I V Μ it i. ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE STORIA PATRIA VOLUME XXXVIII GENOVA NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA PALAZZO ROSSO MCMX PROPRIETÀ LETTERARIA DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA IN GENOVA ROMA. — TIPOGRAFIA DEGLI ARTIGIANELLI DI S. GIUSEPPE, 191α ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XXXVIII GENOVA NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ Palazzo Bianco MCMVIII PROPRIETÀ LETTERARIA ROMA TIPOGRAFIA DEGLI ARTIGIANELLI DI S. GIUSEPPE Via S. Prisca, 8-9 Colle Aventino. IL LIBRO DI RICORDI DELLA FAMIGLIA CYBO PUBBLICATO CON INTRODUZIONE, APPENDICE DI DOCUMENTI INEDITI NOTE ILLUSTRATIVE E INDICE ANALITICO DA LUIGI STAFFETTI - - -__ rwiTtin suti min'iiminitHiHiiiiitiTfiiif: ffWffmmtmtmttfwmtriiitftttttttT INTRODUZIONE ” ¥ =^" 1 Libro di ricordi della famiglia Cybo, che si custo- l_lpli| disce nel R. Archivio di Stato in Massa, è un codice cartaceo, con riguardie di pergamena, di mm. 251 X 372, modernamente rilegato pure in cartapecora. Consta di 78 carte, numerate progressivamente dal 2 all’85: ne mancano sei. La numerazione, infatti, incominciata colla prima carta segnata col 2, procede regolarmente fino alla settantunesima segnata col 72. Mancano poi due carte, che furono strappate come apparisce chiaro dai resti ancora uniti alla co-stola: seguono quattro altre carte coi numeri da 75 a 78 e v’è, quindi, una seconda interruzione di due fogli interi, come rilevasi dal resto del quaderno. Finalmente vengono le tre ultime carte coi numeri 83,84. 85. Fino a carte 75 la scrittura del cod. procede in corrispondenza di questa numerazione; da carte 75, invece, v’è scritto a rovescio della precedente maniera, cioè come se il codice dovesse capovolgersi e incominciare dal fondo. E in corrispondenza di questa seconda maniera è anche la numerazione delle ultime carte, che, con ordine invertito, diventano prime. Questo diverso modo di scrittura dalla carta 75 tergo seguitando alla 76 recto, s interrompe alla 76 tergo, alla 77 e per una metà della 78 recto, continuando poi per le tre ultime carte, rispettivamente segnate co’ numeri dall' 83 all' 85. Da quest ultima carta, che in senso inverso, diventa la prima, s’i-nizia un altra numerazione, cioè 1’ 85 tergo ha in capo il numero 1 ; continua col 2 e col 3 ; ma le successive, dalla 78 in poi (secondo la precedente numerazione) per quanto scritta in corrispondenza delle tre prime, non hanno cifre in questo senso. La numerazione seguita nello spoglio del codice è stata, naturalmente, la prima come quella che procede regolarmente da cima a fondo; ma ci è parso opportuno citare anche 1 altra, perchè la riguardia pergamenacea che vi corrisponde è scritta e intestata in corrispondenza di quest ultima. Giova avvertire, però, che tutt’e due le riguardie sono scritte soltanto nella facciata interna e nel verso delle due prime corrispondenti carte iniziali del codice. E poiché il testo non mantiene sempre l’ordine crono-Jogico^ma appare scritto in più tempi come da più mani, sicché vi sono ricordi d'un anno seguiti da annotazioni di fatti accaduti precedentemente, s’è creduto riordinare- la materia in modo che l'ordine di_successione dovesse, rigorosamente, seguire quello del tempo. Uome tanti altri libri somiglianti di ricordi domestici de secoli xv e xvr, anche questo dell’Archivio massese è una raccolta di memorie famigliari inziata da Franceschetto Cybo, che fu figliuolo d’Innocenzo Vili, per registrarvi l’entrata e la spesa, i prestiti fatti e ricevuti, gli affari e i contratti conclusi, le nascite, i matrimoni, le morti, le affinità e le parentele, gli uffici pubblici sostenuti, le onorificenze conseguite da principi, sovrani, pontefici e repubbliche. In mezzo alle notizie di carattere particolare, cosifatti libri di domestiche — IX — ricordanze ci conservarono spesso talune memorie di fatti civili o politici, tanto più interessanti per la storia perchè raccontati con ingenua schiettezza e senza alcuno intendimento o artificio letterario. Ma, particolarmente, sono una fonte considerevole di peregrine notizie per quella storia del costume alla quale oggi, con felicissimo risultamento, molti si volgono per studiare l'intima natura degli uomini e delle nazioni piuttosto ne’ rapporti della vita privata, nelle costumanze e negli usi, come più espressivi del particolare carattere di quello che non sieno le vicende politiche e il succedersi delle contese guerriere e delle diplomatiche contrattazioni. Poco vi scrisse Franceschetto, che notate appena, di suo pugno, le nascite de’ suoi figliuoli, senza trascurare Γ accenno a’giudizi che, con l’oroscopo, s’eran fatti per taluno di loro e registrate alcune ricordanze d’interessi domestici, lasciò in tronco il libro, certo perchè le agitate vicende della sua vita travagliosa, ne’ primi anni che seguirono la morte del pontefice suo padre, non gli lasciaron tregua dalle molte cure, sì da potere attendere a tener memoria di que’ suoi continui mutamenti di fortuna. Nè più che il nome de’ suoi figliuoli vi scrisse, per seguitare forse la paterna tradizione, quel Lorenzo di Franceschetto, continuatore della retta linea de’ Cybo, tratto anche egli, ne’ primi decenni del secolo XVI, fra l’avvicendarsi di sorte ora trista ora prosperosa. Ma con amore vivissimo e con zelo e cura costanti seguitò il memoriale dell’avo Alberico Cybo-Malaspina, figliuolo di Lorenzo, marchese di Massa, principe poi del Sacro romano impero, per una vita quasi centenaria appassionatissimo ricercatore de’ fatti della famiglia, assiduo studioso, delle gesta degli antenati, tutto acceso della nobile brama di rinfrescarne la memoria e di esaltarne i meriti e le virtù. Chè quel desiderio ardentissimo della gloria, onde fu-rono infiammati gli uomini della rinascenza, desiderosi di ricongiungere l’origine delle loro casate alle più antiche stirpi di Grecia e di Roma, parve continuasse vivace in Alberico, non solo desideroso di glorificare i suoi maggiori per un umanistico amore, ma anche mosso dall’ intendimento utilitario di crescere la propria nobiltà e dignità, ottenendo sempre maggiori e più onorifici titoli dalle varie Corti, e particolarmente, dall'imperatore e dal papa. In lai modo lo Stato di Massa, ch’egli aveva ereditato col titolo di marchese, potè essere elevato al grado di principato e, più tardi, di ducato; mentre la terra che era originariamente un piccolo borgo, accresciuta e presso che rifatta nella pianura, a piè del colle della fortezza, (podium Massae), fu cresciuta al grado di città imperiale. E Alberico, cavaliere di S. Jago poi gentiluomo di Corte di bilippo II, pur non essendo riuscito a conseguire il grandato di Spagna, potè avere il titolo di primo, e al patriziato di Venezia, di Firenze e di Roma, oltre che della nativa Genova, unire le onorevolissime distinzioni imperiali e pontificie, per cui, agli altri nomi potè congiungere quello di duca d’Ajello. Non è spiegabile altrimenti che con la brama di crescere in dignità, l’assidua cura ch’egli ebbe di magnificare la propria casa ricercandone le memorie e adoperandosi con ogni mezzo perchè scrittori, genealogisti, poligrafi e storici ne dicessero le imprese memorande, magnificandone le gesta. L'attività sua per esaltare l’antichità e la grandezza della sua casata, s’accrebbe dopo ch’egli ebbe dimesso il pensiero di collocarsi alla Corte di Spagna, definivamente, nel 1566, E, da quel punto, con diligenza maravigliosa, si diè a ricercare, dappertutto, scritture, istrumenti, lettere, privilegi, patenti, diplomi; s’informò delle sepolture dov’erano stati posti de’ Cybo e ne fece fare 0 rinnovare gli epitaffi, prò- curò la ristampa di libri ne’quali, come nel Facio, fosse memoria de’ suoi maggiori, fece trarre degli archivi napoletani notizie del proavo, da quelli di Genova documenti che aves-sesoautenticazione notarile, valendosi dell’opera del Federici e del Roccatagliata, affidò a Pietro Boselli le cure d’un compendiò su memorie originali, si procurò d’ogni parte istorie e genealogie, e spese grosse somme per indurre gli scrittori a modificare taluni giudizi che non gli piacevano, come quelli del Porzio e del Costo, o a comporre biografie quali le vite d’Innocenzo Vili del Serdonati e del Vjalardi, mantenendo per tutto ciò un’attivissima corrispondenza coi letterati del suo tempo, che desiderava divoti e riverenti alle memorie dei suoi antenati, quando pur non fosse stato possibile indurli a ricordarne e, con intendimento più pa-negiristico che laudativo, magnificarne le azioni. Queste relazioni frequenti e numerose d’Alberico Cybo-Malaspina coi letterati e gli scrittori del suo tempo lo fecero cultore de’ buoni studi e gli meritarono un luogo degno fra 1 seguaci delle arti liberali : Paolo Manuzio gli dedicò l’edizione delle sue Epistole (*) con una prefazione ampiamente laudativa; Gio. Michele Bruto volle porre il suo nome sul- :') Epistolarum Pauli Manutii libri octo, tribus nuper additis, eiusdem quae praefationes appellantur·, Venetiis, Aldus Manutius, Paulli F., 1569. Precede la dedicatoria — ad illustriss. Albericum Cibo Malaspinam, Massae et Car-rariae principem — con la data di Venezia, 1558· E’ una verbosa declamatoria, in cui dall'esaltazione di Lorenzo de’ Medici, chiamato — proavum tuum — si procede a quella de’ Cybo e de’ Malaspina, de’ quali « mirabilis omnium virtutum in omni aetate fuit exercitatio ». Poi così apostofa il principe: « Vides a quibus viris originem ducas, Alberice clarissime. Versantur in animo tuo cogitationes egregiae ; inde emergunt praeclara facta, tuis maioribus, teque ipso digna. Magni facis earum doctrinarum studia, quae si absint ab hominum vita, simul absit omnis humanitas ». Termina celebrando il favore magnifico che presta ai cultori delle lettere: « Faves ingeniis, ut audio, nihil deesse litteratis hominibus, nullum commodum, nullum ornamentum pateris: cupis virorum illustrium res gestas aeternis mandari monumentis litterarum ». — XII — le istorie, nelle quali fa quegli amplissimi elogi di Arano e d’Innocenzo Vili che sono ripetuti, nella cit. dedicatoria, dal Manuzio. L'opera del Facio, di cui il Bruto curò l’edizione, poi. è preceduta da un’ampollosa ed enfatica prefazione con la data di Lione, 1560, diretta ad Alberico, con retorica apostrofe esaltato ('). E dopo gli amplissimi elogi de' Cybo e de’ Malaspina, sulle orme del Porcacchi, an-ch’ esso di quella schiera di poligrafi che vivevano a Venezia presso i molti tipografi della seconda metà del XVI secolo, quando così attiva, in quella città, era la produzione libraria (2), termina celebrando Alberico, per merito del quale è pubblicato il Facio (3). Lodovico Domenichi, Giuseppe Betussi, Giacomo Mauro, Giovanni Giumcr, Francesco Zazzera, Innocenzo e Filippo Ghisi, suoi contemporanei, nelle dedicatorie di varie loro scritture ne esaltarono l’intelligenza e il sapere, ed altri minori vollero raccomandate a lui le proprie opere (4). E nella storia della cultura letteraria italiana nella seconda metà del secolo XVI, ebbe, 1 Vedi a pag. 486. Cfr. Sforza G., Francesco Sansovino e le sue opere storiche; in Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, serie II, voi. XLVII, (1897 , pp. 27-66. 3 Bartolomei Facii de rebus gestis ab Alpho7iso Primo neapolitanorum rege commentariorum libri decem opera et studio Io. Michel. Bruti; in Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell'istoria generale del Regno di Napoli; Napoli, Gravier, 1769; tom. IV. 4 Mi basti ricordare l’aretino Girolamo Borro, che gli dedicò la prima edizione del suo Dialogo del flusso e reflusso del mare, con lo pseudonimo di Ai.seforo Talascopio, con un Ragionamento di Telifilo Filogenio dellaperfettione delle donne, pubbl. in Lucca, per il Busdrago, 1568. Il Borro dedicò, poi, la seconda edizione della sua operetta a Giovanna d’Austria, moglie di Francesco di Toscana; una terza alla Serenissima Signora Bianca Cappelli, Granduchessa di Toscana. Cosi fortuna, per quel giullare delle lettere, andava cangiando stile! Cfr. Girolamo Borro; Del flusso e reflusso del mare, et dell'inondatione del Nilo. La terza volta ricorretto dal proprio autore. In Fiorenza, Giorgio Marescotti, 1583. più tardi, luogo o per opera di scrittori regionali quali il Foglietta, il Giustiniani il Soprani, ο d’altri paesi, quali il Manni, il Quadrio, il Crescimbeni, il Tiraboschi, il Fon-tanini, sì che parve al Campori ch’egli sia « assai men noto di quanto « meritebbonsi i fatti suoi, perchè in troppo « breve ambito circoscritti » ("). Fra gli scrittori che, primi in ordine di tempo, ebbero rapporti con lui, giova ricordare Francesco Maria, di David Cybo, suo lontano parente (*), che era versato nella istoria e si dilettava di poesia Egli secondò e favorì le ricerche d’Alberico desiderando che anche il ramo suo avesse chiarezza per opera di lui. Però gli comunicava un’ opera di Ortensio Landò notando come bugiarda la memoria che costui faceva d’Innocenzo Vili, e il Compendio delle Istorie del Regno di Napoli, di Pandolfo Collenuccio, corrette dal Ruscelli, e l’incitava a far scrivere la vita di quel papa, fornendogli a questo fine, notizie e indicazioni bibliografiche. « Poi che vedo in lei questo animo generoso d’havere desiderio che le cose antique della casa siano ridotte a memoria delli tempi nostri, gli scriveva in una lettera (3), « conforme alla verità, et questi scrittori la più parte hanno una perversa usanza, che tutti vanno appresso a quanto ne trovano scritto dal primo et de qui è dipeso che quasi tutti quelli che hanno fatto memoria di papa Innocentio, seguendo la inetta authorità del Supplemento (4), hanno scritto pazie; non mancherò di dir- (M Campori Giuseppe; Documenti per la vita di Uberto Foglietta; in Atti e Memorie delle RR. Depuzioni di storia patria per le prov. modenesi e parmensi. V. 201. O Della stirpe di Daniele, cfr. Buonarroti, Alberi genealogici, mss. della Civico-Beriana. (3) Sforza G., Un genealogista dei principi Cybo-, in Atti della Soc. lig. di st. patria, voi. xxvii (1895) pag. 238. (4) Altrove spiega il suo accenno: «Quel fratuzzo, authore del Supplemento delle croniche, e li altri che poi hanno seguito el suo errore, hanno scritto che papa Innocentio fu di mediocre famiglia, quantunque honorata ». — XIV gli che seria bene informarsi, per via di Roma et di Milano, se vi è alcuno quale, ad imitatione del Giovio, scriva le hi-storie delli tempi nostri, poiché lei sa vi serà che dire di alchuna cosa importantissima pertinente alla casa, che quando non fusse scritta con li debiti modi darìa a tutti grandissimo carrico ». Certo questa — importantissima cosa - era la naturalità di Franceschetto, che si voleva far apparire nato di legittime nozze di Giambattista, perchè non s avesse a dire ch’era un bastardo il capolinea de’ Cybo marchesi di Massa. E, oltre a questo, si voleva scagionare Giulio, fratello d Alberico, della taccia, reputata odiosa presso la Repubblica genovese, d’aver parteggiato con Gian Luigi Fieschi nella congiura del 1547. Per l'amicizia coi D'Oria, per la cordialità di rapporti con la Repubblica, per la deferenza ossequiosa verso Spagna, il Signore di Massa doveva togliere questa, che potea parer macchia obbrobriosa, alla sua famiglia, tanto più che le animosità erano, di que’ giorni, rinfocolate per la causa promossa da Scipione Fieschi per la rivendicazione de’ beni paterni. E Francesco Maria seguitava: « Io, vivendo Gia-cobo Bonfadio, quale scriveva le historie de’ nostri tempi di Genova, ne parlai a longo con lui, et mi haveva promesso scriverla di sorte in le sue historie, nelle quali di nicissità bisognava farne memoria, che non haressimo cagione dolersi di lui ». Questo /rattizzo è fra Iacopo Filippo da Bergamo la cui opera fu poi ristampata, con le cure di Francesco Sansovino, in Venezia nel 1574. Il Panvinio ne fu «tratto in inganno », come parecchi altri, secondo Francesco Maria. Ma Alberico, fatte fare le modificazioni e giunte dal Sansovino, ne tenne poi conto speciale nei riassunti di memorie che faceva per suo conto. Cfr. a pag. 103. — XV — Queste del prediletto parente non furono vane parole, perchè Alberico si adoperò, prima col Porzio, perchè usasse que’ riguardi che desiderava, poi fece istanze al Foglietta perchè, trattando di Giulio, non gravasse le tinte della sua impresa e dichiarandogli che « alla nostra famiglia avea ben egli lasciato il pianto, ma non già rimordimento d'honore, come alcuni maligni o invidiosi l’hanno a pensare », e, finalmente, si adoperò perchè il Paschetti facesse all’ opera del Bonfadio quelle interpolazioni che avrebbero dovuto risolversi a piena esaltazione de’ Cybo ('). Fu da Francesco Maria che Alberico ebbe notizie, del-l’opera di Bartolommeo Facio in cui è parola di Arunte (Arano) Cybo, padre d’Innocenzo Vili, ed incitamento a farla stampare, come pure incitavalo « di ricercare se alcuno scrivesse le historie del Regno (di Napoli) de quelli tempi, come si vanta voler fare il Ruscelli, et con la sua authorità et promesse di honesto guiderdone, astringerlo a fare honorata memoria di questo^ valoroso homo ». Tanto caloroso entusiasmo pose Francesco Maria Cybo in queste pratiche da muovere con sdegno e fierezza contro quelli che non aveano scritto, secondo il suo desiderio, della famiglia, e ripresa — la loro inetia — li commiserava con questa acerba critica: « abenchè si veda chiaro che in li historici, quali sono homini come li altri et molti di essi più atti ad essere guàtari da cocina che a scrivere historie, cosa che richiede gravissimo giudicio, faticosissima diligentia et ornatissima eloquentia con esser rimesso da ogni amore et odio, po’ in loro assai la passione, come tra gli altri, si si vede in quel veramente brodaiolo frate Onofrio da Verona (Panvinio), che non si è vergognato da dire che papa Bonifacio IX Tomacello nacque di mediocre famiglia >. C) Cfr. pag. 273. Insomma Francesco Maria Cybo s’ebbe tutta la fiducia del suo congiunto Alberico e tenne, fino alla sua morte, che fu del 1575, attivissima corrispondenza con lui che, al dir dello Sforza, (') « non moveva foglia senza di lui, divenuto ' il genealogista e lo storico della famiglia, il suo fido con- o o « sicrliere in fatto di cose araldiche ». o Con Camillo Porzio Alberico incominciò a carteggiare nel 1568 dicendogli che avea letto la sua Congiura, de Baroni con soddisfazione, salvo quel punto in cui ricordavasi come Innocenzo Vili, primo di tutti i pontefici, avesse onorato — i figliuoli non legittimi. — Era proprio una delle « importantissime cose » su cui Γ aveva messo in guardia Francesco Maria. Però dichiarava allo storico napoletano di avere presso di sè « scritture antiche per le quali si vede che il conte Fran cesco. mio avo et a Innocentio figlio, non era, in quanto alla verità, naturale ». Eppure dopo aver spiegato con un racconto che ha tutto il sapore d’ un romanzetto, la possibile legitti mità dei figliuoli di Giambattista, terminava con la protesta che non diceva ciò « per ricoprire questo fatto, chè la no^ biltà mia antica, paterna et materna, non ha bisogno di questo! » E alla protesta aggiungeva una considerazione, che lascia proprio supporre tutto il contrario di quello che lo scrivente si proponeva, cioè ch’egli, pel primo fosse, poco o punto convinto della bontà della sua tesi, intendo della negata naturalità de' figliuoli d Innocenzo Vili. « Oltre che l'istesso Ferrando (I, d’Aragona, re di Napoli) et altri gran principi d’Italia e fuori sono stati naturali, e da quelli molte volte si è visto non solo conservare le case loro, ma innalzarle infinitamente » (2). ;*) Op. cit. pag. 244. . ,2 Sforza G. Lo storico Camillo Porzio e Alberico 1 Cybo Malaspina, Principe di Massa-, in Arch. s/or. italiano, Ser. V, tom. XII, i 1893), pag· 149- — XVII — Seguendo, anche qui, il consiglio di Francesco Maria, Alberico invitava il Porzio a scrivere la vita di quel pontefice e a dedicarla ad Alderano Cybo, suo primogenito, e si offriva di mandargli « una historietta », che « con sincerità et fedeltà dice et racconta ogni progresso della casa mia e del Papa e della guerra del Regno di Napoli », assicurandolo « come tutto diligentemente fosse cavato da scritture antiche dei suoi archivi e di quelli di Roma ». E chiaro, da questa lettera, come Alberico Cybo intendesse adoperare quelli che erano i frutti delle sue costose ricerche. Ma il Porzio non accettò Γ offerta e neanche ebbe il modo di togliere dalla sua storia quelle parole incriminate dal signore di Massa, chè non ristampò più l’opera sua. Quasi a compensarlo di quella esibizione di generosità, promise che avrebbe scritto sulla guerra di Cipro, facendo onorata menzione di Alderano Cybo allorché avrebbe narrato la battaglia di Lepanto. E qui, veramente, lo storico napoletano si sarebbe trovato in impicci, perchè sebbene 1 affetto paterno muovessse Alberico a volere decorosamente rammentata la partecipazione del figliuolo alla gloriosa impresa, pure egli stesso dovette, di suo pugno, scrivere che a Lepanto, per malaugurata sfortuna, non si potè trovare ('). In un altro racconto assai scabroso potè tuttavia il Porzio soddisfare i desideri di Alberico, là dove parlò di Giulio Cybo. Difatti gli mandava il II libro della sua Italia con questa dichiarazione: « Vedrà come l’affettione ch'io le porto mi faccia amplificare et ornare le cose che appartengono a lei », affermando che non aveva voluto seguire Lorenzo Capelloni per il racconto della congiura. Continuò Alberico fino al 1572 la corrispondenza con lo storico napoletano, cui mandò carte e documenti nella speranza che (') Cfr. pag. 510. 2 — XVIII — egli se ne potesse ancora valere o per le nuove opere che prometteva di scrivere o per le possibili modificazioni a quelle già edite, qualora avesse potuto farne una ristampa ( ). Alle relazioni con Uberto Foglietta ebbe pure per incitatore Francesco Maria Cybo. Quel valente istorico genovese avea riparato, nel 1564« sotto 1 ombra di Emanuele Filiberto duca di Savoia, essendo stato sbandito dalla patria e pei seguitato negli averi con la confisca dei beni, perchè aveva dipinto troppo al vivo le prepotenze e gli abusi de’ Nobili vecchi, facendosi sostenitore del partito de popolari, nella sua opera in forma dialogica: Delle cose della Repubblica di Genova, pubblicata a Roma nel 1559. Sapendolo poverissimo, Alberico poteva, a suon di moneta, indurlo a farsi panegirista della sua casa, specialmente perchè era noto eh’ egli avea posto mano a una Storia generale dei suoi tempi, che dovea incominciare dalla guerra di Carlo V contro la lega di Smal-kalden, comprendendo, quindi, anche le vicende degli anni 1547 e 48, opera tale che non gli bastò la vita per finirla. Non pare che la proposta di Francesco Maria potesse avere seguito, e per quanto tra il Foglietta, che poco rimase nella dipendenza del duca, ed Alberico vi fosse carteggio e signore di Massa lo tenesse in conto e si mostrasse cortese e cordiale con lui, non ebbe in altro a richiederlo se non intorn al racconto delle fortunose vicende del fratello Giulio. Co stituivano queste una considerevole parte di quel fram mento della Storia generale, che il Foglietta avea terminato nel 1569, dandogli il titolo di Stona della congiura del Fieschi e che egli proferì di dedicare ad Alberico Cybo, speran done qualche ricompensa. Costui avendo saputo dal suo 1 Al principio del 1570, per incarico di Alberico, gli scrisse una lun-ga lettera, in difesa. d’Innocenzo Vili, Francesco Maria Cybo, che a avuto poco buone informazioni sul Porzio, il quale, il 22 di gennaio queir anno, accusava ricevimento di quella lettera al signore di Massa. agente di Roma che in quell’opera vi sarebbe stato « qual-« che biasimo de la felice memoria del Signor Julio », rispose a Uberto in modo molto lusinghiero, dandogli avvertimenti circa la verità delle cose che avrebbe dovuto dire del fratello, ch’egli si adopera a giustificare d’aver lasciato il servizio dell’ Imperatore « riputandosi aggravato.... et veggiendosi « poco o nulla favoreggiato da lui nelle sue urgenti occor-« renze et necessità », e dichiarando che il suo fine non tendeva ad altro che a fare in Genova un nuovo governo, senza lesione alcuna della libertà e della conservazione della Repubblica, ma solo rimuovere in quella il nome di Cesare et porvi quello di Francia » Protestava al Foglietta che gran d’obbligo gli avrebbe il mondo s’egli volesse « scoprire il « velo dell’offesa del D’Oria suo parente », ed affermava che al suo fratello « non mai cadde in animo non che pensò pure « d’offendere la persona del Principe, fuorché farlo prigione » Tutto questo stava a cuore ad Alberico fosse detto, contra riamente alle affermazioni di Alfonso Ulloa, il biografo di Carlo V, e di Lorenzo Capelloni di Novi, autore di una storia de Le congiure clic fingono fatte l anno del (juaranicistite in Italia, nella quale parlava con rigore di Giulio Cybo, di cui aveva nelle mani il processo (')· Ma l’opera, pubblicata nel 1571, fu dedicata invece che al signore di Massa, a Girolamo Montenegro (2). Nell’altra opera Clarorum ligurum elogia, che vide la luce due anni dopo (3), il Foglietta ebbe campo di mostrare la (1) La lettera di Alberico al Foglietta, edita già dal Campori negli Atti e Menu delle RR. Dep. di Stor. patria per le provvide modenesi e parmensi, toni. V (1869), pp. 201 203, fu ristampata dallo Sforza in Cronache di Massa di Lunigiana, Lucca, Rocchi, 1882, pp. 121-123. (2) Uberti Folietae ; Ex universa historia suorum temporum ; Neapoli, Cacchio, 1571. Cfr. Cotignoli U., Uberto Foglietta; notìzie biografiche e bibliografiche; in Giorn. stor. e lett. della Liguria, anno VI (1905' pag. 154· (3) Uberti Folietae, Clarorum ligurum elogia, rectratatius pleniusque edidit Aloisius Iacobus Grabsius; Genuae, Canepa, 1864. — XX — sua deferenza per Alberico facendo luogo onorevole a Cybo, di cui elogiava Lamberto, Arano, Innocenzo Vili, i cardinali Innocenzo e Lorenzo Cybo-Mari, e lo stesso principe, la cui famiglia, oriunda di Grecia, diceva, « crevit perillustris... - ut clarissimis et praepotentibus aliquot italicis familiis af- < fluitate coniuncta multas passim ditiones possideat ». Ma uno scritto tutto particolare pe’ Cybo non lo compose. Quanto non fece Uberto compì suo fratello Paolo, il quale in fine alle Historiae Genue?isium f1) di quello, da lui pubblicate, aggiunse compendiose ma laudative notizie. dei Cybo (2). Dei rapporti di Paolo col Vialardi, mediatore per Γ intervento del Serdonati come traduttore della storia d’Uberto Foglietta, è opportuno far cenno per ricordare le relazioni di Alberico con questi due ultimi scrittori, che doveano essere i biografi di Innocenzo Vili. Il Vialardi scrisse un minutario d’avvertimenti perii principe in quell’anno 1570 che fu il più attivo di ricerche e corrisponden-denze epistolari (3). Di quei consigli Alberico fece tesoio, e il « valentuomo » che dovea comporre « una vita dei due papi... alla plutarchesca », gli parve averlo appunto trovato nel Serdonati. Il quale soltanto venticinqu’anni dopo i ricordi del Vialardi aveva terminato quella Vita e Fatti d Innocenzo Vili per la cui composizione tanto s’era giovato delle 1 Uberti Folietae palricii gemiensishistoriae Genuensium libri XII. Genuae, ap. Hier. Bartolum, 1585, ,2; Vi premise un breve proemietto - ad lectorem — in cui spiega d’aver voluto supplire, con quell’aggiunta, a quanto non potè compire ii fratello « immature morte nobis praeter spem ereptus » sicché « non potuit multa illustrium familiarum nostrae civitatis monumenta colligere, quae suam historiam non mediocriter illustrassent ». Nell’edizione della stessa, opera tradotta dal Serdonati, è pur tradotta questa giunta di Paolo. Cfr. Dell'Istorie di Genova di Mons. Uberto Foglietta, patrizio genovese, Libri XII, tradotta per M. Francesco Serdonati, cittadino fiorentino; in Genova, eredi liartoli, 1597, pagg. 661-664. (3) Vedilo a pag. 123. — XXI — indicazioni d’Alberico (*). Ma quest’opera non uscì, per allora, dall archivio massese de Cybo ; o piuttosto vi uscì, ma non col nome dello scrittore fiorentino. Perchè l’opera che il Vialardi, di lì a diciotto anni, dava, col proprio nome, alla luce (2), è la integrale riproduzione del mss. del Serdonati, eccettuate poche interpolazioni di passi del Buk-cardo e del Bosio, sicché, dal confronto accurato dei due testi, bisogna proprio giudicarla un vero plagio. Non per nulla nella prefazione, dichiarava la sua gratitudine ad Alberico ! (3) Già parve se ne accorgesse Giuseppe Campori, il quale, pubblicando una lettera del Serdonati scritta ad Alberico da Roma, il 31 maggio del 1601, in cui si tratta, fra l’altro, della Vita d'Innocenzo e delle critiche di soverchia lunghezza che taluno le avea fatto, osservava: « Non si conosce la cagione « che rattenne il Principe dallo stampare questo lavoro, corn-« posto a sua istigazione e con notizie da lui stesso som-« ministrate : ma noi crediamo di averla rinvenuta nell’ an-« teriore lettera dello stesso Serdonati al Cybo, edita dal « Parenti, (è quella da noi ristampata a pagg. 136 per la rarità dell’opuscolo del Parenti), nella quale si scusa libe-« ramente dal fare uso di quei ragguagli che si riferivano (*) Cfr. le sue lettere a pag. 133 e 136. (2) Cfr. pag. 28 >. (3) Pigliando l’edizione del Serdonati curata dal Ticozzi, (cfr. pag. 481) e confrontandola con la pubblicazione del Vialardi, i primi 51 §§ sono ripetuti dal Vialardi alla lettera: c’è poi, al pricipio del ij 52, una interpolazione di due pagine, indi continua la copiatura fino al § 60. Il g 61 del Serdonati manca nel Vialardi, ma dal 62 al 67 continua la identità, che s’interrompe per l’interpolazione dì una parte della Storia de Cavalieri dì Malta del Bo-sio. Pei §§ dal 67 al 70 nel Vialardi è aggiunto qualche cosa cavata dal Diario del Burcardo, poi ricomincia il parallelismo fino al 75 dov'è ancora qualche parafrase, poi si continua, concordi, fino all’83. A metà dell’84 c’è 1111 di stacco; da pag. 50 del Vialardo bisogna passare alla 67 per trovare la corrispondenza col § stesso del Serdonati, e si procede così fino al § 90. A metà del quale, per avere la solita corrispondenza, bisogna tornare alla pag. 88 del Vialardi, e così, con poche interruzioni e spostamenti, si continua fino all’ultimo! — XXII — « bensì ai predecessori, ma non avevano strette relazioni « con la vita del Pontefice o erano stati narrati da altri o « non posavano sopra sicuro fondamento. La qual cosa non « poteva riuscir gradita al Principe ». E conchiude : « Questo sappiamo con certezza, eh egli « (Alberico) affidò la stessa impresa a F. M. Vialardi, il « quale avuto nelle mani il mss. del Serdonati, e fattone suo « prò largamente, dopo la morte di costui (poco dopo « 1608) diede alle .stampe in Venezia, l’anno 1613, una vita « d’Innocenzo Vili, conforme alle viste d’Alberico ». Quello che osserva il Campori è, però, vero solo in parte^ perche il Vialardi non solo fece suo prò dell’opera del Serdonati, ma la stampò tutta quanta col proprio nome, incitandovelo Alberico, mentre il Serdonati avrebbe, forse, voluto sfrondare alquanto il suo stesso lavoro, che il Via lardi rimpinzò e ampliò ancora. A scusa del Vialardi può, in parte, valere eh' ebbe dal Serdonati stesso il mss. come rilevasi dal poscritto della cit. lettera pubblicata dal Cam pori: « Il Vialardi mi ha chiesto la vita e l’istruzioni, con « quelle orazioni e la .lettera di Montalto, ed io glie n ho « accomodato » (!). Fu il Serdonati occasione dei cresciuti rapporti di Albe rico Cybo con Tommaso Costo, lo storico napoletano conti nuatore del Compendio delle historie di Napoli di Pandolio Collenuccio (2) e autore di quelle Vite di tutti 1 Pontefici-, da Piero in qua, eh’erano un’epitome del Platina(3). 1 Campori Giuseppe ; Lettere di scrittori italiani del secolo XVI, stampate la prima volta; Bologna, Romagnoli, 1877. È la dispensa 157 della nota Scelta di curiosità letterarie. (*) Ho qui sott’occhio l’edizione di Venezia, appresso i Giunti, 1613, che ha questo titolo: Compendio dell'istoria del Regno di Napoli, di Pan dolfo Collenuccio da Pesaro, di Mambrino Roseo da Fabriano et di To maso Costo napolitano, diviso in tre parli, con le annotazioni del Cosro. La terza parte è dovuta, interamente, allo storico napoletano e ha principio dall’anno 1563 arrivando fino al 1610. , ή Furono stampate a Venezia, da Bernardo Basa e Barezzo Barezzi,nel 1592· — XXIII — Avea il Costo, fin dal 1589, messo sull’avviso il libraio veneziano Barezzi, che gli avea proposto di scrivere quel compendio, come nella continuazione delle Vite del Platina in volgare, quella d’Innocenzo VIII fosse di « soverchia secchezza », e contenesse « nel bel principio una gran bugia », cioè che questo pontefice « nacque di bassa condizione ». E osservava che, essendosene due anni prima accorto, aveva fatto una postilla a penna per dichiarare che quel papa « fu de « Cibi, famiglia nobilissima, et antichissima et una delle ventiotto di Genova ». Per quanto il Costo non lo dica, il continuatore delle Vite del Platina era Onofrio Panvinio, il dotto Agostiniano veronese che morì a’ servigi del Cardinale Farnese. Ora appunto contro questo « frate brodaiolo », come lo chiama con troppo avventata impetuosità, s’era scagliato Francesco Maria Cybo per quella offesa recata alla sua casa : ed il Panvinio ne fece poi ammenda, perchè ripubblicandosi le Vite del Platina con le sue aggiunte dichiarava d’aver scritto con poca sicura conoscenza di quella insigne casata ('). Ad Alberico, poi, indirizzava la ristampa delle Vite de Pontefici Fieschi, Innocenzo IV e Adriano V’, di Paolo Pausa, pubblicata a Napoli da Gian Iacopo Carlino nel 1601, a cui poneva una dedica riboccante d’elogi pei Cybo, de quali Eleonora era entrata nella nobilissima casa di que’ due papi, mentre Innocenzo Vili avea, forse, assunto « quel nome « per imitare le virtù e il valore d’Innocenzo IV ». Ora avendo il Serdonati letto nei Ragionamenti intorno alla descrizione del Regno di Napoli et all' antichità di Pozzuolo di Scipione Mazzella (2), le molte critiche fatte dal Costo che (*) Honofrio Panvinio da Verona al Lettore. In principio della Historia delle vite dei sommi pontefici dal Salvator nostro sino a Paolo V, scritta già da Battista Platina, dal P. F. Onofrio Panvinio e da Antonio Cicarelli, et hora ampliata da D. G10. Stringa*, In Venezia, Giunti, 160S. (2) Uscirono a Napoli, coi tipi dello Stigliola, nel 1595. — XXIV — n' era l’autore, segnalava ad Alberico, mandandogliene copia, un passo di quest'opera in cui si riprendeva il Mazzella d aver sostenuto che i Tornaceli! di Napoli erano una stessa casa che i Cybo, mentre, dichiarava lo storico napoletano, i 1 omacelli stessi lo negavano! Il Principe gli scrisse allora una lettera per farli sapere il vero, acciò che ne siate informato, per un’ altra occasione, et rimedi al passato » ; citandogli, per convincerlo della antica comune origine delle due famiglie, coni’ egli pretendeva dovesse essere, la epigrafe della statua di Bonifacio IX in S. Paolo di Roma, la uniformità degli stemmi delle due case, e la testimonianza del vivente Signor Federico Tomacello Marchese di Chiusano (n. Si affrettò il Costo a compiacere Alberico, e dedicandogli la prima edizione delle sue Lettere (2) vi premetteva una prolissa scrittura in cui dopo aver spiegato la critica al Mazzella per certe informazioni avute « da alcuni Cavalieri di Capoana » dichiara che « il tempo, scopritor delle cose occulte, gli ha « poi fatto conoscere quanto da que’ tali fusse ingannato ». E descrive l’accoglienza cortese ricevuta dal Marchese Federico Tomacello di Chiusano, che, in Posilipo, ov’ha una bellissima casa, gli ha mostrato scritture e fatto vari ragio- (■' Questa lettera d’Alberico al Costo, pubblicata dallo Sforza di su 1 abbozzo originale, è senza data ; ma certo fu scritta non prima del giugno i6or, essendo di quel tempo la lettera del Serdonati già cit. e pubbl. dal Campori. Vedila in Sforza G. : Alberico I Cibo Malaspina e Tommaso Costo; in Arch. slor. italiano; Ser. V, tom. XXIX (1902) pp. 50 e segg. 2 Furono stampate a Venezia, da Barezzo Barezzi, nel 1602. Anche la seconda edizione, che uscì a Napoli, appresso Costantino Vitale, nel 1604, era dedicata ad Alberico di cui portava, nel frontispizio, lo stemma. Il Costo aveva già pronta da qualche tempo l’edizione delle Lettere, quando, per compiacere il Cybo, aggiunse alla dedicatoria la correzione da costui desiderata. Rilevasi dalle seguenti parole della sua lettera del 17 ottobre 1602: « Il libraro di Venezia m’avisa havere aggiunte all'epistola de-« dicatoria quelle poche, ma importanti parole, ch’io gli mandai, circa il * particolare de’ Tomacelli, che si gloriano del parentado co’ Cybi ; do-« vrebbe a quest'hora haver dato principio a stampare ». — XXV — namenti per attestargli come in fatto fosse falso « che noi < Tomacelli neghiamo d’esser parenti de' Cibi » ma anzi « ce ne pregiamo e gloriamo ». Da quel punto attivissima fu la corrispondenza fra il Principe di Massa e lo storico napoletano, che mandò ad Alberico « alcune scritture curiose » della sua famiglia avute da un gentiluomo genovese, essendo intermediario fra’ due Giuseppe Stefanini, agente del Cybo a Napoli. D’un altro scrittore meridionale Alberico Cybo cercò ed ebbe l’amicizia, di Scipione Ammirato, che dalla nativa Lecce, dopo molte peregrinazioni, era andato, nel 1569, a porre stabile dimora in Firenze presso il Cardinale Ferdinando de’ Medici ed ebbe, da Cosimo I, l’incarico di scrivere le Istorie fiorentine. Mentre egli avea mano a comporre la genealogia delle famiglie nobili napoletane (') il signore di Massa gli scrivea, il 3 di marzo del 1572, che desiderava conoscerlo « et havere occasione di fargli qualche servitio » e, venendo senz’ altro — al grano, — dicevagli : « et acciò possiate più confidentemente farlo, m’è parso di pregarvi che vi piaccia, quanto prima potrete, avvisarmi quello che havete pensato di scriver della Casa mia ». L’Ammirato capì le parole di Alberico e ne accettò le offerte di notizie e documenti che, nel 1576, da Genova, il Cybo scriveva essere occupato e ricercare anche fra le carte di S. Siro, rammaricandosi come « non si trova qua nè da croniche nè da altra cosa, memorie più antiche che dal millecento in qua ». Troppo poco, invero, per quell’esumatore di antiche ricordanze, a cui stava tanto a cuore Γ esaltare la grandezza e Γ antichità della casa, che avrebbe addirittura voluto ricondurne le origini alle classiche età di Grecia e di Roma. Esortava perciò l’Ammirato a « cercare gli autori forastieri » (*) La Ia parte fu pubblicata a Firenze da Giorgio Mariscotti, nel 15S0; la IIa soltanto sessantanni dopo, nel 1641, da Sciimone Ammirato il giovane. — XXVI — per risalire, da quel tempo, più indietro, e gli proponeva lo studio di Fanusio Campano e di Giovanni Vergilio, creati dalla fantasia del Ceccarelli e, per allora, creduti fonte attendibile, innanzi che Alberico scoprisse la falsità di questo ciurmadore. Anche per tener alta la memoria d Innocenzo Vili, dimenticato, da Scipione, nell'orazione a Clemente Vili pei la crociata contro i Turchi, nel novero di que pontefici che alla santa impresa aveano pensato i1); e per far ribattere, da lui nelle Istorie fiorentine la « vanità » dell Adriani che, a dire il vero, con molto fondamento di positive ìagioni, avea messo in chiaro il mal animo del duca Cosimo verso il Cardinal Cybo, per i raggiri e gl imbrogli di costui nel brutto processo dei della Campana (2), Alberico Cybo scrìsse con calda insistenza e affettuosa premura (J). Di taluni scrittori Alberico non ebbe mestieri di solleci^ tare, direttamente, le relazioni, chè anzi ve ne futono di adulatori servili che lo piaggiarono senza ombra di onesta dignità. Fra costoro è da porre, anzi tutti, il padie abate Angelo Grillo, genovese, nella cui raccolta di lettere ( ) se ne trovano ben quattordici dirette al Signore di Massa. Lamenta il Grillo che Oberto Foglietta nella sua storia abbia tralasciato di dir molte cose della casa Cybo che « è cinta di sì bei fregi di gloria che può rendei e glorioso (‘) « Egli, il primo e secondo anno del suo pontificato, spese più ioo mila ducati nelle armate per mandare contro al Turco, e n che non tardò molto a morire, haveva concluso lega, con grandissima P ^ e fatica, con tutti i principi christiani e determinato di far tre eserciti, guidato dall’ Imperatore, l’altro dal Re d’ Ungheria e il terzo, con 1 arnia dalla sua stessa persona, purché seco fusse in compagnia o il Re di Franci, o di Spagna, come ampiamente si legge in alcune sue istruttioni, qua e questi giorni mandai al Serdonati per farle stampare »· Alberico Cybo, Genova, 18 Gennaio 1595, all’Ammirato. (3) Cfr. nel mio Inmcenzo Cybo il fatto, pp. 212 e segg. 3; Cfr. Sforza G. Scipione Ammiralo e Alberico I Cybo - Malaspina Principe di Massa·, in Arch. stor. italiano, ser. V, tom. XVIII (1896) pp. i°9" 1 (4) Ed. di Venezia, Giunti, Ciotti e C. 1608. — XXVII — ogni scrittore che faccia sua impresa lo scriverne »: e s'augura che porga l’occasione ad altri di farlo compiutata- mente con opera particolare. Conoscendo quanto fosse dispiaciuto ad Alberico leggere nel Panvinio che Innocenzo Vili era di famiglia poco chiara ed illustre, trae argomento dal Dialogo della nobiltà del-l'Illustrissima famiglia Cybo di fr. Innocenzo Cybo Ghisi Γ1) per scrivere: « Chi ha letto il successore dell’historie del Platina, leggendo questo Dialogo e non vedendo che si risponde alla falsa e maligna openion sua, dirà: Costui vuol la gata, fugge la scola; perchè non gli dà l’animo di porre in campo l’oppositione ». Con lui Alberico trattava di cose letterarie e l’aveva pronto e sicuro estimatore, come quando ebbe a inviargli « due saggi del poema lirico et dell’eroico », dei quali il Grillo profuse, a larga mano, le lodi: « Il soggetto dell’uno et dell’altro, nel vero, è tanto alto che fa parer bassi i poeti: e l’arte è così vinta dalla materia, che le vaghezze paiono mancate in mano degli artefici, li quali però son così degni di scusa, che toccano, a mio giudicio, il segno della lode » (2). Ma il centro più considerevole delle relazioni letterarie d’Alberico Cybo fu Venezia, dove, nella seconda metà del secolo XVI, era un’eletta coorte di belli ingegni, attratti non solo da quella « città nobilissima et singolare », ma trattenuti colà per il numero considerevole di accreditate stamperie nelle quali attendevano studiosi e scrittori a curare i testi e a rivedere le stampe. Alberico ebbe relazione, in Venezia, con quel Ludovico Domenichi di Piacenza che gli dedicò la sua traduzione della Historia naturale di (x) Genova, 1588. (2) Sforza G., Una lettera inedita del P. Angelo Grillo, in Giornale ligustico, anno XXI (1896), pp. 267-271. — XXVIII — Plinio ('), con Tommaso Porcacchi di Castiglione Aretino, la cui Historia deir origine et successione dell' illustrissima Famiglia Medaspina (2) tanto interessava il signore di Massa, che, per via della madre, discendeva da quei dinasti e ne ereditava il nome, e col viterbese Girolamo Ruscelli, del quale non solo ebbe cara l’amicizia per l’edizione ch’egli fece di varie opere storiche (3), ma, particolarmente, per la pubblicazione del noto libro delle Imprese illustri: i4). A proposito del quale mette conto pubblicare questa lettera che gli scriveva Alberico da Carrara, nel 1567, in cui si trovano già tutte le preoccupazioni che avrebbero tenuto, per lunghi anni, agitato il continuo glorificatore della propria casa. La tolgo dal Copialettere d'Alberico f5). Molto Magnifico Signor Ruscelli mio. Non ho potuto prima mandare a V. S. l’ultima resolutione della mia impresa, come già scrissi di voler fare, per i travagli et molte occupationi c’ho hauto. Horala mando insieme con quelle de’ miei passati, che son quattro, le quali per essere d’un medesimo soggetto et assai bene incatenate insieme, et anco per la memoria che desiderarei che in questa così bella opera di V. S. si facesse di loro, ho voluto scriverle questa, acciocché venghi ad intendere che mi sarà d’infinito contento et obbligo ch’ella cortesemente risolvi di far mentione di tutte, et l’una dopo l’altra seguenti, et se caso già fusse già stato stabilito da lei non ritrovar imprese cosi vecchie et antiche, sia contento, per mio amore, 0 ponervene alcun si- ') Uscì a Venezia, coi tipi del Giolito, nel 156r. ,2) Vide la luce in Verona nel 1585. (3‘ Avea corretto, come già vedemmo, anche l’opera di Pandolfo Collenuccio, che F. M. Cybo. nel 1559, inviava ad Alberico. 4 Furono stampate a Venezia nel 1566. Nell’edizione del 1594, stampata, pure a Venezia, dal Franceschi, si tratta del Cybo da pag. 31 a 37. 5 R. Arch. di Stato in Massa: Sez. Archivio ducale. — XXIX — mi li d’altri, o con qualche accorta scusa fare in modo che queste bastino, che in vero torno a replicare che lo riceverò in particolare servizio de V. S. nè lascierò dimostrarlo con effetti, oltre agli altri di continuo, che io intendo ch’ella venghi in occasioni sue, qualunche elle sesieno; et perchè ho fede in lei che non sia per mancare, ho voluto mandarle ancor le stampe d’esse fatte in Roma da quel suo. Et qui finendo, me le raccomando con tutto l’animo, che N. S. lo conservi come desidero. Di Carrara 30 7mbre 1561. Aggiungeva questa postilla per la questione de’ Toma-celli. la cui identità co’ Cybo voleva provare ad ogni costo: — Sarà contenta della casa Tomacelli et mia scriverne il medesimo, proprio ch’ella vedrà nel discorso delle dette imprese, perchè oltre che a molti riscontri si truova essere così, il frate Panvino nelle sue opere scrive et scriverà il medesimo di quella lettera nelle sue diverse, in memoria della Marchesa mia che sia in gloria. Et di novo me le raccomando. De’ suoi corrispondenti di Venezia quello con cui ebbe maggiori rapporti fu Francesco Sansovino, figliuolo del celebrato scultore ed architetto, curiosa figura di poligrafo e di letterato, quale il 500 ne produsse numerosi. Fu anch’ egli, come Scipione Ammirato, della Corte del Cardinale Ferdinando de’ Medici, presso il quale tro-vossi a Roma, nel 1565, insieme con Paolo Giordano Orsini, duca di Bracciano, mandato da Cosimo I de’ Medici, suo suocero, a far compagnia al cognato: dai buoni rapporti del Cybo con questi Signori dovettero essere favorite le relazioni coi due letterati. Il Sansovino, dedicò « all’illustrissimo et magnanimo signore, il S. Alberico Cybo-Malaspina, principe di Massa et di Carrara, conte d’Aiello et di Ferentillo », una nuova edi- — XXX — zione di quel già citato Supplemento di fra Iacopo Filippo da Bergamo, che aveva tanto urtato i nervi a Francesco Maria Cybo v1)· Naturalmente questa nuova traduzione del Sansovino riboccava di adulazioni per il munifico signore di Massa, chiamato, nella dedicatoria, « cuore invitto e veramente magnanimo et reale ». Nè vi mancavano tutte le citazioni che Alberico avea caro fossero rese di pubblica ragione pei mostrai e come si fondassero su autorità indiscusse le notizie da lui, con amore e fatica, da ogni parte raccolte ad esaltazione de a sua casa. . Rammentato ch’egli era parente dei maggiori ifen d’Italia, del Re di Francia, del Re Cattolico e del Re di Polonia, come si studiò egli stesso mostrare cogli alb genealogici che son ne Ricordi seguenti ( ); lodata bellezza del vivacissimo ingegno », esaltate « 1 operationi fatte da lui a giovamento delle lettere, delle quali egli è singolarissimo protettore » il Sansovino dichiarava che i Cybo erano una casa stessa coi Tomacelli, e che, dalla Grecia passati in Ungheria, eran divenuti Cibacchi, cose tutte che avea sapute dal Cybo, che le ha notate anche ne Ricordi, (3) e che lo scrittore attesta aver tratto « fedelmente et con ogni verità dalle scritture approvate et pubbliche di Procopio, d'Eleuterio Mirabello, di Fanutio Campano, di Gian Michele Bruto, di Bartolomeo Facio, di Pio Secondo, di Hettor Flisco iurisconsulto, di Polidoro Virgilio, di Ani ceta greco, di Filippo Scagli, del Montaldo, del Senaiega, del Poliziano, del Paradino, degli Annali genovesi e pisani, (■) Fu stampato a Venezia nel 1575· A pp. 33 e segg. della parte III, dove sono le giunte di Lodovico Guicciardini alla traduzione del Sanso vino, si tratta di Alberico. H Cfr. pag. 65-69. I3' Cfr. pag. 81. de’ privilegi antichi et di molte memorie che mi sono pervenute alle mani ». Erano le stesse fonti a lui offerte da Alberico, ma non tutte scaturite di pura vena, perchè inquinate nella torbida abborracciatura del Ceccarelli. Il Sansovino adulava Innocenzo Vili, « molto lontano da far grandi i suoi perciocché aborriva questo uso introdotto ne’ pontefici » ; celebrava Lorenzo Cybo per aver preso « per forza d’armi la città di Monza » ('), esaltava il cardinale Innocenzo, seguendo, in tutto, quanto da Alberico gli era stato scritto e indicato. Ed ebbe, poi, campo di ripetere, accrescendole, queste lodi della casa Cybo nell’opera Della origine et de fatti delle famiglie illustri d'Italia, tratta, originariamente, dalla Cronologia ed ampliata in modo da farne un lavoro a sè (2). Intermediario fra il Sansovino e Alberico fu Danese Cattaneo, lo scultore poeta carrarese, discepolo d’Iacopo Sansovino e amico ed emulo del Tasso, che vivea a Venezia e che fu in rapporti, del pari col Betussi (3). Alberico Cybo fu molto contento dell’ opera del Sansovino e ringraziandolo, da Genova, il 20 Settembre del ΐ579·> scriveagli che avea « ben presto visto quello che s appartiene alla Casa mia, della quale non avrei io veramente potuto dir più, nè così particolarmente, restando maravigliato coni’ ella sappia alcune minutie » (4). Fu appunto per meglio chiarire una notizia data dal Sansovino, il dominio de’ Cybo sull’ isola di Capraia, originatosi per la conquista che ne avrebbe fatta Lamberto Cybo nel secolo XI, che ebbero origine le relazioni di Alberico con l’arciprete Raffaello Roncioni, autore delle Istorie Pisane. (M Cfr. a questo proposito, pag. 280. I2) Fu pubblicata a Venezia, da Altobello Salica to, nel 1582. (3) Cfr. pag. 476. 4· cfr. Sforza G. Francesco Sansovino e le sue opere storiche, cit. / — XXXII — AI Sansovino la cosa era stata inspirata da una delle solite citazioni falsificate del Ceccarelli, e Alberico ci teneva ad averne una conferma autorevole. Ma allo storico pisano parvero inconciliabili certi fatti con certe date, e non lo nascose al principe che, nel 1600, gli citava la testimonianza di Giovanni Cibo Recco, scrittore delle Istorie Genovesi, (') per provargli che i Cybo, secondo i libri di S. Giorgio, mandavano podestà in Capraia e gli dichiarava che « nel libro della famiglia, che io ho autentico, (il Compendio del Boselli), se ne fa mentione, come le farò vedere al ritorno mio in quelle parte ». Al Ceccarelli, ormai, non poteva più dar fede perchè costui avea già scontato le sue falsificazioni con 1 estremo supplizio; però dichiarava che « se ben già fu da me conosciuto in Roma, non ne tengo conto alcuno ». PÌire cie" deva doversi ritenere autentico il Mirabello! Se non che, anche su questo punto, non fu persuaso il Rondoni, che gli dichiarava essere il Mirabello citato da Fanusio Campano, autore che « fu trovato da Alfonso Ceccarelli da Bevagna » e composto da lui. E siccome il Sansovino aveva attinto, come da buona sorgente, alla fonte medesima, la notizia della conquista della Capraia, di Lamberto Cybo, non (’) La Civico Beriana di Genova possiede due copie mss. di queste Historie di Gio. Cibo Recco, che trattano la guerra di Corsica in tempo di Sampietro della Bastelica et altro, incominciando dall' anno 1550 sino all anno 157°· È uua continuazione del Bonfadio. A Car. I. c’è la dedicatoria Al- l Ecc.vio Giovanni evidente errore dello amanuense, per Alberico) Cibo, del Sagro Romano Impero e Massa Principe e Marchese. Esalta Alberico, sua < difesa, suo mecenate, splendore dei popoli genovesi ». La famiglia Cybo è la 2ia e vi sono le solite fantasticherie. Questa redazione dovette essere posteriore ad altra, perchè in un foglietto volante, tra le scritture genealogiche dell’Arch. massese, si legge: — Famiglia Cybo. Settima nel libro de Gioan Recco che in tal luogo dev’esser posta secondo l’antichità de Magistrati. — E segue un Ristretto della famiglia Cybo, da ponersi nel libro di Gioii. Recco, non per anco stampato. — Non ebbe mai un editore. — XXXIII — aveva attendibilità perchè derivante da una pretta invenzione del ciurmatore umbro. Nè maggior fede bisognava dare alla chimerica signoria sulla Capraia di un fantastico Hermes Cybo de Insulis. Non stette pago Alberico a queste affermazioni e continuò ad arrabattarsi per avere i libri che erano citati dal Campano, di cui, pur riconoscendo Γ origine impura, non sapeva rassegnarsi a credere tutte inventate dal Ceccarelli le citazioni : dichiarava però che « Γ Istorie di Genova del Giustiniano furono scritte scioccamente e con poca diligenza, et il medesimo scrisse il Caffaro et Stella, et il Varaggine non scrive più di loro ». Gli pareva degno ricordare « oltre a quello che ha scritto il Foglietta », che in quel tempo scrivea « diffusamente il Sig. Roccatagliata (r), havendo cavato il sciugo dagli Archivi et scritture antiche che erano in confuso et malissimo tenute » (2). Tanto, adunque, poteva l’amor proprio e l’ambizione personale da far preferire a storici, universalmente riputati come i più autorevoli, quali il Caffaro e il Giustiniani, un’opera, infinitamente inferiore come quella del Roccatagliata. E sebbene dovesse confessare che non poteva creder vero quanto, a suono di scudi lampanti, aveagli venduto Γ Annio da Viterbo de’ suoi tempi, quel Ceccarelli così esperto nel manipolare interpolazioni da trarre fino in inganno il Sansovino, che poi colui citava come fonte autorevole a conferma delle proprie falsificazioni, pure Alberico Cybo non si rassegnava a credere irreperibili le tante opere che costui gli aveva citato (3). (') Del Roccatagliata sono anche le autenticazioni fatte fare da Alberico, al Libro delle Memorie della casa Cybo, che si conserva nell'Archivio di Massa. [2] Cfr. Sforza G. Lo storico Raffaello Rondoni e Alberico Cibo Malapena, principe dì Massa; in Giorn.stor. e letler. della Liguria, anno V, (1904 pagg. 17-22. (3) Pei rapporti fra Alberico e il truffatore di Bevagna cfr. la nota 252, pp. 456 e segg. dove sono distesamente trattati. — XXXIV — Nè, fra tanti scrittori, poligrafi, genealogisti, letterati ed istorici, più attendibili notizie avrebbe avuto da Giuseppe Betussi, se costui fosse riuscito a trarre, non solo, a fine, ma a stampare col concorso pecuniario del Cybo la vasta opera di cui gli avea mandato lo schema (')· Per mezzo di una così estesa rete di corrispondenti, valendosi di segretari, copisti, amanuensi, archivisti e notari, Alberico Cybo potè raccogliere un ampio materiale per esal tare la grandezza della sua casa. Ne abbiamo la prova in quelle grosse filze intitolate Notizie genealogiche della famiglia Cybo che si conservano nel R. Arch. di Stato in Massa, Sezione Archivio ducale. Però si tratta, per la maggio* parte, di sommari, compendi, riassunti, ristretti, in cui si ripetono e rifriggono sempre le medesime cose e di cui Alberico, particolarmente, si valeva per dare comunicazione delle sue ricerche e de’ suoi desiderata agli scrittori con cui era in relazione (2). In quelle filze è il materiale primo di tutti C' Cfr- pag:· 476-77· che (2 Citerò, per darne un saggio, un cod. in-fol. leg. di perga · ha questo titolo : Discendenza da padre a figliolo e da fratello a fio. e a giorni d’hoggi del ramo della casa lìialaspina, nel qual enti a l Ecc.* ■ Principe di Massa per linea materna, come herede del Stato di Massa, ^ sito figlio e nipote; i quali primigeniti hanno sempre lamie c cognome spina. L'altro è il ramo della Casa Cybo, con il medesmo ordine di qn di sopra. Questa discendenza è autenticàta dal notaro genovese Grimaldo Peiran quel medesimo che ricevette il testamento d’Alberico, e da Fabio Rug Pretore di Genova. Alla Geneologi» segue una nota di Pontefici, Car m > Arcivescovi e Vescovi della famiglia Cybo e Tomacella di Napoli, la qu si dichiara che è una medesima con quella Cybo e porta l'arme slessa. Seguita, poi, una lista de’ personaggi della famiglia Cybo illustri ^ mare, una nota degli stati antichi e moderni governati a tempo e in vita signori della stessa casa, un indice delle gentildonne e uno de parent contratti dai Cybo nei diversi tempi. Per i parentati il principe dette me rico a Giulio Pasqua di compulsare l’archivio di S. Giorgio: trovasi, infòt , un foglietto dove colui scrisse le Memorie cavale di S. Giorgio, pur ur in — XXXV — le narrazioni che, più tardi, egli ripeteva a’ benevoli esal-tatori della casa, e vi si accolgono le più curiose elucubrazioni sulla origine greca della famiglia e le più strane fantasticherie per mostrarne il dominio signorile nel Medio Evo, come le più sfacciate adulazioni non disgiunte dalle creazioni artificiose ed ingannevoli. Per quanto il signore di Massa s’accorgesse presto degli infingimenti del Ceccarelli, pure male si rassegnava a buttar via tutte le peregrine notizie che dal medico di Bevagna s’era comprate a così caro prezzo. Pertanto, come conservò il falso diploma di Ottone I, tenne gelosa ricordanza dei nipoti di papa Lu-zio (’); e sperava sempre di poter mettere le mani sopra un vero Eleuterio Mlrabellio o un Fanusio Campano e di trovare un autentico Corello da far stampare, per avere una fonte da citare a dar prova degli antichi dinasti de' Cybo e de’ porporati antichissimi della sua casa. Nondimeno fra tanto materiale egli fece porre un certo ordine quando commise che si vagliassero, si scegliessero, si radunassero le migliori notizie e si compilasse il Libro de.lle Memorie della Casa Cybo. Quest’opera, che si conserva anche oggi nel R. Arch. di Stato in Massa, è un cod. cart. del sec. XVI, in fol., senza numerazione di pagine, rilegato riccamente in cuoio, con l’arme della famiglia impressa a oro sui piatti. V’è la storia de’ Cybo dalle loro origini, del Sig. Alberico Principe di Massa, di molte gentildonne di diverse case maritate nella famiglia Cybo. Ha la data dell’8 dicembre 1607. Insomma v’è accennato tutto il materiale ch’era argomento delle ricerche d’Alberico, e della sua vasta corrispondenza co’ genealogisti e con gli storici. (l) Cfr. pag. in, Memorie della chiesa di Carrara. Ho creduto opportuno dare per extenso questa fantastica scrittura, rispondente, del resto, a moltissime altre artificiose composizioni del tempo, per mostrare un saggio di quello che il Signor Principe Alberico accoglieva, tra le buone e sicure notizie, nel suo libro. — χχχνι — quali, fantasticamente, si supponevano, fino alla morte ciu-dele dell’ infelicissimo Giulio, fratello di Alberico, del quale si raccontano minutamente i casi. Per le notizie più recenti e fonte degna di considerazione, per quanto si debba andar circospetti nell’ accogliere tutti i giudizi, conoscendosi 1 011 gine del libro. Se ne valsero, però, utilmente il Viani ( ), il Musettini (2), lo Sforza (3) e mi fu di giovamento per la monografia su Giulio Cybo Malaspina. Ma per quanto vi si legge sulle origini della casa e sulle più antiche vicende ba stino questi brevi saggi. Il lib comincia: « La famiglia Cybo è molto antica et nòbile, et ha avuto origine dalla Grecia, come molti autor 1 approvati confessano ». Era l’intento di Alberico, raggiunto con le testimonianze a lui care. C’è questo passo, sul modo « come debbesi scrivere il nome Cybo » : « La quale (famiglia) più tosto si deve dire Cybea che Cubea, voce di latini che sogliono voltar l’y in u, et in ita liano si deve scrivere Cybo per y, sì per mostrare 1 origine del nome e della famiglia, sì anco perchè sia chiaro che dii ferisca dal Cibo che si mancia, benché paia che il parlai e italiano non ricerca questa lettera y, et perchè in diversi tempi da questa nobilissima famiglia sono usciti molti egregi et illustri Signori, et a poco a poco si sono propagati in diverse parti del mondo, come attestano molti autori degni di fede, facilmente si può credere che si come Roma fu 11 Memorie della famiglia Cybo e delle monete di Massa, di Lunigiana· Pisn, Prosperi, 180S. (2 Ricci arda Malaspina e Giulio Cybo, in Alti e Meni, della R. Dep· di Stor. pai. per le Prov. delFEmilia, Modena, 1864. 3 Ne ha dato conto anche nel Saggio d'ima bibliografia della Litui giaiia; Modena, Vincenzi. Estr. dagli Atti e Metti, della R. Dep. di Stor. pai. per le Prov. dell'Emilia, voi. VI e VII. — XXX VII — chiamata da Romulo, e molt’altre città da loro fondatori, parimente Cybo, da’ Greci detta κύβον, città delli Ionii nella Libia di Fenicia, poco discosto dalla Grecia, sia stata nominata, massime essendo stata fondata da quei populi, come scrisse Stefano de Urbibus, qual nomina Cibon grande città in..... et Herodoto al primo libro, haver havuto questo nome da qualche huomo segnalato di questa famiglia » (’). Cosifatte fantasticherie formavano la delizia di Aberico che postillò, di suo pugno, questo libro, ed autografo di lui è il passo, scritto più sopra in corsivo. Messo per quel cammino, l’autore delle Memorie sbrigliò la sua fantasia e citò Strabone per cavarne una città di Ciboto, un porto Ciboto, Cybelia, vico di là dal fiume Meandro, la regione Cyberiense, Cyberia di Armenia. Cybistra, rammentata da Tolomeo, e simili altre preziosità erudite, che, coni’è facile comprendere, con la famiglia Cybo non avevano proprio nulla che fare. Oltre a questo, Alberico fece comporre il Libro secondo delle Memorie della famiglia Cybo, conservato aneli’ esso nel R. Arch. di Stato in Massa. E un cod. cart. del sec. XVI, simile in tutto al precedente per la forma esteriore, ma sostanzialmente diverso pel contenuto. Ha, infatti, questo sottotitolo : Compendio dell' illustrissima et antichissima famiglia Cybo composto da Pietro Boselli di Ayello e dedicato a Alberigho Cybo Malaspina nel 1581. Consta di 137 carte numerate e due in principio senza (*) Sulla grafia esatta del nome Cybo, Cibo o Cibò, si hanno varie scritture raccolte dallo Sforza. Il nome originale era con l’i, Cibo. Poi, dopo Alberico, fu sostituito Γy, e poiché questa forma moderna passò nelle epigrafi, ne’ monumenti, nelle monete e nelle carte, e continuarono, que' Signori, ad usarla sempre e dappertutto così, modernamente, mi parve, costantemente, doverla seguire. Offre analogia il nome de’ Pamfili che si scrissero, per molto tempo, Pamphyli, forse per attestare, anch’essi, la favolosa provenienza greca della loro casa che dette al papato Innocenzo X e a Roma la celebrata Domi aOlimpia. Ora la grafia comune del nome è Pamphilj. — XXXVIII — numero, ha l’indice scritto di mano più recente, in un quaderno staccato. Questo Secondo libro contiene parecchi privilegi concessi ai Cybo, molti nomi di personaggi insigni della casa, cavati da’ libri della Badia di S. Siro pei opera di Giulio Bondi, ricordi della famiglia tratti dall’Archivio di Genova, l’albero genealogico e una larga messe di notizie, iscrizioni, lettere e memorie. Non furono queste le sole raccolte del Principe, chè ho trovato memoria di un’altra, intitolata il Libro turchino delle Ricordanze dell' Il Lino et eccell.mo Signor Principe di Massa, in cui si conteneva, fra l’altro, tutta la pratica del matri monio di Eleonora, sua sorella, col Conte Giovan Luigi Fiesco, la dote e le gioie che le erano state assegnate, e le scritture per le seconde sue nozze con Chiappino Vitelli ( ). Questo libro turchino, oltre che gli atti che risguardano gl' interessi privati della famiglia, conteneva, in copia, i pn vilegi, i favori, le concessioni ottenute dalle varie Corti. Alberico stesso, poi, più volte rammenta i suoi studioh, quando si propone di riporre fra loro certe memorie a lui care e parla, finalmente, di un Libro rosso della casa. Ora appunto questo, a parer mio, deve essere una cosa sola col Libro dei Ricordi che qui si stampa, chiamato, come già ebbi occasione di accennare, anche il libro del Signor Principe Alberico, quello in cui le memorie di casa Cybo erano quasi tutte di sua mano, il qual libro ha bollettoni nelle cantonate. Mani rapaci, in altri tempi, strapparono dal codice le due coperte che, per essere di pelle con impressioni e ben decorate, attrassero l’altrui cupidigia. Nè fu la sola manomissione, perchè, come già accennai, talune carte vennero lacerate. (') N’è fatta ricordanza nella scrittura intitolata: Matrimonio di Eleonora Cybo con Gian Luigi de' Fieschi, che trovasi nella busta Matrimoni de Cybo, 1487-1590, nell’Archivio ducale, sez. del R. Arch. di Stato in Massa. — XXXIX — Per la compilazione del libro non appare vi fosse una regola: Alberico vi notava o vi facea notare quello che più gli piaceva, lo interessava o gli tornava a memoria via via: perciò oltre riordinare la materia cronologicamente, parve opportuno mettere insieme tutte le notizie biografiche e genealogiche, sì da comporre una parte I, poi riunire, in una parte II, le memorie epigrafiche, le ricerche sulla famiglia e le parentele, gli appunti, varie lettere e documenti. A questo materiale del codice si è aggiunto un’appendice che ne contiene altro affine, cioè varie memorie autobiografiche, scritte di pugno del Principe, e, assai prò babilmente, destinate ad aver luogo nel Libro dei Ricordi, parecchie notizie e relazioni sulle famiglie, talune epigrafi, che corrispondono a simili scritture di quel libro medesimo, e, finalmente, un manipolo di lettere scelte dal carteggio di Alberigo nell’Archivio massese e, particolarmente, in quello di Genova, che valgono a mettere in maggior luce alcuni tratti del carattere e della vita di quel Signore e gli speciali suoi rapporti col governo della Serenissima Repubblica. Fatta ragione delle astruserie, che sulle origini della famiglia Cybo si scrissero da compiacenti genealogisti, tra’ quali non si deve dimenticare, come più interessato, Giovanni Cibo-Recco, il continuatore del Bonfadio ('), è da ri- (*) Nel cod. beriano già cit. che contiene le Famiglie genovesi di questo scrittore, ΓΑ. dichiara: « Io Giovanni Cibo, figlio di Simone, voglio scrivere, se non elegantemente, però vera e con fedeltà, e come le hanno narrate i nostri scrittori propri di quei tempi ». Ma ripete le solite stranezze sulla origine greca, sulla città di Ciboto e così via. Accetta come autentico il diploma di Ottone I, racconta dell’isola di Scio avuta in dono, e de' meriti di Calojanni Cybo, non dubita affatto del dominio de’ suoi sulla Capraia e la Gorgona ; insomma egli ha, evidentemente, ricevuto da Alberico ampia comunicazione delle notizie, sì da mischiare l’oro eoa l'orpello, e assai spesso l’orpello prevale su l’oro! Della deferenza verso il principe, anzi dello intendimento adulativo addirittura son prova queste parole che gli dedica: «Alberico, principe del — XL — conoscere che per quanto antica famiglia, coni alti e di Genova, ricca e prosperosa ne' traffici, non emerse pei chiarezza d’ingegni o per autorità di personaggi, prima della fine del secolo XV, e coloro che son citati in vaiie sci ittui e genealogiche furono commercianti o appaltatori di navi. Non mancarono, però, in Genova stessa, e al tempo d Alber ico. scrittori sinceri che non si lasciarono trarre in inganno da quelle esagerazioni. Tale tu Federico Federici, che nel A 11 suo accreditato Scrutinio della nobiltà ligustica, mss. e a Civico beriana, car. 249, ha queste severe ma giuste parole . « Cibo. Di questa famiglia avendo scritto modernamente molti dotori in gratia del Sig. Principe di Massa, cioè il Sansovino, il Ceccarelli, il Padre Ghisi, il Recco, il Foglietta nelli Elogi, et il padre Ciaccone in vitis Cardinalium, con notizia di molte cose da loro allegate, che io non ho ritrovato in alcuna scrittura autentica, mi restringerò pei tanto a quelle che veramente sono indubitatamente certe ». Fu il pontificato d’Innocenzo Vili che trasse quella casa dalla mediocrità. E perchè, secondo l’andazzo, più che d altri tempi, particolare d’allora, si voleva nobilitare la stirpe del papa, si cercò di crescere la gloria di Arano, suo pad) e. Il quale, veramente, fu, nel tempo delle guerre tra Alfonso d’Aragona e Renato d’Angiò, mandato da’ Genovesi, che nemici implacabili del nome catalano ('), parteggiavano pei costui, in soccorso dell’Angioino, a Napoli, del 1440, con una S. R. I. e di Massa è piccolo re d’altri popoli, si nella Romagna che nel Regno di Napoli e ha seguitate le parti di Giulio III, per il quale fu vicario di Guido Baldo d' Urbino s>. (*) I particolari di questa guerra sono da vedersi narrati dal Facio, op. cit. il quale, più tardi, ebbe dai Genovesi l’incarico di conchiudere col vittorioso Alfonso una tregua, che avrebbe poi condotto alla pace fra il Re e la Repubblica. — XLI — schiera di balestrieri (') e con varie provvigioni, sopra una nave, ed ebbe, dopo la vittoria dell’Aragonese, titoli ed onorificenze da lui. E. più tardi, si trasferì con la famiglia a Roma, nel pontificato dello spagnuolo Calisto III, già suo caro amico quand’era ancora in minoribus, che preparò la via agli onori ecclesiastici al futuro Innocenzo Vili mentre, col suo favore, Arano, nel 1455, veniva eletto de’ Senatori (2). Poco dopo, però, se ne tornò a Napoli all'Ufficio di Consigliere e Presidente della Camera della Sommaria, di cui eragli conservato lo stipendio, finché, in capo a due anni, nel febbraio del 1457, morì a Capua (3). Per quanto i genealogisti, quali il Cybo-Recco, parlino di 700 balestrieri e di numerose navi da carico, dai documenti del R. Arch. di Stato in Genova apparisce che si trattava di 200 uomini soltanto. Arano fu eletto condottiero e capitano dei 200 balestrieri il 15 febbraio 1440. Cfr. Diverso-rum, X, Reg. 25. Tommaso da Campofregoso accompagna l’invio dei « pedites balistarii » al re, affidati allo « spectatum virum Aronem Cibonem, eius virtute confisi ». Cfr. Litterarum, N. G. 17S6, lett. i4r. Segue poi la missiva al re, in cui si legge che inviasi Manuele di Rapallo con una nave carica di sale, frumento, e altre provvigioni « praeterea virum spectatum Aronem Cibonem cum balislariis ducentis, quibus omnibus stipendia in tres menses persoluta sunt». Lett. 142. — R. Arch. di Stato in Genova. Erano 800 in tutti i Genovesi, venuti in varie riprese, che continuamente aiutavano Napoli ormai ridotto ai tormenti della fame e della sete. Cfr. Persico Tommaso, Diomede Caraffa, nonio di stalo e scrittore det sec. XV. Napoli, Pierro, TS99. Arano fu sepolto a Capua. Cfr. pag. 153. (2) Cfr. Vandettini, Serie Cronologica de' senatori di Roma. pag. 91. e Vitale Franc. Ant. ; Storia diplomatica de' Senatori di Roma dalla deca denza dell'impero romano fino ai nostri tempi. Roma, Salomoni, 1791; pagine 429-430. Cfr. anche il privilegio che Alfonso concesse a Maurizio, figliuolo d’Arano; pag. 447 e segg. (3) Il 13 giugno 1455 «Alfonso re d’Aragona et dell’una et dell’altra Cicilia et di Valentia, di Hierusalem et Ungaria et di Maiorica e Sardegna et di Corsica et conte di Barchinona e Duca d’Atene e di Neopatria » rilasciava un rescritto per cui ordinava al « Magnifico Pietro Meroador nostro generale tesoriere ecc. e agli altri tesorieri e commissari » — « avenghachè il nostro Magnifico et dilecto consigliere Arante Cibo, genovese, soldato va loroso, et uno delli Presidenti della nostra Camera Sommaria si sia misso a servire S. Santità, et per tal causa gli costituitilo et ordiniamo di provisioni — XL1I — Di Arano e della sua prima moglie Teodorina di Montano de’ Mari (r) nacquero Giovan Battista, il futuro Innocenzo Vili, e quel Maurizio che, pel favore del fratello, ebbe, oltre parecchi onorevoli uffici, il governo di Spoleto, dove morì e fu sepolto (2). D’Innocenzo Vili si fecero diversi e contrari giudizi. Il Muntz gli nega perfino ogni predilezione per 1 arte e lo dice amante soltanto della ricchezza delle gemme e dello sfarzo grandioso della Corte (3), sebbene convenisse tener conto de’ molti edifici ch'egli eresse e, particolarmente, del Belvedere in Vaticano, in cui impiegò 60 mila ducati, e della fonte rizzata, nel 1490, sulla piazza di S. Pietro (4). fallino, come il Pasolini, tratto dal proposito di esaltare Gerolamo Riario, esagerò l’accanimento di Lorenzo de Medici e del papa Cybo contro di lui, e dalla lega che colui strinse col pontefice ed ebbe per vincolo sicuro le nozze di Maddalena, figliuola del Magnifico, con France-schetto, naturale del papa, trasse argomento per accusarlo di nepotismo e d’ambizione, pur riconoscendolo debole e irresoluto (5). Altri, invece, ha creduto doversi scolpare Innocenzo VIII d’ogni taccia di cupidigia d’arricchire i suoi; i biografi ufficiali del tempo d'Alberico erano di questa opinione. ogni anno onde 300 da essergli pagate insino a tanto che starà alii servitii di S. Santità». R. Arch. di Stato in Massa. Carte dei Cibo di Genova, avanti il Principato; fil. i\ 1188-14S9. I1) Sua seconda moglie fu Ginevra di Tomaso Giustiniani. Π Cfr. pagg. 74, 449. (3J Les Aris à la cour des papes pendant le XVe el le XVIe siècle. Paris 1878-79. 4) Più temperato giudizio fa il Mììntz nello scritto L'architettura a lioma dinante il pontificato d'Innocenzo Vili \ nuovi documenti: in Arch. stor. dell'arte, Roma, 1891. fase. 6. i3·* Cfr. Caterina Sforza. Roma, Loescher, r893, voi. I, pag. 247. — XLIII — E per vero questo pontefice, che dovette la sua elezione al focoso cardinale di S. Pietro in Vincoli, Giuliano Della Rovere, il futuro Giulio II, quasi arbitro assoluto della politica romana in quel tempo (’), posto fra Sisto IV ed Alessandro VI, può sembrar mondo dalla macchia di nepotesimo. Chè Girolamo Riario, onnipotente alla Corte del primo, fu il malo genio del pontefice roveresco, al quale risale la responsabilità d’avere, spesso, fatto indietreggiare dinanzi al principe italiano il padre comune de’ fedeli, per modo che, con l’intendimento di esaltare i suoi, si mise per una via soverchiamente mondana. E Alessandro VI, poi, avrebbe veduto così accrescersi la corruzione intorno a sè per la compiuta arrendevolezza a voleri del prepotente figliuolo Cesare Borgia, da attrarre sopra il suo capo tutta la responsabilità delle tristissime vicende onde Roma e la Curia, tra il chiudersi del secolo XV, offesero l’Italia e la Chiesa (2). Innocenzo Vili, assai diverso, per questo, dal predecessore Della Rovere e da papa Borgia che gli successe, non può, con sicurezza di prove, accusarsi d’aver mirato, anzi (*) L’oratore fiorentino G. A. Vespucci, partecipando a Lorenzo il Magnifico l’elezione di quel papa, così lo descriveva: « La natura sua, quando era cardinale, era molto umana e benigna e a ciascuno faceva carezze e baciava qualunque; è non molto di sperienza delli Stati, di non molta letteratura, ma pur non è in tutto ignorante: era tutto di S. Pier in Vincula, e lui lo fece far cardinale ». Diario del Burcardo, ed. del Gennarelli, pag. 33, nota. (2) Cfr. Serdonati e Vialardi, op. cit. Nelle Memorie della Famiglia Cybo, cit. mss. dell’Arch. di Massa, si legge: « Mentre era cardinale, (Giov. Batt. Cybo) avea promesso di dar la figliuola nominata Teodorina e Gherardo Usodimare, nobile e ricco gentilhuomo genovese. Era la giovane fresca, bella e costumata molto; a cui dette convenevol dote a quei tempi, come quegli che l’amava, come i padri vogliono amare i figliuoli. [I quale se ben, poi che fu assunto al Pontificato non dette loro molta grandezza od utile, fu perchè si conosceva ubligato dispensar il tesoro datoli da Dio a poveri stranieri e non al sangue suo, cosa veramente che a di’ nostri da chi ha poca conscienza sarebbe riputata sciochezza ». — XL1V — tutto, a crescere la fortuna de’ suoi e, particolarmente, del figliuolo. Ch’egli « volesse ripetere il giuoco di Sisto IV » non è sicuro, e tanto meno, poi, l’asseverare che « non potendo cacciare d'Italia alcun principe, doveva pur dai gli una parte dello Stato della Chiesa; il che era possibile solo nella Romagna, sempre torbida, sempre pronta a mutar goveino ». Che se egli favorì Franceschetto, fu piuttosto tolleianzade suoi disordini giovanili e troppo benevolo compatimento di que’ trascorsi, eh’erano, del resto, triste peculiarità di quel tempo, anzi che deliberato proposito di condurre le faccende politiche in modo da creargli una Signoria. Il matrimonio con la figliuola di Lorenzo de Medici, fu una conseguenza dell’ accorta politica del Magnifico, desideroso, più che di cercar la vendetta della congiura che ebbe nome da’ Pazzi, di assicurarsi, con l’alleanza del papa, con tro le nuove possibili complicazioni che potean sorgere dal Napoletano. Egli fu il zelante difensore degli interessi economici della sua azienda, gravemente scossi, quando per l’odio personale di Girolamo Riario, desideroso di contia stargli, ad ogni costo, l’ambito possesso di Imola e di Forlì, avea veduta tolta ai Medici l’amministrazione delle rendite pontificie per darle poi ai Pazzi, la cui fortuna sarebbe i lii nata con la famosa cospirazione. Nella congiura de’ Baroni napoletani Innocenzo Vili, avverso agli Aragonesi quasi per tradizione, come se avesse portato sul soglio l’astio contro di loro, a cui doveva pur gratitudine, finché ebbe vicino il cardinale della Rovere si mantenne contrario a Ferdinando, che avea l’aiuto di Ludovico il Moro e di Lorenzo de Medici. Ma le minacce de’ Turchi e il desiderio di stringere le varie potenze d’Italia contro gli infedeli e il malo andamento della guerra, particolarmente per la poca fede di Roberto Sanseverino, se non traditore del papa, certo a lui poco fe dele amico, fecero prevedere il proposito della pace. E men- — XLV — tre per 1 assenza di Giuliano della Rovere, ch’era ito in Francia a sollecitare Renato di Lorena, veniva meno l’influsso antiaragonese di lui sull’animo del pontefice, irresoluto, mutabilissimo. pieno di diffidenza, Innocenzo Vili stanco e sfiduciato della guerra, si lasciava vincere dalla fama e dalla parola del Pontano e dopo lunghe e laboriose trattative faceva la pace il io agosto i486 ('). Pertanto, pur non volendo con gli elogi che l’adulazione de’ genealogisti gli tributò, esaltare soverchiamente i meriti d’Innocenzo Vili, bisogna nondimeno ridurre a più modesta proporzione l’accusa rivoltagli, che egli, pel primo, abbia messo in sulla scena politica i propri figliuoli: chè sarebbe rimpicciolire soverchiamente la portata di un considerevole atto politico di Lorenzo il Magnifico, voler ristringere la causa determinante le nozze di Franceschetto con Maddalena al solo desiderio di dare (*) Fedele P. La pace del i486 tra Ferdinando d’Aragona e Innocenzo Vili; in Arch. slor. per le Prov. napoletane, anno XXX (1905), fase. IV, pagg. 481-503. Fu in questa pace che venne riconfermato l’obbligo del re di Napoli di pagare alla Chiesa, il giorno di S. Pietro, ogni anno, il censo di 8 mila once d’oro, e ogni 3 anni presentare « la chinea », 1111 bianco palafreno con ricca gualdrappa, in ricognizione dell’alto dominio papale sul Regno. La guerra riarse, novamente, nel 1489 e Innocenzo Vili sperava nella venuta di re Carlo Vili, ina anche questa volta la franchezza di linguaggio del Pontano condusse alla pace del 28 gennaio 1492. NelPArch. di Massa ci sono le copie che l’archivista dottor Pier Vincenti, di Napoli, inviò ad Alberico Cybo di tre lettere di Don Ferrante d’Aragona, che due date a Capua il 10 marzo 1492 e dirette a Teodorina (figliuola del papa e a Gherardo Usodimare, pel parentado della loro figliuola Battistina col nepote del Re, e una del 12 marzo a Innocenzo Vili, per ratifica de’ patti concordati. Vi si legge: « Nui semo certissimi che havete preso grandissimo piacere de la reconciliatione seguita tra la Santità di N. S. et noi, et cosi ne have affirmato lo Pontano... e per l’affinità et nova parentela seguita fra noi ». Approva col papa i patti matrimoniali dal Pontano stesso conclusi per le nozze « inter illustrem neptem vestram secundum carnem, Baltistinam de usumari et Loisium de Aragonia Marchlonem Hieracii nepotem meum ». Questa ratifica fu anche citata dal Tallarigo, Giovanni Pontano e i suoi tempi ; Napoli, Morano, 1874, pp. 239-40. Ma v’è da correggere la data, che è 12 e non 2 marzo 1492. — XLVI — la porpora al giovinetto Giovanni, il futuro Leone X; e, per la parte del papa, a quello di procurare uno stato al figliuolo nell’ Italia centrale. Mentre, invece, tutte le fonti, tra cui, particolarmente notevoli, le lettere di Franceschetto medesimo, lamentante la trascuranza paterna verso di se, concordano a farci apparire Innocenzo Vili quasi oblioso della fortuna del figliuolo, sì che, da taluno, si ricorse a una spiegazione che, sola, in tempo di nepotesimo ufficiale, potesse parere possibile: la nessuna stima che da papa Cybo si faceva di Franceschetto, come uomo atto a negozi politici. Il che non pare proprio vero quando si pensi eh ebbe a Perugia una missione in tempi assai difficili. Fu nel luglio del 1488. Accompagnavano Franceschetto Giorgio da S. Croce e Gerolamo Tottavilla, che troviamo sempre con lui (')· Titoli ed onorificenze quest’ uomo, non troppo favorito dalla natura perchè fu anche basso di persona, onde gli venne il nomignolo (2), ne ebbe a bizzeffe: governatore della Chiesa, nobile di Firenze e di Venezia, barone romano, conte palatino del S. R. Impero, investito della contea dell Anguil-lara: ma a tutto preferì la vita cortigiana in Roma, piuttosto volto ai godimenti disordinati co’ giovani più ricchi del suo tempo, che non al procacciarsi un sicuro governo di qualche Stato. Il compagno più fido delle sue audaci imprese fu Gerolamo Tottavilla (Estouteville), figliuolo del cardinale di Roano, col quale, nel 1487, davan nottetempo, con armati e manutengoli, scalata alle case per rapir donne e fanciulle (3)· È in mille luoghi ripetuto ch’egli gittava nelle spese 1 11 Cfr. Cronaca perugina inedita; in Boll, della R. Dep. umbra di St. patria; ix, (1903) n. I2J L Infessura, op. cit. pag. 222, lo chiama: « Francischettum, virum quidem statura pusillum ». (3) Cfr. Infessura, op. cit. pag. 225. — XLVII — suoi danari e cercava di rifarsi col giuoco. Il cardinale di S. Giorgio, Raffaele Riario, dicono gli vincesse fino a 70 mila scudi, somma enorme quando si faccia il ragguaglio del valore della moneta d’allora con la odierna. E vuoisi che, col ricavato di quella vincita straordinaria, fosse cominciato il palagio detto, poi, della Cancelleria (*). Altri riduce la somma a 14 mila ducati e parla dell’intervento del papa, a cui Franceschetto era ricorso lagnandosi d’essere stato ingannato. Ma, comunque fosse, certo rimane la possibilità del- 1 avvenimento; e, a prova della cupidigia di quel Signore, giova ricordare 1’ accordo fatto con Bartolommeo Moreno, arciprete di Vignola, che, qualunque pena fosse da confiscarsi alla Camera Apostolica per delitti, se eccedesse la somma di 64 ducati dovesse spettare a lui, Franceschetto. Non deve, quindi, far maraviglia che, in quel tempo, in Roma non vi fosse più sicurezza e non si contassero i delitti, le rapine, i furti e gli assassinii, che restavano impuniti, anche perchè si davan salvacondotti per danari, e può credersi vero il detto attribuito al vicecamerario apostolico: Deus non vult mortem peccatoris, sed magis ut solvat et vivat (2). Così quando, per uno dei frequenti deliqui a cui andava soggetto, il 27 settembre del 1490 corse voce che il papa era morto, si seppe che Franceschetto cercava trafugare il tesoro della chiesa e portarsi via l’ostaggio turco Dijem, sicché i Cardinali vollero premunirsi facendo, il giorno dopo, (1) Durò lungamente la ricordanza di questo fatto Pietro Aretino ne scriveva, da Venezia, mezzo secolo dopo, il 22 novembre 1537, al Magnifico M. Giovanni Bolani : « Io sto i giorni interi a sentirlo (M. Pietro Piccardo) ragionare in che modo San Giorgio vinse sessanta millia ducati al Signor Franceschetto fratei (correggi padre) d’Innocentio (il noto cardinale), e come di tal vincita si fabricasse il Palazzo in Campo di Fiore ». Cfr. Lettere del-l'Aretino. (2) Infessura, op. cit. pag. 257. — XLVIII — Γ inventario, quando però già molte robe avean preso la via di Firenze. Tra i cardinali c’era il partito del vicecancelliere Rodrigo Borgia, il futuro Alessandro VI, già aspirante al papato, che era avverso a quello del Cybo e del della Rovere, inspiratore della politica di quei giorni, e la loro concoi-renza al papato, dopo la morte d’Innocenzo Vili, avi ebbe reso implacabile l'odio dei due rivali. Franceschetto incominciò il Libro dei Ricordi quando, morto il pontefice e ricovrato a Firenze presso il cognato Piero, avea veduto minare, nel pontificato del Borgia, la fortuna sua e della sua casa (*). Vi premise, come motto benaugurate, il versetto del vangelo di S. Giovanni « /esus autem transiens per medium illorum ibat » contuttoché fosse condannato dalla Chiesa come vana superstizione (2)· Vi notò poche memorie famigliari e, più particolarmente, vi prese appunti di suoi crediti e interessi (3). Ormai, coi Cybo, anche gli altri Genovesi vedeano m Roma diminuire, a vantaggio degli Spagnuoli il loro credito e l’autorità grande di che aveano goduto nel passato. Che ne’ due pontificati successivi del Della Rovere e d Innocenzo Vili, l'ingrandimento delle famiglie e le aderenze loro aveano fatto affluire a Roma numerosissimo l’elemento genovese. La sorella di Franceschetto, Teodorina, andata 1 Pare che anche i mercanti fiorentini avessero presto a lamentarsi delle rappresaglie del nuovo papa. Difatti Piero Parenti, nella sua Storia fioren-. lina, mss. alla Magliabechiana di Firenze, car. 9, dopo aver notata la morte d Innocenzo Vili, dice del suo successore: « Il Pontefice levò, a nostri mercanti et così a deH’altri. gli assegnamenti; la qual cosa dispiacque, tutto avvenne per Tesserne venuto di qua il Signor Franceschetto con molta secondo si stimava) quantità di danari appartenenti alla Camera Apostolica >. 2) Cfr. Passa vanti, Specchio di vera Penitenza, pp. 309. Firenze, Le Monnier, 1856. [3J Cfr. pag. 441. — xux — sposa a Gherardo Usodimare, gli avea procurato il lucroso ufficio di depositario generale della gabella. E tutti gli Usodimare, aggregati ai Cybo, ebbero titoli onorevoli e uffici vantaggiosi. Tesorieri, appaltatori, incettatori di grano, navigatori, noleggiatori di galere, sensali, banchieri, con attorno quel formicolare di gente minore, che a tali uffici va annessa, accrebbero straordinariamente la colonia genovese, che ebbe i suoi consoli nella famiglia Mellini, Piero e Mario ('). « I registri pontifìci, scrive il Tommasini (2), e quelli de’ Camerlenghi mettono in chiaro la prevalenza ligure, e accennano appena che si prepara per l’avvenire l’ascendente spa-gnuolo. Non lungi da Ripa Grande, sulla destra del Tevere, i Genovesi avevano il loro quartiere, la loro Galata romana. (*) Per il consolato di Mario Mellini è notevole questa commendatizia del cardinale Innocenzo Cybo. (R. Archivio di Stato in Genova. Lettere dì Cardinxli — N. G.le 2804). Ill.mis et Exc.mis Dominis Duci et Antianis, ac officio Sancti Georgii Civitatis Genue, Dominis honorand.mis. 111.mi et Excell.mi Domini. Quando io non havessi grado alcuno di affinità con el magnifico Ms. Mario Millino, Patritio Romano, io saria astrecto intercedere per lui appresso de V. 111. S. si per le sue honorate conditioni, si ancliora per essere io pienamente informato in che modo lui se sia deportato in lo officio del Consulato de la Nostra Natione Genovese, tanto più accendendoli lo amore et vinculo de la parentela eh' è fra noi, benché certamente quella sola causa non me astringerla tanto, se io non cogno-scessi doverli essere la satisfactione di questa prefata Natione, il che manifestamente se è visto che molti Mercanti et Gentilhomini Genoesi che sono qui in Roma, se sono sottoscripti volenteri in favor suo. Per tanto sono astrecto quanto più posso pregare V. III. S. vogliano essere contente confirmarlo in dicto officio del Consulato et con al presente messo, quale se manda a posta a questa effecto mandarli dicta confirmatione. De la quale, ultra che ne seguirà una satisfactione pubblica io exi-stimarò haverne receputo piacere singulare da V. 111. S. a le quale ex corde mi offero. Et que feliciter valeant. Ex Civitate vetula die XXII11 Octobris MDXI1I. D. V. IH. Signorie, Deditiss. Inn. Cardinalis Cibo. [2) Nella prefazione al cit, Diario dell’lNFESSURA. 4 La Chiesa di S. Giovanni e la via de' Genovesi in quei pressi ne rendono ancora testimonianza ». D’un altro Signore della Liguria, al tempo d Innocenzo Vili, si fecero parenti i Cybo; d’Alfonso del Carretto, marchese del Finale, che sposò Peretta di Teodorina, dalla quale sarebbe anche nato il continuatore del ramo diretto de’ Marchesi Carretti, Giovanni II ("). La fortuna di Franceschetto volse di male in peggio quando, per la passata de Francesi condotti da Carlo Vili, sbanditi i Medici da Firenze, anche tutti i loro aderenti uscirono dalla città. I Cybo ripararono a Pisa, dove i loro beni, in quello d’Agnano, erano considerevoli (2). E alternarono la dimora tra Pisa, Genova e Sampierdarena. Nacquero, allora, a Franceschetto, fra gli altri figliuoli quell’ Innocenzo, che, più tardi, come cardinale, ebbe nome e credito, se non grande autorità, ingegno e fortuna, e quel Lorenzo che dovea essere il continuatore della linea diretta della casa. Se la fortuna de’ natali e le occasioni propizie di crescer di grado non erano mancate a Franceschetto, minore opportunità non si offerse a questo suo figliuolo, particolarmente per la pervicace e fin uggiosa insistenza che Maddalena de Medici, sua madre, pose in opera per fargli onorevole luogo in alti uffici. In quel pontificato del munificentissimo Leone X, che fu il trionfo di quanti, imparentati col giovane papa mediceo, erano corsi a Roma per ottenere le grazie e i favori che a nessuno sapea rifiutare, 1 accorta sorella col marito, coi figliuoli e con tutti i congiunti trasferitasi a Roma, tanto seppe adoperarsi, che per il figliuolo Innocenzo ebbe il cappello rosso fin dalla pn ma creazione di cardinali, e Lorenzo collocò onorevol- f1) Albero Genealogico de’ Marchesi del Finale. Mss. nell Archivio municipale del Comune di Finalmarina. (a) Vedine le portate catastali, pp. 276 e segg. — LI — mente alla Corte di Francia. Ma, allora e più tardi, egli non mostrò maggior energia di quella che avesse avuto il padre. Ostinato, cocciuto, caparbio, altero, sdegnoso, pronto all’ ira e, facile, poi, a umiliarsi quando un potente gli fosse stato a fronte, Lorenzo Cybo non ha lasciato nessuna particolare impronta dell’ opera sua personale in tutte le cose che fece Neanche il favore amplissimo che godè sotto il pontificato del nuovo papa mediceo, Clemente VII (*), valse a suscitare in lui qualche buona e vivace energia. Combattendo a Monza poco fece, che, per stare alla verità, meriti ricordare (2) : comandante generale dello Stato Ecclesiastico, capitano del Palazzo Apostolico, governatore di Spoleto, gonfaloniere della Chiesa, non appare che nelle feste, in cui spicca la sua bella e maschia figura (3) e si segnala solo nelle baruffe e nelle imprese notturne, sul gusto di quelle paterne, nelle quali ha per compagno quello scavezzacollo d’Ippolito de’ Medici, volto, con tanta sua poca disposizione, al cardinalato. E in una rissa, a Bologna, per poco ci lascia la pelle (4). Non fu energica la sua condotta a favore della sorella Caterina, che riebbe Camerino per aiuti degli altri più che per i suoi (5); infelice la sua partecipazione alla impresa (*) Fin dal tempo ch’era ancor cardinale, Giulio de' Medici fu amorevolissimo de’ Cybo. 11 20 d’Ottobre 1515 scrivea, da Bologna, al card. Innocenzo ringraziandolo deH’offerta di dar la sua abbazia di Pisa iS. Paolo a Ripa d’Arno) per accomodarlo del vescovato di Lodi e gli dicea: « Non pensi V. S. havermisi obligato con questa sua amorevolissima offerta più eh’ io mi vi fussi prima, perchè più non posso essere, se bene voi mi vivificassi mio padre, Bastivi dunque havermi tutto et sempre, et comandatemi quando avete bisogno di me ». (R. Arch. dì Stato in Massa; Cai t. del Card. Innocenzo Cybo). (2) Cfr. pagg. 271, 280. (3) Cfr. pagg. 294 e 358. Un suo ritratto, con errata attribuzione è, al dire di Corrado Ricci, nel Museo del Prado a Madrid. (4) Cfr. pag. 295. (5) Pagg. 233, 239, 284, di Vicovaro (’), malfido il suo procedere al tempo del tristo sacco di Roma, nel 1527 (2), ambiguo il suo contegno a Pisa, mentre se la intendeva con Pier Luigi Farnese e avrebbe, poi, morto Alessandro de’ Medici, dovuto prosternarsi davanti al nuovo sole sorgente : Cosimo I i3)· Se, avendo questo naturale, il matrimonio con Ricciarda Malaspina, preferito a vari altri trattati prima, tra’ quali quello d una figliuola di Ercole da Este, zio del cardinale Ippolito, che nel 1514 contava 11 anni ed era unica), donna altera e coi-rotta, avrebbe dovuto esser causa di tanta infelicità alla famiglia, non deve sorprenderci. Vittime di quella odiosità che presto sorse fra que’ coniugi così malamente accompagnati, furono, particolarmente, i due figliuoli Giulio ed Eleonora. Al primo, più infelice che colpevole, la costante avversione della madre, che lo odiava per riflesso della protezione concessagli dal padre, sì da scrivere a Carlo V che < con le proprie mani lo affogheria » (4), fu preparatrice di una morte immatura e crudele. La seconda, costretta a vita monastica nelle Murate, collocata in matrimonio con Gian Luigi Fieschi, vedova per la repentina tragica fine di costui, fu, per le inimicizie de parenti, voltata e tratta per nuove amarezze e disavventure, finché, sposata in seconde nozze con Chiappino Vitelli e rimasta vedova pur di costui, non avebbe dovuto finir la vita in quel monastero, da cui, per ben due volte, s era levata come se uscisse da una gravosa prigione (5). (*) Pag. 10. (*) Pag. 284. Curiose notizie si possono spigolare nelle lettere scritte da Lorenzo, in quel tempo, al cardinale, eh’ era Legato di Bologna. II13 SeIÌ' naio 1528, da Orvieto, racconta che Ercole e Bertoldo da Bolsena avevano fatto un trattato in Orvieto per dare N. S. (Clemente VII) in mano agli imperiali. (R. Arch. di Stato in Massa, Cari, del Card. Cybo). (3) Pagg. 296. 299. 4, Cfr. il mio Giulio Cybo. Vedi anche pagg. 327, 461. 5! Cfr. pagg. 318, 357, 398. — LUI — Poco giovò per far conseguirle alti uffici, sebbene molto provvedesse alla famiglia co’ suoi redditi, il cardinale Inno-nocenzo « perpetuamente innamorato della cognata », la quale, vivendo in Corte di Roma, co’ suoi raggiri ed intrighi, lo favoriva mentre era autorevolissimo in Firenze (*). Ma perduto ch’egli ebbe la confidenza di Cosimo I, sdegnoso d’ aver tutori di tal fatta e adirato de’ pettegolezzi, che, per via di Ricciarda, si facevano a Firenze ed a Roma, si ridusse, pur con onorevole codazzo di cortigiani, in Lunigiana ; donde per le inframmettenze della cognata, che era divenuta la concubina dell' oratore spagnuolo Marchese d’Aghilar, potè sfidare impunemente le ire di Paolo III, il quale, dopo averlo più volte chiamato con ufficiale insistenza a Roma, lo lasciò, non altrimenti che il cardinale di Ravenna, suo contemporaneo, libero di condursi come voleva, con trasgredire agli ordini pontifici e non si curare delle numerose sue prebende e dignità se non per esigerne le pingui rendite (2). Il cardinale Innocenzo ebbe sempre cordiali rapporti con Genova, che considerava sua patria, sebbene e’ fosse nato a Firenze, e quantunque, come arcivescovo della città, (5) Anche durante il governo del Duca Alessandro, il cardinale annaspava fra intrighi e viluppi. Lo prova questa lettera che. il 3 di maggio 1534, scriveagli il Signore di Firenze : « Mille novelle mi son venute agli orecchi delle cose di là da pochi giorni in qua et certo io gli ho prestato pochissima fede et havutele in mano pregio che le bugie, considerando che ritrovandosi V. S. R.ma in fatto tanto amorevole et curioso de' fatti miei, anzi suoi propri, che così si posson chiamare, non poter essere che la m’ha vessi facto restar senza luce di quelle particolarità eh io so che la iudicherebbe importanti ch’io le sapessi. Il desiderio però eh è comune di voler saper, m’ ha mosso a far questi versi alla S. V. R.ma supplicandogli che se pur egli è o è per essere alla giornata cosa di momento, la si voglia degnare darmene luce, che me ne farà grazia singularissima. Et col desiderio tengo di sapere della sua riassunta valitudine, gli bacio le mani ». (R. Arch. di Staio in Firenze. Arch. mediceo; Registro dì lettere del Duca Alessandro, ftl. 1S1). (2) Cfr. pag. 360. — LIV — non vi risiedesse inai (1), non tralasciò di adoperare il suo favore per i suoi concittadini. Fin dal 14 Settembre Γ5Γ5? poeo dopo la sua elevazione alla porpora, scriveva, da Roma, al cardinale Ippolito da Este in favore di Andrea de Corsio mercante genovese. Costui avea sofferto manifesta oppres- · TI sione e ignominia dagli Ebrei di Costantinopoli. papa, per compenso, gli concesse di poter esigere da ogni ebieo delle terre della Chiesa 0 dimorante nel ducato di Ferrara 7010 ducato, e dieci a quolibet liebreo feneratore. Innocenzo prega Ippolito di aiutar quell’Andrea nella rappiesaglia ( ). Il 3 di maggio 1542 Maria Fieschi Della Rovere, madre di Gian Luigi, della celebre congiura del’ 47, raccomandava, in assenza del figliuolo, al cardinale, Nicola d’Arrighetto « che viene a Massa per terminare una sua lite con le armi », con altro campione (3). Merita anche d’esser narrato un curioso aneddoto c dimostra come a lui, fino all’estremo, ricorressero i Genovesi nelle loro necessità. Preparandosi il conclave di Giulio III i cardinali fran cesi, nottetempo, con le galere che li trasportavano a Ci vitavecchia, capitarono dinanzi a Portofino. Erano tre ore di notte, e la guardia della terra temendo che quei navig 1 portassero degli infedeli « ricordandosi della destruzione Rapallo lor vicino, havuta da Draguth sono pochi mesi, per ciò molto vigilanti in far bone guardie di notte, sa pendo, che in Corsica erano Vascelli d’infedeli», tirarono tre o quattro colpi d’ artiglierie ; e mandata poi fuori una fregata, quando intesero di chi si trattava non fecero altra novità, sebbene la terra, messa in sospetto e paura, non assi (*) Cfr. pag. 3Γ5. (*] R. Archivio di Stalo in Modena, Carteggio del Card. Ippolito. 3) R Arch. di Stato in Massa. Carteggio del Card. Innocenzo Cybo. curandosi le genti, stesse tutta la notte in arme. Il Senato di Genova, venuto a conoscenza del fatto, il 13 dicembre del 1549 faceva subito scrivere al Cardinal Cybo perchè si adoperasse a scusare il deplorevole equivoco. La lettera finisce così : « N. S. inspiri quel Sacro Collegio a far tale elettione del novo pastore, quale conviene per lo bisogno della Repubblica cristiana » (’). Brigò più volte per essere eletto papa, e nel conclave da cui sarebbe, poi, uscito Giulio III, cercò largamente il favore de’ principi, talché nelle agitate vicissitudini di quella elezione, ci fu un momento che, quando tutti facevano fortissime scommesse sui vari papabili, anche le sue « azioni » vennero discretamente quotate (2). Ma cadde ammalato e i suoi acciacchi passati si rincrudirono, tanto che, poco dopo l’elezione del nuovo papa, colto mentre era a tavola da fiera emottisi, se ne morì la notte seguente (3). (r) R. Arch. di Stato in Genova, Litterarum del Senato, Registro 1839. (2) E a vedersi, a questo proposito, una curiosa lettera di Giulio Con stantini, scritta il 17 gennaio del 1550 da Roma. È nella raccolta del Turchi, Lettere facete, lib. II. pp. 146-159. Particolari ragguagli sul conclave laboriosissimo di Giulio III raccolse il De Leva, Riv. stor. i/al. 1882, e recentemente, con speciale riguardo al riflesso che ebbe nelle lettere, Salza Abd-el-Kader, Pasquiniana ; 11Γ, Pasquino duran/e il conclave di Giulio III; in Giorn. stor. della Lett. Hai. voi. XLII1, (1904) pp. 229-243. (3) Innocenzo fu sempre di poca valetudine e la vita disordinata che condusse negli anni giovanili gli accrebbe i malanni e gli affrettò la morte. Facile alle lamentele mostra, quasi sempre, umor tetro. Fin dal 24 febbraio 1526 scrivendo, da Roma, a G. M. Varano, duca di Camerino, suo cognato, si lagnava delle molte contrarietà, dicendo : « Le molte, non aspettate et eccessive disgrazie quali, hora da questa banda, et hora da quest’altra, tutti questi cinque anni passati, (dopo la morte di Leone X la fortuna d’Innocenzo aveva patito gravi avversitàl) come V. E, sa, me sono sopravvenute, mi hanno atterrato talmente che non ho potuto soddisfare al debito mio » (R. Arch. di Stato in Firenze; Arch. mediceo, Carte d' Urbino, fil. //7, Cl. /, Div. G.) Del resto tutte le gravezze della famiglia cadeano, sempre, sulle sue braccia ! — LVl — Non ebbero miglior fortuna le due sorelle di lui, Caterina, la dotta duchessa Varano, protettrice de’ Cappuccini e favorevole a quel movimento di ritorma che, pur restando nell’ ossequio della Chiesa, avrebbe voluto torre via molti inconvenienti ed abusi; e Ippolita, contessa di Cajazzo.. Chè la prima dovette ritirarsi a Firenze, dove rimase fino allo estremo della sua vita ('), e la seconda finì oscuramente dopo aver trascinato i suoi giorni, bisognosa e randagia, e soccorsa, costantemente, dal fratello cardinale (2). Giambattista, altro fratello, che fu prima vescovo di Mariana, poi di Marsiglia, ebbe una gioventù disordinata (3), finché, andato a risiedere nel suo vescovato, morì a Signes, nel dipartimento del Varo (4), senza lasciar memoria di sé che meriti considerazione. Maggior fortuna che non a tutti questi parenti doveva, invece, toccare ad Alberico, secondogenito di Lorenzo e di Ricciarda, seppure lo strano e voluto spostamento della vera data della sua nascita non deve far supporre che la sua origine risalga a un qualche altro brutto mistero del 1 alcova di quella sciagurata marchesa sua madre (5)· La immatura e tragica fine di Giulio Cybo-Malaspina, primogenito, aperse l’adito alla successione del fratello minore. Nato a Genova, era il prediletto della madre, che lo aveva tenuto sempre con sé, e, da principio, pareva favorisse i disegni del cardinale Innocenzo, che avrebbe voluto indirizzare il nepote alla vita ecclesiastica. Ma ben presto X Abatino, come lo chiamavano i famigliar!, fu destinato alla successione nel marchesato di Massa e Carrara, special- o Cfr. Pag· 240, 377· o Cfr. Pag- 242. (3) Cfr. Pag. 232. (4i Cfr. Pag. 235· (s) Cfr. Pag. 270. 307· — LVII — mente dopo che le discordie fra Ricciarda Malaspina e Lorenzo Cybo, suo marito, degenerarono in un vero e proprio odio verso quel figliuolo della madre perversa, la quale ottenne un decreto da Carlo V per cui era autorizzata a disporre dello Stato per quello de’ suoi nati che più le fosse piaciuto, contrariamente alle leggi e al diritto naturale (Γ). Divenuto assoluto padrone del governo dopo la morte della fiera e intransigente marchesa, Alberico Cybo-Mala-spina, che avea poco più di venti anni e s’era già unito in matrimonio con Isabella della Rovere, sorella di Guidu-baldo II, Duca d’Urbino, si volse tutto alla cura e al savio reggimento del suo paese. Giudizioso, prudente e accorto, questo principe ebbe relazioni amichevoli coi potenti dell’età sua, e governò con particolare amore il suo piccolo Stato, ampliando il borgo di Bagnara, sottoposto al poggio su cui sorgeva Massa vecchia attorno alla ròcca, e circondandolo di mura e bastioni. Lo accrebbe di nuove spaziose vie regolari, la maggior delle quali, anche oggidì, a onor suo, chiamasi — strada Albe-rica, — e conduce dalla piazza degli Aranci, dove leva la rossa fronte il superbo palazzo ducale, di cui fu cresciuta allora la magnificenza, fino alla porta Martana, che reca in alto un’epigrafe marmorea col nome di quel Signore. Politicamente lo staterello di Massa, come altri minuscoli del secolo XVI, quale quello di Piombino degli Appiani e la Republica di Lucca, confinante per le terre di Montignoso, trasse una vita ingloriosa all’ombra di casa d’Austria e, per tutto il tempo del predominio spagnuolo, si mantenne ossequentissimo verso la Corte di Madrid. Nondimeno Alberico, investito da Carlo V del Marchesato con diploma (*) Vedi il diploma imperiale per extenso a pag. 328. — LVIII — del 17 febbraio 1554, ingaggiato al servizio di Filippo II (r), elevato da Massimiliano II al principato del S. R. I· nel 1568, mantenendosi costantemente nell’ossequio verso quei sovrani ch’egli considerava, addirittura, come suoi padroni, e riconoscendosi debitore della sua autorità e dell’ampliamento successivo del suo potere agli Absburgo, mentre favorì costantemente gl’interessi spagnuoli, intervenendo anche nella guerra di Siena come ausiliario di Cosimo I, duca, allora, di Firenze, fu per il paese che governò un principe provvido e illuminato. Con la protezione concessa ai forestieri, che vennero ad abitare Massa nuova allettati dal-l’ottenere il terreno per fabbricarvi libero da tassa ed esenti da ogni gravezza per tre generazioni, col favore accordato alle industrie esistenti e con l’introdurne altre nuove e importanti, procurò l’incremento della prosperità di Massa e di Carrara. La sua magnanimità e il suo spirito me-cenatesco lo fecero protettore anche degli artisti, a quali usò considerazioni e carezze grandissime. Richiamò a Massa il Naldini e lo adoperò negli apparati sontuosi che si fecero per le sue nozze; fece sicuro il Paggi, profugo dalla patria presso il marchese Malaspina dell’ Aulla; raccomandò il Corte al Gran Duca di Toscana, e, infine, accolse con gran benevolenza i concittadini suoi Semini e Tavarone. Le acque condotte da lui a vantaggio della città, l’ampliamento di ville e giardini, le migliorie e bonifiche di molti tratti della campagna, che ebbe, per suo merito, sicuro avviamento alla produzione e alla fertilità per le cure dell’ ingegnere (') Fu raccomandato al Re dal duca d’ Alba, nel 1557, come « cavalieri) de tam buenas qualitades y tam affecionado al servicio di V· M. ». Al duca d Alba aveva rivolto calde commendatizie, per il caso, il duca Cosimo di Firenze, che s’interessava « per la qualità della persona sua e per la considerazione del Stato. Il quale, oltre a molti altri comodi, fa pure esemplo a non lasciare a Re di Francia amico nè servitore in Italia ». (R- Arch. di Stato in Massa; Lettere e Carteggio d Alberico /.). — LIX — ferrarese Marc’Antonio Pasio, lo resero veramente benemerito (·). A lui si deve l’apertura della zecca, in quella località, presso la chiesa di N. S. della Misericordia, a mezzo il viale che conduce alla Stazione ferroviaria, che anche oggidì ne conserva il nome. Introdusse con isforzi e privilegi grandissimi l’arte della seta e quella della lana chiamandone appositamente i lavoratori da Lucca e da Genova, autorizzò un Camoirano, di quella famiglia di Voltri che, anche adesso, ha in Liguria tante propaggini, particolarmente nel paesello di Crévari, a introdurre a Massa l’arte della stracceria. Protesse coloro che iniziarono la fabbricazione de’ vetri, la fonditura de’ bronzi e delle campane, la concia de’ corami, la manipolazione del sapone all’uso di Venezia: insomma non vi fu ramo dell’arte industriale che egli, con larghi privilegi, non accogliesse e favorisse (2). Nè trascurò le ricchezze naturali del paese, facendo saggiare da Matteo Inghirami, (/) Della cura che il Principe si diede per la bonifica delle terre fa prova questa lettera : Al Capitano Annibai Diana, Il S.or Battista Torre, gentilhuomo di questa città, ha preso in livello perpetuo dalla Comunità di Sarzana le terre della Marinella con sue giù-risditioni, con obligo d’asciugare i paduli. È stato però da me pregandomi che, convenendoli fare fare alcune fosse per scoli di quelle acque, mi voglia contentare che si possino fare anco in qualche terre di quelle mie giuris-ditioni alle quali terre che parimente tornerà di gran bonificamento, come vederete dall’ alligato suo memoriale, non intendendo pregiudicare nè intromettersi in modo alcuno in differenza de' confini che quando così sia me risolverò a compiacerli; poiché oltie che con il retrocorso di quelle acque che quando piove scorrono per diverse vie a danno di quelle nostre terre reslarebbano asciutte e insieme le strade che tanto inondano et maggiormente che ne resulteria buon aria. Di Genova, 2 7bre 1595. Alberico I Cibo Malaspina (R. Arch. di Stato in Massa, Copialettere d'Alberìco). 2) Vedi i Bandi d'Alberico / pubblicati dallo Sforza negli Atti della R.Deput. di Storia patria modenese, Tom. II dei Monumenti, 1892. — LX — venuto di Firenze con operai tedeschi, le miniere di calcopirite ramifera, ed autorizzando un Messer Stopano da Brescia a far ricerche di altre, mentre nuovo incremento riceveva l’escavazione de’ marmi anche ne’ monti di Massa, per le cure del carrarese Messer Giovanni Morelli· Organizzò le milizie urbane e fu zelantissimo che attendessero alla guardia della terra (*); fece fortificare la marina per assicurarla dalle incursioni barbaresche; volle il castello di Massa e le rocche di Moneta ed Avenza provvedute di armi e di munizioni. Valgano a mostrare la cura eh egli ebbe delle fortezze queste due lettere. Al Castellam di Lavenza. ......Quel castello è più da apprezzare che non ere dote, e massime hora; ma non vi è pericolo che d essere rubato, al che avertite, e massime da petardi, che pero si de’ la notte tirar su quella prima scala et accomodarla che si possa fare, et a fianco del maschio, che guarda la prirna porta del castello, haver pronto non solo un tiro, ma p|U> per offendere e difendersi da simile strana offesa. Al Gover natore s’è ordinato la monitione, e avisate delle legna come ne state; et per il Bergotto si mandano libre 200 di polvere grossa et libre 30 di fina et di piombo libre 50 et corda libre 60, che saran gavete 360. Et di più, si sono ordinati sei soldati pagati d’Antona, che per hora bastarano (z)· · · ' Di Genova, 7 aprile 1601, (*) Cfr. a pag. 155 la sua lettera ai Capitani di Massa. (2) R· Arch. di Stato in Massa. Copialettere di Alberico I. — LXI — Al Cap". Pietro Vagnarelli Ingegnerò della Repu-blica di Lucca. Molto m.co S.re Ho visto li dui disegni, i quali, per chi non può far molta spesa e per abbracciar poco e far raccolta fortezza, se ben non reale, difendibile almeno per giusto tempo di soccorso, sono ingegnosi e ben tirati, ma per accertar meglio bisognerebbe veder di presenza il sito, il che spero che sarà presto ; trattante presupongo, non ci essendo misura, servi quella eh’è nella pianta mandata dal Diana. Desidero saper che intende che siano quei corpi negl’angoli del vecchio et massime la parte che guarda dentro e perchè vi fa nell’angolo esterior quella forbicetta che non può servire che per difesa da mano. Li quattro beluardi di fuora, se ben non possono haver gran fianco e spalla, tuttavia la forma è assai buona e massime con li due rivellini tondi che le darebon gran aiuto. Non intendo che sia il circolo, minor nel mezzo e quel storto a serpe, che va per lunghezza. Del argine di fuori al rivellino si po- tria dire che iusse facile al nemico di allo......e tagliandolo batterlo non in punta, ma dall’altre due parti. Il secondo disegno è bello et ha del bizarro e forte in apparenza se però le faccie delle quatro piattaforme havessero difesa sicura e non scoperta al tutto. Desidero ben sapere che siano li quatro tondi dentro al angolo esterior se cavaliero torna o che ha. Rispondi a tutto e faccio fine (*)· Di Genova, 4 9bre 1605. Al piacer Alberico Cybo. (J) R. Arch. di Stato in Massa. Copialettere di Alberico I. — LXII In uno de’ torrioni, di cui sussistono anche oggi gli avanzi, a oriente del castello di Massa si legge questa epigrafe, che debbo alla cortesia del inio valentissimo amico e studioso Umberto Giampaoli: Quod tormentorum sathanico inventum OBSISTAT Albericus Cybo Mal. S. R. I. et Massae Princeps molem hanc extruxit. A. D MDLXX. Creò un monte di pietà per la pubblica beneficenza, e seppe, largamente, mostrarsi ospitale coi nobili vecchi ge novesi, quando per le note turbolenze fra il Portico di S. Pietro e quello di S. Luca erano fuorusciti dalla patria. Finalmente con la compiuta raccolta degli Statuti ( ) dette vigorìa nuova alle leggi, meritandosi, per tanti titoli, ben a ragione il soprannome di grande, che gli venne decre tato non per plauso e gratitudine dalla adulazione de molti letterati che egli sovvenne co’ suoi danari e magnificamente favorì, ma per giusto omaggio della riconoscenza di tutti 1 suoi sudditi. E per deliberazione de’ rappresentanti del Co mune, il 28 agosto del 1610, essendo Consoli di Balia, a Massa, i Magnifici Signori Gio. Batt. Farsetti, Alfiere Anni baie Venturini, Alfiere Frane. Manetti, Paolo Ayola, Flami nio Guerra, Rocco di Ser Gio, Ceccopieri, Mario Giando menici e Angelo Maggesi, si stabilì quanto segue: «Hanno proposto e passato a viva voce che si faccia una statua di marmo di buon scarpello dell’Illustrissimo ed Eccellentissimo Sig. Principe da ponersi in piazza di S. Pietro (1 odierna o Furono stampati a Lucca dal Busdrago nel 1592. Cfr. SFORZA, Saggio d’una bibliografia storica della Lunigiana, cit. — LXIII — Umberto I) avanti al palazzo di S. E o dove comanderà detta Eccellenza » ('). Alberico visse più che nonagenario seguendo un regime parco e ordinato. Al suo fido Perseo Cattaneo cosi parla di sè stesso : « La vita che io passo è questa : la mattina a messa, ora a una chiesa e ora ad un’ altra ; camminando gagliardamente, e dando audienza a’ miei per questi bei stradoni; e ora ai giardini: e ne’tempi nuvolosi pesco alla grotta, o altrove con la canna; nè soglio pigliar meno di 15 o 20 trote. Desino poi con buon appetito e, per un’ora dopo, giuoco a tocadiglio, o do qualche audienza ritirata, nel che è il mio maggior de’contenti. Riposo quindi un’al-tr’ ora, o più o meno, conforme alla detta o disdetta ; e dirò pure che in più volte a questi vostri ho dato da 400 scudi. Di poi cavalco per la terra, fino aH’avemaria; e, ritornato in casa, spasseggiando per la sala grande, do un’altra udienza ; e, ritirato in camera sino alle due ore, sottoscrivo suppliche più che posso, o scrivo, o leggo, o compongo. Fra tanto è in ordine la musica e il suono di viole, sebben male, fino alle quattro, a segno tale che io stracco i musici; e, ritornato in camera torno a leggere istorie o altro, fino alle cinque e mezzo. Allora faccio colazione, e sto alcun poco, primach’ io vada a letto, giuocando al picchetto, o facendo leggere qualche cosa di meno severo. Quindi la notte assai bene riposo » (2). Potè veder coronato da lieto successo il suo costante adoperarsi per crescere la dignità della sua casa, perchè l'imperatore Massimiliano lo (rj Questa deliberazione fu tolta dai Libri degli Ordinari che si conservano nell’ Archivio del Comune di Massa, dal chiaro erudito massese Carlo Frediani, che la pubblicò nelle note alla Notizia della Vita di Agostino Ghirlanda, Massa, Luigi Frediani, 1828. pag. 39. (2) Cfr. Frediani Carlo; Dei beni arrecati alle città di Massa e Carrara dal loro primo principe Alberico Cybo Malaspina. Massa, Frediani, 1847. — LXIV — nominò Principe del Sacro Romano Impero, Ferdinando II gli concesse la prerogativa di creare cavalieri aureati e conti e dette a Massa il titolo di città, e Filippo III di Spagna lo promosse da marchese a duca d’Ajello; finalmente papa Paolo V gli accordò il titolo di duca di Ferentillo. Ne suoi numerosi viaggi per l’Italia, in Fiandra, nella Spagna (!) e in Francia, di cui fece particolare memoria nel Libro di Ricordi, fu onorato da’ più illustri Signori co’ quali tenne sempre carteggio : sicché il suo copialettere autografo e la raccolta delle responsive o missive che gli vennero di fuori, occupa, nel R. Archivio di Stato in Massa, Sez. Archivio ducale, parecchie grosse filze e volumi. Con la parentela coi Medici, i Cybo crebbero in dignità e stato, per l’opera special-mente di Leone X e di Clemente VII, sicché il possesso di Massa e Carrara perveniva loro pel matrimonio, concluso in Corte di Roma, fra Lorenzo di Franceschetto e la ricca ereditiera del Marchese Antonio Alberico II Malaspina. Per opera di Alberico Cybo-Malaspina, che in sé mantenne congiunti i nomi de’ genitori, potè la famiglia imparentarsi con molte nobili casate d’Italia, quali i Della Rovere, i di Capua, i Grimaldi, gli Sfondrati, gli Spinola, i Gonzaga, gli Estensi. Fu il Principe in amichevoli rapporti coi papi del suo tempo, da Giulio III a Paolo V; nella elezione di Gregorio XIII, trovandosi a Roma, andò subito a far visita al novello pontefice e lo trovo che era appena nominato, mentre stanco ed affranto per l’emozione e le fatiche del conclave, giaceva in letto (2). 1 A Sebastiano Gonzaga scriveva, da Valladolid, il 14 ottobre 1559, dandogli conto del famoso auto da fé a cui aveva assistito : « Del fuoco che si fece, alli 8, di 15 fra huomini et monache, giustizia invero esemplare, V. S. Illu.ma ne sarà stata informata s>. (R. Arch. di Stato in Massa, Copia-lettere d Alberico). Cfr. pagg. 104-5. (3) Vedi il curioso episodio pagg 32, 109. — LXV — Ciò che, a Roma, colpisce, ne’ suoi frequenti viaggi, il Principe sono le ville, i palazzi e i luoghi di delizie: particolarmente Caprarola e la Trinità de1 Monti: delle grandi opere d arte non parla mai perchè le conosceva già bene da giovinetto. La sua fama come cultore delle lettere fu, veramente, un po esagerata. Il Giustiniani dice di lui : « Visse quasi cent’anni, intento alla conservazione et aumento delle prerogative di casa sua, non meno che allo studio delle belle lettere, con applicarsi tal volta anche alla poesia; per i quali rispetti fece egli sempre conto degli uomini letterati, che nelle loro opere si sono ingegnati di honorario in sommo grado » p). Il Quadrio va più innanzi e scrive : « Applicò egli molto alla poesia e riuscì giudizioso poeta in latino e in volgare » (2). L’autorevolissimo Tiraboschi, poi, nella Biblioteca modenese (3) ne fa ampli elogi e nella Storia della letteratura italiana parla così del cardinalelnnocenzo, con qualche esagerazione: « Nel proteggere e nel favorire i dotti ei profuse immensi tesori, chè godeva sovente trattar con lauti banchetti quanti erano in Roma uomini singolarmente celebri per sapere, e molti eran da lui mantenuti interamente a sue spese » (4). Continua poi dicendo che l’esempio di un tale zio eccitò il principe. Ora del favore che Alberico volle concedere a’ cultori delle lettere e delle sue relazioni cogli storici e coi poligrafi già distesamente trattammo ; agli scrittori di cose genovesi che furono deferenti verso di lui bisogna aggiungere Γ Inte-riano e Pietro Bizzarri da Sassoferrato, noto più comune- [τ) Scrittori liguri, I, 38. (2) Storia e'ragione d ogni poesia. II, 368. (3) Tom. II, pag. 36. (*) Ediz. di Modena, 1791, Soc. tipogr. Tom. VII, par. I, pag. 82-83. 5 — LXVI — mente col nome di Bizarro ; e fra i poeti che 1 onorarono merita particolare ricordo il Tasso, padre di Torquato, che nell’Amadigi ne fece l’elogio (I). Pietro Angeli, detto il Bargeo, dalla sua patria, chiese licenza a Cosimo de Medici « di scrivere la Historia genovese », di che caldamente lo pregava Alberico, con promettergliene « honestissimo premio » (2). Giuseppe Betussi, di cui si ristampa una lettera, già pubblicata dal Parenti ma, per la rarità del periodico in cui vide la luce, quasi irreperibile^ (3), gli pi ometteva mari e monti e Γ esaltava al cielo. Ma, con tutto ciò, dell at tività letteraria di Alberico dobbiamo dubitare. Perchè seb bene compariscano col suo nome varie composizioni in più luoghi e, particolarmente, nella Parte I della Scelta di rime di diversi moderili autori non più stampate, (4) senza entrare in merito sul loro valore letterario, piuttosto ci parrebbe da sospettare se, veramente, siano opera del Principe di Massa. Troppo di frequente accadeva che altri scrivesse di que’ versi che portavano, poi, la firma di chi non li aveva composti, ma acquistati. Valga, per il caso nostro, un esem pio. Nello Zazzera (s) c è un sonetto che incomincia coi versi. S’altri ne dier de’ peregrini eroi L’antiche imprese e i fortunati affanni, (r) Can. C, st. 17. , i’2') Bonaini Francesco, Lettera del Bargeo a Cosimo, in Giorna e gli Archivi toscani, anno 1858, n°. 2, pp. 140-141. (3) Lettere inedite d'uomini rinomali, inserite nella Continuazione Memorie di Religione da M. [arco] A. [ntonio] P. [arenti]. Modena, R· Tip eredi Soliani, 1836, pp. 25-31. Vedila a pag -125^ Nello stesso periodico, pag. 31, era già stampata anche la lettera e Serdonati che si riproduce a pag. 133. Gli originali di queste due lettere, cavati dall’Archivio di Massa, furono, con parecchi altri, del Guicciardini, del Machiavelli, di Andrea D Oria, do nati dal duca Francesco V ad Antonio Gandini per la sua autografoteca. (4) In Genova, eredi di Ger. Bartoli, 1591, in 8°. (s) Op. cip. pag. 21. — LXVIl — Orbene, in fronte porta questa attribuzione: Del Signore Alberico Cibo Malaspina, Principe dell’impero e di Massa; ma dalle parole seguenti dello Zazzera appare, poi, che il Principe non ne fu per nulla Fautore. Infatti annunziandogli il 5 settembre 1614 l’imminente pubblicazione dell’opera sua sulle famiglie d’Italia, brancesco Zazzera scriveva, testualmente, al Signore di Massa: « Mi ricordo che V. E. mi promise una composizione per onorare il mio Libro delle Storie delle famiglie, e perchè non l’ho veduta sino a questa ora, nè sua nè delli Signori suoi Figli; ne gli mando due, una latina ed una volgare; scelga V. E., quale sarà servita che si ponga sotto del suo nome, o la volgare o vero la latina » (!). Non si potrebbe essere più obbligante ! Ottimi e cordialissimi furono i rapporti che passarono fra Alberico Cybo e la Repubblica di Genova. Dice Marco Gentile che nella via del Campo v’erano ben 33 case de’ Cybo. E il Signore di Massa mostrò, sempre, molto attaccamento verso la patria sua e de’ suoi maggiori, dimorando assai lungamente in Genova, dove era trattato con deferente riguardo. Già quand’era ancora giovanetto, dopo la tristissima fine del fratello Giulio, sua madre lo volle porre sotto la protezione di Andrea D’Oria. « La Signora Marchesa di Massa > avvisa l’ambasciatore fiorentino Averardo Serristori, « s’è risoluta di voler partire di Roma per andarsene al suo Stato, con animo di condur di poi sino a Genova el Signor Alberico, suo figliuolo, perchè facci reverentia al Serenissimo Principe, consigliatane del Signor Don Ferrando Gonzaga » (2). Ricciarda sperava di volgere in suo favore il (x) R. Arch. di Stato in Massa, Carteggio d’Alberico I. (2) R. Arch. di Stato in Firenze, Mediceo, Reg. dell1 ambasciatore Serristori da Roma, fil. 3466. Lett. del 13 settembre 1548. — LXVIII — Principe per le pratiche avviate a riavere la consegna della ròcca di Massa, occupata dagli Spagnuoli. Ouand’ ebbe il governo dello Stato Alberico intei venne in favore della Repubblica per le faccende dalla Corsica. Nel 1553 Turchie Francesi avevano occupato tutta 1 isola, all in fuori del luogo di Calvi. Genova protestò e se la intese anc col duca di Firenze per la ricuperazione de’ suoi possessi. Inviò, pertanto, a lui G. Batt. Lercaro con ampie istruzion mandò come ambasciatore a S. Μ. 1 abate di Negro, che s^ viva da agente il duca Cosimo I (')· Alberico C)bo teressò di queste pratiche de’ suoi concittadini ( )· Poco dop scoppiando la guerra di Siena, i Genovesi, che avean duto con tanto rammarico congiungersi con 1 armata Turco e dar la caccia alle loro navi e assaltare le terre la ^ otta della Francia, dolentesi d’aver perduta la supremazia in Liguria; compresero che, nella nuova guerra, il l°r0 P° era al fianco del duca di Firenze e dell Imperatore, cor* i Francesi ed i Turchi, amici di Siena. E per quanto nova non potesse soccorrere Cosimo de fanti che le ave^ richiesto nel 1554, nè staccare dalla Corsica le navi, si adoper in altri modi a contribuire alla caduta della gloriosa repu blica toscana, tanto più che, in quel tempo, Cosimo I, quas a togliere di mezzo ogni ragione alle antiche e recenti con troversie fra Genovesi e Fiorentini, specialmente per 1 am bizione d’estendersi nella Val di Magra, scriveva non cer f1) Nel R. Arch. di Stato in Genova, Litterarum, Reg. 1842, v’è un am-pio carteggio per queste pratiche. Cfr. Livi, La Corsica e Cosimo , ci . 2) Cosimo de' Medici vi mandò Chiappino Vitelli con cinque C0JT1^. gnie di fanti. L'n ottobre del 1553 Alberico scriveva, da Carrara, a 1 telli : « Mi persuado che la potrà similmente comandare agli altri mille anti che pur S. E. ha spedito, o vero che da Genovesi le sarà dato qualche a tra cosa». E gli raccomandava di mandare la moglie Eleonora a Città di Castello presso la madre di lui e la cognata, oppure a Massa, senza lasciar a sola a Firenze. Il dì stesso scriveva anche alla sorella che aveva inteso « la — LXIX — care « altro guadagno o acquisto, se non che i Francesi di-mettino l’altrui, come è conveniente». (') Appunto in que’ frangenti fu molto gradito l’aiuto di fanterie che il Signore di Massa, col beneplacito anche di Genova, prestò al Medici (2), mentre non aveva mancato anche di soccorrere la Repubblica inviando altra gente del proprio Stato in suo favore (3). Sett’anni dopo, nella ribellione che ebbe agitatore Sam-piero da Bastelica, Alberico fu ancor presto a soccorrere la patria (4). In più riscontri, sollecitando il favore de’ suoi concittadini, uscì in proteste d’affetto per loro, come quando, l’ultimo d’ottobre del 1560, raccomandava il suo parente Niccolò Cybo pel vescovato vacante di Sarzana. Dichiara di fare istanza « sì perchè la casa mia è stata sempre affettionatissima di cotesta Illma Signoria et, in tutti i tempi, l’ha mostrato con bonissimi effetti; come perchè si possono promettere del servitio di questo mio parente, et di fedeltà verso Loro, et di suffitienza et integrità in governare il gregge » (5). Anche ne’ rapporti fra spedizione del suo consorte in Corsica con 1000 fanti, e che la invitava àd andarsene a Massa», [R. Arch. di Stato in Massa; Copialettere d' Alberico). (’I Documenti genovesi sull'assedio di Siena pubblicati da Michele Rosi ; in Boll. sen. di Storia Patria, ann. II, (1895), fase. III-IV, pag. 264 e segg. (2) Cfr. pag. 100. (3) Il 22 gennaio del 1557 il Marchese di Massa scriveva alla Repubblica lagnandosi che aveva accaparrato 25 soldati alla Spezia, ma che era uscito un bando proibitivo che andassero al servizio altrui. Protesta « perchè io ho sempre nelle loro occorrentie e bisogni dato loro gente, come fu nella guerra di Corsica, che ne rimase in quelle parti de’ miei sudditi morti assai » ; e prega lascino correre. È desideroso sapere l’animo loro verso di lui. \R. Arch. di Stato in Genova, Lettere di Principi, filza 9.) (4) Cfr. pagg. 385 e segg. (5) R. Arch. di Stato in Genova, Lettere di Principi, fil. 9. — LXX — Stato e Stato volle mantenuta affettuosa cordialità. Il 4 dicembre del 1571 dichiarava che le monete grosse d argento della sua zecca erano della medesima lega e bontà di quella di Genova, e sempre, come tali, avevano avuto bonissimo corso e spaccio in Lucca, Pisa e altrove, e particolarmente in Sarzana e suo territorio. Dolevasi che il Commissario della terra le avesse, allora, sbandite e pregava la Repubblica di revocar l’ordine inconsulto, chiedendo lo facessero « tanto per favorire un servitore loro affettionato, come gli sono io, quanto anco per il comodo che ne torna a quelli suoi vasalli et alli miei, per il continuo commercio e traffichi che hanno insieme ». Sempre per riguardo delle monete si accordava pei un procedimento penale contro un tale che ne spendeva di false (!). Nel 1564 si rivolgeva alla Repubblica perchè provvedesse « essendosi per il passato a queste gabelle mie frodato di molte mercanzie, et in spetie danari portati in somma » (2). Scoppiati tumulti e disordini per le violenze d’Ortonovo, mise ogni impegno per troncare, in sul nascere, ogni controversia, pur non trascurando le buone ragioni dei suoi sudditi (3). Nel 1574) ^5 ^ a prile, era alla Spezia col figliuolo Alderano in attesa di Don Giovanni d’Austria Mentre andava a Portovenere, un carrarese bastono uno spagnuolo del suo seguito: Alberico si rivolge alla Repubblica perchè mettano quell’audace nelle galere (4). E, per le galere, manda i suoi vassalli agli appaltatori e ai capitani genovesi (5). Quando nel 1602 voleva recarsi a Ge- ‘) R. Arch. di Stato in Massa. Copialettere di Alberico I. \2) Cfr. pag. 146. (3'i Cfr. pag. 145. I4) R. Arch. di Stato di Genova, Lett. di Principi, filza 9. (5) Cfr. al proposito quanto scriveva al Signor Bendinello Sauli : Molto mag. Sig. come fratello, Mando a V. S. con il suo agozzino cinque — l:cxi — nova, domandò alla Repubblica che gli inviasse una galera a Lerici per tornare « a servir quel Serenissimo Senato » protestando che « il pormi in piccoli vascelli non mi ellego così di fare » (*). La Repubblica lo tenne in onore e gli affidò delicati incarichi. Nell’autunno del 1582 convenne col duca di F'errara che nella corrispondenza fra Γ Estense e Genova si sarebbero adoperati i titoli di Altezza e di Serenissimo (2). Egli stesso ebbe distinzioni speciali nel trattamento e nei ricevimenti a palazzo, oltre amplissime concessioni. Il 17 a-prile 1601 gli si accordava di portar spada e pugnale insieme a quattro gentiluomini e quattro staffieri. Tale licenza venne confermata d’anno in anno e il primo di que’ quattro gentiluomini è il cavaliere di Malta fra Francesco Cybo, naturale di Alberico (3). miei vassalli, conclamati alla galea, affine che li tenghi nelle sue, come me ha ricercato, et intenderà nel modo qui appresso cioè: Tomeo di Gio. Rosso in vita; Bartolomeo di Nardone, ancorché sia condannato in vita, per otto o dieci anni, et all’hora in libertà mia di tramutarli questa pena, il che sia però lei contenta tenere secreto; Tomeo del Zoppo et Giuseppe di Pacchiano, per anni sei; et Girolamo di Pirenello per anni dua, et più et meno a beneplacito mio. De’ quali tutti prego V. S. che facci nota tale che a detti tempi io possa sicuramente, vivendo, rihaverli, si come son certo che lei non sia per mancare certificandola che se mi verrà nell’avvenire altra occasione, gli farò conoscere che in me continuerà sempre l’affetione che le porto et il desiderio di farle servitio. Et aspettando riceuta della presente faccio fine. Di Carrara, 14 agosto 1567. (R. Arch. di Stato in Massa, Copialettere d'Alberico I). (*) R. Arch. di Stato in Genova, Lett. di Principi, fil. 9. (2) Roccatagliata, Annali, ediz. Canepa, pag, 21. Correggi Alberto in Alberico. (3) R. Arch. di Stato in Genova, Senato, Atti, fil. 447. Questo figliuolo d’Alberico mentre alcuni anni innanzi trovavasi a Messina per ordine del Gran Maestro di Malta, avea fatto, pel padre, varie ricerche sui pretesi Cybo di Scio. Ne dava conto al padre il 6 novembre 1596 in una curiosa lettera nella quale racconta che ha trattato con Angelo Gui- — LXXIl — Nella congiura del Coronata per poco rimase ucciso ('). Allorché, poco dopo, scoppiarono i tumulti fra i nobili vecchi e i nuovi, mentre egli era già sul punto di recarsi a Roma pel giubileo, ^s’era del 1575), fu richiamato dal Cardinal Mo-rone, Legato del papa Gregorio XIII per rimetter la quiete in Genova. Alberico accolse onorevolmente a Massa il Cardinal Legato, che lo persuase a non si partire, perchè pa-revagli potesse giovare assai col suo consiglio e con la sua autorità ad appianare una pratica così difficile. Frattanto si ricovrarono a Massa la famiglia del principe di Salerno, Grimaldi, e, fra Massa e Carrara, circa quaranta altre delle principali casate genovesi (2). E perchè in Sarzana quel duccio di Scio, che va in nave a quell’isola, sopra il gran Calo Ianni Kubos, del quale dice che oggi si trovano ancora privilegi « fin dai padri gesuiti e benché non vi trovassi il padre Casati v’era però quello a cui esso Casati scrisse l’anno scorso a Scio e mi riferì che per diligenza fatta da lui non si era trovato arme alcuna della famiglia di V. S. in quella isola ». Angelo Guiduccio, Scioto, conoscente del S. Luca Grimaldo Bianchino, pratico d'istorie rispose « non haver cognizione alcuna d’armi della famiglia Cybo nè credeva ve ne potesse essere sendo che la città anticamente era piccola ed ebbe varie incursioni. Che ricercando alcune banche de notarii antichi l'era venuto alle mani « alcuni privilegii in greco concessi a diversi Scioti da Cola lannj o sia Giovanni Cybò, in quel tempo padrone dell’ isola di Scio, che li faceva franchi et esenti di qualsivoglia gravezza et angherie, fori che voleva che tutti quelli c’havessero cavalcature andando la sua persona o ministri in visita dell’isola fussero tenuti di prestar per questo servitio le dette lor cavalcature », e che sono detti privileggi in carta pergamina antichissima scritti in greco segnati di un bullo d’oro ma che non haveva però memoria che qualità di arme vi apparissero ». È annesso il memoriale del Guiduccio del 30 ottobre 1596 che comincia a dire come la famiglia Cybo è « delle illustri famiglie del Imperio de Costantinopoli « e che l’isola di Scio era comandata dall’I11. Sig. Giovanni Cybò quando il capitano Simone Vignoso con 27 galere la prese per Genova, che crede fusse del /336. I privilegiati dal Cibo si dicono Crisomilati per la bolla aurea. Dice che cercherà vedere il bollo dei privilegi stessi e procurerà anche di avere uno di quei privilegi. C) Cfr. pag. 513. (2) Cfr. pagg. no, 466. — LXX1II — capitano Pietro Cabella (') mostravasi animato da intenzioni avverse, Alberico, provveduto il suo stato di buone guardie, suscitò le proteste di queH’ufficiale contro di sè perchè mandò 1500 uomini in sui confini genovesi e faceva anche munire di trincere e bastite il borgo del Ponte. Già le ire del Cabella crescevano, quando l’accordo di Casale gittò molta acqua sul fuoco, e sopito Γ incendio che pareva avvampare furioso, Alberico stesso potè tornarsene a Genova dove fu, sempre, da tutti accolto con gran segni d’onoranza (2) e circondato da così numerosa schiera di signori e di gentiluomini che formavano una vera Corte. Nelle feste e ne’ ricevimenti ufficiali compare sempre con particolar distinzione. Così quando, nel 1592, arrivò a Genova Vincenzo Gonzaga, duca di Mantova e del Monferrato, che tornava da Firenze, dov’era stato a tenere al battesimo Cosimo, il figliuolino del Granduca Ferdinando, nel solenne ricevimento che la Repubblica gli fece, ebbe parte considerevole (r) Costui ebbe parte nei trattati del Coronata. Cfr. pag. 512. Π Chiamato a consulto in casi difficili fu ascoltato con deferenza, come nella quistione d’ onore di cui fu risultanza questo suo lodo arbitrale : Alberico Cybo Malaspina, del Sacro Impero e di Massa Principe etc. Nelle controversie et questioni seguite in Genova tra il Signor Marcello Lepore et Signor Fabritio Moresco, essendo stato pregato instante-mente da alcuni cavalieri ch’io dica il parer mio, se detto Signor Marcello si truova in termine d'offese con incarico, nè potendo io mancare a così giusta e honesta domanda, dico, quando il caso sia tale come nelle scritture che m ha mostrato si contiene, una copia delle quali resta autenticata appresso di me, et l’altra appresso di lui; che per mia oppenione al Signor Marcello non resta obligo di risentimento alcuno, et lo reputo et tengo per honorato gentil huomo, et per conseguente mi pare che possa venirne a pace senza alcuna macchia et carico dì suo honore, nè altra sodisfattione vedendosi che egli ha complito a tutto ciò che a honorato gentiluomo si conviene per le ragioni ch’io mi riserbo a mettere fuori sempre che ne siiro rechiesto et che sarà necessario. In Massa, 26 marzo 1570. • Il Principe di Massa. (R. Arch. di Stato in Massa. Copialettere d'Atberico I. 1570-1572). — LXXIV — il Principe di Massa, che, sopra una galera, insieme col figliuolo Alderano, gli andò incontro, mentre da Portofino muo-vea verso Genova pieno di ammirazione, « cominciandosi a scoprir col mare tranquillissimo la riviera così bella e piena di grossi villaggi e abitazioni, che par quasi un borgo perpetuo > ('). Da Genova tornava, frequentemente, a Massa. Ma nel 1614 risolvette di venirvisi a stabilire « ut pluribus intemperantiis sui status occurreret, animo tamen intra sex menses eo remigrandi. Verum tot fuere universi populi suplicationes ne discederet, ne eos solos et moestos relinqueret, quod, ut eorum studio et benevolentiae responderet, non potuit ibi non immorari, et rem omnem et magni Dei voluntatem gratam habere ». (2) Alberico Cybo, nella sua lunghissima vita, ebbe a prò vare ogni maniera di dolori per domestiche sventure, che si vide morire attorno le persone più care. La prima moglie Elisabetta Della Rovere, figliuola di Francesco Maria I Duca d’Urbino, gli morì in giovine età. Nel 1562, per consiglio, particolarmente, de’ Gonzaga, passava a seconde nozze con Isabella di Capua. Partecipandole al cognato Chiappino Vitelli, che gli consigliava di dar prima moglie al figliolo, gli diceva: Illmo Signor Cognato et Fratello, Essendosi per i più giudicato più sicurezza et meglio il pensare hora di casarmi io che mio figlio (Alderano), ho atteso ('; Cfr. Neri Achille, De Minimis, Genova, Sordomuti, 1881. Il Duca di Mantova tornò in Liguria nel 1606, soggiornando a S. Pier D’Arena, in mezzo a delizie, nel palazzo Scassi. (2) De il/u.ma Cyborum familia, brevis sermo a Reverendo Domino Iulio Tauretlo, mililiae auratae equile et Arcisfrigidae rectore Domino Alberico domini Alberici principis pronepotis dicatus. Mss. del R. Arch. di Stato in Massa. È del 1620. — LXXV — quello, fermando l’animo d’assettare di maniera le cose mie, che il primo genito proverà sì poco danno che, molto ben considerato tutto il resto, si potrà accomodare ancora lui, di sorte che al suo giusto tempo s’ha da pensare che non li siano per mancare partiti buoni et ragionevoli. Con tutto ciò, s’io potessi, non lascierei indietro il parere di V. S. come buono et amorevole; però ha da sapere che tanto mi sono stati a pregare il Signor Cesare Gonzaga et il Cardinale suo fratello, (Francesco) che non ho potuto ritrarmi. Da Roma, 19 7mbre 1562. (') Ma anche questo matrimonio non doveva fare, per molto tempo, la sua felicità, chè pur la seconda moglie gli morì molto presto. De’ figliuoli vide morire, immaturamente, per tisi, Don Ferrante, ch’egli destinava alla vita ecclesiastica, sebbene il giovane mostrasse propensione a tutt’ altro (2). E, giovanissima, di mal sottile, gli morì la prediletta figliuola Eleonora, della cui pietosa fine volle tener particolare ricordanza (3). Avea riposto in Alderano, suo primogenito, tante gelose cure e, dopo averlo fatto educare (*) R. Arch. di Stato in Massa. Copialettere d’Alberico I. (2) Cfr. pag. 419, Il disegno di Alberico di avviare alla porpora quel suo figliuolo parve vicino al compimento dopo le nozze di Lucrezia con Ercole Sfondrati, nepote del papa Gregorio XIV. Bernardino Bernardini Ambasciatore straordinario della Repubblica dì Lucca al papa per rallegrarsi di quelle nozze, nella sua relazione del 9 maggio 1591 racconta d’aver visitato, fra gli altri, in Roma, in quella circostanza, il suocero dello sposo, Principe di Massa e Don Ferrante suo figlio « perchè si aspetta comunemente che questi nelle prime promozioni sia per esser fatto Cardinale ». Relazioni inedite di ambasciatori lucchesi alla Corte di Roma, pubblic. dal Dott. Amedeo Pellegrini in Studi e Documenti di Storia e Diritto ann. XXII (1901) fase. i° e 20, pp. 105 e segg. (3) Cfr. pagg. 35 e segg. — LXXVI — alla Corte d’Urbino, se ne riprometteva gran cose. Ma anche costui, in età ancor giovane, premorì al padre, che rivolse, allora, la sua affettuosa diligenza sul nipote Carlo, animo, gliato con Brigida Spinola, e predestinato a succedere all'avo. Le nozze di costui seguirono nel 1605 e la sPosa portò in dote 120 mila ducati. Carlo I, ch’era nato il 18 Novembre del 1587, a Ferrara, dove suo padre Alderano s era trasferito con la ricchissima moglie Marfisa d’Este, piedilesse le lettere, fu Principe dell’accademia ferrarese degli Intrepidi, siedè a Genova in quella degli Addormentati e compose anche un poema. Di Carlo I e di Brigida Spinola nacquero ben 14 fi" gliuoli, otto maschi e sei femmine: il primogenito fu Alberico, Marchese di Carrara, l'Alberichino così spesso ammalato nella sua infanzia, come con trepida ansietà ricorda il suo bisavo (‘), che, nato a Genova il 23 Luglio dal 1607, quando pervenne al governo degli Stati aviti, succedendo a Carlo I. suo padre, accrebbe e abbellì il palazzo ducale dove anche oggidì sugli stipiti delle porte marmoree, al primo piano, si legge il suo nome. Mostrò il suo particolare favore per le arti col dar mano alla cappella sepolcrale della famiglia ne’ sotterranei della Chiesa di S. Francesco di Massa ; sfoggiò in cavalli, gli piacquero il lusso, la magnificenza e la sontuosità, ma non dimentico delle avite tradizioni, predilesse gli studi e fu amico di scienziati, di letterati e di artisti. L’imperatore Leopoldo I il 5 maggio del 1664elevava a ducato il principato di Massa. Così Alberico II fu il primo Duca di Massa. I Cybo ebbero il governo di Massa e Carrara fino alla prima metà del secolo XVIII. L’ultimo signore della fami- (‘ Cfr. pagg. 62 e 63. — LXXVII — glia fu Alderano, la cui figliuola Maria Teresa, dopo essere stata promessa ad Eugenio di Savoia-Soissons ('), si sposò con Ercole Rinaldo d’Este, figliuolo ed erede del Duca di Modena Francesco III, per modo che gli Estensi videro, finalmente compiuto, per queste nozze, l’antico loro sogno di potere, per la Garfagnana, attraverso le Alpi Apuane, stendere il loro dominio dalle spiagge dell’ Adriatico a quelle del Tirreno. (') Vedi su questo fidanzamento la bella memoria di Giovanni Sforza-; II Principe Eugenio Francesco di Savoja conte di Soissons e il suo fidanzamento con Maria Teresa Cybo duchessa di Massa. Torino, Bocca 1909; in-8, PP- 93. Estr. dalla Miscellanea di Storia italiana, Ser. Ili, tom. 13. Medaglia di papa Innocenzo Vili. PARTE I. NOTIZIE BIOGRAFICHE E GENEALOGICHE Iesus Mane filius custodiat uos semper. Amen. Yhs autem transiens per medium flonim ibat. Anno Domini MCC CCLXXXIIJ. die prima januarij. In Firensa. In questo libro, scrito de mia propria mano de mi Francesco Cibo, ce sono serite tuti mei beni avoti dala felice memoria de papa Innocencio VIIJ.0 mio signore e padre (i). Item, si noterà de che tempi fo exartato a le degnità eclexiastice e poi ala dignità papale. E primo fo fato da papa Paulo. IJ.° episcopo de Saona in 1466, a di 5 de novembre. Fo cunsacrato vescovo in Roma in 1467, a di 28 Januarij (2). « Memoria che si trova di PP. Innocentio al Vescovato di Savona, che trai numero de vescovi è il 34 in quella Città. Dominus Ioamnes Battista Cybo, Episcopus savonensis. incepit sedere 25 Aprilis 1467, tempore domini PauliPapae secundi, et postea translatus ad Ecclesiam Melhtensem per Sixtum PP. quartum die 16 septembris 1472, et a die 7 Maij 1473 per Sixtum quartum promotus fuit ad Cardina-latum, et deinde post mortem Sixti ad summum apostolatum vocatus Innocentius VIIJ » (") (3). (a) Postilla marginale posteriore e d’altra mano. _ 4 - Item, in 1473, a di 7 Mai, die veneris, in Santa Maria Màiore fo fato cardinale da la felice memoria de papa bisto Saonese de Larovole. Ebe el titulo de Santa Barbina e lo prexbiter cardinalis, yhamato vulgaliter Cardinale eie a - feta, perchè era Vescovo de Malieta (4)· Item, in 1484, a di 29 de agosto, fo asonto a la dignità papale, et vise anni 8, vel circha. Mori a dì 25 c e u& ’ hore 5 de note, in 1492. in le mie brase, e morì cathohcamente cum bono intendimento fin a la fine (5). Unde tuli noi soi desendenti siamo obligati a pregare Idio et la groriosa sua madre Vergine Maria cum tuti cum tuti (sic)1 santi e sa che per loro mizericordia li piada havere quella santa anima in vita eterna. Amen. ,, Fo soterato in San Piero de Roma in quella capei unde sopra hè la lansa che dete in lo costato ^ Xr^to ( [uale sua Santità la recuperò de Cunstantinopo 1 a 0 * Signore Beiazit, Soltam gran turcho, per hamore c e un fratello, che avemo in le nostre mane (6). Et lo supra gran turcho ne dava ogni anno ducati quaranta miha eie tra-buto perchè tenesemo dito suo fratello in destreto Iesus Marie filius costodiat nos semper. Amen. Yhs autem transiens per medium florum ibat « De mano del S.01' Francesco Cybo conte de ngi lara‘ et Ferentillo et governatore della chiesa )· Al nome de Dio e de vita lunga qui se scrive la n vità de nostri figlioli, et primo: _ Innocencio, nostro primo mascolo, naque in irense ^ Logia nostra in villa lo anno del nostro redentore esu ns 1491, a dì 25 de augosto, a hore 20 in circha (8). ^ Lorencino. nostro figliolo, naque a Sanpierdarena in vi 2 a Genova l’anno 1500, a di 24 de luglio, a ore 4 e 5 m circha 19). Como aparirà per li iudicii che furono ati pei (a) Fin qui il codice è autografo di Francesco Cybo. ('’) Postilla posteriore e d’altra mano. deti Lorencino et Innocencio, quali sono in cassa ferrata (io). lohan Batista, nostro figliolo, naque in Roma in 15...8 (11), a dì 6 de magio, a hore 23 a/3 in circha. Compari furono li Reverendissimi cardinali..... (12) de Fiesco, il cardinale di San Piero in Vincula nepote di papa Iulio, al presente pontefice, il cardinale de Ragona, il cardinale de Pavia. Comare la Illuma madona Felice figliola de dito papa Iulio (13I. Clarice, nostra figliola, naque.... in Roma (14). Jhus. 1501, a di XIIJ septembre, a hore 3 ‘/3 de note, he nata Catalineta, nostra figliola, in la villa de Pansani in la quale gli stavamo a pixone (15). Jhus. 1503. Al nome de Dio a dì 24 septembre, a hore 6 de note, he nata Ipolita, nostra figliola, in Genova in casa nostra (16).* Al nome de Dio e de vita lunga. Ogij, questo di 1511 a di 22 de setembre, ha ore 6 in circha, he nato Piero, nostro figliolo in Pisa (“) (17). Del 1487, de decembre, nel anno quarto d’Innocenzo VI1J, mio bisavo (*), fu concesso da Sua Santità nella persona del S.or Francesco Cybo, allhora Conte de l’Anguilara, el governo generale della Santa Chiesa, come si vede per bolla « spedita, ch’è nel Archivio di Massa (18). Del 1488, in vita d'Innocenzo VIIJ santissima memoria, fu elletto alla nobiltà di Firenze con suoi descendenti el S.or Francesco Cybo, mio avo, alli 20 d’Aprile (19). Alli 13 di dicembre 1488 per il Duce Barbadico in Venetia fu spedito privileggio. come si vede nel Archivio di Massa, in persona del S.or Francesco Cybo, mio avo, et di suoi discendenti, per esser ammessi nella Nobiltà di Venetia (20). Dal libro della Republica di Venetia: « Cybo. L'Illmo (a) Queste note genealogiche autografe di Francesco Cybo sono scritte nell’interno dell’ultima riguardia pergamenacea. (ò) È Alberico Cybo che scrive. - 6 - « Signor Francesco Cibo da Genova, nevodo di Papa Inno-« centio, Benvogliento collegado con la Signoria di Venetia « fece rechiedere per Ambasciatori tornati da Roma da essere fatto del mazzor conseio, et così li fu concesso a lui et suoi « legitimi descendenti, per parte presa a di ij Xbre 148«., * presa de ballotte 1046 » (21). Lorenzo Cybo, Cardinale di Benevento et nipote d Innocenzo VII}, morse en Roma 1 anno 1503 ^L1 P0S*·0 111 Santa Maria del populo in una capella fatta da lui, et se pultura di marmo con linfrascrito epitaffio. (22)· VI VITE VT MORlIVRI LAVRENTIVS CIBO GENYENSIS EPISCOPVS PRAENESIINYS SANCTI MARCI CARDINALIS BENEVENTANVS . INNOCENTII \'III · PONT. MAX· NEPOS ·» RELIGIONIS CVLTOR . ITA SE INTER VIVOS CONSTANTISSIMVS GESSI 1 VT AMPLISSIMAE DIGNITATIS MEMOR A IVSTITIA FIDE AC Γ1ΕΤΑΊΈ NVMQVAM DESCIVERO . QVI TERTIVM ET QVINQVAGESI.MV.M AGENSANNVM SANCTISSIME VT VIXIT MORITVR. REVERENDISSIMI EXECVTORES G. PORTVEN. A. PRENESTIN. EPISCOPI ET . N. DE FLISCO I’RESBVTER CARDINALES PIENTISS. POSS. ANNO SALVTIS CHR. M. D. III. (23). Nel pontificato di Leone, cognato al S.°' Francesco sopradetto, li fu concesso da Sua Santità el governo di Spo-leti (24); et in quel tempo aquistò el contado di Fiorentino dal capitulo di San Giovanni, dandoli in contracambio alcune entrate che havea in su le porte di Roma et altre (25). Fiorentillo come venuto in casa Cybo. Nel 1515 di luglio, rogato ser Ambrogio Lano, no-taro romano, la S.ra Madalena Medici, come procura- — 7 - trice del conte Francesco Cybo, suo marito, et monsignor Andrea Cybo, vescovo di Terracina, comprorno la porta di S. Giovani in Roma da messer Felice Branca alias Fredi, gentilhuomo romano, di valuta in quel tempo di ducati d’oro di camera 200 d’intrata l'anno; et alli 25 ottobre del medesimo anno il detto S.re ratifica la compra, come appare per il notaro ser Girolamo di Francesco di Giorgi da Pescia. Et questa memoria sarà anco registrata al libro grosso dell’archivio di castello di Massa, et le scriture seran in detto archivio (26). La quale porta, con il priorato di Cesena, che era co-menda di Monsignor detto Andrea Cj-bo, fumo dati per contracambio di Ferentillo al capitolo di S. Giovanni, impromettendo ciasch'una delle parti d’e............... Rendeva detto priorato 250 ducati l’anno. El ultimo di luglio 1515, en vita di Lione pontefice, fu creato el S.or Francesco Cybo,. mio avo, con tutti i discendenti suoi, per nobile et barone Romano, come si vede per l’espeditione, che è nel Archivio di Massa (27). Memoria come alli 25 di settembre 1515 el S.or Francesco Cybo fece el suo testamento en Genova, en casa di Pietro di Mare, et fece esecutori el cardinale Giulio di Medici et il S.01' Giuliano de Medici, suo cognato, et la S.ra Madalena, sua consorte, come si puoi vedere per quello che è nel archivio de Massa (28). El S.or Francesco sopra detto et la S.ra Madalena de Medici, miei avi, fumo sotterati et posti sotto l’altare della cappella d’Innocenzo VIIJ et vicini alla sepultura di Sua Santità, senza altra memoria, la quale ho in animo et spero di far io (29). « Il suo epitafio et sepultura è innanti a car. 27, et fu « fatta del ano 1573 » (“)· « Morirno del '17 nel pontificato di Leone ». (ύ) (30). (Λ) Postilla marginale posteriore di Alberico. (*) Aggiunta posteriore d’altra mano. — S - D · Ο · Μ · FRANCISCO CYBO ARANY NEAPOL. PROREGIS PATRIS INNOC· Vili · PONT. MAX. NEPOTI ANGVILL. FERENTILLIQVE COMITI S. R. E. GVBERNATORI GENERALI VIX. ANN. LXVIIJ (") · OBIIT ANN. 15 17 MAGDALENAE LAVRENTIJ MEDICAEI FILIAE LEONIS X · PONT. MAX. SORORI CLEMENTIS VIJ PATRVELI FRANCISCI CYBO VXORI VIX. ANN. XLVJ · OBIJT ANN. 15I/ ALBERICVS CYBO S. R. IMP. ET IDEM 'MASSAE PRINCEPS AVO ET AVIAE POS. ANNO SALVTIS MDLXXIIJ (31)· Nella chiesa di S. Pietro a Roma sotto la sepoltura di PP. Innocentio VIIJ. Di poi dopo la cappella del Papa si trovò il vero se pulcro de dicti S.ri con questa inscrizione: FRANCISCO CIBO PRINCIPI ILLVSTRI INNOC. VIIJ PONI· MAX’ CLARISS. PROLI ET MAGDALENAE MEDICI CONSORTI VIRAGINI INCLITAE OMNIA QVAE ADVERSA FORTVNA POTEST PASSIS QVAL QVE SECONDA PRAEBET VSIS VT QVI CONSTANTER SINGVLARI CON CORDIA VIXERVNT ITA IN MORTE NON SEIVNCTI HOC TVMVLVM CONTEGVNTYR LIBERI PIENTISSIMI NON SINE ACERBISSIMO FLETY POSVERE. VIXERVNT ANNOS ALTER LXX, ALTERA XLVI (32)· Ser Bernardinus dell'Abbatoni de Rochetta de Sabina fuit rogatus contractus venditae comitatus Cervetri et An guilariae (33). El S.or Lorenzo Cybo, mio padre, alla creatione di Leone, suo zio, fu mandato alli servitii del Re di Franza per gentilhomo di camera, et ritornato, per commissione del papa, stabili el matrimonio con la Marchesa Ricciarda, mia madre, la quale dovea essere poco prima moglie di Giuliano di Me (a) Di mano d’Alberico è postillato: “ Vuol dir anni 70 dici, fratello del papa; però mentre che s’era nella conclusione, venendo la creatione sua, disfece quello et fece que-st’altro, con mezzo di Ottobono Fiesco, vescovo di Mondoì (34). Petrus Ardingelus, civis florentinus, Leonis Xmi secre-tarius, fuit rogatus contractus matrimoni] Illustris Domini Laurentii Cibo et Illustris Domine Ricciarde filie marchionis Alberici Malespinae Marchionisse et Comitisse Massae (35). Al nome de Dio e di lunga vita, oggi in questo dj. che è in el MDXXIIJ al primo di Marzo, a hore XXI ’/*, è nata la S.nl Liondfa, figliola del S.or Lorenzo Cibo Marchese di Massa e della S.ia Ricciarda Malaspina, sua consorte, in Massa (") (36). Al nome de Dio e di vita longa, del 1525 nacque in Roma il S.01''Giulio Cybo, figliuolo di detto S.or Lorenzo (37). Al nome di Dio e di vita longa del 1532 nacque in Genova il Signor Cesare Alberico Cybo Marchese di Massa all’ultimo di Febbraio cioè alli 28 in sabato, a hore dua et mezzo di notte (*) (38). Alla guerra di Milano el sopra detto Signor mio [Lorenzo Cybo] hebbe conduta de 2000 fanti, cinquanta homini d’ arme et cento cavalli legieri (39) ; et per la morte di Leone et consiglio del Cardinale di Medici, che fu poi papa Clemente, se ne venne en Roma (40). Andò de lì a qualche tempo per sospetti di Mons. San Polo che havea la Republica di Genova, con 3000 fanti a suoi servitii, che ne aquistò benivolentia assai (41). Alla creatione cli Clemente VIJ, suo stretto parente, li diede el luogo del capitanato della sua guardia, solito a darsi sempre a principali parenti (42). Espugnò et prese Monza, città munitissima, come dice Guglielmo Paradino nel secondo libro de’ fatti del Re Francesco, et il Compendio del Regno di Napoli, del secondo volume, a car. 54 (43). (Λ) Tutte queste note sulle nascite dei figli di Lorenzo si leggono nella riguardia pergamenacea del codice. (/j) Le parole in corsivo furono scritte posteriormente. — IO — El detto Signore fu elletto da papa Clemente per capo alla espugnatone di Vicovaro contra Ursini, il che non potè metter a effetto rispetto a una grave infirmità che li sopravenne, et per questo dettero poi quel luogo a Rodamonte Gonzaga, qual vi fu poi ammazzato (44). Fu mandato da Clemente in Francia con la conclusione del parentado di Caterina di Medici, hora regina di Francia, et per segno d amore el Re li donò una coppa d’oro de 1500 ducati et altri presenti (45)· Alla guerra di Camerino travagliò assai per servitio della Duchessa sorella et patrona di quel Stato (46). Hebbe pur al tempo di Clemente Vetrala, terra vicina a Roma, per quel credito del Cardinale, suo fratello, che ha-vea con [Leone X] et medesimamente [Giano] castello vicino a Spoleti, et un altro pur là vicino (47). Fu ancora in quei giorni governatore di Spoleti, come fumo ancora 1 suoi passati (48). Alla incoronatione di Carlo V, emperatore, portò il stendardo della Chiesa (49), et per insolentia d’un cavaliere spagnolo nipote di Antonio de Leva, con il quale venne a parole nella piazza o cortile del palazzo di Bologna, volea far questione seco, et per questo essendo già a cavallo et volendo uscire del cortile, el spagnolo venendoli dietro cacciò mano alla spada, il che vedendo un staffiere, che e vivo et è da Carrara, del Signor mio padre; se li accostò et con una stoccata lo mandò da cavallo morto, da che ne fu per nascere grandissimo tumulto, il quale, con il torto che hebbe il cavaliero et con l’autorità di Clemente, s’acquietò il tutto (5°) Del 1532 el Signor Lorenzo Cybo mio padre hebbe la confirmatione della civiltà de Viterbo, havendola prima ha-vuta el Signor Francesco (51). Nella morte del Duca Alessandro di Medici, (mori il Duca alli 6 di gennaro 1537) ( il detto Signor mio restò capo di Pisa con quelle genti che bisognavano, essendo in sua libertà di far poco et assai servitio al sucessore (52). (“) Aggiunta posteriore d'Alberico — I I — A 6 di genaro, la notte della epifania del 1536, (53) [st. fior.] fu ammazzato Alessandro di Medici, primo Duca di Fiorenza, et alli nove fu elletto per Duca Cosmo de Medici con il mezzo e favore del Cardinale Innocenzo Cybo, al quale, chiarito che fu la morte del Duca, perchè non patissero le deliberationi da farsi et insieme il governo, i deputati elles-sero il Cardinale per capo del Stato e governatore con la medesima possanza che si havesse il già Duca (54); onde il Cardinale in tal stato e grado stete per dui giorni in circa, se ben facilmente potea perpetuarlo, come è notorio. Quando il Duca Alessandro andò a Napoli dal Imperatore Carlo \ per cagione de’ forisciti, essendo morto papa Clemente, lasciò il Cardinale in Fiorenza al governo del Stato (55)· Primo di settembre 1568. Memoria, d'accomodare nel-1’historia. Dice M. Hercole Machiavelli da Ferrara, intimo servitore già del Cardinal Cybo, che morto il Duca Alessandro et essendosi tuttavia al maneggio della creatione dell’altro, che il Cardinale li disse: « Che se parla per Firenze di questo tanto negotio? » Et egli li rispose, che s aspettava con desiderio di vedere uscire S. Signoria Reverendissima Duca; poiché già era stato eletto per capo della Repubblica et eh’ havea pronto l’arme del Signor Alessandro V itelli et quelle che in un subito harebbe hauto da molte parti, et in ispecie da Massa et Lunigiana ; et il medesimo gli fu detto et replicato dal Calvo (56) et Vecchiano (57) et altri servitori, alle quai cose sempre rispose eh’ erano vanità il pensarci, non havendo egli che farci et essendo obligato tanto al sangue di Medici quanto al suo proprio, oltre che non volea ricevere vergogna d’essere scacciato fra pochi giorni da Fiorentini. Dice il medesimo ch’Alessandro Vitelli, oltre al medesimo ufficio che fece con il Cardinale, disse a lui che tornasse a replicar al Cardinale eh’ egli era pronto di servirlo et farlo Duca con 1’ arme ; bastando per all’ hora havere da 40 mila ducati per pagare quelli Spagnuoli, et fare qualche poco più di gente, i quali danari offeriva lui in parte et gl' altri erano in essere di quelli del Duca passato, che però non erano più de 25 mila ducati, chiarendo che quanto iacea in servitio del Cardinale era perchè gl' era servitore et perchè gli 1 * 1 parea Γ occasione perfettissima, et anco perchè sperava cn ei Cardinale gl' havesse dato il Borgo San Sepolcro et ciò che havesse meritato un tanto servitio, disperandosi et dolendosi assai eh' el Cardinale non gli lasciasse buttar dalle finestre parecchi di quelli cittadini eh' erano contrarii, perche fatto questo et havendo la cittadella, come havea, ei a fatto et sabilito il tutto; questo uffizio fu fatto et hebbe la me desima risposta. Dice che se il Duca Alessandro non moriva andava Governatore di Milano (58) et il Cardinale restava a Fiorenza anch'egli Governatore; et che quando il Duca fusse tornato a Firenze, che il Cardinale havea da ire a Mi lano, et così fra ambi due godere quelli dui Stati. Del 1537 fu la prima volta che io Alberico Cybo fu' condutto a Roma da mia madre, di età di tre anni (59) 1 el: ella abitava all’ hora in Campo Marzo (60). Xps. Rex venti in pace, et Deus homo factus est. Nell’anno del Signore del MDXXXVIIJ,del mese di magio· alli 9 di detto, gionse la Μώ Cesarea de Carlo quinto Im peratore de Romani, Re di Spagna, a Villa Franca di Nizza di Provenza; passò per mare, imbarcossi in Barcellona con galee 28, suo capitano generale il Principe Andrea D Oria, dove Sua M“ aspettò la Santità di Papa Paulo, tertio et ίο-mano, della casa de Farnesi, che dovea venire a Niza. et la Mu di Re di Francia Francisco, che dovea venire per trattar pace et concordia fra detti dui prencipi, cioè Imperatore et Re sopradetti; il che Messer Domine Dio li conceda siano fratelli buoni, comesi deveria, essendo come sono cognati (61)· Venardì seguente gionse a Villa Franca el Rmo et 111'"0 Sig-Card1' Cybo con grandissima compagnia et gran corte, et sabbato andò da sua Mta, dalla quale fu grandemente acca- rezzato et honorato (62). Venardì alli 17 di maggio gionse Sua Santità a Niza su le 22 hore, alloggiò quella sera nel monasterio di Santo Francisco fora della terra (63). Sabbato alli 18 di detto venne Sua Maestà a Nizza per acqua, a basciare il piè a Sua Santità nel detto monasterio di Santo Francisco, fuora di Niza, con 28 galere (64). Il di dell ascensione, giovia, gionse, alli 30 di magio, la Mla di Re di Francia alla Villanova et la Regina et Delfina di l· rancia 3 legue di Niza circa (65). Domenica alli duo di Iunio 1538 la Maestà di Re di Francia venne a visitare Sua Santità un miglio discosto di Niza ad una casa coperta di nuovo di tavole in una vigna, con lui il Gran Contestabile et Dolfino et 1 altro figlio minore (66). Lunedì, appresso disinare, venne Sua Maestà di Cessare a vedersi in una casetta d una vigna, et venne per acqua dietro al Castello di Nizza, et menò 28 galee (67). Mercordì sequente fu Consistorio in Santo bran-cesco (68). Domenica alli 9 di giugno Sua Santità s abboccò con Sua Maestà retro al Castello nel loco della vigna (69). Die martis alli ij dito venne la Regina di Francia a visitai S. Μώ a Villa Franca per acqua con .18 galee, et il Principe gl' andò incontro con 32, et fu cosa suntuosissima, etc., et si ruppe il ponte a Villa Franca essendo al fine la Regina et Delfina et Lorena et Sua Maestà (70). Memoria come alli 27 di giugno 1539 stabilì matii-monio tra la Signora Leonora Cybo mia sorella et il Signor Gioan Aluis Conte di Fiesco, con il consenso delli Signori Cardinale Cybo, Lorenzo et Marchesa Ricciarda, zio, padre et madre, con dote descrita ne’ capitoli; et perchè restava di finir certa poca diferenza, fu remissa nel Conte \ italiano Visconti Bon Romeo, come per uno scritto di 16 di Novembre del 1541 del Cardinale et Conte, il qual fin a quel giorno non havea consumato il matrimonio, che non stete però molto, che per hora non mi soviene il tempo preciso. Alberico. (7^· L’anno [1543] {“) el Signor Iulio Cybo, mio fratello, tu (rt) Nel codice v’è una lacuna. — 14 - mandato dal Cardinale Cvbo nostro zio et dalla Marchesa madre alli servitii di Carlo V, emperatore, per gentilhomo della bocca, et stette aquelle guerre di Alemagna et Dura (72). L’anno 1546 alli 21 di Ottobre, al alba del giorno, el sopradetto Iulio, con l'aiuto delle genti del Duca di Fiorenza et cl’artegliarie et monitione di Giannettino D'Oria, suo cognato, tolse et occupò el Stato di Massa et Carrara alla matre, lo tenne cinque mesi, et per forza lo restituì per comissione del emperatore, havendolo el duca di Fiorenza, sotto confidenza, mandatolo a chiamare, et fattolo porre nella cittadella di Pisa, della quale non si partì finché non fece la restitutione (73). L'anno 1547, di Genaro, nel tratato del Conte di Fiesco di Genova, Iulio Cybo andò, non sapendo il fine di quel tumulto, con molta celerità verso Genova con 2500 homini di Massa et di queste parti, et a Sestri li fu fatto entendere el successo et che n andasse con 300 soldati soli, il che fece (74)· Iulio Cybo, per ordine delli ministri emperiali, nella occupatione che fecero del Stato del Conte di Fiesco per el trattato che comisse en Genova, andò con 2000 tanti, et artegliaria verso Pontremoli, per espugnarlo ; però, entendendolo, loro si resero, essendo egli già in Laula (75). Alli 14 di Decembre 1548 (“). Memoria. Quando partì di Roma, che più non lo vidi poi, et fu alli 14 di Decembre 1548, il Signor Iulio Cybo, mio fratello, et andava per eseguire il mal consigliato suo pensiero (76), facendol io compagnia, mi disse fuori della porta del popolo: Fratello, 10 vo per cosa importante: vedi che nostra madre non ti taci fare cosa in pregiuditio mio: — perchè dubitava che non volesse ponere il Stato di Massa in mia testa, che poteva, per gratia particolare ottenuta dal Imperatore Carlo V; che io presto, disse, havrò modo e mezzi da farti grande; et io li risposi, con le, lacrime che lo farrei, perchè, H Deve leggersi 1547. amandolo estremamente, mi doleva la partita sua più che havesse mai fatto altre volte. Segue Γ informatione del infelicissimo suo fine, data da Gaspar Venturini che era seco suo paggio (") (77)· Memoria a V. E. per la felice memoria del Signor Giulio Cybo. 1548'. Memoria a V. E. per la felice memoria del S.r Giulio Cybo Marchese di Massa, suo fratello. A dì 14 decembre 1548 (6) si partissimo di Roma,'et il viaggio per Romagna per Venetia, dove in detta città arrivamo alli 19 detto, dove in detta città noi stessimo sino al giorno di S. Antonio alli 17 di genaro 1549 (*). Il primo giorno noi alloggiassimo a Chioggia, e poi in Adria, e poi in Ferrara in casa della S.rn Tadea Malaspina, sua zia (78); la quale gli averti che a Ca-prigola, luogo del Duca di Fiorenza, dove era stato preso il S.r Gio. Francesco Sanseverino, ch’haveva per moglie la Signora Lavinia (79), nipote del Cardinale Cybo, pensando che fusse il S.r Giulio detto; ma lui non fece conto, guidato dal destino suo, di tal aviso. Dipoi venissimo in dua giorni a Parma, e fu alloggiato con il S.r Duca di Parma Ottavio Farnese; dove quivi non si stete che una notte, et venissimo ad allogiare a Calestano, luogo de S.ri Fieschi, che quivi stava per Commissario di detto luogo Messer Girolamo Spina huomo di Massa; e poi per la volta di Pon-tremoli dritto cammino; et io essendomi insognato la notte che noi eravamo presi in Pontremoli prigioni, non li volsi dire subito detto sogno; ma per il camino sotto Montelungho, che Sua Signoria ragionava con esso meco, gli volse dire il sogno fatto ; dove Sua Signoria si misse a ridere, et seguitassimo il nostro viaggio. Et quando noi fussimo a Pontremoli, essendo uno alla guardia della Porta dimandò dove (a) Fin qui il codice è autografo d’Alherico: l’informazione è d’altra mano. (ù) È da correggere: 1547. (e) È da correggere: 154S. — ι6 — noi andavamo, et se li rispose a Fosdinovo; cusì noi volendo noi seguitare il cammino per esser tardi ; e di già essendo fuora della Terra di Pontremoli a mezzo la fiumara, essendo li cavalli molto strachi, che la guida diceva che detti cavalli non potevano più, la fortuna che così voleva, noi tornassimo indietro, et entrati in Pontremoli, andando al hosteria. dove era la Posta, dimandando cavalli per Fosdinovo, l’hoste rispose che teneva ordine dal Governatore cìi non dar cavalli a nissuno senza sua licenza. Cusì Sua Signoria mandò il Capitano Alessandro 1 omasi, senese, suo gentilhuomo, a dimandare la licenza per havere detti cavalli, e noi stavamo aspettando che tornasse; et· il detto Governatore lo ritiene prigioniero in Castello. E mentre che così si stava aspettando, vene dui spagnoli di detto Castello, di buona presenza, et uno entratto dentro del hosteria e l'altro stava di fuori, e Sua Signoria Illuma stava nel mezzo della porta, dicendomi che pagasse l'hoste, come io teci. In questo mentre che lo spagnolo che stava di fuori, per l'ordine che havevano, quando vide venire il Governatore a cavallo con molta gente armata, et quello spagnolo eli era dentro nel andito de la porta se li buttò di dreto abbracciandolo, et non potendolo tenere cacciò mano alla spada per difendersi, gridando forte: Gatti, Gatti, e nessuno di Pòntremoli si mosse; et in questo mentre arivò il Governatore gridando pigliatelo; e lui non volendo, con usare ogni torza, li fu data una ferita in testa e in una mano, che li tagliò il dito di mezo della mano manca, di modo che, non potendo far più difesa, restò prigione, e condotto nel Castello quivi fu medicato da un valente cerusico ; et noi stet-timo in detto luogo nove giorni. E venuto ordine da Milano da Don Ferrante Gonzaga, Governatore, che per ordine di S. M. fusse condotto in Milano con buona guardia, venne per esso il Signor Conte Carlo da Belgioso, capitano di cavalli, con cento cavalli, bellissima cavalleria ; e si partimo di Pontremoli, dove il primo giorno allogiassimo al Borgo V al de Ί aro nel castello, sempre trovando gente armata 17 — per il viaggio per la guardia sua. Et per il camino noi stessimo sei giorni, et entrassimo in Milano il giovedì grasso, che in piazza facevano festa grande (80). Et nel entrare in Milano, noi entrassimo con otto o dieci cavalli, incogniti, per non esser veduti dal populo. Et entrando nel Castello, quando montavamo le scale, accostandomi appresso a lui, mi disse pian piano ch’io dicessi ch’io gl’havevo sentito dire che S. Signoria Illuma voleva fare un gran servitio a Sua Maestà Cattolica. Altra parola non potete dirmi, tirandomi indietro la guardia. Et stato prigione non so quanti giorni, lui esaminato sette volte, e posto alla corda, et esaminato della vita sua, quello che faceva in Roma, e poi a Venetia (81). Da me non potevano sapere cosa che a lui havesse a tornar in danno, negando sempre nelli interrogatorii quello che a me dimandavano. Ma lo sfortunato, essendo esaminato e posto alla corda e tirato a mezza corda, disse che lo calassero a basso che dirìa la verità, dichiarando le zifre che li havevano tolto in petto, pigliato che fu prigione in Pontremoli : confessò il tutto. E stato prigione, li 18 di maggio 1549 ( " ) gl’infelice gli lasciò la vita, con il maggior mio dolore, che più non saprei dire. Che il Signor Iddio lo habbia raccolto nel santissimo cielo, come di continuo lo priego e pregarò. mentre haverò la vita, per quella felice anima. Io poi, doppo la sua morte, mi ritenero prigione sino li 19 novembre, sino a tanto che venero da Massa fede della natività mia, che era di anni sedici e mezzo. Cusì fui liberato. Et in Pontremoli quando fumo pigliati, il Governatore hebbe tremillia scudi d’oro in oro, ch'io tenivo in guardia, et un paio di maniche di maglia bellissime e molte altre robe, che portavamo, di maniera che quel Governatore fece bene il fatto suo (82). Questo è quanto li posso dire sopra il fatto ricercatomi da V. E. Che il Signor Iddio la conservi ; baciandole con ogni riverenza le mani, pregandole lunga vita. Del giovedì grasso il mese di febraro del 1549 tino alli (") Correggi: ( S4 nipote del Principe, essendo alle sue nozze la ψ Camilla, che già s’ era maritata con il Signor Nicolò orl (87) del Cardinale, egli Γ invitò a ballare, e subito le disse. S’Africa pianse, Italia anco non rise; — volendo inferire eie se lei haveva preso mal volentieri il Sig. Nicolò, eh eg 1 haveva fatto altrettanto della moglie, poiché ambidua s ia verebbono voluto pigliare. Disse già il Signor Antonio Maria Bracè, che trovane osi (a) Questa postilla è di pugno d’Alberico. (*) La copia della Memoria fu fatta da un segretario. in Viola nel palazzo del Conte, dov’ era il Sig. Giulio sopra detto, vide che il detto Signore stava a sedere in una finestra con le spalle alla friata et che venne il Sig. Nicolò 1 )oria, cognato del Conte, et che il Signor Giulio si mosse poco, come quello che per avventura non lo vedeva volentieri per la moglie tolta. Per il che dipoi il Conte disse alterato al cognato, cioè al detto Sig. Giulio, che termini erano quelli, e che creanze, e se Γ haveva portate di Spagna, e che n era parso male a molti. Rispose lui : - E chi son costoro ? Disse il Conte, ponendo la mano sul pugnale : — 10 sono quello, et io lo dico. — Al che rispose lui con molta flemma: Voi non sete, però, il più savio homo del mondo; e cusì finì. 1 ur dice la Signora Claudia che se il Signor Giulio prendeva la sorella del Conte era molto facile che non succedesse la morte e ruina sua, perch’egli non haverebbe hauto i disgusti che hebbe dal Doria, che tanto lo provocorno contro, nè anco esso lo laverebbe posto sui salti contro la madre, che furono potentissima cagione di tanti mali. Dice che la Signora Camilla Hesca haveva sempre conservato 1 amore al Sig. Giulio, e che quando ella morì se li trovò 11 ultimi scritti che fece quello infelice. In quanto al Sig. Conte Scipione Fiesco (88), che hoggi anco vive, dice la medesima Signora Claudia, che hebbe dall' Imperatore di-chiaratione contra dei Castelli che pretendeva del fratello: perchè la parte contraria Doria gli haveva oposto che egli era nel trattato del Sig. Giulio, e che in quel tempo che andò a Roma per tal infelice negotio, che il Sig. Scipione era in casa della signora nostra madre, et che quivi lo con-certorno insieme, e che cusì si vedeva nel processo suo ; (89) il quale perchè non si è più trovato, che Don Ferrando Gonzaga, all’ hora Governatore di Milano, lo fece abruggiare a istanza del Cardinale Cybo e eie' parenti. Fecero disaminare testimoni eh’ essi Γ havevano visto e leto in quel processo, e furono fra gli altri il Domenico Doria, detto il Converso, et un altro, i quali, coni’ è notorio, erano a suspetto, — 20 — e con molta ragione, per essere i detti persone particulari della parte. Onde non vi essendo altro contra il onte ■ C1 pione, a giuditio mio. fu la causa sua mal intesa. Alberico Cybo. Papa Leon X creato del 1513. Innocenzo Cybo, nipote per Madalena, sua sorella, nacque in Fiorenza nella Loggia del 1491, in vita di Papa Innocenzo, perchè mori del 92, e fu fatto Cardinale da Papa Leon, del età sua di 22 ann* ^ et morì in Roma del 1550, d anni 59 (91)· LI Cardina e ) ^ mio zio et Signore, morse en Roma al pontificato 1 Ju 10 3 l'anno 1550, alli 13 di aprile, et fu sotterrato nella in^rV^.' dietro l'altare grande, nel coro, in terra, sopra unà api a marmo con le sue arme et epitafio, come sempre si pi vedere. D. 0. M. INNOCENTIO CIBO IANVEN. DIAC CARD. BONI FA ΓΙΙ IX 10MA CEI.LI PONT. MAX. AGNATO INNOCENTII Vili PONT. MAX· NEPOTI LEONIS X. PONT. MAX. SORORIS GERMANE F. CLEMEN. VII PONT. MAX. SOR. PATRUELIS. F. αν. (Arma) IVB‘ VIXIT AN. LVIII. M. VII D. XIX. CARD- XXXVII AN. FVIT. DE CESSIT IDIBVS APRILIS. AN. MDL. SUI POSUERE. Detto epitaffio è in Santa Maria della Minerva, dove è sepolto (92). El Vescovo di Marsilia, pur mio zio, morse en Marsi lia di un mese circa innanzi al Cardinale, et fu posto nel Ve scovato I93). Xota che gli anni 1548, 49 et 50 fumo per la casa Cybo infelici et di grandissima perdita, perchè del 48 fu la prigionia et morte di Giulio Cybo, Marchese di Massa, et il matrimonio di Leonora, nostra sorella, con Chiapino Vitelli, fatto contra la volontà de tutti, con quei favori che più erano maggiori in Fiorenza (94); del 49 morì il Signor Lorenzo Cybo, — 21 — Conte eli Ferentillo et Marchese di Massa, mio padre (95); del 50 morì il Vescovo di Marsiglia, zio, et un mese poi il Cardinale Cybo suo fratello, con le cui morte, oltra alle persone di tanto merito, perse la casa nostra meglio di 35 mila scudi cl' intrata (96). Il Stato di Massa stette anch' egli per le cose di Giulio detto in molto pericolo di perdersi (97). Ottavio Cybo, Vescovo di Mariano, morse andando en Napoli per strada, giovane di gagliarda complessione, l'anno 1550, in Capua, o in Aversa (98). 11 primo matrimonio mio con la Signora Don Isabetta della Rovere, sorella del SignorDuca d Urbino, fu trattato et concluso col mezzo del Signor Hercole, Duca di l· errara, con dote di 23 m. ducati di quella moneta, et fu 1 anno Ι552·> d' ^e* braro. Et andai subito a esposarla, con XIJ poste, con capotti di velluto negro ; et fui ricevuto con grande alegrezza et con molte feste (59). L’anno 1552, Ottobre, condussi a Massaia Marchesa Isabetta, mia consorte, gravida d Alderano: et fu, per commissione del Duca, suo fratello, accompagnata da settanta cavalli, con gentilhomini principali di sua corte, fino a Fiorenza, dove fu ricevuta dalle genti mie et condutta fin qua con cento cavalli et molti Signori, miei parenti et amici, tra' quali fu Signor il Chiappino-Vitelli, mio cognato, Ottavio Cybo conte vescovo di Popoli cugino, il Signor Giulio di Medici figlio al Duca Alessandro, marchese Leonardo Malaspina et altri Sio-nori della medesima casa. Fu incontrata en Fiorenza dal o . Principe, et fatto la sera una belissima festa, et posto in casa del Signor Chiappino, et in Pisa encontrata da me et allogiata nel Arcivescovato. En Massa si fecero molti archi assai belli et di spesa ; si vestirno 25 giovani di gialo ; si fecero gran salve cl' arteglierie, musiche et balli et immascherate et si combattè una sbarra. En quando si andò en Carrara fece anch’ella il debito di simil cose. Si mandarno in Fiorenza quatro chinee et un cavallo di Spagna, con guarnimenti di veluto verde, con le qualdrappe simili et insieme una lettica, tutta del medesmo velluto, con otto staffieri e quattro paggi con colletti et saio del detto velluto e guarnitione gialla e bianca. Le dame se li mandorno vestite pur di velluto verde con tabarri e cappelli simili (100). Al nome de Dio e de vita longa, del 1552' nacclue *n Massa alli IX di Xbre, in Venardì, alle 15 hore, il Signor Alderano Cvbo. figliuolo di detto Signor Alberico et della Signora Donna Isabetta della Rovere (101). Del 1553, alli 16 di giugno, alli Bagni di Lucca morì la Signora Ricciarda Malaspina, Marchesa di Massa, mia madr e, ielice memoria. Et fu portata a Massa in San Francesco (102). Alli 17 di febraio 1554 en Brusseles, per mano del Signor Antonio Maria di Savoia, einbasciatore del Signor Duca Ercole di Ferrara apresso a Γ Emperatore Carlo V, s ottenne, essendo morto la Marchesa mia madre felice memoria, la nova envestitura et confirmatione in amplissima forma del Stato et Marchesato di Massa et Carrara, come si vede pei i privileggi autentici nel Archivio del Castello (103). L'anno 1554. di Aprile, el Signor Duca di Fiorenza, ha-vendo l'esercito suo sopra Siena per espugnarla, mandò a chiedermi mille fanti, quali subito li mandai, sotto li capitani Vincenzo Naldi, Romano Chiariti di Luca, Nico da Pietrasanta, Giuseppe Peliccia da Carrara et Michele Arighi da Massa, et Sergente maggiore di essi Pedruccio da Carrara (104). Alli 8 di giugno 1554. Per commissione del Signor Duca D'Urbino, mio cognato, feci fare cinque compagnie d infanteria, le quali diedi al Signor Silvio Gonzaga, a dui capitani da Fano, al Conte Sergente maggiore del Duca et al Capitano Michele Arighi ; et con esse et otto altre stetti alla guardia di Peruggia et di quelli confini per ordine di Iulio III, il quale ordinò che si havesse a quella parte buona cura rispetto alle guerre di Fiorenza et imperiali con Siena, la quale si passò assai presto per la rotta eh’hebbe Piero Strozzi nelle Chiane a Marcciano. Et tre mesi steti io en Peruggia, et poi si cassorno tutte quelle genti (105). Nella creatione di Marcello II, del 1555, qual non visse che 22 giorni, essendo con il Signor Duca d’Urbino, mio cognato, che veniva a Ugubbio, fui mandato da Sua Eccellenza per ralegrarmi in nome suo a Sua Santità, dalla quale fui visto volentieri et cortesemente acarezato, come si havea da sperare, per esser sempre stato il Signor Duca molto caro in ogni tempo a detto Papa, et per le qualità di grande espetatione che erano in esso. Doppo di me tardò poco a venire in Roma Sua Eccellenza et poco a morire il detto Papa, per la quale morte il Colleggio confirmò il Duca nel luogo suo et ordinò 1400 fanti per la cura di Roma, et mi fu per il Duca consignato la guardia delle porte et del corpo della città, con tre compagnie, le quali diedi al Signor Silvio Gonzaga, al Signor Mario Mellini et al capitano Moreto di Carrara (106), che condusse la sua da Fiorentillo. Et il detto Duca con l’altre se retirò alla cura del Conclave et del borgo, finché fu creato Paolo IIII (107). L’anno 1555, di Agosto, mandai a Santafiore el Capitano Baccio d’Agubbio, servitore mio, con altri miei capitani, in numero di 40 cavalli, a favorire un Cavaliero Napoletano, Giovati Maria Caraciolo (Λ), quale combatè con Cesare Minutolo, amazzandolo et morendo anch’egli da lì a pochi giorni. L’armi fumo spada et capa in camiccia. Del 1556 feci condurre, sotto mio nome, a Vilafranca, Girolamo Montaldo (108), genovese, contra Galasso da Carpi, capitano del Duca Hercole di Ferrara. Suo patrino fu Camillo da Caula et del mio Pandolfo Martello. Combaterno a cavalo, armato di maglia et seia, senza arcione di dietro. Essi d’un petto di corsaletto, con una scarsela di maglia, l’altra di piastra, con l’arnese dritto, et l’altra parte disarmata, et il simile la schiena, maniche di maglia, la mano dritta con guanto di maglia, l'altra con manopola, la testa disarmata, con tre spade: una al arcione, l'altra a.....et la terza in mano. Combatterno con due spade et sopra dui gianetti : havendolo io provisto dì un corsiero turco et gianetto et di (a) In calce Alberico vi aggiunse: « Il Sor Fulvio Carazzolo, suo nipote figliuolo del Sor Gioiin Angelo, suo fratello ». - 24 - molte sorte d'arme mandatoli in lista. Vinse mediante la bona fortuna et il valor suo, senza pur esser ferito et ama-zando l’inimico sul campo, essendogli a cavallo et lui a piedi per esser cascato, sapendo meglio cavalcare el mare che un cavallo. Fu accompagnato da grossa compagnia di gentil hoinini et d'altri. La Signora Caterina Cvbo, Duchessa di Camerino, morse in F'iorenza l’anno 1557, alli 17 di febraio. et fu posta in cascia di velluto negro, con sue arme in alto, nella chiesa o parochia che è dieta el palazzo nuovo de’ Pazzi. Si fece poi ponere nelle Murate (109). Nota che io Alberico Cvbo fui in Fiorenza testimonio quando Don Giovanni Figaroa consignò, in nome del Re di Spagna, il Stato di Siena al Duca di Fiorenza, con quelle conditioni che sono nel contratto, et tra le altre che per il bisogno del Stato di Milano et Regno di Napoli il Duca sia obligato aiutare Sua Maestà con cavalli et genti. Ht questo fu del ano [1 55/] (“)i nel pontificato di Paolo jjjj (no). Luglio 1558. Col mezzo del Signor Duca di Fiorenza et del Duca d'Alba, tu stabilita la servitù mia con la Maestà del Re di Spagna con provisione di 2400 Aci d'oro l’ano, assignati nel Regno di Napoli sopra le gabelle degli olii e 600 l'ano servendo en Corte, che sono i gaggi di zamberlano, dignità di poter entrare in camera del Re quando altri pochi vi possono andare, et principale et solita darsi sempre a Principe et havuta nel principio di questa mia servitù con Sua Maestà (111). Alli 2 di marzo 1559 mandai Giovani Lombardello, ca-stelano di Massa, en Agusta dal novo Emperatore Ferdinando per le confirmatione dell’envestiture et privileggi del Stato di Massa et Carrara. Sua Maestà lo rimandò spedito favoritamente et come si desiderava, et concesse d'avantaggio 1 autorità di far batere tutte sorte di monete et maggior larghezza di privileggi, quali sono in detto Archivio (112). (") Manca la data nel codice. — 25 - Del 1561 alli 6 di Giugno, alle 21 hore, morse la Signora Don'Isabetta della Rovere, mia consorte, che sia sempre in gloria (113). Il secondo mio matrimonio con la Signora Don'Isabella di Capua, sorella del Signor Duca di Termoli, fu concluso col mezzo del Signor Cesare Gonzaga et Cardinale suo fratello,· cugini di detta Signora, con dote di 35 m. ducati di quella moneta. Et fu l’anno 1563 di Febraio (114). Alli X di Febraio 1563 andai et partì di Roma a sposare la Signora Don’Isabella di Capua, qual era con il Signor Duca, suo fratello, a Termoli; et meco vennero questi gentil homini romani : Pompeo da Castello, Stefano del Muttini, Francesco Caffarello, el cavaliero Capodifero, Ί. omaso del Bufalo ; servitori Scipione Manrico, secretario Giandone, el cavaliero Staffetta, Iacopo da Gaetta, el capitano Iacopo^ Diana, Salustio del Pesta, mio coppiero, Giovanni del Giudice da Massa, et mio Auditore. Questi erano meco vestiti di capoti di veluto negro, guarniti per il lungo di spessi pa-samani d’oro, coletti del medesimo velutto et guarnitione, capello simile, con molte più piume, et calzoni di canovazzo di setta, con passamani et bottoni d’oro, et dui altri con tamburi, vestiti di pano colorato guarniti di velluto. Et con questi tutti in poste arrivai en Termoli, essendo prima rincontrato dal Signor Anibaie, fratello, en Buiano con 40 cavalli, et di poi, vicino a quatro miglia a Termoli, dal Duca con molti cavalieri et cavalli assai. Et volendo ire en Napoli il Duca mi volse accompagnare con 120 cavalli, et per il camino a Samatesa, terra del detto Duca, venne aviso della morte di Don’Hipolita Gonzaga et di quella del Cardinale di Mantova, per le quali cause essendo parenti così stretti voltai pensiero et ritornai a Roma a mezza quaresima a 22 hore. Alli 4 di febraro 1563 in Roma forno firmati i capitoli del matrimonio mio con D. Isabella di Capua, con propria sottoscritione del Duca Ferrante di I ermoli, suo fratello, e mia: con dote di 35 milia ducati di Regno, da pagarsi 14 milia fatto il matrimonio; quale seguì in Iermoli alli 17 eli Febraio 1563: et il resto, 21 milia, in tre anni; assicurati, quando non seguissero i pagamenti, sopra tre terre, a otto per cento. Et io per sopra dote, sopravvivendo a me, li donai 5 milia ducati, et acconsentì che detta Signora renon-ciasse ad ogni altra sua ragione che havesse, etc. (115)· Del 1563 feci riconoscere nel Senato di Roma el primo privileggio della nobiltà nostra di quella città et nel medesimo tempo riconfermarla, la quale ottenni essend io en Roma con molta aftettione et amorevolezza di quel populo in vita di Pio jjjj pontefice. El populo di Terni hebbe in molto piacere che io volessi accettar d'esser cittadino loro, il che fu spedito del 15^3- es" send’io a Fiorentillo, del quale Stato essi si mostrano amorevolissimi. Alli 3 di marzo 1563, essendo procurator mio Perseo Cattaneo da Carrara, fu spedito per sua mano novo privilegio et confirmatione della Republica di Venetia per la nobiltà di quella città di tutti noi, et fece scrivere nei libri soliti e la persona mia et quella d'Alderano, mio figliolo; essendo necessario sempre che nascono farli ponere in quelle me morie. En Roma alli 26 di giugno 1563 amalai di febre continua et acuta et con flusso di sangue. Mi durò per tutto ago sto et con molto periculo della vita, la quale piacque a Id dio haver in cura et slungare a altra occasione. Cesare Cybo, Arcivescovo di Turino, morse in Trento l’anno 1563 ne^ sa' ero Concilio. Fu sotterrato in San Francesco (116). Del 1564 in lunedì, la vigilia di san Iacopo, a 24 hore o poco più, fu in Milano amazato Paolino da Castiglione, ingratissimo et traditore all'infelice Iulio (117)· Alli 30 di luglio 1564. A fiore 20 in circa arrivò en Massa nel castello, dov’ero io, Gasparo Venturini, mio servitore, et mi parlò subito nella camera verso marina vicino alla sala, portandomi nova di sodisfatione fi 18). L'ano 1564 havendo Sanpietro corso, ribello di Genova, solevate alcuni nel isola et essendo colà con la persona sua a travagliarla et havendo rotto sei compagnie che prima fumo mandate a quei bisogni, la Republica mi mandò a dimandare duecento fanti, quali mandai, sotto Lazzarino Violanti da Carrara. Et havendone di mio proprio fatto fare subito un'altra et datela a Giuseppe Peliccia, mi fecero intendere per corriero a posta che non li occoreva servirsene, ringratiandomene assai (119).' Alli 19 di settembre 1564, in giorno di marte, alle quattordici hore et mezzo, nacque in Carrara, nella camera verso el giardino et sopra il cortile, la mia prima figliuola, alla quale si pose nome donna Leonora, et si tardò a battezzarla pubicamente sino alli 16 di Novembre (120). Et compari fumo il Signor Paolo Giordano Lrsino e la Signora Don'lsa-bella di Medici, sua consorte (121) 1564. A preghiere del Signor Pompeo Collona feci dare campo a Girolamo Spina per combatere con Pompeo Capece, ambidua cavalieri napoletani. Si condussero a Villafranca, dove non poterno conseguire l’intento loro, essendo pur uscito al hora gravisime prohibitioni del Concilio. Fu offerto al Capece una machia sicura, poco discosta dal campo, la quale non volle acetare; sì come aceto el Spinola da me 50 scudi in presto, che si sono posti a uscita,'còme si è fatto di molti altri simili. Alli 10 di settembre 1565, alle nove hore a punto, il lune, la notte, nella medesima terra et camera, nacque la seconda, mia figliola, la quale feci batezare alli 12 et ponere nome dona Lucretia. Comare fu la Signora Caterina Malaspina figlia del Marchese Iosepo di Fosdinovo, et compare el Marchese (122). Memoria come nel principio del Pontificato di Pio jjjj dimandai el governo della terra di Montelione, vicina et contigua con il Stato mio di Fiorentillo, la quale mi fu concessa da Sua Maestà a beneplacito, come si vede per il Breve che è nel Archivio (123). Del 1562, alli 12 di Giugno, per intercessione del Signor — 28 - Cardinale d’Urbino, mio cognato, N. Signore me riconfirmò et concesse el governo de Montelione, in vita mia, come appare per breve spedito nel Archivio di Massa. Del 1565 el Papa, per ordine generale, mi tolse Montelione contra al Breve et promissa. Et il medesimo fece a molti altri Signori. Con la intercessione del Signor Cardinale Hippolito di Ferrara, Pio jjjj concesse alla casa mia iuspatronato della Badia di Santo Svro en Genova, con adotarla di 100 ducati d’avantaggio et spender in miglioramenti della chiesa 500 ducati, se bene per nigligentia d’agenti 1 espi-ditione patisse imperfectione la qual hora si tratta di rassettare. — Non ebbe effetto. — \a) (124) 1565, di maggio. Per l'ordine fatto dal papa che tutte le confidentie si perdessero, el Cardinale San Clemente Cigala empe-trò la Badia antescritta, la quale non è bastato salvarsi con mezzo alcuno di favore, nè della prima speditione del iuspatronato per non essere cautamente spedito. Manco tutto ciò, mosso dal equità et dal rispetto, el detto Cardinale si è contentato riceverla da me come mio iuspatronato, rino-vando di nuovo in buona forma l’espeditione et confirmata la pensione di 200 scudi d’oro in Clemente Cybo et altri 50 scudi in Iuseppe Mascardo, et così finisce questo negotio (125). Non hebbe effetto per la instabilità delle persone. Et hoggi è ufficiata da preti teatini et........smembrata in favore del Cardinale Giustiniano, nelle quali mani capitando essa badia la ridusse nel modo che si dice (ύ) (126). Alli 28 di novembre 1565 hebbi un corriero del Signor Principe di Fiorenza, il quale mi fece molta instantia che andassi subito per incontrare la moglie Donna Giovana d Austria, sorella a Massimiliano imperatore, per il che, gionto a Firenze, io mi spedì fra dui giorni con vinti poste (a) Aggiunta posteriore. Aggiunta posteriore. — 29 - a Bologna a mie spese, et il giorno poi eh io giunsi, entrò Sua Altezza, la quale fui a incontrare dui miglia fuori nel medesimo modo, ha vendo di più Γ Arcivescovo di Siena in compagnia (127). Dissi quanto doveo, et cortesemente fui ricevuto, essendo interpitre il Cardinale di Trento. Si fer-mamo un giorno, di poi si seguitò il camino con più di 200 cavalli, et la sera che giungemo a Firenzola venne corriero al Cardinale Borromeo (128), legato di Bologna, ch'el papa Pio jjjj, suo zio, era amalato gravemente; per il che subitamente si partì et arivò il giorno prima che morisse; nè per ciò ritardorno le nozze, che fumo superbissime di feste, spese et richezze di mascherate et altri adobamenti (129). Il principe Ferdinando di Baviera, secondogenito, fu a honorarie, et doveano venire altri assai, che mancorno per la morte del papa. El successore suo Alessandrino, Pio jjjjj, venne la nova en Fiorenza alli X Genaro 1566 et poco poi 1 aviso della morte del Cardinale Gonzaga, fratello al Signor Cesare, per la quale, essendomi stretto parente, me ne tornai (130). En Fiorenza io sottoscrissi le capitolazioni del sponsalitio di quei principi doppo quella del Duca et principe et Signor Paolo Giordano Orsino, quale si mandò al'Imperatore. Per mezzo del Signor x^nibale di Capua, mio cognato, si stabilì Γ Aprile 1566 en Pavia acordo con li Marchesi di Scaldasoli Malaspini delle pretensioni che dicevano havere sopra Massa per At! 4500 d’oro (131)· Et l’espedittioni d’esse son passate con il. consiglio di valentissimi dottori, onde si fatto negotio resta acomodato. Del 1566 di Settembre. Comprai nel regno di Napoli, in Calabria, vicino a Cosenza, la terra di Avello di fochi 800 et la Mota del Lago di 300, Serato, il Laghetto et la Serra di 120 fochi. Il prezzo è 38 mila ducati ; la rendita da 1600 et più istraordinari. Sopra del quale Stato piaque al Re d’Ispagna, mio Signore, donarmi titolo di Marchese d’Ayello, come appare per suo privilegio, spedito Tanno 1569 (132). S’ ebbe poi titolo di Duca dal presente Re in dono del... (133)· Del 1566 comprai, come per istrumento nel Archivio di Massa, il Stato d'Ayello in Calabria, per ducati di Regno trenta otto millia, che fu bonissima compra. Et del 1569 Sua Maestà del Re, mio Signore, mi spedi privilegio del titolo di Marchese, quale mi fece gran donare, vendendosi sette e otto millia ducati. Et di poi s’ebbe titolo di Duca in dono dal presente Re Filipo terzo l’ano 1606. Alli 19 d'Ottobre 1566, alle XI hore, in Massa, naque la terza mia figliola, alla quale posi nome donna Catterina. Et comare fu la moglie del embasciator del Re di Spagna quale veniva da Genova a Roma. Ella si chiama donna Je-ronima de Sterlich et l'Embasciatore don Luigi Recasene comendator maior .de Castiglia (134). Di Febraio 1567 el Principe del Finale, mio parente (i35)> mi mandò la confirmatione de’ miei privileggi. latta dal novo Imperatore Masimiliano, quale mi fu data en Massa dove si trova (136). Alli 23 d'Agosto 1568 l’imperatore Massimiliano concesse alla persona mia la dignità di principe d’Impero, con tutti miei discendenti, cioè il primogenito sempre quando sucedira al padre ; et nella medesima gratia concesse ancora titolo di principato al Stato di Massa, e confermando Carrara in Marchesato per darne il nome alli primigeniti. La spedizione la tratò Giovanni Lombardelli, castelano di Massa, con lettere del Signor Principe di Fiorenza, et arivò quà con la nova in Massa il giorno di San Francesco; et la domenica si fecero per tutto questo dominio ringraciamenti a Iddio, et la sera fuochi, et salve d'arteglierie. (137). Alli 28 di Agosto 1568 Don’Isabella mia si scunciò in Villafranca in Lunizana d’un figliolo di tre mesi in circa. Alli 23 d Ottobre del medesimo anno mandai a ringra-ciare Sua Maestà Cesarea per el Signor Alessandro Cybo, figliolo già del Cardinale Cybo, mio zio (138). Alli 26 di Dicembre 1568, che fu il secondo giorno di natale, in su le quindeci hore mi naque in Massa un maschio, il quale si batezò la Pasqua d’Epiffania, et fu chiamato Stef-fano et Francesco, per divotione, e Ferrante, per suo nome ordinario. Compari il Cardinale d’Este et madama Lucretia, sua sorella (139). 22 Decembre 1569. Nota che questo anno del 1569 lo pongo apresso di me Alberico Cybo Malaspina pieno di tra-vagli, lite, sospitioni et altri intrighi. Piaccia a Iddio concedermi migliore Γ avenire et gli altri apresso, et tenermi in sua protetione con il resto di casa (140). Alli 28 Darzo 1570 Don Isabella di Capua mia si scunciò in Massa di un figliolo di due mesi finiti. Del 1570 alli 8 di Novembre conclusi il matrimonio della Signora Ricciarda Cybo, figlia del Cardinale Cybo et mia cugina, con il Signor Giuseppe, figliolo del Signor Giuliano Poiano, uno de’ Signori di Piè di Luco, con dote di 4000 scudi di......... X 1 uno, cioè 1800 scudi lasciati dalla Duchessa di Camerino, mia zia, et 2200 de’ miei, da pagarsi subito 2000 et il restante fra anni........("). Et trattante l’interessi 21!3 per cento, da cominciarsi doppo sei mesi che serà giunta in quella casa, dove si ha da condurre a spesa mia. Alberico Cybo. Nota che el primo d’Agosto 1571 Alderano Cybo, mio figliuolo, essendo arivato la marina in Genova con el principe d’Urbino, suo cugino, s’imbarcò la sera a meza hora di notte in su la capitana di Savoja in compagnia di detto principe per andare con il resto del Armata sotto il Signor Don Giovani d'Austria, fratello naturale del Re di Spagna, alla giornata da farsi in Tuneggi secondo che per resolutione si era stabilito. Piaccia a Idio che sia con buono principio et migliore fine (141). A mezz’horadi notte questo dì 22 d’.Ottobre 1571 hebbi la nova, in Carrara nella seconda camera di sala, della rotta dell’armata turchesca datoli dalla cristiana, la quale con migliore consiglio si risolvè di non andare a Tunici ma seguitare a combattere quello. Che Iddio ne sia sempre lodato. (*) Lacuna nell’originale. - 32 — Memoria come di Maggio 1572 entrai in Roma con 18 poste essendo anco meco il Marchese, mio figliolo, che mi venne a incontrare et essendo la sede vacante di Pio V; et circa l’hore 22 in quel punto che entrammo in la citta, si gridò il novo papa fato che fu il Cardinale Boncompagno et chiamato Gregorio decimo jjj, dal quale la seia........··· andai che già era in letto a ralegrarmene^ con S. S et alle 4 hore di notte tornai a casa molto soddisfato della giata acoglienza che mi fece la Sta sua (142)· Mi fermai in Roma fino alli 14 di Giugno et tornai a Massa alli 23 amalato, et per tutto luglio travagliai per in-firmità. Et alcun altri servitori miei s’amalorono, tra quali messer Giovanni Scacco d’Ancona, datore et gentil homo honorato, se ne morì. Alberico Cybo. Marte d'Isabella di Capova- Alli 8 d'Ottobre 1574 venni da Carrara a Massa. Et alli 18 mi amalai di febre continue, con dolori nel petto et corpo, del quale male, anchorchè periculoso, in XX gioì ni 1 isanai. La principessa Isabella, mia consorte, che era rimasta a ar rara per le vinazze che pigliava, vene subitamente da me, et in capo di sette giorni si amalo ancor lei di febre gì an e, le quali li diedero accidenti de svenimenti con humori ma linconici, et in ultimo dolori crudelissimi di stomaco, i qua 1 mali tutti li passorne in capo di 44 giorni, per il che riavu tosi assai bene, si volse levare et andare per casa prima e bisogno et udire le tre messe di Natale nel camerino vicino alla capella, che era freda. Andò fuori l’ultimo dì delanno, la sera si stete allegramente in conversatione ballando; il giorno seguente, il primo del 1575, andò pur fuori in cocchio. Onde la sera si sentì incatarata et li tornò nove febri, quali fumo acute et tali che il settimo mostrorno carivi segni, et il cataro crescè et li venne in asma, per il quale pegioramento si mandorno a chiamare altri medici, che deliberorno al XIII darli una medicina assai leggera, la quale trovando il corpo — 33 ~ smosso, non solo non li giovò come nongiovorno altri rimedii, ina, o per quella o per il gravissimo male, si ridusse il decimo-quarto al'ultimo della vita. Onde la note alle otto hore et mezzo rese il spirito a klio, essendo il giorno 14 di Gennaro 1575. Grandissima meraviglia fu che sì come nella prima malaria lacrimava et temeva spesso la morte, in quest’ultima si mostrò di animo così ben composto tanto gagliardo, che di continuo con rarissime et prudentissime parole confortava a me suo marito et il fratello secondo, che era il Signor Anibaie di Capua, et ogni altro di molti che ve si trovorno. La fede, la devotione, la speranza et desiderio d’andare a Idio, le parolle santissime che uscivano da quella vera et singoiar Signora, erano cose che facevano stupire ogn’ uno. Ella fece testamento amorevole et molto pio, dimandò l’olio santo et prima la santa comunione, et quasi mezza morta, essendo freda, si ricordò d’alcuni debitucci, et da uno studiolino cavò da 100 scudi et feceli scompartire a suoi creditori ; di poi, dimandandomi licentia et donandoli, et ponendoli in ditto un diamante, si fece subito dare il crucifisso, il quale adorando con grandissima devotione, se ne passò con una quiete mirabile, con quello mio grave dolore, in quanto a homo, che si può giustamente immaginare, ma come cristiano con infinita contentezza, havendo visto cosa tanto cara partirsi da queste miserie et andarsene al cielo. Ella stete in casa dal vernardì notte al lunedì a XX hore; che si portò a Santo Francesco (143) con grandissimo concorso et pianto d’ogni uno, et con quello honore che più si potè, non quanto ella meritava. Era vestita di sottana d’oro et una robba sopra di rosato, tutta piena di passamani d’oro, et con il medesimo anello fu così riposta. Morì essendo di 34 anni, et di corpo alto et virile, più bella di animo che di viso, se bene haveva aere grave et di gran signora, fu sempre amorevolissima et sincerissima et di ottimo giuditio et di gran core, et lasciò tre figliuole et il quarto maschio, et una perfetta memoria et fama di lei. / Alberico. — 34 — Alli 30 di Genaio 1580. Nel sopraditto giorno si ratificò per mano di Giuseppe Steffano da Massa l’instrumento dotale di donna Marfisa d'Este (144) con Alderano, Marchese di Carrara, mio figliolo, con i patti et conditioni che in esso appare, et particolar mente con dote di 80 mila scudi d oro. Ditto pai entado fu stabilito, con molto favore, dal Serenissimo Signoi Don Al fonso, Duca di Ferrara, cugino di detta Signoi a et rica di XII mila scuti d’ intrata. Alli 18 Novembre 1581 a hore.....(a) naque in Ferrara il primo figliolo dAlderano et di donna Marfisa, al quale posero nome Carlo et Francesco. Compari furno il Serenis simo Arciduca Maximiliano, fratello del Imperatole Rudolfo, Signore nostro, et la Serenissima Duchessa di Ferrai a (145)· Alli.....(*) 1584 naque in Ferrara il secondo figliolo del Marchese mio figliolo et li fu posto nome Francesco. Compare fu il Serenissimo Granduca di Toscana. (*) Don I rance sco morì in Massa a 13 di Luglio, a hore 18, del 1616 (14®)· Del 1585 naque in Ferrara il terzo figliolo del Marchese, chiamato Eduardo, alli 6 di Marzo (147)· Del 1587 naque in Ferrara il quarto, chiamato Cesare (148)· Del 1588 naque in Ferrara il quinto parto, che fu femina, chiamata Vittoria (149). Del 1590 naque in Ferrara il sesto, chiamato Ferdinando (150). Del.... (d) naque il settimo, Allesandro (151)· (') A 7 di Giugno prese l’abito di Malta in Genova in San Marcellino.... alla mia presenza, datole dal recip.re de Marchesi di Ceva. 1597 — (152). ('“) (*) — Lacune nell'originale. (e) Nota scritta in margine. (d) Lacuna nel codice. (f) Postilla marginale. — 35 — Rellatione della morte della Signora Donna Leonora Cybo Duchessa d’Evoli, successa d'ottobre 1585 alli 8 (153). 11 giorno della festa di S. Francesco, a quatro di Ottobre, la Illuma Signora Duchessa d’Evoli, figliuola tanto amata dàll’Eccmo Signor Principe di Massa, suo padre, vedendosi tuttavia mancare il spirito et perdere la virtù del polso, dimandò con molta franchezza d’animo di volersi confessare, come fece dal Padre Fogliano, fratte zocholante della Non-tiata, confessore del Signor Principe, suo padre, et finito di confessarsi fece testamento, lasciando erede il padre di 30 mila scudi che gli ha dato di dote. F'inito di fare il suo testamento, fece dimandare in camara il Principe, et gli dimandò perdono et gli disse che se figlia havea haver obligo a suo padre, lei era in questo numero; che se ne moriva et che non potendo ricompensare tante cortesie et carezze ricevute da S. E., dal dì che era nata fin a quest’hora presente, sperava nondimeno che Sua divina Maestà le dovesse dare la gloria del Paradiso, dove pregheria continuamente per la salute di S. E. et le ricomandò strettamente la Illuma Signora Donna Lucretia, sua sorella, il Signor Don Ferrante, suo fratello, le sue dame et famiglia. S. E. con le lacrime agl’occhi le promisse di fare quanto lei gli comandava. F'inito questo ragionamento, dimandò da scrivere; et di mano di Curtio, uno creato del Signor Principe suo, scrisse una lettera a Napoli al Signor Agostino Grimaldi, duca d’Evoli, suo marito, ditata da lei, narandoli il suo male et nel termine che si trovava, li dimandò perdono et lo pregava a far il medesimo in suo nome alla Signora Principessa di Salerno, sua socera, et altri particolari, et di poi di sua mano, doppo la data, scrisse queste parole: « Io mi moro et mi dole di non potervi vedere : amatemi di cuore come faccio io. A Dio. Leonora Cybo » (154). Tutta la notte del venere, venendo il sabato, questa Signora travagliò assai, et sì come per il passato piangeva quando pensava di morire, hora non faceva altro che pregare il Signore et la Vergine Maria, regina del cielo, che la vogliano liberare da tanti travagli et la ricevino nel numero de’ suoi elletti. Sabato mattina, alli 5 d Ottobre, si vo se co municare, ricevendo il Santissimo Sacramento con mo ta e votione et contritione d’animo, che fece maravigliare ogniuno. doppo fece dimandare il Sig. Principe, suo padre, perche le dovesse dare la sua benedizione. Le fu detto che riposava et che S. E. quando sarà tempo venirà da lei. Diman o 1 medesmo giorno l'olio santo, ma il padre confessore & 1 disse che non era ancora il tempo, et stete ragionan o sen pre con lei delle cose divine, con tanto spirito et prontez. d’animo, che tutti quelli che si trovavano presenti si mara vigliavano. Domenica mattina, alli 6, incirca alle 14 hore, gli vene accidente, che per più d un quarto d hora stete mor , di poi si riebbe alquanto, prese un rosso d’ovo con un poco di consumato et di sua mano la taza da bere, et riposato un pochetto, prese un crocifisso in mano, mirandolo sso e abraciandolo strettamente, dicendo parole tanto alte et e e et devote, con grandissimo fervore, che il Padre Fiamma, 1 Padre Panigarole, predicatori tanto famosi, non havriano potuto dir meglio. Consolava il Sig. Principe, sifo padre, c s’aquietasse l’animo della sua morte et che non dovesse piangere, anzi che S. E. dovesse mostrar segno d in nita allegrezza di questo suo felice passaggio, poi che lei era si cura, morendo, di dover havere la gloria del paradisso, et finito questo suo ragionamento si aquietò 1 animo et in ma niera d’oratione disse tutte queste parole: « Porgiemi il mio « Signore, poi eh' io vedo che quella brutta Bestia fa il debito « suo ». Pigliò il crocifisso in mano et disse : « Ecco il mio Si « gnore et il mio Redentore; a te, Signore, riccoro; a te, Si « gnore, mi dono in tutta la mia vita et la mia morte, questo « è il vero medico, Signor mio dolcissimo, io son pronta per « seguitare nel tuo Regno, et ben veggo che tu mi porgi la « tua santa mano et che tu mi chiami ». Voliandosi al Pnn-« cipe, suo padre, gli disse: « Dolcissimo padre mio, non vi « affligete della mia vita, nè della mia morte, che veramente « non è morte,, ma una dolcissima vita ». Voltandosi al Santis- — 37 — simo Crucifisso disse: « Signor mio, non più, non più mondo, « non mondo, ma un fumo : Signor mio dolcissimo, che fusti « crucifisso per noi miseri peccatori, tu soportasti cusì aspre « pene, et io, Signore, che apresso a te son un vermicello, con « tanta poca patienza ho soportato questo poco male. Dunque, « Signor mio, eccomi pronta a morire con la tua santa fede; « se a te piaccia darmi più pene, tutto sia fatto ; Signor, a te « riccorro; Signore, a te dono quest’anima, che tu la soccori « et che tu dia quiete a questo afflitto corpo ». Basciò il Signore et subito pigliò riposo. Domenica alli 6 la Signora Duchessa ragionò a longo con il Signor Principe, suo padre, dando a S. E. molti riccordi et havertimenti con tanta bella maniera de parole che S. E. restava stupeffatto. Il lunedì alli 7, passato le XX hore, dimandò l’olio santo, et le fu dato, ricevendolo con molta devotione, dicendo il Confiteor, rispondendo parola per parola al sacerdote. L’istessa notte alle 7 hore disse molte volte queste parole: « Nunc et in hora « mortis nostrae, amen »; di poi alle 9 hore perse la parola. Et il Signor Principe, suo padre, amava tanto questa Signora che è stato 'doi giorni et due notte senza entrare in letto, essendosi voluto trovare presente al tutto, se bene più volte fu pregato da’ suoi creati che si ritirasse. Di gratia, considerate la morte, seguita martedì alli 8 di Ottobre detto, alle XX hore, di questa Signora, moglie del Signor Agostino Grimaldi, duca d’Evoli, figlia del Eccmo Signor Principe de Massa, mio Signore, e molto amata da S. E. come ha dimostrato per molte lacrime e sospiri. Questa Signora, tanto gentile et di tanto spirito e valore, è stata amalata, per quello che dicono li medici, di febre eticca et flusso più di doi anni, uno a Napoli con il marito e l’altro a Genova, et vene da Napoli alli 6 di 9bre prossimo, sarà l'anno, con le galee del Principe D’Oria, per il desiderio grande eh'havea di vedere l’eccmo suo padre et anco per mutar aria, et dal principio si conobbe di morire giovane di XXI anno, bella nel fior dell’età sua, con le infinite speranze di grandezza cambiar questa vitta con l’altra, uscita l’anima dal corpo. - ;S - Il Signor Principe, suo padre, si ritirò in camara et subito s'ingenochiò in terra voltandosi, con le lagrime agli occhi,-ad un crucifisso, ringratiando sua divina Maestà della visitatione che li ha fatto intorno alla persona di sua figlia; atto veramente da principe et cavaliere christiano. Doppo questo S. E. diede ordine che non si lasciasse entrare persone nel suo palazzo per fugire le visite et complimenti ; con tutto questo non e mancato che tutti li principalli della città vi sono andati, et senza vedere il Principe, sono stati ringratiati in nome ^ 1 S. E. il quale veramente ha fatto perdita d una figlino a in terra, ma havrà acquistato un angiela del Paradiso, che pt e gherà eternamente per S. E. Giovedì sera, a io del co rente. passato Γ ave maria di notte, di casa del Signor rin cipe è stata portata alla sepoltura nella chiesa di S. Fran cesco, posta nel deposito nella sacrestia (155)· La Signora Duchessa fu acompagnata da ducento fratti de i più religiosi et cento pretti con li canonici di S. Lorenzo, tutti con torcchie bianche grossisime, et da vintiquatro crea^ di S. E. vestiti con ferajoli lunghi di roversico negro, cape i in testa, tutti con torcchie negre et sei altri simili che por tavano il corpo, serato in una cascia, coperto di veluto negro con la croce in mezo di brocato d’oro, con tanto concorso di persone che non si poteva andare per le strade. Ogni cosa, sì nella infirmità come nelle esequie, è stato fatto sem pre con tanta liberalità e splendore che non si può dir i più. S. E. sta tuttavia svolto et di mala voglia, havendo fatto vestire tutta la sua corte di decolo et apparato tutto il suo palazzo di pani negri, che veramente rendono grandissima mestitia a chi li vede. — (156)· Morte della Signora Leonora figlia del Sig. Principe Alberico 1383 A 10 di ottobre (“). In Genova. Memoria. Donna Leonora mia figlia et Duchessa d Evoli, essendosi amalata in Napoli et fatesi diversi rimedii hor di bagni caldi, salsa pariglia, et hora freschi, et di bagni et latte (") La data del 15 ottobre è quella delle memorie scritte subito dopo i funerali. — 59 ~ per un anno continuo ; nel quale essendo stata molte volte per morire et molte sconsumatissima, riavutasi il mese d’A-gosto 1584 in parte, et così standosene et anco ricadendo alle volte, il mese di Novembre venne a Genova, dove io ero, con gallee, con febretta lenta, la quale seguitandoli et varie volte restandone senza, non ostante infiniti rimedii et consulte se ne stava con il solito male, venendole anco spesso uscite di corpo per la debilezza del stomaco, che non degi-riva; con tutto ciò a 22 di Giugno 1585, essendo andato a Massa, i medici li diedero l’aqua de’ Bagni di Lucca per 7 giorni, per il che poco appresso li venne uscita di corpo tale che pensorno che morisse. Et alli 22 di Luglio arivai io a due hore di notte et la trovai migliorata, et per qualche giorno così andò seguitando, per il che si condusse a San Bernardino, alla villa del Sig. Steffano di Mare (157); però nè l’aere, nè altro remedio le giovò, anzi andò peggiorando per un mese in circa che si stette là, et ricondutola in casa mia del Campo, (158) per otto giorni parve che migliorasse un poco, ma mercoledì alli 2 di Ottobre li sopravenne uscita di corpo, che le seguitò sempre, che la destrusse tutta, et giovedì si confessò et devotamente si comunicò il venare, et fece poi sabato testamento, lasciando me suo erede, come appare per l’istrumento rogato da Giovan Girolamo Passè, et havendo fatto scrivere a suo marito la lettera, che seguirà una carta innanti, (") composta da lei propria con gran fortezza d’animo, mi fece chiamare et con parole humile et devotissime disse che sapea di morire et che per ciò mi dimandava la beneditione et che non l’abandonasse fino a l’ultimo. La notte et la domenica travagliò grandemente et si fece portare nella mia stanza de marina, dove stete fino alla sera, et sopravenendole timore di morte, siriccomandavaaogniuno, et in quello istante, ricorendo a Idio, si fece dare il crocifisso al quale fece una oratione devota et ardentissima, et ditta con parole sì belle che fece stupire tutti: voltandosi poi a me et alla sorella donna Lucretia confortandoci con bellis- (a) Vedila nella 11“ parte. - 40 — simo modo et di maniera che se li conosceva grandissima quiete et resulutione d'animo. Ritornato alle sue stanze, la notte travagliò tanto che lunedì si trovò la virtù mancatissima et in modo che essendoli venuto dui accidenti et parendoli di vedere can nero et cose spaventevoli, si fece venire Γ olio santo, quale prese con infinita divotione, dicendo il confiteor et rispondendo al tutto con gran fortezza. La notte patì assaissimo et in modo che volendola nutrii e dissi che volevo farlo benedire, et con quella occasione si fece venire il frate; con il quale si dissero molte oratione et io dissi i sette salmi, a’ quali lei stava intenta, et replicando molte parole devote, alla fine disse: « Nunc et in hora mortis * nostrae. Amen j> ; et queste le disse diverse volte et 1 ultima fu — Amen, — che perse la parola et così stete dalle nove hore fino alle XXI et mezzo del martedì, che spirò con grandissima quieta et fede, mostrandone tutti i segni et particular-mente alzando la fede finché potè movere le braccia et mani. Si tene in casa fino al giovedì a 24 hore, essendosi fatta aprire et imbalsamare. Il mal suo fu destrugimento di tutta la vita et del humido radicale, di modo che non era che ossi, et i medici diedero la colpa a continuati disordini di bere et mangiare, da quali non si bastò mai a guardare, 1 quali non lasciomo mai che rimedii li giovassero. Fu vestita di sottana di tella d’argento, con robba di veluto guarnita d'oro, et con 300 torccie bianche portata a S. Francesco, dipositata nella sacrestia nella cappella di Giovan Battista Pallavicino. Prego Idio benedetto che le dia il paradiso, come si deve sperare, et a me fortezza a soportare perdita di figliuola carissima et amatissima de XXI anno et [XIV] giorni, bella di corpo et d’animo et de parti singulari. Alberico. A Ferrara. — La Signora Vittoria Cybo,figliuola naturale di S. E., moglie del Signor Ippolito Bentivogli Marchese di Gualtieri, morì in Ferrara alli 12 di Marzo 1587 e fu posta nel Monasterio di Santa Catterina martire senza inscrittione, che si pensa di farla (1591. - 4i - 1588. La Maestà del Imperatore Ridolfo milia concesso ch’io possa portare nel scudo del arme mia, come nel dise-segno, l’aquila imperiale con due teste con il motto — Libertas, — come per lettera de...... di maggio 1588 del Serenissimo Arciduca Herneste appare, che sarà nel archivio del Castello di Massa et per il privilegio (") (160). 1588. L’andata mia di Roma fu che a l’ultimo di marzo partì da Genova e in dui giorni arivai a Carrara, di dove andai a Massa, e alli 7 di aprile mi partì, havendo in compagnia il Sig. Francesco D’Oria (161) e XXV altri a cavallo. Giunsi a Pisa, dove fermai un giorno con il Gran Duca, che mi alloggiò e fece favori assai, accomodandomi d’una carozza, che condussi una giornata, e da Castello Fiorentino, dove alloggiai, passando per Siena, fui a Montarone e di là a Ponte Cintino e poi a Viterbo, di dove, vedendo prima Bagnala (162), luogo bellissimo de giardini e fonti, desinai a Orti e la sera a Terni in casa del Nucola, auditore mio, de Fiorentillo, incontrato da molti gentiluomini e visitato da quei priori. La mattina, che era il giovedì santo, giunsi a San' Mavig.no, mio castello, incontrato da 30 cavalli e molti archibusieri, dove udì messa e poi arivai al precetto e Fiorentillo con amabilissima accoglienza di quei populi e da’ quali fui apresentato de 200 scudi. Visitato ch’ebbi tutti Castelli e i scapuzzini posti in un vaggo sito, essendoci stato otto giorni, mi partì e alloggiai a Terni in pallazzo con quei Signori Priori, che mi fecero incontrare da 50 cavalli, e il giorno seguente fui a dormire ad Arignano e visitato dal Sig. Honorio Savello. Il dì apresso desinai a Castel novo, dove venne Iacopo Antonio Lomazzo (163), mio agente, con quatro carozze, e a p1 porta ne trovai XII altre con Mons. Mellino e molti gentiluomini, et più innanti il Sig. Cesare Cencci con una gran mano de cavalieri romani, con quaranta carozze e di poi il Sig. Gioanlorenzo Muttino con XX altre. E giunto a Ponte Molle trovai il maiordomo del Sig. Cardinale Fernese con un cocchio grande novo indorato, di ve- («) Questo è aggiunto posteriormente. — 42 — luto paonazzo, con 22 carozze piene di gente del Cardinale, onde con tutta ditta compagnia e da 130 cavalli· Ira 1 miei e di molti miei vassalli che stano in Roma, entrai nella citta e alloggiai nel palazzo della Cancelleria con questo Signore Cardinale e in un appartamento guarnito la camera mia di domasco giallo con franggie d'argento novo. Steti in Roma XXII giorni regalatissimo quanto si possa dire daSuaSignona Illuma et Reverma e dal Sig. Don Duarte [Odoardo], suo nipote, figliuolo del Sig. Duca di Parma. Il secondo dì fui ai piedi di Sua Santità, accompagnato da settanta carozze et da primi gentillomini di Roma, con tanta creanza e cortesia che in vita mia li ne resterò obligatissimo. Il papa mi abi acciò teneramente e si dignò trattare meco con la medesima domestichezza che quand'era cardinale, bui di poi due alti e volte dalla Santità Sua, qual sempre mi vide volentieri, e con segni di molta affettione mi donò una medaglia d oro, di sua mano, con grande indulgentie, come si vede nella bolla spe dita, e mi benedì molte corone con le indulgenze che si veggono in stampate. Visitai tutti i Cardinali, eh’erano 46, et em-basciatori et altri Signori miei amici, e fui visitato io da 16 Cardinali, embasciatóre d'Ispagna, Duca di Sermoneta, Signori Sforzzi e Collona e Ursini e seguitavano a favorii mi, se non che affrettai la partita per non mi sentir bene e per i caldi che sopragiungevano. Fui banchetato dal Duca di Sermoneta e Cardinale Gaetano, suo fratello, e dal Cardinale Sforzza, e visto quel raro giardino della Trinità del Sig. Cardinale di Medici (164), hora Gran Duca, e Monte Cavallo, e visitato le sette santissime Chiese, mi partì alli 18 di maggio, e fui la sera a Caprarola, dove è il superbissimo e arte-fiziosissiino palazzo, con giardini, fonti e barchi fabricati dal detto Sig. Cardinale Fernese. La mattina desinai in Viterbo con Mons. Pellegrini, vicelegato, e con gran pioggia giunsi a San Lorenzo, e il seguente dì andai a iorrenieri et poi a desinare a Siena in cittadella con il Marchese Ί omaso Malaspina (165). La sera a Pozibonzi e la mattina a San — 43 - Casciano, dove aspettava un postiglione per ordine del Gran Duca. La sera entrai in Fiorenza incontrato da quattro carozze di Sua Altezza, la quale mi alloggiò nei Pitti, e il dì apresso venne il principe di Bisignano, che fu la prima volta che conoscessi, essendo cortesissimo cavaliero. Sua Altezza m’intartenne tre dì, mi fece sentire ne’ Cammerini retirato una bellissima musica d’una donna romana e altri, mi menò a spasso e mi fece de’ soliti favori. Partì con carozze di quella, desinai al Poggio, alloggiai a Spitoia, il seguente giorno a Pescia e la sera a Luca, incontrato da 30 genti- 1 uomini, dove mi fermai un dì in casa di Iuseppe Cenami con la cortesia solita della Repubblica, visitai con infinita contrit-tione quella Santissima Madonna (rt), di poi la Signoria, e la mattina a Pietra Santa e Massa alli 29, dove steti fino alli 7 di giugno, e fui la sera a Sestri e alli 8 entrai in Genova con molta sodisfattione di quel viaggio. Matrimonio di Donna Lucretia Cybo, mia seconda figlia. Del 1591 si trattò matrimonio tra questa mia figlia et il conte Hercole Sfondrato, nipote del Cardinale di Cremona, che fu figliuolo legitimo del Cardinale Sfondrato (166), che visse nelli anni di papa Paolo jjj, il quale mi tenne a cresma en Roma, essendo molto amico del Cardinale Innocentio, mio zio; et essendosi concluso con capitoli sottoscritti con la per- > sona del Signor Coriliano Visconte, mandato qui a Genova per tal negotio (167), morì in quei giorni papa Sisto V", per il che il Cardinale di Cremona andando a Roma, passorno lettere di cortesia, et perchè ne’ capitoli riservai il consenso del Gran Duca Ferdinando di Toscana, (per havere pregato quella Altezza, ne’ mesi prima, che per favorirmi nelle occasioni che si apresentassero, passasse simile praticca per le («) La chiesa di S. Pier Maggiore, oggi distrutta, che portava il nome di Madonna de’ Miracoli, per una celebre immagine della Vergine che vi si venerava. - 44 — sue mani), essendo S. A. impedita per la sede vacante, non volsi solicitarlo, se ben le racomandai il Cardinale di Cremona per il Pontificato, quale andò in persona del Cardinale Castagna, chiamato Urbano, il quale morì in pochissimi giorni; et tornandosi in conclave, l’istesso Cardinale solicitò il Gran Duca, ma per ditta sede vacante non si solicitò più che tanto, facendo però novo uffitio con esso Gran Duca, perchè favorisse il ditto Cardinale come gle ne scrissi, se bene non vide la lettera essendo in conclave. Et perchè il conte simulava il consenso di S. A., le feci rispondere che non dubitasse della fede mia, nè di cavaliero par mio, poiché el consenso del Gran Duca era più per creanza che per bisogno; e scorendo il conclave innanti, finalmente fu creato papa Cremona, e nominato Gregorio; per il che subito spedì un corriero al Gran Duca e al dotor Pierseo Cattaneo, che già l'havevo spedito a Fiorenza in sede vacante per esso consenso, ma lui s’era fermato in Massa più che non doveva; del quale coriero non hebbi risposta, il che considerato dal Cattano se n’andò a Roma. Fra tanto spedì a Milano Don Ferrante, mio figliolo, dal Conte e rallegrarmi seco, qual disse che lui haveva buona volontà, ma che bisognava vedere il consenso et intendere la mente del papa; per il che rimandai un altro corriero al Gran Duca, quale alla fine diede, et scrissi al papa et al Conte come di negotio fatto. Ma essi, ancora che mostrassero amorevole animo, tuttavia essendo molti entrati in pretendentia, conforme al costume della corte e della fortuna, facendo larghe e ricche offerte al papa e con volere farle credere che fusse disobligato, pigliò il negotio mala volta; tutta via, lasciandosi il Cattaneo intendere gagliardamente per la Corte, che poi il papa hebbe a dire che haveva parlato troppo; et essendo io in viaggio per trattarne il fine, dopo molte opinioni volse, per mera bontà e per il giusto, Sua Santità che si concludesse ; e con tale aviso e con ordine del papa che dovessi subito condure a Roma donna Lucretia (168), vene da me il Cattaneo per la posta, quale mi trovò a mezzo la montagna di - 45 — Viterbo per calare di là, et perchè pioveva e con nebbia, entrammo nella caseta et osteria che vi è, onde mi diede conto del tutto, e ritornato a Viterbo spedi un corriere a Fiorenza alla Signora Leonora, mia sorella (169), perchè in sì breve tempo mettesse in ordine quanto si poteva; scrivendo ancora a Donna Lucretia et al Gran Duca acciochè mi accomodasse di qualche cosa necessaria, come fece. Arivai poi io a Fiorenza et apresso il cavaliero Gironimo Visconte mandato dal papa; per il che la mattina andammo a vedere Donna Lucretia al monastero delle Murate, et il Vesconte, dopo havere dato le lettere di visita, apresentò un colare di gioie di dumilla scudi in nome del papa, et un diamante de mille cinquecento del Cardinale Sfondrato, et dal papa mille scudi d’oro ancora. Ritornati a palazzo alle vintidue hore, la Gran Duchessa con le principesse e la Corte andò alle Murate, cavandone Donna Lucretia, con qualche poche lacrime lasciando la Zia et la sorella monaca, andandosi prima alla Santissima Nunciata a far le debite orationi, e giunti in palazzo con molte carozze del Duca, fece la sera una bella festa con cinquanta gentildonne, baiandosi con tutte le principesse fin a l’hora di cena, che altra festa non si vide, nè gustò poi. Mandò il Gran Duca alla sposa un collare di diamanti vaggo di dumilla scudi incirca, e accomodò di due letiche e d’alcuni cavalli, facendo spesare splendidamente per tutto il suo Stato; e così il giorno seguente, doppo desinare, si partimmo, accompagnati dal Gran Duca fuora della porta, seguendo il viaggio con sessanta cavalli e insieme la contessa di Nuvelare, di casa di Capua, zia di Donna Lucretia. In Siena venne il Marchese Tomaso Malaspina, governatore d’essa (170), con cinquanta gentilhomini e da ottanta homini d’arme, uscendo anco dalla città la moglie con X carozze piene di gentildonne, le quali fecero una festa allegra dove allogiamo, che fu in casa del bali, figlio del già Marcello Agustini. La mattina s’andò innanti, e caminando a bone giornate, arivammo, la vigilia di carnovale, alla Sforcesca. incontrati dal Signor Paolo Sforza con quaranta cavalli. Il - 46 - palazzo è grande, magnifico, comodo e vaggo, ne confini della Chiesa a tre miglia a Ponte Cintino. Era ricamente abigliato e con tanta abbondanza d ogni necessaria cosa che per tre giorni con più de cinquecento bocche si stete ag-giatamente. La mattina di carnevale andammo a inconti ai e il Conte Hercole, quale con il Marchese da Este suo zio e con XX gentilhomini se n' era venuto per la posta. Egli, vedendomi vicino, smontò e con parole amorevoli traiamo insieme; di poi arivati al palazzo, subito si condusse donna Lucretia alla messa in abito assai vaggo, imperocché in quei brevi giorni io li spesi intorno settecento scudi. Si sposò di poi, restandone il marito meglio edificato che non credea, per i mali e maligni offitii che furno fatti. Dopo desinare, che fu abondantissimo, volse il Conte starsene tutto il giorno con la moglie, e noi andammo a caccia di lepre, che vi è bellissima, come facemmo il giorno seguente, primo di quadragesima. Il secondo andamo in Aquapendente, incontrati da Monsignor Fantino da Melia, che per ordine del *1 papa era venuto con letiche e carozze e a spesarci per 11 camino. A Bolsena si desinò, e la sera a Viterbo con Monsignor Taverna governatore allogiamo. La mattina fummo alla Madonna della Guercia e il dopo desinare a Bagnara, luogo di tanta bellezza di giardini et fonti che si può quasi dire singulari. Il giorno apresso volsi passare da Vetralla, che già era nostra, che mi piacque assai, et si fermamo a una osteria in campagna, et la sera, incontrati dal Signor Don Verginio Ursino con molti cavalli e carozze, dormano a Bracciano, che ha una Rocca grande e bella, e con aparato tale e si pomposo che poco più si poteva fare. Le musiche furno eccelenti. come la cena, e l’altro giorno il desinare, la cortesia e il termine così del Signor Don Virginio, come della Duchessa sua moglie, esquisitissimi, onde partitosi tutti alle 17 hore, che fu alli 4 di marzo, la prima domenica di quaresima, se inviamo verso Roma, e vicino a tre miglia c’incontrò la Contessa di Santa Fiora, madre del Cardinale Sforza, con alcune gentildonne, e poco di poi la guardia de - 47 - cavalli leggeri, e apresso, con molte carozze, il Cardinale Sfondrato, dentro al qual cocchio entrò il Conte suo fratello, Don Virginio Ursini, il Marchese d’Este e io. Venero ancora il Contestabile Colonna, il Duca Cesarino, il Cesis, il Zagarola Colonna Marchese di Ariano, e insomma tutta Roma e la Corte. Al ponte Molle era la guardia de’ Tedeschi, al Popullo (") infiniti cocchi e genti a vedere, come per tutte le strade e finestre secondo il solito de simili entrate. Passando, Castello^) fece grande e bella salva, et al tardi si arivò al palazzo di Cesis, dove con molte torccie si trovò il Conte d’Olivares e Duca di Sessa, Embasciatori d’Ispagna, e di sopra la Contessa sua moglie, Donna Felice Colonna moglie che fu del Signor Marco Antonio, le Duchesse Altemps, Cesarini, Cesis e altre Signore, quali si partirno poi dopo li complimenti, continuando infinite visite secondo l’uso della Corte. La contessa di Nuvelara allogiò nel ditto palazzo, et io circa a un mese con pochi, et il resto de’ miei fuori a mie spese, se bene il papa per detto tempo le fece a tutti splendidamente. Il giorno apresso, a XXI hore, andamo tutti in palazzo a bacciare i piedi a Sua Santità, e lasciando entrare in camera le donne prima, disse il papa: — Signor Principe, non vi dignate, entrate!, — come feci, che a l’hora li baciai i piedi con quelle parole che convenivano. Parlò dolcemente con donna Lucretia et con la socera e cognata, con le quali stete da mezza hora; di poi uscì nella galaria et chiamandomi mi disse : — Havete pur visto con l’effetto l’affettione che vi portiamo, poiché non ostante i gran partiti postoci innanti, come sapete, per dar moglie a nostro nipote et ancorché non fussimo obligati, per consigli di valenti homini al vostro nondimeno l’havemo voluto fare; — al che risposi, non essendo tempo di più disputa, che Sua Santità haveva fatto quello che tutto il mondo aspetava dalla infinita bontà sua e con perpetua lode del suo buono e santo animo, ch'io poi come devotissimo e hu-milissimo servitore di Sua Santità ne le baciavo i piedi e (Λ) Intendi : A porta del Popolo. (ύ) Castel S. Angelo. - 48 - ne le restavo con immortal obligo. Riparlando con quelle Signore con ogni umanità e allegrezza, se ne tornò in camera et ci diede la beneditione, e con questa prima visita ce ne tornamo pieni di speranze e di favori a una hora di notte, accompagnati come si può credere. Durorno molti giorni che tutti erano de ricevere visite, venendo in particolare da me quasi tutti i Cardinali che potevano, ecetto il Cardinale Slondrato. Fecero il medesimo Γ Imbasciatori e principali baroni romani, per il che volendo rendere a tutti le visite, per non parere superbo e coni eia debito, non mancorno di quelli che già me s’erano mostrati contra, che dissero eh’ io facevo del grande con li nipoti del papa, et quasi con l’istesso papa, se bene lo vedeva ogni giorno, volendo inferire ch'io non ero così assistente a essi come haverieno voluto, il che con 1 impedimenti detti non si bastava a fare; come che per quelli anco del papa non le parlai de negotii fino al mercore Santo, oltre che poco dopo mezza quaresima si amalo di febre e doglia di testa in modo che si pensò che morisse, che quando andai a vederlo, eh’ ancor io mi sentivo male, ne restai con poca speranza, e volendo partire di camera volse tenirme un quarto d’hora parlando di cose divine e del gran peso che s ha per essere papa, come il medesimo mi disse più volte, sogiun-gendo che spesso le conveniva bevere bevanda amara, ma che ricordandosi di quella che haveva bevuto il Signor Iesu Cristo, che lo soportava con pacienza, se bene non havrebbe per cento vite fatto mai nè per il sangue suo nè per altri, cose contro conscienza; che confessava d’haver poca pratica de negotii di stato, però che si ricomanderia a Iclio- Parlai il sopraditto dì d’alcune cose de indulgentie che alcune ne concesse, riserbandomi a miglior comodità del resto. Fratanto si discorse con il Cardinale Sfondrato sopra di Don l·1 erante, mio figlio, per il cardinalato, et laudò che ne parlassi con S. Santità, il che dopo pasqua feci eficacissimamente con quatro repliche, e sempre rispose che il mio desiderio era giusto, ma che essendo delle magiori attioni che facesse un papa, - 49 — conveniva maturamente pensarci e rimetersi a Idio, et instando io che per dar principio a tal pretensione et farlo vestir di lungo, co aie ogni Cardinale ricordava che pareva cosa acertata, che servisse per cameriero d’honore, replicò che se tal cosa consentiva, che la consequentia caminaria, et che essendo questo negotio del Cardinale suo nipote, che mi faria rispondere da lui, il qual hora vi poneva dubio et hora ne dava larga speranza, consigliando che si mandasse fuora di Roma, dando nome che fusse vestito da prete, et che nelle occasioni si lasciasse fare a lui, se ben era oppi-nione che nella prima promotione, dopo la fatta delli quattro, che non vi sarebbe stato compreso; tuttavia lo mandai a Ferentillo, e vedendo che alla Pentecosta, che fu di Giugno, non si fecero Cardinali et che li altri termini erano al Ottobre et al Natale, presi licentia dal papa, poiché non mi sentivo bene, dicendole che l’inverno tornerei a servire Sua Santità e la state me ne sarrei andato ne’ miei paesi nativi, sperando di fare simil viaggio molti anni. Mi rispose che Idio sapeva se dovevamo rivedersi ; che lui non lo credeva già per conto di sé papa, essendo così mal sano, che non sperava de vivere, ma che sempre verso di me sarebbe il medesimo, dicendo : Quod semel assumpsi numquam dimittam. Licentiatomi adunque da tutta la Corte, me partii senza haver giamai havuto altro che favore di buone, amorevoli et cortese parole, di poter entrare in camera quando volevo e di darle la saivieta al mangiare, se bene v’erano i nipoti. Dimandai di non pagare l’espeditione della Colleggiata di Massa e alcune altre, e, ridendo, me le negò, et credendo pure che burlasse, facendone instantia al Cardinale suo Nipote, me disse che ero ricco et che potevo pagare. Chiedendo qualche vacantia per amici, esso Cardinale mi chiarì che tutti i beneiìttii de Italia era niente del papa che si dessero a Seminarii e poveri parenti loro. Il Conte mio genero, parlandoli per il viaggio delle difficultà passate e dandole discolpa, disse che era molto meglio che si fusse concluso prima il suo matrimonio, et di poi in Roma 4 - 5» — replicò che ben si sapeva che io ero pentito et che volevo aparentarmi con papa Urbano, il che fu falsissimo, e ben dimostrò di crederlo, trattando fredamente meco et anco pei le cose sue istesse. Le offersi, quando andò in Francia generale (171), d’andare seco e di mandarli il Marchese mio figliuolo, che tutto ricusò, onde meglio era la esclusione che tal conclusione; però così piacque a Idio. Giunto che fui a Massa e a Genova, dove mi amalai di febre, diedi conto al papa del mio arivo e d alcuni negotii, al che rispose per breve con molta benignità et menti e che al Settembre si sperava che facesse Cardinali, non volse, riserbandosi al Natale, al quale non potè arivare, e benché vivesse più de Xjj giorni, moribundo a ogni hora, et che le fusse ricordato la promutione de’ Cardinali, non ne volse far altro, morendosene con haver dato poca sodisfattione a tutti. Successe a lui Santi Quatro, che era molto amico e Si gnor mio, il quale, quando mi partì di Roma, mi vene a ve dere, e ragionando a prepositi d’Innocentio Vjjj mio, e facendoli vedere alcuni miei privileggi che egli proprio me riportò quel giorno, mi dimostrò bonissimo animo, onde essendo papa si volse nominare Innocentio Vjjjj, e havendoli fatto chiedere per un parente mio luogo di Cameriero d honore, lo concesse subito con parole gratiose, e credendo che Don Ferrante, mio figlio, dovesse pigliare detto luogo pei entrare di novo nella pretensione del Cardinalato, non volse, anzi chiarì di non volere essere prete, con tutte le persuasioni del Arcivescovo di Napoli, suo zio, quale prometeva renunciarli doppo di sè molte buone badie, che Idio voglia che non se ne penti (“) (172). Il quale Don Ferrante essendo poi venuto da me in Genova così bene in essere di salute che non si poteva vedere meglio, circa al mese di luglio buttò sangue dalla bocca, ha-vendo fatto disordini con donne et stato all’aere di notte con la testa scoperta, e con tutto ciò con molti rimedii ri· (“*) Quello che segue è scritto posteriormente. - 5i — sanò in modo che si tenne guarito ("). Ma per consiglio de’ medici essend’io andato a Massa con lui, per fugire l’autuno di Genova, et parendo a lui d’essere guarito bene, tornò a disordinare di maniera, che havendo di novo una sera e notte butato pur sangue, la mattina mi disse che lo haveva per bon segno havendo chiarito che veniva dalla testa, et che per ciò sperava guarirne presto et così volse desinare meco; però la sera li tornò et continuò con tanto impito che, se bene faceva tregua, non si firmò a fatto finché, con quello che se li cavò per divertire, non ne fusse uscito da Xjj libre, il quale lo redusse, con l’aggiunta d’una febbre continua' che si fece ettica, a una estrema debolezza e magrezza, et sopravennendole di più un cattaro grande con asma, alla fine in capo di 73 giorni se ne morì alli 30 di gennaro 1593 a XI hore del sabato, et in questo modo (173). S’era confessato due volte, et la sera innanti io li dissi che facessimo voto di visitare le Santissime Madonne di Loreto, Savona e Lucca, ma che lo facessimo confessati e comunicati, il che egli promise di fare volentieri la mattina ; ma la notte, sentendo che mancava, se ben dormiva, si svegliò et subito dimandò da bere per sé et per un suo compagno, et io essendo arivato da lui, con intensissimo dolore lo confortai, e se li diede un ovo e parve che respirasse, e lui pensò che fusse stato un accidente, ma era il fin della vita, e però io le dissi che già era giorno e tempo per esseguire il voto di confessarsi e comunicarsi, il che fece con ogni divotione e umiltà possibile, dicendo parole alla Santissima comunione di tanta efficacia et eloquentia che non pareva che havesse male, nè meglio si poteva dire, nè con più prudenza. Disse poi a me che sì come havevo curato il corpo, che mi pregava ad aiutarlo a curare l’anima con preghi a Idio e con ellemosine et particularmente di 300 A'11; dimandò di fare ricordo de’ suoi debiti e di quello che poteva testare o donare, e lo fece subito, lasciando a’ suoi servitori tutte sue (") In margine si legge: Morte di Don Ferrante. - 52 - robbe e ori, che poterno essere da 1200 Ah, e del resto ne fece donatione a me con le più amorevole parole che mai figlio dicesse a padre, e pregò poi de riposare e prima disse. Spero anco in Idio che mi darà vita di poter servire a mio padre e mostrarli l’obbligo che li tengo, e godere voi altri miei servitori, a’ quali ho pur tanto obligo. E con questo si fece voltare per dormire et ben presto passò con una quiete e faccia serena incredibile. Nell'infamità patì tanti tormenti continui, et menti e anco dormiva con la maggiore pacienza del mondo et sempre 1 in gradando Idio di quanto le mandava, sperò sempre di guarire, et il giorno innanti che morisse volse vedere cenare in camera sua il Marchese, suo fratello (174)1 e poco prima mi disse che si doleva de intendere che detto Marchese havesse molti debiti, al che risposi che a me pur ne doleva, et tanto più ch’io pur morendo haverrei lasciato debiti. Et egli mi replico. Come, Signore, noi suoi figli et servitori haveremo la barba bianca et a lei sarà concesso da N.S. Idio d’essere vivoethave rà tempo d’uscire de’ debiti e favorirci a noi di maggiori gratie. Si può credere il mio dolore vedendo tanto amore de figlio et nulla speranza de vita, dacché tre giorni prima li medici havevano detto essere finita ogni speranza in lui, come ne seguì l’effetto con universale dispiacere de tutti, come se ne vide dimostrattione grandissime (175)· Questa consolatione mi restò di non havere mancato a ogni cosa humana, poiché quanti principi grandi d’Italia sono, mandorno rimedii et consulti di lor medici (176), et di vedere che volendolo per se la Divina Maestà e con una morte tanto felice, la quale prego Idio N. S. che mandi a me tale, quando sarà di suo santo servitio. Il corpo suo fu portato in S. Francesco di Massa, come si vede per la sepoltura sua (177). Morte della Signora Leonora Cybo-Fieschi-Vitelli. Alli 22 di Feb" 1594, alli 23 hore, morì la Signora Donna Leonora Cybo, mia sorella, di anni settanta, in Firenze nelle Murate. — 53 — Il suo male fu una doglia nella spalla con cataro e febre continua, che dissero li medici essere stato una punta bastarda. Li cavorno quatro uncie di sangue e al quinto la mattina migliorò; la sera peggiorò tanto che la tenero pericolosa. Li dierno ancora di poi una medicina leggiera, onde al settimo pur la mattina tornò a migliorare; ma il giorno alle XX hore cominciò a mancare con molto cataro, et doppo preso i Santmì Sacramenti, con grande devotione et contritione, passò a Γ ultima vita, et ordinò d’essere sotterata nell’ istessa chiesa. Fu portata per la città con molta pompa e concorso di popolo, essendo stata riverita e amata grandemente per le virtù sue e vita essemplarissima che tenne, per il che il priore del monastero, suo confessore, disse et testificò che l’ha-veva confessata XI anni senza peccati mortali, dal che si può argomentare che sia andata in Cielo, che Idio benedetto gle ne habbi fatto gratia perpetua (178)· Memoria. (“) Eusebio Moron fu secretario del Conte Gio. Luis di Fie-sco e stava seco in quel tempo che morì. Lui hebbe in quel occasione quella spada a mezza costa e con la punta da stoco, la guarnitione con il manico longo e il pomo pur longo con una semplice croce intarsiata e indorata e con l’arma sua e suo nome, la quale restò poi al figliuolo M. Marco Moron e da lui vene nel Costa, e gl’heredi l’hanno datta a S. Ecc™ questo dì 12 d’Agosto 1597. La qual io donai al presente Conte di Fiesco. (179) ( ·). Essendo morto Sua Maestà, mio Signor, alli 13 di Settembre, alli 5 della mattina in domenica 1598, mandai Aurelio Crispo, fratello del Governatore di Massa, in Corte, et havendo havuto audienza quattro volte dal Marchese di Denca (?) essendo favorito delli Duca di Nasau, Conti di Miranda e (")■ Questa è memoria di mano d'un segretario. (*) La postilla è scritta da Alberico. — 54 - Fuentes, Don Pietro di Medin, Don Giovanni Idiachez; et havendo portato mie lettere a detti Signori et una del Conte-stabile Duca de Ferias, governatore di Milano., a sua Maesta, hebbe gratissima audienza da quella; la quale restò servita ricevermi con il Marchese mio figliuolo et mia casa sotto la sua Reai prottetione.etmi scrisse in risposta la lettera che sarà a carte 45 o 46; e Γ Arciduca Alberto, suo cognato, mi favorì ancora non poco, havendolo visitato quando andò in Fiandra Cardinale, et quando tornò con la Regina sposa, che la conduse in Spagna, et quando ritornò con 1 Infante sua moglie, et sempre mi fece coprire ; et fu qui in Genoa ( " ). Alberico (180). 1598, a 13 di Settembre, in domenica, alle 5 della mattina, alla Spagnuola, che sono 7 ore avanti mezzogiorno, morì S. Mtà con incredibile humiltà et devotione (181) (*)■ 1604. Nel giorno della Santissima Madonna di mezzo Agosto. In Massa fui ad odir la prima messa alla pi ima capella a man sinistra, fabricata in quei giorni nella chiesa di Scappucini, et fu alle quindici hore e con molto concorso di popolo, che sia con felice principio et salute dell anima mia, come ne suplico humilmente la Maestà divina. Alberico Cybo (182). Iesus Maria, alli 16 di Novembre 1604, in Massa Il Sig. Principe di Massa, mio Signore, a hora una di notte, nella camera verso la strada, de paramenti di veluti, sottoscrisse i capitoli del matrimonio del Sig. Don Carlo, suo nipote, con la Signora Brigida Spinola (183), et alle dui hore mandò detta speditione per il Corriere ordinario di Genova al Signor Ascanio Crispo, Governatore di Massa ; et detti capitoli furno scritti in tal forma: Capitoli accordati nell’accasamento fra l’Illumo Signor Don Carlo Cybo, Marchese d’Ayello, et l’Illuma Signora Bri- (a) Di qui appare evidentemente che Alberico scrisse questa memoria a Genova. (#) Questa è una postilla, pure d’Alberico. — 55 — gida, figlia del fu Illunio Sig. Giannettino Spinola, Cavaliero di S. Giacomo, nipote deH’Eccmo Sig.or Principe Doria. Primo. Si dichiara che la dote di detta Illuma Sigra Brigida habbia da essere ducati cento vinti milia, cioè ducati ottanta milia in contanti, da impiegarsi in tante rendite ad heredes, a sodisfatione dell’Illunio Sig. Don Carlo Cybo et deH’Illume Signore Placidia (184), Diana (185), e Brigida, (186), al più utile del detto Sig. Don Carlo, e haveranno a stare per fondo dotale ; et esso Sig. Don Carlo doverà esser libero padrone del usufrutto di essi ducati 80 mila, et occorrendo d’essi denari fare altre nove compre, o moverli per qualsivoglia accidente o causa s’intenda che segua sempre sotto la suddetta forma et conditione; et gli altri ducati qua-rantamilia con quel più saranno per compimento delli suddetti ducati 120 mila. Essa Signora Brigida li haverà doppo la vita della suddetta Signora Placidia, la quale al presente li gode come usufruttuaria delli beni del quondam Signor Nicolò Spinola (187). Secondo. La Signora Placidia ha di dote ducati venti-milia incirca, la Signora Veronica (188) ha dote della medesima partita, et la Signora Diana ha facultà di valuta di ducati cento trenta milia in più, quali Signore non havendo altro che l’Illuma Signora Duchessa di Tursi et la Signora Brigida, sorelle et figliuole di essa Signora Diana, ambedua amate egualmente da dette Signore, loro ave paterna, materna et madre, si può credere che dette Signore lasciaranno egualmente tutta la loro hazenda et beni a dette Signore loro nipoti e figlie. Terzo. Durante la vita deH’Eccmo Signor Principe di Massa, esso Signor Don Carlo sarà spesato in Genova lui con la Signora Brigida con quelli creati che saranno necessarij al loro servizio, pure che quelli del Sig. Don Carlo non passino il numero di dieci, dalla Signora Veronica Mari in casa sua, abigliata come conviene a par suo, et morendo essa, dalla Signora Placidia,o Signora Diana, senza gravezza alcuna del Signor Don Carlo; le quali Signore Placidia e Diana - 56 - haranno carico di vestire et hornare la Signora Brigida e così mantenerla durante la vita di detto Eccmo Signoi Pi in-cipe. Quarto. Della rendita delli 80 mila ducati, che s impiegheranno come sopra, ne ha da entrare nel Sig· Don Cai lo ducati 4 mila annui, secondo che si andaranno esigendo, che il resto si contenta che vadino alla Signora Veronica per spenderli per servizio della Signora Brigida e suoi gusti, du rante però la'vita del detto Eccmo S. Principe. Quinto. Si obbligherà l’Eccma Signora Donna Marfisa, madre di detto Sig. Don Carlo, di darle sin d hora scuti mille ducento l’anno per sua provigione e spesa. Sesto. Si obligherà l’Eccmo Signor Marchese di Carrara suo padre, di darle, doppo la vita dell’Eccmo Sig. Principe di Massa, scuti tremilia l’anno, per suo spendere, et fargliene assegnamento in Napoli o in Toscana, e così 1 usufrutto del palazzo di Genova. E per Γ osservanza delli presenti capitoli si sottosci ìve-ranno gl’ infrascritti Signori et Signore. Memoria come detta Signora per tutti li 14 di luglio 1606 s’è ingravidata quattro volte et spersa. Memoria come quest’anno 1606, a 8 di settembre, per la nuova fabrica della chiesa di S. Pietro, fu levata la sepoltura di bronzo e statua della Santa memoria de Innocenzo Vili, bisavo mio, e fu aperta la cassa dove tuttavia è il corpo suo ; e come scrive il reverendo Giacomo Antonio Lomacci, agente in Roma, vidde subito tutto il corpo intiero, essendo quella Santa memoria morto cento quattordici anni sono ; e vidde il piviale di broccato ricamato, i freggi di perle piccole, e sottovesta rossa col berrettino in testa, guanti e pianelle, et li alzò il braccio sinistro. Ma subito, vedendo l’aere, tutti i detti vestimenti andorno in polvere. Vi si trovò anco una medaglia di ramo con la vera effigie sua, che riscontra con le altre che sono in casa (189). S’è dato ordine che ne sia posta un’ altra, volendo che quella resti per perpetua memoria in Casa, e che sia coperto di nuovo il corpo con qualche - 57 — drappo durabile. La qual sepoltura s’è transportata nella chiesa nuova al luogo che si vederà (190). Si trovorno ancora i due corpi del Signor Conte Francesco e Signora Ma dalena, avi, che erano detro alla cappella instituita dal Papa, con l’inscrittione che sarà indietro a carte 27 (a) (191), li quali corpi si sono fatti riponere in casse di piombo sopra le quali s’è scritta la detta inscritione per memoria eterna, e saranno posti sotto alli piedi della statua del Papa, e si cercherà di havere cappella in cambio della rovinata, essendo adottata di quattro cappellanie, che sono obligati li cappellani a pregare del continuo per quella Santa memoria, et hanno hoggidì, fra lor quattro, più di scudi cinquecento d’entrata (192). A Roma, in S. Pietro, nella cappella d’Innocenzo Vili. INNOCENTIUS Vili CIBO GENUENSIS PONTIFEX MAXIMUS. GENETR. DEI MARIAE A GREGORIO III P. M. ANTE POSITUM ET DEDIC. INNOCENT. VIII CIBO GENUENS. P. M. LAURENTIUS NEPOS S. CECILIAE PRESB. CARD. BENEVENT. A FUND. RENOVAND. SUPR. QUOD FERRUM QUO PATUIT LATUS SALVATORIS SANTAE SUAE MAEIESTATI BIZANTIO MISSUM A MAX. TURCAR. AD SERVAND. RELIQUIT A. D. MCDXCV (193). Fu guasto la cappella et aitar per la nova fabrica quest’anno 1606, et si procura che sia dato altro sito. Rovinato per la nova fabrica (*). Nota come l’ultimo di Settembre 1606 il Signor Principe di Massa tenne a battesimo, a hore 23, in Genua in la chiesa di S. Lorenzo un figlio maschio nato del Conte Binasco, figlio del già D. Pietro di Mendozzà, embasciatore qui per il Re cattolico, e di una sorella de l'ultimo Principe di Piombino, la quale è nipote, per sorella, del detto conte, e si prettende che presto debba essere Principessa di Piombino, che toccarà (a) Postilla d’Alberico. (l) Postilla d’Alberico. - 58 - poi a detto figliuolo il principato, venuto per tal via nella casa di Mendoza; e se gli è posto nome Iacopo Francesco (194). Comare fu la Signora Girolama Spinola (195) figlia del Signor Niccolò dottore e della Signora Camilla Cybo del già Bartolomeo Cybo (196), e alla Signora Comare mandò S. E. (il Principe di Massa) a donare un cussinetto profumato benissimo, coperto di bianco, con un bellissimo lavor d oro, coperto d’un drappo d’ermilino verde, tutto recamato di canutiglie d’oro, e tutto dentro a una cesta assai grande d argento lavorata e parte indorata. Memoria come alli 9 di Decembre 1552, in vernardì, alle 15 hore, nacque in Massa il Signor Alderano Cybo, figliuolo di Sua Eccellenza, quale è piaciuto tirar a sè a 16 Novembre, a 2 hore di notte, del 1606, in Ferrara, et il Signor Don Carlo, suo figliuolo, ch'era in Genova con la moglie, partitosi con diligenza, arrivò in tempo di trovarlo vivo et in proposito, parlando seco e con altri sino all’ ultimo con grandissima devotione, costanza e fede. Che piaccia a Sua Divina Maesi.a de haverlo tirato a sè, come si deve sperare. Era d età di 53 anni e giorni 21. Alderano Cybo, Marchese di Carrara, mio primogenito, morì in Ferrara l'anno 1606 a’ 14 di Novembre, d età di 53 anni, doppo lunga malatia e con dolori quasi continui di stomaco e fianco e per altre parti della vita, che però gli tro-vorno nella visciga del fele molte pietrucole dure et qualcheduna grossa, che la madre anch’ ella morì del medesmo. Mostrò gran fermezza di fede et devotione et si lascio vestito da scapucino et in quella chiesa di Massa dove fu trasportato (197). Memoria come segue, 1607. En Genova. La Duchessa Donna Brigida, mia nipote, restando gravida, fu persuasa per meglio assicurar il parto starsene in letto, il che fece con tanta quiete, pacienza e laude per spatio di otto mesi, che con la gratia di N. S. al tempo debito parturì un maschio alli 23 di Luglio, a hore quatro e tre quarti, al quale ordinai che si ponesse il nome - 59 — mio cl Alberico (198). Compari furno il Serenissimo d’Urbino, e comare Madama la Gran Duchessa di Toscana; qual ba-tesimo seguì (a) martedì alli 21 d’Agosto, la mattina, essendosi giorni innanti andata detta Duchessa con il marito e figlietto a Pasciolo (199), nel Palazzo nuovo d’alto, per stare con la Duchessa D’Oria (200), sua sorella, eh’ era vicina al parto. La Signora Diana, la Signora Veronica e la Signora Placidia con il puttino venero in Strada nuova, nel palazzo del Duca D’Oria (201). In su l’hora del desinare andò il Duca Don Carlo con li fratelli, cioè Don Oduardo, Don Ferdinando e Don Alessandro, con letighe, a levare di casa la già figlia del Signor Giulio Sale, moglie del Signor Giovan Francesco Brignole, (202), ch’era deputata dalla Granduchessa, in nome suo, a detto batesimo, la quale condussero al Palazzo sudetto. Era lei vestita d’ormisino negro, tagliàto con vaga guarni-cione, e con molte gioie di perle, cattene di diamanti et altri vaghi gioielli, et haveva seco quatro paggi con dui altri vestiti a liverea honorevolmente, e quivi fu tenuta a disinare, dove era anco il capitano Claudio Corboli d’Urbino, mandato per il medesimo effetto da quell’ Altezza. II batesimo l’inter-tene fino alle 22 hore, che in quel punto l’Eccellenza del Signor Principe, che haveva mangiato in sua casa, havendo ricevuto molti gentilhuomini, come ne sarebbero andati d’avvantaggio assai se non fusse stato l’impedimento delle ville, uscito di casa a piedi, in mezzo del Marchese d’Oriolo (203). Cav. Napoletano de Pignare (204) et del Marchese Girolamo Adorno (205), s’inviò in Strada nuova, havendo, oltre alla Corte sua, da cento gentilhuomini, e giunto vicino al palazzo, uscì il Duca Don Carlo, suo nipote, con buona compagnia di fosti cinquanta gentilhuomini parenti et altri, e così tutti sa-lirno di sopra, di dove s’entrò in S. Francesco, quale era assai pieno di gente, e subito in su l’organo si sentì una bella e bona musica, e la comare sola s’inginocchiò sopra un brocato, e dietro vi era la Duchessa Donna Brigida, la (") Fin qui di pugno d'Alberico: il resto d’un segretario. — 6o — madre e ave, e le due Cybi Livia e Sofonisba (206). Di poi s'andò alla porta grande, dove seguì il batesimo, e fu alla creatura posto nome Alberico, Alderano,, Francesco, Maria, Iacopo e Stefano; ma vi restarà il primo. Di poi si tornò nel palazzo con l'istessa musica, et il Signor Principe accompagnò fin da basso la prima scala quei Signori e gentilhuomini, quali tutti mostravano grandissimo contento, e di poi volse anco acompagnare la Signora comare non solo in letiga, ma fino al Monasterio fuori della porta di S. Catterina (207), essendo la detta Eccellenza a cavallo, secondo il solito suo. Che piaccia a Nostro Signore Iddio che tutto sia a gloria sua e con lunga e felice vita del Signorino e di loro Eccellenza. Mandò il Signor Duca al figlietto un gioello ornato d’oro con diamanti, di valuta di Adl 400, che si apriva e dentro vi era un reliquiario. A 6 d'Ottobre 1607 Donna Lucretia mia figlia, Duchessa de Monte Marciano, morì di parto, havendo prima parturito una figlia, qual vive. Stete sempre in sè con grandissima devotione et fede, volse veder tutti suoi figli, che son molti, a quali diede la sua beneditione, et poi pregò che, morta, fusse vestita da scapucina, il che il marito di sua mano eseguì, et fu mandata a Milano in S. Paolo con pompa, e dove le fu fatto essequie nobilissime (208). Memoria, come alli 9, la mattina, di Luglio 1608, Don Francesco Cybo, mio nipote, in Genoa, s’imbarcò su la capitana del Duca Don Carlo D’Oria (209), dal quale fu ricevuto con molt’ amore, per andar alla giornata da farsi contra infedeli, onde in tal occasione, che sia felice, comincia la servitù sua con la Maestà cattolica, della quale è gentil-huomo della bocca (210) (a). Et andò due volte l’anno 614 et 615, alla guerra in Lombardia, servendo Sua Maestà sotto il Marchese della Innosciosa (211), governatore di Milano, dal quale ricevè molti favori ; et egli si portò da coragioso cavaliero, come per fede et lettera d’esso governatore nel mio (“) Quel che segue fu scritto posteriormente. — 6ι — studiolo (212). Et del 1616, alli 13 di Luglio, in Massa, in casa del Colombino, in strada Alberica, in nove giorni morì di febri maligne, che mai lo lasciorno et fecero delirarlo quasi sempre. Fu portato da (capuccini) a San F'rancesco e di là, di notte, a’ Capuccini. Et haveva 32 anni et si trovò gravissimo (213). Donna Marfisa da Este, Marchesa di Carrara, en Ferrara, essendole venuto febre, con una medicina se ne liberò. Di poi, fra poco, se le scoperse febre maligna et con petecchie, che in pochi giorni la condusse a morte con universale dolore, et morì non li parendo d’essere a quel termine, con ogni gran devotione e fede, et fu il venardì, la notte de’ 15 d’Agosto 1608. Et Don Carlo, suo primo figliuolo, partendosi da Genova, vi giunse il sabato di mattina. Il Cardinale Spinola, Legato et parente, con molta carità et cortesia fu sempre asistente, et provide con prudenza al tutto (214). Alli 17 Novembre 1608, a hore 24, in lunedì, la Signora Duchessa d’Ayello (215) partorì una figlia femina, quale alli 4 Decembre fu battezzata a socorso in Santa Maria delle Vigne, dandoli solo l’acqua del sacro fonte; e la levò il Signor Don Alessandro Cybo e la Signora Diana Mari Spinola, e le fu posto nome Marfisa, Maria, Veronica, et alli 22 detto si fecero l’altre solenità del batesimo in San Luca. Fu compare il Signor Cardinale D’Oria (216) e comare la Signora Principessa D’Oria (217). Tenne per Sua Eccellenza la Signora Ottavia D’Oria (218) moglie del Signor Giovan Stefano (219), e se le rinovorno li stessi nomi (α). E di poi hebbe l’altra, nata alli 29 decembre 1609, et chiamata Maria. Altra memoria d’Alberichino a carte 73 (*). . Nota che a l’ultimo di Maggio 1609, in domenica, il Cavaliere Agustino Carmagnola, in nome mio et come procuratore, prese il possesso della terra di Padula, vicina a Napoli 35 miglia e 4 a Benevento, di forsi 600 anime, com- (a) Postilla seguente d’Alberico. (/') Le carte 73 mancano perchè lacerate nel cod. — 62 - prata da me per cinquanta dua milia ducati, de rendita circa 3000, ma con alcune spese, le quali levate, con 1 interesse de XI milia che resto debitore, mi doverà restar di netto circa ducati 1800. Il paese bello e buono e 1 aei pei-fetta, il sito in colina, con un castello et abitatione honore· vole et comoda. Cusì piaccia a Iddio che sia in buon punto et a servitio suo, e con augurio e da me e miei successoi 1 far altre compre di qualità maggiori. Circonda il teriitono da 25 miglia e con belle caccie e fresche acque, fonti e dui fiumicelli che rigan il paese, chiamati il Calore e Sabato. (220). Alberico. Il dito mio Alberichino (°) del 1609, a Peggi, stete sì male che si tenne per morto; di poi si condusse a Marassi, dove migliorò; ma le sopragiunse poi stemparamento di stomaco e febre, che ci dete timore, et hora, di Settembre, si trova a San Pier d’Arena con buon sentimento, che Idio lo conservi. Nota che la bella figlietta di Marfisa doppo una lunga febre, che si pensò che fussero rosace, e con malignità d humori che la bruggiorno dentro e fuori, se ne morì il lunedì notte alle quatro hore, il giorno 26 di Marzo 1612, e fu posta in S. Francesco con la mia Donna Leonora (221). A tanti del mese Decembre 1611 nacque la terza figlia chiamata Veronica. Nacque circa le quatro hore di notte alli X di Decembre. A 2 di Agosto 1612, su le 12 hore, morì in Ferrara Don Eduardo, terzo figliuolo (“*), con grandissima devotione, volendo poco prima vestirsi da capucino; e nel loro convento si lasciò, dove fu portato simplicemente con dui soli lumi ; e haveva guasto un rognone ('). Nella istessa sepultura de Fratti, si che resta senza memoria 0 inscritione. (a) Questa nota segue i capitoli del matrimonio di Don Carlo, che sono sotto l’anno 1604. (£) Di Marfisa, della quale è scritto più sopra. (f) Postilla marginale. - 63 - Ι^Ι3· In lunedi, a 15 hore in circa, nacque in Genua il secondo maschio di Don Carlo, al quale, fra gl’altri nomi, le fu posto Alderano e Gioan Batista. Compari Gioan Vincenzo Imperiale (222) e Donna Giovana Pavese (223). Placidia è 1 altra figlia, nata il mercore, di notte, alli 16 di Luglio 1614. Compar l’Ambasciatore d'Ispagna (224); coniar la Signora Vittoria D’Oria (225). Ierzo figlio di Don Carlo. A 15 d’Agosto 1615, giorno della Santissima Madonna, a hore dieci, nacque in Genova un figlio con salute della madre Donna Brigida, al qual li posero nome Giovanni o Gianettino, e furno compari il Duca D’Oria (226) e la Signora Leonora Spinola (227). E in quel- 1 hora hebbero nova che Alberichino, quale era stato in punto di morte et per l’aere s’era mandato ad’Ottaggio, dov’anco si trova, si era trovato netto di febre, in capo di 40 giorni. Et pur hoggi, a 26 d’Agosto, s'intende continuar il miglioramento, che guarindo sarà gratia particulare di Nostro Signore e della Santissima Madonna, tanto grande e grave è stato il suo male di febri continue e triplicate, con cataro perniciosissimo. 1616. A 4 Novembre, il venardì notte, a Peggi di Genova, nacque a Don Carlo un altro figlio, al quale han posto nome Francesco, il giorno di S. Carlo. A 23 Luglio 1619. Fu spedito il breve del Ducato di Fe-rentillo, con spesa di ducati di camera 140, concessomi con gran favore dalla Santita di papa Paolo V e procurato dal gentilissimo Signor Cardinale Borghese; qual previleggio è posto nel Archivio di Castello, et copia ne’ miei studioli (228). Figliuoli naturali di me Alberico Cvbo. Alli..... (a) di Novembre 1555 naque in Massa una mia figliola naturale, a la quale posi nome Vittoria. A li..... (à) di Gennaio 1563 naque in Roma un altro simile mio figlio, el quale volsi che si chiamasse Francesco. (a) (l) Lacune dell’originale. - 64 - A 14 di Marzo 1582 naque in Genova una figlietta mia, nominata Maria, carissima al pari d’ogn’altra et di gentildonna principale. Alberico Cybo. Naque in Genova del.....(") un figlio, nominato Angelo, di gentildonna nobile, e si fece frate di Jesu Maria (*)· Naque in Carrara del 1600, a 4 di Settembre, la notte su la mezza, un figliolo, quale la mattina alli 5 fu portato a La-venza et bateggiato da prete Camerino, con nome di Mau-ritio in memoria del padre del S.or Arano. Fato frate di San Francesco (c). (Λ) Lacune nell'originale. (#) Dopo le parole: «e si fece frate di Jesu Maria » Alberico annoto: « non ne resto sicuro ». (c) Dopo le parole: « fato frate di San Francesco » Alberico scrisse. « resta qualche dubio ». - 65 - PARENTKLLK CON LA CASA CVBO Giovanni de Medici Cosmo vecchio j_ I Il fratello Lorenzo Pier Francesco Giovanni qual morì giovane Lorenzo Pietro et -! Giuliano amazato nella congiura de Pazzi I Giulio Papa Clemente VII Giovanni sua moglie Caterina Signora d’Imola Sforza Tre femine | , I Piero Giuliano moglie la Contessa di Nemours onde fu chiamato Duca Hippolito Cardinal de Medici Giovanni Papa Leone X Giovanni Gran Capitano Cosmo, Gran Duca Francesco Gran Duca I Don Antonio et cinque fratelli, fra quali Ferdinando hora Gran Duca Madalena Lucretia Contessina Marito Marito Marito Conte Jacopo Gio. Battista Francesco Salviati Ridolfi Cybo Lorenzo Duca d’Urbino da Papa Leone Lorenzo Cybo Marchese di Massa Alberico Cybo Principe di Massa. A tal che Alberico et Catarina Regina sono secondi cugini, et li tre Re di Francia et la sorella son nepoti A I Alessandro Primo Duca di Fiorenza, naturale Giulio, naturale Caterina legitima, Regina di Francia et tre figlie Isabella - Duchessa - et Regina Regina di di di Navarra Spagna Lorena lioggi Regina di Francia tre figliuoli, re Francesco, Carlo et Henrico et il 40 Monsur (lì) (IX) (III) di Lanson / — 66 — PARENTELLA CON CASA ORSINA DEL 1487,16 FEBRARO. Clarice Orsina _ Lorenzo Medici, marito Madalena Medici, figliuola Lorenzo Cybo, figliuolo Alberico Cybo. figliuolo Virginio, fratello Paolo Giordano, figliuolo Gironimo, figliuolo Paolo Giordano, figliuolo Virginio, figlio. Di Lorenzo de Medici figliuolo di Pietro et padre di Papa Leone X° et di Clarice Orsina Piero Madalena, moglie di Francesco Cybo, Conte del Anguillara , Governatore della Chiesa per papa Innocentio \ III Lorenzo fatto da Papa Leone Duca d’Urbino Alessandro 1° Duca di Fiorenza 1 naturale „ i Caterina Regina di Francia Isabetta Regina di Spagna L'Infante moglie del Serenissimo Arciduca Alberto e Conte di Fiandra e di Donna Marfisa d’Este, cugina del Duca Alfonso, ultimo Signore di Ferrara. l I Carlo. Lorenzo Marchese di Massa et Capitano generale per Clemente VII, e di Ricciarda Marchesa Malaspina Alberico Principe d’imperio e di Massa e luogotenente generale della Chiesa nel tempo di papa Giulio III, e di Donna Isabella della Rovere Alderano, Marchese di Carrara, - 67 ~ Ottobre 1606. Parentado con S.ri Savelli. Madalena de’ Medici. Di lei et del conte Francesco Cibo nasce Lorenzo Marchese di Massa. Di lui: Alberico Principe. Di lui: Alderano Marchese di Carrara. Piero Medici fratello di Madalena. Di lui : Clarice, moglie a Orsino, da’ quali nasce Madalena, moglie di Flaminio Dell'Anguillara Baron di Stabbia e fratello d’Averso, che ambi ho conosciuto. Del detto Flaminio e Madalena nasce la Duchessa Savella, chiamata Lucretia e moglie che fu di Bernardino e madre del presente Duca e di Paolo Savello, che hoggi è sopra l’arme di Ferrara et Bologna. È madre del novo Cardinale Savello, fatto questo anno 1615 (a). Resta adunque Alderano et la Duchessa Savella terzi cugini et a me, Alberico, nipote figlio di mia seconda cugina. (“) Questo ultimo periodo vi fu aggiunto da Alberico nel 1615. - 68 — PARENTELLA CON LA CASA CARETTA E D’ORIA. 1229) Teodora Cybo . Francesco Cybo. fratello di Teodorina 1230) Peretta Cybo Marc’Antonio Carette I.orenzo Zanobia Caretta («) I Andrea D' Oria Marchese di Tori glia Alberico Alderano I Carlo PARENTELLA CON LA CASA CARETTO D’ORIA CON LA CASA DEL SIGNOR ACHILLE CYBO· 1231) Francesco Cybo, fratello di Peretta (2321 Achille ! (2331 Francesco Peretta Cybo, Marchesa del Finale e poi Principessa D'Ona. Marc1 Antonio Caretto Donna Zanobia Andrea D’ Oria Merchese di Torriglia. (') (") Donna Zenobia del Caretto, qm. Marc’Antonio, sposò Gio. Andrea di Giovanni qm. Tomaso D’Oria. {6) Oltre Andrea, donna Zenobia ebbe Giovanni, cardinale, e Carlo che sposò Placidia Spinola qm. Giannettino. 1 — 69 — [6o6. FIESCHI DEL RAMO DEL CONTE. [ Gioan Ludovico Ί qm. Magnif. Antonio | Obieto, primogenito Γ Antonio Maria, naturale marito d' Innocentia Cybo (234) figlia del Conte Francesco Maria Questi stavano a Recco, et li maschi son estinti. Lorenzo, naturale. I Steffano, legittimo I Lorenzo, legittimo Gioan Luis Sini 1 Gerolamo ---I ucciso dai Fregosi 1 L nel 1513. J jaldo Sinibaldo Aurelio abate di Viola Fabio Gio. Stefano Innocentio Lorencino I Paolo Girolamo Scipione che poco fa fu di Signori di Palazzo Scipione hebbe per moglie Leonora Malaspina (2291 et Ricciarda sorella, Marchesa di Massa, da quali nacque Isabella (230) moglie del Conte Vitaliano Visconte Bon Romeo che non fece figli. r" Gttobuono "1 vescovo di L Mondovi. J figli Gioan Luis Gironimo Ottobuono marito lo fecero fu preso di Lionora Cybo morire in Porto Ercole et che si afogò a Montoglio e fatto morire nella darsina. Paolo Emilio naturale in Francia moglie et figli. La famiglia Sardena, nobile et antica, si congiunse con li Fieschi, et Jacopo Fiesco maritò una figlia con un Sardena, et tutti poi si chiamorno Fieschi, da quali viene il Signor Hettore, et hebbe la parte di Saviijnon, che era del Conte, per i suoi crediti, et era stato suo fido commissario· (") Scipione ultimo travagliò assai per riaver qualche cosa e fu invano. Si ritirò in Francia ben tratato con terre et entrate, et da una figlia [A l onsina] di Roberto Strozzi hebbe Francesco moglie francesa [Anna Leveneur de’ conti di Tillières]. e figli. ('>) ΓCornelio"! I Giulio 1 LnatuialeJ [naturale J Γ Camillo, "] L clericus J (“) Autografo d’Alberico. (b) I nomi posti fra parentesi quadra sono stati suppliti dall' Editore per chiarezza dell’albero. L. S. > 1 ' ' ■ • s _ PARTE II. MEMORIE EPIGRAFICHE RICERCHE SULLA FAMIGLIA E PARENTELE APPUNTI LETTERE E DOCUMENTI .Nota che in S. Francesco di Genova, nel cimiterio, vi è la sepoltura in terra, con lapide, di Lanfranco Cybo, uno degli otto nobili Governatori di quella Repubblica, come ben dice il Giustiniano nelle sue croniche, che fu del 1241 (235). La sua inscrittione dice cosi: ANNO 1254 MENSE NOVEMBRIS SEPULCRUM QUONDAM NOBILIS DOMINI LANFRANCI CYBO ET NICOLOSE EIUS UXORIS ET FILIORUM SUORUM DEUS BENEDICAT EOS (236). 11 millesimo del campanile di S. Andrea di Carrara. MCCLXXXjj. IN. RO. X (237). 11 millesimo della sofìtta della Chiesa. Opera MCCCC 96 (238). Il millesimo dello deposito di Santo Ciccardo pur nella Chiesa di Santo Andrea di Carrara: SANCTUS CICCARDUS. MARTYR ET EPISCOPUS LUNENSIS QUI IACET IN ECCLESIA SANCTI ANDREAE DE CARRARIA, PASSUS EST PRO FIDE XPI SUB ANNO CCCCCC (239). 1564. Nella sacrestia de Spoleto, nel Domo, ve sono due tonicelle colla pianeta di velluto cremesino guarnite di brocatello tessute con oro, con arme de scachi acompagnata da due aquile negre in campo giallo, fatte dal Signor Mau-ritio Cybo (240) mentre era governatore di Spoleto nel tempo d’Innocenzo Vili suo fratello, overo lasciato che si facessero — 74 - doppo la morte sua, la quale fu innanzi a quella di Sua Santità circa dui anni. Et il corpo suo. vestito di veste longa di velluto cremesi. fu posto nel sopra dettò Domo di Spoleto innanzi all’altare grande, all’ultimo gradile della scala, appresso a un vescovo, con lapide di marmo semplice et senza lettere. Visse sessanta anni in circa et fu, come hoggidì ìa-conta un D. Giambatista capitano vecchio di ottantacinque anni, homo di molta qualità et assai amato et in particolai e in quel governo, come lo dimostrorno nella morte sua, ha-vendolo pianto et honorato quanto conveniva et massime in quella chiesa, con gran moltitudine di torcie et d un castello in mezzo, altissimo, pieno d’esse. Del 1591 le ho fatto fare una lapida con l’inscrittione (241). Matrimonio del Signor Conte Francesco Cybo. Iesus. Sia noto et manifesto a qualuncha persona che legierà la presente scripta come mediante lo ausilio dello omnipotente Creatore et della sua gloriosissima Madre Ma Sancta Maria de Principi degli Apostoli Pietro et Paulo et de tutta la celestiale Corte del paradiso, questo di ΧΧλΓ di Februario MCCCCLXXXVIj, die dominico, in presentia dello Santissimo in Christo padre et Signor nostro Innocentio, per divina providentia papa VIIJ, et li altri infrascripti Signori, se contrattò matrimonio — per verba legitime de presenti — intra lo Illustrissimo Signor Francesco Cybo, nepote del prefato Nostro Signore, per una parte, et la Magnifica Madonna Madalena, figliola legittima et naturale dello Magnifico et Generoso homo Laurentio de Piero de Medici, ciptadino fiorentino, dall'altra parte, in questo modo infrascripto. Cioè che lo Revendissimo in Xpo padre et Signore Messer Rainaldo de Ursinis, per la divina gratia Archiepiscopo de Fiorenza, procuratore et come procuratore dello prefato Magnifico Laurentio a questo effecto constituito et deputato, come appare per istrumento publico stipulato et sottoscripto per mano de — 75 — Ser Simone Ser lacobi Gracini, ciptadino fiorentino et notario, dello anno presente, adì XVIIIJ del presente mese, el soprafato Archiepiscopo in nome della dieta Madonna Madalena ha consentito nel prefato Signore Francescetto et con lui contracto matrimonio per parole legitime de presente — secondo Γ ordine della Sancta Madre Ecclesia, et come è consueto di fare. Similmente el prefato Signor Francescetto ha consentito in la prefata Madonna Madalena, et con essa contratto il matrimonio in persona del prefato Monsignor lo Arcivescovo con la debita subarratione dello anello, come se costuma de fare in segno de vero et legitimo matrimonio, et per dote d’esso matrimonio promisse dicto Arcivescovo che lo prefato Lorenzo pagherà con effetto ad ogni requisitione di Nostro Signore al prefato Signor Francesco ducati quattromilia d’ oro in oro. Et perchè la intentione dell’una parte et l’altra è che questo contracto matrimonio et parentado habbia buon effetto, vogliano l’una parte et l’altra eh’esso matrimonio vaglia come vero matrimonio et come desponsatione, et in ogni miglior via et modo che di ragion possa subsistere et valere ; et a questo effecto la Santità di Nostro Signore ha supplito et supplisce come Pontefice ogni manchamento et defecto — juris et facti, — il quale in questo contracto sia intervenuto, et halli dato la sua sancta beneditione. Et ulterius per più validità di esso contratto el prefato Monsignor lo Arcivescovo ha promisso et promette a fide et in fede de bono et vero prelato, de fare et curare sì et in tal modo che li prefati Lorenzo et Madonna Madalena confirmeranno et ratificheranno esso contracto e la promissa della dote, et di nuovo costitue-ranno procuratore esso Monsignor lo Arcivescovo a confirmare, approbare et ratificare come è dicto, et di nuovo fare el dicto contracto et matrimonio et promessa della dote et tutte l’obbligationi et cautioni che alla Santità del Nostro Signore parerà essere opportune et necessarie per conducere tutte le supradicte cose a bono effecto. Et a fede de tutte le predicte cose la Santità de Nostro Signore prefato -- 76 — et li Reverendissimi in Xpo padre et Signori Messer Marco Cardinale di S. Marco et il prefato Monsignor lo Arcivescovo de Firenze e Messer Ardicino vescovo d Aleria si sottoscriveranno de lor propria mano, et le prefate ratificationi et approbationi et novo mandato promette il dicto Arcivescovo de presentarle a Nostro Signore in forma autentica et valida di ragione infra X dì proximi davenire. Ita est. Innocentius papa Vili, manu propria. Ita est. Marcus cardinalis Sancti Marci, manu propria. Ita est. Rainaldus de Ursinis Archiepiscopus Floienti-nus, manu propria. Ita est. Ardiecinus de La Porta, Episcopus Aleriensis, manu propria. Estratta per me Gio. Giudici dal proprio originale che sta nel Archivio de Massa (242). (") Oltre a questa dote, che le parti, per una certa modestia di quei tempi, non curorno publicarne altra, Lorenzo de Medici pagò da 25 mila scudi a un tale Ursino, per alcune ragioni che pretendea sopra il contado del Anghilara decaduto alla Chiesa, il quale stato in tutto da potersi disponere dalla Santità d’Innocentio Vili, lo diede al detto Signor Francesco senza far altra mentione di dote, come appare per scritura del Archivio di Massa (243)· Copia d' una memoria latina de’ Francesi che passorno in Italia l’anno 1495, c^e Re Carlo ottavo, descritta da Pandolfo Ghirlanda (244). Anno 1495, mense iunii die 24, natus est Io. Simon filius meus, et fuit dies Divi Iohannis Baptistae, quo die eius-que vigilia exercitus Caroli Regis Gallorum posuerat castra in agris nostris Carrariae et Aventiae, et natus est in arce (a) La postilla che segue è autografa d’Alberico. — 77 - Carrariae in quam confugerat uxor mea propter metum Gallorum qui erant circa menia et in portis ad querendum commeatum. Erat numerus exercitus 15 millium hominum, et tanta erat eorum multitudo, quod violenter perfringebant portas Carrariae quae erant clausae, et per viam fluminis iam incipiebant ingredi domos, ita quod deiecerunt pontes qui erant sublati, et nisi adfuisset quidam Simon da Mangile, duccator 50 equitum, natione gallus, militans sub vexillo di Mons, di Serve, oriundi ex oppido quodam Galliae transalpinae, quod appellatur Soure, qui fuit acl batisma meus compater, una cum Iohanne quodam equite de regione delphinatus, cui nomen erat Bussone, et ideo vocatus est su-prascriptus filius meus lohannes Simon e nomine istorum compatrium, profecto Carraria diripiebatur ab ipsis Gallis foede et crudeliter, etsi tamquam amici ad portas venerint, sed cupiditas rerum amicitiam frangit, et non potuit impetui militum dux ipse resistere et dare frena, etiam si vellet cum praesertim Galli sint natura Italis inimici. Anno 1500, mense iunio, die 16, nata est filia mea Ca-tharina, in cacumine arcis Massae ad quam confugerat uxor mea propter metum Gallorum, qui die precedenti transierant illinc et erant tunc Pisis. Et quidam vir Triutius, nomine regis Galliae petierat in depositum Carrariam, quam Magnificus Dominus Albericus deposuit; et ipse Triutius eam dedit Melchioni Gabrielli Malaspinae de Fosdinovo, cui postea mota est lis ab ipso Magnifico Domino Alberico, et ego ob hanc litem Mediolani permansi per multos dies. Ius patronato d’alcune cappelle di San Siro nelli discendenti del Conte Francesco Cybo, et mancando quelli, nelle discendenti de Franchino et Aranino Cybo, addottate da Innocentio ottavo et poste in esecutione di suo ordine dal Cardinale Lorenzo Cybo nel 1496. Detto instrumento è nel archivio di Massa nella cassetta di San Syro. Et è anco ne’ libri di San Giorgio in Genova. (245). (") Iesus. Die VIIJ ianuarii 1501, Veneris. Qui se farà ricordi di molte cose le quali con li tempi si potranno domandare. Al Signor Organtino Orsino (246) quando partii di Roma li lasciai sei poledri, de li quali non ho mai havuto nessuno. Nicolò Martelli et Piero da Ricasoli (247) me sono debitori de 1500 ducati, li quali me havevano promisso, pei el Riccio, de la gabella, come appare in uno mazzo de scriptui e che è in la cassetta delle scripture; quali 1500, poiché fui in Firenze, Piero me li fece pagliare, la qual partita ne nota in Camera apostolica del 1491 vel circa. Quelli di Civitavecchia me hanno preso una carvella et uno brigantino, come appare in uno breve di papa Innocentio che me li donò, qual breve è appresso di Francesco Bocciardo. El Conte Ugo de la Ghirardesca et li fratelli restano debitori de circa 800 a 1000 sacha di grano, secondo appare per el libro che ha menato Piero da Buzolo, et n e poliza di loro mano, come hanno ricevuto li denari da me. Hyeronimo de Pili resta debitore de ducati 300 o più et de una gran somma di braccia di veluti, come appare per una poliza di sua mano nelle scripture; dal quale mai si è potuto havere niente. Et più debbe uno rubino, ad uso de anello, di valuta di ducati XXV. Ser Piero di Bruno, notaro fiorentino, resta debitore de ducati 14 larghi prestati in Pisa per comperare pani, come appare per sua poliza in le scripture di Firenze. Messer Baptista de Marino de' dare conto de cavalle 40 con soi poledri. Item molte scrofe, porcelli et porci; grani, orzi et altre molte masaritie per la somma de ducati 3000. El quondam Ioani Cambi hebbe da me in Pisa uno gioiello, cioè uno zephirio et uno rubino insieme, come Mag-clalena, Piero da Buzolo et molti altri sanno. Nicolino di Mugello, già nostro mulatier, hebbe da noi (“) Scritto da Franceschetto Cybo. - 79 - muli quattro per uno anno, paghando ducati sei d’oro el mese, comminciando a dì 9 di gennaro 1494, nè mai ho ha-vuto denari nè muli. Et più hebbe in presto ducati XII d’oro larghi ; de le qual cose tutte resta nostro debitore. 1564. En Carrara. ANDREA PROTONOTARIO DELLA SEDE APOSTOLICA ALAONE DI BONISSIMI COSTUMI ET GINEVRA FIGLIOLI BENEMERITI NOX SENZA LACRIME DRIZZORN'O QUESNO DIPOSITO A BIANCHINETTA CYBO ' GENOVESE FIGLIOLA DEI. PRETOR DI ROMA ET GIÀ VICE RE DI NAPOLI MOGLIE DI CAPITANO ET PATRONE DI QUATTRO GALERE SORELLA D’iNNOCENTIO OTTAVO PONTEFICE MASSIMO ET MADRE DI TRE FIGLIOLI. VISSE LXIII ANNI MORÌ ALLI VJ DI FEBRARO DEL MDIIIJ Questo epitafio è cavato dalla sepultura sua posta nella Pace di Roma, come si entra alla porta grande alla mano manca alla seconda capella, in una lapide assai piccola in terra. Io Alberico Cybo (248). (Λ) Ultimo, li detti Monsignor Reverendissimo Cardinal et Signor Lorenzo promettono, benché li pare superfluo, che Nostro Signore prenderà lo Stato e tutte le cose di Massa in quella debita protettione sarà conveniente e quanto le cose sue. Et dall’altra parte il detto Illustrissimo Signor Hercole d’Este, procuratore della detta Signora Ricciarda, promette, per dote, dare e pagare a detto Signor Lorenzo o a legittima persona per lui, la somma di 14 mila ducati d’oro larghi, et che la detta Signora Ricciarda ratificarà tutte le predette cose. (") Manca la parte precedente dell’atto per lacerazione del foglio. - So - Fatte tutte le predette cose in Roma, nel palazzo Apostolico, nelle camere verso i prati, sotto l’anno sopradetto. Il Venerabile Messer Francesco Casate, clerico milanese, auditore del soddetto Signor Cardinale, Eschino Leonino, clerico spoetano, et Ruberto Caula, laico, di Reggio, testimoni chiamati alle cose predette (249). Memorici de principati d Oranges. La casa de Nasau et d’Alemagna. Et del 1291 Adulto fu imperatore, se ben Alberto d Austria lo contrastò, et^u lui ancora, come nel libro dell impronte d Imperatori. Fili berto, che fu principe d'Oranges et fu amazzato nella guerra de Fiorenza essendo generale per 1’Imperator Cai lo V, che aiutava Papa Clemente VII, non lasciò figlioli, ma una so rella, et erano della casa de Baos, il padre de quali havea preso per moglie una Signora erede della casa de Scialon con il Stato di Borgogna di 30 milia A d’intrata. Et questa sorela del principe Filiberto prese per marito il conte Hen rico Nasau, del qual naque Renè, che prese il cognome di Scialò, e questo fu amazzato a Sende Sir entrando nel luogo dov'era il Signor Iulio Cybo mio fratello, et venne un colpo d’arteglieria del quale morì fra poco, che meglio era che non toccasse a lui. E prima che morisse lasciò suo erede suo cugino, figlio di fratello, e chiamato Guglielmo de Nassau, quello che mantene Fiandra in guerre cusì grandi, et che alla fine le fu dato una gran ferita in faccia da uno che mostrava di volere parlargli, quale andò subito in pezzi dalla sua guardia, et con tutto ciò fu di poi ammazzato in un suo giardino dal Secretario che ne patì crudelissime pene. Questo fu padre anche del presente principe d'Oranges, il qual fu conduto prigione in Spagna di poca età, e doppo lunghi anni per gran bontà del Re Filippo, che sia in Cielo è stato liberato et serve al novo Re et al arciduca Alberto con molto favore e bontà, et da lui ho cavato tal memoria (") (250). (a) A margine: Con l'arciduca prefato et in Genova, luglio 1559. — 8ι — 1587. Alli X Aprile, in Genova. Memoria delli Signori Cy bacchi a' Ongaria, che son reputati Cybi. I Cy bacchi stanno appresso Varadino, cinque giornate lontano da Vienna. Vengono di Slavonia, vicino a Ragusa cinque miglia, e si crede che prima venissero di Grecia, et di Slavonia in Croatia et di lì in Ungaria. Hanno per arma scacchi turchini et bianchi, et per agiunta, in fondo, una rosa et griffone in campo rosso et bianco, et per cimiero pur un griffone. Hanno tre terre: Lusann, di 400 fuochi, Deblaz, di fuochi 500 e Ravniza, di 600, nella quale è una bella chiesa fatta da loro, chiamata — Ί emplum cubium —, perchè i Cybacchi in latino son chiamati Cubi o Cubei, et il cognome Cybo in Cybacchi vien tirato dalla lingua ungara, che ha spesso — acchi — nell ultimo delle parole. Son hoggi dui o tre fratelli, che uno è Lorenzo, abate in Varadino. Tutto questo di relatione del Signor Pietro Visco, fratello del Ban, che vuol dir Conte o Duca, de Sdrino o sia Isdrigni, quali son figliuoli del Signore Nicolò, che era dentro Zighet, sua terra, quando fu preso dal gran Signore Soliman; e detto Signore Pietro, che è cavaliero di bel aspetto e gran statura e che ha fatto molte prove contra Turchi, va hora in Spagna e dal Re per haver mercede (251). Di Messer Alfonso Ceccarelli da Bevagna scrittore d'historie (252). Perchè ho trovato nel privileggio di V. Eccellenza Illustrissima che la nobilissima casa Cybo ha hauto 18 prelati, tre cardinali et dui pontefici, cioè Bonifatio IX et Innocentio VIII, haria caro sapere questi 18 prelati et chi sono stati, et ancora questi cardinali, perchè io ho trovato che casa Cybo, oltre li tre cardinali, ne ha hauto dui altri, de quali trovo questa memoria così in un cardinalista antico: — Ritrovandosi Bonifatio IX papa, che già se chiamava Petrus Tomacellus, parthenopeus, de nobile stirpe de 1 6 - 82 — Tomacellis Cyborum genuentium, in Ascesi città, il terzo anno fece una promotione di otto cardinali, fra i quali ce ne furno due genovesi della stirpe propria di casa Cybo, et gli furno molto cari et furno questi: . Leornadus Cybo, genuensis, presbyter cardinalis tituli SS. Cosmae et Damiani, fuit vir officiosus et eximius, utnus- que iuris doctor. . Angelus Cybo, genuensis, diaconus cardinalis tituli S. Martini in montibus. Leonardo morse 1 anno del gru i eo chesso papa Bonifatio celebrò essendosi ritirato in Roma; et Angelo morse quattro mesi dopo la morte del papa. Ouesta memoria si trova ancora nella vita di questo Bonifatio IX, papa, fatta da un certo napolitano detto Filippo Scaglia, della famiglia Scaglii di Genova in Napo 1. Questo Filippo Scaglia si mise a scrivere la vita di bonifatio IX, credo non per altro se non che lui essendo degli Scagli napolitani, descesi da Genova, volse fare a vita di questo Bonifatio IX, napolitano delli Tomàcelli, 1 quali descesero dalli Cybo' di Genova, anzi sono una cosa medesima, come ho trovato nelle croniche di Napoli.^ Perchè V. Eccellenza Illustrissima mi scrive in una delle sue che il Signor Scipione (") ha trovato alcune altre memorie di casa Cybo, harei caro vederle, sì come ancora desidero quel comentario di tutta casa Cybo che pur Lei m accenna di havere, et ancora mandarmi questa informatione sopra questi capi: Memoria di tutte le stirpe passate et presenti, per linea con quelli che hora vivono, et con quali sangui se siano ap parentati. Quanto sia lo stato che hora possiede Γ Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Principe, con tutti li nomi di tei re, di castelli et altri luoghi. Che figliuoli abbia adesso et i nomi loro. Di che sangue sia la Illustrissima Signora Principessa sua consorte. (") Scipione di Aranino Cybo. - 8} - Li libri che mi mandò il Signor Francesco Maria (Cybo) et che V. Eccellenza Illustrissima m’inviò, sono d’importanza per questa historia di tutta Genova et Liguria, et mi ci bisogna durare una gran fatiga. Et perchè spero et voglio, con 1 aiuto de Dio, fare una cosa segnalata et compita della Liguria et de Genova, per aver trovato molte volte allegato gli annali del Voragine, non havendoli trovati in Roma, ha- i ei molto caio che V. E. Illustrissima me li facesse capitare in mano, perchè a compimento di queste historie non vorei me mancassi cosa alcuna. Et come V. E. Illustrissima può considerar nella scala che io le mando, è opera tessuta e divisa, secondo il parer mio, benissimo et sarà tanto bene ordinata che spero piacerà universalmente, et non ci sarà cosa che ci manchi (253)· Copia. 1^27· Reverendissime Domine Domine Colendissime. Post humili commendatione etc. Io ho ricevuto per Pamphilo, mio secretario, una lettera di V. S. Reverendissima [a comune con il Reverendissimo di Cortona], (a) per la quale mi conforta assai a pregare il Christianissimo che vogli persuadere alli Reverendissimi liberi che si convengono in Bologna. Et benché, come la S. V. Reverendissima harà potuto vedere, io sapessi che la in- ■ tenzione di S. M.ta, et così del Serenissimo d’Inghilterra et Reverendissimo Eboracense, era che li Reverendissimi Cardinali si convenissino in Avignone et che di questa cosa ne havea scritto luna e l’altra Maestà et il prefato Reverendissimo et fatto scrivere a me a tutti, pur per satisfare al desiderio di V. S. R.ma ne parlai di nuovo con S. M.tà, la quale trovai della medesima oppinione et niente mutata, et la causa è perchè li pare che Avignone sia luogo più sicuro, più comodo a questi Reverendissimi di qua et precipue al (n) Cancellato con un tratto di penna. - 84 - Reverendissimo Eboracense, il quale molto desidera trovar-visi, et anchora più propinquo alla Ispagna, per poter mandare all'imperatore et far instantia per la liberatione 1 Nostro Signore. ° Replicommi adunque ch’io confortassi V. S. Kevere - dissima al venir, dicendomi che era certo di lei che non mancherìa. Emmi parso mio debito avvisare di tutto v. . Reverendissima et rimettere la deliberatione a suo p tissimo iuditio et delli altri Cardinali, e’ quali, consumando a cosa insieme, non posso pensar che non ne ti ovino 1 & Ben la prego che sia contenta volermi avvisare di que risolveranno, et che par loro ch’io debba tare, che e prò metto non uscirò, nè in questo nè in altro, della \ og ia o Ho parlato ancora per la conservatione dello òtato ecclesiastico. La ho trovata molto pronta, et in mia Pr®ser* ia commesse al secretario che scrivessi a Monsignor i trech (-) che pensassi sopra a tutte le altre cose a questo, et precipue alla conservatione di Bologna, Parma et Piacenza, provedendole di danari, di gente et d’ogm altra cosa che bisognasse. Il medesimo offitio ha fatto con ua molto caldamente, il Reverendissimo Eboracense il quale e tanto pronto alla conservatione et restitutione della Chiesa, tanto caldo a procurare la liberatione de N. S·, c e cer o habbiamo immortale obligo, perchè procura questo e ^ per mezzo delli Ambasciadori Anglici in Hispagna, et e 1 primo capitulo che nelli trattati della pace universale 1-manda allo Imperatore, della quale hanno pur qualche speranza. Oltre di questo riscalda costoro alla guerra et 1 con forta mandar nuove forze, oltre al sollecitar li Lanzc inet disegnati, et vuole che, innanzi ad ogni altra cosa, si cere la liberatione di Sua Santità. Così ha fatto dar commissione a Monsignor di Autrech, in modo che mi fa star di buona voglia et haverne buona speranza. È ritornato Messer Iacopo Girolami, il quale per com (a) Odetto di Foix, Signor di Lautrec. - 85 - missione di S. S.u mandai in Hispagna a procurare la liberatione di S. S.ta, et sollecitai la expeditione, la quale desideravo riportassi lui per poterla mandar con più prestezza a Roma. Hammi portato una risposta dallo Imperatore, della quale li mando, con questa, copie, et altra expeditione non ha potuto havere, affermando lo Imperadore di non voler, per non confidare le sue expeditioni passino per Francia. S. M. Cesarea ha mandato a Roma Monsignor di Miglau, et dice con commissioni che il Papa sia liberato. Indirizza lo spaccio al Vice Re, et, per quello che io ritragga, la liberatione sarà con qualche sicurtà et conditioni, cioè di ritenere le fortezze et d’ostaggi o altri, et anchora credo ricercherà qualche grande, forse di Cruciate et Decime, le quali non sarieno male expese perchè Sua Santità fussi in libertà: allo arrivar suo si doverà vedere certo che via sieno per pigliar le cose di S. S. et della Chiesa. A Dio piaccia porre fine a tanti mali et darci una volta la tanto desiderata et necessaria pace, doppo infiniti travagli et ruine. Monsignor mio Reverendissimo, io so che non bisogna confortar V. S. Reverendissima, che è prudente, et farle animo in questi travagliati tempi, essendo di qualità di saper dare consiglio ad altri et metterli animo. Solo le ricorderò che io le sono fratello et servitor, disposto a metter per lei et per Nostro Signore la vita et ciò che ho al mondo. Non manco, in quel che io conosco, servire a Sua Beatitudine; pur lo conosco poco et sono lontano, però priego V. S. Reverendissima che mi avvertisca di quel conosce ch’io debba fare perchè non manchisi di cosa alcuna. Qui si truova il suo Protonotario Gainbaro, persona della qualità che ella sa et fedelissimo di N. S., nel quale penso che presto verrà in costa per andare a N. S. et raguaglierà V. S. Reverèndissima delli progressi di qua et actioni mia; però sarò breve. Raccomandomi a V. S. R.ma et a tutti i sua, et fac valeas. Ex Ambianis, XVIJ Augusti MDXXVIJ. Eiusdem Reverendissime Dominationis Vestrae. - 86 - Domani si publica la pace perpetua tra li Seienissimi di Francia et d'Inghilterra et il matrimonio della figliuola di quel re al Cristianissimo in caso che non si facci la pace universale, et facendosi et pigliando la Reina Leonoi a, si darà al secondo genito del Cristianissimo Monsignor d Oi liens. Humilis Servitor Io. Cardinalis de Salviatis (254). a tergo Reverendissimo Domino meo Colendissimo Domino Inn. Cardinali Cibo Bononiae legato, etc. Guid’ Ubaldo Feltrio della Rovere Duca d' Urbino et Capitan Generale di Santa Chiesa. Conoscendo noi la virtù, il valore, la fede e la nobiltà dell’ Illumo Signor Marchese di Massa, nostro cognato, e la molta confidenza che potiamo bavere in Sua Signoria, 1 hab-biamo creato nostro luogotenentegeneralenelservitiodi Santa Chiesa, et havendole nella presente ispeditione dato un colo-nello particolare di mille fanti, oltra il governo universale che harà del tutto per il grado che gli diamo, preghiamo 1 Illustrissimi e Reverendissimi Monsignori Legati, li Molto Reverendi Vicelegati, Governatori e Luogotenenti delle Pro· vintie, Città, Terre e luoghi di Santa Chiesa che non solamente lascino alli suoi capitani fare li sopradetti fanti, ma si contentino di far loro ogni favore, sì che siano presto ispe-diti, acciò possino subbito venire a fare il servitio di Sua Santità. Assicurando che quanto maggior prontezza dimo-straranno in questo, tanto più sarà grato a Sua Beatitudine. Et in fede habbiamo fatta fare la presente dall’infrascritto nostro Segretario, la quale sarà sottoscritta di nostra mano e sigillata col nostro maggior sigillo. Di Bologna, alli VIII di giugno del MDLIIII Paolo Mario di Commissione di S. Eccellenza (255). - 87 - Lettere patenti di Filippo II ad Alberico Cybo. i Don Phelippe por la gracia de Dios Rey de Castilla, de Aragon, de Leon, de las dos Sicilias, de Inglaterra, de Francia, de Hibernia, de Ungria, de Dalmatia, de Croacia de Hierusalem, de Navarra, de Granada, de Toledo, de Valencia, de Galicia, de Mallorcas, de Sevilla, de Cerdefia, de Cordova, de Còrcega, de Murcia, de Jaen, de los Algarves, de Algezira, de Gibraltar, de las ilas de Canaria, de las In-dias, islas y tierra firme del mar Oceano; Archiduque de Austria, duque de Borgona, de Brabante y Milan ; conde de Barcelona, de Flandes y Tirol; sefior de Vizcaya y de Molina, duque de Athenas y de Neopatria; conde de Roisse-lon y de Cerdania; marques de Oristan y Gociano. Al Illustre Don Juan Manrique de Lara del nostro consejo de Estado, visorrey lugarteniente y capitan generai en el nuestro Reino de Napoles, o a otro qualquier visorre)' que por tiempo serà, salud y dilection. Por quanto teniendo respeto a la affection que el Illustre Alberico Cibo, Marques de Massa, ha mo-strado a las cosas de nuestro Estado y servicio, y à la qua-lidad de su persona y stado, le havemos acceptado per nuestro servidor y senaladole dozientos escudos de oro cada mes para su entretenimiento, librados nesse nuestro Reino. Po-rende por tenor de las presentes, de nuestra cierta sciencia deliberadamente y consulta y por nuestra reai authoridad, os dezimos encargamos y mandamos que situandose al dicho Marques los dichos dozientos escudos de oro al mes en la parte que os parecera y vierendes que mejor le podran ser pagados, proveais y deis orden que se le acuda con ellos en cada un mes, de manera que en la paga y solucion del-las no aya falta alguna, los quales le comiencen a correr desde el dia de la data de la presente en adelante. Mandando a quales quier officiales nuestros maiores y menores, presentes y que por tiempo saran en el dicho Reino, que guarden, observen y cumplan las presentes nuestras letras patentes y todo lo en ellas contenido, y a los lugartenientes y ♦ presidentes y racionales de nuestra regia Camara de la Summaria y otras qualesquier personas a quien pertenezca que admittan y reciban en quenta de legitima data y todo lo que por virtud del dicho entretenimiento se lumiere (?) dado y pagado, cobrando sus apocas oportunas de pago, en la pri-mera de las quales el tenor de las presentes nuestras lett as sea totalmente inserto, y en las otras se haga tan solamente expressa mencion dellas; no obstante qualesquier ordenes que aya en contrario, y toda qualquier dubda y contradi-ction cessante. En testimonio de lo qual mandamos hazei las presentes firmadas de nuestra mano y con nuestro sello comun e nel dorso selladas. Dat. en Brussellas a XVIIJ de Julio de la primera indiction, anno del nascimiento de nuestro Senor Jehsu Xpo de mil y quinientos y cinquanta y ocho. firmato : Io el Rey (256)· Copia d'una lettera scritta dalla Signora Duchessa d Evoli al Signor Duca suo marito, composta da lei. Illustrissimo Signor mio osservandissimo, Con questo ordinario nè con l’altro ho lettere di V. S. le quale desidero estremo per intendere nova di lei di sua mano propria, se bene per lettere d altri le ho buonissime. Io questa settimana ho travagliato assaissimo, et in particolare la notte passata e questa, et di tal maniera che ognuno credeva ch’io morisse, et sto tanto fiacca et lassa che a me pare impossibile d’arrivare a domenica prossima. Però la priego che havendomi voluto tanto bene in vita, che anco me lo voglia in morte, e solo mi spiace di morire senza vederla, che poi a me sarìa di contento e tutto quello che piacerà a Nostro Signore et che sia in gratia sua. Signor mio, io le dimando perdono se in cosa io 1 havessi mai offeso, sì nell’havere troppo speso, come in qual si voglia altra cosa. Et per non poter più parlare faccio qui fine e li bacio le mani con tutto il core e la priego a far il medesmo — 89 - con la Principessa, alla quale non scrivo per essere travagliata assai, et le priego da Nostro Signore ogni contento. Di Genova, li 4 ottobre 1585: Dal Signor Giacomo Spinola pigliai ducento scudi, come già le ho scritto, quali ho speso tutti in far pregar Dio per me et per l’anima mia et di novo le dimando perdono. (Di sua mano, coìi tutto il gran male) Signor mio, mi dispiace solo di morire senza poterlo vedere. La mi ami come ho sempre fatto lui, et me le raccomando. Serva et consorte affetionatissima Leonora (257). Copia d'una lettera del Signor Agostino Grimaldi Duca d'Evoli a sita moglie, la Duchessa Leonora Cybo Grimaldi. Signora mia, Credami V. S. che, se io mi trovassi con qualche poca salute, subito di letta la sua de’ 4 mi sarei posto nelle poste per venire a vederla; però sono a segno che senza dubbio sarei restato alla prima posta, essendomi da giorni in qua caricatto un tal cataro al petto, che molto mi travaglia, e posdomani vado a Pozzolo per prendere quei remedii. V. S. sa quanto teneramente è stata sempre amata da me, di modo che la può considerare in quanta passione mi trova del mal suo, sopra di che altro non posso dire salvo che non sarà mai addente alcuno bastante a fare che, mentre sarò vivo, non v’ ami et adori et tenghi nel cuore scolpita. Non occorre mi chiedate perdono di cosa alcuna, poi che mi tengo il più contento di lei e dell’animo suo che mai sia stato huomo di donna, et se già havete speso quelli denari, fattevene dare delli altri, perchè tutto è vostro, et io, poi - 90 — che non posso servirvi in altro, lo faccio con far fare continue orationi a Nostro Signore per la salute sua, che piaccia a Dio sia come io desidero. Di Napoli, alli 18 ottobre 1585. Di V. S. Servitore et Consorte affetionatissimo che l’adora Agostino. Io Iulio Cybo Malaspina, Marchese di Massa et Cari ai a. Dovendo, per la sustentatione del Stato mio, valer mi, nel-l'occorenze, del populo mio di Massa et V ille sue, et perchè questo proceda con ordine, essendo necessario provvedervi un Capitano suffitiente et accomodato a tal mestiero,^ m e occorso in mente la suffitientia et valore di Petrino di Mo scatello, mio confidente, al quale concedo questo grado li beramente. Et impongo et comando a tutti li sudditi e Stato di Massa, che non sono della battaglia elletta, che l’obediscano quanto l'istessa mia persona in ciò che coman derà, sotto pena che da lui gli sarà imposta. Per fede de a qual cosa ho scritta questa mia di mia propria mano, et sotto scritta et sigillata del magior mio sigillo. Expedita nel luogo mio d’Assano, li XVIII di settembre del M D 46. Iulio Cybo Malaspina (258). Lettera di Giidio Cybo scritta quaìido gli fu annunziata la sentenza di morte· Rm° Cardinale Zio Oss”'°, III"'0 Signor Padre et Illma Signora Madre. Io, essendo per andar a miglior vita, supplico prima le S. V. che in tutto quello io mai havessi offese si degnino liberamente perdonarmi per amore di Gesù Xpo Signor mio. Del resto trovandomi io, secondo ’l parer mio, da 500 scudi de debiti, prego le S. V. gli voglino sodisfare. De una parte — gì — de’ quali, circa 200, ne è creditore Silvestro del Toretto da Massa; Antonio da Gaieta circa a 50 ; il Signor Averso da Stabbia de altrettanti, cioè 50, secondo quello che credo; il Signor Chiappino Vitelli circa a scudi 40. Degli altri non me ne ricordo. Si degneranno anchora le S. V. in suplimento di ciò che io non me ne ricordo, dare a questi Reverendi Padri di S. Angielo di Milano, del Ordine del convento di Massa, altri scudi 100 in beneficio dell’anima mia. Gli raccomando quanto gli posso raccomandare Guasparri ( * ) mio servitore, et tutti li altri che parrà a V. S. m’abbino ben servito. Gli piacerà anchora di far qualche lemosina a Vincendo, il quale mi ha servito in questo mio ultimo. Gli raccomando il Padre portatore di questa mia, qual sarà fedel relatore del tutto successo. Et gli raccomando anco li Padri di Sant’ Girolamo qui in Milano. Pregho che tutte le mie robbe e cavalli siano datte per l’amor di Dio. Desidero ancho che tutte le mie composicioni siano abrusiate, per essere imperfette. Pregate il Signore Idio, il quale pregho mi dia fortezza in questo ultimo e la perpetua felicità nel altro secolo. Del corpo mio lo rimetto alla voluntà delle S. V. ; deio spirito poi me ne vado allegro, perchè spero che il Signore Idio m’arà misericordia, et penso che tal morte mi sia permessa per mia salute, perchè tanta è l’abondanza della gratia sua in me, che mi trovo ferma speranza di transire al cielo, e già comprendo quanto è vana cosa fermare la sua speranza in cose basse e transitorie. Signori miei, e specialmente mio fratello, credete veramente in Dio, e non con fede storta,, et lassate andare tutte le cose del mondo per lui, et siano qual si vogliano, et sappiate che io so quello che io dico. Non siate sepolcri dealbati, et non vi maravigliate che di ladrone io sia divenuto peccatore. Dio dia gratia et fede a voi e a me. Juuo Cibo giunto al fine DELLA SUA NAVIGAZIONE (259)· (") Gaspero Venturini - 92 — Sonetto scritto da Giulio Cybo poco innanzi la sua morte. Questo spirito immondo e questa spoglia Tenera d’anni, antica d’ogni errore, Quasi vittima, ardendo nel tuo amore, Ti sacro, Signor mio, con pura voglia. Tu che vedi dal ciel quel m’addoglia E va innanzi al morir grave dolore, Affrenal, prego, in guisa, che al timore Pallido ed egro l’anima si toglia. E perchè io habbia indegnamente spese Le facoltà della sustanza mia, Onde chiamarmi tuo figlio non lice, Le per me braccia ventun anno stese Deh chiudi, e stringi sì l’alma che stia Mai sempre teco in ciel lieta e felice (260). Avviso delle cose successe fra il Principe D'Ona e M. Antonio D Oria. Ouesto è il capitolo d’ una lettera adrizzata qui a Mes ser Franco Sauli et a M. Franc“ Franchi (261). Del i538· Un’altra mia v’ho scritto, la quale intendo non sia an data, per non esserli stato modo ; per la presente se vi dira quello è successo dal ditto giorno fin al giorno d hoggi, et dirvi come constretta la nostra armata alli 25, che fu lo giorno di mercordi, se appresentammo alla Pruenza (Prevesa), porto dove era rinchiuso Barbarossa con tutta l’armata. Il quale, visto che n’hebbe, mandò fuora alquanti suoi vascelli a tirarne dell’artegliaria, et così da nostra parte li andorno alquante galere a far il simile, et non si fece cosa da nulla. Lo giorno poi appresso, stetimo sopra detto porto, con poco vento, per miglia diece in circa, et lo Principe fece conseglio per scendere in terra le genti et non parse a nessuno il luogo atto, per modo che deliberò andare a combatter sopra Manza. — 93 - La notte vegnente Barbarossa cavò fuora tutta Γ armata sua, la quale non passava a numero di vele di 140 in 150, che così fu contata da diversi, et a un’hora di giorno, che fu lo venere, la vedemmo venire alla nostravolta, et così aspettammo le nostre nave per congiungersi con loro; et giunti che fummo insieme, che erano hore quattro di sole in circa, si dette il segnale per andarle ad investir, et così vogammo avanti con le galere; ma visto per il Principe come le vene-tiane non ne seguivano, anzi alcune di loro havevano posto la vela ingioncata all arboro, non parse al detto Sig. 1 rincipe et Vice Re di Cicilia andare a una manifesta rovina, et per quanto comandar che faceva il Principe et pregare, non giovò mai niente et non fu mai ordine si volessino mettere in battaglia, per modo che, visto questi nostri disordini, il Barbarossa, el venne con tanta vigoria innanzi che pigliassemo ordine ad assaltarle con le nave, et noi con le galere fummo costretti a repararsi da basso de dette nave, et già era entrata tanta paura in la gente delle nostre galere per la diffidanza de Venetiani, che non era più ordine di potere combattere, et così fin a hore 23 non fu mancato per 1 armata turchesca hora di tirare alle nave, hora alle galere, et fu poco danno, et tra le altre in la nostra dove ero, fu morto tre homini et unoie-rito, tra li quali morse Michele, mio garzone, che era appresso a M. Gio. Michele Maruffo et a me, et miracolo fu di Dio come la non toccò à noi ; del che Iddio sia lodato. Le nostre navi et gaiioni per essere stata sempre calma, poco danno poterno fare alli Turchi, per modo che a loro piacere vi bombardavano senza essere offesi, et così stettimo sino al tardi con non poco dolore, senza poter lar niente , et loro con tant’animo s accostorno tanto che ne pigliorno alla coda delle nostre galere, due galere de Venetiani, et più si misero a combatter due ultime navi, che restav ano un poco dietro dalle altre ; le quale ancora preseno, una che era biscaina et Γ altra di I rapani, cariche de fanti spa gnuoli, le quali si difeseno gagliardamente. Alla line, non potendo pigliarle, se vi misero fuoco dentro, et mai non s hebbe — 94 — ardire d'andarle a soccorrere ; et più piglioro altri cinque vascelli piccoli de Venetiani, carichi di vittovaglie, senza genti; et che più li volse essere peggio che si levò una borasca di acqua et si giudicava di vento assai, per modo che se allontanavamo dalle navi et Barbarossa si cacciava in mezzo tra noi et le navi, per modo che tutte le galere se missero in rotta et ognuno attendeva a salvarsi, et lassammo tutte le nave nostre in preda alli nemici. Ma Iddio che non abbandona chi in lui si fida, ne veniva la notte appresso in soccorso, et lo vento che si mise di terra fu la salvezza, tanto delle navi, quanto delle galere, abenchè di quelle del Sig. Principe poco si poteva dubitar per esser buone da remo assai più delle venetiane, et così tutta la notte navigammo sparsi in qua et in là, vagabondi, con tanto dispiacere come potete pensar, per suspitione delle nostre navi, le quali tegnemo tutte o parte havessino da capitare male : ma nostro Signore, come v ho detto, non li mancò .del suo aiuto et li dette buon vento sino che le condusse in questo porto a salvamento, che certo ogni uno di loro si tenivano per perse ; et così per gratia sol de Dio non hebbe maggior danno; che se così come al principio Barbarossa ne venne a assaltare con gran cuore havesse perseverato sin alla fine, restavamo, se non tutti, la maggior parte presi ; ma N. S. in lo più bel tempo, quando ne dovea investire, che noi altri eramo in rotta, li levò 1 animo, et questo si può dire che N. S. n'abbia conservato per bene di tutta Cristianità. Lo danno è stato poco, ma la vergogna tanto grande che non si può dire più, et questo è proceduto per fare poco conto de nostri nemici et del malissimo ordine s'è tenuto. Iddio di tutto sia lodato. Di nuovo al presente si parla, et hoggi si farà conseglio di quello s’ha da fare; et il Principe m’ha detto che di nuovo vole andare a trovare Barbarossa, se Venetiani si contentaranno se li mette sopra le galer loro da 60 fra in 80 Spagnoli et il viceré di Cecilia andarli per capo; non si sa se si contentaranno et hoggi mi credo che si risolveranno et a basso vi dirò per il primo di quello si parlerà di fare. Mi sono scordato dirvi come — 9S - si trovamo con l’armata turchesca sopra Cavoducato, et in detto luogo fu commissa la battaglia, lontano da terra un miglio, et chi era più appresso et chi manco. Vi dirò come ancora sono seguite parole grandi tra il Cap° M. Antonio D’Oria et il Cigala, che la galera del Cigala toccò con li remi quella di M. Antonio et cosi M. Antonio lo ingiuriò dicendoli villania, che l’era un homo tristo et consimili parole, et il Cigala li rispose che mentiva per la gola. M. Antonio lo minacciò de farli dar trenta bastonate, et lui li rispose che li faria dare cinquanta pugnalate ; et così un servitore di M. Ant° mise mano a un archibuso per tirare al Cigala, et altrettanto quelli del Cigala miseno mano per fare il simile ; ma se li trovò sopra la galera del Cigalajohan Vargas, Maestro di campo, il quale pregò il Cap M. Antonio si astenesse di mettere tutte le galere sotto sopra, attento che siamo in servitio di Sua Μώ et che in altro tempo potria deffinire le sue differenze, et così la cosa s’acquietò, et il Signor Principe hapresolaparola dell'uno et dell’altro per questo viaggio. Fatta in Grito, in galera, a di 30 7bre 1538. Per 1' altra vi scrissi le pratiche s’ havevano con Barbarossa ; havete visto il successo et vi prometto che dal principio tutti noi o la maggior parte si credavamo di accordio, et li loro sono tratti turcheschi (262). f siamo a dì p° ottobre. Tutto hieri s’ aspettò la risposta del Generale de’ Venetiani se si contentavano di dar le loro galere, acciò di nuovo si potesse andare a trovar Barbarossa, la qual risposta si prolonga, ed è comune oppenione non si debbino contentare, anzi di presto debbino ritornare. N. S. Dio sia quello lasci consegliare quello ha da essere il meglio, et perchè dubito non espediscano il presente commendatore Girò, el quale va da S. M., m’è parso sigillare la presente acciò habbiate nova di me e della resolutione nostra. Poi ne si darà avviso. Il Sig. Principe di continuo si trova in tanta malinconia, tutto dedito al pianto, chel sta come huomo fuo- — gò- ra di sè et non può patire habbia ricevuto vergogna ; pur bisogna haver patienza et cercare di emendarla in altri tempi , et non altro. Cap'° d'una lettera da Napoli a dì 16 d 8brc. Sono lettere del Sigr Principe in questa, et del Vice-Re di 8 de questo, date in Corfù. Scrivano qualmente in le galere del papa, sotto governo del patriarca, li havevano posto Spagnoli 100 per galera, sopra quelli de’ Venetiani 60 soldati italiani; di quelle venetiane n havevano disarmate dece per racconciare le altre et metterle bene a ordine, havevano posto a ordine navi trenta et galere quattro et licentiate tutte le altre nave, et ritenuto Γ artegliaria di metallo postole sopra le trenta ; di modo che il dì seguente, se sarebbe buon tempo come demostrava, si dovevano partire a numero galere 120, navi 30 et galere 4 ben a ordine, et i Venetiani resoluti et ben disposti al combattere per riscontrare il Barbarossa, che era venuto più in qua et si ritrovava alli 7 al preso loco, lì vicino miglia 35 in circa, nel qual luogo haveva abbrusciato casali dui di esso luogo. Sarà piaciuto a N. S. concedere vittoria a nostri, come è da sperare, con buon governo che haranno, et Γ avantaglio hanno dallo nemico. Pregamo N. S. Dio che presto ci consoli di bene. Quello haveremo il saperete, etc. (263). APPENDICE r MEMORIE AUTOBIOGRAFICHE DALBERICO NOTIZIE, RELAZIONI SULLA FAMIGLIA, LETTERE INEDITE, DOCUMENTI. . . _ _ — - ____________ R. Arch. di Stato in Massa Notizie e Scritture genealogiche della famiglia Cybo ad annum. Inforviazione della casa Cybo (“). Dal 1341 al 1608 si ha certa discendenza, per linea ordinata, da Carlo Cybo, che servì a Roberto re di Napoli, honorato del grado di consigliero, cavaliero, etc. Giovanna I lo creò governatore e capitano della città di Napoli e gli diede ambascerie. Si vede ciò nei Registri reali del tempo nella Zecca di Napoli. Quel Carlo aveva per antecessori molti personaggi di 250 anni prima, vedendosi in Genova, fino dal 1130, un Baiamondo console, un Anseimo e Rugieron consiglieri. Poi Hermes de Insulis, Guglielmo e Lanfranco, che dal 1241 governò con sette altri nobili la Repubblica. Poi Alaone, Francesco e Carlo fratelli; di questo, Maurizio, e di lui Arano o Aron, padre di Innocenzo Vili, fatto conte da Federico III. Calisto Borgia lo chiamò a Roma e lo fece Senator Romano. Morì a Capua, dove si vede il suo sepolcro. Di lui nacquero Giambattista e Maurizio; quest’ ultimo fu Presidente dello Stato ecclesiastico e del Ducato di Spoleto, dove morì. Giambattista, che fu papa Innocenzo Vili, fece Cardinale un suo nepote, Lorenzo, arcivescovo di Benevento, huomo di gran bontà e amabilissimo. Due nipoti del papa, una, Peretta sposò il Marchese del Finale, e per la sua morte fu poi Principessa D’Oria; l’altra, Don Federigo d’Aragona, cugino di (Λ) Con giunte e correzioni autografe d’Alberico. — ΙΟΟ — Re Ferdinando di Napoli. Altro suo nipote fu Franceschetto, che sposò Maddalena ed ebbe tre figliuoli : Innocenzo, Lorenzo, il vescovo di Marsiglia Giambattista, e due femmine, Caterina Duchessa di Camerino, e Ippolita Contessa di Ca-jazzo. Il fratello (d’Innocenzo), Lorenzo, Marchese di Massa e Conte di Ferentillo nello Stato ecclesiastico, acquistato dal padre, che confina con il regno di Napoli, nell’ Abruzzo, ne primi suoi anni servì nelle guerre di Firenze con una compagnia di gente d’ armi e di poi, con maggior carico, in quella di Milano, et espugnò la Terra di Monza et il castello suo, come raccontano Γistorie di quei tempi, e di Marco Guazzo in particolare. Hebbe gradi honorevoli da Papa Leone X, suo zio, e da Clemente VII il medesimo, e fu capitano della sua guardia, e come generai della Chiesa, perbreve particolare, ottenne di poter comandare allo Stato eclesiasti-co in occasione di armi e di provigione, come in tali difese la città di Bologna, Camerino e Pisa, soccorrendo anco Genova quando si dubitò che Francia con la persona di Mons. Sampolo l’assaltasse. Di tal cavaliero nacquero Eleonora, Giulio e il presente principe Alberico ("). Esso Principe si apparentò di assai tenera età con il Duca d’Urbino, padre di questo d’hora, pigliando la sorella per moglie, e perchè il Cardinal (Innocenzo), suo zio, gli haveva dato ducati 600 di camera di pensione, la qual per essere mal spedita n’ andò a male la miglior parte, e come che con la moglie conveniva haver dispensa di tener la pensione, le fu dato 1’ habito di Portugallo, che in quei giorni era di gran stima, e come più facile, in occasione di più moglie, di haver nuove dispense. Questa signora li fece un figliuolo (Alderano) nè più altro; e tratanto, venendo la guerra di Siena, il Duca Cosimo li mandò a chiedere sei compagnie de soldati dello Stato suo, che subito se li mandorno, e con dieci d’ avantaggio doveva andarlo a servire come (a) Correzioni autografe d’Alberico. — ΙΟΙ — η’era in punto, quando il Ducad' Urbino^siiCLCiignato, Generale della Chiesa, lo dichiarò Locotenente generale e con 3000 fanti lo mandò a guardare la città di Peruggia e suo dominio, frontiera degli eserciti di quella guerra ; la qual finita, con il mezzo delli Duca di Fiorenza et d’Alba, s’accomodò al servitio del Re Cattolico, e fu del 1559, con provvigione di scudi 2400 d’oro e 600 per il grado di Ciamberlano, usato già dalli duchi di Borgogna e seguitato dall’ Imperatore Carlo V, molto stimato e di più honore dicevano eh’ esser della Camera. Andò il Principe a baciare a S. INF1 le mani et a servirlo in Fiandra, la qual passando poi in Spagna, havendo preso la Regina figliola di Henrico Re di Francia, li commandò che con lettere di suo pugno fusse a dar conto alla Regina della partita sua di Fiandra, e perchè la sollecitasse al andare da S. Mta in Spagna, il che compita-mente fu eseguito, come in Vagliadolid diede a S. Mta minuto conto. Seguitò il servitio in Toledo, et essendo morto Papa Paolo IV Caraffa ed eletto Pio IV, con il quale haveva il Principe stretta amicizia essendo Cardinale, et havendo in quella Corte negotii importanti, S. Mta si contentò che vi andasse, scrivendo lettere caldissime al Papa, Cardinali et all’ Imbasciatore Vargas in favor suo. I negotii furno longhi, et fra tanto morì la moglie del Principe, et non havendo che un sol figlio, et lui solissimo in sua casa, venne persuaso et isforzato da Don Cesare Gonzaga, Principe di Moffetta, et Cardinale, suo fratello, di prendere seconda moglie lor cugina, qual fu Donna Isabella di Capua, sorella del Duca di Termoli nel Regno di Napoli. Da questa deta Signora hebbe più figlioli, e particolarmente due femine, che l’una si maritò con il Duca d’Evoli, e l’altra con il nipote di Papa Gregorio XIIII0 Sfondrato, che fu Generale della Chiesa et Duca di Monte Marciano. Ma prima essendo stata la giornata navale contro Turchi, mandò il Principe il Marchese suo figliolo a quella impresa, et n’ andò insieme con il Principe d’ Urbino il cugino, nè mancò mai in tutte l’occasioni offerirsi et esser pronto al — 102 — servitio di S. M**, come saranno sempre tutti di sua casa; et perchè haveva comprato un Stato di qualche qualità in Calabria, S. Mtà, che sia in Cielo, li donò il titolo di Marchese, come poco fa n’ ha havuto quello di Duca dalla bontà et gratia della presente Maestà. Fu il Principe ne tumulti di Genova, l’anno 1575, ricercato dal Cardinale Morone, legato del Papa Gregorio XIII, et da’ ministri delle Mta Cesarea et Catolica, Duca di Candia et Don Gio. Idiachez, de mirar a lo che conveniva in tal occasione ; onde fu pronto di ricevere nello Stato suo di Massa et Carrara buona parte della nobiltà vecchia; et come appaiono lettere di quei Ministri accradirno al Principe di più cose, et in particolare di haver placato assai Γ ire di quei gentilhomini che erano nel Stato suo (*). Tiene hora il Principe il luogo suo nella Repubblica et oggi vive ben aparentato, com egli è, con tutti li Principi grandi d’Italia, abbracciando anco la parentela con le Serme Infante, essendo la Regna madre di Ιοί o Altez ze, di gloriosa memoria, cugina di detto Principe; il figlio del quale, Marchese di Carrara, accasò con la cugina del Duca Alfonso, ultimo di Ferrara, dal quale nacquero cinque figliuoli, Carlo, Francesco, Odoardo, Ferdinando e Alessandro. Scritto al tempo del presente papa Paolo V. E pur hora nell' anno 1606, D. Francesco e coni annata in Barbaria (a) (264). R. Arch. di Stato in Massa Notizie e Scritture Genealogiche della, famiglia Cybo ad annum. (Autografo d’Alberico) Posto al libro rosso della casa (265). Si dev'avvertire che benché questa antecedente (?) bolla d’Honorio fusse fatta del 1131, che in dett’anno morì esso papa, e visse cinque anni, cinque mesi e tre giorni, che per- ("; Giunta autografa d’Alberico. — 103 - ciò fu creato del 1126, che tanto confermono dei antichi autori, il suplemento delle croniche di Fra Iacopo da Bergamo l’uno, e il Piattina l’altro, qual nara che Honorio fu creato pontefice l’anno incirca che Baldovino Re dijerusalem conquistò la città d’Antiochia, quale era di Boemondo marito della figlia, il quale Boemondo essendo asaltato da Rodoan (?) principe d’Aleppo potentissimo Signore de’ Turchi, egli andò per incontrarlo in Cilicia e facendo il suo allogiamento nel prato detto de’ Palii, quivi fu asaltato vinto et morto, per il che Baldovino havendo inteso che la figliola volea accordare con Turchi per dominar lei e scacciare una figlia erede sola che era rimasta, si mosse con prestezza, e benché trovasse qualche contrasto, conquistò Antiochia perdonando alla figliuola, alla quale diede due altre città al mare; ma perchè non si assicurava molto di lei, tardò alcuni anni in quelle parti e ritornando poi del 1131 a Jerusalem piaque a Idio tirarlo a sè · con infinito dolor di quel Regno ; si come pur morìa papa Honorio in detto anno, della cui assuntione e morte pigliò errore il Panvino e quelli che lo hanno seguitato scrivendo che fu assunto del 1124, che non può esser in modo alcuno; ma egli se ben fu deligente in molte cose, negligentissimo fu in altre assai per la sua troppa veloce e inpaciente natura, cagione che egli prendesse molti errori; però deve anco esser scusato in parte, non potendosi esser perfetto, nè saper tutto in sì gran moltitudine di cose e antichità d’anni. Altro autografo d’Alberico (266) [1555.] Et intervenne che essendo il Car.le Paceco Vice-Re di Napoli, di dove partito per venire nel Conclave et essendo vicino a Roma, si levò voce che veniva con molta gente armata, il che inteso dal Sacro Coleggio che già era rinchiuso, chiamò il Duca come quasi timoroso, ordinando che provvedesse a tale inconveniente et scandolo, qual Duca comandò al Principe, suo cognato, che rinforzasse alle porte buona guardia, nè che lasciasse entrare salvo il Cardinale con suoi partico- — io4 — lari servitori, e perciò egli cusi fece con la propria persona e spedì subito un suo acorto gentilhuomo con ordine che se vedeva esser vero la sparsa voce, dicesse a Sua S. Illma che era bene anzi necessario che mandasse in dietro dett armata gente, cusì commandando il generale per comessione del Sacro Colleggio, et che esso Principe Sarebbe ad accompagnarlo fin nel conclave, se bene la città era quietissima; et in caso che fusse vana la voce detta, che lo visitasse in suo nome, perchè era assai domestico servitore et amico suo prima della gita a Napoli, et che con desiderio lo stava aspetando per servirlo et accompagnarlo in conclave, dov era desiderato da tutti gl’Illmi Cardinali intenti, e pronti all elle-tione d’un santo e benemerito Pontefice. Il gentilhomo fece il secondo uffitio e non il primo, come non punto necessario, poiché solo haveva la solita sua famiglia, con sei paggi con zagaglie, che tal era la tanta armata che dicevano da spaventare Roma, il palazzo.e conclave; il che inteso dal Principe, inviò il proprio gentilhomo [quello che avea già mandato a esplorare dal Cardinale] al Duca et egli con numerosa compagnia di cavalieri romani gl usci incontro, molto acarezato et ben visto, e conducendolo in conclave con qualche speranza di lui istesso, per esser la parte spagnola numerosa, benché non li cedesse la francese. Fu il conclave lungo, litigioso assai, ma pur alla fine casco il pontificato nella persona del Cardinale Teatino Caraffa, chiamato Pàolo IIII. 0 - Altro autografo dAlberico (267). [1:559]. H giorno apresso, nella piazza di Valedolid, li grandi et altri cavalieri fecero un gioco di canne con molte quadriglie bene in apunto e caccia di torro, nella quale dui cavalieri, lanceandolo, urtati, andorno con i cavalli in terra. Il seguente giorno si fece un lauto de inquisitione (a) stando un palco in quadro alto, al pari della loggia del palazo, nella quale re- (a) Un Auto da Fé. sedeva con il consiglio il Re, et erano circa quatordici inquisiti, quali, come S. M., con gran pacenza odivano legere i lor processi, il che finito, i condenati a morte, che furno preti, monache e qualche nobile, conduti alla piazza del campo, furno per i più abruggiati, e finito che hebbe S. M. alcuni publici servitii, se ne passo a 1 oledo, città amplissima sopra piacevoli colli, et hebbe licenza il Principe di riposarsi per il viaggio fatto in poste per certi giorni, che poi egli con i suoi creati e cavalli conduti d’Italia a Fiandra et di là in Spagna, che non erano pochi, segui il camino, vedendo Madrid acresciuto e abelito di poi assai, e giunse a Toledo, dove i furieri maggiori li diedero un honorevole et comodo palazzo di Dona Prancisca de Silva; et mentre quivi stete, regalava con ampia tavola i cavalieri di Corte et alcuni grandi et italiani, fra quali spesso era favorito dalli principi di Parma di tener’ età, e di Sulmona, Don Carlo della Noia, et ogni sera si trovava alla cena retirata del Re, qual sempre li parlava con molta domestichezza. Dopo il Re era grandemente favorito da tutti, et le dame lo chiamavano il Cavaliere dorato, perchè portava ricchi vestiti con molte gioie. Ma tratanto sucesse la morte di papa Paolo Caraffa et la elletione di Pio iiij, con il quale il Principe, mentre che fu cardinale, teneva strettissima amicitia, imperò che in Roma spesso con il Carle d’Urbino suo cognato et St0 Angelo Fer-nese si trovava in dolce conversatione e conviti con esso Cardinale, chiamato Medichino (268); la qual nova fu sì grata al Principe che giunto le pretensioni che haveva di riche pensioni et de altri negotii di qualità, che lo spinsero a chiedere licenza a S. Mtà con speranza di presto ritorno; la quale con amorevolissime offerte et con lettere non meno a ministri che al papa, le concesse; per il che, donato tutti i suoi cavalli et compratone quatro, si partì, visitando in Ouadela-sar la principessa di Portugal, che quivi aspettava la Regina sposa per ordine del Re suo fratello, et seguendo il camino drito vide Saragoza e Barcelona, città molto belle, et essendo ancora stato alla devotion di Monserato et regalato in — io 6 — Barcelona da Don Grazia de Toledo, vice Re, e da Dona Vittoria Colona, sua moglie, giunto al proprio confine di Per-pignano e Franza, li cascò il cavallo di poste adosso, senza però male, segno che non dovesse più tornar in Spagna, il che li fu di grandissimo danno, la cagione si dirà più a basso. Finalmente capitò a Genova et a Massa dalla moglie Donna Isabetta della Rovere, et fu di quaresima, con la quale fermandosi poco, arivò in Roma, alloggiando con il Cardinale d' Urbino, il cognato, con il quale andando dal papa, ta 1 furno i favori regali, che più non havria fatto al più caro nipote suo, et ben presto li disse che apresso l'amicitia voleva la parentela, et che scrivesse al Duca d’Urbino perche maritasse donna Y irginia, sua figlia della prima mo& ie lia Varano], che figlia fu della Duchessa di Camerino Cat-terina Cvbo, zia al Principe, et il Conte Federico [Borromeo] nipote, che rendendo gratie a S. Stà scrisse e assai presto si concluse il parentado con soddisfatione comune, per i che il Duca d’Urbino pregò il Principe a condure da po leti a Roma, con la moglie, Donna Y irginia, il che ece con tanta pompa che pareva ella la sposa, che con occasione ^ ^ feste, di lance, di tornei et altro tanto spese che pareggio l’altra della Cortee prima causa di non potervi tornare, papa alloggiò il Principe e moglie in Belvedere nel aparta mento de Innocenzo Viij, suo avo, et finito le feste et nozze, si retirò nel palazzo suo in Navone, dove stete sette mesi, ri mandando a Massa detta sua moglie e restand egli in orna per suoi affari, quali per la maggior parte andorno in ung e a male, non ostante le reali lettere et parentele. Fratanto non molto passò che, giunta a Massa, la detta moglie s ama o e morì, eh’apena correndo il Principe la trovò viva, secon a causa del tornare da S. M.; et asciugate le amare lacrime per la perdita de Signora di tanta qualità e bontà, volse pur rivedere Roma et il papa, per moverlo a qualche particulare d' utile suo, ma in vano per interessi diversi, onde preso nova licenza, li donò il papa una chinea armellina che riuscì buona et un diamante de A 500; nè potè resistere a prieghi — J07 — del Cardinale Gonzaga et di Don Cesar, suo fratello, che non tornasse a prender nova moglie, Donna Isabella di Capua, cugina loro, con honesta dote, la quale ricevè nel Ducato suo di Ferentillo et condusse con molta spesa a Massa, che n’heb-be i figliuoli che si sanno, et ne fece parentella delle femine con il Duca d’Evoli Grimaldo, al Principe di Salerno figliuolo, et con il Duca di Monte Marciano, a papa Gregorio Sfondrato nipote, che tutto arecò lunghezza et molte spese e impedimento al ritorno de Spagna. Altro autografo dAlberico (269). [1565]. Trattanto il Duca Cosmo maritò il Principe Don Francesco, suo figliuolo, col’infante d’Austria donna Giovana, figliuola del Imperatore, e dovendo ella venire a Firenze, chiamò il Principe pregandolo d’andare, con lettera sua, ad incontrarla et visitarla a Bologna; la quale comissione, ricevendola per favore, per la posta se n’andò a tal complimento et alloggiò con il conte Romeo di Pepoli, che haveva in moglie una cugina sua, et fermatosi un giorno, venne la Serenissima sposa, incontrata in poste dal Principe con dodeci creati, vagamente vestiti, e giunto alla presenza di Sua Altezza, che era in mezzo alli Cardinali di Trento et Borromeo, l’uno mandato dal Imperatore, l’altro dal papaPio iiij, smontò da cavallo, presentò la lettera et fece l'imbasciata inpostole, et n’ ebbe e ricevè parole cortese et affetuose, continuando poi a favorirlo per tutt’il viaggio et a Firenze ancora; che prima di arivarvi, Bonromeo hebbe correro ch’el papa era moribondo, per il che con tutta diligenza, benché in letiga, giunse a Roma, che ancora parlava il papa. In Firenze si fece sontuosissima intrata et era la sposa vestita di tella d’argento; la testa, capeli sparsi lunghi con ricca corona, talché per essere bianca et si ben’ adornata rendeva di sè gratiosa et allegrissima vista. Molte feste si fecero, fra l’altre gioco di carosele, dove vi interviene il proprio Duca et il Principe Don Francesco; et una quadriglia alla greca di tella d’argento et veluto turchesco tocò al Prin- — ιο8 — cipe come in tutte l’altre, le quale spese dal Duca furno fatte con molta liberalità, e nel gioco di caroselle non volse altro cavallo il Principe che un suo ginetto baio, di mediocre grandezza, comprato in Madrid. Et perchè fecero uscire in piazza un feroce torro, fu invitato il Principe da un cavaliero romano. Angelo de Cesis, ad andare a torear il torro alla spagnola con bachettoni ben aprontati con ferri, il che non recusò, et acostatosi a quello, essend'in mezzo d Angelo et d’un capitano spagnolo alla gineta, doppo havere sbufato et voltato più volte, il torro si spicò contra il Pnn ' cipe, quale butatole in faccia il baccheton detto, tanto più si sdegnò et de buon corso venne alla volta sua, che pero voltando il cavallo e ben spronandolo cercò d assicurarsi, ma il povero gineto, straco delle tante carriere fatte, a pena prese un lento galopo, che per ciò arivato, li tirò si forte che hebbe a cadere et restò ferito dietro con tanto sangue che parea una fonte; tuttavia si fermò il torro, et giunto il Principe nel squadron de tutte le quadriglie, li disse il Duca del gran pericolo, del quale scordatose presto, montò sopra un altro suo cavallo di Mantoa, corsero con la coda fasciata, et subito con i medesimi si fece innanti, et il bravo torro, la sciando gl'altri, corse verso di lui, che feritolo un poco con il pungente bacheton, voltando e spingendo il cavallo che assai bene coreva, si discostò da quello, ma con tutto ciò 10 regiunse et diede una gran cornata nella fasciata coda, la quale lo riparò di non stare ferito, et giunto, ridendo, dal Duca, disse: La terza volta vada pure qualcheduno a far sua prova; il che fu acetato dal Capitano Spagnolo, pigliando una zagaglia, et passo passo acostatosi venne furioso il torro, et egli saldo li tirò, credendo e sperando di coglierlo in una tenera parte della testa, che se cusì seguiva restava morto il torro, ma non lo colpì apena, onde restò lui balzato a terra con’il cavallo adosso, con gran riso et voci di tutta la piazza, che fu il fine di quella festa; e doppo altre 11 Principe se ne tornò a Massa, et di là a Roma, dove non stete molto che la moglie morì, che a pena la trovò viva. — 109 — [1572]· Nè lascierò il dire che per gran bontà e pietà di Nro Sre Iddio ha felicemente visto [Alberico] e vede il numero di xiiij papi da quali fu sempre ben visto et acare-zato; e parmi di non lasciare un fatto che seeruì assai bur-levole, quale fu questo, -che essendo tra li Cardinale d'Urbino, suo cugnato, et Bon Compagno strett’amicizia, il Principe ancor egli fu assai domestico del detto Bon Compagno, et avvenne che, partendo Urbino per Pesaro, lasciò particulare cura de negotii e prettensioni del cognato a esso Bon Compagno, quale con ogni amore accetò la somma del tutto et in quella non lasciò cosa che prontamente non operasse, fin alla morte di papa Pio V ; et essendo il Principe a Massa, essendo scorso qualche settimana del conclave corse a Roma, et per apunto entrando nella porta del Popolo sentì voci diverse, che il papa era creato, ma diversamente nominavano il sugetto. Andò il Principe ad alloggiare in Piaza Navona con il Priore di Barletta, fratello del già Cardinale Francesco Gon-zaga, (270) qual abitava nelle case fabricate dal Cardinale di Trani, nobil romano, et com’era di primavera, volse il Priore che di giorno si cenasse, come seguì, con la nova certa di Bon Compagno al papato, il che arecò contento infinito al Principe, et pregò il Priore d'andar subito dal papa; il che non voleva fare prima della mattina. Tutta volta, venuta la caussa, si resolse pure a moversi, ma giunti al ponte di Castello, con il numeroso concurso di genti e cocchi non si potè passare nè giungere a Palazzo che di notte, dove pur furno altr’im-pedimenti che fecero ritornare a casa il Priore, ma il Principe tanto fece, passando per il conclave, che giunse nell’ anticamera del papa, dove per anco non era regola nè guardie, e per la strachezza et quasi hora del dormire, era il papa a letto, chiuso di cortinaggio di raso cremesi. Alla porta erano molti che picchiavano senza risposta, però quelli, facendo largo al Principe, lasciorno che s’acostasse, et dicendosi a camerieri, che sol dui erano, chi fusse il Principe, fecero saperlo a Sua Santità, la quale comandò che fusse in-troduto, e nel aprire la porta tanto fu la confusione di quelli — IJO — che anch’essi entrare volevano, che il Principe apena entrò in gibone, perdendo il capotto, che di raso ben guarnito era, et perchè i duoi camerieri difendevano la porta et il letto restava rechiuso, se rie stava il Principe aspettando il fine della contesa della porta, la quale pure al fine rechiusa, an-dorno detti camerieri ad aprire la cortine del letto ed egli, in ginocchio, s’apresentò al papa, il quale teneramente abracciò et doppo le parole di complimento volse S. Sta dar minuto conto di tutto quello che haveva fatto de negotii suoi, per il che essendolene reso gratie convenienti et infinite, sugiunse che la S“ Sua le facesse giustizia del capoto toltoli, et che sua non era la colpa se la S*3 Sua lo vedeva in gibone, che egli ardito di tanta domestichezza non sarebbe stato ; la qual cosa tanto le piaque che tre volte lo tornò ad abra-zare dicendoli che ben era giustissima la dimanda e ne sarebbe compiaciuto, et cusì preso licenza se ne uscì di camera et li fu restituito il preso capoto, tornando a casa che il Priore di buon pezzo dormiva (271). Da un foglietto staccato, di pugno di Alberico- Alberico è fatto dal Imperatore Maximiliano Prìncipe d'imperio con tutti i suoi discendenti Principi di Massa. Alberico ne'tumulti di Genova, 1 anno I575i rìceve nel Stato suo multe famiglie de parte de’gentiluomini vecchi, come del Principe Grimaldi de Salerno, alcuni di Spinola, di Doiia, di Mare, di Lomellini, de Negroni, de Pineli, de Saivaghi, de Centurioni et altri, et in [congiunture] importanti fa gran servitii alla Republica, et accomodate le discordie va a Genova et è ricevuto presso al Duce, con decretto honorevole et con de segnalati favori (272). Alberico del 1621 è fatto Duca da Paulo [Vt0], Duca del Stato suo antico de Ferentillo, presso a Roma due giornate, per grazia del papa Paolo V; et da Filippo IIJ, Re d Ispa-gna, li è dato titolo de pmo (?) che è quello de grandi, che quando fusse alla presenza del Re lo facia re[co]prire. — Ili — Alberico ottiene dal Imperatore Ferdinando II maggior prerogative ne’ suoi privileggi di creare conti, del nome di cità a Massa, terra nobile grande bella, dove edificò case e palagi, del 1620 (n) (273). Memorie della Chiesa di Carrara nel libro del Signor Principe Alberico, carte 29. (ù) Memoria constructionis et edificationis ecclesiae Carrariae estractae ex antiquissimo papiro, fideliter. Natalis Domini CCLiiii Lutius Papa Romanus sedens, in die Assuntionis Beatae Mariae Virginis a quibusdam mercatoribus Saracenis evasis a fortuna maris apparitione Virginis Mariae matris Xpi fili Dei, largitum fuit sibi magnum pondus auri, ut pro eis apud eam effunderet preces. Quo audito Volutianus Imperator Ecclesiae Xpi inimicus, captis eisdem mercatoribus, ipsos decapitare fecit, et statim de sede expulit Lutium Pontificem, et per multos lunae circulos tenuit illum exulem, et habens multa pondera auri secum, se transfretavit in agro pisano, ubi ecclesiam in honore beati Jo. Baptistae pavimento mirabili lapidibus Carrariae, Vexa-liae, pro maiori parte albis diverso colore confecto, fundavit. Imperator antedictus, habita notitia rei, misit exploratores ut dominum Lutium Pontificem caperent, et ad illum captum ducerent cum omni eius tesauro. Admonitus Lutius Pontifex, noturno tempore itinerans Mediolanum versus, vovit fundare ecclesiam in honore Assumptionis beatae Mariae Virginis, si manus et vim Imperatoris evaderet. Appulso Lutio Pontifice Mediolanum et dein in Allessandriam nundum bisenis fluxis lunae circolis, Romanorum mortuo Imperatore, maximo aplausu revocaverunt dictum Pontificem in patriam. Re-deunte dicto Pontifice ad sedem et pretereunte per mariti- (a) Nella registrazione, invece, 1622. (*) Manca nel Libro dei Ricordi: o non vi fu trascritta o era ne' fogli lacerati. — 112 — ma Lunae, vidit plurimos lapides albos magne magnitudinis ad istantiam Decii Imperatoris illuc transeuntes, et novata sibi memoria voti, cernens a longe eorum efudinas, reliquit Rotùlum et Alemannum, eius Nepotes, cum maximo auri pondere, ut in eisdem finibus Carrariae, Vexalis, fundarent Ecclesiam in honorem Assuntionis beatae Mariae V irginis a fundamentis ad culmina erectam, factam et optime compagi-natam solum modo ex dictis lapidibus et non alia re, absque lignis et regulis alienae lapidis, et ita fuit inceptum; sed nondum peractum, recusante morte dictorum nepotum, qui loco sepulcri elegerunt sibi campanile per eos confectum, usque ad secundas iinestras, in quo eorum corpora unum post aliud acutissimis febris consternata iacent sub his litteris loco epittafiis, videlicet: ROTULUS ET ALEMANUS FRATRES, LUTII PONTIFICIS NEPOTES EX LIVIA SORORE, HIC EQUALI SORTE QUIESCUNT. Il suddetto Papa Lutio fu il primo...... (274). C) La santa memoria d’Innocentio [VIII] dete la chiesa di Carara alli frati di Lucca dove non è memoria alcuna, per il che voglio farle l’inclusa memoria. Vegga dunque lei se sta bene che più breve non mi pare che si possa fare. A suo seruitio Alberico Cybo. (275) [a tergo] INNOCENTIUS Vili CYBO P. M. ANNO SECUNDO SUI PONTIFICATUS ECCLESIAM HANC PERPETUO UNIVITET APROPRIAVIT CONGREGATIONI ISTI CANONICORUM REGULARIUM SANCTI SALVATORIS ORDINIS SANCTI AUGUSTINI ET IN PRIORATUM CONVENTUALEM EREXIT PROUT LEGITUR IN LITERIS DATIS IANUAE ANNO DOMINI i486 PRIDIE NONAS IUNIIS A IULIANO DE RUVERE CARDINALI SANCTI PETRI AD VINCULA NUNCUPATO, TUNC AD NONNULLOS ITALIE ET GALLIARUM PARTES ALIAQUE DOMINIA ET LOCA APOSTOLICAE SEDIS LEGATO CAUSA UNIONIS PRO BELLO TlIRCARUM. {“) Non c’è altro. INNOCENTIUS OCTAVUS CYRO, PONTIFEX MAXIMUS TEMPLUM HOC AUGUSTINIANAE CONGREGAT. PRIORATUS TITULO, PERPETUO ASCRIBI VOLUIT CUIUS REI LITTERAE TESTES SUNT SCRIPTAE AB AMPLISS. CARD. IULIANO A RUVERE APOSTOLICAE SEDIS SUMMA AUCTORITATE LEGATO GENUAE ANNO MCCCCLXXXVI R. Arch. di Stato in Massa Notizie genealogiche de' Cybo. Nipoti di Caioiane Cibo ("). Ciò è messo a carte 137 del anno 1346, dove raconta la presa del isole de Scyo dal Vignoso, cjuando dice posseduta o usurpata da certi signori greci con Γ aiuto del Impre di Costantinopoli, si deve sogiungere: E benché i nostri Annali habbino scritto in confuso da chi era posseduta ditta isola, mi occore, per maggior chiarezza del fatto, recitare quanto n è scritto nel libro delle Convenzioni di Scyo, che e apresso al dottor Bernardo Giustiniano nella città nostra, qual nara che Caloiane Cybo, greco, capitano del castello et governatore et signore, non possendo mantenere per più tempo la diffesa della citta, havendo, per tenersi, in vano aspettato il socorso da Costantinopoli, la diede con honore-voli conditioni a Genovesi et per loro al generale Vignoso, il quale promise, fra l’altre cose, che gli sarebbon lasciati i suoi beni patrimoniali et il iuspatronato de una sua chiesa e confirmatoli alcuni privileggi imperiali che havea, e acordatogli da la republica di Genova, et come più a lungo appare in dua instrumenti che passorno fra detto Vignoso et il Cybo. Da che si può affermare che per benemeriti di lui l’imperatore gli havesse dato questa Isola, nella quale fusse anco (") Autografo d’Alberico. - H4 - stato il padre, per la ragione ditta di sopra di quei beni della chiesa et ditti patrimoniali : ma quel che di poi seguisse di Caloianni et di Costantino suo fratello, non se ne trova memoria alcuna, o che venissero a Genova o tornassero in Costantinopoli. R. Arch. di Stato in Massa Carte de Cybo avanti il Principato. Età delli Signori padre et zìi. (") MDLV. Il Cardinale Cibo haurebbe adesso anni 64, e nacque nel 1491 (*). Il Signor Lorenzo havrebbe adesso anni 55, e nacque nel 1500 (c). La Signora Duchessa (Caterina) ha di presente anni 54, perchè nacque nel 1501 (d). Il Signor Gio: Battista havria anni 47 perchè nacque o nel 1508 ('). ■ _ La Signora Contessa di Caiazzo (Ippolita) havria anni 52, che nacque nel 1503 {/). Il Signor Piero Cibo havria adesso anni 44, e nacque nel 1511 ('). (") Di pugno d’Alberico. (4) Cfr. Parte I, pag. 4. (f) Cfr. Parte I, pag. 4. (d) Cfr. Parte I, pag. 5. (f) Cfr. Parte I, pag. 5. Resta, dunque, integrato il 15....8 del testo. (/) Cfr. Parte I, pag. 5. (■?) Cfr. Parte I, pag. 5. 4 R. Arch. di Stato in Massa. Carteggio di Alberico I. ad annum. Lettera di Caterina Cybo-Varano, duchessa di Camerino, al nipote Alberico. Hormai V. S. sarà tornato dalla corte del Principe, piaccia a Dio che sia con sanità. Alle sue due letere non ho risposto per questa asentia: hora le dico che quella sua fu molto grata al signore Duca, et mi fa instantia eh’ io gli sapi dire, se la pratica venise a conclusione, con chi si ha da contratare. Desidereria sapere se sia da pasare per le mani della Signora vostra matre, et di questo mi fa istanza grande che gli lo avisiet prestissimo: et se V. S. si contenteria delle condicione che si son fatte con l’altro. Gli ho risposto che mi credo che V. S. concluderà la pratica, poi si cercherà mezi di fare che la signora Marchesa si contenti, et delle condicioni si rimeterà in Sua Ecelenza: imperò saria bono mi avisasi che convencioni sono ; pure che tuto questo è mia opinione che ne scriverei alla S. V. e secondo la risposta aviserei quelo intende fin qui. Rispondami liberamente Γ animo suo acciò posi risolvere Sua Ecelenza. Resto con pregar Dio vi ilumina et consigli in tute le vostre accioni, et di cuor mi li aricomando. Da Fiorenza il dì 4 di lugio del 51. Di V. S. Zia che di cuore l’ama, Caterina Cibo. Al Ill.mo Sig.re et mio nipote caris.m" il Sig.re Alberico Cibo Malaspina Marchese di Massa In Carara, cito cito (276). R. Arch. di Stato in Massa Matrimoni della casa Cybo ad annum. Lettera di Alberico Cybo alla Signora Marchesa di Massa, sita madre, quando voleva pigliare la prima moglie. Ill:na Signora Madre, M’ero di già messo in camino per venire a Fioi enza dal Duca, a far quanto da lei mi fu ordinato prima alla andata mia di Genova, et non sarei ancho veramente venuto, se io non havessi scritto al Duca di voler a ogni modo far questo debbito con Sua Eccellentia doppo ch’io fussi tornato da Genova. Quando in Pisa, contro a ogni mio credere, mi parlò da parte sua, dandomi ancho lettere di quella, M. Raffaello Colombo, per il che quanto di questo sia restato fuor di modo ammiratissimo, lo lasserò giudicare a lei, essendo stato sempre in me desiderio grandissimo di fargli cognoscere, con veri effetti, quanto gli sono et sia per essere figliolo amorevole, sì come spero ch'ella per me deve essere. Et per rispondere alla lettera di V. S. in parte, gli dirò che, essendo io continuamente premuto da un dolore troppo grande, in pensare che V. S. si fusse lassato così facilmente uscire delle mani un parentato tanto giusto et onorato e tanto desiderato da me, e sapendo io, come gli dissi a Roma, che dentro vi era garbuglio, cerchai di intendere in che termine la cosa se ritrovava, e in quel punto mi fu detto se in caso che la cosa non più andassi innanci, se mi risolverei a contentarmi di quella : mi parse a l’hora de non manchare de dire liberamente l’animo mio, qual era tutto volto e risoluto in voler quella ogni volta che con bona licenza mi fusse stata da lei concessa, come risolutamente credevo che — ii7 — Ella non mi dovessi manchare, sì per esser il parentado sì convenevole et grande, come anche perchè sapevo d’esser da V. S. amato fuor di modo et molto più di quello che non meritavo io, et che per cagione alcuna ero certo che non mancheria di tal gratia farmi contento et degno. Però la cosa se n’è stata sempre mai chetta e non ho più saputo altro: ma quando pure fussi posibile che io ottenessi questo mio sì grande desìo, la suplico et costringo, che pur so io d'essere amato da lei, a restare satisfatta et contenta di questo, volendo che però passi il tutto per le mani di quella, ricordandogli quanta sia grande la infelicità d’un giovane tor moglie al dispetto suo et contro ogni suo volere, et dal altro canto quanto contento arechi a far altrimenti, sì come ben ella può considerare, essendo piena d’ogni bon giuditio. In quanto a l’haverla V. S· remissa nel Duca di Ferrara, non mancherano a lei modi nè vie di far che egli anchora se ne contenti, sì come so che facendo il dovere non è per manchare, sopra a l’haver datto io la mia fede, com’ella dice, ancorché io, per compiacere a lei-, gli dicessi che se V. S. volea mandare quella lettera la mandassi, non manchai per questo fare con bel modo intendere a Sua Eccellentia l’animo mio, di manera ch’io me la teneo per fatta ; ma havendo egli altrimenti fatto, me ne dolsi infinitamente, sì come gli dissi, et per questo non sono come Ella dice obligato a niente. Le cose che di sopra ho detto non son state se non un disco-rere seco et rispondere alle lettere scrittemi da lei, però la supplico a perdonarmi e a risolversi, quando pure la cosa venisse innanci, di compiacermene, et pensi che l’à sol un figliolo che più che sè stesso l’ama assai, et che pur la ragion vorebbe che d’una sì cosa honesta ne fussi da lei satisfatto, massimamente per essere sempre mai in lui un animo umilissimo in far tutto ciò che da lei gli sarà comandato. Al cappittano Baccio gli ho, secondo l’ordine suo, datto licenza et verà egli da V. S. per fare ancho quanto la vorà. Ercole mi domandò, per irsene a Bologna a far certe sue faccende, licenza, e così gliela diedi, et di lui anchora ne sarà fatto — ιι8 — tanto quanto lei si contenterà ; et per non havere altro che dire a V. S. gli bascierò le mani, che Idio la feliciti. Di Firenze, il dì XXIII di luglio 1551· Di V. S. Illrna Obedientissimo figliolo Alberico Malaspina Cibo (sic) AlTIllma S.ra M.re Carissima la S.ra Marchesa di Massa (277). R. Arch. di Stato in Massa Matrimoni della Casa Cybo ad annum. 1562. Informazione del Capitan Iacopo Diana, di Donna Antonia di Aragona e di Donna Isabella di Capua che fu poi moglie di S. E. il Principe Alberico I Informatione di D. Antonia de Aragonia, secondo gè-genita del Ecc.za della S.ra Marchesa del Vasto. È una signora di statura svelta, à il viso ritondino, di bello aspetto, la persona delicata, ben fatta e rossetta et tira nel bianco, che questo lo può causare 1 acconciarsi ; a il mento un poco piccoletto, il naso grassetto in cima, rilevato alquanto a lo in su, la bocca bella agripina, gli occhi bianchi, et uno di essi pare che tiri al gazzuolo che fa stare in dubbio che la paia guercietta, non di meno non se le di sdice et le da gratia; la fronte alta bella, con delicati capelli bianchi, (!) la gola è rotonda: svelta, bellissima, cammina con gratia inestimabile, et intendo che à bellissimo parlare et bella maniera nel procedere suo, et è laudata assai di virtù. Parlai a un pittore che la ritratta più volte et mi disse che l’occhio non à nissuno difetto in sè, ma il bianco gazzuolo lo fa parere cossi ; et a me piace assai. Il Marchese di Tore Maiore, che à 12 mila ducati d’entrata, l’enpazza apresso et fu causa lui ch’io la vedessi. Informatione et qualità de la Casa del Illmo S.rc Duca di Tremoli, principale in Regno. Ritrovo che questo Signor Duca è di Casa di Capua, nobilissima et de le principale, et che sia il vero il padre del sopradetto fu huomo raro, et la sorella sua fu moglie al Signor Don Ferrante Gonzaga, Principessa di Molfetta, et le son figliuoli ii Signor Cesare et-li altri fratelli che si sa: l’arcivescovo d’Otrento fu pur stretto del padre, zio del duca d’oggi. Lo stato del detto Signor Duca è parte in Abruzzo et parte in Capitanato, quale è: Termoli città di 250 fuochi, bella, sul mare Adriatico. Colgunisi, castello in quel loco. Santo Martino, Castello Frosolone, Montagna, Gramatesa di 500 fuochi, dove si ritrova al presente, che dicano esser luogo di piacere, freschissima, et questo stato è tutto unito insieme, che circonda da 40 miglia poco o meno. Et à d’intrata, un anno per l’altro, da 15111 16 mila ducati, quale sono tutte di grani et bestiami, et quanto più vale il grano tanto più eresse l'interesse. La moglie sua, al presente, è unica figliuola della felice memoria del Principe di Bisignano, et in caso che morisse il figliuolo di detto Principe, che à da 10 anni, rediterebbe la moglie del Duca, sorella del putto, il principato che importarla assaj. Detto Duca haveva cinque sorelle et tre fratelli con esso luj ; la prima sorella fu moglie al Signor Pardo Papacoda, con 18 mila ducati di dote in circa, salvo il vero, la quale morì senza herede. La seconda genita è maritata al primogenito del Marchese di Treviso, cavaliere principale et del Consiglio di S. M., et hebbe di dote 25 mila ducati, la quale è viva con due figli, un maschio et una femina, et è signora rara et virtuosa. La terza sorella, che oggi s’à da maritare, si chiama Donna Isabella di Capua, quale è di età di 20 anni in circa, di persona alta et grossa, disposta et — 120 — è tenuta bella, le fatezze del viso sono tali, tondo, il naso profilato, gli occhi grossi et neri, ale labra alquanto gios-sette, con la fronte alta, li capelli biondi, come sono tutta la sua casa. À in mostra bello aspetto et il procedete signorile: non è de le più eccellente belle del mondo nè meno de le brutte, più presto e tenute belle che altrimenti. Et volendola già maritare nel Conte di Matalona, mor to, il padre di lei le volse dar di dote 20 mila ducati, et esso ne voleva 24 mila. Però li son stati altri partiti che la volevano, et suo zio l’arcivescovo li dava 24 mila ducati ponendocene de’ suoi non so quanti. La detta si ritrova, secondo intendo, col fratello in Gramatesa. Ha dui altre sorelle, belle, le quale sono nel Monasterio, fatte monache, di Santo Gnioso a presso Santo Aniello in Napoli. Li due fratelli uno n’è in studio a Padova, 1 altro sta presso al Duca, però senza titolo alcuno (278). R. xArch. di Stato in Massa Carteggio d'Alberico I. ad annum. Sulle pretese dei Marchesi di Scaldasele. Informazione di Ascanio Crispo Governatore di Massa. Ecc.m° mio Signore, Il Marchese Giacomo Malaspina lasciò duoi figliuoli : Antonio Alberico e Francesco, e se bene non fecce testamento, forse per non haver havuto tempo, haveva però pubblicamente e con vassali e con altri, lasciatosi intendere che volea che il Marchese Alberico restasse suo successore nelli stati di Massa e Carrara. Morto lui, tra detti fratelli venero differenze nella divisione, e se compromessero — 121 — nel populo di Massa, quale, come amorevole e confidente all’uno e all’altro, ellessero perchè declarasse tre di loro quali havessero a fare detta divisione, promettendo detti fratelli di stare a quanto detti tre declarassero e con grave pena s’obligorno a starci. Elesse il popolo li tre arbitri, che furno dalle parti accettati, quali poi, intese le differenze di detti fratelli, le decisero, e come certi della mente del padre di detti Marchesi, che così attestano nel loro loddo, diedero e assegnorno, in sua parte, al Marchese Alberico Massa e Carrara, e condennorno detto Alberico a dare scudi 500 d’ entrata al Francesco, de tanti beni in Massa o in Lombardia, e così sententiorno l’anno 1483. Da quale sentenza s’ appellò il Francesco viva voce all’ Imperatore e al Duca de Milano. Ma non fu 1’appellatione proseguita. In essecutione poi di detta sentenza offerse l'Alberico al Francesco tanti beni per l’entrata che non fu da esso accettata. Morse poi il Francesco e lasciò suo successore Ludovico suo figliuolo minore, a quale lasciò tutori il Marchese Gabriele di Fosdinovo, e il Duca di Milano Ludovico Sforza : a’ quali detto Alberico offerse di novo detta entrata in tanti beni di S. Nazaro e Scaldasole : quale fu da detto tutore accettata e dal Duca approvata, e così hebbe detto loddo e sentenza essecutione l’anno 1491, nè mai a detta sentenza fu contradetto, nè dal Ludovico, nè tampoco doppo esso da Ottaviano suo figliuolo e successore, quale morse e lasciò doppo lui li Marchesi Ludovico, Ercole, Gabriele, Giuliano, Francesco e Giulio Cesare suoi figliuoli. A quali venne voglia 1’ anno 1566, 83 anni doppo detta divisione, di re vangarla sotto pretesto d’enormissima lesione, pretendendo anche, che, per esser mancato il Marchese Alberico senza figliuoli maschi, havendo solo lasciato la Marchesa Ricciarda, madre di V. E., che perciò spettasse a loro tutto lo Stato di Massa e Carrara. Ma come che finalmente si chiarissero che la divisione suddetta era valida, e che v’era transcorsa così longa prescrittione con legitimissimo titolo e buona fede, e che la gloriosa memoria di Carlo V Imperatore havea data libera investitura a detta Marchesa Ricciarda de detti stati decaduti all’Impero, per non havere gl antecessori suoi prese dall Imperatori le necessarie investiture, e che già erano, da detta investitura in qua, passati anni 37, e per altre raggioni di qualità, che per brevità tralascio, sì ressolsero tentare di cavare qualche cosa da V. E. e renon-tiare liberamente ad ogni loro attione e pretensione, e e riuscite il dissegno, perchè V. E., forse per^ redimersi c a fastidii o per la naturale clemenza sua, si compiaque de c ar e scudi 4400 d'oro in oro, e così detti fratelli le renontiorno solennemente, con intervento del magistrato e parenti per li minori, ad ogni loro attione e ragione che in qualsivog ia modo potessero pretendere, approvando di novo detta ^ ivi sione in ampia e solennissima forma, da quale renontia in qua sono passati 40 anni, prescrittione longhissima. Da c ie si vede che, sia per la sentenza suddetta arbitrale, data 12 j anni sono, passata in giudicato, essequita e accettata e poi approvata da detti ultimi heredi, come anche pei la etta investitura, fatta de detti stati a detta Marchesa Ricciar a dalla Mto di Carlo V, che n’ era fatto vero padrone per la caducità, non è ponto da dubitare che detti Marchesi 1 Scaldasole, successori di detto Francesco, puossino ti avagliare 1’ E. V. per qualsivoglia loro pretensione, e di questo sia servita quietarne sopra di me, poiché sa che in 23 anni che io lo servo non gli ho mai detto cosa che non sia stata da altri dottori approvata e da me sempre deffesa e mante nuta, per gratia de Dio N. S. e della Santissima Vergine, quali prego conservino felice lunghissimamente 1 E. V., a quale humilissimo m’inchino. Di Massa li 2 d’ottobre 1606 Di V. E. Ulu.ma Fedelissimo Servitore Ascanio Crispo (279). R. Arch. di Stato in Massa * Scritture genealogiche della casa Cybo. Ricordi per la casa Cybo al Sig. Principe. Dal Vialardi: 1570 (280). Il procurare d’illustrar le cose sue e mantenerle nella luce della memoria de gl’huomini è la più degna opera che far si possa, e però a questa deve posporsi ogni altra cosa. Per far questo per conto della casa di V. Ecc.za bisogna necessariamente far le infrascritte cose : Procurar d’havere i libri citati e notati nella lista a parte per veder se parlano de Cubei o sia Cybi e come ne parlano. Saper al giusto le grandezze de’ Tomacelli, poiché sono communi con quelle dei Cybi, essendo un’istessa casata. Saper minutamente quelle de’ Cibacchi di Transilvania per lo medesimo rispetto. Concordare il simolacro del Ciccarello con le annotazioni di Francesco Maria Cybo, il libro rosso grande e quanti trattano dei Cybo e di tutti questi libri da huomo famoso e da scrittore eccellente farne fare un solo, il quale, come si è detto, sia composto da valent’huomo, perchè le opere scritte da persone di poca levatura moiono il primo giorno che vengono in luce e così non si ottiene l’intento di far note al mondo le cose e le memorie sue ; e il quale libro anche non habbia cose superflue, nè minute o mediocri, poiché a dar lume alle case dove ci sono soli di Papi e personaggi grandi, non ha del buono servirsi di candelette di cavalieri o nobili privati, perchè se bene costoro danno ornamento a una casa nobile, non danno però splendore alle casate che illustrissime sono. Agli elogii del Foglietta aggiungere tre o quattro di alcuni Cybi da lui lasciati, e farli ristampare latini e volgari. Spedirsi e risolversi presto intorno all’aggiunta del Bon-fadio, perchè quanto più si tarda più se ne vendono e meno ne resteranno da essere visti con detta aggiunta. — 124 — Α1Γ opere che sono in essere, dalle quali ho detto che è necessario di cavarne una quinta essenza e farne un solo che habbia forma di libro compito, aggiungere il discorso del Reger, stampato in Ulma. il quale tratta benissimo della cosa di Zizimo in lode del Papa ; nel catalogo aggiungere Berlenda Cvbo, il Monaco delle isole d oro, il Patriarca Con-stantinopolitano, del quale V. Ecc.:> ha una memoria, 1 origine de’ Capucini attribuita a Caterina C}rbo con lettera autentica al provinciale o congregazione de Capucini, 1 aquila conferita da Rodolfo II a V. Ecc. e le lodi le quali Galeotto Martio nel libro De doctrina promiscua da a Innocenzo VIIJ e la memoria che ne fa il Pico della Mirandola, e ciò si intenderà de’ Cibacchi, e finalmente ridurre le cose a ordine in quanto a i tempi. Far far l’aggiunta d Arano al Paccio o, per dir meglio, farla stampare. Ricordarsi di far scolpire l’epitaffio di Maurizio. E sopra il tutto far stampare il Corello de Cardinali, il Scaglia e il Fanusio, perchè sono quelli che trattono più di ogni altro dei Cybi, e però bisogna citarli per honore della casa, nè si darà loro fede o autorità se prima stampati non si vedono. Una vita anche dei due Papi a parte, compita e scritta alla plutarchesca, saria cosa buonissima e molto a proposito. R. Arch. di Stato in Massa. Carte de' Cybo di Genova. Memoria della Croce in S. Marcellino di Genova inscrittione in marmo. Credesi che essendo stato Tomaso [Cybo] (281) huomo di qualità et travaglio, et che diverse volte navigò in Levante, fosse egli quello che donasse a S. Marcellino, parochia del suo quartiero del Campo, alcune reliquie et un bel- - 125 — lissimo pezzo della Croce Santa, quale hoggedi si conserva in detta Chiesa, et era riposto vicino all’altare grande in su la mano dritta, quando s’entra, con questa inscrittione: 1461 DIE PRIMA APRILIS HIC EST CRUX VERA CUM CERTIS RELIQUIIS SANCTORUM ET SANCTARUM QUAE SUNT NOBILIS ALBERIGHI DE CYBO, UT APPARET IN ACTIS RAGII NOTARII. (282). Inscrizione per Ricciarda Cybo Malaspina. RICCIARDAE MALASPINAE MARCHIONISSAE MASSAE ILLUSTRI GENERE, CONIUGE, PROLE BONISQUE OMNIBUS FELICISSIMAE ALBERICUS FILIUS PIENTISSIMUS CONTRA VOTUM PARAT VIXIT ANN. LVI, MENS. III, DIEB. X. OBIIT ANNO A PARTU VIRGINIS MDLIII IDIB. IUN. (283)· R. Arch. di Stato in Massa. Carteggio d'Alberico 1 ad annum. Lettera di Gùiseppe Be tussi ad Alberico (284). III.’"0 et Ecc.”10 Sig. mio sempre Oss:no Padrone, Ho sentito, in un punto, piacere e dispiacere nel ricevere l’umanissima lettera di V. E. Piacere, conoscendo che Ella tiene ancora qualche conto di me, che le fui et sarò sempre, si per proprio merito, come per l’osservanza che devo al- — 126 — rill.ma et da me di continuo riverita S.rs et Pad.na la S.ra Leo nora. sua sorella, devotiss: servitore. Spiacere poi, per essere stato prevenuto da lei, là dove ho avuto ognoia intenzione senza altra sua saputa, et fuori d’ogni sua aspettazione, di dovermi un giorno appesentare, et mostrarmi per non indegno della gratia et dell’amore di quella. Ma poiché cosi e piaciuto al troppo ufficioso M. Danese, a cui dovea essere assai lo havermi compiaciuto in alcuna cosa, che io aveo conferita seco, senza passar più oltre, non solo ringraziero V. S. Ill.ma della buona opinione, che di me dimostra, ma per ubbidire in scriverle, mi allargherò anche alquanto darle conto, cosa, che fin qui così innanzi non ho fatto con persona, di questa mia fatica. Sono forse venti et più anni, ch’io mi posi a far raccolta dell’origine, et di molti particolari degni di memoria di paiecchie case et an g illustre d’Italia, più per servirmene a occasioni in difetto _ i memoria, che con intentione di farne volume. Cosi di tempo tempo mi ho trovato averne messo insieme fascio così gran e, che a fatica a cercarne in tutti gli altri luoghi un terzo se ne potrebbe ritrovare. Trovandomi poi da tre o quattr anni in quà viver libero et disobbligato, mi sono dato a farne scielta, et ad ordinarle. Et a ciò molto spinto et confortato da diversi, che mi fanno credere con ragioni questa dover essere cosa lodevole, et che sara stimata da tutti, mi sono risoluto di darla a leggere al Mondo, il che fatto avrei n l’anno passato, che il mio disegno era che uscisse^ uóri prima che se ne havesse sentore da persona di famiglia c e vi fosse inclusa; ma il conferirlo solo col Signor Sforza Palla\ i cino in Padova fu cagione principale di farmi rompere questo proposito. Perciocché egli mi indusse a dovermi tran sferir seco in Lombardia, fino a Corte Maggiore, per vedere alcune croniche della Casa sua, dove da due mesi mi ci tenne, et il simile avvenne col Sig. Gio. Francesco Sanse-nerino et con altri. Dopo anche passata questa voce a orecchie d’altri, non ho potuto mancare di compiacere al Duca d’Urbino, a quel di Nivers, et ad altri Principi et Signori. - 127 - Et tanto mi è abondata la materia, che quando altro non me ne tosse avvenuto di buono, mi è successo almeno, che dove io avevo fatto una raccolta di cento et più famiglie, mi sono ristretto nel numero solo et ne’ particolari di queste, de quali le manda incluso l’indice, supplicando V. E. a non lasciarlo vedere a persona, che ancora sia consapevole deH’intension mia, in sapere de quali io tratti; et facil cosa sarebbe che io ne levassi fuora anco più d’una, che di ag-giungervene nessun altra ho quasi niun pensamento. È vero che per levarmi d’addosso ogni sdegno che me ne potesse venire, dò nome all’opera di — Prima parte —, non già eh’ io pensi mai di passare alla seconda, ma per dimostrare che in questo primo volume tutte non ci siano potute capire, nè io essermi voluto assunto di scriver di tutte. Ma il volume sarà ragionevole, et maggior di Clinio, et narrerò anche fatta scielta, che mi potrà dar poca cagione di poter essere rinfacciato. Onde avendola divisa in tre trattati, nel primo ci includo alquante famiglie estinte, si può dire, a’ giorni nostri, delle quali tratto le origini, le successioni, gli huomini che le hanno innalzate et abassate con i fatti loro, et in chi et quando son mancate ; da che si verrà a comprendere, che solo per scrivere cose degne et di pregio, et per formare una vera historia, et dar lume e vita a chi ha meritato, ho durato tanta fatica, et non con mira di utile, nè di compiacere a persona. Nel secondo descrivo le famiglie declinate, et che al presente sono ancora in essere, ma non quali furono già. Et nel terzo tratto di quelle che si sono mantenute, et hanno avuto accrescimento, nel termine et con quella qualità et numero d’ huomini in che oggidì si trovano, nel qual trattato v’ entra medesimamente quella di V. E. dalla quale sento un poco d’aggravio pregandomi nella sua, che nel trattar d’ essa famiglia et de’ suoi antenati, che io mi diporto bene et sinceramente. Signor mio Ill.mo et Ecc.mo, siate securissimo, che quando avessi conosciuto et conoscessi lo Scudo di V. E. per la mia penna, et da sè non poter esser — 128 — abile a poter stare a paragone del ducato, et di quello della miglior lega che si trovi ; che più tosto lo haverei lasciato, et lascerei fuori, che sopportar che rimanesse inferioie. Spe ro di dover essere ritrovato modesto et veridico, et in tutto dove mi sarà convenuto, per dimostrare eh io abbia investigato quanto si sarà potuto investigare, tassai e, o lo dare, mi sarò sempre diportato discretamente, et non ha verò detto nulla senza Γ autorità d altre persone nè senza fondamento ; chè gli scritti, Γ historie, e i Privilegi, de qua 1 mi sarò servito saranno tutti prodotti in margine, et pero mi sarà caro vedere quanto resta al Cataneo di mostrarmi per suo conto. Nè sodisfacendo a pieno a me stesso in que sto, et acciò conosca V. E. che io la bilancio sopra tutti, essendo io sforzato di dover passare fino a I urino, a Parma, et a Mantova a que’ Duchi ; non si vedrà questa mia fatica, v che in questo viaggio o prima non venga a ritrovarla, et non conferisca seco tutto quello che haverò disteso dan o gli Γ ultima mano. Et se frattanto mi si appresentasse °lu^_ che messo securo et fidatissimo, le vorrei mandare una o due i queste famiglie da me descritte (non in tutto intiere, perche compiuta non voglio che appartatamente se ne vegga^ al cuna finché non escon tutte), acciò non le fosse nascosto 1^ 01-dine, e la maniera che ho tenuto et tengo. Et fino nell or dinarle ho voluto aver consideratione, che 1 una dopo 1 altra le ho poste secondo l’Alfabetico. A me sarà assai eh’ io abbia fatto cosa fruttuosa al mondo, et grata a meritevoli. Et è tanta la fede che io ho nel valor del soggetto, che sicome ad arbitrio di fortuna, et de’ stampatori ho lasciato passar tutte 1’ altre mie opere giovanili, così questa più considerata ha da essere impressa a mie spese, o bene o male che ne venga. Da tutti quelli a quali mi son lasciato intendere, vi è stato largamente proferto ogni soccorso. Faccia poscia Idio nel resto. Or vegga V. E. che non pure mi ha dato occasione di scriverle, ma di fastidirla. Io in un olio di tranquillità, ad un palazzo del S. Pio degli Obizzi in villa, parte scrivendo, et parte fa- -- 129 — cencio dipingere in trentasei quadri tutti i fatti de’ suoi progenitori, per mano di eccellenti Pittori, con i suoi elogi di sopra, passo i giorni, il che andrà per questo et per lo seguente mese. Poi farò un poco di viaggio, et il primo volo sai a foi se in 1 oscana ; se pero conoscerò che sia grato a V. E. di cui desidero solo la gratia, et con reverentia le bacio le mani. A VIIJ di Giugno MDLXX. Dal Cathajo, sei miglia lungi da Padova (285). Di V. E. IH'.ma Devotiss.mo Servitore Il Betussi (A tergo:) All’ 111."10 et Ecc.mo mio Pad.nc e S.re sempre Ecc.mo II Sig.r Principe di Massa a Massa di Carrara. R. Arch. di Stato in Massa. Carteggio d'Alberico I, ad annum. Lettera di Don Ferrante ad Alberico Cybo suo padre III.'"0 et Ecc.”10 Signor mio e Padre oss.’"° Per l’ordinario di questa settimana non ho neanco hauto lettere di V. E., quali stavo aspettando con grandissimo desiderio, poi che ci doveva essere la risposta di quello che ho da fare; se a queste prossime tempore, che sono tra quattro giorni, non si innoverà cosa nisuna, che pur si spera che habbi da seguire, come V. E. doverà haver inteso dal Signor Marchese, da Roma, tutto quello che passa. Il non haver io haute lettere di, V. E., come ho detto di sopra, vado pensando che venghi perchè lei è solita inviarmele sotto piego del Sig. Governatore di Viterbo, quale da parecchi giorni in qua si trova fuori in visita, et questo me le haveva tratenute, il che segue 9 — 130 - con molta mia ansietà perchè sempre vorrei haver nova eh V. E., quale saprà di quel scielerato del Fiorentilh, che stava meco, ch'avendo l’altra sera alcune parole con il poverello del Malaspina, che V. E. pur sa che era meco, si shdorno a far costione, dicendo tutti dua di andar per le spade sole, come fece il Malaspina, ma l’altro tristo tornò con la spada che se li vedeva, ma sotto al feraiolo portava una pistola. Corse lì molta gente perchè non facessero custione, et intrando in mezzo,levorno le spade a tutti dua, once crece quelli, per non haver loro più arme che se li λ ec esser , non havesse a seguir altro si sbandorno, nel qual tempo i traditor del Fiorentillo, mentre che l’altro non se ne guardava, se lì accostò et li sparò nel petto la pistola che havea sotto nascosta, et quasi in su la porta del palazzo, e a qua botta quel infelice se ne morse subito, et lui che havea tirato se ne fuggì. Intesi io questo caso mentre che stavo per andarmene in letto, e con infinito mio disgusto se andò pensando dove si potesse esser salvato colui, et si scrisse in civersi luoghi acciò fosse preso, come seguì a Larboresciano, discosto di qua 3 miglia, luogo deli S " Colonna di Palestnna, a quali si è scritto perchè si contentino che sia rimesso q , dove è seguitosi brutto huomicidio con tanto poco nspett di questo luogo, essendo stato commesso, come ho detto a V. E., un passo fuori della porta del Palazzo, cosa che non deve restare senza il castigo meritato. Faccio a V. E. humilissiina riverenza, pregando N. S. che la conservi sempre felicissima. Di Caprarola, li 12 jbre 1591. Di V. E. 111“ Ser.re et figlio obedientissimo Ferrante Cybo Nella registrazione : Il S. D. Ferrante dà parte dell’homicidio commesso da Scipione Ferentilli in persona del Sig. Giulio Malaspina (286). - 131 - R. Arch· di Stato in Massa. Carteggio d’Alberico I, ad annum. III.’"0 et Ecc.1"0 Sig. mio oss:"° Io offersi a V. E. la persona mia et la Chiesa ancora in suo servitio, et di novo Γ offerisco, si che V. E. eleghi quel loco che li piace per la sepoltura del Sig. Arano Cybo, già Vice Re di Napoli, ch’io me contento, et haverrò sempre a grazia et favor singulare esser commandato da lei ; et con questo fo fine, pregando N. S.re Dio che faccia felice la sua Ecc.ma persona. Di Napoli, li 8 d’Agosto 1594. Di V. S. 111.™ et Ecc.ma Humiliss."10 S.re L’Arcivescovo di Capua (287). R. Arch. di Stato in Massa. Carteggio d Alberico /, ad annum. III.”'0 et Ecc.”'0 Principe et Prone mio oss.’"° Per via di Marsiglia mi furono date, parecchi giorni sono, lettere da parte di V. Ecc.za, quali s’è degnata scrivermi. Ho messo ogni diligenza a cercare le memorie di quello Iacomo Cybo, Arcivescovo nostro, del quale non ho trovato altro che quello ch’io [ho] scritto in questa carta. E pure non si chiama Iacomo, anzi Nicolò Cybo, nipote pur d’Innocenzo Papa ottavo, ma morto in Roma, non in Arles, essendosi fermato pochi anni in detta chiesa, alla quale io credo che giunse doppo la morte del Papa suo zio. Ouant al ritratto non si ritrova in tutta la diocese alcuno d’altro Arcivescovo anticho, non che il suo. Il quale tuttavia si ricorda haver veduto un vecchio Canonico nostro nella sala grande del palazzo de Arcivescovi, pinto in un muro, il quale sendo da 30 o 40 anni in qua riparato, giudica esser perduto. Vorrei con ogni sorta di fatica et spesa haverne nova, per dar a V. Ecc. quella sodisfattione che desidera ; sapendo quanto sia chara ad un Principe, pari di V. Ecc.za, la memoria di suoi antichi, riveriti da tutta la Christianità, non che dalla patria loro tanto honorata dalle loro virtù e meriti. Cercando le memorie per la sucessione di questa chiesa, se m occorre altro atorno costui non mancarò a dargline novo aviso. In tanto col raccommandar a V. Ecc.za l’humilissima servitù mia, la supplico degnarsi di credere eh io bramo e voglio essere in ogni luogo et occasione. Di V. S. Ill.ma et Ecc.ma Aff.mo e fidel.mo ser.re l’Arcidiacono d’Arles F. de Claret (288). t In Arles alli 30 di Giugno 1595. \I1iserl0] De vetusto Codice ante centum annos manu scripto. De catalogo episcoporum Arelatensium. Nicolaus Cybo, sanctissimi Diri nri Innocentii Papae huius nominis octavi nepos, LXXIJUS Arelatensis Archiepiscopus fuit. De tempore huius, scribente magistro Petro Barberii notario, suppressio habitus dominorum Canonicorum Arelaten-sium, sub regula S. Augustini tunc degentium, videlicet anno dni 1493 et die XXIIJ augusti, Pontificatus Dni nri Alexandri papae sexti anno primo, facta fuit, quae regula duraverat ab anno dni 1186 usque ad dictum diem. Is venerabilem abbatiam devoti monasterii Sancti Petri Montismaioris, quam — '33 — in commendarci tenebat, abbatiae Sancti Antonii Viennensi, suasu cuiusdam dni Marci Bochardi, nepotis sui, uniri consensit, eoque facilius quia nec Archiepiscopatum minusque abbatiam adhuc viderat. Demum Arelatem adveniens, ingenti applausu a clero et a popolo recipitur, et habita solemni oratione, illi non minus diligenter quam libenter congratulatum est. Qui in suo Archiepiscopatu annum commoratus, redditibus Archiepiscopatus et abbatiae recte intellectis, ut ipsam abbatiam recuperaret, separationem eius aegre ferens, non sine sui cleri et populi lacrymis, a quibus unice diligebatur, Romam perrexit, ibique dies suos in Domino clausit extremos. Requiescat in pace. Ego illum maioris Ecclesiae maius altare marmoreum invenio consecrasse, nutique fidem facit scriptum pergame-num, quod ego in eodem altari inclusum et serratum vidi, cuius verba sunt haec : Hoc altare consecratum fuit per R.mum in Christo patrem et Diiuin Nicolajum Cybo, miseratione divina sanctae Arelatensis Ecc.siae Archiepiscopum et principem, die 18 mensis octobris, anno incarnationis dni millesimo quadringentesimo nonagesimo octavo. Si quid mihi aliud occurrerit quam primum rescribam. F. de Claret Arelatensis Ecclesiae (289). R. Arch. di Stato in Massa. Carteggio d'Alberico I, acl annum. Due lettere di Francesco Serdonati ad Alberico Cybo. I. III.’’10 ed EccT Sig. mio Col. ”‘° Io li manderò presto la vita di Papa Innocenzo, di felice memoria, la quale son ito ampliando con le notizie havute da lei ultimamente, si che si farà un ragionevol volume, perchè vi ho esposto quella guerra col Re di Napoli, rivolgendo -- 134 - non solamente queste scritture, ma anche altri scrittori e napoletani e nostrali che n’hanno trattato (290). Voglio bene ricordarle che l’inserire quelle orazioni nella vita, a me non pare a proposito, perchè la sarà lunga abbastanza per sè stessa, e poi è fuori di decoro, e altri che hanno scritto vite con lode non v’hanno interposto simili cose; (291) pero nella vita mi pare da narrare solamente le cose fatte da quel buon Papa, e se vogliamo che si veggano anche queste, stampar e poi dietro alla vita con quelle instruzioni, che quella del Sig. Ettore Fiesco la stamperei in ogni modo; quella dell ambasciatore di Rodi si potrebbe lasciare perchè se ne farà menzione nella vita: essendo stampata altrove, serve per testimonianza, e chi vuole la può vedere; pure volendola anche qui, si può fare, purché si stampi fuori della vita. Appresso, quel fatto di Lorenzo de’ Medici che trattava il Sig. ran cesco Cybo alla domestica e compagni suoi regalmente, e raccontato da Niccolò Valori, huomo di quei tempi, nella vita del magnifico Lorenzo, (292) che è proprio suo luogo perche torna in lode di Lorenzo e non di Papa Innocenzo, si che quan to al darne notizia ai posteri già è data, perchè il libro e stampato e per le mani di tutti, e quanto alla vita d’Innocentio non v’ha che fare; però mi pare da lasciarlo. E d’avvertire ancora il caso del ritrovamento del corpo di quella fanciul-letta, trovata intera in quelle misture, che tale istoria è raccontata ancora da fra Leandro Alberti, car. 141, e dice ciò es sere avvenuto nel Pontificato d’Alessandro sesto, si che 1 raccontare il medesimo caso e non mostrare d averlo veduto detto da altri, può essere ascritto a negligenza, (293) et mostrare d’averlo veduto e discordare nel tempo senza provarlo con qualche ragione o autorità non mi pare che convenga, pero vorrei, o che la mi dicesse qualche verisimile ragione da mostrare che fù in quel tempo, 0 che lo levassimo, perchè questo già l’ho messo nella vita, se già non ne fosse stata trovata una nel Pontificato d’Innocenzo e un’altra nel tempo d’Alessandro. Il medmo fra Leandro, car. 304, nella seconda faccia. dice che Papa Innocentio donò a Giovan Francesco, figlio di - 135 — Roberto de Conti Guidi, che havea servito fedelmente Sisto con 60 huomini d’arme a cavallo e 400 fanti, li donò, dico, Montebello, Ginestreto, Monte Tifi, Lucè e la Pietra, castella di Montefeltro, la qual notizia benché non sia nelle notizie datemi da lei, nè altrove l'abbia, nondimeno l’ho inscritta nella vita allegando l’autore, (294) e quando paresse a V. E. di scrivere due versi al Marchese di Bagno, che penso esser de discendenti di detto Giovan Francesco, che ci desse qualche lume sopra ciò, non sarebbe fuori di proposito, e dovrebbe farlo volentieri, perchè si farà memoria con onore degli avoli suoi. Pure e di questo e di tutte le cose dette di sopra mi rimetto al giudizio di lei ; solamente ho voluto significarle quello che mi è venuto in mente. Inoltre nelle notizie da lei datemi si contiene che Innocenzio dette titolo di Gran Mastro al Principe della milizia di San Giovanni, e l'istoria di Malta lo chiama Gran Mastro prima, e fa menzione d’altre grazie fatte da Innocentio a quella religione e di questa non parla, però vorrei sapere che notizia ce n’ è, perchè, se non è autentica, si può tacere la cosa del titolo, e fare menzione dell’altre grazie: e con questo le bacio le mani, che Dio la feliciti. Dell’altra settimana le scrissi ch’e Giunti non voleano meno di trenta scudi di moneta per stampare l’istoria di Bartolomeo Fazio volgare, però volendo ella che si metta mano può mandare il danajo, che procurerò che si faccia quanto prima. Di Firenze a dì 2 di Settembre 1595 Di V. Ecc.za Ill.ma fedeliss."10 Serv.re Francesco Serdonati (295). All’ Ill.mo ed Ecc.m0 Sig. Principe di Massa Sig. e padron mio Col."10 Genova - 136 ~ II. III.”'0 et Ecc’"° Sig. mio Col.’"0 Con questa le mando la vita d’Innocenzio Ottavo, la quale, per haver voluto raccontare quella guerra, riesce alquanto lunghetta, e perciò nel titolo ho detto: Vita e fatti d Innocen-zio etc. (296) se però a lei parrà di dir così, che me ne rimetto al suo giudizio. Per la medesima ragione della lunghezza, e per non essere usato dagli altri nelle vite, non ci ho messo quelle orazioni, che si potranno stampare poi da per sè dietro la vita, con quelle istruzioni, contentandosene V.ra Ecc.za. La \redrà in margine alcune considerazioni come del Vescovo di Capua, col quale Innocenzio, allora Giovambattista e canonico capuano, hebbe disparere, che desidererei sapere il nome se si può havere; se no faremo senza (297). Cosi se si potesse sapere il nome del patriarcato che dal Papa li fu donato, sarebbe a proposito. In oltre quello de Morgani che aiutò Alessandro Farnese a uscire di Castello Sant Angelo nelle memorie mandatemi daV. Ecc.za è chiamato Stefano Morgano, e '1 Panvino, raccontando il medesimo fatto, lo chiama Pietro, però vegga V. Ecc.za se pare da seguitar lui opure dire Stefano, se lei n’è certa (298). Anche il sapere il nome dell’ Arcivescovo di Raugia, che disse le parole usate nello sponsalizio di Batistina, nipote del Papa, sarebbe bene, potendo saperlo (299). Nella malattia ultima del Papa che 1 Ebreo offerisse rimedio fatto di sangue di fanciulli, ancorché ve 1 hab-bia messo, credo che bisognerà levarlo, che dubito 1 Inquisitore nonio passi, ma si medica col levare solo quel sangue di fanciulli e dire che offeriva rimedi etc., e che egli non volle rimedi d’Ebrei, che cose di scrupolo è meglio levarle prima da sè che aspettare che sieno tolte via da loro. (30°) La vi troverà per entro alcune cose non accennate ne’ suoi ricordi, ma son tolte e da Camillo Porzio, che scrive la congiura di quei Baroni Napoletani, (301) e dal Valorj nella vita di Lorenzo de Medici e da altri approvati autori. La cosa del modo te- nuto da Lorenzo nel trattare Francesco Cybo, suo genero, domesticamente e compagni alla grande, non l’ho posta, come le dissi, per parermi la vita per se lunga e la cosa non attenente al Papa, ma se vorrà si potrà aggiugnere agevolmente. La sarà contenta vederla, e parendole da levare o aggiugnere o mutare alcuna cosa, notarla in un foglio separato e poi rimandarla, che si possa darle fine, e con sua comodità potrà mandare i danari per stampare quella storia del Facio e 1 Corello che procurerò che si metta mano quanto prima si potrà, e le bacio le mani (302). Di Firenze, il primo d'ottobre 1595 Di V. E. 111.™ Fedelis."10 servitore Francesco Serdonati. AH’Ill.mo ed Eccmo Sig.rc Il Sig.re Principe di Massa Sig.re mio col."10 Genova 0 dove fusse. R. Arch. di Stato in Massa. Carteggio d'Alberico /, ad annum. IlluT et Ecc.”10 Sig. mio Oss.mo Sono qui certi gentiluomini di casa Giugnano, i quali hanno tenuto servitù con Papa Innocentio Vili manzi che tusse assunto nel Pontificato, et nel Pontificato medesmo hebbe per servitore uno chiamato Colangelo, come apparisce da una bolla della quale ne mando copia. Questo Colangelo visse molti anni, et morì dell’anno 1547, et molti in questa città gli hanno inteso ragionare le cose di Papa Innocentio. Raccontava costui che Papa Innocentio, essendo in minor stato, habitò gran tempo qui in Capua, et hebbe disgusti daU’Arciv.V0 di questa Città chiamato all’hora Gior- dano Caetano, fratello del Conte di Fundi, quale fu Arciv.vo di Capua cinquanta doi anni. Dopo la promotione al Pontificato di Papa Innocentio, Mons. Giordano fu chiamato in Roma, dove andò con molta paura ; et fu ben visto dal Papa, et honorato di titolo di patriarca Antiocheno, come appare nella sua sepoltura et nelli parati della Chiesa, con insegne di patriarca. (303) Questo è quanto ho potuto sapere. Se in altro posso servirla, sempre havrò per favore particolare d essere da V. S. Illma et Eccma comandata, alla quale prego dal Sig. ogni grandezza. Di Capua a VI di Febraro 1596. Humilis Servitor L’Arcivescovo di Capua. R. Arch. di Stato in Massa. Carteggio d'Alberico I, ad annum. III.”10 et Ecc.1"0 Sig.or Principe, Patrone mio oss.mo Li vinti di Agosto hebbi una di S. Ecc." delli 6 di detto, la quale mi scriveva di quel quadro di S.13 M[emoriaJ di Papa Innocenzio, et io subito feci risposta a S. Ecc./n et mandai il quadro, et per quanto io intessi, S. E. l’ebbe; io non ho havutto altra risposta nè lettera se non hieri, che ne hebbi una di S. E. delli 27 del passatto, la quale mi è statta di grandissima consolatione, e massime di intendere che il quadro che mandai a S. Ecc.za è in sua satisffatione e di questo così io sperava, perchè dalla felice memoria di mio padre 10 sapeva che era quelo istesso di Papa Innocentio di Santa Memoria, che lo dette alla Sig.™ Battistina, madre di mio padre (3°4)· Io desiderava di’venire a basciar le mani a S. Ecc.za, come mi scrisse e come era mia intentione, ma la mala fortuna ha volutto che io sia statto vicino a tre mesi amalato in letto - 139 ~ con gran male, e se non fossi statto agiustatto e sovenuto prima dal Sig.rc Iddio e da uno mio cognato, Γ haveria fatto molto male non havendo altro bene da mio padre che un poco di terra, la quale sono doi anni che io non vi ho hauto tanta ricolta che mi governi doi mesi del anno. Hora, per gratia del Sig.re, sto bene e mi trovo anchora un poco fiaco e un poco a guitto. Fatto feste, in tutto venirò a basciare le mani di S. Ecc.za e butarmegli nelli suoi bracci, con raco-mandarmegli come suo servitore affettionatissimo. Spero che non mi abandonerà, preghando dal Cielo longa felicità in stato di gratia. Da Ventimiglia li 13 di Xbre 1596. Di V. S. Ill.,na et Ecc.ma Serv.rc aff.mo Ansaldo de Mari (305) (.Registrazione) Ansaldo de Mari conferma il quadro della Madona, con il retrato di Papa Innocenzo, l’istesso papa lo donò alla Signora Batistina. R. Arch. di Stato in Genova, Litterarum, n° 1844. Lettera n° 170. La Repubblica di Gettava ad Alberico Cybo. Genova, i° ottobre 1573. All' Uhi"0 Signore il Signor Principe di Massa. Illu”w Signore, Siamo certissimi che tutto quello che possi apportar disturbo alla quiete et tranquillità della nostra Repubblica sia molto spiacevole et molesto a V. S. Illuma, tanto affet-tionata et amorevole alla sua patria, et che perciò quei rumori che li giorni a dietro si sparsero de nostri dispareri, — i40 - le habbiano dato travaglio et inalcontentezza; siamo ancora risolutissimi che, in ogni occorrenza, per mantenimento della libertà et per beneficio della Repubblica, si possiamo, con molta confidenza, far grandissimo capitale di lei, come di amorevolissimo figliolo, spinto da pura carità et da sincero amore verso la sua Repubblica. Onde non ci è stato nova l’allegrezza et giubilo che habbiamo visto ritratto al vivo nella sua lettera de XXVI1 del passato, presentata dal nobile Domenico Spinola, intendendo che le cose nostre vanno di bene in meglio; et si come noi molto volentieri accettiamo Γ oblatione che ci fa, come fatta da figliolo amorevolissimo, per valersene se occorresse il bisogno, così lei si presoponga sempre dalla Repubblica tutto quello che da cordialissimo padre si può sperare. Et per confirmarla più nell’allegrezza concetta, non mancheremo di dirle che, per quanto habbiam poi inteso si è andato spargendo fuori di qui, che li dispareri seguiti fussero di gran longa magiori di quello che in vero erano, oltre che non si può quasi dir disparere quello che nell’elettione di Magistrati nasce da varietà di opinioni, essendo proposto numero di soggetti tutti boni, perchè disparere di volontà nel conservare la libertà et la Repubblica non fu mai in noi, così Iddio ce ne guardi, anzi tutti unitamente siamo deliberatissimi di preponerla alla propria vita et a tutto quelo che si possi imaginare più caro; et l’esperienza l’ha fatto benissimo conoscere, perchè in tutte Γ occorrenze publiche sopravenute siamo stati tanto uniti et conformi quanto mai fossimo; et con questo fine offerendocele di novo, le preghiamo augumento et prosperità. Di Genova il primo d’ottobre del MDLXXIII. Di V. S. Illuma Amorevolissimi da Padri Il Duca et Governatore. (306) — ΐ4ΐ - Spigolature dal Carteggio d'Alberico con la Repubblica genovese. R. Arch. di Stato in Genova. Lettere di Principi, mazzo n° 9. Ree”10 Duca e Illu’"1 Signori ossmi. Fra alcuni partiti che mi sono passati fra le mani nel casamento del Marchese mio figliuolo, questo che per Iddio gratia s’è concluso, della Signora D. Marfisa d’Este cugina del Serenissimo duca di Ferrara (307), m’è parso molto avantaggioso, poi che vi concorre la nobiltà, l’appoggio e vicinità di quel principe et una assai notabile ricchezza. Imperò che questa Signora porta in casa mia ottanta mila scudi di dote e tant’altro d’eredità, che fra tutto potrà ascendere a XII in XIII mila scudi d’entrata l’anno, oltr’alcuni crediti notabili del padre, che non sono senza speranze di riscuotersi. Ho voluto dar parte a V. Eccza et SSie IIlume di questa soddisfattione mia, tenendomi certo che, per lor gratia, ne sentiranno gusto et piacere, essendo che quanto più have-remo, mio figliolo et io, di larghezze et commodità, tanto più sempre per il nostro obbligo et servitù affettionata saremo pronti a ubidire et servire quel serenissimo Senato, al quale pregando continua felicità non passerò in altro che in baciare le mani a V. Eccza et SS'e Illume et supplicare a tenermi conservato nelle gratie loro. Di Massa alli XXV di febro 1580. Di V. Eccza et SS,e Illume Obligato Servitore Il Principe di Massa. — 142 — * R. Arch. di Stato in Genova. lettere di Principi, Mazzo n° 9. Ecc’"° Duca ct Illumi Sigri oss’"‘, Ho desiderato, gran pezzo fa, rinovar di parentella in quella città, sì perchè anco in questo si conosca il molto amore ch'io porto alla patria, come per havere occasione et miglior comodità di poterla di continuo servire, il che sarà fatto da me in tutti i tempi con ogni pronto e possibile volere. Per questo, adunque, non ci essendo stato modo di casargli il Marchese mio figlio, ho gustato et mi son com-piacciuto molto di collocargli la prima genita mia, Donna Leonora, la quale havendo accompagnata con il Signor Agostino Grimaldo, duca d'Evoli, (308) in sodisfatione intiera di tutti noi, mi è parso debito, per la servitù et obbligo eh’ io porto a quello Eccm0 et Illumo Senato, dargliene parte, sicuro che secondo il cortese solito suo, et per favorirmi, participerà d'ogni allegrezza mia, non mancando medesimamente di darle nova, da che le mie lettere non parlano che di nozze, che ieri dovea arivare in Ferrara il Marchese mio figlio, essendo stato per il camino incontrato et molto amorevolmente et honoratamente trattato. Et con baciar a V. Ecc/ l et Sie Illume le mani et pregar N. Sre ben di core per la conservatione et augumento di quel Stato, faccio qui fine, et me li ricomando. Di Massa, alli 9 di aprile 1580. Di V. Eccza et Sie Illume Obbmo Serre Il Principe di Massa. — 143 - R. Arch. di Stato in Genova. Lettere di Principi, mazzo n° 9. Sermo Signor Duca et Ecc’"1 Signori oss’"‘, Ha portato Γ occasione che, per Γ improvisa perdita che s’è fatta del Gran Duca Francesco (c’habbia il cielo), io sia venuto a Fiorenza per condolermi con l’Altezza del Cardinale suo fratello et rallegrarmi insieme della sua successione (309). Il che tutto ho fatto con molto gusto, poiché quell’ Altezza non solo mi mandò a incontrare con carrozze et cavalli sin alla Lastra, ma d’ avantaggio m’ha favorito di farmi alloggiare in palazzo, dove m’ha veduto con infinita cortesia et amorevolezza, secando la sua solita naturai bontà et la particolare servitù et interesse che tengo con questa Serenissima casa. Et perchè ho penetrato la causa che indusse S. A. a far ritornare a dietro Γ Ambasciatore eh'avea inviato a quel Serenissimo Senato, farò intorno di ciò tutta quell’opera che potrà venire da me in sua sodisfazione et servizio, conforme a quanto, con pronta, feci già col Sre Duca di Ferrara, et rimanendo non men obligato che desideroso per servire sempre Vostra Serenità et Signorie Eccme, le bacio le mani, che N. S. le conservi felicissime. Di Fiorenza, X novembre 1587. Di V. Serenità et S. Eccme Affmo Servitor Il Principe di Massa. — T44 — R. Arch. di Stato in Genova. Lettere di Principi, mazzo n° 9. Ser”‘° Dìica et Eccmi Sigri ossmi, Per giuste cause sono andato intrattenendo il viaggio mio di Roma, et essendo pur hoggi passato Viterbo di qualche miglia, trovai che per ordine di N. Sre il Cattaneo mio gentiluomo veniva a trovarmi con la conclusione del matrimonio di Donna Lucrezia, mia figliuola, col Signor Conte Hercole, nipote di S. S*4, et con le lettere del Eccellenza del Signor Conte, mio genero, essendomi fatta molta istanza che la Santità sua gustarla assai che io tornassi indietro a condurre senza dilatione Donna Lucretia mia alla Sforzesca eh'è un palazzo al confino della Chiesa dei Signoi Sforzi, dove si troverà il Signor Conte a ricevere la moglie e di là condurla a Roma in quel ultimo di Carnevale, desiderando grandemente la Santità sua che non si tocci della quadragesima in gusti simili di nozze (310). Io per ciò, per obedire alla Santità, sua benché il tempo sia brevissimo, me ne ritorno a Fiorenza per obedire, come devo, a S. Sta e per eseguire l’effetto conforme a quanto mi vien comandato, et perchè essendo io tanto servitore affezionato et obbligato a quella Serenissima Repubblica et che mi giova di credere ch’ella sentirà piacere della satisfattione mia, poi che tutte torneranno sempre in maggior prontezza di servire a quel Serenissimo Senato, ho voluto con questa mia darlene particolare conto, et insieme supplicarlo che se potrò mai in tal occasione esser buono a servirlo, mi favorisca di suoi comanda-menti perchè con gl’effetti gli mostrarò sempre l’osservanza eh’ io porto a quella Serenissima Repubblica et affetione sin- - 145 - gulare alla patria mia, con che baciando a V. Serenità le mani, prego N. Src per la conservazione et accrescimento di quel Stato, come io lo desidero. Da Montefiascone, alli 16 di febraro 1591. Di V. Serenità et Eccmi Signori Affet"’0 Servitore Il Principe di Massa. R. Arch. di Stato in Genova, Lettere di Principi, mazzo n° 9. Sermn et Eccmi Signori, Con non poco mio disgusto intendo c’hieri, ultima festa di Pasqua, da cento huomini di Hortonovo incirca, che si può dire il populo di quel luogo, armati d'archibuggi, andorno in un bosco di mortelle della mia giurisdizione di Carrara et abbrugiorno non solo la mortella eh' era già fatta ad istanza del Sergente Turno Berti, mio suddito, che passano 16 anni c’ ha sempre condutto da Moneta a Fontia, luoghi miei, ma dell' altre che erano ancora in piedi, e parte ne sparsero qua e là per il bosco, abbruggiando insieme li fornelli fatti da sei huomini lombardi, che passano cinque mesi che sono in detto luogo a lavorare in dette mortelle, parte de’ quali detti d’ Hortonovo condussero poi ad Hortonovo e sul tardi li rilasciorno con farsi promettere che non lavo-reriano più in quel luogo ad istanza delli sudditi miei, ma solo a' forastieri e con polizza loro, e prima di partirsi spara-rano gl’ archibuggi in segno di gazzarra. Questa fala, fatta in questa maniera e con armata mano, non sono per credere mai che sia con volontà 0 mente delle SS. VV. Serenissime nè che vogliano consentire che li sudditi loro cami- 10 — 146 — nino nel mio e con i miei in questo modo ; perchè la devotione mia c’ho verso cotesta Serenissima Repubblica nè la vicinanza comporta che creda altamente, che per ciò la prego, per confirmatione di quello, che mi giova credere che vogliano farne fare quella demostratione che è giusta per 1 esempio e levare occasione maggiore d’ altri inconvenienti fra li loro sudditi e miei, perchè ben sanno che non sono manco pronti a spendere le vite in servizio di cotesta Serenissima Repubblica che siano li sudditi loro, e sperando di vederne buon effetto, finisco con baciarle le mani e pregarle ogni felicità maggiore. Di Massa, 12 Aprile 1605. E di tutto n’ ho dato subito conto al Commissario di Sarzana, parendo tanto più strano quanto tuttavia per quello che mi scrivono si sia in pratica d’ accordo. Di V. Ser^ et Eccmi Signori Affmo Servitore Il Principe di Massa. A tergo della lettera precedente e scritto : Letta al Serenissimo Senato. Si lega a Ser.ml Colegi. A di detto: Si risponda al Principe con parole generali, e che si prenderà compita informazione del fatto e si provederà in modo che S. E. non abbia alcuna giusta occasione di dolersi, così comandando li Sermi Collegi, a palle (311)· R. Archivio di Stato in Genova, Lettere di Principi, Mazzo N. 9. Ser.”'° Duca et Ecc.mi Signori, Ho sentito, con niente manco disgusto delle SS. VV. Serenissime, la voce sparsa delle monete false che si vanno spendendo, et in particolare di quelle della stampa loro, che perciò feci usar ogni straordinaria diligenza per havere nelle - 147 - mani un contadino di Rocca l'rigida, (rt) mia villa, che mi fu scritto che n haveva spese alquante poche, ma per diligenza et arte eh io habbi fatto usare, non è stato possibile haverlo, anzi una notte v andò il Governatore mio, il Commissario, ambidoi genovesi, et il bargello, pur genovese di Chiaveri, e con squadre di soldati, e fatta una cinta a quella villa, non fu mai possibile haverlo, insieme con un altro, eh’ era seco inditiato d haver trattato in altre zecche di Lombardia. Così è difficile assaltarli in quel luogo, e feriti se ne scapano, quali non mancherò mai di perseguitarli in ogni luogo, finché gl haverò nelle mani, per chiarire questa ribalderia. Mi giova ben credere che nella mia zecca non si sia fatta questa tal scelleratezza, e tuttavia feci io instanza al signor Commissario di Sarzana che facesse pigliare il zecchiero, havendo havuto avviso che trattava in quelle parti come fece; e non di meno il Commissario suddetto mio di Massa procede con ogni rigore per cavare la verità del tutto, e se bene sono priggioni quattro di detta villa, intendo che non vi è contro di loro inditio alcuno; che quando ve ne fusse li concederei ben volentieri alle SS. VV. Serenissime, come prontamente li concederò il Giulio, che è fiorentino e fatto suddito mio. Ma perchè intendo che la giustitia mia procede in questo, e per alcune altre poche monete che si sono trovate pur false, nè senza questo huomo potrei fare cosa alcuna, non posso concederglilo salvo per esaminarlo sopra 1’ interesse loro solo delle monete della stampa di VV. SS. Ser.me, che se in questa maniera, con promessa di rimettermelo a Massa, lo vorranno, lo farò consegnare a chi mi scriveranno, assicurandole che continuamente farò usare diligenza perchè si trovi la verità, e di tutto quello che si caverà ne darò conto alle SS. VV. Ser.me, a’ quali bacio le mani et prego ogni prospera felicità. Di Pisa, 26 di Aprile 1605. Delle SS. VV. Ser.me Aff.mo Servitore Il Principe ni Massa. (a) terra ciel Forno, frazione di Massa. — T4& — Nella lettera precedente, c scrìtto, a tergo: 1605, a 5 di maggio. S’accetti il Giulio fiorentino nella maniera che scrive il Principe, per doverglielo poi restituire quando si sara esaminato dal Magistrato delle monete, e se le scriva che si manda colà il bargello Feresino, al quale si contenti di farlo consegnare, così havendo deliberato il Ser™ Senato a palle. Sua Serenità e li doi Ill.mi di Palazzo spediscano il bargello con quel numero de’ famegli et soldati che li parera et quando le parerà tempo. · Si soggionga al Principe che se altro poi occorrerà se le ne darà avviso. R. Arch. di Stato in Genova, Lettere di Principi, Mazzo N. 9. Seri'10 et Ecc.""' Signori, Conforme a quanto mi scrivono le Signoi ie Vostre Se renissime, ho comandato che sia consegnato al bargello Feresino il Giulio fiorentino, e come se ne siano servite aspettare) che comandino che sia remandato qui, acciò questi mie offitiali possano seguitare il processo che fanno di questo infamissimo delitto, nel quale tuttavia si procura cavarne con ogni diligenza la verità, e offerendomi a servirle in occasioni maggiori, finisco con baciare le mani alle Signorie · Serenissime, quali Nostro Sig.re Dio prosperi e conservi e 1 cissime. Di Massa 8 Maggio 1605. Delle SS. V.re Ser.me Affett.mo Servitore Il Principe di Massa. - 149 - R. Arch. di Stato in Genova. Lettere di Principi, Mazzo N. 9. Ser.mo et Ecc.mt Signori miei oss.mi, Mando alle Signorie VV. Ser .mc l'esamini del Giulio Brandi, come mi scrivono per la lettera loro de’ 25, acciò se ne servino aH’intentione dell' interesse Loro, aspettando che, come se siano servite di detto Brandi, che comandino mi sia remandato con il zechiero, conio per altra mia le ho pregate, acciò questi miei ministri possino caminar inanti al processo, procurando io per ogni via possibile di cavarne la verità di questo detestabile delitto, come a suo tempo si conoscerà per la diligenza che si vedrà haver io usato in prova di quanto aborrisca questo misfatto, e offerendomi a scriverle : in cose maggiori, finisco con baciarle le mani, et alle SS. VV. Ser.me prego ogni felicità maggiore. Di Carrara 30 maggio 1605. Delle SS7 VV. Ser.™ Affettionatissimo Servitore Il Principe di Massa. (312) R. Arch. di Stato in Genova, Lettere di Principi, Mazzo N. 9. Ser.’110 et Ecc."li Signori miei oss."“, Qui è bando, che passa in osservanza, che niun bandito, sotto pena della vita, possa stare in questo Stato senza mia espressa licenza. Onde, come con altre accennai a V. Serenità e SS. Ecc.mc, quel Simonino di Luciano da Ceserano, ri- — i5o — tenuto in questo carcere, merita, e per questo e per 1 assassinamento per il quale si tratteneva qui per ammazzare il Conte Prato, per le mani di questa mia giustizia pagare con la morte sua la pena de’ suoi misfatti. Che però se, es-seguita che sarà questa giustizia, la Serenità Vostra e SS. Ecc.me vorranno che se le mandi la testa o mani, ne darò ordine. . v „ E col solito mio affetto bacio a V. Serenità e SS. hcc.‘"L le mani. Di Massa, li XV d Agosto 1617. Di V. Serenità e Signorie Ecc.me, alle quali io dico che questo è il modello che "con l'altra mia dissi c haverei trovato, Devotiss.1"0 Servitore Il Principe Alberico Cybo (313)· R. Arch. di Stato in Genova, Lettere di Principi, Mazzo N. 9. Ser:no et Ecc.mi Signori miei oss-mi Ricevuta ch'io hebbi la lettera della Serenità V.ra e SS. Ecc.me scrissi al maestro di strade di Carrara, con ordine strettissimo che facesse accomodare la strada carrarezza, acciò Michele Lombardelli possa condurre li marmi che devono servire per l’astrico di cotesto Palazzo Ducale, e ben presto, (così mi scrive detto maestro di strade), saranno accomodate havendo ciò fors’impedito la mala qualità de tempi. In quanto al cortese invito che con tanta benignità et affetto mi fanno la Serenità V.ra e SS. Ecc.me, devo rendergliene, come faccio, gratis infinite per la memoria che conservano di me, assicurandole che sì come ho salite tante volte quelle scale per servire alla Serenità V.ra e SS. Ecc.me, così spero anco di poterlo fare nell'avvenir e godere del favore che mi fanno, ma - ΐ5ΐ — non per hora, sentendomi anco fiacco assai della grave in-dispositione c’ ho passato. E con questo bacio col solito mio affetto a V.ra Serenità e SS. Ecc.,ne le mani, et auguro compita felicità. Di Massa, li XV di maggio 1618. Devt.mo Servitor Il Principe di Massa (314). R. Arch. di Stato in Genova. Lettere di Principi, Mazzo N. 9. Serenissimi et Ecc.”li Sig.ri miei oss.’"'\ Ho inteso il caso successo dalla Casa mia a quel disgradato vicino, di che mi dolgo infinitamente per più rispetti, confermando il dispiacer mio, eh' haverà rappresentato alla Ser.ta V.ra e SS. Ecc.me il Duca mio Nipote, dal quale ho anco più diffusamente inteso il tutto. In quanto a quel mio, che lasciai alle cure della Casa e robbe, duro fatica a credere che sia in colpa, perchè in lunghi anni che mi ha servito l’ho trovato sempre buono, da bene e fedele, se bene alquanto semplice. Nondimeno quando resti, come stimo, innocente, di già Γ ho rimosso et hora mando un creato di Casa, il quale spero che sarà più diligente di non lasciar praticare in quella chi non v’ha che fare, tenendo ordine ancora di mandar via il Gherardi per il molto trafico dei suoi e di quelli di fuora, ancorché io speri pure di ritornare ad essere della casa mia miglior guardiano d’ ogni altro che sia. E con questo baciando a V. Serenità e SS. Ecc.me le mani, resto pregando N. S.re che le renda felici e colme d’ogni bene. Di Massa, li XXII d’ottobre 1619. Di V. Serenità e SS. Ecc.me. Il creato che invio è il Cacciatori, esibitore di questa, destinato per agente mio costì. Affezionatissimo Servitore Il Principe di Massa. - 1)2 — Nella lettera del 22 ott. 161 y a tergo nella registrazione : Massa ; Dal Sig. Principe, de 22 di 8bre : della morte di Bart. Serravalle. Siamo certissimi che V. E. habbi ricevuto molto dolore del caso successo per mezzo delle archibugiate sparate dalla sua casa, come anco il sig. Don Carlo, suo nipote, vivamente ci espresse, ma non havenclo lei potuto provedere nè pro vedersi a si fatto eccesso, conviene acquetarsi. Ci è però stato caro intendere c' habbi dato pensiero della custodia di detta casa a persona che invigilerà che non vi si intromettano homini di mala vita, e più grato assai ci sarà che V. E. metta ad effetto di ritornar a goderla, che piacerà a N.10 S.,e conce dergliela (315). R. Arch. di Stato in Massa. Dal Copialettere d'Alberico Cybo. Varie. All'Ambasciatore d'Urbino. * Molto Mag.co S.re Essendo accaduto il caso delle due annate, come V. S. haverà inteso, io mi sono offerto al S.r Conte di Tendi-glia et all’Ambasciatore Vargas di servire a S. Maestà in dui modi; l’uno di dare di questo mio Stato, c ho in terra di Roma, quanti soldati se ne potranno cavare per servire el Regno di Napoli, et 1 altro di cavare in quella parte del Marchesato mio di Massa da dua mila fanti, con tutto che mi bisogni tenere buone guardie nelle mie tene per essere vicine alla marina; et con 1 alligata scrivo il medesimo a Sua M.tà, come V. S. vedrà per l’inclusa copia. - 153 - Desidero hora che quella accompagni questo uffitio di quella maniera ch’io desidero, et confido nella prudenza sua perchè S. M. resti capace di questo mio buon animo. Questi dua mila fanti potriano servire per il Regno di Sardigna o altri luoghi circumvicini, come più piacerà a S. M., et in questo caso desiderarci che V. S., con quei destri modi che le paressino a proposito, vedesse d’ottener qualche grado conveniente alla persona mia, dove io ci potessi stare con dignità, mettendo in consideratione a S. M. eh’ io sono stato luogotenente del S.r Duca nostro, che era capitano generale di Santa Chiesa, et eh’ io ho avuto delli altri gradi honorati, benché quando io vedessi, in ogni occasione, correre il servitio di S. M., senza nessuno altro rispetto et pensiero metterei sempre la vita mia a sbaraglio per servirla. Insomma io desidero che V. S. governi questo negotio secondo che le parerà et che se le presenterà l’occasione et con la sua solita prudenza, acciò S. M. conoschi la prontezza dell'animo mio sopra ad ogni altra cosa, et anco potendo poi reuscire secondo il desiderio mio, tanto maggiore sarà la mia sodi-sfatione et mi terrò obbligato all’ affetione che V. S. mi porta, la quale potrà dire a S. M. che del Stato qui di Roma potrò servirla di due mila fanti, e di quella parte di Massa, di tremila, ponendo in considerazione alla M. S., com' io dico di sopra a V. S., che in quello di Massa mi conviene, ancora lasciarlo ben guardato e provisto di soldati et che però io non ne le faccio maggiore offerta: conche raccomandandomele faccio fine (316). Di Roma, 23 maggio 1560. Al servitio di V. S. Il Marchese di Massa. — 154 — Alli IH”" SS.ri di San Giorgio. Molto Mag.ci SS;1 Il S.r Duca di Fiorenza, per lettere sue de 26 del passato, mi ricerca che, finito il tempo dell accordo dei sali eh’ è fra le SS.ne Vostre et me, iò voglio concedere il passo ai suoi sali per il mio Stato, offerendomi che se le SS. VV., per questo, vorranno mancare dell accordo ch’ora resta vivo fra noi, ch’accetterà il partito et mi darà sali per il prezzo et sotto i modi ch’ora tengo da loro. Alla qual dimanda per molti degni rispetti assai manifesti non posso nè devo mancare. Nondimeno, per 1 osservanza che si con-viene con cotesta Ill.ma Repubblica, ho voluto darnele avviso, acciò che considerato il bene et utile loro et la conditione mia, faccino intorno a ciò quella deliberatione che più le parrà ragionevole o di perseverare nel presente accordo con dare io il passo a questo Principe, o restare soddisfatti che possi accomodarmi, finito il tempo, con S. Ecc.za, et perchè ho scritto a messer Bernabe Centurione in conformità ne parli alle SS.rie Vostre, faccio fine aspettandone risposta. Di Massa, X decembre 1561 (317)· Di Vostre S.r,e Il Marchese di Massa. Al Duca di Fiorenza. Ili;'10 et Ecc.mp S.re mio oss.mo Lasciando da parte il ricordarle i dispiaceri di V. E. de quali ho preso tanto travaglio quanto altro servitore che 1 hab-bia, vengo a dirle che, se bene non ero in pensiero adesso di fare altro casamento, tutta volta essendo stato stimulato et pregato - 155 - assai da Mons. Ill.mo Gonzaga et dal S.r Cesare, suo fratello, di pigliare una cugina loro, sorella del Duca di Termoli, con dote di 37 mila scudi, non ho possuto mancare di dare orecchio alla pratica buona et ragionevole, parendomi, così per la propria nobiltà di quella S.ra come per la strettezza che tiene con i detti SS." 111.- et altre qualità che porta seco ; però prima che se sia venuto a conclusione del negotio ho voluto darne conto a V. E., sì per il solito che tengo di farla avvisata sempre di tutte le mie resolutioni, come per intendere se le occorresse cosa alcuna intorno a ciò. Et supplicandola che in questo mio particolare si degni accettare la buona mia volontà e tenermi in gratia sua, farò fine, baciandole le mani e pregando Dio che la facci sempre felice come più desidera. Di Roma, alli 30 di ottobre 1562 (318). Di V. E. Servitore Il M/rchese di Massa. Alli Capitani di Massa. Capitani, L’altra notte, quando si diede all'arme, non si vid dero quelli cavalli di guardia, nè questa passata non si sentì di loro cosa alcuna, perchè havendo li Turchi combattuto e fatto danno a Viareggio, el quale ha tirato pur molti colpi, dimostra eh’essi non lusserò alla loro cura, perchè ha-veriano sentito e datone avviso, come si doveva, però vedete come passano le cose del servitio mio et publico sotto l’ombra vostra et quello si può dire di voi. Vi ordinamo, dunque, per rimediare a questi inconvenienti, che essendo tra Voi, alfieri et sergenti, di numero quindici, che ogni notte ne vada uno a rivedere le guardie, poi che di tanti giorni se ne può vegliare una notte per assicurarci delli danni e — 156 — della vergogna, che è tanto maggiore quanto si vede che non si sanno guardare le cose sue, et perchè io possa quando mi tornerà comodo mandare a fare il medesimo, vi diciamo che vi sarà mandato da noi ogni giorno el nome della notte. E qui finindo, state sani (319)· Di Carrara, X luglio 1565. A quelli di Monteleone. Miei Carissimi, Con la vostra de' XV del presente et con le altre scrittemi dal S.r Cardinale Borromeo et Vicelegato di Perugia, ho inteso quanto sia mente di Sua Santità sopra a cotesta terra, la quale essendomi stata data da essa con tanta cortesia, è ben anco giusto c hora la Santità Sua se ne vagli come meglio le pare, et massime seguendo questa novità per ordine generale et concistoriale et non per nessuno altro effetto di mala sodisfatione, del che come amici miei vi dovete rallegrare. Resta che senza indugio s’obbedisca alli ordini Camerali, poiché per le cause dette, io non intendo adoperare altri mezzi o favori perchè nu resti cotesta terra, la quale ringratio assai della buona volontà mostratami in questa occasione, et certifico che non meno sarò sempre pronto di farli ogni benefitio et comodo nel tempo d’hora, che ne sia stato per il passato, sentendomene non poco obbligato, et per la benevolonza che le porto, et per le amorevolezze et cortesie che ho ricevuto in molte cose da quella. Et senza altro dire resto, pregando Dioche vi prosperi in qualunque governo ben soddifattiet contenti come desiderate. Di Carrara alli 23 di luglio 1565 (320)· Vostro Il Marchese di Massa. - τ57 - Al S.or Duca d'Urbino. * IH;"0 et Ecc."w S;r mio, Quando sia vero che il Re, nostro Signore, venga sì presto in Italia per ire in Fiandra, et con esercito per quei tumulti di là, del che aspetto chiaro avviso tra poco, non veggo come poter mancare di seguire la persona di S. M., et se fusse con qualche ragionevole carico, v’ha-verei et la sadisfattione et 1’honore da vantaggio. Supplico dunque V. E., volendo io spedire subito un corriero a quella Corte, che mi favorisca come servitore suo et preghi S. M., per mezzo del S.r Principe nostro, che, dovendosi fare speditioni d’italiani, hormai dia principio a servirsi della persona mia, che sarà prontamente in ordine a ricevere questa gratia et per servirla fidelmente come sono tenuto. Medesimamente, quando ciò segua, desidero Γ aiuto suo in ponere insieme parte delle genti, che per accrescermi maggiore obligo potria V. E. dare tre o quattro compagnie, come fece nelle altre speditioni che restò servita darmi, et sapendo Γ animo suo in questo, el mio s'acquieterà per quello numero et starei in pratica del rimanente. Et qui finendo le bacio le mani (321). Di Carrara, alli 14 d’agosto 1566. Di V. Ecc.23 111.“ Servitore li, Marchese di Massa. Al S; Duca d'Urbino. III.1"" et Ecc.""’ S; mio oss.’"\ Il pensiero che io ho intorno al mio figliuolo e che, quando così piaccia a V. E., eh egli stia appresso di lei, che, è somma virtù e prudenza, fin che sia in età conveniente, et — 158 — che complisca e fortifichi la complessione sua in modo sicuro e da impromettersene, e tra tanto con ogni mia forza attendere a distrigarmi et uscire de’ debiti, che sono stati e sono tali, che, dato l’equalità, potevo anch’,io giostrare tra molti di quei SS.ri che ne sono ricchi e abbondanti il che quando sarà eseguito penserò forse condurlo meco in Corte, dove sarò pur troppo necessitato d’ andare, et allora o in questo o in altro modo con il conseglio, aiuto et favore di V. E. si potrà formare e concludere il più comodo et honore suo, al quale non mancherò, con quelle forze che potrò, come ricerca l'amore d’un tale benemerito figliuolo come e lui. Et con questo, facendo risposta alla di V. E. et baciandole le mani, farò fine et pregherò Dio che a lungo conservi la sua Ill.ma persona come più desidera. Di Massa, alli 6 di decembre 1567 (322). Di V. Ecc.a Ill.raa Servitore et cognato aff.mo Il Marchese di Massa. Al S.r Marchese di Carrara. Ill;w, figlinolo cariss.MO, Il castellano nostro di Massa (323) tornò ieri da Sua Maestà Cesarea con questa speditione. Concede la M. S. alla persona mia la dignità di Principe d’imperio, et in perpetuo, et a questo Stato dona il titolo di Principato et a quello di Carrara di Marchese per il primogenito, i qua 1 quando succedono nel Principato di Massa s intende che succedono anche nella prima dignità di quello d’imperio, onde in casa nostra resta hoggi per sempre queste segnalate gratie per gran bontà di Dio e di S. M.; cose che debbono assai rallegrare non solo noi, ma i nostri SS. et pa renti, poiché haveranno tanto più honorati servitori et che - 159 - forse saranno più atti a servirli (324). Questo negotio è stato semplicemente trattato dal detto castellano nostro con racco-mandationi del S.r Principe di Fiorenza invero molto calde, a quali s ha da havere quell obligo che conviene così verso questi 1 rincipi come padroni, come anco verso del castellano come servitore affetionato e di merito...... 1 ra tanto, abbracciandovi con tutto l’animo faccio fine et priego Dio che a lungo vi conservi in salute et in gratia sua. Di Massa, alli 5 d’ottobre 1568. Vostro padre amorevolissimo Il Principe di Massa. Al S; Marc Antonio Colonna. III.”" et Ecc.’’'0 S; mio, Havendo inteso l’arrivo di V. E. in Italia con salute (325) così come meco istesso n ho preso grandissimo contento desiderando, al pari del mio proprio, ogni suo felice successo, cosi sono stato costretto, dalla molta affetione et osservanza che le porto, rallegrarmene con lei con il me-zo di questa mia, con la quale ho voluto ancora ricordarle eh io resto al solito suo servitore di cuore et desideroso di servirla sempre, conforme alli meriti suoi, dicendole d avantaggio eh io ho desiderato cattivo tempo in mare, acciò ella havesse havuto occasione di venire a favorire me et quella casa dove V. E. è tanto padrona, ma poiché non è successo, sperarò che debba seguire un’altra volta. Intanto la prego a tenermi in memoria et gratia sua et credere al presente mio agente quello di più che da lui le sarà esposto per mia parte. Che sarà il fine col quale le bacio le mani et desidero ogni felicità. Di Massa, 24 decembre 1569 (326). Di V. S. 111“ Aff.mo servitore Il Principe di Massa. — ι6ο — Al Piovano di Massa. Reverendo mio carissimo, Farmi che si come Γ ambitione sta male in tutte le cose mondane, che tanto più deve essere abhomta in quelle del servitio di Dio, il quale si deve servire con humilta et fervore et senz’alcuno altro pensiero terreno; la qual strada credendomi che fusse tenuta da quelli che reggono et sono nelle Compagnie cristiane di cotesta Terra, et che a bastanza le paresse havere contrastato gli anni passati sopra delle loro precedense, io me ne stavo con l'animo quieto, pensandomi che in questi giorni fussero preparati di fare 1 obligo c e l’offitio loro cristianamente, senza andare dietro alle sottigliezze della vanita dell andare inanzi o più in dietro, e e portare una od un’altra insegna; ma da che ho inteso che pur di continuo seguitano in questi dispareri, m è parso, prima, di ammonirli et dipoi dirle il parere mio, il qua e e, che la Compagnia di San Rocco, come più nuova et come quella che ha l'oratorio suo fuor della Terra, debba andare inanti a quella di Santo Bastiano et cedergli, come comporta il giusto. In quanto alle insegne, havendo ella preso 1 ru cifisso, mi pare conveniente che inanti alla loro Compagnia lo porti; et che quelli di S. Bastiano, se per i tempi passati hanno portato altra insegna di Religione, debbano anco confirmarla al presente, o se pure anco eglino vogliono portare un altro Crucifisso, non veggo perchè non lo debbano fare, ma nel luogo inanti alla sua stessa Compagnia, paren orni honesto che si come le Compagnie sono differenti, che cosi anco ogn una habbi la sua insegna particolare. Potrete dunque fare intendere questo nostro parere alli Deputati, accio che possano quietamente et senza scandalo attendere alli offitn loro con quella divotione che se li conviene. Nè altro. State sano. Di Carrara, 7 aprile 1569 (327). Alberico. — ι6ι — Al Sig; Domenico Spinola. Molto magnifico Sigr come fratello, Ringratio il S.r Marchese di Stepa della buona volontà che mi mostra, così del creato mio per Spagna come di condescendere alla vendita de la lìla, (328) che è quello che dovevo sperare dalla cortesia di Sua S.ria e dall’affe-tione che giustamente ci dovemo portare insieme. In quanto al detto particolare vedrà V. S. qui incluso la volontà mia, la quale si fonda a ragione, se non m’inganno. Il che non credo; però determini il S.r Marchese o lasci ordine fermo acciochè, convenendo insieme, ogni volta che io truovi il denaro, al che attenderò con diligenza, senza dilatione possa finirsi, che sarà il fine con che a V. S. mi raccomando. Di Massa, primo Febbraio 1570. Come fratello di V. S. Alberico Cybo Malaspina. Principe, etc. (Per inserto.) Se la Ula, Bibola et Monte di Vagli rende 200 A d’ordinario, se gli dara 13400 A, che viene a ragione d’uno et mezo per cento ; se nel castello sono artiglierie et monitioni per 5000, tanto se li darà; et se la Badia rende 500 A, per detto conto si pagherà di più sei milia scudi, et per ogni altro conto di fabrica darrasi altri sei milia, avvertendosi che per tutte queste qualità pagandosi a uno et mezo per cento, come s è detto, questi ultimi sei milia scudi si vengono a pagare due volte, somma questa quantità 30400 A, prezzo onestissimo, il quale accordato che sia si penserà al danaro, del quale è giusto che il S.r Marchese sia sicurtà coni’è solito di non havere molestia di detta vendita ,et che a sue spese taccia riconfirmare et rinovare la spedinone della Badia da questo Papa (329). II — I 62 — Al Cardinale d'Urbino. III.™ et R.mo S.or mio, Mons. Ill.mo di Ferrara teneva in confidenza la Badia di San Syro di Genova, che havevo io già da fanciullo, et bisognando renuntiarla, dopo molto contrasto iu data al Cardinale San Clemente, il quale monstrò di riaverla senza piegiu-dicare al ius patronato che mi haveva concesso poco prima la Santa Memoria di Pio IV, sebene dipoi n’ha mostrato segni contrari i quali sono io andato compoi tando per se guire il tempo et aspettare occasione migliore. Hora mi scrivano di là ch’egli sia molto gravato et pericoloso, il che essendo, supplico V. S. Ill.ma a favorirmi perchè questa Badia ritorni in casa mia et possa io havere questa sodisfazione, che quella, se bene con pochissima entrata, che è stata di tucti noi altri e per così antico et lungo tempo, per mezo mio et di tanta equità et ragione se recuperi adesso nella occasione che si prepara, che riconoscerò questa così cara gratia con infinita mia obbligatione dall’amorevolezza et cortesia sua, la qual supplico intorno a ciò a prestare fede all agente mio che meglio Γ informerà, bisognando, di tutto il negotio ; et con questo facendo fine, a V. S. Ill.ma bacio le mani e per sempre desidero vita felice (33°)· Di Massa, io aprile 1570. Di V. S. lll.ma e R.ma Servitore et cognato Il Principe di Massa A messer Gherardo de Mare. Molto mag.c0 S.re Sin quando vivealaS.ra Marchesa, mia madre, di bona memoria, essendo io fanciullo, il S.r Cardinale San Clemente fece fare una sepoltura per un suo fratello, o nipote, in la cappella - i63 - fondata et dotata dal N. S. Cardinale di Benevento in la chiesa di S. Maria del Populo di Roma, come forse sarà venuto a notitia di V. S. (331); et non ne fu fatto repulsa all’hora, ch’io sappi, sì perchè io ero putto, come perchè non si pensava che per ciò il detto San Clemente acquistasse ragione alcuna di potersi attribuire quella cappella per sua, si come alla morte sua s’è chiarito ch’egli havea oppenione di fare, essendosi ancora esso fatto seppellire in detta cappella et lassando nome che sia di casa sua. Il che m’ha dato altera-tione et sono stato forzato farne risentimento con quei frati, i quali dicono che non ci è dubbio che la cappella non si nomini di casa Cybo et che tale la chiamano et tengono loro, si come faceva il medesimo Cardinale di Benevento cognominandosi Cybo. Ma perchè questo non m’aquieta, anzi, essendosi risvegliata hora questa cosa, vorei chiarirla et cautelarla bene, et forse fare levare quella sepoltura come mal posta, ho voluto per abbondare in cautela, havendo massime inteso che li Cicala volevano fare il medesimo, pregare V. S. che, insieme con 1 altro fratello suo, voglia consentirmi et cedermi tutte quelle ragioni che loro ci havessino o potessero pretendere quando sia disceso originariamente il detto Cardinale di Benevento della casa loro de Mari, ancorché nominandosi, come ho detto, de Cybo, non ci tengo difficoltà alcuna, nè credo che altrimenti possa chiamarsi. Oltre che essendosi fatta questa cappella per onorare l’anima di papa Innocenzo et suoi successori, benissimo si vede che il detto Cardinale come honorato da quel pontefice et suo cugino (332) la fece fare a questo fine et che hora ci siano altri estranei che vogliano spengere questo nome non sono per sopportarlo..... Di Massa, 23 maggio 1570 Parente per farle piacere Il Principe di Massa — 164 — Al Sr Benedetto Bonvisi ......La S.ra Ambasciatrice giunse qui martedì sera all’Ave Maria, e si ballò sino alle 4 hore di notte, con molto gusto del S.r Don Giovanni e della S.ra Mensilla, anzi della istessa S.ra Ambasciatrice, che stette sempre a vedere, et poi s andò a cena. La mattina seguente s’andò a vedere il mio giardino (333) et s’arrivò sin al fiume, dove era in ordine da pescare, et assai presto si presero molte trote, con non piccolo piacere. Di poi si tornò a desinare et incontinenti si partirno per Lerici..... (334)· Ricevei le persiche, quali furno a tempo, et la ringratio.... Di Massa, 28 febbraio 1570. Al Sr Gherardo De Mare. Molto magco S; parente, Perchè la memoria della cappella, fatta fare in la chiesa del Populo di Roma dal S.r Cardinale di Benevento duri più che sia possibile in casa mia, ho pensato di ranfrescare la pittili a di essa (335) e di provederla di nuovo di paramenti et altre hono-ranze, come conviene al culto divino et alla molta virtù 1 que prelato, et però, per farlo più quietamente, ancorché io son certo che nessuno può pretendere ragione in detta cappella, poic ìe il detto S.r Cardinale si nominava di casa mia et cosi appare in la inscrittione fattaci, nondimeno, per abbundare più presto in cautela che per necessità, desidararei che V. S. mi cedesse tutte quelle ragioni che ci potessi tenere. Vengo dunque a pregarla di farmi questo piacere et con le prime mandarmene scrittura in buona forma, et se all incontro, pei la parentela che è tra noi, posso fare a lei servitio alcuno, me le offero di cuore, che sarà il fine col quale prego Dio la contenti. Di Massa, 2 di giugno 1570. Amorosissimo parente Il Principe di Massa. - 165 - Al S; Scipione Cybo. Ill.mo S; cugino, Io ho ritrovato già questo offitio tra le cose di mio padre et avo, il quale facilmente poteva essere del Papa, et perch egli è stato sempre tenuto bello, io glielo mando, come farei d’ogni cosa che io havessi che andasse a gusto suo. La priego, non sia contracambio di questo, che è pochissimo, ma per farmi servitio et per la solita cortesia et amorevolezza sua, donarmi il libretto che io ho et l’altre scritture et cose appartinenti alla memoria di casa nostra, delle quali potrà tenersi copia o io gliela farò trascrivere nel medesimo modo che stanno ; et farò insomma et hora et sempre, non solo in questo, ma in tutto quello che sarà di sod-disfattione sua, quel meglio che saprà elladesiderare, o quanto farei io con me medesmo. Et s’ella potesse intendere se nelle scritture della Duchessa di Camerino, bona memoria, vi fusse a questo proposito, et anco tra quei libri ch’ella mi disse d havere di suo padre in Sarzana, tanto più saria grato et d’infinita obligatione questo servitio. Il quale non le raccomando con più calde parole, confidando assai nell’animo giuditiosis-simo a farmi sempre piacere et comodo, come ho visto in tutte le occorrenze mie. Et con questo me le raccomando et priego felicità (336). Di Carrara, el 6 d’ottobre 1570. Cugino amorevole Il Principe di Massa. Al S.r Pietro Calefatto. III. Molto M;° et Eccr , Piacemi molto che V. S.s’ habbi fatto imprestare al Grifio quelle due istorie antiche, sopra delle quali m’occorre dirle, che poi che lei non ha comodità di leggerle per 1’ occupationi del — ι66 — studio, come credo, potria V. S. per maggior comodo suo e mio cedermele per otto giorni, che io al sicuro gliele rimanderò, ne il Grifio potrà sapere che siano uscite di casa sua. Et quando voglia farmi questo piacere che io desidero, diale al presente che veranno sicurissime et torneranno in mano di V. S. Che sarà il fine, con che me le raccomando et offero al solito. Di Massa, i di novembre 1570 (337)· Di V. S. al servitio Il Principe di Massa. Al Ser.mo Principe di Venetia. Ser.mo Principe S.r oss Poi che per l’impedimenti che già feci sapere a V. Serenità con il mezo del S.r PauloTiepolo, non potei andare su l’armata della S.ma Lega, non volli mancare, per corrisponder in parte a quel debito che io dovevo al servitio loro, di mandare il Marchese, mio figliuolo, in quell a impresa, si come feci con quella prontezza d’animo che sarò anco presto a dimostrare in ogni altra loro occorrenza in che 10 habbia gratia di poter servire alla Sere nità Vostra. Hora, havendo inteso la felice vittoria che Iddio et il valore del Ser.m0 Don Giovanni et del prudentissimo et valoroso generale di V. Serenità li ha dato, così, come ha ripieno tutto il mondo d’allegrezza, così ho voluto mandare il presente mio gentil huomo a rallegrarmene con lei; rendendola certa ch’egli non gliela dimostrerà tale con parole, che io non l’habbi sentita molto più nell’animo; poiché in me non poteva essere veramente maggiore. Et pregando la Maestà Divina che, conforme alli suoi infiniti meriti, la rendi tuttavia più felice, faccio fine et le bacio humilmente le mani. (338) Di Massa, primo novembre 157ì. Di V. Serenità aff.mo et oblig.mo servitore Alberico Cybo Principe di Massa. » — 167 — Al S; Marchantonio Colonna. Ili;10 et Eccmo S; mio Oss.mo, Se per il passato ho sentito molto contento, come amorevole servitore di V. E., delle allegrezze et felicità sue, et havendo questa d’hora avanzata ogni altra in lei, per 1’ honore che ha reportato in così gloriosa giornata contra Turchi, così in me ha accresciuto più dell’ ordinario il contento ; onde conseguentemente vengo a rallegrarmene con l’E. V. col mezzo della presente mia, conforme ancora a quanto havevo fatto prima meco medesimo, per il servitio universale. Prego Dio che le doni ogni altro felice successo, et a me occasione di servirla, come desidero di fare sempre. Che sarà il fine col quale le bacio le mani et le resto servitore di tutto cuore. (339). Di Massa, primo Xbre 1571. Di V. Ecc.“ Ill.ma certissimo servitore Alberico Cybo, Principe etc. S;r Marchese di Carrara. Ili;10 S; figlio, S’ è ricevuto il cavallo assai male in ordine : però se gli farà attendere, et per l’istesso si manderà postdimani il Saltamartino, il quale anch’egli è assai magro, non si trovando qua fin hora orzo. Basta, ch'anderemo scambiando alle volte così qualche cavallo, che così voleste voi scambiar qualche dama. Noi stiamo bene, ma con gl" animi sospesi del pericolo corso della congiura scoperta in questa Città, ch’era di molti capi del populo contra ad ambe le parti della nobiltà et con quei particolari che vi dovrà seri- — ι68 - vere il Brunetti. Et per hora facendo fine vi prego salute : Non altro. N. S. vi mantenghi nella gratia sua. Di Genova, alli xj Xbre 1576. Padre amor.”10 Alberico, Principe, etc. Se la congiura si poneva a effetto il giorno del esequie del Imp.re, che sia in gloria, toccava a me ancora di quelle frutte, poiché il Duce con li dua Amb.n et io stavamo tutti vicini et insieme; s’il giorno che danno gli uffitii, stando la nobiltà divisa in tante case era cosa di tempo, se bene del medesimo pericolo. Si spera che non si facci altro tumulto così per i buon ordini come perchè questo è populo obbediente quando non è ingannato da capi a’ quali essi habbino credito et quelli restono presi. (340) Al Gran Duca di Toscana. Ser:’w Sig.or mio oss!"\ D’Algieri mi è capitato alcuni giorni sono alle mani un leonpardo, che hora invio a V. A., parendomi che sia a proposito per le sue caccie ; e perchè mi dicono che è giovinetto potrà imparare dagli altri che V. A. tiene per tanto meglio servirsene. La supplico poi con questa occasione a mostrare con il favore de’ comandamenti suoi qualche memoria di me, che vivo colmo di vera prontezza rt affetione per servir sempre a ΓΑ. V., alla qual bacio con ogni obbligato affetto le mani. Che Nostro Signore la Ser.ma sua persona conservi per lunghi anni felicissima. (341). Di Genova, 14 aprile 1592. Di V. Altezza. Devotissimo servitore Il Principe di Massa. \ — r6g — Al Sig!' Enea Pio, in Reggio. Ili:"0 Sig.", Non vorrei già che il non scriverci cosi spesso fusse causa che V. S. Ill.ma non mi raccomandasse in ogni occasione sua, poiché ben sa quanto io habbia sempre desiderato di servirla. Hora mi vien desiderio, havendo letto poco fa la vita della Contessa Matilda, di haver quella più chiara informatione che fusse possibile di che casa ella si facesse chiamare, poiché io ho alcuni autori che vorrei vedere se si confermano con quello che di ragion "si deve trovare nell’Archivio di Reggio, che però la prego molto che con gli Antiani di quella città o con altri che hàvessero cura di ciò mi faccia gratia di vedere che io ne sappia Γ intiero, et anco di farmi havere un ritratto suo dell’ inclusa misura, che quando passai di là ne viddi uno che haveva il Conte Fulvio Rangone, benché in Canossa mi dicono che v’ è il proprio antico di quel tempo. Et a .V. S. bacio le mani. Che N. Signore la feliciti. Di Genova, 8 aprile 1592. Di V. S.ria Ill.ma Il Principe di Massa. Al Sig.r Cesare Florio, a Praga. Molto Mag.00 Sig.rt, Dal Sig.r Hettore Spinola (342) son informato della diligenza et pratica sua in quella Corte, la quale mi sarà carissimo che voglia usare in un mio negotio, che è che havendo io desiderio di dare titolo di città alla mia Terra di Massa, si come è ornata di diverse honorevoli et civili qualità che ne la rendono meritevole, ne scrissi al dott. Davit Gering perchè ne trattasse con quei ministri imperiali del modo d'ottenerne la gratia da Sua Maestà Cesarea, il quale mi ha risposto di haverne tenuto proposito con alcuni. di quella Cancellarla, che se ci trovarà facilità, ma che per la speditione ci anderà di spesa sei o sette cento scudi; il che parendomi assai, poiché questa degnità non ha da servire per altro che per una certa honoranza et maggiore stima, mi farà però piacere d’esserne con esso il Gering, che è ben instrutto di questo mio intento, et insieme trattarne poi col S.r Giacomo Curtio, che intendo che ha cura di simili speditioni, avvertendo che la spesa si tiri a manco che sia possibile et che non passi 250 scudi in circa, che sarà compatibile a farmene più presto risolvere, di che ne scrivo 1 alligata al detto Sig.r Curtio in sua credenza, quale perciò in conformità potrà informar; et di quanto ritrarrà starò attendendo pieno avviso, et parimente delle esentioni, prerogative, et autorità che per tal grado acquistano le terre che lo ricevono, certificandola che non mancarò mostrarne a lei in particolare segno di amorevolezza et gratitudine. (343) Di Genova, 25 ottobre 1592. Pronto per farle servitio Il Principe di Massa. Al S: Dott. David Gering Procuratore di S. E. alla Corte dell'Imperatore. Molto Mag.co et Eccellente S.re, È un pezzo che non ho nuova di V. S., che pur mi saria sempre caro per l’affetione che le porto et per potermi tal hora valer della diligenza et valor suo, il che vengo hora a fare con la solita confidenza di sempre, che è c havendo io, con infinita spesa, ampliata la mia Terra di Massa di fabriche, chiese, strade, piazze, fonti, muraglie et ripiena di diversi artifitii e trafichi, resta - ΐ7ΐ - hora sì bella et vaga che, non solo a me, ma a tuttti che l’hanno vista pare che meriti titolo di città, il che ho tentato per via di Roma, ma si come converrebbe formarvi un Vescovato, . oltre alla molta spesa che c’anderia nella speditione, così non mi torna hora ben di fare nè l’uno nè l’altro, onde havendo inteso che S. Maestà con l’autorità sua può dar titolo di città, imperiale desidero che V. S. mi faccia piacere d’informarmi a pieno che via et mezzo bisognerà per ottenerlo et che spesa andarà in tutta questa speditione che le ne restarò molto tenuto. Che N. Signore la contenti. Di Genova, il di 26 di maggio 1593. Prontissimo per farle servitio. Alberico Cybo Principe di Massa. Al S.or Persio Cattaneo Nel particolare che comanda l’altezza del S.or Duca nostro, mi trovai quando il S.or Duca, mio cugnato di felice memoria, prese il baston del generalato da papa Giulio III ; et allora uscì il S.or Duca da l’appartamento di Borges, dove allogiava, vestito d’ormesino negro, con veste curta simile, con maniche, ma senz’ esse in braccia, et allacciata con due bottoncini sopra il giuppone, essendo di state, con sua berretta bassa di velluto, con una picciola piuma, con spada indorata; et così intrammo in cappella, et andò diritto il S.or Duca dal Papa a baciargli i piedi, stando inginocchio; doppo prese il giuramento, se li levò la robba, et s’armò d’un corsaletto tutto indorato, et prese il bastone; se ne tornò all'istesso appartamento e diede banchetto a molti Signori. Dipoi, in altra occasione di cappella, indubitatamente sedè in ultimo. Ma non mi sovviene, per appunto così allora, come nel pontificato di Pio iiij, se fusse in mezzo delli dua ultimi cardinali, 0 fusse l’ultimo a sedere il S.or Duca: però sogliono i maestri di cerimonie scrivere i lor diarii, nè la- — 172 — sciare cerimonie tale senza espressa memoria, come ho visto nei diarii d’Innocenzo Vili di santa memoria c’ho io a Massa, a tal che in Roma non saria gran fatto saper il proprio. Mi trovai ancora un giorno che papa Pio era in palazzo nella camera verde, con sei o sette cardinali, che tutti sedevano in una banca secondo Γ uso, e trovandovisi il S.or Duca, sedè in ultimo, che può essere che fussero cardinali preti, et il Conte Federico et io stavamo appoggiati alla finestra dove si stette poco men d’un’hora, dando il Papa lungo conto dell’ essere in che havea trovato il pontificato et di molti ordini che pensava dare, le qual cose furno approvate dà Cardinali et dal S.or Duca et così hebbe fine una mezza congregatione. (344) Di Genova, 12 giugno 1598. Vostro Alberico Cybo. Al S.r Federico Tomacello Marchese di Chiusano. Ill.m° S.rc, La lettera di V. S. Ill.ma delli 12 passato mi è stata tanto più cara quanto con essa ho inteso la salute sua, qual stimo al pari della mia, et così Nostro Signore la conservi lungamente. Ho gustato sapere quanto mi dice della S.ra Porda Tomacella, et molto più che di Oratio siano restati tre figliuoli maschi per conservatione della Casa, i quali nomi desidero di sapere per ponergli nel arbore et mi è caro che si speri di recuperare la Rócca, poiché il S.r Scipione, buona memoria, mi diceva ch’era utile et vicino a Napoli. Delli dui nipoti di V. S. Ill.ma godo che habbino moglie et uno habbi figliuoli, che pur potrà mandare i nomi loro per il medesimo effetto di sopra. Le bacio le mani del aviso che mi dà della vendita di Marigliano, che mi soviene che quando era del S.r Cesare Gonzaga me lo laudava in estremo et c’era «* - 173 - molto bello in particolare e nobile ; ma io non lo potrei comprare se non vendessi il Marchesato di Ayello, del quale ne trovo però settanta mila ducati; se bene io intesi a questi giorni che il S.r Vice Re lo comprava per un suo secondo genito. Alla S.ra Marchesa mia, giuntamente che a V. S. Ill.ma, bacio le mani di core. Che Nostro Signore le contenti. Di Genova, io febbraio 1601. Di V. S. 111“ \Di mano di S. Ecc.a ]. La S.ra Marchesa del Vasto vedova inclina assai a dar la seconda sua figliuola a Don Carlo, mio nipote, et la dote sarìa 60 mila scudi et con aspettativa di successione quando la sorella, hora Marchesa, non havesse figliuoli benché son giovani quanto si sa. Il partito è nobile com’èchiaro, ma l’aspettativa è incerta, e per la quantità della dote ionon mi moverei, et ancoper lapoca età di mio nipote, oltre che intendo essere quei SSri carichissimi di debiti et che pagano più di terze che non sono l’entrate loro. Prego però V. S. lll.maa darmene qualche particolare informatione et dirmene il parer suo, ritenendo le cose in sè, per esser le cose de’ matrimonii gelose assai. Non so se 10 gli mandassi mai 1’oratione di Papa Innocenzo nostro, funebre, nella quale si fa larga mentione dell’essere ristesse le famiglie nostre, che quando no, la invierò quanto prima. Il favore di quel seggio non si hebbe mai e par che doveria bastare il dire mostrare che le due famiglie sono ristesse, senza specificare qual sia l’una ch’esca dal altro poiché sono cose antichissime et che male si possono accertare. Del 962 ho nobilissimo privileggio autentico d'Otton primo di Guido Cybo, (345) et del 1131 ho fede di Roma che fu Alberico Cardinale d’HonorioII, et del 1134 Raimondo fu uno de’ Consoli al governo qui della Republica, onde non so se in Napoli vi son memorie così antiche della detta famiglia, che potrà 0 - 174 — V. S. 111.™ dirmene quello che ne occorre (rt). Et le bacio le mani (b). Servitore di V. S. Ι11·'ηι • Il Principe di Massa. Al S.or Federico Tomacello Marchese di Chiusano. Ilir S.re, Di quanto piacque a V. S. Ill.ma di scrivermi gliene bacio le mani, come faccio al Signore Marc Antonio Ca racciolo, rallegrandomi che anco sia maritata 1 alti a soi e a della S.ra Portia a cavaliere principale, al quale mi favorisca pure di baciar le mani. Ho posto al arboie della Casa i gliuoli del S.r Oratio Tomacello, desiderando sapere se restano comodi, il che non credo, ma i nipoti di V. S. 111.™ non so dove accomodarli, parendomi che quel ramo che già nu fu dato che non stia bene, poiché pare che Pompeo, Livio e Marino siano suoi fratelli, che incluso sarà lo schizzo e potrà mandarmene un altro accomodato, acciò che il tutto sti ^ bene. In quanto al Arma già so che i scacchi sono ture ini e bianchi in campo rosso quelli del ramo di papa Boni atio et del S.r Scipione, buona memoria, et di V. S. 111.'1"1, ma non so già la causa perchè l’altro ramo del Baron Tomacello & i portasse bianchi e gialli o nero turchini e oro, che non mi ricordo bene, che aspettarò che mi favorisca di ansarmene. E con questo le bacio le mani ben di coi e. Che N. Signore gli conceda il sommo bene. (346) Di Genova, 10 aprile 1601. Di V. S. Ili.ma Servitore Alberico Cybo. (") Alberico vi scrisse in margine: « et questo particolare non ha corri sposto ». (A) La lettera è scritta da Genova, ma non ha data. Si trova nel copu lettere di Alberico tra una del 28 novembre 1600 e una del 23 febbraio 1601. - 175 - Al Sr Luca Grillo. Molto Illustre Signore, Mando a V. S. due libretti perchè gli ritenghi fra gli altri suoi, e dove si fa qualche mentione della famiglia mia Cybo, come priego V. S. che facci il medesimo nell’opera sua se le vien ritaglio. 11 Stefanino de Vrbibus se ne servi quanto bisogna e poi potrà rimandarli qui in casa, perchè io sarò in Massa per tutta questa estate. E dove esso autore tratta della città Cybon, V. S. mi avisi a quante carte, perchè le possa ponere in certe memorie mie. E le bacio le mani. Che N. S. la guardi. (347) Di casa [Genova], li 16 di maggio 1604. Al Duca di Monteniarciano. Ili:"0 et Ecc:no Sr come figlio Amatiss.”‘% Dalla lettera di V.a E.a e dalla viva voce del gentiluomo suo inviatomi, ho inteso il passaggio della Duchessa nostra, che sia in cielo, et i particolari di esso, il che ho risentito in sino al intimo del cuore mio e con tanto gran dolore, qual non potendo circonscrivere, può l’E. V. stessa considerare, e tanto maggiore quanto che mi ha colto non solo all’improvviso ma lontano anche da così notabile accidente, anzi in tempo che stavo aspettando nuova della felicità del parto e della buona salute di essa, come V. E. col ultime lettere mi prometteva. Aggiungesi a questo la consideratione c’ho, e sentimenti del dolore che V. E. con molta ragione deve soffrire, al che compatisco quanto devo e com’ Ella deve credere; e ancorché io sia bisognoso di consolatione più d’ogni altro, nondimeno verò pure a remostrarle che questa visita viene dalla mano di Dio, dal quale si deve prendere il tutto a bene, e come la prego a voler fare, sì per non allontanarsi dal volere divino come anco per il servitio della casa sua; — 176 — e so che con la prudenza sua grande, passati questi primi moti, sarà per fare. Nel resto mi rimetto al sudetto gentiluomo suo, e baciando a V. E. le mani, finisco. (34^)· Da Genova, 2 ottobre 1607. Di V. E. Alberico Cybo Malaspina. Al medesimo. Io son tanto fuor di me, che non basto a pensare ad altra cosa che a’ miei dolori e a tante disgratie che giunta-mente mi vengono, vedendo, che in meno d un anno ho persi due figli che con la pena e fastidio particolare che mi arrecano cinque nepoti, che tutti dimandano et una da marito, e con questa nuova percossa, diffido di me stesso e sto quasi in certezza di non poter durare, talché per dui affliti, V. E, et io, non habbiamo pari. Ricoriamo dunque a Dio che ci dia fortezza et ci aiuti con la pietà et misericordia sua, che rimedio miglior non scorgo a’ fatti nostri. La bene-ditione mia la do mille volte a quella buona e meritevole e, spero, santa figlia mia, e con lacrime abbondantissime et intensissimo dolore la raccomando a N. S. et alla Santissima Madonna, della quale ben so quanta n’ era devota. Del sci i vere io rispondo fino a’ fachini, guardi V. E. se ho risposto sempre a quelli che tanto mi toccano. Risposi per il pi imo male di quei dolori, scrissi per il Vescovato di Cremona nel sig. Cardinale nostro, e dicevo de’ benefitti et altre speranze, come pur vedrà da dette lettere che dovranno capitare, se non sono andate a male, qui 0 a Milano; e di gratia non mi tenga discordato su cose tali che non mancherei mai a simil debito tanto dovuto. Bacio le mani a V. E. con tutto l’animo (“). (349). Suo padre amorevol."10 e servitore Alberico Cybo Malaspina. (a) Ambedue le lettere sono indirizzate al Sig. Duca di Montemarciano, quest’ultima è senza data. - i77 - R. Arch. di Stato in Massa. Testamenti della Casa Cybo. Testamento dei Cardinale Innocenzo Cybo. In nomine Sanctae et Individuae Trinitatis, Patris et Filii et Spiritus Sancti, Amen. Per hoc presens publicum instrumentum cunctis pateat evidenter et sit notum, quod anno a nativitate Domini millesimo quingentesimo quinquagesimo, indictione octava, die vero decima tertia mensis Aprilis, pontificatus Sanctissimi in Xpo Patris et Domini Nostri Domini Iulij, divina providentia Papae tertii, anno primo, in mei notarii publici testium-que infrascriptorum, ad hoc specialiter vocatorum et rogatorum, presentia personaliter costitutus R.mus et Ill.mus Dominus Innocentius Cardinalis de Cibo, sanus mente et intellectu, per Dei gratiam, licet corpore languens, provide attendens omnibus semel mori statutum esse et morte nihil certius, ac illius hora et momento nihil incertius, idcirco suae pere· grinationis diem dispositione testamentaria prevenire, animaeque suae saluti ac infrascriptorum suorum heredum quieti provideri, et ne super eius substantia et bonis, sibi a Deo collatis, creditis et donatis, post eius obitum disputari ac lites et questiones oriri contingat, quantum in se est obuiare et de eiusdem bonis suis, dum adhuc in bona dispositione et sanae mentis est, secundum cor suum disponere et ordinare volens, sponte et eius spontanea voluntate, omnibus melioribus modo, via, iure, causa et forma quibus melius et efficaciter potuit et debuit ; fecit, costituit et solemniter ordinavit hanc suam ultimam voluntatem siue hoc suum ultimum noncupatiuum testamentum, quod dicit sine scriptis, in hunc qui sequitur modum. Imprimis ab anima, rebus humanis digniore, incipiendo, illam commendavit Deo omnipotenti ac toti Curiae caelesti; corpori vero suo se- 12 - 178 - polturam elegit etvoluit esse in ecclesia Minervae urbis, (350) secus sepulturas Sanctissimorum Pontificum Leonis et Clementis, illius impensae, prout infrascriptis testamentariis exe-cutoribus videbitur et placuerit, eiusque funeralia ^ voluit esse modicae impensae quam sit possibile arbitrio comissano-rum seu executorum infrascriptorum. Item, reliquit desti ibui pro anima sua scutum unum pro incertis et male ablatis ; item, pro remedio animae suae et remissione peccatorum suorum mandavit distribui scuta mille auri pauperibus, personis et locis infrascriptis, videlicet Hospitaletto Ianuae, scuta quinquaginta, hospitali S.ti Iacobi Incurabilium de urbe, scuta quinquaginta, offitio Caritatis de uibe, scuta quinquaginta, orphanellis de urbe, scuta quinquaginta, fratribus Minervae, scuta quinquaginta. Item reliquit filiabus q· Io. Bapt. e Camerino, eius barbitonsoris, pro ipsis maritandis, scuta tri-centa auri, in tercias dividenda aequis portionibus; item reliquit Iacobae uxori illius, pro anima sua, scuta centum ; item reliquit Norae, filiae magistri Polidori eius barbitonsoris et uxori N., scuta centum ; item reliquit N., filiae Ioannis de Anguillaria olim sui servitoris, scuta triginta ; item reliquit om nibus suis servitoribus expensas fieri per quadraginta dies, (ut iuris est), post eius mortem, mandavitque illos subito satisfieri integraliter de eorum salariis ; item mandavit mte-graliter satisfieri omnibus creditoribus suis ; item reliquit usumfructum et liberam habitationem domus paternae, per ipsum emptae Carrariae ab heredibus presbiteri Franosa Rapi de S.t0 Terentio, supradictae Iacobae donec vixerit ; item reliquit donavit et cessit D. Antonio Fiorello de Florentia, olim eius computiste, summam scutorum tricentorum et quin quaginta, vel quantum sint, prefato Reverendissimo D. testatori debitam virtute sententiae latae contra dictum Florei· lum in dicta civitate Florentiae per magnificum Dominum Lelium Torellum de Fano, auditorem eccellentissimi Ducis Florentiae, iudicem tunc commessarium, quam sententiam in totum cassat et annullai. Item liberat et absoluit Reverendum presbiterum Hie- — 179 — ronimum Vechianum, Episcopum Vulturariensem, (351) antehac custodem bonorum mobilium et secretarium ac thesaurarium nec non impentiarium et per multos annos antea magistrum domus ipsius R.m' Domini, de omni et toto eo quidquid et quantum apparebat, apparere posset pro sua ad-ministratione esse debitorem dicti R.mi, nec uult quod per prefata administrati'one et debitis cuiusvis summae et quantitatis possit molestari aut inquietari ab infrascriptis eius heredibus uel a quavis alia persona, eum absoluendo et liberando, etiam per aquilianam stipulationem acceptilatione subsequente,usque in presentem diem, non tamen in huiusmodi quietatione comprehensis debitis per ipsum Reverendum episcopum nomine suo proprio ante annum millesimum quingentesimum vigesimum septimum contractis, et in eius utilitatem particularem conversis. Item simili modo quietavit. liberavit et absoluit dominum Ioannem Franciscum Guiduccium, (352) Canonicum Florentinum, secretarium ipsius R.mi Domini Testatoris, de omnibus et singulis per eum ipsius R.m‘ Domini testatoris nomine gestis et administratis, quietantiamque et liberationem finalem illi de illis per aquilianam stipulationem ut supra fecit. Item liberavit et absolvit Illustrissimam Dominam Hi-politam, Comitissam de Gaiazzo, eius sororem, de omnibus et singulis fructibus, redditibus et proventibus per eam perceptis ex abbatia sanctorum Andreae et Sullae. Item reliquit Ill.mo Domino Alberico Cibo Malaspina, eius nepoti, omnia melioramenta per prefatum R.mum D.num testatorem facta in Marchionatu Massae et Carrariae cuiusvis valoris, summae, qualitatis et quantitatis existant, in fabricando in arcem Massae et Carrariae, et omnia tormenta ferrea et aerea ad ipsum R.mum D.num testatorem spectantia nunc exi-stentia in dictis arcibus Massae et Carrariae vel quovis alio loco dicti status (353). Item reliquit, cessit et transtulit prefato Ill.mo D.no AI berico omne ius ac omnes et quascumque actiones reales et personales, mixtas et normales et pretorias vel cuiusvis — ι8ο — alterius generis, ad ipsum Reverendissimum Dominum, quavis causa et ratione, expressa et non expressa, cogitata et inexcogitata, spectantia et pertinentia in et supra bonis he reditatibus et patrimonio 111.mnc domus de Medicis et in et supra comitatu Anguillariae et Cerveteris, attenta alienatione vel donatione facta per olim 111mum Dominum Franciscum eius patrem in ipsius R·11'1 testatoris, tunc iam nati preiu i cium, quod minime de iure fieri potuit, volens et mandans ipsum Dominum Albericum de dictis iuribus posse et actio nibus libere experiri in iudicio et extra, quandocunque sibi placuerit in omnibus et per omnia, prout prefatus R· ^ D. te stator poterat, ponendo dictum Illustrem D. Albericum in omnibus et per omnia in eius locum (354)· Item iussit et mandavit quod omnia sua bona mobilia et suppellectilia cuiuscumque valoris et qualitatis sint, aurea et argentea ac iocalia ubicumque existentia, debeant in primis sub fischi inventario describi per inh ascriptos suos fideicommessarios aut ab iis deputandos, et deinde ad pu blicam caligam et subastationem plus offerenti vendi et a ìe nari, illorumque pretium et valorem poni deberi in locis com perarum S.li Georgij Reipublicae Ianuae ad multiplicum et augumentum infrascriptorum suorum heredum, donec in ra scripti sui heredes sint aetatis annorum viginti et non ultra, et cum limitatione occasione infrascriptarum dotium de qua infra (355). Item mandavit et iussit quod infrascripti sui u eicom missarij et executores debeant, quanto citius fieri poterit, exigere seu exigi facere omnes fructus pendentes ac pecu niarum quantitates, affictum Archiepiscopatus Messanensis et Taurinensis ac Ianuensis, ac Abbatiarum Sancti Siri Ianuae, Sancte Mariae de Morimondo, Mediolanensis dioecesis, ac Sancti Pauli pisani, ac Sanctae Sabbae de Urbe, nec non pensiones decursas, usque in presentem diem exigendis a R. D. Archiepiscopo {“).....Hispaniarum.........et R.mls et (n) Le presenti lacune sono anche del testo. — ι8ι - 111. Dominis Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalibus Alexandro de l· arnesio et de Cesis, ac omnes et quoscumque affictos seu censos ipsi R.mo debitis ab Illustre D. Paulo lordano de Ursinis vel a quavis alia persona usque in presentem diem discursos omnium bonorum et tenutarum spectantium ad Abbatiam Sanctae Sabbae de Urbe, citra tamen preiudi-cium iuris caducidatis Senati dictae Abbatiae, ac omnia et quecumque alia credita ipsius R.m' D. testatoris sibi a quibuscumque personis et in quibuscumque locis debita, et omnia supradicta credita et alia huiusmodi expressa reduci debeant in pecunia numerata, quae quidem pecuniae poni debeant, una cum aliis pecuniis faciendis de bonis suis mobilibus, ut supra, in paghis seu locis comperarum S.1' Georgij Ianuae et ut supra ad multiplicum et augumentum infrascriptorum suorum heredum, usque ad aetatem annorum viginti, ut supra, et cum limitatione, occasione dotium ut infra. Item reliquit puellis Helenae et Ricciardae, filiabus suis naturalibus, tamen paulo ante huiusmodi testamentum legiti-matis, pro eorum dotibus et bonis parafernalibus et pro omni et toto et quidquid et quantum habere et pretendere pos-sent in bonis dicti R.mi D. testatoris, non plus quando tradentur, scutos sex mille auri Italiae pro qualibet ipsarum, de dictis pecuniis existentibus in comparibus S.t! Georgij, solvendis et levandis de dictis comparis ad predictum finem et effectum per infrascriptos suos heredes vel habentes auctoritatem et personam legitimam ab eis, sine aliqua contradictione et dilatione, et altera eorum decedente, idem R.,nus Dominus voluit et disposuit dotes relictas decedentis accrescere debere heredibus masculis infrascriptis vel alteri eorum supraviventi. In omnibus autem aliis suis mobilibus immobilibus iuribus actionibus et melioramentis factis in Abbatia S.tae Mariae de Mori mondo, Mediolanensis dioecesis, et alibi ubicumque locorum presentibus et futuris, quomodocumque et quali-cumque ad ipsum R.mum D. testatorem spectantibus et pertinentibus, suos heredes universales veros et legitimos instituit et esse voluit ac ore proprio nominavit, nobiles infantes Clementem et Alexandrum eius filios naturales, tamen pau o ante huiusmodi testamentum legitimatos ad hunc nem et effectum ut iuridice succedere possint et valeant, et in om nes casus in quo legitimatio facta de eis esset in a 11 parte defectiva, tam respectu dictorum heredum quam etiam supradictarum dominarum Helenae et Ricciardae, de it eis et cuilibet ipsarum ac tutoribus et executoribus infrascriptis auctoritatem, facultatem et licentiam, novas, validiore g timationes a quibuscumque facultatem habentibus impe , semel et pluries, toties et quoties usus fuerit, ad effectum promissarum successionis et legati ut supra consequen ^ , prefatos Clementem et Alexandrum eius heredes uulgariter pupillariter et per fideicommissum ad invicem substituit ; quibus Clemente et Alexandro heredibus ambo decedentibus sine filiis legitimis et naturalibus, illis et cuiuslibet substituit prefatum 111.mum Albericum Cibo, eius nepotem, et hanc vo uit asseruit et attestatus est esse suam ultimam voluntatem, quam valere voluit in vim testamenti ac sue ultimae voluntatis, etsi non valerent vel valeret iure testamenti, valere voluit m vim codicillorum nec non donationis causa mortis ac donationis inter vivos, seu cuiuslibet alterius ultimae voluntatis alio omni meliori modo, via, iure, causa et forma quibus va Iere potest et debet, tutores vero et pro tempore curatores dictorum pupillorum fecit et esse voluit R.mos Dominos Ioan-nem Card.lem de Salviatis et Octavium Cibo, Episcopum 1 a-rianensem, et dictum R. P· D. Hieronimum Episcopum Vulturariensem, et, dum ad aetatem legitimam pervenerit, Illustrissimum D. Albericum, eiusdem testatoris nepoten suprannominatum, et quemlibet eorum in solidum, executo res autem huiusmodi testamenti vel ultimae voluntatis ecit et esse voluit eumdem Ill.mum D. Cardinalem de Saluiatis et Ill.mam D. Ricciardam Malaspinam, Marchionissam Massae, et Nicolaum Agostini de Grimaldis, absentes tamquam presen tes, et eorum quemlibet in solidum, rogans illos ut onus exe cutionis huiusmodi tutelae suscipere dignentur, dans eis plenam potestatem et auctoritatem huiusmodi suam ultimam volunta - 183 - tem exequencli et debitae executioni demandandi, et si necesse fuerit, in premissis omnibus et singulis et eorum occasione in quocumque foro sive iuditio, coram quibuscumque iudicibus ecclesiasticis et secularibus quacumque auctoritate fungentibus et functuris, comparendi et agendi, ac hereditatem huiusmodi et ipsos heredes eorumque iura defendendi, libellum siue libellos et quascumque alias petitiones summarias vel simplices, verbo vel in scriptis dandi et offerendi, litem seu lites componendi, calumniae et quandocumque alterius generum licitum et honestum, iuramentum in ipsius testatoris animam prestandum, testes, acta, litteras, scripturas et alia probationum genera producendi, et extra producta impugnandum, nec non ad omnes et singulos alios actos et terminos tam sub stantiales quam accidentales liti necessarios, in quacumque curia procedendi et contenendi et observandi sententias, tam diffmitivas quam interlocutorias, petendi audiendi et ab ea vel eis et quocumque aliis grauamine illato vel inferendo provocandi et appellandi apostolos semel et pluries debita cum instantia ferenda et obtinendum, appellationemque huiusmodi iusiurandi, prosequendi et pertractandi, expetendum damno et interesse taxare perendi et faciendi supra illis si necesse fuerit iurandi, unumquoque vel plures executorem sive executores cum simili authoritate et potestate substituendi, eumque vel eos revocare onus executionis huiusmodi in se reassumendi et generalia omnia alia et singula faciendi gerendi exequendi. Habens ex nunc ratum et gratum quidcumque per dictos executores et eorum quemlibet ac substitutos ab eis et eorum quolibet, actum dictum factum execu-tum et gestum fuerit in premissis et quolibet premissum, relevans nihilominus eosdem ab omni onere satisdandi iuditioque sisti et iudicandi solvi, cum omnibus suis clausulis opportunis sub hipoteca et obligatione omnium bonorum suorum presentami et futurorum, supra quibus premissis omnibus et singulis. Idem Rev.mus Dom.us testator sibi a me notario publico infrascripto unum vel plura publicum seu publica fieri petiit atque confici infrascriptum et infrascripta. — ι84 — Acta fuerunt premissa Romae, in palatio solitae ìesi-dentiae ipsius testatoris et camera in qua iacet infirmus, pre-sentibus ibidem eodem R.mo S.re Hieronimo Vultui ariense episcopo, Imperio Recordato Mantuano, Hieronimo 1 iccolo-mineo dei Testa, Senensi, Francisco Mascardo, Lunensis-Sar-zanensis dioecesis, Iacobo Jusuato Gaetano, Antonio Massa de Gallesio, Castellanae civitatis dioecesis, Pastore de Grossis etiam de Gallesio, Hercule de Bucchis Bononiense et Io. Baptista Righi de Massa, Lunensis-Sarzanensis dioecesis, clericis et . * laicis respective testibus ad premissa vocatis atque ìogatis e c. Et ego Gabriel Vignolius Archivii Romanae Curiae Scriptor quia premissis omnibus et singulis interfui, ideo pre sens instrumentum publicaui rogatus et requisitus etc. (35^·) R. Arch. di Stato in Genova Atti dei notaro Peirano Grimaldo, filza n° 19, atto n° 524. Testamento di Alberico I Cybo Malaspina (357)· Al nome de Dio sia e della Sma Trinità e della gloriosissima Vergine nostra Sra. Conciossia che non habbiamo cosa più certa della morte, nè più incerta dell hoia sua, e perciò n habbi Xpo Signore e Redentore col suo santo evangelio amoniti che stiamo pronti e svegliati per quando le piacerà chiamarci, il che considerando 1 Illunio et Eccmo Signor Don Alberico Cybo Malaspina, Principe d’imperio e di Massa, Marchese di Carrara, Duca d’Ayello, Conte di Ferentillo, Palatino et Apostolico, Zamberlano di Sua Maestà Cattolica e Cavagliere dell’antiquissimo e nobillissimo Ordine di Portugallo, ha voluto, mentre per gratia di Sua Divina Maestà è sano del corpo, della mente, intelletto, del-l’animo e loquella, che piaccia a detta Divina Maestà così longamente conservarlo, provedere a sè, suoi figliuoli, ne- poti et altri che si diranno. Ha perciò deliberato fare il presente suo ultimo nuncupativo testamento, per quale dispone di sè e suoi beni, lascia, fideicommette, assigna, ordina, comanda e dichiara in tutto come segue, e ciò in ogni miglior modo, ragione e forma, così espressa, come non espressa, c ha, potuto e può, e così, prima d’ogn’ altra cosa, con quella maggior humiltà, riverenza e divotione che si può, inchinevolmente raccomanda Γ anima sua all’omnipotente Iddio Padre, Hglio e Spirito Santo, alla Beatissima e Gloriosissima Vergine Maria et alli Santi Apostoli Pietro e Paolo et al Beatissimo Padre S. Francesco et a tutti gl’altri Santi della-Corte celestiale, pregandoli supplichevolmente, per il Santissimo Sangue del Signor nostro Giesù Xpo, che vogliano al tempo della separatione dell’ anima sua da questo terreno corpo, quella liberare da ogni pena e travaglio e condurla nel santo Paradiso alla presenza di Sua Divina Maestà con le altre anime beate, come confida nell’infinita pietà e misericordia di detto Signor Nostro. Il corpo suo, quando che morisse fuori, vuole, purché non sia molto incommodo, che sia portato nella chiesa di S. Francesco di Massa, suo Stato, nella sepoltura che detto Eccmo testatore si ha fatto fare in terra, inanti all’altare maggiore del Santissimo Sacramento ; nella quale sepoltura non vuole, et così comanda, che altri siano sepolti, collocati e posti, poiché resta in detta chiesa luogo commodo per le sepolture degl’ altri successori, il che servirà a maggior adornamento della chiesa. L’esequie sue comanda che siano fatte in quella maniera che parerà all' Illumo et Eccellmo Signor Don Carlo, Marchese di Carrara e Duca d’Ayello, suo nepote et herede, et in sua assenza alli creati, servitori, o amici et amorevoli suoi ; ma che non eccedino la convenienza, anzi siano dentro la mediocrità ; e che infalibilmente ogni venardì d’ogni settimana, imperpetuo e per sempre, si dica in detta chiesa da i reverendi frati di S. Francesco una messa da morti all’aitar maggiore, o altro privilegiato, per l’anima di detto Eccellmo Sig. Testatore e delle Eccelline Signore sue moglie e figliuoli, che — iS6 — è piaciuto a Dio levarli e chiamarli a sè ; e quando piacesse a Dio che finisse i suoi giorni fuori di Massa, nè si potèsse condurre in detto luogo il suo corpo, vuole e comanda che sia sepolto nella chiesa maggiore di quella città, o luogo, nel modo come sopra. Lascia poi per l’anima sua et in remissione de’ peccati suoi e per amor d’iddio le infrascritte elemosine e legati, da pagarsi, nel modo che si dirà, dal suo herede. E prima, lascia alla detta chiesa di S. Francesco di Massa scuti doi, da pagarseli ogni anno il medesimo giorno che sarà piaciuto a Dio chiamarlo a sè, nel qual giorno sempre canteranno detti reverendi Padri una messa da morti in memoria di detto Eccellmo Signor Testatore e per 1 anima sua; e di più le lascia altri scudi dieci, da pagarseli una volta tanto, pregando e gravando detti reverendi Padri a dire, oltre la detta messa cantata, il dì della sepoltura cento alti e messe da morti non cantate per l’anima di detto Eccellmo Testatore et in remissione de’suoi peccati,.....scudi io. Alla chiesa di S. Pietro di detto luogo lascia scuti otto.............scudi 8. Alla chiesa della Sma Madonna del Monte scudi dieci otto.............scudi 18. Alla chiesa de Capuccini scudi cinquanta, quando la chiesa e convento non fusse finito ; altrimenti scudi venticinque e un paramento con l’arme sua............· scuc^ 5°· A quella delle monache di S. Chiara scudi otto . scudi 8. Alla Compagnia del SS. Sacramento scudi dieci- otto ...............scudi 18. Al Monte della Pietà scudi venti......scuc^ 2a Alla Compagnia di S. Sebastiano o Vergine Maria scudi quatro............scuc^ A quella di S. Giacomo scudi quatro .... scud A quella di S. Rocco scudi quatro.....scud Alla chiesa di S. Martino del Ponte scudi sei . scud Con che li Piovanni e Rettori di dette chiese respetivamente facciano dire in dette chiese et oratorij,fra un mese dal dì 4· 4· 4- 6. - i8y - della sua morte, le seguenti messe per Γ anima di detto Signor Principe et in remissione de’ suoi peccati, cioè in S. Pietro messe cinquanta, nella chiesa della Madonna die-ciotto, a Sta Chiara diece, a S. Sebastiano diece, a S. Giacomo diece, a S. Rocco diece, al Ponte a S. Martino diece, alla chiesa de Capuccini venticinque. Alla chiesa di S. Andrea di Carrara lascia scudi otto, con che le faccino dire, come sopra, messe venti. Alla chiesa del Carmine scudi diece, con che le faccino dire messe cinquanta fra sei mesi dalla sua morte. Et alla fabbrica di detta chiesa lascia scudi cinquanta, quando non fusse finita; altrimente scudi 25 e un paramento con l’arme sue. Alle quatro Compagnie de’ battuti di Carrara lascia scudi sette, con che li faccino dire messe diece per Compagnia fra un mese dalla sua morte. Nel suo Stato e Ducato d’Ayello, che è in Calabria, regno di Napoli, quando al tempo della morte di detto testatore non fusse alienato, lascia detto Signor Principe: Prima, a’ preti di S. Maria, chiesa di Ayello, ducati di quel prezzo e valuta quindeci .... ducati 15. A S. Giacomo in detto luogo ducati quatro . ducati 4. A S. Andrea ducati quatro .......ducati 4. A S. Giuliano ducati sei -........ducati 6. A’ frati di S. Francesco ducati venti .... ducati 20. Alle Compagnie de batuti ducati dieci . . . ducati 10 A’ poveri di detta terra ducati quindeci . . . ducati 15. Nella Terra del Lago a’ preti della chiesa principale ducati dieci..........ducati 10. A’ frati della lor chiesa, ducati dieci .... ducati 10. A’ poveri di detto loco ducati quindeci . . . ducati 15. A Casale di Serra et alla chiesa di detto luogo ducati otto............ducati 8. A’ poveri di detto luogo ducati otto .... ducati 8. A Casale della Serra, a’ preti di quella chiesa ducati otto............ducati 8. — ι88 - A’ poveri di detto luogo ducati otto .... ducati 8. Pregandoli e incaricandoli che tra tutti loro faccino dire per l'anima sua, fra un mese dal dì che le sarà data notitia di questo legato, messe ducento venti, secondo il repartimento che ne sarà fatto dal governatore che vi sarà. E caso che detto Stato fusse alienatto revoca detti legati fatti a dette chiese et altre opere pie ; e perchè vendendo il suddetto Stato ne comprerà un altro, lascia alle chiese di detto Stato che comprarà et altre opere pie, pei la rata tanto, quanto sopra ha lasciato alle dette chiese et opere pie in Ayello. Nel Stato suo di Fiorentillo, nella provincia dell Umbria, lascia alle due chiese della Matarella e Precetto scuti dieci, de giuli] diece pei" scuto per ognuna di esse · scuti 20. A’ poveri di dette due terre et altri, scuti venti scuti 20. Alla chiesa del castello di S. Mavigliano scuti dieci scuti 10. A’ poveri di detto castello scuti cinque . . . · senti 5· Alla chiesa di Castelrioso scuti cinque .... scuti 5· Alla chiesa della Valle scuti sei.....· scuti 6. A’ poveri di detto luogo scuti otto.....scuti Alla chiesa dell’Ombriana scuti tre ..... scuti 3. Alla chiesa di Terria scuti quatro......scuti 4. A’ poveri di essa scuti tre.......· ■ scutì A quella di Macenano scuti quatro.....scuti 4· A’ poveri di quella scuti tre...........scuti 3· A’ poveri della sopra detta chiesa del Ombriana scuti tre...................scuti 3· Pregandoli che fra tutti loro preti di detto Stato dicano 0 faccino dire per l’anima di detto Signor Testatore messe centosettanta, secondo il repartimento che ne farà il comis sario che vi sarà. In Genova lascia che siano dispensati a ventiquattro poveri scuti ventiquattro, de lire quattro di quella moneta, e caso che finisse i suoi giorni fuori di detta città, siano dispensati alli poveri di quel luogo dove si trovasse al tempo della morte .............scuti 24. — 189 — Ancora lascia alle infrascritte chiese di detta città di Genova come in appresso: E prima alla chiesa di S. Siro, scuti dieci . . . scuti 10. A quella di S. Francesco scuti dieci.....scuti 10. A quella dell’Anontiata vecchia (") scuti otto . scuti 8 A quella del Carmine scuti sei.......scuti 6. A quella di Castello (ύ) scuti otto ......scuti 8. A quella di S. Marcellino, sua parochia, scuti dieci scuti 10. A Santa Savina scuti sei.........scuti 6. Alle monache di Madonna di Grazia scuti quatro scuti 4. A S. Domenico scuti otto.........scuti 8. Alle Vigne scuti sei...........scuti 6. A quella della Madalena scuti quatro .... scuti 4. A S. Catterina scuti quatro........scuti 4. Alla chiesa delli Angeli scuti quatro.....scuti 4. A quella di Giesù Maria fuori delle porte di S. Tho- maso, scuti quatro..........scuti 4. Alla Pace scuti quatro..........scuti 4. A quella di Consolatione scuti quatro .... scuti 4. A quella del Monte scuti quatro......scuti 4. Alla Madonna di Coronata scuti quatro.... scuti 4. A S. Benigno scuti quatro........scuti 4. Alli Cappucini scuti quatro........scuti 4. Alii Scalci del Monte Calvario scuti quatro . . scuti 4. Alle monache di S. Brigida scuti quatro . . . scuti 4. A quelle di S. Nicolosio scuti tre......scuti 3. A quelle di Pavia scuti tre........scuti 3. A quelle di Pisa scuti tre.........scuti 3. A quelle di S. Leonardo scuti tre......scuti 3. A quelle di S. Bartolommeo scuti tre.....scuti 3. A quelle di S. Marta scuti tre.......scuti 3. Aquelle del Monastero novo dell’Acqua sola scuti tre scuti 3. All’hospitale grande scuti diece......scuti 10. (") L’Annunziata vecchia era l'Annunziata odierna, già appartenuta agli Umiliati e poi ai Francescani e di cui si ha traccia dal secolo XIII. ("*) S. Maria di Castello. — 190 — Α1Γ hospitaletto scuti otto.........SCLlt| ^· Al Monastero di S. Giuseppe scuti quatro . · scuti 4. A S. Agnese scuti cinque ........scutl 5· Quale chiese tutte sono in Genova; e vuole che detti scuti siano da lire quatro, moneta di Genova, 1 uno, pregando e incaricando quei Reverendi e Reverende, che han no cura di dette chiese, che dichino o faccino dire fra tutti loro messe quatro cento fra un mese doppo la morte sua, pregando per l’anima di detto signor Testatore, de quale messe ne farà il repartimento il Reverendo Prevosto o Ret tore di S. Marcellino, al quale si doverà dar cura di dispensare a tutti li suddetti denari. E più lascia, in caso che non lo facesse lui in vita, che siano comprati tre luoghi in S. Geor-gio, quali si uniscano con gli altri che sono stati lasciati c a altri della famiglia Cybo, per dispensare i frutti di essi a poveri di detta famiglia, per amor di Dio. ^ _ Di più, lascia agli infrascritti suoi creati e servitori infrascritti denari et altre cose, come in apresso, dichiarando che i scuti seguenti saranno de bolognini o soldi s®ttan^ cinque l'uno, moneta di Genova; e prima al Cavag ìer berto per la sua amorevole e faticosa servitù e per g 1 o fitii che ha in casa, scuti trecento · . · · · scuU 300· E se fusse altro Maestro di casa scuti cinquanta scutl 5°· Al Scalco e Trinciante una cattena discuti ciri- . . scutl 50. quanta............ Al Maestro di Camera che sarà, servendo anche alla coppa, una tazza d’argento et un vestito et una cattena di scuti cinquanta . · · · scutJ 5° E se fussi un altro Coppero scuti 50 . . · ■ scuti 5°· Al Secretario un calamare d’argento di quelli di camera di S. Ecc. e scuti sessanta . · · scuti 60. Al Capitano della guardia un archibugio e spada di quelli di Sua Ecc. et una cattena di scuti cinquanta.............scu^ 5°' Al Capellano e Maestro de’ paggi una veste longa di quelle di S. E. e scuti trenta .... scuti 30 25· - 191 - A M. Curdo Domo e doi altri camereri, un vestito per uno, di quelli di S. Ecc. ed una cattena per uno di scuti venticinque......scuti Al Barbiero Tomaso, havendo servito bene molti anni, un vestito di S. E. et il bacile d’argento che serve in camera e scuti ducento; e quando fusse un altro, habbia un vestito et il bacile e scuti venticinque..........scuti 25 A Battista, nano e decano di camera, un vestito e le spese di vitto suo e scudi settanta . . scuti 70 Al cavalerizzo che sarà, un cavallo della cavallerizza e scuti venticinque.......scuti 25 A fameglidi stalla un cavallo, da vendersi fra loro. A Fabio di Pedemonte, portieri, o quello che sarà, un vestito di quelli di S. Ecc.za e scuti venticinque ..............scuti 25 A Giulio Bergotti, guardaroba, 0 quello che fusse, un letto de scuti cinquanta incirca e scuti venticinque............scuti 25 A Giacomo, il figlio, guardaroba di camera di S. E. un vestito e scuti venticinque .... scuti 25 A sei paggi la loro liverea 0 altra che fusse in guardarobba e scuti trenta......scuti A’ tre gentilhuomini da cocchio e da cavallo una medaglia di quelle di S. E. de scuti diece Γ uno, e un cavallo per uno di quelli della cavallerizza, scuti trenta........scuti A’ sei staffieri la loro levrea e scuti trenta . . scuti 30. Al Bottigliero una botta di vino e scuti diece . scuti 10. Al Dispenserò quaranta stare di grano di quello di casa. Al Scalco di tinello una botte di vino e scuti diece scuti 10. Al Credentiero una tazza d’argento et una botte di vino e scuti venti.........scuti 20. Al Cuoco una botte di vino e venticinque stare di grano e scuti venticinque.......scuti 25. 30· 30· — 192 — Al Spenditore stara trenta grano e scuti diece. scuti io. Al Strozzerà (rt) tutti li cani et uccelli che haverà e scuti diece............SCLlt* I0· Al Signor Ascanio Crispo, governatore e luogotenente generale di detto Eccmo Sig. Testatore, in segno di amorevolezza e di quanto le sia sempre stata grata la longa servitù sua, lascia una cattena con una medaglia d’oro con 1 impronta di S. E. Illma, di valuta di scuti cento, quale goderà in memoria di detta S. E. L, a quale dole di non poterlo rimunerare conforme alli molti meriti suoi, per la fedele, affettuosa, buona e dilligente servitù che gli ha sempre fatta con intiera sodisfattione di detta Eccellenza e con molta riputatione et utile della casa sua, che perciò comanda e prega caldamente il detto Eccellmo Sig. Don Carlo, suo nepote et herede, come si dirà in appresso, che voglia havere per sempre raccomandato detto signor Ascanio et il signor Imperiale, suo figliuolo, e tutta la casa sua, et haverla sempre in buona prottettione, accertandolo che per lege di gratitudine è in obbligo così fare per molti negotii di gran qualità che che gli ha trattato e finito, a utile della casa, di che ne farà gratissima cosa a detta Eccellenza per la molta affetione che porta a detto Signor governatore. E perchè ogni giorno più crescono i meriti di detto Signor Ascanio, non havendo detto Eccmo Signor Pi incipe quella occasione che vorrebbe per remunerarlo, lascia et incarica a detto signor Don Carlo che lo faccia lui, che le ne farà cosa gratissima...............scut* Ioa (a) Strozziero, il custode e l’addomesticatore degli uccelli di rapina per la caccia. - 193 - Ancora lascia al Lomacci, agente suo in Roma, per haverlo servito con amore e giudizio nelle cose occorse nella carrica sua, una medaglia d’oro de scudi vinti con l’impronta de S. E. quale teneri in memoria sua......scuti 20. Al Castellano di Massa un altra simile medaglia de scuti vinti ...........scuti 20. Al Castellano di Lavensa lascia un'altra medaglia ςίε scuti diece, con una spada.....scuti 10. Al Castellano di Carrara lascia il simile come a quello di Lavensa..........scuti 10. Al Castellano di Moneta lascia un’altra medaglia di scuti cinque et una spada......scuti 5. Al Colonello di Massa lascia un’altra medaglia de scuti dieci.............scuti 10. Al Capitano Diana, capitano delle millitie di Carrara, lascia un’altra simile medaglia di scuti dieci................scuti 10. Pregandoli tutti a scusarlo del poco che le lascia per molti altri necessarij pesi che lascia, accettando tutti una buona volontà che l’ha sempre havuto verso di loro, dichiarando che si debbano pagare detti legati a' suoi creati e a servitori quando alla morte di detto signor Testatore si trovino al servitio suo. Lascia ancora a me notario infrascritto scuti cento per gratitudine...........scuti 100. Ancora lascia detto Eccmo Signor Principe che ogn’anno, imperpetuo, per l'infrascritto suo herede e successori suoi Principi si paghino scuti venticinque sopra i criminali di Massa in mantenimento della musica del domo di Massa, con obligo che ogni venardì sera si debba cantare il salmo Miserere mei Deus in musica al Santissimo Crucifisso, transportato al tempo di S. E. al luogo dove è hora in la chiesa di S. Pietro, di ordine suo principiata questa devotione, e ciò si faccia lode di Iddio e per l’anima di esso signor Testatore et in remissione de' peccati suoi. 13 — 194 - Dech'arando che li legati fatti da detto signor lesta-tore a pii luoghi siano pagati fra sei mesi, e agli offitiali, creati e servitori siano pagati fra tre annni dal di della sua morte dall’infrascritto signor suo herede. E perchè la santa memoria di Sisto Quinto dono di sua mano a Sua Eccellenza una medaglia d oro, alla quale diede molte belle e grandi indulgenze, come si vede per la bolla sopra ciò fatta, la qual dice che doppo vita di S. E. si mandi detta medaglia alla chiesa più vicina, perciò lascia et or dina che quando fusse il suo fine in Genova sia data detta medaglia alla chiesa di S. Marcellino, e quando a Massa, alla chiesa di S. Pietro, e se a Carrara alla chiesa di S. Andrea e conforme alla detta Bolla, che si trova nel camerino di S. E. di Genova, e sempre si troverà appresso S. E. dove sarà. In oltre ordina, lascia e comanda e così dichiara, che per qualsivogli legato e fideicommisso che facci nel presente testamento, non intende che in modo alcuno 1 estino sminuiti li legati fatti a’ luoghi pii per l’anima sua, per amor d’iddio et a offitiali servitori e creati suoi, nè che in modo alcuno se le possi apponere dettratione, o defalco alcuno, prohibendo a caotella ogni dettratione acciò intieramente sia osservata la sua volontà et il presente suo testamento, dichia rando che gl’altri legati che farà a qualsivoglia altra persona o fideicommisi l’exequiscano e s intendino fatti doppo che saranno intieramente essequiti li legati sudetti^ e non altrimente: e con questa conditione li lascia e così dichiara. Alli Illumi sig.ri suoi nepoti, figliuoli della felice memoria dell’ Illumo et Eccmo Sig. Don Alderano, suo figlio, Marchese di Carrara, lascia come in appresso: Prima, all’Illumo Sig. Don Francesco, figlio secondogenito del detto Eccmo Signor Marchese di Carrara, lascia et ordina che dall’infrascritto Signor suo herede le sia comprato un Stato o Castello, di valuta e prezzo de scuti dieci millia, e che sia d’entrata de scuti quatrocento almeno, fra anni dieci dal dì della morte di esso Eccmo Sig. Ί estatore, - 195 — e fra tanto vuole che detto Signor suo herede le paghi li detti scuti quatrocento l’anno, e mancandoli Sig. Don Francesco senza figliuoli legitimi e naturali, di legitimo matrimonio nati, vuole che in detto legato succeda il detto Sig. Don Carlo o il Sig. suo herede primogenito, ordinando a detto Sig. Don Francesco e suoi heredi che debbino restar contenti e sodisfatti di quello che le lascia nel presente testamento, nè contradichino, nè movino lite alcuna all’ infrascritto Eccmo Sig. suo herede per qual si voglia raggione o causa che impugnasse o contrariasse alla volontà di S. E. et al contenuto nel presente suo testamento, e caso che contradicesse a quest’ordine de detta Eccellenza e movesse lite a detto Sig. Don Carlo o suoi heredi o le desse molestia alcuna, come sopra, vuole che detto Signor Don Francesco sia privo del detto legato di detti scudi diecemillia e delli detti scuti quattrocento d’entrata et d’ogni altro benefitio che potesse havere nel presente testamento, e che solo habbi la mera e pura sua legitima e niente altro più; e che in detto legato di detti scuti diecemillia le succeda Γ Illumo Sig. Don Alberico, figlio di detto Eccellmo Sig. Don Carlo, e s’egli mancasse, succeda il primo figlio maschio che restasse de detto Eccmo Sig. Don Carlo. E se fra il detto Sig. Don Carlo e Signori suoi fratelli seguisse differenza alcuna, ordina che sia decisa da amici e parenti communi sommariamente e pianamente, attesa la verità del fatto. Alli Illumi Sig. Don Edoardo, Don Ferdinando e Don Allessandro, suoi nepoti, lascia una cattena d'oro per ogn’ uno di essi, di quelle de detto Eccmo Sig. Testatore, o altra di honesto prezzo, con qualche ornamento che parerà all’infrascritto Eccmo Sig. suo herede. All’ Illuma et Eccma Signora Donna Lucretia, Duchessa di Monte Marciano, figlia di detto Sig. Principe e della Signora Principessa Isabella di Capua, sua moglie, figlia del Signor Duca di Termoli, moglie dell'Illumo et Eccmo Sig. Ducca Hercule Sfondrato, che fu generale di S. Chiesa e nepote di Papa Gregorio decimo quarto, o Signori suoi he- redi, havendo havuto scuti trenta millia d’oro in oro di dote e più scuti tre millia cinquecento di gioie, più che non hebbe la Signora Donna Leonora, di felice memoria, Duchessa d’Evoli, prima figlia di detti Sig" Principe e Principessa e sorella di detta Signora Lucretia, che poi lasciò herede detto Signor Principe l’anno 1585 li 5 di ottobre, in atti di Gio. Geronimo Pasero, notaro di Genova, e havendo pei ciò havuto raggionevole parte, con tutto ciò le lascia ducati sei millia cento venticinque, de carlini dieci de Napoli pei ducato, da pagarsele dall’infrascritto Signor herede di detto Sig. Principe fra doi anni, in doi pagamenti, cioè ducati tre millia sessantadoi e mezzo Γ anno, e in caso che non gli paghi per non havere così pronta commodità, si contenta che possi differire detto pagamento per altri quatro anni, pagando a detta Signora Duchessa, o signori suoi heredi, per suo interesse a raggione de cinque per cento durante detto tempo di quella parte che restasse a pagarle, e questo per tutto quello è quanto che detta Signora donna Lucretia o suoi heredi e successori, o chi havera causa da lei potessero in qualsivoglia modo, raggione 0 caosa, etiamdio per fideicom misso, pretendere, sì ne’ beni paterni come materni et here dità e beni dell’Ulumo Sig. Don Ferdinando Marchese d’Ayello, che sia in cielo, figliuolo di detto Signor Principe e fratello di detta Signora Duchessa; con conditione e de-chiaràtione expressa, e non altrimente, che di questo legato si debba omninamente detta Duchessa e suoi, come sopra aquietare, nè per qualsivoglia raggione 0 pretendenza possi più travagliare o molestare, nè inquietare 1 infra scritto Signor herede di detto Signor Principe in maniera nessuna nell’heredità o beni di detto Sig. Principe, nè in altro modo, nè per sè, nè per altri, come sopra, e altrimente facendo seguito ogni minimo atto di contradizione vuole detto Sig. Principe che il presente legato resti nullo e per non fatto, che così in tal caso sin d hora dichiara e comanda che sia, annullandolo in tal caso sin d hora come per all’ hora ; e perchè cognosca detta Signora Duchessa — 197 - che questo legato le vien fatto dalla mera liberalità del Signor Principe sudetto, ha ordinato che qui sotto sia descritto come sua Eccellenza pretende con buona ragione tenere i beni di detto Signor Don Ferrante, perchè le ne fece solenne donatiòne, quali consistevano solo nelle dote materne che erano ducati trenta cinque millia; e perchè pare che detta Signora Duchessa pretenda che detto Signor Don Ferrante non gli habbi potuti donare, sotto pretesto de un preteso fideicommesso, che dice haver fatto la Signora Principessa sua madre, se ben nullamente,si dica, tralasciando il discorrere per hora sopra la validità del detto fidei commesso, che è chiara cosa che della metà che tocca al figliuolo per la legitima e trebelianica non poteva la madre gravarne in modo nessuno il figliuolo, che perciò resteria solo a trattarsi dell’altra metà, e così de ducati 17500, da quali converrà anche neccessariamente cavare, per legati fatti, ducati 5250, pagati da detto Signor Principe, e così resterà de l’eredità di detta Signora Principessa solo ducati 12250, sopra quali si potria alla peggio fare la lite : ma perchè per la legge di Massa e de Napoli ancora non può la moglie che lascia figliuoli e massime maschi dispore, salvo della decima parte, da questo succede che il fideicommesso suddetto sarebbe in tutto nullo e che alla detta Signora Duchessa non toccherebbe parte alcuna, havendo disposto in più di detta decima parte in legati pii, che sono agli altri preferiti. E tuttavia havendo voluto detto Signor Principe mostrare verso detta Signora Duchessa il buon animo suo, massime per qualche raggionamenti havuti col Signor Duca suo marito, ha perciò resoluto lasciarli li detti ducati 6125, che sono la metà di quello potesse pretendere, se bene senza raggione. come sopra ; e perchè il detto Signor Duca le toccò in detto raggionamento che almeno in coscienza detto Signor Principe era tenuto lasciare detti beni a detta Signora Duchessa, come dependenti dalla sudetta dote materna, per sodisfare anche in ciò a detto Signor Duca ha detto Signor Principe voluto consultare questo fatto con theo- — 198 — logo di qualità oltre molti altri pareri prima havuti da dottori principalissimi e di qualità, da’ quali essendo stato concluso non esser obligato, ha perciò ordinato che sotto questo testamento sia inserto il detto parere, acciò in ogni tempo e da ogn’uno si conosca quanto giustificamente ha voluto proceder detto Sig. Principe in questo e dare ogni possibile soddisfattione a detti S.n Duca e Duchessa per 1 affet-tione che anche le porta, quale considerata la numerosa descendenza che lascia detto Signor Principe, le nepoti con i contrapesi che si vedono, doveranno perciò detti Signori Duca e Duchessa restare apaggati di questa buona volontà de detto Sig. Principe, che così ne li priega caldamente, al quale Signor Duca in segno anche di vero affetto lascia uno dei migliori cavalli della sua stalla, pregando ambidui che preghino per lui, come farà anche esso per loro. Alla Illuma Signora Donna Angela Catherina, figlia di detto Signor Principe e di detta Signora Principessa di Capua, monaca, per sua mera elettione nelle Murate a Fiorenza, considerando che da la felice memoria della Signoi a Donna Leonora, che fu Contessa del Fiesco e poi Marchesa di Cettona, sorella di detto Signor Principe, le furono date^ in dote scuti tre millia, consignati a quel Monastero, olti e mille de contanti, che ne hebbe al suo monacare et altro, e che in oltre le sono stati lasciati a vitta scuti duecento 1 anno da detta Illuma Signora Donna Leonora; quale il tutto lece a mera contemplatione di detto Signor Principe, suo fratello, quale voleva anche di tutto il suo lasciare suo herede, come ha poi fatto, il Signor Marchese, suo figlio, di consenso e e volontà di detto Signor Principe, e che perciò ha convenientemente havuto dalla Casa la parte sua come monaca, havendo per questo renontiato ad ogni sua raggione, si de legittima paterna, come ogn’altra sua attione ancora, come appare in atti di Ser Paolo Paolini, notaro fiorentino, 1 anno 1587 li 25 di maggio; tuttavia le lascia ancora scuti venti otto l’anno, da pagarseli ogni principio d’anno per 1 infrascritto Signore suo herede in vita di detta Signora Donna — 199 — Angela Catherina; et in caso che non gli pagassi come sopra, vuole che in ellettione di detta Signora Donna Angela Catherina possa essa sopra i frutti di Agnano, beni di detto Signor Principe, pigliarsi e far sequestrare ogn’anno o una volta per sempre per la detta somma di scuti ventiotto annui durante la vita di detto Signore e senza litiggio o oppositione alcuna; e perchè li detti scuti ducento lasciati per detta Signora Leonora a detta Signora Donna Angela Catherina sono sopra censi che haveva detta Signora Donna Leonora, con Signori Gaitani di Roma e loro beni, acciò per sempre in vita sua ne resti detta Signora sua figlia ben soddisfatta, ordina e comanda e grava l’infrascritto Signor suo herede che non possi mai durante la vita di detta Signora Donna Angela Catherina vendere, nè alienare o obligare in modo alcuno detti censi o entrate, senza consenso di detta Signor Donna Angela Catherina, per quanto importa detta somma di detti scuti ducento, quali vuole che restino così sempre a nome di detta Signora Donna Angela Catherina, riservata però facultà al detto Signor suo herede di comprar altretanta entrata a detta Signora, in sodisfat-tione di lei, o assignargliela sopra di Agnano, se così lei eleggesse, il che seguito e non altrimente, possa poi detto Signor suo herede disporre di detti censi come le parerà; ma altrimenti facendo, in pena della contraventione lascia a detta Signora Catharina ducento scuti in vitta sua il che per detto Signor Testatore acciò si conosca quanto le preme che a detta sua figlia non manchi detta entrata di detti scuti ducento in vita sua e che li possi con facilità succedere. Di più, lascia doppo vita di detta Signora Donna Angela Catherina a Suor Tobia Scacchi scuti venti cinque l’anno in vita sua, continuando però a servire, come ha fatto sino a qui, detta Signora Donna Angela Catherina, e non lo faccendo o mancando lei, lascia ad una o due altre monache delle Murate, che nominerà detta Signora Donna Angela Catherina, in vita loro tanto, ma che l'una non possa succedere all’ altra, e ciò in segno di gratitudine del- — 200 — l’amorevole servitù e cortesie fatte e che faranno a detta Donna Angela Catherina; che così lei ne ha pregato e instato Sua Eccellenza, quali annui scuti venticinque vuole detto Signor Testatore che se li paghino delli ultimi sciiti cinquanta doi de’ quali fece compera in Roma per detta sua figlia; e se dichiarerà una monaca sola, ad essa vuole che siano dati li detti scuti venticinque l’anno e che possa detta Donna Angela Catherina fare la nominatione quando le parerà e piacerà e quante volte vorrà, e che possa revocai la e rimoverla ; e la Signora Tobia ancora, et in vece di quella o quelle nominarne delle altre, a suo beneplacito, purché il legato non passi li detti scuti venticinque 1 anno in vita di quella o quelle che lei nominasse; doppo morte delle quali vuole il detto Signor Testatore che questo legato d'annui scuti venti cinque ritorni alli suoi heredi. E sapendo S. Ecc.za che la sudetta Illuma Signora Donna Leonora, sua sorella, fece fare nel detto monastero delle Murate di Fiorenza certe stanze per sua habitatione, con intentione che servissero doppo lei per habitatione di quelle monache che fussero in detto monastero di casa di Sua Eccellenza e dependenti, come pure di presente ser vono per habitatione di detta Signora Donna Angela Ca therina sua figlia, e volendo detto Signor Principe 1 endersi conforme alla volontà et intentione di detta Illuma Signora Donna Leonora, per ciò assignando in prima alla sudetta Suor Tobia Scacchi o a quella o quelle che haveranno li detti annui scuti venticinque una delle sudette stanze che le servì per habitatione in loro vita, ordina e vuole che doppo vita di detta Signora Angela Catherina sua figlia, salva la detta assignatione, le dette stanze debbano servir per habitatione delle Signore Monache di casa di Sua Eccellenza, che prò tempore saranno in detto monastero, di manera che mentre saranno in detto monastero monache di detta casa di Sua Eccellenza, o sue parenti, non possino dette stanze servire ad altro uso, nè possino in modo alcuno le Reverende Madri di quel Monastero disporne in - 201 — altro modo, nè farle servire ad altro, senza espresso consenso de successori di S. Eccellenza. All Illumo Signor Cavaglier Fra Francesco Cybo, suo figlio naturale e legitimato ad honore solamente, lascia per per amor d Iddio e soventione dell’anima sua e per gli alimenti suoi e per ogni altro miglior modo che può, in vita sua, ducati seicento l’anno, quali comanda che li siano pagati ogn anno a principio d’anno dell'entrate dei beni allodiali di detto Signor Testatore. Di più lascia et ordina, che stando detto Signor Cavaglier Francesco nelli Stati di Massa e Carrara, che le sia data conveniente casa o un appartamento in palazzo per sua habitatione, e che sia come figlio suo trattato et honorato, e possi cacciare e pescare, non ostante qual si vogli bando che si facesse, riservati li luoghi particulari del Eccmo herede; gravando detto Signor Cavaglier Francesco e suoi figliuoli, che non possino in qual si voglia modo, nè per qual si voglia causa o pretesto, così d alimenti, come u altro, di lui o d’ altri suoi figliuoli che havesse o potesse havere, pretendere niente altro che quanto sopra dall infrascritto suo herede; volendo che resti contento di quanto sopra gli lascia; e contrafacendo o contradicendo a quanto sopra, resti privo di detto legato, quale in tal caso revoca et annulla. Et perchè detto Signor Cavaglier Francesco ha un figlio naturale, nominato Ottavio, quale attesta detto Sig. Testatore esser figlio di detto Signor Cavaglier Francesco e nato di gentildonna nobile, lascia che a detto Ottavio sia comperata dal infrascritto Signor suo herede una casa in Massa, conveniente alla persona sua, quando non le fusse data prima o non fusse stata data al detto Signor suo padre. E più le lascia il giardinetto di S. E. della Concia con sua casa, che è appresso il fiume, quale hora gode il Signor Alessandro Cybo, e questo doppo la vita di detto Signor Alessandro. E più le lascia e terreni coltivati e boschi della Capuana situati a Carrara con le sue pertinenze ; e più lascia al Sig. Ottavio ducati centoventi l’anno in vita sua di — 202 — quelli che ha lasciato al Signor Cavaglier Francesco^ suo padre, cioè doppo vita di detto Signor suo padre, con li medesimi oblighi e come li ha lasciati al detto Signor Cava glier Francesco, et il tutto gli lascia solamente in vita sua; et di più prega e comanda al Signor Don Carlo suo nepote, al quale particolarmente racomanda detto Signor Ottavio, che tenghi cura e prottettione di esso, tenendolo appresso di se, governandolo e trattandolo come del sangue suo, per farne particolar cosa grata al detto Signor Principe ; il che tutto le lascia per amor d'iddio et in ogni altro mig ior modo che possa. Alla Illuma Signora Donna Maria, sua figlia naturale legittimata ad honorem solamente, nata di gentildonna no bile, lascia per amor d’Iddio e per soventione dell anima di detto Signor Testatore e per li alimenti suoi, e per ogni altra raggione e causa che potesse pretendere, le lascia scuti ottomillia, de bolognini 75 l’uno, da pagarsele ne a maniera e forma che fu capitulato e concluso nell istramento della dote che in nome di S. E. fece il Sig. Ascanio Crispo governatore del Stato di S. E., quale instrumento ne a forma convenuta approva e ratifica, e non maritandosi come le essorta, se le paghino scuti quattrocento ogn anno, con conditione e dichiaratione però che doppo la vita di detta Signora Maria restino detti scuti 8000 all Illumo Signor Don Alberico suddetto figlio di detto Eccmo Sig. Don Carlo, suoi heredi; a quale Signora Maria lascia che stando in habito vedovile, come la persuade a stare, non havendo dote da potersi maritare a pari di lei, 1’habitatione libera in vita sua de tutte le stanze del Casino che detto Signor Principe ha fatto fare, congionto al Palazzo di Massa, in strada Albe-rica; quale Signora Maria raccomanda assai a detto Signor Don Carlo suo herede. E più lascia al Sig. Alessandro Cybo, figlio naturale della felice memoria dell’Illumo e Revermo Signor Cardinal Cybo, zio di detto Signor Testatore, le vigne di Frassina e Groppuli, già consignateli, et il giardino e casa della Con- — 203 — eia sudetta, vicino al fiume, e più scuti sessanta l’anno, tutto in vita sua; con che non molesti in qualsivoglia modo il Signor Don Carlo, herede di detto Signor Principe, per qualsivoglia pretensione che potesse havere, ma che si aquieti a conti saldi e sentenze e scritture seguite tra loro ; et accettando questo legato, s’intende che di novo approvi e confermi il tutto, altrimente non habbi luogo il presente legato. Al Signor Alfonso Cybo, figlio del fu Signor Francesco Maria, di bona memoria, che fu mentre visse molto amico di Sua Eccellenza et alquanto parente, lascia che le sia data una delle sue spade et un cavallo in memoria sua, e raccomanda al detto Signor Don Carlo e suoi descendenti, così detto Signor Alfonso come tutta la casa sua. Di più, lascia che sia allevato appresso detto Eccmo Sig. Don Carlo, suo herede, un fanciullo chiamato Mauritio, che li sarà da detta Eccellenza notificato, sino all'età di anni 18, e poi arrivato a detta età lascia che li siano dati, per l'amor d Iddio, dal detto Eccellmo suo herede, scuti centocinquanta 1 anno durante la vita sua, solamente quando sia ubediente all infrascritto Signor suo herede, essortandolo a servire a Iddio. E considerando detto Eccellmo Signor Principe di quanta reputatione sia alle case l’havere feudi e vassalli, e quelli mantenerli uniti in una persona sola, quale poi con splendore possi, non solo mantenere l’honorevolezza de’ suoi passati, ma so venire ancora agl'altri che hanno a venire, per quale effetto si sono fatti molti Stati in primogenitura per conservare la nobiltà, dignità et honore delle famiglie e casati, e perciò desiderando detto Eccellmo Signor Principe che siano perpetuamente conservati nella casa sua li suoi Stati de Massa, Carrara, Moneta et Avenza e loro ville e giurisditione, ed Ayello e Firentillo, Padulla, Stato che sta di giorno in giorno per comprare, con loro giurisditione, ancora respetivamente, e casa di Genova, di che priega con tutto il cuore et humilmente Sua Divina Maestà a far- — 204 — line gratia e che i discendenti suoi li siano sempre divoti e buon catholici et osservanti di quanto comanda la Santa et Catholica Chiesa, laonde perchè detti Stati d Ayello e Firentillo e Padula, da comprarsi, e casa di Genova non si separino mai da chi possederà li sudetti Stati e Fiorentillo, Padulla e casa di Genova, respectivamente, con tutti i loro castelli, terre e ville, luoghi, vassalli, et habitatori, jurisdictioni e pertinenze e tutto quello che detto Eccmo Signor Principe vi ha e possede, vadino et in essi succeda il su-detto Eccmo Signor Don Carlo, e doppo vita di detto Signor Don Carlo lascia, ordina e comanda che il tutto pervenga al suo figlio primogenito, e dopo quello all altro primogenito di quel primogenito e così vadi sempre de primogenito in primogenito, di detto Signor Don Carlo e delli altri successivamente, come sopra, in perpetuo; intendendo però sempre de’ primogeniti maschi, legitimi e natui ali e di legitimo matrimonio concetti e nati e dal proprio corpo e dalla propria moglie d'ogn’uno de i sopra nominatile non legitimati così per subsequente matrimonio, come in altra maniera; exclusi totalmente li naturali e femine e gli altri che non fussero primogeniti, salvo nei casi che si diranno, e reservato che nel Stato di Ayello e Padulla che si succeda conforme all’ investiture di detti Stati e leggi prammatiche di S. M. Catholica, a’ quali non intende in modo alcuno contra venire, caso che non potesse farlo legitimamente, e con dichiaratione che morendo l’ultimo primogenito senza figliuoli legitimi e naturali, com2 sopra, succedi il più prossimo e primo nato a quello ultimo primogenito morto della medesima linea e descendenza del prefato Signor Don Carlo ; e s’intenda primogenito quello che prima nascerà dal ventre della madre ; e mancando la linea masculina di detto primogenito di detto Signor Don Carlo, all’hora subentri e succeda il secondogenito maschio di detto Signor Don Carlo e doppo quello il suo primogenito, e poi de primogenito in primogenito, come sopra; e mancando la linea masculina di detto secondogenito, succeda il terzo figlio di — 205 — detto Signor Don Carlo e doppo lui successivamente il suo primogenito, come sopra; e mancando la linea masculina del terzo, succeda il quarto, quinto et altri che vi fussero di detto Signor Don Carlo, con l'ordine sudetto de primoge-a e c i primogenito in primogenito, come sopra; e mancando tutta la linea masculina di detto Signor Don Carlo legittima e naturale, che Dio non voglia, succeda il Signor on Francesco, secondogenito di detto Signor Alderano, Marchese di Carrara, e doppo lui succeda il suo primogenito maschio, nato come sopra; e doppo lui l’altro primogenito e sempre di mano in mano li primogeniti della descendenza de detto Signor Don Francesco ; e mancando la linea e descendenza de detto Signor Don Francesco, tutta de maschi, nati come sopra, succeda la linea de maschi del Sig. Don Odoardo e poi quella del Signor Don Ferdinando e poi quella del Signor Donn Alessandro, nati però come sopra e non altrimente, e mancando tutte le sudette linee de maschi de detto Signor Don Carlo, e descendenze di detti ignori Don Carlo, Sig. Don Francesco, Sig. Don Odoardo, ©· on Ferdinando e Signor Don Alessandro, come sopra, Dio non voglia, succeda la figlia primogenita, nata come sopra, di detto Signor Don Carlo e della sua descendenza come sopra, e doppo lei il suo primogenito maschio de legitimo matrimonio, nato come sopra; quale però sia obligato chiamarsi di Casa Cybo e Malaspina, e portare l’armi della Casa, altrimente^ cada da detti beni e feudi, e poi si succeda de primogenito in primogenito come sopra, e*mancando la linea masculina di detta primogenita, succeda la seconda figlia e poi il suo primogenito maschio, come sopra ; e detta linea mancando, succeda la terza e quarta figlia e quante ve ne fussero ; in deffetto sempre de linea masculina, come sopra, sempre succedendo de primogenito in primogenito, come sopra, nè l’una possa succedere all’altra, salvo in deffetto de linea masculina, come sopra, sempre con obligo di chiamarsi di Casa Cybo e Malaspina e portar l’armi, come sopra, e mancando li maschi legitimi e naturali e le — 2θ6 — femine tutte e li figli maschi di essi e le figlie femine ancora di dette femine, con ordine però e prerogative di detta primogenitura, come sopra, e che le femine descendente t a quelle debbano chiamarsi di Casa Cybo e Malaspina e portar l’arme et insegne di detta casa, come sopra; e mancando la linea e descendenza masculina e temenina di detto gnor Don Carlo e tutti li loro descendenti, come sopra, che •Dio non voglia, in tal caso succeda la linea di detto Signor Francesco feminina, nata come sopra e in tutto come s e detto della linea femmina di detto Signor Don Carlo ; e mancando detta linea leminina tutta di detto Sig. on cesco, succeda la linea feminina di detto Signoi I )on o , come sopra, e poi l’altra del Signor Don Ferdinando, come sopra, e dopo l’altra del Signor Don Alessandro, come sopra, nati tutti respetivamente di legitimo matrimonio, come sopra, con li oblighi e vincoli detti di sopra; e mancando tutte e linee sudette e descendenti, come sopra, che Dio non vog ìa, in tal caso succedano li figliuoli naturali di detto ig Don Carlo e sua descendenza primogeniti, e prima il primogenito e poi il primogenito di quelli legitimi e natura 1, come sopra e così imperpetuo di primogenito in prime ^ nito; e mancando la linea di detto figliuolo naturae prm genito succeda il secondo, terzo e quarto e quanti vesse, servato però l’ordine sudetto de primogenito in primogenito e che 1 uno non succeda all altro, sah o in e de linea masculina di quell'ultimo primogenito, come sopra; e mancando tutti questi vole e concede detto Signor r cipe all’ ultimo o ultima che morirà che possi addotarsi c arrogarsi un figlio maschio, etiamdio estraneo, legitimo Pelj0 e naturale e di legitimo matrimonio nato, quale figlino 0 addotato o arrogato sia poi obbligato a pigliale nome e cognome et insegne della famiglia Cybo e Malaspina e sempre così chiamarsi, al quale poi succeda in detto Stato di Fiorentillo, casa di Genova, Ayello e Padulla, se in essi potrà, non derrogando però, come si è detto, alle investiture loro respetivamente, poiché negli altri Stati non crede detto — 207 — Eccellmo Signor lestatore di poter mettere questo obligo e con itione, il pi imogenito e poi di primogenito in primogenito, e mancando la linea de primogeniti succeda quella del secondo, terzo e quarto e quanti ve ne fossero, con lordine i primogenitura e prerogativa, come sopra; prohibendo in pei petuo e sempre ogni alienatione di detti beni per qualsivoglia causa pensata e non pensata, neccessaria e neccessa-rijsima ed ogn altra qualità anche per caggione di dote; volendo che imperpetuo e per sempre stiano detti beni nella famìglia sudetta e che vadino nei successori sudetti in tutto e per tutto, come sopra. Et in caso che alcuno dei sopranominati successori o molti o qualsivoglia di essi pensassero mai di commettere delitto alcuno per quale venissero ad e .serli confiscati e levati li suoi beni, o parte di quelli, in tal caso, sin d ora, come per all’ hora, priva quel tale o più che fussero de detti beni et usufrutto ancora ; quali beni e usufrutto et ogn’ altra cosa sudetta decada poi e vada al chiamato successore, talmente che sia in tal caso luogo alla successione di quel tale o tali come se fussero morti ; ma in caso che per gratia del Principe o in altra maniera fusse detto tale delinquente, uno o più che fussero, restituiti e reintegrati in gratia nel primiero loro stato, talmente che restassero capaci di poter godere liberamente detti beni, in tal caso si contenta e vuole che le retornino li sudetti beni et usufrutto come prima haveva ; et tante volte ciò segua quante volte delinquesse alcuno dei sudetti e fussero reintegrati, come sopra, come se non fussero mai stati confiscati, nè levati, il che fa acciò li successori suoi vivino come si conviene e che perpetuamente si conservino detti beni nella famiglia sua come sopra; con dichiaratione che se detto Signor Principe alienasse detti Stati d’Ayello e Firentillo, casa di Genova e Padulla o qualsivoglia di essi, che il prezzo che si caverà da quelli o quello s'intenda e sia sottoposto al medesimo obligo del fideicommisso, come sopra, da impiegarsi in altri Stati con detto obligo de fideicommisso, come sopra, e se fossero permutati o contracambiati, che — 2θ8 — il contracambio parimente resti con il medesimo obbligo de fideicommisso, come sopra, et il medesimo sempre s intenda anco quando detti Stati e casa di Genova e qual si vogli di essi fussero alienati o contracambiati da detto Signor Don Carlo o altri primogeniti, successori come sopra ; a’ quali respetivamente dà facilità di poterli alienare, se così giudicheranno essere più utile loro e gusto, pure le il prezzo di essi si debba in altri Stati investire et impiegare sicuramente, e che detta alienatione si possa anco fare di quei Stati che di detti prezzi fussero comprati e tante volte quante giudicheranno essere loro utile e di gusto, pur^ ché sempre il loro giusto e intiero prezzo se investi in a Stati o feudi, da restare con obligo e fideicommisso come sopra, et il medesimo s’intenda del contracambio o contracambi o permute che fussero fatti, come sopra, talmente che sempre restino detti Stati e casa di Genova o il loro^va lore o contracambio di essi a chi succederà secondo or e forma su detta. Dichiarando però che, per il presente atto, nè per quan si è detto e fatto di sopra, non s’intenda conti ariate a a investitura di detti beni e feudi respetivamente ; e se usse bisogno sopra di ciò impetrare assenso alcuno, λυο^ si impetri, che così supplica Sua Maestà Catholica di arine gratia, et in caso che questo fideicommisso contrariasse a detta investitura o ordini del regno, o Sua Maesta non \ o lesse concederli l'assenso, dichiara nullo e pei non atto quello che a dette investiture et ordini, respetivamente, contrariasse. E perchè è cosa chiarissima e certissima, e cosi dice e dichiara detto Eccmo Signor Principe, che la Illuma casa Thomacella di Napoli è 1 istessa con 1 Illuma asa Cybo di Genova, et così detti Signori I homacelli di Napo 1, come li Signori Cybi di Genova sono sempre stati tenuti e reputati della medesima casata Cybo, come parenti, et da un istesso stipite descendenti si sono sempre tra loro trattati, vuole perciò detto Signor Principe che, mancando tutti li sopranominati, respetivamente, come sopra, succeda in — 209 — detto palazzo di Genova e nelli beni di Agnano, situati nel territorio di Pisa, cioè in quella parte solamente che è stata dichiarata dalla Ruota di Fiorenza essere sottoposti al fideicommisso fatto dal fu illumo Signor Marchese Lorenzo Cybo, padre di detto Signor Principe, li primogeniti maschi legittimi e naturali di legittimo matrimonio nati della linea e descendenza dell’Illumo Signor Federico Thomacelli Cybo di Napoli, Marchese di Chiusano ; e mancandoli primogeniti e suoi descendenti maschi, come sopra, succedano li secondogeniti maschi, come sopra, e poi li terzo e quartogeniti et altri in appresso descendenti maschi in infinito, ordinata-mente l’uno dopo l’altro come sopra: e non havendo figliuoli, come sin hora non ha, detto Signor Federico, succedano, come sopra, i nepoti per fratelli et loro descendenti, nel modo, ordine e forma come sopra, e mancando tutti li primogeniti e tutti li altri descendenti maschi legittimi e naturali, come sopra, di detto Signor Marchese Federico e quelli de i nepoti per fratello e loro descendenti come sopra, vuole e comanda detto Signor Principe che succedano li figli maschi primogeniti de legitimo matrimonio nati, come sopra dell’ Illumo Signor Scipione I homacelli Cybo, pure di Napoli, e loro descendenti maschi respetivamente de grado in grado e con l’ordine e forma sudetta della linea e descendenza di detto Signor Marchese Federico, come sopra, e mancando li primogeniti et loro descendenti maschi succedano li secondo, terzo e quarto geniti et altri descendenti respettivamente maschi et in infinito, come sopra, secondo l'ordine e modo suddetto; e mancando tutti li descendenti maschi di detto Signor Marchese Federico come sopra, e tutti li descendenti maschi de suoi nepoti per fratello, come sopra, e poi tutti li descendenti maschi di detto Signor Scipione, come sopra, vuole detto Signor Principe che succedano li figli naturali maschi di detto Signor Federico et doppo loro de’ suoi nepoti, et doppo essi di detto Signor Scipione, di primogenito in primogenito, nel modo e forma et ordine, come sopra, in infinito. 14 — 210 — Alli Illunii Signori Don Francesco, Don Odoardo, Don Ferdinando, e Don Alessandro, figlinoli del fu Eccellmo Signor Don Alderano, Marchese di Carrara, nepoti di detto Signor Testatore, lascia la loro legittima, secondo che di raggione, per li Statuti e legge, li spetta, et sopra quelli beni sopra quali possono pretenderla et haverla legittimamente; et se per leggi o ordini di quelli Stati dove (ussero situati detti beni feudali antiqui o nuovi o altri beni di qual si voglia qualità, potessero detti Signori suoi nepoti pretendere et havere solamente vita e militia, in tal caso lascia detta vita e militia sopra detti beni feudali o d’altra qualità o usufrutto di essi e non altro, e così in detta legittima e vita e militia, respettivamente, solamente e particolarmente, instituisce detto Signor Testatore suoi heredi detti Signori suoi nepoti sopra nominati, il che fa in ogni miglior modo. Quale legittima o legittime non vuole che in modo alcuno possano detti Signori suoi nepoti haverla, nè detrahere dalli beni e Stati o feudi di Massa e Carrara, Avenza e Moneta e loro giurisditioni, nè d’altri Stati e beni d’Ayello eHren-tillo e Padulla, che sta per comprare come sopra, perchè vuole che restino liberi e uniti all’infrascritto Eccellmo Si gnor suo herede, ma che le possino havere sopra gli altri beni allodiali che detto Signor Testatore lascia nella sua heredità fuori di detti Stati, reservata anche la casa di Genova, doppo detti Stati lasciata pure sotto fideicommisso, come sopra. Se però vi fussero tanti beni da togliere a dette legittime, prohibendo detto Signor Principe ogni detrattone di falcidia e trebellianica de tutti li suoi beni, e se detti beni allodiali non bastassero a dette legittime, concede e dà facultà a detto Signor Don Carlo, suo herede, che possa supplire in denari a detti Signori suoi fratelli e a ciascuno di essi. E perchè detto Eccellmo Sig. Principe intende e vuole che li tre Stati sudetti e l’altro della Padulla, che si ha da comprare et in <|iiale deve succedere il detto Eccellmo Signor Don Carlo, le restino liberi da qual si voglia debiti e legati che vi fussero sopra, ordina e lascia che dei — 211 — beni allodiali della sua heredità se ne paghino tutti li censi e debiti e legati che fussero sopra di detti Stati, terre, frutti o altri beni allodiali. In oltre, perchè detto Eccellmo Signor Principe, già quando ottenne da S. M. Cesarea titolo di Principe, unì al Stato di Massa e Carrara molti beni allodiali, acciò che chi succedesse potesse vivere con quel splendore che conviene a Principe, perciò dichiara che se ne havesse venduto, obligato o alienato qualche parte, che di detti beni hereditarii, che lascerà fuori di detti Stati, siano detti beni alienati o obligati come sopra ricomprati, ricuperati e disobligati ; e caso che detto Signor Don Carlo, anco vivente detto Signor Principe, ricuperasse o rescatasse o havessse rescattato alcuni di detti beni, o pagasse o havesse pagato qualche somma de denari per detto Signor Principe a qualsivogli persona, possa rimborsarsene e reintegrarsene delli detti beni hereditarii che lascerà fuori di detti Stati e beni a essi uniti. E perchè desidera che il palazzo di Massa stia sempre in ordine e sia ben amobilito, lascia perciò che li mobili di detto Signor Principe servino e restino a uso di detto palazzo, dove ha giudicato saranno necessarii per la nuova tabrica che si fa, e così restino al detto Eccellmo Signor Don Carlo e descendenti suoi; intendendo che vi siano compresi li argenti ; e se si trovassero denari contanti o crediti di esso Eccellmo Signor Testatore al tempo della sua morte, lascia che siano spesi in la fabrica di detto palazzo e in compra di mobili per amobilirlo. De tutti gli altri suoi beni, mobili et immobili, raggioni et attioni, presenti e futuri, che in qual si vogli modo spettano o possono spettare a detto Eccellmo Signor Principe, e particularmente del Principato di Massa, Marchesati di Carrara, Avenza e Moneta, situati in Ί oscana, e del Ducato d’Ayello in Callabria e della Padulla, che è per comprare nel regno di Napoli, e dello Stato di Fiorentillo nell Umbria, con tutte le fortezze, artigliane, armi, monitioni, megliora-menti e accrescimenti, beni allodiali, mobili et ogni loro at- — 212 — tioni, salvo il fideicommesso suddetto del pailazzo di Roma e di Pisa e di Genova col fideicommesso sudetto con tutti li loro mobili, censi di Rovere e Bollogna, possessioni di Agnano, Asciano e Vicascio, con le pertinentie loro e bestiami e tutto quello che in altre parte havesse, et anco delle pretensioni de altri Stati o beni de altra qualita et ancora delle raggioni che havesse contro 1 Eccellmo Signor Don Alderano, suo figlio, per donatione promessa et altri oblighi fatti da detto Signor Marchese Alderano a detto Signor Principe, e parimente delle raggioni de’ beni dotali della Eccellma Donna Isabella di Capua, sua seconda moglie, donatogli dall’Illumo Signor Marchese Don Ferrante, suo figlio, l’anno 1593 li 30 di gennaro, in atti di Messer Pietro Guerra, notaro di Massa, e di Messer Lelio Bendinelli, notaro lucchese, e d’ogni altra cosa che in qual si vogli modo ia vesse o potesse havere o pretendere, lascia et instituiscc suo universale et unico herede, che così lo nomina di sua propria bocca, il sudetto Illumo et Eccellmo Signor Don Carlo Cybo Malaspina, Marchese di Carrara e Duca d’Ayello, suo amatissimo iiepote, figliuolo legitimo e natuiale de su detto fu Eccellmo Signor Don Alderano e dell’ Illuma et Eccellma Signora Donna Marfisa da Este, sua moglie e 1 gliuola dell’ Eccellmo Signor Don Francesco d’Este, figliuolo del Serenissimo Duca Ercole, Duca di Ferrara e di Modena , quale prega, grava et astringe, con ogni paterno a etto e amore e possanza e per quanto si deve stimare e rnerii la volontà e memoria di amorevolissimo padre et a\o, eie li sia raccomandata la religione catholica et abondanza, pace e giustizia delli sudditi, e che verso di essi s' \o.-, 1 C1 condurrebbe al 1468. Nè maggiore esattezza ci offre Giovanni Vincenzo Verzellino, che nell’opera Delle memorie particolari e specialmente degli uomini illustri della città di Savona, ristampata a Savona, da Domenico Bertolotto, 1890. I, pag. 322, scrive di Gio. Battista Cibo: “ Fu vescovo di Savona pronunciato da I apa 1 aolo 11 addì 25 ‘ I le 1467: della cui dignità ne scrisse egli al sovrano magistrato di Savona, che gli fu molto accetto. „ Dal Gams, Series episcoporum, pag. 822, non è posto, sotto Savona e davanti al nome Ioannes B. Cibo, che il solo anno 1467. Sicché dalle parole del Diario di Franceschetto può rettificarsi la data della elezione di Giambattista così: Fu designato al vescovato di Savona il 5 di novembre 1466, ebbe la consacrazione il 28 gennaio 1467 e fece l’atto di possesso successivo il 25 aprile, come, in concordanza dell’Ughelli e del Verzellino, si legge nella Memoria latina che, immediatamente, segue, nel testo, le parole di Franceschetto. Questa conclusione ha il conforto del cit. Gams, cheiiferisce la traslazione ad Albengadi Valeriano Calderini, predecessore di Giambattista nel vescovato savonese, proprio sotto il 5 novembre 4^ (3) Questa memoria fu tratta dal “ Catalogo dei Vescovi di Savona, „ ms. di prete Giovanni Zuccarello, di proprietà del Capitolo di Savona, e intitolato: “ Descriptio omnium Episcoporum Saotiensium qui fuerunt in hoc nostra civitate a die qua fuit facta civitas usque nunc, secundum quod ego presbiter Ioannes Zuccarel/us, civis Sac · > Cappellanus et benefxciatus in ecclesia maiori Saonenst, potui tepn in diversis cartacns Massane nostre ecclesie „. Il catalogo dello Zuccarello fu condotto fin verso il r537· Debbo la notizia alla cortesia del dotto comm. Vittorio Poggi, prefetto della Biblioteca civica Savonese, che mi avverte come la 1 i tazione del passo fatta in questo Libro di Ricordi sia abbastanza esatta, ma soltanto bisogna correggere dove si asserisce che Giambattista “ trai numero de’ vescovi è il 340 „, in 62. Probabilmente chi trascrisse nel Diario la memoria pensò ai vescovi savonesi da Benedetto in poi (680); così il loro numero porterebbe al posto 370 Giambattista, con piccola differenza da 34, dipendente, forse, anche dalla Li asc 1 i-zione errata di 4 per 7 in 34. — 223 — (4) L’Ughelu, op. cit. I, 9r8, scrive: “ Io. Bapt. Cibo, 6 Kal. octobr. 1473 eligitur episcopus Melphitensis. „ Ma a IV, 741 si cor-iegge e lo dice: “ A Sixto IV translatus (da Savona) ad Melphitanam ecclesiam anno 1472. „ E il Ciacconio, III, 91, scrive che fu “ ex Savonensi ecclesia ad Melphitensem translatus, anno 1473 Il Gams, op. cit. pag. 898, si accorda con l’Ughelli e ripete la prima data di lui, sotto Molfetta: 1473, 26, IX (settembre). Però è attendibile veramente questa memoria dello Zuccarello che pone la traslazione a Molfetta al 16 di settembre 1472, e non al 26 settembre, e all anno 1472 anziché al 1473; infatti nel Gams stesso, pag. 822, se ne trova la conferma, perchè proprio al r6. IX. 1472 è riportata la successione di Pietro Gara a Giambattista Cibo nel vescovato di Savona. I aluno, equivocando, la chiamò vescovo di Melfi; fra gli altri il Verzellino, op. cit, I, 323, mentre Molfetta, Melpheta, Melphicta, Melphictum, non è da confondere con l’altra citta, pugliese, Melphi, Melphia, onde Melphiensis ('). Nel cod. E. IV. 25 della Bibl. Universitaria di Genova, in un mss. sul Conclave per la morte di Sisto IV, si legge che fu creato pontefice Giambattista Cibo cardinale d’Amalfi! Anche nel Diano del Burcardo, ed. cit. del Thuasne, per due volte Giambattista è chiamato — R.mus D. Iohannes tituli s. Cecilie presbyter cardinalis Amalfitanus vulgariter nuncupatus—, 1,7, ΐ2 (3). (') Questo equivoco appare anche altrove. Nell’ Indice dei nomi propri e cose notevoli che segue il Diario dell'\nfessura nella cit. ediz. del Tommasini Roma, Forzarli, 1890, a pag. 312, Melfi e Melfita sono, con evidente errore, equiparati. Vescovo di Melfi, nel 1472 e anni seguenti, era Gaspar Loffredi, cfr. Gams, op. cit. pag. 896. Del resto dell’equivoco può da'rsi una spiegazione storica: Nelle carte del secolo X e XI Molfetta èricordata col nome di Melfi cui si sostituì il più moderno di Melfi-eta al principio del sec. XII, e più tardi la forma nominale maschile Melfi-ctum. Cf. F. Carabellese, La città di Molfetta dai primi anni del secolo X ai primi del XIV; Trani, Vecchi, 1899, pp 5-12, estr. dalla Rassegna pugliese, Anno XVI. Ma seguitare, a confondere i due nomi dopo il secolo XII, è manifesto errore. C) E anche nell’ Index generai alphabetique del Thuasne, I, 4S8, non è fatta chiara distinzione, perchè mentre alla voce Amalfitanus c’è rimando a Melfi, di fianco alla voce Amalfi c’ è, in parentesi, Molfetta coi due rimandi sopra riferiti e con due altri che non riguardano il Cardinal di Molfetta, ma Antonio Piccolomini duca d'Amalfi, chiamato pure Amalfitanus. — 224 — L’ Ughelli aggiunse a quanto sopra è riferito: “ Eius insignia supra januam cattedralis ecclesiae (di Molletta) visuntur iis tantum verbis ibidem insculptis: Innocentius Cybo PP. Vili. MCCCCLXXXVII. „ Finalmente il notaro genovese Domenico Piaggio ne suoi Monti menta gmuensia, mss. nella Biblioteca Civico Beriana di Genova, toni II, pag. 102, ricorda che della chiesa abbaziale parrocchiale di S. Siro, poi de’ padri teatini, in Genova, che fu commenda di molti personaggi della casa Cybo, eravi lo stemma di Giambattista, Cardinalis Melp/iitanus, con la' data del 1473. Quanto alla promozione di Giambattista alla sacra poi poi a 1 In fessura, op. cit. pag, 77, nota: “ Eodem anno (1473) a di 7 di Maio, lo papa (Sisto IV) fece otto cardinali..., lo vescovo di Malfita „. Questa del 7 di maggio 1473 fu la seconda creazione di cardinali di Sisto IV. Cfr. Ciacconio, op. cit. III, 52. Convien dunque correggere col nostro testo la errata indicazione del Verzellino op. cit. che riporta l’elezione “ addì 7 Marzo. „ (5) Innocenzo Vili fu, varie volte, colto da deliqui, sicché per Roma si sparse la voce che fosse morto. L’Inff.ssura, op. cit. pag 178, nota che, nel marzo del 1485, “ gravemente infermò, sicché “ bitavasi morisse „. Guarì mercè le assidue cure di Lodovico cataro, di Cipro, archiatro pontificio, e di Giacomo Solleciti da S. Ginesio. Cfr. Sigismondo de’ Conti, op. cit. \ , 218. Il 21 gennaio de i486 corse per Roma, novamente, la notizia che il papa eia e il dubhio tenne la città sospesa per circa due ore e Conti, op. cit. V. 240. Il 27 di settembre 149° s' r'Pe^eva era morto il pontefice e che Franceschetto, in quelli estremi, brigava per avere i tesori della Chiesa, rapire Dijem, fratello del Sultano turco, che era in mano della Curia di Roma, (cfr. not. 7^ segnarlo a Virginio Orsini, zio di sua moglie Maddalena, che nasceva di Clarice Orsini sorella di Virginio (cfr. pag. 66), e ai Fiorentini. Per impedirlo, i cardinali, il giorno dipoi, fecero l’inventano di tutte le robe che erano in Vaticano, ma trovarono che molte erano già state trafugate a Firenze. Innocenzo Vili, poco dopo si riprese e \isse ancora due anni. Ma al principio dell’estate del 1492 era proprio ridotto agli estremi. È notissimo il racconto dell’Infessura, op. cit. pag. 275, a proposito della flebotomia di tre fanciulli fatta da un - 225 — medico ebreo per la trasfusione del loro sangue al papa. Ma fu anche esagerato perchè, da taluno, si parlò addirittura di fan-aulì, rapiti e barbaramente sgozzati per apprestare un bagno di sangue. Dalle parole dello scribasenato, tutt’altro che attenuatore di questi avvenimenti, e dalla narrazione del Burcardo nel cit. Dia- ri°' nSuIta che 11 g'lldeo cavò sangue a tre fanciulli decenni, avendo la speranza di poter ottenere, colla trasfusione del loro sangue, il risanamento del pontefice. Aveva assicurato innocua l’operazione, e invece il salasso fu compiuto così malamente che quei tre meschini moiirono. Di medici ebrei a Roma, nel tempo d’Innocenzo Vili, η erano parecchi, e il Pommasini, nelle notea quel passo dell’Inii ssuka, ricoida Abrae de Mayr de Balmej e un maestro Salamon. Ma quella tanto famosa trasfusione di sangue non solo non ebbe compimento, ma sembra avvenisse all’insaputa del pontefice. Se il medico operò, lo fece per suo conto, nè potè esercitare sul papa la trista opera sua. Cfr. Calunnie contro un Papa in Giornale degli eruditi e dei curiosi, Padova, Crescini, 1883, anno II, voi. II, pag. 868, e III, PP- 39-41. Il Marini, Archiatri pontifici, I, 294, trattando del caso, cita anche uno de’ medici ebrei su ricordati: “ Così Innocenzo Vili, cui moribondo un imprudentissimo e superstizioso medico di ghetto prometteva la guarigione procurata con umano sangue, permise ad Abiamo di Mayr de Balmes di Lecce di potersi adottorare in Napoli. „ Il Rinaldi, continuatore del Baronio, tom. XI, pag*. 196, asserisce che il medico ebreo fu condannato, e soltanto con la fuga scampò dall’ estremo supplizio. A ogni modo l’orrore del fatto durava anche, molti anni dopo, al tempo di Alberico, perchè il Serdonati insisteva affinchè si togliesse dalla vita che egli scriveva di quel papa. (Cfr. a pag. 136 la sua lettera ad Alberico). Sigismondo de Conti, nel riferire la morte del papa avvenuta ai 25 di luglio 1492, a ore cinque di notte, asserisce che tutto l’anno innanzi era stato travagliato da febbre quartana con ritenzione di urine, e che per le cure di Giacomo Solleciti di S. Ginesio, archiatro pontificio, aveva superato la febbre e degli incomodi urinarii appena si risentiva. Ma, morto il Solleciti, i medici che lo sostituirono ignoravano le abitudini e la natura del pontefice, sicché costui vide rincrudire i suoi mali e gli si aperse una piaga in 15 — 22Ó — una gamba, finché, sopraggiunta la febbre etica, la incurabile. E conchiude: « Era però delle membra sì saldo c ^ patto, che non cesse facilmente al morbo, per modo ciesupe previsioni dei medici così da sopravvivere dieci giorni ancora a que - 10 assegnatogli ultimo „ Dopo aver chiamato 1 caldina 1 e loro perdono, si comunicò piangendo a calde lagrime e picc lan o 11 petto, fra la commozione de’ cardinali, prelati, domestici e camerieri che lo circondavano. Op. cit IX. 36. ,6) A proposito della tomba d'innocenzo Vili, vedi le note 189 190. La sacra lancia fu mandata da Bajazet II al papa, accomp gnata con nna cortese lettera, per Zaus Cassimino, cu. andarono , -contro, ad Ancona, Niccoli, Cybo, arcivescovo di Arles, nipoel papa, e Luca Borsiano, vescovo di Fossombrone, confessore dd pontefice. Ricevettero costoro la preziosa reliquia entro un vaso d · stallo contornato d'oro. Della lancia non c era die ,1 ferro, di foglia di salvia, ma senza punta. L‘ Infessura, op. et. pag a, , ne riproduce il disegno. Con grandissima venerazione, in mezzo che continuamente ardevano, la sacra lancia fu portata no a, NarnUl cardinale di S. Pietro in Vincoli andò a nceve.la e ι p P per quanto ammalato, sicché per via si senti mancare, Luti use, a incontrarla fuori porta del Popolo. Era U . -WP del una giorno dell’Ascensione, e tutta la Corte pontificia, clero iprite cittadine, i nobili e baroni romani con gran— trasportarono la reliquia in S. Pietro, dove fu conservata col sudario o Veronica. ninno La cerimonia e la pompa sono descritte dal Burcardo ^ ediz. del Gennarelli, ripubblicata nel ,896 a F.renze, Librer à Da di Raffaello Sercelli, pp. ,87-188, . da Sigismonoode cont, p. II pp 27-29, con l'erronea data, in quest'ultimo, del 30 mag · quanto si riferisce a questa reliquia è da vedersi Archms de rient latin, I, 224, e 318-9. -, ·„ Il Ciacconio, Hist. Ponti/. Romanor. Ili, 118 ricorda un costruito da Innocenzo Vili nella Basilica Vaticana per il ferro de sacra lancia. Ma andò distrutto nei restauri del tempio, come cappella della Vergine con l’epigrafe del cardinale beneventano. (Cfr. a pag. 57.) — 227 — (7) Dijem, Gem, Gemme o Zizim, figliuolo cadetto di Maometto II, avea contrastato il trono al fratello maggiore Bajazette II, che riteneva usurpatore perchè era nato quando Maometto non era ancora sovrano. Vinto nel piano di Jéni-Chehr, nel 1481, fu costretto a fuggire per campare la vita e si ricoverò in Siria, poi al Cairo e finalmente a Rodi che, in quel tempo, era la sede dei cavalieri di S. Giovanni di Gerusalemme, da’ quali sperava ottenere soccorso. V. Il, ricevuto onoratamente nel 1482. Perchè gli fosse dato in mano, per la sicurezza del suo regno, Bajazette ricorse alle preghiere e alte minaccie. Ma inutilmente. Pier Paolo d’Aubusson, Gran Maestro dell 01 dine, temendo perla vita del principe, minacciata ogni giorno da emissaii del fratello, che “nec vigiliis nec somno aliud Cogitat, aliud voluit aliudque videt quam Zyzymy Regem si risolvette di mandarlo in Francia, dove passò di ròcca in rócca, finché fu posto nel castello di Bourgoneuf, nella diocesi di Limoges, sotto la custodia di Guido di Blanchefort, nipote del d’Aubusson e Gran Priore d’Al-vergna. Aveva fatto accordo con Y ambasciatore del Gran Turco, che prò annuo Zyzymy sumptu, quinque et quadraginta millia nummum auri rex Bagyazit quotannis kalendis Augusti Rodi exsolveret Questa somnia di 45 mila ducati d'oro dovea servire pel mantenimento di Dijem e pei garantirne la prigionia. Perchè, contro la promessa, il Gian Maestro non trattò più il principe come ospite, ma proprio come un prigioniero. Diversi principi d’Europa, il re di Napoli, il papa, la Repubblica di Venezia chiesero, con insistenza, che fosse dato loro Dijem. Lo voleva, specialmente, Mattia Corvino, re d’ Ungheria, sperando di potersene servire pe’ suoi disegni contro la potenza del Sultano de Turchi. Ma il Gran Maestro si schermì con il pretesto di non poter liberare il prigioniero, che teneva in nome del papa. Pei le insistenze d Innocenzo Vili, che sperava potersene valere contro il Turco, e di ciò vantavasi nelle istruzioni date ai suoi legati per trattare la lega cristiana nel 1499. (Cfr. Sigismondo de’ Conti, op. cit. II. 424. appendice docum. η. XIV,) il re Carlo VIII di Francia si lasciò indurre a far partire Dijem per Roma. Il Gran Priore d’Alvergna lo condusse fino alla gran caracca di Rodi che dovea, per mare, trasportarlo, di Francia, a Civitavecchia. Dopo una pericolosa navigazione, toccarono terra, e Leonardo Cibo, in- — 228 — viato dal papa, consegnò al Gran Priore, il 6 di marzo 1489, la ròcca di Civitavecchia per trattenervi Dijem. Tre giorni appresso il Gran Maestro d’Aubusson otteneva il cappello cardinalizio. 11 principe turco fu condotto, con gran pompa e infinito seguito, in Roma, dove fece il solenne ingresso il 13 di marzo, cavalcando fra l’ambasciatore di Francia, il Gran Priore e Franceschetto Cibo, che con Niccolò Cibo, vescovo di Cosenza, era andato ad incontrarlo con 100 cavalieri armati. E tenuto, d'allora m poi, in Roma, dove a 1 tava il palazzo apostolico, Bajazette li seguitò a pagare per ui i 45 mila ducati annui al pontefice che, per ver dire, desiderava, senza pericolose dilazioni, valersi di lui contro il fratello come appare' dai documenti publicati in appendice a Sigismondo de Con.., op cit II 430. Morto Innocenzo Vili, Dijem restò in potere della Curia, affidato alla custodia di fra Edoardo di Carmandino, bahvo, prior di Lango, finché Alessandro VI non lo concesse a Carlo Vili, come ostaggio, insieme col figlio Cesare, duca Valentino. Ma costui a Velletri fuggì dal campo francese eh era in moto veiso poli e Dijem venne, poco dopo, a morte, non senza sospetto che .1 veleno de’ Borgia lo avesse spento. Degli antichi ha lungamente trat tato di questo principe Sigismondo de’ Conti op. cit. I. pp. 3*8 32 · Tra’ moderni ha raccolto le maggiori notizie L. Thuasne, Dijem u tati (1459-1495). Paris, Leroux, 1892. (8) Dal matrimonio di Franceschetto con Maddalena 1 orenzo de’ Medici, che avvenne il 20 di gennaio 1488, era nata, il 13 1 cembre 1489, una prima figliuola, Lucrezia, poi una sec , rice, in sul volgere del 1490. Ma tutt’e due morirono in tenera età. Cfr. nota 14. Innocenzo, il primo maschio, nacque alla villa già de azzi, a Montughi, detta la Loggia, ch’era stata acquistata dai Cybo. Divenne, poi, il noto cardinale famigliarissimo di Leone X mente VII e tanto autorevole in Firenze fino alla molte del Duca Alessandro dei Medici. Cfr. per tutto ciò Staffetti, Il Cardinale Innocenzo Cybo, Firenze, Le Monnier, 1894, PP· 9> rI> 1 3 (9) Come il primo maschio, Innocenzo, ebbe il nome del pontefice, suo avo paterno, così il secondo figliuolo di Franceschetto e di Maddalena pigliò il nome da Lorenzo il Magnifico, avo materno. Dopo la morte d’Innocenzo VIII, suo padre, Franceschetto lasciò — 229 — Roma perchè, amico qual’era del cardinale Giuliano della Rovere, non poteva trovarsi in buoni accordi col papa Borgia. Alternava la sua dimora fra la Liguria e la Toscana, dove, presso a Pisa, avea beni venutigli per dote della moglie, lo Spedaletto, le Mulina di Ripafratta e altri possessi in Agnano e Asciano, mentre a Genova erano la maggior parte de’ suoi aviti possedimenti. Nel tempo del soggiorno in Liguria, quando, per la guerra di Pisa, non poteva essei tranquilla sede in quel territorio, nacque Lorenzino a San Pier d Arena. Costui, cresciuto poi in Roma al tempo del pontificato di Leone X, suo zio, sotto l’ombra del quale s’eran raccolti i Cybo, godendo anch’essi la magnificenza di quel suo aureo pontificato, fu mandato, dapprima, alla Corte di Francia, poi ammogliato con Ricciarda Malaspina, erede di Antonio Alberico II, Marchese di Massa e Carrara, matrimonio infelicissimo per l’incompatibilità di carattere de’ coniugi, onde sarebbero poi nate tante sciagure. (io) Pel favore grandissimo in che era tenuta, allora, Γastrologia giudiziaria, oltre i più importanti avvenimenti anche il nascimento de’ figliuoli doveva, specialmente per le nobili casate, essere accompagnato dall’oroscopo, per vedere quali stelle nei 12 recinti e fi a le 12 cuspidi del quadrato oroscopico avessero presieduto alla venuta nel mondo del bambino, sotto quale Ascendente fosse nato, e trarre da queste osservazioni argomento per i giudizi che da’ savii, poteano farsi sul suo avvenire. Dagli indicio presagi traevasi il iudicio o 1 oroscopo. Nelle Memorie di Alfano Alfani illustre perugino vissuto tra il XV e XVI secolo, pubblicate da Gian Carlo Conestabile, Perugia, 1848; a pag. 109 si legge una lettera di Antonio Spannocchi all Alfani stesso, scritta il 13 d’aprile 1496, da Siena, in cui è detto: Sarà, con questa, la mia natività calculata con ogni diligentia dal nostro M. Ricciardo (Cervini, padre di Marcello II), pregovi, in spe-tialissima grazia, vi facciate fare su uno indillo dal vostro et mio M. Iiieronimo da Forlì „. Nella l ita di Marcello II scritta dal signor Alessandro Cervini suo fratello, mss. della Biblioteca di Ferrara, si legge: “ Madonna Cassandra (Benci, prima moglie di Ricciardo Cervini e madre di Marcello II), partorì con grandissimi dolori il terzo figlio maschio, essendo già morti gli altri due; et a questo pose nome Marcello. E — 230 - questo fu nel 1501, a dì 6 maggio, poco dopo mezzogiorno. Ho messo l'ora, perchè trovandosi con esso M. Ricciardo, in quel tempo, un grand’astrologo, colse l’altezza del sole con 1 astrolabio, e tio vando in ascendente la Vergine e Mercurio in X e Venere e Sa turno in XI, fece giudizio che tal figliuolo sarebbe grande nella Chiesa di Dio. Il che fu anche confirmato dal padre, il quale era gran matematico, ancorché poco attendesse alle cose pertinenti alla divozione „. Anche Innocenzo Vili mostrò credere agli astrologi. Perche, pochi giorni prima di morire, fece consultare da Ludovico il M010, Signore di Milano, il celebre Ambrogio Varese da Rosate. Costui rispose allo Sforza, il 20 luglio, 5 dì innanzi la morte del papa, che, secondo l’oroscopo “ epso pontefice doveva morire. 11 quando mo debbia morire, ritrovo... che debbe seguire la morte aut fra 22 dì, che sarà ad 10 o 11 d’augosto,... aut fra 15 dì „. La lettela è stata pubblicata dal Gabotto, L’astrologia nel Quattrocento in >appailo colla civiltà; in Rivista di Filosofia Scientifica, Voi. Vili, anno 18 9, Pas- 382. Il Rinascimento, che in omaggio all’antichità risuscitò e pi strane superstizioni, rimise anche in onore 1 alchimia, la cabbai l’astrologia divinatoria; e tutte queste scienze occulte si diffusero fra l’entusiasmo degli studiosi che sognavan sempre cose nuove. T naron di moda fin le sortes virgilianae. Cfr. Burckhardi, La civiltà nell'epoca del Rinascimento, tr. del Vaibusa, Firenze, Sansoni, 1876,. P. IV, pag. 4. Dei pontefici, dopo Innocenzo Vili, Leone X si gio riava che, sotto il suo pontificato, l’astrologia fiorisse, e Paolo III non tenne mai concistoro senza che prima non gli fosse indicato il tempo opportuno dagli astrologi. Le maggiori corti italiane ebbero grande osservanza per gli astrologi. I veri centri dell astiologia era Bologna, Padova e Milano. Anche le corti di Mantova e di Ferrara se ne appassionarono. Cfr. Gabotto, Bartolomeo Manfredi e l Astio logia alla Corte Mantovana, ricerche e documenti, Torino, La Letteratura, 1891, dov’è un curioso giudizio sulla nascita del ie di Fran eia, (pag. 7); e Gabotto, Nuove ricerche e documenti sull'Aslrologià ■alla Corte degli Estensi e degli Sforza, Torino, La Letteiatuia, 1891· Isabella Estense-Gonzaga, Teletta gentildonna che è vanto e decoro — 231 — delle due Corti ferrarese e mantovana, cultae intelligente com’era, dovette ella pure assecondare l’andazzo de’ tempi e prestò fede al-l’astrologia valendosi, specialmente, delle cognizioni di Ottaviano Ubaldini cui mandò “ la natività sua „ ossia gli indizi presi al suo nascere, “ a ciò che la possi far fare el judicio Si sentì avvisare che doveva guardarsi dal correre coi cavalli. Cfr. Luzio Renier, Mantova e Urbino, Torino, Roux, 1893, PP· 80-81. Perchè, oltre il giudizio sull’avvenire, sulla fortuna, sulle tendenze, si cercarono giudizi personali su abitudini da lasciare o pericoli da evitare. Ebbe, finalmente, grande seguito il pronostico astrologico, che semplice almanacco in origine, si trasformò poi in profezia politica, basata prima su calcoli astrologici fatti in buona fede, come quello di Antonio d’Inghilterra pel 1464, Cfr. Gabotto, Un pronostico di Antonio d'Inghilterra, Napoli, Pierro, 1905, estr. dalla Biblioteca delle Scuole Italiane e per cui fu celebre Luca Gaurico, Cfr. Percopo, L'umanista Pomponio Gaurico e Luca Gaurico l'ultimo degli astrologi, Napoli, t895; e più tardi servi d’argomento a chi con satira maligna volle sfruttare l’amor proprio di principi e signori. Cfr. Luzio, Un pronostico satirico di Pietro Aretino, Bergamo, Ist. d’Arti Grafiche, 1900. Purtroppo dagli indizii letti nel cielo non sempre fu cavato giusto giudizio: e Cardano, uno dei più accreditati savii del XVI secolo, con 1 oroscopo di Eduardo VI, così presto contraddetto dalla immatura fine del giovinetto re, segnava l’inizio della bancarotta di quella scienza augurale. (11) La data della nascita di Giambattista, figliuolo di Franceschetto Cibo, può facilmente integrarsi: è il 1508. Cfr. pag. 114. Riproduceva, secondo le consuetudine, il nome di battesimo del grande avo, a quel modo che il fratello, Innocenzo, ripeteva il nome di lui come pontefice (Innocenzo Vili). Anch’egli fu, quindi, avviato al sacerdozio, tanto più che il favore dello zio Leone X, negli splendori del pontificato amorevolissimo verso tutti i parenti e, in modo particolare, con quelli della sorella Maddalena Cibo, così insistente per ottener favori presso di lui da rendersi fin uggiosa, avrebbe potuto condurlo ad alti uffici. Ebbe appunto allora i primi benefici ecclesiastici accresciuti, poi, per le resignazioni fatte, in favor suo, dal più fortunato fratello Innocenzo, pervenuto giovanissimo, a 22 anni — 232 — soltanto, alla porpora. Successe all’affine Giambattista Usodimare, che gliene cedette il governo amministrativo, nel vescovato di Mai lana, in Corsica: (soppresso da Pio VII nel 1801): ne godè il benefizio (1110 al 1531, quando Clemente VII l’assegnò al cardinale Innocenzo, che dopo averlo amministrato dal 20 marzo al i° dicembre di quell anno, lo cedette a Cesare Usodimare Cybo, suo nipote, dal quale, pei la traslazione di Cesare a Torino, nel 1548, passò ad un quarto vescovo della famiglia Cybo, Ottaviano, fratello di Cesare. E, dopo Ottaviano, fu vescovo di Mariana Balduino Balduini, pisano, archiatro di Giulio III, nel 1554. Gfr. Gams, Series episcoporum, Mariana, pag. 766. Giambattista Cibo, noto fino al 1531 col titolo di Vescovo di Mariana, si ricorda per la sua vita avventurosa e traviata. Nella fantastica pio-cessione di cose strane, descritta da Andrea pittore a Pietio Aretino, comparisce, fra l’altre rarità e precisamente dopo tutti li fui inaienti di cucina, che usò sempre el Santino padre M. Poggio menti e visse; el primo breviario che logorò el Vescovo di Mariana. E come dire che non lo aperse mai! E difatti trattavasi di un vescovo d età giovinetta assai, chè quella lettera è scritta nel 1522. Cfr. Pasquinate di Pietro Aretino ed anonime pel conclave ed elezione di Adriano VI, pubblicate da Vittorio Rossi; Torino, Clausen, 1892, Appendice, pag. 169. A Venezia, nel febbraio del 1527, si trovò seriamente com promesso per una rissa dove uno fu ferito a morte, e dovette al l’autorità del fratello se i buoni uffici del vescovo di Pola presso la Signoria e le commendatizie di Monsignor di Baius non lo feceio cadere nelle unghie del podestà di Padova. Tre anni dopo, a Bologna, al tempo della incoronazione di Carlo V, insieme col cugino Ippolito de’ Medici, conforme a lui di cervello, e col cognato conte di Cajazzo, andavano attorno, di notte, con una squadra di bravi attaccando baruffa, a mano armata, con Spagnuoli e Tedeschi. E, pochi anni dopo, nel I535> ebbe parte principale in una congiura contro Alessandio de Medici, duca di Firenze, incitatovi forse dallo stesso Ippolito, Si trattava di riempire di polvere d’archibugio uno scrigno su cui soleva, assai spesso, sedere il duca, nel palagio de’ Pazzi in via del 1 rocon solo, quando andava a corteggiarvi la Contessa di Massa, cognata di Giambattista, che ivi alloggiava con la sorella Faddea, della quale era perdutamente innamorato il poeta Berni. Scoperto e messo in — 233 — pi igione, Giambattista corse il rischio di patire l’estremo supplizio e dovette la vita all’influenza del fratello cardinale, che avea allora luogo onorevolissimo alla Corte di Firenze; talché per la venuta di Carlo V in quella città fu tolto di prigione. Cfr. Varchi Storia fiorentina, Libro XIV, § 50; Virgili, Francesco Berni; Firenze, Le-Monnier, 1881 ; pag. 487; Ferrai, Lorenzino dei Medici e la società cortigiana del ’foo; Milano, Hoepli, 1892; pag. 179. Nè con questa finisce la serie delle prodezze di Giambattista: nel dicembre del 1537 dava aiuto a Giulio Cesare de’ Rossi, conte di S. Secondo, un altro rompicollo della sua forza, per rapire, da Murano presso Venezia, a mano armata, Maddalena e Lavinia figliuole d’Ippolita, vedova del Conte di Cajazzo e sorella del Cibo. Anche questa volta dovette all’inframmettenza e all’autorità del cardinale Innocenzo e all'intervento di Andrea d’Oria in favore del Rossi, se la passò liscia, perchè la Serenissima, a istigazione anche di Guidubaldo della Rovere, duca d’ Urbino, minacciava di prendere severe misure di repressione. Cfr. Neri Achille, Andrea d Oria e la Corte di Mantova, Genova, Sordomuti, 1898, pagg. 83-93. (Estratto dal Giornale Ligustico). Ch’egli avesse, come Ippolito de’ Medici, più tendenze alla guerra che al sacerdozio lo mostrò quando, nel 1527, col fratello Lorenzo fu in aiuto di Caterina, sua sorella, duchessa di Camerino. Cfr. nota 15. Tra le varie sue lettere scritte in quei giorni,’ scegliamo la seguente, che ne mostra l’ardor battagliero: R.ino et Ill.mo Mons. Padron mio, Per la Ira de Mess. Pietro V. S. intenderà ogni cosa e del partir mio, doppo la presa della Duchessa: io feci circa duecento fanti e si pigliai Camerino e venne al S.r Ridolfo in suo socorso il capitan Mario che stava con Sciarra Colonna con trecento fanti e intrò illa terra per la via della Roca, e nui ci metessimo alla disperata e si ce ne demmo drento e li rompessimo: così restamo padroni di Camerino. Di li a dui giorni venne tutte le bande de Sciarra, che sono circa a mille fanti, e in intrar drento la frontassimo e li tolsemo una bandiera e na mazas-simo circa a cinquanta, e, per la gran gente che era, non possemo resistere e fu forza ci ritirassemo qui in S. Natoglia, e per via tro- — 234 — vammo M. Pietro Melli no con quatrocento fanti e così ce ne stemo qui e ci staremo, fino che V. S. R.ma ci proveda: per mi non ci cognosco altra via che far quello chel Sr. Federico ha già scritto a V. S. R.ma; e se sa a far se faccia presto. Non dirò altro, et quello è prudente. Di S. Natoglia, a di XXIIIJ (agosto) MDXXVIJ. S.re Gio. Batt. Cibo All’R.mo e Ill.mo Mons. Mio il Sr. Car.le Cibo Padron oss.mo (R. Arch. di Massa, carteggio del Cardinal Cibo ad annum). Nel 1530 aveva ottenuto il vescovato di Marsiglia per resigna-zione del fratello Innocenzo. Mentre egli teneva il governo della diocesi accaddero in quella città, nel novembre del i533> due importantissimi avvenimenti politici; l’incontro di Clemente VII col ie Francesco I, il quale “ fece tante feste e sì grossa spesa in ricevere il papa con la Corte tutta, quanta fusse stata mai veduta fare in alcuna altra allegria,,; poi la solenne celebrazione delle nozze fi a Caterina de’ Medici, nipote del Papa, e Enrico duca d Orléans, secondogenito del Cristianissimo, del compimento legittimo delle quali volle il pontefice essere così sicuro che intervenne personalmente alla consumazione del matrimonio. Cfr. Segni, Istorie Fiorentine, Fi renze, Barbera e C. 1857, pag. 250. Pare che nel tempo di Paolo III, quando Innocenzo e i suoi aveano perduto il favore di Roma, Giambattista andasse, finalmente a risiedere nella sua sede, mentre prima avea soltanto goduto i redditi del vescovato in qualità di amministratore, sebbene dal Re Fran cesco I gli fosse stato confiscato un priorato di 1000 scudi di rendita perchè egli era contumace col Cristianissimo. Quel pi iorato l’ebbe Gabriel Simeoni: ma, col favore della Delfina, andatosene Giambattista in Francia, riebbe col vescovato il beneficio. Cfr. Manni, Osservazioni storiche sui sigilli, XVIII, 9. Difatti nel 1547 fu inviato dal clero della metropoli di Arles a prestar giuramento di fedeltà al nuovo re di Francia Enrico II, che era appunto colui che, giovi- — 235 — netto ancora, quattordici anni, innanzi avea sposato Caterina in Marsiglia. Cfr. Gallia Christiana opera et studio Dionysii Sammarthani ; Parigi, 1716, 1 om. I, 001.667. Resse la diocesi marsigliese senza che di lui si ricordi nulla di notevole, come afferma il Ruffi, Hi-stoire de la ville de Marseille, Marseille, Garcin, 1642, in fol. pag. 333; fino all anno della sua morte che ivi accadde nel 1550, (cfr. pag. 20-21 e nota 93), con vivo rammarico de’ suoi che speravano potesse avviarsi al Cardinalato pel favore di Caterina de’ Medici, regina di Francia, a lui parente. Cfr. Cronache di Massa di Lunigiana editee illustrate da Giovanni Sforza, Lucca, Rocchi, 1882, dove a pag. 240, nota 13, è riportata una biografia che di Giambattista scrisse Pietro Boselli di Aiello nel suo Compendio dell’lllma et antichissima famiglia Cybo, detto anche il Secondo libro delle Memorie della famiglia, che si conserva mss. nel R. Arch. di Stato in Massa. Per il parentado de’ Cybo con Caterina de’ Medici, a cui teneva tanto, per buone ragioni, anche Alberico, cfr. l’albero parallelo delle due case composto da Alberico stesso, a pag. 65 e 66 di questo volume. A Giambattista successe l’anno appresso, nella cattedra episcopale marsigliese, Cristoforo Del Monte. (12) Niccolò del Fiesco, vescovo di Forlì, che ebbe la porpora da Alessandro VI, fu cardinale prete di S. Prisca ed è il fratello di S. Caterina Fieschi Adorno. Morì nel 1524. Gli altri tre cardinali che sono rammentati come compari, erano dei più autorevoli alla Corte di Giulio lì e legati da calda amicizia con Giovanni de’ Medici, fratello di Maddalena Cibo, il futuro Leone X. Il cardinale di San Pietro ad Vincula era Galeotto, figliuolo di Luchina della Rovere, sorella del papa, e del lucchese Gianfrancesco Franciotti. I o zio lo nominò Vice-cancelliere e lo arricchì d innumerevoli benefici. Per Ragona s’indica Lodovico, figliuolo di Ferdinando 1 d’Aragona e fratello naturale di Alfonso re di Napoli. Aveva ottenuto la porpora da Alessandro VI, in correspettivo della mano di donna Sancia di Aragona per Don Ioffrè Borgia. Fu il primo de’ sostenitori e favoriti di Leone X, durante il pontificato del quale morì, a 46 anni, nel 1ji8, in Roma. Nel Cardinal di Pavia, poi, si riconosce il celeberrimo Francesco degli Alidosi, discendente degli antichi Signori d’Imola, detto anche il cardinale di Castel del Rio, dal paese presso Imola dov’ ebbe i natali. Carissimo a Giulio II, dovea, non molto dopo. — 236 - nel maggio del 1511, in Ravenna, cadere assassinato per mano di Francesco Maria della Rovere, duca d’Urbino, nipote di quel papa fremente d’inutile sdegno per si grave e sacrilego delitto. (13) È una delle tre figlie naturali che Giuliano della Rovere ebbe prima della sua assunzione al pontificato. Pare nascesse d una certa Lucrezia, che poi fu sposa a un Bernardo de Cuppis o Coppi di Montefalco. Cfr. Cian, Note al Cortegiano del Castiglione, l· i-renze, Sansoni, 1894, pag. 318. Vari partiti si proposero per collocarla in matrimonio: quello con Marcantonio Colonna andò a vuoto, e a lui Giulio II diede, poi, una nipote; Cfr. Sanuto, Dinrii, V, 771, 784, 798, 935; Dispacci di A. Giustinian, III, 334; di un’altro col principe di Salerno fece ella stessa il rifiuto “ allegando non volete maritarsi ad signore senza stato et senza alcuna entrata al pie-sente „. Cfr. Giovanni Acciaiuoli, in Dispacci del Giustinian, ed. Villari, III, n. 439. D’un terzo con Don Alfonso d’Aragona, figliuolo del re di Castiglia, non si venne a capo per ragioni di opportunità politica. Fu poi concluso il matrimonio con Giovanni Giordano Orsini, capo del ramo dei Signori di Bracciano, soldato valoroso e liberale, ma molto stravagante, già vedovo di Maria Cecilia d Aragona, naturale del re Ferdinando di Napoli, e piuttosto innanzi con gli anni. Pare che, strambo com’era, si acconciasse di mal animo e solo per interesse al parentado col pontefice Giulio II, e vuoisi che alla moglie rinfacciasse poi P umiltà dei natali. Le nozze furono celebrate quasi furtivamente, per espresso desiderio del papa, il 24 maggio 1506, nel palazzo del vice-cancelliere cardinale di S. Pietio ad Vincula, Galeotto Franciotti, figliuolo di Luchina della Roveie e prediletto nipote del papa, (l’odierno palazzo Sforza-Cesarini). Cfr. Sanuto, Diarii, VI, 347, 359J Gregorovius, Storia della città di Roma nel Medio Evo, IV, 366. Le strane bizzarrie che, celebrandosi quelle nozze, fece il marito, leggonsi nel Diano di Paride de G/assi, onde le estrasse il Villari, annotando i Dispacci del Giustinian, III, 439 40. Curiosissimi particolari ne dette anche Emilia Pia Monte-feltro a Isabella Gonzaga Estense in una lettera del 12 giugno 1506 pubblicata da Luzio-Renier, in Mantova e Urbino, Torino, Roux, 1893, pp. 17880 Le anomalie di Giovanni Giordano Orsini giustificano bene l’epiteto di pubblico pazzo onde, molti anni dopo, nel I532> - 237 - era qualificato da l· rancesco Maria della Rovere, il famigerato duca d’ Urbino, quando voleva distogliere suo figlio Guidubaldo dal pigliar per moglie Clarice, figliuola appunto dell’Orsini e di Madonna Felice. La quale come donna bellissima, d’animo grande, di costumi nobili e d’ingegno vivace, per l’amore che mostrò verso le arti e le lettere e pel favore che accordò a’ loro cultori, ebbe onoratissima ricordanza e fu esaltata in più componimenti di prosa e di poesia del suo tempo. Baldassarre Castiglione, che nel Cortigiano ricorda un suo atto di virile risolutezza, celebra “ l’ingegno e la prudenzia „ ond era “ accompagnata la singolar bellezza di quella signora Ed. cit. pag. 319. 11 nome di Felice Orsini Della Rovere trovasi di frequente in lettere, documenti e libri della ia metà del secolo XVI. Fece testamento nel 1536 e, probabilmente, morì poco dopo. Cfr. Litta, Famiglia Della Rovere, tav. Ili; Famiglia Orsini, tav. XXVII. Un anno appena dopo il matrimonio, l’Orsini passò da Genova. Debbo la notizia all’amico prof. Emilio Pandiani, che la trae dal Diario della Rivoluzione popolare, (Viva Populo), del 1506-1507 che uscirà, fra breve, per la stampa, con le sue diligentissime cure. Sotto il 21 giugno 1507, ivi è detto: “ Ea die s’è mostrato la schalla (il sacro catino, creduto già di smeraldo, che si conserva nel Tesoro di S. Lorenzo), a Gio. Giordano Ursino, lo quale ha per moglie la figliola della Santità di N. S., lo quale l’havea mandato dalla Sacra Maestà di Re (Luigi XII) per alcune cose secrete (14) Non fu la prima delle figliuole di Maddalena e Franceschetto, come potrebbe argomentarsi dal nome che, secondo la consuetudine del tempo, rifaceva quello dell’ava materna Clarice Orsini · de’ Medici. Sin dal 13 dicembre del 1489 era nata, in Roma, primo frutto di quel matrimonio celebrato il 20 gennaio dell’anno precedente, una bambina, che condotta al sacro fonte il 4 di gennaio del 1490, con pompa solenne, nella chiesa di S. Salvatore presso Monte Giordano, aveva avuto il nome della madre di Lorenzo il Magnifico, Lucrezia. Cfr. Burchardi, Diarium, feria secunda, quarta mensis ianuarii MCCCCXC. Ed. Thuasne, to. I. Che questa bambina, di lì a un anno, non fosse l’unica figliuola di Franceschetto appare chiaramente da una lettera che il 24 d’aprile 1491 egli scriveva al suocero, Lorenzo de’ Medici, in cui esprimeva il desiderio — 238 — che la moglie con “ le mie figliole „ andassero a passare la prossima estate a Firenze. E nella chiusa ripeteva: “ La Madalena cum le figliole se raccomandiamo tuti „. Cfr il mio Innocenzo Cybo, pag. n, nota 2. Ora poiché Lucrezia era stata la prima nata di Maddalena, dopo due anni di matrimonio turbati da false gravidanze e da malattie, come appare dalla lettera di lei scritta il x° settembie 1489 al padre dove si legge: " Costoro dicono che io sono gravida di 9 mesi, et io ben che ancora 11011 me ne intenda, pure lo credo più che l’altra volta (ossia più che al tempo di una precedente malattia, spiegata a torto con la supposizione che fosse incinta), Cfr. Innocenzo Cybo cit., pag. 9; è da argomentarsi che Clarice fosse appunto questa seconda figliuola. Ma nel maggio del 1492, (anno funesto pei coniugi, perchè Γ8 d’aprile moriva Lorenzo de’ Medici e il 25 di luglio sarebbe morto il papa Innocenzo VIII, padre l’uno di Maddalena e l’altro di Franceschetto), perdevano una figliuolina e di queste “ seconde lacrime „ si ha notizia per una lettera di Fi anceschetto al cognato Piero. Cfr. Innocenzo Cybo, pag. 13, nota 2. Fu la superstite probabilmente Clarice; infatti della Luciezia non si trova altra ricordanza, come quella che moiì in tenerissima età, mentre di costei tenne memoria Franceschetto notando il nome de’ figliuoli che, poi, gli nacquero appresso. Il Viani, op. cit., pag. -o, fa il nome d’una Eleonora fra le figliuole di Franceschetto e dice cho, deforme di corpo, prese l’abito claustrale in Genova. Fu infatti nel convento di S. Sebastiano una Suor Geronima Cybo, figliuola di Franceschetto, Cfr. il mio Giulio Cybo, pag. 22, nota 1, nominata badessa a vita da Leone X, il 3 di settembre i5I3· Cfr· Hergen rother, Regesta Leonis X, ad annum; ma non sappiamo se debba identificarsi con Γ Eleonora ricordata dal Viani o con questa Clarice, come piacerebbe al Feliciangeli, op. cit., pag. 12, nota 2, sebbene le Memorie della famiglia Cybo, che si conservano ms. nell’Archivio massese ci facciano propendere più per la prima opinione. (15) È la famosa duchessa di Camerino, Caterina Cibo-Varano, una delle più belle e virili figure di principessa italiana del Rina scimento, degna di stare insieme con la elettissima Isabella Estense, Marchesa di Mantova, e con Vittoria Colonna, verso le quali ebbe non solo quei rapporti che la cortesia signorile imponeva, speci.il — 239 - mente nella società cortigiana del 1500, ma anche quelle tendenze disim patia moventi dal cuore e dall’animo, che l’ammirazione per la cultura e anche il desiderio di mostrarsi indulgente verso un movimento ri-foi mista, potevano inspirare. Cfr. Reumont, Vittoria Colonna, Torino, Roux, 1885. Luzio-Renier, Mantova c Ui'bino, Torino, Roux, 1893. Promessa sposa fin dai primi anni, secondo l’uso del tempo in cui si facevano gli sponsali fra’ principi ancora in fasce, a Giovan Mai ia Varano, signore di Camerino, contro il volere della madre Maddalena che l’avrebbe voluta dare piuttosto a Sigismondo, nemico e nipote del duca, morti Franceschetto e la consorte e cessata quindi 1 opposizione materna, celebrò le nozze nell’estate del 1520, accettando, probabilmente, fra le lacrime per la perdita dei genitori, più con rassegnazione che con gioia il suo destino che la traeva a unirsi con un uomo nato vent’anni prima di lei. La tragica fine di Sigismondo, assassinato presso la Storta, certo per istigazione di Gian Maria cui adoperavasi a torre, con l’armi, lo Stato, dovette accadere colla connivenza de’ Cybo e di Caterina stessa, subito nel primo giovanil tempo della sua vita matrimoniale tratta fra gli odi domestici, 1 conflitti politici, e le usurpazioni ambiziose, non diversamente dalla sorte de’ prossimi signori d’Urbino, costretti dalla nepotistica politica dell’ ingrato Leone X a correr raminghi le terre d’Italia. Bramosa di dominio, ebbe larga parte nel governo dello Stato anche vivo il marito, e ottenne da Clemente VII la facoltà di succedere nel Ducato qualora il marito e la figlia le premorissero senza lasciare prole maschile. Tradita e imprigionata da Rodolfo Varano, dopo la morte del marito, col soccorso anche de’ fratelli Lorenzo e Giambattista rioccupò lo Stato, e lasciando prevalere un fiero sentimento di vendetta alla naturale gentilezza d’animo, donna co m’era di gran pietà religiosa che proteggeva i fraticelli scappuc-curi perseguitati, volle chiuder l’anima a ogni senso di generosità e di perdono, nè dovette essere estranea anche alla morte violenta di Rodolfo. Desiderò dare l’unica figlia Giulia a Guidubaldo II della Rovere, duca d’Urbino e tenne segreto il disegno che non piaceva a Clemente VII, della protezione del quale ella si valse particolarmente contro Mattia, Alessandro ed Ercole Varano che volevano torle Camerino e desideravano pervenire legittimamente alla signoria con un matrimonio con Giulia, consigliato anche nel testamento da Giovati Maria. Ma Caterina, ferma nel proposito del parentado coi signori d’ Urbino, rifiutò anche la proposta, fatta con interposizione di Carlo V, di dare la Giulia a un figliuolo di Cai lo di Lannoy, principe di Sulmona. Per un momento il disegno di sposare la putta dì Camerino balenò anche in quel cervello balzano del cardinale Ippolito de’ Medici, che irritato delPavarizia di Clemente VII e mal soffrendo la potenza del duca Alessandro in I irenze, minacciava di gittar via il cappello rosso. Ma Caterina persisteva nel suo disegno, e per quanto Guidubaldo, preso d’amore per Clarice, figliuola di Gian Giordano Orsini e di Felice della Rovere (Cfr. nota 13), mostrasse avversione al partito e spargesse a piene mani il disci edito sui Cybo e sulla stessa Caterina contro ogni ragione, pei chè costei fu non solo di vita incensurabile ma dignitosamente virtuosa, le nozze, finalmente, si compirono in sede vacante per la morte di Clemente VII, e troppo tardi il nuovo pontefice Paolo IH, geloso della crescente potenza del Della Rovere, fece opera di ορροί \ isi. Ma non ristette già il fiero papa Farnese dalla lotta contro i signori di Camerino. Una sentenza del Tribunale della Camera apostolica dichiaro la duchessa Caterina e Giulia incorse, con Guidubaldo, nella priva zione del feudo. Caterina allora si ritirò a Firenze dove rimase pe ben 22 anni, mantenendosi in cordiali rapporti coi pai enti, fra quali ebbe carissimo il nipote Alberico Cybo-Malaspina, Marchese Massa (cfr. pag. 115), ed Eleonora sua sorella, di cui si piese speciali. (Cfr. nota 36). Fu ben amata da letterati ed eruditi tempo: Marcantonio Flaminio le portò riverenza ed affezione gre dissima; il Firenzuola le dedicò i Ragionamenti, esaltandola nella dicatoria, come quella che nell’esercizio delle lettere trovava grai dissimo frutto; il Varchi la chiamò donna prudentissima e di san tissimi costumi, dedicandole uno de’ suoi sonetti spirituali. Studiosa dell’ebraico, del greco e del latino, ebbe la vasta e solida cultura delle donne italiane del Rinascimento e, come Vittoria Colonna, mostrò simpatia per un moto che tendesse a una riforma della Chiesa, ma con maniera ordinata e temperata senza ribellione verso il pon tefice e quindi senza uscire di grembo all’ortodossia. Ebbe quindi - 241 - amicizia, oltre che col Flaminio, favorevole esso pure a cotale movimento riformista, restaurativo della disciplina e affermativo, contro molte superstizioni, delle supreme verità della fede, con Bernardino Ochino. Ma biasimò e sconfessò costui quando si allontanò dalla Chiesa. Però non bisogna metterla insieme addirittura con quelli che, decisamente favorevoli alla Riforma, come Renata di Francia, non dubitavano farsi sostenitori anche di chi era ormai fuori della ortodossia. Così sono da escludersi, come le accuse eh’ erano state fatte in un impeto di amore offeso contro la sua buDna fama da Guidubaldo Della Rovere, anche le congetture su pretesi insegna-menti ereticali dati a certe suore fiorentine. Morì in l· irenze, Γ ix febbraio 1551, nel palagio de’ Pazzi e fu posta nella chiesa di S. Proculo, donde, più tardi, Alberico suo nipote la fece trasportare nella chiesa della SS. Annunziata detta delle Murate, in capo all’odierna via Ghibellina. Cfr. nota 109. Una lodata diligentissima opera su questa donna insigne ha scritto, con intelletto d’amore, il chiaro illustrator de’ Varano e delle memorie marchigiane prof. dott. B. Feliciangeli: Notizie e documenti sulla vita di Caterina Cybo Varano; Camerino, Favorino, 1891, x6°, pp. 316. (16) Al tempo del pontificato di Alessandro VI, avverso ai Cybo, come ci occorse già dire, per riflesso della loro amicizia col cardinale Giuliano della Rovere fierissimo sempre contro i Borgia, Franceschetto abbandonò Roma, dove non avea pur da lodarsi del papa quel cardinale di Benevento, Lorenzo, che nel pontificato d'Innocenzo Vili avea avuto insigni ma ben meritati onori. Cfr. nota 22. Anche la famiglia lo accompagnava, e poiché per la cacciata de’ Medici da Firenze nel bando comprendevasi la Maddalena, alternarono la dimora fra Pisa, dove possedevano vari beni nel contado, avuti a garanzia della dote della moglie dal cognato Piero de’ Medici, eia Liguria, dove le case de’ Cybo erano nel popolo di S. Marcellino, in via del Campo. Difatti per il decennio che corse fra la morte d’Innocenzo Vili e l’elezione di Giulio II, li troviamo ora in Liguria e ora in Toscana, dove, alternativamente, nacquero i vari figliuoli di Franceschetto e di Maddalena. Ippolita vide la luce appunto in Genova in quel tempo. Ma col pontificato di Giulio II risorse la fortuna de’ Cybo, che tornarono a Roma e v’ebbero larghe aderenze fra i famigliar! 16 — 4<)5 — del papa e i più autorevoli prelati della Corte, come appai e, fi a l'altro, dai padrini che, nel 1508, tennero a battesimo Giovambattista; (cfr. note 12 e 13.) E quando al Della Rovere successe il cai dinaie Giovanni de’ Medici, fratello di Maddalena, che pigliò il " Leone X, della generosità di questo gran favoreggiatole de pai poterono largamente godere i Cybo, a quali il papa piovvi revoli officii pensando anche a collocare in matrimonio le ’p Ippolita, infatti, fu data in moglie a Roberto di Sanseverino, coi di Caiazzo, uno di quei Signori napoletani che piocacciai ^ fortuna col prendere servizio negli eserciti imperiali, mentre più viva ferveva la contesa fra Spagna e Francia pel predominio. Il pai non solo assegnò ad Ippolita in dote Colorno in quel di con un suo breve, (che trovasi in copia nell’ archivio di Stato in fra le Carte de’ Cybo di Genova avanti il Principato, vedilo per extenso, alla nota 34), raccomandava il Sanse verino a Callo Spagna, il futuro Carlo V, perchè gli desse una condotta fra e sue milizie. Ippolita, 0 la Contessa di Caiazzo, com è chiama cumenti contemporanei, rimase vedova nel 1532 con due g ^ Maddalena, cui dal padre era stato assegnato Caiazzo, e Lawnia che avrebbe dovuto avere Colorno, dopo la morte della ma , fruttuaria. Ma per queste sue figliuole ella ebbe vivissime pre pazioni perchè, senza loro contrasto, furono rapite a Giulio, figliuolo di Pier Maria Rossi, conte di Sansecondo, co a voreggiamento di Giambattista Cybo, vescovo di Marsiglia, ia e 0 d’Ippolita. Cfr. nota 11. Condusse vita randagia perche oia a ro viamo nel Piacentino ora a Roma, sempre bisognosa che p la soccorressero nelle gravi ristrettezze economiche ine dipendenti dalla poco lieta condizione in cui l’avea lasciata il man o, che in opere disordinate avea consumato fin la sua dote. Il maggiore stette al più ricco de’ Cybo, il cardinale Innocenzo, s fratello: cfr. Lettere di Principi, I, 60; ma anche la sorella Caterina Varano, Duchessa di Camerino, che era largamente provveduta per l’eredità del marito, p ii volte e largamente la sovvenne nell necessità. Secondo il Viani mori nel 1562, op. cit., pag. 87, nota 72; ma doveva essere già morta sette anni innanzi, se Alberico scrivendo - 243 - ne' J555 1 età del padre, degli zii e delle zie, così fa memoria di lei : La Signora contessa di Caiazzo havria anni 52, che nacque nel 1503 Cfr. pag. 114. (17) Di questo figliuolo di Franceschetto, che rifacea il nome del mal avventurato zio Piero de’ Medici finito tragicamente, mentre era in bando dalla patria, nelle acque del Garigliano, si ricorda il nome in tutti gli alberi genealogici de’ Cybo, anche in quello esistente fra le Carte Strozziane del R. Arch. di Stato in Firenze, filza n. 333, e nell altro della Biblioteca Magliabechiana di Firenze, Series genealogica familiae Cibo, anno 154& ordinata, Class. XXVI, n. 16, riprodotto nelle illustrazioni al Diario del Burcardo nell’edizione del Gennarelli, pag. 126. Pare morisse infante perchè, fuori del suo nome, dopo la sua nascita non trovasi altra memoria di lui. (18) Non è esatto qui Alberico dicendo che Franceschetto era “ alhora Conte de’ l’Anguilara „. Nel 1487 avea preso, insieme con Virginio Orsini, suo zio per parte della moglie Maddalena, i castelli di Cerveteri e Monterano, e “ domino Cerveteris „ appunto lo chiamava il pontefice, suo padre, nella bolla con cui nominavaio governatore generale perpetuo delle milizie ecclesiastiche. Cfr. la nota 2 del Tommasini, alla pag. 222 dell’Infessura, op. cit., dove leggesi che quella bolla si trova nell’ Arch. Vaticano, Innoc. Vili. Reg. 769, fo. 413. La contea dell’Anguillara gli fu concessa tre anni dopo con bolla del 21 febbraio 1490. Pubblicate dal Viani, queste due bolle sono pressoché inedite, perchè l’Appendice che lo storico lunigianese disegnava far seguire alle sue Memorie della famiglia Cybo e delle monete di Massa di Lunigiana, Pisa, Prosperi, τ8ο8; incominciò a stamparsi, ma giunta al sesto foglio (pag. XLViij) si arrestò, nè mai più vide la luce. In quell’ Appendice, di cui il mss. insieme coi fogli tirati conservasi nel R. Arch. di Stato in Massa, l’investitura di Franceschetto è il documento IX, a pag. XXXij. Nell’Appendice di Documenti che segue il voi. II della cit. opera di Sigismondo de’ Conti, a pag. 437, sotto il η. XVII, si trovala Concessione del.'a Contea dell'Anguillara, fatta da Innocenzo Vili a Francesco Cibo il 21 febbraio 1490 ; ed è cavata dai libri del Leonici, Archivio Capitolino, PI ut. XIV, voi. 53, c. 108. C’e un transunto esatto della bolla pontificia sopra citata. - 244 - (19) Non si tratta veramente della nobiltà, ma della cittadinanza che la Repubblica di Firenze concesse a Franceschetto e a suoi discendenti facendoli immuni dal pagar tasse e concedendo loro il diritto di acquisto di beni nel territorio fiorentino fino al valore di 25 mila scudi. Doveano pagare soltanto un donativo annuo di cinque ducati per mille al Monte, e nel caso d’acquisto di beni per una valuta maggiore di 25 mila ducati, il soverchio dovea andar soggetto alle tasse comuni. Tale provvisione ebbe nel Consiglio del Popolo, il 21 d'aprile (non il 2)), del 1488, 143 voti favorevoli e 46 contrarii; in quello del Comune 102 favorevoli e 47 contrarii; in quello dei Cento 90 contro 23. R. Ardi, di Stato in Firenze, A)· chivio delle Ri/or inazioni, Consigli Maggiori, Provvisioni, reg. 180, car. 2. Provvisione del 23 aprile del 1488. 1 rattandosi di un documento caratteristico e curioso lo diamo qui per intero: In Dei nomine amen. Anno incarnationis domini nostri \ hu Xpi MCCCCLXXXViij indictione sexta, die vero XXI mensis aprilis in consilio populi civitatis flor, mandato magnificorum et excelsorum D. dominorum priorum libertatis et vexilliferi iustitiae populi fiorentini, praecona convocatione campane que sonitu, in palatio populi fiorentini more solito congregato etc. — Eeo Iohannes olim Ser Bartholomei de Guidis, civis florentius, · n officialis notarius et scriba reformationum consiliorum civitatis o rentiae in presentia et de voluntate et mandato dictorum domino rum priorum et vexilliferi in dicto consilio presentium in numero oportuno et coram consiliariis eiusdem consilii in sufficienti numero congregatis, legi et recitavi infrascriptas provisiones et quamlibet carum vulgariter, distincte, et ad intelligentiam firmatas deliberatas et factas prout inferius apparebit servatis solemnitatibus oportunis et servari debitis et requisitis secundum ordinem communis floien-tiae et modo et forma et ordine inferius annotatis, videlicet: Seguono quattro provvisioni, poi a carte j si legge : Quinto, Provisionem infrascriptam super infrascriptis omnibus et singulis examinatam et firmatam secundum ordinem et deliberatam et factam primo per dictos dominos priores libertatis et vexilliferum iustititiae populi fiorentini et postea per dictos dominos et Gomfa- — 245 — lonerios populi et Xij bonos viros communis florentiae secundum formam ordinis dicti communis. Quae talis est, videlicet: Notitiam habentes magnifici et Excelsi D. Domini priores libertatis et vexillifer iustitiae populi fiorentini quemadmodum illustris ad magnificus dominus Franciscus Cibo, sanctissimi ac beatissimi in chnsto patris et Domini D. Innocentii divina providentia papae octavi nepos ex fratre, qui iam uxorem civem florentinam nobili genere natam duxit, cuperet in numero ilorentinorum civium haberi, praesertim cum eos miro amore prosequatur, et credentes utile futurum in praedictis eidem morem gerere et rem gratam facere et hoc idem gratum esse futurum Pontifici summo, ideo Habita primo super infrascriptis omnibus et singulis die XVj mensis aprilis anni MCCCCLXXXViij, indictione sexta, inter se ipsos dominos priores et vexilliferum in sufficienti numero congregatos in palatio populi fiorentini deliberatione solemni, et inter eosdem facto solemni et secreto scrutinio et misso partito ad fabas nigras et albas et obtento secundum ordinem dicti communis. Et postea successive ipso eodem die sequente et facta deliberatione inter eosdem dominos priores et vexilliferum iustitiae et gonfalonerios societatum populi et XII bonos viros dicti comunis solemniter in sufficientibus numeris et in palatio antedicto congregatos, facta prius proposita super praedictis et infrascriptis omnibus et celebrato inter ipsos omnes solemni et secreto scrutinio missoque partito ad fabas nigras et albas et obtento secundum ordinem dicti communis. Ipsis tamen omnibus et singulis infrascriptis diligenter examinatis, delibei atis ac firmis per Xij procuratores communis florentiae, deinde per LXX cives et successive per spectabiles auditores Benvenutum Bartholomei Sylvestri del biancho, Sylvestrum ioannis sylvestri de Popoleschis, Michalem corsi Laurentii delle colombe, de numero collegi, et augustinum sandri iohannis de biliottis, Laurentium mattei morelli de Morellis, Iulianum pauli antonii de parigis, de officio conservatorum legum dicti comunis ad haec examinanda deputatos secundum ordinem communis praedicti et omni modo, via, iure et forma quibus magis et melius potuerunt, providerunt ordinaverunt ac deliberaverunt. Quod dictus illustris et magnificus Dominus D. Franciscus Cibo — 216 — virtute praesentis provisionis et eius filii et descendentes pei lineam masculinam intelligantur esse et sint perpetuo veri et originarii cives civitatis florentie, et pro talibus quo ad omnes favores, immunitates, beneficia ac privilegia habeantur, censeantur, reputentur et tractentur. Et possint potiri et gaudere et potiantur et gaudeant omnibus illis privilegiis ac favoribus quibus potiri et gaudere pos sunt: et deinceps quocumque tempore poterunt quicumque veri oi i ginarij et antiqui cives civitatis praedictae, onera ordinaria supportantes. Declarando ad maiorem erogationum beneficii quod non teneantur de novo aedificare aliquam domum in civitate florentiae pro ipsorum habitatione ultra et seu praeter ipsorum liberam voluntatem. Neque pro constructione alicuius domus aut pro solutione aliquorum onerum satis dare penes officialem reformationum, prout veteribus ordinamentis cavetur, quae quo ad ipsos et ipsorum quemlibet pro revocatis habeantur. Item possint supradicti illustris et magnificus dominus Franciscus et eius filii et descendentes per lineam masculinam et eis inter omnes liceat, simul vel divisim, in una vice vel pluribus prout eis videbitur et libere volent, emere et seu quovis alio alienationis titulo acquirere in civitate, commitatu vel districtu florentiae et seu in locib in quibus commune florentiae iurisdictionem vel praeheminentiam ret, tot bona immobilia et seu tot de bonis immobilibus ultra unam domum in civitate florentiae pro ipsorum habitatione condecent Quod ipsorum valor et seu pretium ascendat solum et dumta xat usque ad quantitatem florenorum viginti quinque milium largorum in totum: et tales emptiones et seu acquisitiones bonorum im mobilium facere possint modo praedicta licite et impune. Et cuilibet liceat vendere et quocumque alio alienationis titulo in eos transferre de suis bonis immobilibus. Et cuilibet notar o ceat de praedictis instrumentum conficere et cuicumque interesse pro teste absque aliquo ipsorum omnium praeiudicio vel gravamine. Non obstantibus aliquibus prohibitionibus aut aliis in contrarium lacientibus computando in dicta summa bona immobiliasi qua iam emisset aut alio titulo acquisivisset in commitatu seu districtu florentiae et pro domo condecenti computetur domus si quam emisset vel alio titulo acquisivisset in civitate florentiae. - 247 — Item quod supradictus illustris et magnificus dominus Franciscus et seu aliquis ex suis filiis vel descendentibus per lineam masculinam et seu eius vel alicuius ipsorum bona directe vel indirecte, ordinarie vel extraordinarie, tacite vel expresse, praetextu vel occasione civilitatis et privilegiorum supra et infrascriptorum et seu dependentium vel connexorum et seu occasione habitationis quam ipse aut ipsorum aliquis facerent in civitate florentiae et seu in locis imperio dictae civitatis florentiae subiectis, non possint censeri, seu describi in aliqua distributione tam praesenti quam futura onerum tam civitatis quam commitatus vel aliorum locorum dicto imperio subie-ctorum sive nuncupentur praestantiae sive praestanzoni, acatti, sive balzelli, cinquine, septine, novinae, decinae, ventinae, sexti, duplicenti, catasti, denarii pro libra, sive decimae sive alterius cuiuscumque nominis sit tam consueti quam novi. Et quod contra vel aliter fieret sit ipso iure nullum: et pro infecto penitus habeatur et sit et cancellari possit et debeat per notarios actorum camerae de libris camerae et per alios ad quos pertineret de quibuscumque aliis libris in quibus apparerent descripti, licite et impune. Et nihilominus si scriberentur sive cancellentur sive non, nequeant pro oneribus predictis vel aliis quibuscumque tam ordinariis quam extraordinariis, realibus vel personalibus et seu mixtis pro commune florentiae at alium quemvis auctoritate dicti communis indictis vel indicendis et seu imponendis, modo aliquo cogi, gravari, molestari et seu modo aliquo inquietari in persona vel in bonis; sed sint a talibus omnibus oneribus et factionibus plenissime et penitus perpetuo exempti, liberi, et immunes. Et praedicta omnia eis et ipsorum cuilibet ad plenum observentur bona fide, omni et qualibet oppositione remota et penitus cessante, salvis tamen omnibus infrascriptis. Item quod dictus illustris et magnificus dominus Franciscus et filii et descendentes per lineam masculinam in compensationem su-pradictae civilitatis, beneficiorum et privileriorum, inter omnes teneantur et obligati sint solvere quot annis camerario montis ad rationem florenorum quinque pro quibuslibet mille florenis et ad rationem praedictam pro omnibus illis bonis ultra unam domum quam aquisivissent in civitate Florentiae. Quae bona contingeret eos emere - 24« - vel acquirere et seu in eos transferri quocumque alienationis titulo usque in dictam quantitatem florenorum vigiliti quinque nulium largorum, quam quantitatem ad dictam rationem florenorum quinque largorum pro quibuslibet mille florenis largis solvere teneantur dicto Camerario montis quolibet anno in duabus vicibus videlicet pro dimidia de mense augusti, pro alia dimidia de mense februarii sub poena quarti pluris pro eo, quod non luisset debito tempore solu tum. Quae quantitas per eos solvenda et postquam fuerit soluta convertatur quolibet anno in diminutionem creditorum montis per officiales montis tunc in officio praesidentes. Si vero maiorem quantitatem bonorum quam supra sit dictum emerent et seu alitei aequi rerent, pro illis subeant onera ad regulam aliorum civium. Item ne in praedictis aliqua fraus oriri possit, teneantur praedicti et ipsorum quilibet, qui pro tempore aliqua talia bona acquirerent, intra unum mensem a die celebrati contractus, et seu instrumenti acquisitionis talium bonorum etiam per viam donationum vel ultimarum voluntatum, dare notam inscriptis et officialibus montis referre bona quae acquisivissent et seu quae ad eos pervenissent quocumque titulo cum suis vocabulis et confinibus et pro qu p tio si empta fuissent vel pro pretio translata sin aliter, cuius essent aestimationis: et quo titulo pervenerint: et qui fuerit notarius de contractu et seu instrumento rogatus. Et officiales montis pio pore existentes, praedictas relationes suscipiant et in libris deliberationum notarii ipsorum officii distincte et particulariter describi fa ciant ad verbum et diligenter advertant ac curent nc in praedi relationibus tam in pretio quam in existimatione vel alio quovis modo in praeiudicium communis fraus et seu deceptio aliqua committatur, aut committi pro tempore possit. Et si qua fraus aut deceptio cuiuscumque modi illa esset, per supradictos, aut ipsorum aliquem committeretur praecipue in excusando bona alicuius tam civis quam subditi, qui super talibus bonis onus supportare deberet et seu non fieret relatio et seu notificatio bonorum acquisitorum cum vero pretio talium bonorum modo supradicto et in tempore supra assignato his casibus et ipsorum quolibet quicumque fraudem vel deceptionem commisisset aut relationem et notificationem supradicto modo et tempore non fecisset, intelligatur ex nunc absque aliqua — 249 — solem n i tate servanda amisisse exemptionem, beneficia, et privilegia eidem per contenta in praesenti provisione concessa. Possit insuper dictus illustris ac Magnificus dominus Franciscus exigere dotem uxoris suae constitutam super montem, et eidem restituatur eo modo et forma, et prout restitui potest et pro tempore poterit veris, originariis et antiquis civibus civitatis florentiae in dicta civitate habitantibus et onera ordinaria supportantibus. Et similiter sui filii et descendentes per lineam masculinam. Et pro suis et filiorum et descendentium praedictorum filiabus facere et constituere dotes possint eo modo et prout poterunt reliqui cives ordinarie onera supportantes, et qui ad longum tempus supportassent, et eis et maritis ipsarum deinde cum fuerint lucratae restitui possint et i estituantur servatis solemnitatibus in similibus tali tempore debitis. Exemptio supradicta non intelligatur pro gabellis ordinariis communis florentiae cum ipsarum membris, quas solvere teneantur prout reliqui cives. Qua provisione lecta et recitata in consilio populi die XXI mensis Aprilis, ut supra dictum est, dictus praepositus ut supra proposuit eam et contenta in ea inter consiliares dicti consilii. Et supra ea facto et observato in omnibus et per omnia secundum oidinem dicti communis et prout supra in prima provisione huius libri continetur et observatum fuit. Et super ea facto partito ad fabas nigras et albas inter consiliarios dicti consilii, et datis, recollectis et numeratis fabis repertum fuit — CXLiij - ex ipsis consiliariis dedisse fabas nigras pro sic. Et sic secundum formam dictae piovisionis obtentum, provisum et ordinatum fuit, non obstantibus i eliquis XLVI ex ipsis consiliariis repertis dedisse fabas albas in contrarium pro non. Item postea die XXII mensis Aprilis anni MCCCCLXXXViij. Existente praeposito Laurentio Mattei de Manovellis et de consensu caeterorum collegarum suorum ibidem presentium in numero sufficienti, per me Ioannem notarium et officialem praedictum vulgari sermone et distincte ad intelligentiam omnium proponente in Consilio communis vel de more secundum ordinem congregato. Et omnibus servatis servandis deliberata et obtenta fuit illa provisio inter consiliarios eiusdem per Cij fabas nigras eorundem pro sic, non — 250 — obstantibus XLVij fabis albis in contrarium traditis. Item postea dia XXiij mensis aprilis dicti anni MCCCCLXXXViij existente pi deposito Laurentio Matthei de Manovellis et de consensu caeteioium collegarum suorum ibidem praesentium in numero sufficienti per me Ioannem notarium et officialem praedictum vulgari sermone et distincte ad intelligentiam omnium proponente in consilio centum vel de more secundum ordinem congregato. Et omnibus servatis servandis deliberata et obtenta fuit illa piovi-sio inter consiliarios eiusdem consilii per LXXX X fabas nigras eoi um-dem pro sic, non obstantibus XXiij fabis albis in contrarium traditis. Non obstantibus in praedictis vel aliquo praedictorum aliquibus legibus, statutis, ordinibus, provisionibus aut reformationibus consiliorum civitatis florentiae vel aliis quibuscumque, quaé et prout supra in prima provisione huius libri continetur et scriptum e»t usque ac finem provisionis eiusdem. Nella filza Strozziana N. 349 (ant. 352) c’è una copia della provvisione soprascritta, a cart. 301. È fatta il 9 Marzo 1565 da Marco Segaioni da Galatrona no-taro fiorentino e coadiutore alle Riformagioni. (20) A questa nobiltà veneziana e all’affetto della Serenissima, i Cybo tennero sempre moltissimo, e con ragione. Franceschetto fu a Venezia dopo la morte del padre, per offrire alla Signoria una preziosa reliquia del legno della Santa Croce. Or. Sani-γο, Diati, I, 751. Quando, poi, era tornato in auge alla Corte di Leone X, particolarmente pel favore che Maddalena, sua moglie, seppe sempre procacciare dal fratello, si vantava coll’oratore Marco Mini d essere gentiluomo di Venezia e asseriva cha Innocenzo Vili, suo padie, lo aveva esortato a non si partir mai dalla divozione di quella. Anche il cardinale Innocenzo, che nel 1518 avea visitato Venezia, viaggiando in incognito, ma accolto con molta deferenza; menti e, essendo pontefice Clemente VII, seguitava ad avere nella Corte di Roma luogo onorevole, mostravasi deferentissimo verso la Seienis-sima e all’ambasciatore Marco Foscari, vantando “ d’esser lei (Sua Signoria) et il signor Lorenzo Cibo, suo fratello, nobili di quella cità „, manifestava il desiderio che il fratello, quante volte andasse a Venezia, avesse facoltà di sedere in consiglio. E più tardi, quando — 25Γ — 1 ambasciatore Soriano lo visitava nella sua Legazione a Bologna, lo trovava col fratello Giambattista, molto amorevole verso la Repubblica. Cfr. Staffetti, Innocenzo Cybo, pagg. 18, 27, 3r, 47. Fin per una suprema ragione si fece appello a questa nobiltà. Quando l’infelicissimo Giulio Cybo era chiuso nel castello di Milano e si trattava il suo processo che destava la curiosità vivissima di tutte le Corti italiane, smaniose di apprendere, dalle rivelazioni che potevano essergli estorte per forza di tormenti, qualche secreta trama ordita a’ loro danni e avere,il filo per assicurarsi di taluno de’ loro nemici, si mise in campo la nobiltà veneta de’ Cybo, chiedendo che almeno, prima di abbandonarlo al carnefice, s’interrogasse la Serenissima. Nulla però valse questo supremo espediente di difesa, e la politica spagnuola inesorabile della Corte di Madrid, volle che il giovanetto principe, vittima più della sua imprudenza che delle proprie colpe, cinquecentesco e audace, non perverso 0 maligno, subisse l’estremo supplizio. (21) Ne Le Vite dei Dogi di Marin Sanudo, a cura di Giovanni Monticolo, che fan parte della Raccolta degli Storici italiani ordinata da L. A. Muratori, nuova ediz. del Carducci e del Fiorini, Città di Castello, S. Lapi 1900, tom. XXII, parte IV, a pag. 70 dell’/w-troduzione, dove sono le “ Caxade di Signori e forestieri azonti al “ numero dii mazór conseio poi il serar di quello „,si legge: Duce domino Augustino Barbadico: 1488, a dì 13 decembrio, lo illustre signor, domino Francesco Cibo, nepote di papa Innocentio octavo zenoese. Il diligentissimo editore prof. Monticolo, alla nota 4chiosa illustrando: “ La deliberazione corrispondente del Maggior Consiglio si legge a c. 94 A del cit. “ Liber Stella „ pure in data del 13 die. 1488: ne è degno di nota il passo seguente: “ cum igitur illustris dominus Franciscus Cybo, nepos intimus et charissimus beatitudini domini, domini Innocentii odavi presentis summi pontificis qui... primum locum tenet apud ipsam Sanctitatem, ob eius affectum atque studia erga nos senatumque nostrum merito... a nobis charissimus habendus sit et in benevolentia ipsa confirmandus atque fovendus ad id roborantius satagendum ; et ex relatione oratorum nostrorum qui semper ex Curia Romana redierunt, cognoverimus eundem... an- 252 nuisse adscribi... II privilegio ricordato dal Sanudo si legge con quella stessa data a c. 66 A del cit. “ Liber secundus Privilegio-rum Del doc. fa menzione anche il Malipiero, op, cit., 310. La parte ebbe nel Maggior Consiglio 1046 voti favorevoli, 25 contrarii e 31 astensioni; essa anche si legge a cc. 149 A e B del cit. registro D dell’Avogaria di Comun, senza alcuna diversità di lezione (22) Il Cardinale Gio. Battista Cibo nel conclave da cui doveva uscire papa col nome d’Innocenzo VIII, avea due conclavisti, secondo il Diario del Burcardo: Hieronymus Calagranus e Laurentius de Mari, canonicus basilicae principis Apostolorum de Urbe. Questo Lorenzo, che più tardi, come gli altri della casa de’ Mari, venne aggregato alla famiglia Cybo, fu carissimo a Innocenzo VIII sì da essere, comunemente, tenuto suo nipote, nato da Maurizio suo fratello. Molte ragioni m’avean fatto credere che, di Maurizio appunto, fosse figliuolo naturale. Ma alcuni documenti che ho trovato nell archivio di Massa provano chiaramente che nacque de’ Mari. Il 16 agosto del 1498, da Caprarola, Lorenzo confessa che Pietro de Mari, genovese, “ germano nostro „ lo ha pagato di tutti i denari e rendite per l’abbazia di Staffarda dell’ordine cistercense, della diocesi di Torino, di cui avea il godimento e di cui era stato perpetuo commendatario Maurizio Cibo. Il 15 ottobre 1502 fa una simile dichiarazione “ Magnifico domino Petro de Mari, nobili genuensi, germano et piocu-ratori nostro „. Finalmente da\VInventario dei beni di Lorenzo, cai dinaie beneventano, appare che suo erede testamentario fu il fratello Pietro de’ Mari. Il loro padre Domenico de’ Mari, cinus anuta (Teo dorina de’ Mari prima moglie di Arano Cibo) fuit Innocentn VIII mater, morì nel 1493,feria IImartii e descrivendosi i suoi funerali nel Diario di Alessandro VI, è chiamato — patris cardinalis Beneventani. Il Giscardi, Origine e fasti delle nobili famiglie di Genova, mss. della Biblioteca delle Missioni urbane di Genova, dice espressamente che Lorenzo non era, come volle il Ciacconio, ex fratre nepos del pontefice, ma figlio de’ Mari (Domenico) e accettato e fatto cognominare della famiglia Cibo dal papa Innocenzo Vili. Cfr. anche la nota seguente per la testimonianza di Leone X. Chiarito così che Lorenzo apparteneva alla casa de’ Mari, possiamo facilmente seguirne il progresso sulla scala degli onori e delle - 253 — dignità ecclesiastiche, veramente ben concesse, cosa difficile in quei tempi in cui miravasi ad altri titoli, perchè egli per universale giudizio, fu di egregia vita e d’ottimi costumi. In ter viros, (meglio che vivos’ come ci Piacerebbe leggere l’epigrafe riportata nel testo), costantemente si attenne alla giustizia, fede e religione. Troviamo, poco dopo l’elezione del papa, nel Diario del Burcardo. i due conclavisti nominati “ cubicularii sacri „. Sigismondo de’ Conti, VII, 326, lo chiama cugino del papa, e dice che fino dalla prima adolescenza era entrato nel ministero ecclesiastico e cresciuto sotto lo stesso Innocenzo. Quando costui lo elevò alla sacra porpora v’era contraria 1 opinione che fosse figlio adulterino perchè suo padre, lasciata la moglie a Genova, se n’era andato in Ispagna, dove aveva sposato altra donna da cui gli eran nati due figli, uno de’ quali fu appunto Lorenzo. Sicché entrambi questi figliuoli furono considerati bastardi, nè il papa volle valersi della facoltà di legittimarli, ma ordinò che il caso fosse esaminato da dottissimi uomini, che dichiararono come la tiode paterna non potea nuocere al figlio, il quale era suscettibile della dignità cardinalizia e potea di diritto essere l’erede dei beni paterni, poiché la madre avea in buona fede e pubblicamente conti atto le nozze "in faciem Ecclesiae,,. Già promosso, sul declinare del 1485, all Arcivescovado di Benevento, dove fu di persona prendendosi a cuore gl interessi del clero e della diocesi, come rilevasi dal Sarnei.l', Memorie degli Arcivescovi beneventani, ebbe dunque la porpora il 9 di marzo 1489, e il successivo sabato, 14, ricevette in pubblico concistoi o il cappello. Con queste due date si concilia e si chiarisce quanto scrive il Cardella, Memorie storiche.de3 cardinali, III, 230, che pone la piomozione al 14 secondo il Panvinio e il Ciacconio, ma aggiunge, “ 0 si veramente alli 9, secondo i diari vaticani perchè l’elezione fu il 9, l’imposizione del cappello il 14. Ottenne prima il titolo di S. Susanna, poi quello di S. Cecilia e, finalmente, di S. Marco. Per quanto il Garimberto , La prima parte delle vite d’alcuni papi et di tutti i cardinali passati, in Vinezia, Giolito, 1568, p. 246, getti un’ ombra di discredito sulla elevazione alla porpora di Lorenzo, che dice anch’egli nipote d’Innocenzo Vili dal lato di fratello (Maurizio), asserendo “ ascese al cardinalato per una sovrabbondanza di favore perchè, oltre che ei non avea lettere nè introduzione alcuna nella — 254 — Corte di Roma, fu tenuto per bastardo nato in Sicilia,,, pure e immensa la maggioranza di quelli che ne esaltano la dignità e i meriti. Valga per tutti il celebre elogio che di lui scrissse il Foglietta. Ebbe luogo onorevolissimo alla Corte d’Innocenzo Vili e ne Diari e Cronache contemporanee, spesso cit., si ricorda il suo nome ogni volta che qualche cerimonia solenne, lo facea pone in evidenza. A lui facevasi capo anche per affari di governo innanzi che avesse la porpora. Il 14 nov. i486 „ Nobilis vii Branca de Nicolai de Castello (Città di Castello) missus [est] Tudertum prò Rev. d. Gubernatore ad Rev. d. Laurentium archiepiscopum Beneventanum, nepotem Santissimi D. N. ad aliqua confeiendum de transito D. Roberti (di Sanseverino) „. Inventario e Spoglio dei registri della tesoreria apostolica di Città di Castello, dal R. Arch. di Stalo in Roma; Perugia, tip. Cooperativa, 1900, pag. 50. Abitava nel palazzo di S. Marco, oggi palazzo Venezia dell’ambasciata d’Austria, e quivi ospitò Carlo VIII, come riferisce il Biondo. Oltre il canonicato di S. Pietro, ebbe nel 1487 la custodia di Castel S. Angelo, Cfr. Infessura, cit. pag. 225, il governo della chiesa eh Vannes nella Brettagna, la commenda di S. Siro di Genova, devoluta alla famiglia Cybo e già di Giambattista, quella di Staffarda l’ordine cisterciense, nella diocesi di 1 orino, già goduta da Mau , fratello del papa. Fondò nella Basilica vaticana una cappella con quattro beneficiati, per riporvi la sacra lancia, cfr. nota 19 , terminando la ricca sepoltura di bronzo, opera del Pollajuo 0, che dall’ antica basilica trasportata, per le riedificazioni, nel a nuova, dovea essere modificata da Alberico, cfr. nota 9 suo nome si ricongiunge la edificazione d’altri monasteri e luoghi pii pe’ quali fu dai biografi, ampiamente lodato. Ma ad onta delle sue molte virtù, nè la singolare probità e innocenza di vita, carattere così dolce che a tutti lo rendevano carissimo, nè la sua religiosa pietà, valsero a renderlo accetto ad Alessandro VI eh , forse per esserne stato avversato nel conclave, e foise anche pe la sua conterraneità e amicizia col della Rovere, lo vide sempre di mal occhio cumulando in una stessa odiosità lui e i suoi congiunti Cibo. Dall’affinità coi quali, oltre questo odio, giusto è si ricordi vennegli anche reverenze e affetto che durarono morto il papa suo parente, come appare dalla lettera che la Signoria di Firenze scriveva a lui e al cardinale di S. Dionigi il io novembre del 1497 in risposta di una commendatizia per Franceschetto, allora in piato con quella repubblica pe’ suoi beni, assicurando che sarebbe stata amministrata la giustizia da qualuque magistrato, con ordine specialmente “ al Magnifico Domino Francesco Cibo, el quale per essere stato coniunctissimo ajla Santissima memoria di Papa Inno-nocentio et per la intercessione della V. Rma Signoria, della qua le facciamo grandissimo capitale, et per molti altri rispetti merita che così si debba per noi operare et praesertim per satisfare anchora a qualche parte di gratitudine de’ benefici ricevuti dalla prefata S. memoria de Innocentio (R. Ardi, di Stato in Firenze, Signori, Car-leggio, Missive I, (Cane. n. 50, c. 22 ter.). E Lorenzo si volse tutto alla cura della cappella che fece costruire in S. Maria del Popolo e dipingere dal Pinturicchio, la seconda a man destra di chi entra, trasformata poi e rivestita di marmi, con ruina de’ belli affreschi del Betti, da un altro cardinale, Aldederano Cybo, secondo il gusto del secolo XVII. La vaga madonna che il Pinturicchio dipinse per l’altare di quella cappella di S. Maria del Popolo e che credevasi perduta con l’altre pitture, fu invece trasportata a Massa, dove si conserva tuttora nella cappella del Sacramento fatta fare nella chiesa di San Francesco da Carlo II. Cfr. Staffetti, Un affresco di Bernardino Pinturicchio nel Duomo di Massa, La Spezia, Zappa, 1900. (23). 11 Piaggio, Monumenta Genuensia II, 107, riproduce il suo stemma cui, intorno intorno, corre il nome. Era a S. Siro, nella cappella di S. Andrea, con la data del 1490, perchè Lorenzo n’era abate commendatario. Se ne vede, oggi, un altro simile in un tondo marmoreo nell’atrio del palazzo di via del Campo n. 10, già dei Cybo, oggi Chiappa. Agostino Fransone nel suo Aristo, dialogo che contiene molte notizie sulle famiglie e sulla storia genovese, mss. della Biblioteca delle Missioni Urbane di Genova, del 1641, ricorda, trattando della famiglia Usodimare, cui furono aggregati nei XIII secolo i Mari, Lorenzo, l’arma del quale col cappello rosso trovavasi alcuni anni innanzi dipinta fuor della porta della Chiesa di S. Siro di Genova sotto l’arma d’Innocenzo VIII, ma aggiunge che fu levata, poi, via — 256 — con la nuova fabbrica che fecero i Teatini quando ebbero la chiesa. Pietro de’ Mari, fratello ed erede del cardinale Beneventano, fu degli anziani nel 1523, ed ebbe, fra gli altri, un figliuolo elle si chiamò Lorenzo come lo zio e fu carissimo a Leone X, il quale con suo breve del 14 aprile 1520 ricordando l’amicizia avuta quando era “ in minoribus „ col cardinale di Benevento, lo raccomandava caldamente a Galeazzo di S. Severino per fargli ottenere un ufficio militare al servizio del Cristianissimo. 11 Breve si legge integralmente nel citato Aristo del Fransone. Cfr. Hergenrother, Regesta LeomsX, cit. 11 titolo di vescovo di Palestrina l’ebbe da Giulio II, non da Alessandro VI come generalmente dicono i suoi biografi. Infatti 1’ Ughelli, Italia SQcra, I, 218, scrive sotto Laurentius Cibo: Ep. card. Albanensis, 1503, 29 nov. Praenestinam ecclesiam suscepit regendam. Mort. Romae Iulio II pont. 22 dic. 1503. Sep. in S. Maria de Populo. — E riporta 1’ epigrafe che è stata riprodotta anche dal Forcella, Iscrizioni ed epigrafi delle chiese di Roma, I, p. 331, n. 1255, che dice averla tratta àa\Y Atwniwo spagnuolo autore del cod. chi-giano I, V. 167 del sec. XVI. Il restauratore della cappella, cardinale Alderano Cybo, nel 1683 fece rifare così l’epigrafe: lavrentivs cybo episcopvs praenestinvs s. marci cardinals archiepiscopvs beneventanvs INNOCENTII Vili PONT. MAX. NEPOS RELIGIONIS CVLTOR ITA INTER VIVOS CONSTANTISSIME GESSIT VT AMPLISSIMAE DIGNITATIS MEMOR A IVSTITIA FIDE ET PIETATE NVMQVAM DESCIVERIT QVI TERTIVM ET QVINQVAGESIMVM AGENS ANNVM SANCTISSIME VT VIXIT MORITVR GEORGIVS COSTA PORTVENSIS ANTONIETTVS PALLAVICINVS PRAENESTINVS EPISCOPI NICOLAVS DE FLISCO PRESBITER S. R. E. CARDINALES EXECVTORES POSVERE ANNO DOMINI MDI1I PRAECLARISSIMI CARDINALIS PERENNEM MEMORIAM QVI SACELLVM HOC DOTAVIT IN AMPLIORI NOV1TER ERECTO ET DEIPARAE VIRGINIS 1MMACVLATAE CONCEPTIONI DICATO RENOVAVIT COLLOCAVIT ALDERANVS CARDINALIS CYBO EPISCOPVS TVSCVLANVS ANNO REPARATAE SALVTIS MDCLXXXIII. - 257 - Cfr. FORCELLA, op. cit. I, 391, n. 1475, dove è notato che sopra iscrizione, nel? urna, è scolpita in rilievo metà della figura del defunto, colle mani giunte e colla testa rivolta verso l’altare in atto di preghiera. La descrizione più recente della cappella è quella fatta dal Colantuoni, La chiesa di S. Maria del Popolo, Roma, Desclée, Le-febvie et C. 1899, PP· 85-98, che, in appendice, riproduce anche l’epigrafe. Gli avanzi del primitivo monumento di Lorenzo Cybo si no in S. Cosimato. Cfr. Ernst Steinman, Kunstrkronik del 1901, n. 13. (24) Coll’ assunzione al pontificato di Leone X, i Cybo, che aveano, per la morte d’Innocenzo Vili, perduto l'altissimo grado alla Corte di Roma, tornarono, pieni di speranza, ad abitare l’eterna città sicuri che la munificenza del papa avrebbe certamente giovato anche a loro. E Maddalena si adoperò con tanta insistenza col fratello che ottenne per Innocenzo, suo figliuolo, il cappello cardinalizio, fece collocare Lorenzo alla Corte del Cristianissimo, e pensò a maritale onoi evolmente le figliuole Ippolita e Caterina. Fu appunto allora che anche al marito Franceschetto venne affidato il governo di Spoleto. Cfr. Hergenrother, Regesta Leonis X, e Sanuto, Diarii anno 1517. (25) Leone X concesse al cognato Franceschetto, perchè potesse onorevolmente sostenersi in Roma, alcune entrate libere e spedite sulle poi te della città. E il Cybo, poi, le cedette ai canonici diS. Giovanni ricevendone in contraccambio l’Abbazia di Ferentillo, presso Temi, con otto castella, casali e ville di cui il papa gli dette l’investitura col titolo di Conte, il 17 dicembre 1517. Il Breve trovasi in copia al η. XI nell’Appendice mss. alle Memorie del Viani, che conservasi nel R. Arch. di Stato in Massa. (26) Andrea, Vescovo di Terracina, era figliuolo di Domenico d’Andrea Cibo, governatore della Marca nel 1460, e di Bianchinetta sorella naturale d Innocenzo VIII. Domenico e Peretta sua sorella avevano sposato rispettivamente, Bianchinetta e Maurizio d’Arano Cibo. Il testamento di Domenico, fatto dal notaro genovese Nicolò Ragio il i° gennaio 1496, trovasi, in copia, nel R. Arch. diStato in Massa fra le Carte de Cybo avanti il principato, busta degli anni 1490-1523. Peretta fondò in S. Marcellino di Genova una cappellania per celebrare una messa quotidiana, col suo testamento per atti del notaro Vincenzo Monte- 17 - 258 - bruno, 4 giugno 1497. La carta di fondazione nomina Luchinetta, madre della istitutrice del beneficio, e destina libr. 5900 da collocarsi nelle compere di S. Giorgio. Questa notizia è cavata da un libio di memorie raccolte dal Rettore di S. Siro Francesco De 1 ei rai i nel principio del secolo XVII, che mi fu cortesemente esibito dal R. Don Schiaffino odierno Rettore di quella chiesa. Peretta ricordasi anche nella epigrafe per cui cfr. nota 282. Di I eretta e Maurizio nacque Giambattista che fu castellano di Civitavecchia e ivi morì nel 1489 e fu sepolto nella chiesa di S. Marco, de’ padri di S. Domenico, in una tomba fattagli da Leonardo Cibo, suo parente, com si dice nell’epitafio. Cfr. Abecedario del Federici, Lettera C, cod. 137, mss. della Biblioteca della Congregazione delle Missioni Urbane di Genova. Di Domenico e Bianchinetta nacquero, oltre Andrea, due alti 1 gliuoli: Alaone, cavaliere Gerosolomitano, e Ginevra che sposò Pietro Mellini, domicello romano, che nel 1520 ottenne il consolato della nazione genovese in Roma, avuto già pei lunghi anni da M suo padre, come appare da moltissime lettere dirette ad entram dal Senato genovese e conservate nel R. Arch. di Stato in Genova, Litterarum del Senato. Di Ginevra e di Pier Melimi fu figliuolo un altro Mario, luogotenente della guardia pontificia. Cfr. paG. 23. discendenza di questo ramo de’ Cibo è chiaramente esposi scardi, Alberi geneologici delle nobili famiglie della, città di Ge , mss. della Biblioteca delle Missioni urbane di Genova. (27) La nomina di Barone romano è del 31 Luglio i5x5- ^ 1 Ottobre dell’anno successivo Franceschetto ebbe anche la nobiltà di Viterbo. Nel R. Archivio di Stato in Massa, Carle de’ Cybo di Genova avanh il Principato filza 2a, vi sono, in copia, vari diplomi imperiali e brevi pontifici di concessioni fatte a’ Cybo. Sono anche raccolti tutti sieme in un codicetto rilegato di pergamena a portafoglio, con sopì a una faccia impresso lo stemma, e intitolato : Copie autentiche di Pi ivilegi pontifici ed imperiali della casa Cybo. Per uno d’essi, eh è una bolla del 1490, quinto Kal. Iunias, pontif nostri amo VI, Innocenzo Vili concede a Mauritium qui fraler, Franciscum, Andream, Araninum Cybo, Io-haunem Baptistam, Franchinum et Araninum Usus Maris, qui nepotes, - 259 — secundum canum, a’ loro posteri e discendenti, il titolo di nostri sacri Palatii lateranensis comites, con tutte le inerenti facoltà consuete, cioè legittimare bastardi, concedere tutori ai pupilli, lauree dottorali fino al numero di dieci ecc. Ne segue uno di Federigo III in cui si dice: te Franciscum Cibo comitem Anguillariae sanctissimi D. N. Innocenti papae Vili nepotem ac gentium armigerorum Sanctae Romanae ecclesiae Guber-natoi em, quem nobilem ex antiquis domus tuae natalibus invenimus, pi istinam ac naturalem nobilitatem m te recognoscentes ac confirmantes 7 w sus imper lali authontate eam in te augentes, omnesque filios tuos eorumque omnium successores et descendentes in perpetuum... nobiles constituimus, decernimus et creamus, ac in perpetuum nobilitamus, nobilitatis titulo insignimus... comites Palatinos imperiales facimus. Dat. oppido nostro Lintz, 1492, 20 mart. regn. noslr. 520. Leone X confermò a Franceschetto nostro secundum carnem soi 0110 il precedente privilegio, con sua bolla dat. Romae, ap. Sanctum Peti um. 111° Kal. mlii. anno septimo, e parimente lo confermò Clemente VII il 12 ottobre 1523 Innocentio, Laurentio et Iohanni Ba-pitstae Cibo, domicellis ianuenstbus. Della facoltà di legittimare figliuoli naturali si valse Franceschetto in favore d Ippolito di Giuliano de’ Medici, divenuto poi il celebie cardinale, morto immaturamente di veleno; e Innocenzo per due bastardi nati di Alfonso I, duca di Ferrara, e di Laura Eustochia. (28) Il testamento di Franceschetto è di questo tenore: Dispone primieramente, che se gli accadrà di morire in Genova sia sepolto nella chiesa di S. Siro, nella cappella istituita e fondata da papa Innocenzo Vili, e se in Pisa 0 suo territorio, ad arbitrio di sua moglie e del Cardinale Innocenzo suo figlio. Lascia quindi lire 50 annue di moneta di Genova ai monaci di S. Siro di Genova, lire dieci all’Ospedale di Pammatone, lire 25 all’Ospidaletto degl’incurabili di Genova, annue lire 70 moneta di Genova alle monache di S. Sebastiano di Genova e 100 ducati ai poveri dell’Ospedale di S. Giacomo presso S. Maria del Popolo di Roma. Lascia alle sue due figlie Caterina ed Ippolita ducati tremila per ciascuna. Istituisce sua moglie usufruttuaria di tutti i suoi beni mobili ed immobili. Comanda che dei suoi beni siano investiti 1000 ducati nel banco di 200 — S. Giorgio di Genova, i cui proventi siano dispensati annualmente fra i discendenti più poveri del ramo della famiglia Cybo che abiteranno in Genova. Istituisce poi suoi eredi universali i suoi 3 figli Cardinale Innocenzo, Lorenzo e Gio. Batt. con patto espi esso e condizione che essi proseguano la causa intestata dal testatole cont™ la famiglia dei Pazzi di Firenze per rivendicare il possesso de a casa posta all’angolo di Via de’ Pazzi e di altri beni di cui fu violentemente spogliato dai detti Pazzi; e vuole che giammai per veruna ragione anche gravissima siano mai per addivenire ad una concordia o transazione; nel qual caso vuole che siano disere afa. Fatto in Genova adì 25 7bre 1515, in casa del Mg‘ Mare q. Filippo posta nella contrada del Campo, testimoni 1 no 11 Agostino e Geronimo de’ Centurioni, Agostino di Ghisulfo, Davi fc> Cybo e Giovanni de’ Mari. (29) In S. Pietro, presso alla cappella fatta fare da Lorenzo Cardinale Beneventano alla memoria d’Innocenzo Vili con e sculture di bronzo di Antonio Poliamolo. Nei restauri che furono poi fatti alla Basilica Vaticana nel 1606 le due sepo ture venn mutate di luogo, sicché Alberico vi K porre le epigrafi che leg-gonvisi tuttora invece di quelle che esistevano ongmanan . Cfr. la relazione di queste esumazioni a pagg. 56-57, °v l'antica epigrafe, che però deve correggersi come appare a a no a 9 ,30) Franceschetto e Maddalena non morirono già de 7, come erroneamente qui si legge, ma due anni dopo Ne D.a n Mar,» Sanuto, tom. XXVII, col. 509, è scritto : « A di 22 g 1519) Fo lettere di Roma di 18, con l’aviso di la mor e e Francescheto Cibo fo fiol di papa Innocentio, cognato d, ques Pontefice (Leone X) et padre dii Cardinal Cibo. „ E alle co . S'3-5M · ■ Di Roma, di l'Oratore nostro, di 18 (luglio 1519)· · · · ; * el Signor Francescheto Cibo cugnato dii Papa et padre d.l Cardinal Cibo, qui in Roma „. Ne’ Diarii stessi, tom. XXVIII, col. 117, è così registrata la morte di Maddalena: « Lettere di Marco Minio, orator a Roma, di x° et 5 (dicembre 1519). Scrive la morte di la sorela del Papa madre del Cardinal Cibo, e il Papa era andato a la Magnana forsi a Hostia per quattro zorni, per non darsi fastidio „. — 2ÓI — Giovanni Cambi nelle Istorie pubblic. da Fr. Ildefonso di S. Luigi, in Firenze, 1786, voi. Ili, pag. 154, sposta di quattro giorni la morte della sua concittadina scrivendo : “ Addì 6 di Dicembre 1519, Madama Madalena, sirocchia charnale di papa Lione, chera vedova, passò in Roma di questa vita; e fu moglie del Signor Franceschetto, chera Genovese e si disse era figliuolo di papa Nocentio, benché per onestà si diceva essere nipote Da queste chiare testimonianze risulta evidente che Franceschetto premorì alla moglie di quattro mesi e mezzo, e le due date trovano conferma nel Diario di Paride De Grassis, Cod. ca-sanat. XX. III. 6. car. 574 v. 575, pubblicato, ma parzialmente, da Mons. Armellini, Roma, 1884, dove, a pag. 75, si descrive il funerale di Franceschetto sotto il giorno: “ Die sabbati decima sexta julii „. Dal Belvedere, dove Franceschetto era morto, il corteo funebre, cui furono presenti molti prelati col clero e i canonici della Basilica, discese in S. Pietro dove fu posto nel sepolcro del papa Innocenzo VIII. Nella cappella di S. Andrea ci fu un’ indecente orazione funebre del morto che il De Grassi così ricorda: “Audivimus levitates cuiusdam galli, qui cum ex brevitate temporis non potuisset sermonem menti mandare, illum legit, partim memoriter protulit cum multo adstantium risu II Grassi riferisce anche la morte di Maddalena avvenuta “ die veneris secunda decembris (1519) „ e seguita : “ altera die sepulta est simpliciter quidem „. Op. cit. pag. 77. Ma risultano ancora erronee le notizie del Litta, Famiglia Medici, tav. IX, che fa morire Maddalena a Firenze; dello Zazzera e del Forcella il quale nelle Iscrizioni delle chiese e daltri edifici di Roma, dal scc. XI fino ai giorni nostri, Roma, tip. Bencini, 1875; al voi. VI, pag. 66, riportando l’epigrafe di Franceschetto e di Maddalena, nota: “ Il quale (Zazzera) ci dice che fu sepolto (Franceschetto) in S. Pietro appresso al sepolcro di papa Innocenzo, suo padre, nel luogo medesimo dove prima avea fatto seppellire la sua moglie, la bella Maddalena de’ Medici, figlia di Lorenzo il Magnifico (31) È questa l’epigrafe fatta porre da Alberico agli avi Franceschetto e Maddalena, per seguire quella sua tendenza ambiziosa di — 2Ó2 — apporre il proprio nome a pie’ di tutte le inscrizioni numerosissime in cui volle ricordati gli antenati e le loro gesta. Alberico è lodato dal Marini, cfr. nota i, di molta avvedutezza proprio per questa epigrafe, nella quale chiamando Franceschetto nipote di quell’Arano che fu padre di Innocenzo Vili, evita con una sottigliezza di dovergli dare o il falso appellativo di nipote del papa o di chiamarlo addirittura figliuolo di lui. (32) Questa epigrafe è riprodotta anche dal Forcella, fra le Iscrizioni del Vaticano, op. cit. voi. VI, pag. 66, sotto il nc 169, come di a (nno) ine (erto, che può, così, determinarsi nel i5T9· ^ tolta dal Cod. Vat. Reg. 770, c. 18, v. La produsse anche lo Zazzera, De la Famiglia de i Cibi, da cui la tolse il Feliciangeli, Notizie e Documenti su Caterina Cibo-Varano, Camerino, Savini, 1891, pag. 13, nota 2. Al chiarissimo scrittore pare ingiustificato dire di Franceschetto e Maddalena “ omnia quae adversa fortuna potest passis, „ mentre convien loro “ quaeque secunda praebet usis „. Ma, veramente, le vicende abbastanza fortunose di Franceschetto e della sua famiglia negli anni che seguirono la morte d’Innocenzo Vili, le sue peregrinazioni a Pisa, a Genova e a Venezia e i molti piati col cognato Piero, ci sembrano giustificare a sufficienza che possa dirsi di lui com avesse a speii-mentare anche la fortuna nimica. * (33) Cervetri e Giove erano stati concessi a Franceschetto dal papa, ma la contea dell’ Anguillara e’ la doveva specialmente al suocero Lorenzo de’ Medici. 11 quale, oltre la dote di 4000 scudi che dette alla sua Maddalena, quando andò a Roma sposa al fighuol del pontefice, desideroso di crescere la grandezza del geneio e, quindi, il decoro della figliuola, perchè veramente sembrava che In nocenzo Vili ne facesse poco conto e non cumulasse in lui tutti quei favori che da un papa nepotista in piena epoca della rina scenza ciascuno si doveva aspettare, volle, come· sopraddote, otte nergli appunto la contea dell’Anguillara. Per questo sborsò 25 mila scudi agli eredi dei signori di essa, per eliminare ogni qualsiasi loro titolo di rivendicazione, ad onta che quel feudo fosse stato avocato a sè dalla Camera Apostolica. Cfr. pag. 76. Ma poco tempo dopo che ne aveva ottenuta la investitura, fatta, senz altio ricordo delle pratiche di Lorenzo, dal papa per la conservazione — 263 — dei diritti papali, veniva a morte Innocenzo Vili, nè trovandosi Franceschetto troppo bene in Roma con il nuovo pontefice Alessandro VI, per paura di dover perdere quei possessi che il Borgia avrebbe voluto dar al figlio Giovanni, duca di Gandia, pensò di disfarsene a tempo, e conia mediazione di Ferdinando, redi Napoli, e di Piero de’ Medici, li vendette per 40 mila ducati a Gentile Virginio Orsini, Cfr. Calisse C. Statuto inedito di Vejano, in Studi e Documenti di Storia e Diritto, Roma, anno VII (1886), fase. 4. pp. 300. Per 1’ acquisto appunto di quei feudi il re di Napoli, che aveva prestato il danaro all’ Orsini, doveva avere molte tribolazioni. “ Imperocché la vendita di queste piccole castella incitò a cose nuove gli animi di coloro a’ quali 0 apparteneva o sarebbe stato utile di attendere alla conservazione della concordia comune; pei chè il pontefice, pretendendo che, per l’alienazione fatta senza saputa sua, fossero, secondo le disposizione delle leggi, alla Sedia Apostolica devolute, e parendogli offesa non mediocremente l’autorità pontificale; considerando oltre a questo quali fossero i fini di Ferdinando, riempiè tutta Italia di querele contro a lui, contro a Piero de’ Medici e contro a Virginio, affermando che, per quanto si distendeva il poter suo, opera alcuna opportuna a ritenere la dignità e le ragioni di quella sedia, non permetterebbe „. Guicciardini, Stona d’Italia, Capolago, 1836; Lib. I, cap. I, pag. 69. (34) Lorenzo venne allogato ai servigi del Re Francesco I nel gennaio del 1516, come rilevasi dai Diari dal Sanuto: “ Il Cardinal de Cibo ha messo uno suo fradelo di anni 16, coi! mezo dii Magnifico (Giuliano de Medici), con il Re a suo stipendio, e li da’ lanze ..... et franchi 3000 di pensione a l’anno „. Voi. XXI, col. 443. Quando, 1’8 dicembre del 1515, Leone X andò a Bologna per attendervi Francesco I, il vittorioso di Marignano, che vi giunse due giorni appresso e stette col papa tre dì “ insieme alloggiati nel palazzo medesimo, facendo l’uno verso 1 altro segni grandissimi di benevolenza e d’amore „ Cfr. Guicciardini, St. d Italia, XII, 6, p. 215, proprio come, di lì a 15 anni, ne’ medesimi luoghi e con le identiche circostanze, un altro papa mediceo, Clemente VII, avrebbe accolto e trattato l’emulo del Cristianissimo, Carlo V, vincitore e conquistatore di Roma per l’armi de' saccheggiatori suoi soldati; Inno- nocenzo Cybo, che era al seguito del Pontefice, si trovò insieme col Re di Francia che l’ebbe a pranzo seco insieme a’ cardinali giovani Medici e Bibbiena; e, accompagandolo, dopo il convegno, con tre cardinali, a Milano, ebbe modo di raccomandargli direttamente il fratello. Nell' autunno di quell’ anno stesso, 1516, fu collocata in matrimonio la sorella di Lorenzo, Ippolita) che sposò Roberto del fu Giovan Francesco di S. Severino. Costui giunse a Roma all ultimo d’ ottobre e il 5 di novembre avvennero nella cappella del papa le nozze alla presenza di 12 cardinali. Seguì un pranzo e la recita di una commedia, cfr. Sanuto loc. e tempo cit. Il papà si prese, subito, a cuore le cose del nuovo parente che raccomandò a Carlo d’Austria, allora re di Spagna, poi imperatore, con questo breve: A Carlo Re di Spagna. L’antica affetion mia verso il Segnor Roberto S. Severino, Conte di Gaiazzo, et la parentela ch’egli ha nuovamente contratta meco, havendogli io dato per moglie la Sig.ra Hippolita Cibo, fi gliuola di una mia sorella, con molta ragione richiedono da me ch’io raccomandi a V. M.tà lui et le cose sue. Egli è di tal famiglia et di tal valore che facilmente le sai à da sè stesso raccomandato: hora aggiungendovi il parentado eh egli ha meco, spera che non sia per mancargli in alcuna occasione il favore della Μ. V., la qual prego a non voler eh egli resti ingannato tale speranza, che ogni gratia ch’Ella si compiacela di fargli, la ceverò io per fatta a me proprio. Quello poi in che Egli ha bisogno d’esser favorito da Lei, l’intenderà da fra Niccolò Schombergo, d lordine di S. Domenico, creato mio, mandato da me alla M. V.ra. Dato in Roma a’ 24 di Febb. 1517. (R. Archivio di Stato in Massa, in copia). Il breve è scritto dal Bembo. Cfr. Lettere del Bembo so itte in nome di Leone X, ad ann. Il disegno df dare a Ricciarda Giuliano de’ Medici era anteriore — 265 — all’ assunzione al pontificato di Leon X. Il matrimonio con Lorenzo avvenne molto più tardi, cioè nel 1520. S’era prima trattato di dargli una figliuola di Renzo da Ceri; ma poi si preferì la Contessa di Massa. Cfr. Sanuto, Diari, gennaio 1519. Fattolo venire di Francia il papa gli promise Pesaro, per compenso del camerlengato dato nell’agosto a Innocenzo e ritoltogli il 13 settembre, per concederlo all’ Armellino che ne aveva proferto 70 mila ducati, ma non furono che parole. Lo troviamo poco dopo con 40 uomini d’arme e 100 cavalli leggieri male in ordine, mandato per conto de’ Fiorentini contro li duca di Ferrara, ma con poca riputazione perchè il Sanuto lo dice giovenoto inesperto cfr. Diari cit. settembre 1520. Il vescovo di Mondovì Ottobuono Fiesco, che trattò il matri· monio infelice di Lorenzo con Ricciarda, onde purtroppo sarebbero venuti tanti guai, era uno de’ figliuoli di Gian Luigi il vecchio e però fratello di quello Scipione ch’era stato primo marito di Ricciarda. Fu per sua interposizione che la cognata passò a nuove nozze con un concittadino del Fieschi, con quel Lorenzo i cui discendenti doveano rinnovare il parentado delle due famiglie, cfr. pag. 69 Albero genealogico. (35) Ricciarda Malaspina, vedova contessa del Fiesco, faceva procura al proprio zio materno Ercole di Sigismondo d'Este de’ Conti di S. Martino, per atti di Francesco d’Jacopo Sancti Floridi di Fo-sdiovo, il 27 aprile 1520, in Massa, alla presenza di Ottobuono Fieschi vescovo di Mondovì, cognato della attrice, e di Silvestro de’ Benetti, vescovo di Sarzana. E, per tale procura, Ercole sottoscriveva i capitoli del matrimonio fra Ricciarda e Lorenzo Cibo, in Roma, il 14 di maggio in Palatio Apostolico, in camera versus Prata e dava poi l’anello a Lorenzo, che lo riceveva, celebrandosi così il matrimonio per verba de presenti essendo testimoni Reverendis dominis Iacopo episcopo Nepesino et lohanne Lazzaro Serapica de Magistris, camerario Suae Sanctitatis secreto. Se non che all’atto è una nota di questo tenore : Idem contractus fuit iterum celebratus sub die III Iunii prox. futuri in presentia Sanctissimi Domini Nostri, quoniam partes voluerunt hunc primum esse secretum. Questo secondo atto del 3 giugno, fu fatto nel palazzo apostolico in camera S.mi Domini nostri versus Belvedere presenti- & - 266 — bus Michele de Silva, oratore S.mi Regis Portugalliae, et Magnifico et R. Domino Iuliano Rodulfo, milite hierosolomitano, ac Priore Capuae, et R. Mario Caracciolo protonotario apostolico. I due successivi atti di matrimonio, e anche la procuia di Rie ciarda, si conservano nel R. Arch. di Stato in Massa, busta Mati linoni della Casa Cybo, e, rogati entrambi da Pietro Ardinghelli notaro, sono identici fuorché nella data e ne’ testimoni, l· u Leone X che volle differire la celebrazione dell’atto dal 14 maggio al 3 §’ι1&ηο, pei sue particolari ragioni. Le copie massesi son rogate da Sten) andò de Provanis tiotarius Camerae. Fra i mss. Torrigiani ora nel R. Archivio di Stato in Fiienze trovasi pure copia dei medesimi atti. Cfr. il mio cit Giulio Cybo Malaspina, pag. 22. nota 3. Pel testo de’ capitoli cfr. pp· 7980 e nota 249. (36) Primogenita dell’infelicissime e malaugurate nozze di Lorenzo Cybo con Ricciarda Malaspina, Eleonoi a, nata a Massa p che i dissidi fra i due coniugi si facessero più acuti, quando vennero a porre la loro dimora in Roma nel tempo di Clemente VII, ebbe una vita fortunosa e travagliatissima dalle più diverse e contrarie vicende. Passò i primi anni nel monastero delle Muiate, sotto la vigile sorveglianza della zia Caterina Cybo, la dottissima duchessa di Camerino, che ridottasi a vivere in Firenze, ebbe grande affetto per la nipote e se ne prese gran cura, mentre la madie, tutta volta ai godimenti della società cortigiana, in Roma, poi a F irenze, e, più tardi, nel pontificato di Paolo III, novellamente in Roma, trascinava neH’obbrobrio il suo onore e quello del manto. Tratta di monastero ventenne appena e collocata in matrimonio con Luigi del Fiesco per volere de’ parenti; (cf. pag. 73 e nota 71) che, a loro arbitro e con intendimenti tutti determinati dall’utilitarismo proprio, stabilivan le nozze de’ figliuoli senza cercarne le tendenze o studiarne le simpatie, si trovò in uno de’ più splendidi palagi che avesse allora Genova, la ricca dimora che Sinibaldo con il magistero dell’arte avea quasi rifatto di nuovo su in alto della ridente collina di Carignano. Il marito l’amò ? Non ebbero figliuoli, e le vicende politiche e l’ambizione sempre crescente dei DOiia, e il potere di Giannettino, che, sotto l’ombra dello zio, il gran Pi in- - 267 — cipe Andrea, stava per superare in grandezza l’emulo Fiesco, preoccupavano Gian Luigi, che non potea dimenticare come già in Viola era stato accolto, dal suo grande avo omonimo, e superbamente ospitato re Luigi XII di Francia, e, pochi anni appena erano passati, nel 1538, papa Paolo III reduce dal convegno di Nizza, mentre ormai gli splendori del palazzo di Fassolo poteano ricevere onorevolmente il grande Carlo V imperatore. L’assiduità poi di Giannet-tino, per tante ragioni odioso al Fiesco, verso la moglie Eleonora, per quanto non assecondata da lei, aggiunsero nuova esca al fuoco che, segreto ma sempre più ardente, divampava nel cuore di Gian Luigi. La congiura del 1547 fu la conseguenza di tante ragioni, in cui le cause politiche intrecciate con le particolari e domestiche, s’unirono e combinarono per sconvolgere Genova. Ma le tragiche morti de’ due emuli, Giannettino rimasto morto d'un colpo d’archibugio presso la porta di S. Tommaso e Giovan Luigi piombato in mare da uno scalandrone e affogato miseramente nelle verdi acque della darsena, sopiron sul nascere la gran fiamma che pareva dovesse, novellamente far divampar guerra in Italia. E l’infelice Leonora, rico-vrata subito dopo la triste fine del marito nel convento di S. Leonardo, prossimo al palagio di Carignano, presso suor Angela Caterina Fieschi, sua cognata, ch’era monaca di quel convento, dopo inutili pratiche per riavere almeno il corpo del suo Gian Luigi per dargli ί onorata sepoltura, ciò che il D’Oria negò per timore di qualche nuovo tumulto, ordinando che fosse ributtato nell’acqua da cui il pescatore Palliano l’avea tratto gonfio e tumefatto; ventiquattrenne appena e già vedova fu rinchiusa un’altra volta in quel monastero delle Murate dove pare non stesse, almeno in quel primo tempo della fiorente giovinezza, troppo volentieri. Fu, l’anno dopo, contro il volere dei parenti e col favore di Cosimo de’ Medici (cfr. p. 20 e nota 94), rimaritata a Giovan Luigi detto Chiappino Vitelli di Città di Castello, valoroso capitano del Duca di Firenze; ma rimase vedova nel 1575 anche di questo secondo marito, che morì in Fiandra mentre facea gli approcci per prendere Zerickzee, precipitato in fondo a una trincea per mano forse de’ soldati eh’erano stanchi del suo rigore, e non ebbe figli dalla Cibo, sicché la sua linea fu proseguita da un bastardo legittimato. Cfr. Promis C. Biografie di ingegneri — 268 - militari itatiani dal sec. XIV alla metà del XVIII, in Miscellanea di Storia Italiana, Torino, Bocca, 1874. Rientrò per la terza volta nelle Murate e si rassegnò e viverci il resto dei suoi anni, prendendosi cura delle nipoti Lucrezia e Caterina, figliuole del fratello Alberico, fino alla sua morte, avvenuta nel 1594 e acquistando rinomanza di vita esemplare. Cfr. pp. 52-53 e nota 177. Il barone Alfredo von Reumont dedicò a questa signora un suo scritto: Eleonora Cybo ùnd ilire Augehórigen che fa parte de’ suoi Beitràge zùr Italienischen Geschichte; tom. IV, pp. 189-297. (37) Vari e drammatici furono i casi di questo giovine signore, figura cinquecentesca per eccellenza, che vittima infelice de fieri dissensi de’ genitori fu, più dalla malaugurata sua sorte che dall im prudenza dalla troppo immatura età, coinvolto negli intricati viluppi delle odiosità politiche nell’ultimo tempo della contesa fianco ispana e tratto, ventiquattrenne appena, all’estremo supplizio. Dai Ricordi del fratello, che l’amò vivo e ne difese, morto, la memoria e la fama, rileviamo le più importanti vicissitudini della sua breve infelicissima vita, che ci servì già d’argomento a più ampio lavoro: Cfr. Si affetti, Giulio Cybo-Malaspina marchese di Massa ; studio storico su documenti per la maggior parte inediti; Modena, Vincenzi, 1892, in-8 , pp. 32^· Fin dalla culla può dirsi fosse testimone dei soprusi della madre verso Lorenzo : fu questa, forse, la ragione che illanguidì nell animo del giovinetto l’affetto per lei. E l’educazione eh ebbe in Firenze e a Roma, per cui fu addestrato in quanto si conveniva a nobile cavaliere non trascurandosi pure le lettere, il greco ed il latino, essendogli impartita con le sovvenzioni dello zio cardinale e senza quell inte^ ressamento materno che, solo, può stringer 1 affetto de figliuoli a genitori nel primo aprirsi della mente alla comprensione del bello e del vero, lo crebbe sempre più lontano dalla confidenza verso Rie ciarda. La quale non appena potè levarselo di torno, collocandolo presso Carlo V, si sentì più libera nella vita disordinata che in mezzo agli splendori della Corte di Roma largamente godeva. Ma lesinan doglisi le provvisioni e però mancandogli i mezzi di sostenersi con quella onorevolezza che il suo nome il suo grado richiedevano, come Giulio si vide preclusa la splendida via delle armi che la buona fortuna gli metteva dinanzi e in cui avea fatto non inutili nè insi- — 269 — gnificanti prove nella guerra di Germania, risolse tornare in patria e chiedere risolutamente il governo degli Stati aviti che la madre volea, vita naturai durante, godere per sè. Vi entrò il sobillamento del padre. 11 isto sempre l’incitare i figli contro i genitori: non meno se l’uno di questi lo faccia a danno dell’altro. V’entrarono le gelosie politiche di Cosimo de’ Medici contro il Duca di F'errara e gli accorti disegni di Andrea D Oria: Giulio ebbe Massa con l’armi, ma la Corte di Spagna dubitò che di quella piccola favilla potesse divampare un grande incendio e intervenne. Naturale il risentimento di Giulio, che esacerbato per aver dovuto restituire gli Stati, sebbene, apparentemente, in mano di terza persona, il Cardinale zio, troppo tenero della cognata di cui lo vogliono perpetuamente innamorato; facile prestò l’orecchio alle lusinghe francesi ed entrò a parte d’ una trama che avrebbe dovuto ritentare un audace colpo di mano su Genova, poiché così infelicemente era caduto il disegno di Gian Luigi del Fiesco eppur le memorie e i propositi di rivolta, ne’ fuorusciti, covavano sotto le ceneri. Ma troppi occhi zelanti di Spagna vigilavano in Italia, Ricciarda stessa non tremò, (insensibile era fatto il non più materno suo cuore dal capriccioso orgoglio e dall’altera inflessibilità), di darlo in mano de’ ministri imperiali. Arrestato a Pontremoli, mentre ormai stava per entrare ne’ confini della Repubblica genoveser condotto a Milano e posto più volte al tormento, confessò più assai di quello che non si sarebbe aspettato da lui. Tutte le trame di Francia, de’ Farnesi, degli Strozzi, de’ fuorusciti genovesi e toscani parean dovessero metter capo a lui e speravasi, a forza di torture, cavarne il sicuro filo. Il processo, che interessò ne’ primi mesi del 1548 tutti i diplomatici e gli ambasciatori delle Corti italiane, di Francia e di Spagna, fu, più tardi, abbruciato, dissero per ordine di Don Ferrante: ma il D’Oria lo vide e, forse, n’ebbe argomento a governarsi in più d’un riscontro difficile, acuto e sottile com’egli fu sempre. Compagno di prigione d’un altro infelice congiurato, il Burlamacchi di Lucca, giocava spensieratamente alla palla con lui nel cortile del castello di Milano quando gli annunziaron la morte. Fu decapitato ai 18 di maggio del 1548, mentre destavasi, rinnovellata, la natura a’ tepori primaverili, e tanto lieta primavera di speranze fioriva al giovin signore nell’ animo baldo e gentile. Il popolo perseguitò il boja — 270 — co’sassi. La Signoria spagnuola era già odiata, quando faceasi ministro di troppo soverchio rigore. (38) È curioso il fatto che l’anno della nascita di Alberico, notato da lui stesso in questo suo libro di ricordi, non è già il i532> ma il 1534. L’errore non insignificante di due anni passò da questi Ricordi, nel Viani e in tutti quelli che scrissero dei Cybo. Ma che veramente debba correggersi il 1532 in 1534 ce lo prova prima la Fede di nascita di Alberico, data a Massa dal Collegio de’ notari il 19 settembre 1558, per mano di Leonardo Guglielmo notaio cancelliere. Su testimonianza di Ercole Machiavelli di Ferrara e di Eicole de Bucchis di Bologna, già famigliari a Genova del cardinale Innocenzo Cybo e su d’un memoriale “ in quodam libro seu manuali olim Illustrissime Domine Marchionisse Massae „, si attesta che Alberico è nato in Genova, nel palazzo in contrada del Campo, dello stesso Marchese, nel 1534, indizione VII, l’ultimo di febbraio. Anche nel Secondo libro delle Memorie della Famiglia Cybo, mss. cit. del R. Arch. di Massa, a car. 65, tergo, si legge : “ Alberico nacqne 111 Genova l’ultimo di Febbraio 1534 e a margine, come in rubrica, si ripete-, “ Alberico Prencipe nato in Genova l’anno 1534 „· La testimonianza è autorevole, perchè il cod. abbonda di postille auto grafe di Alberico medesimo. La riprova della verità, o la conferma, che dir si voglia di questa data ci è porta da una lettera che Ippolita, Contessa di Cajazzo, scriveva al fratello cardinale Innocenzo Cybo, il 26 marzo del 1534» Paima· Dicevagli, fra l’altro: “ Io mi ritrovo in buon essere et così intendo delle nostre figliuole, (Maddalena e Lavinia), e della Signora Duchessa, (Caterina di Camerino), et parimente del Signor Giovan Battista nostro fratello, (il vescovo di Marsiglia), dal quale ho aviso eh el Sig. Lorenzo, (l’altro fratello), non era ancora giunto in Roma ma s’ aspettava di dì in dì E aggiungeva: “ La buona nuova del fi gliuol maschio partorito per la Signora Marchesa nostra Cognata, (Ricciarda), non mi potrebbe essere stata di maggior piacele „. Cfr. Lettere di Principi, Venezia, Zilletti, Voi. Ili, 143· Anche il Venturini dette la erronea data del 1532 sbagliando, sebben di poco, pine nel giorno, 23 febbraio. Cfr. Sforza, Cronache di Massa, Lucca, Rocchi, 1882, pag. 3. Ma una conferma della data del 1534 c' ^ P01 — 271 — da Alberico stesso in questi Ricordi ; difatti notando che " del 1537 fu la prima volta che io Alberico Cybo fui condutto a Roma da mia madre, di età di tre anni „ cfr. a pag. 12, viene a disdire che nascesse nel 1532, perchè altrimenti sarebbe stato in età di cinque anni nel '37. E tanto più attendibile ci sembra questa nota perchè non potè essere inspirata, certo per la sua semplicità da nessun secondo fine. Due documenti, poi, di cui ci occorrerà parlare più distesamente, confermano la nostra rettifica: la concessione fatta a Ricciarda da Carlo V nel 1533, di scegliersi un erede, da cui appare che Alberico non era ancor nato (cfr. nota 76), e la procura per la gestione di S. Siro, data a Roma nel 1539, in cui si legge che Alberico non aveva ancora cinque anni. (Cfr. nota 124). Finalmente nel Quadernuccio di Jeronimo Vecchiano delle spese fatte nel 153η dallo stesso cune Maestro di casa del Cardinale nell'andata di costui a Roma, che si conserva nel R. Arch. di Massa, Carte di corredo al carteggio del cardinale Innocenzo Cvbo, fra le spese fatte per il Signor Alberigho Cybo, nipote di S. Sra R"‘a, son notati i capi di vestiario costituenti la guardaroba di un bambino e, fra l'altro, “ braccia quattordici di panno accotonato negro per fare .una ga-murra alla balia E se, nel 1537, Alberico aveva ancora la balia deve intendersi confermato quanto egli scrivea che, venendo quel- 1 anno la prima volta in Roma, era in età di tre anni, cioè era nato ne* I534· (Cfr. nota 59). (39) Alberico, nelle note seguenti, procura di raccogliere i titoli che valgono più ad esaltare la ricordanza di suo padre. Ma, come abbiamo detto nella Introduzione, la figura di Lorenzo Cibo è poco caratteristica per balzar fuori, con qualche tratto segnalato, dalla gran massa di avvenimenti importantissimi di quel tempo. Non riesce simpatica perchè egli non fece nessun atto che dimostrasse in lui qualche risoluta energia. Questo primo comando di 40 uomini d’arme e di 100 cavalli leggeri l’ebbe appena tornato di Francia, nel 1520, proprio appena pochi mesi dopo che avea celebrato le nozze con Ricciarda. Ma non si tratta già della guerra che Leone X alleato a Carlo \ dovea rompere, Γ anno successivo, nel Ducato di Milano contro i Francesi. Cfr. nota 34. Lorenzo, per quanto “ giovenoto inesperto „ conduceva quelle genti per conto de’ l· iorentini contro il duca di — 272 — Ferrara. È pur vero che, per dieci anni, rimase nell esci cito della Chiesa, e però ebbe parte alle fazioni numerosissime che accaddeio al tempo delle due prime grandi guerre tra Carlo V e Francesco I, trovandosi or con la Fi ància e or con l’impero a seconda del variare della politica pontificia, già incerta con Leone X, vagellante addirittura sotto Clemente VII suo successore. (40) Se i Cybo aveano ottenuto da Leone X tanti benefici quanti, certo, non erano stati loro concessi da Innocenzo Vili, non minor grado e favore ebbero alla Corte di Clemente VII, sicché può ben dirsi che il parentado co’ Medici fu ad essi più giovevole assai di quello che non fosse stata la propria famiglia. Il cardinale Innocenzo era autorevolissimo presso il papa, e per quanto Clemente VII non si valesse di lui nelle faccende politiche, come rilevasi dalle Relazioni di Marco Foscari e di Antonio Soriano pubblicate da Tommaso Gar nella raccolta dell Albo i, Ser. II, voi. I. pp. 128 e 279, pure a lui facevan capo quanti volevan favori dal pontefice. Fin la tanto famosa Isabella Estense Gonzaga, che nel febbraio del 1524 avea bisogno d’una valida commendatizia pi esso il papa per un figliuolo del celebre musico Iacopo da S. Secondo, li correva fidente a lui, facendogli scrivere in bona forma. Cfr. Luzio Renier, Isabella d’Este, cit. pp. 109. E il papa ne concesse amplissimi anche a Lorenzo, che nominò governatore della città e castellano della fortezza di Spoleto, poi capitano della guardia del Palazzo Apostolico e finalmente comandante generale dello Stato ecclesiastico. Cfr. nota 42. Fu appunto mentre Ricciarda era venuta a Roma col marito presso la Corte di Clemente VII che nacque il pi imo maschio, lo sfortunatissimo Giulio. Cfr. nota 37. (41) Il Casoni, Annali, tom. II, lib. III, pag. 27, Genova, 1799, parlando de’ preparativi che si facevano a Genova per resistere alle minacce del Signore di S. Polo, dice che furono spediti diversi capitani per assoldar genti e che, fra gli aiuti che venner di fuori, “ dalla Toscana ne furono raccolti e portati al servizio delle Repubblica 2000 da Lorenzo Cibo, genero (sic) del Marchese di Massa „. (Nel 1528 il Marchese era Lorenzo stesso. La notizia passò agli alti i storici delle cose genovesi : al Bastide, Histoire generale et raisonnée de la Rep. de Génes ; Gènes, 1795 > T°m· Pa&· 23^> e I°m· — 273 - pag. 252 delle trad. italiana, id. ib. ; al Varese, lib. XVII, Tom. V. pag. 62 e al Canale, che nella Storia della Rep. di Genova dall'anno 1528 al 1550 ; Genova, Sordomuti, 1874; a pag. 32 fa questa considerazione : “ Il Conte Sinibaldo Fieschi non prevedeva certo come, aiutando il D Oria in quell’ opera, apparecchiava la imminente rovina della propria famiglia, nè tale previsione poteva cadere in animo di Lorenzo Cibo, cui la stessa sorte toccava, comecché singolarissima cosa è che G. Luigi Fieschi e Giulio Cibo avessero a padri coloro che meglio d’ ogni altri colla potenza de’ feudi, colle numerose forze e colla copia del danaro, che molto avevano, soccorrendo alla povertà di Andrea D’Oria, ne facessero grande la fortuna a distruzione di sè medesimi „. Ma la notizia del soccorso portato a Genova da Lorenzo Cibo ha origine dal Paschetti. Amico dei Cybo, come appare dalla sua biografia scritta dal Pescetto, amplificò quell’ intervento per far piacere ad Alberico e lo inserì nelle aggiunte che fece alla sua edizione del Bonfadio. Se ne avvide il Belgrano, cfr. la sua edizione del Bonfadio, raffrontando l’altra bresciana del 1759 dove i passi aggiunti dal Paschetti sono espunti, può, facilmente, aversene la conferma. Anche il cardinale Innocenzo, suo fratello, intesa la nuova forma di governo che la Repubblica genovese avea avuto per opera di Andrea D’Oria, scrivea questa lettera: R. Archivio di Stato in Genova. Lettere di Cardinali - N. Generale 2804. Magnifici et prestantissimi signori. Con quanto piacere habbia inteso il felice successo de quella patria et maxime essendo seguito per mezo del Magnifico Signor Capitano M. Andrea, non mi saria possibile scriverlo, però per far parte del mio debito me parso mandare da quale et dal prefato Signoi Capitano il presente Ms. Ambrogio Calvo mio maestro di Casa, acciò che in mio nome li dica l’animo mio, et offerirmi in beneficio de iS - 274 — quella patria per quanto posso me vaglio, senza altro dii e salvo a V. M. quanto posso raccomandarmi. Di Massa alli XVI de Settembre MDXXVIII. De V. M. Come frat.llo Innocetius Card. Cibo legat. ÌAlli Magnifici et prestantissimi Li Signori Governatori di Genoa nostri carissimi. Richiesto poi dalla Repubblica di voler dare le artiglici ie della ròcca di Massa, si scusava che l’inviato non le avesse ti ovate rispondenti alla necessità, con quest altra: R. Archivio dì Stato in Genova. Lettere di Cardinali - N. G.le 2804. Magnifici Domini tanquam fratres. Per Ms. Francesco di Ornano et per le lettere di V. S. havemo inteso et visto con quanta instantia ci hanno ricercato di questa nostra artellaria et delFapparecchio pertinente a quella. Et perche già e per lettere et per nostri mandati le havemo fatto intendere come estimiamo comune ogni successo et evenimento della comune patria nostra et desideriamo non meno lo honore et exaltatione sua che la nostra propria, havemo liberamente et volentieri fatto vedere a detto Ms. Antonio et artellaria et tutto quel poco che havemo et che pensiamo possi essere in beneficio di cotesta nostra città et comune patria, dolendosi che non l’habbia ritrovate in quel essere che haverebbe voluto et che noi desideravamo, del che havendone ragionato lungamenti con elle, da esso ne saranno del tutto ragguagliate, et cosi glie ne presteranno fede et se remettiamo alla relatione di detto Ms. Antonio. Non potendone più oltra haverli ad fare altre belle parole ne proferte, quale hora mai ci paiono superflue, et desideriamo siano fatte per sempre persuadendoci in servicio della comune libertà nostra essere una medema cosa con V. S. come siamo; rengratiandole - 275 — de novi avisi che le ci hanno dato et pregandole per l’avvenire fare il medemo, che noi anchora di quelle nove che haveremo glie ne faremo parte. Da Massa alli XX d’Ottobre MDXXVIII. Magnificis viris libertatis et Reipublicae Genuae Conservatoribus tanquam fratribus. Tamquam frater Innocentius Card. Cibo. (42) Clemente VII, fin dal tempo del suo cardinalato, era stato in gian domestichezza con Franceschetto e co’ figliuoli di lui, particolarmente con Innocenzo. Chiare prove di affetto dette loro dopo 1 assunzione al papato e Lorenzo, ebbe l’ufficio di capitano della guardia del Palazzo Apostolico Γ11 dicembre 1528, e quello di comandante generale dello Stato Ecclesiastico il 22 giugno del 1530. I due brevi di Clemente VII furono trascritti da Giorgio Viani e trovansi, rispettivamente, coi numeri XV e XIX, nell’Appendice che il medesimo a\ ea cominciato a pubblicare a Pisa coi tipi di Ranieri Prosperi e che, come ci occorse già notare, si conserva mss. nel R. Arch. di Stato in Massa. Nello stesso Archivio, fra le Carte de’ Cibo di Genova avanti il Pi incipato, trovasi un ampio privilegio concesso a Lorenzo da Clemente VII in Roma il 22 giugno del 1530 perchè tutti gli diano obbedienza favore ed aiuto. Il 14 marzo dello stesso anno il Cardinal Innocenzo e Monsignor Gio. Battista Cibo facevano cessione de’ loro beni paterni e materni al loro fratello Lorenzo, e poiché un atto simile avevano già fatto alcuni anni innanzi, essendo allora sorto dubbio sulla legittimità di esso per parte di Giov. Battista, ancora minore perchè quattordicenne, si richiese un parere giuridico a Benedetto de’ Be-netti, giureconsulto sarzanese, che scrisse al proposito un’ allegazione per dimostrare che la rinunzia era valida anche per Giov. Battista provveduto de’ benefici largamente dal maggior fratello cardinale. De’ beni paterni Lorenzo e Giov. Battista avevano avuto particolare donazione da Franceschetto loro padre, che Γ11 febbraio del 1516 avea chiamato loro due soltanto al possesso, escludendo — 276 — Innocenzo pel motivo che era bastantemente provveduto con tanti benefici. Quei beni, già comperati da Gerolamo Tottavilla, erano, specialmente, la Loggia de’ Pazzi, a Montughi, presso Firenze ed il palagio de’ Pazzi nell’odierna via del Proconsolo, poi il possesso di Mormoreto. Ora il 27 di febbraio 1533, secondo lo stile di Roma, Gerolamo conte di Sarai, successore del Riho cardinale Rothoma gense (Gerolamo Tottavilla, grande amico di Franceschetto fino dal tempo d’Innocenzo VIII), e di lui erede, cedeva a Lorenzo Cibo tutte le ragioni che potessero ancora competergli su quei beni, con strumento rogato da M. Annibaie di Francesco da Castello e Gio vanni di Giorgio di Marco de Marchetti di Fascicorini, notan pubblici bolognesi. Poi, nel 1534, i beni così detti de’ Pazzi, perchè avuti dalla con fìsca fatta loro dopo la congiura famosa, furono devolti a Lorenzo, come appare dalla nota de’ beni che Lorenzo possedeva in Toscana. E poiché di questi beni già ci occorse parlare e d alti i ancora dovrei! far parola, ci pare opportuno riferire le partite del catasto fiorentino per tutti i possessi di Lorenzo. (R. Arch. di Stato in Firenze, Prestanza e Decima, Ai 1 oh dell ann 1546, quartiere S. Giovanni, 2° ; Gonfalone Chiave, Reg. n. 3009, cart. 99). Quartiere S. Giovanni, Gonfalone Chiave n. 226. Lo Illus Sig. Lorenzo del S. Francesco Cibo per beni non compresi nella sua taxa di privilegio ma sottoposti al tutto al pagamento delle g in virtù di sua concessione sotto dì 23 d’aprile 1488 e per die ratione delli officiali di monte sotto dì 30 d’agosto 1546. Substantie. Trentasette ottantesimi et mezo della possessione detta lo Spe-daletto, posta parte in quello di Volterra et parte in quello di > cioè di tutti i beni livellarii e censuarii d’Altopascio et parte del ca pi tu lo della Chiesa cattedrale di Volterra et parte del Arcivescovado di Pisa, condotti già per el Magco Lorenzo de’ Medici per rogito - 277 - di Sei Antonio di Ser Anastasio Vespucci, l’anno i486, posti in fra loro vocaboli et confini, con carico già di libbre 4 di cera al Alto-pascio, oggi extinto, et con altri carichi al Capitolo di Volterra et 1 Aicivescovado di Pisa, contenuti ne’ contratti livellarii predetti, et sono posti nel conto suo privilegiato; et comprò el tutto el Ser Francesco suo padre dal Mag.co Piero del Mag.co Lorenzo de’ Medici, pei scritta privata in fra loro, sotto dì 2 di luglio 1494, insieme con altri beni; e di poi per la felice ricordatione di Pp. Leone X furno consegnati, insoluto et pagamento, al Rev. Card. Cibo, suo fratello, insieme con altri beni, rogato M. Iacopo d'Apocella, sotto dì 6 di marzo 1520. E quali beni si trovano in somma di tutta detta possessione alle Decime 98, Gonfalone Chiave, 685 sotto nome del Sor Francesco Cibo, per entrate al tutto di scudi 290 di sugello etc. Una casa grande 0 vero palazzo solariato a 2 soiarii, con fondi, stalla, stanze, cantina, colombaie, orto murato intorno, con vite, fruti, di sue apartenentie, poste nel comune d’Asciano, potestaria di Librafatta, contado di Pisa, luogo detto al Palazzo, confine appresso via etc. Un pezzo di terra lavoratia etc. posto in detto comune. Un pezzo di terra, con casa di contro al detto palazzo, con edi-fìtio di mulino macinante con la ruota, scudo e altre sue apparte-nentie e con frantoio da olio e sue apartenentie, cum casalino presso a detta casa etc. che hebbero in permuta di cambio dalla pieve di S. Giovanni d’Asciano. Un pezzo di terra con casa e sue appartenentie etc. posti quivi presso, avuti in permuta di cambio della badia di S. Michele delli Scalzi etc. Un pezzo di terra con casa etc. posta in detto comune e luogo oggi chiamato la Turpca etc. Un pezzo di terra ulivata, contiguo, 1. d. Piantorelo% Un pezzo di terra ulivata con ulivi 60 0 più 0 meno etc. Un pezzo di terra ulivata etc. che vi passa la Sambra, 1. d. S. Rocco etc. Un pezzo di terra con casa 1. d. Castelvecchio. Un pezzo di terra con casetta di sue appartenentie etc. 1. d. Le valle. Un pezzo di terra boscata I. d. Castelvecchio etc. Un pezzo di terra parte lavorativa etc. posta nel confine de La-iatico, 1. d. Alla Guardiola, confini appresso via vicinale etc. Un pezzo terra etc. 1. d. Al Piani di Rigone. Beni comprati nel 1546. Rog. S. Franco Franchi, 23 settembre. Terra, casa e colombaio, comune d’Asciano, 1. d. Monte Bianco. Altro pezzo con pozzo id. ib. Id. La terra rossa. Id. 1. d. Giuncheto. Id. parte padulesco. Un pezzo di terra campiva I. d. Cenalo. id. 1. d. El Fico. id. ib. al piano (ΓAsciano. Altri beni in padule. Carte 103. Qre S. Giovnni Gne Chiave. Lo Illustre Sig. Lorenzo del Sig. Francesco Cibo, exemptionato per leggie sotto dì 23 d’aprile 1488 a dover paghare solo ducati 5 per ciascun migliaio di valsente, insino nella somma di ducati 25000, et confirmato in tale exemptione per mimo et Ecc.m0 Ser Duca Co simo Medici et suoi magnifici S" Consiglieri per partito rogato Ser Giovanni di Benedetto da Pistoia sotto dì Vili di giugno 1546 m felza n. 175 etc. Substantie. — Una casa con sua habituri et pertinentie, posta nel popolo di S. Prooolo di Firenze, apresso via che si dice Borgo degli Al-bizi, 2° via publica, 30 Domenico Pandolfini, 40 beni del Duca di Ferrara, per uso. — Un podere et un poderuzo, con casa da signori et lavoratori e terre lavorative, vignate e fruttate et ulivate, posto nel popolo Santo Bartolomeo della Badìa di Fiesole, chiamato la Loggia a Mon-tughi, con più pezi di terre vignate le qual erono fuora di detti poderi. - 279 — — Una casa con sua habituri in detto populo et luogho etc. — Una casa ib. ί Tenute a pigione da Fco d’Anto- — Id. ib. ' nio, Baccio Sagrafani, Bernardo di — Id. ib. ( Monte, Lapo Beccaio. Altre 4 case ut supra. Catasto. E qual tutti beni sono drento agli infrascritti confini cioè appresso strada romana, etc. — Un podere con casa da signori e lavoratori et terre etc. poste nel popolo di S. Andrea a Doccia, luogo detto Ramenno, etc. — Altro podere ib. J. d. Torricciuola. — Altri 5 poderi confiscanti con Albizzi, Guglielmo de’ Pazzi, Gondi. Pezzo di terra boscata nel popolo di S. Maria a Fornello 1. d. a Monte di Croce etc. Podere a Pontedera, con casa posta nel Castello del Ponte ad Hera. Pezzo terra vignata ib. 1. d. S. Martino. Varii altri poderi nel luogo medesimo, sin presso la spiaggia del mare e l’Arno. E qual beni tutti comprò lo Illustre S. Francesco Cibo, suo padre, dal Mco M. Ieronimo de Tota villa, vendete p. se e p. M. Agostino suo fratello, minore, rog. S. Camillo di Beneimbene, notaro romano, 20 gennaio 1498. — E sono alla decima 98, Gonfalone Chiave c. 685, sotto nome del Sig. Francesco Cibo e allo Augusto 1517. Gonf. detto c. 140. Una possessione 0 vero tenimento con più poderi posti nel contado di Pisa 1° d° Agnano col palazzo da Signore et più case de lavoratori, frantoio da olio, fornace da mattoni, calcina, terreni lavo rati vi, vignati, ulivati, acque, pasture, et tutte loro apartenentie, consueti tenersi et possedersi con detti poderi e possessioni d Agnano infra loro vocaboli et confini; la quale possessione comprò el prelato S. Francesco suo padre da Magco Piero del Magco Lorenzo de Medici per scritta privata infra loro, sotto dì 2 di luglio 14941 insieme con altri beni. Et di poi per la felice recordatione di Leone pp. Xn'° — 2 So — furno consignati, insoluto pagamento, al Rmo Cardle Cibo suo fratello insieme con altri beni p. D. 8000 d’oro in oro. rog. di M. Iacopo di Apocella 6 marzo 1520. (43) Francesco Sansovino nel Sopplimento delle croniche universali del mondo di Fra Iacopo Filippo da Bergamo, tradotto da lui e stampato con ampliamento e riforme a Venezia nel 1575» Per desi-derio di ingraziarsi Alberico, al quale era dedicata l’opera, molto si allargò a parlare dei Cibo con evidente adulazione. E non dimenticò il padre di lui, scrivendone: “ Poco anni sono fu celebre et di nome illustre Lorenzo, Marchese di Massa, il quale havendo havuto dal papa diversi gradi honorati nella militia et servito la Repubblica Fiorentina et diversi altri Principi esterni, prese per forza d ai mi l’inespugnabile città di Monza allora che il Papa cogli altri Principi collegati si sforzarono di rimetter in stato Francesco Sforza, secondo Duca di Milano „. Cfr. G. Sforza, Francesco Sansovino e le sue opere storiche, Torino, Clausen, 1897, estr. dalle Memorie della R. Accademia delle Scienze, ser. II, tom. XLVII. Ma la notizia, ripetuta qui ne’ Ricordi, ha veramente intendimento adulativo, perchè dal Muratori, Annali, anno 1526, rilevasi che il Conte Guido Rangone, generale del papa, movendo il 22 luglio di quell’anno al soccorso del castello di Milano, spedì il Conte Claudio Rangone e Lorenzo Cibo ad occupare Monza che, per essere agli estremi, subito s arrese. Ai genealogisti de’ Cybo, che ripetono la notizia cavandola dal Sansovino, conviene aggiungere anche Mambrinio Roseo, che nella Parte Terza delle Historie del Mondo in continuazione del Tarca-gnota, Venezia, Giunti, 1598, pag. zoo, scrive: Il Marchese di Sa-luzzo con le genti di Francia e con quei gran Capitani che haveva seco in questo tempo, era ito ripigliando alcuni luoghi di sopra di Milano, et unitosi col campo, volle espugnare Monza, che era luogo importante molto per le vettovaglie del campo e d:ede la cura a Guido Rangone et a Lorenzo Cibo che l’andassero a combattere con le genti del Papa, i quali dopo l’haverla battuta e dopo alcuni assalti, che sostennero gli Spagnuoli, che erano dentro, valorosamente la presero, essendovi morto il Capitano che la guardava con gran parte de’ suoi. — 28l — Alla onorata ricordanza che di Lorenzo Cibo fa lo storico fa-brianese, non dovette essere estraneo il desiderio di Alberico, smanioso di vedere esaltata la sua famiglia da ogni scrittore, perchè in un foglietto di appunti mss. che è fra le molte carte della filza Scrii-ture genealogiche de' Cybo, nel R. Arch. Massese, si legge di Lorenzo alla presa di Monza con questa nota: Mambrino Roseo ne parla nella Stona Sassonica, lib. II, fol. 60. (44) Luigi Gonzaga, detto Rodomonte, fu mandato, nell’ottobre del 1532, dal papa Clemente VII, con grado di capitano generale del suo esercito contro Napoleone Orsini che avea usato violenze e prepotenze contro i fratelli e trattone uno prigione a Vicovaro. Le genti pontificie, dopo due mesi di assedio, abbatterono le mura della terra: ma i nemici, rifugiatisi nella ròcca, traevano con gli archibugi, e insidiosamente ne rimase ferito a una spalla il Gonzaga che, poco appresso, il 3 dicembre, morì. Cfr. Affò Ireneo, Vita di Luigi Gonzaga detto Rodomonte, Parma, Carmignani, 1780. Non rilevasi dall·Affò che Lorenzo fosse stato, prima del Rodomonte, destinato al comando dell’ impresa. Mambrino Roseo, Delle Istorie del mondo, in continuazione al Tarcagnota lib. II, pag. 118, riferisce l’assedio di Vicovaro e il conseguente ferimento di Rodomonte al 1528: ma dal testamento e dal codicillo di lui, pubblicati dall’Affò, apparisce chiara la data del I532· Op. cit. pp. 120 e segg. (45) Rilevasi dal Reumont, La giovinezza di Caterina de' Medici, Firenze, le Monnier, 1858, pag. 130, che Lorenzo Cibo fu mandato in Francia per precedervi la sposa e portare al Duca d’Orléans i regali di Roma. Anche i due suoi fratelli dovean prender parte alla solennità delle nozze: Ma Giov. Battista che era appunto arcivescovo di Marsiglia, dove iujono celebrate, cfr. nota ix, ne aveva, per allora, soltanto 1’ amministrazione senza risiedervi, e Innocenzo con la sorella Caterina, scelta ad accompagnare in Francia la nipote di Clemente VII con Maria Salviati de’ Medici, rimase in Italia col pretesto d’ una sua infermità e fu, col corteo, soltanto fino alla Spezia. Di qui scrisse alla Signoria di Genova questa lettera: — 2° — 291 — 1521, dopo la morte di Raffaele Riario, cardinale di S. Giorgio, che P avea tenuto ben 39 anni. Cfr. Diario del De Grassi, ed. Armellini, pagg. 86-87. Ma non lo tenne che due mesi, avendolo dovuto rinunziare, il 13 di settembre 1521, al cardinale Armellino de’ Medici che lo avea voluto ad ogni costo, profferendone altissimo prezzo. (Cfr. nota 34). Clemente VII riconobbe il credito del suo prediletto parente e con breve del 28 settembre 1528 lo nominò perpetuo governatore di Vetralla, Montegiove e Giano, terra questa che fa parte del comune di Monte Falco in quel di Spoleto. L’anno seguente Innocenzo cedeva il credito suo verso la Camera Apostolica al fratello Lorenzo, il quale sollecitò dal pontefice l’investitura di Vetralla e delle altre terre che stavano a compenso di quei 35 mila ducati. Il pontefice, con breve del 12 dicembre 1529, annuiva al desiderio di Lorenzo, ma i Vetrallesi, se aveano accettata la signoria del caidinale, non vollero fare ugualmente buon viso a quella del fiatello di lui. Protestarono di non volerlo riconoscere per principe rappresentando a Clemente VII che Eugenio IV, Paolo II ed altri pontefici, aveano concesso loro privilegio di non esser mai soggetti ad alti a Signoria all’infuori che l’eccclesiastica. Durò il conflitto per due anni, e i Vetrallesi si offersero perfino a reintegrare col pioprio i fratelli Cybo del credito che aveano verso la Camera Apostolica. Finalmente 1 11 febbraio I53r si accordarono, stipulando eque capitolazioni con Lorenzo che assunse il governo mostrandosi desideroso di propiziarsi i loro animi anche soccorrendoli col proprio danaro. Se non che ben presto Lorenzo Cybo ebbe la prova che quei di Veti alla non lo avrebbero mai tollerato per Signore: ricorse al papa, ma Clemente VII il 25 settembre 1534 moriva e Paolo III, suo successore, tolse la Signoria al cardinale Innocenzo, di cui era nemico, ed al fratello, e la concesse poi al nipote Cardinal Farnese. Divenuto Signore di Massa, Alberico entrò in controversia col Farnese e trattò anche per un eventuale compenso pecuniario da aversi in luogo di quella terra. La pratica nel 1555 era rimessa nella Duchessa d’Urbino, Vittoria Farnese, sorella del cardinale, quando costui, a un tratto, interruppe ogni negoziato per timore che la bolla da Paolo IV emanata il 14 luglio di quell’anno per cui si revocavano alla Camera apostolica le alienazioni e locazioni d’ogni sorta — 292 — de’ beni ecclesiastici, non facesse cadérgli il possesso che trattava. Non rinunciava, però Alberico Cybo alle sue ragioni e successo a Paolo IV il papa Pio IV, ch’era già stato, da cardinale, suo amico, tornò a vantare i suoi diritti come rilevasi da queste due lettere ai Cardinali d’Urbino e Borromeo: Al Cardinale d' Urbino. Credo che V. S. Illma et Riha si ricordi dell’opera ch’io facevo in Roma con N. Signore per havere un motu proprio per la causa di Vetralla, acciò li Chierici di Camera credessero alle bolle della santa memoria di Clemente che testificavano del mio credito, senza essere astretto a provare la numeratione, la quale non potei condurre a fine per la subita partita ch’io feci di costà, et perchè il negotio restava in assai buon termine come V. S. intenderà dal predente mio Agente, et non vorrei che s’andasse più invecchiando, supplico lei come in quella che è fondata principalmente la mia speranza, sia contenta prendere la protettione di questa mia causa come sua propria, con raccomandarla efficacemente al S.rc Cardinale San Clemente et a Mons.re Alciato, perchè faccino la relatione al Papa in mio favore, come me ne dettero intentione, et di poi operare con S. Santità con quella caldezza che V. S. lll.ma è solita fare nelle cose che le premano acciò mi conceda il detto motuproprio come et per giustitia et per gratia spero dalla bontà di Sua Beatitudine, et riceverò il tutto da lei per favore segnalatissimo, alla quale baciando le mani faccio fine. Di V. S. Ill.ma et R.ma Ser.rc II Marchese di Massa. (R. Arch. di Stato in Massa, Carteggio d'Alberico ì Cybo-Malaspina, ad annum). Al Cardinale Borromeo. 111.™0 et Rev.mo S.r mio, I travagli miei m’haveano non solo fatto dimenticare i negotii, ma anco me istesso, il che è stato causa che non solamente io l’habbi - 293 — i ecordato cosa alcuna del mio, ma, che è peggio, eh’ io sia restato di fare mio debito con V. S. Ul.ma et pregatola havere in memoria la servitù et affetione mia. Però la supplico escusarmi, et in pena di questo fallo si degni comandarmi, eh'ora e sempre la servirò con tutto 1 animo come, sono tenuto, et parchè mi conosco pure obbligato per havermi procurato tirare inanti le cose mie e parendomi d havere lasciato hormai invecchiare troppo la resolutione et gratia di Vetralla, che desidero da N. S. per mezzo di autorità di V. S. Ill.ma ho voluto con questa mia pregarla strettamente a pigliare cura di detta gratia come cosa d’un suo vero et obbligato servitore et senza più tempo in mezzo, come confido nella bontà sua cavarne buon effetto et fine da S. Beatitudine, alla quale con questa occasione non mancherò di scrivere et supplicarla humilmente, come più diffusamente intenderà V. S. Ill.ma dal mio agente, che per non più tediarla farò fine baciandole le mani. Che N. S. Dio la feliciti. Di Carrara, alli 13 di settembre 1561. Di V. S. Ill.ma et R.ma Ser.re II Marchese di Massa. (R. Arch. di Stato in Massa, Cart. d'Alberico I, ad annum). Ma non ostante tutto il suo buon volere, Alberico non ottenne da Pio IV che parole e non potè mai più riavere nè la terra, nè il danaro, che i Vetrallesi, fin dal principio della lite, avevano depositato nel proprio Monte di Pietà. Cfr. Moroni, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica, CII, 144. (48) Clemente VII elesse Lorenzo Cybo governatore della città e castellano della fortezza di Spoleto il 16 di settembre 1524. Copia del breve trovasi nel R. Arch. di Stato in Massa fra i Documenti raccolti da Giorgio Viani per l’Appendice alle Memorie della famiglia Cybo che s’incominciò a stampare ma rimase incompiuto. Ha il η. XII1. Leone X l’avea già nominato allo stesso ufficio con breve del 23 dicembre 1519, che trovasi pure fra i cit. documenti mss. sotto il η. XII. Nelle Carte de' Cybo di Genora avanti il Principato, che si conservano nello stesso Archivio massese, c’è uno strumento — 294 — del 28 ottobre 1524 per la consegna e possesso del castello di Giano, diocesi di Spoleto, nelle mani del Signor Gio. Batt. loso da Parma, deputato dall’ Illmo Signor Lorenzo Cybo, per pai te di Gio. Batt. Ventura da Montalboddo, auditore del Signor Herculano vescovo di Recanati e vicelegato di Perugia e dell Umbria, pei breve di Clemente VII. (49) Secondo il Giovio, Istorie, Lib. Ili, car. 237, tre stendaidi di papa Clemente furono portati nel solenne corteo per l’incoronazione di Carlo V a Bologna : uno con Γ arme dei Medici, dal Signoi Lio-netto di Teano; l’altro della Santa Chiesa romana, dal Conte Ludovico Rangone, il terzo di quella croce cristiana, “ il quale ha da esser, quando sia, portato contro a Turchi „, dal Signor Lorenzo Cybo, capitano della guardia del papa. Anche il Giordani nell’ampia è particolareggiata sua Cronaca della venuta e dimora in Bologna del Sommo Pontefice Clemente VII per la coronazione di Carlo V imperatore, Bologna, 1842, 1 acconta che il Cardinal Cybo, Legato di Bologna, all’accostarsi dell’Imperatore mise assieme una scelta compagnia di gentiluomini bolognesi e romani, con altri che erano concorsi in quella città, e diede ad essi per capo il Signor Lorenzo Cybo suo fratello, stendardiere del gonfalone di S. Chiesa, affinchè una sì nobile compagnia andasse incontro a Cesare ai confini della Legazione, pag. 21. Descrivendo il solenne corteo della incoronazione scrive: Dal Signor Lorenzo Cibo, bellissimo uomo e primo capitano della guardia del Papa, si teneva lo stendardo de’ crociati, quello cioè solito a mettersi in vista quando si va alla guerra contro ai Turchi, avente a sacro segno il Crocifisso Redentore. Pag. 130. Nella Sala del Consiglio dei Dieci, nel Palazzo Ducale di Venezia, di fronte, è un gran quadro di Marco Vecellio che rappresenta la pace generale di Bologna del 1530· ^a giandezza naturale, che, nel i° piano della tela, campeggia con un gonfalone in mano, vuoisi appunto che rappresenti Lorenzo C}bo. Cfr. Za no γτο, Il palazzo ducale di Venezia. (50) Frequenti erano, al tempo del soggiorno di Cai lo V e Clemente VII in Bologna, le risse e baruffe, spesso anche sanguinose, fra tanta gente d'arme diversa di nazione, di religione e di - 295 — sentimenti. Nelle Memorie della famiglia Cybo, che si conservano mss. nel R. Arch. di Stato in Massa e che furono composte per incarico e con la collaborazione di Alberico, si legge che Lorenzo col fratello Giovan Battista, allora vescovo di Mariana, e, di lì a poco, promosso alla maggior sede di Marsiglia, insieme con quell’ altro capo scarico d’Ippolito de’ Medici, il poco timorato cardinale, andavano, di notte, attorno per attaccar baruffa coi Tedeschi e gli Spagnuoli. (Cfr. nota ir). La poca concordia e l’animosità fra la gente di Cesare e quella del Pontefice ci è mostrata specialmente da questa tragica avventura di Lorenzo, la quale nelle stesse Memorie è così raccontata: A Lorenzo Cibo avvenne che, avendo sceso le scale del Palazzo (dove erano alloggiati Clemente e Carlo), e montando a cavallo, inavvedutamente venne a toccar un poco un nipote d’Anton de Leva: il quale, volgendosi a Lorenzo, gli disse alcune parole alte e mal criate, a cui fu ottimamente risposto, e sfidatolo fuor del cortile, ove non si poteva senza pericolo di vita terminar querele, e così avviandosi fuor del palazzo ambedue, il cavalier spagnuolo spinto da soverchio sdegno o che si pensava di aver vantaggio per esser ivi la guardia, non aspettò d’uscir fuori del palagio, e mise mano alla spada contro di Lorenzo: :1 quale, non avendo anco la sua tratta fuori, un suo vassallo staffier carrarese, temendo che el padrone avesse tempo di por mano alla spada per difendersi, dette allo spagnuolo una stoccata, di che subito morto cadde. Tutto il cortile si mise in arme, ma perchè sempre si corre al morto, Lorenzo ebbe tempo di salvarsi dall’ empito de’ Spagnuoli. Avendo l’imperatore di ciò novella, ne ebbe ragionamento col papa, e finalmente comandò ad Antonio de Leva ed a gli altri che di ciò non si parlasse, ma si facesse onorata pace col detto Lorenzo e così fu fatto „. Ho riportato il passo delle Memorie, perchè, messo a confronto coi Ricordi mostra chiaramente come le due scritture emanino direttamente d’una medesima fonte. (51) Franceschetto Cibo ebbe la nobiltà di Viterbo il 12 ottobre del 1516. (52) Quest’accenno un po’ sibillino di Alberico è scritto con intenzione che oggi si direbbe tendenziosa. È chiaro che il Principe — 296 — di Massa ha voluto, qui, mettere in evidenza l’opera di suo padrea Pisa nel tempo che accompagnò e seguì la morte d’Alessandro e, particolarmente, nei primi mesi del governo del duca Cosimo, insidiato dai fuorusciti e da quanti cumulavano con l’odio mediceo le loro vive simpatie per la Francia, particolarmente i Farnesi. Mentre il cardinale Innocenzo aveva parte principalissima nel governo di Firenze, vivendo il Duca Alessandro, dette luogo onorevole al fratello in Pisa. Non solo, dimorando colà Lorenzo, avrebbe potuto assicurarlo della fedeltà della terra, ma col trovarsi cosi a mezza via dal Marchesato di Massa e dalle terre di Lunigiana, sarebbe stato possibile, ove il bisogno lo avesse richiesto, far venir genti da quel suo Stato e da quelli de’ consorti Marchesi Malaspina. Non sembra però che il Marchese di Massa mostrasse al govei no di Pisa maggior energia di quella che non ebbe negli altri suoi uffici, perchè frequenti erano i moti contro di lui, e una volta scoppiarono in aperta ribellione. Lorenzo accorreva spesso sotto 1 ombra del fratello, a Firenze, dove però non era troppo ben veduto da quelli che erano assidui presso il Duca. Di fatti da una letteia di Benvenuto Olivieri, scritta a Filippo Strozzi a Venezia In settembre del 1536, si rileva che in quei giorni Lorenzo Cybo avea toccato certe ferite da Pandolfo Martelli “ giovane allora di grande animo, che dell’armi si conosceva assai „ al dir del Varchi, e tutto intrinseco d’Alessandro Vitelli (Arch. di Stato in Firenze Cari. Slrozz. Ugiiccioni, fil. 95, car. 50). Certo il Vitelli era geloso del Cardinale, come apparve quando, spento il Duca, tenne per se la foltezza di Fi renze: gli amici di lui, però, eran trasportati naturalmente ad eccessi contro i famigliari d’Innocenzo. L'annunzio improvviso della morte di Alessandro fece nascer diverse e contrarie speranze in Italia: quando a Irirenze v eia tanta incertezza, nel primo sgomento, sì che ben a ragione potea scrivere Benvenuto Olivieri, il 27 di gennaio, da Roma che se vi si fosse trovato un capo, nè il Sig. Alessandro (Vitelli) nè Cibo (Innocenzo) non sarebbero ora in Firenze, chè l’uno non v’era (il Vitelli era a Città di Castello) e l’altro si voleva fuggire Spagna concepì il disegno di pigliarsi quello Stato. Il Cardinale mandò subito il suo Gerolamo da Vecchiano, poi vescovo di V ulturara e maggior- — 297 - domo, presso il Marchese del Vasto che, per tenerlo fido a Spagna, e persuaderlo della necessità di ricevere in Toscana un forte presidio di Spagnuoli e d’Alemanni, gli iacea veder crescere paurose minaccie di fuorusciti e Francesi. Il particolareggiato carteggio del Vecchiano col suo Signore ci mostra come stesse a cuore al governator di Milano poter assicurarsi con le lusinghe e con le pauie di colui che, per vicende del caso, era, sebben per poco tempo, rimasto a capo del governo di Firenze. 11 23 di gennaio, p. esempio, il Vecchiano scriveva, da Asti, al cardinale che “ il Marchese 1 avea fatto chiamare a tre ore di notte per dirgli come avea avviso certo d un trattato de’ Pepoli a Bologna, che ad istanza di Francia 0 de fuorusciti davano danari per entrar lì. Maravigliavasi che il cai dinaie avesse fatto fermare a Pietrasanta i fanti Spagnuoli inviati in suo aiuto (erano 2000 spagnoli e 400 alemanni) e trattenuto 1 invio d altri. Si raccomandava che non si lasciasse aggirare da qualcuno di quei cittadini per poi costringerlo ad andarsene senza che potesse ricevere i soldati. Gli facea dire che alla Mirandola am-massavasi gente e che 800 uomini erano pronti già a Castiglione dei 1 epoli Tutti i timori del Marchese del Vasto non erano ingiustificati, chè ai fuorusciti davan segreto aiuto i Francesi e se il papa Paolo III non sarebbe uscito pèr allora dalla neutralità tra Callo V e Francesco I, pure, per l’avversione costante ai Medici, non avrebbe veduto di mal occhio i disegni de’ loro nemici. C’era poi I ier Luigi Farnese, più che mai agitato, in quei primi anni della potenza paterna, dalla smania di arrivare ad una signoria. Certo egli ebbe pratiche in Pisa e, probabilmente, sperò di potersi giovare del- 1 aiuto di Lorenzo Cybo per un colpo di mano sulla città. Fra Lorenzo e Pier Luigi correan buoni rapporti d’amicizia; appare evidente da questa commendatizia che il figliuolo del papa Paolo III taceva, per Lorenzo, a quei di Spoleto e che trascende la forma ordinaria di cortesia propria di tali scritture: Molto magnifici S.ri Priori, Perchè sempre haviamo reputato il Sig. Lorenzo Cibo non altrimenti che le persone nostre, et le cose sue come ad noi proprie, — 298 — per li interessi che fra noi sono, per tanto non possiamo mancare di pigliar in protectione ogni sua cosa, et venendo da coteste bande ci fa intendere che ha alcuni inimici et banditi delle sue castella, et che si ritraghano in cotesto tenimento con suo preiuditio. Γ leghiamo adunque V. M. S. che per amor nostro per 1 advenire non vogli no permettere che quelli che li sono contrarii vi habbino luogo, ma, per quanto pensano farci cosa accettissima, li ni voglino iusta lor possa, dar nelle mani che possi pigliarne iusta sotisfactione, et ciò facendo ad noi non possano far cosa più grata, offerendoci alli comodi di quella parati et alsì in ogni altra sua occorrentia, et bene valeatis. Rome, XX iij Augusti MDXXXV Al piacer di V. M. S. P. Loysi Farnese Alli molto magnifici S.ri Priori della città di Spoleto amici car.”". (R. Arch. di Stato in Massa. Carteggio originale dei Cybo). Ora una trama fu, in quei giorni, ordita dal Farnese che d aver seguito in Pisa. Prima, però, che il disegno fosse condotto al ne Ser Maurizio Albertari di Milano,· il terribile cancelliere di giustizia dei Signori Otto, mise le mani addosso all’inviato del Farnese in que la terra. Il 27 di gennaio del’37 scriveva, di là, al duca Cosimo, che pur ne’ primi giorni del suo governo mostrava sapersi provvedere contro i pericoli che, d’ogni parte, lo insidiavano “ che avea esaminato il cancelliere del Signor Pier Luigi e, dopo cinque mezzi tratti di fune, non ne avea cavato altro se non che avea commissione da Pier Luigi di dire che se il capitano Matteo (da Fabriano, devotissimo ai Medici), gli avesse domandato se il negozio era per lui 0 per altri, dicesse che era per interesse proprio del Signor Pier Luigi. “ Et cosi si viene a vedere — conchiude Ser Maurizio, che Bai -tolomeo Valori ha maneggi stretti col papa (£) Per quanto Cosimo avesse a Pisa per commissario della terra Alessandro Corbinelli (') R. Arch. di Stato in Firenze, Mediceo, Fil. 330. - 299 - e il comando delle bande fosse in mano d’ un suo fido, Chiarissimo de Medici, a maggior sicurezza vi mandò il capitano Pozzo, da Empoli, che obbedì di mala voglia sua e con gran dispiacere de’ Pisani e di Lorenzo Cybo. Il quale cercava di mantenere la sua autorità in Pisa, occupando co’ suoi la fortezza vecchia, e vivendo in grande intrinsechezza con Averando Serristori, allora provveditore della terra. Certo dall’insieme di tanti che volevano comandare dovean sorgere dissidi e vi furono anche minacce di armi, finché il conte di Cifuentes non chiese la rocca per l’imperatore. Matteo da Fabriano arditamente rispose tenerla per i Medici: sicché da quel punto l’autorità di Lorenzo potè considerarsi come scaduta. Forse ai disegni di Pier Luigi egli non prestò l’atteso aperto favore; certo il Farnese fece conto su lui anche perchè credeva lusingarne le speranze sapendolo tribolatissimo per le dolorose vicende con la moglie che, aiutata da’ ministri cesarei e, particolarmente, dall’ Aghilar, gli avea tolto, per concessione dell’Imperatore, il governo di Massa. Cosimo, assicurato da quella banda, volle mostrargli che non lo temeva nè sospettava più di lui. 11 19 di giugno gli scriveva concedendogli che “ i cavalli di Pier Luigi possano uscire senza pagar gabella „. Del resto era la finzione politica che imponeva al novello Duca di mostrarsi benevolo anche verso coloro che, come i Farnesi, sapeva a lui avversi e continuamente in macchinazione per creargli difficoltà nel nuovo Stato, attraversandogli prima il disegno di pigliare la vedova di Alessandro, e poi favorendo i moti degli Strozzi e dei fuorusciti. Cfr. Capasso Carlo, Firenze, Filippo Strozzi, i fuorusciti e la Corte pontificia. Camerino, Savini, 1901. E Lorenzo Cybo se, come dice il figliuol suo, ebbe “ libertà di far poco et assai servitio „ a Cosimo I, di tal libertà potè godere per ben poco tempo e come la natura sua richiedeva crescendo la potenza del nuovo Signore e Duca, cercò di guadagnarne il favore ponendosi sotto l’ombra di lui, sicché il 25 giugno di quel medesimo anno Ϊ537, che aveva veduto e dovea pur vedere tante vicissitudini in Toscana, inviava, da Pisa, a Cosimo Ser Francesco Franchi suo procuratore, perchè umilmente lo supplicasse a fine di “ ottenere de dare expedition alla lite sua, essendosi ora sgravato il pensiero delle occorrenze sue e della città col Signor Conte (di — 3ΰ0 — Citùentes, che era, appunto, venuto a Firenze). Si raccomandava e protestava confidare non mancherebbe di consolarlo " considerato maximamente il danno e la roina, che per non potermi revaler del mio mi viene addosso „. (R. Arch. di Stato in Firenze, Mediceo, f- 331)· Povero Lorenzo! Costretto a curvarsi davanti alla potenza del nuovo padrone e a supplicarne Γ aiuto che sarebbe, poi, stato tanto più implorabile quando il Duca, — per liberarsi de’ tutori — avrebbe congedato garbatamente il cardinale. Eppure da Cosimo I la causa di Lorenzo non fu trascurata, e, come vedremo, sebbene ve lo ti aes-sero indubbiamente ragioni politiche di particolare interesse, fu in special modo pel concorso di lui che Giulio, il primogenito del Mai-chese di Massa, potè con armi fiorentine, occupare le terre avite da cui la madre avrebbe voluto tener lontano, accomunandoli nell'odio detestabile, lui e il padre. (53) Questa chiara designazione — la notte della Epifania — conferma la data della morte del Duca essere la notte li a il 5 e ^ 6. Anche oggi la notte dell' Epifania, già festeggiata in Firenze con suoni di trombe e trionfi di fantocci portati attorno alla luce bai zellante delle fiaccole, è proprio la notte che precede il dì di festa. E la famosa chiassata di Piazza Navona a Roma, per la notte del-V Epifania è, appunto, per la notte dal 5 al 6. I bimbi pongono la calza o il cestello sotto al camino perche la notte dell' Epifania la Befana dovrà riempirli di doni. Del resto, computando le ore all’italiana, dopo le 24, ossia dopo I avemmaria del 5 gennaio, cominciava la prima ora di notte del seguente giorno che, durando appunto 24 ore, terminava alle 24, (secondo il moderno computo delle ore, in gennaio corrispondono alle 17) del giorno 6. Ponendo quindi la morte del Duca nella notte dal 6 al 7, non saremmo più nella notte dell’ Epifania ma nella successiva. Non sarà inutile questa conferma, perchè anche dopo la chiara esposizione della morte del Duca e delle testimonianze positi v’e addotte dal compianto prof. L. A. Ferrari, Lorenzino de’ Medici, cap. VII, La tragedia del 6 gennaio, Milano, Hoepli 1901 ; seguita a scriveisi che la notte del 6 gennaio in cui fu ucciso Alessandro era quella dal 6 venendo il 7. — 3°ι — (54) S è detto da alcuni storici, con intento laudativo della famiglia Cybo, che il cardinale quando il pugnale di Lorenzino de’ Medie, spense, a un tratto e contro l’attesa di ognuno, il Duca Alessandro avrebbe potuto farsi padrone di Firenze. Ma oltre che ad Innocenzo non sarebbe bastato l’animo a tanta impresa, troppo diverse e contrarie passioni si destaron, subito dopo quella morte, e in Toscana e fuori, perchè tale disegno, anche se presentatosi per un sogno d’ambizione, dovesse tosto svanire dalla mente del cardinale. Il dissidio col Vitelli, già esistente quando ancora viveva il Duca, si acuì in quella suprema necessità, e la Spagna seppe trarne profitto, lusingando l’ambizione di quei due uomini che, in quei primi frangenti, furono arbitri della città. Difatti pei che entrambi si mantenessero fedeli all’ Imperatore ebbero larghe promesse : al Cybo si sarebbero dati per io mila scudi di benefizi, al Si&nor Alessandro quel Ducato di Civita di Penne in Abruzzo ch’era stato il primo titolo del morto Duca. Tanto rilevasi da lettere di Giorgio d’Armagnac vescovo, di Rhodez, e di Giorgio de Selve, vescovo di Lavaur, oratori del Cristianissimo a Venezia (r). Ma pei quanto, apparentemente, il Vitelli si mostrasse propenso ad assecondare 1 disegni del Cardinale, che, ottenuta dai Quarantotto “ tutta quella autorità potestà e balia, che per qualunque legge e provvisioni passate è stata data altra volta all’Eccellenza del Signor Duca, in tutto e per tutto „ (2), mirava a far eleggere il piccolo Giulio, bastardo d’Alessandro de’ Medici, per assumerne polla reggenza, egli tanto operò, per sospetto di lui? che riuscì a farlo sloggiare dalla fortezza, la quale avrebbe, poi, tenuta più mesi per Spagna, obbligandolo a porre la sua dimora nel Palagio di Via Larga. Cybo e Vitelli “ non trovando spalle nè fautori dentro o fuori „ (3) non ebbero modo di venire a capo di nessun disegno e frattanto ai fautori di un governo mediceo che tenesse Firenze fuori del pericolo così della dominazione Spagnuola più assoluta come del nuovo go- ( ) R. Arch. di St. in Firenze. Carte Sirozziane Uguccioni, f. 101. ( ) Cfr. la deliberazione dei Quarantotto in Staffetti, Innocenzo Cybo, cit. cap. IV, pp. 150 e segg. (3) Sommarti di avvisi di Roma, dell'ultimo di Gennaio 1537; in Carie Stro zziane Uguccioni, f. 10 r. — 302 — verno che le minacciava un intervento de’ fuorusciti, già pronti, col favore del conte della Mirandola e per le agitazioni degli Strozzi, a passare il confine, e particolarmente alla vigilanza di Francesco Guicciardini si dovette se vennero sventati i disegni del Cardinale e del Vitelli, E fu eletto il giovinetto figliuolo di Giovanni e e Bande Nere. (Cfr. Agostino Rossi. L’elezione di Cosimo I; m * del R. Istituto veneto, 1, VII). (55) Fra Niccolò Schomberg tedesco, e però sopì anonimato Magna, Arcivescovo di Capua, il famoso consigliere di Clemente V che bilanciava, nell'animo dell'incerto pontefice, la influenza tutta francese di Matteo Giberti, vescovo di Verona, nel settembre 1532 era richiamato a Roma da Firenze, dove il papa l’avea messo al fianco del Duca Alessandro. Dissero che il richiamo ^e"desse dal desiderio del pontefice di far conoscere che ormai il Me ic. sapea governarsi da sè medesimo. Il Consiglio approvò, il 18 d. settembre, quanto erasi operato in Firenze dal Capua che tornò più. Non passaron due mesi e il 20 di novembre arrivava a Hrenze, da Roma, il cardinale Innocenzo Cibo, mandato per regger la città nell’assenza del Duca che partì per Mantova a incontrai vi 1 impe ratore che scendea in Italia. Rimase Innocenzo col carico il governo e alle volte sedeva nel magistrato de’ Consiglici i, ma pe a certe faccende molto ordinarie e ne’ consigli publici usava pori in suo luogo uno de’ Quarantotto,come anche eia solito sandro, e nelle cause civili che occorrevano si valeva di Messe vanni de Statis, Auditore del Duca. Cfr. Settimana, Diario, mss. del R. Arch. di Stato in Firenze, ad annum, voi. I, car. 57. Da quel tempo il Cardinale ebbe parte attiva nel governo de Ducato e, pur alternando la sua dimora fra la Toscana, la Lunigiana, Genova e Roma, può dirsi che in Firenze avesse posta la sua sede. E a Firenze lo seguirono le Marchesane di Massa, come le c mavan tutti, cioè Ricciarda, che si diceva Contessa di Massa, (anche per l’antico titolo rimastole del primo marito), sua sorella Taddea, vedova del conte Matteo Maria Boiardo di Scandiano, ancora giovane e piacente, mentre la sorella a giudizio, dei contemporanei, era pie — 3ΰ3 — cola, magra e piuttosto brutta e Lucrezia Estense Malaspina, loro madre, più spesso residente a Massa o a Carrara, de’ quali Stati, come vedova del marito Alberico Antonio II, aveva il governo col titolo di Marchesa. Queste signore abitavano il palagio de’ Pazzi nell’odierna via del Proconsolo, e furono le prime a introdurre in Firenze la moda de’ cocchi. Attorno a loro era vivace l’affluenza di quella società cortigiana libertina e dissoluta che facea capo ad Alessandro, il quale, al dire degli storici, praticava assai dimesticamente in casa “ delle Mai chesane di Massa „. E non vi mancava il Berni, innamoratissimo di laddea. Pare, al dire del suo biografo, che quella pratica fosse la causa probabile della sua morte improvvisa, avvenuta, per quel che pare, per veleno. (Cfr. Virgili, Francesco Berni, Firenze Le Monnier, 1881). E non fu il solo caso degno di ricordo che al palagio di via del Proconsolo accadesse, perchè quel capo scarico di Giambattista Cibo vi preparò quella trama per cui Alessandro de’ Medici avrebbe dovuto saltare in aria. Cfr. nota ir. Oia appunto il quel tempo, essendo il Duca andato a Napoli, il Cardinal Cibo rimase ancora alla testa del governo per quattro mesi. Tolgo la narrazione dal Priorista Ridolfi, mss. della Marucel-liana di F irenze : “ 1535. A dì xix novembre, in domenica, a hore sedici e mezzo, il Duca Alessandro, ricevuta la benedizione del Cardinale Cibo, partì di Firenze per Napoli ad incontrare l’imperatore che tornava vittorioso di Tunisi. — 1536. Del mese di marzo tornò in F irenze il Duca Alessandro, quale aveva celebrato a Napoli le nozze con Madama (Margherita d’Austria), figlia naturale dell’ Imperatore (56) Ambrogio Calvo, probabilmente di famiglia genovese, fu, per molti anni, al servizio del Cardinale Innocenzo Cybo che si valse spesso di lui per delicate mansioni. Ebbe 1’ ufficio di maggiordomo e maestro di casa innanzi che 1 ottenesse il Vecchiano. Insieme col fido Gio. l· rancesco Guiducci, con Ruiz de Gaona, con Tommaso Calvo Bavastro, con Gerolomo Testa da Siena, con Vincenzo Bovio, con l· rancesco Casatto, con Ercole Machiavello, lo troviamo presso il Cardinale a Bologna, a Firenze, in Lunigiana. J — 304 — In un Registro del Cardinal Cybo, che trovasi nell’ Archivio mas-sese, ci sono le copie di varie patenti a servitori di lui. Oltie Am brogio Calvo v’è ricordato Pietro Bolini di Novara, “ servitor nostro Pier Angelo di Baldassar de Leoni, di Fosdinovo, Niccolò di Domenico, detto il Fornarino da Cesena, palafrenieie, e alcuni stranieri Pietro Lobet, Antonio Baldomar, Diego de Valderama, fido cameriere, chiamati commensali e famigliari. Nel cit. Quadernuccio diMons. Gerolamo Vecchiano si tien nota de 1 paghe fatte alle persone che erano al servizio del Cardinale e de sala riati e officiali della casa di S. S. Rever.™ nel 1537· Rilevasi che v’era-no cinque paggi: Urbano, Ercolino, Lodovico, Giunone e Rodolfo; due spagnuoli, il medico, Maestro Andrea Thurini, e un altro, astante, Maestro Sebastiano da Lucca, venuto alla cura del cardinale, ammalatosi nell’autunno di quell’ anno medesimo. Si rammenta il Val rama, cameriere, un Don Niccolò da Carrara probabilmente il cappellano crocifero, e un Don Basilio, che ha l’officio di provve 1-tore ; si ricordano lo spenditore e lo strozziere. Quattro palafrenie Ferrando Spagnuolo, Hieronimo da Spoleti, Antonio da C e Domenico detto il Poeta, che era spedito, spesso come sta il nome anche del lacchè, Gio. Romulo, e d’un altro cappellano: Don a-britio. Tutto il personale del tinello è ricordato con 1 ufficio pi p ciascuno; Paredes, credenziere; Marco, bottigliere ; Francesco ’ scalco dei gentiluomini e delle famiglie ; Carlo, dispensiere, foro, spenditore; Panfilo, cuoco di S. S. R«»; Galasso, cuoco de a famiglia; Antonio di Pietrasanta, trinciante del tinello ; Pao 0 so 0-credenziere di S. S. Rma; Gabriello credenziere del tinelo; rancesco da Barga, sottodispensiere ; nè si tralasciano il canova , famiglio che lava l’argento in la credentia; il famiglio che lava ° stagno in tinello, il guattaro de cucina, lo .scopatore T01 ' > 1 miglio dello spenditore Gaibasso; poi Bastiano, sopì astante de Teodoro, lo strozziere per la custodia degli uccelli da caccia ’ Iacobo, falconiere ; il mulattiere, il canattiere, e ben otto fan g stalla. Queste oiferte del Vitelli, anche se furon vere e non sono, piuttosto da attribuirsi ad una esagerazione del servitore d Innocenzo, smanioso d’esaltare, molti anni dopo quegli avvenimenti, 1 alto — 305 — fido a cui stava per giungere il cardinale, anche per ingraziarsi il marchese Alberico, suò nipote, cui faceva il racconto; debbono ri-tenersi determinate dalla prima incertezza del momento, che, del resto, d Cybo vide chiaro come la sua potenza non avrebbe avuto solida base ,n Firenze sicché, « non volle aver la vergogna d’esser cacciato dopo pochi giorni da’ Fiorentini E che del Vitelli potesse fidarsi meno che d’ogni altro,appare da quanto già dicemmo e che ci mostra come il Signor di Città di Castello fosse emulo ed avversario del cardinale di cui davagli ombra l’autorità presso il duca. (57) Gerolamo da Vecchiano, in quel di Pisa, fu il più fido degli agenti del cardinale, che lo rimeritò de’ suoi servigi facendogli ottenere molti benefici e rinunziandogli il vescovato di Vulturara. Col nome appunto di vescovo di Vulturara è sempre designato nel-Γ ultimo temP° della vita del cardinale, che lo nominò suo maggiordomo e maestro di casa. Fra le moltissime sue carte che conservatisi nell Archivio massese, particolarmente nel Carteggio del Cardinale Innocenzo Cybo, c’ è un benservito a Francesco di Iacopo Travagliati da Porto, diocesi di Ferrara, palafreniere, dato da Carrara di Luna, i° giugno 1544, e intestato così : Gerolamo Vecchiano, eletto di Vulturara, maggiordomo et secretario del cardinale Cibo. (58) Quando il 1. novembre del 1535 era morto Francesco II Sforza, duca di Milano, s’erano ridestate le ambiziose competizioni di Francia e Spagna per la successione al ducato. Paolo III, che, pur mantenendosi neutrale fra i due grandi emuli, parea prestasse benevolo orecchio alle lusinghe de’ Francesi per le gravi preoccupazioni destate in lui dalla baldanza di Cesare, il quale tornava trionfatore dalla impresa di Tunisi, assecondava, ora, le richieste della diplomazia francese fattasi, nei mesi in cui Carlo V, dall’Africa, passato in Sicilia e di qui a Napoli, dimorò in questa città, con la cancelleria imperiale audace e aggressiva. Faceva, quindi, insistenza presso l’imperatore perchè volesse cedere il Milanese a Carlo d’Angoulème, terzogenito del Cristianissimo. Cesare rispondeva evasivamente; ma i ministri cesarei, forse per evitare la guerra, parevano propensi ad accettare il partito purché, però, il Cristianissimo mantenesse i patti di Madrid e di Cambrai e si lasciassero presidi imperiali a Milano e in altre terre di Lombardia. La Fran- I — 3θ6 — eia, invece, non faceva buon viso a questa proposta, pei chè quel ri cordo de’ patti non mantenuti era sempre argomento di gravissime difficoltà. Nè pareva giovasse al compimento della pratica a p messa di dare in moglie al nuovo signor di Milano Marg d’Austria, già promessa ad Alessandro de Medici, paren ^ » stringendo con novelli nodi la casa d Asbuigo con q1 lois, poteva far concepire buone speranze che si posassero, quelle armi, che meglio sarebbe stato rivolgere a difesa d’Europa contro il crescente pericolo tuico. 11 Cristianissimo, adunque, pretendeva qualcosa di pi' senz’altro l’investitura del ducato di Milano per il suo sec g nito Enrico, duca d’Orléans, adducendo il pretesto che in tal mo o si sarebbe evitata una possibile guerra civile di lui col Delfino < cesco, qualora l’Orléans avesse preteso rivendicare i diritti sulla ret-tagna, che potevano competergli per il testamento di Anna, ^sua < materna. Enrico d’ Orléans, poi, come sposo di Caterina de e rci, avea ragione per far valere pretese di dominio in Italia. Se no queste ragioni appunto per cui l’Orleans avrebbe potuto p alla signoria d’Urbino e di Firenze, doveano rendei lo poco ai Cesarei. Poiché il metodo di temporeggiare, adottato da loro, est ^ le impazienze di Francesco I che, per 1 invasione del Piemor , deva inevitabile la terza guerra, Carlo V desideroso di esser sicuro fedeltà della Toscana, trascurate le dignitose querele de fuorus fiorentini, a Napoli, concesse al duca Alessandro la mano di Marg ^ il 29 di febbraio del 1536. Era il riconoscimento diplomatico de u-cato fiorentino e il collegamento indissolubile del governo sandro con la Spagna. Scoppiata la gueria, andata a vuo pazione imperiale della Provenza, Carlo V, pei trarie dal ^ papa, fece balenargli la speranza di dar Milano a Pier Luig’ nese: ma Paolo III non cedette alla lusinga. Moriva poco dopo 1 Delfino e diventato erede presuntivo del trono di Francia 1 Or > si tornò a parlare dell’Angouléme. Ma 1 imperatore non ne ^ più sapere, e alle richieste francesi rispose con la minaccia cedere il disputato ducato di Milano a una terza pei sona, ove si fosse prontamente conclusa la pace. Era appunto la \olta di A sandro de’ Medici. Si trattò, forse, di una minaccia e nulla più. I — 3°7 - pugnale di Lorenzino, a ogni modo, impedì che avesse effetto il disegno per cui una nuova signoria ligia a Spagna potea stabilirsi nel Milanese Cfr. Discours fait incontinent après le trepas du Due Sforce, in PaPiers d'Etcit du Cardinale de Granvelle. Cfr. anche Venetianische Depeschen vom Kaiserhof"e, cit. (59) Questa precisa indicazione d’Alberico, per cui egli attesta nel Γ537 aveva soltanto tre anni, conferma che la sua nascita, contrariamente a quanto si è creduto fin qui da tutti i genealogisti della famiglia e biografi suoi, va spostata di due anni, cioè posta al 1534 anzi che al 1532. Cfr. la nota 38. Ma se la Marchesa ormai era in rotta col marito, come si spiega questa data? Probabilmente per qualche tempo i due coniugi si accordarono ancora e furono insieme pei interposizione del cardinale, che riuscito ad esimersi cali andai e con Clemente VII alla Corte del Cristianissimo per accompagnare Caterina de’Medici, da Firenze, nell’estate del 1533, se n’ era andato in Lunigiana adducendo ragioni di salute, (Cfr. Innocenzo Cybo, cit. pag. 122), mentre Lorenzo avea preceduta la sposa in Francia recando i doni pel duca d’Orléans. -erto, peiò, Lorenzo non potea più veder di buon occhio Ric-ciaida dopo che costei avea ottenuto, il 7 d'aprile di quello stesso anno, l’autorizzazione imperiale di far testamento a favore di quello de suoi figliuoli ch’ella preferiva, ed è strano che il ravvicinamento fra lui e la moglie avvenisse proprio pochi giorni dopo ch’ella otteneva quella facoltà contraria a’ diritti di lui. Giova, poi, ricordare che, dal testo di quest’ atto, (vedilo alla nota 76 per extenso), si con-feima che Alberico il 7 aprile del 1533 non era anche nato, perchè di lui, nel diploma imperiale, non è parola, mentre avrebbe dovuto esserci, ricordandovisi anche le femmine, Isabella ed Eleonora. Si direbbe che quel diploma fosse una cura pel nascituro e fa pensare al noto : Nasciturus prò nato habetur quando de commodis suis agitur. Ricciarda, dopo la morte del duca Alessandro, lasciò il palagio de’ Pazzi di Firenze dove avea dimorato con la sorella Taddea e, talvolta, con la madre Lucrezia, la quale più di frequente sfavasene in Lunigiana, al governo delle terre di Massa e Carrara di cui aveva sempre il titolo di Marchesa, mentre la figliuola chiamavasi la Contessa di — 3°8 " Massa, e se ne andò a Roma. Pare che il viaggio del marchesino Alberico avvenisse nel settembre di quell anno, perchè nel cit. Qua dertiuccio di Messer Hieronimo Vecchiano si nota appunto questa data. (60) Le antiche case dei Cybo, a Roma, erano nel none di Ponte, in Borgo, e precisamente di fronte alla facciata di S. Pietio dov è ora la piazza Rusticucci, distendendosi dal Borgo nuovo nel Vecchio. Furono demolite al tempo in cui il Bernini fece il maraviglioso porticato. Le possedettero fin dal secolo XV riunendo, per dominio indiretto, due porzioni di una grande abitazione contigua al palazzo della regina di Cipro e per l’appunto tra la via Santa e la via Alessandrina. Vi abitò Maurizio, fratello del papa Innocenzo Vili. V ebbe poi in locazione Franceschetto. Cfr. Pasquale Adinolfi, La Portica di S. Pietro, Roma, 1859, pp. no, 136. Un’altro palazzo fu costruito da Innocenzo VIII, e v’abito Franceschetto, presso ai SS. Apostoli. Situato di fronte al palazzo Colonna, sino a pochi anni fa appartenne alla famiglia e quindi alla pi eia tura Ruffo. Cfr. Pasolini P. D. Caterina Sforza ; Roma, Loescher, 1893, Voi. I. p. 165, nota. Completamente rifatto in tempi recenti è, oggi, proprietà e Marchese Guglielmi e vi ha sede il Banco di Napoli. Sopra un ar chitrave in pietra, al pianterreno, è scolpito: — Innoc. Cibo Genuen. papa Vili. - e sull’architrave di altre porte al primo e secondo piano è scolpito lo stemma di casa Cibo. Probabilmente questi stipiti e architravi stemmati facevano parte del palazzo originario e fui 0110 conservati o trasportati nella ricostruzione più moderna. Di un terzo palazzo dei principi Cybo in regione agoms si ha memoria dalla datazione di varii atti. Qui ebbe, specialmente, dimora Alberico quando fu a Roma mentre era già principe di Massa. Era in piazza Navona e fu incorporato da Innocenzo X nel palazzo che quel papa fece erigere e che appartiene anche oggi ai Doria Pamphili, con la facciata in piazza Navona. Così oggi è impossibile ritrovarne le precise tracce. Cfr. Fr. Cancellieri, Il Mercato, il Lago dell' Acqua Vergine e il palazzo Pamfiliano nel circo agonale ; Roma, Bourlie, 181 x, pag. 99. Vi morì il cardinale Innocenzo Cybo il 14 di febbraio del I55°» come ricorda Gaspare Venturini: “ S. S. R.ma se ne morse in nel - 309 — palazzo del Marchese di Massa in piazza Navona „ Cfr. Cronache di Massa, cit. pag. 4. Ricciarda, quando stette a Roma presso la Corte di Paolo III, poiché ormai era in aperta rotta col marito, abitò in Campo Marzio, come afferma Alberico, cfr. pag. 12, e qui la troviamo anche dieci anni dopo. Dispose di quel palazzo, nel suo testamento. Cfr. nota 102. I molti testimoni interrogati per la causa promossa da Scipione de 1 ieschi per la rivendicazione dei beni paterni contro la repubblica di Genova, quando parlano del Fieschi che, dopo la congiura del I547> s’ era rifugiato presso Ricciarda, sua zia, in Roma, dove ebbe pratiche con 1 infelicissimo Giulio per preparare quel moto audace ed inconsulto che avrebbe dovuto ridestare le speranze de’ fuorusciti genovesi e finì, poi,tragicamente, con l’arresto di Giulio a Pontremoli e con la sua decapitazione a Milano, (cfr. nota 88), dicono che Ricciarda abitava appunto in Campo Marzio. Cfr. L. T. Belgrano, Interrogatorii ed allegazione spettanti alla causa promossa da Scipione Fieschi per la rivendicazione dei beni paterni ; in Atti della Soc. lig. di St. patria, Vili, IL (61) Fra i due grandi emuli, per la contesa de’ quali tutta Europa era in arme, Carlo V di Spagna e Francesco I di Francia, il papa Paolo III Farnese nel primo periodo del suo pontificato si adoperò a ncondurre la pace. Ma così l’imperatore come il Cristianissimo, che prima del rompere della terza guerra in Italia aveano cercato d’avere ciascuno dalla sua il pontefice, non essendo riusciti a smuoverlo da quella neutralità che il Farnese avea, tenacemente, voluto conservar non volendo contentare l’uno per scontentare Γ altro „, come si esprimeva il Villa, oratore estense a Roma, non accolsero per confidente Sua Santità e si valsero piuttosto della sua mediazione a scambiarsi, con un tramite neutrale che non offendesse le loro suscettibilità, le varie proposte d’accordo e le reciproche rimostranze di conculcati diritti, anziché per porre giù l’odio e lo sdegno alle parole del papa. Così la tregua conclusa a Monzone, il 27 novembre del x537> accadeva prima che Fabio Mignanelli, inviato dal papa con missione di pace, potesse compire l’opera sua, e nel convegno detto di Leucate, il io gennaio 1538, la diplomazia francese e l’imperiale agivano direttamente, prima che i cardinali Carpi e Iacobacci, legati — 3T0 — strardinarii di Paolo III a Cesare e al Cristianissimo, potesseio iniziare le pratiche loro affidate. È pur vero che Francesco I in quel convegno fece piopoi re di ricorrere all'arbitrato del papa. Ma era proprio una prova di fiducia o solo un espediente diplomatico per vincere la resistenza di Cesai e a proposito delle esigenze sul ducato di Milano? A ogni modo rispondeva ai desideri del papa che, da molto tempo, mirava a ottenere che i due sovrani s’incontrassero in un convegno e definissero, una buona volta, i loro piati. Vinte le difficoltà che pareano sorgere, il papa, il 23 di marzo, partì da Roma e pel Viterbese, Siena, la Toscana e la Lunigiana, valicato Γ Appennino, scese a Piacenza dove rimase qualche tempo, essendo sorte difficoltà per la consegna del ca stello di Nizza, che Carlo 111, duca di Savoja, avea paura di pei dei e mettendolo in mano altrui. Cfr. nota 63. Quando finalmente ebbe notizie che Carlo V, il 25 d’aprile, era salpato da Barcellona, sulle galere di Andrea D’Oria, alla volta di Villafranca, il Papa si mosse da Piacenza, non senza dispetto del Cristianissimo cui sapeva amato che papa e imperatore potessero incontrarsi prima. Cesai e sbarcò a Villafranca il giovedì 9 maggio 1538 e mandò subito undici &ale a Savona per levare il pontefice, che colà era avviato da Picicen e vi giungeva il 10 di maggio. 11 Cristianissimo, invece, fu molto lento a muoversi e a ghm& a Nizza, ne’ pressi della quale, a Villanuova, airivava soltai fine di maggio. I due emuli erano cognati, perchè Eleonora, g di Francia e moglie di Francesco I, era la sorella dell’imperatore. Cfr. per tutte queste pratiche Carlo Capasso, La politi Paolo III e Γ Italia, voi. 1, Camerino, Savini, 1901. (62) Innocenzo Cybo fu inviato a Nizza insieme con J Francesco Campana da Colle di Val d Elsa, dal duca Cos’ Firenze, che voleva profittare di quell’occasione per ottenere Carlo V la restituzione delle fortezze, tenute pei conto di p g <> la consegna di Filippo Strozzi, prigioniero nel castello fiorentino Alessandro Vitelli, e la mano di Margherita d’Austria, la vecova dell’ucciso Alessandro. Dopo aver ospitato, il 10 d aprile, il papa Paolo III che s’avviava al convegno, in Lunigiana aspettava l’arrivo del Campana, come appare dalla seguente sua lettela duca Cosimo. - 3ΐι - Ulmo et Exmo Sigrc. Hieri per la uia di Pisa risposi all’Extia Vra quanto mi occor-reua, et benché di poi non sia accaduto altro, tuttavia mandando uno mio staffiere costì per hauere certo drappo d’oro da presentare alla Duchessa di Mantova, per hauermi il Duca con molta instantia ricerco che uoglia battezarli uno figlio maschio che ha hauuto, mi è parso darli nuoua di me et di nuouo sollecitarla a fare expedire il Campana, che altro non aspetto per partire, et spero in Dio che ha-biamo a riportare votiua expeditione da Sua Mta, et come li dissi hieri quanto più presto giungeremo fia meglio per il seruitio di essa, quale non manchi hauere buona cura alla uita sua donde dipende la salute et contentezza de’ parenti, amici et seruitori suoi. Di Nro Signore non ci è altro saluo questa sera doueua giungere in Piacenza. Da Genova tampoco ci sono lettere, ma il mare è buono et si può credere che le galere sieno in Barzalona o uicine, et che questi Principi non sieno per perdere molto tempo ; mi raccomando a lei et alla Sra Maria sua madre, le persone delle quali Nr0 Sigr Dio guardi. Di Carrara alli XVI di Aprile del XXXVIIJ. Uti frater In. Card. Cibo. All’Illmo et Exmo Sre il Sr Duca di Firenze. (R. Arch. di Stato in Firenze; Arch. Mediceo, f 3716). Sugli ultimi di quel mese Innocenzo si recò, per mare, dalla Spezia a Genova e di lì passò a Villafranca di Nizza dove, col Campana, arrivò il venerdì 10 maggio, come scriveva Giovanni Bandini, oratore di Cosimo presso la Corte di Spagna, per darne avviso al suo Signore. Andò, il giorno seguente, a ossequiare S. M. in nome anche del Duca di Firenze e fu, da Carlo V, accolto con molta amorevolezza. Modesto Giugni ne dava ragguaglio, il 14 maggio, ad Alessandro Vitelli, raccontandogli che l’imperatore avea voluto sapere dal cardinale i particolari della morte del Duca Alessandro, e le modalità della elezione di Cosimo. Cfr. Staffett1, Innocenzo Cybo negoziatore di — 312 — Cosimo I de’ Medici alla Tregua di Nizza, in Giornale ligustico, Nuova Serie, voi. I, anno XXI, fase. 7-8. (63) 11 papa Paolo III deciso — a così santa opeia de pace , lasciata Roma il 23 di marzo, passò per Monterosi, Acquapendente e Radicofani, e, il 30 di quel mese, giunse nelle terre senesi, a Montepulciano, d’onde, seguitando per la Ί oscana, arrivò a Lucca il 7 d’aprile. Proseguì per la Versilia e la Lunigiana; da Sarzana e dall Aulla attraversando la Val di Magra, giunse, per Pontremoli, allAppennino, che valicò da la Cisa, scendendo a Berceto in Val di Taio e pi ose guendo verso Parma. 11 13 d’aprile, vigilia della domenica delle Palme, si fermò in questa città, ma per un doloroso incidente accadutogli, se guitò alla volta di Piacenza, dove passò la settimana santa brandovi anche la Pasqua. Le lunghe trattative col duca di Savoia, che titubava pei^ consegna della ròcca di Nizza, costrinsero Paolo III a trattene Piacenza più assai di quello ch’egli aveva disegnato. Finalme , per Tortona, egli giunse in Liguria ed entrò solennemente, maggio, in Savona. Il duca di Savoia non volendo a niun patto il castello, le 12 galere imperiali che, condotte da Giannettino D Oru, vennero a levare il papa da Savona, il 15 lo condussero a Monaco, d’onde, alle 23 del giorno 16, lo sbarcarono al monastero di S. Francesco fuor delle mura. Cfr. le lettere d’Innocenzo al Duca Cosimo di cui ho dato i passi più caratteristici nella rassegna . La tica di Paolo III e l'Italia, in Arch. stor. italiano, disp. i° del 1904· (64) Paolo III, partito la sera del 15 maggio da Savona, muoveva, con le galere, verso Nizza quando fu incontrato da un gantino in cui era un gentiluomo di Pier Luigi che annunziava il duca di Savoia, contro le promesse fatte, era più che luto a non voler cedere la fortezza di Nizza dove il papa alloggiare. Allora le galere dettero addietro e sbarcarono il papa a Monaco. Qui lo raggiunse il duca Carlo III pei scusarsi con non consegnava il castello per riguardo del Cristianissimo. S nuovamente sulle galere il papa con la Corte muoveva ancoia volta di Nizza e alle 23 ore del giovedì 16 sbarcavano al monasteio di S. Francesco dei frati dell’osservanza. Furono a incontrarlo le 17 - 313 — galere che aveano accompagnato Carlo V e lo salutarono anche le artiglierie della rócca. Due giorni dopo, cioè il sabato 18, Carlo vestito di un saio di velluto novello con berretta del medesimo colore e penna bianca, con calze e scarpe rosse all’usanza di capitano, andò sopra un bellissimo cavallo dal papa. Quel primo abboccamento che il Capasso descrive seguendo la relazione di Angelo Pendaglia ferrarese, durò 5 ore, ma per quanto tutti li vedessero, nessuno potè udire quello che imperatore e papa si dissero. Cfr. Capasso, op. cit. pag. 396. (65) Francesco I si fece aspettare! Gli ambasciatori francesi ne annunziavano al papa l’arrivo per il 25 di maggio, poi si disse che arriverebbe a Villeneuve il 27, finalmente vi giunse il 30 e non si fece vedere dal papa prima del due di giugno. (66) Agnolo Niccolini, oratore del Duca di Firenze, dava ragguaglio di questo abboccamento al suo signore, dicendogli che l’alloggio, .coperto d’asse, dove s’incontrarono il Cristianissimo e il papa era tutto adorno di bellissimi panni d’oro; 1400 tedeschi e altre genti si posero intorno, e 16 galere si accostarono al lido. Scusatosi dell’indugio frapposto nel venire, Francesco disse al papa che lo avrebbe compensato con la pronta e risoluta negoziazione. Dopo le cerimonie si ritirarono in una cameretta a privato colloquio per tre ore, e poi il Cristianissimo se ne tornò a Villeneuve. Ma per quanto Paolo III si mostrasse contento di quella prima conferenza, capì subito che non sarebbe stato possibile indurlo alla guerra contro il Turco, se prima non si fosse conchiusa la pace che appariva difficile per l’insistenza di Francesco I a voler Milano contro il parere di Cesare. (67) Questo terzo colloquio del lunedì 3 di giugno 1538 fra Cesare e il papa durò, secondo il Niccolini, tre ore. Accompagnarono Carlo V da 1500 spagnuoli, per terra, e tutte le galere lungo il lido. Così l’uno e l’altro signore facea straordinario spiegamento di forze guerresche nel recarsi dal pontefice, che prestavasi, fra loro, mediatore di pace. Si sperava che il papa riuscisse ad accordarli, ma la questione di Milano presentava una gravissima difficoltà e Francesco I propose queste soluzioni : ceder quel ducato al duca d’Orléans, oppure fare una pace universale, 0, finalmente, accordarsi per una tregua di 20 anni. Dovea prevalere l’ultimo partito, perchè le pra- -- 3Π - tiche di Paolo III per condurre i due rivali ad un accordo definitivo non ebbero risultato. (68) Più importante fu il concistoro tenuto da Paolo III il 14 di giugno per trattare della situazione politica. Ogni speranza di pace essendo svanita, non restava più che la tregua. Si incominciò a ti aitarne. 11 re la voleva per 10 anni eCesare per 5 soltanto: finalmente, con garanzia del pontefice e di Venezia, si stabilì per 10; senza riuscire a indurre il Cristianissimo a far dichiarazioni contro i Γ111 chi. Il Concistoro del 14, dunque, gittò le basi degli accordi pei la lega, per il mantenimento della quale il pontefice compose una bolla di censura contra inobservantes. Pareva che il papa dovesse esseie contento dell’opera sua. Ma ben presto avrebbe avuto ragione positiva di rammarico. Carlo V e Francesco I, che non gli aveano voluto dare la soddisfazione di incontrarsi in faccia a lui, di lì a un mese, appena si sarebbero trovati insieme ad Aigues-Moites, in un convegno, apparentemente determinato dal caso, ma, di latto, coni binato della diplomazia, facendosi tante carezze e cortesie come i più cari amici. Così Paolo III avrebbe capito che a niun patto avrebbeio vo luto lasciargli la soddisfazione di dirli pacificati per opeia sua. Cfr. Staffetti, Il Convegno di Aigues-Mortes, in Giornale ligustico, Nuova Serie, voi. III, anno XXIII, (1898). (69) Quest’ultimo abboccamento del 9 di giugno parve dovesse troncare ogni pratica. Difatti Carlo V era comparso dinanzi a Paolo III per prendere congedo da lui essendosi ormai rotta ogni pratica pace e tregua e parlandosi ormai di partire. Ma il papa - rattaccò uno filo - per cui, avuto, in capo a quattro giorni, un altio collo quio col Cristianissimo, potè, il 18 di giugno, condurre i due avver sari a stipulare una tregua decennale. (70) È da corregersi : - Die martis XI -. La Regina Eleonora era sorella di Carlo V. Accompagnata dalla Delfina Caterina de’ Medici, dalla figlia del Re, dalle Dame, dal Contestabile di Mont-morency e dal duca di Lorena si recò a Villafranca per visitare l’imperatore suo fratello. Sbarcando sul pontile che dalle galeie con duceva alla spiaggia, pel soverchio peso questo piegò e si ruppe, sicché tutti quei signori caddero in acqua chi fino alla gola e chi fino alla - 315 — cintura. Ma, cessato il primo spavento, non essendo successo alcun male - “ non vi havendo patito alchuno salvo di rinfrescarsi, di che, per il tempo et per la calca, non haveano poco bisogno „ si convertì la paura in gran riso. E uscito dal mare, “ S. M. l’imperatore abbracciato con la Regina et con cento baci li dette l’uno dietro a l’altro, si condusse nel palazzo et lì stettero per hore quatro a ragionare, et poi si ritornarono a Villanova.,, Cfr. la relazione che dell’avvenimento fece il duca Federico di Mantova, che vi si trovò presente. Neri, Andrea D’Oria e la Corte di Mantova, cit. (71) Per quanto il matrimonio di Eleonora Cybo col figliuolo del celebre Sinibaldo del Fiesco, fosse stato trattato già nel 1539, la pratica parve dovesse andare a monte. Ricciarda disegnava maritar la figlia al conte Sforza djjDantaJfiora, nipote di Paolo III. Da una lettera di Gerolamo Vecchiano, scritta al Cardinale il 29 di marzo 1541, si ricava che il marchese del Vasto aveva a cuore il parentato col Fiesco ma v’erano difficoltà per venirne a capo, sicché quando si fosse presentato un nuovo partito, Innocenzo si sarebbe determinato a trovare qualche espediente per sbrigarsi onoratamente da colui. Ma conveniva pensarci bene, perchè, come l’accorto Vecchiano osservava “ il partito del ditto Fiesco sarà sempre giudicato assai migliore che verun altro che se ne potrà trovare in Italia „. (Lettera del 29 marzo del 1541, Carteggio del Card. Innocenzo Cybo, ad annum). ■ Avverso a quelle nozze, per dichiarazione del marchese del V asto fatta al Vecchiano, pare fosse Andrea D’Oria. Egli sconsigliava Gian Luigi e Maria della Rovere, sua madre, di accasarsi coi Cybo, perchè non piacevagli punto che crescesse in Genova l’autorità di quella famiglia, nè gli era troppo caro il cardinale che, sebbene arcivescovo della città, non s’era mostrato mai troppo tenero della sua patria e non v’avea posto mai la sua dimora. Difatti Innocenzo Cybo ebbe soltanto l’amministrazione dell’archidiocesi da Leone X, dopo la morte dell’arcivescovo Gio. Maria Storza, e, con ugual titolo di amministratore, secondo la consuetudine del tempo, godè le rendite di numerosi vescovati e benefici ecclesiastici acciò potesse vivere più lautamente. Costituì suo procuratore per prendere il possesso ed eleggere il vicario, Ambrogio Centurione, per atti del no- — 3i6 — taro Securando de Provanis, di Roma. Ringraziando il Doge e i Governatori che avessero bene accolta la sua nomina, Innocenzo diceva chiaro che non avrebbe potuto risiedere a Genova. L ultima volta vi venne nel 1548 per ricevere Filippo di Spagna. E infatti vi tece solo qualche rara comparsa. Suo Vicario fu Marco Cattaneo, arcivescovo Colonense, Cfr. Accinelli, Liguria Sacra, tom. II, 1519, mss. della Civico-Beriana di Genova. Ecco la lettera scritta dal cardinale alla Repubblica dopo la sua elezione: R. Archivio di Stato in Genova Lettere di Cardinali - N. G.le 2804. lllustr.mc Domine et Magnif.ci viri tamquam fratres honorandis-simi......persuadere Vostre Signorie haver preso in gran piacere che la Santità di N. S. habbia voluto dignarsi concederne la cura et administratione de la nostra honoratissima Chiesa, et maxi-mamente essere io non solo vostro concive ma figliuolo obsequen-tissimo, che cusì mi reputo, et summamente desideroso pensar dì et nocte posser far cosa che la sia in honore et commodo tanto in publico come in particulare de tucta quella cità. Anchora per haver cognosciuto la beni volentia et amor paterno che continuamente Vostre Signorie per humanità loro mi hanno dimonstrato. Queste potissime cause non obstante eh 'io mi cognosca insufficiente ad regere tanto peso, mi danno animo et ardire ad posser supplire cum lo aiuto Divino in qualche parte, sperando etiam che quelle se digna-ranno con affection paterna et prudentissimi ricordi supplire in quel che cognosceranno esser manchato dal canto mio, et cusì cum ogni instantia le prego, che mi sforsarò sempre non discostarmi da li sapientissimi lor consigli, riputando che questo peso mi debia esser commune cum Vostre Signorie, et cusì dover esser partecipe de ogni honore et merito che si potrà aspectare tanto da Dio quanto da li homini del mundo. Dal mio canto non mancherò mai far tutte quelle opportune provisioni che sia satisfacto integramente al Divino Culto, et ad ogni altra occurentia de dieta chiesa dolendomi non posserlo fare presentialmente come saria mio debito et desiderio. Tuctavolta si terrà modo non si habi a preterire quel che è debito, cum tucta — 317 — quella satisfactione de Vostre Signorie che sarà possibile. Interim mi è pai so de mandarli messer Ambrosio Centurione nostro concive et audictor mio dilectissimo, dal quale intenderanno quanto li ho dato in commissione et a quelle mi ofTro et riccomando. Romae, ex Palatio Apostolico die XV Martji M. D. XX. Tamquam frater Innocentius Cardinalis Cibo. Illust.mo Domino Octaviano de Campofre-goso, regio Gubernatori, et magnificis Dominis Antianis civitatis Ianuae, tamquam fratribus honorandissimis. Perchè il Cardinal Cibo non risiedè mai a Genova, è curioso notare come il 12 giugno del 1527, per lettere patenti di Antoniotto Adorno, doge della Repubblica genovese, che si conservano nel R. Arch. di Massa, Carte di corredo al carteggio del Cardinale Innocenzo, era concesso a lui e a’ suoi di ritirarsi, con le loro genti e roba, in Genova e suo distretto, dopo il memorando sacco di Roma. Anche l’opera del Cybo a Firenze non poteva esser piaciuta al D Oria cui non erano punto care le aderenze di Ricciarda con la Corte ferrarese. Più tardi il Principe mostrò apertamente questa avversione per il cardinale e per la Marchesa, facendosi sostenitore delle ragioni di Giulio contro la madre e cercando di obbligarlo a sè col parentado con la nipote Peretta, sorella di Giannettino. A conchiudere le nozze di Eleonora intervenne, finalmente, il conte Vitaliano Visconti Borromeo, che aveva in moglie Isabella Fieschi, nata dal primo matrimonio di Ricciarda con Scipione. Poiché, per Isabella, era doppiamente legato alle due famiglie de' coniugi futuri, il conte Borromeo adoperò sì validamente l’opera sua che riuscì a toglier di mezzo ogni difficoltà. Il 16 novembre del 1541 face-vasi remissione in lui dal Cardinal Cybo e dal Conte del Fiesco “ attorno al matrimonio da contrattarsi trai prefato Signor Conte da Fiesco e la Signora Leonora Cibo I capitoli segnavansi il 12 agosto 1542. Copia degli atti si conserva nel R. Arch. di Massa, filza Matrimoni dei Cvbo. La giovane promessa, che aveva appena 18 anni per esser nata nel 1523, (cfr. pag. 9) era nel Monastero delle Murate, a Firenze, - 318 - sotto la tutela e la cura della zia Caterina Cybo, la ciotta e virtuosa Duchessa di Camerino, per fortuna sollecita della giovinetta che la madre trascurava per abbandonarsi tutta alla gaiezza della vita coi tigiana in Roma. Anelava Eleonora d’uscire di monastero per collocarsi in matrimonio e ne supplicava insistente lo zio, più zelante dell'interesse della casa che della felicità della fanciulla. Leiagioni che l’utilitarismo domestico suggeriva, eran, del resto, allora il movente delle nozze signorili. Non deve, quindi, sorpiendeie se la più parte di que’ parentadi avean fine miserevole. E così fu di quel della Cybo col Fiesco. La promessa solenne fu stipulata il 15 settembre del 1542 e conclusa, medio et opere del Visconti fra Gio. I ran cesco Guiducci, procuratore di Lorenzo Cybo e del cai dinaie, e D. Giù seppe Ghirlanda, procuratore di Ricciarda, da una parte, e Paolo Pansa, (celebre poi nella congiura del 1547), procuratore di G. Luigi, dall’altra. Fu fissata la dote in 34 mila scudi d’oro del sole e concessa una provvisione annua di 1150 ducati, con assicurazione del cardinale sui frutti della badia sua di Miramondo, da pagarsi al marito, si decise di celebrare il matrimonio, sicché cavata Leonora dalle Murate, fu condotta a Pisa e di lì a Carrara, dove si fecero le nozze con gran pompa nel mese di gennaio i543> venendo p spiaggia dellAvenza Giannettino D’Oria con alcune galere a levare gli sposi per condurli a Genova. (72) Ouando, nel maggio del 1543, l’imperatore Cai lo V fu a Genova, il cardinale Innocenzo e la marchesa Ricciarda misero Giulio al suo servizio. E il giovanetto, (aveva appena 17 anni), accompagnò in Germania la Corte e vi stette un anno intero, finché mancatigli i mezzi disostentarsi come il decoro richiedeva, se ne tornò in Italia per chiedere alla madre quel governo degli Stati aviti che ella voleva tenere per sè. Cfr. § affetti, Giulio Cybo Malaspina, Marchese di Massa; Modena, Vincenzi, 1892; pp. 41 e 72· Pei la rottura della tregua di Nizza, era scoppiata quella nuova guerra, la quarta, tra Cesare e Francesco I, che dovea finire con la pace di Crépy (18 settembre 1544). Son curiose queste lettere scritte da Giulio mentre seguiva Carlo V, e dirette allo zio Cardinale. - 319 — R. Arch. di Sialo in Massa. Carteggio del Cardinale Innocenzo Cybo, ad annum. Reverendissimo et Ill.mo Signor mio Osservandissimo. Non voglio mancare dargli nuova del camino nostro fino a questo tempo, il quale, per gratia di Dio, sia con buona sodisfattione di tutta la Corte et senza alcun disastro. S. M. sta bene et allegro, l· ui a Milano a veder mio cugnato et mia sorella, (Vitaliano Visconti e l’isabella), li quali infinitamente bagiano le mani a V. S. R. Il Sig. Conte mi diede il cauallo molto cortesemente. Quà s’ estima che l’haboccamento debba essere fra il papa et nostro padrone, ma non si sa certo, nè manco in che luoco. Si dice in Corte che partiremo dimani alla via di Cremona. Ierisera giunse il duca di Ferrara et Monsignor di Gran Vela. Madamina mi comandò ch’io la raccomandassi a V. S. R. Mi dimandò molto del Sig. Julio de’ Medici, (il figliuolo d’Alessandro), et perchè non era uenuto seco a Genoua. Gli resposi che pensauo che fussi restato perchè V. S. R. uenne tardi in Genoua et per starni poco, et però non menò se non poca gente. Di nuouo non saprei che altro dirgli, perchè in questa Corte non si sa niente nè si parla di negotii. Facendo adonque fine gli bagierò le mani, supplicandola mi facci gratia d’espedir presto la cosa della prouision mia. Non altro. Da Pauia il di 8 di Giugno de XLIIJ. Di V. S. Rma Julio Cibo Malaspina. Al Rino e Illriio Sor Card. Cibo padrone et zio mio ossermo. R.mo Ill.mo Sig. mio, Oggi Messer Vincentio Arnolfini m’ha detto come da suo padre ha hauto hauiso che in Franzzia gli sono stati pagati li danari dall’agente di V. S. R., per il che n’ha pagati li ducento scudi della poliza et cento per conto della prouisione, che tanti gnen'abbiano dimandati. Hora non mi resta altro che dire che in infinito esser obbligato a V. S. R. che mi da potere di seguir S. M. nelle necessità grande. Nuoua non n’è se non ch’ai re di Franzzia sono giunti — 320 — cinque mila Italiani et aspetta sei mila Guasconi ueterani ch’erano alle frontiere di Spagna. Euui qualche opinione che il re uoglia metter mano sulli danari delle chiese. Lui è con potentissimo esercito a Lucemburg, terra dello Imperatore, la quale ha presa benché sia una terrazza grande di nissuna importanza. Il re d Inghilterra par che cominciassi a rafreddare quando intese l’ymperatore non s’essere scordato con il papa, al quale lui in ogni manera uuol essere inimico ; pur ha hanco congiunte con noi le sue gente, che sono da sette mila fanti et secento cavalli leggieri. Non ho altro. Bagiogli adonque le mani. D’Anversa, il dì 21 di settembre del XLiij. Sre et Nipote Julio Cibo Malaspina. Al Illmo et Rino Sor mio padrone et ciò ossermo mons. il Car. Cibo. R.mo et Ul.mo Sor mio, Hoggi ho hauute le sue di 27 di agosto, le quali hanno tanto tardato per esser capitate in casa del Sig. Don Ferrante, il quale è nel campo che marzza verso Francia, et io sono nella Corte; puio ho mandato M. Raffaello a posta che meli ha portate. Circa le cose ch’ella mi scriue, rispondo delle cose della espe-ditione gl'ho mandato le lettere di'Napoli, per uia di Firenzze, al-l’habate Guiduccio, a chi indirizzo tutte le lettere. Quella di Messina per le medesme gl’ho scritto che non la uogliono fare, ma a quella partita del memoriale S. M. ha risposto che se terria ìespecto en las cosas di S. S. R. Della cosa del Bouia fu remisso alla consulta, il che per gl’intrichi della guerra non ho potuto anchora negotiare. V. S. R. intenderà le nuoue da M. Raffaello. Qui s’è già inteso di là la liberatione di Nizza et la perdita delle quattro galere del Sig. Principe. Io uo ora in compagnia del Sig. Vmbasador di Firenze, il quale bagia le mani a V. S. R. infinitamente. La zifra non ho potuto dichiarar, per essere in Bruscello restata parte della mia robba, doue per inauertenza è restata quella. Dimattina manderò per essa et sarà qui posdimane a sera. — 321 — Non ho da dirgl’altro, rimettendomi del tutto a M. Raffaello Cosi facendo fine, per infinite uolte gli baggio le mani. Da Mons, il dì 5 d’ottobre del XLiij. Di V. S. Rma S" et Nipote Julio Cibo MaCaspina. Al Rmo et Illmo Sor mio et padrfie mio ossermo Mons. il Card. Cibo. R.mo et Ill.mo Signore, Essendosi il Gaona risoluto di uenir in Italia per alcune ragione V. S. riferirà, non m’è parso mancare con questa mia darli auiso delle cose di qua, primo circa li negotii di V. S. anchor che dal predetto questo medesmo gli sarà in presentia discorso ; pur ne dico alcune parole. Hogli per altre mie auisato che circa cciò quiui è uano ogni rimedio che si procurile non in caso che bisogni l’in-. terceder d’hauer luogho apresso S. M. del che quelli di Rauenna, (il cardinale Accolti), quando ne butaro alcune parole, hebbero asai buona speranza. Circa la cosa di Messina dal Gaona intenderà quel che sopra ui s è risoluto. Di quello ch’ella mi comanda far con il Sig. Don Ferrante, la perturbatione della rotta nostra d’Italia ne lieva il tempo d. poterlo hora negotiare, ma al più presto che potrò lo procurerò. Delli casi miei anchora, che al detto Gaona habbi commesso che in longo qui ne parli, pur non mancharà tocarne alquanto; il che e, 111 conclusione, che mi trouo a l’ultimo termine del mio potere, oltre Tesser debbilo più di 200 scudi. L'imperadore al più longo si parte fra un mese, secondo dicono che la mostra degl’Alemanni è intimata in Strasburg, cioè Argentina, alli venti di maggio ; ciascuno già quindici dì sono si prouede; io mi truouo, per restrignerlo in poche parole, senzza tutte quelle cose che per la guerra mi sono necessarie, et se non mi uien danari in termine di dieci dì, non haurò tempo nè termine a prouedere. Non dirò altro, riferendomi del tutto al Gaona. Di Spira, il dì d’aprile 29 del XViiij. Sre et Nipote Julio Cibo Malaspina Al Rmo et 111.Γιο Sor mio, padrone et Ciò osservino Mons. il Card. Cibo in Carrara. — 322 — (73) Giulio Cybo, con le genti del duca di Firenze e con 1 de’ suoi partigiani, s'impadronì della terra di Massa il lunedì ~o tembre 1546, cingendo d'assedio la ròcca, dove si chiusero i p fedeli di Ricciarda la marchesa, (ormai chiamavansi così pei esser, da due anni, morta la vecchia Lucrezia Estense Malaspina sua madre). Antonino Bocca, capitano della banda di Fivizzano, che dipende da Firenze, scese con le sue genti a Carrara e, il giorno stess , capò col castello di Moneta. Il giorno seguente Giulio in persona n- cevea la resa del castello dell’ Avenza. L’assedio della ròcca di 1S ^ 1 per cui il giovane Signore disponeva di 1800 fanti e 4 Pezzi glieria, fu reso più facile dall’aiuto di 8 altri cannoni, sbaicat galere di Giannettino D’Oria sulla spiaggia di Massa. Allora P Gassano, governatore e castellano di Ricciarda, vista impossi ’ resistenza, il 7 di ottobre capitolò e il giorno dopo sottoscrisse p recatigli, in nome di Giulio, da Paolo Migliorati di Città di Cas^ , capitano delle bande del duca di Firenze. Le pratiche di Riccia presso la Corte, i dubbi e le gelosie del Principe D Oria, P zienza giovanile di Giulio che avea scontentato Cosimo, inore termine, che hora non è, ne scriverà a a are esa, sfiatandola che venga, facendo intendere al S.or farà n e?m0/ et Clle °0me l uno et 1 aItro saranno in queste parti, io Γ °'Cle 1 1USt° et l onesto lo incaminerà; prometendomi che , e sar presente, vedrò et intenderò del modo che egli proce- mission SÌatlone della s-ra Marchesa. Io, intendendo che la com-ouella 6 ΠΟη Γ3 VenUta nd m°d0 Che V· Ex· mi scrivergli dissi d’accordo'^ ° ^ ^ SCntta'che 11 adversarii della S·™, trattando della n / °'i mU errebb:)no ad altro che essere sicuri,dappoi la morte ο.ι;Λι. ’ 0 una cosa sua, et violentemente spo- cerlo tr ^ PoteSse fere a suo modo. Su questo mi disse, che era adimónrl an 0 questa maceria> per via d’accordo, che ’l S.°r Julio secondo T Pnn.Clpalmente converrà spostarla al 1534- Cfr. η0^ε 32 e 59. Della facoltà ottenuta dall’imperatore la marchesa si valse con- *1 - 331 - tinuamente come di uno spauracchio contro Giulio. Francesco Ma-scardo, agente del cardinale, ci dà ampio ragguaglio delle pratiche fatte da lui con Ricciarda, in Roma, nella primavera del 1546, per accordarla col figliuolo, e dalle sue lettere traspare tutta l’ostinatezza di quella veramente perfida madre. Il 29 d’aprile scrive al cardinale: " Che arrivato a Roma si era presentata alla marchesa e avea lungamente ragionato di quanto gli era stato commesso dal suo Signore e di quanto avea cavato dal Sig. Lorenzo Cybo in Agnano. Ricciarda cumulava nell’odio stesso il marito e Giulio. Dice che non ha ottenuto nessuna risoluzione, perchè la Marchesa gli ha risposto d’aver scritto a Tommaso Soderini a Firenze, (l’avea inviato appunto al duca per poterlo distornare dal favorir Giulio e volgere il suo favore su Alberico, Cf. Giulio Cybo, pag. 88), dichiarando che Giulio le insidiava la vita e lo Stato e che però voleva diseredarlo lasciando tutto all’abbate (Alberico, avviato al sacerdozio). Pregava il Soderini ad appoggiare Alberico presso il Duca Cosimo perchè volesse dargli in moglie, a suo tempo, Giulia de’ Medici, naturale d’Alessandro, 0 altra. (Cosimo, però, non si lasciò adescare dalle lusinghe, e risolutamente rispose alla marchesa, che osava metterlo su contro il proprio figliuolo, che non avrebbe consentito mai di metter la Giulia in uno Stato tanto inquieto, travaglioso e pericoloso come sarebbe stato quello che Alberico avrebbe usurpato, pur con parvenze legali, al fratello). Il Mascardo continuava : Che Ricciarda non si risolvea a dargli risposta prima d'avere avviso dal Soderini. E perchè in Genova, in quei giorni, si trattava di dare a Giulio Peretta D’Oria, (cfr. nota 86), la marchesa diceva all’agente del cardinale che avrebbe, a questo proposito, risposto al Principe ringraziandolo della cortesia, ma affermando che non volea Giulio si ammogliasse perchè desiderava ritornasse in Corte per vederne la riuscita. Se mai gli offriva, come avea fatto al duca Cosimo, Alberico del quale promettevasi ogni bene, mentre di Giulio temeva non facesse tal riuscita di cui avrebbe a lamentarsi Così era la madre che, prediligendo uno a un altro figliuolo, cercava di creare, fin d’allora, possibili futuri odi mortali tra fratelli ! Lo vedeva il Mascardo che asseriva : “ Non trovar la marchesa in modo alcuno per accomodarsi per accordio col Sig. Giulio ; e faceva pronostico che partirebbe senza concluder nulla, e la pratica per Alberico avrebbe partorito discordia tra i fratelli maggior che non fosse con la madre, chè se la marchesa avesse levato lo Stato a Giulio bisognava far conto che fosse perduto „. Il pensiero che ella faceva che Giulio si riducesse a esser uomo di chiesa lui, invece del fratello minore, era, per il Mascardo, pensier vano. Conchiudeva, però, esortando il cardinale : “ Trattenga Giulio almeno fino al ritorno mio perchè non faccia novità. Scriva al Gauna che P aiuti : P affezione e 1’ amor materno potrebbero far mutare di proposito Sua Signoria „. Che il capitano Moretto .aveva portato una lettera di Giulio per pregare la madre di accontentarsi del partito delle nozze con la D’Oria, per mantenerle quel che le aveva promesso, (cioè darle, con la dote della moglie, un indennizzo per il rilascio dello Stato di Massa). In altra lettera del 3 di maggio, lo stesso Mascardo scriveva. “ Che l'animo della marchesa era tutto volto a litigar con il Signor Giulio e a diseredarlo. Il ballo è per incominciarsi. Riferisce il parere giuridico, sulla controversia, di Messer Marco Antonio Borghese, secondo il quale l’imperatore avea fatto tante concessioni alla marchesa di Massa, ma tutte sotto condizione che fosse rispettato il testamento del vecchio marchese Antonio Alberico. Dice d’averlo riferito a Ricciarda, ma che costei è persuasa tutto il mondo non le possa nuocere. Ella confessa che il litigare è 1’ estrema ruina di tutti, ma pure non vuol mancare. Finite le informazioni dei dottori tornerà a Carrara e la marchesa aspetterà che Giulio si faccia attore e le spicchi contro una citazione. Conclude riassumendo in questi tre punti le cause del disaccordo di quella donna snaturata col figliuolo: i.° Che non si vorrà ridurre mai a non esser Marchesa di Massa. 2.0 Che dubita Giulio voglia metter dentro allo Stato il Signor Lorenzo. 3.0 Che Giulio la minaccia con dir che lo Stato è suo di ragione. In poche parole il Mascardo ammetteva che odio verso il marito, ambizione smisurata, incomprensibile desiderio di usurpazione di giusti diritti fossero i moventi della marchesa a perseguitare il figliuolo. “ 333 - L ® maggio un altra lettera del Mascardo ci fa sapere che egli aveva offerto a Ricciarda 40 mila ducati per lo Stato, dicendole che intendevasi eh’ ella ne avesse a godere i frutti e non alienare il capitale, ma lei “ si è gittata via dicendo non voler sentire cosa alcuna, ma che era già risoluta comprare un buon casale in territorio di Roma „. Da un’ altra lettera del 15 maggio dello stesso Mascardo si rileva : “ Che se Giulio tornava in Corte per 304 anni pare che la madre accondiscenderebbe a dargli lo Stato al suo ritorno. Ha una durezza insuperabile con le persone inferiori che le trattano delle cose del figliuolo; sarebbe quindi necessario potesse trattarne con un eguale o un superiore Termina avvisando che il 20 maggio aspettavano a Civitavecchia Don Ferrante Gonzaga, dal quale Ricciarda vorrebbe egli si recasse per ragguagliarlo di quanto correva fra lei e il figliuolo. Quanto al duca di Firenze aveva risposto che desiderava l’accordo a ogni modo; (per questo cfr. Giulio Cybo Pagg· 87 e segg.) quello di Ferrara aveva promesso aiuto a Ricciarda. Da tutto questo carteggio sicapiscechiaramente perchè Giulio, partendosi più tardi da Roma, raccomandasse al fratello Alberico, Γ affetto pel quale non poterono distruggere le mali arti materne, — Vedi che nostra madre non ti faccia fare cosa in pregiudizio mio ! — Partì, quel 14 dicembre, per andare ad eseguire il suo — mal consigliato pensiero. — Ma chi alla sconsigliata disperatissima risoluzione lo spinse ? La responsabilita cade principalmente su sua madre, tristo e doloroso a dirsi. Poiché, per incitamento di Cosimo e con Γ aiuto suo e del D’Oria, ebbe preso, a forza, lo Stato e, come vedemmo, per ordine di Carlo V l’ebbe depositato in mano allo zio (cfr. nota 73), Giulio per tutta la primavera e la state del 1547 si adoperò per accordarsi ancora con la madre. Ma poiché il D’ Oria non gli dava i danari della dote e la marchesa non si mostrava più arrendevole che pel passato, incominciò a trattare, per mezzo anche di Scipione del Fiesco, ospite allora di Ricciarda, con Ottavio Farnesi, coi cardinali du Bellay 0 di Guisa, coi fuorusciti genovesi, con quanti Francia cercava agitare ai danni della proponderante emula potenza spagnuola. Da Roma dovea recarsi a Venezia per — 334 — accordarsi nelle ultime pratiche co’ fuorusciti e di là, come fece, muovere alla volta di Genova per suscitarvi un moto simile a quello che Γ anno innanzi, destato da Gian Luigi del l· iesco, era cosi tragicamente finito. 11 Venturini, che gli fu compagno fidatissimo in quegi estie-rai, ne’ suoi Ricordi, dice che questo era il disegno di Giulio. “ Fu pregato dal Ducha Ottavio e fratello et ancora S. Santità (Paolo III), che dovevo dir prima, et l’imbasciatore di Franza e il Cardinal di Guisa, dovesse andare a Venecia che quivi tro-veria il Sig. Ottobuone Fiescho con molti altri gentiluomeni dela parte loro. Così si partì di Roma, et andato a Venecia trovo questi nominati, et tra di loro accordatosi con la parte che tenivano in Genova et il soccorso che loro haverebbono tanto di Piemonte, che allora era tucto di Franza, et il suo mezzo, qual poteva assai rispetto a di molti soldati di Massa e Carrara che stavano in Genova, di andarsene alla volta sua, et ordinato una notte di pigliare un baluardo, quale è quello che guarda sopra la porla del Principe et i assai eminente alla città, et quivi fortificarsi con portar monicioneper tre giorni, perchè in tal tempo saria venuto il soccorso di Piamonte. Cronache di Massa cit. pag. io. La presa del baluardo di S. Tommaso, con 6oo uomini, sarebbe stato il colpo di mano da tentarsi da Giulio, che dovea poi aspettare 1’ aiuto francese da Mondovì, avendo avuto per contras-segno questa frase : Le Roy Artus et tous les Chevaliet s de la table ronde. Cfr. Giulio Cybo cit. pagg. 209-10. (77) Gasparo Venturini, di Valerio e di Maddalena Andream, fu uomo di spada e di negozi e ci ha lasciato anche una curiosa naca delle vicende massesi nel secolo XVI. Nacque a Massa, di fa miglia che dette chiari ingegni al paese, il 19 settembre del i52^· Fu paggio di Alberico a Roma e servì, poi, nello stesso ufficio, Giulio da poco marchese di Massa, rimanendogli poi sempre amoroso e fedele compagno nella prospera e nell’avversa fortuna. Fu arrestato con lui a Pontremoli, condotto a Milano e tenuto prigione fino al 19 novembre del 1548· Militò, dopo quei tristi casi, al soldo dei Francesi in Piemonte finché, nel febbraio del 1554, ebbe, mentre tro-vavasi a Ivrea, invito da Alberico, divenuto Signore di Massa, di - 335 - tornare al suo servizio. I'u con lui a Roma per un anno, poi ebbe il governo del castello dell’Avenza. Accompagnò Alberico in Ispagna, tornò in Italia con lui che servì sempre fedelmente. Uccise nel 1564 Paolino Roccolino da Castiglione, traditore dell’infelicissimo Giulio. In quel tempo i principi si facean giustizia da sè e Cosimo I si compiacque che a Venezia fosse stato pugnalato Lorenzino così come fu per Alberico notizia “ di soddisfazione „ quella che gli portò il fido Guaspar d’aver ucciso un altro traditore. Cfr. nota 117. I marchesi di Villafranca lo vollero al comando delle loro milizie, finché tornò col suo padrone. Ma la smania di trovarsi a qualche impresa guerresca lo indusse ad arruolarsi col conte Galeazzo di San-severino che andava con venti compagnie d’italiani in Francia a militare nelle guerre civili e religiose contro gli Ugonotti. Tornato al servizio d’Alberico ebbe ancora onorevoli incarichi, finché morì il 27 febb. del 1600 e fu posto nella chiesa di S. Francesco nella cappella della sua famiglia che è quella dell’ Epifania. Una lapide di marmo ne ricordava il nome e le gesta, ma fu rotta nei restauri del duomo, e la copia che, saviamente, ne fece fare Monsignor Andrea Sarti, allora arciprete della cattedrale, non è mai stata murata e si trova in abbandono nella piccola sacristia adiacente alla cappella di N. D. di Loreto nella chiesetta delle Stimmate. I suoi “ Ricordi „ editi dallo Sforza negli Atti della R. D. di st. pat. modenese furono ristampati da lui nelle Cronache di Massa, Lucca, Rocchi, 1882. (78) Taddea Malaspina, di Alberico Antonio, marchese di Massa, e di Lucrezia di Sigismondo d’Este di S. Martino, era sorella della marchesa Ricciarda. Avea sposato il conte Giambattista Bojardo di Scandiano, il 21 giugno del 1524, facendosi quel giorno in Carrara la promessa formale della dote a Merlino di Canossa, procuratore del Conte Bojardo, per atti di Ser Domenico Baldacci. (R. Arch. di Stato in Massa, Carle dei Malaspina di Fosdinovo). Rimasta presto vedova, chè il conte di Scandiano morì il 15 di febbraio 1528 nella verde età di 24 anni, s’era facilmente consolata vivendo fra la società cortigiana di Firenze al tempo di Alessandro de’ Medici. Cfr. Staffetti, Il cardinale Innocenzo Cybo, Firenze, Le Monnier, 1894, pp. 135139. Nell’ultimo tempo della sua vita si ritrasse a Massa, - 336 — dove edificò il monastero di S. Chiara, vulgo del Carmine, e vi morì nel 1555 di morte improvvisa. Il Venturini erra qui di un giorno, perchè dal documento che segue appare come Giulio partisse di Venezia la notte del 16 di gennaio. Muy Magnifico Senor, Por las mias precedentes estava V. M. avisado, tan particular-mente corno por su carta scrive, della estrada del Marques de Masa aqui, y del tiempo de su partida poco mas o menos: y aunque esto creo havra bastado para apparallo, todavia haviendo entendido que es partido està noche en compagnia de Paulo Spinola y del Capitan Alexandro de Tomase, me ha parescido avisalle, para que ponga el recaudo ala parte que vee sera neccessario. Guarde Nuestro Senor la muy magnifica persona de V. M. con el accrescentamiento que dessea. En Venezia, a XVI de Enero 1548. Servidor de V. M. Don In.° Hurtado de ΜεΝΟοςΑ. (A tergo) Al Muy Magnifico Senor, el Senor Gomez Suarez de Figueroa Ambassador de Su Maiestad en Genova. (R. Archivio di Stato in Genova. Diversorum Cancellariae fo-gliazzo n.° 2, anno 1423-1581). Cfr. Belgrano, Introduzione agli interrogatori della causa di Scipione Fieschi, in Atti della Società Ligure di st. patria, Vili, 305. (79) Gian Francesco figliuolo di Giulio di Sanseverino, già destinato dal Cardinal Cybo per marito di Maddalena, che era sua cugina, sposò invece la sorella di lei Lavinia, secondogenita della contessa di Cajazzo. Era una delle due giovanette che quella buona lana di Giambattista Cybo aveva rapito alla sorella Ippolita, vedova del Conte di Cajazzo, da Murano, quando il conte Giulio Rossi voleva sposare la primogenita, Maddalena, contro il volere della madre. Cfr. nota 11. Avea case a Piacenza e dal Venturini sappiamo che Giulio Cybo, andato con Don Ferrante Gonzaga a Piacenza dopo la morte - 337 - di Pier Luigi Farnese, era stato “ costi in Piacenza alloggiato in casa del Sig. Gian l· rancesco Sanseverino Cronache di Massa, cit. p. 9. (80) Non il giovedì grasso, ma la domenica, 5 di febbraio, Giulio, ch’era stato condotto via da Pontremoli dal capitano Giovan Battista Romano con una scorta di 100 cavalli leggeri comandati dal conte Carlo di Belgioioso, arrivarono a Milano e, poiché in piazza Castello alla presenza del Governatore e della Corte “ con un mondo di gentiluomini e gentildone „ si correa la quintana, per non dare nell occhio lo si fece entrare con sette od otto cavalli, dilungandosi alla spicciolata il resto. Non fu però tanto secretamente che il caso del giovane non corresse presto sulle bocche di quanti trovavansi presenti in su quella piazza. Cfr. Giulio Cybo, cit. pp. 216-17. (81) Grande importanza si attribuì al processo di Giulio Cybo perchè i ministri cesarei sperarono poter avere da lui le confessioni di tutte le trame che ordivansi dalla Francia e dai suoi fautori. Già il 25 di gennaio t rancesco Vinta, agente del duca di Firenze a Milano, avvisava il suo Signore: “ Al Signor Iulio Cibo si son trovate lettere del Cardinale di Ghisa, oltre alli tre mila ducati, et una cifra di mano del Monterchi, secretario del Duca Ottavio (Farnese); et egli poco avanti era stato a Venetia e a Parma „. E perchè erano state intercettate alcune lettere del re di Francia, gli dà, per inserto, ragguaglio di esse, componendone il contenuto con i disegni su Genova di cui Giulio era il principale esecutore: “ Le lettere del Re di Francia intercette andavano al Cardinale Ghisa et al Cardinale Farnese. 11 Re si allegrava della lega et ne aspettava la conclusione et si teneva bene servito della negotiatione di Monsignore di Bellay et lo commendava et ne sperava bene. Di poi vi era in cyfre come il Re parlava di Genova et temeva che per essere la cosa in mano di molti la non si scoprisse: il maneggio di Genova è in poter del Sig. Iulio Cybo, di Paolo Spinola et d’altri et forse più: Veda ìior V. E. quanto sia pressa la mina di Genova che mai non posa ! „. {Arch. Mediceo, fil. 3102). Come l’infelice giovane fu in poter della giustizia, si pensò, per forza di tormenti, cavare da lui più assai di quello che realmente sapeva. Sette volte fu posto anche alla corda il fido suo paggio Gaspare Venturini, come egli stesso narra; è facile immaginare quanto più doveasi tormentare il suo Signore. Se ne inte- 22 — 33*> — sava grandemente il duca di Firenze, che temeva di Francia, de Farnesi e degli Strozzi, e il fido Vinta, il 21 di febbraio davagli questi ragguagli. «.....Circa il S. Iulio Cibo ho fatto alcuni interrogatorii fondati sull’ ultime et inserto di V. Ex. et per commissione di questo Principe datoli al capitano di Iustitia el quale referisce havei lo doman dato se ha machinato cosa alcuna contra V. Ex. et epso haverli ic sposto di no quanto a se, ma che li ranzesi et Farnesi, per quanto vedeva, haveano pratica et spesso si ristringevano insieme, excludendo et guardandosi da lui, et li Franzesi usavano dire spesso il Duca di Fiorenza essere di maggiore importantia, nè potei si in Italia far che vaglia loro se non si toglie via questo oggetto. Le quali parole il Cap.110 le ha fatte inserire nel processo, acciò alla Corte dove si ha da inviare si veggia tutto. Ne lo ringratiai et di nuovo li redussi a memoria essere necessario cercare plus ultra, perchè 1 amico alla seconda volta dirà qualche particolare, et mostrali che V. Ex. &lie terrà obbligatione. La somma di quello che ha deposto il Cibo fin a qui ritorna a quel che è in la copia et altra volta si è scritto, di meno egli non mancha di farsi schudo con havei parlato d o0 cosa con Don Diego, et ei ha così ben assettato il caso, che se ve-nisseno confirmate da Don Diego, il che non si ciede, potrìa venirne absoluto; ma a iuditio suo et d altri ancorasi che il Cibo ne dette notitia a Don Diego per facilitarsi 1 impresa et potere securamente passare et condurla. Et se Don Diego scr’ in questo senso, s’appicherà alla tortura, et se interrogerà minuta mente d’ogni cosa et de complici etc. - Il senese (Alessandro 1 om-masi) è consapevole del tutto et riferisce che ricercandolo i F e i Farnesi per li maneggi che trattava già il Cibo, innanzi acceptasse protestò loro non volere entrare in cosa alcuna conti a V. Ex. Il caP tano li ha detto adunque fussi ricercho di qual cosa conti a S. Ex. egli ha sempre negato che gli scoprisseno in ciò machinatione alcuna, ma da per se haver prevenuto per non esserne richiesto, et se la Clementia Cesarea non l’adiuta, del senese actum est. Mons. di Bib biena mi ha detto che sono stati eletti il Barbavara et il Pirogono, duoi senatori, a competentia del Cap.n0 per intervenire al examine. - 339 - Forse il Senato haverà procurato per conservare suoi privilegi et il Principe haverli aggiunti a maggiore chiarezza...... Non se cava fin a qui dal Cibo figliuolo del Vescovo Iurgenti nuovamente preso, che sia stato in alcuna pratica. — [Arch. Mediceo,, f. 3102). Il Granvela, che voleva ad ogni costo la morte di Giulio, ordinò a Don l'eirante, il 22 di febbraio, che se ne eseguisse la giustizia. Ma il Governatore di Milano, mosso anche da simpatia per il giovane Signore che aveva avuto in Germania, ne’ primi suoi anni, fra’ suoi commilitoni, cercò sospendere l’esecuzione sperando che approdasse 0 a qualcosa le pratiche per salvarlo, sebbene il cardinale poco facesse e la madre gli si mostrasse avversa fino in quell’estremo. Il Vinta ne scriveva al duca il 2 di marzo: ..... S. S. Illma ha littere de S. M. de XXII che il S. Iulio sia decapitato, cosa che ella mi disse alla partita sua di Piacenza haverli piedetto et confortatolo che volesse tornarsene alla sua Corte o andasse a servire S. M. altrimenti teneva per certo lascerebbe la testa appiè del ceppo, et soggiugnendo io che el Rmo Cibo havea inviato suo homo all Imperatore per adiutarlo, mi rispose non havea commissione di scusarlo ma di mostrare solamente che tutto era passalo sema partecipatione del Cardinale, et il Cap.no di Iustitia mi ha referto D. Diego haver rescripto et essersi ritrovata la bugia del S. Iulio, quaie sulla corda si era disdetto et confessato che ogni cosa macchinava contra S. M. con la peggiore aidea che potesse, hebbe due strappate. 11 Senese stette sospeso ma non ebbe tratto. A l’uno et 1 altro fu fatto noto che erano rei di supplicio capitale, et assegnati X giorni per ogni lor difesa. Quanto al processo non hanno, così 1 uno come 1 altro, aggiunto cosa che sia di più, in substantia, che quel che si è scripto, et quando V. Ex. si risolva volerlo in miglior copia, la ne scriva che farò levarla. Il S. Iulio sulli inter-logatorii che se li fa di V. Ex. et del suo stato risponde non saper altro se non che e Franzesi lo tengano il maggiore opposito che habbino in Italia, nè far grande per altro Piero Strozzi che per con-trapeso, el quale desiderano poter mettere in qualche luogo di Toscana 0 alle frontiere, per occupare del continuo V. Ex. 11 capi- — 340 - tano ha mandato a S. M. la somma del processo et si prepara, passato il termine, exequire, s’altro non viene Due lettere trovate a Piacenza dettero nuovo argomento a Don Ferrante di allungare il processo di Giulio, da cui potevansi anc avere notizie delle pratiche de’ Farnesi e del conte di S. le spediva al Gran Cancelliere accompagnandole con la g In Piacenza a 21 di marzo del 1548. Al Signor Gran Cancelliero. Mando a V.a S.a qui alligato due lettere del duca Ottavio, 1 una direttiva a Sua Santità, et l’altra al Cardinale Farnese, per le qua 1 la comprenderà la Commissione et animo con chi era andato a Ro i il marchese Giulio, de Massa, et parendomi essere di molto servitio a Sua Maestà il cavare la verità del fatto et commissione cei predicto Giulio per potersene servire in tutto quello seria expe et particolarmente nella confiscatione de Novara, ritrovandosi, com mi pare, non vi sij difficultà che il predicto duca Ottavio abbia machinato alla cosa in danno et deservitio di Sua Maestà, lau il capitano di giustizia, al quale sotto le credenziale mie ^ saranno qui alligate, comunicante il tutto, examini diligentiss mente esso Giulio sopra la continentia de ditte lettere, facen dica o amorevolmente, 0 per via de tormenti che cosa bave nicato col predicto Signor duca Ottavio, et che concerto havevano fatto insieme, et se a questo fine si reputa expediente differire il are morire esso Giulio, per potere meglio venire in vera cognizione e a pratica et concerto predicto, mi remetto che si faccia quanto dicarà opportuno, dandomi poi aviso del successo. Parimente s’haverà d’havere la verità se nel concerto predicto vi è intervenuto il Conte di S.a Fiora, come si comprende per dette lettere, acciochè medemamente si possi procedere contro di luj et alla confiscatione dei suoi beni, nel che et nel resto "V. S. usare per el detto capitano tutta quella diligencia che conviene maxi-mamente sapendo lej quanto Sua Maestà desideri che debitamente si possi venire alla confiscatione di Novara. (R. Arch. di Stato in Milano, Potenze Estere, Massa Carrai a. Corrispon lenza diplomatica). Ma ormai le confessioni strappategli con la tortura, che il papa e i cardinali Farnese, Guisa e Maffei avean parte alle consulte fatte in Roma coi Francesi, che il duca Ottavio n’era promotore, e il dubbio ch’egli avesse avuto parte alle trame de’ Farnesi e di Francia, alla congiura del Burlamacchi e a certo disegno su Piombino, tanto bramato dal duca di Firenze, lo aveano perduto. E la giustizia ebbe seguito. Ma rimase l’opinione che il cardinale non avesse fatto quanto avrebbe potuto per salvargli almeno la vita. Lo scriveva l'ambasciatore ferrarese al suo Signore, che non era certo sospettabile di tenerezza pel marchese di Massa. Ill.mo et Ex.mo mio S.rc et patron oss.mo Si è detto che di corto faranno passare di questa vita il Sr Giulio Cibo ; et si tien per certo, che se’l Cardinale, suo ciò, havesse più caldamente operato con S. Μ.ώ di quello che non ha fatto, a bene-fitio del misero, che haverebbe otenuto tutto quello che avesse chiesto. Di Milano, alli XV di Maggio del M. D. XXXXVIII. Di V. Ill.ma et Ex.ma S.ria Humilissimo servitore Alfonso Trotto. (R. Arch. di Stato in Modena, Cancelleria ducale, Dispacci da Milano). Giusto è, però, si dica che Innocenzo non abbandonò il misero nipote al suo destino se non quando vide che pigliar le sue parti potea trascinarlo a rovina. La colpa maggiore fu quella della madre, il contegno della quale, fattasi delatrice del figlio a’ ministri cesarei, costrinse il cognàto, già timoroso e diffidente per natura, a sembrare più grettamente egoista che egli non fosse. Questa lettera d’Innocenzo a Ricciarda mostra chiaramente il nostro asserto. — 342 — (R. Ardi, di Stato di Massa, Carteggio originale dei Cybo. - Lettere alla marchesa Ricciarda). Illustre Signora, Non havendo dei casi di Giulio più di quanto harà V. S. con le ultime mie visto, che è troppo, a quel eh’ io ne vorrei et desidererei, non so in risposta della sua de XXV del passato che altro potermili dire, se non eh’ io prego N. S. Dio che per sua bontà et clemenza si degni consolarci tutti. Il conte Vitaliano (Visconti-Borromeo), come la S. V. vederà per l’inclusa copia d’ una sua lettera, non ha mancato procurare che l’lllmo Signor Don Ferrando si contenti che il ditto Giulio sia defeso, per giustitia, dalle imputationi che li son date, et ben che non sia parso a S. Ecc. sin all’ hora dare licenza che si possa aiu tare, non per ciò ho io mancato di scrivere al R. Mons. di Pavia, come già ho fatto intendere alla S. V., in ottima ioima, et al ditto conte che di nuovo tenti d’ haver questa gratia da S. Ecc., et nendola, che si faccia non solo per salvarli la vita, ma per liberarlo, se sarà possibile, imperò essendo vero ciò che il Gauna ha et che da diverse altre bande mi viene alle oiecchie, mi dubito che se la misericordia di N. S. Dio et la clemenza di S. M.ta non 1 a’ , tutte le altre opere et offitii che ci si faranno, li gioveian poc forsi nulla. Mi è grandemente piaciuto che in la lettera che la S. V. scriss a i di passati al Signor Principe d’ Oria non iusser quelle parole che erono in la copia che fu mandata qui a me, et la replic V. S. ha fatta hora alla risposta che S. Ecc. fece alla ditta sua et tera, sta, al giuditio mio, molto bene, ancoi che, se il Gau scritto il vero, li offitii che fanno a Milano li agenti del dicto Sis Principe (specialmente Domenico D’Oria) non coi rispondono offerte che S. Ecc. li fa. Ho ricevuto la procura che alla S. V. è piaciuto mandai mi per provedere a queste cose sue di qua, qual se lusse stata bene stesa, sicondo che a me è parso conoscere che sia stato 1 animo suo farla, starebbe, a giuditio mio, molto bene ; ma poi che quel notaio - 343 - ha misso nella narrativa di dieta procura questo Stato della S. V. in termini Januen. et le più importante facultà et authorità che quella mi da in una rimissa, me la son ritenuta in me, et le mando una minuta di come secondo me vorrebbe essere stesa; piacendoli potrà farla stipulare et rescrivere di nuovo in buona forma, et mandarmela autentica con la sua legalità quanto prima potrà, perchè poiché vedo che essa ha in me quella fede et credenza che veramente può et deve havere, la certifico che farò assai meglio questi negotii che non facci i miei proprii. Io manco so il stilo che tenghino a Milano nel procedere in le cose criminale, ma so bene che nè a me nè al Signor Lorenzo hanno mai (se ben ne li ho fatti richiedere da più persone) voluto fare intendere, in che termine et come passino le cose del ditto Giulio ; anzi al conte Vitaliano che le ne ha parlato et pregati, come V. S. ha inteso, hanno fatto la risposta che di sopra le ho detto. Resto avisato della prorogatione che si è fatta in concistorio ultimamente attorno al renuntiare le chiese chi n’ha più d’una; bisognerebbe far hora qualche pratica con chi io potessi far partito di qualch’ una delle mie, con quel più mio commodo et vantaggio che fusse possibile, al che io per essere absente della Corte posso male attendere, et manco so a chi confidentemente poter dare questa cura, che mi serva bene et fidelmente. Mi è ancora piaciuto havere con ditta lettera di V. S. inteso che alle liti che ho in Roma sia dato ordine di sollecitarne la speditione, ma non mi curo già nè voglio che a quella delli Ursini si faccia cosa alcuna, se non difenderne le ragioni mie : quando però adversarii instassero la resolutione della causa, perchè o che io mi risolverò d’ accettare 1’ accordo praticato per mano del Reverendissimo Sfrondato, conforme alla conclusione che ultimamente il Gauna me ne scrisse, et poi qui mi ha dicto a bocca haver stabilito con il Procuratore della parte adversa alla partita sua di Roma, o ver di lassarla dormire sin che mi eleggerò di pigliare qualche altra deliberatione dentro, il che li serva per aviso, et per ricordai si di commettere al sollecitato!· mio et a chi altri li parerà, che non pieteii-schino in questo alla causa de gli Orsini questo mio ordine, et — 344 — massime che ho visto per la copia del motuproprio che li ditti adversarii hanno ottenuto da S. S.ta, et d’una commissione che hanno presentata al S.ta Croce alli XV Ottobre prossimo passato che... (eroso) hora le cose mie, se ben ho ragion di credere non harìa farsi quel fine che io ne desidero et spero governandosi la cosa nel modo che di sopra li ho detto. Mando alla S. V. con P alligata, lettera per M. Innocentio conforme alla richiesta che quella ne ha fatta e mi piacerà che si solleciti la speditione di tutte quelle mie liti eccetto che la delli Signori Orsini, nel modo et maniera che di sopra li ho detto. Oltre a tutte le provisioni che sin qui ho fatte per le cose di Giulio, son risoluto tra dui dì di mandare 1’Auditore a Milano, ben che mi tenga poco men che certo, considerando li avisi che da ogni banda me ne vengano, che al ditto Giulio si gioverà poco o forsi nulla ; ma ve lo invio volentieri per non lassar nissuna cosa a dietro che sia in me di poter fare per la salute et liberatione sua, et servirà ancora 1 andata di dicto Auditore per remediare al sequestro del Stato, per la cui salvatione replico alla S. V. che a me pare che essa mandi a Milano in mano del conte Vitaliano o di chi altri li parerà più approposito, li originali della sua investitura ottenuta in Barzelona, et del privilegio del testare, et di quelle altre scritture et privilegii che quella sarà consigliata che siano necessarie et opportune per remediare al ditto sequestro et per far constare a ogn’ uno che questo Stato è di V. S. et che Giulio vivendo lei et ancor di poi sua morte, non volendo essa, non ci ha nè haria havuto attione nè ragione alcuna, et tra le altre cose parmi necessario che quella li mandi in forma autentica la cessione et rinuntia che il ditto Gililio fece alla S. V. di questo Stato, quando io lo tenevo in deposito, et la confirmatione della ditta renuntia et cessione che Giulio le ne fece quando capitolasti ultimamente insieme, acciò che chiaramente si vegga da ogn’ uno che Giulio non ci ha da far niente, et che se pur ci haveva pretendenza alcuna se ne è volontariamente privato. Et le ricordo a mandar qui a me copia giusta..... (eroso) di seri- ture che la S. V. manderà a Milano, acciò eh’ io possa farli sopra quelle considerationi che giudicherò convenienti et necessarie; nè si 1 1 1 1 1 - 345 - scordi il mandar copia autentica d’ogni cosa al Gauna in Corte di S. M., come per altre mie li ho scritto, per provedere in tempo che per negligenza o inadvertenza non si facesse qualche dichiaratione contro di V. S. che il rimediarla poi fusse di più fastidio spesa et travaglio che hora non si pensa: che il tutto li serva per aviso. Et con questo fine del continuo me le raccomando et offero che N. S. Dio li doni sanità et contentezza. Da Carrara alli Vili di Marzo XLVIII. Di V. S. Ill.ma Cognato In. Card.le Cibo. (82) Il governatore Don Pietro Duretta si scagiona di questa accusa che è, qui, ripetuta dal Venturini, in una lettera del 21 marzo 1548 al cardinale Innocenzo Cybo, dal quale eragli stato chiesto conto della roba del nipote. Scrive: “ che Maestro Lorenzo gli ha presentato la lettera sua e di Giulio in cui li richiede certi ducati, oltre i 2000 che gli erano stati presi. Dice che non è vero: i 2000 si mandarono a S. E. il Governatore di Milano; degli altri il Marchese stesso avea voluto se ne dessero 10 0 15 a testa a quei gentiluomini e soldati che, nel tumulto per prenderlo, lo aveano salvato da maggiori ferite. Che anzi, mancandone 35 ai 2000, dovette richiederli a costoro perchè tornasse il conto. A Milano avea mandato anche un giaco e certe maniche di maglia. I 2000 ducati per S. E. il Governatore li ebbe quel capitano Giovan Battista Romano che fu a prender Giulio a Pontremoli. Termina assicurando e protestando che .anzi egli ha speso del suo più di 100 ducati e che dette a Giulio, acciò non patisse pel cammino, una veste sua di pelle che avea pagato 30 ducati. Dichiara che ha fatto tutto per reverenza del cardinale zio, a volere del quale pagherà anco la somma che gli è richiesta e anche più „. (R. Ardi, di Si. in Massa. Carteggio del Card. Cybo). (83) Antica e nobile iamiglia di Genova, gli Squarciafico risalgono al secolo XI. Secondo il Giscardi, Orìgine e Fasti delle nobili famiglie di Genova, to. IV, mss. della Civico-Beriana, nel secolo XIV si unirono ai Ganducci. Nel 1528 furono aggregati all’albergo de’Cigala. l· ra' personaggi insigni del '500 è memorabile Oberto Squarciafico, senatore nel 1541 e sepolto in S. Caterina nel 1553. Delle — 346 — varie gentildonne di questa casa colei di cui fa qui ricordo Alberico Cybo dev’essere Tedina del qm. Domenico D’Oria, moglie, secondo il Buonarroti, Alberi genealogici, 111°, 2n p. mss. della Civico Beriana, di un Giovan Battista, la quale fece testamento p. atti di Ser Ambrogio Rapallo il 28 ottobre 1611. Il Battilana, Famiglie Genovesi, nell albero dei D Oi ia, ponen dola tra’ figliuoli di Domenico, la indica così: ledina in Baitolomeo (non G. Batt.) Squarciafico. (84) Coetanea quasi di Gian Luigi, che nacque nel i522> Claudia di Sinibaldo sposò in prime nozze Scipione Ravaschieri, qm. Leo nardo, di Chiavari, poi, in seconde nozze, l’affine Battista Fiesco qm. Andrea. Claudia e Battista ebbero sepoltura in S. Lorenzo di Genova, nella cappella di S. Gerolamo, in cornu epistolae, che incominciata da Antonio fu condotta a compimento da G. Batt. d’Andrea. Un’epigrafe, sormontata dallo stemma fieschino, ne fa questa ricordanza: D. Ο. M. IOHANNES BAPTISTA FLISCVS, CLAVDIA VXOR ET ILL.MI COMIUS SINI BALDI FLISCI FILIA, SIMVL CONIVNCTISSIME VIVENTES, SIC EODEIV HIC AB IPSO CONSTRVCTO OSSA REPONI CVRARVNl. ANNO DOMINI MDCVI. Piaggio, Monumenta Genuensia, to. II, car. 21 e 22, mss. Civico-Beriana. Cfr. anche Battilana, op. cit., Ili0 6. (85) Camilla Fiesca fu il primo giovanile amore di Giulio Cy o perchè nel 1544 era sposata già a Niccolò D’Oria di cui le nacquero cinque figliuoli: Girolamo, Battista, Sinibaldo, che rifaceva il nome dell’ avo materno e fu il continuatore della linea, Gio. Maria e Luigia. Cfr. Battilana, op. cit. I, 54. (86) Queste nozze con la nipote, sorella di Giannettino, fui0110 imposte a Giulio da Andrea D’Oria. Il giovane marchese di Massa cercò invano schermirsene. Il duca Cosimo di Firenze gli avea dato il consiglio “ di non si legare „ almeno fin tanto che non avesse de - 347 - finite le quistioni con la madre: ma Giulio sperava di potersi valere della dote per soddisfare le pretese di Ricciarda. Anche il cardinale Innocenzo pareva poco propenso a quel parentado e, il 27 maggio del 46, scriveva alla cognata Ricciarda a Roma “ Che il Conte del Fiesco non avea inteso volentieri il parentado di Giulio, perchè voleva che i Cibo servissero alla grandezza sua e fossero suoi cognati „. Dopo aver accennato alla parte che il duca di Firenze pigliava nelle cose di Giulio, consigliava Ricciarda a rivolgersi al vescovo dell Aquila (Bernardo Santi da Rieti) “ che trattò la causa della marchesa di Monferrato Terminava con dire: “ Abbiate cura ale pute, che so quello vi dico „, nelle quali parole non sappiamo vedere altro che un amaro accenno del cardinale alla trista riuscita di Giulio e la sola speranza che pareagli potesse porre la marchesa nelle due figlie naturali del cardinale, la Ricciarda e la Lena, tanto care ad entrambi. Cfr. il mio Innocenzo Cybo, pag. 239 nota 3, e pag. 251, nota 2. Giulio, costretto a legarsi col Principe, poiché da’ suoi non vedea modo d’esser soccorso nelle sue necessità, a rompere ogni indugio perchè dalla madre non venivagli il richiesto consenso alle nozze, si determinò a risolversi per conto suo e, disponendosi a partire per Genova per concluder la pratica, scrisse allo zio cardinale questa lettera, che prova lo stato d’animo del giovane combattuto fra le più atroci incertezze. Rm° et filmo S.or mio. Perchè m’è necessario partir per Genova, per una che tengho di là che così m’impone, non voglio partire senza prima far il debito mio con V. S. Rma et veder s’ellaperlà mi vuol comandar cosa alcuna; però io sarò nell'hora della ricevuta di questa al Ponte Cimato, ove aspetterò 0 lei o il portator di questa 0 suo mandato. Et di là andrò al mio camino, facendola però certa non esser per mover cosa alcuna di nuovo fino alla venuta della risposta di Roma, la quale essendo secondo deve, iol’harò per carissima; ma non essendo, mi dorrà assai — 348 — ch’ella mi sforci a tentar chi l’intenda meglio o lei o io. Non dicendo altro, a V. S. Rma bagio le mani. Da Fosdinuovo il dì VIJ di Giugno del XLVJ. Di V. S. Rma Sre Julio Cibo Malaspina. Al Rmo et 111"10 S. Carle Cibo padron osser‘n° (R. Arch. di Stalo in Massa, Carteggio del Cardinal Cybo). Peretta, sposa di Giulio, fu da lui condotta a Fosdinovo presso la sorella Luisa, moglie del marchese Giuseppe Malaspina, dove, fra le ansie più crudeli, i due sposi passarono parte di quel tristo anno 1547 che fu il primo ed anche l’ultimo della loro unione. Vedova del giovane Signore di Massa, Peretta si rimaritò con l’affine Filippo D’Oria, qm. Filippo. (87) Niccolò d’Oria, qm. Girolamo, marito di Camilla Fiesca, (c r. nota 85) non andò troppo d’accordo con il Principe Andrea. Sì conoscono allusioni d’insidie e di macchinazioni che mostravano 1 dissi 11 domestici. Pertanto, lasciata Genova, pose dimora a Valenza in Ispagna. (88) Per la congiura del 2 gennaio 1547 furono confiscati gli antichi feudi dei Fieschi e attribuiti alla Carnei a imperiale, fratello più giovane di Gian Luigi, Scipione, che al tempo di que moto era in giovanissima età, protestando della sua innocenza guardo a quelle trame, fece subito, sui primi del 1548. ista»za a Carlo V per ottenere il riacquisto de’ beni della sua famìglia ^ con fondamento de’ suoi antichi privilegii et testamenti con strettissimi fideicommissi confirmati et da S. M. et da’ suoi predecessori ,,. Cosi avvisava Don Ferrante Gonzaga l'imperatore con suo dispaccio de l’8 febbraio 1548. Cfr. Documenti ispano genovesi dell'Archivio di Si-mancas, in Alti della Soc. lig. di St. patria, Vili, no. Ma Cesare non accolse le istanze di Scipione e di quei feudi gratificò, più tardi, la Repubblica di Genova, il DOria e pochi altri che Io aveano fedelmente servito e poteano ancora giovargli. Con lettera del 27 ottobre 1547, Carlo V partecipava al igueroa, suo ambasciatore a Genova, il disegnato reparto di quei castelli· Cfr. Documenti ispano-genovesi, cit. pag. 202. Allora accadde di Scipione - 349 - quello che, contemporaneamente, avveniva del marchese di Massa; disperato di ottenete da Cesare quello che credeva dovesse spettargli per giustizia, si buttò al partito de’ nemici di Spagna. Volle il destino che i due giovani, agitati dalla stessa smania, si trovassero insieme a Roma in casa di Ricciarda Malaspina. La perfida donna che non dubitò di svelare le trame del figlio, mise i ministri cesarei sulle tracce della complicità di Scipione. Il quale, dopo la fine miserevole del marchese di Massa, fatto più esperto dalla sventura di costui, pensò bene riparare alla Corte di Francia. Fiattanto, d’ordine di Carlo V, il Figueroa iniziò procedimento contio Scipione, in contumacia, perchè aveva cospirato" contra Cameram et civitatem nostram imperialem Genuae, adeoque contra nostram classem maritimam eiusque Praefectum, ope, opera et consilio „ con Giulio Cybo. L imputato ebbe invito di comparire personalmente a sdebitarsi : ma egli era troppo ben sicuro in Francia per fidarsi della problematica tutela d’un salvacondotto. Però il Figueroa, il 28 gennaio 1552, sentenziò che Scipione era colpevole del crimine di lesa maestà condannandolo, come ribelle, alla decapitazione, ponendolo al bando, e privandolo de feudi, grazie e privilegi che avesse mai avuto dalla Maestà Sua. Se non che terminata la contesa semisecolare tra Francia e Spagna, che avea agitato e commosso, non che l’Italia, tutta quanta l’Europa, a Chateau-Chambrcsis, fra i patti della pace, stipulavasi che a Scipione Fieschi si concedesse di far valere ancora le proprie ragioni sui feudi paterni. Ferdinando I imperatore confermava la pace nel 1562 però Sinibaldo faceasi fuori a richiedere i suoi beni. S’iniziò allora una famosa causa tra la Repubblica e il Fiesco che durò parecchi anni, deducendosi da lina parte e dall’altra una serie numerosissima di testimoni. Il Fieschi si adoperava a ridurre la congiura nei limiti di una vendetta privata e così i suoi fautori. Fra’ quali, come appare da queste parole, era Alberico Cybo che desiderava apparisse l’innocenza di Scipione perchè non crescesse l’odiosità contro la memoria di sua madre Ricciarda, ritenuta delatrice della trama, e anche per diminuire, per corrispondente reazione, la triste ricordanza del fratello Giulio. Gli stava troppo a cuore l'onore - 350 - della casa e la devozione alla Spagna, da cui tanti favori aveva ottenuto e tanti maggiori si riprometteva, per non adoperarsi a tut· t’uomo a diminuire la fama non buona che circondava la morte di Giulio. Però come, costantemente, con gli storici e, più che mai, con quelli di Genova, quali Uberto Foglietta, e della congiura (ìeschina quali il Porzio, si adoperò, con ogni mezzo, perchè alleviassero la colpa del fratello, così ora cercò di procurare che la complicità di lui con Scipione non apparisse o si riducesse a poca conseguenza. La Repubblica, dal canto suo, rispondeva all’azione del Fieschi validamente sostenendo che la congiura era stata una vera offesa a Cesare e a’ ministri cesarei. Fu necessario ricorrere a sommi giurisperiti specialmente per la cresciuta autorità di Scipione: finalmente il 2 agosto /574 Massi miliano imperatore emanò la sentenza per cui dichiarava reos ab instituta actione absolvendos esse. Cfr. Belgrano, Introduzione aji Interrogatorii ed Allegazione spettanti alla causa promossa da Scipione Fieschi per la rivendicazione dei feudi paterni, in Atti della Soc. lig. di St. patria, Vili, pp. 295 e segg. (89) Il processo di Giulio Cybo era in un grosso volume e visto, a Milano, da parecchi dei testimoni che furono interrogati nella causa promossa da Scipione Fieschi, di cui alla nota prec. Portato a Genova ne ebbero visione anche Andrea D’Oria, Adamo Centurione, Domenico D'Oria e l’abate D’Oria. È pur vero che costoro eran testimoni sospetti perchè parziali, come ben osserva Alberico,^ 1 pare che quello che dal processo appariva potesse creare più d una difficoltà: però, a istanza del Cardinal Cybo, e, torse, anche per de siderio di non suscitare nuove rappresaglie che già il tristo governo del Gonzaga avean reso, per più titoli, odioso, fu da costui dato alle fiamme. (90) L’elezione al cardinalato d’Innocenzo Cybo lu nella prima creazione di cardinali fatta da Leone X il 23 di settembre 1513· Essendo nato il 25 agosto del 1491 (cfr. pag. 4), aveva appunto compiti ap pena i 22 anni, ma il papa lo scelse in età così giovane e pei compiacere alla sorella Maddalena e per mostrare il suo grato animo verso quella famiglia Cybo da cui riconosceva la promozione, in an- - 351 - coi piìi giovane età, al cardinalato per opera d’Innocenzo Vili. Nar-però che desse il cappello al nipote con queste graziose parole: Quod ab Innocenlio accepi Innocentio restituo. Insieme a lui furono eletti tre cardinali carissimi a Leone X per più titoli: Giulio de’ Medici, che fu poi Clemente VII, Bernardo Di-vizi 1’ arguto poeta tanto noto col nome della patria, il Bibbiena, e Lorenzo Pucci, fiorentino. Nei Regesta Leonis X del card. Hergenròther, pag. 203, si legge: 23 sett. 1513. Praesentibus in Concistorio viginti cardinalibus, quat-tuor novos Cardinales creat: 1. Laurentium Puccium, florentinum, dataiium, 2. Iulium de Medicis, consobrinum suum; 3. Bernardum de Bibiena, thesaurarium generalem; 4. Innocentium Cibo, suum, ex Magdalena Sorore, nepotem „. Cita. Paris de Grassis, f. 58, b. E aggiunge: “ Qua de re Fer-dinandum Regem catholicum certiorem facit. — Etsi scimus iis de ìebus etc. Bembus, Lib. V, cap. 7, pag. 37. Roscoe, to. V, doc. 83i PP. 263-264 „. (91) Vecchio più di quello che non portasse l’età sua, accasciato da’ malanni, non troppo ben visto da’colleghi, Innocenzo, com’ebbe inteso la morte di quel fiero Paolo III con cui non s’era conciliato pm mai, sentì riaccendersi in lui tutto il fuoco dell’ambizione e lasciata la Lunigiana, dove, da dieci anni, avea posto stabile dimora nelle terre della cognata marchesa Ricciarda Malaspina, da Carrara s avviò a Roma. Sperava che, nel conclave imminente, la fortuna lo a\ esse, finalmente, da assistere e si raccomandava, specialmente, al duca Cosimo de’ Medici. Sono curiose le notizie che, su quel conclave stesso, dal quale dovea uscire eletto papa Giulio III, rilevansi da varie lettere senza firma, che però dal carattere e dal sigillo appariscono scritte da Monsignor Gerolamo da Vecchiano, vescovo di Vul-turara nel regno di Napoli, fidissimo segretario del cardinale Innocenzo Cybo. Le tolgo dall Archivio di Stato in Massa, Carte di corredo ol carteggio del Cardinale Innocenzo Cybo. Moggi si sono havute le vostre di hiersera alle 24 hore et l’altra d hoggi delle 17 hore et inteso quanto finalmente havete cavato da don Pedro; attorno al che vi si dice, che se ci potessimo tener — 352 — sicuri li voti di quelle persone che’l don Pedro vi ha nominate, el principio di questo negotio sarìa sì buono che se ne potna sperare migliore mezzo et ottimo fine; si che vadisi continuando el tenerla pratica viva, perchè piacendo a Dio et non sopraggiungendo alti o a Sua S. Rev.ma, sabbato al più tardi mi tengo risoluto che si ritornerà costà dentro. Alla vostra littera per el Ghirlanda darò ottimo ricapito, et al vostro servitor ho fatto dire quanto mi havete scritto ciica 1 vostro saio et el resto et mi voglio pur credei che exequirà se li è ordinato. Li ordini deliberati da quelli sei R.mi deputati sono stati tenuti santi et buoni, purché si osservino. Sentendo altro, si attorno a questio negotio come al resto, fate di tutto pai te a sua S. R.ma Attendete a star sano et vi bacio la mano. Alli 28 di ^en naro 1550, a hore 2 di notte, etc. (A tergo:) Al Mag.00 Messer Francesco Mascardo Conclavista del R. S. Car.le Cibo. S.or Mascardo, per via ordinaria si è risposto alla \ osti a hiersera et inclusoline una per el S.or don Pedro; et in questo punto che sono circa hore 2 et */2 si è riavuta la vostra d hogtoi, date 2 hore, con la quale sollecitate la venuta di S. S. in nome del d'Oria in conclavio o prima o poi del scrutinio, purché sia domat tina a ogni modo. Al che vi si risponde, che anchor che oggi el Cardinale habbi havuto un poco di alteratone et che li m habbino ordinato la medicina per domattina, a ogni modo, che dimeno, importando la venuta sua dentro, per honor et comm della persona sua particolare, che si lasserà stare di pigliai la d medicina et verrassi dentro domattina a ogni modo inanzi desina , quando si stesse bene, a risigo di dovere peggiorare della malati’ che hora si ha; ma che quando la venuta sua costà habbi a sei vi a altri che a noi stessi, o si possa senza incorrere in qualche ev dente et troppo gran risigo 0 pericolo, da non poterlo mai più ri mediare, indugiar a venir costà sin a posdomani, che si fai ia volen tieri per venirli purgato et poterli poi stare sin alla fine del nego tio, senza portarli più risigo; et tanto stando massime questa riforma - 353 - in osservanza che non se ne possa più uscire se non in caso di necessita di morte. Si che rispondeti subito et chiaro et risoluto, per-che el Gaeta ha ordine di aspettare la risposta di questa, et conforme alla risolutione et risposta che ne dareti, si exeguirà di qua et ci governeremo circa ’l venire domattina. Baciate la mano del d Oria m nome S. S. R.™; et v0; atiendeti a star sano. Alli 29 a hore tre di notte in circa. Al Mag.co m. Francesco Mascardo, conclavista del R.™ Cibo. Mescer Francesco. Ho veduto il tutto. Et quanto alla bontà et morevolezza di Mons. R.mo D’Oria non c’è punto nuova, et ne li aceiet.li humilmente le mani; et conforme al suo consiglio dimat-tina verrò et intenderò et parlerò et farò quanto sarà indicato expe-lente per il servitio et honore di Dio, prima, et poi per salute della hristianità, et per commodo et servitio di tutti quelli S.", mei S". Così la Divina Maestà inspiri et me et loro a qnello che sia quello di sopì a. Et non mi occorrendo altro, havendo da esser costì farò fine. Di Roma alli 30 alle 11 hore. Ridolphi è cascato morto havendo cenato. (A tergo:) M. Francesco Mascardo (a). S*°r Mascardo) la varietà delli aduisi che si contengono in le 4 vostre che si son havute da hieri alle 24 hore sin adesso, et el non sentirsi el Cardinale anchor talmente revalidato che si ......ga (*) ritornar domani nè forsi l’altro costà dentro, non essendone astretto più che quanto hora si vede dalla necessità, son causa che non si venuto hoggi, perchè in conclusione quelli S.n non stanno troppo fermi in un proposito; ma non per questo bisognia perdersi d’animo, ne abbandonare l’impresa, anzi è necessario continuarla con osmi o a Lettera del Cardinale Innocenzo Cybo senza firma. È del ìo "-en· naio del 1550. s *’ Parola corrosa. 23 354 — modesta diligenza et con mostrar di restare ^disfattissimo e se guito et di sperare meglio per l’advenire; et conquesto procedere ingegniarsi di acquistare sempie qual che q che cosa di più. Poi che el Savello ha havuto la sua polixa e on e io a sua, non occorre circa di ciò per hora du altro, se non < 1 se si risolveranno di rispondere o di operare niente ci don Pedro non vuol negotiare prima che '1 Cardinale non sia in Conclavio, bisogna rimettersene alla sua deliberatione et s ^ der quello succederà. La polixa di hoggi alle XV hot e eie ìave inviata per via di D’Oria non è sin hora comparsa. Ho man a o per essa et ricevendola ve ne darò adviso. Li cialdoni per D Oria si et domani si manderanno. . p Li tre conclavisti il cardinale alla sua venuta li nomine, a. · ehè non può se non servire che se intertenga Ferrara con e dextreza, el Car> desidera che ne ternate proposito con D O a, esso lo vada mantenendo in fede, senza guastar dalla a P niente. La polixa delli XV hora si è havuta in questo pur _ adviso, se altro non ci astringe a venire dentro più di qu sin hora si è visto, et se più che giusto impedimento ^ el venirli, aspettate S. S. R.“ domenica sera o lune i ogni modo; et credo che sarà con Rido, phi anchora. E, 1 car- -dinal Del Monte pontefice e toccava proprio al Cybo consacrar o incoronarlo. La sua già rovinata salute non potè 1 esistere disagi patiti durante il conclave e all’amarezza del disinganno : costretto a stare a letto non si alzò più e morì il 14 d’aprile, il giorno dopo aver fatto il suo testamento, che per molte notizie che contiene, (a) Lettera, senza firma, del Vescovo Vecchiano. - 355 - curiose specialmente per la storia del costume, ci piacque pubblicare (!). M F (92) 11 Forcella, Iscrizioni delle Chiese e d'altri edificii di Roma, I» pag. 448, n° 1737 riporta, dall’anonimo spagnolo del codice chinano, f. 169-169 v., la seguente epigrafe posta già in S. Maria sopra Minerva al Cardinale Innocenzo Cibo. D. Ο. M. S. Innocentio Cibo ianuen diac. card. Boni- FACII IX ToMACELLI PONT. MAX. AGNI ΑΤΟ In-nocentii Vili Ρυ. MAX. nepoti, Leonis X PON. MAX. SOR. GERMANAE F. ClEMEN. VII P. M. SORO PATRUELIS F. VIXIT AN. LVIII. M. VII. D. XIX Card. XXXVII ann. fuit decessit IDIBUS APRILIBUS ΑΝ. Μ. D. L. SUI POSUERE VIVITE UT MORITURI AERE SOLUTO 50. AUR. RESTAURATUM AN. IUB. Aggiunge però: “Dopo l'ultimo restauro fu distrutta, e sostituita la seguente nel pavimento del coro „ : Riporta, qui, l’epigrafe che è, salvo l’ommissione delle due ultime linee, corrispondente a quella del testo. (93) Negli ultimi anni della sua vita Giambattista Cybo, lasciata 1 Italia dove non s’era segnalato davvero per morigeratezza di vita, se ne andò al governo del suo vescovato di Marsiglia, insistendo su questo anche il suo fratello cardinale che ebbe a dichiarare “ non volersi più impacciar de’fratelli suoi „. Passò la maggior parte de suoi giorni nel castello di Signes, dipartimento del Varo, e quivi 11101 ì il 15 eli maizo del 155°· Fu sepolto nel coro della chiesa parrocchiale di Signes che, prima della Rivoluzione francese, apparteneva alla diocesi di Marsiglia. Nessun ricordo marmoreo lo rammenta: ma l’illustre Sig. Henri Gerin Picard, segretario perpetuo della Socicte statistique de Marseille, m’informa che è intendimento (') Vedilo nell’appendice che precede queste note, pp. 177-1S4 — 356 — del maire di Signes ricordare, con una lapide, il nipote d'inno- cenzo Vili. , . Λ, L’egregio Signor Mireur, archivista del dipartimento del aio a Draguignan, è quello che ha il merito d’aver rintracciato i se- polero di Giambattista. Con squisita cortesia egli m ha vo u o av rire tutte le notizie, non solo, ma anche l'estratto qui annesso e e deliberazioni del Consiglio generale del Comune di Signes pe, a morte del vescovo di Marsiglia. Conseilh et caps ad justas. L’an susdict [1550] el XVI del mes de mars, congregat le con-seilh generai de la conmune de Segne, en la chambre de la m y son du “ bayle „ " Son estas presentz . « En loqual conseilh avansat et fach preposte... M A"thoj™ Amalsie, sandie, eonment Mons.' le Reverendissime jehan Bapns Cibo, evesque de Marseilhe, lequal serio trespassat aques ^ en lo dic. Signo et loqual Sieur [après] aver gardat - - . estat ensepvelly en la grand gleyse du die. Segno, ce que ’ d’uhey es vengu, Mons/ le canonge Glaudo de Paulo, de e gh majeur du die. Marseilhe, se disan. Vicaire de lo die. evesqua.comm et deputa, per lo capito, loqual a parla, aus d,c. conseul per^vole enportar lo corps du dic. Seigneur Reverendissimo, en fean, que d dr eh, e deu es.re ensepvelly en la die. esgliso de la Majeur per so que serio grand honor au die. luoc que lo die. corps aetendat que jà es enterrat, serio ben resouldre si a vi enportar lo die. corps, ho non, per so plasso [pia,se] advisar et seilhar: » Laquallo preposte facho et per lo die. conseilh et caps en dodo, es estat ordenat, a las voyes et conclud que, la villo, sera demandat doublé au die. mons'. lo canonge de Paulo Vicari de son entention per escript et terme |delai] pei anar per conseilh per vezer et saber de drech si lo die. corps demorara au die. luoc ou non, attendut que es ja enterrat. Et, si lo die cappito vo - 357 - layssar lo dic. corps en so dic. sepultura, lo die. villo, si es advisado fayre plus amples solempnitatz, fara son dever corno bons subjeetz et per l’amor que lo die. villo a portat a die. Sieur Reverendissimo, et loud. cappito, si vollon faire de leur part, corno son tingus; et, en cas que lo die. mons1' lo canonge e Vicary non vuelho donar lo die. doublé et terme per anar per conseilh el volguesse emportar ou faire em-portar lo die. corps, serien fachos protestacions 011 appellations au contrari jusques sio conegut per justicie et, per exequutas lo die. or-nanso, es conmes les die. conseulz....... (Archives communales de Signes (Var), BB. 3, f5 ini). La data precisa della morte di Giambattista, che nella Gallia Cristiana cit. e nel Ruffi è portata a 6 anni più tardi, restò ignota finché dall’Abate àlbanés non fu publicato YArmorial et Sigillographie des eveques de Marseille. Nel volume postumo della sua Gallia novissima, pubblicato a cura del canonico Chevalier, è stampato il testo del processo verbale della venuta a Signes del delegato del capitolo della Cattedrale. (94) Rimasta, così tragicamente, vedova per l’improvvisa morte del marito Gian Luigi Fiesco, che prima di mettersi all’arrischiata impresa della notte del 2 di gennaio le aveva fatto balenare dinanzi il miraggio della grandissima sua immediata fortuna, Leonora, ancor giovanissima, si rifugiò nel convento di S. Leonardo. Due delle sorelle di Gian Luigi erano monache, una in S. Andrea, l’altra in quel monastero vicinissimo al palazzo di Violata. Fu, più tardi, da’ parenti suoi mandata a prendere e ricondotta in quel convento delle Murate a Firenze dove aveva passato i primi anni della giovinezza e da cui era uscita con tanta lieta speranza. Tornare, ora, nel chiostro, fu per lei molto amaro: ma ben presto ebbe più vive ragioni di rammarico quando s’accorse che Lorenzo suo padre, il cardinale Innocenzo e Ricciarda sua madre, per quanto non fossero tra loro concordi nel resto, in questo si accordavano, di volerla mantenere nella più stretta clausura per disporne a loro arbitrio. Allora la giovane donna si ribellò contro i parenti che, per la seconda volta, avrebbero voluto mercanteggiare le sue nozze senza consultarla e si rivolse al duca Cosimo. Il quale per opera di Don - 358 - Pedro di Toledo, del vescovo di Cortona, di Iacopo de Medici e di Cristiano Pagni trattò di dare alla vedova del Fiesco, cui, frattanto era stata confiscata la vistosa dote di 34 mila ducati, il Signor Gian Luigi di Niccolò, detto Chiappino Vitelli, giovane di 29 anni che era uno de’ suoi più fidi capitani. Ma i Cybo non volevano sentir pai-lare di queste nozze e mandarono a Firenze prima il marchese Leonardo Malaspina di Podenzana, perchè, con una lettiga, pigliasse Leonora e la conducesse a Massa presso il cardinale e la madre, e poi il marchese Gian Francesco di Sanseverino che, lo vedemmo già, avea sposato Lavinia, figliuola della contessa di Cajazzo. Ma Leonora si ribellò al volere de’ suoi, atterrita al pensiero che, venuta in Lunigiana, fosse poi costretta ad agire contro la sua volontà. Le pratiche corsero attive e in termini abbastanza aspri fra Firenze e Massa. Finalmente ebbe il sopravvento il volere di Cosimo che impose alla giovine vedova di risolversi, assiemandole che la volontà sua era quella del cardinale. Così Eleonora, pur di uscire da quella prigione di vivi, accettò le nozze di Chiappino λ itelli di maniera ch’io feci tutto quel che volsero, sbigottita e spaurita „. Questo secondo matrimonio non fu più felice del primo, chè il Vi telli, uomo d’arme e di fieri costumi, non visse mai tranquillo con la moglie ma ebbe parte in una serie lunghissima di guerre e morì il i° luglio 1575, a 56 anni, mentre era in Fiandra e consumato dal diabete lo portavano attorno in lettiga. Cfr. nota 36. (95) Lorenzo Cybo morì a Pisa il 14 marzo del 1549· Traspor tato a Massa fu posto in S. P rancesco, dove il figliuolo Alberico g fece, più tardi, erigere un monumento marmoreo che, purtropp perversità del tempo congiunta con la trascuratezza degli 1 ' ha ridotto in miserrime condizioni. Del bel mausoleo, fattura artista della seconda metà del secolo XVI, rimane tuttora 1 elea tissimo sarcofago adorno d’un grazioso motivo di frutta, e poggia su quattro zampe di leone. Sopra il coperchio è disteso, a fiaur naturale, Lorenzo, chiuso tutto nell’armi, con corazza, schinieri gambali, un po sollevato sul fianco, e che posa sul braccio destro il capo sorretto dal morione. Quando, al tempo della gazzarra già cobina del 1797, le tombe de’ Cybo, arricchite sontuosamente dal lavoro della sepolcrale cappella che, seguendo il voto di Alberico II - 359 — suo padre, Carlo II commise all’architetto carrarese Bergamini, furono profanate e sconvolte, andò manomesso anche il sarcofago di Lorenzo. Ma chi, pietosamente, ne riunì, più tardi, gli avanzi li raccozzò malamente. Infatti l’imbasamento sottostante all’urna su cui è giacente la figura di Lorenzo non ha nulla da fare con essa come 10 prova la diversità di fattura de’ puttini che lo adornano e della cartella che sorreggono. A crescere questa irregolarità si è aggiunto l’abbandono vergognoso in cui, da varii anni, è lasciata quell’ opera insigne, che co’ resti addossati della graziosissima figura di Eleonora Malaspina, dovuta indubbiamente a un comacino, forse Pietro Aprili da Carona in valle di Lugano, e tanto rievocante la llaria del Carretto d’Iacopo della Quercia, si copre di viscida muffa verdastra. L’ Opera del Duomo non osa far nulla dubitosa di entrare in guai col Demanio. 11 R. Ispettore e la Commissione Conservatrice de’ monumenti non riescono a fare udire la loro voce perchè il governo, in difetto di mezzi per provvedere a’ restauri, non sa trovare neanche quelli per impedire la totale ruina di quei cimelii, che quanti intelligenti han veduti, fra gli altri lo Steinmann che ne scrisse nella Kunstkromch invitandoci, cortesemente, a illustrare l’opera insigne, ammirarono grandemente. Sul muro è incastrata l’epigrafe posta a Lorenzo prima di quella che, poi, gli fu scolpita sulla sepoltura dove fu chiuso con la moglie Ricciarda e col figliuolo Giulio. È spezzata e frammentaria, e poiché il Viani, op. cit. pag. 94, riporta quest’ ultima e la prima è incompiutamente riferita dal Matteoni, Guida delle Chiese di Massa Lunese, Massa-Carrara, Tip. Cagliàri, 1880, pag. 10, la diamo con la ricostruzione della parte mancante, fatta col sussidio dello Zazzera, Della Nobiltà d’Italia, Part. Ia. [D], Ο. M. GRATUMj HOMINIBUS DEUM PETENTEM LAUREN TIUM EX NjOBILISS. CIBORUM FAMILIAE S. R. E. VEXILLIFERUM MA X. Q[UE] FRANC. [i] FRANCORUM REG. [eQUIT.J 'PEDjIT. PRAEFECTUM, LACRUMA qui legis [et ALBERIjCO FILIO PRINCIPI OPTIMO COMPATER[E] OSSAQUE AB E,0 HEIC REPOSITA VENERARE VIX ANN. XI.V III. OB. ANN. [SAL.j MDXIJX, MEN. MARTIO. — 36ο — (96) Dal documento seguente, che estraggo dalle Carte di corredo dell'Archivio del Cardinal Cybo, filza dell’Arch. ducale di Massa, rilevatisi le sue rendite. “ Quello che si arbitra che sia devuto al Reveriìio et Illumo S.r0 Car.lc Cibo per tutto l’anno 49 del entrate de suoi benefitii et primo : Della pensione di Saragozza, computandoci el termine del natale prossimo 49 entrante el 1550 Λ 8679 Dell’Arcivescovado di Turino Δ 56ο° Di Morimondo...... Λ 4600 Di Chiaravalle...... Λ 3000 Dell’ Arcivescovado di Genova, Badia di S. Syro, et della Badia di San Paulo a Ripa d’Arno, di Pisa....... Λ ΙΟΟΟ Della Badia di Sto Sabba et Andrea di Roma sin et per tutto ’l mese di 7mbre prossimo passato Λ 3000 Della pensione di Tre Fontane . Λ 4000 Dell’Arcivesjovado di Messina in et per tutto agosto 49....... Λ 66οο Della protettione d’Alamagna Λ ---- Λ 36479 Et benché potrebbe facilmente accadere che qualch’ una delle sudette somme non arrivasse al segno eh’ io le ho poste mi tengo non di meno per fermo che la S. V. Rma si possa calculare che del sudetto credito per il meno si valerà di scudi.......1 25000 Restaci a ponerli il credito che quella ha con li Signori Orsini, qual per tutto il mese di 7bre prossimo passato ascende alla somma di Adi 14750 di giuli X l’uno che riducendoli a Adi d-oro ............λ 12909 baiocchi 10 Λ 379o9 — 361 — (97) Per ordine del ministro Granvela del 3 di marzo 1548 si dovea procedere alla confisca di tutti i beni di Giulio Cybo, allodiali 0 feudali che fossero, applicandoli alla Camera imperiale, trattandosi di un vassallo e creato domestico dell’imperatore. La madre Ricciarda avrebbe, poi, potuto per via di giustizia far valere le sue ragioni. Don Ferrante Gonzaga fu incaricato di eseguire il comando e per quanto al Gran Cancelliere Taverna paresse che nella confisca non si potessero comprendere gli Stati di Massa e Carrara appartenenti alla madre di Giulio, il Governatore di Milano replica-vagli che la mente di Sua Maestà era si confiscasse anche quel Mai diesato benché fosse della madre. Fu necessario che il Cardinal Cybo mandasse alla Corte il suo segretario Gauna che, verso la metà di maizo, tornava con la revoca della confisca ma, purtroppo, con la conferma della condanna a morte dell’infelicissimo Giulio Cybo. Ci volle però più d’un anno prima che le genti spagnuole, poste a piesidiare il castello di Massa, ne uscissero definitivamente, lasciandone ai bitra la marchesa. Nell’Archivio di Stato di Genova, Litterarum, Registro n° 1839, si legge una responsiva del i° giugno 1549 a Ricciarda in cui è detto: Che non s’è ingannata tenendo per certo che si son rallegrati (il Doge e i Governatori) della restituzione fattale della fortezza di Massa d’ordine delle Maestà Cesarea. L’assiemano di aver ordinato che i ribelli suoi non possano stare alla Spezia e nel suo capitanato. (98) Ottavio od Ottaviano, nato di Francesco di Gherardo Uso-dimare e di Ί eodorina Cybo, che portò alla famiglia il glorioso nome del padre, il papa Innocenzo VIII, era fratello di Cesare Cybo che fu vescovo di I orino nel 1548 per resignazione del Cardinale Innocenzo, ed era stato primo titolare della chiesa di Mariana in Corsica, la quale cedette al fratello per passare al governo di quella maggior sede. Cesare morì a Trento durante il Concilio. Cfr. nota 116 Ottavio, secondo il Compendio di Pietro Boselli, mss. dell’Archivio massese, morì, non nel 1550, ma nel 1553 in Capua mentre accompagnava la Contessa Ippolita nelle sue terre di Cajazzo. (99) 11 partito d’Alberico, che dal padre avea ereditato il ducato di Ferentillo, in quel di Spoleto, comprendente 16 terre e castella con 575 fuochi, e dalla madre avrebbe avuto il Marchesato di Massa — 352 — e Carrara, era ricercato da varie illustri famiglie d’Italia. Due figlie di casa Colonna, l’una con 50 mila e l’altra con 30 mila scudi di dote, gli furono proposte per moglie: altre due di casa Orsini, rispettivamente con 40 e 30 mila scudi di dote. Ma le più calde pra tiche furono fatte da Guidubaldo II della Rovere, che mandò appositamente un suo gentiluomo a Roma per trattare di dargli donna Isabetta sua sorella. Ricciarda, che avea promesso e dato parola ad Ercole II, duca dì Ferrara di rimettersi pienamente in lui pel collocamento del figliuolo, nel gennaio del 1552 gli scriveva di là che 10 lasciava arbitro di concludere od escludere tal piatica, la quale per essere estremamente caldeggiata da Alberico stesso, come appare dalla sua lettera alla madre che abbiamo pubblicata più innanzi, nell’ Appendice, a pag. 174, fu presto condotta a fine. Cfr. le cit. lettere di Ricciarda al duca Ercole, pubblicate da Giovanni Sforza in nota alla Cronachetta Massese del secolo XVI, in Giornale stoi tco e letterario della Liguria, III, anno 1902 1-2, pag. 52-53. (100) Tommaso Anniboni di Aiolà ne’ suoi Raccordi — nota. “ A dì 11 ottobre 1552 il Marcheso Alberico Malaspina Cibo meno la moglie, cioè la Sig. Elisabetta, figliuola del Duca di Urbino sorella del Duca al presente di Urbino. La Comunità insieme con 11 Marcheso fece fare dui archi triumphali. La menò in nel palazzo di Bagnara, (l’odierno palazzo provinciale di piazza già degli Aranci ora Umberto I), et quivi si feceno le nozze, quale vi stette ott giorni corte bandita. A dì 9 dicembre 1552 ebbe uno figliolo maschio, et posili nome Alderano „. Cronache di Massa di Lunigiana edite e illustrate da Giovanni Sforza, Lucca, Rocchi, 1882; pag. 85. Il — palazzo di Bagnara — era, allora, poco ampio. Incomin ciò Alberico ad accrescerlo nel 1563 facendovi in quell anno una prima giunta e spianando la piazza che v’era dinanzi. Un nuovo e maggiore ampliamento fu fatto nel 1568 per opera d un maestro comacino, Rocco di Martino Fattore da Suvigo in valle di Lugano. Costui s’obbligò di alzare le muraglie esterne dell’appartamento verso la strada, di ridurre la loggia verso mare simile alla nuova loggia che s’era fatta, poco prima, davanti alla sala grande, di rifare tutti i camini e abbaini, e fare i nuovi camini per le stanze sopra — 363 - solai del palazzo, dipiovvedere alle porte con gli architravi di macigno, di fondare un muro su la strada pubblica da collegarsi col vecchio, e altre opere per il complessivo importo di scudi 460. I lavori doveano compirsi in due anni: entro l’estate del 1568 la parte dinanzi verso i monti avea da essere finita. Insieme con maestro Rocco si stringevano in società un Maestro Stefano ed un Gas-sani. Cfr. la Cronachetta massese del secolo XVI cit. stampata da Giovanni Sforza, pagg. 45, 54-56. (101) II Venturini pone, erroneamente, la nascita d’Alderano al 19 dicembre; ma è scusabile perchè, com’egli dice, “ questo che io scrivo a me è stato detto, perchè in quel tempo non stava in paese, che ero alle guerre di Piemonte „ Cfr. Libro di Guaspare Venturini in Cronache di Massa ed. dallo Sforza, cit. pag. 16. Questo primogenito d’ Alberico nel 1568 ebbe il titolo di Marchese di Carrara. Passò gli anni giovanili alla Corte dello zio Gui-dubaldo della Rovere in Urbino, avvantaggiandosi della educazione che in quella sede eletta di studi potè essergli compartita. Crebbe con 1 amore della gloria e dopo aver preso parte alla guerra contro i I urchi che finì con la famosissima battaglia di Lepanto, ritornò in patria, accolto con grandissime dimostrazioni d’ affetto. Prese in moglie Marfisa, figliuola naturale di Francesco d’ Este Marchese di Massa Lombarda, già vedova di Alfonsino figliuolo del Principe Alfonso d Este, la quale portogli in dote la pingue eredità paterna che ascendeva a ben 300 mila scudi. Ebbe numerosa figliuolanza perchè oltre Carlo, p rancesco, Odoardo, Cesare, Ferdinando, Alessandro e Vittoria ricordati dal Viani, Alberico, ne’ Ricordi, (cfr. parte I, pag. 62), fa menzione di “ una bella figlietta di Marfisa „ morta in fasce. Alderano mancò a' vivi nell’ancor giovane età di 53 anni, ir mesi e giorni 5 e fu portato, da Ferrara a Massa, dov’ebbe sepoltura nella Chiesa de’ Cappuccini. Cfr. Viani, op. cit. pag. 127. (102) Eran famosi assai, fin da quel tempo, i Bagni di Lucca, dove Ricciarda s’ era recata ai primi calori del 1553 per fare la cura di quelle acque salutari. Versava già in condizioni poco prospere voli perchè il 15 di maggio facea testamento, per atti di Ser Filippo Andreoni, in Massa nel proprio palazzo di Bagnara “ trovandosi del corpo alquanto indisposta Fra gli altri legati la- — 3^4 — sciò alla sorella Taddea 1’ uso e 1’ abitazione del palazzo di Roma “ posto in Agona, appresso da una banda detta piazza di Ago dall’ altra, via Millina et altri suoi notissimi confini dove ella aveva abitato lungamente, e l’usufrutto della vigna a Mino Clinato fuori di Porta del Popolo. Nominava erede universale Alberico, obbligandolo ad unire suo nome di Cybo quello della casa Malaspina. Non dimentico ι figli naturali: la Lena, riconosciuta e legittimata dal Cardinale Innoce Cybo, Scipione, di Gio. Ferdinando Manrique d’ Aghilar, oratore cesareo a Roma; nè senza legati lasciò le figliuole le0itt' , ' rano, del resto, ben provvedute e collocate: 1 Isabella Visconti o romei e la Leonora di Gian Luigi detto Chiappino Vitelli. Anc e s. ricordò di Suor Lucrezia, al secolo Caterina, la sua soi ella mo benedettina nel monastero di S. Antonio di Ferrara. Cfr. Sfor' , Cronache di Massa, n. 67, pp. 281-283. Traspoi tata a Massa fu s p in S. Francesco - in habitu et Ecclesia Minorum, - dove, più tara, Alberico che avea prima fatto scolpire 1 epigrafe che è pi' a pag. 162, fece comporre insieme le ossa di lei, di Loieiv Giulio, raccogliendo così nella pace di un unico sepolcro gli avanzi di que’ tre fieri spiriti che mai aveano, in vita, potuto accoi arsi Se a taluno parve “ di sommo talento, di fina politica, e di ìaia prudenza, sì che mostrò nelle più critiche circostanze ora” mezza „ cfr. Viani, op. cit. nota 78, pp. 88-90, e se vi fu c 1 giustificare fin 1’ estremo suo tradimento del figliuolo con un eccesso di amor materno, cfr. Musettini, Ricciarda Malaspina e Giù to y 0, 1 Atti e Mem. della R. Dep. di Storia patria per le Provincie dell Emilia; noi non possiamo che confermare il giudizio poco favorev ^ ci occorse già far di lei. Ambiziosa, intrigante, corrotta, dissimu a-trice, moriva a 56 anni lasciando poca eredità d affetto e lai&o s guito d’ odio. Carlo Arrighini, testimone del processo di Scipione Fieschi, parlando della sua persona, così la descrive: “ Ricciaida erat muhe mediocris staturae, alba, macra et formae etiam intei pulchiam turpem E un corrispondente da Roma scriveva di lei e delle altre sue congiunte: “ Queste Signore sono brutte come diavoli! „ Neanch — 365 — la grazia femminile! Pure fu giudicata e reputata “ donna singulare (103) Alberico Cybo ottenne il 17 febbraio 1554 la solenne investitura del Marchesato di Massa, Carrara, Avenza e Moneta “ cum omnibus suis castris, villis, iurisdictionibus et iuribus a Sacro Romano Imperio in feudum discendentibus „. L’ atto fu pubblicato dal Lunig, Codex Italiae diphmaticus, II, pp. 395-398. Della pratica s’ interessò anche Ercole d’ Este, come appare dai seguenti documenti. 11 13 marzo 1554, il Duca di Ferrara scriveva ad Alberico : “ Che dal Sig. di Collegno suo Amb.re presso S. Μ.ώ cesarea ha avuto l.re del 24 febb. per le quali si avvisa che Mons.d’Aras avea detto che avea fatto decretare in consiglio il negotio di V. S. (per l’investitura dello Stato) e che avea mandato subito per levare il decreto nella cancelleria di Vargas per mandarlo poi in quella dello Imperio, per fare il privilegio, poi susseguentemente l’investitura secondo 1’ ordine eh’ egli tiene da essa. Il 7 giugno 1554 gli scriveva segnandosi : Come fratello il Duca di Ferrara. “ Che ha avuto una lettera del 5 di maggio, ritardata, dall’ ambasciator suo a S. M. che avvisa della spedizione di V. S. Mi allegro con essa lei che la cosa sia passata conforme al desiderio di V. S. la quale potrà hora fare provisione del danaro che sarà d’ andare a rescuotere et far,levare il privilegio Vi è allegato: “ Estratto di lettera del 5 maggio da Bruxelles II negozio del Marchese di Massa fu spedito già due mesi fa. Pel privilegio vo-leano 315 ducati, secondo la tassa ordinaria della Cancellarla del-l’impero e secondo pagò la S. Marchesa sua Madre, (Ricciarda). Con Mons. D’ Aras ho ottenuto contentisi di 215 ducati. Mandili. L’ Aras si è contentato sopra le parole e fede dell’ ambasciatore che lo paghi fra due mesi. Mandi qualche cortesia a M. Giulio Siglerio che, in assenza del segretario suo, si è travagliato per questa spedizione „. (R. Arch. di Massa, Carteggio d'Alberico). Più tardi Massa fu eretta in Principato e Carrara in Marchesato. Vedi pag. 137. — 3^6 — È curiosa la seguente nota de’ paesi che formavano, al tempo di Alberico, il Principato di Massa e il Marchesato di Carrara: Principato di Massa con suo territorio e giurisdizione, fendo imperiale che non conosce superiore. X. Massa, città imperiale, con castello fortissimo, e ben munito e con spiaggia di mare, è nella strada maestra o Romana. Un inventario dell’ artiglieria del castello di Massa, fatto nel 1578, ci prova che era proprio ben munito. C’era: Un cannone detto il Sole, che portava una palla di ferro di libbre 45 in 50. Una mezza colubrina, che portava una palla di ferro di libbre 13 in circa. Quattro sagri, ciascun de’ quali portava una palla di ferio di libbre 7. Quattro mezzi sagri o falconetti bastardi, ciascuno portava una palla di ferro di libbre 3. Sei moschetti, cinque di ugual portata, uno di portata maggiore. Tre petriere 0 cortaldi. Sei smerigli di ferro, fuor di carretto. Venti smerigli di ferro a cavallo o archibugioni in posta. Quarantanove archibugioni sulle lor casse. Sei archibugioni alla posta fuora di cassa. 2. Colle, borgo. 3. Il Ponte, borgo. 4. Antona, castello nelle confine di Modena e per fianco con il Gran Duca. 5. Mirteto, villa grossa. 6. Rocca Frigida. 7. Pariana. 8. Altagnana. 9. Canevara. 10. Le Murre. 11. Castagnetto. 12. Foscalina. 13. Bargana. 14 Castagnola. 15. Volpigliano. 16. Sotto il Monte, villaggio sparso. 17. La Guadina. 18. Corteciola. 19. Lavacchio, villa amena pei la quantità degli agrumi. 20. Volpara. 21. Rena. — 367 - Marchesato di Carrara, feudo imperiale. 1. Cairaia, terra nobile e antica. 2. Lavenza, con castello fortissime e ben munito. Nel 1646 nella fortezza di Lavenza erano 6 pezzi, 4 di ferro e 2 di bronzo, 28 moschettoni, 10 moschetti, 12 alabarde, 3 sagretti a cavallo, 380 libbre di piombo in pani, 767 libbre di polvere da monizioni in 3 bariioni, 79 libbre di miccia in 117 gavettoni ed altre cose che sono notate nell’ Inventario fatto il 24 aprile di quel-Γ anno per la consegna della fortezza fatta dal Conte Alderano Diana . al Castellano Ercole Buchi. (R. Arch. di Massa, Arch. Ducale). 3. Moneta, castello e fortezza di stima. 4. Castel Poggio. 5. Bi-dizzano. 6. Gragnana. 7. Nocetto. 8. Turano. 9. Miseglia. 10. Co-dona. 11. Fontia. 12. Sorgnano. 13. Pontecimatico. 14. Petrognano. I5· Berzola. 16. Montia. 17. Fossola. 18. Ficola, castello antico, mezzo disfatto. r9. Colonnata. 20. Vezzala. Cfr. nota 3 di G. Sforza alla Cronachetta massese del secolo XVI cit. . (104). Sul volgere della primavera del 1554 mentre il marchese di Marignano stringeva sempre più, colle genti del duca Cosimo, il blocco di Siena, Piero Strozzi, ch’era alla difesa della città, rinfrancò i già desolati cittadini con la speranza di un vicino soccorso. Tremila Grigioni doveano unirsi a settecento cavalli e a cinquecento fanti del conte della Mirandola e, con diciotto pezzi d’artiglieria, muovere, sotto il comando di Forquevaulx, alla volta della Toscana. Scartato il passo del Pistoiese, quelle genti non aveano che due strade da seguire : o il passo di Pontremoli 0 quello di Garfagnana per Barga. E perchè il primo le avrebbe condotte in Lunigiana do-v’erano, con Fivizzano, varie terre de’ Fiorentini ben munite, scelsero addirittura il secondo. Piero Strozzi la notte dell’11 di giugno uscì di Siena con quattromila fanti e quattrocento cavalli e con ma-raviglioso ardire e prestezza andò a porsi al Ponte a Moriano dove si fortificò per aspettarvi le genti francesi, alloggiando nel palazzo Trenta a S. Gemignano. A difendere Barga da costoro, il Duca Cosimo spedì Antonino Bocca, capitano della banda di Fivizzano. Egli partì la mattina del 17 giugno, due ore avanti giorno, da quella - 368 - terra diretto a Barga, con 500 uomini delle bande di l'ivizzano, Ba~ gnone e Castiglione del Terziere. Dopo aver camminato 20 miglia trattati come nemici, nei domini ferraresi di Garfagnana, il Bocca e le sue genti giunsero a Ponte Ardito, dove s’incontrarono in tie insegne di fanti e due compagnie di cavalli de’ nemici. Si azzuffarono, e Antonino smontò da cavallo facendo bella prova di valore con una picca che aveva impugnato per dar animo a’ suoi. Sfondate le linee dei cavalli nemici, le genti toscane ebbero buona fortuna anche conti 0 i fanti, ritirandosi poi in Barga al sopravvenire di maggiore schieia con perdita di 8 o 10 fra morti e prigioni e 8 feriti, tra cui Jacopo Bocca, fratello del comandante e capitano anche lui, che poi morì. In capo a due giorni un tamburino con sei soldati comparve sotto Barga e, a nome di Piero Strozzi, tentò i Barghigiani con la prò messa della libertà: il Bocca fu presto a rispondere: i Baighigiani non volere altra libertà che quella che concederebe il Duca di Firenze loro Signore. Con 100 archibugieri scelti fece poi ritirare uno squadrone di cavalli leggieri venuti a riconoscere la terra, e, come si furono allontanati, seguitarono il cammino per Val di Serchio an dando a congiungersi con Piero Strozzi che li aspettava al Ponte a Moriano, donde, tutti uniti, s’avviarono verso Pisa. In tal modo se il Bocca non potè vietare il passo a quelle genti potè tuttavia, me ritamente, vantarsi di ave tolto ai nemici “ la vittoria di Bargha et tutta la Lunigiana „. Questo curioso episodio militare, appena ac cennato dagli storici, lo tolgo, con tutti questi particolari affatto sco nosciuti, da una pubblic?zione divenuta quasi irrepetibile perchè tirata in piccolissimo numero d’esemplari: Un ricordo di Antonino Bocca, lettere cavate dal proprio archivio privato da Alfredo Agostini della Seta e pubblicate per le nozze di Luisa Ruschi con Girolamo Ruschi. Pisa, Nistri e Co. 1876. All’annunzio appunto, della venuta di quelle genti, il duca Cosimo de’ Medici, che aspettava l’aiuto di Don Giovanni de Luna, castellano di Milano, per proteggere il capitanato di Pietrasanta e coprire i confini occidentali del suo Stato, avea chiesto soldati al marchese Alberico di Massa, il quale, per esser soccorso d’uomini e d’armi, si volse ai marchesi Malaspina di Lunigiana e alla serems- — 369 — sima di Lucca. Ma la repubblica, non vedea punto di buon occhio il crescere della potenza medicea. Amica di Siena ab antico, sentiva vivissimo il desiderio che quella repubblica durasse, poiché, cadendo, più formidabile ne sarebbe divenuto il principato mediceo, per essa già fonte di apprensione. De’ suoi cittadini Niccolao Franciotti, figliuolo di Francesco di Galeotto e di Luchina della Rovere, era al campo francese e dopo che lo Strozzi ebbe espugnato Altopascio e posto il campo a Lunata, egli ottenne che i suoi concittadini provvedessero lo Strozzi di danari e di vettovaglie. Così Lucca era propensa alla causa di Siena, a Francia e ai fuorusciti fiorentini. Cfr. Cesare Sardi, I capitani Lucchesi del sec. AVI in Atti della R. Accad. lucchese di scienze, lettere ed arti ; voi XXXII, Lucca 1902. Si schermì però con la lettera seguente : Molto Illustre Signore nro. ossmo, Ci dispiace estremamente di non poter compiacer V. S. Ill.re di quanto ci ha ricercato in nome suo M. Nicolò Brunetti (1) sotto la credenziale di questo giorno, perchè, come habbiamo detto a lui, il paese nostro si trova voto più che mai fosse di gente atte alle armi, et per que’ pochi che vi sono correndo questa stagione del tempo dal nostro maggior consiglio sono state fatte grave proibi-tioni di non potere uscire del dominio nostro, alle quali non è in podestà nostra di‘derogare. De corsaletti parimente la nostra munitione se ne trova sfornita, perchè poco tempo fa si sono distribuiti (1) Questo Niccolò Brunetti, fiorentino, inviato d’Alberico, era stato mandato a lui con commendatizie di Cosimo il 6 di febbraio del 1554 « per « haver servito molti anni così la bona memoria, del Card, suo zio, come « anchora V. S. e volea continuare tal servizio ». Divenne poi Maestro di Casa, indi Commissario di Giustizia e poi Segretario di Stato del Marchese di Massa, dove passò il resto della sua vita e dove morì nel 15S0. Fu sepolto in S. Francesco nella cappella della Epifania con una bella iscrizione oggi sperduta, ma edita dallo Sforza in nota alla Cronachetia di Massa nel secolo XVI, cit. pag. 56. Di lui nacque Giulio Brunetti, che fu Segretario di San Carlo Borromeo, di cui scrisse la vita, tuttora inedita, l'erudito massese Carlo Frediani. 24 — 37° — nelle militie nostre et di fresco s’è data commissione di far venire da Brescia una buona somma et però V. S. Illustre si contenterà di haverci per scusati, che certamente quando l’havessimo potuta gratificare rilaveremmo fatto tanto volentieri et di buono animo quanto si possa imaginare, si come più a pieno abbiamo detto an chora al mandato suo, al quale per non fastidirla più ci rimettiamo, offerendoci di buon cuore al servicio suo, che nostro Signore la con servi felice. Dal n.ro Palazzo, alli liIJ di aprile MDL1IIJ. Gli Antiani et Gonfal. di Giust. del Popolo et Comune di Lucca. (R. Ardi, di Stato iti Massa, Carteggio di Alberico I). Il duca di Firenze fu grato ad Alberico della prontezza con cui cercò soddisfarlo mandandogli cinque compagnie, tie da Mass* e due da Ferentillo, e mostrò gradire anche l’offerta del maiches di accorrere in persona in aiuto delle genti di Cosimo. Gli scriv pertanto : Illnio Signore, “ Ho visto per le lettere di V. S. con quanta pronteza el accettato il carico di far fare li mille fanti per servitio mio, diligentia et sollecitudine che ci ha imposta per haverli prest buoni, per il che riconosco esserli tenuto molto, et non pos non ringratiarla infinitamente, reservandomi però con li effetti ^ ^ dermene maggiormente grato, facendola in tanto certa che se preso sicurtà di prevalermi di lei è stato con animo ancora di esp ogni potere mio sempre che occorrerà per ogni commodo vitio suo. A me bastano li mille fanti per hora, havendo fatto expeditioni, et quel numero de dugento che V. S. giudica le per avanzare, potrà farne diminutione con cappare i migliori pere sempre nelle Compagnie nuove si mescolano delle genti tnste anco le compagnie non compariscano intere, come i Capitani prò mettono. Se a V. S. sodisfarà servire con la persona a questa presa, sodisfarà ancora a me, ma non posso che remettermene alla sua deliberatione, perchè la possa considerare se il carico le par — 371 — degno et conveniente alle sue qualità, sendo di mia intentione hono-ìaila in tutto quello che posso et Dio N. S. la conservi felicemente. Da Firenze, il dì VII d’Aprile 1554. Al piacere di V. S. el Duca di Fiorenza. (R. Arch. di Stalo in Massa ; Carteggio di Alberico I.). I marchesi Malaspina aiutarono Alberico di genti. Giuseppe Malaspina, di Fosdinovo, il 16 d’aprile 1554 scrive ad Alberico. “ Domattina di bon hora verrà da S. S. Ludovico con quelli pochi fanti che ha fatto, che tra lui e Lazzaro de qui (Fosdinovo) e Battista da Panganello che vengono a servire V. S. ne conducono 40 circa. Dispiacegli non poterne fare di più. Vanno col marchese Leonardo di Podenzana e il marchese Gio. Cristoforo di Mulazzo con quelli pochi che hanno fatto. Ser Biaso da Marzaso cum certuni va col Capitano Pedruzo da Carrara. — Dice che hanno avuto ricerca dal Commissario imperiale Mello „. E il duca Cosimo assicurava il marchese di Massa che terrebbe conto di quanto avea fatto per lui. “ 111. Sig. Hieri scrissi a V. S. 111. quanto mi occorse in risposta della sua de XV, et questa mattina ho ricevuta l’altra de XVIIJ per la quale, inteso delli 800 fanti che tiene in ordine: le mando con questa le patenti espedite nelle persone de 11IJ Capitani che mi ha mandato annotati, et desidero li faccia marciar subito, come anco per la di hieri le scrissi, a la volta de lo exercito per la via di Castelfiorentino et di Poggibonzi, nell’uno de quali due luoghi si ordinerà che siano pagati, ed il Comessario che si espedì hieri a questo effetto alla volta di Pietrasanta li verrà prevedendo di alloggiamenti. Son certissimo la gente sarà buona et da sodisfarmi, come ella dice, sendo eletta da persona intelligente et amorevole quale è lei, et io non posso se non tenergliene buon grado et animo di rendergliene un dì quel cambio che conviene et che desidero. La compagnia del Cap. Vincendo di Naldi, come anco per la di hieri si scrisse a V. S. s’è dato ordine venga di qua senza distendersi altrimenti a Massa, et tutto per avanzar tempo. Quanto al dar carico de questa fanteria al Marchese Lionardo Malaspina [di Podenzana], come ella mi scrive, per hora non posso dirne altro a V. S. Come la gente sarà pagata se ne farà — 372 — quella resoluzione che se potrà, et che se havrà da reputare et più opportuna et più conveniente, che è quanto mi occorie dirle per questa. N. S. Dio la guardi. Di Fiorenza li XX d Api ile I554- Al piacere di V. S. el Duca di Fiorenza. (R. Arch. di Stato in Massa, Carteggio d'Alberico Cybo). Lo Strozzi dopo aver atteso invano aiuti francesi che, dal monte di Quiesa, sperava vedergli giunger per mare di verso Viareggio, disilluso e incalzato dalle forze del marchese di Malignano e d Luna, ripassò l’Arno accampandosi presso Pontedera. E fu Cosimo tanto contento delle genti di Alberico che, due anni dopo, il 9 gennaio del 1556, mandandogli 300 ducati e una pat in bianco per fare una compagnia di 300 fanti, gli attentava che si era “ trovato sempre ben servito da creati di V. S. et dall 0 sue che loro hanno condotte buone et con prestezza „· (105) Genti imperiali mandate dal cardinale Pacheco, viceré Napoli, con altre condotte da Don Giovanni Manriquez de Lara, basciatore di Cesare a Roma, dopo esser passate nell Abruzzo, cre^ sciute di nuove leve, doveano unirsi ad alcune migliaia ^ in Roma da Camillo Colonna, e attraversate le terre ecclesiastic e in quel di Perugia, condursi nelle terre toscane sul confine tonese. Fra tanto rumore d’armi Giulio III volle fo^se piesi < Perugia e ne affidò la cura al duca d’Urbino Guidubaldo della o-vere capitano generale di Santa Chiesa. Costui chiamò pres il cognato Alberico egli diè l’ufficio di luogotenente genera , ^ rilevasi dalle sue lettere patenti dell 8 di giugno 1554» c^e P dere più innanzi, parte II, pag. 86. Prima di partire pei il suo ^ ufficio il marchese di Massa ne avvisò il duca Cosimo di tirei , quale rispondevagli, il 12 di giugno, avere inteso quanto avea messo a Messer Riccardo (Lombardelli), suo commissario, sua lettera credenziale e lo accertava che “ partendo (V. S.) pe dare dove essa ha disegnato, resti sicura che la medesima c , guardia et protettione terrò del Stato suo che del mio propr io, c — 373 — così mi convien per infiniti rispetti, et nel venire che faranno le genti di Lombardia, (quelle aspettate dallo Strozzi, di cui è parola alla nota precedente), o se occorrerà che altre delle mie, per andare in contro a nemici, habbino a toccare lo Stato suo, Io farò rispettare quanto sarà possibile, et ne darò particulare commissione et ne scriverò a miei commissari (R. Arch. di Stato in Firenze, Mediceo, Minutario di Cosiino /, ad annum). (106) Un episodio curioso del conclave di Paolo IV racconta Alberico stesso : quando cioè temevasi dalla fazione de’ Caraffa, già predominante e avversa a Spagna, che il card. Pacheco, viceré di Napoli, pretendesse entrare con largo seguito di armati in Roma. Con quanta prudenza il marchese di Massa (che è detto principe con evidente anacronismo) si conducesse in quel delicato ufficio, leggesi più avanti a pag. 103. Dei capitani Moretti due sono ricordati nelle storie che trattano de’ Cybo: uno, Giov. Battista Venturini da Massa, fu braccio destro del marchese Giulio, che si valse di lui per una difficile, arrisicata, delicatissima missione in Francia nel 1547. Venne imprigionato, al suo ritorno, nel castello di Fosdinovo e poiché Ricciarda avea messo il bando su lui, colpevole deH’assassinio di Pietro Gassano, già castellano di Massa, e ministro de’ voleri della Marchesa, egli riuscì a scampare la pelle fuggendo da la rócca non ben guardata. L’altro era della famiglia Mansanti di Carrara e servì, per lunghi anni, anche Alberico. E’ appunto quello di cui si parla qui, chiamato il Moretto da Carrara per distinguerlo dal Venturini, il Moretto da Massa. 11 Boselli nel suo Compendio cit. racconta che, morto appena Giulio III, eletto Marcello II, Guidubaldo della Rovere, che era capitano generale della Chiesa, fu ad alloggiare in Roma presso il cognato. Ora un astrologo, a tavola, predisse loro che presto si sarebbe avuto novellamente la sede vacante. Fu trattato per pazzo. Ma pochi giorni appresso apparve che avea detto il vero. (107) Nel pontificato di Giulio III il duca d'Urbino aveva avuto l’ufficio di capitano generale della Chiesa. Eletto Marcello II, suo successore, Guidubaldo della Rovere era appena arrivato a Roma per inchinare il novello pontefice che morte colse colui, che fu ombra - 374 - passeggera sul trono papale. Dopo quella fine improvvisa, il Sacro Collegio in sede vacante riponeva nel duca la tutela della citta affidandogli anche la vigilanza del prossimo conclave. Non 1400 soldati soltanto, ma ben 2000 obbedivano, per tale occorrenza, al della Rovere, il quale conservò quel delicato ufficio non solo fin che lu eletto e coronato Paolo IV, ma anche nei mesi successivi, perche ogni dì crescevano le minacce d’una futura contesa fi a il novello papa e la Corte di Spagna. Il duca tenne il generalato sino al cadere dell'ottobre, quando comprese che la Corte del Caraffa non era più luogo per lui, specialmente per la naturale emulazione de nipoti di Paolo IV, il più anziano de’ quali, Giovanni conte di Molitorio, gli successe nell’alto grado. Tanto rilevasi dalle lettere che Averardo Serristori, oratore fiorentino a Roma, scriveva a Cosimo I, suo signore, e dai dispacci che, pure da Roma, nel tempo stesso, il Navagero indirizzava al Doge e al Senato di Venezia. Cfr. le notizie che, da quei documenti, ha tratto Giulio Cocciola per la monografia Ascanio della Conua e la sua condotta negli avvenimenti del iJSS'b'S6· in Bollettino dalla R. Dep. di St. patria per l'Umbria, ann. X, (1904). fasc· 1 e 11 PP‘ 94-96. (108) Di questo duello per la qualità de’ combattenti, non solo, ma anche più de’ loro patroni, i quali misero ad aiutarli tutto l’impegno che l’amor proprio e lo spirito di 1 egionalismo p inspirare, si fece un gran discorrere. L occasione era stata off da certe percosse che, il capitano Galasso Isnardi da Cai pi dato, sulla pubblica piazza di Reggio d’Emilia, a Girolamo Mon-taldo genovese, alfiere delle guardie della Repubblica di Lucca, fin dal 1551. Trattavasi d’una quistione d’onore da risolversi con 1 armi, per l’emiliano stavano i suoi signori e patroni il duc.i Ercole d Este e il suo figliuolo; Alberico Cybo pigliò sotto la sua protezione genovese. Il Sardi, I Capitani lucchesi, cit. pag. 109, narra che Montaldo desiderò per padrino il capitano Ventura Amerini da Lu nata e che la Repubblica, dietro sollecitazione anche d Alberico, glielo concesse. Ma, al dir del Cybo, non fu PAmerini, sì bene I andolfo Martelli. Forse l’Amerini condusse i quattro soldati e il tamburino - 375 — di servizio che lo stesso Montaldo avea chiesto alla Repubblica lucchese. I' u maestro di campo il capitano Formighino. Del resto, dato l’interessamento per quel duello, si capisce che i testimoni furon parecchi, e difatti il Sardi ricorda, fra i Lucchesi presenti al combattimento, Sebastiano Gigli, Antonio Guidiccioni, l· ebo Di Poggio, Lorenzo Carli, Giuseppe Franciotti, Castruccio Ca-strucci e Giuseppe Cagnoli. Nè tanta gente fu solo spettatrice ma diè aiuto al Montaldo, perchè essendo stato costui scavalcato dall’avversario, “ nel frascato dalla banda di lui si levò gran rumore di archibugiate „, e quando fu cessato, il genovese si avventò contro il nemico che era ancora a cavallo e con due stoccate lo stese morto. Sorse, però, dupo il combattimento, una gara fra accusatori del Montaldo, cui s’ imputava d’ aver morto il Galasso con modi non cavallereschi e i suoi difensori. Alberico s’interessò della disputa e nell’Archivio di Massa' v’è un fascio di lettere e attestazioni di genti di Lunigiana, presenti al duello, che affermano, con giuramento, essersi il genovese comportato lealmente. Achille Neri, dando notizie dello scritto del Sardi, ha pubblicato una relazione sul duello scritta dal Capitano di Sarzana, il quale dopo aver detto che un combattimento più onorevole di quello non s’ era fatto da cinquant’ anni, afferma che il Montaldo “ è stato sostenuto e favorito dal Sor Marchese di Massa, il quale per rispetto della patria li ha fatto assai e speso più de ducati tremillia e fornitolo di ogni sorte de cavalli e fattolo accompagnare da Sign e Capitani assai in campo honorevolmenle „. Cfr. Giornale stor. e lett. della Liguria, IV, (1903) pag. 165-166. Alberico mantenne poi cordiale relazione col Montaldo di cui si valse, più tardi, per avere informazioni su certa terra che volea acquistare, come risulta dalla seguente lettera. Al Capitano Girolamo Montaldo. Molto mag.co mio amatissimo, Ricevei la prima vostra et hora tengo quella de’ 15 del passato et mi sono stati grati li ragguagli che mi avete dato, se bene m’é despiaciuto assai d intendere che — 376 — siate stato malato, Pure poiché stavate meglio, spererò che con le prime mi scriverete la ricuperata salute. Io ebbi già pensiero di comprare il Stato di San Pietro in Galatina dal S. Principe di Bisi-gnano, però mi sarà caro mi scriviate le qualità d’esso et me ne diate quelle distinte informationi che io spero dalla diligenza vostra. Et restando al solito tutto vostro amorevole, faccio fine et vi desidero ogni bene. Di Massa 16 settembre 1570. [Di mano di S. Ecc.]·. Et particolarmente della bellezza et nobiltà et grandezza et circuito della terra, case et strate et che altri castelli o luoghi habbi sotto di sé et quanta intrata et in che modo sia et così del territorio et sua vaghezza. Nel resto io son tutto vostro et vi desidero ogni bene et caro mi sarà che mi scriviate spesso. A vostro piacere Il Principe di Massa. (R. Ardi, di Stato in Massa, Carteggio dAlberico 1). (109) Già sofferente di salute, Caterina Cybo, che viveva in Firenze in buoni rapporti col duca Cosimo del quale frequentava la Corte, fece testamento nel luglio del 1555· Passò 1 ultimo tempo della sua vita nella gradevole compagnia della nipote Eleonora Fieschi-Vitelli, intrattenendosi spesso con qualche letterato quali il Varchi e il Domenichi e abbandonandosi a meditazioni e a studi di religione. Morì nel palazzo de’ Pazzi, posto nel popolo di S. Procolo e già proprietà di Frarceschetto, suo padre, quel palazzo che è all angolo di via del Proconsolo con Borgo degli Albizzi, di fianco a quello del Telegrafo. Fu sepolta nella chiesa di S. Procolo il 18 di febbraio. Parecchi anni dopo Alberico Cybo suo nipote volea falla trasportare a Massa; secondo il Richa, Notizie isteriche delle chiese fioi entine, Firenze, Viviani, 1754; tom. I, pag. 140; dove, per errore, quella morte è posta al 1547; o piuttosto, come argomentasi dalla epigrafe, a Genova, patria de’ Cybo, perchè avea apparecchiato per la sua tomba questa epigrafe, clic si legge nel Secondo libro delle Memorie della fa- — 377 — miglia Cybo, ossia Compendio dell'Illma et antichissima famiglia Cybo composto da Pietro Bosello di Ayello e dedicato a Alberigo Cybo Malaspina nel 1581 : CATTERINAE CYBO FRANCACI ANGUILLARIAE COMITIS S. R. ECCLESIAE GUBERNATORIS FILIAE INNOCENTII Vili AC LEONIS X SUMMI PONTIFICIS NEPOTI CLEMENTIS VII CONSOBRINAE INNOCENTII CYBO BONONIAE AEMILIAEyUE LEGATI SORORI IOHANNIS MARIAE VARANI CAMERTIUM DUCIS CONIUGI IHEOLOGIAM, LATINUM ET GRAECUM 1DIOMATA CALLENTI CASTISSIMAE ATQUE PIAE FEMINAE CUIUS ANIMI EXIMIAEQUE VIRTUTES IN GENTILITIA NOBILITATE CERTARUNT ALBERICUS CYBO MALASPINA MASSAE PRINCEPS NEPOS EX FRATRE URNAM HANC POSUIT OSSIBUS E FLORENTIA UBI DIEM FUNCTA EST PATRIAE REDDITIS ANNO Vixit Ann. Men. Dies. Obiit anno CIO ID LVII. Non fu, poi, tolta da Firenze; ma le sue ceneri vennero, nel x593> trasportate nella chiesa della SS. Annunziata detta delle Murate e poste vicino a quelle della sua prediletta nipote Eleonora con una epigrafe che ne accenna la memoria e i nomi e le fa addirittura sorelle. Richa, op. cit., II. 110. Cfr. anche il bel libro già cit. del dott. B. Feliciangeli, Notizie e Documenti sulla vita di Caterina Cybo Varano, duchessa di Camerino, Camerino, Favorino, 1891, pag. 223. (110) I lunghi maneggi e le tergiversazioni della Corte di Spagna che, per un momento, avea fin accolto il disegno di dar Siena al Caraffa per spezzare l’alleanza del fiero e terribile papa Paolo IV con la Francia, indussero il duca Cosimo a far pervenire le sue vive rimostranze a Filippo II, presso il quale inviò, in missione straordinaria, il cognato Don Luigi di Toledo. Le insistenze di lui e la no- — 37S — tizia che Paolo IV avesse iniziato pratiche per trarre il duca di Firenze alle parti di Francia determinarono, finalmente, il re* a ineari care Don Giovanni Figueroa, castellano di Milano, di ìecaisi a 1* i-renze per trattare e risolvere con Cosimo le condizioni della concessione di Siena. Dopo vari mesi di pratiche e negoziati, il 3 di luglio del 1557 si stipulò in Firenze un trattato per cui il Figueroa, in nome di Filippo II, concedeva al duca Cosimo I de’ Medici la citta e lo Stato di Siena in feudo ligio nobile e onorifico, con la riserva di que porti che fecero, poi, parte de cosidetti presidii : Orbetello, Paiamone, Portercole, Monte Argentare e Santo Stefano. 1* ra gli altri patti si stabiliva una lega perpetua fra il re e il duca, obligandosi il ie di soccorrere il duca con 13 mila soldati qualora fossero minacciate Firenze e Siena; e promettendo, in corrispettivo, il duca al re di soccorrere, in caso di bisogno, il regno di Napoli e lo Stato di Mi lano con 4000 fanti e 400 cavalli, somministrando le galere in ser vizio di S. M. ad ogni richiesta. Il giorno dopo, con suppletorio atto segreto, Cosimo prometteva di accasare i suoi figliuoli con soddisfa zione e piacimento di S. M. Cfr. Galluzzi, Istoria del granducato di Toscana, tom. I, lib. 20, pp. 312 313, Firenze, Cambiagi, 1781. (in) Alberico Cybo, indotto dall’esempio del cognato Guidu baldo duca d’Urbino, prese servizio, come già avea fatto costui quell’anno medesimo 1558, sotto Filippo II. Le lettere patenti re di Spagna, date da Bruxelles il 18 di luglio i55^> PeI cu' ^ 1 venivano assegnati 200 scudi d’oro al mese, gravandoli sul Regn di Napoli, vedile a pag. 87-88, Parte II. Da quel punto lo Stato Massa, che nel 1557 Alberico avea incominciato ad acciesceie abbellire, circondando di mura il borgo di Bagnara, dove poi si stese l’odierna città, e iniziando l’abbandono di Massa vecchia ni podio, l’antica e angusta bicocca attorno alla fortezza, fu nell ambito delle terre italiane obbedienti alla Spagna. E non poteva Albeiico, per le tradizioni avite, per la costituzione speciale del suo paese, che facea parte de’ feudi imperiali, condursi diversamente. I osto fra gli Stati del duca di Firenze ormai devotissimo alla Spagna, la Repubblica di Lucca, obbligata dalla sua piccolezza ad esseie ossequente alla potenza di Filippo li, e la Repubblica di Genova, tutta ligia agli Spagnuoli, il marchese di Massa riparò an- - 379 - eh egli all ombra della potente casa Asburghese. E l’anno seguente avendo ricevuto lettera sulla conclusione della pace tra Francia e Spagna da Chiappino Vitelli suo cognato, che trovavasi appunto presso la Corte Spagnuola de’ Paesi Bassi, deliberò recarsi anch’egli in Fiandra presso la Corte, che, dopo la pace di Castel Cambrese, avea ristretto ί vincoli di parentado coll'emula potenza di Francia, pigliando Filippo li per terza moglie, (era già vedovo di Maria di Portogallo e di Maria I udor), quella giovane figliuola del Re Enrico li, Elisa-betta, che i romanzi, le leggende, e la drammatica hanno reso così nota congiungendone le vicissitudini coi tristi casi di Don Carlos. Della venuta d’Alberico alla Corte si vedano in particolari più innanzi, Appendice p. ior. Il Venturini, che lo precedette con 18 cavalli, passando pel Gottardo e per la Svizzera, pone la partenza d Alberico al 15 di maggio 1559. Lo accompagnavano 20 gentiluomini con bellissima livrea. Arrivò a Bruxelles, dopo essersi trattenuto 15 giorni alla Corte di Francia, il 12 di luglio. Cf. Ricordi del Venturini in Cronache di Massa, cit. pag. 21. (112) 11 privilegio di salvaguardia e difesa per sè e per lo Stato di Massa, concesso dall’ imperatore Ferdinando I ad Alberico, innanzi della sua partenza per le Fiandre, con la ricognizione della investitura e la facoltà di aprire in Massa una zecca, gli furono accordati il 2 di marzo 1559. Trovansi in copia, rispettivamente sotto i numeri XXVI e XXVII ne\\ Appendice cit. del Viani che conservasi mss. nel R. Arch. di Stato in Massa. (113) Il marchese di Massa partì da Gand il 10 agosto del *559 per seguire in Ispagna Filippo II, che era passato per mare ne suoi Regni. Dopo 54 giorni di viaggio giunse a Valladolid, dov era la Corte, e ivi si trattenne per tutto il rimanente di quel- 1 anno 1559. Alberico stesso ci ha lasciato curiosi ricordi della sua dimora a Valladolid, dove assistette a un auto da fé, e alla corrida dei tori. Vedi, più innanzi, l’Appendice, pp. 104-107, in cui è ampiamente descritto anche il suo ritorno in Italia il 15 gennaio 1560, determinato dall’ annunzio eh’ era stato eletto papa Pio IV, al Cybo molto caro, e dalla speranza di ottenere da lui quei tavori che, invano, avea aspettato in Corte dove erasi lusingato avere il titolo di Grande di Spagna. Cfr. a proposito di tale elezione: Staffetti, — 3So — L'elezione di Papa Pio IV narrata da un contemporaneo, (Bartolomeo Ferentillo, agente di Alberico Cybo in Roma), in Arch. stai. lombardo, a. XXXIII (1896) fase. XI. Arrivato il 12 febbraio a Massa ne ripartì tosto per Roma, dove nell’autunno lo raggiunse la moglie, per assistere alle nozze di Virginia della Rovere col conte Federigo Borromeo. Ma la marchesa Isabella, caduta ammalata, tornò a Massa e il maggio seguente si aggravò così il suo male che Alberico partì da Roma per raggiungere la moglie e arrivò appena in tempo per chiuderle gli occhi. 11 Venturini ne pone la moite al 5 di giugno, (scrisse più tardi a mémoria), e dice che “ Lei fu pianta da tutto il Stato, et mentre la stette male, il qual male fu di una febre proceduta da umore malinconicho, che così hanno detto li medici, li quali fumo quattro de’ primi di l· irenze e Pisa, in questo mentre tutto lo Stato stette sempre in horacione con tutto il clero „ Op. cit. pag. 22. Fu sepolta in S. Francesco di Massa sotto I altare grande nel coro, e più tardi, nel 1598, composta in un medesimo sepolcro con la seconda moglie, premorta anch’essa ad Alberico, secondo si legge nell’epigrafe che è, oggi, nella cappella sepolci ale di S. Francesco e fu stampata dal Viani, Memorie cit. nota 173, a pp. 118-119. (114) L’8 febbraio 1563 Alberico scriveva, da Roma, al Doge e Governatori di Genova: “ Il ritrovarmi io con un figliuolo solo et considerando che per maggior stabilimento di Casa mia eia bene ch’io pensassi a nuovo casamento, mi sono resoluto, a persuasione di Monsignor Illmo Gonzaga (Francesco) et del Signor Cesare suo fratello, come quelli che mi sono parenti amorevoli, di pigliare per moglie la Signora donna Isabella de Capua, cugina loro, et so rella al Signor duca di Termoli, con dote di 38 mila scudi (R. Archivio di Stato in Genova, Lettere di Principi, Mazzo 9). È curiosa l'Informazione che su questa signora mandò a) mai chese Alberico il suo fido Iacopo Diana. Vedila più avanti nell Ap pendice, a pag. 118. La pratica era già stata trattata, nell’ottobre precedente, in Roma dove trovavasi Alberico, che tornato a Massa sul cadere del 15621 il 16 dicembre mettevasi in ordine per andare nuovamente nella città eterna a concluder il matrimonio. Cfr. la lettera scritta da lui al - 38i - duca Cosimo di Firenze e pubblicata più innanzi nell’Appendice,, a pag. 154. Isabella di Capua, la seconda moglie d’Alberico, figliuola di Vincenzo e sorella del duca di Termoli Don Ferrante, era cugina di Don Cesare duca dAriano e del cardinale Francesco, morto in verde età il 10 gennaio 1566 nel conclave di Pio V. Don Cesare e Monsignor l· rancesco, (è chiamato Monsignore lllmo nelle lettere di Alberico perchè, nel 1562, non aveva ancora la porpora; lo qualifico, poi, cardinale quando ne scrisse, il nome ne’ Ricordi), erano entrambi figliuoli di Don Ferrante Gonzaga, il noto governatore di Milano, che aveva sposato un’ altra Isabella di Capua, figliuola di Andrea duca di I ermoli. Don Cesare era parente col papa Pio IV avendone sposata la nipote donna Camilla Borromeo, sorella del cardinale Carlo che la Chiesa poi ha posto tra i Santi. Aveva molto seguito alla Corte pontificia: stava però a cuore ad Alberico di compiacele quel Signore che dal papa aveva ottenuto il governo di Benevento, ed ereditato dal padre il titolo di Molfetta, e dovea poi ottenere il capitanato generale delle armi di S. M. Cattolica in Lombardia. Già parente coi Della Rovere, congiungendosi ora con una famiglia così nobile ed autorevole com’erano i Gonzaga, Alberico se ne riprometteva sicuri vantaggi. Donna Ippolita Gonzaga, l’annunzio della cui morte giunse in mezzo alle feste nuziali di Alberico, era sorella dei precedenti, e pel cardinale di Mantova che mori nello stesso tempo s’intende Ercole, fratello di Don Ferrante, e quindi figliuolo del marchese Francesco Gonzaga e d Isabella d’Este, nato nel 1505, vescovo di Mantova, levato alla sacra porpora fin dal 1527 e morto nella sesta sessione-dei Concilio di I rento il 2 marzo del 1563. Cfr. Ughelli, I, 872, Gams, p. 795. (1x5) Nel R. Arch. di Stato in Massa, busta — Matrimonii della Casa Cybo — c’è la “ Copia autenticata dei capitoli del matrimonio di S. Eccellenza con la felice memoria della Signora Principessa Isabella di Capua Comincia: “ Anno domini 1563, die 4 mensis februarii. Comparsis Illustrissimo Domino Ferdinando de Capua de Vincentio duce Termularum etc. „ e Don Ferrante, fratello carnale della sposa. Seguono i capitoli, patti e convenzioni: 1. 11 matrimonio dovrà contrarsi per verba de presenti fra sei mesi, (in- - 382 — vece si concluse tre giorni dopo). 2. Per dote il duca di 1 Limoli darà ducati 35 mila correnti, a ragione di carlini 10 per ducato, di moneta del Regno di Napoli : 14 mila alla consumazione del matrimonio, 21 mila in tre anni, a rate di 7 mila per anno. Il corredo sarà ad arbitrio e beneplacito del duca. 3. Alberico dona 5 ducati alla moglie perchè, se premorisse lui, possa valersene. Il giorno 14 di marzo fu rogato lo strumento della dote e Alberico dichiarò d’aver ricevuto i 14 mila ducati promessi. Dopo il matrimonio il marchese di Massa ricevè la sposa nel suo Stato di Ferentillo (cfr. pag. 107) e nel dicembre la condusse, con gian spesa in Lunigiana, dove fu accolta con grandissime feste. Si recitarono, per la ricorrenza, commedie, si fecero corse all anello, tornei e fin combattimenti di tori. Durò a Massa corte bandita pe' otto j,'01 Cfr. per la descrizione la Cronachetta inassese de! secolo XII &ià cit., sotto l'anno 1563. (116) Figliuolo di Francesco, che, nato di Ieodoiina e di Ghe rardo Usodimare, passò a Roma, dove si fabbiicò un palazzo Borgo (■), ebbe da Sabina Otteria, romana, cinque figliuoli, e fu aggregato coi fratelli Giambattista, vescovo di Maiiana, e Aianino con le sorelle Peretta e Battistina alla famiglia Cybo col titolo di Conti del Sacro Palazzo ; Cesare Usodimare — Cybo fu nelle grazie del cardinale Innocenzo, suo consanguineo, che gli resignò, nel 1531» il vescovato di Mariana in Corsica, cambiato poi cedendolo al fratello Ottavio, (Cf. nota 98), nel 1548, con l’arcivescovato di Tonno. 11 Gams, Series Episcoporum, sotto Mariana nota: 1531. Innocent. Cybo, card, resignat 153r· 1532. Caesar Cibo transl. Taurin. 1546· 1546. Octavianus Cibo. E sotto Torino : 1520. Innocent Cybo. (') Lo Zazzera op. cit. dice di lui che « inclinato alle fabbriche volle su la piazza di S. Pietro di Roma farsi un palagio nobilissimo fabbricare per sua propria comodità ». Cfr. Adinolfi, La Portica di ò. Pietro, cit. pag. 178· - 383 - 1549· 20. VI. Cesare Usodimare Cibo, trans. Mariana, •j- Trento, 26. XII. 1563. L' Ughejlli, Italia Sacra, IV, dice che Cesare Cibo nipote d'Innocenzo, (così lo chiama mentre era soltanto consanguineo) fu da costui pi eposto alla sede di Mariana il i° dicembre 1531 e poi trasferito alla chiesa di Torino nel 1548. Il vescovato di Mariana passò a Ottaviano Cibo, fratello di Cesare, l’u giugno del 1548 e non del 1546 come scrive il Gams. Mentre prendeva parte alla sesta sessione del Concilio tridentino, si aggravarono i disturbi di cui soffriva. In una lettera diretta ad Alberico il 26 di ottobre 1562 gli scriveva che era stato tribolatissimo da dolori colici, avea fatto pietre (calcoli), sofferto podagra e febbre. S’illudeva, però, d’esser guarito, ma da que’ sintomi si comprende ch’egli era ormai afflitto da una grave malattia. E infatti per quanto, terminando la sua lettera, trovasse anche la voglia di scherzare, perchè finiva con queste parole: “ prego Dio Io guardi da’ Napolitani ,„ alludendo all’arcivescovo d’Otranto, di casa di Capua, zio d’Isabella moglie d’Alberico che gli avea negato un prestito di danari, prima che Γ anno finisse il 26 dicembre 1562, chiudea per sempre gli occhi alla luce (l). Alberico lo fece, parecchi anni dopo trasportare, in S. Francesco dove gli fu scolpito un ricordo marmoreo con un’ epigrafe composta dal prete dottor Giovan Battista Beghè, di Massa, di questo tenore : D. Ο. M. CAESARI CYBO INNOCENTIO OCTAVO PONT. MAX. PRONEPOTI INNOCENTII CARDINALIS PATRUELI ARCHIEPISCOPO TAURINENSI DUM VIRTUTE ET PRAECLARIS OUAE PRO CHRISTIANA REPUBLICA SUB PIO IV IN CONCILIO TRIDENTINO GEREBAT REBUS VIAM SIBI AD MAIORA PARABAT PROH DOLOR! EXCESSIT E VITA Al.BERICUS CYBO, MASSAE ET S. R. IMPERII PRINCEPS PATRUELI CHARISSSIMO MOERENS POSUIT ANNO MDCXVII (*' La data del 1562 è confermata dal Baldassino, Collectanea doctorum ad concilium tridentinum: Aesii, 1761. — 384 — (χ17) Paolino Roccolino, da Castiglione d’Arezzo, fu quello che, profittando della confidenza di Giulio Cybo, ne sorprese la buona fede, ne conobbe a Roma i disegni del 1547, e, dietro compenso che ricevè dal Mendoza, oratore cesareo, ne svelò a lui, man mano, tutti gli andamenti. Era da vario tempo al servizio di Giulio, che l’amava e lo trattava con intrinsechezza di fratello, essendosene acquistata la fiducia col raccontargli le proprie cose e, fra 1 alti e, coll e-sporgli un suo disegno immaginato e non vero di uccidere il duca di Firenze. A confidenza l’inesperto marchese rispose con confidenza, sicché in breve Paolino traditore conobbe quanto si trattava dal giovane infelice e ne die’ parte alla madre Ricciarda e al Mendoza. E per non accompagnarlo a Venezia, si finse ammalato, per poter rimanere a Roma. Tratto nel castello di Milano conobbe Giulio la perfidia del tradimento, perchè il creduto fedele Paolino s era valso anche dell’ opera di suo fratello per fornire notizie sul trattato dal Cybo al Governatore di Milano. Se ne sfogò, quindi, con Vincenzo di Colantonio d’Aversa che, nel Castello, era al suo servizio, dolendosi come “ sempre coloro a chi avea cercato far bene gliene avessero reso pessimo cambio „, e gli ordinò di riferire il procedere di Paolino da Castiglione al cardinale Innocenzo Cybo e al duca di Firenze perchè si guardasse da lui. Il Roccolino fu tratto in arresto a Firenze, ma poco dopo, per interposizione del Mendoza e di Ric-ciarda, messo fuori. Se non che Alberico, che conservò gelosamente l’attestazione di Vincenzo d’Aversa (vedila nel mio Giulio Cybo cit. Ira i documenti, pp. 313-315), non dimenticò il traditore dell amato fratello. Forse Paolino stesso chiacchierò troppo o avanzò pretese, forse non piaceva al signore di Massa che restassero testimonii della perfidia onde la madre avea spiato il procedere del figliuolo per farsene delatrice. Per tutte queste ragioni il Roccoimo era persona tale di cui, secondo l’opinione d'allora, era conveniente sbarazzarsi. S’affidò l’incarico all’ardimentoso Gaspare Venturini che era stato così fedele e sicuro servitore di Giulio. Ed egli compì bravamente a Milano l'ufficio che gli era stato affidato. (118) Questa “ nova di sodisfatione „ portata dal Venturini era l’uccisione di Paolino Roccolino di cui si è parlato alla nota pre- - 3«5 - cedente. Il Venturini ne’ suoi Ricordi racconta il fatto vantandosene sicuramente: “ A dì 24 di luglio 1564 fu morto da me Gaspar Venturini il Capitano Pavolino da Castiglione aretino, quale fu quel traditore che doppo havere riceuti infiniti favori e gratie, con esserli fatti presenti, dalla buona memoria del Sig. Giulio Cibo, in ricompensa di questo lo stradi di un fatto quale passava per le mani del povero Signore, (qui il Venturini prudentemente tace di questo fatto, cioè della trama di Giulio coi Francesi e i Farnesi per il moto di Genova); et fu morto in Milano da me che gl’ero servitore che l’avevo servito fino alla sua morte il detto Signore. Et questo fatto fu in le 23 hore dell anno sopra detto In Cronache di Massa cit. pag. 24. (119) Alberico offerse le sue genti alla Repubblica con la seguente lettera del 3 di luglio 1564. 111.1,10 S. pertanto, in-cenzo Rossello, cubicularius apostolicus, in Roma, compariv a Iacopo Pozzo, luogotenente di Pier Paolo 1 arisi auditor cause della Camera Apostolica, ed essendo presente Albenc y ^ di cinque anni in circa, dichiarava che costui non poteva, p nerella, gerire l’abazia di S. Siro che gli era, nell ottobre, st cessa, ed appariva necessario dargli per curatore Ra ae di Carrara, laico, dottore in utroque ture, che prestava gì ^ in mano del notaio della Camera Apostolica e faceva atto 1 proc ra, in nome suo e del minore, al suddetto Pinelli. L atto, rog ^ Ser Agostino Bonvicini, trovasi, in originale, nel toni. I ^ lanea che va sotto nome di Muzio Nicolò Domenico, * 0 che intorno all’abazia di S. Siro, mss. della Civico Beria , ^ sotto il n. 8, l’unica delle varie carte onde si compone que 1. mo di detta miscellanea, che tratti di S. Siro. Dopo Alberico, che, lasciato il sacerdozio non potea. esse più beneficiario, fu abate di S. Siro il cardinale Ippolito^ ^ ^ qui ricordato, l’undicesimo della serie, nel I551· Così y P più di mezzo secolo ebbero l’abbazia in commenda d uno famiglia essendovi.stati, successivamente, ben cinque abat di questa casa, ad eccezione del settimo, nell ordine progress , il cardinale Bendinelli Sauli, al quale, morto Lorenzo cardina Beneventano, la concesse Giulio II ch’era molto suo famigliare, berico, rivendicando il diritto di patronato per la sua famiglia, siderò che, dopo Ippolito d’Este, fosse nominato abate il suo con — 391 — giunto Niccolò Cybo, in commendatizia del quale, il io novembre del 1560, scriveva alla Repubblica di Genova, avvertendo che “ alcuni volevano impedirlo sotto pretesto che la Badia sia vacante (R. Arch. di Stato in Genova, Lettere di Principi, fil. 9). Ma come non ottenne, per lo stesso Nicolò, il vescovato di Sarzana, di che avea fatto istanza alla Repubblica poco innanzi, nè quello di Scio, domandato, l’anno dopo, a Fio IV, così non potè esser soddisfatto di S. Siro, che, contrariamente a’ suoi voti, fu concessa, da quel papa, a Giovan Battista Cicala, cardinale di S. Clemente. Cfr. Origine delle Chiese, Monasteri e Luoghi pii della città e riviera di Genova, di fr. Giacomo Giscardi della Congregazione dell’Oratorio di S. Filippo Neri in Genova; mss. della Civico-Beriana, cc. 651-653. Alberico si adoperò energicamente perchè la sua famiglia mantenesse quel privilegio. Delle sue pratiche si ha memoria anche nella lettera che il cardinale di Ferrara scriveva il 22 dicembre 1574 al Doge di Genova per informarlo della resignazione dell’abbazia di S. Siro in favore di Niccolò Cybo, raccomandato dal marchese di Massa suo parente resignazione che, poi, non doveva avere effetto positivo, come rilevasi dalle due note che seguono. Cfr. R. Arch. di Stalo 111 Genova, Litterarum, mazzo 7, lett. 7. (125) Al giuspatronato di S. Siro pretendevano i Cybo perchè “ soleva questa Chiesa pagare al più vecchio della famiglia una certa recognizione, la quale andò poi in oblivione „. Memorie della famiglia Cybo, cit. mss. del R. Arch. di Stato in Massa. La cappella gentilizia loro in quella chiesa era quella di S. Andrea. Fu appunto per questa cappella che si riconobbero i diritti della famiglia al giuspatronato di essa e fu chiesto il beneplacito del signore di Massa, il cui stemma, ne’ restauri della Chiesa intrapresi nel 1606, fu posto sull’alto dell’arco della cappella medesima. Cfr. Da Prato, Dell' insigne Basilica Genovese di S. Siro, Genova, tip. della Gioventù, 1896, pag. 88. Dalla seguente copia d’un capitolo di lettera scritta a S. Eminenza il cardinale Alderano Cybo dal cav. Pierfrancesco Pallavicino di Genova nel 1690 rilevasi che le cappelle gentilizie di quella famiglia erano sei: “ Nelle scritture del sig. Francesco Maria Cybo trovò che la famiglia aveva in questa città sei cappelle erette - 392 — in questo serenissimo dominio, (Genova) e avendole diligentemente osservate, conosco che le rendite di esse cappelle si prendono e gli obblighi e i sacrificii si trascurano. Le cappelle sono sei : una nella cattedrale di bellissima e ricchissima scoltura ; (quella di Giuliano Cybo vescovo d’Agrigento), due in S. Marcellino, una in S. Siro, una in S. Pier d’Arena, e una in S. Francesco de’ Padri Conventuali „. -R. Ardi, di Stato in Massa, Scritture genealogiche di casa C ybo. (126) Fra Vincenzo Giustiniani dell’ordine de’ Predicatori, cardinale di S. Niccolò fra le Immagini, fu l’ultimo abbate commendatario di S. Siro, il quattordicesimo nell’ordine progressivo. Avendolo gli otto Benedettini, che erano tutlora nel monastero, sollecitato di adoperarsi per restaurarlo in un con la chiesa eh’ era prossima a minare, egli preferì deporre l’ufficio e, nel 1575, fece istanza al papa Gregorio XIII perchè vi ponesse i Chierici Regolari 1 eatini. Secondo taluni non piaceva al Giustiniani la poca disciplina degli antichi monaci e desiderava liberar la chiesa di S. Siro dalle ingerenze di varie famiglie signorili. Cfr. Accinelli, Liguria sacra, II, 78; mss. della Civico-Beriana. Con breve del 5 agosto di quell anno, diretto al Cardinal Morone, che, come legato a latere della S. Sede, si trovava a Genova per riformare le leggi, in seguito ai tumulti fra nobili, il papa ordinava la visita del monastero e la sostituzione a Benedettini, ch’eranvi dal 994, dei Teatini, prescrivendo che “ ilhs ecclesiam, viridarium et partem aedificiorum, ac ambitum huiusmodi pro eorum usu et habitatione concederet et assignaret, „ e disponendo per la soppressione della dignità abbaziale. L’ordine pontificio ebbe e-secuzioneil 25 d’agosto. Gli atti notarili che furon stesi per la cessione l’agosto del 1575, sono, in copia, nel tom. II della cit. Miscellanea che è attribuita al Muzio, mss. della Civico-Beriana. Quando, nel 1582, il Giustiniani morì, mons. Cipriano Pallavicini, arcivescovo di Genova, ottenne che l’abbazia di S. Siro fosse unita alla mensa vescovile. Di qui è chiaro che significato abbiano le amare parole d’Alberico. Cfr. l'rammenti storici riguardanti parecchie chiese della Liguria, ms. lasciato alla Soc. lig. di Storia patria da Don Angelo Remondini e copiato da un cod. del sec. XVIII di mano del notaro Niccolò Perazzo. (127) Di questo suo invio a Bologna per incontrarvi Giovanna — 393 — d’Austria, sposa di Don Francesco de’ Medici, figliuolo del duca di Firenze, ci ha lasciato Alberico stesso una particolare descrizione in uno de’ brani autobiografici pubblicati, più innanzi, nell 'Appendice, pp. 107 108. 11 Viani, op. cit. nota 142, pag. 112, riferisce questo passo dei Ricordi per correggere il Galluzzi, che nella Istoria del Granducato cit. pone a Mantova anzi che a Bologna l’incontro di Alberico con la principessa d’Austria. L’arcivescovo di Siena, qui ricordato, è Francesco III Bandini, che tenne queU’ufficio per ben 59 anni: dal 1529 al 1588, anno della sua morte avvenuta in Roma. Uomo dottissimo, fu oratore presso Carlo V in Germania ed ebbe parte, nel 1546, al Concilio di Trento. Dopo la caduta di Siena se n’era partito giurando di non porvi più piede. Difatti fermò sua dimora in Roma e vi fu vice-carmerlengo e governatore della città. (128) Questo Cardinal Borromeo è Carlo, che la Chiesa ha collocato tra i Santi. Ebbe la sacra porpora il 31 gennaio 1560 da Pio IV, suo zio materno, per essere madre di S. Carlo Margherita de’ Medici sorella del papa. Oltre l’ufficio di legato di Bologna ebbe anche il governo di Romagna e della Marca. La notizia che il papa era in gì ave pericolo di vita lo indusse a partir subito per Roma, dove arrivò in lettiga trovando lo zio che ancor parlava. Cfr. pag. 107. Lo assistè amorevolmente con S. Filippo Neri, gli die’ di sua mano il viatico e fu presso diluì fino alla suprema ora, che fu a’10 dicembre del 1565. (129) Di queste feste sono state pubblicate diverse relazioni di cui le principali sono: Mellini Domenico; Descrizione dell'entrata della serenissima reina Giovanna d Austria e dell’apparato fatto in Firenze nella venuta e pelle felicissime nozze di S. A. e dell'III. ed Ecc. Signor D. Francesco de Medici, principe di Fiorenza e di Siena; Firenze, Giunti, 1566. Borghini Vincenzo, Descrizione delie feste da farsi per le felici nozze del Principe Francesco figlio di Cosimo I con Giovanna d’Austria ; in Raccolta di Lettere sitila pittura, scultura etc. Roma, Paglia-rini, 1754; voi. I, PP· 90-147. Vasari Giorgio, Descrizione dell’apparato fatto in Firenze per le - 394 — nozze del principe don Francesco di Toscana e della se> enissima rema Giovanna d'Austria ; in Opere, Firenze, Sansoni, 1882, voi. Vili. Apparato per le nozze di Francesco I de' Medici con Giovanna d Au stria. Livorno, Meucei, 1870. Descrizione dell'apparato della commedia ed intermedn d essa, 1 e citata in Firenze il giorno di S. Stefano I anno fjój ne Ila g> an sala del palazzo di S. E. Illustrissima, nelle R. nozze dell IH· ed etc. S. il Sig. Don Francesco Medici, Principe di Fiorenza e di Siena e della Arciduchessa Giovanna d’Austria sua Consorte. Fiorenza, Giunti, 1566. (130) E’ quello stesso Cardinal Francesco Gonzaga, fratello di Don Cesare d’Ariano, che aveva indotto Alberico alle seconde nozze. Cfr. nota 114. Ricordato come adorno di virtù, modestia e integi ita di costume e segnalato nelle scienze e nello studio della legge, Pio IV Io cardinale diacono il 20 :'ebbraio 1561 col titolo di S. Nicola in Carcere. Passò poi all’ordine de’ preti e al titolo di S. Lorenzo in Lucina e restaurò e abbellì il palazzo de’ cardinali titolari contiguo alla chiesa. Ebbe la legazione della provincia di Campagna e Marittima, 1 amministrazione della metropoli di Cosenza e, finalmente, nel 1565, il vescovato di Mantova. Ma, nell'anno stesso, cadeva, in Roma, gravemente ammalato nel conclave di Pio V e moriva non durante .1 conclave stesso, come scrivono I’Ughelli, il Ciacconio e il Moron , ma quando il conclave era stato aperto, e per l’appunto tre giorni dopo l’elezione del papa, cioè il 10 di gennaio del 1566, nell an fresca età di appena 28 anni, troncando le più liete speu ' che di lui s’erano concepite. La sua tomba è in S. Lorenzo in L con una epigrafe che ne tesse l’elogio ma in cui è errato 1 anno 15 5 Cfr. Forcella, Iscrizioni ed epigrafi delle Chiese di Roma cit. I , 371· (131) La lite fra i marchesi di Massa e quelli di Sannazzaro e Scaldasole si trascinò per quasi un secolo nè, dopo questo accor o del 1566, pare che Alberico avesse ragioni sufficienti per sentirsi tranquillo se, nel 1606, quarant’anni dopo, Ascanio Crispo, suo e delissimo servitore di tanti anni, cercava di togliergli o0ni con la Informazione che trovasi più innanzi, nell Appendice, pp. 120 Per bene intendere le ragioni di questa lite e per necessario con fronto con l’informazione citata, che potrebbe parere documento troppo — 395 - unilaterale, gioverà far ricordo che da Alberico Antonio Malaspina, il primo dei marchesi di Fosdinovo che ebbe, nel 1442, il governo di Massa, quello Stato passò a Giacomo 0 Iacopo, che a Massa aggiunse Carrara, Avenza e Moneta, comprandole da Antoniotlo di Spinetta I* regoso. Ebbe questo Giacomo in moglie Taddea di Francesco Pico, conte della Mirandola, di cui gli rimasero, alla sua morte, Alberico Antonio II e Francesco. Sebbene Giacomo non avesse fatto testamento l’avea però fatto Taddea, chiamando erede universale Alberico Antonio 11 e lasciando a Francesco un legato di 5000 ducati. Fra i beni di lei dovevansi annoverare i feudi di Sannazzaro e Scaldasole, in Lomellina, ereditato questo da’ suoi, acquistato quello dal marchese Giacomo coi danari della sua dote. Ora appunto questi feudi vennero assegnati, come quota materna, a Francesco, al quale, però, come erede del padre morto ab intestato, spettava anche la metà delle terre di Massa, Carrara, Avenza e Moneta. Un collegio arbitrale scelto a Massa per decidere della contesa trai fratelli,dette un lodo che, naturalmente, favoriva Alberico Antonio. E Francesco se ne appellò al duca di Milano. La lite durò, morto Francesco, fra Alberico Antonio II e Ludovico, figlio di quello, che ricorse alla Repubblica di Firenze. Francesco ed Ottaviano, nati di Ludovico, rinnovarono le loro pratiche, dopo la morte di Alberico Antonio II, valendosi del patrocinio del cardinale Giulio de’ Medici. Ma sposatasi Ricciarda, figliuola ed erede di Alberico Antonio II che avea, con testamento, provveduto a possibili pretese alla successione, con Lorenzo Cybo, troppo validi erano i favori di cui costei avrebbe saputo valersi perchè i marchesi di Sannazzaro e Scaldasole potessero sperare di veder valutate le proprie ragioni. Nondimeno quelle pretensioni poteano costituire un pericolo per lo Stato di Massa, offrendo facile pretesto di intervenire contro i Signori del tempo a chi avesse desiderato ottenerne il dominio. Così conveniva guardarsi dalla Repubblica di Genova, che come da Sarzana mirava a estendersi, novellamente, fino a Pietrasanta, così avrebbe gradito ottenere Massa e le sue dipendenze. E Luigi XII di Francia, cedendo appunto alle insistenze del marchese Gabriele di Fosdinovo, aveva già occupato quelle terre come spettanti a Ludovico di Francesco, per rappresaglia contro Alberico Antonio II, seguace del duca di Milano e per avversione allo stesso - 396 - Ludovico, che era stato carissimo al Moro dal quale aveva avuto in moglie Ippolita di Ettore Fieramonti, con la Pieve di Desio e Gombalò per dote. I discendenti di Ottaviano si fecero, nel 1566, nuovamente innanzi con le loro pretensioni e Alberico avendo “ tocco con mano che alli tempi passati et in questi non dispiaceva a qualche Principe (si allude al duca di Ferrara), porgere orecchie alle pratiche et offeite loro „ , stabilì l’accordo, del quale dava notizia al cognato Guidubaldo della Rovere con la lettera che segue : Al S.r Duca il’ Urbino, 111.mo et Ecc.mo S.r mio. L’accordo con quelli Malaspini eseguito, et appunto ieri ne tornò da loro l’Auditore mio, el quale li fece sborso di 3350 Λ, et il resto ha preso tempo a pagarli in due pai ti nel tei-mine di due anni; et perchè essi volevano, mancando le mie linee, riservarsi le solite ragioni, se li è fatto constare che non era giusto che con miei danari acquistassero più di quello c’haveano prima, del che dopo molto contrasto pure alla fine si sono acquietati et hanno formato un contratto con gagliardissime obbligationi, alle quali è necessario il consenso del Re nostro e dell’ Imperatore che, come cose ordinarie, sempre che si dimanderanno si doveranno ottenere subito, che al suo tempo n’avviserò V. E. perchè v’adoperi l’autorità sua. In questo negotio si è tocco con mano che, alli tempi passati et in questi, non di spiaceva a qualche Principe porgere orecchie alle pratiche et offerte loro, le quali come tronche con questa occasione, daranno a me maggiore quiete et consolatione et a loro forse confusione et poco contento. Di tutto come a mio particolare Signore m’è parso fare avvisata V. E. essendocerto ch’ella si compiacerà sempre che le cose mie passino bene et s’assettino in migliore stato di prima. Volevo al certo venire a baciare le mani di V. E. havendo questo debito per desiderio principalissimo, ma le febri de’ giorni passati m’hanno lasciato assai debole et in procinto di trasferirmi a’ Bagni di Lucca, il che per horam’escu-serà con lei se bene non voglio che mi disoblighi di farlo quanto prima. Tra tanto di tutto cuore le bacio le mani et la ringratio della buona espettatione che mi dicono che dà di sè Alderano mio, che tutto nasce 397 - dalle molte gratie che riceve da V F a a u u aa v· e dalla buona protettione che ne tiene. Iddio N S rendi In ei.a ni a sua JH-ma persona sempre felice e me le conservi in gratia. Di Massa, alli XII maggio 1566. Di V. Ecc.a Ill.ma Servitore Il Marchese di Massa. R. Ardi, di Stato in Massa, Copialettere d’Alberico). (132) Lo Stato d’Ajello, venduto ad istanza dei creditori del fu D. Giovanni de Soto, fu acquistato, al pubblico incanto, da Alberico coi danari della dote d’isabella di Capua, sua seconda moglie, e con la condizione che doveano succederei figliuoli che sarebbero nati da questo matrimonio. Per allora Alberico dalle sue seconde nozze non aveva avuto maschi; il primogenito, Alderano, era predestinato a succedergli negli aviti Stati di Massa e Carrara: all’atteso secondoge-mto, “ se a Dio piacerà concedermi figli maschi come spero finalmente ,„ si sarebbe dato Ajello. Ma di due altre gravidanze d’isabella non nacque ancora l’atteso: solo nel 1568 venne alla luce Don Ferrante, e costui fu il primo marchese d’Ajello di casa Cybo. Dopo la sua morte immatura rimase Alberico padrone di quello Stato per eredità dei beni del figliuolo e lo cedette a Carlo, suo nipote, nato d’Alderano. Dai C ybo lo Stato d’Ajello passò poi ai duchi di Popoli, essendo stato ceduto, in conguaglio di quanto spettava sull’eredità della duchessa Ricciarda, al manto della fu principessa Maria, sua figliuola, che il 27 d’agosto 1754 avea sposato Don Restanio Gioacchino di Tocco Cantelmo, duca di Popoli, lasciandolo vedovo il 2 agosto del 1760. ( x33) Ajello non era, sul principio, che semplice contea. Appena Alberico n'ebbe il possesso, spedì alla Corte di Spagna il suo creato Antonio Maldonado per ottenere l’investitura, con le credenziali seguenti: Al Re Filippo. S. C. R. Maestà. Havendo io da molto tempo in qua desiderato di comprare un Stato nel Regno di Napoli, tanto per stabilire con maggiori legami la servitù mia devota con V. M., quanto per - 398 “ accomodare il mio secondogenito, se a Dio piacerà concedermi figli maschi come spero finalmente, ho comprato per ducati trentotto mila il contado d’Ayello, luogo per quanto intendo di assai belle condì tioni, come la Μ. V. intenderà da Antonio Maldonado, mio creato, al quale ho ordinato che gliene dia conto e che anco intorno le supplichi alcune gratie, in mio nome, pregandola, quanto p ' milmente devo e posso, che a lui si degni dai e fede et me co delle dette gratie come m'assicura la singolar cortesia e bontà della Μ. V. che sempre lo riconoscerò da lei per favore segnalatissimo et resteranno collocate in un suo vero creato et seivitoie, come referirà il detto Maldonado. Et pregando Dio che consei vi reai persona gloriosa, le bacio reverentemente le mani. Di Carrara, alli 27 di settembre 1566. Di V. C. R. M.tà Devotissimo Servitore Alberico Cybo. (R. Arch. di Stato in Massa, Copialettere d’Alberico). Alle preghiere del signore di Massa, l· ilippo II rispose be ‘ guarnente, concedendo, con diploma del 12 dicembre 1569, che 1 tanto desiderato secondogenito d’Alberico si chiamasse marchese d’Ajello. Filippo III, poi, il 25 giugno del 1605, eresse la terra in u-cato : però Carlo Cybo si chiamò non più marchese, ma duca d Aje o. (134) Questa figliuola d’Alberico fu l’unica che sopravvivesse al padre. Posta nel convento delle Murate presso sua zia Eleonor , che v’era tornata, per la terza volta, dopo la morte di Chiappino Vitelli, suo secondo marito, nel i575> e avea impiegato parte de suo largo censo a vantaggio del convento facendovi far du p pelle nell’orto, alcune stanze per sè e per le gentildonne della sua famiglia, e altri benefici, vi stette, dapprima, con la sorella Lucrezia, che ne uscì per andar sposa al duca Ercole Sfondrati nel 159Γ· Preso il velo, dopo la morte della zia divenne badessa e due volte fu nominata a questo alto ufficio ch'era triennale: dal 1612 al 1615, la prima, dal 1618 al 1621, la seconda. Ma per quanto da queste notizie del Padre Placido Puccinelli, cit. dal Manni, Sigilli, X, i45> - 399 - apparisca che le consorelle aveano molto affetto per Suor Angela Caterina, (così si denominava in monastero), da certe lettere di suo padre al granduca appare che fosse dalle monache molto angustiata, per modo che fu necessario ad Alberico invocare la protezione del signor di Firenze. Branchi, Storia della Luigiana feudale, III, 808. Afflitta da una malattia, Alberico l'affidò alle cure del famoso Mercuriale da I-orlì, come appare dalla seguente lettera: Al S.or Mercuriale (*). HI.e et molto eccel.e Sig.e. Prima ch’io venga alla risposta della lettera sua, ricevuta con questo ordinario, stimo conveniente ringratiarla quanto posso il più della fatica durata, e che priego continuare a suo tempo, nell’indi-spositione di suor Angela Caterina, mia figliuola, la quale è amata da me tenerissimamente. Non è molto che mi scrisse, che doppo i rimedn lasciati rispeto ai caldi che corrono, ch’ella si sentiva ritornato il medesimo catarro salso e qualche parte della solita calidità, come 1 una cosa e 1 altra, e di momento, tanto più vengo stretta-mente a pregarla e con il suo molto sapere vegga che si estinguino questi dui mali, ambidui riguardevoli. Di Carrara, 26 agosto 1604. (R. Arch. di Stato in Massa; Copialettere d'Alberico). Ma, tornata in salute, visse fino alla tarda età di 74 anni, morendo il 17 d’agosto 1640. Dalla breve biografia che ne fa il cit. Puc-ciNF.LLi, rilevasi ch’ella fu come di sangue nobilissimo, così di nobili costumi, e addimostrò nel suo ministero singoiar valore. Arricchì la sacrestia di 10 candelieri d'argento per l’altar maggiore, della secchietta ed aspersorio per l’acqua benedetta, d’ un apparato morello ricamato d’oro, della cappella di S. Carlo contigua all’altare (*; Celebre medico, nato a Forlì il 30 settembre 1530; morto il 13 novembre 1606. — 400 — grande, e di tre mila scudi di capitale, con più altri benefìci. Clr. Historia dell'eroiche attieni de BB. Gometio Portiigese, abbate di Badia, e di Teuzzone romito, con la serie dell1 insigne monastero delle Murate di Fiorenza, di D. Placido Puccinelli, monaco castnese et antiquario di detta Badia ; Milano. Ramellati, 1645, pp. 7° e io^· ^ra della chiesa delle Murate il Richa, op. cit. II. 79, ricorda “ la corona del santo cardinale Carlo Borromeo „ ottenuta da suor Angiola Caterina Cybo. Don Luigi de Requesens che, con la moglie, la tenne al battesimo, fu uno de’tanti strumenti della fiera politica di l'ilippo II. Lra chiamato il Commendatore maggior di Castiglia e si rese tristamente celebre nella repressione feroce e crudele della ribellione moi esca delle Alpuxarras nel 1570. Andava, nel 1566, ambasciatore a Roma e s eia fermato a Genova per inchinare il doge Giov. Battista Lercaro. Nel 1571 fu posto al fianco di Don Giovanni d’Austria e, come luogotenente generale, l’accompagnava nella guerra contro il I ureo. (135) Alfonso II del Carretto, figliuolo di Giovanni II e di Benedetta Spinola, marchese di Savona e del Finale, parente d Alberico perchè discendeva da Teodorina Usodimare-Cibo, venuto a contrasto coi sudditi, che gli rimproveravano vizi e crudeltà, si fece oppres sore di que’ popoli, che per segreto incitamento della Repubblica di Genova, desiderosa di stendervi il suo dominio, gli si ribellai ono. Il marchese riparò alla Corte di Vienna, sperando di ottenere il fa vore imperiale: ma, nel 1568, Massimiliano avocò a sè il marchesato che, più tardi, fu acquistato dalla Spagna. Alfonso II, rimase in Austr ia fino alla sua morte, che fu nel J5^3· Tabulae genealogicae gentis Carrettensis et Marchionum Savonae, Finaru, Clavexanae etc. di Io. Brichernius Colombus; Vindobonae, ex typ. Kaliwodiana, i74r· (136) È riprodotto, insieme con altri precedenti diplomi di cui, con questo, si fa la conferma e ratifica, in un codicetto pergamenaceo, rilegato di marocchino rosso e con lo stemma de Cybo impresso, in oro, sui piatti che ha questo titolo: Copte autentiche di privilegi della Casa Cybo, che conservasi nel R. Archivio di Stato in Massa, Sez. Archivio Ducale. (137) Alberico si affrettò a dar nuova della dignità, ricevuta il 4 d’ ottobre, alla Repubblica genovese con la lettera seguente scritta quattro giorni dopo : Eccmo Signor Duce et Illmi Signori miei ossmi. Poi che per esperienza ho veduto che quanto più sono accompagnai. di honori e degnità li servitori e figliuoli di codesta Eccfna Repubblica, tanto più, conforme alla sua naturai benevolenza e amo-ìe verso di loio, essa se ne rallegra, come cosa che torna in servitio et argumento di reputatione a lei stessa, dalla quale son nati, cosi mi rendo certo che essend’ io in tal numero, gli sarà ora grato di veder accresciute in me quelle che S. M. Cesarea si è degnata di concedermi, con infinita cortesia, quale sono di havermi creato Principe d Imperio et che si conservi questa degnità in perpetuo in casa mia, et anco di dar titolo particolare di Principato a questo Stato, et di Marchese di Carrara al primogenito. Assicurando le S. V. Illme che quanto maggior sarà l’essere et il potere mio tanto più lo troveranno alla giornata prontissimo in ogni servitio della patria, conforme all’ inclinatione et al desiderio che tengo di servirla sempre. Et di cuore offrendoglielo di nuovo quanto più posso et debbo, faccio fine e gli bacio le mani, et prego Dio per ogni loro felicità et augumento di Stato. Di Massa alli VIIJ di ottobre del MDLViij (I). Di V. Ecc.za Ill.ma Amorevolissimo servitore et figliuolo Il Principe di Massa. All’ Ecc.'"° S.or Duce et IU mi S/i Governatori dell’ Ecc.ma Rep.“ di Genova Miei S.ri Oss.mi ( Invio di Stato tu Genova, Lettere di Principi, mazzo 9). (’) Nella registrazione, a tergo, è posto 1568 che è la vera data. 26 — 402 — Vedasi anche la lettera con cui il marchese partecipò la concessione ottenuta al figliuolo, pubblicata più innanzi, Appenditi PaS■ JSS- . D’ allora in poi Alberico e i suoi successori portarono il titolo di principi del Sacro Romano Impero e i primogeniti quello di mai chesi di Carrara. 11 diploma di Massimiliano II, trovasi, in copia, nella cit. Appendice del Viani sotto il η. XXXI, mss. nel R. Archivio di Stato in Massa. Il Venturini ne' suoi Ricordi così racconta il fausto evento . “ A dì 4 ottobre 1568 venne dalla Corte di S. M. Cattolica il Castellano di Massa, mandato da S. S. 111.™, per nome Messer Giovanni Lombardelli di Carrara ; et portò i privilegii concessi dalla detta Maestà, con fare Massa Principato sia a detto Sig. come a tutti li suoi disendenti, et fece Carrara Marchesato, il quale ne fu investito il Sig. Alderano Cibo, suo figliol, et di più hi fatto Pi in cipe d’Impero, tutto in un medesimo tempo. A questa nova, la do-menicha venente fu da S. S. Ill.ma hordinato a tutto il suo Stato ne fusse fatto segno di 'alegrezza, come più che voluntieri da tutto il suo Stato fu fatto, con fare il detto giorno messa solenne, con processione di tutto il populo, et la sera si fecero fuochi grandissimi per tutto il Stato, con tiri di artelleria, et che in quello giorno fuss festato per sempre „. Più tardi il giorno di S. Francesco fu giorno di festa e fiera per Massa anche per la ricorrenza dell onomastico del duca di dena Francesco IV prima, poi Francesco V. Si univano, così, due ragioni politiche a quella religiosa; perchè, oltre S. Pietio, anc S. Francesco è patrono di Massa. L’Anniboni ricorda anch’egli l’avvenimento lieto. Cfr, Cronache di Massa ed. dallo Sforza, pp. 28 e 94-95· (138) Il Venturini scrive : “ A dì 22 ottobre 1568 il Sig. Ales sandro Cibo andò alla Corte di S. Maestà Cesarea pei ringraciailo del favor fattoli del tittolo et grado de Principe d’ Imperio et fatto Massa Principato. Che Idio gli dia buon viaggio et felice ritoino. 11 detto Sig. ritornò dala Corte di S. M. il dì X di gennaio 1569 „. Cronache di Massa, cit. pag. 29. Quattro furono i figliuoli naturali — 403 — del caidinaie Innocenzo Cybo, questo Alessandro e Clemente, pei quali comparisce come attore e curatore Francesco Sereno in un atto del 1556, rogato dal notaro Lorenzo Cattaneo Foglietta, in cui sono chiaramente designati “ i nobili Clemente ed Alessandro, figli natui ali ed eredi del R.mo Car. Innocenzo Cybo R. Arch. di Stato ut Genova, Notari, Sala I, Scanzia 36, Rogiti di Lorenzo Cathaneo Foglietta, filza unica); e due femmine Elena e Ricciarda. Alessandro visse lungamente a Massa, vi morì a 63 anni, nel 1612 e fu posto in S. Francesco, Clemente fu cavaliere di S. Stefano, Elena, prediletta dalla marchesa Ricciarda, e sua legataria, sposò Federico Malaspina di Villafranca; Ricciarda si maritò con Giuseppe Poiani dei signori di Piè di Luco. Il cardinale li leggittimò tutti e li ricordò nel suo testamento lasciando loro tanto da provvederli. Cfr. il Testamento del cardinale Innocenzo Cybo, più innanzi, nell 'Appendice, pag. 177 e segg. (139) Per la nascita di questo tanto atteso figliuolo maschio si fecero grandissime feste descritte dai cronisti massesi. Fu battezzato il 6 di gennaio del 1569, alle ore 22 ed ebbe primo il nome di Stefano, dal santo che ricorreva il giorno della sua nascita, 26 dicembre, e di Franceschetto, in ricordo dell’ avo d’ Alberico e “ per divozione „ del titolare della chiesa che, oggi, è la cattedrale di Massa. Fu chiamato, poi, col nome del zio materno. Lo portò al sacro fonte Clemente Cybo, naturale del cardinale Innocenzo, e cavaliere del- 1 Ordine di Santo Stefano, e lo tennero a battesimo messer Francesco Mascardo, che aveva servito per lunghi anni, fedelmente, il cardinale e Ricciarda, e la signora Elena Malaspina, altra figliuola naturale d’ Innocenzo, a nome del cardinale d’Este e di donna Lucrezia Estense sua sorella. Cfr. nota prec. Venturini, op. cit. pag. 30; Anniboni, op. cit. pag. 95; Cro-nachetta massese cit. pag. 47 48. Poiché sulla data della nascita di questo figliuolo non v'ha alcun dubbio che fu il 26 dicembre 1568, converrà credere che vi sia errore nel ricordo, fatto poco innanzi sotto il 28 d’agosto dello stesso anno, d’ essersi Isabella “ scunciata „ in Villafranca d’ un altro figliuolo di tre mesi. (140) Questo malinconico ricordo, fatto da Alberico sul volgere dell’ anno, quasi riassumendo le amarezze e i disinganni eh’ egli — 404 — aveva patito nel 1569, non trova spiegazione da Alberico stesso nel Libro di ricordi che, per quell’anno, è affatto muto. Già agli anni 1548-49-50 aveva fatto uguale osservazione, notando eh essi “ furno per la casa Cybo infelici et di grandissima perdita cfr. pag. 20 ; ma, in quel luogo, spiega la ragione. Dai cronisti massesi e dal carteggio del marchese di Massa, però, abbiamo la spiegazione di questa nota dolorosa. Furono, specialmente, le mancate speranze di ottenere dalla Corte di Roma e di Spaglia onorevoli uffici, che lo angustiarono. Fin dal 1566 era risoluto tornarsene al servizio di Filippo li, come appare da questa lettera scritta a Cosimo de Medici. Al Duca di Fiorenza. Ul.m0 et Ecc.mo S.or mio oss.m° Perchè credo, venendo Sua Maestà, di seguirlo in Fiandra et ponendomi a ordine di molte cose che m’occorrono, nè potendo a modo mio et secondo il bisogno pormi a cavallo, vengo con questa mia a supplicare V. E. Ill.ma che si degni farmi gratia d’ uno de suoi, che, com’ egli se sia, per il favore che riceverò dalla cortesia sua mi sarà gratissimo et ne le terrò infinito obbligo. Et perchè^a posta mando il presente mio, faccio qui fine con baciare a V. E. le mani. Di Massa, alli XIJ di Xbre 1566. Servitore di V. Ecc.za Il Marchese di Massa. (R. Arch. di Stato in Massa, Copialettere d' Alberico). Ma poi non ne fece nulla. 11 26 luglio dello stesso anno 1569 scriveva a Giulia Boiarda, figliuola di Ippolita sua zia, con termini che mostrano com’egli fosse afflitto, ma sapesse rassegnarsi a’ divini voleri : “ Non se dia in preda ai dispiaceri del mondo, poiché N. S. li regge e governa a modo suo „. Aggiungasi che quell’anno 1569 fu tristissimo per rigori del — 405 — verno, sicché la neve, insolita a Massa, danneggiò le campagne grandemente: nell’autunno piogge, venti e tempeste avean ruinato guardiole delle nuove mura di Massa, ingrossando straordinariamente la Magra con danni gravissimi di cui anche a Massa si videro le dolorose conseguenze e, nel dicembre, si mosse un vento cosi terribile che atterrò uno sterminato numero di piante arrecando, a Massa soltanto, da 50 mila scudi di danni. Tutto ciò, le ragioni intime e la tristezza che per quelle sventure del paese opprimeva Alberico, ci spiegano il perchè di questo ricordo doloroso. (141) Alderano quando aveva compiuto appena i dieci anni fu mandato alla Corte d’ Urbino, come quella che più d’ ogni altra era adatta a formarne un perfetto gentiluomo. Vi rimase per ben undici anni, imparandovi quanto si conveniva a figlio di nobile casata, e a cavaliere valoroso e gentile. Nella primavera del 1571, apparecchiandosi la spedizione del- 1 armata della lega de’ principi cristiani contro i Turchi, il principe d’ Urbino Francesco Maria della Rovere, cresciuto insieme con Alderano, chiese ad Alberico che lasciasse andare a quell’ impresa il figliuolo. Ecco la richiesta : Al Principe di Massa. IH. S.rc. Intenderà V. S. 111.ma dal Marchese, suo figliuolo, il desiderio eh’ egli ha di venire con me sopra le galere di S. M. in questi bisogni della lega hora conclusa ; però voglio ancor io pregarla, quanto più posso, a volersi contentare concederli licenza acciò possa mettere in esecuzione questo suo honorato pensiero, del quale son sicuro che ne riporterà quel frutto che si desidera. Et poiché mi lendo certo che V. S. non ci negherà questa giusta gratia che le domandiamo, mi contenti con quanto ho detto; con baciarle di più la mani e raccomandarmele di tutto cuore. Da Pesaro, 8 maggio 1571. Di V. S. Ill.ma amorevole parente et servitore Il Principe di Urbino. (R. Archivio di Stato in Massa, Carteggio d’Alberico). — 4°6 — Incerto sul da farsi, il signore di Massa che non era tranquillo per il pericolo cui volea porsi il prediletto suo primogenito, rifiuto dapprima il consenso, come appare dalla seguente lettera al figliuolo: Al Marchese di Carrara. Hl.m° figlio carissimo. Laudo il vostro pensiero et mi compiaccio assai dell’ honorato animo che mostrate in questa occasione del viaggio, che voreste fare sopra l’armata con il Principe nostio 111. , et mi rendo certo che tale siate per mostrare sempre in tutte le attioni che si presenteranno alla giornata; ma perchè sopì a di ciò scrivo a lungo a loro Ecc.« non dirò altro a voi, se non che questa volta non voglio in modo alcuno ponervi a questo risico d infermità et d' altri mali, che possono avvenire facilmente, ma aspettare di vedere che a poco a poco si confaccia la complessione sopra il mare ; la quale in così repentina resolutione et lungo camino non so come ella potesse assicurarmi della gelosia et continuo timore che n’ haverei : onde restate quieto, et non mancate ubbedire, come confido che siate per fare sempre, che non mancherà tempo, a Dio piacendo, che tutti restiamo compiaciuti. Et con questo abbracciandovi, faccio fine. Che il Signore sia in nostra protettone. Di Massa, 17 maggio 1571· Padre amoroso Alberico (R. Arch. di Stato in Massa, Copialettere d’Alberico). Poi scriveane, il 29 maggio, al granduca di Firenze per intendere il parer suo. Ma a Cosimo non parve conveniente mandare un giovanetto di poco più che 18 anni a così seria impresa e lo conforto nell’ opinione di trattenerlo. Se non che, nel luglio di quell anno, recatosi Alberico con tutta la famiglia e ricco seguito a Genova per far riverenza a Rodolfo e ad Ernesto, figliuoli dell’imperatore Massimiliano, che sulle navi di Filippo II venivano di Spagna per passare in Ungheria; e anche per inchinare Don Giovanni d Austria, già designato comandante supremo dell’ armata, non seppe resistere alle reiterate insistenze del principe e del figliuolo, e concesse ad Al- — 407 — derano di mettersi in mare sulla galera Capitana, che Andrea Provana di Leinj conduceva con altre due, la Piemontesa e la Margarita, al gian conflitto, per ordine di Emanuele Filiberto duca di Savoia. Ne dava, 1 u agosto, ragguaglio al granduca e al principe Francesco, suo figliuolo, con le seguenti lettere, in cui vuole anche scusarsi d’ aver contravvenuto al consiglio del Medici : Di Massa, n agosto 1571. Alberigo al Granduca Cosimo. Essendo Γ altr’ hieri tornato da Genova molto ben veduto da quei Ser.mi Principi, ho voluto con la presente mia far reverenza a V. Altezza et dirle che quanto io m’ero resoluto et particolarmente per il prudente parere di lei, di stare su l’oppinion mia molto fermo, di non lassare andare il Marchese mio figliuolo su l’armata per adesso, tanto maggiormente sono stato combattuto dal Sig. Principe d’ Urbino a consentirglilo, sì come ho fatto, essendomi mosso a questo per haver veduto mio figliuolo di miglior cera et complessione eh’ io non pensavo. ( Omissis). (Al Principe Francesco di Toscana). 11 d’agosto 1571. Sermo Sig. mio osser.iìio. Di poche hore innanzi che partisse il Sig. Don Giovanni d’ Austria da Genova, vi comparse il Sig. Principe d’Urbino; il quale in così breve tempo mi fece tanta grande instanza di lassare andare il Marchese mio figliuolo su 1’ armata, che tra essa et il veder lui di megliore aspetto et cera eh' io non mi persudevo, fui contento alla fine di consentirlo, se bene fu con qualche mio dispiacere. (Omissis). Di V. Altezza Affezionato Servitore Il Principe di Massa (R. Arch. di Stato in Firenze, Mediceo, fil. 2830). — 40S — (142) I curiosi particolari della visita fatta da Alberico al papa Gregorio XIII la sera della sua creazione, ce li ha narrati egli stesso in uno de’ vari passi autobiografici che si leggono più innanzi nell’ Appendice, pp. 109-110. Ma neanche da questo novello pontefice potè il marchese di Massa impetrare qualcosa più di quel che non avesse avuto dagli altri, sicché dopo essersi trattenuto quasi due mesi a Roma tornò, il 27 giugno, a Massa, di dove era partito con molti servitori il 7 del maggio precedente, ed ebbe a soffrire, in quella calda stagione, un lungo periodo di malattia. Cf. Venturini, op. cit. 42. (143) Nella cappella sotterranea di S. l'rancesco di Massa furon poste tutt’e due le mogli dJ Alberico e sul loro sepolcro si legge questa epigrafe : ALBERICUS CVBO MALASPINA SACR. ROM. IMP. ET MASSAE PRINCEPS PRIMVS CARRARIAE ET AYELLI MARCH. ET FERENTILLI COMES VXORES DVAS HABVIT MAGNIS PRINCIPIBVS ORTAS ISABELLAM FRANC. MARIAE VRBINATIS DVCIS ET ISABELLAM VINC. TERM. DVCIS FILIASET GENERIS ET VIRI'VTVM SPLENDORE PARES DECESSERVNT IPSO AETATIS FLORE ALTERA OCT. IDVS 1VNII MDLXI ALTERA VERO A. D. XIX KAL. FEBRVARII MDLXXV HARVM CORPORA MOESTISSIMVS A'IR HOC IN TVMVLO CONDITA POSVIT ANNO MDXCVIII. Nell’ Arch. di Stato di Genova, Lettere di Principi, busta 9, c’ e la partecipazione della “ perdita della Principessa mia „ fatta da Alberico al Doge e a’ Governatori il 25 di gennaio 1575. Nella chiesa di S. Gregorio di Monte Celio a Roma esiste una epigrafe ad Isabella, che vi è denominata soiella di Don renante di Capua, duca di Termoli, e moglie d’Alberico, e che è detta “ donna di santimonia di valore e di giudizio esemplare, morta con grandis sima costanza della fede e con animo invitto „, con la quale si ri corda un lascito di 10 scudi annui fatto da lei per tante messe che se le dicessero da quei padri gregoriani. Vedila in Manni, Osservazioni sui Sigilli, XVIII, 8. (144) Marfisa, figliuola di Francesco d’Este, marchese di Massa Lombarda, ricca, bellissima, bizzarra, pazza per i divertimenti, era — 409 — vedova di Alfonsino suo cugino, figlio del principe Alfonso d’ Este, col quale, però, avea vissuto in matrimonio quattro mesi appena. Eredito dal padre un vistoso patrimonio che il Muratori fa ammontare a 300 mila scudi. Antichità estensi, Par. Il, 399. Il parentado, per quello che scrive il Venturini, fu stabilito il T4 di gennaio. E a Massa se ne celebrò la conclusione con grandi feste, che incominciate la successiva domenica, 20 di quel mese, intervenendo alla messa solenne e al banchetto anche il principe di Salerno con sua madre e con le sorelle insieme ad altre signore e gentiluomini genovesi, durarono per tre giorni. 11 22 di marzo Al-deiano partì da Massa per andar presso la novella sua sposa e s avviò a l· errara passando da Castelnuovo di Garfagnana accompagnato da 30 cavalli con cariaggi, numero ristretto, per cagione della peste che, in quei giorni infieriva in Italia. Op. cit. pag. 60. Nei capitoli matrimoniali oltre lo stabilirsi la dote, che dovea consegnarsi in tanti beni stabili fino alla concorrenza degli 80 mila scudi d oro pattuiti, il principe Alberico promise d’istituire il suo primogenito Alderano erede de’ suoi feudi e de’ beni posseduti a Pisa, in Roma, a Ferrara, a Bologna e a Genova e di passare cinquemila scudi d oro 1’ anno ai due coniugi, oltre i frutti della dote. E perchè non fu esatto al pagamento, nel seguente anno fu citato in Firenze dal duca di Ferrara. La lite, però, fu presto amichevolmente composta, cedendo Alberico agli sposi tanti beni da cui ritrarre, i 5000 scudi promessi. (*45) Carlo, primogenito d’Alderano Cybo, ebbe il titolo di marchese d’ Ajello, dopo la morte immatura di suo zio Don Ferrante, l· u poi chiamato Duca d’ Ajello, (cfr. nota 133) e, per la morte del padre, preconizzato a succedere ad Alberico suo nonno negli Stati di Massa e Carrara, Ferentillo e Padula. Di lui si farà, in seguito, più ampia memoria. (146) Francesco, secondogenito di Alderano Cybo, militò in Fiandra con Giovanni de’ Medici, fratello del granduca Ferdinando I, e al servizio della marina spagnuola si segnalò non meno che nelle fazioni guerresche. Morì di febbre maligna nell’ ancor fresca età di 34 anni, quando i primi saggi del suo valore facevano concepire le più liete — 410 — speranze di lui. L’avo Alberico fece seppellirlo nella chiesa de Cappuccini di Massa, con una epigrafe che fa degna ricordanza de suoi meriti e che fu stampata dal Viani, op. cit. nota 197» Pag· 125. (147) Edoardo, terzo figliuolo di Alderano, studiò a Pisa, dove ottenne la laurea nell’una e nell’altra legge, fu allogato presso la Corte del duca d’ Urbino e da lui, per intercessione del granduca Ferdinando I di Toscana, ottenne una ricca pensione. (148) Di Cesare Cybo, quartogenito d’Alderano, fa memoria 1' Imhoff nelle Genealogiae vigiliti illustrium in Italia familiarum, Am-stelodami, 1710. (149) Fu sposa del conte Ercole Pepoli e, divisa da lui, tornò a Massa, dove morì il 10 ottobre 1635. 11 suo sepolcro esisteva nella cappella di S. Carlo nella distrutta chiesa cattedrale massese di S. Pietro, con un’ epigrafe riportata dal Viani, op. cit., p. 127 nota 200, in cui si fanno elogi della sua pietà e religione. Fondò a Massa i due canonicati intitolati del SS. Crocifisso e di S. Antonio di Padova. Matteoni, Guida delle Chiese di Massa lunense, Massa, tip. Cagliari, 1880, pag. XXI.. (150) Ferdinando ebbe il nome dal granduca *di Toscana, che con la marchesa di Mantova lo tenne al sacro fonte. Avviato al sacerdozio visse a Massa presso 1’ avo Alberico, che si valse di lui in varie delicate missioni e in pubblici uffici. Prese 1’ abito dei cavalieri di Malta e, col favore del principe, sperò aver posto nelle dignità prelatizie. Ma non vi riuscì. Il suo nome è congiunto con la istituzione di alcune cappellanie nella diruta chiesa di S. Pietro e del canonicato e prebenda di S. Giovanni, di cui fu dichiarato patrono. Morì a Massa nei primi di marzo del 1635. (151) Alessandro, nato nel 1594, fu cavaliere gerosolimitano, navigò sulle galere del granduca di Toscana, poi si ritirò a Massa, dove dall’avo fu adoperato in diverse missioni presso la Corte medicea. Morì il 21 di marzo del 1639 e fu sepolto nella chiesa de’ Cappuccini di Massa, con una epigrafe che il Viani ha stampato, op. cit., pp. 126, nota 199. (152) Questo recipitore che dette l’abito di Malta ad Alessandro — 4ΐι — fu il cav. 1'rancesco di Giorgio de’ Contrucci di Mondovì, de’ marchesi di Ceva. Ai predetti sette figliuoli d’Alderano sono da aggiungere Ottavio ed Orazio, naturali, che seguirono il mestiere delle armi, come appai e dajla richiesta che il primo faceva, nel 1638, al granduca Ferdinando II del posto di capitano d’infanteria, e dalla domanda che, nello stesso anno, rivolgeva, allo stesso principe, il secondo, per una promozione nella compagnia colonnella di Livorno. Branchi, op. cit., Ili, 812. (153) 11 Venturini, che fu al suo servizio, racconta come “ la sua malattia durò passa dua anni, et si consumò in maniera che non vi restò se non Tosse sole ,. Op cit., pag. 65. Aveva appena 21 anno! 11 parentado di Eleonora con Agostino Grimaldi, Duca d’Evoli, figliuolo di Niceolò e di Giulia qm. Giuliano Cibo, era stato concluso il 21 febbraio del 1580 a Massa, dove, come vedemmo, quel signore con la famiglia sua era intervenuto alle feste per gli sponsali di Alderano. Cfr. nota 144. Per dote furono assegnati alla sposa 30 mila scudi d’oro. La cerimonia nuziale si fece solennemente il 24 aprile nella chiesa cattedrale di S. Pietro, che sorgeva nell’odierna piazza Umberto 1, già degli Aranci, e fu demolita da Elisa Baciocchi, nel i8°7> Per far prospettiva al rosso palazzo ducale, oggi provinciale, e perchè le sue condizioni statiche erano poco buone. 11 Venturini ci lasciò la descrizione della cerimonia, seguita da un “ bellissimo banchetto in sala grande del palazzo „, da una festa da ballo che “ si durò fino le due hore di notte; poi era in hordine una bellissima colacione di cose di cucharo ed accostatisi alle tavole le diedero il sparecchio, con segni de infinita allegrezza, con musiche e canti Op. cit., pagg. 61-62. I due sposi trovavansi a Massa anche nel febbraio del successivo 1581, con la principessa di Salerno e altre signore, avendo molto caro il soggiorno presso Alberico, da cui erano stati riccamente accolti e ospitati, pochi anni innanzi, al tempo delle discordie genovesi fra nobili vecchi e novi. Cfr. pag. no e nota 272. La partecipazione del parentado fu fatta da Alberico alla Repubblica di Genova con deferentissima lettera che è ne\Y Appendice, pag. 142. - 412 — (154) La lettera, scritta quattro giorni avanti che chiudesse gli occhi per sempre, vedila più innanzi, Par. II, pp. 88-89, con la risposta che le aceva il marito, costretto a non mettersi in un viaggio così lungo com’era quello da Napoli a Genova, a causa della malferma salute, e composta il 18 d’ottobre, quando già Leonora era stata deposta nel sepolcro. Agostino Grimaldi sposò, in seconde nozze, Isabella Frangipani de’ duchi della Tolfa, di cui gli nacquero Orsola ed Anna Maria, che si fecero monache, e Niccolò, morto nel 1639 senza prole, sicché con lui si estinse questo ramo del nobile casato genovese. (155) Il Piaggio, Monumenta Genuensia, mss. della Civico Buriana di Genova, al voi. Ili, pag. 126, riporta l’epigrafe seguente, che era nella sacrestia della ormai demolita chiesa di S. Francesco di Castelletto, proprio in corrispondenza di quanto è scritto nel testo. Leg-gevasi scolpita sopra una cartella di marmo, sormontata da uno stemma sostenuto da due puttini: LAURAE CIBO GRIMALDO DUCISSAE EVOLI FIDE FORTITUDINE MORUM HONESTATE AC SUAVITATE INSIGNI DULCISSIMAE FILIAE QUAE VIXIT ANNOS NATU XXI DIES XIII, OCTAVA IDUS OCTOBRIS ANNO MDLXXXV MIGRAVIT IN CAELUM ALBERICUS CIBO PRINCEPS MASSAE FUNUS PIIS LACRIMIS PROSECUTUS DUM IN OPORTUNIORI LOCO CONDATUR HIC POSUIT. (156) Fra le numerose condoglianze pervenute ad Alberico merita d’essere conosciuta la bella lettera che gli scrisse Luisa D’Oria, moglie di Giuseppe Malaspina marchese di Fosdinovo: Illmo et Eccmo Signore, Io mi reputo haver tanto grado con la Casa di V. E. I. che, pensando al dolor suo et all’affettione particolare che portavo alla Duchessa sua figlia, non posso fare che all’animo mio non sia pre- — 413 — muto estremamente questa perdita. Tutta via si come questi son frutti che da il mondo, conviene aquietarsene, et prendere in buon grado tutto quello che viene dalla volontà divina, e tanto più prego V. E. I. a così fare, quanto che essa Signora s’è preparata con molta costanza d animo a far questo passaggio sì santamente, e questa e la maggior consolatione che si possa in simili casi ricevere; e perchè so che è prudente, non me gl’estenderò in altro, se non in pregar Dio che la consoli in questa sua afflittione d’altrettanto bene e maggior felicità; e con questo le bascio le mani. Di Fosdinovo, il dì 22 ottobre 1585. Di V. Ecc.za Ill.ma per servirla Aluisa Doria Malaspina (a). extra All Illmo et Eccfno S.or Π Signor Principe di Massa a Genova. ( A/di. di Stato in Massa, Carteggio d'Alberico I, ad annum). (157) Era nei pressi della odierna chiesa di S. Maria della Sanità a cui si sale dalla Circonvallazione a Monte e, più precisamente, allestiemo di Coi so Magenta. La mitezza dell’aria e la posizione amena e solatia fra il verdeggiare della campagna, le dettero questo nome. Il luogo chiamavasi S. Bernardino, perchè già nel secolo XV v era una cappella dedicata a questo Santo “ onde il nome attribuito a quel suolo che indi in poi si trascina più disagiato alle uscite della città ,,, come scrive I’Alizeri, Guida illustrativa del cittadino e del Jorastiero per la città di Genova e sue adiacenze, Genova, Sambolino, i875> pag. 506. Oggi, a riconferma del nome, sorge su in alto del colle il bel convento che i Cappuccini hanno dedicato allo stesso santo fin dal 1876. ( ) Autografa la sottoscrizione. Questa Luisa fu moglie di Giuseppe Malaspina di Fosdinovo, e, per la presente sua lettera, resta definitivamente provato che il suo nome era veramente Luisa e non Vittoria come rilevasi dal Hattilana, onde il nomedi Vittoria passò in vani scrittori. Era sorella di Giannettino e della Peretta che fu sposa del l’infelicissimo Giulio Cybo, e nasceva da Tommaso D'Oria. — 414 — Cfr. Tavola cronologica della Provincia Cappuccina ligure, in Codice Diplomatico dei Cappuccini liguri del P. Francesco Saverio Mol- fino, Genova, 1904, Tip. della Gioventù. Stefano de’ Mari, del fu Gio. Batta, di cui qui si fa parola, espropriò l'antica chiesetta di S. Bernardino, la demolì e tece, a luogo, edificare l’odierna chiesa di S. Maria della Sanità pei suo patronato, dandola ai Carmelitani Scalzi nel i6r2. (158) I Cybo avean dimora nella parrocchia di S. Marcellino, in via del Campo, dove, secondo Marco Gentile, si annoveravano ben 33 delle loro case. V’eran quelle de’ loro parenti e congiunti. Da una nota delle case che, nel 1503, erano sotto la parrocchia, trascritta dal benemerito Rettore di S. Marcellino Francesco De Feriaris, il q quasi un secolo dopo compilò il Libro di memoiie, sctittuie, 1 > concessioni etc. che trovasi oggidì nell’archivio di quella chiesa, rilevano i nomi di Franciscus Cybo e di Petrus Mari, in casa del quale Franceschetto fece testamento nel 1515, cfr. nota 28; di Pantaleo Navonus, in domo Francisci Cybo, di Iohannes Calisanus, in domo Magnifici Francisci Cybo. Queste due ultime eiano ca.v tate da Franceschetto a quei locatori. Ma il palagio di fami0l , nacque Ippolita, e che Franceschetto chiama “ casa nostra „, cfi. nota 16, è l’odierno palazzo Chiappa, che, in quella via, è segnato col n. 10. Fu, poi, d’Alberico e se ne fa memoria in altra nota del Ferraris che ha la data del 1610. Da questa si rileva che, seco volere espresso già nel suo testamento, (vedilo in fine dell Appen ^ , anche l’annessa casa, già degli Invrea, era, in quell anno, prop ’ di Alberico: “ Domus Magnifici Domini Alberici Cybo in qua habitat Bernardus de Invrea,,. Nel testamento citato è chiaramente espi essa l’ubicazione del palazzo co’ suoi naturali confini e, anche oggi, a ricordanza de’ primitivi signori, oltre i due tondi marmorei, ^ renti alle due pareti dell'atrio, in cui sono scolpiti gli stemmi^ cardinali Giovan Battista e Lorenzo Cibo, Abati Commendatari di S. Siro, oltre l’arma di famiglia, che sormonta l’architrave marmoreo della bella porta in fondo al cortile, salendo la scala, al primo ripiano, nel muro, si leggono in una pietruzza di marmo queste parole. Alb. Cybo Massae Princ. Primus Anno D. MDLXXVII. — 415 — (x59) Questa figliuola naturale d’Alberico nacque a Massa nel novembre 1555. n yIANI osservò già l’errore del Dal Pozzo, che nelle Maraviglie heroiche del sesso donnesco, Verona, 1678, pag. 20, chiama costei figliuola legittima d’Alberico perchè nata d’isabella di Capua, sua seconda moglie; mentre gli nacque sette anni innanzi che s’unisse in matrimonio con essa. Op. cit. nota i8r. pag. 121. Bisogna però correggere anche il Viani, che la dice nata a Roma, mentre Alberico stesso confessa che nacque in Massa. Cfr. pag. 63. (160) L aquila bicipite, sovrapposta allo stemma di famiglia, con una cartella Ira gli artigli su cui è il motto Libertas, concessa ad Alberico e a suoi discendenti da Rodolfo II imperatore, comparve nella doppia, la bella moneta aurea coniata dalla zecca massese nel 1588. Cfi. Viani, op. cit. pag. 169. Il privilegio imperiale, in data del 17 giugno 1590, trovasi in copia fra i cit. Documenti del Viani, mss. nell’Areh. di Massa, sotto il numero XXXII. Ma se, due anni avanti della data di questo diploma, il principe di Massa fregiavasi già delle nuove imprese concessegli da Rodolfo II, la ragione si tiova nel fatto che dalla lettera dell’arciduca Ernesto, quel medesimo che avea visitato a Genova nel luglio 1571, cfr. nota 141, rite-nevasene ormai autorizzato fin dal maggio del 1588. Cfr. al proposito anche le osservazioni del Viani, op. cit. pag. 115, nota 154. (161) Forse Francesco di Giovanni D’Oria, cugino del duca di 1 uisi, che sposò Maddalena qm. Secondo Spinola, di cui gli nacquero quattio figliuoli: Maria, Niccolosia, Nicoletta e Giacomo. (162) La suntuosa villa di Bagnaia era proprio, in quei giorni, nel massimo del suo splendore. A tre miglia da Viterbo, in elevata e saluberrima postura dove ottimo è il clima, elastica e fresca l’aria, il cardinale Raffaele Riario, così generoso e magnifico verso gli ar-tisti, gittò le prime fondamenta del superbo edificio in sul cadere del secolo XV. Nicolò Ridolfi, cardinale e vescovo di Viterbo, ne seguitò la fabbrica, alloggiando, nel 1535, nel bellissimo palagio ch’egli avea eretto, il papa Paolo III. Ma fu il cardinale Gio. Francesco Gambara quegli che proseguì e perfezionò la formazione della villa con tanta splendidezza ond’è riconosciuto suo principale autore. Pose nelle stanze del palagio quattro iscrizioni coi ritratti di Paolo III, — 4*6 — Pio IV, Pio V e Gregorio XIII, l’ultimo dei quali era stato ospite della villa nel 1578, trattato splendidamente dal cardinale Gambata. Proprio in quei giorni Alessandro Peretti Damasceni, detto il Cardinal Montalto, pronipote di Sisto V, ottenuta la cessione di Bagnala alla Camera Apostolica, in correspettivo d’altri beni assegnati alla mensa vescovile di Viterbo, accresceva e abbelliva la villa, dove, nel 1597, avrebbe sontuosamente ospitato Clemente Vili con una Corte di 8 cardinali. Pare che il Gambara mirasse a far della Villa di Bagnaia un luogo di delizie che potesse competere con 1 altra celeberrima de’ Farnesi a Caprarola, dove Alberico ci racconta di essere stato nel maggio di quel medesimo anno. Cfr. pag. 42. P ra le bellezze della villa di Bagnaia, oltre il palazzo ricco di pregevoli upere d’arte e gli annessi fabbricati, sono ricordevoli le vaghe fontane, le belle peschiere, i diversi giuochi d’acqua di cui è grandissima abbondanza, e tutte le delizie che si posssono desideiaie in un vago e bel giardino. Cfr. Moroni, op.cit., voi. ιοί, pp. 2θ8·2Γ2. (163) Il Reverendo Giovan Antonio Lomacci, fu uno dei più fidati agenti di Alberico a Roma, dove già il marchese di Massa avea avuto altro sicuro rappresentante in Bartolommeo Ferentillo. Dell’opera savia, prudente e accorta del Lomacci si giovò, particolarmente, per condurre a fine la pratica del matrimonio di Lucrez'a col nipote di papa Gregorio XIV, Sfondrati. Era agente a Roma anche nel 1606. Cfr. pag. 56. (164) Il giardino e la villa con l’annesso palazzo alla Trinità dei Monti, sede oggi, dal 1803, dell’Accademia di l· rancia. Qui si tratta del cardinale Ferdinando de’ Medici; ma si deve specialmente ad un altro porporato, Alessandro, che lo ampliò ed abbellì avanti la sua assunzione al Pontificato col nome di Leone XI, il nome di “ Villa de’ Medici „ che è tuttora vivo oggidì. La costruzione di quell’edificio maestoso, posto sopra uno delle più ridenti colline di Roma, prossimo al Pincio, è dovuto al cardinale Ricci da Montepulciano, su disegni dell’architetto Annibaie Lippi. La tradizione, però, attribuisce al divino Michelangelo il prospetto interno della villa, così fastoso da poter parere anche eccessivamente ricco di fregi, stucchi e modanature. (165) Tommaso Malaspina, figliuolo di Giovan Battista di Vii- - 417 — la anca, pet le divisioni col fratello, del 1561 divenne marchese astevoli, iniziando così un altro ramo di quella famiglia, già propagata e suddivisa in tanti feudi minori. Fu uno dei più illustri signori di quella “ gente onrata „ che “ non si sfregia del pregio borsa e della spada Pio, giusto, operoso, Siena nelle sue _ f P'opiio paese nei monumenti, tuttora lo rammentano. Sposo Bianca di quel Niccola Secco, da Brescia, Capitano generale di giustizia nello Stato di Milano, che ebbe la cura anche del pro- o dell infelicissimo Giulio Cybo. In seconde nozze si unì con c zia di Leonaido Malaspina, marchese di Podenzana, del quale già vane volte ci occorse far ricordanza. Lasciato il governo del feudo nelle mani di fidi ministri, se ne andò alla Corte di Toscana, ove divenne il più sicuro raccomandatario di tutti i suoi parenti e consoiti di Lunigiana. Nel 1567 si pose, perso anni, col suo feudo in accomandigia del granduca Francesco I, che, nel 1576, lo inviò come suo ambasciatore, alla Corte cesarea. Nel 1587 fu eletto Ca-° e ^ener ale delle Armi Granducali in Siena, dove trovan-nel 1590 fu nominato Luogotenente e Governatore Generale della città e dello Stato, uffici delicatissimi che sostenne con fermezza e decoro non scompagnati da umanità, per cui a’ Senesi di-enne assai cai o. Seppe ordinare o richiamare in vigore certe leggi provvisioni utilissime, sì per il diritto regio contro le usurpazioni della Sede romana, e sì pel vantaggio de’ cittadini. Terminato il uo governo nel 1593, vi fu un’altra volta chiamato nel 1594 e vi rimase finché morì il 12 ottobre 1603. Non trascurò Castevoli e nemmeno le altre tei re di Lunigiana, ma, e ne’ suoi feudi, per provvedervi ad alcune urgenze, e nelle terre de’ consorti, intervenendo come arbitro e pacificatore, mostrò più volte il suo valore e la sua saggezza. La vita pubblica di Tommaso di Castevoli fu una continua opeiosità: la vita privata fu amareggiata da domestiche sventine, chè oltre la perdita della prima moglie, che lo addolorò gra-\ememente, vide morirsi ben cinque de’ suoi figliuoli. La sua memoria testò lungamente in Siena circondata di venerazione e d'affetto. Cfr. Branchi, Stona della Lunigiana feudale cit., voi. II, pp. 116-176. (166) Ercole era figliuolo di Paolo Sfondrati, barone di Yalas-*ina, e di Sigismonda di Sigismondo d’Este, signore di S. Martino 27 — 4lS — m Rio. Niccolò, fratello di Paolo, divenne vescovo di Cremona, fu cardinale di Pio IV e, finalmente, salì al soglio pontificio pigliando il nome di Gregorio XIV. Costui e il minor fratello, 1 aolo, nasce vano da Francesco di Giambattista, celebrato giureconsulto, conte palatino nei lidi del lago di Como dalla parte orientale, e barone di Valassina, che, rimasto vedovo di Anna Visconti, si avviò al sa cerdozio e fu cardinale di Paolo III e vescovo di Cremoiia. (167) Le pratiche per questo parentado si fecero nel 159° a Genova, dove il principe di Massa era venuto a passai 1 estate. Il cardinale Niccolò, zio di Ercole, mostrava desiderarlo vivamente e anche Alberico era ben disposto per l’antica amicizia che eia coi sa fra la famiglia Cybo e quella Sfondrati. Nel settembie di quell anno giunse, da Milano, Coriolano Visconti con procura di Eicole e con eluse il matrimonio, sottoscrivendone il 10 di quel mese i capitoli, per cui si stabiliva la dote in 20 mila scudi doro, gaiantiti sopra un credito che il signore di Massa aveva verso Don Cesare Este e assicurato su tanti terreni in Perrara. Si faceva, peiò, la serva di ottenere il consenso del granduca di loscana Ferdinando I, che s’era impegnato di collocar la fanciulla, la quale tiovavasi nel Murate “ sotto l’ombra e protettion sua „. Cfr. Staffetti, Una sposa principesca del cinquecento, cit., pag. 7 9 (168) Lucrezia trovavasi, in quei giorni, nel convento delle IV rate, dove Alberico l’avea posta, dopo la morte di Eleonora Grima , con l’altra sorella Caterina, divenutane poi suora e badessa, cfi. n. 134, sotto la cura amorosa della loro zia Eleonoia, ormai vedov di Gian Luigi Fiesco e di Chiappino Vitelli. La decisione del Po tefice, che pareva avesse abbandonato il disegno delle promess nozze, si dovette certo all’azione energica di Perseo Cattaneo, gei tiluomo carrarese, inviato straordinario di Alberico alla Corte di Rome (169) Leonora Cybo-Fieschi-Vitelli, rientrata, per la terza volta e definitivamente, nelle Murate alla morte del secondo marito, nel 1575» era ben provveduta di sostanze, e già ne’ capitoli del matrimonio di Lucrezia s’era alluso ad un suo futuro legato in favore della nepote. Però Alberico non movea foglia senza condursi di perfetto accordo con la sorella per il matrimonio della figliuola. (170) I ommaso Malaspina, dei marchesi di Villafranca, signore dl Castevolb già castellano, e ora governatore della Città. Cfr. nota 165. (171) Gì egorio XIV, contrariamente al suo predecessore Sisto V avea negato aiuto, si mostrò inclinato a favorire in Francia la Lega, mentre, per le vittorie di Arques e d’Ivry, cresceva la potenza di Enrico IV. Desideroso di dare un comando militare al nipote Ercole, deliberò mandarlo al soccorso dei cattolici con 2 mila fanti e 1000 cavalli, a’ quali si sarebbero uniti 6 mila Svizzeri. Fatta la massa a Lodi, queste genti passarono di Lombardia in Piemonte e, per le terre di Borgogna, si avviarono verso la Lorena, dove giun-seio nel settembre del 1591. Ma le sorti della Lega peggioravano, le malattie sei peggiavano fra le genti ecclesiastiche, e un grave dissidio era scoppiato fi a il generalissimo, duca di Montemarciano e Pietro Caetani, comandante della cavalleria. La notizia della morte dello zio, papa Gregorio XIV, dette il supremo tracollo alla pazienza di Ercole che, di Piccardia, dove trovavasi ai primi del dicembre di quello stesso anno 1591, chiese il suo richiamo. E nella prima metà del 1592 se ne toi nò in Italia, raggiungendo la moglie nelle terre avite di Bellagio, dove, da quel tempo, posero stabilmente dimora. (172) Contro il desiderio del padre che, seguendo l’andazzo de’ tempi, voleva del secondogenito fare un “ grande uomo di chiesa „ perche ogni illustre famiglia, accanto al primogenito erede del titolo e del patrimonio, aveva l’insigne prelato, Ferrante mostravasi di contraria tendenza. Il padre stesso ce lo descrive rivolto alla mondanità, e un cronista genovese' clìe J.eeOT- \ c^e av ea summam ad res bellicas propensionem „. Cybo Recco, Historiae Genuensium, Familia Cybo; ms. n. ro7 della Biblioteca della Congregazione delle. Missioni urbane, in Genova. Innocenzo IX, Facti, potè, del resto, per poco lusingare le speranze concepite da Alberico, perchè morì dopo appena due mesi di pontificato. Delle pratiche d’Alberico per ottenere il cardinalato al figliuolo al tempo di Gregorio XIV ci dà prova anche una lettera del suo affine Piero Meliino, che trovavasi, in quel tempo, alla nunziatura di Spagna, e il 20 luglio 1591 gli scriveva da Madrid: “ Del Sig. Don Ferrante sto con certa speranza che S. Sta sia per soddisfarsi de — 420 — honorare la persona sua come conviene, per dimostrar 1 effetto del grato animo suo verso di V. Ecc.™ et rinovare in un medesimo © tempo, la dovuta dignità alla sua Eccellentissima Casa, si che ancor-chè S. Bne lo differisca, non lascierà però al creder mio di tarlo per li suddetti rispetti Speranze seminate sullaiena, perchè Gie-gorio XIV morì prima di aver potuto appagare il desiderio d Alberico, che si rammarica, giustamente, di non aver potuto ottenere alcun favore all’infuori di parole amorevoli “ e di darle la salvietta al mangiare „ cfr. pag. 49, concessione questa che allo spirito salace di Cosimo I de’ Medici avrebbe, forse, suggerito un’ironica esclamazione, come quella che avea fatto sapendo che, in Lucca, di pai i coi tesia era stato favorito il duca di Ferrara da Carlo V: Peccato che l’Ariosto non labbia saputo! „ L’arcivescovo di Napoli qui ricordato è Annibaie di Capua, figliuolo di Vincenzo duca di Termoli, quindi (rateilo d Isabella, se conda moglie d’Alberico e, rispettivamente, zio materno di Ferrante. Studiò leggi a Padova e a Pavia, fu insigne giureconsulto, referen dario delle Segnature, Nuncio Apostolico a Rodolfo II imperatole, e poi ordinario Nuncio a Venezia. Innalzato alla metropoli napole tana l’n agosto 1578, la tenne fino al dì della sua moite, 2 di settembre 1595. Mentre governava quell’ archidiocesi fu spedito per tre anni in Germania come Nuncio ordinario presso Sigi smondo. Prenunciato alla sacra porpora da Gregoi io XP > non conseguì, poi, per la troppo sollecita morte di lui, sicché tutto volse ad opere di pietà e beneficenza in prò della sua sede. _ __Cfr. Ughelli, /fa/iig·- ggn-rtp Vj; Γ02-107. (173) Della morte di Don Ferrante, suo figliuolo, Alberic dar subito notizia al papa Clemente VIII, come appare dal guente lettera: Al cav. Matteo Pellegrini. Bagiarete i piedi di Sua Santità in nome mio e di D. Feira mio figliuolo, al quale havendo dato la benedizione, questa notte ondice hore si passò a più felice vita... Egli in 73 gioì ni ha pati pene intolerabile, nè mai hauto hora di quiete, anzi quando doi — 421 — mi va la notte era sempre con suo molto travaglio, del che sempre P ingranava Iddio, sopportando il tutto con inestimabile forammo. Si è confessato due volte e comunicato in questi giorni passati: questa notte poi fui chiamato alle X hore, che lui ai haveva dormito cosi quieto, e in un’hora tornò a riconciliarsi, prese la santissima Comunione, verso la quale fece una prudente devotissima oiatione; parlò poi meco con infinito affetto e amore e mi disse sì com’io havevo hauto tanta cura del corpo ch’io facessi il medesimo dell’anima, con farli fare tra elemosine e dir messe 300 A.dl Lasciò tutti i suoi ori e vestimenti a’ suoi servitori, con questo voltatosi dall altra banda prese l’ultima untione e passò subito con tutti i segni di quiete dellanimo e del spirito... Di Massa 2 di feb.° 1593. Alberico Cibo (sic). (R. A>ch. eh Stato in Massa. Copialettere (ΓAlberico). (I74l Alderano, primogenito d’Alberico, che aveva il titolo di marchese di Carrara. (175> II compianto per la morte del giovane principe fu grande, come grande era stato il vivo interesse che per la sua malattia avean mostrato i maggiori principi e signori del tempo. La granduchessa Cristina di Toscana scriveva, il 12 gennaio 1592, (St. fior.) da Livorno ad Alberico dolendosi che il figliuolo “ stesse con poca salute Augurava e sperava che la gioventù dovesse vincere il male. Il granduca Ferdinando, scriveva da Pisa, il successivo 5 febbraio, rammaricandosi della morte di Don Ferrante. Il 20 di marzo scriveva ancora dichiarando di volersi rimettere a Celio, gentiluomo d Alberico, per quanto gli avrebbe dovuto riferire e dicendo che, per consolarlo, lo avrebbe volentieri veduto presso di sè. Il duca di Termoli 1 11 dicembre 1592, da Napoli, lamentava l’accidente sopravvenuto al nipote Don Ferrante. E il giorno stesso, l'arcivescovo di Napoli, monsignor Annibaie di Capua (cfr. nota 172), asseriva che era “ rimasto con dispiacere infinito per lo sputo di sangue patito da Don Ferrante Il 18 dello stesso dicembre l’arcivescovo si affliggeva “per la continuazione del male di Don Ferrante. Ranuccio Farnese, duca d — 422 — Parmae Piacenza, traeva argomento per confortare Alberico dalla propria sventura, mandandogli il 14 dicembre del i592> ^ marchese Francesco Sforza, suo feudatario, a partecipare la morte d. suo padre, il gran capitano di Spagna Alessandro Farnese, avvenuta ad Arras, nelle Fiandre, il 3 dello stesso dicembre. E il 22 febbraio 1593 inviava il suo gentiluomo Silvio Poggi a condolersi pei la morte di Don Ferrante. 11 i7 di febbraio anche Cesare d’Este, da Ferrara, avea scritto ad Alberico per condolersi della morte del figliuolo, e, da Venezia, scrivea, per la stessa ragione, il 27 di febbiaio, Mat eo Priuli, Vescovo di Vicenza, ricordando con mesta tenerezza d aver conosciuto il giovane, così immaturamente morto, là in Venezia “ cavaliere molto gratioso e di grande espettatione E condoglianze inviavano Lucrezia d’Este, duchessa d’Urbino, il 6 di marzo, da Ferrara; Vincenzo Gonzaga, duca di Mantova e del Monferrato, .1 giorno medesimo, da Mantova, e il giorno seguente da Roma, .1 celebratissimo cardinale Federigo Borromeo. Tutte queste lettere si conservano nel R. Arch. di Stato in Massa, Archivio ducale, Carteggio d’ Alberico /, ad annum. (176) Il granduca Ferdinando I di Toscana inviò alla cura di Don Ferrante il dottor Dias che, assistendo l’ammalato, prestò opera soddisfacente. Il duca di Termoli sperava assai nei rimedi mandati dal granduca. Il principe Giovan Andrea D'Oria, richiesto da Alberico di mandargli le pietre per stagnare il sangue, rammaricava*, il 4 dicembre 1592, di non poterlo servire. Scrive che ne porto di quelle di Bezuar più di una dozzina dalla Spagna, ma tutti gliele chiesero, e tante, che se ne avesse avuta una nave piena se ne sarebbero tutte andate. L’ultima che gli rimane si trova in mano signor Arrigo Saivago, che ha un figlio ammalato con molto pencolo. Prega Iddio che risani Don Ferrante. Il duca d. Parma e Piacenza il 1° di febbraio, (troppo tardi, chè il meschino era già morto.) manda l’olio di corallo e il consulto del Conforto, medico bresciano de’ più stimati d’Italia. Tutte queste notizie ricavansi dal cit. Carteggio di Alberico I, ad arnurn, che conservasi nel R. Archivio di Stato in Massa, Ar-chivio ducale. — 423 — (177) Nella cripta della cappella sepolcrale de’ Cybo, in S. Francesco di Massa, sul pavimento alla destra di chi entra, vedesi ancora la pietra della tomba di Don Ferrante con questa epigrafe: COELO ADDICTUS FUIT FERRANDUS CYBO aielli marchio die trigesima] jan[uarii] anni sesqui millesimi nonagesimi tertii aetatis suae vero viges, quarti mensis unius et dierum quatuor summa cum fide prudentia atque fortitudine vitam finiens, principis alberici parentis sui HAUD SINE DOLORE QUAM MAXIMO. Cfr. anche Viani Giorgio, Memorie della famiglia Cybo e delle Monete di Massa di Lunigiana, Pisa, Prosperi, 1808. (178) Ricevuta la trista nuova della morte della sorella, Alberico scriveva alla figliuola, che da dieci anni conviveva insieme con lei nelle Murate, questa lettera di cordoglio: Dona Caterina Cybo. Figlia Carissima et Amatissima, Iddio ci visita spesso per conoscere e provare la nostra fermezza e lede, che perciò Io dovemo rengratiare di quanto ci manda et contentarsi d’ogni volontà sua. Vi prego et astringo et comando che di tanta perdita di una zia et mia carissima sorella, ricevuta in questi giorni, ve ne aquietate e consolate, sperando al certo che avrete un angiolo di più che pregherà Iddio per voi e per me. Mando il mio Governatore di Massa, [Ascanio Crispo] perchè vi consoli et assicuri che sono et sarò sempre quello amorevolissimo padre che devo, per tante ragioni, et con questo prego a N. Signor che vi ritorni la sanità, procurando di recuperarla quanto prima e per voi e per mia particolare consolatione; et con questo vi abraccio di core. Di Genova, alli 26 di Febraro 1594. Amorevolissimo Padre Alberico Cybo. (R. Ardi, di Stato in Massa, carteggio di Alberico I, 1573-1612). — 424 — (179) Si tratta certo di Francesco, figliuolo di quel Scipione, ultimo de’ fratelli di Gian Luigi, che vedemmo rifugiato in l'rancia, (cfr. nota 88), dove pigliò in moglie Alfonsina di Roberto Strozzi, l· 1 an-cesco sposò Anna di Leveneur qm. Giacomo e fu Conte di I illieies. Cfr. Albero genealog. a pag. 69. (180) Alberico scriveva, il 4 d’ottobre del 1598, da Massa, al marchese di Carrara, suo figliuolo, incaricandolo di presentai sue lettere di complimento e di scusa all’arciduca Alberto e alla piinci-pessa di Spagna che, in quei giorni, stavano per passale da Ferrara. Sapendo che il re di Spagna era prossimo a morite, voleva impetrare dal suo successore, con la grazia dell’arciduca, che il li-oliuolo fosse conservato nel medesimo grado e con le stesse pieio- o gative del padre. Per conferma di questo rinnovato favore sperava veder mantenuta a sè la servitù verso la Maestà sua, e confidava che l’arciduca Alberto non gli mancasse della protezione che aveagli già promesso in Savona. Si raccomandava che anche il papa Cle mente Vili, ridivenuto in que’ giorni, per la guerra di devoluzione, signor di Ferrara, interponesse i suoi buoni uffici, e contava, p^iciò, sull’opera di Alderano e di donna Marfisa, sua moglie. Scriverebbe anche al Sig. Ferdinando Spinola, fratello del Signor Ettoie, genti luomo della bocca di S. A., perchè favorisse la pratica. Se vi fosse fra’ cortigiani il principe d’Orange sarebbe opportuno trattarne anche con lui. Con altra lettera dell’8 di ottobre, scritta da Carrara all'arciduca Alberto, Alberico si scusava di non poter andargli a lar riverenza per una indisposizione che l’obbligava a stai e in riguai do. Mentre, però, inviava le sue condoglianze per le tristi nuove sulla salute del Re, partecipava all’Arciduca che avea incaricato il figliuolo “ qual mandai a questi mesi ad incontrare e servire a S. S , in Ferrara di presentargli un memoriale e di porgergli I attestato della servitù sua ardentissima “ verso di quella e di tutta la serenissima casa d’Austria, dalla quale in più tempi e occasioni mi trovo beneficato e favorito al possibile „. 11 memoriale d'Alberico ricorda come, dal 1558, Per quaranta anni continui, egli avesse servito S. M. con titolo e giado di ciambellano, e col percepire duemila e quattrocento scudi doio 1 anno, — 425 — oltie seicento annessi a quella dignità. Chiedeva che l’arciduca Alberto interponesse i suoi buoni uffici perchè passassero in persona del marchese di Carrara, suo primogenito, le medesime prerogative, gradi e preminenze. 11 capitano Aurelio Crispo era inviato poco dopo alla Corte di Spagna, con una credenziale pel nuovo Re, in cui Alberico offriva sè, il figliuolo e la casa sua. Nell istruzione pel Crispo, gli dava incarico e di condolersi per la morte di Filippo II e di rallegrarsi per l’assunzione al trono del successore e per le sue nozze imminenti. Egli dovea procurarsi l’aiuto de’ cortigiani e signori più autorevoli e, segnatamente, del marchese di Denia, favorito del nuovo re, e del conte di Miranda, presidente del consiglio d’Italia, e, per mezzo di loro, ottenere dal nuovo sovrano la.conferma della servitù durata per 40 anni continui. Dovea l’inviato valersi anche del concorso di Ambrogio Spinola, amico e servitore del marchese di Denia, e di quello del Signor D. Pietro de’ Medici. Quando, infine, fosse stato ricevuto da S. M. dovea “ efficacemente mostrarle il dolore havuto da me per la morte del Re, padre di S. M. e mio Signore, e l’allegrezza per esserle successo la M. sua, vero e degno successore, e per il matrimonio ancora stabilito con la M. della Regina ,,, offrendoli la servitù sua. Alberico avvertiva che “ se queste parole fossero dette in lingua spagnola, non sarìa che bene, per mostrar che su tutto si cerca d’imitar la natione del padrone Tutta questa pratica ci mostra il carattere eminentemente remissivo del governo di Alberico, dedito tutto a Spagna e così stretto dalla devozione verso i sovrani di quel paese, dominanti in Italia, da assumere anche il formalismo intricatissimo di favori e sollecitazioni per ottenere il suo intento, secondo il tristo uso imperante allora e, con più gravi conseguenze, nel secolo successivo. (181) Filippo II, che ormai toccava il 71 anno, era consunto da un terribile morbo che gli aveva coperto le giunture d’ulceri cancrenose dolorosissime. All’Escuriale, dove s’era fatto trasportare, s’apparecchiò al supremo passaggio con stoica impassibilità; finché, — 426 — dopo patimenti atroci, con devota compunzione, chiuse gli occhi per sempre il mattino del 13 settembre del 1598. Cfr. Gachard, Particularités inédites sur les derniers moments de Philippe II; in Bulletin de ΓAcademie de Belgique, XV (1848), II, 396 e segg. Philippson M., L'Europa occidentale nell'epoca di Filippo II, Milano, Soc. ed. libraria, pp. 820. li 20 novembre 1598 gli fecero solenni esequie nella chiesa cattedrale di S. Pietro di Massa “ con apparato et una tribuna che giungieva al tetto; con infiniti lumi che faceva una bellissima veduta „. Cfr. Venturini, op. cit., pag. 68. Era presente il principe Alberico, che apprezzò assai il discorso del frate Innocenzo Cybo-Ghisi, che ebbe anche l’onore delle stampe: Oratione funebre nell es-sequie della Cattolica Maestà di Filippo II Re di Spagna, recitata alla presenza dell’illustrissimo et Eccellentissimo Signor Don Alberico Cybo Ma/aspina Principe di Massa. Lucca, V. Busdraghi, 1598. (182) La chiesa de’ Cappuccini di Massa fu fabbricata, contemporaneamente al convento, a mezzo del colle che sovrasta il borgo di Cabaccola. Pose la prima pietra, nel 1604, Giovan Battista Saivago, vescovo di Luni e Sarzana, che la consacrò, dedicandola all Assunzione di Maria Vergine, due anni dopo. Dunque tu edificata prima la cappella a sinistra, più prossima al convento, poi, in due anni, tirata a compimento tutta la chiesuola. Nella facciata della quale sono due lapidi marmoree che ricordano questi avvenimenti, compresa la messa che vi ascoltò Alberico “ XVIII Kal. Septembris „. Sono stampate dal Matteoni, Guida delle Chiese di Massa Lunense cit., pag. 29. (183) Brigida di Giannettino Spinola, qm. Nicolò, e di Diana de’ Mari, qm. Stefano, era nata nel 1588. Cfr. Battilana, Famiglie nobili di Genova. Del parentado concluso Alberico dava parte alla Repubblica di Genova scrivendo, l’n gennaio 1605, da Massa: “ Non mi pareva col mio ripatriare nè di haver satisfatto a me medesimo nè complito a pieno all’obligo c’ho a quella mia patria, se non le havessi dato segno più chiaro dell’osservanza e devotione mia grande verso di lei, con lo stabilire la successione mia in quella città, dove tutti delli miei antecessori son nati e vessuti con tanta gloria e splendore; il che haverà effetto mediante l’accasamento di Don Carlo, mio — 427 — nepote, con la Signora Donna Brigida Spinola „. La lettera era portata da un gentiluomo inviato appositamente a Genova. (184) Placidia, figliuola di Giovanni D’Oria, (Giannettino, ucciso, nella congiura fieschina del 1547, alla porta di S. Tommaso), sposò Niccolò Spinola quondam Luca. Di Placidia e Niccolò nasceva Giannettino, che ripeteva il nome dell’avo, ed era nipote di Gian Andrea DOria, Principe di Melfi, fratello di Placidia, e quindi pronipote del principe Andrea D’Oria. Cfr. Istoria della famiglia Spinola descritta dalla sua origine fino al secolo XVI da Massimiliano Die za della Congregazione della Madre di Dio ; Piacenza, Barachi, 1694, pag. 300. Questa Placidia Spinola, che interviene al contratto nuziale di Brigida, è l’ava paterna della sposa, da non confondersi con l’altra Placidia, sorella della sposa stessa, che ripeteva il nome dell’ava. Cfr. nota 185. (185) Diana, del quondam Stefano de’ Mari, fu sposa di Giannettino Spinola. Cfr. nota precedente. Di questo matrimonio, mancando prole maschile, rimasero a Diana, già vedova nel 1588, due figliuole, Brigida, di cui si parla, e Placidia, che ripeteva il nome dell’ava, e si sposò con Carlo D’Oria, suo cugino, figliuolo secondogenito del celebrato Giovan Andrea e Duca di Tursi. Cfr. Teatro Araldico di Tettoni e Saladini, Lodi, Wilmant, 1841 e segg., voi. III. (186) Brigida Spinola recò in dote i feudi di Beiforte, nel Monferrato, e quello di Aiello del Regno di Napoli, posto dal marito a cautela della dote della moglie. Placidia, sua sorella, ebbe, invece, i due feudi imperiali di Calice e Veprio. Cfr. Deza, op'. cit., pag. 300. (187) Nel R. Arch. di Stato in Massa, Sez. Arch. Ducale, è un grosso fascicolo, rilegato di pergamena, che ha questo titolo a rubrica: 1604. Libro nel quale v'è la copia dell1 instrumento della dote di Donna Brigida. Altro instrumento di promissioni della Signora Diana Mari Spinola e del procuratore delta Signora Donna Marfisa e Marchesa di Carrara. Altro di ratificatione di detto instrumento fatta dal Signor Principe Alberico a Don Carlo Cvbo. Altro pure di ratifica-tione. Altro di vendita di censo, altro di rivocatione del censo, altro di dichiaratione circa la compra dell' annue entrate di Napoli, con altri — 428 — cinque instrumenti appresso. Annesso v è un libretto concernente i beni della Signora Principessa Brigida. I documenti notati in questo sommario non sono, però, tutti copiati nel fascicolo, a cui resta un gran numero di carte in bianco. L’esame diligente ed accurato di quegli istrumenti che sono trascritti nel codice, ci offrirà argomento di una speciale dissertazione su Brigida Spinola e la sua famiglia, con particolari curiosi per la storia del costume e per la conoscenza de’ beni e de’ possedimenti di questa nobilissima fra le antiche casate genovesi. (188) Veronica Grimaldi, sposa di Stefano de Mari, ebbe Diana che pigliò Giannettino Spinola, onde nacquero Brigida e Placidia. E, dunque, l’ava materna della Duchessa d'Aiello. (189) Tra le carte d’Alberico, raccolte nella filza III delle Carte dei Cvbo di Genova, nel R. Arch. diStato in Massa, v’ha la seguente — Memoria del sepolcro rinovato di pp. Innocenzo VIII. Vi è scritto su: Di mano del Sig. Pe Alberico; ma è una copia d’altra mano. Del guanto e della medaglia, cui, forse, andava annessa questa memoria, nell’originale non ho trovato traccia. Memoria della traslatione del corpo d’Innocenzo 8° nel luogo dove oggi si vede, in S. Pietro, sortita l’anno 1621. Scritta di carattere di D. Alberico Cyb:). Memoria. Morì papa Innocenzo nostro del 1491, et (sic) hoggi che siamo del 1621, che son 130 anni, per la nova fabrica di San Pietio si guastò il sito dov’era il sepolcro suo di bronzo, et la capella sua, qual era molto bella et adotata di 400 Su 1 anno, et nel pontificato di Paolo quinto s’hebbe gratia et favore di colocarlo dove si vede, in bell’et honorevol luogo; ma prima, alla presenza del Sig. Carlc Bandini et altri prelati, con l’agente mio, s’aperse la cascia di bronzo e si trovò il corpo integro con il piviale di brocato, pianelle, con havere patito poco, et guanti di setta, et con molte medaglie, una delle quali è questa che starà con il guanto. Il rimanente andò in polvere, onde accomodorno Fossa in una casetta di piombo, come fecero di quelle del Conte Francesco, mio avo, et della moglie, signora Madalena di Medici, che fumo posti nella capella. La spesa et hornamento de hora sarà da 600 S“ fatta da me: Alberico. Cfr. note 31 e 32. — 429 — (i9°) La tomba cPInnocenzo Vili, lavoro dell’insigne scultore fiorentino Antonio Poliamolo, è riprodotta in molte opere artistiche e desei itta da quanti hanno illustrato la Basilica Vaticana. Pier Sante Bar-"lOLi la intagliò egregiamente nel rame e il Bonanni la pubblicò nel suo noto libro che tratta delle medaglie rappresentanti il tempio vaticano. Il I* orcella, nella cit. op. Iscrizioni cd epigrafi delle chiese di Roma, voi. VI, dopo aver detto, nella prefazione, come Paolo V ordinò a Carlo Maderno che riunisse nella parte inferiore della nuova fabbrica di S. Pietro tutte le parti dell’antica basilica, facendo a questa un’aggiunta, lavoro che ebbe principio nel 1606 col demolire il rimanente del vecchio tempio; alla pag. 146 riporta, sotto il n. 536, la epigrafe fatta fare da Alberico al bisavo pontefice, l’anno 1621. Descrive poi l’odierna tomba così: “ Questo monumento, in gran parte di bronzo, vedesi sulla destra, sotto la seconda arcata della nave sinistra, oltrepassata la seconda cappella. Nella parte superiore si osserva la statua d’Innocenzo Vili in abiti pontificali, seduto, in atto di benedire, tenendo nella sinistra il ferro di una lancia, per rammentarci quella che aprì il costato del Redentore, mandatagli in dono da Baiazette II, imperatore de’ Turchi. Ai lati della statua sono rappresentate le quattro virtù cardinali. Nella parte inferiore, parimente in bronzo, è 1’ urna su cui vedesi giacente la statua del pontefice, opera del valente artefice Antonio Pollaiolo. In origine questo sepolcro vedevasi nella cappella dedicata oggi in onore di S. Sebastiano „. Ferdinando Gregorovius così descrive l’opera stessa nel suo libro : Le tombe dei Papi, prima traduzione italiana rivista ed accresciuta dall’ autore, Roma, Bocca, 1879, pp. 150-6: “ Il medesimo artista, (il Poliamolo), fece anche la tomba di bronzo d’Innocenzo Vili Cybo (1484-1492). Trovasi in S. Pietro su d’un pilastro vicino alla cappella del coro, molto sollevata dal pavimento. 11 lavoro è di gran finitezza, ma troppo minuto e artificioso. Il Papa giace su d’ un sarcofago di bronzo; egli è rappresentato un’altra volta seduto in trono colla mano destra levata per benedire, mentre nella sinistra tiene il ferro della sacra lancia, che il Sultano Bajazette gli aveva mandato in dono. Le nicchie dei pilastri, di qua e di là, sono adorne di figure rappresentanti le virtù teologali e cardinali, cioè la fede, la speranza, — 43« — la carità, la giustizia, la fortezza, la temperanza e la prudenza. L’iscrizione chiama Innocenzo costante difensore della pace d Italia e ricorda la gloriosa scoperta del nuovo mondo, avvenuta a suoi tempi. Dice anche che il Sultano gli spedì la lancia eh erasi abbeverata del Sangue di Cristo „. Ecco ora l’epigrafe fatta fare da Alberico, che si legge sull urna su cui riposa la statua giacente del papa e che fu riprodotta dal Forcella e data anche dal Gregorovius, in appendice all’op. cit. a pag. 2ii, ma con alcune varianti. 11 testo che segue è stato coliazionato con l’originale. d. o. M. INNOCENTIO Vili CYBO PONT. MAX. ITALICAE PACIS PERPETUO CUSTODI NOVI ORBIS SUO AEVO INVENTI GLORIA REGI HISPANIARUM CATHOLICI NOMINE IMPOSITO CRUCIS SACROSANCTAE REPERTO TITULO LANCEA QUAE CHRISTI HAUSIT LATUS A ΒΑΙΑΖΕΤΕ TURCARUM TYRANNO DONO MISSA AETERNUM INSIGNE MONUMENTUM E VETERI BASILICA HUC TRANSLATUM ALBERICUS CYBO MALASPINA PRINCEPS MASSAE FERENTILLI DUX MARCHIO CARRARIAE ET C. PRONEPOS ORNATIUS AUGUSTIUSQUE POSUIT ANNO DOM. MDCXXI Fu riprodotta la tomba in una bella incisione che è nel Ciac-conio-Oldòini, op. cit., col. 121-122. Recentemente ne ha dato un buon disegno Eugenio Mììntz nell’opera: L'Arte italiana nel 400, Milano, Bernardoni e Rebeschini, 1894, pag. 96. È da notarsi, per la verità storica, che attribuire la scoperta dell’America al tempo del pontificato di Innocenzo VIII è un anacronismo forse voluto da spirito di adulazione. Infatti il pontefice morì il 25 luglio 1492, quindi prima della partenza di Colombo. Giustamente il Forcella nota che convien correggere la data posta in — 431 — questa breve epigrafe che si legge sotto la statua troneggiante del papa: INNOCENTIUS Vili CYBO IANUENSIS PONT. ΟΡΤ. MAX. VIXIT ANNOS Vili. Μ. X. D. XXV. OBIIT AN. D.NI MCDXCIII. M. IULII iettificando in 1492 la data della morte e in 27 i 25 giorni. È strana la coincidenza che in S. Lorenzo di Genova trovasi l’originale d’una bolla d Innocenzo Vili, contenente certe concessioni al Capitolo, con la falsa data del 1493, e per potergli appunto attribuire a vanto il tempo della scoperta dell’America che appartiene invece al pontificato di Alessandro VI, sotto il ritratto di lui, che è nel chiostro presso la chiesa stessa con quello degli altri pontefici liguri è scritto 1493. (191) Vedila a pag. 8 e cfr. la nota 32. Vedi anche, alla stessa pagina, la rinnovata epigrafe di Alberico, di cui alla nota 31. (192) Per suggerimento del papa Innocenzo Vili il cardinale Lorenzo Mari Cibo (cfr. nota n. 22) aveva fondato una cappella, per iiporvi la sacra lancia (cfr. nota 6). La dotò di 400 scudi e vi destinò 4 cappellani detti innocenziani. Nelle demolizioni per la riedificazione della Basilica Vaticana fu ruinata. Vedi nota successiva. (193) Questa iscrizione si legge anche nel Forcella, op. cit., tom. VI, pag. 51, n. 106. Vi è questa nota: “ Nelle Grotte Vaticane, nella parete destra della cappella della Madonna delle Partorienti. E riportata in disegno dal Dionisi, Monumenta Sacrarum Vaticanae Basilicae Cryptarum, tab. XII. 11 Grimaldi, Instrumenta authentica de translationibus SS. Corporum el Reliquiarum e veteri in novum templum S. Petri sub Paulo V, cum multis memoriis, epitaphiis et inscriptionibus, Codice corsiniano, 276, scrive che questa iscrizione, che faceva parte dell’altare in cui conservavasi la Lancia, fu trasportata in una camera della nuova Basilica, che era presso l'altare della Vergine e che poi fu pffissa al muro dell’andito della Confessione „. A car. 48, sotto il n. 97, il Forcella ne dà una variante, scorretta ed incompiuta, cavata dal Codice vaticano, Reg. 770, car. 6. — 432 — A proposito della lancia il Forcella stesso riproduce, a pag. 148, sotto il n. 544, dell'op. cit. la seguente epigrafe: LONGINI LANCEAM QUAM INNOCENTIUS VIII PONT. MAX. A BAJAZETE TURCARUM TYRANNO ACCEPIT URBANUS VIII STATUA ADPOSITA ET SACELLO SUBSTRUCTO IN EXORNATUM CONDITORIUM TRANSTULIT e annota: In una lastra di marmo, posta al di sopra della grande nicchia incassata nel primo pilone destro sotto la cupola, e dove ve desila statua colossale di S. Longino martire, (in S.Pietro). Anno 1625. Per ricostruire l’epigrafe, spropositata ancora nel nostro testo, giova ricordare la notizia del Ciacconio-Oldoini, op. cit., col. 118, secondo cui era costruito nella basilica un ciborio per la sacra lancia poi, ruinato. (Cfr. nota 6). Seguita questo scrittore: In sacello, Virgini Deiparae sacro, haec aderat memoria. E riporta il sicuro testo della epigrafe che, per ben intenderla, deve esser preceduto dalla parola “ Sacellum ,, che è sottintesa : GENETRICIS DEI MARIAE A GREGORIO III PONT. MAX. ANTE POSITU ET DEDICATUM, INNOCENTIUS Vili CIBO GENUEN. PONT. MAX. LAURE NEPOTI S. CECILIAE PRESB. CARD. BENEVENT. A FUNDAMENT. RENOVAND. SUPER QUOD FERRUM, QUO PATUIT LATUS SALVATORIS SANCI ISS. SUAE MAIESTATIS BIZANTIO MISSUM A MAX. TURCARUM ADSERVANDUM, RELIQUIT ANNO DOM. 1495· L’epigrafe, qui restituita alla sua vera lezione, è compendiata in quest’altra che stava m fondo al sacellum: B. MARIAE VIRG. GEN. INNOC. VIII CIBO GENUEN. PONT. MAX. LAURENTIO CARD. S. CECILIAE BENEVENTANO A FUNDAMENTIS RENOVANDUM RELIQUI I. È da notarsi, però, che la data del i495 corrisponde a quella della morte del papa, ma al tempo della rinnovazione della cappella fatta dal cardinale beneventano. — 433 - (I94) Don Giorgio di Mendoza, conte di Binasco e ambasciatore del re Filippo III di Spagna in Genova, aveva sposato la propria nipote donna Isabella, che era nata di Alessandro Appiani, signor di 1 iombino, e d’isabella Mendoza, sorella di Giorgio. La tragica fine di Alessandro, assassinato la sera del 28 settembre 1590 per un vergognoso accordo che fu conseguenza della tresca fra la Mendoza e Don l· elis d Aragona, capo del presidio spagnolo a Piombino, lasciava la successione al primogenito Iacopo Cosimo, ancor bambino, che si chiamò Iacopo VII ed ebbe, nel 1594, da Rodolfo imperatore il titolo di principe. Ma la madre, che, abbandonato il principato s era ricoverata a Genova sotto la protezione del potente fratello, brigava a sbarazzarsi de’ figliuoli, (oltre Iacopo Cosimo ne avea un altro, Don Garzia), perchè avendo Alessandro ordinato per testamento che lo stato potesse passare alle femmine, in difetto de’ maschi, macchinava dare la femmina Isabella a Don Giorgio e così levare Piombino agli Appiani e farlo passar nei Mendoza. Per questo matrimonio fu chiesta la necessaria dispensa al papa Clemente Vili, al quale, però, Alamanno Appiani, fratello dell’ucciso Alessandro, scrisse, il 19 aprile 1599, una fierissima lettera d’infamia contro la cognata, imputandola non solo di uxoricidio, ma di matricidio, come quella che aveva procurato la morte di Don Garzia, e cercato di avvelenare anche il primogenito. E, come se ciò non bastasse, accusava apertamente Isabella d’incesto col fratello. Cfr. per queste accuse Smali prof. Teresa, La-morte di Alessandro Appiani, principe di Piombino, Belluno, Fracchia, 1901. Pur facendo larga parte all’interesse dell’accusatore, che mirava a conservare nella propria casa il principato di Piombino, fa pensare che qualcosa di vero ci fosse la morte immatura di Iacopo VII, accaduta quando aveva appena 22 anni, nel 1603. Il disegno della Mendoza si compì, e frutto appunto delle nozze da lei procurate, era il figliuolo che si battezzava nel settembre del 1606. In S. Lorenzo manca il libro o registro de’ battezzati di quel tempo, che mi si dice sperduto: c’è però ancora la pandetta cavata da esso e vi si legge: Mendoza Maria Oriana, di Giorgio, a car. 1376. Mendoza Giacomo Francesco, di Giorgio, a car. 1386. 28 — 434 — Ma Piombino non andò ai Mendoza: dopo molte richieste, litigi e ragioni, addotte dalla contessa di Binasco, dagli Appiani di 1 ia-cenza, da Carlo Appiani e da Isabella Gonzaga Caraffa, 1 imperatole concesse lo stato al Re di Spagna con facoltà di subinfeudailo. E Piombino passò così ai Ludovisi. Cfr. Cappelletti Licurgo, Stona della città e stato di I tombino, Livorno, Giusti, 1897. (195) Geronima era figliuola di Niccolò qm. Stefano, qm. Giovanni degli Spinola di Luccoli, e di Camilla qm. Bartolommeo qm. Giuliano Cybo. Si sposò con Gio. Batta di Negro qm. Antonio. Cfr. Battilana, op. cit. II, 131. (196) Bartolommeo fu figliuolo naturale, legittimato nel 1520, di Giuliano Cibo Saivago, Vescovo d’Agrigento, il cui suntuoso mau soleo, ricco di statue attribuite a Guglielmo della 1 orta, ammirasi in S. Lorenzo di Genova, con l’altare dedicatorio della cappella di S. Pietro e S. Paolo. Niccolò Spinola e sua moglie Camilla Cibo, figliuola di Bartolomeo, (cfr. nota prec.) fecero l’epitaffio all’avo Giuliano nel 1577, come si legge nel gradino dell altare. Cfi. Piaggio, cit. Monumenta genuensia, tom. II, pag. 15. (197) Il 7 dicembre 1606 Camillo Gonzaga, di Novellare, scrive ad Alberico per dolersi della morte “ del Marchese figlio di V. E. ,,. Fu un colpo tremendo per il vecchio padre, sebbene egli, oramai, fosse preparato alla sventura dalla mala salute di Alderano, parea assai più innanzi cogli anni di quel che non fosse, per i molti acciacchi che pativa. Rivolse allora tutte le speianze sul nepote Carlo, predestinato a succedergli negli aviti possedimenti. Fu sepolto nella chiesa de’ Cappuccini di Massa, in mezzo alla tomba de’ suoi figliuoli Francesco e Ferdinando, con una epigrafe riportata dal Viani, op. cit. 127. (198) Col titolo di Alberico II, principe di Massa, successe del 1662 al padre Carlo I e ottenne dall’imperatore Leopoldo I che 1 suoi Stati fossero eretti in Ducato e Carrara in Principato col titolo di principe di Carrara al presunto ereditario, come, per 1 innanzi, chiamavasi marchese di Carrara. Vedi il diploma in Lunig, Codex Italiae diplomaticus, cit. tom. II, col. 399. Cfr. Viani, op. cit. pag. 46. — 435 — (199) È il palazzo dei D Oria dovuto ai disegni del Vannone che, similmente alla prossima villa, s’intitolò dal Gigante. Oggidì non esiste più perchè incorporato in altri edifìci. La statua del Gigante si vede benissimo dalle adiacenze della piazza detta oggi Principe. Cfr. Federigo Alizeri, Guida illustrativa del cittadino e del forastiero per la città di Genova e sue adiacenze. Genova, Sambolino, 1875; Pag· 55*· L pur chiamata la Villa soprana. « Voleva insieme Giovanni Andrea che di bella verzura si vestisse la villa soprana, e tra il folto dell alberatura apparisse quella statua colossale di Giove, che valse alla località Γ appellativo del Gigante onde tuttavia si distingue Il Palazzo del Principe D’ Oria a Fassolo in Genova; illustrazioni di Antonio Merli continuate da L. T. Belgrano; in Atti della Soc. Lig. di Storia patria, voi. X (1874) fase. i°, pag. 63. Cfr. anche pag. 77. (200) È Placidia, sorella di Brigida, sposa di Carlo D’Oria, secondogenito di Gian Andrea, duca di Tursi. Cfr. nota 185. (201) L’odierno palazzo municipale di Via Garibaldi, già D’Oria Tursi, nella Strada Nuova, di cui Giovan Andrea era venuto in possesso fin dal 1595. Cfr. Merli-Belgrano, op. cit. pag. 74. (202) Geronima di Giulio Sale, q. Niccolò, che fu eletto de’ Governatori nel giugno 1602, cfr. Roccatagliata, Annali della Repubblica di Genova, dall anno ij8i all’anno 160J ; Genova, Canepa, 1873, PaS· 25°; ebbe per marito Giovan Francesco Brignole, q. Antonio, e di loro nacque Anton Giulio Brignole Sale, il ben noto scrittore e filantropo, la cui statua si vede alI’Albergo de’ Poveri. Cfr. Elogio di Anton Giulio Brignole Sale in Raccolta dei ritratti ed elogi de’ Li-gin 1 illustri ; Genova, Gervasoni, 1824, pp. 285-301. (n. n.) (203) Oriolo, della diocesi di Viterbo, nel mandamento di Bracciano, fu, nel XVII secolo, feudo della famiglia romana Altieri, che ebbe il titolo di principi d’Oriolo e duchi di Monterrano. Ma questo marchese d’Oriolo era Paolo Giordano II Orsini, duca di Bracciano morto Virginio, suo padre, perchè, innanzi figli Altieri, questi signori ebbero la dominazione su quella terra dopo che fu tolta, da Clemente Vili, a Onofrio Santacroce, con- — 436 — dannato a morte e decapitato, in sui primi del 1600, pei complicità col fratello Paolo nell’assassinio di sua madre. Virginio Orsini, cavaliere gerosolimitano, fondò non lungi da Oriolo, nei primi decenni del sec. XVII, l’eremo di Monte Virginio. Cfr. Litta, tav. XXIX della Famiglia Orsini; Moroni, op. cit. 14, 52. (204) Non ho potuto identificare questo personaggio il cui nome, nel cod., è sotto una macchia d’inchiostro; probabilmente tiattasi di un cavaliere della famiglia napoletana de’ Pignone. Cfr. Ricca, op. cit., pag. 265. (205) Geronimo, di Niccolò q. Geronimo Adorno, fu Senatore negli anni 1613, 1629, 1632, 1638. Cfr. Buonarroti, Alberi mss. cit. e Giscardi, Origine c Fasti mcipi, fil. 9 e segg. si firma sempre: Principe di Massa e Duca di Fei enallo. D’un’altra onorificenza fu insignito dall imperatole negli ultimi anni della sua vita, talché non potè lasciarne ricordo in questo libro: ebbe il titolo d’illustrissimo, e Massa fu dichiarata citta imperiale. Cfr. pag. no e note 273-Tra gli ultimi di dicembre del 1621 e i primi del successivo gennaio fioccarono le lettere gratulatorie per questa novella dignità. Nel Carteggio d’Alberico, ad annutn, conser vato nel R. Arch. di Massa, ve n’ha numerosissime, specialmente di cardinali : il che ci mostra come Alberico fosse in eccellenti rap porti con i più autorevoli membri del Sacro Collegio. Gli scrisse , fra gli altri, i cardinali Aldobrandini; Bentivoglio, Sansevenno, Bevilacqua, Farnese, Ubaldini, Filonardi, Lante, Gozzadini, Orsini, Gaetani, legato di Bologna, Sforza, Del Monte e Meliino. (229) Di Teodorina, figliuola natale di Giovambattista Cibo, che fu poi Innocenzo Vili, come la chiama il Federici nel cit. Abeceda rio, ms. della Biblioteca della Missione Urbana di Genova, già ci occorse far ricordo (cfr. nota 1) ed anche del suo marito Gherardo Usodimare, depositario generale della gabella dello studio. Da loro nacquero vari figliuoli, che furono aggregati alla famiglia Cybo (cfr. nota 116): Giambattista, che ottenne il vescovato di Mariana in Corsica, (cfr. nota 11), da Alessandro VI; Francesco, detto anche Franco 0 Franchino, che si fabbricò un palazzo in Boigo (cfr. nota ir6), Aranino, capostipite d’un ramo de’ Cybo che ebbe propaggini nelle Marche, (cfr. nota 336), Peretta, moglie del marchese Alfonso Del Carretto di Finale e poi di Andrea D’Oria, (cfr. nota succes- — 443 — siva) e Battistina o Battina che fu sposata, del 1492, in presenza e papa, da Federigo d’Aragona, principe di Capua, per procura nome del nipote Don Luigi d’Aragona, marchese di Gerace, nipote e re F erdinando, ma, poi, il matrimonio non fu compiuto. Venuta più tardi a Genova si maritò con Pietro de Mari, e fu in questa citta la inventrice de~_ tute le pompe f«minile. Cfr. il vivace articolo di Achille Neri, in Studi bibliografici e letterari; Genova, Sordo- > 890, pag. 45 e segg. Cfr. anche la nota 304. Giambattista ebbe, nel x49o, da Arrigo VII, re d’Inghilterra, il diritto di cittadinanza con speciale dichiarazione “ quod ipse de cetero ad totam vitam suam sit indigena et ligeus meus, et quod ipse in omnibus tiactetur, reputetur, habeatur, teneatur et gubernetur tamquam fidelis ligeus noster, infra regnum nostrum Angliae oriundus et non aliter nec alio modo La notizia fu pubblicata dal Balzani, cui parve giustamente potesse avere una certa importanza per la storia particolare della famiglia Cybo, in nota alla sua memoria Un ambasciata inglese a Roma, in Arch. della Soc. romana di Storia patria, III, pag. 195. £ curioso l’equivoco in cui è caduto il chiaro scrittole ti ascrivendo il documento, perchè chiama Giambattista figliuolo Gerardi versus maris Ianuensis invece che Ususmaris, Usodimare. Le Memorie della Famiglia Cybo, mss. cit. dell’Archivio massese, hanno un curioso aneddoto su Teodorina. Rimasta a Roma dopo la morte del papa, suo padre, durante le feste pei matrimoni di Lucrezia Borgia e di Giovanni duca di Gandia, figliuoli del nuovo pontefice Alessandro VI, perdette molte belle e ricche gioie che avea dato in custodia al papa quando era ancora cardinale, nel tempo della Sede vacante, come quello ch’era suo compare e ch’ella reputava a sè fedelissimo. Ma il Borgia, come fu elevato al soglio, non gliele volle più restituire, pretestando che non era lecito nè potevasi con buona coscienza dare altrui le cose del suo predeces-sore, quando notoriamente conoscevasi esser roba della Chiesa. “ Nondimanco, conclude lo scrittore, per non dare a divedere affatto i suoi modi, dette a Giambattista, primo figliuol di Teodorina, il vescovato di Mariana in Corsica, eh’era in quei giorni vacato L’aneddoto è accennato anche, brevemente, dallo Zazzera, op. cit. (230) Peretta Usodimare-Cibo sposò, in prime nozze, Alfonso del Carretto, marchese di Savona, del Finale e di Clavesana, già vedovo di Bianca Simonetta, da cui non aveva avuto figliuoli. Di Peretta e Alfonso nacque Marc’Antonio del Carretto, che nel presente albero è scritto immediatamente appresso al nome della madre come se non di un figlio, ma si trattasse del marito. Rimasta vedova di Alfonso, Peretta sposò, in seconde nozze, Andrea D’ Oria. Lorenzo Capelloni così ricorda l’avvenimento: “ Hor havendo risoluto il Capitano di maritarsi, per quelle ragioni che si lasciano al pensiero de’ più ingegnosi, parvegli fra le altre cose, di dover ciò fare con persona di età a lui eguale. Onde si congiunse in matrimonio con Peretta, nipote d’Innocenzo Ottavo, che prima fu moglie di Alfonso del Caretto Marchese di Finaro, Signora dotata di prudenza et di valore, al pari d’ogn’altra che all età sua si sapesse in Italia, et per tale riputata dal saggio giudicio di Carlo Cesai e „. J ita del Principe Andrea Doria; in Vinegia, Giolito, 1565; pag. 30. Marc’Antonio del Carretto, figliuolo del primo letto di Peretta, fu adottato dal patrigno che, riguardandolo come suo, gli diè in moglie Vittoria, figliuola di Antonio De Leva, e lo investì del Principato di Melfi. M. Richter, Vie d'Andre Dona, Paris, 1789» Pa&· ι^5· ^°· Bricherius Columbus, Tabulae genealogicae gentis Carrettensis, cit. tab. XIV. (231) Di Franco o Francesco Usodimare-Cibo, fratello di Peretta, ci è occorso già far più volte parola. Fu padre di Cesare e Ottaviano, volti entrambi alla vita ecclesiastica (cfr. note 88 e 1x6), di Pompeo, che, al dir dello Zazzera, si ritrovò col fratello nella guerra d’Alemagna, e, secondo il Boselli, Il secondo libro delle Me-morie della Famiglia Cybo, mss. dell’Arch. di Massa, d un altro F rancesco. (232) Achille, di Francesco Usodimare-Cibo, fu, secondo lo Zazzera, col fratello Pompeo nella guerra di Alemagna e perdette, sotto Limes, per il gran freddo, le dita d’un piede e parte d’ una mano. (233) Alberico mantenne amichevoli rapporti con tutti i suoi parenti e seguitò ad essere in relazione epistolare coi Cibo-Usodimare, discendenti di Teodorina, come coi parenti suoi della linea diritta. Tanto appare dalla sua numerosa corrispondenza. — 445 — (234) Innocenza Cibo, q. I< rancesco, sposò Antonio d’Ibletto (Obietto) q. Gian Luigi Fieschi. Nel 1530 era già vedova. Batti-lana, op. cit., Ili, 5. (235) Monsignor Agostino Giustiniani ne’