ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XXXIII. A*!- GENOVA R. STABILIMENTO TIPOGRAFICO L. SAMBOI.INO E F1GI.IO Piazza S. Bornardo N. 1. MCMI \ T TI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XXXIII. GENOVA R. STAWI.TMeNTO TIPOGRAFICO !.. SAMROI IHO t ΠΟΙ.ΙΟ PlMM S. Rrrn»rdn !H. 1. MCMI — IL COLLE DI S. ANDREA IN GENOVA E LE REGIONI CIRCOSTANTI PER FRANCESCO PODESTÀ k Al Lettore Le demolizioni e gli sterri operati nella nostra città per aprire il varco alla nuova via XX Settembre, m invogliarono, già è buona pezza, a scrivere alcun che sul Colle di s. Andrea e le regioni che lo attorniano. Senonchè pel desiderio di recar notizie tuttavia ignorate mi fu forza ricorrer prima alle opportune ricerche nelle vecchie carte dei nostri archivi; onde ora appena presento qui il mio lavoro. Esso altro non è che uno specchio topografico delle regioni che ne sono argomento; uno studio, dirò così, di anatomia stille precipue membra della Genova medioevale. Infatti, un Colle dapprima rivestito di boschi, messo poi gradatamente a coltura. Sentieri listati da siepi che lo percorrono in vario senso, cingendo i campicelli o poderi attigui. Case in legno che agglomerate in molte son facile alimento al divampare di gravi incendi. Rari ancora gli edifici in pietra, che però col volgere degli anni si moltiplicano e si addensano, formando una intricata rete di vicoli. E tra questi ultimi, altri più stretti e melanconici, altri meno angusti e allietati dal verdeggiare di qualche orto che spazia lungliessi. Poche e non vaste le piazze, se pur meritevoli di questi nome’ e più tardi infine edifìci sacri., pubblici e privati, mercè i quali la città si accresce e si abbella. Ecco quanto si svolgerà dinnanzi a noi. Le cinte murali civiche dei secoli X e XII offriranno argomento esse pure a disquisizioni sul loro corso, costruzione e abbandono. Nella magnificenza e nel numero dei monumenti eretti alla Carità ed alla Fede, rifulgeranno vive le virtù de nostri Avi. Per contro, e malauguratamente, il laido farà capolino qua e là, quasi a porre in imbarazzo i lodatori dei tempi andati. Il segnalare poi eh’ io farò di alcune inesattezze in che caddero scrittori reputatissimi di cose nostre, non sarà, attribuito a sorda intenzione di farmi maestro altrui; sibbene invece soltanto a conscienzioso dovere di porre in luce la verità. Dovere tanto più incumbente quanto più autorevoli furono le penne che incorsero in errore. Genova, febbraio 1901. Francesco Podestà Il Brolio uel colle non molto elevato della nostra città che s’intitola da s. Andrea, ed allato al quale vedemmo fervere il lavoro di demolizione e di spianamento per aprire il varco alla nuova ed ampia « \7ia XX Settembre » , era in tempi remotissimi un bosco o lucus sacro al riposo dei trapassati. Del che in prova le numerose tombe a pozzo, ivi casualmente scoperte durante i recenti sterri, ed il fatto altresì che queste lungi dall’essere allineate in proda ad una via, erano invece sparse per tutta la plaga. Già nei secoli anteriori a Carlo Magno i boschi o lucos erano dal volgo chiamati col nome di Brogili. Lucos nostros quos vulgus Brogilos vocat, abbiamo appunto nel capitolato del predetto Imperatore per l’anno 800 (1). Da ciò la spiegazione del nome di (1) Muratori. Annali d’Italia, Dissertazione XXI. Brolio con che s’ appellava la regione anzidetta. E che il nome di Brolio o Broglio significasse bosco anche presso di noi ce ne recano testimonianza i molteplici Registri della Curia Arcivescovile genovese. In essi, a cominciare dal primo che è come un inventario dei beni della Curia stessa fatto dal-reconomo Alessandro nel 1143, abbiamo menzione, oltreché dell accennato, di un Broglum esistente a Molasana e inferiormente all’antico castello di quella terra. Esso era ed è tuttavia luogo boscoso, e in atti di locazioni fattene ancora nel secolo XVIII è citato col nome di Broggio o Brolio. Di un altro Brolio presso San Remo e proprietà anche quello della Curia arcivescovile genovese è pur ricordo nei Registri anzi detti. Or fu appunto nel nostro Brolio che i milanesi posero stanza nell’ anno 569 , allorché dismessa ogni resistenza contro di Alboino, il dì 14 settembre aprivano le porte della loro città a quel barbaro re, il quale 1’ abbandonava alle ire delle sue orde ariane. Onde Onorato, allora vescovo di Milano, insieme a molti del suo clero ed a moltissimi cittadini si rifugiava qui in Genova. Tosto per opera loro il Brolio divenne abitato ossia borgo e vi sorse la cappella della quale il vescovo Costanzo faceva la solenne dedicazione a s. Ambrogio e vi aveva sepoltura correndo l’anno 600. Ivi presso erigevasi pure un palatium o domus che fu sede dei vescovi milanesi durante la loro permanenza in Genova, 569-644, e attorno attorno — 11 — numerose case di legno costruite a propria dimora dai detti profughi, la maggior parte dei qu ili erano nobilissimi viri. Come e quando il Brolio divenisse proprietà della Chiesa milanese non mi è noto. Certo è però che molti dei vasti possessi onde fruirono e vescovi e monaci erano per lo più donazioni avute da re o da imperatori venutine in potere per ragioni che qui non indagheremo», Così è a sospettare fosse avvenuto per il Brolio e sicuramente poi fu per le pievi di Recco, Uscio, Càmogli e Rapallo e per le altre terre ed i benefici che la Curia predetta possedeva e godeva in Liguria. Così pure dovette accadere per i possedimenti che quella genovese noverò in più luoghi e in singoiar modo in quel di Molasana. Nè ci meraviglierà l’ampiezza di siffatti possessi quando leggiamo in Tristano Calco che nel 947 At-tone, vescovo di Vercelli, assegnava d’un sol tratto alla Chiesa milanese le valli Leventina e Biennia (1). Frattanto nel secolo X veniva costruito un cerchio murale a difesa della città, la quale dopo che Rotari ne aveva diroccate le mura, era rimasta smantellata ed aperta. Del che ci avverte Galvano Fiamma nelle sue Cronache laddove, accennando alle ripetute incursioni (1) Tristani Calchi Mediolanensi, Historiae, p. 115. — 12 — fatte qui dai Saraceni negli anni 918, 984 e 936, riferisce die i medesimi avevano aggredita la città non ancora murata. Sarra,ceni civitatem januensem nondum, muratam sunt aggressi (1). In conseguenza della detta cinta avvenne che una parte del Brolio restò tagliata fuori, mentre 1’ altra andò rinchiusa dentro. E così avvenne pure del Borgo Sacherio o Tascherio, il quale dai pressi della cappella di s. Ambrogio si dilargava verso Susilia, e che sorto per opera dei milanesi esisteva quindi già in tempi anteriori alla costruzione della cinta menzionata. Come osserverà il mio Lettore, io qui non consento affatto con quanto scriveva il chiaro Belgrano nei suoi « Cenni storici sulla Porta Soprana » che fece precedere alla Relazione artistica e tecnica del Prof A. d’Andrade e dell’Ing. F. M. Parodi. Ivi Egli dice che il muro della città, costruito nel secolo X, attraversava il Brolio di s. Ambrogio, una parte del quale, rimasta fuori delle cortine, costituiva il Borgo Sacherio; mentre invece, come vedremo in appresso, il nucleo del Borgo istesso siedeva nei pressi della chiesa di s. Ambrogio (2). L erudito Scrittore affermò forse ciò basandosi sui documenti che parlano della contrata Burgi Sacherii come facente capo a Susilia. Ma v’ ha notato che siffatte notizie trovansi in atti rogati in tempi posteli 1) Gtalvanei Flammae, Cìironicon Maiiift. (2) La Porta Sopram di Sanf Andrea, p. 14. — 13 — riori alla erezione della cinta del Barbarossa, e perciò quando quella del secolo X, divenuta inutile, era già stata demolita per lasciare libero il varco. Ne reca esempio un atto del 10 aprile 1302 toccante alla casa di Emmanuele Ferrario posita in contraici Susilie in carrube,') qui appellari consuevit carrubeus Burgi Sacherii (1). Del resto va anche notato che di quel tempo col nome di Susilia, in oggi ristretto alla omonima piazza e vicolo, s’indicava la plaga che si estende fin oltre il Campetto, chiamato allora Campus fabrorum ftusilie. É inoltre opinione di alcuni che le mura distrutte da Magone, riedificate dai Romani e poi spianate da Rotari, (a. 641) cingessero il Colle che andiamo descrivendo, o per meglio dire tenessero il corso che fu invece peculiare alla cinta innalzata nel secolo X. Onde fu scritto che i profughi milanesi al loro rifugiarsi in Genova scelsero a propria dimora il Brolio, qual luogo opportunissimo perchè già fortificato e cinto da salde mura; ascrivendo per di più alla immaginaria cinta 1’ alta muraglia, or demolita, che cingeva il giardino delle carceri lungo il vico di Morsento. Muraglia che, come poi vedremo, anziché romana o medioevale, era invece soltanto opera del 1614 e del 1615, e ricostruita in parte nel 1700. Nè ciò bastando si giudicò eziandio romana la torre già sovrastante al muraglione di Via Giulia, i resti della quale demoliti da poco, sia per le forme che (1) Kicherio, Fol. A. — 14 — per i materiali, identici le uno e gli altri a quelli della Porta Soprana e di quella dei Vacca, ce la svelavano consorella di queste, epperciò del secolo XII. Taccio inoltre che le sue finestre a sesto acuto troncavano da per loro ogni discussione, essendo troppo noto che i primi esempi in Genova di archi foggiati a quel modo risalgono appunto alla metà del secolo anzidetto. Spogliamoci nondimeno di queste prove e ammettiamo per un istante che la cinta romana corresse pel nostro colle ! Or bene, se il Brolio era già rinchiuso da mura nel secolo VI, quale corso si sarebbe dunque fatto fare alla cinta murale del secolo X ? Nessun altro corso era possibile assegnarle se non quello fatto seguire alla cinta decretata nel 1155. Corso esteso invero oltre il bisogno di quel tempo, ma 1’ unico e solo perchè imposto dalle condizioni topografiche. Condizioni alle quali non si poteva derogare allora, come infatti non si derogò nemmeno pei· la costruzione della cinta del 1626 ; murando la quale si dovette pure inutilmente rinchiudere un esteso spazio di montagne, in parte nudo e deserto ancora ai nostri giorni. Non si comprenderebbe inoltre la necessità di un così vasto circuito già in tempi anteriori al secolo X, mentre nella regione del Castello, ove stava il folto dello abitato, vediamo ancora nei secoli successivi vasti tratti di terreno messi a coltura, — 15 — Tale ad esempio quello confinante con la chiesa di s. Damiano , di cui nel 1049 troviamo in possesso Rainaldo di Tommaso che addì 7 aprile ne dona porzione alla chiesa di s. Maria di Castello. E tale altresì quello di Simone, figlio d’ Anselmo, di una parte del quale addì 11 gennaio 1253 fa dono al suo consanguineo Muruello, figlio di Corrado (1). A troncare finalmente la quistione tornerà di certo opportunissimo il decreto del 1134 con che i consoli del Comune ordinavano che la via la quale correva entro la terra di Giovanni avesse l’ampiezza di quattro piedi fino al muro della città, e fuori andando verso Luculi .... (2). La regione di Luculi era dunque ancora lontana dalla città; epperciò la cinta murale di questa, anziché avere la sognata estensione, limitavasi invece alle alture di Sarzano , di Ravecca e del Brolio , e da questo per Serravalle al mare. Un fatto infine sfuggito all’osservazione degli scrittori e che pure ha un grandissimo valore al nostro proposito è quello che studiando il corso dei vicoli che in più sensi percorrono e percorrevano il nostro Colle ci avvediamo tosto che un tempo, quando cioè erano ancora semplici sentieri tra un podere e l’altro, essi s’incontravano e proseguivano da una falda all’altra, e che la cinta murale eretta nel secolo X ne interruppe essa (1) Chartarum, T. II, c. 143 e 150. (2) Monumenta Historias Patriae ecc. Liber Jurium, T. I, c. 26. — 16 — sola e ne arrestò il corso, tagliando la loro rete, e riducendone parecchi a vie cieche. Senonchè riferendoci ai tempi del citato re longobardo, dobbiamo anche rifiutare siffatto asseri mento per la convincente ragione che l'appellativo di Vico o Borgo indicava allora un abitato posto fuori delle mura, od isolato e senza difese. Ricordo che lo stesso Rotari quando devastò le città marittime della Liguria, spianandone al suolo le fortificazioni, volle che smesso il nome di civitates si chiamassero vici; vicos has civitates nominare precepit (1). Così pure Federico Barbarossa ordinava che le città lombarde da lui smantellate si dicessero Borghi ; quocl omnes civitates Lombardie redigerentur in Burgos (2). Il Brolio adunque nel quale presero stanza i milanesi, stava fuori di ogni cinta murale e fu tagliato m appresso da quella eretta nel secolo X. Nel Brolio oltre ai milanesi eressero poi case molti cittadini, e queste su terreno della Curia di s. Ambogio, la quale percepiva dai medesimi il terratico, ossia fitto del suolo occupato. Sistema allora comune, onde vedremo sovente costruire o ricordare edifìzi innalzati su terreno altrui. Un atto dei 27 febbraio 1200 ci porge notizia della pensione domorum Brolii s. Ambrosii, e ne cita per ragioni di lite un altro del 14 maggio dell’anno 700 (3). E già (1) Fkedegarh, Chronicon. (2) Cafeakl, Annales genuenses. (3) Atti della Società Ligure di Storia Patria, Voi. II, p. I. p· H· — 17 — innanzi al primo dei due atti papa Alessandro III con sua bolla del 14 ottobre 11(32 aveva confermato alla Chiesa milanese i possessi che essa godeva nella marca di Genova e cioè le pievi di Recco, Uscio, Camogli e Rapallo; più altri luoghi ed il palazzo, la cappella di s. Ambrogio ed il Brolio in Genova f§L). Peii delle decime che l’Arcivescovo di Milano riscuoteva dalle dette pievi, una parte era assegnata a quello di Genova, del che abbiamo cenno in un lodo consolare del novembre 1144 ed in altro atto del gennaio 1145 (2). Il Brolio venne venduto col consenso del Papa, correndo l'anno 1229, per la somma di duemila lire, e ne furono acquisitori il monastero di s. Giovanni in Pa-verano sopra tutto e parecchi altri privati. Di ciò avverte la promessa che di tale vendita faceva il procuratore in Genova dell’Arcivescovo di Milano al Priore del precitato monastero e coacquisitori. In essa è detto che vendeva loro totum, Brodium sive terram quod vel quam D.ArcMepiscopus sive medìolanensis ecclesia habet in civitate Ianue in ontrata s. Ambrosii (3). Nella espressione totum Brodium non dobbiamo però considerare l’estensione tutta del Brolio, nè tutto quanto vi possedeva la Curia milanese ; imperocché uè più essa • (1) Atti citati, voi. Π, p. 458. (2) Chartarum, T. II, col. 255 e 257. (3) Biche rio, Fol. 3. — 18 — ne aveva l’intero possesso, nè di tutto faceva vendita. A conferma del primo assorto citerò il testamento di Guglielmo Mangiapane in data del 27 maggio 1197, che precede perciò di trentadue anni la vendita anzidetto. Con esso oltre ad un legato che ta alla chiesa di s. Ambrogio, il testatore assegna ad alcuni suoi congiunti tutta la terra plenam et vacuam cum domibus et hedìfficiis che egli possiede nel Brolio, notandone esattamente i confini ί 1). Le possessioni stesse torse delle quali per atti del 8 settembre 1210 e 7 giugno 1218 ne risulta proprietaria la Curia arcivescovile nostia (2). Terre e case che avevano per confine i boni di altii cittadini, le mura della città, una via pubblica e da un lato la siepe, sepìs. Residuo quest’ultima di una di quelle che cingendo i poderi coltivati listavano i sentieri che percorrevano questa regione, di quel tempo tuttavia allegrata dal verde delle piantagioni. Ricorderò infine anche un atto del 4 aprile 1224 toccante a controversie tra l’Arcivescovo nostro e Ada-lasia e Contessa, forse sorelle, per il possesso di due case in questi dintorni. Atto dal quale tolgo altresì la curiosa notizia che i documenti per le prove erano stati trasmessi al console di giustizia entro di un barile e muniti del sigillo della città di Geno\ a, nel quale erano impressi il grifo, l’aquila, e la volpe (8). Quanto poi al fatto che la Chiesa milanese con tale atto di vendita non si era interamente spogliata dei (1) Atti citati, voi. XVm, p. 290. (2) Ivi, p. 362 e 372. — 10 — suoi beni nel Brolio nostro, ne reca certezza un atto del 1286 nel quale è memoria di tre case poste in questi dintorni e sopra terreno di s. Ambrogio di Milano (1). Colla cinta innalzata a frenare la prepotenza del Bar-barossa andò rinchiuso entro la stessa quasi tutto il Brolio, che soltanto la parte orientale rimase fuori delle munizioni. Infatti le nuove mura cominciavano dal mare mercè di un molo in prossimità del quale si lasciava aperta una porta che chiamata dapprima Porta nuova di s. Fede, fu poi detta dei Vacca dal casato omonimo che pose stanza in quei pressi. Quindi le mura stesse movendo a ritroso del rivo detto di s. Savina dalla contigua chiesuola, flumen s. Savi ne, percorrevano la pianura detta poi del Guastato, ove era pure una porta detta tosto di s. Agnese da altra vicina chiesa intitolata a questa santa. Di lì salita l’erta di Monte Albano, a cavaliere del quale sedeva il Castelletto, si adunavano alle Fontane Marose lasciando libero il corso, mediante un portello al rivolo della valle di Bacliernia e dove era anche una porta che s’ intitolò dal portello stesso. Da questo punto guadagnavano la sommità di Luculi, ora Villetta di Negro, per ridiscendere al basso laddove nel 1228, sorse il monastero di s. Caterina. Qui pure si apriva una porta che tolse poi predicato da quest’ultima Santa. (1) Poch, Miscellanea. — 20 — Seguitando tosto per i lari di Piccapietra, ove la Porta Aurea lasciava adito alla regione esterna degli Arclii ed oltre, si avviavano verso il Brolio. In que-st’ultimo tratto era eziandio una porta che s intitolò dal vicino tempio di s. Egidio. Raggiunta infine la prossima vetta del Brolio si collegavano all’antica cinta del secolo X ove già sta\ a una porta detta Soprana, e da ove la cinta stessa preesistente percorrendo il dorso del Colle o Ravecca andava ad unirsi alle vetuste munizioni del Castello. La parte orientale del Brolio rimasta fuori delle nuove mura aveva nome di Morsento, tradotto nei rogiti medioevali in Murocincto, Mulcento e Molcento ed italianizzato in Morcento. Voce che trascriverò esattamente nella sua pronunzia antica dialettuale di Morsento, tuttavia viva in bocca al popolo. Imperocché io opino essere dovere strettissimo dello storico quello di non recar mai modificazioni a quei nomi medioevali dei quali non essendo patente il significato ne è perciò anche impossibile la traduzione nell’odierno idioma. • Quanto al 1 >roìio dirò che la denominazione Brogilu* data dapprima alle selve, anzi più correttamente ai boschi, giacché la selva era detta Gaium o Gazum, venne di mano in mano e col volgere dei secoli attribuita ai frutteti, ai terreni coltivati e poi anche agli orti. — 21 — In liortis Brolii nuncupati leggiamo infatti nello istorie di Tristano Calco (1). Ed è appunto a notare che col nome di Orti di s. Andrea va tuttavia indicata la parte dell’antico Brolio prossima al monastero sorto in vetta al nostro Colle e dedicato al detto Santo. Gli Orti di s. Andrea sono adunque un residuo del-1’ antico Brolio, che quale possessione della Chiesa milanese dovette certo servire di verziere ai ministri della cappella di s. Ambrogio. Enunciando nomi topici comuni eziandio al popolo milanese, il mio colto Lettore ricorderà indubbiamente che anche nella capitale lombarda la Curia arcivescovile di s. Ambrogio ebbe il suo Brolo, Brolium, il suo Verziere Horti, e non molto discosto dalla città la sua Morcincta (2). (1) Tristani Calchi Mediolanensi, Historia, p. 184. (2) Tre erano i Broli in Milano dei quali due posseduti dalla Mensa arcivescovile. Uno più grande e fuori delle antiche mura estendentesi dal Verzaro e da s. Babila a s. Barnaba, s. Nazaro e luoghi circonvicini. Ivi ai tempi dell’ arcivescovo Lamberto, 921-931, stavano rinchiusi i cervi per la caccia. Più tardi servì a luogo di parlamento, di mercato, di spettacoli ecc. ; successivamente infine vi si erigevano edifizì. L’ altro più piccolo Brolo, detto perciò Broletto, esisteva pure in Milano laddove è il palazzo di corte. Un terzo Brolo infine detto altresì Broletto per la sua piccolezza, era dove si spianava la piazza dei Mercanti. Anche i ministri della chiesa di s. Andrea in Carrara novera- Ora sarebbe a credere, scrisse il chiaro Bélgrano, che mentre il Brolio spettava al vescovo ed a ministri maggiori, la Morcincta, fosse a sua volta una delle obbedienze ossia benefizi che nelle proprie istituzioni la Chiesa milanese soleva assegnare ad altri suoi membri detti decumani (1). Pertanto se Morsento e Morsengia, giacche così secondo 1’ erudito Scrittore chiamavasi in dialetto lombardo la Morcincta, sono voci aventi lo stesso significato, anzi una voce sola modificata per variar di dialetto, ciò parebbe un indizio per arguire che la nostra regione di Morsento "debba la sua denominazione alla predetta qualità di obbedienza della Curia milanese, ossia di possesso ecclesiastico che avrebbe avuto in quei tempi. Auguriamoci che qualche antica scrittura ci riveli nel nostro odierno idioma la voce corrispondente a quella medioevale di Morsento, di Morsengia e di altre affini, giacché la derivazione che dei detti nomi vor-rebbesi cavare da Morcincta e Murocincto è da molti rifiutata (2). vano tra i loro poderi un Brolio del quale è cenno in atto del 13 marzo 1156. Chartarum, T. II, c. 310. (1) Op. cit., pag. 34. _ . (2) Tra i luoghi aventi una denominazione affine citerò Mun-sengo presso Casale, e più specialmente Morisenga nel comune di Canneto pavese, piccolo possedimento quest.’ ultima posto in coltura e che non ebbe mai cinta al una di muro. — 23 - Anche la denominazione di Sacherio data al Borgo anzidetto confermerebbe 1’ esistenza del bosco o Brolio che, come dissi esordendo, doveva rivestire il nostro Colle. Imperocché col nome di sacherio nei tempi medioe-vali si indicava un terreno divelto e posto di fresco a coltura, avendone prima tagliati gli alberi e sradicati gli sterpi. Gli Statuti del Comune di Apricale, antica terra del Sanremese, ce ne porgono esempio. Ivi infatti si legge « Se qualche apricalese mettendo il fuoco al suo runco o sacherio recherà danno ad altri, debba..... Si aliquis Apricalis miserit ignem in suo runco vel sacherio et ipse igne fecerit damnum aliqui clebeat » (1). Altro esempio ce lo porgono le Consuetudines di Aigues Mortes in Provenza; città colla quale i nostri antichi ebbero attivissimi commerci. Con esse si permette che qualunque abitante del luogo possa asportare in ogni tempo « per via di terra o di mare ed ovunque gli piaccia, il grano che ricava dalle sue terre e sacherie » bladum quod habebit de terris suis et sacheriis (2). Dai due esempi citati risulta inoltre che nei sacherì o sacherie veniva coltivato il grano. Il fuoco di cui è parola negli Statuti d’Apricale, c il solito fuoco che ì (1) Rossi prof. Gr. — Glossario ecc. Miscellanea di Storia italiana, Serie III, T. IV. Qui il runco è posto in senso di runcata o terra runcata ; luogo cioè già boscoso e tagliato colla ronca per essere messo a coltura. (2) Ducange, Glossarium mediae et infimae latinitatis. Bladum, dal francese Blè. — 24 — in molti paesi si usa mettere alla stoppia , dopo eseguita la falciatura. Pertanto quella parte del Brolio, ridotta a sacherio, divenuta poi abitato avrebbe conservato il nome dovuto alle precedenti sue condizioni e si sarebbe detta: Borgo Sacherio. Non diciamo forse in oggi ancora « Borgo di Prè »? dai prati che vi esistevano, la nota regione occidentale della città? E 11011 abbiamo tuttodì le denominazioni di Fossatello, di Sottoripa e di Campo dal-1' antica esistenza di 1111 piccolo rivo, dalla ripa del mare e di un campo ? Ricercando la spiegazione di siffatto nome e di più altri nelle condizioni naturali delle regioni stesse, panni battere la via sola e vera per giungere alla meta. Imperocché le prime denominazioni topiche trassero indubbiamente la loro origine dalla conformazione del luogo, dalla sua positura od orientazione, dalle sue qualità, dalle piante che lo rivestivano; qualche fiata ancora dalla fàuna che vi annidava, e più tardi finalmente da coloro che vi abitavano 0 vi possedevano. Innumerevoli esempi di quanto affermo potrei citare, e d’ altronde per poco che si consulti la carta topografica dei nostri dintorni ne rinveniamo eviden- · tissime prove. Ma lasciando il contado e ristringendoci alla città non sono rari gli esempi di somiglianti denominazioni. Tali quelli di Campetto, di Campo, di Canneto, di Chiappa, di Colla o Colle, di Fossatello, di Murteto, di divella, di Ripa, di Rivo Torbido, di Vigne ecc.; tacendo di tanti altri de’ quali è citazione in carte antiche, come : Albere, Figario, Figarolo, Oliva, Olmo, Pastinelli, Terriccio, ecc. e tutti nel cerchio odierno della città. Il Borgo Sacherio formato coni era da numerose case di legno andava, in gran parte combusto da un incendio nel 1122; se pure fu quello il solo sofferto, giacche d’ altri meno gravi avran taciuto le cronache o ne sarà andata perduta la memoria. Caffaro che ne parla chiamandolo 1’ ignis sancti Ambrosii, porge insieme il disegno di una casa in fiamme che qui va riprodotto. Non è però a credere che le nuove abitazioni fossero tutte rifatte in pietra, poiché ancora nel secolo XIII vediamo aver luogo la costruzione di case lignee; ed anzi alle nuovamente costruite ascriveremo quelle — 26 — che nel febbraio del 1294 Corrado di Campoantico e Guidotto di Clavarezza avevano su terreno delle monache di s. Andrea (1). Non tralascierò infine di riferire come ancora sul principio del secolo XVI, 4 marzo 1505, certo Pietro Cricca erigesse un solaio di legno sopra una sua casa posta negli Orti di s. Andrea (2). Quanto alle prime ricorderò quelle poste nel Borgo della città, una parte delle quali cadevano incenerite la sera del 25 dicembre 1154^ e quelle site nel Mercato vecchio presso la chiesa di s. Giorgio, consumate eziandio da altro grave incendio nel 1194 (3). Altre e non poche se ne noveravano nelle circostanze della chiesa di s. Vittore che furono pure distrutte in gran parte dal fuoco nel 1175 (4). Trovo poi che addì 11 aprile 1251 certa Aidela e suo figlio Giannino, del casato dei Lercari, promettono di non vendere che ad alcuni loro consanguinei (1) Arch. di Stato, Mon. di s. Andrea, Cod. ms., pag. 68. (2) Arch. Civico, Atti, 1504-507. (3) C affari, Annales citati. Il Caffako narra altresì di un incendio avvenuto in città la vigilia di s. Giacomo nell’ anno 1141, ma non indica il punto ove accadde. Un grave incendio pure fu quello del 1181, che distrusse tutte le vicinanze del Castello, e dannosissimo fu eziandio quello che nel 1213 inceneriva ben 54 case, più tre navi in porto. (4) Giustiniani, Annali. — 27 — le case di legno che essi due possedono in carrubeo de clavoneriis (1). Così il 5 ed il 7 giugno 1252 Ansaldo di Negro compra i diritti che parecchi della sua famiglia hanno in domibus lignaminis positi in Susilia; regione questa ove già nel 1240 erano andate arse ben tre decine di simili edifìci (2). Anche nei dintorni del Campo sorgevano case di legno, e di una che vi possedeva Tatano Spezzapietra si ha menzione pel 1266 (3). Dirò infine come quindici anni innanzi a questa data, 1251, il Comune avesse in affitto da Bonifacio Fornario domum sive astricum cum domibus lignaminis (4). Di case in legno sparse per la città, ho pur nota, di una di Bartolomeo Pancino posta nella contrada della Chiavica, 1205, 7 maggio (5); di quella presso la Torre degli Embruni nella contrada di Manussola, 1227, 28 giugno (6); (1) RlCHERIO. voi. IV. (2) Ivi. (3) Arch. civ., Cicala, voi. I, parte II. (4) Richerio, 1. c. (5) Richerio, 1. cit. (6) Un proclama del 4 febbraio 1544 notificava la vendita da farsi giuridicamente « di una certa torre de matoni vecchia et alta la quale volgarmente si chiama la torre delli Embruni sit-tuata in la strada di porta nova per dove si va alla chiesa di santo Francesco in la contrada de Manusola e la quale da molto — 28 — di altra sopra la terra di Raimondo della Volta nella contrada dei Calderari, 21 febbraio 1237 (1); di una presso la casa di Oberto Usodimare, 15 maggio 1237 (2); di altra di Martino Bancherio nel carrubio dell’A-mandorla presso s. Donato, 1248, 3 giugno (3); di quella di Gio. Bisaccia sulla piazza dei Lercari pel 1253 (4); di una in piazza s. Lorenzo, ove ne] luglio 1254 abitava Enrico di Negro (5); e chiuderò con quella che ancora nel giugno 1347 sorgeva in Curia ante domos Piperorum (6). Tali edifici in legno, specialmente se agglomerati, porgevano come vedemmo copioso elemento al divampare degli incendi (7). Il perchè i consoli della città nel 1142 tra i precipui doveri iurposti al Cintraco ossia banditore pubblico, gli avevano opportunamente imposto quello tempo in qua non resta possessa da alcuno ne abitata e minaccia ruina » Arch. civ., Atti, 1541-44). La contrada di Manussola era detta anche Mansura e Mussorum come ce ne avvertono due atti del 12 agosto 1343 nei quali è scritto in contrata Mansure a latere turris Embronorum, ed in contratti Mansure sive Mussorum (Richerio, Fol. cit.) (1) Richeeio, Fol. cit. (2) Ivi, » » (3) Ivi, » » (4) Ivi, » » (5) Ivi, » » (6) Ivi, » > (7) L’ annalista Giorgio Stella narrando dell’ incendio avvenuto nel 1194 scriveva: Creditur, utsidomorum fuisset tunc forte lapi deum tegimen, tantam non potuisset ignis laesionem inferre. (Annales citati; coi. 985). - 29 — olio quando soffiava forte il vento di aquilone, egli percoli esse la città, il castello ed il borgo avvertendo i cittadini di ben spegnere il fuoco. Et quando ventus aquilo regnat debet ire per civitatem et per castrum et per burgum admrnend') ut bene caveant ignem (1). Ma veniamo a tempi più vicini. Un atto del 1540, 5 gennaio, ci insegna che Pan-dolio di Terrile aveva nella contrada del Molo alcuni solai in legno, innalzati sopra pilastri lapidei; solai cadenti per vecchiezza, pel che lo stesso domandava : ad evitandum periculum ignis, di poterli ricostruire calce et lapidibus f2). Cinque anni dopo 1545, giugno 19, ho notizia di un archivolto in legno che Mariola Rizzo si propone di di costruire in calce e pietra (3). Il legno più generalmente prescelto in siffatte strutture pare fosse quello di castagno, giacche in un atto del 1225 va scritto : donms de buno muro legnaminù castanee (4). E uscendojfuori della città, non ispiacerà forse al Lettore il sapere che correndo il 1549 un Battista (1) Liber Jurium, T. I, col.) 78. (2) Archivio civico, Atti 1540-41. (3) Ivi, lb 1545 - 48. Un decreto dei Consoli emanato nel febbraio del 1180 proibiva di costruire vòlte ossia coperture di legno tra una casa e l’altra in certi vicoli principali o carrubei mastri; in dialetto carroggi meistri. (Liber Juriu'm, T. I, col. 313). (4) Arch. civ., Cicala T.’I. parte I. — 30 — Borzone possedeva “ stancie di legname poste sopra pilastri di legname, in lo borgo de Rapallo ,, (1). Tornando al Brolio, dirò come non tutti i profughi milanesi avessero preso stanza in esso ; che parte di loro si erano allogati in quella regione ove poi sorsero le chiesuole dei ss. Pancrazio, Fede, e Vittore e Savina. Anzi 1’ origine lombarda dei Santi cui esse sono intitolate le svela opera dei milanesi stessi. E che la Chiesa di s. Sabina sia fondazione dei milanesi lo comprova altresì la sepoltura ivi latta nel 590 di quel Magnus miles, della quale è nota la iscrizione Il nome di Magno era infatti di quel tempo assai comune tra i lombardi. Non va poi obliato che il culto della santa Savina da Lodi fu mutato in quello di santa Sabina romana, d’ onde si ha la spiegazione del perchè nel medio evo si scriveva Savina, ed in appresso Sabina. Quanto a s. Fede si sa che ebbe origine milanese. In atto del 15 gennaio 1308, si ha notizia del car-robio dei lombardi presso S. Fede, in vicinanza del Guastato (2). (1) Archivio civ., Atti, 1549- 50. (2) Richebio, Fol A. Tre erano in Genova i Gruastati. Uno fuori il Portello delle Fontane Marose, al basso di Bachernia e in prossimità del Pratum macellariorum. Era l’altro fuori della Porta e mura di s. Tommaso, ove stendevi ora la piazza detta del Principe. Il terzo infine, più vasto, e il cui predicato si conservò fino ai nostri giorni, stava al di fuori della cinta murale del 1155, nei pressi dove poi — 31 Il Monastero di s. Andrea ed i suoi dintorni. In vetta al Brolio e dentro 1’ angolo che ivi ripiegando a occidente formava il cerchio murale civico, già sull’ esordire del secolo XII era un monastero dedicato al martire Andrea, detto poi anche di s. An drea della Porta per la sua vicinanza alla Porta So-prana ; la quale per siffatta prossimità dello stesso fu a sua vece più comunemente denominata coll’ appellativo di Porta di s. Andrea. Lunga cosa e inopportuna al nostro proposito sarebbe qui il riferire la storia di questo cenobio ove già nel 1109 stanziavano monache Benedittine, governate in quell’anno da un’ abbadessa a nome Grisla, e da non confondere con altra abbadessa omonima vi- sorsero le chiese di s. Agnese e quella di s. Marta, ingrandita dai Lomellini, durante il secolo XVII e intitolata all’Annunziata-Onde il nome di Annunziata del Gruastato, per distinguerla anche dalla omonima eretta all’Olivella di Portoria. Quest’ultimo Guastato estendevasi verso l’arce del Castelletto, all’infuori della cinta murale che correva a monte della esistente via Lomellini e per la piazza dell’Annunziata. Donde impariamo che questi Gruastati stavano tutti e tre fuori e in prossimità delle mura civiche. Nel secolo XIII e XIV e XV col nome di Guastato indicavasi lo spazio ove esercitavansi i balestrieri. Nel cartulario del Comune per l’anno 1436 addì 27 giugno sono notate le spese prò repara· cione bresagiorum (sic) de goastnto balistariorum, — 32 — vente nel 1157. Del clie ci avverte un atto del febbraio detto anno col quale questa ultima vendendo a Pietro di Vandersi una casa posta retro orti de Brolio e confinante con altra di Marcinone di Bisagno, aggiunge : quod nobis pervenit ex parte sororis nostre Gisle de Mainardo (1). Quali fossero le forme dell’ edificio ove di quel tempo dimoravano le dette monache possiamo ideare dal fatto che esso stava superiormente al chiostro, del quale era anzi parte integrale, siccome lo addimostra il continuarsi che fa al di sopra di questo, e per 1 altezza di oltre un piano, 1’ antica muratura in pietra da ta-giio. Attorno ad un piccolo cortile rettangolare gira il chiostro anzidetto, i cui archi a sesto acuto e non molto pronunziato, quali appunto si usarono voltare agli inizi della forma ogivale, s’impostano sopra svelte colonnine binate lungo i lati e raggrupate in cinque agfi angoli. Esse sono sormontate da graziosi capi" (1' Monumenta Historiae Patriae, Chartarum; T. II, coi. 371. Credo utile avvertire il lettore non conscio dei nomi medioevali che Marcinone, Marchio, ugualmente che Marchisio, Marchisia, Marchesia ed anche Marchesa non era::o titoli marchionali, ma semplicemente nomi di persona. Attribuiremo eziandio a persona e non a titolo comitale ι nomi di Comes, di Comitissa e di Vesconte, che avremo occasione d incontrare in questo lavoro. Non ascriveremo infiue alle condizioni di residenza i nomi di Cittadino e di Villano, con che chiamavansi persone che avremo pure a menzionare. — 33 - telli, dei quali altri decorati con figure ed altri con fogliami. Il disegno qui a tergo gioverà a dare una esatta idea delle decorazioni del chiostro, assai meglio di quanto non saprebbe fare la mia penna. Mi asterrò pertanto dal dettarne la descrizione sebbene meritevolissima ne sia la venustà. Avvertirò nondimeno che esso ebbe restauri così nei secoli andati come durante il nostro, 1846; restauri dei quali sono evidenti le tracce. Da un atto del 2 febbraio 1294 apprendiamo che il dormitorio ed il refettorio erano stati rifatti perchè minaccianti rovina (1). Nò fu quello il solo rifacimento poiché quanto si ha dell’ edificio del monastero al dì d’oggi è pressoché tutta opera eseguita dal secolo XVI in poi. Un decreto del 28 novembre 1584 col quale si concedeva alle monache di poter cavare pietre dalla lapi-dicina aperta di quei giorni sulla piazza di Sarzano/ ci istruisce die di quell’anno appunto si operavano ingrandimenti o restauri al nostro cenobio (2). Al 1186 risale la notizia di un cimitero annesso al cenobio, e ce la porge il testamento di Arnaldo di Narbona in data del 12 dicembre col quale ordina di avervi sepoltura (3). (1) Arch. gov. Mon. di S. Andrea : p. 68. - (2) Arch. civ. Decreti,dei Padri del Comune: 1582-84. (3) Richerio voi. III p. 471. 3 - 35 — Hel giardino ad uso del monastero ho tardo cenno in atto del 19 luglio 1359, e questo sorgeva in prossimità della regione degli Orti (1). * Non ommetterò inoltre di notare che nel refettorio vi si adunavano qualche volta i reggitori del Comune e non per negozi spettanti alle monache. Ne è prova il lodo ivi latto addì 20 gennaio 1258, dai Consoli Ingo di Fresia e Bisaccia, mercè il quale concedevano a F ulcone di Castello di innalzare alcuni pilastri di fronte ad una sua casa e verso il mare, al di là della strada lambente il muro del suo orto, e di voltare e costruire sopra la via a cominciare dall’angolo della scala della chiesa di s. Nazaro ( or nostra Signora delle Grazie) pei la qual scala si scendeva al lido, e fino all angolo dell orto del di lui fratello Anseimo (2 i. \ J D onde impariamo altresì che di quel tempo nella legione del Castello verso il porto verdeggiavano ancora parecchi orti (3). Ma tornando al monastero di s. Andrea dirò che gli edifici dello stesso ebbero modificazioni ed ingrandimenti in seguito al fondere che si fece in esso di altri ordini religiosi e specialmente di quello di s. De- (1) Ardi, di Stato. Mon. di S. Andrea. (2) Liber Jurium,, T. I, col. 1266. (3) Nel 1422 poi perlagione dello infierirò della peste troviamo clie vi si radunano a concilio gli Anziani, presente il cancelliere ed annalista Giorgio Stella, die soccombeva poi; vittima del fatai morbo. — 36 - fendente il cui cenobio sorgeva alla opposta parte delle mura civiche antiche e fuori di queste. Ciò avvenne nel 1515, anno in che le monache di s. Andrea, con decreto del 30 luglio, ottenevano dal Governo di poter abbattere quel tratto delle predette antiche mura della città che “'interponeva tra i loro possessi e quelli di s. Defendente, onde poter incorporare questi ultimi ai propri. E fu appunto di quel tempo che su quei terreni eressero un refettorio ed un vasto dormitorio, atto a ricoverare figlie povere come era stabilito nei loro novelli ordinamenti. Siffatta concessione imponeva però l’onere di provvedere alla costruzione di una nuova doccia dell’ acquedotto pubblico, giacche l’esistente in allora correva appunto lungo le antiche mura che per un tratto esse monache avevano ottenuto di abbattere. Eppertanto fecero erigere un corso di saldi pilastri e su di essi delle arcate con al di sopra la nuova doccia dell’ac-quedotto, in adempimento della riferita concessione (1). Tra gli oneri imposti dalla quale era altresì quello della conservazione dell’acquedotto erigendo, e 1’ obbligo di ricostruirlo, ove per vetustà od altre cagioni ne avvenisse la rovina. Il qual patto si spiega agevolmente se si considera che l’opera nuovamente (1) Ardi, civico — Atti 1512 - 17 Un decreto dei Padri del Comune in data del 17 marzo 1517 ordinava alle monache predette di fare aprire il muro da da esse fatto chiudere nè giorni precedenti, affinchè il custode dell’acquedotto potesse liberamente entrare e percorrere lungo lo stesso. Dal che impariamo che i lavori da esse intrapresi nel 1515 duravano ancora due anni dopo. - 37 — eretta era una sostituzione alla demolita epperciò proprietà del comune ugualmente e in cambio dell’antica. Ma a comprovare anche più efficacemente quanto affermo, tornerà opportunissimo un decreto del 22 dicembre 1614. i Con esso i Padri del Comune ordinano di mutare il corso dell’acquedotto pubbico a cominciare dalla cappella di Nostra Signora del Soccorso in Morsento, dove 10 stesso quasi circondando il monastero ne penetrava la clausura, e di costruire un nuovo alveo dell’acquedotto che lambendo la strada di s. Defendente raggiungesse la parte inferiore del già esistente, laddove questo usciva fuori della clausura (1). La nuova opera, mercè la quale restava eziandio libero ai ministri della Camera l’adito all’acquedotto stesso, venne infatti compiuta (2). Del che ci avverte un altro decreto dei Padri anzidetti in data del giorno 11 maggio successivo, col quale concedevano allo ci-tate monache la facoltà di aprire nell’ acquedotto, e nella citata regione di Morsento, tre bronzini ad uso del loro monastero. Bronzini dei quali erano rimaste prive in conseguenza del mutato corso dell' acquedotto (3). (1) Arch. civ., Decreti dei Padri del Comune, 1614 - 16. (2) Camera ossia la Finanza del Comune. (3) Ivi, lb. In regione Mursenti linde per reformationem nunc factam ea in parte ipsius uqueductus ipse li. Moniales, private fuerunt unu diete aque. E il decreto recava ancora che nulla si esigesse dalle monache in seguito a siffatta concessione: et oh id niìiil nunc ab ipsis (monialìbus) exigatur ratione concessionis (1). Poco più di tre anni servì a condottare le acque la precitata doccia e cioè fino al 1618, anno in che le monache addivenivano alla erezione di novelli edifici (2). Rizzavano questi dal lato stesso di s. Defendente verso la via che ivi allora esisteva e lungo la quale correva appunto la doccia anzidetta che vedemmo ricomparire all’aperto durante i recenti sterri. E perchè in prossimità delle iniziate Costruzioni e propriamente all’estremo limite di queste l’acquedotto ripiegava ad angolo, le monache con loro supplica del 21 maggio detto anno domandavano di poter costruire in linea retta tutto quel tratto angolare. Il che ottenevano tosto, sotto condizione però che il lavoro fosse eseguito dai ministri di Camera ed a spese del monastero (3). Sessantasei anni dopo, 1684, in conseguenza delle tredicimila trecento bombe con che d’ ordine del cristianissimo re di Francia Luigi XVI, l’ammiraglio Sei-gnelai distruggeva mezza Genova, erano andati rovinati ed arsi parecchi edifici compresi entro la clau- (1) Arch. civ., Decreti ecc. 1614-16. (2) Lo sterro per addivenire a questo ingrandimento era già stato cominciato nell’ autunno antecedente, siccome lo dimostra la concessione fatta il 10 novembre 1617 ai Padri di s. Anna,^ di poter trasportare nel giardino del loro noviziato la terra che si scavava in quello del monastero di s. Andrea. (Arch. civ. Decreti ecc. 1617 - 18). (3) Arch. civ., Decreti ecc., 1617 -18, 1618, 8 giugno. — 39 — sura dal lato di s. Defendente e già facenti parte di questo monastero. Non parve in quel subito alle monache, perchè di troppo dispendio, procedere alla ri costruzione dai medesimi, onde fecero riparare al danno sì, ma in modo non abbastanza sufficiente per essere sicure entro il loro recinto; tanto più che in quelle case rotte e sconnesse si annidavano bentosto donne di mala vita. Sofferto poi il furto eli una lampada di argento del valore di duecento doppie, il che avveniva nell’inverno tra il 1699 ed il 1700, a meglio assicurarsi da nuovi danni ed espellere da quel luogo il disonesto vicinato, domandarono ai Padri del Comune di poter alzare più in fuori il muro della loro clausura, supplendo all acquedotto pubblico che sarebbe rimasto chiuso dentro, coll’erigerne la doccia sul muro costruendo. Di tal modo, e mercè di apposita scala, restava altresì libero agli ufficiali del Comune lo accedere sullo stesso senza dover penetrare nel recinto monastico. Presentato il disegno ne ottenevano il permesso addì 26 maggio 1700, sotto certe condizioni però intorno al modo di costruzione e coll’ obbligo di erigere a loro spese il nuovo muro e la sovrapposta doccia, e di depositare scuti 2000 a garanzia della conservazione in perpetuo dello acquedotto erigendo. (1) Il contratto da esse monache concluso con maestro Benedetto Delle Piane in data del 18 giugno 1700 recava chela muraglia doveva-avere lo spessore di pal- (1) Arch. civ. Pratiche piil·., 1700. — 40 — mi sei nelle fondazioni e mediante scarpa tino all’acquedotto ristringersi ivi a palmi cinque e mezzo. 1 >oveva infine avere l’altezza di palmi ventiquattro, esclusele fondamenta, ed essere compiuta entro il termine di cinque mesi Ί). Nel 1796 si addivenne alla ricostruzione d’un tratto di questo muro che minacciava rovina in un colla scala e la sovrapposta doccia dell'acquedotto. Sul cader dell’estate del 1799 o più esattamente addì 7 settembre, il Monastero di s. Andrea venne ceduto ai Padri Scolopi che vi apersero scuola. Costoro non vi durarono però molto, poiché il Governo francese, allora imperante in Genova, necessitando di edifici atti a prigione per i refrattari alla leva militare, con decreto del 31 novembre 1810 lo destinava a tale uso. Il 21 dicembre 1812 si aggiudicavano all’architetto Giovanni Dellepiane i lavori di adattamento e costruzioni opportune; i quali non erano però ancora compiuti quando avvenne la caduta di Napoleone I. In seguito alla stessa e per deliberazione del Congresso di Vienna, unita la Liguria allo Stato di Sardegna, smessi per alquanto tempo i lavori intrapresi, furono poi condotti a compimento modificando i disegni fatti sotto Γ Impero francese e riducendo ed ingrandendo l’antico cenobio nel modo e forme in che l'osserviamo 1) Arch. citato, Pratiche pub., 1700. Per addivenire a questi lavori di clausura le monache comperavano una casetta di certo Luigi Rovere. (Arch. civ., Atti, 1700, Ί giugno). — 41 — tuttodì, escluso quanto andò demolito alcuni mesi or sono (1). Rispetto alla chiesa di s. Andrea, adibita pur essa ad uso delle carceri, riassumerò qui brevemente le notizie favoritemi dal prelodato Prof. Giovanni Campora, il quale per la sua qualità di Assessore Municipale e di Regio Ispettore ai monumenti e scavi ebbe agio di visitare ripetutamente il detto edificio. La chiesa aveva tre navi e in capo a queste le absidi delle quali è ignota la forma, poiché le esistenti sono opera fatta dopo il millecinquecento. Di medioevale non rimangono in oggi che gli archi laterali delle navate minori verso l’abside, i quali hanno forma tonda con contr’arco concentrico. Esternamente esistono alcuni archetti decorativi essi pure di forma tonda, con poco aggetto e coperti in parte da costruzioni più recenti. Esaminando attentamente l’interno della chiesa si scorge tosto che essa durante il quattrocento, fu tagliata in senso orizzontale per dar luogo alla costruzione del coretto per le monache; lavoro che sarebbe avvenuto dopo la riforma e l’annessione di monache d’altri monasteri ed ordini, e che impedisce di appurare se le colonne della parte bassa e che sostengono il citato coretto sieno o no le antiche. Quanto a quelle che reggono il soffitto del coretto esse hanno le prime forme del rinascimento e van munite a mezzo la loro altezza di un anello in rilievo (1) Arch. di Stato. Préfecture frangaise. nel modo istesso di quelle del Battistero di s. Lorenzo e del Palazzo D’Oria in via s. Matteo ». Il campanile che sorge a mezzodì dell'antico monastero non è da aversi per costruzione contemporanea a quella della chiesa. Ne è asserzione in un documento da me rinvenuto il quale accenna ad una lapide murata nel 1647 sul lato a levante dello stesso che lo diceva innalzato di quell' anno per volontà di Maria Serafina e di Paola Maria sorelle Camogli, prioressa la prima e suora l’altra, e con danari ereditati da un loro fratello Pietro. Dai numerosi atti di locazione, di compra, di vendita, di permute di terre e di case e di concessione di suolo per edificarvi che vanno registrati in un codice membranaceo già pertinente al Capitolo di esse monache, potei farmi un'idea dei possedimenti di queste e sopratutto della topografia del Colle nei tempi di cui parliamo. Ed è appunto da quel codice che cavai notizia del Chiostro giàpel 1158 e della Caminata del monastero (1), ove addì 8 maggio 1219 Filippo Tasso e Giacomo Dataro sottoscrivevano l’atto di vendita fatta a Sibilla, abbadessa, di una terra con entro edilizi. La qual terra era posta presso la Porta di s. Andrea e confinava con altra terra e casa del monastero stesso. Cinque anni dopo la medesima Sibilla loca a Giacomo de Cumi due case prossime al monastero e aventi a tergo un tratto di terra, per costruirvi due tenditoi da panni. (1) Sala munita di camino. — 43 — Nel 1255 ne vediamo abbadessa, Adalasia Bulgara clie fa pure parecchie locazioni e concessioni di suolo per edificarvi sopra. Più tardi, 1264, ratifica la cessione fatta ad Uberto, chierico, dell’ usufrutto della chiesa di s. Genesio in Vado e delle terre a questa pertinenti (1). Insorte liti, coll’Abbate di s. Stefano per ragione di confini, Giacomo Cogorno, commissario apostolico, con sua sentenza dell’8 marzo 1290 stabiliva nettamente i limiti parrocchiali dei due monasteri, fissandoli al λ ico detto di Rivalta (2). Il perchè” di tali controversie par ebbe do\eisi licci care non tanto nella incertezza dei confini, quanto nc Ila facoltà che allora avevano i proprietari ed i costruttori di case di poter scegliere a loro piacimento la pai rocchialità. Lo indicherebbe un atto del 23 aprile 1255 col quale Nicoloso di Crespa riceve a livello per ventinove anni, dalla citata Adalasia, uno spazio di tena per costruirvi, obbligandosi ad un annua pensioni. ma col patto che l’edificio che vi avrebbe eretto sarebbe sotto la giurisdizione parrocchiale di detto monastei o (3). Così ugualmente in altra locazione di suolo fatta dalla ridetta abbadessa e nel giorno stesso a certo Bo-navia, molinaro, questi confessa che il suolo e nella parrocchia del monastero e vuole che la casa che dev e costruirvi sia della parrocchia di detto monastero (4). E gli esempi non mancherebbero volendo continuai e. (1) Archivio di Stato, Codice citato. (2) Poca, Miscellanea (3) Cod. citato, p. 4 (4) Ivi, » » — 44 — Cotali incertezze e litigi permetterebbero altresì di sospettare che il monastero di s. Andrea possa essere stato eretto prima ancora che il Brolio venisse rinserrato dal cerchio murale del secolo X. Sembra infatti poco verosimile che se costruito allo interno delle mura potesse pretendere giurisdizione parrocchiale anche al di fuori delle stesse. E taccio che il sospetto è convalidato dal fatto che già nel 1294 tanto il refettorio che il dormitorio erano cadenti per vecchiezza. Di quel tempo la regione degli Orti era ugualmente detta di Volta Leone, ed era percorsa da parecchi vicoli o carrubei tra i quali il carubms remolariorum, dei remolai; l’altro detto dell’usuraio, de usurario, e quello infine dei Sardena, de Sardinea che doveva il nome al casato omonimo (1). Nè manca notizia della regione di (1) Antico e noto per uomini che coprirono pubbliche cariche è il casato dei Sardena, i cui possessi, oltrecchè'nel Brolio, erano altresì lungo un vicolo che correva tra la Ripa ed il carrubeus vectus dei Gentili, or via s. Luca, nei quali pressi era appunto la statio illorum de Sardinea. _ Λ Di questa stazione abbiamo ricordo in atto del 27 giugno 1251 col quale Trencherio di Baldizzone loca metà unius stationis posite τη carrubeo recto, pro indiviso cum Bonovassallo Sardena, et que statio dicitur de Sardmis. (Richerio, Voi. IV, p. 836). In altro atto del 10 aprile 1253 si ha che « fi o no va drit > in san Lorenzi fil vicolo del filo non va dritto a san Lorenzoj che i nostri Avi solevano applicare a chi non agiva retta-mente o tentava ingannare altrui. Un decreto del 19 luglio 159G, ordinante la pavimentazione di questo vicolo, lo chiama viam vici filli, e nota come per esso solevano allora passare quasi tutti i cittadini che si recavano alla cattedrale (1). Il che si spiega agevolmente se si considera che il vicolo a sinistra della detta chiesa, lungo il corso del quale sull’esordire del secolo andato venne aperta la via or detta di s. Lorenzo, non metteva punto alla regione della Raibetta, ma si arrestava a s. Genesio. Intatti tra la piazza indicata con quest’ultimo nome e l'altra dei De Grradi sorgevano case che sbarravano il passo, perciò chi da s. Lorenzo doveva avviarsi al mare non aveva altra via da battere che quella del Canneto o questa del Filo. Proseguendo verso la Scureria, cintrata scutarie, era la Piazzetta e la via dette dei Toscani, così addoman- (1) Arch. civ., Decreti citati 1596-97. Con atto del 1150 Gio. Advocato vendeva a certo Ottobono la metà della casa e della torre che aveva nel carreggio di s. Lorenzo. (Poch, Voi. 4). date già nel secolo XV dal tenervi bottega numerosi setaiuoli o venditori di tessuti serici; mercantanti che allora chiamavansi appunto col nome di Toscani. La piazzetta possiamo ravvisarla nella parte piana o superiore della esistente salita di Scureria, ed il car-rubio in quel tratto di via che dal punto anzidetto corre a levante; la via pertanto in oggi detta dell’Arcivescovato, perchè un tempo vi fu la porta del Palazzo arcivescovile. Nel 1843 durante il lavoro di abbassamento all or fatto di questa strada vennero alla luce molte monete imperiali e consolari, e sopratutto numerosissime urne cinerarie in terra cotta. La preziosa suppellettile, che andò fatalmente dispersa e rotta, dimostra che ivi era un antico sepolcreto romano. Accennerò di passaggio che la esistente salita di Scureria fu aperta nel secolo XVII da Gian Giacomo Imperiale, il quale a tale effetto demoliva parecchie case di sua proprietà, ed altre che acquistava con non lieve dispendio. Di ciò avverte soltanto la iscrizione murata in essa via all’ angolo di piazza Campetto ; mentre a ricordo di così nobile esempio è dal Gian Giacomo o dal suo illustre casato che si dovrebbe denominare la via stessa. In un rescritto del 24 novembre 1593 si ha: in contraici tuscanorum in carrube') olim, de basciadonne (1). Il vicolo cioè che chiamavasi dal casato dei Baciadonne, ed è quello che dalla cima di via Scureria mette a Piazza Invrea ed ha ora nome di Vico Invrea. (1) Arch. civ., Decreti dei Padri del Comune, 1593-95, — 99 — Vicolo de Toscani ebbe poi anche nome quello che odiernamente s’ intitola di Scureria vecchia (1). Noto inoltre che la Curia arcivescovile stessa affittava botteghe a questi industriali, ed in un Registro della medesima pel 1493 trovai notato tra coloro che ne avevano in affitto lo sventurato Paolo da Novi (2). In una supplica del 1582, accolta favorevolmente con decreto del 25 «settembre, e colla quale siffatti setaiuoli o Toscani domandavano di poter tenere le loro mostre aperte, si ha la descrizione delle loro botteghe o volte (3). Col nome di Toscani erano indicati ancora sulla metà del secolo XVIII. Ciò vediamo da una lamenta dei medesimi sull’uso allora tolto dai mulattieri di passare per quella strada invece che pei· l’altra del Filo come prima solevano. L’atto reca a tergo di pugno del cancelliere: Pr > seaterijs et seu toscanis (4). (1) Un atto del 1560 reca « Camera che è nell’angolo del chiostro superiore di s. Lorenzo verso i due carrubei de Toscani»; l’angolo cioè tra via Arcivescovato e Scureria vecchia. In appresso i setaiuoli si ridussero specialmente nella salita or detta di Scureria, e fa da ciò che nacque la costumanza di stendere stoffe di velluto lunga la detta via e sotto i piedi del sacerdote recante l’ostensorio, durante la processione per l’ottava del Corpus Domini. (2) Paulus de No vis tintor sette prò una appotheca sire volta sub palatio archiepiscopale L. 2 e 4 (Ardi. Arcivescovile, Registro della Mensa). (3) Arch. civ., Atti, 1581-82, e Regulae PP. Comunis. (4) Ivi, Ib., 1641. 100 — La piazza pi s. Lorenzo e le vie contigue La piazza di s. Lorenzo sebbene in antico servisse alle adunanze del popolo, era però ben poco spaziosa. Fa intatti ingrandita, e di assai, nella prima metà del passato, secolo mercè la demolizione di alcune case che sorgevano di fronte alla chiesa e di un’altra a destra, sotto un arco della quale si aveva transito alla regione di Scureria. Detta piazza servì lungo tempo anche a luogo di callerjhe, ossia vendite all’ incanto ; finché specialmente non si assegnò a siffatto uso quella dei Cicala, poi detta delle Scuole Pie, dopo che i Padri scolopi vi eressero la nuova chiesa (1). Lungo e sopra i paramur i, ossiano i muricciuoli di cinta della chiesa di s. Lorenzo, ponevansi a vendere i loro prodotti gli ortolani, pagando un annuo tributo ai canonici della stessa ed anche al Comune. A manca del campanile e attergato al Canneto, correndo il 1618, Sinibaldo Fieschi innalzava un palazzo ricco di marmi e con bella loggia e portale che furono tagliati nel secolo scorso per aprire più largo passo alla via s. Lorenzo (2). (1) Caìlega è latinizzazione della voce dialettuale Caèga, che significa vendita pubblica all’ aumento. Incallegare, come dicevano i notari il procedere a tali vendite, significa : incarare, ossia aumentare il prezzo. (2) Arch. civ. Atti, 1613 e 1614. — 101 — Di fronte alla chiesa, correndo il secolo XIII, possedeva una casa Giovanni Guaraco, un’ altra in legno Enrico di Negro, e presso ad esse sorgeva la torre di Giacomo Ligaporco (lj. Nel 1634 ve ne innalzava una a propria sede il Collegio dei Giurisperiti (2). ✓ Sulla vicina piazzetta di s. Giovanni il Vecchio, ove sorge pure il Battisterio di s. Lorenzo, era già il sepolcro dei condannati a morte. Chiuso nel 1535 perchè colmo di cadaveri, se ne apriva un altro ivi presso nell' angolo sottostante alla casa di Ettore Fieschi. Ma poco trascorse, che questi, sette anni dopo, querelandosi del fetore che tramandavano entrambi, si offriva di chiuderli e pavimentarvi sopra a proprie spese, supplendo ai medesimi coll' aprirne dei nuovi nel luogo che gli si sarebbe indicato (3). Nel 1524, 9 aprile, questa piazzetta fu assegnata a mercato del pollame e dei latticini (4). Con decreto del 5 marzo 1627 i Padri del Comune ordinavano di fabbricare un certo muro che chiudeva parte di detta piazza, il quale era stato demolito alcuni anni avanti dai deputati ai restauri della chiesa di s. Lorenzo pei- alzarvi una casa di legno ad uso degli scalpellini e per deporvi i materiali da costruzione. (1) Arch. civ., Atti, 1618 e 1634. (2) Richerio, Op. cit. (3) Arch. civ., Atti, 1535-36 e 1541-44. (4) Ivi, Ib., 1518-25. — 102 - Il 12 del mese ed anno anzicitati si ordinava di consegnare certa lapide che stava infissa nel muro stesso anteriormente alla fattane demolizione; la quale lapide diceva che il muro in quistione era stato eretto in suolo pubblico per concessione fattane dai serenissimi Collegi il 26 settembre del 1602. Essa tu rinvenuta casualmente il 10 gennaio 1899 durante i lavori che si facevano in fondo alla navata sinistra della chiesa, sotto il suolo (1 ). Il Duomo o Palazzo Arcivescovile. Mi taccio intorno alla chiesa di s. Lorenzo perchè troppo ampia ne sarebbe la materia, e augurandomi di presto vederla risarcita dagli insulti del tempo e più ancora dalle deturpazioni cui andò soggetta, toccherò di volo al Palazzo Arcivescovile. Al qual proposito non posso ristarmi dallo additare la inesattezza, tuttodì innavvertita, in che cadde il chiaro Belgrano, laddove parlando delle Sedi episcopali in Genova, che in antico avevano più comunemente il nome di Domus, scriveva: « Del duomo primitivo poi che era presso S. Siro, come ognun sa, trovo ancora il ricordo in una locazione del 1135 ; peciam unarn (1) Arch. civ., Atti, 1625-27, — 103 — terre.......infra murum civitatis lamie, locus ubi dicitur d mus » flj. Senonchè il palazzo o domus cui accenna siffatto documento sorgeva invece presso s. Lorenzo. Ce ne avverte l’atto stesso che lo dice posto infra murum civitatis Ianue. Ora di quel tempo la Basilica di s. Siro stava ancora fuori del cerchio murale di Genova, ed è cosa nota che ne andò rinchiusa dentro soltanto vent anni dopo e cioè nel 1155 mercè la nuova cinta innalzata contro il Barbarossa. Che anzi il documento precitato aggiungendo che la terra in quistione spaziava infra murum civitatis, e che da un lato confinava colle mura della città, cui coherit ab una parte murus civitatis lamie, dimostra chiaramente che siamo presso a s. Lorenzo, nelle cui vicinanze correva·' appunto la cinta murale del secolo X, che di quell’anno, 1135, dominava tuttavia l’altura di Serravalle. Del resto la terra anzidetta non era la sola che d[ quel tempo spaziasse nei pressi di s. Lorenzo. Un atto del novembre 1142 fa menzione della terra di Alberto Guercio posta in dom i e confinante con altra pertinente a Giovanni Calderario e ad Ottone di Cari gnano (2). (1) Atti Soc. Lig. ecc., Y. II, Parte I, p. 267. Che in antico il nome di Domus, Duomo, fosse dato alle case vescovili, e non alla chiesa maggiore, ne abbiamo conferma dallo storico Gio. Villani laddove dice « et quivi havea un altra porta che si chiamava porta del duomo et chi la chiamava porta del vescovado » (Croniche, Lib. Ili, capo II). (2) Atti Soc. Lig. ecc., Yol. Π, Parte II, p. 84. La Sede di Genova fu eretta in Arcivescovile soltanto nello — 104 - Della terra di Giovanni Calderario si ha novello ricordo in atto dell’anno successivo. Essa confinava con quella dell Arcivescovo. Contigua a questa era un’altra di proprietà di Oberto Guaraco e di sua moglie Aidela; terra che addì 27 aprile 1156 concedevano in affitto e per 29 anni ad Ogerio Seilia (1). Nel 1168, 4 novembre, Guglielmo del fu Gandolfo Rosso e sua moglie vendono a Guglielmo Vento la metà per indiviso totius sediminis che possiedono in hora sancti Laurentii (2). Pel 1171, marzo, è ricordo della terra di Cittadino tìglio di Anseimo Bastone Calderario de domo (3). Una sentenza dei Consoli dei placiti pronunziata addì 12 settembre 1180 parla dell’orto che Guidone Porco possedeva dietro il coro di s. Lorenzo, post truinam sancii Laurencii (4). Nel 22 giugno 1226 Ansaldo di Negro compra una terra confinante con quella del-l’Arcivescovo, di quelle forse dianzi accennante (δ). Il 29 luglio successivo, Mabilia, figlia del q. Ogerio Vento, vende ad Ansaldo di Negro, porzione di terre vacue embolis et pedis turris, presso s. Lorenzo e confinanti in parte col Capitolo di detta chiesa (6). aprile del 1133 e per opera di Papa Innocenzo II. (Lib. Jurium, T. I. c. 41). (1) Mon. Hist. Patriae, Chartarum, T. II, c. 325. (2) Ivi, Jb., c. 905. (3) Atti Soc. Lig. ecc. V., XVIII, p. 83. (4) Ivi, p. 106. (δ) Poch, Voi. V. (6) Richerio, T. IV. — 105 — La Curia stessa, come ben si comprende; aveva ivi non pochi spazi di terra sui quali consentiva Γ erezione di case, o che locava, contro un dato terratico, ossia canone annuo. Così pel 1158, giugno, troviamo che Γ arcivescovo Siro rinnova la concessione fatta ad Anseimo Calderario, tìglio di Guidone di Murta, di un tratto di terreno prope ecclesiam sancti Laurenctii, ad tenendum et mansionem super ipsavi terram faciendum. La locazione, durevole per ventinove anni, portava la condizione che al terminare dei medesimi, ove i contraenti non avessero potuto convenirsi per il rinnovamento della stessa, o per il prezzo dell’ edificio che 1’ Anseimo vi avrebbe eretto, questi avesse facoltà di trasportarlo altrove : Si vero dominus Syrus vel successores sui noluerint edificium emere quod Anselmus et suus heres possit transferre edifitium ubi voluerit (1). T)’ onde impariamo che era pur questo uno dei tanti edifici che, eretti sopra suolo altrui, si costruivano in legno per poterli ove occorresse rizzarli nuovamente in altro luogo. T)i somiglianti locazioni di terre della Curia abbiamo altro esempio in quella fatta il 21 agosto 1174 dal-1’ arcivescovo Ugone a certo Fazio Canevario e la di costui moglie Sofia. La terra di che si tratta era circoscritta tutto intorno da altre della Curia stessa ; soltanto da un lato (1) Atti citati, Voi. II. Parte Π. pag. 326. — 106 — era 1 ingresso ad una casa che già vi avevano gli affittuari, e il distillacium, stillicidio, della casa stessa. Anche in questa i contraenti convengono nelle condizioni indicate nella locazione sopra citata. Qui pure il locatario e sua moglie od i loro eredi hanno il diritto di auferre suum edi fi,cium tuttevolte che non concordando le parti per il prezzo, neanche in laude b >-norum hominum, la Curia non avesse voluto comperarlo (1). Un altra casa in legno pertanto, che i proprietari possono far amuovere e collocare altrove. Quanto a edifìci o case innalzate su terreno della Curia abbiamo pur ricordo di quelle di Lamberto di Partinico, di Lanfranco Porco e di Marchisio Elefanto; la prima delle quali veniva comprata addì 7 giugno 1208 dall’ arcivescovo Ottone (2). Della sede vescovile o Domus presso s. Lorenzo è menzione già pel 987 in un diploma del vescovo Giovanni II, con che lo stesso statuiva che il tributo dovutogli annualmente dai monaci di s. Stefano gli fosse pagato in domo sancti Laurentii (3). Un lodo dei Consoli del novembre 1142, ordina che 1 Arcivescovo abbia il possesso di una casa già di Arnaldo Baltigado che è posta in domo. Nel marzo dell’ anno appresso altro lodo dei Consoli stessi impone a Giovanni Calderario di pagare annualmente (1) Atti soc. Lig. ecc., Voi. XVIII., p. 44. (2) Ih. Voi. XVIII., p. 304. (3) lb. Cartario, p. 26. — 107 — alla Curia il censo di due denari per la casa che ha in domo (lj. Del d rn.us di s. Lorenzo col più nobile titolo di -palatium reca il primo esempio una sentenza emanata dalla Curia del vescovo Sigifredo l’anno 1129 (2). Pel 1197, 27 maggio, ho altresì notizia di una casa ed astrico di Guglielmo Mangiapane, i cui confini sono : de una parte domus sancti Laurentii que fuit quondam Hominisdei Cicastupe. Il domus cioè di s. Lorenzo che appartenne già al fu Omodeo Ciccastoppa (3). Documento importantissimo perchè snebbia anche ogni dubbio, a chi potesse averlo, che non si tratta punto del Duomo di s. Lorenzo, ossia Cattedrale, ma semplicemente di una casa o edificio civile appartenuto già ad un cittadino. È quindi la casa o domus di s. Lorenzo di che è cenno più sopra ed anche in altro atto del 15 gennaio 1200 ove si legge: domo una que est supra palatium ubi dicitur domus. E infine la domus archiepiscopali in carrubeo ferrariorum ante palatium domini Archiepiscopi (4). Circa alla coesistenza di due Palazzi arcivescovili presso s. Lorenzo il chiaro Belgrano notava come il Grassi 1’avesse additata già pel 1194 e 1195, mercè due documenti rogati l'imo in pontili inter duo palatia, e in pontili inter ambo palaiia Γ altro (5). (2) Atti Soc. Lig. ecc., Voi. II. Parte Π. p. 27. (3) Ivi, Voi. XVIII. p. 290. (4) Ivi, Ih., p. 236 e 388. (δ) Ivi, Ih., Voi. II. Parte I. p. 436 e Grassi, I I eccovi di Genova, all’ articolo Giovanni ii. - 108 — Senonchè al Grassi erano sfuggiti due atti che par. lano del palaci:) novi s. Laure ncii come esistente un cinquant’ anni innanzi. Sono essi; il primo una ricevuta del 10 marzo 1145 colla quale Ogerio Danese confessa di ricevere da Guglielmo Pevere la somma di due danari per pensione della Domocolta (1). E 1’ altro pure una ricevuta che nel luglio succes. sivo, Alessandro, economo della Curia, rilascia ad Al bertone Osbergerio e sua moglie pel pagamento di soldi tre da essi fattogli per livello dovuto di una loro casa (2). Entrambi gli atti recano che furono fatti in palacio novo. Che infine il nuovo Palazzo esistesse ffià nel 1145 O lo conferma il decreto dei Consoli dei placiti del gen. naio detto anno. Decreto col quale deliberavano il fitto annuo che avrebbero pagato alla Curia piaci, tando, si placitaverint in palacio novo, e cioè soldi cento, più altri cento sui bandi. Ciò in cons’derazione che 1' Arcivescovo lo aveva costruito ad honorem et utilitatem Covìunis (3). D' onde si comprende chiaramente che il detto palazzo, nel quale presero tosto stanza i citati Consoli era stato perfezionato proprio di quel tempo. Da ciò possiamo inoltre chiarire che appartiene al 1147 e non al 1137, un atto del menzionato economo . Alessandro, rogato appunto in palacio novo, e di cui (1) Atti citati, p. 393. (2) Ivi, Ib., p. 392-(3; Ivi; lb., p. 74. — 109 — il Belgrano, a cagione dello sbiadimento della scrittura, non potè appurare a quale dei due anni fosse da ascrivere (1). U Palazzo nuovo servì di sede fissa ai Consoli an-zidetti fino al 1190, dopo di che vi sentenziarono soltanto tre mesi deiranno. Nel 1219, 16 luglio, l’arcivescovo Ottone comperava da Giovanni Porco una terra attigua, con sopra una casa, confini alla quale erano : la via pubblica d innanzi ; il muro del Palazzo arcivescovile alle spalle ; da un lato la casa pure dell’Arcivescovo, e dall’altro la casa di Fulcone Porco (2). Ignoro se la casa acquistata servisse ad ingrandire uno dei palazzi. Non subito però poiché addì 29 luglio 1227 trovo Alguisio di Posato, giudice e console dei cittadini e dei forastieri, a sentenziare nel portico di detta casa (3). Da una relazione del 21 settembre 1490 si apprende che il Palazzo arcivescovile minacciava rovina, e che si deliberavano riparazioni (4). Dieci anni dopo ò nuovamente assegnata una somma da spendere in reparatione domus archiepiscopali che minaccia rovina (δ). Pel 1502, 19 febbraio, si ha notizia di spese tatte (1) Atti soc. Lig. ecc. 11·., p. 438. (2) Ivi, Voi. XVIII p. 351. (3) Ivi, p. 447. (4) Arch. civ., Atti 1490-99. (5) Ivi, 8. Lorenzo, Piazza Ferraria ecc. 1561-1718. — 110 — per la demolizione di parecchie casupule, domuncularum., arcivescovili e per la riparazione della sacn-stia di s. Lorenzo (l). D’onde parebbe che la casa minacciante rovina e di cui è cenno sopra, tosse stata demolita insieme ad altre : Cinque anni dopo, 1507, 25 gennaio, Filippo di Cleves, luogotenente del Re di Francia, ordina di pagare la spesa fatta per riparare la casa arcivescovile in quella parte vergente contro la casa del Podestà di Genova, nella quale egli divisava di prendere stanza (2). Intorno al 1530 e mentre ferveva il lavoro di trasformazione, che meglio sarebbe dire di deformazione, della chiesa di s. Lorenzo, anche il Palazzo arcivescovile ebbe mutazioni e riforme per mano del maestro Domenico di Caranca e per ordine di Marco Cattaneo procuratore dell’arcivescovo Innocenzo Cibo. Fu allora che l’ingresso e la fronte i quali stavano a meriggio vennero fatti a settentrione, di contro cioè alla via or detta Salita dell’Arcivescovato, e che in atto del 9 luglio 1591 trovo menzionata « vicini existentem inter palatium ducala et palatietum ad Ammanavi regionem ferentem ( 1). Pare inoltre che per addivenire a siffatti lavori si occupasse un tratto di suolo pubblico. Additerebbe ciò una Nota che s’incontra unita ad una copia del decreto fatto nel 1158 dai Consoli di (1) Arch. civ., Cartulario 1502. (2) Ivi Atti, 1504-507. (3) Ivi id. 1591, — Ili — allora « sulle volte di legno nei carrobii maestri. » La nota clie è senza data e che fu scritta da Pietro Battista Fieschi, sarebbe da attribuire all’anno 1568 0 1564, giacche va infilzata negli Atti dei Padri del Comune di detti due anni. Essa dice « come il palacio archiepiscopale contiguo a la giesia di santo Laurencio fu rinovato nel- 1 anno MDIIIVII, 1587?, nel qual tempo si può credere fosse occupata quella parte di terreno che al presente si lavora et noto come il Comune sempre et hoggi continuamente liave havuto et have il possesso e transito in detto loco » (1). Lavori d’ingrandimento al Palazzo arcivescovile fece iniziare altresì Γ arcivescovo Pallavicini correndo l’anno 1577, e questi dal lato orientale ; nel tratto cioè che ne forma in oggi la fronte, e dove allora si teneva il mercato della polleria. Di ciò reca notizia una supplica dall’Arcivescovo stesso diretta al Senato, dal quale aveva avuto ingiunzione di non procedere nella cominciata erezione, e specialmente nella apertura di finestre per contro il Palazzo del Governo perchè nocive alla sicurezza di questo in caso di moti popolari od altro. Una Nota Jurium Meipublice ad ea que pretendit Ar-chiepisc>pus circa platea et fabricati triés ante Palatium, cita gli acquisti fatti dal Comune negli anni 1529 e 1531 per la costruzione dell’Archivio. Acquisti di case ed aree che avevano per confine la casa della già citata Isabelletta da Novi ; altre due del Capi- (1) Arch. civ., Atti, 1063-64, — 112 — tolo di s. Lorenzo , ed un' area o spazio di casa demolita posta in Piazza dol Palazzo. Un’ altra casa infine di Nicola Calderone contigua ad altre di Giovanni Saivago e del fu Battista da Novi. La nota che è corredata da una pianta che abbraccia, tutte le adiacenze della chiesa di s. Lorenzo, conclude coll’affermare che l’Arcivescovo non ha alcun diritto sulle case ed aree anzidette, e che se per il passato egli aveva eretto stanze al di sopra dello Archivio, ciò gli era stato concesso soltanto per gra-ziosità e senza lesione dei diritti del Comune < lj. E qui farò punto-sul Palazzo arcivescovile e sui miglioramenti e decorazioni in marmi ed in pitture che vi fecero operare altri Arcivescovi, non senza osservare però che i grandi mutamenti fattivi intorno al 1535 furono forse conseguenza del già accennato scoppio della polvere pirica che si manipolava in un fondaco del palazzo stesso. Scoppio pel ’ quale andarono rovinate parecchio piccole case contigue e ne ebbe pur danno la chiesa di s. Lorenzo, i vetri delle cui finestre caddero tutti infranti (2). (1) Arch. di Stato, Senato, Filza 173, an. 1577. (2) Ιλή, Cartulario, 1530 e 1533. Già nel Cartulario del 1530 si hanno le spese per riparazioni alla sacristia di s. Lorenzo e per i vetri della cappella di s. Sebastiano. t 'fan. in fJH4^ Vflp**' lo List'·'·1 ^171 entf S«f.«- buue^a-d.i rha-nes calce rfpa ^tediti- ^SSSSSSSS v . A· «f /V /U λ i j ' α x f ^ vicvdt· ■acMu La* .djn\i*a 5ovrÌL· iliifa FS3 ^ s, s ; JInc/rahe deve· il Tor- fratta chef or ctzr^o Tao. HL &» eh·'6*0·*?" fa / df- Arch. di Stato, Senato, 1577. (L& vj? r Άα otsi*-v 113 — I Palazzi e le Torri del Comune Nell anno 1291 Corrado Spinola ed Oberto D’Oria, capitani del popolo, vennero nella deliberazione di provvedere una sede propria e decorosa ai reggitori del Comune, i quali lino allora avevano tenuto ufficio in case di privati tolte in affitto. A tale scopo compravano da Accollino DOria e consorti per il prezzo di L. 2500 alcune case poste tra s. Lorenzo e s. Matteo e contemporaneamente, agosto 1291, da Guglielmo Chiavari, da certo Lorenzo e da Gandolfo di Pratolungo, .macellari, altri tre edifici posti su terreno degli Anfossi. Quindi ancora un'altra casa eretta su terreno della chiesa di s. Lorenzo e che apparteneva a Griachino di Giovanni q. Rosso da Begali (Ti. E poi voce che affidassero all’architetto Marino Boccanegra la cura di erigere sull’area di detti edifici un Palazzo, nel quale infatti vediamo pochi anni dopo insediato 1 Abbate del Popolo e tenervi consiglio. Vent’anni dopo, 1311, il Comune procedeva a novelli acquisti comprando da Nicolò Gentile della Turca un palazzo nella contrada dei Calderari ; palazzo che già aveva appartenuto ad Alberto Fiesco e dove di quel tempo appunto abitava l'Abbate del Popolo. (1) Liber Jurium T. Π, c. ‘270, 1291, 26 ag. 8 — 114 — Tl della Turca vedeva inoltre al Connine stesso un vacuo o spazio di suolo posto accanto al Palazzo predetto lì. Ma è a credere che il Palazzo erotto non fosso sufficiente agli uffici del Comune, sebbene esso avesse avuto ampliazioni mercè altri acquisti, notevole tra i quali quello effettuato da un Damiano DOria nel 1373. "Proviamo infatti che addì 3 marzo 1384 Leonardo Montaldo, doge, a nome della Rep. comprava per L. 3500 da Ignazio e da Raffaele di Accollino DOria e dalla loro madre, un palazzo con case, torre e vacuo. 11 qual palazzo, detto di Serravalle dal luogo in cui sorgeva, stava appunto nella contrada del già citato Palazzo del Comune, e ove dimorava allora l’Abbate del Popolo. Erano contini al nuovo acquisto la via pubblica da tre lati, e dal quarto lato, ad occidente, la canonica e le case del chiostro dei canonici di s. Lorenzo. Palazzo, case od aree sulle quali per decreto del 1583, 7 gennaio, si decretava la costruzione del Palazzo criminale, compiuta poi nel 1592 (2j. Frattanto il Palazzo aveva avute altre ampliazioni correndo l’anno 138U, e due anni dopo Antoniotto Adorno vi faceva aprire un grandioso salone. Nel l-jji fu ampliata la piazza e costruite stanze in gran numero ai due lati della stessa, ed altre molte in volta capaci di numerosi uomini e cavalli. (1) Uh. Jurium. (2) Arch. gov., Pand. Actorum, 1528-1614. Il cosidetto Palazzeito nel quale sono in oggi gli Archivi di Stato e di s. Giorgio. — 115 — II che, come scrisse i'l Giustiniani, « fu gran comodità cittadini, conciossiaoliò prima gli uomini d’arme da cavallo e pedoni, avessero il loro alloggiamento in le case dei cittadini con gran discomodità e gran danno delle cose loro ». Sette anni· dopo, 1(5 luglio 1439, si pagavano a maestro Tebaldo, pittore, lire dieci e soldi due jpro arnia facta in palacio, mentre già Donato de lapia ne aveva dipinta una iuxta· carrubeum Scurerie (1). Nuovi lavori vi si effettuavano nel 1442, e forse le due lopp-e di che è menzione in atti del 1447, 16 oo giugno. Malgrado ciò il numero delle stanze non bastava, siccome ne avverte la domanda sporta addì 12 settembre 1472 dal Vicario ducale di quel tempo. Con essa esponeva infatti qualmente la parte del Palazzo che gli era stata assegnata pei- residenza non era bastante ad alloggiar esso e la sua famiglia, e chiedeva perciò che gli si provvedesse in modo più opportuno (2). Altri lavori vi si operarono per cura di Stefano Lercaro e di Peliegro de Franchi, dei quali essi rendevano i conti sul chiudere del 1513 ; mentre di ulteriori e di decorazione ne seguivano nel 1525, sendo deputato a ciò Benedetto Viale, e quindi ancora nel 1530. Nel 1548 infine, e nel 1580, 159<£ 1600 e 1612 ebbero luogo restauri e nuovi ingrandimenti mediante l’acquisto di case dal lato di s. Domenico (3). (1) Arch. civ., Cartulario 1489-40. (2) Ivi, Atti, 1469-76. (3) Arch. gov., Filza Die. Cane. — 110 — Ma sia che tante ampliazioni non avessero avuto opportuna riuscita, o tosse andata lesa la solidità dell'edifìcio, fatto è che nel 1 <> 1 ~> addì 28 agosto si approvava la ricostruzione del Palazzo sovra nuovi disegni; del che ci rende accorti la chiusura fatta dell'antica porta, l’apertura di una nuova in altro punto Π), e 1 il trasporto di ni itoriali duranta il lt>35 (2). Affidatane la cura ad An irea C resola, detto il Vannone, questi lo innalzava nelle forme elij ebbe tino alla metà dello scorso secolo, quando ne fu atterrata la cortina che fronteggiava Piazza Nuova ; verso la quale nel 1028 era stato aperto il gran portone e di contro allo stesso, 1052, la via che mena a Sar-zano, or detta dei Poliamoli, per ispianar la quale già nell'aprile del lt>37 si era deliberato l’acquisto di alcuni edifici 3. Altri lavori di cui ignoro l’entità ebbero luogo durante gli anni 1074, 1075 e 1077 '4). Un grave incendio scoppiato nel 1777 danneggiò le sile ed il prospetto, onde fu necessità «li novelli restauri, non interamente compiliti però pel sopravvenire del tumultuoso 1707 ; in seguito agli avvenimenti del quale anno il popolo ferente ed inconscio mandava in frantumi i simulacri di tanti uomini illu- (1) Arch. civ., Decreti cit., 1627-30, 1029, maggio 20. (2) Ivi, Atti, 1035. (3) Arch. gov., Pand. Di ce rsor uni, 1655-1060 e Politicorum, mazzo X. 4. (4) Arch. civ., Pratiche puh. 1670-77. — m — st.ii che adornavano lo nicchie del grande salone e insieme a quelle le due st itue dei I )’Oria clic sorge-\ ano sui piedestalli tuttavia esistenti fuori del grande ati io d ingresso. Rinnovavansi così ancora una volta gli atti di vandalismo che, e sempre per mano del popolo, aveva sofferto il Palazzo in altri tempi, e specialmente nel 1477 allorché, come narra il Giustiniani furono asportate perfino le porte e le finestre « secondo la mala usanza antica » (1). 1 >ella struttura interna del Palazzo e delle ampliazioni fatte di mano in mano al medesimo possiamo formarci un’idea dalla citazione che soleva farsi, in calce ai decreti, del luogo ove erano stati sottoscritti. Premessone quindi uno del 1299, 25 giugno, actum in palacio Comunis lamie uhi habitat dvmÌnus Abbas populi, che ci dimostra l’edifìcio già in assetto, noterò quelli del 9 maggio 1801 fatto nella caminata, in caminata palacii ; del Γ1 dicembre 1317, sottoscritto sul terrazzo di Ser ravalle, in teracia seravalis ; dell' 8 novembre 1339, nella camera della torre del popolo, in camera turris populi ; del 7 giugno 1350, nella caminata superiore, in caminata superiori; del 27 no\Tembre 1355, nella camera da letto del capitano, in camera cubiculari domini capitami ; del 3 luglio 1367, nella cappella o chiesa nuova del Palazzo, in cappella sire ecclesia nova palacii ; del 7 luglio 13G7 sopra il pontile del (1) Annali citali. Palazzo ducale, super p iatili palacii ducali* ; del 19 settembre 13G8, nel Palazzo nuovo nella sala grande superiore, in palaci > noro in .'•'ala maal lato di s. Ambrogio, dopo che le costruzioni del Palazzo raggiunsero quei pressi, lontrata allo stesso era pur chiusa da cancelli, e di questi è menzione in atto del 22 giugno 1018 toccante a certi Ί) Arch. civ., Cartulario 1530. (-) Arch. civ., Atti, 1528-32. (3) Giustiniani, Annali. U) Ardi, civ., Atti, 1432-68, e Cari. 1436-42. — 120 — lavori da operare in ria ut publicam nuncn/hi fa dai rantolìi di pala:: > propc aedes sacra'S ror. Patrum Societatis Iesus (1). Nella espressione nuncupata ossia « denominata » panni poter riconoscere che ivi più non esistevano i rotteli!, e che soltanto il nome ne era rimasto alla via. Imperocché la porta, che dava adito al Palazzo da questo lati», doveva essere murata già da alcuni anni se dobbiamo prestar fede al Roccatagliata che visse appunto di quel tempo. Egli infatti nei suoi Annali laddove all’anno 1602 narra della congiura ordita da G. li. \ assallo e da Gio. Giorgio Leverato, accennando all’ interrogatorio cui venne sottoposto quest’ultimo, scrive - tra le molte cose che palesò, disse che aveva in cuore d’impadronirsi del palazzo per via d altre porte fuori che quella della piazza ; del che come il Senato ne tu avvertito, di subito le fece murare, ponendo una guardia di tedeschi al ponte che passa al palazzo criminale > ('2 . Non dirò qui dei' soldati anzidetti che stavano giornalmente a guardia del Palazzo, e che nel 1437 trovo ridotti nel solo numero di quaranta (3). Xon dirò del Capitano della Porta del Palazzo, che un atto del 14 giugno 1470 mi* addita per quell’anno in ìilippo Cavanna; nè del Capitano della Piazza, a disimpegni re il qual ufficio, 1411. vedo un Enrico (1) Arch. civ., Decreti dei Padri del Coni. 1017-18. 1.2) Annali ecc. p. 252. (3) Cicala. T. Π. — 121 — dei marchesi del Carretto, collo stipendio di venticinque fiorini al mese ; e dopo lui un Scgurano Ce-\olino collo stesso stipendio e « per lanza ossia, suoi camalli ordinati a ragione de fiorini venti al mese per lanza » ({ Menzionerò infine un (ìaetano, capila naus fiala palacij, ilei quale e della sua carica leggesi in Cartulario del 1429 (2j. Quanto alle Torri del Comune trovo che già nel 123S Paolo di Sorresina, podestà di Genova, temendo di Federico II, fa munire le Torri di Serravalle, turres sci'raralis. Due almeno adunque ne sorgevano in detto luogo e possiamo riconoscerle in quella di Uaalardo di Palo una, e in quella dei D’Oria l’altra. La qual ultima sarebbe la stessa acquistata poi dal Comune nel 1291, assieme alle attigue case '3 . TT na terza inoltre sarebbe stata eretta dal Comune stesso sullo esordire del secolo XIV. 1307, e detta la < Torre del popolo <, perchè oltre ad essere annessa al ^ alazzo del governo era pur munita della campano grossa colla quale si chiamavano gli Anziani a ( °nsiglio ed il popolo a parlamento '4 . 1384 infine il Comune acquistava, come sappiamo, da Ignazio e Raffaele DOria un palazzo con Arct· civ. Tb. e Atti 1477-80. ^5 Cartntario., 1429-30. ' ' Barth. Scribae, Annales Genuenses e Giorgio Stella. An-nales, col. 997. Ά» Givstixiaxi, Annali ecc. case ed una torre, la quarta quindi elio noi dovremmo registrare accanto ai Palazzi del governo (11. Se pertanto quattro erano in realtà le torri che sorgevano in quei dintorni, è. forza concludere che due di esse siano andate demolite o incorporate negli editici costruiti più tardi, giacché di due «ole possiamo in oggi additare l’esistenza ; quella del Palazzotto, 1 antico Palazzo criminale, fusa trent’ anni or sono negli ampliamenti eseguiti per l’Archivio di Stato, e 1 altra detta ducale o del Palazzo, ove sta il campanone pubblico e dove già ne’ secoli scorsi si eigeva il vessillo del Comune e da mezzo secolo sventola quello d’Italia (2). Questa come ben scorgesi a prima vista ebbe una soprastruttura in laterizio aggiuntavi nel 1539, e sotto la dilezione di Simon Carlone, allo scopo appunto di riporvi la campana grossa che, rottasi e rifatta, da lunga pezza sta silenziosa per nuove rotture. Durante le lotte civili del giugno 137S è noto che il 17 di quel mese si rinserrava in questa Torre Domenico di Campofregoso, il quale armata mano contrastava il seggio dogale ad Antoniotto Adorno. Ma il popolo parteggiante per quest’ultimo, invaso il Palazzo, accendeva così gagliardi fuochi sotto la Torre che il Campofregoso dovette arrendersi por la gran copia di fumo. (1) Jurium, T. II, c. 913. (2) Pel 13 febbraio 1443 trovo notizia di un λΎ. de Rido fabricator vexilli qui erigitur in magna turri palati}. — m — La Domocolta ed i suoi dintorni. Tra il Brolio e Luculi spaziava la Domocolta circoscritta in alto dalla crina del colle che or diciamo di Piccapietra e limitata al basso dalla regione di Susilia (1). Lungo quest1 ultima ed allo scoperto correva il rivo omonimo, fossatus Snsilie, che recava al mare le acque delle Fontane Marose ; ricche, perenni ed ottime sorgenti che sgorgano allo schiudersi della piccola valle di Bachernia e dalle quali s’intitola la piazza ivi spianata nel secolo XVI (2). \ arcava il rivo o fossatm anzidetto, un ponte del quale è menzione per atto del 1156 rogato sotto 1 arco dello stesso (8). (1) Nei rogiti medioevali il nome di questa regione trovasi più comunemente scritto così. In alcuni è anche scritto Suxììm, e odiernamente le targhe che indicano la piazza ed il vicolo omonimi dicono « Soziglia ». In dialetto fu ed è dotta Sumvia e Suzeio. (2) G-ià nel medio evo queste sorgenti erano state immesse in tubi e condotte a versarsi nel Barellile ossia fontana pubblica di Piazza Susilia. Il chiaro Desimoni nella Illustrazione dello Statuto dei Padri del Comune, p. XVIII, scambiava questo piccolo condotto sotterraneo per un braccio dell’Acquedotto pubblico che reca in città le acque dell’alto Bisagno. Intorno alle Fontane Marose vedere nelle mie Memorie cronologiche. tuli' Acquedotto di Genova, a p. 42 e 43. (3) Poch, voi. IV. — 124 — Γ\i presso sorgeva una torre che in quell'anno medesimo spettava ai Piccamiglio (1). Nel 1190 vi si demoliva una casa di Falcone di i astollo in castigo della'commessa uccisione di Lanfranco Pevere (2j. Numerose carte accennano al Mercato di Susilia del cui spazio il Comune ordinava la misurazione il 2 febbraio 1180. I n decreto del 1403 ordinava che quanti da Capo-dimonte ossia di Portofino, ad Arenzano recavano poi lei ia a Genova dovessero esclusivamente venderla su questo mercato (3j. Dalla ìogistrazione di dette misure apprendiamo che di quel tempo attorno allo stesso possedevano case Enrico Malocello, Amico Grillo, Asclierio della Porta, Honvassallo di Medolico, gli Usodimare, i Pevere, i Di Negro, i Bunzirro ed i Canonici della chiesa di N. Signora delle Vigne. Oltie all accennata Torre dei Piccamiglio una pure ve ne aveva il menzionato Amico Grillo. 1 )el mercato di Susilia è tuttodì ricordo nel Vico del Fieno che in atti del secolo XIII ò menzionato col nome di contraici ubi fenum ponderatur, giacche vi si pesava quel prodotto del suolo. (1) Poch Voi. IV. (2) Cicala, Op. cit. (3) Belgr \no. Vita privata, ecc., p. 166. — 125 — Agli antichi macelli di Susilia fanno riscontro quelli, e non pochi, che ancora sorgono nel vico che da essi s’intitola. I ra coloro che nel secolo XIII vi avevano banco da macellaro citerò Bartolomeo Adorno, Guglielmo di \ ivaldo, Oberto della Croce, un Grimaldi ed un Bavalasco (1). Dalla piazza di Susilia spiccavansi le vie dei Ler-cari, degli Interiani, degli Imperiali, della Spaeria o pataria detta eziandio Davagna, e presso questa la piazza degli Italiani-ossia Stagi ieno. \ erso i citati macGlli erano alcuni f traici od ar-olii\olti che prestandosi a luogo opportuno per com- ttei \ i cose disoneste, davano luogo a lagnante dei Λ i^ini, tantoché nel 1508 e 1510 alcuni di questi domandavano facoltà di chiuderli e murarli (2). ‘■'otto. 1 arco e nella torre precitata aveva ingresso 1 ospizio o taberna detta del Papa, di cui restò il riconto noi vicolo del Papa che corre nei pressi delle ^ igne e che pel passato taceva, capo nel carroggio (loi Corrieri e nella Piazza dei Lavagna (3). X(1' sccolo XIII non pochi tratti della regione di Nvisilia erano tuttavia terreni coltivati ; un dei quali Pertinente alla chiesa di N. S. delle vigne, i cui mi-mstn vi avevano altresì mi giardino. (1) I macelli vi vennero posti nel 1152, perchè in luogo fuori fella città. (Cappari, Annales). (2) Arch. civ., Atti, 1508-511. (3) Ne venne interrotto il transito anzidetto per deliberazione 30 agosto 1579. (Arch. civ., Atti, 1575-80). « — 126 — Altre terre vi possedevano pure i casati degli Spi- , noia e dei DOria. Come luogo di mercato la piazza di Susilia ebbe pur essa il suo Barellile o fontana pubblica, alimentata dalle acque delle Fontane Marose. Durante il secolo X, nell'ampia regione delle Vigne, così addimandata certamente dalla coltivazione di queste piante « possedeva terreni quell’Ido Visconte benefattore della chiesa anzidetta ». Nella Domocolta era la chiesa di s. Egidio, dove già nel 1227 avevano preso stanza i Padri Predicatori. Innalzata non senza opposizione su terreno di Nicolò DOria, fu consacrata poi, 1247, a s. Domenico. Ampliata quindi nel 1419 e 1431, venne demolita nel secondo decennio del secolo andato per sgombrar l’area alla costruzione del Teatro Carlo Felice e per dar luogo allo spianamento della piazza che detta dapprima di s. Domenico, dal titolo del tempio stesso che ivi sorgeva, or da cinque lustri chiamiamo Piazza De Ferrari. La chiesa di s. Domenico era la più vasta di Genova, come ne è prova la sua lunghezza che toccava i novanta metri. Alla sua demolizione si poneva mano il 3 ottobre 1S19. Il 19 dello stesso mese si provvedeva alla conservazione delle opere d’arte in essa esistenti, mentre degli affreschi si dava commissione al pittore Passano di eseguirne copia. 11 14 dicembre si dava in appalto lo sterramento del tufo costituente il sottosuolo della chiesa. — 127 — Delle sue vaste dimensioni e severa architettura il mio lettore potrà farsi un’idea dal disegno a tergo, riprodotto da un quadro esistente nelle sale del Palazzo Municipale e che rappresenta la demolizione del detto monastero e dalla pianta di Via Giulia. Non molto discosto e ad oriente della chiesa di san Egidio era la porta civica omonima, di cui già accennai, e la cui ubicazione più non si conosceva ai nostri giorni. 1 >i questa porta ebbi occasione di visitarne i resti nel febbraio del 1899, durante i lavori per la costruzione del nuovo sifone dell’ Acquedotto pubblico, in sostituzione del vecchio demolito, che varcava sotto Via Giulia. Detti resti stavano dietro al Teatro Carlo Felice e tra esso e 1! Accademia di Belle Arti, all’ altezza presso a poco del terrazzo del Teatro stesso. Infatti la Porta guardava di fronte alla Torre Freddolente, dalla quale era perciò difesa. Semplice nelle sue forme, giacche non era propriamente che una posteria, era costruita in pietre riquadrate e voltata a sesto acuto. Non fu possibile misurarne l’altezza e neppure la larghezza, mancando uno stipite ed il serraglio dell arco. Dalle escavazioni fattevi ai piedi per gli accennati lavori, risultò che la soglia era stata abbassata di un mezzo metro almeno dal livello primitivo, e in tempi forse anteriori alla costruzione della cinta parziale del 1320 e perciò di Porta d’Arco. ———-—————— — 129 — Interiormente a S. Egidio o nella Valle, onde il nome di Serravalle·all'altura circostante, possedevano i DOria· Fu ivi che nel 1125 un Martino del loro casato, resosi, monaco, innalzava la citata chiesa di s. Matteo ; a rendere più vasta la quale, o secondo altri la piazza, l’ingegneria del secolo XIII per non distrarne le pitture operava con mirabile evento, 1278, l’ardita e difficile impresa di trasportarne intera la traina un buon tratto più addietro. Ivi presso sorgeva poi un abitato che dal tempio stesso toglieva nome di Borglietto di s. Matteo, distinguendolo così da quelli più estesi e più fìtti di case, quali appunto il Saccherio, quelli di s. Siro, di Tre, di s. Stefano, di s. Vincenzo e l’altro presso s. Agnese, chiamato Borgo di s. Giorgio del Carmine. Attorno alla chiesa di s. Matteo sorsero poi parecchi palazzi, innalzativi dagli stessi I )’ Oria, e non discosti dalla medesima quelli di che il Comune faceva dono al Lamba ed all’Andrea. Non ultimo poi tra i carrubei che percorrevano questa regione era quello degli Anfossi del quale è ripetuto ricordo in atti del secolo XIII e XIV. ( E qui occorre notare che il Connine nel 1149 acquistava gran parte della Domocolta, ove i DOria possedevano già largamente, ed anzi nel 1160, 7 agosto, un Ansaldo del loro casato allargava ancora i suoi possedimenti mercè l’acquisto di nuove terre cedutegli da Rolando e Sardo degli Avvocati; estendendo così 9 — 130 — i propri confini sino a toccare lo mura della città (1). Tre anni dopo, 6 settembre 1163, lo stesso Ansaldo comprava ancora da Ottono ed Oberto Gontardo la terra detta l'isola, posta di fronte alla chiesa di san Matteo ; altra terra con editizì nella Isoletta, insulela, dietro il Bagno che era ivi, ed altro tratto di terra nel citato Borglietto in prossimità del pozzo (2). Dell’ Isola si appella tuttavia un vicolo che dalla piazza di s. Matteo mette verso il Campetto. Durante il secolo XIII erano però ancora rade le abitazioni entro la detta regione ; del che ci sono testi- O / monianza più documenti sincroni che accennano a terre sulle quali si consente la costruzione per opera di terzi. Tale per esempio l’atto del 25 novembre 1216 in vigore del quale Giovanni Montanario vende un edifìcio posto in ora s. Mathei su terreno dei figli di Jacopo D’Oria, tale quello dell’11 marzo 1248 con clic Guglielmo da Nervi ottiene di innalzare una casa sopra la terra che ivi possedeva la mensa di s. Maria delle Vigne (3). Quando questa regione togliesse a dirsi Domocolta non è possibile indicare. Puossi bensì arguire che lo derivasse dall’essere stata possesso ecclesiastico. Lo confermerebbe il fatto che la Curia arcivescovile vi possedeva terreno, sul quale già nel 1145 Guglielmo Pevere vi aveva innalzata una casa e ne pagava il ter-ratico alla Curia stessa. (1) Jurium, T. I. c. 140. (2) Chartarum, T. II. c. 879. (3) Richeeio, voi. ΙΠ. p. 530, e voi. IV. p. 428. — 131 — Così in appresso, 11G9, e per la medesima ragione i figli di Lanfranco Pevere e di Giovanni Langaschiiìo(l). Del resto la qualifica di Domocolta veniva attribuita ad un podere con casa patronale e dipendenze di molini, casolari ed altri edifìci rustici. Ce ne ammaestra Anastasio Bibliotecario laddove accennando di Papa Adriano I scrive: fecit atque constituit noviter domus cultas quatuor ubi plures fundos seu casales et massas emere et eidem domuicultce addere visus est (2). Intersecata da parecchie vie o carrubei, la Domocolta veniva distinta in alta e bassa, siccome ne informa un atto del 1363 ove è detto in centrata Domusculte alte in carrubeo Cape (3). Tra i vicoli che la tagliavano van ricordati quello dei Zendarieri, Cendariorum (4), detto già anche di Maestro Lombardo, quello dei due Forni, e quelli della Campanella, del Bagno, dei Promontorio e delle Figlie, Filiarum. Quest’ultimo doveva il suo nome al dare, che ±ace\ a, accesso all’Ospedale o Ridotto, detto poi degl Incurabili ed or dei Cronici, nel quale lion si ospitavano dapprima che sole figlie, ed aveva allora ingresso dai pressi della Porta Aurea (5). (1) Cicala, T. I. Parte I. (2) Anastasii Bibliotecabii, De vitis Romanorum Ponti ficum. (3) Richerio, Fol. A. (4) In dialetto antico Zendarè. (5) Richerio, Fol. A. 1. c. Mutato erroneamente e nel passato secolo il nome di questo vicolo in quello di «Belle Figlie», fu da pochi mesi e per desiderio dei vicini cambiato il suo nome, ponendogli quello di «Domocolta» in memoria della regione che esso percorreva. — 132 — Il car rubens filiarum e quello altresì dei Zendarieri erano entrambi nella l )omocolta alta, ossia nella contrada dei Piccapietra. In atto del 17 dicembre 1414 è cenno di una casa posta in coni rata de Picapetris in carrubeo magistri lombardi sive Cendarioruin fi). Or essendo noto die col nome di Piccapietra cliia-mavansi in antico i maestri scalpellini e gli scultori, nativi per lo più di Lombardia, parebbe quindi doversi ascrivere alla loro dimora in questa regione il nome dato alla stessa. Non oso però dirlo affermativamente giacché il magister lombardus poteva essere un magister scholarum, e perche il nome di Piccapietra, sebben tolto certamente dall’esercizio di un tal mestiere od arte, fu eziandio cognome di casato. Senonchè, ammettendo che un tal nome sia dovuto a siffatti artefici, va notato che non tanto le officine, quanto invece la dimora avrebbero avuto qui. Essi infatti tenevano le loro botteghe presso la Ripa del mare, e in prossimità dei Ponti del Porto, dove appunto avveniva lo sbarco non solo dei marmi che di lontano recavano le navi, ma eziandio delle pietre comuni, le quali cavavansi allora al capo di Faro, ed a quelli di Carignano e di Albaro. Numerosi proclami, dei Padri del Comune, e specialmente del secolo XVI ordinavano ai piccapietra sub ripa di tenere innanzi alle loro officine una tela della altezza di palmi tre onde non offendere i passanti colle sclieggie che saltavano durante il lavoro, e per- (1) Eicherio, 1. cit. — 133 — che queste cadendo in mare non recassero nocumento alla profondità del porto. Quanto al carrobio dei Promontorio sappiamo che esso metteva alla piazza D’Oria, o meglio a s. Matteo. Un atto del 15 maggio 1574 parla del « Carroggio presso I )’Oria nominato dello feno », ed un altro atto del 21 ottobre 1637 reca la domanda che fa Paola D’Oria di poter porre « un pogiolo ad una stantia nella sua casa posta in piazza Dòria nel carroggio di Promontorio » (1). Presso al carroggio anzidetto ed in prossimità di quello detto del Mangano erano le logge dei Promontorio, delle quali è notizia già pel 1337 (2). Altra loggia, e questa degli Interiani, sorgeva prèsso la chiesa di s. Domenico (3). 1 )ella Loggia dei Piccapietra esistente preeso il Piano omonimo, e sopra la quale nel 1431 aveva propria abitazione Antonio del Pozzo, reca notizia un atto del 27 aprile detto anno (4). Un’ altra loggia comune a quel vicinato vi si erigeva nel 1472 per domanda fattane il 23 gennaio da Corrado de Campi, e questa in prossimità della casa del richiedente (5). Nè eran esse le sole nella Domocolta, poiché altre due e di pertinenza dei I )’Oria esistevano nelle circostanze di s. Matteo. (1) Arch. civ., Atti, 1574 e 1G37. (2) Poch, Voi. V. (?) Arch. civ., Atti, 1581-82. (4) Arch. gov., Pand. Antiquorum Foliatiorum A, 219. (5) Arch. civ., Atti. — 134 — Non discosto dalla prima trovo che nel 1432 aveva un verziere ed abitazioni Cristoforo da Passano, il quale od altri che fosse del suo casato innalzava appunto in questa regione quel palazzo ricco di basso-rilievi che vedemmo demolire nel 1873 per aprire il varco a via Roma (1). 11 qual palazzo era forse stato eretto su quel terreno di cui nel gennaio del 1139 il Connine aveva fatto dono ai tigli di Rolando e di Guidone, in rimunerazione dei servizi da essi tutti resi al Comune stesso ; terreno che misurava venti piedi per lato e confinava da una parte con la terra di Guglielmo Pevere (2). Della contrata Porte fici o Portici fici e di quella detta Teste auri, abbiamo ricordo nei vicoli che tuttavia si addimandano di Portafico e di Testadoro, tra via Carlo Felice e via s. Sebastiano. Nella contrata del Fico era inoltre un pozzo ; onde anche il nome di Putei de ficu data al luogo ove era il detto pozzo; luogo che segnava l’estremo limite della Domocolta verso Luculi. Anzi mentre in parecchi documenti quest’ultimo luogo di Pozzo Fico è detto prope Lucu'um, in altri invece è posto afìermativ a-mente nella regione stessa di Luculi. Nel secolo duodecimo possedevano nei pressi di Pozzo Fico, Giordano di Belesenda, Aicardo di Mo-neglia, Benenca di Bontomaso, Guglielmo Bocca d’asino, Alberto Giudice e Martino Arata. Nel 1198, (1) Richekio, Fol. B. (2) Jurium, T. I. - ι:·;5 — 3 marzo, Villano di Pozzo Fico, prende in locazione dall arcivescovo Bonifacio una terra posta a Molasana nel luogo detto il Taneto (I). LTn atto de] 21 ottobre 1835 è rogato in contrai a bici de Lncvlo. Ciò per distinguere il luogo da più altri che avevano la stessa denominazione e che la dovevano ad alberi di fico esistenti lungo il loro percorso (2). Nella contrada di Porticofico era il carroggio della Campanella di cui accennai più sopra ; quindi la regione detta Albera-o Albere, dove nel 1248 Iacopo Musso possedeva una terra che già aveva appartenuto a Perei valle DOria e che confinava coi beni di Guglielmo Spinola. Quest’ ultimo vi possedeva ben dodici case, vendute poi a Nicola di Camilla, il quale tre anni dopo, 12 marzo 1251, le cedeva a Marino di Brasile (3).. D’onde scorgiamo che questa regione, i cui esatti confini sono ora ignoti, era abbastanza estesa, e che appunto di quel tempo, o meglio dopo che essa era stata rinchiusa dalle mura del 1155, si andò popolando. Del che in prova un atto del 4 dicembre 1253 recante la cessione di una terra vacua in Domoculta, loco ubi dicitur Albera ad edificandum (4j. Tn appresso per le avvenute costruzioni il nome di Albera si ristrinse alla sola via. Un atto del 19 noli) Atti Soc. Lig. di S. P. Voi. XVIII, p. 223. (2) Richekio, Fol. A. (3) Ivi, » I. (4) Ivi, Ih. vembre 1404 ricorda una casa di Pietrina del Piano di Λ oltri e la dice posta in centrata Portici fictu* in carrubo vocato de la Arbora (1). Denominazione come ben si comprende dovuta ad alberi di pioppo, populus alba, che in dialetto son detti arboa, ed arbie al plurale. Noterò di volo che il casato dei Camilla possedeva in questi dintorni ancora sul cadere del secolo XVI, e che il nome di Albere, nei secoli andati, fu proprio altresì a quella plaga che spaziava tra la chiesa di s. Spirito de Bisamne ed il Borgo degli Incrociati. Parecchie carte dei secoli XVI e XVII che accennano al Pu te un fici. ce lo additano nel carni beu s Papié, rei de Pavia, e sotto la casa dei Giordano. In atto del 1(305, 11 luglio, è menzione di una lapide murata al di sopra dello stesso che lo dichiarava pubblico (2). Col nome di Pavia si indicò sovente la strada or detta di s. Sebastiano, e ciò perchè le monache dimoranti nel vicino monastero intitolato a questo Santo erano dette di Pavia per essere qui venute dalla loro casa matrice di s. Giorgio in Brolo di quella città. Della chiesa di s. Sebastiano, che come dissi, fu demolita per l’apertura di via Roma, ommetterò la descrizione, avvertendo soltanto .che dei preziosi affreschi che Γ adornavano, ne furono conservati alti j Richebio, Fol. B. (2) Arch. civ.,· Atti, 1005. — 187 — cuni, or riposti nel Palazzo’municipale di s. Fruttuoso. Dall’unita pianta, che è copia di quella delineata nel 1656 per ordine del Magistrato dei Padri del Connine, il Lettore scorgerà quanto sia mutata da quel tempo la regione che andiamo descrivendo. Di un molino per macinare il sale e che sorgeva presso il pur demolito monastero di s. Sebastiano è menzione in atti dello esordire del secolo XVII. Esso fu bruciato e distrutto nel 1635 d’ordine del Magistrato del sale e « per contravvenzione », siccome diceva una lapide ivi murata in appresso (1). Un altro molino, e questo per macinare il grano, era dentro gli edifici dell’Ospedale degli incurabili. Nel 1654 i Protettori di detto Ospedale richiedevano i Padri del Comune perchè fosse loro concesso valersi dell’acqua del pubblico condotto per muoverne le ruote (2). Pare infatti che ottenessero tale facoltà poiché un atto del 1715 reca notizia di settanta bronzini ad uso di detto molino, e nel 1722, 15 gennaio, trovo che per accrescerne la forza motrice ottengono la derivazione di nuovi bronzini (3). I )ell’Ospedale anzidetto tacerò la storia, notando soltanto che esso ebbe speciali ingrandimenti durante il 1505 mercè costruzioni fatte nel contiguo viridario. A continuar queste i Protettori chiedevano ed otte- (1) Piaggio, Iscrizioni ecc. Voi. V. (2) Arch. civ., Atti, 1651. (3) Ivi, Pratiche pub., 1715-20 e 1721-24. \ __138 — nevano, 1515, dicembre, di poter abbattere un tratto delle antiche mura, estendendosi su nuove aree. Nei secoli successivi, XVII e XVIIT, si provvide ad altre infermerie mercè di passaggi coperti e voltati onde ricongiungere i vasti editici elio sorgono a settentrione della discesa detta dei Cannoni. Nell’autunno del 1G22 si alzava il suolo del giardino delle donne versandovi gran copia della terra che si escavava in via Balbi per la fondazione del palazzo dei Gesuiti ; lo stesso che è in oggi sede degli studi universitari (1). Numerosi atti parlano del Piano di Piccapietra ove nel 1323 possedeva una casa Guglielmo di Zoagli, notaro, la quale addì G aprile locava al magnifico Fiesco conte di Lavagna (2). Nella via omonima ebbe pur casa Stefano Spinola, ove nell’anno 1522 ospitava Papa Adriano VI. Nel febbraio del 1415, per le lotte intestine clic di quel tempo agitavano la città ben cinque palazzi di questa regione vennero incendiati dai fazionarì (3). 1 >i un palatium magnum diruptum presso le Fucine trovo peculiare ricordo in atto del 1475 ; forse uno dei sovra citati, se non quello di Galeotto Spinola, della cui distruzione, avvenuta per tumulto di popolo nel 1320, narra lo storico Giorgio Stella. (1) Arch. civ., Decreti ecc., 1020-22. (2) Richeeio Fot. A. (3) Giustiniani, Annali ecc. — 130 — Sul Piano di Piccapietra, in contiguità della Porta, aveva compro casa con giardino, ove poneva dimora ed officina, Paolo da Novi, tintore; il Doge popolare del 1507 che pagò colla vita l’essere assurto a tanta dignità. L’atto d’acquisto con che venne in possesso della detta casa reca la data del 27 settembre 147G e segna per contini la via pubblica, le Torri della Porta e le mura antiche della città. Dopo la di lui condanna capitale fu, come si sa, demolita la casa, la tintoria e deserto il giardino ; del che abbiamo pur fede in un rogito dicente : quodam vacuum in contraiti Porte A urie in quo erat quedam domus cum tintoria, et vacuo in quo solitus erat habitare quondam Paulus de Novis (1). Trovo però che il di lui figlio Antonio vi possiede casa e tintoria ancora nel 1542. Di ciò mi avverte un atto del 3 febbraio detto anno, col quale egli richiedeva una derivazione di acqua del pubblico acquedotto per valersene ad uso di detta casa e tintoria ; derivazione che gli trovo concessa e di cui godeva ancora nel 1550 (2). Questo possesso il Paolo lo aveva acquistato il G giugno 1502 da certi Spinola, e consisteva, all atto d’aquisto, di una casa rovinata con annesso giardino, sui ruderi della quale si proponeva di akare una casetta (3). Dopo la di lui morte il figlio Antonio vi (1) Staglielo Borgo di s. Stefano. (2) Avoli, civ., Atti, 1541-44 e 1551-53. (3) Ivi, lb., 1500-503. — 140 — si era allogato più comodamente, siccome ne avverte il menzionato ricorso del 1542, dal quale risulta altresì che la casa era posta nella contrada di Porta Aurea, andando verso la piazza di Piccapietra e abbastanza vicina, sntis propìnqua, all’acquedotto pubblico. Del resto oltre i beni anzidetti, ed altri che possedeva altrove, il Paolo da Novi aveva pure qui presso e nella strada dei disciplinanti di s. Caterina una casa che dopo la di lui morte fu dalla vedova moglie venduta nel dicembre del 1509 a Giacomo di Biandrate. Nella stessa via infine, e per contro alla porta dei citati disciplinanti, il Paolo aveva pure acquistato un giardino od orto con entro una vecchia casetta incompiuta che nel 1512 era in proprietà di certo Nicola Ceparino, tintore, il quale addì 11 febbraio del 1512 domandava facoltà di poterne compiere l’alzamento (1). Del vico dei Tintori è speciale menzione in atto del 14 luglio 1396 toccante ad una casa che ivi possedevano i D Oria e la cui positura è indicata in conirata illorum de Auria in carrubio Tintorum (2j. (1) Arch. civ., Atti, 1512-17. (2) Richerio, Op. cit. 141 — La Poeta Aueea. La Porta Aurea, detta anche di Piccapietra, non ebbe punto le forme monumentali di quella di s. Andrea nè di quella dei Vacca , di entrambe le quali è nondimeno coetanea e consorella. Come è facile osservare essa soffrì maggiori iatture delle due teste menzionate. Infatti non più la fiancheggiano le sue torri, che ne difendevano l’ingresso, e che secondo una deliberazione del 23 aprile 1728 sarebbero ancora esistite di quell’anno (1). Soltanto l’arco d’ingresso è tuttavia e bastantemente in buone condizioni. Esso è foggiato a sesto acuto e formato mercè di conci, dei quali altri in pietra nostrana ed altri in marmo bianco, collocati alternata-mente. Nessuna traccia si ha più dei merli che dovevano coronarla e che è a credere andassero demoliti per l’abbassamento dell’acquedotto, operato nel 1611, e per altri lavori di riforma e di restauro effettuati allo stesso durante il 1617 ; lavori eli 3 ebbero luogo lungo il tratto da s. Caterina a Morsento (2). Ricorderò di passaggio come addì 5 dicembre del 1611 il governo ordinasse ad Antonio da Passano di (1) Arch. civ., Pratiche puh., 1721-24. E noto che nel 1335 durante le lotte tra guelfi e ghibellini, vi si afforzavano i primi. (2) Arch. civ., Atti, 1611 e Pratiche puh., 1616-27. t — 142 — togliere certa lapide murata presso l’arco stesso, e nella quale era scolpito il di lui nome e Io stemma (1 ). Lapide che torse vi aveva fatta apporre durante certi lavori da lui intrapresi già antecedentemente e dai quali con decreto del 29 gennaio 1009 gli si era imposto di desistere (2). Nel manufatto poi in pietra riquadrata e accuratamente lavorata che, così al di dentro come al di fuori della Porta, riveste il pilastro a sinistra uscendo, e dove sono scolpiti parecchi rosoni, noi dobbiamo riconoscere un castello d’acqua. Somigliante, a quello che incontreremo presso la Porta di s. Andrea, il quale reca la data del 1292, io ascriverei la costruzione di questo ad un tempo alquanto posteriore, ossia a dopo il 1320 ; quando cioè innalzata che fu la cinta parziale di mura dal Capo di Carignano alla Torre di Luculi, la Porta Aurea perde la sua importanza militare. Come quello di Porta s. Andrea anche questo era nutrito dalVacquedotto pubblico che vi correva e tuttodì vi corre superiormente. Al centro dei rosoni anzinotati scorgesi il foro, ora turato con piombo, nel quale veniva infìsso ed ini-piombato il cannone ossia tubo da ove sgorgava l'acqua che si versava in sottoposte vasche. Ebbe importanti risarcimenti nel 1471 per opera di maestro Antonio da Ceva (3). / (1) Arch. civ., Decreti ecc., Itil0-ll. (2) Ivi, Ih., 1608-609. (3) Ivi, Cartulario, 1471-72. — 143 — Noi 1074 o por deliberazione del 5 marzo, Agostino Lomollino, deputato ai lavori, riceveva facoltà di amuoverne il truogolo o vasca, e di lasciare i soli cannoni, perchè servisse unicamente a cavarne acqua, ad auriendam aquam tantum (1). I quali cannoni furono poi tolti, giacché se in quel punto e all’ingresso della Porta tornava d’incomodo il truogolo, essi pure non ne recavano di meno. Al di là della Porta Aurea, quanto spaziava verso l’Acquasola o Murteto, e la plaga detta degli Archi, ancora nel secolo XIII, era un avvicendarsi di orti, ville e prati. Ce ne porgono la descrizione non pochi rogiti e tra essi peculiarmente un atto del 24 febbraio 1250 mercè il quale Midonia, vedova di Giovanni Rosso della Volta, locava a Nicolosio Calvo una terra con casa, posta a Murteto, luogo detto il Prato. Confini alla detta terra erano le mura della città a tergo ; altra terra ed orto della stessa Midonia al di sotto ; la terra dei Belmusti ed altra di pertinenza del monastero di s. Colombano da un lato, e, infine, le terre di s. Damiano e di s. Stefano dall’altra parte. (1) Arch. civ., Decreti cit., 1671-74. Cannoni ossia tubi dai quali si versava l’acqua nelle fontane pubbliche e da uon confondere coi bronzini ossia rubinetti, non avendo i primi la chiave per chiuderli, come hanno invece questi ultimi. Dei cannoni in città ve ne erano in parecchi punti ; onde ι vicolo dei Cannoni della Maddalena, di Prè, del Molo, della Ma rina, di Sarzano, di Ravecca, di s. Marcellino ecc. — 144 — La locazione era durevole per sei anni, sotto condizione però che ove entro detto tempo il Comune di Genova facesse chiudere la porta della cinta murale civica per la quale si accedeva alla detta terra, la Midonia dovesse concederne l’ingresso dalla parte inferiore, ossia dall’altra sua villa (1). La terra anzidetta spaziava pertanto nei pressi del-l’Acquasola, in quella plaga cioè che nel medio evo era chiamata contemporaneamente or col nome di Murteto ed or con quello di Luculi. Ce ne affida un atto del 1272, 8 maggio, rogato extra murum civitatis Janue loco ubi dicitur Lucori (2). La regione stessa dell’ Acquasola andava infatti distinta in Aquasìla de Murteto e A quassia de Luculo. Della Porta cui accenna il documento non essendo menzionato il nome, resta incerto se fosse la Porta Aurea o quella invece che pur faceva parte delle mura del Barbarossa e che sorgeva prossima a quel punto ove nel 1228 venne costruita la chiesa ed il monastero di s. Caterina martire. Porta che in qualche documento trovasi anche citata col nome de Murteto (3). Siffatta incertezza trova la ragione nel fatto che le (1) IllCHERIO, Voi. IV. (2) Ivi, Voi. Π. (3) Da una relazione dell’ architetto cùbico Claudio Storace, scritta in febbraio 1750, intorno alla necessità di fortificare un pilastro dell’arco-canale che varcava la salita di s. Caterina, si apprende che l’antica porta murale della cinta del 1155 stava appunto ivi. In essa relazione si legge infatti che nel citato pilastro si vedevano ancora i cardini e le tracce dell’ imposta. (Arch. civ., Pratiche pubb., 1740-50.) — 145 — denominazioni di Murteto e di Luculi si estendevano entrambe lino alle circostanze della Porta Aurea. Infatti il colle di Mnrteto, così chiamato dalle folte piante di mirto che vi crescevano, non aveva confini ben determinati ma si fondeva colla plaga detta di Luculi ; denominazione questa che derivante e diminutivo del latino Lucus c’impara che ivi verdeggiavano dei boschetti. Nella convenzione sottoscritta il 10 luglio 14sa detta appunto di s. Colombano. U11 atto del 13 dicembre 1527 reca ancora : crozia seu strata sancti Columbani per contra muros civitatis (2). In seguito ebbe nome di Crosa di s. Francesco per essere ivi la sede dei disciplinanti di s. Francesco. Contine alla crosa era specialmente il muro di clausura del monastero di san Domenico, e da una supplica del 1673, presentata dai I adi i dimoranti nello stesso, si ha che di quell’anno in essa erosa non erano nè case nò abitanti (3). (1) Arch. civ., Atti, 1533-36. 1 “ ' Iv*j Decreti dei Padri del Comune, 1515-30. (3) Ivi, Atti, 1673. — 149 — Il Rivo Torbido. Dal dorso di Piccapietra scendendo verso oriente il colle giungeva a, bagnare le sue estreme falde in un rivo che, adimandosi dalle alture di Murteto,raccoglieva le acque perenni delle sorgenti dell’Acquasola ; da ove scorrendo incassato entro un’argilla marnosa dal colore cenerognolo s’intorbidava così che ebbe nome di Rivo Torbido (1). La domanda fatta nel 1519, 7 maggio, da certi fratelli Francesco e Rainaldo Oraboni di « poter prendere e accomodarsi di parte di quel fossato appresso a le loro caze in la contrata de Pammatone ihamata Terzo Bobio » Ter ci) bobij » ci rivela che il Rivo Torbido correva ivi allora tuttavia allo scoperto (2). (1) Vedi F. Podestà, La Porta di s. Stefano ecc. p. 21. (2) Forse i medesimi fratelli Oraboni die il 17 ottobre 1481 ottenevano dal G-overno il privilegio di cercare e fondere metalli, ossia minerali, nelle vallate del Polcevera e del Bisagno. (Arch. civ., Atti, 1481-89 e Cartulario 1519, 27 maggio). Uguale privilegio avevano ottenuto nell’anno antecedente, 1480, 19 settembre, per tutto il territorio della Rep., certo Francesco Grasso e Leonardo Lomellino. (Arch. civ., Atti, 1477-80). Dagli Oraboni appellavasi il vico detto poi e tuttodì chiamato dei Capriata, dallo avervi posto sede costoro che come i primi erano anch’essi tintori e lanieri. Anche l’Ospedale di Pammatone con supplica del 20 luglio 1542, domandava di poter « prendere parte del fossato adeso a detto hospitale ». (Arch. civ., Atti, 1541-44). La denominazione tercij Bobij è dovuta a che in questi dintorni ben tre vicoli si nominavano dai Bobbio, o meglio da un 1 * — 150 — Da quel'punto avviandosi verso la regione ili Ponticello. lambiva a destra l’abitato e la falda di Porta Auroa, via Portoria, ed a sinistra quello ohe dal cenobio di s. Stefano ebbe nome di Borgo «li s. Stefano ; denominazione estesasi poi a tutti quei dintorni e inlino al mare. Infatti col nome di Borgo di s. Stefano indi cossi tutto 1 abitato sorto ai lati del Rivo Torbido, dal Piano di Portoria inaino alla marina di Sarzano e circoscritto dai lari di Piccapietra, di s. Andrea e della Colla a occidente, e dalle alture di Oarignano e dell’ Acquasola a levante. Murata la vetta del colle di Piccapietra nel 1155, siccome già dicemmo, la Porta Aurea diede passaggio alla sottoposta regione. La via che da essa Porta scendeva al Rivo Torbido, e che poi fu detta e tuttavia s intitola dei Cannoni, si continuava insi no alla via Romea, percorrendo il luogo detto Richeme ove ora sorge la chiesa della Nunziata di Portoria, la contrada o via deU’Olivella e quella di Toccaferro nella regione degli Archi (1). Nella regione di Portoria erano inoltre il vicolo dei Parmigiani che correva prossimo all’ additato di Ri- » casato oriundo di Bobbio, che vi possedeva. E perchè i detti vicoli correvano paralelli, il volgo li distingueva coll’aggiunta di primo, secondo e U'rzo. (1) Λ edi F. Podestà. La Porta di s. Stefano ecc. — 151 — cheme, e lungo il quale nell’ottobre del 1594 rovinavano non poche case. Il citato dell’ Oli veli a, ov’ ebbe stanza Domenico Colombo, dotto più tardi dell’Olivella di Porta Aurea per distinguerlo da quello nei pressi del Carmino e che scomparve due secoli or sono per gl’ingrandimenti dell’Ospedale di Pammatone. V’erano iniino i vicoli dei Santo o Santi, detto eziandio del bat-toezo (1) ; dei Marocelli o Malocelli, dei Richerini, dei Pagano, dei Mongiardino, dei Pelissoni, dei Zuccarello, di Ruggiero e di Jtergano ; vicoli che come ben si comprende dovevano il lor nome a casato od a persona, e la maggior parte dei quali furono poi indicati e tuttavia s’addimandano con altri nomi. Tra la Porta Aurea e il Vico dritto di Ponticello spaziava la regione di Morsento, tagliata da levante a occidente dalla via Felice, detta poi Y icolo del λ ento, il quale ingrandito che fu nel secolo ΧΛΊΙ ebbe nome di Via Giulia. (1) Battoèzo ossia pillo ; arnese di legno di cui valgonsi le lavandaie per battere i panni già bagnati e insaponati. — 152 — \ ιλ Felice o Vico del Vento. Via Giulia Non mi consta che la via Felice esistesse già nel 1155 allorché il Comune, a premunirsi contro il Barbarossa, deliberava la pronta costruzione della cinta murale che tolse predicato dall'imperatore stesso; ne so se il dorso del Colle tra s. Andrea t* Piccapietra fosse già stato abbassato. Ma fu certamente dopo la costruzione della cinta parziale del 1320. in conseguenza ttella quale andò rinchiusa e munita la regione di Carignano ed i Borghi di s. Stefano e di s. Germano, che venne aperto un varco alla via Felice 1). 11 clic fu eseguito abbattendo le mura del Barbarossa e spianando il terreno, affinchè la detta via, che si spiccava da s. Matteo, proseguisse meno ripida e più diritta verso la nuova Porta dell Arco o di s. Stefano (2). E perchè lungo le dette mura correva ΓAcquedotto pubblico, che scendendo dall’alto di Luculi s’avviava (1) La chiesa di s. Germano sorgeva in capo a via s. Giuseppe dove è ora il palazzo Sauli. (.2) A maggior schiarimento va notato che il nostro Colle non correva già diritto da s. Andrea alla regione di Piccapietra, sib-bene invece ripiegava ad occidente , laddove spazia in oggi la Piazza de Ferrari. La Torre Freddolente, della quale vedemmo abbattere ultimamente i resti, e la posteria di s. Egidio che si stavano di contro 1 una all altra, ci porgono idea dello incurvarsi che, seguendo il doi>o del Colle, taceva ivi eziandio quel tratto di cortina. ΠΠΠ® ^5. L acia Γ □ a t=£Err=— f ptetro Moiriìre S. DOMINICO 'CaU^p - 153 — a Sarzano, lo si faceva varcare la detta via sopra un arco-canale, ricostruito poi in miglior forma e perfezione nel 1469. TI quale arco-canale fu gettato a terra nel terzo decennio del secolo scorso. Della sua demolizione si era però già ragionato in tempi addietro ed in particolar modo nel 1758, allorché si discusse il disegno di formarvi un sifone con tubi in ferro. Disegno che non ebbe effetto allora, perchè sconsigliato da Claudio Storace, il quale giustamente prevedeva che le acque non sarebbero risalite in sempre uguale copia all’opposto lato inferiore; ciò che infatti si avverava nel secolo scorso, quando ne fu eseguita la costruzione (1). Durante i menzionati lavori e poi ancora per quelli operativi dopo e per lo eseguito spianamento della Piazza di -s. Domenico, or De Ferrari, ebbero luogo notevoli abbassamenti di livello nel punto ove correva il dorso del ridetto colle. E quale e quanto sia stato l’abbassamento ottenuto nei diversi tempi lo dimostravano e i numerosi scalini che mettevano al vico Mordento, e il livello del giardino del monastero di s. Andrea; il che ci spiega la necessità dell’alto muraglione che era stato eretto a sostegno del terreno sovrastante. Precipuo fra i citati abbassamenti fu quello operato sull’albeggiare del 1616; l’estensione del quale dai pressi del Palazzo ducale toccò le adiacenze del coro di s. Domenico, in conseguenza di che avvenne che i piani terreni di parecchie case esistenti in quella zona 1) F. Podestà, L’Acquedotto di Genova, p. 84. — 154 — restarono elevati così da formare un piano superiore (1). Ce ne rendono accorti le domande di Giulio Palla- ^ vicini, 1S aprile, e di Novella Benigassi, 10 giugno detto anno, presentate allo scopo di poter togliere le inferriate iniìsse alle finestre del piano inferiore delle loro case ed apporvi poggioli in marmo. Nel tempo stesso i richiedenti lodavano però il fatto lavoro che dicevano « essere stato di tanto gusto e decoro alla città, e di giovamento alle case loro ed a quelle dei vicini » (2). Alle domande anzidette si potrebbe aggiungere quella del notaro G. B. Basadonne, 31 marzo 1617, colla quale domandava di poter « uscir fuori con scalini alla porta della sua casa posta sopra il palazzo ducale nella con· · tracia di Pozzo Curio, essendo stata la via pubblica abbassata in quel luogo per molti palmi. » · Kichieste simili facevano contemporaneamente G. B. Legalupo, Vincenzo Torre, Gio. Antonio Spinola e più altri, tutti dimoranti e possidenti nella regione di Pozzo Curio verso s. Domenico (3). Addì 5 ottobre 1621 inoltre, i Padri di s. Domenico ^ esponevano altresì che per l’abbassamento della strada tra la piazza del loro convento e la via di s. Defendente era rimasto chiuso l'accesso ai macelli ed all’oratorio di s. Ambrogio. Domandavano quindi si provvedesse a ridare il transito per quel vicolo il quale, per essere reso inaccessibile e deserto, era addivenuto riti) Arch. civ., Atti., 1G1G. (2) Ivi, Ib., (3) Ivi, Ib., 1617. — 155 — fugio di ladri. Al che infatti si riparava formando ivi una scala ( 1). Nell’anno successivo consimili lamente ripeteva certo Genesio Cicliero, la cui casa posta presso i macelli anzi-detti era rimasta senza via di accesso (2). Coll apertura di via Giulia nuovi abbassamenti di suolo furono operati durante il 1625 nel tratto della stessa presso s. Domenico. D’onde la rovina avvenuta nel 1660 del muraglione di sostegno del giardino e terreno del monastero di s. Andrea, e d’onde eziandio la caduta di più muri eretti lungo la via stessa, quello in precipuo modo del giardino Pinceti (3). (1) Arch. civ., Atti, 1621. (§ Ivi, Ib. 1629. ^3) L’impresa di costruire il muraglione, per chiamarlo col nome che ebbe fino alla sua recente demolizione, venne affidata a maestro Agostino Aimerigo, il quale ne guarentiva la solidità e manutenzione per tutto il decennio successivo. La lunghezza era stabilita in palmi 112, l’altezza in 68 e lo spessore in 2 1{2; misure che ridotte in metri corrispondono relativamente, a metri 29,73, 16,84 e 0,62. Il lavoro era compiuto intorno al giugno 1660, ben presto però diede indizio di cedere. Nel luglio si deliberavano somme per la sua rifondazione, ma non si era ancora proceduto alla stessa che nel successivo agosto esso rovinava. Dalle liti insorte, risulta che l’Agostino Armerigo ne attribuiva la caduta al poco spessore che si era ordinato dovesse avere, come anche all’abbassamento fatto del suolo stradale ed a pozzi e fossi che le monache avevano fatto scavare nel soprastante teneno. Addì 15 luglio dell’anno appresso si obbligava infine ^ di ricostruirlo, al che infatti pose mano bentosto, siccome risulta da domande fatte nel settembre ed ottobre per avere danaro, giacche essendosene ordinata maggiore larghezza di prima ed anche mag-o-iore lunghezza, eransi convenuti altri patti. (Arch. ci\., Strada Giulia). — 156 — Altri abbassamenti ebbero luogo nel 1758 per cagione dei quali ne risentì danno il pilastro dell’ Acquedotto presso la chiesa di s. Lucia (1). Il disegno della demolizione della chiesa di s. Domenico a pagina 128 ci porge idea degli abbassamenti già operati prima del secolo scorso , e la scalinata, or scomparsa, che da via Giulia metteva al vicolo di Mor-sento, dimostrava pur essa il taglio fatto per aprire il varco alla ridetta strada. Della via Felice, poi Vicolo del vento, si deliberava l’ampliazione con decreto del 16 maggio 1642. Ne assumeva l’opera e ne delineava il tracciato il magnifico Giulio della Torre, in omaggio al quale la via stessa ebbe nome di Giulia. Essa doveva correre in linea retta dalla piazza di s. Domenico insino a quella di s. Stefano, undique planam e larga trenta palmi. Il contratto portava che l’assuntore potesse ripetere dai possessori degli stabili limitrofi alla nuova via, l’equivalente del benefìzio che sarebbe ridondato loro dall’apertura della stessa. Gli si concedeva pure di fare uno o più lotti con premi in oggetti d’oro e d’argento ; polizze beneficiate in beni stabili; esenzione da ogni tassa sulla compra e vendita delle aree latistanti ; la franchigia sull’ introduzione della calcina, delle pietre e di ogni altro materiale necessario alle costruzioni ; più altri benefizi. (1) Arch. civ., Pratiche, pub., 1756-60. — 157 — A compiere l’impresa gli si assegnavano infine sei anni di tempo. Tra i capitoli del contratto uno poi ve n’era che ordinava « si procurasse da Roma di poter servirsi dei siti e monasteri soggetti a ferratici e delle due cap* pellette di s. Lucia la vecchia e del Soccorso », interrogando prima i padroni di detti stabili, caso mai si fossero opposti. Oltre ai menzionati, parecchi altri infatti erano gli edifici sacri ed i terreni appartenenti a monasteri che a tale effetto si dovevano demolire o tagliare (1). Non corse spedito il lavoro, siccome scorgiamo da un ordine del 18 luglio 1650 toccante alla necessaria demolizione di un tratto dell’Acquedotto pubblico non ancora compiuta dal della Torre e che si delibera di effettuare a spese dello stesso. Altra deliberazione del 4 settembre, anno successivo impone al della Torre il perfezionamento della nuova via, che già in entrambi i rescritti vien chiamata col nome dì Giulia (2). Sospeso infine il lavoro, a proseguirlo provvedeva un decreto del 28 marzo 1656, dicente : via aperta a ■platea s. Dominici ad plateam divi Stephani perficiatur iuxta modellum ecc. Le difficoltà finanziarie incontrate dal della Torre (1) S. Lucia la nuova, s. Pietro e Paolo e s. Antonino ; il qual ultimo fu distrutto dai Padri di s. Domenico per mutazioni fatte al corso del loro muro di clausura. La chiesa poi di N. Signora del Rimedio non esisteva ancora. Di essa infatti fu posta la prima pietra il 12 giugno 1651 e vi si cominciò ad uffiziare nell’agosto del 1673. (2) Arch. civ., Via Giulia e Decreti· ecc., 1651-53. — 158 — non gli permettevano di procedere nell’ opera, onde addì 12 aprile successivo lo si avvertiva ohe scorso un dato termine i Padri del Comune avrebbero essi medesimi condotto innanzi il lavoro. Ma non molto dopo mancato di vita il della Torre tu forza ai detti Padri di far continuare essi stessi il lavoro, procedendo in ubbidienza ad un decreto del 21 giugno di detto anno, alla costruzione di muraglie ai due lati della strada per sostenere il terreno degli attigui orti e giardini. Intatti la plaga tagliata dalla nuova' via era per buon tratto terreno coltivato. Ivi erano appunto gli orti del monastero di s. Domenico, di quello di s. Andrea e dell Ospedale degli incurabili, il giardino di (rio. Pinceti e più altri spazi dei quali è menzione in una supplica di Francesco Maria e di Oberto della Torre, nipoti al ridetto Giulio. L unita pianta che è una riproduzione di quella di Genova del 1(356, rispecchia appunto le condizioni topografiche di quel tempo. Coll’esordire del mese di settembre i lavori verso s. Domenico erano a tal punto da poter aprire quel primo tratto della nuova via. Senonchè la caduta di parecchie delle muraglie costruite a sostegno del terreno degli orti e giardini latistanti, le contestazioni nate in conseguenza di ciò, ed il tempo necessario a rifarle, indugiò il beneficio della nuova strada. Compiuto che fu il tratto verso s. Domenico, si sostò nel proseguimento di essa, fin alla primavera del 1711. — 159 — Si deve alle instanze sporte il 20 marzo detto anno dai villeggianti di Albaro intese a far conoscere la necessità di slargare il Vicolo del Vento laddove nel suo terminare era oltremodo angusto se i Padri del Comune vennero nella deliberazione di riprendere il lavoro di ampliamento (1). Lavoro che undici giorni dopo era dichiarato opus publicum, ed alla cui direzione si preponeva l’Architetto Gio. Antonio Ricca, deputando all’ opera Ignazio Pallavicini e Filippo Spinola. Si procedeva quindi alle perizie delle case da atterrare e degli spazi da occupare, studiando nel frattempo il modo di avere il danaro mercè tasse da imporre sui beni franchi e sulle ville del Capitaneato di Bisagno. Si pose mano infine alle demolizioni che durarono più anni per interruzioni dovute specialmente a liti insorte coi proprietari degli stabili occupati o demoliti. Si giunse così al 1751, nel marzo del qual anno si deliberava di porre all’appalto il compimento della nuova via, a perfezionare la quale si lavorava ancora tra il 1780 e il 1783, nel tratto tra Porta d’Arco ed il quadrivio di Portoria. Tacendo d’altri lavori di minore importanza eseguiti in appresso, chiuderò notando che addì 7 marzo 1836 si presentava il disegno di una nuova ampliati) In nn certo punto di quel tratto misurava appena undici palmi, qualche cosa meno cioè di due metri e tre quarti. Ce ne porge esatta idea l’annessa Tavola nella quale è delineata la plaga da s. Domenico a Portoria, e la regione di Piccapietra. — 160 — zione di Via Giulia ; proposta che sebbene approvata dalle autorità non ebbe però esecuzione. Era riservato ai nostri tempi ed alla iniziativa dell’ingegnere Prof. Cesare Gamba il compito di aprire lungo e attorno il cammino della or scomparsa strada Giulia, Γ ampia Via che da pressi del Palazzo dei Dogi si protende in dritta linea fino alla destra sponda dell’ antico Feritore. Formandone i disegni ed assumendone Egli stesso l’opera d’ esecuzione, dotava Genova d’una nuova strada proporzionata al cresciuto movimento diuturno fra il centro della città e le annesse regioni orientali. Morsetto Or tornando a Morsento è d’uopo ricordare che le chiese ed i monasteri di s. Colombano, di s. Lucia, della Purificazione, di s. Defendente e del Soccorso, dalla regione stessa in cui sorgevano, erano detti di Morsento. E se aggiungiamo che oltre il vicolo omonimo scomparso in parte colle demolizioni, aveva pure un tal predicato quello ora appellato della Cavallerizza, è forza ammettere che la regione di Morsento spaziava tra l’antica chiesa di s. Colombano e il Ridotto da un lato; i pressi del Vico dritto di Ponticello dall’altro ; il Rivo Torbido al basso e la cima del Colle o Brolio in alto. Troviamo infatti che mentre la chiesa ed il mona- stero eli s. Colombano sono ugualmente detti de Aqua-zola e de Mulcento, vago e incerto è altresì il limitarsi di un tal nome dal' lato di Ponticello e del Vico dritto omonimo. Al basso poi la regione era più che dal suo nome da quello del Rivo Torbido appellata, comecliè questo ne bagnava i piedi. Lungo esso poi correva una via che un decreto consolare del novembre 1188 dichiarava dovesse essere ampia non meno di otto piedi e per tutto il corso del Rivo stesso infino al mare (1). A cominciare dai primi accenni che abbiamo della regione di Morsento e venendo giù fino al 1820, anno in che venne innalzato il giro parziale di muraglie che la rinchiuse dentro, essa è sempre additata come fuori delle mura : extra murum civitatis. Recherò ad esempio un atto del 15 luglio 1190 col quale Vulpia e Baldizzone madre e figlio Boiaclierio locano una terra posta extra Januam in muro cincto e chiuderò con atto del 1314 , 24 settembre , toccante alla vendita di una casa posta extra muros civitatis loco ubi dicitur murcentus. La qual casa come spiega l’atto sorgeva supra solum ecclesie s. Marie de vineis; la terra certamente di cui Berta e Cesaria, devote femmine, avevano fatto dono alla citata chiesa, correndo l’anno 1110. Confinava la predetta terra con altra di pertinenza del monastero di s. Stefano , rispetto alla quale ab- (1) Jurium, T. I., c. 44. — 102 — biamo più atti die dicono: terra s. Stephani in burgo ubi dicitur murus cintus (1). Dal che apprendiamo altresì che la regione di Morsento faceva parte del Borgo che toglieva nome dal citato e prossimo monastero dedicato al protormartire Stefano. Sulla detta terra avevano edificato e possedevano casa Bernardo da Uscio, Gio. di Amandola, Tomaso di Anseimo, C. di Biassa, Lanfranco, senz’altro nome, Giovanni Casella e Antonio Canessa ; come ne fanno cenno parecchi rogiti del secolo XIII e del XIV. Dissi già esordendo che il Brolio era in antico un bosco sacro al riposo dei morti. Lo dimostravano infatti le numerose tombe venute casualmente alla luce durante i recenti sterri operati sulla falda orientale dello stesso, e proprio nella regione di Morsento. A circa una sessantina ammontano le rinvenute; quasi tutte però manomesse e già in tempi remoti. Non punto allineate al ciglio di una via, ma sparse invece senz’ ordine apparente per tutta la plaga, alcune di esse raggiungevano la profondità di oltre cinque metri. La loro forma era quella detta a pozzo; uno scavo cioè ad imbuto, poi una risega; quindi il vano o ripostiglio. Il terreno, un’ argilla marnosa, si prestava opportunissimo al lugubre scopo. Nel ripostiglio, la vera tomba, era un vaso contenente (1) Richekio, Voi. ΠΙ e VIII. — 163 — le ceneri, ecl altre suppelletili funeree. TI tutto, per lo più, dentro un piatto di bronzo, collocato a sua volta entro recipienti in legno a foggia di secchia o di ha rile, od in ceste intessute con strisce di castagno. Quindi sulla risega ed a modo di coperchio una lastra di pietra comune greggia; e la parte superiore ad imbuto, riempiuta dell’argilla stessa che se ne era tolta operando lo scavo. Forse una stela avrà indicato la positura di ciascuna tomba, in quel modo stesso che-addi nostri una croce sulle fosse dei cimiteri cattolici· Gli oggetti che si rinvennero in queste tombe erano specialmente vasi di origine greca ed istoriati di sog' getti mitologici. Contenevano altresì bellissimi simpoli, unguentarli, strigili e fibule di piombo, di bronzo e di argento. Della preziosa ed artistica suppellettile faceva pur parte una collana d’.ambra, un dischetto d oro, un vasetto di vetro azzurro con smalto giallo, 1111 pettine di corno e paste vitree a forma di bottone. Al chiaro Professore Giovanni Campora, Regio Ispettore agli scavi e monumenti, porgo qui largo e meri tato encomio per aver salvato dalla dispersione o peggio un così ricco tesoro archeologico che svela, secondo Lui? la residenza in Genova di colonie greche già nella metà del secolo IV avanti Cristo. Colonie famigliariz-zate anche agli usi locali, siccome dimostrano non poche delle fibule anzinotate, la cui forma appartiene alla gallica che differisce assai dalla greca. Sepolte a minore profondità si scopersero altresì molte olle e coppe di rozza fabbricazione locale, appartenenti ad un’ età 11011 ben definita; e presso 1 'an- — 164 — tico alveo del Rivo Torbido comparvero frammenti di vasi aretini del periodo romano. Il ritrovamento infine di un vasetto di bucchero in una delle dette tombe , indurrebbe a credere che la stessa sia di origine etnisca (1). Tra i vicoli che sul tramontare del Medio evo percorrevano la regione di Morsento , va notato quello della Frasca, dei Campanari , di s. Lucia, dei Murta de' quali alcuni scomparsi o citati con altri nomi. Il carrubeus, frasche o frascate, del quale è menzione in atti del secolo XIII, dobbiamo riconoscerlo in quello tutto di esistente sotto il nome di vico dei Berrettieri. Delle officine che in questi dintorni avevano i fabbricanti di berrette è prova il permesso dato addì 27 ottobre 1479 a Gerolamo Boclieria, berrettaro, di poter derivare dal pubblicò acquedotto l’acqua necessaria per follare le berrette. Donde si impara pure che per Be-rettere e Berettare dobbiamo intendere non donne che lavorassero berretti, bensì invece le officine ossia fabbriche di questi. (2). (1) Altre tombe si rinvennero altresi fuori Porta d’Arco nei pressi della chiesa della Pace, l’antica s. Martino eie via, del quale é memoria già pel secolo X, e così chiamato dal sorgere m prossimità della via che metteva alla Braida ed oltre. Queste tombe però, anziché sparse a caso, sorgevano invece allineate all’orlo di una strada. Appartenenti ad un sepolcreto dell’epoca barbara, esse erano composte con tegole e contenevano scheletri di guerrieri stativi inumati colla spada di ferro in pugno. V’erano altresì rozzi unguentarii di vetro, qualche piccola scodella ed altri oggetti in bronzo. (2) Arch. civ., Atti, 1477-80. — 165 — Già col nome di Beretere e Berciare, e 11011 Berret-tieri, si trova indicato in atti del secolo XVII. e in una nota di spese fatte nel dicembre 1073 per racconciare lo stesso è scritto « strada delle Frascate o sia Beretere » (1). La voce Frascata significava allora una topia composta di rami o fronde tagliati di castagno, quercia od altre piante, e serviva, come tuttavia si usa nelle osterie di campagna, a riparo dal sole e dalla pioggia. In una rimostranza che il primo agosto 1GG3 alcuni di Camogli facevano alla Signoria contro certo Giuseppe Oli vari, si legge che questi « ha fatto piantar innanzi la sua casa et strada publica un frascato per ripararsi dai raggi solari » (2). Che poi la Frascata servisse anche a riparo dalla pioggia ce ne ammaestra la domanda fatta addì 20 maggio 1699 da un certo Agostino Caneva di « poter tenere il frascato da esso fatto presso una sua casetta posta in vicinanza del Ponte di s. Agata in vai di Bisagno, allo scopo di riporvi dei legnami. Domanda ripetuta nel 1706, 29 maggio, peraltro tratto di palmi 36 per 24 (3). La Francata differenziava dal pergolato in ciò che essa era formata di rami morti, mentre il pergolato era invece formato con viti. Questo aveva nome di amblatorium e ambulatorium, (1) Arch. civ., Atti 1673. (2) Ivi, 1663-64. (3) Ivi, Ib., 1699 e 1706. — 166 — in genovese angióu, se copriva un sentiere od una redola. Noto inoltre che in un atto del 16 luglio 1219 si accenna ad un amblatorium sive vinca, e pel 19 aprile 1600 ho memoria di un angietzim lignaminum ; donde si comprende che siffatta denominazione sebben data al pergolato era in realtà ed in origine propria soltanto del viale che vi correva sotto. Lo addita il latino vocabolo ambulatorium, e lo dimostra un atto del 29 ottobre 1173 col quale si concede ad un tal Baldo che in una certa terra posta a Molasana potesse avere antea in vinca unum amblatorium amplum unius passi per transversum (1). Lo comprova inoltre maggiormente un atto del 10 settembre 1479, col quale si consente a certo Giovanni Guirardo, di poter appoggiare ad una sua casa pontem seu ambulatorium. L’ ambulatorium inoltre equivaleva all’ anelarne. Ne porge esempio la domanda fatta il 16 ottobre 1560 da Marco Gentile di poter fare un anelarne tra due case che possedeva presso s. Siro (2). Senonchè la denominazione di frasche o frascate data al detto, è anche probabile che fosse dovuta a qualche cantina o spaccio di vino. Frascus valeva fiasco, Frasquera, da frasca, fiasco, dicono gli spaglinoli la cantina. Ogerio , il cancelliere, narrando della invasione che nel 1170 i Conti di La- (1) Arch. civ., Atti, 1600 Atti e Soc. Lig. di S. P. Voi. II. (2) Ivi, Atti 1559-60. — 167 — Vagna fecero nel Castello di Frascara, delinea il disegno di questo, con una torre basata sopra un’anfora. Nella tavola recante la pianta del Palazzo ducale e dello arcivescovile, unita ai documenti toccanti alle liti insorte nel 1577 fra il Governo e 1’ Arcivescovo, va indicata una frascheci nel primo e diverse fraschee nel secondo.. La prima in quel tratto del Palazzo che spazia tra la Torre, la salita dell’Arcivescovato e quella del Fondaco. Inoltre è noto che col nome di Fiascaie, si ad-dimanda un vicolo ivi prossimo che sbocca nell anzi-detta salita del Fondaco. Ora nel secolo XVI, giacche la pianta predetta specchierebbe le condizioni edilizie di allora, in quei punti dei Palazzi non potevano essere che cantine. Il nome di Fondaco con che si chiama tuttavia la salita che lambe il Palazzo in quella parte indicata nella tavola col nome di Fraschea, sarebbe indizio che ivi era una cantina o spaccio di vino, giacche appunto col nome di Fondaco si chiamano gli spacci o vendite di vino. Quanto al vicolo dei Campanari non ne attribuiremo punto il nome a fonditori da campane, bensì invece al casato omonimo, non pochi membri del quale erano anzi dediti all’arte del laniere e del (Imperio ossia tessitori e venditori di panni. Il che ci spiega anche il motivo del loro domicilio in prossimità del Porgo dei lanaiuoli, o come più comunemente si diceva in antico « de’ scarzatori ». I primi, come è noto, avevano officina — 168 — specialmente al molo e presso la chiesa di s. Marco, luogo che aveva perciò il nome di Fondaria ; Nè va dimenticato che il vicolo di s. Defendente era detto altresì di s. Cristoforo; denominazione questa comune ad altri vicoli della città , e dovuta alla effìgie di s. Cristoforo che stava murata o dipinta sulla fronte di qualche casa lungo il corso dei medesimi. Al basso di Morsento, scorreva all’aperto il Rivo Torbido che con lieve piegare a meandro si avviava verso il luogo detto Ponticello. Si disse Rivo Torbido soprano pel tratto ascendente da Ponticello all’Acquasola, e Rivo Torbido sottano pel suo corso da Ponticello insino alla sua foce nella marina di Sarzano. Ponticello. La via che da Roma per Luni metteva a Genova, via detta Romea ancora in atti del secolo XVIII, varcava il Bisagno sopra un ponte lapideo (1), da ove, lambendo le falde di Murteto inferiore (2), s’inoltrava alla regione degli Archi (3). Oltrepassato quindi di poco il monastero di s. Stefano, giungeva al Piano di (1) Il ponte poi detto di s. Agata. (2) Colle del Zerbino, or scorrettamente Montesano. (3) F. Podestà. La Porta di s. Stafano, la Braida e la regione degli Archi. — 169 — Rivo Torbido, planum rivi turbidi, cingendo a sinistra la plaga di Oriolo. Col nome di Oriolo nel medio evo si indicava infatti l’estrema falda a monte dì Carignano ove ora sorge il Seminario dei chierici ed il circostante abitato verso via Fieschi. Il perchè ne’ rogiti di quel tempo il luogo d’Oriolo è sempre additato in Calignano. Un atto del 1026 ci dipinge la plaga di Oriolo ancora tutta un terreno rivestito di vigne, di fichi, di ulivi e di altri alberi fruttiferi. Non un edificio in essa, ma soltanto una cassino, ; un abitacolo cioè costruito con paglia (1). Ma in appresso la plaga si fraziona in mano di più possessori e vi si innalza qualche casa. Così pel 1120 e 1161 abbiamo cenno di terra e casa con pozzo e vigna posti in Oriolo, loco ubi clicitur puteus, e confini al tutto : di sopra la strada, da una parte la terra di Lanfranco Alberico, dall’altro lato la via che va a Carignano, e giù al basso il Rivo Torbido (2). Nel 1239, 16 agosto, Oberto D’Oria vi compra terra e casa per il valsente di 125 lire di Genova (3j. Un decreto del 18 marzo 1594 col quale si ordinava a Battista Pietraragia di dar esito alle acque fluenti dalla sua villa, acciò esse non iscorressero per la via pubblica tendente dalla Porta degli Archi verso Pon- {L) Atti Soc. Lig. ecc., Voi. II, Parte I, p. 131. (2) Biblioteca Civico-Beriana, Frammento di Poliptico del mon. di s. Stefano. Ms. (3) Richerio, Fol. citato. — 170 — ticello, ci dimostra il luogo di Oriolo sempre allo stato di coltura (1). Oggi stesso nei pressi del Seminario sussistono ancora piccoli spazi coltivati a villa, ed a giardino. L’antico Piano di Rivo Torbido, sul quale stendesi appunto la piazza detta di Ponticello ed il circostante abitato, tolse nome, come ben si comprende, dallo scorrervi die faceva il rivo predetto. Così pure da un piccolo ponte voltato ivi sul rivo stesso la piazza medesima e le sue circostanze tolsero nome di Ponticello. In questo piano ed ai piedi di Oriolo già sull’esordire del secolo XII sorgeva un Ospedale detto di si Stefano, perché appartenente a quel monastero. Nella seconda metà del secolo stesso ne era rettore e ministro Francesco Martino Rosso la cui vedova, a nome Archenda, con testamento del 1298 legava al detto Ospedale (2). Una pergamena del 1358, 4 giugno, reca la concessione che l’Abate di s. Stefano ne fa in accomenda ad un Fra Giovanni di s. Silvestro (3) In- appresso ne spettò l’investitura alla Sede Pontifìcia, e in atto del 2 luglio 1464 ne scopriamo amministratore e governatore un Fra Dondo da Uscio, al quale succede nelle stesse mansioni Paolo suo figlio e, morto questi, un Gaspare Pizzorno nel luglio 1472. L’edifìcio che sorgeva presso al pozzo di cui è menti) Arch. civ., Atti, 1594. (2) Poch, ms. cit. (3) Richeeio, ms. cit. — 171 — zione più sopra, correndo il 1398, soffrì gravi danni per le devastazioni commessevi e l’incendio appiccatovi dai Guelfi nei loro assalti contro dei Ghibellini che vi si erano afforzati. Sul declinare del secolo XV si deliberava la soppressione dei parecchi e piccoli ospedali sparsi nella città, assegnandone i redditi ed i possessi al nuovo e più vasto di Pammatone, fondato allora da Bartolomeo Bosco. Nondimeno la chiusura di questo di Ponticello ritardò fino al 31 marzo del 1474, in seguito alle fatte opposizioni del citato Pizzorno, che restandone tuttavia al governo e non volendo arrendersi neanche ai brevi di Papa Sisto IV, fu necessario cacciamelo per forza (1). Frattanto per la costruzione della cinta parziale di mura operata nel 1320 e perfezionata nel 1327, mercè la quale andò rinchiuso dentro la stessa anche il Borgo di s. Stefano, la regione di Ponticello divenne fitta di case e di abitatori. La piazza servì tosto per luogo di mercato pubblico, e specialmente per quello del legname, alla vendita del quale era poi assegnato, 11 maggio 1524, lo spazio di contro alla chiesa di s. Maria dei Servi (2). Indizio questo che la piazza non bastava alla moltitudine di popolo che vi affluiva. Da ciò il decreto del 4 febbraio 1527 che ordinava la demolizione di parecchie case per renderla più vasta. (1) Staglteno, II Borgo di s. Stefano. 2) Arch. civ., Atti, 1518-25. — 172 — 11 proclama annunziante la presa deliberazione di-cev a « perche si pensa che si debian comperare per essi spectati signori Padri de Comune tute quelle caze site nel ponticello del borgo di sancto Stepliano vocate 1 hospitale a fine di ruinar e destruere quelle e li insti nere e fabricare una piacia ampia e spatioza ni non poca beilesa et ornamento de la presente cita et ni non poco comodo e del publico e de tuta la vicinansa di esso hospitale. E il precio di tale accato licei caie et haveire si da le caze cirqonvicine o sia da li patroni e possessori di esse e da altri chi di tale mina et instructione ne prendessero commodo o utilità juxta la taxa che al tempo suo parirà ali prefati prestanti signori Padri doveire fare » (1). Nuove demolizioni vennero operate nel 1534, 1535, 1538, 1540, 1541 e 1554, nell’ esecuzione delle quali andarono a terra altri edifici ed un portico o loggia di che è ricordo in atti toccanti alle demolizioni stesse. Una deliberazione del 16 luglio 1642 ci avverte della erezione del Barellile o fontana pubblica che ivi sorge tuttavia ; erezione decretata in seguito ad istanze dei \icini ed a comodo del mercato che vi si teneva (2). (1) Arch. civ., Piazza Ponticello, 1561-1718, 1527, 12 febbraio. (2) Zi, Atti, 1642. Il marmo è opera dello scultore Giovanni Mazzetti e compiuta nel 1643. — 178 — Il vico deitto. La via romea, guadagnata l’opposta sponda del Rivo Torbido, saliva dolcemente dapprima e ripida in ultimo, alla Porta Soprana. Al 999 risale per me la prima notizia di questa via, e me la porge un atto del 3 settembre detto anno con che Corrado ed Alberico del fu Adalfredo fanno donazione al monastero di s. Stefano di una vigna posta non molto lontano dalla città presso la strada die scende dalla Porta Soprana (1). Detta già da più secoli Vico dritto di Ponticello, dall’abitato cui metteva uscendo dalla città, questa via ha però un corso tutt’altro che diritto. Avviandoci per la stessa verso il Colle incontriamo a destra la casa ove Domenico Colombo ebbe dimora e bottega, e dove trascorse parte della sua giovinezza il sommo Cristoforo. É al chiaro Marchese Marcello Staglieno, il solerte e paziente raccoglitore di memorie patrie, che va ascritto il merito di aver assodato quale fosse realmente la casa che Domenico Colombo possedeva in questa strada. Non poco infatti si era discusso intorno alla ubicazione della casa stessa, e se ne era anzi additata (1) Atti Soc. Lig. di Storia Patria, Voi. II, Parte I. p. 50. 174 eiioneaniente la positura in Morsento ; murandovi per di più un marmo con iscrizione. I n pò più in alto ed a manca di Vico dritto s’apre ,l 01 detta di Rivalla che si adima al Borgo dei an aiuoli e lungo il corso inferiore del Rivo Torbido. di funesta memoria per la improvvisa rovina ivi v\enuta nell aprile del 1566 di parecchie case, sotto maceiie delle quali andavano travolte e perivano non poche persone (1). Questa λ ia s intitolava anticamente e per un certo col nome di vico dei Pavia, carri’heus de Papia, ed eia così appellata dal casato omonimo che vi aveva posto stanza e vi possedeva, Al λ icolo o carrubio dei Rivalta si riferisce eziandio un atto del 25 settembre 1391 recante la locazione di un terreno posto in carrubeo per quod itur de p >rta nancti Andree ad sanctam Mariam de Via lata ; il cai robio cioè pel quale dalla Porta di s. Andrea s andava a s. Maria in Via lata (2). Discesa la via dei Rivalta e varcato il Rivo Torbido s incontrava infatti, e tuttavia è, la ripida salita che mette al dorso di Carignano. Salita che detta dapprima montata che si scavava la prima botteguccia nel‘pilastro a mare dello arco ; nel 15S9 in quello a monte, e fu nel 1009 che si penetrava per due palmi nel tondo della Torre verso s. Andrea. Il perchè si lanciò sul capo di Rodolfo di Lannoy, luogotenente in Genova di Luigi XII eli Francia, 1 inconsulta accusa di aver concesso di aprire delle botteghe nei pilastri, o come altri scrisse « nel vivo masso delle Torri », mentre invece il suo decreto, del 29 dicembre 150S, dice chiaramente che le dette botteghe dovevano essere erette : in via patenti iuxta portam. La raccomandazione poi notata in esso di non coprire le iscrizioni murate nei pilastri, esprime evidentemente che non si permetteva già di penetrare enti o il massiccio delle Torri, ma soltanto di appoggiarvisi e di aderirvi ai piedi, lasciando illese le colonne ed i pilastri (2). Più inesattamente ancora l’Alizeri nella sua Nuova Guida scriveva. « Nel 1498 cadendo in fracidume le (8) Arch. di Stato. Codice Diversorum Negotiorum, 1507-508. Il Decreto concede : in dicto spacio construi facere duas apothecas, salvis tamen et illesis columnis et pilastrata, ita etiam quod apothece ipse non exeant parietem, immo concluse restent intra ipsam parietem, et omnia fiant etiam absque lesione ulla sculpture carminum, que salva et illesa voluerunt, ecc. Le iscrizioni andarono però coperte in appresso, e vennero alla luce come cosa nuova, soltanto nel 1864. Neli’anno succesivoi l’Autorità municipale faceva procedere al loro restauro come >ί legge in apposita lapide. — 209 — valve, e deliberatosi di schiantarle come inutile ingombro, un Michele Cichero ottenne dalla Signoria di annicchiarsi in quel tanto di spazio, che nascon-deasi per una di queste, cavandovi quella bottega per non dir buggigattolo che aneli’ oggi vi dura ». Or bene alla domanda che il Michele Cichero aveva presentato il 22 ottobre di detto anno, che cosa rispondeva la Signoria ? Il rescritto della stessa, recante la data dell' 11 dicembre successivo è invece una recisa e secca negativa alla avuta richiesta. Basandosi sulla relazione dei Padri del Comune nella quale costoro esponevano che lo spazio desiderato era appena bastante al transito ed alla dignità della Porta, e che sarebbe stata cosa turpe se costruendovi botteghe lo si fosse reso più angusto ed impedito, che perciò la domanda del Cichero doveva essere respinta e che dietro le imposte non si doveva permettere 1’ erezione di edificio alcuno nè allora, nè per 1’ avvenire, la Signoria decretava che nessuna costruzione vi si potesse fare : qnoci post valvas nil construi possit (1). E falso quindi che il Cichero si « anniccliiasse in quel tanto di spazio ». Le « valve » durarono al lor posto fino al 1508, siccome notammo ; ed il « buggigattolo » non vi venne aperto che un'ottantanni dopo. Al Michele Cichero, macellaio, sopranominato Anima (1) Arch. di Stato, Cod. Diversorum Negotiorum, 1498-99 3 Arch. civ., Atti, 1490-99. 14 — 210 — migra, e die i documenti onorano del titolo di « strenuo », per aver militato in servizio del Comune, fu però dorata 1’ amara pillola del rifiuto. Il decreto infatti stabiliva die quanto si negava allora a lui, per nessuna ragione si dovesse o potesse concedere ad altri per 1’ avvenire ; dichiarando irrita e nulla da quel giorno stesso la concessione che se ne sarebbe fatta (1). Passerò ora all’ esposizione delle notizie da me raccolte. Tra coloro che primi posero bottega attacco al nostro monumento e dei quali mi è noto il nome, trovo un Battista Cavassa, formagiaio, il quale ve 1’ aveva già intorno al 1430 (2). Essa però non era punto, come fu affermato, al di sotto dell’ arco d m gresso, bensì invece adesa ad una Torre ; al di qua cioè della Porta e contigua ad altre due botteghe che il Cavassa aveva eretto aderenti al vicin tratto della cortina murale. Ce ne istruisce l’atto del 27 maggio 1437 con che (1) Arch. di Stato, Cod. citato. « Decreverunt eum locum, et situm peti ab aliquo non posse, nec etiam concedi, neque in eo aliquid extrui aut innovari, et si qu petetur aut concederetur, irritum et inane sit, tanquam subì epti IU™ tanquam contra decus publicum et decreta Senatus impetratum , quidquid extrueretur aut edificaretur, ab ipsis usque fundamentis i rui statim et demoliri debere sumptibus eius qui qualecumque opus ibi edifìcasset et quomodocumque construxisset ». (2) Arch. civ., Cartulario, 1426-30. — 211 — i Salvatori del Porto e Molo, concedevano al citato Cavassa la erezione delle stesse. In esso è detto che gli si cede « s )lnm terre posite in contraici Porte nancti Andree, prope fmtem aque Comunis, scilicet ab angulo fontis usque ρι· ipe hostium seu portelum taberne Ioliannis de Mulasana. Che inoltre le botteghe avrebbero avuto il tetto apenso et apodiato muro civitatis (1). Le medesime pertanto delle quali è menzione nello Statuto dei Padri del Comune nella Nota dei beni assegnati all’ Ufficio dei medesimi ed a quello dei Salvatori del Porto e Molo. Ivi infatti si legge : che la prima è posta sub turri porte sancti Andree e le altre due sub muris civitatis apud dictam portam e già locate al Cavassa (2). Di ciò informa altresì un atto del 19 gennaio 1463 con che il detto Cavassa le cedeva a Gregorio Fie-schi q. Lorenzo ove è scritto : apothecas tres positas prope portam sancti Andree apodiatas muris veteribus et seu turris sancti Andree que sunt contigue et quibus co-heret antea, carrubeus, superius fons sancti Andree, retro menia et una turris (3). Sorgevano esse perciò in quel tratto che spazia tra la Torre a destra uscendo ed i pubblici cannoni. Delle tre botteghe, la prima spettava ai Padri del Comune ; le altre due ai Conservatori del Porto e Molo, ai quali era stata affidata la cura dell’ Acque- (1) Arch. di Stato, Not. Fazio. (2) Arch. civ., Regulae, cit. (f) Ivi, Atti, 1432-68. — 212 — dotto pubblico corrente sulle mura stesse cui erano adese le botteghe. Del resto che di quel tempo sotto 1’ arco della Porta non vi si fossero ancora erette delle botteghe ce ne avverte lo Statuto anzi citato laddove reca : Duos vacuos sub hostio turrium santi Anclree in utroque latere, e di questi uno era locato ad Isoardo di Ven-timiglia e 1’ altro a Francesco Rimassa (1). Nel Cartulario del Comune dell’ anno 1470 e sotto la data del 3 agosto, va notato un Antonio Pessano, forse Passano, da Chiavari, rivenditore di frutti, quale affittuario di palmi nove di suolo sub turribus a parte dextra exeundo ; eppertanto uno degli spazi predetti. Fu appena nel 1576 e addì 27 aprile che il Magistrato dei Padri del Comune, su relazione dell architetto Giovanni Poliscilo e dopo visitato lo spazio sotto l’arco della Porta, a destra uscendo, e considerato che, penetrando et perforando spacio espedito muri, senza offesa delle fondamenta, si poteva comodamente api irvi una bottega, deliberava di effettuare un siffatto lavoio. Tra i motivi addutti in favore di tale deliberazione si notava il benefìcio che ne sarebbe derivato all eiario, e 1’ essere inoltre cosa potius in decore quam turpe per il vantaggio che ne avrebbe avuto il transito m (1) Di un. Rimassa conduttore di bottega del Comune dal fitto di L. 220 è menzione nei Decreti dei Padri del Comune, an. 16- 30, ma non è indicato il luogo. _ I Rimassa ebbero bottega e possedevano nei dintorni della Porta ancora durante il secolo XVIII. — 213 — quel punto, già fin d’ allora difficile pel continuo sostarvi che facevano parecchie donne vendenti scribilitas seu ut vulgo dicitur turtas (1). Il contrario pertanto di quanto era stato esposto nella relazione dell’ 11 dicembre 1498 nella quale si diceva : eum situm et locum minus etiam patere quam dignitati illius ingressus conveniat et turpe fore si edi ficatis domunculis aut appothecis angustior et impeditior fiat. Eseguito il lavoro, addì 30 maggio successivo si locava la nuova bottega a certo Gio. Agostino Gam-baro, mereiaio, per anni tre e contro Γ annuo fìtto di lire 40, trascorsi i quali gli si rinnovava la locazione per altri sette, portando il fitto a lire 42 (2). Posta all’ incanto nel 158G, 9 giugno, per locarla a chi più avrebbe offerto, la tolse poi un Giacomo della Torre, cui subentrava nella locazione Battista Savignone pagando L. 67 di fìtto e obbligandosi a soddisfare il debito lasciato dal della Torre. Continuò egli a rimanervi fino al 1607 pagando la somma anzidetta, quando in quest’ anno per offerte maggiori fatte da altri, dovè sottomettersi ad aumentare il fitto a L. 150. Nel 1624 ne era affittuario Marco Antonio Dertona insieme a Tommaso Tassorello e più tardi, 1643, un Francesco Macclìiavello. E taccio degli altri che ne furono affittuari in appresso (3). (1) Arch. civ., Decreti ecc., 1575-76. (2) Ivi, Ib. (3) Ivi, Cart. 1600 e 1604; Decreti 1580-82, 1585-86 e 1601; Atti, 1606 e Pratiche pub., 1601-15 e 1616-17. — 214 — Passiamo ora all’ opposto lato della Porta. Per atto del 4 giugno 157(3 i Padri del Comune locavano a certa Pellegrina Bergante, frutti vendo! a, uno spazio sotto 1’ arco della Porta, della lunghezza di palmi otto per quattro, contro 1’ annuo fitto di sedici lire. Lo spazio cioè appiedi del pilastro a sinistra uscendo, e tra la colonna e lo stipite della Porta, ove precedentemente stavano un Simone Noceto e la di lui moglie Dominichina, cui nel giorno istesso si locavano invece due spazi nella vicina via salente a s. Andrea, pro vendendis scribilitis tantum, escluso nei giorni festivi, e per 1’ annuo fìtto di sedici lire. Nella locazione dello spazio sotto la Porta, succedeva in appresso Giulio Bergante, figlio o marito che fosse della citata Pellegrina. Questi 1’ ebbe in affìtto fino al principiar del maggio 1589 ; addì 4 del qual mese era già stato costretto a lasciarlo, poiché in quel giorno stesso si era posto mano dal Magistrato all’ apertura di una bottega, a somiglianza di quella scavata nel pilastro di contro. L’ atto che ci fa nota la costruzione di questa bottega dice che fu aperta in altero pilastro sub fornice porte divi Andree. L’ espressione in altero pilastro come ben si comprende non vuol già significare il pilastro di contro, ma indica che già esistendone una in uno dei pilastri, se ne apriva ora una seconda nell’altro (1). La nuova bottega fu tolta in affitto da quel Gio. Agostino Gambaro che vedemmo prima in quella di (1) Arch. civ., Decreti ecc., 1575-7G e 1590. — 215 — contro e indicata nei Cartulari del Comune col numero 13, mentre questa si segnava col numero 106. Al Gio. Agostino predetto succedeva nell’ affitto un Gio. Maria Lenali, tavernaio, con atto di locazione del 16 ottobre 1623. Questi, che l’aveva affittata per L. 155, non trovando a sullocarla, causa il prezzo troppo elevato, la rilasciava nell’ anno successivo, correndo il quale i Padri del Comune addì 7 ottobre la locavano a Pietro Gio. Agnese. Passò quindi in mani di più altri, dei quali sarebbe lunga ed inutile la enunciazione (1). Sempre a sinistra uscendo dalla Porta, al di fuori però, ma pur anco ai piedi della Torre, aveva locato una bottega Gerolamo de Fornari, olirà de Compiano ; così chiamato per essere forse originario della terra omonima che sorge in Val di Taro, e già difesa da un forte castello, or ridotto a villeggiatura signorile. Con supplica del 18 settembre 1568 il Compiano domandava alla Signoria « di poter prendere quattro o sei palmi di una torre del publico quale resta a banda sinistra andando verso la Porta di santo Stefano, entrando in la muraglia di essa torre per alargare una piccola bottega posta in la porta di santo Andrea appoggiata a detta torre ». Ma la domanda fu respinta (2). Quattordici anni dopo, aprile 1582, il Compiano (1) Arch. civ., Cavtul. 1592-93, Decreti ecc., 1606-607, Pratiche pub. 1616-27 e Atti, 1624. (2) Ivi, Atti, 1568-69. — 216 — ridomanda siffatta concessione, alla quale si oppongono Cristoforo Bossio e Giovanni Merello. Costoro addì δ detto mese esponevano al Magistrato dei Padri del Comune aver fatto bene a non accoglierla. « Perciocché (scrivevano gli opponenti) se alle torri quali sono ornamento della città et che per antiquità minarono ruina si rumassi (scavasse) ne fondamenti non è dubio che anderebbono a terra con danno delle circonvicine case et risico delle vite delli habitanti per onde non è honesto si permetta che in quelle si innovi cosa alcuna » (1). Nondimeno addì 23 maggio, su relazione del maestro Giovanni Ponsello, si concede al Compiano di poter ampliare la bottega purché soltanto di palmi due, entrando nella parete θ col patto che a tali lavori assistesse il precitato architetto (2). Senonchè la concessione fu tosto revocata con decreto del 27 giugno successivo (3). Il 10 marzo 1586, ecco ricomparire il Compiano a richiedere di poter ampliare la bottega, domandando ancora di potere « intrar al dentro di detta torre per spatio de palmi quatro o sei di larghezza, de palmi quatro e mezzo in circa quanto è la facciata di essa bottega, e di altezza de palmi sei e mezzo in circa » promettendo di non apportar danno alli vicini. E questa volta, ne ebbe il consenso por decreto del 23 maggio successivo, riducendo però lo spazio richiesto (1) Arch. civ., Atti, 1581-82. (2) Ivi, Decreti ecc., 1581-82. (3) Ivi, Ib. Ταυ \ \ — 217 — a soli due palmi di scavo nella parete e col patto che assistesse al lavoro l’architetto di Camera (1). La bottega anzidetta apparteneva ai monaci di s. Stefano. Essa era posta in platea porte s. Andree in via pubblica et prope seu quasi subtus fornicem turrium in dicta via et contiguam alteri ex dictis turribus, illi scilicet ex parte ecclesie s. Andree (2). La bottega di Gerolamo Compiano venne in mano di Giovanni Merello nella estate del 1595. Il che risulta da una domanda da questi inoltrata alla Signoria il 13 settembre detto anno, colla quale esponeva come il Compiano sebbene avesse ottenuto di entrare entro la Torre per ampliare la detta bottega non l’aveva però ancor fatto. Richiedeva pertanto la facoltà di effettuare egli stesso quanto era stato consentito antecedentemente al citato Compiano ; ma proprio in quel giorno medesimo gli viene imposto di lasciare la Torre in eo statu quo nunc (3). Addì 8 giugno 1607 troviamo nuovamente il Merello a ridomandare la concessione già fatta al Compiano di poter ampliare la bottega entrando per due palmi entro il massiccio della Torre. (1) Arch. civ., Atti, 1586. (2) Ivi, Ib., 1581-82. Addì 24 agosto 1591 i detti monaci confessavano che i due palmi concessi spettavano al Comune. (3) Ivi, Ib. 1595. E perchè ciò non era ancora stato fatto, proponeva in compenso di demolire una certa scala per la quale si ascendeva nella prossima sua casa ; scala che occupava la pubblica strada per tre palmi in ispàzio. Sette giorni dopo i Padri del Comune, cui era stato attribuito l'incarico di esaminare la domanda, riferivano in senso favorevole (1). Non stette inerte il Merello ; senonchò invece di valersi della facoltà avuta di ampliare la bottega già condotta dal Compiano, effettuò altri lavori e cioè la erezione di altra bottega quasi sotto all’arco della Porta contiguamente alla Torre. Agostino do Ferrari, figlio forse al sopra citato Tommaso, ne porse querela, onde il Merello incorse in multe non lievi. Un decreto poi del 9 giugno 1G08 gl’ imponeva di demolire entro due giorni eclificium quo turri adhesit, e di far conoscere ψω titulo antiquiore constructionem ibidem fecerit adherendo diete turri ; alias procedatur ad· demolitionem (2). Altri decreti dei 20 e 27 stesso mese lo invitavano a deporre cento ducati d’oro in pegno e quindi a pagare duecento lire od a gettare abbasso entro quattro giorni le mura e il tetto innalzati aderenti alla Torre. Il 30 successivo, dopo aver prima rigettata la di lui supplica perchè fòsse moderata la pena pecuniaria, gli si consentivano proroghe per il pagamento della stessa, accordandogli di versarla in sei rato e nel termine di sei mesi (3). (1) Arch. civ., Atti, 1607. (2) Ivi, Decreti dei PP. del Comune, 1608-609. (3) Ivi, lb.) e Deliberazioni, 1608. — 219 — Il 5 luglio infine lo si citava a vedersi condannare ancora a venticinque scudi, per non aver ubbidito agli ordini e a demolire l’opera cominciata, prorogandogli poi, 11 detto mese, di quindici giorni il tempo per effettuare la demolizione stessa. Il 15 sue cessivo dicembre gli si condonavano infine lire cento sulla pena inflittagli, purché ne compiesse il pagamento entro due giorni (1). Nell’anno successivo, 1609, addì 15 giugno si concedeva nuovamente al Merello di ampliare la bottega ' da esso condotta penetrando, incidendo et ingrediendo, nel muro della Torre per i due palmi consentitigli per decreti anteriori e già concessi al Compiano. Lavoro che non aveva ancora effettuato, ma che opera tosto, come ne avverte una lagnanza sporta alla Signoria dall’Agostino Ferrari, colla quale avvisa di altri lavori intrapresi dal Merello su suolo pubblico con danno dei vicini. Infatti esso aveva anche intrap-preso a gettare abbasso la volta esistente sopra la bottega e la scala ed a costruirvi un tetto, alzando maggiormente la bottega stessa. D’onde nuove contestazioni in conseguenza delle quali lo vediamo citato a dar ragione del suo operato: eo quod contra ordines et sine licentia construere fecit quandam. appothecam in via publica s. Andree et propc et seu quasi subtus fornicem turrium in dieta via et contiguam alteri ex dictis turribus (2). (1) Arch. civ., Atti, 1608 e Decreti ecc., 1608-609. (2) Ivi Decreti ecc., 1608-609 e Atti, 1009 e 1011. ‘220 — Sei anni dopo, 3 aprile 1(315, ecco di bel nuovo il Merello a supplicare il permesso di poter ingrandire la bottega entrando per altri due palmi nel muro della Torre, offrendosi di ritrarla più addietro di altrettanto tratto per lasciare più ampia la via e gettando a terra anche parecchi palmi della ridetta scala la quale metteva alla sua casa, contigua alla Torre. Il che non otteneva (1). Morto il Giovanni Morello, troviamo il figlio, a nome Benedetto, a rizzar nuove stanze alla propria casa, durante il luglio 1617 e quindi, 9 marzo 1619, a richiedere di poter alzare la bottega di palmi cinque in circa appoggiandosi alle muraglie pubbliche delle Torri (2). Ignoro se ottenesse ciò ; ma la mancanza della necessaria deliberazione e più ancora l’opporvisi che fecero le monache di s. Andrea che vi possedevano allato, mi fa argomentare che ne avesse diniego. Di questo sarebbe eziandio conferma il nuovo ricorrere che addì 8 agosto del 1633 fa il citato Benedetto onde ottenere di « entrare nel sito di detta torre per palmi quindici in longhezza e palmi otto in larghezza fino alla uguaglianza di detta bottega » offrendosi di pagare una data somma, e quindi altresì, 26 settembre, di poter alzare di altri quindici palmi la sua casa appoggiandosi alla Torre medesima. (1) Arch. civ., Atti, 1015. Ivi, Decreti, 1610-17 e Atti, 1610; 8 e 19 agosto. — 221 — Acconsentiva il Magistrato del Comune alla prima domanda, ponendovi l’onere di lire otto annue, affran-cabile col versamento di lire duecento, e non ammetteva la seconda « considerato clic la torre dove il Benedetto desidera appoggiarsi è in più luoghi perforata et in particolari con bottega che li giorni passati le fu concesso aprire et entrare dentro per palmi quindeci in longliezza et otto in larghezza » (1). Lavoro che come si vede egli aveva prontamente intrapreso, rimovendo eziandio la scala di cui è cenno nelle suppliche degli anni anteriori. Nel gennaio appresso e addì 18, ecco nuovamente il Merello a rappresentare qualmente durante il lavoro egli « ha trovato che dalla parte di ponente nell’ovato di detta torre le restano da cinque in sei palmi di vecchio et è terra movuta che non serve ad alcuno, in conseguenza infruttifero et all’incontro servirebbe per ampliare qualche poco detta bottega che resta molto angusta ». Supplicava perciò gli fosse concesso quello spazio offrendosi di pagare ciò che il Magistrato avrebbe richiesto (2). Le opposizioni fatte da certi Andrea Cavallero ed Agostino Rosso fecero stare in forse i Padri del Comune nel deliberarne la concessione al Morello, proponendosi anzi di vendere detto spazio in pubblica callega al miglior offerente ; ma cessate le opposizioni anzidette il Merello ne ottenne il possesso per (1) Arcli. civ., Atti, 1633; 27 settembre e 11 novembre. (2) Ivi, lb., 1634. decreto del 3 marzo successivo, mercé il pagamento di lire trecentocinquanta (1). Quali altri e non consentiti lavori operasse il Merello non è dato conoscere, certo è che per decreto del 18 agosto detto anno veniva multato della somma di lire cento ob inobedientia in fabricatione situs in eius appothcca sub pttblica turri sancti Andree (2). Col pagamento di questa multa operò i lavori di adattamento nel modo che gli era stato concesso. La bottega del Morello passò poi in mano di certo Benedetto Pedevilla, siccome risulta da un ricorso dello stesso del 27 gennaio 1645, in occasione della fattagli richiesta di pagamento dell’onere imposto al Merello e da questi già soddisfatto ; onde il Magistrato stesso riconoscendo l’errore lo riteneva prosciolto da siffatto debito. Alcuni lavori d’innalzamento d’ima loro casa effettuati nel 1631 dalle monache di s. Andrea in contiguità della Torre posta verso il loro monastero (3), e quelli eseguiti dal Benedetto Merello davano occasione che s’indirizzassero ai serenissimi Collegi alcune rimostranze che, quantunque esagerate, rispecchiano nondimeno le condizioni del nostro monumento e (1) Arch. civ., Decreti ecc., 1631-34. (2) Ivi, lb. (3) Ivi, Atti, 1645 e lb. 1646. — 223 — dimostrano altresì già fin d’allora un certo amore X>er la conservazione dello stesso. Il biglietto, sottoscritto « li vicini alle Torri » premetteva: come i pubblici edifici siano la magnificenza delle città e come dei molti dagli antichi nostri eretti, nulla più esistesse ed esser quindi debito sacro il conservare e mantenere quel poco che ancora rimaneva. « Di questi particolarmente essere cosa ammirabile e da conservare le Torri della Porta dei Vacca e di s. Andrea, monumenti che da qualche tempo soffrono detrimento, ed a quali è necessario di provvedere, affinché non se ne abbia a lamentare la totale rovina. Posciacliè ( prosegue il biglietto ) è stato permesso pochi mesi sono alle RR. monache di s. Andrea di fabbricare all’interno et occultamente hanno debilitato li fondamenti per guadagnare sito particolare. E seben sono (le torri) di quella fortezza che ognun vede pure egli è pur vero che quando i venti sono furiosi crollano senza snodarsi, cosa diffìcile a credere, perche sono bene accompagnate (connesse) insieme. Molti anni or sono pare si dica che un certo Benedetto Merello liabbi ottenuto dal Prestantissimo Magistrato dei Padri del Comune licenza di fare sotto i fondamenti di esse 11011 so che fabbrica, con averli dato ad intendere che 11011 vi sarà detrimento et lia-vendovi una casa attaccata, furtivamente è entrato sotto di esse torri e debilitato li fondamenti, et ultimamente lia tentato da detti signori del Comune nuova confirmatione di detta licenza e 1' lia ottenuta con mezzi atti a simili affari >. _ 004 _ « Detti signori del Comune hanno commesso al loro Capo d’opera (architetto) che veda e rifera, et esso che ha preso a fare il lavoro dicesi abbia riferto che si può fare, il che è tutto alieno dalla verità ». « Perchè chi senza passione vederà il lavoro che liora si fa, vederà a quanto pericolo restino di ca-dore (le torri) tagliandoli li fondamenti ». « E rumando rumeranno si bella facciata della città, getteranno a terra li edifìtij vicini, causeranno morte e danno a più persone, a tal che è di mestiero che quanto prima da VV. SS. Serenissime, sii pro visto alla soprastante rovina, ordinando non si pro-seguisca il lavoro che bora si fa, sino che VV. SS. SS. non sijno benissimo informate del sudetto lavoro. Pertanto se ne fa parte a VV. SS. SS. acciò che considerato quanto sopra, provedano in breve come meglio le parrà, avvertendo che si proseguisce ogni hora il lavoro, che perciò vi è bisogno di pronto rimedio » (1). Il biglietto, che lascia sospetto essere opera di’ uno solo e non di tutti i vicini, peculiarmente per quel « non sò » sfuggito, l’addove si parla dei lavori fatti sotto le fondamenta della Torre, sebbene non rechi data è però da aversi del settembre 1633, giacche un rescritto sotto allo stesso in data del 26 detto mese ed anno ordina al cancelliere di vedere e di riferire (2). (1) Arch. civ., Atti, 1633. (2) Ivi, lb. Per decreto del 13 maggio 1(307 si concedeva pure a certo Gio. Novella di aderire alla Torre anzidetta alzando le mura della propria casa ed appoggiandovi il tetto. (Arch. civ., Atti, 1667). — 225 — I)al iato del monastero di s. Andrea e nella salita che inette allo stesso, contigua alle mura vecchie della città e ad altre case di privati, correndo il secolo XVI possedeva una casa Lorenzo Masera o Ma-xeria come è scritto nei documenti. Sendo la stessa 111 cattive condizioni, tantoché ne era precipitato il tetto, e proponendosi egli di ripararla, ne domandava il permesso con supplica del δ febbraio 1547, chiedendo anche di poterla alzare. In appresso e per decreto del 10 luglio 1561 otteneva ancora di poter aprire una porta nelle mura stesse. Morto lui la vedova procedeva a nuovi lavori di alzamento e di adesione alle mura. Quindici anni dopo, giugno 1δ76, innalza nuove costruzioni, co: prendo e appropriandosi una superfìcie murale di otto cannelle ed un quarto ; incorrendo così in una multa per non aver avuto la concessione che per sole quattro (1). Aderente eziandio alle mura civiche, anzi alla Torre, e sempre verso la piazza del monastero, già da tempo possedevano una casa le monache dello stesso , per ingrandire la quale con loro supplica del 24 maggio 1604, domandavano un piccolo tratto di suolo ivi prossimo. Sette anni dopo, 1611, 21 giugno, domandavano altresì di poter alzare la casa stessa di alcune stanze appoggiandosi alla Torre, ma le opposizioni fatte da parecchi vicini, ne fece negar loro il (1) Arch. civ., Atti, 1545-48, 1561-62, e Decreti ecc., 1575-76. 15 — 226 — consenso ; il quale ebbero però vent’ anni dopo per decreto del 19 settembre 1631 (1). L’anno 1600, addì 17 aprile, i Padri del Comune locavano a certo Tommaso Senno, mereiaio, e contro l’annuo iitto di lire quattro di Genova, le due Torri e Γ arco della Porta e cioè dal piano dell’ arco in su, fornendogli accesso dalla scala esterna esistente verso il piazzale della chiesa di s. Andrea. La locazione, valevole per nove anni, era rinnovabile due volte, ossia fino a ventisette anni. Il Senno si obbligava di coprire con tetto ed a proprie speso le due Torri e 1’ arco ; di preservare dalla umidità le due botteghe sottostanti all’ arco e di mantenere in buono stato 1’ Acquedotto pubblico cfie allora, come tuttavia, aveva la doccia sopra l’arco della Porta. Ciò per il tratto tra la scala anzicitata ed i cannoni ossia Fonte di s. Andrea. Siffatti lavori doveva compierli entro tutto il mese di settembre successivo. Restava altresì stabilito che quando terminati i ventisette anni i Padri del Comune non avessero voluto rinnovare la locazione, dovessero in tal caso rifare il Senno delle spese fatte nei precitati lavori (2). (1) Arch. civ., Atti, 1604, 1611 e 1631. I lavori eseguiti nel 1631 sono quelli cui alludeva il biglietto scritto a nome di « alcuni vicini, » riprodotto a pag. 223. La casa che le monache domandavano di poter ingrandire era stata già resa più alta per concessione avutane il 20 giugno 1514 (Arch. civ., Deliberazioni ecc., 1509-14). (2) Ivi, Atti, 1600. — 227 — Noterò qui di passaggio che il Senno possedeva casa e tre botteghe in prossimità della Torre verso Raveeca, aderenti alle mura. Beni già spettanti al di lui padre Bartolomeo, il quale anzi pagava un canone al Comune per il permesso avuto addì 7 aprile 1571, di poter costruire una scala nelle ridette mura onde ascendere ad un suo solaio (1). Intorno al 1480 i Senno pagano anche il terratico di un piccolo spazio appresso alla Porta. Bieciotto anni dopo inoltre, il Tommaso compra altri beni contigui, che vende poi a certo Gr. B. Cicala, setaiuolo (2)· Torniamo ora alla fattagli locazione della Porta. Non si tosto il Senno 1’ ebbe ottenuta, pose mano al lavoro, coprendo con tetto le Torri e Γ arco, e provvedendo a preservarne dall’ umidore le parti intcriori all’ Acquedotto. Quindi, correndo il 1605, per rendere più commodo 1’ accesso alle Torri aveva fatta ingrandire la scala iniìssa nelle mura presso la piazza del monastero di s. Andrea. Di ciò tosto pervenne la denuncia al Magistrato nello agosto di detto anno, in seguito alla quale Andrea Pallavicino era incaricato di visitare il lavoro e di riferire intorno alle innovazioni arrecate alla detta scala. Discussa la pratica, addì 2 del settembre successivo si concedeva nonpertanto al Senno 1’ ampliazione dei gradini di detta scala tino a palmi quattro, permettendogli a tale scopo di scavare quel (1) Arch. civ., Cartulario, 1579. (2) Ivi, . Decreti ecc., 1580-82 e Atti, 1625. — 228 — tanto
  • . Correndo il 1674 ne era affittuario, pure per 1. 200 un Gr. B. Montoggio e coll alba del 1685 ne tro\o conduttore un Gio. Antonio Borzeze che ne entra in locazione il primo gennaio e per nove anni e pel fitto annuo di 1. 200, come da atto sottoscritto il 29 agosto dell’ anno anteriore i3). Al Borzeze succedeva nella locazione Angelo Maria Raggio per contratto del. 18 dicembre 1696, pagando 1. 228. Quindi un Gio. Francesco Iiecasrno che vi dimorava ancora nel 1735 pa-gando 1. 138 per una Torre, ov’ egli abitava, e 1. 90 per 1’ altra che aveva subaffittata a certo Pietro Ghi-glione (4). Al Recagno succede il magnifico Ippolito T) Olia che sullocato 1’ edifìcio a donne di cattiva λ ita, il dì primo aprile del 1749 riceve ordine di espellerle immantinente, ed è dichiarato decaduto dalla locazione (5). (1) Arch. civ., Pratiche pub., 161G-27. Cart., 1685. Pandetta Conduttori stabili, 1709. Pratiche puh., 1725-27 e 1ìo0-37. Decreti ecc., 1748-55. (2) Ivi, (3) Ivi, (4) Ivi, (5) Ivi, Subentra subito e per convenzione col Magistrato un G. B. Danero che sulloca le Torri a prete Bartolomeo Marrè a cominciare dal primo giorno del luglio 1750 e per 1. 228. Senonchè 1’ Ippolito D’ Oria di cui è detto sopra, aveva nel tempo stesso affittata una metà e più delle stanze della Porta al notaro G. B. Boasi, il quale si rifiutava non solo a rilasciarle, ma anche a pagare un’ adeguata porzione di fitto. Da ciò l’origine di contestazioni che durarono parecchi mesi, finché il Magistrato ordinava all’ architetto Claudio Storace di visitare le Torri e di stabilire la somma che avrebbe dovuto pagare il Boasi per il tempo che vi aveva dimorato. Dalla relazione presentata dallo Storace il 28 settembre 1751, si ha che il Boasi occupava nella Torre \Terso Ravecca una sala, una camera grande con una mezzaria al di sotto della stessa e una cucina ; più due stanze superiori ed un terrazzo grande da esso locati ad altre persone. Il Marrè invece occupava una sala grande alta sopra 1’ arco ; un’ altra stanza bolla ed alta a piano sotto la Torre verso Ravecca ; altra stanza piccola bassa alquanto oscura nella Torre verso s. Andrea, ed una cucina grande fornita d’ acqua alla quale si discendeva dalla sala, mediante una scaletta. Inoltre quattro stanze ed un terrazzo grande affittati a terze persone. Tao. VI. O Arch. civ., Atti, Jb'08. ‘ nclfiLv- — 233 — Lo Storace basandosi sul fitto totale annuo di 1. 228, ne assegnava 90 al Boasi e 138 al Marre (1). Affituaria delle Torri divenne poi Maddalena Ber-tora fino alla primavera del 1789, tempo in che subentravate Andrea Bandiere, quindi Gio. Stefano Sauli, e nel secolo scorso più altri, primo tra i quali un Domenico Cardinale (2). Dove fossero le botteghe e «lo spazio goduti dal Senno ce ne informano, oltre la qui unita pianta, parecchi atti, precipuo tra i quali uno dell’ 11 settembre 1620 col quale Giulio Cicala, setaiuolo, toglieva 111 affitto dal Comune per 1’ annua pigione di lire otto lo spazio sub fornice Porte sancti Andree, presso hi colonna destra andando verso Ponticello, e già condotto dal Tommaso Senno (3). Spazio che addì 21 agosto 1623 domandava gli venisse venduto comecché essendo contiguo ad una delle sue quattro botteghe gli tornava utilissimo. . o o Richiesta che non ebbe però felice esito per opposizioni iattegli da Marco Antonio Dertona e Giacomo ^avignone conduttori della vicina bottega sotto l’arco * ( proprietà del Magistrato (4). (!) Ardi, civ., Alti, 1749-50. (-) Ivi, pp. dei Coimine, Stabili, c. c. 1786, Locazioni e ί «tiche jmb. ad annum. Ivi, Pratiche pub., 1616-27. (4) Ivi, Atti, 1623. ra le due boi teghe alzate dal Cicala, ve ne possedeva ima Ceito Giulio Noceto, la quale passò poi in proprietà di Ettore Morto poco dopo il Giulio Cicala l’otteneva, e sempre in affìtto, con atto di locazione del 4 settembre 1β23 , il figlio Gio. Battista. Questo due anni dopo, 20 luglio 1G25, s’offriva di redimere dall’annuo terratico cui erano soggette due delle quattro botte, glie anzidetto eredate dal padre, il quale le aveva compre dal Senno, che a sua volta le aveva acquistate da Battista Carrega, filatore di corde, e da Isa· O " 7 bella Fieschi (1). 11 decreto di franchigia, in data del 17 marzo 1G2G, le indica di questo modo. « Due botteghe appresso sant’ Andrea, una che confina con Giulio Noceto da due bande; dietro lo muraglie antiche della città, innanzi la via pubblica. L’ altra da un lato, la quale tu di G. B. ( 'arroga, da un lato Francesco de Augustis, e dall’ altro la bottega di Tornasi Sonno; dietro lo muraglie antiche della città e innanti la via pubblica » (2). Correndo l’estate del 1G28 il G. H. Cicala comprava dagli eredi Senno un altra bottega ivi presso. E perchè questa era soggetta ad un onere annuo di lire due por certa scala costruita nello muraglie, doman- Boccone come risalita da supplica sporta il 23 luglio 1637 dal Cicala stesso perchè non fosso consentito al Boccone di penetrare nello mura civiche e chiudere la finestra da esso ivi aperta. (Arch. civ., Atti, 1G37). Il Cicala aveva rizzate le altre due botteghe fino dal 1593 per concessione avutane con decreto del 17 dicembre detfo anno. (Arch. civ., Decreti ecc., 1593-95). fi; Ivb Pratiche pub., 1016-27, e Atti, 1025. (2) Ivi, Atti, 1027. Tao. VII. ifeotte^joc cvctC' <3i4vu* y* ò Uo c!>« ?>a ’b OuxaAoìs v e μ o £ (3 t/Co ò t^oLolcu cLe£ QtXo v^e Arch. civ.. Contratti, 1635- ÌS — 236 — dava esserne affrancato, offrendosi di pagare una volta tanto quel che si sarebbe stabilito (1). Non riuscito nel desiderato intento ripeteva la domanda il 6 maggio 1G36 (2). Ed è a credere che gli fosse consentito, giacche nell’ ottobre successivo domandava di poter alzare il tetto dello stesse alquanto più in alto di quello che era, appoggiandosi alle mura vecchie. Il 2 gennaio 1637 gli si concedeva di poter procedere a tale lavoro purché colla nuova costruzione non eccedesse di palmi sei in altezza, ed in « ri-cognitione » pagasse alla Camera la somma di lire settanta (3). Il limite di soli sei palmi trova la sua spiegazione nelle opposizioni che aveva fatte il di lui vicino (/rio. Maria Multedo. Il quale desistendo poi dalle stesse permetteva che il Cicala avesse facoltà di raddoppiare ]a misura dell’ alzamento costruendo i tetti sedici palmi più in alto,* anziché soli otto. Per operare questo maggiore alzamento gli si con. cedeva di poter murare una parte di finestra esistente nelle mura anzidette, che si era permesso di aprirvi pel passato a certo Pietro Oliva, ed allora proprietà del Multedo. A questi in ricompensa di ciò si consentiva d’ accrescere di altrettanto e nella parte superiore la finestra stessa in modo che godesse sempre ugnai luce. Quanto alle altre botteghe che il Cicala aveva al di là della finestra verso i cannoni, gli si permet- (1) Arch. civ., Atti, 1628. (2) Ivi, lb. 1636. (3) Ivi, Ib. 1636. — 236 — teva di alzarle palmi sei di più che quello di cui sopra. Il decreto in data del (5 febbraio chiudeva col tassare il richiedente di lire settanta in correspettivo del vantaggio che ne ritraeva (1). Non molto dopo, 1042, il Cicala ricorreva di nuovo ai Padri del Comune per acquistare un piccolo spazio ad angolo a lato di una dello dette suo botteghe clic gli si concedeva per decreto del 20 settembre e per la somma di sciiti 40 d’argento (2). Ignoro il perchè 1’ atto di vendita e compra fra le parti contraenti non avesse luogo, ed il perchè la moglie, Maddalena Cicala , ripetesse appena un mese dopo la stessa domanda, ottenendone il consenso ai medesimi patti che il marito, che interviene all’ atto di vendita per procura della stessa. L’atto, esteso il 10 dicembre successivo, ed al quale era unito il disegno che qui va riprodotto, reca ohe lo spazio venduto, ha per confini « da due parti la via pubblica, da un’ altra parte la bottega del Cicala e la colonna marmorea col piedestallo della stessa che servono a reggere il vólto della Porta di s. Andrea ». La misura dello spazio venduto e pur notata in palmi quattro in lunghezza, per tro e tre quarti in larghezza. fra le condizioni imposte all' acquisitrice va poi scritta quella che ove essa volesse fabbricare in detto spazio, incorporandolo alla vicina bottega del marito, non potesse innalzare la nuova fabbrica più (1) Arch. civ., Atti 1037. (2) Ivi, Ih., 1042. — 237 — alta di quello die era la bottega stessa, nè potesse valersi della colonna, nè del piedestallo, nè perforare Γ mia o 1’ altro, ina aderire soltanto alla colonna, sed s dimodo ipsc c durane inherend > cum ipsa fabricatione et non aliter (1). A tergo delle botteghe del Cicala, all’ opposta parte delle mura, ossia nella Colla, Gio. Maria Multedo possedeva una casa dalla quale egli aveva accesso Sull’Acquedotto. Ampliata già da suo padre per conces' sione del 1549, penetrando nelle mura stesse, non contento di ciò, otteneva ancora, 12 gennaio 1(537, di poter costruire un terrazzo al di quà delle mura, sporgendo per sedici palmi al di sopra della Fontana pubblica (2). Era però tra i patti che dovesse mantenere, pavimentato e netto il sito concessogli ; che lo dovesse cingere di parapetto tino all’ altezza di palmi quattro e che, sopra tutto, non vi potesse erigere editicio alcuno. Che infine alla porta che avrebbe aperto per accedere al detto spazio fosse tenuto a fare un arco a maggiore sicurezza. In ricambio della concessione lo si tassava di 1. 90, con obbligo di restituire iL luogo stesso al Magistrato dei Padri del Comune quando questo avesse così desiderato. Nel 1639 il Multedo chiedeva nuovamente altro spazio sopra la Fontana, che però non ottenne, per opposizione fattagli dal Cicala (8). (1) Ardi, civ., Contratti 1635-48. (2) Ivi, Atti 1737. (3) Ivi, lb. 1639, e Decreti ecc., 1639-46. — 238 — Come passo precipuo e più diritto a chi veniva alla città, o da questa invece si avviava ai · borghi vicini od a più lontani paesi, le circostanze della Porta erano anche nei secoli andati percorse, e battute da numerosa folla. E lo spazio già da per se non bastevole al continuo transito· di persone, di lettighe, di cavalcature e di bestie da soma cariche, veniva reso anche più angusto e inadeguato da 11011 pochi rivenditori che vi prendevano posto ponendovi banchi, ceste e tegghie. Pi là i ripetuti proclami che già si hanno pel secolo XVI proibenti il vendere nelle adiacenze della Porta la verdura, le frutta, i pesci, il mazzamorro, il biscotto, le paste, le scripilite, le torte, la garlasccirio, i castagnacci, e più altre cose mangerecce (1). Una relazione dai Padri del Comune presentata ai serenissimi Collegi il 26 aprile 1598 ci fa una dipintura dai più veri e naturali colori del concorso e movimento di popolo e di rivenduglioli che di quel tempo aveva luogo sul Piano o Passo, come in essa è detto, della Porta. E già fin d’ allora si lamentava (1) Archi, civ., Decreti e Proclami, 1536-1625, e Atti, Anni div. Ignoro cosa sia la garlascaria, però da un atto del primo settembre 1567 nel quale si accenna all’ ingombro delle rivenditrici presso la Porta si ha che « ulterius dicte mulieres ibidem faciunt negotium ut vulgariter dicitur de torte et de garlascaria (Arch. civ., Atti 1567). Parebbe quindi cosa cotta e somigliante alle torte stesse ; forse la così detta scarbassa che è appunto una specie di torta 0 polpettone cotto in tegame e composto per lo più di fagioli verdi, 0 di melanzane 0 di cipolle e quagliata e pan grattuggiato sotto e sopra. — 239 — la glande ristrettezza dello spazio, causa sovente di guai, e 1 impediménto che da tali rivenditori ne derivava al libero transito delle persone. Il perchè i detti Padri proponevano a rimedio di ciò la demolizione di certa casa la quale, oltreché piccola, non avi ebbe costato che lieve somma, perchè anche malconcia e rovinosa (1). La casa designata per la demolizione, casa indicata come prossima alla Porta e soprastante « alla bottega del barbero » pare andasse appunto demolita, giacché il giorno 26 aprile stesso se ne dava autorità ai Padri del Comune, e il 21 giugno successivo se ne stabiliva il prezzo d’ acquisto in lire tremila e cinquecento (2). Parrà forse esagerazione che di quel tempo fosse cotanto il movimento pel passo della Porta di s. Andrea. Ma è a considerare che fin oltre alla metà del secolo XVII fu questo il cammino più pronto epper-ciò più battuto da chi doveva recarsi in città dalle regioni suburbane, e da chi dal centro cittadino doveva portarsi a quelle. Non si era infatti ancora aperta la via Giulia lungo lo stretto Vicolo del V ento c non esistevano sopratutto vie di comunicazione tra le popolose contrade di Ravecca e della Colla ; cosic- (1) Ardi, di Stato, Politicorum. (2) Arch. civ., Atti, 1593, e Decreti citati, 1593-95. Il disegno unito al documento del 2(ì aprile ne addita la positura tra la strada del Prione ed il vicolo di Calabrage, alla sommità di entrambe queste vie. — 240 — che a chi da una di queste doveva recarsi nell alti a non s’offriva altro passo che questo della Porta. A provvedere a quest’ultima necessità mirarono 1 Padri del Comune nel 1(340. Dimostrando i gravi i riconvenienti cui dava luogo lo stretto spazio della Porta di s. Andrea, esponevano ai serenissimi Collegi aver deliberato di proporre loro « che si eseguissero quelle due strade che dalle mure vecchie di Sarzano rispondono in Ravecca, con fare in capo di esse (un) arco sotto dette mura che passasse o rispondesse di là alla Colla o strada dritta della marina ». Notate quindi le case che si dovevano demolire» una delle quali rovinata, e l’esiguità della somma che valevano' e la 11011 molta spesa per aprire i due nuovi passi, spese che ad ogni modo si sarebbero gravate sugli stabili che avrebbero avuto giovamento da siffatti lavori, ne presentavano la perizia dello ammontare in 1. 4830 (1). Provveduto tosto al doppio e nuovo transito tra ι popolosi luoghi di Ravecca e della Colla, due anni dopo si deliberava, come già sappiamo, 1’ ingrandimento del Vico del Vento, dando luogo alla formazione della Via Giulia, ed aprendo così un’ altra più ampia strada di comunicazione tra il centro della città e le regioni del .Bisagno ed oltre. (1) Arch. civ., Pratiche pub., 1635-48. Già nel gennaio del 1620 certo Gr. B. Razeto si era offerto di aprire e proprie spese una strada che da Piazza Sarzano mettesse alla Colla d’alto. La proposta corredata della pianta di Sarzano e dintorni è sotto la data del 26 detto mese ed anno (Arch. civ., Pratiche pub., 1616-27). — 241 — Ma torniamo al medio evo. Presso la Porta e non molto discosto già nel secolo XII possedevano case e terre Guido Almerio, Martino Cicala. Pietro di Cannevali, Simone di Struppa, Guglielmo Veggio, Giovanni Gambone, Vassallo della Porta, Guglielmo di Carignano e parecchi altri, tra i quali le mense di s. Ambrogio, di s. Maria di Castello e di s. Giovanni di Paverano. Un documento, favoritomi dal chiaro Arturo Ferretto, mi addita in queste circostanze un Ospitale dei frati eremitani, di cui nel 1322 era rettore Barisone di Negro (1). Delle case ivi costruite, alcune erano su terreno degli Embriaci, ove uno di essi, Guglielmo del q. Em-brone, possedendovi già un palazzo, volle erigere accanto allo stesso una torre, designata poi col nome di Torre dei mattoni, Turris viatoriorum, dal materiale adoperato per innalzarla ; mattoni che gli erano stati provvisti da un Guglielmo di Alessio da Sestri per contratto rogato il 27 febbraio 1228. Il terreno sul quale l’Embriaco aveva edificato, e sul quale aveva concesso ad altri di fabbricar case, spaziava tra la via di Ravecca e la sommità della salita del Prione ; in quell’angolo pertanto che sta quasi di fronte alla Porta e dove a tergo spazia ora la via detta del Dragone, l’antica contrata Dragonarie, nella quale possedevano e possedettero anche nei secoli appresso i Gamboni. (1) Arch. di Stato, Noi. Ugolino Cerrino, Reg. V. 16 — 242 — Un atto del 3 settembre 12SG toccante ad una casa di Giovannino Gambone la dice posta retro turrim que fuit Embriacorum et nunc est Nicolai de Flisco (1). Il decreto del Capitano del popolo, in data 20 gennaio 1258, col quale si statuiva die a cominciare dalla chiesa di s. Salvatore in Sarzano fino al vacuo davanti alla Torre di Guglielmo JUìnbriaco alla Porta di s. Andrea, dovesse restar libero e sgombro il terreno descritto e per la larghezza di sei piedi discosto dal muro della città, conferma che gli edilizi dello Embriaco sorgevano appunto nel luogo indicato. La Torre ed il palazzo predetti furono poi locati dal Guglielmo ad un tal Borgo da Firenze con atto del 10 giugno 1251 e venduti poi a Nicola Fiesclii in possesso del quale li vedemmo qui sopra (2). Il Belgrano pose la Torre deH’Embriaco « quasi di prospetto alla via di Ravecca e dei Cannoni, sorgendo nel Piano laddove all’incirca è l’isolato che ora fiancheggia la strada di Borgo Sacco e il vico dei No-tari » (8). Senoncliè di quel tempo quel Piano o vacuo ancora non vi era, perchè vi venne spianato intorno al 1697 per decreto del governo , tassando i proprietari delle case vicine per rifarsi, come era consuetudine, della (1) Richebio, Fol cit. (2) Dalla locazione erano però escluse le volte della torre ed il banco. (8) Op. cit. p. 27. — 243 — spesa occorsa e in relazione (lei beneficio che ne avevano (1). Non qui infatti spaziava il Piano di s. Andrea, bensì invece innanzi e sotto l’arco della Porta, ed è qui che dobbiamo intendere il punto vero cui accennano i documenti quando parlano del « Piano di s. Andrea ». Del resto un rogito del 30 agosto 1286 che reca actum ante turrim Niolai de Fliso ad Portam sancti Andree, e più ancora il Cartolario dei Padri del Comune per l amio 1578 ove è notato il terratico dovuto da Isabelletta Fieschi per casa e bottega propinque fontibus sancti Andree, ci avvertono che la torre era proprio nei pressi della Porta e non nel punto indicato dall’erudito Scrittore (2). Ma oltre a ciò è anche facile comprendere come la Torre dell’Einbriaco non sorgesse punto nel luogo assegnatole dal Belgrano, se poniam mente al decreto sopra riferito. Imperocché prima di giungere al supposto Piano spaziava la fronte e l’accesso della Porta, spazio che nessuno osando _ certamente occupare, sarebbe stato quindi inutile comprendere nelle disposizioni dell’enunciato decreto. L’inesattezza in che incorse il chiaro Scrittore proviene da che Egli contemplava nel Vico dei Notari la contrata Porte sancti Andree. (1) Ardi, civ., Atti, 1697, N. 60. Contribuirono specialmente certi Ottaviauo e Giuliano Canevari. (2) Bjcherio, Fol. Voi. IV., e Ardi, civ., Cartulario, 1Ò78. 244 — Un atto del 13 giugno 1296 sottoscritto in Logia Porte s. Andree, ci porge notizia, non chiara però, di questa Loggia, lasciandoci incerti se, come in tanti altri punti della città, sorgesse ivi una loggia pubblica, o non fosse invece privata. A lato della Porta verso Ravecca e aderente allo antico muro della città troviamo la Fonte pubblica costruita nel 1292 da maestro Pietro Oderico, sendo podestà di Genova Guglielmo Gardino d’Asti, siccome leggiamo nella lapide murata ivi sopra. Questo castello d’acqua, venne pertanto innalzato trentaquattro anni dopo il già riferito decreto del 20 gennaio 1258. Il decreto cioè in forza del quale si ordinava che « lo spazio di terreno il quale rimaneva a partire dalla chiesa di s. Salvatore fino al vacuo davanti alla torre di Guglielmo Embriaco alla Porta di s. Andrea, dovesse, per il tratto di sei piedi discosto dal muro della città, serbarsi libero e sgombro, affinchè da un capo all’altro la strada si allargasse uniforme in questa misura » (1), Da ciò abbiamo che dalla chiesa di s. Salvatore infi.no a questo punto correva uno spazio, lambente le cortine murali, e che qui precisamente esso faceva capo, e qui era il vacuo cui stava di fronte la torre deH’Embriaco. Non si tratta quindi, come scrisse il citato Bei-grano, della via di Ravecca, perchè il decreto parla (1) Jurium, T. I., f- 1265. r — 245 — di « spazio di terreno che fiancheggia le mura della città » (1). Ora la via di Ravecca ne è ben lontana e corre assai pili al basso di quel tratto di mura , una gran parto del quale esiste tuttavia, e va indicato col nome di « Murette ». Tra i primi che cominciarono a costruire aderente alle mura civiche e presso il Castello d’acqua, chiudendo così il passo alla via o spazio di che è cenno nell’enunciato decreto, fu un certo Tommaso di Bi-a sagno, maestro d’ascia, detto altresì da Pino, de Pinuì per essere nativo di questo paese che è appunto, come si sa, nella valle Bisagnina. Egli in prossimità della sua casa circa il 1439 aveva eretto una bottega su terreno pubblico e per la quale pagava un annuo fitto, siccome risulta dal Cartulario del Comune di quell’anno, ove si legge : Thomas de pimi magister azie pro terratico unius apoteclie per euvi fabricata iuccta fontem aque Porte sancti Andree a parte superiori de versus Sarzanum, ecc. (2). La bottega passò poi a mani di certo Benedetto Mongiardino, per locazione fattagliene dai Padri del Comune siccome appare dalla concessione avuta il 31 luglio 1489 di poterla alzare più alta in una colla unita casetta e prolungarla fino al muro del Castello d’acqua, costruendola in retta linea a questo (3). (1) Op. cit. p. 27. (2) Arch. civ., Cartulario, 1439-40. (3) Arch. di Stato, Not. Fazio, Fol. V., e Arch. civ. Atti, 1481-89■ — 246 — Più tardi certo Agostino Lav agnino, fidelaro, por contratto del 6 luglio 1593, comprava la casetta e la bottega obbligandosi al pagamento del terratieo; ma un decreto del 30 agosto successivo gl’ imponeva di rilasciarla, a cagione di innovazioni da esso fatte, e specialmente per aver costruito una scala in pietra nel muro dell’ Acquedotto senza chiederne il permesso (1). Nel 1605 avendo occupato un certo spazio accanto alla detta casa, per decreto del 4 gennaio 1606 lo si condannava a rimettere le cose nel pristino stato ed a pagare una multa. Ma poi supplicatone il possesso, l’otteneva per deliberazione del 22 maggio successivo sotto condizione però di un annuo onere di soldi cinquanta (2). Altri ancora ergevano ivi presso botteghe e piccole case, ingrandendo poi queste col basarne le mura di perimetro sull’Acquedotto od accostandosi al Castello stesso. Citerò fra costoro un Giovanni Busco, 1509 ; un Cristoforo Piola, 1553, e jdìù specialmente la famiglia Grillo che nel 1602 acquistava tre solai dal detto Piola (3). Una delle.iscrizioni che stanno tuttavia murate nella casa del Piola avverte che già del 1560, 5 settembre, si era ordinato che non si potesse alzare maggiormente l’edificio. (1) Arch. civ., Atti 1593. (2) Ivi, Decreti ecc., 1606-607 e Atti 1G06. (3) Ivi, lb., 1481-89, 1508-11 e 1551-53. — 247 — Ma acquistati ch’ebbero i Grillo i tre solai trovo che alcuni d’essi supplicano, 23 settembre 1G09, di poter alzare valendosi del muro dell’Acquedotto, e nel 1G15, 30 ottobre, si concedono loro nuove ampliazioni (l). Nel 1637 Silvestro Grillo ed altri suoi consanguinei chiedono sia loro fatta la cessione dello spazio sovrastante alla Fontana pubblica ; del quale il Comune aveva allora concesso un tratto di sedici palmi a quel Gio. Maria Multedo che, come è noto, aveva la sua casa al di là delle mura civiche. I Grillo ne ottennero la concessione a patto però di valersi dello spazio richiesto, soltanto ad uso di terrazzo ; di procederne alla pavimentazione e di curarne la maggior pulitezza, obbligandosi a non fabbricarvi sopra. Da parte sua il Magistrato si riservava il diritto di riprendere lo spazio ceduto tutte \Tolte che gli piacesse. Ciò non ostante due anni dopo, 1646, 17 settembre, si concede ai Grillo di erigervi una scala (2). S’opponeva il Battista Piola, compartecipe nel pos-. sesso della casa, ma non molto dopo i Grillo ne ottenevano la conferma. Il decreto, del 4 febbraio 1647, recava però che nella parete esterna della casa fosse murata una lapide dicente : Ad beneplacitum Patrum Comunis. iLssa è appunto quella che tuttodì vi esiste (3). Se al Senno e ad altri conduttori è da ascrivere la colpa di certi danni sofferti dal nostro monumento, (1) Arcli. civ., Atti, 1609 e Decreti cit. 1008-609 e 1614-16. (2) Ivi, Ib., 1637. (3) Ivi, Ib., 1646 e Decreti ecc., 1646-49. — 248 - non è però men vero che le ali del tempo e la qualità non buona delle pietre 11011 abbiano aneli’ esse contribuito a menomarne la solidità. L adoperamento di meno buono materiale trova d’ altronde la sua ragione, e insieme la scusa, nella fretta con che si procedè alla costruzione della cinta murale di cui fa parte la Porta. Cinta la cui estensione richiedeva una quantità tale di pietre non facile ad aversi in breve tempo, in allora specialmente che non si aveva ancora il vantaggio di dar mine colla polvere, perchè questa non si conosceva ancora. Dalla descrizione del come si trovava l’edificio quando nel 1600 ne fu fatta la locazione al Senno abbiamo appreso qualmente i merli che ne coronavano la fronte erano assai malconci, anzi in parte caduti ed altri oscillanti. Nel gennaio del 1639 Luca Spinola e Bartolomeo e Francesco Fornari, possessori di una casa contigua alle Torri, lamentano che in tempo di vento e di pioggia cadono dalle stesse sul loro tetto, merli © pietre che lo rompono non solo, ma penetrano perfino nello interno (1). Nel febbraio del 1647 il Magistrato fa riparare le Torri e la scala per le quali si accede allo stesse (2). In appresso i danni del tempo si dimostrano anche più evidenti. (1) Arch. civ., Atti, 1639. (2) Ivi, Decreti ecc., 1646-49. — 249 — Infatti nel 1712, correndo il mese d’ aprile, Francesco Maria Clavesana, deputato agli stabili, riferisce intorno al continuo cadere di pietre dalle Torri della Porta, e del danno conseguitone al tetto della sottostante casa di Paolo Cicala, e nota die molte altre pietre stanno per rovinare abbassso. Che anzi proprio di quei giorni un tratto dello spigolo della Torre verso Ravecca era caduto giù per una lunghezza di ben ventotto palmi, per una media di due in largo (1). Il pericolo imminente che qualche grave disgrazia potesse toccare a chi abitava sotto o transitava per la Porta indusse il Magistrato ad ordinare gli opportuni lavori di risarcimento. Fu allora che, tolte le pietre smosse, si rivestì il monumento tutto d intonaco ; rifatto poi ancora nel maggio del 1759 specialmente sulle fronti a levante, da dove cadeva già a pezzi. Nel tempo stesso si riparavano altresì i parapetti in capo alle Torri, aneli’ essi assai malconci, e due anni dopo si toglievano altri non pochi pezei d arricciato che minacciavano di cadere (2). Nel 1761, giugno, si ripetè l'intonaco in tutti i punti che ne erano spogli, e si fecero i tetti alle Torri, ai quali si riparava nuovamente nell’ agosto del 1765 (8). E le bombe lanciate su Genova nel 1684 non avranno esse pure recato il lor danno al nostro monumento ? (1) Arch. civ., Pratiche pub., 1712. (2) Ivi, lb., 1756-60. (3) Ivi, lb., 1761-69. — 250 — Pur troppo la plaga tutta obbo a soffrirne ed in tal modo che i detriti restarono agglomerati per le strade più mesi, benché a purgare più speditamente la città dai medesimi si fosse assegnato a ciascuna regione un posto per tradurveli, e per questa di s. Andrea si tosse deliberato, 3 giugno 1684, di versarli in certi vani delle mura nuove di Bisagno (1). Quanto copiosa fosse la quantità dei medesimi lungo le vie si può dedurre dalla domanda fatta nell’ aprile dell’ anno successivo da certo Gr. B. Calandra conduttore di una delle botteghe sotto le Torri, il quale esponeva di non avervi potuto abitare per più mesi per cagione dei detriti « causati dalla rovina delle bombe quali a fatto impedivano 1’ ingresso in detta bottega » (2). Delle case prossime alla Porta e gravemente danneggiate dalle dette bombe ricorderò quelle di prò-prietà Bertolotti, Avanzino, Aste e Grimaldi, dei quali ultimi ben tre, e cioè una presso i Cannoni, una sul Piano e Γ altra in capo al vico dei Notari. E taccio di quelle di Lorenzina Senno in vico Pelerà, dei Rezoagli in \Tico dritto e di quella dei Moconesi verso s. Ambrogio, della non lontana dei Generelli e di più altre che nel 1696 non erano ancora riparate (3). (1) Arch. civ., Atti, 1678-85. (2) Ivi, lb. 1685. (3) Ivi, lb., e 1686, 87, 88, 89, 90 e 9G. — 251 — Il Prione - Piazza delle Erbe - Mezza Galera s. Donato e i dintorni Ad occidente della Porta e del Piano di s. Andrea spaziava la plaga del Prione, che si dilargava alle contigue regioni del Castello e di Piazza Lunga, epperciò la Connestagia Predoni Castri e la Counestagia Predoni Platee Longe nella divisione delle Compagne o rioni della città. In oggi e già da buona pezza, il nome di Prione è ristretto alla nota via che dalla Porta discende verso s. Donato. Questa via o salita, come più comunemente è detta, e nei vecchi rogiti montata Predoni, s’incontra indicata altresì col nome di « vico dritto che va alla Porta di s. Andrea ». Ecco un’ altro « vico dritto » pertanto che viene ad accrescere il novero dei non pochi già notati e pone maggiormente lo scrittore nella incertezza di riconoscere in uno piuttosto che in un altro quello in quistione ; epperciò la necessità della maggior cautela, quando non si abbiano indizi che lo additino chiaramente. Nella contrada del Prione correndo il secolo XIII possedevano specialmente il casato degli Oliva, la chiesa di s. Ambrogio ed il Capitolo di s. Lorenzo, — 252 — il quale vi aveva una casa posta in h.ortis de Predano e sopra terreno di Guglielmo Embriaco (1). Da un atto del G settembre 1252 con che Ansaldo Colombo di s. Martino degli Erchi (2) ed Alda, sua moglie, vendevano un edifizio posto nella contrada di s. Donato sopra la terra di Guglielmo Embriaco, abbiamo una ulteriore affermazione che le possessioni dell’ Embriaco spaziavano, come già dicemmo tra la Porta Soprana., Ravecca, il Prione e s. Donato. Dirò anzi che delle possessioni, sue entro le quali nel 122S egli aveva fatta innalzare la nota Torre in mattoni, poderi e torre venuti poi in mano dei Fieschi, si trovano accenni anche nei secoli successivi (3). Un atto del primo settembre 1335 mercè il quale Giacomo Fieschi ed i canonici di s. Lorenzo locano una casa situata retro predomini in contratti puceti ne è prova. E prova pure ne sono un atto del 1452, 7 gennaio, ove è notizia di una casa diroccata detta dei Fieschi, posta nel Prione, ed altro atto del 21 giugno 1544 ove leggesi « Caroggio per contro la caza di Francisco Flisco Botto in la contracta del Prione (4) ». Anche il casato degli Olivieri possedeva case e giardini in questa plaga e specialmente in prossimità di un vicolo detto di s. Cristoforo. (1) Richekio, Fol. cit. (2) Poi s. Martino d’ Albaro. (3) Arch. civ., Atti, 1541-44. (4) Richebio, Fol cit. o Arch. civ.. Atti, 1432-68 e 1541-44. — 253 — Da un rogito del 16 maggio 1404 nel quale è scritto : domns Oliverij de (Jliverijs in contrata Predoni prope plateam sancti Donati si lia conferma che la denominazione di Predono si estendeva infino ai pressi di questa chiesa (1). Altri vicoli sboccavano nella montata, del Prione, quello detto di s. Cristoforo, vino detto della Stella, più altri due, un dei quali chiuso avanti il 1546 e nuovamente nel 1632 dal notaro G. B. Savignone, ed era prossimo alle case dei Foglietta (2 ). Addì 8 gennaio del 1500 parecchi possidenti domandavano che fossero demoliti alcuni tratti di muro esistenti in un vicolo già stato chiuso e poi aperto « il qual vicolo è nella contrata de lo predone cioè a le spai) de lo carrubeo de meza galea » (8). Tre anni dopo, 26 gennaio 1503, Giacomo Sacherio chiede di poter chiudere « un carrogio posto in la contrada de meza galea de poi la soa caza, quale altra Hata è stato murato » (4). Anche questo luogo, come tanti altri della città, era di quel tempo infestato da gente di mala vita, tantoché se il nome di Mezza galera non fossegli già consacrato dall’ uso di più secoli, si potrebbe quasi sospettare che gli venisse dai delitti che vi si perpeti) Richeuio lol. cit. (2) Ardi. . 'v., Atti, 1545-48 e 1632. (3) Ivi, lb., 1500-1503. (4) Ivi, lb., 1500-1503. — 254 — travano. Ne fa lo specchio una supplica che il 14. luglio del 15G7 sporgevano alla Signoria i vicini della detta strada. In essa è detto « Considerando quanti homicidj sceleragini et enormi peccati si siali commessi in la strada de meza galera, quanto suggieto e danno al monastero di s. Agostino et a vicini incomodo liabbino causato. Dessiderando li vicini per l’honor di Dio et ampliacion della città prò vederli non hanno altro miglior rimedio ritrovato se 11011 minar le case. Per il che liano elletto e deputato magnifico Nicolò Lavagnino, Gasparo Spinola seatero e JJarto-lomeo Calvo a quali o sia doi di essi in compagnia del molto Reverendo Priore di santo Agostino hanno data ampia facoltà di poter comprare tutte quelle case che a loro parerà e rumarle et anco tassar tutti quelli che ne receveranno utile e comodità » (1). L’atterramento richiesto venne infatti operato, come ce ne avvertono altri atti degli anni appresso toccanti alla ripartizione delle spese sui possidenti delle case vicine (2). In oggi ancora nel punto indicato dal proclama bandito a tale effetto che diceva « dalla parte a sinistra andando verso la chiesa di s. Agostino » esistono piccoli vacui e casette che additano chiaramente le fatte demolizioni. Nella salita del Prione e attergata al vico Cala-brage correndo il secolo XVII possedeva casa e vi dimorava Lazzaro Tavarone, pittore noto per i tanti (1) Arch. civ., Atti, 1572. (2) Ardi, di Stato, Pand. Actorum, 1528-1614 e Adi. civ., Atti, 1573. Ταυ. IX. t rta castri (2). Il Campo di Sarzano o Campus Sarzanni, come è detto in atto dell’S febbraio 1276 toccante alla casa compra dal già citato Ugo Fieschi, fu poi detto Campo pisano dopo che pel memorabile fatto della Meloria, 6 agosto 1284 vi furono posti e sepolti i prigionieri pisani in numero di oltre novemila. E ad uso di cimitero, specialmente elei pellegrini, servì anche più tardi, siccome leggesi in atti del secolo XV ; sul cader del quale si cominciò ad innalzarvi case, sebbene i decreti fatti precedentemente ne lo vietassero. Il decreto emanato dal Maresciallo Boucicault nel 1408, recava infatti che il Campo pisano non si dovesse mai alienare, nè in tutto, nè in parte, nè in qualunque fossesi forma, comechè col seppellimento fattovi dei numerosi pisani, morti in Genova durante la loro cattività, lo si era consacrato ad uso di cimi- (1) Arch. civ., Atti, 1593. (2) Richeeio, Fol. cit. \ tero. Concedeva però che vi si tumulassero, come già è detto, pellegrini e poveri (1). Tra i primi che ottennero di potei· costruire nel Campo pisano trovo un Marco Terrile per richiesta fattane il 4 febbraio 1479, poi Antonio Bisio, 2 luglio, e insieme a lui Remondino de Berardi. Quindi, 23 agosto, Gerolamo Bottino. Più tardi. 1488, Pietro e e Quilico Corsi, Genesio Riclierio, Domenico Senior ile, Nicola Roccatagliata, 1499, e Fabiano e Giovanni Borsotto, 1501. Nel 1523 infine un proclama dei Padri del Comune avvertiva chi voleva attendere « allo acquisto dello sito vacuo esistente sopra la fonte pubblica in Sarzano con facoltà se possia edificare » (2). Esattamente pertanto il Giustiniani nei suoi Annali parlando del Campo pisano scriveva « quale abbiamo veduto piazza patente, ma al presente vi sono qua-rantasette case. » Con atto del 20 agosto 1565 i Padri anzidetti locavano in enfiteusi a certo Gerolamo Abbo altro vacuo posto sotto le mura vecchie di Sarzano e sovrastante (1) Arch. civ., Pratiche diverse, 1439-1598, e Poch, Ms. citato. (2) Ivi, Atti, 1477-80, 1481-89, 1490-99, 1500-503 e 1518-25. L’ oratorio di s. Antonio, che sorge inferiormente alla chiesa di s. Salvatore, venne innalzato dalle monache di s. Silvestro come da loro domanda del 2 gennaio 1602, e in sostituzione dell antico da esse incorporato nel proprio monastero (Arch. civ., Atti, 1602). Lo spazio venne concesso con decreto del 9 settembre successivo (Arch. gov. Pand. Actorum, 1590-1360). — 274 — alle mura innalzate poclii anni prima, mente novissime constructe (1). Durante la prima metà del secolo XYII il Comune stesso vi innalzò parecchi molini per la macinazione del grano, abbattendo a tale effetto alcune case (2). Più al basso presso alla foce del Rivo Torbido ed al lido del mare, ove era una via che metteva ad eremitam Sarzani sive littus viaris, nel 1251, 12 agosto, compravano terre Lanfranco Usodimare e Lanfranco di s. Giorgio per il valsente di 150 lire. Somma questa assai cospicua per quel tempo e che dimostra perciò che altrettanto vasta doveva essere l’estensione delle terre acquistate (3). Su di queste ed attorno all’alveo del Rivo Torbido sorsero a poco a poco editici. Addì 14 maggio 1489 Melchiorre Lercaro domanda di poter fabbricare sopra un suolo prossimo alla sua casa contigua al mare (4). Coll’esordire del secolo XVI vi possedono specialmente un Bernardo Cariseto, un Giacomo Bisio, un Battista Testana, un Bernardo Barocco e Giorgio e Giovanni Bonaparte (5). Le case però non vi erano ancora fitte e addossate le une alle altre come le vediamo in oggi, sebbene le bombe del 1ΰ84 disertassero non poco questa regione, il Campo pisano specialmente. Ce lo rivelano alcune testimonianze fatte nel 27 marzo 1575 (1) Arch. civ., Atti, 1535-66. (2) F. Podestà, U Acquedotto di Genova, p. 55. (3) Richerio, Fol. cit. (4) Arch. civ., Atti, 1481-89. (5) Ivi, Ib., 1508-11. — «75 — per cagione di litigi tra vicini, una delle quali espone che un dei querelanti, certo Agostino Piaggio, nei tempi anteriori alla costruzione delle mura civiche, vi possedeva una casa con viridario e parecchie piccole fasce di terra estendentisi fino al mare e nelle quali erano degli alberi (1). Fino al 1552 circa, e cioè fino alla iniziata costruzione della cinta murale tra Carignano ed il Molo, la spiaggia di Sarzano era infatti libera ed aperta, tantoché vi si costruivano navi (2). Un decreto di Rodolfo di Lannoy del 26 maggio 1507 avvertiva qualmente constando che presso il lido di Sarzano erano cinque triremi costruite di fresco, nuper factas, e intorno ad esse non pochi legni necessarii al sostenimento delle stesse e dei quali se ne sottraevano molti giornalmente con pericolo che le triremi potessero abbattersi, ordinava che queste fossero sollecitamente perfezionate e condotte nell Arsenale (3). (1) Arch. civ., Atti, 1575-76. (2) Per decreto del 5 settembre 1551 si deliberava di deputare alcuni cittadini alla cura della fabrica menium a Carignano usque ad Modulum e addì 4 novembre si nominavano a tale effetto G\ B. D’ Oria e Giacomo Cibo. Però il decreto per la intera perfezione delle stesse indugiò fino al 21 novembre 1552. Di siffatta deliberazione rallegravasi Andrea D’ Oria con sua lettera scritta da Baia, siccome di cosa opportunissima per la difesa della citta. (3) Ach. civ., Atti, 1504-507. A questo decreto faceva seguito un proclama, 7 giugno, circa la restituzione dei legni rubati. Nel Cartulario dell’ anno seguente si hanno notate le spese « pro faciendo et perficiendo triremes que erant in Sarzano. Per mantenere il lido acconcio ad impostarvi navi si proibiva l’estrazione dell’arena mercè ripetute gride, delle quali abbiamo esempi già in data del 20 luglio 1475 e negli anni, anzi anche nei decenni, successivi (1). Dirò poi che il nome di « Seno di Giano » dato a questa insenatura è creazione recente, e che è da non accettare per vero quanto si legge in alcuni scrittori, più poèti che storici, i quali posero qui ed anzi nell’alveo del Rivo Torbido il porto di Genova dei tempi romani. Il porto cioè di cui durante la guerra piratica (67 anni a. Cristo) Gneo Pompeo aveva affidata la custodia a Marco Pomponio. Per poco che si ponga mente al livello del mare e insieme alle falde del colle di Sarzano e di quello di Carignano, si comprende agevolmente che queste si combaciavano ad un livello superiore e che non lasciavano alcuno specchio d’acqua capace e profondo abbastanza per ricettar navi. Qui presso alla Marina di Sarzano, prope littus maris, parecchi documenti ci additano pure l’esistenza di una torre, che un decreto del 15 maggio 1445 assegnava a sede dei collettori della gabella del vino, e che un proclama del 10 febbraio 1447 vietava di guastare e demolire (2). » (1) Arch. civ., Atti, 1469-76 e 1481-89. (2) Arch. di Stato, Pand. Antiquorum Foliatiorum A. N. 219 e Filza Cancelleria N. 16. — 277 — Era essa forse una di quelle fatte innalzare nel 1160 dai Consoli di quell’anno a maggior munizione della città ? E in qual punto sorgeva essa ? Non saprei rispondere al primo quesito, ma quanto alla positura ce la indica una domanda che certo Pietro Leone addì 10 luglio 1479 sporgeva alla Signoria per ottenere di poter ampliare una sua casa. Ivi egli dice che la detta sua casa é posta in Campopisano prope menta civitatis iuxta quandam turrim (1). Aggiungo inoltre che addì 9 marzo 1484 Marco Terrile ed Antonio Gallo chiedono di poter fabbricare una casetta ossia magazzino in solo comunis in Sarzano apud litus maris et prope turrim per riporvi il lembo e gli apparati di cui servivansi per pescare (2). Sei anni dopo, 13 agosto 1490, Lorenzo Bottino domanda pure di poter costruire in un certo spazio della marina di Sarzano e prope turriculam apud littus maris sitam (4). Dallo insieme di questi documenti e precipuamente dal primo emerge chiaramente che la detta torre sorgeva nella regione del Campo pisano. Non sarebbe pertanto quella che, detta dei Montaldo, fu da alcuni scrittori posta sulla Rocchetta di Carignano. Il Belgrano accennando alla villetta di Carignano, che confina alla Rocchetta, soggiunge. « Dove un istrumento di Oberto Foglietta seniore (28 febbraio 1400) ci insegna che sorgeva una torre chiamata di (1) Arch. civ., Atti, 1477-80. (2) Ivi, Ib., 1481-89. (3) Ivi, Pratiche diverse, 1439-1593. — 278 — Montalclo e ci addita i lavatoi destinati alla purgazione delle lane » (1). Ma era proprio qui su queste irte scogliere che stava la torre dei Montaldo ? E ·ristrumento rogato dal Foglietta 11011 la pone forse al di fuori delle mura che cingevano Carignano, extra muros lamie videlicet ville Calie/nani, e per di più sopra di una pianura ? Ed è proprio dalle Grazie e per la Rocchetta che, come scrisse l’Alizeri, si cominciò e correva la cinta del 1820 che Egli chiamava « una gagliarda muraglia ? » 0 non era invece dal Capo di Carignano, a capite Caltniani supra planiciem Bisannis, come scrisse Giorgio Stella, che si rizzò soltanto una semplice difesa di terra e di legni ? (2). E il Prato della lana non spaziava forse in prossimità, anzi alla sponda destra del Bisagno ? Non erano ivi forse canali ricchi di limpide acque, sbarrati da grate 0 gabbie di legno atte a trattenere le lane immersevi, e attorno attorno un ampio spazio, il « Prato della lana » per stendervele ad asciuttare? Ecco ciò che è da chiarire ! Se il logoro filo della mia vita resisterà ancora per qualche tempo e mi sarà concesso di poter aggiungere alle molte che raccolsi altre notizie ancora sulle (1) Op. cit. p. 29. (2) Infatti lo Stella soggiunge Naia calcem habere non poterant, e il Giustiniani ricorda pure « perchè in quel punto non puotero aver calcina ». — 279 — cinte murali di Genova, è mio proposito di delinearne la Storia a cominciare dall’ Oppidum romano fino alle ultime munizioni innalzate il secolo scorso. Il perche tralascio di parlar qui della regione del Castello, per dirne invece in quel propostomi lavoro. Torniamo ora al medio evo e sulle alture di Sarzano. Ivi nel secolo XII, XIII e XIV avvengono disfide e giudizi di Dio. Ivi di fronte alla basilica di s. Salvatore nel dì d’ognissanti del 1311 vedo adunati i cittadini per giurare fedeltà all’imperatore Enrico VI. Ivi nel febbraio del 1490 hanno luogo tornei, indetti a festeggiare la nascita del figlio di Agostino Adorno. Ma a quali cruenti pugne dovrò io ascrivere la. gran copia di ossa umane, le numerose armi, le co razze e gli elmi con entro ancora i teschi, venuti fuori nel 1586 durante l’escavazione della gran cisterna ? Indarno potrei tentarlo, poiché di tale suppellettile tutto andò disperso e perduto, in quel modo istesso che accadde di tanti altri oggetti scoperti in più altri luoghi della città durante i secoli’andati. Onde io al chiudere di questo mio scritto mentre deploro rinconsulto e vandalico sciupio di tante preziosità e le imperdonabili e gravi deturpazioni recate a tanti nostri monumenti, mi consolo d’altra parte nel soave pensiero che smessa alfine la vecchia e stolta uggia contro l’archeologia, si raccolga in oggi e si conservi quanto è e vien fuori di cose antiche; e che — 280 — quanti hanno coltura, non solo, ma anche molti di coloro ai quali non arride un tal bene, siano convinti che il ritrovamento di un qualunque cimelio, di un modesto rudere eziandio, rappresenta sempre una nuova e forse importantissima pagina della nostra Storia. P.S. — L’autore porge qui i suoi ringraziamenti agli Ufficiali tutti degli Archivi per la cortese accoglienza avuta durante le sue ricerche, e in peculiar modo poi a quelli del civico ove egli le protrasse per assai lungo tempo. — 281 — ILLUSTRAZIONI CONTENUTE NEL PRESENTE VOLUME Casa in fiamme (Riproduzione dal Caffaro) pag. 25 Chiostro di s. Andrea........» 34 Borgo Sacherio...........» 57 Piazza s. Giorgio..........» 93 Palazzo arcivescovile.........» 112 Demolizione della chiesa di s. Domenico. . » 12S Vico del vento e Piccapietra......» 158 Torre della Porta di s. Andrea.....» 217 Spazio presso la Porta di s. Andrea ...» 233 Botteghe Cicala..........» 235 Spazio Cicala...........» 23G Piazza delle Erbe..........» 255 Sarzano, chiesa e piazza.......» 267 - 282 — ERRATA CORRIGE Pag. 12, linea 25 - ma v’ ha notato ma è da notare » 32, » 18 - raggrupate in cinque raggruppate in sei » 80, (1) - Arch. civ., 1551-53. Arch, civ Atti, 1551-53 )> 9J, Linea 23 - lunga la detta via lungo la detta via » 1G6, » 22 - data al detto, è data al detto vicolo, è » 172. (2) - Zi, Atti, 1642. Ivi, Atti, 1642. » 175, linea 3 - di san Adriano di santo Adriano » 198, (1) - SI BELLUM CtUERES si bellum queres » 225, linea 27 - ne feco negar loro ne fecero negar loro » 258, » 18 - platea tetorum platea textomm » 264. » 1 - L’ar Jani 1.’ arx Jani N.B. — L’autore tralascia di additare altri errori di lettera e spostamenti di punti e di virgole facilmente riconoscibili. --- ‘283 --- INDICE Il Broli o......... Pag. 9 Il Monastero di s. Andrea e i dintorni . » 31 La Chiesa di s. Ambrogio e le sue circostanze » 52 Piazza Nuova ........ » 76 Il Canneto - Vaioria - La Chiavica - Piazza Lunga » 86 Dalla Raiba alla Piazza di s. Genesio » 96 La Piazza di s. Lorenzo e le vie contigue » 100 Il Duomo o Palazzo arcivescovile .... » 102 I Palazzi e le Torri del Comune .... » 118 La Domocolta ed i suoi dintorni .... » 123 La Porta Aurea....... » 141 Il Rivo Torbido ....... » 149 Via Felice o Vico del Vento - Via Giulia » 152 Morsento ......... » 160 Ponticello........ » 168 Il Vico dritto........ 173 Il Colle o Colla ....... » 180 Le cinte murali ....... » 185 La Porta Soprana e i suoi dintorni » 198 Il Prione - Piazza delle erbe - Mezza Galera - s. Do¬ nato e i dintorni ...... » 251 Ravecca ......... » 260 Sarzano - Il Campo - La Marina - La Piazza - Il Castello ....... » 264 Illustrazioni........ » 281 Errata-Corrige........ » 282 . ______ _____ _