L. ' ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME X. - FASCICOLO I. Ii GENOVA TIPOGRAFI K DEL R. I. DK SORDO-MUTl «dooclxxiv t ATTI • DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME X. GENOVA TIP. DEL R. I. DE’ SORDO-MUTI MDCCCLXXIV. IL PALAZZO DEL PRINCIPE D’ORIA A FASSOLO IN GENOVA ILLUSTRAZIONI DI ANTONIO MERLI % CONTINUATE DA L. T. BELGRANO c illustrazioni del Palazzo D’Oria a Fas- \ solo, che formano il subbietto di queste pagine, derivano la origine da un grave pericolo, onde, volge ora appunto un decennio, parve minacciata l’esistenza dello insigne edificio. Di tal pericolo informava la Società Ligure di Storia Patria il cav. Giuseppe Banchero, cultore assiduo delle patrie memorie mancato ai vivi in età ancor vegeta nei principii dell’anno corrente; e nel tempo stesso invocava le sollecitudini del nostro Istituto con una lettera piena di nobilissimi sensi, diretta al Presidente in data 20 luglio 1864. » Veggo dapertutto in Italia (così scriveva) farsi alta — Vili — ed intesa la voce che chiama i Municìpi ad innalzar monumenti agli uomini sommi che vi ebbero vita. Giusto e pietoso ricordo, che i presenti hanno delle antiche virtù. Che se in noi questo germe di riconoscenza non é mancato od isterilito, non dispero che sia per divenire rigoglioso e fruttifero, trattandosi di procurare la conservazione di antichissimi monumenti liguri, che sono pur glorie italiane. » So di certo che stanno in grave pericolo di demolizione due dei nostri più insigni monumenti storici: l’avancorpo del Palazzo delle Compere di san Giorgio - e quello del Principe Andrea D’Oria. Il primo per lo slargamento di Via Carlo Alberto ; il secondo per l’impianto di una nuova stazione ferroviaria. » In quanto al primo, se il commercio ha rigorosamente bisogno di quello spazio, già sono anni molti si additò il mezzo di conservare la facciata di quel famoso monumento facendo per essa quel che si è fatto pel Palazzo Mari da San Lorenzo (i). Relativamente poi al secondo, non sappiamo a vero dire trovar la necessità (r) Il Palazzo già De Mari e Negrone, ed oggi Elena, che sorge al destro fianco del Duomo, è costrutto sui disegni di Vincenzo Scamozzi. Sporgendo sul tracciato della strada Carlo Alberto, or San Lorenzo, venne per l’apertura di questa via in parte abbattuto; poi cogli antichi marmi se ne rinnovò la facciata, benché (come rileva il eh. Alizeri, Guida Artistica, I. 75) non in tutto si pensasse a conservare scrupolosamente le linee e le membra quali si vedeano - — IX . di occupare quel Palazzo e giardino per impiantarvi una nuova stazione, dopo i tanti progetti posti in campo e qualcuno generalmente applaudito. Certo che dal lato economico non vi può esser vantaggio; dunque altra mira non vi può essere che la distruzione di una gloria genovese, che, ripeto, é pur gloria italiana. » Nell’ indirizzare questa mia lettera alla S. V. . . , ho intendimento di pregarla a volere adunare la Società Ligure di Storia Patria, affinché dia vita con qualche pubblico atto alla pubblica opinione, e svegliati gl’ ingegni potenti che in sé modestamente racchiude, possano collettivamente ed individualmente far argine a tanto impeto di barbarico vandalismo ». Accoglieva la Società lo invito del cav. Banchero, e vivamente applaudendolo nella tornata generale del 14 agosto, deliberava una rappresentanza al iMinistero dei lavori pubblici per impedire che il deplorato disegno riportasse l’approvazione governativa. La rappresentanza, dettata all’ uopo dal cav. Federigo Alizeri, stringeva in breve la storia del monumento; e per l’innanzi. Riferendo qui la lettera del Banchero il quale suggerirebbe un simile temperamento (e poniam pure più scrupolosamente adottato) rispetto alla fronte del Palazzo di san Giorgio, noi facciamo le nostre più ampie riserve, giacché non è questo il luogo di entrare giudici in una così grave e spinosa questione, e molto meno di deciderla con brevi parole. dichiarati i pregi artistici pei quali rifulge, notava come dall epoca del suo innalzameuto fino a di nostri « corsero in Palazzo D’Oria gli artefici ad iniziarsi su quei prodigi d ingegno, gl’ incisori a riprodurli coll’ intaglio, gli alunni delle Accademie a gareggiare di copia »; e come eziandio « da quell’ epoca e da quegli esempi ordirono gli scrittori la nuova età delle arti in Liguria e la successione dei nostri maestri ». Concludeva perciò dimostrando che « lo stendere la mano sul Palazzo dei D Oria tanto varrebbe come ad ispegnere l’unico lume alla Storia delle arti, 1’ unico esempio della Scuola Romana in Genova, il massimo tra i monumenti della pri-^ata magnificenza, ed uno de’ più splendidi saggi del-1 arte italiana ». Era siffatta istanza calorosamente raccomandata presso il citato Dicastero dall’ Onorevole Signor Ministro per la Pubblica Istruzione. Il quale, non tenendosi pago agli affidamenti portigli, che la divisata stazione non estendendosi ad occupare il Palazzo conterrebbesi nei limiti del giardino, replicava saggiamente avvertendo « come 1 uno e 1 altro sieno un tutto insieme d’importanza inseparabile. È veramente a desiderare (cosi proseguiva) che la nuova età, non potendo rinnovarli, si mostri almeno ossequiosa ai monumenti dell’ antica grandezza. E questo come documento di civiltà superiore a qualsivo- — XI — glia utilità materiale, io raccomando quanto so e posso a cotesto Ministero nel quale mi affido » (i). Nobili e generose parole, le quali non mancarono di produrre quegli effetti che appunto erano nei voti della Società Ligure e di quanti con essa hanno a cuore il culto dei più grandi ricordi della patria. Nè il Palazzo né il giardino furono tocchi; né d’allora in poi si videro fatti" segno a nuove minaccie. La Società aveva intanto preso a considerare come a rendere più generalmente note le precipue bellezze del nostro monumento, e per ciò stesso a farle meglio rispettate , gioverebbe non poco una monografia da pubblicarsi negli lAtti; ed a tale intendimento prestava singoiar favore la munificenza dell’ attuai Principe Andrea V, il quale metteva a disposizione della Società medesima la egregia somma di Lire Millecinquecento, per sopperire ad una parte delle spese che si dovrebbero sostenere. Parve da principio buon consiglio che all’opera si attendesse da una Commissione di quattro membri, fra i quali si ripartisse la compilazione delle notizie storiche e quella delle illustrazioni che alle tre arti si riferiscono. Ma in processo di tempo si ravvisò che tal fatta lavori avrebbero potuto assai malagevolmente ridursi alla (i) Ved. le lettere de’ Ministeri dell’istruzione e dei Lavori Pubblici, inserite nel voi III degli a del Satiro. I loggiati a mare, zato a Citerin ^ in Spagna Carlo Emanuele di Savoia fidan- supnelletili A * ■ ?Stm' R‘conduce gli Sposi in Italia. Va a Torino. Nuove Palazzo Hi 6 nU°Ve decorazioni- La chiesa di san Benedetto. Il di Nnstn n r U 1 i M°Va‘ ^ ^ndo di Loano. Il Palazzo di Pegli e la chiesa pubblico. Sua^norte. C ^Munificenza e liberalità del Principe verso il er questo tempo (1560) Giovanni Andrea D Oria si trovava lontano da Genova, trattenuto tuttora nella sfortunata impresa di Tripoli, in occasione della quale era stato investito dallo Zio del grado i suo luogotenente e capo delle galere ai servigi del Re. Per tale circostanza fu differita la celebrazione dei funerali solenni decretati dal Senato in onore di Andrea medesimo, a quali trovavasi conveniente che intervenisse il di lui successore; come.v’intervenne di fatto giunto che — 47 — fu in città (i). Ma per allora niuna operazione venne intrapresa, in adempimento delle disposizioni testamentarie del Principe riguardanti il nipote. Il rispetto verso 1’ illustre Defunto suggeriva che nulla s’innovasse durante 1’ intero anno di lutto ; e così fu solamente dopo di questo tempo che Giovanni Andrea, munitosi del decreto di emancipazione concedutogli dalla Signoria il 18 luglio 1561, mentr’ei non contava per anco 22 anni, potè andare al possesso de’ beni, ed essere investito di tutti i titoli e diritti onde già aveva goduto Andrea il Grande. Marito dal 1558 a Zenobia Del Carretto, aveva il giovine Principe abbandonato a questa pia Donna ogni pensiero dell’ amministrazione della Casa ; alla quale egli mirava allora molto meno di quello che a rassodare la sua posizione presso la Corte di Spagna. Fu quindi per ordine della Principessa e nell’ assenza di Giovanni Andrea, che volgendo il 1566 si diede principio, sotto la direzione di un Antonio Roderio (2), alla fabbrica (1) Ved. Casoni, *Annali ecc., III. 145. Nel codice ‘Diversorum Cancellariae dell’Archivio di Stato, X. 1230, per l’anno 1560, si ha questa nota: Die VII decembris. Nota quod hodie facta fuere funeralia Ill.m0 Andree Doria principi Melfi inclite recordationis in sancto Laurentie, quibus astiterunt utrumque Collegium. Locus eorum fuit in Sancta Sanctorum Chori; a parte dextra Ill.ma Dominatio, a sinistris vero Spectabiles Procuratores. In media autem testudine templi fuit erecta piramis circumsepta cereis tam a parte superiori quam inferiori; contra quam in banca Communis erant sedentes propinqui prefati Ill.mi Principis lugubri vestiti indumento; in quatuor capitibus piramidis et seu mortorii quatuor deputati super funerales , lugubribus vestibus induti. Episedia vero legit magnificus Thomas Centurio-nns olim de Calatiis phisicus, in sugestu parato sub pinaculo et seu tiburio templi. (2) Cartulario delle spese pel 1564-66, pag. 196, sotto il 2 agosto 1566: « A maestro Antonio Roddè per scuti cinquanta d’oro in oro havuti per polizza della Signora, ... a bon conto di sua mercede della fabrica . . . , valeno lire 191. 13. 4 ». di certe stanze d’aggiunta al palazzo verso li giardino di ponente ; per le quali un Pier Maria di Lancio lavorava le cornici in pietra nera. Sopravveniva intanto il 1570 con commissione di Spagna, da parte dello stesso Principe, di una grandiosa fontana in marmo, la cui esecuzione era affidata a quel Battista da Crema che nel 1567 aveva scolpita la statua di Battista Grimaldo per la gran sala del Palazzo delle Compere di san Giorgio (1). Similmente veniva commesso all’ opera del pittore Marcantonio da Urbino il ritratto di certo D. Florestano, che fu poi mandato al Principe in sull’aprirsi del 1571 (2). In questo mentre attendeva il D’Oria con vivissima sollecitudine alla ultimazione di due galere, che si andavano costruendo sulla spiaggia di San Pier d’Arena: le quali rimasero compiute in quattordici mesi, e furono varate nella primavera del 15 71. Chiamavansi la Sirena e la Capitana nova, a somiglianza e certo in sostituzione d’altri due legni d’eguali nomi eh’ erano stati costrutti negli ultimi tempi della vita di Andrea il vecchio (3). (1) Cart. 1570, pag. 53, in data del 1.3 gennaio 1570: « Per scudi ducento cinquanta d’oro in oro pagati da Antonio Vernaccia in virtù di lettere di Sua Signoria Ill.ma et poliza del signor Lazero Grimaldo a Batista da Crema, a conto della fonte . . ., valeno lire 994. 15. 10 ». Allo stesso artefice si pagano quindi altre lire 400 il 17 aprile successivo (Cart. cit., pag. 90); ma la somma che egli ritrasse in totale dal suo lavoro non può rilevarsi, perchè manca il seguito delle scritture. Ben si conosce che i marmi componenti la fontana, riposti in trentasette casse, furono mandati in Spagna nel 1571 (Cart. 1571-72, pag. 58). (2) Cart. cit., pag. 142, sotto il 31 agosto 1570. « Per scuti dieci d’oro in oro pagati ... a messer Marcantonio da Urbino per un ritratto da lui fatto di D. Florestan et mandato al Signore, valeno lire 40 ». (3) Ved. a pag. 41, nota 1. — 49 — Gran divario però correva tra di essi: in quanto che mentre la Sirena, costrutta da un Andrea Verde, era stata ultimata colla massima semplicità, la Capitana nova, per la quale il Principe si era commesso nell’opera del maestro Damiano d’Auri, vedeasi addobbata con regale magnificenza. Avea la poppa ornata di ricchi intagli da Gaspare Forlano di Lucca (i); e questa, nonché la camera, lo scandolaro e lo scagno venian dorati e dipinti da Lazzaro Calvo (2). Al quale vuoisi pure attribuire la invenzione dello storico fanale, eh’ era foggiato a guisa di mappamondo, coi coluri e lo zodiaco dorato, e che il Principe avea fatto eseguire con ispecial cura da abili artefici (3). Aveanvi pure altri due fanali ornati con intagli, e tra questi uno scudo ed una figura di fenice, (1) Cart. 1571-72, pag. 29, sotto il 29 giugno 1571. « Gasparo Lucchese ha haver in la sua mercede delli infrascritti lavori fatti per la Galea Capitana: doi mostri grandi, quattro tavolette di qua et di là dalli mostri, doe maschere sotto li mostri, quattro modioni della bancata di poppa, quattro mostri piccoli, tre storiette di meza poppa, doi draghi, quattro termini in la estremità della poppa, scuti 74 d’oro in oro, valeno lire 296 ». (2) Cart. cit., pag. 68, 16 agosto 1571. « Maestro Lazero Calvo dipintore ... ha havere . . . nel precio di doratura (e) pittura della camera, scandolaro, scagno, poppa, bandiere et diversi altri lavori fatti e fatti fare per la detta Galea (Capitana) . . . , scuti 617 d’oro in oro et soldi 35 di moneta, valeno lire 2469. 15. o ». (3) Cart. cit., pag. 72, sotto il 24 giugno 1571. « Per maestro Tomaso dell’isola, per manifatura et spesa della sfera fatta per fanale alla Galea Capitana, . . . scuti 24 d’oro in oro, valeno lire 100 ». Ibid. « E più li 26, per maestro Alberico de Pioti, per ramo dato a maestro Tomaso dell’ìsola, per il Globbo della Capitana . . . , e manifattura (della) copoletta di detto globbo . . . , lire 46. 13. o ». I cristalli poi per lo stesso globo, forniti da Bastian Sacco « vedrero » furono dipinti da Lazzaro Calvi più volte rammentato (Id., pag. 33 e 69). Ved. anche Guglielmotti, Marcantonio Colonna alla battaglia di Lepanto, pag. 229. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. X, Fase. I. 4 1 i quali furono scolpiti da Filippo Santacroce detto il Pippo da Urbino (i). Ne è a dire come la Capitana medesima venisse provveduta d’ armi di varia forma, denominazione e portata (2), ed arricchita di suppellettili d’argento, di arazzi e di ricami; neppur mancandovi un concerto di flauti e di trombe, cui dirigeva un Clemente Rocchetta (3). Dal che tutto si può intendere come Giovanni Andrea fosse allora preoccupato dal pensiero della lega cristiana contro il Turco, e particolarmente degl’ interessi di re Filippo II, per favorire i quali non si peritò di assumere sovra sé stesso la responsabilità di una condotta inesplicabile nella famosa battaglia di Lepanto. Dove, dalla Capitana sopra descritta, comandando all’ ala destra dell’ armata di allontanarsi dal luogo (1) Cart. cit., pag. 72, addi 27 giugno 1571. « Pippo Croce da Urbino per doi fanali per la Capitana scuti 26 d’oro in oro; uno scudo per la detta, scuti 9 pur in oro; et una fenice lire 134 ». Da un’ altra annotazione datata dal 15 agosto suddetto anno (Cart. cit., pag. 92) rileviamo pagati al medesimo Santacroce 7 scudi d’oro in oro, pari a lire 28, « per la fattura di un Crucifisso d’avolio ». (2) Cart. 1570, pagg. 89 e 132. Dove il di 11 aprile 1570 si pagano lire 258. 5. 6 « a Cristofaro Gamenera per precio di casse 125 di archibusi novi . . ., serpentine 132 . . . , fogoni 69 » ecc.; e il 19 luglio si notano « cantari 261. 4 di bronzi, dati per ... il fornimento et rispetto della Capitana nova ... a soldi 8 la libra » da Bartolomeo Sommariva. Ivi a pag. 25, sotto il 18 gennaio 1570, abbiamo pure notizie di un fonditore G. B. Gandolfo, « per un sagro con 1’ arma papale a lui consegnato . . . in peso cantari 4 e rotoli 80 netti ». (3) Cart. cit., pag. 70 e 72. Fra il 22 febbraio e l’8 maggio 1570 si fanno i pagamenti che seguono : A messer Paolo Vivaldo per un acordo di flauti « 0 siano piferi » per le galee, lire 103. 11. 4. A maestro Gio. Schiavone per un accordo di trombette, per un clarino ed altri istrumenti, lire 135. A Clemente Rocchetta « musico in Capitana » lire 39. 16. 8. della pugna, e tolto via dalla poppa il notissimo suo fanale, per non essere da’ nemici conosciuto, macchiò la propria fama di valoroso e leale guerriero (i). Ultimate nel 1570 le cosìdette stante nuove coll’opera di Agostino Riolfo (2) mediocrissimo dipintore, la più assoluta dimenticanza delle cose d’arte parve per un quadriennio regnare a Fassolo. Ma all’ aprirsi del 1575 parvero a un tratto mutarsi le inclinazioni del Principe; il quale, come in prima era volto alle cose marittime, così ora mostravasi inteso alle fortificazioni de’ feudi, agli abbellimenti ed alle ampliazioni di Fassolo, alla magnificenza delle suppellettili, alla costruzioni di ville, di chiese, di monasteri. Primo a richiamar le cure del D’Oria fu il feudo di Loano; il cui abitato, cinto di antiche mura, volle Giovanni Andrea più solidamente fortificare, ed abbellire mercé la edificazione di un palazzo con giardini, e varie opere di pietà. Al qual fine spedì sopra luogo il maestro Giovanni Ponsello (3), cui nei lavori opportuni vennero po- (1) Ved. Guglielmotti, Marcantonio Colonna ecc., pag. 229. (2) Cart. cit., pag. 23, i.° gennaio 1571. « Agostin Riolfo dipintore . . . ha havere in la sua mercede (dei) lavori fatti nelle stanze nove..., lire 129». Lo stesso artefice incontrasi rammentato del pari nel fogliazzo de’ mandati pel 1581, ai num. 454 e 496; dove sotto il 5 luglio ed il 26 agosto gli si pagano lire 291. 17. 6 per mercede « della pittura che ha da fare nella camera e scagnetto della . . . Capitana grossa » ; forse quella che era stata costrutta vivendo ancora Andrea il grande (Ved. a pag. 41, nota 1). (3) Archivio D’Oria: Filza di mandati per l’anno 1575. Ivi lettera di Bernardo Richeri agente del Principe in Loano, alla data del 2 luglio: « 111.0 Signore, ecc. Vedrà il disegno della muraglia fatto dal Ponsello che ha tenuto alquanto maggior circuito di quello che si era prima pensato, per non guastare i giardini, et il suo palazzo 1’hanno disegnato farlo sopra la strada come vedrà; perchè nel prato restava troppo basso et quasi sepolto, et parve al Ponsello che in quel luogo eminente debba havere più bella veduta ». scia in aiuto Pietro Girello e Girolamo Castellazzo lombardi (i). Dopo Loano, Torriglia ebbe il suo turno nel 1577 ; ed allo stesso Giovanni fu commesso lo incarico di dirigere la costruzione della rocca e di un palazzo (2); alle cui opere nondimeno pigliavano quindi parte Bartolommeo Baiardo, Gio. Maria Scarzano e Giuseppe Furiano ingegnere, fratello a Gaspare da noi ricordato poc’anzi (3). Intanto a Fassolo Battista Castello era chiamato a miniare due imprese in un registro degli istrumenti di Casa (4); edin sullo scorcio del 1577 davasi comincia-mento a quel fabbricato che a partire dalla porta d’ingresso a levante si sviluppa verso il mare, e quivi piegando a ponente circoscrive il giardino fino alla sua estremità, comprendendo il Guardarobba, il molino, i forni, le camere alla marina, la gran loggia ed altri edificii coronati da spaziosi terrazzi, sui quali non mancavano orologi solari ed a ruote (5). Deliberava similmente Giovanni Andrea lo spianamento della villa, ed al piano inclinato per cui vi si accedeva sostituiva una comoda scala sormontata da cancelli in ferro ordinati (1) Filze di mandati pel 1578-80. (2) Ibid. (3) Id. pel 1579, num. 117 e 251; Cartulario 1579-83, pag. 42. (4) Id. pel 1577, mandato 15 ottobre, num. 274, seguito da ricevuta del noto editore e letterato Cristoforo Zabata, il quale confessa avere avuta la commissione del detto libro, e pagato oltre il Castello anche l’orafo Battista Piola che avea fatto due chiavette d’argento per chiudere il codice medesimo. (5) Due orologi solari furono costrutti sui terrazzi dalla parte prospiciente verso san Benedetto nel 1595 (Filza mandati di tale anno, num. 120). Quello a ruote che sorge in acconcia torretta sul terrazzo a levante, è opera di Giorgio Gluch tedesco, che il fece nel 1603 e n’ebbe per prezzo lire 192 (Filza id. 1603, num. 325 e 405). ' S ! V 1 ■ — 53 — in quell’anno medesimo (i). Nella quale circostanza, per avventura, fu demolita la muraglia terragnola già altrove da noi indicata (2). Oltre questi importanti lavori, alla direzione de’ quali appare preposto il già nominato Giovanni Ponsello (3), altri ancora ne vennero simultaneamente cominciati; e fu del novero la fontana del giardinetto a levante, per la quale Antonio Carabio e Pier Antonio del Curto ebbero il carico di provvedere i marmi (4). Forse anche intorno a questo tempo (1576-78) Lazzaro Calvi attendeva a decorare la volta di una camera oggi ridotta ad uso di magazzeno, ritraendovi la favola di Io trasformata in giovenca; mentre abbiamo per documenti che pur dipingeva a que’ giorni il Guardarobba nuovo e l’andito pel quale vi si accedeva (5). In quest’ultimo, si come vedesi per alcuni avanzi, coloriva il. Calvi parecchie fantasie, con mascherette, amorini e somiglianti ; mentre nei peducci della volta del Guardarobba (1) Filza di mandati pel 1579, num. 68 e 300; Id. pel 1580, num. 38; Id. 1583, num. 59. Dai quali risulta che per le cornici, i pilastri e gli altri marmi occorrenti ad opere siffatte, il Principe si commise ne’ maestri scarpel-lini Pier Antonio del Curto di Carona del qm. Jacopo e Cristoforo Solaro di Carona del qm. Pietro Antonio. Inoltre nel fogliazzo citato del 1579 e nel Cartulario 1579-83 (pag. 43) lungo il mese di dicembre 1579 ‘si pagano complessivamente lire 1510 a Francesco Botto castellano di Masone per 172 cantara di « trappe di ferro che mandò qui per li rastelli et ferrate de li giardinetti ». (2) Ved. a pag. 36. (3) Filza mandati 1578, num. 18. (4) Filza citata, 3 e 31 marzo : « A maestro Antonio Carabio et Pier Antonio del Curto, al b&on conto de’ marmi per la fontana di levante » ecc. (5) Filza mandati pel 1578. Dove tra il 14 agosto ed il 28 d’ottobre si pagano al Calvi 130 lire « a buon conto della pittura della Guardarobba nova ». Id. pel 1578, a’ 10 giugno. « A maestro Lazaro pittore. . . per . . . pagamento della pittura dell’andito della Guardarobba (in tutto), lire 82 ». — 54 — avea ritratte parecchie Deità in proporzioni maggiori del vero : figure fatte in fretta e di tinte men succose di quel che sieno le opere del nostro artefice, benché non prive di espressione e pennelleggiate con molta maestria. Oltre di che ornava gli armadi con certe rappresentazioni di galere, mercè cui intendeva esprimere il memorabile assedio di Corone, avvenuto nel 1532 per opera di Andrea D’Oria (1). Mentre che in siffatta guisa procedevano i lavori, pre-paravansi gli appartamenti per ricevere il Duca di Brunswik, cui il D’Oria avea spedito ad incontrare dal (1) Filza citata. In novembre si pagano al Calvi lire 65 « a buon conto della pittura degli armari della Guardarobba ». Ma quanto siffatte opere costassero in definitiva non si può conoscere, mancando nello stesso fogliazzo molte liste di spese. Sei di queste pitture, eseguite a tempera sopra cartone incollato su tela, ve-donsi al presente nella loggia di levante del Palazzo D’ Oria a Pegli. Ogni specchio misura metri 1 di larghezza pel doppio di altezza; quattro sono abbastanza ben conservati, gli altri invece furono guasti da pessimi restauri. Siffatti monumenti riescono tuttavia di grande importanza per la storia delle costruzioni navali; e però il dotto Augusto Jal che li esaminò ancora a Fassolo, così ne scrisse («.Archeologie Navale, voi. I, pag. 483; Parigi, 1840): « J’ai trouvé dans le peintures de la Casa D’Oria a Gènes une représentation de l’attaque de Coron . . . , un rang de six galères, derrière lequel est un se-, cond rang de six autres galères attachées poupe à poupe par deux gomenes . . . , arrangement dont la cause échappe à ma sagacité ». Se non che l’illustre P. M. Alberto Guglielmotti (Delle due navi romane scolpite sul Bassorilievo Portuense del Principe Torlonia, ecc. Roma, 1866, ediz. in 4.0, pag. 78 ed in-8.°, pag. 92; Id., 1874, pag. 99-100) spiegò dipoi colla scorta di parecchi testi anche questa disposizione, per cui viene ancora ad accrescersi l’interesse dei monumenti indiscorso. « Andavano (le galere), egli dice, ad affrontar la piazza nemica rase e disalberate, per non ricever danni nell’armamento nautico, e tenevano per poppa cdnapi di rimurchio e galere spedite, volte al largo, col-1’ ordine di tirarle fuori di combattimento in caso di avarìa. I documenti storici confermano e spiegano questi metodi, specialmente nel famoso assedio di Corone del 1532, come mostrerò nei miei libri ». La quale dimostrazione di un cosi autorevole e riverito maestro noi sollecitiamo col desiderio più vivo. proprio maggiordomo sino a Milano. Lo accolse egli poi con singolare onoranza; e volle regalarne il seguito con un presente di varie catene d’oro di gran valore, giusta il costume del tempo (i). Partito quindi il Duca si cominciavano altri e non meno sontuosi preparativi per ospitare la Duchessa di Lorena, che qui soggiornava alquanto nella primavera del 1579. Per le quali circostanze si conosce come il Principe rifornisse la propria Casa di preziosi arredi (2), e facesse collocare a posto certe tappezzerie che aveva ordinate a Pietro Vandergust in Anversa (3). Oltre di che Luca Cambiaso ebbe pure in quel torno l’incarico di dipingere un quadro, per cui ebbe premio di cinquanta scudi d’oro, e che venne spedito in Ispagna (4) ; Andrea Semino eseguì i ritratti de’ (1) Filza mandati 1578, num. 39 e 147. Le catene furono cinque, evennero acquistate dagli orafi Paolo di Lecco, Nicolò Cambiaso e Giacomo Roccatagliata, ai quali si pagò in complesso l’egregia somma di lire 3474. 2. 7. (2) Filza citata. Donde fra i molti oggetti rileviam notizia di un letto intagliato , dorato e fornito di quattro colonne alla spagnuola, « con suoi pomi incavati e lavorati », e ricchissimamente guarnito di frangie d’oro, d’argento e di seta acquistate in Milano. Abbiamo del pari contezza di molte argenterie che la Casa del Principe si provvide in Genova dagli orafi Gottardo e Vincenzo fratelli Croce; ai quali, per recarne un esempio, sotto il dì 6 ottobre 1578 si pagano lire 6491. 12. 8 per « costo di due branderi d’argento, due bottiglie ed una cascettina et una scatola del medesimo, fatti per uso et servizio di Casa » (Mandato num. 153). (3) Filze mandati 1577, 1578 e 1579- Dove sotto il dì n gennaio 1577 si pagano scudi 303. 5. 8 d’oro « a Pietro Vandergust a conto delle tappezzane che si fan fare da lui »; e dove sotto il 23 dicembre 1578 si numerano ducati 869. 19. 3 d’oro « che Camillo et Horatio Balbani dissono per compra et trasporto di tre balle di tappezzaria che d’Anversa han fatto incaminar per Genova ». Oltrecchè intorno alla stessa data, e poscia a quella dell’ 8 febbraio 1579 > si saldano parecchie altre spese per « le guarnizioni alle tappezzarie venute ultimamente di Fiandra ». (4) Filza mandati 1578, num. 70. — 56 — figliuoli del Principe stesso (i); Lazzaro Calvi colorì una bandiera esprimente Nostra Donna col Putto e san Giu-seppe (2); e Filippo Santacroce scolpì due mani di coralli per iscongiuro contro la jettatura, le quali poi furono mandate a Don Diego di Cordova (3). Ma, tornando alle costruzioni a mare, notiamo eh’ esse procedevano senza tregua, benché non fosse scevro di difficoltà l’ottener prontamente i materiali, che provenivano in parte dal Finale, in parte dallo spianamento della villa a mare, ed in parte eziandio dagli scavi che si eseguivano nella villa superiore, ove poi si fece un immenso serbatoio d’acqua destinata ad alimentar le varie fontane. Fra le quali quella del giardinetto a levante, pur mo’ ultimata di grottesche e di marmi, mancava tuttavia della statua che destinavasi a farle coronamento e da cui tolse nome. Intendo la statua notissima del Tritone o Satiro, sì come trovasi variamente appellata, che niuno sin qui ebbe mai cagione di sospettare non fosse quella medesima onde scrisse il Vasari nella vita di Giovan-nangiolo Montorsoli. « Il quale (così il biografo) avendo ... (1) Filza mandati 1579, num. 264. Ordine di pagamento di lire 501 fatto dal Principe D’Oria in favore di Andrea Semino alla data del 7 agosto « per havere fatto un quadro con miei figli a tavola ». Segue all’ ordine la ricevuta autografa dell’artista. Il dipinto, eseguito in dimensioni grandi al vero, stette quasi due secoli nel Palazzo di Fassolo ; poscia venne trasferito a Roma e tagliato per adattarlo a sopraporta; infine andò perduto. (2) Filza mandati 1579, num. ,144. Ivi si notano in data dell’8 agosto lire 16 per prezzo di una bandiera « dove è dipinto 1’imagine di Nostra Donna col figlio che serra la montagna insieme col san Giuseppe, fatta da due bande »; e della medesima somma si ordina pagamento « a maestro Lazzaro Calvo pitore ». (3) Filza mandati 1578, num. 127 e 133. « Per un ramo di corallo . . . per far due mani con le ficche . . . per mandare in Spagna all’ Ill.mo Signor Diego di Cordova » ecc. — « A maestro Pippo per compimento della fattura di due mani con le ficche di corallo, lire 4. 2. 2. ». — 57 — fatto dalla parte dinanzi del detto Palazzo un vivaio, fece di marmo un mostro marino di tondo rilievo, che versa in gran copia acqua nella detta peschiera: simile al qual mostro ne fece un altro a que’ Signori, che fu mandato in Ispagna al Granvela » (i). Senonché il vivaio rammentato dal Vasari fu certo distrutto, allorquando postasi mano allo spianamento della villa di cui toccammo poc’ anzi, venne contemporaneamente ordinata dal Principe la costruzione della già detta fontana, cui senza fallo 1’ egregia scultura del Montorsoli voleasi sovrapposta. Ma fosse per cagione del trasporto o per qual-vogliasi altro accidente, certo é che 1’ opera del maestro fiorentino andò in pezzi, per modo che al D’Oria convenne di sopperirvi con altra la quale fu tosto commessa a Gian Giacomo Paracca da Valsoldo, che però studiossi (come non sembra dubbio) a riprodur le forme di quella di Giovannangiolo. Il segreto ci é rivelato non da altri che dal Principe stesso; il quale nell’ atto in cui ordina il pagamento di sei scudi al Paracca « a buon conto et per capparro della figura che va sopra la fontana », nota di proprio pugno in calce al mandato, non saprem bene indovinare se per minaccia o per isfogo dell’acerbo dolore cagionatogli dalla perdita di un’ opera sì commendata, che tale statua « 1’ ha da pagare chi 1’ ha rotta » (2). * (1) Vite, XII. 34. (2) Filza mandati 1581, num. 220. Vedi Tavola IX,'fig. 3 e 4. Inoltre nel Cartulario del 1579-83, pag. no, sotto il dì ir aprile 1581 così si registra la somma pagata all’ artefice col mandato in discorso : « A Gio. Giacomo Paracca, a conto della figura che fa per la fontana del Satiro, mandato 220, valuta . . . lire 24. 15. o ». Vedi Tavola XI. Il Paracca, più noto col soprannome di Valsoldo derivatogli dal luogo di sua nascita su quel di Como, fece tra noi lunga dimora ed abbondò di commis- Altri lavori avea pure in quel torno commessi il Principe ; e tra questi il portale in marmo dell’ ingresso a levante, di cui affidava il carico a Pier Antonio del Curto, Bernardino e Matteo da Novi per atto del 15 luglio 1581, a rogito del notaio Lorenzo Martignone (1). Opera lodevole sì pel lavoro di quadro, e sì per la scultura delle Fame intagliate di basso rilievo nei pennacchi dell’ arco (2). Mirava del pari Giovanni Andrea a rendere ognor più splendida la suppellettile della Casa. Perciò commetteva a Lazzaro Calvi e Luca Cambiaso i disegni di una armata, o fazion navale che voglia dirsi, per certe tappezzerie onde si avvisava ricoprir le pareti della sala d’Enea (3). Nè sembra che tali disegni, spediti quindi per l’opportuna esecuzione a Cristiano de Vois e Francesco Lendrich in Anversa (4), fossero tenuti in lieve estimazione, quando si consideri che il Principe ebbe indi a poco a spedirne una copia al Signor di Leiningen; la quale \ sioni. Intorno al 1589, per incarico de’ Padri del Comune, scolpì una statua di Sirena ad ornamento della fonte che allora sorgeva sulla piazza di Soziglia. Ved. Varni, Elenco elei documenti artistici raccolti ecc., pag. 15. (1) Filza mandati 1581, num. 485 e 633. Donde si rileva che il prezzo del lavoro era stato pattuito in lire 816. (2) Vedi Tavola Vili, fìg. 1. (3) Cart. 1579-83, pag. 146, sotto il 5 novembre 1581: » A maestro Lazzaro pittore, per sua mercede di sei disegni delle tappezzerie dell’armata, lire 12». Filza mandati 1582, num. 12, sotto il 19 dicembre: « A Lucca Cambiasio scuti cinquanta d’oro in oro, che vagliono lire 206. 5, che con scuti 150 simili che ha già havuti fanno scuti 200, a conto delli Patroni delle Tapessarie dell’Armata per la sala d’Enea ». Segue in calce al mandato la ricevuta di mano dell’artista. Nella filza del 1583 trovansi poi altri ordini di pagamento a favore del Cambiaso per lo stesso oggetto, fra il 28 gennaio ed il 23 luglio, e rilevanti in totale a 400 scudi (num. 21, 103, 176, 302, 384). (4) Da Anversa le tappezzerie furono rimesse a Genova soltanto nel 1591. — 59 ~ fu fatta per mano di Bernardo Castello (i). Oltre di che procacciavasi dalle rinomate fabbriche di Siviglia due altre tappezzerie di cuoi dorati, argentati e coloriti con fregi e colonne (2). Allogava quindi a Gaspare For-lano una lettiga (3) in servigio, com’ è verisimile, di donna Zenobia; il cui Oratorio domestico faceva ornar di pitture dal Calvi suddetto, ed arricchire di una storia del Calvario, numerosa d’ assai figure scolpite da Filippo Santacroce e colorite dal Calvi medesimo (4). Immagi- (1) Filza mandati 1583, num. 107, a di 16 marzo: « A Bernardo Castello pittore scuti d’oro in oro, che vagliono lire 82. 10, che con altri scuti 10 simili che ha già havuti fanno scuti 30, per intiero pagamento di sei quadretti dell’ armata che le ho fatti accopiare per Monsù di Leyni ». (2) Filza mandati 1585. « Siviglia, 19 ottobre 1585 : Conto di guadamasili da mandare in Genova ecc. Per il costo de un aposiento de guadamasili de oro, argento e negro, de altezza de brocatti tre, fatti a modo de rebostieri, con coione per li latti e frigi alto e basso, in quale hanno intratto, cioè: di brocatti pelle 144, de coione pelle 36, di fregi alto e basso pelle 90, che in tutto sono pelle 270 . . . , lire 60. 16 ». « Per il costo de un aposiento de guadamasili de oro e argento, con il campo delli brocatti dipinto di turchino e verde, e il campo delle zanoste (?) e delli frigi alto e basso dipinti de verde » ecc. (3) Filza mandati 1581, num. 517. « Io Gasparo di Lucca qm. Fradiani dico in virtù di questa essermi concertato col Sig. Gio. Pietro Riccardi maggiordomo dell’ 111.™° et Ecc.m° Sig. Principe Doria di farli una letticha tra qui et li sei di ottobre prossimo a venire, et più presto se sarà possibile, in tutto e per tutto conforme a quella del Marchese d’Alchagnizza, con che sia più lunga mezzo palmo solamente , e questo per il prezzo di scuti quaranta d’oro in oro toccante alla mia manifattura, chiavaxone, ferramenti et legnami, che il veluto, la seta, corami, tela inserata, cordoni, chiodi di lattone et doratura harà carrico il detto sig. Gio. Pietro di provedermene a luogo e tempo; a buon conto et per caparro di che ho havuto in contanti da Pietro Serra scuti quindici d’ oro in oro. Et per essere la verità di quanto sopra si contiene la presente serà sottoscritta di mia mano propria questi dì primo di settembre 1581. Io Guaspari di Lucha afermo quanto sopra di mano propria. (4) Filza mandati 1583 , num. 16, 25 gennaio: « A maestro Lazzaro Calvo pittore scuti 12 d’oro in oro, che vagliono lire 49. 10, a buon conto della — 6o — nava inoltre il lago o serbatoio della villa soprana poc’anzi accennato (i), commettendosi nel capo d’opera Giovanni Cerisola ; e presso allo stesso facea più tardi co-strurre una loggia col ministero di Tommaso Ponsello; nonché due casini alle estremità della villa, i quali vennero dipinti da Andrea Merizano, Giovanni Ghio ed Alessandro Roncagliolo (2). Inoltre chiamava da Lucca a’ proprii stipendi, coll’annua provvigione di 120 scudi, il pittore Benedetto Brandimarte; inchinando, com’ é da pittura e spese da fare intorno all’ oratorio di Donna Zenobia ». Cioè per la pittura di cinque quadri, e per dipingere certe figure di legno; le quali sono per fermo le stesse onde si parla in una nota inserita nella citata filza sotto il num. 178, e cosi concepita: « Lavori fatti (da) maestro Pippo Santacroce per 1’ oratorio della Signora. Un Crucifisso ...... Scuti 4 Li due latroni......» 6 Li quattro huomini a cavallo ... » 8 Le 13 altre figure, a scuti 1 % 1’ una . . » 19 % Scuti 37 % L’oratorio venne poi ricostrutto per ordine del Principe nella forma in cui vedesi anche oggigiorno alle estremità del pianterreno dal lato di levante ; c n’ebbe il carico il precitato Francesco Dell’Angelo che lavorò i marmi della tribuna e le colonne che la sostengono (Filza mandati 1586, num. 749)- Spetta invece a Bernardino da Novi la decorazione dell’altare (........)’> ne^a cui nicchia fu poscia allogata una icone dei fratelli Cesare ed Alessandro Semino (Cart. 1590-91, pag. 177); i quali vi ritrassero due angioli in atto di tener ritta una croce scolpita in legno e raccomandata alla tela. Son pure de medesimi artisti le dipinture della volta e delle pareti, con putti e prospettio (Filza mandati 1589). Per questo oratorio nuovo Gian Paolo da Lecco valente orafo milanese git-tava poi di tutto tondo le immagini di Cristo e della Maddalena ; c le componeva sopra un monte lavorato a sbalzo nello stesso metallo, ed ornato da un ramoscello di corallo che la Principessa avea compro da un Vincenzo I urchi (Filza mandati 1590, num. 214 e 299). (1) Vedi a pag. 56. (2) Filza mandati 1603, num. 250 c 308. L credere, ai suggerimenti di Pompeo Arnolfini letterato di qualche grido, concittadino dell’artefice e segretario in allora del D’Oria, a cui servigi mori nel luglio del 1599 (1). Accordavasi quindi il Principe con Battista e Daniele Casella, Pietro Carlone e Francesco Dell’ Angelo per la provvista delle pietre e de’ marmi occorrenti a’ loggiati dei giardini inferiori (2). I quali disegnati con rara eleganza da Giovanni Ponsello e Giuseppe Forlano, e diretti dal capo d’ opera Giacomo Dell’Aglio vernano a terminarsi in contiguità della sottoposta marina, cui riuscivasi per un molo fatto del pari costrurre dal (1) Filza mandati 1581. « A di 12 di ottobre 1581 in Lucca. Benedetto Bran-dimarte pittore sottoscrito confessa aver ricevuto da Francesco e Benedetto Cenami et C. di Lucca scudi cento trenta, soldi uno den. 3 . . . , quali gli hanno pagati per ordine datoli li magnifici Agustino e Gio. Batta Salussi di Genova con loro lettera de’ 7 del presente, quali dissero farli pagare per ordine dell’ 111.">o et Ecc.m° Sig. Gio. Andrea Doria, et sua Ecc.“ disse farli pagare per valsente di scuti centoventisei, da lire 4 di moneta di Genova per scudo cioè : » Scuti 120 per il suo salario di un anno a venir che glie lo anticipa, et li restanti scuti 6 per le spese del viaggio di qui a Genova ; et in fede della verità ha soscrito questa prima quittanza di sua mano a dì e anno sopra in Luca. » Io Benedeto Brandimarti ho ricevuti li scudi cento trenta, soldi uno e danari tre di sopra, a di anno sopra scrito in Lucha ». Ciò che pel D’Oria a questo tempo operasse il Brandimarte a noi non consta. Rileviamo bensì da documenti che per ordine del Principe egli passò in Ispagna verso il 1585 a’ servigi di D. Giovanni Idiacquez ; e che di là tornato dopo un biennio, continuò a rimanere presso il D’Oria, lavorando per la chiesa di san Benedetto e per quella di sant’Agostino in Loano come in appresso diremo. Sappiamo invece che per Giambattista Saluzzo rammentato qui sopra, fece il Brandimarte la icone col martirio del Precursore, che vedesi tuttora in san Pietro dei Banchi: opera meschina insieme e prosuntuosa, sì come la giudicano il Lanzi e l’Alizeri. (2) Filza mandati 1581, num. 873, 1036, 1107. 02 D Oria (i), e dalla cui punta scoprivasi ancora tutta la città (2). livnrì • V A qual punto lessero poi condotti un biennio più tardi i mandat'” ìSCOrSO’ nlevasi dalla seguente relazione che trovasi nella filza dei mandati pel 1583, sotto la data del 23 di settembre. Ione 1 ' ^ C°n maestro Francesco dall’ Angelo et maestro Pietro Car-La / / fi'6 ^ S1 reStano a fare Per la fabrica della marina. . . . non' son f • nJ°^° Ct maschere non si possono stimar perciocché ancor lavnruH- a- u C ^Ue ^ marmaro larghe per diametro palmi 4 ®/4 Il costeranno lire ventinove 1’una. . . . sere d ^ i ^e"a da bass0> fasciandolo di quadrette come voleno esecro J- ,m‘ Un° *n ^uadro bianche et negre, e le negre farle come voranno essere, dicho tosteranno soldi dieci il panno. ... non ci a ^°rta ^ marmoro che va ne la villa in entrar nella loggia da basso non Sl può far predo sinché no sia finita. UrsnP "Ì0 "^ra°a^° *n compagnia di maestro Rocco Lurago e Gio. Batta •1 . iam° re,,‘st0 soprascritte cose, e considerato il prezzo secondo (2) V d^^T10 Se dlClara a doverle pagare come in questa se contiene. . . . , T a\ola X. Le mura di cinta a mare tra lo scoglio di san Tommaso ^Urono costrutte nel secolo XVII; e di necessità dovendo attra-p , ° suddett0> vennero ad intercidere la comunicazione diretta fra il , . marina. Tentò bensì il principe Gio. Andrea D’Oria II di impedire . . f.SSe’ ma n°n Potè rimuovere la Signoria da’suoi progetti. Di che perei si olse con la lettera seguente indirizzata al Doge ; la quale io desumo P Oe\ole manoscritto di ^Memorie Genovesi (pag. 273) posseduto dal sig. avvocato G. A. Molfino deputato al Parlamento Nazionale. « Serenissimo Signore, . . ^renità sa, come è anche noto alla nostra Repubblica, che in ogni , p . 10 Procurato non lasciarme indietro quello ho stimato esser servitio a e ousto di loro Signorie, e che ho arrivati questi due punti pure • °ne ^ nuovo recinto delle mura nel modello da me proposto; ho ,, . essere stato questo gradito, anzi ordinate diverse fortificationi intorno a la mia casa. Il certo è che la casa resta accautelata da nemici per questa C Cnan remedlj’ ma è ben ragione che abbia io estraordinario , ° ta^_ remedij siano estimati necessarij in mio tempo, mentre non 1 ma* 2 antecessor‘ * 1 Za mandatl Dove annesso al mandato num. 202 è un convegno ^ 0 10 stesso anno, nel quale « si dichiara . . . come Pompeo Arnolfini dell Eccell. Principe Doria, a nome di S. E., si è concertato et si di far f C°n rnaeStr° ®ernardo de Nove scultore et maestro Pietro Carlone 19 fin arC Una ^°ntana marmori fini di Carrara, ottangola, et d’altezza di Altre f ° ^rn*> * " ’ Per Prezz0 • • • di scudi cinquecento cinquanta ». ontane ed altri lavori vediam pure dal Principe commessi in quel torno; e non sarà inutile serbarne notizia. sandro P a..SC™ta 24 luglio 1584, « si notifica . . . come maestro Ales-di f a° la”n° scldtore milanese s’obbliga di fare ... tre fontane, la una senti ^ r°t0nda’ 1 aItra a mandorla, la terza ottangula ... per prezzo di fontanrpoT“™evrdÌC!nqUe ” '^4 ' ^ ^ qUaU . a un mandato del 24 agosto dell’ anno successivo che Trr- e ^i,e verisimilmente in Ispagn.,. Principe fce*'0 de* ! ma8gl° 1586 (num- 22j). Taddeo Carlone riceve dal fonte ni^ni j-*° " ^Ua*' con *‘re 1100 • • • sono l’intero pagamento de una d’Ossuna » La mar.m° dl Carrara. che ha fatto . . . per l’Eccell. Sig. Duca e sormontata da IL °?ÉT d°VeVa di “ arpie C' griff°ni ” ’ Inoltre il 30 settembre '”andat' ‘S85’ nUm' 201 : Id' ’S86' nUm' ^ tore lire 102 e sold‘ 8 * 1 Pagano « a maestro Bernardino da Nove scul- Pagamento della Madonn!^1 C°n ^ 8° ^ h* haVUtC ‘ * * (formano>> rinter0 (Filza mandati marm° che ha fatt0 Per D- Michele di Moncada » 586 » num. 651). Circa lo stesso temno trm • avea dati a dipingere ad A iam° ^ n°ta ^UC stendard* c^e ^ Principe num. 412). urelió Calvi per uso delle sue galere (Filza citata, — 65 — Mentre tutte queste cose si divisavano, era il Principe stato prescelto a traghettare in Ispagna Carlo Emanuele I Duca di Savoia, fidanzato a Caterina d’Austria figliuola di re Filippo II. Le carte dèli’Archivio Doriesco ci parlano perciò de’ preparativi che si andavano facendo al-1’uopo di bene ordinare e provvedere la flotta; a capo della quale Giovanni Andrea recatosi in Albenga, verso la metà del febbraio 1584, trovò quivi Carlo Emanuele che unitamente al proprio naviglio lo stava attendendo. « il Principe Doria (scrive Costantino Molino ambasciator di Venezia presso la Corte Torinese), andò alla Capitana di Savoia sopra la quale era il signor Duca, et lo condusse nella Reale che con il seguito delle galere s’in-viorno verso Villafranca » (1). Donde, trascorsi alquanti giorni, sferravano per Saragozza, alla cui vista sorgevano il 10 marzo successivo. Similmente dopo la celebrazione delle nozze il D’ Oria riconduceva in Italia gli Sposi, e con essi approdava in sull’uscire del giugno 1585 a Savona, per la cui strada divisavan eglino di entrare in Piemonte, comecché fosse più agevole assai del passaggio che vi si aveva pel colle di Tenda (2). Ed a Savona li attendeano splendidissime accoglienze da parte di que’ magistrati, non meno che della Repubblica Genovese la quale avea spedita una deputazione a prestar loro onoranza (3). Le carte dell’ Archivio di Fassolo ci mostrano eziandio come nell’ anno appresso Giovanni Andrea si disponesse • (1) Ved. Mutinelli, Storia arcana e anedottica d’Italia, raccontata dai veneti ambasciatori, voi. II, pag. 270. (2) Id., II. 283. (3) Monti, Compendio di memorie Instoriche della città di Savona, pag. 201-5. Atti Soc. I.ig. St. Patru. Voi. X , Fase. I. 5 66 per un viaggio a Torino, all’ uopo del quale noleggiava ben novantasei cavalcature (i). Forse egli intendeva visitarne la Corte, e rallegrarsi di persona pel nascimento del primogenito di que’ Duchi che parca sortito a grandi destini; conciossiaché nel trattato di loro nozze il Re di Spagna avea promesso concedergli il Ducato di Milano, divisando a suo tempo compor di questo e del Piemonte un Reame che sarebbesi appellato di Lombardia (2). Erasi pattuito eziandio in quel convegno che il nascituro al-leverebbesi all’italiana; e perciò leggiamo che di esso fu governante una'gentildonna genovese, Leonpra Spinola (3). Chiamossi poi il neonato coi nomi di Filippo Emanuele; ma certo era il D’Oria già reduce da Torino, allorché il 12 maggio 1387, che é a dire un anno e più dalla nascita (4), veniva amministrato solennemente il battesimo all Infante, « con gran spesa d’ambasciatori, feste, luochi et giuochi » (5). Nella primavera poi del 1588 la favorevole inclinazione del Principe verso le arti ripigliava a manifestarsi mercé alcune commissioni, ragguardevoli in ispecie per la na-tura delle opere e 1’ eccellenza degli artefici prescelti ad eseguirle. Fra i quali Battista Castello ebbe 1’ incarico di miniare in tre quadretti 1’ Adorazione dei Magi, Cristo i (1) An.ni\io Notarile. Atto del 27 agosto 1586 a rogito di Domenico Tinello; altro del dì successivo in notaro Gio. Agostino Morinello. Trovo Pur, clic poco prima della sua partenza, la quale seguì in sull’uscire utunno, il 1 rincipe mandava alla Corte di Firenze un presente di due leoni pervenutigli da Algeri. (2) Ved. Litta, Famiglie celebri ecc., § Duchi di Savoia, tav. XV e XVI. (3) Mutinelli, Op. cit., II. 285, 286. (4) Era egli nato infatti il 2 aprile 1586. (;) Memorabili di Giulio Cambiano di Ruffia, editi dal eh. Vincenzo Promis nel tomo XI della Misera di Storii Italiana, pag. 222. morto e 1’ Assunzione della Vergine (i). Il quale ultimo fu quindi allogato entro una cornice guarnita d’ oro smaltato da Gian Paolo Lecco (2). I fratelli Carlo e Cesare Corte riprodussero una Madonna di Paolo Veronese (3); e il Santacroce scolpi in due tronchi di coralli le immagini di Nostro Signore e della Maddalena (4). Giambattista Paggi, che scontava il bando a Firenze, veniva inoltre invitato a Genova da Giovanni Andrea, con offerta d’asilo immune e d’onorevoli commissioni (5). Vincenzo e Gottardo Croce lavoravano, con più altre cose di minor conto, un pie’ di tavola in argento adorno di fregiature e di stemmi (6); ed Enrico Fiammingo (1) Filza mandati 1588, num. 156, 12 aprile: « Messer Gio. Batta Castello ha d*havere per resto delli due quadri di miniatura, uno dell’Epifania l’altro di un Christo morto, li quali si concertorno in scuti 125 d’oro in oro, scuti cinquanta ». Id., num. 212, 6 maggio: « A Gio. Batta Castello lire novanta, e sono per un quadro di miniatura dell’Assunzione della Madonna ». (2) Filza cit., num. 287, 30 maggio: « A Gian Paolo Milanese, per saldo. . . della guarnizione d’oro che ha fatto a un quadro della Madonna..., lire 47. 0. 4 ». E a tergo del mandato si legge: « Il guarnimento d’oro smaltato di rosso, bianco e nero . . . pesa quarti 3, carati 32 ». (3) Filza cit., num. 67: « Noi Cesare e Carlo da Corte pittori habiamo re-seputo dal sig. Pietro Serra in nome dell’Ecc.mo Sig. Principe Doria uno quadro di pitura di una Madona di Paulo Veronese, per farli una copia simile al detto quadro . . . , per il precio di scuti trenta da libre quatro per scuto. . . , bene finita di boni colori simile aioriginale ... In Genova a di 15 frebaro 1588 ». (4) Filza mandati 1590, num. 748, 22 dicembre: « A maestro Pippo Santacroce per la sua fattura di due figure di corallo, una di Nostro Signore e l’altra della Maddalena . . . lire 64 ». (5) Cart. 159r, pag. no e 121. S’intertenne il Paggi presso del Principe, cosi a Genova come a Loano, dall’ottobre 1590 al febbraio dell’anno successivo; poscia riparti per Firenze. (6) Filza mandati 1586, num. 74, sotto il 25 febbraio: « Noi Vincendo et Gottardo Croci fratelli argenteri ... si oblighiamo di fare ... un piede da tavola d’argento con quattro colonne lavorate, et a basso alli piedi di dette colonne due scudi con l’arma D’Oria per ogni piede, e più un frexo d’ar- — 68 — sbalzava nello stesso metallo quattro buffetti, de’ quali due con certe storie d’ Ercole a mezzo rilievo sopra disegni di Bernardo Castello (i). Di tal forma apprestavasi il Principe ad onorare gli sponsali del suo primogenito Andrea con Giovanna Colonna ; per la quale faceva ornare altresì d’intagli una sedia (2), su cui è verisimle fosse ella condotta al torneo che a festeggiare l’irrivo di lei fu bandito da Carlo se- gento d’alto e da basso tutto atorno lavorato a mezzo rilievo . . . , per il prezzo di scuti centovinticinque de oro in oro de manifattura ». Rilevasi poi dal relativo conto allegato al mandato num. 585, che nel detto lavoro si impiegarono oltre a 170 libbre d’argento. Gottardo Croce fece anche la impugnatura d’argento alla spada che nel 1535 era stata offerta solennemente da papa Paolo III ad Andrea D’Oria, e che fu sospesa sopra il maggiore altare nella chiesa di san Matteo (Filza mandati 1595, num. 88). (1) Filza mandati 1590, num 217, addì 6 maggio: « Henrico Fiamengo argenterò, al presente soldato nella piazza di questa città di Genova . . . , promette airill.mo et Ecc.m0 Sig. Principe Gio. Andrea Doria ... de fare et lavorar bene . . . tutte le lame ossia chiape di argento buono et fino che saranno necessarie per fasciare di sotto et di sopra doe buffetti di larghezza di palmi tre e mezzo 1’ uno et di lunghezza palmi cinque e mezzo l’uno, con li loro piedi del medesimo argento; lavorati dalla parte di sopra ambo essi buffetti con le historie di Hercole . . . , per mercede ossia manifattura di 650 scudi da lire quattro 1’ uno ». Id., num. 709: 3 dicembre: « A Bernardo Castello pittore lire 70 . . . , per il disegno che ha fatto delle historie di Hercole che vanno sopra li buffetti di argento che Arrigo Fiamengo va facendo ». La commissione degli altri due buffetti venne data poscia al Fiammingo con atto ricevuto dal notaio Domenico Tinello addì 22 marzo 1595. Ma già innanzi a tutti questi lavori, il Principe avea sperimentata l’eccellenza dello stesso artefice nell’ opera commessagli di un gran vaso d’ argento dorato, e nelle decorazioni argentee di alcuni vasi di porcellana. Enrico Fiammingo non era sin qui noto che per un breve documento del 1592 (Ved. Varni, Della cassa per la processione del Corpus Domini, pag. 36); dal quale però non si arguirebbe al certo della rara valentia dell’artefice. (2) Filza mandati 1592, num. 370, 31 ottobre: « A maestro Pippo . . . lire 88, prezzo di aquile, termini e trofei per la carega da portare Donna Giovanna ». I — 69 — condogenito di Giovanni Andrea, ed ebbe luogo nel novembre del 1592 (1). Intanto Marcello Sparzio andava decorando di storie in plastica le volte di due grandi sale che riescono presso la galleria di levante (2); Lorenzo Calvi dipingeva l’armeria (3), e di dipinti eziandio Agostino Riolfì ornava 1’ esterno dei loggiati a mare (4); il quale risulta ch’era a que’ giorni merlato, sì come appunto vedesi rappresentato nelle incisioni che corredano la Guida del Ratti. Nel tempo stesso il Principe si procacciava di Roma ben sessanta ritratti d’ uomini illustri, de’ quali sembra intendesse vieppiù arricchire la Guardarobba (5); nonché dodici busti di Cesari per ornamento de’ giardini (6). (1) Filza cit., nel sommario delle spese di novembre. Donde si rileva che lo steccato pel torneo era stato disposto dall’ ingegnere Giuseppe Forlano. (2) Filza mandati 1599, num. 167, 216, 293. Gli stucchi dello Sparzio non sono certo da paragonare a quelli onde si ornò il Palazzo ne’ bei tempi di Perino del Vaga; ma neppure consente che oggi se ne giudichi in tutto a dovere la doratura che hanno subita, e lo scialbo cui andarono soggetti nei principii del nostro secolo. (3) Filza mandati 1595, num. 3 , 16 aprile: « A maestro Lazzaro Calvo. . . lire 300, e sono per suo intero pagamento della pittura fatta nell’armeria ». Poco appresso il Principe divisava ornare di dipinti anche la Galleria di ponente, facendovi ritrarre le gesta degli uomini illustri del proprio casato, e quelle in ispecie del suo predecessore Andrea il Grande. Ne abbiam documento in due lettere del 13 e 21 gennaio 1597, con cui da Girolamo D’Oria si somministravano al Principe gli opportuni argomenti (Arch. D’Oria, Fogliazzo di lettere pel 1597). Ma, qual che ne sia la cagione, il disegno non fu recato ad effetto. (4) Filza mandati 1595, num. 98, 17 giugno: » A maestro Gio Agostino Riulfo pittore, lire 116. 6. o, per saldo del suo conto di pittura che ha fatto nelle gallerie del palazzo di Fassolo ». E nel conto si nota fra le altre cose la « manifattura de merli numero 66 a soldi 14 l’uno ». (5) Filza di conti per l’anno 1591. (6) Filza mandati 1589, num. 690, 17 dicembre: « Scuti 26. 6. 8, moneta di Roma ... a Cesare Sergiusti in Roma,-e sono per costo e spese di dodici teste di Imperatori di marmaro » ecc. Dove or divisava sostituire a’ boschetti delle aiuole di varia forma, smaltate di fiori, inghirlandate di mirto, e circoscritte da viali; ed ergere in mezzo al campo la fontana monumentale, cui sovrasta il gruppo di Andrea il Grande, che sotto le sembianze di Nettuno regge il freno a’ cavalli marini, con vaghi accessorii di tritoni, delfini, conchiglie e testuggini, alternati a rabeschi, a cartelle, a musaici, ed alle aquile che sorgono da ogni pilastro o quadratura della conca maggiore. Per quest’ o-pera affidavasi il D’ Oria nel 1599 a Taddeo, Giuseppe e Battista Carlone (1); ma vuoisi ripetere coll’Alizeri che l’arte volgeva allora a decadenza, e quel che ivi manca a Taddeo ed a’ suoi colleglli si scusa a gran pena al magnifico ed al vario della mole (2). (1) Filza mandati 1599, num. 486, 12 dicembre: « A maestro Tadeo, maestro Giuseppe fratelli e mastro Battista Carloni marmarari . . . , lire 3000, e sono a buon conto della fontana di marmaro che vanno facendo nel mezzo del giardino di Fassolo ». Mancando però nella detta filza parecchie carte, e mancando inoltre nell’Archivio tutti i documenti relativi all’anno 1600, non potrebbe indicarsi con precisione il costo totale dell’ opera. (2) Guida artistica della città di Genova, voi. II, pag. 1301. Battista poi scolpì nel 1603 i sedili di marmo che intorniano la fontana medesima ; e nello stesso anno il Principe fece collocare nei descritti giardini una grandissima uccelliera, la cui tela metallica misurava 3154 palmi quadrati. Era chiusa da una cupola sormontata dall’aquila doriesca, contenea tre fontane del diametro di palmi 10 ciascuna, scolpite da Battista Orsolino; e l’aveano dipinta Marcantonio, Aurelio e Felice Calvi (Filza mandati 1603, num. 199, 267, 381 , 402, 586). Ma ai suddetti artefici aveva pure il Principe affidate altre considerevoli opere. Conciossiachè del 1594 commetteva a Taddeo e Battista Carlone, in servigio del Conte di Chincon nella Nuova Castiglia, e per la somma di lire 3000 un mausoleo composto di « sei figure di marmaro ..., tre di donne e tre di uomini, con sei inginocchiatori per dette figure ». (Filza mandati 1594, tra le carte annesse al sommario delle spese fatte in luglio; Id. 1595, num. 19). Al-1’ Orsolino faceva poi scolpire il monumento sepolcrale innalzato in santa Caterina del Finale ad Andrea Del Carretto marchese di quel luogo : monumento or non ha guari vandalicamente distrutto (Filza mandati 1603, num. 61). — 7i — Circa il tempo stesso altri propositi si erano pur venuti maturando. Imperocché Donna Zenobia mirava a collegare al Palazzo la vicina chiesuola di san Benedetto, già riguardevole monastero delle Cisterciensi, ma allora deserto e volgente a rovina ; e parimente disegnava procacciare alla chiesa medesima il privilegio della giurisdizione parrocchiale su tutte le proprietà doriesche nella region di Fassolo. E come già alcun poco innanzi una colonia dell’ordine de’ Trinitari per la liberazione degli schiavi, ad invito di lei era venuta di Spagna in Liguria, ed ella aveala accolta nella sua villa di Pegli, cosi ora da questa villa volea trasferiti alcuni religiosi a Fassolo, accomodandoli in certe case che il Principe avea compre dallo Spedale di Pammatone. Se non che tali divisamenti non poteva ella mandar tutti ad effetto, essendo mancata ai vivi il 18 dicembre 1590. « La qual morte, soggiunge un documento contemporaneo, fu pianta et sentita assai da’ poveri che di sue elemosine erano pasciuti, et da quelli che senza passion giudicavano la sua bontà et rare sue qualità, a guisa di specchio di santa vita et di religione » (1). Bensì non veniva meno (1) Archivio di Stato: Cerimoniali, voi. I, car. 95. Ivi è pur detto che la salma della Principessa fu accompagnata nel dì successivo ad un' ora di notte, alla sepoltura nella chiesa di san Matteo, « con cento torce bianche portate parte da’ Tedeschi della guardia di Casa sua, et parte da servitori et paggi tutti vestiti di gramaglie . . . , et portata da’ suoi gentil’ huomini sopra un cataletto coperto di velluto nero con una croce di borcato d’oro sopra et una torcia bianca, . . . con cinque soli preti et il padre suo confessore di san Domenico; et appresso a detto cataletto andorno l’Ecc.»10 Sig. Don Ferrante Gonzaga (avea costui sposata Vittoria figlia della Principessa), suoi nipoti et altri parenti più propinqui ». Mandò poi la Repubblica una deputazione a fare uffici di condoglianze col Principe, il quale unitamente a’ figli erasi ritirato nella villa di Pegli. alla memoria di Zenobia l’affetto del Consorte; il quale volea tosto averne due ritratti per mano di Alessandro Semino (i); e commessosi nel Ponsello pe’ restauri e l’ampliamento di san Benedetto, disponeva che all’ antico edificio si aggiungessero l’abside ed il pronao sulla pubblica via (2). Provvedea quindi la chiesa medesima di sontuosi arredi; crescea lustro al maggiore altare coll’ opera di un tabernacolo scolpito nel legno d’ ebano, ed ornato in argento da Enrico Fiammingo (3); affidava a Cesare ed Alessandro fratelli Semino la icone che pende in prospetto del coro, di cui tali artefici non fecero mai la migliore; e quelle de’ secondi altari ordinava a Bernardo Castello (4) e Benedetto Brandimarte (5). Il quale ultimo dipingeva inoltre le quattro tele per gli sportelli (1) Cart. 1591, pag. 120, sotto il 18 aprile: « Ad Alessandro Semino per due ritratti della felice memoria di Donna Zenobia, lire 408 ». Abbiamo pur notizia di « un retratto del Principe vegio » fatto dipingere da Giovanni Andrea a Cesare Corte. Filza mandati 1594, num. 11. (2) Delle colonne e degli altri marmi necessari a tali opere ebbe il carico Battista Carlone. Filza mandati 1592, num. 183 e 471. (3) Del detto tabernacolo si veggono oggi ancora gli avanzi ridotti a forma di reliquiarii e cornici. (|) Filza mandati 1592, num. 156 e 491. Dove sotto il 14 dicembre il D’Oria ordinando che si saldi ai Semino il prezzo della icone, eh’erasi convenuto in lire 1300, appone in calce al mandato la seguente postilla : « Anche questa non è mal pagata, per quanto me hanno detto njolti ». La tela rappresenta nella parte superiore la Trinità con varii beati, al basso i santi Rocco e Maria Maddalena, nonché i ritratti del Principe e del primogenito di lui Andrea. Cart. 1591, pag. 135. Dove addi 8 luglio si notano lire 248 « a Bernardo Castello pittore, per suo intiero pagamento di due ancone che ha fatto per le cappelle nuove di Fassolo ». (5) Filza mandati 1592, num. 497, 14 dicembre: « A Benedetto Brandimarte lire 400 per i! prezzo dell’ancona della Mondata della chiesa di san Benedetto ». E segue quest’altra postilla autografa del Principe: « È ben pagata, perchè quella ha fatto a Saluzzo dove è più fattura non costa di più ». L’ancona pel Saluzzo è quella da noi accennata nella nota 1 alla pag. 61. 73 dell’organo (i) costrutto da Lorenzo Stanga di Cremona (2). Faceva eziandio Giovanni Andrea riedificare in prò’ dei monaci il convento che sorgeva sul lato sinistro della chiesa, cui più tardi (1617) Giovanna Colonna rimasta vedova di Andrea II, aggiugnea 1’ ala che si eleva sul destro ; e il dotava di un loggiato a mare e d’ un giardino al quale cresceva ornamento una fonte scolpita da Taddeo Carlone (3). Ma nè 1’ opera della chiesa in discorso nè quella del palazzo di Fassolo assorbivano tutte le cure di Giovanni (1) Rappresentano il re Davidde, gli apostoli Pietro e Paolo e santa Cecilia ; figure abbastanza ben conservate, comecché non immuni da qualche ritocco. Tolte nel 1868 dagli sportelli, e messe in cornici, vedonsi oggidì appese alle pareti della sala dei Giganti. Nella tela di santa Cecilia si scorgono le lettere B. B., iniziali del dipintore. A complemento dei cenni della chiesa, aggiungiamo che del 1603 il Principe fé’ collocare sul piccolo campanile un orologio costrutto da Giorgio Gluch, già da noi rammentato nella nota 5 alla pag. 52, e del quale pagò il prezzo in lire 230 (Filza mandati 1603, num. 195). (2) Filza mandati 1592, num. 104 e 453. (3) Filza mandati 1593, fra le liste delle spese fatte in dicembre. Donde si rileva che tale fontana doveva essere sormontata da « una figura a maniera di fiume ». Compiute poi in siffatta guisa tutte le opere attinenti alla chiesa ed al convento, fece il Principe scolpire in lapidi corniciate e murare lateralmente all ingresso di san Benedetto la epigrafe che segue: IO . ANDREAS . AVRIA PRR1NCEPS . MELPHIAE MARCHIO . TVRSlI TVRRILIAE . S . STEPHANI COMES. LODANI REGNI. NEAPOLITANI MAGNVS .PROTONOTAR1VS CARA VACCAE . ORD. D . IACOBI COMMENDATARIVS AC. HISP.REGIS. CLASS PRAEFECTVS IND1VIDVAE. TRINITATIS MONACIS . HVC . A . D ZENOBIA . E1VS . VXORE DYM . VIVERET . DEDVCTIS AEDEM.HANC INSTAVRAVIT . EXORNAVITQ. VT . CVIVS . VTVAE. VOTIS SEMPER . ANNVIT . EIVSDEM QVOQ.VE. MORTVAE PIA . DESIDERIA . PERFICERET A.S. M.D.X C II{ — 74 — Andrea. Imperocché essendo egli , per virtù di certa transazione stipulata nel 1595, venuto in possesso del celebre palazzo di Strada Nuova, che ora è proprietà e residenza del Municipio Genovese, e divisando farne dono al suo secondogenito Carlo, volle non solo che se ne ultimasse sollecitamente la costruzione, per la quale già era salito in bellissima fama il comasco architetto Rocco Lurago (1), ma che del pari si arredasse con la maggiore sontuosità. Di che, a recarne un qualche esempio, fanno fede certe tappezzerie per tre camere, che furono commesse ad Enrico Franex e Guglielmo Tour in Bruxelles, e doveano ritrarre le storie d’Èrcole, Didone e Giulio Cesare (2) ; nonché i molti paramenti di damaschi, velluti, broccati e tele d’oro che vennero all’ uopo intessuti nella fabbrica cui il Principe avea poc’ anzi istituita e commessa alla direzione d’ un Giambattista Ferrari nel suo feudo di Loano. Dove inoltre muniva le ristaurate mura d’artiglierie gittate all’ uopo da Gregorio Gioardo; ingrandiva il palazzo, fabbricava i giardini (3), innalzava la chiesa di Nostra Donna del Monte Carmelo, e quella della Beata Ver- . • • gine di Misericordia coll’ annesso convento pei romitam (1) Ved. Soprani, Vite ecc., I. 419. Filza mandati 1596, num. 2, 89, 141. Dai quali si rilevano le commissioni delle pietre riquadrate e dei marmi che occorrevano alle ornamentazioni dell edificio. De’ marmi ebbe il carico Taddeo Carlone in società con Battista Orsolino. (2) Filza mandati 1599, num. 500; e Filza di conti pel 1601. (3) Furono in questi giardini poste tre fontane; cioè 1’una in pietre di Finale, l’altra in marmo con quattro draghi ed altrettante aquile scolpite da Taddeo Carlone, e la terza con ornamenti di terra cotta eseguiti da Giulio Griso « pi-gnattaro di Savona» (Cart. 1587, pag. 57; Filza mandati 1585, num. 138 e 339). f — 75 — di santo Agostino (i), ornandole entrambe di sculture e dipinti pregevoli (2). Qui pure apriva una fabbrica di polvere pirica, una di carta della quale affidava l’indirizzo a Nicoloso Brondo e Antonio Ansaldo da Voltri; e finalmente la zecca che fu non solo la più antica fra le doriesche, ma la più riputata ed operosa. Notevoli cure aveva il Principe dedicate egualmente al suo palazzo di Pegli; che tra questa deliziosa borgata e le stanze di Loano soleva egli alternare la propria dimora, specialmente nelle stagioni estiva ed autunnale. (1) Il convento del Carmine fu eretto invece nel 1612 dal principe Andrea II. (2) Commise il principe Giovanni Andrea per la chiesa del Monte Carmelo una icone dell’Assunta ed una di san Francesco a Giambattista Paggi, due altre del Precursore e di sant’ Andrea a Domenico Passignani, nonché un quadretto dalla Madonna a Gio. Maria Variano. Pel maggiore altare fece da Bernardino da Novi scolpire il tabernacolo marmoreo con figure d’angioli, che poi volle sormontato da una croce di cristallo di rocca ; e gittare in bronzo da uno Stefano Liberale due torchiere e sei candelabri. E similmente al già ram- —- mentato Lorenzo Stanga commise, mediante il prezzo di 180 scudi d’oro, di costrur l’organo ; il quale, secondo leggesi nella scritta relativa che reca la data del 12 aprile 1590, doveva essere « di palmi nove et registri otto », cioè principale, ottava, quintadecima, decimanona, vigesimaseconda, flauti in ottava del principale, e flauti in duodecima del principale », e di cinquanta canne per registro , cominciando la prima di esse in fa ut. Pattuivasi del pari nella detta scritta che la facciata sarebbe « di stagno imbrunito et di canne 35 in cinque castelli, cioè tre da basso che suoneranno et due per ornamento; et le canne principali et più grandi anderanno in vista, et quelle di drento saranno di piombo ». Infine si conveniva che l’organo dovrebbe riconoscersi « buono a giudicio di musici intelligenti » ; e conforme a ciò troviamo che il 21 novembre di detto anno 1590 fu collaudato dal prete Giovanni Antonio Corrado organista di san Matteo, e da Giacomo Latini musico senese, che in tal qualità era entrato nel 158$ a’ servigi del D’Oria. Per la chiesa della Misericordia il Paggi dipinse il quadro di sant’Andrea, il Brandimarte due tele col Presepe e l’Assunta, ed Andrea Semino altre due col Battesimo di Gesù e la Crocifissione. Ved. Filza mandati 1581, num. 470 e 559; Id. 1582, num. 911 ; Id. 1583, num. 417; Id. 1590, num. 443, 467, 652, 759; Id. 1607-08, num. 16. E veggansi del pari la Guida del Ratti, nonché il Casalis, Dizionario ecc., all’art. Loano. I té — 76 ~ Il palazzo avea ricchezza di giardini, di ville, di bosco; e forse era al D’Oria pervenuto in eredità da parte della propria madre Ginetta; conciossiachè a’ tempi del Vasari il troviamo di pertinenza di Adamo Centurione, pel quale appunto, secondo scrive il Biografo, Galeazzo Alessi avea tatto quivi « il lago ed isola . . . , copiosissimo d’ acque e fontane, fatte in diversi modi belli e capricciosi » (i). Bensì non mancava il Principe di procurare altri molti e nuovi abbellimenti; sicché nell’ opere de’ giardini e del palazzo medesimo veniano impiegati, sotto la direzione dell’architetto Vannone, i maestri L> ' Gaspare Corte, Battista Cantone e Stefano Gandolfo (2); mentre a decorar la fronte e le sale si invitavano i pennelli di Lazzaro Tavarone, cui sovvenivano per la parte dell’ornativa Battista Del Forno e Domenico Passano (3). Correva l’estate del 1596; ed in questa sua residenza celebrava appunto Giovanni Andrea la nascita di un bambino (4) con uno splendido banchetto (14 luglio) rallegrato da musici e commedianti. I quali sembra a certi indizi non fossero già attori volgari, ma quell’ eletta tAccademia de comici gelosi ond’ era precipuo ornamento Isabella Andreini sì celebrata da’ poeti, e nella quale la (1) Vasari, Vite, XIII. 126. (2) Cart, ,1591, pag. 139; Filza mandati 1594 nel sommario di spese. (3) Filza mandati 1595, num. 13; Id. 1596, num.1333, 364, 397. Fra le pitture del Tavarone serbansi ancora la medaglia della volta nella galleria d’accesso, colla storia di Andromaca; quelle della gran sala colle imprese di Giasone; e l’altra di una camera vicina, nella quale si rappresenta Frisso in atto di appendere il vello d’ oro nel bosco sacro a Marte. Più tardi il Principe fece dipingere da Marcantonio, Aurelio e Felice Calvi alcune fabbriche, ch’egli stesso avea fatte innalzare alla marina (Filza mandati 1603, num. 16). (4) Forse qualche suo nipotino. — 77 — straordinaria bellezza delle forme e la rara svegliatezza dello ingegno andarono sempre del pari con la virtù (i). Ma non essendo il Principe uso a scompagnare dal decoro della propria Casa l’onore di quella di Dio, così come in Loano adoprava in Pegli; dove co’ disegni del citato Vannone facea perciò innalzare la chiesa di Nostra Donna delle Grazie ed il contiguo cenobio pe’ frati agostiniani (2). E la chiesa arricchiva di tre paliotti e d’ un baldacchino con figure e stemmi dipinti (3); di un quadro della Vergine titolare mandato di Firenze dal Paggi (4); di un tabernacolo scolpito in marmo da Taddeo Carlone (5), e dell’organo costrutto da Lorenzo Stanga (6). Né con ciò avrem noi compita la rassegna delle opere alle quali il Principe die’ mano per gl’ impulsi del proprio animo liberale e munifico. Perocché in Genova, coi disegni del Vannone, ricostrusse il Palazzo che or diciamo del Gigante, e ch’egli avea compro da Erasmo D’Oria; e colla direzione dello stesso architetto fondò il monastero e la chiesa dello Spirito Santo (7). Ben meritò inoltre del pubblico, allargando la strada di Fassolo mercé (1) Ved. Belgrado , Delle feste e dei giuochi dei Genovesi; nell’^Archivio Storico Italiano, serie III, voi. XV, pag. 423. (2) Archivio Notarile : Fogliazzo d’atti di Domenico Tinello per gli anni 1590-91 ; dove sotto il 18 maggio 1591 si legge il contratto stipulato all’uopo col Vannone. » (3) Filza mandati 1592, num. 192. (4) Fu pagato lire 400. Filza mandati 1592, num. 163. (5) Filza mandati 15.92, num. 179. (6) Id., num. 104 e 453. (7) Filza mandati 1603, num. 600; Id. 160J, num. 524. Il palazzo era stato acquistato dal D’Oria con atto del 21 giugno 1603 a rogito del notaio Can-gialanza. Il monastero dello Spirito Santo serve oggi ad uso di arsenale e quartiere d’ artiglieria. — 73 — l’atterramento d’alcune case di sua proprietà; costruendo più comode la salita di san Rocco e la via del Lagaccio; aiutando generosamente l’apertura della mulattiera tra Montobbio e Torriglia. Dove a quell’ oratorio della Beata Vergine del Porto fece dono di una statua scolpita in legno da Matteo Santacroce (i); e nel cui territorio innalzò co’ mezzo di Bartolomeo Baiardo le cappelle di Garaventa e di Laccio. Sovvenne eziandio largamente alla città in ogni dolorosa contingenza; e così nel contagio del 1579 chiamò da Lucca il medico Vincenzo Bondichi, perché, unitamente al lucchese Alessandro Bosi eh’ egli teneva a stipendio, porgesse aiuto nell’ opera di curar gli appestati ad Ananio Olivere di cui la Repubblica avea fatta richiesta alla Signoria di Venezia (2). Sovvenne del pari agli Spedali, al Magistrato di Misericordia, all’opera del Mandiletto; ed in genere a’ poveri della città e de’ proprii feudi, i quali talvolta si piacque aver partecipi de’ lieti casi di sua famiglia. Così a’ 3 novembre del 1596 li convitava in quel palazzo di Strada nuova, del quale, come abbiam detto era andato al possesso per transatta vertenza, facendoli servire di seicento libbre di carne, e torte, formaggio e vino in proporzione (3). Non visse però tanto Giovanni Andrea da veder pienamente condotte a fine tutte le fabbriche, alle quali durante un principato di circa mezzo secolo erasi da lui fatta por mano; conciossiaché il 2 febbraio del 1606, fra le 15 e le 16 ore, usciva di vita. (1) Filza mandati 1589, nella lista delle spese fatte in settembre. (2) Cartolario di spese pel 1576. (3) Filza mandati 1596, nel sommario delle spese. — 79 — Ecco in qual modo lo circostanze della malattia e della morte vengono raccontate nei Cerimoniali della Repubblica; colla relazione de’ quali porremo fine alla terza parte del presente lavoro, ed insieme alla descrizione di quanto concerne alle opere del Palazzo di Fassolo, dove da’ tempi di Andrea II in poi non occorrono più notevoli abbellimenti. « Sabbato 18 di dicembre del 1605 S. E. venne a li-centiarsi da Sua Serenità per andarsene a Loano per passar le feste di Natale; e la mattina seguente che la galera stava pronta da potersi imbarcare, restò in letto con dolor di stomaco; dal qual male ... in capo di quarantacinque giorni rese il spirito all’Onnipossente Signor Dio, con molto dispiacere di tutta questa Città, dicendo e pronosticando che se 1’ anno passato fu fatto allegrezza in Loano il giorno di sant’Agata, che fu il suo nascimento , nel medesimo giorno qui alla Città se sarebbero fatte le sue esequie. Scrisse alla Maestà del Re di Spagna, a molti suoi ministri, amici e parenti, domandando loro licenza, e così per Italia ad altri ministri regii e suoi amici, e poi mandò il suo Secretario alli Serenissimi Collegi a licentiarsi et a esortarli a esser vigilanti, in sapersi conservar questa dignità publica, ed esserli raccomandata la sua Casa e tre figliuoli che lasciava con certezza che harebbero camminato nel medesimo modo per sustentarla che havevano fatto li suoi passati. . . . E vedendosi mancar il vigor naturale, come che havess-e compito a quanto doveva di qua, e non haver da pensare ad altro che a morire, poco si curò di lasciarsi curare et di aiutarsi in pigliar nutrimento per bocca, massime che gionse da Pavia il magnifico medico Gallina, che s’ era mandato a domandare per ricordo del Signor Alonso Diaquez; e gionse anco da Loano il Signor Marchese suo figlio, qual visto e datoli la sua beneditione, tanto s intenerì che perse il polso e convenne farlo uscir di camera col Signor Don Carlo ed altri per un poco di spatio che tornò in se; e poi li fece andar da S. E., e gli fece un sermonetto esortandoli a stare uniti insieme, tener questa lor Casa aperta come haveva mantenuto tanti anni, e spender la vita e quanto havevano per tenei questa dignità publica con quiete e pace, e molte altre cose concernenti a lor casi. E si spedì prestamente corriere a Roma, perché fusse venuto il Si-gnoi Cardinale suo figlio (i), che tanto desiderava ve-deilo piima di morire; e gionse a tempo, che se ben eia in declinatione per non pigliar niente da nutrirse, tutta\ia stette sempre in suo proposito, e vedutolo gli diede la sua beneditione, e poi gli messe la mano sopra la sua testa facendo segno di abbracciarlo. . . . Poi . . . fece chiamar ... la Signora Placidia sua sorella (2), et altri suoi nepoti, e fece leggere il Breve che Sua- Santità gli haveva mandato con la beneditione et assolution di tutti gli suoi peccati dal R. Padre Francesco Di Negro cappuccino. ... E poi a tutti tre suoi figliuoli diede molti altri avvertimenti, con esser uniti insieme, et sopra (1) Giannettino creato cardinale diacono di sant’Adriano nel 1604, poi car-d.nale pre^ di san Pietro in Montorio nel 1623. Del 1609 fu nominato arcive-sco\o di Palermo; e del 1610, 1616 e 1624 esercitò la dignità di Viceré nel- 1 isola di Sicilia, correndo tempi difficilissimi. Morì in Palermo il 19 novembre 1642, e fu sepolto in quella cattedrale nella cappella di santa Rosalia eh’ egli stesso avea fatta innalzare. Ved. Pirrus, Potitiae Siciliensium Ecclesiarum, I. 222 e segg. (2) Placidia sorella di Giovanni Andrea e moglie di Giulio Spinola qm. Luca. tutto a mantener questa Republica in libertà et esser sempre ossequenti ne’ bisogni suoi .... » Doppo morto, e vestito col suo habito da caval-liero di san Giacobo, fu messo dentro una cassa, fu portato nella chiesa di san Benedetto dove fu fatto un bellissimo catafalco di velluto nero con 50 torce bianche e ceriotti accesi in candelieri di argento, e coperta tutta la chiesa di baietta da cima in fondo, dove stette tutto il giorno, e se fecero da que’ frati 1’esequie. E l’istessa sera del venerdì seguente, circa un’ hora e mezza di notte, fu portato alla sua sepoltura in san Matteo da’ signori cavalieri della medesima Religione, con 200 torce bianche avanti portate da’ tedeschi di sua guardia et altri suoi paggi e servitori de’ suoi figliuoli vestiti tutti di baiette, con gli suoi soli sei cappellani preti di san Matteo, et il frate priore de’ frati di sant’Agostino di Loano avanti il corpo, con li suoi nepoti et altri suoi stretti parenti appresso, con altri cittadini che andorno ad accompagnare il corpo che fumo assai, e così a fare offitio di condoglianza con li suddetti tre figliuoli che in una stanza stavano insieme . . . » Non fu in questo avvenimento di morte visitato in nome publico, come si diceva, né 1’Ill.mo Cardinale, nè Don Carlo insieme suoi figliuoli ; né fu passato di doverseli fare 1’ esequie in Domo, con intervento de’ Serenissimi Collegi. Ma ben in san Mattheo dalla Famiglia Doria gli furono per tre giorni continui fotte con un bellissimo catafalco di velluto nero e borcato d’oro in mezzo, con quattro arme depinte all’angolo in mezzo della chiesa, con molti lumi di cera bianca posti in candelieri di argento, e con intervento quasi di tutta Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. X, Fase. 1. 6 la Famiglia Doria sempre. Tutta la chiesa fu parata di baietta da capo in fondo, e similmente coperte le colonne di nero con una arma sopra sotto gli capitelli, che tu bellissima vista ; stando gli suddetti gentiluomini assentati (i) sopra gli scalini dinanzi all’aitar maggiore verso il Santissimo Sacramento » (2). (1) Cioè seduti. (2) Archivio di Stato: Cerimoniali, voi. I, pag. 307-9. PARTE QUARTA Sontuose accoglienze fatte nel Palazzo di Fassolo da Andrea D’Oria a Carlo V ed a Filippo di Spagna; da Giovanni Andrea I a Maria d’Austria, alla regina Margherita di Spagna, agli arciduchi Clara Eugenia ed Alberto; da Giovanni Andrea II al cardinale infante Don Ferdinando. Conclusione. 1 Palazzo di Fassolo, durante in ispecie il periodo di tempo intorno al quale ci siamo intertenuti nei capitoli che precedono, è stato il teatro di alcuni così solenni e stra-ordinarii ricevimenti, che il tesserne un breve ricordo ci sembra la più opportuna e degna conclusione di queste pagine. Apresi la ordinata serie di tali festeggiamenti con la venuta di Carlo V in Genova addì 28 marzo del 1533, allorché vi prese imbarco per far ritorno alla Spagna. Era Cesare quel dì incontrato a Rivarolo dalla Signoria preceduta dal Doge Battista Lomellino, e salutato a Capo di Faro con una elegantissima orazione latina, per volere di Andrea D’ Oria dettata dallo storico Paolo - 84 - • \ Franchi-Partenopeo, e con indicibile grazia recitata da Simonetta, figliuola al medesimo, non ancora bilustre. La quale, ritta fra gii intercolonnii di un superbo padiglione od arco di trionfo, in candide vesti di seta, disciolto per gli omeri il crine, coronata di rose, e cinte di virgulti d’alloro le tenere braccia, con ramoscelli di palma sposati all’ ulivo nella mano sinistra attirava a sé gli sguardi dell’ Imperatore e del popolo. A cui volgendosi, poich’ebbe finito il sermone, con angelica voce cantando diceva: -£« iuxta scalas pulpiti et ebdomadario ante altare sancti Bartholomei prope sepulturam domini Nicolai que est ibi. Responsorium, domine quando veneris iudicare etc. ut supra (i). Oratio. Absolve quesumus domine animas famulorum tuorum ut defuncti seculo tibi vivant, et peccata que tragilitate carnis humana coversatione commiserunt, tu venia misericordiosissime pietatis absterge: per christum dominum nostrum. A Quarta statio. Postea intrant iratres per capellam sancti ludovici ad sepulcrum domini archiepiscopi. Responsorium. Memento deus qui venturus es etc. cum suo versu et requiem et kyrieleyson ut supra. Oratio. Da nobis domine ut animam famuli tui Ai-chiepiscopi (2) quam de seculi eduxisti laborioso certa- (1) Questo responsorio fu poi cancellato e sostituitovi quello Qui Labarum. (2) L’Arcivescovo Porchetto Spinola, di cui già a pag. 407. — 437 — mine. Sanctorum tuorum cetui tribuas esse consortem, per christum. Quinta statio. in choro mulierum stante ►£< ante portas ecclesie et ebdomadario in medio super sepolturam domini Guil-lelmi Cybo. Responsorium, heu michi domine quia peccavi nimis (i) etc. ut supra. Oratio. Omnipotens sempiterne deus cui nunquam sine spe misericordie supplicatur, propiciare animabus famularum famularumque tuarum, ut qui de hac vita in tui nominis confessione decesserunt, sanctorum tuorum nnmerum fatias aggregari, per christum dominum nostrum. Amen. Sexta statio. Ante fores ecclesie h£-< cruce stante ante portam cymi-terii et ebdomadario ante portas ecclesie. Responsorium, ne recorderis etc. (2). ut supra. Oratio. Propitiare quesumus domine animabus famulorum famularumque tuarum misericordia sempiterna ut mortalitatis nexibus expeditas, lux eas eterna possideat, per christum dominum nostrum. Amen. Septima statio. In cimiterio stante subter capellam sancti ludovici vel iuxta. Responsorium peccantem me cotidie etc. (3) ut supra. (1) Fu poi sostituito da quello Domine quando veneris. (2) Sostituito poi da quello Heu mihi. (3) Cangiato poi in quello Ne recorderis. — 43S — Oratio. Absolve quesumus domine animas famulorum famularumque tuarum ab omni vinculo delictorum, ut in resurrectionis gloria inter sanctos et electos tuos resu-sitati respirent per christum dominum nostrum. Octava statio. Ad sepulturas fratrum stante ►£< iuxta altare et ebdomadario in medio. Responsorium. Libera me domine de morte cum suis versiculis etc. ut supra. Oratio. Deus venie largitor et humane salutis amator quesumus clementiam tuam ut nostre congregationis fratres propinquos et benefactores nostros qui ex hoc seculo transierunt. Beata maria semper virgine intercedente cum omnibus sanctis tuis, ad perpetue beatitudinis consortium pervenire concedas: per christum dominum nostrum. Amen. Notandum quod de hiis duabus stationibus supradictis. sive de VI .et. VII (i) potest fieri una tantum, si videtur, propter prolixitatem. \ Nona statio. In cymiterio columpne ^ stante iuxta columpnam et ebdomadario similiter. Responsorium, domine secundum actum meum (2). etc. ut supra. Oratio. Deus cuius miseratione anime fidelium re- a a . £1) Va invece VII et Vili- Lo sbaglio provenne da che essendosi omessa la stazione VI, fu aggiunta dopo, correggendo la numerazione delle susseguenti ; errore che non fu corretto in detta annotazione. (2) Sostituito in seguito da quello Peccante me. — 439 — quiescunt, famulis et famulabus tuis omnibus hic et ubique in christo quiescentibus da propitius veniam peccatorum. ut a cunctis reatibus absolutis, tecum sine fine letentur: per christum dominum nostrum. Decima statio. In claustro sacristie ►£< stante ante portam Carubii et ebdomadario ante portam sacristie. Responsorium, qui lazarum resuscitasti etc. (i) ut supra. Oratio. Presta quesumus omnipotens deus ut animas famulorum famularumque tuarum in congregatione iu-storum eterne beatitudinis iubeas esse consortes, per christum dominum. Exeunt fratres per carrubium ad sepulturam lomelino-rum ►£< stante in capite scalarum ante sepulcrum de Cucarellis et ebdomadario inferius ante portam ecclesie. Responsorium, domine quando veneris etc. ut supra. Oratio. Deus vita viventium, spes morientium. salus omnium vite sperancium. presta propicius ut anima famulorum famularumque tuarum a nostre mortalitatis tenebris absolute beata maria semper virgine intercedente in perpetua cum sanctis tuis luce letentur, per christum dominum nostrum. Arnen. a XI STATIO. In claustro a parte capituli, stante ►£< in capite porticus sub reffectorio et ebdomadario ante portam capituli. Responsorium, peccantem me etc. ut supra. (i) Sostituito poi da quello Domine secundum actum. - 440 — Oratio. Presta quesumus omnipotens deus ut animas famulorum famularumque tuarum ab angelis lucis susceptas. in perpetua habitacula, reduci facias beatorum, per christum dominum nostrum. Postea. Procedunt tratres per porticum sub reffectorio et per 'alium porticum capituli novi, cantantes Responsorium ne recorderis nec in hiis faciunt stationem. Sed fit statio in porticu iuxta ecclesiam, stante in medio porticus et ebdomadario in capite iuxta portam magistram et •hec omnia dicuntur ut supra. Oratio. Fidelium deus omnium conditor et redemptor animabus famulorum famularumque tuarum remissionem cunctorum tribue peccatorum ut indulgentiam quam semper optaverunt, piis supplicationibus consequantur, qui vivis et regnas in secula seculorum. Amen. u XII STATIO. Postea descendunt. In ecclesiam per scalas lomellino-rum. cantantes Responsorium libera me domine etc. et fit statio in choro sancti Nicolay stante ante altare eiusdem sancti et ebdomadario similiter in fine fratrum sub organo, pater noster, et ne nos inducas, requiem eternam dona eis. a porta inferi, requiescant in pace, domine exaudi orationem meam, dominus vobiscum. Oratio. Deus qui inter apostolicos. (C quia ibi iacent Archiepiscopus Salernii et abbas quidam sancti Martini (i) et post orationem illam immediate sequitur alia oratio. (i) Cioè l’abbate di S. Martino della Gallinara, già ricordato a pag. 414-15. — 441 — Oratio. Satisfaciat tibi quesumus domine deus noster pro animabus famulorum famularumque tuarum, beatissime dei genitricis semperque virginis marie, ac sanctissimi confessoris tui patris nostri francisci. omnium sanctorum tuorum oratio et presentis familie tue humilis et devota supplicatio, ut peccatorum omnium veniam quam precamur obtineant, nec eos paciaris cruciari gehennalibus flamis. quos filii tui domini nostri ihesus christi precioso sanguine redemisti. Qui técum et cum spiritu sancto vivit et regnat deus per omnia secula seculorum. Amen. t. Requiem eternami. $. Et lux perpetua. Postea cantores dicunt alta voce. Requiescant in pace. $. Amen. Demum immediate predicatur. Et post predicationem incipitur missa a duobus cantoribus solem pn iter. Processio autem in ramis palmarum ET PURIFICATIONE BEATE MARIAE FIT UT INFRA. icta tercia in choro et ramis benedictis et datis fratribus in die palmarum, similiter et cereis in purificatione exeunt per chorum primo ceropherarii deinde subdiaconus cum cruce et fratres bini et bini cantantes sicut ordinatum est. exeunt per portam et scalas lomelli-norum et vadunt per claustrum incipientes a parte capituli faciendo stationes in qualibet porticu secundum di-spoxitionem cantorum Deinde exeunt claustrum et inrant per portas ecclesie cantantes etc. Qualiter fratres habuerunt pedem beatissimi ste- PHANI PROTHOMARTIRIS. d perpetuam rei memoriam amen. Noverint universi presentem paginam inspecturi. o o c quod circha annos domini m . cc . lxv. propter quedam ardua negotia Comunis Janue et imperatoris constantinopolitani. , facti fuerunt quidam ambaxiatores per Comune Janue ad prefactum imperatorem, inter quos fuit honorabilis vir dominus frexonus malocellus. qui secum habebat quemdam domicellum virum utique providum et discretum, nomine ogerium de turricella. quem secum duxit ad imperatorem predictum. factum est autem ut dum essent in completis negotiis suis bene et gratiose, petierunt ab imperatore ut possent videre magnas et pretiosas reliquias que apud sanctam Sophiam honorifice reservantur, qui — 444 — libere ei concessit, videntes autem devote adoraverunt et magnam inde consolationem susceperunt. Inter predictas autem reliquias erat pes dexter beatissimi stephani protho-martiris. quem cum predictus ogerius videret ob magnam devotionem quam ad sanctum habebat statini animatus de reliquia sancta diligenter observavit modum et locum quomodo et ubi pes sanctus reconderetur, et magno periculo se exponens, nocte supraveniente in ecclesia sancte Sophie clanculo se abscondens, cum dei et sancti adiutorio prudenter pedem sanctissimum de loco suo asportavit, et illum in capsia sua reverenter abscondens nemini flictum donec Janue fuit indicavit. Imperator igitur predictus cum de ammissione reliquie sanctissime audiret vehementer doluit. et mittens omnes sacerdotes suos et calloioros carceri mancipavit, et dubitans nichilominus de facto statini nuntios suos sollempnes Janue misit, qui perscrutantes de negotio, quia nemini hoc notum fuerat, vacui ad patriam sunt reversi. Cum magna igitur diligentia et reverentia ogerius prefactus magno tempore thesaurum sanctum penes se custodivit, sed tandem conscientia motus, quia irreverentur conservabatur et loco indebito, a deo ut creditur monitus, pedem sanctissimum apud fratres minores de Janua duxit humiliter deponendum. qui fratres per plures annos in sacrario cum ceteris sanctorum reliquiis conservarunt, infra quem terminum ogerius sepedictus migravit ad dominum, nullam de huiusmodi in morte faciens mentionem, uxor vero illius nomine luchesa cum ceteris heredibus viri sui reliquiam sanctam velud suam a fratribus repetiit, qui sine alia condictione sibi eam reddiderunt eo quod tamquam depositam rem susceperant, quamvis crediderent quod de — 445 — ipsa amplius mortuo viro mentio' alia fieri non deberet, custodiens igitur mulier prefacta pedem sanctum in domo propria quam honorificentius et melius potuit, contigit ipsam graviter infirmari, in qua infirmitate diu laborans, cum nullo posset mediocrum iuvari subsidio, ad dei et beatissimi prothomartiris auxilium se vertens votum vovit quod si de infirmitate illa sanctus liberaret eam reliquiam suam apud locum fratrum minorum cum omni reverentia et humilitate collocaret, statini igitur voto emisso mulier de infirmitate sua convaluit et mittens per Guardianum et fratres, ibi cum cereis et sollempni-tate magna accesserunt, et thesaurum illum sanctissimum a domina illa prefacta libere et gratiose cum instrumento publico et testibus ydoneis ipsis oblatum, ad domum et conventum ipsorum Janue deduxerunt, et eum cum ceteris sanctis reliquiis que ibi in magna copia in sacristia conservantur honorifice collocarunt, ubi per ipsorum merita sanctorum suorum dominus magna beneficia omnibus ipsorum suffragia petentibus conferre dignatur ad laudem et gloriam domini nostri ihesus christi qui est benedictus in secula seculorum amen. Explicit de pede beati stephani protomartiris (i). (i) Riant, Exuviae sacrae constantinopolitanae, voi. II, pag. 185. Qualiter ecclesia fratrum minorum de Janua et CYMITERIUM FUERUNT CONSECRATE. d honorem omnipotentis dei et beatissime marie semper virginis et beati francischi et o o o omnium sanctorum. Anno domini m.cccii. die dominico de mense Junii infra octavam beati Antonii confessoris ordinis fratrum minorum. Venerabilis pater dominus frater por-chetus eiusdem ordinis Archiepiscopus Janue. ad instantia et preces fratrum conventus Janue consecravit ecclesiam fratrum predictorum et altare maius, nec non et alia altaria que consecrata videntur, habens secum episcopum Albinganensem. episcopum Naulensem et episcopum Ac ciensem. nec non et Abbates sanctorum Syri et stephani Janue et alios prelatos multos tam seculares quam religiosos cum maxima sollempnitate populi et cleri. Qui dominus Archiepiscopus cum ceteris Episcopis supra-dictis indulgentiam debitam ibi dederunt et ordinaverunt — 447 — quod festum predicte consecrationis annis singulis dominica predicta fratres debeant celebrare, quam ordinationem capitulum generale postmodum confirmavit. Consecratio cimiterii. Cimiterium autem per venerabilem patrem dbminum Benvenutum Episcopum Augubiensem qui casu per Januam transibat ad preces fratrum gratiose consecratum C • ° ° ° luit, m . cc . lxxxx. de mense marcii. De capella et loco sancti honorati quomodo fratres MINORES DE JANUA IPSAM A DOMINO PAPA HABUERUNT. Qualiter fratres habuerunt Capellam sancti honorati, de hoc multa privilegia instrumenta et scripta in sacrista fratrum minorum de Janua cum ceteris scripturis et instrumentis eorum conventus reservantur. Nam dominus Innocentius papa II1I concessit primo et mandavit Archiepiscopo Januensi quod dictam Capellam cum terra in qua est. que erat monasterii sancti honorati de lirino crassensis diocesis. faceret commutari cum Capella sancti Antonii que est extra porta vacharum (i), et que erat de mensa eiusdem Archiepiscopi, et ipsam Capellam sancti honorati daret fratribus minoribus de Janua perpetuo iure. et hoc fuit circa annos domini m . cc . l. pontificatus ipsius domini Innocentii septimo. Fratres autem tunc ipsam ecclesiam non potuerunt habere, et ideo dominus Alexander papa quartus mittens tres litteras unam post aliam (i) Cioè l’abbazia di S. Antonio di Prè, tuttora esistente. - 448 - eidem Archiepiscopo Janue. et unam potestati Januensi. et quintam eiusdem fratribus minoribus de Janua taliter distincte in virtute obedientie precipiendo mandavit quod commutatio per ipsum archiepiscopum et per abbatem predicti monasterii facta fuit, et ipsa ecclesia sancti honorati et locus in circuitu eius fratribus data fuit libere iure perpetuo. Anno domini m . cc . lv. pontificatus sui anno primo et secundo. Et sunt exinde quinque bulle ex quibus penultima autenticata ter vel quater per manum publicam, et alie etiam semel vel bis. et multa instrumenta et processus inde facti fuerunt. Que omnia servantur in sacristia fratrum predictorum. De loco secundo fratrum minorum de albario in QUO MODO MORANTUR. Dominus Andriolus drogus. Catherina uxor quondam domini Gaspalis de insulis sive de yso. et aldina traveria soror eiusdem Gaspalis executores et fidei commissarii testamenti ipsius domini Gaspalis dederunt pro anima ipsius locum et terram loci albarii fratribus minoribus de albario Anno domini m . ccc . vni. et dominus clemens papa V. concessit licentiam alium locum dimittendi et hunc accipiendi. Et sunt exinde ipsa litera domini pape bullata et carta seu instrumentum publicum ipsius donationis in secrestia fratrum minorum de Janua. De via qua itur ad locum de extra murum Civitatis QUALITER FRATRES HABUERUNT EAM AB IMPERATORE HeNRICO. Henricus dei gratia romanorum Rex semper Augustus Religiosis viris.. Custodi.. Gardiano ac conventui fra- — 449 — trum ordinis minorum domus Januensis devotis suis dilectis gratiam suam et omne bonum. Quoniam quidem Regie maiestatis apex in hoc divinitus assumptus tore cognoscitur, ut omnibus christi fidelibus qui religiose, qui i uste, qui pie vivere noscuntur, condignis eorum commoditatibus debeat providere precipue comuni vita degentibus et pro nomine ihesu mendicantibus qui apostolico more relictis omnibus nudam crucem nudi sequuntur. Quo circa quia nostre Regie maiestatis consueta benignitas vos et ordinem vestrum piissimis amplexerat affectionibus in operibus Religiosorum vestrorum, quos ordo vester producit multipliciter delectata spe retributionis eterne, devotis vestre petitiones precibus inclinari, vobis damus et concedimus licentiam et liberam potestatem faciendi construendi et edificandi a loco quem ad presens inhabitatis sub via publica et muro civitatis Janue prefacto loco vestre habitationis inmediate contiguis, usque ad locum orti seu viridarii quem extra prefactum murum possidetis, viam subterraneam cum suis introytu et exitu hinc inde opportunis, non obstantibus lege comuni etc. Ut habetur in originali Utera sive privilegio ipsius domini henrici quod cum ceteris scripturis conventus in sacrista conservatur, et est cum bulla et sigillo pendenti maie-state regia insignito, huiusmodi autem concessio sive gratia facta fuit Anno dpmini m . ccc. xi. kalendas decembris. Regni vero eiusdem domini anno tercio. Hic inferius continetur de privilegiis indulgentiarum QUAS HABET ORDO FRATRUM MINORUM IN GENERALI ET ETIAM CONVENTUS JaNUE IN SPECIALI. SECUNDUM QUOD FRATER PHILIPPUS DE SAONA IN DIVERSIS PARTIBUS ORDINIS VIDIT ET COLLEGIT. rimo habetur privilegium domini Innocentii IIII. quod porrigentes manum adiutricem ad hedifkandum ecclesiam domos et alia edificia ad opus fratrum nec non et ad vite necessaria eorundem, de omnipotentis dei misericordia de invincta eis pecunia habent indulgentiam dierum quadraginta. Est autem bullatum cum serico Janue et incipit, quum ut ait apostulos etc. Item aliud privilegium domini Innocentii quarti, quo causa devotionis accedentes ad ipsorum fratrum ecclesiam quacumque die vel hora de onnipotentis dei misericordia de invincta eis pecunia habeant indulgentiam xxxx dierum. Est autem bullatum similiter cum serico Janue et incipit, quum ut ait apostolus, etc. - 451 - Item aliud privilegium domini Innocentii. IIII. quo accedentes ad predicationes fratrum in provincia Januense. quas fatiunt maxime contra hereticos. de omnipotentis dei misericordia de invincta eis pecunia habent indulgentiam dierum quadraginta. Est autem bullatum cum canapo Janue et incipit, tunc potissime etc. Item privilegium domini Nicoli quarti, quod accedentes ad ecclesiam fratrum minorum Janue annuatim in singulis festivitatibus beate Marie, beati Francischi, beati Antonii et beate clare, et infra octo dies immediate sequentes de omnipotentis dei misericordia, de invincta eis pecunia habent indulgentiam unius anni et dierum quadraginta. Est autem bullatum cum serico et duplicatum Janue et incipit, licet is de cuius etc. Item aliud privilegium domini Allexandri quarti, quod accedentes ad ecclesias fratrum minorum annuatim in singulis festivitatibus sancti francischi. sancti antonii et sancte clare et per octo dies immediate sequentes habent indulgentiam centum dierum. Est autem bullatum cum serico Janue et in pluribus alii locis ordinis, et incipit cum ad promovenda etc. Item privilegium domini Clementis. IIII. Quod accedentes ad easdem ecclesias in dedicationibus et anniversario dedicationis earum et usque ad octo dies subse-quentes nec non in festivitatibus beate marie, beati Fran-schi. beati Antonii et beate Clare ac etiam aliorum Atti S oc. Lic. St. Patri». Voi. X, Fase. 1\. 3> — 452 — sanctorum in quorum honore altaria maiora sunt consecrata habent indulgentiam centum dierum. Est autem bullatum cum serico Janue et in pluribus aliis locis ordinis. Et incipit loca sanctorum etc. Item dominus Philippus Archiepiscopus ravenne et apostolice sedis legatus dedit indulgentiam quadraginta dierum omnibus accedentibus ad Ecclesias fratrum minorum in festivitatibus beate marie, beati francischi et beati antonii. Item idem dominus dedit indulgentiam quadraginta dierum omnibus accedentibus ad predicationes fratrum minorum. Omnia hec iupradicta autenticata sunt et vera. Que sequuntur non a predicto fratre Philippo de Saona. sed aliunde habita sunt (i). Inveniuntur autem in pluribus locis ordinis et specialiter in multis locis provincie Januensis multe indulgente et diverse per alios diversos fratres collecte et approbate (2) que in multis locis denuntiantur et approbantur (3) ac etiam in scripturis publicis omnibus manifestantur que sunt iste. Primo in omnibus festivitatibus beate marie, beati francischi. beati antonii et beate clare, et in consecrationibus ecclesiarum et altarium ac per octavas earum a diversis romanis summis pontificibus, omnibus vere penitentibus (1) Qui le parole in carattere tondo sono una annotazione o richiamo inser-tovi nel secolo xv. (2) A vece della parola et approbate stata cancellata, fu scritto in margine nel secolo xv non approbate. (3) La parola et apprcbantur fu in seguito cancellata. — 45 ? — ct confessis accedentibus ad ecclesias fratrum minorum datur indulgentiam novem annorum et L . dierum. Item Iratres in omnibus predicationibus suis possunt •dare octuaginta dierum. Item accedentibus ad loca fratrum minorum ad audiendum verbum dei. Allexander papa. IIII. dat indulgentiam centum dierum. Item idem papa omnibus accedentibus ad loca tratrum minorum ad audiendum missas de beata virgine et de beato francischo dat indulgentiam centum dierum. Item idem papa omnibus porrigentibus manum adiu-tricem Iratribus minoribus in subsidium vite quomodocumque. dat indulgentiam quadraginta dierum. Quicumque insuper causa devotionis quocumque tempore die vel hora quemcumque locum fratrum minorum visitaverit si vere penitens et confessus fuerit habeat indulgentiam duorum annorum et triginta et quinque dierum secundum quod colligitur ab indulgentiis datis per diversos summos pontifices Romanos. DUE OPUSCOLI DI JACOPO DA VARAGINE TRASCRITTI DAL SOCIO P. AMEDEO VIGNA ED ORA PER LA PRIMA VOLTA PUBBLICATI a scoperta dei due opuscoli del Varagine che qui pubblichiamo, é dovuta al solerte collega nostro P. Amedeo Vigna, alle cui mani fu buona ventura che pervenisse un codicetto cartaceo del secolo XV, nel quale si contenevano. Egli ebbe tosto cura di eseguirne una diligente trascrizione ; e quindi ne tenne proposito alla Sezione di Storia della nostra Società con due memorie di cui si udì lettura nel corso del 1865. Avendo però noi di già riassunte con sufficiente larghezza in altra parte degli JLttì le accennate memorie (1), crediamo inutile ripeterne qui il contenuto, preferendo occuparci di qualche altro rilievo. Il primo dei detti opuscoli narra la storia delle reliquie serbate all’ epoca del nostro autore nel monastero (1) yAtli, voi. IV, pag. exui e segg. — 458 — i dei santi Giacomo e Filippo all' Acquasola; e si fatta storia dicesi compilata per fratrem Jacobuin de Varagine quondam priorem provincialem fratrum predicatorum in Lombardia, che é un dire della Congregazione Lombarda. Ma benché il Varagine tenesse due volte quell’ uffizio, cioè dal 1267 al 1277 e dal 1281 al 1286 (1), non è possibile il far rimontare I’ accennata compilazione allo intervallo che separa il primo dal secondo suo ministero, da che egli stesso là ove tocca del capo di una delle compagne di sant’ Orsola, racconta d’ aver procacciata si fatta reliquia al monastero cum . .. essemus in Provin-cialatus officio constituti, anzi ne determina la data al 1282-83. Dal che tutto discende come la compilazione dello scritto sia da assegnare al 1287, od anche agli anni posteriori sino al 1292 in cui Jacopo venne elevato alla sede arcivescovile di Genova. La storia della traslazione delle ceneri del Battista fu scritta invece dal nostro autore nel periodo del suo arcivescovato, e certamente dopo del Chronicon Genuensc nel quale appunto ei fa promessa di compilarla. Januen-ses igitur reliquias sancii Johannis Baptistae accipientes Januam deportaverunt ; et quoniam dicitur in Historia translationis dictarum sanctarum reliquiarum quod tunc sedes pontificalis (Januae) vacabat, videtur quod deportatae fuerint mortuo Ciriaco et nondum electo vel confirmato Ayraldo, scilicet anno Domini MXCIX. Sed quia nos, annuente Domino, specialem tractatum de translatione dictarum reliquiarum sancti Johannis Baptistae facere intendimus, ideo sub compendio pertransimus (2). (1) Spotorno, 'Motiye storico-critiche del B. Giacomo da Varale, pag. 9 e 15. (2) Varagine, Chronicon Genuense, apud Muratori, S. R. I., IX. ,31. — 459 — 11 ricordo che qui si incontra di una Historia translationis ci avverte però come già alcuno dettasse prima del Varagine il racconto di quella impresa; anzi egli medesimo parlando nel precedente opuscolo de’ miracoli attribuiti alfe ceneri, aveva di già affermato che la notizia di essi in ipsa inventionis seu translationis historia continetur. Or indagando noi chi mai possa avere pel primo dettata sì fatta storia, corriamo col pensiero a quel Sallustio , cancelliere del citato vescovo Airaldo, del cui zelo per le glorie della Chiesa Genovese abbiamo non dubbia testimonianza nella storia di un’ altra traslazione che riguardava le reliquie di san Fruttuoso, •pervenute da Tarragona di Spagna a Capodimonte. Ma appunto come questa andò perduta , in guisa che oggidì altra memoria non abbiamo di essa all’ infuori di quella che ce ne ha serbata il diligente annalista Giorgio Stella, così non è difficile il credere che anche 1’ altra sia ugualmente perita. Del resto, quando pure le frasi del Chronicon su riferite non lo dicessero chiaro abbastanza, la forma stessa della narrazione, che è quella di una omelia, ci impedirebbe di far risalire agli anni precedenti al 1292 lo scritto in discorso. A proposito del quale sembra non doversi lasciare senza nota quell’ ultima parte di esso , nella quale Jacopo riassume la propria concione con uno stile pieno di devozione e di affetto, sì da mostrare non senza ragione le lodi che gli dà il P. Domenico Marchese, laddove scrive eh’ era « uno de’ più famosi e fruttuosi predicatori che godesse a’ suoi tempi 1’ Italia » (1). (1) Marchese, Sagro Diario Domenicano, 15 luglio. — 460 — Né qui staremo a ripetere come per le amplissime dimostrazioni fornite dal eh. Vigna la posteriore Historia translationis reliquiarum beati Joannis Baptistae ad civitatem Januae, compilata da Nicolò Della Porta nel 1410, risulti per tutta la parte del racconto che concerne 1’ epoche anteriori al secolo XIV, un ardito plagio di quella del Varagine ; qua e là interpolata soltanto da errori che accusano la piacenteria dello scrittore verso di alcune famiglie eh’ egli aveva in animo di gratificarsi. Il lettore che voglia persuadersene basterà istituisca un confronto del nostro testo con quel lungo brano del Della Porta che il Banchero ha pubblicato (1). Ma poiché siamo a parlare del Varagine , stimiamo opportuno il riferire eziandio la notizia, comunicata or sono parecchi anni alla Società Ligure dal compianto collega Antonio Bonora, della esistenza di un’ altra operetta fin qui inedita del nostro Arcivescovo (2). « Nell’ Archivio della chiesa collegiata di Fiorenzuola (così scriveva il Bonora al dotto amico nostro cav. De-simoni, in data di Piacenza 14 gennaio 1865) conservasi un codice membranaceo in foglio grande, distinto con cinquantatrè carte. Due borchie d’ ottone fermano due tavole ricoperte di pelle consunta in parte dal tempo ; le membrane però sono abbastanza conservate, e chiara riesce per nitidezza di caratteri la lezione della scrittura (3). Sul primo foglio é scritta una lettera di (1) Banchero, Genova e le due Riviere — Monumenti Religiosi —, pag". 80; Id., Il Duomo di Genova illustrato, pag. 216. (2) Di questa comunicazione si è già fatto cenno negli 1Alti, voi. Ili, pag. ci. (3) « Ciò dicasi generalmente, poiché in alcuni luoghi 1’ inchiostro ha perduto di sua forza e le prove che si tentarono ab antico per richiamarlo , malauguratamente congiurarono colla edacità del tempo » (Bonora). — 461 — Laura de tìossis monaca nel convento di santa Maria di Josaphat in Pavia all’ abbadessa ed alle suore del monastero stesso, e si ritrae da questa lettera che quella monaca scrisse quel volume o meglio lo esemplò da altro, d’ ordine di detta abadessa. In tre parti si divide questo codice. La prima comprende 1’ uffizio di san Fiorenzo', che giunge sino al foglio vigesimo quarto. La seconda contiene la vita di questo santo, e corre dal vigesimo settimo al quarantesimo foglio. Tale vita è scritta da frate Giacomo da Varagine, come risulta da questa lettera che la precede, e divisa in dodici lezioni. Reverendo in Christo Patri, Domino Bonifacio Archipre-sbitero de Fiorendola et eius collegio universo, frater Ja-cobus de Varagine salutem et augu lentum coelestium gratiarum'. Oui sanctorum glorias in terris digna laude prosequitur, eorum proculdubio in coelis patrocinio promeretur. Et ideo prudenter facitis quod vobis sanctorum ineritis cumulatis Beati Florentii patroni vestri gelantes honorem .... (i) et ipse apud Deum vestram %elet salutem Historiam diligenti studio compilavi prout divina gratia mihi adfuit.... et beati Florentii intercessione. . in vene.... situm.... vel.... fecit in ..... devocio .... et fuit.... imperita.... Et ideo.... lima inordinata corrigat .... et discretionis vestrae censura inculta componat. Pro mercede autem laboris peto ut per vestra suffragia sancti Florentii merear patrocinia gloriosa. « Nella terza parte leggesi la storia della traslazione delle reliquie di san Fiorenzo compilata parimente dal dal Varagine, come da questo prologo. (i) Spotorno, Stor. Lett., I. 185. — 462 — Incipit ystoria translationis reliquiarum et ossuum sancti Florentii Episcopi compilata per fratrem Jacobum de Varagine circhiepiscopiun Januensem de ordine fratrum Praedicatorum 1288 (1) ad preces et instantiam Reverendi viri Domini Bonifacii de Cerdego archipresbiteri de Florentiola: Chiudesi il codice col foglio 53 su cui é la leggenda: Explicit liber officii vitae ac translationis reliquiarum San-ctissinli Confessoris et Episcopi Florentii, scriptus, notatus et miniatus a calamo per me sororem Lauream de Bossis monialem sanctae Mariae de Josaphat nuncupati novi Papiae ad instantiam et postulationem venerabilis patris nostri decretorum docto ris Domini Antonii de Rie i is archipresbiteri huius Ecclesiae Florentiolae, qui sumptibus suis hunc librum fieri fecit et dictae huic Ecclesiae dono dedit anno Domini 1485 dic ultimo aprilis. Oretis ergo Deum pro nobis ». Affermò già lo Spotorno nella Storia Letteraria della Liguria : che il Varagine « pubblicasse la difesa dell’ Ordine Domenicano ed una somma de’ casi di coscienza ad uso della sua Diocesi non si può dimostrare in conto veruno; e il B. Giacomo, che ricorda le opere da sé composte non rammenta le dianzi allegate » (2). Però quanto all’ opuscolo in difesa dell’ Ordine, lo Spotorno medesimo nelle Notizie d’ Jacopo lo aveva di già notato sulla fede dell’ Echard (3); il quale tutt’ altro che ricordarlo in modo vago, non lascia alcun dubbio sulla sua esistenza, riferendone e il titolo e le indicazioni tipografiche in questi termini : Defensorium contra impugnantes (1) Ma allora non era per anco arcivescovo. (2) Spotorno, Notizie ecc., pag. 48. (3) Echard, Script. Ord. Praed., I. 458. — 463 — fratres Praedicatores, quod non vivant secundum vitam apostohcain; Venetiis, Labari de Soardis 1504 in 8.10, Pagg• circiter quinque. E soggiunge: inter alia plura ad Ordinem spectantia. A complemento della notizia aggiungeremo poi che il dottissimo P. Vincenzo Marchese potè vedere, or sono parecchi anni, un esemplare di tale scritto in Città di Castello, di che forni preciso ragguaglio al eh. Vigna ; e che questo si trova unito ad un’ opera il cui titolo complessivo è : De privilegiis fratrum Praedicatorum. L’intitolazione poi riferita dallo Echard va corretta cosi: Tractatus Reverendissimi Patris Domini Fratris Jacobi de Varagine Archiepiscopi Januensis quod Fratres Praedicatores sunt imitatores vitae apostolicae, contra eos impugnantes et emulos eorum. Comincia inoltre 1’ opuscolo con queste parole: Divina clementia beatum Dominicum illustrante ecc. Ancora lo Spotorno afferma che a il giorno della morte (del B. Giacomo) non si può determinare » (1). In Varazze anticamente se ne commemorava la festa il 3 di luglio, ed ora 1’ Ordine dei Predicatori e la Chiesa Genovese e Savonese la solennizzano il di 13; ma già il P. Domenico Marchese nel "Diario Domenicano aveva scritto: « Passò carico di meriti al cielo alli 15 di luglio dell’ anno 1298, come si ha dalle scritture antiche del convento di san Domenico ». Ora poi a confermare per vera ed esatta quest’ ultima data, cade in acconcio un Kalendarium membranaceo del secolo XIV che serbasi nell’ Archivio Capitolare della nostra Metropolitana, ed al mese di luglio, sotto la data Idus (per Idibus) scrive: (1) Spotorno, Notiae ecc., pag. 41. — 464 — O(biit) Dnus Jacobas Archiep. Jan. Il dotto sig. canonico Grassi, che appunto ci favorisce questa notizia, e già ebbe occasione di mostrare in più scritti quanto giovi alla nostra cronologia storica il citato Calendario, cosi aggiunge: « Malgrado quest’ autentica indicazione che poteva essere consultata, e, quel che é più strano, malgrado 1’ espressa asserzione letta ogni anno delle sue lezioni storiche, che si recitano dall’ Ordine Domenicano e dal clero genovese fidibus Julii anno 129S . . . obiit ecc. Lez. VI), esso trovasi assegnato ai 13 del mese stesso, senza alcuna ragione né storica, nè rubricistica. Questo fatto perciò non ha altra spiegazione se non che in un equivoco procedente da che si calcolò il luglio come uno di quei mesi che appunto al 13 hanno gli idi. E certo 1’ errore é antico ; giacché fin dalla sua morte deve essergli stato assegnato il dì di quella venerazione locale, che dopo la legittima ricognizione del suo culto sotto papa Pio VII divenne liturgica all’ Ordine Domenicano ed alle Diocesi di Genova e di Savona ». ^ / L. T. Belgrano. NCiPiT historia reliquiarum que sunt in monasterio sororum sanctorum Philippi et Jacobi compilata per fratrem Jacobum de Varagine quondam priorem provincialem fratrum predicatorum in Lombardia. De Sancto Philippo Apostolo. Gloriosa Dei maiestas suos milites inclitos armis spiritualibus vult esse accinctos, ut contra spirituales nequitias pugnaturi perpetuum valeant reportare triumphum. Ideo-que sanctorum collegia non solum sua, qui non dormit neque dormitat, custodit presentia, non solum custodia munit angelica, non solum mira caritate connectit, sed etiam Sanctorum reliquiis quadam speciali prerogativa munire dignatur, ut tanquam acies ordinata terribiles hostiles ictus non timeant nec formident. Gratias igitur immensas agere debent Dei ancille in monasterio sanctorum Philippi et Jacobi congregate, que a Patre lu- — 4 66 — minum talibus sunt luminaribus illustrate, gaudentes multis reliquiis, sacrosanctis. Et ideo talibus munite presidiis, talibus ditate thesauris, talibus decorate patronis, talibus assecurate pignoribus et vallate talibus aciebus, purum Deo exhibere possunt, tanquam Christi famule, famulatum. Nunc igitur ad narrationem accedentes, que et quales ibi reliquie continentur ad futurorum memoriam referemus. Sed in ipso nostre narrationis exordio Dei misericordiam imploremus, ut possimus scribere Deo grata, sanctis, de quibus loquuturi sumus, accepta: nobis meritoria et posteris profutura. Quoniam autem dictum monasterium in honorem sanctorum Philippi et Jacobi est edifìcatum et consecratum, dignum est ut ab ipsis sumamus exordium, qui ibi habent vocabulum et obtinent patronatum. Ibi igitur Philippus habet digitum de sua manu beata decisum. Ibi Jacobus quandam habet particulam de corpore suo sumptam. Videamus igitur qualiter digitus iste beatus ad dictum monasterium est delatus. Siquidem in civitate Venetiarum quoddam monasterium in honorem sancti Philippi est constructum, in quo manus eius celebri devotione servabatur. Istam manum dignissimam in manibus nostris licet indignis tenuimus, et cum debita reverentia adorata, digitum illum sanctissimum digitis nostris , licet non sanctis, de voluntate prelati ab illa manu evulsimus et Januam detulimus reverenter. Deinde cum solemnitate congrua et reverentia multa ipsum ad ad supradictum monasterium deferentes, deposuimus ibidem tam sacrum et carum depositum, tam speciosum — 467 — thesaurum, tam gloriosam gemmam, tam fulgidam margaritam. Felix digitus qui Nathanaelem in quo dolus non est ad Jesum videndum adduxit. Felix digitus qui turbe pascende cum Andrea panes hordaceos ministravit. Felix digitus qui gentiles qui venerant Jerosolimam in die festo adduxit ad Jesum. Felix digitus, per quem Deus in mundo sapientiam suam conscripsit ; per quem magos Pharaonis superavit, qui confessi sunt dicentes : digitus Dei est iste. Felix digitus per quem Christus eiecit demonia multa, et regnum Dei in multos pervenit. De reliquia sancti Jacobi Apostoli. in eodem quoque monasterio quedam habetur particula de corpore sancti Jacobi sumpta, omni devotione reverenda et laudibus prosequenda, ut sic ambo sibi sua habeant pignora, ubi sua meruerunt habere vocabula; ut ubi sunt spiritualiter per intercessiones assiduas, ibi habitent corporaliter per suas reliquias sacrosanctas. Magnum beneficium, immensum privilegium, grande donum habere reliquias sancti Jacobi, qui fuit in utero sanctificatus, virginitate preditus, Christi similitudine insignitus. Qui a Christo resurgente primo visitari promeruit, qui Jerosolimis cathedram pontificalem accepit, qui primo missam inter apostolos celebravit, qui vinum nunquam bibit, carnes nunquam comedit, qui frater Domini appellari promeruit, qui iustus ab omnibus appellatus fuit, qui pro Christi fide de pinnaculo fuit pre-cipitatus, pertica excerebratus et feliciter consummatus. Atti Soc. Lig. St. Patria, Voi. X, Fase. IV — 468 — De VENERANDIS RELIQUIIS BEATISSIMI JOHANNIS BaPTISTE QUE SUNT IN MONASTERIO SANCTORUM PHILIPPI ET JaCOBI. Multìs et magnis Sanctorum reliquiis presens monasterium decoratur, quorum adiuvatur beneficiis, patrociniis regitur et meritis gubernatur. Inter ceteras autem et super ceteros in medium lucifer matutinus adveniat, lucerna ardens et lucens fulgores suos emittat, facula ignita torporem nostrum accendat, Precursor Domini iam accedat. Siquidem reliquie sancti Johannis Baptiste cum devotione sedula et multa reverentia in dicto monasterio conservantur. Videamus igitur unde sunt habite: qualiter probantur esse vere, et quam sint maxime pretiose. Habite autem sunt a venerabili patre fratre Antonio, Dei gratia, Sorano episcopo, viro utique multa religione predito, etate grandevo, moribus et honestate preclaro. Hic in ordine fratrum predicatorum multo tempore degens, postmodum pontificali honore prefulgens, tandem.completis octoginta annis et amplius, in Domino feliciter est defunctus, et in ecclesia fratrum Predicatorum ante altare sancti Egidii (i) (i) Cioè nella chiesa di san Domenico, già intitolata a sant’Egidio innanzi che il fondatore dei Predicatori venisse canonizzato. 11 vescovo qui rammentato dal Varagine è sconosciuto all’Ughelli, se pure il nome di Antonio, notato forse nel manoscritto originale colla sola prima lettera, non deve scambiarsi con quello di Andrea. Questi occupò la sede dal 1278 al 1286, in cui venne trasferito alla Chiesa di Rieti; ma viveva ancora nel 1292 (Italia Sacra, I. 1205 e 1246), cioè nell’anno stesso in cui il Varagine fu eletto arcivescovo di Genova. Or se la Historia fu da lui scritta innanzi il conferimento di tal dignità, e di più se parla del vescovo Sorano come di individuo da alcun tempo defunto, non vediamo come possano accordarsi con sì fatta congettura le ragioni della cronologia. Potrebbe sospettarsi che il nostro Antonio fosse quell’ Episc’opus Soranus di cui il citato Ughelli ignora il nome, e che afferma ab Honorio con- — 469 — honorabiliter tumulatus. Hic dum viveret et sorores dicti monasterii affectu paterno diligeret et pia sollicitudine confoveret, ipsas beati Johannis reliquias sacrosanctas, quas super aurum et topation habebat pretiosas, eisdem sororibus cum devotione dedit, cum reverentia obtulit et quadam specialis gratie prerogativa concessit : et ideo eius memoria in benedictione est habenda. Vivere namque semper debet in ipsarum sororum mentibus eius pia memoria, in cuius corde semper ipsarum viguit cura et sollicitudo paterna. Qualiter predicte reliquie probantur esse vere. Viso qualiter sunt habite, videamus qualiter probantur esse vere. Constat enim corpus sancti Johannis sanctissimum et eius reliquias sacrosanctas in ecclesia sancti Laurentii de Janua conservari, sicut Alexander papa III et Innocentius papa IIII, rei veritate comperta, suis privilegiis approbarunt, multas accedentibus ad reliquias sacrosanctas indulgentias largientes. Hoc etiam multis miraculis est ostensum, et dum ipse reliquie Januam deferentur et postquam etiam delate sunt, sicut in ipsa inventionis seu translationis historia continetur. De illis secratus anno 1221 ex reg. Vat. Ma anche qui urtiamo in uno scoglio dal punto di vista cronologico. Il monastero delle Domenicane non sorse prima del 1268, e già verso il 1238 al nostro innominato era succeduto nella sede di Sora un Guido che sostenne fierissime persecuzioni da Federigo II. Non è dunque impossibile, ma neppure ci persuade appieno, l’altra congettura che si potrebbe affacciare: aver egli cioè rinunziato al vescovato per ridursi a vivere privata-mente nel nostro convento di san Domenico. Cionondimeno l’età di oltre ot-tant’ anni a cui era pervenuto allorquando inori, sarebbe di qualche rincalzo per avvalorare questo ragionamento. — 470 — igitur eisdem reliquiis iste pariter sunt derivate, habite et obtente: sicut dictus episcopus est multoties protestatus. Ego quoque tale verbum ab ipso me recolo audivisse: si reliquias sancti Johannis que sunt in sancto Laurentio veras esse credimus, consequens est ut et istas per omnia veras esse credamus. Veium ne circa hoc ullum dubietatis scrupulum remaneret, voluit sanctus Johannes hoc apertis demonstrare indiciis et miraculis manifestis. Miraculum de Reliquiis Sancti Johannis Baptiste. Quedam namque soror eiusdem monasterii nomine Thomasina de Cicadis gravem et periculosam infirmitatem longo tempore in dextera tibia est perpessa, quam et dolor nimius affligebat et tumor horribilis deturpabat. Pedem quoque ipsius tibie in aliam partem retortum et a sua iunctura quodammodo resolutum, velut truxeum post se trahere cogebatur. Ipse quoque morbus tam pe-stiferus uno crure non erat contentus, sed certis indiciis aliud invadere minabatur. Nocte igitur quadam visum est sibi quod quidam medicus grandevus et maturus de de longinquis partibus ad eam veniret, qui sibi integram sanitatem conferre debebat. Cum igitur evigilasset, firmiter in animo suo concepit quod sanctus Johannes ille foret medicus qui sibi esset sanitatis gratiam collaturus. De lecto igitur surgens et se cum baculo et aliis susten-tamentis, repens potius quam incedens, ad altare ubi sunt reliquie sancti Johannis sacrosancte cum difficultate nimia lassata pervenit, ubi humiliter se prosternens et usque ad diem ibi manens, sanctum Johannem in sui adiuto- - 471 ~ rium invocabat. Tantam autem dulcedinem, tantumque odorem in ipsa oratione persensit, quantum nunquam ante persensit, ita ut quodammodo a se deficere videretur , statimque ab omni infirmitate penitus liberatam se sensit, quia et tumor detumuit et dolor cessavit, et pes pristinam rectitudinem recepit et in sua iunctura fixus permansit, et totaliter sanata surrexit. Sed cum ipsa pro stupore nimio sibi ipsi non crederet de seipsa, oculis cepit respicere, manibus contrectare, si forte hoc esset verum vel fictum, apparens visio vel res vera. Tandem videns et palpans, coacta est credere quod credebat impossibile, et coacta est suscipere animus quod tactus offerebat et visus ; et sic ab altare recessit exiliens et laudans Deum. Baculus autem ille cum quo ad altare accessit nusquam postea comparuit 1 nec unquam postmodum visus fuit. Alie autem sorores videntes eam rectis pedibus ambulantem, quam videre consueverant claudicantem, videntes eam exilientem quam baculo aliisque sustentamentis consueverant videre reptantem, videntes eam gaudentem quam consueverant audire gementem, nimium admirate et stupore replete credebant se decipi in videndo et quod non illa sed alia quedam esset. Postquam autem audierunt ab illa rei seriem et viderunt oculis veritatem, Deo et sancto Johanni gratias retulerunt. Ista omnia ab ore dicte sororis audivi, et prout mihi retulit fideli stilo conscripsi ad laudem sancti Johannis et gloriam Salvatoris. Istam sororem sepe vidi claudicantem et se baculi adminiculo sustentantem, quam postmodum sepe vidi sanam et incolumem, Deo et sancto Johanni gratias agentem. — 472 — Aliud miraculum reliquiarum sancti Johannis Baptiste. Aliud quoque miraculum non minus mirandum ibidem accidisse compertum est. Quedam enim alia soror nomine Katharina de Nigro tanta infirmitate corporis gravabatur ut iam tota corpore tumefacta, disposita ad ydropisim videretur. Quadam igitur nocte dum ad matutinas surgere vellet, et beato Johanni se devote re-commendare vellet et disponeret, surgere, nimium gravata , non potuit, et sic in lecto tristis et invita permansit. Et ecce sibi leviter dormienti sanctus Johannes Baptista apparuit dicens ei: Ego sum Johannes qui sororem Thomasinam salutari quadam unctione perunxi et pristine sanitati restitui. Dicas ergo sororibus quod de meis reliquiis quas habent nulla eis insit dubitatio, sed omnimoda certitudo quia verissime eas habent. Surge igitur et lapillum quemdam qui inter meas reliquias continetur facies accipi et in vino lavari : quod vinum postquam biberis, sanitatis gratiam consequeris. Quod autem inter illas reliquias lapillus quidam haberetur nec unquam ipsa audierat nec sciebat. Missum est igitur pro episcopo supradicto, et audita visione obstupuit et gratias Deo reddidit. Quesitum est igitur in vase cristallino ubi ipse . reliquie continentur, et ibi inventus est quidam lapillus qui de monumento sancti Johannis creditur fuisse excisus. Episcopus igitur reverenter lapillum illum in vinum abluit, sorori potum dedit, et illa sanitatem recepit. Ista omnia, referente dicta sorore, cognovi et prout ab ipsa — audivi scripto fideliter commendavi. Istud autem miraculum tam mirandum et primum miraculum confirmat. — 47J — et sancti Johannis reliquias approbat, et ipsius merita gloriosa confirmat et commendat. De dignitate PREDICTARUM RELIQUIARUM SANCTI JOHANNIS BaPTISTE. Viso qualiter supradicte reliquie sunt habite, et qualiter sunt vere et probantur esse vere, videndum est quam sint magne et pretiose. Istud autem de facili perpenditur si cuius sint reliquie intenta meditatione pensetur. Sunt enim reliquie illius qui prius fuit sanctus quam natus, prius plenus Spiritu Sancto quam natus in mundo. Sunt reliquie illius qui materno clausus in utero Christum in thalamo virginali manentem cognovit, motu quo potuit salutavit et sue precursionis officium inchoavit. Sunt reliquie illius qui sub annis teneris antra deserti petiit mundum fugiens ut se mundum servaret. Voluit mundos servare oculos, quibus Spiritum Sanctum in specie columbe debebat conspicere. Voluit mundas servare aures, quibus vocem Patris de celo lapsam debebat audire. Voluit mundas servare aures, quibus odorem Christi debebat sentire. Voluit mundum servare os, per quod Christo testimonium debebat proferre. Voluit mundas servare manus, quas super caput Christi debebat imponere, et ipsum digito demonstrare. Sunt et reliquie illius, quo maior inter natos mulierum surrexit nemo. Qui panem non comedit et vinum non bibit, qui locustis et meile silvestri pascebatur, et pilis camelorum asperis tegebatur. Sunt reliquie illius qui pro iustitia predicanda fuit carceri mancipatus et a rege impio decollatus, et ad patres qui erant apud inferos iucundus nuntius destinatus. — 474 — Ex his igitur liquido apparet quod reliquie supradicte ah episcopo fide digno sunt habite, et quod per omnia probantur esse vere, et quod sunt pre thesauris omnibus pretiose. De Capite unius Virginis que fuit de collegio Undecim Milium Virginum Sancte Ursule. Quoniam autem in monasterio sanctorum Philippi et Jacobi multe sunt Christi ancille Deo servientes in proposito virginali, conveniens valde luit ut aliqua virgo sancta ad eas accederet, ut virgo cum virginibus habitaret; ut sic ipsa esset custos virginitatis perpetue que corpore virgo fuit et mente, et que iam sponso coni uncta est in celis consponsas suas custodiret in terris. Quamvis enim sancte virginis de sua sint felicitate secure, de suarum tamen sociarum adhuc sunt salute sollicite, quum licet abiecerint miseriam, non tamen abiecerunt misericordiam , sed piam retinent compassionem, quamvis omnem extierint passionem. Habent igitur sorores monasterii predicti caput unius virginis, que de illa beata societate undecim milium virginum una existit (i) et et cum eis martyrium passa fuit. Videamus igitur unde istud beatum caput est habitum et unde delatum : qualiter probatur esse verum, quam sit etiam pretiosum. Fuit autem delatum de Colonia ubi sacer illarum virginum exercitus requiescit. Cum enim licet immerito essemus in provincialatus officio constituti, quosdam fratres nostre provincie, qui in conventu Coloniensi stu- (i) Meglio exli iit. — 475 — dendi gratia residebant, instanter rogavimus ut unum caput virginum _beatarum nobis pro speciali munere obtinerent. Illi autem nostras preces fideliter admittentes, per se aliosque amicos multis et magnis precibus a domina Abbatissa eiusque collegio et ab Officiali Curie Co-loniensis, quam petebant gratiam impetrarunt. Sic suum propositum assequuti, ipsum caput ad nos usque Januam cum reverentia et diligentia detulerunt. Nos autem so-lemni predicatione indicta, dictum caput ad monasterium gloriosorum apostolorum Philippi et Jacobi, anno domini millesimo ducentesimo octuagesimo tertio, dominica quindena Pasche, deferri fecimus reverenter, toto fratrum conventu processionaliter procedente, et magna utriusque sexus populi multitudine subsequente. Frater autem Nicolaus de Antiochia vir venerabilis, fama celebris, et religione preclarus, indutus in (sic) vestibus sericis , precedentibns ceroferariis aliisque Dei ministris, caput il’ud reverendum reverenter detulit, reverentius collocavit, reverentissime adoravit. Nos autem ibidem missarum solemnia celebrantes, proposuimus populo verbum Dei; demum beato capite populo reverenter ostenso et ab eo suppliciter adorato, omnes ad propria cum gaudio sunt reversi. Qualiter predictum Caput probatur esse verum. Viso unde beatum illud caput sit delatum, videamus qualiter probatur esse verum. Quod enim non sit aliunde quesitum nec artificiose suppositum, sed de illis beatis capitibus undecim milium virginum assumptum, patet per litteras domine Abbatisse Coloniensis et Officialis Curie -- 476 — eiusdem urbis ad nos directas et suorum sigillorum munimine roboratas, quarum tenor talis est: « Nos Lissa Dei gratia Abbatissa ecclesie sanctarum virginum de Colonia, notum volumus esse universis, et testimonio presentium profitemur, quod caput virginis quod Officialis Curie Coloniensis dedit fratribus Ordinis Predicatorum Manfredo et Emaniteli, consignandum fratri Jacobo provinciali fratrum dicti Ordinis in Lombardia, ut firmiter tenemus, fuit unum de capitibus sanctarum Undecim milium quae apud nos in Colonia requiescunt. In cuius assertionis fidem, sigillum nostrum duximus presentibus apponendum. Actum in Colonia, anno Domini millesimo . cc . lxxxii. » Universis presens scriptum visuris Officialis Curie Coloniensis salutem in omnium Salvatore. Noveritis quod caput virginis quod per manum magistri Theodorici presbiteri ecclesie sancti Andree coloniensis dedimus fratribus Ordinis Predicatorum, Manfredo et Emanueli lombardis, consignandum per eos venerabili viro et religioso fratri Jacobo provinciali fratrum dicti Ordinis in Lombardia, sicut fida relatione dicti presbiteri accepimus et tenemus, est et fuit unius virginis et martyris de societate sanctarum undecim milium virginum que apud nos Colonie requiescunt. Quod presentibus ptotestamur sigillo Curie coloniensis sigillatis. Datum Colonie idibus novembris, anno Domini millesimo . cc . lxxxii. Hec autem virginum circa ipsum caput virgineum evidens miraculum in via ostendit, per quod omnis dubietas tollitur et veritas comprobatur. — 477 — Miraculum. Supradicti'enim fratres ut caput securius portarent incluserunt ipsum in quadam capsa lignea de asSeribus firmis compaginata, clavis ferreis studiose constricta. Quam quidem capsam cuidam secum pergenti tradide-dèrant suis humeris deferrendam. Sed cum ad quoddam venissent precipitium capsa illa ex incautela deferentis de humeris eius prosiliit, et casu precipiti super ingentia saxa ruit. Continuo igitur tota capsa ruens confringitur, clavi ferrei retorquentur. Quedam alie reliquie que cum capite intus erant minutatim comminuuntur : caput autem ipsum de capsa exiliens, super saxa stetit integrum, nullum habens lesionis vestigium. Decebat namque ut caput illud virgineum remaneret integrum quod per virginitatis pudorem semper remanserat illibatum. Fratres autem videntes tam tristem eventum, conciti ad inferiora decurrunt ut saltem aliquas minutias ipsius capitis tristes colligerent, quas in testimonium tam diri casus secum deferrent. Sed cum viderent capsam confractam esse, clavos retortos de asseribus prosilisse, aliasque reliquias comminutas iacere, caput autem illud super saxa illesum consistere, nimium stupefacti et leti crediderunt divine potentie hoc esse indicium et prodigium manifestum. Nullum quoque sane mentis aliud crederet, nisi quem pertinax malitia depravaret. In illa enim capsa quatuor erant: scilicet ossa, lignum, ferrum et caput. Ossa quippe ibi erant quarumdam aliarum reliquiarum que in illa capsa cum capite erant inclusa. Erat etiam ibi lignum de quo illa capsa tuerat fabricata- — 478 — Erat etiam ibi ferrum, idest clavi ferrei, quibus fuerat compaginata. Erat et ibi caput virgineum intus in capsa inclusum. Quis autem non videat quod ossa illa erant fortia, lignum fortius, ferrum fortissimum, caput autem naturaliter fragile, debile et infirmum? Et tamen ossa franguntur, ligna comminuuntur, clavi ferrei conquassantur, caput vero illesum et integrum reperitur ! Quam sit excellens hoc caput ostenditur. Viso unde istud caput fuit delatum et qualiter probatur esse verum, videamus quam sit etiam pretiosum. Pretiositas autem eius inde apparet, quod videlicet fuit caput illius que virginitate emicuit, martyrio claruit et predicationis gratia corruscavit. Et ideo que in presenti vita tot effulsit privilegiis, nunc multis gaudet premiis sempiternis. Non enim cum ceteris sanctis communes possidet glorias, sed pre multis aliis coronas retinet ter-centenas. Nam centum coronas acquisivit predicatio gratiosa, centum alias sibi dedit passio gloriosa, reliquas centum sibi promeruit virginitas illibata. Ad nos igitur redeamus, et sanctorum exempla mente sedula imitemur. Sumamus a Philippo cordis m unditiam, per quam Patrem possimus videre. A Jacobo iusto iu-stitiam, per quam ius suum unicuique possimus impendere. A Johanne Baptista innocentiam, ne possimus vitam nostram etiam levi crimine maculare. Ab ista virgine mentis et corporis puritatem veram, ut possimus cum celesti sponso fidei anulo subarrari et in celestes talamos introduci, sibique per amorem perpetuum copu- — 479 - lari. Quod nobis concedat sponsus ecclesie Jesus Christus, qui cum Patre et Spiritu Sancto vivit et regnat Deus per omnia secula seculorum. Amen. Verum quia presentem historiam oratione incepimus, ipsam in oratione similiter terminemus, sanctos istos de quibus loquuti sumus sic versibus deprecantes : Ad sanctos Philippum et Jacobum Fundite vestra boni pro nobis vota Patroni Ut sit vita mera, pia mens et gaudia vera. Ad sanctum Johannem Baptistam Christi Baptista, lucens ardensque lucerna, Nos conservantes tua pignora serva guberna. Ad istam Virginem et martyrem Affer opem Christi, virgo, que passa fuisti Martyrium forti grandi vallata cohorte. Explicit summa reliquiarum que sunt in monasterio sanctorum Philippi et Jacobi. NCiPiT istoria sive legenda translationis beatissimi Johannis Baptiste qualiter eius sanctissime reliquie Genuam Ligurie metropolim translata fuerunt ex Mirrea civitate Licie et in ecclesia maiori sancti Laurentii honorifice collocata Anno Domini m . lxxxxviiii. Convenientibus nobis in unum fratres diarissimi hodierne celebritatis dignitatem causam et ordinem expedit declarare ut Dei docibiles effecti, tanto devotius quanto certius de Redemptoris nostri beneficiis gratulemur. Audiant igitur insule et attendant populi de longinquo: quod presentis dominice iocunda solemnitas revelationi reliquiarum beati Johannis Baptiste a laudabili tam clero quam populo urbis Janue in qua habentur recondite est unanimiter dedicata, et a summis pontificibus per litteras — z|8i — apostolicas sicut infra dicetur solemniter approbata : atque diversarum regionum fidelibus ad eam devote confluentibus suppliciter observata. Dignum quidem fuit et fidei nostre consonum iudicatur ut Precursoris revelatio intra domini nostri Jesu Christi ascensionem admirabilem poneretur, ut sicut ipse Dominus per eius predicationem et baptismum olim ascenderat in corda fidelium: sic Pre-cursor per eundem Dominum die hodierna per sui revelationem in gaudium et salutem ascenderet populorum. Scriptum quidem est de ipso : quod corda patrum in filios et in patres corda converteret filiorum. Quod idem Pre-cursor et ante obitum suum et post obitum suum videtur effecisse. Ante obitum quidem suum gentibus predicando et eas aqua baptismatis intingendo : post obitum vero multis miraculis claruendo in hac urbe Januensi et alibi ad illuminationem gentium corruscando. Nam teste Isaia propheta : in lucem gentium datus fuit ut usque ad extrema terre cunctorum fidelium salus esset. Videant ergo reges, consurgant principes, concurrant fideles, Deum Israel qui ipsum elegit pronis in ipso mentibus adorantes. Sed ut ipsorum omnium devotio in hoc amplius excitetur, ad predicte ordinem revelationis descendamus. Sicut ex evangelii et scholastica habetur istoria, beatus Johannes Baptista apud Macheruntam castrum, ad petitionem puelle saltantis, ab Herode Antipa fuit in carcere decollatus. Quo audito, venientes discipuli sui tulerunt corpus eius, sepelientes ipsum in monumento in Samaria civitate, que nunc Sebastia nuncupatur. Caput autem ipsius venerabile tandem in Gallias est translatum. Post vero multum temporis, regnante Juliano Cesare apostata, cum magne persecutionis in christianos crudelitas ebul- — 4^2 — liret, invidentes pagani miraculis que ad ipsius Precur-soris sepulcrum creberrime corruscabant, violato sepulcro eius ossa veneranda scelestis manibus contrectantes, huc et illuc mente perfida disperserunt. Qui cum postmodum ipsa colligerent ad cremandum, accidit, Dei providentia faciente, quod quidam monachi ex Jherosolimis ad ipsius sepulcrum orationis causa tunc temporis advenirent. Qui cum tantum facinus advertissent, sese latenter colligentibus immiscentes, ex ipsius ossibus partem maximam colligerunt, ipsas Philippo Jherosolimorum venerando tunc pontifici deferentes. At ipse tantum thesaurum gaudenter suscipiens, ipsa postmodum ad magnum Athanasium urbis Alexandrine tunc pontificem destinavit. Que cum et ipse honorifice suscepisset, in basilica ad ipsius Baptiste honorem et Dei gloriam consecrata cum multa reverentia collocavit. Ceterum, sicut ex beati Nicolai legenda colligitur (i), predicte sancti Precursoris reliquie in civitate Mirrea, cuius pontifex idem extitit beatus Nicolaus, in vase marmoreo sub altari posito postmodum sunt reperta. Quas quidem Nicolaus Dei famulus multipliciter venerando, usque ad vite sue terminum devotissime custodivit. Ipso vero ad Dominum emigrante, clericos suos instanter monuit ac rogavit, quatenus corpus suum iuxta prophete sanctissimi reliquias sepelirent. Qui sui pastoris imperium adimplentes, tam ipsi quam eorum successores, honore debito sunt uti huc usque reliquias venerati. (i) Come Ia leggenda della traslazione di san Nicolò di Bari, che si ha nel Baronio all anno 1087, e quella del trasferimento delle ceneri del Battista, collimino in molte circostanze e perciò si corroborino a vicenda, lo abbiamo di già notato negli .Atti, voi. II, par. I, pag. 448. - 4*3 - Contigit autem postmodum’ peccatis exigentibus, Antiochiam christianorum civitatem suis fere omnibus castris et munitionibus spoliatam, a barbaris et infidelibus obskjeri. Cuius rei causa rex ierosolimitanus (i) et principes transmarini ad predicte civitatis succursum auxilio (reti fidelium properarunt. Ad cuius etiam civitatis defensionem et auxilium ianuensis civitas ad transmarinas partes copiosum cum navibus exercitum destinavit. Qui omnes insimul congregati inimicos crucis Christi celesti potentia persequentes, quam multis ex eis neci traditis, in fugam reliquos compulerunt, recuperatis castris, locis et munitionibus ab eisdem infidelibus antea occupatis. Et quasi in huius tam gloriose victorie solemnem • memoriam, iura quedam et dominia propter hoc ianuensibus in partibus illis transmarinis tradita sunt, ut in atrio sancti sepulchri habentur litteris aureis exarata. Tandem predicti ianuenses ad pròpria remeantes, ad portum Patere prope Mirream civitatem que Stamira dicitur aplicarunt. Ibique cognito beatum Nicolaum olim in civitate predicta presulem extitisse, videntes ipsam civibus et menibus destitutam, pia consideratione unanimiter convenerunt ut beati Nicolai corpus inde per ipsos Januam deportatum maiori devotioni ac reverentie traderetur. Hoc autem divina providentia credimus esse factum, ut sic profunda de tenebris revelaret et sui ossa Precursoris abscondita in lucem produceret, ad pedes nostros in viam pacis eius meritis dirigendos. Ad ecclesiam igitur Dei famuli Nicolai ianuenses pre- (i) Questa creazione di un Re latino di Gerusalemme, innanzi la presa di tale cittA pei Crociati, è uno degli errori che vuoisi perdonare alla poca scienza cronologica del nostro autore. Atti Soc. Lig, St. Patria, Voi. X. Fase. IV. 35 — 484 — dicti cum tam sancto ct laudabili proposito accedentes, quosdam ibidem monachos venerabiles repererunt, qui Deo celi in eadem ecclesia assistentes votis ei et laudum preconiis ministrabant. A quibus de beati Nicolai corpore diligentius inquirentes, aliquas ipsius reliquias ab eisdem devote ac humiliter postulaverunt. At illi petentibus responsum huiusmodi reddiderunt: Viri fratres, pro certo scitote quod illud quod petit vestra devotio a nobis iam dudum per violentiam est sublatum. Januenses vero eorum sermonibus non credentes, sub altare beati Nicolai fodiendo, ipsius corpus spirito ferventes ceperunt inquirere diligenter. Ibique primo lavacrum marmoreum sed vacuum invenerunt, de quo beati Nicolai corpus olim a Barensibus fuerat asportatum. Inquirentes autem diligentius, capsam marmoream in eiusdem lavacri capite repertam cum gaudio sublevantes, cursu veloci ad Socios detulerunt, putantes sese Dei famuli Nicolai corpus sanctissimum reperisse. Monachi vero predicti usque ad maris litus ipsorum vestigia sunt secuti, eis cum clamore valido et lacrimis acclamantes: O viri fratres, si tanquam veri Dei cultores ut dicitis Christum Dominum adoratis, rogamus vos et obsecramus in Domino, nobis per eius nomen reddite quod tulistis; vobis etenim non esse corpus beati Nicolai quod deffertis in Christi nomine contestamur. Januensibus autem eorum precibus et admirationibus nullatenus inclinantibus, cum se habere crederent quod querebant, monachi predicti quid hoc esset quod tulerant voce flebili narraverunt, dicentes sub adiuratione eas beati Johannis Baptiste esse reliquias, quas et ipsi ct eorum patres cum reverentia servaverant illibatas. — 4§5 — Quibus auditis ianuenses letiores cffccti, unanimiter conclamaverunt ut per naves singulas dividerentur reliquie venerande. Quo facto, ventis ceperunt prosperis navigare. Et subito vi ventorum mare adeo intumuit conturbatum, quod naute videntes sibi naufragium imminere, preces cum fletu pro salute ad Dominum suum porrexerunt in excelsum. Exclamavit autem illico quidam sacerdos, qui cum illis erat, sibi fuisse revelatum quod nisi sanctas reliquias quas diviserant in unum redigerent nullatenus poterant liberari. Verum cum naves ipse pre nimia tempestate maris sibi àd invicem accedere non valerent, viri navium se voti vinculo obstrinxerunt quam cito pos-sent quod sacerdos dixerat se facturos. Statimque mira Dei clementia vento cessante, mare pariter conquievit, et facta est tranquillitas magna. Liberati ergo de periculo maris, quicquid de predictis reliquiis habuerant sigillatim sub adiuratione magistro navium unanimiter reddiderunt. Quibus in unum collectis, recto tramite navigantes, ia-nuensem portum cum omni leticia intraverunt feliciter. Ceterum quoniam tunc temporis pastore vacabat Ecclesia Januensis, prepositum ianuensem in primis, clerum civitatis, rectores et consilium adierunt, omnia que gesserant queve sibi contigerant eis per ordinem enarrantes. Quibus auditis omnes tam laici quam clerici magnifice de Dei beneficio congaudentes, sacrosanctas reliquias super altare maioris ecclesie cum omni reverentia et gaudio processionaliter detulerunt, ipsas postea in quadam capsa marmorea honore debito cum Dei laudibus reponentes. • Non post multos autem hos dies, archiepiscopus (i) (i) Correggasi episcopus. Per verità il vescovo Airaldo era stato eletto sino dal 1097 ; ma non ricevette la consecrazione che due anni più tardi, per le ra- — 486 — et canonici, rectoresque ct viri consiliarii civitatis, accepta opportunitate quia videlicet ad Imperatoris constantino-politani servitium ianuensium moltitudo cum navibus triremibus properabant, quibusdam ex ipsis utique sapien-tioribus indixerunt, ut cum omni cautela et diligentia predictarum reliquiarum plenam inquirerent veritatem, sibique omnem quam de ipsis possent certitudinem apportarent. Abeuntes igitur ipsis et diutius in Grecie partibus commorati, tandem viri catholici et armis strenui terram sanctam postmodum visitantes, sepulcrum Domini et cetera loca ab infidelibus et barbaris occupata, Déo dante, libertati pristine una cum aliis Christi fidelibus reddiderunt. Rebus igitur fortiter gestis, tandem ad propria remeantes, ad supradictum portum Patere pervenerunt. Ad Mirream etiam civitatem prope positam, de qua pre-dicte reliquie fuerant portate, accedentes, beati Nicolai Dei famuli ecclesiam adiere, ibique venerandos invenerunt mo- gioni che altrove si trovano esposte {Alti, I. 66; II, par. I. 319). Rilevò poi il eh. Grassi, con l’usata acutezza, come l’indicazione della vigilia di san Bartolomeo segnata da Caffaro a precisare l’epoca della morte di esso Airaldo seguita nel n 16, sia da riferire invece « ad altro fatto, come sarebbe per un esempio il di dell’elezione » {Atti, II, par. I. 410). Ore se noi potessimo fare assegnamento sicuro sopra quanto qui scrive il Varagine, saremmo indotti a credere che veramente l’accennata indicazione sia da riportare alla consecrazione. Scrive difatti il nostro Autore che quando le ceneri del Battista vennero trasferite a Genova, tunc temporis pastore vacabat Ecclesia Januettsis; e questa circostanza non puossi interpretare in altra guisa se non che Airaldo allora non avea per anco ricevuta la consecrazione. Videtur (così avea scritto infatti nel Chronicon) quod (cineres) deportatae fuerint mortuo Ciriaco et nondum electo vel confirmato Ayraldo, si c«me già notammo nella Prefazione. Indi soggiunge: Non post multos... dies archiepiscopus et canonici etc.; e qui forse Var-chiepiscopus è licenza malamente adoperata da un qualche amanuense. Dunque la consecrazione di cui è caso non avrebbe dovuto tardare maggior tempo di quello che corse dal 29 maggio (in cui nell’anno 1099 cadde la domenica fra l’ottava dell’Ascensione, data del rinvenimento delle ceneri) al 23 di agosto. — 487 — nachos manus eorum fugere cupientes. Ipsis vero ad se tandem data fiducia revocatis, sui adventus causam et ordinem narraverunt, cis humiliter supplicantes ut de reliquiis quas ianuenses olim ab expeditione Antiochie redeuntes exinde portaverant eos redderent certiores. Tunc illi monachi lacrimas pre gaudio continere non valentes, ceperunt eos tanquam fratres in Christo charissimos osculari. Cum ipsis preterea ad altare beati Nicolai Dei famuli accedentes, sub Dei adiuratione sunt firmiter contestati sancti Johannis Baptiste fore reliquias memoratas; dicentes eisdem quod si aliqua de ipsis dubitatio amodo nasceretur, super animabus eorum ita verum esse sub Dei testimonio confirmarent. Januenses igitur predicti cum in propria remearent, pontifici, clero et rectoribus civitatis omnia que fecerant per ordinem retulerunt. Et sicut de voluntate dictorum monachorum processerat, quatuor. ex ipsis viri fide digni ita verum esse sunt sacrosanctis tactis evangeliis protestati. Omnes igitur tam laici quam clerici civitati ianuensis super his certiores effecti, maiori devotione atque reverentia postmodum ipsas sanctissimas reliquias (ceperunt) venerari, et tribulationis tempore ad ipsius Baptiste merita recurrere confidenter. Sicque tocius cleri et populi crescenti devotione, ipsius Baptiste meritis in hac urbe ianuensi ceperunt miracula quam plurima corruscare, que fama defferente longe lateque per plurimos sunt dispersa. Quodam enim tempore non modico (1), peccatis exigentibus, nec celum pluviam nec terra protulit fructum suum. Ad tocius igitur populi devotionem et petitionem reli- (1) Anno 1158. — 4SS — quiis beatissimi Johannis Baptiste processionàliter per civitatis circuitum deportatis, cum ante esset maxima aeris serenitas, aer in nubes subito conglobatus pluviam edidit abundantem que tocius terre faciem et viscera uberius irrigavit. Accidit etiam quodam tempore (i) quod ignis de quadam domo civitatis subito evaporans, et super turrium cacumina usque conscendens, domos quamplurimas concremando tocius civitatis excidium minabatur. Contra cuius maiorem impetum sancti Johannis Baptiste reliquiis in noctis medio deportatis, ita in seipso per seipsum evanuit quod nullam civitati postmodum intulit lesionem.. Alio vero tempore (2) feri maris tempestas adeo intumuit, quod naves in portu secure antea quiescentes, maris et ventorum violentia insimul conquassate, cum maximo civitatis dispendio penitus frangebantur. Reliquiis autem beati Johannis Baptiste contra maris sevitiam et ventorum violentiam deportatis', infra unius bore spatium ventus cessavit, mare quievit et facta est tranquillitas copiosa. Multa quidem et alia signa fecit Deus et facit in hac urbe ianuensi per ipsius sanctissimi merita precursoris; civitatem et gentem a multis malis sicut firmiter est sperandum ipsius meritis eruendo. Multi enim et mul-toties viri ianuenses ipsum Dei Baptistam in maris periculis invocantes, ipsius meritis divinam clementiam in suis necessitatibus sunt experti. Post multum vero temporis (3), crebris in hac urbe ianuensi beatissimi Johannis Baptiste corruscantibus mira- (1) Anno 1181. (2) Anno 1242. (3) Anno 1179. * — 489 — culis, contigit quod vir vite et scientie venerabilis dominus Alexander tertius generale concilium celebraret. Cui concilio Januensis Archiepiscopus magno interfuit cum honore, quamplurimorum discretorum fratrum suorum aliorumque nobilium et sapientium civium obsequio constipatus. Ubi post multos honores sibi, ecclesie ac civitati sue a summo pontifice collatos, suis et eorum qui secum erant intercessionibus beatissimi Johannis Baptiste solemnem revelationem a sede apostolica impetravit, sacrosancte romane ecclesie summo pontifici totius rei geste serie intimata. Hanc autem revelationem idem summus pontifex litteris apostolicis per diversas precepit provincias enunciali, ut sic omnes ad eius solemnitatem cum corde puro, conscientia bona et fide non ficta undique concurrentes, ipsius meritis et precibus a summo omnium iudice suorum obtineant veniam peccatorum. Postmodum etiam dominus Innocentius quartus volens Jesu Christi honorem et cultum in suis precursoris maiori veneratione amplius dilatare (1), litteras apostolicas fidei devotionis ac misericordie plenas per universas mundi provincias destinavit, omnibus vere penitentibus et confessis memoratas sancti Johannis Baptiste reliquias in civitate ianuensi requirentibus, suorum magnam concedens indulgentiam peccatorum ac delictorum. Gaudeamus igitur omnes in Domino, diem festum sub honore Precursoris Domini celebrantes. Ipse quidem fuit homo missus a Deo, ut in testimonium veniens, divine filiationis et humane redemptionis testimonium de lumine perhiberet. De illo quidem lumine quod testimo- (1) Anno 1251. - — 490 — nium non accipit ab homine, sed de quo Patris opera testimonium perhibent veritatis. O stupende dignationis admirabile sacramentum ! Luci lucerna et soli lucifer at-testatur. Illi inquam vere luci que in tenebris lucens, omnem hominem in hunc mundum illuminat venientem; et illi soli iustitie qui in oculis suorum ad mentium illuminationem et in conspectu omnium ad meritorum discretionem exoritur cum ardore. Hic est ille lucifer qui in suo tempore est productus; et hcc est lucerna eternis temporibus Christo Domino preparata. Hic est ille Johannes admirabilis qui a lege et prophetis, a Deo et psalmis, ab angelo et propinquis, a Christo et apostolis multiplicis testimonium accipit dignitatis: a lege quidem, ut angelus in quo est nomen Domini hostes fidelium eiciens pemittitur: a prophetis vero ut vox auditur et ut sagitta salutis electa dirigitur, et ut legatus et ut lux et gentium salus ad vias preparandas Domino destinatur. A Deo ut lucifer producitur; a psalmigrapho ut lucerna Christo Domino preparatur. Ab angelo Dei gratia, letitie causa, magnus, sobrius, spiritu sancto plenus et alter Elias predicitur. A propinquis in utero de adventu Domini exultans, propheta precursor omnibus admirabilis nuntiatur. A Christo ut plusquam propheta, ut angelus, ut lucerna ardens et lucens, ut sobrius, ut nulli postpositus extollitur. Ab apostolis, ut primus heremita, ut preco, ut baptista, ut verus confitens, ut martyr iustitie collaudatur. In huius ergo solemniis gaude et letare filia Sion, tu videlicet civitas ianuensis, talis ac tanti patroni gloria a Domino decorata. Omnis sexus, omnis etas, omnis conditio, omnibus omissis, hodierna die in domo Domini con- — 491 — gregentur, et in ore omnium inveniatur gratiarum actio et vox laudis. Effundant omnes sicut aqua in conspectu Domini corda sua, et puras manus ad Deum cum lacrimis elevantes, ipsius clementiam sibi meritis impetrent Precursoris. Quante nunc siquidem potestatis et glorie sit in celo, declarat ipse redundans thesaurus gratie qua resplenduit in hoc mundo. Si enim toti mundo tantum eius profuit divine gratie immensitas, multo magis proderit eius apud Deum glorie sublimitas, ut spiritus manifestatio ei ad utilitatem omnium data, in gratie et glorie meritum confratrum transeat Jesu Christi. Ad ipsius ergo patrocinia in nostris necessitatibus toto cordis affectu unanimiter recurramus, credentes firmiter quod ipsius suffragantibus meritis Pater misericordiarum sue nobis expandet viscera pietatis, prestante domino nostro Jesu Christo qui cum Patre et Spiritu Sancto vivit et regnat Deus per omnia secula seculorum. Amen. Explicit legenda translationis sancti Johannis Baptiste. CONTINUAZIONE DELLA CRONACA DI JACOPO DA VARAGINE DAL MCCXCVII AL MCCCXXXII PUBBLICATA PER CURA DEL SOCIO VINCENZO PROMIS ONSERVASi nell’Archivio di Stato in Torino un codice in foglio piccolo di carta forte, a due colonne con legatura in legno coperta di pelle scura, il tutto spettante al più tardi al principio del secolo XV. La filigrana della carta presenta una forbice aperta, quale s’incontra non raramente (benché di varie dimensioni) nei Cartolarli della Masseria del Comune di Genova pel detto secolo che ivi si conservano nell’ Archivio di S. Giorgio, e sono aneli’essi di carta molto resistente (i). Il volume senza titolo, porta scritto sulla sguardia membranacea in carattere del secolo XVI : Cronica Januen ab initio usque ad annum 1332; e sotto di altra mano: del Varatine. Infatti la Cronaca di Jacopo da Varagine oc- (1) Devo questa e le altre notizie relative a questo codice all’ottimo Cav. Belgrano, cui spettano pure le importanti note che verranno in seguito. — 496 — cupa la massima parte del codice, e sebbene con piccole varianti corrisponde alla edizione datane dal Muratori (i); ovvi però in fine un’aggiunta fatta da persona a lui si può dire contemporanea, che protrasse queste notizie sino al 1332, comprendendovi un cenno su due arcivescovi successori di Jacopo, vo’ dire Porchetto Spinola e Bartolomeo da Reggio. Federico Federici nelle sue Collettanee (anno 1306) e nell' ^Abecedario delle fami glie stabilite in Genova prima del ijoo, ricorda sì fatta continuazione della Cronaca Varazzina, quantunque molto inesattamente; e perciò scrive: « Montanaro De Marino ... fece redificar il Palazzo del Comune e le muraglie di Pera 1316, come in Voragine car. 62 » (,_Abecedarii?, ms. della Biblioteca della Missione Urbana, voi. II, car. 345). Si può anzi affermare, mercé questa citazione, che il codice su mentovato fu un tempo di proprietà dello stesso Federici, perchè in esso appunto alle carte da lui segnate si1 legge: MCCCXVI palatium comunis (Peirae) redifficatum et pondus comunis et platea logie et muri de versus terram facti sunt tempore potestatis domini Montani de Marinis. Ma più ancora ciò si può affermare, perché nell’ inventario officiale dei libri legati dallo stesso Federici alla Repubblica di Genova, redatto di suo carattere il 5 gennaio 1644, si nota fra gli altri: « Il volume del Voragine scritto di scrittura antichissima in papero, legato in tavole coperte di cuoio bianchiccio, in carte 64 ». Ora tutte queste indicazioni si attagliano benissimo al codice dell’Archivio Torinese, sol che si eccettui la inesatta qualificazione del cuoio « bianchiccio »; nè è da (x) R. I. S., tomus IX. — 497 — ommettere che il codice reca sulla coperta un numero 17 grande di forma, simile alla numerazione progressiva onde sono muniti gli altri libri del Federici oggidì ancora esistenti per la maggior parte nell’ Archivio di Stato in Genova (1). Altre curiose notizie rinvengonsi pure in tale continuazione circa i possessi genovesi di oltremare, su Caffa e sulle relazioni di Genova coi Tartari ecc. Interessanti sono i cenni sulla calata in Italia di Enrico VII re dei Romani, sulla morte e sepoltura di sua moglie in Genova , sulla morte dell’ imperatore, sulla venuta di Lodovico di Baviera, e sulla successiva del re di Boemia. Termina questa aggiunta colla pace generale tra guelfi e ghibellini Genovesi firmata in Napoli nel 13 31 alla presenza di re Roberto, con alcuni avvenimenti in Oriente, e finalmente con quelli di guerra che nel 1332 ebbero luogo fra i Genovesi e la flotta riunita di Aragona e Maiorca. Una cosa però credo ancora conveniente di osservare, che cioè in fine della biografia del Varagine, e prima di passare a quella dello Spinola, nel nostro Manoscritto dal continuatore della cronaca fu aggiunto un tratto che a compimento di questo scritto qui trascrivo, massime che contiene alcune notizie interessanti. Osservo anzitutto che la cronaca data dal Muratori e ricavata dai codici Estense ed Ambrosiano termina col processo intentato, secondo il primo nel 1296 ed il secondo (1) Archivio di Stato in Genova: ‘Politicorum mazzo IX, num. 20. Il Federici mori nel marzo 1647, come nota il eh. cav. Desimoni nella sua Memoria intorno alla vita ed ai lavori di Andalò Di Negro, estratta dal ‘Bollettino di Bibliografia e di Storia delle sciente matematiche e fisiche (1875), pag. 46. - 49« - nel 1297, contro i Colonnesi che si ritirarono in varie città della Chiesa, donde espulsi si fortificarono in Pale-strina. Nel nostro codice il fitto è pure cosi esposto, ma non accennasi più alla loro fuga. Per contro continua la narrazione cosi: « Anno domini MCCLXXXXVI veneti galeas LXXVI armaverunt et romaniam euntes quaddam terram nomine peyram que erat Januensium iuxta Costantinopolim . quam invenerunt totaliter in-munitam igne combuserunt. Januenses autem qui illue habitabant in bachernia iuxta palatium imperatoris gre-corum se receperunt. Illo etiam anno illi veneti fogiam que erat dominorum benedicti et manuelis zacharie civium ianuensium penitus destruxerunt et ad quandam terram que erat ad parte gazarie Januensium nomine caffa cum XXVIII galeis euntes nihil dampnum ei facere potuerunt sed cum derisione et vituperio sunt reversi ». Di questi fatti nella cronaca stampata si hanno solo poche paròle prima della cacciata dei Colonnesi (1). (r) Muratori ut supra, col. 56, B. rater porchetus spinula de ordine minorum archicpiscopus V11IIUS cepit circa annum domini MCCLXXXXVII et vixit in ar-chiepiscopatu annis XXVII. Istius archiepiscopi tempore sive anno ipso Januenses existentes in bachernio contra venetos existentes in con-stantinopoli qui se recluserant in quadam turri impetum fecerunt et dictam turrim ceperunt in qua baiulus eorum cum bene LXX mercatoribus est personaliter interfectus. Anno domini MCCLXXXXVIII veneti armaverunt galeas LXXXXVI et ianuenses hoc audientes armavere galeas LXXVI et intrantes in gulfo venecianorum dum iam consilium dedissent redire ad propria propter tempus yemale eundo prope quandam insulam nomine scurzulam dictum stolum venetorum viderunt et se in vigilia nativitatis virginis matris dei ad bellum preparantes cum iam sero esset illam noctem cum luminaria ad honorem matris dei steterunt. Tamen die claruente stolum vene- •Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. X, Fase. IV. 34 torum versus Januenses veniens quum fuit prope videns ab uno capite stoli galeas fere XII ianuenses sbarata-verunt. In qua multi boni homines perierunt sed tamen dei iustitia iubente Januenses cordibus fortificantes galeas LXXXXVJ ex ipsis venetorum ceperunt et alie tuge presidio evaserunt quas galeas totas igne combusserunt preter aliquas quas cum carciratis tamen transmis-serunt. Huius archiepiscopi tempore sive anno domini MCCLXXXXVIIIJ facta fuit pax inter Januenses et venetos ac etiam pisanos. Anno domini MCCCIII rehcdifficata fuit peyra per concessionem factam per serenissimum principem dominum andronichum paleologum imperatorem grecorum. Et MCCCXV accessit quod igne accidentali quasi tota peyra combusta est et palatium comunis. Et MCCCXVI palatium comunis redifficatum et pondus comunis et platea logie et muri de versus terram facti sunt tempore potestatis domini montani de Marinis. Anno domini MCCCVII in festo beati francisci toctai imperator tartarorum in dominio gazarie propter multas superbias quas Januenses fecerant in suo imperio precepit quod omnes Januenses erunt capti per totum suum imperium in here et persona . quod et factum fuit ita quod mercatores qui erant in saray capti fuerunt et de-pordati sed postea ex precepto dicti imperatoris persone eorum usque in sulcati ducti fuerunt et aliqui in caffa venerunt . reliqui remanserunt ibi incarcerati qui postea quasi toti frigori gladio et desasio perierunt. Dicto o autem M dictus thoctai missit ad destructionem caffè elbasar filium suum qui aplicuit in gazaria dicto M de mense novembris et ibi congregavit exercitum suum inter equites et pedites centum millia et venit in caffa. — 50i — erant Januenses CCC et greci CCC ac esperantes in adiutorio dei ad se deffendendum et familias eorum et contra dictos inimicos dei se viriliter posuerunt . et cum multis preliis et incendiis dictam terram caffa dicti tartari fere per menses VIII duriter aflixissent . ultimo videntes januenses ibi existentes quod propter deficien-tiam quam non habebant terram tenere non potuebant . fecerunt conscilium generale in quo deliberatum fuit derelinquere terram et ascendere in lignis. Itaque die XX maij MCCCVIII derelicta fuit caffa et tota igne combusta manibiis dictorum Januensium. Ante vero istud tempus usque MCCCVI ellecti fuerunt in Janua capitanei comunis et populi domini opizinus spinulla de luculo et Bernabos de Auria quondam branche, et dum dictus dominus opizinus socium suum male tractare cepisset dictus dominus Bernabos dimitens officium capitarne de Janua aufugit et dictus dominus opicinus se capitaneum generalem et perpetuum convocavit. Illi vero de Auria cum pluribus nobilibus tam spinullis quam aliis etiam popularibus quibus non placebat dominium domini opicini exiverunt de Janua et in sasello preparave-runt exercitum et vertebant versus Januam . MCCCVII1J die X iunii dictus dominus opizinus exiens de Janua obviam eis invenit se inter aliquos proditores et ideo fuge se se missit et reduxit se in Gavio. Dicti de Auria cum aliquibus de spinullis grimaldis et aliis multos pqpulares destruentes Januam intraverunt et ordinaverunt statum gubernatorum quod statum comune appelavarunt. Infra spatium pauci temporis spinulli qui erant m Janua se non contentantes exiverunt de Janua et iverunt ad manendum cum dicto domino opezino. — 5°2 — Anno domini MCCCVIIIJ ellectus est in alamanià rex henricus comes de lucemburgo vir probus sapiens et largus qui veniens modinam coronatus fuit in imperatorem et venit in Lombardiam MCCCX itaque omnes civitates lombardie per solempnes ambasatores se dederunt dicto domino imparatori et Januenses similiter fecerunt. Et MCCCXI venit in Janua et manendo ibi domina imperatrix uxor eius ibidem defuncta est et sepulta ad sanctum franciscum de Janua. Dictus vero dominus imperator ivit pisas et romani, et post multa bella et controversias que habuit tam in roma quam item in tuscia et lombardia sicut deo placuit vitam finivit MCCCXIIJ in die beati rochi. Huius archiepiscopi tempore sive anno domini MCCCXIIJ Zalabi de sinopi filius mansit in gulfo caffè, veniens cum galeis VIIIJ plura ligna ianuensium ex proviso cepit et multos bonos homines interfecit. Et anno sequenti venit dictus Zalabi in dicto loco et invenit ibi tria ligna parva et unam chocham Jacobi de Karlo et ipse habens galeas VIIIJ et adiuta-torium soleati preliando nil capere potuit, sed magnum dampnum ibi habuit et cum verecundia tristitia et dampno ad propria est reversus. Anno domini MCCCXVJ redif-ficata fuit civitas caffa per dominum antonium gallum et dominum nicolaum de pagana sindicos comunis Janue per gratiam sibi concessam per Usbech imperatorem tar-tarorum. Anno domini MCCCXVIJ factum fuit concordium inter spinulos et partem guelfam et. venerunt spinulli in Janua. Et illi de auria in presenti exiverunt de Janua et reduxerunt se in- castris suis. Dicto M de mense novembris pars guelfa ellexit in capitaneum comunis dominum Karolum de flisco et gasparinum de — 503 — grimaldis. Et hoc facto in presenti spinulli et omnes eorum amici exiverunt de Janua et se concordaverunt cum illis de auria et cepit inter omnes Januenses generalis dissipatio et appellata vel nominata est a diabolo pars guibellina birra e pars guelfa birhi et ceperunt intrinseci persequere gibellinos undique et ipsi prò timore fugientes exiverunt toti de Janua et ceperunt saonam et eam bene munierunt et ceperunt molestare civitatem tam per mare quam per terram et asociaverunt secum dominum fredericum de aragona regem scicile cum domino an-dronicho paleologo primo imperatore grecorum et cum domino maffeo vice comite domino tunc mediolani et cum tota liga gibellina lombardie et vocaverunt in eorum capitaneum dominum marchum vicecomitem filium domini maffei predicti et venierunt et per vim acceperunt capud fari] et venientes intraverunt in burgo predis. In hoc fuerunt multa et maxima incendia homicidia depre-dationes et prelia. Intrinseci Janue timentes se non posse durare dederunt dominium civitatis Janue domino iohanni pape et prò eo et nomine eius domino roberto yerusalem et scicilie regi et hoc fuit MCCCXVIIJ die XXVIJ iullii. Et postea ei fecerunt aliam confirmationem qua durare debet dum taxat MCCCXXXIIIJ de mense iulii. et venit dictus dominus rex in adiutorium dictorum intrinsecorum cum galeis et uscheriis LX et cum equitibus tribus milibus qui post multa prelia et multis incendiis et guastis recessit de Janua et ivit in avinione ad dominum papam iohannem pro aliquibus negotiis suis, et dimissit suum vicarium Janue. Cottidie destructiones et incendia erant hinc et inde et in fine intrinsici recuperaverunt burgum et extrinseci tenebant saonam et quasi totam ripariam occi- — 504 — dentis et partem orientis et quasi tota bona castella comunis multa pedagia et fortilicie per ripariam facte fuerunt cum magna destructione et consumatione pecunie in tantum quod quasi omnes nobiles Janue qui per totum mundum in mercimoniam successebant effecti sunt proditores et pirrate capientes undique et quodlibet omnem generationem et in tantum diabolus operavit quod concordia erat spata aliquis erat ausus pacem nominare et vendebat unus alium sicut sclavum. Aud multa dicere valet in tanta ruina fuit generatio Januensium quod qui plus nec una pars nec altera sic stare non potebat. artholomeus de regio archiepiscopus X.us cepit circa annum domini MCCCXXIIIJ. Huius archiepiscopi tempore sive anno © domini M predicto guelfi intrinseci Janue credentes capere posse peyram et mare maius quam et quod erat in obedientia extrinsecorum Janue venerunt in peyra et intraverunt in mare maius cum galeis X. De quibus erat capitaneus dominus carolus de grimaldis miles que galee erant certorum bonorum hominum de Janua que fuerunt in mari tamne et usque tannam et piscium (i) et postquam multa dampna intulerunt pluribus bonis hominibus videntes quod non potuebant transire per peyram quod illi de peyra habebant galeas XVI armatas et ipsos guelfos expectabant in bechagiro (2) cum magna multitudine barcharum, ideo (1) Nel {'Atlante Luxoro: Pexo, oggi Besce, Bei-sti, Bei-ssu, fiume della Cir-cassia Asiatica. Ved. Atti, voi. V, pag. 129, irum. 92. (2) Meglio Bochagiro o Boclm Giri, dei quali nomi diremo nelle note successive. — 5°6 — iverunt Sinopi et concordaverunt se ac associaverunt cum dicto Zalabi qui post paucissimos dies cum patroni toti dictarum galearum essent sub una tenda expectantes dictum Zalabi qui eos invitaverat et gentes dictarum galearum essent in terra hinc et inde dictus maledictus Zalabi ad sonum trombete fecit currere terram et capere et occidere omnes de dictis galeis quos habere potuit, qui fuerunt inter capti et mortui boni homines MD de quibus mortui fuerunt bene DCC et patroni quasi toti dictarum galearum incarcerati qui steterunt in carcere et redempti fuerunt bene per annos YIIJ. Cepit etiam de dictis galeis galeas VII. Alie numero tres effecte sunt duo per dictos latinos et sicut melius potuerunt Janue redierunt. Et hec ruina fuit propter predictam maledictam brigam. Dicto M rex aragonum in sardinea ascendit et ipsam totam sibi subiugavit. MCCCXXV ad requisitionem pisanorum volentium si possent recuperare Sardiniam factus est armiratus pisanorum Gaspar de auria contra voluntatem quaxi omnium Januensium et ipse sic oratus est quod congregavit galeas XXII Januenses singularum personarum quasi pirratarum et venientes prope calari et se discognoscentes. Catalani vero cum astutia impetum fecerunt in dictis galeis ita quod in ipso conflicto catalani galeas V ex ipsis ceperunt et multi nobiles et populares de Janua quasi CCCC mortui fuerurit et multi alii capti, relique vero galee cum merore et tristicia redierunt. Huius archiepiscopi tempore sive anno domini MCCCXXVIII venit in lombardia dominus lu-dovicus de bavaria qui contra voluntatem ecclesie imperator est vocatus. Ita quod propter guerram Januensem multe civitates lombardie ei se dederunt et ivit romam et — 507 — ibi se fccit coronare. Post paucos'dies tumulti populi romani et subgestiones aliquorum et maxime fratrum minorum quoddam heremitam in papam elligerunt et nicolaum eum appelaverunt. Deus iustus hoc videns quod erat vi-tuperium sancte eclesie sue quod multi et multi predica-bant publice contra summum pontificem gccidit quod iste imperator dictus venit deficiendo ita quod MCCCXXX rediit in alamania et dictus antipapa penitentia ductus ivit in avinione et ad pedes domini pape se misit querens indulgentiam. Dictus dominus papa misericors ei pepercit et dedit ei veniam quod et fuit mirabile omni populo. Et quia multa dampna pirate Januenses intulerant venetis in multis locis volendo de hoc vindictam facere anno domini MCCCXXVIIJ de mense aprillis venerunt apud peyram galee XXVIIIJ armate et cum illi de peyra paucum de illis curarent ipsi ex improviso euntes ad giro (i) et per bucham (2) multa ligna et bonos homines ceperunt sed non fuerunt ausi se appropinquare ad terram peyre sed manebant tristes circa archam que est in mari (3). Stantes sic galee per dies XX requirentes mediam damp- (1) Nell’^Atlante Luxoro: Alziro, per incorporazione dell’articolo, ed in altri portolani semplicemente Giro, l’antico Hieron o tempio di Giove Urio presso l’odierno Anadoli Kavak. Ved. lAtti, voi. V, pag. 155 e 268, num. 182; Giornale Ligustico 1871, pag. 362. (2) Cioè la 7ìucha Giri; che è quanto dire la bocca del Mar Nero. Nei documenti genovesi dicesi anche più propriamente Canale Buche de Giro. Cosi nei Sindicamenta Pcyrae anni 140] (cod. dell’Archivio di S. Giorgio, car. 30), in atto del 22 novembre suddetto anno si fa menzione dell’ordine mandato dal Podestà e dal Consiglio di Pera ad un tal Germano di Tolomeo borghese della colonia quatenus ... se transferre deberet ad Bucham sive Canale Buche de Giro partium Romanie. (3) È quella torre isolata, ma assai presso a Scutari sulla costa dell’Asia rim-petto al porto di Costantinopoli, che il Buondelmonti nella sua pianta di questa — 5°S — norum que eis facta erant illi de peyra habentes compassionem bonis hominibus incarceratis et lignis captis pepigerunt cum ipsis dare eis florenos auri decem et octomilia in tribus annis et sic sub dicto pacto de partibus peyre recesserunt et venetias cum verecundia redierunt. Anno. domini MCCCXXX rex Boemie filius quondam henrici imperatoris de lucemburgo in lombardia venit et multos extrinsecos de civitatibus reduxit ad propria et ab omnibus et in suo vexillo rex pacificus vocabatur et MCCCXXXI rediit in alamania cum gente sua quia vidit quod non poterat facere que volebat. Istius archiepiscopi tempore sive anno domini MCCCXXXI facta fuit trega inter partem guelfam et guibellinam et ceperunt reconciliari ad invicem. Et illo anno reges ara-gonum et maioricharum propter multa dampna que Januenses pirrate in catalanis ubique intulerant misserunt in riparia Janue galeas XXXX armatas putando se in dicto loco dampnum facere sed per dei gratiam aliquod dampnum non fecerunt ymo ubi ausi fuerunt descendere cum maximo dampno se retulerunt et sic de riparia Janue cum confusione et verecundia sunt reversi. Illo anno defunctus est dominus alexi comnano imperator trapesonde. Et in nomine domini nostri ihesu christi MCXXXI coram serenissimo principe domino rege ro-berto in neapoli per solempnes ambasatores missos ibidem per intrinsecos et extrinsecos Janue quorum nomina inferius dicentur facta et firmata fuit pax generalis inter capitale delineò e indicò col nome di oircona. Più propriamente era detta bircia, ed anche Damalis dai Bizantini (Ved. Banduri, Imperium Orientale, voi. II, pag. 473, ediz. veneta); oggidì vi è il faro, e dagli Europei si chiama Torre di Leandro, dai Turchi Ki\ Kulessi (torre della Vergine). partem guelfam et gibelinam remittentes sibi invicem omnes iniurias homicidia depredationes et dampna que una- pars alteri fecit ab anno MCCCXVII a kalendis augusti usque ad MCCCXXXI de mense septembris. Guelfi ambasatores d. Nicolaus de flisco iudex. Antonius de grimaldis. Udo lercarius. Ambrosius salvaygus. Ar-gonus malonus. Saracenus de nigro. Leo de gavio iudex. Luchinus de petra rubra. Manfredus de Jacop. ' Obertus de balsemo. Franciscus. marruffus. Jacobus de richobono. Gibellini. d. Casanus de auria iudex. Georgius spinulla. d. angelus imperialis iudex. d. Benedictus de castiliono. d. Paulus de montalto. d. Antonius de ponciis. Janotus de gentilis. Thomas gallus. Bernabos de mari. Jacobus buca-nigra. beltranus de passano. Nicolaus marracius de castro. Divina misericordia principaliter operante per predictos ambasatores utri usque partis dicta pax firmata fuit in presentia dicti domini regis sub pactis et conditionibus pluribus que modo hic distinguere longius esset. Sed inter cetera quod dominus rex predictus debebat habere regimen civitatis usque ad tempus quod ei concessum et rcconfirmatum fuit per partem intrinsecam dum taxat MCCCXXXIIIJ die XXVII iunii. debebat etiam habere ellectionem abbatis Janue et tenere in Janua usque ad dictum tempus de sua gente propria ad soldum proprium comunis trecentos equites et quingentos pedites. Officia autem et beneficia debent dividi inter dictas partes ponendo ea ad denarium auri (i), possessiones eorum tales (i) Molti uffizi pubblici solcano essere conferiti per sorteggio, mediante il pagamento di una posta determinata che tutti i concorrenti doveano sborsare per essere iscritti nei registri appositi che si intitolavano Manualia requirentium. quales inveniuntur accipere debent. Castra omnia comunis reddere debebant ad comune et omnia de novo facta dirui, si videbitur duodecim sapientibus constitutis ad gubernationem civitatis. Anno domini MCCCXXXIJ defunctus est d. andronichus paleologus primus imperator romeorum caloierius effectus, et ante istud tempus AICCCXXX d. andronichus paleologus IJ nepos predicti vadens cum quibusdam galeis et barchis in insula Sii ad subgestionem domini benedicti zacharie cum deceptione cepit dominum martinum zachariam et ipsum in carcere duxit in constantinopoli et omnes ianuenses ibi habitantes expulit et eorum bonis spoliavit. Anno domini MCCCXXXI in cipro propter quandam brigam que acciderat inter quoddam iuvenem salvaygum et aliquem de tamagusta dicti cipriani una cum pisanis se armantes crudeliter impetum fecerunt adversus omnes Januenses ex im- Or qui il nostro autore vuol dire che la posta era stabilita in un denaro aureo, il quale si diceva anche comunemente fiorino d’oro ; e perciò nell’ Archivio di S. Giorgio si conserva una classe di codici del secolo XV, che recano il titolo di Fioretti sortium ad officia, e presentano la contabilità di questo introito che non era di lieve momento. I Protettori delle Compere del Capitolo c poi congiuntamente ad essi quelle delle Compere di S. Giorgio riscuotevano il provento di detto sorteggio; e un atto rogato dal cancelliere Antonio di Credenza il 23. novembre 1416 reca il testo di una convenzione stipulata fra la Signoria ed i Protettori summentovati, per la quale si stabilisce che questi ultimi debbano conservare si fatto privilegio, purché le Compere assumano in sè il pagamento di 901349 ducati d’oro che il Comune di Genova era obbligato a corrispondere a quello di Venezia in forza della sentenza arbitrale fra i due Comuni pronunciata dal conte Amedeo di Savoia fino dal 9 agosto 1408. Dederunt, concesserunt et decreverunt (cosi dice la convenzione).....liberam et absolutam potestatem predictis Comperis .... posstnii constituere, ordinare et disponere dicta officia sorcium jloreni auri, videlicet quod quelibet dictarum Compe-rarum possit et sibi liceat quolibet anno dicta officia sortibus constituere ... ad ipsarum Comperarum . . . utile et beneficium (Regulae Comperarum Capituli, cod. membr. dell’Archivio di S. Giorgio, num. 5, car. 352 e segg.). — 5ii — proviso ita quod fere Januenses CCC fuerunt ab ipsis crudeliter interfecti.,Anno quidem domini MCCCXXXIJ comune Janue armavit contra catalanos galeas XXXXV et fuit eorum capitaneus d. Antonius de grimaldis et recessit de Janua cum dicto stolo die X augusti et ivit in catalonia dissipando et guastando omnes catalanos quos invenire potuit et eorum bona, aplicuit inde in insula cabrerie prope maiorcham die XVJ septembris et scripsit literas domino regi maiorche et capitaneo galearum domini regis aragonum sicut ipse erat ibi cum galeis pre-dictis armatis non per comune sed ad soldum, et quia se multum iactaverant per partes mundi ipse erat paratus exercitum eorum et ipsos in dicto loco usque die XX dicti mensis. In maiorcha erant galee XXXXVJ armate et unum uscherium et sicut habuerunt istam li-teram rescripserunt dicto domino antonio quod erant parati exire ad prelium cum magno gaudio et exeuntes quando fuerunt prope stolum nostrum per miliaria IIJ videntes dictum stolum non fuerunt ausi prelium accipere sed tamen invenerunt propter ventum in maiorcha cum verecundia redierunt. Galee vero Januensium steterunt in illis partibus usque ad dies XXVIIJ mensis predicti et catalani iverunt in otaola (i) quaxi ad eos inquirendos. Sed si prima vice viliter fecerunt in aliis vicibus peius, in tantum quod dominus antonius de auria cum galeis XI subtilibus exiens de stolo venit ad stolum catala-norum ad provocandum eos ad bellum et balistavit inter cos. Sed ipsi nullo modo prelium accipere voluerunt. Deo et matri gratias. .Amen. (i) Forse Otilla, sulla costa di Valenza; ora ^Atalajn o Altea. \cd. ^Atlante Ltixoro, negli Jlitì, voi. V, pag. 41, num. 9}. CRONACA DI GIOVANNI ANTONIO DI FAIE TRATTA DALL’AUTOGRAFO E PER LA PRIMA VOLTA PUBBLICATA DALL* AVVOCATO JACOPO BICCHIERAI - \ lv I H . PREFAZIONE a famiglia di Giovanni Antonio ebbe origine e nome da Faile (in dialetto Faieii), che attualmente altro non é se non un fondo di proprietà privata nell’ Appennino parmense, distante circa due miglia da Berceto nel cui comune é compreso. Lorenzo suo avo si partì dal suo paese natio nell’ età di 16 anni, per fuggire da un terribile contagio che aveva sterminato pressoché tutta la sua famiglia, e venne ad abitare a Compione. Quivi accasatosi, ebbe alcune figlie e due figli, Leonardo e Francesco. Quest’ ultimo si ammogliò con la Guglielmina, unica figlia di un messer Niccolò Parmanente da Filetto, e andò a stare in casa del suocero che aveva copia di beni di fortuna, dei quali alla di lui morte rimase padrone. Avendo però nel 1399 l’esercito del Duca di Milano saccheggiato e rovinato il borgo di Filetto e preso prigioniero lo stesso Fran- Atti Soc. Lio. St. Patria. Voi. X, Fase. IV 3S — 516 — cesco (che a gran fatica giunse poi a fuggire) rimase egli in condizioni molto più umili di fortuna. Una terribile pestitenza che cominciò a infuriare nel maggio del successivo anno 1400 menò a morte tutta la numerosa sua figliuolanza. Vistosi egli all’ ultimo morire Giovanni, il figlio maggiore, a lui carissimo, ch’era nell’età di 20 anni, rimase come fuori di se dal dolore; e passò il resto della vita non curandosi più di nulla, e consumando a poco per volta pressoché tutto quel poco che gli era rimasto, e le sostanze della sua donna. Un altro figliuoletto ch’ebbe da lei visse soltanto sei o sette mesi; ed egli stesso morì nel luglio 1408, colpito da un verrettone in un occhio mentre era in cavalcata a Solignano, lasciando la moglie incinta. Da questa gravidanza venne alla luce il nostro cronista nel borgo di Malgrate presso Bagnone il i.° gennaio 1409, nell’unica casa che, insieme a poche terre, era ìimasta al padre suo dopo la dilapidazione detta di sopra. La sua madre Guglielmina lo allevò e lo educò con grande amore, finché venne a morte nell’ ottobre 1419. Delle cure affettuose della madre serbò grata memoria Giovanni Antonio, scrivendone commoventi parole (1). (1) « Dio che è pieno de misericordia li perdona, e exaudisca le soe confe-sione e pregere e la condugha ala sua groria. E el suo corpo fue portato a sopelire a Feleto ala chiexa de santo Jacopo e santo Filipo, li quali pregilo che intercedano gracia per l’anima sua, e mi diano grazia che per l’anima sua e degli altri posa fare limoxine e carità e pregere bone lungo tenpo, che se may fue una madre amorosa deli fioli, eia era desa : che ben me recordo quante fadiche eia durava e dexaxi dela sua persona per alevarmi, che non g’ era molta roba; che, corno è dito dreto, mio padre la zitò via ». N. B. Questa citazione e molte altre che seguono mano a mano sono prese dalla Parte prima del MS., nella quale Giovanni Antonio aveva incominciato a scrivere la narrazione della propria vita, come diremo più innanzi. — 517 — Egli, che allora era in età di circa io anni, fu da coloro che avean cura di lui collocato presso un tal Cappelletto del Casale, nominato altresì nella cronaca, dove, come egli dice, leceva del Boezio, cioè governava i buoi. Dopo pochi giorni lo tolsero di lì e lo misero a imparare il mestiere del calzolaio presso Pietro da Irola. Ma breve dimora fece anche con lui, e fu collocato a Malgrate presso un maestro Pietro da Cogorno, abile sarto, perchè lo tenesse presso di se e gli insegnasse il mestiere. Ivi stette due anni, e questo tempo, oltre ad imparar 1’ arte della sartoria, gli giovò a perfezionare la sua educazione, di che egli si professa gratissimo al suo antico maestro. Andò in seguito ad abitare a Bagnone con maestro Simone da Fornoli sarto, proseguendo a lavorare in quel mestiere. Se non che, dopo due anni sviluppatosi nel paese un po’ di contagio in seguito ad una grande carestia, e fuggendo la gente, com’ era costume di que’ tempi, verso i maggiori centri di popolazione e i luoghi creduti sani, fuggì anche il detto maestro Simone. Il nostro Giovanni Antonio dopo avere cercato invano un ricovero presso alcuni suoi parenti che stavano a Compione e a Iera, fallitagli anche la speranza di collocarsi a Bollano presso uno zoppo che lavorava di sarto ed aveva precedentemente fatto ricerca di lui, non sapeva più cosa si fare, quando fortunatamente per lui, il suo antico maestro Pietro da Cogorno ebbe la buona ispirazione di mandarlo a Pontremoli da maestro Niccolò di Sacramoro a imparare l’arte dello speziale, che fu 1’ origine della sua futura fortuna. Giovanni Antonio giovane attivo, destro e intelligente, — 5i8 — imparò presto quanto gli veniva insegnato e fu di grande aiuto a Niccolò ed al fratello che gli posero grande affetto : ma propostosi d’imparare anche più e meglio, dopo quattro anni si partì da loro con intenzione di andare a Siena; però i suoi scarsi mezzi non permettendogli di fare intiero il viaggio, gli convenne fermarsi a Lucca. Dopo diverse vicende della sua vita privata di cui è superfluo occuparsi, lo troviamo nel 1428 a Pisa discretamente istruito nell’ arte sua e nel leggere e scrivere, avendo imparato alla meglio da un certo Jacopo Calandrali, presso il quale stanziò in qualità di famiglio per quattro mesi a questo solo fine (1). Mentre egli aggiravasi per Pisa poco meno che disoccupato, s’incontrò in un lunigianese di sua conoscenza, Giovanni di Berretta da Treschietto, che gli propose di andare a Bagnone e aprire una bottega di spezieria in società con lui, al che egli acconsentì. Prima però di passar oltre, reputo necessario dare qualche cenno del (i) « Trovò (si noti che in principio della parte I.a Giovanni Antonio parla di se medesimo in terza persona) uno che si chiamava Ser Jacopo de’ Calandrini da Sarzana, che era oficiale a porta Santo Donato de Lucha, che li promise de insegnarli de letera, che saperebe lezere e scrivere sua ragione, se voleva stare con seco quatro mexi. E vezendo che quel mesterò non se podeva fare so no per vivore de la letera, li promisi. Ed eli me dovea insegnare e farine le spexe e conperarmi una chamixa e una bragha e uno paro de scarpe, et eio li dovea aparechiare e desparechiare la tavola e andarli detro hognu sera ale 22 ore a vixitare Santa Croce e tornare a chaxa ». « E anday a stare con dito Jacopo e con lui stentay diti quatro mexi, che vivea in casa ala zenovexe e pezo. Me dava fadichi e inpachi asay e me ’nse-gnava pocho. Compiuto li diti mexi io li demando licenzia, e lui me mena d’ ancuo in domane e non me la vole dare ; puro ala fine me la da. M’ avea chònperato una chamixa de canevazo da sachi, un paro de scarpe che me durano dui mexi e li altri duy andai dexcalzo: e tuto soferia pur che m’avese insegnato como m’ avea promeso. Dio ge lo perdona ». — 5 x9 — paese, ove si svolse la maggior parte dei fatti registrati in questa cronaca. La terra di Bagnone di Lunigiana giace sulla sponda destra del torrente omonimo, a quattro chilometri in circa di distanza dal suo sbocco nella Magra. La valle formata dal corso di questo torrente, strettissima nel punto ov’ è costruito Bagnone, tantoché il paese rimane dai lati come incassato fra le vicinissime colline, si allarga gradatamente dopo passata la chiesa di S. Rocco (già convento di monaci Agostiniani soppresso il 14 gennaio 1782) eretta alla fine del fabbricato, e prosegue con un dolce pendio, che sul principio vien chiamato il piano, fino alla Magra. Nel tempo però in cui scriveva Giovanni Antonio ed anche in tempi posteriori a lui di qualche secolo, Bagnone propriamente era costituito dal-l’altro gruppo di case detto il Castello, posto su di una collinetta sulla sponda sinistra del torrente presso il confluente della Mangiola, congiunto all’ attuale paese di Bagnone mediante un ponte e una strada che furono rifatti fra il 1865 e il 1867, restando tuttavia anche al dì d’ oggi il ponte e la strada che vi erano ai tempi del cronista. Della vetusta rocca non resta ora in piedi che la torre, essendone stati recentemente demoliti gli ultimi rovinosi avanzi: questa torre, insieme con l’antica chiesa parrocchiale, è tutto quello che attualmente rimane del-l’antico Bagnone. La posizione topografica del paese però era tale da renderlo, come é anche al di d’oggi, 1’ emporio commerciale di tutti i circostanti castelli e villaggi, i cui abitanti convenivano, e tuttavia convengono , al mercato di Bagnone (che si fa ancora il lunedi di ogni settimana come ai tempi di -Giovanni Antonio) — 520 — per concludere contratti d’ogni genere e provvedersi del necessario. La popolazione crebbe colla floridezza del commercio; e non bastando più le abitazioni dell’antico Bagnone a contenerla, cominciò a fabbricarsi il paese attuale, che da prima fu un borgo posto in un luogo di più facile accesso detto allora in Gottola, nome rimasto per lungo tempo al borgo, il quale ai tempi del cronista si chiamava anche Horgo di Bagnone e Po^o. Ivi fu costruita una chiesa in onore della Vergine ; e la popolazione sempre crescente fece sì che le case si ingrandirono, portandosi i fabbricati più innanzi sopra pilastri e volte come si vede al giorno d’ oggi, e ciò avvenne durante la vita di Giovanni Antonio. Erano allora quei tempi infelici in cui l’Italia vantava i più valenti e rinomati condottieri, che abbia mai avuto dalla dominaziona di Roma in poi, e soldati prodi e agguerriti. Quei generali e quei soldati sarebbero stati più che bastanti non solo a renderla indipendente da qualunque signoria o influenza straniera, ma a farla forte e rispettata nel continente, mentre le flotte riunite delle sue città marittime l’avrebbero resa temuta su tutti i mari. Ma la divisione, le gelosie di potere e le ire municipali fecero sì che quelle armi fossero volte invece a a miserande lotte fraterne, di cui la Lunigiana fu bene spesso il teatro, rinchiusa e divisa come si trovava tra il ducato di Milano e le repubbliche di Genova, Firenze e Lucca. Quindi uccisioni, rapine, incendi, sciagure d’ ogni genere piombavano sulle povere popolazioni che fuggivano alle montagne, si ricoveravano nei castelli: trista condizione dei paesi situati ai confini di Stati rivali, — 521 — come dice 1’ immortale Béranger (i). Anche Bagnone ebbe a soffrire per cotesti avvenimenti: ma cessata la signorìa dei Malaspina e ricevuto il comune in accoman-digia dalla Repubblica di Firenze nel 1471, ricominciò il borgo a- prosperare e continuò sempre ad ingrandirsi, per il che fu pensato di trasferirvi la sede della parrocchia, costruendovi verso il 1700 l’attuale Prepositura chiamata anche al presente la Chiesa nuova, venendo detta Chiesa chi Castello l’antica parrocchiale. Finalmente nel 1757 si trasferì a Bagnone la sede giudiziaria che prima era a Castiglione del Terziere, e fu eretto in ultimo a vicariato di 3/ classe, come rimase fino al 1848. Nel borgo suddetto, alla fine di luglio dell’ anno 1428 Giovanni Antonio apri bottega di spezieria in società col detto Giovanni di Berretta. Questi contribuì col capitale, cioè consegnò cinque fiorini d’ oro e una lettera di credito per cento lire a Giovanni Antonio, che doveva dal canto suo conferire l’industria e la persona propria. Con mezzi così meschini, ma con molta destrezza ed attività e sottoponendosi alle più dure privazioni, potè Giovanni Antonio guadagnare per modo * che, rendendo in capo a un anno, ragione al suo socio, questi ne rimase assai contento e continuò la società, che andò sempre di bene in meglio. Erano in quel tempo altre tre spezierie nel paese : il proprietario della principale di esse fallì, e le sue merci furon comprate dalla ragione di Giovanni di Berretta e. Giovanni Antonio. Questi, assai miglior conoscitore dell’ arte sua di quel (1) Pr'es de la borite oh chaque ètat commence, Aucun cpi 11’est pur de sang humain. (La Sainte Alliance des peuples). — 522 — non fossero gli altri due speziali, faceva migliori affari di loro ; per cui l’invidia gli suscitò in paese un partito contrario, fino al punto che corse rischio di essere assassinato. Ebbe anche una- questione seria con un tal Pedruzzo famiglio di messer Giorgio Malaspina marchese di Bagnone, per il che dovè fuggirsene di li e rifugiarsi a Villafranca, che in quel tempo dai Fregosi di Genova era stata tolta ai Malaspina. Intanto, essendo morto Giovanni di Berretta alcun tempo innanzi, egli comprava nel 1432 le di lui ragioni dai figli, restando così solo padrone della bottega. Gran desiderio lo pungeva di tornare a stare -a Bagnone, ma vi si opponeva la volontà del marchese messer Giorgio, istigato dai nemici di Giovanni Antonio. Vi, riuscì finalmente, concludendo il matrimonio colla Franceschina di Rolando Manzi di Or-turano, perocché essa era congiunta di sangue con un amico intrinseco di messer Giorgio, dal quale potè agevolmente ottenere il permesso di rimpatriare. Ritornò dunque a Bagnone nel giugno del 1433, e a’ dì 20 settembre dell’ anno medesimo impalmò la Franceschina suddetta. Quantunque la bottega andasse avanti piuttosto bene, tutt’ altro che floride erano le condizioni economiche del nostro speziale al momento del suo matrimonio, com’ egli dice nella sua vita (1). Però, non mancandogli (1) « Hor pensa quanti guay e dolie a chi fose manchato 1’ animo e la speranza de Dio; ch’io la menay (la moglie) in chaxa d’ altri, eh’ io stava a pixone e pagava fiorini 3 d’oro l’ano. Io non aveva leto, nè coperta, nè len-zoli, nè masarizie, cosa che venise a dire niente; nè dinari, nè grano, nè vino, nè olio, nè sale: e questo è verisimo. Dico dinari, io non aveva oltra quatro fiorini corno mili. Diresti voy: hor corno facesti adunque? Dirovelo: may non me mancò l’animo.......Eio avea uno paro de lenzoli e una coverta uxada: la donna portò con ley uno paro de lenzoli, e uno sacone m’aveva mandato innanzi, ch’io avea fatto impiere de palia » ecc. — 523 — l’ardire nè la fortuna, riuscì a superare le avversità, le disgrazie ed una lunga e pericolosa malattia che ebbe in seguito a una ferita al pié manco nell’anno 14375 e, sebbene gli crescessero le spese per l’aumentata famiglia, tali furono i suoi guadagni, che potè comprare case e terreni e divenne in breve uno dei più agiati terrazzani, onorato dell’amicizia de’’ grandi, che prendevano parte alle sue gioie domestiche (i), e della fiducia dei suoi conterranei che gli conferirono uffici onorevoli (2); non tanto però che qualche invidioso non macchinasse qualcosa contro di lui, fino al punto eh’ egli si partì e andò a stare a Pontremoli nel 1452, dove per altro fece breve dimora. Nell’ anno 1448 venne in mente a Giovanni Antonio di scrivere la sua vita, ed incominciò il lavoro raccontando la storia della sua famiglia e le diverse vicende, attraverso le quali era venuto a splendor di fortuna. La pubblicazione di questo scritto, che rivela una non comune intelligenza in un uomo di scarsa cultura e che tutto avea dovuto imparare da se, presenterebbe dal punto di vista letterario assai più interesse che non quella della cronaca, la quale è senza dubbio più importante dal lato storico. Perciò io, riserbandomi quando che sia Na darlo fuori, ho creduto opportuno di citarne in nota (1) « A’ dì 2 de aprile 1446 a ore tre, 0 ciercha, m’ è nado una filia ala quale fey ponere nome Gùgiermina, per amore dela mia cara madre: Dio me ne dia ghadio e alegreza. E feciola batezare el martedì dela pasqua: li conpari fono questi: meser Spineta marchexe de Bagnono e canonico, meser Arculino marchese de Malgrato, maestro Nicoloxo de Sagremoro, Lodovico horfeno e molti altri venerabili homi ; e così de bene in melio ». (2) « E sapiati che in questo ano (1456) me retrovo avere tre hoficii : consi-giero, extimatore e masaro: Dio de tuti me cava a salvamento e honore e lode dele persone ». alcuni brani, quando se ne presenta l’occasione. E singolare fra gli altri il racconto che lo scrittore fa nel detto anno 1448, passando in rivista con gran compiacenza le sue robe (1). Questa vita però non oltrepassa veramente il 1448 , perché le poche pagine che l’autore vi aggiunse dipoi, sono state scritte irregolarmente, e con stile molto diverso. Nel detto anno (per quello che può argomentarsi) incominciò Giovanni Antonio a scrivere nello stesso libro anche la cronaca tutta in un tratto dal 1409 al 1448, seguitandola poi finché visse, con una piccola interruzione dall’agosto 1457 al gennaio 1462. L’interruzione fu cagionata da una fiera malattia (2) ond’egli fu preso, e appena guarito, andò (1) « E hora al piacere de Dio me dexonastarò un poco in del lodarmi, benché dirò el vero, ma a me non tocharebe de lodarmi; ma questo è un ragionamento dela verità. E deli mey adornamenti de chaxa. Infra li altre coxe, prima : che in casa mia non se mangiò may pane de panico, nè segele , nè spelta, nè queste biave rustiche: e per la mia bocha buratà e bianco corno neve, che molti l’ano per male, che solevano dire corno eli abia di fioli che li dimandano innanzi el pane che la chamixa, e se lo terà buono se n’ averà de panigho da darghene. E notati che in del Terzero non credo che ce ne sia nesuno in chaxa sua non se faza del pane de panigho; sichè guardati adunque quanto eio ho a lodare Dio. Apreso: eio hone chontuniamente quatro o cinque zuponi di cha-rizea e de beli fustagni, chalce el simile, e de quele da sey lire el paro e de più mene, solate e non solate. Berete de grana da fiorini quatro 1’ una e d’altre mene. Anele d’oro per mio uso. Tre robe da inverno da dexe ducati 1’ una , e cierca da estade dopie: da hotoni e primavera dopie. Camixe de lino sotile, tace d’ariento quatro. Cortelere. adornamenti per la tavola dopii, beli. Adornamenti da leto, beli. Parechie pare de lenzoli, e de queli che ano brace vinti e sey de tela bela. Cortine e copertori, secondo el payese, beli. Dinari in oro e in monete ragionevelemente, secondo el payexe. Grano e vino e olio asay, e deviciosamente. La botega asay ben fornita de robe bele e buone ». (2) « L’ano veniante (1457) del mese d’agosto, ciò fue a’ dì 8, me amalai de uno Auso de corpo con una febra che me tene 9 mexi e stetene 7 che non mi spogiai se non per mutarmi. Fui zudicato morto, puro Dio me fece gracia. E nota che questa malatia fue l’ano 1460, che quela che ebi de l’ano 1457 — 525 — a stare^alla Spezia e vi apri una bottegd dell’ arte sua, com’ egli racconta. Tornato poi dopo quattro anni a Bagnone, riprese a scriver la cronaca dal mese di gennaio 1462, proseguendola poi fino al 1470. Giovanni Antonio ebbe due figlie, Diana e Gugliel-mina, ambedue maritate, e un unico figlio maschio Raffaello, che fu notaio. Può ritenersi come certo, sebbene non pienamente dimostrato, che i suoi discendenti fossero chiamati Raffaelli dal di lui nome, lasciando 1’ antico cognome di Faie, e dessero origine alla famiglia Raffaelli tuttora esistente a Bagnone. Mori il nostro cronista li 6 settembre 1470 e fu sepolto nell’antica Chiesa parrocchiale di Bagnone, dove, nella parete a sinistra di chi entra, lcggesi la seguente epigrafe in una lastra di marmo, che prima era nel pavimento sulla sua sepoltura. SI • CVIOS • INGENVO • PATRIE • CON SVLTO • CREDENDVM • FVIT * IO . ANTONIO DE • FAIEIS • aVl • PRIMVS ■ BAGNONI • FACVLTA $ TEM • EXCOLVIT • AROMATARIAM ■ CVIVS • COR PVS • HOC • MARMORE • CLAVDITVR • ANIMA VERO . ASTRA • TRANSVOLAVIT • I47O. fuc una febra cotidiana che mi tene 64 die e d’esa anco fui zudicato morto. E guarito e rifato di quela mi rimaxe dolie asay in de la persona e si grande la fame che era una maravilia. E dubitando di esa fame e per schifare li pericoli, andai a stare ala Speza, eh’è ayera grosa, e menai meco la zentile filiola Gugiermina che aveva 11 ani e governavami corno una vechieta. E qui stagendo, mi piaque la stanzia; e piliai una altra caxa a pixione per 4 anni e per L. 24 1’ ano de monete de Zenoa, e cominciaige una botega de l’arte mia. (E segue in postilla) che ancora ci è questo die 10 de zenaro 1463. Quando ge sta Rafaello mio fiolo e quando eio. Qui e 11 ho belissimo stato : Dio me lo conserva lungo tenpo». Un ultima postilla dice: «L’anno de 1466 vale la dita botega più de 4000 ducati ». Il manoscritto d’ onde è tratta la cronaca è un codice membranaceo originalmente legato in cuoio con corregge di pelle, di carte 28 non numerate che contengono la parte prima, ossia la vita, e di carte 35 numerate in più tempi, che contengono la parte seconda, ossia il libro di croniche. Le prime due carte della parte prima sono mutile nell’ angolo superiore esterno con danno della scrittura ; e in alcune carte, specialmente nella prima della parte prima, nella prima della parte seconda e nel-l’ultima del libro vi sono delle macchie, le quali bensì non ha'nno mutilato il testo. La scrittura è autografa; ma in fine del libro, nell’ultima pagina, è aggiunto un ricordo sotto 1’ anno 1470 di mano di Raffaello figlio del cronista. Inoltre a carte 32 tergo della carta seconda é un ricordo del 1704 che ho riferito in nota; e della stessa mano trovasene un altro nell’ ultima pagina (del pari riportato in nota) nello spazio bianco che resta tra la fine della cronaca e il suddetto ricordo di Raffaello. Vi sono note marginali ed interlineari di diverse mani e di più secoli,'quasi tutte però del secolo XVII. Alla fine della parte prima si vedono strappate quattro carte, ma può ritenersi che fossero bianche. Per quanto Giovanni Antonio si sforzasse di scrivere in buon italiano, spesso ricorrono nella cronaca vocaboli, frasi e più che altro ortografia propria del suo dialetto nativo. Non é mio assunto (nè mi sentirei forze sufficienti) considerare la cronaca di dal lato filologico o dialettologico, e mi sono limitato a dichiarare nelle note il significato di quelle parole 0 fhodi di dire, che potrebbero essere oscuri a chi non è pratico del dialetto lunigianese. Come una prova che anche lo scritto — 527 — delle persone più culte sapeva allora alcun poco di dialetto, ho posto in fine fra i documenti una lettera di messer Antonio di Noceto, personaggio assai dotto e che aveva per lunghi anni occupato cariche onorevolissime alla Corte Pontificia. Gli altri documenti, estratti tutti come la lettera suddetta dall’archivio privato dei signori conti Nocetti di Bagnone, sono contratti dove apparisce Giovanni Antonio come parte o come testimone, o che riguardano alcuni fatti o persone più ragguardevoli nominate nella cronaca. Uno solo è copiato dall’ archivio genovese, cioè un privilegio concesso dalla Repubblica a Pietro da Noceto, il celebre segretario di Nicolò V, del quale più volte ricorre memoria nella cronaca: e questo lo debbo alla gentilezza del sig. Achille Neri, al quale mi professo specialmente grato per le cure onde ha accompagnato questa pubblicazione. Era conosciuto da alcuni eruditi soltanto un compendio ms. di questa cronaca (i); ma dalla copia che io ne possiedo è agevole giudicare che il compendio molte volte non é esatto, perchè talune parole di difficile lettura sono state saltate, molte più lette male. Essendo il mio compianto genitore a Bagnone nella casa paterna l’anno 1860, trovò, frugando fra le carte vecchie di casa, il manoscritto originale, che io mi son risoluto a pubblicare, nella convinzione che anche i ricordi di uno speziale possono essere un sassolino nel grande edilìzio della storia. Alla quale impresa se mi furono di ostacolo (1) L’abate Gerini nelle sue Memorie Storiche rammenta di volo il nome del cronista £ pone in dubbio l’autenticità della cronaca : ivi « .... Giovanni Fai dello stesso luogo (Bagnone) che dicesi autore di una cronaca dei suoi tempi ». (Voi. II, pag. 21 s). — 528 — la pochezza dell’ ingegno e degli studi, certo non mi fece difetto la buona volontà e il desiderio di fornire nuova materia agli studiosi delle cose patrie, alla cui indulgenza raccomando questo mio povero lavoro. Grazie speciali debbo rendere all’ egregio amico mio prof. Cesare Paoli dell’Archivio fiorentino. Da lui ricevei lumi, incoraggiamento e cooperazione, essendosi egli prestato alla paziente opera del collazionare il testo e i documenti. Si abbiano i miei ringraziamenti anche i signori conti Stefano e Giovanni Nocetti, i quali misero generosamente a mia disposizione il loro archivio privato, permettendomi di pubblicarne i documenti che potessero giovare ad illustrare la cronaca. LIBRO DE CRONICHE E MEMORIE E AMAYSTRAMENTO PER l’ A VENIR E. ota e ricordo che l’ano de 1409 morite meser Oto Terzo (1), a’ dì 10 d’agosto; e amazolo lo Sforza da Codognola e Micheleto, e el magnifico marchexe da Ferara lo tradite, e era conpare. Meser Oto fue un fiero homo. E de quel mileximo foe desfato Stadan : e foe il mar- (1) Ottone o, come altri lo chiama, Ottobon Terzo fu uno dei migliori condottieri che avesse ai suoi stipendi il conte di Virtù primo duca di Milano. Quando nel 1405 talune cita e castella si ribellarono al governo del crudele Giovanni Maria, Ottone ne profittò per insignorirsi di Parma. Durò signore di quella città finché non fu ucciso, come racconta il cronista. 11 Corio (storia di Milano, parte IV, cap. 2), che narra tutte le particolarità di quel fatto concorda pienamente con lui: conferma che autori della strage furono Sforza e Micheletto Attendolo, che militavano allora agli stipendi-dell’Estense. Il fatto avvenne fra Rubiera e Reggio il 27 marzo 1409, secondo il citato storico. Che il Terzo fosse un uomo fiero ce lo attestano gli storici ; e più assai avea ra- — 53« — chexe da Podenzana con uno capo de’ partexani deli Bertoloti che avea nome Pelacriste. E del dito mileximo, a’ di 14 d’ aghosto, vene una tenpesta grande e magna per lo terzero e anche in altre parte ; che infra le altre coxe non se rachogite gho-cia de vino. Bevean de l’axedo che venia de rivera (1). In del mile quatrocento quatordici funo amaxati li marchexi da Fivizano : e foe meser Lionardo dal cha-stelo da 1’ Agolia e soy seguazi (2). In del 1428, a’ di 10 de marso mi partiti da Lucha (3). A’ di 19 d’aprile 1428 se fece una pace dali Fiorentini al ducha de Milano (4). Dio la conserva lungo tenpo. gione di dirlo il nostro autore che nella parte I racconta le sevizie di cui fu vittima il padre suo Francesco per opera del Terzo. Ivi « . . . . 1’ ano del 1399 del mexe de novenbre vene mesere Oto Terzo chapitagna del duca di Milano a Feleto (Filetto) e dorecholo. E mise Feleto a sacomano, e intre li altri prexe el dito Francesco e menolo prexon infino a Sena dove andava, e quivi el tene cercha de dui mexi: chè li domandava sì grande talia che non era a lui posi-bile a pagarla, chè avea magiore il nome che non erano li fati. E el dito mesere Oto .... no del diavolo letere a chaxa dicendo che se non mandaino la talia infra oto dì che li mozarave una mano, e così d’ en tenpo in tenpo tuto lo exemembrarave infin che la vita li durase. Hor pensa quanti guay al cuore avea la dita Gugiermina sua donna. E Dio, che è tanto pieno de misiricordio, ancora li fece gracia che una note se ne fuzite di.pregione ». Rammenta l’uccisione del Terzo anche 1’ Ariosto [Ori. Fur., C. Ili, st. 43). V. la pregevolissima Storia delle Compagnie di ventura in Italia del Ricotti , voi. II, cap. 2. (1) Dalla riviera di Genova. (2) Della uccisione dei marchesi di Fivizzano discorre Ammirato il giovane nelle giunte alle storie di Scipione Lib. XVIII e 1’ abate Gerini nelle sue memorie storiche voi. II, pag. 349. L’uccisore o il mandante fu Leonardo marchese del Castel dell’Aquila. (3) Dov’ era al servizio di un tale Orso Barzellotti che faceva bottega di spezieria a porta S. Piero. (4) I Fiorentini si decisero a questa pace dopo quella, già conclusa fra Filippo Maria e il duca di Savoia nel mese di febbraio dell’ anno medesimo. La pace, che comprendeva anche la repubblica di Venezia, fu conclusa in Ferrara per — 53i — A dì 27 de lulio 1428 incominciay botegha, Dio laudato (1). A dì 13 de mazo 1429 morite el Turco da Ri Caste-lano de Vilafranca e padre del consorto mio (2). E a’ dì 4 del dito mazo e mileximo fue tolta Vergu-leta (3) ali marchexi da Vilafrancha, e presto la riaveno. Fue el Lovo e Pasquino da Vilafranca e altri loro nemici. A’ dì primo di zugno 1429 morite ser Antonio No-xedo : Dio li perdona, che era homo notabile. A’ dì 7 d’ aghosto fue amazato Antonio e Brunelo, fradeli e fìoli de Zoanni de Brunelo da Era (4), da uno loro vexino, per custione d’ uno confine. Loro lo volean sforzare per loro argoghianza; e lui, che era minimode roba e de persona, si li scanò tuti dui, e moriteno de fato: Dio ghe perdoni. A’ dì 18 de setenbre 1429 menò mogiere Grelanda da Era. A’ dì 26 de lugio 1430 arse la chaxa de Marcho de Tomaxo da Margrà (5), ciò fu un di redi e l’altro canpo. opera del beato Nicolò Albergati, cardinale di S. Croce, legato del Papa. La repubblica Fiorentina ne avea data la cura a Palla d’ Onofrio Strozzi e ad Averardo de’ Medici, essendo gonfaloniere Pagolo Rucellai. Il duca Filippo Maria si obbligava per patto a restituire ai Fiorentini tutte le castella tolte loro in Toscana, il che fece a’ di 6 di maggio di quell’anno. (V. Ammirato, storie fiorentine , lib. XIX. Capponi, Storia della repubblica fiorentina, lib. III. cap 6. Osio ? Documenti diplomatici tratti dagli archivi milanesi voi. 2. N.° CCXLIV, Pagg- 3 67-69) • (1) A Bagnone, nel borgo di Gottola, in società con Giovanni di Berretta da Treschietto (Ved. Prefazione). (2) Le ultime tre parole sono poco leggibili nel ms. per essere sfate corrette in tempi posteriori. (3) Virgoletta. Questo fatto rimase ignoto al Litta, al Repetti, ecc. (4) Iera. (5) Malgrate. Atti Soc. Lig. St. Patria, Voi. X, Fase. IV 5*> — 532 — Del dito mexe e mileximo vene un cavaliere de santo Johanni da Rodi in del payexe, con una boia de podere asolvere a colpa e a pena chomo el papa; aceto de tre pechati: el viagio de Santo Jacopo e Castrita (i). A’ di 16 de setembre 1430 meser Bernabò marchexe se rebelò dal comun de Fiorenza (2) e mise al castello in de le man de li capitani del duca de Milano innemico de tutta la parte guelfa: ma, come a Dio è piaciuto, a’ di 20 de zugno 1432 lui è morto; chè andando in Lonbardia un chavalo se lo strasinò dietro e morite: Dio li perdona (3). E a di 2 d’aprile 1437 se trova puro Chastione esere retornato al loco suo e in man del dito comuno di Fiorenza, con tute le soe vile e casteli ecc. (4). A’ di 23 de hotobre 1430 è morto Giovanni de Be-reta da Traschiè (5), e morite a Pistoya, che venia da Fiorenza per inbasiadore dele comunità del terzero, che era una grande sisima (6) fra gli signori marchexi e li (1) V. più innanzi, all’ anno 1439. (2) Bernabò e Gio. Lodovico Malaspina, marchesi di Castiglione del Ter ziere, si ribellarono alla repubblica di Firenze e consegnarono il castello al duca di Milano. Altrettanto aveva fatto poco innanzi Bartolommeo marchese di Malgrate. La pace del 1429 era durata poco, contro i desideri del nostro Gio vanni Antonio. Il Verri, parlando di quei tempi infelici e della mala fede di Filippo Maria, così si esprime : « Giammai i trattati di pace furono tanto in significanti come allora ; poiché il giorno dopo si violavano, se conveniva, e la fede pubblica si considerò una parola senza alcuna idea ». (3) Anche qui il Litta non è esatto, specie nelle date. (4) Per opera del conte Francesco Sforza, eh’ era in quel tempo al servizio della repubblica Fiorentina, essendo la Lunigiana occupata dalle truppe di Ni colò Piccinino capitano del duca di Milano. (Ved. più innanzi). (5) Treschietto. A questo Giovanni era il cronista debitore della sua fortuna. ('Ved. Prefazione). (6) Scisma, divisione. » — 533 — omini del tcrzero. Dio li perdona, che era homo de bene. A’ di 2 d’agosto 1431 anday eio Giovanni Antonio a stare a Vilafranca e stetighe preso a doy ani (1). A’ di 6 de lulio 1433 son tornato a Bagnone in caxa de Bereta. A’ di 19 de marzo pasono li chariazi de lo ’npera-dore per Vilafranca. E a’ di 28 pasò meser lo ’npera-dore (2) con una bela conpagnia e col resto deli cariazi. (1) Dovè espatriare per una rissa avvenuta fra lui e un tal Pedruzzo, famiglio di messer Giorgio Malaspina, marchese di Bagnone. Non potè tornare se non dopo essersi ammogliato, avendogli i parenti della moglie ottenuta la grazia. Villafranca in quel tempo era stata tolta ai Malaspina dai genovesi. (2) Sigismondo di Lussemburgo re dei romani, figlio di Carlo IV, nato nel 1368. Venne in Italia nel novembre 1431 , e dopo essere stato, il 25 del detto mese, incoronato in S. Ambrogio di Milano con la corona di ferro, rimase in quella città tutto 1’ inverno, senza che il duca Filippo Maria si degnasse di fare la sua conoscenza personale, come narra Ferdinando Gregorovius nella sua stupenda opera Geschichte def Stadt Rom im Mittelalter. Sigismondo "giunse in Siena 1’ n luglio 1432, fu accolto con grandi feste, evi dimorò per ben nove mesi. In quel tempo era ardente il contrasto fra il papa Eugenio IV in Roma e i padri del Concilio di Basilea, ai quali il re dei romani aveva solennemente promesso di non assumere la corona imperiale, finché il papa non avesse riconosciuto il Concilio. Eugenio d’ altra parte chiedeva per condizione della incoronazione il consenso dell’ imperatore a che il Concilio venisse convocato in una città d’Italia. Nella sessione Vili, il 18 dicembre dell’anno stesso, il Concilio pose Eugenio in stato d’accusa, minacciandolo di un processo, se non ritirava entro 60 giorni la Bolla di dissoluzione. Principi, Nazioni, Sinodi, Università, consentirono a questo energico procedimento, cosicché il -papa, temendo la sua deposizione, negoziò col Concilio e con Sigismondo. Ma i padri di Basilea che volevano il ritiro netto della Bolla e il chiaro riconoscimento del Concilio, vietarono al re dei romani di andare a Roma. Sigismondo, che non voleva oramai ritornare senza corona dall’Italia, chiamossi contento delle promesse del papa, entrò in Roma il 21 maggio 1433 e fu coronato il 31 dello stesso mese. Si trattenne ancora fino alla metà di agosto, in amichevole consuetudine col pontefice, il quale ottenne dall’ imperatore quello che non aveva potuto ottenere dal re de’ romani, cioè che Sigismondo si raffreddò verso il Concilio. Egli poi per Todi, Perugia, Ferrara e Mantova, passando pel Ti- — S54 — Andò al bergho a Sarzana, e quive stete due sere: poy andò a Luca, e quive demorò alcuni di, e poy andò a Sena, e li stete parechii di e mexi. Poi andò a Baxilea, dove era el Concilio, el qual Concilio era li per privare el santo papa Eugenio, e el Concilio andò in nula, e el Santo Padre restò chomo dovea. E il dito fnperatore, eh’ avea nome Sixmondo, morite 1’ ano del 1437, del mexe de hotobre. A’ di 22 de setenbre 1432 menò moyer Peciolo de Lunardo da Margni, e el Feraro dela Saladina, e Ton del Razolo e Jacopin de Ogholino. Dio glie dia bona ventura. A’ di 4 de zenaro 1433 io Giovanni Antonio sopra-scrito ho piato la Franceschina de Rolando dal Turan (1) per moyere ; e a dì 20 de setenbre 1’ ò menata e fato le noce. Dio ne dia grazia de ben fare e salvamento de l’anima e del corpo. E questi sono li doni e prexenti che mi forono fati. Prima, Ferderigho de Perinelo da Feleto me donò soldi rolo giunse finalmente il di u ottobre a Basilea. Eugenio poco dopo riconobbe il Concilio e ritirò le sue Bolle. La morte di Sigismondo avvenne non nel-1’ottobre, come narra il cronista, ma nel 9 dicembre 1437, e la corona imperiale tornò alla casa d’Austria. (Ved. Gregorovius lib. XIII, cap. 1; Raynald, Annali all’anno 1432). (1) Orturano. Manzi era il cognome della Franceschina. Potè allora ottenere di ritornare a Bagnone, com’egli narra nella parte prima. Ivi : « Conio piaque a Dio me foe meso inanzi de piare una donna, e che piandola, arey grazia de tornare, perchè era parente de uno che era grande amico del marchexe, e cosi feci; chè piay per molia una fiola de Rolando del Manz« dal Turano, e loro mi feceno avere licenza di tornare. E sì ge foe grande fadigha, chè el g’ era parechie persone che pontavano eh’ io non tornase ; e eio col modo e con in-zegno puro tornay, feci paxe col principale dala custione ; rialmente io li di-manday perdonanza e lui a me, e abeduro se perdonamo e se basiamo per bocha ». — 535 — 12: Pedro da Conpiono che sta a Margrà, soldi 9: Pecin da Feleto, soldi 20: maestro Piero da Coghorno, soldi 20 : maestro Pedro da Mochignan soldi 12: Bereta, un staro de formento, l’arciprete de Feletera (1), soldi 20; Dio ge lo merita: Zansimon Darfineli da Feletera, soldi 20, el Cogo da Vilafranca, soldi 20: prete Franco, una sechia (2) de fromento: Simon de Perinelo da Feleto , soldi 1 o : Pedrezolo dito Exgarigiolo de Gtotola, soldi 10: el Vevo da Margrà, soldi 9: Baldesino ae Landino, soldi 9: Anton de Pederon da Era, soldi 4: Yxa-bela m& cuxina, una sechia de formento: el Chierego de Capeleto dal Chaxale, soldi 10: siché feci le noce bele e horevole e diviciose. Dio ne sia laudato. L’ ano del 1434 vene el Santo Papa a Fiorenza (3) del mese de zugno e stetevi infino a’ di 10 de marzo 1437. E alora andò a Bologna e quive stete infino a’di primo de frevaro 1438. E poy se partì e andò a Ferara. E a’ dì 8 de zenaro 1439 tornò a Fiorenza. E del mexe de zugno 1443 se Partì e andò a Sena e quive stete (1) Filattiera. (2) Secchia per staio (misura da grano) si dice ancora in Lunigiana. (3) Perduti quasi tutti gli Stati della Chiesa, scoppiata la rivolta nella stessa città di Roma, Eugenio IV fu costretto a fuggire il 4 giugno 1435 in una barchetta sul Tevere. Riconosciuto ed inseguito, potè a stento raggiungere Ostia, dove, imbarcatosi sulla galea d’ un corsaro, prese terra a Pisa il dì 12, e venne finalmente il 25 a Firenze dove gli fu dato onorevole asilo nel convento di S. Maria Novella. La città era allora afflitta dalle ire di parte per l’antagonismo di Cosimo dei Medici e Rinaldo degli Albizi, e il papa si adoprava quanto poteva a calmare quelle discordie. Trasferito finalmente il Concilio da Basilea a Ferrara , Eugenio si recò in quest’ ultima città il 27 gennaio 1438, e vi giunse il 4 marzo anche. il greco imperatore Giovanni Paleologo. L’irrompere della peste e l’avvicinarsi del Piccinino indussero Eugenio a trasferire il Concilio a Firenze, dove egli giunse il 24 gennaio 1439, e non 8 come dice il cronista (Ved. Gregorovius , loc. cit.). — 5 36 — infino a’ di 14 de setenbre vernante. E a’ di 5 de ho-tobre andò a Roma, e quive fece bonisima prova e bele e magne coxe. E a’ di 20 de frevaro 1447 morite. Dio 1’ abia apreso de se. [E a’ 24 de marzo 145; è morto, Dio li perdona, papa Nicola sotescrito qui di soto e stato in papado ani oto]. A’28 de frevaro soprascrito piaque a Dio che Lunixana avese tanto bene e tanto honore, che fo fato papa un Zarzanexe (1), el quale per le soe vertù in due ani fo fato da papa Eugenio soprascrito arcives*o e cardinale, e adeso é fato papa. Avea nome Tomaxo, e in del suo papado à nome Nicolao. E meser Pedro de’ Noxeti e da Bagnone è suo sacretario. E ser Jacopo e Ferderigo de Noxeto sono castelani del castelo Santo Angelo di Roma: siché a questi honori e dignità Dio ge la mantegna lungo tenpo, e a me dia grazia de ben fare. A’ di 15 de mazo, Jacopo de Pedro da Conpion che sta a Margrà, à fato fare una conza da corame in del canale dala Bonela, de 1447. Dio ge la lascia ben godere. [E a’ di 25 de marzo 1455 ha fato fare una caldera (1) L’ opinione espressa da molti e recentemente con tanta erudizione difesa dal sig. Achille Neri nel suo pregevolissimo scritto di papa Nicolò quinto e dei più chiari uomini della famiglia Parentucelli di Sariana, che quell’uomo insigne fosse Sarzanese non solo d’origine ma anco di nascita, riceve qui una conferma dal nostro cronista. Nicolò V fu uno dei più dotti e religiosi pontefici del suo secolo. Firenze, che l’avea in particolare affezione, gl’inviò una ambasciata di onore composta di Piero de’ Medici figlio di Cosimo, Giannozzo Manetti, Neri Capponi e Agnolo Acciaioli, che fu dal papa ricevuta con gli stessi onori che si solevano rendere agli inviati delle grandi potenze. La sua scienza, la sua pietà e la sua liberalità gli avevano guadegnato i cuori di tutti. (Ved. Gregorovius lib. XIII, cap. 2). Sventuratamente per Roma e pel mondo cristiano, il suo pontificato fu troppo breve. Di messer Pietro da Noceto e della sua famiglia parleremo più innanzi. — 537 — de ramo per la dita conza. E nota che la dita caudera à uno cierchio de fero che pexa con lo manegho lib. 34]. A’ dì 18 de zenaro 1433 menò mogiere Bereta da Traschiè, e fece la noce. E in quel di morite prete Antonio dal Turan. Dio li perdona, che era mio guazo (1) e mio amico ; Dio ge lo merita. A’ di 18 de novenbre 1434 conperay la chaxa dela Ferderiga molia chi fo de Bernardino da Noxeto, per pregio di fiorini cento d’ oro (2). Dio me la lasa gho-dere in bon stato. Ea’ di 26 del dito mexe me nasiete un filio maschio (3). E quando foi preso al pagamento dela dita chaxa, che era el primo pagamento fiorini cinquanta, volsi provare certi amici e parenti ; siché misi un prestito a certi, come vedereti, e ali quali eio non averey dito de no, se me li avesero demandati a me. E anco ghe n era parechii a chi io n’ avea prestato ali loro bexogno. Fer-derigho de Perinelo fiorini 2 me li prestò in fati. Mo-chignan de la Penuza (4), fiorini 2 in fati. Bereta fiorini 2 in parole. Lunardo da Fenale fiorini 1 in parole. (1) Gua\ e gua\a si dice ancora per compare e comare nel dialetto locale. (2) Nella parte I il prezzo di questa casa è accennato Jin fiorini 105. Ivi: « E corno piaque a Dio , del dito mexe (novembre) conperay una chaxa dele principale e bele dela tera, la quale era di Bernardino da Noxedo, hovero deli eredi, e costomi fiorini ioj" d’ oro, cioè fiorini CV ». (3) Gli pose nome Raffaello, e fu 1’ unico' figlio maschio che avesse. (4) Di costui si fa menzione in un istrumento del 18 agosto 1462, col quale vien revocato un contratto di compra e vendita passato fra Bartolomeo di An-toniolo del Groppo e Bartolomeo dei marchesi Malaspina di Bagnone. Ivi: « Item domum unam positam in Bagnono cui sunt confines superius dicti Mariani, inferius magistri Bertolomei de Noxeto ab una Mochignani Pinucie et ab alia via ». (Pergamene Nocetti, num. 22). - 53* ~ Prete Nicoloxo'da Era fiorini i. Prete Giovanni da Bagnarne fiorini 2 in parole. Gugermoto da Pastena fiorini i. Maestro Pedro da Mochignan fiorini i. Bernabò di Agnexina, maestro Pedro da Cogorno, Simoneto Sartore, Domenico de Perolo tuti fiorini i in parole; chè molti credevano eh’ io non la otenise e che la fose la mia destruzione. E anco molti m’ erano contra, che non volevano ch’io l’avese, e Dio volse ch’io l’avese: e li invidiosi se remaxero col dolore. Che crepano (i). A’ di 2 d’aprile 1435 morite Nicolò da Tolentino (2) notabile capitano e morite a Borgo de Val de Tara; e a’ dì 11 pasò per strade el corpo suo, che li fioli lo feceno portare a sopelire a Fiorenza. Dio li perdona. A’ dì 5 d’aghosto fo erota l’armada del re de Ragona dali zenovexi (3), e preso el re e uno suo fratelo e (1) Desiderio invero non troppo cristiano , in bocca a un uomo che si professa tanto religioso e divoto. (2) Era rimasto prigioniero del Piccinino nell’ agosto* del 1434* Mentre era condotto da Borgotaro verso 1’ Appennino sotto voce di fargli cambiar di prigione , si crede che per ordine del duca di Milano fosse insieme col cavallo precipitato da quelle balze. (V. Ammirato lib. XXI). Il suo corpo ebbe onorata sepoltura nel duomo di Firenze. (3) « Biagio d’ Assereto capitano di 13 navi e di 3 galee ruppe sopra Gaeta 1’ armata aragonese, la prese e fece prigione il gloriossimo re Alfonso, il re di Navarra, il gran maestro di Santo Iago e forse cento signori di conto e di infinita nobiltà ». (Foglietta, Della Repubblica di Genova, libri due). La flotta era andata per approvvigionare Gaeta stretta d’ assedio da Alfonso re d’ Aragona. Biagio dovè in parte la vittoria alle 3 galee che per suo ordine aveano preso il largo all’ avvicinarsi della flotta aragonese e che le tornarono poi addosso prendendola di fianco, e. decisero cosi la battaglia eh’ era rimasta fin allora incerta. Filippo Maria ne menò grande allegrezza e ordinò che per tre giorni fossero fatte in Milano solenni processioni con grandi «falò e suoni di campane. (Ved. Osio, voi. Ili, num. CXXXVII). Quanto al dispetto dei Genovesi contro di lui e alla rivoluzione che gli tenne dietro, è da vedersi la Storia di Genova del medesimo Foglietta, dove tutto diffusamente è narrato. Ne parla in succinto anche il cronista poco più innanzi. l — 539 — molti baroni e chavaleri, prencipi e conti in gran copia, altre giente morte e prexe sine numero. E il capitagno de 1’ armada de’ zenovesi era un meser Biaxo d’ Axeré. E el duca de Milano, che segnorozava Zenoa a quel tenpo , volse che questa tale honoranza andase a Milano e non chapitase a Zenoa : unda li zenovexi l’ebero tanto a xdegno che in poco tenpo se rivoltono e tolseno la cità de man del Duca soprascrito, e feceno di loro duxi come vederà in questo più inanzi. E a’ dì 3 de dicembre veniante ritornò el re in del soe regnarne , cioè che in quel dì pasò per Pontremolo e andò a Porto Venero , e quive montò in Galea e andò con Dio , chè el ducha de Milano li fece una bonisima conpagnia. E del dito mexe e mileximo, fo morto Nicolò For-tebrazo dale zente del conte Francesco. Dio li perdona. Hodi el belo , che a’ di 2 6 dicenbre soprascrito el populo de Zenoa s*e levò in arme (i), e amazono me-sere Opecino d’ Alza locotenente del dito ducha, e cha-zion via quanti lombardi se trovò dentro da Zenoa. Re-sense chosì a povelo (2) infino a’ dì 1 d’aprile 1436. E alora montò suso per duxe meser Exnardo de’ Guar-chi, e a’ dì 10 meser Toma da Canpo Frugoso lo butò (x) « Popularium principes in aedem divi Syri convenientes, Isnardum Guar-cum ducem creant, cum clari parentis memoria, tum suis ipsum virtutibus commendatum .... Ceterum idem fere finis quod initium magistratus Isnardi fuit, septimo die ab illo deìecti. Thomas enim Fulgosius, qui paullo ante urbem intrarat, a factionis suae hominibus honorifice exceptus , valida clientium et amicorum manu coacta, aedes publicas aggressus praesidioque deiecto, consilium civitatis convocat......summo omnium consensu ducatus illi ratus ac continuatus fuit ». (Foglietta lib. X. Vedi anche Girolamo Serra, Storia del-V antica Liguria e di Genova, lib. VI, cap. 5 e segg.). (2) Popolo. — 54° — zuso e montò suso lui, col brazo de’ Fieschi e Spinori. E hora è tuta la parte guerfa. E a5 dì 22 decembre 1443 fue zita zuxo lui, e fo meser Zoanni Antonio dal Fiesco dito Bataghino ; e caro ge costò, corno vedeteti più innanzi. E meser Ber-nabè Adorno (1) e loro dui se asegnoriteno del palagio e steteno così infìno a’ dì 27 di zenaro veniente. E alora meser Bernabè fece piare el dito Bataghiino e meterlo in pregione e ge stete 20 dì : poy per lo meliore el tirò fora e donoli provigione. E meser Toma da Canpo Frughoxo si lo tene senpre in pregione de mentre che stete duxe, che fo a’ dì 29 de zenaro 1447. E alora meser Janes da Canpo Frughoxo e col braxo del dito Batagiino zito zuso meser Bernabè, asegnorise per se e cavò fora meser Tomà soprascrito, el quale era tenuto el più savio e el notabile zenovexe che in quel tempo se trovase. E meser Janes restò duxe lui ; chè ben volse che fose meser Tomà, e lui dise: io son vechio, tu te 1’ ay aquistà con la spada in mano ; siase puro toa. Eco el chativo pensiero, che a’ dì primo de otobre veniente in su 1’ ora del vespro, 0 cercha, el dito meser 10 duxe e uno fìolo de meser Zoan Luixe dal Fiesco amazono el dito Batagiino dal Fiesco figlio di meser Nicoloxo, che era fradelo de Zoan Luixe. A’ dì 4 de zenaro 1437 vene magnifico chapitagno Nicolò Pecenino in Lunixana a petizione del ducha di Milano chiamato Felipo Maria, fiero dragho, che regnava (1) Dopo che Giacomo Antonio Fieschi ebbe rovesciato il doge'Tommaso Fregoso, fu fatto doge Raffaele Adorno. Fu soltanto nel 1447 che Barnaba Adorno fratello di lui s’ insignorì del potere supremo, che tenne solo per un mese, essendo stato alla sua volta rovesciato da Giano Fregoso, come narra 11 cronista. — 541 — in sula tera e la fin sua fu chativa. A’ dì 13 de zenaro soprascrito retornò a Sarzana a canpo, e ebela in quatro dì (1); e poi andò a Lucha, e da Lucha andò a Bargi (2), e li non guadagnò niente. E poy andò in Lunbardia, e a’ di primo d’aghosto in del payexe (3), perché li omini del comun de Pontremolo erano in arme e quaxi rebelati a petizion del conte Francesco capitagno deli Fiorentini ; e in questa revolta ci era Feletera, e cara ge costò, e eraghe Chastione. E el deto Nicolò Pecenino remise hognu cosa in naseto e feceghe de mala masaria e de bruxare e de amazare homi e simile crudeltà. In de li altri fece morire Simonino dala Porta da Feletera e tre altri. Chastion rimaxe cosi; Castilione (1) Ciò fu dopo essere stato sconfitto il di 8 febbraio sotto le mura di Barga dal conte Francesco Sforza eh’ era allora al servizio della repubblica fiorentina. (Ammirato, 1. c., Corio parte V, cap. i, Capponi, lib. V, cap. i). (2) Barga. (3) Nella parte I così parla Giovanni Antonio di quei tristi avvenimenti. « De lì a doy ani , o cercha , se recominciò guera e tribulacione per modo, che tuto el payexe andò in fasio e in pezi : chi pregione, chi morto e chi ro-bato e chi bandezato ; e in per tuto queli da Bagnone che foe a grande starniti. El borgo de Ghotola se abandonò ; li homeni andono quaxi desperxi chi in qua e chi in là. E così retrovandose el Pozo de Bagnone povero de giente, sì g’ entrono le zente del conte Francesco da Codegnola che se raduxeva a Ca-stione a petizione e capitagno dela cumità de Fiorenza : e si arsono parechie caxe e robono, chè corseno tuto el Pozo. Poy retornono a Chastione, e el Pozo remase dexabandonato ». Fra le persone imprigionate dal Piccinino vi furono due Malaspina di Villafranca, a favore dei quali così scriveva Pietro Piazza a Simonino Ghilino : « Cum reverentia et cum fede dico che sono degli ani XL ho praticato per drito e per traverso quelli de Lunesana, non vidi mai nè cognovi in quello paese più fidelli homeni come sono stati li marchexi da Villafranca ; e tuti li altri sono stati 0 Firentini 0 Campofregoso 0 Fiescho, ma questi sono sempre stati ducheschi» (Osio, voi. Ili, num. CXLVIII). Relativamente alle mosse del Piccinino e di Francesco Sforza in Lunigiana, ved. lo stesso voi. ai num. CLI e CLXI. — 542 — non lo podete avere, remaxe a salvamento con li Fiorentini ; e lui retornò in Lunbardia. A’ di 22 de zenaro 1437 a ore 4 de note m’ é nado una filia e fecela a Margrà; e io era al castello de Ba-gnone, che tuto el payexe era in guera ; e li la fecero batezare e meterli el nome de mia madre Gugermina. E corno piaque a Dio a’ di 10 de hotobre 1437 è morta. A’ di 26 de zenaro è morto meser Pedro Roxo, e morite.a Felino de sua morte, e fecese trasportare a Parma; cioè del 1438. Dio li perdona. A’ dì 13 de frevaro 1438 è morto meser Curado di Ghali da Pontremolo. Dio li perdona, che era uno notabile omo. A’ dì ultimo de hotobre 1438 m’ è nado una filia esiendo a Pontremolo, e fecioli pore nome Diana. Dio, per la sua grazia e pietà, me ne dia alegreza e gaudio. L’ ano del 1439 vene un chavalero de Rodi a Bagnono con piene bole del Papa e asolvere a colpa e a pena (1). A’ di 20 de setenbre menò moliere Lorenzo di Faye da Conpion (2). A’ dì 21, mexe e mileximo soprascrito, è morto Simon de Landino dal Turano. Dio li perdona. Del mexe de zenaro 1440 à menato molia maestro Bertolomé da Noxeto (3), cioè la filia de Bernabò d’ Agnexina, la quale à nome Antonia. Dio ge dia bene a fare. (1) Ved. indietro, all’anno 1430. (2) Questi era figlio di Leonardo di Faie , e perciò cugino di Giovanni Antonio. (3) Era dottore in medicina, e si trova rammentato in alcune delle pergamene Nocetti. (Ved. Documento num. III). r — 543 _ Del mese de 1’ ano soprascrito morite el Signor de Ponbino. E del dito mileximo, cioè 1440, é morto meser Toma marchexe de Verguleta : Dio li perdona. E portonlo a sopelire a Vilafranca, benché a quel tempo non fose loro (1). A’ di 3 de novembre 1441 fornite el magnifico conte Francesco da Codognola Pontremolo, che Filipo Maria ge lo dete per dota dela filia madonna Biancha (2). A’ dì 3 de zenaro 1442 é morto el marchexe da Ferara, e morite a Milano. Dio li perdona. A’ dì 22 de zenaro soprascrito menò moliere Zanon de Zan Feraro, e fo la Vcgnuda de Tirenbachino de Gho-tola. E donayge a lui libre 1 de candele, a la madre de ley d. 1 de spezie. . E a’ dì 23 de lulio 1443 fo amazato el dito Zanon (3) che era andato a stare a Ponzano, e lì fo ferito e fo porta a Sarzana, e li morite. Dio li perdona. A’ dì 14 de zenaro 1442 à dito mesa nova prete (ij Villafranca era stata tolta ai Malaspina da mess. Tommaso Campofre-goso. Ved. innanzi, all’anno 1446. La data della morte è da aggiungere al Litta. (2) Bianca Maria era figlia naturale del duca Filippo Maria e di Agnese Del Maino. Questo matrimonio, che tenne dietro ad una nuova pace conclusa per opera di Francesco Sforza fra il Duca, Venezia e Firenze, ebbe luogo nella chiesa di S. Sigismondo fuori di Cremona, il 12 ottobre 1441. Il padre Bernardino Campi cappuccino, nei suoi Annales Pontremuli ( inediti ) così scrive : « Franciscus Sfortia, post multa ac praeclara gesta, accepto ab amicis hosti-busque jungendae pacis arbitrio, legibus quas ipse voluit pacem inter Venetos et ducem Mediolani firmavit, in qua Blancam Mariam Vicocomiten, ipsius ducis filiam , nono hai. novembris in aede S. Sigismundi de Cremona, paululum a moenibus distante desponsavit, Cremona ac Pontremulo dotis nomine accepto ». (Ved. Corio, parte V, cap. 2; Osio, voi. III, num. CCXIX). (3) L’ uccisore fu uno di Virgoletta, il quale alla sua volta fu ucciso a Pisa il dì 11 gennaio 1448. Ved. più innanzi. I — 544 — Zoanni fìolo che fo de Zimignan day Gnochi abitatore in Gotola. Dio li dia bona ventura, chè li fa mesterò. Nota che la carestia fue grande e magna l’ano del 1442. Del mexe de frevaro non valeva el staro del formento so no lire 3 e ciercha; e del mexe de mazo e de zugno valea lire 6 e soldi 10 anomeradi, e a credenza sete e oto. El pane se facea da vendere de denari 3 e ’/2 per sey dinari. E el panigo valea el staro lire 4 a dinari, a credenza lire sei e cercha. Al lulio veniante valea el stai-dei formento lire 2 e soldi 10 e cerca. El vino valea a quelo agosto lire 13 el conzo, e el fiorino valea lire 5. E poy renovado fue abondanza de ognu coxa. A’ di 23 de hotobre foe tolto e dorochato lo Ramale ali marchexi da Margrà, e fo el conte Aluixe Dal Verme che lo fece involare a petizione del ducha. L’ ano del 1442 fue un si gran zelo che giaciava l’amo e el Po e molti altri fiumi per modo che se ghe pasava suso a chavalo e a pé che non se rompea. Del mexe de luglio 1443 s’ è fato la troyna (1) dela chiexa de santa Maria de Ghotola e facela maestro Piero Picheto (2), e avéne fiorini oto d’ oro e tuta la trata (3). E eio ge paghay lire 3 soldi 12, in reverenzia de Dio e in remisione de’ mey pechati, che Dio me perdona. E la dita chiexa fue deficata e prencipiata 1’ ano del 13 92. A’ dì primo de mazo si à menato molia Antolino de (1) Probabilmente cupola. (2) Questo maestro Piero fu Comasco e costruì anche un barbacane al castello di Malgrate. Ved. innanzi, all’ anno 1445. (3) Trata, atrata, atrato, significano trasporto. ♦ ' • — 545 — Marcheto da Feleto, cioè la Zoanina mia cugnada. [De l’ano 1456 de setenbre é morta la dita Zoanina. Dio li perdona]. A’ di 16 de tobre 1443 é morto Lunardo di Faye mio barba, che era vechio. Dio li perdona. A’ dì 15 d’ aghosto 1443 si à menato inolia Andrea da Trascé, cioè la Grentina mia cugnada. [E de 1’ ano de 1456 de setenbre eno morti intrambi de seguito. Dio ge perdona]. Del mexe de novenbre vernante é morto prete Antonio da Chastione, che cade da cavalo. Dio li perdona; era vechio. A’ dì 26 dicenbre 1443 è morto prete Domenico arciprete dela Pieve de Feletera. Dio li perdona, che era mio amico. A’ dì ultimo dicenbre 1443 è morto Colonbano speziale da Pontremolo el quale era mio grandisimo amico. Dio li perdona. 1444. A’ dì 26 de zenaro menò mogiere Bertoluzo Feraro de Ghotola e Benedeto de Lunardo da Margrà. Dio ge dia bene a fare. A’ dì (1) de frevaro, Jacopo de Steven da Pontremolo menò la Maria de maestro Nicoloxo de Sagremoro per suoa dona. Dio ge dia buona ventura, che é filia de quelo eh’ io poso reputare per mio padre (2), e foe mio maystro. (1) Il giorno è rimasto in bianco nel MS. (2) Ben poteva il cronista reputare come suo padre Nicolò di Sacramoro di Pontremoli, perchè oltre che egli fu il primo suo maestro nell’arte della spe- — 546 — A’ dì ultimo de zenaro soprascrito é morto Jacopo de Pecino dal Turan. A’ dì primo de frevaro soprascrito è morta la Zoanina de Cartegno. A’ dì 3 de frevaro 1444 é nato uno filio a meser Dondazo da Traschiè, e feli pore nome Albrigho per amore de un suo fradelo che avea nome Albrigho, e foe uno sapiudo homo e morite in rivera de Zenoa e chapitagno dela fantarìa deli fiorentini, e foe 1’ ano del 1423 (1). A’ dì 16 de frevaro 1444 à dito mesa nova prete Be-nedeto da Chastione. Dio li dia bona grazia. A’ dì 2 d’ aprile m’ é nado una filia; fazola batezare a’ dì 13 e pore nome Gugermina per amore de mia madre. Dio me dia grazia che me ne vezo grande ale-greza. [Con lo nome di Dio a’ dì primo dicenbre 1464 està si maritò a Vilafranca in Manzino. Dio ge dia bona ventura]. A’ dì 13 d’ aghosto 1444 in su 1’ ora tra lume e suro Zan de Bernardino da Noxeto amazò Stevanino de Bertolino d’ Acorxelo che venen a parole e lo ferite d’ un cortelo, cade morto. A’ di 20 de.....(2) 1444 morite Nicolò Pecenino e morite a Milano, che era venuto dela Marcila. Dio li perdona. zieria, G. A. ricevè da lui e da madonna Margherita di lui moglie le più affettuose attenzioni in una fierissima malattia che ebbe a un piede nel 1438, durante la quale passò assai tempo in casa di Niccolò. (1) Anche qui è da aggiungere al Litta le date e l’Alberico seniore. (2) Il mese è rimasto in bianco nel MS. Il Verri pone la morte del Piccinino il 15 e il Corio il 16 di ottobre 1444. Niccolò Piccinino mori nella sua villa di Corsico in età di 65 anni, affranto dal dolore delle sconfitte di Monte Lauro e di Mont’ Olmo. — 547 — A’ dì 24 de hotobre 1444 menò mogiere Polo de Marcia. A’ dì 15 de novenbre 1444 à dito mesa nova prete Tadè (1) filio de ser Zoanni da Noxeto. Holi donato soldi 10. [È morto de 1’ anno 1455: morite a Parma che era canonico], L’ ano soprascrito fue uno grande andazio in molti payexi de ferse (2), e vecchi e vecchie de setanta ani li avevano ; e corno era più vechio li faceano pezo, ma tuti guariveno. A’ dì 4 de marzo é morto Manzino da Stazon. Dio li perdona :* cioè, del 1445. A’ dì 9 de aprile 1445 è morto el magnifico meser Antonio Albrigho da Foxdenovo. Dio li perdona. A’ dì 8 de lulio è morto meser Hopecino da Loxolo, e morite a Piaxenza. Dio abia misiricordia de l’anima sua (3). A’ dì 5 d’ aghosto 1445 è morto prete Aghosto arciprete dela Pieve de santo Chasiano; era vechio. Dio li perdona. L’ ano soprascrito s’ è fato el barbachano d’ entorno al Castelo de Margrà, e fecelo maestro Piero Picheto (4) Comasco. (1) Taddeo da Noceto, fratello minore di Pietro e di Antonio, fu arciprete della Pieve dei Santi Ippolito e Cassiano presso Bagnone, canonico della chiesa di S. Eulalia a Parma, ed ebbe altri benefizi ecclesiastici, probabilmente col favore dei fratelli, che occupavano cariche eminenti presso la corte Pontificia. (Ved. innanzi, all’ anno 1455). (2) Chiamasi così ancora nel dialetto locale una specie di eruzione simile alla scarlattina. (3) Si aggiunga al Litta. (4) Quello stesso della troyna dell’ oratorio di S. Maria. Forse questo barbacane era stato prcedentemente diroccato per ordine del conte Luigi Dal Verme. (Ved. indietro, all’ anno 1442). Atti Soc. Lig. St. Patria, Voi. X, Fase. IV 37 — 548 — A’ dì 24 de hotobre 1445 é morto Vita Feraro da Pastena e Zoanni de Vegnudo da Era. Erano de tempo: credo che aveseno più de 80 ani. Dio ge perdona. A’ dì 27 de hotobre 1445, el Magnan fiolo del Ghato (1) de Ghotola amazó Zan fiolo Jacopo de Pecin dal Turano, che li dé de una roncilia in sul chapo. Dio li perdona. E el dito Magnano fece paxe col fradelo e con li suoy parenti a’ dì 4 de setenbre 1448 e ritornò a chaxa sua. L’ano soprascrito ho conperato da Simon dela Ne-zana el tereno da fare una chaxa in del pozo di Bagnone (2). E del mexe de setenbre 1447 si 1’ o libra di fare, e costami fiorini otanta 0 cercha, metando tuto. Dio me la lasia ghodere lungo tempo in sanità e guadagno e onore. Del dito mileximo, cioè 1445, del mexe de tobre foe amazato Domenegino de Bertolino D’ Acorselo, che steva una taverna in su quel de Pixa e doy giotoni (3) li se-gono la ghola una sera de note. Dio li perdona. A’ dì ultimo de hotobre, cioè 1445, foy a dare l’anima (4) a uno filio de maestro Bertolomè da Noxeto, e ave nome Johanni. Dio li dia buona ventura. A’ dì 7 de novenbre 1445 menò moliere maestro (1) Anche pochi anni or sono viveva a Bagnone uno della famiglia Malin-gamba soprannominato il Gatto. I suoi discendenti son chiamati anche oggi quei dal Gatto. » (2) Gotola, Votola e Po^o son voci tutte equivalenti, e denotano l’attuale borgo di Bagnone. Lo dice anche il cronista più innanzi nell’ enumerare gli abitanti di Bagnone. (3) Due ghiottoni, due malviventi. (4) A fare da padrino al battesimo: è un modo di dire che si usa ancora nel dialetto locale. — 549 — Piero da Chastione, ciò fo la Novela, fiola de maestro Antonio da Prachiola. A’ di 22 del soprascrito menò moliere Cresio de Rolando dal Turan mio chugnado, ciò fo 1’ Antonia de Marcheto da Feleto. A’ di 25 de frevaro morite prete Giovanni da Noxeto retore dela chiexa da Bagnone. Dio li perdona. A’ dì 16 de marzo à piato Berforte molia, cioè fato promisa la Sarvaghina filia de meser Spineta marchexe de Bagnono e chanonico de santo Lorenzo in Zenoa. L’ ano del 1446 fece fare meser Zorzo el molino (1), e fue defichadore maestro Antonio da Castignazo da Cornigio. A’ dì 21 de zugno 1446 è morta madona Margarita molia de maestro Nicoloxo de Sagremoro da Pontremolo (2), la quale io raputava per madre ale ovre bone che ni’ avea fato. Dio ge lo merita e abia pietà e misericordia de 1’ anima sua. L’ ano e mileximo soprascrito vendete mesere Azo marchese la sua parte de Margrà e de tuto zò che avese in Lulixana a meser Bertolomè suo fradelo, e lui li dè altre coxe in Lunbardia (3). A’ dì 22 d’ agosto è morto Avanzino de Ghotola mio cuxino, e morite a Pontremolo in dela caxa de meser santo Lazaro (4). A’ dì 6 de setenbre vene el segnore Aluixe de San- (1) Questo mulino esiste ancora presso il ponte della strada vecchia che conduce da Bagnone al Castello. (2) Ved. indietro, all’ anno 1444. (3) Correggansi alcune inesattezze del Litta. (4) Cioè nello Spedale. Ved. innanzi, all’anno 1457. — S 5° — sevcrino (i) c chapitanio de Felipo Maria ducha de Milano a metere chanpo a Pontrcmolo, e avea qualche mili chavali e ben due milia cerne de Parmexana, dei terzero de Conpiano e Val de Taro in quey payexi. E si era con lui meser Pedro Maria di Rosi con ben mili homini deli suoy, e fermono canpo a Pontremolo, el quale era in quel tenpo dei magnifico conte Francesco Sforza, e lui era in dela Marcha, che el re de Raghona li facea guera. E cosi stando, echo che el magnifico cha-pitagno Micheleto (2) rope Francesco Pecenino che era in Cremonexe a far guera, la quale (3) era del dito conte Francesco, siché el canpo se levò da Pontremolo a’ di 27 del dito mexe; e li Pontremolexi con le loro zente e con zente de’ Fiorentini andono de subito ala Rocha de Val Suxelina (4), e si 1’ebeno, e fornise per (1) Il Campi cosi dice nei suoi annali: « Philippus Maria dux Mediolani gravi odio iraque in Franciscum Sfortiam eius generum accensus ob mortem Zar-pellonis, omnia consilia conatusque suos in generi perniciem conversìt; quare misit Franciscum Pecininum ad obsidionem Cremonae. Et cum solum Pontre-mulum in tota ditione Sfortiae a bello liberum ei relinquebatur, mittuntur in Lunenses cum equitatu Aloysius Sanseverinus et Fetrus Maria Rubeus, qui, habito ex Parmensi delectu, Pontremulenses in potestatem redigere curarent. Contractis igitur in Lunensibus copiis, Aloysius Pontremulensem agrum ingressus, oppidanorum animos nunc miti nunc acri oratione sibi conciliare studebat. Sed ubi videt oppidum praesidio pedestri a Florentinis Francisci rogatu immixo et pertinacibus Pontremulcnsium animis teneri, populatus circumquaeque agros, montibus qui impendent occupatis, arctiori quam potest eos obsidione circum jussit. Philippus, postquam Picininus tertio kal. octobris apud Sassole majus cladem accepit, spe Pontremuli potiendi destitutus, Pontremulensium obsidione revocavit Aloysium Sanseverinum, et reliquias victi cius excrcitus cclcriter coactas pro Adduae ripa adversus hostes disposuit a (Ved. anche il Corio, 1. c.). (2) Micheletto Attendolo. (3) Intendi, Cremona. (4) Rocca Sigillina. Appartenne poi ai conti Nocetti, ai quali ne fu confermato il possesso anche dal duca Alessandro dei Medici il 15 maggio 1534. (Ved. pergamene Nocetti, num. 87). — 551 — li Fiorentini, e prima se tenia per Francesco Pecenino soprascrito. A di 3 de otobre 1446 meser Fioramonte marchexe rentrò dentro dal borgo de Vilafrancha e la matina vernante dè la batalia al Castelo con tuti soy omini e partexani, e ebelo de subito e moriteghe Angeloto da Verguleta, e fornitela per se. El castelano piò partì (1) presto, che era per Francesco Pecenino, e andose con Dio. Ed era ben trenta ani che 1’ avea perduta, che ghe la tolse meser Tomà da Canpo Frughoxo, e depoy avea mutato parechie segnorie. E anco diedeno cierti dinari al dito castelano, e eio Giovanni Antonio di Faye ge donò un duellato, aytorio a pagare diti dinari, recordandomi del servizio che io avea odito dire che aveano fato a mio padre, de li ani più de 50 era, quando fu-zite de pregione dele mane de meser Oto (2). A’ dì 20 de novenbre mileximo soprascrito, sono stato conpare del magnifico meser Giorgio marchexe de Bagnone a batezare due suo fìlie nade a un parto; 1’ una à nome Lunarda e 1’ altra Moyxè. Dio ghe daga buona ventura (3). L’ ano del 1447 del mexe de mazo el magnifico cha-pitagno Micheleto da Codognola chapitagno deli Veneziani e Fiorentini, è acanpado apreso a Milano (4) a (1) Pigliò partito. (2) « Arivo Francesco a Vilafrancha, de subito messer Azo marchese de lì » li donò uno zacho e feceli grande honore « (Parte I). Di questi fatti il Litta altri tace altri espone inesattamente. E per quanto tocca al dominio dei Cam-pofregoso nei feudi di Lunigiana invano ricercansi notizie nel Repetti o in altri storici editi. (3) Mancano al Litta. (4) A Cassano. — 552 — quatro milie. El ducha de Milano c le suoe zentc pa-reno tute incantade. Dio laudato, che a’ di 13 del mexe d’ aghosto é morto quel fiero dragho Felipo Maria e ducha de Milano. A’ di 29 de zugno è andato a marito la Franceschina filia de Bertoloiné de Bernardino da Noxcto (1) in caxa de Bernabò da Crolagha. Polo à nome el marito. A’ di 10 de setenbre 1447 è nado una filia a Paton de Ghotola: fecela batezare e ponere nome Margharita. A’ di 15 de otobre à dito e cantato mesa nova prete Antonio fiolo de Bertolomò da Panegho e retore dela chiexa de Bagnone. Dio li dia buona ventura. A’ di 22 de novenbre, mileximo soprascrito, à menato molia meser Fioravanti da Vilafranca; ciò fu una madonna Orieta da Valeri citadina de Parma, e fece le noze in castelo de Vilafrancha, e io ghe foy convidà e certi altri da Bagnono e andovi, e dononghe uno staro de spelta e uno paro de poli per ono (2). Del dito mexe e mileximo ò andato a sacomano Pia-xenza, e aghela misa el soprascrito conte Francesco (3) e Francesco Pecenino chapitagni deli Milanexi. De l’ano soprascrito s’ è fato la chaxa, o rifata, delo Spedale de Santa Locia, overo chiamato lo Spedale de serva Donegha, e ala rifata el comun da Feleto e da Mochoron (4). Dio ghe lo merita. (1) Questi non deve confondersi con maestro Bartolomeo da Noceto che aveva sposato la figlia di Bernabòd’ Agncsina, come è detto di sopra, all’anno 14jo. (2) Anche qui il Litta è inesatto. (3) Il Verri dà alla presa di Piacenza la data del 16 dicembre. Questo è forse il solo punto nero sulla fama di Francesco Sforza. (4) Mocrone. Esiste anche ai presente la chiesa di S. Lucia, a mezza via tra Vijlafranca e Filattiera sulla strada clic va da Sarzana a Pontremoli; ma il fabbricato dello Spedale serve oggi ad uso di casa colonica. — 553 — A’ di io decenbre à zurato Antonio de Marco da Margrà la filia de Marcheto dal Turan per sua moliere. A’ di 8 de zenaro (i) è morta la molia de Pedro de Seravaie da Feleto; era vechia. Dio li perdona, e li renda buono merito del late che me dé quando era picolo. A’ dì il de zenaro soprascrito a Pixa é stato ama-zato quello da Verguleta che amazó Zanon de Zan Fe-raro a Ponzano, come apare areto a c.. . . (2). A’ dì 4 d’ aprile è morto el Zenovexe da Levegio; era vechio. Dio li perdona. Credo che avese deli ani cento. A’ di 16 d’ aprile soprascrito è nado un filio a Pòlo da Crolagha, e son stato a darli l’anima, e à nome Bertolomé. A’ di 6 de mazo 1448 è morto ser Cristofano del Putino da Chastiono. Dio li perdona. Era de tenpo. A’ dì 9 de mazo soprascrito à dito e cantata mesa nova prete Mariolo fiolo d’ Andriolo d’ Arbia. Dio li dia bene a fare. La vilia de Pasqua de’ chavaleri (3) che fo a’ dì 11 de mazo 1448, in su l’ora del vespero, vene una ten-pesta crudele e gravisima dove l’andò; durò due ore, o cercha, per modo che guastò dove andò, tuto ciò che era di fuora, infra le altre coxe le vigne che erano cosa più tenera. Venian si grose le granzole (4), che scorzavano le rame deli arbori e anco rompeano el capo ali vachari che erano fuora. Andava quésta biastema a (1) Intendi 1448. (2) Siccome le pagine della cronaca non furono numerate dall’autore, cosi il numero della carta egli lo lasciò in bianco. Il ricordo di questa uccisione C all’anno 1443. (3) Pentecoste. (4) Chicchi di grandine. — 554 — una mcnada (i) che durava qualche due mige de lar-geza, e de lungheza andò ben vinti milie. Andò a l’un-zuso (2) fino a somo Feleto e oltra da mezo Verguleta; in suso fino a Mochignano. Chi era per lo proprio mezo era guasto in tuto, chi era dai canti non avea tanto male. Odi che charestia menò questa tenpesta, chè Dio ebe pietà de noy misiri pechatori, che per lo novelo (3) el grano non valeva so no soldi 36 e 34 el staro; e el vino n’ era tanto altrove dove n’ era andato la tenpesta, che non lo poteano rachogere. E noi da Bagnone lo feven venire infino da Ponzano, da Felcinelo (4), da Chasteliò, da Gropolo e da Feletera. Perché no da Pontremolo che n’ avea tanto ? Per la ghabela grande, insoma venia el conzo posto qui in chaxa un fiorino d’oro deli vantaliadi; e li altri meno, secondo che erano buoni. E eio ne conperè tanto, che rempiiti tute le mie bote: chè benché tra il vechio e el novo fose caro, che valea fiorini 2 el conzo e più, eio ne renvechié due bote, coxa che non fece homo del Terzero (5), se non fono dui, neanco in Pontremolo ; siché questo di 20 de otobre me ne trovo conze 22. Dio me ne dia gaudio, corno spero. E notati, che gientc funo de più opinione del fato dele vigne; chi le tagliò in del calzo (6), chi le lasiò cosi, chi le dececò (7) un poco e chi le repodò de novo (1) Qesta tempesta prendeva una astensione che durava circa due miglia ecc. (2) All’ ingiù. (3) A raccolta. (4) Falcinello. (5) Intendi, in tutto il territorio di Castiglione del Terzierc, dov’era allora compreso Bagnone. (6) Al pedano, o fra le due terre, come si dice in Toscana. (7) Tolse via soltanto l’occhio guastato dalla grandine. — 555 — e zetò tuto via cl capo che gh’ avea lasiato quando 1’avea podate; remaxen cosi zuche (i). Dimi, chi fece melio ? Charisimi, io vidi per efeto che quele che ereno zuche, e specialmente quele che erano vigne nove e gagiarde, feceno molto melio, che rezetarono (2) de novo belisimi capi, e feceno ancora de molta uva; fu un pocho più serodona (3), ma aven buono otono (4), che maturono; non che foseno così buone, ma melio che niente; che sapi, che nesuno fiuto che tocase niente de tenpesta non foe così buono corno li altri. A’ dì 17 de setenbre 1448 è morto Ber'no da Cha-nale. Dio li perdona; era vechio. A’ di 17 de setenbre 1448 se partì el re de Ragona da Ponbino dove era a chanpo, con verghogna e dano (5). (1) Restarono zucconate, senza capo. (2) Rigettarono, ributtarono. (3) Serotina, tardiòla. (4) Autunno. (5) Mirabile veramente e valorosa fu la resistenza opposta all’ armata Aragonese da Rinaldo Orsino, signore della terra, con un piccol numero d’armati: e il re conobbe, dice 1’Ammirato, « per isperienza, quanto è diffidi cosa superar gl’ Italiani quando veramente si voglion difendere » (Ved. Capponi, lib. V, cap. 2). Era venuto in mente al nostro cronista, ardito e speculatore, di andare a Piombino al campo Aragonese per far traffico e guadagnare. Ma volle la sua fortuna che non vi andasse. Nella parte I così scrive G. A. « Di-lcti e discreti che lezeretc quive, guardate se le mie preghiere soprascrite Dio le à axaldite e concedute: che sendo eio deliberato de andare in del canpo del re de Raghona el quale era a Ponbino, e già misomi in pronto e con miey providimenti e mercantie già miso in barca ala Speza e per andare axalcitare la persona mia in quele parte overo a Roma per ani e mesi, siendo in questo navile, che fo a’ di 8 setembre 1448, non ci era modo che podeseno andare ; e vento e ognu coxa n’ era contra, che per due volte retornamo infino ala Speza; e la terza volta conprexi che Dio per più segnali non volea eh’ io ci andase , sichè tolsi zuso le miey coxe e demisi 1’ andata. Hodi che * r ?■' * il; ■ — S56 — E del dito mexe è morto Andrigho da Panighale. Dio li perdona, che era un omo de grande reputazione; era de de tenpo de 70 anni. A’ di 3 de hotobre è morto Belino dala Nezana; era vechio. Dio li perdona. A’ dì 11 del dito mexe è morto Antolino da Nibeco, dito sopranome Bardelone da Vilafranca : era vechio. Dio li perdona, era cuxino de mia madre. A’ dì 13 de hotobre soprascrito à cantato mesa nova prete Zanpedro fiolo de Cristofano de Ghotofa. Dio li dia bene a fare.* Fui convidà al suo pasto e donayge libre 5 de formagio e fornitelo de tuto quel vagelame che li fece bexogno, e ghoti e bochali e stagni. Del dito mexe s’ é cominciato un pocho de morbo a Pontremolo in dela vexinanza de Santa Crestina (1), non so corno se ressirà (2). Dio ge dia grazia de sanità. Ressite asay bene, chè ge fecieno una grande guardia, e chi se ge meschiò si n’ avè ; ge ne morite cercha de 40. Nota, che, nonostante la tenpesta che fo grande, come è dito dreto in quest’ altro folio, fue grandisima seguite, che a’ di 20 de setenbre se levò el dito re da canpo e tornò areto con grande verghogna, e molti artexi ( negozianti ) ne fono dexfati, e Dio non volse eh’ io fose de queli ; volse eh’ io ritornase a salvamento con tuta mia roba, e così trovase la familia sana: che de tuto sia laudato ». (1) Il Campi ha sotto l’anno 1448: « Cum pestilentia invasisset viciniam S. Cristinae ac S. Columbani in domo Matthei de Ursis propinquam palatio Communis, Petras Paulus Pontanus Pontremuli commissarius, timore affectus, transmigravit domum heredum ser Johannis Benedicti de Delphinellis a Caz-zaguerra supra vitam, et portas castri Cazzaguerrae calce claudere fecit, ne pestilentia ultra Cazzaguerram debaccaretur ». (2) Da questo punto in poi la cronaca è stata scritta via via, come si vede bene dalla diversità dell’ inchiostro: fin qui era stata scritta in due volte, o forse tutta d’ un fiato. - — 557 — quantità d’ olio in del payexe, che non credo che XX ani fa fose tanta abondancia, e valeva lire 6 al cento-naro o cercha. E nota che credo che quel verno se fa-cese più de cento prede (i) da metere holio, de più mene (2) , in del terzero intendi. L’ ano del 1426 se sono fati li archivoti (3) dele caxe de Bernardino e de Zovanni de Bereta, li quali- questo di 22 de marzo 1449 sono de me G. A. soprascrito, cioè le tre parte. A’ di 16 decenbre 1448 hé morto meser Yanes duxe de Zenoa (4), e qeel di medesimo è fato e aleto duxe meser Lodovico suo fradelo, e con brazo e posanza de Zoan Luixe dal Fiescho e dela parte Guelfa. [Del mexe de setenbre 1450 meser Perino da Canpo Frugoxo con brazo deli altri suoi à butà zu e pia prexon lo dito mess. Lodovico suo cuxino e s’ è • fato duxe lui]. A’ di 12 de frevaro 1449, el magnifico conte paladin (1) Pietre. Anche attualmente si usa in Lunigiana di tener 1’ olio nelle pietre, ossia pile di macigno, invece che negli orci o ziri di terra cotta. Il centonaro vuol dir cento libbre. (2) Di più qualità, di più grandezze. (3) Archivolti, portici. Questi esistono ancora nelle case che fiancheggiano il borgo di Bagnone (allora Gottola) dov’ era la casa e la bottega di G. A. Egli accenna un poco più innanzi 1’ epoca in cui si costruirono alcuni di questi archivolti o portici. (4) Giano Campofregoso visse solo due anni doge di Genova: e come suole avvenire di chi presto muore in dignità, lasciò grandissimo desiderio di se ; quantunque rialzasse la fortezza di Castelletto, indizio (dice il Serra) di animo disposto ugualmente a regnare e a distruggere. Lodovico che gli successe nella dignità suprema, disgustò il popolo genovese procacciandosi un breve pontificio che , rammentando le antiche donazioni, gli concedeva il regno di Corsica. Perciò i Consigli fecero decreto, lui presente e repugnantc invano, che nessun cittadino impetrasse da Roma indulti contrari alle ragioni della repubblica. E poco dipoi fu deposto. / — ss8 — mess. Grigholo deli Arferi da Pontremolo, per sua be-lignità gli è piaciuto fare nodaro ser Rafelo De Faye e filio de mi G. A. soprascrito. Dio li dia buona ventura; e ser Bernardo li à fato le carte. A’ di 23 de aprile 1449 é morto prete Francesco fìolo chi fo de Vita de Pastena, retore dela dita chiexa. Dio li perdona. A’ dì 20 de mazo 1449 s’ è fato 1’ archi voto dela chiexa de Santa Maria de Votola. E del dito mexe s’ é livrà de murare (1). [E l’ano de 1451 se coverse e se fece li usi (2) e 1’ altaro. E del mexe d’ agosto del dito mileximo vene una boia de indulgencia, ciò fu sete ani e sete quarantine de perdonanza. Sichè a Santa Maria de mezo agosto soprascrito ge vene de Lonbardìa e de molte altri loghi grande zente e feceseghe una bela festa. E foghe de hoferta in denari fiorini X, e lib. XXVIJ de mocholi, li quali se dexpensono in d’ uno calexo (3)]. Del mexe de zugno 1449 vene meser Galioto da Canpo Frugoxo in del payexe de Lunexana con un grando exercito de giente e dexmise li marchexi da Vilafranca e da Ponzano d’ ognu loro forteza, aceto Loxolo (4) e Vilafranca, cioè la rocha, chè el borgho avè a’ dì primo de zugno, che g’ era stato a campo 16 dì o cercha. E queli soldati medeximi che ge l’aveano aydato avere se rebelono, e col marchexe che era in del castelo si acordono. E tolseno el borgho a meser Ghalioto e (1) Si è finito di murare. (2) Usci. (3) Si spesero in un calice. (4) Eccetto Lusuolo $cc. — S59 — misero la tcra a sacomano: e stetcno li dentro infino a dì io de setenbre veniente (i). L ano del 1449 del mese de mazo é morto Jacopo Feraro de Votula; era vechio, pasato avea 70 ani. Dio li perdona. Del dito mileximo del mexe d’ agosto é morto qui in del borgo di Votula uno cancelero de Piero da Soma Contestabile, el quale era de santo Gijmignano di quel de Fiorenza et avea nome ser Lorenzo. Dio li perdona. A’ dì 26 d’ agosto soprascrito è morto ser Bertolino de Giovani d’Acorselo; era di tempo de 80 ani, o cer-cha, et era mio conpare. Dio li perdona. A’ dì 23 de novenbre 1449 à menato mogiere Zanin di Simon dala Nezana. Ciò fue la fiola de Zunton da Bioio. Dio ghe dia bene a fare. A’ di 20 dicenbre.1449, siendo Lizana e Paneghale (2) e Monti e la Bastida (3) e Verguleta de mess. Galioto de Canpo Frughoxo, gi se revelò (4) Lizana e Pani-ghale e rexese al marchese Fioramonte Malaspina. E poy vene con molta zente a Verguleta e loro non se volseno dare; ghe mise campo e degeli guasti: holive e castagni taliarono asay. E a’ dì 26 del dito mexe se levò da clianpo. Sichè, odi che bel stare a vedere ae parte guerfa, che Vilafranca daga li guasti a Verguleta. E la dita Lizana e Panigaie, non posendose tenire per lo esercito che ghe faceva el dito meser Galioto, si i- (1) Il Litta nella famiglia Malaspina e l’autore della famiglia Fregoso nella stessa raccolta non conobbero questi avvenimenti così esattamente quanto era mestieri ; e furono ignoti agli altri storici. (2) Licciana e Panicale. (3) Bastia. (4) Ribellò. — 5 6° — se deno al marchexe de Ferara. [E questo di io d’a-ghosto 1450 ancor la tene] (1). A’ di 8 de frevaro 1450 à mena moliere Sagremoro fiolo di maestro Nicoloxo de’ Marafini. Eio g anday ale noze e donayge un duellato d’ oro. Dio ge dia buona ventura. Hodi miracolo, che a’ dì (2) de marzo 1450, el magnifico conte Francesco da Codegnola, siendo stato a canpo a Milano cercha de uno ano, del mexe soprascrito fece 1’ entrada e fese ducha, chè 1’ avea asediata de fame. E questo con brazo deli fiorentini. [A’ dì 4 de marzo 1466 è morto el dito duca innanzi a c. 29]. A’ dì 12 de mazo 1450 ho fato fare una morela (3) in del canale dala Bonela in loco dito ala croxa, e gli’è tre moze de calcina, per reparo de certi mey loghi ch’io avea line. Dele morele e archivoti fati in del borgho de Votula, farò recordo e memoria quando e chi prima. L’ano del 1425 Giovani de Bereta da Traschié fece facere la (1) Vedi la nota 2 alla pag. 583. (2) A’ dì 26 febbraio, secondo 1’Ammirato e il Verri il quale lo desume da una iscrizione trovata in un sasso scavato nel 1774 presso la colonna di Porta Nuova a Milano. Tal fatto veramente si compiè senza il braccio de’ fiorentini (a meno che i-1 cronista non intenda con questa espressione di accennare gli scarsi sussidi di denaro che Cosimo dei Medici potè ottenere allo Sforza dalla repubblica) ma non senza grande esultanza di loro, che inviarono a Francesco una onorevolissima ambasceria composta di Piero de’ Medici, Neri Capponi, Luca Pitti e Diotisalvi Neroni, cittadini, in quel tempo, toltone Cosimo, i più stimati in Firenze. (3) Morella, diminutivo di mora, viene usato da G. A. nel significato di pi; lastro destinato a sostegno di un arco che vi si imposta sopra, come si vede nel periodo che segue immediatamente. Qui però sembra voglia denotare uno sprone o pennello costruito per difendere dalla violenza dell’ acqua il terreno sovrapposto. (Ved. mora all’anno 1464). — s6i — sua con vote c archi, corno se vede, c godetela poco. Apreso e alato a quela l’ano venente fece fare la sua Bernardino da Noxeto. Poy l’altro ano da l’altro la (i) del borgho fece fare Avanzino la sua con uno archo. Poy steteno cosi parechi ani; e l’ano del 1449 Varexe fece fare la sua, la quale è soto quela del dito Bernardino due chaxe. E 1’ ano del 1450 fece cominciare la sua Jacopino di Simon sartore che é apreso de quela del dito Varexe de sopra verso l’arpe. E l’ano de 1455 maestro Bertolomé apreso al dito Jacopino e a me à fato fare la sua con uno archo. Li altri che se farano in parte li scriverò inanzi. Del mexe de mazo 1450, Malenghanba da 1’ altro lato del borgo e apreso a quela de Avanzino a una caxa, à cominciato a fare le soe morele per far poy li alchi corno li altri. E ali fati del mexe de zugno. Charisimi, con reverenzia deli altri, eli é morto el fiore deli marchesi del terzero. Questo dì 22 de zugno 1450 in lunedì in su 1’ ora de 22 ore é morto meser Giorgio marchexe da Bagnone el quale era mio conpare (2). Dio li perdona. El martedì matina se sepelite e foghe li altri marchexi del terzero, ciò fu meser Bertolomé da Margrato e meser Dondazo da Traschiè e meser Nicolò da Feletera e grande parte deli omeni del terzero e preti asay. E anco da Verguleta ghe vene 10 homeni e dononoghe quatro dopioni (3); e de per tuto el terzero ge vene dopioni: cioè, hognu comune portava (1) Dall’altro lato. (2) G. A. aveva tenuto a battesimo due figlie gemelle del marchese Giorgio. (Ved. all’ anno 1446). (3) Torcie di cera. — 5^2 — queli dela sua chiexa a farli honore, che in soma sono dopioni trenta. E a’ dì ultimo d’ aghosto vernante, meser Spineta suo fradelo sì li à fato dire lo setimo, ed eravi dele persone ben quatrocento ale mese. E al dixinare aveva fato grande providimento : carne de vitela bela, ben pexi XXX (i) e ben sedici stare de pan, polami e altre coxe corno se richiede a simili homeni come ci era. Eravi el vesco de Brugnadi (2) e dui frati e ho-tanta preti prexenti, e doni ge fu fato asay dal marchexe da Fivizano, dal marchexe da Foxdenovo, dali uomini del terzero. Una quareta (3) de formento per focho se coghiete (4), e sapiati che el terzero fa cinquecento fochi e più (5). Del mexe de setenbre de 1450 venono li maestri edi-fkhatori per parte del duxe de Zenoa che era meser Lodovico da Canpo Frughoxo, per inzegnare de fare de-rochare, el castelo de Loxolo, el quale per asedio l’avea avuto. E nota che era un di beli casteli de Val de Magra. Hor ridi, parte guerfa, che li gabelini (6) se derocano e se dexfano 1’ un 1’ altro. E del dito meser Giorgio, la dona sua, madonna Violantina, el dì dinanzi el suo setimo (7) partorite (1) La cifra sembrerebbe esagerata, supposto che per peso s’intendessero 25 libbre, com’ era recentemente in^Lunigiana innanzi l’introduzione del sistema metrico-decimale. (2) Brugnato. (3) La quareta corrisponde alla settima parte della secchia 0 staio. (4) Si raccolse. (5) Queste e le notizie che seguono fino al periodo che incomincia: L'ano del xubuleo che è del 1450 ecc., sono ignote al Litta e agli storici. (6) Ghibellini. (7) Dal documento IV resulterebbe che questo Giorgino era maggiore di 22 anni nel 26 novembre 1470, il che non può essere se nacque nel 1450. — 5^3 — uno fiolo maschio al quale poxe nome Giorgino. Dio li dia bona ventura [morta 1’ ano de 1466]. Del 1450 del mexe d’agosto è morto meser Fioravanti marchexe da Vilafranca: morite de morbo in dela rocha de Vilafranca. Dio li perdona. A’ dì ultimo del mexe de setenbre, ho cercha, del 1450, el magnifico meser Jacopo da Foxdenovo se mose con tuta sua posanza per dexfare el magnifico meser Spineta da Fivizano; ed erano nevi e barba (1), ché la madre del dito meser Jacopo, Madonna Zoanna, che è ancor viva, era sorela del dito meser Spineta. Sichè cavarcò note e dì e foli ale soe tere. Sy da che il dito meser S. temendo che fosse ovra deli fiorentini se ne fuzite e andosene a Rezo (2) ho in quele parte. E el predito meser J. fornite tute le soe tere, aceto Gropo Sanpero e Monte Arzimone e Agnino, le quale se re-xono e mostrando d’ esere fornite per lo marchexe de Ferara. Li segnori de Fiorenza li mandorono comisario, macere (3) e cavalari che dovese rendere queste tere al dito meser S., ho veramente meterle in dele mane loro. Non ge le volse nè metere nè dare : el comisario se ritornò a Fiorenza. Non so corno le coxe se reusi-rano, ché a’ 15 del mexe de novenbre le cose sono ancora così. A’ dì 18 de novenbre 1450 li homeni da Bagnono corseno a Cas'tiliono, che era del dito meser Jacopo; (1) Nipote e zio. Questi vocaboli non sono più in uso nel dialetto locale, ma si sentono ancora adoprare nei luoghi di Lunigiana più vicini alla Liguria. (2) Reggio. (3) Mazziere. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. X, Fnsc. IV. 38 — 5^4 — e combatemolo (i) e ge ne fo de feriti e de morti; sichè el castelano s’acordò el secondo dì e dene el castelo. El seguente die poy vene el segnore Alesandro da Codegnola e fradelo del conte Francesco e duca de Milano (2) e con cercha de cinque milia persone con eso, con el quale era meser Spineta da Fivizano, el quale con brazo deli fiorentini avea soldato quele zente. Siché pasorono da Castiliono e fornitelo per lui corno capi-tagno. E apdono e racoverono tute le castele al dito meser Spineta. L’ ano del zubuleo (3) che è del 1450, molte persone rimaxeno inganate chi d’ una coxa e chi de un'altra, e le cose non resitano per la pensata (4): che, perdonami Dio, credo che molte persone credevano maritare molte zovene chi fiole e chi sorele senza dota: chi credea arichire de dote e chi de redità, e el penserò gh’ è venuto falato. La mortalità (5) fu bene in asay lochi, ma non ghe-nerale corno fo a l’altro perdono, né non fece così grande fracaso. Fue a Roma in le magiore parte dele tere de strade, e dove fue ge durò per tuto lo verno. Grazia di Dio, in Luluxana (6) non foe so no a Vila- (1) Questa parola « combatemolo » dà luogo a credere che andasse a quel-l’impresa anco il nostro cronista. (2) Alessandro Sforza passava per Lunigiana col consenso della repubblica Fiorentina, conducendo genti in Lombardia in aiuto del fratello duca di Milano. (3) Giubileo. (4) Non riuscirono a seconda del pensiero, del desiderio. (5) L’anno santo era in quei tempi generalmente accompagnato dalla peste, attesa la moltitudine dei poco puliti pellegrini che d’ ogni parte confluivano in Italia e a Roma. (6) Lunigiana. — 565 — franca c un poco a Pontremolo, e fecege poco dano. E le vetuarie (i) de tute ve ne funo buona derata. E la strada nostra corse poco, e chi avea fato providimento de vetuarie ne perdete; sichè, corno é dito, li penseii venono falati a molte persone. Nota che in del prencipio del perdono hognu persona che andava a Roma coveniava stare a Roma quindici dì, se voleva avere lo perdono. E io fui uno de queli; che ci anday del mexe de marzo, e steti tra andare e stare e tornare trenta e quatro die, e spexi fiorini oto d’ oro per me e per lo cavalo. Grazia di Dio, tornay sano. E in castelo Santo Anzelo alozay più dì, che era castelano uno da Bagnono, cioè meser Yacopo da No-xeto (2), el quale me fece grande honore, Dio ghe lo merita per me. Ma era tanta la moltitudine dela giente che ce sopragiungieva, che el santo Padre ghe provide; ché queli 15 die li raduse a quatro (3). A’ dì 20 decenbre 1450 è morto Lione de Ciafardo da Margrà: era vechio. Dio li perdona. (1) Vettovaglie, viveri. (2) Ser Jacopo di messer Giovanni da Noceto fu anche notaro. G. A. fece con lui un contratto di permuta nel 1457 (Ved. Documento I). Sull’andata a Roma per l’anno santo, ecco quel che dice G. A. nella parte I: «L’ano de 1450 anday a Roma a prendere il santo perdon, e stetivi 16 dì, e hognu dì facendo la vixitacione, corno è de usanza. E el castelano de Santo Angelo me fece gran-disimo onore e ùtile; cliè senpré [tene fino al] mio retorno mi e el cavalo dentro da quel castelo; ed era del mexe de marzo, e el castelano era "meser Jacopo da Noxedo ». (3) Dice il Gregorovius (lib. XIII, cap. 2) che la calca dei pellegrini fu si grande, che un testimone oculare la trovò simile ai branchi degli storni o ad una moltitudine di formiche. Basti il dire che, essendosi un giorno impennato un cavallo sul ponte S. Angelo e urtandosi violentemente la gente per scan- sarlo, da dugento persone precipitarono nel Tevere, delle quali la. maggior parte annegossi. — 5 66 — A’ dì ... de zenaro de 1451 é morto Simon de Gughiermoto da Pastena. Dio li perdona: mori de ferita. Del dito mexe morite Simonin de Muzinasco. Del dito mexe morite la Benedeta molia che fo de Bertolomè de Bernardino da Noxeto. Dio li perdona. Del dito mexe é morto el magnifico homo meser Zoan Luixe dal Fiesco, e morite a Torigia (1): era vechio. A’ dì 22 de frevaro 1451 è morto Yacopino de Cre-, sio dal Turan. Dio li perdona. In de l’ano de 1451 meser Galioto da Canpo Fru-goxo à fato fare due bele tore (2) in del castelo de Verguleta de verso lo borgho e tuta la faciada de ver lo borgo, e raduse el castelo molto piccolo che de prima: e li orni de Feleto ghe li deno grande aytorio d’atrato e de ovre. In del dito ano li Frughoxi feceno derocare lo castelo de Loxolo. E li picamenti (3) del dito castelo feceno portare a Trixana (4) e lì murare e fortificare (5). Notate, carisimi, che del mexe de novenbre mileximo soprascrito, fue grandisimi deluvij, che el dì de meser santo Lionardo (6) credeti che profondase el mondo. Li fiumi venono a lochi dove may non foro visti. Ponti asay guastò e menò e rupe; infra li altri quelo dala (1) Torriglia. (2) Torri. (3) Armamenti, macchine guerresche. Sulla demolizione del castello di Lu-suolo, Ved. all’anno 1450. (4) Tresana. (5) Ved. nota a pag. 599. (6) Cioè il dì 6. — 567 — Vula (1), quelo da Fivizano, cioè da Poxara; quelo da Vilafranca s’ averse, ma non andò zuso. E cosi molti ' ■ altri de legno e de pere (2) deno guasto. 1451. Noto e ricordo a tuti voi che vereti dreto, corno del dito mileximo sono in del borgho de Bagnone e in del pozo, (che quando parlo de l’uno parlo de 1’ altro) Bagnone e Votola intendi tuto una coxa, siché al pre-xente ve sono familie 38 fra tereri e foresteri, intendi queli che non sono a fumé, eh’ .è a dire foresteri e tereri. Questa terra é tuta abita de zente venute d’ entorno; chè anticamente non ge ne sono quatro familie, le quay diremo apreso. Poto di Cartegno e Maté suo fradelo, inseme e richi, sono anticamente de questa tera. Franzon e Malengamba, fradeli partiti (3), sono de una medexima caxa con Polo soprascrito. Domenico dala Piaza antigo de questa tera. Li altri tuti venuti da cento ani in za (4) a stare qui. Prima Bernabò, d’Agnexina (5) se chiama. Renodo suo padre fu todesco dela Magna; vene per familio de (1) Quello dell’ Aulla. (2) Pietre. (3) Divisi: nel precedente periodo parlando di due fratelli indivisi, li dice « inseme ». (4) In qua. (5) Bernabò D’Agnesina, ser Bartolomeo da Noceto, Tono d’Avanzino, Giovanni Peloso e altri si trovano come parti o testimoni nell’ istrumento della tutela di Giovanni di Noceto (Documento III). Bernabò suddetto, Bartolomeo da Panico, Beiforte e G. A. sono testimoni nell’ istrumento di donazione di Pietro di Noceto (Documento II). — 5 68 — meser R. (i) marchexe de Bagnono e vescovo era. E el dito Renodo .prese una Agnexina che era crede, e de ley avè dito Bernabò che al prexente vive bene. Polo Feraro, de novo è venuto a stare in su quelo dela mogiere, la quale è de queli da Noxeto e lui. Berton Feraro. Suo padre fo da Vico: al prexente à dui fioli maschi e stasi bene. Bertoluzo Feraro. Suo padre vene da Feleto a star qui. Simoneto sartore e Jacopino. Maestro Simone sartore fu loro padre e fu mio maestro, corno è dito dreto (2) steti a 1’ arte dela sartoria quatro ani e poi la lasiay. Sichè el dito maestro- Simone vene da Fornolo (3) a stare qui. E’ diti sono partiti, 1’ uno è sartore e 1’ altro è calzolaro. E anco ano dui altri fradeli; l’uno è per lo mondo, non se ne sa nova, à nome Domenegino. L’ altro à nome Berton, sta a Foxdenovo, è feraro. Nicoloxo Feraro. Beto Feraro era suo avo, e vene da Taponecho a stare qui. Tone d’Exgariolo (4), el quale à mena moghiere a’ (1) Ragone. Ved. all’ anno 1468 il ricordo della morte di Bernabò. (2) Cioè nella parte I. Ved. Prefazione. (3) Fornoli. (4) Di Antonio di Sgariolo e di Bertoluccio è memoria, per essere intervenuti come testimoni nell’ istrumento di tutela dotiva di Giovanni di Noceto, che fra le pergamene Nocetti ha il num. 38 e la data del 20 novembre 1469. Ivi: « Actum Bagnoni ad Banchum luris, videlicet super bancho heredum Jacopini ubi ad presens jus redditur, presentibus Leonardo olim Iacopini suprascripti, Berto-lucio olim Jacobi Fabri et Antonio olim Petricioli dicti Sgarighioli de Bagnono, testibus ad predicta habitis, vocatis et rogatis ». È da notarsi che in questo atto vien replicatamente chiamato Bagnone il borgo di Gottola : giacché risulta da altri documenti di quel tempo che il Banchmn Juris degli eredi di Jacopino era nella casa del detto Jacopino situata nel borgo di Gottola, come ci ha fatto sapere G. A. nella presente cronaca all’anno 1450, parlando dei portici del borgo medesimo. Si parla di Bertoluccio anche nella pergamena num. 32. — S69 — dì 2i de novembre 1451 ; suo padre fo fiolo del dito Beto. Pinazo e Berton, dito Vayclo, becari, sono fioli de Zimignano el quale vene da Pontremolo: povero vene c così sono. Ano uno fradelo che é prete ed é capelano in castelo Santo Angelo a Roma. Bertolino calzelaro, è venuto da sey ani in qua da Pastena a stare qui. Dio li dia bene a fare. Paton e Zan Peloxo sono barba e nevi, dexiesi da uno che avea nome Tirenbaco, el quale fu da Paneschia. Giovanni Antonio speziale di Faye, avegnaché na-siese a Margrà, suo avo Lorenzo vene da Faye; e lui vene a stare a Bagnone l’ano de 1428: vene nudo e hora è vestido. Laudato ne sia Dio. Franceschino becaro vene da Pontremolo a stare qui 1’ ano soprascrito o cerca. Vene povero e così se sta. Simon e Cristofano calzolari sono barba e nevi par-tidi. Angelino, padre de 1’ uno e avo de 1’ altro, vene da Vico a stare a Bagnone. Berforte. Suo avo vene a stare da Berforte a Bagnone: fece de molta roba con .sua uxura e ancora ge n’ è. Ser Nicolò nodaro e Antonio di Toneno sono nati de fradeli partidi. Acorxelo, loro bexavo, vene dal Me-rizo a stare a Bagnone, e non gh’ aduse so no la persona: ebe ventura e sepela piare. Ciò fo che era zoca-tore, e a quel tenpo se faceva grande zocarie in questa tera, più che non se fa ora. El capitò qui uno homo che era de Val de Porverara, con molti dinari, e misese a zoco. Insoma Acorselo li vinse cerca de cento fiorini, e quelo demandò chi era questo, e foli dito: é uno — 570 — zoveno che non à so no lui (i) e stase cosi qui. Dise: que io li ò fato uno buono servixo, se lo è savio. E andò a trovarlo e dise: fradelo, io volio domandarte una grazia, che volio che tu me prometi de non zocare may, ed eio te benedirò questi dinari; e cosi fo fato. Con questi dinari adoprandosi in tuti modi e dete a uxura per modo che vene in grande richeza, sichè ne sentono ancora, ma puro è abasata al prexente in roba. Peciolo de Feruzo. Feruzo vene da Pastena a stare qui. Zimignan dal ponte vene dala Nezana poverisimo : cominciò 1’ arte dele scarpe con certi dinari che s’ avea guadagna a Fivizano a cuxire, e questo fo in del 1400 ho cercha. E ora vive con quatro fioli (2), e vale el suo più de 1500 ducati: e al prexente atendeno tuti a zapare. Cristofano e Zimignano dito Magnano. Guasparo loro avo vene da Orturano a stare qui. Ser Zoanni fiolo de ser Antonio (3). Ser Bernardo suo avo vene a stare a Bagnone asay povero notabile e resiite de bene in. melio. Vene da una vila de Piaxen-tina che se chiama Noxedo. E al prexente sono in grande stado da sey ani in za, ché li fioli sono con papa Ni- (1) Un giovane che non ha se non se medesimo, cioè solo e povero. Il cronista usò questo modo di dire nella parte I, parlando di se. Ivi : « Dice maestro Nicoloxo: chi è questo G. A.? Dice maestro Piero: eli è uno che è stato co meco e non à so no lui ». E si dice anche attualmente i n’à auter che lu, nel dialetto locale per esprimere lo stesso concetto. (2) Uno di questi, per nome Jacopo, sposò la Diana figlia di G. A. (3) Questa è la nobile famiglia dei conti Nocetti anche attualmente residente a Bagnone. Il luogo onde essa ebbe origine e nome è il piccolo villaggio di Noceto in Val di Nure. — 57i — cola, grandi e grandi in roba e in onore: che innanzi non valeva quel de ser Zoanni mili fiorini, e hora meser Pedro sacretario del Papa e fiolo del dito ser Zoanni li guadagna in uno di. Ser Polo e Federico fradeli e partiti desiexono da uno fiolo bastardo del dito ser Bernardo che se chiamava Bastardino, el quale era avo del dito ser Polo e Federico. Bertolomè da Panegho, che al prexente à sey fioli maschii. Suo padre vene da Paghazana a stare a Bagnone : sono lavoratori e stanse bene. Zoanni del barbero. Suo avo vene da Montefredo lavoratore, e così se sta, asay povero, intendi, de roba. Domenico dala Piaza è anticamente da Bagnone. Siché questi sono queli che al prexente sono a Bagnone, cioè capi de familia. La moltitudine dele anime che al prexente sono a Bagnone col nome di Dio e de sanità in de queste trenta familie, o cerca, sono anime vive, questo dì primo de frevaro 1451, cerca de duxento dexe. E nota che in tuti questi non ge sono se non quatro vechii de sesanta ani in suso; e vechie ge ne sono cinque. E soto sopra se stano de roba asay bene, secondo li altri lochi del Tercero. Nota che a’ dì 20 decembre 1451 vene la nova che Patone soprascrito era morto, chè era a Roma. Dio li perdona. Nota de uno dono che mandò meser Pedro de No-xeto a ser Johanni suo padre, del soprascrito mileximo e dì li foe aprexentato. Prima, cominciandose ali piey, duo pare de zocheti, duo pare de pianele, due pare de calze, due camixe, uno zupone de pano de grana, una pelamdra fodrada de martore e due centure e uno paro de guanti. - 572 — A’ dì ultimo de marzo 1452, siendo meser Lorenzo de’ Bartoli de Fiorenza chapitagno dele tere del cumun de Fiorenza che sono in Lulixana, e in ne l’ultimo del suo hoficio, li è nado uno fiolo maschio, del quale à fato falò Castiliono dove era e tuto el terzero. E bate-zosi a’ dì 3 d’aprile e foe conpare dui homi de cia-scuona intrada del terzero, a nome e vixenda de tuto el terzero. E el nome del fantino foe Castilion Baldasaro. L’ano del 1452, del mexe d’agosto, fo depinto la troyna (1) dela chiexa da Croia (2), ché 1’ avean fato refare de pochi ani innanzi. E del dito mileximo fo depinto ancora quela chiexa de Santa M. de Votola, e fo uno maestro Lorenzo da Luca. E del dito mileximo el magnifico homo meser Pedro da Noxeto a fato acresere la chiexa de santo Nicoloxo de Bagnone e fare tuto el desopra in volta. A’ dì 2 de novenbre 1452 é morto ser Nicolò de Votola, e a’ dì 5 del dito mexe e mileximo eno andate le sorele a marito, cioè la Madalena e la Laxina, in Agostino e Lorenzo fradeli cauzolari in Pontremolo. A’ dì 20 de novenbre 1452 é morta la molia de Polo de Cartegno e fiola chi fo d’Angelino. Dio li perdona. A’ di 15 decenbre 1452 é morto e sopelido Spoli-tano da Feletera. Dio li perdona. E a’ dì soprascrito é morto Marco de Tomaxo da Margrà. Dio li perdona. A’ dì 24 é morta la Federigha molia chi fo de Bernardino da Bagnone: era vechiisima. Dio li perdona. Del mexe de frevaro 1453 è morto quel saviisimo (1) Ved. all’ anno 1443. (2) Corlaga. — 573 — homo meser Tomà da Canpo Frughoxo; era vechiisimo: è morto, credo, a Savona. Dio li perdona. Nota che l’ano del 1453 non foe so no 15 die d’e-stade, che durò el fredo grande infìno a’ di due de lulio. E poi fo quaxi corno una primavera infìno a’ di 8 d’agosto. E alora cominciò el caldo e durò infìno a’ di 22 d’ aghosto. Poy cominciò a rafredare. La stade fue umidi-sima : la brunada (1) vene a’ dì 15 de setenbre e nevòe (2) in su 1’ arpe. Del grano foe così ragionevolemente e così del vino : holive poche, ed era 1’ ano che ne de-veano fare. El vino foe gramo e broschi (3), e stetese a incominciare de vendegnare infino a’ dì 2 d’ otobre. Mele foe poco, panigho corno grano, castagne poche; fortune de tenpeste foe in più loghi. L’otono foe in de l’ultimo suo asay bono ; frute foe pochisime de tute ragione. Nota, che 1’ ano e mileximo soprascrito, del mexe de zugno, li omeni del comune da Feleto, siendo, corno è dito dreto za (4), stato dorochato Feleto, lo recomi-sciono a refare; e comisciorono de verso Vilafranca. Ancora de quelo ano e mileximo feceno refare la canpana dela loro chiexa che era rota, ed era la minore che pexava lib. 125 ; e hora è la magiore e pexa lib. 275. E nota che in quel tenpo Feleto avea 32 foghi e facea 60 guardie (5). (1) Brinata. (2) Nevicò. (3) Brusco. (4) Filetto era stato diroccato nel 1599 da mess. Ottobon Terzo, capitano del duca di Milano, come è detto dal cronista in un brano della parte I, che ho riportato in nota nella prefazione. ($) Vi erano cioè 60 uomini obbligati a servizi militari. Nota che in quelo ano se liveró de murare lo bar-bachano del castelo de Verguleta, che lo tenia alora meser Galioto da Canpo Frughoxo, e era duxe de Zenoa meser Perino suo cuxino. [Ano redopio el dito lavoro, che l’ano de 1455 ancora se ge murava]. A’ dì ... de setenbre 1453 é morto Simone dala Ne-zana: era richìsimo e vechio. A’ dì de setenbre soprascrito é morta madonna Margherita molia de meser Fioramente marchexe da Vilafranca. A’ dì 6 d’otobre é morta madonna Francesca da Mulazo: era vechia. A’ dì 7 d’ otobre 1453 è stato amazato e morto Ber-tono de Simone sartore de Bagnone; e era feraro e era andato a stare a Foxdenovo, e aveaghe fato e aquistato de molta roba. E perché uxava con una certa giovana, el padre con certi suoy parenti sì l’ocixeno una sera che era andato a dormire con quela. Era gioveno de 38 ani o cerca: Dio li perdona. A’ dì deto à menato molia Zan Peloxo fiolo chi fo de Tirenbachino de Votola, cioè la Parmera fiola de Za-nelo dela Nezana. A’ dì ultimo de otobre soprascrito, eio Giovani Antonio soprascrito ho maritata la Diana mia fiola a Jacopo fiolo de Zimignan dal ponte de Votola, cioè promisa de darghela quando sera in tenpo: ho arato (1), ché fo 3t’ dì 29 d’otobre 1453. A’ di ultimo foe uno grandisimo vento e fece gran-disimo dano. Trenta ani era che non s’era veduto così (1) Errato. — 575 — grande vento, cd era fredo e nevava ali monti; holive, castagni derocò in grande quantità. Non so che se sera, che zià hognomo prefiteza (i) dovere eser carestia questo ano; e già vale a calenda de novenbre 1453 el staro del formento a Pontremolo L. 5, s. 8, e el panigho.L. 2, s. 14. Nota, che queli che prefitezavano credo che fose profecia devina : chè, se Dio non se fose moso a pietà, cento ani fa che non fo magiore carestia, perché la carestìa venia de Lonbardia dove dè venire 1’ abondancia. Che per mare arivò ala Speza tanta abondancia de grano, che deviciò (2) la Lu-lixana e parte dela Lonbardia. A Pontremolo valea de mazo (3) el staro del formento L. 4, s. 10, e le fave tanto. Ala Speza s. 40 la mina de Zenoa. L’ano de 1453 avè elgran Turco la cità così nobile Costantinopoli, e avèla per forza, ché ce stete più tenpo a canpo. E anco à prexo molte altre tere infino a questo dì 20 de novenbre 1453: non so corno se seguitarà la vitoria. Dio li togha la posanza. Lo provedimento d’andarli contra se fa grande; e il nome suo si é ... (4). A’ dì 11 de mazo 1454 é morto Arbertino deli Are-gini (5): era vechiisimo, de 90 ani o cerca. A’ dì 20 del dito mexe s’ è fato la festa de Santo (1) Profetizza. (2) Doviziò, arricchì. (3) Intendi, al maggio 1454: perchè questo squarcio è stato scritto dopo. (4) Nel MS. il nome era rimasto in bianco. Un chiosatore secentista che spesso ha preso lucciole per lanterne, ha scritto in questo vacuo « Solimano ». Il sultano che s’impadronì di Costantinopoli, alla cui difesa strenuamente pugnò e morì l’imperatore Costantino Paleologo, fu Maometto II. (5) Enreghini, in seguito Reghini, nobile famiglia di Pontremoli ancora esistente. Il padre Campi pone Albertino Reghini fra i cittadini di Pontremoli che in quel tempo erano opibus et literis potentes. Bernardino (i), che in quel tempo s’ é fato la capela a cà deli frati a santo Francesco a Pontremolo; e questo dì deto se g’ è dito la prima mesa e se g’ é fato una bela festa. E dise la mesa grande lo vescovo de Bru-gnato. A’ dì 16 de zugno 1454 à menato molia Berforte fiolo d’Avanzino de Votola; ciò fo la Sarvagina fiola de meser Spineta marchexe de Bagnone (2). Nota che questo ano de 1454 è stata una de belisima saxione (3) de vino, e in più payexi atorno a 20 milie. Non so corno se farà, ma spero che serà molto caro. In sul novelo valea cerca de fiorini 2 d’ oro lo conzo : andò fino in fiorini 2\ el conzo, e non pasoli, e qual-coxa meno. A’ dì 8 d’ otobre 1454 è morta la Zoanina molia chi fo de maestro Simone sartore in Votola, e madre de Simoneto sartore e Jacopino cauzolaro in Votola. Dio li perdona, chè è stata una dona da bene. Era de età d’ani 95 e era stata mia patrona (4) l’ano de 1418 o cerca. A’ dì 10 del soprascritto mexe è morto Franzon so-xiro de ser Rafelo (5). Dio li perdona. Era de età d’ani 42 o cerca. (1) S. Bernardino da Siena, che era stato canonizzato da papa Niccolò V 1’ anno 1450. (2) Questi due sposi erano fidanzati da più di dieci anni. Ved. all’anno 1444. Manca al Litta. (3) Stagione. (4) Quando G. A. stava presso maestro Simone di lui marito a imparare il mestiere di sarto. (5) Così chiama G. A. il proprio figlio perchè era notaro. Raffaello aveva sposato la figlia di Franzone. « E del dito mexe (ottobre 1453)110 dato molia a Rafelo mio primo fiolo, cioè la Ferderigha filia de Franzon de Votola. Dio ghe dia buona ventura a tuti ». (Parte I). — 577 — A’ dì 25 del soprascrito mexe é morto Mateo d’A-gneta sartore. A’ dì 29 del soprascrito mexe è morto ser Anghelo de’ Buoneri da Pontremolo. Dio.li perdona. A’ dì 2 decenbre 1454 è morto maestro Monestino medico. Era dela Caxana deli Ghali de Pontremolo; era de età de 66 ani. Dio li perdona. L’ ano de soprascrito mileximo si é auzata (1) la caxa de Pedro dela Nezana e deli fradeli, cioè quela de Ghotula. A’ dì 20 decenbre 1454 è morto ser Polo de Noxeto, e morite a Spoleti. Dio li perdona. Era de età d’ ani 70. A’ dì 29 del soprascrito è morta la Jacopa molia de Zimignan dal ponte e madre de Jacopo mio zenero. Dio li perdona, che era dona da bene. Era de età d’ani 75. Del soprascrito mexe e mileximo è morto Zan de Bar-delone da Vilafranca; e del mexe de zenaro veniente è morta 1’ Agnexina sua mogiere: Dio ge perdona. A’ dì 19 de zenaro 1455 à dito mesa nova prete Piero fiolo de Antonio de Pagno da Mochorono. Dio ghe dia bona ventura. A’ dì 24 de marzo (2) 1455 è morto el santo papa Nicola da Sarzana; e stete papa oto ani, chè fo fato papa 1’ ano de 1447 come apare areto a carti____ A’ dì 5 d’ aprile veniente, che fo el sabato santo fo fato papa Kalisto (3) cardinale de Valenza e santo homo e antico. (1) Alzata. (2) Il secentista aveva corretto viario in maggio ed aveva sbagliato. (3) Callisto III, già Alfonso Borgia, cardinale del titolo dei quattro santi coronati. — 57« — A’ dì 26 d’ aprile soprascrito é morto ser Johanni de Noxeto: era vechio de preso a 90 ani. Dio li perdona. A’ dì 4 de mazo soprascrito mileximo é morto Maté dal ponte. Dio li perdona. Polo de Cartegno à fato acrescere la sua caxa con doi (1) archivolti l’ano de 1455. E Pedro dala Nezana del dito mileximo à fato acresere la sua caxa che é in del borgo de Votula. E Cristofano d’ Angielino del dito mileximo à fato fare e acresere la sua con uno archivoto. [Zan Peloxo e Berton suo nevodo overo suo cuxino, fìoli de Paton, ano cominciato a fare li archivolti in la loro caxa l’ano del 1459 e feceli Nicoloxo a una soma (2)]. Nota, che a’ dì 8 de zugno vene de molta neve su 1’ arpe e steteghe (3) fino a’ dì 22 del dito mexe. A’ dì 14, 0 cerca, del mexe de setenbre, soprascrito mil (eximo), è morto Pedrezolo d’Antonio del feraro da Pastena. Dio li perdona, che era omo d’asai. A’ dì 24 del soprascrito mexe è morto meser Tadé (4) canonico e abade e alciprete, e molti altri beneficii avea e godeva a Parma e in Novarexe e in vai de Stafola e in dela rivera de Zenoa e in Lulixana. Dio li perdona, che era mio conpare. Era de età d’ani 32, ed era fradelo de meser Pedro da Noxeto de Bagnono. Nota, che nonnestante che l’ano pasato, cioè de 1454, fose la sagione (5) del vino molto debile per la (1) Due. (2) A cottimo. (3) Vi stette. (4) Ved. all’anno 1444. (5) Stagione. — 579 — mayore parte d’ Etalia, niente di meno el vino non foe caro; che ale taverne se vendeva sey croxadi la pinta, e el ducato valea L. 2, s. 7 de moneda de Zenoa: e nota, che molti ne rymaseno inghanati, e anco con perdita, chè tenono e feceno monicione (1) de vini. E a l’aghosto valse meno mezo ducato che non faceva de marzo, e se ne renvechiò molte bote, e questo fo perchè bevean de 1’ aqua e facean masaricia de vino. A’ di 3 del mexe de otobre in su 1’ ora dela terza, se cominciò a movere una piova in questa vai del Bagnone, cioè da Yrola in za e dal monte da Pastena in entro e infino ala cima de 1’ arpe, che in quatro ore vene el fiume del Bagnone si groso, che montava fino in sula cima del ponte da Bagnone, e menone una parte e el frantore e la sera (2) e foli e due caxe che erano de Zimignan dal ponte che v’ erano state duxento ani. E anco menò zuxa el mio orto el quale era dreto ala mia caxa, el quale orto m’ era costà preso de cento ducati. E durò questa grande furia qualche tre ore, poi cesò uno poco. Fece grandisimi dani da qui in suso e da qui in zuxa. Menò el molino de Era, menò el ponte de Traschié, menò dui archi del ponte da Vilafranca con certe caxe. E stete groso e torbido' cinque di chè sempre menava gropi (3). E in sul vespero cominsciò a reschiarare, ma non che non piovese per fino a oto dì, poi se fece bel tenpo. E alora presto se reconzò el ponte, remuramo e conzamo che se ghe potea pasare ali dece (1) Munizione, provvista. (2) Serra, steccata costruita nel fiume per raccoglier l’acqua ad uso di mulini, gualchiere o altri opifici. (3) Gruppi, cioò cespugli, macchie ecc. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. X, Fase. IV. 39 — 580 — die del dito mexe. E quelo tale lavoro se facea per testa: abo le dexinc (1), e eramo 50 teste. E questo grande deluvio poi la sera da una ora de note fino in quatro ore andò e fo in le montagne de Lonbardia ove fece grande dano, e ancora tocò in Pon-tremolexe. A’ dì 26 de otobre 1455, in domenicha, si andò prexo Bertolo ladro con dui suo fioli, ed era 1’ uno prete de Colechia, e erano deli Bertoloti. Lo castelano de Verguleta fece justixiare lo dito Bertolo e uno suo fiolo che avea nome Lovantino; li fece apicare e squarterare e metere in sule forche a peci a peci (2), 1’ uno alo confine de Vilafranca, e 1’ altro verso Bagnone a somo la vigna dela corte: era questo miso verso Bagnone uno zoveneto de età de ani 25; e la testa de tuti dui fece metere in suli merli del castelo. E queste foe perchè faceano tratado dopio; chè erano andati da meser Galioto da Canpo Frugoxo, che era a Chiaveri per ca-pitagno et era segnore de Verguleta, e dicean de volerli dare Vilafranca, e volean torli Verguleta e darla ali marchexi de Vilafranca (3). E uno suo nevodo de Ber- (1) Ho le diecine: intendi, forse, ho le note di questo lavoro. (2) A pezzi a pezzi. (3) Il dominio di Virgoletta apparteneva poco prima ai marchesi di Villafranca, perchè nell’atto di accomandigia del 2 giugno 1424 sono inclusi i castelli seguenti: castrum Verucholetle, castrum Pamichalis, castrum Libane, castrum Sancte Catherine, castrum Montis Vignalis e tutti gli altri castelli, luoghi e ville in quell’epoca possedute citra Macram da messer Tommaso e messer Fio-ramonte Malaspina marchesi di Villafranca (Ved. Inventario e Regesto dei Capitoli del Comune di Firenze, IX. 147)- In seguito Virgoletta tornò di nuovo ai Malaspina di Villafranca. In un bel camino di pietra del secolo XVI nel castello di Virgoletta è scritto: « Federicus Malaspina marchio Virgulete, Ville-france et Ville ». - >8i - tolo, che avea nome Salvadore e che era in del tratado, si li scoperse e lui fue salvo per quela volta. El prete e dui altri che fureno prexi insieme con questi dui e che erano in del tratado, sono ancora in pregione; non so quclo ne sera. L’ uno è da Mozano de Luca e 1’ altro è da Garibado de rivera de Zenoa. Nota, che l’ano 1455 non foe vernata quaxi niente, chè del mexe de decenbre se trovava roxe e fiori e so-xene raguimade (1) grose corno niciole. Durò quela dolciura tutto zenaro mai non piove ghocia, e fue beli-simo lavorare de tere e de ognu coxa. A’ di 26 otobre 1455 à cantato mesa nova prete Lionardo da Castilione e fiolo de Filipino. Dio li dia buona ventura. A’ di 2 de novenbre 1455 à menato molia Lunardo de maestro N. da Sagremoro da Pontremolo, cioè Argentina da Pietrasanta. Dio ghe daga buona ventura. Ancora à dito mesa nova prete (2). a’ di 9 de novenbre 1455. A’ dì 11 de zenaro 1456 è nado uno filio maschio a Rafaelo mio fiolo. Dio ge dia buona ventura. E in quelo mexe n’ è nado a Bagnone 6, cioè 4 maschi e 2 femine. Uno a Maestro Bertolomeo fisico (3) e uno a Pedro feraro e uno a Berforte e quelo de Rafaelo. A Tone d’ Exgariolo una femina e una al maestro dela scuola. Nota, che in quel tenpo era 26 femine a Bagnone da fare fioli. Dio dia buona ventura a tute e a tuti. (1) Susine rimesse, già attaccate. (2) Rimasto in bianco. (3) Maestro Bartolomeo di Noceto medico, che aveva per moglie l’unica figlia di Bernabò d’ Agnesina. — 582 — Del mexe d’ aprile 1456 andai a Rezo qer conpagnia de Zanone de P. de Seravaie da Feleto, che andoe per visitare certi suoi parenti, cioè suoi nepoti e neze (1) fioli dela sorela, e li forno recevuti horevelisimamente e li stetemo 4 die interi. E nota, che volendo el dito Zanone andare horevele, e non avendo el modo, eio li prestay più coxe. Prima la persona con mia cavarcadura, apreso una pelandra, uno paro de calce, uno mantelo, una bereta, uno paro de stivali. E tuto feci perchè era mio grande amico. A’ di 25 si è andato a marito la Domeneca fìola de Zimignan dal ponte, e mogiere che era stata de Paton de Votola, che la menoe in quel die che io menai la mia. Ora se remarita a Pontremolo, e de lei è rimaxo qui dui fioli maschii e una femina. Nota, che del soprascrito mileximo vene in del paiexe uno frate Zoanni da Napoli per edificare una chiexia de santo Bernardino e vide e cercoe tuto el paiexe: poi deliberò de farla sopra el castelo de Bagnone tra Pastella e Bagnone (2). A’ dì 20 de mazo del dito mileximo se ge cominciò a dire mesa, e se feghe una bela festa, che credo ge fose dele persone più de tre milia: e eio ge donai una paramenta (3) e manipolo* e stola in reverenda di Dio e del beato Bernardino. Del dito mexe e mileximo è morto Ferderigho d’Antonio del Bastardo da Bagnone. Dio li perdona. ' (1) Nipoti femmine, come nel dialetto veneziano e genovese", voce non più in uso attualmente nel dialetto locale. (2) Questa chiesa non esiste più ; ma un podere che ivi è si chiama sempre S. Bernardino. (5) Probabilmente una pianeta. — 583 — L’ ano 1456 fue quaxi carestia e foe in Lonbardia e in Toscana e rivera de Zenoa e in Lulixana. Qui in del tercero valse el staro del formento grosi 15 anome-radi e el panigho grosi 9 e la farina de castagne grosi 10 e 12 ; poi el novelo dei formento foe abondevele per tuti li payexi. Dio sia laudato. Del mileximo soprascrito, del mese d’ aprile, è morto meser Bertolomé marchexe de Margrà. Dio li perdona. Morite a Godigiasi (1): era de tenpo de 70 ani o cerca. Nota, che del mexe de zugno aparve una stela fo-gente (2), la quale se chiama cometa. E sapi che non 11’ è vera stela, anci é fuoco con razi e code. Segnifka grande cose, corno é movimenti di stadi, pestilencia, fame, morte di grandi segnori e simile cose. Dio faza quelo che sia el meliore. A’ dì 10 de lulio, mileximo soprascrito, Mateo sarto e fiolo de Lionardo da Secroxe (3) vila de Bagnone amazò Zan suo fratello. Dio li perdona. A’ dì 15 d’agosto 1456 à menato molie ser Jacopino dal Turano mio cugnato. Dio ge dia buona ventura. Addì 23 d’otobre 1456 è morto prete Zaneto da Traschieto e morite de pesta. Dio li perdona. Era de età de 55 ani. (1) Godiasco. (2) Non fulgente, come potrebbe credersi, ma infuocata. Anche 1’Ammirato (lib. XXIII) parla di una cometa di meravigliosa grandezza apparsa in quel-l’anno, la quale continuò cinquanta giorni a vedersi, con una coda lunghissima di color d’ oro volta verso il levante, la quale divenuta di color di fuoco venne a poco a poco, mancando verso tramontana, a spegnersi. (3) Scroce, o, nel dialetto locale, Scrosa. — 584 — De 1’ ano e mileximo soprascrito se sono esstragate (1) e frabicato le strade del borgho de Pontremolo, che prima erano extracade a uno altro modo, c paremi che stiano molte melio in su questo garbo. Nota, che del ano soprascrito le posisione e canpi e tere erano molte care: valeva ff 4 e ff 5 lo staro, ciò intendi, quela -tera che raxionevelemente facea stare 6 de formento, valea fiorini 24 e fino in 30 in quel torno, secondo che ghiaxeva (2) bene. Sotosopra respondeano sei per cento o cerca. Nota, che del soprascritto mileximo, a’ dì 26 de lulio foe roto exconfito el gran turco (3). E papa Calisto, (1) Lastricate. Il comune di Pontremoli si occupò in quel tempo anche del miglioramento delle strade esterne, come è riferito dal Campi. « In Consilio generali Pontremuli actum 19 martii (1457) deliberatum fuit ut viae publicae quae vadunt a porta de Fossato usque ad villam Mignegni complarentur et rizzalarentur expensis Communis ». (2) Giaceva, era situata. (3) Questa fu la grande battaglia combattuta e vinta sotto le mura di Belgrado da un esercito raccogliticcio guidato dall’ eroico Giovanni Uniade e dal beato Giovanni da Capistrano minore riformato. La strage dei turchi fu immensa, e immenso il bottino fatto sui medesimi, che vi perderono dugento grossi cannoni di bronzo, oltre a ricchezze inestimabili. Maometto II, che comandava in persona, rimase ferito da un colpo di freccia e si ritirò cogli avanzi del suo esercito. Questa splendida vittoria avvenne però non il 26 luglio, come dice il cronista, sibbene il 6 del successivo mese di agosto. Papa Callisto III ordinò che in tutta la Chiesa fosse con pompa solenne celebrata in tal giorno la festa della Trasfigurazione del Signore, in memoria di avvenimento sì fausto per la Cristianità. Ne compose egli medesimo 1’ uffìzio e lo arricchì delle medesime indulgenze che si guadagnano nella celebrazione della festa del SS. Sacramento. Ho voluto riportare queste particolarità perchè taluno non avesse a credere, come il chiosatore secentista, che questa fosse 1’ origine dell’ Ave Maria di mezzodì, ossia dell’ Angelus Domini, che fu istituito pochi anni dopo da Luigi XI re di Francia, il quale in mezzo alle sue scelleratezze si piccava di una singolare divozione per la Vergine. Il Raynald nei suoi Annali, tace del suono delle campane ordinato da papa Callisto : ma il Gregorovius (lib. XIII, cap. 2) parlando dell’ ardore di quel pontefice per la Crociata e della poca corrispondenza che » » — 585 — clic in quel tenpo era papa, fece una indulgencia, e che se dovese fare procesione hognu prima domenica del mexe, avese sete ani de perdono. Ancora che in su quela ora che fo roto, che fo tra vespero e nona, se dovese sonare Fave maria per tuto el mondo. E coloro che in quel ora, ho odire sonare ho no, dirano tre paternostri e tre avemarie, arano 40 die de perdono, dicendole ingionochione siendo in loco abile. L’ ano de ... (1) messer Fioramonte marchexe de Vilafranca e signore de Lizana e Panigaie, dubitando e sentendo che meser Galioto da Canpo Frughoxo venia per metere canpo a dite Lizana e Panigaie, sì le diede al signore marchexe da Ferara. E del 1456, del mexe de setenbre, per pregere del duca de Milano le à rexe al dito meser Fioramonte: da fare g’ebe asai (2). Del soprascrito mileximo s’è conprato uno mesale nuovo ala chiexa de santa Maria de Votola. Costò ff 20 d’oro (3), e pagailo de limoxine e oferte, che altro non c’ era. trovava nei Principi di Europa, dice che si sentiva il suono delle campane ordinato dal papa, ma non quello delle armi : ivi : « Die ganze weite Christenheit erscholl auf Calixt’s Gebot dreimal tàglich vom Klange der Glocken, doch nicht von dem der Kreuzzugsschwerter ». (1) L’anno è rimasto in bianco nel MS., ma è 1449, come è già detto a suo luogo nella cronaca. Messer Fioramonte e messer Tommaso Malaspina marchesi di Villafranca erano stati ricevuti in accomandigia dal Comune di Firenze fino dal 2 giugno 1424 (Ved. Inventario e registro dei Capitoli del Comune di Firenze, loc. cit.). (2) Anche qui è da correggere il Litta. (3) Oh questa si che fu una cara minestra! chiosa qui, forse non a torto, il secentista ; perchè 20 fiorini d’oro quasi bastavano a quel tempo per comprare una casa a Bagnone. Forse il messale sarà stato scritto e miniato in modo squisito e legato riccamente. Giovanni Antonio era allora massaio della chiesa di santa Maria e inaugurò la sua amministrazione con 1’ acquisto di quel mes- — 586 — A’ dì 24 decenbre è morta la Franceschina che fo inolia d’ Antonio d’Avanzino. Ed era sorela de Francesco de Faie: era vechiisima, credo avea più de 112 ani. A’ dì 26 dfccenbre 1456 (1) è morto Zan Maté da Castion: morite a Sarzana che venia da Corneto. A’ dì 27 zenaro 1457 é morta la Vezoxina, molia chi fo de Simon dala Nezana e madre de Pedro e Zanino e Antonio. Era di tenpo. A’ dì deto è morta la Rita molia de Antognolo da Mochignan. Era de età de ani 50. A’ dì 29 del dito mexe è morto Lunardo de Domenico da Margrà: era de età de ani 90. È statov molto paciente. Dio li perdona. A’ dì primo de marzo 1457 li magnifici marchexi da Mulazo ano fato bruxare una femina in sul piano de Mulazo, la quale avea zità una sua cugnata zu per Magra, più ani era (2). Dio li perdona. A’ dì 18 de marzo soprascrito è morto Jacopino de Zacagno da Feleto. Dio li perdona. Era de età de 80 ani e morite male: andando da Margrà a Feleto per la via del pozo, cadete zu de uno madon (3) e morite de fato, che non lo vide persona. A’ dì 9 de aprile 1457 è morto Zimignan dal ponte sale. « Nota, che a’ di 30 de novenbre 1456, li omeni del comune de Bagnone m’ ano eleto masaro dela chiexa de S. Maria de Votola. E in quel di g’ a-biemo comprato uno mesale da uno di Vezano: novo ebelo per pregio de fiorini 20 d’oro » (Parte I). (1) Il MS. ha 1457: ma 0 è un errore materiale sfuggito al cronista, 0 egli ha contato 1’ anno a nativitate, secondo lo stile di Sarzana. (2) Alcuni anni indietro. (3) Si chiamano cosi nel dialetto locale quei ciglioni che servono di riparo alle coltivazioni in collina, — 587 — de Votula, e fo la vilia de ramo d’ oliva ( 1 ) che cascò zu de una scala e vivete sei 0 sete ore. Era vcchiisimo: avea cerca de 95 ani, e de lui remaxe 4 filioli maschii e tre femine tute maritade. Del mexe d’ aprile è morto Coxelo de Zanni de Brunelo da Era e abitatore de Malgrato, e morite alo spedale de santo Lazaro da Pontremolo. Era vechio, ed era stato uno greve e groso homo. Dio li perdona. A’ di 3 de mazo 1457, uno de m^ser Ghixelo marchexe da Mulazo à amazato uno suo homo, ciò fo uno fiolo de Bertolomé dela Bianca, e fo per sospcto de femina. Carisimi, siendo stato li recolti de 1’ ano pasato molti sterile , corno é dito dreto a c.... ; che se perdete el panigo e le castagne, che sono,più che y due terzi del pane de Lulixana, hognuomo estimava che ne seguise grande carestia e fame. Certo, carestia non fo niente, fame si grandisima: non credo che ducento ani fuse la simile. Credo che ne morise puro alcuni de fame e de-xaxo (2), non credo che mai el paiexe fuse così spoliato e voito de denari in cumunità e in specielità quanto che ora. Nota, che per lo novelo e per infino a mezo otobre de 1455 va^ea staro del tormento grosi oto, e el fiorino d’ oro valea grosi 20, e el groso valea soldi 6. El panigo valea grosi 6 el staro, le fave grosi 7; poi andò montando su a poco a poco. In Lonbardia era grande devicie, ma g’ era là dove Dio che se trova con grande fadica. Per tuto el mexe d’aprile 1457 andò dove andare potete; ciò foe a grosi 14 el formento, 1 (1) Il sabato che precede la Domenica delle Palme. (2) Disagio. — 588 — 12 le fave, 8 el panìgo: poi cominciò a calare a poco a poco. Da intrante zugno ne venia tanto hognu di de Lonbardia, che se deva qui in sul mercato de Bagnone per grosi io e fine in 12 el staro del formento, secondo che era belo. Le fave a grosi 8 4- fino in 9 el staro : panico non ce 11’ era più. El formento nostfato valea grosi 13 e 12 y el staro, intendi anoveradi (1) hognu coxa. Dela credenza non dico nula, che se ne facea poca; e perciò duravano fame e dexaxo molte persone che non avean denari e non trovavan credenza. Nota, che credo che de 1’ entrada de Traschiè e parte de Bagnone n andase demandando (2) più de 100 persone homi, femine e garzoni de più età, grandi e picoli. Poi d’ altri paiexi, che era de queli dì che ce n’era tanti che dimandavano pane per Dio, che exbegotivano li patroni delle familie. Poi per novele valea el formento grosi 8 el staro, e non ne foe grande piena : dubito che sia più caro questo ano che quelo che é pasato, se Dio non ce remedia. A’ dì 5 d’ aghosto 1457 è morto Cristofano de Zoanni de Guasparo de Votula. Era vechio de 60 ani. Dio li perdona. De lui é remaxo 4 filii maschii (3). (1) A denari contanti. (2) Accattando, elemosinando. (3) Giunta a questo punto la cronaca fu interrotta per la malattia di Giovanni Antonio, come è detto nella Prefazione. Nel MS. si vede la diversità del carattere, che non ha più la regolarità e la nitidezza di prima; e sempre più che si va avanti si scorge che è opera della mano tremula d’ un vecchio. Che lo squarcio che segue immediatamente sia stato scritto molti anni dopo, agevolmente si conosce, perchè vi è notata la morte di Francesco Sforza, che avvenne nel 1466, e perchè Marnino vien chiamato dal cronista suo genero, mentre abbiamo più innanzi che il matrimonio di Manzino con Gùglielmina di Faie avvenne solo nel 1464. La scrittura regolare della cronica non ricomincia che al gennaio 1462 alle parole: « Dele coxe de Zenoa ». — 589 — A’ di 22 de zenaro 1460 è morto prete Andrea da Crolagha, morite de la goza (1); era vechio de 70 ani o più. Dio li perdona. In del 1461 morite el re de Franza (2). In del 1466 a’ dì due de zenaro (3) è morto Francesco Sforza da Codognola e duca de Milano: era de età de 70 ani. Restò duca uno suo fiolo, meser Joan Galiazo, al quale lui dette la bacheta innanzi che morise. In del 1460 a’ dì 24 de zugno è morto Pasquino de’ Putimorsi da Vilafranca. Era mio conpare e padre de Manzino mio zenero: era de età de ani 70. E de lui è rimaxo 6 filii maschii, e el minore de 20 ani che è Manzino soprascrito. E a’ dì 17 zenaro 1462 mena molia uno de’ filii che è barbero e sta a Preda santa (4). In del 1462, del mexe de zenaro, menò molia meser Galioto Frugoxo, e fu una bela donna filia de uno grande citadino de Ferara, madona Maxa. A’ dì ultimo de zenaro menò molia Antonino deli Orsi da Pontremolo, e fo Marieta filia de maestro Bertolomé medico e de Bagnono. Dele coxe de Zenoa da per lei vorave uno libro molto grande, perché fa speso mutamenti, e de nove e grande (1) Di goccia, ossia di apoplessia. (2) Carlo VII, detto il vittorioso. Si lasciò morire di fame nel castello di Mcund nel Berry, per paura di essere avvelenato dal Delfino suo figlio che fu poi Luigi XI. (3) La morte di Francesco Sforza che il cronista pone qui come avvenuta il 2 di gennaio, nella postilla sotto l’anno 1450 il 7 marzo, e più innanzi il dì 8 febbraio, accadde veramente il'dì 8 marzo 1466, come può vedersi nel Corio, nel Verri e in altri storici. (4) Pietrasanta. — 59° — coxe; che dal dito mileximo infino a questo di io de zenaro 1462, à fato 4 mutamenti: e Francioxi e Adorni e Frugoxi e populo puro (1). In questa ora è duxe meser Lodovico Frugoso, e puro se tene ancora Savona e Arbenga per lo re di Franza. A’ di 27 de frevaro 1462 è morto ser Jacopo fiolo de ser Johanni da Noxeto (2) e fradelo de meser Pedro. Era de età d’ ani 70 o cerca, non aveva filii nesuni, morite a Pontremolo: era rico de 26 fino in 28 milia ducati. Dio li perdona, era avarisimo. A’ di ... de marzo soprascrito è morto prete Zoanni de Baldino da Vilafranca. Era dotisimo ed era de età de 75 ani. Dio li perdona. A’ dì 15 de marzo soprascrito é morto Bernaboe da (1) Pur troppo i mutamenti di Genova, come li chiama il cronista, erano frequenti e gravi. Allude all’ avere Pietro Fregoso data la repubblica nel 1458 a Carlo VII re di Francia, disperato di poter resistere all’ inimicizia degli Adorni fuorusciti e di Alfonso re d’ Aragona. Governatore di Genova pel re Carlo fu Giovanni d’Angiò, chiamato duca di Calabria rispetto al reame di Napoli, dal quale suo padre Renato era stato cacciato da Alfonso. Tanto il padre che il figlio volsero 1’ animo a Napoli, e fecero armamenti commettendo gravi spese, il che suscitò loro contro il popolo. Morto il re Alfonso nell’ anno suddetto, Pietro tentò con grande audacia di ritornare in signoria cacciando i Francesi, ma lasciò nell’impresa miseramente la vita. Miglior fortuna ebbe Paolo di lui fratello, arcivescovo di Genova, aiutato da Francesco Sforza duca di Milano e accordatosi con Prospero Adorno. Questo accordo però non durò a lungo: e, fuggito da Genova Prospero, fu fatto doge Lodovico Fregoso. Furon cacciati gli Adorni, e pareva che dovesse Genova alquanto respirare; ma l’indole irrequieta ed ambiziosa dell’arcivescovo Paolo non lo permise, come dice più avanti il cronista sotto l’anno 1462. Il regime di popolo puro durò solamente otto giorni, com’ era naturale che dovesse accadere a Genova, dov’ erano famiglie nobili potenti e ambiziose (V. Foliet. lib. XI). Morto Carlo VII, Luigi XI suo successore si mostrò alienissimo dalle cose di Genova, e la cedè con Savona al duca di Milano. (2) Il cronista ha già parlato di ser Jacopo di Noceto nel raccontare la sua andata a Roma nel 1450. — 59i — Crolaga. Era vechio e infermo de ani. De lui é rimaxo 3 filioli maschii, Cesco, Polo e Pino. Del dito mexe e mileximo é morto prete Bertolo da Castilione e retore dela chiexa de Castion ; era de età de 40 ani. A’ di ... de mazo 1462 é morto Berton feraro de Votula: era vechio de 70 ani. Del dito mexe e mileximo è morta la Margarita molia de Cristofano d’ Angielino de Votula: era de 80 ani. A’ di 8 zugno 1462 è morto maestro Piero da Cogorno. Fue mio primo maestro 1’ ano de 1417, o cerca. Dio li perdona..Era de età de 75 ani; era retore deio spedale de Feletera e fecelo suo erede. A’ dì 9 de lulio é morto meser Galiazo marchexe de Traschieto. È morto a Godiaso: era de età d’ani 60 o cerca. A’ dì 27 del dito mexe è morto Pedro de Simon dela Nezana. Morite a Foxdcnovo, che era lì a soldo: era de età de 40 ani. A honore di Dio, 1’ ano de 1462 meser Pedro da Noxeto à fato fare lo canpanile dela chiexa de santo Nicoloxo da Bagnone (1) ; cioè, che li homeni del cumune ge deno 1’ atrato e lui pagò honi altra coxa. L’ ano de 1463 fue uno grande inverno de fredo e neve in grande quantità; aque e deluvi pochi. A’ dì 16 de marzo vene la neve grosa e ali monti d’entorno in- (1) Cioè della chiesa che attualmente si chiama del Castello. È cosa singolare che, non essendo mai stato costruito il campanile nella attuale chiesa parrocchiale di Bagnone, le campane son rimaste sempre nel campanile della chiesa vecchia, c lassù si suonano, sebbene le funzioni si facciano nella Chiesa miova. — 592 — tomo, e pò se calò per li piani e con vento e grandi-simo fredo. L’ano de 1463 fue una grande abondanza d’olio, ché credo che se facese più de 40 prede da olio, e valeva uno ducato lo centonaro. In dela vila dela Nezana, che erano XI famigie, g’ era circa de X conce d’olio. E io avea 25 stare d’ olive, e avete barili sei e mezo d’ olio. Antonio de Pecino dala Nezana credo che n’ avese da 18 in 20 barili. Del mexe de marzo 1463, monsegnore 1’ arcivesco de Zenoa prexe meser Lodovico da Canpo Frugoxo, che era suo cuxino ed era duxe, e miselo in prexone in Casteleto de Zenoa e fecesi duxe lui (1). Dele mutacione de Zenoa non volio più scrivere, perché mi pare che siano tante e si spese, che dubito de non trovare tanto papero che bastase. Nota, che lo inverno de 1’ ano 1463 foe grande fredo e masime de neve, e forono tenpori e scrodive (2) ché di mazo ancora ne veniva, e a calenda di lulio ge n’era in su 1’ arpe parechie machie dala banda de za : fino a pasà mezo agosto ge n’ era. A’ dì 3 de lulio 1463 à cantato mesa nova prete Zan Marco da Traschié. A’ dì 15 d’agosto 1463 à menato molia Zoanni Antonio de Nicoloxo feraro: zo fo la Laxina filia de Pezolo de Feruzo. (1) Questo ambizioso prelato scrisse al Papa Pio II, notificandogli la sua esaltazione e pregandolo a volerla benedire. Degna d’essere letta ò la risposta direttagli da quel pontifice (Pii II ep. XLII). (2) Temporali, burrasche, nevicate. Sono vocaboli andati in disuso nel dialetto locale. — 593 — A dì . . . otobre 1463 è morto Bertolomé de Panego de Bagnono: era de 62 ani. Dio li perdona, era mio conpare. A dì 20 de novenbre 1463 à menato molia Simo-neto de Polo de Cartegno. L’ ano del mileximo soprascrito é stato uno otono molto umido e aquoxo e non fredo niente; ché questo dì 2 decenbre ancora non é fredo niente, nè vento nè neve in su 1’ arpe. A’ dì 28 decenbre cominsciò a nevare e vene de soto. E nevò tre dì, e fo grosisima e zelo per modo, che a dì 17 de zenaro era ancora per tuto grosisima, e a’ di 18 ne vene de l’altra. A’ dì 21 ne vene senza nomero. A’ dì 26 ancora nevò, poi se dè a piovere. E andosene con grande fadica de’ n sul piano, ma ali monti de soto e de sopra stete più oltra eh’ a mezo marzo. El verno fo grande (1): morite molti vechii. A’ dì ... de zugno 1464, siendo de poco innanti meser Antonio de Noxeto zenero del magnifico homo meser Azo marchexe de Mulazo, à così ordinato, che meser Carlo marchexe de Bagnone à piato per molia una altra fiola del dito meser Azo, cioè del dito mexe e mileximo (2). Dìo ge dia a anbedui bona ventura. E notate per certeza, che el dito meser Azo à questo dì soprascrito 21 filii vivi, cioè 12 maschi e 9 femine. De 1’ ano soprascrito e del mexe, el prudente e nobile (1) Molto freddo. (2) Questa non fu che una semplice promessa, perché il matrimonio avvenne nel febbraio 1468, come ricorda a suo luogo il cronista. Manca al Litta. — 594 “ meser Antonio soprascrito à fato incominsciare a refare de novo la chiexa de meser santo Arencio (i), capela dela pieve de santo Casiano, e fola fare molto magiore che non era prima. Dio e meser santo Arencio ge lo meritara, e di ciò lo prego. A’ di 31 de lulio (2) 1464 è morto meser Coxemo de’ Medixi da Fiorenza, el quale era vechiisimo, ed era tenuto che fose el più grande homo de povelo e el più rico che fose in Italia. Dio li perdona. Del mexe d’ agosto a’ dì 14 é morto papa Pio (3). Ed era in Ancona per andare a mandare zente contra el gran turco che molto monestava li cristiani. E li cardinali tornoron a Roma, e presto fecero uno altro papa, cioè fo papa......(4). L’ ano soprascrito el comune de Vilafranca ano fato fare una mora (5) in su la giara de Magra preso ala boca del Bagnone, per volere fare uno ponte (1) S. Terenzio. È una cappella isolata poco lontano dalla pieve dei SS. Ippolito e Cassiano. Ogni anno il di i.° di settembre vi si fa la festa eia fiera. (2) Cosimo morì di 75 anni nella sua villa di Careggi, il i.° d’agosto, secondo 1’ Ammirato. Seguendo questo storico bisognerebbe dare alla morte di Pio II la data del 17 d’agosto, giacché racconta che quella di Cosimo la pre-cedè di 16 giorni. (3) Pio II. Cosimo de’ Medici, già infermo, sentendo della crociata bandita dal papa, e quasi ne avesse antiveduta la vicina morte, disse che gli doleva che il papa, essendo vecchio, si mettesse a fare una impresa da giovani. (4) Paolo II, già Pietro Barbo, veneziano, cardinale del titolo di S. Marco. (5) Pila. Abbiamo veduto come già il cronista chiami morelle i pilastri dei portici nel borgo di Bagnone. Dante usò mora nel senso di mucchio di sassi (Purgc. Ili, v. 129). Forse per analogia si chiamano dai naturalisti morene (francese moraines) quegli ammassi di pietre grandi e piccole che i ghiacciai delle Alpi spingono innanzi e trascinano sui lati nel loro lentissimo movimento dall’ alto in basso. (Ved. Tschudi, Le moni des Alpes. Région des neiges, eh. III). Del resto, il ponte sulla Magra a Villafranca non fu fatto, e probabilmente non si farà mai, attesa la smisurata larghezza del fiume in quel punto. — 595 — che pasa Magra. Dio ge ne dia grazia buona. Del mexe de setenbre vene uno groso deluvio e scantonola uno poco. A’ di 15 de otobre 1464 è morto maestro Nicoloxo de Sagremoro da Pontremolo: era vechio de 70 ani o in quel circa. Era homo de grande afare e di grande animo, e foe el mio primo maestro eh’ io avese a l’arte dela speziaria. Dio li perdona. L’ ano soprascrito a’ di 3 de novenbre vene grosa neve ali monti e ali piani ; serebe stato asai del mexe de zenaro. E de zenaro o frevaro e marzo quaxi ognu dì piove e nevò; e a’ dì 8 d’aprile nevò molto forte, e tuto el dito mexe piove, che a calenda de mazo le vigne non erano ancora .... (1) pare, e de ligade n’ era poche: io dico che a’ dì 10 de zugno ancora non n’e-rano (finite) de ligare. E nel’ ano de 1464 fo butà scomunega più volte contra Landò dal Turano e certi altri suoi seguaci, perché occupavano la chiexa dal Turano a prete Iacopo fiolo de Bertolomé da Panego de Bagnono, el quale l’avea dal vescovo e dala più parte deli omeni (2). Del dito mileximo, a’ dì... decenbre, uno fiolo de Antonio de Acatino da Pagazana à amazato Zan Piero de Pagian dal Gropo, ed erano barba e nevi. Del dito mileximo, siendo una ponta (3) a Fornolo fra 2 familie, 1’ una se chiamavano queli de Madalena (1) Qui e alquanto più sotto, la scrittura del MS. è danneggiata e poco o punto leggibile. (2) Questo ricordo fa supporre che i parrochi si eleggessero in quei tempi anche dal popolo, in alcuni luoghi. (3) Questione, rissa. Atti Soc. Lig. St. Patria, Voi. X, Fase. IV 40 — 596 — e li altri queli de Andruzo, queli de Madalena, che erano 6 frateli, amazono uno prete Domenico fiolo de questo Andruzo: fo a’ di 8 decenbre 1464. A’ dì 6 decenbre 1464, è andato la Gugiermina mia mia filiola a marito. Dio li dia buona ventura. È ita a Vilafranca in caxa de Manzino suo marito. A’ dì 20 decenbre soprascrito è morto Antonio de Bececuto de Votula: era vechio de cerca 90 ani. Dio li perdona. A’ dì 21 decenbre soprascrito é morto prete Cristo-fano de Castilione. Morite a Bibola, chè stava lì per retore: era de età de ani 75. A’ dì 4 de zenaro 1465, li omeni de Lizana e Pani-gale ano fornito el castelo de Monti a peticione del marchexe de Vilafranca. Per tratado 1’ ano avuto : era de meser Galioto de Canpo Frugoxo. A’ dì 6 del dito mexe, meser Iacopo Anbroxo mar-chexe à riavuto Ricó per tratado, ché lo teniva meser Lodovico da Canpo Frugoxo (1). A’ dì 25 d’aprile è morto Botino da Feleto: era vechio de 80 ani 0 più. Lo fiolo fue Martino, li avea fato cativo portamento. El dito Botino era stato uno omo molto fativo in dele coxe dela cumunanza. Dio li perdona. E del dito mexe é morto Vivaudo da Margrà: era vechio de 85 ani. Del dito mexe è morto prete Mariolo d’Arbia, retore de la chiexa da Verano: era zoveno de 30 ani. Del mexe de zugno 1465, é morto meser Dondazo marchexe de Traschieto, e morite a Ghodigiasi: era de 75 ani. (1) Ved. nota 4 a pag. 6or. — 5"97 — Del dito mileximo, meser Andrea marchexe da Tra-schié à fato fare una capela in la chiexa de Trascé. Del dito mileximo, cioè 1465, a di 8 de lulio, se vede ancora la neva in su 1’ arpe in tre logi de za da 1’ arpe. La stade fo poco caudo, per modo che nesuno fruto fo in perfìcione. Li vini fono pochi e si bruschi che non se poteano bere. Del 1465 è morta madonna Violantina, molia che fo de meser Giorgio marchexe de Bagnone, e morite a Godigiasi. Dio li perdona, era mia comare. E de lei è remaxo 5 filii maschii (1), li quali questo di ... de setenbre 1465 se sono asegnoriti de Bagnone e caciato de fuori meser Antolino, che era per la mità dela signoria ed era cuxino de meser Giorgio (2). Del dito mileximo à cantato mesa nova prete Steveno de Votola e prete Lazaro de S....rneto. A’ dì ... de novembre soprascrito è morta la Man-. freda, molia chi fo de P. da Irola da Margrà. A’ d’ 24 de novenbre soprascrito à menato molia Bertono de Paton de Votula; ciò fo la Maria fiola de Zan de Saravale da Feleto. L’ano de 1465 s’è fata la tavola de l’altaro de Bagnone, e s’è fata de lasiadi (3): costò più de 25 ducati. Del mexe de.....1465, meser Nicolò marchexe e li omeni de Feletera ano trovato uno giotone (4) ala (1) Si chiamavano Cristiano, Eduardo, Carlo, Pino e Giorgio. Ved. Documento IV. (2) Notizie ignote al Litta ed altri storici. (3) Lasciti. (4) Ghiottone, malvivente. — 598 — strada, è anolo fato apicare a’ pié dela Monigra (1). Aveva nomo Bernardo da Noxedo. A’ di 8 de frevaro 1466 è morto el più savio omo d’Etalia, e anco era stato belo de persona e ghagiardo, Francesco Sforza da Codognola e duca de Milano, se-gnore de Zenoa (2). De lui è remaxo filioli asai, bastardi e madronali: non so che se sera. Uno de loro che à nome Zoan Galiazo reze la signoria. [In del 1467, siendo lui e el re de Napoli e li fiorentini uniti e con-ligati insieme (3), li veneziani e el papa con certi fuo-rausiti de Fiorenza, e anco el duca de Savoia, li feceno movere guera, non mostrando che fose loro opera: non so quelo se ne seguitarà]. [Et in questo di 27 decenbre mileximo soprascrito s’ è dexixo molto bene ] (4). (1) Cioè in quel punto ove la Monia (torrente vicino a Filattiera) sbocca nella Magra. (2) Genova fu ceduta al duca Francesco Sforza da Luigi XI nel 1464, per gratitudine del valido aiuto ricevutone nella guerra civile contro la così detta ligue du. bien public, in cui i duchi di Calabria, di Borbone, di Brettagna, di Bari e di Namur e i conti di Charolais, Dunois e Armagnac Dammarfin si erano uniti contro il re. È da notarsi che il re Luigi XI in questa cessione prese iniziativa, e si servì, per proporla a Francesco Sforza, di quel medesimo mess. Antonio di Noceto da Bagnone rammentato in questa cronaca, il quale era allora legato del re di Francia presso il pontefice (Ved. Corio, P. VI, c. 1). Però il duca Francesco, per aver Genova, dovè sottoporla colle armi, comandate da Gasparo Vimercato, che poi tornò all’impresa di Francia l’anno susseguente con Galeazzo primogenito del duca. (3) Capo dell’ armata della lega fu il conte Federigo d’ Urbino. Comandante dell’ esercito avversario era il celebre Bartolomeo Colleoni, che nel fatto d’arme della Molinella pel primo si servì di spingarde collocate sopra piccoli carri: erano lunghe tre cubiti e lanciavano palle alquanto più grosse di una susina. Tali furono i primordii dell’artiglieria leggera, divenuta in oggi quasi l’arbitra delle battaglie (Ved. Ricotti, loc. cit. par. IV c. 6). (4) In questa seconda postilla il cronista intende parlare della pace conclusa dopo aver rimesso 1’ arbitrato della lite a Borso duca di Ferrara. Questa pace era stata imposta a tutti dal papa Paolo II con pena di scomunica a chi la ri- — 599 — De questa setimana pasata, pasò per questo chamino el principo de Taranto c duca de Calavria (i) e molti baroni e cariagi asai. Erano 300 cavali e più. Andono a Milano a fare la festa; e la prencipesa, che è sorela del duca de Milano, andò per mare fino a Zenoa e poi per tera fino a Milano. A’ dì ... d’ agosto è morto ser Zan Jacopo da Feletera e morite a Ghodiasi, che era podestà de li: avea cerca a 70 ani. A’ di ... d’agosto soprascriro è morto Simoneto sartore de Votula: era vechio de 70 ani o cerca. A’ dì 5 de setenbre 1466, è morta la Catalina soxera de mi Jovanni Antonio de Faie. Dio li perdona, è stata una donna da bene. Era vechia de 75 ani 0 cerca. A’ dì ultimo de setenbre 1466 è morta la Zoanina molia che fo de Pasquino de Vilafranca e soxira dela Gugiermina mia fiola. Dio li perdona, che è stata una donna da bene. Era de 75 ani in quel cierco. Del mexe de lulio pasato vene una tenpesta a Parma sì grosa, che sfondava li teti, e rope grande quantità de copi per parechie migiare de ducati : deceno che se pexò gragnola che fo 28 libre. De l’anno 1467, del mexe de frevaro, tra li 13 e fiutasse. I capitoli di essa pace portavano immediata alleanza offensiva e difensiva di tutti gli Stati d’Italia per la propria conservazione e per lo sterminio dei Turchi, nominando capitano generale di tutti gli eserciti collegati Bartolomeo Colleoni. Le maledette gelosie di potere e di preminenza impedirono che questa bellissima idea s’incarnasse. (1) La pace conclusa fra Francesco Sforza e Alfonso d’Aragona era stata terminata con un doppio matrimonio. Alfonso duca di Calabria, figlio di Ferdinando e nipote del re Alfonso, sposò la principessa Ippolita figlia del duca Francesco Sforza; e la principessa Leonora, figlia pure di Ferdinando, fu data in moglie a Sforza Maria terzogenito del duca. — 6oo — li 17 die è morto meser Pedro da Noxeto nobile cava-lero : morite a Luca. La sua morta se tene celata alcuno die, a’ di 19 se sopelite (1), foli fato grande onore. De lui remaxe uno filio maschio che à nome Nicolò, è de età de ani 170 cerca, e à molia una de’ Guenixi (2), e uno altro filio bastardo che à nome Jovanni de 7 ani o cerca (3). La loro richeza è inomerabile; se dice che è quatrocento milia ducati. A’ dì 8 de aprile 1467 è morto ser Jovanni Antonio de Jacopino de Votula (4): era zoveno de 32 ani, avea menato molia de novo. Dio li perdona. E a dì 17 del dito mexe e mileximo é morto Jacopino suo padre. Era «vechio de 63 ani o cerca (5). À’ dì 8 de zenaro 1468 é morto Polo di Zanelo dala Nezana, chè Zan Marco de Antognelo da Margrà el ferite de una preda in dela fronta : o per cativo remedio o per dexordine se morite. Era de 40 ani, e el padre viveva vechio de 75 ani. (1) Fu sepolto nella cattedrale, dove poi gli fu eretto un superbo monumento, che è uno dei più bei lavori di Matteo Civitali. II Gerini (voi. Il, pag. 200), tratto in errore dalla data della erezione di questo monumento, dice che Pietro di Noceto morì nel 1472. (2) Guinigi; nobile famiglia lucchese. (3) Fu allevato ed educato da Benedetta, matrigna di messer Pietro (Ved. Documento II). Si dette allo stato ecclesiastico e fu priore di S. Giustina presso Pontremoli. (4) Questi era notaro, e si trovano fra le pergamene Nocetti diversi atti rogati da lui. (5) A questo punto ricorre nel MS. la seguente nota: « Del mese di settembre 1704, li homini di Virguletta si rebellorono a lor padrone marchese Giovanni Malaspina et si diedero sotto alla protecione della Camera di Milano; di doue poi se ne ha cauato che quatrocento otto anni fa la medema terra era sottoposta al istessa Camera di Milano. Et era al tempo della missione de’ capuani in questa terra, padre Michelangelo, padre Bernardo e padre Atanasio ». — 6oi — A’ dì ... de frevaro 1468 é morto meser Bernabò marchexe de Feletera e morite a Godiasi: era de età d’ ani 75 o più. Dio li perdona (1). A’ dì 27 frevaro 1468 è morto Parente dal Caxale: era de 70 ani, era mio conpare. Dio li perdona. A’ dì 28 del dito mexe, el magnifico meser Lodovico da Canpo Frugoxo, non posendo resistere alo exelcito del duca de Milano, e avendo za perdute le infrascritte castele, Vila, Podenzana, Trixana, Loxolo, Ricò, Zova-galo,-Monti de Vagie, la Megia (2), el borgo de Le-lixi (3), Santo Stefano, Ponzano, Lavula, Falcinelo e Ortonovo, tenia ancora Sarzana, Sarzanelo e Castel-novo ; sì le à vendute ali Fiorentini per 40 milia ducati (4). Del dito mexe, meser Carlo marchexe de Bagnone à menato molia una filia de meser Azo da Mulazo (5). È morto Jo vanni de Piero de Sara vale da Feleto a’ dì 7 de frevaro; era de 60 ani, era mio conpare e grande mio amico. Dio li perdona. De lui è remaxo uno filio maschio, Tomaxo a nome, e de 14 ani. Dio li dia bene a fare. (1) Manca al Litta. (2) Ameglia. (3) Lerici. (4) Il Comune di Firenze comprò nel 27 febbraio 1468. Sarzana, Sarzanello e Castelnuovo da Lodovico e Tommaso Campofregoso pel prezzo di 37,000 fiorini d’oro larghi. Quanto a Ortonuovo, sebbene nell’atto di vendita figuri come donato, è da notarsi come gli uomini di Ortonuovo e quelli di Falcinello avevano già fatto dedizione al Comune di Firenze alcuni mesi innanzi. Stipulava pel Comune di Firenze Bongianni Gianfigliazzi procuratore dei X di Balìa (Ved. Inventario e Regesto dei Cap. del Comune di Firenze, IX. 135-136-137-138-139-140-141-142-143-144. Capponi, lib. IV, c. 4). (5) Manca al Litta. / — 602 — Del dito mileximo è morto Parente dal Caxale (i): fo el primo conpare eh’ io avese; era de età de 70 ani o cerca. Dio li perdona. Del dito mexe è morto Zan Roso da Feleto: era de 70 ani o cerca. Dio li perdona. Del mexe de otobre 1468 é morto meser Antolino marchexe (2): mori in Val de Statola, era vechio de 77 ani. Dio li perdona, era ancora gagiardo (3). Bernabò de 1’ Agnexina de Votula to fiolo de uno familio de meser Ragone (4), che aveva nome Renodo ed era todesco. El dito Bernabò è morto questo dì 5 decenbre 1468, e maestro Bertolomé da Noceto é re-maxo erede. Credo vale la sua redità cerca 400 ducati: era vechio de 72 ani o cerca. Dio li perdona. 1469 del mexe de zenaro è morto meser Zanspineta marchexe de Vilafranca: era zoveno de 35 ani o cerca. Del dito mileximo, siendo lo inperadore (5) a Roma, fece conte e cavalero el nobile omo meser Antonio da Noxedo. Era zoveno e doto e bene lo meritava: era de età de 34 ani. Del soprascrito mileximo, del mexe de frevaro, é morto meser Spineta marchexe de Fivizano. Morite a Ferara, era de età de ani 54. Dio li perdona. E così (1) È ripetuto il ricordo della morte di Parente del Casale, perchè qui Giovanni Antonio fa come la lista delle persone più ragguardevoli di sua conoscenza morte nel corso dell’ anno. (2) Messer Antolino marchese di Bagnone, che era stato cacciato dalla signoria da messer Cristiano e dagli altri figli di messer Giorgio, come si trova notato sotto Panno 1465. (3) Manca al Litta. (4) Aragone Malaspina eletto vescovo di Sarzana dall’ antipapa Benedetto XIII. Ved. Gerini voi. II pagg. 197-98. (5) Federigo III. Il Gerini erroneamente riporta questo fatto all’anno 1452. < — 6c>3 — credo che facese meser Jovanni fiolo de maestro Berto-lomè medico de Noceto. Del mexe de aprile 1469 è morta Ixabela sorela del soprescrito meser Antonio: era de 25 ani. A’ dì 17 d’agosto 1469 è morto meser Azolino marchexe de Traschieto: era vechio de 75 ani 0 cerca. E stato P ultimo de 5 frateli, ciò fono Arbrigo, Antonio, Dondazo, Galiazo e lui. De lui é remaxo 3 filii maschii e una femina (1). A’ dì 25 del dito mexe e mileximo è morto el vesco de Luna : avea nome Francesco (2). Era vechio de otanta ani e più : è morto a Pontremolo. A’ di 20 de otobre 1469 è morto mess. Fioramonte marchese da Vilafranca. Era vechio de 90 ani o cerca. E andava in zazara con li capeli bianchi corno neva (3). L’ ano de 1469 e intrante el 70, demorando qui in la cità de Sarzana per qualche mexi per buono riespeto, vidi in dela chiexa de santo Francesco tre bele sepolture. Quela de meser Castruzo luchexe, ed era senza mileximo. L’ altra quela del vescovo Bernabò marchexe Malaspina fata 1’ ano 1338. L’ altro de una dona marchionesa Malaspina nominata (4). A’ dì 15 marzo 1470 è morto Mochignano dela Penuza: era mio caro conpare, avea cerca de 90 ani. Dio li perdona. • (1) Il Litta è inesatto. (2) Era da Pietrasanta d Ila famiglia Manfredi, e canonico lucchese. Fu eletto vescovo da Giovanni XXIII il 6 marzo 1415 e confermato dal suo successore Martino V. Gli successe nella sede vescovile Anton Maria Parentucelli della famiglia di Niccolò V. (}) Manca.al Litta. (4) Questo terzo sepolcro non esiste più. — 604 — A’ di 4 de mazo 1470 è morto Landò dal Turano: era vechio e cativo. Fo cagione di grande descordia e rexia del paiexe, e era scumunicato per bole papale più volte (1). Dio, se à avuto contrizione in dela fin sua, li perdona. L’ ano de 1469, el marchexe Manfredo da Feletera e marchexe Erquelino da Margrà e li marchexi da Trascinò con loro seguaci e de parte Ghabelina, facevano guera con meser Cristiano marchexe de Bagnono e con sui seguaci di parte Guelfa. E el dito meser Cristiano piò Feleto e mise suxa la bandera de parte Guelfa, e facevan guera in questa forma; ma per la groseza deli homini da Feleto, la segnoria di Fiorenza volse che Feleto tornase a 1’ obidienza del dito Erculino a loro malgrato (2). Cominciò lo verno tenpori, e seguite grandi fredi e ghiace e neve. E poi intrato el 1470, cresete fredo de teribili venti e ghiace e neve, chè a’ dì 28 de marzo vene la neva grosa e in piani e monti e marina. E anco a’ dì 10 d’aprile nevò a l’arpe e ali monti intorno intorno: credo che andase fino in suli monti dela Speza. Credo che durò fino a’ dì 20 de aprile soprascrito, e poi se fece uno buono tenpo quaxi corno de stade; e a’ dì 8 de mazo nevò in su 1’ arpe e con fredo. L’ altro di fo fato buono tenpo; poi seguite el caudo, e me-giorando con grandisimo siuto (3), che sete fino a’ dì 4 de zugno che mai non piove coxa che tenperase; e (1) Ved. all’anno 1464. (2) Notizie ignote al Litta ed agli storici. (3) Asciutto. — 60) — alora piove dui dì asai aqua e racoverò parte dele coxe imposte (i). Como piaque a Dio, a’ dì 6 de settenbre 1470, a hore 14 in circha, Zoane Antonio Faye mio padre finite li soi zorni e rendè 1’ anima a Dio, el quale prego che per sua grazia li dia vita eterna. Morite de flusso e stete malato zorni 29 4- (1) Delle frutte attaccate, che cascavano pel soverchio asciuttore. Qui ricorre nel MS. la seguente nota: « A’ dì 13 dicembre 1704, giorno di sabato, si be-nedì la capela della nostra nuova fabrica et si cantò la messa sollene con molte altre; et il giorno suseguente ancora, come farano li giorni festivi e feriali per 1’ avenire, sino a tanto che sarà finita detta fabrica e nuoua Chiesa parocliiale ». DOCUMENTI DOCUMENTO I. Jacopo , figlio di scr Giovanni da Noceto permuta con Giovanni Antonio di Francesco da Faye tutti i possessi clic egli Jacopo comprò da Jacopo detto Sbarala di Falcinello posti nelle pertinenze di Falcinello in cambio di un pezzo di terra posta nelle pertinenze di Orturano. Nnomine Domini amen. Anno nativitatis eiusdem curente M.°cccclvij inditione quinta die viginti mensis septembris. Spectabilis et egregius vir dominus lacobus filius ser Iohannis de Noxeto per se et suos heredes dedit tradidit ex causa permutationis et cambij' permutavit Iohanni Antonio filius (sic) Francisci de Faye habitatori Gutule presenti et recipienti in cambium et permutationem, omnes domos, possessiones, terras campivas, vineatas, prativas et castaneatas, cultivas et incultas et eorum iura et actiones que et quas idem dominus Iacobus emit a Iacobo alias Sbarata de Falcinello positas et sitas in pertinentiis Falcinelli, de qua emptione constat manu ser Phelippi de Ponzano notarii publici. Ad habendum, tenendum et possidendum et quicquid sibi et suis heredibus deinceps perpetuo placuerit faciendum, cum omnibus et singulis que sunt intra confines dictarum domorum et possessionum ac bonorum predictorum, accessibus, egressibus et ingressibus suis usque in vias publicas et cum omnibus et singulis que dicte domus, possessiones et bona habent vel habere possunt super se vel supra se, intra se vel infra se, in integrum omnique iure usu et actione seu requisitione sibi ex eis vel pro eis aut ipsis bonis modo aliquo competente vel competituro. Et hoc specialiter et nominatim pro una pecia terre campive posite in pertinentiis Urturani in loco dicto in orto novo cui sunt confines infra et ab una Antonius de Levigio, et ab una canalis, et super idem diftus Iacobus. — -6o8 — Quam ipse Iohanncs Antonius e converso dedit et tradidit prefacto domino Iacobo in cambium et ex causa permutationis et cambii ad habendum, tenendum et possidendum et quicquid sibi et suis heredibus deinceps perpetuo placuerit faciendum cum omnibus et singulis que intra predictos continentur confines vel alios si qui forent veriores, accessibus, egressibus et ingressibus suis usque in via publicas, et cum omnibus et singulis que dicta res permutata habet super se vel supra, intra se vel infra se, in integrum omnique jure usu et actione seu requisitione sibi ex ea vel pro ea a....t (aut) ipsi rey modo aliquo pertinente. Qui dominus Iacobus et Iohannes Antonius et unusquisque ipsorum res et rem a se permutatas constituerunt se nomine alterius possidere donec unusquisque ipsorum rey vel rerum sibi permutatarum possessionem aceperit corporalem. Quam acipiendi suis propriis auctoritatibus deincepsque perpetuo retinendi sibi ad invicem licentiam dederunt atque contulerunt omnimodam. Promitentes dicte partes sibi ad invicem, solempnibus stipulationibus hinc inde intervenientibus, de cetero, de re vel rebus permutatis litem vel controversiam sibi non infere nec inferenti consentire, sed ipsas res sibi ad invicem, videlicet unus alteri, ab omni homine, collegio et alter alteri ab omni homine, collegio et universitate legiptime defendere et autorizare ac disbrigare. Et predictam permutationem et cambium et omnia et singula suprascripta perpetuo firma et rapta habere, tenere et observare et non contrafacere vel venire per se vel alios aliqua causa, ratione vel ingenio de jure vel de facto sub pena duplia valoris dictarum, rerum permutatarum, habita extimatione meliorationum que pro tempore plus fuerit, solempni stipulatione promissa. Qua soluta, vel non, rapta et firma maneant omnia et singula suprascripta. Item refficere et restituere sibi ad invicem omnia et singula dampna, expensas ac interesse litis etc. Pro quibus omnibus et singulis firmiter observandis et atendendis obligaverunt sibi ad invicem dicte partes onrnia eorum bonorum presentami et futurorum. Actum in Gutula in apoteca predicti Iohannis Antonii, presentibus Cesco condam Mathey de Nezana, Iampetro condam Antonii de Groppo et Buffello de Trascliieto, testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis. Insuper, quia pars prefacti domini Iacobi melior erat parte dicti Iohannis Antonii, promissit et convenit ipse Iohannes Antonius prefacto domino Iacobo pro eo meliori ducatos quinque. Ego Iohannes Iacobus filius Rolandi ex Manziis de Urturano publicus Imperiali auctoritate (notarius et) judex ordinarius predictis omnibus interfui et ea rogatus scripssi et publicavi. Et ea que super cassa et remissa ubi dicitur in loco etc. propria manu remissi, quia erore et non vicio omissam. Et similiter particulam que incipit insuper et finit ducatos quinque propria manu remissi tanquam erore et non vicio omissam. A tergo: C. permutationis inter dominum Jacobtim de Noxeto et Johannem Antonium de Gutula. DOCUMENTO II. Messer Pietro da Noceto dona alla Benedetta vedova lasciata dii padre suo Giovanni, tutti i beni da esso donatore posseduti nel territorio di Pontrcmoli, riservandosene 1* usufrutto per otto anni. N nomine Domini Amen. Anno a nativitate eiusdem millesimo quadringentesimo sexagesimo quinto, Indicione tertiadecima die vero vigesimo tcrcio mensis augusti secundum cursum et consuetudinem terrarum Tercerii Lunensis diocesis. Magnificus et generosus miles dominus Petrus olim domini Iohannis ex nobilibus de Noxeto, volens recognoscere bonam fidem, amore et dilectionem ac caritatem quam semper gessit et gerrit et habet erga se honestissima mulier domina Benedicta relicta uxor quondam dicti domini Iohannis, nec non benemerita et pia ac grata servitia ab eadem domina Benedicta recepta tam in adolescentia et tenera ettate ipsius domini Petri, quam in educando Iohanne ipsius domini Petri filio naturali, et in senectute olim ipsius Iohannis patris sui sustentanda et pie adiuvanda et etiam in aliis multiffariam modis, quos hic enumerare nimis longum esse dixit idem dominus Petrus et hic pro sufficienter expressis haberi voluit perinde ac si de eis specialiter et sigillatim facta fuisset mentio specialis, et quod eorum omissio presenti donationi nullatenus possit obesse, omni meliori, modo, via, iure ac forma quibus melius et validius potuit e potest, non vi, non dolo, non met, sed sponte et ex certa scientia, titulo et causa pure simplicis et irrevocabilis donationis inter vivos dedit, donavit et habere concessit iure proprio et in perpetuum dicte domine Benedicte relicte uxori quondam dicti domini Iohannis presenti et pro se et suis heredibus stipulanti recipienti et acceptanti, domum unam poxitam in terra Pontremuli in vicinia sancti Columbani cui sunt confines superius Magnificus dominus Antonius Marchio de Mulacio, inferius Ser Nicolaus de Campo, ante strata publica, retro flumen Maere. Item ortum unum positum in pertinendis Pontremuli loco dicto in Bordo vecchio cui sunt confines inferius et superius via, ab una Petrus Pelizarius. Item peciam unam terre vineate et olivate posita in dictis pertinendis loco dicto ala guardia cui sunt confines superius et ab una via, et ab alia heredes domini Bartolomei de Burburinis de Pontremulo. Et generaliter omnes et singulas dicti domini Petri domos , possessiones, terras cultas et incultas, nemora, silvas, ortos, vineas et bona alia queeunque inmobilia quas et que dictus dominus Petrus habet in terra et territorio, iurisdictione ac districtu Pontremuli dicte Lunensis diocesis, et villarum eiusdem sub quibuscumque vocabulis et confinibus denominentur, sint, et reperiri possint, et ad eundem dominum Petrum quovis iure spectent ct pertineant, seu spectare et — 6io — pertinere possint. Volens et mandans dictus dominus Petrus tot esse donationes et super donationibus tot fieri posse instrumenta simpliciter et de per se quot sunt res donate simpliciter e distinte. Ad habendum, tenendum, possidendum, utendum fruendum, pignorandum, locandum, dotis causa dandum et alienandum bona omnia et singula supradicta, et quicquid eidem domine Benedicte donatarie et suis heredidibus et successoribus deinceps placuerit perpetuo faciendum cum omnibus et singulis que intra dicta vocabula et suos confines quoscunque continentur et cum omnibus et singulis que dicte res sic donate habent intra se vel infra se vel super se in integrum omnique jure et actione dicto domino Petro pro dictis rebus aut ipsis rebus sic donatis modo aliquo pertinente cum accessibus egressibus et ingressibus suis usque in vias publicas. Quas quidem res et bona sic donatas et donata prefatus dominus Petrus se dicte domine Benedicte nomine et pro ea constituit tenere et posidere donec dicta domina Benedicta dictarum rerum et bonorum sic donatarum et donatorum possessionem acceperit corporalem, quam accipiendi propria auctoritate et retinendi deinceps dictus dominus Petrus dicte domine Benedicte licentiam, potestatem et auctoritatem omnimodam dedit atque contulit. Constituens etiam dictam dominam Benedictam procuratricem ut in rem suam pro possessione dictarum rerum et bonorum accipienda. Promittens prefatus dominus Petrus per se et suos heredes et successores predicte domine Benedicte presenti et pro se et suis heredibus et successoribus stipulanti, acceptanti et recipienti, de dictis rebus et bonis sic donatis ullo tempore litem aliquam vel controversiam non inferre dicte domine Benedicte aut eius heredibus, nec inferenti consentire, per se vel alios, sed res ipsas et bona sic donata eidem domine Benedicte et eius heredibus et successoribus ab omni homine, communi, collegio et universitate def-fendere, auctorizare et disbrigare omnibus suis sumptibus et interesse in omni foro ecclesiastico et seculari litis etc. Et insuper promissit prefatus dominus Petrus dicte domine Benedicte per se et suis heredibus stipulanti et recipienti et ita voluit et mandavit, quod si contigerit tempore aliquo per aliquem dicti domini Petri filium vel heredem quomodocumque aut qualitercunque de jure vel de facto vel quovis quesito collore veniri contra presentem donationem et contractum et contenta in eo vel aliquid contentorum, tunc et eo casu talis filius et heredes dicti domini Petri cadat e privatus sit ac cecidisse et privatus esse intelligatur et sit de omni jure et actione quod vel, quam in bonis et rebus predictis sic donatis, seu aliquo ipsorum quomodolibet, pretenderet sentiret seu etiam haberet. Inhabilitans exinde quencunque suum filium et heredem ad con-travencicnem presentis donacionis et contractus et contentorum in eo. Renun-cians etc. Hoc tamen aditto per factum expressum in presenti donacione, quod liceat eidem domino Petro gaudere et frui dictis rebus et bonis sic donatis et ex eis usum fructum percipere si sibi placuerit usque ad annos octo prope secuturos sine aliquo impedimento. Et quod si contingat dictam dominam Benedictam mori sine filiis masculis ex se natis, tunc et eo casu dicta bona in presenti donacione conprensa et contenta revertantur ad prefatum dominum Petrum, et ipso defuncto, ad 'Nicolaum et Iohannem eius filios pro dimidia, et pro alia dimidia sint et esse debeant Ecclesie et conventus Sancti Francisci ordinis minorum de Pontremulo. Quanquidem donacionem et omnia et singula supra et infra scripta, dictus dominus Petrum per se et suos heredes et successores promissit, convenit et corporaliter manu tactis scripturis juravit ad ’sancta Dei evangelia ipsi domine Benedicte pro se et suis heredibus stipulanti et recipienti, se se perpetuo ratta firma et grata habere et tenere facere et observare, et contra ea vel aliquid eorum directe vel indirecte minime facere, dicere vel venire per se vel alium seu alios aliqua racione, causa vel ingenio de jure vel de facto sub obligatione et ipotheca omnium suorum bonorum et sub pena ducatorum ducentorom applicandorum pro dimidia rpsi domine Benedicte e pro alia dimidia Camere dominorum Marchionum de Bagnono super premissis in quolibet articulo et particula presenti contractus cum refectione damnorum er expensarum ac interesse litis etc. Que pena tociens comittatur et exigi possit cum effectu, quociens contra predicta vel aliquid predictorum factum vel ventum fuerit de jure vel de facto. Qua pena soluta vel non, nihilominus presens donacio et omnia et siugula su-pradicta perpetuo firma sint et illexa perdurent. Cui quidem donacioni et omnibus et singulis suprascriptis egregius vir Ser Iohannes Antonius de Sartis de Bagnono potestas et Iudex terre Bagnoni et districtus pro Magnificis dominis dominis Marchionibus de Bagnono dominis dicte terre et discrictus, sedens pro-tribunali ad suum solitum banchum luris situm in Burgo Gutule ante domum Iacobini patris sui, cum plena cause cognicione, suam et communis Bagnoni auctoritatem interposuit, pariter et decretum, et ipsam donacionem et omnia et singula in ea contenta sui decreti et autoritatis robore insinuavit et confirmavit, ac insinuat et confirmat; de quibus omnibus et singulis dicte partes voluerunt et rogaverunt per me notarium infrascriptum pubblicum confici instrumentum unum et plura ad dictamen sapientis facti (sic) substantia non mutata. Actum in Burgo Gutule ad Banchum luris situm ante domum lacopini olim magistri Simonis de Gutula, coram suprascripto Ser Iohanne Antonio potestate antedicto, presentibus dicto Iacobino, Bertolomeo filio qm. Iohannis de Panicho: Antonio dicto Belforte, Bernabove filio q. Raynaldi et Iohanneantonio de Fayeis omnibus de Bagnono, testibus ad predicta notis idonei et specialiter vocatis et rogati. Ego Augustinus de Barberiis filius q. domini Antonii de Burgo novo franco comitatus Papie, pubblicus imperiali auctoritate notarius ac de collegio et matricula notariorum civitatis Papie, predictis omnibus et singulis interfui et rogatus traddidi, scripsi et subscripsi cum apostilla que dicit ipsi domine Benedicte et pro alia dimidia supra lineam quadrageximam incipiendo connumerare a prima linea in nomine domini Amen, et descendendo inferius usque ad XL.am lineam quam postillam non vicio sed errore obmisam. Signum quoque mei tabellio-natus consuetum apposui in fidem ac omnium premissorum testimonium. Atti Soc. Lig. St. Patsia, Voi. X, Fase. IV 41 — 612 — A tergo: Instrumentum donacionis factc per magnificum et generosum militem dominum Petrum de Noxeto spectabili domine Benedicte relicte uxori quondam domini Iohannis. DOCUMENTO III. Agostino Girardi di Treviso, procuratore di messer Antonio da Noceto rinunzia por lui alla tutela legittima di Giovanni figlio minore del defunto messer Pietro da Noceto, chiedendo al podestà di Bagnone che sieno nominati tutori e amministratori del medesimo, maestro Bartolomeo, da Noceto, ser Giovanni da Villafranca, Bernabò d’ Agnesina e Tono d’ Avanzino. n nomine Domini amen. Anno a nativitate eiusdem domini millesimo quatricentesimo sexagessimo octavo, indictionc prima, die vero vigessimonono menssis decembris in loco Gutelle burgi Ba-gnoni, videlicet ad Banchum juris et ubi jura redduntur per infra-scriptum dominum potestatem ibique in presentia nobillis et egregii viri domini Steffani de Dalfinellis honorabilis potestatis terre Bagnoni et eius districtus pro magnificis dominis dominis Christiano et eius fratribus mar-chionibus Mallaspina et dominis predicti loci Bagnoni pro tribunali sedentis super eius solito et iuridico Bancho, constitutus Augustinus Girardi de Tri-vixio procurator et procuratorio nomine magnifici domini Antonii de Noxeto texaurarii sanctissimi domini domini nostri pape, prout de ipsa carta procure constat et apparet per instrumentum publicum rogatum per Ser An-selmum condam Nini de Baschio notarium et civem Viterbienssem anno et die in illo contentis, quod instrumentum dictus Augustinus exhibuit et produxit coram prefacto domino potestate. Qui Augustinus dicto procuratorio nomine prefacti domini Antonii allegavit et expossuit prefacto domino potestati, quod Johannes filius quondam Petri de Noxeto minor annorum quatuordecim, caret et indiget tutore, et quod tutella et administratio dicti Johannis et eius bonorum est ad prefactum dominum Antonium devolluta et ad ipsum dominum Antonium spectat et pertinet, tanquam patruum et proximiorem dicti Johannis ; quod prefactus dominus Antonius est absens a partibus istis et occupatus est in serviciis et negotiis sanctissimi domini domini nostri pape in partibus patrimonii, itaquod non vallet comparere ad capiendum honus dicte tutelle. Idcirco dictus Augustinus tanquam procurator et procuratorio nomine prefacti domini Antonii et ad hoc specialiter constitutus per prefactum dominum Antonium, prout apparet ex carta procure de qua sopra, petit et requirit nomine prefacti domini Antonii per prefactum dominum potestatem provideri predicto Johanni — 6i3 — minori ut supra et eius bonis de legiptimis tutoribus et administratoribus, et maxime de eximio artium et medicine doctore domino magistro Bertollameo de Noxeto, Ser Johanne de Villafrancha filius quondam Pasquini, domino Berna-bove de Agnexina et de Tono Avancini de Bagnono. Quos predictos nominatos et quenlibet ipsorum in solidum petit et requirit idem Augustinus procuratorio nomine prefacti domini Antonii, per prefactum dominum potestatem, dari et decerni in tutores et legiptimos administratores persone et bonorum dicti Johannis minoris ut supra in forma juri valida, et quod ipsos et quenlibet ipsorum faciat obligari in forma debita et promittere et facere omnia ea que sunt de iure in predictis et circha predicta fienda. Qui dominus potestas pro tribunalli sedens ut supra, prius visa'et audita requisitione predicti Augustini procuratoris prefacti domini Antonii, omni melliori jure, via, modo et forma quibus magis meilius et vallidius potuit et potest de iure, predictos dominum magistrum Bertollameum, Ser Johannem, dominum Bernabovem et Thonutn et quemlibet ipsorum in solidum ante presentiam ipsius domini potestatis personaliter constitutos, suprascripto Johanni minori ut supra tutores et legiptimos administratores et deffensores, decrevit, constituit, creavit et ordinavit ac facit, constituit, creat et solempniter ordinat. Qui magister Bertollameus, Ser Johannes, dominus Bernabos et Thonus omnes tutores utsupra constituti, promisserunt et convenerunt ac promittunt et conveniunt prefacto domino potestati et mihi notario infrascripto vellut persone publice stipulanti et recipienti nomine et vice dicti Johannis minoris, et omnium et singuliorum quorum interest seu intererit in futurum, ac iuraverunt et iurant ad sancta Dei evangellia manibus eorum corporaliter tactis scripturis in manibus prelacti domini potestatis, ipsi Johanni minori utsupra utillia facere et inutillia pretermitere, ipsiusque Johannis minoris res , personam et bona, iura et actiones bene, dilligenter, legaliter bona fide, sine fraude vel dolio custodire, deffendere, salvare similiter et administrare, et inventarium secundum iuris ordinem de rebus et bonis ipsius Johannis minoris conficere, et res, bona et iura ipsius Johannis minoris salvas et salva facere , ractionemque administrationis suo tempore debito reddere, cum integra residuorum restitutione, salvo eo semper quod uti valleant veritate et predicta omnia et singulla promisserunt et convenerunt ac promittunt et conveniunt facere et adinplere predicti tutores, et quilibet ipsorum in solidnm, sub omnium et singuliorum bonorum ipsorum ypotheca et obligatione. Quorum quidem magistri Bertollamei, Ser Johannis, domini Bernabovis, et Thoni tutorum utsupra constitutorum precibus et mandatis, Bertonus dictus Malleingamba, filius quondam Antonii habitator Bagnoni, extitit fideiussor in omnibus et singulis supra-scriptis, et promissit et convenit ac promittit et convenit michi notario infrascripto stipulanti et recipienti nomine et vice suprascripti Johannis minoris ac omnium et singulorum quorum interest seu intererit in futurum, se ipsum Ber-tonum facturum, curaturum et operam cum effecto daturum quod suprascripti tutores iure de principali suprascripta omnia et singulla per cos promissa at- — 614 — tendent et observabunt sub ypotheca et obligatione omnium bonorum suoruni presentium et futurorum. Renuntiantes etc. Et insuper, prefactus dominus potestas pro tribunalli sedens ut supra, prcdictis omnibus et singullis et actui pre- dicto.....cum plena cause cognitione, suam et communis Bagnoni interpossuit auctoritatem pariterque decretum pro iuridica validitate. Et inde de predietts omnibus et singullis, singulla singullis congrue et debite refferendo, prefactus dominus potestas pro tribunalli sedens hanc cartam michi fieri iussit : dictique magister Bertolameus, Ser Johannes, dominus Bernabos et Tonus tutores ac su-prascriptus Bertonus fideiussor et quilibet ipsorum singulla singullis congrue refferendo eam fieri rogaverunt, presentibus pro testibus Johanne Pelloxio filio condam Petrazolli, Johanneandrea de la Nazana filio Ceselli et Bernardo dicto Bragha de Urturano filio Landi. Inde testibus. Ego Petrus de Angleria, fillius condam domini Johannis, publicus Imperii in> periallique auctoritate notarius ac potestas et notarius Malgrati et (Tres)cliieti Lunensis diocessis, hanc cartam michi fieri jussam rogatus traddidi, scripsi et subscripsi cum appositione mei sol liti tabellionatus signi. A tergo: Instrumentum tutelle Johannis condam magnifici domini Petri de Noxeto. DOCUMENTO IV. I fratelli Cristiano, Eduardo, Carlo, Pino c Giorgio detto Battaglino, figli del fu marchese Giorgio Malaspina di Bagnone vendono al prete Geronimo di Giovanni di Bernardino da Noceto , che stipula a nome di messer Antonio da Noceto , una casa posta presso il castello di essi venditori. n nomine Domini amen. Anno nativitatis eiusdem curente M.°cccc.°, setuagessimo indicione tercia, die vero vigessima sexta mensis novenbris. Magnifici et generosi domini domini Cristianus, Odo-vardus, Krolus, Pinus et Georgius, aliter Bataglinus, fratres et filius (sic) recolende memorie olim magnifici domini Georgii marchionis Malaspina, marchiones generales Bagnoni de Bagnono, per se suosque heredes et successores dederunt, vendiderunt et tradiderunt iure proprio et in perpetuum venerabilli viro domino presbitero Geronimo filio Johannis Bernardini de Noxeto de Bagnono, ibidem presenti, ementi et recipienti nomine et vice magnifici militis domini Antoni filius domini Johannis ex nobilibus de Noxeto de Bagnono absentis et ipsius heredum, domum unam positam impodio Bagnoni, planeis copertam, iuxta ipsorum dominorum venditorum castrum, cui tales dixerunt esse confines. Videlicet ab una vie per quam intratur castrum ipsorum dominorum venditorum, ab alia heredum Bertholomei de Panicho de Bagnono et ab alia vie per quam itur extra castrum, melius extra portam superiorem de Bagnono. Ad habendum, tenendum et possidendum et quidquid ) — 6x5 — ipsi emptori dicto nomine et ipsius heredibus deinceps perpetuo placuerit faciendum. Cum omnibus et singulis que infra predictos continentur confines vel alios, si qui fuerint plures et veriores. Cum accessibus, ingressibus et egressibus suis usque in vias pubblicas, et cum omnibus et singulis que dicta domus vendita habet super se seu intra se, vel infra se, omnique iure, usu, acione seu requisitione sibi ex ipsa domo vendita aut ipsi domui modo aliquo pertinente, pro precio et nomine precii ducatorum sexaginta auri boni et iusti ponderis et in auro tantum. Quod precium prefati domini venditores sponte confessi fuerunt taciti et contenti habuisse et recepisse ac sibi integre datum solutum et numeratum fuisse et esse a predicto emptore presente ibidem, exceptioni sibi non dati, non soluti et non numerati dicti precii omnique ali legum et statutorum beneficio et auxilio sponte renunptians et omnino. Quam domum venditam ipsi venditores se dicti emptoris nomine precario constituerunt possidere, donec ipsius domus emptor ipse suprascriptus nomine quos (sic) possessionem acceperit corporallem. Quam accipiendi sua auctoritate et retinendi deinceps eidem emptori ipsi venditores licentiam dederunt et dant omnimodam, promittentes prefati domini venditores per se et eorum heredes et successores predicto emptori sollepniter stipulanti pro se et heredibus suis nomine antedicto, non inferre deinceps ullo tempore littem ullam vel controversiam ipsi emptori nec dictis eius heredibus de dicta domo vendita, nec de aliqua parte ipsius, oc-caxione minoris precii dimidio iusti, nec alia quavis occaxione, nec inferenti vel inferentibus consentire, sed potius ipsam domum venditam ipsi emptori et eius heredibus recipienti ut supra tam improprietate quam in possessione ei ab omni homine, communi, collegio, capitulo et universitate legiptime defendere auto-rizare et disbligare. Donantes prefati domini venditores ipsi emptori stipulanti et recipienti nomine quo supra, pure, simpliciter et inrevocabiliter inter vivos, omne et id totum quod dicta domus vendita valet plus dicto precio. Ac promittentes ei sollepniter per se et ipsorum heredes et successores predictam venditionem, traditionem et donationem at omnia et singula suprascripta et infra-scripta perpetuo firma et rapta habere et tenere et non contrafcere vel venire per se vel per alium sive alios aliqua ratione causa vel ingenio de iure vel de facto, sub pena dupli dicti precii, stipulatione sollepni sollepniter premissa, per ipsos venditores per se et heredes suos ipsi emptori stipulanti ut supra, si per ipsos venditores vel eorum heredes aut successores fuerint in aliquo contra-factum vel non observatum. Qua pena soluta vel non, nichilominus et firma perpetuo stent omnia et singula suprascripta. Item refficere et restituere ei omnia et singula dampna et expensas ac interesse littis. Pro quibus omnibus et singulis firmiter attendendis et observandis, obligaverunt prefati domini venditores ipsi emptori recipienti ut supra omnia ipsorum bona presentia et futura. Insuper, quia prefactus dominus Bataglinus minor est annorum XXV et maior XXII, iuravit inmediate in manibus mei notarii intrascripti deferentis more minorum non contrafaccre vel venire suprascripte venditioni aut traditioni vel do- — 616 — nationi, nec inferenti vel inferentibus consentire, sub pena periurii ctc. Rogantes me notarium infrascriptum prefati contrahentes de predictis semper quod erit expediens conficere instrumentum unum et plura ad laudem sapientis, substantia non mutata. Actum in castro Bagnoni diocesis Lunensis in saleta iuxta ignem, presentibus venerabille viro domino presbitero Antonio filius Bertolomei de Panicho de Bagnono rectore ecclesie Sancti Nicolai de Bagnono, nec non Leone filius supra-scripti Bertholomei de Panicho fratre suprascripti presbiteri et Johane Andrea filius Ceselli de Nezana, testibus notis, habitis et rogatis. Ego Stephanus filius Ser Iohannissimonis de Delfinel de Fillateria publicus Imperiali auctoritate notarius ac iudex ordinarius, suprascripte venditioni et contentis in ea dum sic agerentur et fierent, presens fui, et rogatus scribere scripsi et pubblicavi, et in fidem premissorum omnium me meis nomine et signo so-iitis et consuetis apposui. DOCUMENTO V. Lettera di messer Antonio di Noceto al Consiglio generale di Pontremoli per ottenere la esenzione dalla gabella dei generi che per uso proprio estraeva dalla terra e distretto di Pontremoli. (È tolta dalla copia autentica della deliberazione del Consiglio con la quale si accordava la domandata esenzione). iÀ più anni sonno, perchè teniva il luoco tengano meritamenti vostre spectabilità, fu concesso a’ miei fratelli messere Petro e messere Jacomo exemptione da ogni graveza personale, cum facultà de potere continuamente trare fuori de Pontremulo ogni quantità de qualunche maneria di roba per uso di casa nostra senza pagamento di datio o gabella. E benché in vita de’ dicti mei fratelli loro, et post mortem eorum eo habi continuamente goduto et usato el beneficio de dicta exemptione e facultà di trare fuori senza gabella, nientedimeno afine che diete concessioni non possino per alcun tempo essere retractate o revocate in dubio, maxime per la morte del spectabile domino Jacomo Pelliciari quale ne fo rogato, prego vostre spectabilità che, attenta 1’ affectione mia verso co-tcsta vostra terra e borgesi de essa, se contentino di nuovo farmi in persona mia e de’ miei heredi dicta exemptione da graveza personale, cum dieta facultà de potere trare fuori di Pontremolo ogni quantità e qualità di roba per uso de mia familia a casa senza veruno pagamento di datio o gabella, la qual cosa mi reputerò a non picolo piacere da vostre spectabilità, e forzaromi usarne verso cotesta terra tale gratitudine, clic vostre spectabilità non haverano mai a pentirse de haverme in questo compiazuto. Racomandomi a vostre spectabilità. Bagnoni XXIIJ Julli 1475. Deditissimus Antonius Noxetus Eques. Di fuori: Spectatissimis viris dominis Consiliariis Universitatis Pontremuli dominis meis hon. etc. etc. * — 617 — DOCUMENTO VI. Privilegio J’ esenzione data dalla Repubblica di Genova a Pietro da Noceto e suoi discendenti, dove c fatta memoria della cittadinanza già concessagli. f MCCCCLIIII. die mi. Martii. llustris et cxcelsus dominus Petrus de Campofregoso Dei gratia Dux Januensium etc. at Magnificum Consilium dominorum antia- norum in plus numero congregati,...... Scientes multis anni decursis non sine singulari ratione in cives Janue recepisse et admisisse magnificum et prestantem militem dominum Petrum filium Johannis ex nobilibus de Nuceto et sacri palatii latera-nensis Comitem eiusque natos legitimos et illegitimos, natos et nascituros ex eo et eorum quorumlibet ac nepotes et pronepotes totamque eius descendenti posteritatem per infinita seculorum serie, etiam ac eidem Petro eiusque natis et omnibus eius descendentibus ut supra concessisse illos honores, dignitates immunitates gratias privilegia et emolumenta quibus cives originaris januenses utuntur, fruentur et gaudent vel unquam melius gavisi sunt vel gaudere et finis poterunt in futurum tam personis quam rebus in pecuniis vel bonis mobilibus et immobilibus ac iuribus quibusqumque.....ut de his omnibus constat publico documento scripto manu viri egregii Jacobi de Bra-cellis cancellarii MCCCCXXXXVII die secunda junii quod civilitatis privilegium et omnia et singula in eo contenta in quantum expediat in omnibus suis articulis confirmaverunt, nihilque ex eo demptum esse voluerunt.. . Non ignari quanta sit illius magnifici viri auctoritas et prudentia quotque iam diu sint fue-rintque sue in rempublicam ianuensem devotionis exempla, ita ut plura fere ab eo facta sint ad dignitatem utilitatemque ianuensis civitatis quam que desyderata sint nunquamque fessus visus sit, ubi dignitati genuensis nominis reique publice utilitati subvenire opitularique potuerit. Existimantes dignum fore in eum aliquod munus officiumque liberalitatis conferre, ex quo intelligere possit benemeritis eius aliquo liberaliori gratitudinis exemplo responderi, et ut satisfiat naturali rationi disponenti benefacienti benefaciendum esse: ut ceteros eodem exemplo ad pre-standa officia reipublice genuensi alliciant. maturo examine perhabito, motu proprio ex certa scientia et de plenitudine potestatis, . . . ipsium magnificum dominum Petrum eiusque liberos et procreandos et quemlibet eorum per omnes series seculorum usque in infinitum, fecerunt et faciunt immunem, exemptum, liberum et francum, immunes, exemptos, liberos et francos ab omnibus avariis, mutuis, collectis, cotumis, exactionibus, angariis et oneribus quibusqumque, et tam ordinariis quam extraordinariis Comunis Janue quomodocumque et qua-literqumque de cetero imponendis ... Ac etiam fecerunt et faciunt eumdem — 61S — dominum Petrum et eius liberos ac descendentes masculos per lineam masculinam usque in infinitum ut supra immuncm et .francum i nini unes et francos ab omnibus cabellis et introitibus excelsu communis Janne ct seu comperarum sancti Georgi, Capituli, vel aliarum comperarum Communis Janue, et hoc pro victu et vestitu suo et familie sue, ac etiam pro victu et vestitu liberorum et descendentium suorum per lineam masculinam et familiarum omnium pre-dictarum in perpetuum, et etiam pro una domo in civitate Janue et pro una alia in rure..... (Segue la convalidaiione del privilegio per parte dell’ Ufficio di Moneta, dei Protettori di S. Giorgio e di quelli delle Compere del Capitolo). . ................................— —«—. ! TRE CANTARI DEI SECOLI XV E XVI CONCERNENTI FATTI DI STORIA GENOVESE RIPUBBLICATI DAL SOCIO CORNELIO DESIMONI lle cronachette inedite pubblicate in questo volume reputammo opportuno aggiùngere alcune poesie aneli’ esse ignote o quasi; e aneli’ esse spettanti alla storia di Genova ; sebbene ne tocchino a modo loro, o raggirandosi intorno ad un fatto speciale o più del fatto cercando rendere le passioni che il fatto stesso destava nel pubblico. Se nelle cronachette non bisogna cercare la lingua né lo stile, ciò non si può aspettare nemmeno in queste poesie fatte per lo più da uomini del popolo o almeno pel popolino. Ciò non ostante non mancano di pregio specialmente pel colore contemporaneo, per quella vita di passioni, sotto cui ci pare sentir battere il polso e il cuore dell’ udienza agitata dal cantore. — 622 — Il popolo difatti ha sempre avuto i suoi poeti ; talora severi, più spesso piacevoli, invasi essi stessi dalla corrente elettrica contemporanea, oppure adulatori del popolo e riscalducciati dalla moneta degli immancabili mestatori. Senza risalire ai tempi più antichi, già nel medio evo i così detti Cantari attraevano sulle pubbliche piazze la folla a udir narrare fatti di storia sacra, romanze di amore e di cavalleria, ed anche freschi avvenimenti di vittorie patrie, di lutti cittadini, di meravigliose scoperte. Il eh. Alessandro d’Ancona ha illustrato colle fonti storiche un bellissimo costume dell’antico Comune di Perugia di stipendiare del pubblico danaro un capace cantorino; forse dapprima adoperato soltanto al piacere della Signoria e pei ricevimenti degli ambasciatori, ma poscia democraticamente mandato sulle piazze a solaz-zare il popolo. Anche il eh. prof. Raffaele Fornaciari ha illustrato sotto questo rispetto Antonio Pucci Banditore di Firenze nel XIV secolo, fecondo compositore di simili cantari, ghiribizzi e poesie popolari ; e da codeste erudite Memorie apprendiamo che 1’ uso di Perugia dovea essere pure comune ad altre città, a Pisa e specialmente a Firenze, dove si vedono succedere l’una all’altra due elezioni almeno di stipendiati del pubblico perché piacevoli parlatori, il Gello e il Salimbcne. Ed invero coi costumi d’allora casalinghi, ameni e un po’ mordenti quali li descrive il Boccaccio, il banditore'pubblico è naturale che fosse scelto con qualche vena di poesia o pizzico di singolarità; e che sapesse simili doti usare comunicando i bandi della Signoria e le notizie della giornata a sapersi. Come difatti abbiam trovato noi stessi in più d’una delle nostre campagne ove si legge poco e il tempo non c da- — 623 — naro simili capi ameni, di padre in figlio, preceduti da un suono poco armonico di trombetta, dopo la messa, distendere in una torma tutta loro propria gli ordini dell’ Illustrissimo signor Sindaco e il contenuto delle leggi e decreti dinanzi al popolo che gli facea corona (1). Della nostra Genova nulla sappiamo di simile in antico ; vi ha però un bel codice di poesie, membranaceo, conservatoci per rara ventura dagli egregi avvocati Matteo ed Ambrogio padre e figlio Molfino e da loro posto liberalmente allo studio degli amatori. Il quale codice nel patrio dialetto canta insieme colle cose religiose e di costumi le splendide vittorie de’ Genovesi contro i Pisani ed i Veneti, e la funesta scissione in Guelfi e Ghibellini che assiderava la virtù della infelice patria; cose tutte avvenute al tempo di quell’ anonimo Poeta sulla fine del XIII e principio del XIV secolo. La grande, la maravigliosa scoperta dell’ America, fatta dal nostro concittadino Colombo fu cantata quasi contemporaneamente dal fiorentino Giuliano Dati, il quale verso il 1493 pose in ottava rima la lettera stessa che narra il fatto e che dallo scopritore fu inviata prima d’aver compiuto il viaggio ai Ministri del Re di Spagna (2). Sullo scorcio di questo stesso secolo XV l’arte della (1) D’Ancona, Musica e Poesia nell’antico Comune di Perugia, nella Nuova Antologia serie I, voi. XXIX, a. 1875, pag. 55; Forxaciari, Il poemetto popolare italiano del secolo XIV e Antonio Pucci, 1876; Ibid., serie II, voi. I, pag. 5 e seg. Neri, La gran magnificenza del prete Janni, poemetto di Giuliano Dati, nel Periodico di Bologna II Propugnatore, IX. 1876, pag. 138 e seg., e ivi indicate le stampe e i titoli degli altri poemetti del Dati. (2) Pel Cod. Molfino ved. l'Archivio Storico Italiano, Appendice IV. 1847, e più compiutamente VAhhivio Glottologico Italiano, voi. II, parte II, 1875, specialmente a pag. 221, 223. della stampa andava sempre più generalizzandosi ; perciò con questa poesia della scoperta d’America incominciano le impressioni di quei fogli in quarto piccolo, di quattro carte o poco più, che in termine tecnico francese, ma adottato anche fuori, si dicono plaquettes; unitevi incisioni in legno più o meno belle, più o meno allusive ai fatti narrati, o a generali soggetti religiosi, YEcce homo, la Crocifissione, ecc., i quali ultimi si applicavano anche a più e diverse stampe e giovano talora a distinguere 1’ anonimo tipografo. Del predetto Giuliano Dati abbiamo altre poesie e stampe contemporanee ricordate dall’ egregio amico nostro Achille Neri nella recente riproduzione da lui fatta di una di esse, La Magnificenza del Prete Janni. La forma di simili poesie, l’invocazione dopo Dio che si suol fare agli uditori o in principio o sulla fine, dimostrano che esse erano destinate a cantarsi in pubblico: come con acconci esempi chiarirono i sovralodati D’Ancona, Fornaciari e Neri, e come in questi stessi Atti della Società ci comunicò per mezzo del eh. Giuliani, il compianto nostro amico comm. Domenico Promis (i). Dalle ricerche de’ quali chiari uomini risulta che simili stampe facevano 1’ uffizio delle nostre gazzette, allorché narravano fatti contemporanei ; e che se ne faceva l’impressione secondo le occasioni in più copie, in diversi luoghi o in diverse tirature in uno stesso luogo, e in uno stesso anno; per essere distribuite agli uditori stessi dopo cantate o altrimenti vendute al pubblico. Scnonché il tenersene poco conto nelle famiglie dopo la lettura o (i) Atti della Società, voi. IX, pag. 340, 341-45; c per la Xilografia della Crocifissione: ibid. pag. 94, 344 c Neri, loc. c pagg. citate. — 625 — forse invece il loro consumarsi pel lungo uso di una in altra generazione fece sì che tali stampe sono ora divenute rarissime e tengonsi in gran pregio dagli amatori e dalle Biblioteche che hanno la ventura di trovarne. Avanti la invenzione della tipografìa il cantare si sarà preparato in più copie dai soliti amanuensi per distribuirlo per danaro a chi lo desiderava; ma un altro mezzo di pubblicità lo troviamo indicato nella poesia in dialetto genovese del XV secolo che qui sotto diamo ; il mezzo cioè di affiggerne una copia al muro in luogo cospicuo perché altri possa, non che leggerla, prenderne copia. Ed invero tale uso non può non esseire antichissimo come quello che è suggerito dalla natura stessa, ha servito sempre e serve per le pubblicazioni legali e per quelle che interessano 1’ universale; nè è raro che ancora oggidì i cantastorie affìggano al loro fianco una copia di quello che vanno mano mano narrando : perchè il pubblico meglio capisca e s’invogli a recarne un esemplare con sé. L’ arte di cotesti cantastorie non è finita e credo non finirà mai; sebbene ora dia piuttosto impaccio che piacere a chi abita presso tali ritrovi. Vittore Ugo nel romanzo Nò tre Dame ha dettato un capitolo al solito assai, ingegnoso per provare che l’invenzione della stampa, il libro sarà la morte della scultura 0 delle altre belle arti; ceci tuera cela. Se ciò fosse vero, lo sarebbe pel cantastorie ; giacché con uno o pochi soldi ciascuno può provvedersi quello di cui abbisogna sui muriamoli o direttamente alla stamperia. Eppure le belle arti continuano a esercitare il loro fascino presso i ricchi e i buongustai non solamente, ma e il popolo non si stanca — 626 — mai di contemplare 1’ imagine del Santo Patrono c de’ suoi compagni e i simboli che ne compongono la storia e la ponderosa macchina per recarlo in processione ; va beato pei colori vivi di rosso fiamma od azzurro , e per le movenze arrischiate che vi profonde il novello loro Michelangelo o Raffaello; e per pari ragione sente cantare e legge più volentieri che non Dante o Tasso, la bella Maghelona, Guerrino il meschino, Buovo d’An-tona, i Reali di Francia, Gelindo ed anche Bertoldo. E noi che abbiamo appunto da più di venti anni non dirò se la ventura o la sventura di abitare in una delle piazze più frequenti di popolo, udiamo ogni mattina da diversi cantastorie cantilene diverse, ma per ciascuno d’ essi le più volte uniformi ; alcune di tono severo e cupo come il loro cieco cantore, quasi la voce del fato prenunziata da Tiresia o da Cassandra, altre più gaie e moltiformi con voci miste di donna e di violino e col-l’intermezzo del cantor principale, che spigliato e di buon umore commenta e traduce in dialetto la strofa che si canterà: e intorno intorno un numero più o meno grande di uditori che all* entrare o all’ uscire di città si soffermano in costumi diversi, col cesto in capo o il sacco in collo, con visi in cui si dipinge il passaggio degli affetti destati dal cantastorie; non senza talora la presenza del tagliaborse, che quegli immemori di sé risveglierà frappoco a pensieri più malinconici. Queste idee ci vennero suggerite dal ricevere che facemmo, ha molti mesi, dal march. Gerolamo d’Adda alcune di tali poesie riguardanti la storia genovese; e perciò da quell’ illustre Membro Onorario liberalmente mandate o in copia o in originale alla Società Ligure — 627 — di Storia Patria. Due di esse e italiane sono in istampa senza data di luogo né di tempo, ma certamente non molto addentro del secolo XVI, aventi silografie relative al soggetto cantato, conforme agli usi tipografici di quel tempo. L’ altra' poesia é scritta in antico dialetto genovese misto d’italiano ; in versi che hanno la pretesa di essere ottonarii, sebbene non raro la sillaba manchi o sovrabbondi. Essa era inedita fin qui, e il lodato March. D’Adda la cavò da copia sincrona dell’ Archivio milanese di Stato, consenziente l’illustre Cesare Cantù Sopraintendente degli Archivi Lombardi. II. Cominciamo da questo manoscritto perché precede di tempo le due stampe, e perciò verrà più avanti pubblicato pel primo. Noi qui avremmo volontieri fornito alcuno schiarimento sui fatti, se non narrati, ivi accennati e sulla occasione di essa poesia; ma umilmente confessiamo non essercene potuti cavare con onore. Parlando in globo, si tratta di un poeta partigiano (e a quanto pare pagato dalla Corte ducale di Milano, giacché, come si disse, il ms. fu trovato colà), il quale dopo morto alcuno di que’ Duchi tenta persuadere i Genovesi a rimanere tranquilli, sotto la signoria della vedova e dei figli dell’ estinto, e a non dar retta alla parte contraria della città che preferisce i francesi. Il poeta si rivolge al popolo rammentandogli che sotto il Signore di Milano si godeva maggior pace e ben di Dio, e che le brighe de’ nobili non faranno che renderlo più povero. Al postutto si guardino bene questi che ma- Atti Soc. Lig. St. Patria, Voi. X. Fase. IV. 42 — 628 — neggiano il mestolo nelle cose pubbliche, che se non tratteranno meglio il popolo, si farà come già altre volte, s’insorgerà quando se ne sia ben ristucchi. Questo sugo del discorso, libello o checché altro sia, ognun vede che da per sé solo non determina molto il suo tempo; essendo stata piaga generale in Italia sempre (e Dio non voglia che sia tuttora) di scacciare chiodo con chiodo; ciò specialmente a Genova, dove la smania de’ rivolgimenti giunse a tale’, che vedemmo il cronista Faje energicamente protestare di non voler più registrarli perchè gli sarebbe mancato il papero, tanto essi erano numerosi ed effìmeri (i). Dunque a Genova allora Francesi e Ducheschi, e, cessati i Duchi di Milano, Francesi e Spagnuoli; poi Francesi e Austriaci e non so se l’andar oltre possa scottare. Il fatto nostro appartiene al periodo duchesco, ma a quale parte di esso? La questione parrebbe decisa da quello ex mense majo 1447 che sta scritto in fine della poesia; tanto più che appunto in quell’ anno morì il duca Filippo Maria Visconti; e, secondo una nota del Federici, Giano Fregoso che allora si fece doge di Genova par che entrasse nel porto con una galera di Provenza sotto l’ombra del Re di Francia; sapendosi inoltre che la Signoria genovese inviò ambasciatori al Re medesimo e al Duca d’Orleans ad annunziare quella morte. Ma in primo luogo Filippo Maria mori soltanto in agosto ; come dunque può conciliarsi la pretesa data ex mense maio dello stesso anno? In secondo luogo, e che è più, quel Duca morì senza lasciar vedova e figli, salvo la (1) 1Atti, voi. X, pag. 592. ' _629 — illegittima Bianca maritata al conte Francesco Sforza. Questi coniugi invero dopo tre anni giunsero ad assumere la corona ducale; ma sul principio non vi pareva possibilità di ottenerla, essendosi i Milanesi rivendicati a libertà proclamando la Repubblica Ambrosiana. Più probabile sarebbe il caso di correggere la ' data 1447 in 1467, essendo morto nel precedente anno Francesco Sforza, lasciando vedova la predetta consorte Bianca e i giovani figli, il cui primogenito Galeazzo successe nel Ducato a 22 anni. Allora Genova era veramente sotto la signoria milanese, mentre non vi era da più anni alla morte di Filippo Maria Visconti; trovandosi di tal guisa avverate tutte le condizioni di continuazione di signoria, dal morto Duca, nella vedova coi /annulli e coi viva al Duchetto. È vero perfino che la Signoria di Genova avendo inviato ambasciatori in quest’ anno al nuovo Duca, questi li ricevette poco cortesemente, come accenna oscuramente la poesia, e in altre vicine ambascerie si parla di novità temute in Italia (1). Veramente pare che a questi tempi i Francesi poco si curassero di Genova, essendo noto che quel re Luigi XI amava far tutto il contrario di Carlo VII suo padre, e a quei che gli voleano metter sott’ occhio la dedizione spontanea di Genova rispose bruscamente: I Genovesi si danno a me ed io li dò al diavolo. Ma ciò non farebbe grande ostacolo, riflettendo che i signori dell’ opposizione al Governo « (1) Per le notizie genovesi qui citate e poco note vedansi le Collettame del Federici agli anni 1446-7, 1466-7, e i Quaderni dello stesso che mano mano egli cita e che gli servirono di sostrato per comporre le .Collettame in ordine cronologico; Mss. nell’Archivio di Stato in Genova. Ved. inoltre gli ^Annali del Giustiniani a questi anni. — 630 — poteano lusingar sé od altri di ottener poi maggior favore presso quel Re e ad ogni modo d’intorbidar l’acqua per venir sopra essi stessi. Ciò dunque che più m’indubbia e mi confonde nel preferire 1’ uno o 1’ altro periodo sono i nomi delle persone citate nella poesia, le quali avendo autorità a quel tempo di fare e disfare dovrebbero anche aver lasciata traccia di sé nell’ istoria. Già m’imbroglia quel nome di Can-diotto dato al partito francese, se pur non indicava i cittadini amici dei Veneziani signori di Candia; i quali Veneziani erano pure amici costanti e naturali de’ Francesi , per odio e timore d’oltrapotenza de’ Duchi finitimi. Né la cosa va meglio pei nomi delle singole persone Simone, Lazzaro, Gerolamo, Paolino, Giambattista, Da-gnano (Damiano), omonimi da incontrarsi a ogni piè sospinto: come abbiamo e nel 1447 enei 1467 Lazzaro D’Oria il grave diplomatico, e Lazzaro de’ Vivaldi; Damiano Pallavicini e Damiano Castagna, Paolo D’Oria 0 Paolo Giustiniano, Simone De Marini, Simone Lercaro e altri omonimi Di Negrone e Di Morteo, ecc. Nemmeno ci giova il cognome del traditore «_Assaiino, certamente genovese, ma di cui non trovo ombra ne’ documenti e pandette avanti al secolo XVI. Se pur non è corso errore nel trascrivere il cognome Assereto, la quale famiglia si sa come siasi rilevata dal comune con Biagio il vincitore della battaglia di Ponza nel 1435; c un di cui membro Jacopo Assereto appunto nel 1466-67 fece parte con Lazzaro D’Oria della ambascieria inviata a Galeazzo Sforza. Di Riccardino Zoca nulla possiamo inferire se non forse che il suo cognome accenna a famiglia savonese. — 631 — Oh ! chi saranno quei primi agitatori che la poesia adombra coi sopranomi di arumentaro (spazzaturaio) e di barilaro (bottaio), i quali faranno V insera (daranno cominciamento) gridando viva il popolo? (il che ricorda il celebre : che l’inse? del Balilla). E chi può essere quel Joani Andrea che mostrò la via a non lasciarsi subiu-gare ? Avremmo piuttosto anche nel secolo XV un Gian Luigi (Fieschi); ma di Gio: Andrea non conosciamo alcuno prima del famoso ammiraglio D’Oria della fine del secolo XVI e principio del seguente. Pare impossibile che di tutti questi elementi non se ne trovi alcuno da appiccicare, con qualche probabilità almeno, al nostro caso. Finisce la poesia augurando che vadano a Palazzo gli scosali (i grembiali) a governare, chè il popolo ad agio starà — Chi mi legge, mi lassa stare acciò possa essere esemplata — Viva (5 volte) il nostro Duchetto. Mora (4 volte) i nostri Candiotti. III. Passiamo alle due stampe o plaquettes. Le quali sono entrambe senza data d’anno, di luogo e di stampatore, ma certo sono state fatte dal più al meno fra il 1522 e il 1530 in Genova 0 in Savona: se in Savona dal Berruerio probabilmente, se in Genova forse dal Porro o dal Belloni 0 dal Berruerio stesso il cui antecessore Silva sappiamo che intendeva di stabilire anche qui tipografia (1). Entrambe sono poesie che cantano, 1’una il Lamento di Genova, presaga della propria decadenza; % (1) el nobile Hndrea ©0210 ba rotta (armata t>l Tftapolijequale erano tra galere/nrt^bcrgani, s bar* ebeninnerò nntiquatro^o rintifei armate con mol ti foldati e grofft artigliarla, ? altre cole che fanno meftieri,come!egédointenderete. Adesso che e poco dafaie Siando la tera desavia (i) Per solazo ve volio dire Zio che debe intervenire. Lasserò stare el Signore (2) Che dio lo habia receptato E cum li soy sancti labia posto Unda li staga agrando honore. Melio per ti populo menuto Che fusse vivo e in bon stato Perche saresti acharezato Da chi adesso te vede malvoluntera. Lo populo crida e miano sa Ciaschauno dice voria lo bene Pare in Galea de Chatelani 1 Tanto se lassa subiugare. — 642 — In ogni rivera malcontenti Perché non ponno navigare Gie stato cavato fin alacoradella Da quisti cavadori da denti. Se credeveno li nostri mazori Dare lege a milano Parendogie lo stato in mane De una femina e de fanzulli (3). Anno mandato ambasadori Che sono tornati cum niente in mano Como già feci quello dagnano Cosi hanno facto traitoria. Sichè, populo mio zenovexo, Guardate bene e non te lassare Dali candioti consciliare Che desiderano stato franzoso. Ma metto mano fra questo mezo Ali traditori che ugnuno el sa Ciascheduno contento sara Che mora lo traditore Azalino. Cum lo zoca ricardino Symon, Geronimo e lazaro Ma non te adomentichare Johanbatista cum paulino. Or gie ne de li altri asay Come ciascuno vede et sa Ma quando el tempo sera Sarano tuti inlistadi (4). — 643 — Pero gentilhomeni pessimi Sapiative ben consciliare E li poveri acharezare Che te adorerano corno dio. Ma se tu camini per lo passato Tignando le tacole da campanino Butarano fora lo venino Che te parira atosegato. Insera (5) fara un arumentaro Che viva populo cridara Ogni homo lo seguitara Como altra volta lo barilaro. Se pur così non seguitara Se trovara de li altri iohanandrea. Che ne ha mostrato la via A non lassarseTsubiugare. Se questo se fa vada a palatio Li scosali (6) agovernare E Zenova pacifìcara E ciascuno adasio stara. Finis. Chi mi leze me lassa stare Azio che possa essere exemplata. Viva . viva . viva . viva . viva lo nostro ducheto. Mora . mora . mora . mora li nostri candiotti. (Ex mense majo 1447)-Da ms. sincrono nel R. Archivio di Stato di Milano verificata e coliazionata la presente copia. 22 Febbraio 1876. G- D’Adda. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. X, Fase. IV. -13 Il Lamento di Genoa, et il Doloroso Pianto cT Italia per le grande afflizioni eh’ ha havuta, et ha agionto il lamento et suspiri del signor Gio. Paulo Baglione. Genoa son quella vittoriosa e magna Venduta e fatta (7) da mei cittadini Nomata al mondo più che cario in Spagna A hora (8) e necessità che io m’inchini De tanta altezza diuentar compagna Hauendo perso gli animi diuini Che hanno già hauuto li nomi che io fei Che van vendendo li triomphi miei. Aime meschina per tutto infamata Aimc infelice più eh’ altra veruna Aime eh’ almanco non fosse nata Poi che ó perdute tutte aduna aduna — 645 — Le terre per cui hauer m’ era impegnata A ora son posta in tanta disfortuna Che ogn’ un me vende è mi fa tradimento E quello che mi fa peggio e più contento. Quanto più me lamento aime dolenta Tanto più mi percuote ogni persona Ogn’ un si sforza farmi discontenta E tutto il mondo per lor mi achagiona Quanto sto peggio allor più gli talenta E del mio capo me han tolto la corona Ne iuda ne gano (9) ne traditore Furon si pronti a vendere el suo signore. Quanto mei cittadini da niente Cani arabiati e vituperosi e fieri Feza e orgoglio e puza d’ ogni gente Desbratati per terra e per sentieri Battuti e suffocati dal ponente Fin dove nacque il Fior di cauaglieri Ciechi ostinati auari più che mida Che si fan schiaui d’ ognun chi li guida. Già mi ricordo nel bel tempo anticho Che ’l Papa mi prego douere armare Contra lo sarasino nostro inimico Che io nauigai ne lo armerino mare Con tanto gran potere che ’l Frederico E tutta Italia facia tremare Cento e ottanta infra galee e naue Doue tu Venetia tu Pisa tremaue. — 646 — Andai ne 1’ Armenia (10) con mia bandera E prese le cittada allhor dispetto Vinti mila homini per quella riuera Furon morti auanti el suo cospetto E diece milia presonieri v’ era Un gran thesoro col suo machometto Andai con tanto ardir si furiosa Che in Aragona io conquistai tortosa. Io son quella che anchora sono e fui Di tutto il mare bellicosa regina Io son quella trionfai per cui Tremaua ogn’ uomo andar per la marina Poco istimando il grande armar d’ altrui Tanto era la mia maiesta diuina Ogn’ uno sotto di me era francho Hora mi trouo assai d’ ogni altra mancho. Nel golfo loro presi a Venetiani Ottanta sei galee con mie sessanta Hebbe vittoria con mie armi in mani Anchora lo mio gran potere si se vanta Che ben nonanta ne prese a Pisani E un’ altra volta ne presi ottanta Con gran triomphi i lor confini Dove era noui milia cittadini. Anchora li tolse disdotto nauili E noue altre galee in la Sardegna Con mie sette galee sottili Li homini e mercantia e loro insegna — 647 — Gittai al fondo e facile seruili (n) A lor mostrando quanto era più degna Presi li cittadini e le lor bandere Che giuano armate per le mie riuere. Feci una pregione che si domanda La mala paga (12) doue li serrai Facendo comandar per ogni banda Chi di la dentro non insirebbe mai Feceli dare a tutti la viuanda Cosi passando tutti li atterai Morirno in questa presonia Per strazzi fatti alla persona mia. Andai in Cipri per far mia vendetta Del grande torto fatto a tradimento E presi Famagosta e la rocheta Lo Re con la Regina e il tenimento Lisola li Venetiani è la lor seta Hebbi vittoria per mio valimento Tutto lo Leuante era di me impaurito E il gran Soldan me facia tributo. Quanto honor già hebbi in Bonifacio Dove era a campo lo Re da Rogone (13) Andai per farli cotanto frachacio Con sette naue con lo mio confalone Che de aspetarme pareua esser satio Arsi sei naue e preso lo suo penone Ruppi la gran cathéna che stasia A bocca al porto che intrar me impedia. — 648 — La notte ne fuggi Io Re sconfitto Con quattro naue e la sua gente rota Con le galee poche col viso smarito Dove già il mondo dea del mat (14) mi dota Gite in Sicilia poi presi partito Doue del tutto io lo chatai due volte L’ una con le arme e mei franchi guerrieri L’ altra con diece millia balestrieri. Presi da sarasini san Ioanne battista Col sangue dal di coloro smeraldino Che ne doni le mure el il suadista Cimbalo e eh’ io e pietà e metelino (15) Fino in Ierusalem fece conquista Perche era amata d’ ogni cittadino Hora che tutti m’ hanno abandonata Io sono come me vedi sconsolata. Io sazo dir eh’ io non perdeti mai E allo gran Papa sempre ho datto aita E per difender lui sei volte armai E da i Pisani li defesi la vita Ne mai perdente Genoa me trouai E se io perdeti io son stata tradita Da li miei cittadini che ma distrutta Che hanno impegnata e me hanno venduta. Che quando io era Genoua facia paura Al turcho al Soldano e a machometto Andai in Inghilterra alla ventura Con galee vinticinque al mio diletto — 649 — Dedi battaglia a Londres tanto schura Che io prese le muraglia al suo dispetto E a mia voglia li tenni ore sei Poi per gran spregio allor io le rendei. Dapoi che io ruppi il Re de Ragona E da Bonifacio lo caciai Tutto sdegnoso si menazone Dii qual minatio pocho men churai E per dispetto li ostagi menone Contra li patri (16) fatti in tanti guai Fece un gran tradimento e discortesia Li ostagi dati si menomo via. Ma era il Re Loise (17) e rimprese la guerra Contra il Re va quel Re si possente Con sua gran forza per mare e per terra Vene a Gaieta a campo con sua gente Quando il ricordo tutto il cuor mi serra Vedendome disfare si vilmente Vedendome esser stata in tanta altura E rno esser morta contra ogni natura. Mandai in Gaeta uno mio cittadino Armiraglio de lo mare di valimento Che vera amena Genova lo cor diuino Dove stoui meco col lor tal ardimento Che non hebbe Gaieta al suo diuino (18) Quantunque li mancasse il nutrimento Unde io vedendo Gaeta assediata Determinai mandargli grande armata. — 650 — Undeci naue grosse apparechiai Per dare aiuto allo assediato locho Verso Gaeta presto le mandai E non parendo allo Re questo esser gioco Disse un’ altra volta Genouese provai Et contra lor guadagno feci pocho Se mille volte douesse esser morto Come un’ altra volta io non l’aspetto in porto. Venirne adosso con sua forte armata Con diese naue e galee altre tante Venne per prender mia pocha brigata Staua già la mia gente tremolante Vedendo in mare tanta velegiata Preseron la via del Leuante Per haver la sua prosperità di venti Tremava il mare il cielo e li elementi. O cittadini miei cotanti ingrati O schonoscenti, o rinegata gente A questo modo per ben far mi tratti O case triomphale, o da niente O gentilhomini, o renegati mati O populo iniquo e puzolente O miei nemici più che machometto Per esaltarui tal merto ne aspetto. Ne romani chartaso tanto grande Ne atene ne la datia o Babilonia Ne macedonia chi gran fame spande Ne gratia, ne prenitia d’aquilone — 651 — Ben che lor gloria in lalto ciel li mande Tanta vittoria in un giorno acquistone Se fosse conosciuto mia potenza Tutto il mondo di me haueria temenza. Poi de Nauara e lo Re de Ragona Tonestro di san Iacopo (19) tre fratelli Lo principe di Salerne e di Machone Principe di Tarranto insieme con elli Duca di Suesa, e Conte di Adernone Chi era contra di me stati ribelli Marchese Dichotrone e da Girasso Per forza d’ arme tutti misi al basso Unde defendi in quel di vintimiglia Castro Catabelota e di Montoro Lo maestro di Montesa e don Sintigia Lo maestro de li Chantera con loro Conte di Modicha e Monsur Coriglia E ben tre cento de lo speron de loro Conte di Pagiaso, e di Chardona Conte di Chirra e don Giovan da Ragona. Tra Duchi e Conti signori e Marchesi, Baroni grandi oltra homini degni Forniti d’ armi, e d’ ogni arnesi Presi le persone e loro segni Con tanta rabia contra lor mi stesi Che non li valse tutti i loro insegni Cognobbe il Catalan che Genoa ornata Vinceua ogn’ uno e lui con sua brigata. % — 652 — Diece milia homini in quella aspra batta Con quatordeci naue subiughai E per mia bontade, e per mia vaglia A ben sei milia liberta donai Con tal vittoria sopra il ciel saglia Che con due milia tutti li pigliai Tutto il mondo di ciò fe certezza Mai non fu preso tanta gentilezza. In quel tempo era piccabaraglia Che giua per il mare corselando E a tutto il mondo dava gran trauaglia. Doue in Genoa fu mandato in bando Armando tutti contra tal canalia Con loro in Alessandria a seguitando Per li pigliare e donarli la morte Che in su il porto seran fatti forte. Con gran valore assaltoron colloro Defesi da sarasini arditamente Doue non valse le fortezze alloro Furono abatuti prestamente Volendosi donare senza dimoro Ma lor pregar non li valse niente Questa vittoria sopra il ciel si spolse Con sette naue ne presi quatordese. Anchora mi ricordo tenebrosa Che Venetiani feceno una preda Contra di me che fu poche discosa Doue io diuentai più eh’ altra cruda — 653 — Di tal ingiuria forte rabiosa Mandai à dir quel che a preso renda Onde ella me respose per orgoglio Che poca paura hauea del mio cordoglio. Doue douendo hauere la roba mia Galee deceotto tosto fece armare Per seguitar ciò che scorto hauia Dove nel lor golfo hebbi a trouare Trenta e due galee che ben paria Che me volesseno a lor deuorare Presi ardimento, et con loro me afrontai Presine trenta e sol due ne scampai. Prese dispetto Venetiano rabiosone E scrisse a tutto il mondo che voria Far una armata con lo suo confalone Per demonstar quel che far potria El mio san Giorgio mettere in presone Ne da sue mane giamai scamperia Per tante terre scrisse con tradimenti Che me volea occidere con gran stenti. Onde io superba et poco desdegnosa Incontanente le mandai scriuando Per dimostrare quanto era vittoriosa Che lo suo perforzo andasse aparegiando Che io giamai non faria posa Fin che io la metesse al mio comando Mandai incontinente aduisare Che infra un’ anno landeria à trouare. — 654 — Poi feci congregare la mia gente Che infra uno mese fece lauorare Legnami arme e vele incontinente Cento e sette galee apparechiare Con altre cento fatte in primamente Tutto il mondo faceva marauigliare Remi e antene ancore e timoni Lanze balestre arme e ranchiponi. Ducento e cinque galee io armai Per tutto agosto si le misse in mare E in Sicilia aspetai d’ andare Tutto il* mare non mi poria bastare Si bella armata non se vidi mai La terra et 1’ acqua fatta tremare Eran in queste galee con soi arnesi Quaranta e cinque milia Genoesi. Partiron presto e se miseno inanti Or che veder d’ arme e de bandera O che sonar de trombe e d’instrumenti Andaua le galee aschera aschera Faceuan tremare li quattro elementi Vinte furon de le nostre riuera Giron in Sicilia cento e ancora sesanta Quaranta e cinque feceno dimoranza. Perche parea a me che fusse tanto Possente à vencere lo Venetiano tristo Onde mi voglio dar questo altro vanto. Che sempre mai lo mio cor se langue — 6*5 — Quando non porto 1’ arme più eh’ il manto Pareua Venezia uno crudelissimo angue Vedendo lo mio sforzo hebbe paura E si restò con le sue armatura. Con gran confusione vergognosi Non menazando più come hauea fatto E da 1’ altero core dechinosi Temendo de caschare in magior stracio Poi per lo inuerno a tornar me misi E desarmamo senza alcun patto Per far dapoi maggior vergogna a lei Satisfacendo à li desiri mei Venendo poi la estate io retornai Con mia possanza contra Venetiani E presi Chiogia e tutta la brugiai Vedendo Venetiani che da mie mani Non potea fugire de non hauer guai Volendo uscire de cotanti affanni Se rese a me con il suo confatone Salua la robba e tutte le persone. iMa la superbia che dispiace a Dio Del capitanio loro ambasiatore Fece morire con tormento rio Doue poi furon mortali dolori Il grande errore de lo capitanio mio Contra lo consiglio li suoi maiori Per cui al mondo ogni gloria manca Fece refuto 3 lor de carta bianca. — 656 — E stando aspettar contra el douere Potendo hauer Venetia si perdete Volendo sol più che altri sapere Larmata il gran triompho elle vendete E fu per il suo poco vedere Onde nel porto chiuso se vedete Che se non fosse per dire e non voglio Venetia si era sotto il gran san Giorgio. Poi me tradi lo signor Padoano (20) Che tenea mecho e me ruppe la fede . Il qual mostrò ben sera vilano Alqual Venetia poi morte diede Per vendicarme poi rempresi in mano Contra Venetia senza chiamar mercede Andaili adosso con tal velocitata Che anchor ghe prese un’ altra armata. Ancor diro con tutto afflitto cuore D’ un altro honore che sopra del ciel spande Leuossi già Conrado Imperatore Che preso hauea Italia tanto grande Venendo adosso à me con gran furore Perchè era unita à loro in tutte bande E cittadini mei stauano in pace Feci che suo pensier andò fallace. Mi rimirai di nuouo incontanente Atorno atorno come elio se vede Poi feci armare tutta la mia gente E andali incontra con li huomini a pede — 657 — Non li giouò che gliera si potente Lo fracassai si come ogn’ uno crede Cento cinquanta mille homini hauia E non li valse la sua gagliardia. Tanti caualli mai non fumo presi Lui ne fugi con dece caualcanti Prouò quanto erano forti li miei paesi Perche non gliera stato per auanti Prouò quanto eran forti Genoesi Quanti eran stati li miei stati auanti Quanto era grande quanto era più degna Quanto era triomphale mia sacra insegna. Vedendo lui mia gran fortezza Marauegliato me volse vedere Perche del mio valore hebbe certezza Vedendo come lui non me potea hauere Mi domandò che per mia gentilezza Venire facesse lui nel mio tenere Entrò di dentro et si maraueglione Di tanto honore quanto in me trouone. Poi domando di gratia che in memoria Di tanto honor de me contra de lui Accio che stesse al mondo tanta vittoria Per ricordare quanto degna fui E si lasciasse al mondo per gran gloria Per dare nome di me sopra altrui Che suo nome scrisse in mia moneta E cosi fece et romase quieta. — 658 — Quanto ho fracassato al tempo anticho Grande signori e degno capitano Ne mai trouai al mondo alcun nemicho Che me habbia vinto con mie arme in mano D’ esser venduta non ho curato un ficho Come de mosche ho di sachomano Il Re di Franza il Duca de Milano Ho discaciato via con poco affanno. Poi rupi il conte Francesco tanto grande Senza che si mouesse un cittadino In vele de scriuia (21) tra montagne grande Vinci da poi Nicolo picinino Questa vittoria sopra il ciel si spande E non trouaua il più curto camino Essendo a campo albingua hera e tal porto Che con soi trenta milia era morto. Il Fine. III. Operetta nouamente composta, qual tratta come il conte Filipino con otto galere del nobile Andrea Dorio ha rotta larmata di Napoli, le quale erano tra galere, faste, ber gami (22), et barche numero vintiquatro, 0 vintisei armate con molti soldati e grossa artigliarla, et altre cose che fanno mestieri, come legendo intenderete. El ciel vidi tremare e Napoli col suo coufin quando el conte Filipin battaglio sopra del mare El ciel vidi tremare Questo conte Filipin de la nobile casa Doria la sua fama più che guerrino (23) per tutto il mondo e notoria hauendo in memoria la impresa del bel regno la forza e lo ingegno fu disposto di mostrare El ciel vidi tremare Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. X , Fase. IV 44 » « — 66o — Hauendo in sua possanza otto bellissime galee allo honor dii re di Franza e del nobil misser Andrea ogni di notitia hauea come el Vicere de Napoli ordinaua certe trapoli per volerlo superare El ciel vidi tremare Quel dotrecho e larmiraglia dan al conte intendimento come quelli di biscaglia faceano gran prouedimento de lo fare mal contento era la sua speranza staten senza dubitanza che non te possiamo mancare El ciel vidi tremare (24) El conte scrisse a quel Dotrecho el conte Pietro nauarra che el legno quando e secco sol far lo frutto amaro se voi teniti a caro Ihonore fama e gloria soccorso allarmata Doria cercate presto di mandare El ciel vidi tremare * / — 661 — E senza la informatione che haue della tua Eccellenza son venute più persone che mhan dato intelligentia de la grande prouidentia che fan a Napoli quei di Spagna una ordination tamagna per venirme a minare E1 ciel vidi tremare Di dolor el cor me frange perche io son certificato che el principe doranze col vice Re ha ordinato quante naue shan pigliato de darne la morte ria che tutti alla battaria ne voglion far impiccare El ciel vidi tremare E più ho intendimento chel vice Re de Napoli se ha fatto sacramento metterne a mortai trapoli e perche non siamo scapoli (25) vintiquattro o vintisie tra barche fuste e galie ben in ponto ha fatto armare El ciel vidi tremare — 662 — Tanti magnanimi signori tanti degni capitani tanti bon combattitori da far tremar li monti e piani Spagnoli e Napolitani tutti huomini cerniti tutti aspetti e ben vestiti* de arme finissime daciare El ciel vidi tremare * El Capitano Galeazzo ditto el gobbo Iustiniano (26) de hauerme stretto al lazzo ha promisso al Re Hispano più presto hoggi che domano mandami de archibusere parati fare el douere in ogni crudo battagliare El ciel vidi tremare Inteso la conclusione quel Dotreco e larmiraglia quattro cento compagnoni delli bon di tutta Italia in ogni crudel battaglia parati pratichi e usi con quattro cento archibusi li mando senza tardare El ciel — 663 — Gionse la fantaria in quel giorno e bel mattin pensa el piacer che haueua el nobil conte Filipin fratelli e cari cugin (27) voi siati i ben venuti humanamente li ha riceuuti e poi li fece refkiare El ciel vidi tremare Al vice Re conuien tornare quel don Ugo de Monchada (28) qual ha fatto aparechiare la potente e bella armada la gente e deliberada fin che la vita li possede dato se hano la fede lun e laltro non mancare El ciel vidi tremare Vamos dice el Vicere vamos in ora bona quella armata per mia fe non tornerà più a Sauona t stati aiegri ogni persona che faremo bon botino larmata e el conte filipino todos los tenemos de tornare El ciel vidi tremare (29) / — 664 — Un martesdi do matino el vicere con bon gouerno con larma prese il camino verso el golfo de Salerno parea che se mouesse linferno con sua eternale furia come don Ugo per la ingiuria se mosse per vendicare El ciel vidi tremare Nauigando el vicire dice al gobo galeazo dime gobo per tua fe temestu dalcun impazo a fugire el mortai lazo non sera che bon consiglio se tu ci vedi alcun periglio cercamo presto de scampare El ciel vidi tremare Ti vedi larmata doria • che se ne vene ala sicura se non credesse haucr vittoria ,non verrebbe alla ventura vedi che non ha paura de venirne a inuestire gobo mio io te vo dire pensa ben quel che hai a fare El ciel vidi tremare — 665 — Dice el gobo el ce bisogna questa guerra definire el sarebe gran vergogna chi cercasse de fugire io ti voglio inuestire che habiamo gran vantagio fati tutti bon coraggio e non vogliati dubitare El ciel vidi tremare 10 voglio che se agropa le barche de lartigliaria 11 de dreto da la popa de queste nostre galia quelle de messer Andria non li porano discoprire lartegliaria a lo inuestire se habbia tuta asparare El ciel vidi tremare Dice don Ugo per mio consiglio la sua sparare lezeremo e da poi senza periglio de bon core la inuestiremo e la nostra spararemo tutta quanta in un ponto in malora seran gionto se se lassano afrontare El ciel vidi tremare El parlar del vicire piacque a tutti i capitani e se deteno la fe da veri boni chistiani de far come troiani se se trovano al contrasto sunil el marchese del Guasto confirmo il suo parlare El ciel vidi tremare (30) Parlo el Marchese del guaste con lo parlar eloquente vice Re e gobo ben parlaste da homo sauio e prudente se ognun sera valente hauerem questa vittoria e con larmata Doria chi ne vene assaltare El ciel vidi tremare Tutti quanti ben in ordine se misse i capitani senza far alcun disordine presen tutti larme in mani horsu horsu Napolitani dice Cesar fiera mosca Genovesi vo che cognosca che napolitan sa fare El ciel vidi tremare — 66 7 — A questa gente me par borachia che veneno cosi de bona gana iuro a dios la calabacchia # an trova questa magnana dona mogli dos castagne per poder azere colatione e dui terribile canone di meglior fece sparare El ciel vidi tremare (31) Brauaueno i Napolitani brauaueno Aragonesi brauaueno li Catelani che uno parea desi venite venite Genouesi venite in lhora male iuro a Dios e peza tale che todos li tenes darestare El ciel vidi tremare Haueuano speranza de hauer larmata Doria e ruinare la Franza se haueuano vittoria ma la sua memoria e falsa intentione tutti quanti in perditione sili hebbe a mandare. El ciel vidi tremare — 668 — Haueua otto galee el nobil conte Filipin non ne volse se non sie per combattere in quel matin doi ne lasso li vesin che stauano in su laviso quando li fusse diviso di poter soccorso dare El ciel vidi tremare Per guardia a lo ponto stauano due gallea la gente ben inponto del nobil messer Andrea subito che visto hauea larmata del bel regno al conte per far segno doi colpi fe sparare El ciel vidi tremare El nobil conte Filipin sentendo lartegliaria subito in quel matin fe montar la fantaria horsu brigata mia ecco li nostri inimici tutti saremo felici non e più tempo daspcttare. El ciel vidi tremare (32) — 669 — Fati tutti bon animo e non habbiati paura se non seti pusillanimo hauerem bona ventura insin chel mondo dura lassera eterna memoria e la nobil casa doria mai ve pora mancare El ciel Fati un cor de lione con lanimo virile che la vostra natione non dimostra desser vile habbiamo vintiotto daprile el giorno proprio de marte impero el fiero marte cercarati daiutare El ciel vidi tremare Poi che fornito hebbe lo exordio in bon latin che spezzato elio harebbe un corde diamantin o nobil conte Filipin staten di buon cuore siam parati per tuo amore più al morire chal scampare El ciel vidi tremare — 670 — Essendo tre o quattro miglia larmata presso alla costa da mal far per marauiglia bellamente ognun saccosta e la gente ben disposta ben parati al combattere sentirai un dispatere (33) che mai tal si senti fare El ciel vidi tremare Più feroce e che un gezo era larma di Genouesi ella se serro in mezzo de larmata de li Aragonesi tutti quanti quelli paesi era coperto il pian el monte come potrà el vecchio Acheronte tante anime passare El ciel vidi tremare Poi che hebben circondata quella armata daragone in un ponto e ben sparato piccoli et grossi canone questa fu la destruttione de la bella arma de Napoli po che le mortai trapoli e la misma andon a cercare El ciel vidi tremare. — 671 — Larma de messer Andrea tutta a un colpo disparo larboro duna galea de inimici si spezzo o quanta gente amazzo larboro e lartigliaria non resto in su la galia chi potesse più parlare El ciel vidi tremare. De doi schioppi el vice Re fu ferito mortalmente ancora staua in pe a combatter crudelmente uno con sua picca pongente lo passo da banda a banda lanima sua ricomanda a chi meglio la può portare El ciel vidi tremare (34) Pareua el Marchese del Guasto nel combatere un fier nerone per el suo gran desagio el fu fatto pregione e quel altro dun burone et el gobo iustiniano qual pareva Hettor troiano in el forte batagliare (35). El ciel — 672 — Combatcua i genocsi contra Spagna de tal voglia più che mai carthagincsi in contra de la gran Troia chi amaza e chi spoglia chi crida e chi langue el mare tuto sangue faceuano diuentare El ciel vidi tremare Parla lautorc. O che gran crudelitade o morte iniqua e rea 0 che grande obscuritade era a vedere quelle galea 0 armata de messer Andrea 0 nobile conte filipino come potesse quel matino tanta gente minare El ciel vidi Parla Napoli. Onde quel don bernardo che tanta superba hauia che già mai non fu tardo in ogni batagliaria — 673 — lui con molta fantaria se son lassati metter al basso la morte glia scurtato el passo per el suo gran menaciare El ciel vidi tremare Quel don Piero duriaso e quel cesaro fiera moscha satu che glia missi al basso la morte iniqua e fosca hor conuen che se cognosca chi in battaglia fu più strache quel gratian mandrache poco li valse el suo brauare El ciel vidi tremare Queel comandatore qual era bon capitano ei pati de gran dolore dun colpo iniquo e strano quel Camille e Aschanio che son boni colonesi (36) per le man di genoesi e se son lassa pigliare El ciel vidi tremare Staua el conte filipin in bataglia ben robusto se mostro in quel matin essere un vero Augusto — 674 — quante teste giù dal busto quante gambe e quante braze quante ne mando astramazc a beuere dentro el mare i El ciel vidi tremare Li non era pietade ne mancho misericordia li non era charitade ne amicitia ne concordia li non era che discordia tra spagnoli genoesi tanti morti e tanti presi che non se potria stimare El ciel vidi tremare (37) Duro più de due hore la battaglia iniqua e rea restorno vincitore quelli de messer Andrea tanta artigliarla trazea tremaua citta e castello parea che Mongibello si douesse minare El ciel vidi tremare Quei che stauan a la montagna a veder con grande astucia vedeano quei de Spagna che menauano tanta puccia - — 675 — poi al tempo de la scaramuccia rcstan tutti sbigottiti per paura si smarriti che non sapeano che si fare El ciel vidi tremare. Don Ugo mal consiglio prendesti in quel mattin cercaste el mortai periglio contra el conte Filipin pensando farlo meschin gli andasti ben disposto chi fa el conto senza lhòsto due volte il conuien fare El ciel vidi tremare Con el principe doranze mal tu te consigliaste tu sei causa chel pianze il nobile Marchese del guaste col vice Re tu causaste e la morte de tanti signori tanti boni combattitori tu me gli hai fatto arestare El ciel vidi tremare. Tu sei stato la cagione che ho perso le galea tu cercasti la questione con el nobil messer Andrea Atti Soc. Me. St. Patru, Voi. X, Fase. IV — 676 — io sei ne tenea cinque ne haggio perse con quelle due che son sommerse nel profondo del mare El ciel vidi tremare Lassiamo li signori liquali son morti e presi che tutti li miei dolori son per li gran dispresi che mhan fatto i Genouesi con sua armata Doria venen sopra mi con vittoria per farme di dolor creppare El ciel vidi tremare E non sono stati tardi Genouesi sta mattina a strasinar li miei stendardi per tutta quanta la marina ahi Napoli meschina già fusti fior del mondo hor ciascuno al profondo si me cerca minare El ciel vidi tremare Se diportorno i Genouesi più che mai Philistei morite de li Aragonesi più de cento volte sei — 677 — gli tolsen due galee e doi ne scapolorno et cosi se ne anegorno per non potersi saluare HI ciel vidi tremare (38) De doi che scapolorno per paura de la tempesta de li doi un ne pigliorno e gli ferno mozar la testa laltro per non hauer molesta a fugir prese il camino andò dal conte Filipino e se si hebbe a recomandare El ciel vidi tremare. El conte Filipin Doria sopra Napoli siando le bandere con gran gloria per lo mare strasino tanto forte bombardando dalegreza el monte el piano el paese napolitano de paura fe tremare El ciel vidi tremare. Quando el principe doranze si intese tal novella se stracio tutte le guanze con le ongie fino alla pella — 678 — allhora disse in sua fauella questo e qualche gran iuditio per punire el mio gran vitio Iddio lha voluto mandare El ciel Piangea li aragonesi spagnoli e catelani piangea li colonesi mercadanti e artesani tutti i napolitani non faceano se non pianze el principe doranze a mal dire e biastemare. El ciel El nobile Filipin doria mando a Genoa doi galee in signal della vitoria al honor de messer Andrea anzi pasasse giorni sei si veniteno a Sauona corse a vedere ogni persona sentendo forte bombardare El ciel vidi tremare La galea de messer Antonio bombardo per tal vittoria chel pareua chel demonio ruinasse tutta vaioria — 679 — ogniun corse con gran gloria a vedere le galere che de Napoli le bandere strasinaueno per lo mare El ciel vidi tremare (39) Bon lesu te vo pregare per tua somma bontade tu vogli pacificare la pouera christianitade mette hormai tranquilitade tra franza e lo imperio tu sei nostro refrigerio e sei quel che lo poi fare El ciel vidi tremare Tu sei nostra consolatione, tu sei nostra vera luce per la nostra saluatione morir volisti in su la croce ogni ben si produce ' dalla tua alta potentia de guerra e pestilentia li cristiani vogli guardare El ciel vidi tremare Il Fine. NOTE AI TRE CANTARI I. (1) Essendo la città disavviata, cioè senza affari. (2) Cioè il Duca di Milano morto. (3) In mano cioè della vedova e dei figli minorenni. (4) Quando sarà tempo , saran tutti i nomi de’ traditori posti in lista. (5) lustra farà, cioè incominciamento darà uno spazzaturaio. (6) Gli scosali, cioè le donne vadano pure a governare. IL (7) Vorrà dire sfatta, disfatta. (8) A hora e più sotto a ora è il genovese aoa, adesso. (9) Gano, per traditore, e più sotto Mida pel tipo dell’avaro. Ved. la prefazione. (10) Armenia, vorrà dire Armeria come più in su nello annerino mare: cioè Almeria sulle coste di Spagna con Tortosa conquistate dai Genovesi ai Saraceni nel secolo XII. (11) Le feci serve, schiave. (12) La Malapaga, propriamente prigione per debiti. Pel suo uso a que’ tempi, ved. la prefazione. (13) Da Rogona, e più avanti De Ragona, cioè d’Aragona. (14) Dea del mat: errore manifesto per del mar. (15) Qui un gran pasticcio, colpa dello stampatore; in parte soltanto si può correggere colore smeraldino ; Suadista vorrà dire Suda 0 Soldaia, città de’ Genovesi in Crimea, come Cimbalo che viene appresso ; e eh’ io si corregga e Chio , — 681 — cioè Scio, e peeta vorrà dire Pera (Galata) col seguente Metelino, isole o città genovesi in Levante. (16) Patri si corregga in patti. (17) Re Luigi d’Angiò e di Provenza, pretendente al trono di Napoli. (18) Anche qui un gran pasticcio intraducibile nel senso letterale, sebbene nella sostanza storico e notissimo. Ved. la prefazione- (19) Tonestro errore evidente per Lo Maestro: il Gran Mastro dell’ordine cavalleresco di San Jacopo, che era allora il principe Enrico III, fratello dei due Re di Aragona e di Navarra rimasti tutti prigionieri de’ Genovesi. Come anche più avanti lo Maestro dell’ordine di Alcantara (De li Chantera). (20) Francesco di Carrara signore di Padova alleato de’ Genovesi contro Venezia. (21) Certo da correggere in Valle di Scrivia a ridosso dell’ appennino genovese. III. (22) Meglio nella raccolta torinese bergantini, ora brigantini. (23) Guerrino, noto romanzo. Ved. la prefazione. (24) Questa strofa manca nella raccolta predetta; e con essa strofa finisce la prima pagina della nostra stampa. Per rimettere 1’ ordine sconvolto noi ora saltiamo alla pagina 6. (25) Perchè non possiamo scappare. (26) Galeazzo Giustiniano del celebre albergo di questo cognome, de’ Signori di Scio, del ramo dei Lunghi da tutti gli storici detto capitano veterano e tra i più esperti nelle cose marittime. Noto comunemente col soprannome di Gobbo, e detta perciò anche la Gobba una delle sue galee. Egli era figlio di Brizio, che fu aneli’ esso ammiraglio d’ Aragona. Ved. Hopf , le tavole genealogiche de’ Giustiniani-Lunghi in fine delle sue Cbroniques greco-romaines etc., e Gi-scardi, ^Alberi genealogici delle famiglio, nobili di Genova, Ms. alla Libreria dei RR. Missionarii Urbani. (27) Coxiti scritto più alla genovese nella raccolta di Torino. Ivi siati per siate; come più avanti fati, non vogliati, seti per fate, non vogliate, siete è una forma genovese che usava ne’ documenti di quel tempo per scrivere italiano. (28) Qui s’ interrompe 1’ ottava in fine di pagina, ma si compie e si continua il senso tornando indietro nella nostra stampa alla pag. 5. (29) Questa strofa intinta di spagnuolo manca nella raccolta torinese. (30) Questa strofa finisce la pagina 5 nella nostra stampa. Per i Trojani ; ved. sotto la nota 34. Nella strofa precedente lederemo, va corretto laveremo (lasceremo) come nella raccolta torinese; e nella antipenultima strofa dieto meglio nella raccolta citata dreto. Sul fati, non vogliati, ved. sopra, nota 27. Ora dalla pag. $ continua il senso ripigliando alla pag. 2. (31) Anche questa strofa in una specie di dialetto napoli-spano manca nella — 682 citata raccolta. Dona mogli cioè doniamogli due castagne da colezione (due cannonate); nella strofa seguente desi dieci; uno parea dieci. Piò sotto sic, meglio nella Raccolta citata sei (galee del conte Filippino). (32) Finisce la pag. 2; si salta alla 7 per continuare l’ordine del racconto. (33) Dispatere; meglio nella raccolta citata disbatere; e nella strofa seguente meglio ivi Caronte ove qui è stampato Acheronte. Così anche ù più genovese la forma se spe^ò in una delle prossime strofe. (34) Finisce la pag. 7 ; si torna indietro alla pag. 4. (55) Qui meglio che desagio nella citata raccolta desasto, che fa rima con Guasto (disastro). Ettore Trojano, come la Gran Troja della strofa seguente e i Trojani nella nota 30, si vedono essere pel Poeta il modello del valore e della gloria. Ved. la prefazione su questo e sui Cartaginesi contro Troja. Nella strofa seguente meglio che potesse, la citata raccolta ha poteste. Qui parla il Poeta nel senso di pietà citato nella prefazione. (36) Camillo e Ascanio della celebre famiglia romana dei Colonna, rimasti prigioni col Gobbo e molti altri capitani. (37) Qui si deve rifarsi indietro alla pagina 3 per l’ordine del racconto se si legge la stampa del March. D’Adda; ma a finire la 4.» ivi sono ancora due versi Al Vicere convien tornare — quel Don Ugo de Moncada, i quali nulla hanno che fare col senso che dovrebbe seguire; ma si vede essere stati ripetuti qui per legarli col senso che segue di fatto in quell’ordine sconvolto. (38) Qui si rimette l’ordine passando all’ 8.“ ed ultima pagina. La strofa seguente manca nella citata raccolta, quella che vien dopo c’ò; ma mancano di nuovo le due ottave che seguono. Paise napolitano nella citata raccolta è più conforme al parlar genovese che paese qui. Lo stesso dicasi di desprexi nelle strofe precedenti, meglio che despresi (dispregi). (39) Galea di Messer Antonio. Antonio D’Oria, altro degli avveduti e valorosi ammiragli di questa famiglia che furono a servizio del Papa, di Re ed Imperatori. Non fa bisogno di spiegare chi era il più volte nominato Messer Andrea, le cui galere erano da lui mandate in aiuto dei Francesi e comandate dal nipote di lui, il conte Filippino D’Oria, in questa battaglia. Vaioria è una regione nel Savonese. RELAZIONE DELL’ATTACCO E PRESA DI BONIFAZIO DI LEONARDO BALBO RISTAMPATA SULL’ EDIZIONE DEL SECOLO XVI DAL SOCIO VINCENZO PROMIS assata la Corsica nel 1098 sotto il dominio Pisano, nei primi anni del secolo XIII Genova sempre in guerra con Pisa occupava e fortificava la terra di Bonifazio, dove portatesi molte famiglie genovesi costituirono il primo nucleo della potenza ligure nell’isola, che intiera cadde nel seguente secolo in potere di questa Repubblica. Con varia fortuna durarono le cose sino verso la fine del secolo XIV, quando sol levatisi i Corsi coll’aiuto del re d’Aragona, già erano presso a riescir nell’ intento, se non trovavano un impre visto ostacolo nell’ eroica difesa degli abitanti di Bonifazio che, discendenti quasi tutti da famiglie genovesi, con somma costanza ributtando gli attacchi collegati di Alfonso d’ Aragona e de’ Corsi che per lui parteggiavano, poterono per varii mesi perdurare sinché giunse 1 aspettato soccorso, il quale valse a nuovamente indi assoggettar 1’ isola. — 686 — Ceduta la medesima nel 1453 alla Banca di S. Giorgio sotto 1’ alta sovranità della Repubblica, non senza gravi e molte difficoltà venne retta per mezzo di Governatori pello spazio di un secolo, cioè sino a quando collegatosi Enrico II re di Francia coi Turchi contro Carlo V imperatore ed i suoi alleati, concepì il disegno di unire alla sua corona la Corsica. Comandava la spedizione il maresciallo di Thermes, e la squadra francese il rinomato Paulin; la turchesca era agli ordini del celebre Dragut. All’ impresa presero parte Sampiero da Bastelica, Giovanni d’Ornano, ed altri profughi corsi, che, italiani al servizio francese, opponendo Francia a Genova, s’illudevano di render la libertà al loro paese col concorso dell’aiuto straniero. Quasi tutta l’isola era già conquistata, meno Calvi e 1’ eroica Bonifazio che memore della precedente sua difesa con non minor costanza attendeva da Genova il soccorso chiesto alla Repubblica per mezzo di un Cattacciolo suo cittadino. Questi però tornando con liete novelle, cadde prigione de’ Francesi, ed accettando 1’ offerta di tradire la sua patria, a vece dell’ avviso dei promessi soccorsi alla città portò false lettere che le toglievano ogni speranza di aiuto. Vennesi allora a patti, e si convenne della resa a condizione che sareb besi impedito il saccheggio e permesso al presidio di escire cogli onori della guerra per imbarcarsi alla volta di Genova. I Turchi però secondo il loro uso non attesero i patti. Col successivo trattato di Cateau-Cambrésis la Corsica ritornò sotto il dominio genovese, che vi continuò sino al 1769 quando fu definitivamente occupata dalle truppe francesi. Alla presa di Bonifazio per parte dei Turchi avvenuta, — 687 — come dissi, nel 1553 si riferisce la breve relazione in versi che ora pubblico traendola da un rarissimo stampato dell’ epoca, che conservasi nella Biblioteca di S. M. in Torino. È desso un opuscolo in 8.° piccolo, di carte 8 non numerate ossiano pagine 16, con segnatura Aij -iij - iiij. La marca della carta é un guanto caricato nella palma delle lettere A R, e sormontato il dito medio da una stella a cinque raggi. Conservai in questa ristampa esattamente la dicitura, soltanto corressi pochi ed evidenti errori di punteggiatura. Non vi è data, nè indicazione del luogo ove fu stampato, ma è facile lo stabilire che ciò sia avvenuto, come in consimili casi usa-vasi, o nello stesso anno 1553 od al più nel successivo. Non lo è del pari fissare il dove sia seguito ; dall’ esame però dei caratteri usati parmi che questi più che alle stampe di Genova possano forse attribuirsi a quelle di Milano. Il frontispizio, che occupa il recto della prima carta, é in carattere parte rotondo e parte corsivo, e fuvvi con non troppo gusto frammischiato il maiuscolo al minuscolo. 11 retro è occupato da una lettera del Balbo a G. B. Giustiniani-Villanova patrizio genovese. Nella carta successiva, segnata Aij, comincia la relazione in ottava rima. Ogni pagina contiene tre ottave, le quali in totale essendo 33 ne occupano undici, ossia sino a tutto il recto dell’ ottava carta. Al retro della medesima comincia il Capitolo dall’ autore indirizzato al Salvatore, composto di 21 terzine che finiscono nella prima metà dell’ ultima facciata, la quale è compiuta da un sonetto pure del Balbo, ed indicato nel frontispizio d’ un altro authore. OPERA NVOVA NVOVAMENTE STAM-pata qual tratta di- la presa I Di Bonifatio. CO ’L NVMERO DE I MORTI DE L’ V- na parte, e l’altra, e de i tiri di Giorno in Giorno e de li Imbasciadori che mandauano per haver la Terra. Con un Sonetto d’ un’ altro authore. COMPOSTA PER Leonardo Balbo Genovese. Al Nobile, E vertuoso Gioane messcr Gio. Battista Giustiniano villanoua patron suo Osseruan-dissimo. Non bramò già tanto il famosissimo Orpheo l’amata sua curidice, quando per hauerla andò nel regno tartareo dove co’l soauc canto, e suono di la sua dolce lira, mosse Plutone, e placò le furie infernali, quant’ io bramo seruirui, compiacerui, et honorarui, per onde spinto da * # 1’ amor eh’ io vi porto, e sempre v’ ho portato, come * a Giouane che possedè perfettamente tutte quelle più rare, e nobili virtuti che a perfetto Giouane si conuen- — 689 — ghono, che non si può dire che di cortesia, di senno, di valore viua nessuno che vi pongha innanzi il piede, ho tra me stesso pensato farui parte del mio inornato ingegno, con dedicarui la presa di Bonifatio nouamente fatta da 1’ armata turchescha, supplicandoui 1’ accetiate, e non risguardar al picciol dono, ma a l’animo de chi v’ ha fisso ogn’hor nel petto, e a voi mi raccomando. Sempre a seruirui. v Leonardo Balbo. Spesso ho sentito dir che 1’ huom stimare Deue P honor più che la propria vita Ma perche le ricchezze a quel son care Da parte lascia la fama gradita O gente cieche, et al ben far auare Che al thesor solo hauette 1’ alma unita Accumulate pur quanto sapete Che Caronte atrouar tutti n’ andrete. Pompeo per farsi eterno, et immortale Abbandonò il paterno, e natio regno E sol per P ampio mar fe cose tale Che d’honor gionse a quel sublime segno Oratio anchor che tanto valse, e vale Mostrò quanto lui fu di gloria degno Quando contra toschana alzo la fronte E spinse il Re porsenna, e ruppe il ponte. — 691 — Dammi del tuo fauor, o diuo Marte Per quell’ amor portasti a vener bella Che dir io possa in queste nuoue 'carte La presa fatta da la turba fella Di Bonifatio, e de gli nostri in parte L’ alto valor, 1’ alta possanza isnella Che senza te non spero honor, ne fama Hauer, come il mio cuor ricercha, e brama' Del mille cinquecento tre, e cinquanta D’agosto il mese fu, quando Tarmata Turchescha riuoltó 1’ iniqua pianta Ver Bonifacio, dove fu fermata, Nel qual 1’ empio Droguth mandò tanta Gente, che fusse la Città guardata Accio non entri alcun guerrier in terra Pensando a quella far horrenda guerra. Color eh’ eran in diffesa di quel luoco S’ auider de 1’ infida, e barbar gente Ma per meglio saper quel nuouo gioco Senza ponto tardar incontinente Dieci caual gettando fiamma, e fuoco Mandorno fuor co ’l suo guerrier possente E viden 1’ empio stuol eh’ appresso gl’ era Armati tutti in una folta schiera. Volendo in drieto lor poi ritornare Fumo da i turchi visti, e verso loro Ne prese irati molti a caminare Per darli se potean doglia e martoro Atti Soc. Lig. St. Patria, Voi. X, Fase. IV 4« — 692 — Ma per poter ogniun di lor campare Lasciorno i lor caualli al popul moro Fuggendo a piedi ver la terra all hora Per far diffesa senza più dimora. Tutto quel giorno i turchi dimororno Mirando iui i giardin vaghi, e vermigli E in drieto tutti poi si ritirorno Per far tra lor come volean consigli É il di sequente a raggionar puoi forno Pensando i luochi far tutti vermigli E quel eh’ io dicco ne i versi miei D’ agosto il mese bel fu a ventisei. Fecen due parte de li turchi allhora Per ricourar bestiami, e vetouaglia E 1’ altra per far gir senza dimora A tor corda, e legnami per battaglia La Domenica puoi feceno anchora Molti bastion per dar a lor trauaglia E spesso salutati eran di sorte Da i nostri che parecchi hebben la morte. Il primo bastion da quella ria Canaglia messo fu con studio, e cura In campo romanci, che a tutta via Tiraua botte fuor d’ human natura Scndo in quel posto allhor d’artcgliaria Dua forti pezzi, e ver la torre dura De Bonifacio sempre facean guerra, Quella gettar sperando in piana terra'. — 693 — Di giorno, e notte mai non si cessava Tirando botte dispietate a quella E tanto fece quella turba praua Che un canon eh’ era nella torre bella Fu fracassato, a tal che a terra andaua La torre eh’ era per diffesa in ella Né mai tanto rumor fa gioue quando Più irato tuona, come quel nephando. A tirar cominciorno il di di marte Un altro Bastion più innanti, e grosso Dou’ era posto in quel per ogni parte Cinque pezzi battendo a più non posso La torre, e la muraglia con tal arte Che un monte de diamanti haurebbe mosso E fuor che quella roccha in piana terra Tutt’ andò, se un scrittor di ciò non erra. Il mercore sequente un nuouo, e forte Bastion tirorno di capello al piano Con tre tiri si fier che dato morte Haurebbe a mille, non che ha hettor troiano E per fianco abbatea con voglie accorte Il posso già sì forte, e sì soprano E tutt’ il fracasso quell’ empio stuolo Degno di morte, e d’un eterno duolo. Un d’ ornam corso più Giouan nomato (i) Andò sotto le mura il dì sequente Et in tal modo ha i nostri hebbe parlato Se vi volete tutti, o buona gente — 694 — Render, per parte del monsu preggiato De termine (2), saluata immantinente Sarà di voi sol la mittade, o tutti Morti sarette con gran pena, e lutti. Con lieto cuor rispose i buon soldati Dar a niun noi vogliam la terra Che per diffonder qui noi siam mandati Contra color che cercharan far guerra Inteso tai tenor, non molto grati Partita fece se ’l mio dir non erra H ritornò dove prima venuto Era, narrando a quel di Termi il tutto. Il Giovedì matin l’assalto fiero Tornorno adar in quel medemo luocho E su ’l bastion comparse un turcho altero Con una insegna di color di fuoco E ucciso fu da un nostro buon guerriero Che del Gagliardo far gli giovò puoco. Che come detto v* ho qui puoco innante Al ciel mostrò le barbaresche piante*. Tre hore, e più durò l’aspra battaglia In questa parte, e’ n quella hora sparando Poi in dricto se tirò quella canaglia E il gran rumor andaua allhor cessando Vener sequente puoi quel senza vaglia Pier Giovan corso (3) andò lettre portando Qual scritte hauea san pier (4) al Capitano E al podestà, con un parlar humano. — <^95 — Quest’ era de le lettre il bel tenore Se render vi volete tutti quanti A nome del Gran Re (5) con dolce amore Non seguirà più la battaglia innanti E se non fatte ciò con gran dolore Morti sarette, e con acerbi pianti Per che co’l Re voi non potreste mai Durar, se fuste più possenti assai. Che far volete qui se non potete Nosco durar alla battaglia fiera Sendo 1’ armata come voi vedete Da far tremar del ciel la forza altera Se tutti dunque voi campar volete Di franza alzate la reai bandiera E ogn’ huom si prendi la sua roba, e Tarmi E abbandonate qui che meglio parmi. Fu la risposta lor d’ un fìer canone Che uccise più di venti in una schiera E non potean lor star al parangone De 1’ empio stuol, che giorno alcun non era Che non tirasse come qui si puone Trecento palle, e più con forza fiera Nè mai tanto rumor fa in mongibello Quando adopra vulcan ’l suo gran martello. Il lunedì sequente puoi tornorno A dar 1’ assalto crudo, e dispietato E sino a mezzo giorno lor durorno Trahendo sempre a i nostri in ogni lato — 696 — E poi con lieto cuor si rinfrescorno E dal nostro li fu popul ornato Preso due scale, e due Turcheschc insegne Di quelle lor più honorate, e degne. Finito poi che tu 1' assalto fiero Quel corso Altobel (6) gionse da brando Con Giacobo da mar (7), e quell’ altiero Neapolion (8), che la sua vita in bando Ha posto, e il catachiol ben corso vero Gasparin detto (9), a i nostri allhor narrando Che han voglia di parlar d’ una faccenda Al capitan, senza che niun intenda. Di Bonifatio usci quel caporale Anton da camagior, Martin mancino • E Bernardin corchian che molto vale Per intender de i corsi il lor latino Et a i nostri parlorno in detto tale Se render vi volete al suo camino Ogn’huom andrà, oltre che non potrete Qui dimorar, che uccisi poi sarete. Inteso tal tenor quel camagiore E gl'altri ritornomo nella terra Tra lor faccendo senz’ alcun rumore Consiglio, e per uscir di tanta guerra Deliberorno darsi con buon cuore A quell’armata, se di ciò non erra Colui che presa tal a me ha narrato Ch’io per me non li fui, ne son mai stato. — 697 — Fu messo nel Castel corsi Ducento E del Turcho drizzata la bandiera A nome del gran Re, e ogniun scontento Se ne usci fuor lasciando i corsi in schiera Quai dentro dal Castel, per quel eh’ io sento Mandorno un bando a pena la galera-Che i militi Genovesi fuor partire Douessen, e in drieto il lor cammin segguire. E cossi forno tutti fuor usciti Con 1’ armi suoi, non già con lieto cuore E andando i pouerel fumo assaliti Da Gianizari lor con gran rumore Ducento ottanta, e nuoue eranno vinti 1 nostri dicco, e con graue dolore Morti furno da loro eccetto alquanti Che fuggirno da lor carchi di pianti. Chi ’l caro genitor con mesta voce Chiama, chi madre, e chi al ciel alza il viso Chiamando quel che patti morte atroce Dicco quel degno Re del paradiso Ma vano era il chiamar che dal feroce Stuol restaua allhor tutto conquiso Tal eh’ era una pietade a veder quella Gente in le man di quella turba fella. Non satii anchor di la sua indegna morte Cauorno a tutti il cuor, cosa inaudita E combatendo anchor mori quel forte Marcho di sella, e perse anchor la vita — 698 — Morgante da ponzan, che trista sorte Hebbe, anchor che nel ciel 1’ alma sia gitta E Pietro di varese anchor disfatta Giace la vita sua d’ archibusata. Ogniun di lor fu veramente un Marte Contra quell’ empio stuol di pietà priuo E ben son degni d’ esser posti in carte Per 1’ alto suo valor eterno, e diuo Mi souien anchor eh’ è morto in quella terra Lucca di santo .Stephano eh’ hor scriuo E tirando per far bastioni terra Rocchetta da mar morse in quella guerra. % Famosa Genoua che sei un vero fonte D’honor, e di virtù, quant’altra al mondo Se le tue forze si gagliarde, e pronte Non voi che poste sian nel centro fondo Mostra contro di lor 1’ ardita fronte Cacciando 1’ empio stuol giù nel profondo E caro più ti sia 1’ honor, e fama Che loro, e quel che ’l cieco mondo ama. Un magnanimo cuor non brama mai Thesor, ne regni, ma sol ccrcha honore Farsi douunquc il sol scalda co’ i rai Ne i strai teme di morte, o alcun furore Dunque gentil Città mostra horamai L’altera fronte, e l’alto tuo valore Acciò che la tua forza alma, e possente Sia nota, e chiara alla futura gente. — 6 99 — Fa ti pregilo signor contra quel stuolo Barbarico vendetta accerba, e dura E non voler che graue pena, e duolo Ne facci ogn’hor sentir, come puon cura Altra diffesa non habbiam che solo Te superno signor, dunque procura Che ’l popolo Christian non perda al tutto L’ alma Città, ne che fia lor distrutto. Credo che sino al Ciel n’ andorno i gridi Di quelle donne impalidite, e smorte Qual non potean campar da quegli infidi Nemici, gionte a si infelice sorte Non sentirno giamai si horrendi stridi I famosi Troian, che iniqua morte Per helena prouorno, e cossi spesso Hauer suol che si fidda in quel vii sesso. Taccia chi biasma quell’ anticho, e crudo Neron, che apar di lor fu santo, e degno Dicco a paro di quel di pietà ignudo Corsesco seme, di campar indegno A sentir l’opre suoi nephande i sudo E ben mi duol che un’altro, e raro ingegno Non habbi che di lor i vergarei Carte, che ’l mondo, e ’l ciel stupir farei. FINIS. ' — 700 — NOTE (1) Giovanni d’Ornano profugo Corso con altri suoi compaesani al servizio francese. (2) Maresciallo de Thermes, generale francese e capo della spedizione contro la Corsica. (3) Pier Giovanni d’Ornano, capitano corso al servizio francese, forse lo stesso che è sopra nominato. (4) Sampietro da Bastelica. (5) Enrico II re di Francia. (6) Altobello de’ Gentili, signore di Brando nel distretto di Capo Corso. (7) Giacomo da Mare, corso, al servizio di Francesco I. (8) Napoleone dalle Vie, capitano corso per Francia. (9) Gaspare Catacciolo che, incaricato di andar a chiedere soccorso a Genova, al ritorno tradì il suo paese. Il Cirneo {‘De rebus Corsicis') lo dice Picino Catacciolo. Il Cambiagi lo nomina Domenico Caracciolo. CAPITOLO DEL DETTO LEONARDO Rivolgo a te Signor la debil mente Che perdonar mi vogli gl’ error miei Sendo del mio fallir mesto, e dolente Tu pien di gratia, e di bontade sei Però ricorro a te con tutto il cuore Contritto pur di quel che al mondo fai Perdonami signor per quell’ amore Che tu portasti alla tua madre santa Qual piange le tue pene a tutte 1’ hore Perdonami signor per quella pianta Che fece il legno dove tu moristi Come la chiesa in ogni parte canta. Perdonami signor poi che patisti L’ acerba morte, con tanti dolori Per noi saluar da gl’ eterni conquisti. Perdonami signor tutti gl’ errori Che mai commesse questa mia persona D’aiuto priua, e di consiglio fuori. Perdonami signor per la Corona Che ti fu messa nel tuo fronte santo Da quei giudei come ogn’ hor si raggiona. r 11 Rjj Vii — 702 — Perdonami signor per quel bel canto Che 1’ angel dice alla tua madre cara La qual piangeua il tuo dolor cotanto Perdonami signor per quell’ amara Pena che hauesti sopra de la croce Da puoi che 1’ alma di ben far fu auara. Perdonami signor per quella voce Che uscì da la tua bocca alma, e diuina Qual fu in fauor di quel giudeo feroce. Perdonami signor per quella spina Che ti fu posta con tanto furore Sopra la fronte a cui 1’ alma s’inchina. Perdonami signor per quel dolore Che tu sentisti per 1’ amaro fele Il quale ti andò nel tuo benigno cuore. Perdonami signor per quel crudele Dolor, che hauesti quando fu chiauato Quei chiodi in le tue man si afflite, e isnele. Perdonami signor per il costato Che ti fu aperto con la fiera lanza E per il sangue tuo da quel gettato Perdonami signor per 1’ arroganza Ch’ ebbe quel giuda iniquo traditore Qual ti vendete con sua gran possanza. Perdonami signor con tutto il cuore Per quel flagel che auesti alla colonna Legato nudo con tanto dolore. I - _____ — 703 — Perdonami signor con faccia buona Per quelli chiodi che ti fur chiauati In li tuoi piedi, come si raggiona. Perdonami signor che perdonasti A Madonna Eua, e al nostro Padre Adamo Che per quel pomo dal ciel li cacciasti. Perdonami signor da puoi eh’ io chiamo 11 santo nome tuo, ben che sia indegno Che mi perdoni, come ogn’ hor io bramo Perdonami signor acciò che al regno Possa venir con lieto, e dolce cuore Dove andar suol chi seggue il santo segno. Perdonami signor con buon amore E volgi a me quel tuo celeste viso Qual suole a tutt’ il mondo dar splendore Che salir possi teco in paradiso. FINIS. SONETTO DEL DETTO AVTHORE. Nuoua fiamma nel cuor m’ ha acceso amore E nuouo laccio m’ ha aspramente stretto Frescha è la piagha eh’ ho nel miser petto, Sol per caggion di questo crudo ardore Né mai spero scemar si gran calore Nel laccio scior eh’ ha in se sì duro affetto Né la piagha sanar, se con diletto Non prouedete voi del mondo honore. Dunque per 1’ alma, e angelica beltade, Che possedete, e la gratia infenita Di che ’l sommo fattor v’ ha fatto adorna Habbiate a quel chi v’ ama almen pietade E risanate la mortai ferita Che sola in voi quella vertù soggiorna. FINIS. ARREDI ED ARMI Di SINIBALDO FIESCHI DA UN INVENTARIO DEL MDXXX1I CON AVVERTENZA E GLOSSARIO DI ANTONIO MANNO AVVERTENZA inietto a stampa, anzi dò per la prima volta al pubblico (i), l’inventario degli arredi, dei mobili, delle vesti che lasciò morendo Sinibaldo de’ Fieschi in Genova nel palazzo di Vialata, e nel castello di Montobbio coll’ armamento di questa rócca. Lo copiai dall’autografo, autenticato da notaro, che si conserva nella Palatina Torinese, e che mi fu cortesemente additato dal cav. Vincenzo Promis, che ne è liberalissimo bibliotecario, e della cui amicizia mi onoro. (i) Per occasione di famigliare rallegramento nelle nozze di Carlo Cordero conte di Vonzo e di Adelasia di Ce va de’ marchesi di Noceto, ne feci una privata, anonima edizione in soli 60 esemplari (Torino, Stamperia Reale di G. Ti. Paravia e C., iSjf, 22 agosto, in-S.o, 7/ pag.). Svelarono il nome dell’editore Cesare Cantù (,Archivio Storico Lombardo; Milano 1875, II. 342) ed altri. (Emporio popolare; Torino, 1875, 7 sett. ; N. Effemeridi siciliane ; Palermo, 1875, II. 235; Gaietta di Torino, 1.» nov. 1875, ecc.). Recentemente (agosto 1876) ne parlò quell’eruditissimo bibliografo che è il marchese Gerolamo D’Adda nella Gaiette des Beaux Arts. Ma con parole, per me, lusinghiere che non debbono provare altro che la sua benevolenza. Ved. Adda (G. D’) Le lit de Castellano. Paris, 1876. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. X, Fase. IV. — 7°S — È documento da me, finora, non trovato in libri stampati. E lo giudico importante, per la storia dèlie costumanze , del vivere privato, delle arti, e delle artiglierie ; oltreché é curioso. Mi lusingo possa piacere, e special-mente ai Genovesi, per i ricordi dei Fieschi, di Sinibaldo, e della rovina famosa del castello, dopo la congiura. Parecchi inventari s’ hanno a stampa. Quasi tutti però particolari, ed i più di arredi di chiesa (i), di corredi per nozze, di cataloghi di quadri. Pochi che corrano tutta una casa dalle sale alla cucina, dall’ armeria alla stalla (2). Molto importante quello pubblicato dal eh. L. N. Cittadella (3), ma di patrimonio principesco. (1) Riguardano Genova gl’inventari di libri ed arredi sacri dejl 1253 (Vigna (p. Raimondo) ^Antica collegiata di S. M. di Castello; Genova, 1859, p. 184); di paramenti e vasi sacri del 1282 {ih., p. 185); di vasi di chiesa del 1443 [ih., p. 263), della sacristia della cattedrale, del 1549 (Alizeri (Fed.) IsLoti^ie dei professori del disegno, dalle origini; Genova, 1870; I. 64, 82). Ho veduto con molto piacere, e per cortesia del eh. cav. Belgrano, i due numeri del giornale L’Omnibus (Genova, 1869, 6 e 16 maggio) nei quali il eh. avv. G.C. Ali-zeri pubblicò l’Inventario delle robbe che Eleonora Cibo dichiarava esistenti presso di sè dopo la morte di Gian Luigi Fieschi suo marito. Numera le vesti e le gioie. Cf. Belgrano , Vita privata dei Genovesi, 244. (2) In quest’ inventario non si notarono alcuni arredi, come i vasellami, i cristalli, le gioie. Ma siccome fu fatto per cagion di tutela, forse non si badò tanto pel sottile, e certe robe si saranno ritenute come di spettanza della contessa vedova. Sinibaldo morì nel 1532, ma fin dal 1528 a 18 giugno, avea fatto testamento, in atti del notaro Vincenzo Molfino , pubblicato dal Federici (Famiglia Fiesca, p. 185). Vi si legge: « Item voluit, statuit et ordinavit quod secuta morte ipsius domini testatoris quam citius fieri poterit vendantur in publica calega {au^ione) omnes et singulae raubae, vestes, afgenta, jocalia, tapeta, et alia bona mobilia, tam ipsius testatoris quam uxoris suae, exclusis illis bonis necessariis pro usu quotidiano filiorum et familiae ipsius D. testatoris ; et de processu ipsorum satisfieri debeat creditoribus ipsius D. testatoris.... ». Ad indebitare Sinibaldo contribuì certamente la vistosa somma di 12 mila ducati d’ oro dovuta allo Sforza per l’investitura di Pontremoli. (3) Istrumento di divisione fra le sorelle Sforma Visconti; nella ^Miscellanea di Storia Italiana; Torino, 1863, IV, pag. 443. — 709 — Farmi invece possa avere qualche pregio il conoscere quanta fosse la dovizia e la splendidezza delle case patrizie. E come un privato (e Sinibaldo, in Genova, lo era) potesse munire, e cosi validamente, una sua rócca. Montobbio o Montoggio, a dieci miglia da Genova, non solo fortissimo per orrore di natura, ma per munizioni di cannoni, colubrine, sparvieri, smerigli, bombarde, archibusi, scoppietti, balestre; e quasi non bastassero, vennero raddoppiate dal figlio Gian Luigi le difese, le vallate, i bastioni, le artiglierie. Il casato poi dei Fieschi, potente davvero ed illustre. Vantavano una figliazione, provata, sino al mille; due papi, Innocenzo IV ed Adriano V, suo nipote di fratello. Nel sestodecimo secolo già settantadue cardinali e trecento col pallio, o colle infule, o coll’ anello prelatizio. Ogni ragione di onoranza cittadina, di potere civile, di comando e di gloria in guerra (i). Alleanze con sovrani ; con quasi tutti i principi d’Italia ; e Beatrice moglie di Tomaso II conte di Savoia (2). Celebri anche (1) Godevano, per esempio, una preminenza unica, che il loro maggior nato sedesse appresso al Doge, sopra gli Anziani. Federici (Fed.), “Della famiglia Fiesca, p. 13. (2) Tra le Genealogie delle famiglie nobili di Genova, pubblicate dal Battilani, vi è la Fieschina (III. 1), compilata dal marchese Adorno. Come di regola, 1’ editore mandò il manoscritto alla censura. Ma al senatore Grattarola, revisore, nacquero scrupoli, e prima di licenziarlo pei torchi scrisse alla grande cancelleria in Torino (14 dicembre 1826): « Non si può negare trattarsi di un casato dei più illustri ed antichi d’Italia. Siccome tuttavia leggesi avere una tale famiglia fra tante altre cospiscue alleanze contratta anche quella della R. Casa di Savoia, così a norma delle ricevute istruzioni, prima di permetterne la stampa mi sono creduto in dovere di sottometterla alla superiore disamina ». Il guardasigilli sperò di schivare lo scoglio barcheggiando e rispondendo che siccome 1’ albero non era prosato da documenti, così si cercasse modo di differirne o tralasciarne la stampa (disp. 1,8 die. 1826). Ma siccome il marchese — 7IO — le donne. Famosa la consorte di Pietro de’ Rossi Signore di Parma, ma per rotte lascivie ; e per nefanda celebrità la fosca ovverosia Isabella, sposata a Luchino Visconti. Ma quanto nobile ammenda nelle amabili virtù di Catainctta santa! Sinibaldo, figlio di Gian Luigi seniore, che fu primo Principe di Valditaro, cumulò man mano l’immensa fortuna e gli stati ed i diritti della casa, succedendo a Girolamo, suo fratello primogenito, scannato dai Fregosi; ed all’altro germano Scipione, morto nel 1520. Quat-tr’ anni dopo da Carlo V imperatore, fu investito di Valditaro e confermato nei privilegi di zecca (1). Dominava trentatrè castella murate, e terre e viilate sul dorso degli Apennini, con altri feudi staccati dal grosso degli Stati. E ne ritraeva tali ricchezze da sfoggiare pompe inaudite in Italia (2); tantoché 1’ Ariosto lo effigiò al fonte di Malagigi, fra quei che perseguitavano la fiera dell’avarizia : Con Ottobono da Flisco, Sinibaldo Caccia la fera, e van di pari in fretta (3). Adorno fece osservare che non si pubblicava niente di nuovo, ma tutto trovarsi già stampato nel Guicbenon, così al fine la licenza fu conceduta. La. genealogia dei Fieschi, per la parte antica, venne data egregiamente dal eh. cav. Belgrano. Cf. «.Atti della Società Ligure, voi. II, par. I. Appendice, tavola X. (1) Di Sinibaldo si conosce un testone di puro argento, di grammi 7, 3. D = Aquila spiegata coronata: SVNIBALDVS . FLI(scus) . VAL(lis) . TARI. R = Santo nimbato, a cavallo, con uno stendardo nella destra: -J- SANTVS. ANTONINVS. Ne dà lo stampo Luigi Pigorini nelle SCemorie storico-numismatiche di Borgotaro, Bardi e Compiano ; Parma, tip. Cavour, 1863 (pag. 92 e tav. I. 1). Lavoro condotto diligentemente; benché vi si anticipi di quattro anni la morte di Sinibaldo (pag. 20). (2) Vedi l’erudito e critico lavoro di Emanuele Celesia: La congiura dei Fieschi. Genova, 1864, pag. 33, 80, 83 ecc. • (3) Orlando Furioso, XXV. 50. — 7ii — Sinibaldo fermò stanza nel suo palazzo di Violato (i) 0 \ ialata, tanto magnifico che Luigi XII re di Francia, che vi iu ospite dell’ avolo, avea detto le case dei Genovesi superare le sue reggie. Dal colle di Carignano dominava i prospetti della città superba, del mare, della agitata selva del porto, e della paurosa cerchia dei monti asserragliati da natura e dall’arte. Vi si accedeva per una maestosa scalea di oltre a cento gradini (2) con un vasto spianato dalla banda del mare. Il palazzo a fianco della chiesa patronata di Santa Maria, fondata nel 1336 dal cardinale Luca Fiesco (3), era tutto rivestito di marmi, e listato con alterne zone bianche e nere. Due grossi torrioni alle spalle, e rinfianchi e fregi e statue sulla fronte e pei lati (4). Studio di valenti ignoti architettori. Palestra, dove abili artefici aveano operato di scoltura, d’ intaglio, di pennello. Nel vestibolo istoriati 1 Giganti fulminati da Giove. Nelle sale, fra l’altre, tre bei soggetti d’imprese suggerite dal famoso Paolo (1) « Per la copia delle viole che vi nascevano, e soave fragranza vi diffondevano intorno, Violato appellavasi » (Canale, Storia della.Rcpub. di Getiova dal ifiS al isso; Genova, 1874, pag. 217). Altri però, più felicemente, ne ripete il nome da quello della vicina chiesa collegiata di S. M. in via lata (Giornale Ligustico; Genova, 1874, I. 240. Nell’archivio della Basilica di Carignano si conservano alcuni disegni di Giovanni Antonio Ricca, fra i quali uno del 1668 del « ponte che dalla strada di san Leonardo dà l’entrata alla chiesa dell’Invialata ». Si potrebbero, dalle linee e dalle leggende, trarre molti accenni al palazzo Fieschino. I disegni sono accennati dall’ illustre comm. Santo Varni in certe sue Spigolature Artistiche nell’ Archivio della Basilica di Carignano, che presto usciranno in luce. (2) Cbroniqucs de Jean d’Auton publièes par T. L. Jacob bibliopbile. Paris, 1834; II, pag. 221 , citato dal Belgrano. (3) Vedi Celesia e Canale 1. c. (4) 'Descrizione-di Genova e del Genovesato. Genova; 1846; III, pag. 147. Bel-grano (L. T.), Feste genovesi; nell’i ac nobiles ì>. eusebiutn feiscum moronum et fc. paullum pausiam tres er erecutoribus testamenti et ultime ooluutatis prestantissimi domini 0pibalì>i Cactum fuit 3noentarium De bonis et rebus masaritits et suppellectUibus ac aliis bonis mobilibus repertis in palatio uialate ibidem tunc eristentibus Cuius 3noentarii copia scripta tunc manu presbiteri mi-cljaclis rttiliarii in presenti 3nstrumento inserta est in omnibus prout infra. Jesus «tàmii foie io Cebruarii in otalata ilntjcntttrio ì>e le robbe òe la felice memoria Del 3llu-strissimo signor conte ippuibalDo Riesco. Et primo in la sua guarda camera.' » Una roba' de raso neigro foderata de taffeta cum orli tres de veluto (i). Roba una de veluto neigro foderato de raso cum doa liste de veluto neigro. Roba una de camocato’ neigro foderata de taffeta neigro con doe liste faprate*. Roba una de taffeta neigro cum doe bande de veluto recamato negro. Roba una usata de taffeta neigro cum cioè bande de veluto neigro. (i) Nell’inventario molti oggetti furono prezzati. A quale stima, con qual regola, non si sa; come neppure dello stato in cui trovavansi le robe. Epperciò credetti superfluo tenerne nota. Hanno l’asterisco le parole spiegate nel Glossario. Rendo grazie al eh. càv. Pietro Vayra che mi aiutò a collazionare la lettura del codice. — 7*7 — Roba una de panno neigro recamata de cordeti fodrata di raso neigro. Roba una de panno negro cum le frape’ de drapo fodrata de veluto neigro vegio. Roba una de tafcta vegia strapuntata* bandata di veluto neigro recamata de cordeti neigri. Roba una de raso neigro cum trei ncrvcti, foderata de zebellin. Roba una de taffeta neigro foderata de martori mon-toglio cum doi orli de veluto neigro a montoggio [a Montobbio]. Fodra una de sayo’ de pelete bianche cum le mostre de lupi serveri. Fodra una de roba de diverse pelli martori, lovi serveri veghii et altri. Roba una de borchatella* in seta peidellione* disfo-drata et disfata. Chiamarra una de raso morello fodrata de taffeta morello recamata de cordeti doro Sayo uno de veluto negro fodrato di raso negro cum tre nerveti de veluto. Una fodra de sayo de damasco negro novo. Chiamara* una de damasco negro fodrata di taffeta cum doe bande de veluto neigro. Chiamara' una de taffeta neigro foderata de taffeta negro cum doe bande de veluto neigro recamato de cordete* di seyda. Sayo* uno de taffetà neigro fodrato de taffeta neigro pieno eie veluto neigro. Chiamara una de taffeta neigro fodrata de taffeta neigro cum li orli grossi de veluto neigro. — 718 — Sayo uno di drappo nigro frixato* disfato senza fodra veggio. Capa una nova di drappo frixato fodrata de voluto negro. Capa una uzata di drappo frixato con doe bande de veluto negro recamata de cordeti*. Capa una de drappo frixato vecchia col passamano. Cappa una de drappo di fiorenza cum il passamano. Cappa una de drappo grixo da aqua cum uno orlo de veluto' berretino. Bernuzo' uno morello da aqua col passamano de seyda negra. Scaparono’ uno de saya indrapata di scarlata da calse che é palmi trey e mezo. Un zuppone* de raso neigro con doi orletti tagliocati’ fodrati de veluto neigro. Un zuppone de raso negro tuto recamato de cordete. Un zuppone de raso negro tuto pieno de nerveti di raso. Un zuppone de raso bianco cum trei nerveti de raso biancho. Un zuppone de raso cremesile*, fodrato de dicto raso cremesile cum trei nerveti de dicto raso tuto tagliato*. Un zuppone de raso cremesile vechio astrapuntato*. Un zuppone de raso morello cremesile fodrato de taffetà morello con liste recamate de cordete d’ oro. Un zupone de taffeta neigro fodrato di taffeta neigro recamato de cordeta negra. Un zupone vecchio de taffeta negro fodrato di taffeta negro cum doi orli grossi de veluto negro. 0 Un zupone de taffeta negro fodrato de taffeta neigro cum doi orli de raso negro tagliato*. Un zupone di taffeta bianco pieno di nerveti bianco fodrato del medesimo taffeta bianco tagliato. Un colleto de raso morello con trei nerveti di raso morello fodrato de pellete gianche’ cum le mostre de zebelin. Un colleto di raso cremesile cum un orlo de dicto raso cremesile fodrato de pellete bianche cum le mostre de lovi cerveri. Un colleto de veluto negro fodrato de damasco negro recamato de cordeta negra. Un colleto de veluto negro senza maneghe, tagliato. Un colleto grosso de coyrame’. Calse. Un par de calse de pano neigro nove, bandate de bor-cato doro et fodrate di borcato doro. Un par di calse di pano bianco fodrate de veluto bianco et orlate et bandato de veluto bianco fodrate di taffeta berretino'. Un par de calse di pano negro fodrate bandate et orlate de veluto neigro. Un par de calse de pano neigro bragate’ de veluto negro. Un par de calse de pano neigro bandate di raso negro, usate. Un par di calse di pano negro fodrate de raso negro et bandate di raso neigro recamate, usate. Un par de calse di pano neigro veggio, tagliate. Un par di calse di pano negro veggio disfacte, facte a listini de raso neigro. 720 — Un par de calse de pano negro disfate alistate di taffetà negro recamatte. Un par de calse de pano bianco bandate de veluto bianco da cavalchare. Un par de calsoni de pano rosso sempie’ eia cavalchar. Un par de calzoni cum le sue calzete di pano rosso sempie’. Un par di calzoni di damasco, gialdo’. Un par de calsete de drapo bianco. Un papafigo* de drappo de Fiorenza da cavalchar. In la camera de le figlie. Un torchio’ da letto grande. Un sachone di paglia. Doe straponte’ de emptema’. Una de borcatela' et bordo*. El suo cossino longo. La coperta de borgatella fodratà de tella turchina. Un cariolo'. Un sachone. Una strapunta de bordo. Un cussino longo. Doi arabicho’ da fare aqua. / Un scadaleto [scaldaletto]. Una tauleta' cum la sua cantera' et trespedi. Un scamelino’ intersiato da camera quadro. Un legno da moscheto* con l’arma fiesca. Doi quadri de vedriata per le fenestre de la camera. In la camera de la signora Contessa. Un torchio' grande. i Un sachonc de paglia. Strapunte* tre grande de borgatella et bordo. Una strapunta piccola in mezo de borcatclla. Un cossino longo. Una coperta de raso verde. Un moscheto de saxa negra. Coperta la camera de frixa*. In la guarda camera de la signora Contessa. Unt taula* cum li soi trespedi cum il pezo de saya negra sopra. Una tauleta' intarsiata cum la sua cantera*. Uno scagno quadro intersiato da camera. In li doy camerini sopra la camera de le figlie. Uno torchio col sachone de canavazo Una capsa grande. In lo camerino de Maria de sopra. Un torchio’ da lecto da campo Una taula cum li soi trespedi. Un forzerò grande ferrato ala franceyza. In laltro camerino apresso. Una taula cum li soi trespedi. In laltro camerino de le done lavandare. Un torchio da lecto. Uno sachono de paglia In salcta de la signora. Taula una cum li trcspedi. Una taulcta per la credenza cum li trespedi. — 722 — Una strapunta de bordo'. Un cussino longo. Una coperta de bordo. Una banca longa da maestro dassa [mastro d’ascia]. In la camera da basso del bagno. Un torchio. Due strapunte di emptema. Una colsere' de piuma. Un cossino longo. Una coperta de bordo. Un altro torchio piccolo. Una taula cum li trespedi picola. In lo bagno. Doy peyroli' un gran et un picolo. Un canono [cannella]. Una cassa grande. Una piccola de ramo [rame]. \ Cadre* da homo grandi octo. Cadre da dona intersiate cum larme' gatesche, & ro-verca a numero xv. Cadre da dona sensa arme a numero xiij. Scamelini' vinticinque. I El legno' per le robe. Un banchale* grande. In la saleta de le done. « Una taula cum li trespedi damanzare. Doe banche da sedere. Una credenza. Uno stagnono- col suo bacille de ramo sotto. In camera del maestro de ca^ci. Una taula cum doy trespedi. In carne de Loy^e. Un fornimento de veluto negro de la signora Contessa cum le arme fiesche et rovere. Un fornimento da mulla dal zu [sic] de veluto neigro cum le sue fraze \frangie] d’oro e' di seda cun la sua coperta di veluto, grande, fodrati de panno negro. Un fornimento de veluto neigro alla spagnuola cum le fibie neigre, quasi nouo. Un altro fornimento de veluto neigro cum le fibie dorate. Doi fornimenti da mula de veluto neigro cativi. Un fornimento de veluto negro cu le frangie d’oro et . seyda cum le fibie dorate cativo. Un fornimento del cavallo grosso de veluto negro cum le fibie et passanti dorati. Trei fornimenti di panno neigro da dolio*. Atti Soc. Lig. St. Patria . Voi. X. Fase. IV. 48 — 724 — Un fornimento coyro cum li fornimenti dorati. Una coperta de veluto neigra cum lo so cussino da dona cum le frangie de oro et seyda. Una coperta picola da sella de veluto neigro cum una lista tagiata. * Cinque coperte cattivissime de drapo negro da mulla. Due coperte de pano neigro come nove da mulla. Quattro para de borchie dorate da mulla. Una capsa’ da barde dove stano li fornimenti. Doe para de lensoli de lino cativi videlicet lenzolli tre de telle quattro et un de telle tre. In la camera del barbero. Un par de lenzoli de telle tre de caneveta. Un par de lenzoli de lino de tella. In la camera del signor conte de basso. Un torchio de lecto da campo. Un sachono de paglia. Una colserc de piuma. Una strapunta de emptema biancha terlisata. Un cossino longo. "Un lenzolo de lanna biancha. Una taula cum li trespedi. Una bancha longa. Un par de brandenalli*. Li soi quadri doi de vedriata. In lo scagncto. Una cariota’. Una strapunta de emptema bianca. ✓ — 725 — Una taula cum li trespedi. Uua invedriata. Una cadrea de camera coperta de pano rosso. In la camera de li stapheri. Un caneleto' da ocelli. Un par de cavalleti cum le tavollc susa per un lecto. Una tavoleta cum li trespedi. In la camera del bagno. Un torchio. Un sachono de paglia. Doe strapunte de cmtcma. Un cosino longo. Una coperta bianca. In la camera apresso. \ Un torchio. Un sachone. Una strapunta de bordo. Un cossino longo Doi cavaleti cum le tavole. Una strapunta de bordo. Un cossino longo. Una tavoleta cum li soi trespedi. Le robe de la signora contessa. Et primo una roba de veluto cremesile argentagno' cum lì soi baioni et manegeti' fodrati de tella morella. — 7 26 — Una roba de‘veluto argentato' cum li soi brioni, ma-neseli', fo irata de tella berretina. Una roba di veluto morello cremesile cum li brioni et maneseli fodrata de tella turchina. Una roba di veluto peydelione' cum li brioni et maneseli fodrata de tella negra alistata del medesmo veluto. Una sottana de veluto cremesile facta a nerveti d’ oro cum le sue maniche desteyse fodrate de tella negra. Una sottana de veluto cremesile alistata de borcato d’oro cum li suoi manegeti desteisi fodrata de tella lionato. Una sottana de domasco porcelleta' cum li brioni e manegheti cum li soi orleti de tella d’oro foderati de taffeta berretino. Una sottana de borcatello morello cremesille alistata veluto morello, cremesile, foderata de tella negra senza manega. Una sottana de giamelleto* porcelleta' cum uno orlo de veluto turchino con li soi brioni desffodrata. Una sottana de sgarlata [scarlatta] cum tre bande de veluto morello cremesile senza maneghe. Una roba de damasco incarnato cremesile cum li sui brioni et* maneseli bandati de veluto incarnato cum doe bande. Una roba de razo morello cremesile cum li brioni et maneseli cum doe bande de veluto morello disffodrata. Una roba de damasco negro cum le sue maneghe cum doi orli de veluto -negro disfodrate. Una sbergna' de damasco berretino. Una sbergna de damasco negro. Uno par de maneseli de brocatelli cremesile cum li cordeti d’oro. — 72? — Uno altro paro de borchatello morello cremesile. Uno altro paro de raso bianco. Un altro par de zentonino verde cum sua banda et doi orli de veluto. Uno colleto de veluto cremesile fodrato de lovi cerveri. Un colleto de rasso negro fodrato de lovi cerveri. Un colleto de drapo negro fodrato de zebellin. Una scenna [schiena] de lovo cervero. Un altro scaparono de lovo cervero. Doi scaparoni de pelle de volpe. Un legno’ dorato col melagrano del celle de veluto verde. Una cadrea de veluto verde da homo cum le sue giande. Una de veluto morello cum le sue franze d’oro et seda morella. Una de veluto cremesile cum le sue frangie d’oro et veluto cremesile. Una de veluto rosso cum le sue frangie de seida rossa. Una capsa grande de roba. Taule septe tra grande et picole in la guardaroba cum li loro trespedi. Quatro quadri de vetriate per le fenestre d’alto. Quatro quadri de vetriate grandi cum li soi tellari. Doe torchiere' de legno per la sala. Una corba’ da figlio dorata et fornita. Un par de brandenalli belli da camera da lctoni’. In la camera de la signora contessa. Un par de origeri. In la camera del signor federico et mariola. Uno oregiero. — 728 — In la camera de la felice memoria del signor. Un torchio da lecto grande retrato’. Un sachono de paglia de bordo. Strapunte doe de borgatello mezo, et mezo de bordo. Una strapunta piccola de borchatello et bordo. Un cussino longo de piuma. Un lectuchio intersiato et intagliato. Una taula de nuxe cum li trespedi. Quattro tellari de vedriate alle fencstre d’ alto. La trapa longa de ferro per le cortine del retato . In la guarda camera de lo prefato signor. Un torchio da lecto lavorato. Uno sachono de canevazo da paglia. Strapunte tre de bordo et canavazo sotto. El cosino lungo de piuma. Un lenzolo de lana bianco. Una carriola*. Un sacone de canavazo de paglia. Quatro telari de vedriata alle festre. Una buzula de legnami. Una strapunta de bordo. In salla. La credenza grande intagliata col suo sottopede. Banche da seydere cinque. Octo tellari de vedriate a le fenestre di salla. Ochii quatro di vedrò. Un par de brandenalli de ferro alla franceyse. — 729 — In lo camarino de la salla da reponere. La rosa de la credenza. Una tavola cum li soi trespedi. Col suo solario picolo. Le tavole atorno. Una scaleta. In la camera de capo de la salla. Un torchio da lecto. Un sachone de paglia. Strapunte tre de emptema'. Cosino uno longo. Coperta una de borchatella. Una taula cum li soi trespedi. Una cadrea si ve bancheta per la basa' camera. Quadri doi de vedriate per le fencstre et l’ochio. In laltra camera appresso che è la ter\a. Uno torchio da lecto. Un sachone de paglia. Straponte doe de emptema' bianca. Una strapunta de bambasina bianca. Un cussino longo. Una coperta de borcatella. Una taula cum li soi trespedi. Una bancheta per la bassa camera. Quadri doi de vedriate per la fenestra cum lo ochio. In la quarta camera apresso del retato . Un torchio retrato]. Un sachone de paglia. Una strapunta de emtema*. Doe strapunte de borchatela et bordo. El cussino longo. Le sua trapa’ de ferro per le cortine. Un lecto picolo da campo. Doe straponte de borcatella. Un altra de tellazo verde. Un cussino longo de telazo verde. Un sachone de paglia. Una coperta de taffeta incarnato et turchino. Una taula cu li soi trespedi. Quadri doi de vedriate per le fenestre col ochio. In lo camarino de dieta camera. ■ i Una taula. cum li soi trespedi. Doi quadri de vedriate per le fenestre. In la capelleta li soi vedri. Et una tauleta senza trespedi. In la camera sopra la porta retrata. Un torchio da letto. Un sachone da paglia. Doe straponte de emptema. Un cusino longo. — 731 — Una coperta de borchatela fodrata de tella turchina. Doe taole et li soi trespedi. Una bancha longa. In lo camarino de sopra de dieta camera. Una taula cum li soi trespedi. Et gli armarij de legnami. Coperte cum le arme fiesche et rover quatro, computata una che ha lo zoppo de Caregna'. Doe coperte tarlatinesche’ computata una presso a angela maria marrana. Una coperta de dimito' cremisile facta a quadrcti de scamato' turchino. Una coperta de bambasina bianca fatta a ravioli'. Uno copcrtarolo de bambasina bianca da corba. Un lenzolo de lanna rosso. Coperte da lecto le vende. Una coperta de raso cremesile cum li nerveti de tella di argento fodrata de tella celestina da lecto. Una coperta de raso cremesile facta a quadrette fodrata de scamato verde da lecto. Una coperta de dimito giallo facta a limoneti’, fodrata de scamato verde. Una coperta de dimito cremesile facta a quadreti foderata de scamato verde. Un moscheto de scarlata col suo capeleto coprilecto et fenogieto' bandato de veluto negro pecii* iv. Un fornimento de pano rosso de un lecto da campo. — 732 — Un moscheto de taffeta incarnato cum le griselc' d’oro, col suo capelleto de tella d’oro recamato de veluto negro et foderato de taffeta turchino. El suo coprilecto de damasco incarnato, bandato de borcato d’ oro. Un moscheto de vello bianco et morello col suo capelleto cum le sue franze bianche et morelle pesii quatro. Cortine cinque de taffeta incarnato et turchino cum doi fenogieti per il retrato’ de la camera grande, pesii septe. Cortine pecii dexe de taffeta rosso per lo lecto retrato da la camera de la scala computati li fenogieti. El fornimento de damasco taneto [tane] et berretino per il lecto da campo dal signor pesii cinque. Lecto da campo de raso cremesile pesii septe fodrati de taffeta verde cum le sue franze de seida et oro. Gli doi oregeri'. Cortine tre de taffeta incarnato et gialdo et cangiante. Tapeydi doi de damasco porceleta' fodrati de tella turchina cum li fiochi et cordoneti attorno. Doi fenogieti* de veluto de lecto rosso et turchino alto et basso. Un fenogieto’ de veluto turchino alto e basso cum le arme fiesche et carreta (i). Una camera’ de tella de cambri’ facta a griselle’ d’oro pesii xvj. Cortine doe di saya verda cum le loro frangie et lo fenogieto pecii trey. Un fornimento da lecto da campo de taffeta cangiante. (i) La madre di Sinibaldo era Caterina di Giovati Matteo del Carretto. — 733 — Un fenogieto de taffeta turchino et rosso da lecto da basso. Un cello de damasco gialdo fodrato de tella rossa col suo fenogieto* da basso. Un cello de veluto verde cum lo suo pendente et frangia cum le sue spalere doe de veluto verde alistata de tella cum le 3 cortine de sopra d’ oro et fodrate de tella turchina. Un fornimento da lecto de zentonino' cremesile cum remi et tronconi (1) d’oro col suo fenogieto et frangia et coprilecto fodrato di tella rossa, pesii cinque. Un fenogieto da lecto basso de raso cremesile cum le sue frangie fodrate di tella rossa. Un fornimento da lecto del signor di borcato et ve-feta verde pesii vj et cello et coprilecto fodrato di taf-luto gialdo et fenogieto da pede, el cello fodrato de tella rossa, el fenogieto fodrato de tella rossa. Lo fenogieto dalto facto a recamo de magliete de argento pesii vj fodrati de taffeta rosso cum le sue frangie de oro et seyda. El lecto da pavone cioè il cello de borcato d’oro et fenogieto dalto fodrato de damasco turchino cum le sue frangie d’ oro et seyda et fenogieto da basso de borchato cum le sue frangie fodrato di tella. Cortine tre de damasco gialdo de dicto lecto de borcato. Un fornimento da lecto da campo cum el suo cello de veluto peydeleone’ et rosso el crouelecto [copriletto] et fenogieto da basso fodrato de tella turchina. (1) Vorrà dire che la stoffa era lavorata a disegni e precisamente a rami e tronconi, cioè con le armi Della Rovere. — 734 — Le cortine tre de dicto lecto de taffeta rosso et pey-deleone. Un paro de oregieri de zentunino cremesi recamati cum le arme fresca et carreta. Un paro de zentonino verde recamato de oro cum le arme de casa et carreta. Un coprilecto de borcato d’ oro risso' sopra risso per la corba, fodrato di damasco bianco. Un sayo de veluto gialdo da’ armar recamato de fogliami. Zentunino cremesile fodrato di tella gialda. Pesii quatro de sopraveste da barde da cavallo del medesimo veluto gialdo, recamatte et fodratte de tella gialda. Un sayo de borcato d’oro risso et veluto cremesile alto et basso bandato da armare*. Pesii cinque de sopraveste de barde de borcato et veluto del medesimo del sayo, fodrate de tella verde. Pecii cinque de sopra veste da barde de zentonino verde cum la sua franza recamate de tella d’oro et fodrate de tella rossa. Quarti quatro de una chiamara’ de zentunino cremesile cum li bastoni de borcato d’ oro senza busto. Cum scaparoni cinque de zentunino cremesile. Una casaza de veluto argentato cum le sue maniglie distacata: cum li cordoneti. Una casaza de veluto morello et borcato d’oro disfata cum le sue maneghe et brioni’. Doy say de borcato d’oro disfati pecii disdoto. Un zupone de tabbi morello fodrato de taffeta negro. Un zupone de raso cremesile cum li manegheti de — 735 — borcato d’ oro risso ct veluto morello cremesile col pecto' facto segondo li maneselli despesati. Un par de maneseli de tella d’oro tirato col pecto dal medesimo cum orleti de veluto negro fodrato de taffeta negro col suo pecto del medesmo. Un par de maneselli de veluto morello cremesille et et tella d’oro tirato cum li nerveti del medesmo foderati de taffeta negro col suo pecto del medesmo. Un par de maneselli de velluto morello cremesille cum li orleti de borcato d’ oro rixo col suo pecto fodrati de raso negro. Un par de manegeti de veluto negro recamati tuti a cordoneti negri col suo pecto fodrati di taffeta negro. Un par de maneseli de veluto negro tagliato col suo pecto desfodrati. Un sayo de borcato d’oro et velluto morello cremesile da arme et un quarto del sayo cum pesii 17 de borcato et più bande, tre tagliate de borcato, et cinque bande de veluto tagliate. Trey quarti de fodra de say de frisa gialda. Un colleto de coyro argentato et veluto neigro. Un faorcheto’ de saya gialda col suo capelleto ct franze. Un strapuntino de tellazo gialdo fodrato de borcatella col suo oregiero del medesimo. Una strapunta de borcatella de lana fodrata de bordo. Una strapunta de bambasina bianca. Un par de oregieri grandi del solito. Para quattro de oregiere de piuma da letto. Portere tre de pano verde fodrate de tella verde. Un scaparono de perpignano negro. Un fornimento da lecto negro de saya neigra col suo — 736 — cello et cortina et fenogieto pesii V. El torchio del lecto dal re (i) dorato. El torchio dal lecto da pavone dorato. Un torchio dal lecto di raso cremesile. Forseri [forzieri] ferrati alla francese doi. Et più gadeleri [candelieri] dese. Candelli trey doppii de latone*. Candelieri tre sempii de latone. Nerchi turcheschi tre en uno carchasso. Et frise a numero 25. ‘Berrete (2). Una berreta de veluto negro cum para scpte et mezo de bogini' et una medaglia inscripta arctius. Berrete tre de veluto negro. Un capello de veluto negro recamato. Un altro capello de veluto neigro tuto recamato de orleti de seyda. Un berretino de raso negro tagliato. Tante liste di raso morello recamato de cordeti d’ oro per listare un par de calse. Tante liste de veluto neigro recamato de cordeti de seyda per listare doa para de calse. Palmi quatro de banda de veluto neigro recamato de cordeti per listare. Una coregia di veluto neigro da spada fornita di doe (1) Forse quello che avea servito a Luigi XII re di Francia. (2) Vanno qui notate promiscuamente sotto questo nome anche le calze, le cinture ecc., perchè in Genova i berrettieri solevano nelle loro botteghe far mercato di tutti questi oggetti. — 737 — fibie armate et doi passanti et doi pedoni sey mappete cum un ligame de pecii cinque et chiodeti tuto d’oro. Una cor regia de veluto bianco da spada fornita de ferro argentato. Una cazolletta’ d’argento da prefumare [profumare]. Un candellereto de argento per legere, col manigho. Una moleta de argento da candella. Una spada Valentiniana cum li fornimenti argentati cum lo fodro de veluto bianco. Una spada valentiana incavata, donata per il signor conte Massimiliano Stampa col fornimento dorato et negro et fodro di veluto negro. Una spada francese negra col fodro de veluto negro. Uno stocco da homo d’arme. Una achieta dorata fornita de veluto cremesile da ca-valolinghiero*. Un pugnale de tarsia d’oro col manegho de avoglio intagliato et fodro de veluto bianco et fioco de seyda bianca raso. Un pugnale de tarssia d’ oro col manegho de legno negro intagliato col portale’ boccale’ et cortello’ lavorato de tarsia col suo fioco de seyda turchina et berrc-tina et col manego de oro’ tirato. Un fico de seyda cremesile col suo manegho de seyda e oro lavorato alla damaschina. Un par di sproni dorati forniti de veluto taneto. Un par de serponi [speroni] dorati et negri forniti de veluto negro. Un par de speroni bianchi argentati forniti di coyrame bianco. — 73« — Un par de guanti de veluto negro fodrati de pelline bianche cum le mostre de zebbelin. Una borsa de veluto neigro de officio' cum li Evangeli dentro. Quattro coppe de porcelleta*. Un par de ferri da camino in dieta camera. Camise. Camise una lavorata di seyda negra. Camixe dodexe lavorate de filio bianco. Toagliole quatro da spala de Olanda. Toagliola una de olanda lavorata de oro et seyda cremesile. Toagliola una d’olanda cativa, lavorata de seyda cremesile. Un mandilo [maritile] de Cambre [Cambray] lavorato de oro. Tre scuffie lavorate de seyda negra. Tre camisete d’olanda strapuntate. Una scuffia de oro et seyda. Diverse carte de tigromesia [?]. Una valise de panno berretino de tella bianca. Una valise de coyrame fodrata de tella. Un fodro de coyrame da berrete. Un scatollono cum un penachio de pene negre. Quattro forzeri napolitani coperti de pelle. Una capsieta' intresiata de osso. Una capsietina picola intersiata. Un par de forzeri a la franzeise coperti di negro. Un par de forzeri coperti de rosso. — 739 — Un bancale longo intagliato a cartochio. Tavole doe in la dieta guarda camera cum li trespedi. Un peso de drapo verde susa una tavola. Una torchiera*. Uno spegio grande de azale*. Un scagneto* coperto de veluto rosso da scrivere. Un quadreto picolo coperto de veluto verde da manzare. Libri tra grandi e picoli a numero septanta octo. Et più libri cinque presso a maestro Io: bapta in scola. Un calamaro quadro fornito cum un temperatore col manegho de argento et un altro manegho de argento, tesauriete' dorate. In guarda roba. Una capsia grande. Taulle tre grande. In la guarda roba de la siguora Contessa. Et primo pesii sei grandi tapaserie del testamento vechio et de nabuedonosor per la salla grande. Pesii octo de tapasaria del historia de bianchafiore cum un fenogieto* o sia pendente de dieta tapasaria. Pesii quatro de tapassaria gialda per lo retrato del lecto de la camera grande. Item pesii doy de fenogieti' cusiti de dieta tapassaria. Pesii undese de tapassarie a figure grose et veggie. Pesii dodese de tapassarie de verdure, veggie. Pesii quatro de fenogieto’ a verdura vegii. Un lambelo' de fiandra grosso da taula. Atti Soc. Lig. St. Patru, Voi. X, Fase. IV •19 - 740 — El tapeydo* grandissimo per la taula de la gran sala. Un altro tapeydo a la taula grande che è palmi vinti. Un altro da taula col larma fìesca parali dodese. Un altro tapeydo da taula chi è parmi undese. Un altro tapeydo da tavola novo fino palmi xiij. Tapeydi novi fini picoli da oratione, sei. Tapeydi picoli cativi, quatro. Tapeyda grande pelosa da mettere in terra, una. Unaltra tapeyda mezana da terra. Una lambela* grande cativa da taula, palmi 29. Item doi altri Limbelli picoli cativi. Coperte sei de drappo turchino da consigii [consigli] cum l’arme in mezo. Jn la cusina. In lo solarolo. Una strapunta de canavazo. Un sachono de paglia. Un tapeydo cativo. In lo forno. Una taula grande cum li soi trespedi. Una banca longa da sedere. Una taula da impastare in cusina. Doy tinelli da farina et breno*. Una gabia longa da caponi col suo arbio*. Una altra picola cativa. In la canneva. Botte grandi piene de vino sey, de diversi lochi. Botte de mezzarolle* quatro, in circa nove piene. — 741 — Una botte de vino a mano. Botte voide venticinque. Doe botte de aceto cum un poco dentro. Un barille cum un poco de agresto. Un barille voydo da marnassa [maruasia?] voida. Segie tre. Galere doe. Un stagnono. Una scala per le botte. JJnoentarium bonarum bobicn. (i) ciistentium in castella montobij. Et primo in sala. Una taula longa cum li suoi trespedi. Doe banche da tavola. Una altra taula per la credensa. Un capsione grande da tener robe. Un altro capsione mezano. Una capsia per tener le robe de la credensa. Doi brandinali de ferro grande. In la camera, prima de la sala. Una tavola con li soi trespedi. Una bassa' camera V (i) Leggo bóbiensiwm. non già che Montobbio fosse in quel di Bobbio, ma perchè di là si accedeva ai feudi fieschini attenenti al Bobbiese. — 742 — Un lecto da campo con le cortine di saia giale et rosse talle e quali. Doi brandinali de ferro per lo camin de la camera. In la seg onda camera. Un lecto da campo. Una tavola con li suoi trespi. Una para de brandinali de ferro del camino. In la terza camera. Un lecto da campo. Una tavola con li soi trespi. Uno par de brandinali de ferro per il camino. • « • In la prima camera de la famigia appresso la cancellarla. Doi torchi. Uno cassione. Una cassia longa. In la camera de la cancellarla. Uno torchio. Una taula con li soi trespi. In la segonda camera de la famigia. Doi torchi. Una tavola con li soi trespi. — 743 — In la ter^a camera. Doi torchi. Una carriola. In tinello. Tre capsie grande desfatte et rupte. Doe capsie mezane integre. Doi bancali longhi vecchi. Una tavola con li suoi trespi. Una credenza. Doe banche longhe. In la camera de loi^e. Uno torchio. Una tavola con li suoi trespi. In la camera del castellano (i). Uno torchio. Una tavola con la sua cantera. Una tavola quadra inchiodata sul trespo. Un capsione vechio. Una bassa* camera. Una capsietina vechia. In la Qamera del signore. Una tavola. Una tavoleta quadra facta a cantera. (i) Nel 1528 era castellano Gerolamo Torto. Uno torchio intagiato de noxe. Uno paro de brandinali de ferro. In la camera nova. Uno torchio de noxe intagiato. Uno scagneto intersiato facto a cantera. Una tavola con doi trespi. Una tavoleta facta a cantera. Una bassa' camera. Una figura de nostra dona. In la camera de la torre de ine^o. Uno torchio con la sua carriola. Doi capsioni. Uno banchale longo. Una capsia vecchia. Doe banche. Una tavola con doi trespi. In la camera del bagno. Uno torchio con le sue carriole. In la camera dal alto de la torre. Uno torchio de noxe intagiato. Una tavola de noxe fatta a cantera. Una capsia longa de foo'. Doe basse’ camere. Doi brandinali de ferro. Dexe scabelli. — 745 — In la canneva. Doe botte grande de mezarole' 70 1’ una. Una botte de mezarole 30. Sette botte de mezarole 16 1’ una in circa. Quattro botte de mezarole 12 l’una in circa. Cinque botte de mezarole iiij l’una. Doi carrateleti' de mezarole doe l’uno. Quatro paira’ de barrille. Tre ferrate dopie da bombardere. Una ferrata grande da fenestra. Un altra picola. In el granar0. Giarre* da oleo xvij grande. Una tina. Uno capsione da sara [salare] porcili. Uno tinello da breno'. Una resega’ grande. Trei starij, una quarta, uno scopello' Uno crivello. Uno vaio [vaglio]. Una tavoleta cum li trespedi. In la dispensa. Un capsione grande da farina con tre cantere. Un armario grande de farina. Un banchale longo. Trei tinelli. Uno cantalle. E uno cantareto'. Doi rampini'. Dexe sachi da farina e da grano. Septe altri vechi. — 746 — In lo forno. Una meisara’ da impastare. Una tavola con doi trespedi da far el pano [pane] suzo. Quatro tavole da pan. Quatro cotrete de arbaxo’ e quatro de lin cattivissime. Sei sedacii'. Uno barleto de ramo per lo pane. Uno payrolo' grande de ramo da laqua del pane. Una cadena de ferro, lo coperchio de lo forno. Doe pale de legno. In cusina. Doi arsentali' con la cathena. Piati [piatti] picoli de stagno numero io. Dui grandi. Tondi numero 9. Spedi colli cavalleti doppi. Li brandenali da fuocho, le cathcne da fuocho. Padele doe bone e padele doe cative. Diverse cazette” de cusina. Mortale uno picolo et uno grande con li pistoni. Gradizelle’. Una padella da castagne forata. Lavezi* de preda" numero 3. Una casa d’acqua. Una gratarina'. Caldari con gli coverchi novi numero 3. Uno caldaro per li porci. Caldari da bugada numero 3. Un caldaro con una caza grande da far siropo. Doe conche de ramo. Tre altre conche. Diverse scudele de terra. — 747 — Uno ramarolo picolo. Uno lavezo" de bronzo. Uno caldaro da bagno con la tromba. Sette candeleri de latone tali quali. Uno coltelo da carne, grande. Celi trei da lecto de bambasina biancha. Celo uno da lecto de tela biancha. Una camera de tella grande in quattro pesii cum le sue gradixele. Una spalera grande di bambasina bianca con li soi pomi d’oro e de seda. Una camera de tela de bruges. Le cortine. Cortine de saia biancha e turchina numero 5 pesi. Un lecto da campo de pano rosso. Un lecto di saya verde e rossa. Cortine quattro per lo medesimo 5 pezi. Un lecto de taffeta verde et morelo e bianco cum le cortine et tre fenogeti. Cortine de taffeta berretine, turchine, pesi 2. Uno fenogeto de lana morescho, turchino, et bianco. Una coperta da mulo de tela d’oro recamata de veluto negro. Uno robono de taffetà berretino da dona. Barde da cavalo de veluto turchine con li martineti numero 6. Uno sayo de pano neigro fodrato de pano neygro senza maniche. — 74§ — Una crochia' de saya negra. Una roba de taffeta negro. Una camiseta de pano rosso da homo. Una roba vecchia de taffeta strapontata. Una pesia' di toagie [tovaglie] a la damaschina. Pesie doe de sarviette damaschine. Pesie tre de toagie de leon.’ Pesie tre saiviete de leon.* Pesie tre de sarviete grosse. Pesie una de sarvieta grossa dama. E più sexe dal catto (i). Saiviete grosse da man, pesia una. Una toagia da dona de bambagio a la moresca. Una pesia de toagiole da dona fata in la tela. Uno moscheto di seta verde fato a rete con lo suo pomo e cordoni di seta cremesile. Paria doi de maniche da dona de razo negro, cative. Berrete doe da homo de veluto cremexille. Berreta una de razo verde. Berrete doe de pano bianco. Uno capello de lana al albaneize. Uno capello de lana bianco. Uno scaparono di saja verde cativo. Una coperta de seta incarnata et biancha fata a qua-dreti a la morescha. Una coperta de raso morelo. Una coperta de veluto verde e borcato d’ oro. Una coperta de veluto verde e borcato d’ argento. Lensoli doi de lana rossi. (i) Col gatto; cimiero ed impresa dei Fieschi. Lcnsolo uno de lana bianco. Tapedi novi picoli a numero 4. Tapecfo uno mezano. Uno lambello. Una tapeda cativa. Saiviete de lion tagiate dozzine vj. Saiviete de lion da man tagiate a numero vj. Toagie grosse per la famigia usate a numero 4. Saiviete grosse usate a numero 12. Lensoli di lino de tele cinqu e 1’ uno paria tre. Lensoli de lino uzati paria uno. Lensoli de canaveta paria xij. Sonie’ rec'amate de seda nigra paria doe. Oregeri a numero vi. La capela del signor con tuti li paramenti videlicet una pianea’ de damasco peideleon’, stola et manipolo del medesimo, camixo habito e cordon. corporali con la soa borsa di coiro et tavola da secreti. Toalie tre. uno calice de argento, una palma d’argento. una croce d’argento, doe stagnere d’argento. Una scatola d’argento da hostie con uno pase [pace] d’argento tute con le sue veste de coiro. Uno messale, doi candelieri de argento. La capela de montogio uno. Trei pesi de toagie. uno paleo de camocato bianco. Una figura de nostra dona, una pianea* cativa de razo morello. Stola e manipolo de camocato’ rosso. Tredesi origeri da sedere di pano verde. Octo origeri da sedere de veluto rosso. * Uno paro de habeti de pano gialo et berretino. — 750 — Un altro paro de morelo e incarnato. Un altro de berretin et morello. Un altro tuti morelli. Uno stocho de homo d’arme cum lo fodro de veluto. Sette rubi de stopa desvolta, Sette rubi de lino despetenato. Sette rubi de filo de stopa bianco. Quatro rubi de filo bianco de lino. Libre dodexe de filo sotile bianco. Strapunte doe de bordo. Una coltre de piuma, uno sachono. Una strapunta de borchatello foderata de bordo. Una coperta de borchatello. Doi cossini longhi de piuma. Straponte tre et coltre una de bordo. Doi sacconi de pagia. Una coperta de bordo. Trei cossini longhi. Doe straponte de bordo. Una straponta de borcatello. Doi cossini longhi. Una coperta de bordo con lo suo sacono. Una straponta de bordo et uno saccone. Tre straponte de borcatélo. Uno cossino longo. Uno saccone, doe straponte. uno saccone. Uno moscheto bianco frusto. Uno cossino longo. Una coperta de borcatélo cativa. Una straponta de canavaso. Una coperta de arbasio'. — 751 — Doe straponte de borcatelo. Una coltre de piuma. Una coperta de borcatelo. Uno cosino longo. Una straponta de borcatelo. Uno saccone de paglia. Una coperta de borcatelo. Uno cossino longho. Una coperta de tella turchina. Uno saccone. Una straponta de bordo. Una coperta de tella turchina e rosa. Doe strapunte una de canavaso e una de bordo. Uno saccone, uno cossino. una strapunta de canavaso. Uno saccone, una coperta de bordo, una straponta de canavaso. una coperta de bordo. Doe straponte de canavaso. Una strapunta de bordo. Doe coperte de bordo rose et turchine. Una strapunta de canavaso. Una coperta de bordo. Li argenti. Una stagnara" grande d’argento facta a relevo dorata, imprestata a Cosmo damiano Justiniano governator di Corsica. Un bacile d’ argento. Cugiali d’ argento xiiii. Uno salino grande lavorato coperto de argento. Una overa’ d’ argento. Uno botexino" per lo peivere. Una neveta* da colare agro de limon. Doe confetere d’argento lavorate a la barccloneiza. Doi candeleri d’argento solii' da camera. Quatro candeleri d’argento lavorati, tuti deti argenti peizano libre vintiotto et meza. Uno filo de perle sono a numero 73. E deti argenti sono de la signora Contessa. In la stala. Uno cavalo grosso. Uno cavalo morleto. Uno cavalo leardeto. Doe chinee Una mula grossa. Una mula rossa. Una poledra. Una mula negra picenina. Uno muleto da portare. Una muleta us.a Doi asini ut supra. Doi muli da soma. Tieni immobili. 1 Lo palatio de Inviolata. Lo palatio de sancto Laurentio. La vila de stagiano con quatro case. Le due possessione de nervi con le soe case. La casa e vila d’oue sta polo da rappallo. La casa d’oue sta madona Margarita de montcncigro. La casa dove stava Clementina de Torrigia (i). La parte de uno loco de san Zorzo con li proventi. Li crediti. • * Scuti tercento prestati al duca de vrbino. Scuti cento prestati al sig. Jeronimo* ursino figliolo de madona Felice. Scuti cento prestati al marcheize de scaldasole. Scuti vinti prestati a m. Jacomo Scrivigin che sta a porana. Item certi denari del banco de Vsodemare. Le artalarie et munitione del castello. Et primo torrione de verso lo bosco. Uno molino’ da brasse. Archibusioni de metallo cum li soi cavaleti a numero xvj. Smerigi’ de metalo con li soi cavaleti a numero viii. Una bombardela de metalo sensa masculo’. Balote de petra tra picole e grosse a numero dcc. Sei ferrate grosse a le hercher [?] con le sue chiave cadenase et chiavadura. Sette schale da muragie. Trei smerigi’ con li suoi cavaleti de metalo. Quatro sagri' de metalo con le soe rote’ e le ... rore. Sopra lo corridore. Uno canon grosse de mettalo con le sue rotte e schaloni. Uno canon cultado’ de mettalo con li soi schaloni et rotte. (i) Quella stessa che procreò a Sinibaldo uno spurio, di nome Cornelio, al quale fece legati in suo testamento. — 754 — Una colobrina' de mettalo con li soi scaloni et rotte. Una meza colobrina* de metalo con le soe rotte rupte. In lo torrion de la cisterna de San Rocho. Quatro smerigi- de metalo con li soi cavaleti. Quatro archibuxi’ de metalo grossi con li soi cavaleti. Ferrate otto con le soe chiave et cadenassi. Doe carrigadure* per smerigi et archibuxi con li soi schovasi’. In fondo della sala. Archibuxi' de ferro forniti a numero viiii. Schiopeti’ de ferro a numero vii. Balestre de banco fornite a numero xxvxvij. Quatro archibuxi' de metalo con li soi cavaleti. Cinque baie de chiodarie. Doe aste de ferro. Dexe carreghe rupte in le quale e una de veluto rosso. Doi brandinali da rosto. Alabarde a numero viiii. Doi spedi" da porsci. Carregadure* con li soi schovasi' a numero viiij. Baie per la colobrina de ferro a numero ccxxx. Baie de ferro da canon a numero clxxxxiiii. Baie de piombo per la colombrina a numero ci. Smerigioni' de metalo a numero cinque con li soi cavaleti. Pafferi’ a numero 7. Canei’ de fefrro 6. 1 — 755 — Masse tre grosse de ferro. Masse doe de fusina. Uno martello. Paria cinque de tenasie da fusina. Una bussola da fusina. Pichoni xiij. Sape strette xiii. sape larghe 7. Paria doe de tenagie. uno martello. Ferri da metter a li pedi paria tre. Cinque verrogi' tra grossi e picholi. Doe tenagie da tagiare. Una sega. Uno piccastro. Sega una cum lassieta*. Uno pioretino’ cum uno marazo’. Serre' picoline da tagiare numero 4. Doi badili. Sei fiaschete cative da polvere. Doi bogioli’ cativi da aqua. Uno lambico de aqua. Forme da far baie a numero 9. Uno verrogio da schiopi. Uno scopello' longo. Uno ferro da ferrare. Baie d’archibuso de piumbo a numero 415. Uno paro-de bilanse. Tagiole' de legno a numero 4. Agogie’ de ferro a numero 4. Massole’ de ferro a numero 2. Pichete de ferro a numero 2. Uno magia’ da molino. Lanterne a numero 12. Uno mortaretto de ferro vechio. Pionnie’ numero 7. Una drisoa [?] numero 1. Una tagia’ de cisterna. Uno torno* da balestra, doi tamborini. doe serre grosse. Uno par de tenagie grosse. Una aza* de fìl de ferro. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. X . Fase. IV >o — 756 — Seazi' da polvere cativi numero 2. Uno crcbcllo. Quadrelli de ferro numero 882. Uno par de ferri da far negie’. Uno par de chioneti'. Un morso da cavalo. Una scorbia de ferro. Una candelera disfatta. Doe corbe de canestrelle da fuogo’. Spade da doe mane numero 3. Stochi numero 2 in piombo rubi 63. Una campanela rotta. Una cagna’ da botte. Fanali 9. brendenali 3. Balle tra da sagra et meza colobrina numero 102. Corazine numero 2. Una tarcha alla turchessa. Uno valisono da letto. Doe tagliete’ de bronzo. Mortari de bronzo da polvere numero 3. Un rolorio rotto, banche tre. Uno inchisme* da armajolo. Uno cantaro veghio. Certi ferramenti veggi. Una corba et uno banchale. Una verrina' de artegliaria. Caregatori' tra da canoni colobrine et farconeti' numero 8. Una cassa da balete. Mascoli de ferro numero 77. Uno de metalo. iMazi cinque de suche. Pese 4 de trabochi' con li panoni. Lanze doe da homo d’arme. Alcereti [?] numero 150. Brazaleti numero 116. Fale [?] quatro dalcereti [?] novi numero 4. Uno fanale grande. Diversi pezi de candelera. Celade’ diverse ruginente. — 757 — Barrillc de sai mitrio numero 12 computate le picole. Uno quarto in circa de uno arnese' [?]. Le polvere da schiopi. Diverse corbe de passadori' negri. Doe campanele picole da goardiola. Una armatura dorata da homo d’ arme. Doi stochi uno fodrato de veluto crcmexi e laltro de raso verde. Doe para de redene de razo verde cremcxi. Certi fiochi morelli et rossi da cavalo. Certe testere de metalo dorato smaltate da cavalo morescho. Uno mortaro grande de marinaro'. Uno cavo grande de canepa. Uno cabano’ da goardia. Doe mole da molare. Doi mascoli’ de ferro. Dodex archabuxi' de ferro in cittadcla. Una fuxina. Un anchudine e doi mantexe. Doi masculi de ferro. Un altro masculo de ferro. * Sparsivi. Panthaleus Pinellus Ripanigra (i) notarius salvo iure latius corrigendi. (1) È lo stesso notaro al quale fu rogato un atto di debito verso Lucietta Fieschi in De Mari, ricordato nel testamento del 1528. Portava allora il cognome Rivanera, e dopo la legge del 28 v’ uni l’altro dei Pinelli, al cui ospizio fu aggregato. Lo sparsili1 accenna forse al poco ordine seguito nel compilare l’inventaro. GLOSSARIO Agogie de ferro - Pali di ferro. Arabicho - A Iambicus, in Du Cange per luogo appartato, nella casa, c fors’ anco per lo stanzino, nel senso più abbietto della parola. Alembicum est etiam foramen per quod aquae ex balneo effluunt; vel cliain fistula per quam aqua influit in balncnm (Du Cange, I. IT7). Da tutto questo si giudichi se trovando fra i mobili di una camera « doi arabicho da fare acqua » non si possa dare l’interpretazione di seggetta. A questo proposito mi scrisse il eh. cav. Belgrano: « Si preferirebbe il significato più nobile, di alambicco per le acque odorose. Sembra confermarlo il lambico de aqua che leggesi nell’inventario Fieschino (p. 755); e meglio ancora un inventario dei beni del qm. Eliano Saivago, redatto il 12 dicembre 1342, fra i quali è appunto: arabicum unum prò rosa (Foliatium notariorum; ms. nella Civico-Beriana di Genova, voi. II, par. II, car. 270) ». Arbaxo - Albagie, pannolano grosso. Arbio (della stia) - Bevirolo. Stando ai vocabolari non mi pare voce ancora viva nel genovese, bensì in Piemonte. Argentagno ed argentato (velluto) - Operato a fili d’ argento. Armare (Saio jla) - Da vestire sotto 1’ armatura. Arme (L5) gatesciie et ruverea - Figura degli stemmi accollati "*- — 762 —‘ De’ Fieschi e dei Della Rovere. Questi portano d’ azzurro al rovere d’ oro sradicato, e di quattro rami decussati c ridecus-sati. I Fieschi facevano uno scudo bandeggiato d’azzurro e di argento, di sei pezzi s’intende. I rami di essi denominati dai feudi, di Torriglia o di Savignone si distinguevano pel cimiero, i primi usandolo di un drago, i secondi di un gatto a sedere col motto sedens ago. E questa anzi fu l’insegna più conosciuta dei Fieschi; cui il popolo gridava Gatto, Gatto; donde il soprannome di Gatteschi. Arsentale - In dialetto ruxentd; secchio di rame per attingere acqua. Nel latino dei notari rexentarium; occorre in atto del 1290 citato dal Poch (Miscellanee ; mss. della Civico-Beriana) ed in altri assai. Assieta - Accetta, mannarolo. Astrapuntato vedi Strapuntato. Aza - Matassa. Azale - Acciaio. Banchale - Bancone, cassapanca ed anche tappeto da vestire le panche. Bernuzzo - Cappa o mantiglia, voce tuttora viva nel dialetto genovese. Vedi anche Sbergna. Ricordiamo Burnetus, Bruneta che sono panni tinti. Berrettino (Colore) - cenericcio, bigio, fosco. Bogini - Ardiglioni, quel ferruzzo appuntato che sta in mezzo della fibbia. Ora in dialetto dicono buggin. Bogioli - dial. Boggieu; bugliuolo, bigonciolo. Borcato - Broccato. Borchatela, Borgatela - Broccatella Bordo, Borda - Quella tela che ora chiamasi bordato. Botexino per lo peivere - Pepaiuola, bossolo per il pepe. Bragato - Cqn finte brache? Brandenalli e Brendenali - Alari, capi fuoco. Breno - Crusca, semola. Bugada - Bucato. Cadre (Cadreghe, cadrée, careghe) - Sedie. Cagna da serci - Tiracerchio; cane, strumento che adoperano ■ - — 763 — bottai a tener forti i cerchi mentre che li mettono alle botti (Crusca). Cambrì - Tela di Cambray in Fiandra. Camera (bassa) - Chambre basse, coge et courloise; stanzino, agiamento, od anche per seggetta. Camera de tella, che si diceva anche Murada - Erano parati per camere soliti di quel tempo a dipingersi in tela, quasi a tener conto di arazzi. Fu pittore di camere in Genova Raimondo napolitano, che 1’ Alizeri scoprì esser di casa Caracciolo. Avea per compagno un Bertolino da Pavia. Nel graziosissimo libro del cav. Belgrano, Vita privata dei Genovesi (2.a ed. p. 79), si citano parecchie di queste camere. Cf. Alizeri (Fed.), Notizie dei professori del disegno in Liguria, dalle origini al secolo XVI. Gen. 1870; I. 338. Camocato (Camoca, camosato, camucca) - Panno serico, tessuto riccamente. Canei - cannelli, canne da fuoco. Caneleto da ocelli - Gabbia di cannuccie? Canestrelle da fuogo - Formelle. In dialetto genovese diconsi formagette da bruxà. Essendo talvolta bucate nel mezzo hanno la forma dei canestrelli di pasta (bracciatelli) che ordinariamente si vendono in gran copia alle sagre. Cantalle - Cantaro, misura di peso. Cantareto - Frazione del cantaro. Cantera - Vaso, brocca, mesciacqua. Capsa - Cassa. Capsa da barde - Cassone da riporre le bardature. Capsieta - Cassetta. Caregatori vedi Carrigadure. Caregna - Carignano (colle di). Carrateleti - Carratellì', botticelle. Carriola, Carriolo - Letto a carriuola, piccolo e basso , con ruote per tenerlo, di giorno, sotto ad altro letto; e tirarlo fuori di notte. I Genovesi dicono tuttora carrieu quel gabbiolo a ruote, dentro cui si mettono i bambini per avvezzarli a camminare. Casaza - Casacca, veste. — 7 Ora veniamo alla specie dell’arma che il Grassi dice da molla o da corda, puntellando la sua opinione con esempj di Poeti che dicono il contrario di quello che fa al suo caso. Esaminiamoli. Il primo esempio, riguarda gli Schioppettieri — anteriori all’ invenzione delle armi da fuoco —, preso dal Ciriff0 Calvaneo. Ma in questo troviamo che il poeta fa dal suo personaggio — gridare a quegli arcieri: Iscaricate ... ; e a quelli — 799 — scoppiettieri ; Sparate .... — , e non vi vuole un grande sforzo d’ingegno per comprendere che tra lo scaricare e lo sparare corre la stessa differenza che tra un arma che scatta ed un arma che scoppia; ossia tra un arma da corda e un arma da fuoco. Venendo all’altro es. preso dal Morgante Maggiore, nel quale si dice che — Colui eh’ è dentro, assetta lo scoppietto — e che Trasse uno strale a Rinaldo nel petto ecc. —, mi sarà meno diffìcile il provare che questo Schioppetto che scaglia strali è un arma da fuoco e non da corda. A Vercelli nel 1346 era — schioppum vnum cum puluere et.....veretonos quadraginta pro ipso sclopo — (Angel. , Doc. ined., I. 17). A Biella tra le armi rubate nel castello nella rivoltura contro il Vescovo Giovanni Fiesco l’anno 1388 si hanno — Quadrellum I de schiopo. Quadrellos X de schiopo vel plures. Sagitas II. de Schiopo. Qua-drellos V1IIJ grossi schioppi —. E tutto ciò mentre è ricordato anche — lapidem parvum rotundum ad traendum cum schiopo. Lapidem I. rotundum de schiopo. Vnum lapidem rotundum de schioppo, etc. — (Angel., Op. cit., 231, 232). E se non bastassero questi documenti, veggasi anche la nota a Passadori dove troveremo i Passatoi da spingarde che non erano armi da corda ma da fuoco. E per abbondare, invito il lettore a dare una occhiata alla tav. VI. della mia op. cit. (fig .5 e 6), e vi troverà una spingarda che trae un dardo. Ma a che mai addurre nuovi argomenti per provare che lo Schioppetto non è mai stato un’ arma da corda, se nel suo nome porta la fede di nascita? E poi state a sentire come è conseguente il Grassi: — Schioppo , Stioppo , e Scoppio, s. m. Lo stesso che Schioppetto e Scoppietto nei due prmi signif. di queste voci (Ved. Schioppetto). Deriva dal lat. Sclopus e Stlopus fatto per armonia imitativa del rimbombo mandato dalla bocca nello schiudersi delle gote gonfiate. Fu arma antica da fuoco ecc. ... — Che bella confessione, ma quanta inconseguenza! Prima lo Schioppo (proprio perchè deriva da Sclopus?') è lo stesso che Scoppietto, cioè arma da corda e arma da fuoco ; poi — fu arma antica da fuoco, e forse anche un’ artiglieria — ! Dunque anche lo Schioppetto fu un arma da fuoco, perchè anche esso deriva da Sclopus. E basta su ciò ; ma- — 8oo — ravigliandomi che la erronea defin. del Grassi sia stata ripetuta parola a parola dal Tramater di Napoli e di Mantova. — Secundo el dir loro (de’ condottieri del Visconti) sono tra cavalli e fanti circa III mila persone cum moltissimi Schio-peti ecc. — Francesco Sforza, Leti. (26 giugno 1441); Sanzi, Dóc. Spolet., 20. Smerigi , Smerigli. Smeriglio - Frane, emérillon ; ingl. merliti ; spagn. esmeril; ted. Falkonet. Pezzo di artiglieria del i.° Genere, cioè da campagna, ed il più piccolo ; chè portava palla da mezza a una o due libbre, o di ferro colato o di piombo. Fu usato dal sec. XVI al XVIII. Ebbe il nome da un uccello di rapina del genere de’ Falconi, detto Smeriglio. — La nostra Ròcca cominciolli a scacciare con alcuni moschetti e smerigli-, e de’nemici ne restorno molti uccisi e feriti — Giorn. Ass. Montalcino (1553), Arch. St. It., App. Vili. 378. — Lassai ordine che l’Alfier Pietro Venegas con corpo di gente Tedesche et Spagnuole ne aspettassero alla barca con un pezzo di campagna e doi smerigli a una colombara che habbiamo riparata per guardia della detta naue. — Monsign. della Trinità (8 aprile 1554), Lett. Princ., III. 230 t. — Il Smerilio di lir. 1 di balla tira di punto in biancho, per l’anima, passa 200 in circha, il suo magior tire, che (eh’ e) ali punti 6, tira passi comuni, in circha 950, va longhe (lungo) balle 44. — Doc. Moderi. (1560); Angel., Doc. ined., I. 346. — Un smerilio ouero spingardo di onci quattro (chil. 0, 108j) signato con un S. Michelarchangelo e con righe e traverse — Invent. forteti. Due. Urbino (1625), Arch.0 di Stato Fir., Urbino, Cl. Ili, fil%. XXXIX, c. no e seg. — Smeriglio porta palla di ferro da libra mezza ad vna lib. — Moretti, Tratt. Art. (1672), 14. Smerigione - Smeriglione accr. di Smeriglio. Manca finora nei Lessici questa voce nel significato militare. Sopraveste da barde da cavallo - Sopravveste Quella Coperta che si poneva sopra le barde del cavallo ne’ giorni di pompa o nel torneo. Queste coperte erano talora di stoffa di molto prezzo, ed ornate di ricami d’oro 0 d’ argento, con perle e pietre preziose, e con imprese e motti del cavaliero, e contor- — 8oi — nate da frange. Erano ordinariamente lunghe tanto da giungere fin presso terra, ed ampie così da permettere al cavallo ogni andatura. — Chomo erano abigliati li homeni da quella devissa propia hcrano le sopraveste su le barde de li chavali ecc. — Gio. Andrea Saluzzo, Mem. (1509), Mise. St. It., Vili. 483. — E più vii paro de sopra veste da barde corno (con) il suo saglio de veluto turchino e negro recamati disopra uia con tela de oro negra e turchina con la impresa* dell Monte olimpo — Invcnt. Arm. Castello Mantova (1542), Arch. Notar., Rogit. Stivini. Spada incavata - Il tutto per la parte. Intendasi la Lama, scanalata, sgusciata -per lo lungo non solo per ornamento ma per rinforzo; perchè gli spigoli che dalla scanalatura sono prodotti rendono la lama più rigida e perciò più atta a ferire stoccate. Faccio tesoro di questo es. pel mio Lessico. Spedi da porsci - Spiedo da porco. Lat. venabulum; lat. bass. spe-tiim; frane, epieu; ingl. boar spaar ; spagn. venablo; ted. Knebel-spiess. Lo stesso che Spiedo da caccia, arme d’asta lunga m. 1,80 circa , con ferro a foglia di salvia attraversato tra la lama -e la gorbia da una sbarra, normalmente al piano della lama, per impedirne la passata nel corpo della fiera. Ve ne erano anche di altre forme e più 0 meno decorati artisticamente, secondo le persone alle quali appartenevano. — 12 Spiedi da porci selvatichi e 6 spiedi antichi chol rotellino — X di Balia, Giorn. (1529), Arch.0 di Stato Fir., Cl. XIII, dist. 2 11.0 147, c. 7. — Quatro spedi de porco bianchi schiettj (cioè, forbiti e sen%a alcun lavoro). Trei spedi da porco in asta di lavorati et indorati con le sue guaine alli ferri. — Libr. Aquila (1543), c. 25; Arch. Goni. Stocco da homo d’ arme - Alla voce Stocco il Grassi scrive : — Arme bianca offensiva, di lama lunga, stretta, senza taglio ed acuta in punta —; e non si appone. Molto meno poi si appone quando definisce lo Stocco che i Papi inviavano a’ condottieri o a’ principi che avevano combattuto 0 dovevano combattere per la santa Fede: — Arme parimente bianca simile in tutto alla spada moderna, ma alquanto pili corta e di forma qua- — 802 - drangolare. — In fatto lo Stocco ordinario era una specie di lama lunga c molto robusta, talora a sezione quadrangolare, ma più spesso triangolare, con profondi sgusci per renderla rigida e più acconcia a menare di punta. Lo Stocco poi (ensis) che mandavano i Papi era una spada con lama a due fili , larga e sgusciata npà mezzo come le lame del XIII e del XIV secolo, più atté a ferire tagli che punte. Chi voglia avere una chiara idea di questi stocchi benedetti, osservi nel Litta 1’ ultima tavola 'della famiglia Bentivoglio, e vi troverà quello mandato a Lodovico nel 1447 da papa Niccolò V, e si persuaderà che lo stocco da uomo d’ arme non era altro che una spada come io la ho descritta innanzi. Lo stocco spedito da papa Paolo III ad Andrea D’Oria nel 1535 , può vedersi tuttora in Genova sopra il maggiore altare della chiesa di S. Matteo. Gli es. che seguono confermeranno quanto ho detto. — Vno stoco fatto a trianguli con fodro de corame et fornimenti aguatadi (coperti) de corame. — Lib. Aquila (9 marzo 1343) c. 13, Arch. Gonzaga. — E più vn stocho da homo darme con li fornimenti a bissa ... E più vn stocho da homo darme. con fornimenti adorati. — Invent. Arm. Castello (1542). Arch. Not. Mantova, Rog. Stivini. — Questo (il torneamento') è un giuoco militare che si fa a cavallo, ove tutte le cose sono simili ad una vera battaglia eccetto l’armi da offendere che sono stocchi da uomini d’anne, i quali benché rilucenti non hanno però nè taglio nè punta. — Ammirato , Ist. Fior. ( 1600) , lib. XVI, p. 2fi. — Sei stocchi con li fornimenti all’antica senza fodri. Uno stocco a triangolo con li fornimenti all’antica — Lista delle armi dell’Armeria Due. (1604); Arch. Gonzaga, X. I, n.° 5/. Testere - Testiera. Armatura della testa del cavallo fatta della stessa materia della quale eran fabbricate le Barde. Dicevasi anche Frontale. — Ma i cavalli, e principalmente dei capitani, abbiano frontali — Pigafetta [Gr.] ; ma quando coprivano soltanto la fronte del cavallo. E si trova chiamato pure Zanfrino. — Per hauer slargato una corazza et li brazalli et incastare (?) con — 8c>3 — linbronitura con. il %anfrino et staffa, sbrochatta et in bro-chata larmatura dorata del Campo Aperto ecc. — Gio. Antonio da Lodi armar., Lista (16 die. 1585), Arch. Goni. D. XII, 7; francesismo patentissimo di Chanfrein e Chanfrin che dal Fanfani fu creduto — Armatura di acciajo del cavallo, fatto per difesa del petto. — — Acio che V. Ex.a (Federico Gonzaga) non se marauiglia che non si manda la testerà da cauallo ligiero corno per una sua lei mi ha scripto ecc. — Gir. Arcario, Leti. (23 sett. 1521); Arch. Gon%., F. II. 8. Torno da balestra - Strumento da tender la corda delle balestre da posta, dette perciò Balestre e da torno. Il Torno dunque (lat. bass. turnus ; frane, tour; ingl. moulinet; spagn. armatoste, torno ; ted. Flaschenxug) si componeva di un verricello di legno con due manivelle a squadra ; acconciato con una cassa di ferro alla estremità del teniere della balestra; intorno al quale si avvolgevano due corde che passavano in due girelle alle quali era attaccato un gancio che afferrando la corda dell’ arco, la maestra, la tendeva, al girar del verricello, sino a farla giungere sulla tacca della Noce. Questo strumento cosi complicato non si adoperava che con balestroni a staffa o da panca, e non con le balestre portatili. Per atto del 6 luglio 1261, Guglielmo de Prina castellano d’ Appio nella Riviera Ligure occidentale, consegna al suo successore — balistam tinam cornu de turno cum sento facto de albo et cruce vermilia (cioè alle armi di Genova) et quadrellos de turno LXXXXII. — Archivio Notarile di Genova, Rogiti di An-giolino da Sestri. — Vno torno da balestra. — Invent. Cassero Montalcino (1363); Angel., Doc. ined., I. jiS. Verrina de artegliaria - Trapano per portare al giusto diametro la canna delle artiglierie che in que’ tempi erano colate . con 1’ anima, come si è tornato a fare ai nostri giorni in quelle di grossa portata. Verrogio da schiopi. - Trapano da acconciare l’anima delle canne da schioppi. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. X , Fase. IV DESCRIZIONE SINCRONA DEL TERREMOTO DI GENOVA SEGUITO IL X APRILE MDXXXVI RIPUBBLICATA DAL SOCIO VINCENZO PROMIS . ella Biblioteca di S. M. conservasi un piccolo opuscolo in 8.vo di otto pagine non numerate, contenente un breve cenno sul terremoto di Genova del 1536. Non vi é indicazione di luogo di stampa né di data, ma appare chiaramente impresso in Genova e nell’ anno medesimo. Le pagine hanno 100 millimetri di larghezza per 155 d’altezza. La carta un po’ grossolana non ha alcuna marca o filigrana. Il carattere é rotondo, meno la prima riga del titolo che é in gotico. La facciata impressa ha 104 mill. d’ altezza per 77 di larghezza. La punteggiatura è assai esatta; mancano però tutti gli accenti, ed a vece dalla v sempre evvi 1’ u. Nella prima facciata evvi il frontispizio, in cornice a mo’ d’ iscrizione. Il retro é bianco. La descrizione comincia alla pagina terza, che porta la segnatura A ii; e finisce a metà della pagina ottava. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. X , Fase. IV 53’ Il gran Terremoto tratto nella Città di Genua il quale ha fatto ruinar case, palazzi, torre, e disperdere donne gravide, et morte assai persone, e questo si dice esser stato cagione le gran baratterie, e il gran biastemare che si fa in esse Dio, e santi, et la gloriosa Vergine Maria. llustrissimo et osservandissimo Signore, io so che assai la Signoria Vostra si sarà maravigliata, che molti giorni fa di qua non habbia sentito da me nova alcuna, come soleva, ma quella non si meravigli, perché non é accaduto cosa che sia stata degna di memoria. Hor nel presente quella serà participe duna nova, la quale di grande maraviglia la farà stupire, et questa do per vera , et chiara alla S. V. a: Zobba passata, che fu alli dieci del presente mese d’ Agosto, la notte seguente, così circa la mezza notte, trasse qua nella nostra Città di Genua il Terremoto tanto grande, e tanto disconcio, che ha fatto ruinar case, palazzi, torre, O e ycciso huomini,«et donne et fatto disperdere le donne gravide, et altri mali infiniti, che non ne — 8io — potria scrivere la centesima parte a V. S. et io che dormendo nel letto mi stava, mi svegliai a quel rumore cosi terribile, et odo tremar la casa, le casse , le banche, la lettiera, i tetti, dubitai così ali’improviso svegliato, che non fusse entrato nella camera Sathanasso con tutti quanti gli seguaci suoi, che per portarmi di peso ne lin-ferno a me fosser venuti, et così incominciai a farmi il segno della santa Croce, e dire infinito numero de orationi, poi fatto alquanto d’ animo, salto dal letto, e fattomi a una finestra, mi parve di vedere il giorno del giudi-cio. Pero che tutte le strade erano piene di gente scal- | ze, chi in camisa, donne scapigliate con le lume in mano, piangendo, con un chiamar Dio, con un oime accompagnato d’ amarissimi pianti, che avria spaventato ogni durissimo core, né alcuno si ardiva di entrare nelle loro case, dubitando non vi rimaner sepolti vivi, ma stavano con man giunte verso il Cielo mandando preci a Iddio, che li liberasse da tal influentia. E pero noi Christiani siamo troppo divoti verso il magno Iddio quando ci manda qualche persecutione, ma poi passata quella furia, chi lo maledisse, chi lo biastema, ma sopra tutto la sua gloriosissima madre, e le se ne fa tanto dispreg-gio, che glie una cosa stupenda. E massime qua in questa nostra Città di Genua, che vi sono tan | te Taverne, tante Barratterie, che é una cosa fuor di modo, e lì si gioca, e biastema Dio, la madre, sante, e santi, che mi fa rizare i capelli in capo solum a udirlo narrar da qualcheduno. Ma poi che fu cessato detto Terremoto , qual trasse tre fiate , e cessata alquanto la paura, chi torno nelle lor case, e chi non si fido di entrarvi, ma volsero restar ne’ lor giardini, et horti, dubitando — 811 — non tornasse a trare una volta detto Terremoto, e che le case loro per esser conquassate non andassero giuso, e sotterarli dentro. La mattina poi ogni huomo veduto il danno, qual fu incredibile, stavano tutti sbigottiti. Ma sopra tutti gli altri danni fu ritrovato esser ruvinato tre di quelle barratterie, e per questo fu giù | dicato, che dette barratterie siano state causa di tal segno, perché li si fa ogni sorte di ribalderia che puzano infìn al cielo. E però temono chel magno Iddio non sia adirato contra di noi, e non voglia mandar qualche flagello. Questa nova intesa da molti Religiosi, homini divoti, e di buona fama, sono venuti qua in questa nostra Città di Genua, et hanno comenciato, e con essorta-tioni, e con predicationi, a confortare il populo al ben vivere; con dire che Iddio è misericordioso , e che mai non resta di perdonare a chiunque del suo error pentito li chiede perdonanza, e che mutando lor proposto, lui mutava sentenza, di sorte che ha comenciato a fare un qualche poco di frutto, e par pur che le persone si astengono alquanto dal mal fare. Si che Vostra Signoria può intendere quanto di novo sia occorsi qua da noi, e se così da voi serà accaduto, priego quella si degni darmene qualche aviso. Accadendo altro qua di novo da noi quella del tutto ne serà avisata. Nullaltro resta a dire, se non che basciando la mano di continovo mi raccomando , et offero buon servitore. Data in Genua alli. XII. d’ Agosto. M . D . XXXVI. INDICE DEL VOLUME DECIMO DEGLI ATTI DELLA V SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA II Palasgo dei Principe D’ Oria a Fassolo in Genova, Illustrationi di Antonio Merli continuate da L. T. Belgrano (con a parte un Atlante in foglio di undici tavole).........Pag. Discorso pronunciato nell1 adunanza della Società convocata in Assemblea Generale, ' il } dicembre 1S71, dal Presidente comm. Antonio Crocco ... » La chiesa di san Sebastiano in Genova, Necrologia letta ' o del prof. Federigo Aligeri, Preside della Sezione di Belle Arti, nella tornata dell’ n gennaio 187}. . » La Cronaca di Genova pubblicata in Parigi nei primi anni del secolo XVI, riprodotta dal socio' Vincenzo Promis .........» Commemorazione del Vice-Presidente comm. prof. Giuseppe Morro ; Parole dette dal comm. Antonio Crocco Pre* siderite (nella tornata generale del i.° agosto 1875) . » — 8i4 — Della conquista di Costantinopoli per Maometto II nel 14; 3, Opuscolo di Adamo di Montaldo ripubblicato con Introduzione ed avvertente dal socio Cornelio Desi/noni. Pag. 287 Leggenda ed Inni di san Siro vescovo di Genova, pubblicati dal socio Vincenzo Promis . . . . » 355 Libro degli anniversarii del Convento di san Francesep di Castelletto in Genova, pubblicato dal socio Vincenzo Promis......... » 385 Due Opuscoli di Jacopo da Varagine trascritti dal socio P. Amedeo Vigna, ed ora per la prima volta pubblicati (con Introduzione e note di L. T. Bdgrano) . » 45j Continuazione della Cronaca di Jacopo da Varagine, dal nyy al 1332, pubblicata per cura del socio Vincenzo Promis............» 493 Cronaca di Giovanni Antonio di Faie, tratta dall’autografo e per la prima volta pubblicata dall’ avv. Jacopo Bicchierai..............» J13 Tre Cantari dei secoli XV e XVI concernenti fatti di storia genovese, ripubblicati dal socio Cornelio Desimoni » 610 Relazione dell’attacco e presa di Bonifazio, di Leonardo Balbo, ristampata sull’edizione del secolo XVI dal socio Vincenzo Promis...... ;; 683 Arredi ed armi di Sinibaldo Fieschi, da un Inventario del 1532, con avvertenza e Glossario di Antonio Manno.........» y0^ Glossario delle voci militari che si incontrano nell’ Inventario Fieschino del 1332, di Angelo Angelucci . » yyj Descrizione sincrona del terremoto di Genova, seguito il 10 aprile 1536, ripubblicata dal socio Vincenzo Promis. » 80; I 3NT DICE DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO FASCICOLO Leggenda e Inni di s. Siro, pubblicati dal socio V. Promis. 4 Pag. 3 So Libro degli anniversarii di san Francesco di Castelletto , pubblicato da V. Promis.......... » 383 Due opuscoli di Jacopo da Varagine, trascritti dal socio P. Amedeo + Vigna ed ora per la prima volta pubblicati..... )) ìoo Continuazione della Cronaca di Jacopo da Varagine, pubblicati da V. Promis......... » 493 Cronaca di Gio. Antonio di Faie , pubblicata dall’ avv. Jacopo Bic- , £. • ’ CHIERAI.......: . . •> 513 Tre Cantari concernenti fatti di Storia genovese, ripubblicati dal socio Cornelio Desimoni....... ;> 61!) Relazione dell’attacco e presa di Donifazio , di Leonardo Balbo, ristampala da V. Phomis....... » 683 Arredi ed armi di Sinibaldo Fieschi, da un Inventario del 1332, con avvertenza e Glossario di Antonio Manno .... » 703 Angeli’cci Angelo, Glossario delle voci militari cho si incontrano nell’inventario fieschino........ o 773 Descrizione del terremoto di Genova, seguito il 10 aprilo 1536, ri- pubblicato da V. Prohis......... ’)) '803