit-il, l’Apollon est quant à l'idéal la plus belle statue qui existe, suivant un autre le Thésée surpasse l’Apollon par cette raison que 1 Apollon est une figure idéale, et que le Thésée est une imitation de la vraie nature. Le célébré M. West, enfin, opinant dans ce dernier sens, pense que 1 Apollon, le Laocoon et le Torse présentent des caractères systématiques, et appartiennent à un art systématique; que le Thésée et l’Ilissus, au contraire, renferment des vérités certaines, et sont le suprême de l’art. Dans ces opinions contradictoires on remarque des idées bien dignes d’être méditées par les artistes et les antiquaires, quelque puisse être le mérite de l’application; mais ont sent aussi combien la décision demandée à M. Visconti était difficile, et de combien d’élémens différens elle devait se composer. Des questions de fait avaient donné lieu précédemment à des opinions non moins opposées en-tr’elles que celles des artistes anglais, et ces questions pouvaient encore diviser les esprits. Spon et Wheler avaient cru reconnaître que l’entrée du Parthenon se trouvait dans l’antiquité du côté de l’ouest, et Chandler avait pareillement suivi à cet égard la vieille tradition. Stuart, au contraire, avait placé l’entrée et par conséquent le pronaos du temple a l’est et le posticum ou opi-sthodome à l’ouest. Parmi nous, deux de nos académiciens avaient embrassé, l’un l’opinion de Chandler, l’autre celle de Stuart. D’un autre côté, Spon et Wheler s’étaient persuadé que les sculptures de deux frontons de ce temple, dataient d’une époque beaucoup moins renculée que l’édifice lui-même et ils donnaient en preuve deux figures qui leur avaient paru les portraits d’Adrien et de l’impératrice Sabine, sa femme. Chandler avait encore suivi en ceci ces anciens voyageurs; et Stuart, en n’opposant à cette opinion qu’ un doute circonspect, avait cependant fait considerer qu’ ou pouvait s’être borné, sous le régne d’Adrien, à remplacer les têtes de deux divinités grecques par celles du prince qui avait comblé Athènes de bienfaits et de la princesse qui partageait — 192 — son trône. De la première question dépendait celle de savoir si les sculptures du fronton de l’est, en admettant que l’ancienne entrée fût de ce côté, représentaient la naissance de Minerve, comme l’assure Pausanias, ou s’il fallait en supposant que ce fût là le posticum, y reconnaître la dispute de Minerve et de Neptune; fait important pour la reconnaissance des personnages de l’un et de l’autre côté, et par conséquent pour l’appréciation du mérite des deux compositions, et même de celui de chaque figure. De la seconde question devait résulter, une grande différence dans la valeur pécuniaire des objets qu’ il s’agissait d’aprécier; car quelque puisse être le mérite intrinsèque d’un objet de sculpture qui appartient au règne d’Adrien, il faut sans contredit accorder à un beau monument du tems de Périclès un prix bien plus élevé, puisqu’ il existe entre ces deux époques un intervalle de 550 ans; et d’ailleurs un ouvrage réputé de la main de Phidias, doit avoir une valeur pour ainsi dire inappréciable, à cause de l’immense célébrité de ce maître et de la rareté excessive des ouvrages de sculpture appartenant à des tems que les contemporains des prémiers Césars regardaient déjà comme antiques. Tel est l’état où était parvenue cette intéressante discussion, lorsque M. Visconti se rendit en Angleterre. Le sculture del Partenone, indubbiamente di Fidia, sono di tale perfezione e bellezza, da credîrsi appena che quelle di Lisippo e di Pras-sitele le potessero eguagliare. 11 Canova, che era incanutito tra le statue, preso dalla maraviglia, scriveva all’EIgin: « Permettete, o milord, che io vi esprima i sensi della mia viva compiacenza per aver veduto in Londra i preziosi marmi antichi da voi recati qui dalla Orecia. Io non so mai saziarmi di rivederli; e benché il mio soggiorno in questa capitale abbia ad essere brevissimo, tutti i momenti che passo li consacro a contemplare queste famose reliquie dell’arte antica. Ammiro in esse la verità della natura congiunta alla scelta delle forme belle. Tutto qui spira vita con una evidenza, con un artifizio squisito senza la minima affettazione e pompa dell’arte velata con un magistero ammirabile. 1 nudi sono vera e bellissima carne, lo mi stimo felice di aver potuto vedere cogli occhi miei queste opere insigni, e mi terrei contento d’essere venuto a Londra solamente per esse ->. Anche il Visconti ne restò entusiasmato. In una lunga lettera che scrisse alPHamilton (1), poco dopo il suo ritorno a Parigi, tra l’altre cose si legge: (1) Guglielmo Riccardo Hamilton [1777-1859], segretario all’ambasciata inglese di Costantinopoli, nel 1802 « fut-il l’agent le plus actif de lord Elgin dans - 193 — Nè i disegni della bell’opera di Stuart, nè quelli che Nointel intraprese in Atene, allorché il tempio di Minerva non aveva sofferto tutto quel deperimento che lo è andato danneggiando da 150 anni in poi, nè il prezioso frammento del fregio di quel tempio che ora trovasi nell’lmperial Museo del Louvre, nè i gessi delle tante statue del Partenone del di cui godimento dobbiamo esser tenuti al conte di Choiseul-Oouffier, niente di tutto ciò mi aveva fatto concepire una così alta idea dell’arte di Fidia come l’aspetto delle statue colossali e gruppi dei due frontoni di quel tempio, e di quel sublime seguito di bassi rilievi, lungo più di 200 piedi, che decorava il fregio della cella, ed ora trovasi in Londra. Da allena ho giudicato quel fregio l’opera più perfetta della scultura nel genere del bassorilievo. Con maraviglia ho ammirato la varietà e verità delle mosse di tante figure la di cui azione è presso a poco la stessa, la grandiosità del disegno nei cavalli e nei tori, la ricchezza ed il gusto negli accessorj, e singolarmente la bellezza delle attitudini, molte delle quali sono state oggetto di imitazione anche per i più classici artisti dell’antichità. Io vi trovai le mosse di varie delle più celebri figure di un’epoca posteriore, come per esempio dei due colossi del Quirinale, del Giasone (chiamato comunemente Cincinnato), del Marte in riposo di Villa Lodovisi, dell’antico Centauro di Aristea e Papia, e così dicasi d’altre ancora. Ma i gruppi e le statue del frontone del Partenone hanno vinta ogni mia maggiore aspettazione. In quanto al nudo essi sono tanto perfetti modelli di verità, morbidezza e bellezza di forme, quanta il Laocoonte ed il Torso: mostrano negli accessorj quanto mai di più nobile e di più ricco hanno saputo sfoggiare i più famosi scultori pei loro panneggiamenti, è mi sarebbe difficile l’immaginare come Prassitele potesse aver dato più di vita e di perfezione alla greca scultura: ciò forse deesi intendere di soltanto quello che dicono di lui gli antichi, per quanto riguarda l’espressione delle teste. Quella figura semigiacente dell’Ilisso, che sembra rizzarsi per festeggiare colla sua gioia la Dea vittoriosa, sorpassa in perfezione di mossa e di disegno quanto abbiamo di meglio nell’antico. Non vi troviamo noi nel maggiore grado di perfezione i tocchi magici di uno scarpello che seppe animare il marmo e trasformarlo in morbidissima carne piena di vita? All’aspetto di tanta sublimità io mi persuado che la scuola ateniese dell’epoca di Pericle era affatto scevra di quel genere duro e forzato che risorge nelle opere di artisti posteriori e segnatamente della scuola d’Egina. In una parola, io sentii quanto sia vero il detto di Plutarco, allorché parla delle opere di Fidia, che esse sono sorprendenti per la loro grandiosità ed inimitabili per la loro vita e bellezza (in Pericle). les fouilles de Grèce . Stampò a Londra nel 1811 il Memorandum on thè su-bject of thè euri of Elgin's poursuites en Grece. — 194 - Io dico delle opere di Fidia, mentre Plutarco, egualmente che Pausania (lib. V.), non lasciano verun dubbio che tutti i capolavori che lo spirito creatore di questo artista seppe trovare, devono essere stati ideati colle ispirazioni del suo gusto, ed in gran parte condotti a termine dal suo stesso scarpello. Chi in Fidia non volesse vedere che uno scultore il quale abbia lavorato soltanto in avorio; in oro in bronzo, facilmente potrebbe essere confutato col mezzo di Aristotele, secondo il quale viene appunto lodato per la sua eccellenza nel lavorare il marmo (Ethic. ad Nicom. VI, 7), mentre egli riconosce nel Poli-cleto il capolavoro della scultura propriamente detta, che gli antichi distinguevano dallo scolpire in bronzo o in qualsivoglia altro\metaIlo. Però io parlerò più diffusamente intorno a questo argomento in una memoria che in breve penso di leggere nella sezione di Storia e Letteratura dell’imperiale Istituto di Francia, nella quale parlerò anche intorno ad una raccolta d’iscrizioni greche, le quali sono assai importanti per i letterati, come pure sono per la più gran parte monumenti importantissimi per l’archeologia, la paleografia e la storia dell’arte (1). Dette subito mano al lavoro compilando un catalogo succinto de’ marmi, de’ vasi e de’ disegni dell’insigne raccolta; e lord Elgin si affrettò a farlo stampare (2). Nel settembre del 1815 lesse all’istituto il Mémoire sur une e'pigramme grecque qui sert d’épitaphe au tombeau des guerriers (1) Della lunga Lettre de M. Visconti à un anglais non riporto che il principio. Fu stampata, tradotta in tedesco, nell’opera: Denkscrift ueber lord Elgins Erwerbungen in Griechyland, Leipzig Broukiiaus, 1817; in-8.° Gli amici dell’arte di Weimar vi fecero alcune osservazioni, così riassunte negli Annales encyclopédiques, année 1817, tom. II, pp. 159-162; « Dans sa Lettre à un anglais, M. Visconti nous semble faire tort aux maîtres habiles de l’antiquité qui ont produit les statues colossales du Quirinal, le Jason, le Mars en repos, le vieux Centaure du Capitole, en croyant .que, faute d’idées de leur invention, ils ont imité de ces bas-reliefs la position de leurs figures. M. Visconti continue par dire que, pour le nu, ces bas-reliefs sont des modèles aussi parfaits de vérité, de bon choix et de beauté que le Laocoon et le Torse; il est inconcevable qu’ on ait pu faire cette comparaison. Si ces marbres datent de Phidias, s’ils sont l’ouvrage de ce maître lui-même ou de ses élèves, ils doivent surpasser de beaucoup en sublimité le Laocoon et le Torse, les quels, à leur tour, doivent être d’un style plus doux et plus agréable ». La Lettera del Visconti venne tradotta dal nepote Pier Ercole in italiano, e inserita dal Labus a pp. XXVIII-XXXI del vol. IV delle Opere varie. (2) Si legge in fine al Report from thè select committee of thè house of Commons on thè earl of Elgin ’s collection of sculpture, marbres etc., London, 1816; in-8.o - 195 - Athéniens morts devant Potidée; il 21 di ottobre e il 10 di novembre dello stesso anno il Mémoire sur des ouvrages de sculpture du Parthenon et de quelques édifices de l’Acropole à Athènes; ed insieme col Catalogue raisonné de quelques inscriptions grecques della stessa collezione, compilato esso pure dal Visconti, e con la lettera del Canova, vennero messi alle stampe, per cura dell’Elgin, nel testo francese (1); furono anche tradotti in inglese e poi in tedesco (2). La Società degli Antiquari di Londra, in segno d’ammirazione, lo volle de’ suoi (3). Il libro — vero canto del cigno dell’insigne antiquario — ebbe tale spaccio che si esaurì ben presto; e la vedova, appena fu morto, lo fece ristampare a Parigi « avec des addictions et quelques corrections d’après un manuscrit autographe de l’auteur » (4). Il 13 luglio del 1816 il Visconti scriveva a Giuseppe Molini, v.dente e colto libraio fiorentino: « Ho ricevuto una sua gentilissima lettera dalla quale imparo con piacere che ella desidera ristampare il Museo Pio-Clementino. Non posso non esser contento di questa sua intenzione, ma vorrei che l’opera avesse quella maggior perfezione che potrei darle ora. Poco avrei da mutare nel tomo VII, pubblicato nel 1808, ma il primo volume, che ha la data del 1782, e il secondo, che ha quella del 1786, offrono molti luoghi al ritocco. Io ho date delle correzioni pe’ primi tre volumi alla fine del VII tomo: alla fine di ciascun volume ho indicato delle emendazioni: ma ciò non ostante, oltre il riportare queste corre- (1) Lettre du chev. antonio canova et deux, mémoires lus à l'institut royal de France sur les ouvrages de sculpture dans la collection de mylord comte d’Elgin, ec. par le chev. E. Q. VISCONTI, ec. A Londres, chez A. Murray 1817; in-8.° Il cav. Giuseppe Tambroni ne incominciò, senza peraltro condurla a fine, una rassegna nel Giornale Arcadico, di Roma, tom. vili [1820] pp. 260-270 e toni, x [1821], pp. 283-290. (2) A Letter from tlie chev. Ant. Canova and two Memoirs read to thè R. Inst. of France on tlie sculpt. in thè collect. of thè earl of Elgin; by thè eh. VISCONTI translated from thè frendi and italian, London, Murray, 1816; in-8. (3) Le Moniteur universel, n.° 172, 21 juin 1817, p. 679. (4) Mémoires sur les ouvrages de sculpture du Parthénon et de quelques édifices de ΓAcropole à Athènes et sur une Epigramme grecque en l'honneur des Athéniens morts devant Potidée, par le chev. E. Q. visconti, Paris, chez M. P. Dufart, libraire, quae Voltaire n.° 19, 1818; in-8. L’eméric david ne fece una rassegna nel Moniteur universel n.° 363, 29 décembre 1818. 196 — zioni indicate ciascuna al luogo suo, quante altre piccole correzioni dovrebbero farsi qua e là; quante inutilità non vi sarebbero a risecare e migliori cose a rimpiazzare qua e là nel corso dell’opera!......... Le spedirò le correzioni per le prime dodici tavole, avvertendola insieme di qualche disegno da rifarsi; che saranno pochi ». Nella successiva lettera, che è del 21 d’ottobre, gli dice: « Le prefazioni vanno mantenute; non vi saranno che piccole correzioni da fare; ma in quella del primo tomo molto più se n’esigono..... Ecco presso a poco ciò che credo doversi mettere· nel Manifesto: — L’autore, che per lo spazio di più di trent’anni, scorsi dopo la pubblicazione de’ primi volumi, non ha cessato di riandare colla mente i monumenti spiegati da lui, e di compararli con altri nuovamente osservati o scoperti, o co’ passi degli antichi autori ch’egli incontrava nelle sue continue letture, ha dovuto cangiare opinioni su molti particolari ed ha nel tempo stesso avuto occasione di meglio stabilire molte congetture che aveva avanzate con qualche dubbiezza. Alla fine del VII tomo ha già dato un saggio di siffatte correzioni; ma in questa ristampa non solo si propone egli d’inserire ciascun cambiamento al suo luogo proprio, ma rifonderà alcuni articoli per intero; nè lascierà nulla nell’opera che non sia conforme a quel giudizio che una critica più matura gli ha dettato ». — Soggiunge poi: « Cercherò di far copiare in più minuti caratteri possibili il testo che gli manderò, o le parti corrette; e poi le ne indicherò la spesa. Quanto al numero degli esemplari, ne desidero dieci. Non farò torto alla sua vendita, la più parte saranno donati a persone che difficilmente li comprerebbero ». Nella lettera che gli indirizzò il 19 gennaio del seguente anno 1817 si legge, tra le altre cose: « Per la traduzione francese la credo utilissima, ma mi sembra impossibile che comparisca alla luce contemporaneamente col testo. Convien farla sul nuovo riformato di questa seconda edizione. Po-trassi dunque alla fine d’ogni volume farlo tradurre. Così si eviterà ancora la compra di un altro grande esemplare, e l’imbarazzo di comunicare al traduttore manoscritti i cambiamenti. Non le dissimulo che la spesa per una traduzione ben fatta non sarà piccola, lo la rivedrò gratis, ma bisognerà convenire che il traduttore non sia pagato, nè la sua traduzione accettata, senza la mia approvazione. Ella mi offre un doppio numero di esemplari, ed io l’accetto come dono, giacché vedo che il lavoro è un poco più considerabile che non credevo alla prima ». Per più conti notevole la lettera del 27 ottobre Ί7. « Il primo tomo » - scrive - - 197 — « è quello che dà da fare più che gli altri, avendolo io scritto e ancora, assai giovine e vivente mio padre, di cui non potevo alle volte fare a meno di secondare le idee. Più che si anderà avanti nell’opera, meno avrò a fare, ed ella meno ad aspettare. II sig. Carlo Fabrani di Pistoia si è offerto per la revisione e correzione della edizione, specialmente per ciò che riguarda i testi greci, ed io l’ho ancora pregato di correggere i gallicismi, o altre frasi non meno pure, che mi fossero sfuggite nella composizione » (1). Mentre andava rivedendo e correggendo il Museo Pio-Clementino, riprese tra mano anche le interrotte Illustrazioni de’ monumenti scelti Borghesiani. Così racconta le origini e le vicende di questa insigne opera Gio. Gherardo De’ Rossi, il quale insieme con Stefano Piale, la diede poi alla luce: Allorché Marc’Antonio principe Borghese fece magnificamente disporre nella sua villa le rarissime sculture antiche di cui era già possessore, ed altre nuovamente acquistate e raccolte ad esse ne aggiunse, ebbe ancora pensiero di pubblicare per mezzo di eleganti incisioni e dotte illustrazioni quell’unica collezione. Diede·egli l’incarico delle illustrazioni di tanto preziosi marmi al celebre Ennio Quirino Visconti, e migliore sicuramente non poteva essere la scelta. Per non ispaventare il Visconti coll’immensità del lavoro, gl’impose di scrivere i suoi commentarii a seconda che i disegni e le incisioni si andavano avanzando. Adattossi alle voglie del Principe il Visconti, e portando al suo Mecenate le illustrazioni, che andava compiendo, n’era largamente ricompensato. Presto ingrandissi il lavoro, e tanta n’era la compiacenza di quel buon Principe, che fu quasi vicino ad aderire al progetto, che alcuno gli fece, di chiamare a Roma l’insigne tipografo Bodoni e nella villa stessa fare che co’ (1) 11 Molini, come attesta il Labus, » divisò per suggerimento del dotto Schlegel, nel 1816, di riprodurre co’ suoi torchi il Museo Pio-Clementino »; il Visconti « ne’ dì 27 ottobre e 23 decembre 1817 trasmisegli da Parigi alcune illustrazioni da sostituire a quelle edite in Roma, e varie emendazioni ed aggiunte reputate da lui necessarie per dare a quell’opera insigne maggior perfezione. Ma fatalmente un lavoro di tanto pregio non fu recato oltre la decima tavola del primo volume, per essere stato l’autore da crudel morte involato alle archeologiche discipline il 7 febbraio del 1818. Avendo quindi anche il Molini sospesa l’ideata ristampa, che non ebbe mai luogo », cedette le emendazioni cd aggiunte al Labus, che le stampò a pp. 423-447 del vol. II delle Opere varie, italiane e francesi, del Visconti; nel qual volume, a pp. 496-504, pubblicò anche le lettere del sommo archeologo al Molini. — 198 - .suoi torchi eseguisse la stampa di opera tanto importante. Perchè il pubblico intanto avesse un’idea del tesoro antiquario contenuto in quella villa, e perche dell’opera grande non tutti potevano divenire possessori, fece il Principe incidere a contorni la completa collezione in rami di mediocre grandezza, ed accompagnare da spiegazioni, che sotto la direzione del Visconti, scrisse il Lamberti; e di questa edizione fece dono ai suoi amici e clienti. L’opera grande proseguivasi però sempre con calore, e se ne meditava vicina la stampa, quando le vicende fatali dell’Europa interruppero l’incominciato lavoro..... E- rano però incise già ottanta tavole che conteneano i marmi più rari, ed eguale al numero di esse era quello delle illustrazioni del Visconti. Sospesa, anzi abbandonata l’opera, andò lungi da Roma il Visconti, e benché avesse lasciato sempre copia de’ suoi commentarii, s’ignora per qual destino andassero essi smarriti. Avendo la tranquillità ritornata fatto rinascere l’idea di pubblicare questa scelta di monumenti, che contiene singolarissime cose, si cercò invano la serie delle illustrazioni. Viveva però ancora il dottissimo antiquario, ed a lui si ebbe ricorso per sapere, se fra i suoi scritti, ne avesse copia. Fortunatamente ne avea presso di sè la massima parte, e si offrì di supplire alla poca mancante. Ma fallaci troppo sono gli umani disegni! Prevenuto il Visconti da un’immatura morte non potè adempiere la promessa, e solo i bravi suoi figli, dopo la morte del genitore, sì occuparono a riunire quegli scritti e ce ne comunicarono quella copia, che ora rendiamo pubblica (1). Marcantonio Borghese, « giusto estimatore dei monumenti da sè posseduti », come scrisse Giambattista Zannoni, « illustrati gli volea in modo, che degno fosse di sì pregiato tesoro. N’ebbe egli l’intento; se dir piuttosto non deesi che ne vedesse superata l’aspettazione; tanto sagace appare in quest’opera la mente dell’illustratore, sì importanti sono le sue scoperte, sì giusto il criterio, sì ingegnose le congetture, sì copiosa nella sua scelta l’erudizione, e sì laudevoli le ricerche in tutto quello che all’arte si aspetta ». (1) Illustrazioni \ de' monumenti scelti \ Borghesiani \ già esistenti nella villa sul Pincio \ scritte dal celebre ENNIO QUIRINO visconti | membro dell'istituto nazionale e delle più rinomate Accademie d’Europa \ date ora per la prima volta in luce \ dal cav. Gio. Gherardo De Rossi | e da Stefano Piale I sotto la cura di Vincenzo Feoli | Tomo I. [e Tomo IL] | In Roma I MDCCCXXI. | Nella stamperia De Romanis. | con licenza de’ Superiori; in-fol. grande. Il tom. I è di pp. iv-2 n. n. — 110, ed ha XLVlli tavole;, il tom. II è di pp. 4 n. n. — 70, ed ha xxxii tavole. CAPITOLO X. Il 21 luglio del 1817 si leggeva nel Moniteur universel : « Le célèbre antiquaire Visconti, membre de l’institut, a passé dernièrement à Genève, avec la famille, se rendant à Milan ». Due giorni dopo smentiva la data notizia, scrivendo: « Le célèbre antiquaire Visconti, dont quelques journaux ont annoncé le départ pour Milan, n’a pas quitté Paris, où il est dangereusement malade ». Il 24 di quello stesso mese stampava: « Nous apprenons avec une vive satisfaction que le savant M. Visconti n’est pas dangereusement malade; qu’ il est seulement indisposé et atteint d’une infertilité qui ne présente l’idée d’aucun danger. Nous avons dû nous empresser de rassurer toutes les personnes qui auraient pu craindre que nous dussions perdre un homme si précieux, aussi estimable par ses qualités morales que par ses vastes connaissances, et qu’ il serait impossible de remplacer dignement dans l’Académie qui s’honore de le compter au nombre de ses membres » (1). Fin dal 1816 incominciò a soffrire di calcoli; malattia che con vicende alterne, ora si calmava, ora diveniva più fiera (2). Nel maggio del (1) Le Moniteur universel n.° 202, 21 juillet 1817, p. 799: η.» 204, 23 juillet 1817, p. 806; n.n 205, 24 juillet 1817, p. SU. (2) 11 millin [Notice sur M. Visconti; negli Annales encyclopédiques, année t - 200 - Ί7 trovandosi assai bene, sperò giovamento da un viaggio a Dieppe.-Partì a quella volta, insieme con la famiglia; ma le scosse della carrozza gli rieccitarono con tale asprezza i dolori della vescica, che giunto a Roueii si mise nel letto e vi rimase venticinque giorni; per tre mesi" restò allettato a Parigi, dove fece ritorno con lento cammino. Verso l’ottobre migliorò alquanto, ma ricadde nel novembre e il mese appresso si riallettò, senza più riaversi. « Nè una parola di lamento in malattia sì dolorosa gli uscì mai dalla bocca, nè diede alcun segno di debolezza in quegli estremi dì ». Lo attesta l’Ugoni, che lo seppe dai figli. A uno degli amici — Luigi Brocchi, conservatore de’ modelli alla Scuola Politecnica — die si sforzava di persuaderlo avrebbe terminata l'Iconographie Romaine, rispose, stringendogli la mano: J’ai assez fait pour ma gioire. « Peu d’homme en effet » (soggiunge l’Eméric-David, che lo racconta) « ont joui autant que celui-là de leur rennommée. Depuis l’in* fance jusqu’ au tombeau il n’a pas cessé d’être célèbre ». Il 7 febbraio del 1818 mancò ai vivi i>i Parigi, dove era considerato come la più grande delle conquiste fatte dalla Francia in Italia (1); ed 1818, tom. II, p. 150] scrive: « La costitution vigoureuse de M. Visconti pou-yoit faire espérer qu’ il tiendroit encore long-temps le sceptre de l’érudition grecque et archaeologique; cependant il fut atteint d’un mal que bientôt donna avec raison les plus vives inquiétudes. Une altération grave dans le système urinaire, le calcul, qui fut ensuite reconnu, mais dont l’extraction même auroit mis la vie du malade dans le plus grand péril, ne permirent plus de croire que l’on le pourroit conserver ». (1) Lo affermano ad una voce i suoi biografi italiani, facendosi eco del Millin, il quale nella sua Notice sur M. Visconti scrive: « A l’époque de i’in-vasion des Français, M. Visconti suivit à Paris les monumens qu’ il chérissoit et nous regardâmes alors cet événement comme une des plus heureuses suites de nos victoires ». Aggiunge, in nota: « C’est ainsi que je lui ai dédié, en 1806 le second volume de mes Monumens antiques inédits: À Ennius Quirinus Visconti, une des conquêtes de la France en Italie ». Il Visconti, il 6 settembre del 1811, scriveva a Gio. Gherardo de’ Rossi, a Roma: « Accompagno con questa mia una degna persona, mio confratello nella Classe di Storia e Letteratura antica » [dell’istituto di Francia], « e perciò avente ancora un diritto alla vostra gentilezza, perchè appartenente ad un’altra classe del medesimo corpo letterario, a cui siete ascritto. Questo è il sig. cav. Millin, letterato celebre di cui voi conoscete le opere, Il viaggio nel mezzodì della Francia, l’opera periodica del Magazzino enciclopedico, etc. Egli è un uomo cultissimo in ogni genere, e d’amabilissima società, e desidera profittare della vostra per meglio conoscere ciò che Roma offre ad un amatore dell’antichità e delle arti, tanto 1'ΛΛΊΟ Q Π ài I ;V Ο 'VlSi’OXTI - λ J, JL/r M,/»w t»j., J'.-p» »*/»■■:■: ✓/*/ /'■· jJ. ,/,//. /Iw . ..*«,««-W M'.·»· .U*f.MmiJ, tlmnim- l, itnr9^^. />«**...* «//: ‘-'M. t.'tl/.i LU J»*« // *«., /'■■/>«■ UJS/m» fU.tr» fcW' · JA.r,f,m Jm» i ' 'hΛ — 7^,/2w,,Λ ■1 ■J Jr'/>&:. c ·< _ _ - 201 — alle sue esequie partecipò quasi tutta l’Europa; essendovisi fatte rappresentare l’Inghilterra e la Grecia, la Danimarca e la Svezia, la Germania e il Portogallo, la Spagna e l’Italia (1). Notevole quanto disse sul suo ferttiO, appunto l’Eméric-David : Ami du vrai, M. Viscouti n’étudiait que pour le connaître, n’écrivait que pour l’exposer dans tout son jour. Aucune prévention ne l’égara jamais dans ses recherches, aucun système, ni dans les principes des arts, ni dans l’archéologie, ne maîtrisa jamais ses opinions. Si, dans des discussions toujours franches Jt amicales, il lui arrivait de défendre sa proposition avec quelque vivacité, cette chaleur n’avait d’autre cause qu’ une convinction intime: l’amour-propre n’y entrait pour rien. On peut dire qu’ il était indifférent à M. Visconti, in genere di lavori e di monumenti, che di persone, lo non potrei dirigerlo ad altri che meglio potesse adempire il suo desiderio che a voi, il quale a tante e sì varie cognizioni unite quella amabilità di maniere che vi rende prezioso non solo ai vostri concittadini, ma a tutti i colti stranieri. 11 sig. cav. Millin è degno per ogni riguardo di tutta la vostra attenzione, ed io provo un giusto compiacimento nel farvi fare questa reciproca conoscenza ». (1) L’11 di febbraio del 1818 Le Moniteur universel, dopo avere annunziata la morte del Visconti, soggiungeva: « Les funérailles ont été celébrées dans, l’église de Saint-Germain-des-Pres, et son corps a été déposé dans le cimetière de Mont-Louis, dit du Père de Lachaise. La cérémonie a été faite avec toute la pompe que méritait un savant si distingué. Un grand nombre de membres de l’institut, de toutes les Académies, d’artistes et d’hommes de lettres ont accompagné le convoi. On y a aussi remarqué, parmi plusieurs personnages de distinction, M. le comte Corvetto, ministre des finances, M. le baron de Humboldt, M. le comte de Belderbusch, M. le général comte Miollis. M. Quatremère de Quincy, membre de l’Académie des inscriptions et belles-lettres et secrétaire perpétuel de l’Académie des beaux-arts, et M. Eméric-David, membre de l’Académie des belles-lettres, ont chacun prononcé un discours au moment de la sépulture ». De’ funerali del Visconti dette questi ragguagli il Millin: « Sa mort a porté le deuil dans l’âme des savans et des artistes: les hommes les plus distingués parmi ceux qui n’appartiennent pas aux deux Académies dont il étoit membre, ont accompagné ses restes au lieu de sa sépulture. On a remarqué au convoi M. le comte Corvetto, qui n’a cessé de donner à M. Visconti les témoignages d’estime et d’intérêt qu’ il méritoit; M. le comte de Sousa, qui vient de consacrer au grand poète son compatriote (le Camoëns) un si beau monument; M. le comte Belderbusch, respectable ami des lettres et de ceux qui les cultivent; M. Collot, un des hommes les plus chers à M. Visconti, comme il l’avoit été à M. Damncourt, et qui, dans des occasions importantes, s’est montré digne d’une pareille amitié; il ni manquoit que M. de Crawfurd, qui n’auroit certainement pas hésité de rendre ce triste devoir à un homme qu’ il aimoit et estimoit tant, si son âge et ses infirmités ne l’avoient retenu ; et M. d’Haute- — 202 — que la vérité sortit de sa bouche ou de celle d’un de ses confrères, pourvu qu’elle triomphait. Ne l’avons-nous pas entendu plus d’une fois, lorsqu 'une démonstration lumineuse venait à le frapper, proférer cet mot, honorable poui lui, glorieux pour les personnes auxquelles il était adressé: Vous m'avez convaincu? Quiconque se livrait aux mêmes études que lui, pouvait compter sui toute sa bienveillance, sur tous ses secours. 11 chérissait autant les savans que la science. La où d’autres deviennent rivaux, il devenait ami. Que dirai-je de son coeur? Comment louer assez cette disposition à un attachement tendre et vif, qui le rendait si précieux à ses proches, si cher à ses amis? Pouvait-on s’entretenir avec lui, ou seulement le voir, sans être touché de cet air de modestie, de cette simplicité, de cette candeur, qui relevaient tant de qualités éminentes? Soit dans sa conversation, soit dans ses écrits, découvrit-on jamais, je ne dis pas le plus léger indice de prétentions ou d’orgueil, mai l’apparence même du sentiment de sa supériorité, opinion qui eût été si légitime ou du moins si perdonable dans un homme en effet si supérieur? C’est que la beauté de son ame égalait la droiture de sa raison et la profondeur de son esprit (1) L’uomo è dipinto al vivo e nel vero. Dell’archeologo disse, parimente sul feretro, il Quatremère de Quincy: M. Visconti sortait à peine du collège, lorsque Winckelmann terminait sa carrière. Un mouvement général entraînait les esprits vers la critique de l’art et de l’antiquité: Herculanum et Pompeia venaient d’être découverts. La grande Grèce reproduisait au jour les monumens de son ancienne gloire. La Sicile, la Grèce, l’Asie mineure, l’Egypte, la Perse, retrouvaient, par les rive, qui a donné tant de soins pour la publication de l’Iconographie; il n’a-voit pas été prévenu à temps: mais, il faut le dire, on n’a vu à cette pompe funèbre aucun de grands du jour, de ceux qui marquent dans ce monde par la puissance, les richesses, ou des titres éminens, aucun d’eux n’est venu honorer la mémoire d’un savant dont tant de cardinaux et de prélats à Rome, de lords et de baronnets en Angleterre, se seroient fait un honneur d’entourer le cercueil; cependant le cortège n’en avoit pas moins de dignité; tous ceux qui en faisoient partie s’y étoient réunis par ce sentiment profond d’admiration que les âmes élevées conçoivent pour les grands talens ». Cfr. millin a. l., Notice sur M. Visconti; negli Annales encyclopédiques, ann. 1818, tom. il, pp. 150-151. (1) Questo discorso venne stampato nel n.° 42 del Moniteur universel 1Ί1 febbraio 1818. David Bertolotti lo voltò in italiano; traduzione che vide la luce nel periodico milanese Lo Spettatore, tom. X [1818], p. 206 e sgg. L’Eméric-David discorse poi con molta bravura della vita e delle opere di Ennio Quirino nella Biographie universelle ancienne et moderne, Paris, chez L. G. Mi-chaud, 1827, tom- XLIX, PP· 251-256. - 203 — recherches des voyageurs, leurs anciennes relations. Les plus antiques idiomes de l’Italie, de la Phénicie, renaissaient sous les doctes et laborieuses interprétations des savans. Rome moderne, cette mine inépuisable de trésors antiques, grâce au zèle des souverains pontifes, semblait redevenir la ville des Césars. Déjà de vives lumières avaient pénétré dans beaucoup de parties de l’ancien domaine des arts. L’esprit de système, ressort trè-puissant des grandes découvertes, avait tenté de recomposer l’édifice de l’antiquité; mais en ce genre, comme en d’autres, cet esprit s’était trop haté. Il est facile de comprendre qu après les célèbres antiquaires qui avaient paru, il y avait encore une grande place a remplir, celle d’un homme qui, après avoir soumis toutes les parties de l’antiquité à une critique partielle, saurait ensuite les coordiner, de manière à redonner à chacune les bases véritable ssur lesquelles on pourrait solidement bâtir. Mais il fallait qu’ un tel homme, initié dès le bas-âge dans les langues savantes, déjà maître à l’époque de la vie oû n’aspire qu’ à devenir élève, eût le loisir de parcourir toutes les sphères de la science; que, pour avoir la facilité de tout lire il eût la faculté de tout comprendre, que, joignant à une mémoire prodigieuse une intelligence subtile et un profond jugement, et combinant avec une rare sagacité les éléments de tant d’études diverses, il sût employer l’intelligence des inscriptions à l’interprétation des textes, l’explication des écrivains à l’illustration des monumens, commenter les médailles par les statues, restaurer les statues à l’aide des médailles, faire servir chaque fragment à la recomposition de tout l’ensemble; que, profondément versé dans la chronologie, il pût, avec ce flambeau, remonter aux sources de l’histoire, interroger la religion, la politique, les moeurs des peuples dont il faut restituer les monumens mythologiques et historiques. Ce portrait, Messieurs, vous le voyez bien, n’a pu être tracé que d’après M. Visconti, et n’est qu’ une trop faible esquisse du grand antiquaire dont on a à déplorer d’autant la perte, qu’ on prévoit moins comment dans ce genre il pourrait avoir un successeur (1). È forza ripetere col Millin : Pour caractériser le mérite de M. Visconti par quelques traits, il suffit de dire qu’ il étoit supérieur dans plusiers genres de connaissances, telles que les langues anciennes, la numismatique, la paléographie et qu’ il les rappor-toit tous à un seul but, t’étude des antiquités. Ainsi quand on lui opposeroit des rivaux dans une de ces parties, où trouver un homme qui, comme lui,les réunît toutes au même degré pour en former un corps de doctrine dans lequel il n’aura jamais d’égal? Au milieu de tant d’idées qui lui présentoit une (1) Questo discorso fu messo alle stampe nel n.° 49 del Moniteur universel il 18 febbraio del 1818. si vaste science, sa critique judicieuse écartoit tout ce qui étoit inutile pour porter sur le point de la question qu’ il traitoit une lumière vive et certaine. J1 composait avec goût, avec exactitude et avec soin et il. écrivoit avec une telle élégance que son style est admiré des Toscans même pour sa pureté et sa delicatesse. Des études si profondes sur des sujets si curieux, donnoient à son entretien le plus vif intérêt : toujours occupé de ses études chéries, on ne le voyoit point s’inquiéter des affaires de ce monde; le sien étoit de son vivant dans les siècles passés, dan le règne idéal, comme il existe aujourd’hui dans la postérité: son autorité fut reconnue par toute la terre, elle devint commesans appel, et presque toutes ses décisions ont été et seront regardées comme des lois. Grave et sérieux dans la société, M. Visconti n’aimoit guère à prendre part qu’ aux questions qui intéressoient les lettres et les arts; cependant il n’étoit point de sujet où la rectitude de son jugement ne se fît apercevoir. M. Visconti étoit simple dans ses habitudes et ses manières, réservé en tout, d’un commerce doux, agréable et facile. Après tant de travaux, il meurt bien peu riche, et laisse une épouse qui lui a consacré les plus tendres soins, et deux fils jeunes, aimables et vertueux. Sans les justes récompenses qu’ ils ont droit attendre d’un gouvernement qui protège si éminemment les lettres (1), ils n’auront recueilli de l’héritage de leur père qu’ un grand nom (2). A Bologna, il 1° gennaio del ’IQ, nell’Accademia del Casino tessè le sue lodi Dionigi Strocchi; fu pianto con una canzone da Giovanni Marchetti (3), con un elogio lapidario da Stefano Antonio Morcelli (4). Anche l’improvvisatore bolognese Ignazio Borzaghi sparse un fiore sul suo (1) 11 re Luigi XVIII, con ordinanza del 9 settembre 1818, assegnò alla vedova del Visconti un’annua pensione di milledugento franchi. Fu essa presentata al Duca di Berry dal Direttore generale de’ Musei, ed il Moniteur universel nell’annunziarlo nel suo n.° 248 (5 settembre 1819) scriveva: « S. A. R. a daigné adresser à Madame Visconti les paroles les plus flatteuses en rappellent, avec un intérêt tout particulier, la mémoire de feu son mari ». (2) Λ*.illin a. L., Notice sur M. Visconti; negli Annales encyclopédiques, ann. 1818, tom. II, pp. 152-153. (3) Discorso di dionigi strocchi e canzone di Giovanni marchetti in onore di Ennio Quirino Visconti, Bologna, 1819. Dalla tipografia Nobili; in-8. di pp. 48. (4) MORCELLI STEPH. antonj, Inscriptiones commentariis subiectis, ctccedunt in hac editione appendix Inscriptionum novissimarum Agapea, Michaelia et Tesserae Paschales, Patavii, typis Seminarii, M. DCCC. XXIII, p. 399. Forma il volume IV delle Opera epigraphica. - 205 — sepolcro (1). A Roma, l’Accaclemia di Archeologia, il 18 febbraio dello stesso anno (2) tenne un’adunanza per onorarne la memoria, e Gio. Gherardo De’ Rossi vi recitò il suo elogio (3). A Firenze non lo scordò la Crusca, alla quale era stato ascritto tra’ soci corrispondenti per comando di Napoleone il 23 gennaio del 1812. L’incarico di encomiarlo toccò all’archeologo Giambattista Zannoni, suo segretario (4). Più anni dopo l’Accaclemia, sempre col pensiero fisso al perduto collega, « autore di tante classiche opere », pregò il socio Angelo Mai di volerlo di nuovo « encomiare »; ma disgraziatamente a quel valentuomo fu « affatto impossibile il trovar ozio per tale lavoro » (5). All’Istituto di Francia, il 20 luglio del 1820 fu commemorato dal Dacier, segretario dell’Accademia delle iscrizioni e belle lettere (6) ; e il 7 novembre dello stesso anno dal Quatremère de Quincy, segretario dell’Accademia di belle arti (7). A spese della famiglia e dell’amico Collot, direttore della Zecca, gli venne eretto un monumento nel cimitero del P. Lachaise (8). Lo di- (1) MAZZONI GUIDO, L’Ottocento, Milano, Vallai di, 1913, p. 426. (2) Non »5 marzo 1818», come erroneamente scrive I’Eméric-David, il quale aggiunge: « Una cerimonia simile ebbe luogo nell’Accademia di S. Luca durante lo stesso mese ». Di questa « cerimonia » neil’Archivio dell’Accademia non ve n’è traccia, nè il Cracas — il giornale di Roma — ne fa parola. (3) Il Giornale Arcadico di Roma nel suo tomo II (aprile-giugno 1819) ricorda ΓElogio « non ancor pubblicato di Ennio Quirino Visconti, socio onorario dell’Accademia di Archeologia, letto nell’adunanza del 18 febbraio [1819] dal cav. Gio. Gherardo De Rossi, socio ordinario della stessa Accademia ». Ignoro se fu poi stampato. In nessuna delle principali Biblioteche romane si trova. (4) Elogio di Ennio Quirino Visconti scritto dall'ab. G. b. zannoni, R. antiquario nella Galleria di Firenze; nù\} Antologia, tom, vi [aprile-giugno 1822], pp. 439-477. Cfr. ZANNONI ü. b., Storia dell1 Accademia della Crusca e rapporti ed elogi editi e inediti detti in varie adunanze solenni della medesima, Firenze, tip. del Giglio, 1848, pp. 138-172. (5) Lettera di Angelo Mai all’ab. Fruttuoso Becchi,, segretario dell’Accademia della Crusca, del 7 settembre 1833. Cfr. benedetto prina, Glorie patrie, Milano, Cogliati, senza anno, p. 74, in nòta. (6) DACIER, Notice historique sur la vie et les ouvrages de M. Visconti; nel Moniteur universel, η.» 220, 7 agosto 1820, pp. 1113-1114. (7) QUATREMÈRE DE QUINCY, E loge historique de M. Visconti; nel Moniteur universel, n.° 321 e 322, 16 e 17 novembre 1820, pp. 1515-1516 e 1520. (8) Cfr. Monuments funéraires choisis dans les cimitières de Paris et des principales villes de France, dessinés, gravés et publiés par L. NORMAND, aîné, Paris, 1832, toni. I, tav. VI. — HENRY jouin, La sculpture dans les cimitières de Paris; nei Nouvelles Archives de l’Art Français, serie III, toin. XIII [1S97], pp. 171-172. — 206 - segnò il figlio Lodovico; l’iscrizione è dell’altro figlio Sigismondo; il busto - a giudizio dell’ Errìéric-David « d’une parfaite ressemblance et d’une belle exécution » — Io scolpì il David d’Angers (1). Il Governo Francese affidò l’incarico allo scultore Agostino Felice Fortin, nepote ed allievo del Lecomte, di fare un busto in marmo di Ennio Quirino, che poi destinò alla città di Nisans (2). Pochi mesi prima di morire, a preghiera di David Bertolotti dettò questo breve cenno autobiografico (3); che è la più bella riprova di quanto fosse, nella sua grandezza, modesto. Nato a Roma avanti il 1756, iniziato dal padre Gio. Battista Visconti, antiquario, negli studi delle antichità e nelle ricerche delle medaglie e d’altri monumenti, Ennio Quirino Visconti contribuì nella sua prima giovinezza alla formazione del Museo Vaticano, sotto Clemente XIV e Pio VI. Questo pontefice voleva introdurlo nella carriera degli onori ecclesiastici, ch’egli non volle percorrere. Nel 1782 pubblicò, sotto il nome di suo padre, il primo tomo del Museo Pio-Clementino, che dopo la morte di lui continuò sotto il suo proprio nome sino al settimo tomo, stampato nel 1808. Fu sotto Pio VI direttore del Museo Capitolino. Ma nel 1798, avendo seduto alcuni mesi nel Direttorio re-pubblicano di Roma, l’anno seguente fu chiamato a Parigi, dove gli pu data la carica di Conservatore del Museo delle Statue che tuttora egli occupa. Poco dopo (1803) fu nominato membro dell’istituto di Francia nelFAccademia di Belle Arti, e l’anno seguente fu eletto a quella delle Iscrizioni e Belle Lettere. Nel 1810 pubblicò a Parigi, in lingua francese, l’Iconografia greca, e presen- (1) Dello scultore David d’Angers così scrisse Ennio Quirino all’amico Gio. Gherardo de’ Rossi, il 6 decembre del 1811: « Ha riportato il premio della scultura; egli ha grandissimo gusto ed abilità e desidera vivamente di far progressi nell’arte e impratichirsi del marmo; pratica così rara fra gli scultori francesi e la cui mancanza riduce la maggior parte di loro a non esser che semplici modellatori ». Lo raccomandò anche per lettera ad Antonio Canova. (2) Cfr. Le Moniteur universel, n.° 191 e n,° 250, 10 luglio e 18 agosto 1818. (3) Questo cenno autobiografico, « scritto di proprio pugno » dal Visconti, vide la luce per cura di David Bertolotti nel periodico milanese Lo Spettatore italiano, ovvero Mescolanze di poesia, di filosofia, di novelle, di letteratura, di teatro, di belle arti e di bibliografia, Milano, presso gli editori A. F. Stella e comp. [dalla Tipografia del Commercio], tom. X [1818], pp. 204-205. Lo ristamparono: Giovanni Labus a pp. 507-509 del vol. II delle Opere varie, italiane e francesi, di ENNIO QUIRINO VISCONTI, Milano, presso Antonio Fortunato Stella e figli, 1829; e A[mbrogio] L[evati] a pp. 287-288 del suo Saggio sulla Storia della Letteratura Italiana nei primi venticinque ami del secolo XIX, Milano, presso Antonio Fortunato Stella e figli, 1831. - 207 — inglese. Reale d Giornal temente prosiegue nello stesso lavoro per 1’ Iconografia romana. Oltre parecchi altri opuscoli italiani, egli è l’autore di quello in cui si spiegano e si traducono in verso sciolto le Iscrizioni Triopee d’Erode Attico (Roma, 1794, in-fol.), come rilevasi da’ Monumenti Gabini (Roma, 1797, in-8.° ). In francese ha composte le descrizioni delle antiche sculture che si contengono nell’opera intitolata Museo Francese, incominciando dalla 39.a distribuzione, e le continua nell’altra intitolata Museo Reale. Nel 1816 sono state stampate a Londra, in lingua francese, alcune sue dissertazioni sui marmi che il conte d’Elgin ha trasportiti d’Atene in Inghilterra, e se n’è fatta ancora una edizione in lingua Oltre varj suoi lavori che si trovano nelle Memorie dell’Accademia :lle Iscrizioni e Belle Lettere, molti articoli di lui sono inseriti nel ’ de’ Letterati, ristabilito l’anno scorso per ordine del Re di Francia. Egli è cavaliere della Légion d’onore, membro straniero delle Accademie Reali di Berlino e di Oottinga, associato a quelle di Vienna, di Vilna, di Monaco ed a pii altre. 1 Il poeta Francesco Gianni, amico suo fin dalla giovinezza, ne fece questo ritratto: Vigor di membra in umile statura, Bruni capegli e grandi occhi lucenti, Tumido labro, ond’escono in lor pura Vena gli antichi ed i moderni accenti; Mente che suole in sua ragion secura Profondarsi tra i secoli già spenti A rintracciare la beltà smarrita Delle arti greche ed a tornarla in vita. La famiglia de’ Visconti, sebbene trapiantata a Roma e divenuta romani, non scordò mai la nativa Vernazza e i suoi vecchi congiunti. Di queii, il capitano Simone di Pietro Rezasco sposò Colomba Pitta-moni della Spezia, la quale PII gennaio del 1764 gli partorì un bambino che il giorno dopo venne battezzato nella chiesa di S. Margherita di Vernazza dall’arciprete e vicario foraneo D. Francesco Maria Calli. Ebbi per comare Laura Maria Centurioni, moglie d’Ippolito D’Oria, po-desti di Vernazza; per compare, Ennio Quirino Visconti; il quale, con atto idi procura, rogato in Roma il 24 decembre del 1763, delegò a rappresitelo il notaro Michelangelo di Giovambattista Redoani. Al neonato vennero imposti i nomi di Pietro Giuseppe Ennio Quirino, e si chiamò Pier Ennio. Riuscì medico valente e fu padre di Giulio, il futuro academico della Crusca. APPENDICI APPENDICE I/ LA LIBRERIA ED I MANOSCRITTI DI ENNIO QUIRINO VISCONTI II 27 novembre del 1818 si leggeva nel n.° 331 del Moniteur universel: «Le 7 décembre prochain commencera, quai Malaquais n.° 1, la vente de la bibliothèque du célèbre Visconti. Cette collection, qui se compose d’auteurs grecs et latins, ainsi que des meilleurs ouvrages d’archéologie, se recommande particulièrement par la conservation et par le choix des éditions ». I suoi manoscritti si conservano, in parte, nella Biblioteca nazionale di Parigi, « ordinat' in diciotto scatole di cartone ». In sei « trovansi i manoscritti italiani e in dodici i francesi. Così degli uni, come degli altri, molti sono già editi ». Camillo Ugoni, che gli esaminò, tra « i più importanti inediti » nota il frammento d’una « Dissertazione sulle Paludi Pontine »; un « articolo intorno all’opinione del Dupuis sulle figure je-roglifiche »; un « articolo sopra un passo storico accennato nell’elegia De coma Berenicis di Catullo »; una « Nota de’ pezzi di scultura conservati in due stanze al piano terreno del palazzo Chigi a Roma »; e un articolo sui cammini degli antichi ». Ricorda inoltre « un lavoro incompiuto del quale il Visconti scrisse appena poche pagine », e che « consiste in note ermeneutiche a diversi luoghi della Bibbia, le più in latino, alcune in francese. Rileva in esse errori ed ommissioni de’ LXX e della — 212 — Volgata; e tra le osservazioni importanti per questi studj e per l’uso che ne poteva trarre all’uopo l’antiquario, è curiosa quella sopra qualche parola ebraica, che, secondo a lui pare, è un manifesto latinismo interpolato nel testo dopo il commercio degl’israeliti per l’Italia; e nota come più mirabile che la stessa voce trovisi inserita anche nel testo Samaritano ». Nota, « tra le lettere autografe, a lui dirette, « quella scrittagli in latino dall’Heyne, ricevuta a Roma nel 1793, alla quale rispose con « una lunga ed elegantissima lettera pur latina ». L’Ugoni, per altro, come dichiara, non tien conto di « un gran numero di scritti « d’antiquaria », che si trovano in quelle diciotto scatole. Questi scritti ,ηοη sfuggirono alla diligenza del dott. Giovanni Labus; il benemerito editore ed illustratore delle opere del Visconti. Ne dà il catalogo, ma però di quelli soltanto che « da’ loro titoli » gli son sembrati « più d’ogni altro curiosi ». Eccolo: 1. « Dissertation suries Noces Aldobrandines »; 2. « Notice sur les armes de la ville de Bénévent »; 3. « Note sur la Mosaïque dite des Colombes »; 4. « Note sur les sculptures découvertes à Egine »; 5. « Lettre sur la statue de Pompée dite de Spada »; 6. « Article sur l’utilité de la culture des Lettres »; 7. Examen d’un camée appartenant à la collection de M. Dedroé »; 8. « Note sur les objects trouvés dans le pretendu tombeau d’Achille »; 9. « Lettres à M. Crawford sur l’antiquité des monnaies »; 10. « Dissertation sur un fragment de marbre du plus ancien style trouvé dans Ia Troade »; 11. « Dissertation sur le Vase Barberini»; 12. « Note sur les Tapisseries du Vatican dites de Raphaël »; 13. « Note sur la statue du Bonus eventus »; 14. « Observations sur le Voyage en Egypte de M. Denon et sur plusieurs Mémoires de M. Jomard concernant la même contrée »; 15 « Notice sur quelques inscriptions grecques et latines trouvé à Ceptis Magna dans l’ancienne province Tripolitaine »; 16. « Note sur les murs Cycio-péens »; 17. «Notice sur l’ouvrage anglais intitulé Herculanensia»; 18- « Description des camées et pierres gravées de M. le major général Hitrow »; 19. « Note sur les Amazones »; 20. « Remarques sur Xénophon, Thucytide, Théophraste, Philostrate »; 21. « Recueil d’inscriptions grecques »; 22. « Recueil d’inscriptions latines »; 23. « Notice historique sur la vie et les ouvrages de J. B. Piranesi ». L’Ugoni, dopo aver ricordato « parecchi sonetti », così finisce il suo elenco: « Una folla di memorie, dissertazioni, cataloghi di più gabinetti, di cammei ed antichi; relazioni, considerazioni intorno ad opere o a - 213 — progetti, iscrizioni, etimologie, ec. ec. trovansi fra i manoscritti italiani e francesi. Vergati da diverse mani, altri forse non appartengono all’autore, altri fui oiio probabilmente fusi in opere sue, altri sono o abbozzati soltanto o incompiuti ». Si augura che « qualche uomo perito di tali materie e veisatissimo nelle opere del Visconti tolga ad esaminarli con diligenza e se cosa v’ha non pubblicata, la pubblichi » (1). (1) UGONI CAMILLO, Della Letteratura italiana nella seconda metà del secolo XVIII, Milano, Bernardoni, 1S58, vol. IV, pp. 113117. APPENDICE II/ L’EDIZIONE MILANESE DELLE OPERE DI ENNIO QUIRINO VISCONTI » Nel 1817, il tipografo Nicolò Bettoni di Brescia mandava alle stampe questo manifesto: Il Museo Pio-Clementino da Ennio Quirino Visconti descritto è opera tale che fu tra le classiche collocata, nè v’ha biblioteca che di possedere non desideri quella raccolta, in cui il diletto all’istruzione è mirabilmente congiunto. Ed infatti si trovano in essa oltre ad ‘ottocento monumenti di antiche statue e bassorilievi, accompagnate da esatte descrizioni con grazia e con finissima critica dettate. Se non che l’aversi voluto seguire dall’editore i consigli di mal inteso tipografico lusso fece sì che quella edizione riuscisse di pesante ed incomoda mole, sette essendo i grossi volumi in grande foglio imperiale. Nè minore difetto alla causa stessa attribuir si deve, ed è che per ciò a ben pochi fu conceduto il far acquisto di quell’opera, il cui prezzo è di circa lire seicento. Di sì ampie pagine non abbisognava sicuramente l’edizione, giacché potevano le incisioni tenersi di minor dimensione, senza che per ciò si scemasse grazia all’intaglio; mentre i veri amatori nei ben disegnati contorni ravvisano abbastanza la bellezza dei monumenti. Su ciò meditando io dopo un cenno che qual lampo di luce mi colpì, fattomi dalla gentilezza dell’illustre archeologo custode e volea dir quasi padre, dell’insigne Gabinetto delle Medaglie dell’imperial regia Zecca, il sig. Gaetano 216 — Cattaneo (1), nacque in me il desiderio di pubblicare con più modeste, ma non meno eleganti forme, quella lodatissima opera. Educato però da lunga esperienza, e risoluto a non intraprendere nuove edizioni senza l’appoggio di associati che garantiscano i mezzi di condurle a sicuro fine, propongo quindi agli amatori delle arti la ristampa del Museo Pio dementino alle seguenti condizioni : Sarà l’edizione in bella forma di ottavo grande, e le tavole saranno intagliate con diligenza e grazia a contorni, come ormai si pratica lodevolmente in opere di simile natura. 11 carattere degli originali si conserverà passabilmente, mentre gl’intagli sono appoggiati a valente disegnatore ed incisore. E reputo di provvedere al comodo di parecchi associati, proponendo di pubblicare ogni mese un fascicolo con dieci tavole e colle corrispondenti descrizioni, e ciò per il primo anno: nel secondo i fascicoli saranno ognuno con quindici tavole ed avranno quindi il prezzo d’un terzo di più fino al compimento dell’opera. Offre il presente prospetto un saggio dell’edizione, per la carta, pei caratteri e per la grazia dell’intaglio. Chi vorrà quindi onorar l’associazione sarà anticipatamente sicuro della natura e del modo d’esecuzione della proposta opera. L’associato non avrà ad esborsare che trenta centesimi per ogni tavola e centesimi venti per ogni foglio di stampa di sedici pagine. I primi cinquecento associati godranno però il beneficio di avere gratis tutti i fogli delle descrizioni, i quali saranno oltre sessanta. Questo vantaggio è ben dovuto a chi fra i primi favorisce e protegge una nascente impresa. L’edizione, che sarà pubblicata in fascicoli, potrà poi essere riunita in sette volumi nella stessa guisa della grande edizione di Roma, e su questo piano sarà eseguita la numerazione delle pagine e delle tavole. La sola importante differenza tra l’una e l’altra edizione sarà a vantaggio, se non erro, della seconda; giacché siccome l’illustre Visconti ha nel settimo volume stese non poche critiche osservazioni e rettificazioni sui giudizi da lui medesimo portati nelle descrizioni dei Monumenti, così collocherò al luogo a cui appartengono quelle erudite emende. Nè ignori l’associato quale sarà il prezzo di tutta l’opera. Saranno circa quattrocento le tavole, e perciò ai primi cinquecento associati l’edizione non costerà che italiane lire centoventi, distribuite però a lire tre ogni mese, e dopo un anno a lire quattro e centesimi cinquanta. (1) Gaetano Cattaneo (1771-1841), amico del Manzoni e del Porta, fondatore e primo conservatore del Gabinetto numismatico, fu in carteggio col Goethe e godè la stima d’altri uomini dotti. 217 — Se il voto, e direi quasi il plauso di coltissime persone può far nutrire speianza di felice successo, io non posso ch’essere grandemente confortato, giacché conforme e favorevole fu il parere di tutti i dotti che ho consultati prima di pubblicare questo tipografico e calcografico invito. Il Bettoni con un altro manifesto, messo fuori il 6 maggio del 1818, nel raccomandar nuovamente l’associazione, ebbe a dichiarare: « Nè a questa impresa colle sole mie forze sarò per dare esecuzione, ma avrò la valida assistenza di un uomo profondamente versato negli archeologici studi ed appassionato loro cultore, di un amico dei Morcelli e dei Borghesi, e sarà questi il sig. Giovanni Labus, bresciano, noto già alla letteraria repubblica per molte sue riputatissime produzioni (1). In lui ho riposta ogni mia fiducia ed arbitrio, ed egli dirigerà co’ suoi lumi la non facile impresa». Con scrittura del 24 giugno dello stesso anno, l’audace editore, « per riordinare i propri affari domestici», cedette ad una società anonima due terze parti del progetto della vagheggiata4ristampa, che potevasi per lui immaginare, ma non già eseguire; assegnando una parte del piezzo «a redimersi dalle funeste conseguenze di alcune cambiali a suo carico ». Gli fu dunque lasciata « la competenza di sedici quarantesimi degli utili, che detratte le spese e ristorati gli sborsi dei soci, risulterebbero in fine dell’opera ». Dopo cinque mesi cedette ai soci « la speranza di quel profitto » ed ottenne dalla « generosità » loro « lire 7468,25 per correspettivo di una proprietà eventuale ed incerta », che doveva emergere dai soli capitali degli azionisti e realizzarsi a tempo lontano ». (1) Giovanni Labus, vissuto dal 10 aprile 1775 al 6 ottobre 1853, negli anni della balda giovinezza compose poesie repubblicane e diresse il Giornale democratico. Costretto nel '99 a pigliare la via dell’esilio, tornò in patria dopo Marengo. Laureatosi in legge a Bologna il 1806, presentò al patrio Ateneo, nell 11, 1 illustrazione del cippo di Lucio Magio Primione, dove mostrò larghezza di dottrina, perspicacia e sicurezza di giudizi. Avuto « l’incarico di dirigere la splendida edizione milanese di tutte le opere » del Visconti, « v’aggiunse tal corredo di prefazioni e di note, che gli meritò, ovunque pervennero i dotti volumi, le più nobili testimonianze ». Son parole del suo biografo Giuseppe Gallia; il quale, nell’enumerare i molti e lodali lavori del Labus, afferma che l’illustrazione del Museo Bresciano, « esser dovea la più nobil corona di tanti studi e il più duraturo vincolo per unire il suo nome alla terra che gli fu culla ». Cfr. Commentari dell'Ateneo di Brescia per gli anni 1858-1861, Brescia, tip. Apollonio, 1862, pp. 324-328. — 218 - La distribuzione de’ fascicoli agli associati si faceva in Milano da Giuseppe Scapin, libraio a S. Margherita, e incominciò nel settembre del 1818. Egli stesso ne dette l’avviso pubblicando sui giornali: 11 primo fascicolo del Museo contiene la dedicatoria del tipografo al cav. Vincenzo Monti; la prefazione degli editori colla quale si rende minuto conto del modo ch’essi terranno nell’eseguire la loro tipografica impresa; le notizie intorno la vita di Ennio Quirino Visconti diligentemente raccolte ed esposte con eleganza dal sig. dott. Gio. Labus; la prefazione dell’autore e la illustrazione di otto tavole che comprendono Giove, Giunone velata, Giunone lattante, Mercurio fanciullo, Mercurio Agoreo, Mercurio detto l’Antinoo di Belvedere e Minerva, oltre il ritratto dell’autore e quello del sommo pontefice Pio VI fondatore del Museo. Il fascicolo poi dell’iconografia Romana contiene la dedicatoria del tipografo a S. A. I. l’Arciduca Raineri viceré del Regno Lombardo-Veneto, la prefazione dell’autore e la illustrazione dei ritratti di Romolo, Tazio, Numa e Anco Marzio colle tavole relative. Credo inutile di avvertire che questa edizione è assistita da abili correttori, e che si eseguisce colla maggiore esattezza possibile e con vero amore dell’arte. Per ciò che riguarda la scienza archeologica è tutta affidata alla gentile compiacenza e alla somma perizia del prelodato sig. dott. Labus, noto abbastanza per le vaste sue cognizioni e più ancora per il caldo suo affetto a questo difficilissimo genere di studi. Le tavole sono egregiamente intagliate dal valente sig. Locatelli colla direzione del rinomato pittore sig. Pelagio Palagi. L’associazione alle condizioni espresse nel prefato manifesto 6 maggio è tuttavia aperta sino al 15 di ottobre. Il prezzo del primo fascicolo del Museo è di lire 7,42 in 4° e di lire 3,46 in 8.° ; quello dell’iconografia romana è di j lire 2,80 in 4.° e di lire 1,15 in 8.° Il primo volume, venuto fuori a fascicoli, ha questo frontespizio: Il Museo \ Pio dementino | illustrato e descritto | da | GIAMBATTISTA ed ENNIO QUIRINO | visconti | Volume I. | Milano | per Nicolò Bettoni [Tipografia DestefanisJ MDCCCXVIII; in-4.0 di pp. XLVII-290, col ritratto di Ennio Quirino disegnato dal Locatelli, inciso in rame da P. Bettoni e P. Becceni e diretto dal Longhi, il ritratto di Pio VI e tavole LI-X e due segnate TB. Nell’antiporta si legge : LE OPERE | Di | ENNIO QUIRINO VISCONTI | — I classe prima | Milano | per Nicolò Bettoni | MDCCCXVIII. Segue la lettera dedicatoria: Al cavaliere | Vincenzo Monti | membro del Reale Istituto Italiano, ec. | il tipografo Nicolò Bettoni, pp. V-VIII ; la Prefazione | degli editori, pp. IX-XVI ; le Notizie | intorno la vita \ di | Ennio Quirino Visconti - 219 - 1 raccolte \ dal dott. GIOVANNI LABUS, pp. XVII-XLVI; e l’elogio lapidario del Morcelli. Contemporaneamente venne fuori l’edizione in lingua francese, e incominciò con la traduzione del Museo Pio-Clementino, fatta dal Sergeant Marceau. Oeuvres \ de | ENNIUS QUIRINUS | VISCONTI. I — I Musèe | Pie-Clémzntin \ Tome Premier [II, III, IV, V, VI, VII] | Milan — Chez I. P. Giegler, Libraire [De l’imprimerie et Fonderie | de Jean-Joseph De-stefanis | à S. Zeno, n.° 534] 1818. [1819, 1820,1820, 1820, 1821, 1822], sette voli. in-4.° Dal libraio Gio. Pietro Giegler è dedicata questa edizione alla Maestà di Massimiliano Giuseppe, re di Baviera, con lettera scritta da Milano il 29 aprile del 1819. Il vol. I è di pp. 362, oltre 4 in principio n. n.; ed è adorno del ritratto dell’autore di facciata, disegnato dal Locatelli ed inciso in rame da P. Bettoni e P. Becceri, sotto la direzione del Longhi. Ha 63 tavole. II vol. II (1819) è di pp. 376, oltre 6 in fine n. n. Ha 66 tavole. Il vol. III (1820) è di pp. 298, con 64 tavole. Il vol. IV (1820) è di pp. 381, con 53 tavole. Il vol. V (1820) è di 383 pp. ed ha 54 tavole. Il vol. VI (1821) è di pp. 300 ed ha 68 tavole. Il voi. VII (1822) è di 270 pp. ed ha 58 tavole. Oeuvres \ de | ennius quirinus | visconti. | — | Iconographie \ romaine | Tome premier | [et Tome l.er Partie 2.e ] | Milan, | Chez I. P. Giegler, Libraire [De l’Imprimerie et Fonderie de Jean-Joseph Destefanis à S. Zeno, n.° 534] | 1818-1819; in-8.° di pp. 456, con 23 tavole. 4 Iconographie \ grecque | ou \ recueil des portraits authentiques | des empereurs, rois, \ et hommes illustres de l’antiquité \ par | en-NlUS QUIRINUS VISCONTI | Tome premier [Tome deuxième, et Tome troisième] Milan | Chez Ì. P. Giegler, Libraire [De l’imprimerie et Fonderie | de Jean-Joseph Destefanis | à S. Zeno n.° 534 | 1824-1826. Tre vol. in-4.° di pp. VIH-448, con XXXVII tavole; di pp. ΧΙΙ-510, con XXIII tavole; e di pp. IV-436 con XVIII tavole. È adorna del ritratto del Visconti disegnato dal Locatelli e inciso da P. Bettoni e P. Becenni, sotto la direzione del Longhi. Le « due separate edizioni, I’una italiana, l’altra francese », usciron fuori « amendue nelle due forme di 4.° e di 8.° ». Gli editori tornarono a dichiarare: — 220 — Questa edizione italiana e francese, prima ed unica che si abbia di un tanto ingegno, non fu già intrapresa per eseguire una libraria speculazione, ma sì da una società di colti e studiosi uomini, che mossi più dall’amore della italiana storia e del vero avanzamento de’ buoni studi e dell’arti ha voluto fare di essa un caro dono all’Italia e all’Europa. Perciò si sono eseguiti gli intagli in rame a contorni, perciò si è ammessa anche la forma in-8.° acciocché minore riuscendo la spesa, ciascuno possa provvedersene e profittarne...... Essa si raccomanda da sè medesima non solamente colla nitidezza della carta, beltà di caratteri, moltiplicità di tavole disegnate ed incise dal valente allievo del cav. Longhi, sig. Locatelli, ma segnatamente per essere diligentemente assistita e diretta per la parte scientifica ed archeologica dall’egregio e celebrato antiquario sig. dott. Giovanni Labus, e per quella dei disegni dal rinomato pittore Pelagio Palagi..... L’associazione è aperta presso la Società Tipografica dei Classici Italiani (Fusi, Stella e C.) in contrada S. Margherita e presso Antonio Tenenti, al prezzo di centesimi 20 ogni foglio di stampa in-8, e di centesimi 30 per ogni tavola. L’edizione in-4.° ha doppio prezzo. I soci « non si determinarono di intraprendere l’edizione, se non col patto espresso e costituente la causa finale del consenso, che il Bettoni si asterrebbe da ogni ingerenza amministrativa ed economica ». Per quanto avesse accettato questo patto, non gli poteva andar giù, e finì con lo sfogare la propria bile nel n.° 227 della Gazzetta di Milano del- 1 anno 1819. Al Sig. Estensore della Gazzetta di Milano gli editori delle Opere del Visconti, risposero con una lettera, in data del 20 agosto di quell’anno, impressa nella tipografia Destefanis. Nell edizione milanese le Opere del Visconti sono spartite in tre classi: I. Museo Pio-Clementino; II. Iconografia Romana e Iconografia Greca; III. Opere varie. Il Brunet nel registrare le Oeuvres diverses, italiennes et françaises d’enn. QUIR. visconti, recueillies et publiées par le docteur JEAN LABUS Milan, Stella, 1827-31, 4 voi. gr. in-8.° fig., pet. in-4.° annota: « Cet excellent recueil forme la 3/ et dernière section des oeuvres de I auteur. Le texte a été revu avec soin par M. Labus; et les gravures sont de Pelagio Palagi ». È utile il farne una minuta e diligente descrizione. Opere varie | italiane e francesi | di | ennio QUIRINO VISCONTI I raccolte e pubblicate per cura \ del dottor | Giovanni labus | vol. I. I Milano | co’ torchi della Società Tip. de’ Classici Italiani | MDCCCXXVII; in-8.° di pp. XVI-362, oltre 6 in fine n. n., contenenti gli indici e l'errata-corrige, con XXI tavole. t — 221 — Oltre la lettera dedicatoria del Labus al conte Paolo Tosi, scritta da Milano il 28 aprile del 1827, e la sua « Prefazione », pp. 1II-XV, contiene: I. - Monumento degli Scipioni; pp. 1-70. II. - Catalogo di monumenti scritti del Museo di Tommaso Jenkins; pp. 71-117. III. - Lettera all’ab. Giuseppe Antonio Guattani sopra un antico vaso marmoreo appartenente al Principe Chigi; pp. 119-121. IV. - Lettera al sig. Tommaso Jenkins sopra un raro frammento d’an- tico intaglio in corniola rappresentante Pallade sul carro di Diomede; pp. 122-124. V. - Lettera all’ab. Paolo Angelini sopra un antico cammeo col ri- tratto di Agrippina giuniore ed un eccellente busto della medesima; pp. 125-131. VI. - Lettera all’ab. Cristoforo Amaduzzi sopra un antico diaspro san- guigno colle teste di Aerato e Sileno; pp. 132-134. VII. - Descrizione di un antico gruppo in marmo rappresentante Ercole e Telefo con la cerva; pp. 135-140. Vili. - Osservazioni su due musaici antichi istoriati; pp. 141-170. IX. - Lettera all’ab. Francesco Cancellieri intorno alla statua di Pa- troclo esistente in Roma e volgarmente detta Pasquino; pp. 171-175. X. - Relazione degli scavi fatti a Roma vecchia presso la Via Appia dal 1789 al 1792i pp. 176-190. XI. - Osservazioni sopra un antico cammeo rappresentante Giove Egioco; pp. 191-209. XII. - Lettera su di un’antica argenteria nuovamente scoperta in Roma a S. E. R.ma Monsig. Della Somaglia, Patriarca Antiocheno, Segretario della Sacra Congregazione de’ Vescovi e Regolari; pp. 210-235. La presente ristampa del Labus è « arricchita d’aggiunte e correzioni inedite dell’autore ». XIII. - Iscrizioni greche Triopee, ora Borghesiane, con versioni ed os- servazioni; pp. 237-362. Opere varie \ italiane e francesi \ di | ennio quirino visconti I raccolte e pubblicate per cara \ del dottor | oiôvanni labus | Vol. II. | Milano | presso Antonio Fortunato Stella e figli [Co’ torchi della So- * — 222 — cietà Tipogr. de’ Classici Italiani] | MDCCCXXIX; in-8.° di pp. XVI-514, oltre 2, in fine, senza numerazione, contenenti l’ìndice delle tavole e l’errata corrige, con XV tavole. Oltre la « Prefazione » del Labus, pp. II1-XV1, contiene: I. - Le pitture di un antico vaso fittile trovato nella Magna Grecia appartenente al principe Stanislao Poniatowski; pp. 1-22. II. - Esposizione delle leggende e dei tipi che osservansi nella me- daglia coniata nel MDCCXCIV per premio dei Signori convittori del nobile Collegio Tolomei di Siena; pp. 23-28. III. - Descrizione di un’antica tromba idraulica; pp. 29-32. IV. - Lettera su d’un antico piombo veliterno scritta all’Em. e R.mo Principe il Sig. Cardinale Stefano Borgia Prefetto della Sacra Congregazione dell’indice; pp. 33-46. V. - Lettera su due monumenti ne’ quali è memoria di Antonia Au- gusta, letta nella seduta della classe di filosofia, lettere ed arti dell’istituto nazionale della Repubblica Romana il dì 13 pratile anno VI [4 giugno 1798]; pp. 47-96. VI. - Lettera al sig. Luigi Lamberti, socio dell’istituto nazionale ita- liano, su due antiche iscrizioni; pp. 97-104. È inedita. Fu scritta a Parigi l’ultimo febbraio del 1806. VII. - Sopra le sedici colonne presso S. Lorenzo in Milano; pp. 105-108. Parere inedito, con la data: « Parigi, 17 decembre 1811 ». VIII. - Esposizione della rappresentanza d’un antico musaico; pp. 109-114. IX· - Osservazioni sul catalogo degli antichi incisori in gemme ; pp. 115-134. Il Millin nella sua Introduction à l’Etiide des Pierres gravées, stampata a Parigi nel 1796, tentò la compilazione d’un catalogo d’incisori in gemme didistribuiti cronologicamente. Queste Osservazioni del Visconti, che sono inedite, riguardano appunto quel catalogo; e di esse fece tesoro il Millin nella nuova edizione della Introduction che uscì alle stampe il 1797. X. - Illustrazione di un gruppo rappresentante Apollo e Giacinto; pp. 135-138. XI. - Descrizione di un gruppo rappresentante la Pace che allatta Pluto bambino; pp. 139-140. È una replica del gruppo, scolpito da Cefisodoto, che si ammirava nella Curia d’Atene, e che allora lo scultore Vincenzo Pacetti stava restituendo alla sua « primiera integrità ». Il breve scritto è inedito. — 223 — XII. - Esposizione deli’ impronte di antiche gemme raccolte per uso di S. E. il sig. Principe D. Agostino Chigi; pp. 141-333. È inedita al pari del Supplemento seguente e del successivo Catalogo. Le relative tavole non furono mai delineate. XIII. - Supplemento alla suddetta Esposizione cavato dall’autografo pa- rigino; pp. 334-371. XIV. - Catalogo delle gemme antiche di S. A. il Sig. Principe Stanislao Poniatowski; pp. 372-386. XV. - Dichiarazione del Tempio dell’Onore e della Virtù; pp. 387-418. XVI. - Illustrazione di una greca scultura posseduta in Venezia dalla Sig. Contessa Marina Donà Grimani; pp. 419-422. XVII. - Emendazioni ed aggiunte al Museo Pio-Clementino; pp. 423-447. Inedite. Il Visconti le inviò il 27 ottobre e il 23 decembre del 17 al libraio fiorentino Giuseppe Molini, che per consiglio dello Schlegel divisava ristampare co’ suoi torchi quell’opera. XVIII.- Riflessioni sulla maniera di tradur Pindaro; pp. 448-457. Della traduzione riporta però soltanto quella delle odi XI e XII con le relative note, omettendo le rimanenti. XIX. - Lezione accademica sulle parole d’Orazio tiec quarta loqui per- sona laboret (Ad Pisones, v. 192), recitata nell’adunanza d’Arcadia al Bosco Parrasio il dì 21 agosto 1785; pp. 458-475. XX. - Alcune lettere di E. Q. Visconti; pp, 477-504. Sono indirizzate all’ab. G. B. Nardi, al cav. Clemente Damiano di Priocca, ad Antonio Riccy, al cav. Vincenzo Monti (1° novembre Ί0 e 25 novembre ’ll), all’arciprete Luigi Nardi, a G. B. Vermiglioli ed a Giuseppe Molini. Tra tutte ascendono a dodici e soltanto quella al Priocca già era stata messa alle stampe. XXI. - Notizie biografiche dell’ab. Stefano Antonio Morcelli; pp. 505-506. XXII. - Notizie biografiche di Ennio Quirino Visconti scritte da lui me- desimo; pp. 507-509. Opere varie \ italiane e francesi \ di | ennio quirino visconti I raccolte e pubblicate per cura | del dottor | Giovanni labus | Voi. III. I Milano | presso Antonio Fortunato Stella e figli [Co’ torchi della Società Tipogr. de’ Classici Italiani] MDCCCXXX ; in-8.° di pp. XXVI-452, oltre 6 in fine n. n. contenenti gli indici e l’errata corrige, con V tavole ed una aggiunta. 9 — 224 - Oltre la « Prefazione » del Labns, pp. I1I-XXVI, contiene: I. - Notice sommaire des deux Zodiaques de Tentyra [Paris, 8 Mai 1801]. Supplément à la Notice précédente [Paris, 11 Août 1802]; pp. 1-10. II. - Note critique sur les sculpteurs grecs qui ont porté le nom de Cléomènes; pp. 11-32. III. - Notice d’une statue égyptienne qui se voit à Saint-Cloud; pp. 33-44. IV. - Notice d’une tête en bronze de Vespasien; pp. 45-46. V. - Sur le costume des statues antiques, lettre au citoyen Denon, membre de la Légion d’honneur, de l’institut national, directeur du Musée Napoléon, de la monnaye des médailles, etc.; pp. 47-62. VI. - Explication d’un bas- relief en l’honneur d’Alexandre-le-Orand ; pp. 63-83. VII. - Mémoire sur des ouvrages de sculpture du Parthénon et de quelques édifices de l’acropole à Athènes; pp. 84-168. VIII. - Mémoire sur une épigramme grecque qui servait d’épitaphe au tombeau des guerriers Athéniens morts devant Potidée; pp. 169-186. IX. - Catalogue raisonné de quelques inscriptions grecques; pp. 187-205. X. - Sur quelques monumens des peuples Américains lettre a M. De Humboldt; pp. 206-214. XI. - Notice historique sur la tapisserie brodée de la Reine Mathiide épouse de Guillaume le Conquérant; pp. 215-226. XII. - Notice sur une inscription trouvée a Autun en 1810; pp. 237-238. XIII. - Observations sur un camée antique représentant la mort de Daphnis; pp. 239-240. XIV. - Observations sur une médaille grecque inédite; pp. 241-247. XV. - Sur deux inscriptions grecques trouvées à Athènes; pp. 248-260. XVI. - Note sur un vase peint apporté de Sicile; pp. 261-267. XVII. - Remarques sur une inscription grecque découverte près d’Athè- nes ; pp. 268-273. XVIII.- Inscription de Cyréties; pp. 274-283. XIX. - Articolo I e II sull’opera: TheAntiquitiesof Athensmeasuredand delineated by James Stuart and Nicholas Revett, painters and architects ; volume thè fourth, London, printed by T. - 225 — Bensley, for James Taylor, High-Holborn, 1816; grand in-fol.; pp. 284-321. XX. - Recensione delle opere: I, Dissertation sur l'inscription grecque IACONOC ΛΊΓΚΙΟΝ, et sur les pierres antiques qui servaient de cachet aux médecins oculistes ; par M. TÔCHON d’Anneci, ec. A Paris, chez L. G. Michaud, 1816; in-4.° de 73 pages, avec 3 planches gravées et une vignette au frontispice. - II. Dissertation sur la mort d’Antiochus VII Éver-gètes, roi de Syrie, sur deux médailles de ce prince et sur un passage du II livre des Machabées, par le même. Ibid., 1815, in-4.° de 72 pages, avec l’appendice, une planche de médailles gravées, l’une sur la vignette du frontispice, l’autre à la tête de l’appendice. - III. Notice sur une médaille de Philippe-Marie Visconti, duc de Milan; par le même. Ibid., 1816, in-4.° de 24 pages, avec une planche gravée; pp. 322-339. XXI. - Recensione delle Opere: I. ΔΙΟΝΥΣΙΟΥ AΑΙΚΑΡΝΑΣΣΕΩΣ ΡΩΜΑΙ ΚΗΣ ΑΡΧΑΙΟΛΟΓΙΑΣ /. .τ. λ. — Dionysii Halicarnassaei Romanarum Antiquitatum pars hactenus desiderata, ope codicum Ambrosianorum, ab Angelo Maio, quantum licuit, restituta, Mediolani, typis regiis, 1816, gr. in-4., édition graeco-latina de 188 pages, outre la dédicace et une dissertation préliminaire de 32 pages. Le texte de l’historien grec est imprimé en caractères majuscules. II. Estratto delle osservazioni sopra la Epitome di Dionisio, etc. Extrait des observations sur l’Epitome de Denys d’Halicarnasse, lues à Florence par le professeur Sébastien Ciampi, dans la séance de l’Athénée italien du 21 septembre 1816, Pisa, 1816, gr. in- 4.", Imprimerie de l’Université, 12 pages; pp. 340-354, XXII. - Recensione delle Emendationes Livianae; scripsit Georg. Ludov. Walchius, D., gymnasii Berolino-Coloniensis professor, Bero-lini, apud G. C. Nauckium, 1815, in-8.° , de 292 pages, outre l’inscription dédicatoire à M. Wolf, l’épitre aux lecteurs, et le fac-simtle de quelques lignes d’un manuscrit; pp. 355-361. XXIII. - Recensione delle opere: I. ΣΙΒΓΑλΣΗ ΛΟΓΟΣ ΙΛ. Sibyllae liber XIV, editore et interprete Angelo Maio, etc. Additur sextus liber et pars octavi cum multa vocum et versuum varietate, Mediolani, Regiis Typis, 1817, in-8., 56 pages. - II. Libri Sibyl- — 226 — listarum veteris Ecclesiae, crisi, quatenus monumenta Christiana sunt, subjecti: disquisitio, auctore Birgero Thorlacio, doct. th. et ph. prof. ling. lat. ord. in Universitate Hauniensi, Hauniae (Copenhague), 1815, in-8., 172 pages; pp· 362-371. XXIV. - Biographie de Cléoetas; pp. 372-373. XXV. - Biographie de Cléomènes; p. 373. XXVI. - Biographie de Fabretti; pp. 374-389. XXVII. - Biographie d’Eglinger; pp. 389-390. XXVIII. - Biographie d’Eckhel ; pp. 390-400. XXIX. - Catalogo della Dattilioteca del sig. Barone De la Turbie; pp. 401-434. Il Labus nello stamparlo dichiara : « Niuno si maravigli se desso è molto diverso da quello pubblicato primieramente a Parigi, poscia a Torino co’ torchi Chirio e Mina. Vedute da noi quelle edizioni, trovammo qualificato in esse conte il Visconti che noi fu mai, premessovi un ristretto istorico sì meschino che indegno ci parve del suo bell’ingegno, e alcune gemme descritte in maniera da non poterglisi onninamente attribuire. Sicché sospetto ne venne che il Catalogo fosse stato interpolato da mano imperita; nè ci siamo ingannati. Imperocché avendo ottenuto per le amichevoli sollecitudini del eh. professore Costanzo Gazzera dalla cortesia del sig. Co. Thaon di S. Andrea, congiunto ed erede del La Turbie, due manoscritti, uno francese, l’altro italiano, sul primo di essi leggemmo Originali deI Visconti, e ci avvedemmo quanto diverse in più luoghi fossero le esposizioni scritte dalle stampate. 11 titolo di questo codicetto è : Catalogue fait par le C. Visconti, membre de ΓInstitut national et conservateur des antiques du Musée; ed ecco la ragione del titolo di Conte originato da quello di cittadino; trovammo oltracciò che di alcune gemme indicate nel libro stampato, non si fa motto nel manoscritto, e che quaranta e più, notate in questo, mancano in quello. Vero è ch’esso non è autografo; è però sparso qui e colà di varie correzioni, che paiono dell’autore; e se desse non sono proprio di lui, abbiam nondimeno per fermo esser questo il Catalogo ch’ei compilò'per far piacere al dotto Barone suo amico. Siccome poi doveva esso unicamente servire di guida a chi osservasse le gemme secondo ch’erano nello scrigno del Barone allogate, cosi credemmo di dar loro, senza punto alterare le frasi e le idee dell’autore, una classificazione conforme a quella ch’egli stesso avea praticata compilando i Cataloghi degl’impronti del principe Chigi e le gemme del principe Poniatowski ». XXX. - Lettre sur un camée antique, représentant Jupiter Capitolin, à Monsieur M/ Taybacher artiste; pp. 435-436. È inedita. Fu scritta da « Paris, le 12 janvier 1815 ». — 227 — XXXI - Mémoire sur une médaille antique des Aulares lu à l’institut par M. Visconti le 26 août MDCCCXIV; pp. 437-452. È inedita. Cfr. il sunto di essa stampato al n.u XIV. Opere varie \ italiane e francesi | di | ennio quirino visconti | raccolte e pubblicate per cara \ del dottor | Giovanni labus | Vol. IV I Milano | presso Antonio Fortunato Stella e figli [Dalla Società Tipografica de’ Classici Italiani] | MDCCCXXXI; in-8.° di pp. XXXVI-706, oltre 4 in fine n. n. contenenti Vindice delle tavole e l'errata corrige, con XXXVIII tavole. Oltre la « Prefazione » del Labus, pp. III-XXXVI, contiene: I. - Descrizioni ed illustrazioni di antichi monumenti del Museo Francese; pp. 1-255. Sono LXIV illustrazioni tolte dal Musée Napoléon e dal Musée Français. II. - Vases antiques d’argile ornés de peintures, de manufacture grec- que, connus par les antiquaires sous le nom de vases étrusques; pp. 256-266. Descrizione estratta dall’opera: Notice des dessins originaux du Musée central des Arts, Paris, an X [1801-1802], part. II, pp. 115-124. III. - Notice des statues, bustes et bas-reliefs de la Galerie des an- tiques du Musée Napoléon ouverte pour la première fois le 18 Brumaire an IX (9 novembre 1800); pp. 267-442. Venne pubblicata a Parigi il 1800 e di nuovo, sempre con notevoli varietà, negli anni 1803, 1808, 1811, 1815 e 1817. 11 Labus ha preso per norma l’edizione del 1811, sembrandogli « la più regolare e compiuta », vi ha aggiunto il supplemento del 1815, allogando nell’appendice « tutto ciò che sparso nelle altre edizioni più degno » gli « parve di osservazione ». IV. - Appendice alla Notizia del Museo Napoleone; pp. 443-540. V. - Alcune lettere di Ennio Quirino Visconti; pp. 541-600. La prima è indirizzata al cav. Dionigi Strocchi; le altre ventiquattro a Gio. Gherardo De’ Rossi. Tra queste, a quella del 13 luglio 1802 è unita la copia d’una lettera di Antonio Canova al Visconti, scritta da Roma il 23 giugno di esso anno. VI. - Versi di Ennio Quirino Visconti raccolti per cura di Pietro Vi- sconti, suo nipote, ed al eh. sig. ab. Don Melchiorre Mis-sirini dedicati; pp. 601-634. Si compongono di XXIII sonetti, che hanno per soggetto: .1-2. Festeggiali dosi la solennità della Vergine del Rosario in Castel Sant’Angelo » ; 3-4. « Per la nascita del primogenito del principe Don Andrea Doria Pamphilj » ; 5· “ Pel' cantatrice » [la sig. Maria Rosa Coccia]; 6. «Per monacazione della sorella Beatrice » ; 7. « Per monacazione dell’altra sorella Matilde » ; 8-9. « Per monaca »; 10. « Per l’esaltazione alla sede pontificale di Clemente XIV»; 11-13. « Per laurea »; 14. « Per le nozze del Duca Mattei colla principessa Corsini »; 15. « Per nozze Marescotti »; 16. « La messa novella »; 17. Per l’assunzione di Maria Vergine »; 18. « Per la statua della Giustizia che Pio VI disegnava far erigere su di un’antica colonna in Montecitorio »; 19-21. « Per la passione di Gesù Cristo »; 22. « Pel solenne possesso di papa Pio VI, la cui solenne pompa passa innanzi, l’anfiteatro Flavio »; 23. « Pel passaggio di Pio VI dal suo soggiorno del Vaticano a quello del Quirinale, dopo essersi ristabilito da lunga malattia ». Seguono tre odi: 1. « Le Muse. Per le nozze Braschi »; 2. « Il Triangolo. Per le nozze Antonelli »; 3. « La gara delle virtù. Per l’esaltazione al pontificato di papa Pio VI ». Vengono poi i « Componimenti poetici per l’arrivo felicissimo in Roma di due Principi illustri », l’imperatore Giuseppe II e il granduca Pietro Leopoldo, suo fratello.-Si compongono di alcune ottave e di due epigrammi in greco, uno de’ quali con la traduzione latina, l’altro con la traduzione in francese. La raccolta si chiude con le « Ottave sul possesso di N. S. Pio VI P. M., dedicate aH’Em.mo e Rev.mo Principe, il sig. Cardinale Gian Carlo Bandi, vescovo d’Imola », VII. - Ecuba, tragedia di Euripide, trasportata in versi italiani da Ennio Quirino Visconti, fanciullo romano; pp. 635-696. Del Labus è la traduzione in italiano dell’ Iconographie Grecque ; V Iconographie Romaine venne voltata in italiano da Stefano Ticozzi. Il Labus curò pure la ristampa delle seguenti opere del Visconti: Museo I Worslejano | Docti rationem artis intelligunt, | indocti voluptatem. | Quint, lib. IX, 4. | Milano | dalla Società tipogr. de’ Classici Italiani | MDCCCXXXIV; in-8." di pp. XL-192, con LXXVII tavole ed una aggiunta ed il ritratto di Sir Riccardo Worsley inciso in rame da Q. Bonatti. La « prefazione del dottor Giovanni Labus » occupa le pp. 1II-XXXV ; la « introduzione premessa alle edizioni di Londra » le pp. XXXVII-XXXIX. Le tavole furono incise da Gaetano Bonatti allievo del cav. Giuseppe Longhi. Dell’edizione in-4. grande, pochi esemplari vennero tirati in carta velina. Il Labus dichiara: « Del Museo Vorslejano... conoscono gli eruditi tre diverse edizioni. La prima di Londra nelle due lingue italiana ed inglese, operata dal Bulmer con tale magnificenza e splendore, che a ragione gareggia colle più insigni d’Europa..... Se merita fede il tipografo che conscio ne fece il Dibdin, ha essa costato l’enorme spesa di ventisettemila steriini. Pochi esemplari ne furono impressi e tutti offerti in dono ad archeologi e personaggi di altissimo affare, il che ne accrebbe la rarità..... La seconda edizione, parimente di Londra, uscì dai torchi del Prowett nel 1824. Essa pure in Ita lia non è comune. Le tavole incise in rame sono le medesime dell’antecedente. La forma è in foglio piccolo, uguale il testo nelle due lingue, nè vi ha diversità che nella parte italiana più copiosa di tipografici errori. La terza, eseguita in Germania per cura dell’architetto Eberhard e di Enrico Schaefer, è intitolata: Museum Worsleyanum, e ine Sammlung von antiken Basreliefs, Biisten, statue n und Gemmen nebst Ansichten aus der Levante. Herausgegeben von HEINRICH WILHELM EBERHARD architect, und HEINRICH SCHAEFER secretar der Grossherzogli-chen Hessischen Hofbibliothek. Leipzig und Darmstadt, Verlag von Cari Wilhelm Leske. Monumenti Gabini | della villa Pinciana | descritti \ da | ennio Quirino visconti | nuovamente pubblicati per cura \ del dottor | Giovanni labus I Milano | dalla Società tipografica de’ Classici italiani | MDCCCXXXV ; in-4.° di pp. X-175, oltre 5, in fine, senza numerazione, con XXII tavole. Nel frontespizio si veggono le rovine di Qabj, incise da G. Bonatti. La Prefazione del Labus occupa le pp. III-X. Monumenti | scelti | Borghesiani | illustrati | da | ENNIO Quirino visconti | nuovamente pubblicati per cura \ del dottor | GIOVANNI labus | I. R. epigrafista di Corte \ socio di varie Accademie scientifiche. letterarie | e di belle arti | Milano | dalla Società Tipogr. de’ Classici Italiani | MDCCCXXXVII; in-4° di pp. XLVIII-315 con XLVI tavole. Ai Monumenti precede: « Prefazione » del Labus, pp. III-XV; « Memoire • d’Ennius Quirinus Visconti sur un vase grec enrichi de peintures et d’inscriptions, apparténant cidevant à la collection de M. Durand, mais depuis 1813 faisant partie de celle du Comte de Pourtalès-Gorgier », pp. XVI-XLV; « Ai lettori, Gio. Gherardo De Rossi e Stefano Piale », pp. XLVI-VLVIII. Fin dall’11 novembre del 1818 Le Moniteur universel di Parigi stampò nel suo n.°315: « On annonce à Milan une édition complète, en italien et en français, des Oeuvres de feu M. Ennio Quirino Visconti, le plus savant antiquaire de nos jours ». Ecco frattanto che, da Pietroburgo, Enrico Carlo Ernesto Kòhler e da Dresda, Carlo Bòttiger colgono il — 230 - pretesto di questa nuova edizione per fare strazio della fama e del nome del sommo archeologo italiano. Non si ricordava il Kòhler d’aver scritto ad Ennio Quirino il 18 settembre del 1807: « J’ai l’honneur de vous présenter par un des mes amis, le docteur Labant, qui part dans ce moment pour Paris, un petit ouvrage que j’ai écrit à la hâte immédiatement après mon retour du voyage de la Crimée. Si le plus grand des antiquaires de notre tems, y trouvera beaucoup de méprises, il excusera» je l’espère, la liberté que j’ai prise de le lui offrir, à cause de la rareté et du mérite du monument que j’ai assayé d’expliquer ». Non si ricordava il Bòttiger, consigliere di corte e direttore de’ paggi della M. del Re di Sassonia, d’avergli scritto il 30 ottobre del 1809: « 11 y a vingt ans que je profite de vos leçons en fait de archéologie, que je vous cite et que je me fais fort de votre opinion, si par hazard nous nous ren. contrerons dans nos recherches ». De’ due stranieri raccolse avido e compiacente il fango e il veleno un periodico milanese, ispirato e pagato dall’Austria (1). Al sig. Giuseppe Acerbi, direttore della Biblioteca italiana, non mancarono di rispondere, con molta serenità, Gli editori milanesi delle Opere di Ennio Quirino Visconti. Avendo però ricordato « il chiarissimo sig. Labus, letterato noto abbastanza pel suo sapere antiquario », l’Acerbi volle sfogare la propria perfidia, replicando: « Temiamo forte per l’onore dell’edizione e degli editori che il sig. Labus, senza sapere jota di greco, senza aver veduti mai i monumenti originali de’ quali parla il Visconti, ignaro affatto delle arti del disegno, limitato alla parte più sterile dell’archeologia, cioè alla lapidaria, non potrà solo bastare al promesso lavoro, e quindi auguriamo agli editori altri sussidi, de’ quali non manca questa dotta e grande città. Non bisognerebbe neppure ignorare nulla di ciò che fu scritto a confutazione delle opere del Visconti in Inghilterra e in (1) Sopra la nuova edizione delle opere e degli scritti di \Ennio Quirino Visconti [Introduzione del sig. consigliere bòttiger, e Dissertazione del sig. consigliere KÒHLER/; nella Biblioteca Italiana o sia Giornale di letteratura, scienze ed arti, compilato da varj letterati, tom. XXIV, ann. VI, ottobre, novembre e dicembre 1821; pp. 103-115 e 254-259. La Biblioteca Italiana ^tom. XXIII, p. 259] già aveva espresso il desiderio che fosse data « una esatta versione nella nostra lingua » dell’articolo del Khòler « sulla nuova edizione delle opere del Visconti, ove gli editori di Milano troverebbero qualche utile avvertimento! ». — 231 — Germania, e disgraziatamente il sig. Labus ignora anche le due lingue inglese e tedesca » (i). L’edizione, curata dal Labus con amore pari al sapere, incontrò il plauso unanime de’ dotti, a marcio dispetto del venduto gazzettiere dell’Austria. 11 Kohler era venuto di fresco in Italia mostrando di viaggiare per la nostra penisola, come ebbe a dirgli Salvatore Betti, « con quel talento medesimo con che altri viaggia presentemente ne’ deserti d’Egitto e per le rovesciate città della Grecia. E dileggiò in mille guise le condizioni di nostre lettere: senza però che niuno fra noi volesse chinarsi mai a rispondergli altro che quel verso del Lasca: Oh mondo ladro! Or ve’ chi se l’allaccia! Di che non è a scrivere s’ei tutto avvampasse d’ira. E però a ferirci più al dritto, anzi a portarci quasi in mezzo al cuore il coltello, subito si gittò fieramente sul nome e le opere del Visconti, pensando che maggior lume e sostegno non avesse l’italiano sapere. E forse pensava il vero. Ma contro al supremo Agamennone non si voleva provare altra spada che quella d’un Ettore e d’un Achille; e ben doveva il Kohler considerare che alla compagnia di quel sommo stavano ancora tali Ajaci, che senza molto sudare avrebbero potuto fargli alle schiene quello che fece Ulisse al ciarlatore Tersite ». Oltre il Betti, scesero in campo a difesa deU’oltraggiato Visconti lo Zannoni, l’Ugoni e altri de’ ^nostri. Gli fu gridato sulla faccia: « Noi siamo stanchi oggimai di tollerare in silenzio che si abusi più oltre la religione del nostro ospizio e che si gettino le italiane rose sul braco » (2). Due altre opere del Visconti vider la luce a Milano; alle quali però non prestò le sue cure il Labus. Sono: Il I Museo Capitolino | illustrato | da M. bottari, N. foggini | con osservazioni ricavate dalle opere di winckelmann e di E. Q. VISCONTI | e con le tavole disegnate ed incise \ da | A. LOCATELLI | Tomo I [-III], Milano | Tipografia De Stefanis a S. Zeno | MDCCCXIX [MDCCCXX e MDCCCXXI], tre tomi in-8.° di pp. XVI-206; 2. n. n. 224; 460. 11 tom. I è adorno del ritratto di monsig. Bottari, disegnato e inciso dal Locatelli e, da XC tavole; il II. è accompagnato da D tavole, e il' III. da XCII. Il busto di Giove sta in fronte al lì. di questi tomi; all’ultimo.il Prospetto del (1) Biblioteca Italiana, tomo suddetto, pp. 416-420. (2) Giornale Arcadico di scienze, lettere ed arti, tom. XVI [1822], pp 269-279^ — 232 — cortile del palazzo in cui si conserva il Museo Capitolino. L’editore dichiara : « Credetti opportuna cosa » riprodurre « colle stampe, e nel formato di ottavo, essendo questo il più comodo ed anche il meno dispendioso » la Descrizione del Museo Capitolino, « pubblicata in Roma da M. Bottari e da N. Foggini, in quattro volumi in foglio, e con n. 400 tavole in rame; opera che per la scarsezza degli esemplari è ai nostri giorni di acquisto difficile ». Soggiunge: « Siccome poi colla pubblicazione delle varie opere di Winckelmann e di E. Q. Visconti l’archeologia ha fatto grandissimi progressi, e nuova e non dubbia lucè si sparse sopra vari monumenti di questo Museo medesimo, o non interpretati, o non sufficientemente illustrati; così ho pensato che sarebbe, cosa grata agli eruditi l’aggiungere alle spiegazioni di Bottari e di Foggini anche le relative più interessanti osservazioni, dei due sopracitati insigni archeologi. L’incarico di tutte raccogliere queste osservazioni che sparse trovansi nelle opere di Winckelmann e di Visconti, fu vivamente assunto dal sig. dott. C. Zardetti, aggiunto al Direttore dell’l. R. Gabinetto Numismatico di questa capitale. Egli avrà cura di compilarle colla maggior brevità e colla più scrupolosa precisione, in modo da conservare le parole stesse originali, ogni qual volta ciò gli sarà possibile, e citando sempre l’opera dalla quale furono ricavate. Ciascuna di esse verrà collocata subito dopo la descrizione del monumento al quale si riferisce, e così lo studioso potrà con facilità istituire un confronto fra le dotte spiegazioni degli illustratori del Museo colle nuove riflessioni dei due soprallodati antiquari ». Due discorsi \ inediti | di | ennio QUIRINO visconti | con alcune sue lettere \ e con altre a lui scritte | che ora per la prima volta I vengono pubblicate \ In Milano | per Giovanni Resnati [Tip. Ronchetti e Ferreri] | MDCCCXLI; in-8.° di pp. VI-160. De’ due discorsi uno è intitolato: « Paragone fra l’Antigone, tragedia di Sofocle, e quella di Vittorio Alfieri », pp. 1-23; l’altro: « Stato attuale della Romana letteratura (1785) », pp. 25-48. Quattro sono le « Lettere di Ennio Quirino Visconti », pp. 49-60. La prima è indirizzata all’ab. Gio. Girolamo Carli; le altre tre ad Antonio Canova. Seguono le « Lettere di alcuni uomini illustri ad E. Q. Visconti », pp. 61-158. Ecco l’elenco di chi le scrisse: Andres Giovanni, Bossi Giuseppe, Bòttiger Carlo, Canova Antonio, Cicognara Leopoldo, Coray Adamanzio, Daunau Pietro Claudio Francesco, Delambre Giambattista Giuseppe, Denon Domenico Vivante, De Rossi Gio. Gherardo, Gianni Francesco, Heyne Cristiano Gottiieb, Koehler (De) Enrico Carlo Ernesto, Lamberti Luigi, Lanzi Luigi, Larcher P. Enrico, Mai Angelo, Marescalchi Ferdinando, Marini Gaetano, Monti Vincenzo, Puccini Tommaso, Schweighauser Giovanni, Schweighauser Gio. Goffredo, Strocchi Dionigi, Visconti Filippo Aurelio, Zan-noni Giambattista. Le pp. II1-V contengono l’avvertenza del libraio Resnati. - 233 - Parecchie altre lettere del Visconti videro in seguito la luce. Do l’elenco di quelle che sono a mia notizia: [Lettere inedite]; nel Giornale Arcadico, di Roma, tom. LI [1831], pp. 305-310. Le pubblicò monsig. Carlo Emanuele Muzzarelli. Sono indirizzate al cav. Dionigi Strocchi, 14 Settembre 1791; all’avv. Filippo Maria Renazzi, 4 maggio 1805; e al fratello Filippo Aurelio, 25 luglio 1813 e 7 decembre 1817. [Lettere a Dionigi Strocchi]; nelle Lettere \ edite ed inedite | del cavaliere | dionigi strocchi | ed altre inedite a lui scritte | da uomini illustri I raccolte e annotate | a cura di | Giovanni ghinassi | Faenza | dalla tipografia di Pietro Conti | 1868; vol. II, pp. 11-13, 21-23, 25-26, 27, 29-30, 44-48, 49-50, 51-53 e 236-237. Sono nove e furono scritte da Roma il 14 settembre 1791 e il 6 settembre ’94, da Grotta Ferrata il 7 giugno ’97, da Roma il 5 agosto ’97 e il 2 fiorile anno VI [21 aprile 1798], da Parigi il 12 fruttidoro anno VIII [30 agosto 1800], verso la metà di maggio 1805, giugno o luglio 1805, e 9 novembre 1806. Alla diligenza del Ghinassi sfuggì la lettera di Ennio Quirino allo Strocchi, scritta da Parigi 1’ 11 gennaio 1806 e stampata dal dott. Giovanni Labus a pp. 543-544 del vol. IV delle Opere varie dell’insigne archeologo. Nel vol. I, pp. 78-79, 80, 83-84 e 87-90, il Ghinassi pubblica quattro lettere dello Strocchi al Visconti, scritte da Milano il 31 maggio 1805, da Faenza il 30 agosto 1805, da Milano il 16 giugno 1808 e da Faenza nell’aprile 1812. [Lettera al marchese Cesare Lucchesini, Roma, 24 febbraio 1787]; nelle Lettere inedite d’illustri italiani a Cesare Lucchesini, In Lucca, dalla tip. Landi, 1869, pp. 7-8. Pregato dal principe Sigismondo Chigi, il Visconti fece copiare le poesie del Fatinelli e dell’Orbicciani per conto del marchese Cesare Lucchesini, allora giovanissimo; del quale molto si riprometteva, portando un cognome « già chiaro nella nostra letteratura ». [Lettera a Giovanni Fantoni, cognominato Labindo, segretario del-l’Accademia Eugeniana di Carrara, Parigi, 25 decembre 1806]; negli Atti della R. Accademia di Belle Arti di Carrara, preceduti da un sunto storico della stessa Accademia e da altri componimenti nella solennità del suo primo centenario del 26 settembre 1869, Carrara, Stab. tip. il Car-rione, 1869, pp. 53-54. Ringrazia d’essere stato fatto socio dell’Accademia e finisce: « Vi prego..^ — 234 — di gradire in particolare que’ sentimenti d’amicizia e di stima, che già tempo in Roma vi dedicai ». [Lettera al cav. Gabriello Grimaldi, segretario deH’Accademia Napoleone di Lueca]. Cfr. ANGELO BERTACCHI, Storia dell’Accademia Lucchese; nelle Memorie e documenti per servire alla storia di Lucca, tom. XIII, part. I [Lucca, Giusti, 18 pp. p. 282. A proposta d’Elisa Baciocchi, principessa di Lucca e Piombino, il 4 gennaio del 1806 era stato eletto socio corrispondente dell’Accademia Napoleone. I INDICE Avvertenza Introduzione Capitolo I. » II. » III. » IV. » V. » VI. » VII. » Vili. » IX. » X. .Appendice I. II. Pag. 5 » 9 » 23 » 37 » 61 » 85 » 93 » 115 » 133 » 167 » 189 » 199 » 211 » 215 N - ' -, ■ i ' Js V ·■ - ■ * . !■ ■^'·;··..· :/· h- ' -v · ■ '" r/ . ' '% " , , : ,· . r'$yp§ ' ‘'Τ·Ύ ' " ,v Î. -ί~ V.'> . :■ : .t - '■,· -"^‘ί ·■' S'r,, . 'i:·· :■ ■; *ί·. V .·.·· . -i—-- Trovasi sotto stampa il vol. LII degli Atti contenente materie sto -rico-geografico-topografiche, da pubblicare in occasione del Congresso nazionale geografico che avrà luogo in Genova nell’ aprile del 1924. Esso comprende, fra gli altri, i seguenti articoli : 1. - P. Accame - La Via Aurelia nell’ Ingaunia orientale. 2. - Adolfo Airenti - Sulla Stazione romana del « Lucus Bormani ». 3. - Arturo Ferretto - Giovanni Mauro di Carignano, Rettore di S. Marco, cartografo e scrittore (1291-1329). 4. - Arturo Ferretto - / Cartografi Maggiolo, oriundi di Rapallo. 5. - Filippo NOberasco - La geografia nei più antichi scrittori sa- vonesi. 6. - Luigi Volpicella - / panorami antichi di Genova. 7. - Luigi Volpicella - La planimetria del Palazzo ducale di Genova nell'anno 1729. ' LAVORI IN PREPARAZIONE 1. - La guerra del Finale (1447-1452); per il socio Emilio Marengo. 2. - La circolazione della moneta genovese e i suoi valori nei primi secoli in relazione colle valute degli altri popoli commercianti ; per il socio Pier Francesco Casaretto. 3. - Miscellanea storica. 4. - L’Emigrazione politica in Genova dal 1848 al 1860; per il socio Francesco Poggi. (Serie del Risorgimento).