ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XIII. — FASCICOLO I. GENOVA TIPOGRAFIA DEL R. I. DE’ SORDO-MUTI N. Il — A Sì unisce un foglietto da sostituire all’ occhio con cui comincia pag. 97 il fascicolo II. MDCCCLXXXIV - KM * • m m M ' % i * , M I *■ 9 — ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XIII. GENOVA TIPOGRAFIA DEL R. ISTITUTO SORDO-MUTI MDCCCLXXVII - LXXXIV Questo volume si compone di cinque fascicoli, i quali, furono pubblicati a diversi intervalli fra il iSyy e il 1884 ; ma i lettori troveranno nell’ Indice la data, che propriamente si deve assegnare alla comparsa di ciascun lavoro. LA GEMMA DI EUT1CHE PEL SOCIO VITTORIO POGGI ■ — *jp ♦*' * ■vi. ■ •■*■# ?** #< t ■i ff * •'k .<%, ■ yif A*4 -4 . r \ * *** * -Jà , * 3f* * » ' 4 " * J * # collezione archeologica del sig. Amilcare Ancona in Milano, ben nota al mondo erudito cosi per la copia come per Y importanza dei materiali scientifici (i), si è testé arricchita d* un nuovo e prezioso cimelio, intorno (i) La pubblicazione di un catalogo ragionato della Collezione Ancona è sommamente desiderabile nell’ interesse della scienza , alla quale somministrerebbe ampia materia di studi. Esiste bensì un catalogo edito or son quattro anni dal benemerito proprietario, limitatamente però ad alcune serie della Collezione : ma quel catalogo, rimasto, del resto, sempre fuori commercio, oltreché non si estende alle serie più ricche, quali il medagliere e i manoscritti, non corrisponde più a gran pezza allo stato odierno delle serie in esso descritte, avendo queste raggiunto un notevole incremento mercè gli ulteriori acquisti. Alcuni monumenti epigrafici di detta Collezione già furono oggetto di studio per parte del Mommsen (Ephemeris epigraphica, IV, p. 185) e di altri: di molti al quale stimo prezzo dell’ opera riassumere in queste pagine alcune notizie e critiche osservazioni, d’onde altri potrà all* uopo attingere utili elementi per una congrua illustrazione. Il monumento a cui si accenna presenta , infatti, un peculiare interesse sotto il triplice punto di vista artistico, archeologico e storico : laonde non apparirà per avventura ozioso il tentativo di rilevarne i pregi non tanto agli occhi degli specialisti, ai quali d’altronde non é del tutto sconosciuto (i), quanto a quelli del pubblico colto, di cui è meritevole per più rispetti di occupar l’attenzione. Il cimelio in discorso appartiene alla classe delle gemme incise che tanti e si insigni materiali ha fornito alla storia dell’arte, e il cui studio, un po’ negletto oggidì, tanto giova alla piena intelligenza delle altre serie monumentali. La materia è un cristallo di rocca di forma ovale bn convessa, il cui asse maggiore misura 0,038 di lunghezza su 0,030 di larghezza. Sulla parte antica è lavorato a profondo intaglio (2) il busto di Pallade vista di faccia, coperta il capo di ricca aulopis, di cui la testiera é decorata a bassorilievo di due grifi volanti, e analogamente di essi ebbi io stesso ad occuparmi in diverse pubblicazioni (Contribuzioni allo studio dell' epigrafia etnisca, n. 52; Quisquilie epigrafiche, passim ; Appunti di epigrafia etnisca, passim). (1) Fu pubblicato dallo Stosch (Gemmae antiquae caelatae scalptorum nominibus insignitae, p. 46) e dal Bracci (Commentaria de antiquis scalptoribus qui sua nomina inciderunt in gemmis et cammeis, II, tb. LXXIV, p. 93). (2) Ho appena bisogno di dichiarare che intendo per intaglio 1’ incisione a ca%fo, per contrapposto a cammeo che à l’incisione in rilievo, Yectypa scalpitila di Plinio, detta da altri più genericamente anaglyptum. o anaglypbum. — 9 — la parte inferiore della visiera di altrettante teste di ariete dalle corna a spirale. Sebbene la prominenza del seno, mal celata dalle pieghe del chitone, ne tradisca abbastanza il sesso , la Dea ha una acconciatura di chioma piuttosto da efebo, quale si addice a chi deve adattarsi in capo l’elmo; ciò che contribuisce colle linee severe, e pur non senza dolcezza, del viso, a dare alla sua fisionomia un certo che di maschile che può farla scambiare a primo aspetto per quella di un guerriero adolescente. Le sue spalle sono protette dall’ egida anguifrangiata fermata sul davanti del petto dal gorgoneion; il braccio destro é proteso come per brandir l’asta, mentre la mano sinistra é in atto di raccogliere e comporre il pallio sul petto; atto che risponde mirabilmente a quel senso di decoro insieme e di virgineo pudore che è tanta parte del carattere ideale di Pallade, quale fu concepito ed espresso nel campo dell’ arte dalla scuola di Fidia (i). Nell’ area, a destra della testa e in senso longitudinale, è incisa a caratteri finissimi ed eleganti con anda- (i) Il ritratto che Stazio fa della Dea (Theb., II, v. 725-27) Diva ferox, magni decus ingeniumqtie parentis, Bellipotens, cui torva genis horrore decoro Cassis, et adsperso crudescit sanguine Gorgon riscontra in complesso con quello della descritta rappresentazione gemmaria, salvo in quanto concerne 1’ aspetto torvo e feroce, che, a dir vero, non si osserva in questa e nè tampoco in altre rappresentanze congeneri ; dove le linee alquanto risentite del volto indicano bensì con diverse gradazioni di espressione la vergine cruda — locuzione dantesca che panni rispondere assai bene all’ appellativo virago usato in proposito dai poeti latini — ma nulla si trova della torva genis, e tanto meno della diva ferox tratteggiata da Stazio. mento retrogrado la seguente iscrizione 6YTYXHC AIO/KOYPIAOY Air€//oc€noi in cui le deficienze di una lettera nella seconda e di due nella terza linea (nonché possibilmente di altre due al di sotto di quest’ ultima) sono prodotte da una trattura di cui dirò in seguito, la quale disgraziatamente divide oggi la pietra in tre pezzi* Non mi diffonderò sul merito artistico di questa gemma, cui già un giudice competentissimo, qual fu ai suoi tempi il sommo E. Q. Visconti, qualificava coll’aggettivo di superba (i). Dirò soltanto che la larghezza dello stile, la finezza del tocco, il magistero della tecnica (che si rivela sopratutto nell’ arditissima profondità dell’incisione-), tutto in essa accusa, anche all’occhio il meno famigliarizzato coll’ osservazione dei capolavori dell’antica glittica, la mano d’ un artista greco della migliore epoca e scuola. Ma se ognuno che non sia destituito di senso estetico può essere in grado di apprezzare l’eccellenza della gemma come opera d’arte, meno avvertita é per contro la sua importanza come monumento scritto : laonde é sopratutto sotto quest’ ultimo punto di vista che credo utile di imprenderne l’esame ; imperocché per quanto grande sia il pregio che le deriva dal merito artistico dell’ intaglio in essa eseguito, non minore é senza dubbio fi) Opere varie, II, p. 124. — II — quello che le conferisce 1’ erudizione della leggenda onde 1’ intaglio stesso é insignito. Prima però di addentrarmi nell’ esame del testo epigrafico, debbo anzitutto toccare della questione pregiudiziale sollevata in altro tempo dal Kòhler circa la sua autenticità. Noto è, infatti, che le iscrizioni gemmarie furono in massima screditate superlativamente da questo erudito, e in specie quelle enunciami nomi di artisti , delle quali, fra tante, egli non ne ammise per genuine più di cinque (i). Nel novero delle condannate dall’ i-percritico di Pietroburgo è compresa naturalmente questa, che egli giudica una falsificazione perpetrata ai tempi del barone di Stosch. Noto è del pari che la difesa dell’ iscrizione condannata dal Kòhler fu assunta e svolta con corredo di ottime ragioni dal Tòlken (2). Senonché, anche a prescindere da queste, la questione è ora risolta defini- (1) Le cinque gemme accettate dal Kòhler sono: i.° il cammeo di Protarco, del Museo di Firenze, rappresentante Eros liricino che cavalca un leone ; 2.0 quello di Atenione, del Museo di Napoli, esprimente il combattimento di Giove contro i Giganti; 3.0 l’altro di Epitincano, già nel Museo Strozzi, colla testa di Germanico; 4.0 l’intaglio in ametista di Apolloniodel Museo di Napoli, colla figura di Artemide fra rupi scoscese (Diana Montana); 5.0 quello in acquamarina di Evodo, del Museo di Parigi, ritraente la testa di Giulia figlia di Tito. La dissertazione del Kòhler sulle gemme portanti nomi di artefici (Die gescbiltenen Sterne mit den Nameit der Kùnstìer), fu pubblicata nel 1851 dal eh. L. Stephani per incarico dell’Accademia di Pietroburgo. (2) La dimostrazione del Tòlken, ò contenuta in una lettera diretta all’Accademia di Pietroburgo. Anche il Rauol-Rochette nella sua Lettre à M. Schorn, mentre deplora le falsificazioni commesse in opera di iscrizioni gemmarie, disapprova la critica superlativa del Kòhler, e prova, ad esempio, che il nome AAAlilN inscrittto su diverse gemme deve ritenersi nel catalogo degli artisti litoglifi, sebbene depennatovi dal Kòhler. Similmente il Panoflca nella erudita monografia Gemmen mit Inschriften etc.. edita negli Atti dell' Accademia delle Scienze di Berlino, 1851, inveisce contro * l’ipcrcrisi autocratica » del Kòhler. — 12 — tivamente dal latto che un’ esatta notizia della gemma in discorso e della relativa epigrafe trovasi consegnata in due manoscritti vaticani della prima metà del secolo XV (1), consistenti, il primo in una scheda di Ciriaco d’Ancona portante la data del 1445 (2), e l’altro in un frammento spettante ad un anonimo contemporaneo dello stesso Ciriaco (3). È dunque provata nel (1) Ambedue i mss. vennero scoperti dal eh. comm. G. B. De Rossi, c dal medesimo comunicati all’ Instituto di corrispondenza archeologica, il primo per mezzo del dr. Brunn nell’adunanza dei 17 dicembre 1852, i’altro direttamente nell’adunanza dei 28 gennaio 1855. (2) « Eug. P. a. XV (Eugenii Papae anno XV, i. e. 1445), Venetum seu ab urbe condita M. XX . Ili (i. e. 1023 anni dalla fondazione di Venezia) ». « Ad crystallinam Alexandri capitis imaginem. Haec antiquis Graecis litteris inscriptio consculpla videtur EYTYXHC AIOCKOYPIAOY AirEAIOCEnOI EI » Quae latine sonant: Eutychus Dioscuridis Aigelius fecit ». Codice vaticano, N. 5252, p. 10. Bull, dell’Inst. di corr. arch., 1853, P- 27* (3) EYTYXHC AIOCKOYPIAOY AirEAIOCEnOI EI « Ad M. Laepomagnum ex K. A. (i. e. Kyriaci Anconitani) litterarum particula de Alexandri Macedonis in crystallino sigillo comperta nuper imagine praescripta cum inscriptione. » Praeterea ut insigne admodum aliquid tibi referam, cum mihi Io. Delphin, ille NaOxpxog diligens atque tpiXonovtoTatog apud eum per noctem praetoria sua in puppi moranti pleraque nomismata praetiosasque gemmas ostentasset, alia inter eiusmodi generis suppellectilia nobile mihi de crystallo sigillum ostendit, quod pollictoris digiti magnitudine galeati Alexandri Macedonis imagine pectore tenus, miraque Euty- — 13 — modo più autentico 1’ esistenza non pur della gemma , ma e della sua iscrizione, in un’ epoca anteriore di ben tre secoli a quella del barone di Stosch a cui vien riferita dal Kòhler, e rimane perciò chiuso l’adito ad ogni sospetto di falsificazione (i). È degno di qualche considerazione il fatto che, tanto nella descrizione di Ciriaco quanto in quella del suo contemporaneo, la rappresentazione figurata dell’ intaglio è data per 1’ effigie di Alessandro Magno, anziché di Pallade. Ma non vuoisi dimenticare in proposito che all’epoca a cui rimontano i documenti citati, e per molto tempo dopo, 1’ interpretazione degli antichi monumenti era, in generale , congetturale ed arbitraria ; i criteri razionali a cui oggi si informa l’ermeneutica archeologica essendo il portato di una scienza, la quale appena è se ai nostri giorni si può dir costituita su solide basi. Per quanto concerne più particolarmente l’iconografia di Alessandro chetis artificis ope, alta corporis concavitate, insignitum erat, et expolitae galeae ornamento, bina in fronte arietum capita, certa Ammonii lovis insignia parentis, tortis cornibus impressa; ac summo a vertice thiara cursu veloci XapYtxoòj mo-lossos hic inde gerere videtur eximia artis pulchritudine, et sub galea tenuissimis hic inde capillamentis princeps subtili velamine et peregrino habitu elaboratis a summitate listis amictus, dextram et nudam cubitenus manum, vesti summo a pectore honeste pertentantem, videtur admovisse, et gestu mirifico facies regioque aspectu acie obtuitum perferens, vivos nempe de lapide nitidissimo vultus, et heroicam quoque suam videtur magnitudinem ostentare. Cutn et ad lucem solidam gemmae partem obiectares, ubi cubica corporalitate intns sublucida et vitrea transparenti umbra mira pulchritudine membra quoque spirantia enitescere conspectantur, et tam conspicuae rei opificem suprascriptis inibi consculptis litteris Graecis atque vetustissimis intelligimus ». Codice vaticano, N. 5237, fol. 515 (frammento di codice membranaceo). Bull. deU'Inst., 1853, p. 53 sg. (1) Veggasi H. Brunn, Geschichte der griechischen Kùnstler, tom. II, p. 499-502. — r4 — Magno, niuno ignora come non solo in quei tempi, ma per più secoli ancora sia stata , comune agli espositori delle antichità figurate la tendenza a riferire all* eroe macedone molte rappresentazioni, a cui la critica odierna con criterii desunti dallo studio comparativo dei monumenti ha dato tutt’ altra attribuzione. Alessandro Magno é uno dei pochi eroi dell’antichità la cui fama siasi conservata, sebbene non senza molte e strane alterazioni, nella memoria popolare, allorquando pel naufragio del mondo romano travolto dalle onde barbariche si spezzarono quasi totalmente le fila della tradizione storica. Nella decadenza dell’ impero le sue imagini divennero oggetto di superstizione e servirono di amuleti (i); il suo nome sopravvisse nelle imaginazioni del medio evo, come ne fanno fede le tante leggende a cui si trova intrecciato ; finalmente al primo rifiorire degli studi classici, il ciclo delle sue imprese divenne argomento della più appassionata ammirazione e sorgente inesausta di ispirazioni alla letteratura ed al-1’ arte del Rinascimento. Ciò stante, si spiega la preoccupazione, comune al volgo come agli eruditi, che in una gran parte dei monumenti figurati dell’ antichità (i) Trebellio Pollione nella vita di Quieto (Trig. /vr., 14) afferma che « Alexandrum Magnum Macedonem viri in annulis et argento, mulieres in reticulis et dextrocheriis et in annulis, et in omni ornamentorum genere exculpturn semper habuerunt: eo iisque ut tunicae et limbi et penulae matronales in familia eius hodieque sint, quae Alexandri effigiem deliciis variantibus monstrent...... Quia dicuntur iuvari in omni actu suo qui Alexandrum expressum vel auro gestitant, vel argento ». S. Giovanni Grisostomo (Homil. ad pop. Antioch.) asserisce a sua volta che « aerea numismata Alexandri Macedonis in capite, vel pedibus, quidam ligabant ad bonum omen ». — 15 - superstiti o che venivano di mano in mano emergendo all aprico, fosse da ricercarsi 1’ effigie dell’ eroe o la rappresentazione delle sue gesta : e poiché i segni distintivi della fisionomia di Alessandro, quali ci sono dati dagli autori antichi, sono invero assai generici e poco determinati, e come tali si prestano facilmente ad arbitrarie applicazioni (i), si spiega del pari come troppo sovente, e sto per dire in ogni effigie giovanile imberbe ed armata, siasi preteso di ravvisarne 1’ imagine. Ho esposto in altra monografia (2) come per lungo tempo e sulla fede di autorevoli pronunciati sia stato raffigurato il suo busto accoppiato a quello della madre Olimpia in due famosi cammei ; cioè nel cammeo Gonzaga del Museo imperiale di Pietroburgo, in cui E. Q. Visconti, dietro accurati riscontri colle medaglie , riconobbe i ritratti di Tolomeo li Filadelfo e di Arsinoe 1; e in altro del Gabinetto imperiale di Vienna colle imagini dello stesso Tolomeo Filadelfo e di Arsinoe II, se- (1) Ecco la descrizione che fa Solino (Polyhist., XIV) della fisionomia di Alessaadro: « Forma sitpra hominem augustiore, cervice celsa, laetis oculis et illustribus ; m,ilis ad gratiam rubescentibus, reliquis corporis lineamentis non sine maiestate quadam decorus ». Colla scorta di simili connotati non riesce facile stabilire l’identità di un ritratto nella serie iconografica dell’ antichità figurata. Più caratteristici appariscono quelli relativi alla disposizione della chioma alquanto ripiegata all’ indietro, di cui parlano Eliano (Var. hist., XII, 14) e Plutarco (in Pomp.), nonché all’ obliquare del capo verso la spalla destra, accennato da quest’ultimo scrittore (in Alex): ma oltreché, in genere, poco apprensibili nelle rappresentazioni dell’ arte, non bastano per sè stessi a somministrare al-l’iconologo un canone di sicura e costante applicazione. Quanto alla forma del naso, 1’ opinione del Freinsemio , che sulla fede di alcuni passi di antichi scrittori da lui allegati (Suppl. ad Q. Curtium , I, 2), lo qualificò aquilino, è disdetta senza eccezione dalla positiva testimopianza dei monumenti. (2) Lettere di Fulvio Orsini ai Farnesi, negli Atti e memorie della Regia Deputazione di Storia Patria dell’ Emilia, 1879, Atniotaiioni alla lettera XIX. condo il Visconti, o di Tolomeo VI Filometore e di Cleopatra , giusta la più recente attribuzione di F. Le-normant. Potrei moltiplicar gli esempi di note rappresentazioni figurate le quali vennero sul fondamento di indizi anche meno attendibili aggiudicate all’ iconografia di Alessandro Magno. Così, per scegliere a caso, fu qualificato per Alessandro un cavaliere al galoppo munito d’ elmo e d’ un gran clipeo rotondo , in atto di vibrar l’asta, figura ovvia su gemme, fra cui conosciutissima quella che porta il nome insigne del litoglifo Aulo (i); come nella non meno ripetuta rappresentazione gemmaria di Otriade che moribondo scrive col sangue sugli scudi nemici la vittoria dei suoi, gli archeologi francesi del secolo scorso vedevano espresso Alessandro ferito nella città degli Ossidraci. Che più? perfino le due statue virili che tengono per mano i cavalli di greca scultura sulla piazza del Quirinale in Roma furono a lungo ritenute quali imagini di Alessandro (2): nè molto tempo è trascorso da che si dava una analoga attribuzione ad una celebre effigie del Sole (3). (1) Bracci, Commentaria cit., I, tb. XXXVIII. Gori, Mus. Flor., II, tv. 2, 1. Stosch, op. cit., tv. XV. Questa gemma è oggi nel Museo di Firenze (Zannoni, Gali, di Fir., Ser. V, tv. 43, 2). Una replica dello stesso soggetto, però senza nome, in superba corniola è presso di me. (2) . . . . « de equis in platea Pontificii palatii Quirinalis collocatis, qui pe-rinde atque heroes ipsos equos manu ducentes, Graeco more sculpti sunt. Ad eorum basim sculptum legitur opus Phidiae, opus Praxitelis , atque iamdiu opinio manavit esse statuas Alexandri Magni ». Montfaucon , Diarium italicum , p. 191. (3) E. Q. Visconti, Mon. Borghes., p. x 51 ; Mus. Pio Ckm., I, tv. 14, nota; VI, tv. 15; Op. var., IV, p. 384. Anche nel famoso gruppo di Aiace sostenente il cadavere di Patroclo si pretese rappresentato Alessandro in atto di svenire per essersi bagnato nel Cidno. Id., Mus. Pio Cltm., VI, tv. 18, nota. — r7 — Niuna poi delle antiche imagini si prestava ad un facile scambio colla effigie di Alessandro quanto la protome di Pallade armata, quale ricorre sovente su gemme e monete. Questa, infatti, dagli archeologi anteriori al Winckelmann veniva spesso identificata con quella di Alessandro, come alla loro volta le teste barbate di Marte con elmo e spada, aneli’ esse assai ovvie su gemme, venivano comunemente ascritte al re Pirro. Che se si rifletta come i numismatici contemporanei all’Eckel ancora raffigurassero il ritratto di Alessandro nella nota testa di Minerva impressa sulle di lui monete d’oro, apparirà tanto più scusabile che due eruditi, più specialmente epigrafisti, del secolo XV incorressero in un consimile errore riguardo all’ interpretazione di una figura, la quale ha, invero, nel suo insieme qualche cosa di particolare e di caratteristico che la distingue dalle altre rappresentazioni congeneri. La stessa considerazione può valere per taluni particolari contenuti nella descrizione del contemporaneo di Ciriaco, i quali per fermo non riscontrano colla gemma originale : dico la tiara che egli asserisce coronare il vertice dell’elmo, e i due grifi della testiera da lui scambiati per altrettanti molossi ; errori questi che trovano la loro spiegazione nella preoccupazione in cui trovavasi l’anonimo descrittore, che 1’ effigie incisa sulla gemma dovesse esser quella di Alessandro come già aveala qualificata l’Anconitano a cui appunto egli si riferisce: laddove la materia, le dimensioni, tutti gli altri particolari relativi così alla tecnica come alla rappresentazione, e sopratutto il testo dell’ epigrafe inscritta non lasciano il menomo dubbio sulla perfetta identità della gemma de- Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XIII, Fase. 1. 2 — i8 — scritta nei due mss. vaticani con quella oggi esistente nella Collezione Ancona. Messa così in sodo la sua genuinità , dobbiamo ora prendere in esame il testo epigrafico, e cercare anzitutto di stabilirne la vera lezione supplendo le lettere mancanti per la soluzione di continuità che oggi presenta la gemma originale. Niun dubbio che la seconda linea debba leggersi AIOCKOYPIAOY , mal potendosi escogitare altro supplemento plausibile, e concordando, del resto, perfettamente in tale lezione tanto la trascrizione di Ciriaco quanto quella degli editori del secolo scorso che ebbero campo di esaminar la pietra nella sua primitiva integrità. Più difficile apparisce il supplemento della terza linea, dove Ciriaco trascrisse AITEAIOC, mentre gli editori del secolo passato lessero AIF6AIOC, e più recentemente E. Q. Visconti AirAI6C0C. Cominciamo dal constatare che quest’ ultima lezione è assolutamente esclusa, anche allo stato attuale della pietra. Essa avrebbe per fermo un valore peculiare , in quanto che se ne potrebbe desumere, come fece con soverchia sicurezza il Visconti, la notizia della patria fin qui ignota di Dioscuride (i). Infatti , a differenza di AITEAIOC che è nominativo e si riferisce all’artefice del-l’intaglio, ossia ad Eutiche, AITAI6C0C sarebbe genitivo del patronimico aiyoue^q e concorderebbe perciò col nome al secondo caso AIOCKOYPIAOY; laonde 1’epigrafe verrebbe a suonare : Eutyches Dioscuridis Acgaeci (Jilius) faciebat; oltreché tale etnico cosi scritto servirebbe, come (i) Visconti, Opere varie, II, p. 124. — 19 — ben avvertiva il Visconti, a distinguere fra le diverse città greche che dalle capre ebber nome , 1’ Ege eolica dell’Asia Minore. Ma disgraziatamente, ripeto, la lezione su cui si fondano queste indagini è affatto inammissibile, due sole essendo le lettere mancanti per effetto della frattura nella terza linea del testo epigrafico, né potendo cader dubbio circa al valore delle altre che nitidissime campeggiano sul diafano cristallino della gemma. La questione verte adunque unicamente fra 1’ AITEAIOC di Ciriaco e l’Air€AIOC degli editori del secolo XVIII: ma il monumento, quale é ora ridotto, atteso la mancanza appunto della lettera controversa, non può fornire alcun dato per una plausibile soluzione; quindi é che occorre cercare altrove una testimonianza che valga a supplire alla lamentata deficienza del testo epigrafico originale. Come tale, sembra, invero, potersi accettare quella proferta da una impronta in gesso che si ritiene con fondamento esser stata eseguita sulla gemma originale in epoca anteriore alla sua frattura. Siffatta impronta, trovata a caso in un negozio di anticaglie a Roma, conservasi oggi presso lo stesso proprietario del cimelio originale, sig. Ancona, e da una fotografia della medesima, da questi gentilmente favoritami, è tratto appunto il disegno annesso a corredo della presente monografia. Non sarà superfluo notare in proposito che da accurati riscontri fra l’impronta di cui si tratta e la gemma originale risulta che l’una corrisponde assai esattamente all’ altra cosi nelle dimensioni come nei menomi particolari della rappresentazione: con che rimane in ogni caso eliminato il dubbio che l1 impronta stessa possa essere stata calcata sopra una ben nota copia moderna della gemma, di cui toccherò più innanzi e che é, del resto, 1’ unica di cui gli specialisti nella soggetta materia sappiano oggidì precisare l’esistenza e l’ubicazione. Ora è evidente che la testimonianza desunta dal citato documento, la cui attendibilità non sembra potersi seriamente contestare, milita a favore della più recente fra le due esposte lezioni, la quale dovrà perciò ritenersi come sufficientemente accertata. Rimane ora a determinare il valore dell’ ultima voce, che Ciriaco trascrive E noi || EI, mentre lo Stosch e il Bracci non videro di essa che le due prime lettere €l"i; sigla questa che forni al Kòhler, come forma insolita ed illecita, una delle armi con cui combattè ad oltranza la genuinità dell’ epigrafe. Si può osservare di passata che la sigla €n d’onde il Kòhler trae argomento di censura, non é talmente insolita che non se ne trovino altri esempi anche su gemme, fra cui citerò il Fauno liricino di Asseoco, già nella Datti-lioteca Strozzi di Roma, colla leggenda AIEOXOSiEn (i), la Tersicore di Cronio inscritta KPONIOC €11 (2), e sopratutto il famoso Ippocampo di Farnace, nel Museo di Na- (1) Bracci, cp. cit., tb. XLIII. Questo intaglio venne sottratto con molti altri dalla Collezione Strozzi fin dal secolo scorso, cioè assai prima della dispersione della Collezione stessa che fu una delle più cospicue fra quante ne esistettero in Italia. (2) Id., ib., tb. L\ I. Il Bracci trasse il disegno di questa tavola, del resto assai mediocre come in genere tutte quelle della sua opera , da un’ impronta conservata presso l’autore del Museum Florentinum, Anton Francesco Gori. Egli però mal si appone dubitando che l’originale possa essere un lavoro di Flavio Sirleti. La Tersicore di Cronio trovasi ripetuta con poche varianti su gemme firmate da Onesa e da Allione, e molto probabilmente tanto queste che quella derivano da un insigne archetipo comune di statuaria o di pittura. poli, dall’ epigrafe cJ)APNAKHC || en (i), e il Sileno di Gaio del Museo di Berlino coll’iscrizione TAIOC || €n (2). Potrei anzi aggiungere che non manca esempio della voce stessa espressa in nota anche più compendiosa, cioè mediante la sola iniziale, come sul cammeo di Alessandro, già presso il conte di Carlisle, dove sotto la rappresentanza di Eros che doma un leone leggesi l’iscrizione AAEIANA • E (3), se non mi trattenesse il riflesso che l’autenticità di questa gemma è assai discutibile, dovendosi piuttosto riconoscere in essa un esimio lavoro del cinquecento, dovuto al diamante di Alessandro Cesari detto il Greco. Ma non è il caso di preoccuparci di questa o di altre analoghe considerazioni, dal momento che la lezione €n è una mera abberrazione degli editori del secolo scorso, i quali esaminarono la gemma assai superficialmente, non sospettando che alcune lettere dell’ iscrizione potessero celarsi sotto la legatura in oro che ne circonda 1’ orlo. 11 eh. De Rossi che ebbe in mano la gemma originale condannò a buon dritto la lezione €n; però non fu abbastanza esatto affermando che l’ispezione della gemma dimostra come le lettere compienti l’intero vocabolo trascritto da Ciriaco di Ancona sieno ora coperte dalla montatura in oro, ma esistano effettivamente (4). La verità è invece che avendo io avuto cura di estrarre (1) Id., ib., tb. xeni. (2) Panotka, Geminai mit Inscbriften in den kòniglieben Museen Berlin, Haag, Kopenbagen, London, Paris, Petersburg und IVien, negli Abhandlungen drr kòniglieben Akademie dcr Wissenschaften -it Berlin, 1851, tv. i, 3. (3) Id., ib., tb. IX. (4) Bull. dcll'Inst. di corr. arch., 1878, p. 41. la gemma dalla sua legatura, ho potuto accertare la lezione €noi che si differenzia per due lettere in più dalla lezione condannata dal Kòhler, e per altrettante in meno da quella proferta dalla scheda dell’Anconitano. Con ciò non si esclude la possibilità che le due lettere trascritte dall’Anconitano in quarta linea occupassero allora precisamente il piccolo vuoto, che la soluzione di continuità prodotta dalla posteriore rottura della pietra lascia ora al disotto del centro della terza. La cosa sta pertanto in questi termini : ferma rimanendo 1’ esclusione assoluta della lezione €n, o si ammettono come già esistenti le due lettere ora mancanti in quarta riga, e avremo la lezione €noi || €1 consona alle tante altre analoghe leggende in gemme e marmi; o non si accetta che quanto risulta dall’ ispezione della gemma nel suo stato attuale, e rimane la lezione €noi, della quale abbreviazione non mancano per altro esempi anche nella letteratura gemmaria, potendosi all’ uopo citare il Fauno di Filemone, già nel Museo Strozzi, coll’ epigrafe cfclAHMQN 11 €noi (i). In quest’ultima ipotesi, la nota €l"IOl è indubbiamente abbreviazione di = faciebat. È noto che gli antichi incisori di gemme contrariamente a quanto asseriva il Winckelmann (2), si firmarono sulle loro opere in tre diversi modi ; cioè, o colla semplice enunciazione del proprio nome al genitivo, come A6TICONOC, AflOAAilNI- (1) Bracci, op. cit., tv. XCV. La pasta antica che portava questa iscrizione fu già presso il noto collettore M. Antonio Sabatini, poi nel Museo Strozzi, d’onde era già mancata all’epoca del Bracci. (2) \. Mommi, aiti. ined., Tratt. prelim. cap. IV, dove afferma esser stato costume di tutti gli incisori antichi di scrivere il nome loro in genitivo assoluto. — 23 — AOY, AriOAAflNIOY, ACnACIOY, TNAIOY, AIOCKOYPIAOY, HCIOY, KAPnOY, nAM(J)IAOY, COACONOC, TÉYKPOY, etc. ; nel qual caso, che é il più frequente, il genitivo è retto dal sottinteso Spyov = opus (i); o coll’apporre il nome stesso al i.° caso, come AAMCON, AEAiOC, AO NiilN, AAAlflN, AA$HOC, AYAOC, 63NHOC etc. ; o finalmente coll’aggiungere al nome così enunciato il verbo enoun, in modo analogo a quello usato nelle loro firme dai pittori dei vasi, colla differenza però che questi adoperano più spesso 1’aoristo eTtowjaev (2), il cui uso, secondo le ricerche del dott. Brunn, si manifesta più antico di quello dell’ imperfetto (3). Le gemme che portano firme di quest’ ultimo tipo hanno una importanza peculiare per la storia dell’arte, come le sole che somministrino una nozione autentica dei loro autori, i cui nomi vengono così ad aggiungersi a quelli dei pochissimi litoglifi ricordati dagli scrittori: mentre quelle insignite di semplici nomi, vuoi al i.° vuoi al 2.0 caso, non hanno per sé stesse che un valore ipotetico ; non potendosi, a rigor di termini, affermare che i nomi inscrittivi spettino agli incisori o non piut- (1) La voce sp^cv assai frequente negli scrittori è per contro rarissima sui monumenti, dove è quasi sempre sottintesa, e appena accade d’ incontrarla talvolta nelle leggende dei vasi, sui quali è invece assai ovvio il nome dell’ artefice seguito dal verbo ércoÉyjasv, ovvero eypx^sv, secondo che trattasi di pittore o di figulo. Minervini, nel Bull, archeol. napoletano, N. Sr., IV, p. 104. (2) Sui vasi l’imperfetto énotei occorre nei titoli di Audokides, Chelis, Pan-thaeos, "Nikosthenes, Doris e pochi altri. (3) Le gemme coll’éjtoÉei sono tutte posteriori all’epoca di Alessandro, anzi, secondo il Brunn, anche a quella della distruzione di Corinto , che è quanto dire alla trasmigrazione dell’ arte greca a Roma. Questo erudito asserisce che fra gli esempi che occorrono della dizione ércoiei sui marmi incisi non havvene alcuno che possa dirsi anteriore alla 156.* Olimpiade. — 24 — tosto ai possessori delle gemme (i), giacché affitto incerti ed arbitrari debbonsi ritenere i criteri che altri volle dedurre dalla grafia della leggenda, e in particolare dalla maggiore o minore grandezza e bellezza dei caratteri. Le iscrizioni gemmarie di questo tipo non sono molte, e le più note, oltre a quella in esame, costituiscono la serie seguente : 1. ArAeonoYC II €l"10l€l : Testa di Gn. Pompeo. Intaglio in aquamarina, Museo di Firenze (2); 2. ATOPANAPOC • 6nOl€l : Testa di M. Giunio Bruto. Int. diaspro rosso, Collezione Obolensky a Mosca (3); 3. AltOXOz • Eri: Fauno liricino, già nella Collezione Strozzi, Roma (4); 4. AYAOC AAEìA EnoiEI: Vetro, già nella Collezione Barberini, Roma (5); (1) Sulla difficoltà di distinguere se i nomi incisi sulle gemme spettino agli artefici o ai possessori di esse, veggasi Letronne, nel Journal des savants, 1845, P- 739- (2) Fu dapprima presso l’antiquario romano Marcantonio Sabbatini, poi nella collezione dell’ Ab. Pietro Andrea Andreini di Firenze. Pubblicato da Alessandro Maf:ei (Gemm. antiq. tv. 1, 6), dallo Stosch (op. cit., tv. V), dal Gori {Mus. Fhr. II, tv. I, 2), dal Bracci (op. cit., tv. VII), e da altri. Cf. Lippert, Dacty-lioth. univers., II, 516; Wincklemann, Descript, des pierr. gr. du f. Bar. de Stosch, Ci. IV, 189; Raspe, Citai, de Tassie , 10772; E. Q. Visconti, Esposidelle impr. Chigi, 46f, nelle Op. var. ediz. Milano, II, p. 141, sgg.; De Murr, Biblioth. Glyptograph., p. 43, H. Brunn, Geschichte des griechischen Kùnstler, II, p. 470; T. Biehier, Leher Gemmctikunde, Wien 1860, p. 48; V. Poggi, Lettere ined. di Fulvio Orsini, p. 9. f]) Aless. Boutkowski, Dictionn. numismatique, Leipzig, 1878, I, p. 95. Proprietario di questa Collezione era il principe Michele Obolensky direttore dello Archiv.o Principale del Ministero degli Affari Esteri in Russia. (4) Bracci, op. cit., tv. XLIII. (5) \ isconti, Osserv. sul calai, degli ani. incis. in gemme, nelle Op. var. II, p. 120. 5- rAloe enoi6l : Testa del cane Sirio. Int. carbonchio, Collezione del duca dì Marlborough, ora Bromilow, Londra (i); 6. TAIOC || eri: Sileno. Int. ossidiana tagliata a cabochon, Museo di Berlino (2). 7. AEIAMENOz II EnoiE XIOz : Cicogna, o gru, volante. Int. sardonica foggiata a scarabeo, Museo dell’ Eremitaggio , Pietroburgo (3); 8. Epigrafe simile alla precedente. Ritratto di Demostene. Int. agata bruciata, presso il sig. A. Rhousopoulos professore all’ Università di Atene (4) ; 9. HPAKAEIAAZ II EnoiEI: Testa di M. Giunio Bruto, castone di anello, Museo di Napoli (5); 10. HVOAOC erioiei: Busto di Giulia figlia di Tito. Int. aquamarina orientale, Gabinetto di Francia (6); 11. KOINTOC II AA6IA II €n0l€l : Eroe stante, di cui non (1) Natter, Traile de la mèthode ani. de grav. en pierr. fin., n. XVI; Id., Bes-sborough Catalogue , n. 40 c.\ Bracci op. cit. tv. XLV ; C. W. King , Naturai hislory of gems, p. 18; The Marlborough gems Catalogne, 1875, n. 270. Una copia di questo sorprendente intaglio che il Kòhler con autocratico pronunciato spaccia per lavoro di Natter, eseguita in cristallo di rocca da Lorenzo Masini, esisteva nella Collezione di Stosch ora al Museo di Berlino (Winckelmann, op. cit. Cl. Il, 1240). Un’altra copia in topazio trovasi a Pietroburgo. (2) Panofka, Gtmmen mit Inschriften etc., negli Abbandlungcn der kòniglieben Akademie der Wisscnsch.iflen \u Berlin, 1851, tf. I, ri. 3. (3) Vedesi disegnata sul frontispizio della citata Naturai hystory of gems di C. W. King. La gemma fu trovata a Kertch in Crimea. Ib. p. 365. (4) Inedito. Ne debbo la conoscenza alla gentilezza del chiariss. mio amico sig. Roberto Mowat, al quale mi corre 1’ obbligo di rendere pubblica ed espressa testimonianza di gratitudine per questa come per le altre erudite comunicazioni di cui volle in diverse occasioni essermi cortese. (5) H. Brunn, op. cit. II, p. 504. (6) Bracci, op- cit., tv. LXXIII. E. Q. Visconti, Impr. Chigi, 482. H. Brunn, op. cit., II, p. 499. Chabouillet, Catal. gen. cl raisonn. des cani, et des pierr. grav. de la Bill. Imp„ n. 2089. rimangono che le gambe calzate di ocree. Int. sardonica, già presso il comm. Fr. Vettori, Roma (i); 12. KPONIOC • €n : Tersicore. Pasta di vetro, già presso l’Ab. P. A. Andreini, Firenze (2). 13. M II..... €noi€l: Bysto di Talia. Int. giacinto, Museo di Firenze (3); 14. NiKANAPO< Il dioici : Busto di Giulia figlia di Tito. Int. sardonica giacintina, Collez. Marlborough (4); 15. ONHCAC II €1101 €l : Tersicore. Pasta di vetro, Museo di Firenze (5); 16. fiAilTAPXOC 6nOI€l : Su gemme citate dal Raspe (6); 17. noAIKPATHC EnoiEI: Amore e Psiche. Int. granato, Collez. march, di Gouvernet (7) ; 18. nP-QTAPXOz EnoiEI: Amore che suona la lira cavalcando un leone. Cammeo in sardonica, Museo di Firenze (8); (1) Gori, Mus. Flor., II, tv. 97, 4. Bracci, op. cit., tv. Vili. Winckelm., op. cit., Cl. II, 959. De Murr. Bibl. glypt., p. 44. Raspe, Cat. de'Tassie, tv. 44, n. 7406. (2) Gori , Inscr. ant. in Elr. urb. exst., p. XXXIX, Bracci, op. cit., tv. LVI. Lippert, Dactyl. univ., I, p. 269, n. 759. (3) Apparteneva alla esimia collezione di gemme, ori e monete antiche lasciata per testamento alla Regia Galleria di Firenze da sir William Currie nel 1863. (4) Già nella Collez. Deringh. Bracci, op. cit., tv. LXXXVI. Brunn, op. cit., II, p. 518. King, Antique gems, p. 221. The Marlborough gems, Calai. 1875, n. 44. (5) Proviene dalla più volte citata Collez. delPAb. Andreini fiorentino. — Gori, Mus. Flor., II, tv. IV; Stosch, op. cit., tv. 45. Bracci, tv. LXXXVII. Alessandro Maffei, op. cit., II, tv. 50. E. Q. Visconti, Impr. Chigi, 66. Zannoni, Cali, di Firenze, Sr. V, tv. 51, 3. Brunn, op. cit., II, p. 519. King, Ant. gems, p. 222. (6) Calai des Impr. de Tassief 6680-82. (7) Mariette, Traiti des pierr. ant. grav. du Cab. du Hot, p. 421. C. W. King, Antique gems, p. 223. (8) Anche questa gemma fece parte un tempo della Collez. Andreiri. — Gori, Mus. Flor., tv. I, 1. Alessandro Maffei, op. cit., Ili, tv. 12. Stosch, op. cit., * « _ — 27 — 19- COACON 6(10161: Diomede che rapisce il Palladio. Int. già nella Collezione Strozzi (i); 20. TPY0£1N II €noi€l : Le nozze di Amore e Psiche. Cammeo in sardonica, Collez. Marlborough (2); 21. YAAOC 11 AIOCKOYPIAOY || 6(10161: Satiro. Cammeo, calcedonia, Museo di Berlino (3); 22. 0APNAKHC II 611 : Ippocampo. Int. corniola, Museo di Napoli (4); 23. 0HA1E 6(10161: Ulisse e Diomede che rapiscono il Palladio. Int. già presso l’Ab. P. A. Andreini (5); 24. KAAnOYPNIOY C60YHP0Y || HOC !| CYN || APÉ06JNI. Altri citano insieme al proprio il nome del padre o del padrone , come Gaurano che si dichiara figlio, o servo, di Aniceto, TAYPANOC ANIKHTOY (3); Aulo e Quinto che risultano fratelli, enunciandosi ambedue figli di Alessa (diminut. di Alessandro), AYAOC AAEIA EnoiEi; KOINTOC i! AA6IA II €noi€l; Felice che si rivela servo o liberto di Calpurnio Severo KAAnOYPNiOY C€OYHPOY j| HAH €noi€l, seppure, tenuto conto della disposizione dwlla leggenda sulla pietra, non debba piuttosto ritenersi il nome di Calpurnio Severo per quello del proprietario di questa, come già si é accennato. Altri finalmente accoppiano all appellativo personale 1’ indicazione della patria, e questi sono i più rari, non conoscendosi altri esempi di patronimici che quelli proferii dalla gemma di Eutiche Egeo, e delle due citate di Dessameno di Chio. Si e\ ince dal sin qui detto come l’iscrizione della gemma in esame costituisca, di tutte le conosciute firme di antichi litoglifi, l’esemplare più complesso ad un tempo e più erudito, avuto riguardo al numero ed alla importanza dei dati proferti, come quella che esibisce ^ l ’ tV* " Quest0 superbo cammeo in onice fu già esposto per più seco , alla venerazione nella chiesa d’ un monastero in Francia , legato ad un anello che s. credeva esser quello che S. Giuseppe offrì per lo sposalizio alla . ergine. I baci dei fedeli ne logorarono a lungo andare le parti più spor- aZ’C'°À- Ir d‘ Germanico e « diadema di Agrippina. Passò poi nella Abbaca d, S. Gmnano ai Pres : „„ è nel Gabi„elto d, ^riCCh tV> XV- Glà ne|li> Collez. Azincourt, Parigi (j) Bracci, tv. XVIII. in sé riuniti " quei diversi particolari che le più rare fra le altre noivostentano che parzialmente. Per essa veniamo infatti a conoscere: i.° che incisore della gemma fu Eutiche, il cui nome, in grazia del verbo enoiei, vuol essere ascritto con tutta sicurezza al catalogo finora così scarso ed incerto degli antichi litoglifi; 2° che questo Eutiche, di cui la gemma determina in modo assai preciso lo stile e il magistero tecnico, era figlio del sommo Dioscuride, o Dioscoride che dir vogliamo (1); 3.0 che al medesimo artefice deve quindi riferirsi un poco conosciuto intaglio in corniola del Museo di Firenze firmato f.YTYXHC • AIOC • (2), supplendo questa ultima nota in AIOC(*oupi5ou); 4. che detto Eutiche fu fratello degli insigni litoglifi Ilio ed Erofilo, il primo dei quali sul testé citato cammeo del museo di Berlino, 1’ altro su di un frammento di intaglio ritraente la testa (1) Sta in fatto che le gemme conosciute portano costantemente AIOCKOYPIAOY genit. di Àtooxoupì5Y)g = Dioscurides. Non è men vero però che tanto Plinio (H. N. XXXVII, 4, 1), quanto Suetonio (Aug. 50), scrivono Dio-scorides. (2) Proviene dal legato di sir William Currie. Rappresenta Minerva stante, un poco volta a d., l’asta nella d. e il clipeo poggiato a terra, in atto di porre colla s. dei grani d’incenso sul candelabro che le sta dinanzi. Dietro, a lettere minutissime e retrograde, la surriferita iscrizione. Forma ovale; lungh. o,ou, largii. 0,009. N. 319 del catalogo ms. del Migliarini. Questa Minerva non sembra della stessa mano di quella che è oggetto della presente monografia. Ma in massima, non vuoisi far troppo caso della diversità di stile e di artificio che si riscontra talvolta su due o più pietre portanti il nome dello stesso incisore. Imperocché alcune gemme sono copie o imitazioni, sebbene antiche , e non rivelano perciò la mano dell’ artefice di cui portano la firma, nè raro ò^ilfcaso di lavori assai mediocri segnati colla firma, indubitabilmente antica, di un insigne maestro. Ma 1’ esistenza delle copie arguisce la preesistenza dell’ originale, e non si può ragionevolmente trarre argomento dall’imperfezione di quelle, per mettere in dubbio l’autenticità e il merito di questo. — 32 — di Augusto con piccoli baffi (i), enunciano una identica figliazione ; 5.° che tanto Eutiche quanto Ilio ed Erofilo vissero in epoca di poco posteriore a quella di Augusto, sotto cui fiori Dioscuride, rimanendo per tal modo determinato il posto che compete a questi tre eccellenti incisori cosi nella serie cronologica come nella evoluzione storica dell arte (2); 6.° che lo stesso Eutiche, finalmente, era nativo di Ege, di che emerge un probabilissimo indizio ciica la patria eziandio di Dioscuride, imperocché se in quell isola ebbe questi residenza e famiglia prima della sua \enuta in Roma, sarà lecito arguire che di là appunto traesse 1’ origine. Ognun vede quanto e quale interesse offra per la storia dell arte antica in generale e della glittica in particolare la conoscenza di un monumento che ad un peculiare pregio stilistico e tecnico accoppia il merito di determinare con certezza il nome, la famiglia, la patria (M Questo frammento d’intaglio, pubblicato itagli editori delle opere del Winckelmann (ediz. Prato, 1850, tv. LI, n. 1 ;o), porta il frammento di iscrizione • . PO(J)IAO ' • i) • • OCKOY • • • • che si può plausibilmente supplire £PO(J)IAO; Il ^OCKOYpSo’J. (_) E. Q. \ isconti (op. var., II, p. 124Ì, propendeva a credere Ilio vissuto in epo«.a anteriore ad Augusto, per considerazioni dedotte dal carattere stilistico del noto Toro dionisiaco (Bracci, tv. LXXX), la cui figura , toccata con molta maestria e grandiosità di stile, arieggia quella di alcuni conii della Magna Greca. Non vuoisi tuttavia pretermettere che fin dai tempi del Bracci era opinane abbastanza accreditata che il nome di Illo, YAAOY , su quel superbo intaglio del Gabinetto di Francia fosse un' aggiunta di mano moderna. Certo, o stile a cui si informano altri conosciuti lavori di Ilio, quali l’Èrcole giovine ffj* Collez. Stosch , Bracci, tv. LXXVIII), la testa diademata di donna, del-remitaggio di Pietroburgo (Bracci, tv. LXXIXj, la creduta testa di Ippocrate, del Museo di Firenze (id, tv. LXXXI), e il citato busto di Satiro del Museo eriino, punto non dsdice al gusto dei tempi augustei e al fare della scuola di Dioscuride. dell autore, nonché l’epoca in cui questi fiori e la scuola artistica a cui s’informa; monumento che si può a buon dritto annoverare fra le più caratteristiche espressioni di un importante periodo artistico, il cui processo storico, nonostante la ricchezza dei materiali, presenta tuttora allo studioso molte lacune ed oscurità. Nella serie delle arti figurative la glittica non avanzò certamente le altre in ordine di tempo. Si capisce come fin dalla così detta età della pietra 1’ uomo abbia colla stessa creta di cui si servì per plasmare i primi vasi ed utensili domestici modellato alcune rozze imitazioni del mondo esteriore, le quali costituirono quasi a dire le bozze rudimentali della scultura avvenire. Si intende del pari come segnando i contorni delle ombre proiettate dai corpi, 1’ uomo abbia fin dai tempi antichissimi delineato un profilo dei corpi stessi, gettando così i germi iniziali dell’ arte di disegnare e dipingere. Ma non può dirsi altrettanto dell’ arte di incidere le gemme ; ché la durezza della materia e le difficoltà inerenti al processo tecnico dovettero di necessità ritardarne di molto 1’ origine e lo sviluppo. In tesi generale si può affermare che 1’ arte di intagliare le pietre preziose e quella di incidere i conii delle monete costituiscono i due rami ultimi spuntati sul tronco annoso della plastica. Con tutto ciò i primordi della glittica risalgono ad un’ alta antichità, o a dir più esattamente, si perdono nella notte dei tempi. 1 cilindri assiri e persiani, gli scarabei egizi, fenici, greci ed etruschi già presentano i caratteri di un’ arte molto inoltrata. Più rudimentale apparisce il carattere di quei pezzi lenticolari perforati, ordinariamente in pietra calcarea o in selce, talvolta in Atti Soc. Lio. St. Patria, Voi. XIII, Fase. 1. 5 — 54 — cristallo di rocca, in corniola, in calcedonia c simili, sulle cui rappresentanze ad intaglio, di stile molto primitivo , é rivolta da qualche tempo 1’ attenzione degli archeologi, i quali propendono ora a considerare tali ìozze incisioni come gli incunabuli della glittica in Grecia. Parecchi esemplari di questa serie, trovati nelle isole dell Arcipelago, vennero riferiti dal eh. Helbig ad una direzione della glittica parallela e sincrona a quella della ceramica dipinta a ornati geometrici, oggetto di recenti studi e induzioni per parte del Conze (i). Il che nulla detrae a quanto affermammo circa la pratica ab immemorabili dell’ incisione in pietra dura; imperocché quando quest arte era in Grecia ai suoi primi rudimenti, è certo che presso gli Assiri , gli Egìzi e altri popoli orientali già avea raggiunto, almeno per quanto riguarda la tecnica, un alto grado di sviluppo. Nel campo dell’ antichità classica, la glittica segui lo andamento generale delle arti figurative, e più particolarmente della plastica , di cui, come dicemmo , é un ramo serotino. Manca, é vero, una base abbastanza solida su cui fondare una storia della glittica ordinata in determinati periodi, in quanto che ai nomi degli artisti inscritti nelle gemme non si può assegnare una data certa fuorché in pochi casi, né potendosi attribuire che un \alore molto relativo alla testimonianza dei ritratti, che pur son frequenti nelle gemme incise, per determinare il tempo in cui furono eseguiti, giacché male si arguirebbe, per esempio, della cronologia di Dioscuride sull’ unica fede del ritratto di Demostene da essolui in- (i) Bull. d. Itisi, di corr. arci]., 1875, p. 41. - 35 - tagliato con tanta maestria. Oltre le poche notizie tramandateci dagli scrittori intorno al nome ed alle opere di alcuni litoglifi (i), per tracciare la storia e la cronologia della glittica non abbiamo altri sussidi che quelli somministrati dai criteri che si possono desumere dallo stile e dalla tecnica dei monumenti gemmarii, ed è su questa base che il suo corso storico si può dividere cronologicamente in tre grandi periodi, quanti sono i diversi ambienti geografici in cui successivamente si effettuò. Il primo periodo si stende dall’ alba dei tempi storici alla morte di Alessandro Magno, ed ebbe per teatro la Grecia propria. L’individualità più illustre di questo periodo é senza dubbio Pirgotele, che fiorì alla corte di Alessandro e meritò l’insigne privilegio di incidere in gemma 1’ effigie dell’ eroe macedone , come Lisippo di modellarla in bronzo ed Apelle di dipingerla in tavola (2). Colla scorta dei criteri dedotti dallo stile si (1) Il passo più caratteristico circa 1’ andamento storico della glittica nel campo dell’arte greco-romana è quello di Plinio (37, 4, 1): « Post Pyrgotelem Apollo-nides et Cronius in gloria fuere, quique Divi Augusti imaginem simillime expressit qua postea Principes signabant, Dioscorides ». (2) Plinio, XXXVII, 4; VII, 38. Delie diverse gemme che ostentano il nome di Pirgotele, nessuna, invero, ha titoli sufficienti per comprovare la propria legittimità. Già si è veduto quanto sia inattendibile l’attribuzione a Pirgotele del cammeo col busto del così detto Focione. Non merita maggior fiducia 1’ altro cammeo (Collez. Principe Lotario Francesco Elettore di Magonza, Bracci tv. XCV1II) col bifcto di Alessandro Magno coperto il capo e le spalle della pelle leonina (Ercole, secondo il Winckelmann, Mon. ant. med., Tratt. prelim., cap. IV), sotto al quale la firma di Pirgotele è certamente una moderna superfetazione. Altrettanto può dirsi di un terzo cammeo del Museo di Napoli (Visconti, Impr. Chigi, 37), colla rappresentanza della contesa di Minerva con Nettuno, dove, a prescindere da altre considerazioni, la sigla |“1 Y in nesso è per se stessa inetta a porgere un plausibile indizio circa la paternità della gemma. Con queste possono assegnare non poche gemme anonime delle nostre Collezioni ai diversi momenti di tale periodo , al quale sembrano del pari riferibili con maggior o minor probabilità le segnate coi nomi di Eéo, di Tamiro, di Frigillo, di Anthia, di Apollonio, di Apollodoto, di Scilace (?), di Dessameno. e di altri noti litoglifi (i). Le migliori opere di questo periodo risentono 1’ influenza della scuola di Fidia, ma più ordinariamente vi predominano lo spirito e il gusto di quella di Prassitele. Il secondo periodo abbraccia 1’ epoca dei Diadochi, ed ebbe per campo d’ azione 1’ Oriente ellenico. Molti ed insigni capolavori artistici fanno testimonianza del supremo buon gusto , del lusso e della magnificenza che regnavano nelle corti elleno-orientali, specialmente dei Seleucidi e dei Lagidi, nonché in quelle dei minori dinasti dell’ Asia minore, cioè dell’ Atropatene, del Ponto, e altre gemme meritamente condannate non vuoisi per avventura confondere una corniola rappresentante Ercole che abbatte l’idra, presente Iolao , trovata del 1788 nella campagna di Roma d’onde passò nella Collezione Trivulzio a Milano; gemma dal Visconti giudicata antica cosi per l’intaglio come per la epigrafe enunciante il nome di Pirgotele ; sebbene trattandosi d’ un lavoro assai mediocre, egli la riteneva piuttosto una copia, nonostante l’opinione contraria dell incisore Gio. Pickler [Op. var., II, p. 119). Lo stesso Visconti credeva potersi atttibuire a Pirgotele un frammento di cammeo colla testa diademata di Alessandro, esistente ai suoi tempi nella Collezione dell’ imperatrice Giuseppina [Iconogr. gr., Il, p. 66, tv II a, n. 3). È superfluo avvertire che trattasi di una mera congettura non avvalorata da alcun indizio, il frammento in questione essendo anepigrafo. È provato, del resto, come già nell’antichità il nome di Pirgotele, nonché di parecchi altri famosi artisti, venisse dolosamente usurpato (R. Rochette, Lettre à M. Schorn, p, 49). (1) Il più antico ira i litoglifi di questo periodo nominati dagli scrittori è Mnesarco padre di Pitagora. Quanto a Teodoro di Samo, la congettura più plausibile è che, nella sua qualità di artefice in metalli, egli abbia semplicemente montato, anziché inciso come altri affermò, il famoso anello di Po-licrate. I — 37 — della Bitinia e di Pergamo : ma di tutte le arti figurative, quella che in questo periodo raggiunse la più alta cima di perfezione fu certamente la glittica. La passione, antica e molto estesa in Oriente, per le pietre preziose, e il costume di adibirle non solo ad uso di sigilli ma a scopo ornamentale e decorativo, diedero un grande impulso all’ incisione in rilievo, o a cammeo che dir si voglia : alla quale fornirono nuova e più nobile materia esotiche gemme, magnifiche così per la mole come per la ricchezza degli strati a diversi colori, in ispecie sardoniche e agate-onici che si treavano probabilmente dall’ India superiore e dalla Battriana. Ho compilato in altra occasione 1’ elenco di una serie di nobilissimi cammei incisi in quell’epoca (i); elenco che potrebbe essere arricchito coll’ indicazione di diversi altri capolavori anonimi, nonché dei segnati colle firme di Atenione, di Protarco, di Trifone ecc., e completato col catalogo dei molti intagli non meno insigni, fra cui quelli coi nomi di Aezione, di Anfotero, di Agatemero, di Allione, di Ammonio, di Apelle, di Apollonide , di Aspasio. di Asseoco, di Carpo, di Cronio, di Farnace, di Mitr(ane?), di Oneo, di Onesa, di Po-licleto, di Seleuco ecc. Una mano maravigliosamente abile e sicura, uno stile largo e grandioso, un disegno facile insieme ed elegante, il tutto accoppiato ad una esecuzione franca e che mira all’ effetto dell’ insieme piuttostoche alla finitezza dei particolari ; ecco i caratteri generali che contrassegnano le opere glittiche di .maggior momento nel periodo ellenistico. (i) V. Poggi, Lettere ined. di Fulvio Orsini al card. Aless. Farnese, p. 21 segg. Il teizo periodo, finalmente, corre dal regno di Augusto alla caduta dell’impero di Occidente. L’ambiente in cui si svolse è Roma, la capitale politica e intellettuale del mondo, nel cui perimetro trovasi ormai con-centiata la storia dell’arte, non solo, ma di tutta quanta la civiltà. Una pleiade di artisti, alcuni dei quali eccellenti rivali ed emuli degli antichi, immigrata a Roma , centro d’ ogni attività artistica, dall’Asia Minore e dalle altre provincie greco-orientali negli ultimi anni della Repubblica, vi gettò le basi di una grande scuola ecclet-tica, che tu quasi il crogiuolo dove si fusero insieme le nobili ed elevate tradizioni delle migliori scuole del periodo ellenistico, e d’onde l’arte attinse il succhio per un più ricco e svariato sviluppo, conforme al genio dei nuovi tempi e alle condizioni di quel singolare ambiente in cui si mescolavano tutte le varietà etnografiche, tutte le arti, tutte le filosofie, tutte le religioni dell’ universo. ■Era il tempo in cui Pompeo trionfante di Mitradate avea, colle altre spoglie di questo principe, portato a Roma la celeberrima dattilioteca che egli collocò nel tempio di Giove Capitolino : onde si sviluppò nei Romani la stoiica passione per le pietre preziose e finamente lavoiate : victoria dia Pompeii, dice in proposito Plinio, prunum ad margaritas gemmasque mores inclinavit (XXX\ li, 6). La quale passione progredi di mano in mano col lusso, e già dopo poco tempo era a tale che - ntonio proserisse un senatore, al solo scopo di impadroni! si di un anello ornato di un opale di straordinaria grandezza che questi possedeva, e che fu del resto 1’ unico oggetto cui riusci al proscritto di portar seco nella sua fuga. - 39 — Questo processo della glittica si manifesta per più rispetti parallelo ed analogo a quello che, contemporaneamente o quasi, andavasi a Roma effettuando nella architettura. Mentre, infitti, gli ordini più antichi, il dorico cioè e l’ionico, le cui proporzioni in Roma non furono, del resto, mai conformi ai canoni greci, si facevano di mano in mano vieppiù esili o tozzi, finché caddero quasi totalmente in disuso, il corinzio, invece, vi trovò uno svolgimento più ricco e più splendido. Non pure i suoi singoli membri divennero più rigogliosi e lussureggianti, tanto che il loro insieme raggiunse in breve un grado di magnificenza senza pari ; ma le forme stesse dell’ ordine si variarono all’ infinito. Il cosidetto ordine composito a cui si informano gli archi di Tito e di Settimio Severo, il salone delle terme di Caracalla e altri insigni monumenti, non è che il prodotto di un’ arte ecclettica, ove si mescolano, in proporzioni disuguali, motivi propri dell’ordine corinzio con altri desunti dall’ ionico. In generale, le arti figurative trapiantate in Roma non vi attecchirono che imperfettamente, né mai raggiunsero la perfezione degli antichi esemplari greci : per contro, la glittica trovò nelle nuove condizioni di tempo e di luogo un ambiente favorevole a nuovi incrementi. Non v* ha dubbio che le migliori opere di statuaria e di pittura eseguite sotto i Giulii ed i Flavii, che é quanto dire nel momento più florido del periodo romano, rimasero , anche nell’ estimazione dei contemporanei, molto al disotto della verità e della semplicità che caratterizzano i capolavori dei bei tempi della Grecia: ma le gemme incise a Roma nella stessa epoca emulano e per alcune parti superano le migliori dei tempi di Alessandro Magno e dei Tolomei. A decorare il Palazzo dei Cesali, i monumenti pubblici e i più nobili edifici privati di Roma, si spogliarono le città della Grecia e dell Asia Minore di quanto possedevano in marmi, bronzi e tavole delle antiche scuole di Atene, di Sicione, di Argo, di Corinto, di Tebe, di Efeso, di Rodi e di Pergamo; chè lo infiacchimento della virtù creativa così nella statuaria come nella pittura più non permetteva a queste aiti di competere colle esimie produzioni delle epoche anteriori; ma per segnare gli imperiali rescritti con un sigillo' degno all’ intutto di sì alto ufficio , come per adornare il diadema ed il paludamento in modo adeguato alla suprema dignità da questi distintivi rappresentata, 1 Cesari non ebbero bisogno di ricorrere ad un intaglio di Pirgotele, né ad un cammeo di Trifone, e né tampoco di porre la mano nella dattilioteca di Mitradate. Fra gli artisti più illustri della scuola ecclettica di Roma, donde tanto incremento derivò-alla glittica, il seggio d’ onore spetta meritamente a Dioscuride, nativo, secondo la più plausibile induzione, di Ege nell Asia Minore, e coevo di Augusto e di Tiberio. Storicamente famoso é il sigillo coll’ effigie di Augusto da essolui intagliato per uso di questo principe, e del quale esclusivamente continuarono a servirsi i successivi Cesari fino a Galba (i). Né alla fama di cui godette presso gli antichi punto detraggono le opere che di lui ci pervennero : l’eccellenza delle quali é invero meravigliosa, sia che si guardi alla bellezza ed eleganza della (i) Sueton., Octav., 50. Dio, LI, 3, Plin., 37, 4, 1. forma, sia che si abbia 1' occhio alla perfezione dell’ e-secuzione, e tale da giustificar pienamente la preferenza onci’ egli fu oggetto per parte di Augusto su tanti e si insigni litoglifi suoi contemporanei, quali Acmone, Admone, Agatopo, Agorandro, Aulo e Quinto figli di Alessa, Coemo, Euplo, Euto, Gaio, Gneo, Felice, Filemone, Lucio, Niso, Onesidemo, Panfilo, Pergamo, Saturnino, Sostene, Teucro ecc. Aggiungansi a questi i nomi di Eutiche, di Erofilo e di Ilio suoi figli; ai quali si connette la schiera di quelli altri litoglifi che sulla fede dei ritratti da essi incisi possono ritenersi di poco a lui posteriori; come Epitincano, Alfeo, Aretone, Evodo, Nicandro, Elio ecc.: arrogi agli uni e agli altri gli anonimi autori di una serie di grandiosi e stupendi cammei, relativi alle famiglie imperiali Giulia e Claudia, dei quali ho compilato altrove un lungo elenco (i), e il cui complesso costituisce un tesoro del più inestimabile valore storico non meno che artistico ; e si avrà un’ idea del fulgore onde brillò nel primo secolo dell’ impero la pleiade ecclettica di cui Dioscuride occupa il centro veìut inter ignes Luna minores. Questa scuola non cessò per lungo volger di tempo di esercitare un vivifico influsso sull’indirizzo dell’arte, (i) V. Poggi. Leti. ined. di Fulvio Orsini, p. 22, nota. Quest’elenco può essere all’ uopo arricchito colla notizia di non pochi altri cimelii di primo ordine, fra cui mi limito ad accennare il gran cammeo in calcedonia col ritratto in busto dell’ imperatrice Livia sotto i tratti di Venere Genitrice , cammeo che fu già del papa Alessandro VII, e passò nel 1861 dalla Galleria Campana di Roma .il Museo imp. dell’ Eremitaggio in Pietroburgo (Notice sur les objets d’art de la Gali. Campana acquis pour le Mus. imp. de YErm., Paris 1861, p. 95). — 42 — cbé litoglifi di gran polso, come Anterote, Elleno, Epoliano, Nicomaco, Prisco, Sostrato, Sotrato ecc., si educarono ai suoi principii e ne conservarono e tramandarono le tradizioni fino ad impero inoltrato. Più tardi, nel declino generale delle arti fu travolta anche la glittica ; Quintilio, Gaurano, Cheremone, Aquila, Rufo, Foca, Niceforo, Zosimo, Zifia ecc., rappresentano le ultime fasi della sua evoluzione storica nell’ evo antico, fino al totale esaurimento della concezione artistica e della tecnica. La singolare corniola col busto di Alarico re dei Goti (i), é uno degli ultimi monumenti conosciuti della glittica antica nell’impero di Occidente. Le onici orientali a più colori, con rappresentanze di soggetti sacri desunti dal Vecchio e dal Nuovo Testamento, sono opera di artisti bizantini, e già spettano al ciclo dell’ arte medioevale. Riandato cosi per sommi capi i diversi momenti storici per cui trascorse la glittica nel campo dell’ arte greco-romana, e fissato il posto che compete alla gemma di Eutiche nella serie dei monumenti congeneri , debbo ora toccare dell’ asserzione gratuita del Kòhler che il lavoro di questa gemma non corrisponda dal punto di vista stilistico al tempo di Augusto e di Tiberio in cui fiori Dioscuride. Non mi propongo a tale effetto di passare in rassegna la serie delle gemme incise che ostentano la firma più o meno autentica di Dioscuride. Mi limiterò a far cenno dei più conosciuti e in pari tempo meno contestati intagli fregiati di questo nome, i quali si riducono ai seguenti : '') E Q. Visconti, Impronte Chigi, 49S. — 43 — a) Busto di lo vista in tre quarti e caratterizzata da due piccole corna bovine che le spuntano sulla fronte, eseguito in corniola della maggiore limpidezza e vivacità , già presso il Duca di Bracciano, poi nella Collezione del principe Stanislao Poniatowski, donde a nostra memoria passò in quella di lord Guglielmo Currie, e da questa per legato testamentario al Museo di Firenze (i). Si giudica la più sublime incisione di Dioscuride. b) Id. di Demostene, di faccia. Celebre ametista della Collezione dei Ludovisi Boncompagni principi di Piombino (2). Lo stile della testa è eccellente, però non senza qualche durezza, ond’altri ha potuto esternare il dubbio che nonostante il molto suo merito questa gemma sia per avventura soltanto una copia di quella su cui Dioscuride avea inciso il ritratto di Demostene. . • c) Id., di Augusto con principio di barba, di profilo a destra. Ametista della Collezione Strozzi, donde mancò per furto come già si é accennato di altre gemme (3). (1) Il Bracci tv. LXIII lo pubblicò per busto di Lide. L’intaglio, quale oggi ammirasi nel Museo di Firenze, mostra una piccola frattura riempita d’oro alla sommità del capo d’Io. A coloro i quali si interessano a simili particolari non tornerà discaro conoscere che questo inimitabile capolavoro fu pagato a Londra dal Currie lire 5000. La pietra è di forma ovale, e misura 0,015 di lunghezza per 0,011 di larghezza. Nel catalogo ms. del legato Currie, compilato dal Migliarini, la gemma figura al n. 255 sotto la qualificazione di sardonica. (2) Bracci, tv. LXIX ; dove la gemma è indicata erroneamente per una corniola. Winckelmann, Moti, ined., p. 108, XCI. Visconti, lconogr. or., I, tavola XXIX, a. La dattilioteca Ludovisiana era ancora al principio di questo secolo una delle più ragguardevoli in Italia per il numero ed il merito delle gemme, così antiche come del cinquecento, in essa raccolte, di alcune delle quali si concedevano graziosamente le impronte agli amatori. (3) Bracci, tv. LVIL Delle tante collezioni private di gemme antiche, sì italiane che estere, quella dei duchi Strozzi a Roma fu senza dubbio a suoi tempi — 44 — d) Id., id. Granato che fu dapprima in casa Massimi di Roma, poi nel Gabinetto dell’Aja. A questa gemma di Dioscuride accadde la stessa disgrazia che a quella di Eutiche, essendosi rotta in tre pezzi, mentre se ne eseguiva la legatura in oro (i). c) Achille in atto di osservar le armi recategli dalla madre. Corniola già nel Museo Farnesiano di Parma, ora a Napoli (2). Il Bracci lo giudica uno dei più insigni capolavori di Dioscuride : la verità é però che lo artifìcio di questo intaglio, comparativamente ad a.tre produzioni dello stesso litoglifo, lascia a desiderare dal lato della finitezza, tanto che è lecito arguire il nome di Dioscuride esservi stato apposto per indicare 1 autore dell’archetipo su cui l’intaglio stesso fu ab antico esemplato. /) Mercurio di faccia, stante, il caduceo nella sinistra, con petaso e clamide affibbiata sull’ omero destro. C01-niola descritta dallo Spon come già appartenente a Fulvio Orsini: fu poi proprietà del barone di Stosch, nella cui opera trovasi figurata, e che la vendette a lord Iiolder- la più insigne non tanto per la copia quanto per l’eccellenza del contenuto, come quella che anche dopo il furto perpetrato a suo danno nel secolo sborso ed al quale ho più volte accennato in queste pagine, vantava una serie di capolavori, ognuno dei quali 'sarebbe bastato alla fama di una dattilioteca, dico l’Èrcole di Gneo, il Germanico di Epitincano, 1’Esculapio di Aulo, la Medusa di Solone, l’altra di Sostene, la Musa di Allione, il Satiro di Scilace ecc., oltre a tante altre anonime, tutte di primo ordine. Per disposizione testamentaria di chi l’avea istituita, questa dattilioteca non potea spostarsi dal palazzo Strozzi: invece, andò dispersa qua e là come la biblioteca di Don Ferrante. (1) Stosch, tv. XXV. Bracci, tv. LVIII, Winckelmann, Moti. ant. ined., fratt. prelim. cap. IV. (2) Edito dallo Stosch (tv. XXX) e dal Bracci (tv. LX) sotto Ja denominazione di Perseo datagli anche da Winckelmann. — 45 ~ ness suocero del duca di Leeds. Questi a sua volta la legò al duca di Marlborough, della cui Collezione, oggi passata al Bromilow, continua a far parte (i). Opera di una grande finitezza e perfezione. g) Mercurio stante, col caduceo abbassato nella destra, e nella sinistra una patera con entro la testa d’ un ariete. Corniola già nella Collez. di lord Carlisle (2). Mirabile per 1’ eccellenza del nudo e per lo squisito magistero della tecnica. h') Diomede rapitore del Palladio. Corniola che dalle mani di Luigi XIV, passò come regalo di nozze alla principessa-di Conti sua nipote, donde in seguito a diversi trapassi di proprietà pervenne alla Collezione Sevin, e da questa a quella del duca di Devonshire (3). È ritenuta la più eccellente fra quante gemme ci offrono lo stesso soggetto. 1) 11 Gigante Tifone in atto di difesa. Acquamarina della Collezione di Anton Maria Zanetti in Venezia. Il Bracci metteva in forse 1’ autenticità della firma di Dioscuride, anche perchè abbreviata, sebbene giudicasse l’intaglio di non mediocre lavoro. Per contro , il Visconti, la cui competenza nella soggetta materia è superiore ad ogni eccezione, lo proclama inimitabile (4). L’ esame di queste e di altre note gemme inscritte col nome di Dioscuride rivela in esse una grande varietà (1) Bracci, tv. LXV. Visconti, op. cit. 87. The Marlborough gems, Catal. 1875, n. 167. (2) Bracci, tv. LXIV. Visconti op. cit., 88. (3) Bracci, tv. LXI. Havvi di questo intaglio una copia in calcedonia , già di Lorenzo il Magnifico, nella Collezione Farnesiana del Museo di Napoli. Un’altra còpia in granato trovasi nel Museo di Firenze. (4) Bracci, tv. LXVII. Visconti, Mus. WorsL, p. 132. — 46 — di stile, di artificio e di merito. È stato osservato che i due Mercurii non sembrano altrimenti lavori della stessa ruota, come è evidente che il carattere della Io, del Demostene e dell’Achille differisce per più rispetti da quello p. es. del Diomede. Tale varietà trova in parte la sua spiegazione nel riflesso che 1’ essenza dell’ eccletismo a c i s’informa la scuola di Dioscuride risiede appunto nella fusione libera ed armonica dei diversi stili e delle diverse maniere delle scuole antecedenti ; oltreché non si vuol pretermettere che taluna delle gemme portanti il nome di Dioscuride é forse copia, sebbene antica, e il nome vi fu inscritto per ricordare 1’autore dell’originale. Ciò stante, ove si osservino i due intagli nei quali più spiccata apparisce 1’ impronta del genio di Dioscuride , dico la Io e il Demostene, sarà agevole rilevare in entrambi le stesse caratteristiche, una delle quali riguarda lo stile e consiste nella rappresentazione di faccia o in tre quarti della figura, l’altra concerne la tecnica e si concreta nella straordinaria profondità dell’ incisione. Or chi non vede che entrambe queste caratteristiche, le quali del resto sono comuni ad altre gemme di Dioscuride, si ritrovano pronunciatissime nella Minerva di Eutiche ? Anche a prescindere da altre patenti analogie fra il fare di questi due litoglifi (i), si può ritener per fermo che nessuna fra le gemme antiche a noi pervenute presenta, si dal punto di vista stilistico sì da quello dell’artificio tecnico, maggiori punti di contatto coll’Io e col (i) Per esempio, è evidente l’analogia fra il panneggiare della Minerva e quello del Mercurio Marlborough. — 47 - Demostene di Dioscuride quanto la Minerva di Eutiche: di che scaturisce in linea di fatto la più positiva conferma degli intimi rapporti di parentela e di scuola che t leggenda di quest’ ultima gemma attribuisce ai due eminenti artefici. E qui il luogo di spendere alcuna parola intorno ad una questione di paleografia gemmaria la quale ebbe già una importanza speciale nella letteratura glittologica. Fuvvi un tempo in cui il criterio, per giudicare se il nome personale inscritto su di una gemma antica fosse quello dell’artefice o del proprietario della medesima, si desumeva onninamente dalla forma e dalle dimensioni delle lettere che lo componevano. Era ammesso come di prammatica che la firma dei litoglifi antichi dovesse essere sempremai tracciata a caratteri minutissimi ed eleganti; quasiché un valente incisore dovesse per ciò solo essere necessariamente anche un ottimo calligrafo: di più si riteneva che quelle degli artefici del primo secolo dell’ impero dovessero tutte presentare una particolarità che é infatti comune a molte di esse, cioè comporsi di lettere ornate alle estremità delle linee, e dove queste concorrono ad angolo, di piccoli punti o globuli che dir si vogliano, perfettamente uguali così nelle loro proporzioni come nei loro intervalli e nelle loro profondità (i). Questa teoria è contraddetta dai fatti. Prendendo per base dati certi, la cui conoscenza é alla portata di tutti, noi vediamo fra i litoglifi moderni un Flavio Sirleti, e (i) Il eli. Boutkowski nel suo Dictionum e nuinismatìque in corso di stampa, I, p. 108, si attiene anche oggidì a simili criteri. - 48 - più ancora un Carlo Costanzi , ì quali, sebbene prestantissimi nell’ arte loro, inscrissero sulle gemme da essi scolpite leggende imperfettissime sotto il rapporto grafico. Per analogia dobbiamo argomentare che lo stesso sia accaduto nel giro dell’ arte antica. Basta, infatti, gettare uno sguardo sulla serie delle gemme segnate con nomi di autori per convincersi che poco belle sono le lettere incise da Carpo sulle gemme portanti la firma di questo autore, e anche peggiori quelle del nome di Sostene sulla celebre Medusa Strozziana. Grandi ed ineleganti sono i caratteri della firma di Anterote sulle gemme rappresentanti 1’ Ercole bufago e 1’Antinoo; non migliori quelli del nome di Epoliano sul vetro Stoschiano col ritratto di M. Aurelio ; pessima la grafia del nome di Ceca nell’Atleta, ecc. Quanto all’ altra particolarità, delle lettere , cioè , ornate a puntini, é incredibile la serie degli errori a cui essa ha dato luogo nella soggetta materia. Artisti come Aspasio e Apollonide, cui considerazioni d’ ordine stilistico e tecnico consigliano di riferire ad un’ epoca an-teaugustea, furono assegnati ai tempi di Dioscuride unicamente perché le lettere che compongono la loro firma mostrano la estremità ornata di perline o globuli (i). Viceversa, altri artisti vennero relegati in epoche a cui disdice lo stile dei loro lavori, senz’ altro criterio che quello dedotto dalla mancanza dei puntini nella grafia (i) Ecco quale è il ragionamento dell’ab. Bracci in ordine ad Apollonide: « Apollonides etiam suum nomen inscriptum voluit in hac gemma (la Vacca giacente della Collez. del duca di Devonshire), cuius litterae extremae, quibusdam punctulis ornatae sunt rotundis, simillimae Dioscoridis litteris, cuius sedulum fuisse imitatorem comperimus; atque iisdem temporibus floruisse couiectari probabiliter licet ». I, p. 134. — 49 — del loro nome. Nel caso, poi, non raro, che il nome di un litoglifo solito a segnarsi con le lettere fregiate di puntini occorra su qualche gemma privo di questo ornamento, si ricorreva al comodo partito di contestare la genuinità della gemma, o almeno della leggenda, oppure, ciò che é ancor più strano, di indurre da questo fatto 1’ esistenza di più litoglifì omonimi vissuti in epoche diverse. Così per 1’ assenza dei soliti puntini furono condannate per false la firma di Dioscuride e quella di Ilio su due famose gemme del gabinetto di Francia (i); e sullo stesso argomento 1’ abate Bracci poggiava la strana teoria della pluralità dei litoglifi Allioni, Soloni ed Auli (2). Fortunatamente queste erronee dottrine non sono più sostenibili di fronte alla precisa testimonianza proferta dalla gemma di Eutiche. La quale spetta indubitabilmente all’epoca ed alla scuola di Dioscuride; contuttociò i caratteri della sua leggenda, sebbene minuti, nitidi ed eleganti, non sono punto insigniti dei famosi puntini ritenuti come contrassegno caratteristico di tale epoca e scuola. Del resto, le lettere punteggiate all’ estremità delle linee non sono esclusivamente proprie della paleografia gemmaria. Esse trovansi usate su monete conso- (1) La prima è 1’ ametista colla testa del così detto Mecenate, Bracci, tv. L1X, nella cui iscrizione, dice questo scrittore, * literne non solum venustatem et perfectionem quae est in Dioscoridis literis non aequant, nec, consuetis punctulis in extremitate decoratae sunt ». II, p. 18. L’altra è il Toro dionisiaco di cui già ho discorso, riguardo al quale ecco come si esprime lo stesso scrittore : « Attamen literae additae huic gemmae Tauri furentis ad nomen artificis exprimendum, communi, negligenti, rudique stylo ductae sunt, carentque consuetis in extremitate punctulis ». II, p. ii6. (2) Op. cit., I, p. 50, 52, etc.; II, p. 210. Atti Soc. Lic. St. Patria. Voi. XIII, Fuse. I. 4 — Solari e su altri monumenti dell’ epoca repubblicana . nè il loro impiego sulle gemme è limitato alla fuma degli eccellenti litoglifi. Io stesso possiedo un intaglio di forma lenticolare, in agata giallastra, colla rappresentanza di un cornucopia vittato, dove l’epigrafe C-VERATIVS, la quale per 1’ umile artificio della gemma non può esprimere che il nome del proprietario di essa, è appunto fregiata dei puntini in questione (i). Rimane a dissiparsi un dubbio circa l’originalità della gemma oggetto della presente memoria, dubbio emergente dal fatto che un altro esemplare della gemma stessa esiste nella Collezione Marlborough ora Bromilow a Londra (2). Arduo e-delicato è in massima il compito di decidere quale di due o più esemplari d una gemma antica abbia a ritenersi originale, tanto più se le copie sieno opera di abilissimi artisti : tuttavia, nel caso concreto questo compito è reso più agevole dalla circostanza eccezionale che non manca un termine di paragone a cui riferire i due esemplari in questione. Ab- (1) V. Poggi, Iscrizioni gemmarie, I, n. 7. (2) La celebre Collezione Marlborough più volte citata in queste pagine iu costituita da Giorgio, terzo duca di Marlborough, e consta per circa metà parte di separati acquisti fatti dal duca in Italia e in Inghilterra : 1’ altra metà si compone di due distinte collezioni riunite dal duca alla sua propria. Una di esse era già formata nella prima metà del secolo XVII dall’ illustre Tommaso Howard conte di Arundel, il Mecenate del periodo Carolino; l’altra era stata costituita da Guglielmo , secondo conte di Bessborough e terzo visconte Dun-cannon, più attempato di ben trenta anni del duca di Marlborough , in parte durante il periodo del suo viaggio nel continente terminato nel 1739» 1’anno stesso in cui nacque il duca Giorgio. Vedi il citato Catalogo delle gemme Marlborough, The Marlborough gems, Catalogne 187$, dove la Minerva di Eutiche figura al n. 81. La Collezione Marlborough intiera fu venduta nell'anno 1875 al sig. Bromilow di Londra. biamo infatti la citata descrizione di Ciriaco di Ancona, il quale ebbe certamente sottocchio 1’ originale antico di Eutiche, in un’ epoca di molto anteriore a quella delle falsificazioni gemmarie. Non avremo pertanto che a confrontare colla descrizione delPAnconitano le due gemme, per vedere quale di esse meglio risponda ai connotati da quella proferti. Ora è evidente che per quanto spetta, anzitutto, alla materia, la qualifica di crystallina imago e di crystallinum sigillum usata da Ciriaco e dal suo contemporaneo nelle citate schede, ben conviene all’ esemplare da me illustrato, la cui materia venne anche testé riconfermata per cristallo di rocca dal compianto sig. Alessandro Castellani, giudice di incontestata competenza in opera di litica; mentre l’esemplare Marlborough figura anche sull’ o-dierno catalogo della Collezione coll’ indicazione di ametista pallida. Passando alle dimensioni, é del pari incontestabile che la polliciaris digiti magnitudo indicata dal codice del secolo XV corrisponde assai bene a quella dell’esemplare Ancona; laddove le dimensioni dell’esemplare inglese eccederebbro di troppo questa misura. Un terzo argomento milita a favore della nostra gemma ed è fornito dal testo della leggenda, il quale in questa riscontra precisamente colla trascrizione di Ciriaco, do-veché il testo dell’ esemplare inglese é incompleto, cioè conforme a quello che fu oggetto agli attacchi del Kòhler : donde si rileva il critico di Pietroburgo aver avuto fra le mani soltanto un’ impronta di quest’ultimo esemplare. Finalmente chi ebbe occasione di osservare l’ametista Marlborough, afferma che la grafia della leggenda arieggia lo stile particolare delle gemme Poniatowsky, e — 52 — così pure il lavoro dell’ intaglio, che sebbene profondo ed ardito, é lungi tuttavia dal possedere la finitezza antica, di cui rifulge per contro il cristallo Ancona. Dal fin qui detto si può dunque ritenere per assodato che la gemma di cui ho divulgato la notizia in queste pagine è quella stessa che già fu descritta da Ciriaco, cioè l’originale di Eutiche. Sembra che questa gemma allora di proprietà dell’ ill.mo Giovanni Delfin comandante la squadra navale dei Veneziani in Alessandria, passasse per grazioso regalo di quest’ ultimo allo stesso Ciriaco. Nel secolo scorso ritroviamo la gemma dapprima in casa Salviati, poi nella Collezione dei Colonna, più tardi presso il principe Avella di Napoli. Al principio del corrente secolo apparteneva al conte Francesco Schellersheim, il quale dovendo lasciar Firenze la lasciò quivi in pegno per L. 37000. La gemma non essendo più stata ritirata dal pignorante, il nuovo proprietario la consegnò all’orefice I orri di Firenze perché la legasse in oro ; e fu in questa congiuntura che per incuria d’ un garzone dell’ orefice , la gemma si ruppe in tre pezzi ; in conseguenza di che venne promossa contro il Torri un’ azione legale per rifacimento di danno, il cui esito fu la condanna dell’orefice a 1000 scudi di rifusione, oltre al ritorno della gemma spezzata. Questa fu poi acquistata.dal eh. signor marchese Carlo Strozzi di Firenze, donde passò, or son due anni, al sig. Amilcare Ancona suo odierno proprietario. Tali sono le notizie che mi venne fatto di raccogliere intorno alle principali vicende della gemma di Eutiche ; e con esse chiuderò l’ormai lunga monografìa, non senza far \oti perché venga ripresa in esame la serie delle — 53 ” gemme antiche e riattivato lo studio di questa interessante ed erudita classe di .monumenti, verso la quale gli eruditi nutrono a torto una soverchia diffidenza in seguito alle ingiuste accuse di cui fu fatta bersaglio per parte del Kòhler (i). Sia pure, se cosi vuoisi, che la classe gemmaria abbia più d’ ogni altra fornito all’ impostura dei falsarii un largo campo di applicazione ; non é men vero che il numero delle gemme spurie è affatto insignificante in confronto alla quantità delle indubbiamente genuine. Si proceda ad un lavoro di epurazione, reso oggi più agevole dai nuovi lumi di cui dispone la critica : ma cessi una volta l’ingiustificato ostracismo a cui fu condannata una categoria di materiali scientifici, il cui studio tanto contribuì in altri tempi all’ incremento d’ ogni ramo di classica erudizione. (i) Non sembra credibile che anche oggidì eruditi, per altro insigni, continuino, specialmente in Francia, a subire l’influenza delle viete teorie del Kòhler e dello Stephani, e persistano nel far professione, in materia di gemme incise, d’ uno scetticismo senza limiti che ripugna al buon senso e contrasta coll’ evidenza dei fatti. Tanta è la forza della routine anche in archeologia. Son pochi giornic'ne 1’ egregio amico e collega sig. Roberto Mowat, mi citava in ordine alla soggetta materia la sentenza del compianto Adriano di Longpèrier « sur io pierres gravtes il y en a neuf fausses et la dixieme est moderne ». E sì che niuno meglio di lui, archeologo e critico distintissimo, è in grado, per poco che volesse addentrarsi nello studio della quistione, di vedere quanto la citata sentenza, pogniamo che spiritosa nella forma, sia nella sostanza ingiusta ed assurda, per non dire ridicola. POESIE STORICHE GENOVESI EDITE PER CURA DEL SOCIO ACHILLE NERI AVVERTENZA poesie che io qui raccolgo muovendo dal secolo XV scendono fino al XVIII, e ricordando avvenimenti assai rilevanti e notevoli della storia genovese, vengono a mettersi in novero con quelle che già videro la luce in questi volumi (i). Ove se ne eccettui la quarta, tutte le altre sono di carattere popolare, e ritengono nella dizione, sformo infelice di lingua e d’atteggiamento letterario, l’impronta spiccata della loro origine. Le ricerche intorno alla ragione, all’ indole, al metro di questi, componimenti non entrano nel mio proposito; e d’altra parte si hanno oggi studi assai larghi (i) Cannone sopra il sacco di Genova del MDXXII, in Atti Soc. Lig., IX, 413. — DesimONI, Tre cantari concernenti fatti di storia genovese, in Atii cit., X, 619. — Balbo, Relazione dell'attacco e presa di Bonifacio, in Atti cit., X, 683. sull aroonunto, e fa /0/^ cj]e sarene ycramente un presuntuoso fuor d opera s 10 volessi rimettermi a discorrerne. Spetta a me più modesto e più conveniente ufficio; quello cioè di apprestare le notiate bibliografiche, a fin sia chiarito < on e provengono le poesie; e le istoriche, strettamente nec-cessarie a metter queste d accordo con 1 fatti ai quali si riferiscono. Di tal guisa potrebbe il mio lavoro considerarsi come parti di quello intorno alle poesie liguri storiche, sa~ tinche, descrittive, che da assai tempo mi va per la mente, L ?er ^ (lua^c man mano appresto il materiale; illustratone stoma insieme e raccolta di tutti i componimenti vuoi popolari vuoi letterari riguardanti questa regione, i quali incero non sono pochi. Nè credo avrebbe a riuscire a tutto inutile, se pari al buon volere mi sovvenisse nel-opera l ingegno e l attitudine; di che mi avvertirà benignamente la critica leale e cortese. A 6’/ produrre 1 testi seguo senaltro gli originali; solale n te sciolgo le abbreviature, pongo qua e colà alcuni ac-rii, e curo l interpunzione, quasi al tutto trascurata, 0, ove esiste, interamente arbitraria. Lascio tal quali le scordoni e le inesatte^ metriche, potendo riuscir facile a chi òt>e divider meglio 1 versi, togliere 0 aggiungere dove ccorra, il che tuttavia non potrà avvenire sempre, per difetto deir autore. * i L Lamento di Genova è tratto da uno dei registri di missive ducali esistente nell’Archivio di Milano, dove fu copiato fra il 25 e il 27 febbraio 1464 da alcuno dei cancellieri, ovverosia amanuensi di cancelleria, sopra l’originale, ch’io ritengo certamente spedito da Genova, ed oggi perduto insieme alla lettera di accompagnamento. Infatti riempie le facciate che intercedono fra una lettera di Francesco Sforza a Spinetta da Campofregoso, che reca la prima data, e un’altra indirizzata due giorni dopo a Corrado da Fogliano (1). Nell’assoluto difetto di do- (1) Potenze Estere, Missive, A. 1464-65, N. 67, c. 34 r. a 36 r. La copia è stata inviata alla Società nostra dalla cortesia di Cesare Cantù. Debbo poi ringraziare 1’ egregio archivista _Pietro Ghinzoni per le notizie favoritemi, cosi rispetto a questa come alla successiva poesia, che venne primamente additata da lui al mio amico Francesco Novati, al quale questa pubblicazione, senza che altro dica, deve moltissimo. — éo — cumenti, è lecito congetturare che il Lamento sia stato spedito al Duca o dall autore stesso, oppure, ed é più probabile, da qualcuno degli agenti ducali che allora risiedevano in Genova, in Savona o nei paesi limitrofi. Fra questi primeggiano il noto Corrado da Fogliano, un Donato da Milano, Giorgio d’Annona, Cristoforo anigarola e Francesco Assereto; né va dimenticato Bernabò de Sanctis, come quello che assai si adoperò per 'olgere gli animi dei genovesi in favore dello Sforza (i). Ma dalle molte lettere di tutti costoro, non si rileva akun indizio diretto intorno alla poesia. Tuttavia, andando per induzione, ci si potrebbe di preferenza fermare sul nome di Franciscus Axeretus de Vicecomitibus, figlio primogenito del celebre Biagio, tanto largamente beneficato da ilippo Maria Visconti, che lo volle aggregato alla propria famiglia, e lo investi del feudo di Serravalle sul ortonese (2). Dava egli infatti da questa sua residenza minuti ragguagli al duca delle faccende genovesi, degli umori che serpeggiavano ne’ cittadini, e dei progressi i-he andava tacendo 1 opinione di accettare lo Sforza a loro Signore. Il 9 febbraio mandava una lettera per-^nutagli da Genova, « mia olim patria, de la quale é passato anni XXVIII chio sono expulso et exul, per la immortale tede e devotione del q. messer Biasio mio padre in Io stato de lo q. 111.- duca Filippo »; e il 17 scrive\a. « Per non manchare de posser hauer de Zenoa tutti quelli auuisi siano possibili, ho seguito il modo di Jard (188') ’ "llorno a Bernabò de Sanctis di Urbino, Milano, Dumo- nn(2),0Cfr:iGlc°VANN1 SCR,BA (L T-Belgrano), Biagio Assereto, in Caffaro, 1882, ’ * ) > j — 61 — mandare continuamente e hauer uno de’ miei fedeli alla dieta città » ; e il 23: « Poi ho havute lettere da Zenoa, de le quali.mando copia a decta prefata Signoria inclusa in questa. Et cussi de quanto porrò sentir a la zornata non mancherò » (1). Il carattere di questa corrispondenza, lo zelo dell’ Assereto, incaricato confidenzialmente dal duca di mandargli particolari notizie, mi farebbero credere piuttosto da lui che da alcun altro inviato il ritmo, del quale si volle tener memoria nei registri delle missive, quasi prevedendo la dispersione dell’originale. Veniamo al contenuto. Da quel che ho detto fino a qui apparisce evidente la data della poesia, cioè il febbraio del 1464; e l’autore parla invero con tanta chiarezza, e indica così precisamente le circostanze istoriche, che mi pare affatto superfluo narrare qui da capo ciò che dicono gli scrittori degli avvenimenti genovesi di quest’anno. Osserverò piuttosto come, pur uscendo da un animo parziale del duca di Milano, risponda ad un sentimento, ed affermi un desiderio comune alla maggioranza. L’annalista Giustiniani, seguendo ed allargando il racconto del Simonetta, dopo aver detto che il Fregoso, arcivescovo e doge, insieme con Obietto del Fiesco, e co’ loro fautori, avevano convertita « la pubblica libertà in tirannia », soggiunge: « Molti si vendicavano delle ricevute ingiurie dei tempi passati, e molestavano quelli che avevano in odio; i Magistrati della città non erano onorati, e alla virtù non si trovava luogo: ogni sedizioso e ogni temerario era onorato e apprezzato; i maleficii e le scelerità non erano punite, l’innocenza degli uomini (1) R. Ardi. Milano, Carteggio generale ad annuin. — 62 — da bene non era secura tra tanti ribaldi, e tutto si faceva alla sfrenata volontà di Paolo e di Obietto, e ogni cosa divina come umana era in confusione, talché tutti gli uomini da bene si dolevano di questo tempo e piangevano le comuni miserie. Questo é quel calamitoso tempo nel quale i luoghi di S. Giorgio non valevano oltre venti tre lire, e una gran parte dei cittadini uomini da bene dell’una e djll’altra fazione s’erano partiti dalla città e ridotti in qualche luoghi che stimavano securi, e molti nobili erano andati a Savona, e pregavano il Duca Francesco che volesse attendere a liberare la città di Genova dal tirannico giuogo dei Fregosi e dei cattivi uomini: che invero la città ancora che in apparenza tosse in pace, nondimeno ogni giorno era più duramente oppressa, e il popolo genovese già per dieci anni fatigato ed afflitto e consumato da guerre e da calamità, desiderava per qualche via o umana o divina che si mettesse fine a tante miserie, e che gli fosse restituita la pace e il riposo » (i). Or, chi ben guarda, i versi e le immagini del poeta rispondono al racconto dello storico, e ci manifestano aperto, sempre tenendo conto del partigiano, donde attinse l’autor nostro l’ispirazione a volgere la sua preghiera allo Sforza in persona di Genova, giovandosi della vecchia figura rettorica, tanto cara ai cantori popolari. Né va dimenticato un altro singolarissimo riscontro fra i concetti qui espressi di pace, di grandezza, di speranze tuture, di possibili rivendicazioni, e le parole dette dai legati genovesi al cospetto del duca nel com- (i) Giustiniani, Annali d. Rep. di Gen., Genova, Canepa, 1854, II, 439. — imonetta, Iiist. de rebus gestis Francisci Sfortiae, in Murat., R. I. S., XXI, 755. - 63 — pierc l’atto solenne di sudditanza (i); nuovo argomento a testimoniare la universalità de’ sentimenti esposti dal poeta, e insieme la verità di « quell’ognun ti chiama », che potrebbe sembrare individuale ed arbitrario. Ma un’altra causa prossima ha dato vita, secondo mio parere, a questo Lamento-, intendo accennare alla dedizione di Savona, ed alle feste che vennero fatte, quando sui primi di febbraio Corrado da Fogliano prese possesso di quella città in nome del duca. Allorquando il poeta esce in questi versi : Le membra mie tute acconfortare Si se cominzano con una voce bona, Et la bella Savona Già crida ad alta voce: Sforza Sforza, panni intendere il canto, da prima frenato, erompere spontaneo dall’animo oppresso, che non vede salute al-l’in fuori del « valoroso Sforza », del « bon Francesco », del « signore humano », il quale siccome « solo medico perfecto », sanerà « la piaga tanto putrefacta ». A lui, comechè « con bassa voce », non potendo « cridare in alto, per lo grande capello » che porta « in capo » (evidente allusione ai cappellani), pur fiduciosa si volge « Genova viduella », e riandando il passato, ricorda che visse « bon tempo con gran vigoria » sposa di Filippo, ed è ora da « vintioto anni facta viduella » (1436-1464); ma adesso incita il « novello sposo » a « più non in-dusiar la venuta »: sposo novello certamente, sebbene non ne avesse ancora il possesso; perchè con l’atto 22 (1) Giustiniani, op. cit., II, 445 e segg. — Simonetta, op. e loc. cit., 757 e segg. — 64 — dicembre 1463 (1) gli erano stati trasmessi dal Re di rancia i suoi diritti sopra la città; onde questa esclama: Io benedico la matre gloriosa, Che ha prestato santa luminanza Al serenissimo di Franza, Di darme sposa a si facto marito. h " &!i Cl?ett^ c0mune desiderio corrisposero ; di che, 0 re a e ugaci parole dell’annalista, abbiamo più parti- d 1 R tes^mon^anza nella lettera con la quale i Protettori e anco di S. Giorgio davano notizia agli ufficiali di a> ne maggio del 1464, dell’ avvenuto mutamento Oo\erno, poiché, dopo affermato che il duca aveva 1 °n solum confirmato sed etiam augumentato » tutti 1 e C( dimostrato grande affectione a quello i- e. a ene )} c^e^e Compere, soggiungono : « simi-in tuto quello concerne il bene de questa citate i ^o, et utilitate de li citadini, ha dimostrato singulare a ’ aceo cjle Pare ^a citade et li citadini prehendere & e recreatione, et tale che già se adrissan a fabri- avia e naVe? et ^are ^ue^° est de multi trafichi et nenti, si, che annuente deo, se manderà per lo 1 ! »enueisi bavere reintegrato le cosse sue. Quia f. P0sit|°ne de li citadini concorre in quella del pre-o 1 ustnssuno signore; il quale attende a la gloria de m )• ^ Cltatc,^ et molte cosse se agitano per le quale, lante gratia divina, se jubilerà et in fide et in facultate solite » (2). (0 Lunig, Cod. Dip., III, Ó27. *■ 5. Giorgio' ìn^AUi's ^a“r°'Liguri durante l‘l signoria dell' ufi g'o, m Atti Scc. Lig. S. P., VII, P. j, 29g. — 65 — Ecco il tenore del Lamento : III”"’ princimo (sic) et exmo d. duci mediolani. Movite hormai, o valoroso Sforza, O bon francesco, o signor humano, O duca de milano, Aude che dice Genova viduella. Zorno et note, aimè tapinella, Crido et chiamo, o nouello sposo, O signore glorioso, Più non indusiar la tua uenuta. Movite hormai, aiuta aiuta La vidueta cossi gratiosa, Quale altravolta sposa Fu dii philippo tuo predecessore. Hai quanto lieta soto tale Signore Vissi bon tempo con gran uigoria, Et poi con melenconia Vintioto anni facta viduella ! La gentileza mia, che era tanto bella, Sempre dapoi è stata auoltorata ; Hai che trista zornata Fu quella di scaciare il gran bissone ! Nei paesi mei mai più rasone È stata, poi ch’io persi vescontina, Haimè haimè meschina, Donna fu mai cotanto stradata! Atti Soc. Lig. St, Patria. Voi. XIII, Fase. I. Fregosi, adorni, montaldi e casa guardia Di mia persona chan soto (i) il suo desio Ma spero pur in dio Che da loro mane sarò liberata. La fama mia tanto nominata Per lo passato in lo uniuerso mondo, Per te, o signor jucundo, Conuen de novo predicarla anchora. Mille anni mi pare un zorno una hora Chio ti risenta con li toi stendardi, Gridando : foro li ribaldi, Lasiati la mia sposa tanto bella. Justicia con rasone vo che in quella Da mo avanti sia per altra via, Et de ogni mercadantia Sia porta, corno é stata sempremai. De più non mi lasare in tanti guai A fare dimora selte (2) cara mia vita; Perché lalma smarita, Vedando il tuo ualor, ralegrarassi. Da me lontan non stai tu tanti passi, Che per tre zorni caualchare non possi A rivedere mura et fossi Dilla tua sposa, tanto delicata. La porta mia non ti sarà sarrata Da nessuna hora, corno a car marito; Già il bello mio dito Aspecta quello to bel diamanticello. (1) Così il cod. ma dovrebbe dire: han fato. (2) Leggi : se ’J t’è. — 67 — De trei che nhai, il mezanello Purdonerai alla tua cara sposa, Et con uista zojosa Daraili il baso di tua bocha bella. Sposata che haverai me viduella, Revestiromi tuta di fino oro ; Hai che grande thesoro Per la mia dote te raquisterai. Certo io spero, quando vederai Sì bella donna et tanto ben ornata, Benedirai la zornata Che ti movessi a cossi racta impresa. Et se per me farai alcuna spesa A liberarmi da ogni seruitute, Vederai che restitute Io ti farò fra pocho longo tempo. Io uedo benche doro ne dariento Concepto fai, ma solo donore, Et io credo che magiore Donna del mondo donar, non til possa. Sio mi rinforzo la polpa et le ossa , Tremar farò ogni tuo nemico, Et se di me fu mai diro (i), Dire più farò hora che zamai. Pensa un pocho, sei ti piace hormai, Alla mia dote meza rampinata ; Et guarda se donna nata Più richa di me saria fra chripstiani. (i) Cosi il cod., ma si deve leggere: dito. Comincia et guarda fra i paesi lontani, Con quanto sudore, et quanto sangue, Et con che animo grande Io habia aquistato tanto honore. Caffo mia bella di tanto valore Hedificai infra pagana zente, Et con armata possente E1 cembalo con Sodaia aquistai. Pera, la perla, anchora edificai Como da lo imperio mi fu conzeduto, Et quello gran cane turco Mi la robata, et tenella in sua balia. Famagosta, la mia cita ziolia, Robare mi uole quello apostolero; Ha sei mio desidero Non uen falito mi uendicherone. Ne lisola di Corsica ogni latrone Caciar sinforza e di robarme anchora, Ella bella livorna Da mei uicini é stata comperata. Ogni chiuelli (i) se piglia una bochata Della mia dote et dii mio thesoro, Et questo é quel ristoro Che già moltanni sento in casa mia. Contare ni scrivere io ti poria, Quante castelle et terre di marina Ho perso, haime meschina, Sol perchè inferma sono cotanto tempo. (i) Così il cod. nè saprei che si voglia dire, forse: chi vole. — 69 — Quando ci penso, mi pare uno spavento Le tante nave con richeze grande, Quale da molte bande Robate mi son state per lo mare. Ognun mi uole fare guerra, o leuare Or una terra, or castello o naue, Ni è sì uil Corsale Che me non robi quinci nel mio porto. De richa che io era sono facta un orto, Doue ciascun uene per insalata; La pouera malata Difendere non si po (i) tanta zente. Perhò ricorro a te, signore mio possente, Como a marito fa la cara sposa, Et con uoce piatosa Merzé dimando alla tua signoria. Vene presto a trarrne di sta malatia, Che altro sostegno mai più non aspecto; Tu solo medico perfecto Sanerai la piaga tanto putrefacta. E1 merito che averai da me malata, Sarà incoronane in la marina : Tu mi darai la oliua, Et io la palma a te per guidardone. Tu sai che sì feci al magno fìlipone, Dandoli tri Re con tanta baronia, Et tuti in so bailia Dinanci al suo conspecto menati foro. Qui manca forse un « da ». A te aparechiar io uo un altro restoro, Et una palma tanto gloriosa, Che la novella sposa Nel so bel chore tene già poisata. E1 bon levante già tuto risalta, La bella pera dalegreza è piena, Quella Isola serena Di metelino in se tuta rimbomba. Constantinopoli et Trapesunda, Cipri et siomocastro et le foglia Dicon tute: idio voglia Che tal impresa non ci venga meno. Grecia bella con uolto sereno Per te mio sposo ricatar si spera, Et ritornar qualera Christiana bona più che fosse mai. Non é alcuno che habia tanti guai, Né haver possa, quanto quello gran cane, £1 qual per le toi mane Sperar si po di xanità caciare. Venecia bella ben si po alegrare, Sella ci pensa, del mio maritagio, Vedando il gran dalmagio (i) Che gli aparechia quello perfido cane. Et sei socorso non ha per tue mane, Como da fratello et proximo vicino, Dicame qual stimo Po far di gli altri che sono più lontani. (i) È il « dommage » francese. Sarà signore che contra tanti cani In suo aito dia più bella armata , Ni si possente et grata Quanto farai tu, bel signor suauer Qual sposa dii mondo tante bone nave Dare ti po quante farò io, Se tu al mio desio Pur condesendi, corno mostri in vista? Zuroti ben per quello Johanne baptista, Le cui belle ossa nello mio grembo giace, Se prima a dio piace , Cantar farò di te più che di Rolando. Hector, achilles, Cesar, ni Alexandro, Sanson, dauit, ni Juda machabeo, Carlo, anibai, ni pompeo Più si dira, corno di te, magno sforza. Io benedico la matre gloriosa, Che ha prestato tanta luminanza Al serenissimo di franza, Di darme sposa a sì facto marito. Or pensa uno pocho, e pensa bel partito Della matre che resterà a toi fioli, Che già non restan soli, Ma acompagnati pur da mille bande. Sio mi ritorno nelle mie forze grande, Como son stata già per lo passato, Che fermeza et che stato Porgerò aloro con mio forte brazo. Ralegrate che poi, o Conte Galeazo, De haver tal matre et io tal figlio; Ralegrase quello ziglio Filipomaria et quello bel octauiano ; Ralegrase anche sforcino et ascanio,. Ludouico et li altri toi fiole, Et sopra tuti quello sole De damma biancha, Illustre mia signora. Già fui di tuo patre, or tua sarò anchora, Et mo più che mai ti faro honore, Et per me al tuo signore Prega, chel non mi uoglia abandonare. Le membra mie tute acconfortare Sì se cominzano con una voce bona, Et la bella Sauona Già crida ad alta uoce: sforza sforza. Ma io meschina che sto come morta, Per lo capello grande porto in capo, Non posso cridare in alto Se non con bassa uoce, et con brama Sempre dico: hor uien signor che ogni un ti chiama. Finis. — 73 — II. Ma la felice tranquillità tornata in Genova dopo il 1464 durò ben poco, ché indi a due anni, morto il duca Francesco, e venuta la Liguria in potestà di Galeazzo Maria, tanto dissimile dal padre, ricominciarono i segni manifesti di malcontento, e i prodromi delle gare, e dei turbamenti che maturarono alla lunga la rivolta. Fu notato il maltalento del nuovo Signore verso i genovesi fino da que'primi giorni, quando salito al governo, v’andò l’ambasceria a far atto d’omaggio, e a rinnovare il giuramento e le convenzioni. Le quali furono quelle stesse fermate col padre (1), modificata alquanto la formula del giuramento; ma non consentite da parte del duca coll’ a-nimo stesso, informato a benevolenza ed a lealtà. Di che non tardarono le prove, specie dopo la breve dimora fatta in Genova da Galeazzo con la consorte e la corte nel suo ritorno da Firenze. La vista della città lo turbò, e senza tener conto delle apprestate onoranze, quasi fosse in terra di nemici o di barbari, con atto d’insigne diffidenza, rifiutate le sontuose stanze preparategli, si chiuse in Castelletto, donde trasse a Milano quasi come fuggiasco. Questo nell’anno 1471. « Post hoc tempus », scrive Antonio Gallo, « Galeatius sive hominum insolita libertate Genuae offensus, sive forma urbis aspectu in primis superbae, sive qua alia causa occultiore permotus, numquam destitit novis ac magnis structionibus arces (1) LOnig, op. cit., III, 670 X — 74 — munire: quod ipsum non vulgi modo in praesentem dominatum conflavit odium, sed primarios quoque cives ingenti formidine affecit » (i). E al proposito cominciò subito a mandar dietro l’effetto, col dar mano alle opere di fortificazione rompendo i patti giurati, onde i genovesi longanimi, temendo le terribili conseguenze delle fazioni e delle guerre, si contentarono mandare al principe frequenti ambasciate, le quali riuscivano una beffa ed un giuoco ; perché dove pareva avessero attinto il desiderio, si trovava poi che erano state parole e nulla più. Perciò gli animi ogni dì più si accendevano; ma sempie paurosi di peggior male, chiudeano in sé il turbamento e la collera. Se non che quando s’accorsero che il duca da un lato gittava, per opera del suo governatore, il seme della discordia nei cittadini, e dall’ altro facea dar principio al disegnato lavoro del Castelletto, a fine di rendere più forte e sicuro questo tremendo soggiogatole della città, non tacquero, e si videro a riprese le prime manifestazioni dell’ universale malcontento (2). Ci occorrono a questo proposito due singolari documenti usciti con pochi anni d’ intervallo; il primo d indole affatto popolare in una forma ritmica di Lamento, che la città rivolge al duca; il secondo in prosa, certo scorretta, uscita però da mano ben più alta, e con intendimenti risoluti e gravissimi : s’ affida 1’ uno al cuore del principe, non senza moniti e coperte mi-natcie, perché ritragga la città da quelle distrette; ma l’altro getta il grido di ribellione e di guerra, incitando (1) Commentarius rerum genuensium, in Mukat. R. L S., XXIII, 265. (2) Gallus, op. et loc. cit. — 75 — ad affilar le armi, ed a star pronti. 11 tono del Lamento, che ricorda l’antecedente, ben ci manifesta come muova da quella parte, la quale, pur riconoscendo i mali diportamenti di Galeazzo, non si scosta da lui, ed é a mio parere la popolare o plebea, ossia quella tenuta a bada dalle astute arti del governatore Pallavicino; mentre nel cartello è agevole riconoscere il nobile cappellaccio, che cerca appoggio nel popolo, lo chiama alle armi in nome della patria oppressa, gli assicura il concorso de’ migliori e più potenti cittadini, e promette un equo governo « che meritamente ogni homo se poterà contentare ». Sarebbe mai questa la mano animosa di Gerolamo Gentile, che preparava le rivolture scoppiate poi nel 1476? Ma veniamo a far conoscere i testi (1), incominciando dal Lamento: yhs. Oyme che dogia lo mio chore sente, che non ti posso a mia voglia parlare; Se tu sapessi la doglia che sento, te veneria pietà de mei martiri. 5 Io sono la tua Zenoa sagurata, O Illustrissimo signore, che sono tanto disconsolata, per la tua falsa suspicione. A te mi sono data per sposa e non per sciava, e tu mi voi sforsare cum soldati e fortilese, (1) R. Archivio di Milano, Poten\e Estere, Genova, 1475 — Sebbene cosi la poesia come il cartello si trovino fra le lettere dell’ indicato anno 1473 , pure il secondo è posteriore di ben due anni. — vé- lo e me le voi far pagare cum tante rigidesse. O perché non mi atendi li pati che ay promisso, dolce Signore e charo mio sposo, chè sono disperata de tanta destrucione, che pare che vogli fare sensa iusta caxone. 15 malediti sian queloro chi cossi ti consiliano ; che ti prometo tosto se ne vederà vendeta crudele e sufficiente, per esemplo d’ ogniuno. O chari mei figioli, citadini dogni sorte, vogliate essere uniti in queste male sorte, 20 e humilmenti pregare lo nostro padre signore, che non voglia seguire questa mala opinione; persochè altramenti dispersi resteressi, sensa conforto ne bo[na] cossa alchuna, e yo resteria vidua [et] orfana derelita, 25 et sempre a Dio vendeta demanderia de voi, e dogni persona chi ne fosse caxone, e per certo yo ne seria exaud\ta; chè sempre lò provato in lo tempo passato, che chi mi vole disfare 30 non po ben capitare. O tu chi lezi nota ben tuto che ti bi[sogna] (1). 11) La copia mandata con la lettera del Guercio ha queste varianti: 1 core, 4 ti, / sciagurata, 6-7 0 Illustrissimo signore che son tanto disconsolata | Per la tua falsa suspicione, 8 et.. schiava, 9 et tu me vo’ sformare con... et Fartele, 10 Et me le vo’ . . con . . rigide\e, 11 li pacti che hai promesso , 12 0 caro, 13 desperata destructione, 14 sen\a.. casone, 15 Maledetti siano che cosi ti consigliano, 16 prometto, 17 et sufficiente exempio, 18 cari figlioli, J) questa mala, 20 et humilmente...... et signore, 22 altramente., restaresli, 23 sen\a conforto de, 24 Et io ... et derelicta, 25 vendetta domandaria, 26 el.. che .. casone, 27 Et per certe Jo, 28 lo ho provato. Sotto: 0 tu chi legi nota ben tutto. Un altra mano, ma contemporanea, aggiunse: che bisogna. — 77 Or ecco il cartello : Quantunque, inclytissimi cives Januenses, spesse volte se sii dubitato, che questo tyrannicho deshonesto et crudelissimo Sre nostro duca de Milano sij de malo animo, perversa intentione et rabida voluntà verso della città nostra de Genua et etiam delle rivere et de ogni genoese, corno per experientia multe fiate se è potuto vedere, la quale sua mala voluntà se non lha exequida, più tosto è restato per timancia, che non è stato per amore, Tamen in presen-tiarum possiamo apertissime vedere in lui essere scoperto lo suo tos-sicato veneno, lo quale perfìn a qui celiato ha tenuto in lo suo core. Come voi sapete, a rechiesta sua fuo deliberato mandare per ambasciatore lo nobilissimo sig. Lazaro doria dig.mo cittadino, lo quale contra sua voluntà a lui è stato mandato. Lo honore et la pocha mentione che de lui è stata facta lho poteti intendere: et non solum haverlo pocho honorato, sed quasi despreciato et beffato : senza nulla resposta: tractato da Castrone, et per più desprecio mandato cum lui Vno Barixello cura la resposta de una lettera etc. Et acciochè havesse a dare più temancia alli cittadini, nunc ha mandato Donato del Conte per spaventare li animi nostri, li quali fin qui ha aliquanto tenuti ; etiam non contento de questo ha facto prendere sotto fede et false lettere sue lo M.co Sig. Prospero Adorno senza niuna casone: ma per volere lui a sachame-nare, disfare e anihilare questa nostra città, va continuamente levando e tagliando ogni radice, la quale a lui sij molesta: et così è l’animo suo de fare delle cose de Sanzorgio, perchè ben intende che 1’ è quello che lo può butare al fondo, e così spero in dio presto lo butarà mediante li soi peccati horribili, et lo adiutorio della Sacra Maestà del re de Franza o vero de Ferdinando: la te-mantia delli quali lo fa stare un pocho su li termini soi, contra sua voglia. Et per più demostrare che poco ne aprecia ha facto astalare lo Magnifico Sig. Jeronimo Spinula degno de corona, come quello che non aprecia nò casata doria nè Spinula nè nobile nè populare, ma a lui pare che siamo tutti soi schiavi recomparati : in fra le quale sue deshonestà, voi possite vedere che qui è uno povero suo gentilhomo sbandito per gaudere la moglie sua, la qual- - 78 - cosa è multo reprensibile ma non pegio dio (sic). Unde per non stare più sotto tanti periculi, et acciochè possiamo a tempo pro-vedere, ve prego iterum ve conforto così nobili como populari, cosi merchadanti corno artifici, et così voi altri homini della rivera, così de Levante corno de ponente, che in dei nomine vogliati essere attenti et parechiati a prendere le arme, et discazare questo tyranno inimico perfido de tutti li soi subditi, destruitore de tutta la lombardia, et de tutto lo genuese, et gridare: Sanzorgio et libeità, et non dubitate che haueremo Victoria; perchè dio sera cum noi, perche hauemo rasone: et maxime cum questo ladrone che palam et publice arobba ogni homo, come palam se può in multe cose vedere, et maxime in quello Ballasso cum tanta deshonestà ha robbato et strepato a quelli merchadanti; delle monete nuper fabricate mancho della liga non dirò pocho. Ve prometto non ve mancharà lo adiutorio del Magnifico Sig. Lodovico, Magnifico Sig. Ibleto, Magnifico Sig. Carlo Adorno, et de tutti gli altri nostri cittadini capellacij, cum lo adiutorio pecuniario de Sanzorgio, et altri cittadini particulari, ultra lo generale delli quali ne sono assai. Quare expeigesuniini, inclytissimi cives! et pro patria vestra, pro vobisque astris liberis uxoribus et facultatibus pugnate, et vogliati deponere ogni malevolentia, et ogni homo de uno animo siati prompti et pai esiliati quando voi intenderete lo signo della stremità, a correre verso San Francesco a tagliare a pecie ogni homo che a noi vorà are resistentia, promettendove che se darà tale governo alla città nostra che meritamente ogni homo se poterà contentare. Etiam in contentamento delle più parte, corno de questo, grande brigata de cittadini sono remasti d’accordio a tale governo ; la quale cosa non seguitando, voi vederite ogni giorno qualche novità et aperte destructione de tutta questa città, et arestatione de multi cittadini; quovis non seguitando lo designo sopradicto, se ne andarano via multi delli piincipali, che serà pessima cosa per li artesani. Et corno vedi te sotto colore de volere dare provisione a nostri cittadini, h tene sbanditi, corno allo presente se trova lo Magnifico ig. Luca de Grimaldi, et cosi era lo Magnifico Sig. Jeronimo pmula,^ lo quale a grande periculo è stata la sua vita. Et accio* c ie ogni homo daga fede a questa lettera, io ve prometto et juro — 79 — che allo consentimento delle predicte cose ce sono intervenuti novanta quattro cittadini de ogni grado, li quali su lhostia consacrata hanno pigliato sacramento de essere prompti et parecchiati alla executione delle predicte cose in ogni secretecia. Il perchè ciascuno faccia bono animo, de novo ogni giorno se andari multiplicando queste confederatione cum stricto juramento, pregando sempre ogni homo che debbi agregandi in questa confederatione et recevuto lo sacramento voglia essere fidele, et constante et cum virile animo al tempo debito pigliare le arme , invocando sempre Sanzorgio et libertà ; et così pregamo a ogni genovese, ancora che non siano stati chiamati in questa conpagnia, la qualcosa sequita per più secretecia, ogni homo sii attento a tempo. Non sii chi la tocha. Le ultime parole dei due documenti ci dicono chiaramente, sebbene in modo diverso, come fossero stati' attaccati in pubblico, e certo in luogo cospicuo e frequentato (i). Il primo fu spedito a Milano dal governatore Giovanni Pallavicino de’ Scipioni con lettera 31 maggio 1473, nella quale dopo aver detto al duca che gli vuol dare « uno ricordo prelibato », e cioè di « ha ver caro questa Inclita città come il cuor suo », aggiunge: « Li mando uno scripto qua incluso che s’é ritrovato a la Porta de le Vache appresso il novo laborerio ». Nel tempo stesso ne perveniva una copia a Biagio de’ Gradi mandatagli da Benedetto Guercio, il quale descritto il malumore dei genovesi, poneva in fine alla lettera queste parole: « Post scripta intellexi a domino Baptista Spinula Ricardini, sicut isto mane reperte fuerunt apodixe (1) Anche il Cantare, pubblicato dal Desimoni (Atti Soc. Lig. S. P., X, 641-43) fu attaccato in pubblico. Cfr. D’Ancona, La poesia pop. itaì. Livorno Vicro 1878, 47. — 8o — ad hostia civitatis, continentes sicuti desistatur ab opere castrorum, alioquin possent contingi que non creduntur. ^ cie, domine, tota civitas inflata esi ». La quale agitazione dei cittadini, e lo sgomento onde furono presi nel veder metter mano con insolita sollecitudine ai lavori del Castelletto, e nell intendere la nuova imposizione pretesa da Galeazzo, viene descritta in una lettera del 30 maggio al duca stesso da Francesco Pietrasanta, che però avverte: « Per quanto indirectamente ho potuto intendere, cum sit che costoro ogni di faciano capannoni et conventiculi circa hec, egli vorrano temptare se per qualche altra via potrano resolvere et divertire questa cosa con V. E.tia Et in questo tarano ogni ponta per non lasciarsi mettere el giugo al collo di questo perpetuo censo ». E più innanzi : « Vero, che ho presentito che il Zentilhomo fa opera per qualuncha via di riconciliarsi col artese, sotto speranza che essendo uniti, V. Ecel. deba stare più ritenuta verso loro ». Ora tanto il contenuto della poesia, come le notizie che si hanno dalle lettere, trovano precisamente riscontro nella storia. Infatti ricorda il Gallo come Galeazzo avesse già fatto por mano ai lavori delle fortificazioni di Castelletto, con l’intendimento, aggiunge il Giustiniani, di aprire una via sicura fra la fortezza ed il mare, « con ruina e deformazione degli edifici della città »; il che « tantam indignationem, tantosque hominum manifeste frementium motus excitavit, ut decreta mox a Senatu ad Principem legatio, deformitatis istius querelam delatura uisset ». Intanto il governatore, e basta a provarlo la citata istruzione agli ambasciatori. Vi sono P el racconto due altre testimonianze dell’ imbroglio in cui sono caduti , là e si tocca dei mali uffici di Angelo della Stufa ambasciatore fiorentino, per du<_a contro i genovesi, e della carcerazione di Prospero Adorno ; or „ * -imbasceria come 1 arresto sono dell’aprile 1475 (Delizie erud. toscan., > 3-3, R. Ardi. Mil. Missive, 1475). Il Gallo invece, che pure è stato una delle Giustiniani, espone i fatti in un lucido sunto rigorosamente cronolo-g , siccome proemiò al suo Commentario che muove con la distesa nàrra-dal 1476. É poi curioso il rile%’are che l’Interiano (Ristretto delle hist. * ’ ^'Ul'ca 1551 > 209 r.), detto dell’ambasceria degli otto cittadini, mette in •.u a<^_ Un° ^ ess' una sPec>e d’orazioncella (il cui suco, tolte le frangie ret-quello della indicata istruzione), dove ricordando la dedizione a Fran-^ ^re ^ §1’ fa dire: « ci sono stati sì benigni i Cieli, che per spatio dopo di essa deditione, siamo » ecc ; il che, secondo la ragione aritmetica, dal 1464 ci conduce proprio al 1473. Dopo di lui il Bizaro (Histor. Gen., o ^antin‘> * 579> 33°)> e il Foglietta (Histor. Gen., Genuae, Bartoli, * ^ inserirono nei loro libri a questo luogo una concione più o i • aaec^ot* c^e spunto si riferiscono a questo tempo, non a. a^° e ^al 'jiustiniani, si dall’Interiano e dagli altri, meritano essere ricordati. Il primo è il fitto attribuito a Lazzaro D’Oria, il quale quan o g 1 agenti ducali tiravano « la lenza » per disegnare 1’ opera della for- i li ’ i> u- collera, tratto il coltello tagliò sdegnosamente la corda. Ora on e a ia evato l’Interiano non so; ma non ne trovo menzione nel Montaldo (De laudibus Auriae familiae, in Murat. *. 7. 5., XXI, n79) dove discorre lui; nè ad alm di quella famiglia lo attribuisce, secondo fa il Saivago (Cronaca di Genova in Alti Soc. Lig. S. P., XIII, 4I?), che .ne dà merit0 a — 83 — Ed ecco come il nostro Lamento ben s’accorda con la storia ; anzi in certa guisa ne completa i particolari ; perché se troviamo un riscontro negli scrittori alle parole: « tu mi voi sforsare cum soldati e fortilesse », invano si cercherebbe alle seguenti: « e me le voi far pagare cum tante rigidesse », le quali vengono benis- Ceva D’Oria: di più per quanto è di Lazzaro, poiché questo fatto lo costituiva addirittura ribelle, non si potrebbe intendere come nella adunanza dell’ 8 giugno 1474, proponendosi dal governo l’invio a Milano di numerosa legazione per calmare i nuovi sospetti del Duca, egli con gravi e calde parole ne dimostrasse la convenienza, lodando la condotta del governatore e il reggimento di Galeazzo (Archivio cit., Diversorum, n. 104-599), e nell’aprile del 1475 potesse essere mandato ambasciatore al duca (Arch. di Genova, Informazioni cit., I, 476). Non occorre poi confutare 1’ asserzione del Saivago, ben vedendosi come dettando senza sussidio di fonti, e quasi di memoria, cada sovente in errori. L’ altro aneddoto consiste nelle ultime parole che si suppongono dette dall’ ambasciatore al duca. L’Interiano le riferisce così : « Sendo il Popolo Genovese intra l’altre proprietà sue, di natura d’alcune odorifere herbe che qual’hora delicatamente si maneggiano, sempre più rendono soavi odori, ma per il contrario premendosi et stuzzicandosi, puzzo et schiffo se ne riceve », senza però attribuirle a nominata persona ; ma il Bizaro e il Foglietta affermano le abbia pronunziate Francesco Marchese, giureconsulto e diplomatico di molta fama, capo dei legati. Il secondo le dà in questa forma : «orationem quamvis humili tamem apta comparatione concludam, dux, vetus hoc esse apud nos, Genuensium ingenia persimilia esse herbae ozimi, quae leviter attrectata suavi, aspere et presse tetro odore manus perfundat »; lo stesso, con poche dissimiglianze nella frase, dice il Bizaro. E già aveva narrato l’aneddoto il Foglietta medesimo (Elogia Clar. Lig., Romae, Bladus, 1573, 215) nell’elogio del Marchese, così: « Galea-tium mediolanensem ducem ad non concessa tendentem, atque idem quod caeteris ditionis suae urbibus iugum spretis foederibus Genuae imponere molientem, (Franciscus) a pravo consilio revocavit egregio commento ozimi ad illum missi. Cuius herbae cum ea natura sit, ut leniter attrectata suavi odore, nimis pressa gravi et tetro attrectantium manus perfundat, genuensis populi ingenium sapientibus ambagibus declaravit ». Affermando di più che di questa ambasceria e del fatto lasciarono memoria gli annalisti e Battista Fregoso. Ora i primi, per quanto è a mia notizia, non aie dicono motto, mentre il secondo racconta l’aneddoto, e fu evidentemente la fonte del Foglietta e degli altri, i quali però lo acconciarono nelle istorie a modo loro; anzi é osservabile come il Foglietta -84- simo chiarite dalla citata istruzione, che nello spirito segue assai da vicino il nostro ritmo popolare. Né era men nel \eio il Pietrasanta laddove tocca dei «: capannoni et conventiculi », siccome prova il Gallo : « at Genuae jam omnia ad arma spectare nuntiabatur, et plebejos quosdam ad magnum coisse numerum, et inter k'a Sl-nit0 a' suoi lettori, secondo abbiamo veduto, in due diversi modi, adesso la redazione originale del Fregoso: « Cum ad Galeatium Franciscus lenius esset missus, et difficilem ad Galeatium haberet aditum, die qua annis sacra celebrabantur, Franciscus Galeatio munus basilicae herbae, ^ p enum misit. Dux ergo Franciscum, quia eum non imprudentem hominem > sse, statim ad se accivit, ut missae eius herbae causas intelligeret. Fran-, omisis iis quae a genuensibus mandata erant, paucis explicuit : Ego, p , Genuensium ad te orator veni, et cum in ea urbe natus atque edu-. o .. S a»nù5L‘ln:i> tibique vera servitute addictus sim, volui ut Genuensium u° . . ^am Uberes. eorum enim natura basilicae herbae persimilis est, .. taCta’ sua'em Perfundit odorem, gravius autem attrita, scorpiones . L’tur » (Fulgosius, De dictis factisque memorabilibus collectanea, Medio am Ferrarius, M. D. VII1I, Lib. Vili, cap. X.). Dobbiamo credere alia t . . ^uesta Ilarrazione ? Non si può certamente negare un gran peso alla imonianza di questo scrittore e come contemporaneo, e come uomo di molta servp a u ' r!ifUl'^>e a'''finimenti fortunosi della sua patria. Tuttavia os-amhac • * archese nel tempo in cui Galeazzo tenne il ducato, fu mandato fra apn , C a<;U1 un5'T°*ta so'tanto, e cioè nel 1470 per le controversie insorte aenov m n °rent'n' a ProP°sito di Sarzana (Federici, Abecedario delle fam. ?‘MÌrri Urbani; 349). - Mormoni cit., I. 373), possi oft h • ,, UCa 31 SU0Ì ^ivisamenti tirannici; onde non pare si , U'?L aneddoto a q^sto tempo. Senonchè trovo che appunto nel dal due 2 a 3n0 ’ 013 n°n m quallta di ambasciatore, sì bene chiamatovi su "n'T mi H deCm0 C°n CUÌ " S0SPend0- il tempo della ua «senza le cause avili delle quali avesse carico 0 fosse parte: « Cognito 1 Divèrsorum “ PreSem'am ^ domini «ostri statim accessurus sit » L 7:22 ^g:r^;irhe qui veggo 1 termini di “ « difficilem a strano che chiamato in corte v’ avesse ^ » -stato commessa, sebbene non ci si, ai™c“erc dle «™lche cosa gli fosse votr6 negare recisamente 7^“ fZ ' 17 d°C"mem°- candidamente che ci credo poco. - - 85 - se de Republica contulisse » ; e così nel prevedere che innanzi di venire all’armi, avrebbero tentato altra via, per giungere al fine desiderato (i). Il che veramente accadde; poiché sbollita per allora la grande ira del duca , trattò umanamente gli ambasciatori e concedette loro quanto domandarono; onde tornati a Genova con la buona novella fu grande 1’ allegrezza del popolo, che si sbizzarri a disfare baldanzosamente i lavori incominciati, mettendo in atto contro le pietre que’ propositi, coi quali si apprestava a rispondere alle esorbitanze del duca. L’ umanità del quale e l’arrendevolezza verso i genovesi fu una mera apparenza; poiché l’anno successivo, nuove ire e nuovi sospetti resero necessaria un’ altra ambasceria per acquietarli (2). E quando pareva finalmente riposare sulla fedeltà della Repubblica, ecco un caso improvviso a riaccendere la diffidenza e la collera nel suo animo _, già irritato dalle ironie malevole di Angelo della Stufa ambasciatore fiorentino. Sul principio di maggio del 1475 era stato affisso in pubblico in più luoghi il cartello innanzi recato, oltraggioso per il duca, eccitatore di ribellione; la Signoria, mandata severissima grida con taglia per iscoprire il reo, ne aveva scritto al duca per propria giustificazione ; ma senza che ne ottenesse risposta : allora deliberò l’invio di un’ ambasciata col mandato, secondo il solito, di rinnovare i sentimenti più sinceri di amorevole fedeltà; che se il duca « aliquo modo in medio afferret illas literas criminosas clam proiectas », gli facciano osservare quanto ciò sia dispiaciuto al governo, (1) Gallus, op. et loc. cit. (2) R. Arch., Diversorum, n. 104-599, 8 giugno 1474 — Informazioni cit., 1 , 434- e quali provvedimenti abbia preso per discoprirne 1’ au-toie. né \oglia imputare a colpa dell’intera città, se fra tante migliaia d uomini, vi sia, il che non é meraviglia, un ficinoroso maledico ; il quale d’ altra parte potrebbe anche essere uno straniero, che avesse voluto in quella guisa con deliberato proposito seminar 1’ odio fra il duca e i cittadini (i). Seguendo il suo sistema di simulazione ( ) R. Arch., Infermai. I> 486. — Diversorum cit., 9 maggio. Proclama ome del Governatore ducale e degli Anziani, « a li que summamenti è de-P axuo alcune lettere trove a questi dì pur de una mano sola , cum parole de natura contra lo felice et pacifico stao dello nostro lllmo Sre »; e mettono o a di mille ducati a chi scoprirà l’autore o i complici. Poi il 7 di luglio entano la taglia a ducati duemila, e decretano: « quicumque de cetero rit aliquam scripturam in aliquo loco civitatis vel trium potestatiarium, ntinentem aliquam diffamationem vel maledictum contra honorem Illmi D. nostri Mediolani> vel quietem felicis status sue celsitudinis, ea lecta teneatur illam lacerare vel comburere, ita ut legi amplius non possit, et quod in fo C°nt'neatU^ secretum tenere et nemini pandere vel revellare » sotto pena della a « ipso tacto », salvo non ne conoscesse l’autore, che allora dovrà denun-. ’ e ne a%ra Iarghi premi. L’ambasceria è deliberata il 14 giugno. — ettera scritta dagli anziani al duca è la seguente: « Illustrissime Princeps ’cet no.a nobis sit vestre sublimitatis sapientia et animi in cunctis rebus at'° ^ue ‘nter 'htutes sedere media solet: voluimus tamen verbis nostris extollere, et quantum possumus vestre celsitudinis suadere ne ab illa t, consideretque in principe clementiam supra omnia posse et eam cir-■ ■ P ct'onem 9ue malorum si qui aliquando sint animos, equare bonis non 'l"ui'que s°let promptior esse ad malum quam ad bonum sepe libertas, mia mala presertim occulta corrigi semper possunt. Audivimus inventas quas criminosas ac maledicas litteras , licet tenor ipsarum non omnino sit nobis notus, eo quod statim reperte ad manus Magnifici domini Gu-ernatons nostri pervenerunt. Si quid enim in illis esset quod ulla ex parte . 3e 'estre aures offenderet, quam certi sumus minima hec et inania non apicere, molestissimum certe et supramodum nobis et toti civitati esset cuius ammus m omnem fidem ac devotionem erga Excellentiam vestram constans et suhl’ 't perPetuum eSt Permansurus, sic credat, sic omnino confidet, vestra au™ , ’ ™i0 iP“ Cre sarebbe « de li primi del paradixo ». 1 onsidcrare quanto alle « trame », che « genovesi vano continuamente _ • , °[° n ^ Per tut0 e' mondo, et sotto pretesto di merchadantare dess' n° e. 6 trame assai’ che non seria possibile » che egli « le intende» ,^Scoraggiato in quel difficile ufficio, dove non ha mai avuto «uno mo-eno de nposso », sarebbe pronto a ritrarsi, « maxime havendo a fare con e eovem ri f’™' ^ ^ ^ ^ in Una Panie- “no in un’ altra, hnoZlZT r ‘T T™ " g°Vernan°’ P6rChè ^ di 0CC0rre cosse che fano volare quest, usali fin a le stelle ». Leonardo Seratico, domandato dal eccitato sullo aprirsi di giugno del 1476 da Girolamo Gentile, a cui non mancò certamente il coraggio dell’ o-perare, sì bene la maturità dal consiglio per condurre a Simonetta della condizione di Genova, rispondeva fra le altre cose (25 maggio): « Non se poria dubitare cosa alchuna de questo stato, se non fusse concepta diffidentia et suspecto tra il nostro Illm° Src et questi, per demostratione alias facte ; per le quale hano presa umbreza et persuazione che ’l nos ro Illmo Sre li voglia imbrelliare et sottomettere, nè tal sospecto se le po cavare » ; e poi conclude, « che non innovando el nostro Illm0 Sre cosa alcuna ad quelli, ymo cer-chare de extinguere più ogni suspecto et diffidentia, che sii possibile, cum mantenergli bona justicia, sono certo ogni uno starà ne li termini sui ». Alla stessa domanda Biagio de’ Gradi replicava contemporaneamente nel medesimo tenore (24 maggio): « Circa el governo et tractamento che hanno dal nostro Ulm° Sre dico che non se contentano; sino da certo tempo in qua sono sempre stati cum 1’ animi sospesi et cum gran timore, per essergli entrato el sospecto che Soa Ex‘ìa non voglia dominar questa Cità, prepter la conventione loro, corno più volte debe haver inteso Va Mcia, che precedette tale sospecto primum dalla requesta che li fece Soa Sigria a pavia di tante migliara di ducati più che non erano obligati, exinde dalla costrutione delle forteze qui et per tute rivere, nè sò come più mai se li debia extinguere questa diffidanza......L’ opinione di esser disprezzati he generalmente in tutti, et ne vivono mal contenti et non bene stabiliti sotto questo stato ». Di qualche novità che si tramava a Genova, già era stato avvertito il duca pochi dì innanzi (13 maggio) da Roma, per una lettera del Sagramoro vescovo di Parma, nella quale gli diceva: « Philippo de Ghaddi che sta con V. Ex'»11 ed è stato qui per alchune sue facende, hammi dicto' come uno chiamato el Perusino grande, cfle è molto servitore de casa soa e luy et li suoy, el quale nunc sta col Ducila di Borgogna, è capitato qui con lettere de Soa Ext!a, et va cercando el Figliuolo de mr Lodovico da Campo Fregoso et è andato ad trovarlo ad Napoli, et diceme che adomandandogli luy, sei sappeva la continentia de diete lettere et perche casone gli era scripto; dice chel respose che ne sappeva qualche cosa, ma chel noi posseva dire : pur dice che gli intró tanto sotto chel hebbe questo, come erano (jerte practiche in Genoa et che fra pochi dì el ne sentiria li efFecti. Pare che il dicto Philippo lo pregasse ad dire più altro: et costuygli disse che al suo ritorno capitaria pur ad Perosa, et allhora gli potria dire qualche cosa più de certo et più particulare che non posseva ora ». (R. Arch. Milano, Carteggio Generale, ad annum). E in fine il Gallo facendo tenore al cartello : « Genuenses palam fremere, arma comparare, non quidem publice sed privatim, alius alium hortari ad retinendam libertatem, nec animo deficere » (Op. et loc. cit., 267). — 90 — buon fine l’impresa. Cosi anche questa volta, la speranza dei genovesi di liberarsi dal giogo ducale rimase al tutto fi ustrata per la loro incertezza ; ed è invero vergognoso il vedere come quegli stessi preposti al governo, i quali avevano cospirato col Gentile, rimborsandogli persino del pubblico danaro le spese da lui fatte all* uopo, si \olgesseio poi ad implorare con tanta umiltà la grazia ed il perdono di Galeazzo, sconfessando ed insultando bassamente 1 animo generoso del loro concittadino (i). III. La barzelletta alla quale dò qui luogo si trova in un co ice della Biblioteca Ambrosiana (2) che già appartenne a Gian Vincenzo Pinelli, ed ha questo titolo : « MDXJ | auigatione facta per mi pre frane0 | grasseto de leonico vicentino con ^na | galia bastarda sopracomitto il Magco . . marco bragadino lo de m. | Juan | aluise et questo ^ iajo stato | per dalmatia gretia soria | e puglia Calabria I v e aeolide tra scyla | et charibdim terra | de lauoro campa | nia partheno | pe etruria | latium | mare thire-num igusticum | et altre cose quale entro si contiene ». -, 1nqUcSti0. VkggÌ0 aVm dat0 un sunt0 fìno dal i837 a c io, producendo altresi la barzelletta, ma con ca esattezza, incompleta e ammodernata nella lezione (3). (2) Cod^A*’ |dl Gen°va ’ Informav°ni cit- » 1, 529. 2 Cod. Ambr. F. n, Sup., c. 76/. è anonimo! Cfr. A1.visopoli» i837, 3 c segg. V opuscolo > g- ci vmggiat. ital, Roma, Tip. Romana, 1881, 247. — 91 — Io la riferisco secondo 1’ originale, avvertendo come sia preceduta da queste parole, che fanno parte del racconto: « La reportatrice fama con più veloce corso ra-porta il male, in uno momento riempie i vicini paessi. Dico che così a nui aduene. In perocché dobiando andare in ponente per via depulia, in uno barcaxo giunse letre al regimento directe, et quelle nondum lecte nec minus aperte, dali galioti fu promulgata in zenoa esser la andata, et questa esser ordinata dal summo e s. pastore, per expeller gli inimici et orgolioxi francesi del territorio de Genovexi, el quale tra gli altri dicti così aperte die. » (i). Sv su gienoa in libertade, dise vn giorno il sancto padre, Caziam for le giente ladre di sua bella e gran zitade, Sv su gienoa. Schrise il sancto e buon pastore ala magna Signoria, Che li mandi per favore dila giesia sancta e pia, (i) Questo die. ha in fine un segno d’abbreviazione strano e incomprensibile; nè il senso dà lume, non sapendosi a che cosa si riferisca el quale; al s. pastore? ai genovesi?, e in questo caso potrebbe significare dicebat o dicebant, chè di sintassi non pare molto amorevole il Grassetto, quantunque prete. — Per la forma di questa poesìa cfr. D’Ancona, op. cit., 55 e segg., osservando come quasi tutte le quivi citate siano contemporanee alla nostra barzelletta ; notevole por riscontro in ispecie quella (p. 65) che comincia: Su su su , Furie infernali. Ricorda anche l’altra (Luzio, Fabrizio Maramaldo, Ancona, Morelli, 1883 , 100) : Su su chi voi la gatta. — 92 — Giente cabian uigoria Per guardare quele Contrade, Sv su. Quando il sepe miliziani, Feze presto radunare Suo Consilgio senza ingani, e si dize: che ui pare? lé pur bon sochorso dare Al pastor pien di bontade, Sv su. Prese parte in gran consilgio Di mandar a questo fato Giente cabia in se atilgio, azio sia sto Roi distructo; Di mandarli lé douuto Tre galere ben armade, Sv su. Eben poi deliberato Di mandar il bragadino, El polani, homo aprezato, Con franzescho Contarino, Per guardar tuto il Confino Di sua sancta dignitade, Sv su. Spazò letre con sui messi asci tre almi Signori, Che in chamin sia presto mesi Verso Genoa a tal tenori, E che idia tutj i favori Ce voi la sua santitade, Sv su. — 93 — Gjonti i mesi atre valenti Feze presto lambasata, E Costor, corno sapienti, Le intese a quella fiata, E poi dise : orsù sia fata Tuta la sua voluntade, Sv su. In galera fur montati Tuti senza dar tronbeta; Verso gienoa fur inuiati, Doue son quei ce li aspeta, Sol per voler far vendeta Tra le giente dispietade, Sv su. Jonta a giena questa armata, Il Signor feze gran festa Di la giente apreziata, Ce venuta adar molesta ala gente Ce rubesta, E piena de falsitade, Sv su. Preso son il Casteleto, La lanterna uie restata, Ma siaran bon intelleto, Anchor quella liarà data, Perchè sono asediata E le mure atorniade Sv su. Non poi più sochorso hauere Dal Corsar fra bernardino, Ce non vai più suo sapere, — 94 — Non poder darli vn quatrinc, Perché inanzi li ochi va un spino, Celi fa cridar pietade, Su su genoa in libertade. Questi versi, ne sia autore il Grassetto, o li abbia egli raccolti nel suo viaggio, si riferiscono al 1512, quando Giano Fregoso, cacciati i francesi ed eletto doge di Genova, s’impadronì del Castelletto ; ma dovette lasciare in potere de’ nemici l’altra formidabile fortezza della Lanterna, edificata appunto per tenere in rispetto la città, difesa strenuamente, e sovvenuta dalla parte di mare per opera delle regie galere. La nave sulla quale si trovava il Grassetto, deve essere arrivata a Genova alla fine d’agosto o sui primi di settembre, ed egli stesso dice di aver saputo a Rapallo la resa del Castelletto, e come fra Bernardino avesse dato soccorso alla Lanterna. Ma convenne alle galee veneziane dar fondo alla foce del Bisagno ; e « qui desmontati a terra », soggiunge lo scrittore, « a quella andamo equitando »; donde risaliti poi sulle navi, fecero vela verso ponente, a fine di riunirsi, secondo le istruzioni , all’ armata, composta delle galere comandate da Guido Fregoso, e delle pontificie alle quali era preposto il Biassa, recatasi all’ impresa di Ventimiglia. Né io mi dilungo a recar qui altre particolari notizie, taciute dalle nostre istorie, che si rilevano dal curiosissimo viaggio del Grassetto, dettato in uno stile che sente la maniera del Colonna nel noto Poliphilo, e forse meglio del Peregrino di Jacopo Caviceo. E me ne rimango, perché non entrano dirittamente nel mio proposito, e perché - 95 — credo assai prossima la pubblicazione dell’ intero originale, mercé le cure d’un erudito milanese (i). Onde poche parole aggiungerò al già detto. La prima parte della poesia può dirsi racconto storico versificato; e basta aprire il Bembo per esserne convinti ; poiché questi, detto come Giulio li invitasse i veneziani a rallegrarsi e a festeggiare la cacciata dei francesi da Genova per opera del Fregoso, seguita : « triremesque ipsorum tres, quae erant in Apulia, Genuam celeriter mitterent, ad arces ejus oppidi duas, quae a gallis, tenebantur, facilius expugnandas, a legato Foscaro petiit, quod quidem ei Patres libenter concesserunt » (2). De’ tre capitani delle galere veneziane, Marco Bragadino, Pietro Polani e Francesco Contarmi, non accade tenere discorso. Toccano di fra’ Bernardino gli storici genovesi, specie Bartolomeo Senarega, che lo afferma « Hierosolymitanae Religionis, insignis pirata, qui mirabili arte galeonum aedificaverat, navemque Cantabricam delegerat, cum quibus caeteras omnes naves velocitate cursus superabat » (3). E ci torna poi dinnanzi nel 1527, quando opponendosi agli ordini di Andrea D’ Oria, questi gli toglie il comando delle due galere francesi cui era preposto (4). Dev’essere perciò tutt’ uno con quel fra Bernardino Favella, indicato dal Bosio come servente della Religione gerosolimitana, e « capitano di mare tanto nella volgar canzone cele- (1) Deve comparire nelV Archìvio Veneto per cura di Antonio Ceruti, e già sarebbe uscito, se la morte non coglieva cosi sprovvedutamente il compianto Rinaldo Fulin che ne era il direttore. (2) Bembus, Historia, lib. xn — Senarega, Commentaria de rebus genuen-sibus, in Murat. R. I. S., XXIV, 617. (3) Op. et loc. cit., 602. (4) Giustiniani, op. cit., II, 698. — 96 — brato » (i); di più dicendolo egli « della lingua pro-venzale », eh ei tosse francese, e che il suo cognome sia, secondo il costume, atteggiato all’ italiana mi pare da non dubitarne. L’ accenno del poeta nella nostra bar-belletta si riferisce al fatto, che quel corsaro, preso il mare con 1 intendimento di dar la caccia ai legni nemici, era tenuto in rispetto dall’ armata de’ collegati, che gli impediva di accostarsi a Genova (2). (1) Storia della Relig. Gerosol, Napoli, 1684, III, 60. (2) Senarega, op. et loc. cit., 6x8. N.B. Questo lavoro essendo riuscito più lungo del divisato, se ne dà la continuazione e la fine nel fase. V, pag. 1045. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO FASCICOLO Poggi, La Gemma di Eutiche........Pag. Neri, Poesie storiche genovesi....... » ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XJII. — FASCICOLO II. S GENOVA TIPOGRAFIA DEL R. I. DE’ SORDO-MUTI SIDCCCLXXVll DOCUMENTI St. Patria, Voi. XIII, Fase. 1' PRIMA SERIE DI DOCUMENTI RIGUARDANTI LA COLONIA DI PERA ADUNATI DAL SOCIO L. T. BELGRANO N. B. — Il Discorso e le tavole si daranno in altro volume. I. \ 126/j. Relazione della congiura di Guglielmo Guercio, Podestà dei genovesi in Romania, contro l’imperatore Michele Paleologo. n ipso vero et eodem anno (1264) fuerunt omnes ianuenses et ceteri latini licentiati per Palialogum imperatorem grecorum et nuncios suos de imperiali civitate Constantinopolis. Fuitque opportunum ipsos a dicta civitate secedere; concessitque ipse Imperator tunc ianuensibus pro sua habitatione locum quendam habitatum nomine Recrea , qui a Costantinopoli civitate distat per miliaria lx. Causa vero predictorum hec fuit. Quoniam cum Guillielmus Guercius quondam Johannis, in Constantinopoli et in partibus Romanie super ianuenses foret pro potestate a Comuni Janue constitutus , accusatus fuit ipsi Imperatori quod civitatem Constantinopolim traditurus erat in manibus latinorum, et quod habuerat de hoc tractatum cum nunciis domini Manfredi regis Sicilie; propter quod dictus Guillielmus vocatus coram imperatoria maiestate, in presencia multorum ianuensium et aliorum assistendum luit propria lingua confessus. De cuius confessione ibidem fuit publicum instrumentum conscriptum, quod per specialem legatum fuit Comuni nostro a dicto Imperatore transmissum, quod fecit dictus Imperator volens Comunis Janue amiciciam retinere, quasi dictos ianuenses de dicta civitate merito expullisset. Cum autem hec audissent viri nobiles de progenie Guerciorum, accesserunt in pleno Consilio ianuensi petentes ex gratia speciali, quod Comune Janue dictum Guillelmum Januam pedibus et manibus ligatis faceret apportari, et quod ipsum eundem eisdem concederet iudicandum. Tandem cum persona ipsius haberi non potuit per Comune, ipsum Guillielmum Potestas bannivit et forestavit, de quo banno et forestatione exire non posset nisi Comuni Janue non solveret libras x milia ianuinorum. Set quia ex tenore conventionis inite inter dictum Imperatorem et Comune Janue, dictus Imperator debet ianuenses tenere in dicta civitate, et Comuni Janue concessit ampla et magna edifficia, et quod ibi per ipsum Comune Janue constitueretur Potestas qui ibi regeret ianuenses , armata quadam diligenter galea et preparato legato, nomine Egidius de Nigro ex nobilibus hominibus Janue, ad ipsum Imperatorem fuit transmissus; cui fuit commissum quod ab ipso Imperatore omnino impetrare -curaret quod ianuenses in Constan-tinopoli habitarent, vel saltim in quodam loco nomine Peyra: qui ivit et reddiit, nichil tamen de commissis perfecit. Et eodem anno duo alii legati, videlicet Benedictus Zacharia et Symonetus de Camilla eadem de causa ad ipsum eundem Imperatorem iverunt, qui sine aliqua super ipsis novatione facta Januam reddierunt. ^Annales Januenses ; apud Pertz, Monumenta Germaniae Historica, voi. XVIII, pag. 249. II. 1273. Memoria deT Podestà Oberto Sardena. Dicto quoque anno mense* Marcii cum Obertus Sardena orientalis riperie vicariam gereret, Januam rediit pro Potestate super ianuensibus icturus in Imperio Romanie. lAnnal cit., pag. 276. — roi — III. ■>7 1276, 27 febbraio. « Nos Thomas de Nigro etc. confitemur tibi Simoni de Monleone nos... a te integre satisfactum esse de omni eo quod a te... petere possemus de rebus et bonis... qm. Guillielmi Comunalis quod ad te pervenit, et de quibus confessus fuisti te habuisse ab Ingueto Spinola potestate existente super ianuenses in Imperio Romanie ». Archivio Notarile di Genova. cNJotulario di Giovanni di Amandolesio, ann. 2257-76, car. 254 verso. IV. ' ' 1279, 30 marzo. « Arnulfus de Claritea presentavi et consignavit domino Leoni de Nigro, consuli et vicario ianuensi in Regno Armenie, litteras ex parte domini Nicolai Aurie potestatis et vicarii ianuensis in partibus cismarinis, sigillatis cere viridis cum gripho etc. Actum in Laiatio ». Arch. Not. 'KLotulario di Antonino da Quarto, ann. 1244-80, car. 119 recto. V. 1285, 2 5 agosto. « Dominus Petrus de Gregorio... assessor domini Potestatis Janue, absolvit... Guidetum de Nigro olim potestatem Imperii ianuensium in Imperio Romanie, ab heredibus qm. Ugueti filii qm. Tancredi de Sigestro ». Arch. Not. 'Motulario di Giovanni de Corsio, ann. 1266-80, car. 106 verso. — 102 — VI. rf00’ 27 giugno. « Gasparius Marionus deposuit in bancho Amiceti de Sancto Thoma libras cxxiv et solidos xvn Janue, que sunt pio cambio perperorum ccxxvir auri quos habuit a Bernabove Spinula vicario ianuensi in toto Imperio Romanie, et sunt de bonis qm. Accellini de Ripa merzarii, qui dicitur decessisse in viagio Romanie ». Foliatium diversorum notariorum, Ms. della Biblioteca Civico-Beriana, voi. Ili, P II, car. 17 verso. Arch. Not. botulario di Rolando Belmosto, ann 1300, car. 74. VII. ij)02. Nel transunto di un istrumento del 7 febbraio 1302 a rogito del notaro Jacopo Porta (transunto fatto addì 2 marzo successivo per mano d Ambrogio di Rapallo) si legge : « Cum anno de mccc de mense octubris de Janua missus fuerit per Comune Janue ad serenissimum dominum Imperatorem grecorum ambassator solempnis nobilis \ir Raffus de Auria, super tractandis etc. circa damna data per Comune Janue subditis dicti domini Imperatoris et a dicto Imperatore data Communi Janue etc. ; et dictus ambassator predicta non compleverit, sed... commiserit... vices suas nobili viro Gabino Tartaro tunc Vicario pro Communi in ipso Imperio » etc. h. cit. cKJotulario di Ambrogio di Rapallo ann. 1303, car. 68 e segg. VIII. 1300, 20 dicembre. Il detto Gavino Tartaro, che s’intitola « Vicharius pro Comuni Janue in toto Imperio Romanie et mari maiori », promulga il codice delle leggi genovesi in tali contrade. Statuti detta Coionia genovese di Pera, editi da Vincenzo Promis; nella Miscellanea di Storia Italiana, voi. XI, pag. 755. I 103 — IX. 13°3 » m:lgg*°* Del incitazione del borgo di Galata conceduto ai genovesi da Andronico II Palcologo. De mandato potentis et sancti domini nostri Imperatoris traditus et donatus locus apud Galatham illustri Comuni Janue habet terminos ut infra. Incipit a marina que est circa scalam nominatam vetus Tarsana distantem ab ipsa passus septem palmorum viginti quinque, et ascendit versus Aquilonem dimittens a sinistris confinium divinum et venerandum templum honorabilis prophete pre-cursoris Domini beati Johannis, et distat ab illis confinibus loci, passus tres; postea intrat vineam quondam Perdicarii accipiens de ipsa vinea passus quatuor, perveniens ad fossatum ipsius, et fiunt de marina usque ad illud fossatum vinee passus septem palmorum ut dictum est nonaginta. Ex illa vero parte vadit recto tramite versus orientem accipiens per totum ipsius vinee spacium passus quatuor, et transeundo recte pervenit ad vineam reverendi monasterii Lipsi. Reliquendo a sinistris ecclesiam sancti et magni martiris beati Theodori distantem ab huiusmodi loco terminato passus viginti quatuor. Dividit autem ipsam vineam secedens a muro qui dividit ipsam vineam e macropitam nominatam passus quinquaginta quatuor. Transit postea per puteum quod est in templo sancte Erine quod prius habebant ianuenses pro cimiterio. Transit similiter murum vinee Lo-gotheti stratiothico quondam Kynami, distant ab huiusmodi passus tres, transit per vicinitatem ipsius muri et pervenit ad alium murum alterius vinee prefati Logotheti quondam stratiothico que est ex opposito contra portam divini et reverendi templi sancti et magni martiris beati Georgii, que porta distat ab huiusmodi terminato loco passus viginti et octo. Finit utique a supradicto fossato vinee Perdicarii usque murum secunde vinee quondam Logotheti stratiothico Kinami passus ducenti decem et septem. Postea declinat ipse terminus versus meridiem dimittendo in sinistris divinum et venerandum templum sanctorum Anargirorum ; distat porta ipsius templi ab huiusmodi terminato loco passus decem. Postea declinat inde modicum versus orientem reliquendo rursus a sinistris idem templum — 104 — perveniens ad curiam hospicii quondam Logotheti stratiothico distando ab huiusmodi hospicio per passus quatuordecim. Postea iterum vertitur versus meridiem reliquendo a sinistris divinum et reverendum templum sancti et beatissimi Nicolai quod distat ab huiusmodi terminato loco passus sex. Et declinat rursus inde versus orientem per passus triginta dimittendo a sinistris idem templum distando ab ipsis terminis per passus octo. Rursus descendit versus meridiem et pervenit recto tramite ad marinam distando a muro castri Galathe per passus septuaginta, et sic finit eciam huiusmodi passus a supradicto muro vinee quondam Logotheti stratiothico Kinami usque ad marinam passus septuaginta quinque; inde venit versus occidentem per marinam faciens finem ad terminos a quibus incepit. Existente in ipsa parte numero passuum trecentorum triginta novem. Est siquidem ut superius dictum est concessus et donatus locus per potentem et sanctum dominum nostrum Imperatorem apud Galatham illustri Comuni Janue habens terminos et metas cognitas ut hic particulariter distinguitur. Debet similiter inveniri extra huiusmodi locum vacuus et sine habitacione locus distantiam habens ex omni parte ipsorum terminorum cubitorum sexaginta, ita quod preter hospitia in quibus comorantur sacerdotes qui celebrant in superius dictis divinis templis non habeat libertatem aliquis grecus seu alter aliquis habitationem facere in ipso. Debeat esse similiter ab ipso termino usque ad castrum Galathe perveniens locus a marina vacuus et sine habitacione secundum latitudinem castri sicut et prefactus certus locus qui spacium habet sexaginta cubitorum, prout etiam de hoc mandavit et ordinavit potens et sanctus dominus noster Imperator. Actum mense maii indicione prima anno sexto milleno octavo et centeno undecimo. Familiaris et consocer potentissimi sancti domini nostri Imperatoris magnus cancellarius Nichiforus Comnos. Archivio di Stato. Materie Politiche, mazzo Vili; Sauli, ‘Della colonia dei genovesi in Galata, voi. II, pag. 209; Liber Jurium Reip. Gen., voi. II, col. 435, c Codice dell’Archivio, car. 466 verso. — 105 — x. \2-kk marzo. Privilegi conceduti ili genovesi in Calata ed in ogni alt-a parte del Greco Impero. / Cum transmissi fuerint ad imperium nostrum ex parte illustris Comunis Janue dilecte fraternitatis Imperii nostri ambaxatores et sindici speciales nobiles et prudentes viri, videlicet dominus Guido Embriacus et dominus Acursinus Ferrarius, ad exponenda coram nostro Imperio capitula ex quibus quedam ad ipsorum ianuensium iura pertinere videbantur et observari debebant quedam de speciali gratia requirebant iuxta ea que Imperium nostrum facere consuevit intuitu affectionis maxime et amoris quem erga illustre Comune Janue Imperium nostrum habet; quibus capitulis per eosdem nuntios expositis et narratis, Imperium nostrum annuens ipsa concessit capitula ut inferius distinguetur. Et ecce presens privilegium aurea bulla nostra munitum eidem illustri Comuni Janue concedimus et largimur ad declarationem robur et firmitatem immobilis et inviolabilis perseverande eorumdem capitulorum que acceptavimus et illa adimplevimus iuxta requisitionem ipsius illustris Comunis Janue; quorum capitulorum talis est tenor. Primo quidem quod habere debeant ianuenses in loco Galathe locum quem requisiverunt in formam quadrangulatam terminatum et assignatum secundum quod locus ille ambitus est per factam foveam circum circa. Et volumus et iubemus quod a circuitu ipsius loci mensurando vacuus locus totaliter resideat absque habitacione aliqua alicuius persone per spatium sexaginta cubitorum. Et a muro castri Galathe secundum laticudinem ipsius muri usque ad ipsorum ia-nuensium confines etiam sit locus totus vacuus, nec alicui liceat habitationem ibidem facere quoquo modo. Infra vero locum predictum habitationis ipsorum ianuensium habeant ipsi ianuenses libertatem et mandatum faciendi mansiones et structuras et alias firmitates et omnem aliam securitatem ad eorum voluntatem, preter tantummodo murum castri quod quidem construere in ipso loco volumus eis non licere. — io6 — Item quod habeant in eodem loco ipsi ianuenses et qui tenentur ■ nuenses libertatem sine aliquo impedimento', et habeant macellum et mace la et macellarios ianuensium-, missitas ianuensium, logiam balneum, ecclesiam propriam sive ecclesias, .sacerdotem vel sacer-’ otes ianuenses et latinos, stateram et ponderatores ianuensium, et sai as, mensuias et omnia alia que voluerint ad voluntatem et pla-um eorum, ponderare tamen debeant prefati ponderatores ipsorum presente scriba \<_1 alio nuncio ex parte commercii Imperii nostri. Et psi quidem ianuenses habere debeant omnimodam libertatem et isiam ad ponderandum mercationes eorum. Ceteri vero qui 1 ntes sunt commercio Imperii nostri dare debeant pro ipsa pon-atura id quod est decens secundum ordinationem et consuetura, ita quod non possint occultare se vel defraudare commercium, em cum in eodem loco sint ecclesie tres grecorum super quibus omnimodam potestatem sanctissimus dominus generalis Pa-arc a, debeant ipsas ecclesias habere sacerdotes greci et cantare celebrare in ipsis qui per ipsum sanctissimum dominum Patriar-c am generalem annuatim fuerint ordinati. Item quod omnes qui secundum veritatem fuerint'ianuenses et q i nominabitur et tenebitur ianuensis esse debeat sub examine ie ipsorum ianuensium, licet transpositus fuerit ad Aliam nationem astulus fuerit sive femina. Si facti essent greci vel alterius Prout s* vel greca vel alius qui sub iurisdictione no- . V<~ CSSL debeant rendabiles Imperio nostro, licet efficeren-u nses, debeant esse sub examine partis Imperii nostri, nec p untur in numero et ordinatione franchisie et libertatis ianuensium. quod concedimus parti ipsorum ianuensium locum habita- 1 , . ra Smirnarum, et permittemus ipsos habere in eodem ogiam, balneum, furnum, ecclesiam et alia que specificata T Panicul*nt* m capitulo de Galatha ut dictum est. insnl' ^ ° i Va^mus tam mari quam in terra, in portibus et cessio qUaS- 1 emUS Ct habituri sumus Per gratiam Dei et intercessione* eius sanctissime Genitricis omnes ianuenses et de districtu tuZrnl T"' r" ianU6nSeS et ^ P™ ianuensibus distin-ve tenebuntur m personis et rebus omnibus eorum, et liiis ( — 107 — qui patientur naufragium et inde evaser-int si testificabuntur per litteras Potestatis Janue seu Potestatis vel Consulis ianuensium qui in partibus Romanie invenientur eo tempore quo hoc tale contigerit et demonstratum fuerit per huiusmodi testimonium ipsos esse ianuenses vel de districtu Janue vel nominatos et appellatos ianuenses. Item quod ianuenses et qui dicti fuerint et nominati fuerint ianuenses ut supra si contigerit fieri eis offensio seu dampnum aliquod in terris Imperii nostri de naufragiis provenientibus ad ipsas cum rebus ipsorum, et dampnum passi fuerint de ipsis rebus per aliquos subiectos Imperii nostri, quod fieri debeat satisfatio ipsius dampni prout ipsi probaverint in veritate et iuraverint in presentia illorum qui potestatem habuerint ianuensium presente nuncio Imperii nostri. Probare debeant similiter cum veris iuramentis etiam alii qui invenientur in eodem naufragio qui evaserint de ipso periculo, presente ipso nuncio Imperii nostri qui videat ipsos testes iurare ut superius dictum est; et sufficere debeat hoc ad ostensionem et probationem veritatis. Item quod prestabimus semper parti illustris Comunis Janue et singulis ianuensibus et de districtu Janue et illis qui tenebuntur ut ianuenses libertatem et franchisiam et immunitatem de cetero semper tam in mari quam in terra, in portibus et insulis nostris quas habemus et habebimus Dei misericordia et per intercessionem sanctissime Dei Genitricis; ita quod omnes ianuenses et de districtu Janue et qui tenentur ianuenses sint franchi et liberi nichil solventes in tota terra Imperii nostri pro commercio vel causa alicuius exactionis. Intrantes videlicet per totam terram Imperii nostri vel exeuntes ex ipsa, vendentes et ementes et exeam-biantes vel aliquod aliud negotiantes modis consuetis mercationis, preter sal et masticum, stantes et de terra in terram euntes per mare vel per terram cum mercationibus vel sine mercationibus ad loca deferentes vel inde extrahentes ex emptione vel alio lucro et alibi defferentes personaliter seu realiter. Item si quis ianuensis vel qui tenetur ut ianuensis solverit aliquid vel dampnificatus foret in aliqua terra subiecta Imperio nostro et ablatum esset sibi ratione scaliatici vel magene, aut propter aliam causam vel modum operatum fuerit contra dictam franchisiam et I ' en* ipsorum ianuensium, quod Imperium nostrum faccre de-satis eri et restitucionem fieri hiis qui dampnum passi fuerint totum ic quod ipsi tales iuraverint in presencia Potestatis seu Con-anuensium quod dederint illud tali modo aut ablatum extiterit ab ipsis. quod non rctipeie debeat de cetero Imperium nostrum aliquem ìanuensem vel de districtu Janue in vassallum, ita quod exi-„ , p U ”°n esse debeat sub iurisdictione et examine Potestatis U IS ianuensium; sed debeat ipse talis iudicari per ipsos u ceteri concives et habitatores Janue. quod non impediemus nec impediri faciemus seu impediri ^US tota terra nostri Imperii quam habemus et de mise-t ^ ei Genitricis acquiremus aliquem ianuensem et de districtu propter factum seu delictum vel furtum seu rapinam vel de- I a terius in persona vel re aliqua; sed unusquisque ianuensis tenetur ianuensis sub culpa existens tali modo examinari cur*a ct iurisdictione Potestatis vel Consulis ianuensium, q puniatur et reddat racionem pro culpa et debito suo, et 9 satisfationem habeat ille qui iniuriam vel dampnum P sus fuuit, ct quod alii ianuenses propter tale factum non con-q antur offensionem vel dampnum. Si quis vero de terris nostris e parte nosti a, vel aliquis alter qui non esset de terris nostri peni tenetetur ut ianuensis, offenderet alicui ipsorum ianuen-j , aUt esset accusatus de debito vel alia tali causa, quod fieri te eat super hoc iudicium et examen et vindicta et iusticia ex parte mperii summaria et expedita. Similiter fieri debeat ex parte P orum ianuensium omnibus nostris et omnibus aliis qui inveniuntur en is Imperii nostri. Erit nichilominus hoc et operabitur de aliis us, non tamen de illis qui cum iuramentis et convencionibus emuntur in terris Itnperii nostri; nam de illis erit id quod requiritur per ipsas conventiones ipsorum. i quod omnes cursarios et maleffactores grecos sive latinos os nobis vel non subiectos, preter illos qui de parte sunt illo— qui conventiones et sacramenta nobiscum habent, qui contra bom”les ianuenses vel contra illos qui tenentur ut ia-npna inferrent et molestias persequemur, et capientes ipsos — 109 — puniemus secundum iuris ordinem, prout similiter ipsi ianuenses debeant omnes cursarios ianuenses et maleffactores ianuenses et qui ianuenses dicuntur persequi et capere et punire secundum iuris ordinem. Item quod ianuenses et qui ianuenses dicuntur habere debeant libertatem emendi de terris nostris quas habemus et habituri sumus omnia victualia preter furmentum et alia semina, et extrahere de terris Imperii nostri libere et sine aliquo impedimento vel dacita commercii vel alterius exactionis. Item quod de aliis terris que sunt in mari maiori nec sunt su-biecte Imperio nostro habeant libertatem ipsi ianuenses et qui ut ianuenses tenentur extrahere et extrahi facere et portare et facere portare mercationes quascumque voluerint, et frumentum et victualia et omnia alia ligna, picem et alumen, et omnes alias res sine impedimento aliquo illato eisdem ex parte Imperii nostri, et propter huiusmodi mercationes non debeant cogi solvere quid quid aliquo modo ratione commercii seu alterius datiti. Item non detinebimus nec detineri faciemus vel permittemus navem aliquam sive aliquod lignum alicuius ianuensis vel qui ut ianuensis tenetur, nec ianuensem aliquem vel qui tenetur ut ianuensis in persona vel rebus, sed habere debeant omnimodam libertatem et spatium exeundi sine impedimento de omnibus terris nostri Imperii personaliter et realiter, nisi forte fuerint inculpati de aliquo debito, furto vel rapina seu alio delicto de quo debeat iudicari in curia ianuensi, ita quod per ipsos fieri debeat iuxta huiusmodi criminis seu delicti expeditio. Actum fuit hoc presens privilegium Imperii nostri in nostro sacro palacio Blakernarum, scriptum manu notarii aule nostre Nicolai de Parma mense marcii secunde indictionis. Sexti milleni octavi centeni duodecimi anni a constitutione mundi secundum numerum grecorum. Secundum vero numerum latinorum ab incarnatione Domini anno millesimo trecentesimo quarto indictione secunda. Subsignatum nostra imperiali rubra subscriptione et roboratum aurea bulla Imperii nostri inferius apensa ad eorum omnium particulariter distinctorum capitulorum declarationem et firmitatem et ut ipsa maneant incommutabilia. — no — Andronicus in Christo Deo fidelis imperator et moderator romeorum Ducas Angelus Comninus Paleologus. Archivio di Stato. Materie Politiche, mazzo Vili; Sault, II. 21 r ; Lih. Jur., II. 4|0, e Codice dell’Archivio, car. 465 verso. XI. 1304, 18 luglio. Il Podestà Rosso D’Oria promulga alcune aggiunte alle leggi genovesi. Statuti di Pera, pag. 763 e segg. XII. 5,orno laTXnbNdTperCa°nVeiU10nÌ daI1’imPcnUore Andronico II col Comune di Genova, in- c est exemplum cuiusdam consilii celebrati per tunc dominos Capitaneos mcccviii die xxii marcii. MCCCVIII die XXII marcii. omini Capitanei in presencia otto consciliarorum suorum or-torum ad ipsorum conscilium, sive septem ex eis, fecerunt conum supra infrascriptis peticionibus sive requisicionibus factis pro P‘ e serenissimi domini domini Andronici Dei gratia (imperatoris) t,recorum, et quarum requisicionum tenor talis est. ro parte serenissimi domini domini Andronici Dei gratia irn-P oris grecorum, et nunciorum et ambassatorum ipsius domini mperatons dicitur et exponitur coram vobis dominis Capitaneis, a 11 te Ct °Ct0 consc^’ariis ipsorum dominorum Capitaneoruin et Abbatis supra infrascriptis capitulis. ' ° ^c^tur et exponitur quod multi ianuenses com- c cium dicti domini Imperatoris defraudaverunt et in eo sibi dampnum maximum reddiderunt; quod dampnum petunt ipsi am- — Iit — bassatores ipsius domini Imperatoris ipsi domino Imperatori emendari et de eo ipsi satisfieri. Item petant dicti ambassatores quod in deveto facto de ferro, lignamine et mumuluchis in Alexandriani non defferendis addatur quod si aliquis ianuensis defferat quod solvat et solvere teneatur dicto domino Imperatori commercium sicut hactenus consuetum est. Item dicunt et exponunt quod officiales qui sunt in mari maiori pro Comuni Janue et in partibus illis concedunt litteras libertatis et franchigie multis et inultis qui non sunt de Janua vel districtu, et dicto modo commercium dicti domini Imperatoris defraudatur. Quare petunt statui et ordinari per vos dictos dominos quod dicti officiales non possint concedere dictas immunitates et fran-chezias alicui, et quod solum intelligatur esse immunes ianuenses et districtuales Janue et illi qui a vobis haberentur per ianuenses et haberent litteras vestras et dicti Communis; illi vero qui facti sunt qui habent litteras franchizie per officiales traspassare non possint esse in futuro liberi nec impediti a dicto commercio. Item dicunt et exponunt quod multi mercatores ianuensium deflerunt et defferri faciunt in navibus, taridis, galeis et lignis eorum mercatores et res extraneorum qui non sunt de Janua nec districtui, et eas asserunt esse ianuensium, et sic multum ex hoc dictum commercium defraudatur; quare petunt ex parte dicti domini Imperatoris dicti ambazatores eius, quatenus placeat statuere et ordinare et eciam per litteras generales mandare omnibus et singulis officialibus de Janua et districtu quod sub penis arduis vestro ai bitrio statuendis, nullus de Janua sive districtu in dicto commercio defraudando vel detinendo non debeat nec presumat dolum vel fraudem committere nec committi facere. Et quod patroni et sciibe navium, gallearum et taridarum et aliorum lignorum ianuensium teneantur iurare corporaliter, tactis scripturis, ad postulationem nuntiorum dicti domini Imperatoris ostendere et manifestare omnes res et mercationes que in navi, gallea, seu tarida seu ligno cui petunt erunt aliquorum extraneorum sive aliquos non ianuenses; et eciam marinarii, si placuerit nunciis dicti domini Imperatoris, teneantur hoc idem iurare, et hoc dicere et manifestare. Et si quis in hoc fraudem seu dolum invenient commississe, teneantur — 112 — dampnum quod propterea passus fuerit dictus dominus Impcratot ei emendare, et ultra denarios sex Janue pro quolibet denario defraudato, seu illam penam de qua vobis pro cautella dicti domini Imperatoris videbitur expedire. Item dicunt et exponunt quod officiales ianuenses qui sunt in dicto Imperio questiones vertentes inter ianuenses et grecos inceperunt committere quibusdam, quos vocant mediatores : ipse dominus Imperator et greci sui non contentantur; quare petunt ut placeat vobis statuere et ordinare quod questiones ipse terminentur per officiales vestros in dicto Imperio, quemadmodum terminantur ct terminari consueverant questiones vertentes inter ianuenses ct grecos coram officialibus dicti domini Imperatoris per ipsos officiales. Item dicunt et exponunt quod aliqui ianuenses emerunt ab aliquibus grecis locum extra fossatum Peyre et ibi domos ediffica-verunt, et inde brigas et guerras quotidie faciunt, et propterea ìam multa sunt orta scandala et possent in posterum exoriri; quare petunt statuere et ordinare quod omnes ianuenses extra dictum fossatum commorantes revertant ad habitandum intra dictum fossatum sicut hactenus ex parte dicti Communis a dicto domino Imperatore fuit requisitum et per ipsum dominum Imperatorem ipsi Communi concessum. Item cum aliqui ianuenses et specialiter Benedictus Ususmans et Amicetus de Volta, qui presencialiter esse dicuntur in Aquis mortuis, occasione infrascripta, intendant ut dicitur ire in galleis armatis contra ipsum dominum Imperatorem et insulas eius, et dictus Amicetus iam hoc fecit; petunt ex parte dicti domini Imperatoris quare placeat vobis statuere et ordinare quod aliquis de Janua et districtu ubicumque armaverit non audeat ire ad partes Romanie nisi primo satisdet sufficienter, eo modo de quo vobis videbitur expedire, de dicto domino Imperatore insulis, terris et subditis eius non offendendis personaliter vel realiter ; similiter ut non ibunt cum aliquibus inimicis contra terras et insulas sui sancti Imperii. Item petunt ex parte dicti domini Imperatoris quod omnes greci et qui pro grecis distinguntur et appellantur sint et esse debeant liberi et immunes in civitate Janue ab omnibus dacitis, — ii3 — avariis et oneribus realibus et personalibus sicut sunt ianuenses in Imperio Romanie. Item dicunt et exponunt quod aliqui ianuenses induzerunt aliquos pueros et puellas grecas de Constantinopoli et de aliis terris Romanie, promittentes eis multa bona facere, ut cum eis Januam venirent; et multi et multe venerunt et cum fuerunt in civitate Janue vendiderunt eos et eas pro sclavis, quod est iniquum. Quare petunt ut placeat statuere et ordinare quod illi greci et grece qui sic venerunt et qui et que empti seu empte non fuerunt per ianuenses, sed venerunt sua propria voluntate, sint et esse intelli-gantur liberi et eis liceat quocumque voluerint ire. Item quia dominus Bernabò Spinula intendit ire officialis in Imperio Romanie, cum habeat questionem cum domino Imperatore propter quod non esset conveniens quod ibi esset officialis, et eciam de hoc esse debeat capitulum speciale, petunt a vobis dicti ambassatores quatenus placeat ipsum Bernabovem non mittere officialem ad dictas partes. Primo videlicet super primo capitulo fuit summa consilii dictorum dominorum Capitaneorum et dictorum consiliariorum ipsorum: quod ipsi Capitanei et consciliarii parati sunt facere et fieri facere domino Imperatori sive eius nunciis plene iustitie complementum super hiis de quibus fit mencio in ipso capitulo, secundum formam conventionis inite inter dictum dominum Imperatorem ex una parte et Commune Janue ex altera. Item super secundo capitulo fuit summa conscilii : quod nunciis dicti domini Imperatoris detur in scriptis capitulum ordinatum super hiis de quibus fit mencio in ipso capitulo, in quo capitulo continetur devetum Alexandrie et in quo imposite sunt maxime pene prout in ipso capitulo continetur. Item super tercio capitulo fuit summa conscilii: et voluerunt et ordinaverunt dicti domini Capitanei et dicti consciliarii ipsorum, quod Potestas et Abbas Peire super ianuensibus constituti pro Communi Janue, qui sunt et pro tempore fuerint in Peira, cum Consilio ma®no Peyre provideant et declarent si questio fuerit de aliquibus habentibus litteras immunitatum vel franchiziarum in Imperio Ro- Atti Soc. Lig. St. Patria, Voi. XIII, Fnsc. 1 8 — ii4 — manie, qui sint ianuenses vel districtuales, quibus litteris gaudeant ipsis franchiziis et immunitatibus si ipse littore sunt concesse vere et sine fraude; et si invenientur fraudes commissas in ipsis litteris, quod ille tales sint casse et nullius valoris. De aliis vero litteris concedendis de cetero aliquibus ianuensibus sive districtualibus quibus gaudeant vel gaudere possint dictis immunitatibus vel franchiziis, volunt dicti dòmini Capitanei ct dicti consciliarii et in ipso conscilio statuunt et ordinant, quod si ipse littere fuerint facte pro parte Potestatis Peyre et Abbatis et Conscilii maioris Peyre aliquibus ianuensibus vel districtualibus de ipsis immunitatibus et franchiziis, quod ipsi tales litteras habentes faciendas pro parte Potestatis Peyre, Abbatis et Conscilii maioris, gaudeant ipsis immunitatibus et franchiziis, et aliter non, quantumcumque ipse littere facte essent per alios officiales constitutos in Imperio Romanie aliquibus asserentibus se ianuenses vel districtuales. Item supra quarto capitulo fuit summa conscilii: et ordinant quod aliqui ianuenses non debeant committere fraudem in dicto commercio sub pena dupli eius quod dominus Imperator deberet habere de ipso commercio; et volunt et ordinant quod predicta mittantur Potestati Peyre ut procedat contra illos qui fraudem commisserint in dicto commercio, et inde mittantur littere domino Potestati Peyre; et nihilominus in predictis ultra predicta observetur convencio inita inter dominum Imperatorem ex una parte et Commune Janue ex altera. Item supra quinto capitulo fuit summa conscilii, et consulunt, volunt et ordinant quod omnes questiones que erunt inter ianuenses et grecos deffiniantur et terminentur per Potestatem Peyre super januenses pro Commune Janue constitutum et constituendum de cetero secundum formam conventionis inite inter dictum dominum Imperatorem ex una parte et Commune Janue ex altera, et non per medianos. Item super sexto capitulo fuit summa conscilii : et volunt ct ordinant quod ab hodie in antea aliqui ianuenses non debeant de novo hedifficare vel hedifficari facere aliquas domos sive hediffitia pro habitando extra dictum fossatum de quo fit mencio in ipso capitulo de novo emere; et quod rogetur dominus Imperator pro parte Communis Janue quod ei placeat emere domos et hedifficia - ii5 — ianuensium, qui in ipso loco habent hedifficia vel hedifficatas domos que siut ianuensium, ad hoc quod dicti ianuenses conserventur in-dempnes. Item super septimo capitulo fuit summa conscilii: et statuunt et ordinant quod respondeatur domino Imperatori quod ab omnibus ianuensibus duccntibus galleas exiguntur cautiones librarum iv millium de non offendendo dictum dominum Imperatorem nec mentem ipsius dicti domini Imperatoris; et quod si aliqui contrafacient ita punientur quod erit honor dicti domini Imperatoris, et quod pena ipsorum erit ceteris in exemplum et pro honore dicti domini Imperatoris. Item super octavo capitulo fuit summa conscilii: et volunt et ordinant quod conventio facta inter dominum Imperatorem ex una parte et Commune Janue ex altera efficaciter in omnibus observetur. Item super nono capitulo fuit summa conscilii : et statuunt, volunt et ordinant prout in capitulo continetur. Item super decimo capitulo fuit summa conscilii: et volunt et ordinant quod respondeatur dicto domino Imperatori prout dicta Potestacia concessa fuit Bernabovi Spinule, qui ipsam emit; qui Bernabos intendit venire ad dictum regimen ad honorem et servitium ipsius domini Imperatoris, et ab ipso domino Imperatore cum eius bona voluntate recipere gratiam et amorem; qui domini Capitanei et octo predicta specialiter commisserunt dicto Bernabovi, nec modo aliquo per ipsos dominos Capitaneos et Commune tolle-rari posset quod per ipsum Bernabovem vel aliam personam aliqua fierent que displicerent ipsi domino Imperatori. Extractum est ut supra de actis publicis dominorum Capita-neorum ; et ad fidem faciendum de predictis omnibus appositum est signum infrascriptum. Capitanei et Octo. — Populus. L. de Rappallo. Archivio di Stato in Genova: Materie Politiche, mazzo VI. — Dobbiamo la diligente trascrizione di questo atto alla cortesia del signor Carlo Astengo, alunno della Scuola,di Paleografia, ed autore di alcuni scritti pubblicati nel Giornale Ligustico del 1875 e 1876. 1515-16. Incendio a Pera. Nuove costruzioni pubbliche. Et mcccxv accessit quod igne accidentali quasi tota Peyra coni busta est et Palacium Coniunis. Et mcccxvi Palatium Comunis redifficatum et pondus Comunis et platea, logie et muri de versus terram facti sunt tempore potestatis domini Montani de Marinis. Continuazione della Cronaca di Jacopo da Voragine; negli Alti, %ol. X, paD. 500. XIV. 1317, 14 febbraio. Nuovi ordinamenti per l’amministrazione della Co Hoc est exemplum quorumdam tractatuum tunc factorum pe Consilium Gubernatorum civitatis et Comunis Janue mccc decimo septimo die xim februarii. In eterni Dei nomine amen. Anno Dominice nativitatis millesimo ccc decimo septimo, die decimo quarto februarii, Consilium Gu er natorum civitatis et Comunis Janue volens provideie utilitati ia nuensium viventium in partibus Imperii Romanie, habito coloquio cum aliquibus sapientibus ordinatis per ipsum Consilium ad pro •videndum super predictis et plurium aliorum sapientum, tractat statuit et ordinat ut infra. Primo videlicet quod quilibet Potestas qui ire debuerit in Pey 1 a ante quam recedat de Janua iurare debeat in Consilio ipsorum Gu bernatorum attendere et observare omnia et singula in presenti tractatu comprehensa, et contra ea non facere vel venire modo aliquo vel ingenio quod dici vel excogitari possit. Item quia quandoque aliqui se volunt in dicto Imperio gerere ct expedire pro ianuensibus qui ianuenses esse negantur, tractat et ordinat dictum Consilium quod quilibet Potestas Peyre infra dies octo sui regiminis congregari faciat Consilium viginti quatuor loco et - II7 — modo consuetis, et ab ipsis exigerc corporale sacramentum de bene et legaliter eligendo sex sapientes. Quo facto predicti viginti quatuor, vel saltem tres partes eorum, eligant et eligere teneantur ante quam recedant sex bonos et sapientes homines, tres nobiles et tres populares; qui sex sapientes audiant, cognoscant et declarent, si de hoc orietur questio inter officiales dicti domini Imperatoris et aliquos qui dicerent se ianuenses vel vellent pro ianuensibus tractari, et cognoscant predictum et definiant auditis iuribus partium. Et Potestas Peyre teneatur ipsos sex compellere ad iurandum et exercendum dictum officium bene et legaliter et faciendum su-pradicta et infrascripta, et ipsos congregari facere ad dictum officium exercendum semper quando de hoc fuerit requisitus. Et si quem sex dictorum mori contigerit vel abesse vel aliter impediri, incontinenti predicti viginti quatuor vel tres partes eorum ut supra substituant aliquem loco illius mortui absentis vel impediti; et quod dicitur de uno intelligatur de pluribus, ita quod numerus dictorum sex semper ad ipsum officium exercendum sit completus; et si quem declarabunt esse ianuensem vel deffendi pro ianuensi, deinceps pro ianueUsi tractari debeat secundum formam conventionis, et si non declarabunt ipsum esse ianuensem, non tractetur vel habeatur pro ianuensi. Item quod Potestas Peyre qui est vel pro tempore fuerit, in principio sui regiminis teneatur preconizari facere per Peyram quod nulla persona ianuensis vel que pro ianuensi distinguatur, causa venandi vel alia de causa, presumat aliquod dampnum vel lesionem inferre in vineas viridaria et terras grecorum secularium vel religiosorum. Et si in aliquo contra fieret, teneatur Potestas compellere ct condempnare illum vel illos qui dampnum dedissent seu iniuriam aliquam irogassent secundum qualitatem dampni vel iniurie que irogata diceretur dampnificato seu iniuriam passo vel heredibus eorum secundum qualitatem iniurie ut dictum est. Si autem per ipsum Potestatem vel aliquem vel aliquos de familia sua aliquod predictorum fieret, teneatur Potestas ianuensis ad simplicem requisitionem seu denuntiationem cuiuslibet persone ipsum Potestatem Peyre punire et eius familiam secundum qualitatem iniurie, et ipsos compellere et condempnare ad restitutionem dampni passo — 11S — dampnum seu heredibus eius; et etiam ipse Potestas Peyre teneatur compellere et condempnare in dicto casu illos de familia si contingat ipsos aliquid committere in predictis. Tractat insuper quod nullus ianuensis vel qui pro ianuensi distinguatur presumat aliquam coniuracionem seu societatem contrahere ad componendum vel hedifficandum aliqua castra seu fortilicias in terris subditis domino Imperatori que possidentur per inimicos fidei christiane et in preiudicium Imperii sui, nec eciam ipsi ianuenses vel qui pro ianuensibus distinguuntur hedifficent vel hcdifficari faciant dictas fortilicias in dictis terris subditis ipso domino Imperatori, et in preiudicium ipsius, sub pena librarum mille ianuensium exigenda per dictum Potestatem si persona vel bona contrafacientis haberi poterunt. Item tractat dictum Consilium quod nullus ianuensis vel qui pro ianuensi distinguatur presumat de cctero aliquo modo hedifHcare seu hedifficari facere aliqua hedifficia super solo seu terra dicti domini Imperatoris extra lineam seu loca determinata et assignata ipsis ianuensibus ad domificandum et habitandum per ipsum dominum Imperatorem sine scientia et voluntate domini ffnperatoris predicti; et si quis ianuensis vel qui pro ianuensi distinguatuf aliquod hedifficium habet ultra predicta loca taliter in preterito tempore hedifficatum, de ipsis hedifficiis relinquatur arbitrio domini Imperatoris et Consilii dictorum sex sapientum de quibus dictum est. Et volens dictum Consilium Gubernatorum quod aliquis ianuensis (non) abutatur immunitatibus ianuensibus concessis, tractat et ordinat quod nullus ianuensis vel qui pro ianuensi distinguatur presumat deffendere vel expedire res merces seu mercaciones non ianuensium pro suis et tamquam sint res ianuensium, sub pena dupli tocius quantitatis que solvi deberet pro comerchio rerum seu mercium fraudatarum; et quod pena applicetur Comuni Janue, et nichilominus quod compellatur per dictum dominum Potestatem ad solvendum quidquid solvi deberet pro comerchio domini Imperatoris. Ad quorum inquisitionem teneatur Potestas Peyre qui nunc est et pro tempore fuerit ad requisitionem comerchiariorum dicti domini Imperatoris procedere cum effectu, et veritate inventa fraudantes condempnare ut supra; et etiam teneatur dictus Potestas in principio - ii9 — sui regiminis preconizari faceta quod nullus ianuensis vel qui prò ianuensi distinguatur presumat deffendere vel expedire aliquo colore fraudulenter submisso res merces et bona non ianuensium seu re-dencium ipsi domino Imperatori pro suis vel tamquam sicut res ianuensium sub pena predicta; et dictas penas teneatur Potestas exigere cum effectu. Et quod Potestas teneatur precipcre patronis navium galearum ct ceterorum lignorum vel scribis eorum qui aplicuerint in Peyram, quando de hoc per comerchiarios domini Imperatoris fuerit requisitus, quod ipsi sub certa pena dent in scriptis nunciis et comer-chiariis domini Imperatofis ad requisicionem eorum res et merces non ianuensium et hominum reddencium domino Imperatori et nomina eorum, ut dominus Imperator non fraudetur suo co-merchio. Item cum sit licitum ianuensibus tam in emendo quam in vendendo sive inter se sive cum extraneis quascumque res et merces ponderare et ponderari facere ad pondus et stateram ianuensium concessam per dominum Imperatorem; et ne aliqua fraus possit committi in preiudicium comerchii domini Imperatoris, tractat et ordinat quod ipsi ianuenses et qui pro ianuensibus distinguuntur (sive ipsi inter se emant et vendant, sive emant a non ianuensi sive vendant 11011 ianuensi) possint libere ponderare quascumque res et merces ad voluntatem ipsorum ad pondus et stateram ipsorum ianuensium concessam eisdem per dominum Imperatorem; tamen ne fraus aliqua committi possit contra comerchium domini Imperatoris, tractat ct ordinat dictum Consilium Gubernatorum quod ipse Potestas Peyre qui est et qui pro tempore fuerit sub certa pena precipere ponderatoribus debeat quod ipsi ponderatores notificent nunciis sive co-merchiariis dicti domini Imperatoris res et merces predictorum non ianuensium sive reddencium domino Imperatori que ponderate fuerint per ipsos ponderatores ad pondus ianuensium, ad hoc ut fraus aliqua committi non possit m comerchio domini Imperatoris, si de hoc fuerint requisiti. Non tamen possint dicti ponderatores nec alius pro eis sub certa pena ponderare aliquas res et merces emptas et venditas inter non ianuenses tam vendentes quam emgites reddentes ipsi domino Im- ♦ — 120 — peratori; et dicti ponderatores non possint ncc debeant accipere aliquod premium pro pondere a reddentibus domino Impelatoli. Item tractat quod aliquis Potestas qui de cetero fuerit in Peyra pro Comuni Janue non possit movere aliquam suam propriam causam contra dominum Imperatorem per totum tempus sui iegi-minis. Non tamen propterea intelligantur iura ipsorum in aliquo diminuta. Tractat etiam et ordinat quod nulla persona ianuensis seu que pro ianuensi distinguatur audeat nec presumat deferre seu defeiri facere in aliquo ligno proprio vel conducto seu naulizato aliquam quantitatem salis in portu Constantinopollfano seu in Peyram seu in aliquam terram subditam dicto domino Imperatori; et si contra-factum fuerit perdat et perdere debeat ipsum sal contrafaciens, nisi forte hoc accideret tempestate maris; et si causa tempestatis maris aliquod lignum ferens salem veniret usque Giro (i), statnn facta tranquillitate recedere teneatur ; si vero aliquam quantitatem satis exhoneraret seu venderet in dicto loco, quod eo casu non possit excusare sive defendi per tempestatem maris ; et salvo non obstanti quod sit licitum ianuensibus et qui pro ianuensibus distinguuntur defferre et defferri facere salem deversus occidentem inter mare maius faciendo transitum per mare Costantinopoli et Peyre, etiam ibi accipiendo portum, dummodo in dictis locis sive aliquo eorum seu in aliqua terra seu loco subdita sive subdito ipsi domino Imperatori de ipso sale nichil exhoneretur vel vendatur sub pena admissionis totius salis. Teneatur insuper Potestns Peyre iuramento ordinare et defendere sub certa pena quod aliquis ianuensis seu qui pro ianuensi distinguatur non presumat durante rebellione Varne et Asillo (2) defferre seu defferri facere aliquam quantitatem frumenti de dictis locis ad vendendum in civitate Constantinopolitana ; sed ad omnia alia loca possint ipsum frumentum defferre et vendere ad voluntatem suam. Item tractat et ordinat dictum Consilium Gubernatorum quod nulla persona ianuensis seu qui pro ianuensi distinguatur qui habeat lau- (1) Giro. La bocca del Mar Nero. Ved. otiti, X. 507, nota 2. (2) Asillo. Nell’ ^Atlante Luxor 0 è scritto Saxilla. Risponde all'antica Anchiolus, ora Akiouli o Akialu. Ved. lAtli, V. 244, num. 19. • dem reprensaliam seu pignoracionem contra aliquam universitatem civitatem communitatem regem baronem , seu singulares personas uti possit ipsa laude seu pignoracione in terris subditis ipsi domino Imperatori. Verum cum alias pro parte ambazatorum domini Imperatoris fuerit oblatum Comuni Janue ct etiam requisitum quod super questionibus ianuensium et grecorum in quibus ianuenses essent actores et greci essent rei deberent elligi et ordinari per ipsum dominum Imperatorem duo greci qiii ipsas questiones audirent et terminarent prout in ipsis obligationibus plenius continetur; tractat et ordinat dictum Consilium quod per Potestatem Peyre requiratur ab Imperatoria Maiestate quod dignetur et vellit elligere dictos duos bonos viros et sapientes, a quibus corporaliter dignetur exigere sacramentum secundum consuetudinem et rictum grecorum cum solempni-tatibus que haberi consueverunt in iuramento secundum rictum grecorum; qui duo dicto iuramento prestito locum ordinatum habeant ad quem ianuensibus et qui pro ianuensibus distinguuntur libere et semper horis debitis et consuetis pateat aditus ad iusticiam requirendam quum casus occurrerit questio oriatur inter ianuensem actorem et grecum reum seu subditum ipsi domino Imperatori; et quod sacramentum fiat per omnem modum per quem maior conscientia fiat dictis duobus ut melius cum Deo sententia feratur. Et ipsi duo sub dicto iuramento teneantur bene et legaliter dictas questiones deffinire terminare summarie de plano et sine strepito et figura iudicii et sine dillacione temporis. Si autem rationabiliter videretur Potestati Peyre qui est vel pro tempore fuerit ianuensibus per dictos sapientes duos non fieri modo vel tempore debito iusticie complementum, vel ipsos duos non subtiliter intellexisse questionem propter varietatem linguarum et ponta questionum inter ianuensem et qui pro ianuensi distinguatur et grecum, quod eo casu ipsi Potestati libere pateat aditus ad ipsum dominum Imperatorem pro ipsis dubiis declarandis et removendis; et si per ipsum dominum Imperatorem seu in eius presentila ipsa dubia seu questio fuerint terminata, perpetuam habeant firmitatem nec possint amplius revocari. Et predictum locum habeant in questionibus civilibus que moverentur ab aliquibus ianuensibus alicui greco seu singulari persona in questionibus que moverentur ipsi domino Imperatori seu aliquibus suis officialibus vel etiam aliquibus grecis occasione aliquarum depredacionum raubariarum vel malle-ficiorum , non intelligantur predictum locum habere, sed ipse dominus Imperator per potestatem Peyre adeatur et requiratur prout ipsi Potestati videbitur expedire. Et si contingeret aliquo casu Potestatem Peyre scribere Comuni Janue conquerendo de domino Imperatore, teneatur Potestas Peyre et scriba eius vinculo sacramenti petere in scriptis ab ipso domino Imperatore seu a duobus qui constituti essent ut supra singulariter vel coniunctim allegaciones et causas et excusaciones questiones (sic) de qua ipse Potestas Peyre sentiret se gravari et conquereretur Comum Janue; et predictas causas et excusaciones teneatur Potestas et scriba eius ut supra scribere Comuni Janue simul cum ipsa lamen-tacione quam faceret Janue de domino Imperatore, ut in omnibus veritas clareat ipsi Comuni Janue; et hoc si ipse dominus Imperator vel dicti duo seu alter eorum dictas excusaciones et allegaciones eisdem dederint seu dari fecerint infra dies octo ex quo ipsas re-quisiverint vel postea quandocumque darent vel dari facerent, dummodo non teneatur ipsas expectare ultra dies octo ex quo eas re-quisiverint ut supra. Testes vero quos recipi contingerit in causis predictis contra ianuenses vel qui pro ianuensibus distinguuntur, si greci fuerint et subditi dicto domino Imperatori, ante quam deponant iurent et iurare debeant secundum ritum grecorum cum solempnitatibus quas greci adhibere solent in sacramento, et omni modo in presencia actoris per quem maior conscientia fiat illis testibus producendis, de bene et legaliter dicendo veritatem tam pro greco quam pro ianuensi ut supra. Et aliter dictum eorum seu testimonium non recipiatur nec valeat; et predicta fiant ad hoc ut melius veritas eruatur. Item tractat et ordinat dictum Consilium quod Potestas Peyre qui nunc est teneatur presentem tractatum et ea que continentur in ipso ex quo sibi presentatus fuerit observare et observari facere non obstanti aliquo tractatu vel ordinamento hinc retro facto vel edito; et de hoc sibi speciales littere mittuntur pro parte Comunis. Item tractat et ordinat dictum Consilium quod Potestas Peyre — 1-23 — qui nunc est et pro tempore fuerit teneatur et debeat presentem tractatum in omnibus et singulis attendere et observare et attendi et observari facere sub pena a libris centum Janue usque in libras mille Janue arbitrio domini Potestatis Janue; ad quam exigendam teneatur Potestas Janue procedere cum effectu ad simplicem denun-ciacionem seu requisicionem cuiuslibet persone summarie et de plano, et sine libello et pignore bandi et qualibet figura iudicii, infra mensem unum ex quo sibi fuerit denunciatum. Et predicta omnia et singula que in presenti tractatu continentur durent et durare debeant usque ad annos proxime venturos et ab inde in antea nisi per dominum Imperatorem vel per Comune Janue fuerit revocatum. Ego Henricus de Castelliono notarius cancellarius Comunis Janue predictis omnibus interfui, et rogatus de mandato et auctoritate dicti Consilii Gubernatorum civitatis et Comunis in eorum actis publicis scripsi, et ex dictis actis ut supra in hanc publicam formam presens exemplum exemplavi et redegi mittendum domino Imperatori sigilli munimine Comunis Janue roboratum. Populus. Enricus de Castelliono. Archivio di Stato. Materie Politiche, mazzo IV; Sauli, II. 222. XV. 1335. Nell’atto che precede la trascrizione fattasi di quest’anno, addì 8 aprile, dei privilegi imperiali del 1304, si rammentano: « egregius vir Andalo de Mari honorabilis Potestas ianuensium in Imperio Romanie »; e « discretus et prudens vir dominus Luchinus de Petra rubea honorabilis Abbas Comunis et populi Peyre ». Liber Jurium , II. 440. — 124 — XVI. r35-> 6 maggi°- Con trattato di pace segnato in Costantinopoli, l’imperatore Giovanni Cantacuzeno conferma tutte le convenzioni già esistenti fra Genova e l’impero Greco, aggiungendo che debbano eziandio ritenersi per valide e ferme le convenzioni e la pace stipulata dai genovesi con Orcan bey. Rinnova la donazione di Galata « cum terreno prò ut fossatum tendit usque ad castrum sancte Crucis, et ultra dictum fossatum cubitus centum, infra quod non possit hedificium latinum vel grecum nec aliqua alia novitas fieri. Ita quod cubitus centum isti sint in facie incipiendo a capite Gallata usque ad castrum sancte Crucis recta linea et a castro sancte Crucis usque ad turrem Traverii ». — Se nei dominii imperiali avverrà alcuna rissa tra i catalani ed i veneti da una parte ed i genovesi dall’altra, i Capitani dell’impero sosterranno i rissanti e li deferiranno al Podestà di Pera se genovesi, al Bailo di Venezia se veneziani. — « Item extitit per pactum quod Imperium nostrum non debeat ponere vel accipere comerchium a greco qui emat mercimonia a ianuense; et si esset in conventionibus quod possit vel debeat recipere dictum comerchium, quod non accipiatur nisi accipiatur generaliter a nostris grecis ementibus ab aliis grecis mercimonia. Et similiter faciat Comune ianuensibus suis ementibus mercimonia a grecis. Item extitit per pactum quod si aliquis grecus vendiderit in Peyra vel in burgis vinum, quod comerchium impositum secundum ordinationem sindicorum Comunis Janue huiusmodi grecus debeat solvere prout alii ianuenses; et similiter comercharii Imperii nostri colligant et accipiant impositum per nos comerchium a ianuensibus vinum vendentibus in Constantinopoli prout ab aliis grecis. Et predicta locum habeant durante guerra catalanorum et venetorum cum ianuensibus vel quousque comerchium vini esset disobbligatum si pignoraretur occasione dicte guerre. Item extitit per pactum quod si casus accideret, quod absit, quod videretur Imperio nostro quod per ianuenses esset factum vel operatum contra pacem, taliter quod intenderet Imperium nostrum movere vel habere guer- - 125 — ram cum ianuensibus, tunc intelligatur vinculo iuramenti per suum certum nuncium et specialem ad Potestatem Peyre denunciare eidem et protestari de predictis ut a die qua hoc fecerit usque ad octo menses tunc proxime venturos non possit, non obstantibus predictis, fieri aliqua offensio inter partes aliqua occaxione vel modo. Et similiter si Potestati Peyre videretur quod per Imperium nostrum et grecos suos contraveniretur paci predicte, teneatur Potestas illud idem similiter ut supra dictum est et protestari et denunciare Imperio nostro; nec possint dicte partes similiter usque ad octo menses tunc proxime, venturos facere aliquas offensas; quibus octo mensibus elapsis, dicte partes sint et esse debeant in eorum libertate non obstante dicta pace........ » Item extitit per pactum et promissum, quod aliquis ianuensis non possit emere aliquas possessiones, velJ terras, seu vineas ab aliquo greco, nisi de mandato Imperii nostri ; et si aliquis ianuensis emeret sine mandato Imperii nostri, amittat precium dicte possessionis. Item quod debita que sunt inter grecos et ianuenses sint in eo statu et iure quibus erant ante guerrgm, excepto quod si aliqua pervenissent in vestiario Imperii nostri vel in Comuni Janue vel Peyre, illa talia restitui non debeant ». Sauli, II. 217; Lib. Jur., II. 601. XVII. 1356, 21 marzo. Lettera della Signoria di Genova ad Orcan bey sulla pace conclusa coll’imperatore Cantacuzeno, e su alcuni particolari concernenti Filippo Demerode e Bonifacio de Saulo borghesi di Pera. A laoto e magnifico e possente segnor honoreyve frae nostro e de lo honorao Comun de Zenoa, messer Orcham, grande ami-raio de la Turchia, lo quar lo Segnor Dee lo mantegna in grande honor et possanza sicomo voi dexirai. Noi recevemo le vostre lettere faite in Nichia a dì vinti de lo meise passao de Setembre, per le quae lettere noi vimo e cognoscemo la vostra sanitae e lo bon stao; de le quar cosse noi avemo grande alegreza sicomo de nostro frai e chi è sta© payre de li nostri de Peyra, e speremo — 126 — che cossi serei da chi avanti. E si pregemo lo Segnor Dee chi ha faito lo Ce e la terra che elio ve guarde e ve defenda; e etiamde vimo lo bon amor e piazer de la nostra paxe, de che noi ve re-feramo grada, e si senio apareiai a tuto lo vostro piaxer e honor lo quar è nostro proprio. Ancor se inteisemo in quella vostra le-tera de lo servixo de Filipo Demerode e Bonifacio da Sori ser-vioi e amixi vostri; e però ancor che se contra honor e beni de • • lo nostro Comun e dano grande zo che elli voren, noi si conio quelli che semo a tuti li vostri piaxer et servixi apareiai, si man-demo comandando a li nostri dè Peyra chi fazam la dieta franchexa a quelli Filipo et Bonifatio corno voi comandai ; si che la dieta francheza sera faita per lo vostro amor e per lo vostro honor. Noi ve pregenio che voi ne mandei de le vostre letere e de lo Nostro bom stao. E si v^ recomandemo li nostri de Peyra che sum vostri figi e servioi e veraxi. Lo Segnor De si ve guarde aora e sempre. Per parte de noi Luchin de lo Vermo capitanio e logo tenente in la citae de Zenoa,per li grandi e magnifichi Segnoi de Miram, de Zenoa e de tuta la Lombardia, e lo Conseio de li doze Antiam de la dieta citae de Zenoa. Data in Zenoa, m ccc lvi , die xxi marcii. Lobero, Memorie sulla ‘Banca di San Giorgio, pag. 22; Arch. di San gio, 7\egulae Comperarum Capituli, cod. membr. num. 5, car. 3°>- XVIII. 1356, 21 marzo. Lettera della Signoria di Genova al Podestà di Pera, per la concessione della fran-chigia ai suddetti borghesi. Luchinus de Verme capitaneus et locum tenens in civitate Janue et districtu pro magnificis et excelsis dominis Dominis Mediolani, Janue etc., et Consilium Antianorum civitatis eiusdem. Providis et discretis viris Lanzaroto de Castro Potestati nostro Peyre et Imperii Romanie, ac Jacobo Carpeneto et Octobono de Nigro sindicis et sindicatoribus nostris in partibus orientalibus. — 127 — Nobis, vobis ac omnibus ianuensibus est notorium et m.mife-stum quantum favorem, quantam utilitatem et quantum bonum et gratias habuimus a domino Orchano amirato Turchie ad destructionem et mortem tam venetorum quam grecorum tempore guerre nostre; et inter alia vicia que Deo et hominibus odiosa sunt vitium ingratitudinis tenet locum. Cum autem pro parte ipsius domini Or-chani fuerit Commune Janue requisitum tam tempore domini Johannis de Valente (i) quam moderno, et modo de novo ipse dominus Orchanus nobis scripserit per suas litteras speciales quod pro suo amore et honore velemus facere Philipum Delomede et Bonifatium de Sauro burgenses Peyre liberos et franchos tamquam ille qui pulsatus est ab eis. Nos autem facto consilio de hoc, et deliberatione habita, quamquam durum, grave et damnosum omnibus exi-stat facere concessionem dicte immunitatis; actamen, consideratis servitiis et meritis dicti Orchani, recordantes quod proverbialiter dici solet chi no da de %o che dol no ha de %o che voi, deliberamus et deliberavimus quod dicta gratia fiat et concedatur , et sic respondimus dicto domino Orchano, sed tamen sub certa forma et non in generalitate, quia sub eorum colore et cum fictis palia-tionibus aliena bona mercarentur per eos; et propterea vobis committimus et mandamus quatenus caute, secrete et sapienter inquiratis conditionem, facultatem et quantitatem monete quas ipsi Phi-lipus et Bonifatius habent vel habere creditur de proprio eorum et non alieno; et secundum quod ipsos reperieritis habere, et pro tanta quantitate, faciatis eos et tractetis liberos et franchos et im-munes quantum a nostris comerchiis et introytibus Comunis Janue, et sic per nos est terminatum. Et si vobis videtur loqui et conferre de hoc cum Officio Mercantie vel Gazarie vel aliis Consiliis Peyre, vel etiam aliis personis bonis et conscientie pro maiori vestra informatione hoc faciatis ; et hoc vobis duximus committendum semper illa ducentes et tractantes secrete pro ut vobis videbitur faciendum. Data Janue, mccclvi, die xxi marcii. Cod. cit., car. 305. (1) Giovanni Valente ebbe il Dogato dal 1350 al 1353. <* — 128 — XIX. r5)6> 5 novembre. A seguito delle Istruzioni contenute nella ettera su riferita, il Podestà ed i Sindaci sovra detti assunte diligenti informazioni dalle quali risulta che il Demelode dispone di una somma superiore ad ottomila perperi d’oro, concedono al me-esimo la richiesta franchigia sino alla concorrenza della citata somma, uanto a Bonifacio de Saulo, del quale non hanno potuto accertare a ortuna, il dichiarano franco sempre che provi come il denaro impiegato nelle operazioni da lui imprese sia di sua proprietà. — atto è rogato dal cancelliere Bartolomeo Bracelli « in pontili sive °Dieta Comunis Palatii in quo moratur dictus dominus Potestas . . ., presentibus domino Anthonio de Oddonibus de Vultabio, vicario icti domini Potestatis, Dominico Marihono burgensi Peyre ». Cod. cit., car. 305. XX. p^’ :>0 ott°kre. « Bartholomeus Rubeus, Potestas ianuensium eyra et Imperio Romanie », pronunzia la conferma della detta eii&ia, « viso quodam consilio celebrato per dominum Jacobum um olim Potestatem Peyre... successorem dicti domini Lan-([de Castro)...t hoc anno xx ianuarii ». — Fra i testimoni V' e^! 3^a Pronunc^a si citano « dominus Luchinus de Pinu _ ^ bas populi Peyre » e « Meliadux Tavanus miles dicti domini Potestatis ». C°d. cit., car. 305-306. XXI. 1358, 20 novembre. Nuova conferma della suddetta franchigia per parte del doge Simone Boccanegra e del Consiglio degli An ziani di Genova. — Si accennano anche le cause per le quali essa — 129 — venne giù conceduta; ed eccone i termini precisi. « Attendentes nil utilius, nil honestius, nichilque magis debitum esse quam beneme-ritis in premium gratiose concessa non subtrahi, quinymmo fa\ciribus et opportunis roboribus conservari et intensius quantum sine preiudicio Comunis Janue potest fieri augumentare; recollentes grata et magnifica servitia per viros providos Philippum Delome e et Bonifatium de Saulo burgenses civitatis Peyre exhibita circa ineundum concordium inter Comune Janue seu egregium virum dominum Paganum de Auria tunc amiratum exercitus Comunis Janue transmissi de Janua in partibus Romanie et magnificum dominum Orcambech magnum amiratum. Turchie, cuius concordie occasione fuit ipse dominus Orcambech eiusque potentia contra venetos, catalanos et grecos tunc Comunis Janue inimicos mortales per dictos Philippum et Bonifatium favorabiliter provocata, ex quo quanta salus quantusque robur Comuni Janue et ianuensi nationi additus fuerit ianuensem neminem latet.....ipsas immunitates et gratias ... approbaverunt, confirmaverunt » etc. Cod. cit., car. 303. XXII. ^ 1361, 12 aprile. Il Doge e gli Anziani, cedendo alle istanze dei Protettori delle Compere del Capitolo e udito il parere del Collegio dei Giudici, pel quale si dimostra la concessione come sopra fatta essere illegale e di troppo grave pregiudizio al Comune, sentenziano a supradictam immunitatem franchisiam et privilegium non valere nec tenere, et non valuisse nec tenuisse ». Cod. cit., car. 307. XXIII. 1366-67. Notizie riguardanti Pera, estratte dal conto del Tesoriere di Amedeo VI di Savoia. 1366, 12 septembris. Libravit Johannoto camerario Domini (Comitis) pro dandis quibusdam marineriis cuiusdam galee Janue, supra Atti Soc. Lig. St. Patria, Voi, XIII, Fase. 1. „ — 130 — quam ivit Dominus de Constantinopoli apud Peram ad sepulturam Girardi Marescalci, florenos boni ponderis m. Libravit pro dandis quatuor valletis qui Domino presentaverunt equos datos per Potestatem Pere, flor. b. p. iv. Libravit pro precio quatuor viginti et unius torchiarum cere, ponderantium viginti quatuor libras, singulis decem libris unum floie-num ; et fuerunt oblate ad sepulturam Domini Sancti A11101 is, domini Rolandi de Vayssie, domini Johannis de Verdone et Giiaidi Marescalci, flor. b. p. xxxri. Libravit apud Tisopuli, die xvn octobris, patronis galearum Janue infrascriptorum in exoneratione stipendiorum suorum etc., fl. b. p. dc. Et primo domino Ectori Vincencio patrono unius dictarum galearum manu Dominici Pancie scriptoris dicte galee, Paulo Justiniano, Lanfranco Pancie, Octobono de Groppo, Marco de Ca-nava, Ysnardo de Goarco patrono galee domini Johannis de Magneiii. 1367. Libravit apud Mesembriam de mandato Domini, die xxii februarii, domino Dominico Veyrolii de Pera patrono unius galee Domini etc., pro remanencia stipendiorum suorum, peipe-ros cccclxxxiii. Libravit apud Lorfeval, die vi mensis aprilis, de mandato Domini de Grandisson cuidam famulo misso apud Peram et Constantino-polim per terram, cum litteris Domini que dirigebantur Potestati Pere etc., flor. b. p. xxxv. Libravit etc. in sepultura domini Francisci de Lucingio facta in ecclesia fratrum minorum perperos ponderis Pere ir. Libravit apud Peram pro sepultura Johannis de Bella-villa coci Domini quondam, qui obiit apud Constantinopolim die xv aprilis, et fuit dicta sepultura in ecclesia fratrum minorum, flor. b. p. xl. Libravit die vn maii fratri Petro confessori Domini, quos Dominus manu sua donavit in helemosinam quibusdam sacerdotibus pro certa quantitate missarum quas Dominus iussit celebrari, perperos auri ponderis Pere vi. Libravit Angelo de Dyano patrono cuiusdam navis supra quam plures de familia Domini et de brigandis Mediolani portantur de Pera apud Venecias, perperos auri ponderis Pere cc. Libravit pro sepultura etc. Derame scutiferi Domini, qui obiit — i3i — apud Peram in mense maii nuper elapsum, et ipsum seppellir! fecit Dominus in ecclesia fratrum minorum dicti loci etc., perperos dicti ponderis xc. Libravit die octava iunii uxori Marci de Eynaudo condam, in cuius domo Dominus fuit hospitatus in suburbiis Pere, ex dono sibi facto per Dominum, liiii perperos auri ponderis Pere. Libravit pluribus brigandis et marineriis qui portaverunt ligna et paleas subtus turrim castri vocati de Eveacossia die xiv maii, qua die Dominus ipsum invadebat, inclusis duobus florenis datis de mandato Domini Georgio Socico de Pera qui missus est portare banderiam Domini supra turrim dicti castri illis qui in dicta turri existebant debellando etc., flor. b. p. xim. Datta, Spedizione in Oriente di Amedeo VI Conte di Savoia , pag. 188, 191» 196. aoi, 205. XXIV. 1376, 23 agosto. Andronico figlio ribelle dell’imperatore Giovanni I Paleologo dona ai genovesi l’isola di Tenedo, giusta gli accordi stipulati « cum Potestate Peyre, vidclicet domino Bartholomeo Pindebem de Vernacia capitaneo galearum ianuensium... et cum massariis existentibus in Peyra prò Comune lanue domino Cosma Squarsafico, domino Nicolao de Marco, domino Johanne Dentuto a. Liber Jurium, II. 819. XXV. 1379, 29 settembre. Narrazione ili una battaglia vinta dai genovesi per la prudenza del Pòdestà di Pera ed il valore di Nicolò De Marco, il quale in ricompensa è fatto esente dai pubblici aggravi, essendogli anche decretata 1’ annua pensione di cento perperi. Eoque anno dum intra ianuenses, et hos ipsorum emulos venetos, grecos, teucros, burgaros et alios orientales legi christiane contrarios, inimicitie vigerent et bella, ianuenses de Peyra illis resistebant ut poterant, dum eo loco Potestas et Preses foret vir P .. ~ uc*anus de Nigro, et cum ipso gubernatores atque consigli Raffus Griffiotus et Elianus de Camilla. Connexus tunc ianuensibus erat Andronicus filius Kaloianis grecorum imperatoris, P ^ -, em |^a^°*cUKS adversaretur nostratibus. Erant et eo tempore ) ^ ico e a eisdem eorum adversariis per mare et per terram . ’ ^U° ^idem magna victualium vexabantur inedia. Fuit igitur nno ipso eorum de Peyra terra marique ductor et capitaneus con- , S M1 stluluus Nicolaus de Marco Janue civis ex vocatis de pu o sua prudentia suaque inspecta virtute. Et dum esset Peyre, St cymbe quedam recedebant victualibus onerate Con-antinopohm deferende, idem Nicolaus misit galeam unam nocte y as i as capei et; sed non potuit sic occultum id ipsum decerni, 9 » eorum Imperator sentiret. Habens igitur ipse Imperator ga- i ' n armatam remis tribus pro singulo scamno, et homini-,• . tls aut pluribus, galeotas insuper duas, quarum erant in una 11 ^U0 et *n a^a nonaginta sex, cum navigiis octo que pali-. . 'usares appellant, et multis aliis parvis scaffis, ea de-Y . rmata \asa ut premissam subigerent ianuensem galeam. , fSC ^aP*taneus id sciens, in ortu solis die vigesima nona P ns repente feeit aliam Peyre armari galeam, que nobilis otestatis et Consilii opere fulcita fuit antequam decurrerent s, alistis, mercatoribus et civibus Janue ferme lxv, et nautis ^ . . CXX 0PP0ltunisque aliis cum duabus exiliis scaffis que bri-, . lLUntLH- Par\e quidem erant ipse due scaffe, cum quibus g‘ ipsa navigans Capitaneus die premissa intra horam tertiam et i- ^ostes lepcrit; quos cum distaret a teucrorum litoribus i mm baliste iactum, prope locum qui Calonisii dicitur iuxta i . Pohm, aggressus est. Duravit prelium fere per unius et ^ 1Um’ ^uo tandem cum audacter et strenue ipse Nicolaus jj- mitiva pugnassent, nam pre aliis insultibus ascenderunt Can> ratCS ^recorum galeam, in qua secunda vice fuit idem probus Gen't ' ' S S0CUndus ascendens, in Dei nomine et sue beatissime beati cr i IUI]nP^antisque ianuensium vexilliferi sancti Georgii, et festum1 adlS Peyre Protectoris et patroni, cuius erat 16 lpSa’ lanuenses galeam grossam grecorum ceperunt cum — :33 — viris trecentis, que galee eiusdem Capitanei fuerat alligata pro bello. Cetera emulorum fugere navigia Peyram. Igitur ipsa die in vesperis captionem suam nostrales dixerunt. Unde Omnipotenti gratie relate sunt, ct fuit inde non parva concepta letitia, cum hostes si non fuissent ita confracti ianuensem galeam alteram subegissent et intulissent alia Peyre dispendia. Aspicientes ideo ipsi Imperator et teucri ianuensium corde et actibus magnum robur, anno ipso cum ianuensi natione contra voluntatem venetorum, quibus federe iuncti erant, venerunt ad pacem. Cernentes ergo premissus Lucianus Potestas et alii Peyre indigene audacis et probi capitanei Nicolai de Marco valorem laudarunt valde, quatenus ipsi circumspecto Nicolao, ut exigebat actio, et in futurum esset exemplar, retributio conveniens assignaretur. Statuerunt igitur ut idem Nicolaus, quamdiu vixerit, immunis et exemptus habeatur ab omni publica collectione et vectigalibus Peyre vestium eius et victu occasione ; insuper quod anno singulo, dum vita fuerit eidem, a Republica Peyre suscipiat eum pecunie numerum quem ipso stantes loco perperos centum ad Peyre sagium nominant, ut de immunitate ipsius Nicolai capitanei bene- ' meriti in publica forma mihi presentato decreto manu signato Bar-tholomei de Castelliono notarii mihi patuit contineri. Georgii Stellae 'Annales ianuenses, apud Muratori S. R. 1., XVII. 1115. XXVI. 1382, 2 novembre. Convenzione degli imperatori Giovanni I Paleologo, Andronico suo figlio e Giovanni suo nipote col Podestà di Pera e gli ambasciatori di Genova. In nomine Domini amen. Serenissimus princeps et dominus dominus Johannes Paleologus in Christo Deo fidelis imperator et moderator romeorum ex una parte, et nobiles et egregii viri dominus Laurentius Gentilis honorabilis potestas Peyre et ianuensium in Imperio Romanie, et dominus Petrus Lercharius et dominus Julianus de Chastro, ambassatores sindici et procuratores illustris et excelsi domini domini Nicolai de Goarcho Dei gratia ianuensium Ducis et populi defensoris, Consilii sui et felicis Comunis Janue, ut de eorum — 134 — sindichatu procuratione et bailia apparet per publicum instrumentum Janue rogatum manu Raffaelis de Casanova notarii et canselarii Comunis Janue, anno Dominice Nativitatis millesimo ccc lxxx secundo, die trigesima aprilis, indictione quarta secundum cursum ianuensium, habentes ad infrascripta ct alia peragenda plenam et largam potestatem et bailiam a prefactis domino Duce Consilio ct Comune Janue vigore dicti instrumenti, nomine et vice prefato-rum domini Ducis Consilii et Comunis Janue, ex altera parte; advertentes quemadmodum post pacem factam inter dictum dominum imperatorem Johannem ex una parte et dominum imperatorem Andronichum eius filium ex altera parte alique suspeciones et du-bitaciones remanserunt in cordibus eorum; et volentes ipsas sendare tolere et extraere de dictis eorum cordibus, ut ipsi possint vivere pacifice et quiete et in bona pace et amore, pervenerunt, ad infra scripta compoxicionem et concordium ct pacta infra scripta, sub modis formis et condicionibus infrascriptis Deo propicio perpetuo duraturam et duraturas. Videlicet quod dictus dominus imperator Johannes promisit et convenit per presens publicum instrumentum dictis dominis Potestati et ambassatoribus, nomine et vice dicti Comunis Janue, quod in vita ipsius nunquam palam guerram faciet per se solum cum eius gentibus et subditis, vel cum aliqua alia persona vel personis, seu cum aliqua progenie cuiuscumque nacionis existat que fuerit in dicta guerra cum ipso contra dictum dominum imperatorem Andronichum eius filium, nec contra dominum imperatorem Johannem filium ipsius domini imperatoris Andronici, nec contra terras castra seu locha ipsorum vel alterius eorum quas et que nunc habent et tenent et de cetero habebunt ; nec capiet seu rapiet seu capi vel rapi faciet ab ipsis dominis imperatoribus Andronicho et eius filio vel altero eorum vel aliquo ex suis aliquo quovis modo castrum aliquod seu lochum aliquem, terram vel for-tiliciam ipsorum vel alterius eorum, ipsis dominis imperatoribus Andronicho et eius filio et utroque eorum observantibus omnia ct singula in presenti instrumento contenta. Et si contigerit aliquem ex subditis dicti domini imperatoris Johannis et dictorum dominorum imperatorum Andronici et Johannis eius filii vel alicuius eorum, vel aliquam aliam personam extraneam, capere castrum ali- - *35 — quod locuin vel fortiliciam dictorum dominorum imperatorum Andronici et Johannis eius filii vel alterius eorum, preter Moratbey et suos turchos qui illud castrum locum vel fortiliciam caperent de voluntate dicti Morabey. Promittit etiam dictus dominus imperator Johannes tunc et in dicto casu guerram facere una cum dicto filio suo domino Imperatore Andronicho et dicto domino imperatore Johanne eius nepote contra predictum qui acceperit predictum locum castrum vel fortiliciam, salvo contra dictum Morabey ct suos turchos predictos qui hoc chommiterent de voluntate dicti Morabey, ut per hoc cognoschatur dictam capcionem factam non esse de voluntate dicti domini imperatoris Johannis. Item promissit et convenit dictus dominus imperator Johannes dictis domino Potestati et ambasiatoribus recipientibus nomine Comunis Janue quod si contigerit in vita ipsius domini imperatoris Johannis patris predictum dominum imperatorem Andronicum dampnificari per aliquam progeniem cuiuscumque nacionis existat et de reditibus et introitibus suis dictorum locorum sive castrorum et terrarum stante et perseverante predicto domino imperatore Andronicho cum suis hominibus et subditis eius pacifice amichabiliter et fideliter cum dicto eius patre domino Johanne, et iuvante et defendente cum toto suo posse dictum dominum Imperatorem patrem suum eiusque Imperium terras et locha dicti Imperii, et intrante et accipiente guerram contra dictam progeniem cum consiencia voluntate et consilio dicti domini imperatoris Johannis patris sui, tunc et in dicto casu ipse dominus imperator Johannes suchuret subveniet et iuvabit dictum dominum imperatorem Andronichum filium suum, tamquam filium suum heredem et successorem Imperii, ac si inter ipsos schandalum seu schandala exorta non fuissent. Versa vice supradicti domini Laurentius Potestas ambasatores et sindici dictis nominibus afirmantes omnia et singulla suprascripta promiserunt et convenerunt dicto domino imperatori Johanni presenti stipulanti et recipienti quod si contigerit, quod absit, dictos dominos imperatores Andronicum et Johannem eius filius vel alterum eorum in vita dicti domini imperatoris Johannis patris et avi eorum pallam guerram facere per se solos cum eorum gentibus et subditis, vel cum aliqua alia persona vel personis, seu cum aliqua progenie cuiuscumque nacionis existat — 13 6 — que tunc luerit in dicta guerra cum ipsis vel altero eorum contra ipsum patrem et avum eorum eiusque Imperium terras locha et castra ipsius que et quas nunc habet et tenet vel de cetero habebit et tenebit, vel capere seu rapere vel capi seu rapi facere aliquo quovis modo castrum terram locum seu fortiliciam ipsius imperatoris Johannis patris, observante ipso domino imperatore Johanne omnia et singulla in presenti instrumento contenta, facere et curare ita et taliter cum effectu in dicto casu quod omnes et singulli ianuenses subditi do-minacioni Comunis Janue qui tunc temporibus fuerint et esse re-pererint in Peyra et Imperio Romanie et terris et locis dicti Imperii iuvabunt et defendent toto eorum posse ipsum dominum imperatorem Johannem, Imperium suum, terras castra et loca ipsius Imperii fideliter in illis locis et terris dicti Imperii in quibus dicti ianuenses se reperuerint; intellecto quod illi ianuenses qui fue-rint tunc in Peyra et in Chonstantinopolli iuvare et defendere teneantur in Chostantinopolli et partibus chostantinopollitanis toto eorum posse contra dictos dominos imperatorem Andronichum et imperatorem Johannem eius filium, gentes et subditos eorum, et omnes et singulos qui cum eis fuerint in dicta guerra; et guerram apertam a ebunt dicti ianuenses et preliabuntur contra suprascriptos tamquam contra inimicos Comunis. Et si contigerit aliquem ex subditis icto.um dominorum imperatorum Andronici et Johannis eius filii, s^e eciam dicti domini imperatoris Johannis patris et avii eorum, aliquam aliam personam extraneam, capere castrum aliquod cum \el fortiliciam eiusdem domini imperatoris Johannis patris ipsorum, preter dictum Morat bey et turchos suos qui illud niterent de voluntate dicti Morat bey, tunc et eo casu promi-unt et convenerunt dicti domini Potestas et ambasiatores dictis nibus facere et curare cum effectu toto eorum posse quod s dominus imperator Andronichus et dictus eius filius guerram _o^nt Una Cum dicto domino imperatore Johanne patre et avo eorum ... . Predictum qui acceperit castrum predictum terram seu for- • sa '° contla Morat bey et suos turchos qui hoc chomi-canri . vo untate dicti Morat bey, ut per hoc chognoschatur dictam ratork A ,aCUm non esse de voluntate dictorum dominorum impe-dromci et imperatoris Johannis eius filii, vel alterius eorum. ! — 137 — Item fuit actum et conventum inter dictas partes quod si contigerit in vita ipsius domini imperatoris Johannis prefatum dominum imperatorem Johannem eius nepotem sine dicto domino imperatore Andronicho eius patre pro se solo cum gentibus et subditis suis vel cum aliqua persona seu personis vel cum aliqua progenie cu-v iuscumque nacionis existant que tunc fuerit, cum ipso facere et habere guerram apertam contra dictum dominum imperatorem Johannem avum suum eiusque Imperium terras et loca dicti sui Imperii, dicto domino imperatore Johanne avo suo observante omnia et singulla in presenti instrumento contenta, tunc et eo casu promiserunt et convenerunt dicti domini Potestas et ambasiatores nomine dicti Comunis Janue facere et curare ita et taliter cum effecfu quod dictus dominus imperator Andronichus una cum ianuensibus superius dictis iuvabit et defendet toto suo posse dictum dominum Imperatorem patrem suum eiusque Imperium terras et loca dicti Imperii contra dictum dominum imperatorem Johannem eius filium et contra omnes et singulos qui cum eo fuerint in dicta guerra, et guerram facient et habebunt contra ipsos tamquam contra innimicos proprios. Quod si facere rechussaverit idem dominus imperator Andronichus, tunc et eo casu omnes et singulli ianuenses qui tunc temporis fuerint et reperientur in Peyra et in Imperio habebunt guerram apertam contra dictum dominum imperatorem Andronichum et dominum imperatorem Johannem eius filium et suos et omnes qui cum eo et eis fuerint, et contra ipsos preliabuntur tamquam contra innimichos Comunis. Item fuit actum conventum inter dictas partes dictis nominibus quod si contigerit in vita dicti domini imperatoris Johannis dictum dominum imperatorem Andronichum eius natum sine dicto domino imperatore Johanne eius filio facere guerram apertam per se solum cum gentibus et subditis suis vel cum aliqua alia persona seu personis vel cum aliqua progenie cuiuscumque nacionis existant que cum eo fuerint indicta guerra contra predictum dominum imperatorem Johannem patrem suum eiusque Imperium terras castra et loca dicti Imperii, observante dicto domino imperatore Johanne omnia et singulla in presenti instrumento contenta, tunc et eo casu promittunt et conveniunt dicti domini Potestas et ambasiatores nomine dicti Comunis facere et cura ireta et taliter cum effectu quod dictus dominus imperator Johannes filius dicti domini imperatoris Andronici dicet et demonstrabit manifeste predicta fieri per dictum eius patrem contra ipsius voluntatem et consensum et guerram fiiciet contra predictum.... (i) Ht ibit una cum suprascriptis ianuensibus contra dictum eius patrem et omnes suos et omnes et singulos qui cum eo fuerint, semper et quandocumque videbitur dicto domino imperatori Johanni eius avo et Potestati et Consilio qui tunc fuerit in Peyra pro dicto Comune, et in dicto casu teneatur et debeat dictus dominus imperator Johannes eo quod dictus dominus imperator Johannes cius nepos tunc fuerit et erit divisus a dicto domino imperatore Andronicho eius patre et ab eo non habebit promixionem aliquam eidem nepoti suo subvenire et providere tamquam suo nepoti et heredi et successori Impelli ac si schandala aliqua inter eos non unquam exorta fuissent. Item fuit actum et conventum inter dictas partes quod si dictus dominus imperator Johannes non observabit et attendet omnia et singula supra scripta per ipsum ut supra promissa modo et forma quibus promisit, tunc et eo casu omnia et singula suprascripta promissa et conventa per dictos dominos Potestatem et ambasatores dicto domino imperatori Johanni ut supra sint chassa irita ct nullius valoris, et de predictis eidem domino imperatori Johanni in ni chilo teneantur dicti domini Potestas et ambasiatores dicto nomine seu dictum Comune Janue et ianuenses ; quinimo si ianuenses qui tunc fuerint et reperirentur in Peyra et in partibus Romanie voluerint, habeant libertatem bailiam guerram faciendi et pre liandi contra dictum dominum imperatorem Johannem et Impe rium suum et omnes suos et omnes qui cum eo fuerint tamquam contra innimicos Comunis. Insuper dicte partes dictis nominibus ra tifichaverunt approbaverunt et confirmaverunt, et ratifichant et apro bant omnes et singulas convenciones novas et veteres vigentes intcr Imperium predictum et Comune Janue, et omnia et singulla in ipsis et qualibet earum contenta et anotata, salvis semper et reservatis omnibus pactis et promissionibus supra scriptis; que pacta et promis siones suprascripte attendi et observari debeant per ipsas partes, non (l) Guasto per un terzo Ji linea. — 139 — obstantibus convencionibus novis ct veteribus predictis vel aliqua carum eisdem pactis et promissionibus suprascriptis. Que omnia et singulla suprascripta prefatus dominus imperator Johannes ex una parte et suprascripti domini Potestas ambasiatores et sindici nomine et vice prefatorum domini Ducis Consilii sui et tocius Comunis Janue cx altera promiserunt sibi ad invicem et iuraverunt ad sancta Dei evangelia et per sanctam et vivificantem Crucem et per beatam Virginem Mariam et per omnes sanctos, corporaliter tacta imagine domini nostri Jhesus Christi, perpetuo rata et firma habere et tenere, eaque omnia attendere et observare et contra non facere vel venire aliqua racione occasione vel causa. Actum Chostantinopolli in Palacio Imperiali nunchupato Porfirogenito, in chamera cubiculari prefati domini imperatoris Johannis, anno a constitucione mundi sexto mileno octavo centeno nonagessimo primo, indictione sexta secundum cursum grechorum; secundum vero ritum ianuensium anno Dominice Nativitatis millesimo ccc lxxx secundo, indicione quinta secundum cursum ianuensium, die secunda novembris paulo post vesperas; presentibus testibus dominis Alecsio Chavalari, Thoma Alusiano, Georgio Godelli, Chostantino Tricha, Theodoro Chonoxio et Di-mitri Kaloda, omnibus grecis de Chostantinopolli, Manuele de Guerris, Stefano Pinello civibus ianuensibus, Todischo Pastecha, Cunradus Donatus burgensis Peyre, ac Bartolomeo Vilanucio notario interprete Comunis in Peyra. ■f- Johannes de Alegro Sacri Imperii notarius hiis omnibus interfui eaque de mandato prefatorum dominorum Imperatoris Potestatis ct ambasiatorum scripsi, testatus fui et publichavi, et signum instrumentorum meorum aposui consueptum in testimonium omnium premissorum, ipsumque instrumentum sigilo magno Comunis Peyre "in eira verde pendente mognimine roboratum tradidi mandato prefatorum dominorum Potestatis et ambasiatorum. N Noveritis quod non solum non fuerunt suprascripta observata, sed predictus imperator dominus Andronichus accepit unum castrum et dominus Imperator exivit foras causa defendendi terram suam, et ille ivit et venit contra patrem suum dominum Imperatorem cum toto posse suo, et Deus servavit dominum Imperatorem a furore — 140 — et mala intendono lìlii sui. Potestates Peyre. fuerunt ibidem que-rentes pacem .... (1) ipsi ostendebant; ipsl vero erant pio alia parte tantum. Item nepos meus de voluntate patris sui ivit ad tur-clias et petebat castrum.....Item post mortem imperatoris domini Andronici exaltaverunt ct fecerunt laudem nepoti meo in Peyra. Hoc autem fecerunt illi tres Potestates qui tunc erant. Pece-runt autem causa reobandi ct schandalizandi partes istas, quod fiicei e non debebant levare laudem nepoti nostro sine voluntate grechorum .....ecclesie ipsorum. Ego autem rediens de exercitu, transivi per Peyram per mare et mihi non levaverunt laudem nec fecerunt illa que erant consueti facere. Item (2) .... trium Potestatum invenimus aliquos ianuenses proditores contra vitam nostram, et nulla punicio facta fuit. Similiter invenimus, tempore potestatis Eliani (5) de Chamila aliam prodicionem contra vitam nostram; et facta est exa-minacio palam Vicario Peyre ipsius Potestatis Anthonio de Via, Johanni de Monleono, Janoto .... Branche Spinolle et Luchino de Draperiis et Bartholomeo Vilanucio notario et interprete Cuiie Peyre; de quibus prodicionibus nula punicio facta est et confessio fac......magnifestissima coram eis per predictos malefactores ac prodictores. Archivio di Stato. Materie politiche, mazzo X; Sauli, II- 260. XXVII. lisce ^ .Ar—odi Genova, compiendo all’incarico ricevuto da papa Urbano VI, stabi-'ostui f t 0nC C°^* Crc<*‘ Filippo Demclodc circa il legato di cinquecento perperi annui da jj ^ J redenzione^degli schiavi cristiani, la dotazione di zitelle ed il soccorso dei poveri Christi nomine amen. Universis et singulis presentes litteras presens^ publicum instrumentum inspecturis, Jacobus permissione S H a arc^*e^SC0Pus ianuensis, commissarius ad infrascripta solus a postolica specialiter deputatus, salutem in Domino qui est m 'era salus. Nuper quasdam litteras apostolicas sanctissimi (■) Guasto qui e nelle seguenti lacune. W Forse : Iltm Umpore - 13) Questo nome il quale n,r .• * Aumento xxx„ ^ « «W - presente atto, trovasi invece ' d°ndC anChC ‘1« Aliano mori durante il tempo della propria Podesteria. — I4I — patris et domini nostri domini Urbani divina providentia pape VI, eiu's vera bulla plumbea cum cordula canapis more romane curie bullatas, sanas et integras, et non abolitas nec suspensas, sed prorsus omni vicio et suspictione carentes, coram notario et testibus infrascriptis, cum ea qua decuerit reverentia recepimus tenorem quem sequitur continentes. Urbanus episcopus servus servorum Dei, venerabili fratri Archiepiscopo ianuensi salutem et apostolicam benedictionem. Justis petentium desideriis libenter annuimus, et eis favorem apostolicum impartimur. Exhibita siquidem nobis pro parte dilectorum filiorum Johannis et Benedicti Demerode fratrum et heredum quondam Philippi Demerode burgensium terre Peyre laicorum Constantinopoli-tane diocesis petitio continebat quod olim dictus Philippus condens de bonis suis in sua voluntate ultimum testamentum, in eodem testamento inter cetera voluit et etiam ordinavit quod de bonis suis pro anima sua in perpetuum annuatim, per certos tunc expressos quos executores dicti testamenti constituerat, perperi quingenti ad sagium eiusdem terre darentur et distribuerentur pauperibus Christi et personis miserabilibus, ac pro redimendo et extrahendo• Christi fideles carceratos de manibus turchorum, et pro maritando puelas pauperes de quibus et pro ut eisdem executoribus videretur melius expedire ; volens etiam dictus Philippus quod distributio medietatis dictorum quingentorum perperorum perpetuo quolibet anno circa festum Nativitatis domini nostri Jhesu Christi, alterius vero medietatis ipsorum similis distributio fieret annuatim in hebdomada sancta. Cum autem, sicut eadem petitio subiungebat, bona hereditatis dicti Philippi qui in partibus turchorum et aliorum infidelium ut asseritur consistunt, propter guerras et oppressiones ipsorum turchorum et aliorum infidelium post ipsius Philippi obitum adeo diminuta existant quod prefatis heredibus ‘ad quos eadem bona devenerunt impossibile redditur huiusmodi legatum annuatim exolvere; pro parte dictorum heredum nobis fuit humiliter supplicatum ut providere eis super hoc de oportuno remedio dignaremur. Nos itaque de premissis certam notitiam non habentes, fraternitati tue de qua in hiis et aliis specialem in Domino fiduciam obtinemus, per apostolica scripta — 142 — committimus et mandamus quatenus si vocatis dictis exccutoribus et aliis qui fuerint evocandi ita esse reppereris, profatis heredibus persolvendi legatum huiusmodi annis singulis*in perpetuum pio ut ipsi heredes possunt et poterunt et alia pro ut iustum fuerit apostolica autoritate concedes, contradictores per censuram ecclesiasticam appellatione postposita compescendo, non obstante si eisdem executoribus vel quibusvis aliis comuniter vel divisim a Sodo Apostolica sit indultum, ut interdici suspendi vel excomunicari non possint per litteras apostolicas non facientes plenam et expressam ac de verbo ad verbum de induito huismodi mentionem. Datum Bene venti vi kalendas augusti, pontificatus nostri anno octavo (i). Quibus quidem litteris per nos cum debita reverentia receptis, fuimus pro parte dictorum heredum cum debita instantia requisiti quatenus in huiusmodi negotio procedere deberemus iuxta traditam a Sode Apostolica nobis formam. Nos igitur volentes mandatum apo stolicum supradictum nobis in hac parte directum reverenter excqui ut tenemur, et attenta et diligenter inspecta dictarum litterarum forma, et iuxta eam in huiusmodi negocio debite procedentes, mum vocatis dictis executoribus et aliis qui forent evocandi pio ut melius eos evocari facere potuimus, de premissis omnibus nos pe narie informavimus; et huiusmodi informatione perhabita, et qi ‘ per eam et etiam quantum in nobis est sumus plenarie informat quod ita est et ita esse repperimus pro ut in dictis litteris apos <-emanatur; idcirco dictarum litterarum forma et facultatibus icte hereditatis diligenter attentis, eX impotentia dictorum heredum demum huiusmodi informatione premissa, auctoritate apostolica no in hac parte commissa moderatione provida tenore presentium eis em heredibus concedimus, et sic ordinamus, quod de dicta hereditate tollantur et extrahantur mille libre monete ianuensis assignando m manibus nostris quas in lojis Compere seu Comperarum Communis Peyre ponere et assignare intendimus, pro ut et secundum quod exeeutores dicti testatoris quoad hec sciverint disponere et etiam ordinare, ita tamen quod fructus et emolumenta que pervenient e (') Cioè 27 lujlio 138;. — T43 — locis huiusmodi emendis in dictis Comperis de dictis mille libris dentur et distribuantur pauperibus Christi, testatoris voluntatem in omnibus immitando; et si per eventum contingeret dictos executores seu fideicommissarios ab hac fragili vita migrare, volumus quod de dictis fructibus et emolumentis dictorum locorum emendorum pro ut supra disponatur secundum quod per testatorem extitit ordinatum, ipsius voluntatem nullatenus immutando; et quod dicta loca ut supra emenda non possint per dictos fideicommissarios vel alios aliqualiter alienari; residuum vero dicte hereditatis volumus et mandamus penes eosdem heredes et eorum successores perpetuo remanere. Item volumus et mandamus quod dictis mille libris toltis et extractis ac expositis et assignatis in emptione locorum ut pre-missum est, dicti heredes ad solvendum ultra minime compellantur salvis infrascriptis. Item volumus quod si dicti heredes aut eorum successores in hereditate predicta pervenerint ad pinguiorem fortunam adeo quod huiusmodi legatum in totum vel pro parte persolvere comode potuerint, ad quam pinguiorem fortunam ipsos pervenisse et solutionis possibilitatem habere relinquimus conscienciis dictorum executorum et heredum dicti quondam Philippi seu maioris partis eorum, quod ultra fructus et emolumenta dictorum locorum emendorum de dictis mille libris ad complementum totius legati annis singulis ut dictum est supplere et solvere teneantur pro ut in dicto testamento continetur et de iure fuerit. De quibus omnibus heredes et executores predictos volumus esse contentos, et super controversiis et molestationibus silentium imponentes, et presentem nostram ordinationem et concessionem perpetuo inviolabiliter observari; contrarium vero facientes excommunicationis sententia, commonitione premissa, volumus subiacere; presentesque nostras litteras seu presens publicum instrumentum quas fieri fecimus et nostri sigilli appensione muniri in premissorum testimonium concedentes. Actum et datum Janue in palacio archiepiscopali de sancto Laurentio , anno a Nativitate Domini m ccc lxxxvi, indictione octava secundum cursum Janue, die xim aprilis, in signo; presentibus presbi-teris Symone de Dyano archipresbitero plebis de Rappallo Diocesis Januensis, Bartholomeo Corvo preposito ecclesie sancti Nazarii — 144 — ianuensis, et Tomayno de Retiliario cappellano ecclesie ianuensis, ac Badassale Regio notano, omnibus ad premissa vocatis et rogatis. Archivio Notarile. 'KLotulario di Antonio Foglietta per l’anno ijS6, car. 46 verso. XXVIII. 1386, 19 dicembre. Pipi Urbano VI assolve Antonio Fazio, gii dimorante in Pera, che avea combattuto contro i veneziani. Urbanus episcopus servus servorum Dei. Dilecto filio Antonio Facio scolari ianuensi salutem et apostolicam benedictionem. Vite ac morum honestas aliaque laudabilia probitatis et virtut merita super quibus apud nos fide dignorum commendaris, *e monio nos inducunt ut tibi reddamur ad gratiam liberales. ^ bita siquidem nobis nuper pro parte tua petitio continebat q olim inter dilectos filios Civitatis Januensis et Veneciarum communi guerra vigente, tu in terra de Peyra ianuensis dio^esis que p dictum Commune Januense tenetur tunc existens, per dilectos^ 10 universitatis ipsius terre etiam per captionem persone tue a piendum arma et quasdam galeas dictorum Communis Januen tunc ibi existentes intrandum fuisti compulsus; et cum nonnu 1 e prefatis Communis Veneciarum cum certis eorum galeis hui modi galeas ipsius Communis Januensis hostiliter invasissent, t timens mortem et captionem, non insultando sed fugiendo, Pro*^ et patrie tue defensione et liberatione certa tela cum quadam ^ * lista versus dictas galeas ipsius Communis Veneciarum iactavis , et hinc inde per gentes in eisdem galeis existentes multa alia iactata fuerunt ex quibus nonnulli homines expirarunt, quamv non credas secundum tuam conscientiam ex huiusmodi tuo iactu aliquem expirasse. Cum autem sicut eadem petitio subiungebat tu qui ut asseris in partibus Gazarie et alta Romania per octo annos vel circa vitam heremiticam et pauperem duxisti, non ad pompam mundanorum* seu ecclesiasticorum honorum sed pro tue anime con solatione ascribi desideras milicie clericali et ad sacros ordines per- — 145 — veniri, pro parte tua fuit nobis humiliter supplicatum ut, cum ex hoc propter noticias in dictis partibus Gazarie christianos partium ipsarum in melius fovere et multos paganos ad fidem reducere speres providere, tibi super hoc de oportune dispensacionis gratia dignaremur. Nos igitur volentes te premissorum meritorum tuorum intuitu favoribus prosequi gratiosis, huiusmodi supplicationibus inclinati tecum, si de interfectione cuiuspiam te conscientia non demordet ut premittis, et quibuscumque constitutionibus apostolicis contrariis nequaquam obstantibus, ad omnes etiam sacros ordines statutis a iure temporibus promoveri et in eis ministrare libere et licite valeas auctoritate apostolica tenore presentium dispensamus. Nulli ergo omnino etc. Datum apud Portumveneris ianuensis diocesis die xmi kalendas ianuarii, pontificatus nostri anno nono. Archivio Notarile. ‘K.otulario di Andrea Foglietta per l’anno 1387, car. 66 verso. XXIX. 1387, 27 maggio. « Johannes de Mezano, Potestas Peyre et ianuensium in Imperio Romanie », unitamente agli ambasciatori dal Comune di Genova e come altro dei rappresentanti del medesimo, conclude coi legati di Juanco principe della Bulgaria, un trattato di pace, navigazione e commercio, nel quale si stipulano i vantaggi reciproci che in forza del medesimo godranno i genovesi e i sudditi del detto Principe. Si aggiunge che ogni lesione di esso trattato si debba risarcire colla « pena perperorum centum mille auri ad sagium Peyre » ; oltre che a malleveria di osservanza, intendonsi obbligati per parte dei genovesi « omnia et. singula bona dicti Communis Janue et opidi Peyre que aliquo capitulo obligari non prohibentur ». Gli ambasciatori di Juanco aveano presentato le loro lettere credenziali « in presentia Consilii octo ancianorum dicti domini Potestatis et tocius Peyre, quorum nomina sunt hec : Dominus Raffael Aiti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XIII , Fase. 1. 10 — 146 — de Auria, Lodixius Vayrolus, Lucas Ususmaris, Johannes Pancia, Dominicus Marihonus, Philippus Rubeus et Darius Spinulla ». In fine il trattato reca le seguenti indicazioni: « Actum Peyre, in palatio habitationis domini Potestatis, in aula superiori dicti palatii, anno Dominice Nativitatis M ccc Lxxxvii, indictione nona secundum cursum Janue, die vigesima septima maii, hora post tercias et ante nonam; presentibus testibus ad hee \o catis et rogatis, discreto viro domino Antonio de Via notario, Vicario curie ipsius domini Potestatis, Angelino de Sirimbaldo de Saulo, Lodixio de Ponte condam Johannis, Lodixio Carpeneto filio Laurencii; Bartholomeo Villanucio notario, interprete publLo, predicta omnia legente . . ., Johanne de Bozolo notario, et Raf faele de Viacava filio Georgii, milite Curie ipsius domini Potestatis. » Extractum est ut supra de volumine sive libro conventionum Communis Peyre, existente penes dominum Potestatem Peyre, scilicet ab authentico publici instrumenti scripti manu Hetoris de Aleneriis notarii in dicto libro extensi et publicati. » Antonius de Murtedo de Monelia notarius ». Archivio di Stat®. 'Materie politiche, mazzosX ; 'M.olices et extrmts tles man scrits de la Bibliothèque du Roi, voi. XI, pag. 65. XXX. P*reiaL°esenzione'd!‘ÌOIle ^ SulUn° Amurat 1 co1 Comune di Genova, mercè cui si stipula una pe! I- * daZ* n k'oredel turchi trafficanti in Pera, c liberti di dimora e commercio !*• genoves, negl, Stati di esso Amurat. M domini amen. Magnificus et potens dominus dominus 1 e* maSnus ai miratus et dominus armiratorum Turchie ex nonuTd^,Ret n°^eS Prudentes viri Gentillis de Grimaldis et Ja-m . 0Sl^10> ambasiatores sindici et procuratores incliti Commanda -6X altem Parte; habentes ad infrascripta sufficiens gallio 5 ^ ^0rma *nstrumenti publici scripti manu Petri de Bar-octunaf* • Ct ^onimun‘s Janue canzellarii, millesimo trecentesimo simo septimo, die secunda marcii, omni modo via, iure et — 147 — torma quibus melius potuerunt, ratiflicaverunt aprobaverunt et confirmaverunt omnia pacta convenciones et promissiones factas et facta tam inter ipsum magnificum dominum Moratibei, quam inter recolendam memoriam magnifici domini domini Orchani patris sui ex una parte, et illustrem Commune Janue ex altera; renunciantes dicte partes, dictis nominibus, exceptioni compositionis pactorum et promissionis non factorum, rei sic ut supra et infra non geste vel sic non se habentis, doli mali metus in factum, actioni, conditioni sine causa vel ex iniusta causa, et omni alii iuri; promittentes dicte partes, dictis nominibus, sibi invicem et vicissim, solempnibus sti-pullationibus hinc inde intervenientibus, ipsa pacta conventiones et promissiones de cetero observare, et contra ipsa vel aliqua ipsorum non facere vel venire aliqua occasione ratione vel causa que dici vel excogitati possit de iure vel de facto. Insuper etiam promiserunt dicti ambasiatores, nomine et vice Communis Janue, facere et curare ita et sic quod commerchiarii Peyre et collectores tolte censarie restitutionem facient prefacto domino Moratibey de omnibus quantitatibus pecuniarum habitis et receptis a Johanne Seme-lode burgense Peyre, pro rebus et mercibus emptis et venditis in Peira ipsius domini Moratibei, tempore quo ipse Johannes faciebat facta ipsius domini Moratibei ; salvo de caratis octo pro quolibet centenario yperperorum solutorum censariis seu collectoribus dicte tolte censarie. Item promiserunt dicti ambasiatores quod saraceni districtuales dicti magnifici domini Moratibei de cetera non solvent in Peira aliquod comerchium ianuensibus de aliquibus rebus et mercibus portandis in Peiram, vel extrahendis per dictos saracenos vel aliquos ipsorum. Item promisserunt predicti ambasiatores quod saraceni districtuales predicti domini Moratibei non solvent in Peyra, de rebus et mercibus suis emendis vel vendendis, censariis et collectoribus tolte censarie, quam carati octo pro quolibet centenario yperperorum. Versa vice ipse magnificus dominus Moratibei acetans predicta omnia et singula, promisit dictis ambasiatoribus, recipientibus nomine et vice prefacti Communis Janue, facere et curare ita et sic cum effectu, quod ianuenses de cetero in toto territorio suo stabunt manebunt et transitum facient salvi et securi, et ibi negotiari et mercari poterunt, emendo et vendendo omnes — 148 — merces quas voluerint pro suo libito voluntate, absque eo quod einceps possent aliqualiter impediri aggravari vel molestari, sol-o comerchium dicti magnifici domini Moratibei solitum et consuetum solvi, iuxta formam conventionum antiquarum; et u tra promisit prefatus dominus Armiratus facere et curare ita et sic quo omnia et singula navigia ianuensium, et qui pro ianuensibus tractantur et reputantur, poterunt in toto territorio suo victua-us honorari, solvendo dicto magnifico domino Moratibei vel actoribus suis, pro quolibet modio Romanie grani ordei millii alliorum leguminum, illud quod solvent saraceni greci veneti alii qui minus solvunt. Que omnia et singula supradicta dicte partes, dictis nominibus, promisserunt sibi invicem et vicissim, et una pars alteri et altera uni ; et ad maiorem cautellam premissorum lu^erunt ad sancta Dei evangelia, corporaliter tactis scripturis, vi e icet dicti ambasiatores dictis nominibus, et ipse magnifichus ominus Moratibei secundum morem et consuetudinem saracenorum, attendere complere et observare et contra non facere vel venire de iure vel de facto, aliqua occaxione, racione vel causa que dici vel excogitari posset, sub pena dupli eius et totius de quo fuerit contra factum vel ut supra non observaretur, rattis nanentibus omnibus et singulis supradictis, et sub ypotheca et °mn*Uin bonorum suorum dictis nominibus habitorum e a endorum, illa tamen que obligari non prohibentur secundum am capitulorum et ordinamentorum dicti Communis. Acto in p esenti concractu et qualibet parte ipsius, quod ipsi ambasiatores tis nominibus teneantur facere et curare ita et sic quod Potestas ire et eius Consilium iurabunt attendere et observare omnia gu a supradicta. Item fuit actum in presenti contractu, inter P < contrahentes, dictis nominibus, quod in quantum in Pei-avus aiquis, ex illis prefactorum Domini vel subdictorum 'Psius, ugam eriperet, quod quolibet habitator Peire et burgorum ad tali? °|U1US ÌCtUm ta^em sc^avum pervenerit, teneatur dictum em sclavum presentare domino Potestati Peire qui nunc est, vel pro tempore fuent, sub pe„a solvendi pretium dicti sciavi Domino in PeinU ^ ypCrperos centum ^ sagium Peire Communi Janue Peira, sive massarns stipulantibus nomine et vice dicti Com- — i49 — munis, et quod de predictis fieri debeat proclamationem et ordinem in dicta terra Peire. Et e converso prefactus dominus Moratibei promissit et solempniter convenit dictis ambasiatoribus, dictis nominibus, stipulantibus et recipientibus nomine et vice Communis Janue, facere et curare sic et taliter cum effectu quod omnes .sciavi ianuensium fugientes a dòminis suis in Turchiam vel Gre-ciam restituentur libere prefactis dominis suis, nulla condictione interveniente; salvo et specialiter reservato si tallis sclavus vel sciava sic fugientes ut supra essent vel esset saracenos vel saracenus, quod tunc et eo casu prefactus Dominus nil ad aliud teneatur quam ad solutionem et satisfactionem veri et iusti pretii dicti tallis sciavi cogniti saraceni. Mandantes mihi Quilico de Tadeis, notario infrascripto, ut de predictis conficere debeam pre-sens publicum instrumentum in testimonium premissorum. Actum in Turchia, in quodam cassalle dicto Mallaina, in cortillio domus habitationis personaliter prefacti Domini. Anno Dominice Nativitatis millesimo trecentessimo octuagessimo septimo, indictione nona secundum cursum Janue, die octava iunii, hora paullo post vesperas; presentibus testibus Bartholomeo de Lamgascho, burgensi Peire, interprete de lingua grecha in latinam presentis instrumenti, Johanne de Draperis, Dario Spinulla, Anthonio de Mentono, burgensibus Peire, et Amgelino de Saulo cive Janue; nec non Cassano Bassa et Tomortassio saracenis, baronibus dicti Domini, ad predicta vocatis et specialiter rogatis. -j- Ego Quilicus de Thadeis imperiali auctoritate notarius, predictis omnibus et singulis interfui, et rogatus scripsi, licet occupatus meis variis negociis per alium exharari fecerim. Archivio di Stato. Materie Politiche, mazzo X; Notices et extrails etc., XI. 59. XXXI. 1390, ii aprile. Ordine di pagamento dell* intero stipendio a favore del Podestà Raffaele 1)’Oria. Circumspectis viris Antonio Leardo Potestati et Massariis nostris Peyre dillectis. Dux Januensium etc. et Consilium Ancianorum. Carissimi. Jam diu precessoribus vestris mandasse recollimus quatenus nobili viro Raffaelli de Auria dillecto civi nostro, olim Potestati Peyre electo in loco qm. Elliani de Camila deffuncti, solvere deberetis integrum sal.irium ipsius Ratfaelis sine aliqua diminutione de racione quam dicto qm. Elliano precessori ipsius debebatur, et hoc prò rata temporis quam supradictus Raffael successor in dicto officio stetit, non obstante diminutione salarii dicte Potestatie facta Peyre antequam dictus Raffael elligeretur ... Quapropter vobis expresse iubentes mandamus quatenus dicto Raffaeli vel legiptime persone pro eo faciatis solutionem integram et completam pro rata temporis quo dictam Potestatiam exercuit... taliter quod non sit opus de cetero vobis scribi. Datta Janue m ccc lxxxx die xi aprillis. Archivio di San Giorgio. Cartolario II della Masseria di Pera, per l’anno ijyo, fol. 87 verso (i). (i^,Tre solamente sono i Cartolarli superstiti della Masseria; custodisconsi tutti nel citato Archivio, ed eccone i titoli. , 1. MCCCLXXXX die XXI iunii. — Exemplum Carlularii Massarie Comunis Janue in Peyra etc. (non vi è il nome del Podestà). , 2. MCCCLXXXX, die XVII octubris. — Cartularium introylus el exilus Massarie Co:nunis Janue in Peyra, exislenlibus massariis . . . Lodixio Vayrolo et Urbano Piccamilium , ellectis el ordinalis fer . . . Dominichum de Auria honorabilem potestatem Peyre et toc itu Imperii Romanie. 3. MCCCLXXXl die XVIII oetobris.— Cartularium introylus et exilus Maisarie Comunis Janue in Peyra, exislenlibus massariis . . . Dannano Spinulla el Nicolao de Mareho , . . electis el orJinalis per ... Somioum Nicolaum de Zoallio- honorabilem Potestatem Peyre et ianumium in Imperio Romanie etc. D’ora innanzi, per breviti, cit rò questi Cartolarli distinguendoli semplicemente cosi : Cari. I, 1)90; Cari, II, 1)90; Cari. 1/9/. I5I — XXXII. 1390, Primo saggio delle spese della Masseria di Pera. M CCC LXXXX. * 8 augusti. Pro . . . expensis factis ... in bar-chis, pro transitu equorum, cibo et potu quando dominus Potestas ivit ad Creseam pro ponendo acordium inter Imperatores . . . Pp. 5. 12. 18 septembris. Paulo de Valegia militi domini Potestatis... pro expensis factis per ipsum in emendo duos compedes ferreos, unam manariam et unam maciam . . . . • » 4. 10. Cart. II. 1390, fol. 30 verso. 22 septembris. Constantino militi domini Potestatis, et sunt pro certis expensis factis per eum in marinariis xxi qui portaverunt dominos Antonium de Via et Bartholomeum Vilanucium ad Creseam, pro habendo quadam galeotam Sij alias captam per galeas domini Chirmanoli. » 4. 15.' 22 septembris. Dicto Constantino, et sunt pro certis expensis et solutis per ipsum in marinariis qui portaverunt dominum Potestatem et suum Consilium ad Creseam ad salutandum dominum imperatorem Caloianem. . . » 4. — Id., fol. 31 verso. 26. septembris. Dominus Leonardus de Rosio Potestas Peyre, electus nuper loco domini An-thonii Leardi debet etc. Id., fol. 5 5 recto. 28. septembris. Pro barcha supra qua iverunt dominus Janotus Bexacia et Anthonius de Via ad Cresseam ad dominum Imperatorem, alia barcha que portavit dominus Potestas ad dominum Imperatorem Chirandronicum, etc. . » 3. 12. Id., fol. 31 verso. — I52 — 19 octobris. Pro scribis Curie, videlicet Antimonio de Clavaro et Anthonio de Castelliono, et sunt prò extraendo in scriptis pacem factam cum Juancho Dobroticie quam portavit Thodischus Pastechus ambasator missus pro Comune........ 20 octobris. Pro una bancha magna posita in Palacio Comunis, prò sedere quando fit consilium ....... 22. octobris. Pro expensis minutis factis in Palacio Comunis in reparando clavaraturas, et in stamegna alba et stachetis pro facere duas lanternas que pependunt in palascio, et in ferrario pro aulis positis in dictis lanternis . 23 octobris. Pro expensis factis in barchis quando ivit dominus Potestas in Crista ad visitandum dominum Imperatorem, videlicet pro transeundo ac redeundo equos super barchas, et in barcha que aportavit literas in navi de Biasa que erat in Sancto Fucha 28 octobris. Pro pingendo arma domini Ducis in Palacio ....... Cart. II. 1390, fol. 66 verso. 2 novembris. Pro ambasata missa per dominum Potestatem et eius Consilium ad dominum Jhalabi, in qua ambasata electi fuerunt ambasatores domini Anthonius de Mentono et Bartholomeus Marocellus ... Pro cupa una argenti librarum mi unciarum vii ... ; pro peciis vili de scarlata... ; et pro raubis tribus pannorum de Janua ... ; pro veluto cremixi pecia 1 ... ; et pro peciis duabus dolso-rum etc........ 2 decembris. Pro exeniis dandis ac tribuendis filio domini Jhalabi et matri et domino Grecie, qui residenciam faciunt ad campum cum domino — *53 — Imperatore, causa eos visitandi per dominos Andream Mayranum et Urbannm Picamilium electos per dominum Potestatem et eius Con- silium........ Pp. 148. 18. — Id., fol. 67 recto. 3 decembris. Pro Jane Zuri magistro, pro una campana prò ponendo eam in castro sancte Crucis » 7- — — Id., fol. 68 verso. 5 decembris. Pro exenio et pro honorando quodam Turcho ambasatore cum eius comitiva in Palacio Comunis, noviter misso per^domi- num Jhalabi ad dominum Potestatem » 23. *5* — Id., fol. 33 recto. 9 decembris. Pro Andrea de Monelia, prò « uno cepo prò incidere capud Laurentio de Ver- nacia, etc....... » 1. 16 ‘A Id., fol. 68 verso. 25 decembris. Expense facte in festo Natalis Domini pro confoco et aliis expensis more consueto in Palacio Comunis etc. Pro preparare confocos in platea Palacii et in Palacio domini Potestatis .... » 6. — — Pro idria una vini data in Palacio (i). » 7- 12. — Pro denariis de nuce datis domicelis, servientibus , placeriis et tumbatoribus, et prò elemo-xinis datis in ecclesiis more consueto, videlicet: conventui sancti Dominici perpero uno, conventui sancti Francisci perpero i, ecclesie sancti Micaellis perpero r, monasterio sancte Catarine perpero i (2), hospitali sancti Johannis perpero 1, hospitali sancti Anthonii perpero 1, pauperibus Christi perpero 1; xii domicelis domini Potestatis perperis ir ; tumbatoribus per- (1) Più chiaro nel Cartolario del 1391, fol. 69: Pro jarra una vini trilie data in Palacio prò dicto festo (Natalis) ut morii est. (2) Nel Cartolario citato si aggiunge la chiesa di san Giorgio , anch’ essa per un perpero. — 154 — peris ii; nuncio Massarie perperis ii; portoriis perpero i ...... Pp. 19. 12. — Pro domicelis predictis domini Potestatis, denariis de nuce......» 1. — — Pro candelis lib. xxxv datis in Palacio Comunis domino Potestati et aliis dominis qui erant ad comitandum dominum Potestatem ad con-focum more consueto, et pro confectionibus lib. xx datis in dicto confoco pro ut consuetum est facere.......» 19. 12. — Summa: Pp. 53. 12. — Id., fol. 69 verso. * XXXIII. 1390, 3 dicembre. Appalto delle gabèlle. MCCCLXXXX, III decembris. Cabelle Comunis Janue in Peyra vendite in publica callega ut moris est, preconizate per cintracum Comunis in Logia Comunis, per egregium nobilem et potentem virum dominum Dominicum de Auria honorabilem Potestatem ianuensium in Peyra et in toto Imperio Romanie et per nobiles et prudentes viros dominos Lo-dixium Vairolum et Urbanum Picamilium honorabiles massarios Comunis Janue in Peyra. In Petro Muscha emptore torius introytus cabelle capitum......Pp. 890. — — Cart. II. 1390, fol. 34 recto. In Andrea Vasilico collectore stabie burgorum de Lagirio,... pro anno uno (1) . . » 316. 18. — Id., fol. 38 verso. 1 * ) Più chiaramente al foglio 5: Collector stabie burgorum de Lagirio imposite pro custodia noe tur mi demorum burgorum. E nel Cartolario del 1391 , fol. 6: Stalia hominum burgorum Peyre deversus Lii-gerio , qui colligitur pro solvendo custodes nocturnos. — 155 — Chilicus de Ardito collector stabie burgorum de Spiga, prò custodia nocturna . . • Pp* 88. Id., fol. 34 verso. Officio Provixionis terre Peyre, et sunt quos domini Massarii assignaverunt dicto Officio prò expendendis in reparacione murorum, turrium et burgorum terre Peyre, prò ut moris est. . » 7^4- — Id., fol. 34 recto. Bernabos de Coronato, notarius, emptor tocius introytus pensionum et terraticorum Comunis. » 784. — Id., car. 19 verso. In Joseph de Levanto placerio Comunis emptore cabelle carcerum Comunis . . . » 31* — In Enrico de Clavaro emptore karatorum xii ex karatis xxim introytus cabelle Censarie . » 2742. 12. In Gabriele Mairano emptore reliquorum karatorum xir ....... » 2742. » Id., fol. 34 recto. Athanasius de Neapoli emptor cabelle Baratane Comunis ... prò anno uno (1) . . » 305. — Recepimus in Ugeto de Rocha taliata et Dominico de Riva, procuratoribus monasterii sancte Caterine de Peyra, et sunt qui assignati sunt dicto monasterio annuatim pro ut consuetum est. » 305. — Id., fol. 7 verso. In Enricho de Clavaro emptore karatorum sex ex xxiiii karatis introytus comerchii unius prò centenario (2)......» 3150. — In Lanfranco Portonario emptore karatorum duorum etc. . - . . . . » 1052. — In Enrico de Clavaro emptore karatorum quatuor etc........» 2104. — (1) Nel Cartolario del 1391, fol. 35: Introytus Baratarie Logie Comunis. (2) Nel Cartolario del 1391, fol. 32 verso: Collectores caractorum XXIIII commerchii Janue qui guntur in Peyra. In Percivale de Porta emptore reliquorum karatorum xn. . . . . . •' Pp. 6303. Pp. 12609. — — In Percivalle de Porta emptore tocius introytus karatorum vini comerchii quod coli- gitur in Peyra. ...... » 4499. In Enrico de Clavaro emptore tocius introy- tus cabelle grani et leguminorum . » M Uj 00 • In Ambroxio Bono emptore tocius introytus cabelle olei . . » 1390. In Luchino de Vivaldis emptore karatorum xn ex karatis xxim introytus cabelle vini « 0 0 In Anthonio de Levando (i) emptore reli- quorum karatorum xii . » 5630. In Ambroxio Bono emptore tocius introytus cabelle pannorum ...... D 1610. Id., fol. 34 recto. XXXIV. 1590-91. Prospetto degli Uffiziali della Colonia e degli stipendi annui. Dominus Dominicus de Auria honorabilis Potestas ianuensis Peyre etc., in eius salario prò anno finiendo die xvi octobris (1391) .. . computatis diebus septem quos non servivit pro eo quod redidit regimen domino Nicolao de Zoalio honorabili Potestati Peyre die vm octobris . Pp. 5075. Car. II. 1390, fol. 56 recto. Domino Matheo de Fano vicario domini Potestatis, et sunt pro suis obvencionibus, videlicet pro sigilo et sindicamentis (2) . » 5°- (1) A carte 4 verso : Anthonius de Levatilo filius Pastorini. (2) Noti apparisce che oltre siffatti proventi il Vicario avesse un determinato stipendio. — 157 — Anthonius de Clavaro notarius, olim scriba Curie Peyre. Id., fol. 7 recto. Bartholomeo Vilanucio interpretatori Comunis ........Pp. 250. Jane Varana scriba literarum grecarum Comunis ........» 72. \ Id. , fol. 200 recto. Arbizono# de Arbizola et Quilico de Caste-liono militibus domini Potestatis. ...» 40. Id., fol. 38 'Verso. Lodisio Vayrolo massario .... » 100. Urbano Picamilium massario ...» 100. Dominico de Pace notario, scriba eorum . » 100. Salaria servientum decem et octo Comunis et Curie domini Potestatis Peyre. ...» 1808. Cart. 1391, fol. 189 verso. Ambroxio de Fiacono et Prospero de Sancto Blaxio notariis et scribis Curie Peyre, et sunt prò eorum obventionibus pro scripturis sindi-camentorum et aliarum scripturarum Comunis pro anno uno... more consueto . . . » 150. Id., fol. 67 recto. Johanni de Pasano nuncio Massarie . » 50. Car. II. 1390, fol. 200 recto. D. Melchio Spinulla unus ex provixoribus Peyre. Id., fol. 14$ verso. D. Nicolaus Carene unus ex provixoribus duobus Peyre. Id., fol. 155 redo. Officium Guerre terre Peyre. Id., fol. 163 recto. Anthonius de Via et Jacobus Bexacia, officiales victualium Comunis. Id., fol. 3 verso. — 158 — Dagnanus Spinulla et Johannes Bellotus de Quarto, burgenses Peyre, officiales victualium Comunis nuper electi (17 februarii 1391). Id., fol. 58 recto. Johannes de Sibilia castelanus. Id., fol. no verso. Andriolus de Monelia sabarbarius Comunis, qui incepit servire die mi septembris de lxxxviiii, ad racionem perperorum sex in mense, et ultra debet habere darsanatam marine ad piscandum et piscari faciendum in ea pro ut voluerit, juxta formam deliberationis super hoc facte per dominum Potestatem et Consilium (1) . . P Car. I. 1390, fol. 2 verso. Dominico de sancta Agnete cintraco Comunis > Car. II. 1390, fol. 200 recto. \ Magister Nicolo magistri Francisci de Florentia cirurgicus medicus noviter ellectus per dominum Potestatem et Consilium, et debet habere in annum perperos centum ad sagium Peyre.....". . . » Id., fol. 159 verso. Magister Leonardus de Petra Turrilie medicus cirurgicus accordatus cum Comune, et debet habere in annum perperos centum ad sagium Peyre.........» Id., fol. 140 recto. Magister Thomas doctor grammatice qui regit scolas in Peyra, provixionatus a Comuni, et debet habere in anno perperos lxxv . . » Id., fol. 142 recto. Pro tumbatoribus tres (sic) et uno nacarato. » Id., fol. 200 verso. 72. 100. 100. 100. 75- — 168. (1) Nel Cartolario del 1991, fol. 4 recto , si nota: Andriolus de Monelia salvator portus sive barius Comunis. — 159 “ Nicolao de Gaiano còiraciario, et sunt prò eius provixione prò anno uno. . . . Pp. 25. — — Simoni de Clavaro remorario, provixionato a Comune......... 40. — — Magistro Gonzallo remorario Comunis. . » 40. — — Id., fol. 200 recto. Officium Salis, existentibus cabellotis dominis Raffaele Conte et Dagnano Spinulla etc. Id., fol. 162 verso. Officiales Misericordie etc. Cart. 1391, fol. 69 verso. Manoli Cruncioti et Manoli Vasilico arguxii Comunis, equites et custodes campestri (1) . » 240. — — Cart. II. 1390, fol. 143 verso e 200 recto. Custodes nocturni murorum, turarum {sic) et burgorum Peyre. Id., fol. 162 recto. Salarii placeriorum etc., prò placeriis sex (2) . » 272. — — Id., fol. 199 recto. Anthonius Manchus scopator et mundator Logie Comunis......» 24. — — Id., fol. 7 verso. XXXV. 1391, 7 luglio. Ordine di rifondere i danni patiti in Pera dal podestà Antonio Leardo. Dux Januensium etc. et Consilium Antianorum. Carissimi. Per Anthonium Leardum olim Potestatem Peyre nostrum dillectum oblata suplicacione lamentabilli coram nobis de tìenda sibi satisfacione damnorum illatorum sibi in bonis oblatis ei et exportatis de Palacio Peyre ubi tunc residendam faciebat, et de fienda sibi solucione salarii sui retenti. Cui quidem suplicationi per (1) Cioè: perperi 120 ciascuno. (2) Salario annuo complessivo. — i6o — nos e, Consilium fuit responsum quod de premissis staretur iuramento dici Anthonii, pro ut in respons.one predicta scnpta manu Anthonii de Credentia notarii et canzelaru hoc anno d,e xv, lum. seriosius continetur. In cnius responsionis observacione mravit hodie dictus Anthonius Leardus, volens benefico tee responsionis gaudere quod per illos qui irruerunt in eum de icto Palacio fuerunt ablate tot res et bona sua que comuni estimacione valebant per-ablate tot res ^ retentum peros vigintiquinque auri ad saDium x ^ fuit salarium octo dierum servitorum ante eius recessum. Idcirco vobis precipientes mandamus quod summarie et de p ano et sine strepitu et figura iudicii, reiectis cavilacionibns et suterfugus competaris illos qui in dictum Anthonium iirruerunt ut supra ad solvendum dicto Anthonio vel legitime persone pro eo dictos perperos vigintiquinque; et eciam fieri faciatis sibi sotuconem de pecunia Comunis Peyre pro octo diebus quos ut supra luravit se ante recessum ipsius servivisse. Data Janue, mccclxxxxi, die vii min. Cart. 1391, fol. 175 recto. XXXVI. 1391. Secondo saggio delle spese della Masseria. M CCC LXXXXI. 2 ianuarii. Pro Jhoanne de Draperiis ambas-satore misso ad dominum Jhalabi turchum per dominum Potestatem et Consilium pro negotiis Comunis. ....... Pp- 25°- — — Cart. II. 1390, fol. 33 recto. 4 februarii. Pro Anthonio de Via ambasatore nuper electo et constituto . . . ituro ad pre-sentiam magnifici domini Ducis Janue pro agendis negotiis Peyre. . . . . . . . » 550. — — — 16 T — Ea die. Pro pingendo coronam cuiusdam frustati........Pp. i. 12. — Id., fol. 36 recto. 2 marcii. Pro Bartholomeo de Langasco et Alenerio de-Mari electi pro facere festum in Palacio carnis levium, pro expensis per ipsos factis in dicto festo......» 6. 11. — 6 marcii. Pro ... quodam nuncio misso per dominum Potestatem usque ad Catasiiam pro habendo novam de exercitu turchorum . . » 1. —.— Id., fol. 71 recto. 8 marcii. Expense facte pro adventu domini Chirmanoli imperatoris grecorum quando venit de Turchia .ju Constantinopoli..., pro hominibus lxxxx et comites m pro armandis ga-leótam et bergantinum Comunis in occursam dicti Chirmanoli . . . . • • » 25. 12. — Id., fol. 72 verso. 9 marcii. Pro stantalle sancti Simonis et Jude (1)........» 39. — — 14 marcii. Pro Bartholomeo Granara specia-_rio, pro confectionibus lib. v, zucaro lib. m ... ; et pro Jacobo de Terdona pro vino, pinte vi, dàtis in Palacio Comunis, pro honorando Cassam bassa quando venit de Constantinopoli . » 4. 4. — Id., fol, 71 recto. 16 marcii. Pro campanelas xm positas in turribus burgorum Spiga et de Lagirio , . » 100. 1. — Id., fol. 36 recto. 18 marcii. Domus empta pro Comune a Blaxino de Ceva, qui dictus Blaxinus emit a Lucho Cataneo, posita in quarterio sancti Mi-chaelis ... pro precio dicte domus etc. . . » 187. — — (1) In questa partita sono compresi sette perperi pagati il 25 febbraio antecedente a Pietro da San Remo, sartore, pro facerc pingendo vexillum sancti Simonis et Jude ^fol. 171 verso). Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XIII, Fase. I. Pro Palamedes Novella, et sunt pro domos duas contiguas ante supradictam domum de versus maritimam ...... Pro Georgio Franchopollo, et sunt pro pretio unius domus contigua cum supradictas domos . Que quidem supradicta omnia facta sunt de mandato domini Potestatis et sui Consilii, et ex deliberatione Officii Monete quod expendi debeat in emendo supradictas domos et insulam dictarum pro construendo unum granarium pro Comune etc. Id., fol. 59 verso. 6 aprilis. Manoli Milocaracti magistro molendinorum ... in solucione perperorum xim quos habere debet si aptabat molendinum Comunis, et si non aptabat tenetur redere . Id., fol. 144 recto, Ea die. Pro magistris qui iaboraverunt ad turrim sancte Crucis, pro eius biberagio. 8. aprilis. Pro expensis factis in barchis que portaverunt dominum Potestatem in Costantinopoli ad Chirmanoli imperatorem, et pro aliquibus expensis factis in campana sancti Mi-caelis '........ 10 aprilis. Magistro pinctori qui pingit sanctum Georgium ad Musicam ad faciem Palatii Comunis. ....... 26 aprilis. Pro 1111 brandonis oblatis pro domino Potestate, Vicario et Massariis in festo sancti Georgii in ecclesia sua ut moris est facere. Ea die. Pro ceriotis lib. xim pro aluminando sanctum Georgium in eius vigilia . 9 maii. Pro brandonis ii oblatis in ecclesia sancti Micaelis in eius festivitate per dominos Potestatem et Vicarium, pro quadam victoria pro ut moris est . — 163 — 27 maii. Pro Arbizono milite domini Potestatis , pro quodam malefactore frustrato et pro mitra ........ Id., fol. 74 recto. Ea die. Expense facte in festo Pentecostes pro pravia equitum et maritime barcharum pro ut moris est facere etc. Pro Jacobo de Cairascho et socio ellectis pro mundare faciendo vias et carubeos et aliis necessariis ad hec .... . Pro duobus arguxiis qui erant in custodiam extra Peyram...... Pro ragaciis domini Imperatoris qui duxerunt equos perp. 11, et pro tumbatoribus perp. 1 . Pro Castelano placerio pro expensis per ipsum factis in guantis, galum, canestrelis et aliis minutis Pro latucis et aceto dato super turrim ubi' erat dominus Potestas cum sua societate. Pro uno nacho ...... Pro Dimito fornario pro panis cc datis in barchis pravii, et aliis expensis minutis. Pro confectionibus lib. xv unc. vii, et zucari unc. vi, datis in turri ubi erat dominus Potestas pro ut consuetum est facere. Pro crastonis positis in barchis pravii maritime Pro magistro Gonzalo remorario pro astis duobus praviorum...... Pro Nicolao de Rocha draperio pro caligas paira duo, pro pravo equorum unum et pro maritime unum ...... Pro vino ... idrie m, videlicet unam in Palacio Comunis et duas ad barchas pravii maritime ........ Summa: Pp. 112. 17. — Id., fol. 75 recto. Pp. r. 19. — 7. 12. — 1. 12. — 3- — — 3- 7 'A 1. 4 'I* 50. — — 2. 4. — 12. 16. — 10. — — 6. 6. 13. 3- — A. — i 1000. — — Car. 1391, fol. 33 recto. 4 septembris. Pro Quilico de Tadeis patrono galearum Comunis Janue, et sunt pro salario unius mensis pro ducatis auri m xxxx , ad ra-cionem de perperis 11 karatis vii pro ducato . » 2448. 8. Et hoc .. . attentis decreto et litteris ducalibus et Consilii... ; viso eciam quodam tractatu facto dominis Melchioni Spinulle et Nicolao Carene officialibus missis in partibus orientalibus per magnificum dominum dominum Ducem Janue, eius Consilium, Officium Provixionis et Officium Romanie, signato manu Anthonii de Credentia notarii et cancellarii m ccc lxxxxi die vi iunii, capitulum tenoris infrascripti : « Item ordinamus quod Quilico de Tadeis patrono huius galee, quando aplicuerit in Peyra, fiat solucio pro paga unius mensis » .etc. Id., fol. 38 verso. 22 septembris. Dominus Nicolaus de Zoalio Potestas nuper ingressurus in Peyra, debet etc. Id., fol. 156 recto. 2 octobris. Pro brandonis v oblatis in ecclesia sancti Micaelis in eius festivitate per dominos Potestatem, Capitaneum et Massarios, pro quadam victoria pro ut consuetum est facere . » 6. 10. — Id., fol. 78 verso. Ea die. Manoli Menigno fabro greco . . . , 21 augusti. Pro Officio Provixionis terre Peyre, et sunt pro ipsis solvendis et distribuendis circa reparacionem murorum et bertescarum opidi Peyre ........ Cart. II. 1390, fol. 36 recto. )) 500. — 166 — in soìucione unius pomi de ramo cum sua cruce desuper et: deauratum per totum, quod poni debet super turrim sancte Crucis de Castro . Pp. 25. Id., fol. 146 recto. Ea die. Pro Johanne Demelode sindico nuper ituro Januam pro factis et causis Comunis Peyre ..... . . » 1000. 11 octobris. Pro domino Dominicho de Auria, et sunt pro armis emptis per ipsum prò Comune, et quas dimissit in Palacio Comunis ... Et hoc de mandato domini Nicolai de Zoalio honorabilis Potestatis Peyre . * . » ' 45- 14 octobris. Pro rationè expensarum pro exenio domini Jhalabi, existentibus ambaxato-ribus nobilibus et discretis dominis Melchione Spinula et Nicolao Carene . . . . » 3118. 16 octobris. Pro Gabriele Becchignono, et sunt quas habere et recipere debet a Comune pro dampno fructuum arborum destructorum in terra ipsius Gabrielis, et pro quinque govis sive cubitis terre vinee ipsius Gabrielis, occaxione fossi faciendi ........ 40 Id., fol. 59 recto. 18 octobris. Mutuum perperorum decem milium factum tempore domini Dominici de Auria honorabilis Potestatis Peyre etc. Ii, ifnvL t <|6> rgrìp. Ea fe. I>omjiiimfi3$ Lsomardus de Roxio, olim Bejroe itefost (BflSr. (Dant. n$$a„ flEdL 124 mrw. Ea 'fik. IDmemm® Mrolaus de Zoalio Potestas Feyffifi Qtoni dominus Potestas intravit m ©ffidnamn. Fottesaade die xi octobris mensis presente— j, &t sarat pro salario suo anni unius. » 5075 Cart. 1591, fol- 154 verso. Ea die. Expense facte in. construendo et fa- — 167 — bricando quendam molendinum Comunis in viridario Andrioli Mayrane , et qui postea dirruptus fuit et repositus intus Peyratn . . Pp. 93-Id., fol. 66 verso. 26 octobris. Pro una asta prò stantali turris sancti Michaelis..........» — 31 octobris. Pro quodam nuncio turcho cuiusdam Jhansi domini Jhalabi turchi, et sunt prò suo alafa occasione certorum verborum pacis. » 1. 6 novembris. Pro brandonis mi oblatis in ecclesia sancti Georgii pro festo victorie Portus lungi, more consueto . . • • » 5- Id., fol. 67 recto. 27 novembris. Pro uncia 1 '/2 argenti, prò reparacione trape domini Potestatis que semper remanet in Palacio Comunis . » 2. Id., fol. 68 recto. 24 decembris. Pro Federico de Gropo, prò labore trape Comunis prò domino Potestate (1). » 5. Id., fol. 69 verso. 25 decembris. Pro panno tubatorum, prò eorum vestibus in festo Natalis Domini more consueto........» 50. Id., fol. 67 recto. Ea die. Pro Luchino de Vivaldis et Lodixio Cisao officialibus Misericordie, qui eis dati fuerunt more consueto pro festo Natalis Domini. » 10. Id., fol. 69 verso. *7- — 9- — 5- — 10. '/2 12. — (1) Si notino i Groppo di Levanto già sin d’allora fabbri | argentieri, poi famosi nello stesso ma- gistero nel secolo XVI. — 168 — (V\0 XXXVII. 1392, 8 aprile Avviso della spedizione di cinque galere da Genova, in difesa di Pera. Circumspecto et prudentibus viris Nicolao de Zoalio Potestati et Massariis nostris Peyre etc. Dux Januensium etc. et Consilium Anciatiorum. Carissimi. Litteras vestras accepimus; et per eas informati de hiis que in partibus illis occurrunt, vestram deligendam commendantes , hortamur ad continuum studium et solertem vigilandam omniumque securitatem et tutelam Peyre ceterorumque locorum huius Comunis incrementa concernunt; ad quorum favores et auxiliare subsidium nos indesinenter intenti providimus de quinque galleis, licet scripseritis nobis de duabus dumtaxat; quas quinque hinc celeriter expediendas mittemus. Habemus et alias quas etsi pro aliis locis ordinatas, si tamen foret expediens diverteremur a proposito indigendis orientalibus sucursuras. Adicite ergo nostratum animis prolificum vigorem, strenuis adhortaminibus erigite mentes, et ad grandia vires viribus inculcate, ut alacritas, consolacione resumpta, ad salutarem tutelam Peyre ceterorumque locorum atque ad solitum Comunis favorem et decus exultent. Et si opportunum contingeret presto sint, sane semper placidas ac prudentes fovendo, ne ex parte vestra cum aliquibus prorumpatis ad guerram nisi fortiter provocati. Ceterum cum pro iamdictarum gallearum expedi-cione magna fuerit impensa, necessarium fuit quod nostri Massarii generales Comunis ad cambium ceperint non modicas pecunie summas. Ex quibus nos considerata facultate Peyre, impartiti sumus vobis quanto minorem valuimus sarcinam scilicet decem millium perperorum. Mandantes expresse quatenus ipsa perperorum decem milia omnino et omissa qualibet exceptione solvatis illis personis de quibus et prout vobis dicti Massarii scribent. Preterea quia facta victualium valde ut expedit sunt nobis contraria, committimus vobis quatenus Peyra aliisque locis nostris prius victualium uberte munitis, quam maiorem frumentorum copiam mittite nobis. Exinde plurimum placituri. Quod enim facere possitis habillius, concedimus vobis presencium auctoritate bayliam dandi illis eidem navigiis — 169 — tantum que aliter frumentum non advexissent solidos tres ianui-norum de seu partito pro qualibet mina usque in decem millia frumenti Janue consignata. Data Janue m ccc lxxxxii die vm aprilis. Petrus. Cart. 1391, fol. 37 versa, XXXVIII. 1392. Terzo saggio delle spese della Masseria. MCCCLXXXXII. 7 ianuarii. Pro expensis barcharum prò eundo ad visitandum dominum Imperatorem in Constantinopolim in festo vigilie Epifanie Domini, per dominum Potestatem cum comitiva. Pp. 4. — — Cart. 1391, fol. 69 verso. 3 februarii. Magister Jacobus de Sancto Romulo medicus cirurgie, qui incepit servire Comuni ad racionem perperorum centum in anno a die prima mensis presentis .... » 100. — — Id., fol. 146 recto. 7 februarii. Pro tribus banderiis datis cone-stabulis ad arma Comunis . . . » 5. 14. — 7-8 februarii. Pro Jacobo de Terdona domicelo domini Potestatis, et sunt qui proiecti fuerunt super capud domine Imperatricis in eius adventu que fecit in Constantinopoli . . . » 16. — — 10 februarii. Pro avariis barcarum que portaverunt dominum Potestatem et comitivam ad festum nupeiarum domini Imperatoris . . » 16. — — Id., fol. 69 verso. 21 februarii. Pro expensis... factis... ad convivium egregii Domini Metelini, ad quod ipse pro Comuni fuit in Peyra invitatus. . » 369. 4. _ Id., fol. 75 recto. — 170 — 14-15 maii. Expense facte pro convivio et exenio facto dominis Capitaneo gallee de Roddo et suis nobilibus et comitiva. Pro galinis, pipionis et pullis emptis pro dicto convivio. ...... Pro confectionibus pro dicto convivio . Pro vino Candee sive Marvaxie . Pro agnis ..., pane, safrano, zucharo, spe-ciis et canela ....... Pro sonatoribus, cochis, carnalis, lacte, aqua-roxa, amindolis, zebibo, lardo, rixo, cane-strelis, cetronis et multis aliis minutis . Pro duabus vegetibus vini de Candea ... datis ... in exenio dominis de Roddo predictis. Pro castronis vm datis in dicto exenio Pro panibus d datis in dicto exenio, et pro sachis mi de canabacio pro ipsis reponendis . Pro galinis xxv datis in dicto exenio . • Pro brandonis uri et libris xii de ceriotis datis in dicto exenio . Pro cinnabris freschis confectis, pro recipiendo in mane dictos dominos de Roddo post dictum convivium . . . . .. Pro libris mi confectionum et zucharo datis in Palacio, pro recipiendo quosdam turchos domini Jhalabi quando dicti domini de Roddo erant in Palacio ...... Summa: Pp. 220. 17. — Id., fol. 73 recto. 17 maii. Anthonio de Massa seaterio . . . pro reparacione stantalis turris sancti Michaelis 24 maii. Pro una candela posita coram sancto Georgio sub Logia in festo suo, more consueto etc. Id., fol. 72 recto. 24 maii. Expense facte pro festo Pentecostes etc. — I7I — Pro guantis, gallo, gabia, canestrelis et aliis expensis minutis, et pari uno de speronis prò pario equorum...... Pro ... faciendo purgari vias parii more consueto ........ Pro castronis quinque poxitis ad parium maritimum barcarum more consueto . Pro Anthonio milite domini Potestatis ..., pro expensis factis per eum in barcha Comunis pro pario barcharum, ad eundum ad ordinandum barchas dicti parii maritimi, et pro alia barca in qua erat parium barcharum Pro quibusdam grecis, pro equis ductis pro parte domini Imperatoris ad dominum Potestatem more consueto ad festum parii equorum. Pro panibus ducentis positis ad parium barcarum more consueto ..... Pro cerexiis datis ad turrim pro domino Potestate et aliis dominis ad videndum parium barcharum more consueto .... Pro expensis minutis pro pario et astis duabus pro pariis ....... Pro iarra una vini data in Palacio more consueto, pro recipiendo dominos ad turrim ad parium barcarum...... Pro tubatoribus qui sonaverunt ad festum parii more consueto....... Pro Anthonio de Massia (.seaterio) .. ., pro precio panni unius auri pro pario . Pro marinariis qui iverunt cum barcha Comunis armata supra qua ivit dominus Vicarius seu eius locum tenens, pro barchis parii maritimi lassandis, more consueto Pro iarris duabus vini positi ad parium barcarum ....... Pro libris xv confectionum datis in Palacio — 172 — more consueto, et prò zucharo pro recipiendo Cadì turchum in Palacio et aliis minutis avariis. Pp. 14. Pro pechiis 11 panni virmilii positi ad parium equorum et barcharum . . » 5. Summa : Pp. 126. 2. >/2 Id., fol. 72 verso. 28 maii. Expense facte per dominum Nicolaum de Marcho, Johannem de Draperiis, Lu-chinum de Vivaldis et Lodisium Cisaum, officiales guerre, ellectos per dominum Potestatem eiusque Consilium pro custodia et salute terre Peyre etc. (1) ......» 271. Id., fol. 74 recto. 2 iunii. Anthonio Johannis placerio . .. prò portando literas prò parte domini Potestatis in Bursia Turchie ad dominum Jhalabi. . . » io, Id., fol. 72 recto. 16 iunii. Pro Johanne milite domini Potestatis ... pro avariis per eum factis in quadam barcha que ivit nocte pro habendo nova de lignis tureorum. . . . . . » 2. 17 iunii. Pro quodam qui apportavit literas domini Vaivode Velachie pro bonis novis Hun- garie.........» 2. 18 iunii. Pro alafa cuiusdam turchi nuncii domini Jhalabi, et prò pensione domus in qua habitavit. . . . . . . » 2- Ea die. Pro Anthonio Johannis, et sunt prò suis avariis causa eundi prò parte Comunis ad dominum Jhalabi pro aliquibus tangentibus Comuni 10. 10 iulii. Pro Johanne Daniele, quos ipse Johannes dedit in Valachia Pasquali de Restis (1) Le spese furono fatte principalmente per riparazioni di galee ed acquisti di bombarde ; messa a disposizione dei detti uffiziali era di perperi 500. 9* — 15- — e la soiimi.i — 173 — de Raguxia ambaxatori Comunis misso ad dominum Regem Hungarie.- . Pp-15 iulii. Pro Ambroxio de Fiacono notario, sindico Comunis nuper ellecto, ituro Meteli-num pro factis lige complendis et tractandis . » 17 iulii. Pro Johanne Theoctonico familiari domini Regis Hungarie, et sunt qui sibi dati fuerunt dono ob reverenciam Serenissimi Regis prefacti.....• . . » 19 iulii. Pro militibus domini Potestatis,... pro barchis missis in Constantinopolim ad dominum Imperatorem et ad galeotam domini Consulis Caffè, pro aliquibus negociis Comunis. • » Id., fol. 74 verso. 22 augusti. Magister Nicolaus de Bardis de Florentia, medicus cirurgie, concordatus pro medico Comunis Peyre ad racionem perperorum cxxxxiiii in anno, qui incepit servire die xvii maii preteriti......» Id., fol. 147 recto. 24 augusti. Pro Nicolao de Marco ... pro avariis factis in quadam barcha causa eundi ad Fanarium pro habendo coloquium cum domino Consule Caffè occasione negocii Bassani Turchi. » 26 augusti. Pro quibusdam magistris pictoribus, qui reparaverunt ymaginem sancti Georgii sub Logia Comunis......» 6 octubris. Pro pictore baculorum placerio- rum ad arma Ususmaris.....» Id., fol. 76 verso. 10 octubris. Dominus Dorinus Ususmaris Potestas Peyre debet etc. (1) Id., fol. 57 verso. (1) Era giunto a Pera fino dal settembre, leggendosi al foglio 189 tergo notato questo mese il pagamento di 74 perperi certis servientibus ventis de novo de Janua Ususmaris. 60. - - 228. - - 50. — — I. 12. — I44. — — 6. 8. — 7- 7 V* i. 12. — ìotto il giorno 18 di cum demino Dorino -- x74 — ié octubris. Pro magistro greco, pro vitris pro Palacio Comunis ...... Ea die. Pro quodam turcho nuntio Jhalabi, qui portavit nova domini Regis Hungarie, et sunt prò pechiis vii panni eidein dati 17 octubris. Pro brandonis mi cere oblatis in ecclesia sancti Georgii in festo eius per dominos Potestatem, Vicarium et Massarios more consueto, et pro candelis positis ante ymaginem sancti Georgii in festo suo sub Logia . . Ea die. Pro brandonis mi oblatis in ecclesia sancti Michaelis in festo suo de mense septembris , et pro candelis positis ante eius ymaginem in festo suo more consueto . . . . Ea die. Pro libris tribus confectionum datis in Palacio de mense iulii, causa recipiendi Pa-squalem de Restis et nuncios domini Regis Hungarie ventos cum literis a prefacto domino Rege ....... Id., fol. 77 recto. 18 octubris. Janoto Besacia et Nicolao Por-tonario officialibus ellectis ad emendum millium et bombardas pro Comuni, et sunt pro . . . modiis... (1) millii repositi per eos, ut asserunt, in turribus Comunis Peyre pro salute loci Peyre, et pro bombardis lx repositis in domo Comunis ubi reponuntur armature Comunis, et pro certa quantitate lapidum a tronis et sanitri et ferrorum a sagitis que sunt reposita in dicta domo Comunis ...... Id., fol. 38 recto. (1) Lacuna. — 175 — XXXIX. T39^, 31 agosto. Il Regio Governatore e gli Anziani di Genova, « confisi de circumspecta prudentia et discretione egregii viri Lu-chini de Bonavey electi Potestatis Peyre » , gli confidano 1’ amministrazione della Colonia. Archivio di Stato. Fogliazzo Instructiones et Relationes ann. 1396 in 1464. XL. 1397, 18 aprile. Gli stessi costituiscono il detto Luchino insieme a Marzocco Cicala e Giovanni Sauli, massari della Colonia medesima, in loro procuratori « ad se personaliter transferendum ad partes Romanie et Turchie, ac etiam maris maioris.... ad tractandum ... et concludendum quascumque conventiones, compositiones, paces et concordias cum illustrissimo et potentissimo domino domino Baxita Jalaby magno amirato amiratorum Turchie ». Arch. e loc. cit. XLI. 1397, 26 ottobre. La Signoria di Genova rinnova l’incarico di cui sopra nei detti Cicala e Sauli, conferendolo in pari tempo a Gentile Grimaldi testé eletto a surrogare il Bonavei. Arch. e loc. cit. XLII. 1397, 29 dicembre. Per atto ricevuto dal cancelliere Antonio di Credenza, Giuliano di Castello, e Cattaneo ed Antonio Cicala promettono al Regio Governatore ed agli Uffiziali di Romania che una loro nave appellata Santa Caterina, salpando da Genova intorno alla metà del prossimo gennaio, caricherà in Acquemorte cinquemila mine di buon frumento da condurre a Pera « recto et continuato viagio ... , salvo quod liceat dicte navi eundo Peyram declinare ad portum Sij prò perscruptandis et habendis novis de Peyra et locis circumstantibus ». Il frumento costando in Acquemorte soldi 34 e denari 6 per ogni mina della misura di Genova, sarà rivenduto in Pera coll’ aumento del venticinque per cento, e pagato nello spazio di un mese dopo 1’ arrivo della nave in perperi d’ oro al saggio della Colonia. Archivio di Stato. Fogliazzo ‘Diversorum Canceìlariae, ann. 1375 in 1423, num. 164. XLIII. 1398, 13 aprile. Nuovi regolamenti circa il governo di Pera, emanati dalla Signoria di Genova ad istanza degli ambasciatori della Colonia. In Christi nomine amen, m ccc lxxxxviii , die xm aprilis. Reverendissimus in Christo pater et dominus dominus Petrus Episcopus Meldensis, Regius Consiliarius et Commissarius, ac spectabilis miles dominus Bourleus de Lucemburgo locumtenens illustris et magnifici domini Regii Gubernatoris ianuensium et Communis et populi defensoris ; nec non venerabilis Consilium dominorum sexdecim antianorum civitatis Janue in legiptimo numero congregatorum; et illorum qui interfuerunt nomina sunt hec: Dominus Inofius Picamilium, Prior Dominus Enricus de Illionibus legumdoctor Babilanus Cataneus Lucianus Paiucius — 177 — Benedictus de Monelia Michaelis. Enricus de Camilla Andreas Italianus Nicolaus de Zolasco lanerius Lucianus Spinula de Luculo Johannes de Lavania notarius Georgius Calvus Marcus Centurionus, et Luchinus Casella de Sexto. Auditis requisitionibus disertis plurimum et suppliciter expositis coram eis per discretos viros Gaspalem Spinulam et Antonium Ma-zurrum ambaxatores universitatis burgensium Peyre tenoris seu continente subsequentis. Supplicatur excellentie vestre cum omni humilitate et instantia Antonii Mazurri et Gaspalis Spinule pro vestra fideli et devota Comunitate Peyre ut infra. Primo quod Potestas Peyre in principio sui officii teneatur iurare de observando capitula Communis Peyre ut solitum erat fieri temporibus preteritis. Item quod officia Romanie que temporibus preteritis dabantur in Peyra, dari et concedi debeant per Potestatem et Consilium Peyre more solito. Item quod in Peyra sit tabula una super soluciones et pagamenta notariorum, et que tabula fieri debeat hic in Janua per dominos Sindicatores et dimitatur in Peyra, vel saltem quod dicta tabula fieri debeat in Peyra per Potestatem et Consilium et Officium Provisionis Peyre, ad hoc ut pauperes homines habitantes in burgis Peyre agravari non possint. Et etiam relatibus Officii Provisionis Romanie in Janua constituti, cui Officio commissa fuit examinatio dictarum requisicionum et responsio ac investigatio consiliorum et voluntatis civium Janue circha illas. Cuius Officii Romanie officialium nomina sunt hec: Raffus Lecavellum Georgius Lomelinus Georgii Atti Soc. Lig. St. Patria, Vel. XIII, Fase. I 12 V — 178 — Georgius de Casanova Petrus de Persio Lucianus Spinula Cepriani Nicolaus de Marco Cosmas Tarigus, et Raffael de Vivaldis. Qui in execucione sibi facte commissionis predicte habito examine et participato cum quampluribus coloquio super illis, consuluerunt et persuaserunt ipsis domino Episcopo, domino Locumte-nenti et Consilio annuendum fore requisitionibus supradictis; omni via iure modo et forma quibus melius et validius potuerunt et possunt, nomine et vice Serenissimi Francorum Regis domini Janue et ipsius Comunis Janue, publico decreto et deliberatione usque ad ipsorum dominorum condentium seu domini Regii Gubernatoris Januensis et Consilii Ancianorum civitatis Janue beneplacitum duraturo et duratura; concesserunt et concedunt dictis ambassiatoribus nomine dicte Comunitatis, instante solicite dicto Gaspale altero predictorum, et ad cautelam mihi Antonio de Credentia notario et Communis Janue cancellario infrascripto, dicto nomine recipientibus, et per eos dicte universitati Peyre, requisita eius parte in peticionibus supradictis ; mandantes et iubentes fieri debere quod in ipsis supradictis requisicionibus continetur. Et pro celeriori expedi-cione componende tabule supra in peticione tercia et ultima requisite, committunt et imponunt Officium Sindicatorum Communis Janue quod nunc est, ut secundum quod dicto Officio convenire videbitur imponat et instituat tabulam de qua supra, et ipsam per dictum Sindicatorum Communis Janue Officium institutam et compositam mandant ex nunc pro ut ex tunc debere inviolabiliter et ab omnibus ad quos pertinuerit observari. Archivio di Stato. Codice ‘Diversorum Cancellariae anu. 1398, X. 929. — r79 — XLIV. # >399) *4 aprile. Pietro Maria da Savona che aveva combattuto nell'esercito turco, contro i co Pera c gli altri genovesi di Romania , viene assoluto dalle sue colpe e riammesso nella grazia di Genova. M CCC LXXXXVIIII, die XIIII aprilis. Illustris dominus dominus Collardus de Callevilla Miles locumte-nens Regius in partibus citramontanis ac Gubernator ianuensium et Comunis et populi defensor, et Consilium Antianorum Comunis et civitatis Janue, in sufficienti et legitimo numero congregatum, et quorum qui hiis interfuerunt nomina sunt hec: Dominus Paulus Gentilis, Prior Dominus Johannes de Innocentibus legumdoctor Bartholomeus Pindebem notarius Petrus Scotus Cristoforus de Cruce Symon de Auria Johannes Niger de Lavania Franciscus Justinianus de Campis Leonardus Marruffus Ellianus Centurionus Bechignonus Georgius de Marinis Raffael Figonus de Franchis Tobias Lomellinus, et Georgius Cataneus. Intellecta supplici requisicione coram eis exposita pro parte Petri Marie de Saona, exponentis quod cum dictus Petrus per tempora preterita et maxime tempore guerre vigentis inter Baxitam Jhalabi dominum turchorum et Comune Janue, seu illos de Peyra et alios subditos Comunis Janue in partibus Romanie, se reperierit in Turchia ad stipendium prefati Baxite et aliorum dominorum Turchie, et prefatos de Peyra et alios subditos Comunis Janue offenderit realiter et personaliter, eos captivando, derubando, occidendo et queeumque damna inferendo veluti eorum hostis et emulus, et postmodum penitencia ductus ibi se reperiendo memor nominis — i8o — christiani ab huiusmodi scelestibus operibus se retraxit et ut nobis asserit multa* grata servicia intulit illustri principi domino Duci . Nivernensi aliisque pluribus proceribus et magnatibus galicis in partibus Turchie se reperientibus, et demum cum eis ad partes Galie se transduxit, ubi pro excellentissimo domino nostro Rege francorum, intuitu prefatorum illustris domini Ducis et procerum, de omnibus et singulis per eum commissis et perpetratis contra pre-fatos de Peyra et quoscumque subditos Comunis Janue obtinuit et habuit remissionem et indulgenciam, uti per regales litteras constare vidimus sigilo regali munitas ; omni iure via modo et forma quibus melius possunt ex potestate et bailia eisdem domino Gubernatori et Consilio concessa et attributa, prefatum Petrum eiusque bona liberaverunt et absolverunt, ac presentium auctoritate liberant et absolvunt ab omnibus et singulis quocumque et qualitercumque per eum commissis et perpetratis contra prefatos de Peyra et quoscumque alios ianuenses et subditos Comunis Janue in partibus Romanie . in here et personis tempore quo prefatus Petrus stetit et fuit in partibus Turchie ad favorem seu stipendium prefati Baxite [seu aliorum dominorum Turchie, sive alio quovis modo in partibus Turchie stetisset, et etiam a quibuscumque bannis forestacionibus multis et penis in quibus hactenus incidisset pro predictis vel occasione predictorum, ita quod per aliquem magistratum Comunis Janue inquietari turbari peti molestari vel quomodolibet vexari non possit pro predictis vel aliquo predictorum, proinde ac si predicta non commisisset; sane semper intelligendo quod dictus Petrus ad partes Peyre seu ad alia loca Turchie et Romanie ire et se transferre non possit vel debeat sine licentia prefatorum illustris domini Gubernatoris et Consilii, et de hoc satisdare teneatur et debeat arbitrio prefatorum illustris domini Gubernatoris et Consilii et pro ut eidem Petro prefatus illustris dominus Gubernator et Consilium Antianorum ordinabunt et committent, restituentes prefatum Petrum in pristinum statum ac si premissa per eum commissa non fuissent modo et forma quibus superius est expressum. Archivio di Stato. Codice Diversorum Cancellariae anni 1399, X. 930, fol. 59 181 — A XLV. 1402, 12 aprile. « Egregius et potens vir dominus Lodisius Ba-vosus honorabilis Potestas Peyre etc., sedens pro tribunali etc. », pronuncia una sentenza. Archivio di San Giorgio. Sindicamenta Peire anni 1402 et seqq. XLVI. 1402, 11 maggio. Con sentenza di questo giorno « Bartholo-meus Rubeus honorabilis Potestas Peyre et ianuensium in toto Imperio Romanie », assolve il Bavoso da ogni querela registrata nel processo di sindicamento contro di lui instituito allorquando era spirato il termine della sua Podesteria. Sindicam. Peire, anni 1402 et seqq. XLVII. 1403, io novembre. « Nobilis et egregius vir dominus Johannes Ultramarinus, Capitaneus generalis omnium partium Orientis ia-nuensibus subditarum », ordina che sia bandito il sindacato a favore di chiunque « volens lamentacionem seu querimoniam facere de dominis Bartholomeo Rubeo et Janoto Lomellino olim Potestatibus Peyre ». Sindicam. Peire anni 1402 et seqq. XLVIII. 1404, 14 gennaio. Nell’atto di nomina di tutti gli ufficiali del Comune di Genova e delle sue Colonie, dicesi eletto « in Potestatem Peyre Johannes Bottus ». Archivio di Stato. Codice Diversurum Cancellarie ann. 1403-1405, X. 932, (ol. 191 recto. — 182 — XLIX. 1405, 3 giugno. « Bailia et arbitrium Neapolioni Salvayghi Potestatis Peyre ». Sotto questo titolo si legge l’introduzione di un atto, nel quale il maresciallo Bucicaldo, Governatore di Genova pel Re di Francia, ed il Consiglio degli Anziani « considerantes nonnulla fuisse ordinata ... tangentia magnopere honorem . .. loci seu opidi Peyre et locorum subditorum eidem serenissimo francorum Regi et Comuni in partibus Romanie in quibus Potestas Peyre iurisdictio-nem exercet et habet... ; confisi de fidelitate, prudentia et virtutibus nobilis viri Neapolioni Salvaygi Potestatis Peyre et ianuensium in Imperio Romanie.... ». Qui l’atto rimane interrotto; ed in margine si legge: « Nota quod fuit postea provisum huiusmodi bayliam debere concedi in formam patentium litterarum; imo isto modo hic non processit ulterius, sed per licteras dicta die datas » (i). Arch. e Cod. cit., fol. 179 recto. L. 1405, 31 ottobre. Il Luogotenente del Regio Governatore ed il Consiglio degli Anziani, revocano una sentenza pronunciata dal-1’Uffizio dei Sindicatori di Genova il 19 maggio antecedente, con la quale accogliendosi le istanze di Gaspare Lomellino, veniva condannato Giannotto Lomellino di Gabriele a pagare a detto Gaspare la somma di lire 84 e soldi 14, che questi aveva domandata a titolo di « stalia Abbatie Peire et Potestatie Peire » per Tanno 1403; « attento quod dictus Janotus Lomelinus Gabrielis exercuit officium dicte Potestacie dicto anno de m cccciii per spacium mensium octo. Quo anno dictus Gaspal Lomelinus habuit ad sortes generales officium dicte Abbacie, et Bartholomeus Malonus qm. magnifici (1) I u>dici Litterarum dell’Archivio di Stato oggidì cominciano soltanto dall’anno 1411. — i«3 — Oddoni, a quo dictus Gospal Lomelinus habuit tura cessa ut asseritur , habuit ad sortes generales officium dicte 1 otestacie y dicto anno. Arch. c Cod. cit., fol. 191 recto. LI. 1410, 20 agosto. Lettere patenti dell’elezione di Tommaso da Campofregoso a Podestà di Pe'a. Nos Theodorus Marchio Montisferrati Janue Capitaneus etc., et Consilium Antianorum civitatis Janue nobilibus et prudentibus viris Quilico de Tadeis Potestati, Consilio, comuni, universitati, civitati Peyre, universisque et singulis ianuensibus et qui ianuensium beneficio funguntur in Imperio Romanie salutem. Cum elegerimus et constituerimus egregium virum Thomam de Campofregoso, de virtute eius et fama bona confisi, in Potestatem et pro Potestate Peyre prò anno uno, et pluri et minori tempore ad nostrum beneplacitum , cum salario, honoribus, comitiva et obventionibus consuetis, illaque omnimoda potestate, iurisdictione et baylia tam in civilibus quam in criminalibus quas precessores ipsius habuerunt; mandamus vobis omnibus et singulis supradictis quatenus, finito tempore vestri Quilici potestatis, dictum Thomam in potestatem et pro potestate vestro habeatis, recipiatis, veneremini et tractetis sicut decet, sibi de dictis salario et obventionibus tempore debito respondentes. Nos enim omnes et singulos processus, sententias, condemnationes et alia civiliter et criminaliter recte ferenda per eum auctoritate presentium approbamus proinde ac si processissent a nobis, non obstantibus aliquibus regulis, ordinibus, capitulis et decretis et aliis obstantiis quibuscumque, quibus in quantum obviarent predictis abrogatum et derogatum esse volumus et censemus. Die xx augusti M CCCCX. Biblioteca della R. Università di Genova. Codice Miscellaneo segnato C. VII. j j. I. 1 '■ 11 ■ • ™ — 184 — LII. 1411, 6 febbraio. Nell’atto di elezione degli uffiziali del Comune è detto che fu scelto « ad Potestatiam Peyre Quilicus de Tadeis notarius » ; il quale « iuravit die x februarii ». Archivio di Stato. Codice Diversorum Cancellariae, anni 1411-12, X. 934. LUI. 1411, 3 maggio. (( Quilico de Tadeis Potestati Peire ». La Signoria lo autorizza a concedere che Berterio Gotuzzo da.Portonno , mandato a confine in Caffa, possa da Pera tornare in Genova. Y Archivio di Stato. Codice Litterarum Communis ann. 1411-13 > nunl- l> 104, car. 16 recto. LIV. \ 1413, 13 marzo. « Nobili viro Conrado Cigale Potestati Peyre nobis carissimo ». — La Signoria gli raccomanda Barnaba De Franchi, olim de Pagana, che è spedito Console a Soldaia. Archivio di Stato. Cod. Litterarum ann. 1411-13, car. 271 recto. LV. I413 > 31 marzo. « Potestati Peyre presenti et futuro ». — Il Doge Giorgio Adorno gli raccomanda il proprio nipote Andrea Adorno. Id., car. 287 verso. - i85 -LVI. 1416. Ritorno di Spinetta Campofregoso dalla Podesteria di Pera. Eodem anno (1416) a regendo Peiram eminens Spineta Ducis nostri germanus est reversus ad patriam. Peiram quidem recturus accesserat, priusquam ipse Dux Januensis Dominii sceptrum haberet (r), et quam prudenter quamque strenue insignem Peire locum servans, ibi iuris fuerit ministrator excellens, universalis fama testatur; unde Savonae et ianuensium litorum occidentis Praeses eligitur. Johannis Stellae xAmales Genuenses, apud Muratori, S. R. L, tom. XVII, coi. 1267. LVII. 1424, i.° febbraio. Si rimproverano il Podestà ed i Provvisori di Pera, perchè non usarono alcuna diligenza nell’ investigare quali sieno i genovesi che percepiscono emolumenti dall* Impero , e perche rimandarono assoluto l’ex-Podestà Zaccaria Spinola. Si domandano anche notizie della asserta vendita di una casa pertinente alla Masseria. Egregiis viris !.. (2) Potestati Peyre, nec non Conrado de Pastino, Frederico Scipiono Ceba, Zacharie Spinulle et Leonardo de Francis Burgaro consiliariis et provisoribus Peyre nobis dilectis. .....Non possumus enim non mirari quod scribitis vos Potestas nullos videlicet reperisse qui provisionem ab Imperatore reci-cipiant. In quo certe parum advertisse vos constat, quoniam notorium est nonnullos continuo provisionem et antea et in presens et emolumenta capessere. In qua re maiore opus est investigatione .... Est et aliud nos vehementi admirationi constringens, quod Zacha-rias Spinula olim Potestas Peyre secundum informationes per nos habitas extiterit absolutus nec preter unam accusationem habuerit. Et ex alio latere scripta sunt nobis multa et gravissima crimina (1) Tommaso da Campofregoso fu eletto Doge il 6 luglio del 1415 ; e dall’ insieme del racconto dello Stella sembra che il ritorno di Spinetta in Genova si possa assegnare intorno al marzo del 1416. (2) Lacuna. — 186 — contra eum, sicut aperte videbitis ex copia introclusa litterarum cx Peyra nobis advectarum; quod, si vera sunt ea pro quibus criminatur, quomodo possit vestra ignavia vel negligencia excusari nullo pacto videmus. Qua enim racione potuerunt pauperes Peyie, qui illum graviter accusare videntur, tam graves iniurias reipublice preterire silientio, quia si eiusmodi littere et querimonie false sunt, calumniantes ipsi gravi supplicio digni sunt? Quamobrein ne talia delicta impune pertranseant, vobis iniungimus et iubemus expresse quatenus onlnem solertiam et diligentiam apponatis, solicite procedendo ad indaginem veritatis quam faciliter reperire poteritis si voletis (sic). Et quemcumque reperiendum culpabilem punietis, iudi-cando severe attenta criminum qualitate. Et nichiloniinus quicquid horum vos reperire contingat (reperietis enim omnia si voletis), notum facite nobis confestim. Originales autem litteras ipsas, ut facilius scriptorem reperire possitis, super primo tuto passagio emittemus. Vulgo audivimus domum Massarie fuisse venditam; et tamen a vobis nullam advisationem habemus, neque scimus quid de pecunia actum sit. Monemus itaque vos obnixe quatenus pecuniam ex precio domus ipsius habitam nullo modo expendatis, nec de ea novitatem aliquam faciatis donec a nobis habueritis aliud in mandatis. Archivio di San Giorgio. Codice Officii Provisionis Romaniae ann. i424 21 LVIII. m ìtore di Costantino- 1424, 28 febbraio. Istruzioni circa il favorire la conclusione della pace tra P poli ed il sultano Amurat II. Ducalis Gubernator ianuensium, Consilium et Officium 1 rou sionis Romanie. Potestati et quatuor Provisoribus Peyre. Saluti locorum nostrorum orientalium et christianorum illius c 1 matis semper intenti, egregium et carum civem nostrum Jacobum Adurnum impresentiarum eumdem Potestatem et castellanum Pho carum abunde instruximus de certis modis quibus habet persuadere Morathbei teucrorum principem ut Imperatori romeorum det pacem, — 187 — illique dedimus in mandatis, ut si tentata illius Domini mente re-periat aut sentiat eum paci dispositum, id nobis notum faciat quam celeriter. Itaque si contingat ipsum Jacobum hoc vobis insinuare, volumus et mandamus vobis expresse ut rem. hanc nullo modo perire permittatis. Sed hanc occasionem arripite ac providete tam celeriter quam opportune traiciendo ad ipsum teucrorum Dominum illos oratores et 'sub illis formis qui digniores et magis ydonei atque utiles vestre prudentie. videbuntur, semper habentes cordi et pre oculis quod discrimen et sinistrum urbis Constantino-politane penetrat usque ad viscera terre Peyre et consequenter huius Reipublice. Cui rei utpote maxime importante diligentiam omnem per vos adhiberi mandamus omnino. Janue ultima februarii (1424). Off. Rom. 1424-27. LIX. 1424, 15 aprile. Si riprovano altamente le trattative iniziate da taluni genovesi di Pera col sultano Amurat. Ducalis Gubernator, Consilium Antianorum et Officium Provisionis Romanie. Prudentibus viris Thome de Prementorio Potestati, necnon Conrado de Pastino, Frederico Sipiono, Zacharie Spinule et Leonardo de Francis Burgaro consiliariis et provisoribus nostris Peyre dilectis. Non absque cordis amaritudine ac gravi mentis turbatione nuper audivimus nonnullos vel in pessimum finem tendentes, vel re^um penitus ignaros, hoc persuasisse opera dedita ut videlicet dominus Morathbey teucrorum princeps donata prius tracta lapidum et calcis, tricenta etiam perpera donet Comunitati Peyre, ex quibus iuxta pondus et comerchium Peyre turris fabricetur fortis et alta, hac etiam adiecta lege quod sit in voluntate Comunitatis Peyre super ipsam turrim pingi facere ipsius principis teucrorum insignia. Horum siquidem temeritas et imprudentia nos non modicum irritavit ad iram; sed non minus etiam vestra inadvertentia que simi- * * — 188 — libus erroribus aures accomodet, aut potius non puniat severe atque coybeat cogitationes istas ineptas. Ne itaque talis morbus terras et populos nostros inficiat vel colludat, vos obnixe monemus quatenus omnem modum omnemque curam adhibeatis quod de huiusmodi discriminosa materia sermo non fiat, neque talem intentum alicui orbis principi permittatis inferri si gratiam nostram vobis conservare et indignationem gravissimam cupitis evitare. Ac ne deinceps quis ausu temerario sive etiam ignorantie cecitate ductus, principis alicuius subsidium implorare presumat pro terrarum nostrarum reparatione vel fortificatione fienda, cui Dei gratia suppetunt vires nostre, presentes litteras in illa Curia volumus registrari ad noti-ciam non minus burgensium quam officialium futurorum. Data Janue, die xv aprilis (1424). Off. Rom. 1424-27. LX. 1425, 2 aprile. « Imperiali Lomelino Potestati, Consilio et Massariis Peyre ». — Paghino a Lodisio De Franchi-Burgaro 2070 perperi, dei quali è creditore verso 1’Ufficio di Romania. Off. Rom. 1424-27. LXI. I425> 29 novembre. « Potestati Peyre ». — La Signoria gli trasmette lettere del Duca di Milano e Signore di Genova, ingiungendogli di presentarle all’Imperatore di Costantinopoli cui sono irette, per richiamarsi di diverse ingiustizie ed angherie onde opprime gli abitatori della Colonia. Off. Rom. 1424-27. « 1426, 9 gennaio. « Potestati et Massariis, Consilio et universi-tati Peyre etc. — Cum devotus religiosus frater Gregorius de Cor-sanego, ordinis sancti Beftedicti, intendat, Deo auspice, in Pera vivere intra monasterium aliquod iam constructum vel forsan divino suffragio construendo, aut ecclesiam aliquam ...; mandamus vobis ... quatenus ... eumdem fratrem Gregorium ... fratresque suos presentes et futuros... habeatis... pro francis ... a quibuscumque solutionibus introituum seu cabellarum ». Off. Rom. 1424-27. LXIII. 1426, 20 gennaio. « Imperiali Lomelino Potestati et Consilio Peyre ». — Costituiscano sollecitamente il tribunale di sindacato per tutti gli uffiziali usciti di carica. Off. Rom. 1424-2j. \p LXIV. 1426, 31 gennaio. Il Podestà di Pera non rilasci salvocondotto a Nicolò di Casale, contro cui ha sporti richiami la Signoria di Venezia. Off. Rom. 1424-27. LXV. 1426, 4 febbraio. « Potestati et Consilio Peyre ». — Lamentasi la Signoria perchè la Curia abbia pronunciato una sentenza favorevole a Lodisio de Pineto notaro e contraria a certo Sana armeno. Af- — 190 — fermano i Signori della vita di esso Lodisio « turpem informationem habemus ». Off. Rom. 1424-27. LXVI. 1426, 6 febbraio. « Officio Provisionis terre Peyre ». — Si sono ricevute lettere di detto Ufficio, con le quali si chiede alla Signoria che voglia conferire a Giovanni Musso, « tamquam ydoneo et famoso notario «, la scrivania dell’ Ufficio medesimo. « Quas siquidem litteras scriptas esse cognovimus per manum dicti Johannis et in maximas eius laudes : cuius vita et tama nobis non est ignota. * 1 Acceptius autem nobis esset quod operationes et bene gesta 10 minum eos facerent commendatos, non autem precationes et littere precario impetrate. Hec autem libenter dicimus, quoniam omnis Potestas Peyre in exitu sui officii commendatorias et laudatorias litteras affert, cum sepe fama sit in oppositum. Itaque volumus ut circa premissa oculos et diligentiam ponatis ». Off. Rom. 1424-27. LXVII. 1426, 21 febbraio, 8 e 9 marzo. « Potestati et Massariis Peyie ». — Si manda loro da Genova un certo numero di balestrieri armati per custodia della'terra. Off. Rom. '1424-27. LXVIII. 1426, 5 marzo. « Potestati et Massariis Peyre». Conferiscano l’ufficio del peso dell’oro e dell’argento a Federico di Groppo. Off. Rom. 1424-27. — i9i — . LXIX. 1426, 11 marzo. « Potestati Peyre. — Porrexit nobis nobilis et bene compositus civis Zacharias Spinula supplicationem cuius copiam iussimus hic includi. Vobis itaque committentes mandamus ut meritis huius rei tandem in lucem veniat quatenus processus tempore Potestatie nominati Thome (1) agitatos in ipsa causa simul et sententiam et omnia inde secuta nobis ad seriem mittatis ». Off. Rom. 1424-27. LXX. 1426, 13 marzo. « Potestati Peyre. — Multas habemus causas diligere magnificum dominum Jacobum Gatilusium Mitileni dominum ... Volumus itaque ... quatenus, quantum fieri possit, eidem Domino Mitileni suisque procuratoribus atque subditis impendatis amplos favores et auxilia, ita ut in hoc aperte monstretis quantum eius commoda et favores diligamus; precipue autem celerem et expeditam iustitiam contra quoslibet eorum debitores efficaciter ministrando, si quicquam talium coram vobis emerget ». Off. Rom. 1424-27. LXXI. 1426, 30 marzo. Prudentibus viris Vicario et Officio Provisionis Pere fidelibus nostris carissimis. — Si inter cetera loca nostra partium Romanie terra Pera, quam velut nobile membrum corporis nostri et alterum oculum Januensis Reipublice nobis cordi insidet, nulla admiratione quipiam capi potest. Est enim hostium per quod nobis aditus est ad singulas maris maioris civitates et terras. Item ad eiusdem terre favores et commoda procuranda persuadent nos alia perplurima; quo fit ut nullus locus sit nobis g'ratior cariorve (1) Tommaso Promontorio predecessore di Imperiale Lomellino. — 192 — Pera ipsa. Matura itaque animadversione adhibita iudicavimus pro cautela et tutiori custodia eiusdem terre,- licet de ea minime dubitemus, in fide et probitatibus vestris plene confisi, utile fore providere vobis de septuagintaquinque balistariis expertis et bonis ad vos impresentiarum venturis cum balistis et arniis eorum ». Off. Rom. 1424-27. LXXII. 1426, 30 luglio. « Potestati et Consilio Peyre ». Facciano buona custodia contro i veneziani, i quali hanno rotta la pace con Genova e si apprestano alle armi. Off. Rom. 1424-27. LXXIII. 1426, 14 novembre (poi spedita il 18 gennaio 1427). Tadeo de Zoalio Potestati, nec non Consilio, Officio Provisionis et Vicario Pere. — Litteras vestras multiplices... accepimus, non absque cordis amaritudine lectas, intellectis presertim lamentatio nibus quas continent contra Dominicum De Mari quem scribitis multa enormia, plurimos excessus, pleraque minus honesta mi nusque debita commisisse... Verum quoniam is Dominicus habet necessario petere ducalem presentiam secum ducens ambaxatorem illustrissimi domini Morat teucrorum principis, non fuit fas in tam parvo temporis spacio eas res que plures articulos continent termi nare... Ceterum volumus quod omnia civilia administrata quomo • 1 U * documque per dictum Dominicum revocetis ... Ita gratias ^ ia ui mus commendationes et laudes nobilis Imperialis Lomelini olim Potestatis vestri, quemadmodum sunt nobis odio hi qui male ge runt officia. Off. Rom. 1424-27. * — 193 — LXXIV. V 14.26, 18 novembre. La Signoria conferma l’elezione, seguita in Pera, di Francesco Villanuccio all’ uffizio d’interprete. Off. Rom. 1424-27. LXXV. 1427, 18 gennaio. La Signoria partecipa avere eletto a scrivano del Podestà e de’varii uffizi amministrativi della Colonia, per un biennio, quel borghese Francesco Durante. Off. Rom. 1424-27. LXXVI. 1427, 4 giugno. Essendo il Durante assente da Pera, ne assuma P incarico il notaio Simone di Giacomo Mazzurro. Off. Rom. 1424-27. LXXVII. 1427, 20 giugno. La Signoria ha nominati Luchino Grimaldi e Cristoforo del Poggio Massari di Pera, per un anno. Off. Rom. 1424-27, LXXVIII. 1427, i.° settembre. « Potestati... et universitati Pere. — Acceptis informationibus complurimorum carorum civium nostrorum, quod egregius legumdoctor dominus Benedictus de Pomario qui a Pera relegatus est, recte et optime se componit et gerit, iurgia et Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XIII , Fase. 1. 13 — 194 — discordias ac lites pacando, pacemque adducendo inter litigantes preter morem legistarum etc., preteractam relegationem revocamus. Off. Rovi. 1424-27. LXXIX. 1427, 17 settembre. « Janoto Spinule Potestati Peyre ». — La Signoria gli partecipa l’elezione di Antonio di Camogli a sotto-scrivano della Colonia. Off. Rovi. 1424-2’]. LXXX. 1427, 16 ottobre. « Nobili et prudentibus viris Luchino de Gri-maldis et Georgio de Quarto nobis carissimis/ — Quotidianis extorsionibus et iniuriis officialium Peyre, ac enormibus et excessivis solutionibus quibus per eosdem, et potissimum per scribas et ca-valerios, ut nobis nuperrime querelantur allatum est illi, burgenses contra mentem nostram afficiuntur, non mediocriter commoti. Et de utriusque vestrum rectitudine, prudentia et promptitudine plurimum confisi, intentique semper pro viribus ad illius nobis carissime terre conservandam iustitiam, ecce sicut nobili et circumspecto viro Janoto Spinule futuro nostro Potestati Peyre dedimus in tractatu, ita vos delegimus creavimus et deputavimus ... in sindica-tores continuos et assiduos loci eiusdem ». Off. Rom. 1424-27. LXXXI. !427 ? 5 novembre. « Potestati presenti et futuris, et Consilio, Communi et universitati Peyre. — Venerabilem religiosum Melia-nutn Salvaigum .. . speciali complectimus caritate, suisque de vir- — 195 — tute et meritis optime sentimus. Mandamus vobis . . . quatinus eundem Melianum, quem informamur creatum fuisse Vicarium in terra illa ecclesie sancti Michaelis, suscipiatis benigne honorifice et favorabiliter commendatum ». Off. Rovi. 1424-27. LXXXII. 1427, 10 novembre. « Luchino de Grimaldo et Georgio de Quarto sindicatoribus nostris Pere. — Per tractatum datum nobili viro Janoto Spinule accedenti Potestati Pere, sibi dedimus in mandatis expressis ne Antonium de Cavana nunc Vicarium Potestatis Pere modo aliquo secum teneat... ». Se lo Spinola disobbedirà, si intendano nulli tutti gli atti.che il Cavanna potesse compiere in qualità di Vicario. Off. Rom. 1424-27. LXXXIII. 1427, 15 novembre. Si avvisano il Podestà ed i Provvisori, che all’ ufficio del peso in Pera venne eletto Giovanni di Biagio Monleone. Off. Rotv. 1424-27. ^0 LXXXIV. 1428, 4 marzo. « Janoto Spinule Potestati Peyre ». — Gli si comunica un recente decreto, per cui viene stabilito che l’entrata dei vari ufficiali della Colonia nella rispettiva carica abbia luogo « in kalendas septembris ad tardius ». Archivio di Stato. Cod. Litterarum Communis ann. 1427-31, num. 3, X. 106. — 196 — LXXXV. 1428, 9 agosto. « Janoto Spinule Potestati ». — Gli si comunicano alcuni articoli inclusi nel trattato di pace stipulato col Re d’Aragona (r). Cod. cit. LXXXVI. 1428, 25 agosto. « Ducalis ianuensium Gubernator etc. Animadvertentes admodum nonnullos officiales in partibus orientalibus hactenus prefuisse, qui inequali ac minus honesto regimine pravoque proposito et effreni avaricia multum ducti, se in dictis eorum officiis dissolutissime habuerunt . . .; volentesque propterea ad officia .. . virtutibus claros et laudabili fame prestantia preditos viros transmittere . . . elegerunt . . . Benedictum de Viali in Po-testatem Peyre . . . pro anno uno » ; cioè spirato il tempo di Giannotto Spinola. Archivio di Stato. Cod. Diversorum Cancellariae ann. 1428-30, X. 944» fol. 18. LXXXVII. 1428, 18 settembre. « Janoto Spinule Potestati nostro Peyre. — Intelleximus nuper inter illam nostram Comunitatem Pere et Serenissimum Imperatorem Constantinopoli exortas esse discordias, ita quod fuit necesse illic armare duas galeas ad ipsius et suorum of-lensis; quod nobis admodum displicet, maxime hoc tempore. (1) Il detto trattato di pace reca la data del 5 maggio stesso anno 1428 (Ved. Dumont , Corps Di-plomatique etc,. voi. II, par. II, pag. 216); ma è steso in termini molto generali. La lettera della Signoria accenna invece, senza riportarli, ad alcuni articoli che dovettero far parte dei protocolli , come or si direbbe, annessi al trattato medesimo. Nella stessa guisa appunto adoperò il Governo relativamente a Dorino Gattilusio , signore di Metellino e Foglievecchie ; i cui procuratori accedettero al trattato e lo ratificarono con atto del 29 aprile 1429. Ved. Luxoro e Piselli-Gentile , *Documenti riguardanti alcuni Dinasti dell’ Arcipelago, nel Giornale Ligustico ecc., anno 1875, pag. 86-87. — 197 — Hortamur itaque vos et persuademus obnixe ad bonum et pacificum vivere cum eodem ». Off. Rom. 1424-27. LXXXVIII. 1431,3 marzo. « Philippo De Francis Figono, Potestati Peyre ». — Faccia sequestrare i beni del qm. Gaspare Donato a favore di Raffaele Pernice. Cod. Litterarum ann. 1428-37, num. 4, X. 107. . c L-XXXIX. 1431 , 7 marzo. « Massariis et Sindicatoribus Peyre ». — Si dà loro avviso della spedizione di Manfredo Ghizolfi, capitano di centoquaranta stipendiati, per guardia e difesa della Colonia. Cod. cit. xc. 1431, 8 marzo. Il Podestà ed il suo Consiglio facciano pagare 1276 perperi, che sono dovuti agli eredi d’Antonio Spinola qm. Branca cittadino di Pera. Cod. cit. XCI. • 1431, 19 marzo. « Philippo De Franchis Potestati Pejure ». — Gli ò partecipata la deliberazione della Repubblica di muover guerra ai veneziani e fiorentini, e lo si eccita in pari tempo a provvedere — 198 — alla sicurezza della Colonia; in vista di che gli si manderanno prossimamente delle acconce provvigioni caricate sulla nave Italiana. Cod. Litterarum ann. 1427')!, num. 3, X. 106. XCII. 1431, 5 aprile. «• Potestati Peyre ». — Gli è dato avviso della partenza del Ghizolfì, con centoquaranta balestrieri, seguita il 26 marzo; nonché dell’ armamento di cinque navi cui si attende dalla Repubblica. Cod. Litterarum ann. 1428-37, num. 3, X. 107. xeni. 1431, 4 dicembre. « Potestati et Consilio Peyre ». -— Armisi contro i veneti una galea; « illamque eo tempore expediatur, ut die xv maii in portu Chii ipsam inveniat Commissarius noster ». Cod. Litterarum ann. 1431-34, num. 5, X. -108, fol. 114. XCIV. t 1432, 8 marzo. Si rinnova l’ordine circa la spedizione della galea pel 15 maggio.' Cod. cit., fol. 183. XCV. 1432, 19 agosto. « Potestati et Consilio Peire ». — Si adoperino in difesa di Dorino Gattilusio Signore di Metellino. Al quale infatti si partecipa nello stesso giorno da Genova: « Nos autem ut — i99 — que petitis recte conficiantur, scribimus efficacissime Prefecto classis nostre ac rectoribus Pere et Chii, ut quatenus res exigat provideant saluti status vestri ». Cod. cit., fol. 281 ; Luxoro e Pinelli-Gentiee, Documenti ecc., nel Giornale Ligustico, anno 1875, pag. 93. XCVI. 1432, 2 settembre. « Illario Imperiali Potestati Peyre ». — Provveda alle ragioni di Emanuele Cattaneo creditore di Babilano Pallavicino. Cod. Litterarum ann. 1431-39, num. 6, X. 109. XCVII. 1432, 24 settembre. « Potestati et Consilio Peyre ». — Si invitano a concorrere nelle gravi spese di mantenimento della flotta, che dee svernare in Oriente. Cod. Litterarum ann. 1431-34, num. 5, X. 108, car. 304. XCVIII. 1433, 27 aprile. « Ilario Imperiali Potestati Peyre ». — Viene eccitato ad agire risolutamente contro i debitori della gabella dei marmi. Cod. cit., fol. 306. — 200 — XCIX. 145;, 11 giuguo. Lettera autografa del mercante*Imperiale Tonso a suo fratello Cristoforo, circa le condizioni politiche ed economiche di Pera. (Extra) Domino Christoforo Tonso in Nicosia. Recepta de Peira die xxx iulii 1433. Imperialis Gentilis (r). (Intus) Jbesus. m cccc xxxiii die xxn iunii in Pera. Domino Chri-stoforo Tonso. Frater carissime. Vestras de mensibus marcii et aprilis et vim madii recepi pridie, que fuerunt prime postquam ibi estis, vissas cum placere, videndo vestrum incolumen statum; et gaudeo quod locus ille competet nature vestre, quod paucum vobis non est. Semper confortor vos in bonam custodiam, evitando discrimina; in quantum tamen apareat vobis tediosus, novi mihi non est ; sed unde fiant bene facta vestra pro consolatione et placere pauci sunt qui extra patriam diu maneant. De partito facto cum serenissimo domino Rege resto advisatus et quasi cohactus comprehendere illud fecistis et contra voluntatem. Sic enim a multo tempore citra vidi ibi degentes similia negotia contrahere que tamen non mihi placent. Video clare per tempus ibi stare vos necessitat non paucum; quod cum salute anime et corporis vobis concedat pius Dominus. De navibus Lucheti et Falamonice et de mercibus in eis existen-tibus vidi, et quomodo recto tramite Januam iverunt. Salvet illas pius Dominus.... (guasto) tempore hodierno cum sallite Janue sint, restabunt illi domini Consulis qui in ipsis non iverit. Memor enim sum de tella Benedicti, quam mecum Deo volente portabo. Dubito tamen ne hic yemare compellar ; nam quasi totam racionem meam in Caffa habeo et in parte in pannis, de quibus propter miseram condicionem loci dubito de lunga fine ; de quo .... (guasto) doleo. Ideo videbo libenter de vestris mihi scribatis. Adavisant Johannes de Levanto nuper hic venit, et ut dicitur (1) Questa linea è scritta d’ altra mano. restare debet in loco fratris sui Bartholomei qui ivit pridie in Ci . . . , (guasto: Cimbalo?) cum armata nostra. Teneo sit bonus iuvenis. Quid sit de vestro non laudo ad istas mittatis, nam sucari sunt sine consumacione et vili precio , et de ipsis satis sunt; et continue per terram de Damiata et sic versus Siciliam conducuntur. Feci ex ipsis sepe mercantiam, et continue cum pauco utille; nam propter frasum (i) ipsorum, quia panes semper franguntur, de ipsis homo aliquid facere potest. De Nicolao fratre nostro vidi quantum dixit. Ab ipso enim diu est literas non habeo. A Nicolao tamen cognato nostro habeo de xxvi marcii. Nicolaus filius eius non accepit uxorem; causam tamen ignoro, quia litteras ab eo non habeo. De Alaono quantum dixit vidi, cum.....abili et non aliter; videbo semper libenter secum participetis, sed cum vestro consencio et non aliter, quia ad impossibilia nemo tenetur et sufficit bona voluntas. Diu est ab ipso litteras non habeo. Non credebat enim tantum ad istas me esse ut et ego pe... Franciscus noster gentilis de Rhodo mihi scribit ab eo litteras habere; et Deus scit cum quanta affectione de ipso scribit et comra____scripsit velle ... eodem secum participare; ab omni latere -de ipso bene dicitur; qua in re spero Dominus de ipso nos conso lare. Advisationes vestras tam Insule quam Sirie et Egipti distincte vidi, et ad vestras nil aliud dixi indigendo respondere..... vestro . .. Restavi cum maximo desplacere de morte Francisci cognati nostri qui.....me plangit et continue affligit variis respectibus, et de ipso inter ceteros maximum dampnum facit Alaonus quia illum satis diligebat. Tamen nati sumus ut semel moriamur; et Deus laudetur de toto. Simon Macia veniet in galeoto infalanter ut penso quem attendimus totum augustum. Fuit occupata dicta navis cum illa Cepriani de Mari et aliis.....pro negociis Cimbali amissi ; et secundum sentivimus nostri nichil facere potuerunt in recuperacione dicti loci, de quo vehementer dolemus, et scripsimus tam per terram quam per mare Dominacioni circa provixionem fiendam in recuperacione loci quoniam necessitat valde ; aliter periclitarent cetera loca (i) Dal genovese fra^o; diminuzione, mancamento. — 202 — nostra granditer; et teneo firmiter per nostros providebitur maxime (?) essendo pax ut ab undique reffertur, et demum per galeam unam venetorum hic missam ad nuntiandum ipsam pacem cum litteris ducalibus et quomodo cessent offensiones, quamquam a nostris de Janua iterum nulla habeatur noticia; et si verum est quod reffertur avenet (advenit) cum pauco nostrorum honore, tamen bona dici potest respectis pluribus. De Janua vero in Chio naves attenduntur, et omnia distinctius videbitur. Hic parum fit ex mercanda et omnia cum pauca consumacione, preter olea et sapona de quibus fuit maximum mancamentum. De ipsis oleis aliqui pauci conducti sunt et venditi a perperis i karatis vm bene (?). Sed in hiis preciis fundandum non est.....in galeoto. Cavialis et satis debitam somma (sic) quo illos adviso da perperi vi k. xii in vii lo cantaro, corni de buffaro.. . pauce sunt valuta perperi xii in plus secundum bonitatem crudis. Sucari de duabus cotis in . . . perperi lviii in lx de Cipro; de tribus vero, perperi lxx et cum pauca consumacione. De pulveris non sunt. Valerent pro Pera... essendo bone, perperi xxx lo cantaro. Cambia pro Janua perperi xim: lo ducato veneto perperi ni k. v; Io turco (?) perperi ii k . . . Lana clameloti ad presens hic non est. Brunorus Salvaigus non ivit Caffam. Ansaldus vero se vobis re-commendat.... me domino Consuli et domino Thomaxio. Benedictum vero multum saluto a quo literas non habeo. Videbo libenter me advisetis sicut facit Benedictus pater. Paratus semper vestris. Imperialis frater vester salutem. Archivio di Stato. Roccatagliata, Miscellanee, voi. II, pag. 183, Cod. num. 65. C. 1433, luglio. « Ilario Imperiali Potestati Peyre ». — Faccia diritto alle lagnanze che si muovono dagli appaltatori della gabella dei marmi. Cod. Litterarum X. 108, fol. 440. 203 — CI. 1434, 15 settembre. « Potestati et Antiams Peire ». — Viene raccomandato ai medesimi Francesco Cepollino, eletto ministro in quella città per un anno. Cod. Litterarum anni 1426-1503, num. 2, X. 105, fol. 33. CII. 1434, 3 dicembre. «.Potestati, Antianis etc. Peire ». — Commendatizia di Agostino di Montaldo eletto Podestà della Colonia per un biennio, da cominciare alla scadenza dell attuale Stefano De Marini. Cod. cit., fol. ^35. cui. 1435, 2 agosto. « Potestati Consilio et universitati ac personis singularibus... Pere ». — Commendatizia di Ansaldo D’Oria, il quale è stato eletto Podestà per un biennio, ed entrerà in carica tosto che cessi dall’ ufficio il suo predecessore Cipriano De Mari. Cod. cit., fol. 42. CIV. io 0 1436, 2 settembre. « Potestati Peyre ». — Si assicuri delle persone di Giovanni di Dernice e Benedetto Cicero, patroni di navi, i quali nell’ Ellesponto e nel mare d’Africa si erano violentemente impadroniti di legni veneziani, maltrattandone crudelmente gli equipaggi; li obblighi a restituire il mal tolto, e li invii a Genova sotto buona custodia. Cod. Litterarum anni 1434-37, num. 7, X. no, manuale xxmi. — 204 --- CV. 1438, 13 marzo. « Johanni de Levanto Potestati Peyre ». — Provvegga alle richieste di Giacomo Fieschi, creditore della Comunità di Pera per buona somma di perperi. Cod. Litterarum anni 1437-39, num. 8, X. ni. evi. r439> 5 maggio. « Simoni Macie Potestati Peyre ». — Faccia dritto alle ragioni di Giovanni Della Porta sulla eredità paterna. Cod. cit. CVII. 1439, 19 maggio. « Simoni Macie Potestati Peyre ». Faccia ragione alle istanze de’ Maonesi di Scio, riguardanti alcune casse di mastice state vendute sei anni addietro per ordine del Podestà e del Consiglio di Pera. Cod. cit. CVIII. *439 > I-° agosto. « Simoni Macie Potestati Peyre ». — Prov-veda perchè Battista figlio di Bartolomeo De Franchi, giovinetto diciassettenne, non sia tenuto chiuso ed inaccessibile ai parenti, a cagione dell’ avere egli manifestato il proposito di dedicarsi alla vita monastica. Cod. cit. 1439> 3° dicembre. « Potestati et Consilio Pere». — Abbiano per raccomandati i reverendi Sarchis e Tommaso, professori di sacre lettere e legati del Patriarca Armeno, i quali ritornano da Roma ove hanpo compiuto felicemente il loro mandato di trattare la riconciliazione di quella Chiesa colla Latina. Cod. cit. CX.- *439 > 3r dicembre. « Potestati, Consilio et Communitati Pere ». — Si adoprino a favorire tutti gli armeni che abitano o frequentano in Pera, specialmente ora che sono tornati all’unità della Chiesa Romana. Cod. cit. CXI. 1440, i.° agosto. Lettere patenti con cui la Signoria di Genova assolve Bartolomeo Caffeca dalle pene cui era stato condannato, per l’omicidio da lui commesso in Pera sulla persona del marinaio Salvatore De Mata, fuggito dalla nave di Angelo Giovanni Lomellino. Cod. Litterarum anni 1440-47, num. 11, X. 114. CXII. 1440, 16 aprile. « Potestati et Consilio Peyre ». — Si comunica ai medesimi il decreto pontificio emanato nel Concilio di Firenze, recante i patti e le concessioni stipulate cogli armeni; e si ordina che ne curino l’osservanza. Cod. Litterarum anni 1440-41, num. 10, X. 113. — 206 — CXIII. 1441, 8 aprile. « Potestati et Consilio Pere ». — Esonerino la chiesa armena di Pera dal pagamento dei terratici, dovendosi gli armeni favorire in ogni modo. Cod. cit. CXIV. 1441, 11 aprile. « Nicolao Anthonio Spinule Potestati Pere ». — Si adoperi affinchè il giovinetto Luigi figlio del qm. Andrea Grimaldi, borghese di Pera, possa venire a Genova onde esservi educato « sub disciplina bonarum artium ». Cod. cit. cxv. 1441, 22 novembre. « Potestati, Consilio etc. Peyre». Viene loro notificata L’elezione di Lodovico de Ripa a scrivano delle Compere nella Colonia. Cod. Litterarum anni 1440-41, num. 10, X. 113. CXVI. *442i 2$ settembre. Lettera della Signoria di Genova al Papa circa gli aiuti da prestarsi all Imperatore di Costantinopoli. Pape. Exhortatur nos Beatitudo Vestra, Sanctissime ac Beatissime Pater, Constantinopolitano Imperatori tureorum bellum repellenti opem ferre. Dignus profecto Sanctitate Vestra labor, cuius etiam partem capessere nos nequaquam abnuamus. Quo circa ut Beatitudo Vestra v — 207 — non ignoret que a nobis iam pridem comparate sunt provisiones, menimimus Sanctitatem Vestram suum ad nos aliquando nuncium misisse qui moneret curaremus navem aliquam ex maioribus singulis annis Peram traiicere, ita quidem instructam ut bello etiam idonea foret; ut si forte Imperator ille bello premeretur, haberet mari auxilium paratum. Id nos a .Beatitudine Vestra moniti, non modo agere singulis annis statuimus, verum etiam implere cepimus. Namque vere superiore stipendio conduximus navem Nicolai Gentilis, que sexta iunii die Peram pervenit, ibique dies aliquot morata in Pontum Caphamque penetravit. Constatque nobis eam iam Peram regressam esse; ibique confidimus non levi presidio urbibus illis fuisse. Hoc idem et vere sequenti faciemus, ne in his que et decent et expediunt commonefacti, presertim ab Vestra Sanctitate, essemus. Plusquam opis arbitramur rebus illis afferri his et eiusmodi provisionibus pace cum Rege tureorum servata; quam si rupto federe bellum cum potentissimo Domino palam geratur. Clam enim tela, arma, commeatus, pecunie Imperatori subministrantur; que omnia pro defensione terrarum nostrarum belli tempore retinenda forent. Si quid aliud censuerit Beatitudo Vestra a christianis principibus moliendum fore, nos portionem nostram nunquam refugiemus, qui nos nostraque omnia Sanctitati Vestre' semper commendamus. Data xxv septembris (1442). Sanctitatis Vestre filii ac servitor es devotissimf Thomas Dux et Consilium et Officium Romanie Communis Janue. Cod. Litterarum anni 1441-44, num. 12, X. 115. CXVII. 1443, 7 giugno. Lettere patenti di protezione e salvocondotto generale, a favore di Nicola Natara. » Raphael Adurnus Dei gratia Dux Januensium etc., consulibus, potestatibus, capitaneis ceterisque rectoribus in transmarinis urbibus nostris constitutis..., set precipue Potestatibus Pere presentibus ac venturis, atque insuper prefectis classium ac ductoribus navium et galearum nostrarum dilectissimis nostris, salutem. — Permovent nos - 2o8 - studium ac rectus in nos animus magnifici militis domini Luce Natare, movent sua et quondam domini Nicole parentis sui merita , ut dignitati et commodis eius libenter inserviamus ...... Quamobrem vos omnes et singulos suprascriptos monemus, precipientes obnixe ut ipsum dominum Lucam debitis honoribus colentes, eum inter precipuos ianuensis nominis amicos habeatis et adnumeretis; nunciis, procuratoribus ac suorum negociorum gestoribus impense faveatis; bona eius mobilia et immobilia, domos, loca, merces, pecunias resque omnes non aliter teneamini quam. si ianuensium essent, Janue natorum Janueque habitantium. Quare si contingeret eum nunciis, litteris, intercessione ac favoribus vestris apud uilos principes aliquando egere, volumus ea omnia sibi accumulate prestari. Nos preterea harum litterarum auctoritate damus ipsi domino Luce suorumque negociorum gestoribus ac familie, pecuniis, mercibus, rebus, domibus, locis Communis, bonisque omnibus mobilibus, tutissimum ac ' generalissimum salvumconductum annos quinque proximos duraturum et valiturum; ita ut pretextu guerrarum, discordiarum aut inimiciciarum iam exortarum aut quas deinceps moveri contingeret inter quosvis reges, principes, dominos et communia, presertim serenissimum dominum Imperatorem romeorum una ex parte, et nos atque iamdictum Commune Janue ex altera,..... idem dominus Lucas aut eius procuratores ac negociorum gestores capi, detineri, impediri aut molestari non possint. ... In quorum testimonium has litteras nostras fieri et sigilli nostri impressione muniri iussimus. Data Janue m cccc xxxxiiii, die vn iunii. Cod. Litterarum anni 1441-44, num. 12, X. iil. CXVIII. 1443, 3 luglio. ««Borueli de Grimaldis Potestati Peyre ». — Mandi sotto buona custodia Francesco di Beltrame al Console di Caffo, perchè deponga nella vertenza tra Battista Della Rocca e Leonardo Spinola. Cod. Litterarum anni 1440-47, num. 11, X. 114. — 209 — CXIX. I443, 7 dicembre. « Borrueli de Grimaldis Potestati » etc. Gli si notifica la facoltà conceduta a Leonardo Spinola, di trasferirsi colla propria famiglia da Pera ad abitare in Genova. Cod. cit. « -- cxx. 1446, II luglio. Il Doge Raffaele Adorno scrive a Luca Natara: « Egregio quoque propinquo nostro Luquino de Facio novo Pretori Pere mandata dedimus ne ulli dignitati ullisve commodis vestris unquam desit ; sed ita potius enitatur, si se oferat occasio, ut neque diligencia neque studio vel ardore, amplitudini vestre unquam defuisse videatur ». Cod. Litterarum ann. 1446-1450, nura. 13, X. 16, car. 3$ recto ; Desimoni, Introduzione all’ opuscolo di Adamo di Montaldo, della conquista di Costantinopoli ecc., negli ^Atti, voi. X; pag. 299. CXXI. 1447/27 marzo. « Petro de Marco futuro Potestati nostro Pere ». — Gli si partecipa 1’ elezione di Stefano Lercari a suo Vicario. Off. Rom., 1448. CXXII. ✓ 1447, 31 marzo. « Luquino de Facio Potestati Pere ». — L’Ufficio di Romania gli commette di far pronta ed ampia giustizia contro gli Adorni, dai quali la casa Fregoso ha patito ingiurie e danni gravissimi. Off. Rom., 144S. Atti Soc. Lio. St. Patria. Voi. XIII, Fase. I. >\ CXXIII. 1447, 6 settembre. « Potestati et Consilio Pere ». — Essendo morto Francesco Villanuccio, che esercitava coll’ aiuto di Stefano Parrisola l’uffizio d’interprete, si elegge quest’ ultimo a succedergli. Off. Rom., 144S. CXXIV. ^ 1447, 10 giugno. « Luquino de Facio Potestati, Consilio et universitati loci Pere. — Confisi de viro spectato Benedicto de Vivaldis cive nostro carissimo, quem suis benemeritis speciali quadam dilectione complectimus, eundem tenore presentium eligendum duximus et constituendum in Potestatem vestrum et dicti loci Pere pro anno uno integro et continuo, incoando die qua ipse Pote-statie officium inceperit exercere, et pluri etc; cum salario, commodis , honoribus... et obventionibus ordinatis et reformatis per nobiles et egregios viros Barnabam de Vivaldis et socios commis- o o sarios et reformatores superioribus diebus ad partes orientales missos » (1). Off. Rom., 144S. CXXV. 1447, 28 giugno. « Benedicto de Vivaldis futuro Potestati Pere ». — La Signoria lo informa della concessione delle rappresaglie che èssa ha emanato a favore di Tommaso da Campofregoso e del cancelliere Gottardo Stella, contro il Comune di Firenze; ordinandogli di adoperarsi ad ogni evenienza perchè la enunziata concessione ottenga il suo effetto. Cod. Litterarum anni 1446-1503, num. 2, X. 105, car. 76 verso. (1) Le stesse lettere trovansi poi ripetute sotto il 23 stesso giugno ; ma già il dì 20 del mese mede-simo era stata notificata al Vivaldi l’elezione di Stefano Lercari a suo Vicario, sì come nel marzo au* teriore la vedemmo annunciata al De Marco. CXXVI. 1448, i.° febbraio. « Potestati et Consilio Pere ». — Si notifica ai medesimi ia nomina del borghese Domenico de Ripa a scrivano della Protettoria delle Compere. Off. Rom., 144S. CXXVII. 1448, 14 febbraio. « Benedicto de Vivaldis Potestati nostro Peyre. — Accepimus litteras vestras ex Pera sub nono decembris elapsi scriptas .. . Placet nobis magistratum a vobis esse susceptum, quem cum virtute geri et administrari a vobis confidimus . . . Dolemus propter multa quod pestis in ea regione vim habeat, et maxime propter vos; propter quod suademus vobis diligencia laborandum pro salute.... Curate illic omnia, et cum prudentia et honestate. Nos autem in dies omnia agimus, omniaque cogitamus que publice saluti quietique conducant ». Cod. Litterarum anni 1446-50, num. 14, X. 117. CXXVIII. 1448, 18 marzo. Istruzioni al Podestà di Pera, circa le rappresaglie concedute ad alcuni cittadini genovesi contro il Re di Polonia cd i suoi sudditi. Janus de Campofregoso Dei gratia ianuensium Dux etc., spectabili -viro Benedicto de Vivaldis Potestati nostro Pere nobis carissimo. Comparuerunt coram nobis nobiles viri Jacobus de Oliva nomine Nicolai de Porta et Thome Spinule, ac Àngelus Lercarius, graviter condolentes quod cum superioribus diebus concesserimus ipsis re-prensalias et reprensaliarum laudes contra et adversus serenissimum dominum Regem Polonie, subditos ipsius et eorum bona....., commissum fuisset vobis quatenus nullatenus permitteretis executioni mandare reprensalias ipsas nisi prius a nobis licentiam haberetis..... — 212 — Visis itaque dictis reprensaliis.. ., et super eis habito maturo examine , volumus vobis committentes quatenus in primis provideatis, si id hactenus actum non est, scribantur per vos littere dicto serenissimo domino Regi Polonie... a quo studeatis cum effectu habere responsum, aut saltim certiorari de ipsarum vestrarum litterarum presentanone. Et si habita a vobis noticia de presentanone ipsa aut responsum, ab eo cognoveritis eundem serenissimum Regem minime intendere ad satisfactionem reprensaliarum sepe dictarum; tunc una cum Consilio antianorum loci illius ac Officio sindicatorum tanquam presentibus vobis licentiam concedimus et arbitrium, consideratis debite considerandis, permittendi exequi et executioni mandare, si vobis et prudentie officialium predictorum videbitur, reprensalias ipsas in omnibus ut fuit concessum, non obstante aliqua commissione vobis Potestati in contrarium data; dummodo transactum sit tempus anni de quo in eis reprensaliis fit mentio. Sub hac lege et declaracione, quod nullatenus intelligatur quod reprensalie ipse se extendant super bonis et seu pecuniis et locis existentibus penes fideicommissarios qm. Agnus de Laneburga pro ut ordinatum fuit. Data die xii marcii m cccc xxxxviii. Off. Rovi. 1448. CXXIX. marzo. Componimento filtro con Nicolò Ceba, perchè sia abolita in Pera la gabella dei defunti. f M CCCC XXXXVIII, die veneris XV martii. Dux et Consilium etc. Audito viro nobili Nicolao Ceba nomine populi perensis multa narrante de damnis et incommodis quibus populus ille affectus fuit ob solam cabellam defunctorum , que sine dubio causam prebuit' ut plus quam centum familie citra paucos annos eam terram deseruerint; se autem ut huic malo occureret pepigisse cum spectabilibus Protectoribus Comperarum sancti Georgii dare illis nomine — 213 — Communitatis Pere loca sancti Georgii quinquaginta loco fructus et emolumenti huius cabelle defunctorum, ut sic populus ille ab hac pernitiosa vexatione liberetur; sed expedire ut illustris dominus Dux et Consilium celebriter statuant ac decernant quod nullo unquam tempore florenus qui nomine Communis intercipi solet aut alii proventus vel proventuum portio capientur aut retinebuntur ex his locis quinquaginta, sed omnino omnis eorum proventus ac fructus intactus et indiminutus dictis Protectoribus relinqueretur. Et ob id enixius supplicante id ipsum ita decerni, ne forsitan res facilis et exigua impedimentum afferat multiplici ac maximo bono nobilissimi oppidi inter scismaticos et infideles positi. Petitioni sue liberaliter assentientes, sanxerunt statuerunt ac preceperunt quod si dicta loca quinquaginta vel quotcumque fuerint ob eam causam scribantur super Protectores sancti Georgii, nullo unquam tempore liceat recte vel indirecte, quavis necessitate aut periculo superveniente, in ea manus iniicere, nec florenum aut fructus vel proventus eorum attingere intercipere aut modo aliquo retinere, nec eorum etiam minimam portionem; sed omnes fructus omnisque proventus et emolumentum eorum a dictis Protectoribus et Com-peris quemadmodum petitur plene ac liberaliter omni tempore reliquantur; Archivio di San Giorgio. Cod. Contractuum ann. 1350-1452; Cod. num. 8, car. 171. cxxx. 1448, 11 aprile. I Signori « decreverunt... quod ea cabella defunctorum nullo unquam tempore ... imponi possit super Communitatem aut populum Pere ». Arch. e Cod. cit., car. 174 recto. I — 214 CXXXI. 1448, 8 maggio. Al Podestà di Pera, circa le vicende di Merualdo Spinola e i mali diportamenti i alcuni borghesi. Benedicto de Vivaldis Potestati Pere. — Receptis litteris vestris nobis scriptis ex Pera sub anno preterito die xxim decembris..... restitimus habunde informati de facto Raffelini et Bernabini de Spinulis qui attigerunt portum illum Pere cum nave Egidii de Car-madino burgensis illius loci, ilio castro Merualdi Spinule derelicto et eo Merualdo in compedibus posito, et de tartaris conductis in ipsa navi etc. Pariter intelleximus id quod pro vestra prudentia ac iusticia fecistis circa rem ipsam ne quid sinistri a teucro nostrali-bus posset inferri, et etiam contra transgressiones commissas et que in dies committuntur illis in partibus per dictum Egidium; quas quidem res et trangressiones non modicum nobis ingratissimas omnino volumus et mandamus adeo gubernetis et reformetis, si actum non est, ut sit semper iusticie locus et iuxta rei exigentiam in his debite provisum. Casum vero noviter occursum inter Dominicum et Obertum de Rippa fratres, Thomam Spinulam et socios burgenses est et alter sancius (?) displicenter audivimus, et ex adverso vidimus ordinem datum cum missione legationis ad dictum Imperatorem pro mitiganda indignatione sua, de quibus vos non modicum commendamus. Hortamus atque committimus vobis ut circa materiam ipsam cum tali iusticia ambuletis ut dicto Imperatori tollatur causa iuste querele , ne merito possit condolere de vobis, et nostratibus non exasperetur casum ipsum in forma quod vobis obici possit eos acerbiorem apud vos invenisse iusticiam quam inveniunt apud Imperatorem aut officiales eius grecos et subditos suos in delicto culpabiles contra nostros etc. Off. Rom. 1448. — 215 — CXXXI. 1448, 4 giugno. « Potestati etc. Pere*». — Si conferma Stefano Lercaro nell’ ufficio di Vicario. Off. Rom. 1448. CXXXII. 1448 > $ luglio. Istruzioni circa il governo delle chiese dei santi Domenico, Michele ed Antonio, onde venne testé commessa la cura a frate Baldassarre Vegio. Potestati etc., Consilio et universitati burgensium Pere. — Ut constat per publicum documentum super inde confectum et patentes litteras in autentica forma conscriptas,dilectus noster frater Baldasar Vegius ianuensis sacre teologie bacalariuS ordinis predi-catorum fuit substitutus, per venerabilem magistrum Thomam de Eugubio, generalem vicarium ordinis predicti in partibus orientalibus, ex concessione et Sanctissimi Domini nostri Pape Nicolai et reverendissimi domini Generalis ordinis sui, magistrum vicege-rentem et seu locumtenentem ipsius in conventu et ecclesia sancti Dominici predicti loci Pere ; nec non eidem fratri Baldasari appo-diata cura et administratio ecclesiarum sanctorum Michaelis et Antonii eiusdem loci, cum omnibus et singulis redditibus emolumentis et obventionibus sibi et magistri Thome in acomenda a prefato Sanctissimo Domino nostro Pape concessarum. Et quia maxima ex parte ad substitutionem et appodiationem predictam deventum est a dicto magistro Thoma nostra intercessione, auditis nonnullis civibus nostris et burgensibus dicti loci illud nobis requirentibus, quibus complacere studuimus multis bonis respectibus, et -precipue attentis moribus sufficientia fidelitate et vita laudabili dicti fratris Baldasaris; volumus ideo vobis committentes quatenus quamprimum idem frater Baldasar istuc appulerit, eum benigne et caritative suscipientes, eidem omnem favorem vestrum auxilium et consilium prebeatis ut admittatur in locumtenentem ipsius magistri Thome vicarii in conventum dictorum fratrum predicatorum de Pera, ac in corporalem possessionem sepe dictarum ecclesiarum sanctorum Michaelis et Antonii, et reddituum earum ut est mentis et dispositionis eiusdem Vicarii habentis pleno iure administrationem et conventus et ecclesiarum ipsarum, ac nostra omni postposita exceptione. Preterea volentes etiam in omnem eventum providere, quod pro posse dicte ecclesie et conventus idoneo pastore et fideli non careant, volumus operemini si, quod absit, dictus frater Baldasar decederet aut non eligeret in dicto loco moram trahere, prehemi-nentiam sepedictarum ecclesiarum et conventus confectu deveniat in fratre aliquo ianuense et minime forense vel extraneo, approbando iudicio prudentiarum vestri Potestatis et Consilii antianorum. Sub qua approbatione volumus etiam sit quicumque substitueretur in dictis ecclesiis a prefato fratri Baldasari, si a dicto loco Pere discederet de brevi in eum postea reversurum. Cui in hoc casu tenore presentium quantum ad nos attinet licentiam concedimus et impartimur. Off. Rom. 144S. CXXXIII. V 1448, 26 agosto. « Consilio, Communi et universitati Pere. — Confisi non parum de prudentia, gravibus moribus, fidelitate et sufficientia... Benedicti de Vivaldis, quem intelleximus in officio sibi per nos collato bene fideliterque se habere, eundem tenore presentium denuo eligendum duximus et confirmandum in Potestatem vestrum et dicti loci Pere pro alio anno uno integro et continuo ». Off. Rom. 1448. CXXXIV. 1448, i.° settembre. Istruzioni dell’Ufficio di Romania, perchè vengano sollecitamente restaurate le fortificazioni della Colonia. Benedicto de Vivaldis Potestati, Consilio et Officio Provisionis Pere. — Post ea que superioribus diebus nobis scripta sunt per — 217 — vos..., ultimo loco ad nos venit vir prudens Lucas Sacherius, et sub credentialibus litteris vestri Potestatis duo inter cetera nobis retulit: unum scilicet quod opus omnino esset reparari facere turres sitas in Pera versus locum qui dicitur Largerio, que nisi presto reficiantur ruinam incurrerent; reliquum vero de munitionibus quibus locus ille opus habet. Super his autem sic dicimus : quod non modicum miramur ad primam partem reparationem turrium provisionem opportunam non dederitis adeo quod dubitari minime possit ruinentur. Ex quo volumus vobis committentes quatenus taliter provideatis quod turres ipse reficiantur et ut nostre mentis est ad sufficientiam reparentur etc. Off. Rom. 1448. cxxxv. 1448, 1.° settembre. Rescritto a favore di maestro Pietro Cremonese amministratore dèlie scuole in Pera. Potestati, Consiiio etc. Pere. — Informati virum providum ac litterarum maxime doctum magistrum Petrum Cremonensem, sco-larum administratorem in dicto loco Pere, circa opus ei commissum bene fideliterque se habere; et non ignorantes ad hoc ut valeat Peram moram trahere, eidem per publicas deliberationes superinde conscriptas fuisse provisum ut annuatim percipiat ab. illa Massaria perperos ducentos nomine annue provisionis, ab annisque decem et ultra citra solutionem suam de dictis perperis ducentis percepisse et annuatim percipere, et volentes ut ad edocendos pueros magis invitetur, et quod non opera, non studio, non labore unquam desistat quin eos sufficientes quantum fieri poterit eficiat. Harum litterarum auctoritate, ratificantes et approbantes in primis deliberationes ipsas sic ut supra pro dicta eius annua provisione factas, volumus quatenus eundem magistrum Petrum benigne et amorose tractetur, in suisque solutionibus eum efectua- t liter commissum habeatis, eius virtute sufficientiaque attentis, adeo quod intelligat pro suis bene gestis et administrandis digne premiari. Off. Rom. 144S. — 218 — CXXXVI. 1448, 4 settembre. « Benedicto de Vivaldis Potestati ». — Gli si notifica 1’ elezione del suo Vicàrio nella persona di Gian Giacomo de’ Ratti. Off. Rom. 1448. CXXXVII. 1449,' 5 marzo. « Benedicto Vivaldi Potestati Pere ». — Aiuti Bernardo Benini da Firenze nella ricerca di un suo figliuolo, che molt’ anni avanti disertò la casa patema e rifugiossi (per quanto si crede) in Pera. Cod. Litterarum ann. 1446-50, num. 13, X. 116. CXXXVIII. T449> 5 giugni Lettere patenti circa la nomina di Nicolò Pa-gliuzzi (Nicolaum Paihucium) ad interprete della Curia di Pera, in luogo di Stefano Parrisola. Off. Rom. 1448. . CXXXIX. 1449, 9 giugno. Istruzioni al Podestà ed al Consiglio di Pera, sul modo di contenersi colle Corti di Costantinopoli e di Trebisonda, e col Sultano. Inoltre non permettano che si compia la riedificazione del castello di Lerici. Benedicto de Vivaldis Potestati et Consilio Pere. — Non unis tantum, sed binis ternisque litteris vestris intelleximus ea omnia que contingerunt illis in partibus et tam in agendis teucrorum ob mortem Imperatoris illius Constantinopolitani quam Trapezundarum; ac etiam vidimus quid per vos actum extitit, propter dicensionem ortam inter constantinopolitanos et nostrates de Pera occasione illius ar- — 21^ — meni fugitivi, quid per vos factum fuit, ncc 11011 de rebus Illicis et negociorum Samastri advisati restitimus. Super quibus omnibus prudentiam vestram commendamus, que opportunas advisationes soliate nobis dedit. In his igitur per vos scriptis sic respondimus. Primum namque quod cum Domino teucrorum pro solito in pace vivatis libenter audivimus, hortantes semper vos ut agenda ipsa sub tali prudentia ct consilio gubernetis quod cesset materia discen-sionis et iurgii, quoniam id cognoscimus loco illi perniciosum esse. Ad partem vero rerum Trapezundarum inferius vobis apperiemur per presentem mentes nostre , cum hic adsit legatus cum quo hactenus conclusionem non habemus. Rem autem grecam et pre-sumptionem ipsorum linquimus gubernandam per vos et octo electos uti presentes, quoniam prudentiis vestris attentis persuademus nobis nil inconsulte vel impensate in materia ipsa exequendum fore. Attamen continue nos certiores reddatis quicquid feceritis in predictis, licet credamus in adventum novi Imperatoris in Constantinopoli omnia composueritis. Egre tulimus presumptionem Juliani de Guizaldis et Gregorii de Turrilia qui ausi sunt contra ordines nostros rehedificare castrum Illicis, ut litteris vestris vidimus. Ideo ut prave dispositioni eorum opportuna adhibeantur remedia, scribimus quantum expedit nostris de Capha, vobisque etiam committendo mandamus quatenus omni cum diligentia et solicitudine procuretis ne dicti Julianus et Gregorius opus inceptum perficiant, et si rehedificatum esset omnino a manibus ipsorum arripiatur soloque adhequetur. Quod si secus procederet, tunc volumus proclamari faciatis ne aliquis nostrorum ianuensium aut subditorum possit non solum auxilium consilium vel favorem ipsis dare, ymmo nec ad eum locum aliqualiter accedere, vel aliquid mittere vel portare aut de eo loco extrahere, sub pena amissionis capitum raube rerum et mercium de eo loco extrahendarum et ad eum vehendarum et ultra aureorum quingentorum totiens exigendorum quotiens fuerit contrafactum, et alia qualibet graviori usque ad indignationem nostram inclusive. Super qua re taliter vos habeatis quod aut vi aut necessitate cogantur ipsi Julianus et so:ius vel castrum linquere vel ipsis invitis eum desedere........Veniemus denuo ad res Trapezundarum dc quibus supra mentionem fecimus, et pro quibus qua- — 220 — tuor graves cives nostri ex prestintionibus auditores dati cum legato serenissimi Imperatoris dietim adsunt; tamen nil hactenus factum est dignum noticia vestra. Quamprimum autem conclusio liet, studebimus omnia vobis nota facere. Off. Rom. 1448. CXL. 1449, 16 settembre. La Signoria di Genova raccomanda al Papa il già menzionato frate Baldassarre Vegio , o Vegetti, designato Vicario del proprio Ordine in Pera ed altre terre d’ Oriente. Cod. Litterarum anni 1446-50, num. 13, X. 116. CXLI. 1450, 18 aprile. « Francisco Cavalo Potestati Pere ». — Faccia eseguire la convenzione stipulata per la transazione di una lite che si dibatteva tra Bartolomeo Giudice e Giovanni Piccamiglio. Cod. Litterarum ann. 1449-50, num. 17, X. 120. CXLII. 1450, 11 maggio. « Potestati' Pere ». — Abbia cura che sia fatta una più equa ripartizione dei proventi di dieci luoghi delle Compere di San Giorgio, legati dal qm. Andreolo Giustiniani e da erogarsi in opere di misericordia. Cod. Litterarum anni 1446-50, num. 13, X. 116. — 221 — CXLIII. I45I> *5 aprile. « Angelo Johanni Lomellino futuro Potestati Pere ». — Lo si avvisa della elezione di Agostino Usodimare al Consolato di Samastro. Cod. Litterarum ann. 1438-69, num. 9, X. 112. CXLIV. tot 1452, 13 marzo. Consiglio della Signoria circa i pericoli onde le colonie di Pera e Caffa sembrano minacciate pei continui progressi del T.urco. M CCCCLII die lune decimatertia martii. # Cum ad conspectum illustris et excelsi domini Petri de Cam-fregoso Dei gratia ianuensium Ducis et magnifici Consilii domino-rum Antianorum Communis Janue in legitimo numero congregati, vocata fuissent spectata Officia Monete Romanie et Protectorum sancti Georgii, et preterea cives circiter octoginta; lecte sunt coram illis littere ex Pera et Capha postremo allate. Deinde propositum illis est sub his verbis. Segnoi, voi odirei leze le lettere chi son scripte deverso Capha et de Pera, chi son responsive de quelle lettere, le quae esti iorni passae fon scripte per lo illustre messer lo Duxe et li Officii e li officiali de quelli nostri logi, per lo sospecto chi lantora se aveiva de la guerra de Re de Aragona et de venetiani; et perocché quelli de Pera temen grandementi de la guerra dello Segnor Turco e quelli de Capha requereno subsidio de omini et de munitioni cossi in tempo de paxe corno de guerra, corno intenderei per quelle lettere, è parsuo alla Signoria de lo prefato messer lo Duxe magnifici Antiaim et Officio de Romania che questa cosa sea de importantia e chi merita de avei bon consegio, e specialmente da voi chi sei pratichi de quelli logi; per la qua cosa voi sei steti domandò chi a porze lo vostro savio consegio, quello che ve par se abbia a far, e se se ha a far speiza alcuna donde se de’ traila monea et per che via. _ 222 Post hec, cum plerique ex vocatis iussi essent assurgere et sententiam dicere; postremo vocibus collectis compertum est sententiam generosi viri Gabrielis de Auria, in qua voces octo supra septuaginta convenerunt, prevaluisse. Ipse autem in hanc ferme sententiam locutus est: Videri sibi lonsre melius et convenientius fuisse ut ex iis qui novirsime ex Pera Caphaque advenerunt quique omnia propriis oculis aspexerunt, aliquis iussus fuisset rebus consulere quam ab eis initium fieri qui longo iam tempore e regionibus illis advenerint; neque possit eque bene condictiones horum temporum cognoscere quam possunt ii qui eas et viderunt et multipliciter tractaverunt. Itaque propter solam obedientiam ea se memoraturum esse que nunc sibi succurrent. Et ante omnia videri sibi quod populus Pere non multum vereri debeat bella catalanorum et venetorum ; cum urbs ipsa natura munita sit,*et viros habeat defensioni sue late sufficientes, armaque et cetera necessaria que ad defensiones urbium desiderari solent; preterque omnia apud se dubium non esse quod et turei eam urbem ab iis bellis soli tuerentur ; se autem multo magis vereri periculum quod ab ipsis tureis immineret, si oppidum extruerent de quo littere mentionem faciunt; nec se invenire consilium quod adversus eiusmodi periculum sufficiat, nec m presentia videre posse aliud fieri quam litteris et legationibus vagare tureorum Dominum et ei blandos atque humiles esse; et ei demum rationibus dissuadere ne velit id oppidum extruere quod facile posset scandali et discordiarum initium esse. His tamen non obstantibus, se laudare ut committatur Officio maris Chii, ut si Potestas et populus Pere ab eis opem petat, strenue illis subveniant ac mittant queeumque fuerint necessaria, et curent ut per enses rerum earum precia solvent, quoniam intelligit Communitatem Pere late posse eiusmodi sumptus perferre. De rebus vero Caplie dixit longe aliud sibi esse iudicium, nam civitas ipsa carere videtur omnibus quatuor elementis; nam nec viros habet defensioni satis idoneos, nec arma aliaque instrumenta defensionibus terrarum apta. Neque arbitratur provisiones quondam factas, quibus iubebantur quidam habitatores Caphe arma domi habere, ultra durare; sed audit potius hec ipsa vendita et alienata fuisse. Propter que dixit rem hanc admodum sibi difficilem videri; et ideo laudavit et consuluit eligi quatuor pre- — 223 — stantes cives ex hiis qui maiorem et certiorem habent cognitionem rerum illarum, qui simul cum illustrissimo domino Duce et spectato Officio Romanie omnia explorare, omnia intelligere studeant, inquirentes potissimum quidnam civibus faciendum videatur. Post-que omnia plane intellecta eidem illustrissimo domino Duci et magnifico Consilio dominorum Antianorum cuncta referant que inve- ' nerint, qui tunc approbent, reprobent, consulant ac statuant prout eis videbitur. Addidit preterea ut summa vi et omni studio acceleretur navis viri nobilis Georgii de Auria ad partes illas ex pacto et conventione accessura. Archivio di Stato. Codice Diversorum Cancellariae ann. 1452-53, X. 987. CXLV. 1452, 17 maggio. Rescritto a favore di Pietro di Gravago, borghese di Pera, contro alcuni suoi creditori sudditi del Signore di Valacchia. Angelo Johanni Lomellino Potestati Pere. — Questum est apud nos parte dilecti nostri Petri de Gravaigo, burgensis loci illius, eundem Petrum habere debentem a certis suis debitoribus velachis magnam pecuniarum summam, hactenus caruisse iusticia apud illorum Dominum Valachie. Quod si nostra est iniuriis nostrorum obsistere, ortatur nos dicti Petri indigentia ut accurramus. Volumus igitur, si sic esse noveritis, ad instantiam dicti Petri interdici et arrestari faciatis in loco illo tantam rerum et bonorum velacorum quantitatem quantam capit summa crediti dicti Petri, quam nullatenus relaxari permittatis donec per nos committetur vobis quid faciendum esset. \ Cod. Litterarum ann. 1426-1503, num. 2, X. 105, car. 235 recto. CXLVI. 1452, 28 giugno. <( Illustris et excelsus Dominus etc. Dux ia-nuensium etc., elegit et constituit in Potestatem ac pro Potestate civitatis Pere spectabilem affinem suum (1) Franchum Justinianum pro mensibus tredecim proximis tantum, incohandis linito tempore nobilis Angeli Johannis Lomellini. Ex quo mandat eidem Francho fieri litteras tempore congruo in oportuna forma ». Cod. Litterarum ann. 1447-72, num. 16, X. 119. CXLVII. ' 1452. Lettera della- Signoria di Genova al Re d’Aragona, esortandolo al soccorso dell’ Impero Greco. Petrus Dux et Consilium, Sacre Regie Maiestati Aragonum et et utriusque Sicilie. i Admonuerunt nos nuper, serenissime et preclarissime Princeps, ex transmarinis regionibus ad nos missi legati duo Pere pavidi adhuc recordatione periculorum que estate superiore egre devitarunt, pavidiores novi terrore belli quod adversus Constantinopolim et Peram Machometus turearum Dux in ver proximum summa vi molitur; namque hic precipitis consilii iuvenis, recenti imperio ferox, eo cogitationes suas, eo conatus omnes obstinatissimo proposito vertisse videtur, ut has quas diximus urbes ferro excindat, et christiani nominis memoriam in tota regione illa penitus deleat, eo forsitan consilio, ut quemadmodum prior Machometus decepta Asia et Africa inter clarissimos viros colitur, ita hic secundus, armis subacta haud ignobili Europe parte, ingens sibi nomen ac gloriam comparet. Dumque implorantibus legatis ipsis propere ad se presidium mitti omnia diligentius percunctamur, renuntiaverunt (1) 11 Doge era Pietro da Campofregoso ; e la sorella di lui Clemenza, già moglie di Giorgio marchese Del Carretto, aveva sposato in seconde nozze Giovanni Giustiniani. Litta, Tarn, Fregoso, tav. Ili. — 22J — nobis oratorem ah Imperatore grecorum ad Maiestatem Vestram mox esse venturum, qui oret Imperio illi iam senescenti ac defesso cicius succurri. Nos Imperatoris consilium et laudavimus sepe , et iterum iterumque laudamus, quod post Romanum Pontificem spes omnes suas in Maiestate Vestra collocaverit; nam quem sperare potuit christianorum regum eque velle ac posse sibi adversus hunc Machometum opem ferre, quam in sublimitate vestra et sperare et certo sperare debuit? Ab his enim regibus ortum ducit clarissima domus vestra, qui multis iam seculis occupantes Beticam, mauros vi ac ferro domitos ex in sedibus (sic; ex suis sedibus ?) eie-cerunt, plurimasque urbes et quidem nobilissimas christiano cultui restituentes, vix unquam positi armis a persecutione infidelium quieverunt; ac sic succedente temporum serie eo parente genita est Maiestas Vestra, qui suscepto adversum Granatum regum bello, multas illas terras, multa parvo tempore oppida eripuit. Nec infideles modo populos Hispaniam insolentes, sed ipsam quoque sum-motam freto Mauritaniam velut fulmen quoddam belli solo nomine plerumque terruit. His accedit quod Vestra Sublimitas mari ac terra latissime imperans, sex et quidem opulenta regna in ditione habet longa pace florentia, nullo hostis incursu, nullis minis exagitata, quorum quedam adeo grecorum Imperio vicina sunt, ut Cypro excepta cetera christianorum regna in eorum comparatione alio prope in orbe posita videantur. Que cum ita sint iure optimo exigere creditur Deus, cuius est regna dare atque eripere, ne patiatur Excellentia Vestra hanc chri-sthiano nomini maculam inferri, ut Orientale Imperium, totque fideles populi occidentalibus auxiliis destituti, calcandi et dilacerandi pollutis gentibus relinquantur. Nos, quibus solis Peram tueri ne-cesse est, ut precibus etiam salutem illius Imperatoris adiuvemus, Maiestatem Vestram orandam duximus, ut hec que dicta sunt cogitans , velit cum propria gloria, tum (quod maius certiusque premium est) pro causa Dei, infelicibus populis illis cicius succurrere , neque expectare ut reges in longinquo positi et gravibus preterea bellis impliciti, dum sero auxilia moliantur, interim ferro christianorum Imperium exuatur. Nos autem, ne quis otiosos putet, arma, viros, tela, naves, magna festinatione paramus, ut si faverit Atti Soc. Lio. St. Patria, Voi. XIII, Fase. I t« - 226 -- Deus, illue presidia nostra veris initio perveniant, pro vi semper in omnem gloriam vestram parati. Janue (i). Raynaldus, tAnnal. Eccles., ad ann. 1452, § xvi. CXLVIII. 1455, 30 maggio. Capitolazione stipulata fra Maometto II ed i genovesi, per la resa di Pera (2). ’Eyw 6 |j.;yac auO-evxT); xal piyas àji'jpà; aouXxàvog 6 Msyjiàt 6 u’ò^ to’j [isyàXou aòO-ivùou xal IxsyàXou à|rjpà aouXxàvou xoù Mou- pàx JJ171SY], ÒJJLV'JW etg XÒV O’cGV xoù oòpavoù xal zfjg yrjs xal zie, xòv (jLsyav rjjJiwv Trpocprjxrjv xòv Mwxp.sO’ y.al sì; xà l~xà (j.ouaàcpia, ótcou e'/0[i.$v y.al ópoXoyo’jpEV, xal et? X0Ù5 px§' ytXtàoas Tzpo^rftoLc, xou fteoù xal -pò; xrjv tjjuyrjv xou ~x~-teou [xou xal xoù vzaxpó; [xou xal repo; éauxòv xal rcpò; xà TtacSta pou xal £cg xò CTTiaiR, ótìoù ^wvojjtac. ’E"£:oTj sCTxecXav di xaO-oXcxol àp-XOVXES xoù raÀaxà rcpòc: xrjv IIóp-xav xfjS aò-freviecas jjlou xoli? xexc- Io il gran Signore e grande emir sultano Meehmet bei figlio del gran Signore e grande emir sultano Murat bei , giuro nel Dio del cielo e della terra, e nel grande nostro profeta Moa-meth e nei sette musafii che abbiamo e confessiamo (3) e nei 124 mila profeti di Dio, e per l’anima dell’ avo mio e di mio padre e per sè (me) stesso e pei figli miei e nella spada di cui son cinto. Da che mandarono i cattolici magistrati di Galata alla Porta della mia Signoria gli onore- (1) Manca la data. (2) Già abbiamo avvertito nel ‘Discorso storico , che del volgarizzamento di questa convenzione siamo debitori all’ottimo nostro amico can. prof. Angiolo Sanguineti. (3) L’ Hamm-jr traduce: per le sette sacre legioni del Corano , che noi mussulmani professiamo ; e credo voglia intendere pei sette versetti che costituiscono il primo capitolo di quel volume, il quale tra gli altri nomi hi pur quello di el mos' haf, che è quanto dire il codice per eccellenza. I mussulmani recitano questo capitolo assai più frequentemente degli altri , e ne fanno una preghiera alla quale attribuiscono effetti maravigliosi. Ma anche il Corano propriamente ha sette nomi: El Kitàb, il libro; Kila-boullah, libro di Dio; Kelimeloulahl, parola di Dio; el ten^il, libro disceso dall’alto; el dhikr , ammonizione; el forl-an , distinzione (fra il lecito e l’illecito, il buono e il cattivo) ; ed il gid detto el mos’ haf. — 227 — pTjpivou; àpxovxa;, xòv xuptov Mnoc- j voli magistrati, il signor Ba-llapccfizv xal xòv xupcov bilano Pallavicino c il signore Marchesio De Franchi e il dragomanno loro Nicolò Pagliuzzi (i) e riverirono la mia Maestà e pregarono la mia Signoria (e) onde abbiano le leggi secondo la consuetudine di ogni luogo della mia Signoria, che (non) distrugga il castello loro ; essi poi abbiano le cose loro e le lor case e le loro botteghe e le loro vigne e i mulini loro e le navi loro e le barche loro e le merci loro tutte ; e le donne loro e i figliuoli loro a volontà loro ; e che vendano le merci loro liberamente, siccome (in) ogni luogo della mia Signoria ; che vadano, che vengano liberamente per terra e mare, e che non paghino imposta, nè lavoro forzato, tranne che (non) paghino testatico (2) siccome è il luogo della mia Signoria (3). tziXzv ILapccfiìv xal tòv Iiapyi£ov Apupàyxrjv xal xòv 3pa-yopàvov xwv NcxóXaov UsÀat£óvr)v, xal iTrpoax'jvrjaav xrjv (3aatXetav pou, xal ècier;d-rjaav zrjg aùtkvxs'ag pou , xal và lyow xà; vopà; xaxà xrjv auvr;9'eiav xoO xxfróÀou tottou xfj; au&evxefa; pou, va [prj] -/aXxaoj xò xàaxpov xwv, aùxol oè và exouv xà Ttpàypaxà xojv xal xà òaTC^xtà xojv xal xà paya^ta xojv "/.al xà ópnéÀià xojv xal xoù; puÀou; xwv xal xà xapàj3tà xwv xal xà; pàp-xa; xwv xal xà; 7cpaypaxe£a; xwv oÀa; xal xà; yuvacxà; xojv xal xà Tracota xwv et? ■9'iXrjpà xa>v, xal và ttwÀoOv xà; TtpaypaxEfa; xwv £À£u9'Spa, xa9'ó>; 0X0: ó tóko: xfj; aù9-£vx£ia; pou, và Ttrjyaivouv "/.a và spx&Jvxa: èÀeufrepa 8tà £rjpà; xa •9-aXàaarj;, xal xouplpxcov và prj ocSouv, prjx£ tpiaaxixòv, et prj và Sioouv yjzpzxQtov, u); y.afrw; efvat 6 xótto; xrj; aò9'£VX£oa; pou, ol auxol vópoi xal aovrjfteixi và £tva: o[ auxol à~ò xoù vùv xal ep7rpoa9'£V, xal và xoù; £^w àxptpoù?, xal và xoù; Scatpevxeuw, v£'. Subscriptio litteris arabicis: Scriptum ultimis decem diebus mensis gemaziul-achir 857 in urbe bene custodita Costantinopoli Pauper Saganos. Miklosich et Muller , tActa et diplomata graeca res graecas italasque illustrantia, pag. 287-88. genovesi abbiano licenza di andare e venire, e paghino 1’ imposta secondo le leggi e la consuetudine. Fu scritto il presente atto di giuramento e giurò la mia Signoria nell’anno 6961 dalla creazione del mondo, dell’egira 857. Scritto negli ultimi dieci giorni del mese di gemaziul-achir del-1’ 857 nella città ben custodita di Costantinopoli. Il Povero Saganos. CXLIX. < 1453 » 23 giugno* Lettera dell’ ex-Podestà Angelo Giovanni Lomellino a suo fratello, in cui gli di contezza della caduta di Costantinopoli, della resa di Pera a Maometto II e degli atti già compiuti dai turchi nella Colonia. Conclude porgendo alcuni avvisi intorno ai provvedimenti che stima dovrebbero adottarsi dal Governo di Genova. 1453, die 23 iunii. Pere. Nobilis frater carissime. Si ante istam non scripsi, nec per istam faciam responsionem ad vestras receptas, me excusatum habeatis, quia semper fui et sum in tanta melanconia, et occupatus, quod potius mortem quam vitam mihi desidero. Sum certus sciveritis ante istam de inopinato casu Constantinopolis capte a Domino Tèucro alii 29 elapsi, qua die expectabamus cum desiderio, quia videbatur nobis habere certam victoriam. Dedit Dominus prelium tota nocte undique, et in omni loco viriliter receptus est; in summo mane Johannes Justinianus cepit in.....mentum, et portam suam — 230 — dimisit, et se tiravit ad mar (1), et per ipsam portam teucri intraverunt, nulla habita resistentia: concludendo; sic vili modo non se deberet amittere unum casale. Volo credere procedat pro peccatis nostris. Attenta natura mea, cogitate comodo resto; Dominus det mihi patientiam. Posuerunt dictum locum ad saccum, per dies tres; nunquam vidistis tantam compassionem: fecerunt predam inestimabilem. Ad deffensionem loci misi omnes stipendiatos de Chio, et omnes missos de Janua, et in maiori parte cives et bur-genses de hic, et, quid plus, Imperialis noster (2) et famuli nostri. Feci mei parte quantum mihi fuisset possibile, novit Deus : nam semper cognovi, amisso Constantinopoli, amisso loco isto. Ceperunt maiorem partem. Aliqui pauci huc territi se salvaverunt, et alii burgenses et cives in tanta fuga se posuerunt, et maior pars se reducerunt in eorum. familiis ; aliqui capti fuerunt super palificata, quia patroni in tanto terrore so posuerunt, quod neminem expectare voluerunt. Non sine magno periculo reduxit (3) in loco restantes super palificata; nunquam vidistis tantam terribilita-tem. Videndo me taliter conductum, disposui potius vitam amittere quam terram derelinquere; si recessissem, terra ista derelicta posita fuisset ad saccum: ab alia disposui in salute provideri, et subito misi ambasciatores ad Dominum, cum pulcris exeniis, dicendo: Habemus bonam pacem, rogantes et se submittentes vellet ipse nobis observare. Pro illo vero nullum responsum dederunt. Naves se tiraverunt ad locum pro velificando. Feci dicere patronis amore Dei et intuitu pietatis vellent stare tota die sequenti, quia eram certus facere (4) deberemus cum Domino. Nil facere voluerunt; imo ad dimidiam noctem velificaverunt. In mane habita notitia Domino (5) de recessu navium, dixit ambasciatoribus velle terram liberam, et vix salvari potuimus personas et robas; dicendo in salutem Constanti-nopolis fecimus quid possibile nobis fuisset, et quod nos fuimus v causa quod prima die non habuerint locum. Certe verum dicebant. Fuimus in maximo periculo. Pro evitari tantam furiam, fuit opus (0 leggasi ad mare. (2) Suo nipote Imperiale, di cui dicc in appresso che fu fatto prigione dai turchi. (3) Leggi qrcduxi. (4) Giustamente nota il Sacy : u Je crois que le mot pacem ou conventionem a étc omis ». (SÌ Forse Dominus. 1 * — 231 — facere quid voluit, ut pro introdussi videbitis; omnia facta fuerunt sub nomine burgensium. Ego me in aliquo intromittere non disposui, bona de causa. Fui postea ad visitandum Dominum, qui bis hic fuit; dirui fecit omnia; burgos et partem fossorum de castro dirui fecit; turrim sancte Crucis dirui fecit; partim unius cortine intra barbacanetam et partem barbacane, omnia menia maris restari; cepit omnes bombardas, et intendit capere omnes munitiones et omnia arma burgensium; scribere fecit omnia bona mercatorum et burgensium qui de hic recesserunt, dicendo: si revertant, restituantur; et si non revertant, facta erunt Domino. Ob quam causam optinuimus a Domino litteram cum nuncio pro Chio, notifi-cantes omnibus mercatoribus et burgentibus qui de hic recesserunt, reverti possunt, et revertendo habebunt bona sua; et cum ipso nuncio mittimus Antonium Coccam , et avisamus omnes mercJtores quomodo hic venetos dimiserunt omnes suos magazenos plenos. De burgensibus qui recesserunt cum eorum familiis..... propinquis eorum similiter in ipse littere continctur omnes ianuenses posse navigare in partibus istis.. Recessit ista nocte Dominus pro Andri-nopoli ; in quo loco conduci fecit Calibassa, a quo habuit summam maximam monete; decapitari fecit suis diebus Bailus venetorum cum eius filio et aliis septem venetis; et similiter Consulem catalanorum cum aliis quinque vel sex catalanis. Cogitate si fuimus in periculo. Inquisivit Mauritium Cattaneum et Paulum Boccardum, qui se occultaverunt; dimisit in loco isto sclavum pro custodia loci (i); in Constantinopoli dimisit Subasi et Cadi cum ianizeris 1500 circa; misit in Chio, ut fertur, sclavum pro requirendo carrachium, et hic dicitur mittere et (2) vult in Caffa et omnibus locis maris maioris. Ab alia feci requirere Despote de Cervia certa loca que tenebat pater suus, et dominus Despoti minime dare voluit. Concludendo, de captione Constantinopolis tantam insolentiam cepit, que (3) videtur se facturum in brevi dominum totius orbis, et large dicit (1) Cioè il vizir Saganos, firmatario della capitolazione. Più circostanziamcnte Francesco Giustiniani scriveva : Per quondam a theucris prepositum, vulgariter nuncupatum Protogerum, locus ille (Perae) regitur; quanquam inter ipsos burgenses et incole, permissu theucrorum in civilibus ius dicant, videlicet quatuor ex tis inter eos electi et ojjiciales prepositi, nomine tamen theucrorum. Ved. Atti, voi. VI, pag. 20. (2) Forse meglio etiam. (3) Leggi luod' \ ' — 252 — non transibunt anni duo que (i) intendit venire usque Romani; et per verum Deum, nisi per christianos providetur et cito, faciet mirabilia; et providendo ut opus est, Constantinopoli erit destrucio sua. Dabo mihi locum de illa. Scito esse......de omnibus ordinibus, ut videbitis, pro pacto concluso, Universitas facere potest per tegenum (2) qui iusticiam administret inter ipsos. Facto acordio deliberavi de Palatio me levare, et me tirare in aliqua domo: requisitus fui ab Universitate vellem stare in Palacio et regere usque-quo recedere possim. Multis de causis fui contentus requisitioni eorum acquiescere. Non intelligatis aliquod salarium ab ea: vult domum (3) commercium pro ipso et nulla alia cabella: loca Com-perarum amissa sunt. Laudo et conforto per Dominum nostrum provideat (4) de solemne ambasciata, que ad istas veniat, pro componere omnia de locis nostris, et ab alia non dormire in christiana provisione nec et facere ut fecimus. Exploramus (5) semper auxilium; habuimus naviculam cum omnibus (6) centum quadraginta octo, talibus qualibus. Volo credere fuerit voluntas divina, quia nemo fecit debitum suum, neque greci neque veneti. Per verum Deum, si per christianos provisum non erit, iste Dominus faciet mirabilia; non pretendit nisi in rebus bellicis. Imperialis nepos meus captus fuit; in redemptione eius feci quantum fuit milii possibile; discoperta fuit, et super..... non velle nullum recattum. Interim Dominus de ipso notitiam habuit, et ipsum cepit, et sic unum alium venetum; et non nulla alia causa, quia Dominus vult habere aliquos latinos in Curia sua, de quo resto in tanta melanconia, quia (7) me vivum facere non possum. Sum certus faciet; etatem habet; multa officia feci pro presenti; non fuit possibile ipsum habere. Stando firmum, spero non transibit multum tempus; pro moneta non restabit, si deberem restare in camixa. Undique sunt angustie mihi. Si non scribo ordinate, me excusatum habeatis; (1) Anche qui leggasi quod. (2) Correggasi protogerum, si come è scritto nella nota i alla pag. precedente. (3) Forse Dominus, o forse anche dentum. (4) Forse provideatur. (5) Probabilmente expectamus. # (6) Certo cum hominibus. (’]') Meglio quod. — 233 — habeo animum egrotum per formam quod male scio quod facio. Sunt menses decem et octo quod steti in continuis laboribus et affanis, et in una die amissum totum laborem nostrum, volo credere pro peccatis meis (i). Illustri Domino Duci millies me commissum facite, cui non scribo, non habendo animum cum ipso satis. Me desidero domine socere mee me commissum facite, cui similiter non scribo, ista scit (sic) ei legere, nec non me commendo patri meo et mulieri vestre; alios saluto. Angelus Joes Com.rius ‘Kotices el extrails des mss. de la Bibi, du Roi, voi. XI, pag. 75-79. CL. 1453, 17 agosto. Relazione di Leonardo da Sejo a papa Nicolò V, sull’eccidio di Costantinopoli e la resa di Pera. De urbis Constantinopoleos iactura captivitateque ad sanctissimum dominum nostrum divinum Pontificem Leonardi Chiensis humilis theologiae professoris, mitylenaei archiepiscopi, historia. Flere mihi magis licet, Beatissime Pater; et forte dum gladio impetebar a Teucris, salubrior mors mihi fuisset quam vita. Verum quoniam narrationes sinistrae tum vere prosunt, auditoribus, si prostrati resurgant, uti quibus occisos parentes ab hostibus dicimus, animi ad vindictam moesti vigorosius excitantur. Narrabo igitur et flens et gemens Constantinopoleos proxime his cernentibus oculis discrimen ultimum et iacturam. Nec dubito, Pater Sancte, praecessisse me multos qui rei gestae seriem eidem Sanctitati retulerunt. Confert enim multorum in unum relatio. Sed quoniam quae visu magis quam quae auditu verius exponuntur, quod scio loquar, et quod vidi fidelius contestabor. Cum igitur reverendissimus pater dominus Cardinalis Sabinensis, (1) Forse nell’originale era nris, consueta abbreviazione di nostris. La qual parola è più conforme alle espressioni consimili che pur si veggono usate innanzi. * — 254 — pro nomine Graecorum legatus, in eius famulatum me ex Chio vocasset, ego summa cum animi mei diligentia, ut fidem Sanctae Romanae Ecclesiae fortiter constanterque, uti debitum exigit, defensarem. Captabam perinde et mores et naturam Graecorum, argu-mentisque, ac sanctorum theologorum dictis agebam intelligere, quod eorum esset studium, quod propositum, quae rationes, quis linis eos a vera intelligentia debitaque obedientia vel revocabant vel retrahebant. Intellexi plane, praeter Argyropylum artium magistrum, Theophilum Palaeologum, Hieromonicosque quosdam paucos et alios laicos, quod ambitio Graecos quasi omnes capti-vasset; ut nemo esset qui zelo fidei vel salutis suae motus, primus videretur fieri velle suae quam opinionis et pertinaciae contemptor. Ex una parte, ad fatendum articulum Sancti Spiritus urgebat eos conscientia; ex altera, ne meliorem Latini quam Graeci de veritate fidei intellisrentiam habere crederentur, elationis O tumor abducebat. Verum quoniam nec ratio, nec auctoritas, nec variae Scolarii, Isidori, Neophytique opiniones adversus Romanae Ecclesiae fidem stare poterant, actum est industria et probitate praefati domini Cardinalis, ut sancta unio, assentiente Imperatore Senatuque (si non ficta fuit) firmaretur, celebrareturque secundo idus Decembris, Spiridonis episcopi sancti die. Itaque ea peracta, mox tempestas Teucri oborta, urbem Con-stantinopolis, Galatam caeteraque adiacentia oppida absorbuit. Ut verbum Esaiae verum sit dicentis: Tempestas convulsa absque ulla consolatione. Qua tempestate concussus, ego quoque captus sum et pro demeritis meis vinctus caesusque a Teucris, non fui dignus cum Christo Salvatore configi. Reminiscor ergo, Beatissime Pater, cum primum de unione facta Graecorum, eidem Sanctitati epistolas seriosius destinassem, inter alia dixisse: Nos propter futuram Teucri obsidionem, quam in dies expectabamus, inter spem et desperationem constitutos esse. Spes de tuo expectato subsidio dabat fiduciam, timor de Graecorum pertinacia desperationem suggerebat. Heu quae spes in populo duro gravi iniquitate, qui tot annis sine vita spirituali abscissus a capite permanebat, quomodo non desperati, quomodo non abiecti a Deo, qui tantis dissimilitudinibus, tantis fictionibus tantisque scissuris, ab Ecclesia elongari — 235 — Romana, in cordis duritia permanserunt? Etenim iam captivati , urbe, templis, auro laribusque propulsi, in Latinos retorquent offensam, asseverantes: Quoniam unionem, inquiunt, fecimus, sum-moque Pontifici commemorationem dedimus, merito indignatum Deum. O pertinaces homines, inquio. Si malum est hoc, prisci, Basi-lius , Athanasius , Cyrillus caeterique Patres , quos praecipuo sanctitatis honore praefertis, mali censendi sunt, quod sanctam unam eandemque fidem cum Romana Ecclesia, omnium Christianorum magistra, coluerunt. Non haec causa est, quod unionem, sed quoniam unionem non veram sed fictam fecistis. Hac de re merito indignatum Deum, hac de re iusta animadversione in hostium manibus vos esse deductos. An non sponsionem de unione sancto iuramento apud Florentinam Synodum conscriptam violastis ? obedientiam declinastis ? sententiam Decreti occultatis ? An non summi Dei nuncii (o Graeci) vestram perditionem iugiter praedixerunt? Qui aures, ut aspis, impie obturastis, et Sanctam Ecclesiam Catholicam matrem fidelium obaudistis. Flete miserias vestras, arguite vos metipsos et non alios condemnetis. Mos obstinatorum hic est, sanctos aspernari Dei nuncios ; uti Sedecias coeterique Judaei in Babylonem traducti, Hieremiam, direptionem captivitatemque Hyerosolymorum praedicentem, con-te.mpserunt. Certe hactenus stetisset Ilion, si Cassandram Priamus pater audivisset, si prophetas Hebraei, si sibyllam Romani, si vos quoque apostolicos nuncios dudum audissetis. Idcirco non mirum, si in poenam tanti criminis inspirata, mox tempestas invaluit, quam Spiritu Sancto docti, quoque a multis annis futuram esse praedixerant. Sane ut beatissimi patris Nicolai primi summi pontificis execrationem in pravos Graecos per illud: Vergentis in senium saeculi corruptela etc. praetermittamus, tabula illa, quam Leoni sapienti ascribunt, apud monasterium sancti Georgii de Mangana constructam, vetusto tempore in Constantinopoli occultatam, mysterio iam signo detectam iactura demonstrat. Haec, Pater Beatissime, cellulis distincta quadratis, Imperatori ordinem successionemque ponebat, finiendum tamen in hoc ultimo Constantino. Ita quoque Patriarcharum alia in longum tracta tabula, — 236 — ordinem praescribebat; nam ille spiritu prophetico illustratus, tot cellulas figurandorum Imperatorum tabulae inscripsit, quot a primo Constantino magno, Constantinopolis conditore, usque ad ultimam captivitatem futuri erant. Itaque in dies cellulae illae repletae , unam modo et ultimam facturi, in qua hic sub quo urbs periit, collocandus erat; si coronatus fuisset, vacuam praetendunt. Morsenus perinde, vir sanctus, sagittariam gentem contra Constantinopolim futuram, cuius portum inclytum caperet, exterminandosque Graecos, seculis multis ante praedixit. Erythreae autem nostrae de Graecorum iactura vaticinium legentibus patet; Joachim autem abbas, meo iudicio, Constantinopolis iacturam in Papalisla denunciat, cum dicit: Ve tibi, septicollis moenibus truncatis, quasi auxilio destitutam, septicollim autem Graeci vocant. At quid igitur Latinos damnant? Cur invehunt nobis, cum vera scribimus? contra quos tot aperta vaticinia protestantur. Non ergo unio facta, sed unio ficta, ad fatale urbem detrahebat excidium, quo divinam iram maturatam in hosce dies venisse cognovimus. Excitatus itaque in furorem Deus, misit Mehemeth regem potentissimum Teucrorum, adolescentem quidem audacem, ambitiosum, temulentum, Christianorum capitalem hostem, qui nonis aprilis ante Constantinopolis prospectum cum tercentis et ultra milibus pugnatorum, in gyro terrae castra papilionesque confixit. Milites maiore numero equestres, quanquam omnes pedites magis expugnabant. Inter quos pedites, ad Regis custodiam deputati audaces, qui ab elementis Christiani, aut Christianorum filii retrorsum conversi, dicti Geniczari, ut apud Macedonem Myrmidones, quasi quindecim milia; ad tertium autem diem, captato urbis situ, machinas innumeras craticulasque ex virgultis viminibusque contextas, circum muralis vallum, quibus pugnantes tegerentur, fossati admovit. Initium confusionis hoc nostrum fuit, ut qui telis machinarumque lapidibus iuxta datum ordinem eminus repellendi erant, neglectis singulis, eo minus proximare permiserunt. Tantum eorum ordinem instruendis machinis, tantam promptitudinem, tantam acierum providentiam, quidam aut Scipio, aut Hannibal, aut moderni belli duces, admirati fuissent. Sed quis, oro, circumvallavit urbem? qui nisi perfidi Christiani instruxere Teucros? Testis sum quod Graeci, quod Latini, quod — 237 —^ Germani, Pannones, Boietes, ex omnium Christianorum regionibus Teucris commixti, opera eorum fidemque didicerunt; qui immanius fidei christianae obliti, urbem expugnabant. O impii, qui Christum abnegastis! O satellites Antichristi, damnati gehennalibus flammis, tempus hoc vestrum est! Satagite augere vobis poenas, quas luatis aeternas! Horribilem perinde bombardam, quanquam maior alia quae confracta fuit, quam vix boum quinquaginta a centum iuga vehebant, ob partem illam murorum simplicem, quae nec fossatis, nec antemurali tutabatur, Calegariam dictam, figentes, lapide qui palmis undecim ex meis ambibat in gyro ex ea murum conterebant. Erat tamen murus perlatus, fortisque; qui tamen machinae tam horribili cedebat. Inde, quia maior confracta, Regis animum afflictabat, ne tristitia in tanto certamine afficeretur, iussit mox aliam longe maioris formae construi, quam, ut aiunt, industria Calilba-sciae consularis baroais amici, artifex nunquam ad perfectum conduxit, aliis mediocribus innumeris collidere urbem machinis undequaque conabantur. Sclopis, spingardis, zarbathanis, fundis, sagittis, die nocteque muros hominesque nostros vexabant, mac-tabantque Existimavit enim hostis Christianos esse paucos, quos assidua prostratos fatigatosque pugna, urbem tueri non posse. Ignominiose igitur factum est, ut primo illo congressu, Teucri obstaculum non invenerint. At in dies doctiores nostri facti, paravere contra hostes machinamenta, quae tamen avare dabantur. Pulvis erat nitri modica, exigua; tela modica; bombardae, si aderant, incommoditate loci primum hostes offendere maceriebus al-veisque tectos non poterant ; nam si quae magnae erant, ne murus concuteretur noster, quiescebant. Interdum in cuneos hostium emissae, et homines et tentoria exterminabant. Nec enim in vanum iaciebantur, quas illaesos hostes declinare non poterant. Itaque cadebant Teucri icti torneis telis lapidibusque. Vulnerabantur et nostri: qui quandoque vallum egredientes, ad manus decertantes, et occidebant et occidebantur. Victoria ex hoc aequius tyronibus nostris, quod egrediebantur impavidi, quam Teucris dabatur. Verum quoniam, malo fato, Johannes Longus ianuensis de Justinianorum prosapia, duabus cum navibus suis magnis et armatis — 238 — circiter quadringentis, mare decursitans, forte veniens stipendio ascriptus Imperatoris, ducatum militiae obtinuit, strenue defensare urbem visus, reparationi demolitorum murorum vigilantius agebat. Teucri animum viresque deludere videbantur. Nani quanto hostis mole ingentis lapidis muros conterebat, tanto hic animosius sai-mentis, humo vasisque vinariis intercompositis reparabat. Qua de re Teucrus delusus, cogitavit non cessandum ab ictibus machi- ; O narum, sed fortiori cura subterraneis cavis furari urbem , mine-rarum fosfores, quos ex novo brolo conduxerat magistros, ac-cersiri iussit. Lignis instrumentisque advectis, solerti cura, uti imperatum actum est, ut mox per cuniculos tentarent fundamenta suffodere, penetrareque omnis arium urbis murum. At cum a fundamentis (o rem mirabilem!) primum iam vallum antequemurale, mirando cum silentio subcavassent, Johannis Grande alemam in geniosi militis, rerum bellicarum doctissimi, quem Joannes Justi nianus Tnilitiae dux centurionem conduxerat, industria et sagacitate opus detectum est, exploratorumque id firmatum relatione, animos omnium commovit. Graeci cum dudum Barsicham Ammi Amo rathque genitorem, huius pristinis bellis frustra laboiasse in ca vanda urbe cognovissent, impossibile per hunc fieri posse firma bant. Quorum opinio ex facti evidentia confusa est. Itaque penetralia haec nostris reconfossionibus detecta, urbem non laesere, timorem tamen ingentissimum, a fundamentis confossa turris, -l ligneis stylis bituminatis innixa nobis incussit. Sed ut res m -cem venit, repulsis igne et sulphure hostibus, e lathebris recon structa, mox timorem excussit. Composuit perinde ligneas turres iuxta vallum, humo plenas, pellibus boum circumtectas, ex quibus fossatis clam terram qui squiliasque, ut facilis eis fieret ingressus, immittebant. Crates deinde innumeras ex virgultis viminibusque contextas , cattos oblongos, scalasque rotatas, currus castellatos, taliaque machina menta quae vix Romani aduersus Poenos construxissent. Bombarda propterea illa ingens, eo quod Caligaream strenue reparatam adversus non proficeret, alium locum Bactatineae turris, iuxta Sancti Romani portam, inde dimota lapide, mea aestimatione mille ducentarum librarum, interdiu collidit, collisum concutit, t — 239 — concussum exterminat. Ruina turris antemuralis fossatum replet aequatque, ita ut via hostibus, qua decurrere possent, strata cerneretur; nisi quia concite introrsum, uti in Caligareae demolitione, reparatio facta fuisset, haud dubio impetu urbem intrassent. Itaque Teucrus demolitum q\iam primum restauratum ut conspexit murum, non Graecorum, inquit, sed Francorum hoc ingenium est, ut tanta resistentia fiat tanta pugna, quos nec innumerae sagittae, nec machinarum ligneorumque castrorum horror, nec intermissa obsessio deterret. Agebant interea Galatae, sive Perenses, quanquam prudentius, ne in Propontide castrum struxisset Teucrus, sollicitam providendi curam, nunc armorum, nunc militum, clanculo tamen, ne hosti', qui pacem cum eis simulabat, innotuisset, quae res renuisset, ne auxilium post hac Graecis conferre potuissent. Sic simulata illa pax urbi ad tempus profuit. Ego, iudicio meo, ni fallor, arbitror apertam guerram Perensibus a primo salubriorem, quam fictam pacem. Quoniam Teucrus neque castrum, quod demolitionis eorum causa fuit, condidisset, neque guerram posthac tam terribilem intulisset. O Genuenses, iam quodammodo cicurati, sileo, ne de meis loquar, quos externi cum veritate diiudicant, ubi sunt prisci inclyti Genuenses, qui Galatam accincti gladio, uti qui reparabant Hierosolymam, condiderunt? Illi cum effuso cruore et aere; vos ne aes vestrum, cupidi, et sanguinem effunderetis, cum vecordia illam mundo decoram Teucro tradidistis, si tamen tradere potuistis. Sed ut historiam prosequamur, interea fatigati nostri de praesidio diffidebant. Nam neque ex Genua, neque ex Venetiis, quibus (pace eorum) mitti debuit auxilium, mittebatur. Neque aliunde spes erat, nisi ex Deo, cuius qui prudentius tarditatem metiebatur, ex mysterio fieri autumabat, quod infidelitas, irreligio, magnaque crimina Deum potius irritabant. Vide, Beatissime Pater, quam dignum, quam rectum iudicium ! Celebrarunt unionem Graeci voce, sed opere negabant. Aiebant quidem magnates, quorum eruor hostili gladio iam irrigat terram : Detur Summo Pontifici commemorationis honos, sed decretum Florentinae Synodi non legatur. Cur hoc, hypocrita? Ut deleatur, inquit, ex decreto, quod Spiritus Sanctus non aeque ex filio quemadmodum ex patre procedit. Cur item, « — 240 — hypocrita? Ne errasse videantur Graeci, si dicant duos Sancti Spiritus productores. Sed cur, item oro, hypocrita? Ne detur ei qui totam sibi ex officio captare cupit gloriam. Intendebat ex una parte Scolarius, ex altera Chirluca quandoque ad praesentiam semet apostolicam conferre, ut hi essent qui soli rem intellexisse viderentur, quique primi laudarentur tantae unionis autores. Adversus enim Legatum multi invidia clanculo torquebantur. Ergo dixi: Paterisne, o Imperator, ut haec ambitio scindat Ecclesiam, ut huius gratia divina ira magis magisque merito accendatur ? Cur non e medio pertinaces illi tolluntur? Aquiescere Imperator visus, Metropolitas ad concupiscendum Scholarium, Ysidorum, Neophytum complicesque iudices constituit, verbo quidem, non facto. Nam si pusillanimitatem Imperator excussisset, hanc fidei illusionem v in-dicasset. Qui enim hominibus, Deo spreto, complacet, utique confundetur. Cohercendi quidem illi erant; qui si fuissent, morbum pestiferum non propagassent. Sed ignoro, utrumne. Imperator aut iudices damnandi, quibus correctionis virga, quanquam minore, in- tecessissent, aberat. Continuata igitur obsidionis tempestate, clausa urbe, ducentarum et quinquaginta fustarum ex diversis Asiae, Thraciae Pontique littoribus, contra urbem disposita classis venit, inter quas, triremes sex et decem biremes, septuaginta reliquae fustae unius banchoremis. Cymbae etiam barculaeque sagittariis ad ostentationem plenae ve hebantur, quae cinctum cathena portum, et navibus rostratis bene armatis, Genuensium septeni, Cretensium tribus collegatum, intiare non valentes, minus ad stadia centum Propontidis ripa anc oras figunt. Et cum proximare non auderent, mare a longe sulcantes, lignamina, lapides aliaque machinamenta castris opportuna defe rebant. At cum Teucrus tribus iam in locis, concussos lapidibus muros machinis desperaret, memoratu cuiusdam infidi christiani ex colle biremes intromittere iurat. Est enim portus ille, Beatissime Pater, in longum angustumque protractus, cuius orientalem plagam colligatae naves, cathena muniebant; inde hostibus aditus impossi bilis erat. Quare, ut coangustaret circumvallaretque magis urbem, iussit invia aeque, ex qua .re colle suppositis lenitis vasis lacerto rum sex, ad stadia septuaginta trahi biremes, quae ascensu gravius — 241 — sublatae, post hac ex apice in declivum, ad ripam levissime sinus introrsum vehebantur. Quam novitatem puto, Venetorum more, ex Gardae lacu, is qui artificium Teucris patefecit, didicerat. Ita nos magis territi, cogitabamus eas aut igne aut lapide exterminare. Sed neque hoc profuit, naves illae maioris nocumenti nobis erant, machinis undequaque tutatae. Sic iam perdito portu, necesse fuit ex postis, ut maritimos custodiremus muros, deminuere milites. Perinde hoc ingenio non contentus Teucrus, aliquod quoque quo nos terreret magis, construxit, pontem videlicet longitudinis stadiorum circiter triginta, ex ripa urbi opposita, maris qui sinum scinderet, vasis vinariis colligatis, sub constructis confixisque lignis, quo exercitus decurreret ad murum prope urbis iuxta fanum : imitatus Xerxis potentiam, qui ex Asia in Thraciam Bosphoro exercitum traduxit. Non restabat ergo nisi navium cathenaeque, diametralis tuitio, quae transitum ingressumve classi prohibebat. Interea ex Chio in nostrum subsidium tres Genuenses, armis , militibus frumentoque conductae naves , unam Imperatoris , quae ex Sicilia frumento onusta advenerat, comitem ducebant. Quas ut mox vicinas urbi, classis quae excubabat, applicare vidisset, concite strepentibus tympanis tubisque sonantibus, intuentibus nobis, obvandit (sic), fingens Imperatoris navem expugnare velle. Teucro-rum Rex ex colle Perensi, fortunae expectans eventum, proconspicit. Fiunt tunc celsi clamores, triremes maiores navibus haerent, ten-tant imperialem, sed protectam a nostris audacius invadunt, certamen ineunt, focum machinis adhibent, sagittas iaciunt, sic atrox pugna committitur. Naves, Mauritio genuense Catano imperante, ex adverso repugnant. Ibi Dominicus de Novaria, et Baptista de Felliczano balanerii patroni genuenses, ardue pugnam prosequuntur. Balistarum horribilium missilia iaciuntur, ex que coronis navalibus infra Teucrorum commixtam classem infiniti lapides demittuntur. Tuetur se egregie Imperator navis. Succurrit Flectanella patronus, bombardae perstrepunt, fit ululatus in coelum, confraguntur galearum remi. Teucri sine remissione sauciantur. Rex, qui ex colle circumspicit quod classis perit, blasphemat ; urget equum in salum , vestimenta cum furore conscindit, ingemiscunt pagani, et totus exercitus afflictatur. Quid ultra? Bellum recensetur, invalescit Atti Soc. Lig. St. Patria , Voi. XIII, Fase. I 16 — 242 — pugna; et tantis classem telis lapidibusque obruunt, tot Teucros occidunt, ut declinato marte, ad littus remeare non possint. Exploratorum et profugorum relatu didicimus quod decem prope milia ceciderunt, alii gladio perempti et sagittis'et machinis, alii confossi vulneribus, flebilem exercitum reddiderunt. Erant quae invaserunt naves, inter triremes et biremes circiter ducentae. Confusa tunc Regis ambitio est, parvique reputata potentia quod tot triremes navem saltem unam ceperint. Naves ergo (Deo gratias) non laesae, nec uno saltem homine perdito, aliquot tamen vulneratis, noctu salve cum iucunditate portum intrant. Rex contra classis praefectum Balthoglum oppido indignatus, praecibus baronum concessa ei vita, sententiam tulit, quod officio et bonis omnibus privaretur. Cogitavit itaque odio accensus 111 naves, ex colle Galata orientali plaga, vel eas lapidibus machinarum obruere, vel a cathena repellere. Dispositis itaque et ex ripa occidentali bombardis, satagit omni acuitate artificis naves infiin gere, referens Perensibus quoniam, uti dixerant, piratarum erant, quos Imperator conduxerat, contra eas agere velle, quae inimico rum suorum essent. Itaque artifex cui provisio negata fuit ex nostris ad Teucros reductus, quanto ingenio potuit, naves frangere studuit, nescioque, quo fato, resultans bombardae a colle lapis, Centurionis navem, forte ob crimen, uno ictu confonditi quae extemplo mer cibus onusta, fundum mersa repetiit, maximum discrimen quidem inferens. Quo casu, reliquae ne confringantur, muro Galatae pro tectae haerent. Mirandum quidem Dei iudicium, ut immissis quii quaginta et centum prope lapidibus, quibus perforatae multae latae domus; et cum mulier optimae famae interempta fuit, triginta conglobatas, illa sola periit. Erant perinde in portu triremes mercatoriae tres venetae, duaequ agiles in portum, ad tutelam earundem designatae, quas mag cum hortatu Imperator, auro, in menses prope sex, pro tuition urbis restare fecerat : quae pacem cum Teucro simulantes, nisi clanculum praestabant Graecis patrocinium. Verum cum no tatae fugae aliquandiu earum patuissent, tum quod merces ex fun s supellectilemque traducebant, actum est ut nullo pacto, quod po pulum titubassent, prohibitione Imperatoris quae restabant tradii — 243 — cerentur, quinimmo deonustae in terram reportarentur. Res haec Venetis indignationis fomitem ministravit, utpote quod libertate, privilegiis, pro honore Dominii eorum nactis, verecundius privarentur. Sed sedatis post hac animis, suo arbitrio relicti, spondent Veneti omni fide et studio, finem usque belli tueri urbem. At post hac inter Venetos et Genuenses Galatae oborta dissensio est, quod alter alterum fugae suspicionem improbrassent, asserentibus Venetisut tollatur suspicio quod e navibus suis gubernacula, carbasaque apud Constantinopolim in salvo deponant. Indignati Genuenses : Et si pacem, inquiunt, consulto etiam Imperatoris, pro salute Graecorum, quae communis est, qua proba dissimulatione supportamus cum Teucro; absit tantum facinus, ut Peram toto orbe pulcherrimam, uxores, liberos, thesaurosque deseramus, quam usque ad sanguinis effusionem defensare disponimus. Gubernacula carbasaque nostrarum navium, ne exiguo precio inclytos Genuae decor apud vos sit, non in aliena potestate, sed in nostra servabimus; nunquam fugae licentia nobis datur, si res nostras arbitrio nostro servamus. Pacata post hac cuncta sunt, agentibus Venetis de triremibus suis uti voluissent. Crescente perinde angustia, consultum est si quomodo intromissas hostium fustas urere nostri possent. Clanculoque una dierum ante lucem, duabus navibus per Joannem Justinianum capitaneum dispositis, cum aliquot biremibus ad ripam vehendis, parato foco et machinis. Fit, detractis navibus, dato ordine ut cymbae rectae quas barbotas dicimus, biremesque sequerentur : hoc ideo, ut munitae saccis lana plenis naves, prius ex machinis acciperent lapidum ictus. At Jacobus Cocha, vir venetus, armatam ex nautis triremium venetarum imperialem biremem, iuxta ordinem datum gloriae et honoris avidus, laxatis remis, praevenientem convertit: moxque ut ab hostibus cernitur, heu gravem sortem! bombardae lapide medio penetratur cum omnibus armatis, aequore biremis absorbetur. Heu, Pater Beatissime, grave discrimen, ut uno ictu Neptuni furor immerserit. Etenim res haec detecta relataque Teucris , agit, ut dum nostri percutere voluere, ipsi prius percussi sint. Sed quid dicam, Beatissime Pater? accusatene quempiam licet? Silendum mihi est. Qui casus acerbum luctum nostris dedit, et — 244 — unde exierunt naves cum confusione retraxit. Ex mersis inde supernatantes quidam ad litus capiuntur ab hostibus, quos impius Rex ante oculos nostros crastino decollari iussit. Nostri exacerbati, quos habebant captivos carcere Teucros, ad muros in suorum prospectu immanius trucidant. Sicque impietas crudelitate commixta, bellum atrocius fecit. Simulavit posthac Teucrus pacem facere velle, exploratoribus ficte referentibus poenituisse eum, quod guerram, quasi stimulatum ab Ungaris, intentasset. Statuitque caduceatorem. Sed haec res conficta patuit. Quia nec demoliri oppidum, quod in Propontide struxit, nec restaurare quae vastarat, permittebat. Quodque magis augebat infidentia erat Teucri, qui iusiurandum foedusque nunquam servarat. Cur igitur pacem querit immanis invidus hostis? Percunc-tatus ex more esse intellexi, ut antequam certamen generale committant, hostes optione pacis petendos, nec ea praetermissa, Deum non propicium, sed iratum in tanto marte sentirent. Itaque delusionem eius praescientes, salutem nostram Deo commisimus; dies nostros dinumerantes in amaritudine cordis et plenitudine, le-taniis, sacrificio, thure, prece placandum Deum praedicabamus; ieunia indiximus imperare nostris, ut solus Deus pugnare pro nobis dignaretur. Sed quid proderunt Deo missae preces, si ex corde non sint, si pollutae manus habentur, si impia et inconfida corda consistunt? Iniquitates enim diviserunt inter nos et Deum. Sabbata nostra, kalendae, incensum, sacrificia in abominationem versa sunt. Et quem propicium sperabamus habere Deum, habuimus scelerum nostrorum ultorem. Pauci admodum et maiore numero ex Graecis imbelles, scuto, lancea, arcu, gladio, natura potius quam arte militabant; maiores galea, thorace, lorica, gladio, lancea; quidam in arcu et balista doctiores; sed propugnaculis impares numero agebant, quo adsciverant et poterant. Cadebant Teucri, qui audacius adhaerebant. Sed quid si centum in die cecidissent, innumeri illi quanto cadere, tanto resurgere plures videbantur? Si unus ex nostris cecidisset, tum praecipue cordatus vir, centum perdidisse flebamus, Graeci ad sex milia bellatorum non excedebant. Reliqui, sive Genuenses sive Veneti, cum his qui ex Pera clam ad praesidium accesserant, vix summam trium milium — 245 — aequabant. Sed quid agimus in ore leonis, quid frivola in ore ursi, quid unus contra mille? Etenim nostri vix urbem Ponto terraque obsessam circumvallatamquae, quam octo et decem miliaria complectuntur, muniebant. Sed, o Graecorum impietatem, o patriae direptores, o avaros! quos cum saepenumero lachrymis perfusus inops Imperator, rogasset ut pro militibus conducendis pecuniam mutuarent, iurabant se inopes, exaustosque penuria temporum, quos posthac ditissimos hostis invenit. A paucis nihilominus quaedam ultronea oblatio facta est. Cardinalis hercle omne studium habuit in ferenda ope, informandis turribus et muro. Quid autem Imperator perplexus agat, ignorat. Consulit barones, suadent non molestari cives angustia temporis, sed recurrendum ad sacra. Auferri igitur et constari iussit ex sacris templis sancta Dei vasa sicuti Romanos, pro necessitate temporis, fecisse legimus, exque eis pecuniam insigniri, darique militibus fosso'ribus constructoribusque, qui rem suam, non publicam attendentes, nisi ex denario convenissent, ad opus ire recusabant. Angustia igitur afflictus Imperator, dispositis in propugnaculis militibus quoad potuit, antemurale solum urbis vallumque sat videbatur tutari posse. Bellum itaque, paucitate suorum diffidens, tolerat, et spem omnem in Joanne praefecto Justiniano reposuit. Bene siquidem, si fata secundassent. Juxta ergo se eodem capitaneo cum tercentis commilitonibus Genuensibus posito splendidis refulgentibus armis, delectis quidem coadiunctis Graecis aliquot strenuis, circa illam partem murorum Sancti Romani reparatorum, ubi magis urgebat pugna, Imperator stetit. Mauritius inde Catanaeus, vir nobilis genuensis, praefectus inter portam Pighi, idest fontis, usque ad Auream, cum ducentis balistariis, commixtis etiam Graecis, contra ligneum castrum, pellibus boum contectum, oppositum accurate decertat. Paulus, Troilus, Antonius de Bochiardis, fratres in loco arduo Miliandri, quo urbs titubabat, aere proprio et armis, summa cum vigilantia, noctu dieque et spingardis horrendis et balistis torneis viriliter pugnam sustinent : qui tanta animositate, nunc pedes nunc eques defendunt, ut Horatii Coclitis vires, repulsis hostibus, aequare viderentur. Nam nec muri fracti concussione , nec machinarum turbine territi, aeternam sibi memoriam —• 246 — vendicant. Teodorus Caristino senex, sed robustus graecus, in arcu doctissimus, Theophilusque graecus nobilis Palaeologo literis eruditus, et ambo catholici, cum Joanne Alemano ingenioso Ca-legaream concussam reparant proteguntque. Contarenus inter Venetos clarissimus Contareno, capitaneus Aureae portae et adiacentes turres usque oram maris viriliter pondus sustinens, hostes impugnat. Graeci perinde alii, suis distributi pugnaculis, aciem, mare terramque in urbis gyrum prosequebantur. Palatii Imperialis cura bailo Hieronymo Minotto Venetorum commissa est. Cardinalis, a consilio nunquam absens, Sancti Demterii regionem ad mare defensabat. Cathalanorum consul turrim ante Hippodromium tutabatur versus orientalem plagam. Chirluca curam portus totiusque maritimae regionis invigilabat, ad deferendum praesidium. Hieronymus Italianus, Leonardus de Langasco genuenses, cum multis sociis Chsiloportam et turres, *quas aveniadas vocant, impensis Cardinalis reparatas spectabant. Flamines monachique, supra muros un-dequaque collocati, pro salute patriae excudebant. Gabriel Trivisano, subtilium galearum nobilis venetus, cordatissime a turri Fani usque ad imperialem portam, ante sinum, cum quadringentis Venetis egregiis decertabat. Grossarum vero galearum praefectus Andreas Dieio cum reliquis, triremes potius pavidus quam portam custodiebat. Naves perinde armatae buccinis iugiter et ululatibus martem invitabant. Demetrius socer N. Palaeologo, Nicolausque Gudelli gener, praesidentes, ut decurrant urbem, cum plerisque in succursum armatis, reservantur. Taliter ergo pugnatoribus, sive ducibus, sive tyronibus ordinatis, expectabatur constituti martis generalis insultus, quo saepneumero territi Graeci, postes (sic), nunc agris, nunc vineis colendis, nunc voluptatibus laxati, ex industria declinabant. Fingebant quidem rei familiaris curam, etiam qui graves videbantur. Alii inopiam accusabant, quae ad opus lucrandi gratia cogebantur. Quos cum absentes corripuissem, periculum non modo suum sed omnium Christianorum allegans, respondebant: Quid nobis cum castro, si penuriam sustinet domus mea? ita quod magna vis erat reducendi ad muri custodiam. Ob hoc, paucitaterii hostes captantes pugnantium, audaces facti, uncinis vasa, quae in propugnaculis posuerant nostri, — *41 — demolito muro, detrahebant. Quandoque itidem lapidem ingentem vallo ex resaltu collapsum, quae magna illa bombarda muro inie-cerat cum rubore nostro, cum retiaculis extra ducunt, reproiiciunt-que; sed ubi custodes, ubi milites evagantes, ubi lapides, ut prohibeant vel repellant? O quam malum praesagium! Quid erit, inquio, quando velut torrens Tigris, irruet exercitus? Ordo perinde ex hoc datus est, ut panis per familias aeque distribueretur, ne illius curandi gratia, uti se excusabant, a c.astro recederent, neque famem potius populus quam gladium expavesceret. Quam quidam humanum sanguinem sitientes, vel occultato frumento, vel aucto precio praetendebant. Sed haec iniquitas non fuit causa mali, sed ordinis confusio. Severitas a Principe aberat, nec compescebantur, verbere aut gladio, qui neglexissent obedien-tiam. Idcirco quispiam suis efferebatur voluptatibus blandimentisque ex natura demulcebant iratum Imperatoris animum; delusus improbe a suis bonus ille, dissimulare malebat iniurias. Interea capitaneus generalis Joannes Justinianus, totius fortunae observator, ut praesensit proclamatione, Teucrum praesto daturum certamen, agebat confestim murorum, quos machina contriverat, reparationem; petivitque sibi a Chirluca magno duce consulari, communes urbis bombardas, quas contra hostes affigeret. Quas cum superbe denegasset : Quis me capitaneus inquit', o proditor, tenet, ut gladio non occumbas meo? Qua ignominia indignatus, tum quod latinus exprobrasset eum, remissius post rei bellicae providentiam gessit; Graecique, quam secretius, quod Latjnis salvandae urbis gloria debita esset, odiose ferebant. At capitaneus Joannes, Mauricii Ca-tanei praefecti, Joannis de Careto, Pauli Bochiardi, Joannis de Fornariis, Thomae de Salvaticis, Lodixii Gatilusii, Joannis Illyrici aliorumque asitorum graecorum consultu, acies munimen-taque refecit. Cuius providentiam Teucrus commendans dixit: Quam vellem penes me praefectum illum Joannem honorandum! Magnis hercle donis auroque multo corrumpere illum studuit, cuius inflectere animum nunquam potuit. Operosa autem protegendi vallum et antemurale nostris fuit cura, quod contra animum meum semper fuit, qui suadebant in refugium muros altos primos non deserendos. Qui si ob imbres negligen- tiamque \el scissi veJ inermes propugnaculis essent a primo dum propositum guerrae intervenit, reparari potuissent, reparandi custo-diendique erant: qui non deserti, praesidium urbis salutis contulissent. At quid dicam? Arguamne Principem, quem semper praecipuo honore veneratus sum, cuius fidem erga Romanam Ecclesiam intellexi, nisi pusillanimitate vinceretur? an potius eos qui ex officio muros reficere debuissent? O quorum animae forte damnantur, Manuehs Giagan dudum inopis, et Neophyti Hieromonaci Rhodii, si audeo dicere, praedonum, non conservatorum Reipublice, quibus \ eluti Reipublice tutoribus, aut exeniis intestatisque bona relicta, muris ascribi debebant, privatis potius commodis impendebant. Primus Mginti prope milium florenorum servus proditionis monachus quos posthac reconditos urna, septuaginta milium gratiam relinquunt Teucris. Idcirco urbs praedonum incuria in tanta tempestate periit. At tum omnia Graecorum ineptia opera reprehendantur, non mirum, si hoc illustre sanctis Imperatoribus institutum moniméntum egregium, Reique publicae tutamentum, esca praedonibus fuit. Quam postea sero, si reparare voluerunt, duo defuerunt, aes et tempus; quae poftrant, si guerram intendebant, opportunius et importunius extorquere ; sed innata non sinebat procrastinationis ineptia. Omnem ergo spem in fossatis et antemurale posuerunr. Quibu.s tandem perditis, ad altissimum desertum murufn coangustatis, abilitas non fuit. Prudentius Hebraei, qui perdito uno muro, deinde ad secundum , deinde ad tertium se contulerunt : quibus annis quatuor Vespasiani atque Titi obsidionem tulerunt. V ox inter haec ex castris, exploratorum celatus it, quod criremes navesque aliquot in subsidium ab Italia mitterentur; et Joannes Pannonum dux exercitus, Blancus vulgo nuncupatus, ad Danubium contra Teucrum congressurus adventasset. Qua concitatus exercitus discinditur. Cur, inquiunt, tanta mora periclitatur exercitus frustra contra muros pugnaturi? adversus Regem Teucri clamant. Etenim quanquam maximus numerus esset, quanquam infinitis sagittis ma-chinassent urbem, utpote ad muros invadendos, timidi, vecordes, Actoriam diffidebant. Calilbascia enim, Regis vetustior consolaris bar0, gravitate, consilio rerumque bellicarum experientia pollens, ristianis favens, Regi semper dissuaserat, ne urbem Constanti- — .249 — nopolis molestaret, eo quod fortitudine situs, rerum fertilitate providentiaque non ram Graecorum quam Latinorum munita, inexpugnabilis erat, quae proavorumque patrisque guerras annis multis toleravit. Quodque peius, quia eius iniuria lacessiti omnes Christianorum reges principesque ad eandem tuendam facile provocarentur. Tu ergo, Rex; pacem da tuis. Noli Genuenses Venetosque vicinos, qui tuis semper proderunt, hostes reddere, iramque Christianorum adversus gentem tuam provocare. Maxima est potentia tua, quam pace maiorem facis quam guerra. Finis enim belli varius est, quem adversitas saepenumero magis quam prosperitas comitatur. Zaganus iunior, secundus consularis baro, Christianorum hostis, tum praecipue Calilbasciae aemulator, maximam esse Regis sui potentiam, adversum quem nulla gens possit, suasit contra Graecos guerram, potentiam exiguam habentes, quorum moeniis, machinis collidendis exercitus innumerositate et diutina fatigatione, qui nec ex Italis expectassent praesidium, faciliter expugnandos. Nec voce illa revocandum esse Regis animum, quae conficta fuisset. Genuenses scissi, Veneti oppressi ab Duce Mediolani, nullum daturi sunt praesidium. Thuracan, Thracialis militiae princeps, Calilbasciae commendare propositum non audens , ad guerram Regem animavit. Eunuchus, tertius consularis baro, dicta confirmat. Juniores igitur belli duces : O rex, inquiunt, quis peremptor gentilitatis nostrae, timiditatem nobis incutit ? Decet invictissimum principari nostrum res magnas et cogitare et aggredi, et quemcunque eventum permagnifice ferre. Zaganus perinde, ut vidit multitudinem bene dispositam: Da, inquit, bellum, Rex, quoniam, diis faventibus, victoriae gloriam consequeris. His itaque verbis animosior factus Rex, inquit: Fortunam tentare licebit. An Macedonis potentia, mea maior fuit, cui orbis minore cum exercitu pavit? Quis aut genitor meus , aut avus, aut proavus, tanta potestate, tantis machinis , ut ego urbem hanc oppressit? Constitue', Zagane, diem belli, compone exercitum : Peram , ne subsidium hostibus conferat, circumvalla : et quae ad militiam spectant, omni cum maturitate dispone. Itaque ut Calibascia, senior consularis, complacuisse Regi Zagani aemulatoris sui consilium intellexit, diffinitumque esse certamen, clam internunciis admodum fidissimis, ut amicus, Imperatori cuncta denunciai Hortaturque ut non expavescat temulentissimi adolescentis insaniam ; nec terreri minis eorum qfl magis timuissent, nec indoctiore multitudine commoveri. Custodes sint vigiles , et pugnam perseverantes expectent. Frequentes enim epistolae ad Imperatorem ex Calibascia portabantur. Ergo proclamatum est in castris edictum, ut quarto kalendis Maii, die videlicet Martis, praeviis diebus tribus, quibus luminaria Deo accendant, Deum invocent, integra die abstineant, parati sint omnes ad praelium, daturi Christianis generale certamen, altissimaque voce praecones voluntate Regis urbem triduo ad saccum esse bellatoribus donatam. Juratque Rex per immortalem Deum , perque quatuor milia Prophetarum, per Machometum, per animam patris, per liberos, perque ensem quo cingitur, omnem depopulationem omne-que hominum utriusque sexus genus, omnemque pariter urbis thesaurum atque substantiam, libere bellatoribus donatam : nulloque pacto quae iurat violare. O si audivisses voces ad coelum elatas (Illalla, Illalla, Machomet Russolalla, scilicet: Quod Deus est, et semper erit, et Machometus est servus eius), quidem obstupuisses. Sicque factum est, triduo luminaria Deo accendunt, ieiunant die, nihil usque ad noctem gustantes, invicem congaudentes , invicem convivantes, se ipsos, quasi ad inferos die certaminis abituri, osculis resalutant. «fcNos tantam religionem admirati, Deum propitiatorem profusis lachrymis praecabamur, sacras imagines processionaliter compuncti, per vallum urbemque transferentes, nudis pedibus, mulierum m-rorumque turbis consequentibus, deprecabamur cum plenitudine cordis, ne haereditatem suam Dominus demoliri permitteret, et quod dignaretur fidelibus nostris in tanto certamine porrigere dexteram, qui solus Deus, et non alius pro Christianis pugnare potuisset. Itaque nostram spem totam in Deo ponentes constitutum certaminis diem, confortati, vigorosius expectabamus. Propter quod ascitis senatu, baronibus, belli capitaneis et commilitonibus ab Imperatore universis, sermo talis habitus est. Quoniam viri nobiles, militiae illustres duces, vosque commilitones christianissimi, appropinquantem certaminis horam conspicimus, constituendos vos hoc in loco proposui, ut plane siquidem — 251 — intelligatis constantiam vestram magis ac magis firmandam, utpote qui gloriose semper adversus hostes Christi dimicastis : iam patriam urbemque toto orbe perinclytam, quam invidus Teucrus duos et quinquaginta dies cougustavit, vestris altis spiritibus commissam habeatis. Neque vos muri, mole ingentis lapidis ab hoste contriti, exterreant; quoniam tota vis in Dei praesidio, in lacer-tisque vestris, vibratis excussisque gladiis, in hostes exercenda est. Scio indoctam illam multitudinem, ex more magnis congressuram ululatibus, infinitisque a longe sagittis, non personas nostras, quas iam strenue armatas conspcio, sed murum, thoraces ac scuta no-sra impetere. Neque enim more equorum, quos Poeni, dum Romanos adversus decertarent, per elephantorum invisam horribilitatem deterrere voluerunt, ululatibus eorumdein, hac in pugna timorandi estis, aut fugandi, quin potius animandi Hercule constantius. Bestiae enim si fugantur a bestiis, vos qui homines estis magnanimes, bestias illas viriliter sustinentes in eosque veluti agrestes apros lanceas mucronesque transfigetis, ut intelligant cum animalium dominis, non cum animalibus, eos bellaturos. Cognoscitis quod impius et infidus hostis pacem nostram iniuste perturbavit, iusiu-randum et foedus inter nos exactum violavit, colonos nostros messis tempore interfecit, coloniam depopulavit, castrum, quod quasi ad vorandum Christianos sit, in Propontide aedificavit, Ga-latamque simulatione pacis circumdedit. Minatur nunc Constantini magni urbem, patriam vestram, profugum Christianorum auxilium et omnium Graecorum tutamentum capere et sacra Dei templa equinis stabulis profanare. O barones mei, o fratres, o filii Christianorum, aeternum decus defensare curetis. Vosque Genuenses, viri quidem magni cordis et inclyti, qui infinitis victoriis triumphatis, qui urbem hanc matrem vestram, multis adversus Teucros certaminibus semper protexistis, eia agite, robur vestrum aniinositatemque contra eos viriliter ostendatis. O Veneti, viri quidem potentissimi, quorum gladio saepenumero Teucrorum sanguis effunditur, quique diebus nostris, per Plordanum excellentissimum classis nostrae praefectum, tot galeas, tot infidorum animas ad inferos crebro destinatis, extollatis nunc celsos animos ad certamen. Vosque commilitones, vestris praefectis omnem obedientiam exhibentes, intelligite quod hic Jies est gloriae vestrae, in quo si sanguinis guttam fuderitis, coronam vobis martini et gloriam pa-rabitis immortalem. sermone> omnis Christianorum coetus, constantem nini uni ia ere spopondit. Repetit Imperator, Estote igitur omnes ac u urtute parati crastino: quo Deo favente, uti speramus, victo--'■T °^Se<^Ueniur‘ Confortati posthac Graeci qui primum, quasi pa-,. ’ . ec^nabant, virtuteque confirmati, privatis post terga . us ’ ad certamen communis salutis eventum , constanter ’ ~ que «.onspirant, suisque per capitàneos, duces, tribunos, cen-’ x i'-^rios, pi opugnaculis ordinatis, nocte quae martem prae^ maximis cxcubiis infra vallum, valvis urbis, ne quisquam 0ce eret, clausis, pernoctarunt. Audiunt igitur parari machinas, castratas bigas , vallis scalas rotatas admoveri. Classis inter ’ Ut Jrcumdet Portum et urbem disponitur. Pons iuxta urbis P n applicatur, omniaque machinamenta instantius praeparantur; p epositisque minus robustis, minus doctis, ut dum lux venerit, lores milites sint recentes. Certamen inchoatur; nostri magna ^ animositate resistunt, hostes «machinis et balistis repellunt, et ^ traque parre proportionabiliter occiduntur. Tenebrosa nox in p, crjhirur, nostiis vicentibus. Er dum astra cedunt, dum praecedit ludfer ortum , buccinis ex utraque crepantibus HI ' PLrstrePentibus, sitissimis clamoribus missis, Illalla, a ’ 'n marrem conclamans, conglobatus in gyrum consurgii , . L- li ^na ^10ra ornne™ terra et mari urbem invadunt. mas primum excutiunt, sagittas coelum obscurantes immittunt. . contra n°stri missilia invisa demittunt, spingardas in globum • Scinditur exercitus horribili Christianorum resistentia. Tunc nt c amores in coelum, vexilla alacrius expanduntur. O mirandas Consumitur exercitus, et innnensurata audacia vallum praesumit. Cadunt lapidibus obruti Teucri, morti multi sca , ^Unt ‘ se invicem conculcantes, tentant per ruinam muros , . ^ nostl^s quidem strenue repelluntur: sed vulnerati nostri sni ~ de''^nant. Stat capitaneus Joannes, stant caeteri in peratr°PF8naCUllS‘ DUCeS Succurrunt urbis Capitaneo deputati. Im-inquit, \iri fortes, iam laxatus exercitus hostium, co- — 253 — rona victoriae nobis utique datur; Deus nobiscum est, agite constantem pugnam. Inter haec malo urbis fato , heu Joannes Justi- % manus sagitta sub asella configitur ; qui mox inexpertus iuvenis , sui sanguinis effusione pavidus perdendae vitae concutitur. Et ne pugnatores, qui vulneratum ignorabant, virtute frangantur, clam medicum quaesiturus ab acie discessit. Qui si alium suo loco surro-gasset, salus patriae non periisset. Pugnam inter haec arduam committunt. Imperator ut vidit deesse Capitaneum, ingemiscens, quo scilicet ierit percunctatur. Nostri, ut se vident sine duce, resilire e locis incipiunt. Teucri convalescunt, horror nostris incutitur. Desiderio enim cuncti desiderabant ex periculoso illo loco scire quid contigisset. Quod praefectorum, qui singula, quae sinistra vel prospera evenissent, nunciare debebant, negligentia praetermissum est. Terrebaturque acerbum illud bellum magno cum silentio, his qui longe stetissent. Fatigabantur igitur nostri plurimum; et quem reparaverant Bachatureum murum , hostium compressione paulisper deserunt. Quo inspecto, diiudicant Teucri, propter repletionem quam ruina collapsa fecerat, aequo calle posse transire. Irruendum igitur est, inquiunt, et veluti impetuosus turbo, uno impulsu muros ascendunt, mox moenibus vexilla figentes, hilaritate pleni clamant victoriam, gladio pugnant, et quoad possunt omni cum virtute nostros vel exterminare vel subiicere moliuntur. At Imperator infelix, ut vidit Capitaneum desperatum: Ha me miserum, inquit, peritile urbis? O infortunatam sortem: siste praecor Capitanee, nam tua fuga alios incitat ad fugiendum. Non est mortale vulnus , patere dolorem , et siste viriliter, ut spopondisti. At ille salutis, gloriae, suique oblitus, uti altam quidem primo magnanimitatem , ita posthac pusillanimitatem ostendit. Debuit enim, si poterat, vulneris dolorem sufferre; non recedere, si vir erat, a seipso; vel saltem alium, qui stetisset, loco sui surrogare. Franguntur ex hoc omnium commilitonum animi, hebetantur vires, et Capitaneum fugientem, ne pereant, insequuntur. Da Clientulo, inquit Capitaneus, elavem portae, quam mox reseratam satagunt magna cum compressione transire. Refugit Capitaneus in Peram ; qui post Chium navigans, ex vulnere vel tristitia ingloriosum transitum fecit. Imperator insuper, ne nb hostibus capiatur: O quispiam, inquit, valens tyro, — 254 — propter Deum, ne maiestas vafris viris succumbat, meo gladio me transfigat. Inter haec. Theophilus Palaeologo , vir catholicus , iam perdita urbe* me inquit, vivere non licet. Teucrorumque pondus aliquandiu sustinens, et decertans , securi discinditur. Ita Joannes sclavus Illirycus, veluti Hercules se opponens, multos prius mactat; deinde gladio finivit vitam hostili. Se invicem post nostri, ut portam ingrediantur, vita oppressi pereunt. Quibus innixus Imperator cadens atque resurgens, relabitur, et compressione princeps patnae e vita demigrat. Perierunt igitur ex nostris et Latinis et Graecis, o o se invicem concultantibus in portae exitu , circiter octingenti. Inde Teucri altum murum decurrentes, ex alto quos possunt lapidant : cuneusque unis vocibus per antemurale descendens , in tugam omnes nostros compellit. Rumorem iacturamque ex fugientibus audientes, Paulus Troilusque Bochiardi, viri latini urbis cives, cum aliquot Graecis strenuis Latinisque equis insidentes, ob invidos evadunt. Hostes, forte maiorem numerum quam essent autumantes, terga vertunt. Paulus in Teucrum urget equum: lanceaque, unum transfodiens, caeteros in fugam vertit. Et ne ex alto lapidibus obruantur ad Troilum inquit: Haa periit civitas, nosque, facile ab hostium moltitudine circumdati, spem vite perdemus. Et sic ictus securi Paulus in vertice, fuso cruore, cum fratre post redemptionem ad Galatam confugit. O rem mirabilem, o stuporem ! nec dum Phoebus orbis perlustrat hemispherium et tota urbs a Paganis in praedam occupatur. Concite igitur omnes pedes decurrunt, quosque resistentes gladio feriunt : imbecilles, decrepitos, leprosos atque m firmos trucidant : obsequentibus vitam parcunt. Sanctissimae Sophiae admirandum templum , quod nec Salomonis equat, profani atque infidi ingredientes, nullam sacris aris reverentiam neque sanctis O ' r imaginibus agunt : quin potius exterminant, oculos sanctorum su fodiunt. Sanctorum quoque reliquias vel dilacerant, vel dispergunt. Sacrilegae manus mox sancta Dei vasa usurpant, argentum, aurum tam sanctarum imaginum quam mulierum sacculis infarciunt. Fit clamor et ululatus ad coelos; et omnis sexus, omnis homo, omne aurum, omne aes, omnisque supellex, omnisque urbis substantia in predam vertitur. Securibus scrinia scindunt, fundos fodiunt pio thesauris, qui tanti reperiuntur, et novi et veteres, ut nulla sit uibs — 255 — saeculo quae tantis affluat, et omnes absconditi in manus eorum pervenerunt. O Graeci, iam miseri et miserabiles, qui inopiam fingebatis ! Ecce iam in lucem venerunt thesauri, quos pro urbis subsidio denegastis ! 1 riduo igitur in praedam decursam civitatem depopulatamque, Regis Teucrorum ditioni dicati admodum relinquunt. Traducitur ad papiliones omnis substantia et praeda, vinctique omnes ad sexaginta millia funibus Christiani captivantur. Cruces ex templorum apicibus parietibusque evulsae, pedibus conculcantur ; violantur mulieres , virgines deflorantur, mares iuvenes in turpitudinem maculantur. Sanctimoniales reliquae, etiam quae apparentes fuerunt, luxu foedantur. O Deus meus, quam iratus videris, quam immisericorditer faciem a fidelibus avertisti ! Quid dicam ? Silebo aut narrabo in Salvatorem et sanctas imagines illatas contumelias? Parce mihi, Domine, si tam foedum scelus enarro. O confusionem Christianorum, si Christi Dei iniurias vindicare retardent! Sacras Dei, scilicet sanctorum effigies, humo prosternunt, quibus super non modo crapulam sed luxuriam compleant. Crucifixum posthac per castra, praeviis tympanis, deludendo deportant, sputis, blasphemiis, opprobriis iterum processionaliter crucifigunt, pileum teucrale,'quod zarchulam vocant, capiti superponentes , deridendo : Hic est Deus Christianorum. O Dei patientiam ! Bene videris iratus , bone Jesu , ut pro peccatis nostris tantas iniurias iterum toleres indignatus! Parta autem victoria, Teucri bacchanalia festosque dies celebrant, quibus Rex forte temulentior factus, sanguinem Baccho misceri voluit humanum. Vocatis igitur ad se Chirluca caeterisque baronibus consularibus, reprehensis quod non suasissent Imperatori vel pacem petendam, vel dandam sue ditioni urbem : Chirluca, qui cogitaverat eius gratias captare, adversus Perenses Venetosque, qui arma, milites consiliumque dedissent, culpam retorquere curavit, quorum gratia Imperator resistentiam fecisset. Volensque ille miser, qui semper gloriam mendaciis et schismate captare concupivit, Calil-basciam vetustiorem, loco et prudentia primum Teucri baronem , amicum admodum Graecis, quod crebris litteris ad Imperatorem missis, eius animum detraxit, utque fortis staret accusavit, episto-lasque servatas in fide Regi praesentavit. Quibus oppido commotus, — 2)6 — nactam terram Perae, nescio nisi Deo revocante, et demoliri et trucidare disposuit. Calilbasciam ex hoc primum vinctum mancipari turri, deinde omni auro et substantia privari: posthac in Adria-nopolim translatum, vita privari iussit. Cuius mortem lamento flebili aegre totus exercitus tulit. At Chirluca malitiae poenam non evasit, qui protino perditis pn-mum in bello duobus liberis maioribus, alio impubere luxui regali reservato, coramque oculis tertio filio caeso, cum caeteris baronibus decollatur. Bailum itidem Venetorum, reliquosque delectos nobiles et filium gladio extingui iubet. Consulemque Taraconensium cum duobus , pariter etiam Catharinum Contareno virum humanissimum , cum sex nobilibus venetis iam primum redemptis, contra omnium fidem, nisi septem milibus aureorum vitam emissent, morte utique affecisset. Expletis autem bacchanalibus, concessa licentia, traditis m captivitatem Grecis, forte patriam non visuris, in suas regiones Teucri revertuntur. O miseros et miserabiles Graecos, qui Latinos prohibuere, ne sacra contrectarent, velariis libarent suis, iam profanis et collimosis dederint; et qui unionem fidei contempserunt, iam quoque dispersi, in unum peccati poena convenire non possunt! Haec praecogita, Pater Beatissime, qui vices Christi geris in terris, cuius interest tantas Christi iniurias et fidelium ulcisci. Igitur mo veat te divina pietas, et miserere Christianitatis tuae , qui sus et potes, cui ad nutum omnes Christiani principes vindicaturi Chri stianorum iniurias facile obtemperabunt. Alias, scito in tantam iam superlatum pompam, ut non erubescat dicere, Sinum Adriaticum penetrare Romamque venturum. Moveat igitur te iterum, Pater Beatissime, fides Petri, moveat Christi inconsutilis amictus, spongia et mucro perditi, dilaceratae Sanctorum reliquiae, edes sacrae eversae, et profanata sterquiliniis Dei templa. Sed vide connexam pariter iacturae tempestatem , ut Perenses, dum urbem captam vident, in fugam quasi amentes vertuntur. Fiunt ex ipsis qui nondum naves ascenderant Teucrorum ad ripam in cursantibus fustis in praedam. Captivantur matres, liberis relictis, et e contra alii aequore compressi merguntur. Gemmae sparguntur, I — 257 — ' et invicem se ipsos sine pietate predantur, ut verum sit quod fugit impius nemine persequente. Quid dicam? O Potestas Pere, o pravum et insultum tuorum consilium! Oratores terrore concussi a Perensibus Regi ut claves offerant mittuntur. Ille periucunde intelligens : quod potestatem non habeant, suscipit, in servosque foederatos acceptat. Constituit Teucrum rectorem, proscribit fisco omnium profugorum substantiam. Turres murumque civitatis dirui iubet ; obtemperant : et se ut salvi sint, ei, neglecto Genuae mandato, mancipant. Turremque in cuius acumine Christi signum crucis, a quo et denominabatur, usque ad fundamenta evertit. Sicque qui liberi erant, pacemque tenebant, iam servi sunt, non sine poenitudine : a qua vix unquam liberari poterunt, nisi ex te Pontefice summo. Quem ut Deus animet ad vindictam, oramus, fidentius supplicesque praecamur. Datum Chii, decima sexta die augusti, millesimo quadringentesimo quinquagesimo tertio. Philippi Lonicerii Chronicorum Turcicorum ; Francofurti ad Moenum //78 ; voi. II, pag. 84 e segg. . CLI. 1453, S novembre. Rescritto della Signoria in favore di Giuliano di Lu, già abitante in Pera, affinchè possa esercitare in Genova 1’ arte di acimatore di panni. M CCCCLIII, die quinta novembris. Illustris et excelsus dominus Petrus de Campofregoso Dei gratia Dux ianuensium et magnificum Consilium dominorum Antianorum Comunis Janue, in legitimo numero congregatum. Cum audissent Julianum de Lu oriundum ut affirmat Caphe et incolam Pere, narrantem evasisse ex clade Pere velut ex naufragio inopem et seminudum, et in hanc urbem velut in refugium ac portum cum omni sua familia se contulisse; et cum exercere vellet artem acimatoriam quam Pere operabatur, acimatores huius civitatis se se opponere ac prohibere ne in ea operetur; quod * nihil aliud est quam eum cogere ut vel mendicet vel civitatem hanc deserat, et ob id supplicantem ut calamitati sue succurratur; audissent ex ad\eiso acimatorum Consules statuta sua opponentes, ac dicentes necessarium esse ut sex saltem annis serviat utem ab eis discat. Non ignari quod cum tempore ducatus il-domini Thome de Campofregoso saonenses artifices Janue recepissent, statutum ac provisum fuit quod eorum quisque tem impune posset exercere in qua Saone operabatur : miserati piam et calamitatem ipsius Juliani, decreverunt et concesserunt |3 o ei libeie liceat artem acimatoriam exercere, sine ulla mo-stia \el impedimento, non obstantibus quibusvis capitulis aut con-tutionibus ipsorum acimatorum, aut aliorum quorumvis, quibus 4 ‘ tenus huic eorum concessioni obstarent esse voluerunt specia-ter derogatum. Jubentes propterea Consulibus ipsius artis presen-us et luturis et quibusvis aliis acimatoribus ne ipsi Juliano eam em exercituro ullam inferant molestiam vel impedimentum, sub qualibet gra\i pena arbitrio ipsorum illustris domini Ducis et Consilii taxanda. i'i° Stato. Codice Diversorum Caticellariae ann. 1452-53 , X. 987. CUI. 1456, 16 gennaio. — L’Uffizio di Moneta dichiara immuni dalle gravezze pubbliche « Napoleonem Vivaldum qm. Andrioli et quos dam alios ex numero habitatorum infelicis opidi Pere ». Archivio di Stato. Cod. Fideiussionum et Litterarum ann. I455~S^>> num> 20’ X. 122. » — 259 CLIII- 1453, 10 dicembre. Consiglio e deliberazione circa gli aiuti da prestarsi dalla Signoria di Genova, per una spedizione contro del Turco. M CCCCLIII, die lune X decembris. Cum ad conspectum illustris et excelsi domini Petri de Campofregoso Dei gratia Ducis ianuensium et magnifici Consilii domino-rum Antianorum Communis Janue in legitimo numero congregati vocata fuissent spectabilia Officia Balie maritime, Provisorum et Monete', ac Protectorum sancti Georgii, et preterea cives circiter centum et viginti; spectatus iuris utriusque doctor dominus Baptista de Goano, nomine eorum quatuor civium qui delegati fuerunt auditores reverendissimo in Christo patri domino domino Cardinali Firmano et legato etc., ipsi Concilio proposuit eundem reverendissimum dominum legatum multa prudentissime memorasse, ad exortandum populum ianuensem ut velit pro sua portione auxilia conferre expeditioni que mari ac terra adversus Regem tureorum paranda est; et proposuisse hinc ignominiam infamiam et pericula imminentia, si adversus tureos auxilia ferre renegemus ad que principes chri-stiani se promptos ac paratos obtulerant; illinc laudes gloria et premia, que consecuturi simus, si eam opem his rebus contulerimus, quam pro rerum ac temporum condictione conferre poterimus. Et tandem post multa ab eo memorata petiisse et instanter petere dari sibi certam prefinitamque responsionem eius auxilii quod a nobis in ea expeditione dandum sit. Hec cum ita idem dominus Baptista retulisset, et moniti fuissent quicumque aderant suum quisque consilium in medium afferre, tandem collectis vocibus, compertum est sententiam generosi viri Salvagii Spinule, in quam voces octo et octoginta convenerunt, prevaluisse. Is iussus assurgere et sententiam dicere: premissa primum excusatione quod non sit satis idoneus consultationi tante tamque sublimis materie, dixit materiam ipsam grandem et altam admodum esse, et habere preterea multas in utramque partem dubitationes, nam si ullas fecerimus demonstrationes, que intelligantur et appareant, obiicemus profecto urbes nostras orientales magnis manifestisque periculis ; verum simileque — 2ÓO — videri Regem ipsum tureorum nec servaturum esse ea que cum mahonensibus Chii postremo pactus est, nec eam spem quam de caphensibus rebus nobis dedit ullum effectum habituram esse; preterea facile intelligere gravia exactionum opera que cives preferunt, et quod difficile foret recuperare pecunias, si ex loculis civium depromende forent. Contra cogitandum videtur quod si universi principes et respublice christiane in eam expeditionem opem conferant, et nos soli pro nostra portione defuissemus, non solum in exeera-tionem essemus populis christianis, sed velut lapidaremur in toto orbe terrarum. Videtur,etiam considerandum quod fides et promissa huius Regis tureorum sunt multum incerta et ab eo male servantur, ut experimento cognitum est et in nobis et in aliis; ex quo non videntur promissiones eius multi faciende. Dixit etiam considerare quod si adiuvante Deo hec expedictio felicem exitum assequeretur, et nos auxilia nostra in Orientem non misissemus, veneti aut alii principes universas terras nostras occuparent, et essent amisse nobis in secula seculorum; propter que impendentibus periculis que dicta sunt, et cum sit eiusmodi materia sublimis, et magnum prudensque consilium desiderans, conclusit non videri sibi quicquam esse in tanta multitudine decidendum aut statuendum; sibi potius videri dandam esse curam spectatis octo officialibus preparatoribus huius reverendissimi domini legati et simul cum eis spectatis octo officialibus Balie maritime, ut simul cum illustrissimo domino Duce excogitent quenam supersint vie habendarum pecuniarum, atque ipsum reverendissimum dominum legatum audiant, tentent cum eo an presentibus nobis idonea navigia ad id bellum dandum nobis foret ex pecuniis illis que in subsidium huius expeditionis colligentur. Et demum quod hi sexdecim simul cum illustri domino Duce latam habeant potestatem providendi et faciendi, prout illis visum fuerit, recte prius consideratis viribus et conditionibus nostris et reliquis ad eam materiam pertinentibus consideratione dignis. Adiecit preterea idem Salvagius utile sibi videri id quod a claro legumdoctore domino Baptista de Goano prius memoratum est, ut videlicet ipsi reverendissimo domino legato honesto sermone dicatur quod si contingat nos vexari et inique turbari ab aliquibus principibus christianis, et precipue a serenissimo domino Rege Ara- f — 261 — gonum, quemadmodum legatus ipse latissime ostendit se intelli-gere; necesse nobis foret consulere ac providere adversus has molestias que propinquiores essent, et ex necessitate reliqua relinquere que facienda forent. Quam commemorationem ipse non putat posse ullo modo obesse, quia id pertinet ad iustifìcationem cause nostre; et insuper quia ex eiusmodi sermone oriri posset aliqua rerum reformatio, aut saltem excusatio nostri in omni eventu. Cum igitur in eam sententiam voces octoginta et octo ut dictum est convenissent, in vim legis ac decreti deducta est. Cod. Diversorum, cit., X. 987. CLIV. 1454, 11 marzo. Istruzioni della Signoria di Genova a Luciano Spinola e Baldassarre Maruffo, che si spediscono ambasciatori a Maometto. M CCCCLIIII die XI martii. Petrus Dux et Consilium etc. committimus et in mandatis damus hec que dicentur inferius vobis prestantibus viris Luciano Spinule et Balthasari Marrufo legatis nostris ad conspectum illustrissimi et potentissimi principis domini Machometibei regis tureorum nostro nomine profecturis. Cum perveneritis Chyum volumus ut illic numerum famulorum vobis prefinitum expleatis, conducendo et vobiscum dedu endo famulos qui apti et idonei sint honori vestro, ita ut legatio vestra non solum et numero sed etiam ex apparatu et qualitate famulorum digna et honorabilis appareat. Ad quod volumus adhibeatis studium et diligentiam : consyderato precipue quam raro soleamus ad reges tureorum legatos mittere, quamque ex legatis solent ii qui mittunt ab regibus remotarum regionum extimari. Et si levi aliqua mercede possetis in numero famulorum doctum aliquem interpretem conducere in ipso loco Chij, sumptus nobis non displiceret, quamvis sciamus in Pera unum et plures posse commodissime inveniri. In Chyo etiam volumus ut a multis, presertim a prudentioribus tam mahonensibus quam mercatoribus, instructiones sumatis rerum turcicarum, quid agat Rex ille, quid paret, ubi sit, quem gerat in nos animum, quid etiam suadeant a vobis vel dici vel fieri. Et tamen in his omnibus perficiendis date operam celeri expeditioni vestre. Nolemus enim duas naves a vobis diu impeditas retineri, set summa potius festinatione inde abire. Perfectis in Chyo iis que diximus, volumus ut Peram petatis. Nam sive Rex ille erit in Adrianopoli sive in Constantinopoli aut alibi, utile putamus Peram vos prius accedere, nisi magnum aliquod periculum instaret quod descendentibus vobis Callipolim non incideretur; quo casu evitandum esset periculum accedendi Peram, et tutum consilium foret ex Callipoli ad conspectum Regis transire. Set nobis persuasum est posse vos tuto Peram petere. Utrum autem naves ipse anchoram iaciant ad columnas, vel portum Pere ingrediantur, id patronorum et aliorum iudicio relinquimus. Vos cum Peram intraveritis volumus ut rectorem urbis nostro nomine visatis (sic) et salutetis, eique donetur exiguum illud munus quod invenietis in aliis instructionibus vestris ei destinatum esse; et studete vobis eum vobis benivolum reddere, petendo ab eo consilium suum in iis que a vobis agenda erunt in curia Regis; nec recusantes eas admonitiones et instructiones quas dederit vobis. Deinde, vel etiam prius pro ut vobis utilius videbitur, curate convocari Consilium et alios magistratus Pere, quibus reddatis litteras nostras que in fine sunt credentiales ; et lectis litteris, salutate eos omnes nostro nomine tanto tamque sincero affectu quantus a vobis proferri et indicari poterit, ac dicite illis hanc vestram legationem maxima ex parte mitti ad Regem illum eorum causa, ut omni studio et arte tentemus an aliquid prodesse possimus rebus eorum, et ob id precipue mandatum vobis fuisse ut prius quam presentiam Regis peteritis ad eos omnino accederetis, ut ab eis possetis cognoscere quid ipsi cogitaverint de rebus suis, quoniam cognitis eorum consiliis vos a nobis moniti et onerati estis omnia dicere facere et conari que eorum commodis inservitura sint. Et in his referendis volumus utamini omnibus illis sermonibus vultuque et extrinseca demonstratione que conveniunt propinquis et benivolis quorum calamitatibus decet etiam nos miserere. Similique humanitate volumus ut seorsum ab aliis audiatis aliquot paucos tam ex — 263 — civibus quam ex perensibus quos prudentiores et magis doctos rerum turcicarum iudicabitis, et cum eis volumus et consultetis et discutiatis quenam sint ea que a Rege illo digne et cum spe impetrandi peti possint. Dubitamus enim ne propter cupiditatem vel propter spem aliquam non similem vero, vel etiam immoderate conceptam, multitudo suaderet vobis aliquod vel dicere vel petere quod magis noceret quam prodesset. Vos vero auditis argumentationibus et rationibus horum prudentiorum, decernite vobiscum que honeste peti possint et que honeste non possint. Et cum perveneritis ad curiam, sit vobis cure ea que pro eorum commodis posse sine reprehensione peti videbuntur petere, et incumbere ut eis concedantur. Nolumus autem ut ex Pera discedatis quin vobiscum prius deducatis unum aut duos interpretes lingue turcice ex melioribus et doctioribus quos oppidum illud habeat, et qui si fieri poterit peritiam habeant regie curie. Cum ex Pera perveneritis ad eam urbem in qua Rex ipse fuerit, utile putamus ut ianuenses qui ibi fuerint ad vos vocetis ; pre-sertim si tunc erit spectatus Franciscus de Draperiis qui maximam solet habere cognitionum rerum curialium ; eisque vel omnibus vel paucis qui prudentiores videantur exponatis non quidem omnes commissiones vobis datas, nam id esset levitatis et imprudentie , set superficialiter et brevissime causas legationis vestre, multa audiendo et pauciora referendo ; et ab eis consilium petatis quibus verbis quibus titulis quibus nominibus dignitatum uti vos deceat. De quibus omnibus curate ita plene ac recte edoceri, ut neque vos neque interpretem vestrum, sive unus erit sive plures, per ignorantiam peccare contingat. Deinde, ut opinamur, oportebit vos sermonem conferre cum scriba Grecie, a quo curatote deduci ad conspectum singulorum purpuratorum quos Bassiales vocant. Set sive scriba ille sive alius secundum morem curie ad eos deducet vos, cum tempus esse intelligetis, mittitote eis dona nostra, de quibus in quadam minore instructione vobis danda late admonebimini. Et diligenter curatote ut illi ex tribus qui maior ac dignior et apud Regem potentior est digniora munera mittantur. Reliquis duobus sive pares erunt, sive non multum impares, datote reliqua. Si multum inter se se potentia et dignitate distarent, tunc volumus — 264 — ut accepto a nostris super ea re consilio, si id ita eis videbitur, diminuatis ex donis indignioris et addatis muneribus dignioris. Set pro viribus cavete ne ex hoc indignatio suboriretur et qui minus accepisset indignatus noceret rebus nostris. Postea quam Bassialibus et Regi, secundum morem Curie et secundum quod vobis memoratum fuerit, dona dederitis, et tempus ac locus exiget ut ea que vobis commissa sunt referatis, dicite vos multo iam tempore creatos fuisse legatos ad Excellentiam illius illustrissimi Principis ; set propter discordiam et bellum quod nobis est cum serenissimo domino Rege Aragonum, tardius navigasse, et ad conspectum ipsius Principis tardius pervenisse. Ex quo precabimini Sublimitatem suam ut nos accipiat excusatos, cum propter evitandum id periculum digna et iuxta fuerit causa eius tarditatis. Post hec, vel etiam ante ipsam excusationem, pro ut convenientius iudicabitis, dicite nos Ducem et Consilium ac Commune Janue misisse vos ad conspectum Sublimatis sue, primumque ac precipuum dedisse vobis mandatum ut nos et ipsunji Commune commendaretis omni studio et affectu Excellentie sue. Idque dicetis verbis decentibus vos facere sincero animo et toto mentis affectu. Deinde adiicietis quod, sicut seniores sui probe possunt meminisse, nos et Januensis Respublica omni tempore singularem gessimus affectionem et venerationem ad illustrissimos quondam patrem, avum aliosque maiores suos et ad totam Otomannorum Domum ; quodque e converso fuimus semper ab illis in omni re nostra habiti ac tractati ut peculiares amici, et quod raro aut nunquam aliquod ab eis postulavimus quod illi nobis negaverint. Et ut de multis pauca exempla referantur, cum tempore illustrissimi patris sui Mostafas multas terras Grecie in rebellionem- concitasset, nec pater eius facultatem haberet ex Turchia in Greciam traiiciendi, petiit ut navibus nostris in Greciam cum exercitu transportaretur; quod promtissime ianuenses fecerunt. Ipse quoque tantam de ianuensibus fidem concepit, ut se ipsum et exercitum ac totum Statum suum in eorum manibus posuerit; quod fuit certissimum argumentum amicicie et vere benivolentie. Transivit igitur in Greciam, et intra paucos dies victor fuit. Post aliquot autem annos cum Jannitus adversus illustrem patrem eius rebellasset, nec per — 265 — exercitus terrestris facile superari posset, poposcit idem Morathus bei pater eius auxilium navium nostrarum, quod ei facile prebitum fuit; cum quibus navibus et Jannitum statim vicit et per filium recuperavit. Hec dicetis exempla a vobis memorari, ut si qui ea ignorarent, sciant illustrem quondam patrem suum nos omni tempore ut veros amicos dilexisse et de nobis optimam semper concepisse spem, et nos semper studuisse Excellentie sue gratificari. Cum igitur hec ita se habeant, subiungetis nobis visum esse quamprimum audivimus expugnationem Constantinopolitanam , pertinere ad officium benivolentie nostre mittere ad Sublimitatem suam gratulatum super victoriam quam illi concesserat Deus; et vere videri nobis eam fuisse victoriam maximam et clarissimam, et que mereatur et leticiam magnam et amicorum congratulationem. Nam profecto ea urbs habet et commodissimum situm et regionem circum se valde fertilem, et magnitudinem pergrandem, et menia pulcherrima, et multa decora edificia; que omnia simul iuncta nulla alia civitas habet; propter que potest Excellentia sua vere gloriari quod habet in potestatem urbem omnium aliarum speciosissimam , quam si civibus et bonis habitatoribus impleverit, eamque ad pristinum decus redegerit, duplicabit ipse famam et gloriam nominis sui. Nam quantam consecutus est gloriam in aquirenda tam excellenti urbe, tantam consequetur si eam auxerit civibus et ad suam priorem dignitatem extulerit. Hec que hactenus superius dicta sunt volumus a vobis referri quantum locus et tempus patientur, sub ea verborum forma que a nobis dicta est, vel saltem sub aliqua simili que ab iis que diximus non multum differat. De his autem que nunc dicturi sumus ad materiam Pere pertinentibus, non est nobis satis certum iudicium. Quapropter superius vos monuimus audire et magistratus Pere et quosdam ex prudentibus eius urbis, et preter eos audire etiam aliquos ex nostris ex iis quos invenietis in curia Regis mao-is doctos rerum illorum. Set presupposito quod illorum sententia similis sit nostre, vel ei non multum repugnet, videtur nobis quod sic exordiamini : Peram semper fuisse suam et suorum, et semper potuisse illustrissimum dominum patrem suum et alios antiquiores de ea statuere ut de re sua. Nobis autem et pacis et bellorum — 266 — tempore eam urbem magnas commoditates et famam semper attulisse. Nam cum aliquando cum venetis aliquando cum catalanis bellum gessimus, Pera nobis maxime accomoda erat. Ibi galee, ibi naves nostre reficiebantur; inde triticum, inde alimenta, inde pecunias sumebamus, oppidum illum quamvis esset exiguum, magnum nobis nomem et famam comparabat. Pacis vero temporibus, illuc merces nostras, illuc divitias conferebamus. Nunc autem terram illam inutilem esse, nec prodesse Sublimitati sue nec nobis. Nam cum prostratis ad terram menibus aperta sit, neque contra hostes tuta foret, neque nos auderemus merces et divitias nostras ibi reponere; quia exigua manus hostium posset eam palam diripere , et pauci latrones aut etiam nocturnis fures facile eam noctu possint spoliare ; et nisi humanitas sua illi terre aliter consulat, dicetis eam dietim exhauriri et brevi tandem extingui ; propter que dicetis nos iterum iterumque orare Sublimitatem suam ut dignetur eam urbem in pristino statu reponere, iubere ut muri reficiantur, turres reparentur et reliqua qualia prius erant fiant omnia, et urbs in manu nostra reponatur. Id si Excellentia sua statuat, erit et non solum magna laus et fama, set etiam quoddam non leve ornamentum curie sue. Ibi, cum volet, gemmas inveniet, pannos laneos, pannos sericos, et demum omnis generis merces quecumque ex Occidente afferri solent. Hec et eiusmodi cum dixeritis, nolumus de censu seu tributo ullum verbum faciatis. Set si a sua Celsitudine aut a suis de aliquo tributo propterea dando mentio fieret, respondete nos nobis persuasisse clarissimum illum Principem nichil esse petiturum, nisi quod equum et moderatum sit. Nos etiam negaturos non esse que sint equa et rationi consentanea. Et eo casu volumus ut tractatum de reparatione illius terre et de quantitate tributi dandi aggrediamini; et si res ipsa talis videatur vobis, quod sit spes eam perfici Iposse, significatote id populo Pere, et monetote ut aliquem suorum cum expedientibus mandatis in curiam mittant; et eo presente et assentiente, si poteritis, rem perficite cum documentis scripturarum~expedientibus. Si vero intelligeretis animum illius Principis non inclinari ad reddendam nobis Peram, tunc quod reliquum erit commendatote eam terram humanitati sue; et si magistratus ac populus Pere vos — 267 — rogassent aliquid vel dicere vel petere pro eis, ea omnia que equa visa sint pro illis diligenter curatote. Hoc autem quod nunc dicturi sumus potissima fuit ratio que nos ad legationem mittendam permovit. Scitis esse necessarium nobis ut navigia nostra secure navigare possint in omnes terras, set precipue Capham et ad alias terras maris Pontici, et inde sine ullo impedimento redire. Verum videtur nobis utile consilium Capham et alias terras illius maris specialius nominare. Quam ob rem volumus ut post commendationes et gratulationem quas superius attigimus, vel tunc immediate vel eo loco qui vobis aptior videbitur, dicatis nos commendari Sublimitati sue omnes mercatores ac cives nostros, omnesque merces et bona eorum, omnesque-naves et alia navigia nostrorum, ut in urbibus ac terris suis, et demum in omni mari ac t:rra tuti sint et ab omni iniuria pre-serventur, nec eis desit iusticia etiam cum honestis favoribus ; set precipue commendare nos sue Celsitudini naves et mercatores quos dietim contingat mare Ponticum intrare et inde redire, ut sine ullo impedimento ire stare ac redire possint ut prius solebant. Hec generalis omnium nostrorum commendatio magis placet nobis quam si specialioribus verbis Capham et mare Ponticum nominaremus. Si hinc vestre petitioni respondeatur Regem illuni habiturum esse omnes nostros caros et commendatos, et velle ut in suis terris mari ac portubus omnia nostra navigia tuta sint et bene tractentur ut amicos decet, aut verba his similia reddentur 3 t vobis; hoc casu curate inde confici litteras aut alias scripturas secundum morem illius curie, et earum si fieri poterit accipite quatuor exempla, quorum unum Capham, unum Chyum mittatur, unum Pere reliquatur, ultimum traductum in sermonem nostrum Januam afferatur. Non enim eiusmodi littere seu scripture parvi estimande erunt. Si vero R.x ipse aut sui ullum sermonem facerent de censu seu tributo propter Capham et alias terras maris Pontici persolvendo, volumus respondeatis nos non fuisse miratos si pro terris que quondam fuerunt sub Imperio grecorum Excellentia sua tributum aliquando petiit. Set cum Capha et alie terre iam dicte sint de pertinentibus ad Imperium tartarorum, nos nunquam opinatos fuisse — 268 — ut pro illis debuerit tributum peti; et propter hoc nulla superinde mandata vobis data fuisse; paratos tamen vos esse audire quid et qua ratione petatur, et nobis omnia in tempore nunciare, ut possimus super his Maiestati sue respondere. Tunc poteritis hunc tractatum aggredi, et rem ipsam ad aliquos terminos restringere; set rem integram ad nos reiiciatis. Si prius quam ad curiam perveneritis, populus caphensis cum Rege illo conventionem firmasset, utile putamus ut eam rem scire dissimuletis nec de ea verbum faciatis. Set si Rex aut sui peterent eam a vobis confirmari, tunc volumus ut cogitetis quid quantum-que sit quod promissum fuisset, si erit leve et exiguum vel mediocre. Si utilitas ita postulare videbitur, in Dei nomine ratificate que facta erunt. Si vero esset aliquod immoderatum et excessivum , tunc illis excusationibus quas melius adinvenire poteritis excusate vos ac dicite 110^ neque eius rei noticiam habuisse, nec de re incognita potuisse instructionem vobis dare. Nec tacendum erit super damnis et ablationibus bonorum quas Rex ipse fieri iussit in Pera, in quibus nullam pretendere potest rationem vel iustam vel iuste similem. Verum quoniam ut superius memoravimus, de his et aliis dabuntur vobis in Pera plene instructiones, non arbitramur necessarium esse ut hic a nobis alia consilia deposcatis. Unum hoc dicimus videri nobis nullam ex omnibus petitionibus nostris equiorem esse quam hec est, nec que maior fiducia prosequenda sit. Itaque pro habenda satisfactione eorum damnorum, dicite ac petite pro ut vestre prudentie utilius videbitur. Ultimis petitionibus vestris volumus addatis petitionem sub nomine gratie de tracta seu exportatione tritici eius quantitatis que vobis persuadebitur. Poteritis, si utile fore putabitis, dicere vos a longinquo advenisse nec sine magno sumptu, ut vester accessus decori ac dignitati esset illi excellentissimo Principi. Mementote tamen in petendo non excedere quantitatem moderatam, et que ab omni suspicione avaricie procul sit. Nec forsitam ineptum esset dicere nos eam tractam potissimum petere, quoniam dominus Rex Aragonum, propter bellum quod cum eo gerimus, prohibet nobis accessum Sicilie Apulieque ac Calabrie; que omnes provincie in dicione eius sunt, et propterea cupere nos ex terris Excellende sue — 269 — triticum sumere ut Ilex Aragonum intelligat non esse nobis difficile habere copiam frumentorum aliunde quam ex terris suis. Scitis preterea quondam dominum Nicolam Nataram et quondam dominum Lucam eius filium fuisse ianuenses. Ex ipso domino Luca credimus superesse filium et filias duas, que dicuntur posite in maxima calamitate et servitute; ex quo volumus intuitu Dei primum, deinde pro honore patrie, inquiratis ubi ille puelle sint, et si aliqua ratione prodesse poteritis eis, enitamini verbo et opera ac studio pro omni commodo earum; et si fieri poterit, incumbite ut meliorem aliquam conditionem assequantur; et quoniam id est opus summe misericordie, cavete ne in hoc sitis negligentes. Quod autem de puellis diximus, hoc idem de filio dicimus si egebit presidio vestro. Si forsitan Pere inveniretis eam contentionem nondum decisam esse que ex eo orta dicitur, quod quidam volunt partitionem et restitutionem fieri earum pecuniarum que in emendandis fossis et reparandis menibus consumpte fuerunt, quidam ne ea fiat restitutio adversantur; quocumque in statu eam contentionem inveneritis, volumus ut studeatis eam dirimere ac finire; illique populo et in genere et in specie persuadeatis in amore et unione vivere, proponentes illa pericula quibus subiacerent si paterentur se discordiis ac seditionibus distrahi. Ad que volumus ut diligentiam ac studium adhibeatis. Si de dando tributo pro Samastra urbe quicquam proponetur vobis in curia Regis, eo quod diceretur Samastram non subesse Imperio tartarorum, set esse potius in Turchia; respondendum erit tributum illius civitatis iam dudum solvi capitaneo seu rectori qui in illa regione prepositus est ab ipso rege Machometo, quod ipsi ignorare non debent, cum regio illa dicionis sue sit. Si Deus animum illius Regis ita flecteret, ut statueret Peram nobis restituere, tunc ad regimen illius populi, reparationemque turrium ac murorum , et ad ea extruenda que res tempusque de-syderarent, volumus et omnino volumus ut alter vestrum remaneat, ille videlicet cui per sortes evenerit ibi preesse. Ad tollendas enim contentiones, volumus sortibus potius quam suffragiis locum esse. Qui igitur ex vobis urbi preerit, duo volumus- precipue — 270 — curet: primum ut reficiendis menibus ac turribus e. evacuandis fossis die ac nocte summo studio vacet; reliquum ut populum illum in summa iusticia miti tamen et benigno imperio regat, donec nos successorem illi miserimus. Cum vero perfectis rebus vobis redendum erit, sive ambo redeatis sive alter tantum, volumus ut post quam perveneritis Clivum ad exiguam vos impensam redigatis. Satisque esse videntur famuli duo cuique vestrum, sive quatuor ambobus. Hec sunt que vobis partim iubere partim memorare visum est; vos ita incumbite, ita ingenium excitate, ut intelligamus neque studium neque diligentiam in his curandis vobis defuisse, Archivio di Stato. Fogliazzo Instructiones et Relationes ann. 1396 in 1464, CLV. 1455, 21 gennaio. Raffaele Carrega a nome di Girolamo Bellogio, ed altri cittadini, chiedono alla Signoria il rimborso di 4860 perperi di Pera, da essi anticipati per affrettare l’armamento della nave di Maurizio Cattaneo. Pro Raffaele Carrega et sociorum (sic). Vobis illustri et excelso domino domino Petro de Campofregoso Dei gratia ianuensium Duci et magnifico Consilio dominorum An-tianorum civitatis Janue humiliter exponitur pro parte devotissimorum civium et servitorum vestrorum Rafaelis Carege tamquam soceri et coniuncte persone Jeronimi Belogii, Meliaducis Salvagi tamquam consanguinei jermani Luce Catanei, Johannis De Marinis-Pesagni atque Rafaelis Loinelini, Bartholomei Gentilis suo nomine ac nomine ac vice Oberti Pinelli, Augustini De Francis-Burgari, Manfredi De Francis-Luxardi fratris sui ac Jeronimi de Franchis-Julle, quod cum eo anno quo divina permittente dispo-sicione contigit infortunium civitatis Constantinopolitane ac eciam civitatis Pere, ipsi Jeronimus Belogius, Lucas Cataneus, Bartho-lomeus Gentilis, Rafael Lomellinus, Obertus Pinellus, Augustinus De Francis, Marchixius De Francis et Jeronimus De Francis se re- — 271 — perirent in civitate Pere, maximusque metus esset in dicta civitate de aparatu maximo et exercitu Teucri, ipsi boni cives ducti zello huius inclite Comunitatis et contemplacione incliti Comunis Janue, ut dictam civitatem Pere' conservare et tueri possent ab impetu et lurore dicti Teucri et exercitus sui, exposuerunt de eorum propriis pecuniis in adiuvando et subveniendo ad complementum stipendii navis Mauricii Catanei tunc conducte ad stipendium cum hominibus centum et ultra aliorum sociorum centum perperos de Pera quatuor milia octogintos sexaginta, preponentes utilitatem publicam eorum privato comodo. Que navis cum dictis hominibus et sociis venit in tempore ad subsidia et defensionem dicte civitatis Pere expedicta cum dictis hominibus et sociis ad veritatem propter pecunias per eos ut supra ad suplementum exbursatas. Ex quo iure merito ac cum omni iusticia et equitate ipsis civibus vestris per prefactum inclitum Comune Janue satisfaciendum est ac soluptio facienda de predictis pecuniis per eos ut supra exbursatis. Et iure merito comendandi et laudandi sunt ut ceteri cives in qualibet parte mundi, quociens agatur de tuicione rerum vel lochorum spectandum ad ipsum Comune Janue seu navium ianuensium vel honoris nominis ianuensis alliceantur bono zello ad similes et multo maiores si opus fuerit subvenciones. Quam ob rem supplicatur devotissime illustri ac magnificis Dominationibus vestris pro parte predictorum civium vestrorum , quatenus intuitu iusticie et pietatis dignemini taliter providere quod eisdem de dictis pecuniis per eos ut supra exbursatis de pecuniis prefacti incliti Comunis satisfiat, pro ut equius vel honestius videbitur prefactis Dominacio-nibus vestris, quibus se devotissime comendant, quasque Deus optimus perpetuo fellicitaret. Amen. f M CCCCLV die XXI ianuarii. Illustris et excelsus dominus Dux ianuensium, magnificum Consilium dominorum Antianorum et spectatum Officium Monete Communis Janue in totali numero congregata. Intellecta supplicatione suprascripta, et ipsis supplicantibus oretenus una ex parte auditis, et ex altera sapientibus et sindicis quatuor Communis, — 272 — omni iure via ct forma quibus melius potuerunt et possunt etc. , commiserunt... prefacto Officio Monete ... ut partes prenominatas audiat... ac ... illustri domino Duci et Consilio verbo referat quid invenerit super narratis in supplicatione prescripta, et si et quomodo providendum sit supplicantibus predictis. Archivio di Statj. Fogliazzo Diversorum Cancellariae anui 1453-64, num. 14; e dell’ atto num. 279. CLVI. 1426, 17 gennaio. Manetta di Pagana dona alla chiesa di san Domenico in Genova parecchi arredi e paramenti de’ quali in addietro avea fatto omaggio a santa Chiara di Pera. Domina Marieta filia qm. domini Gasparis de Pagana, sciens se attulisse ad civitatem Janue/ex loco Peyre, propter discrimina in eo loco interventa, res et seu bona divino cultui ac usui spectantia, empta ex propria pecunia ipsius domine Mariete et ex eius industria, ac per eam constructa et laborata; volens ideo bona ipsa et seu res in loco sacro permanere eaque servire cultui divino, prò ut fuit semper intencionis ipsius domine Mariete, que tamen modo ad eum usum seu cultum divinum eas res laboravit et construxit £tc. ; dicta bona et seu res infrascriptas etc. donavit ecclesie et monasterio sancti Dominici de Janua, presentibus ac recipientibus et acceptantibus nomine ipsius ecclesie seu monasterii reverendissimo in Christo patri domino fratri Dominico episcopo Famagustano Ordinis predicatorum, ac reverendis magistris et sacre teologie professoribus dominis fratribus Filipo de Opiciis priori dicti monasterii seu conventus, Dexiderio de Rapallo et Bernardo de Salvaticis dicti Ordinis etc. Et primo planetam unam ac indumenta diaconi et subdiaconi et pumarium unum camocati albi cum suis frexiis aureis et almis Communis Janue in eis, ac litteris grecis in dicto pumario dicentibus: Mater Dei. Item camixos tres telle cum suis frixiis aureis ad manus et stolis — 273 — duabus et manipulis tribus camocati albi, et ametis tribus aureis suprascriptarum rerum. Item camixum unum telle albe fulcitum camocati celestis, cum sua stolla, manipullo et amito. Item calicem unum cum sua patela argenti deaurati, cum armis de Spinolis. Item turibulum unum argenti. Item ampuletas duas argenti aurati. Item tonicellas duas magnas recamatas, sive cum flixiis aureis. Item paramentum unum camocati cremexilis, cum armis Justinianis. Item paramentum aliud camocati vermilii bordati, cum armis Justinianis et de Pagana, et frixium unum bordatura cum armis Communis pro dicto paramento. Item paramentum aliud camocati albi cum armis Communis. Item planetam unam camocati Caffè diversorum collorum, cum frexio celesti bordato aureis. Item cingulos quatuor. Item cotam unam. Item blavia duo , sive paramenta parva pro maiestatibus, bordata auri. Item toalias quinque. His tamen lege pacto et conditione, quod semper et quando-cumque opidum Peyre reduceretur ad pristinum, statum ac dominium ianuensium pro ut erat, dicte res ad dictum locum deferantur et deferri debeant, ac traddantur ibi ecclesie sancte Clare in dicto loco constructe ex pecuniis ipsius Mariete. Et ita promiserunt pre-fati domini Episcopus, Prior et magistri nomine et vice dicti monasterii et seu conventus sancti Dominici de Janua etc. Actum Janue in sacristia suprascripte ecclesie sancti Dominici, anno Dominice Nativitatis m ccccl sexto, indictione tercia secundum Janue cursum, die sabati decima septima ianuarii, circa horam com-plectorii etc. Archivio Notarile. Foglialo di Obcrto Foglietta giuniore per gli anni 1455-56. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XIII, fase. I 18 — 274 — CLVII. 1457, 24 settembre. — « Antonius Pansanus civis Janue qm. Antonii ... confessus fuit... Nicolosie uxori sue et fìlie qm. Jeronimi Venti... se a dicta Nicolosia sive aliis pro ea habuisse et recepisse usque tempore traducionis ipsius Nicolosie, sive matrimonii facti et celebrati inter ipsos iugales, libras duomillia Janue occasione dotium et patrimonii dicte Nicolosie; et de quibus quidem libris duabus millibus Janue asserit dictus Antonius tunc temporis factum et celebratum fuisse per eum publicum instrumentum dotale seu recognicionis manu notarii publici confectum, quod amissum est in loco Peyre ob discrimina et excidium ac calamitatem in dicto loco interventa ». Perciò si rinnova 1’instrumento. Archivio Notarile. Fogliano del notaro su citato, ann. 1457-58. CL Vili. 4 2> gennaio. La Signoria deputa sei nobili cittadini, perchè adunati i libri, i sacri arredi e le reli-9 e pertinenti alle chiese di Pera ne facciano il deposito in quelle di Genova M CCCCLXI, XXIII ianuarii. Illustris dominus Regius in Janua Gubernator et Locumtenens, t-t magnificum Consilium dominorum Antianorum Communis janue in sufficienti-et legitimo numero congregatum ; scientes nuper e Chio Januam delatos fuisse super navi Luciani De Marinis quosdam libros nonnullaque alia que ad ornatum templorum loci Pere erant, antequam teucrorum Rex terram ipsam occupasset, inter que et calices et reliquie sanctorum sunt; et volentes de rebus ipsis dilidentem curam habere, ut quando Deus dederit per ianuenses locum ipsum recuperari, ea omnia sic diligenter custodita colonis suis reddi ac restitui possint prout equum est, sicut cum instancia per quosdam olim burgenses Pere requisitum fuit: omni iure via modo et orma quibus melius potuerunt et possunt, deliberaverunt et de- — 275 — creverunt quod infrascripti nobiles et egregii viri Jacobus De Bra-cellis cancellarius, Lodisius De Francis oliin De Burgaro, Nicolaus De Marinis, Benedictus Salvaigus, Marcus De Auria et Guirardus Spinula curam huius rei habeant; quibus virtute presentis rescripti omnimodam potestatem dederunt et dant, illam scilicet quam ipsi illustris dominus Regius Locumtenens et Consilium in predictis habent, colligendi predicta et omnia alia eiusmodi ubicumque essent, ac compellendi et coercendi, seu compelli et coerceri faciendi, rea-liter et personaliter per quoscumque officiales et magistratus Communis janue ubilibet constitutos quamcumque personam penes quam quicquid ipsarum rerum esset ad illas coram eis presentandas ; quibus seu parte earum sic collectis possint dicti Jacobus et college eas reponere in illis templis ubi eis melius videbitur. His tamen conditionibus: primum ut omnes persolvantur impense que per ipsos olim burgenses in ipsis facte fuerunt; item ut per priores et magistros templorum ipsorum, penes quos consignabuntur predicta, fideiussiones prestentur de restituendo integre quecumque in eos perventa fuerint, quandocumque locum ipsum Pere occupari continget. Archivio di Stato. Codice Diversorum Cancellariae, ann. 1460-61, X. 1005; Alizeri, Notizie dei professori del disegno in Liguria dalle origini ecc., voi. I, pag. 13-14. CLIX. 1461 , 25 gennaio. Intimazione a Luciano De Marini di consegnare due casse e due botti contenenti libri e reliquie. M CCCCLXI, die XXVI ianuarii. De mandato nobilium et egregiorum virorum dominorum Jacobi De Bracellis, Lodisii De Francis, Nicolai De Marinis, Benedicti Salvaigi, Marci De Auria et Guiraldi Spinule, officialium etc. electorum per illustrem dominum Regium in Janua Locumtenentem et magnificum Consilium dominorum Antianorum super infrascriptis: vos, Luciane De Marinis, date et consignate prenominatis Marco — 276 — et Guiraldo, nomine ipsorum officialium, niox presenti mandato inspecto, illas capsias duas et vegetes duas, in quibus sunt libri et reliquie sanctorum onerate in insula Chii per ipsum Benedictum Salvaigum, omni excusatione cessante. Cod. cit.; Alizeri, Op. cit, pag. 14. CLX. 1461, 13 febbraio. Lettera del Regio Luogotenente e degli Anziani a papa Pio II , perchè faciliti colla concessione di alcune facoltà 1' opera dei cittadini incaricati di raccogliere e depositare le reliquie nelle chiese di Genova. Pio Pape. Postea quam, Beatissime Pàter et Domine nobis colendissime, Constantinopolis et Pera in dictionem Regis tureorum redacte sunt, quidam oppidanorum Pere direptionem ecclesiarum metuentes, sacras reliquias, calices, libros et pleraque alia suppellec-tilia in divinum usum dicata clam Chyum miserunt, unde nuper ad nos perlata sunt. Eorum autem qui hec miserunt mens est ut tuto loco ad custodiam reponantur, accepta cautione ut perensibus restituantur sempercumque Deus dederit Peram in christianorum dicionem redire. Cui rei, ut adhibeatur ea diligentia que divinis ne-gociis debetur, sex constituimus cives fide et integritate conspicuos, quibus curam et arbitrium dedimus hec ipsa reponendi in illis ecclesiis ubi tutius servari credantur, librorumque fructus maior futurus sit. Hi narraverunt nobis fratres minores et predicatores pretendere non licere reponere apud alterum Ordinem ea que alterius fuerint, immo nec apud regulares que conventalium fuissent; nec si que sunt alie sub alio nomine ecclesie librorum et eiusmodi rerum inopes, fas esse volunt apud has quicquam horum collocari, atque ita nefas ducunt ea custodiri ubi utilius tutiusque custodirentur. Accedit et alia dubitatio, quod pro naulis aliisque impensis debentur aurei prope nonaginta, fueratque sermo aliquis habitus de vendendis ex triginta aut circiter calicibus usque ad precium horum lxxxx aureorum; in qua venditione, ut sunt bo- — 277 — norum conscientie subtimide, quedam adduci vix possunt. Ut igitur detur his rebus ea custodia que melior tutiorque sit, nec libri pre-sertim male crediti inutiliter consenescant, oramus Sanctitatem Vestram dignetur his officialibus arbitrium dare hec que dicta sunt iis locis reponendi ubi tutius et utilius mansura credantur, et item eam pecuniam inde eliciendi, unde minore iactura licebit, ut sic non importunitati petentium sed utilitati rerum ac populi consulatur. Officialium hec sunt nomina: Jacobus De Bracellis, Ludovicus De Francis De Burgaro, Nicolaus De Marinis, Marcus De Auria, Benedictus Salvaigus et Guirardus Spinula. Quod reliquum est, nos et nostra Beatitudini Vestre omni tempore supplices commendamus. Data xiii februarii (mcccclxi). Ludovicus etc. (i) et Consilium. Archivio di Stato. Cod. Litterarum ann. 1460-61, num. 24, X. 126; Ali-ZERI, Op. cit., pag. 14-15. CLXI. 1461, 19 giugno. 1 consiglieri della Devozione di san Giovanni in Duomo danno facolti ai Priori della medesima di accettare in deposito alcuni lavori di argento e di cristallo provenienti dalle chiese di Pera, c d’ obbligare ventun luoghi di Compere a guarentigia di restituzione. M CCCCLXprimo, die veneris XVIIII iunii, circa tercias. Congregatis infrascriptis consiliariis in sufficienti et legitimo numero Devocionis beati Johannis Baptiste ecclesie maioris ianuensis etc., proposuit spectabilis dominus Galeotus Lomelinus miles, alter Priorum dicte Devocionis, fuisse superioribus diebus ex partibus orientalibus translata ad hanc urbem quedam argenta, candelabra ac reliquie sanctorum que olim in loco Peyre in quibusdam ecclesiis dedicata erant et nunc reposita dicuntur penes quosdam cives huius civitatis; qui ad requisicionem Priorum Devotionis predicte et ob reverentiam et cultum capelle sancti Johannis Baptiste obtulerunt (1) Lodovico Della Valle, governatore di Genova pel re Carlo VII di Francia. — 278 — ex rebus predictis collocare ac reponere penes Priores et alios dicte Devociones valvas duas constructas et seu laboratas argento, lampadem unum argenti et candelabra duo cristali in et laborata argento, que res dicuntur esse valoris librarum septingentarum quinquaginta, et quibus ipsi de Devocione predicta possint uti ad cultum et ornatum dicte capelle, ea tamen lege quod semper et quandocumque contingeret locum predictum Peyre in dominium ianuensium aut alterius dictionis christiane pervenire, res predicte restituantur per ipsos de dicta Devocione aut valor earum, et pro cuius rei cauptione obligentur loca viginti unum dicte Devocionis. Quare ipsi consiliarii... omnes in hanc sententiam convenerunt : quod idem dominus Galeotus ac Nicolaus Adurnus Campanarius Priores dicte Devocionis habeant... omnimodam potestatem et bailiam tam in obligando Devocionem predictam et seu ipsius bona quam dicta loca viginti unum pro cauptione dictarum rerum etc. Archivio Notarile. Fogliano di Oberto Foglietta giuniore per l’anno 1461. CLXII. • V. 1461, 27 settembre. Antonio Giustiniani-Longo e tre altri nobili genovesi prestano malleveria pei frati minori di Nostra Donna del Monte in Bisagno , circa la restituzione condizionata di 187 volumi e d’alquante reliquie depositate presso i frati medesimi. f M CCCCLXprimo, die XXVII septembris. Cum nobiles et prestantes viri Jacobus De Bracellis, Lodisius De Francis De Burgaro, Nicolaus De Marinis, Benedictus Salvaigus, Marcus De Auria et Guirardus Spinula, officiales ad id constituti, statuissent tradere et sub nomine custodie et depositi collocare in conventu fratrum minorum sancte Marie Montis maximam partem voluminum que ex Pera postquam in dicionem tureorum redacta est Januam advecta fuerunt, que volumina capiunt numerum librorum clxxxvii, et reliquias sanctorum quasdam auro et argento circum munitas, que simul cum ipsis libris coniuncte capiunt precium florenorum mille, sive librarum mille ducentarum et quinquaginta; et ab ipsis conventu et fratribus peterentur promissiones et — 279 — fideiussiones quod advenicnte casu restitutionis faciende de ipsis libris et reliquiis ea omnia piene et fideliter restituentur. Idcirco nobiles et prestantes viri Antonius Justinianus Longus qm. Jacobi, Acelinus Salvaigus Meliaducis, Guirardus Spinula qm. Antonii et Baptista Justinianus Longus qm. Johannis, et quisque eorum pro quarta parte ipsorum florenorum mille, sive pro florenis ducentis et quinquaginta monete vulgo currentis, promiserunt mihi Jacobo cancellario inferius nominato, stipulanti et recipienti nomine ipsorum officialium ac populi et Communitatis Pere, quod adveniente casu quo Pera oppidum in dicionem christianorum redigatur, predicti libri et sanctorum reliquie plene restituentur Communitati et populo Pere ad eorum simplicem petitionem, sine ulla excusatione et contradictione. Alioquin ipsi solvent precium et estimacionem rerum deficientium. Et ob eam causam obligaverunt omnia bona sua pre-sentia et futura. Archivio di Stato. Codice Diversorum Cancellariae Jacobi de Bracellis anni 1461, num. 82, X. 1007. CLXIII. 1461, i.° ottobre. Simile malleveria prestata da tre altri nobili in favore dei frati predicatori di santa Maria di Castello. -j- M CCCCLXprimo, die prima octobris. Cum nobiles et prestantes viri Jacobus De Bracellis, Lodisius De Francis De Burgaro, Nicolaus De Marinis, Benedictus Salvaigus, Marcus De Auria et Guirardus Spinula, officiales ad id constituti, statuissent tradere et sub nomine custodie et depositi collocare in conventu fratrum predicatorum sancte Marie Castelli partem quamdam voluminum que ex Pera postquam in dicionem tureorum redacta est Januam advecta fuerunt; que volumina capiunt numerum librorum viginti et quatuor, estimatorum librarum centum et sexaginta et sex et soldorum decem et octo; et reliquias sanctorum quasdam auro et argento circum munitas, estimata? librarum qua- — 28o — dringentarum ac septuaginta et septem et soldorum decem; que due summule simul coniuncte capiunt precium librarum sexcentarum et quadraginta quatuor ac soldorum octo; et ab ipsis conventu et fratribus peterentur promissiones et fideiussiones quod adveniente casu restitucionis faciende de ipsis libris et reliquiis, ea omnia plene et fideliter restituentur» Idcirco spectati et prestantes viri Paulus Justinianus de Campis, Laurentius Justinianus olim De Nigro, et Balthasar Justinianus Paridis, et quisque eorum pro tercia parte ipsarum librarum sexcentarum et quadraginta quatuor ac soldorum octo monete currentis, promiserunt mihi Jacobo cancellario inferius nominato, stipulanti et recipienti nomine ipsorum officialium ac populi et Communitatis Pere, quod adveniente casu quo Pera oppidum in christianorum dicionem redigatur, predicti libri et sanctorum reliquie plene restituentur Communitati et populo Pere ad eorum simplicem petitionem', sine ulla excusatione et contradictione. Alioquin ipsi solvent precium et estimationem rerum deficientium pro rata portione cuique eorum contingente. Et ob eam causam obligaverunt omnia bona sua presentia et futura. Cod. cit. CLXIV. 1461, 6 e 7 novembre. Altra fideiussione prestata a vantaggio dei frati del Monte da Acellino Saivago e Lodovico Centurione, pel seguito deposito del Braccio di sant’Anna e d’ alcuni libri. 7 M CCCCLXI, die veneris VI novembris. % Cum nobiles et prestantes viri Jacobus de Bracellis etc. statuissent reponere ... in conventu fratrum minorum sancte Marie Montis tabernaculum unum in quo repositum est brachium sancte Anne circum munitum auro et argento estimatum librarum centum et octoginta, et preter id aliquos insuper pauculos libros estimatos librarum circiter viginti monete ianuensis, que ex Pera ... Januam advecta fuerunt etc. Idcirco vir nobilis Acelinus Salvaigus pro libris centum monete ianuensis vulgo currentis promisit etc. -{- Die VII eiusdem novembris. Nobiles vir Ludovicus Centurio, cognita forma promissionis su-prascripte, promisit.et se se ac sua obligavit... pro reliquis libris centum monete ianuensis vulgo currentis. Cod. cit. CLXV. 1527. — Giovanni Besaccia figlio del qm. Bartolomeo, borghese di Scio, istituisce nelle Compere di San Giorgio una colonna di sette luoghi (settecento lire), perchè gli annui proventi sieno distribuiti da’ suoi fedecommissari in perpetuo « pauperibus et egenis personis natis in civitate et loco Pere, tam in Chio quam in civitate Janue existentibus ». Archivio di San Giorgio. Cartolario originale delle Colonne P. L., car. 113 recto. CLXVI. 1610, 2 maggio. Verbale della solenne traslazione delle reliquie di Pera in apposita cappella, nella chiesa di santa Maria di Castello. In nomine Domini amen. Cum sit quod anno 1461 die prima octobris in sacristia monasterii reverendorum dominorum fratrum sanctae Mariae de Castello huius civitatis Genuae depositae fuerint reliquiae infrascriptae, videlicet: « Tre croci d’argento, cioè una grande e due piccole con legno della Santissima Croce ; della testa di s. Paolo apostolo, della testa di s. Bartolomeo apostolo, della testa di s. Lazzaro quatriduano, della testa di s. Dionisio vescovo e martire, della testa di s. Costantino imperatore, del collo di s. Agata; e tutte dette parti di teste in teste sei d’argento, esclusa una inargentata; del — 282 — braccio di s. Giovanni Battista, un dito di santa Maria Maddalena, un braccio con la mano di s. Prassede, nelle (sic) d’argento; parte della mano di s. Stefano protomartire, un dito di s. Lorenzo in mani d’argento, un’osso della gamba di s. Paolo apostolo in una gamba d’argento; reliquie di s. Martino e di s. Raffaele vescovi, in un tabernacolo; di s. Gregorio, di s. Urbano martire, in un tabernacolo; di s. Margarita, in un tabernacolo; di s. Maurizio, in un tabernacolo; di s. Ignazio martire, in un tabernacolo; di s. Filippo, in detto tabernacolo; di s. Pietro martire, in un tabernacolo; di s. Daniele, in un tabernacolo dorato; di sant’ Erasmo martire, in un tabernacolo dorato; di s. Biagio martire, in un tabernacolo; del cilicio di s. Caterina; della cappa di s. Vincenzo, in un tabernacolo serrato; un coffanetto piccolo d’argento con dentro diverse reliquie ; una cassetta piccola di serpentino piena di reliquie senza nome ». Quae ex partibus Perae et aliorum locorum ad praesentem civitatem delatae fuerant et depositae in dicta sacristia pro eis restituendis dictis locis, semper et quando loca ipsa erunt gubernata a fidelibus christianis; et pro predictis observandis intercesserunt et fideiusserunt nunc quondam magnifici Paulus Laurentius et Bal-dassar Justiniani; et prout dicitur constare ex publico instrumento recepto dictis anno et die a nunc quondam domino Jacobo De Bracellis notario, ac etiam in quodam liberculo dicti monasterii in pergameno. Et cum modo, divina inspiratione mediante, multum reverendus dominus pater magister Arcangelus de Ripalta prior dicti monasterii et fratrum, ad hoc ut dictae reliquiae ab omnibus fidelibus possint venerari prout iustum et conveniens est ac merentur, ex elemosinis a piis et devotis personis habitis fieri fecit dicta argentea . ac etiam reliquiarium unum decentem deauratum, pulchrum et ornatum in capella existente a parte dextera chori dictae ecclesiae pro ipsis in eo reponendis, ad hoc ut ibi permanere debeant et ab omnibus possint venerari; ea propter die heri, quae fuit die sabbati, prima praesentis mensis madii, praefatus multum reverendus dominus Prior ad presentiam rev. patris Vincentii Centurioni, rev. patris Johannis Chrisostomi de Diano, rev. patris Angeli Mariae — 283 — de Sale et fratris Camilli de Mediolano et aliorum , et etiam mei notarii infrascripti, reliquias ipsas posuit in dictis argentis factis et reponi fecit ante altare magnum dictae ecclesiae, in quo loco usque hodie permanserunt; et vespero ac completa cantatis per dictos reverendos dominos 'fratres dicti monasterii fuit facta solemnis processio cum luminibus et vestibus solemnibus indutos, et in manibus portantes dictis reliquiis in dictis argenteis depositis, per totam dictam ecclesiam et claustrum eiusdem, et perventi ad dictam capellam deposuerunt reliquias ipsas super altare dicti reliquiarii; in quo steterunt usque modo, quae est hora prima noctis pulsata, ad conspectum omnium, et postea per dictum multum reverendum dominum patrem Priorem et ad presentiam rev. domini patris Thome de Burgo Tari subprioris, rev. domini patris Vincentii Centurioni, rev. domini patris Augustini de Monterubeo, rev. patris Philippi de Genua, rev. domini patris Benedicti de Chio sin-dici, rev. domini patris Johannis Chrisostomi de Diano, rev. domini patris Johannis Mariae de Garessio lectoris primi, rev. domini patris Dionisii de Genua lectoris Moralis, rev. domini patris Johannis Pauli a Vigheria lectoris secundi, rev. domini patris Hipoliti Mariae de Genua, rev. domini patris Philippi de Ortonovo, rev. domini patris Angeli Mariae de Salis, rev. domini patris Hieronimi de Nicia, et fratris Camilli de Mediolano ac aliorum reverendorum dominorum fratrum dicti monasterii, et mei notarii ac testium infra-scriptorum, positae in dicto reliquiario cum suis propriis manibus; ct postea dictum reliquiarium ad presentiam ut supra fuit clausum, et prefatus multum reverendus dominus pater magister Ar-cangelus prior rogavit ad praesentiam omnium praedictorum me Petrum Mathiam Tubinum notarium publicum ianuensem ut de omnibus predictis conficiam hanc praesentem publicam scripturam, ad perpetuam rei memoriam. Acta et testata et publicata luere omnia praedicta per me dictum et infrascriptum notarium in dicta ecclesia, videlicet in dicta capella dicti reliquiarii,a nno Dominicae Nativitatis milleximo sexcentesimo decimo, indictione septima secundum Januae cursum, die Dominico, secundo maii, hora prima noctis pulsata, cum luminibus accensis, et praesentibus testibus magnifico Baptista Merello — 284 — qm. domini Antonii, Johannetino Suto Andreae et Stephano Tubino filio mei notarii ad praemissa vocatis et rogatis. Archivio Notarile. Fogliano di Pietro Mattia Tubino per gli anni 1609-10, num. 574; Vigna, Illustrazione dell’ antichissima chiesa di santa Maria di Castello in Genova, pag. 486-88. APPENDICE 1343, 22 gennaio. Regolamento per l’appalto annuale dell’introito del mezzo per cento da esigere in Pera, colle dichiarazioni e riforme seguite nel 1386 e 1416. Venditio introitus caratorum decem ex medio prò centenario, sive caratis duodecim, quorum caratorum duodecim videtur quod illi de Peyra sive Comune Peyre acceperint eorum auctoritate caratos duos prò serviciis Peyre, fit in hunc modum. Videlicet quod ille qui dictum introitum comparaverit debet colligere et facere colligere in formam infrascriptam, scilicet de omnibus mercibus, frumento, biado, vino et ceteris victualibus et aliis quibuscumque rebus que a festo purificationis beate Marie de m ccc xxxxiii , non comprehensa ipsa die festi, in antea per totum unum annum continuum, et quamlibet diem seu horam dicti anni, hoc est usque ad aliud festum beate Marie de m ccc xxxxmi, ipsa die festi comprehensa, portabuntur mittentur seu deferentur vel vehentur de Janua vel de mari maiori vel alia quacumque parte mundi per n are vel per terram per aliquem ianuensem, seu qui pro ianuensi distringatur dicatur seu appelletur, vel qui beneficio ianuensium gaudet in Con-stantinopoli vel in Peyra, sive ibi vendantur vel alienentur sive — 286 — non, et de omnibus et singulis rebus et mercibus quibuscumque que de Constantinopoli sive Peyra portabuntur mittentur seu deferentur vel veherentur in Janua vel in mare maiori vel ad aliam quamcumque partem mundi per mare vel per terram, vel que transitum faciant per dicta loca vel per aliquem eorum per. mare vel per terram dictorum locorum seu alterius eorum, eundo vel redeundo vel intrando seu exeundo, ac etiam de omnibus et singulis rebus et mercibus quibuscumque que de terris villis seu locis circumstantibus civitatis Constantinopoli sive burgo Peyre, vel subditis domino Imperatori grecorum, vel de aliqua eorum portabuntur, mittentur seu deferentur vel vehentur per terram vel per mare Januam vel in mare maius vel ad aliquem alium locum seu terram non subditum seu non subditam dicto domino Imperatori grecorum portabuntur, mittentur seu deferentur vel vehentur ad aliquam terram villam seu locum dicto domino Imperatori grecorum subditam seu subditum per terram vel per mare, colligantur habeantur vel percipiantur, et colligi percipi et haberi debeant per emptorem dicti introitus, seu eius nuncium vel collectorem, carati decem de quolibet centenario perperorum precii seu valoris ipsarum rerum et mercium, et de maiori et de minori quantitate ad eandem racionem, videlicet de summa'precii vel valimenti que sit a perperis vigintiquinque de Constantinopoli supra, hoc est dicere quod si quis habuerit solummodo res seu merces quarum precium vel valimentum non transcendat dictam summam dictorum perperorum vigintiquinque auri, non propterea pro ipsis rebus seu mercibus aliquid occaxione dicti introitus solvere compellatur. Et de auro, argento, perlis, pecunia sive moneta cuniata, summis de argento, lapidibus preciosis et iois fabricatis de auro, argento ^ lapidibus preciosis et perlis , non colligatur nec colligi debeat vel possit nisi tercia pars eius quod colligi debet ut supra de aliis rebus et mercibus; sed de eis colligatur per dictum emptorem seu eius collectorem vel nuncium solummodo tercia pars quod colligatur et quod colligi debet ut supra de aliis rebus et mercibus. Alios vero caratos duos ex dictis duodecim illi de Peira sive Commune Peyre colligunt eorum auctoritate ut videtur et ut supra expressatur. — 287 — Salvo tamen in omnibus supradictis quod ex quo de aliquibus rebus seu mercibus aliqua persona solverit semel drictum predictum sive introitum in dicto anno, si dicte res vel merces in eodem anno iterum per eandem personam vel per eius heredem vel nuncium portentur mittantur vel deferantur vel veheantur per terram vel per mare, vel etiam transitum faciant ut supra dictum est, ipsis rebus vel mercibus non alienatis in aliam personam, pre-dictus drictus sive introitus pro ipsis ipso anno iterum solvi non debeat nec haberi debeat quantum ad presentem articulum, et computetur et computari debeat annus de quo in supradicto articulo, scilicet iuxta finem ipsius in tribus locis fit mentio a die qua ipse introitus solvi debuerit usque ad annum, non obstante quod ipse incipiat tempore unius collectoris sive emptoris dicti introitus et finiat tempore alterius. Predicta additio que incipit et computetur et finit alterius, facta est in dicta vendicione m ccccxvi die xvir septembris per octo sapientes constitutos per Comune Janue super factis navigandi et maris maioris. Item quod omnes possessiones ianuensium vel qui pro ianuensibus distringuntur, dicuntur seu appellantur, vel qui dici seu appellari solent, seu qui privilegio ianuensium gaudent, qui sunt in Peira vel Constantinopoli, accotumentur et extimentur per tres mercatores non burgenses et per alios tres burgenses; qui sex eligantur et eligi debeant ad requisicionem dicti emptoris vel nuncii seu collectoris ipsius per Potestatem ianuensium conversantium in Peyra, seu locum Potestatis tenentem, et per sex consiliarios suos ; et quando electi fuerint per ipsum Potestatem, seu eius locum tenentem, ad requisicionem dicti emptoris vel eius nuncii vel collectoris compellantur iurare et iurent ad sancta Dei evangelia facere bene et legaliter dictum officium sive cotumum, et ipsum faciant et facere compellantur; et de ipso precio sive valore quod acotumate sive extimate fuerint per predictos sex, vel per maiorem partem eorum, colligantur carati decem pertinentes dicto emptori et carati duo quos illi de Peira sive Comune Peire acceperunt eorum auctoritate, pro quolibet centenario perperorum dicti coturni sive extimacionis semel in dicto anno tantum, sive fuerint extimate sive acotumate in dictorum quantitate perperorum centum, sive ma- — 288 — iori sive minori, ita quod de omnibus pro ipsa extimacione sive accotumacione solvatur et colligatur, et solvi et colligi debeat ad dictam racionem de caratis xii sive medio pro centenario semel tamen in dicto anno spectantibus et pertinentibus ut supra. Item quod per dictos sex eligendos ut supra accotumentur omnia alia bona mobilia et semoventia burgensium sive ianuensium, vel qui pro ianuensibus distringuntur dicuntur seu appellantur, vel qui beneficio ianuensium gaudent, habitantium in Constantinopoli sive Peira, et de eo quod ipsa bona per predictos sex vel per maiorem partem eorum accotumata seu extimata fuerint solvere debeant ipsi emptori vel eius nuncio seu collectori semel in dicto anno tantum dimidiam dicti medii pro centenario tamen. Nichilominus de eo quod extra Peiram et Constantinopolim traffegarentur negotiarentur mitterentur seu deferentur vel veherentur, vel deferri seu vehi facerent, solvant et solvere compellantur dictum drictum sive introitum medii pro centenario ut supra dictum est de aliis in primo capitulo presentis vendicionis. Si tamen emptor predictus vel eius nuncius seu collector esset in concordia cum ipsis burgensibus quod quantum ad colligendum et percipiendum dictum introitum de possessionibus et bonis mobilibus et semoventibus accotumandis et exti-mandis ut supra dictum est, coturno et extimationi facto et facte de ipsis anno precedenti stetur et stari debeat quantum ad hoc pro ut inde fuerint in concordia. De omnibus autem navibus, cochis, galeis et lignis navigabilibus que ibunt seu navigabunt de Constantinopoli sive Peyra sive per mare dictorum locorum transitum fecerint in mare maius vel ad aliquem alium locum, sive de mari maiori vel de aliquo alio lo«_o iverint seu navigaverint in Peiram sive Constantinopolim, sive per mare dictorum locorum transitum fecerint, colligant et colligere debeant dictum introitum caratorum decem pro quolibet centenario perperorum ex dicto medio pro centenario a quolibet ianuense, seu qui pro ianuensi distringatur dicatur seu appelletur, vel beneficio ianuensium gaudeat cuius sint seu qui eis presint; et hoc totiens quotiens de Constantinopoli sive Peyra sive aliquo alio loco iverint seu navigaverint in mare maius, sive de mari maiori vel de aliquo alio loco iverint seu navigaverint in Peyra sive Constanti- — 289 — poli transitum fecerint ut supra per mare dictorum locorum per quemcumque modum et ex quacumque causa. Reliquos vero caratos duos ex dictis duodecim, sive medio pro centenario, illi de Peyra sive Comune Peyre colligunt et acceperunt eorum auctoritate ut supra expressatur. Salvo quod de corporibus galearum armatarum, sartia, correda et apparatu ipsarum non solvatur dictus introitus medii pro centenario nisi semel in anno tantum intrando in Peira et mare maius, et semel exeundo de dictis partibus. De galeis et aliis lignis navigabilibus, seu aliis rebus Communis Janue, seu ad dictum Commune pertinentibus, nichil occaxione dicti introitus solvatur colligatur vel exigatur. Quia vero in Constantinopoli sive Peyra ubi pro maiori parte colligi debet dictus introitus expenduntur perperi et non alie monete de aliis diversis provinciis; ideo ad declaracionem predictorum, de omnibus rebus et mercibus navibus cochis galeis etlignis navigabilibus, que ut supra de Janua vel districtu Janue misse seu delate fuerint, vel iverint vel navigaverint vel transitum fecerint ut supra, colligantur et percipiatur ad racionem de perpero uno et caratis xiii pro qualibet libra ianuina precii seu valimenti ipsarum ; et de Trapesonda ad racionem asperorum quindecim cavalariorum pro quolibet perpero; et de Taurixio Persia et Turchia ad racionem asperorum xim cassanuinorum sive carpentanorum pro quolibet perparo. Item quod Potestas Janue in Peira sive Imperio Romanie, et quilibet tenens locum Potestatis, iuramento teneatur et debeat ad sindicamentum librarum mille Janue dare per se et per quemcuni-que de familia sua auxilium fortiam et favorem et succursum emptori dicti introitus et cuicumque eius nuncio seu collectori quan-documque de hoc requisitus fuerit ad colligendum solvendum et exequendum pro ut in presenti vendicione continetur. Item quod dictus introitus peti colligi percipi et haberi possit in civitate Janue et in quocumque loco ubi dicto emptori vel eius nuncio seu collectori placuerit, ab illis videlicet qui ipsum introitum in Peira sive in Constantinopoli non solvissent emptori predicto seu eius nuncio vel collectori. Item quod patroni et qui pro patronis habebunt omnium et singularum navium cocharum gailearum ct quorumlibet lignorum Atti Soc. Lig. St. Patria, Voi. XIII, Fase I. 19 — 290 — navigabilium, et illi qui in eis preerunt qui cum cis intrare voluerint inter mare maius a dicto festo Purificationis beate Marie de m ccc xxxxiii in antea per totum dictum annum teneantur non navigare ultra'Constantinopolim sive Peiram donec fuerint expediti in Peira ab emptore dicti introitus vel eius nuncio seu collectore, nec aliquo modo ultra Constantinopolim vel Peiram vel aliquem alium locum inde navigare possint vel debeant, donec promiserint et idoneam securitatem fecerint dicto emptori vel eius nuncio vel collectori de solvendo et attendendo ac etiam observando bene et legaliter omnia et singula que solvi attendi et observari debent secundum formam presentis vendicionis, et donec iuraverint de veritate dicenda de his omnibus et singulis de quibus dictus emptor vel eius nuncius seu collector ipsos interrogare voluerit, et de faciendo solvi bene et legaliter ea que occasione dicti introitus pro rebus seu mercibus que in ipsis erunt seu navigari vel vehi debebunt; et facere teneantur et debeant dicti patroni seu qui habiti fuerint pro patronis, et qui in ipsis navibus cochis galeis seu lignis navigabilibus preerunt, sub pena librarum quingentarum Janue; quam penam colligere percipere habere et exigere possit dictus emptor et quilibet eius nuncius seu collector a quolibet de predictis qui contrafecerint ut supra qualibet vice. Item quod quilibet patronus seu qui pro patrono habitus fuerit, et qui preerit cuicumque navi coche galee ligno de bandis seu cuicumque alio ligno navigabili, teneatur et debeat supradictam promissionem et securitatem facere vel prestare ad voluntatem dicti emptoris et eius nuncii seu collectoris quandocumque de hoc requisitus fuerit, semel tamen in anno, scilicet de attendendo solvendo et observando, et attendi solvi et observari faciendo ea omnia et singula que continentur in presenti vendicione, scilicet quantum ad eos pertinet. Item teneatur quilibet patronus navium cocharum lignorum de bandis, seu quorumlibet aliorum lignorum navigabilium, et quilibet qui in eis navibus cochis galeis lignis de bandis seu quibuscumque aliis lignis navigabilibus preerit, non permittere exonerari de ipsis navibus cochis galeis lignis de bandis vel aliis lignis navigabilibus aliquas res vel merces pro quibus solvi debeat vel non in Peira — 291 — vel Constantinopoli, vel in aliquo loco ex locis supradictis, donec fuerit apodixia a dicto emptore nuncio seu collectore ipsius per quam appareat quod ipse res vel merces sint expedite ab ipso emptore nuncio seu collectore ipsius, vel solutum vel assecuratum sit ipsi emptori vel nuncio seu collectori ipsius quicquid solvi debeat pro ipsis rebus vel mercibus occasione dictis introitus, et hoc sub dicta pena librarum quingentarum Janue applicanda dicto emptori nuncio seu collectori ipsius pro quolibet et qualibet vice; que pena colligi et exigi possit per dictum emptorem, nuncium seu collectorem ipsius, a quocumque qui contrafecerit vel ut supra non observaverit totiens quotiens fuerit contrafactum vel non observatum ut supra. Item p^ossit emptor dicti introitus eligere et constituere unum collectorem et plures, et unum scribam et plures, ad dictum introitum colligendum petendum et exigendum, et colligi et exigi faciendum, et scribendum et notandum ea que scribenda et notanda occurrerent. Et quicumque constitutus vel electus fuerit collector ut supra possit costringere seu compellere, et constringi seu compelli facere, universos et singulos de quibus eidem videbitur seu placuerit subire iuramentum de veritate dicenda super hiis et de his super quibus et de quibus interrogaverit seu interrogare voluerit, et de dicto introitu bene et legaliter persolvendo. Item possit emptor dicti introitus et quilibet collector ipsius ac-cotumare seu extimare universos et singulos ianuenses et qui per ianuenses distringuntur dicuntur seu appellantur, vel beneficio ianuensium gaudent, et qui navigaverint in mare maius ultra Peiram vel Constantinopolim vel aliter qualitercumque non expedicti sint sive expediri debuerint a dicto introitu secundum formam presentis vendicionis vel aliquas res seu merces portaverint misserint seu detulerint vel veherint, vel portari mitti seu vehi fecerint, sine solvendo dictum introitum secundum formam presentis vendicionis pro quibus dictus introitus solvi debuerit, et pro illa quantitate pro qua dictus emptor seu eius collector accotumaverit sive extimaverit ipsos ianuenses et qui pro ianuensibus distringuntur seu appellantur, vel beneficio ianuensium gaudent, possit et debeat ab eis et quolibet eorum peti percipi et exigi et colligi predictus introitus, ad — 292 — quem introitum percipiendum colligendum et exigendum et ad inquisitionem faciendam super ipsum introitum, habeant dicti collectores et quilibet eorum plenam et liberam iurisdictìonem et potestatem; et si aliquem invenerint fraudem commisisse in ipso introitu ; vel non solvisse dictum introitum sicut debuerit, ex contumacia possint ipsi collectores et quilibet eorum percipere exigere colligere et habere ab eo dapium dicti introitus debiti cum effectu. Item quod quilibet scriba cuiuscumque navis coche galee ligni de bandis et cuiuslibet alterius ligni navigabilis semper teneatur dare in scriptis dicto emptori vel eius collectori omnes res et merces que in ipsa navi cocha galea ligno de bandis vel alio quolibet ligno navigabili fuerint delate vel deferri debebunt, pro quibus debeat solvi dictus introitus vel non, et personas quarum erunt sive super quas scripte fuerint; et de hoc facere debeat dictus scriba ut supra quotiens inde fuerit requisitus per ipsum emptorem vel eius collectorem, et etiam antea quam viagium arripiat sive assumat ipsa navis cocha galea lignum de bandis, seu aliud quodlibet lignum navigabile, sub pena librarum ducentarum Janue pro quolibet et qualibet vice; quam penam petere percipere colligere habere et exigere possit dictus emptor et quilibet eius collector. Item quia difficilis est probatio eorum que occurrunt circa predicta, et quia multi fraudes facere conantur contra callegas Comunis, pro ipsis fraudibus evitandis sufficiat dicto emptori vel eius collectori semiplena probatio quantum pertinet ad ea vel ad aliquod eorum que occaxione presentis vendicionis occurrunt. Item pro his que occurrunt probanda occaxione dicti introitus, possit dictus emptor et quilibet eius collector uti testimonio grecorum et ipsos grecos in testes producere, lege aliqua non obstante. Item possit dictus emptor et quilibet eius collector arrestare et detinere, seu arrestari et detineri facere, quascumque naves cochas galeas ligna navigabilia, et res et merces que in eis vel aliqua earum fuerint, que navigare debuerint inter mare maius ultra Constantinopolim vel Peiram; et hoc sua auctoritate cum nunciis Curie Potestatis Peire seu tenentis locum Potestatis, vel cum suis nunciis tantum si voluerint, donec supradicte securitates prestite seu facte fuerint secundum formam predictam ; et etiam ipsas naves co- — 293 — chas galeas ligna de bandis navigabilia et portas earum et eorum possint claudere et custodire, seu claudi custodiri et elavari facere, donec fuerint facte et prestite dicte securitates, seu dictus introitus fuerit solutus, et ipse res et merces scripte fuerint si voluerit dictus emptor et eius collector. Item possit dictus emptor et quilibet eius collector pro eo percipere colligere et habere dictum introitum, qui solvi debuerit secundum formam presentis venditionis, in illis rebus et mercibus et de eis si voluerit vel in pecunia pro valore earum, excepto de eo vel pro eo quod occasione dicti introitus solvi debebit pro rebus mercibus vel semoventibus extimandis ut supra dictum est ; quibus casibus percipere colligere et habere debeat solummodo potestatem. Item teneatur et debeat quelibet persona que dictum introitum solvere deberè putabitur per dictum emptorem seu eius collectorem, iurare dicto emptori vel eius collectori ad sancta Dei evangelia de solvendo bene et legaliter eidem quicquid solvere debuerit occasione dicti introitus, et de manifestando eidem res et merces pro quibus solvere debebit, et de ipsis se expedire, et apodisiam expe-ditamenti accipere, et aliter non possit nec debeat portari super aliqua cocha navi galea ligno de bandis seu aliquo alio ligno navigabili, nec res seu merces ipsius; et postquam res seu merces illius persone que se expedierit et iuraverit,ut supra scripte fuerint in cartulario alicuius navis coche galee ligni de bandis vel alicuius alterius ligni navigabilis super aliquam personam, non possint ipse res vel merces aliquo modo describi de ipso cartulario sine licentia dicti emptoris vel eius collectoris, sub pena librarum centum ianui-norum pro quolibet scriba qui contrafecerit, applicanda dicto emptori; que pena peti percipi colligi exigi et haberi possit ab eo per dictum emptorem seu eius collectorem. Item quod Potestas ianuensis qui est et pro tempore fuerit in Peira, et quicumque ibidem locum Potestatis tenuerit, et etiam dominus Potestas Comunis Janue qui pro tempore fuerit, et quilibet magistratus Janue vel districtus, vel qualitercumque iurisdi-ctionem habens in civitate Janue vel extra pro Comune Janue, qui pro tempore fuerit, teneatur et debeat prestare dicto emptori et cuilibet eius collectori, quandocumque inde requisitus fuerit, for- — 294 — tiam auxilium consilium et favorem super his omnibus et singulis de quibus in presenti vendicione fit mentio, et contra quoscumque de quibus placuerit dicto emptori seu eius collectori procedere suo officio per viam inquisicionis, et quocumque alio modo pro ut brevius fieri poterit ad exequenda ea que exequi et fieri debebunt secundum formam presentis vendicionis, et ad inquirendam veritatem, et ad dictum introitum faciendum prestari et solvi, summarie et de plano sine strepitu et figura iudicii, et sine libello et pignore bandi, et sine remedio appellationis, et habendi consilium a sapiente et petendi assessorem. Item quod dictus emptor et quilibet eius collector possit uti, si voluerit, in favorem sui et dicti introitus, omnibus et singulis clausulis generalibus factis per Comune super callegis Comunis, et illa ex eis de quia sibi placuerit, et etiam omnibus et singulis clausulis appositis in instrumento vendicionis quam pene dacite seu collecte imposite super rebus et mercibus que adducentur vehentur seu mittentur de terris subditis olim imperatori Cotay et nunc imperatori Usbech, scripto manu Enrici de Castiliono notarii m ccc xiii die.....(i), et omnibus beneficiis que scripta (sunt) in dicto instrumento in favorem introitus dicte pene dacite seu collecte (2); dum tamen colligere non possit emptor presentis introitus vel eius collector nec colligi facere nisi ea et de his et pro his que supra dicta sunt tantum quantum supra dictum est colligi posse. Item teneatur quilibet scriba et quilibet patronus, seu qui pro patrono habitus fuerit, cuiuslibet navis coche galee ligni de bandis et cuiuslibet alterius ligni navigabilis, ac etiam quilibet mercator, et alius quicumque similiter teneatur se presentare ad requisicionem dicti emptoris et cuiuslibet eius collectoris coram eis et quocumque magistratu de quo ipsi emptori vel eius collectori vedebitur et placuerit, et cauptiones fideiussorias facere de solvendo quicquid solvere debebit pro dicto introitu, et de solvendo faciendo et ob- (1) Lacuna. (2) Qui c saltato un periodo, c perciò il senso rimane intralciato cd oscuro. Veggasi come do vrebbe essere, nel Documento successivo a pag. 312. — 295 — servando quicquid facere vel observare debebit seu debuerit occaxione predicti introitus seu ex forma presentis vendicionis. Item possit dictus emptor et quilibet collector ipsius, possit et dominus Potestas Janue qui pro tempore fuerit, et quilibet* magistratus Janue et districtus teneatur, et etiam quilibet iurisdicionem habens extra Januam pro Comune Janue sive pro ianuensibus teneatur, ad requisicionem dicti emptoris et eius collectoris, compellere ad solvendum illos qui confitebuntur vel confessi fuerint vel scripti erunt debere in cartulariis aliquibus scriptis per notarium publicum de numero notariorum Janue super his que occaxione predictorum vel eorum que in presenti vendicione contineri debeantur per aliquos homines illas quantitates pecuniarum quas confessi fuerint se debere vel scriptum fuerit in dictis cartulariis per aliquos debere occaxione dicti introitus vel eorum que in presenti vendicione continentur, nisi ille a quo petatur habeat iustam defensionem, summarie cognoscendo tam de iuribus introitus predicti et dicti emptoris seu eius collectoris quam de iuribus seu defensionibus eius a quo petatur (et hoc teneatur observare); quilibet magistratus seu iurisdicionem habens, sub pena librarum ducentarum Janue pro quolibet et qualibet vice applicanda dicto emptori seu eius collectori. Item quod dominus Potestas Janue et quilibet magistratus Janue vel districtus, et quilibet iurisdicionem habens in Peira vel alibi extra Januam pro Comuni vel pro ianuensibus, qui pro tempore fuerit, teneatur et debeat semper ad requisitionem dicti emptoris seu eius collectoris procedere super quacumque questione seu causa que moveatur vel emergat occaxione eorum vel alicuius eorum que in presenti vendicione continentur, et ipsam diffinire et terminare summarie et de plano sine libello et pignore bandi et sine remedio appellationis, et sine habendo consilium a sapiente, et sine eo quod inde possit pfeti vel haberi consilium sapientis vel assessoris alicuius. Nec possit aliqua persona audiri contra predicta vel aliquod predictorum ; similiter nec possit aliqua persona advocare dictare dicere vel allegare, nec patrocinium prestare de iure vel de facto , dicto facto verbo vel scriptura, contra predicta vel aliquod predictorum, vel in preiudicium dicti emptoris seu eius collectoris, sub pena — 296 — librarum vigintiquinque Janue pro quolibet et qualibet vice applicanda dicto emptori seu eius collectori, et exigenda semper ad requisicionem dicti emptoris seu eius collectoris; et ultra quod scripture et iura scripta vel allegata contra dictum emptorem seu eius collectorem ipso facto sint nulla et nullius valoris, et quod notarii Curie scribere predicta non possint nec debeant vinculo sacramenti. Item quod pro dicto introitu sint et esse intelligantur affecte et obligate res et merces et bona quarumcumque personarum debentium aliquid solvere vel facere ex vigore presentis vendicionis. Item quod omnes pene in quibus occurrerint alique persone ex vigore presentis vendicionis applicentur et applicate sint ipso iure dicto emptori, et ex nunc semper ad requisicionem ipsius emptoris seu èius collectoris debeant colligi et exigi, et eidem assignari per quemcumque magistratum Janue et districtus vel qui sit extia Januam pro Comuni vel pro ianuensibus. Et fiat solutio precii dicti introitus etiam ac vice per illum qui ipsum introitum incalleg*averit illis quatuor temporibus et illis cau-tellis et securitatibus ac iuramento de quibus ordinatum est in aliis vendicionibus introituum Comunis Janue, preter quam de officiis quibus debet fieri solutio precii, quia alii (sic) debet fieri solutio precii presentis introitus quam aliorum introituum dicti Comunis sicut impositionibus ipsorum et istius evidentei appare l. f M CCC XXXXIII die XXII ianuarii, indicione decima. y » ' Testes Bonifacius de Camulio, Obertus Massurrus et Lanfran chus de Valle notarii et cancellarii Comunis Janue. Reducta est suprascripta venditio in forma suprascripta et appro bata, et facta et firmata per dominum Ducem et suum Consilium, et pro ut fit mencio in emendacionibus factis de vendicionibus et clausulis generalibus Comunis Janue factis primo per emendatores callegarum anni de m ccc xxxxii, et quorum ego Antonius Carpi-pinetus notarius sum et eram tunc scriba, et qui scripsi ut supra testatus fui in Pallacio novo domini Ducis pro ut in libro presenti emendationum continetur. — 297 — -j- M CCCLXXXVI, die X ianuarii. Illustris et magnificus dominus dominus Antoniotus Adurnus Dei gratia Dux ianuensium et populi defensor, in presentia consilio et consensu sui Consilii quindecim sapientum antianorum, et ipsum Consilium et consiliarii ipsius Consilii ; in presentia auctoritate, voluntate et decreto prefati magnifici domini Ducis; in quo Consilio interfuerunt infrascripti qui sunt legitimus et sufficiens numerus ipsorum antianorum, et quorum qui interfuerunt nomina et prenomina sunt ista: Dominus Enricus de Illionibus legumdoctor prior, dominus Benedictus de Viali legumdoctor, Manfredus Co-charellus, Stephanus Bochinus tabernarius, Dexerinus Simonis notarius, Antonius Bellonus formaiarius, Obertus de Planis de Pulcifera, Micael de Semino, Johannes Sauli et Dominicus de Traxio de Bargalio. Intellecta expositione facta coram eis per Officium Protectorum et officialium ipsius Officii Comperarum Capituli civitatis Janue, dicentes quod cum in quadam vendicione karatorum Peire instituta et facta anno currente m ccc xxxxiii specialiter contineatur quod de omnibus et singulis rebus et mercibus quibuscumque, que de terris villis seu locis circumstantibus civitati Constantinopolis, sive burgis Peire, vel etiam subditis domino Imperatori grecorum vel aliqua eorum, portabuntur mittentur seu deferentur vel vehentur per terram vel per mare Januam vel in mare maius vel ad aliquem alium locum seu terram non subditam seu non subditum dicto domino Imperatori grecorum vel de Janua seu mare maiori, vel aliqua quacumque terra seu loco non subdita seu non subdito dicto domino Imperatori grecorum portabuntur mittentur seu deferentur vel vehentur ad aliquam terram villam seu locum dicto domino Imperatori grecorum subditam seu subditum per mare vel per terram, colligantur habeantur et percipiantur, et colligi percipi et haberi debeant per emptorem dicti introitus seu eius nuncium vel collectorem carati decem de quolibet centenario perperorum precii seu valoris ipsarum rerum et mercium et cetera pro ut in ipsa vendicione plenius et latius continetur, quo tempore insti-tucionis vendicionis predictus dominus Imperator grecorum multas t — 298 — et diversas terras et loca tenebat et erant sub ipsius dominio in partibus Romanie et Turchie que post dictam institucionem diete vendicionis devenerunt in virtutem et potestatem Domini turchorum vel alterius Domini; quia sunt aliqui qui opposuerunt et contradixerunt et opponunt et contradicunt quod dieta loca et diete terre que erant dicti domini Imperatoris et que sub dominio et segnoria dictorum turchorum vel aliorum modo sunt, non sunt subditi vel subdite dicto domino Imperatori, et dictum introitum solvere non tenentur, et per hoc se volunt excusare a solutione dicti introitus, quod si fieret et consentiretur cederet ad maximum damnum iurisdicionis Comunis Janue et Comperarum predictarum, supplicantes et requirentes quod placeret dicto domino Duci et Consilio declarare quod dieta loca et terre que erant dicti domini Imperatoris et sub dominio ipsius dicto tempore diete institucionis, licet presentialiter teneantur et detineantur per turchos vel alios, includantur in dieta vendicione prò ut et sicut erant dicto tempore institucionis dicti introitus in anno de m ccc xxxxiii ; et supra dictis exposicione et supplicacione habentes (sic) inter prefatom sagnificum dominum Ducem et Consilium deliberacione solemni, visa prius forma institucionis vendicionis predicte facte dicti introitus in mcccxxxxiii; volentes predictam vendicionem et introitum ad omnem ambiguitatem in futurum tollendam, declarant supra dicto articulo dubii supradicti, declaraverunt et ordinaverant quod non obstante quod dicte terre et loca que anno de m ccc xxxxirr erant sub dominio dicti domini Imperatoris grecorum postea devenerint et modo sint sub dominio et segnoria alterius Domini, quod pro dicto introitu solvatur, et ipse introitus colligatur et solvi et colligi debeat ac si dicte terre et loca ad presens essent sub dominio dicti Imperatoris grecorum pro ut erant tempore dicte vendicipnis; et sic ut supra mandant in futurum observari et addi in vendicione dicti introitus. Habuit locum presens additio m ccc lxxxvi die x ia-nuarii et ab inde citra. — 299 — -j- M CCCCXVIII die prima februarii. Extracta est ut supra presens venditio de libro vendicionis introituum et cabellarum Comunis Janue. Populus. Antonius Vallebella notarius et Comunis Janue secretarius. Archivio di San Giorgio. Codice Institutionum cabellarum veterum, car. 224-31. 1343, 22 gennaio. Regolamento per l'appalto annuale degli introiti di carati 14 e carati 5 3/5 , colle dichiarazioni e riforme seguite nel 1386 e 1408. Venditio introitus caratorum quatuordecim et caratorum quinque et trium quintarum partium unius carati ex caratis viginti et ex caratis octo, impositis per Officium duodecim sapientum constitutorum iuxta formam pacis super incorporandis et vivendis (corr. uniendis) Comperis impositis tempore guerre per intrinsecos et Comune Janue et Comperis quibusdam olim extrinsecorum de Janua, et super imponendo et inveniendo introitus Compere nove Pacis; et quorum caratorum viginti carati decem septem et dictorum caratorum octo carati sex et quatuor quinte partes unius carati assignate fuerunt dicte Compere Pacis, secundum formam dicte impositionis per dictum Officium duodecim sapientum; et qui carati decem et septem et carati sex et quatuor quinte partes unius carati colligi debent in Peira secundum formam presentis vendicionis; et quorum caratorum viginti carati tres remanserunt Comuni Peire secundum formam dicte impositionis; et similiter dictorum caratorum octo tres vigesime partes, scilicet caratus unus et quinta, remanserunt scilicet pro salario Potestatis dicti Comunis, Abbatis, et aliis expensis fiendis in Peira, colligendi in Peira pro ut fuerit ordinatum; et hoc secundum formam dicte impositionis; et quorum caratorum decem et septem videtur illos de Peira, sive Comune Peire, post dictam impositionem accepisse eoruma uctoritate caratos tres; et similiter dictorum caratorum sex et quatuor quintarum partium unius carati caratum unum et quintam partem unius carati, ad rationem trium vigesimarum partium dictorum caratorum octo; et que impositio de novo facta luit m ccc xxxxii die mi septembris. Et qui carati quatuordecim et carati quinque et tres quinte partes unius carati a tempore status presentis domini Ducis citra reducti et assignati sunt comuniter omnibus tribus Comperis Comunis Janue, secundum formam regularum dicti domini Ducis et sui Consilii, ita quod restant ad vendendum hic in Janua ex dictis viginti caratis quatordecim ut supra dicitur; et dictorum caratorum octo carati quinque et tres quinte partes unius carati ut supra dicitur, fit in hunc modum (i). Videlicet quod ille qui dictum introitum comparaverit, si et quotiens dictum introitum vendi contingerit, et si et quando non venderetur sed colligeretur, ille et illi qui dictum introitum colligeret et colligere debet et debent et colligi facere in forma infrascripta. Videlicet de omnibus mercibus frumento biado vino ceteris victualibus, avibus, animalibus et aliis quibuscumque rebus, que a kalendis februarii anni de Mcccxxxxm, ipsa die exclusa, in antea per totum annum unum proxime continuum usque ad kalendas februarii anni de m ccc xxxxiv, ipsa die comprehensa, portabuntur mittentur seu deferentur seu vehentur de Janua vel de aliqua parte maris maioris, preterquam de Imperio Usbech, vel que portabuntur mittentur deferentur seu vehentur de quacumque alia mundi parte per mare vel per terram per aliquem ianuensem vel qui pro ianuensi distringatur dicatur seu appelletur, vel qui beneficio ianuensium gaudeat, in Constantinopoli vel in Peira, sive ille vendantur sive alienentur sive non. Et de omnibus et singulis rebus et mercibus cuiuscumque conditionis et manerierum que de Constantinopoli sive Peira portabuntur mittentur seu deferentur vel vehentur Januam vel in mare maius, preter quam si portarentur seu deferentur vel vehentur in aliquam terram dicti Imperii de Usbech. Et de omnibus et singulis mercationibus et rebus que de Constanti- (i) Qui corre il senso, ma non la sintassi. Forse nell’originale si leggeva: Que venditio ut supra dicitur fit etc. — 30i — nopoli sive Peira portabuntur mittentur seu deferentur vei vehentur ad aliquam quamcumque mundi partem per mare vel per terram dictorum locorum vel alterius eorum, eundo vel redeundo, vel intrando seu exeundo ; ac etiam de omnibus et singulis rebus et mercibus quibuscumque que de terris villis seu locis circumstantibus civitati Constantinopolis sive Peire, vel etiam subditis domino Imperatori grecorum, vel de aliquo seu de aliqua earum, portabuntur mittentur seu deferentur vel vehentur per mare vel per terram Janue vel in mare maius, preter quam ad aliquem locum Imperii de Usbech, vel que portarentur mitterentur vel defererentur vel veherentur per mare vel per terram ad aliquem alium locum seu terram non subditum seu non subditam domino Imperatori grecorum , vel que de Janua seu de mari maiori vel de aliquo alio loco Imperii de Usbech portabuntur mittentur seu deferentur vel vehentur ad aliquam terram villam seu locum dicto domino Imperatori grecorum subditam seu subditum, per terram vel per mare, colligantur habeantur et percipi debeant per emptorem et collectorem dictorum caratorum quatuordecim dicti introitus, seu eius nuncium vel nuncios, carati quatuordecim nitidi pro quolibet et de quolibet centenario perperorum, seu valoris sive extimacionis ipsarum rerum et mercium ad eandem racionem caratorum quatuordecim pro quolibet centenario perperorum, et ad eandem racionem supra et infra pro rata de summa ipsius precii vel valoris seu quantitatis que sit a perperis viginti quinque auri de Constantinopoli supra. Item quod si quis habuerit solummodo res seu merces quarum precium seu valor non transcendat dictam summam perperorum viginti quinque auri, non propterea pro ipsis rebus seu mercibus aliquod occasione dicti introitus solvere compellatur. Et similiter habeantur colligantur et percipiantur, et haberi colligi et percipi debeant per Comune Peire, seu collectorem vel collectores dicti Comunis, supradicti carati tres qui remanserunt ex dictis caratis viginti pro salario Potestatis Abbatis et aliis expensis ut supra dictum est dicti Comunis Peire. Reliquos autem caratos tres ad complementum dictorum caratorum viginti, illi de Peira sive Comune Peire colligunt, ut videtur , auctoritate eorum propria ut supra expressatur. « — 3°2 — Et de auro argento pecunia seu moneta cuniata, perlis, summis de argento, lapidibus preciosis, et ioys fabricatis de auro argento lapidibusque preciosis et perlis, non colligatur nisi solummodo tercia pars eius quod colligi debet ut supra de aliis rebus et mercibus, sed de eis colligatur solummodo tercia pars eius quod colligitur et quod colligi debet ut supra de aliis rebus et mercibus. Et ne dubium esse possit utrum res predicte deferantur seu mittantur vel vehantur in aliquam partem dicti Imperii de Usbech, ad tollendas questiones et fraudes que super predictis esse possent occaxione rerum et mercium que deferentur in Peiram sive in Constantinopolim, que dicentur deferri debere in aliquem locum dicti Imperii de Usbech, et pro ipsis deferendis in dictum Imperium de Usbech dicerentur delate in Peiram vel in Constantinopolim , declarando vendicionem introitus predicti, intelligantur res et merces delatas in Peiram sive Constantinopolim pro quibus dictus introitus solvi debet delatas fuisse pro ipsis portandis sive mittendis in dictum Imperium, si infra mensem unum postquam in Peiram vel Constantinopolim delate fuerint mittentur ad aliquem locum Imperii predicti, et hoc si res predicte de Peira vel Constantinopoli delate fuerint a medio mense marcii usque ad medium mensem octobris, et quod pro eis solvi debeat tanquam pro delatis in dictum Imperium Usbech. Et si sic non fuerint de Peira sive Constantinopoli infra dictum tempus transmisse seu delate pro deferendo in dictum Imperium, non intelligantur delate pro deferendo in dictum Imperium, sed de eis solvi debeat tanquam de delatis sive pro delatis in Peira sive Constantinopolim. Si autem a medio mense octobris usque ad medium mensem marcii res deferentur in Peiram vel Constantinopolim, que dicerentur deferri debere sive delatas esse pro ipsis deferendis in dictum Imperium, transmisse fuerint de Peira sive Constantinopoli per totum mensem marcii tum proxime venturum, sive onuste fuerint infra dictum tempus in galea vel ligno quod vel que de Peira sive Constantinopoli navigabit ad dictas partes dicti Imperii, pro quibus sic delatis, seu ut supra infra dictum tempus onustis, solvatur et solvi debeat introitus predictus tanquam pro delatis seu missis ad dictum Imperium Usbech. — 303 — Si autem ut supra dictum est non defererentur, seu infra dictum tempus ut supra non onerarentur, de eis solvatur tanquam de rebus et prò rebus delatis in Peiram seu Constantinopolim. Et teneatur quilibet sic mittendo vel deferendo, ut supra dictum est, idonee satisdare collectori seu collectoribus dicti introitus de dicto introitu solvendo tanquam de rebus non delatis in dictum Imperium, si contingeret res ipsas in dictum Imperium non deferri. Item quod quotiens de aliquibus ex predictis rebus delatis in Peiram sive Constantinopolim, fieret venditio vel aliqua alienatio in Peiram vel in Constantinopolim antequam essent de Peira vel de Constantinopoli transmisse vel delate, quod de eis vel pro eis solvi debeat dictus introitus tanquam de rebus in Peiram vel Constantinopolim delatis, non obstante quod delate essent in Constantinopolim sive Peiram pro ipsis deferendis in Imperium predictum, et non obstante quod postea etiam infra tempora supradicta in dictum Imperium deferentur. Item quod de omnibus rebus et mercationibus et aliis de quibus supra dictum est in modum predictum, que deferentur mittentur portabuntur vel vehentur de aliqua parte Imperii de Usbech per mare vel per terram in Constantinopolim vel in Peiram, sive ibi vendantur sive non, vel que per aliquem dictorum locorum transitum facient, vel in Januam vel in districtum, seu in aliquam terram seu locum circumstantem civitati Constantinopolis vel Peire, vel subditum domino Imperatori grecorum, per aliquem alium locum extra mare maius, vel que de civitate Janue vel districtu, vel de Peira, vel de Constantinopoli, vel de aliqua alia mundi parte, per terram vel per mare deferentur portabuntur mittentur vel vehentur in aliquam terram dicti Imperii de Usbech per aliquem ianuensem seu qui pro ianuensi distringatur dicatur seu appelletur, vel qui beneficio ianuensium guadeat, colligantur et percipiantur per emptorem et collectorem supradictorum caratorum quatuordecim dicti introitus, et eius nuncios et collectores, carati quinque et tres quinte partes unius carati, ad racionem caratorum octo pro quolibet centenario perperorum, sive valoris et extimationis ipsarum mercationum et rerum; et de maiori et de minori quantitate ad eandem racionem, pro rata videlicet de summa precii — 504 — vel valoris que sit a perperis viginti quinque auri de Constantinopoli supra. Item quod si quis habuerit solummodo res seu merces quarum precium vel valor non transcendat dictam quantitatem et summam dictorum perperorum viginti quinque auri, non propterea pro ipsis mercationibus seu rebus aliquid occaxione dicti introitus solvere teneatur. Et similiter habeantur colligantur et percipiantur, et haberi colligi et percipi debeant per Comune Peire, seu collectorem vel collectores dicti Comunis, supradicte tres vigesime partes supra-dictorum caratorum octo, videlicet caratus unus et quinta pars unius carati que remanserunt ex dictis caratis octo dicto Comuni Peire, ut dictum est supra, pro salario Potestatis Abbatis et aliis expensis flendis in Peira. Reliquas autem tres vigesimas partes, scilicet caratum unum et quintam partem unius carati, ad complementum dictorum caratorum osto, illi de Peira sive Comune Peire colligunt, ut videtur, auctoritate eorum propria ut supra expressatur. Et de auro argento, peccunia seu moneta cuniata, perlis, summis de argento, lapidibus preciosis et iocalibus tabricatis de auio argento lapidibus preciosis et perlis, non colligatur nisi solummodo tercia pars eius quod colligi debet ut supra de aliis rebus et mercibus; sed de eis colligatur solummodo tercia pars eius quod colligitur et quod colligi debet ut supra de aliis rebus et mercibus. Et intelligatur dictum Imperium Usbech flumen Vicine versus Thanam. Salvo tamen in omnibus et singulis supra dictis quod ex quo de aliquibus rebus seu mercibus aliqua persona semel solverit dictum introitum in dicto anno, si dicte res vel merces in eodem anno iterum per eandem personam vel eius heredem vel nuncium portarentur mitterentur vel defererentur vel veherentur per mare vel per terram, vel etiam transitum facerent ut supra dictum est, ipsis rebus vel mercibus alienatis in aliam personam drictus sive introitus predictus pro ipsis talibus rebus sive mercibus ipso anno iterum solvi haberi vel requiri non possit. De omnibus autem navibus cochis galeis et lignis navigabilibus — 3°5 — que ibunt seu navigabunt de Constantinopoli sive Peira, sive per mare dictorum locorum transitum facerent in mare maius, vel ad aliquem alium' locum quam Imperium Usbech, sive de mari maiori vel de aliquo alio loco quam de Imperio Usbech iverint seu navigaverint in Peiram sive in Constantinopolim, sive in mare dictorum locorum transitum fecerint, colligantur et colligi debeant dicti carati quatuordecim per dictum emptorem seu emptores vel collectorem seu collectores dicti introitus dictorum caratorum xiv. Et similiter habeantur colligantur percipiantur, et haberi percipi et colligi debeant per Comune Peire, seu collectorem vel collectores dicti Comunis, supradicti tres carati qui remanserunt ex dictis caratis viginti, pro salario Potestatis Abbatis et aliis expensis ut supra dictum est dicti Comunis Peire. Reliquos autem caratos tres ad complementum dictorum viginti, illi de Peira sive Comune Peire colligunt, ut dicitur, auctoritate eorum propria ut supra expressatur. Et hoc pro quolibet centenario a quolibet ianuensi seu qui pro ianuensi distringatur seu appelletur, vel beneficio ianuensium gaudeat, cuius sint seu qui eis presint; et hoc totiens quotiens de Constantinopoli sive Peira sive aliquo alio loco iverint seu navigaverint in mare maius ad aliquas alias partes quam ad partes Imperii de Usbech, sive de mari maiori vel de aliquo alio !oco quam de Imperio Usbech iverint ut supra per mare dictorum locorum per quemcumque modum et ex quacumque causa. Si autem de Constantinopoli sive Peira sive aliquo alio loco iverint seu navigaverint ad aliquas partes Imperii de Usbech, sive de aliqua parte dicti Imperii iverint seu navigaverint in Peira vel Constantinopoli, sive transitum fecerint ut supra per quemcumque modum et ex quacumque causa, colligantur et colligi debeant per emptorem et collectorem dicti introitus dictorum caratorum quatuordecim, seu per eius nuncium vel nuncios, totiens quotiens navigaverint, carati quinque et tres quinte partes unius carati ex dictis caratis octo pro quolibet centenario a quolibet ianuensi seu qui pro ianuensi distringatur dicatur vel appelletur, vel qui beneficio ianuensium gaudeat, cuius sint seu qui eis presint. Et similiter colligantur et colligi debeant per Comune Peire, seu collectorem dicti Comunis, supradicte tres vigesime partes, Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XIII, Fase. I. 20 — 306 — scilicet caratus unus ex dictis caratis octo qui ut supra remanserunt Comuni Peire, prò salario Potestatis Abbatis et aliis expensis fiendis ut supra dictum est. Reliquas autem tres vigesimas partes dictorum caratorum octo, scilicet caratum unum et quintam partem unius carati, colligunt illi de Peira sive Comune Peire, ut supra dicitur, auctoritate eorum propria. Salvo quod de corporibus galearum armatarum, sartia correda et apparatu ipsarum, non solvatur dictus introitus caratorum predictorum nisi semel in anno tantum intrando in Peiram et mare maius, et semel exeundo de dictis partibus. De galeis vero et lignis navigabilibus seu aliis rebus Comunis Janue, seu ad dictum Comune pertinentibus,-nichil occaxione dicti introitus solvatur et colligatur vel exigatur. Quia vero in Constantinopoli sive Peira, ubi pro maiori parte colligi debet dictus introitus, expenduntur perpari et non alie monete de aliis diversis provinciis, ideo ad declaracionem predictorum et de omnibus rebus et mercibus, navibus cochis galeis et lignis navigabilibus que ut supra de Janua vel districtu Janue misse seu delate fuerint, vel iverint seu navigaverint, vel transitum fecerint ut supra, colligatur et percipiatur ad racionem de perpero uno et caratis decem pro qualibet libra ianuina precii seu valimenti ipsarum. Et de Trapesunda ad racionem asperorum quindecim cavalariorum pro quolibet perpero. Et de Thaurisio Persia et Turchia ad racionem asperorum quatuordecim cassaninorum sive car-pentaninorum pro quolibet perpero. Et de Gazaria de quolibet summo perperos octo et dimidium. Item quod Potestas Janue in Peira seu Imperio Romanie, et quilibet tenens locum Potestatis, iuramento teneatur et debeat ad sindicatum librarum mille ianuinorum dare per se et per quem-cumque de familia sua auxilium fortiam et favorem et succursum collectori dicti introitus et cuicumque eius nuncio, quandocumque de hoc requisitus fuerit, ad colligendum solvendum et exequendum pro ut in presenti ordinatione continetur. Item quod dictus introitus peti colligi percipi et haberi possit in civitate Janue et in quocumque loco ubi dicto collectori vel eius » — 307 — nuncio placuerit, ab illis videlicet qui ipsum introitum in Peira seu Constantinopoli non solvissent collectori predicto seu eius nuncio vel emptori. Item quod patroni et qui pro patronis habebuntur omnium et singularum navium cocharum galearum et quorumlibet lignorum et vasorum navigabilium, et illi qui in eis preerunt, qui cum eis intrare voluerint inter mare maius a dictis kalendis februarii anni de m ccc xxxxm in antea per totum dictum annum , teneantur non navigare ultra Constantinopolim seu Peiram donec fuerint expedicti in Peira a collectore dicti introitus vel eius nuncio, nec aliquo modo vel Constantinopolim vel Peiram vel ad aliquem alium locum inde navigare possint vel debeant, donec promiserint et idoneam securitatem fecerint dicto collectori vel eius nuncio de solvendo et attendendo ac observando bene et legaliter omnia et singula que solvi attendi et observari debent secundum formam presentis ordinationis, et donec iuraverint de veritate dicenda de hiis omnibus et singulis de quibus dictus collector vel eius nuncius ipsos interrogare voluerit, et de faciendo solvi bene et legaliter ea que occaxione dicti introitus pro rebus seu mercibus que in ipsis seu super ipsis erunt, seu navigare vel vehi debebunt, solvi debe-bunt; et hoc facere teneantur et debeant dicti patroni seu qui habiti fuerint pro patronis, et qui in ipsis navibus cochis galeis seu lignis et vasis navigabilibus preerunt, sub pena librarum quingentarum Janue; quam penam colligere percipere habere et exigere possit dictus collector et quililpet eius nuncius a quolibet de predictis qui contrafecerint vel non observaverint ut supra pro qualibet vice. Item quod quilibet patronus seu qui pro patrono habitus fuerit, et qui preerit cuicumque navi coche galee ligno de bandis seu cuicumque alii ligno et vasi navigabili, teneatur et debeat supra-dictam promissionem et securitatem facere et prestare ad voluntatem dicti collectoris et eius nuncii quandocumque requisitus fuerit de hoc, semel tamen in anno, scilicet de attendendo solvendo et observando, et attendi solvi et observari faciendo ea omnia et singula que continentur in presenti vendicione, scilicet quantum ad eos pertinet. — 3oS — Item teneatui quilibet ex patronis navium cocharum galearum lignorum et \asorum.navigabilium, et quilibet qui in ipsis navibus cochis galeis lignis de bandis seu quibuslibet aliis lignis et vasis na\ isabilibus pieerit, non permittere exonerari de ipsis navibus * coJiis galeis lignis de bandis vel aliis lignis et vasis navigabilibus a ìquas res \ el merces pro quibus solvi debeat vel non in Peira Constantinopoli vel in aliquo loco ex locis supradictis donec uerit apodixiam a dicto collectore seu nuncio ipsius, per quam appareat quod ipse res et merces sint expedite ab ipso collectore nuncio ipsius, vel solutum vel assecuratutn sit ipsi collectori nuncio ipsius quicquid solvi debeat pro ipsis rebus et mercibus Occaxione dicti introitus; et hoc sub pena librarum quingentarum J-inuc applicanda dicto collectori vel nuncio ipsius pro quolibet et qualibet vice. Que pena exigi et colligi possit per dictum col-ectorem \ el nuncium ipsius a quocumque qui contrafecerit vel ut supra non observaverit ut supra (sic), quotiens fuerit contrafactum vel non observatum ut supra. T . * em possit collector dicti introitus eligere et constituere unum collcctorein et plures, et unum scribam et plures, ad dictum introitum colligendum petendum exigendum, et colligi et exigi faciendum, et scribendum et notandum ea que scribenda et notanda occurrerint. Et quicumque constitutus et electus fuerit collector ut supra possit constringere seu compellere, constringi seu compelli facere, unhersos et singulos de quibus eidem videbitur seu placuerit subire juramentum de veritate dicenda super his et de his super quibus interrogaverit seu interrogare voluerit, et de dicto introitu bene et legaliter persolvendo. Item possit collector dicti introitus et quilibet nuncius ipsius accotumare seu extimare universos et singulos ianuenses, et qui pro ianuensibus distringuntur dicuntur seu appellantur, vel bene-cio ianuensium gaudent, qui navigaverint in mare maius ultra eiram vel Constantinopolim, vel aliter qualiterqumque, (qui) non xpediti sint \el expediri debuerint a dicto introitu secundum formam P sentis ordinationis, vel aliquas res sive merces portaverint mis-scu dctuleiint vel vehexerint, vel portari mitti deferri seu — 309 — vehi fecerint sine solvendo dictum introitum secundum formam presentis ordinacionis, pro quibus dictus introitus solvi debuerit. Et etiam omnes res et merces que portabuntur mittentur seu deferentur in Peiram vel Constantinopolim, que ultra Peiram seu Constantinopolim non portabuntur vel vehentur, extimentur et accotumentur per emptorem seu collectorem vel nuncium seu nuncios dicti introitus. Et pro illa quantitate pro qua dictus collector seu eius nuncius accotumaverit seu extimaverit ipsos ianuenses et res et merces ipsorum, et qui pro ianuensibus distringuntur seu appellantur, vel beneficio ianuensium gaudent, possit et debeat ab eis et quolibet eorum peti percipi colligi et exigi introitus predictus; ad quem introitum percipiendum, et ad inquisicionem faciendam super ipso introitu, habeant dicti collectores et quilibet eorum plenam et liberam iurisdicionem et potestatem ; et si aliquem invenerint fraudem commisisse in ipso introitu, vel non solvisse dictum introitum sicut debuerit, ex contumacia possint ipsi collectores et quilibet eorum percipere et exigere colligere et habere ab eo duplum dicti introitus debiti cum effectu. Item quod quilibet scriba cuiuslibet navis coche galee ligni de bandis et cuiuslibet alterius ligni et vasis navigabilis semper teneatur dare in scriptis dicto collectori seu eius nuncio omnes res et merces que in ipsa navi cocha galea ligno de bandis vel alio quolibet ligno et vase navigabili fuerint delate seu deferri debebunt, pro quibus debeat solvi dictus introitus vel non, et personas quarum erunt, sive super quas scripte fuerint ; et hoc facere debeat dictus scriba ut supra, quotiens inde fuerit requisitus per ipsum collectorem et eius nuncium, et etiam antequam viagium accipiat seu assumat ipsa navi cocha galea lignum de bandis seu quodlibet lignum et vas navigabile, sub pena librarum ducentarum pro quolibet et qualibet vice ; quam penam petere percipere colligere habere et exigere possit dictus collector et quilibet eius nuncius. Item quia difficilis est probatio eorum que occurrunt circa predicta, et quia multi fraudes facere conantur contra callegas Comunis, pro ipsis fraudibus evitandis sufficiat dicto collectori emptori et eius nunciis semiplena probatio quantum pertineat ad ea vel ad aliquod eorum que occaxione presentis ordinacionis vendicionis occurerent. Item quod pro his que occurrent probanda occaxione dicti introitus, possit dictus collector et quilibet eius nuncius uti testimonio grecorum et aliarum quarumcumque generationum sint; et ipsos grecos et quoslibet alios cuiuscumque lingue et nationis in testes producere, lege aliqua non obstante. Item possit dictus collector et quilibet eius nuncius arrestare et detinere, seu arrestar! et detineri facere, quascumque naves cochas galeas ligna de bandis et alia ligna et vasa navigabilia, et res et merces que in eis vel aliqua earum fuerint, que navigare debuerint inter mare maius ultra Constantinopolim vel Peiram, et hoc sua auctoritate et cum nunciis Curie Potestatis Peire seu tenentis locum Potestatis, vel cum suis nunciis tantum si voluerint, donec predicte securitates prestite seu facte fuerint secundum formam pre-dictam, et etiam ipsas naves cochas galeas ligna de bandis et alia ligna et vasa navigabilia ; et portas eorum et earum possint claudere elavare et custodire, seu claudi elavari et .custodiri facere, donec fuerint facte et prestate dicte securitates, seu dictus introitus fuerit solutus, et ipse res et merces fuerint scripte, si voluerint dictus collector et eius nuncii. Item possit dictus collector et quilibet eius nuncius pro eo percipere colligere et habere dictum introitum, qui solvi debuerit secundum formam presentis vendicionis, in illis rebus et mercibus et de eis si voluerit vel in pecunia pro valore earum, excepto de eo quod occaxione dicti introitus solvi debebit pro rebus mobilibus vel se moventibus existimandis ut supra dictum est. Item teneatur et debeat quelibet persona que dictum introitum solvere debere putabitur per collectorem seu nuncium eius, iurare dicto collectori vel eius nuncio ad sancta Dei evangelia de solvendo bene et legaliter eidem quicquid solvere debuerit occaxione dicti introitus, et de manifestando eidem res et merces pro quibus solvere debuerit occaxione dicti introitus, et de manifestando eidem res et merces pro quibus solvere debebit, et de ipsis se expedire, et apodixiam expeditamenti accipere; et aliter non possit vel debeat aportare super aliqua navi cocha galea ligno de bandis seu — 3ii — aliquo alio ligno et vase navigabili, nec res seu merces ipsius ; et postquam res seu merces illius persone que se expediverit et iuraverit ut supra scripte fuerint in cartulario alicuius riavis coche galee ligni de bandis, vel alicuius alterius ligni et vasis navigabilis, super aliquam personam, non possint ipse res vel merces aliquo modo describi de ipso cartulario sine licentia dicti collectoris vel eius nuncii, sub pena librarum centum Janue pro quolibet scriba qui contrafecerit applicanda dicto collectori; que pena peti percipi colligi exigi et haberi possit ab eo per dictum collectorem seu nuncium eius. Item quod Potestas ianuensium qui est et pro tempore fuerit in Peira, et quicumque ibidem locum Potestatis tenuerit, et etiam dominus Potestas vel eius vicarius Comunis Janue, et quilibet magistratus Janue vel districtus, vel etiam qualitercumque iuris-dictionem liabens in civitate Janue vel extra pro Comuni Janue, qui pro tempore fuerit, teneatur et debeat prestare dicto collectori et cuilibet eius nuncio quandocumque inde requisitus fuerit fortiam auxilium consilium et favorem super omnibus et singulis de quibus in presenti ordinacione vendicionis fit mentio, et contra quoscumque de quibus placuerit dicto collectori seu eius nuncio procedere suo officio per viam inquisicionis et quocumque alio modo pro ut brevius fieri poterit, et exequendum ea que exequi et fieri debebunt secundum formam ordinacionis presentis, et ad inquirendum veritatem, et ad dictum introitum faciendum prestari et solvi summarie et de plano sine strepitu et figura iudicii, et sine libello et pignore bandi, et sine remedio appellationis, et habendi consilium a sapiente et petendi assessorem. Item quod dictus collector et quilibet eius nuncius possit uti, si voluerit, in favorem sui et dicti introitus omnibus et singulis clausulis generalibus factis ( et faciendis per Comune Janue vel officiales per Comune constitutos super predictis, vel constituendis super calligis Comunis, et illa ex eis de qua sibi plaucerit, et omnibus et singulis clausulis appositis in istrumento vendicionis introitus Peire, dacite seu collecte imposite super rebus et mercibus que adducuntur vehentur seu mittentur de terris subditis olim imperatori Totay et nunc imperatori Usbech, scripto manu Enrici de Castiliono notarii m ccc xiii die . . . . (i), et de omnibus beneficiis que scripta sunt in dicto instrumento in favorem dicti introitus dicte pene dacite seu collecte, dum tamen colligere non possit collector presentis introitus vel eius nuncius, nec colligi facere nisi ea et de eis que superius dicta sunt, et tantum quantum supra dictum est colligi posse. Item teneatur quilibet scriba et quilibet patronus, seu qui patrono habitus fuerit, cuiuslibet navis coche galee ligni de bandis et cuiuslibet alterius ligni et vasis navigabilis, et etiam quilibet mercator et alius quicumque similiter teneatur se presentare ad requi-sicionem dicti collectoris et cuiuslibet eius nuncii coram eis et quocumque magistratu de quo ipsi collectori vel eius nuncio v ide-bitur seu placuerit, solvendo quicquid solvere debuerit pro dicto introitu, et de solvendo faciendo et observando quicquid facere vel observare debebit seu debuerit occaxione predicti introitus seu ex forma presentis ordinationis. Dominus Potestas sive Capitaneus vel eius vicarius Janue qui pro tempore fuerit, et quilibet magistratus Janue et districtus, et etiam quilibet iurisdicionem habens extra Januam pro Comuni Janue, sive pro ianuensibus, teneantur ad requisicionem dicti coi lectoris et eius nuncii compellere ad solvendum illos qui confite buntur vel confessi fuerint vel scripti erunt debere in cartulariis aliquibus scriptis per notarium de numero notariorum Janue super his que occaxione predictorum vel eorum que in presenti ordina cione continentur debebuntur per aliquos homines, illas quantitates pecuniarum que confessi fuerint se debere, vel quas scriptum fuerit in dictis cartulariis per aliquos debere occaxione dicti introitus ac eorum que in presenti ordinacione continentur, nisi ille a quo petatur habeat iustam defensionem; summarie cognoscendo tam de iuribus introitus predicti et dicti collectoris seu eius nuncii, quam de iuribus seu defensionibus eius a quo petatur; et hoc teneatur quilibet magistratus ianuensis seu iurisdictionem habens observare sub pena librarum ducentarum Janue pro quolibet et qualibet vice, applicanda dicto collectori sive eius nuncio. (i) Lacuna. — 3 T3 — Item quod dominus Potestas sive Capitaneus vel eius vicarius Janue, et quilibet magistratus Janue vel districtus, et quilibet iurisdicionem habens in Peira vel alibi extra Januam pro Comuni vel pro ianuensibus, qui pro tempore fuerit, teneatur et debeat semper ad requisicionem dicti collectoris seu eius nuncii procedere super quacumque questione seu causa que moveatur vel emergat occaxione eorum vel .alicuius eorum que in presenti ordinacione continentur, et ipsam difìinire et terminare summarie et de plano, et sine habendo consilium a sapiente et sine remedio appellationis, et sine libello et pignore bandi, et sine eo quod inde possit peti vel haberi consilium alicuius sapientis vel assessoris. Nec possit aliqua persona audiri contra pre‘dicta vel aliquod predictorum; similiter nec possit aliqua persona advocare vel allegare, nee patrocinium prestare de iure vel de facto, dicto facto verbo vel scriptura, contra predicta vel aliquod predictorum, vel in preiudicium dicti collectoris emptoris nuncii, seu contra voluntatem dicti emptoris seu collectoris, sub pena librarum vigintiquinque ianuinorum pro quolibet et qualibet vice, applicanda dicto emptori collectori seu eius nuncio, et exigenda semper ad requisicionem dicti collectoris seu eius nuncii; et ultra quod scripture et iura scripta et allegata contra dictum collectorem emptorem seu eius nuncium ipso facto sint nulla et nullius valoris, et quod notarius Curie predicta scribere non possit nec debeat vinculo sacramenti. Item quod pro dicto introitu sint et «sse intelligantur -affecte et obligate res et merces et bona quarumcumque personarum debentium aliquid solvere vel facere ex vigore presentis ordinacionis. Item quod omnes pene in quibus incurrent alique persone ex vigore presentis ordinacionis applicentur et applicate sint ipso iure dicto collectori, et ex nunc semper ad requisitionem ipsius collectoris seu eius nuncii debeant colligi et exigi, et eidem assignari per quemlibet magistratum Janue et districtus, vel qui sit extra Januam pro Comuni vel pro ianuensibus. Et fiat solutio precii dicti introitus etiam in hac vice per illum qui ipsum introitum incalegaverit illis quatuor temporibus et cum illis securitatibus et iuramentis de quibus ordinatum est in aliis venditionibus introituum Comunis Janue, ita quod ille qui ipsum — 314 — ius in calega propterea facta habuerit teneatur in omnibus et per oiiinia sicut tenentur alii emptores introituum Comunis Janue predicti, sicut impositionibus ipsorum et istius evidenter apparet. -f- iM CCC XXXXIII die XXII ianuarii, indicione decima. Testes Bonifacius de Camulio, Obertus Mazurrus et Lanfranchus de \ alie notarii et cancellarii Comunis Janue. Reducta est suprascripta venditio in forma suprascripta, et approbata et facta et firmata per dominum Ducem et suum Consilium, et prout fit mentio in emendationibus factis de venditionibus et clausulis generalibus Comunis Janue factis primo per emendatores callegarum anni de m ccc xxxxii, et quorum ego Antonius Car-penetus notarius sum et eram tunc scriba, et qui scripsi ut supra et testatus fui in Palacio novo Comunis sive domini Ducis pro ut in presenti libro emendationum continetur. Ducali Excellentie eiusque venerabili Consilio antianorum humiliter supplicatur pro parte Gotifredi Cibo et sociorum, emptorum caratorum decem et caratorum quatuordecim' Peire, tam pro anno presenti quam pro nonnullis annis preteritis , quatenus cum in m ccc lxxxvi pro parte tunc Officii Protectorum Capituli fuerit supplicatum et requisitum Excellentie prefate quod cum m ccc xxxvih pro Comune Janue fuerint, reformate venditiones dictorum introituum caratorum Peire de dictis introitibus colligendis de rebus et mercibus delatis de terris illis seu locis circumstantibus civitati Constantinopoli sive burgo Peire, vel etiam subditis domino Imperatori grecorum, ut lacius in dictis venditionibus dicti introitus sive dictorum introituum continetur, et qui iutroitus semper fuerunt venditi colligendi iuxta tenorem dicte vendicionis, et tempore dicte vendicionis, sive dictarum vendicionum institutarum, dictus dominus Imperator inultas et diversas terras et loca tenebat et erant sub ipsius dominio in partibus Romanie et Turchie que postmodum venerunt in potestatem et dominium turcharum vel alterius Domini, et fuerunt aliqui qui opposuerunt quod dictum introitum solvere non tenebantur, quia terre predicte non erant amplius sub dominio dicti Imperatoris; quod quidem — 3!5 — cessisset ad magnum damnum et preiudicium Comunis Janue et introituum ipsius; propter quod dicta Excellentia et Consilium declaraverunt et ordinaverunt ad tollendum dubia quod non ob-stante quod dicte terre et loca que in anno de m ccc xxxxiii erant sub dominio dicti domini Imperatoris et postea pervenerunt sub dominio et segnoria alterius Domini, quod pro dictis introitibus solvatur et ipsi introitus colligantur et solvi et colligi possint et debeant ac si dicte terre et loca ad presens essent sub dominio dicti Imperatoris, dictaque declaratio fuerit posita et addita in M ccc lxxxvi die ianuarii in vendicione introitus caratorum xiv \ sicut ex vendicione caratorum decem (apparet?), et ambulent pari passu, et ratio que est in una vendicione sit in alia, dignentur prefata Magnificencia et Consilium mandare et decernere quod dicta declaratio et ordinatio sive additio apponatur ita sub vendicione dictorum caratorum quatuordecim sub m ccc lxxxvi die decima ianuarii, sicut fuit posita* et scripta in vendicione introitus caratorum quatuordecim, colligi debeat tam pro tempore preterito quam pro futuro pro terris et locis que fuerunt in m ccc xxxxiii domini Imperatoris grecorum, licet postea et nunc fuerint et sint sub dominio alterius, sicut colligi debuit et debet dictus introitus caratorum decem ; et sic dicta declaratio et deliberatio facta comuniter in quolibet dictorum introituum in m ccc lxxxvi habeat effectum suum et locum obtineat in utroque. f M CCC LXXXX die XV aprilis. Illustris et potens dominus dominus Antoniotus Adurnus Dei gratia ianuensium Dux et populi defensor, et suum Consilium quindecim antianorum; in quo Consilio interfuerunt infrascripti, qui sunt legitimus et sufficiens numerus ipsorum antianorum, et quorum qui interfuerunt nomina sunt hec, videlicet: Antonius Justinianus prior, Bartholomeus Pindeben notarius, Samuel de Car-rega, Rafael de Clavaricia, Franciscus de Aurigo, Lodisius de Domoculta, Stephanus Bonardus, Januinus Suppa de Sexto, Julianus Erminius et Petrus de Clavaro qm Georgii. Visa ct intellecta ac diligenter examinata dicta supplicatione et contentis in ea, visa etiam dicta additione et declaracione tacta per ipsum magnificum dominum Ducem et suum tunc Consilium in anno de m ccc lxxxvi die x ianuarii, super venditione introitus caratorum decem ex viginti quatuor Peire, ad instantiam et requi-sicionem Protectorum Comperarum Capituli; et super predictis omnibus habita dilligenti deliberacione, et consilio Vicarii Ducalis, statuerunt ordinaverunt et decreverunt atque declarant quod dicta additio et declaratio facta per ipsum magnificum dominum dominum Ducem et suum tunc Consilium super dicta venditione caratorum decem de qua supra fit mentio, habeat et vendicet sibi locum in vendicione introitus caratorum quatuordecim Peire, et possit et valeat colligi per emptores ipsius introitus in omnibus et singulis locis que tenebantur et possidebantur per dominum Imperatorem grecorum in anno de m ccc xxxxiii, licet dicte terre et loca nunc teneantur et possideantur per alios dominos quam per dictum dominum Imperatorem grecorum; •et in omnibus et per omnia secundum formam et tenorem vendicionis dicti introitus. Et predicta mandant scribi et notari in fine vendicionis dicti in troitus per Statutarium Comunis. Extractum est ut supra de actis pubblicis Cancellarie Ducalis Comunis Janue. Populus. Conradus Mazurrus notarius et cancellarius. % In venditionibus introituum caratorum decem et caratorum q tuordecim Peire, et quorumque aliorum introituum que » in Caffa Peira et Sio addatur ut infra, videlicet: Salvo non o -stantibus aliquibus contentis in dictis vendicionibus, seu q ipsarum, nec aliquibus contentis in aliqua \endidone que gatur in Caffa Sio et Peira, quod de auro vel argento sive pecunia cuniata pro veniendo Januam non possint vel^ * colligi dicti introitus vel aliquis ipsorum introituum. Et locum presens additio m cccc viii a die ii febiuarii in antea. / — 317 — M CCCC XVIII die prima februarii. Extracta est ut supra presens venditio de libro venditionum introituum et cabellarum Comunis Janue. Populus. Antonius de Vallebella notarius et Comunis Janue cancellarius. cfd. cit., car. 231-240. I LAPIDI I. 1316. — Il signor De Launay riferisce che nel Palazzo già del Podestà (Han Franchini) si vede murata una lapide senza iscrizione, recante lo stemma De Marini (1). E noi aggiungiamo che questa lapide fu posta certamente colà, per ricordo della riedificazione che ne ordinava il podestà Montano di tal cognome, sì come leggesi nel Documento XIII a pag. 116. 2. — Semplice scudo di Genova, della forma che qui si produce. Il signor De Launay ci annunzia di averlo scoperto egli (1) Db Launay, ‘K.otìcc sur le. vìeux Galalti (Pera ics Gcnois), nell’ Univers di Costantinopoli, dicembre 1874, pag. 112, c marzo 1875, pag. 232. Atti Soc. Lig. St. Patria, Voi. XIII, Fase. 1 21 stesso, sopra il muro del Palazzo testé citato, dove pei ciò ò pio-babile che lo facesse collocare il menzionato Podestà De Marini. Stava all’altezza del tetto-dell’edificio, in quella parte che resta all’ angolo delle strade Percbembe-Ba^ar e Voivodct. Non vi è iscrizione nè data; e ciò sembra a noi che sia anche un maggiore argomento, per meglio confermare il sincronismo della pietra e del Palazzo. 3- 1323. — Nella moschea di Arab Djiami. M • C • C • C • XXIII • DI E • XV • IVLLII • HIC • IAC ET • ODON* • SALVAIGV’ • FI Liv’ • DLM • DiMO • SALVAIGHI Cosi riferita dal De Launay (1), ma certo con gravi inesattezze. Crediamo essere più conformi al vero; proponendo la lezione se guente: hic iacet odonw salvaiGV.y filivi condam (9diri) domi nici salvaigi. Il Federici registra: « Domenico Saivago consei va toré del porto e mole, 1312, come in petra alla Darsena » (2). 4- 1335. — L° stesso De Launay ci porge contezza di un altra lapide, che appartiene al periodo della Podesteria di Andalò De Mari, dimostra come questi facesse edificare la torre della strada Volvo ci, sulla quale in addietro era murata. « Sur le haut de la pierre (eg 1 scrive) est gravée d’abord une croix, puis la date de 1 erection la tour. . . . m • ccc • xxx • v suivie d’une rosace sculptée sur la méme ligne, sans autre inscrip (1) 'KjOlice ite. , loc. cit., dicembre 1874, pag. 109. (2) Federici , ^Abecedario delle famiglie nobili ecc., Ms. della Biblioteca della Miss>°nc Ur — 323 — tion. Au-dessus sont, à dextre, les armes de la colonie de Péra, qui porte de Gènes cantonnée de quatre B (i), dont les deux de dextre contornés, qui sont aux Paléologues; a senestres sont pla-cées les armes de la Sérénissime République » (2). « 5- 1335. — Nel Cimitero di Feri-Keui. + SEPVLCRVM : DOMINI : ANDRIOLI : DE : PAGANA : ET : HEREDVM O O O O SVORVM : Q.VI : OBIIT : ANNO : DOMINI : M : CCC : XXXV : DIE : XV : IVNII La lapide esisteva già nel Cimitero contiguo alla chiesa di san Francesco de’ frati minori; e solamente da breve tempo venne trasferita nel sovra indicato di Feri-Keui, dove ora sormonta l’ingresso di un grande ossario, mercè le intelligenti ed amorevoli sollecitudini del compianto Console francese signor Belin. Lo stesso signore, oltre all’ avere cortesemente favorita alla Società Ligure di Storia Patria una bella riproduzione fotografica di questa pietra, ne pubblicava eziandio il fac-simile nel suo Compte-Rendu de l’exercice mortuaire 1873-74 etc., Costantinopoli, 1874. Vedasi la Tavola VI. 1349. — Spetta a quest’anno la costruzione della torre di Yuskek-Kalderim, « qui defendait (così il De Launay) une des principales portes extérieures de Péra ». La pietra che commemora questo fatto, non reca però altro che la data. 00 o f M • CCC • XXXXVIIII Sotto la data è l’immagine di san Nicolò, altro dei patroni della colonia, « debout, nimbè, drapé à la romaine et chaussé de (1) Che è quanto dire Io stemma di Bisanzio. (2) Veramente non ancora Serenissima. Ved. ULolice cit., dicembre 1S74, pag. 115. — 324 — sandales », per usare le parole stesse con cui il mentovato signor De Launay ce lo descrive. A destra della testa del santo si legge s. ni, ed a sinistra colava. Inoltre alla diritta dell’ immagine stanno le armi di Genova, ed a mancina quelle di Pera coi soliti quattro B dei Paleologhi (i). La lapide è tuttora murata sull’esterno della torre; e la nostra Società Ligure ne possiede una piccolissima fotografia sulla scorta della quale venne eseguita la presente incisione. 7* \ 1387. — Già nella località di Hendek, sulla prima torre a ponente di quella del Cristo. ■f m • ccc • Lxxxra • die • xxv • marcii hoc opvs FACTZ)rn • FVIT TCMPORe NOB/l/V D0//»NVS • RAFAEL • DC • AVRICl POTWtóS • PEIRE (1) De Lavjuy, cKjOtice ctc., loc. cit., pag. i»3*44« / — 325 — Veramente nella pietra non si legge più intera la data che abbiamo qui riferita, e certamente per causa di un guasto sopraggiuntole; ma ce ne stanno mallevadori così gli scrittori che prima di noi la produssero (i), come anche il Documento XXXI (pag. 150), dal quale apparisce che Raffaele D’Oria era stato eletto a succedere nell’ ufficio di Podestà della Colonia ad Eliano De Camilla, morto durante il tempo della sua dignità nel 1386. Rileviamo inoltre pel Documento XXIX (pag. 146) che il D’Oria usciva d’ ufficio poco dopo la data della presente iscrizione, giacché sotto il 27 di maggio comparisce il successore di lui Giovanni Da. Mezzano. La figura che campeggia nella pietra, al disotto dell’epigrafe, è quella dell’arcangelo san Michele, avente a destra lo scudo colla croce di Genova, ed a sinistra quello coll’ aquila coronata dei D’Oria. Vedasi la Tavola VII. 8. 1390. — Il Waddingo ragionando della chiesa di san Francesco, già mentovata al num. 5, scrive così: « Prope portam ecclesiae qua transitur ad claustrum, iacet nobilis vir Brancha de Spinolis, defunctus anno mcccxc, die iv maii » (2). 9- 1397. — Sull’ultima torre che innalzavasi presso il fosso della cinta, dal -lato di Kassim Pacha. f M i CCC : LXXXX : VII : Al disotto della data sono scolpiti lo stemma di Genova nel centro, ed ai lati due scudi di sette sbarre procedenti da destra a (1) De Launay, lijOlice sur Us fortijicalions de Galala, num. 4; Id., ‘KjOlice sur le vieux Galala, loc. cit., pag. 114; Vigna, Di alcune iscrizioni genovesi in Galala, pag. 21, num. 1. (2) A • QVC • SVB • TANTO • DVCE • GVBErNAT ivbe/zte • Poside • peire • de • Francis • potiate • filipo. Ved. Tavola X. 15-16. 1430 e 1432. — Dal Waddingo. « Prope Baptisterium ('ecclesiae sancti Francisci) iacent Andreas de Grimaldis Andreae filius, qui anno m cccc xxxii die 1 novembris, et Leonardus de Spinulis qui anno m ccccxxx die x septembris obierunt » (1). 17- 1434. — Dallo stesso. « Non longe distat (ab ostio nempe ecclesiae supra di:tae) sepulcrum marmoreum magnifici domini militis Caroli Lomelini praefecti classis genuensis, defuncti anno m cccc xxxiv die iv septembris » (2). 18. 1435. — nella torre della via Stupondij, alla riva del'mare, presso I’ Ammiragliato (3). Dei tre scudi che le sovrastano, quello a destra reca la croce di Genova, e quello a sinistra lo stemma De Marini; nell’altro liscio, in mezzo, dovea forse scolpirsi 1’imagine del santo dal cui nome la torre s’intitolava. 00 o o •}• M • CCCC • XXX • V • TEMPORE • SPECTA BILIJ • BOmim • STEPHANI • DE • MARINI* • POTW/AT/V Ved. Tavola XI. (1) Annales etc. , loc. cit. (2) Loc. cit. (3) Vigna, “Discorso ccc., pag. 2i, num. 3; De Launay, TColice ctc., pag. 173-74. — 329 i9. 1440. — Già nella piccola torre della via Tabak-Hanè (1). Stemma di Genova al centro; a destra quello del Doge Tommaso Fregoso, ed a sinistra l’arma Spinola. SPECTABILE ET NOBILIS • DOinmvS NICOLAVS • ANTHONIW! • SPINVL# POTW/AS • PERE • HOC • OPVS • FIERI o o IVBSIT • M • CCCC • XXXX • DIE • X . • AVGVST i. Ved. Tavola XII. 20. 1442. — A Hendek, nella torre quadrata annessa alla casa di Alì Effendi, sul margine del fossato che in seguito venne riempiuto (2). La lapide fu trovata nel 1864. Stemmi come nella precedente. -j- SPECTABILÙ • ET • NOBILIS • VIR • DOMINVS • NICOLAVS • ANTONIVS • SPINVLLA • QUONDAM • DO miti l THOME • POTESTAS • PERE • ET IANVENSIV7» • IN • TO TO • IMPERIO • ROMANIE • CONSTRVI • FECIT • HANC O TVRRIM • ET IN PAVCU • DIEBV5 • CONSTRVdtfmV • M . CCCC • XXXX • II DIE . Vini. MAY Ved. Tavola XIII. 21. 1442. — In questa torre aveavi pure un’ altra pietra, nella quale era scolpito semplicemente lo stemma Spinola (3). (1) De Mas Latrie, “NjOles ctc., pag. 494; Vigna, “Discorso ecc. , pag. 22 , num. 4; De Launay , “NjOticc ctc., pag. 174. (2) De Launay, Op. cit., tltflict etc., pag. 175. (3) Id., Op. cit. , pag. 113 c 232. — 33° — 22. ' i442< — A Hendck, nella seconda torre dopo la Cristèa (i). Stemmi come nelle due lapidi precedenti. f SPECTABILÈ ET NOBILE • VIR • DO/MiNVS • NICOLAVS ANTH0WWS • SPINVLA • POTESTE • PEIRÉ ET IANVEN SIVW • IN TOTO • LMPmO • ROMANIE • TemPORE • SVI REGIMINE • ANNI • SÉCVNDI • IVXIT • HANC • StfCVNDAM . © O TVRun • CONSTRVI • M • CCCC • XXXXII • DIE • XX • O CTobris • MANDANS • VOCHAKI • SailCtCìm • MARIAM. *J* Ved. Tavola XIV. ’ 23. 1442. — Aggiunge il De Launay che nelle demolizioni delle due torri fatte costrurre in quest’ anno dal Podestà Nicolò Antonio Spinola, si rinvennero due sculture esprimenti la Madonna col Bambino in braccio, fiancheggiata da due santi « nimbés et vètus à la romaine » (2). Probabilmente uno di essi era il san Bartolomeo, di cui abbiamo la fotografia, e che perciò vedesi prodotto nella Tavola XV. L’immagine del santo è collocata fra quattro stemmi: due in alto colla croce di Genova, e due in basso colla scacchiera degli Spinola. In cima alla pietra si legge: sanctvs bartolovievs e questo potrebbe forse contraddire alcun poco la nostra ipotesi, se dovessimo prendere alla lettera le espressioni del medesimo De Launay, il quale afferma « ces pierres sans aucune inscription ni date ». Ma quella intitolazione apparisce così poco nettamente, che può benissimo essergli sfuggita, se pure non si ha da credere che fosse coperta di calce allorquando la pietra venne smossa dal suo luogo. (1) De Lauuay, HjClice etc., pag. 176. (J) Id., Op. cit., pag. 232. » — 331 — 24- 1443- — A Hendek, nella torre di cui al num. 22 (i). Stemma di Genova; a destra quello del Doge Raffaelè Adorno, ed a sinistra quello dei Grimaldi. f HEC • TVRRIS • FVIT • PERFICTA • TE MP0RE • SPECTABILI* • DOffMNI • BORVELI* o o o DE • GRIMALDIS • M • CCCC • XXXX III. Ved. Tavola XVI. 25. 1445. — Sopra la torre in via Kalè, oltrepassata di poco la porta di Top-Hanè (2). Stemma di Genova; a destra l’Adorno, a sinistra il Marruffo. 00 o f M • CCCC • XXXXV • COMPLETA • EST HEC • TVRRIS • TEMPORE • POTESTAC IE • SPECTABILI* • DOWWI • BALDASARIS • M ARRVFI • DE • MENSE • MAIL 5*6 Ved. Tavola XVII. 2 6. 1446. — Sopra la porta di Moum-Hanl, (3). Stemmi come nella precedente. 00 o IHWfS M CCCC • XXXX VI • MAY EREXIT • PRETOR . MARRVFFVS • BALDASAR • ISTA • MENIA • PLVS • ALIIS • NOBILE • FECIT • OPVS •' GRANDIS • IS • ASPECTV • FORMOSV* • HVMANW • HABVWDAW* ELOQVIO • INGENIO • IVSTICIAQVE • PARI £»§ HEC • SIBI • SERVABVWT • ROMANVW • MVNERA • NOMEN CVNQ.VE • DIIS • DIVVM • CVMQVE . CELEBRE • VIRW. Ved. Tavola XVIII. (1) De Mas Latrie (clic però legge 1433), 'K.olcs etc., pag. 492; Vigna, ‘Discorso ecc., pag. 22, num. s ; De Launay, ’O.oticc ctc. , pag. 177. (2) De Mas Latrie, 'Koles ctc., pag. 495; Vigna, Discorso, pag. 22 , num. 6 ; De Launay, ’KjoIìcc , pag. 178, num. 13. (3) De Mas Latrie, ‘Motcs ctc., pag. 493, dove però legge 1436, con errore scusabile per la rottura della pietra; Vigna, Discorso, pag. 22, num. 7; De Launay, Itoticc, pag. 251 , num. 14. — 332 - 27. 1446. — A Monm-Hanè, sovra la porta per cui si entrava alla così detta Citi fratifaise (1). Stemmi come ai num. 24 e 25. A T A 6 HI Tl'XHI BALTASARI • B • Fl/lO • MARVFO • GALATEAEH • VIVS • BIZAN TIANAE • PERAE • THRAEiVw • IN • BOSPHORO • CLARISSIMAE. genvensivm • coloniae • sene • Merenti • PRAETORI $36 QVI • MAGISTRATVM • QVEM • SVSCEPERAT • DIGNE • GERENDO SVBVRBANIS • HAC • IN PARTE • MOENIBVS • AMPLIATIS • ET • AD CHRISTEAM • TVRRIM • A NAVISTATIO • PRISCAE • ALTITVDINIS DVPLO COLLATIS • COLONW/M • IPSAM • TVTIOREM • EXIMIE • PROPA GATAM EXORNATAMQVe • FORE • CVRAVIT GENVENSES • AC • SVBVRBANI • GALATEI CIVES COLONIQVE DEDERE O YEesvS M............ Ved. Tavola XIX. 28. 1447. — Già nel muro esteriore di una casa che sorgeva nella via Keumurdij, al num. 5, e fu poi interamente distrutta da un incendio (2). Scudi di Genova, Fregoso a destra e Fazio a sinistra. SPECTABILIS • ET • EGREGIVS • DOMIWVS LVCH1NVS • DE • FACIO • POT«?AS • HOS ■ MVROS 00 o CONSTRVI • FECIT • M • CCCC • XXXX VII. Ved. Tavola XX. Il Mas Latrie ed il Vigna riferiscono la medesima epigrafe, con qualche variante nella lezione; ma cade ogni dubbio che possa trattarsi di due pietre diverse, considerando che anche quest’ ultimo ne addita la posizione nella strada Keumurdij. (1) De Mas Latrie, pag. 495 ; Vigna, pag. 23, num. 8; De Launay, pag. 228 c segg. , num. 18. (2) De Mas Latrie, pag. 494; Vigna, pag. 23, num. 9; De Launay, pag. 226 , num. 15. — 33 3 — 29. 1448. — « Cette pierre (scrive il De Launay) a été tlecou-verte par nous, au fond d’un magasin, sous des cordages, des ou-vrages de vannerie et autres marchandises, dans le mur de Haviar Han, sur lequel était appliquée la construction moderne d’un magasin. Ce magasin n’existe plus ». E convien dire che nella demolizione del medesimo la pietra non andasse immune da gravissimi danni ; -perchè mentre il lodato autore 1’ affermava « parfai-tement bien conservee », si vedrà del fac-simile che le quattro linee di scrittura sono tutte mancanti nel loro cominciamento e fin presso a metà, nè più esistono i tre stemmi, di Genova, dei Fregoso e de’ Vivaldi, che già soprastavano allo scritto medesimo. Per la lezione della lapide dobbiamo dunque in molta parte accontentarci di quella che ce ne dava il fortunato scopritore (1). sub • felici • dominio • invstris • • Domini • • iani • De • canpofregoso ianvensivm • dvcis • , dignissimi • regente • spectabiu domino • benedicto • de • vivàidis • potiate • pere • O O O # ^ # o m • cccc • xxxx • viii • die • xx • decenbris . 5*0 Ved. Tavola XXI. 30. 14^2. — Sulla postierla a levante della Cristèa, dentro al cortiletto della casa Meyer (2). Fra le due prime righe e le tre ultime, campeggiano in alto le chiavi papali sormontate dalla tiara; e sotto in una sola linea, gli stemmi di Genova al centro, dei Fregosi a destra, dei Lomellini a sinistra. f m cccc lu die vrim\ aprilis NICOLAVS PAPA QWNTVS IANVEN*/* tempore • spectabilis • Domini • angeli • ioimwkis lom elini potestatis pere svb dvc atv ILL vstris • Domini • Domini • petri • de • campofr^oso • ianw • dvcis Ved. Tavola XXII. (1) De Launay, ‘KjOtiu ctc., pag. 116, num. 16. (2) Guglielmotti, Storia iella marina pontificia, voi. II, pag. 180; De Launay, ‘ìLotict etc., pag. 227 , num. 17. — 534 - i----— Sopra la porta della fortezza genovese del Bosforo, alla sponda asiatica, ed alla punta del Promontorio sacro (r). FORTALITIVM PROMONTORII SACRI INIVRIA TEMPORVM DIRVTVM VINC. LERCARl’ CIVIS IANVENSIS PROPRIIS EXPENSIS RESTITVIT ET AD MARE VSQVE PROTRAXIT A . . . . M............ 32. 1513. — Di una iscrizione concernente a Pera, e spettante a quest’ anno, forniva notizia il rimpianto signor Belin al Presidente della Ligure Società di Storia Patria, colla lettera che qui pubblichiamo. Péra, le 21 avril 1875 Monsieur le P resident, M.r le Baron Alfred de Testa, fils du feu Jgnace de Testa, au-teur du Recueil des traités de la Porte Ottomane, vient de me donner communication, pour l’insérer dans ma prochaine édition de l’Hi-stoire de l’Église Latine de Constantinople, d’une nouvelle inscription de Galata, avec copie certifìée d’une note écrite à ce sujet pour son grand pére, né en 1768, décédé en 1839. Pensant que la connaissance de ce document sera de nature à intéresser la Società Ligure, je m’empresse, y’etant d’aillieurs autorisé, de vos adresser, du tout, la copie ci-après. « Trovai una lapide mezzo rotta, e questa esiste tuttora e si conserva dal signor Carlo Testa, primo dragomanno dell’I. R. (1) Sauli, Colonia dei genovesi in Galata, voi. II, pag. 42; Serra, Storia dell’ antica Liguria e di Genova (ediz. Capolago), voi. Ili, pag. 179. — 335 ~ Corte d’Austria, nella sua propria casa di pietra nuovamente fabbricata a canto di quella dei signori Franchini, sulle quattro strade; la qual lapide, a cui manca un pezzo, e precisamente quello che conteneva le armi, porta l’iscrizione e forma seguenti : .............MDXXIII .......7W0ENIA HAEC TEREMOTV DESTRVCTA ANDREAS TESTA PROPRIO AERE REEDIFI CAVIT « Quell’ Andreas Testa è il primo di questa famiglia, che trovo stabilito in questa città. Non so se questo è venuto qui da Scio (ove la famiglia Testa era stabilita dal tempo dei genovesi) dopo la presa di Costantinopoli li 28 maggio 1453, o pure se egli era discendente da altro Testa che qui si trovava in quell’ epoca. Quest’ultima supposizione è più probabile, mentre considerando che soli sessanta anni dopo detta ultima epoca egli riedificò col proprio danaro un muro della città di Galata, si puoi ragionevolmente credere che esso era figlio di un Testa che si trovò qui, all’epoca della presa di Costantinopoli, fra li genovesi signori di Galata che capitolarono con Mahometto II per la resa di questa cittadella, e che distrutto un muro di questa che continuò molti anni ancora, dopo tal capitolazione, ad essere in forza di essa governata dagli stessi signori genovesi, lo volse ristabilire a proprie sue spese. Rovinandosi successivamente le mura della città, qualcuno della famiglia Testa trovò il mezzo di ritirare presso di sò detta pietra, che fu conservata sin ad oggi nella casa di essa famiglia appartenente ora al signor Carlo Testa ». A ma prióre, monsieur Alfred de Testa a bien voulu faire des recherches pour retrouver cette pietre, cornine aussi l’endroit des muràilles où elle avait été placée; mais ses investigations sont, malheureusement, restées sans résultat. Cette pierre, retirèe ou pour une raison ou pour une autre, de l’asile où elle avait étè déposèe, a disparii; et l’on ignore, aujourd’hui, ce qu’elle est devenue. Tou-tefois, cornine on ne saurait mettre en doute l’existence de cette inscription dont une partie de la figure et le texte sont conservés dans les papiers de la famille, ce document, a part tout interet particulier, offre cette iniportance qu’il atteste, uns fois de plus, la conservatoli des raurailles de Galata par le vainqueur, et constate, en outre, la faculté laissée aux habitants de reparer les parties dégradèes ou tombées ou ruinées. Je suis avec respect etc. Belin. 33- 1610. — Già nella chiesa di Santa Maria di Castello in Genova, e propriamente nella cappella del deposito delle reliquie trasferite da Pera (1). CATALOGVS SACRARVM RELIQ.VIARVM IN HOC SACELLO RECONDITARVM ANNO DOM. l6lO DIE 2 MAIL EX CAPITIBVS SANCTORVM PAVLI ET BARTOLOMEI APOSTOLORVM. LAZARI Q.VATRIDVANI ET DIONISII EPISC. ET MART. CONSTANTINI IMPERATORIS ET AGAT.E tlRG. ET MART. EX BRACHIO S. IO. BAPT. EX DIGITO S. M. MAGDALEN£. brachivm s. PLACEDI.E VIRG. manvs S. STEPHANI PROTOMART. DIGITVS S. LAVREMTII MART. EX TIBIA S. PAVLI |aPOST. ITEM RELIQVLE SANCTORVM PHILIPPI APOST. ET IGNATII MART. MAVRITII ET COSMEE MARTIRVM VRBANI ET BLASII MARTIRVM PETRI MARTIRIS ET ERASMI MART. GREGORII PAP.E ET ANTONII ABATIS MARTINI ET RAPH£LIS EPISCOPOR. DANIEL1S PROPHET.E ET MARGARIT.E VIRGIKIS. DE CAPPA S. VINCENTII CONF. DE CILICIO S. CATHERIN.E SENENS. CAPSVLA ARGENTEA PARVA CVM MVLTIS RELIQ.VIIS , ET CAPSVLA LAPIDEA PLENA RELIQVIIS SANCTORVM Q.VORVM NONINA SVNT IN LIBRO VITjE. D. O. M SANCTORVM RELIQVI.E HACTENVS IN SACRARIO ASSERVAT.E HOC IN SACELLO TECIS ARGENTEIS PIORVM ELEMOSINIS INSTRVCTIS INCLVSAE RECOXDIT.E FVERVNT ANNO DOM. l6lO DIE 2 MAII IN ACTIS PETRI MATTHI.E TVBINI NOTARII. (1) \ci. Docum. CLXVI, pag. 281; Vigna, llluslra{ioiie ecc. dell’ antichissima chiesa ii Santa Maria di Castello, pag. 186. ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XIII. — FASCICOLO III GENOVA TIPOGRAFIA DEL R. I. DF, SORDO-MUTI MDCCCLXX1X UN’IMPRESA CONTRO GENOVA SOTTO IL REGNO DEL DUCA LUDOVICO DI SAVOIA NARRATA DAL SOCIO GAUDENZIO CLARETTA Atti Soc. Lig. St. Patri*. Voi. X.111, Fuse. 111. 22 a maggior parte degli storici, tanto antichi quanto recenti, che discorsero di Ludovico figlio dell’accorto e sagace Amedeo Vili, il quale regnò per il non breve spazio di venti anni (1440-1460), uno ore sono concordi nel riconoscere qual debole successore s’avesse avuto il principe, che meglio d’ ogni altro della sua dinastia, aveva nei quarantanove anni di regno saputo crescere ed assodare lo Stato. I pregi della persona non andavano in Ludovico congiunti a quei dell’ animo, e dagli scrittori nostrani ei viene definito leggiero, volubile, incostante ; difetti gravi in un principe, e che non possono essere compensati dalle qualità di pio, amorevole dei popoli, affezionatissimo della giustizia, qual cel dipinse lo storiografo della famiglia, Samuele Guichenon. Forse, ove il cielo benigno avessegli donata a compagna del viver suo una principessa di spiriti elevati, - 340 — capace ad essergli accorta e previdente consigliatrice, le faccende del suo stato avrebbero potuto assumere un indirizzo più soddisfacente, ma in questo la sorte gli fu noverca. Per riconoscenza ai servigi da Amedeo Vili ricevuti, Giano re di Cipro sin dal 1431 avea promesso di sposare la sua figlia maggiore Anna, avuta da Carlotta di Borbone, al primogenito del duca di Savoia, pur di nome Amedeo ; ma questo morto nell’ anno istesso, fu fermato il proposito sul fratello Ludovico, divenuto poi duca di Savoia, e di cui orfi si discorre. Cotal matrimonio già sin d’allora, da quel sagace conoscitore degli uomini, Enea Silvio Piccolomini, che fu poi papa Pio II, e che allora era segretario di Felice V antipapa, cioè del duca nostro Amedeo VIII abdicatario, veniva definito seme di guai futuri, osservando egli assai bene che una donna, la quale non avrebbe potuto obbedire, erasi congiunta ad un uomo, che non avrebbe mai saputo comandare. Profetico vaticinio, poiché il povero Ludovico non governò egli solo, ma lasciossi reggere dalla bella ed ambiziosa duchessa, datasi a sperperare 1’ erario in prò de’ suoi Lusignani e Cipriotti favoriti e congiunti, che venuti fra noi a nugoli, furono cagione poi di fazioni intestine, non poco perniciose (1). Fra i principali stranieri che s’ annidarono a quei dì nel nostro paese, tiene posto eminente un cugino della duchessa Anna, Lancillotto di Lusignano, che, sebbene non accennato nelle genealogie de’ Lusignani da me consultate , dai documenti che esamineremo, ci risulta con- 0) Fu in quei tempi che tenne la dignità di Vicario di Torino persino un semplice scudiere della duchessa, Pierino di Antiochia di Cipro, che nel 1447 eleggeva a suo luogotenente Filippo Vasco di Vigone. Cfr. i protocolli ducali. giunto del nostro duca, ed insignito della dignità di principe della Chiesa. In breve spazio di tempo Lancillotto divenne uno de’ principali consiglieri del giovine duca, ed a lui veggiam commesse ambasciere di momento, e lo vediamo intervenire alla stipulazione de’ più importanti atti concernenti la corona, e ricever doni e benefizii dalla corte di Savoia. Ma limitandoci a quanto é argomento, di questo tema, basterà dir qui, eh’ ei compare agente principale in un impresa macchinatasi a quei dì contro Genova, e che 10 crederei ordita dallo stesso cardinale di Cipro, come soleva denominarsi nei documenti.- E di quest’ impresa per 1’ appunto intendiamo discorrere, narrandola in tutti quei particolari che i documenti rinvenuti ci consentono di rivelare. Gli scrittori coevi, vuoi genovesi, vuoi nostrani, passano sotto silenzio codesto avvenimento. Il Chiesa ed 11 Guichenon lo tacciono nelle loro pagine. Il primo, verosimilmente per non averlo conosciuto; il secondo piuttosto per riguardo del suo uffizio, non reputando conveniente ricordare nella sua storia imprese fallite, né guari onorevoli. Tali riguardi, trattandosi special-mente di età assai remota, più non potevano aversi dal-1’ erudito e compianto nostro Luigi Cibrario, il quale nel-1’ utilissima sua opera delle Origini, progresso ed istituzioni della Monarchia di Savoia, accenna all’anno 1452 ad un trattato conchiuso dal duca con Ludovico Campofregoso, Raffaele e Barnaba Adorno e certi altri non nominati, e eh’ ei dice avesse per iscopo di acquistar Genova con tutti i suoi dominii cismarini e trasmarini. Aggiunge il nostro storico, che a tal fine il duca deputò per amba- — 542 — sciatore segreto Agostino di Lignana abate di Casanova, ma che ogni speranza dileguossi, giustificando il consiglio di Felice V, che lo ammoniva di guardarsi dai partiti troppo larghi (i). Ma sebbene alcuni de’ Genovesi con cui il duca, secondo il Cibrario, avrebbe trattato segretamente nel 1452 compaiano pur anco nel documento, di cui intendiamo discorrere, tuttavia ben altra sembraci l’impresa in qui-stione ; nè con essa mirava punto il duca alla conquista del Genovesato. Che se per un principe avido di allargare il suo dominio, può essere tollerata 1’ impresa or accennata, quest’ altra, di cui ci facciamo a parlare, non aveva già eguale scopo, limitandosi a soppiantare segreta-mente un governo, o buono, 0 men buono, ma legittimo, per tentare di rimetterne un altro d’ esito incerto, e figlio di congiure, ed intanto ricavarne un esiguo vantaggio per sol futile oggetto. Ecco il fatto. La repubblica genovese a quei dì era un corpo infermo. Morto nel dicembre del 1448 ^ C^0&c Giano Fregoso (2), venivagli dato a successore il fratello Ludovico, uomo incapace a frenare gli indomiti cenelli onde si tentava di sconvolgere la pubblica quiete in Genova, come n’ è prova la sua deposizione avvenuta nel-1’ anno seguente. Or bene, tali essendo le condizioni della repubblica, i nostro duca non dubitava nel febbraio del 1449 ^ con~ (1) Pag. 95 ediz. di Firenze 1869. (2) Figlio di Bartolomeo già governatore di Sarzana, e di Cattcrin.i deg 1 Ordelaffi di Forli. Nel 1438 aveva governato la Corsica; c nel 1447 deposto i doge Barnaba Adorno, egli potè conseguire la suprema dignità tenuta breve tempo, sebben energicamente. - 343 — chiudere un trattato segreto con Raffaele Adorno (i) agente principale e rappresentante i soci suoi nell’ardua impresa Pietro Spinola e Barnaba Adorno, i quali avidi del dominio, col solito pretesto di voler provvedere al maggior bene della loro patria, non dubitarono intanto di chiamarvi l’intervento straniero, e lordarla di sangue e ruberie.' E qui si può dire che s iniziasse il principio, a cui poi di continuo tennero d’ occhio i successori di Ludovico, i quali sempre si valsero delle occasioni, loro sembrate propizie, per avanzarsi nella Liguria. Prudentemente il duca non intervenne in persona al trattato, e compari a nome suo il cardinale di Cipro, Lancillotto di Lusignano, che tenne le fila del negozio, ed usò in persona coi nominati Genovesi. Però, affine di non indurre sospetto in patria, un solo di loro veniva a Torino, con tutte quelle cautele occorrenti per simili 'intraprese. Questi era Raffaele Adorno, che a sua volta rappresentava il fratello Barnaba e Pietro Spinola, come or si disse, uom del resto più atto che mai alla bisogna, in-quantoché come dottor di leggi poteva esser fornito della capacità e malizia necessaria in simili imprese, e d’ altronde già egli aveva servito il duca Ludovico, sin dal 1441, quando s’abboccò con Pietro di Mentone signore di Montrottier suo inviato, allorché trattavasi della deposizione del doge Tommaso Fregoso, e del modo (1) Figlio di Giorgio e di Pietrina Montaldo. Eletto nel 1443 doge, ebbe tal dignità per quattr’anni, essendogli succeduto il fratello Barnaba. Morì nel 1450. Nel 1574 si stamparono a Venezia le Epistolae pricipim, sive mundi procerum, e fra le altre in nome dell’Adorno allora doge quella del 1445 PaPa per sollecitare la canonizzazione di S. Bernard:no da Siena. — 544 - di fare prestare dai Genovesi 1’ obbedienza a Felice V. Il trattato, di cui non ebbero contezza i nostri storici, veniva compilato, conchiuso e sottoscritto colla massima segretezza, nella casa del torinese Simone di Moneta, abitata dal Cardinal di Cipro, anzi nella stessa sua camera cubiculare, ed alla presenza di persone di tutta fiducia, quali si erano Antonio Bolomier e Francesco Cerrati percettore generale del Piemonte, ambedue consiglieri del duca, ed Antonio della Cavanna di Novi. Esordiva colle solite frasi generali e speciose tendenti a legittimare l’atto. Quindi il cardinale, a nome del duca Ludovico prometteva a Raffaele Adorno ed a suoi compagni di fornir loro tre o quattro galee di tutto punto, sia in fatto di armamento che di ciurma e vettovaglie, coll’ aggiunta di duecento uomini capaci e buoni, di cinquanta fanti, e questo pel mese vegnente di marzo. Prevedendosi il caso in cui non si potessero avere per quel tempo le galee, e poiché non volevasi con tale impedimento danneggiare la spedizione, prescrive-vasi che si avessero a depositare dal duca su qualche banca di Avignone od altrove, cinque mila ducati d’oro, a fine di provvedersi di altre galee, lasciandoli in deposito sino al quindici del futuro mese d’aprile. Ob-bligavasi inoltre il cardinale a che il duca, ad ogni richiesta dei genovesi contraenti, fosse tenuto a dar loro per lo spazio di due mesi Bonifacio di Castagnole, che verosimilmente era uno de’ buoni capitani piemontesi dell’ esercito ducale, con trecento cavalli e cinquecento fanti, con facoltà di ritenerlo anco per maggiore spazio di tempo, purché in questo secondo caso eglino fossero tenuti a fornirgli del proprio gli acconci stipendi. — 345 — I Genovesi suddetti poi obbligavansi dal canto loro a fornire al duca i necessari sussidii, appena si fosse da loro conseguito il dominio di Genova, ed il duca da parte sua prometteva loro, che fintanto si fossero mantenuti nell’ imperio, potessero avere facoltà di estrarre dal suo stato tanta quantità di biade e vettovaglie, quanta non potesse poi far temere di una carestia. Per compenso de’ servigi che loro rendeva il duca di Savoia, i contraenti Genovesi obbligavansi, col vincolo ipotecario de’ loro beni, di far accettare per lo spazio di dieci anni uno de’principali nel governo della repubblica, eh’ eglino sceglierebbero fra i nomi che proporrebbe il duca. Più notevoli ancora erano le seguenti obbligazioni da lor contratte. Ove avessero eglino ottenuto il dominio, dovevano fornire al duca due galee, con equipaggio acconcio, ed armate convenientemente, oppure cinquecento bombardieri o balestrieri, per lo spazio di tre mesi, e così pure a qualunque richiesta del duca; e tutto questo per valersene ad acquistare il regno di Cipro, ' sempreché illustrissimus genitor dicte dominacionis, habebit titulum et possessionem dicti regni, per quem dictum regnum spectet dicto illustrissimo genitori. Verificandosi il caso che il duca potesse conseguire quel dominio, 1’ Adorno e lo Spinola obbligavansi a condonare al duca l’annual censo che il re di Cipro soleva pagare alla repubblica per la maona (i) di Cipro, il qual consi- (i) La Maona di Cipro, era una società che formavasi trattandosi di spedizioni della repubblica per Cipro, per fornir a questa il danaro, i viveri e le galee, di cui aveva bisogno. Ebbe principio intorno al 1373 allorché la repubblica annunziò l’intendimento di sorprendere l’isola di Cipro, e riunì un capitale di 400,000 ducati rappresentanti 1,600,000 bisanti bianchi. Vedi De Mas Latrie, Histoire de l’ilc de Chypre. — 346 — steva in otto mila ducati, ossia quattordici mila fiorini j genovesi. Similmente pattuivasi, che nel caso di prospero successo si avesse a conchiudere una ferma e stabile alleanza col nostro duca, ben inteso che questa non avesse a ripugnare ai patti conchiusi. Oltre ciò stabilivasi ancora che gli armati, i quali s a-vessero a raccogliere in Genova per servizio del duca, dovessero far uso delle insegne sue. Finalmente i Genovesi contraenti promettevano ancora, ottenuta l’impresa, di restituire al duca quanto s’era dovuto spendere, e per 1’ allestimento delle summento-vate galee, e per gli uomini all’ uopo assoldati. 11 contratto dal lato dell’ interesse era senza dubbio eccellente in risguardo del duca, poiché dato il caso che fosse riuscita l’impresa, egli veniva ad essere risarcito dei danni che avesse potuto avere, come delle anticipazioni di danaro e di armigeri, di cui s’ obbligava. Né, ove i Genovesi contraenti avessero mancato di attendere ai loro doveri, il duca poteva incorrere in alcun detrimento , poiché eravi il sussidiario vincolo dell’ ipoteca dei loro beni immobli e mobili; e si sa, che questi secondi specialmente, potevano già sin d’ allora offrire ampia e confortante garanzia, per le dovizie ingenti, e per le considerevoli somme di denaro che avevano i Genovesi sui banchi principali, e sullo stesso loro rinomatissimo di S. Giorgo. Il trattato suddetto non fu una parola morta, poiché comunque, si tentò l’impresa, valendosi il nostro duca, come dicemmo, dell’ opportunità che poteva offrirgli la condizione a quei di della repubblica. — 347 — Anco su questo punto gli scrittori da me compulsati mantengono il più assoluto silenzio, ma ricorrendo ai documenti, le notizie zampillano come da ricca vena. Ritroviamo infatti che il ventisei gennaio del 1449 il duca commetteva al signor di Luirieu, governatore di Nizza, d’informarsi del numero di navi e galee che fossero per approdare a quel porto, come altresi se fosservi galee di Borgogna e Catalogna, procurando in tal caso di trattenerle per conto suo, indagando accuratamente per qual tempo sarebbero disposte a servirlo. Poi veggiamo esservi nell’ anno istesso una quitanza del nobile Giovanni Piche-nino de’ Migliorati da Fermo, capitano di ventura (non sappiamo se della prosapia dei rinomati perugini Nicolò, Iacopo e Francesco) per la somma di 500 ducati a titolo di prestanza, per 1’ assoldamento di cinquanta lancieri ai servigi del duca. Ora sebbene risulti che nello stesso anno il duca Ludovico dovette battagliar non poco contro Friborgo, per il che facevagli d’ uopo gente d’ arme, tuttavia non é men vero che codesti dispendii e codeste determinazioni, possono anco riferirsi alla spedizione di Genova, cui concerne senza dubbio la provvista sumenzionata di galee, estranee a quella città dell’Elvezia. Ma quel che ci conferma pienamente della spedizione armata, seguita contro Genova, è il trattato di pace che l’anno successivo conchiudevasi tra il nostro duca e la repubblica. Ciò ben ci appalesa che lasciatosi Ludovico avvolgere dalle speciose promesse di quei cittadini sediziosi, non dubitò di scendere colle sue milizie nella valle di Polce-vera, ove si pugnò per qualche tempo. E forse la fortuna erasi mantenuta oscillante alcun poco fra le due - 54« - parti belligeranti, poiché addivenivasi in seguito ad un atto di pacificazione per interposizione del genovese patrizio Giambattista Fieschi conte di Lavagna. 11 trattato seguiva in Genova nella casa di Tommaso di Campofregoso il diciasette settembre del 1450, essendo il nostro duca, rappresentato da Agostino di Lignana, abate di S. Maria di Casanova, e la repubblica dal doge Pietro di Campofregoso. In forza di tal convenzione, la repubblica obbligavasi di consentire al duca di armare in Genova, per lo spazio di dieci anni, una flotta di guerra, destinata all acquisto di Cipro, e di fornirgli delle galee ed una .parte della somma neccessaria al loro equipaggio. L’ insuccesso non attutì le mire e le voglie di Ludovico, ed ove, come testé dicemmo, il nostro Luigi Ciborio non abbia confuso il trattato del 1449 con ^ltr0> nel 1452 avrebbe nuovamente macchinato coi genovesi Ludovico Campofregoso, Raffaele e Barnaba Adorno per avere il dominio di Genova. Ed in appoggio all asserzione del Cibrario vuoisi osservare che già ai suoi dì il coscienzioso ed accurato nostro storico, e storiografo della famiglia di Savoia, monsignor Francesco Agostino Della Chiesa, all’ anno 1452 lasciò scritto, che Augustinus de Conradis Ugnane Vercellensis, abbas item S. Benigni Fructuariensis et prior S. Victoris, prope Genovam legatus ad Genuenses pro duce Sabaudiae anno 1452 P10 societate ineunda cum Antonio Campofregosio illorum duce. Se non che si sprecarono danari, si consumò tempo, s’ adoprarono invano i più accorti consiglieri della corona per imprese di nessun risultato, ed intanto in breve la Lombardia, a cui il nostro duca avrebbe po- — 349 — tuto con miglior proposito, aguzzando l’occhio, rivolgere le sue cure, doveva passar sotto lo scettro degli Sforza, incapaci però a radicarvi quell’ affetto, che forse si sarebbe conciliato 1’ augusta famiglia di Savoia, la quale non noverò alcun tiranno. Resta che si dicano ancora due parole, sul promovitore principale dell’impresa fallita, il Cardinal di Cipro. E qui per ragione di verità storica egli è mestieri rettificare alcune inesattezze del Cibrario, sebben d’ ordinario cauto ne’ suoi eruditi lavori, e fornito di molta critica. Nella cronologia de’ principi di Savoia rettificata, egli lasciò, scritto che il Cardinal Lancellotto di Cipro venne malamente dagli storici chiamato Ugo e che morì nel 1442. Ora il Cardinal Ugo di Cipro esistette veramente, e non fu confuso dagli storici, come vorrebbe il Cibrario, e nel 1442 il Cardinal Lancellotto, non solamente non era morto, ma doveva vivere ancora per lunga serie d’ anni. E queste nostre osservazioni si trovano confortate e dai documenti e dagli scrittori patrii. In un documento del 22 febbraio del 1460, relativo alla costituzione della dote della duchessa Anna di Cipro, parlasi apertamente del cardinale Ugo, già in tal anno mancato di vita. Il periodo più importante, e che rischiara il punto controverso, è di questo tenore : « In nomine domini amen per hoc publicum instrumentum presentibus et futuris hinc inde fiat manifestum quod cum in tractatu matrimonii quod postea contractum fuit inter illustrissimos principes et dominum nostrum dominos Ludovicum nunc Sabaudie ducem, tunc vero principem Pedemontium et filium illustrissimi — 35° - et excellentissimi principis domini nostri Amedei tunc Sabaudie ducis ex una parte et illustrissimam dominam Annam ex regalibus Chipri, tunc filiam serenissimi domini Ianni regis Iherusalem, Chypri et Harmenie ex altera parte, constituta fuerit primo a prefato domino Ianno patre ipsius illustris domine Anne nunc ducisse Sabaudie et ipso domino Ianno rege humanis adempto per serenissimum dominum Iohannem eius filium et fratrem prelibate domine Anne ac successorum in dicto legno Chipri dos ipsius domine Anne usque ad centum milia ducatorum. Et contra pro dotalicio ipsius domine Anne constitute fuerunt decem milia ducatorum annui redditus^ ut asseritur et promissa fuerit assecuratio assignacio seu assectacio ipsius dotalicii per prefatum recolende memorie dominum Amedeum tunc Sabaudie ducem patrem prefati illustrissimi domini nostri domini Ludovici mo derni Sabaudie ducis et socerum prelibate domine mo derne nostre ducisse Sabaudie. Et postea sequutum fuerit in contracto matrimonio inter prefatos illustres dominos Ludovicum tunc principem Pedemontium et nunc Sabaudie ducem nunc ducissam per \erbo de pre senti et carnali copula confirmato cum dos predicta non esset ut fertur integraliter soluta sed dumtaxat de ea essent recepta duodecim milia ducatorum prefatusque dominus Amedeus tunc Sabaudie dux ex una parte et reverendissimus in Xpo puter bone memorie dominus Hubo episcopus Prinestinus Sancte Romane Sedis cardinalis c Cipro vlugariter nuncupatus patruus prefate donum Anne nunc ducisse Sabaudie devenerit ad certas ut dicitur con ventiones etc. » (i). (i) Archivio di stato di Torino, Protocollo de Clauso N. 99- — 351 — Ma il Cibrario, anche senza aver conosciuto questo documento, poteva cansare l’errore in questione, ricordando come Benvenuto di S. Giorgio, autore coscienzioso e diligente, e che ebbe agio di compulsare gli archivi de’ suoi principi, all’anno 1432 avesse scritto cosi: « Alli 25 del mese di settembre in Ripaglia diocesi Gobennense precedente il trattato di Amedeo duca di Savoia, e col mezzo del reverendissimo e illustrissimo messer Ugone di Lusignano vescovo Tuscolano e cognominato il cardinale di Cipro, amministratore, barba, governatore procuratore e mandatario suo, e di Aimone vescovo di Torino, e anche per opera di Paolino capitano scudiere di esso cardinale e-altri sostituiti suoi e similmente pel mezzo di messer Secondino Natta dottore, e messer Giovanni Scarampo di Camino camerarii, ambasciatori e procuratori di Giovanni Giacomo marchese di Monferrato , fu concluso il matrimonio tra il serenissimo Giovanni di Lusignano re di Gerusalemme e Armenia e Cipro, ed Amedea figliuola del prefato marchese Giovanni Giacomo » (1). Anco il padre Monod nel suo ristretto delle rivoluzioni del reame di Cipro, accenna palesemente al cardinale Ugo arcivescovo di Nicosia, e fratello del re Giovanni II. Infine nell’opera del Ciaconio il Cardinal Ugo s’aveva il consueto elogio, ed ivi leggesi che morisse, non in Germania, come scrissero alcuni, ma sì in Savoia nell’anno 1442, essendosi in tal anno annunziata a Roma la sua dipartita. Posta fuori dubbio 1’ esistenza dèi cardinale Ugo di Cipro, veniamo ora al Lancillotto, pur denominato il Cardinal di Cipro. (1) Cronica del Monferrato p. 324 dell’edizione del 1780. — 352 — Se si dovesse prestar fede alle genealogie di quei re, egli, come dissi in principio, non avrebbe punto esistito , poiché in nessuna di quelle a me note, e che ho potuto consultare evvi di lui menzione alcuna. Ed essendo altresì omesso ne’ cataloghi de’ cardinali, e dal Ciaconio, quasi quasi si dovrebbe mettere in dubbio la sua qualità di principe della Chiesa. Ma, e la sua persona ed il suo grado venendoci esplicitamente dichiarati nel documento che pubblichiamo, ed in tutti quelli di quei tempi da me consultati, non evvi ragione per combattere tal asserto. E fra questi documenti inediti accennerò al diploma del 25 luglio del 1449 dato in Avigliana, con cui il duca Ludovico, eleggeva il nostro cardinale, plenipotenziario per definire la controversia tra Giovanni, bastardo d’ Armagnac, signor di Tournon, ed i deputati del delfino di Vienna, ove il principe commendava le loyaultè, ver tu, science proudommie et diligetice du tres reverend pére en Dieu notre tres cher et amé cousm messir Lancellot de Lusigndn Cardinal de Chippre (1). Anco gli scrittori patrii fanno menzione di Lancillotto, e mi limiterò a citare il Chiesa ed il Tenivelli. Il primo all’ anno 1450 noverandolo fra gli abati di S. Benigno di Fruttuaria scrisse : « Lancellottus Lusigna-nus cardinalis Cyprius, cuius tamen nulla mentio habetur apud Panvinium neque Ciaconium etsi esset summae auctoritatis apud Ludo vicum ducem Sabaudiae » (2). Il secondo poi, nell’ appendice alla vita di Bonifacio Ferrerò, all’ anno 1450 ci da, seguendo pure il Chiesa, (1) Archivio di stato Protocollo de Clauso 104. (2) Historia cronologica etc. - 353 — abate di S. Benigno, il Cardinal Lancellotto di Lusignano. Infine, per nulla lasciare in cotal distanza di tempi, aggiungerò ancora che il Lancellotto, nel 1446 aveva la dignità di patriarca di Gerusalemme, e come tale egli viene designato in alcuni documenti pur inediti. Quindi, e coll’ appoggio de’ documenti, e coll’ autorità degli scrittori non si può accettare la data del 1442, ammessa dal Cibrario, come 1’ anno della sua morte. 1 documenti consultati ci consentirebbero a dar maggiori notizie ancora sul cardinale di Cipro, e ci porrebbero altresì in grado di osservare, che coll’essere egli stato così intento alle cure secolaresche, e cotanto intrinseco della corte, lasciossi troppo aduggiare da quell’ ombra, onde non si potrebbe proporre certamente a modello di prelato ; ma simili particolari ci farebbero disviar troppo dall’argomento impreso a trattare, di guisa che stimiamo di porre termine a questa breve memoria. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. Xlll, Fase. 111. ‘Promissiones pacta et concessionts inhite inter reverendissimum m Christo patrem dominum cardinalem de Chipro vice ct nomine illustrissimi domini nostri Sabaudie ducis hinc et dominum Raphaelem Atidur-num suo necnon Bernabe Andurni et Petri de Spinolis nominibus inde. Torino 13 Febbraio 1449. (Archivio di Stato di Torino; protocollo De Clauso IX N. 89) In nomine sancte et individue trinitatis perhenniter triumphantis Patris et Filii et Spiritus Sancti amen. Humane nature condicio diversis fecunda nechociorum commerciis oblivionisque infecta dispendiis scripturis adminiculum salubriter aduenit ut dum horum que per modernorum presenciam contrahantur fermo in posterum durafatur! Per hoc igitur verum et publicum instrumentum cunctis presentibus et futuris fiat manifestum. Quod anno nativitatis dominice currente millesimo quatercentesimo quadragesimo nono indi-cione duodecima eorum anno sumpta et die tresdecima mensis februarii propter infrascripta peragenda personaliter presenciali-terque in presencia egregiorum nobiliumque virorum testium ac nostrorum notariorum inferius nominatorum constituti reverendissimus in Christo pater et dominus dominus Lancelotus de Lusignano cardinalis de Chypro in hac parte agens velut procurator procuiatorioque nomine ac vice illustrissimi domini nostri domini Ludouici ducis Sabaudie Chablaysii et Auguste sacri romani imperii principis vicariique perpetui marchionis in Italia et Pcdemon-cium principis Gebennensis et Baugiaci comitis baronis Vuaudi et Foucigniaci Nicieque et Vercellarum domini de suo procuratorio fidem faciens ipse dominus cardinalis patentibus literis ab eodem — 356 — domino nostro duce emanatis datis Thaurini die herina duodecima dicti mensis februarii et per me Iohannem de Clauso notarium secretariumque subscriptum signatis ex una parte et magnificus dominus Raphael Andurnus agens in presenti contractu suo proprio communitorioque nominibus magnificorum Bernabe Andurni et Petri de Spinolis pro quibus ad hec se fortem facit et de rato habendo ut infra promictit ex parte altera. Predicte vero partes scienter et ultro nullo seducte fraudis al-teriusve machinacionis seu doli insenio sed de factis et iuribus prenominatorum quorum supra nominibus agunt ut refferunc plenarie in hoc facto informati inhiunt firmant contrahunt aguntque quibus supra nominibus pacta convenciones promissiones obliga-ciones que et alia inferius particulariter et speciffice anotata. Primo quidem predictus reverendissimus in Christo pater et dominus laudatus cardinalis de Chypro promictit procuratorio nomine ducali iamdicto iuratus super evangeliis sacrosanctis et convenit dari et prestari facere per prefactum dominum nostrum ducem dicto domino Raphaelli suo et nominibus quibus supra agenti galeas quatuor vel tres bonas integras et completas bene in ordine et bene in puncto de sociis armamentis omnibus et victualibus ac omnibus aliis opportunis cum additione ducentorum proborum et utilium hominum et bene in poncto pro duobus mensibus solutorum inter quos sint tarabatanerii (i) quinquaginta et quod ipsas galeas dictus illustris dominus dux dabit et consignabit predictis domino Raffaeli et sociis ut supra suis cui vel quibus ellegerint vel deputaverint hinc et usque per totum mensem marcii proxime futui um. Et quia quandoquidem quod Deus aduertat possint occuriere casus per quos in dicto termino dicte galee haberi forte non possent ne dicti domini Raffael et socii stent impediti ad faciendum facta sua et ut in tempore facere possint provisiones quas prefactus dominus cardinalis convenit et eo nomine prefacti domini nostri ducis (i) Taraber. Historie Longobardorum ignoti cassinensi cap. 8. Obsitis siquiden vestimentis et calcia* nentis saltem nec tarabere. Tabardum tabardus, tunica seu sayum militare. Anglis tabard. Bcnhorius in lexico cambro brittannico tabar, tunica longa, chlamys, toga. Hispani tavardo, dicunt itali tabarro. ' Forse i tarabeatanerii erano fanti, che avevano tonache, a differenza de’ soldati a cavallo, vestiti con abiti corti, adatti al cavalcare. — 357 — obligat. Et ipse illustrissimus dominus dux ad omnem requisicionem prefactorum dominorum Raffaelis et sociorum realiter et cum effectu deponet et numerari faciet seu deponi in Auignione vel alibi super vno bancho quod elegerint et deputauerint ducatos auri bonos quinque millia.cum quibus si rectius et magis acomode habere poterunt alias galeas cum quibus possint melius facere facta sua eos possint habere et expendere et facere prout eis melius videbitur sane intelligendo quod dicti ducati quinque millia debeant deponi ut super hinc usque ad quintam decimam mensis aprilis proxime futuri. Item promisit et convenit prefactus dominus cardinalis ut supra agens quod antedictus illustrissimus dominus dux ad omnem requisicionem et instantiam prefatorum dominorum Raffaelis et sociorum eis prestabit Boniffacium de Castagnolis cum equitibus usque in tercentum et peditibus quingentis solutis pro mensibus dubous. Et si per plus temporis voluerint retinere dictum Boniffacium cum dictis equitibus et peditibus eum possint retinere providendo sibi de stipendiis sumptibus eorum ad racionem quam prefactus illustrissimus dominus noster dux soluit dicto Boniffacio. Item promisit et convenit prefactus reverendissimus dominus cardinalis antedicto ducali procuratorioque nomine quod illustrissimus dominus dux antedictus si et quandocumque dicti domini Raffael aut Barnabas Andurni obtinuerint vel deputati erunt ad ducatum Janue sive preheminenciam dicte civitatis ille qui deputatus erit bona fide iurabit et subsidia possibilia ac ydonea impendet. Item promisit et convenit prefactus dominus cardinalis ut supra agens quod sepedictus illustrissimus dominus dux quod diu dicti addueni stabunt in ducatu et perheminencia Janue aut in bono statu quieto concedet pro comoditate dicte civitatis Janue et pro-mictet extrahere de frumentis et victualibus de territorio suo cum suis denariis dummodo non in tanta quantitate quam inducat penuriam in territorio dicte dominacionis ducalis Sabaudie vel citra montes. Verum quum iustum est et conveniens quod beneficia et gratuita servicia gratuitis serviciis cognoscantur ne dicti domini Raffael - 358 - Bamabas et Petrus videantur ingrati de beneficio et tantis serviciis pu diauin illustrissimum principem dominum nostrum Sabaudie du«.em eis collatis cum eciam ab eo fructus et favores uberiores expe^tent ex eo dictus dominus Raffael suo et nomine et vice dic-toi um dominorum Barnabe Addurni et Petri Spmolae promisit iuramento suo super sacrosanctis Dei evangeliis manibus corporalità tactis prestito et se suorum quibus supra nominibus suaque bona quecumque obligavit et acceptabunt et facient acceptare per decem annos unum potentem in Janua eligendum per dictos dominos Raffaelem, Barnabam et Petrum de quinque aut tribus quos in Sci iptis dederit prefatus illustrissimus dominus dux cum salario consueto et aliis emolumentis debitis et consuetis. Item promisit ut ante et se obligavit predictus dominus Raffael suo et nominibus quibus supra, quod semper et quandocumque erint in preheminencia Janue et favorabiliter ad omnem requisicionem prefacti illustrissimi domini ducis sumptibus comunitatis Janue aut sumptibus eorum subueniet dicto illustrissimo domino de galeris duabus armatis solutis pro mensibus tribus aut de quingentis ba-lesteriis solutis pro mensibus tribus in electione prefacti illustrissimi domini ducis queos pocius voluerit aut galeas aut balistarios. Item promisit ut ante et se obligavit prefactus dominus Raffael suo et nominibus quibus super quod obtenta impresia Janue ad omnem requisicionem prefacti illustrissimi principis prestabunt suos favores ydoneos et possibiles pro regno Cipri semper et quandocumque illustrissimus genitor dicte dominacionis habebit titulum et possessionem dicti regni per quem dictum regnum spectet dicto illustrissimo genitori. Item promisit ut ante et se obligavit dictus dominus Raffael suo et nominibus quibus supra quod habitis possessione et titulo dicti regni ut supra remictere faciet illum annuum censum quem serenissimus Rex Cipri soluit communitati Janue omni anno pro mahona Cypri qui sunt ducati octo millia omni anno siue florenos quatuordecim millia Januinorum. Item promisit ut ante et se obligavit prefactus dominus Raffael suo et nominibus quibus supra obtenta ipsa impresia Janue firmare bonam ligam et inteligenciam cum prefacto illustrissimo domino ~ 359 — duce cum paribus et honestis formis et pro tempore quod ordinabitur dummodo non contradicet neque repugnet aliquibus premissis et obligacionibus que ante presentem composicionem facte fuissent pro utraque parte. Item promisit ut ante et se obligavit prefactus dominus Raffael suo et nominibus quibus supra obtenta dicta impresia super armatis que occurent fieri in Janua pro dicto illustrissimo domino duce Sabaudie facient portare arma sive insignia dicte illustrissime do-minacionis ac eciam firmata liga super omnes armatas quas facient Januenses. Item promisit ut ante et se obligavit prefactus dominus Raffael suo et quibus supra nominibus se et eorum bona in solidum obligando quod obtenta dicta impresia restitui seu restituere facient dicto illustrissimo domino duci omnem et totam expensam fiendam tam pro dictis galeis quam stipendiatis. Item conventum est actumque et solemniter in pacto firmatum quod premissa omnia et singula, fiant et intelligantur ad bonum sanum et verum intellectum. Que premissa omnia et singula prefacti domini cardinalis prelibati domini nostri Sabaudie ducis nomine hinc, et dominus Raffael suo necnon Barnabae et Petri predictorum nominibus inde pro-mictunt per iuramenta superius per ipsorum quemlibet prestita et sub obligacione bonorum mobilium immobilium presentium et futurorun prefacti domini nostri ducis. Dictusque dominus Raphael tam sub suorumque dictorum Bernabe et Petri obligacione bonorum mobilium presentium et futurorum quorumcunque rata grata firma et stabilia haberi facere, illaque actendi et observari de puncto ad punctum in omnibus suis clausulis videlicet ipse sepedictus dominus cardinalis per prefactum dominum nostrum ducem quantum sua interest. Et memoratus dominus Raphael actendere et observari ac actendi cum effectu pleno facere tam per se quam dictos Bar-nabam et Petrum conspiciunt sive conspicere possint. Et prenominate partes ambe in nullo contrafacere procurari vel fieri per eum et eos cuius seu quorum nominibus ut prescribitur agitur seu aliam quamvis interpositam personam quomodolibet vel veniri. Quin imo ea ipse dominus Raphael per dictos Barnabam et Petrum quantum — 360 — eos ut supra concernunt laudari confirmarique et pleno cum effectu approbari ac omologari facere sine defectu ad et per totum dictum presentem mensem februarii publico et valido instrumento infra diem ultimum eiusdem mensis eidem domino nostro duci infalli-biliter transmittendo. Et viceversa ipse dominus cardinalis equidem omnia et singula in presente instrumento annotata per dictum dominum nostrum ducem quantum eumdem concernunt, ratificari et approbari facere videlicet quam primum sibi de dicta ratifficatione confìrmacioneque et approbacione per dictos Barnabam et Petrum ut premictitur fiendam sibi constiterit publico tum et valido ut prescribitur instrumento. Renunciantes hoc ideo prenominati domini cardinales ej Raphael quibus supra nominibus et prout cuilibet ex eis congruit sub vi suorum tam prestitorum iuramentorum omnium exceptioni doli mali vis metus et in factum actioni condicioni sine causa ob causam vel ex iniusta causa exceptionique premissorum universorum et singulorum non ita rite et legitime actorum et recitatorum sicut superius scripta sunt aliter geste quam scripte et contra iuri quo lesis et deceptis in suis contractibus quomodolibet subuenitur iuridicenti factum alienum promictendo neminem posse obligari iuridicenti quam si dolus causam cederit contractui vel inciderit in contractum, quod eo casu talis contractus sit nullus, sed restitui debeat et omni alio iuri canonico civilique etiam municipali scripto et non scripto privilegio libertatibus et ceteris universis et singulis quibus contra premissa ipsorum vel aliqua facere possent dictes partes seu illarum altera quomodolibet vel venire et demum iuri generalem renunciationem reprobanti speciali nomine precedente. De quibus premissis omnibus dictus dominus cardinalis ad opus antefacti domini nostri ducis memoratusque dominus Raphael pro suo et dictorum Bernabe ac Petri interesse fieri per nos notarios subscriptos preceperunt fecieruntque et requisierunt duo et plura si necesse fuerit publica instrumenta, dictanda corrigenda et emendanda peritorum consilio et dictamine in iudicio vel non producta facti tamen substancia in aliquo non mutata. Acta fuerunt prescripta universa et singula lectaque et recitata in insigni civitate Thaurini videlicet in domo Symeonis de Moneta in qua habitat dictus dominus cardinalis in camera in qua ipse per- — 361 — noctare solet ubi testes ad ea vocati fuerunt presentes quoque et astantes videlicet discreti nobilesque viri ducales Sabaudie consiliarii Anthonius Bolomerii (i) Franciscus Cerrati receptor Pedemon-tium generalis et Anthonius de la Cavana filius quondam Gulielmi de Novis diocesis terdonnensis. Jta est. (i) Fu tesoriere generale dello Stato nel 1437. CRONACA DI GENOVA SCRITTA IN FRANCESE DA ALESSANDRO SALVAGO E PUBBLICATA DAL SOCIO CORNELIO DESIMONI Biblioteca pubblica di Berna si confa un codice cartaceo del secolo XVI 8.v0 di carte 39, segnato col n.° 281 e titolo che è premesso alla presente pubblicazione. Nel catalogo dei manoscritti di quella Biblioteca il Sinner ne ha porto una descrizione particolareggiata, notando anche alcune differenze onde tale Cronaca si distingue da altre meglio conosciute (1). Lo scritto del Sauvaige essendo stato finora non solo inedito, ma ignoto fra noi, credemmo ben fatto di riprodurlo fra gli Atti della Società, poniamo anche che nulla ci apprendesse di sostanzialmente nuovo; essendo compito nostro di apparecchiare agli studiosi tuttociò che in qualche modo riguardi la storia patria ; tanto più quando, come qui, si tratti di Autore genovese contem- * (1) Sinner, Catalogus codicum inanuscriptoruin Bibliothecae Bertiensis, Bernae, 1770, in 8.vo II. 615-27. — 366 — poraneo a gran parte de’ fatti narrati, che ci porge notizie di scritti patrii (1) e che dettò il suo lavoro in lingua straniera ; onde una qualche spiga si aggiunge alla storia letteraria, nonché italiana, di Francia. Il Codice di Berna è ben conservato e di scrittura apparentemente buona, ma, oltre a certe forme di lettere non abbastanza chiare, ha il grave inconveniente di essere una copia fatta da chi non capiva o non si curava di capire 1’ originale ; onde egli cade talora in errori evidenti, talora deve aver omesso alcune parole che compirebbero il senso, specialmente ha posto a casaccio la punteggiatura e le iniziali, e reso con ciò non poco difficile il ristabilire una giusta divisione dei periodi e degli incisi. Si aggiunga che l’Autore, dove lavorando il periodo alla latina, dove accumulando incidenti che rendono lungo ed intralciato il periodo, abbisogna, per la maggiore possibile chiarezza, di una interpunzione diligente e minuta. Perciò non abbiamo esitato ad abbondare, piuttostoché no, nel frammetterci di nostro capo le virgole, i punti e le iniziali relative; vi abbiamo sovrapposto le apostrofi e gli accenti che mancavano affatto; gli accenti non tutti, ma quelli soltanto in fin di parola e quegli altri senza i quali può sorgere dubbio sul senso nella mente del lettore. Ma ad un tempo ba- (1) Ci discopre uno scritto sul Sacro Catino (che fare ora perduto) del Cancelliere della Repubblica Nicolò de Brignali il quale è lodato dall’Annalista Giustiniani nel 1519 per buone lettere latine e studi d’umanità. Ci era pure ignoto una specie d' Onomasticon composto dall’ex-Doge Battista Fregoso. Stefano Giustiniano è noto per la sua orazione a Luigi XII al suo ingresso in Genova nel 1507, conservataci, oltreché da un Diario ms., dal Casoni, Annali della Republ. di Genova s tto quest’anno; ma il Saivago ci tramanda un altro savio discorso politico di Stefano durante la rivoluzione che precedette quell’ingresso. — 3é7 — damino a mantenere strettamente la maniera usata dal-1’ Autore e dai suoi contemporanei francesi nello scrivere le parole; maniera che mentre conserva quel quasi profumo d’antico che piace a nostri tempi, fa meglio accostare il francese all’italiano, mantenendo, per esempio, le forme che l’accento circonflesso ha cacciate via presso i nostri vicini d’oltr Alpe (chasteaulx, espovantés, costés, ecc.). Abbiamo insomma cercato di tenere la via di mezzo fra gli editori che travestono affatto alla moderna gli scritti de’ secoli passati, e quegli altri che invece li riproducono religiosamente ma in guisa che * non riesce al Lettore d’intendere senza sforzo d’ingegno. Nella quale bisogna di trascrizione, come in quella più importante della interpretazione sostanziale ci ha sopperito e di consiglio e di aiuto efficace l’illustre Conte Riant di Parigi, di cui non potremo mai abbastanza significare a parole la benevolenza e la liberalità di comunicazioni verso la Società nostra, verso noi e i nostri amici. Egli fu appunto il primo a darci avviso del-1’ esistenza del Codice e della sua annotazione nel Catalogo del Sinner, e si è anche offerto e compiaciuto di rivedere le bozze. Fu egli pure che volle fare le prime pratiche presso il signor Fettschein di Kasthofer, conservatore capo della Biblioteca Bernese, che gentilmente aderì tosto ad inviarci il manoscritto. Al quale signore come al dott. Bloesch succeduto al Fettschein, che ci favorì di maggior larghezza di tempo alla restituzione, amiamo qui esprimere i più sentiti ringraziamenti. Lo stile della Cronaca, anche a giudizio di più autorevoli che non siamo noi, é relativamente buono. È vero bensì che, oltre qualche italianismo naturale nel- — 368 — I’ Autore, vi sono parole che oggidì riescono strane ed oscure; ma le medesime s’incontrano tutte negli scrittori contemporanei come avvertiremo mano mano spiegandole; e chi non voglia (come facemmo noi) risalire alla lettura di Jean d’Auton, di Filippo di Comines, di Jean de Troyes, del Loyal Serviteur ecc., potrà incontrare la più parte di tali espressioni nei §§ storici del gran Dictionnaire frangais del Littré, e tutte nella moderna Histoire de France d’Henry Martin, il quale, traen-dole dai cronisti originali, si piacque di fiorirne tratto tratto il suo racconto. La parte grammaticale lascia più desiderii, non solo per le volture a cui mal si confa la lingua, ma talora per poca corrispondenza delle frasi fra loro e talora per un cumulo di incidenti che formano un periodo senza fine. Ma anche qui é giusto il dire che sono difetti più dei tempi che dell’Autore, come li trovo rimproverati più o meno al Jean d’Auton dal suo editore Lacroix e a Filippo di Comines nella Prefazione alle sue Memorie (i). Gli errori di data, in parte da imputarsi più che al-l’Autore al copista, abbiamo preferito raddirizzarli nel testo, ma facendone nota a pié di pagina. E siccome l’Autore non continuò il lodevole uso preso dapprima di ricordare le date de’ fatti più rilevanti, specialmente colà ove erano più necessarie vale a dire negli ultimi tempi del suo racconto, cosi pensammo supplirvi noi ma (i) Chrotiiques de Jean d'Auton publiées par Paul L. Jacob Bibliophìle (Lacroix) Paris, Silvestre, 1834, voi. I, p. X.— Mémoires de Philippe de Comines, Notice, P- Vili nel voi. IV de la Nouvelle Collection des Mémoires pour servir à l'Hi-stoire de France, par MM. Michaud et Poujoulat, Guyot 1851. — 369 — nei màrgini dirimpetto; non intendendo però ingolfarci in disquisizioni cronologiche sulle varietà che non raro si palesano tra diversi storici. Delle altre note appostevi alcune mirano a spiegare le parole oscure o a raddirizzare il senso dubbio; altre a chiarire nomi di Francesi troppo illustri nella storia italiana eppur troppo facili a scambiarsi 1’ un 1’ altro, indicati come sogliono essere pel solo titolo feudale; poche altre accenneranno a qualche punto di storia ligure, ove occorra. Specialmente 1’ ultimo capitolo della Cronaca, che tratta della Rivoluzione del 1506-1507, lo abbiamo raffrontato con un Diario ms., contemporaneo che è però di fazione opposta a quella del Sai vago cioè di parte popolare (1). Il nostro cronista si nomina da per sé Alexandre Saul-vaige de nacion gennevoise; cioè genovese, come si soleva allora dire e come si vedrà detto sempre nel testo della Cronaca. Egli ci palesa pure abbastanza gli anni in cui distese il suo lavoro, dicendo avere scritto a richiesta del Sire di Chandenier, allora Governatore a Genova per Luigi XII Re di Francia : donde si conosce trattarsi qui di Francesco de Rochechouard che tenne questo Governo dall’ottobre 1508 al 29 giugno 1512, quando cacciati i francesi fu restituita la Repubblica con Giano Fregoso per Doge. Del resto non sappiamo altro di lui, e nemmeno il nome ci avvenne trovare nei numerosi elenchi, abecedari, alberi delle famiglie nobili genovesi. Certamente i Saivago (chè tale evidentemente é il suo cognome nativo) furono illustri fin dai tempi (1) Diario delle cose del 1506, 1507; Ms. alla Civico-Beriana, nella Miscellanea di cose riguardanti la Storia di Genova Atti Soc, Lig. St. Patria. Voi. XIII, Fase. III. 24 — 370 — antichi della Repubblica; nel 1314 poi e nel 1335 gli Annalisti li annoverano come grandi di numero e di possanza, come potenti d’amici c di ricchezze, avendo deciso col loro intervento imparziale, sebben guelfi, a liberare la patria dal giogo di Re Roberto (1). Nel 1528 inscritta fra i 28 Alberghi nobili continuò ad illustrarsi nelle cariche pubbliche e specie in Paris Maria Saivago senatore nel secolo XVII ed astronomo apprezzato da Cassini, Maraldi e Bianchini (2). Ma pel tempo che viveva Alessandro pare che la famiglia si oscurasse un istante, non vedendola ricordata tra quel cozzo di persone e di passioni che per poco non misero in fondo la patria. Nel 1601 il cardinale Aldobrandini, di passaggio in Genova , accolto splendidamente da Enrico Saivago nel palazzo di Via Nuova (ora del march. Domenico Serra) vi trovava tra gli addobbi d’oro e velluto, un baldacchino che fu già della Regina Madre (Catterina de’ Medici Regina di Francia) (3). Una tradizione tra noi racconta che un ramo dei Saivaghi si trapiantò in quel Regno e che continuò a fiorire colà sotto il nome di Sauvage 0 Sauvaige, come si conoscono tuttora famiglie cosi appellate. Non so se sia da annoverarsi tra queste quel Dionigi Sauvage che nel secolo XVI pubblicò Filippo di Comines e più altre Cronache di Francia e di (1) Georgii Stella, Annales R. I. S. XVII, col. 1068. Giustiniani, Annali, 1314 e 1335. (2) Ved. il mio articolo Notizie di Paris Maria Saivago e del suo Osservatorio astronomico, nel Giornale Ligustico 1875, p. 465; 1876, p. 41 e segg. (3) Ved. Passaggio laquelle monta pour cappitaine le dit Boucicault pour les APnle Gennevoys, avecques beau nombre de gens de guerre. De quoy estant adverty icelluy roy de Chippre, inconti-nent sercha prandre party et appaiser les Gennevois et faire avecques eulx paix. Ce qui fut faict à grant hon-neur du dit gouverneur et reparacion du commun de Gennes. Puis laquelle icelluy Boucicault entreprint au-cunes choses a l’encontre de certaines hereses (?) où il aquist grant honneur, et entre les autres choses print la cité de Trippoly, maiz luy retournant à Gennes fut assailly des Veniciens par trahison, desquelz il ne se doubtoit par la paix que les Gennevois et eulx avoient ensemble, c’est assavoir IX gallaires Veniciennes contre sept Genevoises, et desquelles en fut prins trois par les Veniciens, maiz assez tost aprés fut faicte nouvelle paix entre les dits Veniciens et Gennevois, et les prisonnyers delivrez. Lan mil quatre cens et trois la cité d’Alixandrie fist esmocion par la parcialité de Guelphes et Gebelins, tant que ceulx en furent mys hors, à cause de quoy les Guelphes envoierent devers le gouverneur de Gennes requerir secours, eulx se donnans au roy de France. Parquoy le dit gouverneur leur envoia certain nombre de gens d’armes, maiz assez tost à l’aide d’un nommé Facin Can les Gebelins furent remys dedans la dite ville, et les Guelphes deboutez. En ce temps estoit scisme en l’Eglise envyron l’an mil 1409 quatre cens et neuf, pour l’election du pape Benoist et pape Gregoire, lesquelz contendoient à la papaulté, au — 404 — moien de quoy fut intimé le concille a Pise, auquel ilz furent desmis et fut creé pape Alixandre siziesme. Auquel concille allant le Cardinal de Bar et avecques luy 1 arcevesque de Reims (i), estans a ung villaige nommé Voultry, prés de Gennes cinq mille, pour un fer de chevai vint debat entre les gens du dit Cardinal et les v illains, tant que pour ce se misdrent en armes et tuèrent le dit arcevesque. T4°9 T , , . . Giù- -La mesme annee le dit Boucicault, qui pour le roy gouvernoit, à la requeste d’aucuns des Viscontes, entre-print d’aller en armes en la duché (2) de Millan gou-verner 1 affaire des dits Viscontes, ne doubtant la revolte de la dite ville. Et là estans, les Gennevois qui pour au-cunes regoritez que leur avoit usé, firent quelques esmo-cions, eulx monstrans mal contens du dit Boucicault. Au moien de quoy le marquis de Monferrat et Facin Can ses ennemys, lesquelz estoient Gebelins, vindrent à grosse puissance devant la ville de Gennes, sans ce que par les Gennevoys fussent receuz, ne aussi qu’ilz prinssent les armes. Ce que voyant son lieutenant nommé Hugues Iolyet, d’Auvergne, craignant ses ennemys et ne voyant estre secouru de ceulx de la dite ville, combien que pour luy s’armassent envyron deux mil hommes sans faire aucun effort, ains desirans plus tost le partement de luy, se voullut retirer au Chastelet; mayz en la rue de Porte Neufve fut tué par ung de la Poncevre, à qui peu de iours devant il avoit fait pendre son frére. Et ce faict, la ville du tout se rebella, et fut receu dedans le mar- co Il cardinale detto di Bari Landolfo Maramaldo Napolitano e l’arcivescovo di Reims Guido III dei Signori di Roye. (2) Duché, Comté ecc., 6 sempre femminino nei contemporanei del Saivago. — 405 — quis de Monferrat, soubz les mesmes cappitulacions et 1409 . . . rr 6 Set- articles comment avo-ent esté les ducz par avant creez tembre en la dite cité, de laquelle en demeura paisible seigneur 1’espace de trois ans et demy. Aprés lequel temps se rebella de nouveau la dite ville, et par commun conseil, veu aucunes insollences faictes par le dit marquis, fut deschassé, et lors fut esleu 1413 • • • 27 messire Georges Adorne, et depuis luy iusques à messire Marzo Ianus Fregoze furent (1). Cestuy deschassa Barnabé Adorne de la seigneurie, la quelle pour (2) avoir paisible, delibera assieger le chateau de Final, et ainsi luy envoya grant nombre de gens de guerre. Pour lequel secourir Charles VIImc, roy de France, envoya de Marceille avecques Iaques Cueur (3) troys galleaces, deux gallaires subtilles, et cent cinquante chevaux par terre : maiz no-nobstant ce, fut le dit chateau prins, abatu et demoly. Et assez tost aprés le dit Ianus alla de vie a trespas. Apres lequel fut créé due messire Perrin Fregoze dict le 14^0 Bégue (4). Cestuy fut vertueulx et hardy au faict de la cembre guerre, et par sa vertuz fut esleu à la seigneurie de Gennes. Et en icelle fist tant de nobles faitz que aucun autre au- (1) Qui manca qualche cosa; torse volea dire: da Giorgio Adorno a Giano Fregoso (30 gennaio 1447) che avea cacciato Barnaba Adorno (eletto il 4 dello stesso mese) vi furono parecchi Dogi, intramezzati dal governo di Filippo Maria Visconti duca di Milano (1421 2 dicembre a 1436 25 gennaio). (2) Il Cod. ha puis invece di pour. (3) Il famoso argentiere e Ministro di Carlo VII. Di questo aiuto di Carlo VII ai Finalini non trovo notizie altrove; ma è falso ciò che racconta la Biografia Universale che Giacomo Coeur sia stato inviato da quel Re a pigliar possesso di Genova nel 1445. Questo non avvenne che nel 1458; il Coeur era caduto in disgrazia nel 1452 e morto a Scio nel 1456. (4) Cioè il balbuziente. Di tale difetto e soprannome in questo cosi notevole personaggio non sapevamo nulla. — 406 — paravant luy en icelle dignité, et en demeura dominateur Fespace de sept ans et huyt moys, combien que en son temps eut plusieurs grans travaulx et merencolies, causées neantmoing grant partie par la picque qu’il print avecques les gentilz hommes. Car pour favoriser le menu peuple à l’encontre d’eulx, grant partie s’en allerent hors de la ville et se retirerent a Savonne, parquoy le dit Pierre se rallya du tout avecques le dit populaire, et tint le reste des gentilz hommes qui estoient demeurez en si grant subiection, qu’ilz n’osoient sortir des portes de la ville sans pleges. A cause de quoy les dits gentilz hommes se rallierent avecques ceulx de la maison de Flesque. Les Adornes et aussi aucuns de Fregozes, favorisez du Roy d’Arragon et avecques grant nombre de gens, assaillirent la ville et en occupperent partie d’icelle. Ce que voyant le dit Pierre Fregoze, se retira sur troys gallaires, sur lesquelles il demeura en la mer l’espace de deux jours, maiz puis il fut adverty que entre ceulx de dedans, ses ennemys, estoit discord de la seigneurie. Soudainement s’en retourna devers la diete ville, acompaigné de mil ou douze cens hommes et de deux de ses frères qu’il avoit laissez dedans le Chastellet, et de plain assault courut à la dite ville et deffist ses ennemys, et retourna en pos-session de seigneurie, maiz neantmoings tousiours duroit le desdaing entre luy et les gentilz hommes, et aussi la haine qu’il avoit avec Alphonce roy d’Arragon et de Cecilie, lequel en tout temps l’avoit serché de chasser, et enfìn, pour ce faire, fìst son efFort à l’encontre de luy, et arma douze carracques et vingt gallaires, avec grant nombre de gens de guerre. A quoy voyant ne povoir resister le dit Pierre Fre- — 407 — goze, pour la malveillance des nobles et peu de secours des pcpulaires, les promesses desquelz en tout temps ont esté vaynes et legieres, cornine de gens viles, ignorans quelle chose soyt foy et loyaulté, non pour autre chose que pour servitude, voyant son affaire en desespoir, pourpensa rendre l’estat de Gennes à Charles septiesme, roy de France, et pour ce faict y envoya ses ambaxades, qui fut content le recevoir, soubz condicion que la dite Seigneurie et Chastellet luy demeuroient et vingt et cinq mille ducatz payables en Advygnon. Et en ceste manière, tant pour prandre possession de la dite seigneurie, que pour resister à la guerre du dit roy Al-phonce, fut envoyé, pour le roy, Iehan due de Calabre fìlz du roy Regné de Cecilie, lequel partit de Marceille, !|58 avec neuf carracques et aucun nombre de gallaires, et le Maggio jour qu’il arryva à la veue de la cité de Gennes, à la mesme heure y arryverent ceulx du roy Alphonce. Maiz celles du dit de Calabre occuperent premierement le port, et misdrent leurs gens de guerre en terre, là encores estant Pierre Fregoze ; et ainsi de par le dit roy de France fut receu à Gennes pour lieutenant generai et gouverneur icelluy Iehan due de Calabre, et le dict Pierre Fregoze s’en desmit. Et pareillement, pour icelluy seigneur, fut esleu au dit Gennes commissaire ung nommé Iehan Cosse nappolitan, et assez tost au. commencement de la dite seigneurie vindrent iusques sur le port de Genhes les dictes douze nefz et vingt et une gallaires des Cathe-lans, avecques les Adornes, Spinolles, et ceulx du Carret, pour troubler l’estat ainsi que avons narré. Contre lesquelz fut creé cappitaine le dit Pierre Fregoze, maiz gueres n’y arresterent, voyant ne povoir en ce aucune 1459 13 Settembre — 408 — chose, et ainsi s’en retournerent, et demeura paisible l’estat de Gennes aux Fran^oys, et le dit Pierre Fregoze se retira à ses terres; où il ne fut guaires, car pour les condicions et cappitulacions, non à icelluy observéez des XXVM ducatz dessusdits, vint grant discord entre luy et les Francoys. Parquoy sercha le dit Fregoze faire esmocion en la ville de Gennes, au moien de ses partisans et amys et aussi de Francisque Sforce due de Millan, qui voyoit envys (1) la compaignye des Francoys si prés de luy, lequel avecques certain nombre et autres ses amys, vint faire esmocion à Gennes, tant qu’il fut iusques aux portes et souvent escarmoucha avecques ceulx qui estoient dedans la dite ville. Et en faveur de luy se leva Rol-landin de Flesque, tant que en tout il avoit quatre mil hommes, avecques lesquelz le dit Pierre Fregoze vint assaillir la ville par une des portes, nommée Pierre menuc laquelle il gangna, et entra dedans la dite ville et se fortifia dedans. Or à l’heure estoit venu au dit Gennes ung nommé Messire Loys de Lavai, seigneur de Chastilhon et gouverneur du Daulphiné, et avecques luy soixante hommes d’armes et six cens arbalestriers, pour là estre lieuxtenant du roy, et se logea dedans le pallaix Sainct-Thomas, où quel lieu par le dit Fregoze fut assailly avecqueS tout son effort ; mays luy et ses gens gail-lardement se misdrent en ordre à l’encontre du dit Fregoze, et de l’aultre costé venoit le due Iehan de Calabre, acompaigné de grant nombre de gentilz hommes et (1) Dal latino invitus, di mala voglia; cosi spiega H. Martin, Hist. de France. VII. 281, pigliando la parola da Juvénal des Ursins. Il dialetto genovese dice a màinvio. Lo vedremo altre volte qui sotto. — 409 — citadins lenans son party, et ainsi aigrement combatans leurs ennemys au lieu du Gastro (i) les deffirent. Parquoy le dit Pierre Fregoze soy voyant ainsi du tout perdu, sercha d’eschapper acompaigné seullement d’un sien ser-viteur, et print le chemin le long de la dite ville de Gennes, esperant d’icelle sortir par la porte de l’Arc, la-quél il trouva fermée, tousiours icelluy suyvy par Iehan Cosse, et ainsi qu’il s’en retournoit entre la porte Sainct-André et le palays, rencontra ung homme d’armes du dit messire Loys de Lavai, nommé Odon de Pierre Gorde, lequel gaillardement l’assaillit et navra griefvement iusques à mort, et du hault d’une maison luy fut gecté ung mortier qui l’abatit à chevai, et ainsi fut admené au palays, et aprés transporté en une petite maison jà pres-que rendant l’esperit. De quoy estant adverty le dit de Lavai, incontinent vint pour le voir, et comme pitoyable et amy de hardiesse et vertuz de luy, pour le reconforter rendre l’ame a Dieu, cornine bon crestien doyt faire. Lequel Fregoze, sentans nommer le nom du dit de Lavai, renforga ses esperitz, et n’ayant povoir de ouvrir les yeulx et l’avoir seullement regardé, par ung grant souspir rendit l’esperit. Avecques le dit Fregoze, furent prins Rollandin de Flesque et Thomazin Fregoze lesquelz huvt jours aprés, furènt decapitez au millieu du palays de Gennes. Ces choses faictes, demeura lieutenant pour le roy Messire Loys de Lavai, à. cause que le dit Iehan de Calabre partit du dit gouvernement pour aller conquerre le royaulme de Napples, occuppé par les Arragonnoys. H>9 Ot- tobre (i) Si legga Guastato, regione di Genova ove è la chiesa dell’Annunziata e non lungi dalla salita di Pietramiuuta. — 4io — Pour lequel affaire, les Gennevoys luy armerent vingt gallaires de laquelle entreprinse n’eut aucun effect à son entente. Fut icelluy de Lavai chevollier de singuliere vertuz et hardiesse en toutes ses oeuvres, plain de sens et de cou-raige, en iustice circumspect, en clemence entier (et) pro-pice, en liberalité roy al, en sanctité religieulx, à chascun bon, aux vertueulx propice, et, à parfin dire, vrayment chevallier et seigneur debonnaire; soubz lequel, mon trés-redoubté Seigneur! avez prins la doctrine des nobles vertuz, quelles si grandement en vous habondent, duquel avez eu croissance et nourriture. Gouverna le dit messire Loys de Lavai le pays de Gennes en si noble doulceur que onques puis en la dite ville n’a esté temps de iustice et paix au sien équiparable, et regit le dit gouvernement envvron troys ans. CHAPPITRE VII. Comment citi temps du dit Messire Loys de Lavai, les Adonies vindrent devant Gennes avec punsance pour icelle Jdire revoltet. Durant le temps du dit de Lavai, les Adornes acom-paignez de plusieurs de leurs sequelles et parciaulx, vindrent assaillir par mer l’estat de Gennes et firent leur effort sur la place des Iustiniens, maiz incontinent par le dit de Lavai turent deschassez et hors mys de la dite ville, assistant icelluy Berthelomy Dorie et tous les nobles de la dite cité, et furent des ennemys aucuns prins et penduz. — 4ii — Or, durant le gouvernement du dit messire Loys nasquit certaines sedicions entre les Gennevoys à cause de tailles et fouaiges (i), où fut adviz aux nobles que le dit messire Loys a eulx estoit contraire. Au moien de quoy envoierent les dits Gennevoys leur ambaxadeur devers le roy, luy requerir voulloir pourveoir à leur mal-contentement et à Gennes envoier nouveau gouverneur; de laquelle requeste fut despit et courroucé le dit messire Loys et haineulx envers les dits gentilz hommes, et, congnoissant que les populaires leur estoit ennemy (2), se rallya d’eulz, et les tira à luy et leur donna povoir et auctorité trop plus que paravant, tendant par ce moien assugectir les gentilz hommes; parquoy donna puissance au dit populaire d’eulx unir ensemble, et faire conseil toutes et quanteffoys que bon leur sembleroit. En faveur de quoy les dits populaires faisoient continuellement mo-nopolles , ne taschant en tout leurs faiz sinon de changer et subvertir l’estat du roy, cornine tousiours (fait) la le-gereté et insollence ès mecanicques, populaires, personnes envyeulz de la gioire et honneur des grans. Or ung iour fut une grant assemblée des dits vulgaires, et soudday-nement par ung tonnellier fut crié: A l'arme peuple! et vive France! esperans par ce moyen donner commance-ment en deschassant les nobles à la perdicion de l’estat de Gennes. Ce qui ensuyuit, car souddain que les armes furent es mains du peuple, duquel esperoit le dit de Lavai estre bien et loyaulment servy, chascun d’eulx mist couraige et tascha mectre leur cappelaces en seigneurie. (1) Focaggi, imposta per ogni fuoco o famiglia che era allora in Genova. (2) Les populaires, o le populaire, preso in singolare, ritorna spesso in questa Cronaca e lo trovo pure cosi nei Contemporanei. — 412 — Et par ainsi vint souddainement à Gennes, durant ce bruyt, ung nommé Prospere Adorne, et Paulle Fregoze arcevesque du dit Gennes, devers lesquelz se retirerent chascuns leurs parciaulx, sauf certains gentilz hommes qui oncques le dit de Lavai n’abandonnérent ; lequel voyant l’esmocion de la dite ville et estre deceu des po-pulaires, se retira au Chastellet avec le nombre de gens Marzo qu’il avoit, où il fut l’espace de quatre moys, faisant grant guerre à la dite ville en la quelle dominoyt le dit Prospere Adorne (i), estant icelle diete ville tou-siours en armes et sans iustice. .Maiz de toutes ces choses fut adverty Charles, roy de France, lequel delibera secourir son estat et au dit messire Loys de Lavai estant assiegé ou Chastellet. Et ainsi envoya le roy Regné de Cecilie, du pays de Provence, acom-paigné de quatorze gallaires et le nombre de sept ou huyt mille hommes, tant de pied que de chevai. Or estant Francisque Sforce, due de Millan, adverty du secours des Frangoys, comme celluy qui mal les voulloit ses voysins, renvoya le dit Paulle Fregoze arcevesque avec certain nombre de gens en la seigneurie de Gennes ; lequel voyant les Frangoys à Sainct Pierre d’Araynes, se tint •au hault de la montaigne, par où aus dites Frangoys estoit besoing faire force et passer, estans les Adornes en la ville. Et ainsi se dressa une escarmouche en laquelle fut tué monsieur de Rubies et Guillaumme de Mo-villon, autrement nommé le Gorgias, qui estoit cappitaine des gens de pied, de quoy les Frangoys furent fort estonnez et affoibliz. Et chargeant les Gennevois de plus en plus (i) Eletto doge il 12 marzo 1461. — 413 — sur eulx, se misdrent en roucte, et, au hault de la dite montaigne, fut tué grant nombre d’eulx. Le reste, espe-rant se retirer sur les gallaires, par le dit roy Regné ne furent recueilliz. Oultre lequel n'ombre des mors, 1461 turent plusieurs en la mer noyez, et plusieurs demeu- Luglio rerent prisonnyers navrez, lesquelz pour le jour demeu-rerent ainsi blecez sur le hault de la montaigne. De quoy estans advertiz les gentilz hommes de Gennes et grant nombre des gens d’icelle, soudain envoierent leurs servi-teurs et gens pour faire lever ceulx qui estoient encore en vie et iceulx faire apporter en leurs maisons. Car general-lement les Gennevoys et mesmement les nobles aymoient les Francoys, et ainsi les dits mallades humainement furent recueilliz et des femmes si pitoyablement traictez, cornine s’ilz eussent esté leurs propres enfans; et ainsi demeura l’estat du roy perdu et l’armée deffaicte. Dedans la ville se crioyt d’une part Adorne, et de l’aultre Fregole , dont les gentilz hommes voyans leurs biens et personnes en grant danger et n’atendant secours de nulle part, par consentement du roy Regné se rallierent aux Fregozes, à telle condicion que messire Loys de Lavai rendroict le Chastellet, et luy et ses gens en sortiroient bagues (1) saulves. Et par ainsi fut faict due Messire Lu-dovic Fregoze, et Prospere Adorne deschassé (2), et le dit 1461 de Lavai fut rendu dedans les gallaires à saulvecté Luglio (1) Bagagli. Anche nei Contemporanei: vie et bagues sauves. (2) Siccome 1’ elezione del Fregoso avvenne dopo la rotta dei Francesi secondo gli storici, ciò non concorderebbe colle date rispettive da noi apposte in margine che vanno a rovescio. Eppure esse date sono tolte dall’ esatto Giustiniani ; il quaìe veramente non dice 17 luglio 1461 (come scrive espressamente il Sismondi), ma dice il giorno di Sant’Alessio che viene infatti al 17 di quel mese. — 4*4 — au roy Regné, lequel dés lors se partit de Gennes et se retira au lieu de Savonne, avecques la plus part de gentilz hommes Dories qui le suyvirent, laquelle cité de Savonne tint le dit messire Loys de Lavai en-vyron deux ans, quelque armée que par les Fregozes lust envoyée contre eulx. Car les dits gentilz hommes Dories et leurs chasteaux tenoient pour le dit de Lavai, nonobstant que naturellement Dories soient Fregozes. Furent ces choses faictez du temps de Charles septie-sme (i), lequel alla de vie ò. trespas le jour mesme de susdite journée et deffaicte. Et luy succeda estre roy Loys, unziesme de ce nom, lesquel trouva le royaulme mal appaisé, pour le guerres tant que Charles avoit eues avec les Angloys lesquelz il avoit deschacez de France, que aussi pour les subversions que luy, estant daulphin, avoit esmeus a l’encontre de Charles son pére. Parquoy la principalle oeuvre de luy fut mectre peyne, paciffier et transquiller son royaulme, duquel de toutes pars il avoyt suspiction et craincte ; et ainsi mist en arriere tous affaires oultre son royaulme et à nonchalloir l’affaire de Gennes. Et pour ce que à son advenement à la couronne fist quelque alliance avec Francisque Sforce, lors due de Millan, lequel touteffoys en tout temps avoyt machiné mectre les Frangoys hors d’Ytalie, par certain traieté composa au roy, qui luy delivra la cité de Savonne et les iuridi-cions qu’il avoit sur la ville de Gennes. Ce que fut faict, et la dite ville rendue au dit Sforce, lequel envoya à Gennes son gouverneur et deschassa les Fregozes. Et pour faire le dit appoinctenement de Savonne, envoya le (i) Il Cod. ha sexieme. — 4IJ - dit seigneur le conte Jehan de Dunoys (i) au dit Savonne pour icelle mectre entre ses mains, ce que faire commanda a messire Loys de Lavai, qui de là se departit rendant la ville et chasteaux à icelluy conte de Dunoys, lequel peu de temps aprés les delivra au dit due de Millan, lequel demeura paisible seigneur de Gennes. Et dura la seigneurie de luy tant qu’il-vescut en si grant doulceur et bon voulloir de chacun que plus tost pére que seigneur en estoit appellé. Et en icelle ne voulsit avoir autre action que le tiltre de seigneur, laissant entierement le gouvernement d’icelle és mains des cytadins, sans au-cunement donner nul grief, taille, ne empeschement, en singulier doulceur et grace de chacun ; et allé qui fut de vie à trespas laissa cinq enfans, assavoir: Galeasse, Phi-lippes, Ascanius, Ludovic et Octavien, desquelz Galeace estoit l’aisné et successeur en la duché, qui, pour le temps de la mort de sondit pére, estoit en France au service du roy Loys, avecques certain nombre de gens d’armes, ouquel lieu sondit pere l’avoist envoié. Lequel, adverty qu’il fut de la mort de luy, à toute dilligence, vint à Millan, et de la duché print paisible possession, en la faveur de Bianche Marie sa mère, qui vertueusement icelle luy conserva. Les Gennevoys, qui soubz Francisque Storce avoient esté doulcement gouvernés, esperant le mesme en son fìlz successeur, monstrérent grant signe de joye et feste envers Galeasse, et pour confermer la continuacion qu’ilz voulloient avoir de luy, envoyérent XXIIII ambassadeurs luy jurer la fidelité, lesquelz trop moings amyablement 1464 •3 Aprile 1466 8 Marzo (1) Celebre Bastardo della Casa d’Orleans e stipite dei duchi di Longueville, di cui sotto. — 4*6 — qu ilz n’esperoient furent receUz, et assez mal contens s en retournérent à Gennes. Estoit iceluy Galleace homme de fìer couraige, de chacun envieulx et mesprisant, combien que touteffoys à ses peuples touchant la justice assez entier (i) estoit. Icelluy voyant l’affaire de la duché estre paisible, et n avoir aucun remors que les enhortemens de Bianche sa mère qui à bien vivre journellement l’amonnestoit, la print en tei desdaing que de luy l’exilla et envoya à Cremonne, de plus en plus croissant en luy orgueil et mescongnoissance. Et, entre autres choses, conceut grosse hayne à l’encontre de Ferrande* roy de Napples, pour les grans triomphes, liberalitez et pompes, en quoy il le voyoit estre supperieur. Et espousa Bonne, fille de Philippe due de Savoye, seur de la reyne de France, laquelle puis estre acouschée de Jehan Galeasse son fìlz aisné, avoit voué, pour la saulveté d’elle, Galeasse faire voyage à l’Anonciade de Florence; ce qu’il fìst, et de là print son chemin à Gennes, où ar-ryvé qu’il fut, luy estant faict nobles et riches preparatives et riches presens, receut le tout cornine à grant mespris et desdaing, que à peu prés les voullut-il regarder. De laquelle chose les dits Gennevoys conceurent gran despit et mal contentement, et, qui plus est, monstra tout le semblant de n’avoir en eulx aucune fìance. Car le soir d’icelluy jour venu, se retira secretement dedans le Chastellet, et deux jours aprés, sans autres demonstracions (i) Nel senso del latino integer. La parola che vien tosto enhortement in senso di esortazione, e altre che si trovano più o meno vicine souJdars, voulsit, re(tu\, conceut, saulveté si trovano tutte usate a quel tempo. — 417 — faire encores plus secretement en partit, non moins em-portant des Gennevoys haine que les Gennevoys de luy. Et peu de temps aprés voullut faire une muraille grosse et en forteresse depuis le Chastellet jusques à la Marine, esperant en ce avoir les populaires favorables , lesquelz jà avoit fait suborner par son gouverneur, lesquelz leurs voulentez luy avoient promise. Or ainsi que ung jour il fist tirer le gect pour la dite muraille, commanga toute la ville à bruyre, et entre autres ung nommé Seve Dorye (i) empescha que l’euvre ne se fist, et à luy atira la plus part de la dite ville; et combien que pour ce, Galeace fist .de grosses menasses et adiurnemens de grant nombre des gens de la ville à Millan, entre lesquelz y alla le dit Seve Dorye, et nonobstant toutes ses menaces con-gnoissant le dit Galeace la voulenté des Gennevoys et craignant la subversion de la dite ville, non seullement n’osa offencer la susdite cyté maiz print le choiz plus oultre ne parler de la diete muraille faire. Et ainsi comme avoit creu envers les Gennevoys la malveillance de Galeace, aussi avoit-il de toutes ses autres terres; au moien de quoy se consultérent troys nobles Millanoys, estimant vertueuse et noble victoire abbollir la tirannye et oultrecuidance d’un tei prince et leurs terres vanger en liberté, deliberérent le dit Galeasse mectre (i) Ceva D’Oria del fu Bartolomeo, uno dei Capitani della libertà 1477 e uno dei Patroni delle galee che nel 1481 andarono ad Otranto contro i Turchi sotto il comando di Paolo Fregoso ; da non confondere (come ha fatto il Della Cella) 'con Ceva D’Oria fu Francesco, padre d’Andrea D’Oria il Grande. \ eramente il Saivago è il solo che applichi questo audace fatto a Ceva. 11 Giustiniani e il Gallo contemporanei non nominano la persona; il Foglietta e il Bizzarro ne danno il vanto a Lazzaro, altro illustre della medesima casa, ma i due ultimi Annalisti non sono nò contemporanei nè troppo sicuri. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi, XIII, Fase, 111, 27 — 4*8 — à mort, moins estimans leurs vies que la redemption de leur ville et cyté. Ce qu’ilz firent en l’eglise Sainct Estienne, le jour ensuyvant de Noel mil quatre cens 4476. SOIXANTE ET SEIZE (i). cembre Et ainsi mort Galeasse demeura la duché de Millan et seigneurie de Gennes és mains de madame Bornie, duchesse, et jehan Galeasse encores enfant, soubz lesquelz voyans les Gennevoys riens estre estable ne ferme, et ayans encores mal tallent au dit Galleasse, memoratifz de sa mauvaise voulenté et aussi ennuyez du rigoreux et mal traictement qu’ilz avoient eu en la ville, pareillement craignans à la semblance du pére le filz successeur estre plus aux Gennevoys ennemy, facillement et assez de com-mun consentement s’esmeult la ville aux armes, de quoy 1477 furent aucteurs et conspirateurs Mathieu et Georges de Marzo Flesque, lesquelz une nuyt eschellérent par le cousté de Carignan les murailles de la ville, et avecques certain nombre de gens criérent Libertè, et droictement vindrent assaillir ceulx du pallays. Les souldars qui là estoient, espoventez de si souddain bruyt, se misdrent en fuycte et se retirerent dedans les chasteaux lesquelz incontinent furent assiegez; car à ce bruyt vint incontinent ' à Gennes ung nommé Obiet, chef du nom et des armes de la maison de Flesque lequel, tant à cause de la grant taction qu’il avoit en la dite cité que au moien de la • hayne que les Lombars avoient à l’encontre des Gennevoys, fut suyvy de tous les gens et peuple de la ville. Or puis nagueres avant le duc Galeasse avoit secrete-ment et sans cause faict prandre prisonnyer Prospere 10 II Cod. ha erratamente dixlmit. — 419 — Adourne, pour la suspiction qu’il cut de luy envers Fer-rande roy d’Arragon, lequel Adorne la duchesse et ceulx qui la gouvernoient incontinent firent hors mectre, et •Padoulcirent de plusieurs belles parolles et grandes pro-messes, luy donnant la charge de venir à Gennes et la dignité d’en estre gouverneur, et, pour faire la guerre, luy baillerent huyt mil hommes de pied et certain nombre de chevaulx, avecques lesquelz il vint en la vallèe de Poncevre, en laquelle il subleva grant nombre de ses parciaulx et adherans; et de là vint loger en ung faux-bourg nommé Cornilhan, à troys mille prés le dit Gennes'. Le dit Obiect qui dedans icelle estoit et tenoyt le siege au Chastellet, pressa si fort ceulx qui estoient dedans qu’ilz se rendirent, leur personnes et bagues saulves. Pendant ce temps vint à Gennes ung nommé Paulle Fregose arcevesque dequel cy dessus avons parlé, lequel se rallya du dit Obiect, et eulx deux ensemble leverent aux armes grant nombre de leurs parciaulx, avecques lesquelz ce Paulle Fregose gangna le hault de la montaigne de Permenton (i), où le lendemain presenta à Prospere Adorne et aux Lombars la bataille, et du premier assault gangna sur leur advantgarde ; maiz pendant ce, vint ung bruyt entre ses gens, que les Adornes et Spinolles estoient dedans la ville, dont lors fut laissé de la plus part de ses adherans, combien que de la bataille il eut le meilleur; et ainsi par faulte de ses gens se retira, et habandonna son entreprinse, et le dit Prospere entra dedans la ville pour le due de Millan, ou nom duquel il en fut gouverneur et demeura certain temps. 1477 30 Aprile (1) Ancora oggi cosi detto in dialetto, ma in italiano Promontorio. — 420 — Maiz voyant la duchesse Bonne et Ics gouverneurs du due de Millan n’avoir à Gennes tei empire et domi-nacion, ains se gouverner la dite cité en forme de liberté et composicion, machinerent continuellement icelle soubz-mectre en tout la servitude, et oster le dit Prospere du gouvernement, et y envoyer ung de leurs gens, et ab-bollir et anichiller tous et ung chaschuns des previlleges de Gennes; ce que touteffoys il faisoit secretement, et pour ce taire envoyérent à Gennes l’evesque de Cosine (i). De quoy estant adverty, le dit Prospere se rebella du due de Millan, et cria aux armes, auquel cry peu de gens se leverent car les nobles envy voulloient revolte. Lors voyant icelluy Prospere n’avoir grant suyete, se rallia du peuple (2) et du roy Ferrande, de quoy tousiours avoit esté amy, lequel en sa faveur envoya sept gallaires avec certain nombre de gens de guerre à Milan. Creut de plus en plus les desdaing envers les Gennevoys et à l’encontre d’iceulx soudainement fut faict une armée de plus de trante mille combatans, en laquelle furent envoiez les prineipaulx de la dite duché. Les Gennevoys, qui de ce furent espoventez, envoyerent requerir pour les secourir ung nommé Robert de Sainct Severin, grant cappitaine et expert au faict de la guerre, qui pour lors estoit en Ast, dechassé de Millan; lequel vint au service des dits Gennevoys, ayant seullement avec luy le nombre de cent hommes. Et au commancement de son arryver (1) Il vescovo di Como era allora Branda Castiglioni. Ung chaschuns, un poco più sopra e più altre volte, si usava allora nel senso di ciascuno. Envy più sotto una 2.a volta (ved. nota a p. 408). (2) Cosi Prospero Adorno con 12 Capitani della Libertà restò Governatole della Repubblica indipendente e come tale battè monete d oro e d argento rarissime: P : A : G(ubernator) : et XII : Capi : Popvli : Jan. — 421 — au dit Gennes, revisita tout le pays, puys fìst aucuns bastions sur les montaignes et icelle moult fortiffia. Arryva aussi à Gennes en ce temps ung nommé Augu-stin Fregoze, chevallier vertueulx et hardy, lequel ad-mena avecques luy cinq cens compaignons de guerre, tous d’eslite, en faveurs de Gennevois. Vray est que pour les Millanoys tenoyt la plus grant part des gentilz hommes, lesquelz, puis qu’ilz furent arryvés avecques leur puissance, misdrent grant paour à ceulx de la ville. Et durant ce trouble furent faictes certaines lettres que le due de Millan escripvoit à ceulx des chasteaux, con-tenans la venue de son armée gaillarde et puissante, au moien de laquelle il esperoit vaincre et subiuguer la cité de Gennes. Et à ce que les gens de guerre y fussent plus encouraigez, qu’il leur auroyt donné à sac la dite ville par troys jours, hommes, femmes et biens; lesquel-les lettres misdrent les Gennevoys en si grant effroy que chascun delibera plus tost mourir que voir icelle chose advenir. Dont lors hommes et femmes prindrent les armes à l’encontre des dits Lombars, et enhortant ungs les autres mourir pour leur honneur, liberté et fran-chise, allérent où estoit le dit Robbert, actandant les ennemys, et là furent faictes toutes les provisions necessaires pour les actandre. Et ainsi commenca la bataille laquelle dura aigrement l’espace de sept heures. Memorable chose est à dire que voyant le dit Robert de Sainct Severin venir une bande d’Allemens à l’encontre de luy, lesquelz ou la plus part d’iceulx auparavant l’avoient servy en ses guerres, mist son espée en la gaine et tout seul alla devers eulx, et de piaine face leur remonstra cornine en tout temps leur — 422 — avoit esté cappitaine et pére. En recompense de quoy iceulx requeroyt à ce coup luy voulloir rendre les gardons de tant de biens faictz, auxquelles parolles se tournerent les dits Allemens à l’encontre de leurs propres et suy-virent le dit Robert. Les Millanoys combatirent et les Gennevoys vertueusement se deffandirent ; mayz les Millanoys avoient disete de tous refraichissemens. Lors le dit Robert voyant iceulx lassez, tant par le long temps qu’ilz avoient esté à chevai que pour le travail qu’ilz avoient eu és montaignes, souddainement mist en ordre et en avant une bonne bande de gens qui estoient re-fraichiz, lesquelz menoit Jehan-Loys de Flesque et Augustin Fregoze, et de plain assault repoulsérent si aigrement les Millanoys que iceulx misdrent en roucte, et assez tost aprés en desarroy, fuyte et perdition. Voulloient les Gennevoys suyvre la victoire; mais par le dit Robbert fut obvyé, congnoissant à iceulx n’estre tant de force de povoir resister aux Millanoys en la piaine, s’ilz se feussent ralliez, lesquelz ainsi que avons dict estoient douze mille chevaulz et vingt mil hommes de pied; et par ainsi à ceste guerre souffist aux Gennevoys seullement de vaincre. Glorieuse chose sera dire des Gennevoys que la plus part des Millanoys prysonniers fut des femmes de Gennes, et telle seulle à sa part eut cinq hommes d’armes qui pour la detresse de lieu et haban-donnés de leurs propres se rendoient, seullement contens 1478 leur estre saulvé la vie. Fut ceste bataille l’an de notre Agosto SEIGNEUR MIL QUATRE CENS SOIXANTE ET DIXHUYT. Le due de Millan et ceulx qui pour luy gouvernoient, voyant la deffaicte de leurs gens, n’ayans aucun remede par force à l’encontre des dits Gennevoys, prindrent pour — 423 — dernier expedient d’avoir la dite ville par le moien des eappelasses (i), et aussy pour eulx venger de Prospere Adorne. Lors envoyérent ung nommé Obiet de Flesque duquel cy dessus avons parlé, et Baptiste Fregoze qui estoit seigneur de Nauve (2), d’iceulx prenans la foy de tenir en tout les partiz d’icelluy due de Millan, et par ainsi fìst mectre le Chastellet entre les mains de Fregoze, dedans lequel il entra secretement une nuyt avec cent bons hommes de guerre, où puis qu'il fut, fist signe à ses amys et parciaulx de la ville, cornine il estoit là en possession du dit chasteau pour se faire due ; dont les tenans son party en furent tres-aises, et pour ce que à la roucte de Millanoys les gentilz hommes furent exillés de Gennes, dont la plus part tenoient le party des Fregozes, furent de ce advertiz par le populaire Fregoze de la ville et ainsi rentrerent dedans, et tous ensemble firent due le dit Baptiste Fregoze et dechasserent Prospere Adorne de la Seigneurie. Et demeura le dit Baptiste cinq ans en Seigneurie; et memorable chose est à raconter que ayant icelluy faict paindre ses armes à la tour de Godefa, le jours mesme qu’elles furent paintes, la fouldre y fist cinq partuys si-gniffiant cinq ans entiers de sa seigneurie ; car le mesme jour qu’il fut esleu due, la mesme cinquiesme année aprés en fut dechassé (3). (1) Così si chiamavano quelli che furono poi detti Nobili nuovi, Adorni, Fre-gosi ecc., rimpetto ai D’Oria, Spinola, Fieschi ecc. che erano i Nobili semplicemente 0 vecchi. (2) Novi-Ligure. (3) Ciò racconta egli stesso Battista Fregoso nel suo Libro: Factorum, dicto-rumque memorabilium lib. I, capit. 4. De Prodigiis, Antuerpiae, 1565. Senonchè ivi è detto soltanto tre buchi indicanti tre anni di Ducato, ma siccome questo 1478 26 Novembre 1485 2$ Novembre - 424 — Et fut cestii}7 homme de singuliere vertuz, sens et pru-dence, et entre les dictes autres choses grant clerc et lectré, ainsi cornine il appert par les belles oeuvres qu’il a faictes. Car de l’age de vingtdeux ans, il parfìst l’oeuvre de Antheros qui vault autant à dire cornine à l’en'contn d’amour, ou desia en icelluy aage (1) il monstra la lon-gue lecon de son estude mesme en philosophye et poe-terie. En aprés fit l’oeuvre des Noms des lieux, c’est assavoir qui puis anciennement en tout le monde ont changé leur nom. Et à parfin a composé l’oeuvre des T)ictes et fai% memorables à l’ymitacion de Vallerò le grant, certes si loisible est dire en toutes choses non moings belle d’icelle. Fut cestuy Baptiste tìl de messire Perrin Fregoze le Begue, duquel peu avant avons escript la mort, à l’encontre duquel, au bout de cinq ans de sa dominacion, machina Paule Fregoze son onde, arcevesque de Gennes, et lors par faveur de luy fait Cardinal. Et au moyen de Augustin Fregoze, par trahison, surprint le dit Baptiste Fregoze due en sa chambre, estant complices de ceste trahison cent Suysses, que le dit Baptiste avoit à sa soulde. Et ainsi fut disposé de la seigneurie, et fut constitué duc Paul, lequel pareillement fut paisible due autres cinq ans, durant lequel temps fist assez peu de choses hon-norables; car, entre autres choses, il estoit homme adonné à toutes laschetez, et en luy regnoit peu d honneur et durò cinque anni, credo che Saivago ben leggesse nell’originale (a noi non pervenuto) e lo sbaglio s.ia del Ghilini che Io tradusse in latino. Delle opere di Battista parla lo Spotorno nella Storia Letteraria della Liguria, II, 57"^3 > ma non si sapeva dell’ Onomasticon. (1) Cosi altre volte nel Codice secondo 1’ uso dei Contemporanei. — 425 — moins de gioire, et assez tost generallement vint en l’in-dignacion de chascun; au moien de quoy, voyant son au-ctorité en peu d’estime, delibera mectre l’estat de Gennes és mains du due de Millan. Et, pendant ce traieté, Fre-gozin, filz du dit Cardinal, fist batre ung gentiihomme de Gennes, nommé Angele de Grymault dit Ceba; de quoy la plus part des gentilz hommes du dit Gennes, mesme-ment ceulx du party Fregoze, furent yritez, à l’encontre de luy prindrent les armes et le Cardinal chassérent du pallays dedans le Chastellet aydant à ceste affaire Baptiste Fregoze. Parquoy les Adornes, voyans la guerre entre les Fregozes, par le moien des Justiniens prindrent accord avec les Flesques, et puis tous deux avecques le due de Millan, et ainsi fut mise la ville és mains d’icelluy due. Et furent créez gouverneurs Augustin et Jhean Adornes freres, lesquelz durerent jusques à la venue de Loys, roy de France, à la conqueste de la duché de Millan. Et gouvernoit en icelluy temps, pour Iehan Galeace, filz de Galeasse, duc de Millan, Ludovic Sforce frére et onde des susdits, lequel aiant gousté la Seigneurie et domyner, taschoyt de toutes pars demeurer en entier seigneur et tenoit loingtain Iehan Galeasse de dominer, excusant en icelluy la jeunnesse, et tant avoit faict que toutes les places fortes et gens d’armes avoit mys en son obeissance, et pourvoyoit de cappitaines à toutes icelles à icelluy Ludovic seurs et feables. Or avoit Ferrande roy de Napples donné Ysabeau, fille d’Alphonce son filz aisné, en •mariage à Iehan Galeasse, et desiroit icelluy roy Ferrande que son gendre gouvernast la duché, et de ce en fist plusieurs requestes 1488 Genn. 1488 13 Settembre U94 Genn. — 426 — et remonstrances et à parfin menasses au dit Ludovic, ayant en ce temps à luy favorables les Veniciens. De quoy Ludovic eut grant craincte, et dissimulla cest af-laire par belles parolles certain espace de temps, pendant lequel fut adverty Ludovic d’un certain testament, faict pai lehanne revne de Cecilie par lequel elle instituoyt son heritier et adoptoit en filz Regné due d’Anjou et roy de Cecilie, et sceust le dit testament estre és mains d un gentilhomme de Gennes nomine Helyan Calve. Regnoit adoncques en France Charles huytiesme, jeune de age mays plain de magnagnimité, vertuz et couraige, et lequel congnoissant Ludovic hardy et entreprenant, envoya plusieurs belles ambaxades luy offrir amictié et alliance, et en oultre plus luy remonster le royaulme de Napples par droicte succession luy appartenir; et sur ce fist produyre le dit testament, à quoy fut le dit roy Charles entallenté à son entreprinse. De ces nouvelles adverty que fut Ferrande, print tei desplaisir que en peu de jours alla de vie à trespas, succedant au royaulme Al- phonce son filz aisné. Charles, de plus en plus songeux de ceste guerre, prepara une moult grosse et puissante armée, avecques laquelle il passa les mons en propre personne. Mays avant ce, saichant par Alphonce roy de Napples estre faict par mer une grant armée contenant trante gallaires, quatre albates (1), quatorze grans nefz et douze petites (i) Non trovo altrove questa parola, se non è a leggere bataches donde la odierna petaccia e che Jal spiega per grossa nave. O sarebbe forse l’italiano Borbotta? Ad ogni modo il senso ne è chiaro, perchè il Corio parlando di questo fatto scrive quattro galeoni. Qui comincia il Saivago a dimenticar Genova Uno all’ ultimo capitolo per occuparsi della storia generale d’Italia. — 427 — sur lesquelles estoient quatre mille combatans, et iceulx avoir mys sur la mer pour donner empeschement à l’af-faire de Gennes par le moien des Fregozes, qu’il avoit prins à sa soulde, lesquelz estoient sur les dits navyres avecques grosse bande de gens de guerre, envoya icelluy roy Charles Loys due d’Orleans à l’encontre d’eulz, et faisant armer un grant nombre de nefz et autres vais-seaulx bien equippez de gens de guerre, et se mist en mer pour rencontrer les Arragonnoys, ce qu’il fist dedans le goulfe de Rappalle, et là combatirent tant en mer que en terre, et deffist le dit due d’Orleans les Arragonoys, et fut d’eulx vaincueur. CHAPPITRE Vili. Comment le roy de France Charles huitiesme alla en personne conquerir le royaulme de Napples. Le roy Charles, duquel la hardiesse et vertuz, force et jeunesse atrayoit à gioire, ayant ja envoyé la plus part de ses gens d’armes en Ytalie, estant adverty de la grant victoire de Loys due d’Orleans à l’encontre des Ar-ragonnoys, partant de Grenoble vint en Ast, le unziesme jour de septembre l’an mil quatre cens quatre vingtz et quatorze (i). Et en icelluy lieu ayant aucuns jours sejourné pour certaine malladie qui le print, guery qu’il fut, en ensuyant son vovvage vint à Pavye, ouquel lieu 1494 8 Settembre 1494 11 Settembre (i) Il Cod. erratamente mil cent quatre-vingt et qmtórxe. 1494 20 Ottobre — 428 — trouva Iehan Galeasse due fort mallade, non sans grant suspiction d’empoisonnement par Ludovic Sforce son onde; lequel, puis qu’il fut asseuré de l’advenement de Charles à l’encontre d’Alphonce de Napples, impetra de Maximilian, roy des Romains, la destitucion de la duché de Iehan Galeasse encores vivant et rinvestiture d’icelle en luy, moyennant par ce le mariage de madame Bianche sa nyepce avec le dit Maximilian, le payement de quatre mil ducatz; et par ainsi visita moult amyablement le roy Charles le dit due Iehan Galeace, lequel, presque estant au dernier de ses jours sans espoir de ressoulse, en piteuses larmes luy recommanda son petit filz et sa femme, et assez tost aprés alla de vie à trespas, de quoy le roy se monstra fort desplaisant, et à Plaisance (1) luy fist moult noble et royal Service. A icelluy intervenant en propre personne Ludovic Sforce, le mesme jour vint à Millan et entra dedans le chasteau, et là proposa l’election de nouveau due et seigneur, enhortant chascun envers Francisque filz de Iehan Galeasse deffunct; en quoy assez clere est à con-gnoistre qu’il faingnoit, et par aucuns des principaulx de Millan à cest affaire jà instruietz fut crié : Vive Ludovic, due de Millan! Et par ce moien courut toute la cité, et entra dedans le dosme (2) avecques une robe de drap d’or, ouquel lieu du dosme estoit encores des-couvert le corps de Iehan Galeasse. O fureur de gens! O esecrable petulance de dominer, qui seullement de sang, force et rappine se regist et gouverne ! Miserables advenemens de fortune ! Estoit bien lors à veoir Iehan (1) A Piacenza mentre era in viaggio verso la Toscana e Napoli. (2) Il Duomo. — 429 — Galeasse mort, et Ludovic viollant duc (i) en jove celebrer bien gayment; à celluy jour Ysabeau duchesse, laquelle à ung seul coup perdit le mary et la seigneurie, et assez tost aprés ung pére roy, a laquelle depuis lors a esté donné le tiltre de infortunée et malheureuse. Puis que Ludovic eut la paisible possession de la duché, suyvit le roy Charles- lequel il trouva au lieu de Sar-rezanne , au devant duquel estoit venu Pierre de Medicis presenter les clefz du dit Sarrezanne et Pierresancte. Et de là passa à Pise laquelle il delivra des Fleurantins et mist en liberté, retenant à soy le chasteau qui estoit moult fort, ce que pareillement il fist à Sarrezanne et Pierresancte. De ce fut mal content Ludovic, qui, àia verité, oncques n’avoit veu le dit roy Charles tellement prosperer, congnoissant que la fin de la guerre de Napples estoict commencement de la sienne, et à qui souffisoit le nepveu mort et la seigneurie gangnée, de ce cuidant seullement faire Charles ministre. Alixandre sixiesme pape, lequel tousiours avoit (esté) contraire au passaige des Frangoys et voyant la favorable victoire du predict roy Charles, composa à luy et mist hors de Romme Ferrandin filz du roy Alphonce, lequel avec toute son armée là s’estoit retiré. Destitué que fut de tout espoir et secours Alphonce, voyant envers luy la hayne de tout son peuple et au contraire l’amour d’ung chascun envers Ferrandiiì luy renonga le royaulme et se retira en l’isle d’Iscle, lequel par aucuns jours y regna sagement, donnant grant espoir de vertuz et bonté. Maiz assez tost aprés les Francois gangnerent grant pays '49 5 ii Genn. 1495 23 Genn (1) Cioè Duca per violenza. — 430 — sur le royaulme, et entre les autres la cité d’Acquille et tous le pays de l’Abruce, et par ce dedans cornili anca le mutinement. Par quoy voyant le predict Ferrandin la certame perte, se retira en l’isle de Procide, laissant seullement garniz les deux chasteaux de Napples, lesquelz assez tost aprés et pareillement toutes les autres fórteresses du dit Napples, en treze jours, rendirent au roy Charles obeissance et foy. Fut si merveilleuse ceste victoire que non seullement vaincquit peu prés que toute l’Ytalie, mais en Asye mist si grant peur, que Baisset, empereur de Turquye et roy d’Egipte, espoventa. En grant triumphe entra le roy Charles dedans Napples; maiz plusgrant liberalité y demeura; car peu prés à soy riens ne retint du dit royaulme, que a ses gens ne eslargit, que le nom et la cité de Napples (i). Avoient ceste grant felicité les seigneurs d’Ytalye en grant craincte mys, et mesmes Alixandre pape, lequel, nonobstant les confederacions qu’il fìst au passer du roy Charles à Romme, n’avoit en luy aucune foy ne bon voulloir, et pour ce que.souventeffoys le dit roy Charles avoit pai le d’un concille, auquel le dit pape n’avoit pas grant fìance. Et par ainsi, de toute sa puissance, par ses ambassadeurs induysit les Allemens, Espaignols, Veniciens et Milannoys, à nouvelle ligue, soubz tiltre de deffension de 1 Eglise et confermacion d’Ytalie. De quoy estant adverty le roy Charles delibera son retour en France, laissant à Napples le seigneur de Mon- (i) Par che voglia dire che, donando a’ suoi quasi tutto il Reame conquistato, per se non ritenne che il nome di Re e la città di Napoli. — 43i — pensier (i) pour visroy, avecques belle et bonne bande de gensdarmes, pour la garde d’icelluy royaulme, se de-partit ; le retour duquel entendant Alixandre pape partit de Romme et se retira a une ville en la Romaigne, nommée Perrouse , pour oultre plus aller à Venise, à la craincte du dit roy Charles, et, doubtant pour aucunes opposicions faictes à l’encontre de luy ausquelles il n’avoyt respondu; et aussi, (que Charles) par la faveur d’aucuns cardi-naulx, du dit Alixandre malvueillans, fist ung sinode, et le desmist de la papauté, et par force icelluy emmener en France (2). Arryva Charles à Romme, ouquel trouva le pape departy, sans y faire aucun lesion passa oultre et de là à une ville nommé Seyne ; et de plus en plus enten-doit la ligue des Ytaliens faire effort de gens d’armes à l’encontre de luy et resister à son passaige. De tout ce faict aussi adverty Loys due d’Orleans (3), lequel, puis la deffaicte des Arragonnois à Gennes, se retira en Ast, et fist tout son amas de gensdarmes, tant que en peu de jours mist en point une assez belle armée, avecques laquelle il entra dedans Noarre et icelle print, et en peu de jours pareillement eut le chasteau, laquelle chose donna grant peur à Ludovic Sforce et peu prés que desespoir à son affaire, s’il n’eust esté reconforté par Beatrix sa femme, fille de Hercules due de Ferrare. O peu de gioire d’un prince, à qui la vertuz d’une femme convient luy donner couraige et faire guerre, à la (1) Gilberto di Borbone Conte di Montpensier. (2) Anche qui non spiega bene, ma vuol dire che Alessandro VI temea che il Sinodo lo dichiarasse scaduto dal Papato e che il Re lo costringesse ad andar in Francia con lui. (3) Il futuro Re Luigi XII. 1495 13 Giugno — 432 — salvacion de dominer! Se reconforta adoncques Ludovic par 1 enhortement de sa femme le-myeulx que taire peult, et avec laide de Veniciens, envoya certain nombre de iJgìu- &ens ^ Noarre obcister que les Frangoys, qui estoient "no soubz le due d’Orleans, plus oultre ne passassent à l’en-contre de luy. Semblablement de toutes pars habondoient gens d’armes du costé des Veniciens, Milanoys, Fleu-rantins et de l’Eglise, aù pays de Perrusianne, à l’encontre de rov Charles, par ou luy convenoit passer. Or avoit icelluy roy laissé grant partie de ses gens au royaulme de Napples, et ayant espoir sur la revolte de Gennes, par les p; omesses d’un nommé le Cardinal Fregoze et de Obiet de Flesque, envoya avecques eulx Philippes monsieur de Savoye, seigneur de Bresse (i), et autres cappitaines, avecques belle compaignye de gensdarmes et gens de pied, pour tumulter au pays d’entour et en la-dite ville; lesquelz vindrent jusques à la porte d’icelle, souventeffoys escarmochant, maiz, pour la grant provi-sion que les Adornes avoient, qui gouvernoient Gennes pour le due de Millan, aux Frangois ne fut possible de \ Giù- r^ens fa*re- Neantmoins là furent à l’entour de la dite sno ville, icelle tenant subiecte, fin à ce qu’ilz fussent advertiz que le roy Charles fust passé et arrivé en Ast. Et par ainsi diminua le dit roy fort son armée, avec* ques laquelle arryva à Pise et depuis a Fornove, où il entendit la grosse armée des Ytalliens estre sur la ryviere du Tar, pour deffendre et obvyer le passaige, lequel lieu est à trois lieues de la cité de Parme. Voyant adone le dit roy Charles que necessité le con- (i) Lo zio del Duca, poi Duca di Savoia'egli pure. — 433 — traignoit à taire la passaige par force d’armes, combien qu’il fust à petite compaignve, car au plus il n’avoit douze mille combatans, et que les ennemys estoient de trante à quarante mille, delibera de la necessité faire vertuz, rememorant les roys ses predecesseurs, qui la plus part en tous lieux ont acoustumé de vaincre, mist en son couraige si deliberamment le combat, que en nulle maniere ne congneut craincte de y debvoir perdre. Et ainsi, puis qu’il eut mis en ordre ce peu de gens qu’il avoit, congnoissant à ceste bataille estre en luy plus de couraige que besoing ne luy faisoit ou assez autant, commanga à enhorter ses gens et parler à ceulx de si bonne sorte qu’il n’y eut celluy qu’il ne lust soudainement prest et ap-pareillé de mourir ou vaincre pour l’amour de leur prince. Et lors fut mise en poinct la bataille d’une et d’autre part. Les Frangoys troys choses faisoient ardans au com-batre et les Ytalliens trois autres. Les dits Francoys, pour l’amour de leur roy, qui seullement entre tous princes ses gens, souldars et subiectz a vrayement feables; la seconde, l’honneur et hardiesse, qui naturellement dedans tout coeur Frangoys domine avecques la memoire de leur ancienne vertuz, car la plus part des gens Frangoys suyvant la guerre sont nobles de nom et d’armes; la tierce, que nature à chacun faict le desespoir d’aucune part eulx saulver. Les Ytaliens, la grant multitude à l’encontre de peu de gens, et en oultre Pespoir de grant gaing et des richesses Frangoises, la tierce estre en leurs terres et pays à l’encontre d’estrangiers, laquelle chose, non moins de toutes autres, faict chacun fier pour l’adventaige. Avoit icelluy roy Charles departy son armée en troy bandes; c’est assavoir: l’advant-garde, laquelle conduisoit Atti Soc. Lig, St. Patria, Voi, XIII, Fase» III. 28 — 434 — Iehan-Iacques de Trevolce, millanoys, et avecques luv estoit Francisque Sicco lombard et Nicolas, conte de Petillan (i), lequel, combien qu’il fust prisonnier (et) avoyt donné sa foy au dit rov Charles, à la bataille il la faulsa et s’enfouyt au camp des Ytalliens; les autres deux •servirent vertueusement; à cause de quoy, le dit de Trevolce eut du dit roy de moult nobles et riches recom-pences. La bataille conduysoit le roy Charles, l’arriere-garde conduisoit ung nommé Pierre de Rohan, mareschal de France, et estoient en tout le nombre de sept cens quatre vingtz hommes d’armes. Les Ytalliens pareillement avoient mis leurs gensdarmes en tei ordre cornine les Francoys, reservé que toutes leurs batailles estoient deux fovs doubles, c’est assavoir troys batailles, troys advant-gardes et troys arriere-gardes, lesquelles eulx appelloient neuf escadrons. En la première estoit six cens estra-diotz (2) cinq cens arbalestiers à che vai, sept cens homines d’armes et six mil hommes de pied, et entre les troys advant-gardes estoient IIPLXV (3) arbalestiers à chevai pour secourir à tout besoing. La bataille estoit de mil hommes d’armes, VHP chevaulx legiers, IXC arbalestriers avecques VIIP hommes de pied. L’arriere-garde contenoit cinq cens hommes d’armes, HIP chevaulx legiers, V<: arbalestriers a chevai et IIP hommes de pied. (1) Il famoso Gian Giacomo Trivulzio poi maresciallo di Francia. Nicolò Orsini conte di Pitigliano nel Sienese. (2) L’ editore di Jean d’Auton non spiega bene 1’ etimologia di questa parola (I. 363); meglio il Sismondi, RepiìVbl. Italiane, cap. 82, e Henry Martin IX. 205 da Strathiotes, in greco uomo di guerra, e significava cavalleggeri greci od albanesi usati nelle armate veneziane. (3) Cioè 365 e cosi poi 800 e 900; come più in li, colla piccola lettera m per esponente, s’intendono 8000 uomini. — 435 — Des deux costés sonnoient trompetes, flamboient les armes, hannyssoient chevaulx; et commanga d’un costé et d’aultre l’artillerie à tirer; mays trop plus faisoit à l’en-contre des ennemys la frangoise que aùx Francois les Ytalliens; tant que, par la fureur d’icelle, fut assez tost la bande des gens de pied Ytalliens mys en roucte; et ainsi asprement commenga la bataille de toutes les deux pars. 14^5 Estoit hideuse chose veoir gens ruez de chevai, testes, Luglio braz et jambes volans par l’air et gens d’armes confonduz, le sang par terre courir, les hommes espirer, les vaincueurs ensanglantez, les perdans fuytiz, et à parfin tant de ruynes et mortz que impossible est sans grant effroy le racompter. En la quelle bataille, qui dura l’espace d’une heure ou envyron, mourut, ainsi qu’il fut advisé, des Ytaliens le nombre de cinq à six mille, et des Frangoys de troys à quatre cens, sans que en eulx on sgeust homme de nom, fors seullement Charles, bastard de Bourbon, qui fut pri-sonnyer. De laquelle bataille les deux armées demeurè-rent en leur entier, assavoir les Ytalliens retournérent en leur camp, et les Frangoys eslargirent oultre la ryviere du Tar. Vray est que, en icelle, les dits Frangois perdi-rent les biens et les Ytaliens les gens. La nuyt ensuyvant, envyron l’heure du jour (?) le roy Charles mist en ordre tous ses gens, de là soy departant, et par honnestes journées à toute son armée arryva en Ast. Ferrandin, U9s filz d’Alphonce roy, sentent le partement de Napples du Luglio dit Charles, repara et mis sus certame armée, avecques laquelle et par la rebellyon d’aucuns du pays reconquesta partie du dit royaulme de Napples, combien que lon-guement tindrent les Francoys ; maiz à la fin par la im-possibilité d’avoir secours le tout quicterent et rendirent. CHAPPITRE VIIII. Comment le roy Charles arryva en Asl, après avoir resistè à la journée de Fornove, et comment il delivra le due d’Orleans estant assiegé dedans Noarre. Arryvé que fut le roy Charles en Ast, ordonna que ses gens se rafraichissent, lesquelz estoient fort lassez de leur voyage et mal en pointz de harnois, chevaulx et ha-billemens. Ce fait, desirant avoir vengeance de Ludovic Sforce et des Veniciens, manda de toutes pars du royaulme de France, pareillement aux Suysses, lever tant de nombre de gens qu’il leur seroit possible. Estant lors assiegé Loys due d’Orleans, dedans Noarre, d’une si grosse armée d’Ytaliens qu’il luy estoit impossible à iceulx resister aux champs; parquov estant dedans le dit Noarre, avec le nombre de quatre cens hommes d’armes et six mil hommes de pied, actendit le siege des dits Ytalliens au nombre de plus de trante mille hommes, ayant d’iceulx plusieurs batailles, actandant le secours du dit roy Charles, duquel fort ennuyoit le retardement pour la necessité de vivres qu’il avoit. Maiz armez que furent les gens de roy Charles, incontinent envoya une belle armée a Versel (i), ouquel lieu fist si belle assemblée que peu prés n’en fut veue une telle. Estoit le dit roy Charles deliberé de combatre; mays les Ytaliens ne voullurent accepter le combat. Et lors se commenca à brasser certaine paix et d’un cousté et (i) Vercelli e cosi poi egualmente dove il Codice scrive Versay. 1 — 437 — d’aultre furent envoyez ambaxadeurs. De quoy estant adverty le due d’Orleans, fut trés-mal content, et par composicion tant fist avecques les ennemys, que avecques certain petit nombre de chevaulx luy fut permis pouvoir aller à Versay, auquel lieu esperoit destourber le roy de la dite paix, que faire ne luy fut oncques possible. Et ainsi s’ensuyvit et fut criée la dite paix, puis laquelle se partit le dit roy Charles de Versay pour s’en aller en France, et avecques luy le dit due d’Orleans, toutes choses de guerre desmises. Estoit dedans le traieté de la dite paix compris que Ludovic Sforce ne donneroit aucun aide ne faveur aux Arragonnoys à Napples; item que l’armée de mer qui avoit esté prinse à Gennes seroit rendue; item que le Chastellet du dit Gennes seroit mys és mains du due de Ferrare, l’espace de deux ans, à condicion de povoir donner le roy Charles secours à ses gens à Napples; item que le dit Sforce paieroit a Loys due d’Orleans cinquante mil escuz, et que les alliez de France ne seroient en aucune chose offencez ; et fut ce l’an de notre seigneur MIL QUATRE CENS QUATRE VINGTZ ET QUINZE (i), en moyS d’octobre. Avoit icelluy roy Charles laissé garnyes les places de Pise et Sarrezanne et Pietresancte de ses gens, soubz serment que, du retour de Napples, les rendroit aux Fleurantins, lesquelz tousiours avoient fait semblance de tenir le party du dit roy ; et puis qu’il fut arryvé en France, voulsit ce parfaire, et manda aux cappitaines, esquelz il avoit donné la charge des dites places, icelles (i) Il Cod. scrive mil quatre cens quatre vingt\ et cinque. U95 10 Ottobre 1-196 ^Feb- braio - 438 — rendre aux Fleurentins; laquelle chose iceulx cappitaines ne voulsirent faire, ains les vendirent à beaux deniers: c’est assavoir, Pise aux Pisans, Sarrezanne aux Gennevoys, et Pietresancte aux Lucquoys, de quoy le roy fut tort mal content, disant en ce sa foy estre blecée. Estant le dit roy Charles retiré en France, ne tint grant conpte de secourir le royaulme de Napples, lequel par fliulte et desespoir de ce se perdit pour les Francoys, nonobstant que par iceulx furent faictes plusieurs louables batailles à l’encontre des Arragonnoys. Ainsi seullement mectoit peyne icelluy roy à gouverner et regir son royaulme ; et envers luy Ludovic Sforce avoit desia tant faict, par la faveur d’aucuns ses amys, que de rechef se rallioyt au dit roy Charles, à condicion qu’il confineroit le due d’Orleans en Picardie, et que icelluy Ludovic bailleroyt au roy gens et argent pour faire la guerre aux Veniciens et reconquerre le dit royaulme de Napples; laquelle chose certainement eust sorty effect par la grant emulacion que avoyt le dit due d’Orleans en court, et à la grant corruption que avoyt trouvé Ludovic en ceulx qui le roy Charles gouvernoient, n eust osté cì ce la mort du dit roy. — 439 — CHAPPITRE X. Comment le roy Charles estant 'a Amboise 'a ung jeu de paulmc mourut par le moyen d’un catene. Et comment Loys, duc d’Orleans succeda a la coronne. L’an de Notre Seigneur mil quatre cens quatre vingtz et dixhuyt, ou mois d’avril, le roy Charles, estant à Amboize en ung jeu de paulme, souddainement APrilc luy tomba ung caterre (i), duquel sans puis parler, peu d’heure aprés, alla de vie à trespas, et à luy succeda Loys due d’Orleans comme plus prochain à la coronne, estant le dit roy mort sans hoir ; lequel paisiblement de chascun fut institué roy, et aprés avoir parachevées toutes les cerymonyes qui à la coronacion appartiennent, ayant tenu comme contrainct pour et au nom de femme espousée madame Iehanne de France seur du roy Charles susdit, congnoissant à ce mariage n’avoir oncques voulentaire-ment consenty, par le povoir du pape icelle repudia, et de nouvel espousa Anne de Bretaigne, veufve laissée du dit roy Charles. Aprés que Loys fut establv roy , la vertuz, sens et hardiesse duquel aparavant estoit à chascun congneue, de toutes pars luy vindrent ambaxadeurs se congratuler à luy, et entre les autres des Veniciens. Or estoit tombé grant discord entr’eulx et Ludovic Sforce pour Paffaire (i) Filippo di Comines dice: Le mal du roy fut un caterre ou apoptexie. Così le edizioni del 1549 e 1593, benché quella del Comines nella citata Col-teclion des Documents pour servir à l’Hist. de France IV. 239-9 ;>bbia ammodernata la parola in catharre. — 440 — de Pize, laquelle taschoyt les Veniciens d’avoir et retenir en leurs mains; la force desquelz craignant Ludovic, empescha ce faict, et esmeult toute l’Ytalie à l’encontre d’eulx tant que touchoit l’affaire de Pize, et en oultre, ainsi que dessus avons dict, pourchassa leur ruyne avecques le roy Charles, à cause de quoy, par leurs amba-xadeurs, firent requerir le roy Loys d’allience, enhortant icelluy à la conqueste de la duché de Millan, et luy promectant leur aide, briupture (i) et guerre à l’en-contre de Ludovic; pourchassant neantmoins aussi icelluy Ludovic avecques le roy Loys, par le moien de Iehan ^aques de Trevolce puis marreschal de France, par lequel se inclina le roy laisser à Ludovic Sforce la duché de Millan pour le temps qu’il vivroyt et deux ans aprés luy à ses enfans, à tei si que puis retournast à la couronne de France, et qu’il paieroit la somme de deux cens mille ducatz ; lequel accord fut destourbé par Galeasse de Sainct-Severin et Anthoine de Landrien, tresorier de Millan, lesquelz craignoient l’accord du dit Trevolce à qui ilz estoient ennemys mortelz. La chose mise en roucte et ayant appaisé le roy Loys certains broilliz que en la Borgongne avoit esmenés Maximilien, roy des Romains, ferma l’alliance avecques les Veniciens à 1 en-contre du dit Ludovic, à eulx donnant en partaige en 1499 la dite duché Cremonnes, le Cremonnoys et toute Aprile Gerra d’Ade (2). (1) Anche questa è una parola di cui non comprendo il senso, e di cui nemmeno posso affermare la esatta lezione. Forse rupture? (2) Cioè la regione detta Ghiara d’ Adda, dal fiume che la bagna. Il tentativo di trattato del Moro col Re pare tolto di peso dal Corio, come anche il tentativo precedente narrato in fine del cap. IX. CHAPPITRE XI. Comment le roy Loys do tities me conquesta la duché de Millan, occupee par Ludovic Sforce, pour lors dnc du dit Millan. Ainsi delibera le roy Loys poursuyvir à 1’encontre de Ludovic Sforce , pour laquelle chose commist chef le noble, bon et vertueulx prince Loys monseigneur de Lu-xembourg, Guerard seigneur d’Aulbigny (i) et Iehan laques de Trevolce, soubz lesquelz envoya une grosse armée pour conquerir la duché de Millan, sur laquelle il pretendoit avoir querelle à cause de Viollant (2) fille du due Philippes, espousée par Luys due d’Orleans son grant pere, estant allé de vie à trespas le due Philippes sans hoir legitime autre que la dite Viollant, la succes-sion de laquelle au roy Loys appartenoit. Les susditz lieutenans pour le roy firent leur amast de gens d’armes en Ast, et en certains jours prindrent les deux chasteaux de la Rocque et de Non (3), loingtains du dite Ast deux lieues, lesquelz par ceulx de Sforce estoient moult fortif-fìez de gens et artillerye, devant lesquelz on estoit d’oppi nion que l’armée du roy deust demourer longue espace de temps. Avoit le dit roy Loys en icelle le nombre de douze (1) Meglio Berardo o Eberardo Stuardo della Casa Reale di Scozia, il quale in Francia fu il primo Signore d’Aubigny. (2) Non Violante ma Valentina, e figlia non di Filippo Maria ma del loro comune padre Gian Galeazzo Visconti, primo duca di Milano, 1387. (}) Rocca d’Arazzo e Annone. — 442 — cens hommes d’armes et douze mille hommes de pied et deux bandes d’artillerie, de laquelle prinse demeura Sforce fort espoventé; et à toute sa puissance envoia o gens à Alixandrie, laquelle il avoyt garnye et fortiffiée de foussez et artillerìe, et d’icelle avoit donne la charge à Galeace de Sainct-Severin, avec le nombre de unze cens hommes d’armes et neuf cens chevaulx legiers et six mil hommes de pied. En ce mesmes temps, les Veniciens rompirent la guerre au dit Storce du cousté de Gerra d’Ade à l’encontre desquelz envoia aussi le dit Ludovic ung nommé Iehan Francisque de Sainct-Severin, avec le nombre de cinq cens hommes d’armes, sept cens chevaulx legiers et troys mil hommes de pied. Les Frangoys, qui en Ast estoient, aprés la prinse des susdits chasteaux, couroient tout le pays à l’entour, et peu se faillut que ung jour par emblée ne prindrent la cité d’Alixandrie, misrent le siege et icelle batirent fort d’artillerye tant qu’ilz estoient pro-sches à donner l’assault ; de la deffence duquel estant desesperé Galiasse, lequel actendoyt secours, tant du rov des Romains que de Iehan Adorne et conte Galeasse (i) son frére, desquelz de nulle part estant se-couru, delibera habandonner Alixandrie, et le myeulx que faire pourroit se retirer à Millan, ce que secretement par une nuyt il fist; de laquelle chose demeurerent tous les Millanoys espoventez et assez tost aprés commanca la dite ville à tumulter. Au moien de quoy voyant Ludovic Sforce la certaine (i j Bisogna leggere Conte di Gaia^o (Gian Francesco sopradetto) fratello di Galeazzo e primogenito di Roberto Sanseverino nominato sopra al 1476. — 443 — perdicion de luy delibera, à tout l’amast d’argent qu’il luy fut possible recouvrer, soy retirer en Alemaigne, ce qu’il fist le second jour de septembre de la mesme année. Et par ceste maniere puys que Galleasse de Sainct-Severin eut habandonné Alixandrie, la partie des gens d’armes qui se saulvérent se retirérent à Millan devers Ludovic; et oultre ce estoit à Pavye Iehan Francisque de Sainct-Severin, avec cinq cens hommes d’armes et sept cens arbalestriers à chevai et troys mil hommes de pied, lesquelz estoient venuz de Cremonne, où ilz estoient à l’encontre des Veniciens, pour secourir Alixandrie; lesquelz tous ensemble Ludovic fist venir à Millan, crai-gnant la subversion de la ville à l’encontre de luy, esperant aussi iceulx conduyre iusques aux Marches d’Al-lemaigne; ce que luy fut par ceulx reffusé, ains oncques ne le voulsirent conduyre hors du pare du chastel de Millan, dont triste et dollent fut- Ludovic laissant la duché de Millan, lequel par troys foys se retourna pour la regarder en piteuses larmes. De ses gens d’armes fut ainsi laissé et habandonné, et en ceste maniere partit acompaigné seullement de Galeasse de Sainct-Severin qui en tout temps tres loyal et stable luy avoyt esté, et autre petit nombre d’amys et serviteurs. Avoit laissé le chasteau de Millan lequel est une place de plus fortes que l’on sgauroit veoir, garnye de deux mil huyt cens hommes de guerre Ytaliens et Allemans, soubz la charge de Bernardin de Court millanoys, et en oultre plus equippée de tant de vivres, provisions, argent, artil-lerie et autres choses necessaires, que, à la raison de ce à tout le mond estoit tenable bien grand espace de temps. Et combien que de beaucoup de gens fut improperé 1499 2 Settembre — 444 — Ludovic qu’il donnoit telle charge au dit Bernardin, qui estoit homme de peu d’esperit, sens, sgavoir, experience, vertuz et prosperité de personne, et à parfin sans toutes choses dignes de louenge, ce touteffoys delibera de faire, disant que à chacun de ses gens et serviteurs il congnois-soit aucuneffoys avoir tenu quelque tort ou despit, fors que au dit Bernardin de Court lequel en sa vie, de chose qui fust, ne le malcontenta. Neantmoings le ingrat et inmemorable des beneffices receuz non plustost veit Ludovic partir de Millan que jà pourpenga à meffaire trahison, donner commancement de la despouylhe et grant richesse qui demeura dedans le chasteau, la quelle montoit à la valleur de plus de deux cens inilz ducatz, et par ainsi, au moien d’un nomine Anthoine Marie Palveisin qui de l’oeuvre et I499 24 Set- traicté fut moyenneur, en XXII jours puis le partement de Ludovic de Millan rendit icelluy Bernardin de Court le chastel és mains de Loys monseigneur de Luxem-bourg (1) et deux autres lieuxtenans de par le roy, pour et au nom du dit seigneur, sans aucune force, siege, ou pressement; laquelle chose non seullement des Ytaliens maiz des Frangoys et toutes autres gens fut estimé de si grande et abhominable trahison, que non seullement depuis fut Bernardin monstré au doygt, maiz de toutes pars et compaignies dechassé et increpé de trahison, lasche té, meschance, non seullement des hommes maiz de Dieu fut miserablement pugny et surprins de la peste, par laquelle de tous ses gens fut laissé mourir en une grange, sans aucun secours seullement d’un voirre d’eaue. (1) Luigi conte di Ligny della Casa di Lusseniborgo. — 445 — Rendu que fut le chasteau de Millan se rendirent pareil-lement toutes les autres places de la duché aux lieuxte-nans du roy. CHAPPITRE XII. De la premiere reddiction de Gennes au roys Loys dou^iesme, et comment en personne en print possession, ensemble de la duché de Millan. En ce mesme temps la cité et pays de Gennes se rendjt és mains du roy Loys douziesme, et en ceste maniere: avoient les Adornes presidé l’espace de unze ans ou envyron, soubz le nom de Augustin et Iehan Adornes, pour Ludovic Sforce, ayant iceulx en la cité consenty maintes extorcions et forfaiz, ainsi que en tout temps ont acoustumé de faire tous cappellasses en leurs sei-gneuries. Et entre les autres une nuyt fut trouvée morte de quinze coups de poignart une dame de Gennes, nommée Iheronyme Spinolle, seur de Iehan Spinolle seigneur de Sarraval, gentilhomme bien condicionné et entre les Spinolles moult estimé ; de laquelle chose la mescreance en fut donnée à Anthonyot Adorne filz du dit Augustin, par le desdaing qu’il avoyt d’elle, d’une fille sienne de laquelle il estoit amoureux et qu’elle ne luy voulloit consentir, et, combien que la chose ne fut oncques cer-tainement adverée, touteffoys on le tenovt pour ainsi. A cause de quoy tous les Espinolles, qui naturellement sont parciaulx des Adornes, irritez du cas efforceur et — 446 — horrible prindrent cn hayne les dits Adornes et à leur puissance machinérent la perdicion de l’estat pour eulx; lesquelz vovans la duché de Millan estre conquise par le roy, penserent lors i leur vengeance avoir occasion, et, remonstrans aux Dories et autres parciaulx Fregozes leur intencion, fut assemblé ung grant conseil pour deliberer et prandre l’advis d’ung chascun sur ce qui estoit à faire. Et ainsi, tout à ung voulloir, fut dict d’envoier devers les lieuxtenans du rov, donner la ville et hors mectre tous cappellasses , retenans seullement à eulx le nom 1499 trance; ce qui fut fait, et par les susdits lieuxtenans "tobre la dite ville acceptée et icelle donriée; et restoit le chas-teau, duquel Ludovic Sforce avoyt envoyé les enseignes à Iehan Adorne, pour lesquclles touteffois le cappitaine ne voullut riens faire, mais assez tost, par le moien de Iehan Ceba de Grvmault, se composa et rendit au roy le dit chasteau. Toutes choses mises que eurent en leurs mains les susdits lieuxtenans, delibera le roy Loys venir prandre la possession de sa duché et noble conqueste lequel ar-ryva au dit Millan au mois de septembre en habit ducal, ouquel lieu vindrent devers luy ambaxadeurs de toutes pars, comme de plain voulloir eulx se subiectis-sans à son plaisir et voulenté; mayz ne voullut le dit seigneur sur aulcun riens entraprendre que a luy ne fust appartenant. Ains aiant la cité- de Cremonne envoyé ses ambaxadeurs supplier le roy la prendre en sa dominacion et seigneurie, ne les voulsit oncques accepter pour la convencion qu’il avoit avec le Veniciens, et reffusant lon-guement les Cremonnois L’empire des Veniciens fut be-soing que par le rov fussent menassez à eulx se sub- — 447 — mectre, ou autrement que par luy seroient endommaigez comme propres ennemys; ce que à la parfìn firent, et par ainsi demeura le roy Loys seigneur de la duché de Millan jusque és confins de la ryviere d’Agde (i) et de la reste les Veniciens paisibles seigneurs et possesseurs. Et ayant le roy estably par le faict de la duché et le tout mis en son obeissance, ordonna à Millan pour gouverneur Iehan Iacques de Trevolce, lequel lors fit mar-reschal de France et marquis de Vigeve, et à Gennes envoya Philippes monseigneur de Cleves, seigneur de Ravastin, son cousin germain. Aiant receu des Gennevois la fìdelité par le nombre de vingt et quatre ambaxa-deu-rs principaulx de la dite ville, ces choses composéez, delibera le roy Loys son retour en France pour cause de l’yver qui estoit encommencé (2). CHAPPITRE XIII. Comment le More Ludovic Sforce fut prins à Noarre prisonnier dii ■ roy Loys dou^iesme, par le moien d'une trahison conspirée par Ics Suisses estans a la souìde du dit More, et de la prinse du Cardinal Ascaigne son frère. Ludovic Sforce estant pour lors en Allemaigne, con-tinuellement brassoit alliances et praticques pour retourner (1) Fiume d’Adda sovra nominato. (2) Per questi fatti si veda Belgrano , Della Dedizione dei Genovesi a Luigi XII Re di Francia, pag. 557 e segg. della Miscellanea di Storia Italiana, voi. I, Torino, 1862. 1499 4 Novembre 1499 Agosto — 448 — à Millan, et avoit eue de Maximilian roy des Romains, certame promesse, et entre les autres choses tascha de faire venir le Turcq en Ytallie; et pour ce faire y envoya deux ambaxadeurs, l’un nommé Ambroise Bougard, 1 aultre Martin de Caysal (i), et oultre plus envoya le dit Maximilian quatre ambaxadeurs devers les Veniciens, eulx les requerir d’alliance et confederacion ; ce que ne s’ensuyvit. Neantmoins prepara Ludovic Sforce une grosse armée et avecques icelle s’en vint en la duché de Millan, et 1500 assez tost peuple de la pluspart d’icelle se rebella braio" contre roy5 et ^ cinquiesme jour de febvrier, entra ' dedans le dit Millan, où generallement fut receu de tout le peuple, et la ville eut en obeissance, sauf le chasteau. (1) Il Corio al 1499 scrive Ambrogio Bugiardo, che il Ripamonti ha tradotto in Mendax. Rosmini (Istoria di Gian Jacopo Trivul^io, Milano 1815. I. 311) completando con documenti i documenti del Corio, scrive Ambrogio Bucciardo o Bocciardo e mostra che era genovese ed aveva un fratello Tommaso implicato aneli’ egli in quest’ affare. Infatti è noto in Genova tuttora il cognome Bocciardo. Genovese e probabilmente della stessa famiglia era quel Giorgio Bocciardo, scrittore delle lettere del Papa, che nel 1494 Alessandro VI, e già nel 1492 Innocenzo VIII aveano inviato a Bajazet, come ora fa Ludovico il Moro (Ved. Guicciardini, lib. I, cap. 2.0 e il Diario del Burcardo in Eccard., Corp. histor. medii aevi II. 2053, ove le Istruzioni a Giorgio Boiardo e la di lui Relazione). Questi ritornò dalla legazione con Mustafà Bascià Inviato del Gran Turco col dono al Papa della Santa Lancia ed altre Reliquie (Ved. Saracjni, Notizie Storiche della città d’Ancona, Roma, 1675, pag. 291-3; ove è detto espressa-mente Giorgio Bucciardi Genovese). Del resto era naturale a que’ tempi che fosse di Genova un Inviato a Costantinopoli, sia da parte di Roma che del Duca di Milano Signore di Genova. Nelle Istruzioni ad Ambrogio Buciardo nel Corio oltre al fratello di lui si parla anche di un Baborino (Borborino famiglia che si sa genovese ed è citata dal Saivago al 1266). Anche di un Martino da Casale abbiamo notizie della tassa che pagava in Genova (Archivio di San Giorgio, Avariarum, Additionis soldor. 10 c.e 247 in Conestagia Ponticelli, anno 1446), il quale forse è 1’ avo del compagno d’Ambrogio Bucciardo, poiché è pure inscritto ibid. nel Registro Possessionum del 1423 c.c 273 nella stessa Conestagia. — 449 — Iehan Iacques de Trevolce, voyant la subversion de tout le pays, retira les gens d’armes, et avec eulx tous ensemble se retirérent à Noarre, laquelle il garnit de vi-vres et gens, mesmement le chateau, et depuys luy ensemble Loys, monseigneur de Luxembourg, lequel estoit demouré cappitaine generai des gens d’armes, se misdrent à Mortare. Ludovic Sforce assez tost partit de Millan et vint à Pavye, où il assembla son armée et droict s’en alla as-sieger Noarre; car pour lors aux champs il estoit plus fort que les Frangoys. De ces choses adverty que fut le roy, qui pour lors estoit a Loches, souddaynement envoya le seigneur de la Tremoilhe (i) avecque grant secours de gens d’armes et gens de pied, lesquelz en peu de temps arryverent au dit Mortare. Pareillement croissoient les forces de Ludovic, et grant nombre de gens avoit, Bour-gongnons, Allemens et Suisses, et assiegeant Noarre à parfin la contraingnit à se rendre, sauf les gens d’armes Francoys. Et assez tost aprés les Suysses, qui aux gaiges de Ludovic estoient, traicterent avec le lieutenant du roy de leur donner et delivrer le dit Sforce moyennent certain pris, ce qu’ilz firent; car ung jour actandant la bataille les dits Suysses icelle reffuserent ; parquoy voiant Ludovic estre trompé et trahy des siens, sercha d’eschapper; maiz par les dits Suisses fut prins en habit dissimullé '500 et aux susdits lieuxtenans delivré, et tout à ung coup, Aprile par luy prisonnyer, la guerre achevée. (i) Luigi de la Tremoille su cui vedasi nella citata Notivelle Collectiou des Documents, IV, 409 e segg. il Panigyrique du Cbevalier sans reproche scritto da Jean Bouchet. Atti Soc. Lig. St. Patru, Voi. XIII, Fase. 111. 29 — 450 — Taire jà ne me puys que, de tous les amys, alliez et confederez du roy de toute Ytallye, seullement Gennes demeura entierement en sa foy, en laquelle certes gissoit la perte ou la victoire de ceste guerre ; et pour l’estat du roy lurent faictes si grandes provisions aux coustz et despens de la ville, comme si ce eust esté pour saulver la vie à chascun d’eulx. Prins que fut Ludovic et pareillement son frere Ascai- ' gne Cardinal furent en France envoiez, c’est assavoir Ludovic à ung chateau en Berry nomine le Liz-Sainct-George ouquel lieu il demeura longtemps, et depuis au chasteau de Loches, où la dixiesme année de sa captivité alla de vie à trespas. Ascaigne fut mys dedans la tour de Bourg, et certain temps aprés fut delivré et mys en liberté pour l’espoir que l’on avoit de luy estre favorable à l’election d’un pape comme cy aprés racontrons. La premiere guerre de Millan finye, Alixandre pape sixiesme, lequel avoit fait renoncier Cesar Baurgye son filz au cardinalat, et icelluy avoit maryé en France à la fille du seigneur d’Albrect, soubz tiltre de due de Val-lentinoys par don du roy, icelluy filz deliberant à sa puissance soy faire grant, entreprint la guerre à l’encontre des seigneurs de la Romaigne, qui estoient feudateres de l’Hglise, lesquelz premierement il pryva par censures apostolicques de leurs terres et seigneuries. Et en aprés que Ludovic Sforce fut prins, le pape envoya de rechef, à l’encontre de ceulx de la Rommaigne, puissante armée ' avec l’ayde du roy, qu’il luy compleut (i) de bonne bande de gens de guerre et d’artillerye ; et en peu de (1) Italianismo: lo compiacque di, gli somministrò buon numero di armati. Lo stesso-modo di dire più sotto all’anno 1505. — 451 — temps prindrent les villes d’Ymolle et de Fourlv et en . aprés le reste de la dite Rommaigne, sauf la cité de Boullongne, lesquelz sur toutes choses furent mises és mains du dit Cesar due de Vallentinois, et desquelles Alixandre pape Vi™ son pére l’en envestit à seigneur. Ung peu d’avant icelluy temps avoient les Florentins prins ung nommé Paulle Vitelle leur cappitaine generai, lequel ilz avoient envoyé au siege de Pise, et luy n’ayant (faict) assez effort pour prandre la dite cité, luy fut imputé, de chascuns, trahison et par ce faict coulpable de mort. Fut cestuy Paule grant cappitaine en faict de guerre, et ayant grant suyte en la Romaigne, auquel demeura ung sien frere nommé Vitelosse, non moins au faict de la guerre vallable que son susdit frere. Cestuy print le Service de Cesar, due de Valentinoys, expressement pour soy venger des Fleurentins de la mort de Vitelle (i), à l’encontre desquelz faisant luy grant guerre soubz le nom du dit de Vallentinoys, les Fleurentins en firent plaincte au roy, comme alliez de luy et qu’ilz avoient en protection icelluy due de Vallentinoys, qui, pour complaire au dit seigneur, deschassa de luy le dit Vitelosse, et assez tost aprés le print prisonnier et le fìst mourir. CHAPPITRE XIIII. Comment le roy Loys dou^iesme delibera faire la guerre au roy Fe-deric d’Arragon pour le royaulme de Naples, et comment icelluy Federic fut confini par icelluy seigneur au Plessi^-Us-Tours oh depuis il mourut. Ayant Loys douziesme roy de France conquise sa 1499 9 Dicembre tobre 1502 31 Dicembre fi) Il -Codice ripete per errore Vittellosse invece di Vitelle. — 452 — . duché de Millan et Ludovic Storce prins avecques Ascaigne son frere, comme dict est, delibera entreprandre la guerre à l’encontre du roy Federich d’Arragon, qui pour lors occupoit le royaulme de Napples, lequel le dit seigneur disoit luy appartenir par la succession de Charles huytiesme son predecesseur, et des roys de France auxquelz le dit royaulme, par le testament de la reyne Jehanne a ceulx d’Anjou, appartenoit. Et ainsi se livra 1500 la guerre l’an mil cinq. cens, pour l’execucion de la-Glugno quelle nouvellement furent faictes alliances entre le pape, Ferrande rov d’Espaigne et Veniciens, soubz condicions que icelluy pape tiendroit paisible ce qu’il avoit conq'uis en la Rommaigne pour Cesar due de Valentinoys son filz, lequel seroit lieuxtenant du roy en ceste armée; que les ditz Veniciens retiendroient à eulx Octrante et Gallipolv et les autres terres qu’ilz avoient eues engai-gées par le roy Federic susdit, et quant au regard du roy d’Espaigne, qu’il partiroit le royaulme de Napples avecques le roy de France, promectant touteffoys icelluy roy d’Espaigne à Federic aide et secours à l’encontre des Francoys, disant des dites alliances n’estre riens; parquoy le pouvre Federich des promesses de Ferrande demeura deceu, frustré et trompé. Et par ainsi ordonna le roy de France l’expedicion de son armée, de laquelle il envoya chef ung nommé le seigneur d’Aubigny escocoys (1), et Jehan Francisque de Sainct-Severin, duquel cy devant avons parlé, et lequel le roy, dés la perte de Ludovic Sforce, avoyt à soy retiré, ausquelz deux principallement avoyt donné le (2) Eberardo Stuardo sopracitato. - 453 — charge de son armée, nonobstant que avecques eulx fust le dit Cesar de Valentinois. Et ainsi, avecques le nombre de douze cens hommes d’armes et seze mil hommes de pied, passerent leur chemin à l’encontre du dit Federic, lequel, pour la impossibilité de luy (deffendre), et n’ayant secours d’aultruy, combien que tousiours il s’atendoit és promesses du dit Ferrande roy d’Espaigne, seullement fist son effort de garnir la cité de Capoe et celle de Napples, dedans lesquelles il mist assez belle compaignye de gens de guerre. Et ainsi du premier commencement les Frangoys assiegerent la dite cité de Capoe, laquelle ilz battirent d’artillerye, et puis par force à ung seul assault la prindrent et totalle-ment icelle pillerent, dedans laquelle lut trouvé inesti-mable richesse; de laquelle chose s’espoventa Federic, et, voyant estre abusé de la promesse du roy d’Espaigne , de l’espoir d’aultruy secours n’estre en force de resister aux Frangoys, delibera de partir de Napples. Et fournies qu’il eut les deux places et chasteaux qui y sont, se retira en l’isle de Iscle avecques l’amast de ce peu qu’il peult faire de ses biens. Les lieuxtenans pour le roy, aprés la prinse de Capoe, vindrent à Napples, ausquelz furent pourtées les clefz d’icelle par les Nappolitains. Et assez tost aprés, Carraphe conte de Matelon (i) qui avoit espousé la seur de Jehan Francisque de Sainct-Severin, lequel avoit la charge de part Federic du chateau de l’Oeuf, composa le rendre, pour luy estre saulvez ses biens; ce qu’il fut faict. Et le roy Federic, qui s’estoit retiré en l’isle d’Iscle, 1501 H Luglio 1501 25 Agosto (1) Tommaso Caraffa conte di Maddaloni in Terra di Lavoro. — 454 - comme dit est, composa aux lieuxtenans du roy d’avoir saufconduyt pour soy tenir en icelle l’espace de six fnoys sans aucun empeschement, ce qu’il luy fut accordé; pen-dant lequel temps delibera aller en France devers le roy Loys dessusdit, pratiquer aucun appoinctement pour son estat et gouvernement; ce qu’il fist. Et en partant du dit Iscle avecques six gallaires arryva à Marseille, et de là par terre s’en alla à Bloys, auquel lieu fut amya-blement receu du roy de France et appoincté d’estat à luy convenable, et ainsi se retira au Plessiz-lés-Tours en 1504 Touraine où puis naguieres alla de vie à trespas. :mbrè Assez tost aprés la conqueste de Napples, sortit differant des roys de France et d’Espaigne pour le partaige du dit royaulme, et parquoy entre les Francoys et Espa-gnolz commenca la guerre. Et premierement par Loys d’Ars lieuxtenans de Loys monseigneur de Luxembourg, prince de Haulte More (i)au dit royaulme, et, en France, conte de Ligny, lequel Loys d’Ars avecques peu de gens, sans ayde ne secours que de sa vertuz et des subiectz du dit seigneur de Luxembourg, fist tei amast que aux Espaignolz mainteffoiz fist honte et dommaige, eulx contraignans à subiection et demeuréz assiegez par long espace de temps. Gouvernoit lors le royaulme de Napples pour le roy le due de Nemours (2), lequel estoit seigneur de toute bonté et vertuz. (1) Cioè d’Altamura in Terra di Bari per feudo datogli dal Re. (2) Luigi d’Armagnac Duca di Nemours Vice-Re di Napoli. 455 — CHAPPITRE XV. Dii voyage de Methelin en Turquie, faict par Phelippes, monseigneur de Cleves, seigneur de Ravestin. En la mesme année, et pour icelle conqueste de Napples , prepara le roy Loys dessusdict une grosse armée de mer, tant pour la diete guerre que pour oultre ce aller à l’encontre des Turqz, de laquelle armée fut faict chef, par icelluy seigneur, ung nommé Philippes monseigneur de Cleves, seigneur de Ravastin, alors gouverneur de Gennes, lequel estoit cousin germain du roy et ainsi nageant avecques la dite armée parvint et arryva a Nap- Luglio ples, et là trouvant le royaulme reduyt à l’obeissance du roy, oultrepassa à son voyage, et en l’isle de Sappience trouva l’armée des Veniciens moult forte et puissante, avecques laquelle il se rallya, et mis que furent ensemble furent en contencion d’aller en Alixandrye, maiz puis par deliberacion prindrent le chemin de Methelin, laquelle est 16 une isle de Grece anciennement occupée par le Turq. Et Agosto du premier qu’ilz furent arryvez, donnerent un gros as-sault à la ville, tant que peu faillirent à la prandre, maiz 29 0t-assez tost aprés le Turq y envoya secours de cent gal- tob,L laires. Et pour la longue navygacion et estans en disete de vivres, le dit seigneur de Ravastin et son armée, et aussi à eulx survenant l’yver, furent contrainctz partir de là sans autre chose faire, et non sans grand fortune et perii, car plusieurs navvres de la dite armée, en ce retour , se perdirent, et icelluy mesme seigneur de Ravastin - 456 — I5m en J’isle de Citarée fìt naufraige, et seullement luy et venibré Peu nombre de ses gens en chemin se saulverent, et par ainsi en habandon alla la dite armée sans chose faire digne de memoire. Ferrande, rov d’Espaigne, voyant la guerre commencée par ses gens à l’encontre des Francoys au royaulme de Napples, instigué de Gonsal Ferrande, son lieutenant et cappitaine generai au dit royaulme, icelle poursuyvir, luy envoya secours de gens de guerre, lesquelz renforcerent l’effort des dits Espaignolz, et pour estre puissans à l’aventaige des Francoys se misdrent aux champs, et la pluspart du temps de toutes leurs entreprinses lurent vaincueurs. Et à parfin vindrent à ung lieu nommé la Serignolle (i), de quoy estant adverty le due de Nemours fist son amast de gens pour les rencontrer et combatre, maiz fortune voulsit qu’il trouva les dits Espaignolz en ung fort où ne leur povoit riens faire. Et deliberant actandre le jour suyvant pour les combatre, congnois-sant que aux Espaignolz estoit impossible là estre plus d’une nuyt n’avant de quoy vivre, et estant l’heure de ce jour tarde, fut appellé par aulcuns de lascheté et couardise. Dont pour se vanger de ce blasme le bon seigneur, combien que oultre son gré, assallit les Espaignolz en leur dit fort, lesquelz tant pour la forteresse du lieu que pour la craincte de la mort soy tenans perduz, si vigoreusement se deffendirent qu’ilz demeurerent vainc-1503 queurs, les Francoys en roucte et le bon due de Nemours Aprile mort. Commansa la bataille peu devant la nuyt et dura (1) Cerignola in Capitanata. — 457 — envyron deux heures, et, le jóur venu, les Francoys, qui de toutes pars estoient espanduz, le myeulx que faire peurent se rallierent, et de là prindrent le ehemin devers Gaiecte, laquelle est une ville sur la mer forte et im-prenable, et là retirerent leur effort. De ces nouvelles adverty que fut le roy de France, print grant desplaisir, neaintmoins icelluy divertit en vengeance (i), et deslors delibera envoyer une grosse armée pour secourir ses gens estans dedans le dit Gaiecte. CHAPPITRE XVI. Comment le populaire de Gennes se revolta à l’encontre da roy Loys doti^iesme, estant pour lors gouverneur au dit Gennes pour icelluy seigneur le sire de Ravastin, et comment le dit roys Loys alla en personne avecques grosse armée conquerre la dite ville. L’an de Jexu Crist mil cinq cens et cinq estoit uni-verselle paix en toutes pars (2). Et la cité de Gennes, aprés deux longues pestillences, soubz le domayne de Loys douziesme roy de France, prosperoit si haultement que oncques ne fut veue en si bonne garde de agrandir, beneficier, et acroistre. Car de tous coustéz habondoient les marchandises, et les caracques de toutes pars appor- (1) Vertit in ultionem, il dispiacere in vendetta. (2) Come ho avvertito nella Prefazione, qui il Saivago salta a piè pari un pezzo della Storia di Genova e specialmente la prima venuta di Luigi XII nel-P agosto del 1502. 1503 Dicem bre ISOS - 458 — toient richesses innumerables; maiz à si grant bien fortune envyeuse mist empeschement par une sedicion civille entre le peuple et gentilzhommes. Et est à nocter que la cité de Gennes a gentilzhommes et populaires, et, combien que les gentilzhommes soient ceulx qui plus anciennement ayent creu et employé le bien et auc-torité de la dite ville de Gennes, et qui par leur vertuz, la naissance dont ilz portoient le nom, par leurs vertueux faiz, ayent à nobliser, neantmoins la croissance des populaires a esté si grande et mainteffoys si habondante en richesse, que bien souvent eulx enourguillant à l’encontre des nobles leurs superieurs, ont faict esmocion, ainsi que cy dessus briefvement avons raconté. En la quelle arrogance estant le dit populaire en la susdite année precité, et pour l’oisivité, richesses et luxurieuses delices glorieulx, vindrent à telle mescon-gnoissance, que, ignorant bonnement ce que veult dire peuple, à l’encontre des nobles machinoient. Et combien que de longue main ilz eussent pourpensé tei mal faict, les nobles generallement aussi mectre à mort, neantmoins la lascheté de servii couraige à ce n’ousa prandre reso-lucion, mais secretement nourrissoient leur mauvays tal-lent ; et en aucuns estoit jà si fort creue l’arrogance que mainteffoys aux gentilzhommes qui leur debtes leurs demandoient non seullement en faisoient reffuz (i), mais de parolles superbes les oultrageoient, et le moins (i) Qui l’Autore si stacca affatto da tutti gli altri Storici ed Annalisti i quali accusano i Nobili di essere stati i primi ad oltraggiare i popolari, rifiutando di pagare i propri debiti. Sai vago è più giusto e va d’ accordo cogli altri più sotto, allorché afferma che i popolari principali si spaventarono poi, vedendo crescere i disordini che recava la rivoluzione. — 459 — mal que tous gentilzhommes respondoient, le moindre populaire estoit l’arrogance de soy dire aussi bon que luy à tout parangon ; chose par trop griefve à qui la naissance et vertuz ont anobliz mesmes en icelle ville de Gennes, en laquelle par commun proverbe dit le s<;avoir, povoir, et bon voulloir estre aux gentilzhommes, lesquelz en tout temps ont esté suffraigés des populaires. Si (i) ont oultraigeusement fait aucuns Gennevoys de l’ordre du dit peuple lesquelz ont emprint et escript l’histoire de ceste guerre, lesquelz ont dict icelle estre causée par l’insollence des nobles mal condicionnez, comment que le contraire soyt verité, maiz seullement leur petulance, orgueil et mescongnoissance ; la injurieuse sedicion desquelz la ville de Gennes, née soubz noble franchize, dominaresse de la mer, et qui les loingtaines provinces , les infidelles nacions , les orguilleuses entre-prinses a en tout temps conquis et abatu, soubz le gouvernement des cappelaces, Adornes et Fregozes ont aneantye et redduicte à honteuse servitude. Or est ainsi que, soubz ceste distincion de gentil-homme à peuple, se gouvernoit la cité par offices entr’eulx à moictié, de laquelle chose les populaires non encores contens delibererent le regyme d’icelle departir en trois pars; c’est assavoir, gentilzhommes, marchans et artisans, et entr’eulx les offices parties estre distribués. Et pour avoir occasion de nouvelle mutinacion furent entr’eulx ordonnez aucuns, qui par oultraige de si en avant picqueroit les gentilzhommes, qui par force de ne les povoir endurer fussent contrainctz à noyses et debatz, (i) Questo si non significa se, ma si usava allora per rafforzare il senso della frase, come a dire: certamente ecc. — 460 — et, en oultre, que estans aucuns populaires qui devoient grosses sommes d’argent, tant en commun que en par-ticulier, lesquelz n’aiant sur ce à payer voulentaire, serchoit occasion de ceste mutvnerie, esperant, par la soubvercion de la ville, demeurer sans de tels payemens. Et ainsi, par compte de debtes demandées par aucuns j8Giù- populaires aux gentilzhommes, ensuyvit controverse et §n°a debat jusque à estre aucuns batuz et souffletez ; de la Luglio quelle chose eulx disans oultragez, les populaires firent esmocion à haulte voix crians: Vive peuple! et, pour colorer leur cas, firent semblant se retirer au palays, demander justice et correction de telz malfaictz. Gouvernoit lors la cité de Gennes, ainsi que dessus avons dict, Phelippes monseigneur de. Cleves, seigneur de Ravastin, lequel, pour plus grant occasion de ceste ma-tiere ainsi que fortune voulsit, en ce temps estoit absent de Gennes en France devers le roy, et pour luy avoit laissé lieutenant ung nommé Phelippes de Rocquebertin, de nacion Cathelainne, mais de jeune age tousiours nourry et coutummé en France, homme certes de longue expe-rience et prompt engin en tout ce qu’il se voulloit em-plover, qui pareillement en ceste premiere subvercion se trouva de Gennes absent, qui pour certame malladie estoit allé aux baings d’Aigue (1); de laquelle chose estant adverty assez tost fist à Gennes retour, esperant en icelluy les gentilzhommes de l’oultraige populaire estre hon-norablement vengez et reintegrez. Neantmoings d iceulx fut imputé n’y avoir en ce cas dilligemment procedé, et deslors fut prins des gentilz hommes en quelque sou- 11) Acqui. — 461 — spection, imputé que aux populaires donna port et fa-veur. Estoict lors Jehan Loys de Flesque en la cité, premier estant pour la -condicion de luy et de la maison, lequel estoit chef de partie Guelphe, et combien qu’il fust gentilhomme, neantmoins le peuple naturellement a acou-stumé avoyr à luy recours. Cestuy, voyant la malignité du peuple à l’encontre des nobles, à toute sa puissance mist peyne de les appaiser, mais pour la conjuration et sedicion depiegà (1) machinée entre les populaires, ne lui fut possible de riens faire. Touteffoiz les gentilzhommes, qui envys tumultoient, et qui soubz les regi-mes de France voulentiers se conduisoient, sercherent à toute leur puissance envers aulcuns des populaires prin-cipaulx remonstrer la mauvaise consequence de telz mu-tinemens. Maiz eulx qui avoient les couraiges felons et mal atallentez, quelque remonstrance qu’on leur sceust faire de leurs mauvaises intencions, ne voullurent desister, et sans occasion, souddainement, aux armes ruerent par toute la ville , crians : Vive peuple et hors les gentilzhommes ! O miserable fortune de populée cité ! O pi-toyable condicion que lors estoit veoir les nobles fuy-tifz, les seigneurs deschassez, les bons hors mis, les cy-toiens estrangés, de leur propres et anciennes maisons deboutez, et qui plus est les femmes ravyes, les filles depucellées, et par toute la ville sacrileige, depopula-cion, et riens nulle part servir. A icelle voix incontinent le peuple se mist en armes et de toutes pars sortirent gens prestz à malfaire ; ainsi (1) Da lungo tempo (veci. Nonv. Collec. des Docum. III. 345 e IV. 409). — 4^2 — courant la dite ville en telle tureur qu’ilz rencontrerent deux gentilz hommes, l’un nommé Augustin Dorie et 1 autre Viscont Dorye, seigneurs agez, riches, d’aultant doulce condicion que à nuli vivant soit possible d’estre, I5o6 sur lesquelz tut rué, et l’un rnis à mort et le dit Augustin blecé de six coups. A tei cas furent espoventez les gentilzhommes et mys en grant effroy, tant que à son meilleur chascun pourchassa soy musser (3) et caicher. Or causerent lors les populaires ceste mutinerie pour le departement des offices, disans qu’ilz voulloient estre departies en troys pars, ung tiers les gentilzhommes, ung tiers les marchans, et l’autre les artisans. Car, comme cy dessus avons escript, avoient les offices acoustumé estre parties à gentilzhommes et popullaires à toute movtié. Pour laquelle chose et aussi pour. excuser les grans faultes, sercherent avec le susdit Rocquebertin ceste nouvelle transformacion que icelluy leur consentit, et ainsi furent tous les officiers de Gennes desmis, et des nouveaulx par tiers faiz et creéz. Ne de ce contens les dits populaires delibererent hors mectre de la ville Iehan Loys de Flesque; et, sur ce, soudainement se mist le peuple en armes à l’encontre de luy, et l’allerent assail-lir en sa maison, de quoy estant adverty print delibe-ration soy absenter et departir ; de laquelle chose print le populaire grant orgueil et oultrecuidance, et en oultre plus poursuyvirent les dits gentilzhommes, leur faisant tous les dommaiges, pilleryes, et oultrages qu’il leur fut (3) Sinonimo di cacher. Vedi il Dizionario di Littré e Coìlecl. des Docum. III. 339. 454 ecc. — 463 — possible ; ce que les dits nobles voyans et qui envys enduroient telle subiection , pareillement se absenterent de la dite ville, et ainsi le tout d’icelle demeura en confusion , soubz le gouvernement du peuple et mec-canicques, deliberans, en ce faict, eulx excuser de leur malfaict, envers le roy envoyer ambaxadeurs, soubz umbre de remonstrer que leur entreprinse à nulle autre chose taschoit sinon que à soustenir l’estat du dit seigneur, et pour icelluy offrir toutes choses que à luy plairoit commender. Estoit l’année precedente allée de vie à trespas Ysabeau royne de Castilhe , femme de Ferrande roy d’Arragon , sans hoirs masles d’eulx, maiz à la succession d’elle et du royaulme de Castille laissa Phelippes, archiduc d’Aul-triche, conte de Flandres, qui avoyt en mariage la fille du dit Ferrande et de Ysabeau, lequel Phelippes, deliberant aller prandre la possession du dit royaulme et hors en mectre Ferrande son beau pére, demanda pas-saige au roy par son royaulme, lequel, pour ne venir hors l’amyctié et alliance faicte, comme dessus avons escript, entre luy et le dit roy Ferrande, au dit Phelippes archiduc ne voulsit consentir ; tant et en tout temps envers les roys de France a eu lieu de integrité. A cause de quoy proposa le dit Phelippes par mer faire son voyage et divertir au royaulme d’Espaigne ; et ainsi s’embarqua en l’isle de Zelande auquel voiage eut telle tormente, que par fortune des vens marins, par force fut chassé en l’isle d’Angleterre, ouquel lieu le roy d’Angleterre le recuyllit trés-amyablement. Et le plustost qu’il luy fut possible, redressa son armée et, en partant de là, parvint 1505 12 Ottobre — 4^4 - et arryva en Espaigne, ouquel lieu de tous les princes, barons, et seigneurs du pays fut recueilly et pour leur roy prins et receu. Parquoy à Ferrande fut neccessaire departir de Castille et soy retirer en Arragon, et en oultre plus delibera passer à Napples; ce qu’il fist. Avoit prins le roy à grant desdaing la mut-inacion du populaire de Gennes pour deux raisons: la premiere que à luy, leur souverain seigneur, eussent ousé mef-faire; la seconde que, en tout temps les ayant si cor-diallement aymez que aucuns autres de ses terres ou cytez subiectes, n’eussent eu egard de ce, ne congnoissance du bien faict que en tout temps de luy ilz avoient eu; parquoy ne voulsit à l’encommancement ouyr leur ambaxadeurs, mesmement que le dit peuple continuellement estoit en armes. Si delibera lors le roy pour reduyre le dit populaire et du tout ne venir en son indignacion, envoier, pour appaiser toutes choses, le seigneur de Ravastin leur gouverneur, et ainsi partit en poste, tant qu’il arryva en Ast; où il retrouva grant partie des nobles deschassez luy requerant raison et justice, et en oultre ces deux ambaxadeurs pour le populaire qui luy offroient toutes condicions pour tenir de leur party. Et ainsi partit le dit de Ravastin d’Ast, et assembla envyron sept cens hommes de guerre avec cinquante lances de sa com-1506 paignye, entra en armes dedans la ville de Gennes, en Agosto laquelle conserva si haultement l’autorité du roy et dignité de luy, que plus ne seroit possible le dire ne raconter. Entré qu’il fut, de la mesme heure ordonna que Iehan Loys de Flesque fit retour en la ville, et ainsi acom-paigné d’aulcuns nobles honnestement fut recuylly et — 465 — receu. Avoit desliberé le dit de Ravastin soudaynement ?o surprandre les aucteurs de ceste mutynerie et d’eulx en Ag°st0 faire la justicc; maiz par aucuns ses dommesticques, de qui principallement il se servoit, fut empesché de ce, ainsi que l’on estime corrompuz des dons des populaires, et, combien que à leur conseil il adhera envys et oultre son gré, neantmoins, ainsi que fortune voulsit, luy convint consentir à leur oppinion, et par ainsi fut aucunement negligent à l’execucion qu’il avoit deliberé de faire. Sont aucuns encores qui dient que les dits’domes-ticques furent enhorter les populaires prandre couraige en leurs affaires, et de rechef sublevérent les armes à l’en-contre des gentilzhommes. Donc et aussi voyant eulx le seigneur de Ravastin n’avoir aucune rigorosité pour les chatier soudainement, par ung matin crierent aux armes, et incontinant s’assembla le nombre de plus de quinze mille personnes, lesquelz de premiere entrée s’es-meurent à l’encontre de Iehan Loys de Flesque, lequel allérent assaillir en sa maison, à quoy dellibera resister, et de premier assault soustint si vaillamment avecques certain petit nombre de gens qu’il avoit, que tout le populaire demeura plustost en arriere qu’il ousast plus oultre passer; et, si lors eust esté conseil, creu, le seigneur de Ravastin et luy ensemble eussent sus le dit populaire dominé. Neantmoins ce empescha le conseil des dits do-mesticques de Ravastin, et ainsi tut ordonné que icelluy de Flesque sortiroit de la ville de Gennes, ce qu’il fist, et à petit pas se retira à ung sien chateau loingtain du dit Gennes deux ou troys lieues, nommé Montauge (1); (1) Montobbio. Atti Soc. Lio. St. Patria, Voi. Xlll, Fase. 111. — 4^6 — de laquelle chose entrés les populaires en plus grant oultrecidance deliberérent, oultre le voulloir du dit de Ravastin, entreprandre à l’encontre uu dit de Flesque, et luv oster les offices qu’il avoit de don du roy en la Ryviére de Levant, ce qu’ilz firent consentant à eulx et à leur rebellyon les ditz des dites Ryvieres. Fut le roy de toutes ses nouvelletez trés-mal content, et continuellement escripvoit aux Gennevoys qu’ilz se desmissent des armes, et que, si aucun differant estoit entr’eulx, qu’ilz recourissent à luy comme à leur roy, a 4ui il feroit bonne et briefve justice. Ce neantmoings le populaire de son insollence avoit prins orgueil, ne voullut de son malfaire et rebellyon desister, ains de plus en plus se faisoit furieulx et mal entallenté. En icelle année, Ferrande roy d’Arragon, qui fut deschacé du royaulme de Castille par Phelippes d’Au-triche son gendre, successeur au dit royaulme de Ysabeau femme au dit Ferrande et royne du dit Castille, /506 passa par mer au royaulme de Napples, et en octobre tobre arryva à Gennes avecques vingt gallaires, auquel lieu, combien que par les populaires il fust prié descendre à terre, et voyant le discord et mutinement d’eulx, ne leur voullut complaire ne descendre de ses gallaires; maiz le plustost que faiie peult se partit de là, et se retira à ung port à XV mille du dit Gennes, nommé Portefin, où il seiourna aucuns jours, où avant que partir eut s ot- nouvelles de la mort et trespas de Phelippes susdit son tobre gendre, de quov assez se monstra desplaisant et en monstra grant dueil, combien que pour ce ne delaissa son vovage de Napples. Croissoit de plus en plus la licensiosité du populaire, et à chascun estoit licite tout mal faire, et jà com-mangoient nouvelles sedicions entr’eulx: c’est assavoir entre bons et mauvays, et povres et riches, et qui plus avoit de puissance et piz faisoit, celluy avoit plus d’au-torité à la ville. Et de nouveau deliberérent faire la guerre à Iehan de Flesque et luy oster toutes ses places et terres, de laquelle chose par dessus tous autres se monstra mal content le seigneur de Ravastin; et, quelques remonstrances qu’il leur sceust faire, ne luy fut possible les faire desister de leur intencion et propoz. Vray est que jà la insollence du menu peuple estoit despite aux riches principaulx populaires, et aucun d’eulx envys voyoyt ceste nouvelle esmocion à l’encontre du dit de Flesque ; parquoy sur ce fut ordonné ung conseil generai pour oppinionner de chacun de son adviz. Sur quoy furent de toutes les deux pars dictes plusieurs raisons pour et encontre ce; maiz à parfin, ung nommé Steve Iustinian, homme saige et riche et qui envy se tumultoyt, parla en ceste maniere (i): « Seigneurs et fréres ! Quant plus je repense à ce que par vous a esté longuement dit et debatu, d’entreprandre ou laisser la guerre à l’encontre de Iehan Loys de Flesque, tant plus je voy chacun de vous d’accord au bien, proffit et aug-mentacion de l’estat populaire et agrandissement de la ville de Gennes, où chascun en ce tire (2) à une mesme (1) Di questo Stefano Giustiniano, il cui discorso qui recato era ignoto, abbiamo invece altro da lui pronunziato all’ ingresso di Luigi XII in Genova nel ijo"7, per implorarne misericordia. Si può vedere nel Casoni, Annali della Repubblica di Genova, I. to6, e si trova anche nel Diario ms. delle cose del 1506-7 ed abbreviato nel Guicciardini, lib. VII, cap. 2.0. (2) Italianismo tira cioè tende a uno. stesso fine. Ve n’ha però qualche esempio anche in francese; si veda il Littré. — 46S — fin. Car ceulx qui oppinent, la guerre à l’encontre de Flesque estro bonne et necessaire, certes ne quierent autre chose que, par le moien d’icelle, eslonguer les en-nemys de nous et vivre en plusgrande seureeté, laquelle chose tant moins seroit, quant notre ennemy mortel lust de torce, d’estat ou de richesse favórable; qui par raison ne doit cesser, par toutes voyes, donner empesche-ment a nostre estat, tant pour le bien et proffit de luy que pour la vangeance des opprobres receuz. D’autre part, ceulx qui dient au contraire, et nullement estre à entre-prandre ceste guerre pour ne estre encores establye la cité en repoz, saigement craignent la doubtance du fin de la guerre plus que nulle autre chose estre dangereuse, esperant en ce avoir plus certame occasion de victoire. Car de prandre exemple, quant aisement ou ait peyne (i) le dit Flesque de la Rvviere de Levant, trop est differance, d’icelle qu’il avoit par don d’office appartenant au commini de Gennes, aux autres places et chateaux son pro-pre patri moine. Car, en ce cas, il trouverroit ses alliez et parens qui ne sont pas de petit estat et nombre prestz et enclins à le secourir, non sans grant dangier et dom-maige de l’estat populaire. Car ceulx qui naturellement sont seigneurs à trop plus grant choiz perdent la vie qùe l’estat; et en oultre plus est à considerer icelluy de Flesque estre de l’ordre du roy de France, dont par l’institucion d’icelle chevallerie est tenu le secourir et (i) Passo assai oscuro. Non si possono paragonare i vantaggi o svantaggi che il Fiesco trae dai propri patrimonii, con quelli che esso ricava dall’officio di Vicario della Riviera di Levante accordatogli dal Re. Tanto peggio, se si va ad attaccarlo in casa propria. Perchè in tale caso ecc. Tutto il discorso è fino ed appropriato a persuadere senza troppo toccar la fibra popolare, ma è male espresso. - 4^9 — aider; ce que, tant à raison de ce il auroit cause de faire quant que les Gennevoys sien subiectz, jà soubz com-mancement de quelque rebelion ousassent, en mespris de sa maiesté et totallement contre son voulloir, la des-truction du dit de Flesque entreprandre, qui seroit juste occasion de Findignation du dit roy, qui aisement pour-roit de Millan celluy de Flesque defFendre et Gennevoys griefvement endommaiger, et continuellement avoir la guerre sur les portes de la cité. Parquoy voulentiers en tei cas, la chose plus seure estoit plus salutaire, et assez devoit sufhre chacun estre au Flesque ennemy mortel, et au demeurant seullement penser ce qui competoit à l’e-stat et establissement de la ville, et sur tout mectre en paix et obeissance l’estat; et aussi plus faire ellection de deux ambaxadeurs pour envover devers le rov, luy remonstrer quant seroit agreable au populaire, pour lever toutes occasions de guerre, ne laisser les Flesques si pro-chains de Gennes qu’ilz estoient ». A l’oppinion duquel lustinian tous ou la plus part furent adherans, et fut de-liberé cesser la dite guerre, et departirent sur ce chascun d’accord du conseil. Envyron ce temps vindrent les nouvelles de la mort de Phelippes, roy d’Espaigne, à peyne ayant icelluy eue la possession du dit royaulme, laissant deux filz, heritiers de Iehanne fille du dit Ferrande d’Arragon: c’est assavoir l’un qui estoit demeuré en Flandres, l’aultre qui estoit nay en Castille, et, au nom de l’aisné par les princes d’Espaigne fut receu le royaulme. Estoit encores lors Ferrande à Portefin, loingtain de Gennes quinze milles, qui suyvoit son voyage de Napples, et de ces nouvelles averty, monstrant grant dueil, fut en conseil de retourner i >o6 25 Ottobre — 470 — en Espaigne oli il estoit rappellé d’aucuns des princes. Neantmoins et pour myeulx estre acertené du voulloir de tous les Espagnolz, delibera passer oultre son voyage de Napples; ce qu’il fist. A la harangue de Esteve lustinian fist semblant tout le populaire estre demeuré à vivre en paix, et icelle prandre pour meil leur conseil; dont lors vindrent lectres du roy adressantes aux anciens et commun de Gennes, par leiquelles il se mescontentoit treffort ilz eussent esté si hardy de lever par force les Ryvieres à Iehan Loys de Flesque, desquelles il avoit eu lectres de don du dit seigneur. Dono le seigneur de Ravastin, cuydant le populaire, par les parolles du dit lustinian, estre deliberé de vivre en paix, enhorta les dits anciens remectre les dites Ryvieres entre les mains du dit de Flesque; ce qu’il fut deliberé estre faict. Maiz puis que la chose fut divulguée entre le dit populaire, sans aucun conseil prandre, se leva toute la ville en armes, à telle fureur que peu moins faillit qu’ilz ne feissent effort à l’encontre du dit seigneur de Ravastin et anciens, qui avoient conseillé la restitucion des dites Ryvieres; et, pourevyter tei inconvenyent, fut neccessaire revocquer l’ordonnance sur ce faite, et icelle publier à son de trompe par toute la ville. Et deslors de plus en plus print audace le populaire; non seullement fut la guerre du peuple à gentilzhommes, maiz nasquit sedicion entre les principaulx populaires et petiz. Parquoy desesperé le seigneur de Ravastin ne povoir mectie aucune forme d’appaisement à ses choses, delibera departir de la ville de Gennes; ce qu’il fist non sans grant doubte et craincte de sa personne, pour la suspiction que a\oient de luy les — 471 — populaires, laissant pour luy au gouvernement, que cy-devant avons nommé, Phelippes dc Rocquebertin. Furent en ce temps esleuz quatre ambaxadeurs pour aller, deux devers le roy, et deux devers le pape, tant pour sov congratuller à luy de la conqueste de Boul-lougne, que nouvellement à l’aide du roy luy fut baillée deschassant d’icelle Iehan Bentivolle occupateur, et mise en paisible subiection de 1’Eglise, que aussi pour recom-mander 1’estat populaire à luy, lequel, pour la hayne naturelle qu’il avoit à 1’encontre des gentilzhommes, qui estoit natif de viles gens, que aussi à 1’encontre des Gennevoys, pour estre de Savonne, qui en tout temps a esté envyeuse de la prosperité de Gennes, prenoit à plaisir toutes les sedicions et ruynes qui en icelle survenoient. Parquov ayant ouyz les ambaxadeurs et les offres qu’ilz luy faisoient le voulloir obtemperer comme seigneur et protecteur, les enhorta en leur volente et perseverer au gouvernement populaire sans craincte d’aucune chose, leur promectant de placquer le rov envers eulx, non seullement pardonner les choses faictes, maiz con-fermer ce qui avoit esté faict; et sans autre resolucion que de belles parolles s’en retournerent les ambaxadeurs. La ville de plus en plus estoit adonnée i malfaire, raison n’avoyt lieu, justice ne se trouvoyt, bonté estoit escondite, vertuz bannye, le bien faire poursuyvy, et par contraire force, violence, et tout mal faict. Si estoit seullement la guerre des povres aux riches, des bons aux mauvaiz. Deliberérent la guerre à l’encontre de Mongues (i) , 12 Novembre (,1) Monaco: il Cod. ha Morgues. — 472 — qui est ung chateau moult fort à la fin de la Ryviere de Ponant, qui ià, par ancienneté, fut du commuti de Gennes, et, de present, entre les mains de ceulx de Grymaulx; et, sur ce, firent une armée tant par mer que par terre et le chateau assiegerent. La deli-beracion de ceste armée fut faicte, pour obvver que les populaires n allassent à l’encontre de Iehan Loys de Flesque, ainsi qu’ilz avoient pourpencé de faire, n’eust esté par ses remeddes pourveu. Au siege duquel chateau demeurerent longuement sans v riens faire, tant pour la mauvaise conduicte et sedicion qui estoit entr’eulx, que pour la forteresse de la dite place; pendant lequel temps les nobles exillez_, pour mectre de plus en plus trouble entre les dits populaires, menerent praticques avec Octovien Fregoze de faire esmocion en la ville; et sur ce le faict fut concluz. Et secretement entra icelluy Octovien dedans la dite ville avecques certain petit nombre de gens, où puis qu’il fut, craignant de sa vie, n’osa mectre à exe-cucion ce qui avoit esté concluz et deliberé, et ainsi se partit sans aucune chose faire. En la ville de Gennes on alloit de piz en piz, et Rocquebertin plus n’estoit obey en chose aucune ; pai-quoy delibera partir et s’en aller à Millan, et, pour plusgrande seurecté de son partement, fist venir unes lectres du seigneur de Chaumont (i), par lesquelles luy escripvoit que, pour aucuns affaires concernans aux biens et affaires de la ville de Gennes, il voulsist aller devers luy, et, se faire povoit, il conduysit une ambaxade au nom de ceulx de Gennes, esperans par le moien d icelle (i) Carlo di Chaumont d’Amboise Governatore di Milano e Luogotenente di qua da’ monti per Luigi XII. I — 473 — mectre fin à ses tumultuacions ; laquelle ambaxade fut acordée, et ainsi departirent eulx et le dit Rocquebertin 1507 de la ville. Maiz, puis que il fut au pays seur, remonstra Marzo ans dits ambaxadeurs avoir contrefaictes ses lectres pour la saulveté de luy, et qu’il ne voulloit que sur sa parolle ilz fussent deceuz ; et ainsi l’ambassade frustrée de son entente retourna à Gennes. Avoient les nobles tant pourchacé envers le roy et seigneur de Chaumont qu’ilz avoient impetré gens pour le secours de Mongues, et, pour ce, fut envoyé le seigneur d’Allaigre (1), lequel sentant arryver ceulx de l’armée des Gennevoys, à grant haste laisserent leur entre-prinse et de là se partirent comme demy en fuycte, et sans riens faire laisserent le dit Mongues. Le roy en aprés, qui, non moins à la requeste des nobles demandant justice comme à leur souverain seigneur, que pour se vanger de l’oultraige des populaires, avoit preparée une armée trés-belle, et moult puissante à l’encontre d’eulx, et à toute dilligence l’envoyoit pour le recouvrement de son estat, la charge de laquelle conduyre fut donnée au susdit seigneur de Chaumont. Croissoit de jour à autre le bruyt de la dite grosse armée et de la deliberacion que le roy avoit faicte à l’encontre des Gennevoys ; laquelle chose espoventa fort ceulx de la ville, mesmes les plus riches et principaulx; maiz la mauvaiseté des plus menuz, qui seullement se monstroient atallentez de toutes rappines et meschanceté, à leur besoing ne voulloient entendre maiz plustost menassoient le roy que le craindre. Dont aus dits prin- (1) Ivone d’Alègre, Barone nell’Alvernia, celebre nelle guerre d’Italia e allora Governatore di Savona pel Re. 1)07 12 Marzo — 474 — cipaulx, qui là estoient reppentiz de leur folle entie-prinse et qui continuellement se veoyent en danger des dits menuz, n’osoient monstrer la peur qu’ilz avoient, à craincte de n’estre prins à suspect des dits populaires; et ainsi en pire estat estoient les principaulx causateurs de ceste sedicion que les gentilzhommes. Party que fut de Gennes Rocquebertin et divulguée l’entreprinse que le rov avoit faicte, se misdrent les populaires ouvertement en rebellyon à l’encontre du dit seigneur et de premiere venue abolirent toutes les armes de France qui estoient en la ville, et en aprés assaillirent le Castellaz qui est ung chateau au hault de la montaigne faict en forme d’une bastille, lequel ilz prindrent d’assault, n’estant en icelluy que XVIII hommes francoys et trois femmes, lesquelz renduz sur leur lov tuerent et pareillement les dites femmes; puys delibererent as-saillir le Chastellet, dedans lequel estoit, pour le roy, messire Galleas de Sallezard, seigneur de Las, avecques deux cens cinquante compaignons de guerre, lequel estant assaillv des dits populaires non seullement se deffendit si vertueusement, maiz d’iceulx fist si grande mortalità que piteuse chose estoit à les voir (i), dont congnois-sans les populaires l’impossibilité d’avoir le dit chasteau, prindrent par conseil de le laisser. Approuchant jà l’armée du roy au confin du pays de Gennes, les populaires manderent Trelatin (2), lequel (1) Galeazzo di Sallazar già dalla domenica 7 febbraio 1507 avea cominciato 1’ offensiva scendendo dal Castelletto, e prendendo prigioniere le persone accorse alle funzioni nella vicina chiesa di San Francesco. (2) Tarlatino di Città di Castello già chiaro nella guerra tra Firenze e Pisa e chiamato da quest’ultima città per assumere il comando dell’ armata popolare di Genova, era partito per Monaco il 24 settembre 1506. — 475 — estoit leur cappitaine à Mongues, qui avecques ses gens s’estoit retiré à Vingtmille, a tout dilligence retournast à Gennes avecques sa bande, ce que faire luv fut im-possible, obstant à ce le seigneur d’Allaigre qui entre luy et le dit Gennes estoit avecques belle compaignye, dont ne luy estoit possible passer par terre, et par la mer le temps leur fut si longuement contraire que oncques aux carracques ne se peurent embarquer. D’aultre part ilz actendoient troys mil hommes de Romme que le pape lulle leur avoyt promys pour leurs secours et avde, desquelz oncques n’en vindrent que cent, parquoy demeu-rerent de toute leur actente frustrez et, neantmoings ce, de plus en plus obstinez. Estoit pareillement venu en celluy temps ès Ryvieres de Gennes ung nomme Pregent de Bidoulx (i) avecques huyt gallaires pour le roy, lequel de piaine arryvée, non seullement infesta les deuy Ryvieres de Levant et 1507 de Ponant, maiz vigoreusement, en despit de ceulx de Aprile la dite ville, entra dedans le port d’icelle à ensignes desployées, et avecques l’artillerie batant la ville, et fist troys tours par dedans le dit port. Est cestuy Pregent homme de si noble vertuz, de si hault couraige, de sens si singullier, de bonté si plain, d’honneur si grant, d’inte-grité si louable, de foy si certaine, de hardiesse si impareille, que en chacune de ses vertuz non seullement peult estre dict aornée, mays en toutes acomply et par-faict, duquel je n’ose, à la verité, pour le moment parler, (1) Capitano di galere del Re di Francia. Ne parla anche Jean d’Auton, IV. 7; i nostri non lo nominano qui, ma Giustiniani lo chiama Perigian più volte e Perigioan in questo stesso anno, essendo quegli a cui fu venduto Paolo da Novi da un traditore; è detto Prejanni in Guicciardini, lib. IX, cap. 2.0. i)07 io Aprile — 476 — craignant que pour la reverence et familiereté que j’ay en luy, mon dire ne semblast plustost adulacion aporter que verité ; lequel, aprés avoir faiz les vertueulx assaulx que dessus avons dict, loingtain troys mille de la ville de Gennes ancra ses gallaires sur les yeulx des torces de la dite cité. De plus en plus croissoit la tribulacion dedans la ville et la craincte de riches principaulx, et d’aultre part l’in-sollence des pouvres meschans, lesquelz, n’estre encores contens de leurs follves, delibererent entr’eulx faire ung nouveau due. Si esleurent ung nommé Paulle de Nove, homme de basse condicion et de mestier de taincturier, lequel, pour ce que tousiours avoyt favorisé le menu peuple et à icelluy donné conseil et faveur en ses follyes, entr’eulx avoyt grant credict. Et par ainsi, ung samedy Xc jour d’avril M Vc et VII, fut le dit Paulle de Nove , taincturier, qui jà soulloit servir pour meccanicque à chascun maindre Gennevoys, de la cité de Gennes creé seigneur, due et maistre (1), et à icelluy fut contrainct ung (chascung) homme à luy obtemperer et obeir; cuidans la plus grant part des Gennevoys que le dit Paulle de Nauve, lequel assez honnestement en sa qualité avoyt à Gennes vescu et qui desia estoit sur le age de soixante ans, plustost pour mectre paix que à intencion de demeurer seigneur de Gennes, il eust accepté la charge de tiltre de due. Maiz icelluy aveuglé de vaine gioire et abeli de nom de seigneur, mescongnoissant soy (I) Il Saivago ha la data giusta come il Diario ms.; mentre altri dicono il 25 marzo e il Sismondi, cap. 104, perfino il 15 marzo. Sul Doge Paolo da Novi e la sua famiglia crediamo utile qui inserire in appendice tutte quelle notizie che venne fatto al marchese Staglieno di raccogliere e che ci ha gentilmente comunicate. 477 — mesme pensa le nom et tiltre povoir retenir, en oultraige d’un roy de France qui jà grant puissance et grosse armée avoyt preparée pour reqonquerre sa ville de Gennes. Neantmoins ce, procedoit le dit Paulle au tiltre et estat d’icelle seigneurie, lequel pareillement estoit supportò de pape Iulle à ne riens craindre, luy promectant secours convenable pour resister à chascun sien ennemy et entre-tenement de la seigneurie. Touteffoys de toutes ses promesses nulle n’en sortit à effect, qu’il luy avoyt promis envoyer ung cappitaine de Romme avecques mil hommes de guerre, ce que oncques ne fist. Cependant arryva en Ast le roy, jà estant mise en chemin son armée pour aller à Gennes, lequel, comme celluy qui en tout temps avoyt icelle ville aymée, voyoyt assez envy la destruction et pillaige d’icelle, congnoissant leur rebellion ne proceder que de la part du menu populaire, pouvres et meschans. Parquoy, non comme seigneur maiz comme pére, estoit ennemy de la perdicion de la dite ville, et tous les moiens que possible luy fut sercha en tout doulceur, que ceulx d’icelle, recongnoissans leur erreur, vinssent a grace et mercy, laquelle il estoit prés leur octroyer s’ilz l’eussent requise, combien que, nonobstant ce, fìst escripre lettres aus dits populaires par l’ambaxadeur du roy d’Espaigne, iceulx enhortant à toutes bonnes condicions de paix, et pour ce envoier ambaxades devers le roy, à laquelle chose oncques ne voul-lurent adherer ; dont lors du tout delibera le roy plus ne seiourner à la dite entreprinse. Et ainsi fist marcher toute son armée en avant, avecques laquelle estoient envyron deux cens gentilzhommes Gennevoys tant pour icelle guyder que pour la congnois- - 47« - sance qu ilz avoient du pays, que pour v mectre leurs vies pour le Service du roy et rentrer en leurs maisons. Et ainsi de piaine arryvée, au commaricement de la vallèe de Pon-cevre, rencontrérent grant nombre de paisans portans Ics armes au hault de la montaigne, faisant semblant de voulloir obcister aux Francoys; qui assez legerement furent deffaiz et mys en roucte. Aprés lequel faict toute l’ar-mée descendit en la piaine du dit Poncevre, et au corn-mancement logerent au vai d’icelle à une lyeue du dit Gennes, en ung villaige nomine Ryverol et autres vii-laiges, où puis qu’ilz furent acampez le dit peuple sortit en armes sur les montaignes jusques à nombre de qua-rante à cinquante mille hommes, où ilz avoient faict ung bastion treffort et bien garny d’artillerye, monstrans comment aux Francoys voulloient presenter la bataille. Lors le dit d’Amboise (i) envoya messire Iacques de Cha-bannes seigneur de la Palice, et le due d’Albanye (2) vertueulx et prompt chevalier, avecques une bande de gensdarmes et certain nombre de gens de pied, assaillir ceulx de la dite ville, et si estroict ferirent sur eulx que incontinent les misdrent en roucte et contraingnirent fouyr et retirer en icelle, et sur iceulx prindrent le dit bastion moult fort, qu’ilz avoient fait à la montaigne; dont par le gens du roy fut faict deliberacion assaillir la dite ville et icelle prandre par force et piller. Le lendemain duquel jour le roy arryva en son armée avecques le reste de ses gens, et se logea viz à viz 1507 du dit Ryverol en une abbaye nommée le Bousquet, où Aprile peu d’heure apréz luy survint l’alarme des dits Gen- (1) Cioè Carlo de Chaumont d’Amboise di cui sopra alla nota a p. 472. (2) Roberto Stuardo fratello del Re di Scozia. — 479 — nevoys qui estoient en plus grant nombre que le jour precedant; lequel en personne, l’ermect en la teste et l’espée au poing, marcila avecques son armée a l’en-contre d’eulx, sur lesquelz si aigrement fut feru que de tout à plaiti furent deffaiz et mis en roucte. Et eurent propos les Frangoys suyvir la victoire et prandre et piller la dite ville, n’eust osté à ce la clemence et pitié du roy qui en tout temps et paravant avoyt icelle aymée. Lors le peuple du dit Gennes, voyant leur certaine perte, envoyerent ambaxades vers le roy luy supplier et requerir d’aucun party, à quoy aussi à la supplicaceli des pouvres nobles du dit Gennes, qui avecques luy estoient et tousiours l’avoient servy, remonstrans l’igno-rance et imbessilité du dit peuple, condescendant par bonté à leurs humbles prieres, print à mercy la dite ville et peuple d’icelle. Et ainsi se rendit la cité de Gennes à la voullenté du roy, pour la possession de laquelle fut envoyé le cappitain Ricault, lieutenant du dit seigneur de Chaumont. Et le lendemain aprés fustes vous 111011 tres-redoubté seigneur ! pour le tout establir, paciffier, et tranquiller, et la clemence du roy, sa grace et pardon remonstrer, declairer à chascun, ensemble les seigneurs du Bouchaige, de Pyennes et bailly d’A-miens (8). 1505 Et ainsi le vingt septiesme jour d’avril (9), le roy Aprile (7) Luigi d’Halluin Signor di Piennes, Rodolfo de Lannoy ballivo d’ Amiens di cui sotto , e che lasciato da Luigi XII Governatore a Genova fino all’ ottobre 1508 lasciò desiderio di se e lode unanime presso gli scrittori patrii. (8) È un errore la data 27 aprile qui consegnata; come pure erra il Giustiniani ponendola al 28. Jean d’Auton che accompagnava il Re a quell’ impresa veramente anch’egli scrive al 28, ma dice che era in giovedì, ora il giovedì correva in quell’ anno al 29 aprile. Perciò ha ragione il Guicciardini (lib. IX, cap. 50) \ — 480 — entra dedans la ville de Gennes en armes, et luv, l’armect en la teste, acompaigné des princes du royaulme de France, c’est assavoir des duez d’Allencon, de Bourbon, de Lorrayne, de Nemours, Longueville et de Ferrare, les marquis de Manthoe, Monferrat, de Rothelin et de Sal-luces, les contes de Vendosme, de Nevers et de Pen-tvevre (1), et autres plusieurs princes et grans seigneurs tant de France que d’Vtalve, et, avecques eulx, sept cardinaulx et grant nombre d’arcevesques, evesques et prelatz, et tous les gens d’armes logez en la dite cité, où puis qu’il fut, pubblicquement fist bruller tous leurs previlleges en signe de subiection, et en trosne rovai, au son de la grosse cloche, receut les Gennevoys à foy et hommaige, puis de sa liberalité de nouveau leur donna à peu prés telz previlleges comme par avant et r ;ceut chacun à pardon (2), et pour plus grant establissement et seureeté de la dite ville, fist faire ung chateau au chef facendo entrare il Re in Genova il 29 aprile, e cosi ha pure il Diario ms. Non parlo di quegli scrittori che riportarono lo stesso fatto al 17 e fino al 27 maggio. (1) Carlo Duca d’Alen^on, Carlo Duca di Borbone, Antonio Duca di Lorena, Gastone di Foix Duca di' Nemours, Francesco d’Orleans Duca di Longueville (Dunois), Alfonso d’Este Duca di Ferrara, Gian Francesco Gonzaga Duca di Mantova, Guglielmo IX Marchese di Monferrato, Luigi d Orleans Marchese di Rothelin fratello del Conte di Dunois, Michele Antonio Marchese di Saluzzo. (Però erra il Saivago ponendo quest’ ultimo come presente, mentre egli non segui il'Re fino a Genova). Gli altri sono Carlo di Borbone Conte di ^ endome avo d’ Enrico IV, Renato de Brosse detto di Bretagna Conte di Pen-thievre, Carlo I di Cleves Conte di Nevers. (2) Le condizioni della dedizione e le nuove convenzioni fra Luigi XII e i Genovesi si posson leggere nel volume ms ove è il Diario delle cose del 1506-7 più volte citato. Il discorso pronunziato a quell’ adunanza solenne delIi 11 maggio dal Dott. Giovanni de Ilice (Lerici) e la risposta a nome del Re, come già dissi nella Prefazione, si trovano nell’ originale italiano in Jean d’ Auton IV. 27 e segg. — 481 — de Godefa, le plus bel de forteresses, nompareil au monde, duquel en fut donnée la charge a messire Guilleaume seigneur de Hodetot, et au gouvernement de Gennes fut ordonné, pour ung an, messire Raoul de Lannoy, bailiv d’Amiens. Atti Soc. Lic. St. Patria. Voi. XIII, Fase. Ili, ADDENDA A pag. 400 : Ung nommé Collard de Graville e ved. nota rispettiva. Trovo notizia di Collardo anche in documenti francesi: egli è uno dei proposti a Consiglieri per suggerire a Carlo VI Re di Francia i mezzi più atti a stabilire la pace tra i due partiti di Orleans e di Borgogna. Ved. Chronicorum Karoli sexti, lib. XXX, al voi. IV, pag. 441 della Collection de documents inédits sur l’histoire de France, i.e sèrie. Paris 1842 (nella Biblioteca Brignole-Sale De-Ferrari). Dello stesso Collardo, come Governatore pel Re Carlo VI, vi sono più documenti nell’Archivio di Stato genovese, Cod. Diversorum, 1398-99; e special-mente il verbale dal 21 settembre 1398, con cui D. Miles Colardus de Calevilla presenta in Consiglio degli Anziani la lettera del Re in data 5 luglio, che lo nomina a Governatore di Genova ; e tosto Borleo di Lussemburgo gli rassegna P ufficio. A pag. 401 : Ung nommé Iehan le Maingre dit Boucicault. Questi è troppo illustre nella storia anche generale, perchè faccia d’uopo di commenti ; se non fosse che il prof. Lastig della Università di Halle credette di rimproverarmi, perchè io ho latto un solo personaggio di Le Meingre e di Bucicaldo. Pare a lui che il nome di Bucicaldo sia stato creato da me d’immaginazione. Ved. il suo, del resto dotto, libro : Entwickelungswege and Quellen des Handelsrecht, Stuttgart 1877, pag. 204. Sui fatti di Bucicaldo e sulla sua amministrazione in Genova, ved. Le Livre de Jean le Maingre dit Boucicault (Nouvelle Collect. des Mémoires sopra cit., II. 259 segg.). A pag. 404 : Arcevesque de Reims. Nella citata opera Chronicorum Karoli sexti troviamo questo fatto raccontato come segue (IV. 207) ann. 1409 : « Cum ambo (Guido de Roya e il Cardinale di Bari) ad villam quamdam duabus dietis a Ianua distantem gratia hospicii divertentes et orta verbali controversia occasione equorum memorati cardinalis, marescallus ejus alium qui hoc officium publice exercebat occidisset, mox populares commoti et eidem subito vicem pro vice reddentes, quinque ex suis quos habuerunt obviam ferali rabie peremerunt. Ulterius ad facinora volentes procedere, cum pre-fatus Archiepiscopus ad fenestras domus se ostendens eos verbis lenibus tempta- — 484 - ret compescere, ictu jaculi trans precordia confossus interiit ncc ultra vocem emisit. Nec sceleribus iis contenti jam temptabant ut igne suffucatorio ceteri spiritum exhalarent, cum nuncius inopinate supervenit qui tantam vesaniam auctoritate Gubernatoris Ianue (Bucicaldo) suppressit. Qui......ad perpetuam memoriam facinus inultum non reliquit, sed peractis archiepiscopi exequiis, quantis studiis funus ullum celebrari poterat, quotquot ad detestabilem commotionem convenerant, condicioni, etati aut sexui non parcendo, variis exterminari suppliciis et domum in qua locatus fuerat, solo equari precepit ». A Pag- 4°4: Hugues Iolyet. La citata op. Chronicorum (IV. 261) ann. 1409, racconta il fatto cosi : « Ab hinc oriri in urbe novi motus inceperunt: nonnulli qui mechanicis inserviebant artibus, erecto supercilio mutuo et particulariter loqui. Quod compe-riens Dominus de Cholecton miles quem Marescallus (Bucicaldo) relinquerat ut pecunias promissas mittere festinaret, secunda die septembris, civibus in palatium accersitis inde redarguit, monens omnes ad fidelitatem servandam. Sed post verba pacifica cum nihil sibi timens ad castrum ville tenderet, a quodam Ioanne Turlet nuncupato in via occisus fuit et in frusta a supervenientibus divisus. L’ illustre Gerolamo Serra (Storia dell’ ant. Liguria e di Genova, Capolago, III. 74> 78) ha certo avuto sotto gli occhi questo e il precedente racconto, sebbene non citi la fonte. Perciò egli chiama Ugo Scioleton all’italiana tale cognome che Saivago disse Iolyet. A pag. 412. Se non fosse per la notevole distanza di tempo, direi che il Guillaume de Movillon o Mouillon qui citato sia una sola persona col Dovi. Guillieltnus de Medulion, il quale dal 18 agosto 1408 a tutto l’anno almeno resse l’uffizio di Luogotenente pel Governatore Bucicaldo assente. Ad ogni modo sarà della stessa famiglia (Ved. Cod. Diversor. 1408 passim, nell’Archivio di Stato). A pag. 445 : Iheronime Spinolle. Su questa dama il march. Massimiliano Spinola ci favorisce i seguenti particolari: Essa era figlia di Gio. Battista Spinola quondam Riccardino dei signori di Serravalle e di San Cristofaro (ramo Spinola-Lucoli estinto). Suo marito era Cattaneo Spinola q. Adamo (ramo Spinola-Lucoli estinto). Il Giscardi (Famìglie Nobili ms. della R. Università) fa cenno del fatto narrato nel testo , e lo descrive così: « Geronima Spinola veneranda matrona genovese.....soggiornando nel proprio Palazzo in Sampierd’arena e conducendo vita di fama integerrima fu nel proprio letto con molte ferite barbaramente uccisa. Nè mai fu possibile aver notizia dell’ autore di si orrendo misfatto. La venerazione in cui era quella Dama fa credere a molti che ella morisse martire della castità vedovile. Il marito di questa Geronima fu pure egli ucciso nel proprio Ietto alcun tempo prima mentre dimorava in Spagna ». — 485 — Giunge ancora in tempo per essere qui inserito un documento, che la gentilezza del Conte Riant fece copiare per la nostra Società alla Biblioteca Nazionale di Parigi, ove è incollato originale in un volume di Miscellanee segnato ms. frane. 2928, fol. 29. È una lettera scritta al Re Luigi XII da Francesco Rochechouart Sire di Champdenier come Governatore di Genova. Non ha che la data del 13 ottobre, ma è senza dubbio dell’ anno11510, come capirà chi legga gli Annali d’Agostino Giustiniani, il Guicciardini, ecc. Il Pregent (de Bydoulf) è il Generale delle galere del Re, che abbiamo già riconosciuto nella Cronaca del Saivago , e che è detto Peregian dagli storici italiani. Il Papa Giulio II era allora a Bologna sempre più in collera coi Francesi, e tentava sottrar loro la signoria di Genova aizzando i Doria e i Fregosi alla riscossa. Le cautele e i mezzi pensati dal Governatore per istornar quel disegno non valsero a lungo; Giano e Ottaviano Fregosi ribellarono la città nel 1512 e riuscirono Dogi un dopo 1’ altro. Signore di Gavi era allora Bernardino Guasco, della nobil casa alessandrina che fiorisce tuttavia col titolo di Marchesi di Bisio , da una piccola terra vicina all’ antico feudo. Gavi col forte Castello che lo incorona durò fino alla seconda decade del secolo presente come posizione eminentemente strategica, chiave della Liguria verso Piemonte e Lombardia ; e perciò è spesso nominato nella storia militare. Per simile motivo era pure uno dei pegni che il R£ di Francia e il Duca di Milano si assicuravano sempre, quando Genova si sottoponeva al loro dominio: essi poi ne facevano un sottofeudo, e nel 1435 o 36 lo consegnarono ai Fre-goso, i cui giuramenti di fedeltà a tale titolo si serbano nell’Archivio di Stato a Milano. Nel 1468 vi sottentrarono i Guaschi. Antonio, il primo signore, dieci anni dopo commise pel patrono di Gavi San Giacomo una pala che ora figura onoratamente nell’ Accademia Ligustica di belle arti. I figli di lui Bernardino e Nicolò nel 1497 eressero ad Antonio un monumentino non ispregevole, che si vede tuttora in quella chiesa parrocchiale. Il figlio di Bernardino ebbe il nome dall’avo e aggiunse il titolo di Conte di Gavi, sotto il quale è citato negli Annali del tempo anche a lungo dopoché fu costretto a restituire il feudo alla Repubblica per transazione nel 1528. Di questo Antonio secondo si conosce un curioso ripiego, che usò nel 1526 per riavere i 5900 scudi voluti a torto da un comandante spagnuolo per restituirgli il Castello. Il fatto è narrato dal Capelloni, Ragionamenti varii, Genova, Bellone 1576, p. 41; sebbene il più tardo Schiavina negli Annales Alexandriae (M. H. P. Script. IV. 511) rappresenta la cosa diversamente, anche confondendo i tempi. t - 486 — Genes, I) Octobre, Sire, jay en ceste nuyt nouvelles de Boulotigne comme le Pape a dépesché en XXXvi heures quatre hommes pour envoier a Courtevesche (?) faire partir l'armee pour venir ceste part. Sire, Pregent depuis hier mydi m'a envoyé deux de ses gens, pour me prier vouloir envoier ce saufeonduit pour Iherome, Andre et Nicollas Dorie, et alaventure mectre dedans messire Janus qui peult estre que Octorgen auroit converty. Et pour les raisons quii m’aligue en deux enterines qui estoient encloses es lettres qu’il ma escriptes, lesquelz enterines je vous envoye, luy ay depesche et envoye ledit saufeonduit. Sire, auplus tost que je sfauray qn’il\ seront descienduz en vo% terres, je feray, se je puis, que leurs parens et amys qu’ilz ont en ceste ville les cancionneront de ne faire chose mauvaise contre vous. Monseigneur le grant maistre ne m’a point encores envoyé le saufeonduiet que je luy avoye demandé. Sire, Monseigneur de Gavy, messire Bernardin de Goasco, m’a prie vous vouloir escripre et supplier que vostre bon plaisir fust lui donner l’office de conseiìler en votre Sènat de Millan vacant par le trespas de feu messire Cezaro Goasco son cousin; vous en fere\ votre bon plaisir. Sire, je m’estoye oblié vous gerire qu’il y a cinq ou six jours que ceulx d’Avi-gnon ont envoyé ung courrier vers le Pape qui a passe par cy, lequel jay fait sercher et trouve qu'il n’avoit lectres autres que celles qu’ilz escripvoient comme monseigneur d’Aix avoit este pris au poni de Sorgues et mene prisonnier au pal-lais d’Avignon et qu’ilz le supplioient le vouloir delivrer pour les inconveniens en quoy ilz tn pourroient tumber envers vous. Sire, depuis la derrenière poste que vous ay depeschée n est venti autre chose doni il soit besoing que soiez adverty. Sire, je requiers a Dieu que par sa grace vous doinl sante et tres bornie vie et longue. A Jennes le XIII jour d’Octobre. Kos ire tres humble et tres aub aisant su%et et serviteur De Rochechouart, INTORNO AL DOGE PAOLO DA NOVI E ALLA SUA FAMIGLIA NOTA DEL SOCIO MARCELLO STAGLIENO da Novi figlio di Giacomo, tintore ieta, che altri volle appartenesse alla iglia La Cavanna di Novi, sembra :ce fosse di quella dei Catana originaria anch’essa di detto luogo. Infatti in un atto del 21 gennaio 1485, notaro Andrea De Cario, il di lui fratello Giovanni, pure tintore in seta, é detto de Cataneis de Novis. È da osservare però, che contemporaneamente a quella di Paolo esistevano in Genova diverse famiglie de Novis, tra quali la Pellegrina e la Cavanna, e che alcuni di questa erano pure tintori in seta, come ad esempio un Giovanni la Cavanna de Novis del quondam Bernabino, nominato a’ 19 settembre 1503 in atto del notaro Cristofaro Rollero. Paolo fu eletto Doge addi 10 aprile 1507, e sono erronee tutte le altre date indicate da diversi [scrittori. L’ atto della sua elezione trovasi nel registro del cancelliere Paolo De Cabella, e fu pubblicato in prima nel — 490 — 1846 dall’ Ascheri nelle sue Notizie sulla riunione delle famiglie in Alberghi e quindi, molto più esattamente, nel 1864 dal Canale nella Nuova Storia della Repubblica di Genova. Paolo era persona agiata. Nei registri Possessionum pel pagamento delle avarie del 1469 (Archivio di San Giorgio) egli trovasi iscritto nella Conestagia del-1’ Acquasola assieme ai fratelli: Paulus de Novis et fratres. L’ anno 1476, a’ 26 settembre, comperava dai Padri di S. M. del Zerbino, in atti del notaro Andrea De Cario, una terra con casa nella prossimità di Porta Aurea e proprio contigua alla torre e mura della città per lire 800; e negli atti ove detti monaci deliberano la vendita é chiamato providus vir.... in facultatibus competentibus abundans. In questa casa impiantava le sue officine di tintore in seta; e più tardi, a’ 12 maggio 1484, ne comperava un’ altra posta nella contrada Domuscultae, da un Tomaso de Monjardino corazzario, per lire 225 , come risulta dall’ atto ricevuto pure dal detto De Cario apud Portam Auream, videlicet sub porticu domus habitationis dicti Pauli etc. Oltre a ciò, da altri riscontri appare che Paolo comperasse o cercasse acquistare anche altre case e terreni in detta contrada di Porta Aurea; e le carte dell’Abbazia di S. Stefano ci accertano, che del 1489 egli aveva delle possessioni fuori Porta d’Arco nelle vicinanze della chiesa di S. Martino de Via. Ma nonostante la sua agiatezza, era affatto illetterato ed incapace a porre la sua firma, come apparirebbe da un atto citato dal Signor A. Sbertoli nel Giornale degli Studiosi del 7 gennaio 1871. 4 — 491 — Moglie di lui era Bianchina Terrile del fu Marino, che egli sposava nel 1464. Gli atti relativi alle sue doti, ascendenti fra robbe e danari a lire 390, sono fra i rogiti del notaro Lorenzo Costa, sotto la data del 26 marzo e 13 maggio dell’ anno citato (Archivio Notarile). Prima di esser Doge, Paolo venne nominato dei Tribuni della plebe, e quindi spedito Commissario, assieme a Silvestro Giustiniani, nel campo appresso Monaco, che i popolari volevano ricuperare alla Repubblica. Eletto tumultuariamente Doge, dopo che il Governatore che reggeva la Città a nome del Re di Francia fu costretto dalle intemperanze del popolo ad andar via, poco stette nella sua carica. Imperciocché le truppe francesi, coadiuvate dai nobili, che si erano uniti alle stesse, e comandate in persona da Luigi XII, dopo poco ripresero Genova, per cui ai 28 di aprile il nuovo Doge dovette fuggire. In prima egli si avviò a Bologna, e già ne era presso, e sarebbe stato in salvo, se non avesse retrocesso per recarsi a Pisa. Da qui diretto a Roma si imbarcò sopra il bastimento di un certo Corsetto, dal quale tradito fu consegnato al capitano delle galee francesi Pregent de Bidoulx che lo ricondusse in Genova. Ivi dopo essere stato sostenuto in carcere una quindicina di giorni, gli fu tagliata la testa sulla piazza di Palazzo addi 15 giugno 1507. Come altre delle date relative a tanto memorabili avvenimenti sono variamente indicate dagli scrittori, così lo fu anche quella del mese in cui ebbe luogo 1’ esecuzione segnando alcuni il 15 giugno ed alcuni il 15 luglio. _ — 492 — Io credo che ciò sia proceduto da una svista tipografica occorsa nella prima edizione degli Armali del Giustiniani latta nel 1537 dal Bellono, ove leggesi giulio invece di giunto, che dall’ Accinelli e nelle seguenti edizioni degli Annali fu interpretato per luglio. Nel registro Diversorum del cancelliere Bartolomeo De Senarega (Archivio di Stato) si trova la nota della spesa che costò la di lui esecuzione, lire sette e soldi 10, che qui giova riportare. •j* Die Vili Julii De mandato III. etc. et Magnifici Consilii etc. Vos spectatum Officium Monete, solvite Francisco de Placentia Carnifici, per executione facta in persona Pauli de Novis, libras septem cum dimidia, et pro aliis tribus excctitionibus factis in tribus aliis hominibus laqueo suspensis libras novem, et pro aliis exeeutionibus factis in aliis tribus fustigatis libras tres, in summa libras decem novem et soldos decem. Sive: Lib. XVIIII, sol. X. Tutti gli scrittori concordano nel dire che a Paolo fu mozza la testa, e forse questa fu una gentilezza usatagli come ad uomo di un merito supcriore, \ uoi per la gran-’ dezza dell’animo, vuoi per la carica di cui era stato insignito; e soggiungono che il corpo fatto a brani, come si usava pei rinomati delinquenti, lu appeso alle principali porte della citta, e la testa confitta sull asta della torre di Palazzo. Da ciò la maggiore spesa per la di lui esecuzione, — 493 — il pagamento della quale fu certo ritardato finché il carnefice non solo ebbe compito a tutto quanto sopra, ma ritirato le parti del corpo dai luoghi ove furono appese. Ed è a notare che talora vi stavano molti giorni, finché il vicinato nauseato dal fetore non ricorreva perché fossero tolte. Come si vede dalla riferita nota, un condannato che era appiccato, e non pochi lo furono a quei tempi, costava lire 3 ; se era solo frustato lire 1. Aggiungerò che da consimili note, inserite in altri volumi Diversorum, pure di quei tempi, appare che talora alle frustate si accompagnava il taglio delle orecchie, e che per questa operazione il carnefice aveva un soprapiù di soldi 10. Paolo da Novi lasciò due figli maschi, Domenico ed Antonio, ed una femmina a nome Francesca, maritata in Battista Carmagnola negoziante in seterie. I maschi andati banditi quando il padre abbandonava Genova, dopo poco furono graziati; ma del Domenico quasi nulla si conosce. L’altro, rimpatriato, prese cura di ristorare gli affari della desolata famiglia, regolare gli interessi col cognato e con la madre sua, come risulta da molti atti, fra i quali é da citare quello del 12 luglio 1516 in notaro Cristoforo Rollero, con cui vendeva a Pietro De Palacio per lire 700 il vacuo o sito dove era la casa che abitava Paolo da Novi suo padre colla famiglia in contrata et platio Porte Auree, la quale casa era stata distrutta all’epoca della di lui condanna. Moglie di costui fu Pellina Calvo; un loro figlio a nome Raffaele veniva ascritto nel 15 66 alla nobiltà nell’ al- — 494 - bergo Interiano, ed una figlia a nome Giorgetta nel 1570 si sposava con Giuseppe Digherio, assegnandole il fratello la dote di lire 5000, cospicua per quel tempo. Fra le carte che si conservano nell’ Archivio di Stato relative alla rivoluzione del 1506-7, noteremo un proclama degli Anziani in data 27 aprile 1507 con cui si partecipa alle Autorità delle Riviere l’avvenuta riconciliazione di Genova con S. M. Cristianissima, si annunzia l’imminente entrata del Re col suo seguito e s’ invitano le popolazioni ad accorrere con derrate delle quali loro si promette il debito pagamento. INTORNO ALLA IMPRESA DI MEGOLLO LERCARI IN TREBISONDA LETTERA DI BARTOLOMEO SENAREGA A GIOVANNI PONTANO PUBBLICATA DAL SOCIO CORNELIO DESI MONI - ' flLw* ,v giugno 1870, essendo a Parigi, potei ccogliere parecchie notizie di cose genomi in quei preziosi depositi dell’ Archivio della Biblioteca Nazionale, che con squisita liberalità mi furono aperti dagli illustri loro Conservatori. Una serie di tali notizie riguarda i trattati pubblici della nostra Repubblica colla Francia; e speriamo di poterla pubblicare quandochesia. Altre sono schede sparse, delle quali una fu inserita nel Giornale Ligustico 1876, pag. 86-137; e presente ci parve venire in taglio qui, come racconto di fatti storici. Entrambe sulla nostra indicazione furono fatte copiare per cura dell’ illustre Conte Riant, a cui oramai non occorre più aggiungere lodi nè ringraziamenti. Megollo Lercaro, di cui parla la narrazione seguente, è già noto per gli Annali di Agostino Giustiniani, e Atti Soc. Lig. St. Patri*. Voi. XIII . Fase. 111. 31 — 498 - degli storici o cronisti tutti che vennero dopo, ma non per nessuno che preceda di tempo il nostro maggiore Annalista ; né il Giustiniani c informa donde abbia tratto tale esempio che ha veramente del barbaro, ma porge una giusta idea dell’ audacia di que’ tempi e dell’ alto sentimento di dignità che nutrivano i Genovesi, specie in Oriente. Ora vediamo che il primo a scriverne fu Bartolomeo Senarega, già noto per uffici pubblici esercitati con lode e per gli Annali latini da lui compilati dal 1480 al 1514, anzi anche da più anni addietro in una prima parte, la quale fatalmente andò smarrita. La sua fama di letterato, per quel tempo (1), si può argomentare dal vederlo qui dedicare il suo scritto al celebre Pontano , segretario che fu del Re Alfonso di Napoli e fondatore dell’ Accademia che si onorò del suo nome. Il Senarega non dice l’anno che l’impresa del Lercaro succedette a Trebisonda : il Giustiniani la riferisce al 1380; il Federici cita una nota marginale al Cibo-Recco, che vorrebbe porre in dubbio questa data e trasportarla al 1314. È un fatto che viveano verso la fine del secolo XIV due Megollo Lercari : uno figlio del quondam Segurano; l’altro figlio del quondam GiofFredo, il quale fu anziano del Comune nel 1404 > e *379 aveva ottenuto, per breve di Papa Gregorio, di poter recar merci in Alessandria d’Egitto. Per questo dato ci pareva che al secondo Megollo più che al primo potesse ascriversi l’impresa qui narrata; senonché quella nota marginale al (1) Però lo scritto presente sotto questo aspetto non promette molto, ol-trecchè la lezione nel Codice lascia non poco a desiderare. — 499 — Cibo-Rccco ci diede da pensare. Anzitutto il nome di Domenico (Megollo) fu frequente in quella famiglia patrizia. Come il Megollo della fine del secolo XIV fu figlio di un Gioffredo, così nel corso del medesimo secolo troviamo un Gioffredo figlio a sua volta di un Domenico. Ma, che più importa, abbiamo proprio un Megollo Lercaro, nominato in un atto notarile del 9 novembre 1313, per occasione di una galea di lui che nell’ anno precedente era in viaggio per la Romania (1). Il eh. Comm. Canale (2) citando quest’atto, ma con la data erronea del 1315, afferma tale Megollo essere quel desso che fece la celebre vendetta. Noi non potremmo convenire coll’ Autore, se si continua a porre l’impresa al 1380, sessantasette anni dopo il viaggio in Romania del 1312. Ma ora preferiamo farla risalire al principio del secolo XIV, e per opera proprio di quel Megollo del 1312. Dai due trattati fra Genova e Trebisonda, che pubblichiamo a seguito dello scritto del Senarega, si vede che quell’imperatore Alessio II nel 1316 prometteva, per mezzo del suo legato, che non muoverà pretese alla Repubblica a cagione dei danni a lui o al suo Impero inferti da Accellino Grillo e Megollo Lercaro; laddove nel trattato precedente, nel 1314, si parla di tanti altri e rilevanti danni avuti da parecchi genovesi, ma si tace di que’ due Grillo e Lercaro. Io ne inferisco, che il celebre fatto avvenne tra il 1314 e il 1316 e per opera di quel Megollo che vedemmo far vela all’ Oriente nel (1) Richeri, Pandette Notarili, nell’Archivio di Stato. A. 13. 2. (2) Nuova Istoria di Genova, 1860; ITI. 244. — 5 oo — 1312. Ciò va anche meglio d’accordo colla circostanza additata dal Senarega e dal Giustiniani, che in quello stesso tempo i Genovesi ebbero dall’ Imperatore curia e loggia in Trebisonda. Da un terzo documento, che aggiungeremo ai due predetti, veramente siam fatti certi che questa curia o stazione genovese colà vi era già almeno fin dall’anno 1300; ma è pure vero che pel trattato del 1316, in luogo del Castel del Leone posto sul Cavo di Meidano presso Trebisonda, l’Imperatore concede ai Genovesi altra, pare, più ampia e più comoda stazione in un luogo chiamato la Darsena. Allora i Genovesi colà erano in tutto il loro fiore, e i Veneziani non erano ancora stanziati a Trebisonda; mentre , nel 1380, infuriando la terribile guerra di Chioggia, i rivali accaniti colà risiedenti non avrebbero mancato di aiutar l’imperatore contro Megollo, e più efficacemente che egli non poteva per se. I due trattati con Trebisonda, che pubblichiamo copiati sugli originali membranacei del nostro Archivio di Stato (1), erano bensi già conosciuti nella loro sostanza-ma il testo rimasto fin qui inedito fa meglio conoscere i particolari dalle persone, dei luoghi e dei danni, con un ragguaglio di monete che ci verrà in taglio in una pubblicazione seguente in questo stesso volume. Il terzo documento é pure già noto nella sostanza, ed anzi fu pubblicato nelle Memorie (Zapiski) della Società di Storia e d’Archeologia d’Odessa, voi. IV, p. 189, copiato dai Commemoriali di Venezia, voi. IV, p. 214. Ma ripeto, il testo apprende sempre più che i sunti ; e questo testo fi) Trattati poiitici, mazzo Vili. T — 501 — essendo finora soltanto in pubblicazioni russe rimane ed è difatti creduto come inedito (1). Non finirò senza accennare che lo scritto di Bartolomeo Senarega si conserva nella Biblioteca Nazionale di Parigi, fra i Codici latini il num. 5900 da carte 220 verso a 222 verso, facendo seguito a un esemplare degli Annali dei fratelli Stella. Quel Codice sta a fianco di altro bellissimo Stella, che credo originale almeno in parte, e che reca il num. 5899; mentre anche i successivi numeri 5901 e 5902 contengono pregiate notizie genovesi. (1) Sul Castel Leone, sul Cavo di Meidano e sugli estratti dei documenti inediti, si consulti Heyd, Colonie Commerciali degli Italiani, II. 66 segg., e meglio nella sua recente opera, Geschichte des Levantebandels, 1879, II. 97-161, 105, ove pure cita il nostro Comm. Canale, e 1’ Atlante Luxoro negli Atti della Società Ligure, voi. V. 132, 265. ____ Ad magnum et preciarum virum J. Fontanum Serenissimi Regis majorem secretarium. quando inter magnas curas tuas haberes unde animum reficere posses. Feci ut iussisti et historiam ab indocto quodam viro, ceterum fideli, conscriptam secutus, eam hoc meo demisso dicendi genere si non ornatam saltem minus barbaram factam ad te mitto. Videbis aliqua quibus magnanimitatem viri laudes, severitatem, constantiam et postremo humanitatem admireris. Et ne putes sterilem •adeo urbem nostram fuisse, ut solus inter preclaros habendus sit, protulit alios multos pace et bello..... litterarum studiis insignes quorum ego egregias res gestas, si aliquando per ocium liquerit, simul collectas ad etiisti a me superiori anno, Pontane obser-vandissime, cum ambo Capue essemus et que tibi de Megolio nostro presens narrassem eadem scripto latina facere, ut ali- — 504 — te mittam ut cum pro singulari humanitate tua genuen- sibus plurimum afficiaris, habeas etiam____ in cetu clarissimorum virorum quibus regia aula plena est illos juste commendare possis. Megolius vir fuit patricius genuensis ex Lercaria familia; is cum adolescens, ut mos est gentis mercatorum, negociacioni operam dedisset, majus scmper aliquid in animo gerere videbatur. Genua igitur profectus, Peram olim coloniam nostram pervenit, ibique aliquot annis moratus, ire ad Trapisuntas statuit. Fuerat tunc illic Imperator ex nobili Comncna familia, que olim Constantinopolitanum imperium per multos annos possedit, nam etate nostra tres in orbe imperatores fuisse constat; sed quoniam in hujus rei mentionem devenimus, non erit alienum demonstrare unde hic ter-cius originem ducat. Cum Germanici, Grecique satis omnibus primordia manifesta sint, etsi nonnullos et ipsos quidem doctissimos viros dubitare audiveram de iis que de Constantino primo imperatore scripta feruntur, quorum ego opinionem non omnino impugnarem nisi, que de eo leguntur, eadem sacris litteris confirmarentur quibus non credere nefas puto. Ex hac igitur familia cum plerique imperatores rebus terra marique predaie gestis prodiissent, postremo imperio successit vir eminentis ingenii paci et religioni deditus. Erat Imperatori ex Paleologorum gente profectus rerum bellicarum vir, corporis virtute ct ingenio clarus, cui plurimum ipse confideret, qui ut erat inquieti animi illi suasit facilius posse eos populos qui sunt inter Boriste-nem et Tauricam regionem fide continere, et qui vagi — 5©5 — essent in dedicionem adducere, si urbem in ea planitie loco editiori conderet. Profectus itaque cum exercitu, Paleologus Chersonam urbem cujus adhuc vestigia supersunt condidit, nec multo post populos pene omnes finitimos subegit. Domum reversus, Imperatorem aris potius quam armis deditum, occupata per vim regia expulit, cesis fugatis-que plerisque favore exercitus, et aura populari adjutus, adversantibus paucis , imperator creatur. Comnenus, sublatis paucis admodum margaritis, ut in tam trepidis rebus potuit parvo navigio ad Trapesuntas confugit, a quibus benigne receptus est, eumque ut veram imperatorem venerati sunt, posterosque ejus omnes, donec Turchus regione Pontici maris potitus omnia sue ditionis fecit. Moratus ibi Megolius paucis diebus imperatori charis-simus factus est. Huic viro inter preclaras virtutes ejus, mira quedam ad conciliandos sibi principum animos gracia fuit, bre-vique inter aulicos primus habitus est: nam sive cum Persis quibus ea regio finitima est contencio de finibus aliqua fuisset, sive cum nostra urbe Capha, quam in Tauricha Chersonesso a nobis extructam et per multos annos possessam anno salutis christiane septuagesimo quinto supra quadringentesimum millesimum Mahometus turcharum rex numerosa classe juvantibus Sithis abstulit, orta lis esset, non ab alio magis quam a Megolio componi curavit. Erat inter Imperatoris satrapas Andronicus ad quem omnes Imperii redditus deferebantur, et quasi questor erarii curam gerebat, quem flore juventutis in deliciis Imperatorem habuisse fama erat; is, glorie Me- — 5°6 — golii infensus, ocultas cum co simultates conceperat; cumque diu dissimulare odium nequiret conceptum virus evomens, Megolium aperte lacessere cepit, et cum multa de genuensibus impudenter dixisset, elata manu Megolii faciem percussit. Ea accepta injuria, Megolius Imperatorem orat ut Andronicum legibus puniendum Pretori traderet: lesam fuisse imperatoriam majestatem, quod in domo ejus tam audax facinus patratum fuisset, nomen ja-nuense si quid nihil demeruisset. Quod cum assequi nequiret dissimulata re tantisper, dum sparsas ut moris est mercatorum merces colligeret, clam omnibus, navim quam diu ad id paratam habuerat conscendit, Genuam-que secunda navigacione sospes pervenit. Admirantibus propinquis tam insperatum ejus adventum , et quid sibi intonsi capilli et demissa barba vellet percunctantibus, causam aperit, hortaturque eos ut in ultionem secum contra Imperatorem conveniant. Duas tantum triremes ad propulsandam injuriam satis amplas vires esse. At illi, collaudato Megolio, instructis duabus triremibus juvantibus Lercariis gentiliciis, Senatu permit-tente, ex Genue portu vere primo solvit, secundaque navigacione usque Peram pervenit, paululumque ibi moratus unctis triremibus, emptisque ad victum necessariis, tandem supra Trapesunte portum anchoras demittit. Ignaris grecis et causam sui adventus percunctantibus, advenisse nunciat ut Andronicum de se male meritum quem prius in jus vocaverat denuo petat, et cum idem tercio frustra tentasset et ab Imperatore quasi despectui haberetur: postquam, inquit, satis demonstratum est ge-nuenses nihil temere nihil precipitanter agere, cognoscant greci, non licere ipsis civem genuensem impune — 5 o7 — ledere; discurrensque pleraque maritima Trapesuntarum oppida depopulatus est. Et quia illi certum erat nihil intentatum relinquere, quotquot inde capiebat mutilato naso auribusque, a se dimittebat, et quod precidisset sale conditum urnis asservari jubebat. Ira itaque incensus Imperator magna festinacione, lacrimis suorum motus, triremes quatuor parari jubet; interea Megolius Capham contendit, et quia hibernus erat, ibidem in hibernis moratus est; cumque ver ad-ventasset unctis triremibus, paratis ad navigacionem necessariis, felici Borea altero die quo ex Capha solvit in conspectum urbis pervenit. Concursus undique ad Imperatorem fit; adesse Megolium, conscendendas esse triremes, eundum obviam carnifici, videris tota urbe conclamari, alium aliam rationem importare.......juvenes, senes, feminas omnes Megolio maledicere. Jam triremes parate erant, cum Megolius qui ex alto terram appropinquaverat, et omnium que agerentur ignarus propius accessit, quantum ingens scorpio sagittam potest impellere, simulareque fugam cepit. Greci recenti ignominia, ira incensi et in ultionem ruentes, ita esse rati, sublatis anchoris Megolium inse-cuuntur, qui etsi longo remigum suorum usu facile potuisset brevi tempore ab illis longe prevehi, non plus tamen abscessit quam ter sagitta impelli posset ; velocius incedebant due grecorum triremes, relique segnius agebantur, distabantque altera ab alteris millibus passuum quinque, qum Megolius, cohortatus suos advenisse finem tam diuturne peregrinationi nunciat, non armis sed auro preciosisque vestibus instructas esse hostium triremes, omnino nobilitatem Trapesuntarum brevi in potestate eorum habituros, cum feminis et chachamitis (?) pU_ gnam mox futuram; et conversa prora, priorem aggreditur, conversusque ad alterius triremis gubernatorem, et tu, inquit, latus tuum lateri alterius adjunge, manus-que ferreas et uncos iniici jubet ne volens dissolvi possit. Pugnatur utrinque acriter : nostri pro preda et gloria, illi ut illatam ignominiam ulciscerentur; agebatur ab utraque parte res sagittis, illi arcu, nostri scorpionibus utebantur. Sed illorum ictus facile erat nostris evitare, propter clipeorum magnitudinem quibus triremes nostre per latera tegebantur. Erat tantum pelta illis, quod vix leve brachium cum quo arcum gerebant protegebat; cetere autem corporis partes nude erant. Si quis tamen loricam gestaret, sagittarum impetu illesi non preservabantur. Proxime erant relique due, ratus conandum esse priusquam jungerentur, clamore sublato renovataque pugna, primus in hostium triremes transgreditur sequentibus inde aliis, et resistentibus parumper grecis ea potitus est, altera etiam parvo certamine facto capitur; accedentibus prope reliquis cum non satis cognosci posset quarum felix fortuna fuisset, prius in ejus potestatem venerunt quam retorqueri a cursu possent, cesi ex grecis aliquot in pugnam, plerique in mare excussi dum nostra in grecam triremem acta est. Hac victoria letus, triremes remulco trahens in conspectum urbis subsistit, moxque per nuncios Andronicum quem prius in jus vocaverat ad se ire jubet; et cum nihil sibi responderi videret, indignatus, captivis omnibus nares et aures precidi jubet. Porte remigio inserviebant in quinto transtro duo fratres cum eorum patre, — 509 — quos adolescentes adhuc senex secutus erat, ut juventutem eorum incautam a periculis quantum posset tutaretur; qui cum Megolium torvo vultu stantem et ministrum jam jam naribus filiorum novaculum proximum tecisse vidisset, obortis lacrimis, si placet, inquit, te o magnanime per famam nominis genuensis, oro obtestorque ut manus mihi caputque prius abscindas modo natorum, faciens, quos ego tanto labore educatos unicum misere senectuti solatium reservo intactos dimittas. Restitit Megolius, eumque ita alloquitur: Moverunt me lacrime tue et indoles egregia filiorum tuorum ut temperaverim indignationi, sed cape has urnas quas jamdiu Imperatori vestro servo, et cum eas detuleris addes me plures non multo post missurum nisi mox Andronicum ad me ire jusserit. Acceptis itaque donis ad Imperatorem veniens, procumbens more gentis: Cape, inquit, Cesar, Megolii tui munera, parva nunc, sed majora statim nisi totiens petitum hominem dederis. Ferunt Imperatorem nihil ad ea locutum, sed emisso ingenti suspirio id grece dixisse quod nostro sermone satis est interpetratur. Accito itaque ad se Andronico sic ait: Si experiri voluisses, Andronice, quanti ego te fecerim, et quam sit immensus erga te amor meus, alio profecto modo voluisses ; vidisti populum meum deformem, triremes captas, jam non licet amplius mihi causam tuam tueri sine regni mei periculo; deposcit ;e Megolius, inde mihi et regno pacem promittit. At ille: Scio, inquit, quanti me feceris faciasque, et benignitati tue plura me debere fateor, satis restitisti, habeat me Megolius, modo tibi populoque immerito salus conferatur; - sio — unum hoc extremum a te peto, ut liceat mihi domui mee disponere. Annuit Imperator, conipositisque rebus suis quasi mox crucem et eculeum subiturus, ex complexu uxoris et filiorum maximis lacrimis et singultibus abstractus, comitantibus quasi ad sepulcrum plerisque, ad mare pervenit, scaphaque ad Megolium delatus est. Provolutus ad pedes ejus manantibus affanti lacrimis. Non peto a te, Megoli, ut mihi ignoscas nam hoc nec audeo proterre, nec te mihi concessurum credibile est; hoc peto et per immortalem Deum oro, qui tibi res tam secundas prestitit et ipsam Salvatoris nostri Matrem, per famam nominis genuensis, quam tu hoc egregio facinori augebis, et semper a crudelitate aborruit, ne me duris cruciatibus afficias; satis tibi sit, si me vivum non videris. Ad ea Megolius: Surge, inquit, cives non solent ge-nuenses contra feminas sevire. Satis est te mihi datum esse, non fuit tanti mors tua, ut ego ab iis qui Pontum incolunt crudelis dici meruerim. Quicquid ego feci, Imperatoris injusticia coegit. Satis est nobis vincere, et demonstrare quicumque civem genuensem leserit paratam habere penitenciam. Et ne quales simus ignores, plures in nostra urbe invenies quibus ego ex minima parte equandus non sum; quod si me medio rerum cursu vita defuisset, majoribus animis et plura quam ego feci consecuti essent. Sed ne glorieris te rerum mearum vel minimam partem possidere, erat mihi insignis equus, quo me Imperator donaverat et simia que mirifice hominem imitabatur, tu, ut mihi relatum est, ea animalia habuisti ; cura igitur ut mihi reddantur vel ad me redito. Grecus, etsi in majorem Persidem devectum fuisse — 5ii — equum sciret, id tamen se facturum recepit. Missis itaque nunciis qui ea animalia reveherent et multo auro redimerent, intra prefixum tempus restituta sunt. Supererat ut alia cum Imperatore iniretur ratio, a quo et se et populi genuensis dignitatem lesam arbitrabatur. Conventum primo est, ne indignatione memoria accepte ab eo injurie opprimi posthac genuenses possent, ut ex Capha singulis annis vir mitteretur quem consulem appellabant qui illis jus diceret, domusque ampla ere imperatorio construeretur quam consul habitaret; atrium mercatoribus nostris, quod nos fundicum vocamus, in celebriori urbis parte exhedificatum ; furnum et balneum in quo tantum genuenses lavantur a signatum; immunitas preterea multarum rerum concessa. Que etsi satis multa fuerint, Imperatorem tamen inter missarum so-lemnia jure jurando adactum per sacra Dei evangelia compulit promittere in ultionem non venturum. Quod etiam chyrographo, gemma qua utebatur subsignato, testatus est. Et ne etas memoriam tam preclare rei aboleret, diviti pictura id quidquid actum esset in eadem domo depingi curavit. Multi ex civibus nostris eam viderunt, a quibus cum ego singula diligentius quere-rem, ab eo presertim qui consulatum in eo loco gessisse cognovi picturam simul et historiam quam ad te scripsi convenire. ■ ■ _ I. Sul dorso. — Trebisonde: 1314, 26 Octobris. Pax facta per dominos Anelalo de Nigro et Antonium Portonarium Ambasiatores Co-munis Janue cum domino Imperatore Trapesonde. Ad honorem Domini Nostri Jesu Christi, Beatissime Virginis Marie, Beatorum Johannis Baptiste et Evangeliste et Beate Marie Crisocofole, ac ad honorem et bonum statum serenissimi domini Alesij Magni Cominiano et Imperatoris et domini Imperi) Trapesonde, et ad honorem et bonum statum Magnifici Comunis Janue. nobilis vir dominus Sorleonus Spinula et providus et discretus vir dominus Gavinus de Mare ambasiatores et nuncii prefati domini Alesij Imperatoris, et habentes ab ipso domino Imperatore ad infrascripta mandatum sufficiens ac plenam et largam potestatem ac bailiam, ut patet ex tenore cujusdam privilegij sive precepti imperialis scripti in litteris grecis et signati in fine sive subscripti litteris grecis rubeis ut moris est manu propria ejusdem domini imperatoris , et aurea bulla imperiali pendenti nota et consueta muniti ; vice et nomine et pro parte ejusdem domini Imperatoris et omnium et singulorum hominum subditorum et districtualium ejusdem ac Imperi) ipsius , et omni modo et jure quibus melius possunt ex una parte, et nobilis et discretus vir dominus Anthonius Porto-narius civis Janue Ambasiator Comunis Janue et sindicus ejus- Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi, XIII, Fase» III. 33 — 5 r4 — dem Comunis, de quo sindicatu apparet ex tenore cujusdam pu-blici instrumenti scripti manu Bonifatij de Camulio notarij millesimo tricentesimo decimo quarto, indictione decima prima, die vigesima prima Madij, sindicatorio nomine praedicti Comunis et nomine et vice ejusdem Comunis et omnium et singulorum de Janua et districtu et qui pro Januensibus 'distringuntur seu appellantur ex altera, de infrascriptis et super infrascriptis ad pacta conventiones compositiones et transactiones ac bonam et veram pacem et concordiam annuente divina gracia perpetuo duraturam et duraturas ut inferius per ordinem legitur devenerunt. Primo quia dicte partes dictis nominibus fecerunt et faciunt sibi ad invicem dictis nominibus finem et remissionem omnimodam ac pacem et pactum de ulterius non petendo de omnibus et singulis iniurijs homicidijs vulneribus percussionibus assaltibus incendiis guastis ruinis dampnis et offensionibus quibuscumque et tara realibus quam personalibus quomodocumque et qualitercumque illatis, sive que illata et illate esse dicantur hinc inde, sive ab una parte seu aliquo vel aliquibus de una parte in alteram partjm, seu aliquem vel aliquos de alia usque in presentem diem. Et promiserunt sibi ad invicem dicte partes dictis nominibus quod nullo tempore pro dictis occasionibus vel aliqua de predictis fiet petitio vel requisitio lis questio vel actio seu controversia movebitur in iudicio nec extra, salvis semper infrascriptis et hijs omnibus et singulis que infra dicentur. Item promiserunt dicti domini Ambasiatores ipsius domini Imperatoris, nomine et vice ipsius domini Imperatoris, facere et curare dicto nomine quod idem dominus Imperator, omni exceptiorte remota, plenam justiciam et efficacem faciet de illis grecis sive subditis ejusdem qui culpabiles fuerunt seu dolum et culpam meruerunt in homicidijs perpetratis in personas illorum Januen-sium seu districtualium Janue qui interfecti fuerunt in ligno Johannini Fatinanti et Johannini de Clavaro, et hoc presentialiter. Item dicti domini Ambasiatores ipsius domini Imperatoris dicto nomine et ex dicta causa voluerunt et consenserunt ac concesserunt ex nunc predicto domino Ambasiatori dicti Comunis, nomine et vice dicti Comunis ct hominum Janue et districtus, Dalsanam Trapesonde si dictus dominus Ambasiator dicti Comunis vel alia legitima per- — 5 r5 — sona pro dicto Comune eam habere et acceptare voluerit, vel tantum solum sive terraticum dicte terre Trapesonde videlicet alterius loci maritime ipsius terre loco et contracambio dicte Dalsane, in ellectione et voluntate dicti domini Ambasiatoris vel alterius legitime persone pro dicto Comuni, usque in illam quantitatem sive mensuram longitudinem et latitudinem quam voluerit dictus dominus Ambasiator dicti Comunis vel alia legittima persona pro dicto Comuni, in qua sive quo Burgenses Januenses Trapesonde homines et districtuales Janue et Mercatores Januenses qui in Tra-pesonda et in Imperio dicti domini Imperatoris conversantur et conversati fuerint et conversare voluerint de cetero comode habitare et morari possint cum rebus mercationibus ac familijs eo-rumdem. Quam Dalsanam sive quem locum sive terraticum dictum Comune sive dicti Burgenses Januenses et Mercatores murari afos-sari et fortificari facere possint; et ibi hedificari facere possint seu Consul Januensium qui pro tempore fuerit in Trapesonda possint turres portas fortilicias et alia quecumque hedificare ad libitum voluntatis dicti domini Ambasciatoris dicti Comunis dicto nomine vel alterius legitime persone pro dicto Comune sive dictorum Burgensium et Mercatorum seu dicti Consulis; et hoc non obstante contradicione dicti domini Imperatoris vel aliquorum subditorum ejusdem; que quidem Dalsana sive quod solum libere sit et esse debeat de cetero dicti Comunis. Non intelligatur tamen per pre-dicta vel aliquod predictorum aliqua concessio donatio seu mentio facta de Castro Maydani Trapesonde, nec etiam remissio facta de dicto Castro pro parte dicti Comunis nec per predicta vel aliquod predictorum, nec per infrascripta vel aliquod infrascriptorum derogatum in aliquo conventionibus vel hijs vel alicui eorum de quibus continetur in ipsis conventionibus initis inter ipsum dominum Imperatorem ex una parte et dominum Petrum de Hugolino tunc Sindicum et Ambasiatorem dicti Comunis ex altera, nec non intelligatur in aliquo derogatum vel preiudicium fieri per ea vel aliquod eorum que in ipsis conventionibus contineantur presenti clausule nec alicui eorum que in presenti clausula contineantur seu predictis vel alicui predictorum. Et fuit actum expressim in presenti pace quod aliquo modo qui dici vel excogitari possit — 5i 6 — aliquis grecus ejusdem domini Imperatoris non possit habitare seu domum vel habitationem seu domicilium habere in dicta Dalsana sive loco predicto accipiendo loco ipsius Dalsane ut supra et eodem modo; nec aliqua extranea persona possit habitare uti vel conversare in dicta Dalsana sive loco predicto contra voluntatem Consulis Januensium dicti loci et consiliariorum suorum. Item actum est in presenti pace quod dictus dominus Imperator vel aliquis Baronus vel officialis ejusdem non possit se intromittere de aliquo Januense vel districtuale Janue; imo si aliquis grecus aliquid recipere debuerit vel dixerit se recipere debere ab aliquo Januense vel districtuale Janue, habere debeat recursum ad dictum dominum Consulem Januensium qui pro tempore fuerit in Imperio dicti domini Imperatoris; et dictus Consul teneatur dicto greco summariam et expeditam ju-sticiam facere. Et e converso quod dictus Consul non possit se intromittere de aliquo greco subdito dicto domino Imperatori; imo si aliquis Januensis vel districtualis Janue aliquid recipere debuerit vel dixerit se recipere debere ab aliquo greco subdito vel districtuale ejusdem domini Imperatoris, habere debeat recursum ad dictum dominum Imperatorem sive ad Presidentem pro ipso domino Imperatore justitie reddende; et idem dominus Imperator sive idem ejus officialis teneatur dicto Januensi sive districtuali Janue summariam et expeditam justitiam facere. Item actum est in pi esenti pace quod Januenses qui pro tempore conversati fuerint in Trape-sonda et in Imperio ejusdem domini Imperatoris habeant et habeie debeant et possint ut actenus consueverunt Consulem qui habitare debeat in dicta Dalsana seu loco predicto in quo habitaverint Januenses ipsi. Item actum est quod dictus dominus Imperatoi non possit recipere de cetero aliquem Januensem vel districtualem Janue in grecum ; et eodem modo quod Consul predictus Januensis non possit recipere de cetero aliquem grecum dicti domini Imperatoris in Januensem. Item actum est quod dictus dominus Imperator vel aliquis de gente sua non debeat de cetero receptai e in aliqua terra seu galea vel ligno aliquo seu barcha dicti domini Imperatoris vel alicujus de gente sua aliquem Januensem seu districtualem Janue seu quem pro Januense distringatur ; imo ipse dominus Imperator dictum Januensem seu quem pro Januense distringa- — 5 J7 — tur teneatur transmittere domino Consuli Januensium in Trapesonda qui nunc est voi prò tempore fuerit, lìt eodem modo quod dictus dominus Consul Januensium qui nunc est vel prò tempore fuerit, seu aliquis Januensis vel districtualis Janue, non debeat de cetero receptare in aliqua terra seu galea vel ligno aliquo seu barella dicti domini Consulis vel alicujus Januensis vel districtualis Janue aliquem grecum seu subditum dicti domini Imperatoris; imo dictus Consul dictum grecum seu subditum teneatur transmittere ipsi domino Imperatori, salvo quod per predicta vel .aliquod predictorum non intelligatur aliquam dictarum partium contrafecisse in premissis seu contra premissa que in hac clausola proxime precedenti continentur, si aliquis ex alterutra dictarum partium auffugeret in ecclesia beate Marie Crisocofole sita in Castro Trapesonde, que dicitur franchisia. Item actum est quod aliquis grecus non possit se assignare alicui Caravane Januensium que transitum faciet de cetero per terras ipsius domini Imperatoris, videlicet a Ponte qui dicitur Pons Garini usque ad quendam locum qui dicitur Cabanum ; quod si secus fieret per aliquem grecum licite et impune possit offendi per Januenses dicte Caravane, sine eo quod propterea ipsis Januensibus vel alicui eorum aliquid irrogari vel inferri possit per dictum dominum Imperatorem vel aliquam penam seu dampnum propterea pati possint sive aliquis eorum possit. Item actum est in presenti pace quod aliquod lignum alicujus extranee persone seu alicujus greci non possit tirari vel teneri per aliquam personam cujuscumque condictionis existat in maritima dicte Dalsane sive loci quem accipere voluerit idem dominus Ambasiator vel alia persona legittima pro dicto Comuni. Itetn promiserunt dicti domini Ambasiatores dicti domini Imperatoris dicto Ambasiatori dicti Comunis, quod dictus dominus Imperator et' officiales ejusdem gra-ciose et benigne recipient omnes et singulos mercatores Januenses et districtuales Janue conversantes de cetero in terris Imperij pre-dicti vel accedentes ad terras aliquas ipsius Imperij, et quod occasione alicujus injurie vel offensionis sive dampni passe vel passi vel que vel quod de cetero fieri contigerit, quod absit, per aliquem Januensem vel aliquos Januenses in mari vel iri terra ipsi domino Imperatori vel alicui subdito ejusdem vel in bonis vel contra bona ipsius domini Imperatoris vel alicujus subditi ejusdem, nullam offensionem vel dampnum facient seu inferent vel fieri seu inferri facient seu permittent, nec aliquod malum propterea reddent vel reddi facient dictis mercatoribus et districtualibus vel alicui eorum vel in bonis eorum vel alicujus eorum publice vel privatim; imo semper in perpetuum eos omnes et singulos et res et bona eorum idem dominus Imperator sub protectione ejusdem recipiet gratiose, et eos omnes et singulos benigne et decenter tractabit et tractari faciet per Barones ejusdem, et ipsos omnes et singulos in personis et rebus salvabit et custodiet prefatus dominus Imperator tam sanos quam naufragos. Item promiserunt dicti domini Ambasiatores ipsius domini Imperatoris dicto nomine dicto domino Ambasiatori dicti Comunis dare et solvere dicto nomine, sive quod idem dominus Imperator dabit et solvet eidem domino Ambasiatori dicti Comunis, numeratos asperorum cominiatorum centum quinque milia bonorum et justi ponderis, pro solucione et satisfactione illorum asperorum centum quinque milium quos idem dominus Imperator abstulit seu abstuli fecit quibusdam Mercatoribus Januensibus seu Caravane quorumdam Mercatorum Januensium in Trapesonda certo tempore elapso; et que quantitas asperorum debeat distribui inter ipsos Mercatores pro rata ejus quantitatis quam quilibet ipsorum solvit et que quemlibet eorum contingit; et dicta quantitas solvi debeat dicto domino Ambasiatori dicti Comunis per ipsum dominum Imperatorem usque ad menses quatuor proxime venturos, et ante si ante idem dominus Ambasiator ad terram aplicuerit, dante Domino, Trapesonde. Item promiserunt et convenerunt dicti domini Ambasiatores ipsius domini Imperatoris dicto nomine dicto Ambasiatori dicti Comunis quod dictus dominus Imperator transmittet ad Civitatem Janue procuratorem et nuncium suum legit-timum, seu Ambasiatorem et nuncium suum legittimum et so-lempnèm, infra kalendas Augusti proxime venturi si galee alique seu galea aliqua januensis de portu sive plazia Trapesonde seu marittima proinde discesserit pro eundo ad portum Janue, vel in primis galeis Januensibus que accedent ad dictum portum Janue post dictas kalendas Augusti, qui stabit in jure et qui se paratum obtulerit nomine et pro parte dicti domini Imperatoris in jure stare — 5!9 — coram domino Potestate Janue qui nunc est vel prò tempore fuerit, et in ejus curia et sub examine ejusdem et suorum Judicum, adversus petitiones quascumque quas facere voluerint seu fecerint ab ipso domino Imperatore et quibuscumque ejus subditis infrascripti Januenses et districtuales Janue, videlicet Henricus Balbus, France-schinus Rovetus, Petrinus Purpurerius, Joanna mater et heres quondam Johannini Buroni, Andreolus Guillelmi Nigri, Samuel Spinula, Andriolus de Guascho de Naulo, Guillelmus Rovegnus de Strupa, Bonifatius Syminus, Manuel Ritius de Naulo, et Antho-nius Niger de Sancto Thoma, qui se dicunt se dampnificatos fuisse in Caffa et in partibus Gazarie per quedam ligna dicti domini Imperatoris sive quorumdam subditorum suorum, sive per dictos suos subditos existentes cum dictis lignis in comittiva quarumdam galearum et lignorum armatarum et armatorum per Jaalabi dominum Synopi sive gentem suam de anno proxime preterito et mense Madij dicti anni; et etiam adversus quascumque petitiones quas facere voluerint seu fecerint ab ipso domino Imperatore et quibuscumque ejus subditis quicumque alij Januenses et districtuales Janue qui dixerint se dampnificatos fuisse ut supra, et eodem modo quo dictum est dicto tempore. Ita quod quicquid pronuntiatum et sen-tentiatum fuerit per dictum dominum Potestatem et Judices suos super ipsis petitionibus dictorum Januensium et districtualium Janue debeat inviolabiliter attendi et observari et executioni mandari per dictum dominum Imperatorem omni exceptione et dilatione cessante. Si vero idem dominus Imperator dictum procuratorem nuncium sive Ambasiatorem suum non transmiserit ad dictam Civitatem eo modo et tempore de quibus dictum est, tunc ab inde in antea dictus dominus Potestas et Judices sui possint super dictis petitionibus omnibus et singulis audiendis procedere ad definitivam sententiam summarie et de plano et sine strepitu et figura et qualibet observatione judicij^et prout eciarn pronuntiatum-et sen-tentiatum fuerit per dictos dominum Potestatem et ejus judices ut dictum est debeat attendi et observari ac executioni mandari per dictum dominum Imperatore omni omnino exceptione et dilatione cessante; et ita actum est expressim inter partes predictas. Item actum est expressim inter partes predictas quod Petro Vitalis, si Januensis est seu probaverit se Januensem vel bur-gensem Januensem vel quod habitus sit pro Januense, Angellino de Mari, Frederico Vicentio et Percivali Malocello, dampnificatis et deraubatis per ipsum dominum Imperatorem seu quosdam grecos ipsius dominis Imperatoris in ligno Johannini Fatinanti et Johannini de Clavaro, et omnibus alijs et singulis Januensibus et di-strictualibus Janue dampnificatis in dicto ligno seu aliquibus alijs lignis vel alio modo, seu qui aliquid recipere debent ab ipso domino Imperatore vel aliquibus ejus subditis de quo non sit quitacio facta, solvi et satisfieri debeat per ipsum dominum Imperatorem, scilicet de quantitatibus illis et rebus et valimento rerum quas recipere debuerint seu probaverint amisisse et dampnificatos fuisse, vel eos vel aliquem eorum amisisse et recipere debere ut supra probaverint vel aliquis eorum probaverit, videlicet de illis quantitatibus et usque in illas quantitates quas declaratum fuerit per dictum dominum Ambasiatorem vel per Consulem Januensium qui nunc est vel pro tempore fuerit et suos sex seu per dominum Potestatem Janue qui nunc est vel pro tempore fuerit, predictos Januenses dampnificatos fuisse vel aliquem eorum dampnificatum fuisse per dictum dominum. Imperatorem vel aliquem vel aliquos de ejus Imperio, seu dictos Januenses vel aliquem ipsorum recipere debere ab ipso domino Imperatore vel aliquo vel aliquibus de suo Imperio ; et de ipsis quantitatibus fieri debeat solutio et satisfactio per dictum dominum Imperatorem hoc modo: videlicet pro tercia et de tercia parte usque ad menses octo tunc proxime venturos, computandos a die declarationis dicti Ambasiatoris seu Consulis predicti et suos sex vel Potestatis Janue; et de inde ad alios menses octo tunc proximos pro alia tercia et de alia tercia parte; et de inde ad alios menses octo tunc proximos pro reliqua et de reliqua tercia parte, usque ad integram solutionem et satisfactionem dictarum quantitatum et cujuslibet earum declarandarum ut supra. Item actum est in presenti instrumento quod si aliqui alij Januenses recipere debuerint aliquid ab ipso domino Imperatore vel aliquibus subditis ejusdem aliqua justa ex causa, vel aliquod jus habuerint contra ipsum dominum Imperatorem, vel suum Imperium vel aliquem vel aliquos de ejus Imperio de quo non §it remissio facta per — 521 - conventiones initas per dominum Petrum de Mugolino tunc Sindicum et Ambasiatorem dicti Communis cum dicto domino Imperatore, vel per conventiones initas per dominum Obertum Cataneum olim dictum de Volta tunc Sindicum et Ambasiatorem ejusdem Comunis cum ipso domino Imperatore, seu alteram earum, que jura ipsorum et cujuslibet eorum sint in omnibus et per omnia in eo statu in quo erant ante presentem pacem et conventionem pre-sentis instrumenti, nec de hijs vel aliquo eorum intelligatur per predicta vel aliquod predictorum quitatio vel remissio facta; et eodem modo jura et defensiones dicti domini Imperatoris et quorumlibet ejus subditorum sint et esse intelligantur in eo statu in quo erant ante confectionem presentis instrumenti. Et e converso si idem dominus Imperator vel aliquis vel aliqui de ejus Imperio recipere debuerint aliquid a dicto Comuni vel aliquibus ejus subditis aliqua justa ex causa, vel aliquod jus habuerint contra dictum Comune vel aliquem vel aliquos ejus subditos de quo non sit remissio facta per ipsas conventiones vel aliquam earum, que jura ejusdem domini Imperatoris et quorumlibet ejus subditorum sint in omnibus et per omnia in eo statu in quo erant ante confectionem presentis instrumenti, nec de hijs vel aliquo eorum intelligatur per predicta vel aliquod predictorum remissio facta. Et eodem modo jura et defensiones dicti Comunis et quorumlibet ejus subditorum sint et esse intelligantur in eo statu in quo erant ante confectionem presentis instrumenti. Acto etiam expressim in principio medio et tine hujus instrumenti quod per predicta vel aliquid predictorum non intelligatur quitatio vel remissio facta per dictum dominum Imperatorem de dampnis que dicuntur illata ipsi domino Imperatori et quibusdam de ejus Imperio per Octavianum de Au-ria et quosdam sequaces ejusdem, et per quosdam alios Januenses et districtuales Janue qui cursales fuerunt tempore quo idem Octavianus erat in cursu contra dictum dominum Imperatorem et subditos suos; nec etiam de dampnis de anno presenti illatis ipsi domino Imperatori et genti sue. Possit tamen idem dominus Imperator, si ei placuerit, occasione dictorum dampnorum transmittere ad Civitatem Janue Ambasiatorem suum sive Ambasiatores suos pro requisitione et restauratione sibi facienda dicto domino Impe- — ) 22 — ratori de ipsis dampnis per dictum Comune seu presidentes ipsi Comuni, ita quod quicquid super hijs deliberatum et provisum fuerit per dictum Comune seu presidentes eidem Comuni inviolabiliter per dictum dominum Imperatorem attendi et observari debeat. Item acto quod conventiones inite inter dictum dominum Imperatorem ex una parte et dominum Petrum de Hugolino judicem tunc Sindicum et Ambasiatorem Comunis Janue ex altera, et etiam conventiones facte inter dictum dominum Imperatorem ex una parte et dominum Obertum Cataneum olim dictum de \ olta tunc Sindicum et Ambasiatorem dicti Comunis ex altera, sint firme et rate ; et quod per predicta vel aliquod predictorum nec per infrascripta vel aliquod infrascriptorum non sit vel videatur ipsis conventionibus vel alicui earum nec hijs vel alicui eorum que in eis continentur in aliquo derogatum. Insuper dicti domini Ambasiatores ipsius domini Imperatoris promiserunt et convenerunt nomine et vice dicti domini Imperatoris dicto domino Ambasiatori dicti Comunis, stipulanti et recipienti vice et nomine dicti Comunis et infrascriptorum dampnificatorum, per ipsum dominum Imperatorem seu quosdam subditos suos dare et solvere et quod idem dominus Imperator dabit et solvet ipsi domino Ambasiatori dicti Comunis dicto nomine seu alij legitime persone pro dicto Comuni quantitates pecunie infrascriptas, pro solucione et satisfatione atque recompensacione dampnorum que ipsi infra-scripti passi fuerunt hinc retro quocumque et qualitercumque, seu que sibi actenus illata fuerunt per ipsum dominum Imperatorem vel aliquos de ejus Imperio, solvendas hoc modo: videlicet pro tercia parte usque ad menses octo proxime venturos, computandos a fine mensium quatuor proxime venturorum, et antea etiam si antea dictus dominus Ambasiator dicti Comunis aplicuerit, dante Domino, ad terram Trapesonde; et de inde pro alia tercia parte usque ad alios menses octo proxime venturos; et de inde pro reliqua tercia parte usque ad alios menses octo ex tunc proxime venturos, usque ad integram solucionem et satisfactionem quantitatum infrascrip-tarum. Primo pro recompensacione dampnorum que passus fuit Calvinus Bochesanus de Vultabio, asperos comianatos viginti tria milia centum nonaginta duos. Item pro recompensacione dampno- - 523 - rum que passus fuit Johanninus de Porta de Castelieto, asperos comia-natos tria millia quingentos decem et octo. Item pro recompensacione dampnorum que passus fuit quondam Henricus Peiaschus de Arenzano, asperos comianatos quatuor milia septingentos. Item prò recompensacione dampnorom que passus fuit Iohanninus Rubeus filius Francisci Rubei, asperos comianatos mille quadringentos octua-ginta duos. Item pro recompensacione dampnorum que passus fuit Nicolaus de Travi, asperos cominianatos tria millia trecentos quinquaginta sex. Item pro recompensacione dampnorum que passus fuit Jacobus Medicus de Marassio, asperos cominianatos decem millia octingentos nonaginta sex. Item pro recompensacione dampnorum que passus fuit quondam Johanninus Rubeus de Corelia olim filius Johannis Rubei de Corelia, asperos cominianatos triginta sex milia trecentos quinquaginta unum. Item pro recompensacione dampnorum que passus fuit Castellinus olim frater dicti quondam Johannini, asperos cominianatos duo milia noningentos sexaginta sex. Item pro recompensacione dampnorum que passus fuit Nivelinus de Camilla, asperos cominianatos septem milia ducentos quinquaginta. Item pro recompensacione dampnorum que passus fuit Con-radinus da Fontaneggio, asperos cominianatos sex milia. Item pro recompensacione dampnorum que passus fuit Anthonius Aurie quondam Paulini et Alamanus de Auria, asperos cominianatos quindecim milia. Item pro recompensacione dampnorum que passi fuerunt Manuel Buscarinus et quidam ejus frater, asperos cominianatos quatuor milia quingentos. Item pro recompensacione dampnorum que passus fuit Anthonius de Mantua, asperos cominianatos octo milia centum triginta quinque. Item promiserunt dicti domini Ambasiatores dicti domini Imperatoris dicto nomine dicto domino Ambasiatori dicti Comunis qucd dictus dominus Imperator dabit et solvet domino Paulo de Auria, Segurano, Eliano et Ambrosio Salvay-guis fratribus, Andreolo Cataneo olim dicto de Volta et fratribus, asperos ducentos quinquaginta sex milia et ducentos vigiliti octo cominianatos bonos et justi ponderis, restantes pro dictis Januensibus ad habendum ex quantitate asperorum ducentorum sexaginta duorum milium de quibus fit mentio in duobus privilegijs imperialibus ipsius domini Imperatoris; et qui asperi ducenti quinquaginta sex millia du- — 524 — centi viginti octo sunt prò solucionc et satisfactione dictorum asperorum ducentorum sexaginta duorum milium et pro solucione et satisfatione totius ejus quod peti posset per prodictos Januenses seu aliquem eorum a dicto domino Imperatore seu ejus Curia quacumque alia occasione usque in hanc diem; et qui asperi ducenti quinquaginta sex milia ducenti viginti octo solvi debeant per dictum dominum Imperatorem hoc modo, videlicet : tercia pars usque ad menses octo proxime venturos, computandos a fine mensium quatuor proxime venturos, et antea etiam si antea dictus dominus Amba-siator dicti Comunis, dante Domino, aplicuerit ad terram Trapesonde; et de inde ad alios menses octo tunc proximos alia tercia pars et; de inde ad alios menses octo ex tunc proximos reliqua tercia pars usque ad integram solucionem et satisfationem totius dicte quantitatis asperorum ducentorum quinquaginta sex milium ducentorum viginti octo. Acto tamen et expressim acto in principio medio et fine hujus instrumenti quod si predicti domini Paulus, Seguranus et Iratres ejusdem, Andriolus et fratres ejusdem acceptare nolueiint predictam solucionem faciendam ut dictum est de dicta quantitate asperorum ducentorum quinquaginta sex milium ducentoium viginti octo, seu protestaverint et declaraverint intra menses sex proxime venturos, computandos et incipiendos a die qua idem dominus Ambasiator dicti Comunis applicuerit ad Civitatem Janue vel a die qua presens instrumentum presentatimi fuerit Comuni predicto seu presidentibus ipsi Comuni, quod sibi non placet predictam solucio nem fieri debere ut dictum est, sive quod presentia pacta sibi non placent; quod dicto casu dicta quantitas asperorum ducen torum quinquaginta sex milium ducentorum viginti octo ^ el ali qua pars ejusdem eis solvi non debeat per dictum dominum Imperatorem eo modo quo dictum est; immo jura ipsorum Januen sium sint et esse intelligantur, facta dicta protestatione et deJara cione ut dictum est, in eo statu in quo erant ante confectionem presentis instrumenti, et eodem modo jura et defensiones ipsius domini Imperatoris; et ita actum est expressim inter partes pi~ dictas. Item actum est quod si aliquis implicatus fuerit in aliqua parte Imperij domini Imperatoris Usbech ad asperos baricatos, ei solvi debeat ad asperos ; et si aliquis implicatus fuerit ad asperos - 525 - ei solvi debeat ad asperos, hoc modo videlicet quod solvi debeat sibi de quibuslibet duobus asperis baricatis asperum unum cominia-natum et de quolibet yperpero asperos quatuordecim cominianatos; et si repedetur in probationibus alicujus Januensis vel districtualis Janue factis vel faciendis usque ad festum Pasche resurrectionis Domini proxime venturum quantitas asperorum baricatorum, posito quod probasset de yperperis solum, ei satisfiat de quantitate asperorum baricatorum facta computatione ut supra, et si reperietur probatum de yperperis, quamvis implicatio facta esset in partibus Gazarie, ei solvi debeat ad yperperos facta computatione ut supra dictum est. Item actum est in presenti instrumento, et ita promiserunt dicti Ambasiatores dicti domini Imperatoris dicto domino Ambasiatori dicti Comunis stipulanti et recipienti nomine et vice ejusdem Comunis, facere et curare dicto nomine quod idem dominus Imperator et Barones ejusdem jurabunt ad sancta Dei evangelia, per eos prius tactis sacrosanctis evangelijs, attendere et inviolabiliter observare presentem pacem et omnia contenta in presenti instrumento, ac etiam quod idem dominus Imperator ratificabit et approbabit so-lempniter in presentia suorum Baronum presentem pacem et omnia et singula contenta in presenti instrumento pacis, semper ad requisitionem dicti domini Ambasiatoris dicti Comunis 'in presentia dicti domini Ambasiatoris vel aliquorum deputandorum per eum seu alicujus alterius Sindici dicti Comunis. Que omnia et singula promiserunt sibi ad invicem dicte partes dictis nominibus attendere complere et observare et contra in aliquo non facere vel venire. Alioquin penam asperorum ducentorum milium cominiatorum argenti bonorum et justi ponderis sibi ad invicem dicte partes dictis nominibus dare et solvere promiserunt, toties committendam contra partem non observantem quotiens per eam fuerit in aliquo predictorum contrafactum vel non observatum. Ratis semper manentibus omnibus et singulis supradictis. Et pro predictis omnibus et singulis sic observandis obligaverunt sibi ad invicem dicte partes dictis nominibus pignori, videlicet: iidem domini Ambasiatores ipsius domini Imperatoris dicto Ambasiatori dicti Comunis stipulanti et recipienti vice et nomine ipsius Comunis omnia bona dicti domini Imperatoris et sui Imperij; et dictus Ambasiator dicti — 526 — Comunis ipsi Ambasiatori dicti domini Imperatoris stipulanti et recipienti vice et nomine ipsius domini Imperatoris omnia bona dicti Comunis. Et ad majorem firmitatem omnium et singulorum predictorum juraverunt corporaliter tactis scripturis dicte partes dictis nominibus, videlicet dicti Ambasiatores ipsius domini Imperatoris in animan; dicti domini Imperatoris et dictus Arnba-siator dicti Comunis in animas dominorum Potestatis Comunis Janue, Abbatis populi Januensis, Gubernatorum et Consiliariorum Consilij Generalis dicti Comunis et etiam Antianorum dicti Comunis , predictam pacem et omnia et singula. contenta in presenti instrumento pacis attendere et inviolabiliter observare. Actum Arze-roni in domo qua nunc habitat idem dominus Ambasiator dicti Comunis. Anno Dominice Nativitatis Millesimo ccc xim, indictione xir, die xxvj Octobris in vesperis; presentibus testibus Francischo Codino, Andriolo de Scala, Frederico de Monelia, Anfreono de Mari, Octaviano de Nigro et Arzerono de Montemagno, civibus Janue, ad hec vocatis et rogatis. Manuel Durantis notarius publicus rogatus scripsi. Hoc est exemplum sive publicatio cujusdam publici instrumenti scripti in pergameno tenoris infrascripti. In nomine Domini amen. Ad honorem Dei omnipotentis Patris Filii et Spiritus Sancti et Beatissime Virginis Marie et tocius curie celestis; et-ad bonum statum et exaltationem honoratissimi domini Alexii Magni Comiano, et domini Imperatoris Trapesonde, et subditorum suorum, et etiam Communis et hominum Janue et districtualium dicti Communis. Nobilis vir dominus Affecasendi Doriamica Grecus Baro, et Ambaxator solempnis ac Sindicus et procurator generalis dicti domini Imperatoris, sicut de ipso Sin-dicatu apparet publico instrumento scripto in Trapesonda manu Manuelis Durantis Notarii millesimo tercentesimo decimo quinto, die decima nona Junii, pro ipso domino Imperatore et ejus subditis ex una parte ; et nobilis et egregius miles dominus Guirardinus de Gambara civis Brixiensis, Potestas Communis Janue, in presencia, consensu et voluntate domini Oberti de Balsemo Abbatis Populli Januensis, et Consilii Gubernatorum Civitatis et Comunis Janue; et ipsi domini Abbas et Consilium Gubernatorum auctoritate et decreto dicti domini Potestatis, nomine et vice dicti Comunis et omnium et singulorum Januensium et districtualium Janue ex altera parte; convenerunt inter se se secundum quod infra dicetur : Quia con- — 52S — firmantes inter se se et subditos utriusque partis bonam, puram, et veram pacem, dante Domino, duraturam perpetuo secundum formam convencionum olim inter ipsas partes habitarum ; et quarum una facta fuit cum domino Petro de Hugolinis Judice, tunc ambaxatore et sindico dicti Comunis ad ipsum dictum Imperatorem , et alia cum domino Oberto Cataneo olim de Volta ambaxatore similiter et sindico dicti Comunis ad prefatum dominum Imperatorem transmisso, et alia cum Anthonio Portonario apud Arzeronum ambaxatore et sindico similiter Comunis pre-dicti, salvis hiis que infra dicentur, promittunt et faciunt dictis nominibus sibi ad invicem ut infra: Nam dictus dominus Affecasendi dicto nomine pro remissione Cavi de Maijdano, de qua infra dicetur, pro infrascriptis facit dicto Comuni remissionem et pactum de non petendo de medietate illorum asperorum quingentorum millium cominiatorum quos predictum Comune taxavit et providit dictum dominum Imperatorem habere debere pro satisfactione dampnorum ipsi domino Imperatori et subditis illatorum per dominos Accellinum Grillum tunc amiratum dicti Communis et per Megolum Lercarium, et per quosdam alios Januenses conversantes in Sodaya de mandato seu ex permissione admirati predicti, que medietas capit summam asperorum ducento-torum quinquaginta milium cominiatorum, de qua taxatione apparet publico instrumento inde confecto et scripto paulo ante manu mei Notarii infrascripti ; et convenit dicto nomine quod alia medietas asperorum quingentorum millium cominiatorum, que capit similiter summam aliorum asperorum ducentorum quinquaginta milium cominiatorum remaneat in ipso Communi pro satisfaciendo illis januensibus seu districtualibus Janue dampnificatis in Caffa et in partibus Gazarie anno currente millesimo tercente-simo decimo tertio de mense Madii, de quibus pronunciatum fuit anno proxime preterito die vigesima nona Novembris per dominum Potestatem Janue, qui tunc erat, quod eis . . . . •......... pecunia in ipsa pronunciamone contenta, scilicet usque in eam summam, de qua in dicta summa continetur, et hoc si videbitur domino Potestati Janue qui ...... judicibus.....Imperatorem de summa predicta contenta in dicta summa, et si de hoc - 529 ipse dominus Potestas fieri fecerit publicum instrumentum proximi, videlicet de illis quantitatibus et usque in illas quantitates quas declaratum seu pronunciatum fuerit per aliquem de seu pronunciandi predictos januenses dampnificatos fuisse, vel aliquem eorum dampnificatum fuisse per dictum dominum Imperatorem .................................. domino Imperatore, vel aliquo vel aliquibus de suo Imperio, scilicet illis tantum de quibus seu pro quibus declaratum seu pronunciatum fuerit............................ ita quod nullum impedimentum possit opponi adduci vel allegari, vel per partem dicti domini Imperatoris, quominus ipse declarationes seu pronunciationes....................... infra terminum predictum kalendarum Septembris, sicut fieri pos-sent eciam ultra dictum terminum, si tamen domino Potestati qui nunc est et ejus judicibus non videretur quod debeat satisfieri pronuntiatum fuit ipsa dicta die vigesima nona Novembris, nec aliquibus aliis, eo casu dicti asperi ducenti quinquaginta millia, vel ... . pars ex ipsis que superflueret debeat solvi per..... pars ipsi domino Imperatori seu ejus certo nuncio ; hoc salvo , quod si dampna ipsorum dampnificatorum et quantitates debendum recipere ab ipso domino Imperatore................. dere dictam summam dictorum asperorum ducentorum quinquaginta millium , jura eorum sint et remaneant ipsis salva contra dictum dominum Imperatorem et ejus subditis, et eciam jura illorum omnium et singulorum.........qui suas pensiones infra dictas kalendas Aprilis non fecissent, vel super quibus nichil infra dictas kalendas Septembris declaratum esset, et defensiones dicti domini Imperatoris et subditorum suorum similiter sibi salve remaneant. Si tamen dampnificati in Caffa et in partibus Gazarie vel aliqui eorum satisfactionem ad plenum et in totum de dampnis Atti Soc. Lio. St. Patri*. Voi. XIII, Fase. III. 34 nem suam . kalendas Aprilis de octo mensibus in octo mensibus, tertia — 530 — suis et expensis haberent a Jhalabi vel a gente sua , vel ab illis de Sorcati, vel per viam compositionis, eo casu restituere deberent dicto domino Imperatori quicquid habuissent de supradictis asperis, deductis expensis per ipsos factis vel per aliquem ipsorum ; et si de ipsis asperis nihil habuissent, non deberent, dicto casu ad veniente, scilicet quando satisfactionem ut supra habuissent a dicto Jhalabi petere vel requirere aliquid perpetuo ab ipso domino Imperatore vel ab ejus subditis occasione dictorum dampnorum. Item pro contracambio Cavi de Majdano, quod dicitur seu dici consuevit Leo Castro, et quod dictus dominus Imperator dederat dicto Comuni in conventione habita cum dicto domino Petro, et pro infrascriptis , dat ipse dominus Afiecasendi dicto nomine pure et libere dicto Comuni totum illud territorium in Trapesonda, quod dicitur Darsena, quam Darsenam dictus dominus Imperator dederat dicto Comuni in conventione predicta facta apud Arze-ronum , et sicut tunc data fuit ad habendum tenendum et possidendum et habitandum et quicquid de ea dictum Comune seu Consul Januensium qui ibi fuerit cum consilio suorum sex consiliariorum voluerit faciendum ; tali modo et pacto quod ipsum locum possit dictum Comune vel consul cum consilio suorum sex consiliariorum facere affossari circumquaque fossato largo parmis vi-ginta de canna; qui fossatus fìat et fieri possit super solo et terra que est extra muros dicte Darsene, qui ibi sunt vel esse consueverunt; et sint alte ille fovee ad liberam voluntatem ipsius Comunis seu Consulis, ac eciam murari, et turres et fortalicias fieri, et quecunque hedifficia dictum Comune seu Consul cum consilio suorum sex voluerit fabricari; ad hoc ut ibi habitent Januenses et districtuales Janue, et non aliqui alii qui non sint Januenses vel districtuales Janue sine voluntate dicti Comunis seu Consulis. Illi tamen Januenses et districtuales Janue qui in ipsa Darsena habebant aliquod hedifficium vel aliquod jus antequam dicta con-vencio facta apud Arzeronum fieret, et quod hedifficium vel jus esset manifestum seu notum et non ascunditum vel secretum, illud habeant sicut jus habebant; et illi Greci qui ibi habebant aliquod hedifficamentum possint ipsum inde tollere et removere, et portari facere quo velint; et ille ecclesie que sunt in ipsa Darsena \ \ - 53i - remaneant ecclesie, .ita quod ad ipsas possint accedere tantummodo de die et non de nocte pape vero, sive sacerdotes greci, pro faciendo officium suum, quo complecto, inde recedere teneantur et debeant. Facit eciam dictus dominus Affecasendi dicto nomine pro infrascriptis et pro supradictis finem et pactum de non petendo de omni eo et toto quod occasione dampnorum illatorum seu que illata dici possent ipsi domino Imperatori vel ejus subditis per predictum dominum Accellinum et per dominum Megolum, vel per illos Januenses de Sodaja, vel per illos qui fuissent cum pre-dictis vel cum aliquo predictorum; et versa vice pro predictis dictum Comune facit dicto Ambaxatori recipienti ut supra remissionem et pactum de non petendo de Cavo predicto Majdani, si supradictum territorium Darsene libere ut supradictum est dimittetur dicto Communi seu Januensibus et districtualibus Janbe; et promittit dare et solvere de octo mensibus in octo menses terciam partem dicte medietatis dictorum asperorum quingentorum millium ; de qua medietate supra dictum est quod remanere debeat in dicto Comune pro satisfaciendo ut supra dictum est........con- plectam solutionem dicte medietatis in omnibus, prout supra dictum est; et fuit actum inter dictas partes, et ordinatum prout sibi ad invicem consentierunt, quod sicut Januenses, et d..... fecit et potest facere suam requisicionem contra ipsum dominum Imperatorem, et ejus subditos, si de eo non est facta remissio per predictas conventiones, vel per aliquam earum, vel per presentem .... dominus Imperator, et quilibet ejus subditus possit similiter facere suam requisicionem contra dictum Comune, et contra subditos dicti Comunis si de ipsa non est facta remissio per predictas convenciones vel........convencionibus, vel per presentem; ita quod per predicta vel aliquod predictorum nulla . .........illata sunt, seu illata dicerentur, vel dici per..... ......et ut supra promiserunt dicte partes dictis nominibus sibi ad invincem attendere et observare, et non contra facere vel venire sub pena asperorum . . , . . . pars non observans observanti, ratis nichi-lominus remanentibus omnibus supradictis.....pro qua - 532 — Pen».....de omnibus observandis dictus dominus Afe- chasendi Ambaxator omnia bona dicti domini Imperatoris eideni domino Potestati Janue recipienti nomine dicti Communis pignori obbligavit. Et dictus dominus Potestas dicto nomine omnia bona. Communis, et specialiter illa, que per capitulum...... non prohibentur, pignori obligavit. Et de predictis mandaverunt heri debere unum et plura publica instrumenta per me notarium infrascriptum, et tradi unum in publicam formam dicto domino Ambaxiatori, si habere velit. Predicta autem omnia torcimanata sive interprectata per Jacobum Balisterium de lingua latina in gre-cam in presentia ambaxatoris predicti, vulgarizante in lingua latina domino Petro de Ugolinis Judice de verbo ad verbum, et torzimanisante in lingua greca predicto Jacobo Balisterio notario. Actum* Janue in teracia Palaxii illorum de Auria, ubi reguntur Consilia Comunis, anno Dominice Nativitatis millesimo trecentes-simo sexto decimo, indictione decimatertia, die dominice vicesima quarta Marcii post terciam ; presentibus testibus domino Petro de Ugolinis Judice, domino Nicolino Cardinale judice, Jacobo Ba-hsterio notario, Rollando de Montemagno interprete, Nichita Sa-mata notario greco, Lanfranco Tartaro notario, Giulino de Nigro et Magistro Jacobo de Calignano notario et canzellario Comunis Janue. Enricus de Savignono notarius Sacri Imperii et canzellarius Comunis Janue ut supra rogatus scripsi. Jacobus Durantis quondam Pagani, Sacri Imperii notarius, hoc exemplum a quodam instrumento autentico in pergameno scripto manu dicti Enrici de Savignono notarii in presentia domini Mathei de Beccadellis de Bononia vicarii domini Potestatis Janue sumpsi et exemplavi, nichil addito vel diminuto, nisi forte lictera vel sillaba seu puncto abreviationis causa, substantia tamen in aliquo non mutata; ipsumque exemplum cum dicto instrumento aucten-tico, una cum Johanue de Solavia de Monelia et Johanne Ugetti notariis fideliter ascultavi; et' quia utrumque concordare inveni ipsum ut supra publicavi et registravi; et hoc ad instanciam domini Angelli Imperialis nomine et vice domini Ducis Januensis — 533 - et Populi defensoris et Communis Janue ; cui quidem instrumento et omnibus et singulis supra dictis dictus dominus..... auctoritatem suam interposuit et decretum; laudans statuens ct decernens predictam registracionem et omnia supradicta ratam et rata et firma esse, et presenti exemplo.......vim et robur adhiberi debere quemadmodum dicto auctentico. Hec autem acta sunt Janue in Palacio novo Comunis, in quo moratur dominus Potestas Janue, in curia Judicis et Assessoris dicti domini Potestatis, anno Domini millesimo trecentessimo quadra-gessimo, indictione septima secundum cursum Janue, die undecima Junii post vesperas; presentibus testibus dictis Johanne Ugetti et Johanne de Solavia, Conrado de Fontanegio notario, et Antho-nio de Vel...... Johannes de Solavia Sacri Imperii notarius supradictum exemplum sumptum ab autentico supradicto scripto manu dicti Enrici in formam publicam una cum dicto Jacobo Durantis notario et infrascripto Johanne Ugheti in presencia dicti domini Vicarii presentis audientis et intelligentis dilligenter ascultavi; et quia utrumque concordare inveni me in testem subscripsi et ... . signo consueto signavi. Johannes Uguetti Sacri Imperii notarius hoc exemplum sumptum ab autentico supradicto recepto in formam publicam per dictum Henricum cum dicto autentico....... fideliter ascultavi; et quia omnia concordare inveni, me in testem subscripsi, et signum meum apposui consue tum in testimonium predictorum. III. Exemplum quarundam litterarum domini Ducis Janue, cuius tenor talis est, pro novitatibus factis cum Januensibus in Cipro. Magnifico et egregio viro domino Andree Dandulo Dei gratia Duci Veneriarum, Dalmatie atque Croatie, ac Domino quarte partis, et totius Imperii Romanie dimidie, carissimo fratri. Joannes de Murta, eadem gratia Dux Januensium, et populi deffensor, dilectionis constantiam, et prosperorum successuum incrementa. Venientem vestri parte discretum et sapientem virum Nicolinum de Fraganesco notarium, sindicum, et ambaxatorem vestrum vidimus, et leta facie recepimus vestri gratia et amore; et ea que post literas credentie presentatas vestri parte oretenus recitavit, intelleximus diligenter. Que quidem sub tribus in effectu articulis notabantur. Et primo. Vestri parte requisivit, quod cum rixa que-dam orta fuerit in insula Cipri inter vestrates et nostrates, hoste humani generis pacis et tranquillitatis emulo faciente, ob quam rixam utriusque partis, aliqui confluentes quodamodo quedam illicita comiserunt, et quod vestre intentionis erat propositum ad illa evitanda, sic regulare vestrates, quod deinceps non possent similia evenire. Et quod nos illud idem de nostratibus nos volemus. Secundo. Idem vester sindicus exposuit, qualiter nonnulli mercatores Januenses in civitate Caffè existentes, ibidem, et ad Imperium — 535 — imperatoris Janibech, cum mercibus contra promissionem et unionem inter vos et nos firmatam accedentes, agendis per vos et nos ipso Imperio nocivum prestant et prestiterunt, ac damnabile documentum, et quod super hoc taliter provideremus, prout honestatis debitum postulat et requirit. Tertio et ultimo. Sapienter exposuit inhibitionem per quosdam nostros Januenses tunc temporis Trabesunde existentes adversum vestrates quodam edificium vestrum reedifficare pro salute mercatorum vestrorum et christicolarum omnium et foveis fortificare, ne manus infedelium incurrere pos-sent. Et alia que cum illa idem sindicus vester bene et sapienter exposuit intelliximus diligenter. Ad quorum continentiam et tenorem duximus presentibus respondendum, quam questionem seu rixam in Cipro ortam cum maxima displicentia nostri cordis audivimus, tan-quam, qui vobiscum et vestratibus vivere intendimus in statu pacifico amabili et fraterno, et gentem nostram ad evitandum similia taliter proponimus regulare, nostrisque officialibus illuc et alibi ituris dare expresse in mandato quod de cetero nullus audeat ad offensionem alterius se transferre; immo ad mitigandum questiones huiusmodi, ut sopiantur predicta, quilibet sit festivus, et sic credimus quod vestrates regulabitis versa vice. Ad secundum articulum de hijs qui contrafecerunt compositioni inter vos et nos firmate, super negotiis Imperii Gazarie, in verbo Dei respondemus, quod illa contra voluntatem mandatum propterea factum, conscendam et assensum nostri Communis fuerunt perpetrata. Et dum illa audivimus, relatione dicti vestri sindici, ne dum mentem vestram, immo aliorum nostrorum civium corda turbarunt amare, et ut nostram innocentiam et mentis molestiam cognoscatis, ecce scribimus litteras... nostris officialibus de Caffa, ut contra delinquentes inquisitionem faciant diligentem, contra quos sic procedere intendimus quod cedat aliis in exemplum et noster sincerus affectus cognoscatur rationabiliter per effectum. Et ipsi delinquentes dura non transeant sine pena, et quod de cetero dicta unio et omnia contenta in ea faciant inviolabiliter observari. Ad ultimum sive tertium articulum respondemus, quod magnificentiam vestram, et vestri Communis memoriam non credimus ignorare, qualiter felicis memorie dominus imperator Alexius Trapesunde iam sunt — 536 — anni quadraginta quinque et ultra, sequendo vestigia et concessiones— dominorum imperatorum antecessorum suorum, concessas datas Communi Janue, terram totam, sive solum, in quo dicitur has foveas sive cavationes constructas, nobis nostroque Communi benigne cóncessit, pro ut constat instrumentis publicis scriptis grece et latine imperialibus sigillis aureis roboratis per manus notarii publici in terra Arzeroni dicti Imperii Trapesunde. Deinde iurium predictorum confirmationem habemus a successoribus in dicto Imperio, etiam ad cautellam ab isto nunc domino Imperatore regnante, ita quod secundum Deum et iustitiam territorium huiusmodi, sive solum, in quo dicti vestri cavatores dicuntur construere , ad nos et nostrum Commune Janue noscitur pertinere, quamquam idem vester sindicus contradixerit, asserens dictum territorium esse vestrum. Set ut vestra cara fraternitas sinceritatem quam ad vos gerimus recognoscat, intendentes vestrates ut nostrates proprio salubriter conservare, ne manus infidelium Agare-norum incurrant, placet nobis, et sumus contenti vestri speciali amore, quod vestrum calva (?) terra fortificare possitis foveis et aliis opportunis pro salute fidelium fidei catolice ortodoxe. Nec propterea ullum fiat nostris iuribus et Communis Janue preiuditium, nec etiam intelligatur esse vobis ius in aliquo aquisitum, immo utriu-sque partis iura in suo esse statu et condictione intelligantur firmiter remanere. Hoc quidem facimus amore vestro et vestri Communis, ut mutua charitas inter partem utramque augeatur, ut eidem vestro sindico fieri fecimus oretenus responsivam, a quo poteritis latius informari. Et mandamus nostris existentibus Trapesunde, quod de dictis foveis et laborerio se non debeant amplius impedire. Si vero idem Nicolinus vester sindicus citius non poterit expediri, novitates que sinistrante fortuna in civitate Janue occurrerunt nos excusant, que nos multis longivis diebus implicitos tenuerunt. Data Janue, Millesimo trecentesimo quadragesimo quarto, die decimo nono Februarii. {Liber comtnemorialis Vt.net. IV. tol. 214). I CONTI dell’ ambasciata L CHAN DI PERSIA NEL MCCXCII PUBBLICATI DAL SOCIO CORNELIO DESIMONI — ‘ ' - * I. ra i preziosi documenti che si conservano negli Archivi di Londra, vi ha nella parte detta dello Scacchiere una serie di diciannove membrane che si riferiscono ad una amba-sciata, dal Re d’ Inghilterra inviata in Persia e propria-mente a Tauris o Tebriz la capitale dell’Aserbeigian (i). L’illustre Conte Riant colla sua grande esperienza bibliografica seppe scovarle, e colla sua consueta benevolenza ne fece eseguire la copia e la pose a disposizione della nostra Società. Sebbene vi manchino la data del-l’anno, e i nomi dei Re da cui e a cui era indirizzata (i) II decimo Rapporto del Deputato conservatore degli Archivi pubblici (Kcepcr of public Recor ds), a. 1849, p. 7, fa cenno del presente conto di Nicolò di Char-tres, scudiere di Langele ambasciatore al Re di Tartaria, fra le carte del Cbaptcr House-Miscellaneous Records. — 540 — l’ambasceria, il trascrittore avea.già ben compreso che essa dovette aver luogo nel 1292-93, sotto il regno di Edoardo 1; nel qual tempo la sede del Chan Mon-gollo di Persia era appunto nella città predetta di Tebriz. L’inviato inglese tu il nobil uomo Galfredo di Langele, di cui però non ci fu possibile cavar notizie da altri documenti (1): scudiere e spenditore di lui era un Nicolò di- Chartres uomo d’armi, accompagnato dal cappellano e dal suo chierico, da altri armigeri, e da una comitiva di falconieri e famigli. Le membrane disgraziatamente non contengono alcuna menzione dello scopo diplomatico a cui doveva servire la legazione, né di circostanze alla stessa relative. Non pare nemmeno che si possa sperare altro aiuto dagli Archivi britannici, a giudicarne almeno dall’ inutilità delle ricerche fatte prima d’ora dal dotto orientalista signor Wilie ; sebbene per altra parte già fino dal secolo passato un Guglielmo Oldys scrivesse : la torre di Londra racchiude quantità di lettere scritte ai Re d’Inghilterra da Principi di diverse parti del inondo, Tartaria ecc. (2). Checchenessia, il documento che qui si pubblica non comprende che il conto tenuto dallo scudiere Nicolò di Chartres per le spese fatte per sé e per la sua comitiva; senza includervi nemmeno le spese del Capo dell’ am- (1) Sfogliando il Rymer, Foedera ecc., non ho trovato che un Galfredo di Geneville, che fu ambasciatore del Re Edoardo al Papa Nicolò IV pei negozi di Terrasanta (ibid., ediz. 1745, voi. I, par. Ili, pag. 62, 79, anni 1290-91). Lo cita anche il Rainaldo, Anna/ Ecclesiast., IV. 78. Pel tempo, pel nome di battesimo e per le attribuzioni, parrebbe che i due Galfredi si potessero identificare; ma Langele e Geneville son titoli troppo diversi. (2) Pauthier , Le Livre de Marco Polo, Paris, 1865, I. 30, citando il Bui-letin du Bouquiniste del 1® settembre 1861. - 54i - basciata, salvo in quanto, a rare occasioni, a questo fornisce danaro o gli fa fare abiti, ornati o simili. Forse la enumerazione tanto minuta e spesso identica di cose per vitto e vestito, ecc., giorno per giorno, parrà opera, nonché noiosa, inutile a pubblicarsi per intiero ; noi però coi nostri Amici credemmo conveniente consegnare alla stampa tutto quello che si è trovato, anche guasto o quasi affatto rovinato. Ed invero talora anche una sola parola apre la chiave ad un costume, ad un fatto storico poco conosciuto. Trattandosi poi di tempo così antico, non é cosa oziosa cogliere sul fatto i viaggiatori, notare il modo da loro tenuto, i costumi loro e dei tempi e delle regioni percorse; le qualità dei regali mandati o ricevuti, delle vesti, del vitto, delle droghe, le tende, i padiglioni, i cavalli, le navi o altri mezzi di trasporto, i mezzi di difesa contro le stagioni, il tempo durato in viaggio e la via tenuta, le tasse d’importazione e d’ e-sportazione (i), le monete che vi si spendono, e la quantità dello speso da città a città o in totale, coi ragguagli alla moneta odierna ; confrontando poi il tutto colle notizie di simili viaggi, che si abbiano da altre fonti più o meno contemporanee. Ciò sia detto in teoria; ché non pretendiamo certo né che si possa tutto ciò ottenere da questo frammento, né che noi siamo da tanto da ottenerne ciò che sia (i) Per esempio, è menzionata nella compra di merci in Genova la riva, che era un diritto imposto a carico del compratore, ma di cui era tenuto il venditore verso 1’ appaltatore della tassa. Nell’ Archivio di San Giorgio abbiamo le condizioni di tale appalto nel codice Institutiones veterum cabellarum. Il Pe-golotti, Pratica della Mercatura, pag. 220, dice che la riva a suo tempo (verso il 1340) era di due soldi per lira (il 10 % ) e che fu già di soldi quattro per lira, ma pare temporariamente. — 542 — possibile. Tuttavia non abbiamo voluto mancare al nostro còmpito, tentando di ricostrurre almeno in parte il viaggio stesso di andata e ritorno, ponendolo in confronto colle notizie storiche che potemmo avere alle mani. Per tal guisa il lettore avendo sott’ occhi l’intero documento, come fu trascritto e in parte annotato in Inghilterra da mano fedele ed occhio intelligente, sarà in grado di verificare da se la giustezza o no delle induzioni nostre, potrà anche supplire colla sagacità maggiore sua a ciò a cui non potemmo giungere noi, nonostante il non breve studio postovi sopra. Le diciannove membrane si trovano ripartite in tre gruppi, dei quali però abbiamo dovuto invertire alquanto l’ordine e passarne una da un gruppo all’altro, perché meglio rispondano al corso naturale del viaggio (i). I primi due gruppi composti in totale di dieci membrane riguardano l’andata da Genova a Tebriz, ma non sono che frammenti scarsi e saltuarii, guasti inoltre in certe parti ad ogni linea ; due di esse membrane affatto inservibili. Il terzo gruppo, che comprende nove membrane, compensa in qualche modo per la sua interezza che ci instruisce sulla via, sulle fermate, sulle giornate, sulle spese del viaggio di ritorno da Tebriz a Genova. Prendendo perciò questo ritorno a base delle indagini più generali, apprendiamo che l’Ambasciata impiego ad arrivare a Genova cento undici giorni, quanti se ne contano dal 22 settembre 1292 alli n gennaio 1293, trattenendosi però due, tre e anche più giorni qua e colà. Per tal guisa le fermate di più d’ una giornata ascendendo (1) Questo sarà spiegato a suo luogo, nelle annotazioni al testo del documento. - 543 - a quaranta, il vero tempo impiegato nel viaggio non sarebbe che di giornate settantuna; passando per terra da Tebriz a Trebisonda sulla costa del Mar Nero, da Trebisonda a Costantinopoli e da Costantinopoli a Otranto per mare, e di nuovo per terra da Otranto a Genova. Il viaggio di andata non solo é molto incompleto, come si è detto, ma inoltre le più volte manca delle date per quello che ci resta: di che vedremo più avanti la ragione. Però trovandoci toccato Brindisi e Trebisonda, si può dedurne che la via tenuta fu simile a quella di ritorno; delle poche date, che ci sono, la più antica ci porta alla metà d’ aprile dello stesso 1292 e ci presenta la comitiva giunta al suo termine, se non a Tebriz, a Mehrend che é luogo vicino, e dove pare abbia dovuto fermarsi, ripartendo di colà pel viaggio di ritorno. Di che considerando il tempo impiegato in questo viaggio di ritorno, e supponendo che il viaggio di andata sia stato fatto in circostanze analoghe e senza inconvenienti straordinarii, ci pare di poter ammettere come probabile che la partenza da Genova abbia avuto luogo intorno al dicembre del 1291. Nè si presenta disforme dalla nostra induzione la circostanza svelataci dalla prima membrana del documento ; che cioè i viaggiatori furono provvisti in Genova stessa di coperte, di pelliccie e fodere (furrure) di diverso prezzo secondo le persone; vajo e grosso vajo pel signor di Langele, di pelle di scoiattolo per altri, e di pelle d’agnello per tutta la famiglia 0 comitiva, oltre a diverse qualità di tabarri, gabbani, grossi mantelli (akctoni) per l’uno 0 per l’altro secondo il bisogno. Come pure é conforme alla nostra induzione il vedere, che giunti a Brindisi i viaggiatori — 544 — dopo trentotto giorni (sempre giudicando colle misure del ritorno) abbiano ancora avuto bisogno di nuove provvigioni di impelliciature di grys, di volpe bianca e di ventre di lepre; e pel signore si comprano i guanti impellicciati e si fodera il soprabito (supertunica) in vajo. La comitiva ci si offre ancora munita di una quantità di cose da viaggio: balestre per difesa, zendadi e tappeti , tende di cotone con bucherami, padiglione di pelle di bue, e altri di panno vermiglio o verde-giallo colle armi del signore, selle di panno partito a vermiglio e giallo, feltri varii ; otri di pelle di capra da riporre il vino, sacchi pel pane, bolgie di cuojo per gli argenti, olle, fiale, conche, ciotole (jgob eletti), rami e simili. Lungo il viaggio essa é fornita mano mano secondo il bisogno : panni a varii colori, dal vermiglio all’ azzurrognolo (bluetto) e a verga d’Ipri di Fiandra e fustagno; inoltre medicine e ripari secondo le infermità. A Trebisonda una nuova provvista ci fa intravedere il numero componente la comitiva. Tutta la famiglia è calzata; e compreso il signor di Langele sono diciannove coi singoli nomi, salvo due che si possono facilmente supplire da altri dati. Tale circostanza fa un curioso riscontro con altra del ritorno da Tauris, nel quale viaggio di ritorno, il 22 novembre, all’ entrare nel nuovo inverno si danno a tutta la famiglia diciotto paja di manicotti (muffele) comprati in Costantinopoli. Forse anche i nove letti ivi affittati pei sette giorni di fermata nella capitale indicano che la comitiva si distribuiva a due per letto; sebbene a dire il vero, si trovano presto accennati altrove ora otto ora perfino dodici letti; come troviamo presi in affitto nel viaggio di ritorno ora dieci — S45 — ora undici cavalli e una mula pel signore (i). Spiegheremo più avanti come i viaggiatori potessero essere quando di maggiore quando di minor numero ; per ora i diciannove che si trovano calzati in Trebisonda sono oltre il Langele, il cappellano Stefano, il chierico Giovanni, lo scudiere e spenditore Nicolò di Chartres, quattro altri uomini d’ armi, Manfredo, Gerardo, Ubertino e Ricardo, un barbiere (barbarius) che a que’ tempi serviva pure di chirurgo , tre falconieri, un cuoco e sette servienti tra di camera e cucina. 11 frammento che abbiamo preso ad esame ci trasporta ad un tratto alla fine del viaggio, dove si capisce che l’Ambasciata non avendo trovato il Chan di Persia alla capitale, lo scudiere del signore lascia la propria comitiva a Mehrend, si accompagna a un Corrado nipote di un signor Buscarello; e dal 15 aprile al 7 maggio vanno entrambi girando per 1’ Asia minore per cercare il Chan predetto ed ottenere da lui il salvacondotto pei loro capi, affinché questi possano compiere l’ambasciata senza molestie in andata e ritorno. Qui il conto é assai imbrogliato, non distinguendosi bene né l’ordine dei tempi né quello delle gite, a Sivas (Sebaste) e a Kaissarieh (1’ antica Cesaria), da Sivas a Trebisonda o a Samsun, e di nuovo a Mehrend 0 Tebriz per Erzerum, toccando altre città meno note 0 affatto a noi sconosciute. Si può soltanto capire che Nicolò di (1) La mula era stimata nel medio evo la cavalcatura più dolce, attalchè divenuta d’ uso generale, trascuravasi la propagazione dei cavalli. Perciò i Re di Spagna proibirono l’uso della mula, e non fu che col permesso di Ferdinando che Cristoforo Colombo potò cavalcare in tal modo per recarsi alla Corte nel 1505: A causa, dice il Re, de certas infermidades non podeis andar a caballo sin mucho dapno de vuestra salud. Navarrete, Viages y Descubrimientos, II. 304. Atti Soc, Lig. St. Patria. Voi. XIII, Fase. Ili» — 546 — Chartres vide il Chan di passaggio a Sivas, lo trovò di nuovo sulla strada da Erzerum a Tebriz e finalmente il Signor di Langele era collo scudiere a Tebriz il 22 settembre , quando comincia il viaggio di ritorno ; la comitiva ripartendo contemporaneamente dalla vicina Mehrend. Nella parte storica della presente relazione tenteremo di spiegare tale andirivieni. Qui occorre un’ altra spiegazione. Perché mai le spese fatte durante 1’ andirivieni e notate nelle membrane del primo gruppo 0 frammento non hanno quasi data e raccolgono condensato un grande spazio di tempo dal 15 aprile al 22 settembre , nel mentre il secondo gruppo o frammento som-ministra giorno per giorno le spese del vitto, vestito ecc., tutte fatte a Trebisonda nel tempo intermedio dal 20 giugno al 26 luglio 1292 ? La ragione a mio avviso é la seguente. Talora in fine di una membrana sono riunite senza data parecchie spese, che in margine si qualificano forin-sece. Non trovo una conveniente interpretazione di tale parola in Du Cange. Il Cibrario, citando nei conti dei Reali di Savoja del 1293 le entrate forinsece, le spiega per straordinarie (1). Ciò si attaglia in un largo senso al nostro caso, le spese forinsece sono quelle che lo scudiere Nicolò di Chartres faceva oltre alle ordinarie e giornali del vitto ecc., e quelle riuniva in calce della membrana senza data : intendendosi che erano state fatte entro i giorni particolareggiati nel corso della membrana medesima. Il revisore del conto, che ad ogni volta ci (1) Delle Finanze della Monarchia di Savoia; nelle Opere vane, Torino, 1860, p. 191. — 547 ~ appone il suo visto colla parola probatur, potea facilmente appurare la verità anche di queste recenti spese forinsece. Per simile guisa devono essere state raccolte a parte, nel primo gruppo o frammento che abbiamo fin qui esaminato, tutte in globo le spese forinsece fatte durante il viaggio da Genova a Tauris, all’infuori delle spese ordinarie e giornali di viveri ecc., delle quali spese ordinarie non ci furono conservati altri conti che quelli scritti nelle membrane terza, quarta e quinta della fermata a Trebisonda in giugno e luglio. Esaminando queste ultime membrane si vede che sono analoghe a quelle altre che si conservarono in numero intero pel viaggio di ritorno fino a Genova. Questo viaggio di ritorno, come già fu notato, comincia il 22 settembre da Mehrend : si passa pei noti luoghi di Coi, di Argis sulla riva settentrionale del lago di Van, di Melezkird, di Erzerum e di Baiburt, e la comitiva giunge in venti giornate il 13 ottobre a Trebisonda ove si trattiene fino ai 20 dello stesso mese. Qui i bagagli (hernasia) si portano in casa di un Nicolò Doria a cui ritorneremo. Il 9 del successivo novembre il documento ci trasporta ad un tratto a Costantinopoli, e dopo il soggiorno ivi fino ai 16 il documento ci trasporta di nuovo di colpo ad Otranto il 29: da dove si passa mano mano a Brindisi, Villanova , Mola , Barletta, Tressanti, San Lorenzo, Troia, Greci, Buonalbergo, Monte Sarchio, Acerra, e si giunge a Napoli il 14 dicembre. Quindi per Capua, Mignano, Ceperano, Anagni, Mulara, la comitiva viene a Roma il 24; qui celebra il Santo Natale, e s’incontra colla Compagnia mercantile detta dei Riccardi di — 548 — Lucca, che da altri documenti inglesi sappiamo essere stati i mercanti della Camera Pontificia di quel tempo (i). 11 27 i viaggiatori sono ad Isola Farnese; per Viterbo e Montefiascone passano ad Acquapendente. Qui una loro vivanda è d’ anguille che avean finora gustato soltanto a Roma e non gusteranno più altrove; ma ad Acquapendente comprano 1111 cestino per portare con se i pasticci d’anguille. Ciascuno sa che fra questa città e Montefiascone vi è il lago di Bolsena, celebre per la bontà di questa sorta di pesci, e ricorre tosto ai versi di Dante sul Papa di Tours che nel cerchio dei golosi in Purgatorio (2): ...........purga col digiuno Le anguille di Bolsena e la vernaccia. Procede la comitiva a San Quirico e comincia a Siena 1’ anno 1292 ; il 2 gennaio è a San Cassiano, il 3 a Pi-stoja, il 4 a Bozzano e Lucca. Entra in Lunigiana per Avenza il 7 ; il giorno seguente é a Sarzana, poi per Beverino (?), Sestri, Rapallo e Recco giunge a Genova li 11; e qui si trovano notate le tracce di partenze successive, di ambasciata mandata al Marchese di Saluzzo, di nolo di bagagli in una galea per Nimes ecc., cessando ogni notizia col 23 gennaio. Non vediamo notate le spese pei due trasporti marittimi ed intermedii fra Trebisonda e Costantinopoli e fra Costantinopoli ed Otranto; intendiamo solamente (1) Rymer, ediz. voi. e par. sopra cit., pag. 56, 70, 83 , 85, ove il Papa li chiama mercatores Camerae nostrae, e dà alcuni nomi dei socii (anni 1289, 1291). A Roma altresì lo spenditore dà la mancia a un nunzio Dominae Katermae. Non sappiamo se vi si tratti della Imperatrice titolare di Constantinopoli. (2) Purgatorio, canto XXIV, terzina 8.a; e ved. nota ivi di Tommaseo. - 549 - che la prima di esse traversate occupò diciannove giorni e tredici la seconda ; il che par troppo, se non vi furono calate in altri porti o traversie di mare. Perché mai F omissione di tali spese? Avvertimmo che lo spendi-tore per la sua comitiva era Nicolò di Chartres; e quando non era egli che spendeva, il suo conto taceva necessariamente. Avvertimmo pure che oltre la comitiva di Nicolò, i conti suoi accennano quasi di sfuggita a un numero di persone abbastanza notevole. Alcune di queste si saranno bene scontrate a caso o per negozi momentanei lungo il viaggio; tali, per esempio, il Benedetto mercante genovese che loro vendè un cavallo a Trebisonda ed altri mercanti simili, tali i conduttori di cavalli e di bestie da soma, le guide delle vie, forse anche qualche interprete (truchemano), tali i nunci mandati, forse anche le trombette d’ accompagnamento ai nunci, i quali, vestiti a spese dell’ Ambasciata a Brindisi in andata, per due giorni proclamarono non so che cosa; sebbene il vedere curato alle stesse spese uno delle trombette malato, faccia supporre che questi facessero piuttosto parte della Legazione. Ma i conti parlano anche del Signor di Langele, come a volte diviso dal suo scudiere e facente parte di altra compagnia; parlano di nobili o persone di qualche rilevanza, come un Roberto scultore, un signor Olde-brando, un Pietro di Noyon, un Giovanni de Corboleo, tutti, o certo porzione dei quali, fanno parte della compagnia di viaggio; oltre più altri falconieri e garzoni non compresi nella comitiva di Nicolò di Chartres, e qualche tartaro o mongollo; specie quel Jamoracio, che vediamo arrivato in Genova e di cui riparleremo. — 550 — Infine il conto parla più volte, sebbene di sfuggita, di tre persone che vogliono da noi menzione speciale, sono anzi queste che ci hanno mosso a intraprendere il presente lavoro : Buscarello de’ Ghizolfi , Percivalle suo fratello e Corrado suo nipote*, i quali sono genovesi e, come vedremo, tengono un posto più importante, che dal documento non paja, nelle ambascerie dei Re d’Europa al Chan di Persia. Ora i Genovesi é naturale che abbiano preferito un viaggio per mare da Genova a Trebisonda e viceversa; e noi vediamo accennata di fatto nei conti presenti una -Società della galea, e vediamo infine pagato in lire 200 di genovini il nolo di essa galea da Trebisonda a Genova; come sono accennate le spese particolari di vitto per chi venne da Otranto a Genova, e le spese di porto dei bagagli dalla galea in questa città. Durante il viaggio si comprano lingue di bue, sgomberi salati ed altre vettovaglie, e libbre venticinque di cera e candele e torcie più volte per lo stauro (1): vale a dire la dispensa, la conserva 0 deposito, da non toccarsi che per casi speciali, durante i quali anche la comitiva di Nicolò di Chartres attingendo allo stauro, lo spenditore non ha a notar nulla al conto proprio. Nicolò di Chartres avea con se in andata dei girfal-chi (2), uccelli pregiatissimi per quel tempo e resi anche (1) Nel Glossario del Ducange: Staurum; quidquid ad vitae necessaria conducit, anglice store. Esempio: Quilibet habeht ad fesilivi saneti Johannis porcutn unum de stauro comuni. (2) Girfalco, in Salvadori, Fauna d’Italia, c 1’ A stur palumbarius ; ma ivi pure è altra specie di rapaci, chiamata Hierofaìco o Falco sacer, che mi pare corrisponda meglio nell’etimologia e nel senso al girfalco del medio evo e alla - 551 ~ più aggraziati pel cappello (i) onde si soleano addestrare, guarnito d’ argento e di nastri di seta; nutrivansi giorno per giorno di galli o di carne di bue; e questo era un regalo evidentemente inviato dal Re d’Inghilterra al Chan di Persia. Al ritorno la comitiva medesima riporta, invece dei girfalchi, un leopardo in gabbia, nutrito di montoni vivi e addestrato da un saraceno, evidentemente un controregalo del Chan a Edoardo I. Ma giunto che fu Nicolò di Chartres a Otranto, e ivi pulita la gabbia, scomparisce dai conti il nutrimento giornale del leopardo e infine questo si trova sbarcato dalla galea in Genova. L’Ambasciata reca con se varie argenterie, tra le quali notiamo due bacinetti comprati a Trebisonda (2), due boccolette da porre alla calzatura del Signore, una coppa col piede e quattro scifi piani, sei piattelli, la bolgetta di cuojo e un cestino per riporre tali argenti, oltre a dodici deschi e altrettante saliere, che sono miste coi vasi predetti, ma non é ben chiaro se sieno dello stesso metallo. Al ritorno troviamo indicate, oltre la coppa predetta, tre olle col cesto per tenere questi vasi d’ar- sillaba gir (liieros). Molti Falcones sacres t'urono veduti di passaggio in Candia dal viaggiatore spagnuolo Pero Tafur, Andanfias y viajes, Madrid 1874 (anni 1435-39) P- T4> co"a nota dell'eruditissimo Jimenes de la Espada a p. 570. 11 Gran Chan riceveva in dono girfalchi, camelli ecc., dagli altri Chan suoi congiunti e dipendenti (L’estat du grant Caan; nel Journal Asiatique, 1830, VI. 59). Pel loro pregio nel medio evo, ved. Yule, The Book of Marco Polo, Londra, 1871, I. 240. (1) Cappello è quella coperta di cuoio, che si mette in capo al falcone perchè non vegga lume e non si dibatta e si svaghi (Fanfani, Vocabol. della lingua italiana, 1865). (2) Pel senso di bacinetti, come per quello di più altri vocaboli che seguono, si consulti il Glossario nostro che accompagnerà il documento inglese. - 552 - gento ; ed é specificato il porto degli argenti per mezzo della comitiva di Nicolò di Chartres da Napoli a Capua, quia non potuerunt ire cum Domino: prova che regolarmente nel viaggio 1’ argenteria andava col Langele in un’ altra società. La nobiltà del Capo della Comitiva si mostra anche nell’ argenteria comprata di ritorno a Genova, una coppa tartaresca, una sottocoppa (hanaperio), un cibollerio (?) d’ argento, due piattelli dipinti e due forchette. 1 suoi vaj e pellicie e guanti foderati, il panno incerato, le sue calzature di panno partito di bianco e vermiglio, o di nero e scarlatto con guarnitura d’ argento, la mula cavalcata per lui colla gualdrappa allo stemma di famiglia, tutto corrisponde. Nemmeno discorda da una certa agiatezza la comitiva guidata dallo scudiere Nicolò nella qualità dei cibi, vedendo non raro consumate torte e pasticci di pollo con bue, di colombi con penne, e fagiani e pernici, triglie e sgomberi. Abbiamo testé accennato a Genovesi che accompagnarono il Signor di Langele nell’ ambasciata : il signor Buscatilo, Corrado suo nipote e Perei valle de’ Ghizolfi. Vediamo di fatti quest’ ultimo fare le prime provvigioni per la partenza della Legazione da Genova e di nuovo comprare del zendado a Trebisonda, e ritornato in patria a pagar parte della spesa di nolo della galea venuta di Trebisonda. Corrado comparisce poi in compagnia e come spenditore di Galfredo Langele in un giro da Samsun per Kaissarieh alla Corte del Chan di Persia, e di ritorno da Kaissarieh a Sivas. Un’ altra volta ancora Corrado va con Nicolò di Chartres lo scudiere da Gumescho (credo - 553 ~ Gumisce-Kané (i) fra Trebisonda e Baiburt) a Sivas. Ma questa volta il denaro per le spese passa per le mani di Buscarello. Il quale ultimo, che si era già veduto a Costantinopoli a comprar panni pel cappellano, si vede ora qui affaccendato col Capo inglese della legazione alla ricerca del Chan, prendere una barca qua o colà, comprare pane e vino a Tebriz per mandarlo a Mehrend alla comitiva prò stauro. Al ritorno Buscarello paga in Trebisonda parte di spesa delle vettovaglie per la galea. È qui pure accennato il trasporto di cose che erano in casa di Nicolò D’Oria, probabilmente ivi Console della Repubblica di Genova (2), e che perciò saranno vi state riposte come fondo o parte di provvigioni per l’Ambasciata. A nome di Buscarello si pagano le spese a un serviente da Napoli a Genova ; un altro suo serviente, giunto verso Matterana in riviera di Levante si fa a precedere la (1) Guniisce-Kaneh significa casa dell’ argento, dalle miniere che ivi si trovano, Ved. Yule, Op. cit., I. 49, commentando M. Polo. (2) I Genovesi furono i primi a stabilirsi a Trebisonda, non certo dopo la metà del XIII secolo. Si vedono tuttora gli immensi fondamenti del castello ivi da loro fabbricato, detto il Castel del Leone ( Heid, Colonie commerciali degli Italiani in Levante, Venezia, 1868, II. 66, e si rilegga quanto ne dicemmo in questo stesso volume, pp. 500). I Veneziani tardarono fino al 1319: altri pretesi trattati del 1303 e 1306 non fondandosi che sovra errori di data (Heyd, Geschicbte des Levantehandels in Mittelaller, Stoccarda, 1879, lì. 101). Ad ogni modo i trattati veneti sono evidentemente imitati da precedenti genovesi (Atti della Società Ligure, voi. IV, pag. cxviii). Un atto nel Notulario d’Ambrogio di Rapallo, 15 giugno 1303 (car. 21), ne cita altro del 6 ottobre 1502 fatto in Trebisonda in logia in qua regitur Curia Januensium. Perciò ne sembra probabile che Nicolò D’Oria fosse colà Console nel 1292; tanto più che vediamo lo stesso personaggio già nel 1279 Podestà e Vicario in partibus cismarinis, mentre Leone Di Negro era Console e Vicario pel Comune nel Regno d’Armenia a Lajazzo (Atti cit., XIII. 101 ; dal Notulario di Antonino di Quarto, carte 119, di cui sotto). Nel 1288 Benedetto Zaccaria occupato nel Regno di Armenia è denominato — 554 — comitiva, certamente per annunziare il prossimo arrivo. 1 bagagli della comitiva di Nicolò di Chartres si depongono dapprima in casa di Buscarello, donde si riporteranno presso un Puchino Runcino che li deve recare in galea fino a Nimes. Ora di cotesti Ghizolfì sappiamo che erano uno dei nobili alberghi di Genova, avendo palazzo con portici nella strada del Campo presso i palazzi con simili portici dei Piccamigli e dei Cibo (quest’ ultimo dai Raggi passato ora ad Albergo d’Italia)., Molti sono i documenti che trovansi nell’ Archivio notarile nostro sui Ghizolfì ; noi ci contenteremo di accennare quello del 1274 in cui si vede Buscarello compartecipe di una galea, quelli del 1279 fatti in Lajazzo dell’Armenia minore dal notaro della Loggia genovese ivi, in cui figurano esso Buscarello e più suoi fratelli. Altri atti ci riportano in Genova al 1280 e 1281, e troviamo qui Buscarello col fratello Perei valle ed altri e con Corradino figlio di Lanfranco de’ Ghizolfì : e qui pure riconosciamo Vicarius Comunis Janue citra mare tanto nel Liber Jurium stampato (II. 183) come nei due mss. (Archivio di Stato, car. 234; Bibi. Univ., I. 425)' Ma Per tal guisa non si potrebbe spiegare il predetto documento del 1279, che distingue i due vicariati, uno nelle parti cismarine, l’altro in Armenia. L’apparente contraddizione è tolta dal documento originale del 1288 scritto in lingua armena ma tradotto in francese dal Dulaurier (Historiens arméniens, nel Recueil des Hi-storiens des Croisades, I. 748, 754)- Ivi è avvertito che si dee leggere non citra ma ultra mare come è nell’originale armeno, e ciò va d’accordo coll’annalista contemporaneo (inCaffaro, ediz. Pertz,p. 322): Cui (Benedicto Jachariae) super predictis et in omnibus que Comune habebat ultra mare fuit attributa potestas plenaria. Giova avvertire che nell’uso di quel tempo il rappresentante del Governo a Pera e Costantinopoli si chiamava Podestà, gli altri in Armenia, lerrasanta, Crimea, ecc. avean titolo di Consoli ; perciò mi sembra che dovesse risiedere a Pera nel 1279 Nicolò D’Oria, essendo Potestas et Vicarius... in partibus cismarinis. - 555 - i nomi di Giovanni ed Alda genitori di Buscarello. Ma il più che ci preme sono i parecchi atti fatti in Genova sotto i portici di Buscarello o dei Piccamigli in Campo specialmente nell’agosto del 1291, nei quali atti notarili si tanno a vicenda commandite e prestiti per negozi marittimi, e Buscarello da se solo prende a prestito da otto persone per contratti separati la somma di lire genovesi 919, dicendo che andava in Romania cioè verso Costantinopoli. Questo era precisamente il primo passo a quel maggior viaggio che vedemmo sopra aver egli dovuto intraprendere colla Legazione inglese intorno alla fine del medesimo anno 1291. Noi non proseguiremo la genealogia dei Ghizolfì, dove si troverebbero nel 1317 Argone figlio del morto Buscarello , e la moglie di lui e i figli di Corrado e di Perci-valle (1); notando solamente che un ramo di questa famiglia nel secolo XV ebbe signoria in Circassia sulla riva orientale del Mar Nero, ivi protetti e ajutati dalla Repubblica di Genova. Ma i documenti nostri tacciono di Buscarello come diplomatico in Oriente, mostrandocelo (1) Sopra Buscarello nel 1274 ved. Foìiat. Notarior., ms. della Civico-Beriana, voi. Ili, par. I, car. 49 verso; e seguita a car. 50 verso pei fratelli e genitori di lui; per Corrado, ibid., par. II, 128; per Argone di Buscarello, ibid. par. II, car. 12 e 23. Pei documenti del 1279 in Lajazzo d’Armenia, ved. il Notulario originale di Antonino di Quarto, ove sono inseriti saltuariamente i frammenti di Pietro Bargone notaro in quella città pel console Di Negro e per la loggia genovese, come si rileva a carte 86 verso, 116 e 119 verso. Atti di Buscarello, Percivalle e altri Ghizolfì. — I più importanti al nostro proposito sono gli atti originali Notariorum ignotorum, 1213-97, nell’Archivio di Stato, car. 243 recto e verso, 247 verso, 254, 256 recto e verso; ove le abitazioni dei Ghizolfì, le accomandite di loro e specie di Buscarello che nell’agosto 1291 era in partenza per Romania. — 55^ — soltanto commerciante nell’ Armenia minore, come già tu accennato: i documenti degli Archivi di Francia e fino a jeri anche quelli degli Archivi d’ Inghilterra ignoravano affatto questa legazione anglo-genovese del 1291-93 ; ma almeno e da Francia e da Londra ci era venuta contezza da molto tempo di altre due simili legazioni compiute da Buscarello, in nome e per conto del Chan mongollo di Persia, presso il Papa e i Principi cristiani d’ Occidente nel 1289-90 e nel 1303. Le quali legazioni, già cosi dottamente commentate dal celebre orientalista A bel Kemusat, ci porgono il filo per capire anche lo scopo della presente del 1291-93 che fu intermedia tra le due sopracitate , e che, non dubitiamo di dire, fu la risposta del Re d’Inghilterra, come del Papa e degli altri Principi, a quella che fu dal Chan mandata nel 1289 in Occidente (1). Ma a far meglio intendere tale scopo e i mezzi adoperativi, gioverà pigliare la cosa da più alto, git-tando un’occhiata sulla storia delle relazioni tra l’Asia e 1’ Europa in que’ secoli. (1) I documenti di Buscarello come diplomatico si trovano raccolti negli Atti della Società Ligure, voi. IV, allegato D, pag. cc, a. 1867. Si veda pure ivi, pp. cxxvri-ix; e specialmente per la storia che segue si consulti Abel Remusat, Recherches diplomatiques des Princes Cbrétiens en Perse (Acadèmie des Inserìpt., VII. Paris, 1824, p. 113, 362, 388 ecc.). Pel ramo de’ Ghizolfì signori di Matrega nella penisola d Taman, ved. Atti della Società, voi. Ili, pag. c, voi. IV, pag. cxxvn, cclvii; voi. V, pag. 259; Giornale Ligustico, 1874, p. 346* II. Temugin fu piccolo capo di tribù fra i Jeka mon-golli (o mongolli proprii) risiedenti sui monti Kentei che sparton le acque della Tuia a ponente e di Onon e Kerulon a levante : la Tuia s’immette nell’Orchon, che pel lago di Baikal influisce nell’Irtisce, e con questo va a sboccare nel mare di Siberia; 1’Onon e il Kerulon colla Selenga influiscono nell’ Amur, che dopo lunghi giri si perde nel mare d’ Okostk (i). Il piccolo Capo comincia solo a quarant’ anni la sua carriera trionfale; nel 1194 son dome le tribù vicine, nel 1196-7 i Merkiti sulla Selenga, e mano mano i popoli intorno, fino ai Keraiti nel 1203; questi ultimi cristiani della setta di Nestorio, dei quali perciò le figlie per (1) Per la storia generale, genealogia e cronologia mongolia o tartara, ho preso a base i seguenti : Hammer, Geschichle der Iìchane (Storia dei Chan di Persia); Darmstadt, 1842. Hammer, Gescb. der Goldene Horde (Storia dell’Orda d’oro); Pestìi, 1840. D’Avezac, Notice sur les anciens voyages de Tarlarle au XIII, XIV, XV siècle; nel Refiteil de Voyagts publiè par la Société de Géographie, Paris 1839, IV. 399 e segg. ; oltre il citato Abel Remusat e altri che verranno in taglio. - 558 - moltiplicate nozze coi discendenti di Temugin molto influirono in favore del Cristianesimo, delle missioni e delle stesse relazioni politiche coll’ Occidente di che parliamo (i). Allora Temugin é salutato come gran Chan o Imperatore, ed assume il titolo di Ginghis (il potente) col quale d’ ora in poi sarà acclamato nella storia. Aggregandosi lungo la marcia le tribù assoggettate, s’ingrossa come valanga e s’ allarga sulle regioni ora chiamate dei Kalkas, della Siberia meridionale, della Zungaria, del Turkestan. Già nel 1218 é nel Covaresm e al lago d’Aral; due anni dopo invade il Kipciak fra il Giaik ed il Volga, dove, assoggettata che sarà la Russia e le terre fino al Dnieper, siederà uno dei più potenti rami genghi-scanidi. Morto Genghis il 18 agosto 1227, gli succede il suo terzogenito Ogodii (eletto nel febbraio 1229); e morto costui nel dicembre 1241, dopo quattr anni e mezzo di reggenza tenuta dalla potente vedova di lui Turakina, viene eletto a gran Chan Cujuk primogenito di Ogodai in luglio 1246, nell’adunanza plenaria (Kuriltui) dei Principi del sangue. Frattanto questi Principi avean conci) Vedremo più sotto parecchie di queste spose cristiane della setta di Nestorio e discendenti dal Principe Keraita Togrul Oang Chan. Tale la grande Siurkukteni, moglie di Tuli figlio di Genghiz, e madre di due Gran Chan Mengu e Cubila! e del fondatore del Regno di Persia Ulagu. Quest’ ultimo aveva in moglie Tokuz Catun e in concubina la sorella di lei Tokini Catun, nipoti di Oang Chan, oltre una figlia naturale di Michele Paleologo. Il figlio di Ulagu Abaga ebbe a mogli Tudai e Ilkotlog (Tuctan e Ekgag nelle lettere a loro scritte da Nicolò IV). Argun figlio di Abaga sposò la pronipote d’Oang Chan Uruk (.Anachoamini nella lettera papale), la quale battezzò un figlio col nome di Nicolò e teneva una cappella propria con preti ed arredi per 1’ esercizio del suo culto. Tralascio altre simili perchè appartengono al ramo del Kipciak. — 559 - tinuato ad estendersi; nel 1228 di nuovo nel Kipciak, nel 1232 in Persia e nella Siria; nel 1234 in Russia a Smolensko e Kiev, nel 1237 dal Volga giù fino all’Armenia e alla Giorgia; nel 1240 da Mosca alla Polonia; 1’ anno seguente invadono 1’ Ungheria, la Moravia e la Slesia; nel 1242 l’Europa atterrita vede i Mon-golli minacciare 1’ Austria, la Croazia, la Dalmazia. Cujuk non regna che due anni (morì in aprile 1248): nuova reggenza; e nell’ adunanza plenaria del 1251 nuova elezione a Gran Chan di Mengu 0 Mengku figlio di Tuli figlio di Genghis, onde il trono passò a una altra linea non senza contrasto dei discendenti d’Ogodai; specie per la grande influenza esercitata sugli elettori dalla cristiana madre del nuovo Gran Chan, Sijurkukteni, la vedova di Tuli. Appena salito al trono Mengu compie la conquista della Cina, già intaccata dall’avo e dallo zio di lui. Egli muore in agosto 1239; 1’ anno seguente sottentra al Chanato suo fratello Cubilai, e regna fino al 1304, reso celebre già nel medio evo in Europa pei racconti meravigliosi che di lui diffuse Marco Polo. Ogodai nel 1234 avea trasportato la sua capitale, dai patrii monti fra il Tuia e il Kerulon, più a ponente nella regione dei Kalkas sull’ alto Orchon, affluente, come già fu detto, del lago Baikal. Ivi già prima fioriva Ka-rakorum (1) (la nera città) sede del Chan dei Karakitai (i (1) La posizione di Karakorum sull’alto Orkhon sovranominato è certa, ma i dotti dubitano sul luogo preciso. Si veda Abel Remusat , Recherches sur Karakorum (Académ. des Inscript., VII. 234 e segg.); Peschel, Geschicthe der Erdkuiide, Monaco, 1878, p. 1Ó8; Yule, Op. cit., I. 204, e nel Geograpbical Magagne, luglio 1874; Pauthier, Op. cit., I. 169-71; Heyd, Gescb. des Levantehan-deìs, II. 75, citando Yule e un viaggiatore russo, indica l’esistenza delle rovine di questa città nel luogo ora detto Kara Baghassun, Se questo è identico con — 5 6° — neri Cinesi emigrati dalla Cina); e questo Chan si vuole da alcuni che tosse cristiano e rappresentasse il leggendario Pretegianni, re e sacerdote; mentre altri cercan quest’ ultimo nel Chan dai Keraiti sovracitati, ed altri altrove. A Karakorum, o a non molta distanza, fu visitato Cujuk nel 1246 dal missionario francescano Giovanni di Piano del Carpine (ora Piano della Magione nel Perugino); e a Karakorum, proprio nel 1254, si presenta al Gran Chan Mengu il missionario francescano Guglielmo Rubruquis 0 Ruysbroek del Brabante (1). Ma due anni dopo, questo Chan trasporta la sua sede a Kai-ping-fu (ora Ciang-tu a tramontana della gran muraglia e di Pechino). In quest’ ultima sede i veneti fratelli Maffio e Nicolò Polo, padre e zio del più famoso Marco, fanno omaggio verso il 1269 al successore di Cujuk e di Mengu, il Gran Chan Cubilai ; ma questi fisserà nel 1272 la sua capitale a Pechino, la quale perciò prese a quel tempo il nome di Cam-balech (città del Chan), sotto il quale nome la conoscono i nuovi missionarii e la celebra Marco Polo (2). Ma frattanto la estensione così maravigliosa e felice delle invasioni, la capitale posta così lontano dal centro Talascha Kara Balgasun nel Grand Atlas d’Hughes (Paris, Rotschild, 1875), allora la sua posizione geografica sarebbe 470 26' Nord , 103’ 40' Est (dal meridiano di Greenwich, che è più occidentale 2° 20' di quello di Parigi). Ma lo stesso Hugues pone Karakorum a 46° 36' Nord, 102° 30' Est. (1) Sulle notizie di Giovanni di Pian del Carpine, ved. D’Avezac, Op. cit., p. 468-70. E in questo stesso volume sono i testi del suo viaggio e di quello di Rubruquis. — Johannis de Plano Carpini Historia Mongalorum quos nos Tartaros appellamus, p. 603 e segg.; Itinerarium fratris Willelmi de Rubruk anno MCCLlIt ad partes orientales, p. 213 e segg. (2) Delle tre sedi successive dei Gran Chan, oltre d’Avezac e Remusat P- 276, parlano Pauthier, I. 237. 272, e Yule, I. 25. — 5él — della Cina, e la tanto feconda moltiplicazione dei Gen-ghiscanidi rendono sempre più deboli i nodi di dipendenza dei singoli Principi verso il gran Chan; e il già uno impero si fraziona. I discendenti di Cubilai,-figlio di Tuli figlio di Genghis, continueranno a regnare sulla Cina (ino al 1370 quando saranno cacciati dalla nuova dinastia dei Ming. Scerbali figlio di Giuci figlio di Genghis sale a tramontana e fonda in Siberia un impero a prò’ dei suoi discendenti. 11 fratello di lui Batu fonda la dinastia del Kipciak, 0 dell’ Orda di’ oro, che si stenderà dall* Amu-Daria (Oxus) fino al Dnieper, 0 anche al Dnie-ster, assoggettando la Russia e la Crimea: la sua capitale è Sarai (Palazzo) fondata dallo stesso Batu sul-P Actuba che è il ramo orientale del basso Volga (1). Da due altri figli di Genghis, Ogodai e Giagatai, scenderanno altre due linee, le quali occupando le regioni della Siberia meridionale, della Zungheria e del Turkestan orientale, vengono a stare di mezzo fra l’impero della Cina a levante e quello del Kipciak a ponente: perciò a ragione dai documenti del medio evo sono (1) La posizione di Sarai non è ancora ben determinato se fosse ove ora è Zarev, al distacco del gran ramo orientale Actuba dal fiume Volga, oppure molto più basso sull’Actuba stesso, ove ora è la città Selitrenoe (del salnitro). In entrambi i luoghi sono rovine considerevoli. Pare più giusta 1’ opinione di quelli che ammettono due Sarai, la vecchia e la nuova ( citata anche nelle monete); senonchè si disputa altresì quale delle due sia la vecchia. Il prof. Bruun di Odessa (La residenza dei Chan dell’Orda d'oro, Kiew, 1876, in russo) sostiene, mi pare con ragione, che la prima Sarai fondata da Batu verso il 1253 tosse la più meridionale, la più vicina ad Astracan, a Selitrenoe; e che quella a Zarev fosse la nuova Sarai, residenza già di Usbech Chan (1315-41) e distrutta da Tamerlano nel 1395. Yule, che sospetta il cambiamento inverso, a p. 6 inserisce la carta di quei luoghi e un piano delle rovine presso Zarev. Hughes pone questa città a 48° 40' Nord, 450 20' Est, e Selitrenoe a 470 13' Nord, 470 28' Est (s’intende sempre da Greenwich). Ved. anche Peschel, Op. cit., p. 173. Atti Soc. Lig. St. Patria, Voi. XIII, Fase. 111. 5(' — 5^2 — chiamate in complesso imperium de medio. La linea di Ogodai con Caidu, il perpetuo nemico di Cubilai, occupa specialmente le rive del fiume Jemil che si versa nel lago Alacul scendendo a meriggio dei monti Tar-bagatai, e la probabile capitale sua risponderebbe alla odierna Ciuguciak. Segue verso ponente la linea di Gia-gatai, coi Chan Deva e Elcigadai, dei quali come di Caidu ci verrà cenno di nuovo. Questa siedeva sul fiume Ili, che partendo dai Thian-Scian (monti celesti) si versa a Nord nel lago Balkasce; la sua capitale presso il fiume predetto rispondeva presso a poco alla odierna Kulgia, ma allora si chiamava Almalech, corruzione (si dice) d’Ili-balech o città sull’ Ili. Alla quale regione paterna i discendenti aggiunsero la Transossiana con Bo-cara e Samarcanda, toccando all’ Osso o Amu-Daria i confini del Kipciak (i). Finalmente Ulagu, fratello del gran Chan Cubilai, volgendo a meriggio compie la conquista della Persia e dell’lrak-arabi ; nel 1258 uccide il Califo di Bagdad e vi fonda un impero per la propria discendenza, che sarà conosciuto sotto il nome degli Ilkani e durerà fino al 1336; avrà per capitale dapprima Tebriz o Tauris sopra detta (2), poscia Sultanieh nell’ Irak-agemi, città fondata (1) D’Avezac, Op. cit., p. 422, 516; Heyd, Die Colonien der Rómischen Kirke in TartarenJanden in XIII-XIV Iahrhundert, Gotha, 1858, p. 297, 305 (nel Zeit-schrift fùr historische Theologi e) ; Yule Op. cit., II. 392- In Hughes Ciuguciak è a 46°, 51' N., 82°, 50' Est. » Kulgia » 43°) 56' » 8i°, io' » (2) Di Tebriz, come sede di Genovesi con Consolato e Consiglio, non si ha memoria ufficiale fino al 1341 (Montini. Hist. Patr., Leges, tom. I: Imposicio Officii Ga^ariae, p. 348-50); ma Guillielmus Adae Arcivescovo di Sultanieh nel 1316, come vedremo più avanti, ci chiarisce le strette relazioni de Genovesi col Chan Argun nel 1284 e 1291. Ved. anche Heyd, Gesch. ecc., II, p. ni. — 5^3 — sui principii del secolo XIV dal Chan Olgiaitu, che fattosi musulmano e sultano volle con quest’ ultimo titolo si chiamasse la nuova sua sede. Sei sono così le dinastie, innalzate dai Genghiscanidi: la Cina, la Siberia, il Kipciak od Orda d’ oro, quelle di Ogodai e di Giagatai,*e quella degli Ilkani di Persia. Le stragi, le rovine immense, lo appressarsi sempre più dei Mongolli, destarono in Europa un terrore da non esprimersi a parole; per quanto il buon Re San Luigi confidasse di mandare al Tartaro que Tartari, che così allora più comunemente erano chiamati quegli invasori (i). Mentre non si trascuravano i mezzi di difesa, i Papi pensarono a un mezzo più stabile se riuscisse, quello d’incivilirli colla religione, valendosi dello zelo ardente e dell’ operosità meravigliosa che spiegavano i nuovi Ordini di San Francesco e San Domenico. Nel Concilio generale di Lione al 1245 il genovese Innocenzo IV determinò la partenza di missionarii dell’ uno e dell’ altro Ordine, fra i quali il Giovanni da Pian del Carpine sopracitato, a recare la buona novella a que’ barbari. San Luigi da parte sua ne inviò anch’ egli nel 1248 ed ancora nel 1253 quel Guglielmo di Rubruquis di cui fu detto sopra. Le relazioni dei quali, ora dottamente commentate, apersero le prime notizie sull’ Asia centrale. Ma se lo avanzarsi dei Tartari parea minacciare la Cristianità di sterminio, riuscì invece di un effetto piuttosto che no favorevole ad essa. Gli invasori incontra-trarono in Siria il sultano d’ Egitto, potente d’ armi e inorgoglito dalle vittorie contro i crociati di Terrasanta. (1) D’Avezac, p. 531, dal Remusat e dal cronista inglese Mntteo Paris. — S64 — L’ egemonia, che 1’ uno e gli altri si disputavano su quelle regioni, fece sorgere una inimicizia tra loro più torte di quella che i Mongolli nutrivano in generale contro gli stranieri. Pel possesso di Terrasanta il Sultano d* Egitto stava in mezzo fra l’Oriente e l’Occidente, ostacolo reciproco; non v’ era di meglio che lo allearsi e riunirsi le due parti estreme per annientarlo. Lo si capì, almeno in teoria, giacché i ripetuti tentativi di leghe e di attacchi riescirono troppo inefficaci ; tanto i Principi cristiani quanto i Mongolli essendo distratti troppo dalle discordie proprie dal por mano a imprese serie e durevoli in questo nuovo campo. I Papi però non si stancarono dal promuovere 1’ attuazione di tale disegno; quindi le ambasciate frequenti e reciproche, specie col Regno di Persia come il più vicino e per le sue conquiste il più a contatto colla Siria occupata dal Sultano d’ Egitto. Già dal 1260 il fondatore di quel Chanato Ulagu invia ad Urbano IV il francescano Giovanni d’Ungheria; nel 1267 nuove lettere del Chan Abaga, figlio e successore di Ulagu, e risposte a costui dal Papa Clemente IV. I latori di quelle lettere pare già fin d’allora, come vedremo poi, peregrinassero alle Corti d’Europa per simile scopo : difatti Re Giacomo d’ Aragona nell’ anno stesso ne riceve e da Abaga e dal suocero di lui 1 Imperatore Michele Paleologo, onde animandosi alla sacra spedizione s’imbarca ma con esito subitamente infelice (1). (1) Per la storia delle Missioni ai Tartari, ved. i già citati Abel Remusat, p. 335 e segg.; Heyd, Die Colonisti der Rdtnischen Kìrhe, p. 260, segg. Aggiungi Kunstmann, Die Missionen in China, Monaco, 1856, p. 225-58 (nelle Historisch-politische Bliilter fùr das Katholische Deutschhmd). - 5^5 - Nel 1274 altri legati di quel Chan compaiono il 6 luglio al concilio generale di Lione, e ne riportano in patria lettere di Gregorio X e di Re Edoardo d’ Inghilterra. Due anni dopo nuovi legati tartari si presentano a Giovanni XXI ; le cronache di San Dionigi ne segnalano la presenza a Parigi la Pasqua del 1277 e il successivo loro passaggio in Inghilterra. Rifanno il viaggio, pare nell’anno successivo, con cinque missio-narii francescani e con lettere di Nicolò III al Chan Abaga e a Cubilai Gran Chan costui zio. Quest’ ultimo infatti avea già tentato rannodar relazioni coll’ Occidente. 1 veneziani fratelli Polo, con ardire senza esempio a que’ tempi, pervenuti alla Corte di lui ne ottengono in partenza commissioni di chieder missionarii al Papa e recare ài loro ritorno al Gran Chan dell’ olio santo che ardeva nelle lampadi del Santo Sepolcro. Giungono i Polo in Terrasanta nel 1269, quando il Papato era vacante; continuano il viaggio alla patria, ne ripartono col giovane Marco, e sono in Acri nel 1271 quando il Papa non è ancora nominato ; non volendo più oltre differire, proseguono alla volta della Cina; ma giunti a Lajazzo nell’Armenia minore, li richiama in Acri una lettera di quel legato apostolico Tebaldo Visconti, eletto Pontefice sotto il nome di Gregorio X : il quale porge loro le desiderate istruzioni e la compagnia di due Domenicani (rimasti però tra via). Nel 1286, regnando Onorio IV, Argun Chan figlio e successore d’ Abaga in Persia, invia un’ ambasciata composta del vescovo nestoriano orientale Barsauma, di un nobile Sabadino arcaone (cioè cristiano nel loro linguaggio), dell’ interprete Ughetto e di un Tommaso — 5 66 — degli Anfiossi, che recenti indagini hanno fatto riconoscere della famiglia de’ banchieri genovesi di questo cognome (i). Vi sono unite lettere consolanti di Dionisio vescovo di Tebriz. Tre anni dopo, restando nel frattempo, come pare, in Europa que’ legati, Nicolò IV li rimanda al Chan, salvo il nobile Sabadino che incontreremo ancora in Europa. Di nuovo in luglio 1289 il Papa scrive ad Argun e colla sua lettera invia dei missionarii; capo dei quali è il francescano Giovanni da Montecorvino, che passò poi di Persia in India e di là in Cina, ove nel 1307 fu fatto Arcivescovo di Pechino. 11 Papa scrisse in quella occasione più altre lettere alla Regina Tudai, alla Principessa Ilkotlog (2), a Caidu che vedemmo regnante nell’ impero de medio, al Gran Chan Cubilai, al Vescovo di (1) Desimoni, Rassegna sullo scritto di Heyd, Contribuzioni alla Storia del Commercio del Levante nel XIV secolo (nell’ Archivio Storico Italiano, 1878, dispensa II, p. 306). Mi compiaccio di vedere che l’illustre Bibliotecario di Stoccarda ha adottato la mia attribuzione di genovese all’ ambasciatore Anfossi. Ved. la sua recentissima e già cit. op. Gesch. des Levantehandels, 1879, II. 112. (2) Raynaldus, Annal. Ecclesiast., IV. 41-70. Su Tudai e Ilkotlog ved. sopra la nota 19; sull’Impero de medio la nota 14. Sui Nestoriani e Giacobiti, che coprivano l’Asia della loro setta, e sulle sedi dei loro Patriarchi, ved. Yule, I. 58; Pauthier, Le Livre ecc., I. 45; Heyd, Die Colonien ecc., p. 320-22. L’Imperatore d’Etiopia sarà il leggendario Prete Gianni? Questo si sa, che in ultimo l’opinione pubblica concordò ad intender sotto questo nome il Re d’ Abissinia; ma vedemmo sopra che nel secolo XIII lo si trasportava all’ Asia centrale ; altri ponendolo a Karakorum, come Re Sacerdote dei Karakitai; altri attribuendolo a Oang Chan, il capo dei Keraiti. Marco Polo lo pone al Tenduk (circa l’odierno Cam-su cinese) ed altri ne investe lo stesso Genghis Chan; altri ancora lo pongono in Abcasia od altrove. Sono noti su ciò gli scritti dell’OppERT, Der. Presbite)- Johannes, 1864; del Zarnke, specie il più recente scritto Priester Johannes, Lipsia, 1876; del Bruun, Die IVervandlungen des Presbiter Johannes, Berlino, 1876. Ved. anche Pauthier, Op. cit., II. 720; e non ostante che sia più antico riuscirà utilissimo tuttora D’Avezac, Op. cit., pp. 535-64, colla sua lucida, piena e documentata discussione. — 5^7 — Tauris Dionisio, confermandolo nella fede cattolica. Altre lettere raccomandano i missionarii lungo il passaggio al Re di Giorgia, al Re d’Armenia, suo fratello, sorella e proceri cristiani, ma soggetti al Chan di Persia: alP Imperatore, Arcivescovo e popolo d’ Etiopia; al Patriarca dei cristiani di setta giacobita (residente a Mossul); e finalmente a un mercante pisano di nome Jolo o Ozolo, ringraziando questo per la protezione onde favoriva i missionarii e la propagazione della fede in quelle lontane regioni. Frattanto era in viaggio, e giunse poco prima del 30 settembre stesso anno a Roma, una nuova Ambasceria del Chan Argun guidata da Buscarello de’ Ghi-zolfi nobile genovese, che il Papa Nicolò IV inviava in Inghilterra raccomandandolo al Re Edoardo. Ecco che comincia qui a farsi menzione di Buscarello come diplomatico e venuto da Tebriz già in settembre 1289. Gli Archivi di Francia ci porgono a questo proposito preziosi particolari. Ivi si conservano tuttora documenti originali e copie sincrone, che fanno fede e dimostrano lo scopo della legazione per quella parte che riguarda il Re di Francia. Vi é la credenziale in caratteri uiguri (1) del Chan Argun colla data tartara (1) Sugli Uiguri, ved. Pauthier, I. 12, 23; Heyd, Geschichte', II, 70, 127. I caratteri uiguri si vedono nei facsimili in fine della Memoria d’Abel Remusat ; i nomi dei Chan negli stessi caratteri si hanno in Castiglioni , Monete cufiche del Museo di Milano, 1819, p. 241 ove altre citazioni. La lingua da noi era chiamata ugaresca (Atti della Società Ligure, IV, pag. cxxix); in altro documento veneto era chiamata cumanica, come in Waddingo, VII. 256 (Heyd, Gesch, II. 243). Ne parla pure il Conte Geza Khun negli Atti dell’Accademia Ungherese delle Scienze, Adalekok, Krim Tortènetèhe{, Pesth, 1873. Da questo dotto Autore aspettiamo la prossima pubblicazione del prezioso Codice Cumanico che si conserva a Venezia e che fu composto nel 1303 da un Antonio de Finale (il cognome è genovese). — 568 — del sesto giorno della prima luna d’ estate, nell’ anno del bue, che corrisponde al predetto anno 1289. Vi è anche 1’ ampliazione che ne fa in francese esso legato Buscarello, che si vede dal documento aver la qualità di Guardacampo d’ Argun. Vi si chiede di stabilire un appuntamento per 1’ anno seguente in Damasco, perché le armate cristiane colle mongolie possano procedere unite in guerra contro il Sultano d’Egitto. Buscarello si aggira ancora in Europa al medesimo scopo nel dicembre del successivo anno 1290. Ai 2 di quel mese Nicolò IV gli consegna una nuova lettera pel Re Edoardo, e lo accompagnano altri legati del Chan, il nobile Zagano battezzato di fresco sotto il nome di Andrea, un nipote di lui Gorgi battezzato col nome di Domenico, ed un tartaro di nome Moracio, sul quale faremo di passaggio la quistione, se non debba egli essere una sola persona con quel pure tartaro Jamoracio che vedemmo più addietro in Genova nel gennaio 1293 (1), di ritorno, come pare, anche allora da Tebriz insieme a Buscarello, e a cui fu allora regalata una tazza d’ argento comprata a bella posta in Genova. Nello stesso mese di dicembre, il giorno 30, il Papa invia con altra commendatizia al Re d’Inghilterra quel nobile Saladino arcaone, che perciò argomentammo do- (1) Questo Moracius è nominato nel Rymer, Op. cit. I, par. Ili, p. 76; e vedi sopra nota 17 e Atti della Società Ligure, IV, p. ccv. Probabilmente è una sola persona col Jamoracius, che nel documento presente si vede in fine del viaggio essere a Genova e ricevere in dono dall’ Ambasciatore una tazza d’argento. Quanto al Zaganus, suo compagno nel 1289, questi mi pare una sola persona col Chaganus menzionato da Nicolò IV nel 1291 come ambasciatore d’Argun (Waddingus, Annui Ordin. Minor, IV. 105); ma il Remusat, ibid., p. 381. non si la tale quistione. — 569 — versi essere fermato in Europa dal 1288 in poi. Nicolò IV propone al Re che si rimandino al Chan ambasciatori proprii di ciascuna Potenza, e per parte sua il Papa nel-l’agosto del 1292 spedisce due francescani Guglielmo di Chieri e Matteo di Chieti, provvedendoli di commendatizie a Cassan 0 Gazan e a Saron (forse Sonkar) figli d’Argun, alle Regine Anachoamini (Urukchan) e Dathanati-catun, al Vescovo Barsauma che già vedemmo, al Principe Tagagiar, anche noto per Marco Polo (1) ed altri proceri di Persia, fra’ quali dei Principi alani cristiani; al Re e Patriarca 0 Cattolico d’ Armenia; ed anche all’imperatore Andronico di Costantinopoli e a quello di Trebisonda per le cui terre i missionarii devono passare. Raccogliendo dunque le sparse fila, noi abbiamo veduto Buscarello de’ Ghizolfì a Genova nell’agosto 1292 intento a far accomandite in previsione di partenza verso la Romania; noi vediamo il Papa nel dicembre 1290 intenzionato di rimandare Buscarello e i Legati del Chan accompagnati da Nunzi proprii; noi vediamo nello stesso agosto 1291 che Buscarello negozia a Genova, il Papa prepara lettere e nunci proprii per la Persia; noi sappiamo lo scopo della legazione del 1289 e le pratiche che si fanno per concertare un’ azione comune. Abbiamo noi bisogno di più, per trovare una spiegazione agli itinerarii più o meno bene descritti nel presente documento? Al quale ritornando, Buscarello, Percivalle . e l’inglese Langhele certamente speravano dover ritro- (1) Waddingus, loc. cit.; Raynaldus, Op. cit., IV. 105-8. Per Tagagiar, veci. Yule, II. 402. Il Pauthier (II. 746) non ha inteso questo nome, ripetendolo, tagliato in due, dall’ediz. di M. Polo nel Recueil de Vogqges cit. sopra, I. 264. — 570 — vare ancora il Chan Argun, che tanto favorevole si era mostrato alle Potenze cristiane. Ma egli era morto il io marzo 1291 ; e secondo le non ben ferme regole di successione fra i Mongolli, la corona fu disputata da tre Principi: Keikatu 0 Kengiatu che dir si voglia, fratello del morto, Baidu suo cugino figlio di Tarakai figlio di Mengu, e Cassan 0 Gazan figlio di Argun. Per ora Keikatu la vinse sugli altri e durò fino al 23 aprile 1295, ma fu fatto strangolare d’ordine di Baidu che occupò il trono dopo di lui; in pochi mesi Baidu fu ucciso a sua volta dal terzo competitore Gazan, che assunse la corona il 5 ottobre 1295 e regnò sino al 1304. Keikatu dunque era il Chan, che dovettero trovare i Legati europei. Riconosciuto imperatore il 22 luglio 1291 a Aklat sulle rive a maestro del Lago di Van, passa nell’Arran (la Provincia d’Erivan) il 5 ottobre seguente per far quartiere d’inverno e accampa a Karagial sul fiume Kur ; poi ritorna nel Rum, cioè in Asia minore, dove era stato Governatore e donde la morte d’Argun chiamato l’aveva a rivendicare il diritto imperiale. Solamente al 30 giugno 1292 la notizia si sparge nella parte orientale di quell’ Impero che Kengiatu era di ritorno dal Rum, e gli vanno incontro fino ad Erzerum ; egli continua la sua strada fino al-1’Alatag fra Erzerum e il monte Ararat, luogo delizioso per ombre, acque e pasture e caccie dove nasce 1’ Eufrate, onde que’ regnanti amavano passarvi la calda stagione. Quivi egli si ammala gravemente e fa pregare per la sua salute tutte le religioni e le sette: Vescovi, Rabbini, Imam, Sacerdoti di Budda. Guarisce, ma non — 57i - cessano di dargli travaglio le congiure de’ proceri del-l’Impero in unione dei pretendenti, finché, come vedemmo , Baidu suo cugino gli accorcia la vita. In quel mezzo Kengiatu non serbava fede nè legge, secondo che afferma il contemporaneo monaco Aitone, e, come scrive Marco Polo, era tutto dedito ai piaceri sensuali (i). Ecco spiegata, ci pare, anche la parte più confusa ed oscura del documento inglese, quell’andirivieni prolungato dall’ Asia minore alla Persia. Non fidandosi del nuovo Chan, la Legazione prima di recarsi a lui in persona manda a chiedergli salvocondotto lo scudiere Nicolò di Chartres in compagnia del più giovane dei Ghizolfì Corrado. In cerca del Chan, essi partono nell’aprile 1292 da Samsun sulla costa del Mar Nero; con seguito di cavalli, araldi ed interpreti sono in Kaissarieh, ove era la Corte Regia: usque Cassariam ad Curiam Regis Tartarorum. Passano indi a Sivas: et redeundam de Cassaria usque Sevastum. Quivi precedono l’arrivo del Chan : cxpectando Rex Tartarorum et morando post adventum ejus; ritornano a Trebisonda ai signori: usque Dominum. Da Trebisonda si muovono di nuovo a cercare la Corte del Chan, ma questa volta pigliando la direzione d’ Erzerum, e devono trovare essa Corte alla prima stazione oltre quest’ ultima città: de Argerone usque Curiam. Tali notizie combinano abbastanza con quelle che trovammo nella storia di Kengiatu; vale a dire il suo soggiorno dapprima nel Rum nelle antiche città di Cesarea e Se- (1) Tutto questo specialmente dall’Hammer, Gesch. der Ilchane, I. 593 e segg.; e per la data 50 giugno 1292, p. 399. Marco Polo invece di Kengiatu scrive Keikatu. Ved. Yule, II. 406. - 572 - baste dell’Asia minore, poscia il suo passaggio ad Erzerum e ad Alatag nell’ Armenia. Dopo d’allora tutta la legazione sembra muoversi per la stessa strada da Trebisonda ad Erzerum ed oltre, alla Corte del Re, riuscendo dunque nel suo intento. Essa poi continua per Koi fino a Tebriz e da Tebriz ad altri luoghi a noi ignoti, Cartotia e Latatk. Tale ci sembra la più naturale spiegazione di questa parte del documento, ove quasi senza date si affollano insieme le spese di tutto un percorso di . mesi dal 15 aprile al 22 settembre in andirivieni continuo ; e nello stesso tempo si separano in conti particolari le spese di un medesimo viaggio, perchè fatte da persone diverse. Inoltre parte della comitiva va, parte resta 0 piglia altre direzioni ; Buscarello si vede occupato in barca, non si sa a che scopo. Altri ritornano ancora a Trebisonda, mentre pure il ritorno definitivo comincia da Mehrend presso Tebriz; ed a Mehrend diffatto abbiamo avvertito più addietro aver lasciata la comitiva Nicolò di Chartres allorché tre volte si mosse a raggiungere la Corte del Chan. S’ incontrano nomi di città 0 terre, delle quali per manco di direzione regolare non si può approssimamente indicare la ubicazione: Diinesho 0 Gumesho è probabilmente il Gumisce-Kané odierno, non lungi da Trebisonda; Gabbano Montano é già noto per documenti armeno-genovesi, e ben fu interpretato pel Cara-Cabban (Cabban nero), il monte che divide Trebisonda da Baibuit. Quest’ ultimo è certo il Papertuin del nostro documento ; ma il Sarakana e il Su-meracanda che verso queste parti sono nominati, a qual luogo corrisponderanno? 11 Pegolotti ha sulla via da - 573 - Trebisonda a Tebriz un nome Scaracanti che pel suono non disdirebbe, ma egli lo pone al di là di Erivan, che è troppo lontano da Baiburt. Usciti finalmente da questo pelago pauroso, ripigliamo le poche notizie che ci restano ancora di Buscarello dei Ghizolfì e delle relazioni diplomatiche tra i Mongolli e 1’ Occidente. A Kengiatu successo Baidu e a Baido Cassan o Gazan nel modo e tempi sovracennati, quest’ultimo dal 1295 al 98 si mostrò nemico dei cristiani; ma sposata la figlia del Re d’ Armenia, divenne ad un tratto loro favorevole. Seguirono nuove pratiche, che poco conosciamo, vedendo soltanto che il Re Giacomo II d’ Aragona invia nel 1300 un Pietro Solivero di Barcellona con commissioni per concertare col Chan la riconquista della Terrasanta. Ma questi aveva già anticipato 1’ attacco contro il Sultano d’ Egitto. Col suocero Aitone d’Armenia va ad invadere la Siria e conquista Damasco. Un suo generale avanza fino ad Antiochia e chiama in ajuto il Re di Cipro, i Tempieri e i Cavalieri di Gerusalemme , i quali si affrettano a venirgli incontro : se-nonché un falso allarme scioglie 1’ armata d’improvviso. Tuttavia le novelle di così felici principii volano in Europa aggrandite al solito, e già si parla di Gerusalemme ripresa dal Chan e ridonata ai Cristiani. A Genova se ne leva un entusiasmo inesprimibile ; quattro fra i più nobili della città, Lanfranco Tartaro, Giacomo Lomel-lino, Giovanni Bianco e quel Benedetto Zaccaria, celebre pei suoi fatti diplomatici e marittimi in Oriente, si preparano a guidare lo stuolo della nuova Crociata. Nove nobili dame genovesi, fra le quali due Cibo, una Spi- — 574 — noia, una Grimaldi e una Ghizolfì, propongono stabilirsi in Comitato di sussidii, nè di ciò paghe si preparano elmi e corazze per partecipare di persona alla santa impresa. Il missionario savonese e descrittore della Terrasanta e dell’Egitto fra’ Filippo Busserio, scalda sempre più quegli animi concitati ; ed egli e 1’ Arcivescovo genovese Porchetto Spinola ne fanno pratiche a Roma. Il Papa Bonifacio Vili benedice di gran cuore a que’ propositi, privilegia di grazie gli uni e le altre, e loda specialmente le Dame del loro coraggio virile dove e allorquando i Principi cristiani si mostrano meno che donne. Quelle corazze e quella Bolla pontifìcia furono religiosamente conservate nell’ Arsenale genovese sino alla fine del secolo scorso. Ma Ghazan non si stancò di ripetere le ambascerie ; e nel 1303 troviamo di nuovo ritornato dall’ Oriente, con lettere di lui, Buscarello de’ Ghizolfì, fratello forse 0 marito di colei che brillava non ultima fra le Dame lodate da Bonifazio Vili. L’ arrivo dell’ ambasciata mongolia in Francia nel-1’ anno stesso 1303 è pure indicato nelle Cronache di San Dionigi (1). Un’ altra simile ritorna in Europa con lettere scritte (1) Hammer, loc. cit.; Remusat, Op. cit. 383-7. Per Fra Filippo Busserio ved. Giornale Ligustico, 1875, p. 105-6. Per le bolle di Bonifacio Vili nominate nel testo, ved. Waddingus, VI. 419-22. Quelle corazze preparate per la Crociata sono ora alla R.a Armeria di Torino; la Bolla in pergamena è nella collezione della Società Ligure di Storia Patria. Noi però non ne guarentiamo l’autenticità; come nemmeno guarentiamo l’interpretazione de’ nomi che ne ha fatto il Serra, nella Storia dell’ antica Liguria ecc., ediz. Capolago, II. 245. La De Carli è più probabilmente Cario ; De Franchi è un cognome nuovo d’ Albergo che si costituì da varie famiglie soltanto nel 1393. Si dovrà forse leggere Frevante? — 575 - nel 1305; ma diversi sono il Chan mandante e i legati spediti. Ghazan era morto nell’ anno precedente, e suo successore fu il fratello Charbende, più noto col soprannome di Olgiaitu (il fortunato) che durò fino al 1316. L’inviato non fu più Buscarello de’ Ghisolfì, che perciò probabilmente era morto anch’ egli, come almeno al 1317 è nominato per defunto. Il Chan Olgiaitu dunque invia al Papa Clemente V Tommaso Ugi da Siena Guardia del Corpo di quell’ Imperatore come già fu Buscarello, ma di una diversa sezione. I documenti ce lo mostrano partito da quella Corte non prima del 13 settembre del 1305 , giunto a Venezia a consegnare alcune carte a quella Signoria, poi passare nel 1306 in Francia e giungere in Inghilterra poco dopo la morte d’Edoardo I (avvenuta il 7 luglio 1307) come ne fa fede la risposta al Chan del successore di lui Edoardo II. A questa più chiara determinazione della persona del Legato, che é tutto merito del Prof. Heyd di Stoccarda, noi abbiamo creduto poter aggiungere qualche induzione per mostrare come 1’ Ambasciata dovette pure toccar Genova ed essere accolta fra le nobili famiglie memori degli antichi e ripetuti vincoli, che fecero perfino dare al figlio di Buscarello il nome di Argone, 1’ antico Chan di Tebriz. Del resto in una più recente Legazione di Tamerlano a Carlo VI di Francia abbiamo una prova espressa che gli Inviati, prima di passare per le Corti europee, doveano abboccarsi e presentare le loro credenziali a Venezia e Genova (1). (1) Remusat, Op. cit., 387 e segg.; Rymer, I. par. IV. 22; Atti della Società, IV, p. ccv. Per Tommaso Ilduci del Sultano, ved. specialmente Desimoni nella Rassegna sopracitata all’HEYD, Contribuzioni ecc., Archiv. Stor. Ita!., 1878, — 57 6 — Le lettere del Chan Olgiaitu, che in quella occasione del 1306 si presentarono anche a Filippo il Bello di Francia, accennano ad altri appuntamenti e concerti a preferirsi pel comune attacco contro il Soldano, e scusano il non aver ciò potuto far prima per la discordia ora felicemente terminata fra i quattro principali della casa genghiscanide ; rappresentati allora, oltrecchè da Olgiaitu nella Persia, dal Chan Toctai nel Kipciak, da Deva 0 Dua figlio di Borrak del ramo di Giagatai, da Ciabar figlio del già accennato Caidu del ramo di Ogo-dai, e da Timur Gran Chan successore in Cina dell’ avo paterno Cubilai per mezzo del premorto Cimkin (1). Dopo d’ allora non troviamo quasi più notizie di simili legazioni. Il trono degli Ilcani di Persia si sfascia colla morte nel 1336 di Abu Said succeduto al padre Olgiaitu nel 1316 e noto in più documenti sotto i nomi corrotti di Bonsaid, Mussaid, Bussei e simili. Le convulsioni di guerra interna, succedute fra le dinastie tur-comanne colà lottanti tra se, e dette del Montone nero e del bianco, escono dal nostro soggetto. Ussun Cassan capo della dinastia del Montone bianco fa lega con Venezia nel secolo XV e comincia poco felicemente 1’ at- p. 306 ; e lo stesso scritto cTHeyd, Beitràge \ur Gesch. des Levantehandels, Stoccarda, 1877. Alla m‘a discussione in favore del passaggio di quell’ ambasciata per Genova (Rassegna predetta, p. 306) si aggiunga che anche il figlio di Ta-merlano nell’ inviare un’ambasciata a Carlo VI Re di Francia, volle che questa prima di tutto si recasse alle due civitates famosissimae, Januam et Venetiam. Ved. De SACy, Sur ime correspondance de Tamerlan avec Charles VI (Mémoires ile l’Académie des Inscript, VI. 479). (1) Sulla divisione dei Genghiscanidi e sui nomi dei Chan nel 1305 ho parlato nella rassegna predetta, p. 302. Il nome di Abu Said, corrotto in Bunsai, Bussei, Mussaid ecc., si trova nelle lettere dei Papi sovracitate, nei documenti veneti, nel Pegolotti ecc. Ne vedremo sotto un esempio nuovo'. “ 577 — tacco; ma il nemico comune non é più il Sultano d’Egitto, sì il Gran Turco divenuto oltrapotente e signore di Costantinopoli. Anche la dinastia mongolia della Cina finisce nel 1370, cacciata dalla rivoluzione e sostituita dalla nuova denominata dei Ming. Qui tuttavia troviamo ancora nel 1338 un’ ambasceria del Gran Chan Togan Timur, a cui risponde il Papa Benedetto XII. E due anni dopo altra lettera dello stesso Papa risponde in modo benevolo al Chan del Kipciak, Usbech figlio del già citato Toctai; e 1’ una e 1’ altra Legazione hanno a capo un genovese : quella del Kipciak un Petrano dell’ Orto, già feudatario di Caffa in Crimea col suo socio Alberto; quella della Cina uno nel documento chiamato soltanto Andrea Franco (occidentale),, ma che altro documento veneto ci palesa pel genovese Andaló di Savignone. Genovese è pure il naviglio in cui ritornerà il Legato al Gran Chan insieme al francescano Giovanni da Marignola posto a capo della Missione pontificia (1). (1) Petrano dell’Orto e il suo socio, in Waddingo all’anno 1340, voi. VII, p. 227. Andrea Franco, ibid. all’anno 1338, VII, p. 53. Andalò di Savignone in Canale, Storia della Crimea, II. 445. L’identità di Andrea Franco e di Andalò di Savignone mi pare provata nel mio citato articolo di rassegna p. 307. Nè il dotto Heyd vi sollevò obbiezioni nella succitata Geschichte des Levante-bandes, 1879, II. 220. Sulla nave genovese che accoglierà il Marignola, ved. il costui Chronicon Boemorum in De Gubernatis, Storia dei Viaggiatori italiani nelle Indie, 1875, pag. 142. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. Xlll, Fuse, 111, 57 III. Dalle cose ragionate fin qui si scorge, che le relazioni tra F Oriente anche più lontano e 1’ Europa dalla metà del XIII secolo fino alla metà del seguente non erano a pezza tanto scarse quanto parrebbe a primo aspetto, considerata la lontananza, i pericoli delle strade e la lentezza dell’ arrivo. Ma que’ commerci erano animati dal proselitismo religioso, il mercante e il missionario non raramente andavano di conserva e, secondo i casi o i popoli incontrati, l’uno proteggeva l’altro. È per questo che, essendosi sempre meglio conservate le notizie ecclesiastiche che quelle civili, noi troviamo Genovesi dappertutto, all’ istante che il missionario ha bisogno di ajuto o di compagnia, senza che giungiamo a sapere donde quel Genovese venisse, o come siasi colà trovato. Così il minorità da Montecorvino, che fu il primo Arcivescovo di Cambalech o Pechino nel 1307, lungo il suo viaggio trova un conforto nella compagnia del mercante Pietro da Lucolongo che si crede genovese ; e giunti a destinazione, il mercante compra del suo denaro il terreno su cui si ergerà la prima chiesa cat- — 579 — tolica. Nel 1314 é il minorità fra’Carlino Grimaldi che racconta al suo Guardiano di Genova il martirio dei Francescani in Erzengian d’Armenia. Allorché fra’ Giordano, che fu poi Vescovo di Culam nell’india, si trovò nel 1322 a Tana (presso l’odierna Bombay) occupato a seppellire i martiri suoi fratelli, ecco un giovane genovese prestargli una mano pietosa. Nel 1326 il francescano Andrea di Perugia, Vescovo di Zaiton in Cina (Thsiuan ceu-fu), scrivendo ai suoi in Europa, racconta i regali, l’alafa e la pensione che annualmente gli fornisce il Gran Chan, e dice che i mercanti genovesi in quella città gliel’ hanno stimata del valore di cento fiorini. E perfino al più lontano settentrione, ad Armalech ( Kulgia ) nell’ Impero del Giagatai o de medio, si trova un mercante genovese Gilotto 0 Gu-gliemo nel 1338 e viene ivi martirizzato in compagnia del francescano spagnuolo Pasquale da Vittoria (1). Noi non ci allontaneremo dal nostro soggetto per trattare delle relazioni genovesi col Kipciak, le quali vorrebbero da per se tutto un lungo discorso per le colonie nostre in Crimea, sotto l’impero di quella dinastia mongolia discendente da Giuci- figlio di Genghis. Tanto meno ci allargheremo ad altre regioni, nemmeno all’Asia minore, sebbene l’arabo Sceabeddin accingendosene alla descrizione nella prima metà del secolo XIV, con- (1) Di Pietro da Lucolongo si parla in Waddingo XI. 69; dei Martiri d’ Erzengian ibid. VI. 224; dei Martiri di Tana ibid. VI. 357, e nei Bollandisti al i.° aprile; di Andrea di Perugia in Waddingo, VIII. 53. L'alafa, in senso di pensione o simile, è spesso adoperata nei Cartolari dalla Masseria di Caffa. Del martirio in Armalech Imperii de medio si parla in Waddingo, VII. 255, ma colla data erronea 1342; meglio al 1338 in Marignola, Cbron. cit., p. 143. Lo stesso Marignola, p. 157, cita altro mercante genovese a Culam in India. — 580 — fessi averla appresa specialmente dal genovese Domenico D’ Oria che conosceva perfettamente quella regione (1). Osserviamo piuttosto che buona parte dei Vicarii generali in Oriente dell’ uno 0 dell’ altro Ordine, come i loro Vescovi, doveano appartenere a famiglie nostrane, naturalmente per la maggior cognizione dei luoghi ed abitudine di viaggi. D’ altra parte é chiaro, per la natura stessa delle cose, che viaggi a così lontane e poco note regioni dovean farsi il meno isolatamente che fosse possibile; oltrecché nelle pratiche che si faceano tra le Potenze e i legati orientali, riesciva pubblico il tempo e il modo dell’ arrivo 0 della partenza ; ciascuno aveva interesse a profittarne e viaggiare di conserva. Per gli statuti di Genova e di Venezia sappiamo che le navi per certe parti non potevan salpare da sole, ma dovevano attendere la stagione e la compagnia (2); come anche Giovanni da Marignola attese a Napoli 1’ arrivo della nave genovese, per partire legato pontifìcio alla volta della Cina. Per lo stesso motivo i tratti intermedii 0 finali per terra è naturale che si • (1) Quatremere, Notice de l’Ouvrage Memaleli Alamsar, nelle Notices et exlra-its ecc., pubblicazione dell’ Instituto, XIII. 346 (1838). Scheabeddin scrivea al tempo del Chan Usbech (1315-41), e dice di Domenico Doria di Taddeo che fu liberto (affranchi) del grande emir Behadour Moezzi, e che lo conobbe in prigione. In quelle regioni il Doria era noto sotto il nome di Belban. Sarebbe mai la stessa persona con quel Balaba Januensis, a cui come interprete presso 1 Tartari scrive Nicolò IV nel 1288, fra le lettere come sopra dirette ai vescovi di Tauris, Barsauma, ecc.? (Waddingus, V. 173). (2) Nello statuto dell’ Uffizio di Gazeria (Pardessus, Lois maritimes, IV. 499, SOI, cap. 49, 50, 58) è prescritto che le galee di Cipri si uniscano a quelle di Romania, partano, viaggino e ritornino di conserva. E queste disposizioni del 1441 erano già fermate nello statuto anteriore inedito del principio del secolo XV, e negli statuti del XIV editi dal Sauli (Leges, PP-334_3^> 34S-3^> 354)- - 58i - compiessero in carovana, come é ancora 1’ uso in Oriente, e li compiessero specialmente tra se gli Europei venuti colla nave medesima. Finalmente gli Italiani aveano come una rete di colonie od almeno di stazioni con consoli, loggia, chiesa, forni, bagni e contrada loro propria ; di guisa che il cittadino in terre più longinque trovava una piccola imagine della patria, si recava a San Lorenzo in Acri di Terrasanta come in Lajazzo d’Armenia (i), trovava tribunale e protezione presso i consoli proprii : le vie intermedie di terra tra l’una e l’altra stazione erano assicurate e guarentite per trattati pubblici , sorvegliate da forza armata mediante il pagamento di certe somme. Ciò per esempio avveniva nella strada da noi sovra descritta fra Trebisonda e Tebriz, dove v’ ha perfino chi sostiene che le castella poste a tale scopo a Baiburt, a Erzengian, a Erzerum, a Bajazit furono fondate dai Genovesi col consenso degli Imperatori di quei luoghi. Posta tale rete di stazioni, diveniva possibile fare punte ed escursioni che ancora al dì d’oggi pajono meravigliose. I Genovesi di quel tempo frequentavano il Mar Caspio, trasportando le navi dal Mar Nero e dal Don, per colà dove le acque dell’ uno e dell’ altro più si avvicinano. (i) San Lorenzo di Lajazzo è più volte nel citato Notulario d’Antonino di Quarto al 1279, carte 88, 121, 122. Ibid. sull’Arcivescovo di Tarso, carte 84 verso, 87, 88. Della stessa chiesa, data dal Papa all’ Arcivescovo di Mamistra, ma impeditone da un Genovese che vi pretende il giuspatronato, sono due documenti inediti nella Collezione del Suarez, Bibl. Naz. di Parigi, niss. latini, n. 8984, fol. 326 e 326 verso, colle date di Giovanni XXII, 4.0 kal. octobris anno V; e 4° nonas julii anno VI. Pei castelli che si pretendono costrutti da Genovesi sulla via da Trebisonda a Tebriz, ved. Heyd, Le colonie italiane ecc., II. 78, e Geschichte, II. 121-22. — 582 — Per la fine del secolo XIII ce ne informa iMarco Polo; nel 1374 lo rifece Luchino Tarigo traendo gran-lucro da quell’ ardita scorreria. Nel 1400 vi era ancora potente il genovese Antonio Reccagno (1). E degno di memoria è il disegno svelatoci dalla recente scoperta dello scritto di Guilliehnus Adae, dell’anno 1316. I genovesi, giovandosi della loro stazione in Tebriz e del favore onde li onorava il Chan Argun, pensavano lanciar navi ad Ormuz e a Aden, onde interrompere la via marittima tra 1’ India e 1’ Egitto. Per tale guisa quel Sultano sarebbe stato vinto indirettamente; dappoiché le preziose merci, abbandonato- il transito che facea la ricchezza del paese nemico, sarebbero scese in Europa lungo gli Imperi alleati. La discordia che infuriò tosto tra i Guelfi e Ghibellini e le rovine accumulate mandarono a monte quel savio disegno (2). (1) Marco Polo nel solo testo pubblicato dal Pauthier, I. 44, ha : et ore nou-vellcment les marchans de Gennes nagent par ceste mer par nefs qu il y ont porte et mis dedans ; cioè trasportando le navi dal Mar Nero su pel Don, fin dove questo fiume più si appressa al Volga, poi per terra fino a imboccare nel Volga e di là nel Mar Caspio. Questa impresa fu rinnovata un secolo dopo dal Ta-rigo (1374), come in Itinerarium Antonii Ususmaris, ms. all’Universitaria, stampato in questa parte dal Graberg de Hemsò, Amali di Geografia, Genova, II. 289. Sul Reccagno, ved. Waddingus, IX, 246; Guillielmus Adae, Arcivescovo di Sultanieh, De modo extirpandi Saracenos, ms. a Basilea, di cui mi fu comunicata copia dal Conte Riant. (2) Questo passo importante è ms. nella Collezione sovra citata del Suarez, i cui volumi XXI e XXII (Bibl. Naz. Parigi, 8983-84) contengono gli spogli delle lettere di Giovanni XXII, Innocenzo VI, Urbano V sui Patriarcati di Costantinopoli e Gerusalemme, parte in extenso (n. 37), il più in schede (n. 107). Copia di tutto ciò mi fu comunicata dalla liberalità non mai abbastanza encomiata dell illustre Conte Riant. Il passo in questione (ms. 8984, fol. 90) dice che i due Ordini di frati furon d’ accordo nella divisione : le regioni rispettive sono ben distinte, da una parte gli Imperi del fu Charbende (il Chan Olgiaitu), di Doa e Caidu, dell’ Etiopia e dell’ India son dati ai domenicani : dall’ altra ai francescani il — 583 - L importanza e 1’ estensione delle relazioni d’Europa col lontano Oriente a que’ secoli si capisce meglio, se tutti questi come brani e frammenti di un libro perduto s’ incastrino nella storia delle Missioni dei due Ordini di San Francesco e San Domenico, quale ci fu conservata da’ benemeriti loro fratelli e viene commentata dottamente da’ moderni. È noto come i Papi avignonesi specialmente abbiano fondate provincie e diocesi ecclesiastiche su quelle terre, sulle quali si svolse il presente nostro discorso. Clemente V nel 1307 innalza Camba-lech (Pechino) a metropoli della Cina, vi chiama ad Arcivescovo quel francescano Giovanni da Montecorvino più volte da noi accennato, lo accompagna con più frati del suo Ordine che saranno suoi Vescovi suffraganei, e dei quali abbiamo trovato ancora nel 1326 Andrea, di Perugia, Vescovo a Zaiton (Tsiuan ceu-fu nell’odierna Provincia del Fu-Kiang); due altre diocesi erano probabilmente a Iamsi ( Yang-ceu-fu, sul fiume Yang-tse) e alla allora famosa Quinsai (moderna Hang-ceu-fu nella Provincia del Ce-Kiang). Giovanni XXII, ancora più operoso in ciò del suo antecessore, fonda due provincie. Verso il 1317 erige un Vescovato a CafFa in Crimea, assegnandogli l’immenso ter- Cataio e l’impero di Gazeria (il Kipciak). Non è cosi ben chiaro il confine, che è il monte Air ano, Arrano, Arrario, fra l’Impero di Charbende a levante e quello della Gazeria fin verso Pera a ponente. Ne discorrerò nella nota seguente. Non posso trattenermi dall’accennar qui un passo del Marignola, Op. cit., p. 158, dove quel missionario discorrendo di Saba, che il De Gubernatis ben interpreta isola di Giava, dice che essa era a 6° di latitudine meridionale: sicut Dominus Lemon de Janua nobilis astrologus nobis ostendit et multa in astris mira. La qualità di Dominus, di nobile astrologo genovese, e gli anni 1334 a 42 stabiliscono con quasi certezza che qui si tratta di Andalon (De Nigro) cosi celebre a quel tempo, ma con nome guastato dai copisti. — S»4 - ritorio da Serai capitale del mongollo Kipciak fino a Varila sul mare di Bulgaria; e vi pone a capo il francescano Gerolamo. - Secondo 1’ ordine introdotto altrove, la metropoli ecclesiastica ponendosi ove già era la civile, Serai avrebbe dovuto essere la sede del Vescovo, e troviamo poi difatti notizie di un Vescovo Seraicense, come anche del-1’ Arcivescovo Cosma ivi trasportato da Cambalech dopo la cacciata dei Mongolli di colà. Ma in quella prima fondazione pare che il Papa abbia preferita Caffa, come colonia dei genovesi già fiorente per popolazione e per ricchezza di commerci ; donde perciò maggiore poteva essere 1’ influsso anche sui Mongoli più lontani. Nel 1317 o 1318 lo stesso Giovanni XXII fonda la metropoli di Sultanieh, divenuta ora dopo Tebriz la capitale della Persia; la consegna al primo suo Arcivescovo Franco di Perugia domenicano ; a cui assegna sei frati dello stesso Ordine, destinati ed essergli in parte suffra-ganei, in parte successori, come appunto succedette a Franco quel Guillielmus Adae, di cui testé abbiamo toccato. Abbiamo notizia di diocesi suffraganee a quest’ Arcivescovo, Meraga ben nota e capitale d’ Ulagu prima di Tebriz, Tebriz medesima, Diagorgana (oggi Deikirgan presso il lago d’ Urmia), una Diagagora ora ignota e Malezkird nominato in questo stesso documento inglese ; e Nascivan in Armenia e Tiflis in Giorgia, e Colombo (Culam) nella Penisola indiana, e Almalech (Kulgia) nella attuale Zungaria, e Scemala nel Scirvan sul Caucaso meridionale ; se vero è, come pare a noi col Bruun e col Cocquebert-Mombret, che a Scemaki si debba attribuire la sede di Semiscat creata allora dal Papa. - 5§5 — Così 1’ Oriente restava diviso tra francescani e domenicani, e già ciò aveano osservato i dotti; ma non credo sia stato pubblicato finora quel brano della fondazione della metropoli di Sultanieh, in cui il Papa divide' espressamente fra loro tali regioni e ne assegna i confini rispettivi. Concede ai domenicani con Sultanieh tutta la Persia, e l’india, e l’Etiopia, e gli Imperi di Caido (Ogodai) e di Dua o Deva (detto altrove di Elcigadai, dal nome di suo figlio) nel Giagatai. Ai francescani rimangono a levante la metropoli di Cam-balech con tutta la Cina e l’Impero del Gran Chan ; a ponente la provincia del Kipciak con Serai e Caffa, restando tagliate fra di se le due provincie da quello che vedemmo chiamarsi a ragione l’Impero de medio, e che come appartenente ai rami d’Ogodai e Giagatai vedemmo restar sottoposto ai domenicani di Sultanieh. Il Caucaso divideva i due Imperi del Kipciak e della Persia (i); e (i) Che il Caucaso dividesse il Kipciak dall’impero degli Ilchani di Persia, risulta anche in nuovo modo da un’ osservazione sulla gran carta Pizigani alla Biblioteca di Parma < ved. facsimile nel Jomard , Monuments ecc.). Ivi al celebre passo di Derbent fra il Caspio e il Caucaso si vedono di fronte due castelli colle leggende, l’uno a tramontana : Me est custodia Husbeci (la guardia al confine del Chan Usbech del Kipciakj, l’altro a mezzogiorno: caiol est custodia Bunsa (quella al confine del Chan Bunsav— Albu Said — dell’impero di Persia). Quanto 6 superiore in ciò questa carta del 136} alle altre, compresa la Catalana del 1375 ! La quale ripete le amiche e solite fole d’Alessandro Magno, che chiuse qui i passi ai Tartari (altri aggiunge agli Ebrei), ponendovi guardie colle trombe d’oro; e chiusovi il Principe di Gog e Magog finché non venga in ultimo coll' Anticristo. Io tengo che nel Suarez, ove sono altri errori di lezione nei nomi locali, si debba leggere ilcrUe Aliano invece di Arrano 0 Arrario; nel qual caso si avrebbe appunta a confine il Caucaso, che è detto Monti Alani già dal Kubru-quis, che fece questa via nel 1253 iRtcueil de Voyay/s succitato, IV. 381). M.t dalla Carta Catalana si ha la indicazione più esatta della estensione del Kipciak ; - 586 — come vedemmo Scemati nel Scirvan occupato da quest’ultimo Ordine, cosi dobbiamo pensare che appartenessero ai Francescani le sedi a tramontana di quella catena : dico quelle sedi che ci traspajono in modo troppo imperfetto nel Daghestan e sui fiumi Terek e Kuma o loro affluenti. Tali sono quelle di Tarku (Episcopus Atrachitanus rilevato dal Bruun), e Kumuk o Comescià, e Giulad presso l’odierna Jekaterinograd sul Terek, ove un Vescovo fu trovato dal tedesco viaggiatore Schiltberger. Tale la famosa Magiar, le cui rovine si vedono tuttora presso il piccolo Kuma, in vicinanza dell’ odierna Georgievsk. Se da cotesta ripartizione generale tra i due Ordini si possono fare induzioni sulla qualità del Vescovo o della sede e sua situazione, non è però a considerare ciò come costante e durato in progresso, come alcuno ha creduto poter sempre argomentare. Si capisce che le teoriche, per quanto bene concepite e grandiose, devono cedere il luogo alla inesorabilità dei fatti. In regioni così del qual lo imperi commenda en la Provincia de Burgaria e feneix en la Cintai de Or ganci (Urghengi, la capitale già del Kowaresm presso l’Amu Daria, nominata anche da Pegolotti). Lo senyor es appellat Senior del Sarra (di Sarai, la sua capitale). Altrettanto è detto nel già citato Itinerar. Ant. Ususmaris, ms., a carte 2 : In ista provincia manet Imperator Usbech scilicet in Civitate Serai. Imperium suum.... incipit in provincia de Burgaria scilicet in Civitate de Vecma et finit in Civitate de Cerganghi (Organci) versus levantem. Il dotto Castiglioni, Monete cufiche succit., p. 242, prese un grosso granchio qui, confondendo Vecma con Uviek o Ukaka, e la Bulgaria nuova 0 minore sul Danubio colla antica o grande sul Volga. È chiaro che il confine di Bulgaria nel passo predetto è ove finisce 0 comincia l’Impero da verso ponente. Vecma deve essere la Vitina, ora detta Kamcik, fra Varna e Capo Emineh; nominata Ve^a nella Carta Catalana, e la Vi fa nella carta del genovese Pietro Visconte; e cosi anche dee leggersi nell’Atlante Luxoro (Atti della Società Ligure, V. 244). Vedremo a Vicena un convento di frati. Questa discussione fa anche capir meglio il distretto assegnato verso il 1317 dal Papa Giovanni XXII alla Diocesi genovese di Caffa, cioè da Serai a Varna. - 58? - lontane esposte ad interruzioni, rivoluzioni, sospetti, occorreva provvedere come si potea. Quindi é che vedemmo nel 1370 un Arcivescovo a Serai, cacciato, pare, dalla Cina e qui trasportato come a nuova sede metropolitana. Troviamo tracce d’altri Arcivescovati ora a Kerce (medioevale Vosporo) sulla estrema punta della Crimea ed ora invece sulla costa asiatica posta di rim-petto, a Matrega, cioè nella penisola di Taman ove ebbero signoria nel secolo XV i Ghizolfì. Anche la costa di Circassia e d’Abcassia e la regione del Cuban pajono diventar sedi di Vescovi, e sul delta del Don comparisce alla Tana (Azof) il nostro domenicano fra’ Antonio da Levanto insignito di tale dignità. D’ altra parte la Signoria genovese in Crimea favorisce l’erezione d’altre sedi in progresso di tempo; Solcati entro terra e Kerson presso 1’ odierna Sebastopoli, e le più note di Balaclava (Cembalo) e Sudak (Soldaja); ed allora vediamo nella principale di Caffa alternarsi coi Vescovi dell’ Ordine minore altri di quelli dei Predicatori. Finalmente le posizioni topografiche più 0 meno incivilite si troveranno indicate nel numero dei conventi occupati in quei paesi; solo che coll’ ajuto della scienza odierna si raddirizzino e si collochino al vero luogo que’ nomi storpiati che il Waddingo penò ad accozzare da diverse fonti per gli anni 1260, 1314, 1400 (1). (1) Waddingus, al 1260, IV, p. 34; al 1314, VI, p. 227; al 1400, IX, p. 233. I nomi delle città che seguono furono in parte sopra dichiarati; gli altri si possono vedere dichiarati nelle opere succitate, alle quali si aggiungano YAtìas di Hughes per le loro posizioni geografiche in latitudine e longitudine; Geo-graphie d’Aboulfeda, traduzione Reinaud, Parigi, 1848, specie voi. II, par. I, — 588 — Passando di gran corsa le più note stazioni dell’ Arcipelago, di Costantinopoli e di Galata, ci inoltriamo nell’ Oriente ulteriore per Lajazzo dell’ Armenia minore o Cilicia, l’una delle due grandi porte (che Trebisonda é l’altra) praticate allora dai viaggiatori. A Lajazzo documenti inediti ci mostrano annessa alla Loggia genovese la chiesa di San Lorenzo fondata da un concittadino il quale mantiene il suo patronato contro l’Arcivescovo cattolico di Mamistra (ora Missis, 1’ antica Mopsuestià). Dell’altro Arcivescovo ivi, quello di Tarso, troviamo una nave in relazioni commerciali coi Genovesi; e fra gli insigniti di quel grado riconosciamo nomi a noi almeno vicini, come Daniele di Tortona. La grande Armenia conta parecchi conventi, in Erzerum, Carpi, Akaltziche e altri luoghi meno spiegabili; senza contare i numerosi di rito armeno e 1’ Arcivescovado di San Taddeo (oggidì Maku) presso la riva destra dell’ Arasse, ove pure era un convento minorità (di Caracesia o Ca-raclesia). La Giorgia ha in Tiflis Vescovo e convento ; la Persia ha Tebriz con presso alla città il convento di Kongurolang; ha inoltre Dehikirgan e Meraga con Sivas dell’ Asia minore, da noi sopra spiegate. La Cina, o Catai come allora dicevasi, avea conventi a pp. 283 e segg.; Bruun, Periplo del Mar Caspio secondo le carie del XIV0 secolo, Odessa, 1872 (in russo), coi facsimili ivi delle carte Catalana e Pizigani ristretti a questa parte; lo stesso Bruun, Geograpbische Bemerkungen \u Schiltberg s Reisen, nei Rendiconti dell’Accademia delle Scienze di Monaco, 1869, II. 3; oltre il cià citato opuscolo pure di lui in russo, La residenza dei Chan dell Orda d’Oro, Kiew, 1876. In tutte le quali Memorie dal mio dotto amico sono notizie eruditissime, e pressoché ignote fra noi, su quel settentrione dove pure i nostri antenati presero una parte cosi splendida. Me ne son giovato particolarmente pel Caucaso, — 589 - Tsiuan ccu-fu (Zaiton) nel Fu-Kiang, altri due a Yang-ceu-fu sul fiume Yang-tse (Iamzu) e a Hang-ceu-fu nel Ce-kiang (Quinsay). L’Impero de medio 0 dell’ Ogotai-Giagatai, aveva almeno Kulgia (Almalich 0 Arabalec) nota allora pel passaggio degli Europei fra il Volga e la Cina. E ritornando per quella via in Europa, il mercante incontrava, come le fiere 0 mercati, così i conventi in Ur-ghengi (Organsi, Organe) sull’Amu Daria in quel di Chiva, in Astrachan (Hagitarchan 0 Gittarcan), e a Serai sul Volga la capitale del Kipciak con un convento di San Giovanni a tre miglia. Volendo, come già i fratelli Polo, inoltrarsi ancora più a settentrione lungo il Volga, il viaggiatore cristiano trovava conforto e suggerimenti a Uvek (Uguech, Ucaca), non lungi dall’ odierna Saratov, a mezza via tra Serai e Bolgar ; e in Bolgar stessa (Bilar o Bileria) riconosceva l’antica capitale dei Bolgari le cui rovine si vedono tuttora presso il confluente del Volga alla Cama, a meriggio di Casan. Scendendo invece da Serai a mezzogiorno per Astracan si entra nella regione dal Caucaso, dove i francescani tenean convento a Magiar (Majeria) sul Kuma, 1’ antica capitale dei Magiari sovra nominata; ed avevano estese le predicazioni a Giulad (Zezulat) sul Terek, a Tarku, a Djevet (Daveck), a Tiumen (Thuma) sul Mischlak (Michaa), a Kumuk nel Sciabran, e oltre Caucaso a Scemaki nel Scirvan. Le rive più ospitali del Mar Nero offrivano in Crimea volti cittadini ed amici da Azof (Tana) a Caffa, a Soldaja, a Balaclava (Cembalo), di dove uom poteva anche un poco internarsi a Eski Krim (Solcati), capitale allora di quella penisola; e dalla penisola finalmente si approdava a Galata; sia passando per la costa settentrionale ove erano i conventi di Acker- — 590 — man (Maurum Castrum), Vicena (Vitzina o Kamcik, non lungi da Varna), sia per quella di mezzogiorno che offriva i conventi di Trebisonda, Samsun (Simisso), Sinope, Amasserah (Salmastro). Ed eccoci, dopo percorse di volo le stazioni civili di Oriente e dopo aver visitata una seconda patria medioevale in Caffa di Crimea, salutarne una terza a Pera, ora Galata, rimpetto a Costantinopoli. Nella quale lasciamo il lettore, che ha potuto pazientemente accompagnarci fin qui; ma non lo abbandoneremo senza consegnarlo al collega cav. Belgrano, che va illustrando le patrie memorie in quella non solo cara, ma ancora oggidì per noi così rilevante regione. Public Record Office. — Exchequer, Treasury of Receipt, Miscellanea num. 49. FRAMMENTO MINORE — PARTE PRIMA Spese fatte in Genova dall’Ambasciata in partenza verso la Tartaria (Persia). Conti in lire, soldi e danari di moneta genovina. MEMBRANA I (i). Compotus Domini G. de Langele Januam. Expense forincece (sic) facte apud Januam in itinere versus Tar-tariam per dominum Percivalem de Gysolphis In primis in stopis de ceda prò aketon domini G. xij s. Item in una litera convencionari ij s. Item in fustanea prò aketon Joannis clerici et Manfredi xl s. Item liberatum cuidam mercatori pro vj Cannes et dimidia de viridi glauco prò domino xix li. xvj s. vij d. Item liberatum cuidam Armigero infermo pro expensis suis de Janua usque Angliam qui venit cum domino de Anglia usque Januam xxxj li. iij s. iiij d. Item in pellura de Grys prò domino ix li. xj s. •Item liberatum cuidam mercatori pro duabus peciis de borello pro familia xviij li. Item pro Riua dicti panni iij s. Item in ij peciis de verga vermili pro familia xvij li. xv s. iiij d. Item pro Riua (1) 11 Ms. venuto da Londra procede in ordine inverso. La presente è la membrana 4.1 ed ultima del frammento, la nostra 11 è colà Ia 3.11; e così di seguito viene la nostra II come 3.*, la nostra Icome 4.“. A me è sembrata più naturale tale mutazione; ma era giusto avvertirla. - 592 - dicti panni xvj d. Item pro lucro de R.....(i) petierum xv s. Item in tolta dicti panni ix s. ij d. Item in una canna et dimidia de panno vermili pro tabardo domini iij li. xviij s. ix d. Item in j pecia et dimidia de panno vermili pro tenda galee et in ij cannis de Iaune pro eadem xj li. xij s. iij d. Item in ij cannis de bleuetto prò domino iij li. vij s. iij d. Item in ij .peciis de verga de Ipre pro armigeris xxix li. ij s. vj d. Item in una cupa argenti cum pede et in quatuor aliis ciphis planis argenti xvij li x s. iiij d. Item in una coopertura de veyr prò domino xvij li. x s. Item in ij peluris de grys prò domino xvij li. Item in ij fururis de scourioP viij li. Item in xij discis, xij salseriis, et vj platellis argenti clxxvj li, ij s. iij d. Item in xv carpitis x li. xv s. vj d. Item in una furura de gros veyr ix li. Item in vij cannis et vij palmis saldati (? ‘faldati’) vermili pro coopertura viij li. xvij s. ij d. Item in panno albo prò caligis domini xij s. Item in nigro scarleto pro caligis domini xlvj s. Item in vij piatis ferreis, xj bacinettes et ij lavatoreis ij clavatoreis et uno scuto xvij li. iij s. Item in ij aketonis pro familia xvj li. iiij s. Item in fururis agnorum pro tota familia xiij li. xij s. Item in panno........... Spese lungo il viaggio; e qui a Brindisi. Conti in lire, soldi e danari di moneta di reali. MEMBRANA II. Expense forincece (sic) facte per Nicholaum de Chartres apud Brand’ (Brandusium) in moneta Regali. In primis in uno cultello empto pro domino lj s. ix d. Item in vij ulnis canevac iij s. v d. Item in uno pari sotularium prò Willelmo summeterio iij s. v d. Item in sotularibus pro W. coco iij s. v d., in una gratura et ij coclearibus ferreis v s. iiij d. Item in una palla enea ix s., in tela lingea vj s. x d., in uno caldare x s. iij d. Item in expensis trumppatoris et unius nunciatoris per (>) Vi è un buco nella pergamena. — 593 - ij dies apud Brand’ xiiij s. iij d. Item liberatum domino v s. vj d. Item in portacione iiij barillarum viij s. vij d. Item in drapperia empta pro falcone ix s. j d. Item in uno pari sotularium pro domino iij s. v d. Item in uno pari sotularium pro N. de Chartres iij s. v d. Item in tondura panni xvj d. Item in una furrura de ventre leporum pro una pilice x s. j d. Item in una furrura^ de gris Ixiiij s. xj d. Item in tonsura unius pecii panni bleuetti iij s. iij d., in una furrura Wolpentina x s. iiij d. Itum in uno pari cerotecarum furratarum pro domino x d., in factura unius furrure et caligis (sic) domini xij d., in furratura predicte supertunice xiiij d. Item in cendato et filo emptis pro robis domini vj s. ij d. Item in filo nigro et ligatura ix s. Item in tonsura caligarum domini viij d. Item in ceda et filo pro robis domini ij s. vj d. Item liberatum domino xj s. Item in uno pari sotularium pro J. clerico iij s. iij d. Summa xiij li. iij s. iij d. — probatur. Item, ibidem, in supersingulis ij s., in factura tunice domini Oldebrand’ xiij d. Item in papero ij s. ix d. Item in uno locato pro Manfredo xvij s. viij d. Item in pannis lavandis xiiij s. Item in inuictis (? ‘j umetis’) xiiij d. Item in nattis v s. j d. Item in factura robarum trumppatorum xiij s. viij d. Item in sotularibus pro uno garcione iij s. iiij d. Item in una ferura ij s. Item in lerr plesr (?), domini ix d., in sotularibus J. clerici emendandis xij d., in expensis Tossequyn trompatoris infermi per iiij dies iiij s. Item in uno streillo xx d. Item in batilagio xviij d. Item in uno cultello.......■. and’ xiij s. x d. Item in sotularibus J. clerici iij s. iiij d. Item . . ....... MEMBRANA II bis (i). .... stipend’ viij.........pro capiciis gerfalconum iij s ix d. Item...........falconaris v s. Item in uno pari (i) Questa clic io chiamo 2.* bis, nel ms. pervenutoci sta come membrana 5.a del frammento maggiore; il quale nel resto è tutto di spese fatte a Trebisonda e in moneta d’aspri: perciò mi parve dover essere questo il suo posto. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XIII, Fase. 111. 58 - 594 — sotularium pro eodem iiij. s.........-nio emend’ ij s ij d. Item in una furrura capicio.......... Summa xvi.......s v. d. — probatur. Item, ibidem, in xij bokelettis argenteis pro sotularibus domini xliiij s iiij d. Item in sotularibus pro uno Trurtipatore iij s iiij d. Item in uno pari sotularium pro W. coco iij s iiij d. Item in sotularibus Tassini......•. . Item liberatum domino.....d. Item in una furrura de ventre leporis viij s iiij d. Item liberatum domino iij s iiij d. Item in vij cannis lingee cayle iiij s x d. Item in fenestris muris faciendis...............tegulis et pro stipendio unius carpentarii et unius copertoris per ij dies xvj s v d. Item .... [walleto]? .... [ca?]stellani de Tare[nto?]...... xj s. Item in batilagio xvij d. Item in una furrura xvij d. Item in.........onentorum xxiij s. Summa. (non intelligibile). Summa summarum istus Rotuli xxxvj li xix s. viij d. Regalium, qui valent xxxvj fflor xix reg. probatur; qui regales valent ix gra[naj (i). Spese da Trebisonda e da altre città dell’Asia minore fino a Tebriz. Conti in moneta d’ aspri. MEMBRANA III. Compotus domini G. de Langele de quibusdam expensis suis in eundo versus Tartariam factis per manus domini Buscarelli. Expense facte per Buskerellum. (Poi segue, ma cancellato) In primis liberatum Conerato et Nicholao de Chertres pro expensis suis apud Curiam Tartarinam videlicet pro expensis suis et comitive sue eundo de Dymesho (?) (2) in Sauaste ad Curiam Tartarinam pro conductu petendo de Rege Tartarorum pro domino G. ut veniret (1) Sul dorso di questa membrana è scritto: « Quedam expense forinsece et necessarie domini G. de Langele et familie sue facte eundo versus Tartar ». (2) Dimesho, se’ equivale al Gnmesho che segue, sarà Gumisce-Khanè, che sulle carte si vede essere non lungi dalla via che da Trebisonda va a Baiburt (Papet tum), Sarakana non si sa spiegare. - 595 — ad Curiam suam pro nuncio suo faciendo. (Qui segue per dar ragione della cancellatura: « quia allocatur alibi plenius »). Irem in uno equo empto pro domino G. iiijc asp. Item in una cella xxx asp. Item in una tenda clxij asp. Item in uno parasole lx asp. Item liberatum Conrato suprascripto pro dampno habito monete domino G. prestite M asp. Item liberatum Guliolo pro equis suis quos Nicholaus duxit de Seuasto cclxx asp. Item liberatum pro ij peciis de pannis (sic) de ceda pro domino cl asp. Item pro tela de Coton. pro . pavilono cum duobus bocramis facto (sic) apud Trapesunde vcxlvij asp. Item pro.....pro capellano xl asp. Item liberatum pro panno vermileo et glauco pro armis pa- vilone (sic) et coopertura sellarum Iiij asp Item in uno...... pro uno latimerio cc asp. Item in uno moulo empto ibidem pro domino MI asp. Item in una barga per Buskerellum....... Gumesho vc asp. Item in locacione xxx equorum de Trapesunde usque Papertum Miij'-'xxxj asp. Item in locacione xiiij equorum de Paperto usque Sarakana iiijcxxx asp. Item in una pecie (sic) de tela de Rancyen data domine Argerone cciiijxxj asp. Item liberatum cocis Imperati- (i) Trapesunde c asp. Item liberatum Danesio Turchemanno pro ejus servicio c asp. (Item in uno parasole empto apud Taurisium iijclx asp. — Questo 'e cancellalo'). Item in una pecie (sic) panni vermilii data cuidam nuncio Tartarino qui nos conduxit usque Trapesunde cclx asp. Item liberatum apud Seuastum Martino latimerio iijc asp. Item in pane et vino emptis apud Taurysium per dominum Buskerellum et misso (sic) apud Marendam pro stauro ciiij asp. Item apud Constantinum Nobilem (2), per manum Buskerelli, pro xiiij pikes de bleuetto pro capellano xvij p. xij car. Item in xv......pro domino ix p. Item in una furrura Wolpentina empta in galea pro domino v p. ss. Summa totalis istius cedule vijmill’cclxviij asp. — probatur. (1) Questa parola non è ben distinta; forse: Imperatricis. (2) S’ intende Costantinopoli, clic nel medio evo troviamo altre volte interpretata in siffatta guisa. — 596 - Spese straordinarie dal 15 aprile fino al 22 settembre 1292 principio del ritorno. MEMBRANA IV. Expense Nicholai de Chartres scutiferi domini G. eundo in Nuncium domini G. ad Curiam Tartarinam per tresvices, una cum expensis dicti domini G. per iij dies eundo usque Taurisium, familia sua remanens apud Marendam ut patet inferius (1). ss. Expense Nicholai inorando apud Savastum expectando Rex Tartarorum et morando post adventum ejusdem Regis ibidem procurando conductum de eodem Rege pro domino G. ut veniret ad Curiam suam pro Nuncio suo faciendo et redeundo de ibidem usque dominum G. de ibidem usque Trapysonde. In primis a die Martis xv Aprilis usque octo dies sequentes, in expensis cibi et potus et aliarum rerum xlviij asp. Item a dicto die Martis xxij. Aprilis Usque diem vij. Maii qui sunt die (sic) xv ciiij asp. Item liberatum cuidam Tartarino die Jovis viij Maii pro suis expensis xviij asp. Item in candelis vj asp. Item in locacione unius domus pro equis per viij dies xviij asp. Item die Veneris, in pisce, pane et vino, cum equis, xv asp. Item in perticis pro una tenda ix asp. Item in expensis predicti Nicholai et unius nunciatoris cum duobus latimeris (sic) et tribus equis de Seuasto usque Trapesunde cxviij asp. Item liberatum Martino latimerio pro ejus servicio ccl asp. Summa vciiijxxvj asp. probatur. (Su un cartellino attaccato) : « ss. In expensis Nicholai scutiferi domini Galfridi et Conràdi nepotis domini Buscarelli et comitive sue, euncium de Semisso usque Cassariam ad Curiam Regis Tartarorum in nuncium domini G., et redeuncium de Cassariam usque Seuastum in veniendo versus dominum G. per manus dicti Conradi facientis expensas et reddentis compota de eisdem in grosso M1’ ccclij asp. »). Expense ejusdem Nicholai cum ivit de Trapesunde usque Curiam Tartarinam. Item, in primis, in expensis ejusdem N. et duorum (1) Nella Prefazione abbiamo spiegato che questi e i nomi seguenti di luoghi corrispondono a Tebriz Mehrend, Koi nell’Aserbaigian ; Erzerum in Armenia; Trebisonda, Sivas, Kaisarieh nell’Asia minore, Di Cartotya e Latatk nulla sappiamo. — 597 - latimeriorum de Trapesunde usque Argeron cum equis xlvij asp. Item de Argeron usque Curiam in expensis predictorum lxxvij asp Item in ferrura equorum de Trapesunde usque Curiam xxv asp. Item in expensis predictorum de Curia usque Coyam xxx asp. Item in locacione unius equi prò uno latimerio viij asp. Item in expensis predictorum de Coya usque Taurisium xviij asp. Item apud Taurisium in una veste tartarina pro dicto N. xxv asp. Item liberatum Simoni latimerio pro ejus servicio xxiiij asp. Item liberatum hominibus qui conduxerunt ipsum N. xxxiiij asp. Item in una cathedra pro ipso N. vij asp. Item in una cipho eneo iij asp. Item in sturges iij asp. Item in expensis predictorum in Taurisio cvij asp. Summa iiijcxviij asp. — probatur Item in expensis de Taurisio usque Cartotyam pro predictis xxij asp. Item in ferrura equorum v asp. Item in uno equo empto ciiijxx.....asp. Item in capistr’ profinello et pastura ix asp. Item eundo apud {sic) in ferrura equorum ix asp. Item in expensis unius equi infirmi qui ibidem remansit pro xiij diebus xxviiij asp. Item in expensis dictorum de Taurisio usque Latatk’ xxiij asp. Item in expensis dictorum ibidem per iij dies xxxiij asp. Item in ferrura et sellis emendandis vij asp. Item in expensis eorundem de Latatk’ usque Argeronum xxiiij asp. Item in uno garcione misso ad dominum G. xxv asp. Item in expensis predictorum de Arger(o)-no usque Trapesunde xxxvij asp. Item liberatum Danesio latimerio pro ejus servicio iiijxxxj asp. Summa vcv asp. — probatur. Item in expensis ejusdem N. de Argerono usque Curiam per xxj dies eundo et redeundo cum tribus equis cxxviij asp. Item hominibus custodientibus viam xv asp. Item in ferrura equorum ix asp. Item in expensis unius equi infermi et unius garcionis qui remisit per viam xlviij asp. Summa cc asp. — probatur. Item expense ejusdem N. cum ivit cum domino apud Taurisium, in primis die Lune xxij Septembris, in pane x asp. Item . . . (// resto della membrana è distrutto). — 59§ — FRAMMENTO MAGGIORE. Spese di soggiorno a Trebisonda lungo il viaggio verso la Tartaria. I conti sono in aspri. MEMBRANA I. (trapesende) TERCIUS (i). Item die Veneris xx die junii, apud Trapesende, in pane xv asp. Item in vino xv asp. Item in pisce xxij asp. Item in rys ij asp. Item in.......ij asp. Item in lacte ij asp. Item in olio v asp. Item in bosco iij asp. ij r. Item in fructu iiij asp. ij r. Item in farina lj asp.........Item in molacione vj novacularum et cultellorum domini j aisp. Item in ceda pro capellis gerfalconum j asp. Item in gallis pro gerfalconibus iiij asp.......asp. ij. r. Summa iiijxx xj asp. Item die Sabati sequenti, ibidem, in pane xviij asp. Item in vino xxiij asp. Item in pisce ix asp. Item in* ovis iiij asp. ij r. Item in olio vj asp. Item in lacte ij asp. ij r. Item in erbis pro tartis j asp. Item in casio iij asp. Item in portacione ij r. Item in pannis lavandis vij asp. Item in uno operatore (2) argenti prò gerfalcone vij asp. Item in una lancea de precepto domini iiij asp. Item in prebenda pro dictis equis xiij asp. in ferrura ij asp. Item in una strel . . pro equis j asp. Item in gallis pro gerfalconibus iiij asp. Summa c iiij asp. iij r. Item die Dominica sequenti, ibidem, in pane viij asp. in vino xxiiij asp. in grossa carne xxv asp. Item in tribus purcellis iiij asp. Item in gallis et pullis viij asp. Item in uno agne (sic) iiij asp. Item in columbis ij asp. Item in ovis iij asp. Item in casio ij asp. iij r. Item in lacte ij asp. ij r. Item in bosco iij asp. ij r. (1) Trapesende ce lo aggiungo io qui, come alla membrana seguente aggiungo Trapesende quartini il tutto in analogia al Trapesende quintus, che per fortuna si è conservato nell* ultima membrana. Si vede che i conti si continuano in ordine: ed e tanto più a lamentare clic sieno perduti il hrimtis c il secundus del soggiorno a Trebisonda in andata. (2) « (o)patore ». — La prima lettera non e ben distinta. - 599 - Item in erbis prò potagio et tartis j asp. Item in portagio j asp. Item in papera (sic) iij asp. Item in prebenda pro dictis equis xj asp. Item in ferris et clavis pro stauro xxviij asp. Item in gallis pro gerfalconibus iiij asp. j r. Summa cxxxv asp. Item die Lune sequenti, ibidem, in pane xvj asp. in vino xij asp. ij r. Item in grossa carne xij asp. Item in pisce vij asp. Item in ovis vj asp. Item casio iij asp. ij r. Item in lacte ij asp. ij r. in fabis novis ij asp. Item in olio iij asp. Item in erbis prò tartis j asp. Item in bosco vj asp. Item in buttiro j asp. Item emendacio (sic) unius aketoni Roberti j asp. in fructu j asp. Item in custura duorum sotulorum ad caligas domini j asp. ij r. Item in portagio j asp. j r. Item in prebenda xj asp. Item in ferrura iij asp. ij r. Item in xij sellis hernasei cxliiij asp. Item in gallis pro gerfalconibus v asp. Summa cclxxv asp. iij r. Item die Martis sequenti, ibidem, in pane xviij asp. Item in vino xlij asp. Item in grossa carne xxj asp. Item in duabus capris v, asp. Item in gallis et pullis xv asp. Item in columbis vj asp. Item in pisce ij asp. Item in potagio iij r. Item in olio iij asp. Item in lacte ij asp. Item [in]........iiij asp. Item in coquitura de tincell’ ij r. Item in portagio j asp. Item in amigdalis prò stauro xxj asp. Item in prebenda xv asp.......[Item in ] gallis pro gerfalconibus iij asp. ij r. Summa cl.........r. Item die Mercurii sequenti, ibidem, in pane xix asp., in vino xlviij asp. Item in grossa carne xviij asp. Item in capris vj asp. Item in g[allis et] pullis gallinis iij asp. ij r. Item in columbis ......asp., in pisce v asp. Item in potagio iij r. Item in olio iij asp. Item in farina j asp. Item in la[cte]......asp. Item in ovis ij asp. Item in fur [rura?].....ag[ni ?] v asp. Item in uno ac. ij asp. Item in portagio iij r. Item in prebenda xiiij asp., in ferrura . . . iiij asp. Item in gallis pro gerfalconibus iiij asp. j r. Summa cxxxix [asp.]........ Item die Iovis sequenti, ibidem, in pane xviij asp., in vino xxxjx asp. Item in grossa carne xxvij asp. Item in gallis et pullis Festum Sancti Johannis, — 6oo — v asp...........Item in tribus aucis xij asp. Item in pisce ij r. Item in olio ij asp. Item in ovis ij asp. ij r. Item in potagio iij r. Item in bosco......... Item in lacte .... asp. Item in fiuctu vij asp. Item in portagio j asp. Item in coquitura tartium j asp. Item in duabus brayeriis prò.........ij r. Item in prebenda et erba xij asp. Item in ferrura et emendar, pedem unius equi clavati iij asp. ij r. Item in gallis pro gerfalconibus iiii asp. Summa cliij asp. Item die Veneris sequenti, ibidem, in pane xvj asp. in vino xlviij asp. Item in pisce xviij asp. ij r. Item in rys. prò stauro xiiij asp. Item [in] olio ix asp. Item in ovis j asp. Item in lacte . . . asp. ij r. Item in erbis et petrocillum (sic) j asp. Item in farina j asp. Item in bosco iiij asp. ij r. Item in duabus libris et dimidia de sucre xv asp. Item in fructu iiij asp. j r. Item in ollis et gubeletes ij asp. Item in portagio j asp. j r. Item in emundacione stabule iij asp. Item in duabus longis formis iiij asp. j r. Item in nactes j asp. Item in duabus furruris de Taurisio prò domino G. xvj asp. Item in una crata ferrea iij asp. Item in una furrura de veyrgris prò capicio domini xlviij asp. Item in prebenda et erba pro equis, xij — xj asp. Item in tribus sturgis iij asp. Item in gallis pro gerfalconibus v asp. Item in una domo in quo fuerunt gerfalcones xxxiij asp. Summa cclxvj asp. ij r. Item die Sabati sequenti, ibidem, in pane ix asp. Item in vino xlij asp. in pisce ix asp. Item in casio xv asp. Item in ovis v asp. Item in lacte ij asp. ij r. Item in farina j asp. Item in erbis prò tartis iij r. Item in olio iij asp. Item in bosco iiij asp. Item in fructu iiij asp. Item in superstagnare unum cacabum ij asp. Item in molura cultelle Botelerie ij r. Item in pannis lavandis x asp. Item in portagio ij r. Item in xiiij nattis pro Boteleria et aliis domibus vij asp. j r. Item in corda prò sumatoriis xlij asp. Item in duabus lincellis prò Roberto et Ricardo xviij asp. Item in emen-dacione unius ensis Ricardi ij asp. Item in prebenda et herba prò equis xj asp. Item in ferrura j asp. ij r. Item in de.....estrenis vj asp., in gallis pro gerfalconibus iiij asp. Summa cc aspres. — 6oi — Item die Dominica xxix die Junii, apud Trapesende, in pane xviij asp. in vino xlv asp. ij r. Item in grossa carne xxxiiij asp. Item in gallis et pullis gallinis viij asp. Item in linguis bovinis salatis prò stauro viij asp. Item in ovis viij asp. Item in casio iij asp. Item in farina j asp. Item in erbis iij r. Item in lacte ij asp. iij r. Item in bosco vij asp. Item in fructu iij asp. Item in fiolis ollis et veyrs xij asp. Item in portagio j asp. ij r. Item in prebenda et erba pro dictis equis xiiij asp. ij r. in ferura j asp. ij r. Item in gallis pro [gerfalconibus].... asp. ij r. Summa clxxij asp. Item die Lune sequenti, ibidem, in pane xviij asp. Item in vino xlvj asp. Item in gròssa carne..........Item in duabus capris viij asp. [Item] in gallis et pullis ix asp. Item in uno purcello iiij asp. Item in lardo vj asp. Item in ovis ij r............Item in farina j asp. [Item in] fructibus iiij asp. Item in coquitura lartium j asp. Item in bosco v. asp. Item in portagio iij...... ............xij asp. Item una sella xv asp. Item in gallis pro gerfalconibus v. asp. (La somma è perduta). Item die Martis sequenti, ibidem, in pane xvij asp. Item . . . ..............ij asp. ij r. Item in ovis ij asp. Item in ..................bosco iiij asp. Item in fructu ij ..................iij asp. Item in prebenda et erba (La somma e perduta). Item die Mercurii.................. MEMBRANA II. (trapksende quartus). Item die Lune vij Julii........• Item in duobus agnis ix asp. Item...........ij r. Item in cenapio et petrocillo j — 602 — asp............ac. ij asp. Item in prebenda et erba prò equis predictis xj asp. ij r. Item in ferrura iij asp. Item in gallis pio gerfalconibus iiij asp. Summa cxxxj asp. j r. Item die Martis viij Julii, ibidem, in pane xxiij asp. Item in vino xlviij asp. Item in grossa carne xxij asp. ij r. Item in tribus agnis xiiij asp. Item in.....purcello ij asp. Item in gallis pullis gallinarum xij asp. Item in pisce viij asp. Item in potagio j asp. Item in olio ij asp. Item in lacte.....Item in caseo xvj asp. Itera in ovis ij asp. Item in farina j asp. Item in fructu iiij asp. Item in vino aceto j asp. iij r. Item coquitura j asp. Item in mappis lavandis ix asp. Item in bosco v. asp. Item in portagio j asp. Item in una tunica prò Joueto de coquina........•.......in uno pelle bovino prò roundelP ad pavilonem xxvj asp. Item in prebenda et erba prò equis xij asp. Item in gallis pro gerfalconibus iiij asp...... Summa ccxxxviij asp. j r. Item die Mercurii sequenti, ibidem, in pane xvj asp. Item in vino xlv asp. Item in grossa carne xviij asp. Item in gallis et pullis xj asp. iij r. Item in..........asp. Item in pisce ii asp. Itera in lardo ij asp. Item in potagio j asp. Item in fai ina j asp. Item in bosco iiij asp. ij r. Item in lac[te] . . . [asp.] ij. r. Item in fructu iij asp. iij r. Item in portacione j asp. Item in prebenda xiiij asp. ij r. Item in ferrura v. asp. Item in........xxij asp. Item in xx sturges - xx asp. Item in panellis xv asp. Item in gallis pro gerfalconibus iiij asp. Summa ciiijXI viij asp. Item die Jovis x Julii, in xvj asp. Item in vino xxxvj asp. Item in grossa carne xxv asp. Item in duobus agms ix asp. . . . r. Item \n ..........et pullis x asp. Item in purcello iiij asp. Item in lardo’ prò s'tàuro xij asp. Item in ovis iiij asp. ij r. Item in lacte prò charleto iiij asp. Itera in erba prò tartis iij r. Itera in columbis j asp. Item in bosco iiij asp. j r. Item in v(i)no aceto ) asp. Itera in farina j asp. Itera in.......'j asp. Item in P01‘ tacione j asp. Item in perkes prò una tenda iiij asp. Item in panno lintihiamini prò Roberto, Ricardo et Gerardo xxx........Item — 603 — in prebenda et erba xv asp. Item in galli* prò gerfalconibus iiij asp. Summa ciiijxx xiiij asp. Item die Veneris xj Julii, ibidem, in pane xij asp. Item in vino xl asp. Item in pisce xix asp. in olio vj asp. Item in cepe et pe-trocillo j asp. Item in bosco iij asp. Item in uno toneure j asp. Item in fructu iiij asp ij r. Item in portagio j asp. Item in prebenda et erba prò equis xvj asp. ij r. Item in uno panello iij asp. Item in una vetera (sic) sella x asp. Item in gallis pro gerfalconibus iiij asp. Summa cxxj asp. Item die Sabati xij Julii, in pane xv asp. Item in vino xlv asp. Item in pisce xvj asp. Item in ovis vj asp. Item in olio vj asp. Item..........iiij asp. ij r. Item in vino aceto iij asp. Item in fructu iij asp. ij r. Item in bosco iij asp. ij r. Item in portagio iij r. Item in emendacione [IJectis iij asp. Item in emendacione viij sellarum cum panellis xxiiij asp. Item in ferrura iiij. asp. Item in uno caneceno peyterelle et croper......., albo prò domino viij asp. Item in uno ferro prò una lancea j asp. Item in emendacione illmus (?) in quo vasa argentea ponebantur iij asp..... ......et erba prò equis x asp. ij r. Item in gallis pro gerfalconibus iij asp. ij r. Summa clxv asp ... . r. Item die Dominica xiij Julii, in pane xvj asp. Item in vino xlyj asp. Item in grossa carne xxij asp. Item in duobus agnis . . . . asp. ij r. Item in gallis et pullis ix asp. ij r. Item in pisce iij asp. ij r. Item in ovis iij asp. Item in lacte iij asp. ij r. Item in bosco iij asp.....r. Item in potagio.......Item in fructu diverso vj asp. Item in vino aceto j asp. Item in portagio ij r. Item in duobus hawes v asp. Item in duobus.............. et furbitura ensis capellani j asp. Item in prebenda et erba prò equis xvj asp. Item in ferrura v asp. Item in uno streylleo .... ...........gallis pro gerfalconibus iiij asp. j r. Summa clix asp. j r. Item die Lune xiiij Julii, in pane xxiij asp. Item in vino xlij asp. Item in grossa carne xx asp. Item in duobus agnis xij asp. ...............ix asp. Item in columbis ij asp. Item in pisce — 604 — i; asp. Item in ovis .... asp. [Item in].....iiij asp. Item in potagio j asp................lacte iij asp.....r. Item [in] fructu . . . asp. ij r. Item in portacione...............gali’ .... r............candele de.....asp. ij. r. Item in cord’ ................paribus caligarum pro J. clerico, Nicholao, Roberto et Gerardo xlij asp............. Summa cciiijxx ij asp....... Item die Martis xv Julii, in pane xx asp. in vino xlv asp. Item in grossa carne xxiiij asp. Item in duobus agnis............. gallis et pullis viij asp. Item in pisce.....asp. Item in olio iij asp. Item erbe pro potagio et tartis j asp. Item in bosco iiij asp. Item in...............ij asp. Item in vino aceto pro stauro vij asp. Item in fructu vj asp. ij r. Item in portacione iij r. Item in hanaperio cum...........iiij asp. Item in bouge (bolge) de coreo pro vasibus argenteis xx asp. Item in uno braerio pro Waltero coco j asp. Item in furbitura..............lbarum ensium vj asp. Item in v ultris de pelle cap[rorum] in quibus portamus vinum 1 asp. Item....................xxvij asp. ij r. Item in ferrura equorum ix asp. Item in una sella xv asp. Item in gallis pro.........r. Summa cciiijxx ij asp. iij r. [Item die Me]rcurii xvi Julii, in pane xj asp. in vino xlij asp. Item in grossa carne xiiij asp. Item in duobus agnis ix asp. Item jn.........pro coquina vij asp. Item in pisce ij asp. Item in bosco iiij asp. j r. Item in potagio et petrocillo j asp. ij r. Item jn........Item in ovis .. . asp. Item in columbis iij asp. Item in olio ij asp. Item in fructu ij asp. Item in portagio j....... Item in pannis lavandis xiij asp. Item in uno capello pro Waltero coco ij asp. Item in viij ciphis j asp. iij r...........scutellas eneas j asp. Item in furburatione ensis Nicholai j asp. Item in duobus botonis de ceda pro capello domini ij asp. Item in prebenda cum erba [pro] dictis equis xxv asp. Item in emendacione vj sellarum redeiì (sic) et anulis pro macis xxvj.......Item in tribus(?) xxvj aSp, Item in canevace pro pannieris equorum iij asp. Item in capistris ij asp. Item in gallis [pro gerfalconibus] iiij asp. ij r. Summa ccxxx asp. ij r. — 605 — Item die Jovis [x]vij Julii, in.........asp. Item in vino xlij asp. Item in grossa carne xix asp. Item in uno agno vi asp. Item in gallis et.......vij asp. Item in [cjolumbis ij asp. Item 'in potagio et erba prò tartis ij asp. Item in lardo ij asp. [Item in] bosco......asp. . . . r. Item in lacte ij asp. . . . r. Item in caseo prò stauro xxvj asp. Item in ovis ij asp............asp. j r. Item in fructu ij asp. j r. Item in portagio ij r. Item in uno lecto de corda .... asp.....in [p]annis lavandis viij asp. Item in prebenda cum erba prò predictis equis xxvij asp. j r. Item in ...........Item in [ferrura]? iij asp. Item in .... prò mula domini viij asp. Item in gallis pro gerfalconibus iiij asp. . . r. Item in pannis lintheis prò garcione xxx asp. Summa ccxxxv...... Summa summarum [istius Rotu]li ij™ vjclx...... MEMBRANA III. TRAPESENDE QUINTUS (i). Item die Veneris xviij Julii, in pane xvj asp. Item in vino xxvj asp. Item in pisce xvij asp. ij r. Itenr in ovis iiij asp. Item in buttiro iiij. Item in cepis et [petrocillo]........Item in olio vj asp. Item in farina j asp. Item in bosco iiij asp. Item in fructu ij asp. Item in portagio j asp. Item in ganves (sic) prò domino j asp. ij r. Item in quatuor.......v asp. ij r. Item in mappis lavandis iiij asp. Item in molura novaculorum j asp. Item in custura duarum caligarum de perso prò domino et in muta-cione manip’ [prò]? Mannifredo ij asp. Item in custura vj parium pannorum lintheorum pro garcione ix asp. Item in uno anaperio de carnote xiij asd. Item in duobus bacinettis argenti emptis apud Trapesende vclxv asp. Item in uno botle prò sella domini iiij asp. Item in cendato empto prò domino per manum Percivalli de Gyolpho iiijX!i v asp. Item in duabus ollis et uno cacabo eneis iiijxx Exspensc forinsece. (i) Questa nel ms. sarebbe membrana 4.*, pel motivo addotto in nota a pag. $91. Perciò anche io assegno alle due seguenti le cifre 4.* e 5.»; laddove nel ms. sono intitolate $.a e 6.». — 606 — xv asp. Item in prebenda cuitì erba prò xvj equis xxv asp. ij r. Item in ferrura equorum iij asp. Item in dois(?) croperes prò duabus sellis v asp. Item in ij feltris prò sella Nicholai et unius alterius v asp. Item in gallis pro gerfalconibus iij asp. Summa ixcxviij asp. iij r. Item die Sabati sequenti, ibidem, in pane xviij asp. Item in vino xxxvij asp. Item in pisce xviij asp. Item in olio vj asp. Item in ovis vj asp. Item in lacte (?).... asp., in farina ij asp. ij r. Item in potagio et verjus j asp. ij r- Item in bosco iij asp. ij r. Item in alea et cepis iij r. Item in fructu iiij .... Item .... prò stauro xij asp. Item in portacione j asp. Item in filo gros(s)o viij asp. Item in emendacione unius aketoni pro Nicholao j asp. Item [in] satisfacciane .... de veyr fractarum viij asp. Item in familia pro schar . . . (sic) ij asp. Item in vj paribus caligarum de coto'n. xxj asp. Item in prebenda pro dictis.....ij r. Item in ferrura iiij asp. Item cuidam marescallo xv asp. Item in pastura prò equis iiij asp. Item in duobus Bes [antis?] .... prò .... asp. Item in tribus sellis xxxiiij asp. Item in gallis pro gerfalconibus iiij asp. ij r. Summa ccxlv asp j r. Item die Dominica sequenti, ibidem, in pane xvj asp. Item in vino xiiij asp. Item in grossa carne xxxiiij asp. iij r. Item in duobus agnis .... asp. iij r. Item.......pulì’ ix asp. ij r. Item in ovis v asp. Item in potagio j asp. Item in cepis j asp. Item in fructu iij asp. ij r. Item in portagio j asp. j r. Item in...... xxij asp. Item in v barillis pro sanula (o fannia ?) xj asp. ij r. Item in uno sacco j asp. Item in emendacione unius .... iiij asp. Item in emendacione .... ligat’ unius anaperii iiij asp. Item in vij coyfes prò Nicholao et Johanni clerico vij asp. Item in ferrura et taches ferreis pro......• iij asp. Item in ..... . ensis domini j asp. Item in una domo per ij menses ccv asp. Item in una domo pro gallis per ij menses......[a]sP* Item in vj paribus caligarum pro capellano Mannifredo, Ricardo, Hubertino, Tassino, et Waltero coco, Ixviij asp. Item in factura custura.... et aliis operibus diversis pro pavilone et tenda iiijcxliiij asp. Item in corda pro trussellis v asp. Item in sumteriis apud Trapesende I — 607 — c......Item in prebenda cum erba pro dictis equis xxviij asp. ij r. Item in gallis pro gerfalconibus iiij asp. Summa ixclxxviij asp. j r. Item die Lune sequenti, apud Trapesende, in pane portando per viam xv asp. Item in gentaculo pro familia xiiij asp. Item in sale portando per viam j asp.......cord’, prò trussellis ij asp. Item cuidam clamanti de Trapesende iiij asp. Item in satisfaccione tabularum fractarum iij......in portagio diversarum promptarum in villa iiij asp.....r. Item in custura et emendacione supertunice Tassini et duorum......de coquina iiij asp......Item cuidam pistori pro mercede sua iiij asp. Item cuidam garcioni portanti aquam ad coquinam iiij asp. Item cuidam lavendario ij asp........ precum domini et Buskerell’ xxv asp. Item liberatum cuidam Petro Arminico pro una tenda clx asp. Item in prebenda pro dictis xvij equis.....asp. Item in.....iiij asp. Item in gallis pro gerfalconibus xvij asp. Summa cciiijxxix asp. Expense apud Trapesende in calciamentura prò tota familia: — In primis in quatuor paribus sotulorum prò domino viij asp. Item in sotularibus et botis prò capellano xvj asp. Item in v paribus pro Johanni clerico ij botis xx asp. Item in iiij paribus et duobns botis prò Nicholao xix asp. Itera, in quatuor paribus sotularium et duobus botis prò Gerardo xx asp. Item in calciamento prò Huber-tino xvj asp. Item in iiij paribus sotularium [et djuobus botis [prò] Ricardo xix asp. Item in iiij paribus sotularium et ij botis [prò] Tassino xix asp. Item in iiij paribus sotularium et ij botis prò Roberto xix asp. Item in iiij paribus sotularium et duobus...... xix asp. Item in sotularibus et botis pro W. de Camera xiiij asp. Item in sotularibus et botis prò Willelmo parvo xvi asp. Item [in sotjularibus.....xvj asp. Item in sotularibus et botis prò Obekyno garcione xiiij asp. Item in sotularibus et botis pro Jak’ garcione x____[asp.] Item [in] sotularibur et botis prò iMartino xiiij asp. Item in sotularibus et botis prò Barbario xiiij asp. Item in sotularibus et botis prò Jak’ de coquina xiiij asp. Item in sotularibus.....Micaeli ij asp. Summa cciii'jxxxiij..... Equi empti apud Trapesende. Samera-cand (?). — 608 — In duobus equis emptis de Juliolo iijc asp. Item in uno equo empto de Benedicto mercatore de Janua.........empt de Huberto de Walsenar’ iiijcv asp. Item in uno equo empto ab uno greco pro capellano.........Item in uno equo empto de ffranseskyno furnario ciiijxxvj asp. Item in uno equo........ Walsenar’ iiijc asp. Summa m (il resto 'e perduto). Item die Martis xxij Julii, apud Cabannum Montanum (1), panis et vinum de stauro, Item in grossa carne, xv asp. Item in por ...........xij asp. Item die Mercurii sequenti in grossa carne xv asp. Item die Jovis sequenti in lacte et ovis iiij asp. . . ........Item die Veneris xxv Julii, apud Papertum, in pane ix asp., in vino xviij asp. in pesce (sic) iiij asp. ij r..... ......olio ij asp. Item in butero j asp. Item in cepis j asp. Item in bosco iiij asp. Item in fructu ij asp. Item in ollis .... ......port j asp. Item in una percica (0 pertica) pro Reta j asp. Item liberatum hominibus qui presentaverunt alapham ad dominum G. vj asp..........xxvj asp. Item in uno crebro j asp. ij r. Item in gallis pro gerfalconibus iiij asp. Item in aylle (?) pro gerfalconibus . . . ........ Summa clv asp. Item die Sabati xxvj Julii apud Papertum in pane xj asp. ij r. Item in vino lxvij asp. Item in g..........gali’- ix asp. Item in lacte j asp. ij r. Item in pisce iij asp. Ilem in ovis iiij asp. Item in potagio j asp...........Item in cepis j. asp. j r. Itein in bosco iiij asp. Item in portagio j asp. ij r. Item in emen- , dacione unius Bacinetti.........duobus pycheris ij r. Item in emendacione ollarum ij asp. ij r. Item in canicul’ pro pavilone iiij asp. Item in corda...........l|jm in erba pro equis xxvj asp. Item in ferrura viij asp. Item quibusdam summeteris qui portaverunt .........per manum capellam cclxx asp. Summa iiijcxxxvj..... U) L’Odierno Kara Kaban, il dorso montano fra Trebisonda e Ba.burt o Paiburt già spiegato e d, cui si parla anche in documenti genovesi. Sameracanda è forse lo stesso nome che la Satana rammentata a pag. 572. Pegolotti ha una Scarnanti; ma è troppo lontana d. qm, venendo dopo Erivan sulla strada fra Trebisonda e Tebriz. , — 6c>9 — Item die Dominica xxvij Julii, ibidem, in pane ij asp. ij r. Item in vino prò stauro cxiij asp. iij r................asp. Item in ovis ij asp. Item in v[i]no aceto (?) ij asp. Item in petrocillo ij r. Item in fructu v asp................. Item in mappis lavandis v asp. Item in portacione vini et aliarum rerum j asp. ij r. Item in corda prò tr[ussellis].......... ........emendacione unius cupe ij asp. Item prò incausto j asp. Item in prebenda et erba xviij asp. Item die Lune liberatum cuidam Tartario vj asp. et omnia alia de stauro quantum ad...... Summa clxix asp..... Summa summarum istius Rotuli vmccxix asp. probatur. ..........< istius Rotuli vmciiijxxix asp. MEMBRANA IV. Ne resta un piccolissimo frammento; solo due o tre parole sconnesse. MEMBRANA V. Altro frammento assai piccolo, con poche parole sconnesse, tra le quali occorre: Item in carne bovina prò gerfalconibus j asp. . .* Summa clij asp. [Summa] summarum istius Rotuli ijmcij asp. — probatur. Sul dorso: — Trapesende. t Marend’ PARTE II. Spese dell’Ambasciata nel ritorno da Trebiz a Genova; e prima conti in moneta d’ aspri. Expeiise Domini G. de Lang’ redeundo de curia Regis Tartarorum usque Januam in veniendo versus Angliam (i). MEMBRANA I. Expense quando dominus G. fuit apud Taurysium. Item die Lune xxij Septembris, apud Gamych’ (2), in pane ij asp. liem vinum de stauro. Item in grossa carne, xij asp. Item in lacte j asp. ij r. Item in potagio j asp. Item in prebenda cum erba prò ix equis xiij asp. Item die martis sequenti, ibidem, in pane vij asp. Item in grossa carne x asp. ij r. Item in gallis ij asp. Item in mappis lavandis iij asp. Item in prebenda cum palleo xiij asp. Item die Mercurii in pane vm asp. Item vinum de stauro Item in grossa carne, x asp. Item in potagio j asp. Item in fructu ij asp. Item in prebenda cum erba xv asp. Summa trium dierum c. asp. Item die Jovis xxv Septembris, apud Gamich , in pane v asp. Item in vino xiij asp. Item in duobus agnis xvj asp. Item in o\is ij asp. Item in lacte j asp. ij r. Item in bosco j asp. ij r. Item in fructu ij 'asp. Item in pannis lavandis ij asp. Item in prebenda xxiij asp., videlicet pro xiiij equis. Summa lxvj asp. Item die Veneris sequenti, apud Coye, in pane ij asp. Item in vino iij asp. Item in ovis iiij asp. Item in lacte iiij asp. Item in (1) Questo titolo e scritto sul dorso dell’ultima membrana. (2) Gamich non lungi da Mehrend non si sa spiegare; Mossela nemmeno, Se non è un Hussein-Kalé o simile. cymino j asp. Item in tructu vj asp. Item in corda ij asp. Item libet atum hominibus venientibus cum equis de Ameranda et de Coyea xxiiij asp. Item in prebenda cum erba xxj asp. Item in clavis vj asp.' Summa lxxiij asp. Item die Sabati sequenti, ibidem, in pane iiij asp. iij r. Item vinum de stauro. Item in grossa carne, iiij asp. ij r. Item in ovis iiij asp. ij r. Item in caseo iiij asp. Item in fructu vj asp. ij r. Item liberatum cuidam homini custodienti anum lipardum xxxij asp. Item in erba pro equis iij asp. ij. r. Summa lix asp. iij r. Item die Dominice sequenti, apud Nosseyam, in pane xij asp. Vinum de stauro. Item in gallis ix asp. Item in ovis ij asp. Item in prebenda xxvj asp. Item die Lune sequenti, apud Villam Ar-minorum, in pane vij asp. Item in gallis vj asp. ij r. Item in pisce j asp, Item in ovis ij asp. ij r. Item in fructu j asp. ij r. Item hominibus de Nossey venientibus cum equis ix asp. Item in uno multone pro lipardo vj asp. Item in prebenda xiij asp. Summa ij dierum iiijxx xv asp. ij r. Item die Martis ultimo Septembris, apud Argis, in pane vj asp. Item in vino xxxviij asp. Item in grossa carne ix asp. ij r. Item in ij aucis xj asp. Item in potagio j asp. ij r. Item in bosco ij asp. Item in ovis ij asp. Item in caseo iiij asp. ij r. Item in sale j asp. Item in alea et cepis ij asp. Item in vino acido (i) j asp. Item fructu vj asp. Item in candelis iiij asp. ij r. Item in portacione ij asp. Item in corda v asp. Item in tribus paribus de botis pro Manfredo, Willelmo de camera et Johanni garcioni xx asp. Item in custura caligarum j asp. Item in prebenda cum erba xxiij asp. Item in ferrura equorum xvij asp. j r. Item in ferris et clavis pro stauro xvij asp. ij r. Summa clxxiiij asp. j r. Item die Mercurii primo Octobris, apud Jaccam (2), in pane vij asp. Item vinum, grossa caro de stauro, Item in gallis et pullis iiij (1) Vino ac nell’ originale. (Nota del Trascrittore). (2) Jacca non si trova se non è Al-Ckck che vedo in una mia carta, presso un laghetto, essere in direzione sufficientemente analoga tra Koi e Argis (sulla riva settentrionale del lago di Van, che allora si chiamava lago d’ Argis). Maresgardò è oggi-Melezkird. — 612 — asp. iij r. Item in ovis ij asp. ij r Item in lotura pannis iiij asp. ij r. Item in prebenda vij asp. ij r. Item die Jovis sequenti, apud Ma-resgarde, in pane iiij asp., in vino iij asp. Item in gallis iiij asp. ij r. Item in ovis iiij asp. ij r. Item in fructu vij asp. ij r. Item in expensis lipardarii prò lipardo in taurisio vj asp. Item in hominibus venientibus cum equis de Argis ix asp. Item in prebenda cum erba vj asp. ij r. Summa ij dierum lxxj asp. j. r. Item aie Veneris iij Octobris, apud quamdam Villam Saracenorum, in pane iiij asp. ij r. Item in ovis ij asp. ij r. Item in lacte ij asp. iij r. Item in corda pro trussariis j asp. Item in prebenda xiij asp. j r. Item die Sabati, apud Villam Saracenorum, in pane vj asp. ij r. Item in gallis iiij asp. ij r. Item in lacte ij asp. j r. Item in ovis ij asp. ij r. Item in prebenda cum erba xxij asp. j r. Item die Dominica, apud Villam Arminorum, in pane iiij asp. iij r. Item in gallis ij asp. ij r. Item in lacte j asp. iij r. Item in prebenda ij asp. Probatur. Summa iij dierum lxxiij asp. ArgerÒn. Item die Lune vj Octobris, apud Argeronum, in pane prò stauro xxxix asp. Item in vino iiijxx ix asp. Item in grossa carne xxviij asp. Item in gallis x asp. Item in uno agno vij asp. Item in potagio Forinsece aSp_ jj r_ jtem jn bosco vj asp. ij r. Item in alea et petrocillo iij asp. Item in sale j asp. Item in fructu iij asp. ij r. Item in ollis j asp. Item in mappis lavandis iij asp. Item in candelis viij asp. Item in uno Turchemanno qui venit cum Manfredo j asp. Item in portagio ij r. Item in vj saccis unde portare panem xviij asp. Item in duobus calanis (? calamis) (r) prò Taudricio et Andreo xxiiij asp. Item in bottis pro eisdem duobus garcionibus ix asp. Item liberatum hominibus de Maresgarde venientibus cum equis viij asp. Item in vij paribus de botes prò capellano, Johanne clerico, Roberto, Gerardo , Roberto, Willelmo, garcionibus, et Martino garcionis xliiij asp. ij r. Item in corda iiij asp. Item in uno cabano prò Nicholao xx asp. Item in uno cabano prò Roberto xx asp. Item in iiij paribus caligarum pro capellano, Gerardo, Colino, Willecoke (i) Io spiegherei cabanis come più sotto, cioè un tabarro o gabbano. — 613 — iiij asp. Item in uno capello pro Willecoke j asp. Item in uno sturge prò Gerardo j asp. Item in emendacione unius bracer hernasii j asp. Item in custura caligarum ij asp. ij r. Item in pannis lintbeis prò Nicholao viij asp. Item in prebenda cum erba xxviij asp. Item in feltris prò sella vj asp. Item in correis pro strettis (i) et factura illorum vj asp. Summa iiijc viij' asp. Item die Martis vij Octobris, ibidem, in pane xij asp. ij r. Item in vino 1 asp. Item in gallis et pullis vj asp. Item in carne bovina et pullis pro pastellis x asp. Item in ovis ij asp. ij r. Item in potagio j asp., in sale ij r. Item in aceto ij asp. ij r. Item in petrocillo j asp. Item in fructu v asp. Item in candelis xij asp. Item in portagio j asp. Item in emendacione unius anaperii j asp. ij r. Item in feltro (? selcró) prò una sella Tartarina ij asp. ij r. Item in prebenda cum erba prò stauro xxxij asp. Summa cxl asp. Item die Mercurii sequenti, ad quamdam Villam Saracenorum, in pane ij asp. Item liberatum menestrallo ij asp. Item in prebenda cum feno xxj asp. Item die Iovis sequenti, apud Papertum, in pane xvj. asp. ij r. Item in vino xx asp. Item in grossa carne viij asp. Item in gallis viij asp. Item in potagio j asp. Item in ovis ij asp. Item in bosco iij asp. Item in cepis ij asp. Item in sale j asp. Item in fructu ij asp. Item in uno broche et pomicione j asp. Item in filo albalestrarum iij asp. j r. Item liberatum homi-, nibus venientibus cum equis de Argerono iiij asp. Item in prebenda cum feno xxij asp. Item in ferrura cum medicinis equorum vj asp. Summa ij dierutn cxxiiij asp. iij r. Itera die Veneris x Octobris, apud Papertam in pane xxiiij asp. Item in vino prò stauro cxxiij asp. Item in ovis xj asp. Item in caseo vj asp. ij r. Item in lacte v asp. Item in candelis xviij asp. Item in sale j asp. Item in tribus saccis pro pane xij asp. ij r. Item in grosso filo j asp. ij r. Item in una corda prò trussariis j asp. ij r. Item in papero et portacione iij r. Item in uno pari (i) Staffe? In inglese slirrups. (Nota del Trascrittore). — 614 — de botes pro Johanne de Coquina vij asp. Item in ij cabban prò Manfredo et J. clerico xiiij asp. Item in ordeo prò stauro Iij asp, Summa iijc vj asp. iij r. (3). Summa istius Rotuli ml Dciiijxx xiij asp. — probatur. MEMBRANA II. Item die Sabati, xj Octobris, in campis, de stauro; Item die Do-mica xij Octobris, in expensis, xxij asp. Item die Lune sequenti, apud Trapezunde, in pane viij asp., in vino xvj asp. Item in grossa carne xxij asp. Item in gallis et pullis viij asp. Item in potagio j asp. Item in bosco iiij asp. Item in fructu v asp. ij r. Item in fìolis et ollis xj asp. Item in discis, platellis, salsariis vj asp.-Item cuidam coco pro servicio suo iij asp. Item in candelis vj asp. Item in conkis et stolis viij asp. Item in porteragio rerum que erant ad domurn Nicholai Aur’ (Aurie) viij asp. ij r. Item in prebenda cum feno pro x equis xxvj asp. Summa clv asp., pro ij diebus. Item die Dominica sequenti, ibidem, in pane viij asp. Item in vino xviij asp. Item in grossa carne ix asp. Item in gallis ei pullis viij asp. Item in una auca ij asp. ij r. Item in potagio ij r. Item in bosco iiij asp. Item in ovis ij asp. Item in cenapio ij asp. Item in caseo et sturgeno et lacte pro Saracenis iiij asp. ij r. Item in fructu'iij asp. Item in candelis iiij asp. ij r. Item in clavis pro aula j asp. Item in custodia equorum pro una nocte viij asp. Item cuidam homini quereliti unum equm perditum iiij asp. Item sum-meteris Saracenis qui duxerunt robas de Taurisio usque Trapezunde cij besaunt, qui valent Dx asp. Summa vjc xiij. asp. Item die Mercurii sequenti, ibidem, in pane x asp., in vino xl asp. Item in grossa carne xvij asp. Item in gallis et pullis v asp. Item in potagio j asp. Item in bosco v asp. Item in ovis et carne prò lipardo, liparderio et Saracenis vij asp. ij r. Item in fructibus (1) Il Ms. dice 406 aspr. c 3. r; ma è uno sbaglio che non combinerebbe nè co le somme parziali, nè con quella generale. — él5 - iiij asp. Item in candelis iiij asp. ij r. Item in portacione j asp. Item in prebenda cum feno pro dictis x equis xx asp. ij r. Item in ij paribus sotularium prò capellano iiij asp. Item in ij paribus sotularium prò Tassino iiij asp. Item in sotularibus prò Waltero Coco iiij asp. Item in sotularibus et factura sotularium prò Roberto iiij asp. Item in ij paribus sotularium prò barbario iiij asp. Item in ij botes et sotularibus prò Ricardo xij asp. Item in sotularibus prò Roberto Sculptori iiij asp. Item in botis prò uno ffal-conario x asp. Item in ij paribus sotularium prò Jake garcioni iiij asp. Item in ij paribus sotularium prò Manfredo iiij asp. Item in ij paribus sotularium prò Nicholao iiij asp. Summa clxxiij asp. ij r. Item die Jovis xvj Octobris. ibidem, in pane xij asp. Item in vino xxv asp. Item in grossa carne xxj asp. Item in gallis et pullis viij asp. Item in iij aucis viij asp. Item in pisce x asp. Item in potagio et petrocillo ij asp. Item in bosco iiij asp. Item in lacte iij asp. j r. Item in fructu vj asp. Item in candelis iiij asp. ij r. Item in lacte, caseo et gallis pro Saracenis v asp. Item in portacione j asp. Item in filo j asp. Item in prebenda xx asp. Item in aqua pro equis j asp. Item in caligis pro capellano viij asp. Summa cxxxix asp. ij r. Item die Veneris sequenti, ibidem, in pane x asp. Item in vino xviij asp. Item in pisce vij asp. Item in ovis iiij asp. ij r. Item ' olio vj asp. Item in.bosco iij asp. Item in lacte j asp. Item in ac (i) j asp. Item in fructu iij asp. Item in carne et pullis pro Saracenis et lipardo v asp. Item in portacione j asp. Item in discis, platellis et salsariis iiij asp. Item in expensis Cyzereni et Balabani de Taurisio usque Marend’ xvj asp. Item in candelis iij asp. Item in filo j asp. Item in uno cacabo eneo viij asp. Item in molura novacularum ij asp. Item in emendacione botarum Nicholai et Willecoke iiij asp. Item in duabus tabulettis pro domino iiij asp. Item in prebenda cum feno pro dictis equis xviij asp. Summa cxix asp. ij r. Item die Sabati xviij Octobris, apud Trapesunde, in pane xj asp. Item in vino xxij asp. ij r. Item in pisce v asp. Item in ovis ix asp. * (i) Iu accio ? o in acubus, cioù aghi ? oppure in acis specie di pesce? (Nota del Trascrittore): — 6i6 — Item in caseo v asp. Item in olio iij asp. Item in lacte iij asp. Item in cenapio j asp. Item in gallis et pullis pro Saracenis et lipardo xij asp. Item in bosco ij asp. Item in fructu ij asp. Item in uno cultello pro coquina v asp. Item in pannis lavandis vij asp. Item in tabulis et clavis pro gabia lipardi xiiij asp. Item in candelis iij asp. Item in fioles (sic; fiolis.?) iiij asp. Item in uno panno cerato pro domino vj asp. Item in custura robarum iiij asp. Item in emendacione albelastarum iiij asp. Item in prebenda cum feno pro x equis xv asp. Summa cxxxvij asp. ij r. Expense vadiorum garcionum et aliorum. In primis Michali de coquina xxx asp. Item in vadiis Jonoci de coquina lx asp. Item Martini Lumbardo lardenario c asp. Item Michaeli de Suria per ij menses iiijxx xv asp. Item Andrea Bala-bano pro ejus feodo vijc asp. Item in una roba de scarletto pro eodem Andreo clxx asp. Item Olivero garcioni per iiij menses xxiij dies iiij" xvj asp. Item liberatum Martino latimerio pro vadiis iiij mensium et xv dierum ixc asp. Item liberatum Chyserino falconano pro vadiis iiij mensium xxvj diebus (sic) cxliiij asp. Item Copino falconano pro vadiis suis vj mensium et viij dierum ciiijxx viij asp. Item Oliyero garcioni xx asp. Item Theaudoricio pro vadiis suis xx asp. Item Auberto de Walsenario c asp. Summa. ijm vjc xxiij asp. Item in panno lineo pro capellano xxiiij asp. Item in pannis lineis pro Manfredo xj asp. Item in panno lineo pro Nicholao xj asp. Item in pannis lineis pro Roberto et Ricardo xxij asp. Item in pannis lineis pro Tassino xxij asp. Item in pannis lineis pro J. clerico xxij asp. Item in pannis lineis pro Willek’ (? Willekoc) de camera xvj asp. Item in pannis lineis Rebekino xvj asp. Item in pannis lineis pro Jacobo garcione xvj asp. Item in panno lineo pro Gerardino xxij asp. Item in pannis lineis pro Martino et Jo-necte de coquina xvj asp. Summa ciiijxx xviij asp. Item die Dominica xix Octobris, apud Trapesunde, in pane xv asp. Item in vino xxiiij asp. Item in grossa carne xviij asp.. — 617 — Item in gallis et pullis viij asp. Item in fructu v asp. Item in uno lace de ceda prò domino ij asp. Item in emendacione unius coffini pro vasa argentea xxv asp. Item in custura pannorum de familia iij asp. Item in j carpeta data cuidam Tartarino xiij asp. Item in filo j asp. Item cuidam marescallo prò equis sariandis xv asp. Item in prebenda cum erba prò vj equis xj asp. Summa cxl. asp. Item die Lune xx Octobris, ibidem, in pane xv asp. Item in vino xxvj asp. Item in grossa carne xviij asp. Item in caponibns et gallis xij asp. Item in locacione ij domorum prò domino et familia clxv asp. Item in locacione unius domus ubi steterunt equi Tartarini xij asp. Item in prebenda cum feno xiiij asp. Item cuidam garcioni custodienti equos viij asp. Item in expensis victualium emptorum in galea ultra quam solvit dominus Buskerelle ixclx asp. Summa Mccxxx asp. Summa istius Rotuli vmDxxix asp. — probatur. Summa totalis monete aspre vijn,m ccxxij asp. Segue il viaggio di ritorno. Spese a Costantinopoli in moneta di perperi e carati. MEMBRANA III. Item die Dominica ix Novembris, apud Constentinum Nobilem, Item in pane j p. x car. Item in vino iij p. vj car. Item in grossa carne iij p. xv car. Item in bacone xviij car. Item in gallis j p. iiij car. Item in bosco viij car. Item in potagio iij car. Item in sale iij car. Item in ij maulardis vj car. Item in oystreis vij car- Item in ovis x car. Item in cenapio ij car. Item in petrocillo j car. Item in fructu, vj car. Item in discis, platellis mortariis cum pile ij p. iij car. Item in aceto x car. Item in veyriis viij car. Item in candelis xv car. Item cymino j car. Item prò hernaso portato de galea usque unam domum xx car. Item in batillagio v car. Summa xvj p. xvj car. Item die Lune sequenti, ibidem, in pane j p. viij car. Item in vino iij p. xvj car. Item in grossa carne ij p. xvj car. Item in — 6 iS — gallis viij car. Item in leporibus et ij maulardis xiij car. Item in pisce vj car. Item in olio iiij car. Item in lardo vj car. Item in cepis iiij car. Item in ovis iiij car. Item in verjus j car. Item in fructu ix car. Item in bosco vj car. Item in candelis xvj car. Item in portacione et batillagio vij car. Item liberatum cuidam mene-strallo per manum capellani viij car. Item in sotularibus prò Tassino viij car. Item in sotularibus prò Manfredo viij car. Summa xij p. iiij car. Item die Martis xj Novembris, ibidem, in pane j p. v car. Item in vino iij p., grossa carne iij p. iij car. Item in bacone vj car. Item in pullis gallis ix car. Item in pisce viij car. Item in ovis vii car. Item in potagio ij car. Item in olio iiij car. Item in alea et petrocillo j car. Item in sale ij car. Item in bosco ix car. Item in cenapio, verjus et aceto v car. Item in fructu ix car. Item in portacione et batillagio iij car. Item in una libra et dimidia de pulvere specierum, xxj car. Item in amigdalis pro quodam infirmo ij car. Item in sucrerose iij car. Item in candelis xij car. Item in papero vj car. Item in uno lace de ceda pro capella domini xv car. Item in emendacione aketone (sic) J. clerici vij car. Item in emendacione ensis iiij car. Item in emendacione hosearum J. clerici ij car. Summa xiij p. ij car. Item die Mercurii xij Novembris in pane j p. ij car. Item in vino ij p. iiij car. Item in grossa carne ij p. xij car. Item in bacone vj car. Item in vj gallis j p. Item in pisce xij car. Item in caseo viij car. Item in ovis xv car. Item in ij leporibus et iiij perdricibus xviij car. Item in bosco x car. Item in fructu' diverso xij car. Item in candelis xij car. Item in portacione et batillagio viij car. Item in cenapio j car. Item in filo grosso ij car. Item in ceda pro robis domini xij car. Item in filo pro eisdem robis viij car. Summa xj p. xxij car. Summa istius Rotuli Iiij p. xxij car. — probatum. — 619 — MEMBRANA IV. Item die Jovis xiij Novembris, apud Co(n)stantinum Nobilem, in pane j p. ij car. Item in vino ij p. xxij car. Item in grossa carne iij p. iiij car. Item in gallis et pullis gallis j p. vj car. Item in potagio ij car. Item in uno signo (i) viij car. Item in iiij perdricibus viij car. Item in ovis vj car. Item in cenapio ij car. Item in verjus et aceto iij car. Item in bosco x car. Item in fructu vj car. Item in candelis xviij car. Item in portacione et batillagio ij car. Item in emendacione unius cacabi iiij car. Item in custura lintellarum et ij panni lineum (sic) xij car. Item in custura panni lineum pro Manfredo et Nicholao viij car. Item in sotularibus pro W. le petit John garcionibus, et emendacione eorum sotulares, xv car. Summa xij p. xviij car. Item die Veneris xiiij Novembris, ibidem, in pane j p. v car. Item in vino iij p. Item in pisce iij p. ij car. Item in olio viij car. Item in cenapio j car. Item in verjus ij car. Item in ovis iij car. Item in bosco xj car. Item in fructu viij car. Item in candelis j p. Item in portacione rerum de galea iiij car. Item in mappis lavandis et aliis mutandis j p. viij car. Item in sotularibus pro Roberto viij car. Item in ij paribus sotularium et factura osearum Nicholai xviij car. Item in tonsura panni domini Stephani viij car. Item in tribus gallis pro lipardo vij car. Summa xij p. xxj car. Item die Sabati sequenti, ibidem, in pane j p. iiij car. Item in vino ij p. xviij car. Item in pisce recenti j p. xviij car. Item in sale ij car. Item in pisce salata viij car. Item in ovis v car. Item in caseo xij car. Item in bosco viij car. Item in cenapio ij car. Item in aceto et verjus v car. Item in cepis iij car. Item in olio vj car. Item in fructu vj car. Item in pannis lavandis vij car. Item in portacione et batillagio iij car. Item cuidam lotrici iiij car. Item in carne pro lipardo viij car. Item in uno cultello pro coquina vj (i) Cioè cigno. (Nota del Trascrittore). — 620 — car. Item in gabio prò lipardo iij car. Item in duobus botis prò W. coco ix car. Summa ix p. xvij car. Item die Dominica, xvj Novembris, in pan; j p. vj car. Item in vino ij p. xviij car. Item in grossa carne iij p. iiij car. Item in gallis viij car. Item in tribus aucis j p. iiij car. Item in iiij perdricibus viij car. Item in duobus leporibus vij car. Item in oystreis ix car. Item in potagio ij car. Item in ovis vj car. Item in petrocillo ij car. Item in bosco viij car. Item in fructibus diversis, videlicet, castaneis, pomis, meyles, piris, j p. Item in candelis de cera pro stauro in galea ij p. xxij car. Item in make-rellis salatis pro stauro in galea ij p. iiij car. Item in xviij paribus de muffeles pro tota familia j p. xiiij car. Item in ix lectis per vij dies ij p. x car. Item in iij tiibus nuil-tonibus vivis et dimidio pro lipardo in stauro iij p. iiij car. Item in emendacione unius cacabi iiij car. Item cuidam medico pro medicina facta Ricardo xvj car. Item in medicinis pro dicto Ricardo xij car. Summa xxv p. Item in panno de pers ad unum tabardum pro Ricardo viij p. Item in xij paribus caligarum pro familia viij p. xij car. Item in ij paribus caligarum pro capellano iij p. vj car. Item in iiij lintellfe vj p. xv car. Item in sotularibus pro capellano xxij car. Item in panno lineo pro lintellis et robis lineis v p. iiij car. Item in portacione aque ad coquinam per vij dies x\j car. Summa xxxiij p. iij car. Item apud Constantinum Nobilem, in uno pilice wolpus pro domino’ iiij p. xij car. Item ad complendum unam furruram dc veyr pro capico (sic) domini ij p. xij car. Item in iij furruris de scurioP et iij capiciis xvij p. Item in una furrura de gules vj p. Item in furrura de wolpis albis et uno capitium de alcornyne mj p xij car Item in factura unius pilicis d minis et unius furure. supertunice j p. iiij car. Item in una furrura agni pro Tassino j p. xij car. Item in rebus victualibus emptis in galea pro societate galee lxxv p. Summa cxij p. iiij car. — 621 — Iste sunt expense Nicholai armigeri domini G. apud Constantinum Nobilem die Martis xj Novembris. In primis pro uno panno escheker pro domino v p. Item in cole xj car. Item in portacione armarum emendendarum apud Constentinum Nobilem viij car. Item deliberatum domino vj car. Item die Mercurii sequenti, ibidem, in tribus piliciis leporum vj p. Item in uno aketon pro Nicholao ij p. Item in batillagio ij car. Item die Jovis sequenti, ibidem, in gaynes pro cultello domini ix car. Item in una ferura v car. Item in emendacione unius au-berjon domini Stephani et aliarum armarum iij p. viij car. Item in una cathedra pro domino et emendacione cooperture parasoli j p. xij car. Iteni in locacione unius domus in qua ponebantur res de galea xvj ctr. Item in carpitis et aliis rebus lavandis ix car. Item in portacione et batillagio x car. Item die Veneris sequenti, ibidem, in refaccione iiij ollarum argentearum et emendacione platellarum iij p. xx car. Item in custura pannorum Nicholai iiij car. Item in duobus lapidibus pro barbario j p. Item in ij coyfes laneis pro N. et J. clerico xiij car. Item in portacione rerum ad galeam et earum reportacione xij car. Item die Sabati liberatum domino x car. Item in batillagio ij car. Item die Dominica sequenti in uno maceo ferreo pro domino ij p. Item in cole xxj car. Item in batillagio iij car. Summa xxx p. xj car. Summa istius Rotuli ccxxxvj p. ij car. — probatur. Summa totalis monete perperorum cciiijxxix p. xxij car. Spese da Otranto a Capua in moneta di fiorini, tareni e grana. MEMBRANA V. Expense facte per Nicholaum apud Holtrentum (i) die Sabati xxix NoveVnbris. (Questo titolo é cancellato da una linea che lo traversa.) In primis in pane ix t. x gra. Item in vino xj t. xv gra., in (i) Qui siamo a Otranto; a cui seguono F.ecce, Brindisi Villanova, Mola, Barletta, Tre Santi. — 622 — pisce xiiij t. iiij gra. Item in caseo xj gra. Item in bosco iij t. iiij gra. Item in olio ij t. v gra. Item in fructu j t. xv gra. Item in aceto et alea vj gra. Item in scutellis platellis et ollis xij gra. Item in petrocillo ij gra. Item in portacione aque pro coquina j t. x gra. Item in pane, vino et aliis victualibus pro Ricardo et Roberto qui iverunt apud Brand’ in una barga iij t. xij gra. Summa vj fflor. iij t. v gra. Item eodem die, per manum Manfredi, in iiij multonis positis in galea prò lipardo xiij t. vj gra. Item in mundacione gabee li-pardi ij t. Item cuidam custodi lipardi in galea viij t. Item cuidam Galioto pro ejus servicio nobis facto in galea iiij t. vj gra. Item in uno portario de porta Eltrenti vj gra. Summa iiij fflor. iif t. xviij gra. Item die Dominica ultimo Novembris, ibidem, in pane iiij t. x gra. Item in vino iij t. ij gra. Item in grossa carne xij t. vj gra. Item in bosco ij t. Item in cepis et petrocillo j t. x gra. Item in pipere ix gra. Item in candelis x gra. Item in lectis vij, j t. x gra. Item in portacione rerum nobis acommodatarum j t. vj gra. Item in gallis iij t. Item uni nunciatori qui ivit Biand j t. x gra. Item uni alio nunciatori qui ivit unum nuncium xiij gra. Item in sale iiij gra. Item in uno broche iij gì a. Item libei atum hospiti nostro j t. xix gra. Item cuidam prisonaiio j t. vj gra. Item in ferrura equorum Episcopi Oltrenti nobis acommodatorum ij t. xij gra. Item valletto episcopi iij t. xviij gra. Item in locacione iiij equorum de Brand’ usque Oltrent’ iij fflor. iiij t. xv gra. Item in prebenda cum feno prò xij equis viij t. iiij gra. Item in satisfaccione ij saccorum nobis acommodatorum j t. vj gra. Summa xij fflor. ij t. xiij gra. Item eodem die, per Manfredum, in cena apud Lecham, in pane j t vj gra. Item in vino ij t. xvj gra. Item in grossa carne iij t. Item in bosco j t. vj gra. Item in sausistris xiij gra. Item in candelis xiij gra. Item in fructu xviij gra. Item in oseis emendatis j t. xix gra. Item in portacione aque vj gra. Item liberatum tribus menestrallis j t. xix gra. Item in viij lectis et mappis ij t. xvj gra. Summa ij fflor. v t. xij gra. — 623 — Item die Lune j Decembris, apud Brand’, in pane viij t. x gra. raap"m Item in vino viij t. Item in grossa carne x t. Item in pisce ij t. Rl“r‘ll‘ iij gra. Item in xviij caponibus et gallis x t. j gra. Item in columbis ij t. xj gra. Item in caseo xv gra. Item in ovis iij t. Item in bosco iij t. Item in farina x gra. Item in sale v gra. Item in potagio et petrocillo j t. ix gra. Item in discis platellis xiiij gra, Item in broches ix gra. Item in lardo xviij gra. Item in sause j t. xj gra. Item in fructu j t. x gra. Item in safferon j t. Item in furrura et custura supertunice J. clerici xij gra. Item in expensis Roberti, Ricardi et Hauekini, eundorum apud Brannd’ cum galea ij t. xvi gra. Summa ix fflor. v t. xiij gra. Item die Martis sequenti, ibidem, in pane iiij t. xj gra. Item in vino x t. Item' in grossa carne x t. Item in pisce ix t. Item in gallis iij t. Item in agno iij t. Item in bosco iiij t. Item in columbis j t. ij gra. Item in potagio xv gra. Item in ovis xvij gra. Item in candelis vj t. x gra. Item in olio xvj gra. Item in fructu j t. Item in safferon xij gra. Item in expensis Johannis de Corboleo cum equis suis iiij t. xvj gra. Item in uno martello et uno puntone j t. Item in tribus gradiis pro coquina vj t. Item in discis, platellis et salsariis j t. Item in darre j t. Item in sauce j t. Summa xj fflor. iij t. xix gra. Item die Mercurii iij Decembris, ibidem, in pane vij t. Item in vino vj t. Item in grossa carne x t. Item in agno ij t. xvj gra. Item in gallis iij t. Item in bosco iij t. Item in potagio j t. vj gra. Item in sauce cum speciebus j t. Item in ovis j t. Item in dare ij t. Item in custura caligarum capellani viij gra. Item in emendacione ij hesearum (sic) Tassini ij t. Item in furbita ensis ejus j t. x gra. Item in expensis Willecoke parvi de Brand’ usque Neapolin v t. viij gra. Item -in pannis lintheis prò eodem W. ij t. viij gra. Item in emendacione sarei (sacci ?) hornasii domini xiij gra. Item in tonsura panni capellani j t. Summa viij fflor. iij t. vij gra. Item die Jovis iiij Decembris, ibidem, in pane vij t. Item in vino x t. Item in grossa carne x t. Item in agno ij t. viij gra. Item in ij greues ij t. Item in gallis iij t. Item in ovis xv gra. — 624 — Item in bosco xvij gra. Item in lardo viij gra. Item in cepis et chibolt (?) viij gra. Item in cenapio et galant xviij gra. Item in fructu xij gra. Item in mappis lavandis j t. xij gra. Item in portacione viij gra. Item in coquitura pastillorum xij gra. Item in satferon et pipere iiij gra. Item in darre ij t. Item in filo albo et nigro j t. iiij gra. Item in uno fonne (? soime) iij t. Summa vij fflor. v t. vj gra. Item die Veneris v Decembris, apud Villam novam, in pane vj t. ij gra. Item in vino ix t. xiiij gra. Item in pisce v t. ix gra. Item in ovis ij t. viij gra. Item in potagio viij gra. Item in pulvere specierum vj gra. Item in alea et cepis vj gra. Item in olio viij gra. Item in bosco xviij gra. Item in fructu xvij gra. Item in lectis et hostilagio j t. iiij gra. Item in prebenda cum feno ij t. Expense xviij sra. Item in stabilagio pro xj equis j t. ij gra. Item in fer- forinsece. rura equorum j t. xvj gra. Item in pannis lineis pro Manfredo iij t. Item in expensis Manfredi et Petri de Noyon cum ij equis in Brand’ post retornum domini iij t. Item cuidam mulieri qui portavit aquam per iiij dies xij gra. Item in ij lacibus^de ceda pro domino j t. ij gra. Item in mappis lavandis ij t. x gra. Item in j warrok’ j t. iiij gra. Item in xij lectis pet iiij dies apud Biand v t. ij gra. Item in emendacione ix sellarum x t., pei manum Ricardi. Item in tribus gradiis pro domino iiij t. Item in custuia pannorum capellani vj t. Item in una libia specieium ij t. x gia. Item in una serura j t. Item in xxv libris de cera pro stauro iij fflor. ij t. x gra. Item in amissione cambii de Realibus ad fflorina j fflor. Item in emendacione duorum albelastorum ij t. Item liberatum Roberto scultori pro ejus servicio xx fflor. Item liberatum Ricardo Anglicano pro ejus servicio et satisfaccene unius macii quam perdidit in Costentino Nobilo (sic) xvj Hior. Item liberatum Nicholao Gastaldo pro iiij cannis et dimidio panni percn xvj fflor. iij t. Item in furrura agnorum et cendato pro domino viij t. Item in caligis pro Manfredo iij t. Item liberatum Roberto scultori pro j pari scisurarum iiij t. Item liberatum ij Brocariis pro mercede sua iij t. Summa lxxij fflor. iij t. vj gra. Item die Sabati vj Decembris, ibidem, per Nicholaum, in pane iiij t. ij gra. Item in vino ix t. ij gra. Item in ovis ij t. ix gia. — 625 — Item in pisce iiij t. xij gra. Item in olio xvij gra. Item in potagio vj gra. Item in caseo xiij gra. Item in bosco xix gra. Item in pipere integro ij gra. Item in alea et cepis iiij gra. Item in portacione aque ij gra. Item in ij calcaribus pro Nicholao x gra. Item in prebenda prò xij equis iiij t. Item in lectis et hostilagio ij t. xiiij gra. Item limero (1) prò stabulo ij gra. Item in expensis Manfredi et Petri de Noyeno cum ij equis xij gra. Summa v fflor. j t. iiij gra. Item die Dominica sequenti, apud Moulam, per Nicholaum, in pane j t. xviij gra. Item in vino j t. xv gra. Item in ovis ij t. ij gra. Item in caseo viij gra. Item in lardo x gra. Item in cena apud Bard’ (2), in pane, iij t. xviij gra. Item in vino vj t. Item in grossa carne vij t. iij gra. Item in ovis j t. Item in gallis v t. Item in columbis xv gra. Item in bosco j t. iiij gra. Item in broches iiij gra. Item in mustardo iiij gra. Item in vino acido vj gra. Item in prebenda cum feno prò predictis equis ij t. xviij gra. Item in lectis et hostilagio ij t. xix gra. Item in ferrura equorum xviij gra. Item in limero iij gra. Item in portacione v gra. Summa vj fflor. iij t. x gra. Item die Lune viij Decembris, apud Barletam, in pane iiij t. vij gra. Item in vino viij t. x gra. Item in grossa carne ix t. x gra. Item in gallis et pullis v t. vj gra. Item in lardo j t. iiij gra. Item in potagio vj gra. Item in ovis ij t. viij gra. Item in bosco ij t. xix gra. Item in columbis j t. v gra. Item in lacte v gra. Item in fructu j t. ix gra. Item in satisfaccione unius veyr fracte v gra. Item in portacione vij gra. Item in prebenda cum feno ij t. xv gra. Item in lectis et hostilagio iij t. vj gra. Item in ferrura j t. ij gra. Item in.lumero iiij gra. Summa vij fflor. iij t. viij gra. Item die Martis ix Decembris, apud Tres scos (sanctos) in pane iij t. viij gra. Item in vino vij t. xj gra. Item in gallis et columbis et sausistris vij t. j gra. Item in ovis j t. xv gra. Item in pisce ij t. iij gra. Item in bosco j t. xiij gra. Item in fructu xvij gra. Item in oleo vij gra. Item in sauce viij gra. Item in tribus paribus (1) Cioè lume per la stalla. (2) Forse scorrettamente per' Bari, che ò su questa via. Atti Soc. Lic. St. Patri*. Voi. XIII, Fase. III. 40 — 626 — calcarium pro Manfredo, J. clerico et Tassino ij t. Item in clavis equorum vij gra. Item in una littera acquietando xiiij gra. Item cuidam Brocario j t. Item in portacione aque iij gra. Item in prebenda cum feno pro xij equis iij t. iij gra. Item in lectis et hostilagio ij t. xviij gra. Item in candelis pro stabulo v gra. Item in ferrura viij gra. Summa vj fflor. vj gra. Summa summarum istius Rotuli clxiiij ff. iij t. vij gra. MEMBRANA VI. Item die Mercurii x Decembris, apud Sanctum Laurencium (i), in pane. Item in vino et aliis victualibus pro gentaculo domini v t. j gra. Item eodem die, apud Troyam, in pane pro cena vj t. x gra. Item in vino iiij t. v gra. Item in grossa carne iiij t. xvj gra. Item in gallis iiij t. xv gra. Item in bosco j t. x gra. Item in potagio vj gra. Item in lardo xvij gra. Item in vino acido viij gra. Item in portacione aque v gra. Item in sale iiij gra. Item in prebenda cum feno pro xij equis ij t. xviij gra. Item in lectis et hostilagio ij t. xviij gra. Item in ferrura j t. vij gra. Item in candelis pro equis ij gra. Item in fructu j t. v gra. Summa vj fflor. j t. vij gra. Item die Jovis xj Decembris, apud Crcuaco, in prandio viij t. iiij gra. Item eodem die apud Bonum Albergum, in pane vj t xj gra. Item in vino viij t. viij gra. Item in grossa carne iiij t. Item in gallis iiij t. x gra. Item in bosco j t. xv gra. Item in una auca xv gra. Item in pisce salata xvj gra. Item in potagio et cepis xj gra. Item in sale vj gra. Item in tructu iiij gra. Item in portacione aque iiij gra. Item in potu pro garcionibus itinerandis iiij gra. Item in uno houce pro uno moulo iij t. xv gra. Item in prebenda cum erba pro dictis equis iij t. xv gra. Item in lectis et hostilagio ij t. xvj gra. Item in candelis pro stabula iiij gra. Item liberatum domino j t. ij gra. Summa viij fflor. (i) San Lorenzo; pol a Troja, Grcci, Bona I ber go, Montesarchio, Accrra, Napoli, Capua. — 627 — Item die Veneris xij Decembris, apud Montem Sar’, in pane vj t. v gra. Item in vino vj t. x gra. Item in pisce viij t. ij gra. Item in ovis ij t. vj gra. Item in caseo j t. xv gra. Item in bosco j t. ix gra. Item in olio iiij gra. Item in fructu xij gra. Item in prebenda cum erba pro xj equis iiij t. xiiij gra. Item .in lectis et hostilagio ij t. x gra. Item in lumine (sic) pro stabula ij gra. Item in ferrura x gra. Item in una furrura pro uno capicio ij t. x gra. Summa vj fflor. j t. ix gra. Item die Sabati xiij Decembris, apud Cherram, in pane iiij t. Item in vino v t. Item in pisce iij t. xiiij gra. Item in ovis iij t. v gra. Item in caseo ij t. xij gra. Item in fructibus xv gra. Item in bosco j t. x gra. Item in lectis et hostilagio j t. ij gra. Item in prebenda cum feno vj equis ij t. gra x. Item in expensis Manfredi, Nicholai et Petri de Nyono cum iij equis apud Neapolim ij t. xv gra. Summa iiij fflor. iiij gra. Item die Dominica xiiij Decembris, apud Neapolim, in pane iiij t. xv gra. Item in vino x t. x gra. Item in grossa carne ix t. v gra. Item in pullis ij t. x gra. Item in ij aucis iiij t. x gra. Item in uno fesaunte, j perdice (sic) et iij maulardis iij t. Item in uno lepore j t. Item in xvj columbis ij t. xvj gra. Item in pisce j t. iij gra. Item in iij caponibus j t. xix gra. Item in caseo j t. Item in bosco ij t. x gra. Item in mustardo v gra. Item in fructu j t. Item in broches xij gra. Item in sale viij gra. Item in sage et petrocillo iij gra. Item in cepis, alea et verjus xiij gra. Item Expense .... ‘orinsece. in aceto et safferon iiij gra. Item in ollis de terra, discis, platellis et salsariis ij t. vj gra. Item in veyr’ et gubel’ de terra x gra. Item in portacione iiij gra. Item liberatum Tassino xiiij gra., quos solvit pro batillagio apud Brand’. Item in sotularibus Obekiny j t. vj gra. Item in xix libris de cera pro stauro xv t. x gra. Item in ij libris specierum vj t. Item in prebenda cum feno pro xij equis v t. Item in clavis pro aula iiij gra. Summa xiij fflor. j t. xvij gra. Item die Lune xv Decembris, in pane iiij t. xv gra. Item in vino ix t. x gra. Item in grossa carne viij t. Item in pullis ij t. - 628 — x gra. Item in columbis v t. iij gra. Item in bosco ij t. xv gra. Item in potagio iiij gra. Item in caseo xvij gra. Item in fructibus xv gra. Item in uno torticio de vj libris cere iiij t. xvj gra. Item cenapio iiij gra. Item in portacione vj gra. Item in caligis pro Obekino vij gra. Item in factura xij pastillarum de columbinis (sic) (i) et pisce ij t. Item in prebenda cum feno pro dictis equis iiij t. xv gra. Item in ferrura xij gra. Summa vij fflor. v t. xviij gra. Item die Martis xvj Decembris, apud Neapolim, in pane iij t. Item in vino v t. Item in grossa carne v t. Item in gallis et pullis iiij t. ix gra. Item in pisce v t. Item in iiij maulardis ij t. Item in ovis j t. xv gra. Item in caseo j t. Item in potagio iiij gra. Item in bosco ij t. Item in columbis ij t. vj gra. Item in verjus vj gra. Item in olio x gra. Item in darre j t. Item in fructu j t. Item in alea ij gra. Item in sucre j t. Item in mustardo v gra. Item in ceda et cendato prò roba domini xij gra. Item in factura pastillarum j t. v gra. Item in scutellis et discis xv gra. Item in ollis vj gra. Item in prebenda et feno pro dictis equis iiij t. ix gra. Item in duobus moulis emptis apud Neapolim lv fflor. Item in uno equo liardo empto ibidem xv fflor. Item liberatum domino Stephano capellano pro ejus servicio xxv fflor. Summa cij fflor. j t. v gra. Item die Mercurii xvij Decembris, ibidem, in pane iiij t. x gra, Item in vino vj t. v gra. Item in pisce vij t. x gra. Item in ovis ij t. Item in caseo j t. x gra. Item in bosco iij t. xv gra. Item in potagio viij gra. Item in factura pastillarum iiij t. j gra. pei multas vices. Item in nueles per multas vices iij t. Item in v libris candele de cera iiij t. Item in uno braieiio pio capellano j t. x gra, Item in prebenda iiii t. ii gra. Item in capistris x gra. Item liberatum domino xviij gra. Summa vij fflor. j t. xix gra. Item die Jovis xviij Decembris, apud Neapolim, in pane iiij t. xij gra. Item in vino v t. xviij gra. Item in glossa carne vij t. xij gra. Item in iiij capreolis iiij t. xv gra. Item in gallis ij t. (i) Forse columbis. (Nota del Trascrittore). — 629 — xvij gra. Item in columbis ij t. xviij gra. Item :n perdricibus xviij gra. Item in volatilibus xij gra. Item in pisce iiij t. Item in lardo xiij gra. Item in ovis xv gra. Item in caseo xv gra. Item in potagio et petrocillo viij gra. Item in portagio vj gra. Item in pannis lavandis xv gra. Item in factura pastillarum j t., in v libris candele de cera iiij t. viij gra. Item in starnino pro coquina xv gra. Item in prebenda iiii t. iiij gra. Item in ferrura iij t. Summa viij fflor. iij t. j gra. Item eodem die, ibidem, in sotularibus pro Petro de Noyon j t. v gra. Item in uno pari hosearum prò capellano vj t. Item liberatum cuidam Brocario iij t. Item in locacione unius domus per v dies xiij t. xv gra. Item liberatum Magistro Beltramo pro emendacione sellarum et frenorum iij t. viij gra. Item in duobus capistris pro mulis iij t. x gra. Item in calcaribus pro domino ij t. Item in cultello pro domino iij t. Item in uno pari hosearum pro domino vij t. xiiij gra. Item in uno pari hosearum pro J. clerico vij t. iiij gra. Item in uno pari hosearum pro Manfredo vj t. xv gra. Item in panno pro collobio Nicholai et custura xxij t. xv gra. Item in emendacione ij caligarum vj gra. Item in uno ense pro dicto Nicholao vij t. Summa xiiij fflor. ij t. xvij gra. Item die Veneris xix Decembris, apud Capewa, in pane iij t. xv gra. Item iti vino iiij t. xv gra. Item in pisce iiij t. x gra. Item in ovis ij t. Item in caseo j t. v gra. Item in bosco xviij gra. Item in olio viij gra. Item in potagio ix gra. Item in mustardo ij gra. Item in fructibus xvij gra. Item in neules j t. Item in factura pastillarum viij gra. Item in uno cornu xv gra. Item in papero ij gra. Item in cepis et alea iij gra. Item in sale ij gra. Item in expensis-Manfredi Oldebrandi, et portatura vasarum argenteum (sic) de Neapole usque Capewa quia non potuerunt ire cum domino ij t. xv gra. Item in prebenda cum feno pro dictis xj equis iiij t. xv gra. Item in lectis et hostilagio j t. vj gra. Item in capestris iij gra. Item in lumero pro stabula iij gra. Item in ferrura j t. x gra. Item in uno parvo panello pro trussello iiij gra. Item in uno sursingille iij gra. Item in uno capello pro N. j t. Item in una sinctura pro N. j t. Item in rasura unius super dor- . Provesini. — 63O — sum vj gra. Item liberatum domino xij gra. Item in cera, oblacione, et aliis officiis factis pro Tassino ffalconario defuncto x t. v. gra. Summa vij fflor. iiij t. iij gra. Summa summarum istius Rotuli ciiijxx vj. ff. ij t. xix gra.—probatum. Summa totalis monete terinorum et granorum commissorum in fflorinis ccclj. flor, vj gra. probatum. Spese da Ceperano a Viterbo in lire, soldi e danari di moneta provvisina di Roma, e da Aquapendente a Siena in lire, soldi e danari pisani. MEMBRANA VII. Item die Sabati xx Decembris, apud Mynanum (1), in pane iij t. xvij gra. Item in vino iij t. xviij gra. Item in pisce ij t. vj gra. Item in ovis ij t. xij gra. Item in bosco j t. xv gra. Item in olio vj gra. Item in cepis iij gra. Item in cenapio ij gra. Item in fructu x gra. Item in speciebus xv gra. Item in ij libris candele j t. xviij gra. Item in prebenda prò xj equis iiij t. vij gra. Item in lectis et hostilagio j t. ji gra. Item in lumero iiij già. Somma iiij fflor. Item die Dominica xxj Decembris, apud Seperanum, in pane xvij s. x d. Item in vino xxvij s. viij d. Item in grossa carne xxv s. iiij d. Item in gallis xv s. Item in vj perdricibus xj s. vj d. Item in lardo xviij d. Item in bosco vj s. Item in cenapio vj d. Item in candelis v s. Item in fructu xviij d. Item in prebenda cum feno pro dictis xj equis xix s. Item in ferrura ij s. Item in lectis xxij d. Summa provenesinorum de Campis vj li. xv s. mj d. (2). Item die Lune sequenti, apud Alaniam, in pane xj s. Item in vino xj s. vj d. Item in grossa carne xiiij s. vj d. Item in una auca iij s Item in columbis et maulardis vj s. xj d. Item in sau- cistris vj d. Item in gallis iij s. Item in uno fesaunte et uno per- drice iij s. iiiij d. Item in ovis iiij d. Item in caseo xij d. Item in (.) A Mienano, poi a Ceperano sull’antico confine ; donde per Anagni e Molara si viene a Roma. .. . -r i Strutto ma il cui nome si conserva ancora nell’ Osteria Molara era un castello presso Tuscolo ora distrutto, ma della Molara. (2) Q,ui rimpetto, ma cancellato v’ è : « qui valent v. ff. ij x ?ra> — 631 — lardo xij d. Item in potagio x d. Item in alea et petrocillo iiij d. Item in bosco vij s. viij d. Item in fructu xiiij d. Item in cenapio xij d. Item in candelis iij s. Item in prebenda cum feno pro dictis equis xiiij s. Item in ferrura ij s. vj d. Summa iiij li. vj s. vij d, (1). Item die Martis xxiij Decembris, apud Muleram, in pane xiij s. Item in vino xviij s. Item in grossa carne xviij s. Item in gallis vij s. Item in potagio vj d. Item in bosco ix s. Item in ovis iij s. iiij d. Item in pisce salato iij s. iij d. Item in cenapio iiij d. Item in fructu xviij d. Item in candelis iiij s. Item in uno barbario ij s. Item in lectis ij s. ij d. Item in prebenda cum feno pro xj equis xviij s. vj d. Summa v li. vij d. (2). Item die Mercurii, xxiiij Decembris, apud Curiam Romanam, in pane xiiij s. vj d. Item in vino xix s. ix d. Item in pisce et anguillis xlvij s. Item in bosco ix s. ij d. Item in potagio xvj d. Item in olio iij s. vj d. Item in sale ij s. Item in factura pastillarum vj d. Item in portacione ix d. Item in cenapio et sauce ij s. Item in alea ij d. Item in verjus vj d. Item in fructu v s. vij d. Item in vij libris et dimidio candele xxvij s. vij d. Item liberatum domino iiij s. Item liberatum duobus hominibus qui duxerunt dominum ad hospicium iij s. Item cuidam lavendario xx d. Item in caligis pro Obek (? Obekino) xviij d. Item in sotularibus pro J. garcione iij s. Item in prebenda cum feno pro x equis xxij s. Summa viij li. ix s. v d. (3). Item die Jovis xxv Decembris, ibidem, in pane xviij s. vj d. Item in vino xix s. Item in grossa carne xiiij s. Item in gallis viij s. Item in columbis ix s. viij d. Item in perdricibus xxiij s. j d. Item in ij feysauntis xv s. Item in uno lepore v s. Item in veneson x s. Item in lardo iij s. viij d. Item in potagio xviij d. Item in sauce et petrocillo ij s. vj d. Item in cymino ij d. Item in bosco ix s. iiij d. Item in aceto viij d. Item in fructu viij d. Item in prebenda cum feno pro vj equis x s. Summa vij li. x s. ix d. (4). (1) Qui rimpctto, ma cancellato v“ 6 ; « qui valent iij ff. v t. ij gra. » (2) n » » 0 » » iiij fflor. iij gra. » (3) „ « » « » » vj fflor. iiij t. x gra ». (4) „ » » 0 » » vj fflor. iiij gra. ». — 632 — Item dic Veneris xxvj Decembris, ibidem, in pane ix s. vij J. Item in vino xxj s. Item in pisce Iij s. vj d. Item in bosco ix s. vj d. Item potagio viij d. Item in caseo xviij d. Item in sale ij s. Item in portacione xviij d. Item in aceto viij d. Item in verjus vj d. Item in ovis xx d. Item in fructu viij d. Item in olio ij s. Item in medicina pro uno garcione infirmo xvij d. Item in sapone iiij d. Item liberatum domino vj s. Item liberatum cuidam nunciatori domine Katerine xiij s. Item in candelis iij s. vj d. Item in prebenda cum feno pro dictis equis x s. Item in medecina pro uno equo iiij s. vj d. Summa vij li, iij s. ix d. (1). Item die Sabati xxvij Decembris in pane xvij s. Item in vino xxj s. vj d. Item in pisce lxxv s. Item in ovis ix s. vj d. Item in caseo ix s. Item in uno perdrice ij s. Item in portacione xij d. Item in bosco ix s. Item in pisis iiij s. Item in fructu xviij d. Item in verjus xij d. Item in cepis et alea xx d. Item in farina iiij d. Item in ij libris candele vi] s. Item in sotularibus pro Obek (? Obekino) iiij s. vj d. Item in calcaribus pro N. ij s. x d. Item in calcaribus pro Manfredo ij s. x d. Item in factura et spe-ciebus tartarium et pastillarum vij s. ij d. Item in prebenda cum feno pro ix equis xviij s. Item in candelis pro stabulo xvj d. Item in xxij ferrura equorum xxij s. Item liberatum cuidam Marescallo iiij s. vj d. Item in emendacione ij sellarum iiij s. Item in duobus equis emptis de Mercatoribus Ricardorum xxx fflor. Summa xxx fflor. xj li. v s. viij d. (2). Item die Dominica xxviij Decembris, apud Insulam (3)per manum Nicholai, in pane, vino, grossa carne et volatilibus pro gentaculo xxxiij s. viij d. cum avena equorum. Item eodem die, apud Sutrem ad prandium, in pane viij s. Item in vino vij s. ix d. Item in grossa carne xx s. iiij d. Item in potagio viij d. Item in bosco viij s. Item in cenapio vj d. Item in alea et petrocillo viij d. Item in fructu xxviij d. Item in candelis iiij s. vj d. Item in corda pro (0 Q.ui rimpetto, ma cancellato vi è: « qui valent v ff. iiij t. ix gra. ». (2) „ „ „ « • » » xxxix ff. j t. xvij gra. ». (3) Isola Farnese; poi a Viterbo, Montefrascone, Acqupendente, San Quirico e Siena. - 633 - summer’ ij s, iiij /2 scese a 20. Ciò è provato pel ragguaglio dell’uno e dell’ altro col fiorino; e coll’attestato del Malespini, di Paolo dell’A-baco. —- Zanetti, Zecche d' Italia, V. 394! Amari, Vespro Siciliano, ecc. — 6 57 — differenze le vedremo in tutti i ragguagli seguenti: l’esattezza perfetta é impossibile ad ottenere; il commercio generale dovea contentarsi di cifre rotonde per la facilità del conteggio, salvo ai Banchieri naturalmente a farvi sopra le loro speculazioni. Il perpero o iperpero è noto anch’ esso pel suo tipo, e trovammo il suo valore pari a 4 tareni ; ma è difficile analizzarlo ne’ suoi elementi, il peso e il titolo, perché mutarono troppo spesso. Altri lo trovò del peso di grammi 3.30; altri perfino di 3.45; io considero che il perpero è propriamente il bisunte di Costantinopoli, cioè della anticamente detta Bisanzio. Vi erano bensì bisanti saracinati, cioè battuti nelle zecche saracene di Alessandria , di Siria, di Affrica ecc., ed altri bisanti di Cipro, di Scio ecc. Queste monete d’ oro aveano il nome generale di bisanti, perchè tutte imitazioni 0 derivazioni da quelle di Costantinopoli : ma dove si dice bisante senza altro soprannome 0 distinzione, si ha ad intendere quello proprio, originale. Ora abbiamo dei dati per desumere approssimativamente il peso e il titolo del bisante proprio. Dalla seconda metà del secolo XII al principio del seguente, il bisante è definito in due documenti del peso di un ottavo d’ oncia (peso probabilmente romano); un documento francese dell’anno 1250 dà al perpero in confronto ad altre monete d’oro più note un valore che, come provo in altro mio scritto (1), corrisponde a (1) Delle proporzioni dei valori tra l’oro e 7’ argento dal secolo XII al XIV, mio scritto inedito e che dovrebbe far seguito al già da me pubblicato : La de-croissance graduelle du denier de la fin du XI au commencement du XIII sièclt (Melanges de Numismatique, 1878, Tome III, Paris). — Pel peso del bisante; ved. Zanetti, Op. cit. II. 382; e pel suo valore a 2/; di fiorino, ibid. IV. 107, con serie di documenti che si continuano dal 1287 al 1345. Atti Soc. Lio. St. Patria. Voi. XIII, Fase. III. 42 — 658 — un titolo di mill. 700 (carati 16 e poco più). Da ciò deduco il peso del perpero a grammi 3.395 e ^ suo fino in oro a gr. 2.37767; ne deduco ancora un perpero e mezzo pari a grammi 3.5646; il quale risultato corrisponde appunto a sei tareni che, come vedemmo, erano ricevuti in commercio per un valore eguale al fiorino, e poco in fatti ne differenziano. Che cosa s’intendesse per grano d’ oro non é ancor tempo di vederlo; parleremo piuttosto di altre tre monete d’ oro, le quali, benché non nominate nel conto presente, erano in corso a que’ tempi e sono spesso indicate nei documenti; alludo all’ augustale o agostaro, al carlino 0 carolense e alla doppici o dinctr ; tutte le quali monete hanno presso a poco il valore di fiorini uno e un quarto, o di tareni sette e mezzo, o (che è lo stesso) correano per un quarto d oncia di tareni. L’agostaro, così detto dalla leggenda impressavi di Augustus (Federico II), pesava un quinto d oncia del peso generale del Regno (Normanno-Svevo-Angioino dell Italia meridionale); ma valeva un quarto d oncia in danaro (1), perché la lega mista all’oro formava una pasta proporzionale a cotal differenza di valore fra il quinto d oncia peso e il quarto d* oncia-danaro. Traducendo tale differenza in grammi, a ragione, come fu detto sopra, di gr. 26.73 1' oncia, 1 agostaro peserà grammi 5 *34^» ^ suo titolo noto a carati 20 (mill. 833) lo riduce al fino di grammi 4-455, che é aPPunt0 11 valore di tari 7 V» ossia un quarto d’ oncia. (1) Fusco, Op. cit., ha meglio d’ogni altro chiarito 1* agostaro e 1’ apparente contraddizione del suo essere »/4 e «/, d’oncia allo stesso tempo. Pel titolo che il Fusco e il Garampi tengono ancora a carati 20 «/« , ved. sopra nota a p. 656. — 659 - Fiorini uno e un quarto, sui dati forniti sopra, non potean rendere che grammi d’oro 4.422, eppure erano ricevuti in commercio e anche in tariffa per un agostaro. Ciò dipendeva dal credito acquistato dal fiorino sopra ogni altra moneta; del resto dai risultati sopra indicati apparisce che il tari, il perpero e 1’ agostaro corrispondono perfettamente fra loro nel valore rispettivo di quattro a perpero e di sette e mezzo tari per agostaro. Riflettendo al danno che ne veniva pel suo Regno, Carlo d’Angió, dopo avere emesso i suoi regali d’oro pari in peso e titolo agli augustali del suo predecessore, volle anch’ esso far coniare la moneta d’oro fino, ma del ragguaglio preciso a fiorini 1 74: è questa la moneta detta dei carolensi d’ oro, contenenti grana 99 3/8 del peso generale del Regno (1); cioè grammi proprio 4.427, in ragione di grana 20 a tari o di grana 600 all’ oncia, pari a grammi 26.73. Allo stesso valore di un quarto d’ oncia del Regno e di fiorini 1 '/4 era ricevuta la doppia d’ oro a que’ tempi. Della quale sarebbe troppo lungo, e alieno dal presente lavoro, determinare gli elementi che variano alquanto secondo i diversi paesi. Basti dire che era d’ oro, se non puro, buono assai, e che il suo peso in media si può determinare a grammi 4.53, cioè al taglio di sei pezzi all’ oncia romana, come era 1’ antico solidus del-l’Impero romano di cui era una derivazione. Difatti i Saraceni od Arabi che più specialmente coniarono la (1) Fusco, pp. 4, 19- Esempi di carolensi d’ oro 4 per un’ oncia di tareni, pari a 5. fiorini, come pure di agostari 4 e di doppieri Miro 4 per un’ oncia, se ne trova più d’uno negli estratti notarili dei sopracitati mss. Richeri e Fciglialo. — 66o — doppia, la chiamavano in lor linguaggio dinar evidentemente da denarius aureus. Abbiamo doppie di Tunisi, del Miro (dell’Emiro), di Marocco, di Saffi ecc. in Africa, e di altri Saraceni, imitate poi da’ Cristiani, in Ispagna, Castiglia ecc., i mar abatini o moravidini (dinastia degli Almoravidi) e i massimutini doppi e semplici della tribù dei Massimuti (dinastia Almoade). III. Passiamo, se piace, alle monete d’argento. Ma qui si presenta una quistione preliminare: se oggidì un grammo d’ oro vale legalmente grammi 15 'l2 d argento, non fu altrettanto nel medio evo; e se oggi questo rapporto di uno a 15 '/2 dura da tutto il secolo (sempre legalmente parlando), nel medio evo cambiò anche legalmente entro pochi anni e più volte e di molto. Siffatte mutazioni sono della maggiore importanza per la storia dei valori, eppure non furono guari osservate dagli scrittori di cose economiche e nemmeno dai Nummografi, ad eccezione di pochi che non ne trassero abbastanza le conseguenze. In altro mio scritto, sopra citato in nota, ho studiato questo soggetto pel periodo dal secolo XII al XIV che mi parve il più utile da considerare; per quanto riguarda i tempi intorno alla Legazione mi risultò che in un secolo, dal 1260 circa in poi, l’oro ebbe a rincarare di prezzo con rapidità crescente, stando fermo l’argento fin verso il 1302; e dopo un po’ di sosta ritornò a rinvilire con simile rapidità decrescente fin verso il 1360 a 70, formando così come due serie graduate e 1’ una opposta all’ altra. Nella serie prima e ascendente -r- 661 — un grammo d’ oro, che verso il 1260 equivaleva a dieci d’argento, passò a poco a poco a valerne io1/*, n» 11 '/2, 12, 13, 14, e forse anche un pò più. Dal 1302 al 1315 circa vi fu una specie di sosta al prezzo di un grammo d’oro per 137.0? al più 14 d’argento; ma presto cominciò la seconda serie contraria e discendente, col prezzo dell’ oro a 13, 12, 11 e giù fino a 10 '/t od anche 10 1 4 d’ argento. Ecco dei casi speciali d’una quistione che si agita tuttora in applicazione alle crisi moderne; la quistione detta del potere dell’ oro, il rapporto o la proporzione tra i due metalli preziosi. Alla maniera d’ esprimersi più semplice e moderna, di cui ci servimmo, vai meglio pel medio evo sostituire al .grammo il fiorino d’ oro, considerandolo come base e misura di ogni moneta d’argento. Ma si aveva pure allora (ed è gran ventura) una moneta di questo secondo metallo', bella, costante e di molto credito: la quale potea servire di base e misura alle sue minori sorelle e divenir cosi intermediaria tra queste e il fiorino d’ oro. Si vedrà in seguito come l’uso di questa, direm così, sottobase dovesse facilitare il conteggio e renderlo più chiaro ; e si capirà il perché, per tale così notevole vantaggio, fossero ammessi come rotondi certi ragguagli, che talora in realtà presentano una differenza un poco sensibile. La principale moneta d’ argento a cui alludo era il grosso tornese, fitto coniare la prima volta da San Luigi Re di Francia; esso grosso valeva un soldo o 12 danari o piccoli tornesi, così detti dalla Città di Tours; era del titolo e bontà di oncie 11 % d’argento fino in 12 oncie di pasta monetata (mill. 958), e il suo taglio era — 662 — a pezzi 58 per marco di Parigi (1), che modernamente risponde a grammi 244.7529. Col nostro sistema di identificare il peso moderno al medioevale, un grosso farnese riesce a grammi 4.219, come lo ammettono anche gli scrittori francesi 0 con pochissima diversità; ridotto al fino torna a gr. 4.044, che noi riduciamo più rotondo a 4.04. Quando il rapporto tra i due metalli era di uno a dieci, un fiorino avendo in oro gr. 3.535, valeva grammi 35.35 d’ argento fino; in altre parole equivaleva a grossi tornesi otto e tre quarti. I documenti piemontesi citati dall’ illustre conte Cibrario (2) recano infatti tale valore di 8 3/4 grossi tornesi a fiorino ; ma lo recano troppo tardi, nel 1289 e nel 1293, quando siamo certi per altri documenti che allora valeva di più. La cosa si spiega notando che 1’ esattore piemontese del 1289 avrà riscosso secondo una tariffa ufficiale non più mutata da molti anni, mentre in piazza l’oro rincarava. Esempi di questa specie é facile trovarne in tutti i tempi. Per una ragione inversa, il commercio, talora affascinato o trascinato da circostanze speciali, rialza i prezzi oltre il conveniente, ma ciò non può succedere che per breve durata : oppure il vero prezzo e alterato dagli accessori del contratto, il termine al pagamento, i rischi, l’usura. Ma quando si hanno sott’ occhi molti documenti e si vede il prezzo complessivamente assumere un andamento (1) Ciò è notissimo, ma giova consultare lo scritto dell’illustre De Wailly, Rechercbes sur le systèrne mouctcìirc de Saint Louis (Mctuoircs de l Acadeviie des Inscriptions, XXI, 2.c part., 1857). (2) Economia politica del medio evo, ed. 1861, II. 166-8; notando che i denari tornesi e di Losanna aveano egual valore. — 663 “ regolare attraverso le apparenti contraddizioni ed oscillazioni, vi è modo di discernere il prezzo vero e stabilirne la serie per un dato numero d’anni. Così nel nostro caso verso gli stessi anni che si nota il fiorino a tornesi grossi 8 3/4, si nota anche a nove e mezzo nei medesimi documenti piemontesi; ma già negli anni 1290-2 la Curia romana lo accetta a grossi tornesi 10. E se paia che tale prezzo siasi qui arrestato fino al 1296, é da osservare che la stessa Curia lo accetta bensì in questo ultimo anno, ma a titolo di servigio comune; mentre per un servigio liberale si ammette il fiorino a grossi tornesi 10 ‘/2; in altre parole nel servizio d’obbligo si manteneva la tariffa del 1290, ma pei doni gratuiti si accettava il rincaro della piazza. Ed ecco che nel 1302 nella Curia medesima il fiorino é ammesso a grossi tornesi 12, e non già soltanto pel servizio liberale ma per quello comune; dunque secondo una tariffa nuova e legale che sancisce gli aumenti volontari della piazza, perchè li vede inevitabili (1). Questo ultimo ragguaglio difatti allora era divenuto generale e per alcun tempo stabile a Roma come a Venezia, come a Bologna, in Piemonte ecc., e non si saltò di botto dai 10, 0 10 l/2 tornesi ai 12 : perchè troviamo esempi intermedii di ragguagli del fiorino a 11 grossi, a 11 , a n 5/.9 a 11 7/.9 a 11 V27 a 11 V, ecc. Disponendo come in un quadro tutti i singoli prezzi del fiorino entro il periodo dal 1260 al 1302, si distingueranno come da per se quelli affrettati e quelli in ri- (1) Garampi, Saggio, pp. 90, 127, e Appendice al Saggio, pp. 29, 30; lavori dell’ illustre Cardinale preziosi, sebbene rari e rimasti incompiuti. — 664 — tardo; la natura stessa del documento ben considerata ne chiarirà le ragioni: sarà forse anche la Zecca che sprezzerà la moneta altrui per avvantaggiare la propria; come in Francia ancora nel 1296 si tariffa il fiorino a soli grossi 10, mentre già nel 1285 si trova colà stesso a soldi tornesi 10 e dan. 1, e soldi 10 e den. 2 (1). Ma d’intervallo a intervallo si potrà cavarne una media, e questa media sarà legata colla media seguente in guisa da formare fra tutte quella serie 0 scala graduata che sopra dicemmo, ascendente da 10 a 14 nel periodo dal 1260 al 1302, discendente fino a 10 l/2 o 10 ‘/4 nel periodo dal 1315 al 1360-70. Con tale cautela si spiegano alcune finora credute contraddizioni. Il colonnello Yule, per esempio, cercando dar ragione della moneta corrente ai tempi di Marco Polo (che sono anche i tempi del nostro documento) crede di vedere che il ducato d’ oro veneziano (pari al fiorino di Firenze) corresse a grossi veneziani 18, nello stesso tempo che valeva grossi veneziani 24* di che non sa dare altra ragione di conciliazione, se non se supponendo che vi fossero due qualità di tali grossi contemporanei, uno maggiore l’altro minore. Tale supposizione non ha fondamento: il grosso veneziano era unico a que’ tempi ed é ben conosciuto (2). Avendo io occasione di scrivere a quell’ illustre Inglese per altro motivo, e sapendo ch’egli preparava la seconda edizione del suo (1) Boutaric pel 1296 (JNotices et extraits de la Bibliothèque imperiale, XX, 2.' partie 127);-ma pel 1285 Hisloirens de la France (Bouquet) XXII, 446-7. (2) Yule The Book of ser Marco Polo, London, 1871, II. 441. — Il valore del fiorino’e ducato di Venezia a 12 grossi tornesi e 24 grossi veneti si trova in più documenti, ma non mai anteriormente all’anno 1300. — 665 — prezioso commento al Libro di Marco Polo, pigliai co-raggio ad avvertirlo che la cercata conciliazione non istava punto lì, ma si nella distinzione del tempo in cui il ducato valeva 18 grossi dal tempo, per quanto non lontano, in cui ne valeva invece 24. Nei documenti contemporanei il grosso veneziano è equiparato in valore a un mezzo grosso tornese nel commercio e perfino nelle tariffe (1); sebbene si sapesse e talvolta ancora ivi si distinguesse una piccola differenza in favore del veneziano. Ammettendo anche,noi per ora il rapporto rotondo di due grossi veneziani per un un tornese, notiamo che i 18 e i 19 grossi della prima specie, cosi tariffati da quella Signoria nel 1284-5, ^en corrispondono ai nove e 9 '/* grossi tornesi a cui si è ragguagliato il fiorino nei documenti piemontesi sopracitati ; dall’ altra parte i grossi tornesi 12 a fiorino del 1302 ben corrispondono ai veneziani 24 a fiorino; ché tali li calcola verso il 1305 a 20 Marin Sanuto ed altri. Ed abbiamo anche in più d’ un documento il prezzo intermedio di venti grossi veneziani a ducato d’oro verso il 1290-2, quando, come vedemmo, corrono appunto dieci grossi tornesi a fiorino (2). Un ragionamento simile si potrebbe fare sui piccoli danari di Venezia; ma le deduzioni sarebbero meno chiare, (1) Garampi, Saggio, pp. 122, 126. — Carli, Opere, III. 359; Theìner, ecc. — Sul ragguaglio originale di 18 grossi veneti a ducato pel 1284 e suo aumento nel 1285, Carli, V. 153. (2) Il ragguaglio di 20 grossi veneti a fiorino risulta da una pergamena in questo Archivio di Stato (Materie politiche) per rimborso di danni dati da certi genovesi a veneziani 1275-90. Ma anche ciò pei documenti che stabiliscono il ragguaglio di 100 grossi veneti e di 50 grossi tornesi all’ oncia di tareni, pari a 5 fiorini per oncia. Fusco, pp. 19, 20, 27, 30; Garampi, Saggio, 90; Syllabus membranarum sotto cit., I. 122, 155, II. 1, 72, 228. — 666 — perché al naturale rialzo dell’ oro si complica la corru- ‘ zione della moneta piccola mentre quella del grosso di buon argento sta ferma ; si é dalla cooperazione di questi due elementi, del rincaro da una parte e della corruzione dall’ altra, che si avvera nei piccoli un rialzo mostruoso da 38 soldi nel 1289 fino a 64 a ducato nel 1305, cioè quasi del doppio. Il sig. Yule graziosamente rispondendomi non avea nulla ad opporre al mio ragionamento ; solo si doleva di non esser più a tempo a farne caso, per la sua nuova edizione, allora appunto terminata. In altro nostro studio ci siamo allargati a dimostrare con varii argomenti la generalità dei due qui segnalati periodi ascendente e discendente. Recammo 1’ esempio del Pegolotti, il quale scrivendo verso il 1340 potè seguitare tutte o gran parte di tali mutazioni, tanto in salita che in discesa: ed é perciò che egli suole formare come una scala di prezzi dei fiorini, perperi e carati, in corrispondenza ai diversi valori delle monete di Genova, X 7 Venezia, Firenze, Puglia, Inghilterra, Fiandra, ecc. Ma qui limitandoci al solo periodo ascendente che s’ incontra nel nostro documento, vedemmo già il grosso tornese e il veneziano procedere di pari passo e vi potremmo aggiungere il grosso bolognese, buono e fermo anch’ esso e che si può. ragionare a grossi 3 */, per ogni grosso tornese. Ebbene il grosso bolognino che- correva verso il 1280 a 30 a fiorino, lo vediamo (e certamente non di salto) ragionato a grossi 40 ai principii del secolo XIV, e questi grossi 40 sono anche ricevuti per 12 grossi tornesi in Curia romana. Riscontriamo un rialzo simile nei carlini d’ argento — 667 — (grossi regali di Carlo d’ Angiò). Questo Re li emette nel 1278 al tasso di 12 carlini a fiorino, edera ancora al disotto del vero ragguaglio, perché, come a Venezia, come dovunque, si volea frenare al possibile il corso dell’oro; ma il commercio non volea sapere di tali freni; e tosto in piazza si manifestava l’agio a Napoli pure, dove Re Carlo fu costretto nel 1302 a far battere un altro carlino detto più comunemenie gigliato, il quale era posto a 12 gigliati a fiorino come il primo carlino, ma conteneva un quinto di più d’argento fino (1). E nemmeno bastò questo rimedio perché l’agio ripigliò sulla nuova base e si alzò fino al nove e più per cento. Questo medesimo fenomeno dell’ Italia meridionale si può considerare sotto un altro aspetto, che reca ad uno stesso risultato. Il carlino del 1278 era in origine rag-gualiato a 10 grana d’oro 0 l/I2 di fiorino (grana 120), ma i documenti ce lo mostrano poi ribassato a grana 9, ad otto e mezzo ed otto, restando sempre il fiorino a grana 120 d’oro; fin quando fu coniato il secondo carlino maggiore 0 gigliato alla tariffa d’origine di grana 10 (2). Per simile causa nel pagamento d’ un annuo tributo al Re Carlo, i grossi d’argento del Re di Tunisi, detti direm o migliami, erano valutati cinque grana d’ oro (1) I due carlini, il primo o minore (1277-8), il secondo maggiore 0 gigliato (1302-5), sono ken chiariti da Salvatore Fusco, Op. cit., il quale a p. 13 indica pure 1’ agio cresciuto a 9 >/2 p. % sul secondo carlino. Per 1’ agio sul primo carlino, ved. Fusco Giuseppe, Dell’ argenteo imbusto di San Gennaro, Napoli, 1861. (2) Syllabus membranarum ad Regiae Siclae archivimi pertinentium, Neapoli, 1824. II, pars 2.3, 58, 6.3, 87. — 668 — ('A; di fiorino) nel 1270-73; ma nel 1278 non valgono più che quattro grana ('/,» di fiorino) (1). IV. 1 Dalla quistione preliminare passando alle speciali al nostro documento del 1292-93, quale fosse allora il rapporto tra i due metalli si può riconoscere per ventura dal documento stesso; e ponendone il risultato in confronto ad altri che prima d’ ora ci eran noti, se ne può cavare un concetto abbastanza soddisfacente del valore di quegli aspri, soldi provvisini, pisani, genovini, che Nicolò di Chartres va nominando di mano in mano. Nella parte del viaggio in andata da Genova a Trebisonda, vi é un frammento della sosta della Legazione a Brindisi, e questa volta invece di conteggiare, come al ritorno in tari e grana, lo spenditore conteggia a lire, soldi e danari di reali (reali già notammo come contrapposto di quelli del Re Carlo agli imperiali di Federico II, e d’ Enrico VI colà stesso correnti). Dalla somma di questa sosta, che lo spenditore ha ragguagliato in fiorini, si vede in primo luogo che un fiorino ha lo stesso valore di una lira di danari reali (pag. 594): questo é già importante perché ci spiega quel grano d’oro che abbiamo dovuto riservare finora. Si capisce che un tari pesando, come sopra, soltanto grammi 0.891, il grano d’ oro che andava a 20 a tari non può essere stato in natura, dovea essere una moneta ideale pel conteggio, (1) Pel 1270-3, Fusco Salvatore, p. 4. — Pel 1278, ved. Minieri Riccio (Archivio Storico Italiano, 1878, 1.® semestre), p. 444* — 669 — da sostituire con altro metallo nei pagamenti. Che cosa vi si sostituiva? Il danaro reale, del quale numero 240 (o una lira di 20 soldi) valevano un fiorino, mentre esso fiorino era conteggiato 120 grana; dunque ogni due danari contavano per un grano d’ oro. Ma ivi stesso Nicolò di Chartres ci dice qualche cosa di più; ci avverte che nove grana valevano un regale. Ciò é male espresso, ma il senso é chiaro: nove grana valeano 18 reali 0 regali, ma eran danari 0 piccoli di bassa lega, e nello stesso tempo valevano un regale o reale, ma quest’ ultimo era un grosso reale ossia il carlino di buon argento, che appunto sopra dicemmo essere disceso dal 1278 al 1302 da grana 10, a 9, poi 8 '/* e anche a 8. Ecco che nel 1292 lo troviamo a grana 9, e a questa ragione in 120 grana un carlino ci entra 13 volte; deve dunque essere questo allora il valore del fiorino. Arrestiamoci qui e studiamo il contenuto di questo carlino d’ argento del 1278. Si sa che era tagliato a pezzi 96 per libbra, 0 8 ad oncia del peso generale del Regno; il che sulla base ammessa sopra torna al peso di grammi 3.34; ma il suo titolo essendo a oncie 11, e steriini 3 (11 3/20, mill. 929) (1), riesce al fino digrammi 3.10. In tal caso carlini 13 ‘/3 conterranno d’argento grammi 41.33 di egual valore del fiorino, che contiene in oro grammi 3.536. Il rapporto così tra i due metalli preziosi sarebbe di un grano d’ oro per 116S/100 d’ argento. Né io nego che tale fosse rigorosamente, soltanto osservo un fenomeno contemporaneo che per 1’ utilità (1) Fusco Salvat. Ved. qui sopra a pag. 667, nota 1. — 670 — della sua applicazione consiglierebbe d’accettare un rapporto di poco minore. Abbiami detto più addietro che dal 1278 al 94 in Curia romana si riceveva il fiorino pel valore di grossi tornesi 10, e che questo grosso tornava al fino di' gr. 4.04. Un fiorino su quest’ ultima base valeva grammi d’ argento 40.40, col rapporto tra i due metalli di uno a ué3/:oo, che é quello che noi adottiamo (1). Il grosso tornese prestandosi benissimo ad essere la base generale delle altre monete d’argento, anche il carlino vi si sottomette con piccola modificazione ; esso può essere considerato come i tre quarti del tornese, e cosi del fino di grammi 3.03 invece di 3.10. Allora i carlini 13 y3 danno lo stesso risultato di gr. 40.40 del fiorino , e danno lo stesso rapporto tra i due metalli come il tornese. Si noti che a tre quarti del grosso tornese correvano allora anche i soldi di Susa e i soldi di regali di Valenza di Spagna. I grossi veneziani notammo essere stati ricevuti in commercio per mezzo grosso tornese, e grossi 20 veneziani per un fiorino 0 ducato d’oro verso il tempo dei nostri conti; cosi un tale grosso verrebbe pari a gr. 2,02 e un fiorino sempre a gr. 40.40. Aggiungemmo però che si sapeva esserne alquanto maggiore il valor vero; vediamo fino a qual segno ciò fosse. (1) Anche Promis, Monete dei RR. di Savoia, II. 208, ha il fiorino a grossi tornesi 9 i/2 in Savoia pel 1298-9; e a pag. 6 a grossi 10 in Piemonte, pel 1297-1304; perciò sempre arretrato in quelle regioni. Ma, se per la serie 1.» 0 ascendente, fino al 1302 circa, il Garampi la vince su tutti per la ricchezza dei dati fissi e delle oscillazioni, per la serie discendente che seguirà nella prima metà del secolo XIV, il miglior fonte è l’illustre e compianto mio amico Domenico Promis (Op. cit.). — 671 — Dal Pegolotti apprendiamo che tali grossi si tagliavano a 109 pezzi in un marco di Venezia; e tale deve essere tenuto già dall’ origine il loro taglio, che non fu bene indicato dall’ illustre Carli e da chi lo segue tuttora; meglio è valutato dal Kunz e dal Lambros, ma con metodo meno diretto del nostro (1). Un marco di Venezia (moderno, ma applicato da noi al medio evo) é pari a grammi 238.4994, i quali ridotti in pezzi 109 danno ad ogni grosso il peso di gr. 2.188. Quella pasta era al titolo di oncie 11 '/, (mill. 958), come era la pasta dei grossi genovini, piacentini, aquilini, fiorentini, sanesi, tornesi, di xMonpellieri, e dei steriini (2). Di un po’ maggiore raffinamento di tali grossi italiani verso il 1296 non é qui il luogo di parlare. — Al titolo di oncie 11 ’/2 per libbra di pasta, il grosso veneziano del peso di gr. 2.188 si riduce al fino di gr. 2.10; otto centigrammi di più che in un mezzo grosso tornese. I grossi genovini nel minuto commercio fuori del loro distretto erano rozzamente ricevuti per due terzi del grosso tornese (3), che darebbero soltanto grammi 2.69, ma in realtà contenevano gr. 2.80. Ciò apprendiamo dal (1) Pegolotti, Tratica della Mercatura (in Della Decima ed altre gr avene, III. 137). — Carli, Opere, V. 143; Kunz, note al Lambros Monete de’ Gran Maestri di S. Giovanni di Gerusalemme in Rodi, Venezia, 1865. (2) Pel titolo de’ grossi tornesi e de’steriini, Wailly, Op. cit., pp. XXI, 121, 165. Per Genova, Fogliano III, 2. 67, anno 1348, ma più volte nel secolo XIII in esso Foglialo e nel Richeri indicato un valore eguale per la pasta de’ steriini, de’grossi genovini, veneti, e di Toscana e di Monpellier. Ved. nella nota 3, pag. seguente, uno di tali documenti. (3) In Sardegna ann. 1270, in Historiens de la France (Bouquet) XX, 446; ma anche qualche volta in atti notarili a Genova, nei citati Fogliano e Richeri. — 672 — documento della pace tra Genova e Pisa nel 1284, ove il marco di steriini é ragguagliato a lire 4 o soldi 80 (1). Il marco di steriini o di Londra e di Colonia oggi è pari a gr. 233.862 e, se si taglia in 80 pezzi, rende al soldo genovino il peso di gr. 2.92; ma al titolo sovra-indicato di oncie n '/, si riduce al fino di gr. 2.80. Tale è appunto il peso e il titolo del noto grosso di Genova colla leggenda Ianua quam Deus protegat; onde si veie che a quel tempo in questa città il soldo e il grosso si confondevano in un solo pezzo. Ciò viene anche confermato da più documenti notarili, ove la pasta dei grossi genovini, veneti, toscani ecc., é contrattata da L. 5.8 a L. 5.9 per libbra, peso di Genova. Tale libbra essendo ora pari a grammi 316.75 , se vi si taglino entro pezzi 108 '/* in media, ne uscirà un soldo di gr. 2.919 colla lega, come ne usci sulla marca di steriini (2). Ciò posto, soldi o grossi 14 genovini a gr. 2.80 di fino colla giunta di 5 danari (S/I2 di grosso) daranno gr. 40.365 per fiorino, poco diverso dal risultato con 10 grossi tornesi. Ed é perciò che fin dal principio dicemmo doversi nel 1292-3 preferire questo prezzo del fiorino in soldi 14 5/,2 invece di quello un po’ più vecchio che ci danno i documenti a soldi 14 e P*u O)- Gli steriini d’ Inghilterra, molto in voga allora in Francia, a Roma, a Genova, si sa che erano tagliati (1) Nel Trattato tra Genova e Pisa, Moti. Hist. Patr., Jurium II, 117. (2) Gandolfi, Della moneta antica di Genova, Genova, 1841, II. 228 — Ibid. p. 152, a L. 5. 8, 9 genovine per libbra di pasta di genovini e di grossi veneti. (3) Genovini a soldi 14 il fiorino e soldi 70 a oncia di tareni nella pergamena citata in nota 2, p. 665. A soldi 14* 2 e 14. 4 nel 1282, nel Foglialo 2.t., II. 1. 236; e a 14. 4 nel 1287, ibid. III. 1. 42. verso. — 6?3 — a 160 pezzi in un marco loro nazionale, che testé ragguagliammo a gr. 233.862. Il loro titolo essendo, come fu già avvertito a oncie 11 'j2ì si riduce al fino di gr. 1.40 il loro peso che senza ciò sarebbe di grammi 1.46; sarebbero insomma precisamente eguali a un mezzo grosso genovino in, peso e in titolo. Eppure fuori del loro Stato, anche nelle tariffe, lo steriino non era ricevuto che per un terzo di grosso tornese, dunque pel fino di gr. 1.346. Ciò sapevamo per la Francia (1), potevamo anche dedurlo per Roma; ora il nostro conto ce lo conferma per Genova, ove verso la fine del documento (p. 642) tre soldi di steriini (36 steriini) sono valutati lire di Genova 8.12.6; donde sulla base del soldo genovino a gr. 2.80 uno steriino torna a gr. 1.346. Per conseguenza gli steriini saranno corsi a ragione di 30 a fiorino, come del resto si può cavare da altri dati. Tale armonia di risultati fra il peso moderno di Genova e di Londra, che batte anche pel medio evo e si può confermare con altro documento genovese del 1277 (2), non ci pare piccolo conforto alla nostra tesi della stabilità dei pesi in generale, salvi sempre i casi speciali ove si hanno prove in contrario. A Pisa correva un grosso, detto aquilino dallo stemma imperiale incisovi: cotale grosso era equiparato in commercio a quello genovino, perciò di gr. 2.80. Ma, mentre a Genova il grosso era identico col soldo (1) Wailly, Op. cit., XXI, 121, 165, ann. 1265. (2) Fogliano cit., II. 1. 180; analizzando il conto e notando che la marca di Genova era di oncie nove del peso proprio come risulta pure dal Fogliano III. 1. 69, e Richeri, I. 176. 8. II. 12. 1. Atti Soc. Lig. St. Patri*. Voi, XIII, Fase, III. 45 — 674 — di danari 12 suoi proprii, a Pisa, e in Toscana tutta (ove i danari eran molto corrotti) 1’ aquilino ne valeva 33 (1) di que’ suoi e di quelli di Firenze e di Lucca. Aquilini 14 a soldi 2 3/4 (den. 33) per ciascuno, se fa-ceano ancora un fiorino come lo faceano già nel 1270, darebbero soldi 38 '/2; noi troviamo il fiorino asoldi 38 nel nostro documento e dovrebbe valer di più, ma ciò almeno mostra approssimativamente quanto argento vi era in quei soldi 38 a 38 '/2. Anche a Roma vi fu dapprima un grosso d’argento d’egual valore del genovino, dell’aquilino e di due steriini. Quello di Roma avea nome romanino non solo per la patria, ma e per la leggenda impressavi: Roma caput mundi. Anch’ esso perciò era corso verso il 1274 a 14 grossi per fiorino; ma ben presto si era colà coniato un nuovo grosso detto romanino rinforzato, perché colla stessa leggenda ha un peso maggiore e si approssima al grosso tornese restandone al di sotto: i ragguagli che ne abbiamo con altre monete ce ne additano il fino in gr. 3.80 a 3.82 (2). Vedemmo che pel nostro conto, come per altre fonti, il fiorino correva a soldi 25 di provvisini (nome della piccola moneta romana) e valeva nello stesso tempo in Curia 10 grossi tornesi pari a gr. 40.40; perciò un soldo di provvisini dovea contenere di fino gr. 1. 61 circa. Combinando questi dati col grosso romanino vecchio e col nuovo 0 rinforzato si avranno i risultati seguenti. (1) Carli, Opere, IV. 299, e nelle Aritmetiche mss. di Paolo dell’Abaco e di Jacopo da Firenze nelle Biblioteche fiorentine. (2) Garampi, Saggio , p. 127. — 67S - Provvisini io varranno uno steriino; provvisini 30 un grosso tornese (1). Il romanino vecchio si spenderebbe per provvisini 17 a 17 '/2 e un fiorino varrebbe, come il genovino, 14V.2 di tali romanini. Il rinforzato si sarà speso per provvisini 28 ‘/2 e il fiorino per 10 ‘/2 rinforzati. Parrà strano che nella stessa zecca il grosso non sia in rapporto rotondo coi suoi propri piccoli ; ma era in rapporto rotondo in origine, tanto alla emissione del romanino vecchio quanto a quella del nuovo: senonché il subito rincaro sconvolse le proporzioni, e diede luogo all’agio dei danari sul soldo: peggio colà dove la zecca non fu previdente a secondare adagio il movimento, invece di peggiorarlo con violenza legale. È inutile scender più abbasso a cercare il peso e il titolo dei piccoli di tali monete: i documenti su ciò sono muti per lo più, ma non sono necessari pel nostro scopo. V. Lasciammo per ultimo l’aspro, come quello per cui ci mancano dati contemporanei. Non si può ammettere, come ammette il sig. Yule, il taglio dell’ aspro torisino (di Tebriz) a 190 pezzi la libbra di quel peso. Il ragguaglio di essa libbra in peso decimale veramente patisce difficoltà, pei dati non ben concordi forniti dai Pegolotti che dà quel taglio; ma é agevole ridurne l’oscillazione (5) Garampi, Saggio, p. 125; lo stesso, Memorie della B. Chiara di Rimini, p. 232-3; ivi provvisini 9 e io a steriino, e steriini 30 a fiorino, che concorda con grossi tornesi 10. — 676 — entro limiti ristretti (r). Su questa base ottenemmo il peso di tale aspro in gr. 1.67 circa, i quali al titolo dato da lui stesso in oncie 11.17 (mill. 976) scendono ancora al fino di gr. 1.62. Or come potrebbe conciliarsi ciò con un altro dato, che pure accetta il sig. Yule e che ci è tramandato da Marco Polo? Secondo questo viaggiatore, contemporaneo al nostro documento e perciò più autorevole qui del Fiorentino che scrisse mezzo secolo dopo, un aspro valeva un poco più che un grosso veneziano, vale a dire più di gr. 2.10 d’ argento fino. Il Pegolotti é certamente un testo non mai abbastanza apprezzato; ma, lasciando andare che la edizione del Pa-gnini, forse per difetto del ms., ha parecchi errori, quel commesso viaggiatore non pensava a fare un libro digerito con una revisione generale, bensì scriveva a mano a mano le sue note come gli capitavano. In quegli anni precedenti, come fu detto sopra, erano avvenute gravissime mutazioni e in rialzo e in ribasso: quindi é agevole trovare nelle sue note delle contraddizioni in pagine diverse: soldi di piccoli che contengono più dei soldi in grossi, perché quelli più antichi, questi più recenti; titoli dei piccoli impossibili pel 1340, e monete d’oro che saranno state ancora in circolazione ma non si battevano più. Ciò sia detto in genere e per prevenire altre obbiezioni possibili: ora ritorniamo agli aspri. Dei quali fu detto qui sopra che quelli di Tebriz e (1) Yule, Op. cit., I. 12-13, nota 2. Lo stesso, Catliay and thè way thither, II. 301. Pegolotti, Op. cit., pp. 8. 12. Il testo originale di M. Polo, che dice l’aspro di un po’ più di valore che il grosso veneziano, non si trova in altra edizione, fuorché in quella del Ruueil de Voyages pubblicata dalla Società Geografica di Parigi, capitolo 110. I. 121. Gli scritti sopra indicati (nota a pag. 651) sugli aspri di Trebisonda non ci danno alcun lume pel loro peso e titolo. - 677 — di Trebisonda verso la fine del secolo XII e principio del seguente doveano essere di valore eguale. Fu pure trovato che nel 1314 gli aspri di Trebisonda correvano a 14 a perpero, perciò 21 a fiorino; ma fu anche anticipato da noi, riservandone a questo luogo la ragione, che per nostro avviso nel 1292-3 non dovea essere così. Nel 1290-93 un fiorino, valendo dieci grossi tornesi o grammi 40.40, il rapporto tra i due metalli risultava di un grammo d’oro per n 63/l00 d’argento: questo fu provato da noi e fu aggiunto che, in seguito al rincaro del metallo più prezioso e restando fermo l’argento, un fiorino dal 1302 al 1315 circa salì al valore di 12 grossi tornesi o gr. 48.48; donde il rapporto pure si alzò ad un grammo d’ oro per 13 7I/,00 d’ argento. Un fiorino nel 1314 valendo ad un tempo gr. 48.48 ed aspri 21, l’aspro torna a gr. 2.305. Ma nel 1292-3, anno del nostro conto, il fiorino vale solo 10 grossi tornesi, o gr. 40.40; e se 1’ aspro si supponga, come sopra ci parve probabile, di un peso e titolo costanti, non potevano correre che circa 11 3/4 aspri per un perpero e 17 per un fiorino. Nel dubbio preferisco la cifra rotonda di 12 a perpero e 18 a fiorino, come sopra accennai; e col fiorino, pari a gr. d’ argento 40.40, ne cavo un aspro, di circa gr. 2.24. Ad ogni modo, sia di gr. 2.30, sia di gr. 2.24, si verifica quel che dice Marco Polo dell’ aspro che era un pò maggiore di un grosso veneziano ; ma si verifica meglio nel secondo caso, che dicevo più probabile pel 1292-93, cioè a gr. 2.24 e a 12 il perpero. Ciò trovo anche più probabile per un’ altra ragione; 1’ uso allora generale e la comodità del sistema duodecimale : donde anche provenne 1’ antichissima divisione — 678 — del soldo in 12 danari. A Costantinopoli il perpero era bensi ragionato a 24 carati, ma vi fu e prima e dopo del tempo di cui ci occupiamo un altro ragguaglio del perpero a 12 migliaresi 0 grossi d’argento di colà. Trebisonda fu un Impero strappato a quello di Costantinopoli, e gli Arabi e i Turchi e i Mongoli e i Barbari che si divisero i brandelli dell’ antica e della nuova Roma non fecero che imitarne più 0 meno anche la moneta. Il nostro documento accenna ancora (pag. 614) a un altro genere di moneta, i bisanti spesi a Trebisonda ma pagati ai facchini di Tauris. Tale bisante é ivi stesso ragguagliato a cinque aspri, perciò sulle basi sovra spiegate verrebbe, se in argento fino grammi 11.20; se in oro fino gr. 1 circa. Un pezzo d’argento di tale contenuto non si coniava allora in nessun luogo ; ma io non lo credo nemmeno effettivo in oro, si piuttosto un bisante di conto, cioè ideale per la comodità del conteggio, come più altri bisanti contemporanei. Il Pegolotti nomina anch’ egli il bisante tornino (di Tauris), ma lo ragguaglia a sei aspri ; che é una nuova prova del detto sopra, che non si possono confondere i valori del 1340 circa con quelli del 1292. Ancora una osservazione. Il Pegolotti dice di certi aspri, per esempio di quelli della Tana nell Impero del Kipciak, che si ragionavano a 16 folleri l’aspro (1) (anche il fallerò nome e moneta di rame bisantina). Noi non troviamo nei nostri conti tale frazione, in luogo della quale ce n’ é una un po’ migliore, perché si conteggia a 4 per aspro; il suo nome non ci è conservato che per la sua fi) Pegolotti, p. 6. — 679 — iniziale r..., né conosciamo alcun documento per completarlo. Sui ragguagli da noi dati, in argento fino, dei soldi e danari delle diverse monete, potrà, chilo voglia, valutare la somma totale spesa nella Legazione anche in grammi d’argento e in lire italiane alla tariffa legale, che tassa 222 millesimi di lira per ogni grammo fino di metallo monetato. Noi dicemmo il perché sia preferibile per quel tempo starsene alla valutazione in oro; ma quando sia fatta ne’ due metalli, si vedrà che le due cifre finali non battono d’ accordo l’una coll’altra, come parrebbe che dovessero battere. La ragione della differenza sta in ciò che dicemmo, sulla diversità del valore rispettivo dei metalli preziosi dal medio evo al nostro. La differenza tra l’una e l’altra delle due cifre, ottenute con metodo diverso, corrisponderà esattamente colla differenza dei rapporti fra i due metalli vigente allora od oggi. Vi sarebbe un’ ultima quistione. Con quelle lire italiane 22,751.61 in oro spese nel 1292-93, si potrebbe avere oggi quella quantità di pranzi, abiti, arnesi, merci, che si ottenne allora? No certamente, ma sì una quantità notevolmente inferiore. Come anche vediamo nel nostro secolo, le mercanzie valgono sempre più di giorno in giorno rimpetto al danaro, così pure i viveri, le pigioni, i salarii, le giornate. Ciò è anche più evidente pel medio evo, a chi per poco si occupa di questi studi ; e, più si va indietro, il danaro si trova sempre più caro, la merce sempre più a buon prezzo. Tutti gli scrittori ne convengono; solo si disputa, e con sentenze molto diverse, del quanto più si abbia oggi a stimare la merce a pari danaro. E difficile una risposta — 68o — ricisa, tanto più dacché il rincaro della merce é ora in progressione rapida quasi d’anno in anno : se dovessimo gittar là un nostro parere qualunque, sarebbe quello di triplicare la somma finale in òro, per poter oggi soddisfare a quegli stessi bisogni a cui si é soddisfatto colle spese descritte nel documento, scopo de’ nostri studi. II. GLOSSARIO Acquietancie (littera) 626. — Quitanza, pagamento (polizza di). Aketonum 591, 599, 606 ecc. — In Ducange sagum militare, mantello di lana grossa 0 anche pelosa; in francese auqueton. Alapha, 608. — Regalo. Vedi sopra a pag. 579 e sotto a p. 695. Albalestra, albalesta (filus albalestre) 613, 614 ecc. — Balestra. Alcornyne (capicium de), 620. — Specie di stoffa 0 di pelliccia? Alea, 606 ecc. — Aglio. Anaperium , Hanaperium (de camote), 605, 606, 613; ligatura anaperii 606 ; hanaperium prò cupa argenti, 640. — In Ducange hanapa seu patera apud Anglos ; hanaperium, sporta grandior; ma forse meglio il vassojo 0 sottocoppa. Arma (ad arma domini), 595. — Lo stemma. Auberjonus, 621, 640. — Usbergo. Auca, 600 e passim. — Oca. Aylle? (prò gerfalconibus), 608. —...... Bacinettus, 592, 608 (argenti), 605. — Bacino propriamente, ma — 682 - spesso nel medio evo per elmo o simile per somiglianza della forma. Baco, 617, 618. — In Ducange ex gallico et anglico, porcus saginatus, ustulatus et salitus. Sari la carne salata; in inglese bacon significa lardo; ma qui il lardo è spesso indicato col suo nome proprio. Barbarius, 607, 615 ecc. (lapis prò), 621. — Barbiere. Ved. lapis. Barga, 592, 602. — Barca. Barille, 597, 606, 635, 640. —Barile. Ved. estaves, sanula, sto-peurs, tamaris. Batilagum, batillagium, 593, 294, 617 ecc. — Spesa del trasporto col battello. Besaunti, 604, 614. — Bisanti, moneta di conto. Ved. Appendice I, p. 678. Blevettus (pannus), 592, 593. — Azzurrognolo, Ved. pannus, pikes. Bockeletti argenti prò sotularibus, 594. — Boccolette pei calzari del signore. Borellus, Burellus (pecie de) 591, 633.— Pezze di stoffa mista di lana e lino. Cosi nel Ducange. Boscum, 598 e passim. — Legna. Bote, Botte, 607, 61 r, 612, 613 ecc. — Stivali. Boteleria (cultella prò), 600. — Bottiglieria o Calzoleria? Botle prò sella, 603. —...... Botoni de ceda, 612. — Bottoni di seta. Bovis venter, 635. — Trippa di bue. Bouge de coreo, 604. — Bolgetta di cuoio per riporvi gli argenti. Bracerius hernasii, 612. —.....Ved. hernasium. Braerium, Brayerum, 600. — Brachiere. Brocarius, 624, 629, 641. — Sensale; in inglese broker. Broche e Broches, 613, 622, 223, 625, 627. — Brocca da acqua? o da bere? 0 altrimenti, bollette, piccoli aguti. Bucramum (pavilone cum bucramis), 595- Bucherarne, stoffa di cotone 0 d’altro nota nel medio evo, ma ora non ben chiara, nonostante gli studi del D’Avezac, di Francisque Michel, di Yule, d’ Heyd. Ved. pavillonum. Cabanus, 614. — Gabbano, mantello. — 683 — Cacabus , 600, 605, 615 (eneus) , 612. — Caldaia di rame o d’ altro. Calcares, Calciamenta, 607, 625, 626, 632. — Calzari. Ved. caliga, sotulares, bote. Caldare, 592. — Scaldino? Calige, 592, 604, 606 (de cotone, de perso; sotulare ad caligas). — Calzari di cotone, di color perso. Ved. sotulares, percius. Camote (hanaperium de), 606. — Forse di camocato? Caneceno, 603 (unito a pcytcrelle et croper). —..... Canevace, 592. — Canevaccio. Caniculus, 608 (prò pavilone). — Forse un piccolo cane di legno o di metallo, posto a reggere lo scudo del Signore, per coronamento esterno del padiglione? Canna, 592, 594. — Canna, misura di lunghezza. Capellus, 598, 604 (domini, gerfalconum, ceda prò). — Cappello, anche pei girfalchi. Vedi Prefazione a pag. 551; seta pel cappello. Capicium (capicum per errore), 593, 594, 600, 627. — Cappuccio. Capistrum, 597 ecc. — Capestro. Ved. tapestrum. Caro grossa, 598, 599. — Carne di bestia grossa. Carpeta, Carpiti, 592, 617, 621. — Tappeto, in inglese carpet. Cattedra, 527, 621 (prò domino). — Sedia più nobile. Cayle, 594 (canne Unge cayle). — Pare una specie di stoffa di lino. Ved. lingea. Ceda, 595,598, 604, 618, 628, 638. — Seta. Ved. botoni, capellus, gerfalco, pannus, robe. Cedula, 595, 642 (summa istius cedule). — Conto di spesa che fa parte della somma generale del rotulus, ruolo 0 membrana. Ved. rotulus. Cella, 595. — Sella. Cenapium, 601, 614, 616. — Senapa. Cendato, 593, 605. — Zendado. Ceroteche furrate , 593. — Guanti foderati 0 impellicciati. Chibolt, 624. — Dovrebbero essere le cipolle; ma le altre volte sono indicate col loro buon nome latino cepe. — 684 — ClBOLLERIO ARGENTI, 640. —..... Ciphus, 592, 597 (planus, argenti, eneus). •— Tazza o vaso di rame, d’ argento ecc. Clamamans, 601. — Banditore? Clare, Clarre, 523, 624, 628, 633. — Nominato insieme al zafferano, al pepe, alla salsa. Forse è il clarerium in Hopf, Chroniques grèco-romanes, pag. 231 : Dépense de Vhotel de Philippe de Savoye: scutellarum, concharum ... ad reponendum dragea, cla-rerio. Ma il Ducange spiega dar a per sonaglio. Clavatorei, 502. —..... Clavatus (equis clavati pedis emendacio) 600. — CoCLEARES FERREI, 592. — Cucclliaj. Coffinellus, Cofinus, 617, 633. — Cofano, cestino. Ved. pastellus. Cole, 621. — In inglese significa cavolo. Colobium, 629. — In Ducange tunica absque manicis, vel brevioribus. Computus in grosso, 596. — Conto di spesa reso all’ingrosso o in totale. Convencionaris (littera), 591. — Contratto scritto: forse già una una lettera di cambio? Corree (prò strettis), 613. — Correggie; per le staffe? Coyfes 606 (lanei), 621. — Difesa di lana per la testa? Crata ferrea, 600. — Inferriata 0 grata di ferro. Crebrum, 608. — Crivello? Croper, 603, 606 (pro duabus sellis). — Groppiera. Cupa (argenti), 597, 609, 639, 640, 642 (pes), 640 (hanaperium prò cupa). — Coppa d’argento e sua sottocoppa. Ved. anaperium. Custura, 599, 605, 611 ecc. — Cucitura. Cyminus, 611, 6r8, 631. — Cornino, sorta d erba. Discus, 592, 614 ecc. — Desco. Ved. platellus. Drapperia prò falcone, 593. — Drapperia, ornamento? Escheker (pannus), 621. — Panno a scacchi; in Pegolotti: scaccato. Pratica della Mercatura, pag. 282 e segg., nel capit. lunghe.^e de panni. Ved. pannus. Estaves (barillarum), 640. —..... Faldatus 0 Saldatus? (pannus), 592. — Sorta di panno. In Pegolotti falde, cioè ghamuna bianca, h questo? — 68j — I"anula o Sanula? 6o6 (barillis prò fanula). —..... l'AUSCORD’ PRO DOMINO, 633. —..... Fariare equum (da correggere così nel testo) , 618, 633; vi è per errore sanare. — Medicare il cavallo, in inglese farrier. Feltrum, 606, 613 (prò sella). —Feltro, lana od altro compresso e non tessuto. Feodum, 616. — Servizio. Ferrura (equorum), 593 ecc. — Ferratura. Fesaunte, Feysaunte, 627, 630, 638, 639. — Fagiano. Fìlettes de pork’, de porco, 639. — Schienali di porco (le animelle entro le vertebre del dorso). Fiola, Fioles (de vayr), 614, 616, 638. — Caraffe 0 simili vasi di vetro. Fonne , e per errore sonne. — Cerbiatto, in inglese fawn. Forcette (domini), 640. — Forchette. Forinsece (expense), 592, 605, 612, 624, 627. — Spese straordinarie. Ved. Prefazione, p. 546. Formi- longe, 600. —..... Fructu, Fructu diverso, 598, 601, 603 ecc. — La frutta a tavola. Furbita, Furbitura, Furburatio, 604, 623. — Forbitura della spada e simile. Furrura (agnorum), 593, 620; de veyr gris, 600; de gros veyr, 592; de gris 593; wolpentina, de wolpis albis, 620; de ventre leporum, 593; de gules, 620. — Foderatura 0 impellicciatura. Ved. le voci predette ai loro luoghi. Fustanea, 591. — Fustagno. Gabea, Cabia, 606, 620, 622 (lipardi). — Gabbia. Ved. lipardus. Galant’, 624 (prò cenapio et galani). — Forse galantina, che altri traduce per soppressato 0 mortadella fina con pistacchi e spezie: altri la mette fra le salse e i savori, come qui è unita alla senapa. Ved. Cherubini, Vocabolario milanese-italiano, coll’esempio dallo Scappi. Garcio, 593, 597, 600 ecc. — Garzone di servizio. Gaynes, 621, 632 (e qui anche « ganyes » che pare scritto per errore), 605. — Guaina, fodero del coltello ecc. — 686 — Gentaculum, 607, 626, 633, 633, 635, 636 (expense cibi et potus prò gentaculo; prò gentaculo domini et familie; gentaculum prò domino et tota familia. — Parrebbe significare i servitori più bassi; ma l’ultimo esempio è 1111 po’ più ambiguo. Gerfalco, 598 ecc. (capellus gerfalconum). — Girfalco. Ved. Prefazione, pag. 550-51. Glaucus (viridis glaucus), 595. — Verde di mare. Gradius, Gladius, 623, 624. — Spada 0 strumento simile. Gratur\, 592. — Gratuggia? Gres prò equis, 635. —...... Greves, 723. —...... Gris, Grys (furrura, pelura de), de veyr gris, 592, 593,600. — Pelle di vaio da foderare 0 impellicciare. Ved. veyr. Il vajo è animale simile allo scojattolo, con pelle di color grigio sul dorso e bianco al di sotto: perciò in italiano si dice dosso di vajo il gris 0 petit gris, e vajo semplicemente il ventre dell’ animale. Gubeleti (de terra), 600, 627. — Bicchieri, calici o simile. Gules (furrura de), 620. —..... Hanaperium, 604, 610. — Ved. sopra anaperium. Hawes, 603. — Forse uccelli; ma in inglese havj significa il frutto della spinalba. Hernaseum, Hernasium, e per errore hornasium, 599, 612, 617, 633, 637, 640; selle hernasii. — Gli arnesi, e qui propriamente il bagaglio del Signore 0 della Compagnia. Ved. saccus. Hosee, Osee, e per errore hesee, 618, 629, 636, 639, 619, 622. — Uosa, panni di gamba. Ved. pedulare. Hospes, Hospicium, 622, 637, 641. — Oste, albergatore, albergo. Hostilagium, 624, 627, 629. — Lo speso per 1’ albergo. Houce, 626 ( prò moulo). — Gualdrappa pel mulo ; in francese housse, in inglese bousing. Jaunus, 592. — Giallo. Illmus? (in quo vasa argentea ponuntur) 603. —..... Incaustum, 609. — Inchiostro ? Invictis, Jnjunctis? 593- —..... Ipre, 592 (verga de). — Ipres, città di Fiandra ove si faceano tali panni. Ved. verga. In Pegolotti: vergati d’Ipro, vergateci. - 687 — Lace (de ceda), 617, 618, 624. —Trina, merletto di seta; in inglese lace. Lapis prò barbario, 621. — Pietra da barbiere, cote pei rasoj. Lardum, 601, 902, 605 ecc. — Lardo. Latimerius, 595, 396, 597. — Una professione che non so spiegare. Lavatoreum, Lavatorium, 592, 640. — Lavatorio. Lavendarius, 607, 631. — Lavandajo. Lecto de corda, 605. — Letto di corda. Lessine, 637. —...... Liardus (equus), 628. — Leardo (cavallo leardo). Liberatum, 594, 595, e passim. — Il francese livré, consegnato, pagato; voce in uso nei conti del medio evo anche in Francia, in Savoia e Piemonte. Limerus, Lumerus, Lumen (prò stabula, prò equis), 624, 627, 629 ecc. — Il lume. Lincellus o Lintellus, 600, 626 (custura lintellorum). — Il lenzuolo? Lineus e Lintheus (pannus) e Lintihamini, 602, 605, 613, 616, 619, 624, 641. — Pannolini, vesti di tela di lino, provviste o o fatte cucire per la Compagnia. Lingea (in cannis lingee cayle), 593, 594. — Anche qui forse una sorta di tela di lino. Ved. cayle; ma in Pegolotti: saje Ungi bianche. Sarebbe da leggersi lingee sayle? Lipardus, Liparderius, 611, 612, 614, 642. — Un leopardo e il suo custode. Loyne de porco, 638, 640, 641. — Lombi (di porco); in inglese loin. Macium, 621, 624 (ferreum). — Mazza di ferro. Macis (anuli prò), 604. — .... Makerellus (salatus prò stauro), 620. — Pesce detto sgombero; in francese maquereau, in inglese mackerel. Manipulus, 605. — Manica. Mappe, 602, 605, 619, 622. — Tovaglie. Marescallus, 606, 617 ecc. --- Maniscalco. Martellus, 623. — Martello. — 688 — Maulardus, 617, 618, 627, 628, 630, 635. — Pesce: la triglia; in francese rnulet, in inglese mutici. Menestrallus, 613, 618, 622. — Menestrello, giullare. Meyles, 620. — Mele, pomi. Molacio, Molura, 598, 600, 605, 615 (cultelle botelerie, novacularum). — Arrotatura della coltella, dei rasoj. Ved. le voci corrispondenti. Mortarius cum pile, 617. — Mortajo e pestello. Muffeles, 620. — Manicotti, in inglese muffe; e muffle sta per coprire, imbacuccare. Multones, 611, 620, 622. — Montoni. Mustardo, Mostardo, 625, 627, 628, 629, 640. — Mostarda. Nactes, 600. — In Ducange coperta che copre tutto il cavallo; ma anche una specie di feltro. Natte prò boteleria, 593, 600. — In Ducange stuoje tessute di vimini o giunco. Neula, Nueles, 628, 629. — In Ducange nebula, ostia 0 simile; oppure nueles, nocciole 0 nocelle, come dice il Pegolotti. Novacule, 598, 605 (molura novacularum). —In Ducange rasoj o altro tagliente. Olle (de terra, de argento), 622, 627, 633. — Pignatte o simili. Olivell’, 638. — Olive in salsa? Osee. Ved. hosee. Oystree, 617, 620. — Ostriche. Palleum, 610 (prebenda cum palleo). — Ved. prebenda. Paglia, profenda con paglia. Panellus, 602, 603, 629, 640 parvus; pro trussello; selle cum panellis. — In Ducange retis species, ephippii genus. L’inglese panel significa la bardella 0 sella dei contadini. Pannerium (canevace pro panneriis equorum), 604- Pannier in inglese è il nostro paniere, o cesto. Pannus (albus 592, blevettus, 592, 593? de ceda, 595, ceratus, 616, escheker, 621, glaucus, 595, lineus, lintheus, lintihiamini, 602, 605, 639 ecc., percius, de perso, 620, 424, vermilius et glaucus, 595, faldatus? vermilius, 592, ad arma domini 595). — Panni di seta, incerati, a scacchi, di verde di mare, vermiglio, bianco — 689 — allo stemma del signore, di lino, di color perso. Ved. le voci relative. Paperus, e per errore papera, 593, 599, 613, 628, 639, 636, 638. — Carta da scrivere. Parasol, 593, — Parasole. Pastellus, Pastilla, 628 (factura pastillarum de carne bovina et pullis, 613; de columbinis, 628; anguillarum cum pulvere, cofinellus in quo portare pastillas anguillarum), 633; species pastillarum. — Pasticcio di colombi, di carne di bue, d’ anguille ecc. Pavillonum, 595 (cum duobus bucramis factum ; pellis bovina prò roundello ad pavilonem, 602 caniculus prò pavilone, 608). — Padiglione di bucherarne ecc. Ved. bucramum, caniculus, ronnddlus. Pecie, Petie (panni de ceda), 595 ecc.; de burello, 591, 592. — Pezze di panni di varie qualità. Pedayo equorum, 637. — Pedaggio? Pedulare hosearum, 600, 636. — Pedule delle uosa. Ved. hosee, osee. Pelice, Pilice, Pelura de grys, 591, 592; furrura de ventre leporis pro una pilice, 593, 621, 623; pilice de wolpus, 620. — Pelliccie di dosso di vajo, di ventre di lepre, di volpe. Ved. veyr, furrura. Perdrices (perdices per errore), 618, 619, 620, 636, 637, 638, 639. — Pernici. Perches, Pertice (prò tenda), 596, 602; pertice prò reta, 608. — Pertiche. Percius, Persus, 620, 624. — Color perso, che si avvicina a quello del fior di persico: in Pegolotti, panni persichini. Petrocillum, 600, 601, e passim. — Prezzemolo. Peyterelle (croper ecc.), 603. — Pciuter in inglese è il peltro e gli utensili di tal materia. Pike (de blevetto), 595. — Picchi, misura di lunghezza a Costantinopoli, Trebisonda e Tebriz. Pile, 617. — Pestello. Pi.ate ferree, 592. — Piastre di terrò. Platelli, Platelle, 592, 593, 614, 621, 622, 622, 623 (disci, piatei li et salsarii); platelli depincti, 641. — Piatti e piattelli. Atti Soc. Lig. St. Pìtku, Voi. XIII, Fase. III. 4+ — 690 — Plesr, 593. — . Podices (et sausistrae), 636. — Podex la parte deretana; culatta del porco? Porcus, Porkus, Purcellus, 598 ecc. (fìlettes de porco, loyne de porco). — Porco. Ved. le voci corrispondenti fìlettes, loyne. Portagium, Porteragium, Portacio, Reportacio, 598, 599, 614, 638. — Spese pel porto, riporto di oggetti. Portarius de porta Eltrenti, 622. — Custode di una porta d’ Otranto. Potagium, 591 e passim; erba prò potagio. — Minestra, in francese potage, in inglese pottage. Prebenda, 598, 599, 600 ecc.; cum erba, 610, cum feno, 613, 629. — Profenda con erba, paglia 0 fieno. Prisonarius, 622. — Prigioniero. Profinellus, 597. —.....(nominato col capestro). Prompte, 607. —..... Pulvis specierum, 618, 621, 624; factura pastillarum anguillarum cum pulvere, 633. — Spezie in polvere. Puntonum, 622. — Pontone. Pycherus, 608. — Misura di liquidi in Ducange ; bicchiere ? Quissinetus de coreo, 640. — Cuscinetto di cuojo. Quissureat, 633. —..... Ramoles, 638, 640. — Ramolacci? Rancyen (tela de), 595. — Tela di Reims; pannus remensis in Ducange. Rasura unius super dorsum, 629. —..... Reden’ (sellae reden’), 604. —..... Reta (pertica prò), 608. —...... Riva, 591. — Dazio detto di Riva. Ved. Prefazione, pag. 541. Robe (de ceda prò domino) 593, 614. — Vesti, robe. Ved. ceda. Rotulus (summa summarum istius rotuli) 642. — Ruolo, rotolo, membrana ove sono scritti i conti e si tira la somma delle diverse cedole. Ved. ceduta. Roundellus ad pavilonem (pellis bovina prò), 602. — Roundellus in Ducange, circulus, cylindrum ecc., in francese roundeau, in inglese round. — 691 — Saccus, e per errore sarcitis, 602, 612, 613; saccus hernasii, 339, pro pane; unde portare panem, 612, 613, 623. — Sacco. Safferon, 623, 624, 627, 635. — Zafferano. Sage (et petrocillo), 627. —...... Saldatus? 592. —Meglio faldatus, sorta di panno. Ved. sopra. Salsaria Salserius, 592, 614, 627 ecc. — Vaso per le salse. Sanula o Fanula? 606 (barilles pro sanula). —..... Sariare, Seriare (datum marescallo pro equis sariandis), 617, 633. — Saria in Ducange sarebbero le ceste della bardella del somaro; ma qui è altra cosa. Ved. meglio fariare. Sauce, Sause, 623, 627, 631, 635, 636 (cum speciebus), 623. — Salsa colle spezie. Saucistra, Sausistre, 622, 625, 630, 632, 636. — Salsicce. Scarleto (nigro scarleto panno pro caligis), 592. — Panno scarlatto, o scarlatto e nero. SCHAR . • • , 606. —...... Scisurarum par, 624. — Paio di forbici ; in inglese scissars. Scuriol’ (furrura de), 592. — Foderatura di pelle di scoiattolo. Scutelle, 604, 622, 638, enee. — Scodelle ... di rame. Sella, 565 (reden’, 604; cum panellis, 603; hernasii 599; tarta-rina, 613). — Sella. Ved. le voci corrispondenti. Selsarum emendacio, 640. — Credo si abbia a leggere sellarum; riparazione di selle. Seriare. — Ved. sariare e meglio fariare. Serura, 624 (forse si ha da leggere ferrura). — Ferratura ? Signum, 619. — Cigno, in inglese swan. Signum, 635. — Stendardo, 0 segnale di riconoscimento? Mancia al garzone, che viene cum signo contra dominum. Sinctura, 629. — Cintura. Singulum (pro equo), 633, 640. — Cinghia del cavallo; in inglese cingle. Sotulares, 592, 593, 607, 636; sotulorum custura ad caligas domini, 599. — Calzari in genere; ma più propriamente la suola, come si vede dall’esempio. Species, 618, 621, 624, 627, 630, 632, 640 pulvis specierum; in — 692 — speciebus tartarium (leggi tartarum) et pastillarum, 632. —. Spezie. Ved. le voci corrispondenti. Stabilagium, 624. — Stallaggio. Staminum pro coquina, 629. — Stamigna per la cucina. Staurum, 595, 599, 629 ecc.; linguae salatae, makerelli salati, vinum acetum pro stauro ecc. — Deposito di vettovaglie e altro, dispensa; in inglese store. Ved. Prefazione, pag. 550. Stole (et conche), 614. —..... Stope de ceda prò aketone domini, 591. — Borra di seta per imbottire? Stopeurs barillarum, 640. — Turaccioli dei barili? in inglese stop, chiudere, turare. Streillo, Strell..., Streylleo prò equis, 593, 595, 598, 603, 640. — Striglia o stregghia. Strette (corree prò) 613. — Staffe? in inglese stirrup. Ved. corree. Sturge, Sturges, Sturgeno, 602, 613, 614. —In Ducange pesce sturione; ma qui probabilmente strutto. Sucre, 600, 628. — Zucchero. Sucrerose, 618. — Zucchero rosato. SUMATORIUS , SUMMERUS , SUMMERIUS, SUMTERIUS, 600, 606 , 633, 640. — Somaro. Supersingula , 593 j Sursingula , 636. Sopraccinghia. Ved.il Vocabolario milanese-italiano del Cherubini, che ben distingue la cinghia dalla sopraccinghia, alla voce sottpanya. Superstagnare (cacabum), 600. Stagnale la caldaia. Supertunica, 593, 623, 633. — In Ducange; clausa, talaris, manicas habens, longum tabardum et capacium. SuRSINGILLE , 629, SURSINGULORUM et SELLARUM EMENDACIO. Sopraccinghia? Ved. supersingula. Tabardus, 592. — Tabarro. Tabule (pro Joanne clerico), 639. - Probabilmente tavolette incerate 0 altro per scrivere, far note ecc. Tabulette prò domino, 615. — Ved. sopra, Taches ferrei, 602. — Bulletta, piccolo aguto, in inglese tack. Tamaris (badili de), 635. - Barili di tamarindo? Tapestrum, 639. — Forse si ha a leggere capestrum, capistrum. — 693 - Tarta, 598, 599 (erba pro), 604 (species tartarum e pastillarum), 632. — Torta. Iartarina (veste), 597. — Vesti all’uso de’ Tartari. Tartaresca (cupa argenti), 639. — Coppa all’uso dei Tartari. Tela de rancyen, 595, tela de cotone ecc. — Ved, Rancyen. Tincelli, 599 (coquitura). — Probabilmente il pesce tinca , tin-chetta, in inglese tench. Tolta (panni) 592. — Dazio sul panno. Tondura, Tonsura (panni), 593, 519, 623 (caligarum), 593. — Tosatura del panno. Tortice de cera, 636, Torticium de sex libris cere, 628. — Torcia. Trumpator ,592, 594. — Il trombetta, in inglese trumpeter. Trussarius, 612, 613, Trussellus, 606 (corda prò trussariis , prò trussellis, trussure, 633. — Fardello; in inglese Iruss, in francese del medio evo trousseau. Turchemannus, 595, 612. — Turcimanno, Dragomanno, interprete. Ulne (canevace), 592. — Braccio 0 cubito, misura di lunghezza. Ultri de pelle caprorum in quibus portamus vinum, 604. — Otri da vino. Uncto prò equis, 635. — Forse il grasso per ungere i fornimenti delle cavalcature? Vadia, 594, 641. — Salarii, stipendii. Valletto, Walletto, 594, 622. — Valletto, servitore. Veneson, 631. — Caccagione, in inglese vetiison. Verga de ipre (pecie de) 592; verga vermilia, 591, 592. — Pezze di vergato d’Ipres vergato, panno cioè fatto a verga o a righe. Ved. Ipres. Verjus, 606, 618, 619, 631, 632 ecc. — In Ducange agresto.; cioè 1’ uva immatura posta in conserva. Vermileus, Vermilius (pannus), 595; verga, 591, 592. — Panno di vermiglio colore. Veyr, 601, 625, 627 (fracta). — Bottiglia 0 simile di vetro, nominata colle fiole, gubeleti, olle ecc. Veyr (copertura de), 592, 600; veyr gris prò capicio domini, 600; gros veyr (furrura de), 592. — Vajo. Ved. sopra gris, grys. Vinetum, 633. — Vinello? Atti Soc. I-ig. St. Patri*. Voi. XIII, Fase. III. 44' — 694 — Vinum acetum, 602, 603; vinum acidum, 611, 625. — L’aceto puramente è distinto ai suoi luoghi. Viridis glaucus, 591. — Verde di mare. Warroch’, 624, 640. — In Ducange warkocus, ivardecorsimi vestis species. Wolpentina (furrura), 593, 595; de wolpis albis (furrura), 620; Wolpus (pilice de), 620). — Pelliccia di pelle di volpe, di volpi bianche. AGGIUNTE E CORREZIONI A p. 5 5 5- — Alle carte notarili di Genovesi nell’ Armenia minore si aggiungano 34 atti dal febbraio al giugno del 1274, compresi nel Notulario di Nicolò Dente in questo Archivio genovese di Stato. A p. 579 e 681. — Il vero e preciso significato dell’ alafa ci è dato da Clavijo , Historia del gran Tamorlan, Madrid 1782, p. 204, dove dice che il signor di Tauris comandò che a lui Clavijo e ai suoi compagni ambasciatori del Re di Castiglia, frattanto che aspettavano di partire, si desse l'alafa que ellos dicen por su mantenimiento : dunque il danaro per provvedersi di che vivere. E questo senso concorda con quello che si rileva dalle parole del vescovo di Zaiton, nel luogo del Waddingo citato alla pag. predetta. A p. 584. — Diatagara e Diagorgana, finora e da noi stessi considerate come due Diocesi distinte sotto Sultania Metropoli della Persia, vengono a identificarsi in una sola per le ragioni seguenti : Si sa che il primo di quelli Arcivescovi, Franco di Perugia, fu inviato colà da Giovanni XXII insieme a sei compagni domenicani consacrati Vescovi per essere suoi suffraganei. Fra questi sei era un Gerardo, che é detto Calvense nella Bolla riferita dal Rainaldo, V. 79. Il Bremond, Bullarium Ordinis Praedicatorum , II. 206, accenna verso il 1320 un Gerardo di Monpellier come Vescovo di Diatagera in Persia, e pensa che questi sia tutt’uno col Gerardo Calvense di cui sopra. Si avea pure notizia di un Bernardo di Guardiola, che nel 1329 fu eletto Vescovo di Diagorgana (Deikirghan presso il lago d’ Urmia) e fu finora considerato come il primo Vescovo di questa Diocesi. Ora una scheda del Suarez sovralodato (ms. della Nazionale di Parigi 8984, fol. 94) reca 1’ estratto della elezione del Guardiola al Vescovato vacante per morte di Gerardo Calveto ij idus septembris, anno 14 dello stesso Papa Giovanni XXII. Considerando che di una città di nome Diatagera non si sa nulla, e che tale nome non è lontano da quello di Diagorgana, come il nome di Calvense non è lontano da quello di Calveto (essendovi anche altri errori nelle trascrizioni di nomi nel Suarez, come è facile farne di simili nelle copie), si può inferirne con grande probabilità, che si tratta di un solo ed unico Gerardo venuto con Franco di Perugia e posto subito Vescovo a Deikirghan ; come ad altro de’ sei, Bartolomeo Abagliati di Siena, deve essere stata subito assegnata la sede — 696 — di Tebriz (Le Quien, Oriens Christianus, III, p. 1387,). Un altro dei compagni è noto che successe a Franco nell’Arcivescovato, e fu Guglielmo di Adamo. Un quarto compagno si potrebbe trovare in quell’altro suffraganeo, che fu Vescovo di Maraga al tempo del lodato Papa secondo il Galanus , Conciliat. Ecclesia armena cum romana, I. 508, 521, 527. Il quale qui è detto Bartolomeus parvus 0 Bononiensis, ma nulla osta a che sia d’ una famiglia De Podio come era il compagno di Franco. Le schede del Suarez ci additano un altro fin qui ignoto Arcivescovo di Sultania, nel domenicano Tommaso Galaaden eletto l’anno settimo d’Urbano V, per morte dell’Arcivescovo Giovanni (forse il Giovanni Core succeduto a Guglielmo d’Adamo). Altri Arcivescovi ivi son fatti conoscere, fra i quali noteremo solo Narsete di Melasgherd sotto il medesimo Papa, e un Domenico Agostiniano che lo surrogò nel primo anno d’ Urbano V. Altri a Tarso ed a Mamistra nell’Ar-menia minore; due Vescovi di Caffa, Matteo e Taddeo II (distinto dal Taddeo I); altri a Tiflis in Georgia, a Scio, ecc. A p. 585-6. — Il confine fra i Mongolli della Persia e quelli del Kipciak, che noi abbiamo posto ai passi del Caucaso, è confermato da due luoghi di Abul-feda, traduzione di Reinaud, voi. I, parte I, pp. 283, 287. Nel primo luogo si parla di Kumagiar (presso 1’ odierna Georgievsk), e la si dice situata in vicinanza delle montagne e del confine fra i Tartari di Berke (antenato di Usbek del Kipciak) e quelli del Sud o di Ulagu (antenato di Abu Said della Persia). Nell’ altro luogo si parla di un Castello degli Alani sulla montagna verso la porta di 'ferro fra i Tartari di Berke e di Ulagu. Ecco di nuovo il monte alano che sospettammo doversi leggere nella bolla pontificia e che trovammo indicato dal Rubruquis come corrispondente al Caucaso, ove erano le porte di ferro cioè i passi angusti e ben guardati di Derbend e di Dariel. Questo pel confine meridionale; ma per quello occidentale dell’impero del Kipciak abbiamo una prova da aggiungere alle già recate che lo collocano a Vitzina 0 Kamcik non lungi da Varna in Bulgaria. Il codice n 5 nell’Archivio di San Giorgio, Regule camper arum Capituli, a carte 283 contiene un capitolo dell’ anno x 3 3 3 , ove a proposito di dazi di merci che vendono dall’impero di Usbek, aggiungesi: et intelligatur imperium Usbek a flumine Viane (certo un errore del copista che trasportò la carta nel codice, e lesse cosi invece di Vicine) versus Tanam. Un documento analogo, ma dell’anno 1343, stampato negli Atti XIII. 304, legge bene Vicine ; ma erra nel porre flumen invece di a flumine. ...... „ « ,T_ p ,efr£r _ Consteittinum Nobilem. Tale modo di indicare Costan- a pag. 017 c . .inopoli sembra una stiracchiatura d’inveirne dello somiere det conti; pure si ravvicina al modo che osa Roberto de Clary nella sua Cronaca, La fri* le Constantinopk 'Hopf, Cbrom,ue, grko-remm, Berhno .875), ove quella captale è sempre nominata CoustmtinoUt, Cmdaulimhk, CoustanlinoUe, cioi con tutte le variazioni usate nei nostri conti. — 697 — A pag. 682 e segg. (Glossario). — Un documento pubblicato da Salvatore Fusco (Di una moneta del Re Ruggero detta Ducato, 1812, p. 74), facendo l’inventario delle gioie e vesti della Principessa Elena di Taranto nel 1270, comprende parecchi nomi simili a quelli del nostro testo: supertunicale, carpitavi virgatam, duas bonettas magnas de burello, mantellum de bruitelo infodratum de minuto vario, capavi ad manicas infodratam de cendato celeste ecc. Sui diversi tessuti (bucherarne, camocalo, zendado ecc.), come sui diversi prodotti naturali, spezie ecc., che costituivano nel medio evo il commercio fra il levante e ponente, sui luoghi donde venivano 0 dove si smerciavano, vedi il recente capitolo che fa appendice all’ opera sovra lodata del dott. Guglielmo Heyd, Gesch. der Levantehandels, II. 550 e segg., ove la materia è trattata nel modo più erudito e più a livello delle cognizioni odierne. Alla mancanza in questi conti dell’ itinerario marittimo da Trebisonda a Costantinopoli si potrebbe supplire colla parte corrispondente del viaggio di Ruv Gonzales de Clavijo, che nel 1403-6 fu Ambasciatore del Re di Castiglia Enrico III a Tamerlano in Samarcanda (Historia del Gran Tamorlan, Madrid 1782). Mentre i nostri conti suppongono una traversata di 19 giorni dall’una all’altra delle città predette, Clavijo vi occupò 25 giorni al ritorno, e 22 all’andata; ma detratti i giorni di fermata per calme, burrasche od affari, restano solo giorni 16 nel modo seguente (pp. 78-83). Nel 1404, 20 marzo, fanno un solo miglio da Pera fino alle Colonne; il 21 sono a Castel Sequillo (Capo Chili); il 22 a Finogia de los Genoveses (Isola. Kefken) ; il 23 a Pontorachia (Bender-Erekli); il 25 a un porto e fiume anonimo (Fili-gias?) ; il 26 al fiume Parten (Bartan) e a Samastro dei Genovesi (Amasserah); il 28 sono ai due Castelli (Kidros); il 29 a Ninopoli, leggi Ginopoli (Ineboli); il 30 a Quindi (Kinolu); il 31 a Sinopoli (Sinope). Il 6 aprile partono e giungono a Simisso, ove era un Castel genovese (Sam-sun) ; il 7 a Hinio (Unieh); li 8 a Leona (Vona 0 La Vona), castello quattro anni prima stato depredato dai Genovesi; e a un Santo Nicio, probabilmente da leggere San Basilio (Capo AivasilJ; il 9 sono a Guirifonda, leggi Guirisonda (Kerasun), a Trip il (Tripoli 0 Tireboli), a Corila (Capo Kereli) e a Viopoli (odierna Fol, antica Liviopolis) : il 10 aprile sono a San Foca e a Platana (Pia-tana), a 12 miglia da Trebisonda; dove giungono li 11, ben accolti e onorati dai Genovesi in un loro buon Castello, situato al di fuori della cerchia della Città. Tutto questo viaggio, secondo Clavijo, numera 960 miglia. I nomi medioevali, che ho tradotto fra parentesi in nomi moderni, sono tutti inseriti nei miei Nuovi studi sull’ Atlante Luxoro (Atti della Società, V. 265-9) aggiuntivi le più volte i nomi antichi, di cui i medioevali non sono che una corruzione. Clavijo inoltre in un tentativo precedente dello stesso viaggio, prima dell’inverno (ibid. pp. 72-8), porge altre notizie da Pera fino a Carpi (Capo Kirpeh presso 1’ isola Kefken) ; parla di una torre Trapea, poco prima di giungere ai due Guirol d’ Europa e d’Asia (i due Castelli, 0 Kavak Rumili e Anadoli), che cu- — 698 - stodiscono la bocca del Mar Nero; di caracche genovesi di guardia a Kefken e a Kirpeh contro i Veneti, e che sono comandate dal Patrone Micer Ambrogio un uomo di merito e molto cortese. Della torre Trapea si parla pure nei documenti nostri, ove si vede che vi stavano deputati genovesi alla guardia. La posizione che le assegna Clavijo e la somiglianza del nome provano che si tratta dell’ odierna Therapia ; laddove io l’avevo male confusa per l’addietro colla torre di Traverio, che formava la testa orientale della città di Pera (ved. Sindicamenta Comunis Peire 1402, 10 novembre, nell’Archivio di San Giorgio; e Giornale Ligustico, 1874, p. 258). Di Fenossia, l’antica Daplmìisia, oltre i Nuovi studi sopra cit., ved. i Sindica-inenta Peire come sopra, ann. 1403, c. 32. Di Giro e bocca di Giro vedi i Sindicamenta cit., 1403, car. 30; il Giornale Ligustico 1874, p. 362; gli Atti della Società X. 507, e XIII. 120. — Giro, antico Hieros 0 Tempio, che Clavijo chiama i due Guirol. Sono sempre di Genovesi le navi sulle quali fa viaggio il Clavijo ; ma i cognomi de’ patroni son quasi sempre irriconoscibili. Lasciando andare che egli partì dal porto di S. Maria di Spagna con Micer Juliano Centurion, e altrove con altri, notiamo che il primo tentativo infruttuoso da Pera a Trebisonda in novembre 1403 fu fatto con una galeotta del patron genovese Nicolò Socato (?); il viaggio seguente, effettuato in marzo-aprile 1404, fu con nave dei patroni Micer Nicolao Pessagno e Micer Lorenzo Veneziano.il viaggio di ritorno, in settembre-ottobre 1405 (pp. 219-20), fu fatto con nave carica di nocciole del patron genovese Nicoloso Cojan (?) ; e giunta a Pera 1’ ambasciata ripartì in caracche genovesi, che venivano da Caffa e ripatriavano. * INDIGE DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO FASCICOLO Claretta , Un' impresa contro Genova sotto il regno del duca Lodovico di Savoia.........Pag. 337 Saivago, Cronaca di Genova pubblicata dal socio C. Desimoni . > 363 Staglieno, Nota intorno al doge Paolo da Novi e alla sua famiglia » 487 Senarega, Lettera intorno alla impresa di Megollo Lcrcari in Trebisonda, pubblicata dal socio C. Desimoni .... » 495 Desimoni, 1 conti dell’ambasciata al Chan di Persia nel MCCXC1I » 537 ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XIII. — FASCICOLO IV GENOVA TIPOfìRAFIA DEL R. 1. DE’ SORDOMUTI MDCCCLXXX GABRIELE SALVAGO PATRIZIO GENOVESE SUE LETTERE NOTIZIE E DOCUMENTI RACCOLTI DA!. SOCIO Dott. ANTONIO CERUTI DELL AMBROSIANA Atti Soc. Lio. St. Patria, Voi. XIII, Fase. IV. 45 el decorso 1842 Francesco Barbaro pubblicava in Venezia (1), in occasione delle nozze Comello-Montalban, una lettera di Gabriele Saivago, patrizio genovese, a Camillo Paleotto, fratello del cardinale Gabriele, in data del x.° agosto 1565, nella quale gli fornisce un’idea chiara ed imparziale dell’amministrazione civile del governo della Repubblica veneta. Chi fosse questo Sai vago, non lo seppe dire con bastevoli notizie il dotto Emmanuele Cicogna, che prepose a quella lettera un Avvertimento, e neppure Michele Giustiniani (2), e meno ancora Soprani, Foglietta e Spotorno, che non lo rammentano neppure; ma spigolando nelle di lui lettere, che non poche ci rimasero, dirette a diversi suoi contemporanei, (1) Venezia, Merlo, 1842, in 8.° (2) Scrittori Liguri, Roma, 1667, P. 1, pag. 258. — 704 — anche in eminente grado collocati, puossi raccogliere quanto basti a formare di quell’ uomo singolare e strano (un vero originale, come direbbesi con termine volgare), un piccolo ritratto in miniatura, non isplendido già per copia di notizie biografiche, che invero sono assai scarse, ma compito pel rilevare ch’esse lettere fanno in lui un carattere tutto speciale e proprio, pel quale i suoi contemporanei lo ritennero, com’era infatti, un tipo e uno spirito bizzarro. Discendeva egli da famiglia genovese (i) senza dubbio antica e nobile, i cui membri si illustrarono sin dai primi tempi della Repubblica; nel 1314 e nel 1335 gli Annalisti (2) li annoverano come « grandi di numero e di possanza, potenti d’ amici e di ricchezze, » avendo deciso col loro intervento parziale, sebbene guelfi, a liberare la patria dal re Roberto. Nel 1528 iscritta fra i ventotto alberghi nobili, continuò a rendersi chiara nelle cariche pubbliche, e si ricordano specialmente Paris Maria, senatore del sec. XVII ed astronomo apprezzato da Cassini, Maraldi e Bianchi, non che Enrico, che accoglieva splendidamente nel suo palazzo di Via nuova in Genova, ora Serra, il cardinale Aldobrandini. Sembra che un ramo di quel casato si trapiantasse in Francia, e vi fiorisse col nome di Sauvago 0 Sauvaige; forse gli appartenevano quel Dionigi, che nel sec. XVI pubblico Filippo di Comines e altre cronache di Francia e di Fiandra, e frate Giovanni, del quale si ricorda qualche (1) Giscardi lo vorrebbe figlio d’uno Stefano, figlio di Gabriele, alla sua volta figlio di Lodisio. (2) G. Stella, Annales in Rer. Ita!. Script., tom. XVII, col. 1068; Giustiniani, Annali, ad ann. 1314, 1335. — 705 — opera ascetica. Una cronaca di Genova, non ha guari pubblicata in questi Atti nello scorso 1879 per opera del dotto avv. Cornelio Desimoni, da’ cui Prolegomeni estraggo alcune di queste notizie, fu scritta in francese da Alessandro Saulvaige di quel ramo, intorno al primo decennio del cinquecento. Tuttavia, tutto sommato , poco assai si sa di dettagliato dei Saivago, sfuggiti alle ricerche dei Cronisti, come quelli che non levarono troppo alto grido di sé, nè ebbero a segnalarsi in avvenimenti 0 gesta clamorose (1). Sono oscure affatto le fasi della prima età di Gabriele, sino alla sua andata a Roma. Non molto dopo il principio del sec. XVI dee essere avvenuta la sua nascita, e nulla rimane che possa dar contezza de’ fatti suoi sin quasi al 1550. Nel suo epistolario egli si dié a divedere tutt’altro che digiuno di belle lettere (2), bensì uomo di fino criterio, occhio osservatore (armato anche , se vuoisi, d’ una discreta lente di malignità), e fornito di (1) Oldoini, nell’Athenaeum Ligusticum rammenta il nostro Gabriele, il quale « clarebat tum virtutibus, tum scientiis », e ricorda la lettera da lui scritta alla Repubbl:ca di Genova, allorché papa Paolo IV scacciò di Roma i suoi nipoti, dopo averli spogliati delle cariche da loro coperte (V. Scelta di Lettere ecc., pubblicate da Bartol. Zucchi. Venezia, MDXCV, voi. I, pag. 86). Fa menzione altresì di Giambattista Saivago, nunzio apostolico presso l’imperatore Rodolfo, e vescovo di Luni e Sarzana dal 1590 al 1631, che vi fondò il Seminario e alcune prebende beneficiarie, 0 vi tenne tre concilj, de’ quali furono pubblicate a Roma le Costituzioni. Non dimentica neppure Agostino e Bernardo, de’ quali però non fornisce notizie, nè Benedetto, nato a Messina, ma oriundo genovese, e dice eh’ei fu « vir genere, ingenio, doctrina, eruditione, dicendi facundia, modestia morumque comitate spectatissimus, Messanae advocati et judicis, Romae vero negotiorum patriae curatoris munere functus». (2) Comincia un suo sonetto con questi versi: Clic mi giova esser dotto? Che mi vale Scender da patria illustre e gran brigata, ecc. — 706 — talento naturale. Più d’ uno di quelli che scrissero la storia della nostra letteratura, ricordano alcuni suoi sonetti, di carattere afflitto epigrammatico e di vario argomento, scritti, non come asserisce Quadrio, in occasione che il ber fresco gli fece male, sulla qual materia non se n’ ha che uno solo, come vedremo, ma per lo più per avventure galanti, o di soggetto politico. Secondo Cicogna, che lo dice egli pure ornato di bella letteratura (i), fu versato principalmente nelle materie politiche e nella cognizione delle corti; fu intatti a Roma lungo tempo, a Bologna, Venezia, brevemente a Napoli (2) e altrove, ed ebbe frequentissime relazioni con molti e alti personaggi, che ei trattava affettatamente con assai famigliarità. Nel 1546 era già in Roma, non più giovane, ove portavasi coll’ intento di percorrere la carriera prelatizia diplomatica, al che, quasi come mezzo e via, avea assunto l’abito clericale senz’essere ascritto all’ordine ecclesiastico, né averne lo spinto 0 una retta inclinazione, e di accalappiarvi destituito com era di laute finanze, qualche ricca prebenda, della quale pareva non poco ghiotto, tanto da bisticciarsi perciò con qualche prelato, essendogliene sfuggita una di mano. Per ottenere questi due intenti, si attaccò (1) Federici nell 'Abecedario cita Gabriele come « uomo litteratissimo », richiamandosi in proposito a una Storia di Malta, cui non specifica (parte II, cart. 488) Anche Giscardi lo dice dottissimo cavaliere e commendatore della religione di S Giovanni. Ciò non sembra esatto. Una nota manoscritta del P. Spo-torno in margine al libro di Raffaele Soprani Gli Scrittori della Liguria (esemplare dell’ Universitaria di Genova) aggiunge alcuni documenti, da’ quali rilevasi quale stima nutrisse il Cardinal Farnese della persona di Gabriele. (2) Ve lo si trova infatti nel 1560, allorché ai 28 magg.o scriveva a Cipriano Palla vicino a Roma per dargli ragguaglio sulla guerra coi Turchi e sui movimenti della flotta di costoro. — 707 — tosto a’ panni di più cardinali e di quanti poteano, o ch’egli sperava avessero influenza nella corte; ma i suoi desiderj caddero a vuoto. Le sue millanterie e il tono di protezione e superiorità che ostentava, il volere far credere d’ essere molto famigliare, anzi necessario al papa, la sua inclinazione al motteggiare, lo resero assai poco accetto a molti di quella corte, che lo riputavano un’intruso; ad altri lo fecero prendere a scherno. Su di che è assai interessante una Relazione del cavaliere Bernardo Navagero, creato poi cardinale, personaggio assai grave e stimato, sui eletti e fatti di Gabriele Saivago, cavaliere e gentiluomo genovese sotto Pio IV, quando fu introdotto in palalo, scritta verso il 1551, la quale ci narra molte delle abituali sue stranezze, e dipinge i suoi costumi. Riesce però quasi inesplicabile a chi legge il suo epistolario, scritto specialmente da Venezia, ove rimase circa un decennio senza interruzione, il conciliare 1’ assennatezza e la gravità, con cui discorre di cose assai serie e degli avvenimenti, in ispecie d’ Oriente, che allora occupavano le menti e le corti d’ Europa, minacciata dav-vicino dall’ Islamismo, colle bizzarrie che di lui si raccontano da’ contemporanei durante il suo soggiorno in Roma. Egli mostra vasi costantemente officioso con quanti, a suo giudizio, potevano riuscirgli utili a conseguire il suo scopo o avvicinarlo ai grandi; e per quanto profondesse ossequj e congratulazioni con quelli che ele-vavansi alle più alte dignità della Chiesa 0 dello Stato, segnatamente coi cardinali, come fece verso frate Pietro Bertani, vescovo di Fano, Alfonso Caraffa, Gerolamo Seripando, Giovanni Ricci, ' l’abbate di Gambara, Angelo — 708 — Nicolini, insigniti della porpora, il card. Gonzaga creato vescovo di Mantova, ed altri, senza risparmiare incensi; pure la sorte eragli matrigna, e sovente lo si sente lagnarsi allora dell’ avversa fortuna, la quale provengagli, più che da altri, da un monsignor Farnese, -com’egli asseriva. Si fa anche a pregare il cardinale Cervino di assumere egli stesso presso il pontefice la protezione di lui afflitto e infermo, e interpone la benevolenza del card. Salviati a proposito d’ un compenso da concedergli in cambio d’una prebenda, ch’egli avea dovuto rassegnare. Come riescisse poi a trovar grazia , non appare, ma rilevasi da una sua lettera del io luglio 1559 card. Farnese, eh’ egli era di frequente chiamato dal papa; e il 28 agosto 1563 al card. Navagero, legato in Concilio, da notizia come « mai credetti essere io tanto vicino ad acquistarmi parte della gratia sua quanto hora, fatto abile da N. S. di poterle in maggior comodità assistere et ubidire con la nuova occasione di trovarmi in palazzo al suo servitio, al quale, come forse hara potuto intendere, sono da S. S. a questi giorni stato chiamato..... Non sono io fino a qui impiegato in attione particolare, » nè sembra che lo sia stato mai, Ed è assai notevole, dopo tante sollecitazioni mosse per avere un uffizio una sua lettera del i.° agosto 1563 al card, di Corredo, con che gli notifica d’ essere stato finalmente chiamato a servire il papa, ma in pari tempo manifesta il grave suo dispetto per ciò, quasi per una nuova servitù sopravvenutagli, « il che tanto vuol dire , quanto una quasi insopportabile fatica, la quale eziandio nel suo vero nome chiamandola, altro certo non se le conviene che miseria ». — 709 — Quale ufficio sia riuscito allora o poi a conquistare in Roma, non si rileva mai da’ suoi scritti, e noi si saprebbe, se Navagero non ci dicesse eh’ era semplice cameriere del pontefice; pure era assai inframmettente, pel solo suo dimorare a palazzo, colle persone superiori a lui nelle cose di Stato, e brigava coi cardinali , nelle sedi vacanti o nelle supposte prossimità d’interregno, reso probabile dall’ infermità o dalla vecchiezza del papa, a costituire le fazioni dei conclavi, favoreggiare o accattar appoggi ed influenze per 1’ uno piuttosto che per l’altro cardinale, e infiltrare nelle elezioni tutto ciò che di umano o mondano suol maneggiarsi in simili occasioni fra le quinte o dietro la scena. Coi cardinali tratta da pari a pari, rimbrotta, sciorina consigli e accenna di volere aprir loro gli occhi, svela i segreti e gl’ intrighi altrui, accomuna coi loro i proprj interessi, i quali trova più favoriti nel procacciare che l’elezione cada piuttosto su l’uno papabile, che sull’altro. È un piccolo intrigante, mentre gli pare d’essere un grande statista, pure affettando di dichiararsi, nel trattare gli alti affari, « molto timido e poco pratico, » e di non saper trovare in tutta Roma un uomo, fuor di lui, che possa essere degno ministro del papa , mentre « la celerità e confidenza di nostro Signore sono a noi estremamente necessarie ». Si permette di censurare le Costituzioni del Concilio Tri-dentino, in ispecie quella sulla residenza dei vescovi, dicendola nociva agli interessi di Roma, del papato e della religione medesima. Non puossi del pari riconoscere in qual conto tenessero i cardinali e gli altri prelati gli ammaestramenti, — 7io — le suggestioni, i consigli di Saivago , mancandoci le lettere loro, se pure dal suo modo di scrivere e dalla sua insistenza non è lecito argomentare, eh’ ei fosse più o meno esplicitamente incoraggiato e richiesto, come egli medesimo talvolta afferma, dai principi ecclesiastici ad esporre i suoi avvisi e le sue viste sulle varie faccende di Stato e sugli eventi di que’ tempi, cui avrebbe ambito maneggiare e dirigere a sua posta. E neppure si rimaneva dall’ inframmettersi nelle cose del Concilio, come consigliere e istigatore occulto. Ma decisamente 1’ atmosfera di Roma non gli era propizia. Preso a scherno, e non accettata come di buona lega la sua abilità diplomatica, come espone sì lepidamente Navagero, trasferissi a Venezia nella state del 1565 per cercarvi miglior fortuna, e vi rimase molti anni, senza ch’appaia chiaramente dal suo carteggio se come semplice e privato cittadino, o in qualche pubblico ufficio, come sembra più probabile , e forse nella cancelleria del Nunzio apostolico. Le sue lettere non fanno mai alcun cenno esplicito sulla sua nuova condizione, e soltanto in una dell undici aprile 15/1 a Gian Vincenzo Pinelli, suo concittadino, scrive: « Ancora non è comparso il Colonna, et son venti hore. Voglio ire a l’ufficio; » ed in altra del 1567 si qualifica delegato della Sede apostolica. Certo é però dal suo epistolario scritto di colà, eh’ egli era molto addentro nella conoscenza dei piani e degl’intendimenti della Serenissima, ed avea pronta notizia dei negoziati collo corti e degli avvenimenti anche lontani, si da poterle con prestezza communicare agli amici fuori di \ enezia, quantunque non di rado fossero intercettate le sue lettere da quel — 7ii — sospettoso governo. Il due agosto 1565 scrive dalle Lagune al card. Amulio « d’aver lasciato per caso mero Roma, e d’aver quasi per deliberazione fermato l’animo in Venezia, della quale, cium per valetudinem licuerit, non mi partirò per un lungo spazio, almeno fino a tanto che il mondo, come si suol dire, abbia mutato la faccia. È in vero questa una quiete per me non più provata, una sicurezza per ciascuno fuori d’ ogni cura e pericolo non più udita, una - civile e regolata amministrazione con onesta disciplina in tutta Europa non più veduta. Sono i forastieri o buoni 0 letterati da questa nobiltà molto ben veduti, carezzati e stimati tanto, quanto basta a non patir oltraggio, et conversare con dignità e contentezza molta. A me hanno assai tosto buona parte de’ più onorati usate cortesie tali, et oltre ancora al costume ordinario in tanti modi obbligato tanto, che quasi di libero son diventato servo ». Eguale 0 maggiore ammirazione esprime verso quel tempo (1 agosto 1565) nella lettera già citata a Camillo Paleotto sulla vita veneziana, e specialmente sulla civile sua amministrazione e sui varj ordini e meccanismi di governo, de’ suoi'governatori, del suo popolo, del carattere e delle doti sue, deducendo quanta ragione avesse di starvi volontieri e dimorarvi a lungo : lodi e ammirazioni, che espresse da lui genovese non danno sospetto di parzialità. Qualche mese dopo (1 ottobre) scrive a Giovan Francesco Ca-nobbio, che fu poi vescovo di Forlì, eccitandolo a lasciar Roma e recarsi presso lui a Venezia, della quale gli fa brillare agli occhi le bellezze e gli agi materiali e morali del vivervi, com’ egli esperimentava da otto mesi, aggiungendo trovarvisi « in assai comodo e non — 712 — indegno stato, salutato da molti, favorito da parecchi, amato anco da alcuni ». Ma quantunque colà stabilitosi, l’occhio e il cuore non distaccavansi da Roma, delle cui cose tenevasi di continuo edotto, poiché in una lettera del 3 ottobre 1567, scrivendo a un suo concittadino, forse al Pinelli, col quale ebbe assai frequente corrispondenza e confidente amicizia, dice: « Di Roma non c’ é cosa degna; venere idus et praeteriere vivente Caesare; bisognerà risolversi a goder Venezia, » quella stessa Venezia per altro, ch’egli in quel medesimo scritto qualificava come sterile per lui. Coll’andar del tempo, l’invecchiare e il rinnovarsi delle sue infermità di stomaco, sembra che quel soggiorno, tanto più di verno, non gli andasse assai a grado, né favorisse i suoi progetti e la sua salute più di quello di Roma; poiché scrivendo quasi un me$e dopo (15 novembre) a mons. di Torres, chierico di camera a Roma, e ragguagliandolo dell’elezione che allora facevasi del nuovo doge, dice che colà « erasi totalmente chiarito il mondo tutto esser fatto a un modo, » e aggiunge che riavutosi allora appena da una malattia, sperava di potervi passare la cruda stagione, riservandosi nella primavera seguente di mutar consiglio e fors’ anche paese. E già un anno prima (novembre 1566) scriveva di là al card, di Correggio intorno alla creazione di papa Pio V, offrendosi di servirlo, e lagnandosi « di vivere in una città da semplice forastiero, ed appena si può dir conosciuto, nella quale, godendo io della sola tranquillità civile, per lo regolare et quieto stato pubblico, mi trattenere) ad uso di antico nauta nella calma di queste acque, fino a tanto che aura per me più prospera mi faccia navigare a Roma, — 713 — non essendomi né per cognitione sua, né per offitio mio venuta mai in tant’ anni occasione di acquistar gratia o merito alcuno presso quel principe; talché da questi lidi guardando io solamente il prato, me ne starò quasi smarrita pecora lontano dal pastore, pregandogli però sempre felice vita e fruttuosa amministratione a questo imperio ». Queste geremiadi non s’accordano con quanto scrivea , invaso da entusiasmo, appena un anno prima, sulla felice dimora in Venezia, allorquando (i agosto 1565) dava notizia al card, di Correggio d’ essere stato chiamato a servire il papa, senza però designare in quale ufficio, ma lui preferire dal canto suo la quiete; e Venezia era appunto sede opportuna a chi viver volea lungi dallo strepito delle Corti. Simili contraddizioni erano famigliarissime a Gabriele Saivago. Pativa anche d’incertezza e volubilità nelle cose sue, e n’ é prova il suo mutare sovente di casa, e non badando abbastanza alla scelta, talvolta capitava in mezzo a male femmine e altre lordure, che l’obbligavano a spiccarsene tosto; e il 5 ottobre 1571 dà notizia d’ una nuova emigrazione: « Ho mutato casa, essendo andato nel sestiere S. Paolo al Rio delle Erbe, vicino al Canal grande ». Lo chiama rivo perenne e largo, la calle odiosa; ha stanze numerose e non tristi, l’acqua dilica-tissima e in abbondanza, l’ascenso di breve tratto, nè per molte finestre molta abbondanza di luce ; circondato da uomini nobili molti e suoi amici. Gli pare star bene, e non ha a passar canale andando a Rialto. Il suo scrivere é non di rado epigrammatico, nè ha difetto di sale ; è seminato di frasi di classici latini, e alcune espressioni gli sono tanto care e famigliari, che — 714 — si riscontrano in più lettere. Sovente é satirico, pungente e non manca di sanguinosi sarcasmi e di malignità ; e quando cadegli il discorso su persona che non vadagli a genio, scioglie del tutto lo scilinguagnolo. Pochi giorni dopo l’incendio dell’Arsenale, di cui s’ occupa in altra lettera, e della cui causa espone quanto affermava 1’ o-pinione pubblica, dovendo venir un amico suo a Venezia, gli si offre guida perpetua alle sue voglie, poiché « questi nostri magnifici cittadini hanno pur sempre altro che fare, né se ne può haver copia, se non quanto permettono i cambi e le mercantie. » Delle virtù e dei pregi dapprima decantati dei Veneziani, sembra disingannato, poiché ad un amico che aveagli raccomandato un suo servitore, dopo lunge pratiche inefficaci con un tale, dice che voleva provare se costui parlava veneziano o cristiano, perché, sembra, aveagli ciurlato nel manico; altrove sentenzia che ogni plebe é ladra, ma la veneziana assassina; poi, secondo il suo modo di vedere, « la meraviglia e la magnificenza sono passioni proprie della gente veneta. Nasce negli uomini la meraviglia dalla ignorantia, la quale com e nota, rende il miracolo assai facile ». E il 4 settembre 1574 sollecita da un amico 1’ invio d’ una servente da Venetia (era allora ritornato a Roma), che aveagli colà già governato la casa, « per scacciare questa infelice canaglia, avanzata dalla rabbia et persecuzione fratesca, che mandò in esiglio et dispersione tutto il sesso feminino, talché non se ne truova pure per mera servente ». Scrivendo sul conto d un Lore-dano, custode della Marciana, al quale avea invano chiesto un libro, lo proclama incivilissimo, ed « essere egli stato cosi impudente, che al cavalier Soriano, il quale ad — 7i5 - istanza mia glielo richiese, disse affermatamente già averlo dato. Si è ostinato questo misantropo, che niuno goda di quei libri, dicendo che prestandoli si trascrivono, et perciò ne scema la riputatione di S. Marco.... Non si può trovare animale più fiero in Italia tutta, nè meno trattabile di costui. Ho preso partito di dovergli parlare io stesso, e provare se con destra mano basto a cavalcare questa giraffa ». Raccomanda al Cardinal d’Aragona un Michelangelo Bonato padovano, domenicano, « persona modesta, letterata e gentile, » secondo il testimonio di tutta la scuola padovana, accusato falsamente di lievi colpe al suo generale, e dice quell’ accusa « più una gara e invidia fratesca, che difetto e trasgressione notabile, » e lo prega di difenderlo « da quei cani latranti ». Dilettavasi altresi a mettere in canzone ministri e generali e chiunque fosse in dignità, se non gli garbava; e nel 1569 all’amico di Padova, forse Pinelli, scrive: « Parlai al milite strenuissimo, il quale dopo due ore di discorso, con disegni e bussole in mano mi fa credere che si possa difendere l’isola, se però vorranno questi signori far quel che ponno, che é assai meno di quel che dicono. Qui sono maggiori i spaventi che i cuori. Un di quelli che vivono a caso ed operano in confuso, lo dice vero monarca ». Però la bizzarria del suo carattere non gl’impediva di conservarsi entusiasta ammiratore della forma del governo veneto, e la sua lunga dimora nella città delle Lagune gli avea ispirato vero amore ad essa, come ad una sua seconda patria, aveane sposato la causa e parteggiava lealmente colla Repubblica nelle traversie poli- — 716 — tiche c nelle guerre che la travagliavano, e miravano ad abbassarla dalla sua invidiata grandezza. Non sono lievi né rare le sue invettive contro l’ipocrisia e slealtà della Spagna, invasa di livore e gelosia contro di Venezia, cui avrebbe voluto annientare, contrariandola in tutte le sue imprese, paralizzandone i trionfi, attraversandone i disegni, causa come fu a lei della perdita di Cipro ; nel-l’intento di tenerla nell’ impossibilità di tentare da sé sola alcuna impresa di rilievo, preferiva di mantenere nel Turco una continua e gravissima minaccia all’Europa, pur di deprimere con ogni mezzo una potenza italiana, ch’era salita a tanta gloria e tentava di mante-nervisi. Non sapeva dissimulare, più o meno velatamente, il suo sentire presuntuoso e la sua velleità di dare consigli anche a chi non ne lo richiedeva ; e scrivendo, per cagion d’ esempio, ad un amico intorno alle incertezze di pace o di guerra o di lega dopo la perdita di Cipro, e alle relative consultazioni del Senato e in Collegio, ripete : In reliquis autem aliquando interfui, unquam praefui, sed semper tamen quae evenere praevidi; e 1’8 luglio 1570 al Cardinal di Correggio intorno alla guerra col Turco, per la quale parteggiava, mentre generale era la freddezza, scrive: « Io veramente confesso il mio saper poco, ma non posso gia dissimulare 1 aver visto molto; et tra per gli esempi che mi ha dato il tempo, et quella forse non breve lettione, che per le historie e nota a ciascuno, non veggio già con qual consiglio o utile magnanimo si possa muovere chi in contrario persuada il re » (di Spagna). Quando trattavasi nel 1567 dell’ elezione del doge, spacciava agli amici assai notizie e prò- — 7i7 — nostici sulle probabilità dell’ esito ; ma non gli riesci mai di azzeccarne una, e dei molti nomi con che giocava a mosca cieca, non si rammentò mai di quello di Loredano, che realmente riesci, in quell’ istesso modo che volendo col card. Farnese presagire nel 1549 il successore di papa Paolo III, in una lettera ridondante di avvedimenti diplomatici, sfuggita alla raccolta ms. Pi-nelli, non previde, fra i nomi che pronunziò, che il card. Gio. M. Del Monte aver dovea allora realmente la tiara col nome di Giulio III. Non abborriva dalle avventure galanti, come si scorge qua e là dalle sue lettere e da qualcuno de’ suoi sonetti ; ma non appare eh’ egli a Venezia s’ applicasse a studj, se pure non voglia alludere ad essi laddove scrive a Pinelli il 20 agosto 1571: « Sto intorno alle benedette cerimonie, et ogni ora mi si scuopre nuova fatica, volendo trattare la materia tutta, levando i dubbj et provedendo a gli accidenti. Spero che vi debba piacere, che sarà il frutto di sì lunga briga; » ma nulla si conosce di questa sua occupazione; e delle tante discussioni e dispute e controversie scientifiche e letterarie, che occuparono i dotti di quel secolo dottissimo, non si ha cenno alcuno nel suo carteggio. Piacevasi assai più delle Relazioni in Senato degli ambasciatori e residenti veneti, ritornati dalle loro missioni; egli le procurava avidamente a sé ed agli amici, non senza aggiungervi qualche suo giudizio. Giocava assai alle scommesse, uso allora invalso, sulle diverse probabilità di elezione d’ un cardinale meglio che d’ un altro al papato, senza aspettar neppure la vacanza della sede; ne scriveva sovente da Roma o da Venezia a Pinelli, incaricandolo d’ una 0 più poste collo Atti Soc. Lio. St. Patri*. Voi. XIII, Fase. IV. sborso occorrente del denaro, e divisando le ragioni che militavano per 1' esclusione di questo o di quello. Alle feste veneziane assai diletto prendeva, e stimolava a tenergli compagnia il compatriota Pinelli, occupato nel suo studio di Padova: « Oh Dio! se foste stato per due giorni rimasto in Venetia, ch’avreste goduto di alcuna festa tanto bella, grande et varia, che per avventura vi facea scordare le scuole et Padova per tre mesi. Fu il meglio che ve ne andaste, perché il partire potea tanto dolervi ». E altrove : « Meglio sarà che V. S. da galante huomo se ne venga a Venetia, stando per quattro o cinque giorni a spasso, dove almeno fuggirà lo studiare, che pure ha in sé mescolato la fatica col diletto; et qui divisando et legendo qualche nostra inetia, darete intermissione a queste lettioni gravi, che homai vi denno trovar satio, non che stanco. Questo sarebbe il parer mio; pur fate voi, eh’ io non vorrei acquistar fama de sviatore de la gioventù patavina ». Altre volte gli protesta d’ essere per molte cause pieno di fastidi e di rammarichi, e « se vorrà Dio, soggiunge, che una volta io m’acqueti, vi prometto darvi tanto che leggere, che vi verrò a noja ». Ma- quella circostanza non si verifico mai, né egli mantenne la promessa. Riconoscendo i suoi difetti talora, se ne scusa col dire : « Tanto sono io solito a mancare a me stesso, non che ad altri. Godi-temi come mi ha fatto la madre natura, che certo mi rifarei tutto di nuovo se io potessi; » altra volta si chiama d’ingegno corto e di moto lungo, ed « ho bisogno, dice, nelle mie cose di molto più tempo che non fa a voi, il quale ciò che sapete, avete in pronto, e ciò che fate, operate in istante. Bisogna goder gli uomini - 7X9 — come gli fa il cielo ». Queste umili confessioni poco assai concordano colle sue millanterie spacciate si sovente in Roma, quali espone la Relazione di Bernardo Navagero. Nel 1573 dopo molte perplessità e dubbiezze, confidate a Pinelli a voce, lasciava Venezia, « zona glaciale », esiziale alla fragile sua salute, per far ritorno a Roma, e vi si accasava rimpetto al palazzo Rusticucci. Quella primavera vi s’ era recato anche Pinelli, e forse Sai vago gli si aggiunse compagno di cammino, e vi rimaneva, senza che appaia eli’ ei vi menasse vita meramente privata , o fosse provvisto di qualche ufficio, Le sue lettere di là continuano ad indirizzarsi al suo concittadino a Padova, poi 1’ ultime a Venezia a un Nicolò di Primo, che sembra un mercatante raguseo colà stanziato (1); ma col 1575 cessa il suo carteggio raccolto da Pinelli, il che fa sospettare che intorno a quel tempo siasi spenta quel-1’ esistenza irrequieta e sempre dubbiosa (2). Sembrava appartenere a quella numerosa classe d’infelici, che non riescono mai ad orientarsi in questo mare tempestoso della vita, nè a rinvenire il proprio e vero indirizzo, vagando all’ impazzata di qua e di là senza bussola e proposito, chiamati con frase moderna spostati. La maggior parte delle sue lettere rimaste, e molte autografe, son dirette al concittadino Gio. Vincenzo Pinelli, che legatogli di costante amicizia, e largo secolui di frequenti doni, conservò la corrispondenza dell’ amico, e procurassi copia di quelle altre molte, che Saivago (1) Di questo esistono nell’Ambrosiana alcune poche lettere, scritte nel 1576 da Venezia a Pinelli. (2) Pinelli non morì che a’ 4 d’agosto 1601. tenne con molti altri suoi amici c protettori, non che le di lui poche poesie sopravissute e la Relazione Nava-gero. Questa cura di Pinelli darebbe a credere, che non la sola affezione creata dall’ amicizia personale o dalla comunanza della città nativa gli rendesse cari gli scritti dell’ amico, ma eziandio la stima da lui sentita pel suo sapere e pel suo carattere, divisa da’ suoi contemporanei, poiché alcune delle lettere di Saivago, sebben pochissime, furono rese di pubblica ragione nello stesso secolo XVI in alcune Raccolte di epistole d’ eccellenti scrittori (i), ma è deplorevole che in molti apografi di quell’epistolario riscontrinsi negligenze e infedeltà non poche, ommissioni e lacune, mancanza di data e indirizzo, o trovisi agglomerato in una sola lettera quanto Saivago scrisse in più autografi. Né la diligenza di Pinelli sembra gratuita, poiché il patrizio genovese scriveva degli eventi d’Oriente nelle guerre di Cipro, e del lento ma progressivo avanzarsi della barbarie dell’ Islamismo, delle brighe della Lega proposta per abbatterlo o almeno arrestarlo, dei maneggi nelle elezioni dei dosi, delle cose di Roma. Il 22 aprile 1546 scrive alla Signoria di Genova per rivelarle un progetto vagheggiato da chi credeva poter effettuarlo, pel quale tentavasi d’ agglomerare Alessandria alla repubblica genovese, e l’eccitava a concorrere coll’opera e l’influenza sua, mediante segrete trattative coll’ imperatore, a tale divisamente di annettere una città importantissima, e appagare il voto di molti. Forse tenne 1’ ufficio di segretario in qualche ambasciata, giacche sembra scritta da (1) A cagion d’esempio la Scelta di lettere disposta da Bartolomeo Zucchi da Monza. Venetia, MDXCV. — 721 — lui, essendo fra le «sue carte, la relazione sull’ambasceria di Luciano Spinola per nome della Signoria di Genova al re Francesco I di Francia nel 1544. Scrisse dissertazioni politiche sulle contingenze di pace e di guerra, sulle intenzioni dei monarchi e le mire dei loro ministri ; talvolta lo si vede scendere a parlare degli affari suoi personali o di cose che non destano alcun interesse, confidandole alla sola famigliarità degli amici; ma è assai raro trovare ne’ suoi scritti epistolari volgarità manifeste o scurrilità indecenti, il che non può dirsi sempre de’ suoi sonetti. Furono questi primamente raccolti da un intimo amico suo , che può dirsi abbiane fatto un furto, com’ egli medesimo s’ esprime in una breve prefazione che li precede, dalla quale appare che ben molte altre poesie abbia composto Gabriele Saivago, annuente che avessero a correre il palio pubblico; ma queste non sopravvissero sino a noi. E forse alludeva ad esse il loro autore in una bizzarra allocuzione Al candido lettore, in cui adoperando quello stile gonfio e slombato, che divenne si famigliare un secolo dopo di lui, accenna a mettere in canzonatura « un cardinale venuto di Napoli a Roma, » il quale forse avea divulgato qualche scritto. « Comprendasi, vi scrive egli tra l’altre cose il i.° febbraio 1563, da la vaga e delitiosa cultura di questi pochi lirici carmi, eh’ io cupido del ben comune, e non invidioso della gloria d’ uomo celebre, anzi sperando d’ acquistarmi credito di riverente e dedito a la sua micante virtù, mando in luce 0 più tosto a dar luce, se ben di poche scintille, rispetto al gran sole de la sua fulgida erudizione ». Che poi questa foggia di stile miri a contraffare quella del _ y22 — cardinale, appare anche laddove Saivago scrive d’essere uscito luori di sé, « udendo le nuove frasi di un uomo di cosi assoluta letteratura ». Sì le lettere che i sonetti contengonsi in due volumi manoscritti conservati ora nell’Ambrosiana, provenienti dalla ricca biblioteca Pinelli, nella quale raccoglievansi e conservavansi tutte le corrispondenze che a quest’ erudito genovese venivano indirizzate dallo stuolo assai numeroso degli amici suoi, de’ quali non ultimo era il nostro Saivago. Paolo Gualdo nella Vita di esso Pinelli, non dimentica Gabriele Saivago, e ne parla come di « patricio genuensi, contubernali olim suo, facetiarum perinde ac bonarum artium studioso; » e narrando dei piacere che il dotto Gian Vincenzo provava nell’imparar qualche cosa da quelli, coi quali conversava, soggiunge: « A levibus enim hominibus vix alios quam inanes sermones prodire; cuiusmodi nescio quem narrabat olim Romae tabellarii adventum veluti magnum quidpiam in aurem insusurrasse Gabrieli Silvago ». Quadrio e Giustiniani fanno cenno d’ un manoscritto delle poesie (i sonetti sopra citati) del Saivago, raccolte e copiate da Carlo Giuseppe Vecchi da varie biblioteche d’Italia, specialmente dall’ Ambrosiana e dal-1’ Estense, senza però fornire del loro autore notizie biografiche. Maggiori ne rimasero di Raffaelele Sai vago, certamente suo consanguineo, cavaliere della religione di S. Giovanni (i), pure poeta di qualche grido, secondo (i) Pare che la qualità di cavaliere gerosolimitano fosse frequente nei Saivago, poiché oltre Raffaele e Brasco Saivago, commendatore della chiesa di S. Giovanni di Pre, ove se ne conserva tuttora 1’ iscrizione (1516), trovansi nel Giscardi memorie di altri cavalieri. Così di Pantaleo e d’un Francesco e d’un - 723 — Ruscelli nelle Annotazioni ai Fiori delle Rime de’ poeti illustri, Crescimbeni nei Commentari, Carrer e Muratori nelle loro opere letterarie. Anche G. Bosio nella Storia della Religione di Malta lo dipinge come valoroso guerriero ; e Annibaie Caro gli indirizzava più d’ una delle sue epistole. I sonetti rimastici di Gabriele (i) non hanno altra importanza, che di esporre con forza d’epigramma alcuna delle sue avventure, talvolta galanti, e allora non sa sempre trattenersi da espressioni scorrette. Evvi anche qualche satira all’ indirizzo della corte romana e qualche facezia in occasione di talun suo caso, come quello del male fattogli da una bevanda fredda, o di altra avventura di lieve momento. Non sarà quindi da far troppo alte meraviglie, se in un secolo, qual fu il XVI, si poco severo e tenero della castigatezza dei costumi e del parlare, in mezzo all’ universale coltura, anche il Sai vago in qualche sua bizzarria non abbia voluto esser da meno de’ suoi contemporanei nel mal vezzo cotanto invalso di usare frasi indecenti, che parean facezie. Più che questo abbozzo della vita di G. Saivago, serve a dipingere a tutta evidenza e verità il suo carattere, il suo carteggio, del quale si riferiscono qui le lettere più Andrea (1448), se però quell’autore non erra. Raffaele Soprani negli Scrittori della Liguria, pag. 244, parla anche di Porchetto Saivago, monaco certosino , che fiorì verso il 1315, autore d’ uu’ opera destinata allo scopo di convertire gli Ebrei, cioè della Victoria Porcheti adversus impios Hebraeos, fatta pubblicare a Parigi nel 1520 (Egidio Gormontio) dal vescovo Agostino Giustiniani. Scrisse anche il libro de Entibus trinis et unis, che conservavasi un tempo nella biblioteca del monastero di S. Domenico in Genova. (1) Sembra che ne esista un esemplare anche nella biblioteca Trivulzio a Milano. Furono in buona parte pubblicate dall’ autore di questa Memoria nel 1873 a Bologna per Gaetano Romagnoli, nelle Rime di Poeti Italiani del sec. XVI. — 7-4 — importanti, c la seguente Relazione, innanzi citata, del cav. Navagero, sui suoi costumi, quando si mise a bazzicare nella corte romana. Da questa sembra eh’ egli da sé medesimo, colle sue bizzarrie, abbiasi impedito la realizzazione delle sue speranze e de’ suoi ambiziosi disegni. RELAZIONE DI BERNARDO NAVAGERO DETTI E FATTI DI GABRIELE SALVAGO SOTTO PIO IV QUANDO FU INTRODOTTO A PALAZZO Roma è hora tanto otiosa per gli eccessivi caldi che ci sono, che non nasce cosa alcuna di nuovo da scrivere. E prometto a V. S., che palazzo, tutte le corti e conversationi di questa terra non si trattengono con altro, che con la presenza di m. Gabriel Seivago o col ragionar di lui, il quale per esser a’ servigj di Sua Santità, non senza 1’ agiuto della canicula l’è arrivato a quella perfezione, che si poteva desiderare e sperar da lui, si è rivestito da prete alle spese della camera apostolica, e s’ha fatto tante sorti di vestimenti, che spesso lascia il morello per mettersi il lionato, et il lionato per il porporato. Ogni giorno se li fanno nuove burle. Si diede principio con attaccar certi voti in nome suo per molte strade, li sono state fatte di molte pasquinate; li fu un giorno attaccata una zaganella, e datoli fuoco, li abbrusiò un poco di veste, la qual fu così ben mendata e così ben negata da lui, coni’è usanza sua, che non si trova quasi persona, che lo creda; si ò pubblicato che 1’ ha fatta attaccare Isabella di Luna da un furbo di Campo di fiore, pagato dalla sopradetta ribalda d’undici giulj. Sono ultimamente state attaccate certe polize, le quali notificano che chi vuol comprare le veste del Saivago fatte nuovamente, vadi al rigatticr de la pace, che si daranno plus offerenti, — 726 — volendo inferire che questa sua nuova grandezza habbia a durare quanto il consulato di Caninio. Vestito che fu, andò subito in visita, cominciando da’ cardinali, ambasciatori et altri personaggi della corte, a’ quali ha dato conto del stato suo, et offerendosi a ciascaduno di loro di favorirgli appresso di N. S. Ha similmente visitato alcune signore e gentildonne, e pigliato licenza da loro, si è scusato che non potea visi-tarle cosi spesso per li molti negotii di Sua Santità. Ha assicurato il Cardinal Borromeo, che servendosi il papa di lui in cose importantissime, non sarà con diminutione della grandezza nè autorità di sua signoria illustrissima, e che farà sempre buoni officj per lei con Sua Santità. Ha detto a monsignor Tolomeo, che per l’amicizia antica eh’è fra loro, stia sicuro che non li nuocerà mai con l’autorità c’ha appresso il papa, anzi più tosto farà talvolta buoni officj per lui. S’è offerto ad una femina di mondo vicina a casa sua, s’ha bisogno di favor 0 ajuto davanti a qualche tribunale, o col bargello medesimo, 0 altra sorte di sbirri, di favorirla et agiutarla, perchè è tanta l’autorità che lui ha con N. S., che non dubita che tutta la corte non sia per haver rispetto alle sue raccomandationi. Quando grida con i suoi servitori in casa, dice : « Poter di Dio, m’obedisce il papa e tutta la corte, e non posso esser obedito da quattro scalzi mazzacani miei servitori! Io vi caccierò via, vi farò metter prigioni, vi manderò in galea, e \oi sapete bene che lo posso fare ». Quando cavalca per Roma con tre servitori, de’ quali uno ne va davanti la bestia, e’ bisogna che faccia la linea retta con la testa della bestia e del Seivago, gli altri dua l’uno a man dritta, l’altro a man sinistra fanno parallela. È ben vero che alle volte, quando si trova in qualche strada pubblica, muta gli ordini, e quel che sta a man dritta lo fa andar a man sinistra, e quello della sinistra lo manda a far linea retta, e tutto questo fa per partir giuditio- samente i favori. Un’ altra volta andando per Roma a piedi con dua servitori di dietro, ve n’era uno meglio vestito dell’altro, e nel voltarsi casualmente il Seivago, vedendo quel che era mal vestito andare a . — 727 — man dritta, disse: « Levati de lì, ignorante, quello non è il tuo luogo; » e fatto cenno a l’altro, lo mise a man dritta per esser più honorevolmente vestito; e ragionando con uno che era seco, disse: « Con tal giuditio doverebbono proceder i padroni con li servitori in saper distinguer li favori secondo li meriti de’servitori ». Dice di voler levar via tre matti dal papa, l’uno pazzo a tota substantia, 1’ altro accorto, il terzo infernale. Dicesi esser stata veduta una figura, dove il Seivago ignudo con una sferza da posta caccia via parecchi matti da palazzo, e dicendo ///ora matti, li quali sono ritratti dal naturale, e cacciandoli, la sferza nel ritornar indietro percuote anche lui, e cosi viene a dar la sentenza di esser uno della turba ancor lui. Ha detto che essendo hora in buona fortuna, e potendo così giovare come nuocere al Cardinal Farnese, vuol per 1’avenire tal volta andarlo a visitare e gustar la sua conversatione, la qual dice esser dolcissima, ancorché non voglia havere che far seco, se non per espresso ordine di S. S. È stato dimandato qual hora sarà la sua per entrar a negotiar col papa; ha risposto che crede dover entrare dopo cena, perchè quell’ era 1’ hora di papa Marcello con Paolo III. Vestendosi una mattina in casa sua, un suo servitore, venuto a star seco nuovamente, volse accomodargli il collaro della camiscia; per la qual cosa disse subito il Seivago : « Ferma tu, non tocca a te, » e chiamò l’altro servitore stato alquanto più seco, al qual disse: « Accomoda tu questo collaro, c’ hai maggior prattica della persona mia, e non vorrei che questo servitore novello imparasse a mie spese ». Quando comparve la prima volta di nuovo vestito dal papa, li disse S. S. ad majora: « M. Gabriello, volemo, che fra pochi giorni portiate la mozzetta. » Rispose il Seivago: « In me è il desiderio, e nella S. V. il potere ». Quando si trova a veder mangiar il papa, e che li sia dimandato qualche cosa da quelli che si trovano presenti, non si degna mai di rispondere, perchè dice non esser stato chiamato in palazzo per rispondere a’ matti, ma per cose gravi. Essendoli un giorno detto da un amico suo, che non dovesse — 728 — più andar a palazzo, perchè sapeva certo che vi era burlato, et che un giorno n* uscirebbe con scorno e vittuperio, egli rispose che s’ingannava di gran lunga e che giocava ormai al sicuro, come quello che s’ era chiarito che il papa faceva da dovere seco, e che si voleva servir di lui in cose di grandissima importanza; e per assicurar maggiormente questo suo amico, disse: « Io ho posto le mani su la piaga, e fra pochi giorni questi emuli e maligni si chiariranno, se ’l papa dice da dovero o no, e presto si vedrà il salto, che io farò in questa corte; » e tuttavia soggiu-gneva: « Il papa mi vuol bene e conosce il mio valore, la mia virtù ; et havendo hora, per li tempi che sono, bisogno d’ un huomo di pezza, ha fatto elettione della persona mia in cose importantissime a tutta la cristianità ». Non si degna d’ andare a trovar monsignor Tholomeo in camera , e si giustifica eh’ egli non è di minor autorità appresso di N. S. Trovandosi un giorno in cocchio con dui cardinali e m. Giulio Gallo, e volendo il Gallo contradirli ad alcune cose, rispose il Seivago: « Taci tu quando parla il Savio, e quando se parla da dovero ». Essendo il primo d’ agosto il Seivago a veder mangiar il papa, comparse un certo fra Luca, che va cacciando li spiriti. Dubitando il Seivago che non fosse venuto per farli qualche burla, e che non volesse prenderlo per uno spiritato, parti subito nel mezzo del mangiare, senza che ’l papa se n’avvedesse, e con maraviglia di tutti li circostanti. Ha detto confidentemente con un suo amico, che crede che tutti li principali ministri del papa non restino molto soddisfatti che lui sia stato chiamato con tanta reputatione, perche e forza che in tutti se diminuisca della loro autorità, et non ha dubio alcuno, che facendo S. S. qual si voglia di lor cardinale, non debba fare similmente lui; perciochè se in gli altri è maggior servitù, in lui afferma esser molte più lettere, più virtù, più valore, più core, più lingua, più ardimento, più esperienza, più cognitione de’stati, più discorso, più prudenza, e più naso, dice lo scrittore. Non si cura d’ bavere il vescovado di Terracina, parendoli debil — 729 — cosa per lui, nè giudica sia bene che per hora S. S. lo mandi al Concilio, essendo le cose d’importanza quasi del tutto sgrossate, et anco li pare che sia più a proposito e servitio di N. S. d’haver la miglior testa e la prima penna d’Italia, com’egli dice d’esser, dopo la morte del Cavalcante, appresso di sè, quando sera in Roma il Cardinal di Loreno, se verrà, come si crede. Con un altro ha diversamente detto, che il Concilio potrebbe andar alla lunga più di quel che altri giudica, e che quando questo fusse, il papa sarebbe necessitato prò hac vice tantum far lui solo cardinale e mandarlo legato al Concilio, per fermar della testa chi non parlasse in favor della santa romana chiesa. Essendoli dimandato se sapeva l’autore di quel voto, rispose di no, ma se ne poteva liaver inditio c’ haveva sette palafrenieri del papa, li quali haverebbono fatto ogni cosa ad instanza sua , e che da loro gl’ Inverebbe fatto dare due mila bastonate; alle quali parole rispose il Coltrino, che ’l Seivago haveva il modo da poterlo fare, perchè n’haveva haute tante a’ suoi dì, che quando ne desse due milia, gliene restarebbe anco buona quantità. Ad un altro rispose, essendoli fatto il medesimo quesito: « Non lo so, ma quando vederete uno per Roma andare con un diametro del volto da un’orecchia all’altra, all’hora si saperà chi è stato ». Ha detto con un amico suo in segreto l’infrascritte parole : « Habbi per cosa certa, e credi che so il Savio, che io son in tanto buon opinione del papa e me presta tanta fede, che tutti li cardinali e li primi della corte bisogna che s’intendino bene meco ». Col medesimo ha detto : « Se a S. S. piacerà darmi grado veruno, io l’accetterò volontieri per servitio del mio principe, e non pensi niun amico mio, se venirà da me per gratia, che io gliela faccia, perchè la gratia spetta al principe et a me ministrar la giustizia, e questo lo farò subito, perchè non voglio finimenti de razzi, finimenti di corame, pezze di velluto, letti di scarlatto e simil cose; anzi son risoluto venir grande in questa corte, sì come verrò al fermo con la candidezza dell' animo, e governarmi più tosto con severità che con piacevolezza». t Con un altro ha affirmativamente detto : « Dammi tempo, eh’ io ' entri in possesso de’ negotii, e che m’impadronisca dell’ animo del principe, et all’hora parla, non dubitare che non sia cardinale alla prima promotione, e fatto cardinale, tieni sicuro che sarò papa post praesentem ». Dice che ’l cardinale Puteo haveva tre buone pezze: la migliore ha preso per sè il papa, che è lui; il secondo ha dato al Cardinal Borromeo, eh’è il Pasqualino, il terzo ha voluto il Cardinal di Carpi, che è lo Spiriti. Rispondendo ad uno che li domandava con che titolo fosse stato accettato da N. S., disse: « Il papa mi ha chiamato a sè per consultor maggiore nelle cose di Stato, et ha comandato al Cardinal Borromeo, che non debba far alcuna cosa, che non consulti prima meco, e di più che lui è il primo uomo di questa Corte, e quel che più importa, il più savio; » di modo che per concluderla con l’animo disse : « Io sono il timone di tutta la corte e la tramontana del Cardinal Borromeo ». Trovandosi un giorno alla stuia, mentre si spogliava, essendo presenti gli stufaroli, disse a uno de’ suoi servitori : « Va a casa e non ti partire, acciò se il papa mi manda a dimandare, ch’ione sia avvisato». Mentre si stufava, commise ad uno stufarolo, che dovesse dire all’ altro servitore, che andasse presto ad intendere se N. S. 1’ havea mandato a dimandare ; il qual servitore andato e tornato, fece dire per lo medesimo stufarolo che non era stato dimandato altrimenti; laonde disse subito il Saivago a due stufaroli che gli strigliavano la persona: « Non vi debbe essere cosa di molta importanza a palazzo, poiché il papa non mi ha mandato a dimandare ». La sera dopo cena, prima che vadi a letto, sta buona pezza discorrendo co’ suoi servitori, a quali dopo aver chiarito con potentissime ragioni che presto sara cardinale, e pos! praesentent sarà papa, et il maggior fondamento che vi habbia si è che mette gran difficoltà infra tutti li papalini, i quali chiariti che saranno di non poter esser loro, non è dubio, che per esser lui confidente a tutti questi, non debba ciaschedun di loro condescendere più volontieri in lui che in altri. Con li altri cardinali giovani giuoca al sicuro, per esser la maggior parte gnocchetti di pasta tenera (secondo ch’egli dice), e spera di guadagnarli in tre gioì ni di sede vacante con la sua destrezza ed eloquenza. — 73i — Quando s’è fatto papa, remunera i suoi servitori con prometterli ollìcj e dignità, e gli esorta in tanto, che debbono servire fidelmente, argomentandoli c’hanno ritrovato la ventura loro; ma io intendo che d’accordo quei servitori lo tengano per matto spacciato. Disse ad uno, parlando di sè medesimo : « Io scrivo meglio di Demostene, e parlo meglio di Cicerone, et ho in corpo l’anima di Eschino ». Essendo ripreso perchè non era andato a visitare il Cardinal Borromeo, dopo che s’era fatto i nuovi vestimenti, rispose: « Possanza d’iddio! io che consiglio 50 cardinali, vuoi credere eh’abbia fatto questo errore? ». Perchè li pare indignità, trovandosi a’ servitj di N. S., d’ habitat in una casa posta in mezzo del postribulo, della quale non paga più che 6 scudi 1’anno, fa grandissima instanza d’haver tutte le case che non si possono bavere a pigione. È ben vero che di quelle che si possono havere, che sono infinite e d’ ogni sorta, non gliene piace nessuna. Alli 18 d’ agosto comparse la mattina in cappella, che furono 1’ esequie di Paolo IV, e fu la prima volta che si vidde vestito di rosso. Occorse che ’l maestro delle cerimonie disse ad alcuni camerieri di S. S., che dovessero andare da un’ altra banda, tra’ quali era il Seivago, il quale comandò a’ compagni che non dovessero partirsi; e voltatosi al maestro delle cerimonie, li disse che non sapeva nulla. Fu cosa meravigliosa quella mattina a vedere che tutti i cardinali, tutti i prelati e tutti i cortegiani non badavano ad altro in cappella, che a considerar li gesti, li pavoneggiamenti, le smorfie che faceva il Seivago. Nel partirsi il papa di cappella per andar di sopra a fare una congregatione generale, il Seivago si sforzava andar più vicino al papa che poteva, e sempre ragionava con qualche cardinale. Li fu domandato da un amico, se sarà congregatione di cardinali; rispose de si, e che lui non v’interverrebbe , ma che alla prima che si dovesse fare, sperava doverci intervenire. Nell’accompagnar che si faceva il papa, alcuni cardinali giovani camminavano più forti di quel che giudicava che fusse bene — 732 — il Seivago; a’ quali disse: « Fermate, senatori giovani e di poca esperienza; andate più adagio per dignità et grado c’havete; » sog-gionse poi •dicendo: «È forza che mi facciate del vostro ordine, perchè vi doterò tutti di buona creanza ». Volendo una mattina il papa darli a tenere un discorso del dottor Bucchia, disse: « Padre Santo, vorrei che la Santità vostra mi facesse depositario di maggior thesoro; » e facendoglielo il papa pigliare, acciò lo studiasse, soggionse il Seivago: « Beatissimo Padre, io non ho tempo da spendere ». Rallegrandosi un giorno l’ambasciator di Fiorenza, che fosse venuto a’ servitii di N. S. con tanta reputatione, disse il Seivago: « In ogni luogo, dove io fossi andato, non mi sarebbe mancato nè favore nè dignità, anzi se non mi fusse partito da Genova mia patria, non mi poteva un giorno mancare 1’ esser creato duca; e se per opera di qualche maligno mi fosse stato per alcuni giorni differito per meriti della persona mia, mi sarebbe necessariamente in ultimo stato conceduto; s’ hora è piaciuto alla Santità di N. S. chiamarmi a’ suoi servitj, non è da maravigliarsi, perchè correndo questi tempi turbulenti, con honor e dignità sua non poteva non fare elettione della persona mia, essendo molti anni che S. S. conosce quanto io vaglio ne’ maneggi di Stato, nè sarà da maravigliarsi se presto sarò veduto nel numero de Senatori; et questo voglio che crediate cosi per riputation del papa, come per meriti miei ». S’offerse con quest’occasione all’ambasciatore e li disse, che dovesse far intendere al suo principe, che dove gl’havesse potuto far favore appresso il papa, che 1’haverebbe fatto così volontieri per sodisfar a S. E., quanto per conservare la sua republica. Andando con il papa, e vedendo alcuni Svizzari della guardia scacciavano un servitore di bassa conditione per farlo stare indietro, disse il Seivago a quei Svizzeri: « Ah Helvetii, non vogliate, vi prego, pessundare la povera plebe ». Avanti che fosse provisto di cavalcatura, li fu dimandato perchè non se faceva dare un cavallo dal Cardinal Borromeo. Rispose: « Io sono in un mare, dove attendo a maggior navigatione ». Trovandosi una mattina in palazzo, vide li suoi servitori, che acconciavano la sua veste in una sacchetta in presenza d alcuni — 733 - gentilhuomini; di che accortosi il Seivago, li fece una gagliarda riprensione, dicendogli: «Andate altrove, che vi dovereste vergognare a star meco a far queste inettie ». Li fu detto che Roma dubitava come potesse resistere a tanti emuli, che haverebbe havuto in palazzo, et che li bisognava che se fusse armato d’una gran prudentia. Rispose: « Amico mio, non haver mai dubio di me dove bisogna usar prudentia. È ben vero che ’l mondo è pieno di tanti ignoranti, ch’io non so come si possa vivere fra loro, et io per me confesso non poter insegnar a tanti ». Volendo chiarire un amico suo eh’ egli non era matto, disse : « Io non voglio che m’ habbiate per corrivo, s’io sono andato a’ serviti] di N. S., senza capitular cosa alcuna seco. Sappi adunque, sotio più amorevole che pratico della corte, che con le persone di molti meriti, come son io, e chiamato per gravissimi negocj, non se parla mai di provisione con esso loro, perchè la provisione viene per consequentia con darli dignità, gradi et honori, accompagnate con molte utilità et commodità. Et non dubitar che gustato c’ havérà il papa la facilità del mio negociare, che in termine de tre mesi non mi debba far cardinale, per potermi con più giu-stification sua darmi la somma de tutti li negocj ; e di più sappi questo secreto, il quale è così vero, come io sono il primo huomo di Stato che viva hoggidì, che ’l papa tiene, ch’io sappia tutte le cose scibili, perchè tutto quello che si può sapere, io lo so. E se fin hora la corte si maraviglia eh’ io non sia stato adoprato molto intrinsecamente dal papa, è causato per non esser accaduto cosa di molta importanza, che per le cose ordinarie S. S. ha fatto prudentemente non darmene carico, conoscendo molto bene il mio humore , che per qualsivoglia instantia che me ne fosse fatta, non ci Inverei mai dato orecchie; e quando pure per la malignità d’ alcuni, che non potessero tar fondamento nel mio cardinalato, e che per molte vie mi tagliassero la strada, a tal dignità, che in quanto a N. S. so certo che mi haverebbe fin a quest’ hora fatto volontieri, per essermi accorto quanto io proceda a suo gusto, all’hora mutarò ancor io pensiero, et con la fortuna, nella quale hora mi trovo, attenderò a dispetto degl’emuli a buscare tre o Atti Soc. Lig. St. Patri*. Voi. XIII, Fase, IV. — 734 — quattro mila scudi d’ entrata, li quali hauti, me n’ andarò a Genova per fuggir l’invidie et ambitioni di Roma e quietare l’animo, per poter poi viver solamente ad utilità della mia repubblica ». Non si lassa mai riveder all’ audienza pubblica del Cardinal Borromeo , perchè dice che in quell’ hora non si trattano negotii di Stato. Li fu detto da un suo amico, che nessuno poteva credere, che lui havesse molte lettere, non sapendosi eh’ babbi mai tenuto in casa sua alcuna sorte de libri. Rispose sensitivamente il Seivago, dicendo : « Son tutti costoro un monte d’ignoranti, perch’ io ho libri nella testa, et ho testa da far libri ». Trovandosi il papa in Frascati et il Seivago in Roma, s’incontrò con un servitore principale d’un cardinale, al qual disse: « Fa mia scusa col tuo padrone, se non lo vado a visitare, perchè son tanti li negotj che mi ha lasciato N. S., che non m’avanza tempo di darmi alcuna ricreatione ». S’ è scoperto c’ ha scritto a molti prelati, che si trovano al concilio, e datoli conto del stato in che lui se trova, et principalmente il papa non fa cosa d’importanza se non per suo consiglio, di modo che alla prima promotione di cardinali s’ è offerto ajutar gagliardamente una gran parte di loro; et tutto questo ha fatto (secondo si è lasciato intendere da un amico suo), perchè dovendo esser ancor lui cardinale, saranno tutti gli altri obbligati di riconoscere questa dignità da lui, e per conseguenza non potranno mancare alli bisogni di darli tutti d’ accordo il voto. Discorrendo con un suo amico de’suoi favori, disse: « Io ho trovato tutti li negotii e tutti gl’ andamenti della corte tanto scomposti, che mi risolvo che ’l palazzo havea gran bisogno di me ». Andando per Roma, s’incontrò in uno c’ hav’ea il naso longo, il quale vedutolo, il Saivago disse ad un de suoi servitori : « Costui sarà grande in cose di Chiesa, perchè ha il naso e la fisionomia come ho io ». Dice che habita nel postribulo per stirpar il vitio e piantar la virtù. Trovandosi un’altra mattina in capella, s accommodò nelle scale a’ piè di N. S.; per la qual cosa accorgendosi uno de’ principali — 735 — cardinali della corte, li mandò a dire per il maestro delle cerimonie che dovesse levarsi de li, perchè quello non era il luogo de’ camarieri, ma di baroni. Rispose il Seivago: «Dite al Cardinal che prima che lui fosse nè cardinale nè nato, io era maestro di cerimonie, e di più diteli che Gabriel Seivago non usò mai di far errore; » e così se stette senza muovere. Dovendo il papa andar a Tivoli, li fu dimandato il giorno avanti, se anderebbe con S. S. Rispose: « Il papa va fuori per andar a spasso; io non sono ricercato a’ suoi servitj per andar a spasso, ma per negotj gravi, li quali perchè s’ hanno da trattar in Roma, io restarò per 1’espeditione di essi ». Non sapendo un amico suo in quel che si servisse il papa di lui, gli domandò che officio era il suo appresso N. S.; rispose: « Io son venuto a star con S. S. per negotj d’alta importanza; però non s’è ancora stabilito la qualità del negotio che m’habbia a toccare; ma io trovo che lo stato mio s’aggira su tre poli, i quali sono o vescovado, o penna, o correr poste a gran prencipi ». Quando il papa andò in Tivoli, il giorno sequente ci andò mons. Tolomeo; di che accortosi il Seivago, ch’era rimasto in Roma, andò a ritrovar il Cardinal Borromeo, al quale, per darli utile avvertimento, disse: « Monsignor, il papa si trova in Tivoli, vi è andato mons. Tolomeo. Vedendo in Roma che non ci è restato soggetto per scrivere e per trattar cose gravi, se non io, mi è parso farglielo intendere, acciochè si serva di me in quel che giudica che io sia per servitio di N. S. » Discorrendo con uno in quel che si poteva il papa servir di lui, disse: « Non pensi S. S. valersi di me in farmi correre due milia poste, perchè io mi trovo qualche anno, e poi non so tanto gagliardo del corpo, quanto mi conosco esser eccellente dell’ animo, del cervello e di consiglio ». Mentre era malato un cameriero del papa, il quale sendo lodato di molta cortesia da alcuni gentilhuomini in presentia del Seivago, disse: « S’io non fossi tanto eccellente con la penna, e che il papa non havesse già posto la mira in volermi far scrivere, vorrei subentrar nel luogo di questo buon gentilhuomo, per farmi adorare da tutta la corte e da tutta questa terra con la destrezza e gentilezza dei mio negotiare ». Alle quali parole essendoli risposto da uno: « Perchè non procura lare il medesimo acquisto con la penna?» Rispose: « Chi essercita 1* oiìicio del scrivere, participa quasi tutti li segreti del padrone, et quando il servitore fa molti servitj e molte gratie, et che ’l padrone s’avveda c’ habbia quantità d’amici, dubita sempre di lui, e per ragion di Stato ha gelosia, che non conferisca talvolta gli affari del padrone con qualche amico. Laonde non pensi persona alcuna, mentre io participarò i negotii d’importanza di N. S., di participar della solita dolcezza e dilet-levol conversatione ». È tanto il desiderio c’ha di esser segretario, che si persuade di essere, et gii comincia andare ritirato con le genti, rispondendo sempre, quando gl’è domandato cosa alcuna: « Non lo so ». È ben vero che egli in ultimo dice ad ogni huomo che gliene faccia instantia, tutto quel che s’immagina o persuade che sia, e quel che più importa a ciascheduno, lo dice in segreto ; et rispondendo ad uno che li dimandava come fosse favorito dal papa, e che sorta di negotii havesse seco, rispose: « Li negotj che 1 papa tratta meco, sono pochi, ma di molta importanza; e perchè io conosco benissimo 1’ humor di questa corte, mi governo con la mia solita prudentia e modestia, et non vado mai dal papa, se non quando mi manda a dimandare ». Quando il papa mandò il sig. Aurelio Porcellaga a visitare il sig. duca di Savoia, disse il Seivago: « Se in questa visita ci fosse qualche negotio ingroppato, senza dubbio sarebbe toccata a me questa legatione; ma non contenendo altro chi. visita, io non 1’ haverei accettata ». Era un giorno il Seivago con dui gentilhuomini cortegiani di molta esperienza e di buon intelletto, i quali discorrendo sopra la venuta di mons. Santa Croce, li disse: « Giovani, non vi curate di voler mai discorrere di cose appartenenti a Stati, dove non possediate bene la materia, perchè tirarete sempre linee lontanissime dal centro ». Parendoli pur strano questa tanta dilatione di entrare in possesso delli negotii, e maggiormente per l’importunità di molta gente, che di continuo glieli dimanda, si giustifica con una scusa molto — 737 — ingegnosa e ragionevole, dicendo che '1 papa procede seco a similitudine d’ un fanciullo, che se per buona ventura ritrova un giulio o altra sorte di moneta, oltra Tesserne allegrissimo, fa mille disegni;’ quando dice volerne comprare delle cerase, quando delle pere, et alle volte si risolve comprare un uccellino che canti ; spesso gli vien voglia d’ un bel coltellino, e quel che più importa, che quando va per la strada, fa disegno in tutto quello che vede, domandando sempre, che vai quella cosa, che vai quell’altra. In conclusione è tanta la felicità di haver quella moneta, che non si risolve spenderla in cosa alcuna. Il papa gode infinitamente nel-l’animo d’havermi tanto ben saputo persuadere, eh’ io me sia contentato andarlo a servire, vedendo ch’io son buono a infinite cose; e se bene per la mia sufficientia e mio valore si potesse valere di me in più sorte di negocj, nondimeno è tanta la sua modestia et è tanto il suo rispetto che mi porta, che havendo già risoluto volermi impiegare in un sol negocio, dice: Hoggi daremo il possesso di tal negocio al Seivago; dimane parendogli di dargliene un altro di maggior portata, dice: Volemo darli quest’ altro negocio ; et in tal modo s’è differita la risolutione della mia persona. Però lo scrittore conclude, che ogn’ huomo sa dove in ultimo habbia da.riuscire, fuor che lui, il quale per essere un paradosso, crede il contrario di quello che sanno di certo tutti gl’ altri huomini di questa corte. È stato a visitare un auditor di Ruota, e dubitando che questa sua attione non fosse giudicata indignità da altri, ha detto: « Quando io era in privata fortuna, e che facilmente haverei potuto havere bisogno di questo gentilhuomo, non l’ho mai voluto visitare; hora che io so huomo publico, per la cognitione che io ho delle virtù sue, et conoscendolo degno dell’amicitia mia, non mi so sdegnato andarlo a visitare, acciò sappia che io desidero giovarli appresso ’l papa ». S’ è inteso dal suo barbiere, che lavandoli la testa, discorse seco sopra molti particolari, et in ultimo li dimandò s’havea mai fatto chierica a’ vescovi; alle quali parole rispondendo che sì, disse il Seivago: « Sarà dunque bene che ’l sappia che ’l papa fra pochi giorni mi darà un buon vescovado ; laonde voglio che subito tu mi formi la chierica; ma perchè ne vedo molte con una certa circonferentia che da essa tirando le linee al centro non sarebbono tra loro eguali, per essere esse circonferentie alcune oblonghe, alcune quadre e quasi tutte sesquipedali, mi risolvo darti qui un disegno overo una misura, la qual considerarai bene, acciò habbi a durare meno fatica quando saremo all’atto pratico »; e così la forma sta ancora in poter del barbiero. Era una mattina nella chiesa della Minerva, e trovandosi in compagnia di molti gentilhuomini, vidde uscire una messa di sacrestia. Disse subito il Seivago : « Con buona gratia delle nobiltà vostre, io andarò al sacrificio ». Dopo c’hebbe visitato tutti li cardinali et ambasciatori, e datoli conto del stato suo, s’andò a giustificare con N. S. di queste attioni, dicendo che per esser venuto a’ servitj del sommo pontefice, li pareva ragionevol cosa darne per una volta conto a tutti li senatori; ma acciò che ’l continuare queste visite non havesse a generar qualche suspetto appresso S. S., 1’ assicurò di non tornarvi mai più. Dice che tutti quelli che al presente dicono mal di lui, sono matti, e che per uscir una volta fuor de’ matti, è risoluto pagar un savio che vada dicendo mal di lui. Montando le scale di palazzo, trovò un prelato, qual veniva dalle stanze del papa, e li disse: « Non andate di sopra, perchè ogni cosa è serrato et il papa non vuol nessuno ». Rispose il Seivago: « I pari miei non si partono di casa, che non sappino poter entrare dove hanno risoluto di andare ». Alli 26 di settembre andò per Roma in panni corti, s’incontrò in un contadino, che portava in spalla un paniero d uva, il quale urtato fortemente, li fece andar in terra il paniere e lo percosse nel capo del Seivago, il quale stupefatto del poco rispetto che gl’ebbe il contadino, e dubitando del mosto che gli colava giù per il viso e per le spalle, che non fosse sangue, cominciò ad esclamar dicendo: « Ah traditore, ad un par mio, tu non mi conosci? Tu non mi porti rispetto »! In ultimo gridò: « Servitori, servitori » ! de’ quali havendone dui seco, che per buon rispetto non si mossero mai, se non ricogliendo alle volte dell uva, che senza — 739 — discrezione si mangiavano,, diedero tempo al contadino che se ne fuggi via, dubitando di qualche soperchiaria per quel numero de’ servitori, et il Seivago restò con 1’ honor suo, havendo havuto del panier sul capo. Ragionando con uno della corte di Roma e deplorandola, che non dovesse tener gran conto d’ un par suo, disse: « Sono 22 anni che io porto le lagrime su le palpebre degli occhi di questa funebre e miseranda corte ». Entrando in camera d’ un cardinale, dove erano altri cardinali, li fu detto che dovesse sedere; egli rispose: Nondum venit hora mea. Essendoli pur fatto instanza che dovesse sedere, li dissero: « Le vostre virtù c’ havete, m. Gabriello, congionte con 1’ autorità c’ havete con N. S., vi fanno meritare di sedere fra noi altri ». Rispose all’ hora il Seivago : « Sono hoggi 62 giorni che mangio pane di N. S., senza che habbia ancora conferito meco alcuno negotio di Stato ». Essendo quasi chiaro di esser burlato in palazzo, disse con un suo amico : « Possanza di Dio ! io fui chiamato dal palazzo con tanta fretta e con tanta instantia, che pareva che la pignatta delli negotj non potesse bollire senza il fiato del mio consiglio ». Ragionando con un dottor di legge di cose appartenenti alla giustizia, disse: « Taci paragrafante, quando si è sentito il mio parere, perchè io sono il figliuolo della giustitia e padre dell’ equità ». Mentre che S. S. stava malata, e che nessuno penetrava nelle sue stanze, andava il Seivago dicendo per Roma: « Io non ho tempo da riposarmi; mi bisogna tutta la notte star in piedi per l’indispositione, il qual hora se riposa, e però vado hora a riposarmi ancor io ». È ben vero che lo scrittore conclude per autentici avvisi, che il Seivago non ha mai potuto penetrare nelle stanze de’ palafrenieri. Essendo ricercato che volesse dire una facetia, detta alcuni giorni prima da un altro, rispose: «Io sono stato occupato ne’ servitj di S. S., che non mi avanza tempo di studiare Aristotile, e vuoi eh’ hora consumi il tempo a raccontar simili inettie » ? Giustificandosi con un prelato perchè non era adoprato da S. S. ne’ maneggi di Stato, disse: « Io voglio partirmi di Roma per causa - 740 — contraria di quella che si partono molti altri, li quali per essere in disgrada del prencipe, sono sforzati andarsene, et io per esser troppo in sua buona gratia, e perchè tiene grandissimo conto del mio valore, me ne vado, perciochè sono tanti li emuli, che tutti unitamente mi perseguitano, li quali per esser di continuo all’ o-recchle di N. S., non permettono eh’ io habbia nessuna participatione in qualsivoglia sorte di negotio ». Et in tal modo si va consolando, non attribuendo a sua colpa quel che viene da sua naturai et incredibil pazzia. Lettere di Gabriele Salvago lAlla Signoria di Genova. 1546, 21 aprile. Serenissimo principe et illustrissimi Signori. Crederei mancare a 1’ ufficio di buon cittadino, se quelle cose che mi vengono a notitia, onde ne torni grandezza et commodo alla città nostra, fossero da me o per altri disegni taciute, 0 per negligenza a palesarsi differite; quando chiaramente si conosce, che insieme col servitio del Signor Dio sia ancora congionto presso a ciascuno quello della sua‘patria. Dirò per questo alle Signorie vostre, che mons. Guasco, vescovo d’Alessandria, huomo invero per nobiltà, ricchezze et authorità nella sua patria facilmente il primo, più d’ una volta m’ ha ragionato del desiderio c havrebbe la sua casa et insieme quella città tutta d’ esser governata dalla nostra repu-blica, et oltre 1’ haverne gii fatto parlare a quei signori, che in vostro luoi’o sedeano, et di consentimento loro alla corte di S. Maestà col mezzo di Jaches et di Gran Vela mossa la pratica, esserne ancora col sig. marchese del Vasto non pure stato d accordo, ma da lui etiandio persuaso che la trattasse, si come quello che per sicurezza maggiore del suo principe (a 1 hora che di dare quello stato a — 741 — mons. il duca d’Orliens si ragionava), giudicasse molto a proposito 1’ bavere una città di tanta fortezza et di tanta importanza, insieme disgiunta da’ Francesi et posta in mano de’ Genovesi; da’ quali essendo per interesse loro ben guardata, potrebbe S. Maestà per la lunga confidentia havuta sempre in quelli ad ogni hora in ogni evento sperar servitio. Hora perciocché in questi nuovi ragionamenti di pace potrebbono girare le cose in modo, che allo stato di Milano si provedesse di nuovo principe, ho creduto esser bene, poiché il vescovo se ne mostra per beneficio della sua patria tanto affannoso et tanto caldo, avisarne le SS. VV., acciochè con Sua Maestà o per mezzo di lui, il quale hieri partì di qui per ire alla corte, o per altra via da loro giudicata migliore, possa esser di nuovo la pratica svegliata, alla quale oltre a quei messi principali, che in simili attioni si fanno aprir la strada, non mancherebbono forse gl’ aggiuti ecclesiastici per opera di mons. Farnese, il quale, come prudente et desideroso della grandezza italiana, presso al-l’imperatore, al quale nel ritorno di Ratisbona anderà incontro, potrebbe per aventura in buona parte giovare, et in tal occasione maggiormente; poiché la sua casa per molti segni è chiara di non dover hoggitnai posseder questo Stato, et come ho detto, giudicandosi da’ più savj, che al conchiudere della vera pace convenghi a Cesare spogliarsi di Milano, il che posto che ancor non segua, nè però nuoce, stando avvertito, essere col consiglio pronto, se in questi presenti o futuri accidenti per nuovo caso è bisogno ciò che si ceirca venisse fatto, sì come nelle mondane attioni tutt’ hora accade, il fine delle quali spesso vediamo riuscir diverso da quello eh’ era cominciato. Aspettarà il vescovo in Alessandria tanto, che volendo V. S. Ill.'m* per le sue mani guidar la cosa, potranno scrivergli et taverne risposta. Desidera egli bene, et in questo m’ ha gravato molto, che in consiglio vada tanto la cosa segreta, quanto si possa il più; et quando da altri sia trattata così destramente a l’imperatore circa l’animo di lui scoperta, che a quella repubblica ne venghi l’utile, et a lui non riuscendo, si campi il danno, essendo queste per natura loro materie tali, che di nuovi casi nate et da gelosia nodrite, rimanghino nelle rovine di chi le muove spesso sepolte. Io poi tanto soddisfacendomi del consiglio che mi — 742 — ha mosso a scrivere, quanto a V. S. il sentirò grato, intenderò più tosto a spendere il tempo, cercando occasione, onde io continuamente le serva, clic a rallegrarmi se in cosa alcuna secondo il loro volere liarò servito. A’ 22 d’aprile del 46. Di Roma. Al Card. Farnese. if4f, 3/ novembre. In questa elettione del novello pontefice, poiché a V. S. Rev.*, copiosa non meno di altrui consiglio che di propria sperientia, piace ancora intendere quello, che in così grave materia io conosca e discorra, paragonando più tosto una minore intelligentia a molte perite sententie, che stimando poter da quella nccvere beneficio alcuno; dirò nondimeno per solo ufficio di servitù fedele quel poco, che in cotal caso a publico et a privato suo commodo giudico essere honesto et utile. E questo non per altro fine, se non perchè ella e dalla poca parte dei manco buoni, e dalla molta de migliori concetti possa più agevolmente cavar col suo sano giudicio quel frutto, che viene da lei e da noi desiderato. Due sono, reverendissimo monsignore, al creder mio i fini, i quali per voi si debbono in questa elettione havere : 1’ uno è, siccome huomo ecclesiastico, per quanto potete, creare un papa, dal quale probabilmente si speri il bene e la quiete di santa Chiesa; l’altro è per sicurezza del vostro stato, procurarne uno, il quale di ragione possa parer tanto vostro confidente, che quando pure egli vi offendesse, sia giudicato far cosa troppo ingrata, acciochè in quella città, dove honorato et quasi principe siete vivuto per tanto tempo, trattando la somma dei più gravi negotii, possiate ancora in l’avvenire con dignità viver sicuro senza facende. La grandezza dell’impera-dorè in questi tempi è tanta, che a’ preti, a’ quali meritamente ella dispiace et può loro far danno, bisogna più tosto temporeggiarla, che vanamente pensare di spegnerla. Ora se mai fu tempo alcuno, nel quale 0 per odio antico 0 per evidente sospetto ci convenisse seco et dissimulare et provedere, questo in fatti, nel quale per mala fortuna ci troviamo, è veramente quello, così per li molti et in parte da lui fomentati incommodi, i quali già gran pezzo con — 743 — pericolo soprastanno a questa Sede dall’ aperto Concilio , come per la formidabile vicinanza dell’imperio, col quale ne circonda da tutti i lati. Per la qual cosa più a proposito certamente è un papa, del quale, sì come di amico, egli almeno per hora non tema, che un altro, di cui per assicurarsi bisogna ch’egli 1’ offenda, et essendo , come si vede, padrone di mezza Italia, nè havendo l’aut-torità temporale de’ sacerdoti alla sua conservatione aiuti maggiori de’ Franciosi, e quelli ordinariamente scarsi e tardi, consta a ciascuno, che perduta Piacenza, frontiera già inespugnabile di questo Stato, o egli terrebbe continuo la Chiesa in alteratione e spesa grandissima, o a lungo andare ci condurrebbe in ruina, della quale havendo questa republica havuto l’anno memorabile del vintisette co’ suoi esserciti un saggio così acerbo, non è bene, al parer mio, ritentarlo nell’avvenire. Con la sua morte, la quale hoggimai per la grave indispòsitione della persona, molto lungamente non può indugiare, uscirà la Chiesa e parte dell’ Italia, come di questi timori, così di questi rispetti ; intanto creandogli hora il pontefice, se non in tutto amico, almeno non odioso, meglio è ch’egli sfoghi la sua ambitione in Francia, che dargli materia di dover travagliar noi. Nè può haver dubio, tenendo egli, da che nacque, i Franciosi per naturali nemici, et essendo, come certo sarebbe con un papa a lui sospetto, necessitato ad assicurarsi dell’ uno di loro, che prudentemente volgesse l’armi contro a’ preti come verso a’ più deboli, i quali senza quasi difficultà alcuna potrebbe offendere in due modi: o congiungendosi fintamente per attempo, come già fece con lo Inglese, suo alhora capitai nimico, a’ danni della Francia, così hora co’ Franciosi da lui tuttavia odiati a’ danni nostri, o sì veramente senza nuovo aiuto, molestarci solo. Il che sequendo ' O nel primo caso non habbiamo rimedio, e nel secondo stiamo in manifesto pericolo, perciochè a noi non bastarebbono per la guerra, contendendo etiandio con lui solo, nè le entrate ordinarie quasi tutte impegnate , nè i modi straordinarj di cavarne dalle terre esauste ; et il confidarsi di poter altronde o da’ potentati amici o da’ vicini, per ajuto continuo, trovar denari con la guerra in casa, fu sempre vano. È chiara cosa che egli sopra ogni altro huomo d’ingegno e d’animo elato nè lungamente sa stare in pace, nè per — 744 — le molte fatiche si stanca alla guerra; onde per questo non man-carebbono o per la voglia di Parma, tanto da lui desiderata, antiche pretensioni, o per mera ambizione cagioni nuove da muover Tarmi in Italia, essendo egli, come sa ogniuno , di giustificare cavillationi assai buon maestro, nò mancando mai a’ principi in simili appetiti colorate ragioni. Il voler poi con f.>rze deboli e con soccorsi lontani, sotto il fallace beneficio del tempo, contra un vicino e potente nemico sostener la guerra, è ruina manifesta. Il fuggirla in tutto o il differirla in tempo, quando egli si disponga onninamente a farla , senza gran danno mai si è potuto. Replico pertanto, che sia hora non meno necessario che utile partito lo eleggere pontefice tale, il cui governo si per confidentia, come per prudentia in questi pericolosi eventi di Concilio et ambitiosi affetti suoi particolari, con destrezza lo trattenghi e non lo esasperi, affine che più facilmente si possa riordinare il publico, e non tirarsi per mera elettione la guerra adosso. Conoscendosi dunque esser bene crear un principe che non li dispiaccia, necessario è ancora crearlo più tosto che sia possibile, perochè sopravenendo numero di cardinali franciosi, ponno per naturale passione, anzi ostinato proposito di servire al re con lunghezza di conclavi, mediante la stabile union loro nationale, ridurre facilmente le cose in termine, che non solo al publico operatione di tanto momento, ma insieme ancora al vostro particolare ne torni danno. Quella frequentia dei cardinali, la quale in molti modi ubligata a vostro avo si vede hora così pronta al servirvi, parte con il lungo indugio, quand’egli avvenga dalla stanchezza intepidita, parte da speranze nuove e disegni pri\.iti facilmente alienata, e non meno dalle persuasioni e mali ufficj de’ nostri nemici sollevata e vinta, e parte ancora da’ premj e larghe promesse de’ Franciosi, forse fin da hora in segreto corrotta, non sono io sicuro che vi regga lungamente. Et sempre fu bene delle cose, le quali hanno, sicome ha questa, per solido et unico fondamento la ripu-tatione, goderne il frutto quanto più tosto, essendo sempre nelle gravi operationi dopo il sano consiglio, circa 1’essecutione, ogni dimora pericolosa, ma in quelle di Stato maggiormente pericolosissima. Hora tenendosi tutti gli huomini nelle mondane attioni sola- — 745 — mente in fede et in uffi;io o per forza o per premio o per benivo-lenza, poi che a mantenere questi signori uniti con la voglia vostra il premio e la forza cessano in tutto, sarebbe troppo fuor di ogni regola di questa loro affettione, della quale al presente con tanto utile possiamo godere, il porsi a richio, consumando tempo, di farne jattura. Oltra che quando restasse questo numero di Senatori, quantunque non in tutto da voi alienato, ma pure in parte scemato o disgiunto, vi condurrebbe di certo di due inconvenienti: con l’uno a minuire affatto di riputatone non solo con l’imperadore , ma col mondo ancora, del non ve n’ essere in tanta occasione saputo valere ; con T altro a dover vivere sottoposto a principe , o forse poco amico della vostra casa, o almeno fuori di ogni obligo, che gli haveste voi alla creatione potuto giovare: accidenti in vero fomentati dall’invidia, qual seco arreca la grandezza e la ricchezza vostra, da porgere a molti mali nuova cagione. Et questo insomma non ha contesa, che sotto voi per gran tempo si lieva la viva radice della casa Farnese, dove hora in questi primi giorni del comitio , col caldo favore di tanti cardinali vostri amici, giunto però fuori di servitù con dignità ecclesiastica a gli Imperiali, fra quarantadue voti, che soli saranno in conclavi prima che vengano i Franciosi, indubitatamente sete fitto arbitro del Pontificato, bastandone alla creatione solamente ventiotto. Nè affine che questo riesca, è il migliore o il più breve modo di una improvisa adoratione, siccome già fu creajo lo stesso Paolo, la quale ogni giorno e da qualunque hora si può concitatamente fare, il che non avviene dello scrutinio, come di cosa più ordinata e più lunga. Nè vi muova o sgomenti lo havere in brevità di tempo a terminare facenda in sè cosi grave e cosi grande, perochè se fin da hora vi risolvete circa la particolare nominatione della persona, trattando nondimeno la cosa segretamente, schifando etiandio con la dissimulazione l’impedimento, e con la modestia vincendo insieme l’emulatione de’ Senatori contrarj, sarete accompagnato dai vostri confidenti tanto in ciò rispetto al tempo pronto et espedito, che venuti gli Imperiali, in quattro primi giorni di conclavi probabilmente si fornirà il tutto, già che per non mettere in quistione et in pericolo il servitio di Cesare col pregiudizio de’ Franciosi, ci doveranno di ragione uni- — 746 — tamente concorrere volontieri, proponendoli voi massimamente un buon soggetto. A questa hora, monsignor reverendissimo, bisogna dirizzar l’animo e stare avvertito, acciocché in un tempo, conservando il privato, si consigli al publico, quando la Iddio mercè vi è modo, per quanto comporta la qualità de tempi presenti, di soddisfare all* una cosa e all’ altra. I suggetti pontificj possono essere a questo tempo da ogni sano giuditio stimati quattro, il che però sia detto non tanto per l’eccellenza solo delle particolari persone loro, quanto per una facilità maggiore tra tanti dispareri di condurre il negotio più brevemente al fine; et quando ancora non voglia la S. V., consentendo in altri, operare contro alla prima e ragionevole intentione proposta, o pure nominando ella persone debili, scoprire, per interessi privati , una troppo evidente passione, la quale certo in atto cosi sagro all’ auttorità e dignità vostra conviene totalmente fuggire. Di questi signori dunque il Cardinal Polo, per le sue rare e molte gran qualità, io direi che fosse il primo, se le speranze e gli affetti pro-prj dell’ Inghilterra non lo potessero facilmente muovere ad unirsi con la Francia, come provincia potente e vicina, per rientrare in casa sua : disiderio per sè stesso ragionevole, accompagnato poi da tali e tante forze, maggiormente riuscibile; per lo qual sospetto con più difficultà si conducesse quella parte imperiale del Senato ad una pronta elettione, et egli ancora ne venisse forse intrinsecamente meno accetto all’imperadore, alla vasta ambitione del quale, come a più d’ un segno s’ è veduto, non dà molta noja l’Inghilterra più Christiana che luterana, pure ch’ella in ogni stato le rimanga amica, talmente ch’egli se ne serva per contrapeso et ostacolo alla potentia della Francia. La vita etiandio d. questo signore molto cssemplare dalla quale per conseguente depende imperio nelle ani-ministrationi ecclesiastiche alquanto severo, e perciò diverso in tutto dall’uso presente, mi fa ancora in parte temere potendo con nuove e strette regole non solo all’universale della corte, già per questo impaurita, temendo alterationi straordinarie, ma a voi parimente nei vostri e molti e ricchi sacerdot, notabilmente nuocere. A questo si aggiunge un buon numero di nipoti carnali e di parenti difficili per avventura a tolerare, essendo massime non italiani. — 747 — Lo Sfondrato, huomo di non minore integrità che di dottrina o di prudentia, et insieme obligato molto a casa vostra, è certamente capace di questo grado; pure lo ha vere di moglie due figli maschi, con T essere egli per nobiltà e per virtù huomo illustre nello Stato di Milano, potrebbe agevolmente causar dubbio all’ imperadore, che di quel paese, nel quale egli nacque vassallo, non li venisse voglia di farsi principe, spingendolo a ciò, oltra il naturale amore de’ figliuoli, una probabile speranza di lunga vita per cagione dell’età sua, tanto fresca ancora e tanto valida. Nè i favori e stimoli de’ Franciosi sarebbono quali in simili occasioni sempre sogliono, cosi in caso tale meno grandi che continui. Dal qual moto manifestamente si vede quello Stato et Italia tutta in uno istante ripiena non meno di arme civili che di oltramontane. Lo haver poi a sostenere sopra gli altri parenti un padre con due figliuoli, capaci in tutto di quelli onori, che può in ogni grado e stato dar santa Chiesa, e così giovani, a voi, il quale siete uso , si può dire, governar solo, non intendo quanto per sicurezza possa piacere. Carpi, amico da V. S. Reverendissima sempre con dignità osservato , è creatura del morto pontefice, cardinale nella republica di honorata esperientia, trattabile e grave, parrebbe forse più grato a Cesare, cessando totalmente nella sua persona quel sospetto , che egli fosse mai di ferma intelligentia per convenire col re di Francia, anzi acceso per giusto sdegno e disiderio alla ricuperatone di Carpi sua patria, travagliare piuttosto il duca di Ferrara, non molto caro alla casa d’ Austria, che intendere ad altro. I parenti etiandio, da’ due fratelli in fuori, pubicamente da lui tenuti per spurj nè molto stimati, e perciò meno habili a straordinarie grandezze, sono poi di poco o niun timore, passando il padre settanta e più anni, et il fratello legittimo havendone appena quattro, a tale che per ministri da occupare intorno a’ negotii publici, privo quasi de’ suoi, nè di servitori per così grave peso, se non scarsamente, proveduto, sarebbe assai felice che nella Signoria vostra rimanesse parte di quella auttorità, che ella in questa corte .è solita havere. Onde considerato il commodo servitio, che dalla lunga vostra esperientia nelle facende egli trahesse continuamente, et insieme il giusto obligo, il quale egli vi havrebbe di così fatto honore, essendo molto per — 748 — natura magnanimo e grato, e per inclinatione particolare con lunghezza di tempo assai stretto amico; havendo parimente tutti due nelle vostre attioni il fine conforme all’adherentia d’un principe, si potrebbe con ragione sperare, che voi ne rimaneste honorato e sicuro, e l’imperadore ben sodisfatto. A quelle cose contrarie non meno al vostro ricco e quieto Stato, che alla grandezza e perpetuità della vostra casa, alle quali moverebbe un altro l’interesse particolare del sangue, non si potrebbe egli, attesa l’età debole de’ propinqui, ragionevolmente muovere , distratto oltre alla inferma sua habitudine propria, per la decrepità del padre e infantia del fratello, dal pensare all’ offendervi con stabile fondamento, temendo dal vecchio essere in breve abbandonato, e del fanciullo trovandosi per lungo spatio quasi impedito, in modo che siccome di cose tanto nel muoverle, quanto nel conseguirle sempre piene di non minore difficoltà che di pericolo, alle quali similmente per bene e in lunga successione fondarsi, di necessità si ricerchi opera e tempo, venendone egli da questi rispetti con ragione alienato, e per consequente alla quiete risoluto, resterebbe solo 1’ operarvi contro o per odio occulto o per mera malitia, obietti in huomo nobile, come egli è, e tanto vostro amico, quanto apertamente dimostra, da non doversi per alcuno imaginare. Ma finalmente nella civile am-ministratione non è poco guidar le cose con ordinario essempio ■, accompagnato da apparenti ragioni, et il resto poi commetterlo alla fortuna, perochè tutto buono, tutto netto, tutto senza sospetto non si trovò mai. Quando pure, rispetto a nuovi accidenti, non potesse la Signoria vostra colorire questo disegno, mons. Ridolfì, siccome huomo poco sempre circa gli affari de pi incipi tia\agliato, e perciò meno odioso di molti altri alla maesta cesarea, in concetto veramente universale di senatore sincero et ecclesiastico, viene da ciascuno giudicato degno di questo luogo. Gli oblighi già tante volte da lui confessati bavere un papa Paolo , giunti all’ amicitia alcuni anni continuata fra voi, e la sua mite, libei ale e nobil natura, nè però gravato di stretti congiunti, vi potrebbono fare ragionevolmente vivere quieto. In questo signore , aspettandosi il pieno numero de’ Franciosi, dubito siate necessitato discendere per — 749 — manco male, essendo all’hora agli Imperiali scemate le forze, nè potendosi finalmente dopo molta contesa contra tanta unione elegger papa, se non conforme alla voglia del re; la qual cosa antiveduta, e scoprendosi in Carpi difficoltà insuperabile, meglio sarebbe crearlo pontefice innanzi la venuta loro, che il faticarsi per altri o il differire a quel tempo, acciochè prima fosse egli dalla prudentia vostra prevenuto col beneficio, che voi da lui con le nuove forze, il notabile ajuto delle quali scemarebbe assolutamente gran parte di quell’ obligo, che egli per tal conto dovesse con voi sentire. Ma perchè non ha, illustrissimo signore, la molta vostra autorità in questa attione nemico maggiore e più potente dell’invidia, causata sì dall’avverso volere dei cardinali di fattione contraria, o di alcuni passionati per ambitione particolare del pontefìcato , come ancor più dall’ età vostra giovane, al giuditio e determinatione della quale i vecchi per natura difficilmente si acquetano ; è cosa degna di gran consideratione il prohibire, che in modo alcuno essi temano o conoscano nè la inclinatione vostra circa la persona, nè la violenta potentia circa 1’ elettione. Ma dissimulando cautamente l’una e T altra, e conferendo ogni cosa nel publico, mostrando insieme voler da loro più presto consiglio che tra loro preminentia, fargli di pura voglia con destrezza cadere in procurar quello che voi desiderate, non in resistere a ciò che proponete , essendo al più degli huomini per innata passione dalla natura dato il seguir maggiormente le opinioni proprie , ancorché manco buone, che il ricevere le altrui quantunque migliori. Questo medesimo e utile e grato modo con tutti parimente i senatori e confederati vostri amici è da servare perpetuamente, la benivolentia e le imperfettioni insieme de’ quali fa bisogno conservare e tolerare con patientia e con modestia, non alterare con ira o negligentia o poco rispetto, per più lungamente tenergli fermi, resistendo alle voglie di molti, ai quali i disegni e le grandezze di casa vostra gran è un pezzo non piacciono, lasciando ancora che nei commodi o appetiti loro siano più tosto dal tempo e dalla ragione sgannati e chiariti, che da voi sempre non stimati o in tutti i modi possibili sodisfatti, dispiacendosi molte volte agli huomini più col modo del far? le offese, che per le offése. Il lasciarvi condurre a metter huomo in quella sede, Atti Soc. Lio. St. Patria. Voi. Xili, Fase. IV. 4S — 75° — col quale non pur voi, ma vostro avo forse per publiche o private ragioni habbia conservata inimicitia alcuna, è in tutto da fuggire come error capitale, ricevendosi sempre in casi di Stato per mal sicuro partito il fidarsi d’ huomini offesi sotto ricompensa di nuovi beneficj, perocché il più delle volte si viene oppresso da subita ruina, o si vive sottoposto ad un .continuo disprezzo, dal quale sono poi partoriti i volontarj essilj, sicome da Sisto in qua si è veduto accadere sotto alcuni pontificati, incommodo a sopportare tanto come Romano, a voi più grave e molesto, quanto è l’amore d’ una grande e honorata patria e 1’ eminentia vostra maggiore. Concludo adunque, già che tanto è manifesto il prolungare la creatione per lo ben publico pernicioso, nè meno per li vostri particolari, attesa la mutatione degli huomini, pericoloso, essere ancora a V. S. Reverendissima espediente salutare il voltarsi quanto prima alle cose, se non in tutto da lei desiderate, almeno più facili ad essere essequite; purché di quelle essa in fatto ne sia l’ auttore, sopratutto fuggendo con ogni possibil modo il diventare in questa at-tione, nella quale, come è chiaro, siete hora un fermo capo, col pregiu-ditio del tempo un membro debole , conoscendosi parimente per ciascuno, che il farsi papa o a voi sospetto o non congiunto, possa essere ragionevolmente a tutta casa Farnese dannoso per sempre. Di Roma, a’ 25 di novembre 1549. mons. Gio. ccird. Salutati a Gualdo. 1551, 2 agosto. Reverendissimo et illustrissimo Monsignore. Intesi dal padre Ottavio la risposta che diede V. S. R. alla richiesta mia, la quale era che essa molto bene conosceva la mia giusticia, ma che da Nostro Signore essendo impedita a disporre del beneficio secondo il suo volere, non poteva all’ hora per questa cagione esseguirla. Hora essendo io qui da persona grande et veridica assicurato, che S. Santità informata del fatto, non però vuole in modo alcuno torgli il suo beneficio, perchè 1’ habbia mons. Mignanello o qualsivoglia altro de’ suoi, che prima non voglia che da qualunque lo - 751 - possegga ella, ne habbia per me (sicome è giusto) la intera ricompensa; et io ancora non sono tanto av-ido di havere lo istesso benefitio, tutto che egli sia in luogo molto bello et a me commodo molto, nè così poco etiandio servidore alla S. V., che quando le piacesse darne il titolo ad un suo più caro, io non mi acquetassi ad haverne la pensione, cercando in ciò, et debitamente, più la sua soddisfattione che la mia, in quel modo, dico, che o da S. Santità per ricompensa, o da un suo famigliare per.pensione, le piaccia che io ne habbia il mio frutto, sia certa che di ogni suo volere mi terrò per contento, non credendo che bisogni ricordarli fare in modo, che dopo una spettativa di venti anni intorno a cosa così onerosa, come per me fu quella cessione, io trovi in lei quella stessa osservanza della sua fede, che io ci trovai pronta il primo quasi giorno dopo lo accordo; nè meno dirle che il lasciarmi con sua permissione o da altri torre, o pure ella donare a qualunque altro questo tanto che pure è mio, sia un*dare a cui ella niente deve, se non per gratia; et il concederlo a me sia puramente un far giustitia, conoscendosi anco troppo chiaro di quanto nelli interessi della robba proceda sempre la giustitia alla gratia. Questo solo, da che ella non è informata, le debbo dire, che per le continue spese di questa mia infirmità, la quale dopo- sedici mesi non ancor fornisce, et per la mala fortuna, non volendo dir altro, che io ho dopo tanti anni havuta con mons. Farnese, son giunto a tale, che lo aspettare più lungamente mi torna in estremo danno, venendo massimamente le vacanze in quel paese pur troppo rare. Conosce già per tanti anni il card. Sal-viati al pari di ciascun altro signore la giustitia, et sopra molti altri sa usare la liberalità ; non fa hora bisogno persuadergli 1’ una o ricercarlo dell’altra; sappia ella solamente lo stato mio, resti informata del fatto, et determini poi come suole, conforme alla integrità et magnificentia sua. Bacio la mano di V. S. Ill.mi, et hu-milmente me le raccomando. Il secondo giorno d’agosto dell’anno 15 51. Di Roma. — 752 — kA mons. Marcello Cervino card. Santacroce. 1554, 1$ marzo. A raccontare i favori et numerosi beneficj, che da V. S. R. in questa infirmità ho ricevuti, non è tempo hora. Fra pochi giorni venirò, spero, a rivederla et farle reverentia solamente, già che per renderle gratie con parole uguali al merito manca il sapere, et per sodisfare etiandio in minima parte con l’opere, per molto che io viva, non basta il tempo. Se nella prima audientia le piacerà torre la protettion mia presso nostro Signore, conforme a quello che con benignità sì grande ella ha di voler fare affermato, farà opera tanto più degna della bontà sua, quanto io meno mi posso hora prevalere di alcuna industria. La priego per quella singulare e propria sua beneficentia, la quale sforza ogni huomo a sperar da lei qualunque cosa honesta, che se pure Tè piaciuto volere ajutarme et giovare, mentre son stato sano, non mi lasci spogliato del suo favore hora che io sono infermo, acciò che per ciascuno chiaro si conosca, niuna intercessione o diligentia presso il Cardinal Santa Croce esser maggiore o più vivo stimolo delle sue parole et della sua constantia; et quanto anchora egli sia più pronto et miglior maestro in rompere et commutare una mala fortuna, che in ampliare 0 continuare una buona. Bacio la mano di V. S. Ill.ra\ pregandole felicità conforme al suo merito. A’ 15 di marzo del 54. Di casa. iAl cardinale di Fano in conclavi. 1555 , i.° gennaio. Questa venuta de’ Franciosi, la quale estingue affatto le speranze di Morone et Carpi, ne viene tutta a benefìcio nostro. Se i Franciosi per alcuno appuntamento di pace o tregua, preso no-vamente a Calès, nominassero Polo, il papa è fatto; ma non seguendo l’accordo, mi par difficile a ragione di stato, che voglia la Francia un papa inglese, pieno di parenti nobili et poveri, va-sallo hora fatto di Filippo, lontano di Roma et quasi in mano di — 753 - Cesare; onde in tal caso, stante la diffidenza dei due principi, il centro tutto del ponteficato si riduce solo in Puteo et Fano (i), tra quali due essendo invero quelle notabile differenze che ciascuno conosce, resta quasi il partito vinto. Bisogna intanto con destrezza secondar Ferrara (2), et senza sdegnarlo, aspettare 0 che egli delle proprie speranze si sganni, ancor che opera lunga, 0 che per altri provandosi invano, descenda in voi. Il tentare in questo mezzo la nostra fortuna non mi par bene, se non per far pruova degli amici senza utile, cadendo insieme di riputatione, come anche fuggendo l’invidia per serbarsi a più sicuro tempo. Intanto dissimulando questo appetito con ogni industria, con la mansuetudine et eloquentia confirmar gli amici vecchi et procurar di nuovi, lusingando tuttavia con dignità Monsignor Sant’Angelo (3), il quale a me di prete pare assai buono, capace di ragione et mutabile al bene. Farnese non bisogna nè sdegnarlo affatto per goder della inertia, nè fidarsene punto per sperarne ajuto, essendo di natura che più per timore non offenda i nemici, che per debito giovi agli amici. « Sed quid ego Athenas noctuas? Martedì alle 20 hore del 555. Di casa. M. Gorone sente il medesimo. 5 — squarcio per ristoro di alcune chiese mal custodite dal cardinale, non senza beneficio del nipote Alessandrino, che già ne ha havuto il priorato di Roma, miglior pezza di tutta la vacante. Questi magnifici, temendo alle cose loro per la improvisa armata di Selym, hanno eletto hieri trenta nuovi governadori con altre tante galee bene armate per maggior custodia del golfo, et forse domani haremo il generale, qual si crede dover essere il nuovo procura-dorè m. Gieronimo Zano. Col primo messo fidato manderò a V. S. la lettera del Gerbi et 1’ altra scritta al Canobio. Ella mi nomina 1’ Alessandrino; credo io che voglia dire il Borromeo, perchè nella lettera è solamente circunscritto lui con. alcuni altri rapaci ministri di quella corte; non ci sarà errore alcuno. Il senato vi-nitiano liberò finalmente m. Marino Cavalli dalla accusa, come huomo di quella colpa innocentissimo, con quasi tutti i suffragj. Difese egli stesso la causa sua con modestia, ardore et eloquentia infinita, armato di ragioni essentiali, di argomenti probabili , di termini espediti, di affetti straordinarj talmente, che da tutti scosse le lagrime et da quattro quinti la assolutione. Caso certamente raro, che huomo nobile, tanto in varj modi provocato, tanto fuori del vero vilmente calunniato, posto con settanta anni in tanto pericolo di grave pena, authorizato, dotto et di natura colerico, in tante hore di diffesa, che fra due attioni non furono meno di sei, mai con pur una parola o mordesse l’accusatore, o si querelasse del magistrato, o non si conciliasse sempre il giuditio. Si penserà hora secondo 1’ uso di questa republica a ristorarlo con gli honori, poiché sono in tutto con ragione mutati gli animi et fornite le offese. Al mio sig. Giulio priego fresca stanza et acque gelate, se però si può trovare cosa al suo gusto fuori di Napoli, et a tutti due mi raccomando di cuore. A’ 18 di giugno del 68. Di Vinetia. P. S. Se prima non mandate scritture, al più tardo le porterò io meco, appropinquandosi i fichi san Gioanni, co’ quali intendo o di risanarmi o di amalarmi affatto, che tanto in questa neutralità non posso io più stare. — 8o6 — Allo stesso. 1569 27 Febbraio. Mando a V. S. la relatione del regno inglese di Mons. Barbaro (1), havuta da lui nelle allegrezze di Carnevale, come per mancia l’harete hora da me per l’interesse del tempo, nel quale ho mancato rimandarmi quelle mie lettere. Sarà assai maggiore 1’ usura del capitale; cosi interviene a chi si impaccia con mal debitore, volsi dir buono, sed cum-de me loquor, semper hic erro; tanto sono io solito mancare a me stesso, non che ad altri. Godetemi, caro signore, come mi ha fatto la madre natura, che certo mi rifarei tutto di nuovo, se io potessi. Considerato il vario et raro modo della giustitia britanna, et la mutata, anzi in tutto da quei popoli negletta religione, pare a me che egli habbia i due più principali et necessarj punti sanamente tocchi et pienamente riferiti, poi che il dire altre cose 0 gravi 0 grandi di quel regno gran fatto non si poteva. Se alcuna più distinta notitia si fosse data dei costumi et natura dello istesso re, magis forte placuisset; pure egli era allhora ' tanto fanciullo, che giudicio certo non se ne potea fare, et perciò molto non se ne potea dire. Sarebbono poi alcune cose invero da resecare, alcune altre più succinte da scrivere, tutte anchora più dilicatamente da dire, ma lo introdurre nel Veneto la cultura è difficile, il laconismo è impossibile. Raguagliato nondimeno il tutto, è opera da huomo dotto et prattico et una delle migliori. La mando con fidecomisso che non si dia a persona, havendogli cosi promesso, nè gli ho mancato dandola a Voi, che siete un'altro me. Rimandatela di gratia come prima potete per messo fidato et cauto, importando cosi al debito et honor mio. Haremo al certo (1) Daniele Barbaro andò ambasciatore ad Edoardo VI in occasione della sua «assunzione al trono d’Inghilterra nel 1547. Il Foscarini , nella sui Letteratura Veneta, cosi parla della relazione fatta nel 1551 a’ tempi del doge Francesco Donato, checché ne dica il nostro censore: « Singolarissima t la relazione lasciataci dal famoso Daniel Barbaro intorno all’Inghilterra, imperocché nel discorrere le costumanze, le leggi e le nuove relazioni introdottesi dopo il rivolgimento di quel regno , vi frammette il racconto di molte particolarità conducenti alle origini stesse di cotanto successo ». Fu pubblicata da Eugenio Alberi nelle Relazioni ecc., Serie I, voi. II, pag. 22$. — 8c>7 — quella di Nicolò Tiepoló (i), tornato da Carlo Quinto, della quale, come da huomo raro, spero scrittura rara, havendo ella acquistato già tanto grido. Per hora non vi dono altro; alla mia venuta harete il resto. State sano (2). Il primo giorno della quaresima dell’anno 1569. Di Vinetia. Al Cardinal di Correggio sull’incendio dell’arsenale di Venezia. 1569 17 Settembre. Illustrissimo Monsignore. Per le lettere di V. R. Signoria intesi lo stato suo travagliato alquanto più del solito dalla podagra, cosa che mi dolse et come deve et quanto ella può credere. Voglio sperare , che in così lungo spatio sia V. S. revalidata et quieta tanto , che possa anche senza noja 0 leggere una mia lettera, o (1) Di questa relazione riparlasi in altra lettera del 14 marzo di quell’anno da Venezia, forse all’amico medesimo Ho data all’imperiale la relatione del Tiepolo, havuta dal sig. Antonio suo figliuolo dopo lunga amicitia per un bel dono. Volendola mandar sicura, come cosa certo che a me bisogna , servando la mia fede, custodire fedelmente, non ho havuto tempo appena di adocchiarla, non che di leggerla, et meno di scrivere a V. S. allora che io la mandai. Se per la estrema lunghezza non perde ella alquanto del suo diletto, per la notitia vera et distinta della cosa ha già ottenuta gran fama. È ben vero, che la maraviglia vera et la magnificentia sono passioni proprie della gente veneta. Del giudicio che ne farete, parleremo in presentia dopo Pasqua. Ben vorrei che fosse rimandata con maggior cautela dell’ altra, essendo molti più i casi che le leggi, et di questa è assai maggior carestia che non di quella. Non la mandi V. S. in modo alcuno per via ordinaria, che io ne voglio esser cauto, et questo sia fra dieci o poco più giorni, convenendo restituirla al padrone, come gli ho promesso. Haremo col suo mezzo qualche altra cosa, mostrando egli di amarmi ». ... La Relazione di Nicolò Tiepolo, fatta nell’ anno 1552, è fra quelle publicate da Eugenio Alberi nelle Relazioni degli Ambasciatori Veneti al Senato, Serie I, voi. I, pag. 31. (2) A’ 4 di febbraio di quell’anno scriveva tra .altre cose di lieve importanza così:.. . « Morì il Capisucco, huomo di lungo periodo et di corta sentenza, et fu data la signatura di gratia al Carrafa, della quale si cava gratificar molti, et talora cento ducati il mese, quando è in mano di poveri. Non so se gli haràlui come molto ricco. 11 vescovado di Lodi, che però non vale cinque mila, lo ha havuto il cardinale Chiesa milanese. M. Annibaie Rucellaj, dopo alcuni mali et certo indebiti ufficj da farsi verso un huomo da bene suo pari, harà finalmente in concistoro la sua chiesa di Carchassone, secondo che scrivono ». . . . Capi-succhi Gio. Antonio, nipote del celebre Paolo, dotto giureconsulto, cardinale e vescovo di Lodi, d’ antica famiglia romana, ne’ primi tempi della sua carriera ecclesiastica fu canonico di s. Pietro e uditore di Rota, poi prefetto della segnatura di grazia, membro del tribunale dell’ inquisizione e governatore di Gualdo, col carattere di legato apostolico. Erra qui Sai vago quanto a Gian Paolo Della Chiesa, tortonese ; questi non ebbe mai il vescovado di Lodi, essendo succeduto Antonio Scarampo a G. A. Capisucchi. 11 dottissimo giureconsulto Della Chiesa funse legazioni di esito felicissimo a Filippo 11 e Pio V per gravi affari della città di Milano, ed ebbe dal pontefice il protonotariato apostolico, un’ abbazia nel Vercellese e il cardinalato colla segnatura di giustizia ed altri elevati uffizi; morì nel 1575 in età e vigoria ancor virile - 8o8 — - udire attenta alcuna cosa di nuovo, gii che non è (se bene in ogni sua parte nojosa) da passare con silentio questa, del dannoso et molto più spaventoso incendio, seguito tre giorni sono in questa città. Fu la notte del mercore, quattro hore innanzi il giorno, da mano veramente troppo nemica et scelerata, posto fuoco in buona quantità di polvere che era nello arsenale, tenuta certo in quel luogo come contro l’ordine, cosi con molto rischio incautamente. Causò in instante 1’ incendio della polvere rovina totale a gran parte di muro che cerchia quel sito, come ella sa , per lungo spatio, et con essa svelse da’ fondamenti le torri , dove si conservava la materia da fabricarla, con danno de sedici volti et di dieci sole galee. Dilatato poi per le case vicine, ne ha distrutte gran numero, adequato al solo la chiesa col munistero tutto di molte nobili donne, così chiamato della Celeste, le quali però furono in quella hora, parte lese et tutte tremanti, da molti gravi cittadini piamente condotte alle paterne case loro ; conquassate notabilmente dal medesimo impeto dell’ aere molte altre case et tempj più lontani, intronate parimente quasi tutte nella città non senza jattura, con tuono et strepito nel cielo così grande, che affermano molti non solo havere udito il romore , ma patita evidente alteratione, anchor che lontani da Vinegia venti et più miglia : danno tuttavia assai comportabile, poiché tra privato et pubblico non passa di 400 mila ducati, con morte fino a qui di meno che dieci huomini solamente. Sedato etiandio assai tosto un tanto pericoloso moto per mera et grande bontà di Dio, la quale contro 1’ uso delle flatuose notti precedenti, donando una continua tranquillità d’ aere, senza alcuno minimo spiracolo di vento, fece più comoda la provisione, per beneficio della quale non seguisse peggio. Ma quello che invero non si può , signor mio , con lingua 0 penna nè scrivere nè rappresentare, fu il terrore incredibile causato dall’ impeto et inaudito romore, che in hora così importuna', tremando ogni fabrica, et nella universale credenza di tutti quasi cadendo ogni cosa, a guisa di terremoto svegliò ciascuno; onde continuando per alcun spatio il denso et tempestoso turbine nel cielo, et per la quantità di legni et sassi, che accesa et spinta dal fuoco, alzandosi nell’ aria con horribile spavento tra lo ascendere — 809 — e 1 descendere, cadendo di punto in punto sopra le case, rompendo con strepitoso furore porte et finestre, et entrando per le stanze, unito insieme il vampo, il fuoco, il fetore et la materia, portava congiunte meraviglia, dolore et timidità infinita ; et tanto innanzi crebbe il tremore, che oltre al rendere attoniti et confusi gli huomini scienti et valorosi nel pensare alla salute, commovere et alterare i corpi in modo, che ne disperdessero alcune femine pregnanti, condusse anco in un tempo la minuta plebe, già uscita dalle case, discorrendo con gemiti et clamori miserabili per le vie in ultima disperatione, non altrimenti che se per giuditio divino fosse venuta 1’ ultima hora del mondo. Già quello che nelle cose avverse comunemente avviene, che dove più è ignota la causa, più etiandio manca il consiglio et perciò cresce il timore , havea quasi totalmente indotto ogni età et ogni sesso a sofferire consternati di animo lo acerbo et ultimo esterminio patientemente, senza più come a fato inevitabile pensare il rimedio, fino attanto che dello effetto venne scoperta la espressa cagione, la quale costantemente fatta palese, mosse in un punto gran parte della nobilità insieme con senatori gravi et antichi ad accorrere in quel luogo, provedendo in tutti e modi possibili alla estintione dello incendio, con dubbio et ansietà non poca de’ più periti, che il male et per conseguente il tumulto cominciato da quella parte, essentiale però in estremo alla republica, non si estendesse a novità maggiore ; per il che temendo fra l’altre cose in particolare allo erario et altri luoghi di sospetto molto per la molta quantità dell’ oro, fu subito mandato grosso presidio d’huomini nobili, buoni et bene armati, pronti a conservare et resistere alla violentia, se fosse bisognato. Nel medesimo tempo con calde, amorevoli et prudenti parole dette da’ maggiori et più grati huomini alla città tutta, pregato, inanimato et spinto il popolo ad ajutare et riparare i danni dello arsenale, che più oltre non procedessero, come infatti alla somma di questo stato importantissimi. Restinto in breve spatio il fuoco, et cessato col minor danno il maggior timore, convennero questi signori la mattina in collegio , dove andando et con simulata confidentia dissimulando la infinita paura, dando insieme gravemente ordine al ristoro delle — 8io — rovine, vanno parimenti cauti et solleciti indagando il mediatore, per ritrovare 1’ autore di tanto eccesso. Da molti, anzi quasi da’ più savi si può dir tutti, è creduto venire il male per ordine turco, disegnando egli con la rovina dello Arsenale levare in poche hore a questa Republica le maggiori et più vive forze ; la qual cosa , quando ancho si scuopra, bisognerà per altri interessi infiniti che si hanno in Levante, tolerare con patientia - accorta-niente, et fuggendo il rompere questa infedel pace per non causare nuovo danno, proveder taciti a’ mali passati et schivare avvertiti i pericoli futuri (i). Altro per hora non ho che dire a V. S. illustrissima, se non pregarla che di me talvolta ricordandosi, del continuo mi comandi (2). Sabbato, a’ 17 drsettembre del 69. Di Venetia. A G. V. Pinelli. 1570 i Gennaio. Nobil Signor. Tutte le speranze che si haveano qui di fuggir la guerra con l’andare del Turco alla Goletta, sono hoggi riuscite vane, intendendosi per lettere del bajolo, che dopo molte bugie turchesche, et modi barbari et infedeli nello assicurare et intepi- (1) In una descrizione manoscritta dell’Arsenale di Venezia, del finire del sec. XVI, si legge che « alla iìne del vecchio (arsenale) appresso alle mura si vede il luogo dove si fa la polvere , la quale dopo il pericolo che corse l’arsenale del 1568, era retirato in quelle secche che sono tra Fusina et Venetia. » (2) Alcune brevi novelle ricavo da lettera del 23 marzo del 1569 a G. V. Pinelli: «... Il negromante é huomo maestro di mano, et fa alcune cose assai gentili, ma non tali, quali io già vidi fare in Roma a Gioan Dalmao spagnuolo, il quale condusse la inquisizione di Spagna in meraviglia tale, che perdendo quei dotti la discussione et insieme tutti i metodi naturali, creJendo che fusse huomo diabolico, lo posero in prigione con opinione di ammazzarlo, se egli non si fosse, palesando il secreto, diffeso con la ragione. Nasce negli huomini la meraviglia dalla ignorantia, la quale, come è nota, rende il miracolo assai facile. Fa costui anchora per via di certi numeri pitagorici, che però sono in qualità prefissa, perchè se operasse nello infinito, esset alter Deus, alcune indovinatami molto belle, apponendosi a quello che altri si ha immaginato. Il medesimo fa in Roma il sig. conte Santafiore con mia estrema meraviglia, che lo imparò da Dalmao; non lo vuole insegnar, havendo così promesso. Son belle, ma non diaboliche »... . E da altra del 14 novembre ancora al suo concittadino genovese : «... Stamani si sono forniti i 41, tra’ quali ne sono undici delle case vecchie ; tanta in fatti è la violentia delle ballotte nuove; vi si manda la lista. Il Mozzenigo per commune giudicio, come scrissi, ha fornito. Domani saranno a’ ferri, et si spera fra cinque giorni al più risolutione 0 nel Dandolo o nel Miani, anchor che alcuni sperino di fuori nel Contareno ». — 811 - dire questi signori alle provisioni, finalmente hanno ritenute due navi vinitiane contro la fede publica, et dichiarata la guerra per Cipro. Stamani venne l’aviso, del quale rimane ogniuno impedito et turbato molto , come di cosa nella opinione dei più inaspettata, quantunque del bajlo , huomo in vero sagace et per'to, sia sempre stato temuto molto et avvertito diligentemente il bisogno di questi signori. Per non mutar ordine, anchor che tardissimo, siano u-sciti hoggi di collegio i consiglieri, è pure fatto consiglio grande , dopo il quale, credo, si ragunerà il senato o almeno il magistrato de’Dieci. Domani sarò col strenuo milite, et si intenderà il resto. Egli vorrebbe diffendersi combattendo, et principalmenie cominciare dalla spesa , cose direttamente contrarie a 1 uso et voglia lì chi governa. Altro non si può affermare per hora, stando ogni cosa in moto et alteratione grandissima. Non vi fate authore di cosa così noiosa per non intricare anche me, che sto volentieri quieto. Verrò fra pochi giorni. Domenica, alle 20 hore del 70. Di Vinetia. Al granduca di Toscana. 1570 11 Febbraio. Io mi rallegro con la vostra grandezza della dignità del nuo\o titolo datole da N. S. Pio V, in che egli ha mostrato la sua solita prudenza, et la vostra grandezza il suo solito desiderio d’ honore ; et perchè in simili congratulationi ogni huomo suol presentare qualche cosa, io le fo presente d un breve discorsetto sopra questo suo grado, parendomi bene eh ella intenda il predio di questo titolo. Dico adunque per esser chiamato et essendo Granduca, è gran cosa et gran segno di grandezza, poiché essendoci de’duchi piccoli et grandi, ella vien compresa tra grandi, a differenza de’ duchi di Bracciano, Tagliacozzi et simili; così chiamano in Roma gran penitenziere il capo della penitentieria, a differentia delli altri penitentieri, che stanno a sedere in s. Giovanni et in s. Pietro ; et così nella corte cesarea chiamano il gran ciamberlano il principale della camera dell imperatore, et appresso li antichi il re de’ Persiani si chiamava il gran re per — 8l2 — eccellenti.!, et hoggi chiamano il signore de’ Turchi il gran signore, il qual mi pare che habbiate assai innanzi agli occhi, et vi sforziate d’imitarlo ; et se ’l mio giuditio non erra, credo che habbiate in animo di far de’ bascià et de’ ciaus, come havete fatto già de’ cavalieri della croce dorata. Ma advertisca la vostra grandezza non solamente comprendere altezza che è per lungo, ma la larghezza o vero grossezza, che è per il traverso, et voi sete pur perdio grand’assai, ben traversato; et però non vi lasciate far questo torto, et advertite il Chieresola che ne faccia ufitio con chi vi scrive, et procuri che vi si dia della grandezza, come titolo più conforme al granduca, et questo carico a nessuno potete dar meglio che a lui, che sbestiò cosi gentilmente il Martinengo, col soprascritto del magnifico come fratello. Considerato ancora, che sì come 1’ esser chiamato Granduca è honorevole titolo, così 1’ essere chiamato Granduca è di gran pregiuditio per due cause: prima perchè chi non sa che voi siete il Granduca del vostro paese, così come quel di Mantova è granduca di Mantova per piccol che sia, et quel di Parma è il granduca di Parma, et quel d’Urbino il granduca d’Urbino, et quel di Ferrara e gran duca di Modana et granduca di Reggio e granduca di Ciartes, perchè ciascuno di loro è il maggiore duca che sia nel lor paese, sì che per questa causa facendovi chiamar Granduca di Toscana, venite a dichiarare questo vostro granducato non passa i termini del vostro paese, et in comparatione delli altri questa grandezza non vi fa punto maggiore di quel che prima eravate. Apresso coloro che vi chiamano il Granduca di Toscana, vi adulano et vi danno la baja troppo alla scoperta, perchè ogn’ un sa che voi non sete duca se non di una parte, et di quella Dio sa come, se già non disegnaste nel medesimo modo farvi anco duca del resto, il che ho speranza che vi riuscirà, se costoro faranno quel che si dice, di darvi la legatione di Perugia et il camarlingato per vostro figliuolo ; et già sete padrone de’ luoghi marittimi del vostro genero, e sarete non solamente duca di Toscana , ‘ma in una sedia vacante anco di Roma, e pur non sarete sicuro, che il re Filippo non riscoterà mai lo stato di Siena, che voi havete in pegno, ma gli torrete quel di Milano et il regno — 8i3 — di Napoli, et ciò che possiede in Italia, che fusse pur presto per il bene eh’ io vi vpglio; ma intanto vi consiglio a non vi far chiamar duca di quel che non havete, perchè credendo una bugia cosi espressa, le genti dubiteranno che siate duca di quel che voi havete, perchè ci è chi dice di no, et lo prova con ben fondate et saldissime ragioni. Quel granduca veramente è un bel titolo , et a quello mi atterrei s’io fussi voi, et lascierei andare quella Toscana a spasso , et questo harebbe più del generoso; et se volete la Toscana per voi, vi esorterei a lassare il granduca, perchè non vi si dia la baja, et loderei che voi misurassi quanta parte ne possedete, et di quella vi chiamate duca, come sarebbe a dire di due terzi di Toscana, o di tre quarti, o di quattro quinti, o di quella misura che voi godete; et a acquistarvi la -gratia di molti , facciate fare una gran provisione d’orinali, acciò che essendo tante croci rosse per tutta la persona, habbia da orinare senza pericolo della vita. E mi raccomando alla vostra grandezza. Di Venetia, alli n di febraro 1570. Della vostra grandezza vero amico ecc. G. V. Pinelli. 1570 12 Febbraio. Nobil Signor. Se da Luca sarò io sempre offeso in questo modo, farà egli certo ben danno a voi, ma non già a me. Basta che il dono fu cosi bello et così in tempo , che ha servito ad altri et honorato voi, non senza gratie venete da chi meco lo godè insieme, huomini et donne. Se foste per due giorni venuto a Vinetia, haveste goduto di alcuna festa tanto bella, grande et varia che per aventura vi facea scordare le scuole in Padova per tre mesi. Fu il meglio che ve ne andaste, poi che il partire potea tanto dolervi. Meglio feci io , che presi diverso consiglio , nè certo ho goduto tanto in quattro anni, quanto in tre sere, chiamando sempre l’Imperiale col Gentile. Il vostro Moccia non contento di tre scudi dello staro per lo suo più tosto polvere che grano, ha di nuovo scritto al viceré, et aspetta risposta, chiedendone con libera imprudentia tre et mezzo, i quali certo si crede che non Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XIII, Fase. IV. 52 — 814 — se gli daranno. Parlai al milite strenuissimo, il quale dopo tre ore di discorso, con disegni et bussole in mano, mi fa credere che si possa difendere l’isola, se però vorranno questi signori far quel che ponno , che è assai meno di quel che dicono , atteso che o combattendo o divertendo con grossa armata, si possa dare al Scitha più affanno che non crede. Egli vorrebbe far da senno, menar le mani, ma non tocca a lui il deliberare , et qui sono maggiori i spaventi che i cuori. La fortezza di Nicosia è opera, secondo lui , perduta, ma di questo in presentia, che io certo voglio venire, e faremo le notti corte. A Dio. A’ 12 di febraro del 70. Di Venetia. 1AII0 stesso. 1570 8 Marzo. Illustrissimo Signor. Sono stato più tardo a mandar la veste per mandarla cauta, però che essendo in vero riuscita bella molto, mi pareva errore darla a ministri che la potessero offendere. Ve la darà m. Nicolò Gentile , figliuolo del dogie m. Ottaviano di Oderico, il quale tornando dal duca di Urbino, dove lo mandò la Signoria in congratulatione del suo matrimonio con Ferrara, passando per Padova, piglia cura venerdì di condurla illesa. Noi hoggi habbiamo fatta la mostra di due mila fanti eletti dal Marti-nengo , i quali si imbarcheranno fra tre giorni, se Dio vorrà, provando di andare in tempo a soccorrer Famagosta. Cinquanta galee saranno in ordine meno tardo che sia possibile, et il generale Zano crediamo che parta innanzi Pasqua. Trenta altre nuove galee che furono deliberate ultimamente, con un poco più di tempo saranno in ordine, tal che fra tutte sarà il numero di 130, ma il valore di meno che novanta. Tutto il maggior sforzo, havendosi a combattere, sarà nelle dodici galee grosse, instrumento invero tardo, ma gagliardo. Se le navi con questi fanti giungono in tempo, farà il soccorso di Famagosta quasi inespugnabile, et del resto si disputerà poi. Il papa dà buone parole, inanima alla difesa , et suffragherà di alcune decime del clero veneto per somma di 100 mila ducati al presente, che non è poco. Mi doglio della — 8i5 — scesa, la quale per sanare è in buone mani , intelligenti et patienti. Ho gran desiderio intendere quel concetto, et forse lo intenderò innanzi Pascua. Fra tanto comandatemi. Agli otto di marzo. Di Venetia. — Del bailo non habbiamo nuova dopo 41 giorno. Allo stesso. 1570 20 Marzo. Nobil Signor. Si aspetta d’ hora in hora il segretario Bonriccio, ritardato solo dal tempo contrario alla navigatione per li venti fieri et grandissimi oltre ogni solito della stagione. Con esso sarà il Chiaus, già lasciatosi intendere che viene a dimandar Cipro a faccia aperta sotto titolo di religione et ragion di politica, essendo quella isola ricettacolo de ladri et nemici al gran signore, al quale non conviene comportare, che così da vicino si viva indebitamente contra la volontà et giustitia turca. Par quasi questo Senato totalmente risoluto di non lo voler dare, ma bene diffenderlo et combattere virilmente, se però, secondo i speculativi. egli non portasse uguale o poco minore ricompensa, nel qual caso rimarrebbe luogo alla consulta, per non perdere un milione et più di ducati con privati interessi, i quali sogliono, come sapete, predominare sempre. Aspetteremo 1’ imbasciata, et intenderete il resto. Si procede con la solita diligentia tardigrada alle provisioni, nè anchora sono partite le navi per Cipro, rispetto al vento nemico. Lunedì si darà il bastone. Se quei gentilhuomini vogliono venire, fate loro intendere che m. Ambrosio gli aspetta, pronto a riscuotere dallo Imperiale i cento ducati, perchè in fatti minaccia partire et presto. Potrebbe forse la imbasciata turca ritardare la cerimonia quel giorno, ma accelerarla non già. Mi raccomando al sig. Mercuriale. State sano. Lunedì santo del 70 (1). Di "Vinetia. (1) Un poscritto del 22 aprile successivo notifica che « per aviso di Ragugia è morto di subita morte Mehomet bascià; credesi dì veleno »; poi il 27 dello stesso rettificando, scrive: « Non morì il bascià; ma in suo luogo anderà il nostro dogie, che sta per quanto vale con febre et flusso ». — 816 Allo stesso. 1570 25 Marzo. Siamo in alteratone et ansietà grande, et da ogni parte udiamo l’inimico far pruova di molestarci già a’ confini di terra con correrie, incendj et rapine ; sentiamo rotta la pace, nè del bailo per via di Costantinopoli, sono più de 41 giorni, habbiamo nuova alcuna, non più dubbj, ma certi che sia posto in custodia, et che si attenda a farne tutti i danni in tutti i modi. Vanno et vengono ogni hora genti di guerra a Cipro et alla città ; ogni cosa è piena di armi et di mestitia. Fra pochi giorni partirà il generale, et te-mesi anchora di non bisognare difendersi con guerra terrestre. Gli animi di pochi sono arditi, di molti dubj, di quasi tutti in universale sopra modo paorosi. Alcuni ci offeriscono ajuti di huomini et di armi, niuno de denari. Il publico abonda di oro, i nobili parte di ardire et parte più grande di timore , il populo tutto di carestia. Noi oggi habbiamo fatta la mostra di due mila OO fanti eletti del Martinengo, i quali si imbarcheranno fra tre giorni, se Dio vorrà, provando di andare in tempo a soccorrer Famagosta. Cinquanta galee saranno in ordine meno tardo che sia possibile , et il generale Zano crediamo che parta innanzi Pasqua. Trenta altre nuove galee, che forno deliberate ultimamente, con un poco più di tempo saranno in ordine, talché fra tutte sono il numero de 130, ma il valore di meno che 90. Tutto il maggior sforzo, havendosi a combattere, sarà nelle 12 galee grosse, instrumento vero tardo, ma gagliardo. Se le navi con questi fanti, giungono in tempo, farà Famagosta quasi inespugnabile difesa, del resto disputerà poi. Il papa dà buone parole, innanima alla difesa, et suffragherà d’ alcune decime del clero veneto per somma de 100 mila scudi al presente, che non è poco. Mi doglio de la scesa, la quale per sanare è in buone mani, intelligenti et pazienti. Io in tanto romore sono incerto di venire; state sano, attendite ad convalescentiam. L’ ottavo giorno del mese innanzi aprile. — 817 — iAIIo stesso. 1570 9 Maggio. 9 Signor Magnifico. Tali sono state le lettere di Costantinopoli, ponendo la pace in conditioni difficili, che questa Republica ha più tosto eletto consentire alle dimande del papa et del catholico, provando la guerra, che fermarsi sopra fede barbara di goder la pace; però accettando la seconda volta la proposta del Colonna, qual prima haveano rifiutata, han risposto voler di presente concludere et publicar la lega, se però saranno per tutto maggio le galee spagnuole in Italia, et insieme i fanti promessi, aggiunto anchora la concessione delle decime offerte dal papa: ma non essendo queste conditioni al tempo servate, che sia loro libera fa-cultà riservata di mutarsi. Non si poteva certo sopra fondamento tanto debole per 1’ accordo col Tureo , il quale di nuovo ha ristretto il bajlo, sperar cosa cosi utile, che meglio non fosse appoggiarsi con questi, prima che da loro fossero scoperte queste difficoltà, dalle quali per aventura fatto lo spagnuolo insolente , si cansava con la dimora maggior danno. Se verranno le galee, seguirà la lega senza replica; non venendo per mezzo giugno , sarà integro godere altro beneficio che si scoprisse. Partì il Colonna lunedì tutto contento, et in Roma si pubblicherà la lega alla sua tornata. Perdonatemi se io son stato tardo, che già tre giorni son raffredato in modo, che non esco quasi di letto. Mille gratie del presente, stato certo opportunissimo. Vi bacio le mani. Del Regazzoni non ci è notitia, il che ha causata più celere risolu-tione, non volendo il papa star più sospeso in modo alcuno. A’ 9 di maggio. Alio stesso. i $7° 7 Giugno. Signor Magnifico. Fu così grande il vento domenica, che non si potette navigare a Murano, et così grande il freddo, che costrinse gli huomini a mutar veste come di marzo. Hieri, che — 818 — sarei andato dal vescovo, venne Gieronimo et fece il resto ; credo io bene. Io vo risanando assai felicemente. Hebbi le scritture, le quali non ho anchor vedute; mi sono però care. Manderò a y. S. l’imbasciata al re di Francia dello Spinola, come sia riveduta; ci vuol tempo un poco, che io ho altro da fare per hora, ma 1’ harete innanti la tornata di Genova. Non era anchor tornato il Chiausso alla Porta, quando scrisse ultimamente il bailo, et due giorni sono si hebbero lettere. Egli sta in casa sua con alcuna guardia, nè però molto stretta; si teme di peggio, tornato che sarà il Chiausso. L’ armata turchesca è in molta confusione , alla fcspeditione della quale mancano come agli altri principi molte cose. Il Senato ha scritto al generale , che subito unita Tarmata, vada a trovare l’inimico et combatta senza replica.' Son quasi di qui partite le galeazze tutte, da due, credo io, in fuori, che partiranno fra cento hore. Il papa ha dichiarato generale delle quindici galee che presta, Marco Antonio Colonna ; hieri se ne hebbe 1’ aviso. Fra venti giorni saranno le galee in ordine in Ancona al più tardo. Altro non ci è di vero. Al mio gentil Imperiale et Mercuriale mi raccomando di cuore. Voi state sano, al che fare bisogna vivere allegramente. Mercore, a’ 7 di giugno. P. S. del 21 giugno: Si aspetta Marco Antonio Colonna, che venerdì partì di Roma per Ancona. Il Yano naviga a Cor eira et già forse vi è giunto. Lettera al Card, di Correggio intorno alla Lega. 1570 8 Luglio Illustrissimo Sig. Mio. Et la vostra molta authorità et la qualità de’ tempi presenti, giunta allo interesse di qualunque huomo, o christiano 0 italiano, fanno ora, reverendissimo monsignore (oltre al debito di soddisfarla), che io più lungamente debba ragionar con lei, perchè considerato ciò che ella a benefìcio universale può operare tanto con lo istesso re Philippo, quanto ancora più da vicino co’ ministri suoi, a’ quali totalmente si intende et vede esser rimesso questo negotio, non è certo da pretermet- — 819 — tere, che ella cosi bene delle attioni mondane informata, sia etiandio da ciascun suo servitore ardentemente pregata et stimolata nello adoperarsi in modo, che alcun frutto ne segua migliore di quello, che per la tardanza si differisce, anzi si toglie a questa così giusta et così a tutti comune christiana impresa. Ometto dunque il giudicio, che per me hora si faccia circa il fine di tanto moto ; attenderò solo ad esporre minutamente alla S. V. lo stato di questa causa. Sono (come vedete, signor mio,) i Vinitiani armati già tanti giorni a Corcira, et armati talmente, che con trenta galee, dodici galeazze et altri legni, senza le dodici pontificie che tosto saranno in ordine, si veggono non solo animati et pronti al combattere , ma da ciascuno giudicati sicuri del vincere, quando fossero con poche forze ajutati dal re catholico. Del quale ajuto o per intentione già data, o per ragionevole speranza conce-puta, vedendosi ora il mondo defraudato, si rimane in dubbio et quasi esclusione di tanto bene. Nè per altro si perde così bella et grande occasione o di vincere o di fugare con ignominia et terrore a lui perpetuo questo Scitha, che per futile sottilità et oscura diligentia de’ ministri nel capitolare con vantaggi inutili la lega , perdendo in essentia di presente quello co’ fatti, che si cerca vanamente disegnando acquistare in futuro per le parole. Volendo prima fare i patti sopra la incerta preda, che rendersi pronti et habili a dividere (si può dire) la già quasi fatta, et mentre che con puoca pietà et vergognoso otio si prolunga il congiungere l’armata catholica alla Veneta , lasciare con infamia o forse perder Cipro, o almeno augumentare con danno nostro l’inimico in modo, che sia poi troppo difficile far quello, che per inerzia sua et beneficio di Dio si mostra hora tanto facile; quando oltre alla stagione che per lui ad espugnar Cipro (atteso 1’ estremo caldo in quella regione) c’incommoda, nè meno per l’armata sua, che infatti è debole , et per la mala dispositione a tale impresa non pure di tutti gli huomini, ma de’ privati consultori, i quali unitamente lo dissuadono, et insieme ritardano qualunque essecutione, si farebbe da noi in puoco spatio tanto frutto, che appena in altro tempo potremmo disiderarlo. Vanno dietro questi suoi o irresoluti o imperiti , o (se è lecito dire) male animati ministri cavillando sopra — 820 — conventioni del congiungersi, et in questo consumano il tempo, perdendo l’occasione, nè si avveggono troppo arditi et puoco cauti, che ogni dilatione è venenosa, perciochè non si può con regolato discorso dubitare, che ajutando di presente i Vinitiani, et cominciati a gustarsi i primi frutti della vittoria, piacerà maggiormente a lor procedere innanzi, senza altrimenti guardare a divisioni o maggiori o minori, o spese più equali o inequali, o titoli più apparenti che esistenti, ma solo assicurando con beneficio comune le cose loro circa il perdere, et dividendo commoda-mente l’acquistato nelle Moree (in che sia sempre giudice confidente et moderatore un papa), lasciar poi i maggiori acquisti et le più ampie prede di Costantinopoli et dell’ Oriente, secondo le capitolationi più distinte, alla maggior grandezza del re Filippo, il quale potrà et harà certo allhora con ragione più facilità per consenso universale ad ottener quello di che sarà benemerito, che hora non ha cagione di chiederlo, lasciando senza ajuto altri in pericolo. Meno considerano questi non consultori, ma ritardatori della sua gloria, che il lasciare o perder Cipro, o per necessario ardire combatter con pericolo et enervare i Vinitiani, possa tornare, oltra al dishonore et biasimo eterno, danno et spesa inso-portabile a loro principe , già che accostandosi il Turco con com-modità, ardire et apparato maggiore a questi mari, possa in breve tempo essere alle Spagne o Napoli et Sicilia di rovina irreparabile. Non implica contraditione alloro T ajutare hora i Vinitiani a diffendersi, et tra tanto far la lega, nè può essere al re di danno alcuno che questi si diffendino, o forse insieme con lui alcuna cosa guadagnino , per poter poi, conclusa che ella sia, attender meglio et più lungamente alla guerra offensiva, alla quale • lo istesso catholico sara certo con poco più di tempo parimenti più pronto, più di animo sedato et meglio armato, che non sarebbe hora, et a quella medesima si renderanno i Veneti più facili, costanti et gagliardi , quanto più saranno col Turco inimicati, et come potranno mai loro con giudicio o utile speranza alcuna, scandalizzati col Turco, risoluti per decreto p'ublico non trattare ne’ suoi paesi, ajutati da due principi così grandi, entrati con l’armi non solo a diffender le cose proprie, ma ad offendere le — 821 — armate et paesi dell’inimico, o separarsi dal catholico amico tanto utile, o credere di trovar più nel barbaro fede et amicitia, o non essere per sempre rejetti, scherniti et offesi da ciascuno. Non mette lor conto passare d’ hora in hora dall’ una all’ altra amicitia , nè disprezzare contra l’onestà et fede publica il papa , tutti i christiani, 1’ utile proprio con la religione insieme, che non lassano i savi le amicitie christiane per le infideli , quando veggono commodità di ricuperare il suo , ricevere dal buono il bene e dal tristo il male, estinguere l’armi naturalmente nemiche, occupando le prede o turche o mal christiane. Nè amano meno il vivere con utile honorati, che il rimanere con danno infami. Non cade nè può cadere questo sospetto sopra huomini prudenti et di conforme religione ; ma se questo forse, com’ è discorso più lontano, non gli muove, veggiamo se gli muove un pericolo più propinquo. È cosa non meno nota che vera, che non possano assolutamente i Vinitiani allungo andare sostener soli la guerra col Turco; sarà dunque bisogno che faccian pace, et per la immoderata, anzi infinita spesa che hora si mantiene (la quale dovendo in futuro riuscir vana, sarebbe parimenti gettata), bisognerà farla etiandio questo anno. Se alloro sarà pace molto dannosa, tanto meno come di deboli et inviliti ne potrà il Turco temere; se utile o commoda, tanto più come di amici et gratificati se ne potrà fidare. Ma se, come conforme a securi rescontri che già se ne hanno, egli la chiedesse con honeste conditioni, così la ottenesse et si facesse , non può certamente alcun dubitare, che per goder tosto i frutti della quiete vinitiana, egli non assaglia questa prima state il re di Spagna. Consideriamo hora, accadendo questo, lo stato di questa guerra. Se può il Vinitiano, restituite a lui le ricche mercantie nel Levante , ricuperati i suoi cittadini, ritenendosi col medesimo o anche un poco più censo, che hora non paga il regno di Cipro, con alcun’ altra forse non tanto onerosa quanto pecuniosa ma tolerabile conditione, prometter solo di non si muovere, ma tacito guardare questo golfo e questo stato, et facendolo come per necessità e timore converrà fare, lasci quietandosi muover 1’ armi al Turco contra chi li piace, dove rimane escluso da 1’ajuto ve- — 822 — neto, il quale però sempre per un verisimile sospetto , come di forze christiane ha pur tenuto sospeso e timido tanti anni Soly-man turco lo stato di Filippo in Italia e nella Spagna ? Basterà egli a guardare , non dico Sicilia, nella quale, come in isola, per molti luoghi si può penetrare, ma un regno napoletano in maggior parte esposto alle marine, pieno di huomini populari poco habili alla guerra e meno atti all’essercitio navale, carico et satio di gravezze et impositioni, abondante di uomini di scelerata vita, e perciò alle volte meno fedeli al suo signore, con solo presidio di ottanta o cento galee, eh’ egli al più possa raccogliere, e di quella non molto numerosa nobiliti, ma tutta instrutta a militia terrestre, senza sentirne continova gravissima spesa , molestia , pericolo e forse danno infinito ? Ha mostrato a tempo degli avi nostri quello che importasse lasciar annidar i Turchi in Otranto , e dopo molti anni e molti ajuti, con quanta fatica e quanto sangue finalmente si ricuperassero quattro palmi di terreno: lasceremo ora sopra vani discorsi e cavillationi inutili allungando il vincere, e mettersi in quiete Napoli, Spagna , tutto il mar Tirrheno e Ligustico a manifesta preda del Turco senza quasi poterci riparare, et haremo voluto, per fare con ostentatione di parole speciose una capitola-tione vantaggiata, dar causa a queste arme christiane di quietarsi, et per mero loro interesse e giusto timore, con molta loro scusa lasciandoci rovinare prima che soccorrere a chi siamo religiosa-mente obligati, et a chi ne può solamente, fermandosi et star a vedere causar tanto danno ? Io veramente , monsignore, confesso il mio saper poco , ma non posso già dissimulare 1’ haver visso molto; et tra per gli essempi che mi ha dati il tempo, e quella forse non breve lettione che per le historie è nota a ciascuno, non veggo già con qual consiglio o utile o magnanimo si possa movere chi in contrario persuade il re ; ho bene all’ incontro letto et veduto più d’ una volta , che il non provedere a’ danni imminenti, e tralasciare il più per il meno, nè godere il beneficio delle occasioni, rare spesso a ritornare, haver causati a principi e republiche danni e vergogne gravissime e perpetue. Più oltre ancora si può probabilmente discorrere a danno del Catholico in questa materia, quando di presente non soccorrendo — 823 — con mal consiglio, e lasciando offendere 'con danno i Venetiani , sia cagione di alienare totalmente in futuro l’animo di questo Senato dalla Maestà sua, perchè riducendo agli essempi passati i pericoli futuri, chi assicura il re, che succedendo un’altro pontefice o di minor santimonia 0 di maggior ambitione che non è questo, nel quale sia voglia (per non dire zelo di giustitia) di ricuperare a santa Chiesa o alterare il regno di Napoli, stata già così ardente in Paolo IV tre giorni sono, et conoscendo i Venetiani, tanto offesi da lui e tanto cupidi di posseder la Puglia, dove, non è molto , hanno avuto imperio , li proponga una lega a danno di Filippo con tanto loro utile, alla quale facilmente descenda per avidità dello Stato di Milano il re di Francia. Chi 1’assicura, dico, quando i Veneti con 1’ajuto del papa e re in mare, e con le forze de tutti due per terra lo assalissero a Napoli 0 in Sicilia, aggiunto lo stimolo della Francia a Milano , egli non ne perda 0 1’ uno o 1’ altro stato ? Con quali armi maritime, che troppo si veggono essere inferiori , et con quali terrestri, che pure sono molto lontane, potrebbe egli nel regno, non dico vincere, ma pur sostener tanto impeto di tre potentati così gagliardi, così per natura nemici della sua grandezza, et così comodi a poterlo offendere? La morte di Paolo III liberò, come sa ognuno, da molte angustie Carlo imperatore , contro '1 quale per la ricuperatione di Piacenza havea già il papa nelle ultime hore della sua vita conchiusa la lega col re di Francia ad oppugnatione di Milano et Napoli, con tanto pericolo di Cesare, eh’ egli'più volte fu solito affermare, essere per mero beneficio di Dio uscito di gran pensiero. Ma lasciando hora le imprese disegnate e non colorite, veniamo a quelle che si sono ridotte in atto. Papa Giulio II, accompagnato da’ Venetiani e dal debbole re catholico Ferdinando, nel 1511 fatta una lega con pretesto christiano di ricuperare ciò che mancava 0 bisognava alla sede apostolica, pose il re Luigi di Francia in pericolo e strettezza tale , che li fu bisogno 0 combattere disperatamente, o anco havendo vinto, procurare accordi poco honorevoli : tanta era et sarà sempre la riverenza della Chiesa nella mente de’ chri-stiani huomini. Non era nè debole, nè vile, nè negligente et molto meno libe- - 824 - rale in donar stati Carlo V, et nondimeno a Paolo IV con 1’ armi in mano offerse Siena in dono per liberarsi dalle molestie di Napoli. Se ad un re Luigi dunque, così grande allora , così ricco, et in vero più posto nell’ armi che non è Filippo, e più di gran lunga formidabile, al quale etiandio non mancavano allora apparenti ajuti di Cesare et di un armigero Massimiliano Cesare; se ad un Carlo d’Austria con tanta riputatione e tanti regni contra un pontefice povero et decrepito, et contra una mediocre parte de sussidii franciosi non furon bastanti le forze per resistere a quei papi, in tanto che T uno non cedesse et l’altro non donasse, vogliamo prudentemente o credere o sperare, che a Filippo, nutrito negli agi e nelle delitie, privo de denari, colmo di debiti, scarso de crediti, penurioso de capitani, con parenti in Germania travagliati e poveri, tutta quasi Italia o contra lui, o mal sodisfatta o sospetta di lui, che sempre harà per bene vederlo minuito d’imperio, bastassero i consigli o gli ajuti, che da sè solo contra una tale confederatione si potesse preparare ? Sareb-bono certamente queste speranze vane, ma non già vani in tutto i disegni di chi con questi mezzi e tali forze trattasse di opprimerlo. Che abbiano avuta papa Clemente VII et Venetiani insieme sete perpetua di porre un duca a Milano , 1’ ha a’ suoi giorni potuto vedere V. S. 111., e per lunghi anni con questi sempre soli pretesti o di porre Italia in libertà, o di rendere le terre occupate alla Chiesa, o di ridurre in equilibrio la potenza, oltremontana, disegnando anco talvolta, per liberarsi da sospetto, di dare a Napoli un re particolare. Quando hora si movessero in compagnia di un pontefice ardito et prudente i Venetiani in vero potenti, havendo sempre o congiunto o spettatore ocioso il re di Francia, all’hora si avedrebbono i consultori di Filippo, se meglio fosse 1’ haversi obbligati i Vinitiani o irritati, lasciandogli accordare col Turco, per poi poterlo offendere congiunti a un papa. Queste son cose, Signor Illustrissimo, molto possibili ad avvenire , et dove appariscono gli essempi freschi, non si ponno havere per timori vani, perciochè il Spagnuolo, se non in fatto, almeno in concetto universale, per la qualità dell’huomo è tenuto persona debole, nè perciò con la istessa pretensione è sempre la istessa — 825 — voglia et authorità , et la invidia è la medesima ; basta solo sortire un principe ecclesiastico di elati spiriti. Nè è da fondare sopra 1’ amicitia o parentado di Spagna col re di Francia , quando venga proposto in così grato premio il ducato di Milano, 0 pure acquetando parimenti il Francese col fare un duca et debilitare il catholico per ridur le cose ad equalità, levando l’invidia. Dalle quali ragioni tutte è assai facile il concludere et per conseguenza affermare, che il non soccorrere i Vinitiani, in gratia massime del pontefice, a questo tempo e punto tanto turbato, altro non sia che un abondare inconvenienti, atteso che lo scoprire (negando 1’ a-juto) una manifesta empia voglia che si perda Cipro, non è honesto : che si dispiaccia al papa, del quale in tanti modi et lunghi tempi ha il re bisogno, non è certo utile; che essi faccian pace et rimanghino con Spagna sdegnati, non è sicuro; che non si aju-tino come Christiani, non è honorevole; che si differisca vanamente l’ajutargli, potendo, non è poi in tempo; che si giunghino un giorno co’ suoi nemici, è a Filippo troppo pericoloso , potendo essi evidentemente o soprasedendo col Turco, 0 operando col Christiano , mettere in travaglio et confusione per nuovi accidenti il quieto stato tutto di quel principe, et egli all’ incontro dovendosi per ragione persuadere, che i Vinitiani, come pentiti di essersi mai fidati de infideli, sian ben sempre per viver collegati seco a benificio christiano, quando ora si vegghino in tanto lor bisogno della maestà sua ajutati et diffesi. È pertanto veramente inutile quistione il disputare, già che per utile universale si vede esser necessario una volta dargli ajuto, di ajutarli o prima o dopo la lega, perchè succedendo le cose prospere, saranno accesi et impegnati, per meglio assicurarsi del guadagno, a seguitare la confederatione ; riuscendo averse, necessitati maggiormente a non disgiungersi, per non restare, bisognando di esser protetti, soli più esposti ad essere offesi. Tante forze non si uniscono commodamente tante volte; conviene hora che elle sono in pronto, cavarne frutto; et insomma, nulla è peggio che lasciare, consigliando al re, 0 perdere in tutto 0 debilitar molto per turca mano i Vinitiani, poiché infatti ogni lor danno è perdita commune a chi considera prudentemente. Ma sopratutto è pernicioso consiglio — 826 — lasciarli per poca fatica, minor spesa et senza pericolo consumar,") hora, per dovere con molto affinino, troppo oro et incerto evento ristorarli poi. Mi ò parso, per meglio ubidirla, fare a V. S. 111. questo forse più largo discorso che ella non aspettava, acciò che con la sua nòli minor prudenza che confidentia avuta in lui per molti anni di quel re, possa da sacerdote, da italiano, da huomo savio, da partecipe de questi et mali et beni, essercitare col suo consiglio il suo potere. Nel resto, sentendo io molta consolatione, se da lei sarà approvata la opinione mia, vivo al solito pronto per servirla et riverirla sempre. Alli otto di luglio dell’anno 1570. Di Vinetia. A G. V. Pinelli. 1570 2J Luglio. Signor magnifico. Ringratio V. S. delli due barattoli rosati partenopei; et fra tanta redunantia di amici non è poco che di me si serbi memoria. Mi sono carissimi et opportunissimi rispetto la calda stagione. Il sig Marcantonio sarà questa hora in Ancona facilmente, et raccogliendo le dodici galee di S. Santità, si invierà a Corcira, dove con le quattro di Malta bene armate, partiranno tutte insieme a numero di 146 galee, dodici galeazze, un galeone et venti navi per Creta, navigando a Cipro per combattere il nemico , se l’ordine del Senato non sia impedito dal tacito precetto dei decemviri, more vendo. Il romore et volontà universale di tutti i nobili è che in ogni modo si combatta per non perdere con Cipro la spesa, la riputatione et in breve lo stato tutto. Il dogie et molti gravi senatori pubicamente promettono la battaglia; si aliter sentiant, arcana sunt. Lo vuol la ragione, se non lo impedisce la naturale timidità. La lega ha difficultà molte, per opera principalmente di un mal christiano et peggiore italiano , il cardinale Granvela, presso il quale in Roma est omnis authoritas nel concludere. Vogliono ubligare il Veneto alle cose di Africa con vantaggi et tempi inoportuni. Nel generale che sarebbe in mare — 827 — don Giovanni d’Austria, et in terra il duca di Savoja, conveni-rebbono facilmente, dovendo, massime in absentia di Giovanni, succedere il generai pontificio assai confidente, per esser Marcantonio gentilhuomo vinitiano; sed teritur tempus per ridurre il Veneto in necessità con arte vana, già che non lo servendo questa state delle galee, 0 combatterà solo, o farà pace fra due mesi prudentemente. Ma sono cose che vogliono la presentia et non la penna. Io non ci spero molto ; state sano. A’ 25 di luglio. Di Vinetia (1). Allo stesso. 1570 $ Agosto. Signor magnifico. .Già harete intesa, se bene con incerto authore, la risolutione del re Filippo in prestar le 50 galee, la quale hora si è verificata tanto, che ne ha mandato l’ordine alla Santità del papa, con conditione insieme che ubidisca il Doria in questa guerra al sig. Marcantonio Colonna, generale della Chiesa. Deve a questa hora esser partito il Doria, et navigando in Creta, dove sarà fra pochi giorni il generai vinitiano, congiunto seco attenderanno a combattere onninamente l’armata turca, in minor quantità assai di huomini et legni che non si temeva, non passando invero più che cento quaranta galee mediocremente instrutte, con pochi et pochi giannizzeri, se bene abondante di altri legni di niun timore per le deboli forze. Il Yano a’ ventiquattro dovea partire, essendo anchora, ristorando 1’ armata per la morte di alcuni huomini et due nobili capi, a’ 20 in Corcira, giorno de l’ultime lettere. Navigherebbe in Candia, pigliando al Zante et altri luoghi ajuti opportuni per dovere andare a Cipro et affrontarsi col Scitha, come per 1’ ul- (1) Il 9 agosto successivo scrive del fallimento del banco Delfino in Venezia: « In somma, per quanto si può cosi abozzatamente intendere, di quattrocento mila ducati, tutto che in dieci 0 poco più passati giorni ne habbia però contati a’ suoi creditori centocinquanta mila .... Hoggi è Senato per risolvere solo questa materia; domani sapremo il tutto ».....In uu poscritto aggiunge: « È fornito inSenato il caso Delfino; pagherà in due auni interamente, sotto pena di privatione di nobiliti per sè et descendenti, et esilio perpetuo ». — 828 — time lettere ha giudicato et scrittogli il senato che si debba fare, incerto allhora di avere le galee di Filippo , ma solo quelle di santa Chiesa, rimettendo però dopo l’opinion loro il tutto al generale con quei voti, che fanno alla determinatione. Il sussidio mandato a Cipro, combattendo con 25 galee nemiche et conquassatele, è ito salvo al suo viaggio. Altro non ci è in sustantia. Partì Marcantonio di Ancona con 12 galee in ordine la notte prima di agosto. State sano. A’ 5 del sestile nel 70. Di Vinetia. Allo stesso. 1570 14 Agosto. Signor magnifico. Mando a V. S. i capitoli della lega, come gli ho havuti hieri da Roma per un straordinario da persona di grado, per essere il capitolo del giuramento et delle censure non anchora in tutto espresso per le morosità pontificie, soverchia mala usanza di alcuni altri; non è bene farne vulgata notitia, havendo io così ordine da Roma. Basta che il tutto si fornirà in breve hora. Furon mandati agli otto di questo i detti capitoli al re Filippo per la ratificatione, et si crede onninamente che ratificherà, et così rimarrà fornito il negotio. Aspetto fra sei o poco più giorni la vostra venuta per ragionar seco , nè ho molto dispiacere della mutata sententia (1)0 per volontà 0 per necessità. Mangierete i fichi traspadani in cambio dei ligustici, et forse con compagnia nè peggiore, nè manco cara. Scrissi al Gentile, dolendomi del fratello, come mi havea notificato Gieronimo, a cui diedi la lettera; non so se 1’ ha havuta. Raccomandatemi a lui, all’ Imperiale et al dilicatissimo Mercuriale, qual non vidi, quando venne, con mio sommo dispiacere, che non lo intesi. State sano. Si aspetta intendere che il Doria sia partito per Creta, nè può tardar la nuova. Il Zano hoggimai vi debbe essere, partito alli 23. A’ 14 di agosto del 70. Di Vinetia. (1) G. V. Pinelli avea manifestato all’amico l’intenzione d’una andata a Genova, innanzi la quale Saivago volea trovarsi con lui. — 829 — Allo stesso. 1570 4 Ottobre. Signor magnifico. Habbiamo finalmente lettere del generale, per le quali avisa che a’ sette di settembre con dugento galee , venti et più navi, quindici et più forse galeoni candioti, partirebbe bene armato di Candia per trovare 0 a Cipro 0 dove fosse Pialy bascià, risoluto combatterlo in ogni modo et con felice presagio , poi che in tutte le galee si son poste amichevolmente le genti del Doria et del Colonna per equa portione, cosi da combattere, come da remigare, affine che siano tutte in ordine del pari per far giornata, con tanta concordia de’ capi principali, che inter eos solum certant obsequio et amicitia, cosa che dà tanta speranza, quanto darebbe danno la discordia. Si aspettano lettere più distinte dello istesso generale, che non son queste, date a V. S., promettendo egli scrivere più diffusamente nell’ hora della partita. Altro non ho che dire per l’hora tarda et la nuova corta, attendendosi allhora alla sola espeditione. State sano et raccomandatemi agli amici. A’ 4 di ottobre del 70. Di Vinetia. Allo stesso. 1570 26 Ottobre. Signor magnifico. Il ritorno del sig. Gioan Andrea con le galee di Candia, stato già due giorni in dubbio, mancando di ogni discorso verisimile, hoggi finalmente si è fatto certo per lettera di Roma, con la nuova lachrimabile di Nicosia, caduta in mano de’ Turchi per deditione, la quale intesa da tutti tre i generali de’ principi christiani, gli ha condotti in risolutione di ritirar Tarmate in sicuro, come certo non ben provedute per combattere il nemico, et perciò non rendere la vittoria et 1’ alterezza loro maggiore. Si serberanno le nostre speranze con questa armata -intera a Tanno venturo con disegni più christiani, più presti sussidj et forze maggiori. Gioan Andrea, sbarcati due mila fanti a Lecchie nel regno Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi, XIII, Fase. IV. 55 — 830 — a’ 16 di ottobre, ò navigato in Cicilia per servitio del suo re. Marcantonio Colonna, che viene con T armata vinitiana, ha mandato Pompeo Colonna a Roma per dare pieno ragguaglio al papa di tutto il fatto. Era in vero, per la mortalità de 1’ armata in huo-mini così da remo come da guerra, troppo impari il poter nostro a quello de l’inimico, bellum enim fuit cum diis, non cum hominibus. È stato buon consiglio non aggiungere con nuovo pericolo maggior danno al nome christiano. Il resto più distinto si saprà poi. State sano. Temesi a Famagosta asssai , non potendosi dalla nostra armata venir soccorsa. Giobbia, a’ 26 di ottobre del 70. Di Vinetia. Allo stesso. 1570 9 Novembre. ......A sodisfarvi delle ragioni per la pace 0 per la lega, bisognerebbe almeno essere tanto informato come il dogie (1), 0 tanto perito come un savio grande. Io per me ne veggo molte, et tutte quasi volte più alla pace che alla guerra, .conosciuta la natura di questi huomini, la spesa infinita, et ciò che più preme, la flussa fede hibera, fodrata sempre di insolentia et di interesse ; nondimeno sarà certo molto facile che a loro niuna di quelle le sia venuta in consideratione, ma tratti solo dal timore estremo et dal disiderio di rifarsi in tanto danno, debbano assai tosto far la lega, havendo già mandata 1’ ultima loro volontà con potestà ampia et risoluta a gli ambasciadori di concludere secondo che parrà loro il più utile, in conformità della instruttione mandata, la qual però va segretissima; ma io pure vo penetrando che si farà la lega, quando non siano le dimande spagnuole, fatte già intolerabili per questo danno, eccessive et barbare tanto, che gli conduca in disperatione; dove in tal caso facendo capitale di lasciar Famagosta d’accordo, si fermerà la pace. Se la lega (1) Pietro Loredano, che fu elevato a quella carica in età di 86 anni nel 1^67, e morì tre anni dopo. Sotto il suo dogato fu severissimamente vietato ai suddtti della Repubblica 1 accettazione e 1’ obbedienza alla bolla in Coena Domini, pubblicata da Pio V. — 831 — tornerà lor comoda, a me sarà di piacere, se dannosa, non di meraviglia, temendo io in caso sinistro di questa republica tanto del finto amico , quanto del palese nemico ; ma questo ricerca la presentia, non la scrittura. Si hebbero lettere dal generale di 13 d’ ottobre, per le quali dichiara, che havendo perduta Nicosia, concluso tutti di non più tentare la infelice fortuna, partì il Doria con buona sodisfattione, da che è cessata la petulantia et maledicentia di questa loquacissima et arrogante plebe. Hanno però mandate quatro navi a suffragar Famagosta, per mantenere in ogni evento la riputatione; et facendo nuova gente italiana, si attenderà a conservar Creta, acciò che non noccia l’istesso disordine così hora come ha nociuto a Nicosia, perduta per mera carestia di diffensori, non vi essendo tremila fanti mai stati, dove ne bisognavan dieci : fatai disordine et cecità avarissima di chi ne havea la cura. Il danno de’ privati veneti ascende a punto a 30 mila ducati l’anno di entrata; quello de’ sacerdoti, compresi i diecimila del gran maestro di Rhodi, e però degli altri Vinitiani, alla somma di cinquanta mila, del reddito publico circa dugento mila l’anno. Al Trivisano farò la richiesta delle tavole (1), et sarete informato. Non mi posso risolvere al venire per alcun giorno; tornato il Doria, verrò in ogni modo. Voi comandate et state sano. A’ 9 di novembre del 70. Di Vinetia. Al mio gentilissimo Gentile raccomandationi quamplnrimae; dal sig. Imperiale vorrei quel libretto se si può, et sono sempre al suo servitio. Allo stesso. 1570 18 Novembre. Nobil signor. Ho lettere di Roma, per le quali con certo au-thore le posso affermare, che i ministri catholici rimangono del sig. Gio. Andrea satisfattissimi, et se più havesse indugiato a (1) Forse a tener conto d’un viglietto volante, che trovasi nel volume di queste lettere, il Theairum Universitatis rerum del Trevisano, « ridotto in molti fogli lunghi a guisa di tavole, non so 1’ authore, ma forse si saprà et l’intenderete ». Il nome dì Trivisano sembra aggiunto poi. — 832 — ritirar le galee, rimanevan lese, come han fatto le venete a numero di 15 o 16, benché da 25 in 30 che torneranno, rimangono innavigabili per la vecchiezza loro. La ritirata, et per parlar chiaro, il non voler combattere col Turco, venne in vero dal generale vinitiano et dal sig. Sforza, conscio di tutto l’ordine segreto principalmente, fatto ancho con prudentia per non havere alcuna loro galea 50 huomini da combattere , et parte di quelli infermi ; nè era bene con 1’ aviso della perduta Nicosia arrischiare la diffesa di questo stato tutto con forze inequali , avendo perso il regno si può dir tutto. Dimandarono tutti due il suo parere al Doria, già risoluti di non più andare a Cipro, et cosi scrive lui espressamente. Il papa non ha voluto udire Marcello Doria, mandato da Gio. Andrea, come impresso da Pompeo Colonna, che non habbia voluto andare con Marcantonio predando altri luoghi piccoli per suo interesse , al che non era nè disegnato nè prudentemente consigliato. Ma ciò non importa, che il papa non intende questi mestieri, et harebbe voluto combattere un poco, senza curarsi di perdere i legni, come è stato, perchè non eran suoi. La lega si concluderà inflitti, et le conditioni tre, che fanno tutta la difRcultà, le harete a parte. Raccomandatemi agli amici, et fate parte di tutto ciò a chi vi pare. Il sig. Antonio Doria è imbarcato col cardinale Giustiniano a Roses : deve homai essere a Genova. State sano. A’ 18 di novembre del 70. Di Vinetia. P. S. Sono da risolvere tre difficultà: i.° il prezzo delle tratte del regno, qual si spera che .sarà Se. 15 il carro; 2° se mancando D. Giovanni d’Austria, sia generalissimo il suo luogotenente 0 quel del papa, che forse sarà; 3.0 se l’impresa di Tunisi, Algieri et Tripoli si farà generale 0 pur particolare del re, con prestito di 50 galee venitiane, et si spera di fornire in tal modo. Il sig. Gio. Andrea (1) è giunto a quest hora a casa. (1) Gio. Arnliea Doria, comandante le galee di Spagna, mentre Gerolamo Zeno era a capo delle venete - 833 -Allo stesso. 1570 10 Dicembre. L’armata vinitiana giunse a Corcira conquassata et debilitata tanto, che tra per la tempesta et per le infirmità rimangono più di 25 legni inhabili, et più di venti mila huomini morti tra naviganti et soldati. Non è meraviglia, se con tanta strage deliberasse il generale col consiglio del sig. Sforza ritirar l’armata, nella quale minor danno era la perdita di ventidue nobili sopracomiti, oltre alla estrema carestia di vettovaglie et consternation di animi. Meglio certo è stato differire a far pruova delle forze con minor disaventura, se pure averrà che si tenti più il combattere: articolo tanto dubbio, massime presso 1’ universale credenza, che quasi fa forza al crederlo etiandio a me, il quale mai potetti dubitare, che con tanta spesa si facesse cosi poco frutto. Della lega rimane presso molti la speranza verde; presso ad alcuni, nè forse meno periti, la maggior credenza di pace. Fino a qui in Roma non sappiamo esser conclusa cosa alcuna, ma tutto, more solito, sta in fieri. Le cavillationi et avantaggi spagnuoli sono molti, nè punto scemati per la perdita di Nicosia; la diffidentia dell’amicitia per molti segni cresce; il danno della guerra ogni giorno, come più sensibile, si fa ancho più grave ; la voglia et bisogno della quiete è in tutti grande ; solo ritiene 1’ animo de’ più prudenti il dubbio per sè stesso grandissimo. Qjtod si pacem habuerint, non diuturnam-, si foedus, non sincerum; bellum autem propriis armis sustinere, certe impossibile ; il che porta infatti 1’ ultimo termine di irresolu-tione. E opera della vostra non minore prudentia che intelligentia, • calculati questi articuli diligentemente, consigliar quello che probabilmente possa parer più utile. Nè dubitate che ogni savio consiglio in questo non sia udito, experientia enim docuit non satis fuisse provisum; et chi fa, guasta, et guastando si impara, sì che armatevi di buone ragioni, che in più di un luogo faremo risonare con la vostra opinione il vostro nome. Vede ciascuno la strettezza del partito, considera le difficultà, ma non risolve il più utile. Io che in questi accidenti mi soglio perdere, vengo — «34 — hora a voi per sentire la risolutione. Se il Doria, che vien fresco di republica, non mi ajuta, rimango confuso, benché a me, omnibus consideratis, più piace la lega, anchor che con alcuna o timi-diti o indignità, più tosto che un quasi certo danno o presente o almeno assai propinquo. Mi serbo nondimeno a mutarmi con una vostra profonda consideratione et lunga lettera. Al mio signor Imperiale rendo molte gratie del libro, et molte più anchora, se terrà memoria di me, che son tutto suo. Agli due miei diletti Gentile et Doria fate in ampia forma fede di quanto gli amo; il resto dirò io poi come venga dopo santo Au-tonio, nel qual tempo si rassetteranno le lettere che io ho restituite per mano di Gieronimo a V. S. per dar giunta al Bruto; già che hora sono in vero tutto occupato con la mia patria, come sapete, desideroso dar fine a così lunga, se ben debole manifattura. La imbasciata al re Francesco di Francia questi giorni fu riveduta, et tale quale la vedrete, porterò io meco come io venga. Bisogna ben perdonargli più di un errore, poi che fu fatta innanzi a la età di venticinque anni (i). Ma di questo non mi piglio io molto pensiero, non havendo ella a uscire delle vostre mani, il quale certo nel torre ogni scartafaccio, pur che recondito, le havete assai pronte; et pur che sia scritta a penna, ogni cosa fa per voi, ad empir 1’ erario non di moneta, ma di mondane parole di qualunque lingua. Non dirò più per non dispiacervi, procurando sempre servirvi. Altro poi di nuovo non posso dire con fondamento, aspettandosi di Roma qual si sia cosa degna. Alcuni cardinali non stavan bene; fin che non muojano, non sono di consideratione. Amatemi e state sano. A’ io di dicembre con molta neve, del 70. Di Vinetia. (1) Dichiarando implicitamente qui G. Saivago d’essere autore della Relazione di cui parla, viensi a conoscere ch’egli era nato innanzi l’anno 1519. - »35 ~ Allo stesso. 1570 31 Dicembre. .... Il sig. Marcantonio Colonna si aspetta qui d’hora in hora, et fra tanto per le risse più in grido che in fatto tra lui e ’l Doria, vien perduto il generalato di questa armata nella sua persona, facendosi la lega. Tanto sono mal animati verso di lui quegli agenti di Roma per Filippo, che non ne vogliono sentir parola. Sarà questo il frutto delle molte et vane ciancie de’ ministri imprudenti, che pensando giovare, han nociuto troppo. Il papa ha mandato in Spagna, per voler pure, come è honesto, pronuntiare un generale, non volendo che il luogotenente di Gioan d’Austria comandi il tutto. All’incontro il Spagnuolo, insolente come sempre, propone il duca d’Alva, huomo altiero et di mare inesperto, che pur troppo offende il papa. Se tra queste dilationi et risposte che portan tempo, questi signori acconciassero i fatti loro, gli farebbono il dovere, dando forse che pensare a 1’ Hibero. Dio faccia il meglio. Son vostro come sempre. Non mi scordo le raccomandationi al signor Doria; non ve le scordate voi di grazia. L’ ultimo giorno (1) del 570. Dalle Vinetie. Allo stesso. 1571 22 Marzo. Signor magnifico .... La tanto aspettata lega (2) si è alfine risoluta in una antiphona di pace, non volendo il Catholico per questo anno fare impresa nè guerra offensiva in Levante, ma differendo al 72 offendere il Turco, suffragar solo per hora i Vini- (1) In una lettera dell* 11 febbraio 1571 mentre G. Saivago sollecita vivamente l’amico a recarsi a Venezia per godere un po’ di carnevale, soggiunge: « Per la speculatione dell’intelletto ci sarà forte che dire, già che questi contemplativi vogliono che si faccia pace, et tutti i novisti che si faccia lega. Mentre che queste sotili brigate fanno a gara di chi si può dir più inettie, harete buon tempo voi nello ascoltare «. (2) Fu conclusa, secondo il Muratori (Annali ad ann. 1571) il 20 maggio, a stringer la quale era stato mandato in Ispagna dal papa il card. Alessandrino. — 836 — tiani con 60 galee et sei mila fanti a guerra diffensiva. Piacegli nondimeno fin da hora publicare et fermar la lega per essequire il resto al tempo debito con le conditioni gii dette: partito veramente non meno dannoso che vafro, per troncare ogni accordo col nemico, et ajutar poi come et quando gli piaccia. Questa risolutione, come piena di spesa et vuota di fede , tiene in angonia estrema i Vinitiani, tardi pentiti di non havere l’anno passato voluto collegarsi , et per conseguente gli mette hora in disiderio et quasi necessiti di far la pace, gii che miglior conditione pare assai ricuperar di presente le lor mercantie, mancar di spesa, fuggire con la guerra il maggior pericolo, et vivere per alcun tempo in quiete, ristorandosi, che porsi a rischio con deboli et non certi ajuti spendere assai et forse perdere il resto. Se si potri con modo alcuno tolerabile far pace, habbiatela per fatta, cosi portando la necessiti; sin minus, beverassi il veleno per medicina. Misera è certo la lor fortuna; soli non ponno nè offendere nè diffondersi ; accompagnati così debolmente, rimangono ancho in timore et pericolo manifesto; gettarsi in preda al Turco, è pur conditione troppo aspera et indegna; satiare 1’avaritia et sofferire la insolentia spagnuola è in sè tanto dannoso et insopportabile, che poco meno sari perdere lo Stato combattendo. Stanno in continua consulta, come meglio possano, differendo il concludere, non sdegnare il papa et rompersi con Filippo, aspettando per la pace il beneficio del tempo, 0 pure esclusi da ogni accordo , ricever finalmente per bene ciò che in fatti temono che gli torni male. Non rimangono per ultima afììittione nè ancor sicuri del pronto animo del papa, gii verso loro raffreddato in estremo, et per nuovo accidente implicato molto nelle turbulentie tra il Germano et 1’ Etrusco. In questo termine sono hoggidì le cose, senza altra certa determinatione. State sano. A’ 22 di marzo del 71. Di Vinetia. Hate ante in penitus silenda censeo. - 837 — Allo stesso. 1571 5 Aprile. Osservandissimo signor. Le difficultà nella lega, poste da i Spagnuoli, sono tante et cosi difficili da risolvere, che pongono questi cittadini in gran voglia, anzi quasi necessità di far la pace. Non può il re di Spagna nè trovar legni a bastanza per il numero promesso alla armata ; dice non haver huomini remiganti per armarle , allega che essausto dalle spese , gli mancano danari per provedere alla parte sua. A tutte queste cose disegna et chiede che suppliscano i Veneti del loro, per ristorarli poi in tratte et altri pagamenti a lui più comodi. Portano questi inconvenienti il negotio alla desperatione; si va consultando et replicando per acquistar miglior conditione dallo Spagnuolo , ma in fatti teritur tempus per aspettare alcuna risolutione nelle cose della pace, et insegnare a procedere con tanti vantaggi et cavillationi. Hucusque res est. Se haremo cosa nuova, sarete avisato con tutta la diligentia circa il buono, et la celerità di Gieronimo circa il resto .... A’ 5 di aprile del 71. Di Vinetia. Allo stesso. 1571 8 Aprile. Osservandissimo signor .... Questi severissimi cittadini hanno da m. Agostino Barbarigo fatto ritenere in prigione a Corcira il povero vecchio innocente Jeronimo Zano con tanta acerbità et prestezza, che appena fornita la cerimonia di consegnar Tarmata, fu crudamente ritenuto in quello instante, non senza meraviglia dei presenti, in estrema angonia del vecchio, che per la novità del fatto andò in angoscia. Seco è ritenuto Matheo suo figliuolo, et il sopramassaro, ministro de i denari et cittadino popolare. Le querele maggiori sono di negligentia, quod imperare nescierit, per d’onde ne sia seguito danno al publico, non havendo castigati i nobili delinquenti; che manchino anchora 150 mila ducati; si 1 crede di ciò essere il furto nel sopramassaro. La somma è rejettar la colpa di molti sopra le spalle di uno. Ne spero bene. Verrà a Vinetia, se non muor di dolore. State sano. La domenica in ramis (i) del 71. Di Vinetia. Allo stesso. 1571 17 Aprile. Osservandissimo signor mio. Io mi sento tutto intronato per cagione, credo, di quei pochi giorni ultimi della quaresima , nè prima che sabbato sera parlai al sig. Marcantonio, tutto che egli venisse il mercore. Ho molte cose sopra questa materia da dirle et di importanza molta, massime con la nuova et miglior conditione della lega per questi signori, che non era stata la prima offerta ; ma non posso per hora regger la testa in cosa grave. Bastivi che Spagna et santa Chiesa vorrebbono onninamente la lega, et il Veneto, che giobbia sera ha udito il Colonna, l’ha rimesso a fatte le feste per la risposta. È creduta da molti dover essere più lunga che risoluta, mettendo lor conto consumar tempo in aspettando lettere da Bisantio. Come io possa scrivere, la rag-guaglierò minutamente con la cifra vera; intanto habbiate patientia per un poco ; et al mio sig. Mercuriale tenetemi conservato in gratia .... Martedì della Pasqua. Di Vinetia. (1) Due giorni dopo riscriveva all’amico: .... « Marco Antonio Colonna si aspetta d’ hora in hora; nè si sa se per dire assolutamente di no nella lega, o pur di sì, venga mandato da Sua Santità. Potrebbe ancho essere che il papa mal sodisfatto de’ Spagnuoli, non volessi forse abbandonare in tutto questi, ma per la guerra diffensiva offerisse forse questa state qualche ajuto. Consigli di frati, malamente si ponno speculare. Verrà il barone; sarò seco, et ne caveremo il netto. Gieronimo Zano è giunto in Istria; starà in prigione assai comoda; se vien liberato cosi tosto, come da molti è giudicato innocente, sarà breve la prigionia. Può facilmente giunger questa sera. Caso miserabile! dopo 75 anni, tre volte generale et mezzo dogie. Imparino gli ambitiosi a starsi in casa, et nella decrepità attendere a Dio et non al mondo ...... Il giorno seguente aggiunge: «... Ancora non è comparso il Colonna, et son venti hore; voglio ire a 1’ ufficio . . . . — 839 — Allo stesso. 1571 11 Aprilo. Dal timore che i Vinitiani non facciano la pace è nata hora insieme col bisogno la volontà ne gli Spagnuoli di far la lega, la qual tuttavia, parendo loro haver a trattare con persone lese et meno sottili del bisogno, propongono con conditioni più apparenti che essistenti, promettendo per questo anno, cosi a diffesa come ad offesa, 80 galee in tutto maggio, armate con più che 12 mila fanti tra spagnoli ed italiani; ma per la spesa ordinaria di questa guerra non dando per via di deposito 0 di credito provisione alcuna. Ora il far guerra con nemico potentissimo et collega debolissimo come il papa, et amico poverissimo come il re, altro non vuol dire, che cominciarla con danari proprj et fornirla con rovina di tutti. Ma nè ancho questo sarebbe forse total cagione di non concludere, se così fossero i Vinitiani sicuri, che il papa et catholico, non implicati in altra guerra, potessero attendere a questo nemico solo, perchè il vedere l’imperadore risoluto contra il duca di Firenze , dietro al quale per conseguentia viene re Filippo, et il papa ostinato nel volerlo diffendere, causa gran dubbio che il papa non possa nè il re non voglia mancare a sè stesso nello acquisto di Siena, et il prete 0 acquetarsi da i titoli, 0 supplir con la spesa a quanto promette. Dove in tal caso dovendo il Vinitiano portar pericolo col Germano, nemico vecchio, di resistere in Italia alle forze thedesche, et da l’altra parte essere oppresso dal Turco, conviene che si fermi in modo da 1’ un de’ lati, che combattendo a fronte, non sia percosso nelle spalle, come certo sarebbe, riuscendo a Cesare 1’ opprimere il duca, 0 pure non potendo vincerlo, si volgesse aJ danni loro in Lombardia. Accresce questo dubbio et certo ragionevole sospetto il non havere fino a questa hora potuto indurre l’imperadore ad entrar nella lega sotto varie impossibilità et cavillationi, per onde non pare espediente rompere affatto il filo della pace col Turco mediante la lega, per rimanere in preda 0 della mala volontà cesarea verso il Veneto, 0 della astutia et perspicacia spagnuola, quando vedesse la declinatione di queste forze, o della poca, anzi niuna authorità del papa con questi principi ; il — 840 — quale supplendo solo col buon volere, in caso di cruttione tramontana, non potrebbe da tanto pericolo con l’autorità rimuoverli, nè con le forze diffenderli, quando massime per proprio interesse sia impegnato, come si vede, alla diffesa del duca. Quando pure si estinguesse in Italia questo indicio di grave incendio, et che deposti il duca i titoli, rimanesse probabilmente acquetato Cesare, dal cui moto si ferma necessariamente il Catholico, allhora, come in gran parte sicuri i Vinitiani dal nuovo pericolo, et potrebbono meglio confidare nel re et sperare nel papa; ma lo andar navigando tra Siila et Cariddi, et fai'e una lega che ti accresca i nemici, et ti leghi le diffese, non pare a costoro, che più ne sanno, partito sicuro. É cosa nota che la publicatione de la lega toglie in tutto ogni speranza della pace, la quale potendosi per alcune gagliarde conjetture ottenere dal Turco con tolerabili conditioni, mentre che si sta in timore di guerra in Italia, pare assai più utile a questo Stato lo assicurarsi pure del nemico maggiore, almeno per questo anno, nel qual tempo si risolveranno o le alterezze del duca, 0 la ostinatione del papa, 0 le bravate cesaree; et in questi casi chi ha tempo, ha vita. Non hanno ancora questi Signori data risposta al Colonna, nè forse gliela daranno per quattro giorni; ma in ogni caso si crede che habbia ad esser tale, che apportando dilatione circa lo assicurarsi del modo nel poter guereggiare questa state senza pericolo che manchino i danari, darà tanto tempo al Veneto, che sarà affatto chiaro di ciò che possa sperar col Turco , et poi si risolverà in quel modo che più dalla necessità le sarà offerto, già che in vero son pur troppo chiari, il mestier loro esser in tutto alieno dalla guerra. Come il sig. Marco Antonio habbia maggior lume del negotio, vi potrò ancho io dire alcuna cosa di vantaggio. Ogni hora si sta in Collegio et in Senato, et temendo molto, non si risolve nulla, con dolore et inquietudine grande di ciascun savio. Il Zano, come quasi sicuro da pericolo, rimarrà solo offeso con questo affronto, non havendo commesso error notabile. Nel resto la ringratio, et mi serbo a goderla tra pochi giorni. Bacio la mano di V. S. A’ 21 aprile del 71. Di Vinetia. / — 841 — Allo stesso. 1571 2 Maggio. Nobil signor. Io dubitava quasi della sua indispositione, non havendo dopò molti giorni risposta da lei ; mi ha assicurata la salute il disiderio che mostra nelle cose della lega, la quale come non ha in sè conclusione alcuna, così non ha potuto dare di sé notitia distinta , perchè il sig. Marcantonio non hebbe 1’ aspettata risposta, nè il Veneto suol parlar mai di ciò che non fa per lui. Dopo quattro giorni che io le scrissi et altrettante consulte di Pregadi, chiamato il Colonna in collegio, gli diedero per ultima risolutione in risposta, che se per tutto maggio fossero state le galee regie armate et di ogni cosa necessaria in ordine ad Otranto, con le fanterie a loro promesse in numero di 24 mila pronte per imbarcarsi, conforme alla offerta sua, et di più concedute loro dal papa tutte quelle decime, che dagli ambasciadori erano state chieste in Roma, et dalla sua Santità promesse, che subito si stipulerebbe et publicherebbe dagli oratori la lega, come già ne haveano in mano il mandato'; altrimenti, passato quel termine, vo-leano esser liberi ad consulendum sibi. Risposta invero assai honesta , poi che tutta era fondata sopra le offerte spagnuole et pontificie per bocca di Marcantonio , al quale in questo lato bastava dire quel tanto, che da i suoi principi gli veniva imposto, senza dar di quello altra sicurezza che di parole , credendo 0 sperando forse trovare sonacchioso il Vinitiano et farlo dichiarar legato , dove egli ama esser per sempre libero ; la qual risposta tutta contraria non pure al senso del Nuntio, che certissima si prometteva la lega, ma ancho in parte alla credenza del Colonna, che però è più cauto di lui, ma in ogni parte ben Conforme a quello che da me fu loro per sempre affermato, gli pose in necessità di espe-dire a N. Signore, acciò che sua Beatitudine conoscesse pienamente lo stato della causa, tutta intenta nè ad altro aspirando, che al consumar tempo per meglio sapere et poter misurare quali siano più utili consigli, 0 quelli della pace, 0 vero quei della guerra. È venuta hieri la risposta, confermando le promesse et disiderando la publicatione della lega , con ordine al Colonna che — 842 — dopo tre giorni in qual parte essi descendano, nondimeno torni a Roma. Non si crede per li più savi, che stando le galee in Spagna, et i fonti in Lombardia, debba il Veneto concludere alcuna cosa, ma aspettar solo il benilìcio del tempo per determinare più utilmente, nè a me pare altra cosa riuscibile, il che fa anchora temer non poco Marcantonio de militiate. Qui siamo : 1’ Hibero promette et dà parole, volendo in ogni modo escludere i Vinitiani col Turco dalla pace. A questi per troncarne il filo, come colla publicata lega sarebbe tronco affitto, non basterebbono forse nè le galee in Otranto, nè i fanti in nave; staremo aspettando il responso sibillino fra due giorni. Se muteranno sententia, parerà nuovo; se persisteranno in opinione, non haremo imparato niente. In vero essi han bisogno, aspettando lettere da Bisantio , poter calculare ciò che più gli sia salutare ; dotti per 1’ essempio passato della tardità spagnuola et della debolezza solo delle forze pontificie , se bene di animo prontezza infinita. Non le posso altro dire, et questo anchora è stato soverchio, non sapendo io l’intero degli animi vinitiani. In reliquis autem aliquando interfui, nunquam praefui, sed semper tamen quae evenere providi. Il mio venire si risolve in pura voglia, poi che sono male acconcio per partir di Vinetia; però vo ancho discorrendo, che io più in questi tempi vi serva stando absente, che presente, dove pure del saper d’altri intendete alcuna cosa, che da me non potreste nè sapere né cavar nulla. Nondimeno spero venire per mera mia consolatione alla fin di maggio. Tenetemi ben caro a’ miei cittadini, affermandogli che di me si ponno ogni cosa promettere, pur che io vaglia. Voi amatemi, comandatemi et state sano. Il secondo giorno di maggio del 71. Di Vinetia. Destro di gratia al mostrar delle lettere. Allo stesso. 1571 24 Maggio Osservandissimo signor. L’ultime lettere che si hanno di Roma, promettono col primo corriero, il quale potrebbe giunger ogni hora, dover mandare i capitoli soscritti della lega fermata, la qual però nè a Roma nè qui si publicherà solennemente, essendo fatta, — 843 — come già le scrissi, con la conditione adietta, se però 1 armata catholica et le genti saranno per mezzo giugno pronte in Italia per ire a Corcira, congiungendosi alla Veneta. Ora ponendo questa conditionale i Vinitiani in libertà loro a quel tempo, se non sia perfetta la promessa, pare etiandio vano far publica o notitia o allegrezza di ciò che forse potrebbe non effettuarsi; et questa è l'ultima risolutone di Roma et di Vinetia. Il papa non stava sabbato molto bene, nè il latte asinario faceva l’opera buona solita, crescendo gli anni. Andrebbe forse per instantia dei medici ad abitar san Marco. Dal Ragazzoni non si ha fino a qui risposta alcuna, nè meno per altra via notitia che fosse giunto. Si crede per lettere di Asia che Famagosta a questa hora sia in mali termini, mancando vettovaglie et altre munitioni. Più a lungo poi parleremo in presentia, se io verrò lunedì, come potrebbe essere. Vale. La vigilia de l’Ascensa del 71. Allo stesso. 1571 31 Maggio. Osservandissimo signor mio. Vennero i capitoli da Roma so-scritti, confirmando la lega, ne’ quali poco è mancato, che vicino alla conclusione non siano rimasti in modo esclusi dal papa da ogni accordo, che quasi mai più se ne potesse parlare. Non so qual fato habbia voluto che sian conclusi, 0 la grandezza de Spa-gnuoli, 0 la jattura de’ Vinitiani, 0 le difficolta che si preparano infinite a questo papa. Dii bene vertunt. Domenica passata fu dalla Santità sua, non contenta delle scritture, ma vaga del romor popolare, publicata con la messa in san Pietro quella lega, le forze della quale sono anchora in Hispagna. Nel medesimo tempo nella chiesa di san Jacopo degli Spagnuoli et di san Marco fu cantata da cardinali la messa, acciò che tutti i colleglli facessero la medesima allegrezza; et qui habbiamo il giubileo, nè però vi so dire anchora, quando piaccia al Senato di publicarla al popolo, diside-randosi molto lo intendere che 1’ imperadore si dichiari collegato, se è possibile. Ci è da considerare in infinito, et tra il sospetto di altre innovationi, et la assecutione del presente negotio volen- — 844 — done trovare il guado, bisogna parlare mezzo un giorno, il che faremo in ogni modo dopo la Pentecoste, venendo io al Santo senza altra dilatione. Del Ragazzoni ci son hieri lettere di cinque; era giunto sano, parlato col bajlo, non molto ben veduto; anchor non si penetra particolar di sostantia. L’apparato turchesco era grande; il resto si intenderà con un poco di spatio. State sano. L’ultimo giorno di maggio del 71. Di Vinetia. Allo stesso. 1571 i.° Luglio. Signor Magnifico. È stata V. S. tarda al risolversi del venire per la publicatione della lega, già che costoro han risoluto, con tutta la mala nuova, se ben non verificata, da Costantinopoli, di tar domani la cerimonia; sarà nondimeno cosa che poco nocierà l’haverla perduta, al creder mio, poi che non si intende doversi fare in capella oratione latina, come sarebbe debito. La lettera di V. S. non dà tempo che ella possa giunger domani a mattina, come bisognerebbe; se ella verrà, supplirò io con la relatione, et al più lungo fra 15 giorni sarò in Padova, et parleremo per totani triduum. Sono per tante cause così impedito, che io non posso colorire cosa che disegni. Sta la voglia ardentissima, et ogni hora fino a qui se n’è raffreddata la speranza; ma verrò certissimo. State sano et raccomandatemi al Doria. Disidero intendere nuova del Gentile, se sia reddituro questo settembre. Domenica prima di luglio del 71. Di Vinetia. Allo stesso. 1571 18 Luglio. Signor Magnifico. Si intendono anchor qui gli istessi romori che in Padova, ma io mi risolvo che se noi haremo da haver male, sia già in segreto diliberata da’ nostri cittadini et conosciuta la publica rovina, pronti più tosto a cedere alla libertà che alla perdita de l’oro. Se in collegio, dove sono molti interessati, è pur preso questo partito di lasciar smontare nella città così gran nu- — 845 — mero di gente spagnuola et tutta armata, cictum est de nobis, non havendo per molti anni havuto maggior disiderio Filippo, come lo assicurarsi di quello stato, et 1’ haranno participata, conforme al debito loro, al Senato, come cosa di gravissima diliberatione. Spero certo che tanta infamia et tanta jattura sarà stata conosciuta et reprobata dalla maggior parte. Siamo in termini angusti et pericolosi, trattandosi del tutto esposti alla avaritia et empietà di pochi, sperando solo nello ajuto di quei molti, che per l’ordinario come ignobili, poveri et per conseguente vili, possano o vogliano dif-fendere la causa publica, i quali però si intendono essere bene animati, ma non sono io sicuro, se nel fatto riusciranno ben consigliati et tanto armati che basti. In tanta mia tacita afflittione non ho potuto altro fare, che scrivere a Genova et la universale opinione di questo male, et la diliberatione che io crederei buona a pigliarsi in questo caso. Ho nondimeno estremo timore, causato in maggior parte da l’estremo amore, nè mi risolvo o alla desperatione o alla confidentia. Aspetto l’evento con angustia incredibile. A’ 18 di luglio del 71. P. S. Mostratela al Doria, ma non ad altri. Allo stesso. 1571 9 Agosto. Sig. Osservandissimo. Non si meravigli V. S. del mio sospetto, poiché da alcuni mesi in qua sono state intercette et aperte delle lettere di Padova con dispiacere di molti, et qui non piace che si scriva cosa appartenente a nuove, procedendo con poca fortuna gli interessi di costoro, tal che se Gieronimo non venisse , ne bari scrivervi a V. S. nulla di nuovo. L’ armata turchesca ha prese a Corcira tre navi vinitiane con due mila huomini, danari et altra preda grossa, quattro galee, tre armate et una col legno solo; danno molto notabile. Di Candia non si sa che sia uscita l’armata nostra, che pur sono 70 galee, per congiungersi con il resto che guida il generale, già molti giorni arrivato a Messina con buona ventura; perchè se non si partiva poco prima da Corcira, vi rimaneva anch’egli con l’altre 50. Vanno le cose con aversa fortuna , Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi, XIII, Fase. IV. 54 — 846 — et per peggio si intende da Genova, che 1’ apparato spagnuolo ò fatto per Tunici, in modo che questa state con così poche forze non potranno i Vinitiani far altro che diffendere questo golfo, se pur riuscirà loro. Questi Spagnuoli, more solito, danno parole e attendono a far sicuri i mari di Sicilia dalla parte di Africa, et chi ha male, suo danno. In tanta perturbatione riposano le cose nostre, et non fu poco perduto il finale, che non sentissimo maggior jat-tura, di che dubitai io estremamente. Partì bonis avibus don Giovanni l’ultimo di luglio, imbarcava le genti alla Spetia per ire a Napoli. A questa hora vi può forse essere, carezzato in estremo et ben contento, lasciata di sè fama bonissima. State sano. Il dì nono di agosto. Allo stesso. 1571 20 Agoosto. Siamo con 5 mila fanti a Lyo tra mediocri e tristi, et 500 cavalli non del tutto mali, aspettando che a Berthaù bascià venga voglia di espugnare questa sponda arenosa, per fare con la zappa e con la pala un alveo così grande, onde passino le sue galee nella Laguna, poiché per le due castella è impenetrabile questa parte di acqua, et il pericolo è cosi grande, che io , il quale non sono fino a qui mai stato una hora dedicato a Marte, voglio questa volta lasciar la toga, et vestendo la saga, far compagnia perpetua al sig. Sforza, per chiarirmi, anzi chiarir tutti voi, che non sempre a la guerra si porta pericolo, et che chi meglio et più antivede, può facilmente parer più valoroso, quantunque stia in sicuro. Non si può cavare il tremore da Tossa di questi magnifici, a’ quali non parrà far poco diffendendo Vinegia, non che vogliano o pensino offendere il Turco. Di questa plebe ignava et ignara non accade nè tener conto per sodisfarla nè per adoperarla, tanto è imbelle et timida. Non si può negare, che lasciato il lido, esposto tutto alla voglia inimica, non fosse stato possibile patirne danno, havendo l’armata tanti homini, che lavorando alcuni giorni senza contrasto, poteva in queste bocche aprirsi forse la strada et penetrare con l’armata dentro; dove essendo ella in numero di tredento vele', et — 847 — accostandosi a queste fondamenta della città, certo è che porrebbe in confusione ogniuno, quantunque se i diffensori con l’artiglierie fossero animosi et pronti, meno anchora si potrebbe temere de la rovina, convenendo al Turco sbarcare per le fregate, considerata la bassezza de 1’ acque, onde si prohibisce accostar le galee alle fondamenta, et per le porte de i canali, essendo quasi impossibile occupar le case, anchora che guardate da pochissimi diffensori. Ma non si può cavare un nemico di casa, quando egli vi è ostinato a non ne uscire, come in vero è con alta radice annidata la poltroneria in questa brigata. Non sarà dunque nulla; state senza timore. Così non prendesse il bascià Cataro, come egli vederà Vi-negia in vano; et tuttavia essendo il tempo corto, dove per l’armata non si può lungamente soggiornare. Forse che egli si diffenderà, ma di ciò è maggior il timore che la speranza. Le 50 galee che doveano con Marco Quirino partir di Candia et giungersi a Messina col generale, per anchora non danno se non romor vano, il che sarà causa che lo Spagnuolo, non vedendo il Veneto instrutto abbastanza, vada per li fatti suoi in Africa. Con tanto tristo consiglio fu separata questa armata, dividendola così da lontano , et fra tanto in Calavria ne ha perdute il Veniero sette galee del tutto per la tempesta, andando elle per vettovaglia; l’altro giorno ne perirono quattro, et ci consumiamo senza combattere. Altro non posso dirvi, fuori che la retentione assai larga del cavalier da Leze, procuratore et proveditore l’anno passato in Dalmatia, fatta invero più per sodisfare alla rabbia et alla invidia, che per castigar la colpa. I Delfini dopo molta consulta sono privi della nobiltà, condannati a morire in prigione, se non pagheranno. Tutto nasce da gagliardo sospetto, che habbiano occultata gran somma di oro, et mandatane in Germania col vescovo nuntio apostolico di molta quantità di suppelettile et argenti, che affermatamente dicono essere stata quaranta carriaggi: cosa in vero, essendo tale, pur troppo brutta, et quel prelato con più di un segno lascia in fatti mal odor di lui, non vendendo gli ufficj come promise, et vivendo in Germania da gran cardinale, non da fallito vescovo. Sono eletti cinque del Senato ad inquirere questa verità, per condursi fino al tormento della persona in ritrovarla. Credono molti che ci sia da pagare. -- 848 — Non ho altro che dirvi, et questo vi basti per un pezzo, mancando nuntio fidato, a cui si possa dar lettere. Viene Francesco per andare a casa et tornare in breve; come egli ritorni, verrò poi io et parleremo allungo. Sono intorno alle benedette cerimonie, et ogni hora mi si scuopre nuova fatica, volendo trattare la materia tutta, levando i dubbj et provedendo a gli accidenti. Spero che vi debba piacere, che sarà il frutto di si lunga briga. Al Doria mi raccomando molto, et del Gentile intenderei voluntieri nuova distinta circa il suo ritorno. Tenete tutti due memoria di me per cortesia. A’ 20 di agosto del 71. Di Vinetia. Allo stesso. 1571 io Settembre. Il presente che portò Geronimo fu in modo esquisito, che merita certo non solum magnas gratias, sed ingentes ; mi raccomando alle sue orationi e liberalità innanzi che fornisca il mese un’altra volta, perchè poi nel principio de l’altro penso venir io, retirata l’armata e forniti i discorsi, a divisar con lei de rebus domesticis ; ma fra tanto questa settimana muterò casa non senza infinito incommodo, per non haver ministro habile a tonni la fatica. De la chiarezza de Genova, per la molta podagra che tiene impedito il Doria, va la cosa et anderà più lunga di quello che comporta la diligentia vostra intenta solo a leggere, a conservare et a godere. Dio vi mantenga questo felice stato, poiché havete cosi honorato otio, che supplisce a voi et a me, il quale per molte cause son pieno de fastidj et di ramarichi. Se vorrà Dio che una volta io mi acqueti , vi prometto darvi tanto che leggere, che vi verrò a noia. Altro non corre per lo mondo, poi che a Roma sono stati dal papa tutti posti i novellanti in pre-gione, come quelli principalmente che scriveano la sua breve vita. Si corruccia la sua Santità di quello che pure è vicino al vero, nè per questo 1’ allungherà un giorno, quando ne sia col voler divino giunta 1’ hora. Si è turbato il papa assai, veritas enim odium parit. L’ occhiali di rocca fatti per suo commandamento non oso mandarli con portatore di lettere, perché essendo arnese facile da — 849 — rompere et lungo da fabricare, non vorrei che male me ne avvenisse; manderogli per alcuno amico, se altrimenti non ordina-rete. Con questo vi lascio e me vi raccomando. Allo stesso. 1571 io Settembre. L’armata turchesca partì da Cataro senza havere tentato pure di espugnarlo, ma solo havendo mandato il bascià a richieder loro la deditione con patti tanto honesti et amichevoli, quando havessero voluto, che si sarebbono contentati. Gli fu risposto che non potevano diliberare cosa altra alcuna, se non la diffesa del luogo fino alla morte, alla quale erano tutti prontissimi. Non volendo Per-thaù consumar tempo intorno a debole impresa, et temendo la congiuntione delle galee vinitiane a Messina, è partito, crediamo certo per oviare, che Marco Quirino non vada al suo generale senza contrasto, del quale Quirino son molti giorni che non si ha nuova, o dove vada 0 dove sia, con tanto dolore, quanta meraviglia; Dio lo liberi da pericolo. Le vele turche sono in numero circa trecento, ma con certo 150 galee. Da questo pericolo, o per meglio dire fastidio liberati, hanno i Veneti disarmato Lio, continuandosi però la fortezza di quello già cominciata, et in fatti necessaria. Hoggi son tornati i provedidori a casa, scemata la spesa et posta la plebe in somma quiete, se da altra mala nuova futura non vien turbata la sicurezza presente. Le galee del Catholico già tutte a Messina, se non venga in tempo Marco Quirino, anderanno ad assicurare le cose in Africa, che per la stagione in quei mari et la Goletta vicina a Sicilia hanno tutto ottobre quasi sicuro al navigarvi. La alterezza di Andrea Foscarino, gentiluomo disegnato ad armare una galea, andando egli meno pronto et ubidiente al principe del bisogno, è stata mortificata con mille ducati di pena già pagati, et con la restitutione del soldo havuto da san Marco, perdita insieme di molti danari che erano spesi, et data la galea ad un giovane Contareno, che ne ho smarrito il nome. Per trovar danari si parla di creare quattro procuradori, et che i debitori al — 850 — publico o scordati o tardi al pagare si facciano vivi et celeri, cosa che forse li a ri più lenta la essecutione che la diliberatione. Per alcuni tumulti causati, dicono, dalla asprezza di m. Marino Cavallo in Candia, è stato fatto Agostin Barbarigo supremo inquisitore, con facoltà inclusiva del sangue contra esso Marino et ciascun altro ministro veneto, per dover partire quando 1’ armata anderà ad invernare, nella quale, come sapete, è proveditore a Messina. Si va vociferando, che la mente del pontefice, 0 per troppo pensare o per poco dormire, attioni causate dal minor rispetto de’ principi et dal molto odio de’ popoli verso di lui, sia infatti voltata al delirio, nè manca questa opinione di autori gravi, per quanto intendo, cosi laici, come preti in Vinetia, che mostrano crederla: cosa certo alla qualità de’ tempi et al bisogno de’ Vinitiani troppo contraria. Colle prime lettere di Roma si chiariremo della verità o maledicentia...... A’ 10 di settembre del 71. Di Vinetia. P. S. In questo punto ci son lettere del generai Veniero, che a Siracusa è giunto Marco Quirino con £5 galee salvo et assai bene armato. Ponno al numero di 200 galee i Cristiani tutte pronte essere a questa hora partite al soccorso di Famagosta. Allo stesso. 1571 19 Settembre. Osservandissimo Signor. Per le lettere ultime di Messina date agli otto, erano Tarmate christiane congiunte et in ordine bene et talmente, che confessati tutti et detta la messa dello Spirito Santo, disegnavano partire il giorno seguente, et andare determinati a combattere il bascià dovunque sia et con quale armata, certi ritrovarlo 0 a Corcira, dove si intende che è al presente, o la Yelona, o seguitarlo tanto oltre essendo partito, finché sperino poterlo giungere. Tutto ciò per haver certo aviso della male instrutta classe turca. Sono i nostri animati tanto, che da ogni parte suona esser concordi al combattere senza altro riguardo, poi che pure sono in essere 200 et più galee sottili, sei galeazze et molte navi tanto bene ad ordine di ogni cosa, che niente si può desiderare, — 851 — vedendo chiaro che il consumarsi in spesa senza alcun frutto è rovina manifesta. Almeno non trovandosi il nemico, questo non mancherà che si 'suffraghi Famagosta, la quale ancora si tenea salda fino a’ 2 di agosto. Altro non posso dire, se ringratiarla del nuovo dono pur assai. Se Francesco mio servidore viene, come credo, fra pochi giorni, V. S. lo fermi et mi dia aviso, che io forse o verrò a Padova, 0 le scriverò ciò che si ha da fare. Al mio humanissimo sig. Mercuriale risponderò come prima io rilegga il Demostene , che pur tengo sulla tavola non lo leggendo , et procurerò pagare i miei debiti con le parole seco. Trattante rac-comandatemegli, et state sano. A’ 19 di settembre del 71. Di Vinetia. Ai 5 d'ottobre, gli scrive che Famagosta è perduta, e... Tarmata nostra cammina, nè si sa dove. Allo stesso. 1571 15 Ottobre. t Signor Magnifico. Dopo tanti vani avisi della giornata navale, stamani finalmente per lettere di d. Giovanni venute a Roma si intende T armata nostra alli 21 essere in buono stato nel porto della Sapientia, luogo sicuro et ben munito, vicina alla spiaggia di Modone, dove parimenti èia Turchesca, diffesa solo dalle torri di Modone, nel qual luogo per la stagione è molto chiaro che già a questa hora non si sia potuta fermare, ma astretta dalla necessità habbia o sbarcate le genti, lasciati i legni in rovina, 0 procurando salvarsi, uscita fuori a combattere per minor male. Disegnavano i Christiani, mandati a terra ventimila fanti, con l’aiuto di molte migliara d’huomini del paese combatterli da l’uno et l’altro lato, ponendo le navi et le galee a l’uscir della spiaggia, tal che difficilmente si potessero salvare. A questa hora deve essere seguito alcuno essito notabile, essendo hoggi 23 giorni che stavano in questi termini. Ha promesso d. Giovanni alle genti del paese, in caso di ribellione turchesca, preda et doni grandissimi, et quando ancho vogliano, per sicurezza loro trasportarli in Italia. Si spera che ajuteranno gagliardamente. Faceva instanza grande sua ec- — 852 — celienti a, che il duca di Sessa et Giovanni Andrea navigassero a congiungersi seco, et di gii havea preso il porto di Navarino con morte di 3,000 Turchi et pochissimi de’ suoi. Aspettiamo d'hora in hora più felice evento, sicuri, se il Turco esce a combattere, di vittoria certa, et se fugge in terra, di preda molta per tanti legni che convien lasciare. Di molte altre cose ragioneremo allungo fra pochi giorni, che io verrò da Lei. State sano. — Mori Gieronimo Zano non assoluto. A’ 15 di ottobre del 71. Di Vinetia. In successiva lettera sen^a data scrive: Non son seguite cose di importanza tale nella città, che doveste desiderar mie lettere, perchè in caso tale non harei mancato. Il Soriano con calunnie deboli et mal fondate stette in pailazzo nelle camere d’ un ministro del dogie, più per custodia che per prigionia, non essendosi mai ottenuta la sua ritentione come di huomo delinquente. Andò a..... (1) assai tosto, dove sta visitato solo da parenti, et prohibiti i ministri de’principi; ma non sari nulla. Conoscete le rabbie et timori vani del paese. Sarò fra poche hore con V. S., et parleremo allungo, che di amico mio non scrivo in cosa di pregiudicio volentieri. Allo stesso. 1571 20 Dicembre. Signor Magnifico. Ho parlato col signor Sforza, mostrandogli la sua lettera et per quella il suo disiderio; risponde, salutandola amorevolmente, che egli non ha questa notitia più distinta di quello che mostrino le carte publiche; nè meno la stima cosa di molta sustantia. Se verrà nuova dichiaratione, rilaverete. Intanto a più chiara confusione dei maligni, che volevano tassare il conte Santafiore et il Cornia come nemici del combattere, vi mando i lor pareri (2) venuti ultimamente. Fate argomento del resto, quando di questo si vede così scritto il contrario. Sono stato col clarissimo Thomaso Contareno, presidente alla (1) Manca qui la parola nell’ autografo. (2) Non esistono nel Codice. - 853 - zecca, et con intervento di altri ministri si risolveno per continuare lo stile cominciato senza variatione, che il mandato rimanga in Vinetia quanto per la essattione de i frutti annuali, nè senza esso si possono mai riscuotere da alcun procuradore. Vero è che per la sorte principale basta lo essere scritto creditore al libro publico, acciò che quando si renderà il capitale, il creditore non possa pèrdere il suo, se bene havesse perduto il mandato; basta che quoad fructus percipiendos est opus mandato, il quale se si perdesse, dicono che giurando il procuradore o il principale haverlo perso, glie ne farebbero un’altro per gratia et facilmente. A me par cosa molto nuova et molto barbara', che non basti l’esser vivo et creditore nei libri publici, per havere i suoi frutti ogni anno , senza questa vana sottilità del mandato, che si. potrebbe contrafare da altra mano, ma non già falsificar la nota del libro. Sta la cosa come voi vedete, nè altrimenti si può fare. La apologia del Donato vi harà fatte le feste, per essersi murato il padrone in casa nuova, et le scritture tutte sottosopra. Altro non posso dirle, et ciò che si harà di nuovo, lo dirò al Mercuriale..... A’ 20 di dicembre del 71. Di Vinetia. P. S. Il generale Veniero è di disperata salute, et a questa hora forse morto. Si cerca il successore et con difficultà lo troveranno. Da lettera del j gennaio 1/72 : Non si è potuto per la festa haver prima la lettera publica; stamani Tho cavata non senza dilatione vinitiana.....Di nuovo silent omnia. L’imperadore con Pultime lettere stava alquanto meglio, ma non pronto per andare alla guerra. Della lega con la Germania non vi è ferma risolutione fino a qui; ma si spera qualcosa. Il generai Veniero per miracolo divino è si può dire risuscitato, che certo è opportunissimo.....Qui si muore di petecchie continuamente, nè se ne truova la cagione. Se il morbo va procedendo, verrò da voi. In altra del 12 successivo ancora al Pinelli:.....L’imperadore parèa migliorato alquanto della sua passione cardiaca, ma però non si penetra che voglia entrare in lega ; si aspetta ciò che habbia fatto il Comendone in Pollonia. Il papa mostra animo pronto et gagliardo alla guerra, ma bisognano danari assai, et egli taglia minuto, che non fi al proposito. — 854 — Allo stesso. 1572 11 Febbraio. Signor Magnifico. Sono stato alcuni giorni et tuttavia sono mal disposto, et per la stagione varia et per la mia mala abitudine, risoluto non far più qui un altro verno. Comincia hora il freddo*, et siamo con la neve in terra, nò cessano le malatie. Feci al Ga-ribaldo la lettera in calda et buona forma al Crasso subito che me la chiese. La legge vinitiana contra i forastieri son più di dugento anni che è fatta, la quale in somma vieta a ciascun nobile che intervenga nei lor consigli segreti, et per segreto intendendo il Pregadi, poter visitare nè trattare con alcun nuntio o internuntio di principe et parimenti signor grande, senza licentia de’ capi di Dieci, nè dalla legge sono esclusi i cardinali, come gran signori, et ordine sempre stato sospetto a questa Republica, et talvolta anello poco amico. La pena al trasgressore è di bando solamente, ad placitum del magistrato; però è che un di Pregadi in puris naturalibus potrebbe visitare qualche suo amico per poche volte senza nota, ma di collegio o consiglio de’ Dieci non si usa farlo senza licentia. Tutto poi si intende più et meno quanto agli altri nobili, secondo l’huomo, la contingentia de’tempi et la molta frequentatione, facendo le circunstantie sempre in ogni caso maggiore et minor trasgressione. Così mi è detto da vecchi periti di collegio. Se V. S. attenderà a sodisfare il Doria ne i quesiti, ne sarà certo maggiore il numero, che le stelle del firmamento; chiudete l’uscio a queste simili infinite domande per minor briga. Il tabernacolo fino a quaresima non si può havere, chè il mechanico vuole ire a sollazzo. Vi bacio le mani. Agli 11 di febraro del 72. Allo stesso. 1573 23 Febbraio. La Tavola cerimoniale non dà a me tanta fretta, quanto a voi, non potendo massime risolvermi, fin che io non habbia chiarezza — 855 — da Genova circa alcune cose (i), et per la molta podagra che tiene impedito il Doria, va la cosa et anderà più lunga di quello che comporta la diligentia vostra, intenta solo a leggere, a conservare et a godere. Dio vi mantenga questo felice stato, poi che havete così honorato otio, che supplisce a voi et me, il quale per molte cause son pieno di fastidj et di ramarichi. Se vorrà Dio che una volta io mi acqueti, vi prometto darvi tanto che leggere, che vi verrò a noja. Non vorrei dirvi cosa onde ne Investe cordoglio, ma il vostro sommo pontefice, per quanto si intende, sta assai male, ne temono o sperano che passi marzo. Me ne incresce per vostro conto, poiché l’amate di cuore. A m. Donato ho fatte quelle carezze et usate di quelle cortesie, che egli è solito a’ letterati et nobili, tal che ne potete ancor voi sperare assai. Si aspetta il cardinale Alessandrino, forse ancho hoggi o domani, per giungere a Roma, senza il quale non si farà la promotione nuova di dieci cardinali, servidori tutti domestici et cari al papa, ma però tali che difficilmente ve ne saran due che sappiano leggere. Talia Roma faci!. Con queste dolcezze vi lascio et mi raccomando. A’ 23 di febraro del 72. Da altra del febbraio allo stesso:.....Altro non corre per lo mondo, poi che a Roma sono stati dal papa tutti posti i novellanti in prigione, come quelli principalmente che scrivevano la (1) Può essere che lo scritto di G. SalvagcTsulle Cerimonie, accennato in questa e in altra lettera, sia quello contenuto in un Codice ambrosiano ms. miscellaneo , già di V. Pinelli, intitolato : • Trattato delle Cerimonie laiche, appartenenti alla Signoria di Genova ; è una copia con correzioni autografe di Pinelli, ma non porta il nome d’ autore. Che però questi sia con assai verisimiglianza il nostro genovese, deducesi dall’ultimo capitolo (XIX) dello scritto, nel quale parla di cerimonie usate ne’ ricevimenti avvenuti in occasione delle visite fatte dal cardinale d’Aragona e dall’arciduca d’Austria: sotto i dogi Priuli (Lorenzo o Gerolamo, che lo furono il primo dal 1556 al 1559. l’altro d’ allora fino al 1567), e Loredano (Pietro, creato nel 1/67), non che di Francesco Veniero (1577)» nel qual tempo lo scrittore trovavasi in Venezia, degli usi della quale mostrasi assai istrutto, e ne tiene frequente discorso, come di altri fatti a lui contemporanei. A questo scritto tien dietro un altro Dei luoghi et modi, ne’ quali si ricevono et asellano in palalo tulli 0 superiori 0 gran signori, oratori di principi, huomini illustri, graduati et privati, che forma la sezione seconda, divisa in dieci capi, del Trattato; la terza, assai ricca di correzioni ed aggiunte, forse di mano dello stesso Saivago, in sette capitoli, tratta Degli haliti cerimoniali et or.linarj ducale, senatorio et civile, luoghi et modi, nei quali vada et parli il dogie. Anche in queste parti si trova menzione di cardinali, principi, dogi, sovrani, e altri personaggi che vissero a’ tempi di Saivago. Eziandio alcune frasi, e in generale lo stile di questo scritto, ce lo tanno ritenere opera di lui. — 856 — sua breve vita. Si corruccia la sua Santità di quello ohe pure è vicino al vero, nè per questo l’allungherà un giorno, quando ne sia col voler divino giunta l’hora. Finalmente si è pur trovato un cardinale, che gli habbia detto il vero, et quel buon vecchio del Senator Varmiense con aperte et prudenti parole gli ha fatta conscientia della carcere iniqua toletana, sopra la quale cessando i processi et le inquisitioni, regna solo et vive la iniquità et 1’ a-varitia. Si è turbato il papa assai, veritas enim odinm parit, et con parole puntuose gli usci dalle mani, al quale il dotto Sarmata non ha perdonato punto, et liberamente ha cantate le molte in-giustitie et rapacità di quel pailazzo con efficacissime parole. Sia lodato Dio (1). Allo stesso. ' 1572 27 Marzo. Osservandissimo Signor. Non ho invero cosa alcuna degna di aviso, et di quei re, la morte de’ quali temea V. S., non manca in Europa alcuno : sola la sorella di Cesare maritata, ma con divortio, al re di Pollonia se n’è morta, togliendo al papa quel gran stimolo di concedere al marito, vivente lei, il torne un’altra, come egli ardentemente desiderava. Il generai Veniero, armato di pianelle et cinture vinitiane, provando assalir Santa Maura con deboli soldati et inetti capitani, che mai più haveano veduto assalto nè espugnatone, fu fatto ritirare da pochi Turchi a gran passo con (1) In due distinte lettere del 22 marzo di quell’ anno, Saivago scrive a Pinelli queste cose:----Si è fatta tutta la diligentia per ben servirla degli occhiali, né trovandosi cristallo di montagna incavato, bisogna dar tempo al maestro che lo lavori ; da questo nasce che ella non può esser provvista domani come desiderava, ma ben si haranno per l’altra settimana. Non ò qui fuori che un maestro atto a servir bene ; però bisogna torre ciò che da lui si può havere. 11 prezzo di essi, attesa la ampiezza loro, che invero è più di ordinaria molto, sarà ancho maggiore di quello che altra volta potete haver pagato, et tuttavia con ogni avanzo clic vi si faccia, non importerà il disvantaggio più che due ducati al sommo da quello che sia 1’ ordinario, et forse meno. Basta che non saremo gabbati..... Quel'o istcsso maestro che servi di occhiali al re Filippo di Spagna, ha hora fatti i vostri, et al mio giudicio et d’altri riusciscono chiari, netti et di cristallo buono et ben lavorato. Sono artefici, come rari, cosi difficili et lunghi, ma bisogna haver patienzia. Costano gli tre di montagna per la maggiore grandezza" loro uno scudo il paio, ne con tutta la sottilità del publicano Negrone, che ha fatto il prezzo, si è potuto havere miglior condizione. Gli altri di Murano libre cinque, et in tutto passa il prezzo de l’uso ordinario circa uno scudo...... • — ^57 — perdita notabile de’ Veneti, et egli per benificio di un buon cavallo salvò la vita, tutto che certo l’ardito vecchio, armato sempre et combattendo sopra le forze, se tali avesse avuti i suoi soldati, quali era lui, potesse sperare felice evento. In questa più tosto fuga che pugna, assai freddamente, o per meglio dire, timidamente si sono portati quasi tutti, ma avanza ogni altro in cautela di salvarsi il già famoso Marco Quirini, fatto ricco di poverissimo, et perciò disioso di quiete. Il signor Sforza Pallavicino, mal sodi-sfatto. del poco conto che si fa di lui et del molto otio, nel quale si vede lasciato in tanto romore di arme maritime, ha chiesta licenza per un mese di andare a’ suoi castelli, con espressa conditione di tornar solamente in caso che sia richiamato per servitio, ma non per assistentia; et dopo molta et lunga querimonia 1’ ha ottenuta. Pare a ciascuno che nè questi servendosene, nè egli tornandovi, debba assai tosto separarsi 1’amicitia, non che il servitio. Partirà fatta Pasqua, con mio gran dispiacere. Paolo Ursino riman capo delle genti tutte vinitiane che anderanno su l’armata, al numero di diecimila almeno fanti italiani. Si aspetta una dichia-ratione di capitano generale per Vinitiani, cercata da Marcantonio Colonna et dal duca di Urbino, ma tutto è in fieri. Favorisce il papa Marcantonio, et il duca non piace a molti. State cheto et sano. Harò caro intendere tutto il fatto del Lercaro (i). A’ 27 di marzo del 72. (1) Forse il doge Gio. Battista Lercaro di Stefano, contro il quale, in un Codice miscellaneo manoscritto, che fu aneli’ esso di Gianvincenzo Pinelli, esiste un’ orazione di Paolo Spinola Perla , che censura acremente la di lui amministrazione, e lo dipinge sovratutto come abborainevole e ambizioso tiranno , ucciditore della libertà, genovese e impudente violatore delle leggi della Repubblica. Quella fiera requisitoria contro gli atti del doge conclude col persuadere], a chi spettava, la necessità della punizione severa dell’ accusato. Giovan B. Lercaro fu doge dall’ottobre 1563 al 1565 dello stesso mese. Egli servì la sua patria anche colla penna, poiché deposto il principato, scrisse nel 1580 delle Turbolente di Genova, eccitate nel 157$, con elegante e facile stile, secondo l’,01doini nell’ Athenaeum Ligusticum. L opera rimasta, sembra, tuttora manoscritta, è accennata aneli; da G. B. Spotorno, Storia letter. della Liguria, tom. HI, pag. 49. Prestò sovente 1’ opera sua a prò’ della patria, poiché fu uno dei rappresentanti della Repubblica, che ricevettero il giuramento di fedeltà dagli uomini di Gavi, e nel 1529 uno dei 12 capitani della città, eletti a sedare i tumulti che nascessero: poi l’anno seguente con Franco Fiesco e Nicolò Giustiniano rappresentò la sua patria in occasione dell’ incoronazione, fatta dal papa, dell* imperatore a Bologna, ove nella chiesa di S. Petrouio venne a contesa e busse cogli ambasciatori di Ferrara e Siena a proposito di precedenza. Ne parla in più luoghi il Bonfadio nei suoi Anuali. — 858 — Allo stesso. 1572 23 Aprile. Osservandissimo signor.....Le scritture del Lercaro ho vedute, delle quali 1’ una, che molto dice, dicendo poco, non ha in sè altro per la causa, fuori che la cessione da lui fatta al grado, bastandogli solo la reintegratione dell’ honore, la quale certo fu et sarà sempre empio il negarli. L’ altra che lo diffende in jtire, fatta, secondo me, da huomo molto intendente, se le cose allegate cosi del testo, come del fatto, non sono false, che pure sarebbe vanissimo consiglio, merita, dico, gran consideratione et tanta, che io non veggo risposta allo eccesso fatto nella sententia, et poca 0 niuna nella incapacità de’ giudici, che in tal caso non poteano, data la incompetentia, giudicare; ma come si sia, in materia di sindicato non essendo concordi, non poteano però fuggire, nè per conscientia doveano volere mancar di fare la relatione al supremo principe secundum dispositionem juris ; et quando mai non ci fosse stata legge per christiana pietà et urbanità civile, non doveano precipitare con un sol voto una causa tanto importante contra 1’ honore di uno eminente cittadino ; ma non è meraviglia se chi spesso sa poco leggere, sa manco legge. Ma quello che più importa, è che con questi così fatti giudici ogni hora si trattano le fortune et le vite degli huomini, nè maggior contrasegno si può havere nella rovina di una republica, se non quando si danno i magistrati grandi a gli huomini indegni: cosa fatta da quei tali, che per imperitia haveano pochi simili, come per molti altri capi si vede molto absurda quella sententia, ma più iniquo anchora, non volere riveder il fatto così ingiusto, poi che nulla si potea perdere, et consolare un cittadino, che altro non dimanda che restitution di honore a giudici christiani. Senza havere io informatione della causa, sempre stimai che a quel cittadino no-cesse più la rabbia che la giustitia, et hora son chiarito dello assenso popolare, ma è assai proprio delle republiche proceder con impeto. Rimando la scrittura, che a me par bella. Cetera coram per s. Giovanni. A’ 23 di aprile del 72. — 859 — Allo stesso. 1572 7 Maggio. Magnifico Signor. Io sono stato lungamente appartato dalle faccende con questa absentia di Roma, che io non posso rettamente giudicare ciò che sia 0 più propinquo o più lontano alla determinatione di tanti huomini, che con rarissimo essempio ora interverranno in conclavi (1), nè meno posso sapere i reali fondamenti o di Farnese o di alcuni altri, che pretendono questa dignità. Il dar consiglio non ben fondato, oltra che è vano, potrebbe esser dannoso, et amando io il Mercuriale come io debbo, non vorrei causarli danno. Se io T havessi a consigliare, direi che si astenessse dallo entrarvi, perchè le scomesse vogliono la presentia oltra l’intelligentia, nè potendo egli partirsi, meglio è il fermarsi. Farnese presupone entrar papa fatto, ma io de’ suoi sogni me ne servo in dipinger panni di razza, che mescolati coi discorsi nel pontificato di Ferrara, fanno pitture elegantissime. Del vecchio a più di una pruova siamo chiari; del giovane si chiariremo hora. Ogni cosa che segna in lui prospera, sarà mero miracolo, che certo vi manca la ragione, ma il papato sarà con regolato discorso di Montepulciano, Buoncompagno 0 Varmiense, et se lo partiranno dopo due mesi amorevolmente , burlandosi di questi appetitosi. Io partirò fra pochi giorni et vederovvi, che ne ho pari la voglia al bisogno. Vederete la lista nelle scomesse per la opinion di Rialto. State sano. A’ 7 di maggio della sede vacante. P. S. Mi raccomando al Mercuriale, et lo persuado a non gettar danari. Allo stésso. 1572 21 Giugno. Sono più che in niun altro tempo mai tanto afflitto et di animo et di corpo, che non posso nè scrivere, nè parlare, nè rispondere. (1) Per la morte di papa Pio V, avvenuta il primo maggio di quell’anno. Gli succedette il card. Ugo Boncompagni, bolognese, col nome di Gregorio XIII, un dei preconizzati dal Saivago. — 86o — Bisogna che V. S. pigli in patienza qualunque dimora senza meravigliarsi, perchè se bene anch’ io scrivessi, Dio sa se io parlassi a proposito. Da Genova non posso haver risolutione delle cose mie, senza la quale non devo partire; et a Roma, quando io bene l’havessi, non posso più andare, perchè andare in questa età 300 miglia in un mal cielo et per un gran caldo , è più tosto partito da disperato , che da huomo che vogli fondare nelle speranze altrui ; et qui sto tanto mal volentieri et con tanto incommodo , che peggio non si può dire. Vedete hora se in queste ansietà mi avanza otio da discorrere col Doria sopra il papato presente, 0 da rispondere a quesiti, che hanno termine un anno per sodisfarlo.-Fate di grazia la scusa per me, dicendoli che uscito di travaglio, gli sodisfarò meglio che io possa. Sono tanto mal trattato da chi noi doverebbe fare, che quasi ho perduta la patientia; nè sono anchora chiaro di non convenire andar a Genova per dar ordine e por fine a’ miei bisogni, cosa che tanto mi è dura, che poco più sarebbe la morte. Ogni servitio, quanto più grande, fa sempre pagato di ingratitudine. Non è honesto eh’ io habbia vantaggio da gl’ altri huomini, se così va il mondo*. Giobbia sera al più tardo sarò con voi per sfogarmi da tante passioni, et lamentarmi in luogo sicuro delle mie disaventure, anzi delle ingiurie d’altri. Per hora basta questo. State sono. A’ 21 di giugno del 72. Di Vinetia. P. S. Il sig. Sforza Pallavicino, chiamato dalla Signoria, sarà qui domani. Allo stesso. 1572 27 Giugno. Signor magnifico. In aspettando la venuta del sig. Sforza, al quale convengo parlare, ho differito il mio vedervi et parlarvi lungamente, et queste maladette lettere di Genova, che anchora mi danno nuova spettativa di molti giorni, mi hanno ancho trattenuto. Ora io son quasi sperando disperato dell’ una cosa et 1’ altra, et se qualche spirito folletto non si attraversa, martedì sera sarò in Padova. Non mi aspettate se moro io fra tanto, 0 — 861 — forse il papa, che non sta bene, per quanto scrivono, il quale con troppo ardire et poco consiglio volle andare alle sette chiese partendo innanzi il giorno, tal che stanco et caldo tornò con flusso, et sopragiunta la febre, che in 72 anni non è da sprezzare in un mal aere, quale il romano. Dio perdoni a chi non lo disuase da così pericoloso viaggio. Questa notte è venuto 1 aviso; staremo d’ hora in hora aspettando il successo. Habbiamo nella cristianità bisogno grande della sua vita, poiché con difficultà si troverebbe il suo paro, et fra tanto si corre pericolo con sì impe-periti nocchieri, come sono quei cardinali, di dare in Sirte. Don Gioanni aspetta danari di Spagna et altre provisioni. Più vago si crede il suo re di fare l’impresa di Africa, che di Oriente. Son spagnuoli pieni di interessi et colmi di parole; tristo a chi ha bisogno di loro. Noi non presemo Castelnuovo, essendo pochi gli oppugnatori, ma ci ritirammo al mare con poco danno. Se il Sforza viene, saprò alcuna cosa di vantaggio, il quale hoggimai si fa pregare un poco troppo. Son pieno di travagli et di irreso-lutione, et mi vi raccomando. A’ 27 di giugno del 72. Di Vinetia. A’ 28 luglio in un PS. al Pinelli: La congiura di Zara fu romor vano, simile alle ciancie venete. Fu impiccato uno per maldicente et sollevator di popolo per la carestia. Allo stesso. 1572 22 Settembre. Osservandissimo signor. Mentre che io sono stato in dubbio del partire , et per questo anco molto alterato d animo et meno sano di corpo, non ho scritto a V. S., non potendole affermare ciò che havesse in un certo modo ad esser di me. Hoia che io sono in tutto determinato non andare a Roma fino ad aprile, per meglio lasciare evaporar quello humore che già inten deste, sopra il quale minutamente calculando 1 utile e il danno, ho risoluto far diversa diliberatione. Mi pare esser necessario darvene notitia, et per hora solo dirvi che molte sian le ragioni, che mi habbian mosso a fare il contrario di quello, che li più in Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XIII, Fase. I\. — 862 — numero harebbon forse diliberato. Saremo un giorno, et di questo ottobre, lungamente insieme, dove spero et credo, che da V. S. sarà approvata la opinion mia. Basta che per adormentar la pratica, et come io credo, sopirla in tutto, niurio miglior rimedio era come lo star lontano. Il resto in presentia. Noi stiamo d’ hora in hora aspettando il felice congresso della nostra armata con la turchesca, certi senza alcun dubbio della vittoria, se si combatte. Ma quando pure fugga il nemico la giornata, essendo lontano da Bisanzio 700 miglia, per forza perderà molti legni poco habili alla lunga fuga, a’ quali mancano huomini et remi in quantità. Partirono i Cristiani tutti insieme da Corcira a’ 10, lontani al Turco 240 miglia. Altro non si è inteso. State sano. A’ 22 di settembre. Di Vinetia. Allo stesso. 1572 7 Novembre. Molto magnifico signor. Tutte le speranze vinitiane, fatte maggiori molto più da quelli che scrivevano, che da quelli che consigliavano , sono hora terminate nella tornata di don Gioanni a Messina, allegando con versutia spagnuola per la carestia di vettovaglia la impossibilità del soggiornare più lungamente, et non tentare cosa altra veruna di quelle, che sarebbono certo riuscite assai facili. Anzi, come da principio fu consigliato, l’impresa di Negroponte, comoda et espugnabile, non è da lui contra la volontà degli altri stata accettata; ma perdendo tempo inutilmente a Navarino senza fondato discorso, et volendo combatter 1’ armata turchesca sotto Modone con speranza vana, ha fatto del suo parer legge a danno comune; nè determinando per li più voti ad usanza di lega, ha essequito come principe, non come capo che ricevesse consiglio, la voglia sua, consumando il tempo et 1’ apparato con spesa infinita di tanta armata et tante forze. Gli hanno offerto i Vinitiani vettovaglie per quel tempo che bisognasse, ma nè accettandole, nè volendo indugiare, si è partito; vuole andare in Spagna, ma dal papa è stimolato ardentemente ad aspettare una risposta — 863 “ del suo re, nè però sappiamo se lo farà. Il signor Antonio Doria si intende essersi portato egregiamente. I particolari di questo negotio , come son molti, cosi ancho gravissimi, sono da questi cittadini sotto gran pene tenuti segreti. Disiderano certo più la lingua che la penna, essendo cose, sotto le quali giacciono di mali et dannosi humori. Io fra pochi giorni dirò a V. S. ciò che se ne intende. Sta la città tutta afflitta et turbata tanto , che tempo alcuno più difficile nè più penurioso di consiglio et risolutione non ha patito dal principio in tutto il corso di questa guerra. Celera coram. Il glorioso Sebastiano Veniero posdomani sarà in Vinegia, raccolto honoratamente. State sano. A’ 7 di novembre del 72. Di Vinetia. Allo stesso. 1572 9 Dicembre. Osservandissimo Signor. Merita tanta consideratione questa morte del Cardinal di Ferrara (1), che a voi che siete uomo di Stato, non si deve torre tanta occasione di discorrer sopra la nuova onnipotentia del cardinale Farnese ; fatto hora cosi libero da una vecchia et potente competentia, per non dire inimicitia, dalla quale certamente spererà lui poter facilitare ogni suo dissegno, estinto così diligente et potente signore. Discuterà V. S. insieme col mio sig. Mercuriale questo nodoso intrigo, se meglio sia per il Farnese mancare di Hippolito, 0 di contender con Lorena, il quale sopra ogni altro franzese harà cura dal suo re di impedire 1’ambitione farnesia. Io non me ne risolvo, et per essere il caso nuovo, sopra il quale non ho tempo a pensare, e per stimar molto in Italia la intelligentia di uno italiano, tutto che a Lorena si accresca forza, se il papa gli crea quest; feste il nipote cardinale, come affermano di Roma. Lascio questa total diifinition a voi per dovermela dare la settimana prossima, che penso venire a Padova. Delle entrate fino a quaranta mila ducati di sacerdotii in Francia (1) Ippolito d’Este, ch’era stato arcivescovo di Milano, senza avervi forse mai risieduto, traslato poi a Novara, indi andò a Ferrara, donde si ritrasse nel 1553, cedendo la sede al nipote Luigi, figlio del duca Ercole li e Renata di Francia. Egli era nato dal duca Alfonso I e Lucrezia Borgia. — 86 4 — rimane ^successore il cardinale nipote; dei beni temporali per metà ha lasciato herede il duca et il cardinale. Suppellettile infinita, carica di molti debiti. Altro non ci è di importanza, fuori che il nuovo mal francioso di don Gioanni d’Austria, preso vilmente (i). State voi sano. A’ 9 di dicembre del 72. Di Vinetia. A Nicolò di Primo a Vanesia. 1573 27 Giugno. Osservandissimo Signore. Chi le ha detto esser io nè tanto favorito, nè tanto insolente, che mi sia lecito voler i cardinali a discretione, ha certamente havuta più abondanza di parole che di cervello, ma non si può tener la ociosa penna de’ novellanti, che non sdruccioli dal vero alla menzogna molto facilmente, essendo, come sapete, congionta la fine della virtù col principio del vitio. Non posso negare, che da N. S. io non ricevessi alcune forsi più larghe et urbane parole, che egli per ordinario soglia fare con la minuta plebe, et che insieme memore di 42 anni di filiale ubidienza et servitù, non habbia mostrato vedermi volentieri, ascoltandomi con grata faccia presto et solo, con alcuna intentione di tenerne memoria; ma con tutto ciò non è intorno a questo seguito cosa, per la quale si debba far tanto romore ; et V. S. sa molto bene, che ad un cortegiano vecchio non si dan parole, nè io son instrumento da gonfiarmi con poco fiato. Se dalla S. B. verrà alcuna dimostratione conforme a quello che i manco periti credono, sarà certo assai più lontano dalla credenza mia, che io hora non sono di spatio a Venetia. Ma sia che vuole, meglio sarà sempre viver in Roma fodrato di speranza ancor che (1) Il penultimo giorno dell’anno scriveva di Venezia all’amico: « Tanti sono stati gli errori in questo anno nel proceder dell’ armata, et cosi gravi et grandi gli authori di quelli, che senza estremo pericolo et nota di imprudentia non si ponno commettere alla penna ; et io per me non ardirei in modo alcuno farne mentione, se non in scrittura di historia lata, da palesarsi etiandio dopo la morte. È ogni cosa piena di diffidenza, di pericolo et di difletto, et tutto più da tacere die da narrare, se non da faccia a faccia et con amico singulare. Bisogna insumma che habbiate patientia fino che ci vediamo ; et allora forse intendereti cosa di importanza et avertenza molta, penetrata per vie non meno authorizzate et secretissime che vere; per hora non si può più »..... — 86) — non fruttuosa, clic lo star ignudo in terra forestiera senza poter sperar mai nulla; e pur è Roma la patria mia, dove state di buona voglia , che sicuro da ogni ingiuria mi difenderà sempre il papa con giustitia : tanto è la Santità sua padre dell’ equità et difensore dell’innocenza. I giovani elegantissimi, cosi chiamati dalla S. V., sono tanto per natura cortesi come felsini, et tanto moderati per la buona educatione, che quell’ istesso che fanno meco , è loro comune et ordinario con tutti gli altri. Può ciascuno sperar assai dalla bontà loro, ma in ciò bisogna tempo et ventura. Del reverendissimo Farnese non vi posso dir cosa alcuna , ha-vendolo veduto solamente in casa d’ altri ; è cortese a parole , more romano ; nel resto nihil mihi commune cum ilio. Lasciate cicalare alla brigata quanto li piace, che io voglio stare in casa mia, et dovendo ubedire , voglio principe assoluto e non subalternato. Ho voluto come ad amico vecchio farvi questo particolare e forsi lungo discorso, affine che sapiate l’intiero di tutti li fatti miei, et possiate, accadendovi, defendermi da ciascuno, quando forsi lontano dal vero sentiste altramente ragionare. Ringratio molto V. S. dell’ aviso eh’ ella mi dà circa le cose turchesche, le quali quanto saranno minori, tanto faranno più utile alla religione cristiana ; et se le piacerà in l’avenire darmi notitia di ciò che segua degno di consideratione, lo riceverò io in somma gratia, nè le sarò ingrato d’ alcuna ricompensa circa gl’ accidenti di questa corte, pur che tra noi non si palesino le lettere. Nel resto poi sono al solito vostro fedele amico, et di me promettetevi ogni possibil diligentia, oltre ad uno affetto singolare verso il vostro bene. Perdonatemi se sono stato tardi allo scrivervi, amatemi et state sano. A’ 27 di giugno del 73. Di Roma. P. S. Al mio delicatissimo Baglioni tenetemi in gratia, nè vi si scordi la soavissima Helena Tressa. Il sig. Filippo Guastavillano è alquanto indisposto di terzana, ma però fino a qui senza pericolo, con infinito dispiacere universale. Il prelibato frate Alessandrino va a pericolo di pagare 12 mila ducati d’ oro alla religione di Malta, de’ quali già gran pezzo è — 866 — debitore, come assueto al tor sempre e non dar mai; proverà ciò che sia cominciar a pagare coltra 1’instituto di Pio V, se già non mostra donatione espressa che dal papa gli sia stata fatta, che non comparendo fino a qui, fa dubitare che egli non l’habbia; et così chi troppo mangia, talhor vomita. A Nicolò di Primo in Venezia. 1575 18 Luglio. Osservandissimo signor. Quel più vostro credulissimo che serenissimo popolo, se nelle cose gravi punisse i ciarlatani come si doverebbe, mancheria certo di molte al'terationi, nelle quali incorre spesso, et con maggior dignità farebbe penetrare a’ principi le cose sue senza la vulgata clausula della carota veneta, la quale sempre in ogni loro aviso si intende anticipata. È nondimeno cosa molto salutare che il Turco viva per non mettere in dubbio quella pace, della quale il Vinitiano ha tanto bisogno, et dal cui male ponno alla christianità surgere tanti incomodi. Ringratio molto V. S. dell’uno et l’altro aviso, per vedere l’amorevolezza et la diligentia insieme che ella mostra intorno alle cose di quella amata patria, et al grande amore et disiderio che io ho della sua conservatione. Se di qui fra questo estremo caldo et lungo otio nascerà cosa degna da scriversi, darò conto alla S. V. tanto distinto, quanto più saprò. L’accordo fatto in Francia con la Ro-cella s. Germano et altri castelli è seguito più per por fine in qualche modo alle discordie, che per dovere osservare cosa alcuna in pregiuditio della Religione, non potendosi mai per legge civile o canonica servar fede in praejudicium religionis et fidei. Sentirete fra pochi mesi una campana di quelle che svegliarono 1’ amiraglio, perchè la mente del re è ottima ; et in fatti il re è patrone in Francia. Altro non ho che dirvi, se non baciarvi le mani. A’ 18 di luglio del 73. Di Roma. Saluto la peccatrice. — 867 — A G. V. Pinelli. 1574 23 Gennaio. Signor magnifico. Dopo l’ultima mia risposta, con la quale vi ringratiai tre mesi sono dei molti et cari avisi che mi deste, non ho poi havuto di V. S. altra notitia (1), perchè come molto mi sono care le sue lettere, così non harei certo cura maggiore che di rispondergli; se per caso sono 0 tardi 0 male arrivate, me ne doglio estremamente (2). Alla nuova notitia che mi dà V. S. delle cose venete, non posso se non dire, che molto mi dispiaccia vedere quei signori in minor sicurezza di quella, che come Italiano deve desiderar ciascuno ; ma stando quella republica in pericolo di nuova guerra con amico italiano et molto debole , et con ajuto tramontano molto infido, stimerei io manco male 0 spendere il meno, satollando 1’ avaritia turca per salvare il più con 1’ utile della pace, o pure risolversi di nuovo a fabricare alcuna fortezza, ancorché con grave spesa, et mantener sicuro il contado di Zara, lasciando quella al nemico per non contendere in questi tempi. In ogni modo non si deve credere, che stipulata la presente pace, et concedendogli questa difficultà del castello che scrivete, egli sia però così in un tratto per romper la guerra di nuovo, et alla fine, con poco più di tempo che sabbia, il Veneto raccoglierà di ordinario tanta entrata, che potrà supplire o alla fabrica di un (1) Scriveagli tra altre cose di lieve interesse il 14 febbraio 1573 : « Io non posso comportare che V. S. parta di Padova a sì lungo viaggio, che io non la rivegga; però andando domani alla villa et tornato martedì sera, venirò poi per un giorno a starmi col sig. Grimaldo, et havremo comodità di parlare, potendo essere che ella in Napoli soggiorni questa state, et io in Vinegia non sia certo più là che a’ venti di aprile. Avisimi mercore il giorno della partenza vel circa, acciò che io possa sodisfarmi.... Attendete a spedirvi, per far le palme in Roma ». (2) Quanto pregiassero i due amici le lettere vicendevoli, si apprende da queste linee di Saivago, scritte il 28 luglio 1572: « . . . . Rimando a V. S. le su: lettere, le quali non sono quelle che io desidero, perchè io vorrei tre o quattro che già mi mandaste et con troppo fretta rivoleste, scritte nel 570 sul principio della guerra, dove ce n’ è una assai lunga, meno trista delle altre, che allora vi piacque. Di gratia fatele cercare, et mandatemele poi che le harete. In queste non ci è cosa degna, da due in fuori. Se io le harò, con questo otio che mi tiene in casa, si rassetteranno, 0 non mai più; le vederei volentieri. 11 Doria ha havuto il libro, et mi dice che rimanderà 1’ autentico ; nou harete nuova fatica ; che io vi lascerò quello, et poi ci rivedremo 0 Roma ». Forse l’autore di quelle lettere intendeva pubblicarle, coni’ era il vezzo de’ letterati del sec. XVI, che scrivendo a sfoggio di erudizione, anche su argomenti di lieve importanza, si proponevano di renderle di pubblica ragione. Di quell’ epoca abbiamo infatti un epistolario copiosissimo. — 868 — nuovo confine, o al trattenersi con guerra difensiva al nuovo assalto , et in questi casi chi ha tempo ha vita. Meglio certo sarebbe bever grosso et adormentarlo per hora con danari, che porsi in rischio per questo anno di guerra aperta. Volesse Dio, che tre anni sono si fosse pensato solo al difendersi, lasciando le vanità del guereggiare con tanto principe, che si sarebbe diffesa Cipro, conservato 1’ oro, et non fidatosi di chi solo pretende et aspira ad occupare Italia. Quanto più spesso mi darete nuova di quei successi, tanto mi farete sempre gratia maggiore , essendo infatti cura quae tangit omnes. Et qui, come sapete, non dà mai Veneto alcuno il libro del netto, tal che bene spesso il pontefice vive al bujo ; ma di questo basta. Se m. Giorgio verrà in Italia questa state, che non credo, spererò forse vedere V. S. a Roma, la quale senza comparatione non gli potrà piacere quanto Vinetia nelle operationi carnali, ma nelle spirituali vi daremo il vostro contento in larga copia. Venendo V. S. qui di aprile o maggio, forza sarà che si trattenga fino al settembre, dove berete freddo, con carne, frutti, vigne et vini pretiosissimi; ogni cosa a buon mercato, fuori che la carne della vacca, assai più cara che il capretto o il fagiano. E pur volesse Dio che fosse anco buona, ma per trista che ella sia, si vende a corto pezo et largo prezzo. Beata Vinetia, dove tanta è l’abondantia, che satia non pure i terrazzani, ma i forestieri a prezzo honesto, grafie che a pochi il del largo destina. In somma per mangiare et per discorrere è bella Roma, per godere et generare è regina Vinetia; et pure è questa consolatione la maggior opera et la più utile che faccia la natura. Vi ho invidia ogni giorno verso la sera, quando io pur mi penso, che siate in bella compagnia nelle case della Archi, intronata delle gratiose donne vinitiane. Madonna Helena Tressa, la quale può havere figlia bella et giovane quanto volete , ma non gia mai che non si dica mater pulchrior. Voglio finire per non mi contristare , et vi prego felicità. Raccomandatemi a lei molto et spesso, perchè io 1’ amo in estremo. Al sig. Baglione tenete le mani sulle redine, che con queste nuove cavalle barbare non corra troppo, perchè avanzerà il tempo et mancherà il potere, se egli non va destro. Sono al solito pronto in ogni vostro servitio — 869 - et vi bacio le mani. A’ 23 di genaro del 74. Di Roma, senza cardinali nè ragionamento 0 pensiero di farne, se non dopo l’anno santo. A Nicolò di Primo. Venezia 1574 6 Marzo. Osservandissimo signor mio. Io era assai vicino, se non a dolermi , almeno a meravigliarmi che in tanti romori di guerra, in tante provisioni di arme, ella non mi scrivesse cosa alcuna, quando d’ improviso appunto nell’ hora del scrivere mi è stata data, ancor che tardo, la vostra carissima lettera. In essa ho veduto distinta-mente lo stato della Republica, et sentitone tanto dispiacere, quanto importa il danno universale di tutta Italia. È così grave il vedere, che quei signori habbiano havuta mala fortuna nella pace, come è insopportabile il patire la insolentia spagnuola nella compagnia della guerra; tuttavia chi ha potuto tanto tempo reggere alle spese per defendere, sarà facile a supplire nel solamente difen-• dere, et lasciando i pensieri privati del rubbare , et con insolentia commandare, potrà forse più agevolmente ridursi a termini di continuare la guerra con modestia et con prudentia guardando il suo. Nuoce veramente questo impensato incomodo a ciascun Christiano , ma sopra tutti potrebbe nuocere al perfido spagnuolo nel regno di Napoli 0 di Sicilia, et anco allo innocente prete in questi mari di Ancona e della Marca, danni però tutti, che se non di presente saranno sentiti dagli altri, almeno fra poco spatio nuoceranno a ciascuno che viva con christiano nome, se Dio per miracolo non ci provede. Fra tanti publici travagli non mancate di gratia, secondo la occasione, avvisarmi distintamente, vedendo io quanto sia vero e quanto probabile tutto ciò che mi scrivete, nè habbiate dubbio alcuno che le vostre lettere siano 0 lette 0 vedute da alcuno, perchè solo il cardinale di Montepulciano è stato consapevole degli avvisi, et non mai huomo che viva al mondo, il quale considerato il modo del scrivere, e perciò stimandolo cauto, volse sapere l’autore, per onde rimane così ben sodisfatto, che desidera farvi piacere et utile, come voi meglio conoscerete — 870 — venendo a Roma. Penso io in ciò havervi acquistato honore, e forse in alcun tempo non picciol commodo, essendo il signor pieno di fede, di bontà e di magnificentia, oltre alle infinite speranze della sua persona. Secondo 1’ evento, non mancate di gratia dar notitia, che il tutto sarà sepolto..... Il papa vuol vivere gli anni di Nestore. De’ cardinali non si parla, et hieri morì Adrian Baglione. A’ 6 di marzo del 74. Di Roma. P. S. Venne il Cardinal Commendone, al quale per un saluto senatorio ha dato mons. Farnese la intimatione della lite sopra 1’ abbadia di Verona. Sarà guerra lunga et difficile. A Nicolò di Primo in Venezia. 1574 13 Marzo. Signor magnifico. Scrissi 1’ altro giorno a V. S. per via di m. Jacomo Ragazzoni, et hora faccio il medesimo per avisarla, che la risposta di questa non si mandi sotto sue lettere, partendo fra tre giorni di qui il vescovo suo fratello (1); ma havendomi, come aspetto, a scrivere, le indirizzi per il correro veneto ordinario, dal quale io procurerò haverle in tempo. Per vostra sodisfattione saperete che 1’ ultima lettera de gli avvisi veneti, come in vero era ben detta e distinta, così presso monsignor nostro reverendissimo vi ha acquistata gratia et riputatione non poca, per il che vi priego tanto a compiacere il cardinale, quanto facendo favore a me, che di ogni cosa importante siate contento dare aviso; nè dubitate di pericolo o danno alcuno, che da un tal signore e un tal amico qual vi son io , non potete temer mai incommodo di un minimo punto. Qui si ragiona di mandare in Spagna il Cardinal Montalto, (1) Sembra che questi sia Gerolamo Ragazzoni, veneto, e secondo alcuni, bergamasco. Fu anzitutto, ancor assai giovane, vescovo di Nazianzo, poi coadjutore di quello di Famagosta, donde, rimastone poi titolare per la morte di costui, dovette partirsi per la presa fattane dai Turchi, e rifugiossi in patria. Ebbe poi P ufficio di visitatore apostolico di Ravenna, Urbino e Milano. Fu eletto vescovo di Novara, ma impedito dagli Spagnuoli dal prender possesso di quella sede, fu trasferito a Bergamo. Sostenne altre cariche elevate e mori nel 1592. Ne scrisse la vita Paolo Bonetti. — 871 — frate di s. Francesco (1), si per le cose de l’arcivescovo di Toledo, il quale finalmente convien liberare, come per gli altri affari di N. S. et della casa, dove forse si tratterà di alcuna provisione per le cose del Turco a beneficio publico, già che questa armata che si prepara, può ragionevolmente dar timore alle cose dello stato ecclesiastico. Don Giovanni teniamo certo che passi in Spagna, et per discorso de’ più periti, dovendosi condurre in Fiandra, come nato del sangue d’ Austria, et figlio di quel padre, che apportando tanto rispetto , possa essere più facile instrumento ad acquetar gli animi de’ popoli, che non sarebbe qualunque ministro meno vassallo, già che nè il duca d’Alva per destrezza, nè il comendadore fino a qui per fortuna han potuto far cosa buona, rimanendo ancho con inutile consiglio il re risoluto non andarvi in persona, come già fece suo padre, di gran lunga più savio di lui. Sono tuttavia cose, che più stanno nella discursiva della corte, che nella certezza de 1’ aviso. Fra quattro giorni saremo chiari del frate legato et della partenza del Spagnuolo. L’altre cose dormono tutte affatto, intenti solo et vigilanti molto a! radunar oro in somma copia, del quale tanta abondanza ne habiamo a questa hora in castello, che trecento anni sono non habiamo veduto al-tretanto; se abonderà la vita, et si sveglino concetti et pensieri vasti, non mancherà modo da travagliare il mondo. Dii bene vertant. Voglio credere che alla ricevuta di questa harà V. S. potuto intendere da donna Angelica a s. Luca l’intera notitia della Vincenza che per l’altra vi scrissi, et forse anco potuto comodamente vederla et penetrare, se sempre sia stata sana, 0 almeno hora di qualche strano accidente ben guarita, importandomi, come già dissi, tanto la salute 0 forse più che non la vita, perchè a casi irremediabili 1’ huomo piglia partito , risolvendosi in tutto; ma dove è speranza di salute, che forse può esser vana, altri vive in dolore et alteratone continua. Di gratia, se mi amate, tenete conto di questo negotio , parlategli a lei proprio, che sarà facile, essendo viva, sappiate il suo preciso stato, et sopratutto la sanità corporale, et come potete, datemene distinta notitia, che in fatti (1) Fu poi il celebre papa Sisto V. — 872 — mi preme assai, nè mancate in mio nome offerirgli il vostro aiuto et favore in ogni honesto bisogno, et io poi avisato che sarò , die am tibi cetera. Questo basti per hora. Se Paulo Saivago (1) è partito, fate che io il sappia. Venendovi veduto mons. Benetti, di gratia offeritegli l’opera mia per suo servitio in questa corte caldamente, et raccomandatemegli. A 111. Josefo, al nostro Baglione et alla vostra et non mia peccatrice Helena Treccia raccomandatemi in solido con la antelatione della sua portion legitima et trebelliana, a madonna Helena sopra gli altri. Desidero intendere se il si". Sforza Pallavicino va alla di- D fesa di Candia, come qui alcuni Veneti han seminato, 1’ autorità de’ quali in particolare essendo ambigua, et la verità per uso della natione assai sospetta, rende a molti difficile il crederlo. Il cardinale vi saluta ; aspetta per mia mano legger vostre lettere, delle quali altro non vi so dire, se non che egli vi stima huomo da Stato, nè vuole in alcun modo che siate mercante. Commandatemi et state sano. Scrivete le lettere senza il vostro nome, bastando dire « l’amico vostro », poi che io bene conosco la mano. A’ 13 di marzo del 74. Di Roma. A Nicolò di Primo in Venezia (2). 1574 20 Marzo. Ringratio tante volte V. S. della buon nuova, et certo da molti non sperata pace. Avante io 1’ ho a tutte 1’ hore desiderata per salute universale di Italia, poiché infatti a fuggire quella imminente rovina della o fiera servitù 0 dura insolentia spagnuola da sop- (1) Non appare chi sia costui, nè lo si può desumere da altra lettera del 14 febbraio 1 $73 » dalla quale ci sembra negoziante di panni. D’ un altro Saivago, di nome Giuliano, si parla nella Stona della Repubblica di Genova, ecc., voi. V, pag. 289, di M. G. Canale: egli veniva dal card. Gerolamo Doria mandato a Milano come suo rapgresentante fidato a trattare col governatore Ferrante Gonzaga dei mezzi atti alla pacificazione, secondo lui, di Genova, allorché la Repubblica versava in forse di sò medesima per arte di coloro che macchinavano di opprimerla col pretesto di salvarla ; alcuni de Fieschi, Adorno, Spinola e Doria cospiravano con Francia e il duca di Parma per invaderla. (2) A lui sembrano scritte le lettere seguenti, sebbene nel codice, tranne qualcuna, non rechino indirizzo. — 873 — portare, altro rimedio non vi era che dargli un poco di facenda, onde guardasse tanta abondanza di regni con sì larga mano donatigli da la fortuna, nè altro poteva svegliarlo che questo Turco, quando habbia composte le cose venete, a fargli venir voglia di attendere a conservar il suo senza più sete di occupar 1’ altrui. I ruova Dio benedetto i mezzi da ridur le cose in pari, quando altri meno ci pensa. A tutti gli huomini d’intelletto et libertà italiana gusta assai questa benedetta pace, degli ignoranti et degli interessati non si tien conto, come de inutili o poco amici; preghiamo la bontà divina che ella duri tanto, da poter ristorar quella gran città, et dar tempo agli altri a provedersi, quando pure voltasse il Turco l’armi contra la Chiesa o le marine di Italia. Io moro di voglia o che veniate a Roma, o di havere io occasione di tornare a Vinetia per venti giorni, tante cose sopra di ciò harei che dirvi, discorse et conosciute in questa città sopra la malignità hibera, che infatti non si ponno scrivere. Don Giovanni sarà a Civitavecchia fra pochi giorni, et anderà in Spagna; a visitarlo manda Nos.tro Signore il sig. Jacopo (i), come la più cara cosa che habbia. Altro non habbiamo degno di consideratione..... Comandatemi et state sano. A’ 20 di marzo del 74. Di Roma. Allo stesso. 1574 27 Marzo. Osservandissimo Signor. Veggo per l’ultima sua il beneficio stimato grande della pace in Vinetia, senza molto pesare il danno o l’incomodo dei cittadini di Zara, la qual cosa, poi che ha havuta per madre naturale la sola necessità, conviene sopportarla con rabbiosa patientia. Non ha luogo nè la ragione, né la volontà, quando altri opera sforzatamele, pur che duri almeno un pezzo questo infido accordo, et dia tempo a munire et accumulare alcun ducato per meglio -resistere al nuovo impeto barbaro, sarà manco male. Non vi adormentate sotto vane et turche promesse; che se (1) Giacomo Boncompagni. — 874 — l’inimico naturale vi coglie sproveduti, et vegga un bel tratto di occupar qualcosa, romperà cosi la nuova fede, come spezzò la vecchia, quando sotto la pace domandò Cipro senza causa. Il fatto insegna il fare, et guastando s’impara. Lodo il consiglio del dogie che mandi il Sforza in Candia, nani praeterita tnagis possunt reprehendi quam corrigi..... II misero Cardinal da Este già sarà così in Vinetia come in Roma giunto per morto, et pur hieri se ne hebbe l’aviso. Al papa non tocca dar nulla, che tutto è alla collatione regia. Non so se 10 possa promettervi la vita di Montepulciano sicura a settembre, 11 quale per nuovo accidente da pochi giorni in qua ci mette paura con certa febre sopra ottanta anni; ha però tanta radice, che io ne spero assai, poiché la febre lo lascia mondo. Io perdo il braccio destro se egli si muore, et voi perderete un amico, ma ancora non me ne despero. La botta di Este mi ha colto in testa, essendo mio particolare signore; non posso più. Sono più che mai vostro. State sano. A’ 27 di marzo del 74. Di Roma. Scritta da Roma a Venezia ad un Amico Raguseo (1) ivi stanziato. 1574 Aprile. Il papa mandò suo nipote diletto Jacopo Boncompagni in Gaeta a visitare don Giovanni, et fra presenti d’Agnus Dei con gioie, zaffiro bellissimo in anello, armatura miracolosa et corone di molto prezzo, è asceso il dono a circa 8 mila ducati. Al incontro dal Spagnuolo si è havuto con spada et pugnale guarniti di finissimo oro, et uno fornimento di cavallo adorno de piastre d’ oro battuto, il valore de circa 3 mila: carezze assai, facendolo mangiar seco sotto il baldacchino quel Giovanni, che anchor non ha mille ducati di entrata. Il nostro cerimonial pretesco grida, concedendo a solo Cesare il baldacchino; così va il mondo. Voi intanto per l’armata ventura, se sarete savj, provederete Candia et'Corcira, perché il bello e commodo rubar fa l’uomo ladro, nè vi fidate di pace (1) Forse lo stesso Nicolò di Primo, sebbene il codice rechi solo questo oscuro indirizzo. — 875 — latta (i) con scritture, quando potete perder i Stati con l’armi. Questa tardanza del Barbutio (?) non piace punto a Roma, et tutti i prudenti stimano che bene sia guardar quelle isole, et lasciar le vanità di fare armate grandi, per combattere poi col Turco soli , dove il numero de le galee non si può agguagliare, nè l’ardire al combatter sarebbe forse pari. Volesse Dio che da principio si fosse preso partito di difendere con 1’ armi terrestri il suo, che non si perdeva Cipro, nè soprastarebbe hora tanto pericolo a tutti, de noi altri preti et Italiani parlando, perchè del resto chi così vole, così habbia. Già si commincia a conoscer quanto il danno di quella gran città et quel dominio possa esser dannoso, anzi esitiate al resto, et perciò si desidera più fanti, più arme da porre nelle isole, che galee; questa opinione è dei maggior prudenti, i quali, come sapete, per tutto son rari. Io quantunque habbia la voce rauca, ho però sopra de ciò gridato tanto, che sono stato inteso. Per l’amor de Dio, avertite quelli, con quali potete confidentemente parlare, che non perdonino a spesa per conservar Candia et Corcira con molti fanti e buon capitani, dicendolo ancho da parte mia a quelli che stimate migliori. Il sig. Jacomo anderà in Ancona a riveder et provedere le terre della Marca per timore di questa armata; et N. S. non ricusa lo spendere in questa attione. Sia detto ogni cosa con cautela, per giovar potendo. Dio vi salvi. In altra lettera del 24 aprile IJ74, eh’'e una copia della presente, aggiunge: Altro non ho che dire, aspettando il ritorno di m. Andrea Baduero et del procurator Barbaro con sommo desiderio (2). (1) Eugenio Alberi pubblicò, tra le altre, la Relazione del Turco dopo la pace conclusa con la Signoria di Vene\ia nel 1/74, di Costantino Garzoni. È assai diffusa, ed un ricchissimo emporio di notizie pellegrine e preziosissime, politiche, amministrative e storiche di quell’ impero , ed un quadro dei costumi d’ allora, (2) Ai 15 del successivo maggio scriveva di Roma allo stesso m. Nicolò : « .... lo sono in modo privato di amici da un pezzo in qua, che essendone morti tanti, non so più dove mi volgere. Per il mio ultimo esterminio è morto il card. Montepulciano , senza il quale vi confesso che non mi sostengo in piedi nò veggo lume. Conservatevi di gratia, m. Nicolò mio, almeno per non offendere tanti che vi vogliono bene. Di nuovo non habbiamo cosa degna .... Partì hieri il sig. Jacomo Buoncompagno per Ancona, dove starà non solo questa state a difendere quei paesi da 1’ armata turchesca, ma si crede un più lungo pezzo anchora, sopravenendo il principio de 1’ anno santo, per sodisfare a Teatini et dissimulare l’amor carnale verso il figlio, dandosi in tutto allo spirito. Habbiamo certo .principe buono, fugge lo scandalo et soddisfa quanto può alla estrinseca chietinaria per fargli piacere »..... — 876 — A Nicolo di Primo in Venezia. 1574 12 Giugno. Osservandissimo Signor. . . . Gli avisi che V. S. mi diede ultimamente, furono carissimi, et cosi saranno sempre ogni volta che vi piaccia farmi parte di ogni-cosa importante che accada, come vi priego instantemente, perchè sono qui huomini grandi et gravissimi, molte volte scarsamente informati, et manco talhora veridici del bisogno, attesi gli interessi veneti, che di raro danno il libro del netto , et mons. Nuntio bene spesso viene informato diverso dal fatto. Non vederi le nostre lettere altri che il sig. Filippo e nipote pontifìcio disegnato cardinale, giovane di somma espettatione, d’ingegno , modestia et taciturnità grande ; a tutte 1’ hore parla col papa, et intende da me molto volontieri ciò che va per il mondo. Stia di gratia V. S. avvertita nelle cose di sustantia, et scriva di attentione quel tanto che passa, con migliori et più certi riscontri che possa, acciò che accadendo, possa Sua Santità vedere le lettere nè dubitare di cosa alcuna, che questo è secolo cauto, tenace et fedele, nè potrete con queste amicitie perder nulla. Per cosa che è di importanza molta, sarete contento dar la inclusa di vostra mano al proprio sig. Sforza Pallavicino, pregando la sua illustrissima Signoria a darvi la risposta, nè mandarla per altra via, mostrandogli ancho questo istesso ordine, pregandolo ancho con sua comodità a rispondere assai tosto. Non si mandino le mie lettere per altra via che de l’Olgraro (?), depositario apostolico, amico mio. Qui ho inteso con incerto authore, che il magnifico m. Nicolò Doria, nostro principal gentilhuomo, è in Venetia. A me pare assai nuovo, che egli habbia 0 voluto 0 potuto uscir di Genova; pure la gran somma di oro che possiede, l’harebbe potuto indurre, cercando di collocarne parte fuori de’barbari, a fare in Venetia lo scandaglio per mettersi in sodo. Se egli vi sarà, fategli di gratia le mie infinite raccomandationi ; et se io affermatamente lo credessi, gli scriverei, come ancho farò, quando da V. S. io sappia se le lettere lo possano trovare più in Venetia, non credendo che egli muti la state ligustica nella veneta. Nel resto sono tanto desi- - 877 — deroso, quanto ubligato a servirvi sempre. State sano, et comandate. A’ 12 di giugno del 74. Di Roma. P. S. Non vi si scordi alcun discorso vinitiano sopra la morte del re di Francia, cosa che hoggi dà tanto che pensare, et al papa più di ogni altro ; et quando dico vinitiano, intendo di collegio , non di Rialto, ma da un huomo republichista et vostro pari. Allo stesso. i $74 26 Giugno. Signor Magnifico. Sono tuttavia indisposto, nè posso prometter di me cosa alcuna; solo vi dico che gli ayisi di V. S. sono stati carissimi, et dal sig. Filippo nel modo di quelli assai lodati. Gli ha veduti Nostro Signore, al quale non è molto parlando io, et dicendoli che delle cose occorrenti si harebbe assai certa notitia, gli piacque, per dover intender per sè cosa alcuna che qui si tace, considerati i rispetti et le non molto per aventura buone sodi-sfationi, che per 1’ ordinario cadono tra grandi. State di gratia avertito, et scrivete spesso et cauto nel dire et affermare più che si possa, aggiungendo ancho la vostra opinione, la quale per lunga pratica può riuscir veridica. Da hora innanzi lo illustrissimo signor nipote nelle nostre lettere sarà nominato m. Filippo, et il pontefice per questa voce l’amico; tutto si fa per buon rispetto. Come io sia sano, et Francesco in termine per condurre l’amico, lo manderò subito. Intanto si può haver risposta dal signor Sforza , et per vostra mano 1’harò caro: quando molto tardi, non sarà più necessaria. Mi meraviglio non haverla havuta; potrete con destrezza sollecitarla. Sono tutto turbato, et con molto caldo 11011 bene stante, come io soglio. Se alcuna cosa si intende della venuta di Angiò in Italia, scrivetela subito, che Nostro Signore la desidera molto, et cosi ancho de l’armata per le cose di Ancona, dove habbiamo il maggior rischio della persona de l’unigenito. Son tutto al suo servitio, pregandola che mi ami et comandi sempre. State sano. A’ 26 di giugno del 74 Di Roma. Atti Soc. Lig. St. Patria, Voi. XIII, Fase. IV. $6 — 878 — Allo stesso. i $74 io Luglio. Osservandissimo Signore. Già son due settimane che non ho lettere da V. S., et se bene in ogni tempo desiderate, in queste maggiormente turbulentie et moti di principi con molta avidità aspettate. Se per la venuta di questo grande et religioso re (r), sete tanto come bono italiano rallegrato et occupato, che non vi so-venga di scrivere, donerò tutto ad una giusta allegrezza, la quale impiegandovi in discorsi sottili et pensieri profondi, mi vi faccia scordare afflitto; ma poi che posto il mondo in squadra, sarete appieno sodisfatto con quei magnifici messeri del divisare, non vi scordate di gratia i .vostri amici, facendone parte di ciò che si speri, di ciò che si desideri, et di quel tanto, che per quella gran republica si prepari alla venuta di sì gran principe in Vinegia. Questo abandonare nelle felicità i suoi tanto amorevoli et fedeli amici, quale pur vi sono io, è opera più da amico di fortuna, che di vera virtù. Benedetti siate voi, che questa volta saprete tanto fare, assicurandovi della amicitia franciosa, che poco o nulla possiate temere della alterezza spaglinola. Le occasioni cosi fatte ven-gon di rado; se non le saprete usare, sarà la colpa vostra. Egli è nuoyo re, ha molto da fare cosi in casa propria per la sua quiete, come fuori del regno per le sue speranze. Poi che il mondo va declinando alla grandezza hibera non solo in Fiandra, ma anchora in Africa, se gli farete carezze, harà di gratia una amicitia italiana soda et potente, da poterlo assicurare dal male, et dar speranza di maggior bene. Noi vi habbiamo mandato un legato tanto forse per far bene a voi, come a noi, perchè la religione col suo ordinario rispetto ci assicura in tutto, ma alle vostre ri-chezze et vostri Stati havete certo bisogno di amici et diffensori, del quale niuno veramente 0 per valore 0 per bontà si può in Europa trovare nè più pronto, nè più perito di questo religioso principe. Aspetto io et ancho il nostro m. Filippo intendere con (r) Enrico HI, fratello e successore di Carlo IX, re di Polonia, figlio di Caterina de’ Medici. Entrò in Venezia il 17 luglio di quell’anno: ossequiato dai duchi di Savoja, Mantova e Ferrara, e dopo dimora di soli due giorni, per Ferrara c Torino tornossene in Francia. — 879 — vostre lettere quello che si discorra sopra la sua venuta, et quello che in fatto si creda, quando egli habbia a giugnere, perchè se poco più dimorasse nello arrivare di quello, che per le lettere di Vienna et di Vinetia ci è data intentione, potremo certo dubitare, che o la violentia o il mal consiglio gli havesse fatto mutar proposito et per conseguente viaggio, della qual cosa già stiamo in qualche ansietà, non havendo da’ 25 di giugno in qua nuovo aviso del suo procedere; si che di gratia avisate distinto. Harete intesa la promotione al cardinalato del sig. nipote Gua-stavillano, persona invero gentile, modesta et atta ad ogni importante negotio; fa le faccende ecclesiastiche in luogo del Cardinal San Sisto, credendosi che al suo ritorno debbano le cose pigliar nuova forma, trattandosi tutti i negotii per mano de consanguinei, a’ quali certo si deveno. Se farete carezze al nostro Legato , ci farete piacere, et se ne farete esatto giuditio, haremo caro intenderne la opinion del collegio, perchè quella della piazza, come fatta spesso a caso, non ci dà regola. Io non sono affatto gagliardo. ... Io poi stando al solito, pronto al suo servitio, le bacio la mano. A’ 10 di luglio del 74. Di Roma. P. S. Intendo che m. Battista Negrone è tornato a Vinetia per fermarsi, come forse non me ne maraviglio, attesa la angusta habitatione di Genova; così se è per suo comodo 0 piacere, me ne rallegro; fategli però per cortesia le mie raccomandationi, pregandolo a scrivermi tutte quelle volte, che egli sia stanco et satio di guadagnar oro. Cosa che sebene accaderà di raro, pure il sapere che di me si ricordi talvolta, mi sarà caro. Non vi scordate tenermi in gratia del mio m. Giosafo, pregandolo a servirsi di me per quanto vaglio. Allo stesso. 1574 24 Luglio. Signor Magnifico. Ogni buon debitore paga con gli interessi, ma gli huomini eleganti come voi non solamente pagano, ma anchora donano, et tra quelli che mi havessero potuto donare in — 88o — questo tempo cosa che io havessi desiderata, ninno certo mi ha-rebbe pienamente sodisfatto al pari delle vostre lettere, le quali et mi hanno ragguagliato di'ciò che tanto importa, come la venuta del re a salvamento, assicurandomi insieme della vostra salute, che in tanti giorni di silentio mi facea molto dubitare. Sono stati così pigri quei ministri di Vinetia da ogni parte, che il vostro aviso si può dire il primo, oltre a 1’ essere il più distinto, carissimo al nostro m. Filippo, che pure havea carestia d’ altre lettere. Scrivendo V. S. che desidera 1’ opinion romana circa le vinitiane in-scrittioni, vi dico che costoro, i quali dubitarono della voce hospiti, mostrano intender poco la lingua latina, et stimano ancho meno la libertà vinitiana, perchè non essendo il re padron di Vinetia, di necessità alloggia come amico et forestiero, nè più latino si potea dire in una parola come hospite. Quelli a chi non piacque la voce restitutori, anchor che certo in Francia il giovane habbia restituita la religione, nondimeno se si fosse detto assertori, hareb-bono havuta più ragione, parlandosi molto proprio et togliendo ogni scrupolo. In reliquis desiderantur multa. Ben vi dico che quella Pollonia, messa con le due sole parole, è cosa elegantissima et implet omnes numeros, se così alla Francia lieta si fosse lasciata la voce laetare, più in vero da salmo che da inscrittione, et solo ha-vesse detto optate veni, era più romano et più acuto; nondimeno considerato che forse in Vinetia ab urbe condita non è mai altra volta accaduto fare arco romano, è tanto tollerabile, che basta in quel paese. Vorrei sapere se m. Gioan Donato in questi scritti ci ha havuta parte, perchè quella Pollonia col diterio cosi arguto mi dà odor di lui. Circa la tacita entrata del nostro prete, solo questo con molta noja si può dire, quod nihil ab omni parte tetrius, et peggio invero havete fatto voi, come più annosi et più periti, a non prohibir gli errori che i nostri al farli, perchè il giovane per la sua età tenera merita scusa, et i consultori suoi che harebbon dovuto esser vecchi, pur eran gioveni; ma quel Senato carico di anni non ha diffesa. Se il Legato, come era il suo proprio, andava ad incontrare il re nello Stato di Vinitiani, si toglieva ogni difficultà, et andasse però con pochi in posta tanto oltre, che lo havesse solamente in- — 881 — contrato et veduto, voltando poi certamente a Vinetia et andando a Murano, come fece. Ma se pur questo per minor consiglio non era fatto, poteano certo quei messieri avertirlo che la sua dignità pativa troppo, entrando a quel modo; ma bene aspettato il re, secondo l’ordine di tutti i grandi, che il maggiore va prima che il minore, per essere egli il cercato et ritrovato, havesse poi il legato fatto la sua entrata nel bucentoro con la persona del doge incontro, come si suole, poi che li re di Francia hanno questa tolerantia da Santa Chiesa di non incontrar mai legato alcuno, sarebbe, dico, proceduta la cosa con ordine. Hora non resta altra consolatione, se non che faccendo si guasta, et guastando si impara. Un’ altra volta errarete meno, ma la miglior di tutte le provisioni in questo caso è il parlarne poco. In questa dimora regia di grazia non ci abandonate, scrivendo così distinto delle cose di negotio, come di quelle di solazzo, perchè questo viaggio o per Italia o per Germania ci dà che dire et dubitare assai, tanta è la importanza del suo arrivare et presto et sicuro in Francia a tutta quella parte di Cristianità, che desidera vivere in quiete fuori di pericolo. Aspetto grandi avisi et lunghe lettere da V. S., alla quale di cuore mi raccomando. A’ 24 di luglio del 74. Di Roma. T. S. Non vi si scordino tutti gli accidenti del Legato, quantunque minimi, perchè a noi questi ci importano; nè dubitate offendere , se ben si dica il vero ; et questa lettera, di gratia , non mostratela ad alcuno, nella parte, dico, del Legato. Allo stesso. »S74 3' Luglio. Se V. S. mi havesse così saputo dire le parole del nostro Legato fatto a Murano col re, come mi havete saputo narrare la taciturnità usata col dogie, mi hareste più distintamente consolato, ma non per questo detta cosa molto 0 nuova, 0 lontana dalla opinion mia. Se quel Bartholomeo, a cui tocca fare le instruttioni, facesse le cose nella forma solita et debita che si usa et si conviene, harebbe certo il giovane 0 in tutto 0 in parte riferito, se — 882 — non le parole, almeno il concetto delle cose ordinate et in simili casi convenienti. La colpa in questo è tutta da trasferirsi in chi presume di governare et comandare già carico di anni, non in chi tanto si può dir fanciullo, e solo mandato per essequire et ubedire. Spero pure che fra poco usciremo di tanta ignorantia, et col mutar consiglio si muterà forma di procedere, alla quale per comune opinione siamo fra brievi giorni vicini col ritorno del Legato. Pare strano che quei signori ad un tanto re posto , si vede, in spesa necessaria et- tanto essausto, in casa loro non habbiano offerto almeno cento mila ducati, poi che il domandarleli si potea credere, che S. M., come modesta, non lo dovesse far mai, et che lo occorrere al pudor regio et il sovenire un tanto huomo era colpo senza pericolo, dovendo egli per fuggire tanta nota rendergli subito, giunto che fusse in casa sua. Harete difficultà a salvar questo termine troppo parsimonioso, per non dire poco civile, essendo massime contra magnificentia usata nel resto. Sed non omnia possumus omnes. Ancho dei valenti homini pigliano alle volte il punto a riverso. Se niuna cosa meritava questo debito ofEtio, lo andare di quel re improvisatnente a visitare il doge, honorando tanto eccessivamente quella nobiltà, gli doveva pur muovere a fare alcun segno et di gratitudine et di civil debito verso quella maestà. Quanto invero fu improprio et importuno il modo usato da quel duca nel descrivere il popolo vinitiano per forestiero, tanto più fu acuta et pronta la risposta del principe con pungerlo quanto bastava in presentia di si gran re. Meritano questi giovani alle volte essere corretti in publico et rintuzzare 1’ ardire incongruo, parlando con tanto maggiori di loro et di quello che appena sanno conoscere, non che giudicare. Imparerà per un’altra volta ad attac-cazzarsi col terrazzano, che in sul viso gli disse come egli solo era il forestiero, escludendolo quasi dalla nobiltà vinitiana, della quale già tanti anni è pur partecipe. Bastigli questo per un pezzo. Le dimestichezze et le soverchie allegrie usate in Vinetia da quel giovanetto principe, se pur le volete notare come indegne di huomo maturo, sculpatele almeno, che dalla liberta et licenza patria franciosa vengono tutte usate sempre da loro senza alcun biasmo; et se questo non vi basta, almeno condonate questo altro ad una — 883 — tanta allegrezza di essere uscito quasi fuor di prigione pollona (i), et condotto libero et salvo in Italia, che per la cautela si può dire una Francia; condonate, dico, insieme come fate agli altri huomini qualunque pazzia fatta per allegrezza nel carnovale, poiché poi tornano savi la quaresima. Non può la gioventù star sempre speculando in cielo, ma bisogna che essendo nata in terra, stia ancho talvolta in terra; basta però che circa le cose essentiali egli vuole entrare armato in Francia, et nel modo del viaggio, egli dimorò poco in Germania, dove forse era il maggiore pericolo, et anche si crede che tocchi poco del terreno spagnuolo. Questi sono colpi di qualche importanza, ma l’andare per la Merceria di 23 anni non pregiudica al regno, anchor che certo meglio fusse stato a servar più gravità, o quel che più importa, non commettersi al pericolo di un mal francioso per le mani 0 per le coscie d’ una nefanda. Questo infatti a me non è piaciuto punto, ma di ciò la colpa è tutta di quel parente duca, pratico di Vinetia, che lo meglio dovea guidare che non fece; ma la natura sua poco inclinata allo spendere ha dato quel consiglio ad altri, che egli prende spesso per sè. Il re con la dolcezza et con la immensa famigliarità governa et possiede il suo regno ; non è meraviglia, se con modi medesimi ha creduto addolcire et cattivarsi i Vinitiani; se gli sarà riuscito, harà egli fatto bene, et quando non sia, harà stimato Vinetia pari alla Francia, come si usano quei modi, nè però resteranno offesi i Vinetiani, assai minori di potenza di quel regno. Voi, come huomo anchor giovane et per natura non molto severo, habbiate, vi prego un poco di tenerezza ad un fanciullo, mentre non fa altro male che dimesticarsi troppo, facendo carezze altrui. Questo è di tutta la vostra dolce lettera il parer mio. Vi priego che dopo la partenza di S. M. delle cose ultime seguite mi diate aviso. Vi bacio le mani (2). L’ ultimo giorno di luglio 74. Di Roma. (1) Quando Enrico III divenne re di Francia, trovavasi in Polonia, d’onde quei magnati non volevano lasciarlo partire, col pretesto di dover radunare la Dieta. Ma sollecitato pur vivamente dalla madre reggente a portarsi tosto nel suo regno, dovette porsi in viaggio occultamente, ossia fuggire. Fu inseguito dai Polacchi, ma non raggiunto, e passata felicemente la Germania, giunse in Italia e scese a Venezia. (2) I11 questa lettera si sottoscrive senz’altro: « Gran servitor 1 amico vecchio ». — 884 — P. S. Poi che il gran Negrone ha meritato affrontarsi a colpo a colpo con un tanto re et trattare materia preciosa, io non sono ardito scriverli, non trovando titolo che dargli. Poiché lo illustre mi par poco, il reverendissimo non si conviene, havendo moglie, et della eccellentia dubito non offendere il duca di Ferrara. Finché da quello serenissimo popolo non gli sia costituito un fermo titolo, late per me la scusa, se io rallegrandomi non gli scrivo; et intanto raccomandatemi alla sua nobile persona grandemente. Allo slesso. 1574 14 Agosto. Osservandissimo Signor. Non ho parole da ringratiarvi, nè meno il modo da sodisfarvi per tanti favori usatimi da V. S. in questa venuta del re franzese, il quale con le vostre lettere ho così ben conosciuto, come quasi io l’havessi veduto. Et tanto più veri sono stati gli avisi suoi, quanto che hanno mancato di adulatione et di livore et odio verso quei grandi, a’ quali molti desiderali male senza saper la causa. Se pur sarà vero, come io desidero estremamente, che ella venga questo ottobre a Roma, procurerò che alcuni cardinali miei signori paghino seco quel debito per me, che io certo non posso, col fargli tante carezze, quante io potrò impetrar da loro. Perciò la priego instantemente a darmi col primo nuova certa, se ella crede 0 vuole venir qui questo anno santo, come non è molto che V. S. me ne diede intentione, et ciò dico per alcun rispetto mio particolare, del quale I10 bisogno poter seco conferire allungo et risolvermi affatto; sì che di gratia me ne dia ragguaglio. Di Africa hieri habbiamo nuova certa per huomo mandato a posta, detto Hernando Gomez hibero, il quale partito a’ 29 di luglio, havea lasciati morti sette mila turchi alla Goletta, con quasi disperatione di poterla espugnare. Nel forte sta pronto et ardito il sig. Gabrio (1) con poco timore di esser violentato, ma ( i ) Gabrio Serbellone, milanese, valorosissimo soldato. È noto come sì il forte che la Goletta caddero in potere dei Turchi con grande strage de’ difensori nel settembre di quell anno. Il Serbellone, trattato barbaramente da’ vincitori, comandati da Sinan pascià, fu menato schiavo in trionfo a Costantinopoli. È quell’ istesso, che col card. Morone rappresentò Pio IV nella convenzione con Leone Aretino perula costru- — 885 — ben sicuro, quando pure per l’abbondantia de’nemici sia consumato ma non vinto, di doverne amazzar tanti, che appena rimarran vivi quelli, che ne portino la nuova a Costantinopoli, dovendo esser più di dieci. Il sig. don Giovanni è passato già tre giorni, et con otto mila fanti promette soccorrere il forte et la Goletta per mano di Gio. Andrea Doria, che ci ha il fratello, il quale non vuol che perisca. Staremo a veder l’essito, ma fino a qui la speranza è grande. Di tutto sarà avisata V. S., alla quale bacio le mani. A’ 14 di agosto. Di Roma. P. S. Mi era scordato che fra il bascià et 1* Occhiali corsaro (1) sono corse alla Goletta di strane parole, rimproverandogli il generale, che per suoi privati interessi et minor cognitione dell’arte militare, habbia con tanto danno una vana guerra al gran Signore. Questi caldi tanto eccessivi togliono la memoria altrui. Perdonatemi. Mi raccomando al gran Negrone. Allo stesso. 1574 28 Agosto. Non ho lettere da V. S. già molti giorni in risposta, massime de l’ultima mia, per la quale io molto desiderava intendere, se la vostra venuta a Roma era in fatti per seguire questo Natale. Dubito non sia stata mandata dal corrier ordinario, a cui si diede per vostra commissione, 0 forse ancho intercetta, che sarebbe peggio. Delle cose di Africa siamo qui con nuove assai timide, et se il soccorso spagnuolo, come pur doverebbe, non aiuta quelle fortezze, haremo più facile il disperare che il sperare. Non aveano però con l’ultime lettere di Sicilia dato i Turchi anchora 1 assalto, ma solo attendevano alla batteria senza intermissione, nella quale faceano progressi gagliardi. Tutto il punto starà nello assalto, dove speramo ne debba rimaner morta somma notabile de nemici. Il torte in quel tempo non era molestato, intento il Turco solo ad zione , da questo ordinata a proprie spese, del sontuoso monumento mediceo, in marmo e bronzo, nel Duomo di Milano, su disegno dell’immortale Michelangelo Buonarroti. Fu compito nel 1564, e reca iscrizioni a Giangiaco no e Gabriele Medici, fratelli di quel papa, alla memoria de’ quali fu eretto. Veggansi in proposito gli Annali della fabbrica del Duomo di Milano, voi. IV. pag. 21. (1) Altrimenti detto Ulucciali. — 886 — espugnar la Goletta; la quale oppressa, stimano subito occupar il il forte con facilità, ma un nuovo soccorso libererebbe l’un luogo et 1 altro in uno istante. Bisogna tuttavia trovare un molto autho-rizzato sacerdote, prima che assolva lo Hibero dal stretto voto, già un tempo fatto, di non voler mai combattere, et in particolare contra il Turco, per il che stiamo qui di mala voglia.....Bacio la mano di V. S. Ill.raa et per sempre me le offero; et se non sarà pentita, la aspetto con desiderio innanzi Natale a l’aprire della porta santa. Dio la conservi et sempre la contenti. A’ 27 di agosto del 74 (1). Di Roma. (1) Ai 4 di settembre soggiungeva : . . . . « Aspettiamo d’ hora in hora intendere che il soccorso di 800 huomini sia entrato nella Goletta con due galere , col quale certo si difendarà. Il forte sta saldo , nè forse si perdarà » ; e il successivo giorno 18: « Mentre che voi andate a sollazzo per Lombardia, noi stiamo qui intronati dalle cannonate della Goletta, la quale anchora fin a due di settembre si reggeva ardita in piedi, senza mai havere havuto assalto alcuno, sicura di ammazzarne tanti, se però l’assaliranno , che pentito della impresa, non ava.izi chi ne porti in Costanjinopoli la nuova. Il medesimo ardire ha il sig. Gabrio, che nel forte si ride della batteria come inutile, et per 1’ assalto è proveduto di tremila huomini, che gli daran buon conto. È ben vero che se il soccorso delle due galee fosse entrato, braveriano con più sicurezza. Quel poltrone siciliano invilì in modo , che senz’ altro consiglio tornò adietro. Vi si è mandato di nuovo con sei galee quel fastoso Hibero Gilandrada, che promette soccorrerla. Il sig. Gio. Andrea Doria si offerisce con 60 galee suffragarla, in modo che ne leverà l’assedio, ma la perfidia spagnuola non dà tanta lode all’ Italiano ; senza soccorso si potrebbe perdere, ma perderassi con gran strage turchesca. Fino a qui siamo in termini dubii ; pur il tempo incalza , et sarà necessitato il nemico partire da quelle spiagge fra dieci giorni.....Se d. Giovanni con novanta buone galee et novemila fanti, che egli ha in pronto, assalisse 1’ armata turchesca, divisa in due parti, con le artigliane sbarcate et gli uomini in terra, disordinerebbe in modo l’inimico, che perderia 1’ armata quasi tutta; ma l’ardir esterno o la poltroneria domestica prohibiscono tanto utile e tanta gloria. Voglia Dio che il danno torni tutto sopra chi lo causa. Dite questo ad alcuno vostro confidente venetiano, acciò che conoschino quanto sana fosse la pace loro col Turco, poi che i Cristiani sono tali. ... ». Ancora ai $0 di quel mese allo stesso Nicolò ; « Se la guerra d’ Ungharia porterà pace a’ Vinetiani, ne potremo haver tutti piacere, et ancho tarderà le molestie di Italia, mediante 1’ armata loro che stia quieta, farà tanto maggior benefitio, quanto meno siamo habili a resistere, non havendo altra diffesa che la inertia spagnuola, le forze della quale non son buone se non a bravare il verno et poltroneggiare la state, cavando dal clero in Spagna sotto questo pretesto $00 mila ducati l’anno, et spendendone 50 per mostra, adormentando il papa che gliele concede. Siamo in mali termini, se per Dio gratia a giugno voltasse il Turco in Ancona, che Dio noi faccia. Quanto ristoro si hebbe dagli Spagnuoli, perduta la Goletta, fu il seminare malignamente una nuova, che fusse il re di Francia avelenato, la qual però essendosi ritrovata onde veniva, non ne fu castigato 1’ authore come meritava. Ma sarà ben vero che 1’ accordo di Fiandra sarà concluso non al gusto del re, et che i Spagnuoli anderan fuori, et viverassi civilmente senza tirannide alla barba del duca d’Alva et di Granvela ...... Cinque giorni innanzi esprimeva di nuovo i suoi timori sulle cose africane: « Siamo con poca speranza, al pari di voi altri, della Goletta, poiché già venti giorui è partito Gildandra di Sicilia con sci galee per soccorrerla, nè di lui habbiamo nuova alcuna; segno manifesto o che sia corso per fortuna in Asia, o dato in mano degli inimici, et senza soccorso si può tenere la Goletta perduta. Chi fida in diligentia spagnuola, può esser sicuro di perder sempre.....». - 88y — Allo stesso. i $74 9 Ottobre. Osservandissimo Signor mio. Finalmente con la solita inertia spagnuola, accompagnata da un naturai timore del combattere con huomini, che non siano legati in un sacco, si perdette il forte in Affrica, al quale invero mancarono i difensori per avaritia e dapo-cagine del viceré di Napoli, il qual essendo sempre stato di opinione contraria al fabricare quelle fortezze, non ha atteso punto al conservarle: insolentia accompagnata da ignorantia tale, che da ogni altro principe, che sempre non dormisse come Filippo, sarebbe castigata con la vita; ma egli che conosce con chi negotia, audet omnia. Il povero sig. Gabrio resta prigione, essendosi difeso virilmente quanto ha potuto, ma il molto numero dei vinti ha oppresso e stancati i vincitori. Duemila fanti più che haveva, gli consumava tutti, et certamente non l’harebbon preso. Egli è ferito e barbaramente stato offeso dal bascià con uno schiaffo a prima giunta; non si spera che viva. Pagan Doria è morto, al quale spiccarono il capo. Questo fine hanno havuto le bravate e promesse spagnuole: fidatevene se vi pare..... Hoggi con author non oscuro si è inteso che ’l re di Francia si scuopre avvelenato; la cosa è di tanta importanza, che non deve alcun savio farsene relatore senza certa scientia; bastivi sapere questo mal tuono, et state cheto per vostro interesse et mio. Se quel buon cavallier Soriano per prender l’habito chietino l’harà colta in farsi patriarcha di Vinetia, mi sarà caro; se non la coglie, ci rincrescerà a tutti due. Quid non mortalia pectora cogis? A’ 9 di ottobre (i) del 74. Di Roma. (1) Il successivo 27 novembre tra altro scrive: .... « Don Gioanni d’Austria deve a questa hora essere in Genova per ire in Spagna, et credesi per più non tornare. Andò il cardinale Pacecco pure in Spagna per fermarsi alla sua chiesa di Burgos, fatta di nuovo con titolo di arcivescovado. Aspettamo m. Jacopo Soranzo, nuovo imbasciadore, con disiderio, nè altro faremo, se non aprire la vigilia di Natale la porta del giubileo, alla qual fattione vi desidero ardentemente .... ». Veramente esso don Giovanni fu allora sospettato che meditasse d’insignorirsi di Genova, divisa allora da due accanite fazioni de’ nobili vecchi e nobili nuovi, mosso da privato desiderio, al dire di Muratori (Aiutali d Italia , ad ann. 157$), d’ acquistare un bel dominio per sè. - 888 — Allo stesso. 1575 29 Gcnnajo. Osservandissimo Signore. La nuova che mi diede V. S. circa la morte del Turco e già più giorni, si vede che era tanto propinqua al vero, quanto sono le cose considerate ragionevolmente, et gli avisi che vengono da huomini pratichi' hebbeno hieri ia totale confirmatione con noja molta, temendo assai della ferocità del giovane (1), insanguinato già nella morte dei due fratelli. Mi sono meravigliato non havere da V. S. con queste lettere aviso alcuno, perchè a me conviene perdonare se non vi risposi, stando in letto con la febre, nè potendo scrivere. Ho talhora creduto che non haveste più faccenda con l’Olgiato, vedendo due et tre procacci senza mie lettere, et ancho talvolta non scrivendo a lui, per quanto mi dicevano. Desidero distinta notitia di questa morte et di alcuna cosa seguita intorno a ciò, che non può mancare qualche particolar notabile. Di gratia con vostro comodo ragguagliatemi di quanto havete inteso da Ragugia o di Venetia, che sia cosa degna.....Raccomandatemi al nostro sig. Negrone, il quale disidero 0 che viva quieto nella sua patria, 0 che venga a Roma per guadagnar oro, che ben si può con questi preti fare avanzo maggior che in Vinetia. Nel resto comandatemi et state sano. A’ 29 di gennaio del 75. Di Roma. Allo stesso. 1575 19 Febbraio. Mi ha cavato V. S. di ansietà grande col rispondermi, temendo io, dopo tanti giorni che non havea sue lettere, o di lunga absentia di Vinetia 0 di mala dispositione. Sarò con lei più breve che io non vorrei, per essermi stata in questo punto data la sua lettera, che già è notte. Delle scomesse sopra la vita del papa per il mese di marzo, non vi travagliate in modo alcuno, essendo la cosa dubbia, tanto per la età et per la stagione, quanto per alcuni 0 (1) Amurat, succeduto al padre Selim. Quella successione fece differire la guerra di Candia , che il sultano defunto, insuperbito per le recenti vittorie, già meditava contro Venezia. — 889 - segni o prodigj, °he fanno ancho dubitare i più savj, et per poco guadagno non è bene a rischiar danari assai, massime sopra huomo di settantacinque anni. Quei di febraro si può sperare che siano guadagnati; tale pare lo stato di Sua Santità, et tuttavia non è ancora passato il mese, et gli astrologi, quantunque bugiardi, stian saldi che egli non morrà per tutto marzo. Circa il rumore di Teano, Giustiniano et Albano, pigliate alcune partite senza timore, perchè non pareno da cazze et sono trovate in terra. Harei sommo piacere, che per me ne pigliaste due partite sopra ciascun di loro, et che conservaste i danari presso di voi, dandomene aviso. Ho dubitato che hora che io son presente , et per gratia di Dio conosco gli huomini in viso, non perderete, ma ben forse sarà con vostro utile. Di Farnese et di Morone non ci è alcun pericolo, Piacenza ne ha molto buono, ma non vi impacciate con lui, nè dando, né togliendo, fino al passato mese di marzo. Sopra Farnese pigliate senza alcun dubbio, perchè egli si è risoluto non poterla vincere senza Spagna, et il re ha voto solenne che egli non sia, et di questo state sicuro, perchè io sono molto spesso seco per molti rispetti, et ne ho toccato il fondo; cosi volesse Dio, che egli fosse come non può essere. Se per me sopra di lui ne pigliarete due partite, mi farete sommo piacere, et priegovi instantemente che lo facciate, che col primo vi manderò una poliza mia obligatoria sopra di questo, la quale hora non faccio per carestia di tempo, scrivendo fuor di casa. Morone è assai più vicino al morire che allo esser papa, già consumato dalla vecchiezza et assediato da tanti nemici circa il pontificato, che tutti i danari sopra di lui son guadagnati, nè date orecchie a chi vi dice il contrario. Avisatemi di gratia ciò che fa la piazza quanto prima, et non temete che si guadagnerà al fermo. L’ hora è tarda, mi vi raccomando. A’ 19 di febraio del 75. Di Roma. P. S. Di tutto ciò non fate parola con huomo del mondo. Allo stesso. 1575 26 Febbraio. Osservandissimo Signor mio. Con l’altro corriero scrissi a \ . S. circa la vita del papa, ciò che io temeva per il mese di marzo, — 890 — sopra del quale non mi parea. utile nè dar nè torre, ma aspettar 1 evento astronomico, et far poi nova deliberatione; il medesimo vi djco hora. Ben si può, anzi necessariamente si deve goder questa ventosa opinione che hanno alcuni circa il pontificato di Albano, Theano, Giustiniano et simili, i danari de’quali son perduti per chi gli dà, et avanzati per chi toglie, et non lasciar spen-gere 1’ humore di questi loro affettionati senza guadagno, et con questi pigliando anchora sopra i simili a loro, tutta brigata senza alcun fondamento, stringendosi il papato in due o tre, de’quali al presente non è bene impacciarsi, se prima non si veda il successo della vita del papa; et dopo quella più cautamente si potrà dare sopra le persone loro per godere il beneficio o del pontificato, 0 del molto augumento che essi possan fare vendendoli, secondo che appariranno maggiori et minori le speranze loro, già che in fatti non se ne crea se non un solo. Di questi che hora papeggiano vivendo il papa, questo anno si potrebbe dubitar della loro vita, et perciò non è ben dare nè manco pigliare a bassi prezzi, perchè vacante la sede, si alzeranno a maggior quantità che hora non sarebbono. Convien pertanto passar marzo et determinar poi, ma tra tanto non perder la occasione di queste lancie rotte, poste in consideratione da giribizzanti fiorentini per via di Castelletti, godere de l’humor loro, togliendo danari; per il che vi priego instantemente, come vi scrissi sabbato, a torre per me sopra questi, che saranno notati nella poliza inclusa, due polize per ciascuno et avanzar ducati per voi; poi non temete, et correte un poco più largo, che tanto ne perdereste. Di Farnese et Morone vivendo po~ trassi avanzar danari, se bene esclusi in vero dal pontificato ; Piacenza ne ha gran buono, ma bisogna aspettare. Fatemi di gratia guadagnar questi danari, et comandatemi. A’ 26 di febraro del 75. Di Roma. Gambara — Perosa — Pisa — Savello — San Georgio — Ursino — Delfino — Giustiniano — Comendone — Theano — Paleotto — Montealto — Santa Severina — Albano — Cesis — Borromeo, se forse alcuno sopra di lui desse danari. — 891 — Allo stesso. 157$ 5 Marzo. Osservandissimo Signor. Scrissi l’altro giorno a V. S., pregandola che fosse contenta pigliar per me sopra alcuni cardinali due partite per ciascuno, serbando i danari presso di sè et dandomene aviso, et di quelli vi mandai i nomi singularmente, insieme con la mia poliza di obligatione ia caso che si perdesse, cosa che quasi è impossibile, data la qualità delle persone, tal che in vero son danari trovati in terra. Così hora di nuovo la priego a farmi questo utile, per esser noi sempre a tempo a ristorarsi, quando in sede vacante alcun di quelli paresse in consideratione, il che però non può essere. Qui non si fanno scomesse vivente il principe; però bisogna goder l’occasione presente. La somma è così piccola, che credo non vi debba dare alcun fastidio per conto del rischio; però di gratia siate contento farmi questo utile, offerendomi a riservarvi..... Nel resto son pronto al suo servitio, facendo intendere che Nostro Signore, al quale parlai 1’ altro giorno, è tanto sano fino a qui, che passeggia dalla mattina alla sera, talché straccò me, che pure ho manco anni di lui; si ride degli astrologi e vi conosce per nome. State sano. A’ 5 di marzo del 75. Di Roma. Allo stesso. IS7S 28 Maggio- Nobile Signor. Mentre che io ebbi speranza di vedervi qui, come affirmavano le vostre lettere, non scrissi a V. S.; perduta poi che fu quella colla calda stagione, io mi amalai et così gravemente, che quasi era certo di non più rivedervi. Sono hora in stato, che se bene non si può chiamar libero dal male in tutto, è però con speranza della state che possa risolvere quel cattaro frigido, che mi opprimeva il petto, assai vicino alla salute non innovando altro. Hebbi pochi giorni sono la sua carissima lettera, et piacemi che il magnifico Prioli facesse per me quello ufficio, che dalla infermità mi era interdetto, il qual giovane partì di Roma nel tempo — 892 — che già io era in letto. Dogliomi come si conviene , che i nostri nobili vadano per la Italia scoprendo la negligenza et 1’ avaritia loro, la quale et con stimarsi troppo, nè credendo a chi più d’una volta gli ha avvertiti del pericolo, hora finalmente gli ha condotti a perdere il tutto per serbare interamente la parte , già che certo non ha più dubbio, che con pochissima spesa carezzando et servendosi di quel popolo, 1’ harebbono tenuto tanto fermo, et a loro per inclinatione tanto devoto, che impossibile sarebbe stato che quattro scalzi falliti et ignoranti gli havessero potuti muovere con poche sole parole senza danari, sotto future et vane speranze. Ma a chi per sè conosce poco, et sempre si risolve di prender meno, intervengono nei maneggi di Stato a tutte 1’ hore di questi inconvenienti , a’ quali poi con molta fatica et molto oro non è così facile il remediare. Fra tutti quelli che in questa perdita han maggior colpa, ben si attribuisce certo il principato a quel mio amico m. Ambrosio del Nero, perchè di ingegno et lettere avanzando molti, di netta ricchezza havendo pochi pari, sciolto da cure et da figli, essendo in quella republica quasi solo, ben poteva, havendo seco dugento huomini stipendiati, con poco prezzo insegnare agli altri lo stare armato et provedendo in modo, che harebbono in tre hore cinquanta suoi pari nobili et ricchi spento il seme di quei pochi capi furfanti, et stabilire le cose in modo, che per longhi anni viveano sicuri da simili plebeje turbulentie, nè può lui credere che non fusse stato da molti nobili seguitato, pigliando questo consiglio, et per la sua authorità che non era poca, et per la molta richezza et molti parenti, che li davano ajuto et favore. Ma in fatti è vero il proverbio : chi sa guadagnare, non sa spendere, et prima si lascia 1’ avaro torre il tutto, che donar la parte. Egli ha quaranta et più mila ducati di stabili in quella citta, i quali ben so dire io, che dominando i Spagnuoli, si ridurranno fra poco alla metà; regnando la plebe rimarran nulla, perchè già son trenta villani che ci han fatto disegno. Harem fatto veridico con le nostre inettie et vili parsimonie il tiranno fiorentino papa Clemente, il quale soleva dire, che i Genovesi erano atti nati a far conti sottili, i Fiorentini al guastar Republiche, i Vinitiani al conservarle. Se però tra tanti mali fossero ancora tanto generosi — 893 — et rissoluti i miei cittadini, clic con una guerra di quattro presenti mesi, con uno assedio di galee per mare , et uno esercito intorno a quella mura di 15 mila fanti circondassero quella città, è chiara cosa che ridurrebbono quella plebe a disperatione, et in-trerebbono honorati in casa loro, mancando a quelli ogni 'provisione bellica et necessaria, abondando questi di oro, di soldati, di capitani et d’ogni ajuto per mare et per terra. Ma io non lo spero, perchè dato uno inconveniente, sequuntur plura. Quel mio pecunioso Negrone, che stando sicuro et vivendo lontano dalla rabbia popolare, predica agli altri lo stare alla città, difendendo la causa publica in quei tumulti, non ci portò la persona col consiglio, nè però ci mandò la borsa con l’oro, ma solo posto in cauto aspetta che gli altri li facciano la strada alla quiete, risoluto di quella vera propositione, che il mondo tutto sia distinto in huomini savi et pazzi, et che i pazzi vadino alla guerra, et che i savi ce li mandino, fu sempre un galante huomo. Raccomandatemegli molto, et da mia parte gli dite, che egli si guardi di morire, perchè qui santa Chiesa è risoluta, morendo sua Signoria, di canonizzarla col titolo et nome di s. Sicurano. Non può cadere tra voi et me nè diffidenza, né disparere per interesse di danari; et quanto alla cosa delle scomesse, credo certo esser vero quanto ella me ne dice. Vorrei ben pregarla, se per caso accada che ci siano danari sopra cardinali, come Morone, Trento, Savello, Sangiorgio, Montalto, Theano, Giustiniano et brigate simili, anzi per meglio dire, sopra ciascuno altro di Collegio, massime oltramontano, eccetto che Piacenza, Farnese, Varmiénse et Perosa, pigli per me sopra qualunque altro cardinale due polize per ciascheduno senza altra replica, et dandomi aviso del seguito , ordini ciò che io debba fare per sua cautela, serbando i danari presso di sè. Se venirete a settembre, staremo a spasso. Parlai col magnifico vostro Gondala imbasciatore, et feci seco qualche amicitia; è huomo modesto, ma non manca di stimarsi al pari di un Vinetiano. Tiene di V. S. cara et favorita memoria. Sono al solito tutto vostro et gli bacio le mani. A’ 28 di maggio del 75. Di Roma. P. S. Di gratia non mostrate questa lettera ad alcuno per niente , fuori che le sue quattro righe al mio Negrone. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XIII, Fase, IV. $7 — 894 — Allo stesso. ‘575 9 Luglio- Signor mio Osservandissimo. Ricaduto a questi giorni della mia lunga infirmità, sono con V. S. stato già due settimane più negligente et del bisogno et della voglia mia. Hora anchor tutto intronato et debolissimo, mi doglio della sua indispositione, la quale se in Padova, dove pure sono buon medici, ella non si è affatto liberata, pensi ciò che sarebbe fatto in Roma, ove per la immortalità del papa sono in modo fuggiti i medici, che pur uno non ne trovareste idoneo a medicare i bambini. Averta V. S. al non ingannar sè stessa nel dire il fatto intero, perchè andando alla guerra a tutte l’hore, non medichi tal ferita per lanciata spagnuola, che in fatto sia stoccata francese, perchè io la assicuro, che nel caldo con l’acqua indica si guarisce ogni gran percossa di quel paese, essendo voi massime d’ anni giovane et di complession robusta, sed vera fateri oportet. Questo sia detto per viam consilii, che nel resto vi conosco prudente. Le cose della mia patria hanno oggimai perduta ogni speranza di buon successo, stando quei ricchi cittadini nella medesima pertinacia et avaritia di aspettare soccorso invano da chi maggior voglia ha di opprimerli che di giovarli, nè si accorgendo che il tempo, quale si consuma della state per assediar quella plebe et vincerla-, dà loro adito che questa primavera siano suffragati dal Turco, et in tal caso nè lo Spagnuolo, che consultando consuma tempo, nè i nobili che non spendono, per aspettare che del proprio si faccia un appellativo, saranno al-lhora in termine da far cosa buona, non volendo lo Spagnuolo azzuffarsi più col Turco in vita sua, nè bastando il Ligure con le forze de 1’ oro solo opprimere sì gran potentia. Che quel popolo, nemico mortale de 1’ Hibero, tenghi col mezzo de’ Francesi prattica col Turco, non ha più dubbio; che tenti insieme accordarsi col Catholico ad oneste conditioni et rimaner libero , et da 1’ altro canto offerisca di darsi al papa per meglio inanimarlo alla sua dif-fesa, è oggimai chiaro; col primo di questo che si accorda, serrerà il partito. Al pontefice et a tutta Italia basta che la Spagna non si avicini, et nel resto governi chi vuole, che del nostro male — 895 — ne sono guariti tutti, et così certo meritiamo per 1’inertia nostra, il che non accaderia, se da principio si fosse voluto far la guerra a nostre spese, come si conveniva. Siamo per mera poltroneria ridotti a termine, che ogniuno ci fa disegno adosso, et finalmente daremo in man del lupo; che Dio mi faccia mentire. Quel prete tanto essoso a’ Vinitiani, et che sempre fugge la via piana, ha fatto delle sue, ma non mi ingannò già mai, che trenta anni sono lo conosco per huomo, che sempre l’attacca a chi di lui più si fida; lo dissi dal primo giorno, che non era buon consiglio servirsi di lui, et di ciò ne sono vivi testimonj molti cardinali. Veggo sentire il medesimo a’ Vinitiani, che pur son savj ; ma questo di gratia sia tra noi soli per mille sospetti miei. La ringratio delle polize prese; non manchi alla occasione di tor sopra gl’ altri, et per me, potendosi, due polize per ciascuno. Tutti sono roba grossa, da quei quattro in fuori, et tanti ne son guadagnati. Scrivetemi tal volta et comandate sempre. A’ 9 di luglio del 75. Di Roma. P. S. Non so se sia partito il Negrone. La corniola di S. Santità è stata per perdersi; pur si ritrovò, et certo non meritava tanto mal Roma. Perchè non prendeste errore, dico Tolomeo, non San Sisto, eh’è pure stato anche egli amalato. tAllo stesso. 1 $7$ 16 Luglio. Sabbato passato scrissi a V. S. diffusamente, et per l’hora tarda fu mandata la lettera al maestro di Vinetia, raccomandata però a m. Francesco da Pesaro : 0 dall’ uno o dall’ altro fate cura di haverla, se già non havesse havuto il suo recapito per la infingarda natura di quei bugiardi corrieri. Ho poi la vostra carissima, et per quella l’opinion veneta cerca la mente spagnuola nelle cose di Genova, a me tanto prima nota et per sicura tenuta, che già ne son posto in ultima disperatione, vedendo che ogni aviso sia vano in cavarsi dalle mani loro, poi che il papa non ci vuol mettere se non parole, delle quali la rapacità hibera tien poco conto, et che i Vinitiani non ci ponno metter fatti, considerati tanti loro — 896 — intrighi et sospetti, accompagnati da pochi scudi et tutti consumati invano sotto la fede hispana, se qualche diavolo di nuovo timore per la venuta del Birago ministro francioso a Genova, accompagnato da una quasi aperta minaccia di Turco questo maggio in Italia, non lo facesse dubitare di sè stesso ; et perciò cessando di travagliar noi, lasciasse acquetare l’hutnor ligustio; quanto peraltro siamo espediti. Io non voglio più,.come di cosa perduta, nè pensarne il rimedio, nè parlarne troppo, desiderando più tosto scordarmela, che credendo di mai possederla. Dio dia quel castigo a quei vili et tristi, che essi meritano, facendo a torto patire i buoni. Vorrei fra tanto che si attendesse con piccolo ristoro al guadagnare alcun ducato, et che V. S. in ciò non perdesse l’occasione, perchè certo perduta non ritornerà così tosto, essendo quasi tutti suggetti 0 ridiculi o impossibili al far colpo. State sano. A’ 16 di luglio del 75. Di Roma. P. S. Raccomandatemi di gratia molto al sig. Gio. Vincenzo, che ne ha capata la meglio a vivere in Padova; così avessi fatto io. — 897 — IMBASCIATA DI M. LUCIANO SPINOLA PER NOME DELLA SIGNORIA DI GENOVA al re Francesco I di Francia nel 1544 (1) Sacra Maestà. La Republica genovese, osservantissima sempre stata di questa corona, et devota già per molti anni del vostro nome, non m’ ha hora mandato per cercare da qual particolar cagione sia nata 1’ offesa, che ella habbia da i ministri della Maestà vostra ricevuta, sapendo non havergliene in alcuna cosa mai data causa; nè meno per querelarsi di quella fede, che certo sanno senza consentimento di lei havere essi violata e rotta, ma bene per impetrare dalla M. V. con la osservanza della regai promessa il ristoro, in quanto si possa, de’ lor danni. Hanno (sì come ella forse può havere inteso) i capitani delle sue galee nella Provenza una nave, che di Spagna a Genova veniva, carica di mercantie, che insieme col legno istesso tutte et non d’altri che di soli Genovesi erano, prima hospitalmente ricevuta, et poi in uno istante con armata mano nel mezzo de’ vostri porti come nemica assalita, presa et predata; molto più al benificio del furto (come che ella fosse assai ricca) contra ragione intenti, che alla fede publica et al servitio particolare del loro principe havendo riguardo, la qual fede sa molto bene V. M. per tutti i suoi Stati di mare e di terra et per ciascun suo vassallo quanto a quella Republica habbia largamente data, et con quelli termini et modi religiosi già molti anni asseveratamele confirmata. Di questo, come di cosa non meno fuori dell’ uso di ogni attione honesta, che di regia gratia, n’ è rimasta la mia patria come molto offesa, così in estremo meravigliata, et perciò alla Altezza vostra con fargliene richiamo me (1) Luciano Spinola andò eziandio ambasciatore della Repubblica con Luca Giustiniani, Francesco Lo-mellino e Bartolomeo Maggiolo ad accogliere e accompagnare da Ventimiglia a Savona Filippo di Spagna nel suo viaggio a Genova nel 1548. — 898 — ha mandato, fidando che quello errore, che da’suoi per troppa cupidità si vede comesso, venga hora dalla bontà di lei totalmente cancellato. Sappiamo, Cristianissimo Re, che la M. V., ricca la Dio mercè di tanti et si honorati beni, non vuole hora per sè fuor di giustizia le deboli et puoche (se alle tante di questo regno sian paragonate) facultà de’ Genovesi, perciochè se mai a’ suoi sempre giusti dissegni ella ne bisognasse, sì come honestamente le saprebbe richiedere, così da niuno suo più caro le riceverebbe più pronte. Sappiamo etiandio in già molti anni, che ella di sua gratia ci lascia habitare et negotiando traficare ne’suoi paesi, non‘havere per alcuna colpa meritato, che verso di noi si possa giustamente commover 1’ ira sua, et sappiamo anchora maggiormente, che quando pure o per false relationi, o per propria sua di noi sinistra opinione fosse ella stata dubbia, et anco per mera regia deliberatione in tutto risoluta non darci ne’ suoi regni più lungamente sicuro ricetto, harebbe nell’ un caso secondo la equità et grandezza dell’animo suo non prima cominciato dalle offese che dalle aver-tenze, nè contra sua natura stata più pronta a causare li danni, che ad usare le correttioni ; e nell’ altro volendoci totalmente del regno esclusi, per ultimo termine di civiltà et religione, osservando prima tutto intero lo spatio prescritto da lei con authorità publica dei quattro mesi, ci harebbe fatti di ogni determinatione intorno a questo chiaramente consapevoli, conforme a 1’obligo che per le sue patenti di pura sua voglia cosi ampiamente si è fatto debitore. Resta solo, Serenissimo principe, che alla vostra integrità non piaccia hora permettere ad altri quello, che troppo inconveniente sarebbe che ella per sè stessa .havesse voluto; nè meno le piaccia che in quello istesso signore, dal quale appena ricercato così liberalmente si è ricevuta gratia, non si possa hora supplicando trovar giustitia, nè lasciare etiandio luogo a’Genovesi et al mondo anchora, che degli errori altrui possano mai assegnarne la causa al voler di quella; le quali cose tutte tanto più facilmente a benificio nostro crediamo poter sperare, quanto che alla liberalità di lei minutamente riguardando, non habbiamo senza dubbio onde temere, anzi vedendo come largamente ogni hora ella doni a eia- — 899 — scuno, non ci si fa probabile che habbia indebitamente sete del-1 altrui, et molto meno anchora che appetisca il poco, spargendo il molto. Della vostra fede, Sacra Maestà, oltra ogni credere humano viviamo sicuri per tanti segni nella sua vita non solo in noi stessi veduti et provati, ma verso molti altri huomini et molte nationi del mondo quasi concorde uditi et celebrati. Della nostra innocentia et confidentia già può esser lei chiara, perchè conscii di alcuno nostro quantunque minimo errore verso questa Corona, oltra che fuggendo ogni disputa, non si sarebbe in questi mari per alcun tempo navigato, almeno per maggior sicurezza delle mer-cantie, nuova gratia prima con nuova fede dalla vostra humanità ricercata, in altra poi et più sicura stagione, quando quella non havessero ottenuta, differito il venir della nave, ma ultimamente quello che in nostra mano era, non come in casa di sicuro et constante amico volontariamente entrando, ma con diversa et più cauta navigatione campato certamente cosi gran danno. Che se pure fusse caduto in alcuna mondana consideratione il ricevere o danno o pregiudicio nel condurre le mercantie sopra legno già molti anni nelle Spagne fabricato , et perciò in questo tempo nemico alla Francia, cosa che sola viene hora caviliosamente dai predatori opposta, tanto certo era, et meno anche costava il comperarne uno, che di altronde havesse havuta la sua origine, et non di Spagna, la inimicitia del quale, già fatto tutto de’ Genovesi, non può, nè potea, nè potrà mai come cosa nostra nuocer punto a questo regno. Ma delle cose, Sire, che altri con ragione non teme, per niun tempo non si guarda. Non dee pertanto volere la bontà vostra, che a quelli huomini noccia 1’ essersi delle sue promesse e della loro integrità fidati, a’ quali in questo atto indubbiamente harebbe potuto giovare il non fidarsene, ma anchor meno dee tolerare, per poco utile che a’ suoi vassalli di ciò possa venire, il causare con pregiudicio della sua fede un tanto danno ad una città tutta così grande et di affetto così sua, quando massime (se tanto è odioso il nome spagnuolo in questo Stato) si può, ardendo il legno tutto, sodisfare allo sdegno, conservando le robbe innocenti a’ lor patroni, che pur sono amici. Le mercantie prese nella nave, condotte a Genova et vendute in tempo, saranno assolutamente di gran — 900 — prezzo; divise a questo et quello, et per tosto cavarne frutto avi-lite et quasi gettate, torneranno a loro di poco valore. Giudichi pertanto la M. V., se egli sia bene, dopo tanti anni del suo impero, cominciar hora co’ Genovesi a mancare di quella fede, che questa Corona, et ella in particolare anchor più di ogni altro, ha inviolabile servata a chiunque la diede per l’intero spatio di tutta la sua vita. Consideri parimenti, la preghiamo, se le para della prudentia sua degno, il lasciarsi da’ suoi ministri per loro particolar guadagno indurre a far quello, che essa per proprio acquisto di un altro regno non dovrebbe fare et non farebbe ; et finalmente con la bilancia del suo sapere in sì nuovo et a noi dannoso caso ditermini ciò, che sia per essere a lei et a questo Stato di maggior momento e di più profitto : o sodisfare con poca preda a pochi suoi servidori, o da sè scacciando quella Republica, che così benignamente l’Altezza vostra ha nelle braccia della sua gratia di suo voler raccolta, et che più non spererà mai trovarvi ricetto; in sì gran parte, non dirò alienare, ma intepidire per hora et sempre la molta fede, la molta osservanza , i molti servitii di tanti cittadini da questa Corona. SONETTI DI G. SALVAGO Per quel poco tempo che mi son ritrovato star in Vinegia, mentre v’ è stantiato il sig. Gabriel Saivago, credo io (i) che pochi o nessuno più di me habbia seco domesticamente praticato , per-ciochè sì di giorno come di notte ben spesso m’ è occorso con esso lui ritrovarmi et in luoghi tali, ove ad ogn’ uno con ogni libertà era concesso poter ragionar a sua voglia et senza alcun rispetto, et di che et di cui più gli piacesse. Piacque adunque et alla mia fortuna di quel tempo et alla cortesia di esso Saivago, nell’ abitation del quale domesticamente et liberamente praticava, che un giorno, mentre egli per non so che era uscito di camera, hebbi comodità di far un honesto furto di alquanti suoi sonetti, che egli tenéva abbozzati sopra alcuni fogli di carta, composti da lui secondo le occasioni che gli s’erano appresentate in quei giorni, in molte delle quali mi ci trovai presente ancor io. Questi ho fin qui tenuti presso di me nascosti, dubitandomi, quando gli havessi mostrati ad alcuno, di fargli dispiacere, massime non essendo quelli, come ho detto, se non nell’ essere del primo nascimento. Hora mo havendone io veduti molti di suoi usciti in luce, non potendo credere senza suo assenso, non conoscendo alcuno di sì audace et arrogante natura, a cui bastasse l’animo di torsi a petto un flusso (i) Non appare da chi sia stato scritto questo proemio ; certamente fu un suo intimo famigliare , che fece altresì alcune brevissime chiose a ciascun sonetto, per dichiarare alcune parole o locuzioni ambigue od oscure. Da questo preambolo vedesi come Gabriele fosse autore di altre e migliori composizioni poetiche, ora smarrite. I Saivago abitavano in Genova in vicinanza di S. Donato, e da essi ha ancora nome una piazza. Su di questa esiste ancora oggidì un palazzo, il cui portico è sormontato da due figure marmoree di sel-vaggi, per allusione al casato, del quale essi doveano sorreggere lo stemma (Belgrako , Vita privala de’ Genovesi, p 21). — 902 — di tanta eloquenza, ho preso sicurtà di mandar fuori anco questi pochi, per dar (se però è possibile) accrescimento alle sue lodi. Accettategli et accarezzategli adunque, sig. compadre, come puri et legittimi parti di quel nobilissimo ingegno; et se ben, come infatti non sono, non assomigliassero, nè fossero così formosi come gli altri da voi veduti, non ne fate altro giuditio che quello che v’ ho di sopra detto, prendendone per essempio quei figliuoli, che nati degli stessi padri et madri, ma innanzi il debito suo tempo, benché vivano, non però s’ assomigliano a’ loro fratelli in grandezza di persona o in formosità di volto; et aggradendo insieme il mio buon volere, conservatemi vostro. Roma cangiata oimè da quel di pria, Et fatta hoggi di albergo a sdegno et ira , Come in sicuroj’porto a te mi gira, Città maravigliosa, ricca et pia. Mentre l’occhio ti guarda, il piè s’invia, Contempla l’intelletto, il senso tira, Che narcotico pajo a chi mi mira, Sì mi causa il tuo vario letargia. O comodo civile, o cara, o queta Cimba, che senza Tifi che mi guidi, In te giuoco, in te dormo, in te coisco. Degna eh’ in stil moderno, in sermon prisco Canti delle tue lodi ogni poeta, Sì che voli tua fama a gli altrui lidi. Tra gli più vecchi cortigian son io, Antiquo più di tutti et consumato, Et potrei dir che possedei ’l papato Vent’ anni in filo pria eh’ entrasse Pio. .... che ben conobbe il valor mio, Volse degnarmi del cardinalato; Ma perchè essendo grande ero invidiato, Mi si fece tal grado allhor restio. Quindi fra cardinali et me contese Nacquer, nè volsi stargli un pel di sotto, Ma sempre i’ mi dipinsi et dotto et bravo. Coglier poi mi cercar, mentre passavo Da corte ver 1’ hospitio, a un baston sotto Le bestie di Cornaro et di Farnese. J t — 903 — A 1’habito vii huomo, a 1’acre imbelle, Là dove non cred’ io per farmi offesa, Mentre di trotto tardo incedo in chiesa, Zappando desciolsemi le pianelle. Hor mentre lui minaccio et miro quelle, Et del danno il disturbo più mi pesa, Esce fuor petulante, grave e tesa Livia (1) bella quel di sopra le belle. Mi mira, rode il morso e si spalleggia, Che ’l calle largo intorno a venti piedi A pena nel diametro la cape. Restai come mi colse, ritto in piedi, Che seguirla il mio piè scalzo non sape, Nè men ho chi di gondola proveggia. Il buon giorno a la vostra Signoria ; C’ è di novo stamane alcuna cosa? A forza la mattina si riposa Chi di notte patisce ipocondria. Hier mi disse il Grimani per la via, Ch’era giunto il Quirino a Saragosa; E venuto nel golfo Caracosa, Ma non sa se di questo ha bona spia. Per sorte il mio Negroni 0 1’ Omelino Sarebbon trapassali qui per chiesa? A Dio, eh’ in piedi a infermo il star non giova. Figlio mio, questa janua ti fa offesa; Ma costei c’ hora incede Helena nova, Non è moglie di Paolo Contarino? Son io meglio informato, o ferma il detto, E mentre il savio parla, ruba e taci. Credi a me, si del ver tu ti compiaci, Hier sera io ’l seppi, mentre andavo a letto. Ecco vien di collegio Facchinetto, Spuntano gli affamati suoi seguaci; Se da lui tu ti guardi, tu mi piaci, Che giuoca intorbigliato et parla schietto. Porterà scuti neri diece mille Fuori del suo messer san Gioan Forlano; Sanlo i grandi di sopra et lo so io. Veggo Francesco Pesaro lontano; Salvianci dalla pioggia, patron mio; Ulisse ritrovasti a tempo Achille. (1) Livia Azzalina. — 9°4.I' Non fa per ogni stomaco ber fresco. Hier desinai con Marcanton Colonna ; Gridato ho tutta notte nostra Donna, Nè con teco salnitro mai più tresco. Hier sera non cenai nè vidi desco, Ma levata di subito la gonna, D’un salto entrai nel letto, ove madonna Sta mane fe’ sorbirmi un ovo fresco. Dioscoride e Galeno vada al chiasso; Se di dar scacco a’ medici tu ha’ voglia, Non levar pria di Febo, e lento il passo. A cena quando il capo pur te doglia, Con l’insalata averti fuggi il grasso, La tua carne minuta e vatti spoglia. Fatti, fatti spagnuolo, et non parole; Non si pone il nemico suo in ruina Per perdersi fra Napoli e Messina; Son ciancie queste tue, son cantafole. Ben scortica, si dice, a chi non dole; Ma tal prepara altrui la medicina, Che la sua infermità forse ha vicina, Et peggio habbia (se può) chi così vuole. Veneto, sta avertito al fatto tuo, Il detto ti ragiona et non ha sonno; Son figlio di Republica ancor io. Fan tutto quel che sanno et quel che ponno, E congiunta gran forza a mal desio, Cercan quel che possedi un di far suo. Che mi giova esser dotto ? Che mi vale Scender da patria illustre e gran brigata, Se Medea per miei danni e bella e ingrata Con ingorda risposta ogni hor mi assale? O di femina lingua homicidiale, Pedissequa incivil, male educata, Se ti do ’l mantel mio per advocata, Perchè farti ministra del mio male? Ben Medea veramente in nome e in fatti, Che senza succhi e virtù d’ herbe o sassi, Con la sola parola un huom trasformi. Col corpo, col qual teco pensai pormi Nel letto, e sodisfar a’ sensi, a’ tatti, Qual (oimè) metamorfosi farassi? — 905 — Ecco Circe crudel, non più Medea, Come il più saggio cortigian di Roma , La tua poca pietà converte e doma, Inimica di Venere e d’Astrea, Quel già serico pileo, che solea Coprir mia rara chierifica coma , Hora non so più dir quel eh’ ei si noma, Dissimile dall’ esser che tenea. Spargonsi mille frondi intorno al volto, E mi cingon più rami homai le tempie, Tal che novo Filemone divento. Onde tardo d’amarti hoggi mi pento, Poiché con le tue voglie inique et empie M’ hai della propria forma anco fuor tolto. — __ _ il - ’ INDIGE DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO FASCICOLO Ceruti, Gabriele Saivago patrizio genovese — Sue lettere. — Notizie e documenti...........pag ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XIII. — FASCICOLO V. GENOVA TIPOGRAFIA DEL R. I. DE’ SORDO-MUTI MDCCCLXXXIV LA VENUTA DI LUIGI XII A GENOVA NEL MDII DESCRITTA DA BENEDETTO DA PORTO NUOVAMENTE EDITA PER CURA DI ACHILLE NERI Atti Soc. Lig. St. Patria, Voi. XIII, Fase. V. AVVERTENZA storici genovesi non ci hanno lasciate arrazioni ampie e particolareggiate della isita fatta a Genova nel 1502 da Luigi XII, i podestà del quale era venuta la Repubblica per volontaria dedizione (1), e la teneva da padrone per mezzo de’ suoi proconsoli, comeché s’ avvisasse starsene secura e franca all’ ombra di trattati e privilegi, i quali non impedirono mai agli stranieri di farle sentire tutto il peso dell’oppressione. L’unica fonte alla quale essi attinsero, furono i Commentaria di Bartolomeo Senarega (2) contemporaneo, uomo (1) Belgrado, Della dedizione dei genovesi a Luigi XII, ir. Misceli. Stor ital., \ 5 57- (2) In Muratori, R. I. S., XXIV, 509. — 910 — di grande autorità, scrittore assai reputato, e partecipe, siccome pubblico ufficiale, dei fatti che egli racconta. Anzi può dirsi che da lui copiò, abbreviando, il Giustiniani (i), e da questi la narrazione passò nell’elegante latino del Foglietta; il quale parve felicissimo di trovar qui opportunità da sfoggiare tutta la sua rettorica nelle concioni che imaginò recitate per le insorte contese di precedenza fra i nobili e i popolari (2). Al qual proposito giova notare altresì, come di suo capo abbia asserito mossi codesti dissidi dal diritto che gli uni e gli altri pretendevano di portare le aste del baldachino, sotto il quale venne accolto il Re, non accennando niuno dei contemporanei questo particolare, ripetuto più tardi dal Casoni (3). Discorse con maggiore larghezza di questo avvenimento Giovanni d’Auton nelle sue Chroniques (4); ed é certo preziosa la sua narrazione per ricchezza di particolari curiosi ed importanti, sebbene in alcun tratto senta l’incertezza della reminiscenza, e sia infiorata di aneddoti afflitto poetici, i quali non reggono al cimento dei documenti e della critica (5). La descrizione di Benedetto da Porto, stampata in fine dell’Histoire de Charles Vili di Guglielmo de Ja-ligny edita a Parigi nel 1617, venne già fiuta conoscere parecchi anni or sono dal Belgrano, con una monografia letta alla nostra Società (6); ma poiché il libro (1) Annali della Rep. di Gen., Genova, 1854, 606. (2) Historiae Genuensis, Genuae, 1585, 274. (3) Annali della Rep. di Gen., Genova, 1799, I, 56. (4) II, 206 e segg. (5) Cfr. Neri, Passatempi letterari, 141. (6) Edita nel Giornale degli studiosi, A. 1869, 240. — 911 — dove si trova inserita non é comune, ed invano si cercherebbe a Genova , cosi ci è sembrato utile riprodurla in questa raccolta, si come documento assai importante di quest’ istorico avvenimento. Tanto più da tenersi in conto, in quanto che sono assai scarse le carte per quel tempo conservate nell'Archivio di Stato; e meritando l’autore di questa narrazione ogni fede, a cagione dell’ ufficio di cancelliere onde allora era insignito. Nessuna notizia di Benedetto ci porgono i raccoglitori delle memorie letterarie ligustiche, ed anche lo Spotorno dovette contentarsi di registrarne il solo nome fra gli istorici, sulla fede del Soprani (i). Secondo gli appunti lasciatici dall’infaticabile e quasi sempre esatto Federigo Federici (2), la famiglia del nostro autore doveva essere originaria da Sturla, e mentre il padre esercitò l’arte del tintore, Benedetto fu merca-dante di grano, trovandosi una lettera a lui diretta nel 1475 con questo appellativo. Oltre all’ufficio di cancelliere, nel quale durò parecchi anni, sostenne altresi alcune am-bascierie ; la prima il 1484 a Narbona, della quale non è memoria presso gli annalisti; l’altra al re di Spagna nelPanno 1497, e deve riconoscere in quel « secretarium nostrum », secondo nota il Segnarega, mandato colà insieme ai legati veneziani e milanesi, « ut eorum, quae agerentur, non essemus penitus ignari » (3). A queste conviene aggiungerne una terza al cardinale di (1) Storia lett. della Lig., Ili, 2. (2) Abbecedario di famiglie genov. ms. (3) Op. cit. in 1. c., col. 563. — Arch. di Stato. Istrutiones et Relationes ad annum. — 912 — Rohano nel 1500, affine di procacciare alla Repubblica il riacquisto di Pietrasanta (1). Che tosse figlio di Girolamo ci é testimoniato dal testamento di Cristoforo Colombo, dove si legge un legato di 20 ducati « à los heredos de Gironimo del Puerto, padre de Benito, chanceler en Genova » (2). Sebbene non si possa certamente mettere a paro con gli uomini riputatissimi, che sostennero questo medesimo ufficio, come il Bracelli, lo Stella, il Senarega, pure a’ suoi tempi deve aver goduto buona fama anco nel fatto delle lettere, se non appena rinvenuta la celebre Tavola di Polcevera ne venne a lui affidata la custodia (3). L’ unico scritto rimastoci di lui è questa narrazione, la quale, come di contemporaneo, ha il merito dell’esattezza; ma é ben lungi da quella bontà di forma che si richiede in opera letteraria, dandoci invece indizio di scrittore maldestro e privo di buon gusto. A nessuno era noto questo opuscolo, prima che fosse stampato nel libro sopra citato, e fa invero meraviglia come non ne sia rimasta qui da noi alcuna copia manoscritta, il che vieta quei ragguagli utili a fermare la lezione , non sempre forse ben sicura. Nè l’editore francese ci ha detto donde abbia tratto il suo testo; ma dobbiamo certamente credere da archivi 0 biblioteche di Parigi. Onde mi pare ovvio il supporre che Benedetto dettasse il suo lavoro per ordine, od in servigio di alcuno (1) Informazioni date dalla Rep. ai suoi ambassadori ms., I, 994, nell’Arch. di Stato. (2) Navarrete, Coleccion de los viages etc., Madrid, 1825, II, 305. (3) Banchero, Genova e le due Riviere, 349. - 913 — de’ governatori francesi mandati a Genova (i), e che quindi il manoscritto se ne andasse poi con lui di là dalle Alpi ; se pure non si voglia credere ad un omaggio fattone dal nostro cancelliere allo stesso Luigi XII. Due particolarità taciute dagli altri storici, sono da rilevarsi in questa narrazione. La prima è l’accenno ai pubblici negozi che si dovevano trattare con Luigi XII, specialmente affinché, a cagione della guerra fra la Francia e la Spagna, non rimanessero interrotti i commerci dei genovesi con gli spagnuoli, e questi non avessero a soffrire molestie nel dominio della Repubblica; la qual cosa venne consentita dal monarca, di che ci é prova 1’ ordine dato da lui di liberare un bastimento spagnuolo carico di grano, predato, secondo narra il d’Auton, fuori del porto da una nave francese (2). L’ altra consiste nella visita fatta dal Re alla chiesa di N. S. dei Servi, dove convennero, poiché ne era andato il bando, tutti gli affetti da scrofole, affine d’ essere guariti ili virtù del reale tocamento, prerogativa attribuita da tempo immemorabile ai re di Francia. E, secondo era costume, Luigi su tutti stendeva la mano, donando a ciascuno una piccola moneta (3). Gli entusiasmi per questa visita regale trapassarono ogni limite, giungendo fino a prescrivere per decreto pubblico, che si dovesse negli anni successivi festeggiare il giorno 26 agosto, a perenne ricordo di tanto e si gio- (1) Il Saivago scrisse le sue Croniques de Gennes ad istauza del Governatore di Genova per il re di Francia (Atti Soc. Lig. Stor. Pai., XIII, 369). (2) Op. cit., II, 221. — Documenti di storia genovese ms. nella R. Bibl. Univers. C. V. 12, pag. 176, 182. (3) Cfr. Jal, Dictionn. critique, Paris, 1872, 522. — 9H — condo avvenimento; decreto che parve giustamente al Casoni « sforzo dell’ultima adulazione » (i). Ma questo anniversario deve essere durato poco, e forse non trapassò il 1506, che presto sbollirono quegli entusiasmi e in ben altro aspetto e in condizioni assai diverse tornò a Genova re Luigi. Assai prima ancora di emanare sì fatto decreto, e cioè il 12 settembre, avevano i governanti indetto con un bando a tutti i monasteri ed alle chiese, pubbliche preghiere, perchè Iddio concedesse al Re progenie degna di lui (2). 11 documento innanzi citato segue nella stampa la narrazione di Benedetto, ond’ è a credere venisse trascritto da lui stesso, che come cancelliere ne fu certo l’autore, in fine al suo lavoro. Ho creduto opportuno aggiungere 1’ editto di sindacato, del quale fa parola il nostro scrittore (3). (1) Op. cit. 1. c. (2) Arch. di Stato, Divers. Collegi, Fil. 64. (3) Ivi. DESCRIPTIO ADVENTUS LUDOVICI XII FRANCORUM REGIS IN URBEM GENUAM, ANNO MDII AUTHORE BENEDICTO PORTUENSI REIPUBLICAE GENUENSIS CANCELLARIO Annus tertius agebatur, ex quo Ludovicus duodecimus, Francorum rex, mediolanensem principatum, quem haereditario iure aviae suae paternae sibi deberi praetendebat, armis subegerat. Pulso primum, deinde capto, et in Galliam perducto Ludovico Sfortia duce; accepta quoque in potestatem, per liberam et spontaneam deditionem, universa genuensi ditione; regnum etiam neapolitanum, cedente Friderico Rege, biennio post est adeptus; quod cum Ferdinando, et Elisabetta Hispaniarum regibus, ex foedere partiendum erat. In divisione Regni suborta est inter Hispanos et Gallos contentio, et ob id etiam ad arma deventum : quod origo fuit secuti postea belli. Habebat per id tempus Caesar dux Valentinensis, Alexandri pontificis maximi filius, validum in Italia exercitum; nec facile apparebat in cuius partes inclinaturus esset. Verum constans omnium opinio erat, illic futuram esse victoriam, ubi dux adhaesisset. Hic enim, subactis fere omnibus regulis in Flaminia, Piceno, Tusciaque, magnum sibi nomen imperiumque paraverat ; et cum maiora mente agitaret, ingressus agrum Florentinum, ipsam quoque urbem Florentiam nutare compulerat, sequentibus eum factionis Medices qui extorres erant. Videbatur profecto ea res magni sicut erat momenti, et non mediocre discrimen quieti status regii afferre posse credebatur. In hac igitur agitatione rerum, prudentissima rex venit in — 9i6 — Italiam; et praemisso Neapolim exercitu, quem ad resistendum hosti satis esse putavit, ipse dies aliquot Mediolani Papiaeque substitit. Ubi sapientia sua, brevi admodum tempore, sedatis Florentiae rebus, ducem ipsum Valentinensem, quem nonnulli ab amicitia Gallorum alienatum putabant, ad se traxit, et plures secum dies in magna gratia et existimatione habuit. Post haec, de rebus Italiae iam securus, destinatum dudum iter ad visendam urbem Genuam rex perficere statuit. Quod ubi Genuae cognitum est, fit Senatus consultum, ut quam maximo fieri possit honore, adventus regius celebretur. Deliguntur ergo viri duodecim ex civitate primarii, quibus tota honorandi adventus Regii cura committitur. Hi omnium primum necessariam pecuniam expediunt: quae ut mox promeretur, ingenti suffragiorum consensu magistratus Sancti Georgii fides intercessit. Deinde cum legatos ad Regem mittendos censuissent, qui Reipublicae nomine de illius in Italiam adventu gratularentur, eumque ad visendam urbem suam, sicut iam pollicitus fuerat, invitarent, placuit Senatui legatos a se creari. Hi quatuor fuere: Brixius Iustinianus, Paulus Fliscus, Bartholomaeus Senarega, et Hieronymus Auria. Brixius et Hieronymus tunc senatores erant; Paulus duodecemvir. Dumque vel publicis negocis detinentur, vel ad munus legationis peragendum se parant, instruuntque, multorum dierum tempus elabitur. Fitque praeterea ex longiori cunctatione, ut cum minus opportuno tempore ea legatio expediri posse videretur, eius muneris fungendi negotium per litteras datum sit claro iuris interpreti Dominico Spinulae, qui ex alia causa dudum apud regem legatum agebat. Interea nunciabatur adventum Regis accelerari: et Genuae necessaria summo studio parabantur; nihilque magis animos civium stimulabat quam pabuli penuria. Quod in sterili regione ad excipiendos tot equos, quot adventare dicebantur, difficillime haberi posse videbatur; quanquam, ut postea compertum fuit, nec tantus equorum numerus Genuam accessit, et maior pabuli caeterarumque verum copia suppeditata est. Iam dies instabat, qua rex Papia discessurus esset. Eliguntur igitur a duodecim viris quatuor ex omni ordine civitatis: Andreas Cicer, Bartholomaeus Senarega, Augustinus Auria, et Francus Fliscus, — 9*7 — qui Tertonatn profecturi Regem publico nomine salutarent, venera-renturque. Parantur et iuvenum catervae, quas societates vocant, iturae singulae obviam usque eo quo cuique imperatum fuisset. Parantur hospitia domosque passim per urbem ad excipiendum regem, regiumque comitatum, quae per familias et alios civitatis Ordines, ut mos patrius erat, distribuebantur. Construuntur multa equorum stabula, ne in civitate marittima, ubi rara sunt et perangusta, collocandis equis caeterisque iumentis regiis deessent. Instaurantur ubique viae, intus et extra urbem. Clivus Carinianus, quo tenditur ad Inviolatam, quod rex illic hospitaturus erat, non modo ab imo ad summitatem stratus est; verum etiam, ubi angustus erat, latior factus. Via a porta divi Thomae ad phaream turrim silice ac lapide fictili strata. Palatium etiam circumquaque liliis caeterisque insignibus regiis, ut nunc cernitur, depictum. Nulla denique omittitur diligentia, ut tanti regis adventus celebretur. Dum haec ita per dives geruntur, venit Papia, citatis equis, Philippus Ravesteinii dominus, qui tum Genuensi civitati praesidebat : nunciat regem ex Ticino ante diem constitutam fuisse discessurum, nisi duello, quod in sequenti die dominico futurum erat inter duos consobrinos Mantuanos ex gente Gonziaca, interesse decrevisset; sed illum postridie sine dubio iter esse capturum. Proinde, ut parata sint omnia victui praesertim necessaria hortatur. Et cognitis quae designata erant, non probavit quemquam regi obviam procul esse mittendum; sed die tantum, qua urbem ingressurus esset, Senatum cum caeteris civibus ad glaream usque Porciferae debere proficisci. Ibi regem omnes in aperto et patenti loco esse conspecturos; ibi suum quoque principem veneraturos esse: ita demum regiae maiestati placere; caetera minus grata et superflua fore. Haec praesidis verba fecere, ne quatuor obviam regi progressuri, veluti decretum erat, missi fuerint, neve alius quispiam, ante adventus diem, ultrave praesignatum Porciferae locum, publico nomine profectus sit. Inter haec, veniunt ministri regii, domorum distributores, qui forrerii appellantur. Hi per universas urbis suburbanasque regiones circumeuntes, singulos domorum postes signis titulisque gallicis inscribunt assignantque, pro ut cuiusque hospitii et hospitis — 918 — futuri conditio exigebat. Ea res, quamvis civium oculis nova esset, et ante id tempus Genuae numquam visa, tamen ab universis non obedienter modo, sed avide etiam, studio gratificandi inservien-dique regi, transacta est. In quo id sane ineundum civibus fuit, quod iidem ministri non solum modestissime eo officio utebantur: verum etiam pulchra et accepta sibi quaecumque hospitia esse dicebant. Itaque, suscepta prius a civibus more suo cura parandorum hospitiorum irrita fuit. Dum talia in civitate parantur, viri aliquot primarii Senatutn adeunt, eique proponunt cogitandum esse tantisper, dum rex adventum moratur, de his quae apud illum cum adfuerit pro Republica tractanda sint. Laudato consilio, decernitur munus hoc demandandum esse prudentibus viris, qui cogitent quae maxime ad Rem-publicam pertinere videantur. Creati sunt igitur octo viri, singularis inter cives auctoritatis et prudentiae: Iohannes Baptista Grimaldus, Simon Blancus, Andreas Cicer, Anfreonus Ususmaris, Ambrosius Zerbus, Nicolaus Spinula, Antonius Saulus et Stephaniis Auria. Hi postea, rebus inter se mature consultis, pauca ex pluribus, quae maioris ponderis visa sunt, necessario regi exponenda retulerunt. Ex his duo potissimum civitatem stimulabant : unum, Hispana negotiatio, Genuensibus maxime necessaria, quae ab imminenti bello multis variisque modis interdicta iri videbatur; alterum, diuturnior quam civitatis leges permittant iui is dicendi magistratus. Itaque de his praecipue cum rege agendum censetur. Appropinquabat regius adventus, et aulicorum iam magna pars praecesserat, quibus omnibus hospitia patebant; noscebaturque ex his portarum signis, quae superius inscripta diximus; satisque constabat ex litteris Bartholomaei Senarega, publica tunc legatione apud regiam curiam fungentis, regem ipsum iam Papia discessisse, et in itinere dies quinque moraturum, quorum tres decursi iam erant, cum Bartholomaei litterae recitatae sunt. Cardinalis autem Rothomagensis, supremae apud regem auctoritatis, adventum et ipse regium praeveniens, urbem ingressus est, comitantibus illum praeside Senatumque, et longo civium ordine, bospitatus in Cariniano apud aedem Inviolatae. — 919 — Cumque postero die ingressurus esset rex, et magistratus omnes, civesque cuiuscumque ordinis ac iuvenum catervae, iussi fuissent, dato campanae signo, adesse in area Palatii, ut cum Senatu obviam, regi pergerent, veniunt in Senatum duodecim, et quis locus eorum inter eundum futurus sit rogant. Destinarant enim animo primum post Senatum sibi locum deberi. Senatus accipere duodecim respondet eorum locum post quaestores aerarii. Illi tale responsum aegre ferre, conquaeri minus iuste secum agi, exemplis superiorum temporum quae vana erant niti, denique ni praeferantur quaestoribus, solos ituros. Et profecto non magistratus auctoritas, quae illius tantum temporis erat, et unius solum rei, contentionem illam faciebat, sed privata virorum dignitas. Erant namque in eo numero aurati equites, virique patricii, et qui sui cuiusque ordinis primi sine controversia in civitate habebantur. Senatus tamen , ne dignitati vetustissimi ac venerandae auctoritatis magistratus derogaretur, in sententia perstitit. Rex pernoctaverat in oppidulo, quod vulgus Burgum furnariorum appellat, passuum centum quindecim millibus ab ipsa urbe remoto. Unde luce prima discedens, superato iugo, in vallem Porciferae descendit, et ad villam ciyis quondam prestantissimi Lazari Auriae apud Campos divertit. Ibi, lauto splendidoque convivio a Stephano Hieron3rmoque fratribus instructo, pransus est. Erat dies ille Veneris, annusque secundus post millesimum et quingentesimum a salutifera Christi Dei nostri nativitate, cum civitas tota frequens profusaque in honorem regis exultare, tabernae clausae, viae frondibus virentibus stratae, domorum parietes exornati, pendentibus undique aulaeis tapetibusque. Mulieres in vicis et porticibus dispositae, preci.osis vestibus, gemmis, unionibus, margaritisque ac monilibus indutae. Templa campanarum sonitu; naves quae in portu erant, et arx ipsa Casteleti, tubarum clangore bombardarumque strepitu resonare. Palatium quoque , erectis vexillis, plaudere. Omnia denique urbis loca ingentis laetitiae signa prae se ferre: dies ubique festus, ubique somnis agi. At Senatus, caeteriquc cives et iuvenum catervae, sericis vestibus induti, circa meridiem Palatio egrediuntur, et ad glaream Porciferae regi obviam facti, ut primum illum venientem conspe — 920 — xere, descendentes equis, proni, obvolutoque in terram genu venerabundi, suum principem salutant. Tum Brixius Iustinianus, Senatus prior: «Excipimus te, inquit, gloriosissime rex, fidelissimi servi tuae maiestatis, ea veneratione et animorum alacritate, qua nulla alia maior, verior, sincerior esse potest. Laetamur siquidem nostra et totius civitatis vice, qua nunc fungimur, intueri serenissimam faciem tuam, quem etiam velut numen e coelo demissum contemplamur. Gratias agentes immensae benignitati et clementiae tuae, quod ad visendos inter haec saxa et hos scopulos genuenses tuos accedere dignata sit. Gratulatur universa civitas, gaudent omnes promiscue viri mulieresque, gestiunt parietes ipsi, ut iam iam videbis , optatissimo adventu tuo. Signabimus albo lapillo foelicissi-' mam hanc diem, eamque in acta referemus. Suscipe igitur, regum praeclarissime, deditissimum tibi populum, qui constantissimis semper animis, non modo facultates et vires suas omnes, quantulaecumque sunt, sed etiam filios suos, vitam ipsam et sanguinem, pro tui nominis gloria effundere paratus est ». Rex, hilari vultu, data priori dextera, omnes consurgere iubet. Qui protinus, conscensis equis, urbem versus iter capiunt. Senatores accelerato parumper itinere, ad portam divi Thomae perveniunt. Ibi expectatum regem in ipsius urbis ingressu sub umbraculo ex auro sericoque coccineo, quod erat illi insigne, rubri scilicet croceique coloris, suscipiunt. Sicque deinceps, per statuta locorum intervalla, cives dispositi, ferendo umbraculo succedunt. Ordo vero progrediendum civium talis erat. Catervae iuvenum praeibant, spectabiles quidem omnes. Et iuniores primi erant, indumentis semigallicis vestiti. His succedebant alii aetatis maiuscu-lae, discriminatis ab eis vestibus induti. Sicque caeteri iuvenes per aetatis gradus sequebantur. Seniores deinde viri. Post magistratus. Postremo senatores ipsi veniebant. Pulchrum quidem eo die civitatis spectaculum fuit. At qui proceres principesque viri tam itali quam galli regem in eo urbis ingressu comitati sint, quove ordine incesserint, non facile in conferta densaque multitudine secerni potuit. Ex pluribus tamen qui Genuam tunc accessere- nobiliores sunt dux Valentinensis, marchio Montisferrati, marchio — 921 — Saluciarum, et Iohannes Iacobus Trivultius, marchio Vigevani Fran-ciaeque marescallus. Hi quatuor itali. Ex gallis autem Philippus Ravesteinii dominus, Genuae gubernator regisque consobrinus, marescallus de Gie, comes Dunesii, dominus de Ligny, dominus de la Trimouille, dominus de Chaumont, magnus magister domus regiae, dominus Vidame, dominus de Rauel, cardinalis Rothomagensis nepos. Et hi ambo nobilium centuriones. Infans Navarrae, dux Albaniae, Raynerius bastardus Sabaudiae. Legati praeterea caesarei venetique, et fiorentini. Multa insuper nobilitas. Hi vel omnes eo die, vel eorum plures, ingredienti regi praeibant. Venturus quoque una fuerat Fridericus olim rex Neapolitanus, parato iam sibi hospitio apud Carinianum, in villa civis clarissimi Antonii Sauli. Sed obstitit adversa pedum valetudo. Ex domesticis tamen eius aliquot huc profecti sunt. Venit etiam, paulo post regium discessum, ipsius Friderici coniux; quae paucis hic diebus commorata, ad virum in Galliam profecta est. Dux Ferra-riensis, marchio Mantuanus, aliique, sive asperitate viae territi, sive quod saepius Genuae fuissent, retro cessere. Adest nunc locus ubi regem insignem spectes, vectum albo equo, et aurea indutum chlamyde, peditibusque tantum gallica gessa manu ferentibus stipatum. Qui laetus quacumque transibat; omnes perbenigne, capite etiam detecto, consalutabat. Acclamabatur ubique a pueris caeteraque turba: « Francia, Francia, et vivat rex ». Sequebantur eum Iulianus Sancti Petri ad vincula, Raphael Sancti Georgii et Fridericus Sanseverinas, cardinales, ac Caesar Valen-tinensis dux. Post, nullo intermedio, equites sagittarii quadringenti, ad regis custodiam delecti. Qui omnes, unius fere aetatis, uno insignis regii tegumento induti, acus pharetrasque gestantes, pulcherrimam de se speciem faciebant. Cum vero ad templum divi Laurentii ventum est, clerus sa-cerdotesque parati, sacra manibus tenentes, qui de more ad portam urbis regi occurrere debuerant, et prae ingenti concursantium multitudine illuc iussi fuerant expectare, ut regem desilientem videre, protinus illi obviam facti sunti. Atque rex e manibus antistitis osculata vera cruce, ad altare maius, quod signis statisque divorum celeberrimis exornatum erat, processit. Et fusis praecibus, — 922 — rursus conscenso equo, inclinante iam die, pergit ad Cannianum ire; post se reclictis in foro Palatii, sicut statutum fuerat, cunctis civibus. Paratas igitur luxu ac magnificentia regali in Cariniano aedes, iuxta Inviolatae Mariae templum, ab insigni viro, suaeque familiae principe, Iohanne Ludovico Flisco (qui ad id inultorum dierum operam summo studio navaverat), rex ipse cum Valentinensi duce aliisque principibus viris ingreditur : occupatis undique ab aulicis regiis caeteris Cariniani domibus'. Iam nox advenerat, et civitas tota luminibus corruscabat, ipsam-que noctem funalia vincebant, et exultantium voces ubique audiebantur. Villae praeterea, circumquaque accensis ignibus, magna laetitiae signa ostendebant. Idem toto insequenti triduo a magistratibus fieri iussum. Postera luce, rex ad templum divae Mariae Castelli profectus, peracto sacrificio, in Carinianum rediit. Ubi reliquum diei, aut quieti, aut alicui necessario datum, paucis in regiam aditus, praeterquam domesticis, patuere. Sequenti die dominico, Castelieti arcem invisit. Ibiqne pransus, nec multum moratus, in Carinianum est reversus. Illuc statim profecti senatores, aliique primarii cives, exhibendae venerationis gratia, perbenigne admodum ac perhumane ab eo suscepti sunt. Quibus reverenter functis salutationis officio, Iacobus Furnius, iu-risconsultus, vir non latine modo sed etiam graece apprime doctus, ex delegato sibi munere, elegantissimam ad regem orationem habuit. Ad quam Stephanus Poncherius, praeses Senatus Mediolanensis, idemque cancellarius regius, pauca regis nomine respondit. Quibus perspicue declaravit officia quaecumque nostra maiestati regiae grata esse. Post haec Senatus prior aliquot insuper verbis palam usus est; quae, ut erant prudenter et accommodate dicta, non a rege modo, sed ab universis qui astabant libenter audita sunt. Caeterum rex, constituta in sequentem diem hora audiendis publicis negotiis, iussit eos in tempore adesse, quos Senatus de rebus civitatis locuturos elegerat. Igitur octo viri, quos ad id electos supra memoravimus, sine mora in Carinianum profecti, statim ad — 923 — cardinalem Rothomagensem aliosque secretiores regis consiliarios, magnae quidem auctoritatis viros, introducti sunt. Erant hi quatuor primiores: cardinalis quem diximus, praesul Albiensis cardinalis frater senior, integerrimae famae vir, marescallus de Gie, et dominus de Chaumont. Aderat cum eis quoque gubernator noster, quem nihil eorum latebat quae cives essent locuturi, nam cuncta prius illi aperuerant. Qui cum gravissime ferret petitionem faciendam de renovandis iustitiae magistratibus, quorum fama pene in infamiam inciderat, eiusmodi colloquio interesse volebat. Imbutus enim pravis consiliis et persuasionibus Danielis Scarampi, tunc Genuae praetoris, in cuius praesertim caput ea faba cudenda videbatur, omni conatu petitioni civium obstabat. lussi itaque viri octo sedere, et quae vellent eloqui; tum senior ex iis, Iohannes Baptista Grimal-dus, ut est vir magni ingenii singularisque prudentiae, commemoratis aptissime quae de rebus hispanis et aliis quibusdam per temporum conditiones occurrebant: « Habemus, inquit, reverendissime praesul, vosque caeteri viri clarissimi, probatissimas leges, a maioribus nostris non sine magna ratione sancitas, quae ius dicentibus in civitate praefinita unius tantum anni tempora statuunt. Cognoverunt enim antiqui nostri, viri prudentes, eos qui administrandae iustitiae praeponuntur, vix brevi tempore malos fieri posse: quod si tamen acciderit, eorum malefacta non fore diuturna; nos eorum qui nunc officio funguntur non accusamus quemquam. Nec enim tale nobis quidquam mandatum est. Tantum petimus, et oramus, ut leges nostrae honestissimae atque sanctissimae serventur », Ad ea Gubernator succensere et irasci, cona-rique persuadere quod auctoritati suae detraheretur ; quod non ratione, sed odio et malevolentia paucorum talia fierent ; ad se magistratuum iura spectare; proderentur eorum crimina; paratum esse illa coercere et punire. Octo contra respondere: longe ab animo suo abesse, ut quidquam de illius auctoritate minuenda cogitetur; se non odio aut malevolentia cuiusquam moveri; pure et sincere loqui; vera dicere, quae et regium honorem et suae reipublicae commodum respiciunt; illum vehementer falli, si talia de se dici opinetur. Denique res adeo exacerbata fuit, ut accusato praetore, quod hominem paedicationis crimine reum non multos Atti Soc ' Lig. St. Putrii. Voi ' XIII, Fase. V. 59 — 924 — ante dies pecunia liberasset, statini cardinalis caeterique ìegi consiliarii, ad horrendi flagitii nomen offensi, decreverint habendam esse de praetore deque caeteris iustitiae ministris quaestionem. Idque per urbem,et per universam Genuensem ditionem edicto regio publicari iubent: promissa indicibus restitutione pecuniae sponte vel invite exhibitae, nec non impunitate delicti, cuius minus iuste absoluti fuissent. Data deinde praesidi Senatus regii Mediolanensis, qui tunc aderat, viro probo et docto, provincia est audiendarum accusationum, de quibus ferri postea iudicium posset. De hispanis vero rebus ac caeteris negotiis, quorum necessitatem ab octo viris supra memoratam diximus, tere secundum civitatis vota responsum ac promissum est. Interea creandorum senatorum tempus advenit, qui calendis septembribus magistratum inituri erant. Igitur, biduo ante calendas, Senatus de more in Praetorio cogitur, ut successorum electio fieret. Verum, cum per leges minime liceret quemquam extra senatorium ordinem electioni huiusmodi interesse, praeter gubernatorem et eos qui Senatus acta perscribunt, hic praetor, quem supra nominavi, semper interfuit. Quod ea tamen ratione tolerabile visum est, quoniam ignarus latinae linguae praeses, eo interprete uteretur. At cum per regium edictum abdicatus eo tempore fuisset praetura et omni magistratu, donec institutae quaestiones perficerentur, nihil hoc veritus, Senatum cum praeside ingressus est, et inter senatores pristino more consedit, acrius etiam fungens officio, quam antea fere consuevisset; mussitantibus tunc tamen senatorum quibusdam. Quod postea regi cardinalique delatum, graviorem eius causam effecit. Creati senatores fuere : Christophorus Cataneus, Baptista Vivaldus, Stephanus Spinula Ambrosii filius, Bernardus Fliscus, Quilicus de Nigro, Baptista Lomelinus, Edo-ardus Scalia, Paulus Saulus, Nicolaus Guirardus, Hieronymus Logia, Ambrosius Zerbus et Antonius Canalis. Qui, cum maxime viri boni ac prudentes haberentur, magnam spem bene gerendae reipublicae omnibus praebuerunt. Ad regem nunc redeo, qui, etsi paucis ante annis, nondum regale sceptrum adeptus, Genuae fuisset, Aurelianensis tunc dux, tamen urbis specie veluti nunquam visae admodum delectatus, nunc — 92S — molem aliave loca publica civitatis, nunc privatas etiam nobilium domos et villas, mira voluptate invisebat. Voluit et visum a se alias preciosissimum vas smaragdinum, quod, ut graeco verbo utar, paropsidem vocamus, in eo loco templi videre, unde publice populo ostendi solet. Quod etiam, paulo ante, cardinali Rothoma-gensi aliisque viris principibus, in aedis sacrario, ubi custoditur, ostensum fuerat. Invisit praeterea egregium divi praecursoris Iohan-nis Baptistae sacellum, in quo sacratissimi eius cineres conduntur; ibique rem divinam devotissime pregit. Iam sextus dies aderat, ex quo rex genuae commoratus, de recessu suo cogitabat; cum ecce duodecim viri, quibus honorandi adventus regii negocium datum fuerat, in Carinianum profecti, aureas quatuor pateras, gutturnia duo aurea, quae vulgo aquaria dicuntur, item calices aureos duos, sive cuppas manis appellatae, regi dono dedere. Donatus aurea quoque patera cardinali ; donatus Albiensis praesul. Donati et alii proceres regii publicis muneribus. Quae, quamvis essent longe meritis ac dignitate illorum inferiora, tamen ut ampla et magnifica ab omnibus accepta sunt. Pro hisque gratiae civitati et duodecim viris actae. Postera dehinc die, quae regis discessum antecessit, ne quid omitteretur quo benignitas eius magis magisque palam fieret, adiit ipse rex prima luce templum divae Mariae servorum ; ubi ex edicto multitudo magna convenerat masculorum foeminarumque, qui apostematibus his affecti erant, quae ab aliis scrofulae, a nostris humores frigidi vocantur. Ferunt enim longo iam uso compertum esse, huiusmodi aegritudine laborantes sanari tactu fran-corum regum; sive ingenita ipsorum occulta virtute id fiat, sive divina potius quadam vi. Clementissimus itaque rex, pio fungens officio singulos attrectabat, et pauculo donatos aere abire iubebat. Peracta ea cura, fessus, in Carinianum rediit. Ubi datis aliquot horis quieti, post meridiem, recreandi corporis animique fatigati gratia, cum invitatus fuisset ab ornatissimo cive Laurentio Ca-taneo, villam eius petiit, quam recens apud Teralbam splendide sumptuoseque construxerat. Illic enim futurus erat speciosarum mulierum conventus. Quo ut pervenit Rex, in ipso ruris ingressu reverenter ab uxore Laurenti alijsque clarissimis f9eminis exceptus — 9 26 — fuit. Deinde per rectam eius ruris viam, quae ducit ad villam, perductus in patentem et speciosam porticum, alias plures mulieres obvias habuit. A quibus pari exceptus reverentia, domum tandem ingreditur, ipso aspectu superbam magnificeque paratam. Ibi seposito regio fastigio, adeo festive, comiter familiaterque versatus est inter iocos, risusque et ludos, actis etiam choreis, ut praebita iam caeteris largiore licentia velut unus ex eis haberetur. Inde, occidente iam sole, domum reversus, invenit octo viros eum praestolantes. Quos, hilari quidem et sereno vultu respiciens, in atrium perduxit; ibique de multis benignitati eius gratias agentes clementer audivit. Et quae civitati concessa fuerant de rebus hispanis, de quaestionibus magistratuum institutis, deque caeteris ad rempublicam pertinentibus, humanissime comprobavit, eosque bono fore animo iussit. Ad iocos deinde conversus, quid egisset apud Laurentii villam, quo modo lusisset, et caetera omnia quae gesta erant placidissime memoravit. Addiditque praeterea nunquam se post hac Italiam petiturum, quin Genuam pariter accederet. Ita demum laetus ipse, laetos quoque cives octo dimisit. Cum vero in sequenti die, qui fuit quarto nonas septembris, rex abiturus esset, senatus edidit ut magistratus et cives omnes, matutino diluculo, in area Palatii praesto sint, eo ordine discedentem illum comitaturi quo exceperant venientem. Sed rex, ante lucem proficiscens, urbem iam egressus fuerat, quam aut Senatus aut cives in Praetorium convenissent. Nonnulli tamen, raptim conscensis equis, eum sine ullo ordine secuti sunt, suam caetero-rumque negligentiam incusantts. Mirum profecto quantum rex ipse, quantum reliqui omnes et urbis aspectu et officio civium delectati sunt ; de quo etiam in Galliam redeuntes, iucundissime inter se toto itinere collocuti feruntur. Serenissima quoque regina certior tum facta, quae nostra erga regem fuerint officia, ita etiam gratum id habuisse dicitur, ut mercatoribus nostris, qui Lugduni sunt, gratias agere non dubitaverit, et solis ob hoc praetereuntium nundinarum tempus prorogaverit. Praecipue vero civitas universa hoc regis adventu ita laeta et contenta remansit, ut iucundissimam apud omnes sui memoriam ingensque desiderium rex ipse reliquerit. Nemoque iam — 9^7 — omnino sit, qui non regium nomen in coelum ferat, regisque incolumitatem et incrementum imperii, votis omnibus non exoptet. Equidem sic existimo, felicissimum adventum hunc urbi nostrae universoque nomini genuensi perpetuo esse consecrandum : ex quo spectata coram sui regis admirabili divinaque cum corporis tum animi virtute, in ampliorem spem omnes de civitatis rebus erecti sunt. Decretum Genuensium annuatim observandum, celebratum anno Domini millesimo quingentesimo secundo, die decima septima novembris. Illustris et excelsus dominus Philippus de Cleves, dominus de Ravestein, regius admiratus, et Genuensium gubernator, et magnificum Consilium dominorum ancianorum communis Genuae in pleno numero congregatum, quorum nomina sunt haec : Ber-nardus de Flisco, prior, Christophorus Cataneus, Baptista Vival-dus, Hieronymus Logia, Ambrosius de Zerbis, Quilicus de Nigro, Stephanus Spinula quondam Ambrosii, Baptista Lomelinus, Edo-ardus Scalia, Paulus Sauli, Nicolaus de Guirardis, Antonius de Canali. Considerantes quantum deceat Genuenses omnes vera documenta fidei, devotionis ac observantiae suae erga christianissimum regem dominum nostrum assidue praestare, et eius in hanc civitatem singularis affectus collatorumque beneficiorum gratos ac memores esse; inter quae illud perenni sane memoria recolendum videtur, quod maiestas eius sacratissima feliciter hoc anno urbem ipsam coram invisere dignata sit ; cuius quidem adventus non modo gratus et periucundus omnibus fuit, verum etiam universae Genuensi Reipublicae saluberrimus : idcirco, solemni hoc decreto, perpetuis temporibus valituro, sanxerunt et decreverunt, quod dies adventus ipsius christianissimi regis in hanc urbem, qui fuit vigesimus sextus mensis Augusti proxime praeteriti, quot annis ab universa civitate ferietur ac festus peragatur, et insuper campanarum sonitu, ac falodiis caeterisque laetitiae signis celebretur; ita ut adventus ipsius memoria omnibus iucundissima esse videatur. Mandantes praesens decretum ex nunc in tota urbe publicari, et eius observantiam singulis quoque annis voce praeconis edici. MDII die XXX Augusti. Per esser la voluntà del christianissimo Re nostro Signore disposta a Iusticia, et che li officiali useno integrità, et faciano il debito suo: Per tanto da parte de sua christianissima Maestà et de lo Ill.mo Monsignore de Ravasten Governatore et locuntenente regio in la Signoria de Genoa, se fa a sapere et intendere a ogniuno di qualuncha conditione se sia in la cità de Genua et tuta dieta Signoria, che se gli è persona di qualunche stato, o conditione si sia, chi se voglia dolere del podestà di Genua et altri officiali de iusticia tanto civile quanto criminale in Genua per iniusticia facta a loro o ad altri per corruptione de denari o alzamenti: che fra doi jorni in la presente cità et quindeci jorni in la Rivera de la publicatione de la presente, habia a comparere in la contracta de lo fosello in casa de Messer Nicolò Pinello, quondam Castelini, dinanci il R.mo Cancellerò de Milano, a questo commisso per la christianissima Maestà Regia, et presentar le querelle, petitione, denuncie et domande sue et simelemente li notarj habiano a presentare justi facti supra dicte corruptione denari, et doni, tanto de promissione como obligatione, a fine che il tuto veduto, oldito et inteso, il prelibato S. Re nostro christianissimo li possa donare provisione secundo che il caso meriterà, et provedere che questa M.ca cità, communità, citadini et altri de epsa Signoria non habiano justa causa de dolersi, et questi che haverano donato indebitamente per essi o interposite persone, denari o altra cossa notabile a dicti potestà et officiali, o veramente recevuti Instrumenti ut supra per dicta publicatione che vegnirano a fare, o per havere recevuti dicti contracti, o per havere donato dicti denari et cosse notabile, o per essere stati mediatori prosoneti et Censari de tale corruptione, non incorrerano pena alcuna, et le sententie date per simili doni o corruptione nullitate per causa de epsi doni. Et se li è qualcheduno chi non venga a notificare dicti donf, corruptione ut supra per loro a altri a nome loro donati, le sententie quale haverano obtenute per tale corruptione sarano nulle et nullius valoris aut efficacie: et niente di manco sarano restituiti o — 929 — relaxati mediante pecunia, dono o altra corruptione non vegnirano davanti dicto commissario a notificare epse corruptione date per le relaxatione o absolutione loro: sarano in eo casu ac si nunquam fosseno stati relaxati o absoluti, et venando a manifestare dicte corruptione valerano le relaxactione et absolutione loro, non obstante dicti doni: et ultra li sarà renduto quello che troverano donato per epse relaxactione o absolutione: et premissa etiam intelligatur di quelli che fossero fugiti o havessano dato opera che altri fus-seno fugiti de le prexone. Advisando ogniuno che durante il tempo del sindicato predicto, prefati potestà et altri officiali sarano sospeisi de li officij quali hanno, et altri missi al loco loro per lo esercitio de la justicia et de dicti officij. Loblet. ■ ■ " 1, : ■ .li:'.-1,-:-:■■■■ -j: __ SECONDA SERIE DI DOCUMENTI RIGUARDANTI LA COLONIA DI PERA ADUNATI DAL SOCIO L. T. BELGRANO 1297» l9 febbraio. Testamento fatto in Genova da Maria di Pera, la quale si dispone ad andare in pe'-legrinaggio a S. Giacomo di Con:postella. Ego Maria de Peyra de Costantinopoli, volens visitare lumina beati Jacobi, divinum timens iudicium, rerum mearum facio dispo-sicionem. In primis, sepulcrum meum eligo apud ecclesiam sancti Francisci de Peyra. Lego, pro exequiis mei funeris, solidos viginti ianuinorum; lego ecclesie sancte Elene, pro anima mea, solidos viginti; ecclesie sancte Marie de Galatha, pro missis canendis, solidos tres; ecclesie sancte Elene predicte sclavinam unam meam; lego presbitero Philippo, pro missis canendis, solidos quadraginta ; lego Chali, que stetit mecum, pro anima mea, solidos decem et supracolam meam; lego Bone, uxori quondam Oberti de Si-gestro, libras septem ianuinorum. Item volo quod ipsa habeat cupam meam et toayollos ampios. Item lego Belle, filie dicte Bone, solidos viginti ianuinorum. Item eidem Belle cohopertorium unum meum; Elene, uxori Compagnoni, solidos viginti; Jacobine, filie dicte Bone, solidos viginti ianuinorum ; Philippo corresiario cannas tres telle; Manueli de Sancto Georgio perperos tres. Volo et iubeo quod dicta Bella habeat et accipiat totum meum massarecium de domo mea, et ipsum distribuat et dispenset pro anima mea ut melius videatur. Lego Venturino, filio Bone, matarisum meum; Guil- — 934 — lielmo Foriano perperos duos; Meiorino merzario solidos triginta. In omnibus predictis legatis meis facio et constituo Manuelem de Sancto Georgio et Venturinum, predictos, fideicommissarios meos; qui debeant accipere omnia bona mea et distribuere, atque solvere legata mea sicut supra ordinata. In reliquis bonis meis facio dictum Manuelem mihi heredem. Hec est mea ultima voluntas, que si iure testamenti non valet, saltim iure codicillorum valeat et cuiuslibet alterius ultime voluntatis. Testes: Jacobinus Paragolus, Fransciscus tabernarius de Sancto Georgio, Johanninus de Pontremolo, Johan-ninus molinarius de Forano, Leonardus de Squa (sic), Johannes capsiarius de Strata et Jacobus baulerius de Bonifacio. Actum Janue, in domo contracte sancti Georgii, mccxcvii, die xix februarii, vii indicione. Archivio Notarile di Stato in Genova. Liber Francisci Moratii et aliorum, a. 1277-13 io, car. 62 recto. II. 1326, 6 ottobre. Papa Giovanni XXII dichiara il guardiano e i frati minori di S. Francesco di Pera obbligati a corrispondere al rettore di S. Michele la parte che a questi compete sui funerali e le tumulazioni de’ suoi parrocchiani, che avverranno nella loro chiesa, Johannes tic. Ad perpetuam rei memoriam. Authoritati iudi-ciarie presidentes tunc recte gladii bisacuti officium exequuntur, cum iurgantium controversias, eorum precisis cavillationibus et subterfugiis breviatis, celeri sententia terminant, et illis debitum finem prebent; tunc fideliter lites dirimunt, ne ipsis efficiat frequens et tediosa que animos cruciat et facultates exhaurit protractio immortales, cum, discussis partium iuribus, auditis et intellectis rationibus earumdem, unicuique tribuunt quod est suum et sub iuris regula noxium limitant appetitum. Sane dudum inter dilectos filios Gualterium de Vezano, rectorem ecclesie sancti Michaelis de Peyra, ministrum vulgariter nuncupatum, ex una parte, et guardianum et — 935 — fratres ordinis minorum ipsius loci de Peyra, Constantinopolitani diocesis, qui siquidem locus colitur a latinis, .... super canonica portione funeralium et legatorum in morte, seu mortis articulo, debita ipsi ecclesie ratione corporum defunctorum, eiusdem ecclesie parrochianorum, qui apud dictos fratres elegerunt et eligunt pro tempore sepeliri, quam guardianus et fratres contradicebant rectori solvere antedicto, pretendetes se ad solutionem portionis huius-modi non teneri ex altera materia questionis. Nos in causa liuius-modi, ad instantiam dicti rectoris nec non Petri de Roma, guardiani dictorum fratrum, cum apud sedem apostolicam presentes extite-rent, dilectum filium magistrum Goccium de Arimino canonicum ravennatensem, capellanum nostrum et auditorem causarum nostri Palatii, concessimus specialiter auditorem; coram quo ipsarum partium et predictorum ipsius ordinis procuratoribus in iudicio coni-parentibus, et pro tempore ipsius rectoris, quodam libello in eadem causa exhibito, parte altera non curante libellum aliquem exhibere, ac ex adverso, nonnullis exceptionibus datis, cum ad aliquos alios actus inter partes easdem coram auditore processum fuisset, eodem huiusmodi negotio ex parte prefati rectoris in consistorio exposito coram nobis, dictis fratribus in nostra et fratrum nostrorum presenta constitutis ; nos, auditis et intellectis iuribus et rationibus et allegationibus supradictarum partium, attendentes partem dicti rectoris super eadem portione iuxta constitutionem, a felicis recordationis Bonifacio Vili, predecessore nostro, super hoc editam, et per pie memorie Clementem V, predecessorem nostrum, innovatam in concilio Viennensi, fore de iure communi fundatam, et ex parte altera nihil extitisse propositum vel obie-ctum, per quod hiusmodi prefati rectoris elideretur intentio, in hac parte suadente iustitia, sententialiter declaramus predictos guardianum et fratres dicti loci de Peyra ad solvendum huiusmodi canonicam portionem de funeralibus et legatis eisdem predicto rectori et successoribus suis, rectoribus ecclesie memorate, ac satisfaciendum dicto rectori de ipsa portione pro preterito et ex tunc eisdem successoribus perpetuis futuris temporibus, iuxta dicte constitutionis et innovationis huiusmodi exigentiam existere obligatos, ipsosque guardianum et fratres de Peyra ipsam portionem debere - 93^ — solvere et de illa satisfacere, ut prefertur, rectori et successoribus memoratis. Nulli ergo etc. Datum Avinione, secundo nonas octobris, anno XI. Registrum Johannis XXII, anno XI. Epicopo Tholonensi (?) et Januensi, ac sancte Marie in Vineis preposito, mandat compellant dictum guardianum ad solutionem. Datum ut supra. Biblioteca Nazionale di Parigi. Suarez, Patriarchatus Constantinopolitanus, par. I, fol. 155 recto. Fonds Latins, n. 8983. — Riant, Depouillements... dò l’Orbis Christianus etc., negli Arcliives de l’Orient Latin, voi. I, pag. 263, num. LXIII. III. 1348, 12 dicembre. Sentenza colla quale il podestà di Pera, Benedetto d’Arco, condanna i soci di Pasqualino Aldini e di Egidio Nicolai, cittadini d’Ancona, al pagamento di 1953 fiorini d’oro e 3 grossi, in favore di Michele Sotero e Bartolomeo Bigo, borghesi di Pera; con dichiarazione che, trascorsa la mora conceduta senza che il pagamento sia stato eseguito , possano i detti creditori commettere rappresaglie a dauno degli anconitani. In Dey nomine, amen. Hoc est exemplum quarumdam scripturarum cuius tenor talis est. Super questione, que vertitur in curia domini potestatis ianuen-sium Peyre et totius Imperii Romani, inter Michaelem Soterium et Bartolomeum Bigum, cives Janue, agentes ex una parte, et Vitalutium Martini de Ancona, sindicum et procuratorem communis universitatis hominum de Ancona, se diffendentem ex altera; et in qua quidem questione oblata fuit per supradictos Michaelem et Bartholomeum contra dictum sindicum, dicto sindicario nomine, peticio infrascripti tenoris. Michael Soterius et Bartholomeus Bigus, cives ianuenses, constituti in presentia domini Benedicti de Archu honorabilis potestatis ianuensium in Imperio Romano, et presente et audiente Vitalutio Martini de Ancona, sindico et procuratore communis universitatis hominum de Ancona, et contra ipsum sindicum, dicto nomine; prout de sindicatu apparet instrumento scripto Anchone manu Johannis — 937 — quondam ser Angeli de civitate Castelli, millesimo tercentesimo quadragesimo octavo, die vigesima quinta aprilis; dicunt et exponunt ipsi domino potestati et eius curie, quod Pasqualinus Aldini et Egidius Nicolay, cives Ancone, et uterque eorum in solidum, confessi fuerunt Anfreono Basso et Janotto Embriaco, civibus Ianue, utrinque videlicet pro dimidia stipulanti, se habuisse et recepisse in pecunia tantam quantitatem suorum bonorum perperorum auri ad sagium Peyre, pro solvenda tota illa quantitate frumenti quam honerari fecerunt in navi Lanfranci de Podio, et quam quantitatem frumenti confessi fuerunt emptam fuisse de dicta perperorum quantitate; renunciantes ipsi, et uterque ipsorum in solidum, exceptioni non habite et non recepte, non numerate et non ponderate dicte perperorum quantitatis, rei, sicut supra dictum est et infra dicetur per omnia verum non esse, confessionis predicte non facte, doli, mali in factum, conditioni sine causa et omni iuri; unde et pro quibus, nomine et ex causa venditionis et cambii, ipsi Pasqualinus et Egidius, et uterque ipsorum in solidum, promiserunt et convenerunt ipsis Anfreono et Janotto, utrique ipsorum videlicet pro dimidia, dare et solvere, sive dari et solvi facere, ipsis vel alteri ipsorum, seu procuratori ipsorum vel alterius eorum, in civitate Ancone ducatos quatuor millia noningentos sex et quartam unam ducati auri, bonos et expendibiles et iusti ponderis dicti loci Ancone, et hoc intra menses duos et dies duos tunc proxime venturos postquam pignus de quo inferius dicetur in portu Ancone aplicuerit; sane intellecto, quod uni ipsorum facta solu-cione ab altero liberentur et liberatos esse intelligantur; et ad ipsorum Anfreoni et Janotti cautelam et securitatem, dederunt et assignaverunt eisdem ad pignus et iure pignoris totam illam quantitatem frumenti, que onerata fuit in navi dicti Lanfranchi de Podio ; et quam quantitatem frumenti sibi ad ipsum speciale pignus scribi facere promiserunt in cartulario dicte navis, et empta esse de ipsorum propria pecunia Janotti et Anfreoni, et quod pignus eidem bonum et sufficiens facere promiserunt, pro ipsa ducatorum auri quantitate ; ita quod [si] dictum pignus, aliquo accidenti, devastaretur vel devoraretur, quod absit, sit risico et dampno ipsorum debitorum et non ipsorum creditorum ; nec etiam ipsi creditores — 93§ — ad aliquas expensas et avarias pro dicto pignore tenerentur ; eunte tamen, stante et navigante dicte pecunie quantitate ad risicum et periculum et fortunam Dey, maris et gentium, et dicti pignoris vel maioris partis dicti pignoris; et hoc postquam dictum lignum, cum eodem dicto pignore, separasset de portu Costantinopoli causa eundi ad suum viagium, prosequendo et continuando quousque in portum Ancone applicuisset, et dictum pignus in dicto cartulario scriptum fuisset; et promiserunt facere et operare ita et sic, quod dicta navis separaret vel velificaret de portu Costantinopoli per totum mensem februarii tunc proximum, iusto Dei, maris vel gentium impedimento cessante, et ipsos indennes assecurare de pre-dicta solucione facienda. Et predicta similiter alia promiserunt dicti Pasqualinus et Egidius ipsi Anfreono et Janotto stipulantibus, et utrique ipsorum in solidum, attendere, complere et observare, et in nullo contrafacere vel venire de iure vel de facto ; alioquin penam dupli dicte quantitatis pecunie, cum restitutione dampnorum, expensarum, interesse, que propterea fecerint, litis et extra, eisdem dare et solvere promiserunt, ratis semper nihilominus manentibus omnibus et singulis supradictis. Et proinde omnia bona ipsorum Pasqualini et Egidii et utriusque ipsorum in solidum ipsis Anfreono et Janotto pignori obligaverunt ; et fuit actum inter ipsas partes, per pactum, quod occasionibus supradictis, et qualibet earum, quod ipsi Pasqualinus et Egidius realiter et personaliter converti, capi et detineri possint Janue, Pisis, Veneciis, Ancone et Con-stantinopoli et in Peyra, sub quocumque iudice et magistratu, tam ecclesiastico quam seculari, ita quod ubi conventi essent ibi tenerentur respondere et satisfacere; renunciantes ipsi et uterque in solidum beneficio novarum constitutionum de duobus vel pluribus reis debendis, epistole divi Adriani, privilegio fori, exceptioni non sui iudicis, prescriptioni, conventioni et demum iuris consuetudini, statutorum et capitulorum auxilio, et omni iuri. De omnibus et singulis plene constat instrumento publico, scripto manu Pauli de Ponte, notarii in Peyra, millesimo tercentesimo quadragesimo primo, die decima secunda februarii. Post modum vero dictus Janottus Imbriacus, ex causa venditionis, dedit, cessit, mandavit et tradidit, seu quasi, Bartolomeo Bigo, filio Salin Biga, — 939 — burgensi Peyre, et in ipsum totaliter transtulit omnia iura, rationes et actiones reales et personales, utiles et directas, mixtas, rei persecutorias et penales, que et quas habebat et sibi competebant et competere poterant contra ipsos Pasqualinum et Egidium et utriusque ipsorum in solidum et bona ipsorum et utriusque ipsorum in solidum, quantum pro ducatis auri duobus millibus quatringentis quinquaginta tribus et grossis tribus, bonis, expendi-bilibus et insti ponderis Ancone, sibi expectantibus ex dobiis (?) supradictorum ducatorum auri quatuor millium noningentorum sex et quarte unius, de quibus in instrumento cambii predicto fit mentio; prout de dicta cessione apparet alio publico instrumento scripto manu dicti Pauli notarii, dicto millesimo, secunda die martii. Quibus vero sic peractis per dictos Pasqualinum et Egidium, et scripta dicta quantitate frumenti honerati in dicta navi et cartulario dicte navis ad pignus et iure pignoris et eorum Anfreoni et Janotti, accidit quod dictus Egidius Nicolav dedit et vendidit Pasqualino Aldini de Ancona, sindico dicti communis Ancone, per publicum instrumentum scriptum manu Marcellini Gambii, notarii de Ancona, modia quinquaginta grani ad modium communis Peyre, pro precio et nomine precii florenorum sex de auro et grossos novem venetos de argento, ex illo videlicet grano sive frumento quod dictus Egidius habebat in dicta navi Lanfranci de Podio , quod datum et assignatum et scriptum fuit ad pignus predictis Anfreono et Janotto; et quod ipse Lanfranchus, cum dicta navi et cum dicto grano, ire tenebatur Anconam, prout patet pactis habitis inter eos; et quod granum ibat ad risicum dicti Egidii , recedendo a portu Costantinopoli usque Anconam ; et quod granum dictus Egidius promisit et convenit dicto Pasqualino, sindico ut supra, mensurari facere, tradi et assignari dicto Pasqualino, sindico ut supra, seu dicto communi Ancone, de grano quod erat oneratum in dicta navi dicti Lanfranci; quod granum capiebat in summa florenos tria millia centum octuaginta septem et dimidium de auro, bonos et legales; et quod granum dictus Egidius scribi fecit ipsi Pasqualino, dicto sindicario nomine recipienti, in cartulario dicte navis. Qui Pasqualinus sindicus, ut supra, sindicario nomine, promisit et convenit dicto Egidio, vel cui concedere vo- Atti Soc. Lig. St. Patru, Voi. XIII, Fase. V. 60 — 940 — luerit, solvere vel solvi facere in civitate Anchone supradictam quantitatem ducatorum auri, pro solutione dictorum quingentorum modiorum grani, cum tali pacto: quod cum dicta navis dicti Lanfranci applicuisset in portu Ancone, et dictum granum fuisset mensuratum et consignatum ipsi Pasqualino, sindico ut supra, vel dicto communi Ancone, promisit et convenit dictus Pasqualinus, ut supra sindicus et sindicario nomine, dicto Egidio solvere vel solvi facere dicto Lanfranco de Podio, patrono dicte navis, pro naulo dictorum quingentorum modiorum grani, florenos septingentos quinquaginta de auro, bonos et legales ad pondus Ancone, intra unum mensem postquam dicta navis cum dicto grano applicuisset in portu Ancone et dictum granum mensuratum et assignatum fuisset, dicto Pasqualino, sindico ut supra, vel dicto communi Anchone ; et residuum vero dicte quantitatis ducatorum auri trium millium centum octuaginta septem et dimidii, dictus Pasqualinus, sindicus ut supra, promisit ipsi Egidio, vel cui concedere voluisset, solvere vel solvi facere infra duos menses et duos dies, sicut facta fuit promissio per ipsos Pasqualinum et Egidium Nicholay ipsis Anfreono et Janotto, quod de ipso precio frumenti obligati ut supra fieri deberet solutio predicta, postquam dicta navis cum dicto grano applicuisset in portu Ancone et dictum granum fuisset mensuratum et assignatum fuisset dicto Pasqualino, sindico ut supra, vel dicto communi Ancone. Ad que omnia supradicta obligavit dictus Pasqualinus, sindicus ut supra, bona dicti communis, scilicet petia mille florenorum de auro bonorum dicti communis; que petia soluta vel non, supradicta rata maneant; prout de predictis omnibus et singulis constat publico instrumento, scripto in Constantinopoli, manu Simonis olim Maglutii de Pisis, imperiali auctoritate notarii et iudicis ordinarii, millesimo tercentesimo quadragesimo primo, die vigesima prima februarii. Item etiam in dicto instrumento subsequenter continentur verba infrascripta: « Et si dictus dominus Lanfrancus cum dicta navi sua et dicto grano a duobus mensibus ultra venerit et applicuerit ad portum Ancone, et consilium populi reformatum fuerit, dictum granum sive frumentum predictum dicte Ancone (sic) debent recipi, et solvere pretium et naulum eius, cum pro predictis dictum commune Ancone receperit et habuerit tria — 941 — millia florenorum auri pro solucione dicti nauli et frumenti ». Et hoc constat in libris reformationum communis Ancone. Igitur pre-dictus Lanfrancus, coram me notario infrascripto et testibus pre-factis, predicta omnia etc. notificando, cum instantia requixivit, dixit et protestatus fuit ipsi domino potestati, vice et nomine communis gerentis, quod dictum granum faciat accipi, et receptum dictum granum sit in civitate Ancone; cum dictus Lanfrancus sit paratus , et per eum non stet dictum granum dicto communi Ancone dare, traddere et adsignare; et quod ipse vicem communis gerens debeat dare et solvere ipsi domino Lanfranco dictos florenos septingentos quinquaginta aureos, pro naulo predicto, cum dictum commune Ancone, predicta occasione, ut dictum est superius, dictis Egidio et Lanfranco teneatur dare et solvere florenos tria millia centum octuaginta septem et dimidium. Ideo dictus Lanfranchus protestatus fuit dicto domino potestati, et ipsi communi , quoad de predicta quantitate florenorum, quod ipse facere debeat sibi Lanfranco solutionem usque ad complementum dicti nauli sui. Alioquin protestatur de pena predicta et oinni damno, interesse; renuncians etc. Et propterea dictus Lanfrancus, coram notario et testibus, domino capitaneo et ancianis civitatis Ancone, vice et nomine dicti communis gerentibus, cum instantia requisivit, denumptiavit et protestatus fuit ipsis domino capitaneo et ancianis Ancone, quod dictum granum accipere deberent, cum dictum granum esset in civitate Ancone et ipsum dare esset paratus, et per ipsum non staret dare, traddere et resignare dicto communi, et quod ipsi capitaneus, anciani et commune Ancone dare et solvere debebuntur precium ipsius frumenti modiorum quingentorum; dicendo et denunciando quod si de hiis florenis sive ducatis auri tria millia, qui erant in deposito pro communi Peruxii penes Tigium domini Andree de Pistorio, suo proprio nomine et sociorum societatis Tigii de Uzano, fieri deberet solucio et satisfactio dictorum modiorum quingentorum frumenti, prout de denuntiatis constat instrumento scripto Ancfone manu...... Anjdree notarii, millesimo tercentesimo quadragesimo primo, die nona iulii. Item dicunt etiam dicti Michael et Bartholomeus, quod commune Ancone fecit et constituit sindicum et procuratorem Francischinum — 942 — Janotti ad accipiendum et recuperandum nomine dicti communis a dicto Tigio dictos florenos tria millia, prout apparet instrumento scripto Ancone [manu] Marcolini de Ancona notarii, millesimo tercentesimo quadragesimo primo, die ultima marcii. Qui etiam Tigius detentus fuit et incarceratus per multos dies, antequam vellet dictos florenos dare et solvere dicto sindico, nomine dicti communis, dicendo et deffendendo se quod dictos florenos tenebat in deposito titulo solvendi frumenti . . . quod adduci debebat de partibus Romanie in navi dicti Lanfranci de Podio, sciendo vero quod dictos florenos nolebant convertere in dicto precio dicti frumenti, set in alios usus dicti communis ; prout de dicta detencione apparet alio instrumento scripto manu Francisci Barontii de Mortaria, imperiali auctoritate notarii, dicto millesimo, die.....Postmodum vero dictus Tigius, videns se sic detemptum, dedit et solvit ipsi Francischino, sindico dicti communis, dictos tria millia florenos auri, quos promisit dare et solvere Bertolo Thome. Bonavite Rato Mutii et Lippo Mathei, tunc officialibus biade communis Ancone ; qui sindicus ipsum et dictam societatem dicti Thome quitavit et absolvit, pro dictis florenis tribus millibus, ab omni eo quod ab ipso seu a dicta societate pro parte peti posset, tam occasione reformationis consilii populi communis Ancone et quacumque alia occaxione : hoc tamen reservato inter ipsum sindicum, dicto nomine, et dictum Tigium, de partium voluntate declarato, quod omne ius quod habet Tigius predictus in quingentis modiis grani, tunc adducti Anconam in navi dicti Lanfranci, esset eidem salvum et reservatum iure suo dicto communi, nichi-lominus quod habet in dicto grano et habenti ius in eo cuilibet reservato; et pro dictis omnibus observandis idem sindicus, dicto nomine, obligavit dicto Tigio, recipienti ut dictum est, omnia bona presentia et futura communis Ancone; prout de predictis constat alio publico instrumento scripto Ancone, manu Simonis olim Te-baldi de Montralaneo, imperiali auctoritate notarii, dicto millesimo, die quarta mensis ianuarii. Per que tria instrumenta, que simul sunt in una carta inserta, evidentissime apparet frumentum fuisse dicti communis, et dictos florenos depositos fuisse occaxione solvendi precium dictorum modiorum quingentorum frumenti ; et est - 943 - signata dicta carta per D: et sic per ea que dicta sunt et multa alia, que dici possunt, evidentissime apparet dictum commune Ancone et homines dicti communis et bena ipsorum fore obligati, obligatos et obligata ipsi Michaeli et Bartolomeo, pro dictis ducatis auri duobus millibus quadringentis quinquaginta tribus et grossis tribus, et pro expensis, dampnis et interesse ob hoc subsecutis, et etiam pro penis in dictis instrumentis cambii et vendi-cionis facte per dictum sindicum contentis. Et quia longo tempore multe querimonie de predictis facte sunt per ipsos creditores tam Janue coram venerabilibus dominis ducibus Ianue, quam etiam Ancone et Peyre, e quibus multe sententie, laudes et reprensalie facte sunt et fuerunt ac concesse ipsis creditoribus in favorem ipsorum, et eis ob hoc competat et sit ius agendi contra dictum sindicum dicti communis Ancone, dicto sindicario nomine, et contra ipsum commune, homines et bona ipsorum, pro dicta ducatorum auri quantitate, penis et expensis, dampnis et interesse predictis ; ideo dicti Michael et Bartolomeus agunt contra ipsum sindicum, dicto sindicario nomine, et per eum contra commune Ancone predictum, et homines et districtuales Ancone et bona ipsorum ; et petunt ab ipso domino potestate ipsum sindicum, sindicario nomine, et per eum homines et districtuales dicti communis et bona ipsorum, eos condempnari et condempnatos pronumptiari ad dandum et solvendum eisdem nunciis predictis quantitatem pecunie infrascriptam. Primo videlicet in una parte dictos ducatos auri duo millia quatringentos quinquaginta tres et grossos tres, pro sorte contenta in dicto instrumento cessionis. Item in alia parte duplum dicte quantitatis sortis, contentum in dicto instrumento cambii ducatorum quatuor millium noningentorum sex et quarte unius: cuius quantitatis dimidia tangit et pervenire debet ipsis Michaeli et Bar-tholomeo ex forma dicti instrumenti iurium cessorum, que dimidia est ducati auri quatuor millia decem sex et quartam; quam petunt tam ex forma iuris, quam ex forma capituli positi sub rubrica de usura detorta; ad observationem cuius capituli dominus potestas tenetur vinculo iuramenti. Quod quidem capitulum continet clausulam infrascripti tenoris: « Et quelibet persona non usuraria licenter possit penam petere; et de pena cuilibet non — 944 — usurario ego consul faciam rationem , non obstante quod dicetur quod pena addita sit in fraudem usurarum, cum hoc iure inibi debet quando creditor vel cui cesserit est vel fuit usurarium ». Item in alia parte petunt ipsos sindicum, dicto nomine , commune et homines et bona eorum condemnari et pronumptiari ad dandum et solvendum eisdem ad rationem ducatorum quinque sex, pro eo quod dictum debitum solutum non fuit ad terminum in dicto instrumento contentum; et hoc per formam capituli positi sub rubrica : « De deposito ad statutum terminum adcepto ». Quod sic dicitur : « Si quis ad statutum terminum , vel ad statutum iter, seu via-gium, aliquam pecuniam in itinere maris, in societate vel acomenda-cione, aut mutuo, vel aliquo modo acceperit, eamque sine iusto Dey impedimento ultra terminum tenuerit, aut in alium iter eam transmiserit; tunc quantum ipsa pecunia augumentata fuerit, absque ullo detrimento, sit salva in terra, scilicet in bonis ipsius qui eam acceperit, et huic maneat de quinque sex ad rationem, laboret ipsa pecunia, et tantum lucrum presumatur processisse ad minus ex ipsa pecunia. Si vero lucratus fuerit amplius » etc. Item in alia parte petit ipsum commune, et homines et bona dicti communis condempnari eis ad dandum florenos mille tercentos pene aposite in dicto instrumento venditionis facte per dictum Egidium dicto Pasqualino, sindico dicti communis Ancone. Item cum circa predicta dicti Michael et Bartolomeus instructas expensas fecerunt tam Ancone quam Janue et Peyre, pro dicto debito recuperando, petunt pro expensis factis perperos quingentos; et nihilominus de expensis faciendis protestantur contra dictum sindicum, salvo et reservato eis omni iure addendi, comminuendi, mutandi, corrigendi, plus petendi, et si oportuerit aliam de novo petitionem faciendi. Exibent autem ipsi domino potestati infrascripta instrumenta et scripturas : Primo instrumentum cambii, quod signatum est exterius per A. Item aliud instrumentum cessionis, quod signatum est exterius per B. Item aliud instrumentum denumptiationis, et aliud instrumentum vendicionis facte dicto sindico, que sunt simul in una carta signata exterius per C. — 945 — Item alia tria instrumenta, que sunt simul in una carta, sindi-catus receptionis dictorum trium millium florenorum et deceptionis dicti Tinghi, et aliud solutionis dictorum florenorum trium millium ; que carta signata est per D. Item instrumentum sindicatus dicti Pasqualini, quod signatum est per E. Item littera laudis et reprensaliarum domini Simonis, olim ducis Janue, signata per F. Item alias litteras inlustris domini Johannis de Murta, ducis Janue, signatas per G. Item quamdam sententiam latam in curia Peyre, signatam per H. Item quoddam manuale testium productorum in curia Peyre, signatum per I. Item aliud instrumentum biadi extracti de Ancona, signatum per L. Millesimo tercentesimo trigesimo octavo, die quarta augusti. Deposita in iure, in presentii domini potestatis, per dictos Michaelem et Bartholomeum, presente dicto Vitalucio, dicto sindicario nomine, cui data est similis petitio in presentia dicti domini potestatis ; petente dicto Vitalucio, dicto nomine, terminum competentem statui sibi ad respondendum dicte peticioni. Ea die. Dominus potestas, pro tribunali sedens ad solitum ban-chum iuris, statuit terminum dicto Vitalucio, dicto nomine, usque ad diem sabati proximi, per totam diem nonam augusti, ad respondendum dicte peticioni ; et si terminus predictus cadet in die feriata, assignavit eidem diem ultimo subsequentem. Nos Nicolaus Cazanus, potestas ianuensium in Peyra et toto Imperio Romanie, cognitor questionis supradicte, visa et diligenter examinata supradicta peticione porrecta per dictos Michaelem et Bartholomeum, et contentis in ea, et visis responsionibus et expositionibus factis per supradictum sindicum, dicto sindicario nomine, contra dictam peticionem , et visis omnibus instrumentis et iuribus productis et exibitis per utramque partem, et attestacionibus testium productorum per predictos Michaelem et Bartholomeum, et reformationibus consciliorum dicti communis Ancone, productis in dictam causam et questionem, et visis et au- - 946 - ditis allegationibus factis per ipsas partes in dicta causa et questione , coram nobis exibitis et productis ; et consideratis et plenarie examinatis omnibus que supra dicta peticione et actis ac iuribus predictis consideranda et videnda fuerunt; auditis insuper semel, pluries et pluries, omnibus hiis que dicte partes coram nobis dicere, ostendere et allegare ut supra voluerunt, tam oretenus "ijam in scriptis; habita per nos supra predictis omnibus deliberacene matura, Christi nomine invocato, et ipsum semper habendo pre oculis, et in omni meliori modo, iure et forma quibus melius possimus, sedentes pro tribunali ad banchum iuris, in loco infra-scripto, finaliter in hiis suprascriptis dicimus, pronunciamus, sen-tentiamus et condempnamus et absolvimus, diffinimus, declaramus, terminamus inter dictas partes, supra dicta peticione, questione, et omnibus supradictis ut infra. Videlicet, quod socii societatis su-pradicti Pasqualini, qui socii solverunt debitum .... et sociorum, secundum reformationes consilii communis Ancone, dare et solvere teneantur et debeant supradicto Bartholomeo Bigo florenos mille noningentos quinquaginta tres auri et grossos tres hinc ad annum unum et dimidium ; [que summa si] soluta non fuerit dicto Bartholomeo Bigo intra dictum terminum, ex nunc prout ex tunc, dicto termino elapso, sit licitum dicto Bartholomeo Bigo et possit legi-ptime capere et arrestare, et capi et arrestari facere ad suam liberam voluntatem......de bonis et rebus cuiuscumque, sive.....personarum de Ancona et eius districtu, in deffectu dictorum non solventium, et causa et occaxione ipsorum sociorum Pasqualini predicti, et hoc usque ad integram satisfactionem et solucionem dictorum florenorum mille noningentorum quinquaginta trium et grossorum trium, in quolibet loco, et tam in terra quam in mare et in terra et in mare. Ab omnibus vero aliis in dicta peticione dictorum Michaelis et Bartholomei contentis, et earum occasione, et occasione instrumentorum et iurium ipsorum Michaelis et Bartholomei et cuiuslibet eorum, dictum commune Ancone et eius sindicum predictum, dicto sindicario nomine, et omnes alios de Ancona, absolvimus et liberamus, et absolutos et liberatos esse pro-numptiamus, omni via, iure et modo et forma quibus melius ut supra possimus etc. — 947 — Pronumptiata ut supra per dictum dominum potestatem, sedentem pro tribunali ad banchum iuris, in Peyra, in domo heredum qm. Rubey de Siveria, in qua habitat dictus dominus potestas, et in qua per ipsum ius redditur : anno dominice nativitatis MCCCXLvm, indictione prima, secundum cursum Janue, die xii decembris, circa vesperas. Testes: Johannes de Fantino, Nicolaus Pasturellus, Assalonus Cisinus, burgensis Peyre, et Antoni; Pamoleus de Levanto, notarius; et presentibus et audientibus dicas Michaele et Bartolomeo Bigo; et supradicto Vitalucio Martini, dicto sindicario nomine, causam contradicente in hiis que faciunt contra eum, et aprobante ipso in quantum faciunt pro eo, dicto sindicario nomine. Et lecta, testata, publicata per me Bartholomeum Ta-vanum notarium infrascriptum, in predicta curia Peyre; et audientibus supradictis testibus et dictis partibus. Bartholomeus Tavanus, sacri imperii notarius, et scriba curie ia-nuensium Peyre, supradictis omnibus interfui et rogatus scripsi. Ego Bertus filius Francischeti Berti de Arimino, auctoritate imperiali notarius, ut predicta in instrumento inveni, ut apparebat manu Bartholomei predicti, ita hic fideliter exemplavi et in publicam formam redegi, nil addens neque minuens fraudulenter, sub anno Domini millesimo tercentesimo quinquagesimo, indictione tertia, tempore domini Clementis pape VI, die secunda mensis aprilis. Archivio di Stato. Materie Politiche (Supplemento), mazzo xix, num. 2737 bis. Le lacune indicano i guasti esistenti nella pergamena. IV. 1359, 31 maggio. Papa Innocenzo VI dà facoltà ai frati carmelitani di accettare la donazione di un fondo in Pera. Innocentius etc. Priori generali et fratribus ordinis beate Marie de Monte Carmeli. Cum in partibus Romanie nullus locus tui ordinis habeatur, nuper dilectus filius Osbertus Ganh, habitator loci de Pera, Con- — 948 — stantinopolitani diocesis, certum territorium infra predictum locum de Pera prò uno loco fratrum tui ordinis donavit etc. Concedit facultatem accipiendi, et ibi religiosos instituendi. Datum Avinione, secundo kalendas iunii, anno VII. Suarezt Patriarchatus Const., par. I. fol. 155 verso. — Riant, Dépouille-ments etc., pag. 283, num. cxxxviii. \ V. 1362, 28 ottobre . . . Minister seu rector ecclesie curate sancti Michaelis de Peyra, protestatus fuit . . . quod Rolandus Peli-parius, burgensis Peyre, hodie secus hostium dicte ecclesie, videlicet extra ecclesiam, una cum alio burgense Peyre, receperint obla-ciohem sive offerendam que communiter per artifices et homines arcium Peyre annuatim in festo beatorum Simonis et Thadei defertur ipsi ecclesie, videlicet unam candelam sive unum cereum diversi ponderis pro qualibet, et que deferebantur ipsi ecclesie; quod quidem fecit in grave damnum etc. Protestatur quatenus ipsam oblationem sibi det et restituat, sub pena excommunicationis etc. Qui Rolandus, respondens predictis, dicit quod capitaneus et potestas Peyre ipsum constituit ad dictam oblacionem recipiendam, et quod vadet ad dicendum predicta domino capitaneo et non sibi. Actum Peyre, in logia communis Peyre. Pergamena autentica dell’Archivio capitolare di S. Lorenzo in Genova, segnata col num. 265; e così riferita dal Poch, nelle Miscellanee Storiche, Mss. della Civico-Beriana, voi. IV, reg. Ili, pag. 50. VI. [371, 3 febbraio. Estratto dal testamento di Lanfranco Gambone, borghese di Pera. In nomine Domini amen. Lanfrancus Gambonus, burgensis Peyre, sanus mente et corpore, et in sua bona memoria existens, intendens navigare, et divinum timens iudicium, cuius nescitur hora, - 949 — volens per nuncupationem suum condere testamentum, seu ultimam voluntatem, de se et bonis suis talem fecit dispositionem. In primis suam elegit sepulturam apud ecclesiam sancti Fran-cisci fratrum minorum de Peyra etc. (sic). Item legavit, voluit et statuit et ordinavit, quod quedam terra, quam ipse testator habet in districtu Janue, in valle et potestatia Bisannis, videlicet in villa Fontanegii, vineata et arborata diversis arboribus, cum domibus duabus vel pluribus suprapositis, ullo tempore vendi vel alienari vel in alium transferri non possit, modo aliquo vel ingenio que dici vel excogitari possit, et quod omnes introytus, redditus et pensiones dicte terre et omnium in ea su-prapositarum dari et distribui debeant omni anno in perpetuum, pro anima ipsius testatoris, in modum et formam infrascriptum et infrascriptam, et prout inferius dicetur. Et similiter voluit, statuit, legavit et ordinavit quod de illis locis, seu peccuniarum quantitatibus, que et quas ipse testator habet in comperis communis Janue, accipiatur incontinenti, mortuo ipso testatore, per infra-scriptos, de quibus inferius proxime dicetur, tanta quantitas ex dictis locis et quantitatibus pecuniarum que bene valeat, tempore mortis ipsius testatoris, libras sexcentas ianuinorum : que ullo tempore vendi vel alienari non possint, quovis modo vel ingenio que dici vel excogitari possit. Et quod redditus et proventus dictorum locorum dentur, distribuantur, et dari et distribui debeant, omni anno et in perpetuum, pro anima ipsius testatoris, in modum infrascriptum et prout infra dicetur, et per infrascriptos de quibus et prout inferius proxime dicetur: videlicet quod de introytibus, redditibus et proventibus dictorum locorum, seu peccuniarum quantitatum, valendum ut supra dictas libras sexcentas ianuinorum, et sic acceptorum seu acceptarum ut supra, qui et que habebuntur et exigentur et percipientur a die mortis ipsius testatoris in antea, quolibet anno, ex dictis locis seu quantitatibus peccuniarum sic acceptis ut supra, detur et dari debeat omni anno in perpetuum conventui fratrum minorum de Janua tanta peccuniarum quantitas, que sufficiat pro celebranda missa una de conventu solempnis , pro anima ipsius testatoris; in qua missa, seu ad quam missam ut supra celebrandam, sint et esse debeant candele sexaginta de cera ad minus, — 950 — que ponderent in sumina librarum viginti; que talis missa ut supra celebretur et celebrari debeat per dictum conventum in ecclesia fratrum minorum de Janua omni anno, in perpetuum, pro anima ipsius testatoris. Item quod de dictis introitibus, redditibus, pensionibus et proventibus supradictis, dicte terre, domorum suprapositarum et locorum predictorum, sic acceptis ut supra, dentur, solvantur et expendantur per infrascriptos, de quibus et prout infra proxime dicetur, omni anno et in perpetuum, libre decem ianuinorum in celebrandis et pro celebrandis tot missis pro anima ipsius testatoris, pro quibus et quot solvi debeant et conveniens sit solvi dictas libras decem ianuinorum, in illis videlicet ecclesiis civitatis Janue de quibus et prout vibebitur et placuerit infrascriptis fideicommissariis suis, de quibus infra proxime dicetur. Residuum vero dictorum introituum, reddituum, pensionum et proventuum , voluit, statuit, legavit et ordinavit dictus testator dari et distribui debere per dictos fideicommissarios suos, de quibus infra proxime dicetur, omni anno in perpetuum, pro anima ipsius testatoris, pauperibus Christi, orfanis ac miserabilibus personis, et in maritandis pauperibus puellis de quibus et prout dictis fideicommissariis suis videbitur. Que omnia et singula fieri, exequi, dari, solvi, expendi et distribui debeant ut supra per Dagnanum Gambonum, Antonium Panissarium notarium, et per guardianum conventus fratrum minorum de Janua, qui tunc temporis fuerit guardianus dicti ordinis ut supra; [qui?] possint, debeant et teneantur elligere, substituere et constituere loco illius talis, qui decesserit, ut supra, unum alium fideicommissarium, qui videatur eisdem ydoneus et sufficiens ad predicta exequenda. Qui tamen fideicommissarius sic ellectus, seu elligendus, constituendus, substituendus ut supra, sit et esse debeat unus ex filiis ipsius testatoris, qui tunc temporis esset habitator in civitate Janue, si fuerit ydoneus et sufficiens, arbitrio illius talis superstitis et dicti guardiani. Et si tunc temporis non esset in Janua habitator aliquis ex dictis filiis ydoneus et sufficiens ut supra, elligatur et elligi debeat ut supra ad predicta aliquis ex propinquis ipsius testatoris, habitator in Janua, qui videatur sufficiens ad predicta illi tali superstiti et dicto guardiano. Et si con-tingerit tunc non inveniri in Janua aliquem ex dictis filiis suis, vel - 951 — aliquem ex propinquis suis, sufficientem ut supra et habitantem in Janua ut supra, tunc et eo casu eligatur et eligi debeat ut supra ad predicta aliquis alius, de quo et prout dicto tali superstiti et dicto guardiano videbitur et placuerit; et sic fiat et fieri debeat successive et in perpetuum, ita quod semper sint et esse debeant tres fideicommissarii ad predicta fienda et exequenda , ut supra ; inter quos, seu ex quibus, semper sit et esse debeat ille qui fuerit guardianus dicti ordinis; qui habeant illam potestatem de qua dictum est supra. Et si contingerit dictos Dagnanum et Antonium non superesse, tempore mortis ipsius testatoris, tunc et eo casu statuit, voluit et ordinavit dictus testator quod per officium Gazarie etc. (sic). Item legavit Mariete filie Dagnani Gamboni, ad suum maritare et quando maritabitur, perperos centum auri ad dictum sagium; et si contingerit dictam Marietam non maritari, quod nihil ex dictis perperis centum habere debeat dicta Marieta, vel alius pro ea. Item voluit et ordinavit, quod de bonis ipsius testatoris etc. (sic). Item legavit heredibus quondam Nicole Correzarii dicti Gamboni (sic), si qui heredes invenientur dicti quondam Nicole, perperos sexaginta ad dictum sagium etc. (sic). Item legavit heredibus quondam Guillielmi de Cassina, civis Janue, perperos decem auri ad dictum sagium. Reliquorum vero bonorum ipsius testatoris, mobilium et immobilium ubicumque existencium, iurium et actionum, sibi universales heredes instituit, equaliter et equali portione, supradic-tum (sic) Luchinum filium suum et supradictos (sic) Pambellum, Baptistam et Domeneginum similiter filios suos, et quem cumque filium masculum nasciturum ex ipso Lanfranco ac ex supradicta (sic)^ Argenta uxore sua, etc. (sic). Hec est ultima voluntas ipsius testatoris etc. (sic). Actum Peyre, in ecclesia sancti Michaelis, anno dominice nativitatis m.ccc. septuagesimo primo, indictione octava, secundum cursum Janue, die tertia februarii, circa terciam. Testes vocati et rogati: Magister Antonius de Felesano scolacius, magister Bar-tholomeus Turrigia de Riva, Conradus de Lachu, Petrus de Leone qm. Leonis, Nicolaus de Goano coirasarius, Antonius de — 952 — Bargono remolarius et Joannes Faxolus de burgo Predis, bur-genses Peyre. Scriptum manu Durantis Durantis notarii. Archivio di Stato. Materie Politiche (Supplemento), mazzo xix, num. 2737 bis. VII. 1373, 18 settembre. Codicilli al testamento di Lanfranco Gambone. In nomine Domini, amen. Lanfrancus Gambonus, burgensis et habitator Peyre, sanus mente et intellectu, et in sua bona memoria existens, tamen languens corpore, quamvis testamentariam super bonorum suorum dispositionem fecerit, scriptam manu Durantis Durantis notarii, millesimo ccc septuagesimo primo, vel septuagesimo secundo, seu alio millesimo, ut asserit; quoniam usque ad extremum vite recedere licet a quacumque lege ultime voluntatis, et propter conditionem rerum, successos varios, opporteat eum remutare con-scilium, idcirco post ipsum testamentum presentes disposuit codicillos. Primo quidem voluit, disposuit et mandavit, quod mortuo ipso testatore etc. (sic). Item de legatis pro anima sua factis per ipsum testatorem, et in Janua distribuendis et solvendis ex forma dicti testamenti, ademit et subtraxit terciam partem. Item quod due tercie partes ipsorum intelligantur legate et deberi et non ultra, exceptis capis que dari debent in Janua; que cape integre dari debeant prout et sicut in dicto testamento continetur etc. (sic). Cetera vero que dictus Lanfrancus in dicto suo testamento scripto manu dicti Durantis Durantis notarii disposuit, legavit et ordinavit et fecit, et que in ipso continentur, approbavit et confirmavit, et in ipsis ipsum testamentum plenissime confirmavit. Et hanc suam ultimam voluntatem asseruit esse velle, que valere voluit iure codicillorum, vel alterius cuiuscumque ultime voluntatis quam melius valere potest, et eam ab omni herede suo firmiter et inviolabiliter observari. - 953 — Actum in mari maiori, videlicet in flumine sive stagnono castri Peire, prope turrim, super galeota olim communis, que patroniza-batur per Nicolaum Garronum et captam per quamdam galeam de Debordiza emuli communis Janue; anno nativitatis Domini millesimo tercentesimo septuagesimo tertio, indictione decima, secundum cursum Janue, die decima octava septembris, post nonam et vesperas, presentibus testibus Georgio de Vignolo, Sodeono Galiceto, Johanne de Lisorio (?), Martino de Caffa, Manuele de Bavaro qtn. Philippi, Dominico de Corsanego et Jacobo Buffecto de Vigono; ad hec vocatis et rogatis. Scriptum manu Johannis de Langascho notarii. Arch. cit. Materie Politiche, mazzo cit. VIII. 1388, novembre-dicembre. Lega offensiva e diffusiva tra il re di Cipro, Francesco Gattilusio, signore di Metellino, i cavalieri di Rodi, i Maonesi di Scio ed il comune di Pera. In nomine sancte et individue Trinitatis, patris et filii et spiritus sancti, beate Marie semper virginis matris eius, beatorum Johannis baptiste et evangeliste, beatorum apostolorum Petri et Pauli, et omnium sanctorum et sanctarum curie celestis, feliciter, amen. Ad bonum tranquillum et pacificum statum et augumentum parcium subscriptarum. Egregius et potens milex, dominus Monteolinus de Vernino, ambassator, sindicus et procurator serenissimi et excellentissimi principis et domini, domini Jacobi Dei gratia regis Jheru-salem et Cipri, habens ad infrascripta et alia facienda plenum et sufficiens mandatum, iusta formam publici instrumenti scripti manu Adonis Bendicti, clerici Laudunensis diocesis, habitatoris Nicossie et eiusdem serenissimi dominis regis secretarii, hoc anno, die secunda novembris ; et cuius quidem instrumenti tenor talis est. : In nomine Domini, amen. Noverint universi et singuli, presentes pariter et futuri, quod nos Jacobus, Dei gratia Jerusalem et Cipri rex, confidentes ad plenum de probitate, industria et legalitate nobilis et egregii militis Monteolini de Vernino, dilectissimi fidelis — 954 - ambassatoris et consiliarii nostri, ipsum nomine nostro et pro nobis, omni modo via iure et forma quibus melius possumus, constituimus, facimus et ordinamus nostrum verum, certum, legiptimum et indubitabilem procuratorem, actorem, factorem, negociorum gestorem, nuncium et sindicum nostrum specialem et generalem, ita tamen quod generalitas specialitati non derroget, nec e contra, videlicet ad tractandum, procurandum, faciendum et firmandum unionem, seu ligam, cum venerabilibus et religiosis viris dominis locumtenentibus reverendissimi patris domini magistri, proceribus, ballyvis et conventu Roddi, nec non cum egregiis et potentibus viris dominis ducibus Crete et Archipelagi, Metelini, Syi et Peyre gubernatoribus, vel eorum procuratoribus aut locumtenentibus, ac etiam cum quibuscumque aliis personis predictam ligam unionem intrare volentibus, iuxta discrecionem dicti nostri procuratoris, specialiter et expresse contra illum Tureum filium iniquitatis et nequicie, ac sancte Crucis ni-micum, Moratum Bey et eius sectam, cristianum genus sic graviter invadere conantes, et ad promittendum , iurandum, transigendum, paciscendum et obligandum, nomine nostro et pro nobis, omnibus modis, pactis, terminis et condicionibus, cum quibuscumque aliis personis, et de illa seu pro illa quantitate pecunie prout eidem nostro procuratori visum fuerit pro meliori faciendum, promittentes bona fide totum id et quidquid per dictum nostrum procuratorem et ambasciatorem in predictis et circa predicta , seu quolibet aut aliquod predictorum, factum, promissum, conventum ec obligatum fuerit, ratum, gratum atque firmum perpetuo habituros et inviolabiliter observaturos. Dantes et concedentes dicto nostro procuratori et ambassiatori plenam licenciam, liberam potestatem, cum pleno, libero, speciali et generali mandato, premissa omnia universa et singula faciendi, dicendi et exercendi, et queeumque alia nos faciemus et facere possemus si presentes essemus. Relevantes relevareque promittentes dictum nostrum procuratorem et ambasiatorem ab omni honere satisdandi de iudicio et sisti et iudicatum solvi, cum omnibus universis et singulis aliis suis clausulis opportunis et necessariis, et cum omni iure, renunciacione pariter et cautela. Et hoc sub ypotheca et obligacione omnium bonorum nostrorum presencium et futurorum. In cuius rei testimonium, et - 955 - ad maiorem cautelam omnium premissorum, presens procuratorium in formam publici instrumenti redactum fieri iussimus per Odonem Benedicti, notarium publicum infrascriptum, dilectum secretarium nostrum, et nostri sigilli appensione muniri. Datum Nicosie, in palacio nostro, anno a nativitate Domini millesimo tercentesimo octuagesimo octavo, indicione undecima, die secunda novembris ; presentibus egregiis et nobilibus militibus: Petro de Caffrano, nostri regni Cipri amirato, Johanne Prevost, Petro de Flomv, et magistro Antonio de Pergano, artium et medicine professore, dilectis fidelibus nostris, testibus ad predicta vocatis specialiter et rogatis. Et ego Odo Benedicti, clericus Laudunensis diocesis, habitator Nicosie, publicus auctoritate imperiali notarius, ac prefati serenissimi domini mei, domini Jherusalem et Cipri regis illustrissimi, secre-tarius, predictis omnibus, una cum prenominatis testibus, presens fui; et rogatus, predicta scripsi et publicavi, signoque meo solito una cum appensione ipsius domini nostri domini regis sigilli signavi, requisitus in fidem veritatis. Reverendus in Christo pater et dominus, dominus frater Palamides Johannis, sacre domus hospitalis sancti Johannis Jerosolimitani ami-ratus, et dominus frater Dominicus de Alamania preceptor civitatis Neapolis et locumtenens magni preceptoris conventus sancti Johannis Jerosolimitani, sindici et procuratores reverendi in Christo patris domini, domini Petri de Cullanto, marescalli, et reverendissimi in Christo patris domini fratris Johannis Ferdinandi de Heredia, sacre domus hospitalis sancti Johannis Jerosolimitani humilis magistri et pauperum Christi custodis dignissimi, locumtenentes conventus et religionis sancti Johannis Jerosolimitani, habentes etiam ad hoc et alia faciendum plenum ac sufficiens mandatum, iusta formam publici instrumenti scripti manu mei notarii infrascripti, hoc anno, die lune, ultima mensis novembris; et cuius quidem instrumenti tenor talis est. In nomine Domini, amen. Reverendus in Christo pater et dominus, dominus frater Petrus de Cullanto, marescallus, et reverendissimi in Christo patris et domini domini fratris Johannis Ferdinandi de Heredia, sacre domus hospitalis sancti Johannis Jerosolimitani humilis magistri, et pauperum Christi custodis dignissimi, locumtenens, Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XIII, Fase. V. 61 - 956 — pro se ipso, et nomine et vice ceterorum procerum et fratrum conventus Roddi, omni via, modo, iure et forma quibus melius potuit et potest, fecit, constituit, creavit, ac loco sui et dicte religionis et conventus posuit, suos certos nuncios, sindicos , procuratores et actores, reverendos in Christo fratres suos, dominum fratrem Dominicum de Alamania, preceptorem civitatis Neapolis et locumtenentem magni preceptoris dicte sacre domus, et dominum fratrem Palamides Johannis, amiratum dicte sacre domus et hospitalis, presentes et mandatum huiusmodi sponte suscipientes , specialiter et expresse ad inhiendum, tractandum et perficiendum ligam, unionem, confe-deracionem, fraternitatem et societatem inter sacram regiam ma-iestatem Jherusalem et Cipri, inclitum dominum Mittelini et dominos gubernatores civitatis et insule Siy, contra scilicet omnes et singulos tureos infideles; et pro predicta liga et unione pre-facta, religionem et conventum in quocumque contractu obligandum et colligandum cum supranominatis, seu cum procuratoribus seu ambaxiatoribus eorum, et cuiuslibet ipsorum; sub illis pactis, modis, formis et temporibus, obligacionibus, promissionibus, clausulis et cautelis, penis et renunciationibus, de quibus et prout dictis procuratoribus suis et sindicis melius videbitur et placebit; et generaliter in predictis et circa predicta faciendum, que opportuna occurrerint et necessaria videbuntur, queque causarum merita et ordo iuris exigunt et requirunt. Dantes et concedentes supradictis procuratoribus et sindicis, in predictis et circa predicta, et in dependentibus, emergentibus, accessoriis, annexis et connexis ab eis, plenum, liberum et largum mandatum, cum plena libera et generali administracione. Promittens mihi notario infrascripto, tamquam publice persone officio publico stipulanti, et recipienti nomine et vice omnium et singulorum quorum interest, intererit, et in futurum poterit interesse, perpetuo habiturum ratum, gratum et firmum quidquid per dictos procuratores suos actum, gestum seu procuratum fuerit et quomodolibet obligatum; sub ypotheca et obligacione omnium bonorum dicte religionis et sacre domus, presencium et futurorum. Jurans insuper dictus reverendus procurator, dominus locumtenens, manu propria, super crucem suam quam gestabat, more maiorum suorum, nec non promittens michi dicto notario, stipulanti - 957 — et recipienti prout supra, contra predicta vel aliquod predictorum non facere vel venire, aliqua racione, occasione vel causa, que modo aliquo vel ingenio, de iure vel de facto, dici vel excogitari posset. Actum in castro Rodi, videlicet in terracia habitationis dicti reverendi patris domini locumtenentis, anno dominice nativitatis millesimo tercentesimo octuagesimo octavo, indicione undecima, die lune, ultima mensis novembris, in vesperis. Testes: reverendus frater in Christo Gracias de Maycem, preceptor Ville franche, egregius milex dominus Johannes Cursinus de Florentia, marescallus regis Ermenie, et dominus frater Restagnus de Anglia, locumtenens Tri-copolensis dicti conventus. Manuel de Valente de Rappalo, imperiali auctoritate notarius, predictis omnibus interfui et rogatus scripsi. Egregius et nobilis dominus Barixonus de Mari, ambasiator , sindicus et procurator magnifici et potentis viri domini Francisci Gatillucii, civitatis et insule Mettelini domini, habens similiter ad infrascripta plenum et sufficiens mandatum, iuxta formam publici instrumenti scripti manu Ludovici Bartholomei de Massia, notarii, hoc anno, die secunda novembris; et cuius quidem instrumenti tenor est inferius scriptus. In nomine Domini, amen. Magnificus et potens dominus Fran-ciscus Gatelluxius, civitatis et insule Mettelini dominus etc., fecit, constituit, collegit et ordinavit suum certum nuntium, atque legiptimum procuratorem et ambassatorem, nobilem virum Bari-xonum de Mari qm. Nicole, presentem et dictum mandatum sponte suscipientem, specialiter ad confirmandum ligam et im-presiam diu tractatum inter serenissimum principem dominum dominum Jacobum Dei gratia Jherusalem et Cipri regem , et illos dominos Roddi atque de Syo, contra infideles sancte matris Ecclesie; et pro predicta liga et unione, prefactum dominum Mit-telini in quocumque genere contractus obligandum et colligandum cum prelibatis infra contentis et prenominatis, seu cum procuratoribus et ambasiatoribus et quibuscumque eorum, nec non cum omni alio vero principe, domino et persona, quo vel quibus dicto Barixono, procuratori et ambasciatori suo, placuerit atque visum — 958 — fuerit foie colligandum. Et hoc sub illis pactis, promissionibus, gationibus, terminis, stipulationibus, renunciationibus et PeI1's> ^ videbuntur dicto Barixono, procuratori et ambaxiatori suo, omnibus et per omnia sicuri placuerit et visum fuerit eidem Barixono fore saviori de premissis; et demum generaliter ad omnia a ia et singula faciendum, promittendum, iurandum et obligan um que in piedictis omnibus et singulis fuerint necessaria et opportuna, que ipsemet dominus Mittelini facere posset, si adesset, et que et per quemcumque verum et legiptimum procuratorem atque spe cialern ambasciatorem possent fieri. Dans et concedens dicto Ba-tixono, procuratori suo, in predictis omnibus et singulis plenum, li erum, largum et generale mandatum, cum piena, libera, larga et ge nei ali potestate atque administratione. Promittens prefactus dominus Mittelini se perpetuo habiturum ratum, gratum et firmum quicquid et quantum in predictis omnibus et singulis : §ià si nella Storia deU’anno J74(> (P- 3 5 3)* (3) Dico trionfi, e non la memoria ; perchè questa si legge in tutte le istorie del Botta, del Carbone (il quale afferma il ragazzo fosse un garzone di calzolaio, che tirò, non un sasso ma una forma da scarpe), del Varese (che reca il motto — I075 — menzione di sorta nel periodo rivoluzionario del 1797 ed anni successivi, volto spiccatamente alle rivendicazioni popolari contro la nobiltà. Delle ricerche per identificare la persona e la famiglia di quel ragazzo non toccherò, perchè gli argomenti messi innanzi fino a qui sono fondati sopra un presupposto, e così campati in aria, da non reggere alla fredda ragione della critica storica. Per me il monumento di Portoria, anziché un eroe individuo, rappresenta l’ardire generoso d’ un popolo, che giunto al colmo dell’ oppressione, spezza le sue catene e si rivendica in libertà. vernacolo la inso, e si duole perchè la storia non ha raccolto e conservato il nome del ragazzo), del Vincens; per non dir d’altri. Che poi la glorificazione dell’ eroe muova dagli anni indicati, me lo prova il non vederne memoria alcuna alla voce Insà nel D'-Jonario genovese-italiano di Giuseppe Olivieri edito nel 1841, mentre comparisce nella seconda edizione rifusa e ampliata, uscita nel 1851; dove 1’ autore si dà premura d’ avvertirci che egli « fu il primo a chiarire chi fosse l’intrepido giovinetto che pronunziò l’immortale parola ». Nè infine può mettersi in dubbio che il risveglio intorno a questo ragazzo sia incominciato nel 1844-45 C011 uno scr'tt0 dj M. G. Canale inserito nell’ Omnibus, almanacco edito da Luigi Grillo (Cfr. Giornale ilegli studiosi, a. 1871, Primo Sem. 136 e seg.). ESTRATTO DAL VERBALE DELL’ADUNANZA GENERALE DELLA SOCIETÀ, IL GIORNO 21 DICEMBRE 18S4. Prima di procedere alle elezioni degli ufficiali per 1’ anno accademico 1884-85, iscritte all’ordine del giorno, il fi. di Presidente, abate Angelo Sanguineti, comunica all’ Assemblea una lettera in data dell’ 8 corrente, diretta al Consiglio di Presidenza, dal Vice-Presidente cav. avv. Cornelio Desimoni, assente dall’ adunanza. In questa lettera il cav. Desimoni dichiara che egli rinunzia al doppio ufficio ed onore conferitogli prima d’ ora dalla Società, sia come Vice-Presidente della stessa e sia come Delegato suo ali’ I-stituto storico italiano in Roma. Le ragioni per le quali egli si induce a questa rinunzia sono affatto estranee alla nostra Istituzione; alla quale anzi egli si fa sollecito di attestare la sua vivissima gratitudine, concludendo che delle numerose testimonianze di fiducia dategli dai colleghi nel corso di ventisei anni serberà sempre la più cara memoria. Il socio prof. Belgrano osserva che le dichiarazioni dell’egregio Desimoni vennero pur fatte, or è qualche tempo, privatamente a lui e ad alcuni colleghi, nè lasciano luogo a sperare che questi sia per recedere dal proposito manifestato. Vorrebbe però che, nel tempo stesso in cui si darà atto all’ onorando Uomo della sua let- — 1078 — tera, si aggiungesse una solenne manifestazione della stima e della riconoscenza che tutti nutrono e nutriranno per lui. Propone quindi il seguente ordine del giorno: L* ASSEMBLEA Udita la lettera dell’ avv. cav. Desimoni ; Mentre rispetta le ragioni in essa allegate, rammenta con gratissimo animo che 1' opera dotta e indefessa da lui prestata alla Società, per lo spazio non interrotto di ventisei anni, fu uno dei precipui fattori onde questa crebbe a prospera vita. Fa perciò caldi voti, affinchè l'avv. Desimoni voglia sempre concorrere con nuove ed importanti scritture a mantenere ed aumentare il decoro degli Atti; e lo proclama altamente benemerito dei nostri studi e del nostro Istituto. L’ ordine del giorno essendo appoggiato da molti soci, viene dal ff. di Presidente messo ai voti; ed è approvato all’unanimità. Il ff. di Presidente dice che sarà cura dell’ufficio di recarlo tosto a cognizione del cav. Desimoni. Il socio avv. Enrico Lodovico Bensa propone che 1’ ordine del giorno sia pure stampato in uno dei fascicoli degli Atti, dei quali fu annunciata la prossima pubblicazione, cioè in quello che compie il volume XIII. Anche questa proposta è approvata all’ unanimità. INDICE DEL VOLUME DECIMOTERZO DEGLI ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA La Gemma di Etiliche, del socio Vittorio Poggi (Dicembre 1884) Pag. j Poesie storiche genovesi, pubblicate dal socio Achille Neri (Dicembre 1884)........» Prima Serie di documenti riguardanti la colonia di Pera, adunati dal socio L. T. Belgrano (Novembre 1877) . • n 97 Un’ impresa contro Genova, sotto il regno del duca Ludovico di Savoia, narrata dal socio Gaudenzio Claretta (Novembre 1879)........»337 Cronaca di Genova scritta in francese da Alessandro Saivago, pubblicata dal socio Cornelio Desimoni (Novembre 1879) » Intorno al doge Paolo da Novi e alla sua famiglia, Nola del socio Marcello Staglieno (Novembre 1879) . . . » 4S7 Intorno alla impresa di Megollo Lercari in Trebisonda, Lettera di Bartolomeo Senarega a Giovanni Pontano, pubblicata dal socio Cornelio Desimoni (Novembre 1879) • >} 49S I Conti dell’ambasciata al Chan di Persia nel 1292, pubblicati dal socio Cornelio Desimoni (Novembre 1879) • '*537 Gabriele Saivago, patrizio genovese — Sue Lettere — Notizie e Documenti raccolti dal socio Antonio Ceruti (Novembre 1880)........» 70/ — io8o — La venuta di Luigi XII a Genova nel 1502, descritta da Benedetto da Porto, nuovamente edita per cura del socio Achille Neri (Dicembre 1SS4) . Seconda Serie di documenti riguardanti la colonia di Pera, adunali dal socio L. T. Belgrano (Dicembre 1SS4) L’isola di Tabarca e le pescherie di corallo nel mare circostante, pel socio Francesco Podestà (Dicembre 1S84) Poesie storiche genovesi, edite per cura del socio Achille Neri (Dicembre 1884)....... Pag. 907 » 911 » /00/ » 1045 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO FASCICOLO La venuta di Luigi XII a Genova nel 1502, descritta da Benedetto da Porto, nuovamente edita per cura del socio Achille Neri . Pag. 907 Belgrano, Seconda Serie di documenti riguardanti la Colonia di Pera » 931 Podestà, L’Isola di Tabarca e le pescherie di corallo nel mare circostante ........... » 1005 Neri, Poesie storiche genovesi (continuazione).....» 1045 Estratto di verbale dell’ adunanza tenuta dalla Società il 21 dicembre 1884........ . . . » 1077 ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA APPENDICE AL VOLUME XIII GENOVA TIPOGRAFIA DEL R. ISTITUTO SORDO-MUTI MDCCCLXXXVII ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA - ! , - - — ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA APPENDICE AL VOLUME XIII GENOVA TIPOGRAFIA DEL R. ISTITUTO SORDO-MUTI MDCCCLXXXVIII TAVOLE A CORREDO DELLA PRIMA SERIE DI DOCUMENTI RIGUARDANTI LA COLONIA DI PERA PEL SOCIO L. T. BELGRANO I ■ . IP 1 ' ___-_ « - INDICE DELLE TAVOLE I. — Pianta delle fortificazioni di Pera, delineata nel 1864, avanti la loro demolizione, dall’ ing.re Maria De Launay, segretario del Consiglio Superiore dei lavori pubblici dell’ Impero Ottomano. Una copia di questa Pianta venne trasmessa dal suo autore al Ministero degli affari esteri del Regno d’Italia, che la comunicò alla Commissione conservatrice dei monumenti per la Provincia di Genova; una seconda fu dallo stesso De Launay mandata al Municipio di questa Città, ed una terza alla Società Ligure di Storia Patria. Su l’ultima l’autore fece poscia alcune importanti modificazioni, delle quali nella presente riproduzione si é tenuto conto. Il De Launay, cui si devono alcuni scritti su i monumenti di Pera, più volte citati nella Prima Serie dei Documenti di questa Colonia, è morto da vari anni ; e le sue carte andarono disperse. — 8 — Veduta piospettica di Pera, desunta dal Liber insularum maris Aegei di Cristoforo Buondelmonti, in codice cartaceo del secolo xv, esistente in Genova nella privata libreria degli eredi dell’ aw. Francesco Ansaldo. III. Altra veduta, desunta dal Liber del Buondelmonti, in cod. cart. sec. xv della Marciana di Venezia (cfr. Valentinelli , Bibliotheca manuscripta ad S. Marci VencUarum, voi. vi, pag. 297, num. 337). Riprodotta sull esemplare fotografico, inserito dal Sathas nel terzo \ olume de suoi Documents inedits rclatifs A T histoire de la Grece au moyen àge (Paris, 1880-82). Palazzo del Comune in Pera, nella via ora detta Percembe-Ba^ar, all’angolo delle Quattro Strade come fu ricostrutto dopo l’incendio del 1315 (cfr. Prima Sene, doc. xm, pag. 116). Da un disegno del barone Romualdo Tecco, già incaricato d’affari e ministro plenipotenziario della Corte di Sardegna presso la Sublime Porta (1847-1856), donato alla Società dal- 1 illustre e compianto socio cav. Domenico Promis nel 1860. La Madonna di Pera, pittura bizantina su tavola ricoperta con lastra metallica a fregi e figure, trasferita a Genova e depositata nella chiesa di santa Maria di Castello, con atto del 16 dicembre 1461. Cfr. Seconda Serie ecc., doc. xxiii, pag. 993. Nella notte del 24 maggio 1878, ignoti ladri, penetrati nella chiesa di Castello, rubarono il prezioso monumento, distruggendo (come si suppone) la pittura e facendo in molti pezzi la lastra. Più tardi il rev. parroco, P. M. Tommaso Campo-Antico, avendo potuto ricuperare quasi tutti i pezzi della lastra, la fece ricomporre, completando, mercé una buona imitazione, le parti mancanti; e su la scorta della fotografia, chela Società Ligure ne avea già da tempo fatta eseguire, procacciò che all’ antico dipinto ne fosse sostituito uno non troppo dissomigliante. VI. — Lapide sepolcrale di Andreolo di Pagana, a. 1335, già nel cimitero di san Francesco di Pera, ed ora in quello di Feri-Keui. Da una fotografia mandata alla Società dal suo corrispondente Enrico Belin, console generale di Francia in Costantinopoli ed autore della r Histoire de V Eglise Latine de Constantinople ( morto nell’aprile 1877). Cfr. Prima Serie ecc., pag. 323, num. 5. VII. — Iscrizione del 1387, già nella località di Hendek, sulla prima torre a ponente di quella del Cristo. — Prima Serie, pag. 324, num. 7. Vili. — Iscrizione del 1397, già sull’ultima torre presso il fosso dal lato dell’odierno borgo di Kassim-Pascià. — Pag. 325, num. 9. IX. — Iscrizione del 1404, già sulla torre in via Hissar-Dibi. — Pag. 326, num. 10. X. — Iscrizione delle mura di cinta costrutte nel 1430, già in via Moum-Hané. — Pag. 327, num. 14. XI. — Iscrizione del 143 5 , già in una to;re della via Stupongi. — Pag. 328, num. 18. — IO — XII. — Iscrizione del 1441, già nella piccola torre della via Tabak-Hané. — Pag. 329, num. 19; dove nella linea 4/ dell’epigrafe la data del 1440 é da correggere: 00 o M . CCCC . XXXXI. XIII. — Iscrizione del 1442 , nella torre quadrata a Hendek. — Pag. 329, num. 20. XIV. — Iscrizione dello stesso anno, a Hendek, nella seconda torre dopo la Cristéa. — Pag. 330, num. 22. XV. — Bassorilievo in pietra, appartenente al 1441-42, coll’effigie di san Bartolomeo apostolo. — Pag. 330, num. 23. XVI. — Iscrizione del 1443, a Hendek, nella torre di cui al num. 22. — Pag. 331, num. 24. XVII. — iscrizione del 1445, sopra la torre in via Kalé. — Pag. 331, num. 25. XVIII. — Iscrizione del 1446, sovra la porta di Moum-Hané. — Pag. 331, num. 26. XIX. — Iscrizione dello stesso anno, a Aoum-Hanè, sovra la porta d’ingresso alla così detta Citò francane. — Pag. 332, num. 27. XX. — Iscrizione del 1447 , già murata in una casa della via Keumurgi. — Pag. 332, num. 28. XXI. — Iscrizione del 1448, già murata nella cinta a mare non lungi da Haviar-Han e Halli-Han. — Pag. 333, num. 29. XXII. — Iscrizione del 1452, sulla postierla a levante della Cristéa. — Pag. 333, num. 30. N. B. — Le tavole VII-XXII sono riprodotte dalle fotografìe, che il Municipio di Genova, assecondando le istanze della Società Ligure, fece nel 1875 liberalmente eseguire a proprie spese. Curarono Y esecuzione diligente delle stesse la R. Legazione Italiana in Costantinopoli, il già citato console Belin e il dottor Mordt-mann, ben noto pei suoi eruditi studi di storia bizantina. Infine tutte le XXII tavole furono apprestate dallo Stabilimento Litografico del socio Alessandro Rossi in Genova. Dicembre 1887. L. T. Belgrano. . * tavola i Spiegazioni-/, lùtee nere doppiate d, rosso denotano le fortificar io ni ^-^^tieti hA^he, ,,^„[^7^7 ^ mWru'Ht>uw parti di fortifica sia,,, delle piali non si pm indicare eon sicurezza il preciso andamento venite sono incordo/ aà " riferite P,Una 'sette de/' Dorimi/>nh /»umm w ^ '*!■■ , t/t Azat-Ktk, .costruirà sona una fui j /"r'"v,r*-%-*/.« ) H„n e )u,ui-Aa/,,, - f) Kicmk-KaU-Kapu. %JKiUd\apu - lijHoros -Kapu. - i ) Top-Hci/u -J&tfU- tu’ef.th. W/ Kulluk X Top-Ha né. PTTA D£^E M i : ■ ■ ' ■ -, '4£. t. .i. * -' V. jff/ . *'?« V* ‘ • •• - '■ '■ - - - - •: 'X ' • ■ ‘ . • ••• • • ■ ■ f. S. *r *•* , •••■ ; ■"'* ■ ■ k- - * • * » ‘ 'C *- ‘ ■ • f, . - ■ • . . V-.. - . '• . ->■ ■ • • •• - . v - - - . * • t- .. •* . - .... r. . ... • : .V . V. . • .■ \v /• ^ ' .... 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